Ribaltando ogni certezza

di Soul of Paper
(/viewuser.php?uid=563545)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Shelter from the storm ***
Capitolo 2: *** Lucid Dreamer ***
Capitolo 3: *** Limbo no more ***
Capitolo 4: *** Eva contro Eva ***
Capitolo 5: *** I don't need your reasons! ***
Capitolo 6: *** Alea iacta est ***
Capitolo 7: *** Come fumo negli occhi ***
Capitolo 8: *** Ottovolante ***
Capitolo 9: *** Through the Looking-Glass ***
Capitolo 10: *** Pride and Prejudice ***
Capitolo 11: *** Amore e Psiche ***
Capitolo 12: *** Sometimes a dream... turns into a dream ***
Capitolo 13: *** Io, tu e noi ***
Capitolo 14: *** Rome wasn't built in a day ***
Capitolo 15: *** Promises ***
Capitolo 16: *** Les Liaisons Dangereuses - prima parte ***
Capitolo 17: *** Les Liaisons Dangereuses - seconda parte ***
Capitolo 18: *** Les Liaisons Dangereuses – terza parte ***
Capitolo 19: *** Les Liaisons Dangereuses quarta e ultima parte ***
Capitolo 20: *** Family Portrait - Tommy ***
Capitolo 21: *** Family Portrait - Livietta ***
Capitolo 22: *** A Green-Eyed Monster ***
Capitolo 23: *** Out of Eden ***
Capitolo 24: *** Il Serpente - prima parte ***
Capitolo 25: *** Il Serpente - seconda parte ***
Capitolo 26: *** Il Serpente - terza e ultima parte ***
Capitolo 27: *** Eva - prima parte ***
Capitolo 28: *** Eva - seconda e ultima parte ***
Capitolo 29: *** Letting go - prima parte ***
Capitolo 30: *** Letting go - seconda e ultima parte ***
Capitolo 31: *** Black ***
Capitolo 32: *** What goes around... comes around... ***
Capitolo 33: *** (Ri)sentimenti ***
Capitolo 34: *** Deception ***
Capitolo 35: *** Betrayals ***
Capitolo 36: *** Cold, cold heart ***
Capitolo 37: *** Trust ***
Capitolo 38: *** The Breaking Point ***
Capitolo 39: *** In amore e in guerra... ***
Capitolo 40: *** Old friends ***
Capitolo 41: *** Odi et amo ***
Capitolo 42: *** The Aftermath ***
Capitolo 43: *** Blood and water ***
Capitolo 44: *** Behind Blue Eyes - prima parte ***
Capitolo 45: *** Behind Blue Eyes - seconda e ultima parte ***
Capitolo 46: *** Padre davvero ***
Capitolo 47: *** Playing with Fire - prima parte ***
Capitolo 48: *** Playing with Fire - seconda parte ***
Capitolo 49: *** Playing with Fire - terza parte ***
Capitolo 50: *** Playing with Fire - quarta e ultima parte ***



Capitolo 1
*** Shelter from the storm ***


Cap. 1 Shelter from the storm 


Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


AN: Questa storia avrà parecchi capitoli e parte dalla scena a casa di Madame Mille Lire, ricalcandola più o meno fedelmente inizialmente, ma con un esito finale completamente diverso. Cercherò di mantenere la storia il più realistica possibile, per arrivare gradatamente al finale che tutti avremmo voluto vedere per questa serie e che finora gli autori ci hanno sempre negato. Spero la storia vi piaccia e i vostri commenti, positivi o negativi che siano, sono sempre graditi e utili per migliorarmi. 





Guardare senza vedere, sentire senza ascoltare: la pioggia che scroscia e attutisce ogni suono, la stanza in penombra, illuminata solo da qualche vecchio lume e dai lampi, riflessi e distorti dalla coltre d’acqua che non accenna a diminuire. Forse per questo non la sente arrivare, non avverte la porta aprirsi e i passi incerti e cauti che si fanno strada tra quelle stanze, tra quei mobili antichi e quegli oggetti che, come l’allestimento di un museo, parlano di una donna che ha cessato di vivere nel presente – o forse ha semplicemente cessato di vivere, nel vero senso della parola – molto tempo fa.

“Gaetano!” esclama lei incredula, identificando quella figura maschile immobile davanti a una finestra, quasi come una statua, come un “pezzo” in più nel museo delle cere di Madame. O almeno pensa – o forse spera – di riconoscerlo, distorto e sfumato com’è dietro quel maledetto velo umido e salato che le appanna la vista.

“Camilla!” risponde lui, voltandosi verso di lei, lasciando trasparire solo una leggera sorpresa: incontrarsi o scontrarsi nei luoghi e agli orari più insoliti è ormai diventata quasi una consuetudine, come se il destino non volesse dare loro un attimo di tregua. Gaetano ha già smesso da tempo di risentirsi per questo: sa che forse se ne pentirà dopo, quando inevitabilmente lei si allontanerà da lui, ma ogni attimo che trascorre in presenza di questa donna lo fa sentire vivo e lo rende felice. E anche se c’è sempre un certo retrogusto amaro e un’ombra che incombe su ogni loro incontro, è sempre mille volte meglio del vuoto pneumatico che riempie ogni spazio della sua vita quando lei non ne fa parte in alcun modo.

Il conforto che prova nel vederla viene però cancellato dalla preoccupazione quando, avvicinandosi, non può fare a meno di notare le lacrime che le solcano il viso e i segni di un pianto prolungato.

“Ho sentito dei rumori e…” si giustifica lei, cercando di nascondere meglio che può ogni traccia compromettente dallo sguardo indagatore di lui. Sa che è inutile, ma non si sente in grado di affrontare ora questo tipo di domande e questa conversazione.

“Ma che c’hai? Che è successo?” chiede lui preoccupato, avvertendo una fitta al petto e uno strano peso sullo stomaco: non sopporta di vederla stare male e sa che Camilla è una donna forte - con le sue fragilità chiaramente, come tutti – ma non è certamente il tipo di persona che scoppia in lacrime per un nonnulla.

“No, niente,” abbozza lei, asciugandosi le lacrime, “un po’ di raffreddore…”

“Sicura?”

“Certo… Che ci fai qui?”

Il sorriso che gli dedica è tirato e finto, vuoto, e lo sanno entrambi, ma Gaetano decide di non pressarla per ora e di permetterle di cambiare argomento, sentendo che, qualsiasi cosa sia successa, Camilla non è pronta per parlarne.

“Eh… niente sono venuto a controllare una cosa e… e poi ho litigato con Eva.”

“Ah…” risponde Camilla, cominciando a capire perché se lo sia ritrovato davanti tanto assorto e meditabondo in una casa fredda e vuota che era pure, in fin dei conti, la scena di un crimine. “Sempre per Tommy?”

“Vuole portarselo via… Non ha fiducia in me e dice che non posso farcela.”

“Non è facile crescere un figlio da soli.”

“Ma io non sono da solo,” ribatte Gaetano, guardandola fisso negli occhi in quel modo tra l’implorante e il provocatorio che la lascia sempre in imbarazzo e senza fiato.

“Ah va beh…” sospira lei, deviando lo sguardo e ritenendo più prudente fingere di non aver capito, “ehm, hai detto che sei venuto a controllare una cosa. Che cosa?”

“Pare che Madame ricevesse delle strane telefonate notturne…” risponde Gaetano, come se nulla fosse successo. Ormai conosce Camilla e sa quando è meglio non insistere.

“Minacce?”

“Ancora non lo sappiamo. Però la cosa più strana è che queste telefonate sono continuate anche dopo il suo ricovero.”

“Quindi o chi telefona non sa che è stata aggredita e quindi è innocente…”

“… Oppure continua a telefonare per depistarci,” conclude Gaetano, sentendo che l’atmosfera tra loro si rilassa e notando come Camilla, concentrandosi sulle indagini, sembra a sua volta rasserenarsi.

“Magari avrà pensato che abbiamo messo sotto controllo il suo telefono… e comunque dovrebbe telefonare tra poco.”

“Potrei rispondere io, facendo finta di essere lei!” propone Camilla, con quella passione e quell’entusiasmo per il mistero che ha sempre affascinato Gaetano.

“Beh, visto che sei qui, sì,” assente lui, non solo perché è obiettivamente una buona idea, ma anche perché difficilmente potrebbe negarle qualcosa in questo momento.

E sembrerebbe quasi che lei gli legga nel pensiero perché incomincia a tremare e sfregarsi le braccia, coperte solo da quel leggero pigiama di seta.

“Ma hai freddo?” chiede lui, nuovamente preoccupato.

“Eh, un po’ sì,” risponde lei con un sorriso quasi timido.

“Aspetta, aspetta, ti do questo,” ribatte lui senza esitazione, togliendosi il maglione e rimanendo con una t-shirt bianca che sarebbe riduttivo definire aderente, tanto che Camilla si sente quasi proiettata in un film d’azione all’americana o in uno spot pubblicitario per una qualche bibita in lattina.

Camilla lo guarda tra il piacevolmente sorpreso e l’imbarazzato, mentre lui le cinge le spalle con quel pullover grigio che conserva ancora il suo profumo e il suo calore. I loro sguardi si incrociano e lei decide che è decisamente più prudente interrompere il momento sul nascere: voltandosi, indossa il maglione come si deve e va poi a sedersi sul divano dove viene però raggiunta quasi subito da Gaetano. I due rimangono seduti in attesa di quella telefonata che sembra non arrivare mai.

Lo squillo del telefono riesce comunque a sorprenderli; Camilla si avvicina e, con mano tremante, afferra la cornetta e risponde.

Gaetano le è accanto all’istante, appoggiando l’orecchio alla cornetta per ascoltare la chiamata. Nessuna voce, solo una musica marziale e angosciante che lui riconosce vagamente come un’opera classica. Si volta a guardare Camilla: i loro sguardi si incrociano nuovamente e sono talmente vicini che basterebbe qualche centimetro per essere labbra contro labbra.

Camilla sente gli occhi socchiudersi e quella strana corrente magnetica che la pervade, facendole perdere l’uso della ragione, ogni volta che lui le si avvicina troppo. In un lampo di lucidità volta il capo quasi bruscamente, come per schiarirsi le idee. Infine sente un canto, o meglio un grido, e la comunicazione si interrompe.

Riconosce il brano come la scena clou della Tosca di Puccini, la fucilazione di Cavaradossi, e lo dice a Gaetano, che continua a brancolare nel buio, data la sua scarsa conoscenza di opera e di musica classica in genere. Si siedono nuovamente sul divano e lei, quasi inconsciamente, si avvicina a lui, fino ad essere praticamente appoggiata alla sua spalla.

“Dunque una fucilazione, una minaccia, un avvertimento…” ipotizza Gaetano, guardandola come ipnotizzato.

“Un maniaco con tendenze melomani,” ribatte lei, semiseria.

“Uno stalker d’anziane appassionato d’opera,” rilancia lui, stando al gioco, con un tono di voce che decisamente non combacia con quello che sta dicendo e che sarebbe più adatto per sussurrare parole d’amore, che per formulare teorie investigative.

“Un persecutore di madame,” conclude Camilla con un tono leggermente basso e arrochito, non potendo fare a meno di chiedersi che cosa cavolo stia dicendo.

Gaetano annuisce come se Camilla avesse appena enunciato una verità universale e non una frase decisamente priva di un gran senso logico e le cinge con delicatezza le spalle, come farebbe un ragazzo adolescente al cinema con la sua prima cotta. Camilla avverte immediatamente il contatto della mano di lui, quasi come un marchio a fuoco sulla pelle, nonostante la barriera formata dal pigiama e dal maglione e la osserva incredula, come se fosse qualcosa di pericoloso e scottante. E in effetti forse lo è.

“Dobbiamo andare!” annuncia determinata, sentendo che se rimane lì un minuto di più la situazione potrebbe sfuggirle seriamente di mano: si sente confusa e fragile, troppo fragile, e non crede di essere in grado di resistere alle avance di Gaetano ancora per molto. E non è certo nello stato mentale ideale per prendere una decisione di questo tipo.

“Camilla, aspetta!” risponde lui con voce decisa ma dolce, trattenendola delicatamente per le spalle e impedendole di alzarsi, “non andartene ti prego, non è necessario.”


“Credo invece che lo sia Gaetano…” ribatte lei, ma senza tentare nuovamente di allontanarsi, sorpresa dalla determinazione dell’uomo: di solito quando lei decide di “fuggire” lui fa un passo indietro e rispetta la sua scelta.

“Camilla, da quanti anni ci conosciamo noi due? Lo sai che non farei mai qualcosa che tu non desideri, senza il tuo consenso,” replica lui guardandola diritto negli occhi, con un mix pericoloso di amore e tristezza dipinto sul volto, “a maggior ragione stasera…”

“Ed è proprio questo il problema…” sussurra lei tra sé e sé in un tono troppo basso perché lui possa sentire più di un mugugno indefinito. La donna sa troppo bene che il cuore del dilemma è proprio ciò che anche lei desidera, anche se non dovrebbe. E una piccola parte di lei, una parte oscura e nascosta della sua anima ha sempre forse sperato che lui non fosse il gentiluomo che è, che le togliesse la decisione dalle mani costringendola a lasciarsi andare, a non pensare, proprio come accade in quei sogni che turbano le sue notti da quando l’ha rivisto.

“Cosa?”

“No niente, niente, non ti preoccupare,” ribatte lei imbarazzata, abbassando lo sguardo, per poi aggiungere, ricordandosi improvvisamente di un particolare, “in che senso ‘a maggior ragione stasera?’”

“In che senso vuoi che sia? Dai, professoressa, va bene che forse – e dico forse – a indagare sei quasi più brava tu di me, ma pensi davvero che sia tanto arrugginito da bermi la storia del raffreddore?” chiede Gaetano sorridendo anche se con un’espressione preoccupata, “anche perché da quando siamo qui non hai starnutito né soffiato il naso una volta sola. E so di fare un certo effetto alle donne, ma non credo di avere anche poteri taumaturgici.”

Camilla in tutta risposta gli sferra un leggero colpo sul braccio e non può fare a meno di sorridere a sua volta, anche se sente di essere caduta in trappola. Cerca di rispondere ma lui la blocca, quasi leggendole nuovamente nel pensiero.

“Camilla, non serve che tu mi dica niente, non voglio obbligarti a darmi spiegazioni se non te la senti, ma vorrei che con me almeno non sentissi il bisogno di fingere.”

Questa frase scatena in Camilla un moto di riso amaro che zittisce sul nascere, perché fingere con lui è diventata una necessità, quasi un meccanismo inconscio, da così tanto tempo. Non in tutto certo, anzi, per certi versi Gaetano è la persona con cui si sente più libera di essere ciò che è veramente, di esprimere tutto il suo potenziale. Ma su certi argomenti, su un argomento in particolare, sa di non poter essere sincera, di essere ormai diventata una maestra ad omettere e a dissimulare. E una voce che diventa sempre più insistente, specie da quando ha trovato quella maledetta fattura, la porta a chiedersi il perché, che senso abbia continuare a mentire a lui e a se stessa.

“Non è così semplice,” sussurra infine lei, nascondendo il viso tra le mani.

“Camilla, guardami,” chiede lui a bassa voce, spostandole dolcemente le mani dal viso e sollevandole il mento con la mano destra, mentre con il braccio sinistro continua a cingerle le spalle.

“Non voglio che tu esca da questa stanza sentendoti peggio di come ci sei arrivata. Non era mia intenzione farti pressione o metterti ansia, o spaventarti. E’ che quando ti ho così vicina, faccio fatica a trattenermi, a controllarmi, e sai anche questo…” le spiega facendole l’occhiolino per sdrammatizzare, strappandole un altro sorriso, per poi continuare con un tono più serio, guardandola sempre negli occhi, “però non sopporto vederti stare male, vederti soffrire, anzi… Credimi, tutto quello che voglio, tutto quello che ho sempre desiderato è che tu stia bene, che sia serena, anche se non posso essere io a renderti felice.”

“Lo so,” riesce solo a sussurrare Camilla, mentre la voce si spezza in un singhiozzo. Non sa se per le parole di Gaetano, così sincere e disarmanti, se per il suo sguardo così carico di preoccupazione e di amore, se per il calore del suo maglione e del suo “abbraccio”, ma improvvisamente tutto il dolore, la delusione e l’umiliazione provati nello scoprire l’ennesima infedeltà di Renzo ritornano a galla come una marea che la travolge, con le lacrime ad annebbiarle la vista e a soffocarla tra i singhiozzi.

E senza sapere come, si ritrova stretta nell’abbraccio di Gaetano, a piangere sul suo petto, aggrappata a lui come all’ultima ancora di salvezza rimasta per non annegare, per non essere spazzata via dalla tempesta.

Avverte vagamente le sue mani che la accarezzano sulla schiena e tra i capelli, con movimenti circolari, quasi cullandola, cercando di calmarla, di consolarla. Nel turbinio di pensieri sconnessi che riempiono la sua mente, Camilla ricorda di aver letto da qualche parte che non c’è nulla di più rassicurante e liberatorio di piangere abbracciati a un animale, specie a un cane, ma, con tutto il rispetto e l’affetto per Potty, non c’è minimamente paragone. Ed in mezzo all’angoscia, al sollievo ed a un micidiale cocktail di sentimenti che non riesce e forse non vuole identificare chiaramente, si fa strada anche il senso di colpa nei confronti di Gaetano, di quest’uomo che LEI sì, e lo sa bene, ha fatto soffrire, in più di un’occasione, anche se mai intenzionalmente, e il cui conforto sente quindi di non meritare appieno, soprattutto considerata la causa scatenante del suo pianto.

Ma lo spirito di sopravvivenza è più forte del rimorso e ogni traccia di razionalità la abbandona mentre si lascia andare completamente, quasi afflosciandosi tra le braccia di lui.

Nessuno dei due saprebbe quantificare la durata di quell’abbraccio disperato, se si tratti di minuti o di ore, ma piano piano i singhiozzi cessano, il respiro di Camilla si fa più regolare e calmo. Infine, con un forte sospiro, la donna solleva il viso dal petto dell’uomo, non potendo fare a meno di notare, con un moto di imbarazzo, lo stato pietoso della maglietta immacolata di lui: oltre ad essere completamente inzuppata dalle sue lacrime è pure “decorata” da striature nere e viola. Un’opera astratta dipinta dagli ultimi residui di make-up sopravvissuti alla prima ondata di pianto.

“Oddio, scusami, scusami,” esclama Camilla, cercando invano con le dita di cancellare i segni, ormai indelebili.

“Camilla…” sussurra l’uomo, trattenendo le mani di lei con la sue, per evitare che queste involontarie carezze peggiorino la situazione, provocando una reazione fisiologica totalmente inappropriata, “non devi nemmeno pensarlo… Una maglia si ricompra, e ti garantisco che è l’ultimo dei miei pensieri in questo momento.”

“Non è solo per la maglia Gaetano… è che non dovrei… è che…” risponde lei non riuscendo a sollevare lo sguardo, né a finire la frase.

“E’ che c’entra Renzo, vero?” intuisce lui, cercando di usare un tono più neutro possibile, anche se prova un desiderio irrefrenabile di provocare danni fisici a chiunque abbia ridotto così Camilla.

La donna non risponde, non ne ha le forze, ma abbassa di più lo sguardo e avverte dalle braccia di Gaetano, che la stringono ancora più forte, che le parole non sono necessarie.

“Renzo e Carmen?”

Gli occhi di Camilla ritornano a riempirsi di lacrime, mentre nasconde la testa nel petto di Gaetano. Lui non dice nulla, ritorna solo a passarle le mani tra i capelli, aspettando che sia lei a fare la prossima mossa.

“E’ che sono una stupida Gaetano, una stupida!” esclama infine Camilla, sollevando lo sguardo per incontrare quello dell’uomo. “Mi avevate avvertito tutti: mia madre e perfino tu con tutte le tue battutine, i tuoi ‘ah’, quindi se vuoi dirmi ‘te l’avevo detto’, accomodati pure, che me lo merito.”

“Camilla, tu non sei affatto una stupida!” afferma deciso Gaetano, guardandola negli occhi carichi di tristezza, rabbia e rassegnazione, “e se ho fatto quelle battute beh… tu lo sai il perché le ho fatte, no?”

Camilla annuisce con un leggero sorriso amaro che non le raggiunge gli occhi.

“Ma ciò non toglie che avevate ragione e che mi sono comportata come un’idiota!”

“No, Camilla, l’unico idiota qui è Renzo-“

“Gaetano!” lo interrompe lei, cercando di alzarsi, “scusami, ma-“

“No Camilla, scusami tu, ma lasciami parlare,” replica lui deciso, trattenendola, “so benissimo che non sono la persona più adatta a consolarti in questo momento. So benissimo che sono in un ‘leggero’ conflitto d’interessi, che sono di parte, che probabilmente dovrei tacere, ma non posso farlo. E non posso farlo perché se davvero Renzo ti ha tradita, beh l’unico stupido è lui, se non riesce a vedere e apprezzare la donna meravigliosa che ha accanto e quanto sia fortunato ad averti, ad avere il tuo amore. Camilla tu vali più di mille Carmen messe insieme!”

“Esagerato!” ribatte lei imbarazzata, “e poi tu Carmen neanche la conosci o sbaglio? Come fai a dire una cosa del genere?”

“Non mi serve conoscerla per saperlo, Camilla, è una questione di statistica. E sai perché? Perché io di donne nella mia vita ne ho conosciute tante, come non perdi occasione per ricordarmi, quindi diciamo un campione statisticamente rilevante, e nessuna, ascoltami bene, nessuna è nemmeno lontanamente paragonabile a te. Tu sei bella, intelligente, ironica e autoironica, hai un gran cuore, sei generosa e ti spendi per chiunque abbia bisogno di te e poi-”

“Gaetano,” lo interrompe lei, non potendo fare a meno di arrossire di fronte a tutti questi complimenti che però sente essere in gran parte eccessivi, “ti ringrazio per le lodi ma credo che tu non sia obiettivo. Lo so benissimo che Carmen è molto più bella e giovane di me…”

“Forse sarà più giovane, ma di sicuro non più bella. Camilla, non so se te lo ricordi, ma tanto tempo fa ti dissi che eri la donna più attraente che avessi mai conosciuto e lo penso ancora. Hai una pelle perfetta, da ragazzina, un collo lungo e affusolato, sopra il quale potrei ancora morire, un fisico sottile e forte allo stesso tempo, un sorriso bellissimo, per non parlare degli occhi o dei capelli e poi hai una voce terribilmente affascinante, potresti fare la doppiatrice!” dice lui con un sorriso, facendole l’occhiolino per alleggerire l’atmosfera, notando che lei è ormai rossa come un peperone.

“Ehm… Gaetano…” balbetta lei, cercando di allentare un po’ la morsa del suo abbraccio, “ti ringrazio per il tentativo di farmi stare meglio, ma riesco ancora a vedermi allo specchio la mattina e so che il mondo è pieno di donne molto più belle di me. Soprattutto tutte quelle del tuo ‘campione statistico’ che ho avuto il piacere di conoscere e che sembrano sempre essere uscite da una rivista di moda. Quindi non mi serve una pietosa bugia.”

“In effetti mi ero dimenticato di aggiungere testarda all’elenco delle tue caratteristiche, professoressa,” dice Gaetano tra il divertito e l’esasperato, mantenendo la presa su Camilla e lo sguardo incrociato al suo, “però tu sei più importante per me di tutte loro messe insieme, e lo sai!”

“Sì, lo so ma sinceramente ancora non me lo spiego,” replica lei con un lieve sorriso, “non capisco cosa ci trovi di così speciale in me Gaetano, davvero.”

“Quindi tutto quello che ti ho detto finora non ti basta, Camilla? O non sarà che in realtà i complimenti ti piacciono?” la punzecchia lui, anche se con una nota di amarezza nella voce, causata dall’incredulità di quella donna che lui invece ama follemente. Per tutta risposta riceve un altro colpo sul braccio. Almeno sembra che l’umore di Camilla si sia un po’ risollevato.

“Allora vediamo se riesco a spiegartelo meglio professoressa,” sospira lui, avvicinandola al suo petto e constatando con soddisfazione come lei si appoggi senza protestare: forse stanno facendo un passo avanti, dopo tutto.

“Dunque, tutte queste donne che a te sembrano ‘essere uscite da una rivista di moda’, per me sono un po’ come uno di quei vini frizzanti da aperitivo, bianchi e pieni di bollicine, che sono ‘in’, che hanno un gusto delicato e neutro e che proprio per questo piacciono praticamente a tutti e vanno giù un bicchiere dopo l’altro, senza che nemmeno te ne accorgi…”

“Gaetano, ti avviso che se stai cercando di farmi sentire meglio con questa analogia non ci stai riuscendo, anzi,” lo provoca Camilla, sollevando lo sguardo e il sopracciglio.

“E aspetta un attimo prima di darmi un giudizio prof., che sono appena all’inizio dell’esposizione,” ribatte Gaetano senza perdere un colpo, con gli occhi che brillano divertiti.

“Ti stavo per dire, prima di essere interrotto, che queste bollicine si lasciano sì bere senza pensieri, ma il giorno dopo l’unica cosa che ti rimane è un gran mal di testa e un senso di insoddisfazione. E anche se ti sforzi non riesci nemmeno a ricordare che gusto avessero, perché sono anonime, scialbe, uguali ad altre mille che hai assaggiato prima.”

“Mille, Gaetano? Complimenti!” ribatte Camilla con un sorrisetto ironico.

“Camilla!” sbuffa lui trattenendo a stento le risate e la voglia improvvisa di levarle quell’espressione sarcastica a suon di baci, “mi fai finire di parlare?”

Lei assente con il capo e lui sospira e riprende la narrazione.

“Tu invece sei come un bel vino rosso, corposo e pieno di carattere – in tutti i sensi – di un’annata fortunata e irripetibile, con un bel gusto deciso e intenso e che, proprio per questo, non può piacere a tutti, specie a chi si avvicina da poco agli alcolici, ma che fa impazzire i veri intenditori e che non può rimanerti indifferente: o lo ami o lo odi. Ma se lo ami, una volta che l’hai assaggiato non te lo scordi più. Improvvisamente tutte quelle bollicine che prima tanto ti piacevano non ti soddisfano più, non ti bastano più e l’unica cosa che desideri è poterne bere un altro sorso, daresti qualsiasi cosa per poterlo avere,” termina Gaetano in un sussurro, mentre Camilla, scossa da un brivido, solleva il capo e lo guarda fisso negli occhi, facendolo tremare a sua volta.

Camilla sente gli occhi umidi e uno strano calore nel petto, non riesce a distogliere lo sguardo, non può più mentire, frenare quello che sente, quello che anche lei desidera. E senza quasi rendersene conto si avvicina al viso di Gaetano, chiudendo gli occhi, mentre lo spazio tra le loro labbra si fa sempre più sottile.

Non riesce quindi a contenere un gemito quando avverte sì il contatto delle labbra di Gaetano, ma sulla sua fronte, in un bacio delicato che la sorprende e la spiazza.

“Perché?” gli chiede quando riapre gli occhi, con la voce roca il corpo ancora tremante.

“Perché ti ho fatto una promessa Camilla,” risponde lui con un sorriso triste, “e anche se forse me ne pentirò, non voglio essere un momento di debolezza per te. Non voglio approfittarmi di un momento di fragilità e confusione. Voglio che tu sia sicura, sicura quanto lo sono io, perché quello che voglio per noi due non è la storia di una notte, e lo sai. Per usare la metafora alcolica di prima, è vero che darei qualsiasi cosa per un altro sorso, ma non a costo di rovinare la botte. Perché io la voglio tutta la botte, un assaggio non sarà mai abbastanza.”

“Gaetano…” sussurra lei commossa, accarezzandogli una guancia, consapevole che lui ha ragione e amandolo – perché lei lo ama, è inutile negarlo – ancora di più per questo gesto, che sa essergli costato molta fatica.

“Stavi andando così bene, mi avevi quasi convinta, ma ti sembra gentile paragonarmi a una botte?” aggiunge poi con un sorriso per alleggerire l’atmosfera.

“Camilla… Me la prometti anche tu una cosa?”

“Mmm… dipende da che cosa devo prometterti,” risponde lei con un altro sorriso.

“Mi prometti che ci penserai? Che penserai a quello che ci siamo detti stasera? Non dico oggi e nemmeno domani, ma appena ti sarai ripresa, vorrei che ci pensassi seriamente, perché la mia è una proposta seria, molto ma molto seria, professoressa. Io non scappo e sai dove trovarmi.”

“D’accordo, te lo prometto,” annuisce lei, sentendo di non potere, né volere fare altrimenti: come potrebbe non pensarci?

“Posso solo chiederti un’ultima cosa?”

“Dai, spara.”

“Ho bisogno di sapere se ho una qualche possibilità, Camilla. Cioè non una minima speranza, ma diciamo, per rimanere in tema, una buona probabilità di successo?”

“Lei che ne pensa, vicequestore Berardi?” risponde Camilla sorridendo e scuotendo la testa, “ma certo che ce l’hai, come puoi pensare altrimenti? Meno male che non eri arrugginito!”

E Gaetano non può fare a meno di scoppiare a ridere e abbracciarla stretta, contagiandola in una risata liberatoria. Rimangono ancora così uniti per un po’, senza volersi muovere, finché sentono la pendola antica rintoccare due volte.

“Camilla, fosse per me resterei qui con te tutta la notte, ma forse adesso è davvero meglio andare: è tardissimo e domani ci dobbiamo svegliare presto.”

“Hai ragione,” assente lei, anche se non accenna ad alzare il capo. Non ha per nulla voglia di tornare nel letto che divide con Renzo, di rivederlo, di affrontare di nuovo la realtà.

“Almeno sei un po’ più tranquilla di qualche ora fa?” le chiede Gaetano, sentendola improvvisamente più tesa.

“Sì, e ti devo ringraziare, Gaetano: non immagini quanto mi abbia fatto bene stare con te stasera,” dice lei sorridendo, grata e ancora leggermente commossa, con uno sguardo che fa sciogliere il vicequestore.

“Camilla, se mi guardi così mi fai venire voglia di dormire su questo divano, ma non credo sia prudente,” le sussurra lui, dandosi mentalmente dello stupido per l’ennesima volta questa sera, ma sa che è la cosa giusta da fare.

Come risposta lei gli accarezza di nuovo la guancia destra, mentre gli stampa un bacio sulla sinistra, per poi sciogliere delicatamente l’abbraccio e alzarsi in piedi, porgendogli la mano in un cenno d’intesa. Lui la afferra e, senza parlare, escono da quella casa che all’improvviso non pare più così fredda e inquietante. Dopo aver chiuso la porta a chiave, sempre senza parlare, raggiungono il pianerottolo di Camilla.

“Grazie ancora di tutto,” gli sussurra lei, dandogli un nuovo bacio sulla guancia, che lui ricambia con uno sulla fronte. Poi si gira, infila la chiave nella toppa e, con un ultimo sguardo a Gaetano, entra in casa chiudendo la porta alle sue spalle.




“Ma bene, complimenti!”


Una voce nell’oscurità le fa fare un balzo dallo spavento e dalla sorpresa. Improvvisamente la luce si accende e si trova davanti Renzo e, se gli sguardi potessero uccidere, lei sarebbe già morta.

“Adesso non hai nemmeno il buon gusto di aspettare che sia giorno per correre ‘dalla polizia’, Camilla?” chiede Renzo, tra il furioso e l’incredulo, “beh, certo, ora che la svedese è tornata in effetti sarà più complicato, più scomodo vedervi e allora… siamo arrivati agli appuntamenti notturni. Che romantico!”

“Renzo, per favore, abbassa la voce,” sospira Camilla, sentendo che il calore e la tranquillità che Gaetano le aveva regalato in queste due ore insieme si dissolvono ad ogni parola di suo marito, “stanno dormendo tutti, non è proprio il caso di fare una scenata.”

“Eh beh certo, era proprio su questo che contavi, no? Che dormissimo tutti! Immagina un po’ che sorpresa quando mi sveglio e scopro che non ci sei. Sono quasi due ore che ti aspetto, dicendomi che ci deve essere una spiegazione, ma invece è proprio come temevo, PEGGIO di quello che temevo!”

Camilla stringe i pugni: tutta la rabbia nei confronti di Renzo e Carmen che aveva contenuto a fatica rischia di esplodere all’improvviso e non vuole che Livietta o sua madre sentano questa “conversazione”. Senza rispondere si avvia a passo deciso verso la camera da letto. Renzo esita solo un attimo e poi la raggiunge ed è un miracolo che i suoi passi, che trasudano furia malcelata, non sveglino non solo gli altri membri della famiglia, ma pure gli inquilini del piano di sotto.

Camilla chiude la porta alle loro spalle e affronta Renzo, faccia a faccia.

“Non ti permetto di parlarmi con questo tono, Renzo: oltretutto non credo tu sia nella posizione per potermi fare alcuna recriminazione di questo tipo!”

“Cosa? COSA? Io non sarei nella posizione? Quindi cosa dovrei fare? Felicitarmi con te e con LUI per il vostro idillio amoroso?”

“Ma certo che hai un bel coraggio, Renzo, a farmi questa scenata, dopo che tu e Carmen-“

“E basta con questa storia di Carmen,” la interrompe Renzo furioso, “ok, ho sbagliato, ma abbiamo deciso di ricominciare. Cos’è, vuoi continuare a farmela pagare? E’ una vendetta, Camilla?”

“Bravo, continua a negare, a fare finta di non capire, hai una bella faccia tosta!” sbotta Camilla, senza potersi più contenere, “ti dicono niente le parole: PARIGI, STANZA MATRIMONIALE, OSTRICHE e CHAMPAGNE?”

“Cosa? Cosa? Camilla, non ci posso credere, hai frugato tra le mie carte? Siamo arrivati a questo punto noi due? Io-“

“Non ho frugato tra le tue carte Renzo, se ti interessa saperlo, l’ho trovata per terra qualche ora fa e non ho potuto fare finta di non vedere, non UN’ALTRA VOLTA!”

“E tu che cosa hai fatto? Invece di chiedermi spiegazioni, di fidarti di me, hai preferito correre a FARTI CONSOLARE dal nostro amato vicino, che chiaramente non aspettava altro immagino!”

“Sì, Gaetano mi ha consolata se ci tieni a saperlo, ma non come alludi tu, e non ti permetto di parlare di lui in questa maniera!”

“Ah, no, certo, ci mancherebbe, i miei ossequi al vicequestore: MA TI SEI VISTA CAMILLA? TI SEI VISTA ALLO SPECCHIO ALMENO?”

Camilla non può fare a meno di voltarsi a guardare il suo riflesso e spalancare gli occhi. Ha sbavature di trucco sul viso, i capelli che sembrano una selva indomabile, completamente arruffati dalle mani di Gaetano. E il suo maglione è tutto stropicciato. Un pensiero si fa largo nella sua mente, nonostante tutto: Gaetano è riuscito a dirmi tutte quelle cose, a trovarmi bella, anche mentre ero conciata così? E una risata sale spontanea dalla sua gola, senza che riesca a fermarla.

“Beata te che riesci a trovare questa situazione divertente, Camilla, perché io guarda un po’, proprio non ce la faccio!” esplode Renzo, “e il maglione di chi è, suo? Cos’è, nella foga ti si sono rovinati i vestiti e ha dovuto coprirti?”

“E anche se fosse? E anche se fossi andata a letto con lui, mi spieghi tu con che coraggio potresti rinfacciarmelo? IL BUE CHE DICE CORNUTO ALL’ASINO!” urla Camilla, togliendosi il maglione e buttandolo sul letto, senza ormai più freni inibitori.

“Non meriti nemmeno una spiegazione Renzo, nemmeno una, ma non ci sto a passare IO per la colpevole, non ci sto a renderti il lavoro facile, a ripulirti la coscienza. Gaetano mi ha consolata mentre piangevo PER COLPA TUA, mentre mi disperavo per quanto fossi stata CRETINA a fidarmi ancora di te e di lei, dopo tutto quello che era successo in precedenza. E la sai una cosa? Non c’è stato niente tra di noi, ma non perché IO non lo volessi, ma perché mi ha fermata LUI, sapendo che non ero lucida stasera, perché LUI sì che mi RISPETTA, a differenza tua, che non hai nemmeno il coraggio, LE PALLE, di dirmi in faccia che cosa è successo a Parigi!”

“Se è così che la pensi, Camilla, credo che non abbiamo più niente da dirci,” esclama Renzo, scuotendo la testa e guardandola come se non la riconoscesse più, “vado a dormire in studio!”

E detto questo, prende il suo cuscino e se ne va, sbattendo la porta.

Camilla crolla sul letto, mentre le lacrime ricominciano a scorrere. Spera che né sua madre né soprattutto Livietta abbiano sentito nulla, ma sa che è difficile che sia così. Tra i singhiozzi cerca di mettersi sotto le coperte, quando vede il maglione di Gaetano, appallottolato in un angolo del letto. Lo prende in mano e riesce ad avvertire il suo profumo: senza pensare lo indossa nuovamente, venendo avvolta dal tepore e dalla fragranza che le danno uno strano senso di pace. Tanto che il sonno, inaspettatamente, non tarda ad arrivare.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Lucid Dreamer ***


Capitolo 2 “Lucid Dreamer”


Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.



Si sveglia di soprassalto, sentendosi quasi stretta in una morsa e avvertendo un forte calore che le pervade tutto il corpo.

Cerca di voltarsi, ma si accorge di essere bloccata da qualcosa, che con il tatto scopre essere due braccia forti e muscolose. E, soprattutto, nude.

“Camilla…” un sussurro nell’orecchio la fa sobbalzare e rabbrividire: riconoscerebbe il proprietario di quella voce ovunque.

“Gaetano?” chiede lei sconvolta, sentendo l’abbraccio di lui sciogliersi quel tanto che basta per permetterle di girarsi e guardarlo in volto, “che ci fai qui? Sei pazzo?”

“Sono pazzo ma di te, professoressa,” risponde lui, fulminandola con lo sguardo, mentre Camilla avverte le sue mani forti e grandi scendere pericolosamente lungo la schiena, “e poi, sei tu che mi hai fatto entrare qui.”

“IO?” esclama Camilla, senza capire più niente, “ma se stavo dormendo? Oddio non è che sono sonnambula adesso? E comunque non puoi stare qui, cosa succederebbe se Renzo ti trovasse? E ci sono Livietta e mia madre!”

“Loro non ci disturberanno, a meno che tu non lo desideri. Desideri che Renzo ci scopra, Camilla? Magari vuoi farlo soffrire, rendergli pan per focaccia…”

“MA CERTO CHE NO, Gaetano, MA CHE CAVOLO STAI DICENDO?”

“Lo sai benissimo cosa sto dicendo,” le sussurra di nuovo lui, mordicchiandole il lobo e strappandole, suo malgrado, un gemito, “e comunque anche io preferirei non avere interruzioni, anzi…”

E dicendo questo comincia a baciarla prima dietro l’orecchio, poi lungo il collo, mentre Camilla cerca di spostarsi e di protestare, anche se ogni singola terminazione nervosa del suo corpo è in fiamme.

“Gaetano… mi avevi promesso… che non avresti… fatto nulla… che io non voglio,” riesce a mormorare a scatti, sotto l’assalto dei baci di lui, che si avvicinano pericolosamente alla scollatura del pigiama.

“Infatti Camilla, sto facendo esattamente quello che tu vuoi. Perché tu mi vuoi professoressa, è inutile che lo neghi ancora, altrimenti non potrei essere qui… e non potrei fare questo,” sussurra lui con voce roca, cominciando a sbottonarle il pigiama.

“Gaetano, ti prego,” implora lei, bloccandogli le mani, senza essere nemmeno sicura di che cosa gli stia chiedendo. Sente il cuore in gola, il battito a mille ed è così difficile resistere.

“Camilla, guardami negli occhi e dimmi che non mi vuoi, dimmi di sparire e io lo farò, letteralmente,” afferma deciso Gaetano, tenendole il mento con la mano destra e impedendole di sfuggire al suo sguardo.

Lei cerca di parlare ma non può, non riesce, non ancora, la sua bocca si rifiuta di aprirsi.

“Lasciati andare, amore mio, lasciati andare,” sussurra lui prima di avvicinare le labbra alle sue.

E il contatto è qualcosa di esplosivo, travolgente: Camilla sente brividi correre per tutto il corpo, mentre ogni resistenza la abbandona. Il bacio in pochi secondi diventa appassionato, quasi disperato, mentre le mani si incrociano e si muovono ovunque, senza alcuna meta, o meglio, verso una meta comune.

Camilla non sa bene in che modo, ma si ritrova nuda sotto di lui, pelle a pelle: sentire le sue mani tracciare scie di fuoco sul suo corpo, sentire il suo petto forte e muscoloso contro il suo seno è qualcosa di talmente intenso che la vista le si annebbia e perde ogni controllo, ogni pudore.

“Gaetano, ti prego…” riesce solo a mormorare, quasi in un delirio, allacciando le gambe intorno alla sua vita, e questa volta sa benissimo che cosa vuole.

E quando lui la fa finalmente sua, quando si infrange l’ultima barriera tra di loro, Camilla viene investita da una deflagrazione di piacere talmente intensa da perdere il senno, mentre un grido quasi primordiale sale dalla sua bocca, senza che possa fare niente per impedirlo.

“AAAHHHH!”

Camilla apre gli occhi e si ritrova seduta nel letto, con il battito del cuore nelle orecchie e il corpo madido di sudore, che le scende a rivoli lungo il viso. Ancora sconvolta si guarda intorno con gli occhi spalancati, come a voler verificare di essere davvero sola.

Non sa se sia possibile essere svegliati dal proprio stesso grido, ma è sicura di avere urlato e, mentre si stropiccia gli occhi con le mani, prega mentalmente che nessuno abbia sentito, e soprattutto di non essersi lasciata sfuggire niente altro nel sonno.

Si rende conto di stare ancora indossando il maglione di lui, quasi attorcigliato intorno al suo corpo e il cui calore è ormai insopportabile. Se lo sfila, rossa in volto e, con passi incerti e tremanti, si avvia in bagno, dove si lava il viso con acqua gelata, fino a calmarsi.

Guarda la sconosciuta riflessa nello specchio - guance rosate e occhi che brillano in mezzo ad un vortice di capelli arruffati – e si chiede come sia possibile che l’esperienza erotica più intensa di tutta la sua vita sia stata solo un sogno. E la solita vocetta maliziosa si fa largo nella sua mente, portandola a interrogarsi su come potrebbe essere in realtà fare l’amore con Gaetano.

Un’altra manata di acqua gelida cerca di cancellare questo pensiero inappropriato ma che lotta e scalpita e non si lascia ricacciare indietro così facilmente.

Il ritorno in camera è sempre lento, cauto, quasi spaventato, come se avesse paura che lui possa davvero essere lì. O forse di desiderare che lui sia lì.

Ritrova il maglione, in uno stato pietoso, vicino al cuscino. Il profumo di Gaetano si è ormai mischiato indelebilmente con il suo e non sa come potrà restituirlo al vicequestore senza morire di vergogna. Non sa come potrà di nuovo guardarlo negli occhi senza morire di vergogna – o forse di desiderio? – soggiunge la stessa vocetta infida che non vuole lasciarla in pace.

Con mani ancora traballanti appoggia alla bell’e meglio l’indumento su una sedia, per poi raggiungere, quasi sospinta da una forza invisibile, la finestra.

Le luci ovviamente sono tutte spente e un misto di delusione e sollievo l’assale, mentre appoggia la fronte al vetro, che le offre un po’ di agognato refrigerio.

Nella sua testa le emozioni e i pensieri contrastanti si susseguono senza soluzione di continuità, ma di una cosa, di una cosa sola Camilla è sicura: non può più continuare così.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Limbo no more ***


Capitolo 3 “Limbo no more”



Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.



“Ah, capita proprio a proposito! Non aveva detto che la Lovera non aveva amici né parenti?” esclama l’infermiera, senza peli sulla lingua e con il suo forte accento torinese, avvicinandosi e brandendo un mazzo di rose rosse come un’arma impropria.

“Infatti,” risponde Camilla, scambiando una serie di sguardi stupiti con Gaetano mentre l’infermiera descrive con linguaggio pittoresco e dovizia di particolari quel “tipo loffio” che “sembrava un beccamorto” e parlava “delle strane lingue” e che era riuscito a penetrare senza permesso in terapia intensiva e commettere l’imperdonabile crimine di lasciarci un mazzo di rose, distruggendo quindi completamente l’ambiente asettico e provocando, come si poteva ben immaginare, un bel mal di testa agli addetti al reparto.

Camilla e Gaetano si trovano d’accordo nell’ipotizzare che il misterioso visitatore, l’uomo del biglietto dell’opera e il “maniaco melomane” potessero essere la stessa persona.

“Potrebbe essere la stessa persona che l’ha aggredita…” prova anche ad azzardare Gaetano, in verità non molto convinto.

“Ma allora perché portarle delle rose, scusa?”

“Sarà uno di quegli uomini che prima ti mena e poi cerca di farsi perdonare regalandoti il mazzetto di fiori…” li interrompe l’infermiera, lanciandosi in un particolari non richiesti sulla sua vita sentimentale, mentre Camilla e Gaetano si scambiano occhiate divertite.

“Io avevo un fidanzato così… ed era pure brutto… mica come questo bel giovanotto!” esclama la ragazza, con una lunga occhiata di apprezzamento a Gaetano, per poi aggiungere, sotto lo sguardo sbigottito di Camilla, “ha scelto proprio bene, signora, complimenti!”

E mollandole le rose come se fossero un mazzo di carciofi, si allontana lamentandosi ancora di “quel disgraziato” del suo ex.

“Vedi!” afferma Gaetano con tono divertito, dopo che lui e Camilla erano rimasti a fissarsi sconcertati per qualche secondo.

“Che cos’è che avrei scelto bene io?” gli chiede Camilla, provocandolo e osservando ancora l’enorme mazzo di rose che si era ritrovata tra le mani.

“Me! Ma perché, non sei d’accordo?”

“No, perché ho scelto di non sceglierti, e quindi…” risponde lei in tono giocoso, anche se l’argomento non è certo dei più delicati. In effetti a ben rifletterci forse non aveva scelto bene, non aveva scelto bene proprio per niente, continuando a respingere Gaetano per salvare un matrimonio che ormai più che fare acqua da tutte le parti, stava proprio colando a picco.

“Però ti sono capitato… e proprio di fronte a casa,” le fa notare lui, sornione, decidendo di non essere pessimista e di prendere il commento di Camilla con leggerezza. Del resto, solo poche ore fa, lei aveva promesso di pensarci e Gaetano non poteva e non voleva nemmeno credere che in un così breve lasso di tempo lei avesse preso una decisione definitiva, in un senso o nell’altro.

Si voltano a guardarsi in un sincronismo quasi perfetto, come spesso accade ultimamente. E c’è un mondo dietro agli occhi, che le parole difficilmente potranno mai descrivere fino in fondo.

“Sai che io non ci credo alle coincidenze? Io credo nel destino…”

“Camilla…” le dice con un tono improvvisamente serio, piazzandosi di fronte a lei, con quell’enorme mazzo di rose a fare da unica barriera, “io non voglio farti pressioni e credimi che ce la sto mettendo tutta per trattenermi e lasciarti prendere una VERA decisione tranquillamente, ma la verità è che non so per quanto posso resistere ancora: io ho bisogno di te.”

La sua voce e il suo sguardo implorante sono come una stilettata al cuore per la donna, che si ritrova a guardarlo, a guardarlo veramente, per la prima volta in quel giorno. E, mentre le maledette lacrime minacciano ancora di voler scendere a tradimento e un’infinita tenerezza le riempie il petto, non può fare a meno di notare la stanchezza in quegli occhi azzurri e le borse che li incorniciano. Come non può fare a meno di chiedersi se anche lui, come lei, abbia passato una notte quasi insonne, se anche lui provi quell’ansia sottile ma incessante che la invade ogni volta che lui è lontano, come se un timer nascosto nel suo corpo contasse le ore, i minuti e i secondi prima di poterlo rivedere. E questo ultimo sogno non aveva di certo migliorato la situazione, anzi: appena aveva lo aveva visto arrivare, fuori dall’ospedale, il suo viso si era trasformato in un mare di fiamme e sperava che lo strato di fondotinta e correttore, più pesante del solito, avesse almeno in parte mascherato il colorito paonazzo delle sue guance.

“E non solo io, anche Tommy…”

“Tommy ha già sua madre, e se mai lui ha bisogno di te, non di me,” cerca di protestare Camilla, desiderando lasciare il bambino, che pure lei adora, fuori da questa conversazione e da questa decisione.

Il rapporto tra Gaetano e suo figlio non deve dipendere da lei: qualsiasi cosa accada lei sa che Gaetano è un padre fantastico, anche se non se ne rende conto, e che può farcela, con o senza di lei accanto. Del resto le basta ricordare come se la fosse cavata egregiamente con Nino, suo nipote, quando la sorella glielo aveva lasciato senza un minimo preavviso. In effetti ciò che l’aveva stupita inizialmente era proprio l’assenza di rapporti tra Tommy e Gaetano, considerato quanto lui desiderasse un figlio prima che lei partisse per Barcellona. A ben vedere, lasciarlo libero di realizzare questo sogno, senza di lei a fargli da “freno a mano” era stato proprio uno dei principali motivi della sua “fuga” spagnola.

“Sì, sì, lo so, però… io vorrei tanto che tu… che noi…”

Non serve che finisca la frase, non ce n’è bisogno, e non solo perché l’uomo non ha mai fatto mistero di cosa voglia da lei, ma anche, e soprattutto, perché i suoi occhi parlano da soli.

“Ne sei davvero sicuro Gaetano? Sai come si dice – attento a quel che desideri, perché potrebbe avversarsi…”

“Camilla, cosa stai dicendo?”

“Sei sicuro di volerla davvero ‘la botte’, Gaetano? Sei sicuro che il gusto intenso e corposo del vino rosso dopo un po’ di bottiglie non ti stancherà e non ti darà la nausea? Che non sentirai il bisogno di tornare ad avere un po’ di varietà, ad assaporare altri vitigni ed altre annate? Ho bisogno di saperlo.”

“Come puoi chiedermelo? Che razza di uomo pensi che sia, Camilla? Credi davvero che sarei capace di tradirti, che tu sia solo un gioco per me, una sfida, che-?”

“Shh, ascoltami,” lo implora lei con voce roca, mettendogli un dito sulle labbra, “io ti credo quando dici di amarmi, sono convinta che tu sia sincero e in buona fede, lo vedo e lo sento ogni volta che ti ho accanto. Però, com’è che si dice – è più facile immaginare di correre la maratona che fare un solo passo. ”

Camilla fa una pausa per deglutire la saliva che le impasta la bocca e si sforza di proseguire.

“Anche con Renzo eravamo partiti con le migliori intenzioni, convinti di amarci alla follia e poi vedi cos’è successo… Il tempo, la routine appiattiscono tutto, la passione difficilmente dura in eterno e poi… se va bene rimangono l’affetto, la complicità e il rispetto… se non va bene, nemmeno quello.”

“Camilla, io capisco che tu ti senta ferita e delusa dal rapporto con tuo marito, ma non vuol dire che le cose debbano andare sempre così, per forza.”

“No, forse no, però Gaetano, siamo franchi, sai che è una concreta possibilità, no? E io ho paura Gaetano, ho paura, ho paura non solo di tutte le ragazze di cui ti sei sempre circondato, ma anche e soprattutto della Camilla che ti sei creato nella mente in tutti questi anni in cui siamo andati avanti con questa ‘relazione’, comunque tu la voglia definire. Ho paura di non essere alla sua altezza Gaetano, ho paura che quando la fantasia si scontrerà con la realtà ti accorgerai che non sono la bottiglia di Grand Cru che pensavi, ma un vino da tavola in brik. E non so se potrei sopportarlo.”

Gaetano la guarda incredulo, vedendo che gli occhi le si riempiono di lacrime e maledicendo mentalmente Renzo per averle ridotto l’autostima sotto la suola delle scarpe.

“Puoi garantirmi che sarà diverso, che non succederà a noi due? Puoi garantirmi che tra un anno o cinque o dieci o venti che siano vorrai ancora avermi al tuo fianco? Credo che anche tu debba rifletterci Gaetano, non solo io: devi pensarci molto bene.”

“Camilla,” le sussurra lui, asciugando un paio di lacrime che le scorrono sulle guance, “sappiamo tutti e due che nessuno può darci una certezza assoluta su cosa avverrà in futuro. Ma, ascoltami bene, io ti garantisco, per quanto è nelle mie possibilità, che l’idea di averti accanto a me tra venti o trent’anni non mi spaventa affatto, anzi: io voglio invecchiare insieme a te Camilla e non ho alcuna intenzione di lasciarti andare, finché tu mi vorrai al tuo fianco o finché – anche se so che è un cliché, e pure un po’ macabro – finché morte non ci separi.”

“E poi sono sicuro al 100% che non potrei mai annoiarmi con te, nemmeno se volessi. E sai perché? Perché ti conosco da quasi dieci anni eppure riesci a sorprendermi sempre. E sai quanto è raro questo per uno come me, che per mestiere ha dovuto imparare a leggere le persone, a prevedere ogni loro mossa? Sei il più grande mistero che abbia mai incontrato nella mia carriera: ogni volta che penso di averti davvero capita, di avere la chiave di lettura, mi spiazzi con qualche trovata delle tue. Quindi no, professoressa, non riuscirai a liberarti molto facilmente di me, non ci sperare. Anzi, probabilmente sono io che dovrei chiedertelo... Sei sicura che riuscirai a sopportarmi e che non ti stancherai di me, nemmeno quando diventerò un vecchio brontolone con la dentiera e ti racconterò per la centesima volta le mie imprese di gioventù?”

Il sorriso di Camilla, così luminoso e ampio, senza riserve, lo porta a tirare un sospiro di sollievo: lei gli crede, gli crede davvero e Gaetano comincia a vedere una luce in fondo al tunnel, a sentire che tutto ciò che ha sempre desiderato è lì, a portata di mano. Forse sono finalmente entrambi nello stesso posto e nello stesso momento, dopo tanti anni passati a rincorrersi.

“Gaetano, non so perché ma ho la netta sensazione che anche da anziano sarai uno di quegli uomini a cui i capelli bianchi e le rughe conferiscono fascino, invece di toglierlo, e che dovrò allontanare a borsettate tutte le giovani fanciulle che ti ronzeranno intorno, altro che vecchietto brontolone,” gli risponde lei ridendo e alimentando ancora di più in lui la speranza.

“Camilla, prima di fare la figura dell’idiota, ho bisogno di saperla io una cosa: stai dicendo quello che penso tu stia dicendo?”

“Tu che ne dici?” gli sussurra lei, sporgendosi sopra al mazzo di rose e avvicinando pericolosamente i loro visi, fino a essere a pochi centimetri dalle sue labbra, per poi aggiungere, con un sorriso e una voce talmente roca che lei stessa stenta a riconoscere, “se stavolta provi a spostarti, giuro che ringrazierai il cielo di essere in un ospedale.”

Le labbra di lui fanno appena in tempo a dischiudersi, ma la risata gli resta nella gola, perché in un attimo la bocca di Camilla è sulla sua, azzerando ogni altro pensiero.

E’ un bacio molto diverso dai precedenti: non è l’esplosione di una disperata passione troppo a lungo soffocata, o il cogliere un attimo rubato e probabilmente irripetibile. Entrambi si sentono finalmente liberi di lasciarsi andare, di mostrare tutto quello che provano l’uno per l’altra in questo bacio, senza paure e senza esitazioni. E la sensazione di pienezza, di consapevolezza, di sapere che l’altro ricambia con eguale vigore, nonostante tutti gli anni passati, nonostante i lunghi periodi di separazione, nonostante tutti gli ostacoli e i malintesi, è talmente forte che nessuno dei due si stupisce a sentire le guance dell’altro farsi improvvisamente umide.

Presto però i desideri repressi per anni emergono prepotenti dagli abissi in cui erano stati sepolti e, quasi inconsciamente, in un istante di lucidità, entrambi si afferrano al bouquet di rose, per frenare quelle mani che fremono per raggiungere territori che non possono essere esplorati in un luogo pubblico.

E con un sussulto improvviso, Gaetano interrompe quel bacio, incontrando gli occhi umidi di Camilla che riflettono i suoi. Rimangono così per qualche istante, fino ad arretrare di un passo e abbassare lo sguardo a osservare, con un sincronismo quasi perfetto, quei fiori vermigli vittime innocenti della loro foga amorosa.

Il sorriso imbarazzato di Camilla si increspa quando nota un'altra pennellata di rosso sulla mano destra di Gaetano. Senza dire una parola, la afferra ed esamina il rivolo di sangue che scorre lento e inesorabile dalla punta del dito indice.

Un suono indistinto e gutturale è l’unica reazione che riesce ad avere Gaetano quando sente il calore e l’umidità della bocca di Camilla chiudersi intorno alla piccola ferita. No, decisamente non è l’unica reazione, e proprio per questo ritira rapidamente la mano, prima che accada qualcosa di irreparabile.

“Camilla!” riesce ad articolare finalmente, quasi rantolando, guardandola negli occhi che brillano divertiti e maliziosi, “se il tuo intento è quello di farmi impazzire, sappi che ci stai riuscendo.”

“Ha parlato l’anima candida e innocente,” ribatte lei scoppiando a ridere, “almeno ora sai come mi sentivo io ad essere oggetto delle tue continue avance a cui non potevo cedere, anche se morivo dalla voglia di farlo.”

Gaetano è ammutolito e completamente spiazzato di fronte a questa confessione e a questa Camilla giocosa e senza filtri e gli appare davanti una visione nettissima, quasi reale, di una Camilla Baudino adolescente.

“Che cosa c’è, Gaetano? Non ti piace provare a metterti per una volta nei miei panni?” continua a punzecchiarlo lei divertita, cercando di risvegliarlo dal suo improvviso mutismo.

“Ad essere sincero, i panni preferirei toglierteli, professoressa.”

Stavolta è Camilla ad ammutolire per qualche secondo, per poi sospirare, assestandogli un leggero colpo sul petto.

“Ecco, lo vedi, sei davvero incorreggibile! Mi sa proprio che le borsettate non basteranno. Dovrò attrezzarmi con uno spray al pepe, o meglio, dovrò chiedere a Torre di procurarmi uno sfollagente.”

“Meglio di no, Camilla, altrimenti poi dovrei arrestarti,” ribatte Gaetano senza battere ciglio, per poi aggiungere malizioso, “a ben pensarci però, la prospettiva dei domiciliari non è niente male.”

E mentre Camilla sente il volto avvampare, ricordando i suoi recenti sogni carcerari a base di manette, la tensione tra loro ritorna talmente forte da potersi tagliare con un coltello. Sentono entrambi il bisogno impellente di una doccia gelata.

Per una volta lo squillo del cellulare è quindi quasi provvidenziale.

“Era Torre, Camilla, devo andare alle Vallette…”

La donna annuisce e ritornano in silenzio al parcheggio e alla realtà. Troppo rapidamente si ritrovano davanti alla macchina di lei e Gaetano sembra esitare.

“Che cosa succede adesso, Camilla?” le chiede, con una voce cauta e quasi timorosa.

“Succede che dovrò parlare con un bel po’ di gente nei prossimi giorni… Renzo, Livietta, mia madre…”

Anche Camilla è improvvisamente seria: quelli che l’aspettano saranno forse i giorni più difficili della sua vita. Sa benissimo che non esiste una maniera giusta e indolore per terminare un rapporto durato così tanti anni. La spaventa soprattutto la reazione di Livietta, anche se la rassicura il fatto che sia già sopravvissuta alla prima separazione tra lei e Renzo ma… è in un’età così delicata.

E per bene di sua figlia deve cercare di recuperare un rapporto civile con Renzo, di salvare quello che resta dell’affetto e della complicità che per tanti anni avevano fatto da collante al loro rapporto. Dopo la violenta lite di ieri sera non l’ha più rivisto ma l’ha sentito uscire praticamente all’alba. Sa di avere esagerato, di avergli vomitato addosso tutta la rabbia e la frustrazione accumulate non solo per quest’ultimo episodio, ma anche durante la prima separazione. Sa di aver mirato alla gola, di aver attaccato per ferire, assecondando il demone dagli occhi verdi che le sussurrava di fargli provare lo stesso dolore, la stessa delusione, la stessa umiliazione.

“Sei sicura Camilla? Sei davvero sicura di volerlo fare? Se ti serve altro tempo… se sei ancora sconvolta per ieri io…”

“Gaetano…” sospira lei, intenerita dalla fragilità che percepisce nella voce dell’uomo, “ma certo che sono sicura! E credimi, in pochi momenti nella mia vita mi sono sentita tanto lucida. A meno che tu non ti sia già stancato di me, perché in quel caso sei ancora in tempo per tornare indietro…”

“Fossi matto!” esclama lui con un sorriso, per poi aggiungere in un sussurro, “è che mi sembra tutto ancora un sogno e ho paura di svegliarmi.”

“Lasciamo stare i sogni che è meglio, fidati,” ribatte Camilla arrossendo divertita, “e tu cosa pensi di fare?”

“Beh, spiegherò ad Eva la situazione… A Tommy credo non servirà spiegare nulla, sarà entusiasta, lo sai che ti adora!”

“Mi sa che mi stai confondendo con Potty,” replica Camilla con un sorriso, per poi farsi seria, “però Gaetano, sai, non credo sia una buona idea comunicarlo ora alla tua ex moglie. Ho come l’impressione di non starle particolarmente simpatica e non vorrei che per questo facesse precipitare le cose e si portasse davvero via Tommy.”

“Eva è molto gelosa del rapporto che si è creato tra te e Tommy e forse ha intuito qualcosa anche su noi due, non so… Però non ha alcun diritto di dirmi chi posso o non posso frequentare e non ho alcuna intenzione di doverti nascondere come se stessimo facendo qualcosa di male.”

“Gaetano non sto dicendo che dobbiamo nasconderci per sempre, anzi, ma che forse è meglio aspettare che Eva torni stabilmente in Italia, in modo che possiate discuterne con più calma e serenità, senza migliaia di chilometri di mezzo a peggiorare la situazione.”

“Quindi fino a che Eva non sarà partita e tu non avrai risolto la tua situazione familiare, noi due rimaniamo in stand-by…”

“Credo sia la cosa migliore…”

Si ritrovano stretti in un forte abbraccio, senza bisogno di parlare, facendosi coraggio per le dure prove che dovranno affrontare nei giorni a venire e promettendosi vicendevolmente che si ritroveranno ancora insieme, uniti, alla fine del tunnel, qualsiasi cosa accada.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Eva contro Eva ***


Capitolo 4 “Eva contro Eva”




Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.




Né il rumore del traffico, né la guida abbastanza “sportiva” del tassista riescono a ridestarla dalla coltre di pensieri nei quali è immersa. E nemmeno riescono a scalfire la determinazione quasi maniacale e febbrile che si è impossessata di lei quando i pezzi del puzzle si sono incastrati e le hanno rivelato la verità.

Il disegno, l’occhiolino di Tommy, la sua strana insistenza, il drago che già una volta aveva “dimenticato” a casa sua per “tornare a riprenderlo”: tutto torna e si maledice per non averci pensato prima, assorta com’era nei suoi problemi, per non aver dato ascolto a quella strana inquietudine che aveva provato quando aveva ritrovato il pupazzo di peluche, per avere attribuito tutto alla tensione di questi giorni.

E dire che di segnali il suo sesto senso gliene aveva lanciati eccome: al ricevere la notizia dell’improvvisa partenza di Eva, non aveva avvertito il sollievo che si aspettava di provare, per quanto non fosse un sentimento nobile. Gaetano se ne era accorto e si era perfino scusato, giustificandosi per non averla avvertita prima, mal interpretando il suo turbamento. Del resto nemmeno lei era riuscita ancora a parlare con la sua famiglia: tra la visita di Savino e Chiara, lo spavento di sua madre in balia del “Fantasma dell’Opera”, il suo rocambolesco arresto e il provvidenziale salvataggio da parte di Gaetano, aveva trascorso, tanto per cambiare, più tempo in compagnia del vicequestore che a casa. E non era facile stargli così vicino mentre erano in questo “stand-by” autoimposto, non era facile per niente.

Ma ora un solo pensiero la ossessiona, un’unica idea fissa si è fatta largo nel caos mentale di queste ultime ore: fermare Eva. Non c’è spazio nella sua mente per il dubbio, per l’esitazione, per farsi bloccare da “piccoli dettagli” come l’essere inopportuna o il rischio concreto di giocarsi per sempre la benché minima possibilità di un rapporto civile con l’ex moglie di Gaetano. Vede davanti agli occhi lo sguardo di Tommy quella mattina, implorante e fragile, vede il terrore di Gaetano alla prospettiva di perdere quel rapporto così delicato con suo figlio, costruito con tanta fatica, e sa di non poter far finta di niente.

Scende dal taxi appena le ruote si fermano, urlando al tassista di aspettarla lì. Spera di trovarli in tempo, di non dover cercare per tutto l’aeroporto, che non abbiano già superato la barriera oltre la quale lei non può andare. Qualcuno sembra ascoltare le sue preghiere perché, nemmeno a farlo apposta, se li ritrova davanti appena raggiunge l’ingresso dell’aeroporto.

Il bimbo le corre incontro subito e lei non può fare a meno di sorridere mentre se lo bacia e gli restituisce il peluche, nonostante Eva la fulmini con lo sguardo. L’ex moglie di Gaetano sembra incarnare perfettamente gli stereotipi della donna di ghiaccio: bellissima ma algida. “Tutto il contrario di me” non può fare a meno di pensare Camilla per l’ennesima volta. Come non può fare a meno di chiedersi che tipo di moglie fosse Eva, se mostrasse il suo lato più dolce anche con Gaetano o se si “sciogliesse” solo con Tommy. Ma blocca sul nascere questi pensieri, prima che scivolino in territori pericolosi per la sua salute mentale.

“Senta, ma si può sapere perché mi ha seguita? Cosa vuole fare? Insegnarmi a fare la madre?” sibila Eva, sferrando subito il primo attacco, senza perdersi in convenevoli.

“No,” è la risposta di Camilla, che cerca di mantenere il tono più tranquillo e neutro di cui è capace. Sa che dovrà fare uso di tutta la sua diplomazia se vuole avere qualche speranza di farsi ascoltare da Eva e di non far degenerare le cose.

“Mi sta forse giudicando?” la provoca la svedese in tono di sfida.

“Giudicarla perché vuole stare con suo figlio? Ma non ci penso nemmeno! Se lei vuole seguire il suo lavoro, - e fa benissimo! – penso solo che forse potrebbe provare a lasciare Tommy con Gaetano, che ha molta voglia di occuparsene.”

“Ah, sì? E sentiamo, come?”

“Bene, se ne occupa bene,” cerca di spiegare pazientemente, senza cedere di fronte all’atteggiamento indisponente di Eva, “lo so che per un sacco di tempo non c’è stato, però adesso c’è e soprattutto ha intenzione di esserci.”

“Magari con lei, eh?” ribatte Eva con un mezzo sorriso sarcastico e lo sguardo tagliente come una lama affilata.

“Guardi, Gaetano è perfettamente in grado di prendersi cura di Tommy, con me o senza di me. Mi creda, so benissimo che Tommy ha già una madre e un padre che adora e che lo adorano e non ho alcuna intenzione di intromettermi nel vostro rapporto. E’ vero, mi sono molto affezionata a suo figlio: ha cresciuto un bambino davvero meraviglioso ed è impossibile non volergli bene e se Gaetano o Tommy avessero bisogno di qualsiasi cosa e io potessi aiutarli beh, sarei felice di farlo, ma questo non significa assolutamente che voglia appropriarmi di un ruolo che non mi compete. Oltretutto ho già una figlia in piena adolescenza che, le garantisco, mi basta e avanza.”

Eva rimane a fissarla per qualche istante che sembra eterno, come se stesse valutando se graziarla o meno.

“Ma c’è qualcosa tra lei e Gaetano, non è vero?”

“Gaetano è una persona molto importante per me, ma non abbiamo una storia al momento e lui non è mai stato il mio amante, se è questo che vuole sapere,” replica Camilla dopo un secondo di esitazione, decidendo di mettere a frutto l’esperienza acquisita in anni di omissioni sul filo del rasoio.

“Al momento… e in futuro?” ribatte Eva, senza perdere un colpo e senza smettere di trafiggerla con quegli occhi di ghiaccio. Gaetano aveva perfettamente ragione a dire che fosse una donna molto intelligente, su questo non c’era alcun dubbio.

“Forse di questo dovrebbe discuterne con lui. Non voglio entrare in cose che non mi riguardano.”

“Beh, per questo mi sembra un po’ tardi ormai, non le pare? E se lei farà parte della vita di Gaetano, farà parte anche della vita di mio figlio e quindi queste ‘cose’ la riguardano e mi riguardano eccome.”

“Senta, ho provato per esperienza come ci si sente ad essere una madre separata con un figlio e ricordo perfettamente quanto fossi preoccupata di cosa sarebbe successo quando mio marito si fosse rifatto una vita e di quale tipo di donna avrebbe potuto portare nella vita di mia figlia. Quello che posso dire è che Gaetano è un uomo intelligente e sono sicura che non permetterebbe mai a una donna, chiunque essa fosse, di intromettersi tra lui e Tommy o di fare del male a vostro figlio. Per quello che mi riguarda, le garantisco che, qualunque sia il tipo di relazione che potrò avere in futuro con Gaetano, non inciderà in alcun modo sul rapporto che c’è tra Gaetano e Tommy o tra lei e Tommy.”

“Ma questo non è vero, Camilla, perché è già successo. Lei è arrivata a Torino e, guarda caso, Gaetano all’improvviso ha deciso di iniziare a fare il padre, di prendersi le sue responsabilità. Io non ci credo alle coincidenze.”

“Gaetano ha iniziato a fare il padre perché lei gli ha affidato Tommy, non di certo perché io ero nei paraggi,” ribatte Camilla, non potendo fare a meno di pensare che almeno una cosa in comune Gaetano ed Eva ce l’avevano, dopotutto.

“Guardi che Tommy mi ha parlato di tutto il tempo che lei ha passato con loro, di essere stato perfino ospite a casa sua per diversi giorni, quando Gaetano era impegnato… Quindi non mi venga a dire che la sua presenza non ha avuto alcun effetto sulla vita di mio figlio, perché non ci credo.”

“Però, se anche così fosse, non mi sembra che gli effetti siano stati negativi, no?”

“No, in effetti no… finora! Ma lei ha un ascendente, un potere pazzesco su mio figlio, per non parlare di Gaetano. E questo, sinceramente, mi spaventa molto.”

“Non credo di avere questi poteri di cui lei parla, ma, anche se li avessi, le posso solamente garantire per l’ennesima volta, che non li userei mai per fare del male a suo figlio o a Gaetano o a lei. Capisco che lei possa non credermi… Le chiedo solo di darmi la possibilità di dimostrarle, con i fatti, che non ha nulla di cui temere.”

“Se c’è la vita di mio figlio di mezzo, non posso permettermi di fare esperimenti e di sbagliare,” ribatte Eva, decisa, con lo sguardo fiero di una leonessa pronta a qualsiasi cosa per difendere il suo cucciolo.

“Lo capisco,” sussurra Camilla, sostenendo quell’occhiata che sembrava volerle scavare nell’anima, per poi aggiungere in un tono più deciso, “ma questa situazione è solo temporanea, no? Ben presto lei tornerà dai suoi viaggi e Tommy trascorrerà la maggioranza del suo tempo con lei, quindi potrà vigilare e controllare di persona.”

“Appunto!” sbotta la svedese, per poi aggiungere dopo un attimo di pausa, in tono provocatorio, “senta, Camilla, se le dicessi che sono disposta a lasciare Tommy con Gaetano, a patto che lei non li frequenti e si faccia da parte fino al mio ritorno, lei cosa farebbe? Prima di rispondermi, consideri che Tommy è come un libro aperto per me e che saprò immediatamente se lei non dovesse mantenere la parola data.”

“In questo caso, le rispondo che se si trattasse, per il bene di Tommy, di non frequentare Gaetano per qualche mese, sarei disposta a farlo, anche perché sono certa che Gaetano capirebbe e mi appoggerebbe, dato che il rapporto con suo figlio è la cosa più importante per lui. Ma se mi sta chiedendo di chiudere la porta in faccia ad un bimbo così piccolo, di dover improvvisamente cominciare a farmi negare e a rifiutarlo se volesse passare del tempo con me o con il mio cane, beh, sinceramente, se lo può scordare!”

E con tutta la dignità e la pazienza che le rimane, saluta Tommy, augura ad entrambi buon viaggio e se ne va a testa alta, sotto lo sguardo sconcertato di Eva.

***************************************************************************************

“Camilla!!!”

“Tommy…” riesce solo a sussurrare, sollevata, sentendo il dolce peso di quello scricciolo arrivarle addosso come un fulmine, gettandosi tra le sue braccia.

Gaetano non può fare a meno di osservare questa scena con occhi lucidi: suo figlio e la sua Camilla, stretti in un fortissimo abbraccio. Come non può fare a meno di provare una fitta al petto nel vedere il sorriso sul volto di Camilla: il sorriso più ampio e sincero che lui abbia mai visto in vita sua.

“Mamma ha detto che torna presto, poi io vado con lei, adesso però posso restare con papà, Potty e con te,” esclama Tommy con una fierezza che fa sciogliere entrambi gli adulti presenti.

“Li ha detti in ordine di importanza,” ribatte Camilla, facendo ridere Gaetano.

La “Lucianona” si porta via Tommy offrendogli un gelato e Gaetano fa cenno a Camilla di avvicinarsi un attimo, portandola in un angolo del corridoio.

E, incurante degli sguardi dei passanti e della presenza di Savino, che sembra studiarli incuriosito, la stringe a sé, più forte che può. La sente irrigidirsi solo per un secondo, per poi lasciarsi andare tra le sue braccia.

“Dio, Camilla, quanto ti amo,” le sussurra all’orecchio, facendola tremare, “grazie, amore mio, grazie!”

“Gaetano…” bisbiglia lei, cercando di trattenere le lacrime, “ti amo anch’io, non immagini quanto.”

Per Gaetano la battaglia è invece persa in partenza: sentire per la prima volta quelle due parole uscire dalle labbra di quella donna che ama disperatamente da così tanti anni, dell’unica donna che avesse mai amato, rende tutto improvvisamente reale, tangibile e solo il luogo e le circostanze gli consentono di frenare l’impulso irresistibile di baciarla, di caricarsela in braccio e portarsela in un luogo dove potesse finalmente esprimere liberamente tutto quello che sente per lei.

“Non so cosa tu abbia detto a Eva,” riesce infine a dire, separandosi da lei con uno sforzo quasi sovrumano, “ma quando sono arrivato in aeroporto mi ha restituito i bagagli di Tommy, mi ha detto ‘la tua Camilla è una donna con le palle’, ha dato un bacio a Tommy e se ne è andata.”

“Beh, detto da lei è un gran complimento: la tua ex moglie è una leonessa, ho seriamente temuto per la mia incolumità,” risponde Camilla ridendo, per stemperare la tensione.

“Non me ne parlare… Comunque direi che a questo punto non sarà più necessario chiarirle la situazione al suo rientro, mi sembra che abbia già capito tutto…”

“E’ una donna intelligente Gaetano… io ho cercato di sviare l’argomento e non sbilanciarmi, ma mi ha dato del filo da torcere: dovreste assumerla per condurre gli interrogatori!”

“Di nuovo, non me ne parlare… Però devo ringraziarti doppiamente professoressa, perché mi hai liberato da una bella spada di Damocle,” ribatte Gaetano in tono altrettanto divertito.

“Sai che è ironico? Dovevo parlare con la mia famiglia e invece…” lascia la frase in sospeso, sapendo che, con la partenza di Eva, l’urgenza di chiarire tutto con Renzo, Livietta e Andreina è aumentata in maniera esponenziale e sentendosi atterrita da ciò che potrebbe succedere.

“Già… se vuoi per par condicio mi offrirei di parlare io con Renzo, ma temo che i risultati non sarebbero altrettanto buoni,” scherza Gaetano facendola ridere di nuovo.

“Non me ne parlare…” ribatte Camilla, facendogli volutamente eco, anche se non riesce a mascherare del tutto l’agitazione, malgrado i tentativi di Gaetano di sciogliere la tensione.

“Camilla, guarda che puoi prenderti tutto il tempo che ti serve: non ti sto puntando una pistola alla tempia e mi fido di te, mi fido di quello che c’è tra noi. Certo, non sarà facile resisterti, professoressa, ma ti ho aspettata per tanti anni, posso aspettare qualche giorno in più…”

“Grazie…” è l’unica cosa che riesce a sussurrare Camilla, accarezzandogli il viso, nuovamente commossa.

“E adesso che ne dici se andiamo a far confessare quegli spacciatori?” propone Gaetano, cercando di distrarla con le sue amate indagini.

E fermandosi a recuperare Savino, che li osserva con un sopracciglio alzato e con un’aria di chi ormai non si sorprende più di nulla, si avviano a passo deciso verso l’ufficio di Gaetano.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** I don't need your reasons! ***


Capitolo 5 “I don't need your reasons!”



Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.




“Dove stai andando?”

Camilla è appena tornata dall’ospedale, dopo aver visitato una “Madame Mille Lire” improvvisamente ringiovanita di vent’anni. Era impossibile non identificarsi un poco in quella coppia di amanti che si ritrovano dopo tante peripezie e, mentre raccontavano della “Tosca Galeotta”, episodio con vaghi echi Danteschi, lei e Gaetano si erano scambiati un lungo sguardo d’intesa. “Almeno tu non ti sei mai finta morta,” aveva perfino osato commentare il vicequestore, facendole l’occhiolino, mentre tornavano a casa in macchina, guadagnandosi un meritato pugno sul braccio, seguito da un bacio sull’angolo della bocca che per poco non causa un incidente stradale.

Ma ora, entrata in camera da letto, si ritrova davanti Renzo con la valigia in mano ed ogni traccia di felicità, di leggerezza evapora completamente: sa che il momento tanto temuto è arrivato. Non può più rimandare e si sta giocando tutto: il rapporto futuro con Renzo ma anche e soprattutto quello con sua figlia.

“In albergo, in un appartamento, non lo so… Mi sembra che questa situazione sia già abbastanza insostenibile e non credo abbia alcun senso che io rimanga qui a dormire sul divano.”

“Renzo, per favore, sediamoci e parliamone con calma.”

“Adesso vuoi parlarne con calma, Camilla? Dopo tutte le ‘gentilezze’ che mi hai detto l’altra sera? Da quanti anni ci conosciamo io e te? Abbiamo condiviso quasi tutto, dovresti conoscermi abbastanza per sentire se ti mento o meno e credimi, il non essere creduto… non lo sopporto.”

“Beh, forse dovresti chiederti perché faccio fatica a crederti,” sbotta Camilla prima di potersi trattenere, pentendosi immediatamente delle parole uscite dalla sua bocca.

“Ah sì? E io cosa dovrei dire allora della tua ‘amicizia’ con il nostro amato vicino? Tu mi hai detto che non ci stai a passare per colpevole, Camilla ma, sai che c’è? Nemmeno io ci sto a prendermi tutte le colpe. E’ vero, ti ho lasciata io, è vero mi sono messo con Carmen ed è successo tutto quello che è successo, ma vogliamo parlare di cosa si prova a vedere che la propria moglie passa intere giornate in compagnia di un altro? Che preferisce cento volte la compagnia dell’altro piuttosto che stare con te? Tu hai cominciato a giocare col fuoco, Camilla, non io. E non appena hai rivisto il tuo amato poliziotto tutto è ricominciato come prima, PEGGIO di prima. TE LO SOGNI PURE LA NOTTE! Sai cosa si prova, Camilla, a sentire la propria moglie che pronuncia il nome di un altro mentre dorme accanto a te? A sentire che sei un peso, un terzo incomodo e che lei preferirebbe stare da tutt’altra parte? PASSI TUTTE LE GIORNATE NEL LORO APPARTAMENTO E DEDICHI MOLTE PIÙ ATTENZIONI A UN BAMBINO, CHE PURTROPPO NON È IL TUO, CHE A TUA FIGLIA!”

“QUESTA È UNA BATTUTA DI PESSIMO GUSTO, RENZO, E POTEVI PURE RISPARMIARTELA! SE VUOI INSULTARMI, SE VUOI PRENDERTELA CON ME, FALLO PURE, MA LASCIA TOMMY FUORI DA QUESTA DISCUSSIONE!” grida Camilla, non riuscendo più a trattenersi dall’alzare la voce.

“State litigando?” li interrompe Livietta, con un tono tra l’arrabbiato e l’addolorato, squadrandoli con quei suoi occhioni azzurri che sembrano essere sull’orlo delle lacrime.

“NO!” sbottano entrambi all’unisono, per poi guardarsi e rendersi conto che la frittata ormai è fatta.

“Volevo solo dirvi che esco…” ribatte la ragazza, che sembra sempre più amareggiata e delusa, “esco con Greg.”

E il ragazzo fa capolino dalla porta, avendo l’aria di chi preferirebbe essere da tutt’altra parte.

“Va bene,” risponde Camilla, pensando che probabilmente è meglio che lei e Renzo possano “parlare” da soli, evitando di coinvolgere Livietta in questa discussione che potrebbe degenerare da un momento all’altro.

“Vado con lui, ciao!” si congeda la ragazza, fulminandoli con lo sguardo.

Aspettano in silenzio il suono della porta che si chiude, per poi guardarsi nuovamente, gli occhi improvvisamente pieni di tristezza, più che di rabbia o di rancore.

“Renzo, ascoltami, sediamoci e parliamone civilmente, come le persone adulte che siamo. Se non vuoi farlo per me, per tutto quello che c’è stato tra noi, fallo per tua figlia.”

L’uomo sospira e lentamente lascia la valigia e si siede su quel letto che è stato testimone della loro breve vita matrimoniale torinese: a nessuno dei due è sfuggito il fatto che quel verbo la professoressa l’abbia coniugato al passato.

“Scusami, ho esagerato,” sussurra Renzo e Camilla è colpita per l’ennesima volta dalla somiglianza tra Livietta e suo padre: quegli occhi bellissimi e tristi sono praticamente identici.

“No, scusami tu, ho esagerato anche io… l’altra sera e stasera… Non avrei dovuto dirti quelle cose e non le penso veramente, ma mi sentivo ferita e…” risponde Camilla in un tono altrettanto basso.

“Quindi mi credi?” chiede Renzo, mentre una luce di speranza si fa largo sul suo volto.

“Renzo, non penso che abbia più importanza, se io ti credo o meno,” ammette Camilla, abbassando lo sguardo.

“Ma certo che ce l’ha!” esclama Renzo, per poi ritornare a controllare il tono di voce, “cosa stai dicendo, Camilla?”

“Sto dicendo che il fatto che io ti creda o meno non cambia la realtà delle cose. Sai una cosa Renzo? Tu hai perfettamente ragione su tutto, riguardo a me e Gaetano. Hai ragione: ho anche io la mia parte di colpe e sono disposta a prendermi le mie responsabilità e ad affrontarne tutte le conseguenze. Ma anche tu… appena arrivati qui passavi tutte le tue giornate a sospirare perché ti mancava Carmen… Tanto che alla fine ho dovuto pure dirti di chiamarla, di farla tornare, sperando che avessi il buon gusto di non farlo, sperando di sbagliarmi ma invece… Invece non aspettavi altro. E lo sai tu cosa significa vedere che tuo marito non può vivere senza un’altra donna? Che se lei non c’è si sente perduto, inquieto, sull’orlo di una crisi di nervi? Che quando lei c’è è sereno, felice, in pace col mondo, mentre con te è in uno stato perenne di insoddisfazione?”

“Camilla, io ho bisogno di Carmen perché è un bravo architetto, non-“ prova a intervenire Renzo, ma Camilla lo blocca sul nascere.

“Renzo, con tutto il rispetto per l’abilità professionale di Carmen, lo sai anche tu che di bravi architetti è pieno il mondo… magari non pieno, ma capisci cosa intendo no?”

“Sì ma con Carmen c’è un’intesa che…”

“Appunto Renzo, a te mancava l’intesa che avevi con lei, non il rapporto professionale. Senti, non voglio rinfacciarti nulla, non è un rimprovero, è solo una constatazione della realtà. E la realtà è che non so quando e non so nemmeno per colpa di chi, qualcosa tra di noi è cambiato… Non siamo più quelli di una volta, non ci bastiamo più Renzo, non siamo più sereni: passiamo il tempo a lottare contro noi stessi, a covare tutta questa insoddisfazione, quest’ansia, questo risentimento e se continuiamo così distruggeremo tutto quell’affetto, quella complicità e quel rispetto che ci lega da sempre.”

“Camilla… è per Gaetano, vero? Tu lo ami…” mormora Renzo con aria di resa e non è una domanda, ma un’affermazione.

“Sì, amo Gaetano ma… Renzo ti prego!” esclama bloccandolo prima che si alzi e se ne vada, “tu puoi odiarmi, puoi non credermi se vuoi, ma io ti garantisco che ce l’ho messa tutta per trattenermi, per soffocare quello che provavo e che provo… Ma alla fine mi sono chiesta che senso avesse continuare a farlo. Tu mi puoi dare tutta la colpa Renzo, magari tu non ami Carmen, magari è solo un’idea che mi sono messa in testa io per sentirmi meno in colpa, ma il punto è che Gaetano e Carmen non sono la causa del problema, non solo, ma sono una conseguenza del fatto che qualcosa tra me e te non funziona più ed ha cominciato a non funzionare più tanti anni fa ed è andata sempre peggio…”

“Ma allora perché sei tornata con me, Camilla, perché?”

“Perché ti voglio bene, Renzo, ti voglio un bene dell’anima e non era facile per me accettare che… accettare che questo matrimonio fosse davvero finito. Io non rimpiango questi mesi, credo che se non ci avessi riprovato me ne sarei pentita per sempre, mi sarebbe rimasto il dubbio, il rimpianto. Ma purtroppo non ha funzionato e credo che sia arrivato il momento di riconoscerlo e fermarci finché siamo ancora in tempo.”

Renzo la guarda con gli occhi lucidi: avrebbe voglia di urlare, di darle la colpa di tutto, di andare a casa di Gaetano e spaccargli la faccia, ma sa perfettamente che sarebbe inutile. E una voce sottile e insistente che si fa largo nella sua mente gli sussurra che lei in fondo ha ragione e si odia per questo molto di più di quanto potrebbe odiare Camilla o il maledetto “poliziotto superpiù”.

E mentre i loro sguardi si incrociano, capiscono perfettamente che non c’è bisogno di dire altro, che è davvero finita.

“Come siamo diventati civili, tutto d’un colpo…” sussurra poi Renzo, guardandola malinconico, “mi faceva meno paura quando urlavamo, sai?”

“Renzo…” mormora Camilla, mettendogli una mano sulla spalla, ma l’uomo si scosta bruscamente.

“Scusami Camilla ma non ci riesco a farmi consolare da te, non in questo momento…”

E rimangono ancora in silenzio, a fissare un punto nel vuoto, per diversi minuti.

“Che pensi di fare ora?” trova infine il coraggio di chiedere Renzo, “avrai una storia con lui?”

“Sì… credo che dopo tutto questo tempo sia arrivata l’ora di darci una possibilità,” risponde Camilla con il tono più neutro possibile.

“Lo immaginavo… del resto è pure comodo, di fronte a casa: la scelta logistica perfetta per una bella famiglia allargata!”

“Renzo… Livietta è e sarà sempre tua figlia, e lo sai. Questo non cambierà mai, qualsiasi cosa succeda.”

“Potrò pure sforzarmi di essere civile, Camilla, ma non chiedermi di essere felice per te e il poliziotto, di non essere geloso quando lo vedo, di non provare rabbia o rancore nei suoi confronti…”

“Renzo, anche io sarò sempre un po’ gelosa di te e della donna che ti sarà accanto: anche se forse ora non mi credi, ti voglio davvero un bene dell’anima e ti ho amato per tanto tempo, non potrai mai essermi indifferente… Siamo stati insieme per una vita e questo non ce lo toglierà mai nessuno…”

Renzo scuote il capo, si avvicina al comodino e prende in mano una foto di loro due e Livietta, sorridenti e felici, tanti anni fa.

“E’ che non mi spiego come siamo arrivati da lì a qui, Camilla, tu me lo sai spiegare?”

“Vorrei avere una risposta, Renzo, ti giuro che vorrei averla, ma se ce l’avessi forse non saremmo a questo punto.”

Renzo annuisce, appoggia la foto e si avvicina alla valigia.

“E tu cosa farai, dove andrai a stare?” chiede di nuovo Camilla, cercando di contenere le lacrime.

“Non lo so… in albergo penso, ti farò sapere dove... Poi tra qualche giorno c’era in programma un eventuale viaggio a Londra e a questo punto… credo che mi fermerò qualche giorno in più. Ho bisogno di allontanarmi per qualche tempo, Camilla e poi si vedrà… Del resto ho ancora affari in sospeso qui a Torino, lo studio, quindi non posso stare via per molto… e poi c’è Livietta.”

“Già… Livietta,” sussurra Camilla, “dovremo dirlo a Livietta quando torna a casa.”

Senza dire una parola, si spostano entrambi nel salone e si siedono sul divano, attendendo il rientro della figlia, con la stessa espressione di chi sta attendendo il plotone di esecuzione.

Livietta non tarda ad arrivare, ma a Camilla e Renzo sembra passata un’eternità, prima che la porta si apra e si accenda la luce.

La ragazza li vede lì, seduti uno accanto all’altra, in quella stanza che prima era buia e non c’è bisogno che aprano bocca, lei già sa, sa tutto e il dolore, la rabbia, la frustrazione per tutti i trasferimenti, per quell’eterno tira e molla tra due adulti che si presume dovessero essere più responsabili di lei e che invece non avevano fatto altro che illuderla e poi deluderla negli ultimi anni, da quando erano partiti per Barcellona, o forse anche da prima, le salgono improvvisamente alla gola.

“Livietta, ti dobbiamo parlare…” esordisce Camilla, cercando di mantenere la voce ferma, e fallendo miseramente.

“Io e tua madre-“ cerca di intervenire Renzo, ma Livietta lo interrompe bruscamente, fulminandolo con lo sguardo.

“Vi separate di nuovo, non è vero?”

“Livietta lasciaci-“ prova ad aggiungere Camilla, ma senza riuscirci, perché Livietta ormai è un fiume in piena.

“LASCIARVI FARE COSA? LASCIARVI SPIEGARE? E cosa dovreste dirmi, sentiamo? Cose tipo che mi volete bene, che mi vorrete sempre bene, che ci sarete sempre, che non cambierà mai niente, che saremo sempre una famiglia? Dopo tutto quello che avete fatto? Dopo che mi avete sballottata come un pacco postale? Dopo che ogni volta che mi creavo delle amicizie voi cambiavate città, per seguire l’idea del momento? Dopo che ho dovuto sopportare tutti i vostri litigi, le vostre pause, le vostre recriminazioni? E prima state insieme, poi vi lasciate, poi, come mi comincio ad abituare all’idea, tornate insieme, poi adesso vi lasciate di nuovo. E che cosa sarà successo stavolta? Sarà per Carmen, sarà per Gaetano, per entrambi? BEH, LA SAPETE UNA COSA? NON ME NE FREGA NIENTE DELLE VOSTRE MOTIVAZIONI, NON ME NE FACCIO NULLA! Io non vi ho mai chiesto niente, non volevo che tornaste insieme a tutti i costi: volevo solo un po’ di coerenza, che prendeste una decisione e fosse quella! Quindi sinceramente a questo punto potete fare quello che vi pare: lasciatevi, tornate insieme, mettetevi con chi volete, basta che MI LASCIATE IN PACE UNA BUONA VOLTA! E IO DA TORINO NON MI MUOVO, E’ CHIARO?”

E, sotto gli sguardi impietriti dei genitori, scoppia a piangere e corre a chiudersi in camera sua, sbattendo la porta e girando la chiave nella serratura.

“Livietta!” prova a chiamarla Renzo, ma Camilla lo ferma.

“Adesso è inutile, dobbiamo aspettare che si calmi un po’…” riesce a dire tra le lacrime che non può più a trattenere. Non può nemmeno dire ad alta voce quello che pensa, cioè che spera che Livietta si calmi, perché ha una paura terribile che sua figlia non possa davvero mai perdonarli. Non l’aveva mai vista così arrabbiata, così decisa: non era una delle sue solite mattane adolescenziali, era davvero furiosa con loro.

E improvvisamente la crudele ironia la colpisce come un pugno allo stomaco: lei ha soffocato in tutti questi anni i suoi desideri, si è “sacrificata” credendo di fare il bene di sua figlia e invece… Invece l’ha solo fatta soffrire, ha solo peggiorato le cose. Ha continuato a riaprire una ferita che avrebbe potuto essere già rimarginata da tempo, e che invece ora rischia di diventare infetta, proprio quando Livietta è nell’età più delicata e pericolosa di tutte.

“Camilla, se vuoi posso restare stanotte, domattina le parliamo e…”

“Renzo, ti ringrazio, ma non so sinceramente se a questo punto vederti qui domattina, come se non fosse successo niente, migliorerebbe o peggiorerebbe le cose per lei… Non lo so…” riesce a dire tra i singhiozzi, mentre Renzo la guarda con un’espressione altrettanto spaventata e dubbiosa.

“Diciamo allora che passo domani nel pomeriggio, quando torna da scuola, ok?”

“Ok,” sospira Camilla, dubitando in cuor suo che Livietta domani ci vada a scuola.

“Se hai bisogno, chiamami.”

Camilla annuisce e Renzo prende la valigia e si avvia verso la porta. Quando la raggiunge si volta indietro e la guarda come se volesse imprimersela nella mente: in piedi in mezzo a quella stanza che lui aveva personalmente arredato, tra le pareti di quella che da quel momento in poi non sarà mai più casa sua.

Camilla non riesce a parlare, non riesce più a sostenere lo sguardo di Renzo e non può fare a meno di abbassare la testa. Quando la rialza, lui se ne è già andato, lasciando al suo posto una porta spalancata e il brillio delle sue chiavi che pendono dal buco della serratura.

E’ davvero finita.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Alea iacta est ***


Capitolo 6: “Alea iacta est”



Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.




“L’ho fatto.”

La voce piatta e stanca di Camilla accoglie Gaetano non appena scende in cortile per portare Tommy a scuola. Alza gli occhi e la vede, seduta su quella panchina, con gli occhi rossi e lo sguardo perso nel vuoto, ancora più pallida del solito, talmente fragile e spaventata che sembra potersi sgretolare da un momento all’altro.

Non serve chiederle spiegazioni, sa benissimo che cos’è che ha fatto Camilla, ma non riesce a provare quella gioia, quella liberazione, quel trionfo che dovrebbero derivare da quelle parole che ha sognato per così tanto tempo di ascoltare. L’unica cosa che riesce a sentire è un lancinante senso di colpa, per avere chiesto tanto a Camilla, per aver contribuito, anche se indirettamente, a ridurla in quello stato.

“Portiamo Tommy a scuola e poi ti accompagno al lavoro, ok?” le propone Gaetano col tono di voce più dolce e tranquillo che possiede.

Camilla annuisce e si alza in piedi, animandosi lievemente quando Tommy le abbraccia le gambe, come fa di solito.

“Camilla, posso venire oggi pomeriggio a giocare con Potty?” chiede il bambino innocentemente, dedicandole il suo migliore sorriso, quello incantatore e un po’ ruffiano che ha decisamente ereditato dal padre.

La donna cerca di sorridere e gli scompiglia i capelli ma esita e, prima che possa rispondere, Gaetano interviene a toglierle le castagne dal fuoco.

“Tommy, oggi pensavo di portarti a vedere la mostra sui dinosauri…” propone Gaetano, sperando che non ci siano imprevisti sul lavoro e di potere così assecondare questa richiesta del figlio, che era rimasto colpito da un manifesto pubblicitario su quelli che a lui dovevano sembrare dei grossi draghi.

“Davvero??” esclama il bambino entusiasta, abbracciando questa volta le gambe del padre.

“Grazie…” gli sussurra Camilla con un accenno di sorriso, che però non raggiunge gli occhi.

“Andiamo…” risponde Gaetano in tono neutro, facendole un cenno col capo.

E così si avviano alla macchina, tenendo Tommy per mano, che saltella felice, ignaro di cosa stia accadendo nel “mondo dei grandi”.

I racconti del bimbo, già elettrizzato all’idea della gita pomeridiana, fanno da colonna sonora alla prima parte del viaggio, mascherando il silenzio serio e riflessivo degli adulti.

Quando Tommy scende, Gaetano porta l’auto in un parcheggio lì vicino e si mette in sosta, sapendo che Camilla non entra alla prima ora oggi (e sentendosi un po’ ridicolo per aver memorizzato quasi perfettamente il suo orario di lavoro) e capendo che il breve tragitto probabilmente non basterà a dire ciò che c’è da dire.

“Immagino sia inutile chiederti com’è andata…” osa infine dire Gaetano, rompendo il silenzio dopo un minuto di esitazione.

“Già… in realtà con Renzo è andata meglio del previsto, se si può usare la parola meglio in casi come questo… E’ stato… triste, malinconico ma civile… e forse per questo ancora più triste.”

“E Livietta?” chiede Gaetano a bassa voce, cogliendo immediatamente il cuore del problema.

“Livietta mi odia, ci odia… cioè odia me e Renzo… era furiosa, Gaetano, furiosa, con una rabbia da adulti, se capisci cosa intendo, quella rabbia che può durare una vita intera. Non l’avevo mai vista così…” spiega Camilla, con uno strano tono meccanico che a Gaetano non piace per nulla.

“Mi dispiace, Camilla, non…”

“Non scusarti Gaetano! Non è colpa tua!” esclama Camilla bruscamente per poi aggiungere, notando l’espressione dell’uomo, “scusami tu… non ce l’ho con te ma con me stessa.”

“Camilla…” sussurra lui appoggiandole una mano sulla spalla, improvvisamente spaventato. Non sa cosa sia successo esattamente con Livietta ma sa che se la ragazza davvero non dovesse perdonare Camilla… non ci vuole nemmeno pensare.

“Sai, Gaetano, non è furiosa perché ci separiamo… Chiaro, non le fa piacere, ma non è quello… Ci ha rinfacciato tutti i cambi di casa, di vita, la nostra indecisione, mia e di Renzo… La nostra ipocrisia, la nostra incoerenza… Sai che è ironico? Proprio io che lavoro con gli adolescenti tutti i giorni e che so che quello è il delitto più grave per loro, il più imperdonabile, più di qualsiasi altro sbaglio, di qualsiasi altra mancanza… come ho fatto ad essere così stupida?”

Camilla si lascia andare a una risata amara, mente Gaetano la osserva sempre più preoccupato, senza poter più aggiungere altro, sapendo che ora non servirebbe.

“E quindi mi ritrovo a scoprire che tutto quello che ho fatto in questi anni non solo è stato inutile, ma è stato dannoso. Io che mi sforzavo, mi sacrificavo, mi convincevo di stare facendo il bene di mia figlia e invece… invece l’ho fatta solo soffrire di più e le ho fatto del male… E Dio solo sa il male che ho fatto anche a te, Gaetano, a Renzo, per non parlare di quello che ho fatto a me stessa…”

Camilla si mette il viso tra le mani e scoppia a piangere, Gaetano decide che è il momento di intervenire e la abbraccia meglio che può, considerati i limiti di spazio dell’abitacolo, vincendo la sua resistenza iniziale e permettendole di sfogarsi.

“Camilla,” le sussurra, quando gli pare si sia un po’ calmata, “Livietta non ti odia davvero, e tu lo sai.”

“Tu non la conosci, Gaetano, tu non l’hai vista e non puoi giudicare,“ sbotta lei irritata.

“E’ vero, non conosco così bene tua figlia, Camilla, ma si può dire che un po’ l’ho frequentata in questi anni, no? Anche in quest’ultimo periodo. E Livietta adora te e adora suo padre: sarà ferita, delusa, arrabbiata, tutto quello che vuoi, ma se lo è, è perché vi vuole bene. Non si rimane delusi da una persona che ci è indifferente, Camilla, né da una persona che si odia.”

“Ma magari questa è stata l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha iniziato a odiarmi da ora, questo può succedere no? Il confine tra amore e odio è sottile Gaetano e tu col mestiere che fai lo sai bene.”

“Camilla, Livietta è una ragazza sveglia, intelligente ma soprattutto buona e capirà che ok, magari avrete sbagliato, avrete fatto degli errori, ma li avete fatti in buona fede, credendo di agire per il meglio. Sono sicuro che tra qualche tempo, quando avrà elaborato il lutto, lo capirà.”

“Non sono sicura che la differenza tra delitto doloso e colposo valga qualcosa per lei, Gaetano.”

“Ascoltami, io non pretendo di essere un esperto su come si fa il genitore, tu lo sai meglio di chiunque altro che non lo sono. Ma voi nel bene o nel male per Livietta ci siete sempre stati, quando contava c’eravate, tutti insieme. Pensa alla storia con Bobo: tu ti saresti fatta ammazzare per tua figlia, Camilla, e lei questo lo sa. Io c’ero e ricordo come ti guardava quando eri lì per terra e ricordo cos’è successo dopo, quando eravate tutti e tre insieme. Sono sicuro che Livietta sa benissimo che la adorate, che fareste qualsiasi cosa per lei, che potrà sempre contare su di voi quando ne avrà davvero bisogno e che voi le starete sempre vicino, qualsiasi cosa accada.”

“Sai te che consolazione averci vicino mentre continuiamo a sbagliare, a complicarle la vita, invece di aiutarla!”

“Camilla, non me li ricordo molto bene i miei quindici anni, ma so che avevo già superato la fase in cui pretendevo che i miei genitori fossero perfetti. Anzi, li sfidavo per dimostrare loro il contrario. Mia sorella Francesca poi non ne parliamo, lei praticamente si nutriva di questo conflitto e ne ha fatto quasi un’arte. Ma Livietta non assomiglia per nulla a mia sorella, fortunatamente per lei. Quello che voglio dire però, Camilla, è che ricordo che quello che avrei voluto dai miei genitori era che mi ascoltassero, che mi capissero, che mi lasciassero fare le mie scelte e anche sbagliare, che mi trattassero da adulto quando serviva, ma che fossero lì a sostenermi e farmi forza quando avevo paura e mi rendevo conto di essere poco più di un bambino. I miei genitori, soprattutto mio padre, non ci sono mai riusciti, ma questa è un’altra storia.”

“E quindi Gaetano, secondo te cosa dovrei fare?”

“Ti potrei dire che dovresti dimostrare a Livietta che hai capito, che d’ora in poi le cose saranno diverse e che sarai ‘coerente’ e decisa con le tue scelte. Potrei anche aggiungere che non dovresti mai più cambiare città e restare sempre qui a Torino. Ma temo che potrei sembrarti un po’ in conflitto di interessi, professoressa e inoltre tu sai benissimo come comportarti con gli adolescenti, molto ma molto meglio di me. Quindi Camilla, tu cosa faresti se tutto questo non fosse successo a Livietta ma a una tua alunna e sua madre venisse a chiederti un consiglio. Tu cosa le risponderesti?”

Camilla alza gli occhi verso di lui e gli regala il primo – debole – ma vero sorriso di quella mattina.

“Sai una cosa Gaetano? Credo che le direi di fare più o meno ciò che mi hai consigliato tu, conflitto di interessi a parte. Devo avere il coraggio delle mie scelte, devo ascoltarla… Non devo proteggerla dalla verità, per quanto dolorosa, ma aiutarla ad affrontarla, affrontarla insieme. E’ questo che mi sta chiedendo Livietta. E’ quello che mi sta chiedendo da tanto tempo, anche se non l’avevo mai capito.”

Mano a mano che parla, la voce di Camilla perde quella tonalità quasi metallica che aveva tanto spaventato Gaetano: sembra che stia gradatamente uscendo da quello stato di panico in cui si trovava e che ricominci a vedere le cose con più lucidità. L’uomo tira un sospiro di sollievo, anche se sa che sono appena all’inizio, che si prospetta davanti a loro un periodo difficile, in cui si giocheranno il tutto per tutto.

“Gaetano… lo so che ti sto chiedendo molto ma… credo che in questi giorni dovrei stare il più possibile a casa, con mia figlia, starle vicino, farle capire quanto ci tengo a lei ed evitare che si isoli… magari cercare di recuperare almeno un po’ della sua fiducia…” mormora Camilla guardandolo negli occhi e Gaetano si chiede per l’ennesima volta come sia possibile che lei sembri sempre in grado di leggergli nel pensiero. E, cosa ancora più straordinaria, come sia possibile che essere “nudo” davanti a lei non lo spaventi, che questa fragilità non gli provochi inquietudine, ma gli infonda invece uno strano senso di pace.

“Camilla, non serve nemmeno che me lo chiedi. Ti ho già detto che posso aspettare, che sono disposto a darti tutto il tempo che ti serve. Lo so che Livietta è e sarà sempre la persona più importante della tua vita, la tua priorità assoluta ed è giusto così. E poi tu mi hai restituito mio figlio, Camilla, mi hai aiutato a costruire un rapporto con lui praticamente da zero, quindi qualsiasi cosa posso fare per renderti le cose più facili, o forse è meglio dire meno complicate con tua figlia, basta che tu me lo dici e io lo farò.”

Per tutta risposta le labbra di Camilla si dischiudono in uno di quei suoi meravigliosi sorrisi che, Gaetano ne è sicuro, sarebbero capaci di illuminare anche la stanza più buia, grigia e fredda. È come se il sole sorgesse pian piano sul viso della donna, scacciando quel velo opaco che lo ricopriva e lasciando il posto a due occhi finalmente brillanti, luminosi e vivi. E ritrovare la sua Camilla, sentire le sue dita lunghe e affusolate accarezzargli una guancia, riconoscere riflessi sul suo volto i suoi stessi identici sentimenti, è una di quelle sensazioni per cui, decide Gaetano, vale la pena di vivere, di lottare e finanche di morire.

Poi d’improvviso gli occhi della donna si abbassano e si posano sulla camicia azzurra del vicequestore: la sua espressione muta repentinamente, mentre le guance arrossiscono visibilmente.

“Oddio, Gaetano, sono un disastro, ti ho rovinato un’altra camicia!” esclama la donna, toccando la zona vicina al taschino: quelle striature viola e nere che si stagliano contro l’azzurro chiaro del tessuto.

“Camilla, ti ho già detto che non devi pensarci nemmeno. Sai che facciamo? Andiamo un salto a casa, ci sistemiamo e ti accompagno a scuola, ok?”

“Non è solo questo… lo so che sono stata insopportabile stamattina, Gaetano, io non so come tu faccia a-“

“Camilla,” la interrompe lui mettendole un dito sulla bocca, “nemmeno io ho mai preteso né pretendo, né pretenderò mai che tu sia perfetta. Tu sei umana, Camilla, sei vera ed è anche questo che mi piace di te. E ti ho già detto che vorrei che con me non sentissi il bisogno di fingere, mai, qualsiasi cosa succeda. Voglio che le cose le affrontiamo insieme, a viso aperto, anche se ci dovessimo far male, anche se non sarà sempre piacevole, anche se ci dovesse fare paura.”

“Gaetano…” sussurra lei abbracciandolo forte, “ti ho già detto che ti amo?”

“Una volta, professoressa, una volta, ma ti garantisco che è una di quelle frasi che non mi stancherò MAI di sentirti dire,” risponde lui sorridendo e baciandola sui capelli.

“Mi spieghi cosa ho fatto per meritarmi un uomo meraviglioso come te? Per meritarmi la tua pazienza, il tuo perdono, il tuo amore?”

“Mmmm, non saprei… Mi hai vomitato sulle scarpe?” risponde lui per alleggerire la tensione e ottiene l’effetto desiderato, cioè quello di fare ridere Camilla. Ed è il suono più bello che abbia sentito in tutta la giornata.

“Oddio, Gaetano, che vergogna se ci ripenso! Effettivamente ho iniziato subito ad attentare al tuo guardaroba, quindi potevi ritenerti avvisato,” ribatte lei tra le risate, per poi aggiungere in tono più serio, con uno sguardo che lo fa sciogliere, “certo che ne abbiamo fatta di strada noi due, eh?”

“E siamo solo all’inizio, Camilla, siamo solo all’inizio.”

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Come fumo negli occhi ***


Capitolo 7: “Come fumo negli occhi”



Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro




“Io e Renzo ci siamo lasciati.”







Il silenzio all’altro capo della cornetta è assordante, tanto che Camilla può sentire nitidamente il battito accelerato del suo cuore, che come sempre la tradisce, contraddicendo il tono pacato e quasi… routinario con cui ha pronunciato quelle poche parole.

“Mamma, ci sei?” osa chiedere infine, preoccupata.

“Sì, Camilla… Vorrei dirti che sono sorpresa, ma… lo sai come la pensavo e come la penso.”

La voce di Andreina è altrettanto calma e piatta. E questo sì che sorprende Camilla, che si aspettava tutt’altro tipo di reazione, considerando come la donna non avesse mai fatto mistero di non approvare il “ritorno di fiamma” con Renzo. Forse è per questo motivo che ha rimandato fino ad ora l’annuncio e non solo per permettere a sua madre di “riambientarsi” a Roma. Ma ormai è passata quasi una settimana dal “d-day” e non può più evitare le sue telefonate… oltretutto non desidera di certo che lo venga a sapere da qualcun altro.

“Già… il ‘te l’avevo detto’ è in arrivo o lo lasciamo sottointeso?”

“Di nuovo Carmen?” ribatte Andreina, imperturbabile, ignorando la provocazione.

“No… o forse sì… non lo so e in realtà a questo punto non mi interessa nemmeno.”

“Gaetano?”

“Non ho tradito Renzo con Gaetano, mamma… o forse sì… dipende dai punti di vista, immagino… da cosa si intende con ‘tradimento’, ma anche questo non ha più importanza oramai.”

“Tu lo ami,” afferma determinata Andreina, come se stesse enunciando una verità assoluta e ineluttabile.

“Sì,” risponde Camilla con lo stesso identico tono, avvertendo un profondo senso di sollievo: finalmente non è più necessario mentire, né agli altri, né a se stessa.

“Lo sapevo, l’ho sempre saputo, sai? Da quando ti vidi tornare a casa con quelle rose rosse in mano e gli occhi che ti brillavano, tanti anni fa… Ricordo che ti feci la predica e difesi Renzo a spada tratta… Ironico, col senno di poi, non ti pare? Sapessi quanto me ne sono pentita…”

“Sai mamma, col senno di poi direi che quando Renzo mi ha tradita con Carmen… forse il nostro matrimonio di fatto era già finito da tempo, e la colpa è anche mia.”

“Forse… Ma il modo in cui Renzo ha agito… Non è stato corretto, non ha avuto rispetto nei tuoi confronti e questo tu non te lo meritavi Camilla. Anche se probabilmente non sono la persona più adatta per parlare di infedeltà in questo momento…”

“Mamma…” sospira Camilla, decidendo di sorvolare sulle recenti avventure sentimentali di Andreina, “su una cosa ti posso dare ragione: non avrei dovuto accettare di tornare con Renzo. I morti non ritornano in vita ed è stato come un lungo ed inutile accanimento terapeutico… Ci siamo fatti solo più male e abbiamo fatto soffrire inutilmente Livietta. Ma probabilmente avevamo bisogno entrambi di scontrarci con la realtà per accettarla e riuscire a vedere le cose con lucidità.”

E poi, se non avesse accettato di riprovarci con Renzo, non sarebbe mai arrivata a Torino e non avrebbe forse mai rivisto Gaetano. Ma questa è una di quelle considerazioni che Camilla preferisce tenere per sé.

“Ti sento sicura, Camilla, consapevole e devo dire che questo per me è un grandissimo sollievo. Renzo come l’ha presa?”

“Credo si sia reso conto anche lui che non potevamo più andare avanti così… anche se non è stato piacevole, né indolore.”

“E Livietta?” chiede infine Andreina dopo un attimo di pausa e, per la prima volta dall’inizio della telefonata, il tono flemmatico della donna pare incrinarsi leggermente.

“Non bene, per usare un eufemismo…” mormora Camilla, non riuscendo del tutto a mascherare l’inquietudine che prova.

Livietta infatti non solo non ha ammorbidito in alcun modo il suo atteggiamento, ma non ha praticamente concesso né a Camilla né a Renzo la minima opportunità di chiarimento o di confronto. A dispetto delle previsioni di Camilla, la ragazza non ha mai smesso di andare a scuola, anzi: terminate le lezioni, passa gran parte delle sue giornate con Greg, a casa dei genitori di lui, e quando torna si rifiuta di mangiare e trascorre il resto del tempo chiusa in camera sua, ignorando completamente la presenza della madre e qualsiasi tentativo di riavvicinamento.

Per ora Camilla ha avuto pazienza e l’ha lasciata fare, pensando che avesse bisogno di tempo per sfogarsi e per far sbollire la rabbia, limitandosi ad essere presente il più possibile, per poter cogliere ogni minimo “spiraglio” che la figlia avesse potuto concederle. Renzo invece, dopo qualche giorno di visite regolari ma assolutamente inutili, si era dato per vinto e aveva deciso di partire per Londra, come già programmato, sperando di ritrovare una situazione meno “tossica” al suo rientro. Camilla non se ne era risentita più di tanto: sapeva che Renzo non era mai stato bravo a “trattare” con la figlia da quando aveva subito la “metamorfosi” adolescenziale, forse anche per via dello strascico di risentimenti mai sopiti portati dalla prima separazione e dalla storia di Carmen, sebbene Livietta e la donna spagnola avessero costruito un bel rapporto nel corso degli anni.

In ogni caso, ci è rimasta lei “in prima linea” e sa che il momento di intervenire con fermezza si sta avvicinando inesorabilmente, anche se la prospettiva la terrorizza. Non può permettere che le cose proseguano in questo modo ancora per molto, ma sperava e spera ancora in cuor suo di poter evitare uno “scontro frontale” e una “lotta di potere”, soprattutto considerati i delicatissimi equilibri del rapporto madre-figlia dall’adolescenza in poi.

“Non è facile fare la madre…” commenta Andreina e Camilla non può evitare di sospirare e alzare gli occhi al cielo, trattenendosi però da qualsiasi risposta di cui si potrebbe pentire in seguito.

“Se serve posso tornare a Torino, darti una mano con Livietta, non mi piace saperti lì da sola.”

“Ti ringrazio mamma, ma credo che sia una situazione che io, Renzo e Livietta dobbiamo affrontare e risolvere tra di noi. E poi sei appena tornata a Roma ed è giusto che ti concentri sulla tua vita e sul tuo rapporto con Amedeo.”

“Già…” mormora laconica Andreina e Camilla capisce di aver toccato un nervo scoperto, anche se non in maniera del tutto intenzionale.

“Mamma, come vanno le cose lì?”

“Non lo so… Forse hai ragione tu, Camilla: è inutile resuscitare un morto e la vita è troppo breve. Mi sembra ieri che avevo la tua età: gli anni ti sfuggono tra le dita e prima che te ne accorgi ti svegli una mattina e ti ritrovi vecchia… Ho una grande confusione in testa e voglio fare la cosa migliore per me e per Amedeo, ma non so ancora quale sia.”

“Credo di non essere la persona più adatta per darti consigli in questo momento mamma. Anche perché la risposta la conosci solo tu.”

“Già… E invece come vanno le cose tra te e il tuo Gaetano? Avete finalmente iniziato una relazione o continuate a guardarvi dalla finestra?

Camilla è enormemente sorpresa dal tono quasi – complice? – che assume la voce della madre, tanto che per poco nemmeno si accorge del repentino cambio di argomento. Sa che Andreina ultimamente vedeva Renzo come il fumo negli occhi, e che il parallelo con la “liaison” di sua madre con Edmondo non è sfuggito nemmeno a lei, ma finora non l’aveva mai sentita parteggiare apertamente per il vicequestore.

“In questi giorni non ho avuto nemmeno il tempo di guardarlo dalla finestra, mamma,” risponde senza poter evitare, inconsciamente, di scostare una tenda con una mano e dirigere lo sguardo verso l’edificio opposto, “ma credo che sia giunta l’ora di vivercela questa storia: ci meritiamo una possibilità e non voglio più scappare o negare la realtà.”

Mentre parla, Camilla nota qualcosa di strano: la finestra della cucina di Gaetano è aperta e da lì esce una lieve nuvola di fumo, che si disperde nell’aria ancora calda della sera di inizio giugno. Camilla non può trattenere un moto di riso, al pensiero di quale povera pietanza sia rimasta vittima dei maldestri esperimenti del vicequestore ai fornelli.

“Che succede?” chiede Andreina, incuriosita dalla risata della figlia.

“Penso che Gaetano abbia di nuovo bruciato qualcosa… e dire che sembrava migliorato ultimamente,” risponde Camilla con tono leggero, continuando ad osservare la finestra aperta.

Lentamente però la coltre di fumo aumenta di intensità e spessore, tanto che il sorriso le si congela sul volto, mentre un gusto metallico le pervade la bocca. Sua madre parla ma lei non sente una sola parola.

“Scusa mamma, devo andare,” sono le uniche parole che riesce ad articolare, chiudendo la comunicazione bruscamente.

Tenendo in mano il cellulare, afferra le chiavi di casa, urla un “esco” in direzione della stanza di Livietta e chiude la porta dietro di sé. Non attende l’ascensore ma scende di corsa i gradini, a due a due, fino ad arrivare in cortile. Fortunatamente la porta che da accesso all’altra rampa è aperta e di nuovo Camilla evita l’ascensore, come le è stato insegnato nelle esercitazioni antincendio a scuola e si precipita sulle scale, ignorando il fiatone e i muscoli che bruciano e protestano.

Quando arriva finalmente al pianerottolo e vede la porta che si apre e Gaetano uscire con Tommy in braccio, è come se i suoi pensieri potessero finalmente tornare a scorrere ad un ritmo normale, come se il sangue ricominciasse a fluirle nelle vene. Solo una volta nella vita si è sentita così atterrita: quando Livietta era sparita per fuggire con Bobo.

“Gaetano!” esclama Camilla, sollevata, avvicinandosi all’uomo e trattenendo a stento l’impulso di abbracciarlo: non vuole turbare ulteriormente Tommy che già piange spaventato.

“Camilla!”

“Ma che cosa è successo?” chiede la donna avvicinandosi e accarezzando delicatamente la schiena del bambino, per cercare di tranquillizzarlo.

“Un cortocircuito, ha fatto saltare tutto!” spiega Gaetano, affidando Tommy all’abbraccio di Camilla e non potendo evitare di urlare quando un dolore lancinante gli trafigge collo e schiena.

“Ti sei fatto male?” chiede preoccupata Camilla, cercando di tenere stretto a sé il bimbo meglio che può.

“Sono caduto… porta via Tommy, per favore, vi raggiungo a casa tua, vado a controllare dentro.”

“No, Gaetano, per favore: chiamiamo i pompieri, non…” implora Camilla, terrorizzata alla sola idea che l’uomo rientri in quell’appartamento.

“Shhh, Camilla, tranquilla, davvero, è tutto sotto controllo,” risponde lui, accarezzandole il viso e cercando di trasmetterle una sicurezza che non possiede, “tra cinque minuti vi raggiungo: fidati di me.”

“D’accordo,” sospira Camilla, cedendo alla richiesta e cominciando la lunga discesa delle scale con il bimbo in braccio.

Tommy non smette un minuto di piangere nonostante tutti i tentativi di Camilla di tranquillizzarlo: l’assenza di Gaetano sembra aver peggiorato lo stato di panico in cui si trova.

“VOGLIO PAPÀ, CAMILLA, VOGLIO PAPÀ, HO PAURA!” urla tra i singhiozzi.

“Shh, amore, shh, papà adesso arriva: non è successo niente, stai calmo,” cerca di rassicurarlo, mentre traffica con le chiavi e riesce finalmente ad aprire la porta di casa.

“HO PAURA, DOV’È PAPÀ? PAPÀ!” continua a urlare il bimbo, inconsolabile.

“E BASTA, ADESSO È TROPPO! PURE IL MOSTRICIATTOLO URLANTE A QUEST’ORA NO!”

La porta della stanza di Livietta si apre bruscamente e la proprietaria della voce esce a passo marziale, furibonda, dirigendosi verso l’ingresso.

Ma come gli occhi dell’adolescente si posano su Camilla e su Tommy, quando il suo sguardo si incrocia dopo giorni e giorni con quello della madre, si blocca di colpo sui suoi passi, impietrita.

“Cos’è successo?” domanda con voce improvvisamente titubante.

“C’è stato un cortocircuito a casa di Gaetano… un piccolo incendio…” risponde Camilla, cercando di minimizzare per non peggiorare la situazione con il bimbo.

“E Gaetano dov’è?” chiede la ragazza con tono che Camilla non esiterebbe a definire preoccupato.

“Doveva sistemare alcune cose… arriva subito,” rassicura Camilla, anche se non sa se stia cercando di convincere Livietta e Tommy o se stessa.

Il trillare fastidioso del campanello diventa improvvisamente il suono più bello che Camilla abbia mai sentito in vita sua. Apre la porta meglio che può e, quando vede apparire Gaetano, si sente improvvisamente più leggera, nonostante il peso del bimbo tra le braccia.

“Gaetano! Tutto bene?”

“Sì, è tutto sotto controllo, ho chiamato i pompieri ma l’incendio è già domato… Dovranno fare le verifiche nell’appartamento e…”

Di nuovo la voce dell’uomo si interrompe mentre trattiene a stento un grido di dolore, portandosi le mani al collo: non si era mai accorto che la sua testa fosse così pesante.

“Gaetano…”

“PAPÀ, PAPÀ!” urla Tommy con gli occhioni pieni di lacrime, tendendo le mani verso l’uomo per farsi prendere in braccio, ma Gaetano si rende conto di non farcela.

“Camilla… Devo andare in ospedale, mi fa troppo male il collo, però non so se ce la faccio a guidare fino a là… Prenderò un taxi, puoi-”

“Non se ne parla nemmeno,” lo interrompe Camilla, con un tono che non ammette repliche, “ti accompagno io in ospedale, ci mancherebbe altro.”

“E Tommy?” chiede esitante, notando come il bimbo sia ancora sconvolto e capendo di non poterlo portare in un pronto soccorso.

“A Tommy ci penso io.”

La voce di Livietta li sorprende entrambi, soprattutto Gaetano che sembra notare per la prima volta la presenza della ragazza, che fino a quel momento si era tenuta in disparte. Occhi azzurri incrociano altri occhi azzurri, senza parole.

Lentamente la ragazza si avvicina alla madre e, posando la mano sulla schiena del bimbo, lo porta a puntare quegli occhioni gonfi e umidi verso di lei.

“Senti, piccoletto, che ne dici se facciamo un bel pigiama party, come ai vecchi tempi?”

“Ma io voglio stare con papà!” protesta Tommy, ancora singhiozzante.

“Ma papà torna presto e intanto possiamo giocare un po’ con Potty… E poi non dovevamo continuare a leggere Eragon noi due? Non sei curioso di sapere come va a finire?”

Tommy sembra esitare e si gira di nuovo verso Gaetano.

“Papà… mi prometti che torni presto?” chiede con una voce che fa sciogliere tutti i presenti.

“Ma certo, torno prestissimo, e poi c’è Camilla con me.”

“Sì, Tommy, vedrai che te lo riporto qui subito,” promette la donna, abbracciando più forte il bimbo.

Tommy si sfrega il viso, tira su col naso e annuisce col capo guardando Livietta. Camilla lo posa a terra lentamente, sapendo che la figlia fatica a tenerlo in braccio – come lei del resto – e il bimbo corre ad abbracciare le gambe della ragazza.

“Grazie,” dice semplicemente Gaetano, guardando Livietta negli occhi, stupito dal comportamento dell’adolescente, come del resto è anche Camilla.

“Non lo faccio per voi due,” ribatte seccamente la ragazza, prendendo Tommy per mano ed avviandosi in maniera quasi regale verso la sua stanza.

I due adulti si scambiano uno sguardo sconcertato, mentre Gaetano non può fare a meno di pensare, con un mezzo sorriso, che il caratterino di Livietta gli è decisamente molto, ma molto familiare…

***************************************************************************************

“Finalmente!” mormora Livietta sfregandosi gli occhi e mettendosi a sedere sul divano, appena sente la porta aprirsi e vede entrare la madre seguita da Gaetano, irrigidito nella postura a causa del dolore e del collare che dovrà tenere per qualche giorno.

“Ci abbiamo messo più del previsto al pronto soccorso, lo so, ma c’era appena stato un incidente e-” cerca di giustificarsi la donna, ma la figlia la interrompe.

“Non importa, che ti ha detto il medico?” chiede rivolgendosi direttamente all’uomo, come se fosse la situazione più normale del mondo.

“Devo stare a riposo per un po’ di giorni, tenere il collare… Niente di grave ma devo stare attento per evitare complicazioni… Tommy?” risponde Gaetano, esitante. Il comportamento di Livietta lo spiazza completamente: oltre al caratterino, la ragazza deve avere ereditato anche l’imprevedibilità dalla madre.

“È sul mio letto che dorme… era molto agitato, ci sono volute ore per farlo addormentare…”

“Scusa per il disturbo Livietta, ti ringrazio davvero per tutto-“ cerca di dire l’uomo ma di nuovo la ragazza lo interrompe.

“L’ho fatto per Tommy, e poi un incidente del genere… non è colpa di nessuno,” ribatte la ragazza lasciando sottintendere che altre cose invece sì che lo sono.

“In ogni caso… credo che ora andrò a cercare un albergo per me e Tommy, l’appartamento è inagibile e…”

“Ma no, Gaetano, non è il caso di spostare Tommy proprio ora che si è tranquillizzato, può dormire qui da noi per stanotte, no?” afferma la donna, rivolgendosi soprattutto alla figlia che sembra assentire con sguardo apparentemente indifferente.

“Ok, Camilla, allora ti ringrazio, vi ringrazio e tornerò domattina a riprenderlo. Chiamo un taxi…” propone Gaetano, tirando fuori il cellulare di tasca.

“Aspetta!” lo blocca Livietta, alzandosi dal divano e avvicinandosi ai due adulti, “ha chiesto spesso di te… cosa succede se si sveglia e non ti trova? Potete dormire insieme nel divano letto dello studio, tanto è grande. E poi ormai è ben collaudato…” ironizza la ragazza, dato che, tra Andreina e Renzo, quel divano letto è stato praticamente quasi sempre occupato da quando si sono trasferiti a Torino.

“Ah… beh… ok, se non è un disturbo…” mormora Gaetano, sempre più sbalordito.

“Tanto anche se lo è, che cosa cambia? Non mi sembra sia mai stato un problema in passato, quindi che senso ha cominciare a preoccuparsene ora?” ribatte Livietta pungente, dirigendosi verso la sua stanza, seguita dagli sguardi sconcertati dei due adulti, che si sentono come proiettati in una bizzarra dimensione parallela.

“Almeno adesso parla…” è l’unico commento che sfugge, quasi inconsciamente, dalle labbra di Camilla, prima di seguire la figlia, come una novella Alice a caccia del suo Bianconiglio.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ottovolante ***


Nota dell’autrice: come potrete notare, leggendo questo capitolo, c’è un particolare aspetto della sesta puntata che mi è sempre sembrato molto… edulcorato e “raiunizzato” rispetto a ciò che accade nel mondo reale, specie in una “scuola difficile”, con “ragazzi difficili” (come ci hanno ripetuto allo sfinimento nella prima puntata). Ho cercato quindi di rendere il tutto più realistico, basandomi anche sulle mie esperienze passate di studentessa in una scuola normalissima (né elitaria, né “difficile”), anche se non vissute di persona xD, e mi scuso fin da ora se questo dovesse risultare troppo “forte” o offensivo per qualcuno. Fatemi sapere cosa ne pensate, in positivo o in negativo.
 

Capitolo 8: “Ottovolante"


Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro


 
Camilla scende dall’auto, la chiude senza nemmeno accorgersene e si avvia verso l’entrata della sua scuola ancora immersa nei suoi pensieri.
 
Quella appena trascorsa è stata la notte più lunga e surreale di tutta la sua vita: lo spavento terribile del cortocircuito e relativo incendio, il comportamento totalmente imprevedibile di Livietta e poi… cercare di dormire in quel letto vuoto e freddo che, se ne rende conto solo ora, forse non ha mai sentito veramente come suo e di Renzo (del resto non ce n’era stato nemmeno il tempo), sapendo che LUI era lì, a pochi metri di distanza.
 
Tanto che si era ritrovata, in piena notte, ad alzarsi e vagare per casa, insonne, forse sperando inconsciamente che lui si alzasse, forse temendolo in egual misura. Perché, nonostante Livietta si fosse dimostrata comprensiva e accomodante in maniera quasi insperata, soprattutto considerata l’atmosfera respirata in casa negli ultimi giorni, la ragazza era stata chiarissima sulla sistemazione per la notte e Camilla era sicura che farsi “beccare” in atteggiamento compromettente con il vicequestore sarebbe stato come mettere una gigantesca pietra tombale sopra ogni speranza di recuperare la fiducia della figlia.
 
E poi Gaetano era pure dolorante e mezzo bloccato: non di certo la condizione ideale per farsi venire strane idee… Ma sentimenti, desideri e razionalità viaggiano su due piani ben separati e questo Camilla lo sa bene, dopo aver passato quasi un decennio a lottare inutilmente contro i primi due per fare prevalere quest’ultima.
 
Così si era ritrovata, quasi in trance, ad aprire leggermente la porta dello “studio” di Renzo (in cui, a dir la verità, l’uomo aveva lavorato ben poco) ed osservare Gaetano e Tommy dormire: il bambino abbracciato al petto del padre, incurante del collare, mentre dal viso dell’uomo, anche nel sonno, traspariva una smorfia di dolore.
 
Non avrebbe saputo quantificare quanto tempo avesse trascorso così, sull’uscio della porta, con i piedi scalzi e una tazza di tisana ormai fredda in mano. Fino a che un raggio del primo sole, penetrando tra le pieghe delle tende, le aveva restituito la forza necessaria per socchiudere quella porta e ritirarsi in camera sua, in attesa della sveglia.
 
Livietta era uscita prestissimo anche quella mattina, mentre Camilla era in bagno a farsi una doccia.
 
Gaetano e Tommy invece si erano alzati in ritardo e Camilla aveva provato in tutti i modi a convincere il vicequestore, le cui movenze ricordavano quelle di un robot, a prendersi una giornata di malattia. Ma una telefonata del questore in persona che lo convocava in riunione aveva distrutto ogni speranza in tal senso.
 
Camilla aveva quindi accompagnato prima Tommy all’asilo e poi lui al lavoro, dato che guidare col collare nel traffico di Torino sarebbe stato un suicidio, e si era poi recata a scuola, ancora completamente scombussolata.
 
Ritorna bruscamente al presente solo quando vede avvicinarsi Naima e Luca, a passo spedito.
 
“Ragazzi, dove state andando? C’è lezione!”
 
Lo sguardo che le rivolgono i due ragazzi è gelido e le sembra improvvisamente di essere tornata indietro nel tempo, al suo primo giorno di lezione nella nuova scuola, quando l’accoglienza riservatale non era stata propriamente delle migliori.
 
“Da lei non me l’aspettavo proprio prof., che delusione!” esclama Naima, trafiggendola con quei suoi bellissimi occhi scuri. Erano mesi che non la guardava così.
 
Luca scuote il capo ed entrambi se ne vanno, incuranti delle sue domande.
 
“Ma che è successo?” prova a chiedere Camilla, accorgendosi subito di stare parlando al vento.
 
Con un nodo in gola sale le scale di corsa ed arriva in classe, nella sua classe. E qui nota la prima differenza rispetto a settembre: se allora regnava il caos totale, ora c’è solo il vuoto, il silenzio. Ed è mille volte peggio.
 
Camilla guarda verso la cattedra, verso la sua cattedra, ed è allora che la nota: quella scritta bianca sulla lavagna nera, che la colpisce come un pugno in pieno stomaco.

 
BAUDINO TROIA
 

Sbatte un paio di volte le palpebre, come per convincersi che non sta sognando, non è in un incubo, che quella scritta è davvero lì.
 
E le lettere bianche continuano a resistere, immutate, a schernirla, a ricordarle questo nuovo, inatteso e devastante fallimento.
 
Improvvisamente è come se il peso degli avvenimenti degli ultimi giorni la travolgesse, tutto in una volta. Il vaso è colmo e questa è stata la proverbiale ultima goccia.
 
O meglio la prima, la prima di molte gocce salate che Camilla non riesce più a trattenere, mentre si lascia cadere sulla sedia più vicina, sentendosi piccola, fragile, vuota.
 
Gaetano… avrebbe bisogno di Gaetano in questo momento, ma lui non c’è, non è lì a sorreggerla, a convincerla che andrà tutto bene, che la sua vita non è un totale fallimento, che LEI non è un totale fallimento.
 
Tra i singhiozzi che la scuotono e le lacrime che le appannano la vista, la mano si avvicina più volte alla tasca dove tiene il cellulare, quasi inconsciamente, ma ricaccia indietro quel pensiero a forza. Si costringe a respirare profondamente, ad alzarsi ed andare in bagno, dove lava via le tracce più evidenti del pianto, fino a che il battito del suo cuore non ritorna più regolare, fino a che il suo aspetto è di nuovo quasi presentabile.
 
E piano piano, la rabbia emerge dal dolore, silenziosa, sinuosa, come le spire di un serpente. Una rabbia irrazionale, cieca, corrosiva che la spinge a chiudere il rubinetto, uscire da quel bagno e dirigersi verso la presidenza.
 
Entra e vede il preside immerso come sempre nel suo piccolo mondo tranquillo ed ovattato, impegnato a strimpellare su quella dannata chitarra acustica. Trattiene a stento l’impulso di afferrare lo strumento e spaccarlo sulla superficie più vicina, stile “rocker dannato” d’altri tempi.
 
“Baudino troia!” esclama, quasi urla, sbattendo la porta alle sue spalle.
 
“Come, scusa?” chiede l’uomo, sconvolto, guardandola come se fosse pazza, forse convinto di non aver capito bene.
 
“Baudino. Troia. Hai capito?” ripete la donna, come se stesse dettando un telegramma per poi aggiungere, notando lo sguardo ancora sgomento dell’uomo, “è il poetico messaggio che mi sono trovata sulla lavagna stamattina, al posto dei miei studenti, in una classe completamente deserta.”
 
“Ah, sì, Pellegrini mi aveva avvisato dell’ammutinamento della tua quinta, mi aveva anche proposto di sospenderli tutti, ma non mi aveva parlato di questa scritta…”
 
“Che sorpresa…” mormora Camilla, intuendo benissimo perché il collega, di solito così solerte a segnalare ogni minima trasgressione, avesse finto di non vedere quelle due paroline, lasciandole il piacere di scoprirle di persona e di trovarle lì, intatte su quella lavagna, dopo essere state lette da chissà quante persone di passaggio.
 
“Ovviamente è un fatto gravissimo e se non si trova il colpevole beh… a questo punto credo che si parli di una settimana di sospensione per tutta la classe,” continua l’uomo, improvvisamente serio, appoggiando la chitarra e sedendosi dietro la sua scrivania.
 
Sebbene sia ancora furiosa, la voce della coscienza e della ragione comincia a farsi largo tra gli abissi della mente di Camilla. Sa che una sospensione del genere può portare a un’insufficienza in condotta e quindi alla non ammissione alla maturità. E sa che la maggioranza di questi ragazzi, se dovessero essere bocciati, non terminerebbero mai più gli studi. Ha lottato tanto in questi mesi, ha promesso che li avrebbe portati tutti all’esame e c’era quasi riuscita: può davvero arrendersi ora? Non sarebbe come dare loro ragione, ammettere di aver fallito? Non sarebbe come capitolare di fronte a Pellegrini e dargliela vinta?
 
“Senti, diciamo che farò finta di non averla vista quella scritta…” concede Camilla, sospirando, “se li sospendiamo non li recuperiamo più, lo sai.”
 
“Lo so… E devo dire che questo ti fa molto onore, Camilla,” risponde l’uomo, ammirato.
 
“Ma si può sapere almeno perché all’improvviso ce l’hanno a morte con me? Sembrava andare tutto così bene… Tu hai qualche idea?”
 
“Li ho sentiti parlare di una spiata a proposito dei due desaparecidos…”
 
“La Migliasso e Garba?”
 
“Il TG3 Piemonte ha detto che la polizia li stava beccando in un albergo di Milano…”
 
“Ecco perché! Pensano che io abbia fatto la spia!”
 
“L’hai fatta?”
 
“NO! Cioè… forse sì ma in totale buona fede…” esclama Camilla, ricordandosi di avere confidato a Gaetano che i giovani si trovassero a Milano per un concerto, ma poi, mentre l’ira ritorna a montare ad ogni secondo che passa, un dubbio si insinua nella sua mente “Un attimo però… Va bene la soffiata, ma perché darmi della… insomma hai capito…”
 
“Beh… Camilla… forse c’è una cosa che dovresti sapere… Probabilmente non te ne sei accorta, del resto in questi giorni ti si vede poco in giro e non so quanto frequenti la sala professori, ma girano delle voci sul tuo conto.”
 
“Voci? Che voci?” chiede Camilla, sempre più stranita. In effetti nell’ultima settimana, con tutti i problemi avuti con Livietta, ha trascorso a scuola solo il tempo indispensabile per le lezioni e non ha avuto modo di socializzare con i colleghi e rimanere aggiornata sul “gossip” d’istituto.
 
“Apparentemente qualche giorno fa qualcuno ti ha vista qua fuori mentre ti baciavi con quel tuo amico, il poliziotto… quello che aveva anche indagato sulla morte di Rosati. E beh, insomma, sai come vanno queste cose no, le voci corrono…” cerca di spiegare il preside, apparentemente imbarazzato, mentre il suo sguardo si posa sulla mano sinistra di Camilla, dove, tra i vari anelli, spicca l’assenza della fede nuziale.
 
“Qualcuno?” sibila Camilla, sarcastica, ricordandosi improvvisamente, come in un flash, della mattina del giorno dopo aver chiuso definitivamente con Renzo. Di come Gaetano l’avesse rassicurata, aiutata a sfogarsi e l’avesse poi, infine, accompagnata a scuola. Del – fortunatamente, col senno di poi – casto bacio sulla bocca e dell’abbraccio che si erano scambiati prima che lei scendesse da quella macchina, pronta ad affrontare la “seconda ora” ed il mondo.
 
Non aveva visto nessuno in giro, del resto gli studenti dovevano essere già tutti in classe da un pezzo. Forse per questo motivo, o forse perché aveva avuto davvero bisogno di quel contatto con Gaetano, aveva fatto un’eccezione all’aurea regola di evitare ogni tipo di effusione, anche la più innocente, nei pressi del luogo dove insegnava. Ma evidentemente qualcuno aveva visto lei.
 
“Guarda, Camilla, sinceramente non mi interessa cosa fai nella tua vita privata e non mi voglio certo immischiare… Ma sai bene che tra i nostri studenti non ci sono esattamente molti estimatori delle forze dell’ordine.”
 
“Già…” mormora la donna, sapendo benissimo che la maggioranza dei ragazzi, figli di immigrati più o meno regolari, non aveva di certo avuto esperienze piacevoli con le autorità, che venivano di solito viste, nella migliore delle ipotesi, come fonte di mal di testa e di guai, con lo spauracchio del “rimpatrio” sempre in agguato.
 
“Insomma, secondo loro sono andata ‘a letto’ col nemico, nel senso letterale del termine,” sospira Camilla –almeno fosse! - non può fare a meno di pensare.

 
***************************************************************************************
 

“Tommy! Guarda che non lo sto facendo apposta, non posso proprio passare a prenderti,” cerca di spiegare Gaetano al figlio che, dopo l’incendio, sembra essersi attaccato ancora di più a lui, come se avesse paura di perderlo di vista anche solo per un minuto.
 
“Senti, ti mando zio Torre e poi ci vediamo a casa di Camilla, va bene?” propone Gaetano, notando come lo sguardo dell’amico e collega di lunga data passi repentinamente dal meravigliato, al divertito, al complice.
 
“Ah… Torre no perché è brutto?” mormora Gaetano e il buon umore sparisce istantaneamente dal viso dell’ispettore.
 
“Come so’ brutto?”
 
“Ehm… amore, senti, e se ti passasse a prendere Camilla?” propone Gaetano, non potendo evitare che un sorriso ebete gli si stampi sul volto quando vede quella che sta cominciando a considerare finalmente la sua donna entrare nell’ufficio.
 
“Ah… Camilla sì,” commenta divertito, facendole l’occhiolino e indicandole di accomodarsi, “va bene, allora ti richiamo solamente se mi dice di no. Tu fai il bravo, eh? A dopo.”
 
Chiude la comunicazione e si avvicina lentamente ma inesorabilmente, quasi ipnotizzato, alla donna, tanto che non nota nemmeno il rapido e discreto dileguarsi di Torre, né l’occhiata eloquente che l’ispettore lancia a lui e alla professoressa.
 
“Tanto tu mi dici di sì, vero?” le chiede dolcemente, accarezzandole il viso, “si tratta solamente di andare a prendere Tommy a casa di un suo amico…”
 
“Non se ne parla neanche!” sbotta Camilla, ritraendosi bruscamente e piazzandosi, quasi inconsciamente, a “distanza di sicurezza” da lui, con le braccia incrociate.
 
Camilla è ancora furente: ha appena passato due ore a casa di Naima, cercando di convincere almeno lei della sua buona fede. La professoressa sa che non bisognerebbe mai fare preferenze e ha sempre cercato di trattare tutti i suoi studenti correttamente e nello stesso modo, ma, si sa, gli insegnanti sono esseri umani e come tutti gli esseri umani non possono evitare di nutrire simpatie o di avere un’antipatia istintiva verso qualcuno. L’importante era mascherarlo bene e Camilla era convinta di esserci sempre riuscita, ma ogni anno c’era qualche allievo che le entrava nel cuore più degli altri, qualcuno che le dispiaceva in particolar modo salutare quando il ciclo di studi finiva o lei veniva assegnata a un’altra classe.
 
Quest’anno era toccato a Naima: del resto la ragazza marocchina era piombata nella sua vita – e nella sua auto – come un ciclone e da allora Camilla non aveva potuto fare a meno di provare un forte istinto di protezione verso di lei. E Naima era stata la prima studentessa di cui aveva conquistato la fiducia, quella che le aveva “aperto le porte” per avvicinarsi anche ai suoi compagni di classe, quella che più di tutti si fidava di lei, quella che le confidava i problemi suoi e dei suoi amici. Come le aveva riferito di Idris e Sabrina, pochi giorni prima.
 
Quindi vederla così sulla difensiva, ascoltarla mentre l’accusava di avere tradito la sua fiducia, di averla resa una “paria” per i suoi compagni di classe, faceva davvero molto male. Aveva cercato di spiegarle che aveva raccontato a Gaetano di Milano solo per fornire un alibi ai due studenti, ma quando se ne era andata da quella casa, aveva notato ancora il dubbio, la diffidenza sul volto della ragazza. Solo in un momento la freddezza di Naima aveva vacillato: quando erano arrivate a parlare di quella scritta sulla lavagna. Camilla non aveva chiesto nomi e la ragazza non ne aveva fatti, ma almeno la professoressa aveva intuito che la giovane non era stata d’accordo con quell’iniziativa, che non pensava quello di lei. Ma non era sicura che quello che Naima davvero pensava fosse poi tanto meglio.
 
“E perché?” domanda Gaetano, assolutamente spiazzato dal comportamento di Camilla, che arriva come una doccia fredda: quando si erano lasciati quella mattina, sembrava andare tutto bene… Soprattutto considerati gli avvenimenti degli ultimi giorni.
 
“Perché a causa tua rischio di perdere definitivamente la fiducia dei miei studenti, se non l’ho già persa! Chissà come mai la polizia cercava Garba e la Migliasso per tutti gli alberghi di Milano, eh? Ti sei approfittato della mia buona fede, Gaetano!”
 
“Camilla, ho fatto solamente il mio dovere, e lo sai,” cerca di giustificarsi l’uomo, conciliante, anche se ferito da quelle parole, “mi hai detto che quei due erano a Milano e quindi… Cosa avrei dovuto fare?”
 
“Hai fatto solamente il tuo dovere? Cos’è, Gaetano, ‘qualunque cosa dirò potrà essere usata contro di me’? È così che funziona con te?”
 
“Camilla, per favore…” la avverte lui, oramai decisamente irritato, “eravamo qui, nel mio ufficio, ti stavo mostrando un video di sorveglianza, stavamo parlando delle indagini, come al solito, e tu mi hai rivelato questa cosa. In coscienza, cosa pretendevi da me? Ho fatto semplicemente il mio lavoro!”
 
“HAI SOLO FATTO IL TUO LAVORO? Io speravo sinceramente di venire PRIMA del tuo lavoro Gaetano, di essere più importante, ma evidentemente mi sbagliavo!”
 
“Camilla, come puoi dirmi una cosa del genere? Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, dopo tutto quello che… DIO MIO!” sbotta Gaetano, non potendosi più trattenere dall’alzare la voce, “TU E TOMMY SIETE LE COSE PIÙ IMPORTANTI CHE HO NELLA VITA, VENITE PRIMA DI QUALSIASI ALTRA COSA! CHIARO?”
 
“Gaetano…” sussurra Camilla, vedendo l’uomo avvicinarsi a lei con uno sguardo talmente carico di tristezza e delusione che è come un pugno allo stomaco e rendendosi improvvisamente conto di avere esagerato, di avergli riversato addosso tutta la rabbia e la frustrazione della giornata.
 
“Senti Camilla,” sospira Gaetano, sapendo già che si maledirà per sempre per aver detto ciò che sta per dire, ma non potendo evitarlo, “se dopo tutto quello che è successo in questi giorni, ti sei già pentita di… di noi due… se ti sei resa conto che è stato un errore, dimmelo chiaramente e finiamola qui.”
 
Il rumore della porta che si apre risuona come un boato in quell’ufficio, diventato improvvisamente gelido.
 
“Dottò, chiedo scusa,” mormora Torre, imbarazzato, rendendosi conto dagli sguardi del suo capo e della “prof.” di essere capitato in un brutto momento e desiderando trovarsi da tutt’altra parte, “so che, come si dice, tra moglie e marito non si deve mettere il dito, ma c’è la vedova del gioielliere, l’ho fatta accomodare da me…”
 
“Adesso arrivo Torre…” risponde Gaetano in un tono stranamente calmo, asciutto, anche se dentro di lui si sta scatenando l’inferno, tanto che quasi nemmeno nota l’allusione non troppo velata dell’ispettore.
 
“Comandi!” esclama l’uomo, dileguandosi nuovamente alla velocità della luce.
 
Rimangono ancora a fissarsi per un tempo indefinito, finché Gaetano cerca di voltarsi per uscire da quell’ufficio, che gli è ormai diventato insopportabile, ma la mano di Camilla sul suo avambraccio lo blocca.
 
“Gaetano,” sussurra lei con voce rotta dalle lacrime che non riesce più a frenare, avvicinandosi e appoggiandogli una mano su una guancia, mentre con l’altra continua a trattenerlo, “non lo devi nemmeno pensare, chiaro? Non mi sono MAI pentita di quello che c’è stato e che spero ci sarà ancora tra noi due, chiaro? MAI, nemmeno per un secondo, ho pensato che sia stato uno sbaglio, che sia uno sbaglio.”
 
“Camilla…” mormora lui quasi in un rantolo, sentendo i polmoni bruciare ad ogni respiro.
 
“Gaetano, io ti amo, ti amo da… da una vita… ti amo talmente tanto che mi fa paura. E so benissimo di non meritarti, credimi che lo so e… non ti biasimo se tu non volessi più avere a che fare con me, se ti fossi stancato di me. Lo so che mi sono comportata come una stupida oggi, che ho esagerato, ma, credimi, non ce l’ho con te per i problemi con Livietta e per tutto quello che è successo in questi giorni. Ce l’ho con me stessa, per avere aspettato tanto, per aver peggiorato le cose con la mia vigliaccheria. Quello che mi ha fatto male oggi, di questa maledetta storia della soffiata, è il fatto che tu avessi agito alle mie spalle, senza consultarmi… che mi avessi trattata come una testimone qualunque, come se tra di noi non fosse cambiato niente. E io ho bisogno di sapere che se mi confido con… con l’uomo che amo, posso farlo senza timori, senza doverci nemmeno pensare due volte, lo capisci? Che sei solo Gaetano con me, il mio Gaetano e non il ‘vicequestore Berardi’, indipendentemente dal luogo in cui ci troviamo. Ma non per questo ho pensato di… di lasciarti, anzi, ti garantisco che l’idea non mi è mai passata per la testa, nemmeno per un istante.”
 
“Camilla…” è l’unica cosa che riesce a dirle, sentendosi come un disco rotto, asciugandole le lacrime e abbracciandola meglio che può, ignorando i muscoli che protestano e tornando finalmente a respirare.
 
“Forse dobbiamo stabilire delle nuove regole, professoressa, che ne dici?” propone infine quando sente di aver recuperato appieno l’uso della voce e della ragione, accarezzandole i capelli.
 
“Se le rispettiamo come quelle vecchie, siamo a posto!” commenta la donna con tono ironico e Gaetano non può trattenere un moto di riso decisamente liberatorio.
 
“In effetti… Senti, facciamo così, se tu in futuro mi dovessi raccontare qualcosa di confidenziale che riguarda anche le mie indagini, prima di usare quell’informazione ne parlerò con te, ok? A meno che si trattasse di un’emergenza, Camilla, in quel caso…”
 
“Mi sembra molto ragionevole,” concorda lei, guardandolo negli occhi: non voleva di certo avere morti e feriti sulla coscienza o, peggio, sulla coscienza di Gaetano.
 
“E comunque ti garantisco che non sono mai ‘il vicequestore Berardi’ quando sono con te, Camilla. Non ci riuscirei nemmeno se volessi, come non sono neanche mai riuscito ad essere ‘il commissario Berardi’. Con tutte le regole e le procedure che abbiamo violato da quando ci conosciamo è un miracolo che non solo mi abbiano promosso, ma che non mi abbiano mai sbattuto a dirigere il traffico in qualche paesino sperduto.”
 
“Beh, forse è perché alla fine formiamo una bella squadra noi due, no? E non solo nelle indagini,” sussurra Camilla, abbracciandolo più forte e sentendo che lui ricambia con egual vigore.
 
“Sbaglio o abbiamo appena superato la nostra prima litigata, professoressa?”
 
“Non sbagli affatto… però Gaetano,” dice lei, improvvisamente seria, guardandolo negli occhi, “io non voglio che tu ti senta così insicuro su noi due… Che tu pensi che alla prima difficoltà, alla prima discussione io cambierò idea e rinuncerò a te, a noi due, perché ti assicuro che non è così. E mi fa male perché so che la colpa è mia, che in questi anni non sono esattamente stata sicura di quello che volevo… che per colpa mia facevamo sempre un passo avanti e due indietro. Ma ora… non sono mai stata così convinta, così lucida su qualcosa nella mia vita come lo sono di noi due, e sono certa che se lo vogliamo possiamo farlo funzionare questo rapporto, Gaetano. E sai quanto sono testarda quando mi metto in testa una cosa, no?”
 
Per tutta risposta l’uomo le dedica il suo migliore sorriso e la bacia con una dolcezza tale da farle sentire uno strano bruciore nel petto, mentre le lacrime ritornano a scendere. Negli ultimi giorni le sembra di essersi trasformata in una fontana, ma ora stranamente non le importa.
 
“Tu non puoi proprio andare a prendere Tommy?” le domanda infine Gaetano, quando si separano, con lo stesso sguardo che Camilla ha visto così spesso ultimamente sul viso del bimbo, quello irresistibile che usa quando vuole ottenere qualcosa, “dai… chiedimi tutto quello che vuoi.”
 
“Tutto quello che voglio?” sussurra Camilla in tono improvvisamente malizioso, fingendo di rifletterci un attimo, per poi aggiungere, giocherellando con il collare di lui, “attento a fare promesse che non puoi mantenere, Gaetano.”
 
L’uomo per tutta risposta non può fare a meno di esalare un respiro che è quasi un rantolo, sentendo che il collare e… altri indumenti si sono fatti improvvisamente soffocanti. Rimane senza parole mentre la donna gli si avvicina ancora di più, in maniera decisamente pericolosa e gli sembra di impazzire quando avverte il fiato di Camilla accarezzargli l’orecchio, per poi sussurrargli con voce roca:
 
“Mi piacerebbe conoscere la zia di Sabrina…”
 
“Eh?” riesce solo ad articolare Gaetano: il sangue non sta esattamente fluendo verso il suo cervello in questo momento.
 
“La vedova Migliasso,” chiarisce Camilla, con tono giocoso e gli occhi che le brillano soddisfatti, “poi vado a prendere Tommy.”
 
“Camilla!” sbotta l’uomo tra l’esasperato e il divertito: questo lato di Camilla sarà la sua rovina, già lo sa.
 
“Affare fatto, allora?” chiede lei, ed è quasi un’affermazione, mentre si avvia verso la porta sorridendo.
 
“Eh no, dove credi di andare professoressa?” la blocca lui, trattenendola per un braccio, “non penserai di cavartela così, vero?”
 
Il sorriso svanisce dal volto di Camilla, che si ritrova, senza quasi sapere come, letteralmente con le spalle al muro: le labbra di Gaetano le percorrono il viso, per poi scendere lungo il collo.
 
“Gaetano… potrebbe entrare qualcuno,” riesce a sussurrare tra un bacio e l’altro, avvertendo la coltre di nebbia, che si sta impossessando della sua mente, farsi sempre più densa.
 
“Potevi pensarci prima…” mormora l’uomo con voce roca, prima di zittirla definitivamente con un bacio che le toglie il fiato e l’uso della ragione.
 
La passione soffocata e contenuta ormai sempre più a fatica infine esplode e li travolge come un’ondata di piena: ogni pensiero su luogo, orario, opportunità, pudore non riescono nemmeno a scalfire la bolla in cui entrambi sono ormai immersi. Le mani esplorano e le bocche assaporano senza alcuna inibizione, in un’escalation che pare sempre più ineluttabile nella sua conclusione finale.
 
“AH!”
 
Il grido di dolore è come una secchiata d’acqua gelida che li riporta bruscamente alla realtà: Camilla osserva Gaetano afferrare il collare, il volto trasfigurato in una smorfia di sofferenza e alla preoccupazione si unisce la necessità concreta di frapporre una distanza di sicurezza tra i loro corpi prima che sia troppo tardi.
 
E così si osservano da i due lati della stanza, mentre cercano di riprendere fiato: i capelli spettinati, i vestiti spiegazzati, la camicia dell’uomo fuori dai pantaloni… Sembrano due adolescenti all’uscita da un cinema.
 
“Tutto bene?” osa infine chiedere Camilla, con la voce ancora decisamente arrochita.
 
“Il collo sì…” risponde l’uomo, con uno sguardo che vale più di mille parole, pensando che il maledetto “trauma cervicale del terzo grado” in fondo è forse l’ultimo dei pericoli per la sua salute – fisica e mentale – in questo momento: non possono andare avanti così ancora per molto.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Through the Looking-Glass ***


Nota dell'autrice: Mi scuso per il ritardo ma la vita reale ci ha messo lo zampino, inoltre come vedrete il capitolo è venuto più lungo del previsto, ma non potevo interromperlo prima o pubblicarlo parzialmente, credo che abbia più senso così. Spero vi piaccia e possa ripagare dell’attesa…
 
 

Capitolo 9: “Through the Looking-Glass”


Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro
 


Al premere il pulsante del campanello, Gaetano pensa di essere improvvisamente tornato quindicenne: nervoso in attesa di “affrontare” il padre della sua ultima fidanzatina, prima di poterci finalmente uscire.
 
Ma quando la porta si apre e lo accoglie lo sguardo penetrante di Livietta, che pare trafiggerlo fin nel profondo dell’anima, decide che, in fondo, i padri non erano poi così male: le figlie sono decisamente molto peggio.
 
“Ciao, sono venuto a prendere Tommy…” annuncia, dandosi mentalmente dell’idiota per aver pronunciato una simile ovvietà.
 
“Ciao,” è il benvenuto laconico di Livietta, che però lo lascia passare e lo accompagna fino al tavolo salotto, dove lo attendono Camilla e il bimbo, apparentemente impegnato in uno dei suoi disegni.
 
“Ciao amore,” saluta Gaetano, accarezzando i capelli biondi di Tommy ma lanciando un’occhiata suggestiva anche a Camilla, in una specie di messaggio in codice che lo fa sentire terribilmente ridicolo e assurdamente felice allo stesso tempo. I parallelismi adolescenziali ormai si sprecano.
 
“Ciao papà,” è la flebile risposta del bimbo, che solleva quei suoi adorabili occhioni nocciola, che paiono ancora più grandi del solito… troppo.
 
“Tommy, ma stai bene? Hai gli occhi lucidi,” nota preoccupato Gaetano, facendo scivolare la mano sulla fronte del bimbo, “e sei anche caldo…”
 
“Hai ragione,” annuisce Camilla, toccando a sua volta la fronte del bimbo e sfiorando la mano di Gaetano, con relativa, immancabile scossa elettrica, “secondo me non sta affatto bene. In effetti è da quando sono andata a prenderlo che è un po’ strano… non ha la sua solita energia, ma pensavo fosse ancora stanco per via di ieri sera.”
 
“Se hai un termometro da prestarmi gli misuro un attimo la febbre, poi… lo so che ti chiedo molto e che probabilmente dovete ancora cenare, ma a casa mia devono rifare tutto l’impianto, per un po’ sarà inagibile e quindi, se potessi accompagnarci in albergo, almeno gli evito il taxi e magari già che ci siamo facciamo un salto in farmacia…”
 
“Ma no Gaetano, qui parlare di albergo mi pare fuori luogo. Lui è molto caldo, sicuramente avrà la febbre e portarlo in un hotel in queste condizioni… Può restare qui ancora questa notte, no? Non è un gran disturbo…” risponde, Camilla rivolgendo uno sguardo implorante verso la figlia, che li osserva in disparte, con le braccia incrociate.
 
La ragazza si limita ad alzare le spalle con nonchalance.
 
“Beh, allora magari lo metto a letto e ritorno domattina,” propone l’uomo, non volendo tentare oltre la sorte e rischiare di tirare troppo la corda.
 
“No, ti prego non andare via!” lo supplica il bimbo, con uno sguardo che intenerirebbe anche un sasso.
 
“Sentite, se resta Tommy, resta anche Gaetano!” sbotta Livietta, spazientita, “non voglio passare un’altra notte insonne a sentirlo piangere. E poi ci manca solo che mi attacchi qualcosa: lo sai che devo andare alla festa a Moncalieri domani sera.”
 
I due adulti rimangono a fissarla ammutoliti, mentre la ragazza afferra dal divano la borsa e una giacchetta leggera e si avvia verso la porta.
 
“Ma non ti fermi a cena?” le domanda Camilla, ritrovando infine la voce.
 
“No, mi tocca Pirandello a teatro su ‘gentile suggerimento’ della prof. di lettere…”
 
“Ah, è vero,” annuisce Camilla, che se ne era completamente scordata, dopo tutto quello che era successo negli ultimi giorni, “allora… a dopo”
 
“Ciao!”
 
E, con un’ultima eloquente occhiata, la ragazza esce dall’appartamento e richiude la porta alle sue spalle.

 
***************************************************************************************

 
“Si è addormentato?” sussurra Camilla, stiracchiandosi meglio che può sul divano-letto e stropicciandosi gli occhi.
 
“Sì, credo di sì,” risponde Gaetano con un filo di voce, osservando il respirare tranquillo e regolare di suo figlio con un certo sollievo. Sembra che il bambino stia un po’ meglio e anche la febbre è scesa.
 
“Altro che brevi ‘favole al telefono’… Gli ho letto mezzo libro: mi sembrava di essere nel vecchio spot della ‘telefonata che allunga la vita’…” mormora Camilla ironica, appoggiando il libro di Rodari sul mobile lì vicino.
 
“In compenso, mi stavo quasi addormentando io, professoressa.”
 
“Stai forse insinuando che sono noiosa?” chiede lei con un sopracciglio alzato e quel tono giocoso che Gaetano ha imparato ad adorare e temere in egual misura.
 
“Per niente, anzi: non c’è niente che desideri di più al mondo di addormentarmi ogni sera ascoltando il suono della tua voce,” risponde lui, sporgendosi verso di lei, per scostare un riccio ribelle che le copre l’occhio sinistro.
 
“Mmm, Gaetano, non so se prenderlo come un grandissimo complimento o ritenermi offesa…” ribatte Camilla con un sorriso malizioso, non potendo però nascondere il brivido che le corre lungo la schiena quando le dita di lui le sfiorano il viso e quando sente quelle due parole, cariche di promesse: ogni sera.
 
Non riesce ancora a capire come quest’uomo abbia il potere di dire frasi che sulla bocca di chiunque altro suonerebbero smielate e farle sembrare così… naturali e soprattutto sincere. E parlare di per sempre dopo pochi giorni, per qualche assurdo motivo, non sembra una follia, ma del resto il loro rapporto non ha mai seguito tappe e tempistiche convenzionali. E questa relazione, in fondo, è iniziata molti, ma molti anni fa, ancora prima di quel fatidico “bacio mancato” a casa dell’allora commissario.
 
“Beh, Camilla, non ho specificato che cosa muoio dalla voglia di fare ogni sera prima di addormentarmi ascoltando il suono della tua voce,” replica l’uomo, tracciandole il contorno delle labbra con la punta del dito indice. Poterla toccare liberamente, senza timore di un rifiuto, sentirla tremare di piacere, vedere le sue guance arrossire e i suoi occhi brillare, sapere che anche lei vuole lo stesso, che non sente più il bisogno di fuggire, è ancora quasi un miracolo per lui. Ed è una sensazione a cui spera di non abituarsi mai del tutto.
 
“Che coincidenza…” sussurra lei, accarezzandogli una guancia e riducendo ancora di più la distanza tra i loro visi, fino ad aggiungere, quando sono ormai quasi labbra contro labbra, “è quello che desidero di più anche io, non immagini quanto.”
 
In un impulso irrefrenabile, Gaetano annulla i pochi centimetri rimasti: non può resistere un secondo di più, ha bisogno di Camilla, ora. E, dal modo in cui lei lo stringe a sé e si lascia andare tra le sue braccia, dal modo in cui lo bacia – una strana combinazione tra un assalto e una resa – sente che davvero anche per lei è lo stesso, che non c’è più nessun ostacolo, nessun impedimento, nessun ripensamento.
 
Ma ben presto, non appena cerca di inclinare il capo per approfondire quel bacio che si fa sempre più appassionato, una fitta lancinante, infuocata e pulsante come una pugnalata, lo riporta bruscamente alla realtà.
 
Quando l’ondata di dolore e nausea si ritira leggermente e lo lascia nuovamente respirare, riesce finalmente ad aprire gli occhi, incontrando lo sguardo preoccupato di Camilla.
 
“Scusami,” mormora con un filo di voce, “io-“
 
“Hai fatto troppi sforzi oggi, avresti dovuto rimanere a riposo,” risponde Camilla con una lieve nota di rimprovero nella voce.
 
“Mi dispiace Camilla, non sai quanto-“
 
“Shh,” lo interrompe lei, con un dito sulle labbra, “non dirlo nemmeno per scherzo, non è colpa tua. Ma se domani non ti curi come si deve e non ti prendi un giorno di malattia, allora sì che dovrai fare i conti con me.”
 
“Non posso, il questore mi sta col fiato sul collo per il caso Migliasso… Da quando i media sono venuti a sapere della storia di Idris e Sabrina ci sono andati a nozze: la ragazza di buona famiglia che si innamora dell’immigrato povero e con precedenti penali. Una specie di Romeo e Giulietta in chiave moderna che finisce con l’omicidio invece che con il suicidio. Per ora la notizia ha avuto rilevanza locale, ma oggi è già rimbalzata sui tg nazionali e, di questo passo, ci ritroveremo presto con stuoli di ‘esperti’ che dibattono del caso nei principali talkshow. Per questo il questore vuole chiuderla in fretta.”
 
“Gaetano, tu domani da qui non ti muovi, chiaro? Non mi importa cosa dice il tuo capo o se ci ritroviamo con il plastico della gioielleria dei Migliasso a Porta a Porta: la tua salute è la cosa più importante. Hai fior fiore di collaboratori e se serve puoi lavorare da qui. E se il questore insiste ancora, fagli pure sapere che sono disposta a sollevare un polverone tale da fare impallidire qualsiasi feuilleton criminale.”
 
“Camilla…” sospira lui esasperato, non riuscendo però a trattenere un sorriso.
 
“Adesso riposati,” gli sussurra dolcemente, baciandolo sulla fronte, per poi aggiungere, con quel tono di voce giocoso che lo fa impazzire, “e riprendi le forze, vicequestore, che ne avrai bisogno.”
 
“Ci conto, professoressa, ci conto.”

 
***************************************************************************************

 
“Gaetano… no, dai, così mi fai solletico!” mormora Camilla ridendo, divincolandosi e coprendosi il viso.
 
“Woof!”
 
Il suono improvviso, a pochi centimetri dall’orecchio, le fa aprire bruscamente gli occhi.
 
“Potty…” sospira, accarezzando il cagnolino che scodinzola vivace e contemplando quel letto vuoto e decisamente troppo grande per lei.
 
Guarda l’orologio: è ora di alzarsi, ma si sente più stanca di quando è andata a dormire. Il sonno ha tardato ad arrivare e, quando finalmente ha ceduto all’abbraccio di Morfeo, i suoi sogni hanno avuto, tanto per cambiare, un unico protagonista.
 
Come un automa si alza e si avvia verso il bagno, stropicciandosi il viso: ha bisogno di una lunga doccia e di un litro di caffè per cominciare a connettere.
 
Allunga la mano per afferrare la maniglia, ma questa si ritrae dalle sue dita, lasciando il posto a…
 
“Gaetano…” mormora incredula, squadrandolo da capo a piedi, coperto solo da un asciugamano che lascia ben poco spazio all’immaginazione. È di colpo completamente sveglia.
 
“Camilla…” replica lui con lo stesso medesimo tono, mentre la osserva, con quella camicia da notte in raso terribilmente sexy, nella sua semplicità, che ha più volte ammirato da dietro una finestra. Ma da vicino, con una spallina abbassata oltretutto, è tutta un’altra cosa.
 
Rimangono a fissarsi per attimi che sembrano durare un’eternità, mentre la tensione, l’elettricità nell’aria si fanno sempre più dense, palpabili.
 
“E il collare?” è l’unica cosa che riesce a dire Camilla, dandosi mentalmente dell’idiota, ma in questo momento il suo cervello pare essere entrato in stato di sciopero.
 
“Posso toglierlo per lavarmi,” replica Gaetano con il tono di voce di chi sta pensando di togliere ben altro che un collare.
 
Non saprebbero dire chi si è mosso per primo, ma improvvisamente si trovano vicini, sempre più vicini, come sospinti da una forza irresistibile. Camilla solleva il viso verso quello di Gaetano, entrambi chiudono gli occhi, avvertendo il respiro irregolare dell’altro sulle labbra.
 
“Eh-ehm!”
 
Camilla fa un balzo indietro, con il cuore a mille, voltando il capo in direzione della voce e trovandoci Livietta, che li osserva imbarazzata, con un sopracciglio alzato e le mani sui fianchi. Con la coda dell’occhio nota Gaetano che sta subendo una strana metamorfosi, diventando del colore di un crostaceo dopo la cottura, e che indietreggia quasi inconsciamente verso la porta del bagno.
 
“Livietta!” esclama Camilla, con una voce che non sembra nemmeno la sua, “pensavo fossi già fuori.”
 
Ovviamente tutto questo doveva succedere proprio la prima mattina dopo il “d-day” in cui Livietta non è uscita all’alba, non può fare a meno di pensare la donna.
 
“L’ho notato!” ribatte sarcastica la ragazza, per poi aggiungere, “sai, in fondo questa è ancora anche casa mia, ma non vi preoccupate che tolgo subito il disturbo.”
 
“NO!” esclamano all’unisono i due adulti, per poi scambiarsi uno sguardo imbarazzato, non sapendo esattamente come comportarsi.
 
“Livietta, ma che disturbo… ero solo sorpresa, tutto qui. Anzi, lo sai che mi fa piacere se passi un po’ più di tempo a casa. Se mi aspetti faccio una doccia e poi mangiamo insieme,” propone la donna, cercando di recuperare un tono normale e di salvare il salvabile.
 
“Tra venti minuti devo uscire, quindi la colazione la faccio subito,” commenta la ragazza, rivolgendosi poi all’uomo con un’occhiata penetrante, “tu che fai Gaetano? Mangi con me o hai bisogno di un’altra doccia?”
 
“NO!” esclama di nuovo, ormai rosso dalla radice dei capelli alla punta dei piedi, completamente spiazzato dal comportamento dell’adolescente e da questa offerta inaspettata, “cioè sì, cioè… mi metto qualcosa e vengo a fare colazione.”
 
E, scambiando uno sguardo perplesso con Camilla, che sembra confusa quanto lui, si ritira velocemente nello “studio di Renzo”.
 
Tommy sta ancora dormendo tranquillo e decide di non svegliarlo: oggi non usciranno e rimarranno insieme a “curarsi”. Indossa il collare e i primi indumenti che gli capitano a tiro – una t-shirt e un paio di pantaloni – e si avvia verso la cucina e verso l’ignoto.
 
Livietta sta già rovesciando gli immancabili cereali al cioccolato in una ciotola quando lui la raggiunge. La ragazza rimane in silenzio, intenta a versare il latte e lui decide di comportarsi con nonchalance e aspettare che sia lei a fare la prima mossa. Si siede all’altro lato del tavolo, afferra la scatola dei corn-flakes e prepara la sua tazza.
 
Quando allunga la mano per prendere il brik del latte però la sua mano si “scontra” con quella di Livietta, che pare aver deciso che la sua scodella necessiti di un rabbocco. D’istinto molla la presa e il contenitore si rovescia sul tavolo, mentre un fiotto di latte comincia a zampillare, macchiando la tovaglia.
 
Lo raddrizza più in fretta che può e tampona il danno con i tovaglioli di carta, ma ormai ogni tentativo di apparire calmo e controllato, padrone della situazione, è decisamente fallito.
 
La ragazza lo osserva con un sopracciglio alzato e quegli occhi azzurri che gli incutono sempre una certa apprensione, forse perché così simili a quelli del padre. Dopo aver rimediato all’incidente alla bell’e meglio, Gaetano si concentra sulla colazione, attendendo di nuovo un input della ragazza. Ma Livietta continua semplicemente a mangiare e a studiarlo, in un silenzio che si fa sempre più opprimente.
 
“Com’era il teatro?” cede infine l’uomo, parlando del primo argomento neutro che gli passa per la mente, cercando di sondare il terreno senza inerpicarsi su terreni pericolosi.
 
“Più interessante del previsto…” risponde Livietta, dopo qualche secondo di pausa.
 
“Che opera era di Pirandello?”
 
“L’uomo, la bestia e la virtù. La storia di due amanti che devono far credere al marito della donna che il figlio che lei aspetta è suo, per mantenere una facciata rispettabile davanti alla gente… Nonostante il marito abbia un’altra donna in un altro paese e la moglie ami un altro, devono mantenere la finzione, una maschera, per salvare le apparenze.”
 
“Ah…” riesce solo a dire Gaetano, sentendo che il collare gli si stringe intorno al collo.
 
“Senti Gaetano,” afferma Livietta, lasciando cadere il cucchiaio nella ciotola e guardandolo fisso negli occhi, “non serve che fingi di interessarti delle mie giornate o che fai il gentile con me. Lo so che lo fai solo per mia madre, ma non è necessario. E soprattutto vorrei che la smettessi di trattarmi come una bambola di porcellana o una bomba pronta ad esplodere.”
 
“Livietta…” sospira Gaetano, comprendendo di aver fatto un errore madornale nel cercare di usare le sue “tattiche psicologiche” con la ragazza, la cui intelligenza e somiglianza con la madre si fanno sempre più impressionanti. O meglio, con una Camilla Baudino adolescente e arrabbiata, delusa dal “mondo degli adulti”. Decide quindi di utilizzare l’unica “carta” che sia mai risultata vincente con la sua amata professoressa: quella dell’onestà, della schiettezza.
 
“Senti, ammetto che questa… situazione è nuova per me, inaspettata. Non so bene come comportarmi, sono in imbarazzo e probabilmente devo esserti sembrato un idiota. Ma se sono ‘gentile’ con te non è per fare un favore a Camilla, ma perché mi va. Lo so che sono passati anni ma ricordo che avevamo un buon rapporto noi due, andavamo d’accordo. E non ho alcun motivo per avercela con te o trattarti male, quindi perché dovrei farlo?”
 
“È vero: sei sempre stato ‘gentile’ con me, anche quando ero piccola, ma eri innamorato di mia madre già allora, lo so benissimo. Forse pensavate che non me ne accorgevo, ma lo capivo eccome. E sì, tu in fondo mi stavi simpatico, nonostante tutto, perché mi divertivo con te e con Nino e poi vedevo che la mamma quando c’eri tu era felice, serena. In quel periodo i miei passavano tutto il tempo a litigare, mio padre era sempre preso dal lavoro, nervoso e tu la facevi stare meglio e dedicavi anche a me un po’ di attenzioni, mentre mi sentivo trascurata da papà. Anche se in fondo eri tu uno dei principali motivi di discussione: ricordo che papà ti chiamava ‘il poliziotto superpiù’ ed era molto geloso di te… Credo che in fondo sapesse che la mamma si era innamorata di te.”
 
Gaetano rimane per qualche secondo senza parole: non aveva mai provato a mettersi nei panni di Livietta, a pensare a come la ragazza avesse vissuto il periodo in cui lui era fidanzato con Roberta e si prendeva cura di Nino, mentre Camilla e Renzo erano in una specie di “pausa di riflessione”, con Renzo che sembrava quasi sull’orlo della depressione.
 
“Beh, non posso negarlo: amo tua madre da tanti anni e capisco se per questo motivo tu ce l’hai con me, dato che mi sono intromesso tra lei e tuo padre. Lo so che quello che ho fatto probabilmente non sarà stato nobile, ma se ho imparato una cosa è che non si sceglie di chi ci si innamora. E, per quel che vale, ti garantisco che fino a poco tempo fa tua madre mi ha sempre respinto e non siamo mai stati amanti, anche se penso che di questo forse è più giusto che tu ne parli con lei.”
 
“Ti avrà anche respinto ma ti amava anche lei, si vedeva chiaramente e… comunque non ce l’ho con te, non troppo almeno… Alla fine non si può ‘rubare’ chi non vuole farsi ‘rubare’, l’ho capito a mie spese. La mamma avrebbe potuto evitarti ma non l’ha mai fatto: anche da quando vi siete ritrovati qui a Torino passava quasi tutte le giornate con te e Tommy… Invece forse sei tu che dovresti avercela con me, almeno un po’.”
 
“E perché?” chiede Gaetano, sinceramente sorpreso da questa uscita della ragazza.
 
“Perché se non ci fossi stata io la mamma avrebbe scelto te già tanti anni fa. Lo so benissimo che se è rimasta e poi è tornata con papà è stato soprattutto per me, perché voleva darmi una famiglia unita, a qualsiasi costo, anche se era una farsa, anche se eravamo tutti infelici alla fine,” ribatte la ragazza, mentre dalla sua voce traspare una nota di amarezza e rabbia mista a senso di colpa che è come una fitta al cuore per l’uomo. Non può credere che Livietta si colpevolizzi per l’infelicità dei suoi genitori, ma sa che è un sentimento comune tra i figli di genitori separati, anche se completamente infondato e irrazionale.
 
“Livietta, come potrei avercela con te per qualcosa di cui non hai colpa? Al limite dovrei essere arrabbiato con tua madre, ma non è così. Anche perché sapevo che Camilla era sposata e aveva una figlia quando l’ho conosciuta e in che situazione mi stavo andando a infilare: sia io che lei abbiamo la nostra parte di responsabilità, ma non certo tu.”
 
“Sai che non lo capisco, come tu possa non aver mai provato risentimento nei suoi confronti… come tu abbia potuto accettare l’indecisione e i tira e molla di mia madre per tutti questi anni, aspettare che lei si decidesse e intanto continuare a starle vicino, a correrle dietro senza arrenderti…”
 
“Beh, ammetto che in un paio di occasioni, nei momenti peggiori, sono quasi arrivato a maledire il giorno in cui ho incontrato tua madre, che ho pensato ‘chi me lo ha fatto fare’ di innamorarmi di una donna impegnata e che ero convinto non avrebbe mai potuto corrispondermi, ma erano pensieri che duravano un secondo. Prima di tutto perché la amo e poi perché in realtà devo tantissimo a Camilla. Non posso nemmeno pensare a come sarebbe stata vuota e priva di senso la mia vita se non l’avessi mai conosciuta. Quello che mi ha dato, quello che mi ha fatto provare è molto più forte di quello che forse mi ha ‘tolto’ e del dolore che mi ha potuto provocare.”
 
Gaetano stesso si sorprende mano a mano che le parole escono dalla sua bocca: non avrebbe mai immaginato di rivelare a qualcuno questi pensieri che ha sempre tenuto gelosamente per sé. Non ne ha mai parlato nemmeno con Camilla, non apertamente, anche se lei ha sempre avuto la capacità di intuire i suoi stati d’animo e quindi probabilmente già sa. Ma di certo l’ultima persona al mondo con cui si sarebbe aspettato di avere questa conversazione è Livietta, però sente di non poterne fare a meno, che è la cosa giusta da fare. Forse perché la ragazza gli sta parlando con una sincerità quasi brutale, che con l’età adulta quasi sempre si perde.
 
“Quindi mi stai dicendo che se ami una persona questo giustifica tutto, scusa tutto, anche che ti faccia del male?” chiede Livietta con un sopracciglio alzato, dopo un attimo di riflessione.
 
“NO!” esclama Gaetano, rendendosi conto di essersi andato a impelagare in un discorso dai risvolti pericolosi, specie se il tuo interlocutore è una ragazzina adolescente alle prese con le prime disavventure amorose. Ne ha viste tante di ragazze e di donne vittime di uomini che dicevano di amarle e da cui accettavano qualsiasi cosa, prigioniere di un rapporto malato che con l’amore non aveva nulla a che spartire. E non vuole certo che Livietta pensi che questo sia accettabile.
 
“Amare non vuol dire farsi del male a vicenda, Livietta, anzi è un sentimento che ci deve far stare meglio, non peggio. Il punto è che tua madre non mi ha mai fatto del male volontariamente: so che anche per lei tutto questo non è stato facile né piacevole. E se mettevo su un piatto della bilancia le cose positive e quelle negative, le prime hanno sempre quasi annullato le seconde.”
 
“Ma cosa cambia se uno ti fa soffrire volontariamente o meno? Alla fine si sta male e basta,” ribatte la ragazza con gli occhi lucidi e Gaetano intuisce che non stanno più parlando solo di lui e Camilla.
 
“Lo so che può sembrarti una banalità o un’ingiustizia, ma la sofferenza fa parte della vita, fa parte delle regole del ‘gioco’, in un certo senso bisogna sempre metterla in conto ed accettarla. Se c’è qualcosa che ho imparato col mestiere che faccio è che alla fine quasi qualsiasi decisione prendiamo va a scapito di qualcosa o di qualcun altro, anche se non ce ne rendiamo conto e che senza volerlo ciò che rende felice noi spesso fa anche l’infelicità di altre persone e viceversa. Il punto è che spesso desideriamo la stessa cosa che vuole qualcun altro o il contrario di ciò che qualcun altro vorrebbe, quindi la vittoria di una persona è la sconfitta di un'altra. E non ci possiamo fare niente. L’importante è che infliggere sofferenza non sia il nostro desiderio, non sia ciò che ci muove, che ci fa stare bene, o che non siamo disposti a qualsiasi cosa pur di raggiungere i nostri scopi; che ci fermiamo in tempo se ci accorgiamo che ciò che vogliamo fare provoca solo sofferenze a tutti tranne che a noi stessi.”
 
“Sai che non è poi così male parlare con te, quando non mi tratti come se dovessi buttarmi giù da un ponte da un momento all’altro?” commenta Livietta dopo averlo studiato in silenzio per un po’, rimescolando i cereali nella ciotola, ormai saturi di latte e ridotti praticamente in poltiglia.
 
“Sai che non è poi così male parlare con te, quando non mi tratti come se dal ponte mi ci spingeresti giù volentieri?” ribatte Gaetano con un sorriso.
 
Per tutta risposta, Livietta scoppia a ridere, davanti allo sguardo incredulo ma soddisfatto del vicequestore. Ma la risata le muore bruscamente sul volto quando Camilla fa il suo ingresso in cucina, osservandoli con gli occhi spalancati, apparentemente sbalordita da questa scena, dalla strana complicità che sembra essersi instaurata tra sua figlia e Gaetano.
 
“Devo andare, è tardissimo,” annuncia prontamente la ragazza, alzandosi in piedi e gettando i cereali rimasti, ormai decisamente immangiabili, nella pattumiera dell’umido lì vicino.
 
“Non puoi proprio fermarti altri cinque minuti?” chiede Camilla, tentando di sondare il terreno.
 
“No, mamma, Greg mi aspetta e poi devo mettere nel borsone le ultime cose per la festa di stasera. Sai che non torno dopo la scuola, no?”
 
“Sì, lo so, lo so,” sospira Camilla, intuendo che, qualsiasi cosa sia successa tra sua figlia e Gaetano, l’armistizio apparentemente non si estende automaticamente anche a lei.
 
“Tommy come sta?” chiede la ragazza all'improvviso, girandosi prima di raggiungere la porta, rivolgendosi direttamente all’uomo.
 
“Sembrerebbe stare meglio, la febbre è scesa, probabilmente è stata l’agitazione per via dell’incendio, un po’ di stanchezza. Credo che se oggi sta a riposo, già stasera possiamo togliere il disturbo,” risponde Gaetano, nuovamente cauto, non volendo peggiorare le cose tra madre e figlia.
 
“Sentite,” sospira Livietta guardandoli entrambi negli occhi, “a parte che io questo weekend non ci sono, ma se tu e Tommy volete restare qui fino a che il vostro appartamento è sistemato per me non c’è problema, basta che vi decidete e mi risparmiate il teatrino delle ultime sere. Ad una sola condizione: certe cose per favore fatele in privato, dietro a una porta ben chiusa e non in corridoio o comunque davanti a me. Che va bene che lo so che i bambini non li porta la cicogna, ma vorrei evitarmi anni di analisi per superare il trauma.”
 
E, come sta ormai diventando quasi un’abitudine negli ultimi giorni, la ragazza si ritira in camera sua a testa alta, lasciando dietro di sé due adulti completamente spiazzati.
 
“Cereali?” è l’unica cosa che riesce a chiedere Gaetano, per spezzare la tensione e l’imbarazzo.
 
“Ma sì, a volte mi sembra che non si mangi altro in questa casa,” replica Camilla con un sospiro, decidendo, già che c’è, di farsi anche un caffè, doppio. Per il vermouth di cui sente disperatamente il bisogno dovrà ancora aspettare qualche ora: non può di certo presentarsi a scuola ubriaca, anche se probabilmente troverà di nuovo ad attenderla una classe deserta. E, per la prima volta nella sua carriera, non sa sinceramente quale scenario augurarsi.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Pride and Prejudice ***


Nota dell’autrice: come vedrete questo è un capitolo un po’ di transizione, anche se non breve, e spero comunque interessante. Diciamo che serve a chiudere alcune questioni rimaste aperte. Sono un po’ in apprensione per la prima parte, che trovo necessaria ma temo potrebbe risultare noiosa, fatemi sapere cosa ne pensate, che non mi offendo ;). Volevo inoltre rassicurarvi che nel prossimo capitolo le cose entreranno decisamente nel vivo, a buon intenditor… ;)
 
 
Capitolo 10: “Pride and prejudice”


Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro



 
“Ciao Baudino!”

“Ciao!”
 
“E’ inutile che corri, i tuoi sono in assemblea,” l’avvisa il preside, vedendola procedere a passo spedito.
 
“Ah, e scommetto che l’oggetto dell’assemblea sono io,” replica la donna con un sospiro: da un lato almeno sono presenti, dall’altro sa bene che sta per affrontare una versione moderna dell’Inquisizione.
 
“Sì, devono decidere se rinnovarti la fiducia o metterti nella lista nera ex aequo con Pellegrini…”
 
“Beh, lo vedremo,” replica Camilla, decisa a farsi valere: dopo aver affrontato il mondo intero in questi ultimi giorni, non saranno venti adolescenti “difficili” a spaventarla. Del resto a questo punto, a pochi giorni dagli esami, non ha più nulla da perdere: quelli che si stanno giocando il futuro sono loro, non lei, anche se probabilmente non se ne rendono conto.
 
“Brava! Io sono con te, combatti!” esclama il preside con un sorriso, per poi aggiungere, “senti adesso vado a comprarmi una chitarra.”
 
“Un’altra?” non può fare a meno di domandare Camilla, chiedendosi per l’ennesima volta quante ore Nanni dedichi veramente al suo lavoro, salvo emergenze. Per quanto l’uomo le stia simpatico, sinceramente spesso si trova a pensare a quante altre persone meriterebbero il suo posto e il suo stipendio più di lui. Ogni tanto rimpiange Mazzeo e perfino la Buonpeso: saranno stati stressanti e retrogradi, ma almeno il loro lavoro lo prendevano sul serio, fin troppo.
 
“Sì, ho trovato una semi-acustica, bellissima: ho scritto un pezzo… poi te lo faccio sentire!”
 
“D’accordo, ciao!” lo saluta Camilla, avviandosi verso la sua classe.
 
Quando entra la accolgono venti paia di occhi accusatori, mormorii e bisbigli. Senza farsi intimorire, si avvia alla cattedra, appoggia la sua borsa e si siede come se nulla fosse.
 
“Se volete possiamo restare qui a fissarci in silenzio per tutta la lezione, ma a chi giova? Né a voi, né a me e nemmeno a Idris e Sabrina,” esordisce con la voce più ferma e autorevole di cui è capace, mentre cerca di ordinare le idee, di ritrovare il filo di quel discorso che si è formato nella sua mente, quasi spontaneamente, stamattina mentre faceva colazione con Gaetano.
 
Quando aveva chiesto al vicequestore cosa lui avesse detto a Livietta per provocare in lei una simile reazione, l’uomo le aveva risposto solamente con due parole: “la verità”. E Camilla non aveva chiesto altro, aveva compreso ciò che spingeva l’uomo a mantenere uno stretto riserbo sulla sua conversazione con Livietta e l’aveva ammirato per questo. E, tra una cucchiaiata di corn-flakes e l’altra, si era resa conto che Gaetano aveva avuto l’intuizione giusta, che era questa davvero la chiave di volta: la semplice, completa e totale verità.
 
“Non vi chiederò nulla della scritta che è ‘comparsa’ ieri su questa lavagna. Non vi chiederò nomi perché so che non ne fareste e a quel punto verreste tutti sospesi. E non penso che un insulto alla mia persona, per quanto grave, meriti come punizione il futuro di venti persone, quindi diciamo che fingerò di credere che mi stavate consigliando caldamente di andarmi a rileggere l’Iliade.”
 
Sente alcune risate e che il brusio dei commenti si fa sempre più intenso, aspetta quindi qualche secondo prima di riprendere a parlare.
 
“Non è mia abitudine parlare della mia vita privata con i miei studenti e a dir la verità non ne parlo spesso nemmeno con i miei colleghi. Chi di voi mi ha chiesto aiuto al di fuori dell’orario scolastico,” spiega, guardando negli occhi Naima e Luca, “sa bene che per i miei studenti non ho orari, che sono sempre disponibile, per quanto mi è possibile, ma che la mia vita privata, la mia famiglia è sempre stata off-limits. Credo nell’importanza di non confondere i ruoli: io sono una vostra insegnante, non una vostra amica ed è giusto così. Non è di un’ennesima amica che avete bisogno, non è quello che vi serve e che, inconsciamente, chiedete a me e ai miei colleghi quando entrate tra queste mura. Se vi parlo così è anche perché so che, se tutto andrà come spero, tra qualche settimana lascerete per sempre questo istituto e comincerete la vostra vita lavorativa, da adulti e potrete forse capire meglio queste parole.”
 
Fa una pausa, si alza dalla sedia e si mette a camminare davanti alla scrivania, fissandoli tutti negli occhi a turno.
 
“Come dicevo, solitamente non parlo della mia vita privata, ma mi sono resa conto che alcuni fatti sono ormai di dominio pubblico, quindi mi pare inutile e ridicolo tenere in piedi quello che è ormai un segreto di Pulcinella. Soprattutto dato che, comunque vadano le cose, tra pochi giorni non sarò più la vostra professoressa. E quindi sì, è vero, sono innamorata, per mia grande fortuna, di un uomo meraviglioso che di mestiere fa il vicequestore, il poliziotto, o lo sbirro, come direste voi.”
 
Il vociare degli studenti incrementa esponenzialmente, tra risatine, fischi e gomitate ben poco nascoste. Camilla attende, con pazienza, che lo scalpore suscitato da questa “rivelazione” faccia il suo corso e che il volume dei commenti rientri ad un livello accettabile prima di proseguire con la sua spiegazione.
 
“Mi sento di poterne parlarne tranquillamente perché non ho niente da nascondere o di cui vergognarmi, anzi, io sono molto, ma molto orgogliosa di lui. E non perché è un poliziotto: lo so benissimo che avere studiato per svolgere una professione o essere assunti per svolgerla non garantisce che si sia adatti a ricoprire quel ruolo o che lo si faccia bene. Ricordo che ne parlavamo proprio con Idris, in questa classe, qualche mese fa, durante il ‘caso Rosati’ e alla fine penso che esistano al mondo due categorie di lavoratori: quelli che fanno bene il loro mestiere, dal più umile al più importante, e quelli che invece lo fanno male, o per mancanza di voglia, o per mancanza di capacità o, nella peggiore delle ipotesi, perché volontariamente abusano del ruolo di cui sono investiti. E Gaetano, il dottor Berardi, come alcuni di voi hanno già avuto modo di conoscerlo, è un uomo che il suo mestiere lo fa e lo ha sempre fatto nel migliore dei modi, con passione e soprattutto con coscienza e consapevolezza delle ripercussioni che il suo incarico può avere sulla vita degli altri.”
 
Si appoggia alla scrivania e guarda soprattutto in direzione di Naima e Luca: la ragazza ricambia lo sguardo con un’espressione decisamente più “morbida” rispetto a quella del giorno precedente. I compagni sembrano alternare le occhiate tra la professoressa e la ragazza, continuando a commentare sottovoce.
 
“Come Naima e Luca possono testimoniare, e come penso potrebbero confermare tutte le persone che l’hanno conosciuto nello svolgimento della sua professione, la missione, il compito del dottor Berardi e delle forze dell’ordine in generale, non è quello di condannare il primo che passa, o, in questo caso, di rovinare la vita a due ragazzi come Idris e Sabrina, di sbatterli in galera per divertimento, di godere delle sofferenze altrui. No, il suo compito è quello di cercare la verità, qualunque essa sia, anche se, come spesso succede, è difficile e dolorosa. Oltretutto, come alcuni di voi potranno ricordare se avete seguito i recenti fatti di cronaca, ha vissuto sulla sua pelle cosa vuol dire essere accusato ingiustamente di qualcosa che non si è commesso ed è quindi perfettamente consapevole di cosa si prova. Se gli ho parlato del concerto a Milano è innanzitutto perché mi fido di lui, e non perché ora abbiamo una relazione, ma perché lo conosco da anni e non ha mai, e ripeto mai tradito la mia fiducia o abusato del suo ruolo in mia presenza. Voglio mettere in chiaro che io non dubito dell’innocenza di Idris e Sabrina, non ne ho mai dubitato e proprio per questo ho voluto fornire loro un alibi, parlando del concerto. Purtroppo sono stati loro a peggiorare la loro posizione con questo tentativo di fuga, io ho solo fatto il mio mestiere, cioè quello di fare la cosa che ritengo più giusta per i miei studenti, così come il dottor Berardi ha fatto il suo. E vorrei che fosse chiaro a tutti voi che penso che sia soprattutto nell’interesse di Idris e Sabrina tornare qui ed interrompere questa latitanza che non risolve nulla e li danneggia solamente. Tra poche settimane c’è l’esame e se continuano così saranno bocciati, e poi, soprattutto, la vita che si prospetta davanti a due fuggitivi è molto peggio di quello che li aspetta se ritornano qui.”
 
Si alza nuovamente e si mette a camminare tra i banchi,  affrontandoli a viso aperto e indirizzandosi soprattutto a quelli che sa essere gli amici più stretti di Garba e della Migliasso.
 
“Che futuro pensate potranno avere Idris e Sabrina? Non potranno avere un lavoro regolare, un’abitazione regolare, non potranno nemmeno andare a curarsi in un ospedale se dovessero ammalarsi… So che molti dei vostri genitori sono entrati in questo paese da clandestini tanti anni fa e sono poi in seguito riusciti ad avere un regolare permesso di soggiorno, quindi dovreste sapere molto meglio di me cosa significa non poter avere un’identità, un nome, dover vivere come un’ombra. Significa mettersi nelle mani di sfruttatori, di criminali, perché è l’unica alternativa per sopravvivere. Volete davvero questo per i vostri compagni? Io no. Per questo vi prego, se sapete dove sono, di esortarli ad assumersi le loro responsabilità e presentarsi alla polizia: non c’è un’altra scelta. E non lo devono fare per me, per il dottor Berardi, per la giustizia o per un ordine morale superiore, ma per loro stessi. Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni e di cui ho avuto conferma proprio di recente, è che fuggire dai problemi, dalle responsabilità non risolve nulla ma peggiora solo le cose. Perché quando i problemi vi raggiungono – e lo fanno sempre, sempre – non solo nel frattempo si sono ingigantiti a dismisura, ma invece di affrontarli a mente lucida, riposata, li affrontate quando ormai siete esausti dopo aver corso inutilmente una maratona.”
 
Ritorna alla scrivania e si siede al suo posto, prendendo il registro tra le mani, come fa ogni mattina, anche se non lo apre, non ancora.
 
“In quanto a me e a voi, invece, l’unica cosa che vi chiedo è di lasciarmi fare il mio lavoro, questo lavoro che amo e che spero di avere sempre svolto bene e secondo coscienza. Vi avevo promesso che vi avrei portati tutti all’esame e voglio mantenere questa promessa. Permettetemi di farlo e di accompagnarvi ancora per questo breve tratto di strada che ci rimane da percorrere insieme. Non per fare un piacere a me, o al preside, o alla scuola, ma per voi, per il vostro futuro. Tra pochi giorni in ogni caso non sarò più la vostra insegnante e so che non vedrò mai più la maggior parte di voi. Qualsiasi cosa decidiate, tra qualche settimana andrò in ferie e a settembre tornerò al lavoro, come sempre e, nel bene o nel male, avrò di che vivere, avrò un lavoro, avrò una famiglia, avrò un futuro, magari non perfetto, ma avrò una vita tutto sommato normale. Chi si sta giocando tutto, chi sta rischiando ora siete voi e non io. Non buttate via questi mesi, questi anni di lavoro credendo di fare del male a me, perché in realtà danneggereste solo voi stessi.”
 
Rimane in silenzio per un po’, mentre il mormorio si fa sempre più intenso e concitato, lasciando agli studenti qualche momento per discuterne e confrontarsi. Ma ben presto si schiarisce la voce e riporta l’attenzione su di sé.
 
“Ora quello che farò è iniziare la lezione che avevo programmato per oggi. Siete ormai tutti maggiorenni e credo sia giusto che ognuno di voi scelga per il suo futuro, ma penso e spero che nessuno di voi voglia prendersi la responsabilità e il diritto di decidere cosa ne sarà del futuro dei vostri compagni. Per questo io inizierò a spiegare per chi tra di voi avesse deciso di ‘rinnovarmi la fiducia’ e di continuare a lavorare insieme a me. Chi invece non lo desidera è libero di firmarsi la sua giustificazione ed andarsene. In ogni caso è stato un piacere conoscervi in questi mesi e vi auguro di cuore ogni bene per la vostra vita, sperando che non dobbiate mai pentirvi della vostra scelta di oggi.”
 
Camilla apre il registro, si abbassa e prende la borsa da cui estrae il libro di storia contemporanea che, sa bene, non viene mai trattato per intero, non ce n’è mai il tempo. Quest’anno hanno appena finito con la Seconda Guerra Mondiale e manca ora un rapido excursus su ciò che è successo dopo, come se fosse semplice riassumere il tutto in poche ore.
 
Lo apre, mentre sente le sedie muoversi e trascinarsi sul pavimento. Cerca la pagina giusta, dicendone ad alta voce il numero, e comincia a parlare.
 
Finalmente solleva lo sguardo e li trova tutti lì, seduti ad osservarla. Continua a spiegare, a narrare gli eventi che hanno portato alla Guerra Fredda, tematica a lei particolarmente vicina negli ultimi giorni, e loro rimangono ancora ai loro posti, come sempre: qualcuno segue, alcuni (pochi in verità) prendono addirittura appunti, poi c’è chi sbadiglia e chi sembra essere con la testa da tutt’altra parte.
 
Ma ci sono, sono lì con lei e, per la prima volta dopo tanti giorni, Camilla sente che le cose cominciano finalmente a girare per il verso giusto. E si sorprende a pensare che non vede l’ora di tornare a casa per condividere con il suo Gaetano questa piccola ma importante vittoria.
 
***************************************************************************************
 
“Chi è?” chiede Gaetano sollevando la cornetta del citofono, maledicendo chiunque stia suonando al campanello in modo così insistente: Tommy sta ancora riposando e non vuole di certo svegliarlo.
 
“Sono io, dottò!” lo raggiunge la voce di Torre, inconfondibile come sempre.
 
Gaetano si affretta a premere il pulsante per aprire il portone, chiedendosi cosa possa essere successo perché l’ispettore gli faccia visita a metà mattina. Spera che non ci sia un’emergenza, e di non dover rompere la promessa fatta a Camilla di stare a riposo, soprattutto perché ha proprio voglia di passare tutto il pomeriggio e la sera con lei e con Tommy e… la notte con lei.
 
“Torre, che è successo?” chiede preoccupato, facendolo entrare a casa di Camilla.
 
“Consegna a domicilio, dottò,” risponde Torre, mostrando orgoglioso un paio di borse termiche che regge in mano, “con i nostri migliori auguri di pronta guarigione.”
 
“Torre…” mormora Gaetano con una nota di rimprovero nella voce, che però non riesce del tutto a mascherare la gratitudine per quel gesto, “con tutto quello che avete da fare in questura, non era proprio il caso.”
 
“Eh, ma voi lo sapete come sono le donne, no? La Lucianona ha insistito tanto e poi insomma, lo sappiamo che non siete proprio un asso ai fornelli dottò, con tutto il rispetto, ovviamente.”
 
“Ovviamente,” ribatte Gaetano, trattenendo a fatica un sorriso mentre fa strada all’ispettore verso la cucina, dove l’uomo posa le borse e comincia ad estrarre pietanza dopo pietanza.
 
“Torre, ma qui c’è cibo per sfamare un reggimento!” commenta, osservando con gli occhi spalancati la distesa di piatti che riempiono la cucina di Camilla e che fanno quasi impallidire un banchetto nuziale.
 
“Eh, ma dottò, c’avete una famiglia a cui pensare: c’è vostro figlio che deve mangiare per crescere, e anche Livietta, e pure la prof., insomma, quando torna dal lavoro, vorrete pur farle trovare qualcosa di pronto, no? E anche voi dovete riprendere le forze, tenervi bello carico,” ribatte Torre, accompagnando l’ultimo commento con un’occhiata decisamente complice ed eloquente.
 
“Torre, guarda che forse hai frainteso la situazione: sono solo ospite di Camilla fino a che il mio appartamento non torna agibile,” spiega Gaetano, cercando di aggirare qualsiasi commento cameratesco del suo vice. Certe cose devono rimanere solamente tra lui e Camilla.
 
“Sentite dottò, sapete che non amo impicciarmi,” replica l’uomo, con uno sguardo che fa capire che a lui non la si dà a bere, “ma insomma, si può dire che seguo il ‘caso Baudino’ dagli inizi, no? E siccome mi è sembrato di percepire che ci siano stati diciamo degli… sviluppi nei rapporti tra le parti, come posso dire, mi chiedevo se possiamo finalmente considerare il caso chiuso o meno.”
 
Gaetano non riesce a contenere oltre il sorriso e lascia finalmente trapelare sul suo viso la felicità che prova per i recenti “sviluppi”, come li chiama Torre. E sa che l’ispettore ha ragione: lui c’è sempre stato, è stato un amico prima che un collega e merita in pieno la sua confidenza.
 
“Diciamo che abbiamo finalmente concluso le lunghissime indagini preliminari, Torre, che siamo infine entrati nel vivo, ma che il caso è aperto, apertissimo. Che a ben vedere siamo appena all’inizio e che, per una volta, spero sinceramente che sia uno di quei casi su cui non si scriverà mai la parola fine.”
 
“Auguri, dottò!” esclama Torre, buttando al vento ogni formalità e trascinando Gaetano in un abbraccio, a cui il vicequestore risponde meglio che può, dato il collare, “voi non lo sapete quanto sono felice per voi!”
 
“Grazie, Torre, grazie,” ribatte Gaetano, sciogliendo infine l’abbraccio con il sorriso ancora sulle labbra e gli occhi un po’ lucidi: dare la notizia a Torre la fa sembrare infinitamente più reale, definitiva e una parte di lui ancora non ci crede che questo momento, sognato per così tanto tempo, è finalmente arrivato.
 
“Eh, la prof. è la prof. e io ho sempre fatto il tifo per voi due, ho sempre pensato che prima o poi… Mi toccherà rintracciare Piccolo e la Ferrari e avvertirli che mi devono dei soldi,” rivela l’ispettore ridendo.
 
“Che c’entrano Piccolo e la Ferrari?” chiede Gaetano stranito, non capendo in che modo i suoi ex-sottoposti siano coinvolti in questo discorso.
 
“Eh, è che c’avevamo una scommessa, dottò. In realtà c’era dentro mezzo commissariato giù a Roma. Io avevo scommesso che alla fine voi e la prof…. insomma… Piccolo e la Ferrari invece pensavano che nun c’era trippa per gatti. E quando vi siete trasferiti tutti e due mi è toccato scucire un sacco di soldi, mannaggia a me. Ma ora me li dovranno restituire e con gli interessi!”
 
“Torre…” sospira Gaetano, non del tutto sorpreso: le stazioni di polizia a volte somigliano a ritrovi di vecchie comari. Non era stupito che fossero circolati pettegolezzi su di lui e Camilla, ma da lì ad arrivare a un giro di scommesse…
 
“Non è che ci sono anche delle puntate in corso qui a Torino, vero?”
 
“No, dottò, non vi preoccupate. E poi Cesari e Conti sono troppo impegnati a sgomitare e litigare tra loro per pensare a queste cose. Però la Lucianona mi dovrà preparare il pranzo per un mese,” annuncia soddisfatto, aggiungendo, dopo un attimo di riflessione, “a lei posso dirlo, no? Sa com’è, non ci sono segreti tra noi, dottò…”
 
“E anche se ci fossero, dopo una bella cenetta a base di bagna cauda e fritto misto alla piemontese, innaffiata da un buon barolo, non sarebbero più così segreti, non è vero, Torre?” chiede Gaetano, conoscendo bene gli equilibri della relazione gastronomica tra i due agenti.
 
“Colpito e affondato, dottò!”
 
***************************************************************************************
 
“Sono a casa!” annuncia felice, chiudendosi la porta alle spalle e sentendo che quelle parole assumono improvvisamente un nuovo significato.
 
“Camilla!”
 
La sua voce la raggiunge prima che lo veda comparire da dietro l’angolo, nobilitando perfino dei pantaloni larghi e una maglietta bianca che sulla maggioranza del genere maschile farebbero un effetto sciatto, da pantofolaio impenitente, mentre su di lui sono straordinariamente “casual”, per dirla all’inglese.
 
Senza pensarci, molla la borsa sul pavimento, lo raggiunge in due rapide falcate, gli prende il viso tra le mani, facendo attenzione all’onnipresente collare e gli da un bacio veloce ma da togliere il fiato.
 
“A che cosa devo tutto questo?” chiede Gaetano con voce roca, quando si separano.
 
“Prima di tutto al fatto che ti amo,” risponde la donna, sorridendogli con gli occhi che brillano e accarezzandogli il viso, “e poi al fatto che sei un genio!”
 
“Anche io ti amo, professoressa, anche se non ho la più pallida idea di cosa tu stia dicendo, o forse proprio per questo,” risponde Gaetano ricambiando il sorriso e dandole un nuovo e rapido bacio, “ma mi sembra di intuire che le cose ti siano andate bene oggi a scuola.”
 
“Molto meglio del previsto, dottor Berardi, ed è anche merito tuo,” ribatte Camilla, aggiungendo, davanti allo sguardo ancora perplesso dell’uomo, “ho seguito il tuo esempio ed ho raccontato ai miei ragazzi la pura e semplice verità. A quanto pare funziona.”
 
“Ne sono felice, Camilla, davvero,” risponde l’uomo abbracciandola, sapendo quanto Camilla tenga al suo lavoro e ad avere la fiducia dei suoi studenti.
 
“Dov’è Tommy?” chiede la donna, quando Gaetano scioglie l’abbraccio, la prende per mano e la conduce verso il salotto.
 
“È ancora a letto… che ne dici se adesso noi due ci beviamo un bel vermouth per festeggiare e poi lo sveglio e pranziamo tutti insieme?”
 
“Che mi sembra un’ottima-“ cerca di rispondere Camilla, ma le parole le muoiono sulle labbra quando vede la tavola imbandita con ogni ben di Dio, “ma che è successo qui? Hai svaligiato una rosticceria? Mi avevi promesso di stare a riposo!”
 
“E infatti sono stato a riposo, ma a quanto pare tra i benefit di fare il vicequestore a Torino, c’è il servizio di catering a domicilio in caso di infortunio, cortesia di Torre e della Lucianona,” ribatte Gaetano, divertito, “e comunque mi fa piacere notare che l’idea che possa essermi messo a cucinare io non ti ha nemmeno sfiorata.”
 
“Gaetano, va bene che ti amo, ma o il ‘trauma cervicale del terzo grado’ ha tra gli effetti collaterali quello di sviluppare abilità insospettabili, o ammetterai che ehm… queste portate non sono esattamente…. alla tua portata.”
 
E, come spesso succede, si guardano e scoppiano a ridere insieme, come due ragazzini.
 
L’aperitivo a base di vermouth e salumi tipici piemontesi trascorre piacevolmente, accoccolati sul divano, collare permettendo, fino a quando il cellulare di Camilla rompe bruscamente l’atmosfera. Gaetano le fa segno di rispondere pure e Camilla accetta la chiamata.
 
L’uomo la sente parlare in maniera concitata e fissare poi un appuntamento con qualcuno per quel pomeriggio. Da un lato è deluso che i suoi piani di “rapirla” per il resto della giornata vadano in fumo, ma dall’altro è preoccupato perché teme di sapere il motivo di questo incontro.
 
“Era Naima, te la ricordi, no?” gli spiega Camilla, dopo aver chiuso la conversazione.
 
“Come potrei dimenticarmi del nostro primo caso qui a Torino, quello che ci ha fatto ricontrare?”
 
“Il nostro caso?” chiede Camilla, con un sopracciglio alzato.
 
“Nostro, nostro. Io me li ricordo tutti i nostri casi Camilla, dal caso Esposito in poi. E non so perché ma, anche se spero di sbagliarmi, ho l’impressione che questa telefonata c’entri col nostro caso più recente, nello specifico con la Migliasso e Garba. Mi sbaglio?”
 
“Gaetano…” esita la donna, giocherellando con il telefono tra le mani, “non voglio costringerti di nuovo a scegliere tra me e i tuoi doveri professionali.”
 
“Camilla, sinceramente preferisco mille volte essere in conflitto con la mia coscienza e con i miei doveri professionali, piuttosto che essere in conflitto con te, piuttosto che ci siano segreti tra noi due. Io ti conosco Camilla e lo so benissimo che quando inizi un’indagine tu la porti a termine, a qualunque costo. Ho provato alcune volte a fermarti, a metterti un freno e non ci sono mai riuscito. E non sono Renzo, non voglio che cominci a nascondermi le cose per ‘non farmi preoccupare’ o per qualsiasi altro motivo, chiaro? Voglio condividere tutto con te, anche e soprattutto questa parte della tua vita, che oltretutto è quella che ci ha fatto conoscere. Non ho intenzione di fermarti, ma permettimi almeno di aiutarti.”
 
“D’accordo Gaetano, hai ragione,” ammette Camilla con un sospiro: i problemi con Renzo in fondo, sono iniziati proprio così, nascondendosi le cose, non parlandosi, non fidandosi al 100% l’uno dell’altra.
 
Renzo non aveva mai accettato e capito questo lato di lei, questa sua passione, questa sua vocazione. Gaetano invece l’ha sempre sostenuta e aiutata, ponendole dei limiti solo quando il ‘gioco’ si faceva pericoloso. È anche per questo che si è innamorata di lui: perché non ha mai avuto timore di ammettere di avere torto, non si è mai messo davvero in competizione con lei, se non in modo “sportivo” e “amichevole”. Anzi, è sempre stato il primo a fare il tifo per lei, ad essere orgoglioso di lei quando aveva ragione, ad ammirare la sua intelligenza invece di temerla, come avrebbero fatto tanti altri uomini al suo posto. Ed è una parte del loro rapporto che non vuole assolutamente perdere anche se le circostanze tra di loro sono cambiate.
 
“Naima mi ha detto che Sabrina e Idris vogliono mettersi in contatto con me, parlarmi. Non so se ci incontreremo di persona,” spiega Camilla, notando l’espressione dell’uomo farsi sempre più seria, “lo so, lo so che se scopro dove si trovano e non li denuncio di fatto sto favorendo due ricercati dalla polizia, l’articolo 378 del codice penale e tutto il resto… Ed era per questo che non volevo parlartene.”
 
“L’articolo 378 del codice penale?” chiede Gaetano, stupito.
 
“Anche io me li ricordo tutti i nostri casi, mio caro, e tutte le tue minacce più o meno velate,” ribatte Camilla con un sorriso, per poi aggiungere, tornando seria, “però, Gaetano, io voglio convincerli a presentarsi spontaneamente, so che posso farlo. Saranno stanchi e spaventati, non l’avevano pianificata questa fuga e presto esauriranno quel poco che avevano. Fidati di me, ti chiedo solo questo, ok?”
 
“Camilla…” sospira Gaetano, posandole una mano sul mento e facendo in modo di guardarla dritto negli occhi, “io mi fido di te, tu non immagini nemmeno quanto, ma ti chiedo due cose: una come Gaetano, il tuo… uomo e una come vicequestore Berardi, anche se è un ruolo che so che a te non piace.”
 
“Non è vero, io ammiro moltissimo il vicequestore Berardi, ma con tutto il rispetto e la stima per lui, preferisco il mio Gaetano,” ribatte Camilla con un sorriso, accarezzandogli un ginocchio, in un gesto che vorrebbe essere tenero, ma che causa un immediato sussulto nel corpo dell’uomo, “dai, dimmi quali sono queste richieste, prima che diventiamo tutti e due schizofrenici.”
 
“La prima è di stare molto attenta, Camilla, di andarci coi piedi di piombo e che al primo segnale di pericolo chiami me o Torre, chiaro?”
 
“Questa è quella di Gaetano o del dottor Berardi?”
 
“Di Gaetano,” ribatte lui con un sorriso: in effetti parlare di sé in terza persona è abbastanza inquietante.
 
“Come dottor Berardi, invece ti chiedo, se entro qualche giorno capisci di non riuscire a convincerli a costituirsi, di aiutarmi a trovarli. Lo sai che è anche per il loro bene. Se davvero non sono colpevoli come dici, rischiano comunque ben presto di andarsi ad infilare in guai molto più grossi di loro, se non ci sono già dentro fino al collo. Specie Sabrina, che, oltre ad essere di famiglia ricca e non abituata ‘alla strada’ è giovane e carina, se non ricordo male. Sai cosa può succederle là fuori con certa gente, no?”
 
“Non ricordi male, no, mio caro, ed aveva pure un debole per te, diceva che eri ‘un tipo figo’, quindi,” ribatte Camilla con una smorfia e un sopracciglio alzato.
 
“Dubito che sia ancora della stessa idea, ma non evadere la questione Camilla.”
 
“Mi stai chiedendo di tradire una confidenza, Gaetano.”
 
“Ti sto chiedendo, se dovesse essere necessario, di fare la cosa giusta, la cosa migliore anche per loro, anche se magari non se ne renderanno conto o non capiranno. Lo sai anche tu che ho ragione Camilla.”
 
“Lo so,” ammette la donna con un sospiro, “d’accordo, se si arriverà a quel punto farò la cosa giusta, anche se non sarà piacevole, ma la farò. Ma sappi che intendo convincerli a costituirsi o, ancora meglio, scovare i veri colpevoli prima di allora e non mi arrenderò molto facilmente.”
 
“Lo so che non ti arrendi mai, professoressa, ed è anche questo che mi piace di te.”
 
E, senza dire altro, si abbracciano ancora una volta, prima di andare insieme a svegliare Tommy per godere dei meravigliosi manicaretti napoletan-piemontesi, in un pranzo che, nonostante tutto, sa davvero di famiglia.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Amore e Psiche ***


Nota dell’autrice: innanzitutto vi ringrazio per aver seguito la mia storia fin qui e per la pazienza dimostrata verso il mio stile di scrittura che so essere parecchio prolisso ;). Come sempre ogni parere anche negativo è utile a migliorarmi e a capire quali sono i miei difetti e i miei errori nello scrivere, quindi ditemi pure liberamente quello che pensate che le critiche costruttive assolutamente non mi offendono, anzi. Detto questo, vi lascio a questo capitolo in cui i nostri “eroi” finalmente, dopo tanta attesa… ehm… ;). Spero vi piaccia e non deluda le vostre aspettative, né le aspettative dei nostri poveri protagonisti che tanto hanno dovuto penare per arrivare fin qui :D. Premetto che non scrivo spesso questo tipo di scene, quindi… lascio a voi giudicare ;)


 
Capitolo 11: “Amore e Psiche”





Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro



 
Dopo l’incontro pomeridiano con Sabrina, con tanto di immancabili battutine sulla sua relazione con “il poliziotto fighissimo”, che l’avevano di molto rassicurata sul fatto che, per ora, non le fosse successo niente di troppo grave durante la latitanza, se aveva ancora tempo e voglia di pensare al gossip, era tornata finalmente a casa. Gaetano aveva riposato anche il pomeriggio, come promesso, ed era perfino riuscita a convincerlo a convocare l’ex commessa dei Migliasso (a cui era arrivata grazie a Sabrina) a casa sua per un rapido “colloquio”, invece che recarsi in questura.
 
Tommy invece, ancora malaticcio, era stato a letto o sul divano per tutto il pomeriggio, giocando con la sua console portatile o guardando la tv.
 
Avevano poi cenato insieme, dando fondo alle abbondanti provviste di Torre e della Lucianona e visto il dvd di Rapunzel, su grande insistenza di Tommy, che per qualche motivo adorava questo film. Il bimbo si era piazzato in mezzo a loro sul divano, godendosi un po’ di abbracci e coccole oltre alla pellicola, mentre i due adulti si sussurravano commenti all’orecchio per spezzare la monotonia.
 
Gaetano si era guadagnato una lieve gomitata nel fianco quando aveva osato dirle che era un peccato che Livietta non fosse lì con loro, perché almeno avrebbe potuto constatare che Camilla, paragonata a Gothel, non era poi così male come madre.
 
Quello che Camilla aveva invece tenuto per sé, con una punta di tristezza, era che lei di Gothel nella sua carriera di insegnante ne aveva conosciute tante: madri che si mettevano in competizione con le figlie, che le soffocavano e le mortificavano pur di risplendere più di loro, pur di non accettare il tempo che passa, invidiose di quella giovinezza e freschezza che avevano ormai perduto. Per non parlare delle colleghe Gothel, su cui avrebbe potuto scrivere un libro.
 
Prima che le scene finali scorressero sullo schermo, Tommy dormiva già placidamente, disteso sulle loro gambe, con la testa appoggiata sul grembo di Camilla. Nonostante avesse riposato per gran parte della giornata, evidentemente non era ancora guarito del tutto e gli effetti si vedevano.
 
Dopo un po’ di esitazione, quando il bambino aveva cominciato a muoversi di più nel sonno, Gaetano, ancora con il groppo in gola di fronte a quel quadretto familiare, sapendo che Camilla faticava a sollevarlo quando era “a peso morto”, aveva preso Tommy in braccio meglio che poteva, facendo attenzione a non sforzare il collo e l’aveva depositato sull’altro divano, dove era subito stato raggiunto da Potty.
 
“Sono belli eh…” commenta Camilla con un sorriso, sorseggiando un vermouth accoccolata tra le braccia di Gaetano, osservando lo spettacolo meraviglioso e commovente del bimbo che dorme e del cane che veglia su di lui, come a proteggerlo.
 
“E il guaio è che non saprei più rinunciarci… Tommy è la cosa più bella che ho, a parte te,” le sussurra all’orecchio, facendola rabbrividire e bere un altro sorso di vermouth, per inumidire la gola che si è fatta improvvisamente secca.
 
“Non era mica scontato sai?” mormora infine con un sorriso, voltandosi leggermente per guardarlo negli occhi.
 
“Chi l’avrebbe mai detto? Mio figlio che dorme insieme a Potty sul divano di casa tua e noi due che li guardiamo, nel cuore della notte, bevendoci il nostro vermouth, come una vera famiglia,” commenta l’uomo con voce roca, che sembra quasi incrinarsi per l’emozione.
 
Lei ricambia stringendosi di più nel suo abbraccio e accarezzandogli il viso: non servono parole e soprattutto non basterebbero per descrivere la grandezza, la profondità di quello che provano, la gratitudine mista a meraviglia per il miracolo che sentono di stare vivendo.
 
“Beh, c’è voluto solo quasi un decennio,“ commenta Camilla con tono leggero, per alleviare la tensione e la commozione che aleggia nell’aria.
 
“Un matrimonio e una separazione,” ribatte Gaetano, non perdendo un colpo, come sempre più che felice di intrattenersi in questi affettuosi duelli verbali con Camilla.
 
“Due separazioni, anzi forse tre, considerando la riconciliazione tra me e Renzo,” puntualizza lei, stupendosi di riuscire a scherzare con leggerezza su quelli che sono stati i grandi fallimenti della sua vita.
 
“Una mezza dozzina di trasferimenti in tutto,” aggiunge lui, facendo mentalmente il conto di tutti i cambi di città suoi e di Camilla.
 
“Dozzine e dozzine di ‘fidanzate’,” replica lei, con una punta di sarcasmo nella voce.
 
“Un ‘produttore di vini molto affascinante’,” ribatte Gaetano, non provando nemmeno a nascondere la gelosia che si impossessa di lui ogni volta che ripensa a Camilla e a “quello lì”.
 
“Un cortocircuito,” interviene Camilla con un sorriso, in fondo in fondo soddisfatta di aver colpito nel segno con quel racconto di lei e Marco sulla spiaggia, ma non volendo che i pensieri di Gaetano scivolino in territori poco piacevoli, rovinando l’atmosfera e la serata.
 
“E un principio di incendio,” conclude lui, ricambiando il sorriso.
 
“E un ‘trauma cervicale del terzo grado’, che non mi scorderò mai più fin che vivo,” aggiunge lei ridendo, ripensando a tutte le interruzioni inopportune causate da quell’infortunio e dal relativo collare.
 
“Ah, nemmeno io, puoi scommetterci,” concorda lui, togliendosi il collare in maniera quasi istintiva e constatando con soddisfazione che il collo è decisamente migliorato.
 
“Ma ce l’abbiamo fatta, Gaetano, in qualche modo ci siamo arrivati, no?”
 
“Già, Camilla, ce l’abbiamo fatta, anche se lo so che è solo una sistemazione temporanea,” sussurra lui, guardandola fisso negli occhi con un misto di felicità, amore e malinconia che la fa sciogliere come neve al sole.
 
Anche lei si sta abituando in fretta, troppo in fretta, a questa convivenza tra loro. Condividere gli spazi, la quotidianità, la vita, le abitudini con un’altra persona di solito è complicato e richiede un periodo di adattamento, richiede dei compromessi. Invece da quando si è ritrovata Gaetano e Tommy in casa è successo tutto in maniera così naturale, così spontanea, che a volte le sembra impossibile che siano passati solo pochi giorni. Non sa se sia per via dei lunghi anni di conoscenza, o per l’intesa e la complicità che c’è sempre stata tra di loro, e che è cresciuta nel corso del tempo, ma per certi versi le sembra di vivere con loro da sempre, di sapere già “come si fa”.
 
Sente di essere davvero tornata a casa dopo anni, forse da ben prima di Barcellona: la sua casa è sempre stata il luogo dove c’era anche Livietta, ma non era più La Casa, quella vera, quella definitiva, quella dove aveva veramente voglia di tornare e rifugiarsi.
 
E si rende conto in un momento di lucidità e di rivelazione che la scuote fin nel profondo dell’anima, che forse nell’ultimo anno la sua vera casa è stata nell’appartamento di Gaetano, più che tra queste mura con Renzo. Che era lì che correva quasi ogni giorno, appena poteva, con ogni scusa, che era da lui che si faceva proteggere, consigliare e consolare, che era lì che si sentiva davvero in pace. Come aveva potuto ingannarsi, mentire a se stessa per così tanto tempo?
 
“Per ora,” risponde in un sussurro, prima di poter trattenere le parole, stringendogli la mano. E capisce immediatamente dallo sguardo di Gaetano, stupito ma felice, che la prospettiva che un giorno tutto questo diventi definitivo non spaventa nemmeno lui, anzi.
 
“Per ora,” conferma l’uomo ricambiando la stretta con forza, per poi attirarla a sé in un nuovo abbraccio.
 
“Gaetano, lo sai che a volte non capisco come tu non mi abbia mandata a quel paese, giustamente, dopo che ti ho costretto a fare questo ‘gioco dell’oca’, dopo che ti ho fatto aspettare tanto, dopo che-“
 
“Camilla, lo sai che tu e Livietta siete molto ma molto più simili di quello che credi?”
 
“Che c’entra Livietta?” chiede lei sorpresa, sollevando la testa dal petto di Gaetano per guardarlo negli occhi.
 
“C’entra che mi ha fatto la stessa domanda indiretta che mi stai facendo tu, e proprio poche ore fa.”
 
“Davvero?”
 
“Davvero. E Camilla, anche se l’attesa non è stata facile, né piacevole, e anche se ammetto che in un paio di occasioni sono stato molto tentato di mandartici a quel paese, alla fine non potrei mai e non solo perché ti amo, ma perché, a parte il traguardo, in fondo anche il viaggio non è stato poi così male, o almeno qualche tappa del viaggio. Magari è stato meglio così, magari avevamo tutti e due bisogno di arrivare ad un punto in cui eravamo pronti per questo, davvero pronti. E se le cose fossero andate diversamente non sarebbe nato Tommy, no?”
 
“Già, hai ragione,” ribatte lei accarezzandogli una guancia, “ma come mi è diventato saggio, vicequestore.”
 
“E soprattutto, per quanto mi riguarda, già solo la giornata di oggi mi sta ripagando completamente di tutto quanto, con gli interessi e ne è valsa assolutamente la pena di aspettare, se la ricompensa è vivere tutto questo con te.”
 
“La giornata di oggi? Ti accontenti di poco, Gaetano,” lo punzecchia lei con un sorriso, “se ti bastano un pranzo e una cena, peraltro offerti dai tuoi colleghi, un film in dvd che nemmeno ti piace e un vermouth sul divano di casa mia, pure di marca pure un po’ scadente, rispetto a quello del bar.”
 
“La compagnia sarebbe già sufficiente, lo sai, e poi devo aggiungere che tecnicamente sono le ventitré e la giornata non è ancora finita, Camilla,” ribatte lui con un tono di voce che si fa mano a mano più profondo, fulminandola con lo sguardo.
 
“E che cosa potrebbe mai succedere in quest’ora che resta prima che oggi diventi domani?” chiede Camilla, maliziosa, stringendosi ancora di più nel suo abbraccio, fino a che sono praticamente guancia a guancia.
 
“Mmm, non lo so, che ne dici se ti do qualche indizio, professoressa?” le sussurra all’orecchio.
 
Senza attendere risposta, le morde delicatamente il lobo, sentendola tremare tra le sua braccia, per poi scendere, in una scia infuocata di baci, fino alla base del collo, da cui risale, arrivando a percorrerle la mandibola con le labbra, avvicinandosi in modo lento e inesorabile alla bocca di lei.
 
La reazione di Camilla è immediata ed inequivocabile, e a Gaetano sembra di impazzire: scossa da fremiti, porge il collo ai suoi baci e si lascia andare completamente tra le sue braccia.
 
Camilla, dal lato suo, ha smesso completamente di ragionare: ogni pensiero razionale e coerente è sparito completamente dalla sua mente, il mondo si è ridotto alle labbra di Gaetano sulla sua pelle e alle sue mani sul suo corpo, che si fanno sempre più audaci, esplorando i territori nascosti sotto la maglietta.
 
Le loro labbra si sfiorano, si accarezzano e si lambiscono in una danza che è un preludio a molto, molto di più.
 
“Woof!”
 
Il suono improvviso li fa sobbalzare. Si guardano, increduli per l’ennesima interruzione, per poi appoggiare la fronte contro quella dell’altro.
 
“Papà, ho sonno,” mormora Tommy, che sembra ancora nel dormiveglia.
 
“Forse è meglio che lo metta a letto,” ammette Gaetano in un sussurro, guardandola con occhi talmente carichi di desiderio da farle sentire una scossa elettrica, per poi aggiungere, con tono improvvisamente incerto, “e dopo…”
 
“Ti aspetto in camera mia,” gli sussurra Camilla di rimando nell’orecchio, sentendolo tremare a sua volta, “e non t’azzardare a darmi buca, o non rispondo delle mie azioni.”
 
“Non ci penso nemmeno: hai idea di quanto ti desidero? Di quanto ho bisogno di te?” replica lui, trattenendosi a fatica dalla tentazione di baciarla di nuovo, sapendo che a quel punto non riuscirebbe più a fermarsi.
 
“Mai quanto ti voglio io,” ribatte lei, sciogliendosi a forza da quell’abbraccio che ormai è una tortura.
 
Si alza, dà un lieve bacio a Tommy sulla fronte e si avvia in camera da letto lanciando un’ultima, eloquente occhiata a Gaetano, non prima di accarezzare Potty sulla testa e dirgli: “tu sì che sei saggio”. Se non li avesse interrotti, nello stato mentale in cui si trovavano, il povero bimbo avrebbe rischiato di dormirci tutta la notte su quel divano.
 
I minuti successivi a Camilla sembrano i più lunghi e interminabili di tutta la sua vita: dopo aver passato in rassegna rapidamente la camera da letto e aver verificato che è in ordine e priva ormai di qualsiasi traccia visibile di Renzo, anche se la maggior parte delle sue cose era ancora ritirata negli armadi in attesa del suo ritorno e di un trasloco più definitivo, rimane il dilemma del cosa indossare.
 
Accantona l’idea di cambiarsi con la camicia da notte: sarebbe assurdo indossarla per poi toglierla subito dopo… o almeno spera. E non è mai stata tipo da completini sexy, del resto con Renzo quella fase era già superata da un pezzo. In quanto a Gaetano, con tutte le “supermodelle” che aveva avuto, temeva di sfigurare al loro confronto, di sembrare ridicola e fuori luogo. E poi che senso aveva fingere di essere diversa da quella che era? Lui la conosceva, la conosceva davvero e, anche se faticava ancora a capire il perché, a lui evidentemente lei piaceva così com’era, nonostante tutte le imperfezioni, i difetti e gli anni che passano.
 
Decide quindi di rimanere esattamente com’è, ed è a quel punto che inizia la vera tortura, l’attesa snervante, mentre un’ansia sottile la invade pian piano. Cammina nella stanza e poi si siede sul letto, poi si alza e torna a camminare.

Si è appena seduta, per l’ennesima volta, quando sente un rumore inconfondibile di passi e… bussare alla porta?
 
“Sì?” chiede stupita.
 
“Camilla, posso entrare?” risponde la voce di Gaetano in un sussurro e suona improvvisamente… esitante?
 
“Certo, entra,” replica, sempre più sorpresa, osservando la porta che si apre e l’uomo che entra a occhi bassi, per poi sollevarli verso di lei e osservarla in una maniera strana, quasi timida, come se avesse… timore?
 
“Ma perché hai bussato, scusa?” chiede lei con un sorriso, cercando di alleggerire l’atmosfera con l’umorismo, “chi pensavi ci fosse qui? Uno dei miei tanti ammiratori?”
 
“Molto spiritosa, professoressa, molto spiritosa,” ribatte lui, ricambiando il sorriso con un tono di voce finalmente più normale anche se velato da una punta di gelosia.
 
Camilla picchietta lievemente con la mano la zona del letto affianco a quella dove è seduta e Gaetano, dopo aver chiuso la porta a chiave – una saggia precauzione per cui Camilla gli è molto grata – accoglie il silenzioso invito e si siede accanto a lei.
 
Passano così un paio di secondi, a guardarsi negli occhi senza parlare, quasi incerti su come fare la prima mossa.
 
Improvvisamente si muovono entrambi, nello stesso istante, finendo per scontrarsi “di naso”: indietreggiano un attimo col capo, si guardano e scoppiano a ridere.
 
“Mi sembra di essere tornato ragazzino,” commenta Gaetano, passandosi una mano tra i capelli, imbarazzato dal suo stesso comportamento: proprio lui, che ha sempre avuto fama di grande “latin lover” e che ora si sente insicuro come un teenager alle prime esperienze.
 
“Non dirlo a me…” mormora Camilla con un sorriso: tra il cuore in gola, le mani sudate e il battito a mille la regressione adolescenziale è ormai completa.
 
“È che…” comincia lui, ma le parole gli muoiono nella bocca, che si è fatta improvvisamente secca.
 
“Lo so…” lo rassicura lei, facendosi infine coraggio e posandogli una mano su una guancia, per accarezzargli il viso.
 
È che quando ci si ferma a pensare, quando non ci si lascia trasportare da quel desiderio fortissimo che entrambi provano, ci si rende conto che dieci anni di aspettative, di attesa, di fantasie sono difficili, difficilissime da soddisfare. E si ha paura: paura di non essere all’altezza, paura di deludere, paura di cosa questo momento rappresenta, di quanto c’è in gioco, di quanto entrambi hanno messo sul piatto della bilancia.
 
Ed è a quel punto che Camilla decide che è stanca, stufa di trip mentali, di complicare quella che è in fondo una cosa semplice, naturale e meravigliosa. Che è stanca di temere la profondità dei suoi sentimenti per quest’uomo, che non vuole mai più fuggire da ciò che sente, da ciò che desidera. Che non vuole mai più negarsi la felicità per paura di soffrire. Che è ora di spegnere il cervello e lasciar spazio al cuore.
 
Solleva anche l’altra mano, fino ad incorniciargli il viso, lascia poi scivolare le dita tra i capelli dell’uomo, in un lieve massaggio che provoca un’immediata reazione. È come se un fuoco si accendesse in quegli occhi azzurri, che brillano con una luce diversa, quasi inquietante nella sua intensità.
 
In un battito di ciglia, Camilla annulla le distanze, unendo il respiro affannoso di Gaetano con il suo.
 
Uno, due, tre baci delicati, un lieve sfiorarsi di labbra: la quiete prima della tempesta.
 
In pochi istanti, l’aria nella stanza muta radicalmente: l’esitazione si trasforma in impeto, la timidezza svanisce, travolta da una passione ormai incontenibile e quasi disperata.
 
Senza sapere come, Camilla si trova seduta a cavalcioni sul grembo di Gaetano, le bocche unite in un bacio che è quasi un duello, i loro corpi che si muovono l’uno contro l’altro guidati dall’istinto, in una danza intima, proibita e primitiva. Sentire il desiderio del suo uomo, sentire quanto lui davvero ha bisogno di lei, è come una scarica elettrica che la attraversa da parte a parte, lasciandola senza fiato.
 
I vestiti si sono ormai fatti opprimenti e devono sparire: ora. Ad uno ad uno piovono sul pavimento, in una specie di composizione astratta. Rimane solo l’intimo come unica barriera tra di loro e Gaetano si avventa sulla chiusura del reggiseno che però oppone una strenua resistenza.
 
“Strappalo,” lo esorta Camilla, con una voce che nemmeno lei riesce a riconoscere, avendo ormai perso ogni freno inibitore, ogni traccia di pudore.
 
Quell’unica parola ha un impatto devastante su Gaetano, che deve far leva su tutto il poco self-control che gli è rimasto per contenere quel desiderio che minaccia di esplodere troppo presto. Con uno sforzo sovrumano, solleva gli occhi e la guarda, guarda quella donna che da anni gli brucia dentro, fin nel profondo dell’anima: le labbra turgide dopo l’assalto dei suoi baci, i capelli indomabili, le pupille dilatate, lo sguardo quasi ferale. È una dea, un’amazzone e non è mai stata così bella, non è mai stata così sua.
 
Senza più esitazioni, Gaetano lacera quel pezzo di stoffa e lo lancia lontano, seguito poco dopo dagli ultimi indumenti rimasti. Sono pelle a pelle, labbra contro labbra, senza filtri, senza freni e la frizione, l’attrito è inferno e paradiso insieme: nessun sogno, nessuna fantasia è minimamente paragonabile alla realtà.
 
Entrambi sono ormai in preda a un delirio, a una specie di Folie à deux erotica. Camilla cade distesa sul letto, sotto il corpo forte e solido del suo Gaetano, braccia e gambe intrecciate, mani che esplorano, bocche che assaporano il frutto tanto a lungo proibito.
 
In un unico, lunghissimo istante si guardano negli occhi e diventano finalmente davvero una cosa sola ed è la sensazione più potente, devastante e totalizzante che abbiano mai provato. Non esiste più nulla all’infuori dell’altro e di quel fuoco che li incendia, che li consuma, che cercano disperatamente di alimentare e di estinguere insieme in un corsa forsennata, a briglia sciolta.
 
I polmoni bruciano, la vista si annebbia, i muscoli protestano ma il desiderio, la necessità, l’urgenza è più forte di tutto, in un ritmo che cresce, sale, colpo su colpo, implacabile, fino a che i gemiti diventano gridi, fino a diventare insostenibile, fino all’inevitabile esplosione finale, che li travolge come un maelstrom, trascinandoli fin negli abissi più profondi per poi sollevarli oltre le vette più alte dell’estasi.
 
 


 
Blackout.


 
 
 
Per secondi, minuti che paiono eterni sono solo respiro e battito.
 
Poi la luce comincia a filtrare oltre la coltre spessa di tenebre, mentre le terminazioni nervose e il cervello si riattivano e cercano di riprendersi da quell’overdose di sensazioni, di emozioni, troppo forti per essere descritte o anche solo comprese.
 
Occhi color nocciola incontrano occhi azzurri: i corpi ancora intrecciati, uniti, i respiri ancora affannosi, i battiti accelerati, compressi contro il petto dell’altro.
 
In un istante, un lampo di consapevolezza attraversa le iridi di Gaetano e Camilla lo sente flettere i muscoli, ritrarsi, ma istintivamente lo trattiene con le braccia e con le gambe, impedendogli qualsiasi movimento.
 
“Camilla…” un sussurro con voce ancora rauca, la preoccupazione mista a imbarazzo che si fa largo sul volto, “scusami, io…”
 
“Shhh…” lo zittisce lei decisa, posando le labbra sulle sue in un bacio leggero, sentendo la tensione svanire dai muscoli dell’uomo, per poi aggiungere con un sorriso, “ti garantisco che non hai nulla, ma proprio nulla di cui scusarti, anzi.”
 
“Stai bene?” chiede con ancora una traccia di apprensione nella voce, accarezzandole una guancia.
 
“Mai stata meglio,” ammette lei, abbracciandolo più forte ancora e percorrendo con le mani i contorni delle scapole e della spina dorsale.
 
“È che…” cerca di spiegare Gaetano, ma la frase gli muore nuovamente in gola e lascia quindi che gli occhi parlino per lui.
 
“Lo so, credimi che lo so, perché anche per me è stato lo stesso,” lo rassicura di nuovo lei, accarezzandogli i capelli, “e poi… dieci anni di preliminari possono bastare, che ne dici?”
 
E si scoprono di nuovo a ridere insieme, ebbri di felicità e spensierati come non capitava da tanto, troppo tempo. Ben presto la bocca di Gaetano è di nuovo sulla sua, in un bacio dolce, delicato, una dichiarazione d’amore a fior di labbra, in cui Camilla ritrova il suo Gaetano di sempre: il gentiluomo sotto la maschere di playboy che l’ha attesa, amata e rispettata per tutto questo tempo. Che in ogni approccio, in ogni avance, le ha sempre lasciato il tempo necessario per decidere ed una via d’uscita aperta.
 
“E comunque no, non bastano,” le sussurra tra un bacio e l’altro, “non saranno mai abbastanza.”
 
Le labbra e le mani dell’uomo ricominciano a muoversi, a toccarla ad esplorarla, ma questa volta con lentezza, con cura, con totale dedizione e devozione.
 
Camilla non è certo alle prime esperienze, eppure sente di stare scoprendo per la prima volta cosa significhi davvero fare l’amore con una persona, o meglio, avere un partner che fa l’amore con te. Gaetano sembra rendere omaggio a ogni singolo centimetro del suo corpo, sembra volerla mappare, memorizzare, e Camilla si sente amata, desiderata e quasi venerata come mai prima d’ora.
 
Prova a ricambiare, a donare a quell’uomo che ama alla follia almeno parte dell’incredibile piacere che le sta facendo provare, ma lui la blocca, trattenendola per i polsi. Guardandola negli occhi le sussurra: “è per te.
 
E Camilla capisce, capisce che ciò di cui Gaetano ha bisogno in questo momento, ciò che le sta chiedendo è di lasciarsi amare, di permettergli finalmente di amarla. Gli occhi le si fanno improvvisamente lucidi, mentre sente un cocktail micidiale di emozioni comprimerle il petto. Non può e non vuole negargli più nulla e la resa è incondizionata, totale: la docilità non fa parte del suo carattere, ma con lui è tutto diverso e non ha più paura di mostrargli il lato più fragile di sé, di mettere il suo corpo e la sua anima nelle sue mani. Perché è sicura che non potrebbero essere in mani migliori.
 
Le lacrime di entrambi si mescolano e cadono come pioggia sulla pelle, mentre le mani e la bocca esperte di Gaetano la conducono a un passo dall’estasi, senza però lasciarla ancora “cadere”. Ogni singolo centimetro della sua pelle è in fiamme, scopre terminazioni nervose che non ha mai saputo di possedere e il suo corpo grida, esige di riunirsi di nuovo con la parte mancante di sé, con l’unica persona al mondo che davvero la completa.
 
“Gaetano, ti prego,” un sussulto, un’invocazione, una preghiera, che si trasforma in un grido quasi disperato quando lui la fa nuovamente sua.
 
“Dio, quanto ti amo,” le sussurra all’orecchio, muovendosi dentro di lei e con lei e baciandola nuovamente come se non ci fosse un domani, come se da questo dipendesse la sua stessa vita.
 
“Ti amo anche io… ti amo anche io,” riesce a confessare Camilla tra i baci e i gemiti, ma ben presto perde di nuovo l’uso della parola e della ragione.
 
Lasciano che siano i loro corpi, i loro gesti a parlare per loro, svelandosi a vicenda, mettendosi davvero a nudo: cuore, corpo e anima.
 
È una nuova prima volta, la vera prima volta, e quando raggiungono nuovamente insieme il nirvana, diventando ancora una sola carne e un solo fiato, esausti, sfiniti ma appagati e completi come mai prima, capiscono che davvero nulla sarà mai più come prima, che da qui non si torna indietro.
 
E quasi dieci anni d’attesa sembrano improvvisamente poca cosa, se paragonati all’infinito.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Sometimes a dream... turns into a dream ***


Nota dell’autrice: mi scuso per il ritardo ma, a parte impegni improvvisi che mi hanno lasciato poco tempo per la scrittura, i personaggi ad un certo punto hanno deciso di “fare di testa loro”, deragliando questo capitolo in una direzione diversa da quella che avevo inizialmente pianificato. Il risultato è un capitolo lunghissimo, praticamente sono due capitoli insieme, ma era assolutamente impossibile ed impensabile interromperlo prima. Vi chiedo quindi venia fin da ora se dovesse risultare noioso, come sempre i pareri anche negativi sono ben accetti e mi aiutano a migliorarmi ;).
 

Capitolo 12: “Sometimes a dream… turns into a dream”


Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro
 

“Gaetano!”
 
Camilla apre gli occhi, svegliata dal suo stesso grido, come tante, troppe volte negli ultimi giorni, o meglio, nelle ultime notti. E improvvisamente il panico si impossessa di lei: possibile che la notte più intensa, meravigliosa e sconvolgente della sua vita sia stata solo l’ennesimo sogno?
 
Col cuore in gola e un macigno nello stomaco, cerca di girarsi ma qualcosa la blocca.
 
“Amore, che succede? Mi hai chiamato?”
 
I suoi sensi ancora intorpiditi registrano contemporaneamente il delizioso attrito e tepore della sua pelle e quella voce arrochita dal sonno: un incredibile e potentissimo senso di benessere, sollievo e di pace la invadono, ancora prima che il suo cervello decifri finalmente quelle parole che sono come un balsamo per il cuore e per l’anima.
 
Le braccia che la cingono da dietro si allentano leggermente, permettendole di voltarsi sull’altro fianco e di intravederlo nel buio della stanza. È ancora piena notte, ma riesce a distinguere i suoi occhi e il suo sorriso.
 
Spinta da un impulso irrefrenabile, copre quelle labbra dischiuse con le sue in un bacio delicato e poi affonda la testa nel suo petto nudo, abbracciandolo più stretto.
 
“Camilla…” le sussurra nei capelli, accarezzandole la schiena, tra il sorpreso, l’intenerito e il preoccupato, “che cosa c’è? Stai bene?”
 
“Adesso sì, sto benissimo,” mormora lei, baciandogli il petto, per poi sollevare di nuovo il capo e guardarlo negli occhi, “per un attimo ho temuto che tutto fosse stato ancora solo un altro sogno.”
 
Gaetano sente di nuovo un nodo salirgli alla gola e gli occhi farsi umidi: chi ha detto che gli uomini non piangono forse non ha mai provato cosa significhi vivere il miracolo di vedere realizzato il più grande desiderio della propria vita, proprio quando non ci speravi più, di scoprire che nemmeno le fantasie più sfrenate si sono mai lontanamente avvicinate alla semplice ma straordinaria perfezione della realtà.
 
E comprendere che anche LEI prova lo stesso, che anche LEI ha vissuto tutto quello che ha vissuto lui, con la stessa intensità, che non è mai stato solo in questo lungo e tortuoso cammino che li ha condotti fin qui, è qualcosa di talmente smisurato nella sua grandezza, che il suo cervello e il suo cuore faticano ad assimilarlo, a contenerlo.
 
Stringerla più forte a sé e baciarla con tutto l’amore di cui è capace, di cui lei gli ha fatto scoprire di essere capace, è l’unico modo, per quanto inadeguato, che ha per tentare di esprimerle ciò che prova. E, se lei gliene darà la possibilità, è fermamente intenzionato a dedicare tutto il resto della sua esistenza a cercare di mostrarglielo, a renderle grazie e a restituirle almeno in parte tutto quello che gli sta regalando.
 
“Un altro sogno? Mi stai forse dicendo che mi hai già sognato altre volte, professoressa?” le chiede infine con tono malizioso, quando si staccano per prendere aria.
 
“Perché, tu no?” domanda lei con un sopracciglio alzato, sorridendo giocosa, “guarda che me l’hai già confessato, quindi non provare a negare.”
 
“Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda,” ribatte lui, assumendo un tono quasi marziale, da interrogatorio, ma continuando a sorriderle di rimando, “e non ci penso nemmeno a negare. A differenza di qualcun’altra che mi aveva detto, e cito testualmente, ‘io sogni mai!”.
 
“Non era proprio una bugia, diciamo che i sogni sono cominciati con più frequenza da quando ci siamo ritrovati qui a Torino…”
 
“Con che frequenza?”
 
“Quasi tutte le notti,” ammette lei, abbassando gli occhi imbarazzata.
 
“E si può sapere il contenuto di questi sogni, dato che ne ero il protagonista?” domanda lui divertito ed emozionato da questa confessione: allora non è stato l’unico a passare nottate turbolente, seguite nella maggioranza dei casi da una lunga doccia fredda.
 
“Gaetano…” mormora lei supplicante, nascondendo di nuovo il viso nel petto dell’uomo per mascherare l’imbarazzo.
 
“Camilla,” sospira lui sorridendo intenerito di fronte a questa donna straordinaria che poche ora prima lo incitava a strapparle gli indumenti di dosso, e che ora arrossisce come una ragazzina innocente, “non ti sembra che dopo stanotte dovremmo poter parlare – e non solo parlare – di certi argomenti liberamente?”
 
“È che… non sono abituata a condividerli con nessuno e per tanto tempo sono stati un mondo segreto in cui mi rifugiavo, un mondo solo mio, anche se al risveglio crollava tutto come un castello di carte,” cerca di spiegargli, evitando però di menzionare d’aver poi scoperto che evidentemente tanto segreti non erano, dato che Renzo l’aveva sentita chiamarlo nel sonno. Non è né il momento né il luogo adatto per nominare il marito in sua presenza.
 
“Non devi raccontarmeli per forza, se non te la senti. E anche per me sono stati spesso un rifugio, una valvola di sfogo per non impazzire, che però poi pagavo a caro prezzo quando aprivo gli occhi e tornavo alla realtà.”
 
Si guardano, si accarezzano il volto e si baciano dolcemente, senza parole, stringendosi più forte che possono, come a dimostrarsi vicendevolmente che questa volta è tutto vero, tutto reale e che il risveglio non è più un incubo, ma una parte fondamentale, vitale del sogno che stanno vivendo.
 
“Quando sono cominciati i tuoi?” non può fare a meno di chiedere Camilla, ancora “sepolta” nel suo petto.
 
“Poco dopo averti conosciuta, professoressa. La prima volta credo sia stata dopo che quei due malviventi ti avevano aggredita e tu ti eri abbracciata a me per non svenire, te lo ricordi? Gli assassini di Nicola Esposito…”
 
“E come potrei scordarmelo? Col senno di poi non so se mi avesse sconvolto di più avere un coltello puntato alla gola o quello che avevo provato mentre ero tra le tue braccia,” ammette Camilla con una risata da cui traspare però l’emozione al ricordo, “una parte di me aveva già capito che mi stavo andando ad infilare in qualcosa di molto più grande di me, in qualcosa che mi avrebbe stravolto la vita, anche se cercavo di razionalizzarlo e di ignorare tutti gli indizi.”
 
“A chi lo dici… Anche per me è stato lo stesso, sai? Sapevo razionalmente di starmi andando a cacciare in una di quelle situazioni incasinate da cui sarei potuto uscire solo con le ossa rotte e che quello che provavo per te era completamente diverso da quello che avevo provato per chiunque altra prima di allora. Ma cercavo di dirmi che era solo attrazione, che se ti volevo così tanto era perché non ti potevo avere, perché mi sfuggivi, a differenza di tutte le altre donne che mi correvano dietro. E ho continuato a mentire a me stesso anche quando ho cominciato a sognarti, cosa che non mi era mai successa prima.”
 
“Così però mi fai venire una grande curiosità di sapere che cos’è che sognavi, caro il mio vicequestore,” ribatte Camilla con tono ironico, anche se dentro di sé è stupita da quanto l’esperienza vissuta da lei e Gaetano, a livello emotivo, sia stata in fondo molto più simile di quanto entrambi avessero mai potuto immaginare, “dì la verità che lo stai facendo apposta.”
 
“Guarda che io non ho problemi a raccontarti i miei sogni e per farlo non ho di certo bisogno di un do ut des,” replica lui divertito, “il primo che ho fatto è stato, se non sbaglio, la sera stessa o la sera dopo la tua aggressione. Ricordo di aver sognato che ti convocavo nel mio ufficio perché mi avevi nascosto un’informazione. Discutevamo animatamente, come spesso succedeva e tu mi tenevi testa con la tua solita fierezza e ad un certo punto non ne potevo più e ti zittivo con un bacio. E tu mi baciavi con la stessa passione che ci mettevi nei nostri battibecchi, nel difendere le tue idee. Da lì in poi ogni singola volta in cui avevamo… uno scambio di opinioni, in cui tu mi sfidavi, morivo dalla voglia di baciarti e mi sono dovuto spesso trattenere a forza dal farlo.”
 
Camilla sente il battito del cuore accelerare esponenzialmente e il desiderio riaccendersi in lei: la prossimità e la mancanza di vestiti di sicuro non aiutano.
 
“E quindi sognavi solo di baciarmi?” chiede Camilla con una punta di malizia, cominciando a sentirsi più a suo agio e ad appassionarsi a questo argomento.
 
“Ovviamente no, professoressa, e lo sai,” ribatte Gaetano, accarezzandole i capelli, “soprattutto dopo che ti ho vista ballare in discoteca: non avevo mai desiderato nessuna tanto quanto ti ho desiderata in quel momento. Avrei voluto mollare tutti, trascinarti fuori da quel locale e fare l’amore con te per tutta la notte, come un pazzo. E da lì è stato tutto un crescendo: ogni volta che pensavo di non poterti amare e desiderare di più di così, tu ne combinavi una delle tue e mi dimostravi che avevo torto. Che è un po’ quello che fai sempre, in effetti, ed è uno dei motivi per cui mi sono innamorato di te.”
 
“Cioè, fammi capire, tu mi ami perché ti contraddico e ti do il tormento?” chiede Camilla, usando l’ironia per cercare di alleviare l’ondata di calore e di emozioni che l’ha investita all’ascoltare questa confessione di Gaetano.
 
“No, ti amo perché sei intelligente, perché hai carattere, perché quando ti metti in testa una cosa hai il coraggio di portarla avanti fino in fondo. E tu non hai idea di quanto sia eccitante osservarti in azione, Camilla, di quanto sei bella e sensuale quando ti appassioni di qualcosa, quando ti brillano gli occhi, ti mordi il labbro e fai quell’espressione imbronciata e assorta che mi fa diventare matto.”
 
Il respiro le si blocca in gola, il cuore ormai ha superato ogni limite di velocità e non sa come sia possibile che quest’uomo possa suscitarle nello stesso medesimo istante la più infinita tenerezza e le più inconfessabili pulsioni erotiche. Cerca di trasmetterglielo in un nuovo bacio, dolce e passionale insieme, da togliere il fiato.
 
“La sai una cosa Gaetano?” chiede con un filo di voce ed un sorriso, quando l’ossigeno ritorna a fluirle nei polmoni e recupera l’uso della parola, “è proprio vero che l’amore rende ciechi, per mia immensa fortuna. E quando mi vedo riflessa nei tuoi occhi, quasi ci credo davvero di essere come tu mi descrivi.”
 
“Ma tu sei come io ti descrivo Camilla e sei anche molto, molto di più,” le risponde accarezzandole le labbra con le dita di una mano, mentre con l’altra le traccia disegni astratti sulla pelle candida della schiena.
 
“E tu sei molto, molto ma molto di più di ciò che merito, Gaetano,” gli sussurra lei, baciandogli le dita a una a una. Non si capacita ancora di come un uomo così meraviglioso, che potrebbe avere qualsiasi donna volesse al suo fianco, donne infinitamente migliori di lei sotto ogni punto di vista, possa avere scelto proprio lei, possa amarla in modo così totale e incondizionato.
 
E anche se non si sente ancora del tutto degna di questo amore, anche se sa benissimo che, per colpa della sua indecisione e della sua vigliaccheria, non è mai riuscita ad esprimergli del tutto ciò che lui rappresenta per lei, l’immensità di ciò che prova per lui, è fermamente decisa a dedicare tutto il resto della sua vita a dimostrarglielo e a restituirgli almeno in parte tutto ciò che le sta donando, finché lui la vorrà al suo fianco.
 
A partire da ora.
 
“Anche se tu elogi la mia intelligenza e il mio spirito investigativo, in realtà su noi due temo sia sempre stato molto più percettivo tu, Gaetano o forse semplicemente più onesto con te stesso di quanto lo fossi io,” comincia a raccontargli, stringendosi di nuovo a lui ed appoggiando la testa sul suo petto.
 
“Fin dalla prima volta che ti ho visto sono stata attratta da te, o meglio, durante i nostri primi incontri mi affascinavi e mi snervavi al tempo stesso. Ma mi dicevo che era normale perché beh, oggettivamente eri e sei un bell’uomo. E, come ti ho già detto, anche quando ci siamo trovati abbracciati per la prima volta e dentro di me si è scatenato l’inferno, ho continuato a razionalizzare, a negare. Poi ho cominciato a provare un fastidio terribile ogni volta che vedevo una donna accanto a te: la Cremonesi, Bettina… Per nasconderlo a me stessa ho perfino accettato di darle il tuo numero e ho cercato in ogni modo di essere felice per la vostra storia, ma non ci sono mai riuscita. Ogni volta che lei mi parlava di voi due l’avrei strozzata, anche se era una delle mie più care amiche, eppure continuavo a trovare scuse, giustificazioni. Fino al giorno in cui abbiamo pranzato insieme nel tuo ufficio e tu mi hai regalato quella rosa. Sono tornata a casa felice come non mi capitava da una vita e mia madre mi ha fatto una paternale pazzesca, facendomi domande su domande su noi due e sono esplosa e le ho detto di farsi i cavoli suoi. La verità è che mi aveva punta sul vivo: una parte di me sapeva che aveva ragione, che mi ero innamorata di te.”
 
“Beh, come partire con il piede giusto con la di molto futura suocera,” commenta Gaetano con un sorriso, assolutamente incantato da questo racconto che gli conferma molte cose che aveva provato e intuito allora, ma che gli svela altri aspetti che non avrebbe mai immaginato.
 
“Guarda che adesso le piaci, e pure parecchio: mi ha perfino detto di essersi pentita di avermi fatto quel discorso, sai? E poi tu sulle donne di casa Baudino hai un ascendente straordinario.”
 
“Meglio, ho qualche chance di sopravvivenza in più,” le sussurra all’orecchio, guadagnandosi un colpo nelle costole che lo fa sobbalzare.
 
“Scemo,” ribatte lei ridendo, “comunque il momento in cui ho cominciato finalmente ad ammettere con me stessa che cosa mi stava capitando è stato quando tu mi hai preso il viso tra le mani per implorarmi di tenermi lontana dai guai, mentre indagavamo sul caso Levrone. Credo che se non ci avessero interrotti ti avrei baciato in quella macchina, e anche dopo, quando ci hanno sparato addosso in moto e tu mi hai nuovamente sorretto tra le tue braccia. Da lì in poi ho cominciato sì a sognarti ma ad occhi aperti: mi distraevo spesso, ti pensavo continuamente, anche nei momenti meno opportuni…”
 
Quello che omette di dirgli, perché gli farebbe forse solo più male, è che si era ritrovata a pensarlo anche mentre faceva l’amore con Renzo. E il senso di colpa lancinante l’aveva portata a ridurre la frequenza dei rapporti col marito, che si era certamente accorto che qualcosa non andava. Che aveva iniziato, quasi inconsciamente, a cercare di rendere Renzo più simile a lui, ad esempio regalandogli vestiti simili a quelli che lui indossava. Ma ovviamente non era affatto la stessa cosa.
 
“Anche io ti pensavo spesso sai: una mattina ho completamente dimenticato il caffè sul fuoco e ho quasi causato un incendio.”
 
“Beh, quello lo fai pure adesso, quindi o mi pensi ancora mentre cucini, o è tutta colpa del tuo ‘talento’ ai fornelli o è per entrambe le cose.”
 
“Diciamo entrambe le cose va,” ribatte Gaetano, trascinando Camilla in una risata.
 
“Quando mi hai fatto quella dichiarazione a casa tua, sono passata dal provare un odio viscerale e irrazionale per ‘l’altra donna’ di cui ti eri innamorato, allo stupore, alla commozione, alla voglia irrefrenabile di baciarti. E quando mi hai sfiorato le labbra sono andata in panico: ho capito che se ti avessi baciato saremmo finiti a letto, che non sarei mai riuscita a trattenermi. Mi sono sentita fragile, impotente, piena di sensi di colpa e ho cominciato a temere quello che sentivo per te, perché ho finalmente capito che non riuscivo a controllarlo come mi ero illusa di poter fare. E sono scappata come una ladra.”
 
“Non hai idea di quanto mi sono maledetto per averti fatto pressione, per averti quasi ‘teso un agguato’. Di quante volte ho ripensato a quel giorno e desiderato poter tornare indietro nel tempo e fare tutto in maniera diversa,” le confessa lui baciandole i capelli, “e non sai cosa significa per me sapere che anche tu lo volevi, che anche tu mi volevi.”
 
“Ma certo che ti volevo, Gaetano, certo che ti volevo, non immagini quanto. E la colpa di quello che è successo quel giorno è solo mia, tu sei stato onesto, coraggioso e… quello che mi hai detto… tu non immagini nemmeno cosa abbia significato per me. Anzi, forse se hai ‘sbagliato’ in qualcosa è stato nell’essere così corretto, nel lasciarmi il tempo di decidere e di pensare: se mi avessi davvero presa di sorpresa, se mi avessi baciata di punto in bianco, se avessi insistito non avrei saputo resisterti. Tu con me sei sempre stato un gentleman, non hai mai approfittato di me, mai, hai capito? Ed è anche per questo che ti amo tanto.”
 
Uno sguardo commosso, un sorriso e si trovano nuovamente fusi in un bacio che diventa ben presto quasi famelico: Gaetano afferra Camilla per i fianchi e la solleva sul suo petto, stringendola poi ancora più forte a sé. Il contatto con la sua pelle nuda, sentire i suoi capelli accarezzargli il collo e le spalle, il suo profumo, il suo corpo sottile compresso contro il suo, sono inferno e paradiso insieme.
 
“Gaetano, aspetta!” protesta Camilla in un ultimo sprazzo di lucidità, fermandogli le mani con le sue, prima che le sue carezze le facciano perdere nuovamente il senno, per poi aggiungere tra un respiro e l’altro, col fiato corto, “ci sono ancora tante cose… che ti devo dire, che devi sapere.”
 
“Camilla,” le sussurra lui con un sorriso, scostando la cascata di ricci che le nasconde il viso, per poterla guardare negli occhi, “non è necessario, davvero. Non mi devi spiegare nulla, non serve più, specialmente dopo stanotte.”
 
“Lo so…” gli sussurra lei di rimando, accarezzandogli una guancia, “ma io voglio spiegarti, ho bisogno di farlo, di raccontarti finalmente la verità, di poter essere finalmente completamente sincera con te, tanto quanto tu lo sei sempre stato con me.”
 
“Camilla…” ripete, mentre un’infinita tenerezza gli colora la voce e, dandole un ultimo bacio delicato sulle labbra, la deposita nuovamente sul materasso accanto a sé, vicina ma a distanza di sicurezza, “scusami ma… se mi tocchi non garantisco di potermi trattenere oltre, lo capisci vero?”
 
“Credimi che ti capisco benissimo,” ribatte lei, con uno sguardo che, Gaetano decide, è quasi più pericoloso del contatto fisico.
 
“Camilla! Ma allora lo fai apposta: mi spieghi come faccio a non saltarti addosso se mi guardi così?” le domanda esasperato.
 
“Ok, ok, farò la brava, però ricordami di guardarti così più spesso in futuro,” concede lei ridendo e guadagnandosi una cuscinata.
 
Camilla!” ribadisce con tono severo, prima di scoppiare a ridere insieme a lei.
 
“Quando ti ho rivisto di fronte a scuola,” riprende Camilla, ritornando improvvisamente seria, “non saprei descriverti quello che ho provato… è stato… come se avessi congelato quello che provavo per te nei mesi in cui ti avevo evitato, in cui non ci eravamo visti. Avevo cercato di ricacciare tutto a forza in un angolo della mia mente e del mio cuore, ma rivedendoti è stato… come se il tempo non fosse mai passato e sono stata investita in un colpo solo da tutto quello che provavo per te e mi sono accorta che mi eri mancato, da morire. Le nostre discussioni, le nostre indagini, il modo in cui mi guardavi, sfiorandoti un dito con le labbra, il modo in cui mi sorridevi, il modo in cui appoggiavi la tua mano sulla mia spalla, il modo in cui ti preoccupavi per me, perfino il modo in cui mi rimproveravi. E il modo in cui mi abbracciavi, in cui mi facevi sentire allo stesso tempo protetta e in pericolo, in pace col mondo e inquieta. Prima di decidere di richiamarti ho lottato con me stessa, perché sapevo che se avessi ripreso a frequentarti non sarei riuscita tanto facilmente a sfuggirti di nuovo, a fermarmi in tempo un’altra volta. E mi sono detta che lo facevo per il mio allievo, ma in realtà avevo voglia di rivederti: non ne potevo più di starti lontana.”
 
Gaetano si trattiene a forza dall’abbracciarla: ascoltarla mentre si mette a nudo davanti a lui è… indescrivibile. Rivive quei giorni, quelle sensazioni quasi come se fosse ieri e si sorprende di quanto si rispecchi nel racconto di Camilla, di come lei stia descrivendo, di fatto, esattamente ciò che ha provato anche lui.
 
“E da lì… da lì ho cominciato a comportarmi in un modo quasi schizofrenico, e credimi, non ne vado fiera. Lo so che sono spesso stata una vera stronza con te-“
 
“Camilla, non dire assurdità, per favore, non dirlo nemmeno per scherzo!” la interrompe lui, infrangendo la barriera invisibile che si era autoimposto e posandole un dito sulle labbra per zittirla, “tu non-“
 
“No, Gaetano, lasciami parlare, ti prego,” ribatte lei determinata e fiera come in poche altre occasioni, baciandogli il palmo della mano ma scostando con decisione le sue dita dal viso, “lo so che tu non lo pensi, perché mi ami, perché sei… perché sei un uomo meraviglioso. Ma lo so che non mi sono comportata bene con te, in tante, troppe occasioni, anche se non l’ho fatto volontariamente, anche se non potevo farne a meno. C’era come una guerra dentro di me, ma non è che non sapessi quello che volevo: se riguardo indietro lo sapevo eccome, l’ho sempre saputo. La guerra era tra ciò che volevo fare e ciò che sentivo di dover fare.”
 
“Camilla…“
 
“Gaetano, io… io… ogni volta che non c’eri io morivo dalla voglia di vederti: quando ero con te stavo bene, mi sentivo viva, mi sentivo felice, ma poi scattavano i sensi di colpa. Quando tu ti avvicinavi a me ero sempre tentata, tu non hai idea quanto, e a volte cedevo, ti aprivo una breccia in quel muro che mi ero costruita, ma poi ti allontanavo bruscamente, per reazione. Sapevo di non poterti avere ma odiavo qualsiasi donna ti si avvicinasse e mi rendo conto di essere stata un’egoista e so di essermi comportata in maniera totalmente contraddittoria, snervante, confusa… E poi… poi c’è stato quel bacio ed è stato… meraviglioso e terrificante al tempo stesso. Non avevo mai provato nulla di nemmeno lontanamente paragonabile in vita mia: ho capito di aver perso completamente il controllo, e di nuovo sono fuggita terrorizzata. Mi sono convinta che quello che provavo per te era solo una fortissima attrazione e nulla di più, che ti volevo bene ma non ti amavo. E la tua partenza mi ha evitato nuovamente di affrontare la realtà: stavo malissimo ma facevo finta di niente e ho di nuovo rimosso tutto, ho di nuovo nascosto tutto sotto al tappeto e cercato di proseguire come se non fosse cambiato niente, ma la verità è che era cambiato tutto quanto.”
 
Era allora, Camilla adesso se ne rende conto, che il suo matrimonio con Renzo era davvero finito. Già da tempo le cose non andavano più bene tra loro, da quando aveva rivisto Gaetano dopo i mesi di lontananza autoimposta, per essere precisi: tra Renzo che sembrava in preda a una crisi di mezza età e che ronzava un po’ troppo intorno all’insegnante di danza di Livietta e lei che… lei che si era ritrovata quasi ad usarlo per non pensare ad un certo commissario. Riguardando indietro con lucidità, capisce che quasi tutti gli slanci che aveva avuto verso il marito in quel periodo erano stati o un modo per distrarlo e chiudere frettolosamente una lite, o coincidevano stranamente con qualche “pericoloso avvicinamento” di Gaetano che lei aveva dovuto rifiutare, o con qualche “pericoloso avvicinamento” tra Gaetano e quella PM che sembrava una top model, più che un magistrato.
 
Ciò nonostante, ancora emergeva ogni tanto qualche traccia dei vecchi “Renzo e Camilla”: quelli che si amavano e che desideravano davvero passare tutto il resto della vita insieme, come avevano promesso tanti anni prima.
 
Ma dopo quel bacio nulla era più stato come prima: a partire da quel momento l’affetto, la complicità, la voglia di stare insieme, le risate, la tenerezza si erano gradualmente trasformate in un obbligo, in una forzatura, in una recita. Non era solo lei ad essersi allontanata, anche Renzo non era più lo stesso: inquieto, ansioso, insoddisfatto della sua vita, in una perenne crisi di nervi, quasi depresso. Non sapeva quanto fosse per colpa sua, ma qualcosa si era rotto irrimediabilmente, anche se entrambi avevano continuato a fare finta di niente, a ignorare il proverbiale elefante nella stanza, come direbbe la sua collega Anna. E le cose erano progressivamente, lentamente ed inesorabilmente peggiorate, fino a che l’elefante aveva sfondato la stanza ed era stato impossibile ignorarlo. Prima con la pausa di riflessione e la depressione di Renzo e poi… Barcellona e Carmen.
 
“Anche per me non è stato facile a Praga, Camilla… Mi mancavi tantissimo, soprattutto i primi tempi, ti sognavo tutte le notti, sai? Sognavo quel bacio, sognavo che mi fermavi all’aeroporto, a volte sognavo perfino che mi venivi a cercare,” le confessa, ricordando uno dei due periodi più bui della sua vita. Il secondo era, ovviamente, quello immediatamente successivo alla sua partenza per Barcellona, quando era stato davvero sicuro di averla persa per sempre.
 
“Allora i nostri sogni coincidevano, Gaetano, a parte il fatto che io sognavo che tu tornassi a Roma. Ma perché decidesti di andartene?”
 
“Perché pensavo che sarebbe stato meglio per tutti, che avrei potuto dimenticarti e smettere di tormentarti, che saresti stata più felice così,” ammette con un tono malinconico che è come una pugnalata per Camilla: è una delle tante ferite ancora non del tutto rimarginate che si portano dietro dal loro passato e che lei spera veramente di riuscire presto a curare, a sanare, insieme. E sa che quello di stasera è solo il primo passo.
 
“Tu non mi hai mai tormentato, o meglio, la tua assenza mi ha sempre ‘tormentato’ e turbato ancora di più della tua presenza, ma non era certo colpa tua. Forse non era colpa di nessuno, o forse di entrambi, a seconda di come la vuoi vedere. E quando ti ho rivisto al Teatro Marcello ho provato… un insieme ingarbugliato di emozioni che non potevo e non volevo decifrare. Non ho nemmeno avuto il tempo di farlo perché ho subito saputo di Roberta, che ti sposavi e lì, beh, lì è iniziato forse il periodo più assurdo della mia vita. Ero ormai diventata una maestra ad ingannarmi, ad autoconvincermi, a farmi andare bene di vivere una finzione e, anche se la sola idea di te e di lei mi dava la nausea, mi sono adattata al ruolo della migliore amica. Mi sono ritrovata a consigliarti sulle tue vicende amorose con lei, addirittura ad incitarti a sposarla, anche se mi sentivo morire dentro ogni volta che pensavo a voi due insieme, figuriamoci a quando vi immaginavo all’altare.”
 
“E io allora che ti facevo da confidente e spalla su cui piangere mentre eri in crisi con tuo marito? Quando ti avrei voluta tutta per me, solo per me. Quando avrei voluto gridarti che meritavi di meglio, che meritavi il meglio e che sarebbe bastata una tua parola, una sola e avrei mollato Roberta senza esitazioni, anche se immagino non sia nobile da dire,” confessa lui, provando ancora un po’ di vergogna al solo pensiero di quello che aveva fatto alla giornalista e di quello che aveva fatto anche a se stesso.
 
“Come immagino non sia nobile dire che sentire queste parole, anche a distanza di anni mi provoca un’immensa soddisfazione,” riconosce lei con un sorriso malizioso che lo fa scoppiare a ridere: Dio quanto la ama quando fa così!
 
“Ma lo sai cos’è la cosa assurda, Gaetano? Che nonostante tutto, in mezzo a tutte quelle bugie, in mezzo a quel gran casino, io quando stavo con te ero felice come non mi sentivo da… da sempre. Quando ero con te dimenticavo tutto il resto: esistevamo solo io, tu, Nino e Livietta e mi illudevo almeno per quei pochi momenti che fosse davvero così, anche se poi c’era sempre il brusco ritorno alla realtà.”
 
“Io… io stavo bene solo quando c’eri tu Camilla, e quando c’era Nino, chiaramente. Sai che se n’era accorto pure lui? Mi aveva detto che con Roberta ero triste, che con lei discutevo sempre, mentre con te… tu mi facevi ridere, mi rendevi sereno. Mi aveva chiesto che senso avesse sposarmi per essere infelice e... la verità è che sapevo che aveva ragione. Ma pensavo di non poterti avere e a quel punto, mi sono lasciato trascinare da Roberta, da quello che lei provava per me, illudendomi di poterla ricambiare un giorno, anche se sapevo di stare mentendo a me stesso.”
 
Quello che non può e non vuole dirle, quello che Camilla non dovrà mai sapere, era che prima di incontrare Roberta era sull’orlo della depressione, che era stato quasi a un passo dall’autodistruggersi. Solo, straniero in terra straniera, con il cuore in pezzi: un mix pericoloso e micidiale. Lei lo aveva da subito quasi idolatrato, messo su un piedistallo, ma allo stesso tempo aveva iniziato ad organizzargli la vita, a controllarlo e a cercare di plasmarlo nel fidanzato perfetto. E, se normalmente i suoi modi da principessa viziata gli sarebbero stati insopportabili, in quel momento aveva avuto bisogno di mettere la sua vita in mano a qualcun altro, dato che lui non si sentiva in grado di gestirla da solo, aveva avuto bisogno di sentirsi amato, di avere qualcuno che lo mettesse al centro del suo mondo, qualcuno con cui non avesse l’esigenza di pensare, qualcuno attraverso cui potesse vivere, quasi per inerzia.
 
“Anche io ero certa di non poterti avere ed è assurdo, lo so, ma ero arrivata ad autoconvincermi che forse se ti fossi sposato, se fossi stato definitivamente off-limits, il conflitto che mi lacerava dentro si sarebbe attenuato, che mi sarei messa il cuore in pace. Non so come abbia potuto essere così stupida, così cieca. Ma quando il giorno delle nozze è arrivato all’improvviso, quando lei mi ha invitata al vostro matrimonio, la verità è che ho provato un dolore, un’angoscia… mi sembrava di impazzire. Ma ho di nuovo nascosto tutto, finto che andasse tutto bene e quel giorno… mi sono vestita di bianco, pur sapendo che non si dovrebbe… mi sono vestita di bianco, ma ancora mi rifiutavo di vedere la verità. E la verità era che non ho mai detestato e invidiato qualcuno quanto Roberta quel giorno. Che avrei voluto esserci io accanto a te, anche se ovviamente era impossibile. Non… non so cosa avrei fatto se il cellulare non avesse squillato, non so se sarei riuscita a rimanere lì impassibile a guardarvi mentre…”
 
Il groppo in gola le impedisce di continuare: è pazzesco, ma rivive quei momenti come se fosse successo ieri, come se stesse succedendo ora. Le sembra di rivedere Roberta, bellissima in abito da sposa, e lui fin troppo elegante, ingessato, ma come sempre da togliere il fiato. E il fiato a lei era mancato sul serio, seduta su quella sedia scomodissima, mentre attendeva il verdetto del boia e avvertiva i primi sintomi di un attacco di panico.
 
“Sai che non ho mai benedetto la suoneria di un telefono come in quel momento? Ero lì con lei ma volevo essere da tutt’altra parte e anche io… dio, quanto avrei voluto che ci fossi tu al suo posto, Camilla! Quando ti ho vista in municipio, non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso, e ho capito che stavo commettendo la più grossa cazzata della mia vita. Non so se sarei riuscito ad arrivare fino in fondo, anche se tu non ci avessi interrotto.”
 
“Sai, penso col senno di poi di non aver messo il vivavoce e lasciato cadere il telefono per errore, per distrazione… Credo che il mio inconscio avesse deciso di prendere il controllo e di fare ciò che consciamente non avevo il coraggio di fare.”
 
“Ma allora perché te ne sei andata di punto in bianco a Barcellona?” chiede lui, non riuscendo più a trattenersi dal farle questa domanda, dal togliersi questo dubbio che lo ha tormentato per i mesi e gli anni successivi al suo trasferimento improvviso, “io ero finalmente di nuovo libero e tu... il tuo matrimonio era ormai in crisi da tempo. Avevo davvero sperato che tu potessi… che noi due potessimo… e poi un giorno sei sparita all’improvviso, senza spiegazioni.”
 
“Se te lo dico mi prometti di non prendertela?” gli domanda lei di rimando, dopo un momento di riflessione, cercando il suo sguardo nell’oscurità.
 
“Camilla…” sospira lui dolcemente, buttando al vento la prudenza e allungando una mano per accarezzarle una guancia, tracciando la sporgenza dello zigomo con le dita, “mi spieghi come potrei mai arrabbiarmi con te, anche volendo? Già non ci sono mai riuscito da quando ti conosco a rimanere in collera con te per più di qualche istante… E dopo tutto quello che abbiamo condiviso e che stiamo condividendo in questi ultimi giorni, in queste ultime ore…”
 
“Non intendo con me, non solo, almeno. Non… non sono sicura che tu lo voglia davvero sapere, Gaetano, capisci cosa intendo?” cerca di spiegargli, posando la sua mano sopra quella dell’uomo e intrecciando le dita con le sue.
 
“Non proprio e non ti voglio forzare a farlo, se non te la senti, ma, per quanto mi riguarda, sono sicuro di volerlo sapere, di voler sapere la verità, qualunque essa sia.”
 
“D’accordo… La verità… la verità è che l’ho fatto… l’ho fatto soprattutto per te, Gaetano,” ammette lei flebilmente, abbassando lo sguardo e avvertendo le dita dell’uomo contrarsi di riflesso tra le sue.
 
“Per me?” domanda lui con voce roca, incredulo e sicuro di non aver sentito bene.
 
“Sì, per te,” conferma lei, ritrovando il coraggio di guardarlo negli occhi, “ti ricordi quando ti eri sentito male a casa mia? Avevi la febbre alta e ti avevo ospitato, ti avevo lasciato riposare. Hai iniziato a delirare per la febbre: chiamavi il mio nome in modo quasi disperato e allora mi sono avvicinata e ho cercato di tranquillizzarti ed è allora che…”
 
Il nodo in gola si è fatto ormai soffocante, deglutisce più volte cercando di riprendere il fiato, mentre sente gli occhi riempirsi di lacrime, ricordando quelle parole dure, crude, disperate e terribilmente vere, che, a distanza di anni, la colpiscono ancora come un pugno in pieno stomaco.
 
“Che cosa ho fatto, Camilla?” le chiede con un filo di voce, avvertendo un improvviso senso di nausea.
 
“Mi hai detto che non avresti… non avresti mai dovuto conoscermi, che ti tormentavo, che ero un’ossessione per te e che… che dovevo sparire dalla tua vita,” riesce ad articolare con estrema fatica, soccombendo infine al pianto.
 
“Cosa?” riesce solo a chiedere, completamente paralizzato da quella rivelazione, odiandosi come mai prima d’ora mentre quelle gocce salate rimangono intrappolate tra le sue dita, ancora avvinghiate a quelle di lei, in una presa spasmodica. E comprende perché questa donna straordinaria, che lo conosce meglio di chiunque altro, fosse così restia a parlargliene.
 
“Mi hai implorato di aiutarti, di aiutarti a… a liberarti di me e continuavi a pregarmi di sparire, di sparire…” sussurra con voce rotta, guardando avanti a sé senza vedere realmente nulla, intrappolata in quei ricordi che le bruciano nel petto.
 
“Io… lo sai che non… io non volevo questo, Camilla, non ho mai voluto questo, anzi. Forse a volte ho desiderato che tu sparissi, ma dal mio cuore. Ho desiderato potermi innamorare di qualcun’altra, poterti lasciare in pace, poter essere felice anche senza di te, poter essere felice per te, ma, non ho mai voluto che tu te ne andassi sul serio, come non mi sono mai, mai pentito di essermi innamorato di te,” cerca di spiegarle, ancora sconvolto, “tu mi hai insegnato ad amare, Camilla, mi hai fatto capire cosa vuol dire vivere davvero e hai sempre tirato fuori il lato migliore di me. E anche se non ci fosse mai stato nulla tra noi, anche se tu avessi continuato a… respingermi… ti sarei comunque stato per sempre grato di questo.”
 
“Gaetano…” mormora lei tra i singhiozzi, “tu sei… eccezionale e… generoso, troppo generoso con me. Ma quando mi hai detto quelle cose, io… io ho sentito nel profondo dell’anima che avevi ragione, che ero un’egoista, che… che ti stavo rovinando la vita. Per colpa mia avevi già cancellato un matrimonio e… e volevi un figlio, una famiglia, mentre io ti tenevo intrappolato in un limbo e ti… ti impedivo di essere felice…”
 
“Camilla…” sussurra lui con gli occhi lucidi, recuperando finalmente un briciolo di lucidità e un minimo di controllo sul suo corpo, cedendo all’istinto e abbracciandola più forte che può, sentendo le sue lacrime bagnargli il petto, “basta, ti prego, non voglio che ti fai del male in questo modo, ok? Non voglio che ripensi più a quel periodo, non voglio che rivanghi più il passato e non serve che ti scusi di niente, che mi spieghi niente: tutti e due abbiamo commesso i nostri errori e li abbiamo pagati cari, ma… siamo insieme qui, ora e a me basta questo. So già tutto quello che c’è da sapere, lo sapevo prima ancora che iniziassi a parlare.”
 
Le prende la mano destra, la bacia e se la posa sul cuore, e appoggia poi le dita della sua mano destra su quello di Camilla. La guarda negli occhi intensamente, come a farle capire che le parole non sono necessarie, che stanotte si sono già detti tutto quello che c’era da dire, senza nemmeno aprire bocca.
 
“Gaetano, io avevo bisogno di parlarti, di aprirmi con te, non per scusarmi o per giustificarmi, non solo, ma anche e soprattutto per… per liberarmi. Non sono solo lacrime di tristezza le mie, lo capisci? Capisci cosa significa per me poter condividere finalmente tutto… tutto questo con te?”
 
“Sì,” ammette lui semplicemente, baciandola con tutta la dolcezza di cui è capace, lasciando che le loro lacrime si mescolino nuovamente, “anche per me è… indescrivibile… soprattutto perché tutto quello che hai provato tu, l’ho provato anche io, Camilla, quasi nello stesso identico modo ed è una cosa che non avrei mai osato immaginare.”
 
“Lo so,” mormora lei, asciugandogli poi due lacrime con le labbra, “amore mio, lo so.”

“Shhh,” sussurra lui, tracciando di rimando con la bocca le scie umide sulle guance di Camilla, fino ad arrivare al collo e alla clavicola, “adesso basta parlare, professoressa.”
 
“Mmm, ne sei proprio sicuro Gaetano?” ribatte lei con un tono decisamente più leggero e giocoso, mordicchiandogli il lobo dell’orecchio destro e sentendolo rabbrividire tra le sue braccia, per poi bisbigliare con voce roca, “allora non ti interessa più conoscere i miei ‘sogni Torinesi’?”
 
“Camilla!” esclama, ancora una volta completamente spiazzato da questa donna assolutamente brillante e deliziosamente complicata, sollevando il viso per guardarla negli occhi, in quei bellissimi occhi scuri da cerbiatta che brillano divertiti dietro le ultime tracce di pianto.
 
“Sì?” chiede lei con voce innocente, regalandogli poi il suo migliore sorriso, quello che scatena sempre in lui una voglia matta di levarglielo a suon di baci.
 
“Lo sai che dovresti essere inclusa tra i fattori di rischio per l’infarto, professoressa?”
 
“E tu lo sai che l’attività fisica intensa è sconsigliata per chi è debole di cuore? Peccato…” ribatte lei con un sopracciglio alzato, sciogliendosi dal suo abbraccio e cercando di alzarsi dal letto.
 
“Dove credi di andare?” la ferma immediatamente, prendendola per le spalle e ributtandola sul materasso, usando il suo peso per bloccarla sotto di lui.
 
Camilla si divincola e inizia una lotta senza esclusione di colpi a base di solletico, che termina infine con lui seduto sopra di lei, trattenendola per i polsi: entrambi senza fiato per lo sforzo e con un sorriso ebete stampato sul volto.
 
“Se vuoi confessare ti concedo cinque minuti, professoressa, non uno di più,” dichiara nel tono più serio che riesce a mantenere, date le circostanze, sentendo il desiderio aumentare esponenzialmente mano a mano che la guarda negli occhi, “poi ti avverto che non rispondo delle mie azioni.”
 
“Se questa è la tua idea di minaccia, devi un po’ rispolverare le tue tecniche di interrogatorio, caro il mio vicequestore,” ribatte lei, muovendosi lievemente contro di lui e avvertendo la sua reazione inequivocabile. Si sente improvvisamente ringiovanita di vent’anni, leggera e con la mente sgombra dai pensieri come non le capitava da una vita, felice come non le capitava da… da sempre.
 
“Quattro minuti e mezzo…” controbatte lui, lottando per mantenere il controllo e non cedere all’impulso di farla nuovamente sua in questo medesimo istante. Ringrazia e maledice allo stesso tempo l’assenza di luce nella stanza, perché fatica già a contenersi così, riuscendo appena ad intravederla.
 
“Ok, ok, da dove vuoi che comincio?” concede lei, con tono di chi sta facendo un gran favore al suo interlocutore.
 
“Dall’inizio.”
 
“Mmm, vediamo, ti ho sognato la prima volta lo stesso giorno che ti ho rivisto, o meglio, quella notte. Mi trovavo all’improvviso in piazza Carlo Alberto, e tu eri lì che mi aspettavi, seduto a un tavolino illuminato dalle candele, con due bicchieri di vermouth ed una rosa rossa. Eri elegantissimo e ricordo che ti allentavi lentamente la cravatta e poi prendevi la rosa e ti avvicinavi a me, guardandomi… beh più o meno come mi stai guardando adesso e mi porgevi il fiore. Poi cercavi di baciarmi, io tentavo di resisterti ma ben presto cedevo e mi lasciavo andare tra le tue braccia.”
 
“Beh, non mi sembra un sogno così scandaloso, professoressa,” la punzecchia lui, intenerito ed emozionato allo stesso tempo da questa ulteriore conferma che Camilla, in fondo, è sempre stata sua, nel profondo del suo cuore.
 
“Come corri, vicequestore Berardi,” ribatte lei con un sorriso, “quel sogno che ti ho descritto si è ripetuto per parecchio tempo e ogni volta io capitolavo più in fretta e il bacio cresceva in intensità. E poi una notte ho sognato che…”
 
“Che?” la incita Gaetano, notando anche in penombra le guance di Camilla scurirsi e i suoi occhi socchiudersi, “tre minuti professoressa.”
 
“… Che mi portavi in una cella, con le mani ammanettate dietro la schiena, aprivi le manette e mi sussurravi all’orecchio che volevi ‘la verità, tutta la verità, niente altro che la verità’,” ammette con un sospiro, venendo ricompensata da un suono improvviso che sfugge dalla bocca di Gaetano e che sembra quasi un rantolo. E può percepire chiaramente che questo sogno sta avendo su di lui lo stesso effetto che aveva e ha su di lei.
 
“Io protestavo dicendoti di essere sempre stata sincera, ma tu mi prendevi tra le braccia e ribattevi che non era vero, che io ti volevo tanto quanto mi volevi tu e che… ero la donna della tua vita.”
 
“Direi che sono più saggio in sogno che nella realtà,” mormora Gaetano con una voce talmente arrochita da suonare quasi ferale, “e poi?”
 
“E poi cercavi di baciarmi, mi imploravi di lasciarmi andare e io… io di nuovo resistevo ma dopo poco cedevo e… tu cominciavi a toccarmi, a spogliarmi e di solito mi svegliavo poco prima che potessimo fare l’amore, attaccati alle sbarre della cella,” confessa Camilla, vincendo l’imbarazzo e sentendo il respiro dell’uomo farsi sempre più affannato.
 
In un impulso incontenibile, Gaetano si china su di lei per baciarla, ma lei scosta il viso e gli sussurra, avendoci ormai preso gusto di questo gioco, “eh, no, ho ancora due minuti a mia disposizione, dottor Berardi.”
 
“Camilla!” esala in un mezzo ringhio esasperato, frustrato ed eccitato al tempo stesso.
 
“Non le ho dettate io le regole, Gaetano,” ribatte lei apparentemente serafica, anche se l’incendio sta ormai divampando anche dentro di lei.

“Al diavolo le regole!” replica lui, approfittando della posizione per mordicchiarle un punto debole alla base del collo.
 
“Gaetano!” protesta Camilla, cercando di liberarsi dalla presa dell’uomo ma non riuscendoci: in quella posizione è completamente vulnerabile, alla sua mercé e le sue carezze, i suoi baci le stanno nuovamente facendo perdere il controllo.
 
Improvvisamente, Gaetano avverte un cambiamento in Camilla: rilassa i muscoli e smette di ribellarsi, offrendosi completamente a lui, senza riserve. Le loro labbra si incontrano in un bacio rovente, mente sente le gambe di lei cingergli i fianchi. Non resiste più: deve averla, ora. Si solleva leggermente da lei, poggiandole istintivamente una mano sull’anca ed in una frazione di secondo comprende l’errore commesso.
 
Troppo tardi.
 
Camilla, con la mano lasciata libera, gli da un pizzicotto su un fianco, causandogli uno spasmo involontario, che gli fa allentare la presa anche sull’altra mano. In un istante, si ritrova disteso supino sul materasso, con Camilla seduta sopra di lui, mentre le dita lunghe e delicate di lei gli afferrano i polsi, in una posizione quasi speculare rispetto a quella di poco prima.
 
E il sorriso soddisfatto e malizioso di Camilla è quanto di più erotico abbia mai visto in vita sua.
 
“Adesso è il mio turno, Gaetano,” gli sussurra con un tono di voce basso e carico di promesse, prima di mordergli delicatamente il labbro inferiore e catturare poi la sua bocca in un bacio di una sensualità disarmante.
 
Sanno entrambi che lui potrebbe benissimo liberarsi se volesse, che lei non ha né la forza, né il peso, né l’allenamento necessario per tenerlo realmente bloccato sotto di sé, ma questa è una prigionia da cui Gaetano non ha la benché minima intenzione di tentare di “evadere”.
 
Completamente rapito, le cede totalmente le redini e il controllo, e tra le braccia di questa donna unica ed incredibile, geisha ed amazzone insieme, scopre ancora una volta sensazioni ed emozioni sconosciute e assurdamente familiari allo stesso tempo, affogando nelle più oscure profondità dell’oceano, per poi riemergere dalla schiuma dei flutti, rinato a vita nuova, indissolubilmente fuso con quella che è sempre stata, è, e sempre sarà la parte migliore di sé.
 
La luce non ha mai brillato così pura, folgorante e limpida come nel buio di quella stanza.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Io, tu e noi ***


Nota dell’autrice: ed eccoci qui ad un nuovo capitolo di transizione, che getta le basi per un po’ di eventi futuri e che spero non sia troppo noioso. Nel prossimo capitolo si torna decisamente più nel vivo e ci saranno ancora parecchi sviluppi da qui in poi, non siamo ancora vicini al finale e spero che il “viaggio” sia sempre interessante per voi che leggete. Come sempre ogni commento, anche negativo è utilissimo e mi aiuta a migliorarmi e a capire i miei errori e i miei difetti nello scrivere ;).
 


Capitolo 13: Io, tu e noi


Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro 



“Camilla, Camilla, svegliati!”
 
“Mmmm…” mugugna insonnolita, raggomitolandosi istintivamente ancora di più nel lenzuolo, debole scudo contro i brillanti raggi del sole che bruciano scarlatti dietro le palpebre chiuse.
 
Ma il tessuto si ritira con un colpo secco dalle sue mani, mentre un terremoto improvviso, che la sua mente intorpidita realizza essere un sobbalzo del materasso, la sveglia completamente.
 
“Ma sei proprio incorreggibile!” esclama con un sorriso che contraddice l’apparente lamentela, “non dirmi che hai ancora voglia di giocare, amo-“
 
La parola le muore sulle labbra e sente il viso avvampare e farsi di mille colori quando apre finalmente gli occhi e incontra due iridi nocciola che la guardano divertite e innocenti.
 
“Tommy!” esclama con un tuffo al cuore, sedendosi sul letto ad una tale velocità da farle girare la testa.
 
“Dai, Tommy, smettila di saltare sul letto: Camilla ha ragione, è presto per giocare,” interviene una voce familiare e decisamente divertita, anche se venata da una punta di imbarazzo.
 
Camilla si volta in direzione della porta e lo vede: appoggiato allo stipite, con indosso solo i boxer e una maglietta, bello come il sole e con una faccia da schiaffi, che contrasta però con lo strano rossore soffuso sul volto.
 
“Scusami, Camilla, sei arrabbiata?” chiede il bimbo con la vocina irresistibile che usa quando vuole farsi perdonare qualcosa, guardandola con due occhioni che sono un’arma impropria. Talis pater…
 
“Ma no, amore, non sono arrabbiata, anzi,” risponde lei con un sorriso, tirando delicatamente a sé il bimbo e abbracciandolo forte, indirizzando allo stesso tempo uno sguardo grato a Gaetano per la prontezza di spirito dimostrata e ringraziando il cielo per non averle fatto usare parole ancora più compromettenti.
 
“Se sei così vispo di prima mattina vuol dire che stai meglio, o sbaglio?” gli chiede, sciogliendo lievemente l’abbraccio per osservarlo bene.
 
“Altroché: alle sette era già sveglio come un grillo, mi sa che ha dormito troppo nei giorni scorsi e ora vuole recuperare,” conferma Gaetano con un sorriso.
 
“E tu invece? Sbaglio o dovresti rispettare il più assoluto riposo?” ribatte lei con una punta di ironia nella voce.
 
“Credo di essere quasi guarito anche io sai, professoressa?  Non mi sono mai sentito tanto ritemprato come stamattina."
 
Un lampo, uno scambio di sguardi, un sorriso complice: non era stato facile separarsi alle prime luci dell’alba, dopo la notte d’Amore – Amore puro, vero, fisico e… spirituale – più meravigliosa e magica della loro vita. Gaetano aveva provato quasi un dolore fisico nel lasciare quel letto e l’abbraccio di Camilla, e lo stesso aveva sentito lei nel vederlo rivestirsi e andarsene da quella stanza. E né le temperature miti di inizio giugno, né la camicia da notte che aveva indossato in modo quasi meccanico, né le lenzuola di cotone avevano in alcun modo riscaldato quel letto, divenuto repentinamente freddo.
 
Ma il buonsenso e la prudenza avevano suggerito loro che era meglio per ora che Tommy non si accorgesse che Gaetano aveva passato la notte con Camilla. Anche se Gaetano le aveva rivelato con un sorriso che Tommy aveva dato a lei e a Potty, e solo a loro, l’autorizzazione ufficiale per dormire nel letto con suo padre, il bambino, come tutti a quell’età, era candido, sincero e senza malizia.
 
Già temevano a sufficienza la prossima telefonata di Eva, che non avrebbe ormai tardato: dopo l’incendio non aveva fortunatamente più chiamato e quindi per ora avevano potuto evitare uno scontro diretto. Ma sia Gaetano che Camilla erano sicuri che non solo sarebbe andata nel panico per l’incidente, ma che non sarebbe stata affatto entusiasta (per usare un eufemismo) della convivenza, anche se solo provvisoria, tra di loro. E se Tommy si fosse lasciato scappare di averli trovati a dormire insieme, sarebbe stata l’apocalisse.
 
Inoltre, ok che Livietta era sveglia e che apparentemente la schiettezza sembrava essere la migliore arma per fare breccia nel muro che aveva costruito verso “gli adulti”, ma, come aveva già detto lei stessa molto chiaramente, c’erano dettagli che preferiva decisamente non sapere. A maggior ragione non scoprirli da Tommy.
 
E, visti gli sviluppi mattutini e la vivacità ritrovata del bimbo, la decisione si era rivelata indiscutibilmente saggia.
 
“E a che cosa devo questa ‘dolce’ sveglia di sabato mattina presto?”
 
“Ti abbiamo portato la colazione!” annuncia il bimbo con uno sguardo orgoglioso e soddisfatto, indicando un vassoio appoggiato sullo scrittoio.
 
“La colazione a letto? Addirittura? Ma grazie, non dovevate…” dice emozionata, osservando Gaetano porgere al bimbo una rosa rossa, che lui le presenta fierissimo, mentre il padre si avvicina con le vivande.
 
“Grazie,” sussurra commossa al bimbo, accettando la rosa, abbracciandolo e baciandolo sulla fronte, prima di lasciare che Gaetano le posizioni il vassoio sulle gambe, ringraziando anche lui con un bacio sulla guancia, ripromettendosi di esprimergli tutta la sua gratitudine in privato.
 
“Mmm, che buoni questi cornetti!” mormora Camilla estasiata, leccandosi le labbra per pulire uno sbaffo di crema e torturando involontariamente Gaetano, colto da un improvviso moto di gelosia verso la crema pasticcera, “ma dove li avete comprati?”
 
“Li ha portati lo zio Torre,” spiega il bimbo, o meglio ci prova, tra un morso di croissant e l’altro.
 
“Tommy: non si parla con la bocca piena, lo sai,” gli fa notare Gaetano pulendogli le guance con un tovagliolo di carta e scatenando un involontario sorriso di Camilla: sono davvero bellissimi insieme.
 
“Scusa, papà,” mormora il bimbo, “è che è tanto buono…”
 
“Lo zio Torre porta sempre cose squisite,” commenta Camilla intenerita, sorseggiando il suo caffè, “quando lo senti digli che lo ringrazio di cuore, ma che non dovrebbe disturbarsi tanto.”
 
“Eh, figurati, lo sai come è fatto, no?” risponde Gaetano con un sorriso, “e poi doveva aggiornarmi su un paio di cose urgenti di lavoro.”
 
Lo sguardo di intesa di Torre mentre gli porgeva i cornetti proclamando che “la crema aiuta a recuperare le energie, dottò!”, preferisce invece decisamente tenerselo per sé.
 
“Mi stai dicendo che non hai il sabato libero, dottor Berardi?” chiede Camilla con un tono rassegnato ma comprensivo: sa benissimo che quello del poliziotto è un lavoro che non ha rispetto per orari, festività e ricorrenze.
 
“Tra un’ora ho il padre di Sabrina in questura ed è un interrogatorio a cui devo assistere, lo capisci, vero? E non mi sembra proprio il genere di persona che posso far venire a colloquio qui…”
 
“Ma per la carità!” esclama Camilla, rabbrividendo al sol pensiero di quell’uomo snob e arrogante (a voler essere gentili) a casa sua: già immagina l’espressione schifata che avrebbe indirizzato ad ogni singola stanza e pezzo di mobilio.
 
“E poi mi da l’idea di essere il tipo di testimone a cui l’ambiente della questura può fare solo bene,” aggiunge sarcastica, addolcendosi la bocca con un ulteriore morso di croissant.
 
“Se intendi dire che dobbiamo mettergli un po’ di strizza, sono d’accordo con te,” ribatte Gaetano dopo un sorso di caffè, come sempre ammirato dalla capacità innata di Camilla di comprendere l’animo umano e di sapere istintivamente quale tattica psicologica utilizzare con l’interlocutore. E si ritrova a pensare, non per la prima volta, che potrebbe dare lezione a molti dei suoi agenti – e forse anche a lui.
 
“Papà, ma allora oggi non stiamo insieme?” chiede Tommy dopo aver deglutito accuratamente l’ultimo pezzo del suo cornetto, afferrando la tazzona del latte con l’Orzo Bimbo. Camilla non sa cosa sia più toccante: se l’espressione delusa del bambino o il modo in cui sembra assorbire come una spugna ogni insegnamento del padre. Certo, questo mette Gaetano in una posizione di enorme responsabilità e non è sicura che l’uomo se ne renda ancora conto al 100%, ma non vuole di certo spaventarlo o mettergli addosso una perenne “ansia da prestazione” nel relazionarsi con suo figlio.
 
“Ma certo che stiamo insieme, anzi, ditemi un po’ che ve ne pare di questo programma: io torno per pranzo, potremmo mangiarci quella teglia di cannelloni al brasato avanzati da ieri, così voi due vi godete la mattinata in pace. Poi possiamo andare allo Zoom, che ne dite?” propone, sperando che Camilla sia d’accordo: sono mesi che il bimbo insiste per andare a visitare il bioparco, da quando ne aveva sentito meraviglie da un suo compagno d’asilo. Ma prima c’era stata la chiusura invernale e poi non aveva mai avuto il tempo di accompagnarlo.
 
“Sìììììììììììì,” è l’urlo estatico di Tommy, che per poco non rovescia mezza tazza d’orzo sul letto.
 
“Come si suol dire… una proposta che non posso rifiutare,” replica Camilla ridendo di fronte alla reazione del bambino, “a patto che tu porti il collare e non ti stanchi troppo, Gaetano, che mi servi in forze.”

“Agli ordini, professoressa!” ribatte lui facendole il saluto militare e l’occhiolino.
 
“E per finire la giornata possiamo o andarci a mangiare una pizza o ordinare un takeaway e guardarci un altro film insieme,” propone, escludendo il cinema, che per un bimbo dell’età di Tommy, che alle dieci di solito già crolla dal sonno, è decisamente ancora troppo impegnativo.
 
“Pizza!” esclama Tommy ancora più felice, finendo la sua tazza di latte di corsa.
 
“Approvo incondizionatamente,” dichiara Camilla sorridente, scompigliando i capelli al bimbo: è impossibile non essere contagiati dal suo entusiasmo.
 
“Posso andare a cambiarmi, papà?” chiede il bimbo, con tono da ometto e l’espressione di chi non sta più nella pelle.
 
“Sì, certo, metti i vestiti che ti ho lasciato sulla sedia e ricordati di lavarti i denti…”
 
Il bimbo annuisce e, dopo aver dato un abbraccio fortissimo ai due adulti, corre fuori dalla stanza.
 
“Grazie,” mormora Gaetano a Camilla, cingendole le spalle e dandole un rapido bacio sulla bocca.
 
“E di cosa? Grazie a te, per la colazione e per il… salvataggio,” gli sussurra Camilla di rimando, abbracciandolo più forte e nascondendo la testa nel suo petto.
 
“Beh, sono ben felice di sapere che ti svegli pensando a me,” replica lui accarezzandole i capelli, “e poi ti ringrazio per esserti adattata a questa giornata… a misura di bambino. Che non si prospetta esattamente rilassante.”
 
“No, in effetti hai messo in piedi un bel programmino intenso, di quelli che fanno divertire da morire i bimbi ma che li fanno anche cadere addormentati come pere cotte molto presto alla sera,” replica lei con un sorriso malizioso, “peccato che potrebbero avere anche lo stesso effetto sugli accompagnatori adulti, sai?”
 
“Cosa stai insinuando professoressa? Prima di tutto, quando Tommy ha l’argento vivo addosso come oggi è una questione di sopravvivenza, e poi…”
 
“E poi?”
 
“E poi ho un metodo infallibile per… risvegliare l’attenzione delle… accompagnatrici adulte,” le sussurra in un orecchio, trattenendosi a forza dal mordicchiarle il lobo: non è il caso di torturarsi iniziando qualcosa che non sarà possibile riprendere per molte ore.
 
“Accompagnatrici? A parte i sottotesti ambigui e Freudiani che evoca questo termine, ti avviso che l’uso del sostantivo femminile plurale può essere molto, ma molto pericoloso, caro il mio vicequestore,” replica lei con un sopracciglio alzato e una punta di gelosia nella voce.
 
“Sei tu che hai utilizzato quel temine, anche se al maschile, e iniziato a parlare al plurale, Camilla, e poi ti garantisco che per me esiste un solo e unico sostantivo femminile, che contiene, definisce, sovrasta e annulla tutte le altre esponenti della categoria. Quindi non parlerei né di singolare, né di plurale, ma di nome proprio. La Donna, con la D maiuscola ed enfasi sull’articolo.”
 
“Mi stai parafrasando Conan Doyle, Gaetano?” ribatte lei con un sorriso soddisfatto, come sempre piacevolmente sorpresa da quest’uomo, capace di citare con la stessa medesima naturalezza articoli del codice penale, frammenti di poesie o brani di letteratura.
 
“E se fosse… cara la mia Irene?” chiede lui con tono divertito.
 
“Mmm… prima di tutto chiamarmi con un nome proprio femminile diverso dal mio è un’altra cosa che può nuocere gravemente alla salute, soprattutto in certi momenti, anche se è il nome di una delle donne più affascinanti ed intelligenti della storia della letteratura. E in secondo luogo voglio sperare che tu di Holmes condivida al massimo il fiuto investigativo – e a questo punto direi una certa dose di megalomania – e non altre… abitudini. O mi devo preoccupare?”
 
“Camilla, me lo spieghi dove la potrei mai trovare un’altra che possa anche solo minimamente paragonarsi a te? Tu Irene Adler te la saresti mangiata a colazione, insieme ai croissant alla crema. E poi ti garantisco che l’unica droga per me sei tu,” proclama lui guardandola in quel modo tra l’esasperato e l’adorante che l’ha sempre fatta impazzire, tracciandole il contorno delle labbra con un pollice.
 
“Gaetano…” esala lei in un sussurro, gettando la cautela alle ortiche e lasciandosi andare a quel contatto indiscutibilmente pericoloso, mentre i loro visi si fanno sempre più vicini.
 
Lo squillo del cellulare di Camilla, appoggiato sul comodino, li salva in corner da una situazione “altamente infiammabile”. Gaetano la osserva mentre parla all’apparecchio e fissa un appuntamento per la mattinata.
 
“Era la mamma di Sabrina… mi ha chiesto di vederci a casa sua e non me la sono sentita di dirle di no,” gli rivela, dopo aver chiuso la conversazione, “anche perché la concomitanza di orario con l’interrogatorio del marito non mi sembra casuale.”
 
“No, direi che in questo caso le coincidenze decisamente non esistono. Hai fatto bene ad accettare,” le conferma Gaetano, aggiungendo poi con sguardo preoccupato, “però Camilla, mi raccomando…”
 
“Tranquillo, farò attenzione, ma dubito che un tè nella villa dei Migliasso sia così pericoloso, non siamo realmente in una storia di Conan Doyle o della Christie,” ribatte lei con un sorriso, aggiungendo poi, colta da un improvviso dubbio, “e Tommy?”
 
“Tommy lo porto con me, la Lucianona è sempre felice di occuparsene, ed è meglio che con la madre di Sabrina tu possa parlarci da sola.”
 
“Dovremmo proprio trovarci una nuova babysitter, sai?” commenta Camilla sovrappensiero, alzandosi dal letto per andarsi a vestire.
 
“Dovremmo?” chiede Gaetano con un sopracciglio alzato ed aria divertita.
 
“Cioè… dovresti,” replica Camilla, arrossendo imbarazzata da questo lapsus Freudiano.
 
“Ehi professoressa,” le sussurra afferrandole delicatamente un polso, tirandola a sé e facendola sedere sulle sue ginocchia, “a me questo plurale non disturba affatto, anzi, tutto il contrario.”
 
Un sorriso, un bacio che termina troppo presto e sono entrambi pronti ad affrontare il mondo.
 
**************************************************************************************
 
“Mi scusi!” esclama Camilla cercando di attirare l’attenzione di una ragazza che, dall’uniforme, riconosce essere una delle “Keeper” del parco.
 
Con due bottigliette d’acqua e una lattina in mano, sotto il sole particolarmente caldo per essere inizio giugno, cerca disperatamente di ritrovare il “tempio delle Tigri” e si maledice per essersi offerta di andare al bar da sola, vincendo le resistenze cavalleresche di Gaetano e lasciandolo a godersi lo spettacolo del bimbo incantato davanti a quegli enormi e regali felini.
 
“Mi scusi!” ripete più decisa, arrivandole alle spalle, e riuscendo infine a far sì che la giovane si giri verso di lei, “mi scusi, mi saprebbe dire dove si trovano i le tigri? Mi sono persa e non ho la mappa con me…”
 
“Sono proprio dalla parte opposta del pa-“ le risponde meccanicamente la ragazza – tra i venticinque e i trent’anni, mora, occhi scuri, formosa – prima di bloccarsi improvvisamente e squadrarla come se avesse visto un fantasma.
 
“PROF.?” le chiede con tono improvvisamente animato, mentre gli occhi tradiscono ancora sorpresa, per poi aggiungere, con maggiore sicurezza, “professoressa Baudino!”
 
“Sì, sono io, ci conosciamo?” domanda a sua volta Camilla, altrettanto stupita, osservando meglio la ragazza e cercando di identificarla tra le sue conoscenze passate. L’appellativo è quello tipico degli ex alunni, ma lei è arrivata a Torino da meno di un anno e non ha ancora ex studentesse nel capoluogo Torinese, figuriamoci di quest’età… E poi un flash improvviso, mentre scruta quegli occhi scuri che celano una punta di delusione.
 
“Misoglio!” esclama, riuscendo finalmente a dare un nome a quegli occhi e a quel volto, “Ilenia Misoglio, istituto Fibonacci di Roma… quanti anni sono passati? Sette? Otto?”
 
“Otto, prof., otto anni,” replica Ilenia con un grande sorriso, velato da una traccia di malinconia.
 
“Sei cambiata tanto, quasi non ti riconoscevo! Ti trovo benissimo,” ammette la donna, osservando meglio la sua ex alunna.
 
“Grazie, prof., anche io la trovo davvero bene, sa? Questa pettinatura le dona, o non so… sarà il trucco, ma mi sembra addirittura ringiovanita dall’ultima volta che l’ho vista, più… luminosa,” replica la giovane con un sorriso e un tono che paiono sinceri, “qual è il suo segreto?”
 
Uno squillo di cellulare, quasi a leggerle nel pensiero, la interrompe prima che possa formulare una risposta.
 
“Gaetano!” risponde, sentendosi arrossire e pronunciando ad alta voce il nome che le era balenato nella mente pochi secondi prima, come risposta alla domanda di Ilenia.
 
“Camilla, dove sei? Tutto bene?” la raggiunge la voce preoccupata dell’uomo dall’altro capo della cornetta.
 
“Sì, tutto bene… tra pochi minuti sono lì, non ti preoccupare. Siete sempre davanti alle tigri?”
 
“Sì, esatto, allora ti aspettiamo qui?”
 
“Sì, pochi minuti e arrivo,” lo rassicura lei, chiudendo la telefonata e rivolgendo uno sguardo implorante a Ilenia, “devo tornare alla zona delle tigri. Mi potresti indicare la strada?”
 
“Ma l’accompagno io, ci mancherebbe altro,” risponde la ragazza, cominciando a camminare e facendo cenno a Camilla di seguirla.
 
“Grazie!”
 
Per qualche secondo camminano in silenzio, fianco a fianco, poi Ilenia sembra prendere coraggio e si rivolge a Camilla.
 
“Mi scusi per la curiosità, ma posso chiederle come mai è a Torino? È qui in vacanza?”
 
“No, no, mi sono trasferita qui da quasi un anno ormai… Sono capitate tante cose da quando ci siamo viste l’ultima volta, molti cambiamenti,” ammette, riflettendo sul fatto che “molti cambiamenti” sia perfino riduttivo come definizione.
 
“Eh, a chi lo dice, prof., anche nella mia vita sono cambiate tante cose, sa? Per fortuna, nella maggior parte dei casi, in meglio,” dichiara Ilenia, voltandosi verso di lei per guardarla negli occhi.
 
“Beh, almeno la città tu non l’hai cambiata, o sbaglio? Ti ho lasciata che partivi per Torino e qui sei rimasta,” risponde Camilla con un sorriso, che contrasta con il tono di voce, decisamente serio. Ricordava benissimo in quali circostanze Ilenia aveva dovuto cambiare città, per fuggire da un padre padrone violento e dittatoriale.
 
“Sì, mi sono trovata bene qui a Torino… E lei? Insegna ancora, spero?” replica la ragazza, lasciando trapelare nella voce la gratitudine che ancora prova verso Camilla, “di insegnanti come lei ce ne vorrebbero di più.”
 
“Ti ringrazio per il complimento, anche se non sono convinta che tutti i miei attuali studenti la pensino così, sai?” risponde Camilla con un sorriso e una traccia di commozione, “insegno al Nelson Mandela adesso.”
 
“Al Nelson Mandela? Non la invidio per nulla, prof. È un ambiente…”
 
“Difficile? Lo so, me lo dicono tutti da quando sono arrivata a Torino…”
 
“Io l’ho frequentato per pochi mesi, dopo essermi trasferita da Roma: era l’unico istituto disponibile a prendermi in corso d’anno e ci ho anche fatto la maturità. Almeno sono riuscita a non perdere l’anno e a diplomarmi, ma diciamo che non ne ho un gran bel ricordo,” le spiega la giovane, tormentandosi con le dita una ciocca di capelli, “essendo l’ultima arrivata i compagni mi hanno presa abbastanza di mira e ci andavano giù pesante. E poi c’erano alcuni professori da far spavento: o avevano issato bandiera bianca e non insegnavano neppure, o erano dei veri nazisti. Tipo quello di matematica, com’è che si chiamava…?”
 
“Pellegrini, per caso?” chiede Camilla con una punta di sarcasmo nella voce, notando che il collega aveva lasciato il segno.
 
“Sì, Pellegrini! Oddio, c’è ancora, prof? Ricordo che ci voleva bocciare tutti, per fortuna non era in commissione all’esame.”
 
“Sì, c’è ancora e non è cambiato affatto,” le conferma Camilla con un sospiro, “e poi cosa hai fatto dopo il diploma? Se posso chiedertelo, ovviamente.”
 
“Ma certo, prof.! Dopo il diploma ho deciso di buttarmi e tentare il test di veterinaria… Venendo da un istituto tecnico partivo svantaggiata, poi non ero proprio una studentessa modello, ma volevo fare un lavoro in cui potessi prendermi cura degli animali, lei sa bene il perché, no?”
 
Camilla annuisce e le posa una mano sulla spalla: la morte del fratello aveva segnato profondamente la vita di Ilenia. Forse occuparsi degli animali che lui tanto amava era un modo per tenere vita la sua memoria.
 
“Il primo anno non ce l’ho fatta a passare e mi sono iscritta a biologia. Ho studiato come una matta, dovevo pure lavorare, non è stato facile... Mi sono fatta dare ripetizioni da uno studente di veterinaria che era molto bravo e ce l’ho fatta a passare l’anno successivo. Poi mi sono appassionata, mi sono abituata a studiare e… mi sono laureata, sempre facendo mille lavoretti per mantenermi, ma ce l’ho fatta. Ho fatto la tesi qui allo Zoom e ci sono rimasta.”
 
“Beh, complimenti, devi essere molto orgogliosa, Ilenia!” risponde Camilla con un sorriso, ammirata dalla forza di volontà della ragazza. Ilenia alle superiori non era proprio una studentessa brillante, forse anche perché svogliata o per via dei problemi in famiglia. In tutta onestà non si sarebbe mai aspettata da lei che si laureasse, a maggior ragione in una facoltà difficile come veterinaria. Ma la passione, come sempre, fa miracoli.
 
“Sì, lo sono, prof., forse non è bello da dire, ma lo sono,” ammette la ragazza rispondendo al sorriso.
 
“E ti trovi bene qui? Ti occupi degli animali, giusto?”
 
“Sì, mi occupo degli animali e di alcune dimostrazioni per i visitatori. E mi ci trovo bene, è un bell’ambiente, ma ad essere sincera il mio sogno sarebbe poter viaggiare per un periodo e vedere gli animali nel loro habitat naturale, in Africa e in Asia soprattutto. Ma è costoso e quindi sto cercando di mettere da parte un po’ di soldi prima, anche per mia madre... E poi in prospettiva magari vorrei aprirmi uno studio e crearmi un giro di clienti, ma non è facile, ci vogliono soldi e bisogna conoscere un po’ di gente prima, farsi un nome…”
 
“E quindi fai ancora mille lavoretti?” chiede Camilla, impressionata dalla determinazione della ragazza.
 
“Eh, sì, compatibilmente con i miei orari qui…”
 
“E i tuoi compagni, senti ancora qualcuno?” chiede Camilla curiosa: ritrovare i suoi studenti dopo anni e sapere “che fine hanno fatto” è sempre un’esperienza straniante ed emozionante insieme.
 
“Ogni tanto sento Sammy, lo sa che si è sposata da poco?”
 
“No, non lo sapevo. Non dirmi che si è sposata con Marchese?” risponde Camilla, in cuor suo dubitandone: gli amori del liceo raramente durano tanto a lungo, ma ci sono le eccezioni.
 
“No, no, si è sposata con un ispettore di polizia, un po’ più grande di lei. Sa, il fascino della divisa…” commenta Ilenia con un sorriso.
 
“Ah, guarda, su quello con me sfondi una porta aperta,” ribatte Camilla trattenendo a stento una risata: a quanto pare è un’epidemia, “e poi hai sentito qualcun altro?”
 
“Ogni tanto ci sentiamo su facebook con Debby, Allegra e Viola, ma capita di rado. Però stanno organizzando una rimpatriata di classe giù a Roma il mese prossimo…”
 
“E tu ci andrai?”
 
“Non lo so… potrei anche prendermi un paio di giorni di ferie, anche se siamo nel periodo più incasinato dell’anno, ho parecchi colleghi che mi devono delle ore, ma come le ho detto sto cercando di tenere da parte un po’ di soldi e un viaggio a Roma non è proprio a buon mercato.”
 
“Beh, se vuoi potrei chiedere a mia madre di ospitarti. Abita ancora a Roma col marito e penso che non avrebbe nulla in contrario, ovviamente lo dico a tuo rischio e pericolo, ti avverto che mia madre ha un bel caratterino,” propone Camilla senza quasi nemmeno pensarci.
 
“Non lo so, lei è troppo gentile prof., però non vorrei disturbare sua madre…” commenta Ilenia sovrappensiero, per poi aggiungere, dopo un attimo di riflessione, come colta da un’illuminazione, “ma perché non viene anche lei, prof.? Sono sicura che a tutti farebbe piacere rivederla, lei è sempre stata la nostra prof. preferita e ne abbiamo passate tante insieme, no? Ci ha aiutato tanto in tante occasioni, e so che anche le altre ragazze la ricordano con grande gratitudine.”
 
“Oddio, non lo so, non vorrei essere di troppo a una rimpatriata di studenti, e poi innalzerei terribilmente l’età media,” ribatte Camilla con un sorriso, anche se l’idea di rivedere i suoi alunni in fondo non le dispiace affatto: la classe di Ilenia è forse in assoluto quella che ricorda con più piacere e affetto. Inoltre potrebbe essere una buona occasione per andare a trovare sua madre e vedere come procedono le cose a Roma, senza dover passare tutto il tempo con lei e Amedeo. E poi sarebbe periodo di ferie e magari anche a Livietta piacerebbe fare un salto nella capitale, nonostante la storia finita male con Ricky.
 
“Ma che di troppo? E poi lei è ancora giovanissima, prof.!” replica Ilenia ricambiando il sorriso, “che cosa ne dice se io ne parlo agli altri e le faccio sapere se sono d’accordo e intanto lei ci pensa e mi da una risposta? Posso lasciarle il mio numero di cellulare…”
 
Si scambiano il numero di cellulare e continuano a camminare: senza quasi accorgersene, sono arrivate vicino al “tempio” delle Tigri e Camilla scorge in lontananza la figura inconfondibile di Gaetano. Forse sarà di parte, ma ai suoi occhi spicca in mezzo a qualunque folla: nessuno degli uomini intorno a lei è minimamente paragonabile a lui.
 
“Gaetano!” grida, attirando la sua attenzione.
 
“Camilla, finalmente! Non arrivavi più, mi stavo preoccupando,” esclama l’uomo con un’espressione sollevata e un sorriso sulle labbra, avvicinandosi a loro lentamente, dato che tiene Tommy per mano.
 
“Oddio, non ci credo: ma è il suo amico commissario, quello fighissimo!” esclama Ilenia, arrossendo dopo essersi resa conto, dallo sguardo di Gaetano, di averlo detto ad alta voce.
 
“Mi sono perso qualcosa?” chiede l’uomo, divertito e forse anche un po’ compiaciuto, alternando lo sguardo tra la ragazza, che per lui è ancora una sconosciuta e la sua Camilla, entrambe del colore di un peperone.
 
“A parte che evidentemente è destino che tutte le mie studentesse o ex studentesse ti trovino… fighissimo,” gli risponde, sussurrando l’ultima parola: non vuole che Tommy la ascolti troppe volte, col rischio che poi la ripeta nel momento meno opportuno, “ti ricordi di Ilenia Misoglio?”
 
“Mi dispiace, ma temo di no,” ammette, passando dal compiacimento all’imbarazzo.
 
“Non si preoccupi, è normale che non si ricordi di me… Magari però si ricorda di mio fratello, Mauro Misoglio, detto Black, il punkabbestia del Pincio…” spiega la ragazza con un tono improvvisamente serio e gli occhi velati di tristezza, glissando sull’omicidio, data la presenza del bimbo.
 
“Sì, certo, adesso ho capito,” le risponde Gaetano in tono altrettanto serio, mentre gli sovvengono alla memoria i dettagli di uno dei tanti casi in cui l’intervento della sua Camilla si era rivelato risolutivo.
 
“Cos’è una panca a bestia?” interviene Tommy con sguardo curioso, osservando i tre adulti conversare.
 
Camilla e Gaetano si guardano per un secondo: un cenno di intesa e Camilla si china verso il bimbo.
 
“I punkabbestia sono… persone che non hanno una casa fissa, che girano le città, il mondo, che vivono per strada e si accompagnano sempre a dei cani. E a volte si esibiscono in spettacoli, ad esempio facendo musica o i giocolieri, o chiedono l’elemosina,” spiega Camilla aprendogli la lattina, infilandoci una cannuccia e porgendogliela.
 
“Come il circo?”
 
“Non proprio…” gli risponde, rimettendogli a posto il cappellino che lo protegge dal sole.
 
“Alla faccia dei cambiamenti, prof.!” commenta Ilenia, sorridendo toccata da quella scena, “pensi che Sammy e Debby dicevano che c’era qualcosa tra lei e il suo amico commissario, avevamo pure fatto delle scommesse in classe, sa? E adesso vi trovo qui, insieme e con un figlio…”
 
“Scommesse?” chiede Camilla, stupita dall’intuito dei suoi allievi, mentre Gaetano ormai non si sorprende più di nulla: a quanto pare c’erano più puntate sull’esito della loro relazione che su una finale di Champions League.
 
“Comunque Tommy non è nostro figlio,” precisa poi la donna, notando che Gaetano non interviene a correggere la ragazza, “cioè, è figlio di Gaetano e la sua mamma è una fotografa bravissima che adesso è nelle Filippine per un reportage, vero, amore?”
 
Il bimbo annuisce sorridendo orgoglioso e Gaetano si sorprende per l’ennesima volta dell’abilità di Camilla di districarsi in argomenti così delicati, riuscendo ad essere corretta e rispettosa del ruolo di Eva, senza ferire i sentimenti di Tommy con quello che potrebbe essere percepito con un rifiuto, se non espresso bene.
 
“Una spedizione nelle Filippine è uno dei miei sogni di sempre, la tua mamma fa un lavoro bellissimo, Tommy,” risponde Ilenia, sorridendo di rimando al bambino.
 
“Tu sei un’amica di Camilla?” chiede il bimbo, guardandola incuriosito, per poi porgerle la mano, come un ometto e dirle, “io sono Tommy, piacere.”
 
Camilla e Gaetano si guardano, sorpresi e inteneriti da questo gesto di Tommy, che, come ogni tanto accade, li spiazza con delle uscite da “grande”.
 
“Io sono Ilenia e il piacere è mio, Tommy”, gli risponde la ragazza porgendogli la mano con un sorriso, “e la prof. Baudino, cioè Camilla, era una mia insegnante un po’ di anni fa.”
 
“Davvero? Ma tu lavori qui con gli animali?” chiede Tommy, attirato dall’uniforme della ragazza.
 
“Sì, esatto. Ti piacciono le tigri?”
 
“Tanto!” conferma il bimbo entusiasta, ammettendo poi a voce più bassa, “ma sono grosse, fanno un po’ paura.”
 
“Eh, hai ragione, è meglio ammirarle da lontano,” risponde la ragazza con un altro sorriso, “e dimmi, quali animali ti piacerebbe vedere adesso?”
 
“Le giraffe!” esclama con gli occhi che brillano, mentre Camilla e Gaetano si scambiano uno sguardo di intesa: è da quando sono arrivati al parco che Tommy insiste per andarle a vedere, ma prima c’era troppa gente.
 
“E ti piacerebbe aiutarmi a dare loro da mangiare? Tra poco è l’orario prestabilito,” gli propone con un sorriso, rivolgendosi poi a Camilla e a Gaetano, “se voi non avete nulla in contrario, ovvio, ma non è pericoloso e c’è anche un’altra mia collega.”
 
“No, no, certo che non abbiamo nulla in contrario,” replica Gaetano, sorpreso, “ma… non pensavo si potesse, non è un problema?”
 
“Di solito bisogna prenotarsi prima e lo facciamo solo in certi periodi, ma posso fare un’eccezione,” replica facendo loro l’occhiolino, “dai, seguitemi.”
 
E così percorrono un pezzo di “savana”, con Tommy che non sta più nella pelle e tartassa Ilenia di domande su tutti gli animali, a cui la ragazza risponde volentieri.
 
Dopo aver scambiato due parole con l’altra Keeper, li fa passare all’area di solito riservata allo staff.
 
“Quanto sono grandi!” esclama Tommy, guardando con gli occhi sgranati quegli altissimi animali, che rimangono impressionanti anche da quell’area rialzata e protetta in cui si trovano e che consente loro quasi di guardarli negli occhi.
 
“Vieni con me, non avere paura, che sono buonissime, basta che fai come faccio io, ok?” lo esorta Ilenia avvicinandosi alle casse di carote e foglie d’acacia, “venite anche voi, prof.?”
 
E così si dedicano a turno a porgere il cibo agli animali, che lo afferrano allungando collo e lingua, mentre Ilenia e la sua collega rispondono pazientemente alle domande di Tommy, che, passata la paura iniziale, è di un entusiasmo irrefrenabile.
 
Terminato il “feeding” delle giraffe, Ilenia annuncia loro che deve dare da mangiare anche ai pinguini, chiedendo se vogliono assistere. Né Camilla, né Gaetano se la sentono di rifiutare, cedendo incondizionatamente di fronte allo sguardo trasognato di Tommy. E così si trovano nell’area staff della vasca, osservando da vicino Ilenia e la sua collega mentre nutrono e controllano lo stato di salute di quei meravigliosi uccelli acquatici.
 
Ormai il turno di Ilenia è terminato e l’orario di chiusura si avvicina e accettano ben volentieri l’invito della ragazza a prendersi un caffè al bar lì vicino. Tommy, ancora incontenibile ed esaltatissimo, sottopone Ilenia a un fuoco di fila serratissimo di domande, a cui la ragazza risponde pazientemente, di buon grado.
 
“Tuo figlio ha un vero talento per gli interrogatori, del resto tra te ed Eva era prevedibile, alla genetica non si sfugge,” sussurra Camilla a Gaetano quando lasciano il bar e, insieme ad Ilenia, si incamminano verso l’ingresso del parco.
 
“Senti chi parla, il bue che dice cornuto all’asino”, la rimbecca lui con un sorriso, cingendola ancora più forte per le spalle.
 
“Basta dirti grazie? Sei stata gentilissima, Ilenia!” esclama Camilla con gratitudine, quando si fermano per i saluti all’entrata del bioparco.
 
“Ma si figuri prof., è un piacere per me, ed è solo un piccolo ringraziamento per tutto quello che le devo, che devo ad entrambi, in realtà,” risponde la ragazza con un sorriso commosso, salutando Camilla con i canonici due baci e un forte abbraccio decisamente meno consueto.
 
“Senti,” le sussurra Camilla con un groppo in gola, colta da un’improvvisa realizzazione, “non è che tra i tuoi mille lavoretti c’è anche quello di babysitter, vero?”
 
“Beh, sì, certo, lo faccio sovente e da tanti anni: mi piacciono molto i bambini e questo devo dire che mi aiuta nel mio lavoro qui,” risponde la ragazza con un sorriso, aggiungendo poi, comprendendo il senso della domanda della sua ex professoressa, “ma intende per...?”
 
“A noi servirebbe una babysitter una tantum, vero Gaetano?” le spiega, chiedendo conferma all’uomo che annuisce, piacevolmente sorpreso dall’iniziativa di Camilla, “ovviamente non ti devi sentire obbligata, come hai visto Tommy è vivace, anche se di sera, che immagino sia quando tu sei libera di fare altri lavori, è molto più tranquillo, per fortuna.”
 
“Sì, lo faccio di solito di sera, dopo l’orario di lavoro… Che dire prof.? Per me sarebbe un grande aiuto e poi Tommy è sì vivace, ma anche intelligente e molto attento, beneducato. E preferisco sempre andare in casa di gente che conosco piuttosto che di sconosciuti, specie dopo una certa ora…” risponde la ragazza con un sorriso e un’occhiata eloquente, che porta Camilla a chiedersi se qualche “padre” l’avesse importunata in passato: Ilenia è sbocciata dai tempi della scuola ed è diventata una giovane donna di bell’aspetto, magari non perfetta per gli standard estetici canonici, ancora un po’ troppo formosa, ma che risulta piacevole anche nell’uniforme da lavoro dal taglio sportivo e maschile.
 
“Anche per noi sarebbe un bell’aiuto e un sollievo lasciare Tommy a una persona conosciuta,” interviene Gaetano con un sorriso, “hai già il recapito di Camilla o ti devo lasciare il mio?”
 
“Ho il cellulare della prof., ma scusatemi, tanto per capirci, vivete insieme, giusto?”
 
“Sì, ma è una sistemazione temporanea, per adesso, comunque abitiamo nello stesso palazzo,” cerca di spiegare Camilla, aggiungendo, davanti allo sguardo confuso della giovane, “è una storia lunga e complicata, poi un giorno ti spiego con calma.”
 
“Ok, allora… ci sentiamo presto per Roma e ci mettiamo d’accordo per il baby-sitting, che gliene sembra?” propone la ragazza con un sorriso.
 
“Mi sembra perfetto,” replica Camilla ricambiando il sorriso, “a presto!”
 
“Per Roma?” le sussurra Gaetano quando salgono in auto, dopo che Tommy ha salutato con un mega-abbraccio dei suoi la sua nuova “amica” e dopo essersi assicurati che il bimbo sia ben fissato nel suo apposito seggiolino.
 
“Sì,” mormora Camilla di rimando, girando la chiave e mettendo in moto il veicolo.
 
“Gaetano… che cosa ne penseresti di un viaggio a Roma il mese prossimo?”
 




Nota dell’autrice: Ebbene sì, un’altra nota, ma non poteva essere fatta all’inizio del capitolo. Come avrete potuto leggere, parte  della narrazione si svolge in uno zoo realmente esistente vicino a Torino. Non essendoci mai stata di persona, tutte le informazioni e le situazioni da me menzionate derivano da una ricerca su internet. Quindi se qualcuno di voi l’avesse visitato sul serio, perdoni le inesattezze. Idem per la professione veterinaria, di cui non ho alcuna esperienza né diretta, né indiretta, non avendo conoscenti che lo fanno di mestiere ;). Inoltre forse avrete notato che mi sono permessa di rivedere un po’ la “timeline” di Provaci Ancora Prof per dare più senso all’età di Tommy: a parte che i ragazzi delle prime due serie sono rimasti in quinta per tre anni xD, di fatto seguendo la “timeline” ufficiale che prevede che le prime due serie siano avvenute nel 2005 e nel 2007 (quindi sei anni fa), c’è un problema con l’età di Tommy, che addirittura secondo alcune puntate di questa serie va già a scuola (e perciò dovrebbe avere sei anni minimo), ma che quantomeno va già all’asilo e ha sicuramente più di 3 anni, quindi supponiamo abbia tra i 4 e i 5 anni. Ho spostato indietro nel tempo idealmente gli avvenimenti delle prime due serie, facendo terminare la seconda otto anni prima della quinta. In questo modo la terza serie termina sei anni prima della quinta serie e Gaetano ha per lo meno il tempo di conoscere Eva e farci un figlio, anche se a tempo di record xD. 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Rome wasn't built in a day ***


Nota dell’autrice: Scusate innanzitutto per il ritardo, ma innanzitutto il periodo è pieno di impegni e incasinatissimo, inoltre, tanto per cambiare, i personaggi hanno deciso di incamminarsi su un sentiero atteso e inaspettato in parte, quindi questo capitolo è venuto decisamente, decisamente lunghissimo. Sono due/tre capitoli insieme, in realtà. Avrei potuto postarlo come due capitoli separati col senno di poi, ma quando me ne sono accorta era troppo tardi e poi il primo sarebbe venuto troppo “vuoto” e trovo che il tutto abbia più senso così. Il prossimo capitolo sarà più denso di eventi, diciamo che ci stiamo avviando verso una nuova fase di questa storia, anche perché non potranno sempre essere tutte rose e fiori, no ;)? I problemi nella vita reale ci sono eccome.
Come sempre i vostri pareri sono bene accetti e anche le vostre critiche e spero che la mole di narrazione non risulti pesante e non vi scoraggi dalla lettura. Grazie come sempre per avere avuto la pazienza di seguire la mia storia fin qui ;)
 


Capitolo 14: “Rome wasn’t built in a day”


Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro 


 
Un brivido e un formicolio alla base del collo, che non ha nulla a che vedere con la cervicale. Nessun rumore, non ce n’è bisogno, il suo istinto, il suo sesto senso avverte chiaramente che LEI è nella stanza, a pochi passi da lui. È sempre stato così, fin da quando la conosce, e la vicinanza degli ultimi giorni, invece che desensibilizzarlo, ha ancora acuito di più la consapevolezza della sua presenza, del suo profumo, del suo calore, del suo corpo.
 
“Sono i filmati della telecamera della gioielleria, nei giorni prima del delitto…” le spiega, voltandosi istintivamente verso il luogo esatto in cui si trova, due passi dietro la sua spalla destra.
 
Vederla in camicia da notte, in quella camicia da notte protagonista di tante sue fantasie notturne negli ultimi mesi ha ancora su di lui un effetto devastante, nonostante le due incredibili notti appena trascorse. Anche la sera prima, dopo aver messo Tommy a letto, felice ed esausto come avevano auspicato entrambi, la passione era riesplosa con un’intensità che, assurdamente, sembrava crescere ad ogni contatto, ad ogni carezza, ad ogni battito, ad ogni minuto che trascorreva accanto alla sua Camilla, a quella donna diversa da ogni altra che gli aveva rubato il cuore dieci anni prima senza mai più restituirglielo. Per qualche ora si erano di nuovo immersi in una dimensione tutta loro, un mondo piccolissimo ed infinito insieme, un mondo in cui tutto era al tempo stesso estremamente semplice ed immensamente profondo.
 
Gaetano aveva trascorso innumerevoli notti con una quantità di donne da far invidia ai peggiori playboy da rotocalco, ma nemmeno sommandole tutte insieme aveva mai provato qualcosa di anche solo lontanamente paragonabile a quell’universo di sensazioni, di emozioni, di esperienze che stava scoprendo grazie a lei e con lei. Come sempre succedeva, ogni cosa con Camilla prendeva vita, colori, sapori, odori, tridimensionalità, sostanza, facendo sembrare tutto quello che era venuto prima una fotografia slavata, un vecchio diorama di un Luna Park: piatto, finto, grigio, una vacua imitazione della realtà, quasi grottesca nella sua inadeguatezza.
 
E, a rischio di essere considerato blasfemo, poteva quasi datare la sua vita dividendola in due fasi distinte: a.C. e d. C. – prima di Camilla Baudino e dopo Camilla Baudino.
 
L’alba li aveva nuovamente divisi, costretti a tornare al mondo reale, a quel mondo in cui c’erano obblighi, vincoli e responsabilità, anche se derivanti dal miracolo straordinario e terrificante al tempo stesso che è essere genitori, che è avere una vita che dipende quasi esclusivamente da te. Qualcuno la cui esistenza sarà segnata profondamente e forse irrimediabilmente dalle tue scelte, dai tuoi successi e, anche e soprattutto, dai tuoi sbagli e dalle tue mancanze.
 
E Gaetano si ritrova a pensare quanto sia inconcepibile ed estremamente ovvio e naturale insieme che tutto questo improvvisamente, o per meglio dire, da quando LEI è tornata nella sua vita, non solo non lo spaventi più, ma che sia invece diventata una delle sue due ragioni di vita, che ora dorme placidamente in un divano letto a pochi metri da lì, dopo una domenica casalinga a base di giochi e coccole. Una domenica che sarebbe assolutamente comune e normale, se non fosse per il fatto che la loro situazione è tutto fuorché usuale.
 
“Posso vederli anche io?” chiede la sua altra ragione di vita, con l’espressione di una bimba davanti all’ingresso di un negozio di giocattoli: una delle tante, troppe espressioni a cui lui è ed è sempre stato assolutamente incapace di resistere.
 
“Eh, beh, credo che l’ospite debba essere cortese, no?” ribatte con un sorriso, scostandole la sedia accanto alla sua per farle posto.
 
“Saggia decisione, dottor Berardi,” lo stuzzica lei di rimando, sedendosi così tanto vicina a lui che le loro braccia nude si sfiorano, generando una scarica di elettricità statica da far rizzare ogni singolo pelo come se ci fossero tre gradi e non quasi trenta.
 
“E che cos’è che ti attrae?” gli domanda con un sopracciglio alzato e un mezzo sorriso ammiccante che è come benzina che incendia le scintille generate dall’attrito della loro pelle.
 
“A parte te?” la provoca, con un tono di voce che Camilla associa ormai quasi indissolubilmente con la camera da letto, mentre il suo cuore e il suo corpo si riattivano e reagiscono di conseguenza, in modo praticamente inconscio.
 
“Ovvio!” una risposta che vorrebbe essere ironica ma che suona come un invito carico di promesse.
 
Si guardano e di nuovo avvertono quella corrente magnetica che li attira inesorabilmente l’uno verso l’altra, mentre i visi si fanno sempre più vicini.
 
“Sono tornata!”
 
La voce e il tonfo di un borsone li fanno sobbalzare sulla sedia e volgere lo sguardo la porta, dove incrociano quello tagliente ed indecifrabile di Livietta.
 
“Ciao, Livietta,” riesce ad articolare a fatica Gaetano, rompendo il silenzio dopo qualche infinito istante di imbarazzo.
 
“Tesoro, ciao, tutto bene? Com’è andata la festa? Hai già cenato o ti preparo qualcosa?” chiede Camilla con una rapidità che tradisce l’agitazione nell’essere nuovamente stata quasi beccata in “flagranza di reato” dalla figlia. Chissà da quanto era che Livietta li osservava e li ascoltava, mentre loro erano immersi nella loro bolla a due.
 
“La festa è stata abbastanza deludente rispetto a quelle che c’erano a Roma. Mi sa che vi siete divertiti più voi di me,” replica la ragazza senza nemmeno celare il sarcasmo che le colora la voce, “e poi ho già mangiato un hamburger e quindi non ti disturbare: vedo che siete già pronti per andare a letto.”
 
In uno spasmo involontario le nocche delle dita della mano destra di Camilla cozzano contro il bicchiere di latte e solo una prontezza di riflessi derivata dagli anni in cui Livietta era una bimba vivace circondata da suppellettili fragili e dall’inestimabile valore affettivo – per Andreina più che per lei – evitano di mettere in scena una replica, con l’aggiunta di cocci rotti da raccogliere, dell’incidente provocato venerdì mattina a colazione da Gaetano.
 
“In realtà non andrò a dormire ancora per un po’ e non credo nemmeno tua madre. Devo finire di vedere dei video di sorveglianza e lei si era appena offerta di darmi una mano, vero Camilla?”
 
“Eh, sì, cioè, per quanto posso esserti d’aiuto…” ribatte lei, grata a Gaetano per avere preso in mano le redini della situazione.
 
“Posso vederli anche io?” chiede la ragazza avvicinandosi allo schermo del computer e quindi ai due adulti con un’espressione che pare sinceramente curiosa, replicando perfettamente la richiesta della madre di pochi minuti  prima.
 
“Come ho già detto prima, l’ospite deve essere cortese, fate come se foste a casa vostra,” replica Gaetano con un sorriso, facendo spazio alla ragazza tra lui e Camilla e guadagnandosi due occhiate stupite ed incredibilmente somiglianti da madre e figlia.
 
“Allora, Gaetano, che cos’è che ti attraeva, a parte mia madre?” chiede la ragazza con nonchalance quando l’uomo fa ripartire il video, dimostrando quindi di aver sentito perfettamente almeno parte dello scambio di battute tra i due adulti.
 
“Quell’uomo che sta parlando con il gioielliere,” risponde lui col tono più neutro che riesce a mantenere, mentre sente il viso avvampare e le mani farsi sudate. Getta uno sguardo verso Camilla e nota che un alone purpureo le tinge la pelle solitamente diafana fino alla base del collo.
 
“Quello col codino?” chiede conferma Livietta con studiata indifferenza.
 
“Sì, pare che avesse dei traffici illeciti col gioielliere ucciso…”
 
“Lo zio dell’alunna di mamma, giusto?”
 
“Sì, esatto.”
 
“Quindi stai seguendo un’altra pista,” interviene Camilla, cercando di mascherare la tensione e di tenerla a freno concentrandosi sulle indagini.
 
“Che non esclude quella dei tuoi due studenti latitanti,” puntualizza Gaetano, enfatizzando l’ultimo aggettivo.
 
“Credo che dovresti scavare nella vita del fratello della vittima, ho parlato con la mamma di Sabrina, mi ha detto che suo marito passa tutto il tempo in negozio. Ti pare normale?”
 
“Eh, no, specialmente se non sai dov’è tua figlia…” ammette Gaetano, concordando con Camilla sul fatto che Luigi Migliasso, oltre ad essere sgradevole di natura, sia pure decisamente sospetto.
 
“A me non sembra così strano: probabilmente ha un’altra donna e per questo passa tutto il tempo fuori casa, fregandosene della figlia. O anche se non se ne frega, preferisce correre a farsi consolare da qualcun’altra piuttosto che a casa dalla moglie. Magari da qualcuna con cui lavora o una vicina di casa o un’amica di famiglia,” si intromette Livietta, con una voce nuovamente velata di sarcasmo e una punta di amarezza.
 
“L’unica lavoratrice donna che avevano si è licenziata tempo fa,” risponde Gaetano, sentendo il volto ormai bollente come se avesse la febbre, e decidendo di proseguire imperterrito a rispondere alle “ipotesi” di Livietta, ignorando completamente i sottotesti, “vivono in una mega villa e non hanno vicini; amici – col carattere che si ritrovavano lui e il fratello – pochi, più che altro conoscenze dell’alta società. Le uniche donne nella loro vita ad una prima indagine superficiale sembrerebbero essere le mogli, anche da quanto risulta dai tabulati telefonici dei cellulari e del negozio.”
 
“I Crocus, ma certo! Siete due geni, tutti e due!” esclama Camilla all’improvviso, dopo un attimo di silenzio, colta da un’illuminazione, dimenticando completamente l’imbarazzo, attirando a sé la tastiera del computer e cercando “Crocus Golden” su google, mentre Gaetano e la figlia la guardano come se fosse impazzita.
 
“I Crocus Golden fioriscono d’inverno, quando si scioglie la prima neve!” cerca di spiegare, aggiungendo poi, notando ancora le loro occhiate allibite, “la zia di Sabrina, la moglie del morto, mi ha detto che nella villa a Sirmione stava prendendosi cura dei Crocus gialli, che stavano fiorendo adesso. Ma non è vero, sono sbocciati mesi fa. E quindi lei o a Sirmione non ci va sul serio, o, se ci va, fa tutt’altro ma non di certo giardinaggio.”
 
“Non starai insinuando che…” ribatte Gaetano, comprendendo infine dove stia andando a parare Camilla.
 
In effetti Luigi Migliasso aveva difeso a spada tratta la cognata il giorno prima, sostenendo oltretutto che fosse innamoratissima del fratello cosa che, da quanto Camilla gli aveva riferito della conversazione con la mamma di Sabrina, pareva essere ben lontana dalla realtà. In effetti gli unici che dipingevano il quadro di un matrimonio perfetto tra il defunto e la moglie erano proprio quest’ultima e Luigi Migliasso, che invece, per il resto, non si risparmiava in critiche sullo stile di vita del fratello. La “coincidenza” era quantomeno sospetta.
 
“Che se la fa con la cognata, tipo Beautiful?” interviene Livietta con un mezzo sorriso, alternando lo sguardo tra sua madre e l’uomo, per poi aggiungere in un sussurro abbastanza alto da essere chiaramente percepito dai presenti, “meno male che tu e papà siete entrambi figli unici.”
 
***************************************************************************************
 
“Eva ha chiamato?” gli chiede Camilla mentre camminano fianco a fianco portando le borse della spesa: Gaetano aveva insistito per darle una mano, nonostante i problemi al collo, e così erano andati insieme al supermercato. C’era qualcosa di talmente… grande nel compiere insieme questi piccoli gesti quotidiani, che trasformava una commissione solitamente noiosa in un evento da ricordare. Discutere davanti alla cassiera su chi dovesse saldare il conto, con Gaetano che era riuscito infine a spuntarla facendo uso di tutto il suo charme, era qualcosa che non aveva prezzo. Per tutto il resto c’era la carta Mastercard con cui aveva pagato la spesa.
 
“No, ancora no,” risponde l’uomo con un sospiro, dato che attende quel momento con la stessa gioia con cui da bambino attendeva la visita dal dentista.
 
“Forse dovresti telefonarle tu, sai? Prendere il toro per le corna…”
 
“Disse il matador prima di passare a miglior vita,” ironizza lui, cercando di mascherare quanto la prospettiva lo preoccupi realmente.
 
“Scemo!” ribatte lei, colpendolo lievemente sul braccio, “quello che voglio dire è che se glielo dici tu direttamente prima che ti chiami lei forse non sembra che tu le stia nascondendo questa cosa, ma che la vuoi rendere partecipe, no?”
 
“E tu pensi sul serio che essere partecipe del fatto che io e Tommy viviamo a casa tua – seppur temporaneamente – senza averla consultata prima, e che c’è stato un mezzo incendio a casa mia oltretutto, cambi qualcosa per lei?” le chiede, in un modo che risulta più sarcastico e sprezzante di quanto avrebbe voluto, pentendosi non appena le parole escono dalla sua bocca, ma non potendo evitarlo.
 
“Forse no,” ammette Camilla, ignorando il tono di Gaetano, sapendo per esperienza personale che sono la paura e la frustrazione a parlare per lui, “ma non può di certo peggiorare la situazione, al limite può migliorarla, anche se di poco.”
 
“Hai ragione… anzi, scusami, ma è che Eva ha il potere di mandarmi fuori di testa…” le risponde, fermandosi per guardarla negli occhi: vorrebbe toccarla ma non può, carico com’è di sacchetti.
 
“Ehi, non ti preoccupare: dopo che tu hai sopportato i miei lamenti, i miei casini e i miei sbalzi d’umore nelle ultime settimane, anzi, forse sarebbe meglio dire negli ultimi dieci anni, mi sembra il  minimo,” gli risponde lei con un sorriso, “ma non ti ci abituare, troppo, ok, vicequestore? Il bonus non è illimitato.”
 
“Non mi aspetto niente di meno da te, professoressa,” replica lui con un sorriso, trattenendo a stento l’impulso di mollare le borse a terra e baciarla, non volendo fare una frittata – letteralmente.
 
“Comunque lo sai che Eva si vuole portare Tommy a Los Angeles per le vacanze?” le domanda, riprendendo a camminare.
 
“Sì, me l’ha detto Tommy… Se la cosa ti preoccupa, potresti andare con loro, no? Tommy ne sarebbe entusiasta,” gli suggerisce la donna, mantenendo la promessa fatta al bimbo qualche giorno prima e sforzandosi di non lasciare trapelare quanto poco l’idea di Gaetano ed Eva in vacanza insieme in un altro continente la entusiasmi.
 
“E tu? Davvero non ti darebbe fastidio?” le chiede Gaetano, con un tono di voce strano ed indefinibile.
 
“Diciamo che non farei i salti di gioia, ma tuo figlio viene prima di tutto, Gaetano e, come mi ha detto qualche tempo fa un uomo molto saggio, qualsiasi cosa posso fare per renderti le cose più facili o forse meno complicate con Tommy e con Eva, basta che me lo dici e lo farò.”
 
“Camilla,” sospira lui con un sorriso, “ti ringrazio ma… la verità è che non sono sicuro di poter resistere per tanto tempo solo con Eva e Tommy senza peggiorare ancora di più le cose con lei. Lo so che non è bello da dire, ma fatichiamo a stare per più di qualche ora senza discutere sulle cose più futili e dubito che questo cambierà a breve, anzi probabilmente non cambierà mai.”
 
Camilla sospira di rimando ma rimane in silenzio, non sapendo cosa o come rispondere ad una simile affermazione e chiedendosi per l’ennesima volta come fosse stato il matrimonio tra Eva e Gaetano: se i rapporti tra loro siano degenerati solo dopo la separazione o se Eva fosse già così prima e durante le nozze. Perché in quel caso non può fare a meno di domandarsi perché Gaetano, dopo aver vissuto da scapolo per gran parte della sua vita, avesse scelto di sposarsi proprio con lei, con una donna sicuramente molto bella e anche molto intelligente, ma con cui pareva essere completamente incompatibile.
 
“Perché non vieni anche tu con me in America?” le domanda improvvisamente, come colto da un’illuminazione.
 
“Cosa?” esclama lei, pensando – e forse sperando – ad una battuta di spirito, ma accorgendosi dal tono e dallo sguardo di Gaetano che è assolutamente serio, “io, tu ed Eva nella stessa stanza siamo una combinazione ancora più esplosiva che tu ed Eva e basta, Gaetano. E vorrei sopravvivere all’estate: ho una figlia adolescente a cui badare e un certo uomo meraviglioso insieme a cui mi auguro di poter trascorrere ancora tanti anni, prima di passare a miglior vita.”
 
“Anche io ti amo, professoressa,” le confessa con un sorriso quasi commosso, “e ci tengo alla tua incolumità, al limite sei tu che ti vai a cacciare sempre nei guai!”
 
“O sono i guai che vengono a cacciare me, non ti pare? E poi se così non fosse non ci saremmo forse mai conosciuti.”
 
“In effetti è vero, però c’è guaio e guaio, Camilla, e lo sai,” ribatte lui con uno sguardo improvvisamente più serio, “e tornando all’argomento vacanze, forse se Eva avesse modo di vederti interagire con Tommy in un contesto più neutro e quando ci sono anche io, si renderebbe conto che non ha nulla di cui preoccuparsi e che tu sei un’influenza decisamente positiva su Tommy.”
 
“Sai che non so se questo la rassicurerebbe o sarebbe ancora peggio per lei?” gli domanda Camilla, premendo il bottone dell’ascensore e salendo insieme a lui, “ci sono passata anche io con Carmen. Da un lato ero sollevata che mia figlia andasse d’accordo con lei, che non fosse una minaccia per lei e che si volessero bene a vicenda. Ma dall’altro lato ero gelosissima del loro rapporto, forse avrei preferito egoisticamente che fossero civili e basta, se capisci cosa intendo.”
 
“Sì, lo capisco, non sarebbe facile nemmeno per me se Eva avesse un nuovo compagno fisso e Tommy si affezionasse tanto a lui,” ammette Gaetano: la sola prospettiva di subire la “concorrenza” di una seconda figura paterna, soprattutto ora che percepisce ancora il rapporto con Tommy come qualcosa di meraviglioso ma fragile allo stesso tempo, gli procura un’ondata di acidità allo stomaco.
 
“Già… e poi devi anche considerare che Eva ha cresciuto Tommy quasi da sola per tanti anni – e no, non è una recriminazione nei tuoi confronti, Gaetano,” lo rassicura, notando l’espressione dell’uomo velarsi di quel senso di colpa che, ne è certa, ancora prova per essersi praticamente perso i primi anni di vita del figlio, “e anche se di sicuro non sarà stato per niente facile per lei, anzi, da un lato questo la rendeva anche l’unica figura di riferimento per Tommy, il centro del suo mondo. Ora deve abituarsi a “dividere” Tommy con te e alle paure che ne derivano, figuriamoci se mi ci metto di mezzo anche io.”
 
“Sei troppo saggia, professoressa, ma prima o poi dovrà abituarsi all’idea, perché anche io spero di poter trascorrere ancora tanti anni insieme ad una certa adorabile ficcanaso.”
 
“Ah, sì? E la conosco?” gli chiede con un mezzo sorriso ironico, trascinandolo con sé in una risata, mentre scendono dall’ascensore e si avviano alla porta, immersi entrambi nel ricordo di quel pomeriggio nel loft di Gaetano, tanti anni orsono.
 
“Comunque, a parte gli scherzi, Gaetano, credo che con Eva dovresti affrontare le cose passo - passo, un po’ per volta. Cominciamo a superare lo scoglio di questa emergenza e vediamo come reagirà, anche quando tornerà qui prima di queste fantomatiche vacanze, e agiremo di conseguenza. Come dice spesso la mia collega di inglese: Rome wasn’t built in a day.”
 
“Sì, ma tu promettimi che ci penserai, ok? E in ogni caso non ho alcuna intenzione di trascorrere quei pochi giorni di ferie che ho facendomi il sangue amaro con Eva. Anzi, se l’adorabile ficcanaso di cui sopra fosse disponibile, non mi dispiacerebbe passarli, almeno in parte, con lei, America o non America.”
 
“È disponibile, è molto disponibile,” replica lei in un sussurro, allungandosi verso di lui per posargli un rapido bacio sulle labbra, prima di girare la chiave nella toppa ed entrare in casa, lasciandolo per un momento di stucco, con le borse in mano e il corpo completamente in subbuglio.
 
Nel corridoio li accoglie Livietta, che, con un dito sulle labbra, fa loro cenno di fare silenzio, mentre, con l’altra mano, indica a Gaetano di posare le borse per terra. Camilla e Gaetano si guardano per un secondo, senza sapere cosa pensare di questo strano benvenuto, che li spiazza come quasi ogni singolo comportamento della ragazza negli ultimi giorni, ma decidono di “stare al gioco”.
 
“Non so proprio dove si è nascosto Tommy,” esclama Livietta con un tono di voce più alto ed enfatico del normale, facendo loro l’occhiolino ed indicando la zona del divano, “chissà dov’è?”
 
Gaetano si avvicina a passo felpato e si lancia in un “attacco” a base di solletico, urlando “sorpresa”.
 
Tra le risate, Tommy porge a Gaetano un oggetto scintillante.
 
“E questo che cos’è?” chiede al figlio, dichiarando un armistizio temporaneo per osservare quella che riconosce come una stella da sceriffo.
 
“È per te!” esclama il bimbo con un gran sorriso, mentre un groppo in gola pauroso e un calore nella zona degli occhi si impossessa del padre.
 
“Mi nomini sceriffo?” gli chiede, sollevandolo in braccio e facendolo ridere ancora, “e allora andiamo a giocare agli indiani! Con i cavalli, con i cowboy!”
 
E si dirige col bimbo verso lo “studio”, sotto lo sguardo divertito di Camilla e Livietta. La donna volge poi il capo verso la figlia, piacevolmente stupita di vederla sorridere in modo così aperto e sincero, come non capitava da tanto, troppo tempo. Ma, non appena la ragazza si accorge di essere osservata, il sorriso le si congela sulle labbra, sostituito dalla solita maschera di pietra a cui Camilla si sta ormai tristemente abituando, e si ritira in camera sua, annunciando di avere già cenato.
 
Con un improvviso peso sul cuore e sullo stomaco, Camilla solleva i sacchetti e inizia a ritirare la spesa.
 
Rome wasn’t built in a day, indeed.
 
**************************************************************************************
 
Si gira e si rigira nel letto, ma ogni posizione sembra peggiorare la tensione nelle spalle e nel collo e il dolore sordo ma pulsante, quasi paragonabile a un livido, alla base della testa.
 
Sa di avere esagerato e di essersi sforzato troppo negli ultimi giorni, ma è anche consapevole che il funesto “trauma cervicale del terzo grado” è solo parte del problema: gli manca, gli manca terribilmente LEI.
 
È assurdo come sia già diventato dipendente dalla sua presenza nel suo letto dopo solo due notti passate accanto a Camilla, nemmeno interamente, dato che avevano dovuto separarsi all’alba. Ma ora, dopo una notte e mezza lontani, gli sembra di impazzire. E per quanto adori suo figlio sopra ogni altra cosa, nemmeno vederlo dormire placidamente al suo fianco gli è completamente di conforto.
 
Passi – piedi nudi – e un rumore di cassetti e stoviglie: Gaetano in un istante è fuori dal letto e, “vestito” solo con i boxer e una maglietta, scalzo e arruffato, si dirige verso la cucina.
 
“Non riesci a dormire nemmeno tu, professoressa?” chiede con tono giocoso, svoltando l’angolo e bloccandosi bruscamente sui suoi passi, “Livietta?!”
 
“Ciao, Gaetano,” risponde la ragazza con tono piatto, portandosi alla bocca una cucchiaiata di gelato che raccoglie direttamente dal barattolo di cartone.

“Scusami, pensavo fosse tua madre,” mormora lui, imbarazzato, sentendosi improvvisamente nudo, in tutti i sensi, di fronte allo sguardo penetrante della ragazza.
 
“Eh, l’ho notato,” ribatte lei sarcastica, squadrandolo da capo a piedi, “e in realtà devo ammettere che la cosa mi sorprende, sai? Pensavo foste insieme.”
 
“No, cioè, io dormo nello studio con Tommy, lo sai,” mormora Gaetano, ormai rosso come un peperone.
 
“Sì, ma credevo che a una certa ora tu sgattaiolassi nella stanza di mia madre, considerato che ogni volta che mi giro e non vi guardo mi sembrate sempre pronti a saltarvi addosso. Come vi ho già detto, non sono nata ieri, Gaetano,” replica Livietta con tono pungente, mangiando un altro po’ di gelato al cioccolato, “e, sempre come vi ho già detto, a me basta che certe cose non le fate davanti a me, ma preferisco la verità ai teatrini e alle ipocrisie. Quindi non serve che vi sforziate a mettere in scena per me un amore platonico da dolce stil novo. Anzi, se stare insieme la notte vi aiutasse a contenere di più certe – effusioni – durante la giornata quando sono presente anche io, sinceramente ve ne sarei grata.”
 
“Livietta…” sospira l’uomo, sentendosi come sempre piccolo come una pulce di fronte alla ragazza, e decidendo che è giunta l’ora di essere nuovamente brutalmente onesto con lei, “se io e tua madre dormiamo in stanze separate non è per fare la commedia con te. Credimi che l’ho capito benissimo che sei una ragazza più che sveglia: proprio per questo, se ti dico una cosa mi prometti che resta tra me e te e tua madre?”
 
“Se sono dettagli sulla vostra vita intima, preferisco non sapere,” commenta la ragazza con un mezzo sorriso sarcastico ma con un tono di voce più morbido, “altrimenti, va bene, sono capace di mantenere un segreto, Gaetano.”
 
“È soprattutto per Tommy.”
 
“Per Tommy? Tommy di sicuro non capisce cosa ci fate tu e mia madre in camera da letto, Gaetano, non credo la cosa lo scandalizzi o lo turbi minimamente.”
 
“Infatti il problema non è lui ma sua madre, la mia ex moglie. Diciamo che già non farà i salti di gioia appena saprà di questa convivenza improvvisata con tua madre e di tutto quello che è successo tra me e Camilla da quando è partita, e siccome ogni volta che chiama fa un interrogatorio a Tommy e lui, com’è giusto che sia, non ha segreti con lei…”
 
“Capisco… è gelosa del rapporto tra te e mia madre e tra mia madre e Tommy,” deduce pensierosa, tra una cucchiaiata di gelato alla crema e uno al cioccolato, “ci sono passata anche io con Carmen e mia madre, sai? Spesso mi sentivo intrappolata tra due fuochi, anche se ogni tanto ammetto di averci marciato un po’ su. Però Tommy è piccolo e non può decidere quasi nulla da solo, quindi mi sa che quello preso tra due fuochi sarai soprattutto tu: non ti invidio per nulla!”
 
Gaetano si limita ad annuire, come sempre colpito dall’acume della ragazza e dall’imprevedibilità del suo comportamento. Come a leggergli nel pensiero, lo spiazza un’altra volta aprendo un cassetto e offrendogli un cucchiaio.
 
“Gelato?”
 
“Perché no?” risponde lui, prendendo la posata come se fosse il testimone in una staffetta e mettendosi a sedere di fronte a lei, all’altro lato del bancone.
 
Trascorrono qualche minuto mangiando in silenzio, studiandosi a vicenda, infine Gaetano prende coraggio e pone la domanda che ronza nella sua mente da quando ha trovato Livietta in cucina nel cuore della notte.
 
“E tu che ci fai sveglia a quest’ora?”
 
“Quello che ci fai anche tu: non riesco a dormire e cerco di distrarmi.”
 
“Se è per via della situazione tra me e tua madre e della presenza mia e di Tommy, mi dispiace,” le dice col tono più sincero che possiede. Anche se Livietta non sta rendendo per nulla facili le cose a Camilla, mantenendo un atteggiamento apertamente ostile da quando i suoi genitori si sono nuovamente separati – e anche da prima, in realtà – Gaetano sa che lui e Camilla ultimamente hanno tirato abbastanza la corda con lei, con questa convivenza che sarà stata anche in parte forzata, ma che, tutto sommato, avrebbero potuto evitare se l’avessero realmente voluto.
 
“Guarda che il mio mondo non ruota solo intorno a te e mia madre. E nemmeno intorno al rapporto quasi schizofrenico tra lei e mio padre,” ribatte la ragazza, mentre fierezza, sdegno e tristezza colorano la sua voce.
 
Gaetano riconosce benissimo quella reazione per quello che è: un meccanismo di difesa verso una vulnerabilità inevitabile e che proprio per questo, fa paura e fa rabbia in egual misura.
 
“Beh, è che di solito quando non si dorme la notte o si è mangiato pesante, o si ha qualche altro malanno, o si hanno preoccupazioni sul lavoro o nello studio, o è per problemi amorosi o per problemi in famiglia. E considerato che stai mangiando con appetito un gelato escluderei le prime due; so che sei brava a scuola e non vedo libri, quindi escluderei la terza; rimangono quindi le ultime due, o meglio, a questo punto rimane la penultima.”
 
“L’ ‘Elementare, Watson’ me lo risparmi, almeno?” ribatte Livietta con un sopracciglio alzato, “e vuoi una confessione scritta e firmata in duplice copia o posso avvalermi della facoltà di non rispondere e parlare solo in presenza di un avvocato?”
 
“Scusami, Livietta… deformazione professionale, non volevo essere invadente,” mormora Gaetano, dandosi mentalmente dell’idiota: ok essere schietti, ma entrare a gamba tesa in “modalità poliziotto” era un’altra cosa.
 
“Ma non puoi farne a meno, proprio come mia madre: siete davvero fatti l’uno per l’altra,” replica con un sospiro, per poi aggiungere con un mezzo sorriso, “e comunque guarda che stavo scherzando, non mi sono mica offesa, anzi, ad essere sincera, devo dire che è sempre stato divertente vedervi in azione. Certo, lo è di più quando non sono io l’oggetto dell’indagine: già mi bastava una detective mancata in casa, ci mancava solo l’ufficiale di polizia.”
 
“Scusami,” gli viene spontaneo rispondere di nuovo, venendo fulminato da un’altra occhiata di Livietta.
 
“Ti scuso se la smetti di scusarti, Gaetano,” ribatte la ragazza con tono divertito ed esasperato al tempo stesso.
 
“Ok, ok, hai ragione: sono un disastro, eh?”
 
“Un po’,” ammette con un sorriso più sincero, “ma non te la cavi poi così male: anche con Tommy devo dire che mi hai sorpreso in positivo. Quel bambino ti adora, lo sai? Credo ti consideri una specie di supereroe… Mentre qualche mese fa ci faceva passare notti insonni perché voleva a tutti i costi sua madre.”
 
“Lo so che negli ultimi mesi vi ho molto coinvolto nei miei problemi familiari, Livietta e che tu ci sei spesso rimasta in mezzo, senza averlo scelto. E anche se non vuoi che io mi scusi, spero tu possa perdonarmi per tutto il disturbo che ti ho causato. Anche oggi ti sei ritrovata a fare da baby-sitter per Tommy…” ammette Gaetano, colpito alla bocca dello stomaco da queste ultime rivelazioni della ragazza, sebbene siano state fatte con un tono assolutamente non ostile.
 
Sapeva che per Tommy i primi tempi con lui erano stati tutt’altro che piacevoli e che aveva sentito terribilmente la mancanza di Eva. Sapeva di essere stato un pessimo padre per tanto, troppo tempo e che non se lo sarebbe probabilmente mai del tutto perdonato. Ma sentirlo dalla bocca di Livietta, per qualche ragione, lo rendeva ancora più reale e gli faceva doppiamente male.
 
“A parte che è mia madre che ci ha coinvolti nei tuoi problemi familiari, comunque io ti perdono per tutti i casini e tutte le notti insonni, ma ad una, anzi a due condizioni,” ribatte la ragazza con un tono serio ma addolcito da un lieve sorriso e dalla quantità di gelato che stanno entrambi condividendo alla faccia dell’orario e delle calorie.
 
“E cioè?”
 
“La prima è che da ora in poi tu Tommy non lo deluda più, o meglio, che tu per lui ci sia sempre, nei limiti del possibile. È molto peggio perdere qualcosa a cui ci si è abituati che sentire la mancanza di qualcosa che, in fondo non si ha mai avuto. E i tira e molla sono la cosa peggiore: ti senti fragile, senza riferimenti e forse la speranza ti uccide di più della disillusione. Capisci cosa intendo?”
 
“Lo capisco benissimo, Livietta,” riesce a mormorare con un filo di voce, mentre un nodo gli stringe la gola e avverte un improvviso impulso di abbracciare la ragazza, che però soffoca sul nascere, rendendosi conto che sarebbe totalmente inappropriato, tra “l’abbigliamento”, l’orario e il fatto che, anche se la conosce fin da bambina, in fondo lui per lei è ancora praticamente un estraneo.
 
Sa benissimo di cosa parla Livietta: tra un padre severo, freddo e spesso assente e una madre quasi invisibile, evanescente rispetto all’autorità del marito, la delusione è stata l’unica costante nella sua infanzia e adolescenza. Sa pure che probabilmente è anche per questo che lui e sua sorella hanno avuto tante difficoltà a costruire legami affettivi stabili e che entrambi, a loro modo, hanno per lungo tempo vissuto un’esistenza solitaria, mascherata dietro una maschera da viveur, cercando relazioni che non conducessero da nessuna parte. Mentre Gaetano si era limitato, per lungo tempo, a passare di letto in letto e di flirt in flirt, con donne che, come lui, non desideravano una relazione per la vita ma un “piacevole passatempo”, Francesca era andata ben oltre, ricercando inconsciamente rapporti autodistruttivi. E anche lui c’era andato vicino, prima con “l’ancora di salvezza”, divenuta ben presto “cappio al collo” Roberta e poi con il matrimonio assolutamente volatile ed esplosivo con Eva.
 
“Ti garantisco che, per quanto è nelle mie possibilità, non ho alcuna intenzione di perdermi più nulla della vita di mio figlio e che Tommy potrà sempre contare su di me, finché lo vorrà.”
 
“Bene,” ribatte Livietta con un’espressione dolce negli occhi che gli ricorda la bambina di un tempo, “non so perché ma ti credo, Gaetano.”
 
“Grazie,” replica l’uomo con voce roca, avvertendo un improvviso calore nel petto e sorprendendosi di quanto le parole di Livietta significhino per lui, “e la seconda condizione?”
 
“La seconda condizione è che… che mi perdoni anche tu, Gaetano, per il mio comportamento nei tuoi confronti in questi ultimi tempi, soprattutto con la storia di Bobo. So che ho avuto un trattamento di favore rispetto a cosa sarebbe successo ad un’altra persona al mio posto e invece di esserti grata, mi sono comportata da vera stronza con te. Ma non ce l’ho mai avuta realmente con te, questo voglio tu lo capisca. Ok, forse il tuo continuo metterti in mezzo al matrimonio dei miei non mi ha mai fatto fare i salti di gioia, ma non è con te che sono arrabbiata: tu non mi hai fatto niente e non avevi alcun obbligo nei miei confronti.”
 
Il sottinteso è chiarissimo: Livietta non ce l’ha con lui, ma con i suoi genitori sì e il risentimento e la delusione sono ancora forti, dal tono che usa. E, se queste “scuse” lo stupiscono in positivo e gli fanno un immenso piacere da un lato, dall’altro non può fare a meno di provare un forte dolore per la sua Camilla, sapendo quanto la faccia star male essere in conflitto con la figlia e capendo che la situazione non sembra in procinto di appianarsi nel breve periodo.
 
“Non serviva che ti scusassi, Livietta: sono abituato al fatto che le persone coinvolte in un’indagine non mi trovino esattamente simpatico e che provino del risentimento nei miei confronti per il ruolo che svolgo. E nel tuo caso il risentimento per i motivi che tu già sottolinei, sarebbe stato in ogni caso più che giustificato. Però ti sono grato per le tue parole e dato che me lo chiedi, ti garantisco che ti scuso per tutto, ma una cosa te la vorrei chiedere anche io. Non una condizione, ma un favore, per così dire.”
 
“E cioè?” chiede la ragazza, corrucciando la fronte.
 
“Che ripensi a come si sono comportati i tuoi genitori in quel periodo, Livietta, durante tutta la vicenda di Bobo e magari, dato che ne abbiamo parlato a lungo stasera e conosci molti dettagli, che lo paragoni all’atteggiamento dei genitori di Sabrina Migliasso. Solo questo,” risponde Gaetano, prendendo il coraggio a piene mani e affrontando lo sguardo penetrante di Livietta a testa alta.
 
La ragazza abbassa per un attimo quei fari azzurri e poi li solleva, con un’occhiata che di nuovo gli ricorda la Livietta che accompagnava con suo nipote in commissariato o al bar, ma allo stesso tempo velata di una malinconia e di una… consapevolezza assolutamente nuova, fin troppo adulta per la sua età.
 
“Ci penserò,” risponde con un tono fermo che contrasta col lieve incresparsi della voce.
 
Trascorrono così altri minuti di assoluto silenzio, mentre il barattolo di gelato si svuota inesorabilmente, avvicinandosi al fondo.
 
“Se ti confido una cosa, mi prometti che non la racconti a mia madre?” chiede all’improvviso Livietta, smettendo per un momento di studiare con interesse il cucchiaio che regge in mano e incrociando di nuovo i suoi occhi con quelli dell’uomo: azzurro contro azzurro.
 
“Dipende,” replica cautamente Gaetano, dopo un attimo di stupore.
 
“Da cosa?”
 
“Se è qualcosa di grave o meno. Nel primo caso non posso in coscienza tenerlo nascosto a tua madre, Livietta. Altrimenti anche io lo so tenere un segreto, nonostante il mestiere che faccio, o forse proprio per quello.”
 
“Non ha niente a che fare con omicidi o cose illegali o pericolose in genere, questa volta,” ribatte la ragazza con un sospiro, “in questo la campionessa è mia madre, non io.”
 
“Non hai tutti i torti,” replica lui, non riuscendo a trattenere un sorriso.
 
“Si tratta… si tratta di un ragazzo e siccome tu sei un uomo… forse mi servirebbe un parere maschile,” ammette Livietta, arrossendo leggermente.
 
“Quindi avevo ragione: si tratta di un problema sentimentale?” chiede conferma l’uomo, da un lato compiaciuto per avere avuto l’intuizione giusta sul motivo dell’insonnia della ragazza, ma dall’altro sentendosi improvvisamente come un pesce fuor d’acqua: non è di certo abituato a dare consigli di questo tipo, specie a un’esponente del “gentil sesso”, a maggior ragione dell’età di Livietta.
 
“Sì, avevi ragione. Ma non è questo il punto, e se evitassi di sottolinearlo te ne sarei grata,” replica lei con voce nuovamente velata di sarcasmo.
 
“Ok, ok, anche tu hai ragione. Però ti avviso che non sono esattamente un esperto in materia.”
 
“Con tutte le donne che hai avuto?” gli domanda incredula e pungente.
 
“Un conto è avere delle storie, un conto è innamorarsi e io… diciamo che non è mai stato facile per me innamorarmi,” cerca di chiarire lui, rendendosi conto di starsi andando a impelagare in un discorso decisamente pericoloso da fare con la figlia della donna che ama e di cui vorrebbe conquistarsi la fiducia e, in un certo qual modo, l’approvazione.
 
“Tranne di mia madre,” ribatte la ragazza, con un sopracciglio alzato.
 
“Di tua madre è stato, purtroppo o per fortuna, estremamente facile innamorarmi, direi quasi inevitabile, anche se forse non mi crederai,” ammette in modo risoluto, vincendo il timore e l’imbarazzo.
 
“Quindi, escluso mia madre, eri fin da ragazzo il tipico playboy stronzo? È questo che mi stai dicendo?” chiede Livietta dopo un momento di esitazione, ignorando apparentemente l’ultima affermazione di Gaetano.
 
“Playboy sì, avrei da ridire sullo stronzo,” ribatte l’uomo, punto sul vivo, “diciamo che avevo tante storie, ma sceglievo sempre ragazze che non volevano di certo una relazione lunga e seria.”
 
“E come facevi a saperlo? Glielo chiedevi?” domanda Livietta con un’aria scettica.
 
“No, beh, diciamo che con l’esperienza tendi a capire cosa una donna o una ragazza voglia da te, senza bisogno di chiederglielo.”
 
“E non ti sei mai sbagliato?”
 
“Qualche volta sì, ma raramente,” le concede, cominciando a temere sempre di più i territori in cui sta sconfinando questa conversazione, “ma diciamo che non facevo promesse e cercavo di non illuderle, per quanto possibile.”
 
“Che generosità!” lo rimbecca lei, sarcastica, “e, dimmi, Gaetano, secondo te, io a quale categoria appartengo?”
 
“Come, scusa?” le domanda, basito e sperando di non aver capito bene.
 
“A che categoria appartengo? Secondo te un ragazzo che cosa pensa possa volere io da lui?” ribatte lei, risoluta.
 
“Beh, non lo so…” temporeggia Gaetano, anche se la sua risposta sincera sarebbe stata: “a una categoria pericolosa”. Se Livietta si comporta con i suoi coetanei con anche solo un quarto della determinazione e della fierezza che adotta in casa, certamente se li mangia in un sol boccone.
 
“Diciamo che, da quel poco che so delle tue ultime relazioni, mi sembri il tipo di ragazza che vuole una storia seria e che lo mette in chiaro fin da subito,” abbozza infine, notando dallo sguardo di Livietta che glissare su questa risposta rischia di essere ancora più pericoloso che rispondere.
 
“Beh, allora o i miei coetanei hanno scarse capacità di ‘lettura’, o invio io segnali sbagliati, perché sembro attirare sempre e solo fregature, altro che storie d’amore,” ribatte lei con una punta di amarezza nella voce.
 
“Livietta, gli ‘stronzi’, come li definisci tu, quelli che se ne fregano dei segnali e che illudono l’altra persona – e ci sono anche tante ‘stronze’, per dirla tutta – esistono, a tutte le età. Ma diciamo che nell’adolescenza la maggior parte dei ragazzi non cerca una relazione stabile, vuole soprattutto divertirsi, fare esperienze e vive alla giornata. Ricordo che per me una storia di un mese pareva già lunga un’eternità. Non è certo colpa tua, non sei tu che sbagli in qualcosa, è normale. Diciamo che forse dovresti andarci un po’ più cauta, prima di farti coinvolgere troppo, cercare prima di capire chi hai di fronte, anche se non è facile. E comunque le eccezioni esistono, quindi non ti devi scoraggiare e pensare che tutti i ragazzi…”
 
“Siano come eri tu alla loro età?” chiede lei con un mezzo sorriso.
 
“Ti ringrazio per aver omesso lo ‘stronzi come me alla loro età’, anche se era sottinteso,” replica lui con autoironia, “e in effetti in adolescenza forse un po’ lo ero, diciamo anche fino a che ho terminato l’università, lo devo ammettere.”
 
“Bene!” esclama Livietta con un sorriso più aperto e decisamente soddisfatto.
 
“Bene?” domanda Gaetano, spiazzato nuovamente dalla reazione della ragazza, “sapere che ero uno ‘stronzo’ in gioventù ti rende felice?”
 
“Sì, cioè, no, per la carità, mi spiace per le sfortunate a cui hai spezzato il cuore, ma questo mi conferma che sei la persona più adatta a cui chiedere un parere. È come avere un informatore tra le linee nemiche, capisci?” afferma la ragazza con tono animato e decisamente più adatto alla sua età di quello mantenuto per la maggior parte di questa conversazione.
 
“Ok, capisco,” ribatte l’uomo con un sorriso divertito, “dai, spara. In senso metaforico, ovvio.”
 
“Ovvio,” replica lei ricambiando il sorriso, “e comunque… si tratta di Greg…”
 
“Greg?” le domanda, non potendo evitare di lasciar trapelare lo sbigottimento, “il tuo amico Greg?”
 
“Sì, lui: non ne conosco altri,” conferma lei, lievemente seccata dall’incredulità dell’uomo.
 
“Certo, scusami, è che Greg… come posso dire? Mi sembra che tra lui e un ‘playboy stronzo’ ci passi un abisso,” cerca di spiegarsi l’uomo, raccomandandosi mentalmente di contare fino a dieci prima di parlare.
 
“Eh, lo so: vedi? Tu dici che ci sono le eccezioni ma comincio a dubitarlo. Greg… è cambiato improvvisamente. Ha cominciato a vestirsi e pettinarsi da fighetto, ha tolto gli occhiali e messo le lenti a contatto e… frequenta una ragazza più grande, che ha già la patente. E oggi pomeriggio, quando mi ha riaccompagnata a casa, mi ha confessato di averla baciata e averci fatto non so che altro. Insomma, è uno stronzo anche lui, esattamente come tutti gli altri!” sbotta la ragazza, con uno sguardo che potrebbe incenerire chiunque e che non depone a favore dell’incolumità di Greg.
 
“Livietta, scusa se te lo dico, forse me ne pentirò, ma credo che è inutile che ne parliamo se non sono onesto con te: non mi sembra che migliorare il proprio aspetto o avere finalmente una ragazza equivalga a diventare ‘stronzi’,” le fa notare Gaetano, con tono cauto ma convinto.
 
“Forse no, ma è da ‘stronzo’ venire a raccontarmelo con tutti i dettagli, non ti pare?” domanda Livietta, indignata.
 
“Beh, Livietta, non proprio. O meglio, lo sarebbe se non fosse un tuo amico ma il tuo ragazzo,” risponde Gaetano, guardandola negli occhi, “o forse è proprio questo il problema, Livietta, più che il cambiamento di Greg?”
 
“Intendi dire che il problema non è lui, ma sono io?”
 
“Odio quella frase, ma sì, direi che il problema non è tanto il comportamento di Greg, ma quello che provoca in te. Hai provato a chiederti perché ti infastidisce tanto da farti passare una notte insonne a rischiare un’indigestione di gelato in compagnia di un ex ‘playboy stronzo’?”
 
“Sì,” sospira Livietta, con un sorriso divertito e malinconico al tempo stesso, “ma non sono sicura di quello che provo e prima di scoprire le mie carte vorrei sentire cosa ne pensi tu. Diciamo le tue ‘ipotesi investigative’.”
 
“Direi che la prima ipotesi, la più evidente e scontata e a cui immagino abbia pensato anche tu è che in realtà Greg non è solo un amico per te. Che ti sei innamorata di lui,” risponde Gaetano con la massima delicatezza possibile, sentendosi di nuovo come un pesce fuor d’acqua.
 
“Sì, ci avevo pensato anche io,” ammette la ragazza con un altro sospiro, “ma mi sento confusa e… non so, non avevo mai immaginato Greg come un possibile fidanzato. Però non ho altre spiegazioni per quello che ho provato quando l’ho visto con quella.”
 
“Quindi non hai altre ipotesi?”
 
“No,” conferma la ragazza, “perché? Tu sì?”
 
“Beh, un’altra possibile interpretazione ci sarebbe in realtà. Ma non so quale delle due sia quella corretta o se una delle due lo sia: quello che senti lo puoi sapere soltanto tu.”
 
“Dai, spara! Sempre in senso metaforico, eh!” lo incita la ragazza con un altro sorriso.
 
“L’altra possibilità è che tu sia gelosa di Greg non perché ne sei realmente innamorata, ma perché hai paura di perderlo come amico, hai paura di non essere più il centro del suo mondo. Da quando sei arrivata a Torino avete passato tantissimo tempo insieme e lui per te c’era sempre, a tua completa disposizione, sembrava quasi venerarti, Livietta. Quindi magari, inconsciamente si intende, l’idea che qualcun’altra possa venire prima di te e che le cose tra voi due cambino ti spaventa, capisci cosa intendo?”
 
“Sì,” sbuffa Livietta, tormentandosi una ciocca di capelli, “però così la stronza sarei io, non ti pare?”
 
“No, in ogni caso mi sembra una reazione comprensibile e naturale, che non ti rende assolutamente una cattiva persona.”
 
“E come posso fare per capire, per chiarire questa confusione che ho in testa?”
 
“Non lo so, Livietta, ti ho detto che non sono un esperto,” ribadisce Gaetano, “forse hai solo bisogno di tempo per capire cosa provi. Ma in realtà credo che in fondo tu lo sappia già, devi solo cercare di metterti in una condizione di tranquillità per farlo ‘venire a galla’ spontaneamente.”
 
“È così che è successo a te con mia madre?” chiede Livietta, guardandolo incuriosita, “come hai capito di esserti innamorato di lei?”
 
“Beh,” deglutisce Gaetano, sentendosi avvampare e le mani farsi nuovamente sudate, “come posso spiegarti… Pensavo a lei continuamente, mi mancava quando non c’era… Se sentivo il suo nome o lo leggevo da qualche parte provavo una strana fitta al petto: ricordo di avere sviluppato una passione per le tortine alla carota e ha quasi cominciato a starmi simpatica pure la moglie di Carlo d’Inghilterra.”
 
“Se stai dicendo sul serio, direi che sei proprio innamorato perso, ma da ricovero,” replica Livietta trascinandolo con sé in una risata liberatoria.
 
“Parlando più seriamente… non so come spiegartelo Livietta, ma con tua madre mi sono sempre sentito ‘a casa’, in pace con me stesso, come se fossi esattamente nel posto in cui dovevo essere e con chi dovevo essere. Io e tua madre non ci somigliamo così tanto, eppure credo di aver sempre rivisto in lei una parte di me e mi ha sempre capito meglio di chiunque altro al mondo. Inoltre è l’unica persona con la quale mi è sempre piaciuto perfino discutere – non litigare – ma discutere sì. E i suoi difetti non mi hanno mai dato sui nervi come con le altre, anzi, mi attraevano e mi attraggono, e non ho mai desiderato cambiare nulla di lei. E poi… c’è il fatto che lei mi legge dentro, ma non mi ha mai spaventato l’essere vulnerabile davanti a lei. E ha sempre saputo tirare fuori il meglio di me: hai visto anche cos’è successo con Tommy,” cerca di spiegarsi, sorprendendosi nuovamente di come le parole sfuggano dalla sua bocca senza poterle trattenere, di come sia facile confidarsi con Livietta, di come nemmeno con lei, per qualche assurdo motivo, abbia paura di mettersi a nudo.
 
Solleva lo sguardo e i suoi occhi incontrano quelli della ragazza, divenuti improvvisamente lucidi e ancora più grandi. Le ultime cucchiaiate di gelato svaniscono in un silenzio inspiegabilmente confortevole.
 
“Ma eri e sei anche attratto da lei, no, fisicamente?” chiede la ragazza, con uno sguardo indefinibile.
 
“È una domanda a trabocchetto?” domanda di rimando Gaetano, sentendo la tranquillità svanire con la stessa rapidità con cui è arrivata.
 
“No, non è una trappola, dico seriamente. Forse la domanda che volevo farti è: dopo quanto tempo hai sentito un certo tipo di… attrazione per lei. Subito? E non voglio dettagli, per la carità, solo questa risposta,” replica Livietta, con le gote ormai terribilmente arrossate.
 
“Beh, sì, quasi subito dopo averla conosciuta, ma perché me lo chiedi?”
 
“Perché alcune delle cose che dici: il sentirmi ‘a casa’, in pace, al sicuro, il sentirmi capita, le provo anche io con Greg. Ma non mi ero mai sentita attratta da lui… ora che ha cambiato look mi piace di più, ma, non lo so…” cerca di chiarire la ragazza, con voce sinceramente confusa.
 
“Livietta, non lo so nemmeno io. Ti ripeto, la mia esperienza sugli innamoramenti è decisamente limitata, ma non penso ci siano regole universali e ci sono tante amicizie che poi sfociano in amore. È anche vero però che in pace, al sicuro e capito ti ci puoi sentire anche con un amico. Io più di tanto non posso aiutarti, lo puoi sapere solo tu cosa provi.”
 
“E quindi cosa mi consigli di fare?”
 
“Di prendere tempo e cercare di chiarirti le idee, di non agire di impulso. Perché se non è amore ma è solo gelosia e timore di perdere un amico, se inizi una storia con lui senza esserne davvero innamorata, lo perderai comunque e in un modo ancora peggiore. Però se ti rendi conto di amarlo non ti devi fare frenare dalla paura di rovinare la vostra amicizia, perché ti garantisco per esperienza che fare la parte dell’amico con la persona che ami è una delle cose che fa più male in assoluto.”
 
“E se nel frattempo che io ci rifletto lui perde completamente la testa per quella là?” gli domanda preoccupata, non nascondendo la gelosia che la tormenta al solo ricordo di Greg che sale in auto della sua nuova ‘amica’.
 
“Non credo che corri questo pericolo, Livietta: Greg pende dalle tue labbra da quando ti ha conosciuta e ti garantisco che non mi sembra qualcosa che possa passare all’improvviso, nemmeno se c’è un’altra ragazza di mezzo,” la rassicura Gaetano, provando una certa solidarietà maschile per il povero Greg, in cui un po’ si rivede nel lungo periodo di amore – apparentemente – non corrisposto con la sua Camilla.
 
“Spero che tu abbia ragione…” sussurra Livietta, alzandosi per mettere i cucchiai nella lavastoviglie e buttare il recipiente.
 
“Livietta,” le dice con la voce più rassicurante che possiede, appoggiandole una mano sulla spalla e facendola voltare verso di lui, “comunque vadano le cose, ricordati che a 16 anni puoi anche permetterti, anzi direi che hai tutto il diritto di sbagliare. Quindi non tormentarti e non pensarci troppo, ok?”
 
“Niente più notti insonni?” chiede lei con un sorriso.
 
“Niente più notti insonni,” conferma lui ricambiando il sorriso, toccandosi il collo, “approfitta di dormire, tu che puoi.”
 
In un battito di ciglia, si ritrova stretto in un abbraccio delicato e forte al tempo stesso, totalmente inatteso e dall’effetto assolutamente devastante: per qualche secondo rimane con le braccia in aria, imbarazzato e insicuro su cosa fare per non spezzare quello che sente essere un altro fragile miracolo che la vita gli sta regalando.
 
Alla fine appoggia gentilmente le mani sulle spalle della ragazza, sentendola stringere ancora di più la presa.
 
“Grazie, Gaetano, mi ha fatto bene sfogarmi con te stasera,” mormora Livietta con un sorriso, allentando leggermente l’abbraccio per guardarlo negli occhi, “mia mamma è davvero una donna molto fortunata.”
 
Gaetano sente come se il cuore volesse esplodergli nel petto e gli occhi farsi nuovamente lucidi. Per fortuna Livietta sceglie quel momento per stringerlo di nuovo in un altro breve abbraccio, evitando quindi di vedere l’impatto che quelle parole hanno avuto su di lui.
 
“Ma se ti venisse anche solo l’idea di far tornare ‘in scena’ il ‘playboy stronzo’, se ti azzardi a tradirla o a farla soffrire, te la farò pagare, chiaro?” gli sussurra in un orecchio, per poi sciogliere l’abbraccio, fulminarlo con un’occhiata eloquente e incamminarsi con passo regale verso la sua stanza, lasciandolo in piedi in mezzo alla cucina, sbalordito e impressionato insieme.
 
Questa il povero Greg davvero se lo mangia in un solo boccone – è l’unico pensiero che invade la mente di Gaetano prima di avviarsi, con un sorriso incredulo ancora sulle labbra, verso quel che rimane di una notte insonne.
 
E poi, nel buio, un rumore.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Promises ***


Nota dell’autrice:

Un altro lungo capitolo con cui si chiude quella che definirei la seconda fase della storia, nel prossimo ci saranno diversi eventi importanti ed entreremo nella terza fase che ci riserverà parecchie soprese.

Questo capitolo tratta tematiche delicate e che sono state per me molto difficili da scrivere. Spero di essere riuscita a mantenere una visione realistica ed obiettiva sul tutto, anche se, come vedrete, queste tematiche delicate ci vengono presentate dalla voce di una delle due “parti” in causa che quindi difficilmente può essere oggettiva al 100% nel suo punto di vista. Fatemi sapere cosa ne pensate, come sempre anche le critiche mi aiutano a migliorarmi e a correggere ciò che non funziona.


Non penso proprio che riuscirò a pubblicare un altro capitolo prima di Natale, quindi auguro a tutte voi un buon Natale e vi ringrazio ancora per avere avuto la pazienza di seguire questa storia fin qui.

Grazie alle festività dovrei però avere più tempo per scrivere e quindi gli aggiornamenti dovrebbero essere più frequenti che nelle ultime e incasinatissime settimane, salvo imprevisti…

Ancora auguri!
 


Capitolo 15: “Promises”
 

Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro 


“Gaetano…”
 
Si blocca sui suoi passi, sicuro di aver sentito pronunciare il suo nome e non da una voce qualsiasi.
 
“Gaetano…”
 
Sorride alla conferma che non è un’allucinazione uditiva provocata dall’orario e dai suoi desideri: forse la conclusione di questa lunga notte insonne sarà migliore del previsto.
 
Con cautela, lanciando un’occhiata verso la porta della stanza di Livietta e accertandosi che la ragazza non sembra intenzionata ad uscirne nuovamente, si dirige verso un’altra porta, quella che per lui è ormai diventata la porta più importante non solo della casa, ma forse del mondo intero.
 
Si avvicina con circospezione e, di nuovo, sente la voce di Camilla che lo chiama, in un tono ancora basso ma che sembra diventare sempre più impaziente.
 
Apre la porta con un sorriso sulle labbra, che svanisce per poi rinascere in una risata a stento trattenuta, quando la vede: in mezzo al letto, attorcigliata completamente tra le lenzuola, stesa su un fianco, rivolta verso la porta, bellissima e soprattutto profondamente addormentata.
 
Totalmente ammaliato, chiude la porta dietro di sé e compie i pochi passi che lo dividono dal letto matrimoniale, sedendosi al suo fianco. Per lunghi attimi rimane ad ammirarla, illuminata dai raggi della luna che filtrano dalle finestre, incerto se svegliarla o lasciarla riposare. Ma quando la sente chiamarlo in maniera tanto intensa da suonare disperata, decide di intervenire.
 
“Camilla… Camilla, svegliati,” la esorta, accarezzandole un braccio in modo via via più vigoroso, “sono qui, amore mio, stai sognando, svegliati.”
 
“Gaetano!” esclama in un mezzo grido, aprendo gli occhi all’improvviso e sembrando tranquillizzarsi quando se lo trova davanti.
 
“Stavi sognando, professoressa,” la rassicura lui con un sorriso, scostandole una ciocca di ricci da davanti agli occhi e accarezzandole la fronte.
 
“Ma cosa ci fai qui? Che ore sono?” chiede lei all’improvviso, guardando verso il comodino, “le quattro del mattino?”
 
“Ti ho sentita che mi chiamavi ed eccomi qui,” le spiega, mentre lei si mette a sedere e si stropiccia il viso.
 
“Oddio, mi si sentiva fin nello studio? Ti ho svegliato?” chiede Camilla, arrossendo visibilmente, preoccupata all’idea di aver parlato tanto forte.
 
“No, no, tranquilla, ero sveglio, ti ho sentita dal corridoio…”
 
“Ma cosa ci fai in piedi a quest’ora?” gli domanda, osservandolo poi meglio, notando la postura rigida e innaturale, “hai male al collo?”
 
“Un po’…” ammette con un sospiro, massaggiandosi le spalle.
 
“Te l’ho detto che non dovevi portare la spesa, oggi!” lo rimprovera Camilla, preoccupata, “domani mattina, anzi diciamo pure stamattina, chiami di nuovo in questura e ti prendi almeno un’altra giornata di malattia. Saresti in prognosi ancora per qualche giorno, quindi niente scuse! E basta sforzi, e poi chiamiamo il fisioterapista per i massaggi.”
 
“Camilla!” sbuffa lui, “lo sai che non posso assentarmi ancora… il caso Migliasso…”
 
“Gaetano!” ribatte lei, fulminandolo con lo sguardo, con aria di chi non ammette repliche.
 
“Ok, ok, professoressa, ho capito. Domani telelavoro…” sospira, issando bandiera bianca.
 
“No, domani riposo e poco telelavoro. Se hai bisogno c’è Torre e ci sono anche io.”
 
“Con tutto il rispetto per Torre, lo sai che sei tu la mia detective preferita,” le dice, facendole l’occhiolino, “però non voglio che ti cacci nei guai, quindi direi che possiamo affidarci a Torre, mentre tu quando torni da scuola puoi assistere un povero infermo.”
 
“Scemo!” ribatte lei ridendo e colpendolo leggermente sul petto.
 
“Ehi, prima ti preoccupi per me e poi mi picchi?” protesta Gaetano, fingendosi offeso, “e comunque professoressa, non divaghiamo, perché anche io ho una domanda per te. Che cosa stavi sognando poco fa? Non ti chiedo chi perché lo so…”
 
“Hai una faccia da schiaffi, te l’ha mai detto nessuno?” ribatte lei, scuotendo il capo con un mezzo sorriso di fronte allo sguardo sornione e compiaciuto dell’uomo.
 
“Sì, ma non cercare di distrarmi, Camilla. Cosa succedeva nel tuo sogno?”
 
“Gaetano…” sospira lei, diventando rossa come un peperone e nascondendosi il viso tra le mani, “ti prego, dai, mi vergogno.”
 
“Mi sembra che l’ultima volta alla fine sei stata tu che hai insistito per raccontarmi i tuoi sogni e non è stato poi così male, no?” le fa notare con voce ironica e sensuale insieme, ricordando come il racconto dei sogni di Camilla avesse scatenato in tutti e due una passione famelica e molto, ma molto appagante.
 
La donna si limita a confermare col capo ma continua a coprirsi il viso, mentre il rossore le arriva ormai fino al decolleté.
 
“Cos’hai sognato stavolta di così inconfessabile, professoressa? Frustini? Corde? Catene?” le domanda con un sorriso, riferendosi scherzosamente al sogno della donna a base di confessioni “estorte” con tanto di manette e cella.
 
“Eddai, piantala di fare lo scemo!” lo implora lei colpendolo di nuovo sul petto, accorgendosi dell’errore tattico commesso quando lui le blocca le mani con le sue, obbligandola a guardarlo a volto scoperto.
 
“Camilla!” la esorta semplicemente, fissandola negli occhi, e la donna sa di dover cedere, forse di voler cedere ma di averne paura in egual misura.
 
“Ok, ok, io te lo racconto, però mi devi promettere di non preoccuparti e di non… di non prenderlo troppo seriamente, ok?” lo prega con voce improvvisamente timorosa.
 
“Camilla, però così mi fai preoccupare per forza, cos’è che hai sognato? Sai che puoi dirmi qualsiasi cosa,” le risponde con tono più serio, cercando però di sdrammatizzare aggiungendo poi con un sorriso e facendole l’occhiolino, “oddio se hai sognato un altro uomo che si chiama Gaetano o se nel sogno eravamo in tre, forse preferisco non saperlo.”
 
“Gaetano…” sospira ricambiando il sorriso, allungando una mano per accarezzargli il viso, “nel sogno in effetti eravamo in tre, ma non so se la terza persona fosse un lui o una lei.”
 
“EH?” esclama lui non potendo trattenersi, mentre scenari vietati ai minori gli attraversano la mente e una gelosia bruciante gli attanaglia il cuore.
 
“Non in quel senso!” esclama lei di rimando, contenendo una risata all’espressione dell’uomo.
 
“E in quale senso?” le chiede non riuscendo ad evitare di alzare leggermente la voce e di indurirla allo stesso tempo.
 
“Gaetano…” ripete lei con un altro sospiro, prima di inspirare a fondo e saltare nel vuoto, “ho sognato… ho sognato di essere incinta.”
 
 
 
Silenzio.
 
 
 
I lineamenti di Gaetano sono pietrificati in un’espressione completamente sconcertata: occhi e bocca spalancati come quelli di un pesce lesso. Sarebbe quasi comico agli occhi di chiunque, ma Camilla, nello stato di agitazione e rimescolamento di stomaco in cui si trova, non è in grado di cogliere il lato umoristico della situazione.
 
“Gaetano… ti ho detto che non devi preoccuparti: è solo un sogno e non significa che voglio un altro figlio,” si precipita a spiegare, terrorizzata all’idea che lui pensi che lei lo voglia “incastrare” dopo solo pochi giorni di relazione.
 
“Quindi… quindi non vuoi un figlio da me?” le chiede, riprendendosi dalla paralisi, non riuscendo ad offuscare la delusione e l’amarezza che si impadroniscono della sua voce e del suo volto.
 
“NO!” esclama Camilla, dandosi mentalmente dell’idiota, “cioè sì… cioè… Gaetano… è chiaro che lo vorrei un figlio da te: ogni volta che vedo Tommy e vedo te… non posso fare a meno di pensare a come sarebbe stato avere un figlio nostro.”
 
“Lo so,” sussurra Gaetano con una voce dolce e malinconica insieme, “anche io quando vi vedo insieme ci penso spesso, sai?”
 
“Lo so,” ripete lei, stendendo nuovamente la mano per sfiorargli una guancia, “però è da così poco che siamo… una coppia, anche se ci conosciamo da una vita e poi… e poi io non sono più una ragazzina e anzi, il mio orologio biologico sta probabilmente scandendo gli ultimi rintocchi. E soprattutto non voglio che tu pensi che ti voglia incatenare a me con un figlio, che io-“
 
“Shhh,” la zittisce lui, tirandola a sé e abbracciandola più forte che può, “Camilla, non serve che ti scusi o ti giustifichi: lo so benissimo anche io che questo non è il momento adatto per pensare a un figlio e che… che in ogni caso, anche andando avanti ci saranno tanti rischi da considerare e io non voglio che ti succeda niente e non ti forzerei mai e, anzi, ti capirei se non te la sentissi di provare ad avere un altro bambino. Per me già stare con te, Tommy e Livietta in questi giorni è essere in famiglia, nonostante tutti i casini che ci circondano, e ho quasi paura a desiderare di più di così, lo sai? E in quanto all’incatenarmi a te: lo sono già da tanti anni, professoressa, senza bisogno di vincoli legali o biologici che ci uniscano e non ho alcuna intenzione di tentare di liberarmi. Non che ne sarei capace, anche volendo.”
 
“Gaetano…” sussurra lei commossa, baciandogli il collo delicatamente, attenta a non fargli male, “anche per me è… esattamente lo stesso. Da quando tu e Tommy siete venuti ad abitare qui, anche se lo so che sarà solo per qualche giorno… mi sento a casa, davvero a casa, malgrado tutti i problemi che ci sono, anche con Livietta. E a Tommy voglio un bene dell’anima: come dici tu non servono legami giuridici o di sangue per sentirsi una famiglia.”
 
“Già,” conferma lui, accarezzandole i capelli e deglutendo per cercare di sciogliere il nodo che gli si è formato in gola dall’emozione, “però è bello sognare, no?”
 
Camilla si limita ad annuire col capo, stringendosi ancora di più in quell’abbraccio, affondando il viso nella t-shirt bianca di Gaetano ed inspirando quel profumo che la fa sentire protetta e in pace con il mondo.
 
“In realtà… anche io una volta ho fatto un sogno simile, lo sai?” confessa Gaetano in un sussurro, quasi come se fosse immerso nei suoi pensieri o nei suoi ricordi.
 
“Hai sognato che aspettavamo un bambino?” chiede Camilla, sorpresa da questa rivelazione, sollevando il capo per guardarlo negli occhi.
 
“Sì,” ammette lui, ricambiando lo sguardo, “ho sognato che eri incinta, col pancione e che mi facevi montare la cameretta del bimbo o della bimba. Gialla perché non sapevamo se fosse un lui o una lei.”
 
“È un sogno molto più dettagliato del mio Gaetano, e suona anche molto più faticoso,” gli risponde con un sorriso talmente ampio e brillante da rischiarare la penombra della stanza.
 
“Non era affatto faticoso, era… indescrivibile,” sussurra con voce roca, accarezzandole il viso.
 
“Buono a sapersi: lo terrò a mente se mai dovessi fare un salto all’Ikea,” ribatte lei per alleggerire l’atmosfera, ottenendo come ricompensa una risata sincera e quello sguardo esasperato ed adorante che la fa sempre sentire la donna più fortunata e desiderata del mondo.
 
“E quando hai fatto questo sogno? Di recente?” domanda, colta da un’improvvisa curiosità, notando però quasi subito, dal repentino irrigidimento dei muscoli dell’uomo, di avere toccato un nervo scoperto.
 
“No,” sospira, dopo un attimo di esitazione, abbassando il capo, con aria di grande imbarazzo, “e… diciamo che se te lo racconto… ho paura che non ci faccio esattamente una grande figura, anzi…”
 
“Cosa vuoi dire?” chiede lei, completamente spiazzata dal brusco mutamento dell’umore dell’uomo e dell’atmosfera nella stanza, “Gaetano, lo sai che anche tu puoi parlarmi liberamente di qualsiasi cosa. E che sicuramente qualunque cosa mi dirai non cambierà l’opinione che ho di te.”
 
“Non ne sarei così convinta, se fossi in te,” ribatte lui, sollevando nuovamente lo sguardo per osservare la sua reazione, confessando poi, con voce rotta e leggermente tremante, “l’ho sognato… l’ho sognato quando Eva… quando Eva era incinta di Tommy.”
 
La paresi facciale questa volta colpisce Camilla, che rimane per lunghi ed interminabili istanti col volto contratto in una maschera di totale sconcerto. Mentre è ancora pietrificata, Gaetano scioglie l’abbraccio con un sospiro, mettendosi a sedere sul bordo del letto, con i piedi appoggiati sul tappeto, dandole le spalle.
 
“Lo so che questo non mi fa onore, per usare un eufemismo, né come marito, né come padre. E credimi che non è una cosa di cui vado fiero, Camilla,” le spiega, nascondendosi il viso tra le mani.
 
“Gaetano…” mormora lei, riprendendosi di colpo all’udire il tono dell’uomo: pieno di amarezza e di… disprezzo verso se stesso.
 
“Gaetano,” ripete, sedendosi accanto  a lui e appoggiandogli una mano sulla spalla, “Gaetano, ascoltami: non… non si sceglie cosa si sogna… né cosa si desidera nel profondo del nostro cuore. L’ho imparato a mie spese in questi mesi e… e allora anche i miei sogni fanno di me una pessima, pessima moglie, Gaetano.”
 
“Non è solo per il sogno, Camilla, è anche per… è anche per quello che ho provato al risveglio. Quando ho aperto gli occhi e ho visto Eva accanto a me, che riposava tranquilla, ho provato una tale delusione… mi sono sentito soffocare e ho capito… ho capito di avere sbagliato tutto, di avere commesso un errore irreparabile e nel quale avevo trascinato non solo Eva, ma anche una creatura innocente che non era nemmeno ancora nata.”
 
La voce di Gaetano diventa gradualmente più decisa, lucida, ma sempre terribilmente amara, dura e piena di disistima. Camilla vorrebbe rassicurarlo, calmarlo, consolarlo, ma sente la lingua incollata al palato: e per quanto si sforzi non trova le parole adatte, e dubita in cuor suo che ne esistano di adeguate alle circostanze.
 
“Sai, Camilla, con Roberta… con Roberta mi avevi fermato in tempo, prima che fosse troppo tardi. Ma poi eri sparita, te ne eri andata a migliaia di chilometri di distanza ed ero sicuro davvero di averti persa per sempre, che non ti avrei mai più rivista,” comincia a raccontare, incrociando lo sguardo di lei per un unico lunghissimo istante, per poi tornare a fissare il tappeto.
 
“In poco tempo, Roma mi era diventata insopportabile: troppi ricordi, tutti legati a te. Se passavo davanti al nostro bar o nella zona dove vivevi mi sembrava di impazzire. Ma il peggio era in commissariato e nel mio appartamento: ci avevamo trascorso talmente tante ore insieme, da quando ero tornato da Praga… Ho capito che avevo bisogno di cambiare aria, se volevo avere una minima speranza di rifarmi una vita. Ho chiesto il trasferimento e sono finito a Sondrio. Per distrarmi trascorrevo i weekend a Milano, giravo per locali… insomma cercavo di fare la mia solita vita da… da playboy,” ammette non potendo evitare che un mezzo sorriso agrodolce gli si dipinga sul viso quando la voce della sua coscienza, che suona stranamente identica a quella di Livietta, ci aggiunge uno “stronzo” finale.
 
“Ed è così che hai conosciuto Eva?” chiede Camilla, con la voce più neutra e cauta di cui è capace, accarezzandogli la schiena con movimenti circolari, quasi a fargli forza.
 
“Sì… Era la settimana della moda ed era ovviamente pieno di modelle. Tutte ragazzine, sembravano fatte con lo stampino: bevevano tanto, mangiavano pochissimo e parlavano… parlavano di cose da ragazzine. D’improvviso mi sono sentito vecchio e ridicolo, completamente fuori posto. E poi ho visto lei: un po’ in disparte, bellissima, algida, con un fisico da ex modella ma il viso di chi aveva fortunatamente già superato abbondantemente l’adolescenza, di chi aveva qualcosa da dire, e l’aria di voler essere da tutt’altra parte. Mi sono avvicinato a lei e le sue prime parole sono state ‘guardi che se non l’ha notato ho più di trent’anni: credo di essere completamente fuori dal suo target’.”
 
“Sì, suona proprio come qualcosa che potrebbe dire Eva,” commenta Camilla con un sorriso dolceamaro che si riflette perfettamente in quello dell’uomo: se da un lato prova una certa ammirazione e solidarietà femminile verso la svedese per una simile battuta, dall’altro lato non può evitare la fitta di gelosia che si impadronisce di lei ogni volta che pensa a Gaetano con un’altra donna. A maggior ragione una donna con cui ha comunque condiviso qualcosa di incredibilmente importante e che, nel bene o nel male, farà sempre parte della sua vita.
 
“Già… io le risposi che questo dovevo essere io a giudicarlo e che anzi, mi sembrava essere esattamente al centro del mio target e… abbiamo cominciato a parlare, o forse dovrei dire a discutere. Abbiamo praticamente passato la serata con lei che mi elencava tutte i motivi per cui stava solo perdendo il suo tempo con me – e che se restava era solo perché non poteva andarsene prima che finisse l’after-party dell’agenzia per cui lavorava – e io che glieli smontavo uno per uno. Alla fine ha ceduto e ha acconsentito di rivedermi, sempre con l’atteggiamento di chi mi stava facendo un enorme favore, ed è così che è iniziata la nostra relazione.”
 
“Capisco…” mormora Camilla, avvertendo il dolore nel petto farsi sempre più intenso, mentre comprende perfettamente, ancora prima che Gaetano prosegua a spiegarsi, che cosa di Eva lo avesse attratto tanto.
 
“Lo sai che mi sono sempre piaciute le donne forti e di carattere, no, professoressa?” le chiede, trafiggendola nuovamente con uno sguardo malinconico e confermando in pieno le sue intuizioni.
 
“Già…” è il commento laconico di Camilla, che è questa volta la prima a rompere il contatto visivo, sentendosi improvvisamente troppo fragile per sostenerlo.
 
“Camilla…” sussurra Gaetano, cingendole le spalle con in braccio sinistro e tirandola a sé, quasi a leggerle nel pensiero, “scusami, forse… forse non è il caso che ti racconti tutto questo.”
 
“NO!” esclama lei, sollevando il viso di scatto e stringendo più forte il suo braccio destro attorno alla vita dell’uomo, “cioè in realtà… in realtà è da tanto tempo che mi faccio domande su… su di te e su Eva. Ma non ho mai osato chiederti nulla, forse anche perché, sì, lo ammetto, il pensiero di te e lei insieme non è esattamente piacevole per me. Però se tu me ne vuoi parlare, se lo vuoi condividere con me, per me… per me è importante, Gaetano, anche se non è facile per nessuno dei due.”
 
“No, non lo è…” ammette Gaetano, baciandole i capelli e respirandone il profumo, quasi a farsi forza.
 
“La nostra relazione è stata in gran parte come il nostro primo incontro: eravamo quasi completamente diversi, non avevamo praticamente nulla in comune, ma all’inizio queste differenze ci attraevano e discutere era stimolante, affascinante e divertente. E penso… penso che ci siamo trovati in un periodo delle nostre vite in cui entrambi eravamo stanchi di una vita solitaria e desideravamo fortemente mettere radici, avere una famiglia e soprattutto dei figli. Lei aveva girato mezzo mondo, prima come modella e poi come fotografa, ed era lontana dai suoi parenti e da tutti i suoi affetti e beh… lo stesso valeva per me, anche se avevo viaggiato di meno. E così in poco tempo ci siamo ritrovati a convivere: un po’ a Milano e un po’ a Sondrio e dopo pochi mesi che ci conoscevamo mi ha annunciato di essere incinta. Si è trasferita in pianta stabile nel mio appartamento a Sondrio, dato che io dovevo essere in questura tutti i giorni, mentre lei aveva un lavoro freelance, e ci siamo sposati a tempo di record, giusto il tempo di fare le pubblicazioni. Una cerimonia semplice, in comune: come invitati solo mia sorella e i genitori di Eva, che penso stessero per morire di infarto quando abbiamo annunciato loro che la figlia era incinta si stava per sposare da lì a pochi giorni con quello che per loro era un perfetto sconosciuto. Non credo me l’abbiano mai perdonata, nonostante tutte le storie sulla ‘mentalità aperta’ degli scandinavi.”
 
“C’era anche Nino?” chiede Camilla, prima di potersi trattenere dal fare questa domanda, non del tutto sicura sul perché sia così curiosa di saperlo.
 
“Sì, e anche il marito di Francesca… Nino era strano quel giorno, mi continuava a fissare come se volesse dirmi qualcosa e credo che volesse chiedermi se ero sicuro di quello che stavo facendo. E ricordo che anche Francesca aveva commentato ironicamente che ero io la ‘nuova mina vagante’ della famiglia e che la stavo battendo in quanto a relazioni lampo e a colpi di testa, ma mi sembrava comunque felice per me, per il fatto che sarei diventato finalmente padre e lei zia. Però lo sai… è stato tutto molto surreale se riguardo indietro, è successo tutto talmente in fretta…”
 
“E poi?” sussurra Camilla dopo un attimo di silenzio e di riflessione da parte di entrambi, sollevando gli occhi e osservando Gaetano, che sembra completamente immerso in pensieri per nulla piacevoli.
 
“E poi sono cominciati i problemi: convivere per sette giorni alla settimana, ventiquattro ore al giorno, era diverso dal trascorrere qualche giorno l’uno nell’appartamento dell’altro. E ad Eva Sondrio andava stretta, abituata com’era alle metropoli e a viaggiare. Poi, non so se per via degli ormoni della gravidanza, ma il carattere di Eva ha cominciato a poco a poco a peggiorare: è diventata sempre più esigente e dura. Se all’inizio mi piaceva discutere con lei, se all’inizio le nostre differenze ci attraevano, in poco tempo mi sono reso conto che Eva non era solo forte di carattere, o un po’ testarda, ma completamente intransigente. Per lei era tutto o bianco o nero, non esistevano compromessi e le cose o si facevano esattamente come diceva lei, quando lo diceva lei, o erano liti interminabili. Il problema era che la pensavamo all’opposto su quasi tutto: avevamo gusti, ritmi, abitudini completamente diversi, quindi era una guerra continua. E io dopo un po’, sfinito, cedevo, sia perché lei era incinta e non volevo farla agitare, sia perché speravo che questa metamorfosi fosse solo temporanea.”
 
Camilla non riesce a parlare, può solo appoggiare la testa sul suo petto e stringerlo ancora di più a sé, continuando ad accarezzargli la schiena e aspettare che lui riordini le idee e ritrovi la forza necessaria per continuare.
 
“Ma poi, quando Eva era al sesto mese di gravidanza, ti ho sognata e quando mi sono svegliato… mi sono risvegliato in tutti i sensi e ho capito tutto… ho capito che non amavo Eva, che non l’avevo mai amata. Che anche se, per certi versi, forse inconsciamente alcuni aspetti del suo carattere mi avevano ricordato te, in realtà c’era un abisso tra di voi e non c’era minimamente paragone tra il tipo di rapporto che avevo con te e quello che avevo con lei. Mi sono reso conto che ero ancora innamorato di te e che il matrimonio con Eva era finito ancora prima di iniziare. Insomma, che avevo appena commesso la più grossa cazzata di tutta la mia vita, sposandomi con una persona con cui ero completamente incompatibile e che per di più non amavo e che non c’era rimedio o via di uscita. Mi sentivo in trappola e allo stesso tempo sentivo di essere una persona orribile, un marito terribile, sentivo di avere ingannato ed usato Eva e mi sono odiato con tutte le mie forze, Camilla.”
 
Volge il capo verso di lei e la trafigge con uno sguardo talmente carico di dolore da farle un male fisico. Solleva una mano per toccargli il viso ma lui la cattura in una delle sue prima che riesca a raggiungerlo. La stringe forte, in maniera quasi disperata e poi scioglie l’abbraccio, si alza e comincia a camminare per la stanza.
 
“Ero devastato dai sensi di colpa verso Eva e verso il figlio che aspettavamo. Ho cercato di fare finta di niente, ma mi rendo conto, col senno di poi, di essere diventato allo stesso tempo più freddo con Eva ma anche più arrendevole, conciliante, forse per cercare di ‘espiare’ le mie colpe. Non so se Eva se ne fosse resa conto, essendo una donna intelligente credo che qualcosa avesse intuito, ma la situazione ha continuato a peggiorare: più io ero passivo e accondiscendente, più lei pretendeva da me e cercava quasi la lite su ogni minima scemenza. Forse era un modo per mettermi alla prova, per capire dove potesse arrivare prima che io reagissi, per capire se mi importasse ancora di lei e della nostra relazione. Forse era solo esausta per la gravidanza, forse essendo sempre stata abituata a vivere da sola era proprio così di carattere, non lo so.”
 
Quello che omette di dire a Camilla è che anche a letto la loro relazione era andata degenerando di pari passo. Se i primi tempi erano stati di grande passione – Eva era la perfetta incarnazione del proverbiale “ghiaccio bollente” – a mano a mano i loro litigi si erano trasferiti in camera da letto e i rapporti erano passati da appassionati a quasi feroci: dei veri e propri duelli tra le lenzuola. Gaetano, spaventato da questa irruenza e dalla possibilità che facesse male a lei o al bambino, aveva cominciato a ridurre la frequenza dei rapporti tra loro. Quando aveva sognato Camilla, alla paura per il benessere di Eva si era presto sommata una crescente assenza di desiderio da parte sua. E anche se aveva giustificato i suoi rifiuti alla donna con la preoccupazione per la salute di lei e del bimbo, era quasi certo, con il senno di poi, che lei avesse capito che c’era anche dell’altro dietro al suo comportamento.
 
 “Fatto sta che poi Tommy finalmente è nato e per qualche mese il clima sembrava essersi rasserenato: eravamo entrambi felicissimi ed entusiasti di nostro figlio ed Eva era talmente concentrata su di lui che mi lasciava respirare. Ma pian piano la situazione ha ricominciato a degenerare: Eva era attaccata a Tommy in modo quasi ossessivo e non permetteva a nessun’altro di occuparsene, nemmeno a me. Qualsiasi cosa facessi era sbagliata: ogni volta che prendevo in braccio mio figlio sembrava che dovessi fargli del male da un momento all’altro. Non si fidava mai a lasciarmelo, praticamente non usciva più di casa e ho cominciato a sentirmi un terzo incomodo. Come marito non venivo assolutamente considerato e, a furia di sentirmelo ripetere o a parole o con i fatti, credo di essermi sul serio convinto di essere anche incapace a fare il padre, di non esserne in grado.”
 
Quello che Gaetano nuovamente preferisce tenere per sé, per non far soffrire Camilla con dettagli che, ne è sicuro, lei non vuole e non necessita sapere, anche se probabilmente li intuisce perfettamente, è che, se prima della nascita di Tommy era stato lui a porre un freno alla loro vita sessuale, dopo era stata Eva stessa a porre un muro quasi invalicabile tra loro, ad essere sempre più fredda e disinteressata ad ogni contatto con lui. Anche dopo la fine dell’inevitabile “stop” post-partum, non aveva più preso iniziativa in tal senso ed era diventata “mamma” full-time e non più “moglie”. E a Gaetano in fondo era andata bene anche così, anche se ogni tanto l’insoddisfazione si era fatta sentire, insieme all’ovvio dispiacere provato nel sentirsi non desiderato e non considerato. Le rare eccezioni che c’erano state, e che si potevano praticamente contare sulle dita di due mani, erano state ancora una volta delle vere e proprie battaglie, un modo per sfogare le reciproche frustrazioni, più che un atto di amore.
 
“Ho cominciato ad odiare il nostro appartamento, non avevo alcuna voglia tornarci la sera. Ho iniziato ad inventare scuse su scuse e a lavorare anche nei weekend. Al principio Eva sembrava non curarsene, poi ha cominciato ad essere gelosa, a farmi scenate ed interrogatori sul fatto che avessi un’altra donna. Lo so che quello che ho fatto è stato tremendo e degno del peggior vigliacco, ma mi sentivo talmente esasperato che alla fine ho avuto davvero un’avventura con praticamente la prima ragazza disponibile che mi è capitata a tiro. Eva ha scoperto i suoi messaggi sul mio cellulare… Col senno di poi credo di averlo fatto di proposito, di aver lasciato che lei li trovasse. Mi ha affrontato e gliel’ho confessato: sono ancora stupito adesso di essere sopravvissuto alla discussione furiosa che ne è seguita, ma è finita con lei che ha fatto le valigie e se ne è tornata a Milano, portandosi Tommy con sé. E credimi che lo so che quello che sto per dire probabilmente fa di me una persona ignobile, ma ho provato un tale sollievo, un tale senso di liberazione che raramente avevo mai provato prima in vita mia e credo… credo di avere trasferito il rigetto che avevo verso qualsiasi cosa riguardasse Eva anche su Tommy. Mi ero convinto ormai di non essere tagliato per fare il padre o per la vita di coppia e ho quasi “rimosso” Tommy dalla mia esistenza, anche perché ero ancora pieno di sensi di colpa verso di lui, mi sentivo responsabile per l’enorme errore che era stato questo matrimonio e sentivo… credo che sentissi di non meritarmi di avere un figlio, sai? E allo stesso tempo rivederlo mi faceva tornare alla mente brutti ricordi, mentre allontanandomene potevo fare finta di niente e cercare di dimenticare.”
 
Camilla è completamente paralizzata sul letto, non riesce a fare altro se non ascoltare Gaetano che si mette a nudo davanti a lei, facendo venire alla luce ferite profonde e probabilmente mai del tutto rimarginate, con una voce talmente lucida nella sua amarezza da farle quasi paura. Quello che lui le sta raccontando in realtà non la sorprende come forse dovrebbe: purtroppo aveva già intuito che fosse successo qualcosa di simile, sia perché, facendo due conti, era evidente come il matrimonio di Gaetano ed Eva fosse durato un lampo, sia dagli indizi, dai detti, non detti e sottotesti che aveva raccolto osservandoli insieme e dai commenti di entrambi e di Tommy. Però non si sarebbe mai immaginata che le cose tra loro fossero degenerate fino a questo punto, che si fossero fatti così tanto male a vicenda. E la cosa peggiore è che intuisce, dalla disperazione e dal senso di colpa nella voce di Gaetano e da quel poco di frequentazione che aveva avuto con Eva, che in fondo erano entrambi colpevoli ed innocenti in egual misura in questa storia, e che probabilmente nessuno dei due avrebbe voluto arrivare a tanto, ma non avevano potuto evitarlo. Erano semplicemente totalmente incompatibili, e questo non era colpa di nessuno dei due. Decidere di avere un figlio e sposarsi senza praticamente conoscersi invece era stata una decisione infausta e questo sì che era colpa di entrambi. Ma le cose col senno di poi e viste dall’esterno, sono sempre molto più semplici e chiare di quando ci sei dentro fino al collo, come Camilla ben sa dopo i suoi disastri matrimoniali.
 
“Anche l’appartamento che avevamo condiviso e Sondrio mi riportavano alla mente il mio fallimento, mi sentivo soffocare e ho deciso che era il caso di cambiare nuovamente città. Ho chiesto il trasferimento e, quando c’è stata l’occasione per Torino, l’ho accettata al volo. Ho messo ancora più distanza tra me, Eva e mio figlio. Ho ricominciato la mia vita da playboy, come e forse peggio di prima. Credo volessi inconsciamente allontanare ed eliminare alla radice ogni possibile tentativo di riconciliazione tra me ed Eva. Mi sono preso tutte le colpe, ho accettato la separazione con addebito e di poter vedere Tommy solo un paio di weekend al mese, ma in realtà piano piano ho ridotto la frequenza delle visite, trovando sempre urgenze sul lavoro per giustificarmi con me stesso. Lo so di essere stato un padre assolutamente terribile e un pessimo marito e che non ho scusanti, Camilla. E poi tu sei ripiombata nella mia vita… Eva nel frattempo si è resa conto di essersi quasi annullata per nostro figlio e che non poteva più vivere in simbiosi con lui, se voleva salvare quello che rimaneva della sua carriera, e me l’ha affidato e… il resto lo sai. Grazie a te ho capito che, anche se forse non me lo merito, posso farcela, che sono in grado di fare il padre, che Tommy ha bisogno di me e che, nonostante non sia nato nelle circostanze migliori, sebbene il matrimonio tra me ed Eva sia stato un tremendo sbaglio, lui invece è la cosa più bella che abbia mai fatto in vita mia, che non potrei più immaginare la mia vita senza di lui…”
 
La voce di Gaetano infine si spezza. I loro occhi si incrociano: pozze profonde in cui si rispecchiano perfettamente, senza bisogno di parole che non sono nemmeno in grado di pronunciare. Camilla estende un braccio, il palmo della mano rivolto verso l’alto. Lui, tremante, accoglie quell’invito silenzioso, intrecciando le dita della donna con le sue e lasciandosi trascinare da lei fino a ritrovarsi nuovamente seduto sul letto, completamente avvolto da quell’abbraccio di cui ha disperatamente bisogno e di cui allo stesso tempo sa di non essere degno. Ma è come un’assoluzione a lungo attesa e anelata e che, per quanto immeritata, non può e non vuole rifiutare.
 
“Camilla…” le sussurra infine tra i capelli, con la voce ancora rotta, “se dopo quello che ti ho raccontato… se tu avessi cambiato idea su noi due… se avessi dei dubbi, io lo capirei.”
 
“Gaetano,” replica lei con tono dolce ma deciso, separandosi leggermente da lui, quel tanto che basta per guardarlo negli occhi, ma mantenendolo comunque stretto nel suo abbraccio, “non devi nemmeno pensarlo, chiaro? Io ti conosco, Gaetano, ti conosco da una vita, ti conosco da prima che ti conoscesse Eva. Ho assistito anche ad un lungo periodo di convivenza tra te e Roberta e, per quanto le cose non fossero state tutte rose e fiori nemmeno con lei, ricordo benissimo che non siete mai arrivati ai livelli a cui siete arrivati tu ed Eva, nemmeno alla lontana. E fatico a ricollegare il mio Gaetano, il Gaetano che conosco con quello che mi hai raccontato, ma allo stesso tempo non ne sono del tutto sorpresa, perché tu ed Eva insieme… siete un mix pericoloso, questo l’ho capito fin da subito. Come capisco cosa vi abbia attratto l’uno all’altra, ma evidentemente non eravate fatti per avere una relazione stabile e duratura: siete troppo diversi, incompatibili. E credo che abbiate tirato fuori il peggio l’uno dell’altra, come credo che, paradossalmente, foste entrambi in buona fede e partiti con le migliori intenzioni. Ma se ho imparato qualcosa dai miei fallimenti in campo matrimoniale e dalla vita, è che accanendosi cercando di funzionare qualcosa di rotto, l’unico risultato è un’inevitabile esplosione e che unendo due solitudini si ottiene solo una solitudine ancora più grande. Quando vi siete conosciuti volevate entrambi esattamente la stessa cosa ma non eravate l’uno per l’altra le persone giuste con cui costruirla.”
 
“Sì, però… io sono anche quel Gaetano, Camilla. È una parte di me, ero sempre io, non era un’altra persona che agiva al posto mio. E…” cerca di spiegare, ma lei lo interrompe con un rapido bacio sulle labbra, che, come sempre, ha su di lui un impatto devastante.
 
“Anche io sono la stessa Camilla che ha quasi tradito suo marito fisicamente in un’infinità di occasioni e che l’ha tradito col pensiero, che forse è pure peggio, per tanti anni. Che stava con lui essendo innamorata di un altro, desiderando stare con un altro, sognandoselo tutte le notti. Immagino che questo non dia un’immagine molto positiva di me come potenziale compagna, Gaetano, e anche tu dovresti avere le tue riserve allora.”
 
“Non è la stessa cosa, Camilla!” protesta con decisione, da un lato non sopportando che lei si sminuisca in questo modo, e dall’altro non potendo evitare di provare una fitta al petto ascoltando quest’ennesima conferma dei suoi sentimenti per lui.
 
“È esattamente la stessa cosa, Gaetano. Nessuno di noi due ha un curriculum impeccabile in materia di relazioni sentimentali, anzi. Del resto se ce l’avessimo avuto non saremmo qui a parlare ora, io non mi sarei innamorata di te e sarei rimasta con Renzo ‘fin che morte non ci separi’ e tu avresti trovato una donna perfetta, non impegnata e incasinata come me, con cui avresti costruito una famiglia felice. Ma siamo, come mi hai ricordato giustamente tu tante volte, qui, insieme e ora. Io, una donna sposata, con una figlia e che si sta separando per la seconda volta da suo marito e tu, un uomo separato con un figlio che ha sempre faticato ad avere relazioni stabili. Se tu fossi una persona esterna, che non ci conosce, e qualcuno ti presentasse la nostra situazione in questa maniera, quante probabilità di successo ci daresti per questa relazione? Probabilmente molto poche. Eppure io sento che quello che c’è tra noi… funziona, Gaetano. Tu non sei Renzo e io non sono Eva: tu con Renzo non hai praticamente nulla in comune e io con Eva, a parte la testardaggine, un talento per gli interrogatori e un certo amore per i duelli verbali – amichevoli nel mio caso – e il gusto in fatto di uomini, nemmeno. E se le premesse sono completamente diverse, se la somma dei fattori è completamente diversa, perché il risultato dovrebbe essere lo stesso?”
 
“Camilla…” le sussurra lui con un sorriso tra il malinconico e l’orgoglioso, non potendo evitare di sfiorarle una guancia con la punta delle dita della mano destra e che la fitta al petto si intensifichi, ma è un dolore quasi piacevole, di quelli che ti fanno sentire vivo.
 
“Gaetano, sei stato proprio tu a dirmi in quel corridoio di ospedale, mentre decidevo se smetterla finalmente di scappare da ciò che provavo e provo per te e darci una possibilità, che quello che è successo con Renzo non deve necessariamente ripetersi con te, te lo ricordi, no?” chiede lei, ricambiando la carezza.
 
“E come potrei mai dimenticarmi di uno dei momenti più belli di tutta la mia vita, Camilla?”
 
“Gaetano…” gli sorride, non resistendo e stampandogli un altro breve bacio sulle labbra ancora dischiuse in un sorriso, “credo che avessi ragione, sai? Ammetto che quella del tradimento è una paura che mi porto ancora dietro, per via di quello che è successo con Renzo e perché so che tu sei un uomo che non passa esattamente inosservato tra la popolazione femminile. Ho paura di perderti, di perdere tutto questo e a volte mi sembra tutto troppo bello, troppo… perfetto per essere vero, nonostante tutti i problemi che stiamo affrontando insieme. Però appunto li stiamo affrontando insieme, Gaetano e… tu riconosci in quello che stiamo vivendo in questi giorni qualcuna delle dinamiche che avevi con Eva? Perché io non trovo alcuna somiglianza con i primi tempi di convivenza con Renzo. È tutto così…”
 
“…naturale!” dicono insieme, quasi all’unisono, sorridendosi di nuovo.
 
“Questa intesa che c’è tra noi, questa armonia, è qualcosa che forse ho avuto con Renzo dopo anni di matrimonio, quando le cose andavano ancora bene… Ma la cosa più straordinaria è che non posso nemmeno prendermi meriti che non ho dicendoti che sto facendo sacrifici o compromessi per farla funzionare questa convivenza, perché non è così. Non so tu, ma io non ho dovuto adattarmi praticamente in niente: abbiamo abitudini, gusti e orari molto più simili di quanto avrei mai osato immaginare, a parte Tommy che ha ovviamente le esigenze di un bimbo della sua età. Tu ti stai sforzando in qualche modo?”
 
“No, anzi... Dopo l’esperienza con Eva ero diventato allergico all’idea di convivere di nuovo stabilmente con una donna, la sola idea mi metteva ansia, ma qui sto così bene che l’ansia mi sta venendo al pensiero di dover tornare a casa mia quando saranno finiti i lavori, anche se siamo a un cortile di distanza…” ammette lui con una punta di malinconia nella voce.
 
“Lo so… non sarà facile lasciarvi andare, anche se possiamo sempre farci visita in due minuti d’orologio e guardarci dalla finestra,” replica lei, con lo stesso tono nostalgico, “però, Gaetano, quello che voglio dire non è che tra noi due saranno sempre rose o fiori o che non avremo mai problemi. Magari questa storia come mi auguro durerà per sempre, magari invece purtroppo non sarà così, però se tra noi non funzionerà non penso proprio sarà per gli stessi motivi per cui non ha funzionato tra me e Renzo o tra te ed Eva, capisci cosa intendo?”
 
“Sì,” le sussurra semplicemente lui accarezzandole i capelli e regalandole un altro sorriso, più ampio e luminoso dei precedenti.
 
“E poi credo che comunque vadano le cose non… non arriveremo a farci tanto male quanto ve ne siete fatti tu ed Eva. E sai perché? Perché prima dell’amore, tra me e te c’è sempre stata stima e un profondo rispetto, forse proprio più da parte tua che da parte mia, in realtà. Io con tutte le mie indecisioni di questi anni non posso dire di avere rispettato i tuoi sentimenti, Gaetano, ma tu con me sei sempre stato corretto, molto più di quanto mi meritassi. E spero davvero che, qualunque cosa accada, anche se l’amore tra noi dovesse… dovesse finire, questo non venga mai a mancare.”
 
“Anche tu sei sempre stata corretta, Camilla. Avresti potuto tenere i piedi in due scarpe, farmi fare il ruolo dell’amante, approfittando di quello che sentivo e sento per te – so che avrei acconsentito, che non avrei resistito, pur di poterti avere almeno un po’ per me, avrei accettato qualsiasi cosa, specie quando ti ho conosciuta. Ma quando hai deciso di darci una possibilità hai davvero deciso Camilla, hai lasciato tuo marito, nonostante tutti i problemi e le paure. Non mi hai mai dato false speranze o promesso qualcosa che non avresti potuto mantenere. E non posso che ammirarti ancora di più per questo e anche io spero che questo non cambi mai: potrei accettare di non avere più il tuo amore, anche se sarebbe un dolore devastante per me, ma se tu arrivassi ad odiarmi o disprezzarmi… non credo potrei sopportarlo.”
 
Uno sguardo, le mani che si stringono quasi convulsamente in quello che è un patto e una preghiera insieme.
 
“Gaetano…” sussurra lei con occhi lucidi, per poi aggiungere in tono più deciso anche se con voce sempre tremante, “promettimi solo una cosa: se mai dovessi capire di non amarmi più e di desiderare qualcun’altra… Ti chiedo solo di non mentirmi, di non… non tradirmi. Anche se sarà difficile e doloroso, preferisco essere lasciata, preferisco la verità a una bugia.”
 
“Camilla, io… te lo prometto, anche se non penso che potrei mai non amarti, mi sembra completamente impossibile. Ma se mai dovesse succedere, ti giuro che te lo dirò e mi prenderò le mie responsabilità. Però anche io voglio che tu me lo prometti, Camilla: se mai dovessi capire di non amarmi più o di amare un altro, non voglio che tu stia con me pensando a lui. Non… non voglio che tu stia con me per obbligo, o senso del dovere, o per pietà o per nulla che non sia l’amore. Voglio che tu viva davvero, che sia felice, anche se non con me.”
 
“Te lo prometto, anche se non riesco nemmeno ad immaginare di poter essere felice senza di te, lo sai?”
 
Un nuovo abbraccio, forte, stretto, ma non disperato, anzi, pieno di calma, pace e di una consapevolezza nuova.
 
Senza bisogno di parole, si stendono insieme sul letto, ancora abbracciati: la testa di Camilla sul petto di Gaetano, mentre lui le accarezza i capelli.
 
La luce pian piano comincia a filtrare nella stanza dalle spesse tende: è una nuova alba, la prima che riescono a vedere insieme.
 
O forse no – pensa Camilla con un sorriso intenerito, notando dai movimenti lenti e regolari del torace di Gaetano che si è finalmente addormentato.
 
Rimane ad osservarlo riposare ancora per un po’, poi, prima che la sveglia possa suonare, si slaccia con delicatezza e con una certa difficoltà dalle sue braccia, riuscendo miracolosamente a non svegliarlo. Stacca la sveglia e si avvia silenziosamente verso l’inizio di una nuova giornata, non prima di rivolgere un ultimo sguardo all’uomo che dorme sereno, abbracciato al suo cuscino.
 
Non ha mai desiderato tanto di poter fermare il tempo come in questo istante.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Les Liaisons Dangereuses - prima parte ***


Ed eccoci qui ad un nuovo capitolo pieno di eventi, che, stando alle previsioni, è la prima parte di un “trittico” di capitoli decisamente movimentati… Come linea temporale stiamo ormai volgendo al termine della sesta puntata della quinta serie e da lì in poi la narrazione proseguirà con anche dei salti temporali. Ci saranno ancora parecchi problemi da affrontare per i nostri, tanti momenti più difficili ma tanti momenti anche di serenità. Spero che il racconto si mantenga sempre interessante, se così non fosse fatemelo sapere che cerco di correggere il tiro: non voglio annoiarvi o tediarvi ;).
 
Prima di lasciarvi alla narrazione, due  piccole precisazioni. La prima è che, come vedrete, in questo capitolo c’è una “deviazione” rispetto ad uno degli eventi clou della sesta puntata. Ci ho molto riflettuto e ho pensato che, considerato dove si trova uno dei personaggi in questo momento nella mia storia, a causa delle differenze rispetto alla sesta puntata vera, sarebbe stato più realistico così.
 
La seconda è il mio punto di vista sulla coppia Eva-Gaetano, che spero emerga dal racconto, ma essendo un argomento spinoso e delicato da trattare, in cui o Eva o Gaetano rischiano di fare la parte del “cattivo” e antipatico della situazione, mi sembra giusto precisare meglio in queste righe.
 
Per me Gaetano è un uomo che ha sempre faticato moltissimo a lasciarsi andare e innamorarsi sul serio, se non di Camilla, ma che, essendo quest'ultima non disponibile per tanti anni, ha cercato di rifarsi una vita più volte con diverse donne, che si sono però rivelate sempre più tremendamente sbagliate. Sia perché lui era e rimaneva fondamentalmente innamorato di Camilla e quindi queste nuove donne si trovavano a dover fare i conti con un termine di paragone con cui difficilmente potevano vincere, sia perché proprio andava a scegliersi via via donne sempre più incompatibili con lui (forse per autopunirsi e autosabotarsi?), il cui culmine è stato Eva.
 
Eva e Gaetano erano e sono, nella mia mente, due brave persone, fondamentalmente, e anche due persone intelligenti e interessanti che in un mondo ideale sarebbero potute anche essere amiche (come del resto in un universo parallelo vedo anche Camilla ed Eva come potenziali amiche). Eva è fredda e distante in apparenza ma sa essere anche affettuosa e appassionata. E dato che Tommy le vuole molto bene ed è un bimbo sereno e ben educato, questo ci da l'idea che l'abbia comunque cresciuto bene, da sola. Gaetano si è visto dalle serie che, a parte l'essere un po' farfallone, è un'ottima persona, un buon padre e un ottimo amico e dalla convivenza a casa di Camilla alla fine della quinta serie abbiamo anche visto che con lei potrebbe essere un ottimo partner/futuro marito.
 
Il problema è l'insieme Eva-Gaetano: quando due persone sono completamente incompatibili ed entrano in una relazione stabile, anche armati di migliori intenzioni, o uno soccombe e si plasma all'altro (e comunque soffre) o, se si hanno due caratteri forti come Eva e Gaetano, l'esplosione è assolutamente inevitabile e si finisce in una relazione distruttiva per entrambi. Nella mia versione questo avviene con Gaetano che si distanzia sempre di più da Eva e diventa più freddo e accondiscendente, mentre Eva diventa assolutamente distruttiva, "tossica" e negativa nei confronti del marito, fino a quasi distruggere completamente la sua autostima in campo affettivo, con l'esplosione finale del tradimento ecc...
 
Insomma, una situazione in cui non ci sono "buoni e cattivi", ma due persone che tirano fuori il peggio l'uno dell'altro, anche se prese singolarmente sono due brave persone.
 
E terminate le luuunghe premesse, lascio finalmente spazio al capitolo ;)! E buon 2014 a tutte voi!



 
Capitolo 16: “Les Liaisons Dangereuses – prima parte”



Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro 



 
Osserva il cellulare che tiene tra le mani e che sembra essere diventato improvvisamente più pesante di un macigno: ormai sono cinque minuti che cerca il coraggio per premere quel dannato tasto verde, ma ogni volta una forza invisibile lo ferma.
 
Dopo l’ultima notte, dopo essersi svegliato nel letto di Camilla e aver trovato la casa vuota, la colazione pronta ed un biglietto in cui lei gli confermava di aver già provveduto a tutto – avvisare in questura della sua giornata di assenza per malattia, portare Tommy all’asilo e, verosimilmente, affrontare il fuoco di fila di domande sul perché il padre non dormisse accanto a lui quella mattina – Gaetano sa che deve farlo, che non può più rimandare.
 
Con un sospiro, preme il tasto verde e compone il numero di cellulare di Eva.
 
Uno, due, tre, quattro squilli.
 
Quando sta quasi per riattaccare, con un misto di sollievo e frustrazione – ritrovare la forza necessaria per richiamare sarà un’impresa ardua – il tono metallico cessa e lascia spazio al brusio tipico delle telefonate in aree “difficili” come ricezione.
 
“Pronto? Gaetano?” la voce di Eva lo raggiunge, leggermente distorta ma comprensibile.
 
“Sì, sono io… Eva, tutto bene?”
 
“Sì, tutto bene, ma… è successo qualcosa lì? Di solito aspettate le mie telefonate, è la prima volta che mi chiami tu,” replica la donna, con tono sorpreso e leggermente preoccupato.
 
Gaetano sospira: Eva è decisamente molto intelligente e perspicace, o forse dopo tutti questi anni, lo conosce fin troppo bene.
 
“Beh, in realtà prima di tutto mi cominciavo a preoccupare perché è da più di una settimana che non ti fai sentire e non era mai successo…”
 
“Sì, hai ragione, ma eravamo nella foresta pluviale a fare le ultime foto prima che arrivi la stagione delle piogge e i telefoni non prendevano, adesso stiamo tornando in auto verso Manila e finalmente c’è campo. Pensavo di chiamarvi una volta arrivata in albergo o stasera o domani sera orario di qui, in modo da poter sentire Tommy. Adesso lì è mattina ed è all’asilo, no?”
 
“Sì, esatto, è all’asilo…”
 
“E tu sei al lavoro? Senti, Gaetano, qual è il vero motivo di questa chiamata, a parte la preoccupazione per la mia incolumità?” domanda, mentre la voce da preoccupata e sorpresa diventa sempre più sospettosa.
 
“No, sono in malattia… Beh, è che qui è successo un… imprevisto e mi sembrava giusto avvertirti. Volevo aspettare che chiamassi tu per non farti preoccupare inutilmente, ma dato che la tua telefonata continuava a ritardare ho pensato che fosse meglio che ti avvisassi io prima che pensassi che te lo stessi tenendo nascosto di proposito…” cerca di spiegare con il tono più calmo e neutro che possiede.
 
“Però se mi dici così, certo che mi preoccupo Gaetano: è successo qualcosa a Tommy? Sta male?” chiede sempre più agitata, alzando leggermente la voce.
 
“No, no, Tommy sta benissimo, come ti ho detto è all’asilo. Se richiami tra qualche ora lo trovi e puoi chiedere conferma anche a lui, o se vuoi ti faccio chiamare direttamente da lui. È che c’è… c’è stato un cortocircuito nel mio appartamento – niente di grave,” si affretta a specificare prima che Eva vada in panico.
 
“Come niente di grave?” esclama lei, alzando ancora di più la voce, ormai decisamente allarmata, “Tommy sta bene? Tu stai bene? È per quello che sei a casa in malattia? E l’appartamento è a posto?”
 
“Tommy come ti ho già detto sta benissimo, non si è fatto assolutamente nulla, io sono scivolato e mi sono fatto male al collo, ma niente di grave, l’appartamento… c’è stato praticamente solo fumo ma niente di più, solo che l’impianto elettrico è da rifare e per questo è inagibile e lo sarà ancora per qualche giorno… fino a che finiscono i lavori.”
 
“Ma quindi adesso dove vivete? State in albergo?” chiede, ansiosa e con un tono di non troppo velata sfiducia che non fa presagire nulla di buono sul proseguimento di questa conversazione.
 
“No…” sospira Gaetano, preparandosi mentalmente a sganciare la bomba e alla reazione che già sa ne seguirà, “siamo… siamo ospiti a casa di Camilla per qualche giorno, fino a che potremo rientrare nel mio appartamento.”
 
“COSA?!” replica Eva, senza più controllare il volume, in quello che è praticamente un urlo, “fammi capire bene, Gaetano: tu hai portato mio figlio a vivere con te a casa di un’altra donna senza avvertirmi e senza il mio permesso?? Ma sei impazzito??”
 
“Nostro figlio, Eva, nostro figlio,” ribatte Gaetano, cercando di controllarsi ma sentendo già le prime avvisaglie del mal di testa che si accompagna ad ogni discussione con Eva, “e comunque non è ‘un’altra donna’, non è una sconosciuta e non è una casa in capo al mondo: è Camilla, sai chi è, sai dove abita, hai anche conosciuto la sua famiglia e sei stata tu stessa ad autorizzare Tommy a frequentarla e -”
 
“Una cosa è autorizzarlo a frequentarla,” lo interrompe Eva, con tono sempre più concitato, “un’altra è che tu e lei andiate a convivere e coinvolgiate mio figlio senza nemmeno degnarvi di avvisare! E da quanto è che va avanti questa storia, eh? Da quanto è che state a casa di Camilla?”
 
“È successo mercoledì sera e se ti ho chiamato è stato appunto per avvisarti, Eva. E poi non è stata una cosa pianificata, è stata una cosa improvvisa, un’emergenza. Non potevo di certo prevedere che ci sarebbe stato un cortocircuito a casa mia di sera: ci hanno ospitato per la prima notte perché Tommy si è addormentato a casa di Camilla mentre io ero in pronto soccorso a farmi vedere il collo e-”
 
“La prima notte, Gaetano, la PRIMA notte,” lo blocca di nuovo Eva, tagliente, “avrei potuto capire un’emergenza, come la chiami tu, di una notte. Ma adesso siamo a martedì, è passata quasi una settimana! Il giorno dopo avresti dovuto cercarvi un albergo, un appartamento, quello che volevi, e soprattutto farmi una maledetta telefonata! O improvvisamente gli alloggi a Torino sono tutti occupati?”
 
“È stato nostro figlio ad insistere per restare a casa di Camilla e non andare in albergo e mi sembra la cosa più logica: a casa di Camilla ci sono lei e Livietta, sua figlia, che possono prendersene cura e fargli compagnia quando io sono al lavoro o se, come oggi, sto poco bene, e poi essere in un ambiente famigliare e non fargli cambiare le sue abitudini lo ha rassicurato ed è tranquillo e sereno.”
 
“Ma certo, perché adesso ti preoccupi di non cambiare le abitudini di nostro figlio e di dargli un ambiente sereno, proprio tu, che hai sempre cambiato donne come se fossero calzini e che hai sempre avuto uno stile di vita e degli orari assurdi e incompatibili con quelli di un bimbo! E poi non mi hai ancora spiegato perché non mi hai avvisato e non hai chiesto il mio permesso prima di mettere in piedi questa idilliaca convivenza e creare questo ambiente sereno per nostro figlio! E soprattutto perché mi hai chiamata quando lui non c’è e non posso verificare di persona se davvero sta bene e cosa ne pensa di tutto questo!” gli sputa addosso Eva, con un tono che trasuda sarcasmo da ogni poro.
 
“Perché pensavo che avresti chiamato tu dopo un paio di giorni, come fai sempre: che ne sapevo io che eri in mezzo alla foresta pluviale? Anche volendo non avrei potuto avvisarti, maledizione!” urla di rimando Gaetano, perdendo la pazienza e non potendo contenere oltre il tono.
 
“Ma non ci hai nemmeno provato!!!”
 
“No, e sai perché? Perché sapevo che anche se te l’avessi detto il giorno dopo la tua reazione sarebbe stata esattamente questa e avevo già abbastanza problemi da risolvere. Ed è lo stesso motivo per cui ho preferito chiamarti mentre Tommy è a scuola: per risparmiargli di sentire i suoi genitori che si urlano dietro per telefono! Ma ti ripeto che puoi chiamarlo quando vuoi: tra qualche ora è a casa e ti faccio chiamare immediatamente, se sei raggiungibile!”
 
“Sarà meglio!” sbotta lei, furente, “e mi fai il piacere di prendere le tue cose e quelle di Tommy e cercarvi un albergo entro sera!”
 
“Tu non hai alcun diritto di dirmi dove posso o non posso stare, Eva: io e te siamo separati, se te lo sei scordato!”
 
“No, ma ho tutto il diritto di decidere dove MIO figlio passa le sue giornate: è ancora anche figlio mio, no, Gaetano? Forse sei tu che ti sei scordato di questo piccolo particolare!”
 
“Senti, Eva,” sospira Gaetano, sforzandosi di abbassare i toni e di essere più conciliante, capendo che continuando a urlare non farà altro che peggiorare le cose, “lo so benissimo che è anche tuo figlio e proprio per questo credo che dovresti capire che questa è la soluzione migliore soprattutto per il bene di Tommy. Lo sai anche tu che Tommy vuole molto bene a Camilla, che adora il suo cane e si è anche affezionato a Livietta e che è molto più felice così che se lo trascinassi a forza in un albergo in cui lui peraltro non vuole stare. Chiamalo tra qualche ora e verificalo di persona, se non vuoi credermi. E poi è solo per qualche giorno ancora.”
 
“Appunto, Gaetano, è per qualche giorno ancora e Tommy già si sta affezionando all’idea di questa bella famiglia felice tra te e Camilla! E cosa succederà quando questa meravigliosa convivenza finirà e Camilla riprenderà la sua solita vita con la sua di famiglia e tu tornerai dalle tue amichette? Ci hai pensato a cosa succederà nella mente di Tommy? Ci hai pensato dove finiranno la serenità e stabilità di cui adesso ti riempi la bocca, eh? Ci hai pensato alla confusione che stai mettendo in testa a nostro figlio?” continua a domandare Eva in un tono sempre più sarcastico e acido, per poi aggiungere, con malcelata ironia, come stoccata finale, “che poi vorrei proprio sapere il marito della tua Camilla cosa ne pensa di questa situazione? È felice di ospitarvi a casa sua e di starvi a guardare mentre mettete in scena la famiglia felice da cartolina?”
 
“Il marito di Camilla è a Londra per lavoro, se proprio lo vuoi sapere,” ribatte Gaetano, cercando disperatamente di mantenere la calma e non alzare di nuovo il tono di voce, “e visto che tanto a breve lo verrai a sapere comunque, e anche se non sono in fondo fatti tuoi, proprio per evitare che tu pensi che ci sia qualcosa da nascondere, ti rendo noto che Camilla e suo marito si stanno nuovamente separando e stavolta penso proprio in modo definitivo.”
 
“MA PERFETTO!” grida Eva, ormai fuori di sé, “e tu ovviamente non hai nemmeno perso un minuto di tempo e hai fatto subito la tua mossa, giusto Gaetano? O eravate già amanti e si sono lasciati per questo?”
 
“Anche se fosse, i motivi per cui è finito il matrimonio di Camilla non sono fatti che ti riguardano, Eva, ma comunque io non sono mai stato l’amante di Camilla e-“
 
“Guarda che l’avevo capito che c’era qualcosa tra voi due, Gaetano, o vuoi provare a negarlo che voi due avete una storia? Pensi che io sia cieca? Che non abbia visto come la guardavi, o sentito con che tono parlavi di lei, eh? O il modo in cui LEI ti guardava e il modo in cui LEI parlava di te?”
 
“Sì, io e Camilla ADESSO abbiamo iniziato una storia e non ho alcun motivo né interesse a provare a negarlo. Sono innamorato di lei, è questo che mi volevi sentire dire, Eva? Ebbene sì, io la amo e grazie a dio anche lei mi ama. E comunque lo sapevo e lo so benissimo che tu te ne eri accorta, lo sa anche Camilla, hai messo il tutto perfettamente in chiaro all’aeroporto. E mi era sembrato che anche tu te lo aspettassi che noi avremmo iniziato questa relazione e che il fatto di lasciarmi Tommy in aeroporto e di autorizzarlo a frequentare la casa di Camilla fosse in un certo senso una dichiarazione di tregua e un modo per dire che, certo, la cosa non ti avrebbe reso felice, ma che non saresti stata completamente ostile a questa possibilità.”
 
Per un po’ sente solo il rumore statico e quasi comincia a pensare che sia caduta la linea, ma poi avverte un sospiro ed Eva riprende a parlare.
 
“Un conto è non essere ostile, o meglio essere diciamo pure rassegnata all’idea che tu e la tua amata Camilla avreste avuto una storia,” spiega con un sarcasmo che si colora di malinconia nella voce quando nomina l’altra donna, “un conto è scoprire che nel giro di pochi giorni lei ha mollato suo marito e avete iniziato addirittura a convivere, approfittando di questo benedetto cortocircuito che è capitato proprio al momento perfetto!”
 
“Senti, Eva, cosa stai insinuando?” chiede Gaetano, sentendo che le ultime tracce di pazienza stanno evaporando e non potendo credere alle sue orecchie, “stai forse dicendo che ho sabotato casa mia per andare a vivere con Camilla? Che avrei messo in pericolo la mia vita e quella di nostro figlio e quella degli altri condomini e mandato in fumo migliaia di euro solo per un capriccio o per sedurre una donna? Ma allora, scusami, ma te lo devo chiedere io se sei impazzita! Come ti salta anche solo in mente una cosa del genere? E comunque se non mi credi puoi leggere il rapporto dei pompieri e degli elettricisti che hanno fatto tutti i rilievi del caso e che comprovano che le cause sono state assolutamente accidentali!”
 
“No, per la carità, Gaetano, non penso che arriveresti mai a questo punto, dico solo che non mi aspettavo di sicuro che il tutto si evolvesse in pochi giorni in questo modo. Ma del resto a ben vedere c’era da prevederlo: tu sei il maestro dei rapporti lampo, no? Non mi stupirebbe se tra qualche mese Tommy si ritrovasse pure con un fratellastro, già che ci siamo. C’è di buono che almeno non potete correre a sposarvi tra pochi giorni, considerato che siete ancora entrambi legalmente coniugati!”
 
“Guarda che se io sono il maestro dei rapporti lampo, tu non sei da meno, mia cara. O forse Tommy l’ho concepito io da solo? Ed ero io da solo che mi sono corso a sposare? Eri anche tu d’accordo con me su tutto, o questo sei tu che te lo sei scordata, Eva?”
 
“No, io non me lo sono scordata, Gaetano, anzi sei proprio tu che mi hai sempre trattata quasi come se ti avessi incastrato con la gravidanza e con il matrimonio, come se io e Tommy fossimo stati un incidente di percorso, una macchia sul tuo bel curriculum da Don Giovanni!”
 
“Questo non lo puoi dire, Eva!” urla lui, ormai altrettanto furioso, “Tommy è la cosa più bella che ho fatto in tutta la mia vita ed è stato voluto da entrambi, e lo sai. Cosa vuoi sentirmi dire, eh? Che il nostro matrimonio è stato uno sbaglio? Considerato che non riusciamo a stare cinque minuti senza urlarci addosso mi sembra evidente che sposarci non è stata l’idea migliore che abbiamo mai avuto, Eva, ma anche le nozze le abbiamo decise insieme, certo, nell’entusiasmo del momento. E se bisogna trovare delle colpe penso che ce le abbiamo entrambi, ma che senso ha continuare a infilare il coltello nella piaga e discuterne ancora ad anni di distanza e pure a migliaia di chilometri di distanza?”
 
“Le colpe le abbiamo entrambi? Io non ti ho mai tradito, Gaetano: non sono io che mi sono infilata nel letto del primo che passava!” urla di rimando lei, fuori controllo.
 
“Ti ho tradita io, è vero, e me ne sono preso tutte le colpe! Sarò stato un pessimo marito e un pessimo padre, tutto quello che vuoi, ma mi sono sempre preso le mie responsabilità e ho pagato per i miei sbagli! Tu invece forse non sarai stata con un altro uomo, d’accordo, ma mi hai portato all’esasperazione con il tuo atteggiamento distruttivo, aggressivo, con i tuoi continui rimproveri, le tue recriminazioni. E mi hai praticamente ignorato per mesi, se non per darmi addosso per ogni minima cretinata! Se vuoi convincerti che l’unico colpevole sia io, fai pure, ma siccome ti ho sempre ritenuta una donna intelligente, spero tu abbia almeno il buon senso di non mentire a te stessa e di renderti conto di cosa non ha funzionato nel nostro matrimonio, e lo dico per te, non per me!”
 
“Se io ero aggressiva e distruttiva come dici tu, era perché tu avevi e hai uno stile di vita assurdo, Gaetano, incompatibile con una famiglia e soprattutto con un figlio: cosa pretendevi, di sposarti e di continuare a fare la stessa vita che facevi da single? E poi se io ti ignoravo, tu sparivi, eri un fantasma, eri sempre diciamo ‘al lavoro’, anche se in realtà stavi con una delle tue amichette, chiaramente!”
 
“Io non avevo uno stile di vita incompatibile con una famiglia, Eva, avevo uno stile di vita incompatibile con il TUO stile di vita, che, se mi permetti e nonostante probabilmente non riuscirai mai a crederlo e ad accettarlo, non è né l’unico stile di vita possibile, né il migliore. E ne ho avuto ampiamente conferma in questi ultimi mesi, che, sono assolutamente in grado di gestirla una famiglia e di prendermi cura di un figlio, pure da solo, anche se non è facile e di questo te ne do atto e te ne do merito, dato che l’hai fatto per tanti anni. E se stavo via da casa quando eravamo sposati non era per stare con delle amichette, come le chiami tu, anche se lo so benissimo che non mi crederai, ma era perché volevo starmene un po’ in pace e preferivo ammazzarmi di lavoro piuttosto che sentirmi trattato come un deficiente o come una pezza da piedi in ogni singolo momento che passavo in quella che avrebbe dovuto essere la nostra casa e non la tua monarchia assoluta e dittatoriale! Anche io ho fatto i miei grossi errori, te lo ripeto, ma almeno lo ammetto e sto cercando di imparare dai miei sbagli e di non ripeterli e siccome, te lo ribadisco, so che sei una donna molto intelligente, spero, nel tuo interesse, che anche tu possa fare lo stesso, Eva.”
 
“Ma bravo, complimenti, Gaetano, adesso mi vieni a fare la morale, eh? E piantala con queste frasi da ‘maestro di vita’, che lo so da sola cos’è meglio per me e per mio figlio,” replica  lei dopo un attimo di pausa, e all’improvviso non urla più ma il tono è talmente gelido che Gaetano sente freddo nonostante la distanza e le distorsioni della telefonata intercontinentale, “e poi non farmi ridere: tu staresti imparando dai tuoi errori? Ma se sei tu che in un paio di settimane sei riuscito ad andare a convivere con una donna sposata che sarà anche stata tua ‘amica’ ma che in realtà conosci a malapena, non appena lei ha mollato il marito, mettendoci in mezzo pure nostro figlio! Imparato cosa?? Stai rimettendo in scena lo stesso copione della nostra di storia! E cosa succederà a Tommy quando tu ti stancherai di questa ennesima conquista e butterai via anche la tua amata Camilla come un vecchio giocattolo, come hai piantato tutte quelle venute prima di lei, me compresa? Dopo che lui si sarà già fatto un sacco di sogni e di illusioni e di castelli di carte su voi due?”
 
“A parte che nel nostro caso sei stata tu a lasciarmi, tecnicamente, ma hai ragione, probabilmente in realtà mi sono fatto lasciare, questo te lo concedo, Eva. Per il resto, ti ho già detto che non è come pensi tu: io sono ospite a casa di Camilla PER QUALCHE GIORNO: non abbiamo iniziato una convivenza definitiva, per la miseria! E non sto mettendo in testa proprio un bel niente a Tommy: davanti a lui io e Camilla continuiamo a comportarci come due semplici amici e se lo vuoi sapere io dormo nella stanza degli ospiti, con nostro figlio, proprio perché lo sappiamo benissimo anche io e Camilla che dobbiamo andarci con i piedi di piombo, anche e soprattutto per il bene di Tommy, oltre che per il nostro. Ma ti informo che conto di parlargli nei prossimi giorni e di informarlo della mia relazione con Camilla, ma che in ogni caso ha e continuerà ad avere ben chiaro in testa che torneremo a breve a vivere nel mio appartamento e che quindi per lui di fatto il tipo di rapporto e di frequentazione che ha e che avrà con Camilla sarà esattamente lo stesso che ha avuto negli ultimi mesi. E comunque non ho la benché minima intenzione di lasciare Camilla e anche se dubito che in realtà la cosa ti possa far piacere e anche se non so quale delle due alternative ti è meno sgradita, sappi che, se tutto andrà come spero e per quanto è nelle mie possibilità, Camilla continuerà a far parte della mia vita ancora per molti, ma molti, ma molti anni a venire. E soprattutto non sto seguendo alcun copione già scritto, anche perché Camilla non è affatto una sconosciuta, anzi, siamo amici da una vita!”
 
“Ma se è tua vicina di casa da nemmeno un anno! Certo, capisco che per il tipo di relazioni che hai tu di solito, perfino pochi mesi sono un record e ti sembreranno un’infinità!” ribatte Eva senza nemmeno provare a celare il sarcasmo e il biasimo che trasudano da ogni singola sillaba.
 
“Io e Camilla ci conosciamo da prima che lei venisse qui a Torino,” si vede costretto a rivelare Gaetano, pentendosi già amaramente di essersi andato a infilare in questo tunnel, preso dalla rabbia e dalla foga della discussione, e di trovarsi quindi costretto a rivelare ad Eva questo “dettaglio” che aveva sempre preferito tenere per sé.
 
“Ah, sì? E sentiamo, da quanto, di grazia? E dove vi sareste conosciuti voi due?” chiede Eva, mentre il sarcasmo lascia il posto alla sorpresa, alla curiosità e alla preoccupazione.
 
“Ci siamo incontrati quando lavoravo a Roma e anche se abbiamo passato poi molti anni senza vederci, di fatto ci conosciamo da quasi un decennio,” ammette Gaetano, temendo già la reazione di Eva.
 
“E com’è che mi hai tenuto nascosto questo ‘piccolo particolare’ fino ad adesso, eh, Gaetano?”
 
“Non te l’ho tenuto nascosto,” mente lui, sapendo di mentire, ma ormai il danno è fatto, “diciamo che non siamo mai venuti in argomento, e comunque non sarebbero in ogni caso affari che ti riguardano.”
 
“Ah no? E mi vorresti far credere che il trasferimento della tua Camilla proprio nel tuo stesso palazzo, con le migliaia di alloggi che ci sono a Torino sia una fortunata coincidenza? Che il destino vi abbia fatto incontrare di nuovo dopo anni come in un film romantico da quattro soldi?”
 
“Liberissima di non crederci, probabilmente anche io al tuo posto non ci crederei, ma è così. Anche io e Camilla siamo rimasti sconvolti quando ci siamo rincontrati e abbiamo scoperto di essere vicini di casa. Diciamo che il mondo è piccolo e se di destino si tratta, sono grato al destino.”
 
“Beh, se è vero, vi siete ripresi in fretta dallo shock, direi. E comunque sinceramente a me non interessa, Gaetano: destino o non destino, anche se la vostra fosse la storia d’amore più romantica e meravigliosa dell’ultimo secolo, ti ribadisco che voglio che mi fai chiamare da Tommy non appena arriva dall’asilo e che voglio che vi cerchiate un’altra sistemazione, altrimenti…”

“Altrimenti cosa? Cos’è, cominci con le minacce adesso? Ti ricordo che sei tu che mi hai lasciato Tommy da un giorno all’altro e ti ricordo che questa è la mia vita, che Tommy è anche mio figlio e ho tutto il diritto come padre di decidere cos’è la cosa migliore per lui, specie in tua assenza. E tu non mi puoi chiedere di costringerlo ad andare in un hotel, quando lui è felice e sereno e tranquillo dove sta, quando è stato lui a dirmi a chiare lettere che non vuole andare in albergo ma che preferisce rimanere a casa di Camilla e soprattutto quando tra pochi giorni in ogni caso torneremo nel mio appartamento, come sempre. Parlaci anche tu e lo verificherai di persona. Ma la verità è che tu lo sai benissimo che Tommy qui sta bene ed è contento, ed è proprio questo che ti preoccupa. Ma non ne hai motivo: tu sei e rimarrai sempre la madre di Tommy e questo non cambierà mai, Eva. Camilla non è in competizione con te e non vuole nemmeno esserlo: dovresti sentirla quando parla di te e del tuo lavoro con Tommy. È la prima a tessere le tue lodi e a metterti in risalto con tuo figlio, Eva, e non si sta prendendo alcun ruolo che non le compete.”
 
“Viva Santa Camilla, la compagna e madre del secolo!” esclama Eva, tagliente come un rasoio, “senti, Gaetano, non so cosa abbia fatto la tua vecchia amica Camilla per farti perdere la testa e non mi interessa nemmeno. Per la carità, posso pure ammettere che è una donna con le palle e che è diversa dalle squinzie con cui ti accompagni di solito. Non solo ha il doppio dei loro anni ma ha pure un cervello e sa formare frasi di senso compiuto che non riguardino vestiti e cosmetici, quindi ammetto che il tuo gusto in fatto di donne ha avuto un netto miglioramento e che è la prima delle tue amichette che potrei presentare a miei conoscenti come la nuova compagna del mio ex marito senza vergognarmi a morte ad essere paragonata a lei. Detto questo, però, te lo ripeto, voglio che tu e Tommy entro stasera vi troviate un altro alloggio e soprattutto, visto che grazie al cielo finora non l’hai ancora fatto, non ti azzardare nemmeno a raccontare a Tommy della meravigliosa storia d’amore tra te e Camilla: quando torno in Italia, vedrò io il da farsi e, se è il caso, come spiegarlo a Tommy!”
 
“Senti, Eva,” sospira Gaetano a denti stretti, mordendosi la lingua per trattenersi dal fare un commento acido che peggiorerebbe solo le cose, ovvero che, sì, i suoi gusti in fatto di donne sono decisamente migliorati, dato che è passato da Eva a Camilla, e proseguendo invece con tono deciso ma calmo e lucido, “prima di tutto posso anche aspettare a parlare con Tommy di me e Camilla, questo posso concedertelo, ma ti avverto che se dovesse intuire qualcosa e farmi delle domande non ho alcuna intenzione di mentirgli e che in ogni caso credo che il compito di spiegargli di chi mi sono innamorato e perché spetti solo e unicamente a me, dato che se permetti dovrei conoscere i dettagli della mia meravigliosa storia d’amore con Camilla un po’ meglio di quanto possa fare tu. E non credo nemmeno che tu voglia saperli, o sbaglio? Inoltre, se davvero vuoi che io e Tommy ce ne andiamo da qui e visto che evidentemente ritieni di essere la persona più adatta a fornire chiarimenti a nostro figlio, quando lo senti tra poche ore, spiegaglielo tu perché di punto in bianco desideri che lasci una casa in cui è felice e sereno per andare in un albergo dove dovrà cambiare orari, abitudini e dove dovrà essere curato da una babysitter invece che da persone che conosce da mesi e a cui vuole bene.”
 
“Questo è un ricatto, Gaetano, uno sporco ricatto: vuoi farmi fare la parte della cattiva con nostro figlio?”
 
“No, Eva, voglio che ti assumi la responsabilità di quello che fai: prima mi lasci nostro figlio di punto in bianco, a me, proprio a me, a quell’ex marito che hai sempre ritenuto incapace di occuparsi di un bambino, senza nemmeno preoccuparti se ne sarei stato davvero in grado o meno o di come l’avrebbe vissuta Tommy. Poi torni all’improvviso e, per una gelosia e una competizione assolutamente senza senso con una donna a cui nostro figlio si è affezionato quasi te lo trascini via in mezzo alla foresta pluviale, con tutti i pericoli che possono conseguirne, anche se lui non ne voleva sapere. E ora, siccome ho iniziato una relazione con questa donna che Tommy approva e a cui vuole bene, mi minacci nemmeno troppo velatamente di allontanarlo da me se non farò tutto quello che dici e non cederò al tuo di ricatto, rischiando di compromettere sia il rapporto con mio figlio, sia quello con la donna che amo. Beh, mi dispiace, Eva, lo so che sono stato un pessimo marito e per tanti anni un pessimo padre e per l’ennesima volta ti chiedo scusa e ti garantisco che se potessi tornare indietro farei tante cose in modo diverso. E io capisco le tue paure, credimi che le capisco e so che non sarà facile nemmeno per me se tu dovessi avere un nuovo compagno a cui Tommy si affezionasse tanto, ma io comunque te lo auguro, ti auguro di rifarti una vita e di essere felice, Eva, come non lo sei stata con me. Però questa adesso è la mia vita e anche io penso, nonostante tutto, di meritarmi di essere felice e di costruirmi un futuro, un futuro di cui Tommy faccia parte e in cui io possa prendere le mie decisioni liberamente, finché queste non incidono in modo negativo sulla vita di Tommy o delle persone che mi sono accanto. Quindi mi dispiace, Eva, ma non ho alcuna intenzione di farmi condizionare ancora l’esistenza da te o di lasciare che sia tu a dettare legge e a decidere come posso o non posso vivere la mia vita: quel tempo, per mia e anche per tua fortuna, è finito da un pezzo.”
 
Il silenzio è assordante e, se non fosse per il brusio e il rumore lontano del traffico, Gaetano potrebbe pensare che sia caduta la linea: si sente spompato, come dopo aver corso una maratona e con un’emicrania lancinante. Sa di essere stato forse fin troppo diretto e brutalmente onesto, e di starsi giocando il tutto per tutto con Eva, ma conosce la svedese e sa che se cede ora, se si mostra troppo accomodante, se comincia  a  permetterle di gestire la sua vita con Camilla e con Tommy, si prenderà via via sempre più controllo, sempre più libertà, sempre più potere. È nella sua natura essere una maniaca del controllo sia con se stessa, sia verso gli altri. È una delle lezioni che ha imparato, a caro prezzo, dal loro matrimonio e non ha alcuna intenzione di ricascare nei vecchi schemi che li hanno quasi portati all’autodistruzione reciproca.
 
“È la tua ultima parola, Gaetano?” chiede infine Eva, con un tono calmo e gelido al tempo stesso, che annuncia guerra aperta.
 
“Sì,” risponde Gaetano, deciso, senza mostrare alcun cedimento, convinto per esperienza che, arrivati a questo punto, sia meglio lo scontro diretto piuttosto che una lunga e sfibrante guerra fredda a livello psicologico.
 
“D’accordo, fa come credi, Gaetano. Fammi richiamare da Tommy quando ritorna e per il resto… tra pochi giorni sarò di nuovo in Italia e allora faremo i conti, Gaetano: sappi che non finisce qui! E comunque Tommy viene con me in America quest’estate, che a te piaccia o no!”
 
“Lo so benissimo, Eva. E sono pronto ad affrontarne le conseguenze e a farli questi benedetti conti. In quanto all’America, ne ho già parlato con Tommy e non ho alcuna intenzione di impedirvi di andare in vacanza insieme. Però ti pregherei soltanto, non per me, ma per il bene che so che vuoi a Tommy, di non fargli il terzo grado quando lo senti: si è già ritrovato fin troppo spesso in mezzo alle nostre discussioni e non voglio che si debba sentire in colpa perché vuole bene a Camilla e alla sua famiglia o perché desidera restare in questa casa. Fagli tutte le domande che vuoi, ma con calma.”
 
“E io so benissimo come trattare con MIO figlio, grazie tante, Gaetano. A presto!” sibila sardonica, troncando bruscamente la chiamata.
 
“A presto, Eva…” sospira Gaetano, chiudendo a sua volta la comunicazione e avviandosi in bagno per cercare un analgesico: sa che si prospettano tempi difficili con l’ex moglie e può quasi vedere le nubi addensarsi all’orizzonte.
 
Lo consola solo sapere che, a differenza di qualche anno prima, non è più solo ad affrontare l’uragano Eva, ma allo stesso tempo spera di non trascinare altre “vittime” con sé nell’occhio del ciclone.

 
***************************************************************************************

 
“Qualche novità?” chiede Camilla a Gaetano, cominciando a servire la pasta nei piatti e porgendone uno a lui e uno a Tommy: Livietta è fuori con Greg e Camilla sa per esperienza che l’orario del ritorno è assolutamente incerto e che non è il caso di aspettarla.
 
“Sì, avevi ragione tu: l’albergo ha confermato l’alibi di Luigi Migliasso… e della moglie della vittima…” risponde Gaetano, cercando di sorvolare sui dettagli “piccanti” data la presenza di Tommy.
 
“Sono tornata!” annuncia Livietta, sbattendo la porta dietro di sé ed avvicinandosi alla tavola con passo brusco e quasi marziale, “per la carità, non interrompete la conversazione per causa mia: su che cosa aveva ragione la mamma?”
 
“Sul fatto che Luigi Migliasso non sia il colpevole: lui e la cognata hanno un alibi, confermato da un albergatore di Alessandria…” ripete Gaetano, cercando di nuovo di parafrasare e scambiando uno sguardo con Camilla, mentre entrambi osservano la ragazza per tentare di capire di che umore sia stasera.
 
“Ah bene, quindi se la faceva per davvero con la cognata,” deduce Livietta, buttando al vento tutti i tentativi di Gaetano di glissare sui particolari da telenovela della vicenda, per poi aggiungere in un tono amaro, guardando dritta verso l’uomo, “beh, perché stupirsene, del resto voi uomini siete davvero tutti stronzi!”
 
“Livietta!” esclama Camilla, lasciando cadere il piatto vuoto che reggeva ancora in mano sulla tovaglia e fulminandola con lo sguardo: sia per l’insulto indiretto a Gaetano, sia perché è stato fatto davanti a suo figlio, che oltretutto è un bimbo e che certe parole non dovrebbe sentirle, almeno in “famiglia”. E dio solo sa che hanno già abbastanza problemi con Eva così: ci manca solo che Tommy inizi a ripetere certe frasi e che soprattutto le riveli dove le ha imparate.
 
“Presenti esclusi, ovvio!” risponde Livietta con un tono che pare sincero, alzando le mani in segno di resa e rivolgendo uno sguardo onestamente dispiaciuto verso la madre e soprattutto verso Gaetano, per poi proseguire, con voce mesta e abbattuta, “anzi, scusatemi, ma non ho proprio fame stasera.”
 
E senza altre parole, si avvia verso la sua camera e dopo pochi secondi sentono l’inconfondibile suono della chiave che gira nella toppa.
 
“Livietta,” fa per chiamarla Camilla, facendo un passo in direzione del corridoio, ma Gaetano la blocca per un polso, impedendole di muoversi.
 
“Camilla, non fa niente, va tutto bene, lasciala stare,” la rassicura Gaetano, con le parole e con lo sguardo, “non penso ce l’avesse con me, sai? Proprio per nulla. Deve esserle successo qualcosa con-“

“Con un ragazzo?” intuisce Camilla: del resto la figlia le era sembrata sincera e si era perfino praticamente scusata, cosa che erano settimane intere che non si sognava di fare, nemmeno quando il suo comportamento sfiorava od oltrepassava il limite della maleducazione.
 
“Sì, e mi sa che ha bisogno di sbollire un po’, da sola,” conferma l’uomo, prendendo il piatto di Camilla e cominciando a riempirlo, per poi porgerglielo.
 
“Mi sa che hai ragione…” sospira la donna, accogliendo l’invito silenzioso e sedendosi per mangiare, aggiungendo poi, notando lo sguardo triste di Tommy, “che cosa c’è amore, non ti piace la pasta?”
 
“No… è che… Livietta è arrabbiata per colpa mia?” chiede con gli occhi sgranati e lucidi.
 
“Ma no, Tommy, come ti viene in mente?” lo rassicura Gaetano, stupito da quest’uscita del figlio.
 
“È che ha detto che gli uomini sono tutti… beh insomma, quella brutta parola che ti diceva spesso la mamma quando litigavate e pensavate che non vi ascoltavo e che mi ha fatto promettere di non ripetere mai,” spiega Tommy, mentre Gaetano e Camilla si guardano sconcertati: è proprio vero che i bimbi sentono e capiscono molto di più di quello che i loro genitori immaginano, “e io sono un maschio, no? E ieri mentre facevamo la lotta del solletico per sbaglio le ho rotto la collana, ma non l’ho fatto apposta. Lei mi ha chiamato impiastro come quando si arrabbiava con me all’inizio, ma poi dopo mi sembrava tutto a posto…”
 
“Amore, ti garantisco che Livietta non ce l’ha con te, anzi ti vuole molto bene, sai?” gli rivela Camilla con un sorriso, arruffandogli i capelli, “e ne ho le prove, se non ci credi.”
 
“Davvero?” chiede Tommy, incuriosito, mentre gli occhioni si fanno via via meno umidi e più luminosi.
 
“Sì, perché quella collana che hai rotto era mia e l’avevo prestata a Livietta,” svela Camilla scuotendo la testa quasi incredula – era una collana di resina, di poco valore, comprata anni prima a un mercatino e raramente indossata ma che, per qualche motivo, era uno dei pochi accessori del suo guardaroba che la figlia non considerasse “da vecchia”.
 
“Ma allora sei arrabbiata anche tu?”
 
“Ma no, Tommy, no, tranquillo,” lo rassicura di nuovo abbracciandolo, “del resto non l’hai fatto apposta, giusto?”
 
“Giusto,” conferma il bimbo abbracciandola a sua volta più forte.
 
“Quello che voglio dirti è che ieri sera, quando Livietta me l’ha restituita rotta, si è presa tutta la colpa e si è perfino offerta di portarla a riparare o comprarmene un’altra,” gli spiega con un altro sorriso, ricordando lei stessa con incredulità lo strano atteggiamento della figlia che, per la prima volta da tanto, troppo tempo, sembrava essersi ammorbidita e averle aperto un tenue spiraglio. Non si era scusata ed era rimasta abbastanza distaccata, però si era presa tutte le responsabilità ed era stata decisamente civile rispetto al solito.
 
“Quindi non ha fatto la spia!” capisce il bimbo, sorridendo a sua volta: sa per l’esperienza all’asilo che ci si “copre” a vicenda solo se si è davvero amici.
 
“Esatto,” conferma Camilla dandogli un’ultima scompigliata ai capelli, “e adesso mangiamo, che la pasta sarà ormai gelata!”
 
Mangiano in silenzio, osservando il bimbo che pare tornato sereno e tranquillo e scambiandosi un altro sguardo d’intesa: per fortuna Eva si era comportata in maniera intelligente durante la telefonata con Tommy, facendogli sì un sacco di domande ma non opponendosi più quando lui le aveva confermato di trovarsi bene a casa di Camilla e di voler rimanere lì fino a quando non sarebbero potuti rientrare nell’appartamento del padre.
 
Sapevano però altrettanto bene che la guerra era solo rimandata e che ormai era questione di giorni, massimo di un paio di settimane. Gli occhi si incontrano e le mani si stringono sotto la tovaglia: qualunque cosa succederà, l’affronteranno insieme, e se questi devono essere gli ultimi sprazzi di tranquillità, così sia.
 
Il gioco vale assolutamente la candela.


 
***************************************************************************************
 


“Gaetano?” una voce sorpresa alle sue spalle lo porta a voltarsi, con un forchettone in mano.
 
“Mi sto facendo due spaghetti: li vuoi?” domanda l’uomo con nonchalance, afferrando la confezione della pasta, “non sono un grande cuoco, ma su questo ancora me la cavo.”
 
“Ma… che ci fai qui? Non riesci di nuovo a dormire?” chiede Livietta ancora stupita, per poi aggiungere, osservando il bancone della cucina già apparecchiato per due, “stavi aspettando mia madre?”
 
“La risposta è no, ad entrambe le domande: no, purtroppo non riesco a dormire e no, non sto aspettando Camilla. Anzi, spero che almeno lei stia riposando stanotte,” risponde con un sorriso.
 
“Stavi aspettando… me?” non può fare a meno di domandare la ragazza, sempre più spiazzata.
 
“Diciamo che, dato che hai saltato la cena, mi era venuto il dubbio che ti sarebbe venuta voglia di uno spuntino notturno,” spiega l’uomo con un altro sorriso, come se fosse la cosa più naturale del mondo, “e dato che anche io sono in piedi e mi è rimasto un po’ di appetito… Allora, la vuoi un po’ di pasta o no? Aglio, olio e peperoncino. Se non ti piace posso fartela in bianco o col pomodoro.”
 
“No, no, aglio, olio e peperoncino va benissimo,” risponde, ricambiando il sorriso, per poi aggiungere, con un sopracciglio alzato e tono ironico, “più che altro mi stupisce la scelta dell’aglio: la mamma poi non si lamenta?”
 
“Non ti preoccupare che ho i miei rimedi,” ribatte lui divertito, per poi aggiungere, alzando a sua volta un sopracciglio, “piuttosto, non vorrei crearti problemi con i tuoi ammiratori…”
 
“Ma che problemi, anzi, meglio: guarda, se mi aiuta a tenere gli esponenti del genere maschile alla lontana, mi mangio anche una testa d’aglio intera!” esclama lei con un sospiro, mettendosi a sedere al bancone.
 
Gaetano butta la pasta, mantenendo per un attimo il silenzio, gira gli spaghetti il necessario perché non si incollino, inserisce il timer e si mette poi a sedere di fronte a lei.
 
“Greg?”
 
“Già…” sospira Livietta, per poi aggiungere, abbassando gli occhi con un tono che sembra imbarazzato, “Gaetano… ti volevo chiedere ancora scusa per prima, a cena: non ce l’avevo con te, anzi, a volte penso che sei l’unica persona che conosco che non mi racconta un sacco di balle ma che ha il coraggio di dirmi in faccia quello che pensa… A parte Tommy, ovviamente, ma lui ha cinque anni e quindi non conta: a quell’età si è fin troppo trasparenti.”
 
“Già,” replica di rimando Gaetano, con un altro sorriso, “e comunque non ti preoccupare, non serve che ti scusi: l’avevo già capito che non eri arrabbiata con me, almeno stavolta.”
 
Per un po’ rimangono in silenzio, immersi nei loro pensieri, fino a che il timer li riporta bruscamente alla realtà.
 
Gaetano scola, condisce e impiatta gli spaghetti, porgendo a Livietta la sua porzione, per poi mettersi di nuovo a sedere e assaggiare la prima forchettata.
 
“Sai che non sono niente male?” ammette la ragazza dopo un paio di bocconi, aggiungendo poi con un mezzo sorriso, “forse per questa volta evitiamo la lavanda gastrica: il mio stomaco si ricorda ancora i tuoi biscotti ‘ben cotti’ di qualche mese fa.”
 
“Molto spiritosa, signorina,” ribatte Gaetano, trattenendo a stento una risata e colpendole lievemente il braccio con un tovagliolo ripiegato.
 
Si sorridono e riprendono a mangiare, nella quiete più totale, lanciandosi solo qualche occhiata ogni tanto.
 
“Senti, Gaetano, riguardo a Greg…” esordisce Livietta, giunta quasi alla fine degli spaghetti.
 
“Guarda che non devi parlarmene per forza: sono un poliziotto ed ho la curiosità nel DNA, è vero, ma non pretendo che gli altri mi assecondino.”
 
“No, anzi, ho proprio bisogno di sfogarmi con qualcuno, ma anche io non pretendo che tu abbia voglia di ascoltarti i miei fallimenti in campo amoroso…” ribatte lei con un altro sospiro, mangiando poi l’ultima forchettata di spaghetti.
 
“Sui fallimenti in campo amoroso ho una certa esperienza e, come ti ho già detto, per deformazione professionale una volta che mi si presenta davanti un ‘caso’ ho voglia di seguirlo fino alla sua conclusione. Dai, spara!” la incoraggia l’uomo, finendo a sua volta la pasta rimasta prima che diventi fredda.
 
“In questo caso, temo che il ‘caso’ sia già chiuso e nel peggiore dei modi: Greg mi ha dimostrato di essere uguale se non peggio a tutti gli altri. Si è preso gioco di me, Gaetano, e io questo non lo sopporto!” esclama Livietta con sguardo furente, sbattendo la forchetta nel piatto con veemenza.
 
“Ma che cos’è successo?” domanda Gaetano sorpreso da tanta decisione e temendo sempre di più per l’incolumità del ragazzo, “è sempre per via della ragazza con cui esce?”
 
“Non proprio… anzi, oggi pomeriggio l’ho affrontato sulla questione, gli ho detto che mi aveva stancata e che non era la persona che credevo fosse e lui… lui mi ha confessato di non averla baciata, anzi che quella ragazza era sua cugina e che non ha mai baciato nessuna, capisci?” chiede Livietta con un tono indignato che non ammette repliche negative.
 
“Ehm…” ribatte l’uomo, incerto su come esprimersi: capisce benissimo la “tattica” usata da Greg. Fare ingelosire Livietta per farsi finalmente notare e farle magari capire che lui per lei non era solo un amico. Da un lato è sorpreso dall’iniziativa del ragazzo, che ha sempre considerato timido e passivo, mentre ha invece dimostrato una certa astuzia. Quello che non riesce del tutto a capire è la reazione di Livietta: invece di essere sollevata, sembra ancora più furiosa di quando ne avevano parlato qualche sera prima.
 
“Eh, anche io non capivo perché avesse fatto una cosa del genere, e gliel’ho chiesto e lui, tranquillo e beato, mi ha dato un biglietto con la traduzione di una frase di una canzone romantica e mi ha guardata quasi come se si aspettasse che io gli cadessi tra le braccia come una pera cotta. Cioè: mi ha mentito, ha cercato di manipolarmi e si è preso gioco di me e io dovrei pure premiarlo? E se davvero mi ci mettessi insieme, cosa farà? Al primo problema mi racconterà di nuovo palle e cercherà di nuovo di fare altri giochetti? Ma se lo può scordare!” sbotta Livietta, sdegnata, trafiggendolo con uno sguardo come a cercare supporto.
 
“Beh, Livietta, capisco che sei arrabbiata… ma credo che Greg l’abbia fatto in buona fede, sai… Magari era un po’ esasperato e ha deciso di giocarsi il tutto per tutto e di tentare quest’ultima carta del farti ingelosire…” cerca di mediare Gaetano, comprendendo in fondo lo stato d’animo del ragazzo, per poi affrettarsi ad aggiungere, notando l’occhiataccia di Livietta, “sbagliando, eh, è chiaro, però magari ha delle attenuanti, no?”
 
“Ma tu da che parte stai, Gaetano?” chiede la ragazza con un sopracciglio alzato.
 
“Dalla tua, Livietta, ovviamente, però, siccome quando ne avevamo parlato l’altra sera mi era sembrato da capire che tu in ogni caso, o come amico o come potenziale fidanzato, tenevi molto a Greg, che era una persona importante per te, non vorrei che, presa dalla rabbia, prendessi delle decisioni drastiche di cui poi potresti pentirti. E da quello che mi ricordo Greg ti è stato vicino in tanti momenti difficili, quando ne avevi bisogno lui c’era e quindi in fondo non mi sembra una cattiva persona. Solo questo.”
 
“Forse hai ragione,” sospira lei tormentandosi i capelli, “è che… se fosse successo qualche settimana fa, magari avrei reagito diversamente, non lo so... Ma ora, se c’è una cosa che mi da la nausea e che non sopporto sono le bugie, i giochetti, le ipocrisie. Ho avuto la conferma di aver vissuto in una specie di enorme farsa per gli ultimi due anni, Gaetano, ad essere generosi. E sento ancora una rabbia dentro, che non ti so spiegare, anche se sono anche sollevata che finalmente si ricominci a respirare un po’ di aria fresca in questa casa. Che i sorrisi che vedo sul viso di mia madre siano finalmente veri e spontanei e non una specie di maschera per convincere me, e forse anche se stessa, che va tutto bene, anche se continua a trattarmi come se fossi fatta di cristallo. Che questa è finalmente di nuovo una casa e non una compagnia teatrale, anche se fa male doverlo ammettere. E in tutto questo Greg è sempre stato l’unico amico sincero, l’unico che pensavo leale, senza secondi fini, su cui potevo contare. È per questo che scoprire che ha cercato di manipolarmi con delle tattiche da due soldi… Mi fa male, Gaetano, lo capisci? Avrei preferito mille volte che l’avesse baciata sul serio quella ragazza, forse perfino che ci fosse andato a letto… alla fine non era il mio ragazzo e avrei potuto passarci sopra. Insomma avrei potuto capire che non avendo mai avuto una ragazza, potesse essere tentato e… curioso, soprattutto dato che non gli avevo mai dato modo di intendere che mi potesse piacere. Ma che mi abbia raccontato un sacco di palle, volutamente… non so se mi posso ancora fidare, non so se è il genere di persona che voglio come ragazzo, lo capisci?”
 
“Sì, lo capisco benissimo,” ammette lui, impressionato per l’ennesima volta dalla maturità di questa ragazza, soprattutto comparata a come era lui alla sua età e allo stesso tempo spaventato dall’amarezza che legge nella sua voce e nel suo volto. Forse Livietta è cresciuta troppo in fretta e dubita in cuor suo che sarà facile per lei trovare il tipo di relazione che cerca con un suo coetaneo. E con i ragazzi più grandi… il pericolo di trovare quello sbagliato e di farsi molto male aumenta esponenzialmente.
 
“Però Livietta, se mi posso permettere, come dici tu Greg è alle prime esperienze e… sbagliare è umano, no? E dio solo sa che per amore si fanno tante di quelle cazzate…”
 
“Le hai fatte anche tu? Hai usato la tattica della gelosia? Anche con mia madre?” chiede Livietta con un tono indefinibile ma che sembra abbastanza curioso.
 
“Cazzate ne ho fatte tante, fin troppe,” ammette lui con un sorriso, “in quanto alla gelosia… forse senza rendermene del tutto conto ho cercato di far ingelosire tua madre, sì… diciamo che come sai ho avuto diverse donne da quando ci siamo conosciuti e, probabilmente specie all’inizio un po’ c’ho marciato su, per vedere le sue reazioni, per capire se la infastidisse o meno, ma non era una cosa del tutto consapevole, era più una specie di processo inconscio.”
 
“E lei? Come reagiva?”
 
“Male,” ricorda lui con una mezza risata, “diciamo che se da un lato era evidente che le ‘mie donne’ la disturbassero, dall’altro la infastidivano tanto, ma tanto e non la rendevano di certo più ben disposta nei miei confronti e di sicuro non le facevano venir voglia di ‘cadere tra le mie braccia’, anzi. Mettiamola così: mi sono reso conto quasi subito che con tua madre le tattiche da playboy non funzionavano e che erano anzi deleterie, gelosia compresa.”
 
“Almeno una cosa su cui sono d’accordo con mia madre!” esclama Livietta con un sorriso e una traccia di ammirazione verso Camilla che Gaetano è da tanto, troppo tempo che non sentiva nella sua voce. Forse Livietta sta cominciando finalmente ad elaborare il lutto e a smaltire almeno in parte la rabbia e la delusione.
 
“Quindi secondo te cosa dovrei fare?” chiede la ragazza dopo un attimo di riflessione, “mi stai dicendo che devo passarci sopra e perdonare Greg?”
 
“No, ti sto dicendo che devi pensarci molto bene, sia in un senso sia nell’altro. Tra poco iniziano le vacanze, no? Dovrai ancora rivedere spesso Greg?”
 
“No… credo che vada in Liguria, nella casa al mare della sua famiglia,” risponde Livietta, ricordando di averne parlato con Greg qualche tempo prima e di come lui fosse poco entusiasta di dover partire per l’ennesima estate con la nonna, come quando era ancora un bambino.
 
“Beh, e allora forse è l’occasione giusta per prenderti un po’ di tempo e riflettere… Distanziarti un po’ da Greg, non vederlo tutti i giorni ti farà capire meglio cosa provi e potrai smaltire un po’ la rabbia e prendere una decisione a mente lucida. E poi… forse con tutto quello che è successo in famiglia nell’ultimo periodo, non sei proprio nel momento più adatto per iniziare una storia, forse hai altro per la testa da risolvere prima.”
 
Livietta sembra rifletterci ancora per un attimo, poi annuisce, solleva gli occhi e lo guarda con un sorriso pieno di gratitudine e, in pochi secondi, circumnaviga il bancone e si ritrova di nuovo avvolto in un abbraccio stretto e sincero, che gli riporta alla mente sua sorella Francesca, prima che diventasse a tutti gli effetti “una mina vagante” e poi una donna adulta e responsabile. Forse per questo motivo ricambia in modo quasi automatico e naturale, senza l’incertezza e l’imbarazzo provati durante il primo ed inaspettato abbraccio da parte della ragazza.
 
Nessuno dei due nota gli occhi scuri e completamente meravigliati che li osservano dall’oscurità del corridoio.


 
***************************************************************************************


 
“Stai zitta e apri!”
 
Una mano le tappa la bocca, mentre un braccio la stringe con forza da dietro, spingendola brutalmente contro un corpo maschile a lei sconosciuto. La voce è dura, tagliente e pericolosa e, mentre viene fatta voltare bruscamente e vede l’altro uomo, col passamontagna e la pistola, capisce immediatamente che da quello che farà nei prossimi istanti dipenderà la sua stessa sopravvivenza.
 
Viene spinta verso la porta, mentre l’uomo le intima ancora di aprire: si sente soffocare, la mano sulla bocca le impedisce quasi di respirare e la mano le trema fottutamente, impedendole il semplice gesto di infilare la chiave nella toppa.
 
“Dai, cazzo!” sibila la voce alla sue spalle e sente che sta perdendo la pazienza. Invoca tutto l’autocontrollo di cui è capace, tutto il sangue freddo di cui ha bisogno: si sono premurati di coprirsi il volto, se avessero già deciso di ucciderla non si sarebbero presi il disturbo. Deve stare calma e fare come dicono, e poi in casa… oddio in casa c’è Gaetano: l’ha sentito poco prima al telefono, avvertendolo che doveva parlargli e dargli una cosa… già, questi maledetti diamanti che, ne è sicura, li hanno cacciati in questa situazione.
 
Finalmente il pensiero di Gaetano le da quel minimo di lucidità necessaria per centrare il buco della serratura e girare la chiave.
 
L’uomo che la tiene bloccata contro di sé la trascina bruscamente dentro, mentre il suo compare chiude la porta alle loro spalle. Finalmente la mano sulla sua bocca viene allentata leggermente, consentendole di respirare.
 
“Camilla, amore, sei torna-“
 
Camilla viene fatta girare verso l’angolo del corridoio, dove si trova Gaetano, in accappatoio, completamente paralizzato, mentre la voce e il sorriso svaniscono per lasciare il posto a uno sguardo di smarrimento e puro ed irrazionale terrore. Uno sguardo che aveva visto solo una volta in precedenza, tanti anni prima: quando con una pistola puntata alla tempia c’era Francesca, sua sorella.
 
Capisce in una frazione di secondo di non avere di fronte a sé il poliziotto, ma l’uomo e, per la prima volta da quando lo conosce, questo la spaventa a morte.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Les Liaisons Dangereuses - seconda parte ***


Capitolo 17: Les Liaisons Dangereuses – seconda parte
 


Dal capitolo precedente…
 
 
“Stai zitta e apri!”
 
Una mano le tappa la bocca, mentre un braccio la stringe con forza da dietro, spingendola brutalmente contro un corpo maschile a lei sconosciuto. La voce è dura, tagliente e pericolosa e, mentre viene fatta voltare bruscamente e vede l’altro uomo, col passamontagna e la pistola, capisce immediatamente che da quello che farà nei prossimi istanti dipenderà la sua stessa sopravvivenza.
 
Viene spinta verso la porta, mentre l’uomo le intima ancora di aprire: si sente soffocare, la mano sulla bocca le impedisce quasi di respirare e la mano le trema fottutamente, impedendole il semplice gesto di infilare la chiave nella toppa.
 
“Dai, cazzo!” sibila la voce alla sue spalle e sente che sta perdendo la pazienza. Invoca tutto l’autocontrollo di cui è capace, tutto il sangue freddo di cui ha bisogno: si sono premurati di coprirsi il volto, se avessero già deciso di ucciderla non si sarebbero presi il disturbo. Deve stare calma e fare come dicono, e poi in casa… oddio in casa c’è Gaetano: l’ha sentito poco prima al telefono, avvertendolo che doveva parlargli e dargli una cosa… già, questi maledetti diamanti che, ne è sicura, li hanno cacciati in questa situazione.
 
Finalmente il pensiero di Gaetano le da quel minimo di lucidità necessaria per centrare il buco della serratura e girare la chiave.
 
L’uomo che la tiene bloccata contro di sé la trascina bruscamente dentro, mentre il suo compare chiude la porta alle loro spalle. Finalmente la mano sulla sua bocca viene allentata leggermente, consentendole di respirare.
 
“Camilla, amore, sei torna-“
 
Camilla viene fatta girare verso l’angolo del corridoio, dove si trova Gaetano, in accappatoio, completamente paralizzato, mentre la voce e il sorriso svaniscono per lasciare il posto a uno sguardo di smarrimento e puro ed irrazionale terrore. Uno sguardo che aveva visto solo una volta in precedenza, tanti anni prima: quando con una pistola puntata alla tempia c’era Francesca, sua sorella.
 
Capisce in una frazione di secondo di non avere di fronte a sé il poliziotto, ma l’uomo e, per la prima volta da quando lo conosce, questo la spaventa a morte.
 


L’altro malvivente punta immediatamente la sua pistola contro Gaetano, mentre l’uomo che la tiene bloccata le toglie la mano dalla bocca. Quando sente il freddo del metallo contro la tempia destra, capisce il perché.
 
“Fermo lì: non azzardarti a muoverti se ci tieni alla vita di tua moglie,” gli intima, premendo ancora di più la pistola contro la testa di Camilla, come a sottolineare le sue parole.
 
“E alla tua…” aggiunge tagliente il complice, tenendolo sempre sotto tiro.
 
“Camilla, stai-“ cerca di chiedere Gaetano, riprendendosi dallo shock.
 
“E zitti, tutti e due!” lo blocca il primo delinquente, stringendo ancora di più la presa su Camilla, “non parlate, non fate nulla se non ve lo ordino io, chiaro?”
 
Gaetano annuisce lentamente, con lo stesso sguardo di smarrimento negli occhi: non sa cosa fare, non sa come reagire, con Camilla sotto tiro gli è praticamente impossibile anche solo provare a ragionare razionalmente. E anche volendo, non vede via d’uscita: sono in due e sono armati e basta un secondo per premere un grilletto.
 
“C’è qualcun altro in casa?” domanda minaccioso a Gaetano, guardandosi intorno con la coda dell’occhio, “e non t’azzardare a fare il furbo, Ferrero, se ci tieni alla tua famiglia: se sento un solo rumore o se scopro qualcuno in casa che mi hai tenuto nascosto ammazzo loro e voi in un secondo, chiaro?”
 
Gaetano ringrazia il cielo che Livietta sia andata a prendere Tommy all’asilo e che in casa ci siano solo loro: ci sono già così tante cose che possono andare storte, e il comportamento di un bimbo è imprevedibile e per questo pericoloso. E poi Tommy e Livietta… non ci vuole nemmeno pensare. Lo rincuora anche il fatto che l’abbiano scambiato per Renzo: meglio che pensino che sia un architetto piuttosto che un poliziotto e nemmeno un poliziotto qualunque, ma un vicequestore.
 
“No, ci siamo solo noi,” ammette con la voce più calma e sincera che riesce a produrre in queste condizioni.
 
I due banditi lanciano un’occhiata eloquente all’abbigliamento di Gaetano e si scambiano uno sguardo di intesa: è evidente costa stanno pensando e Gaetano cerca di mantenere tutto il suo autocontrollo per nascondere la sua rabbia.
 
“Bene, ora hai cinque secondi per dirmi dove sono i diamanti, prima di ritrovarti un bel buco in fronte: uno, due…” la minaccia l’uomo e Camilla sente che non sta bluffando, che sarebbe davvero capace di ucciderla.
 
“Nella borsa, nella borsa!” si affretta a rispondere, anche se le è difficile perfino respirare, figuriamoci parlare.
 
Diamanti? – è il pensiero di Gaetano, che sente di essersi appena perso un passaggio fondamentale di questa storia. Si trattiene a forza dall’esprimere la sua sorpresa ad alta voce e si limita a lanciare un’occhiata interrogativa e sbalordita a Camilla.
 
“Bene, lascia scivolare la borsa a terra, e niente scherzi che siete tutti e due sotto tiro: tu e il tuo maritino,” intima il bandito che la tiene bloccata e che dall’atteggiamento sembra essere il capo tra i due.
 
Camilla allenta la tensione nei muscoli del braccio e della spalla, lasciando che la borsa cada a terra, come richiesto.
 
“Non muovete un muscolo! Tu: rovescia la borsa e controllane il contenuto,” ordina al complice, che svuota la borsa sul pavimento con la mano sinistra, tenendo sempre Gaetano sotto tiro con l’altra.
 
“Questo non ti serve!” proclama l’uomo incappucciato, calpestando il cellulare di Camilla sotto la suola della scarpa e mandandolo in frantumi. Poi analizza il rimanente contenuto della borsa e afferma, “maledette donne con le vostre borse piene di roba, comunque qui il sacchetto dei diamanti non c’è!”
 
“Nella tasca interna!” quasi urla Camilla, spaventatissima, prima che il bandito che la tiene ferma possa reagire e maledicendosi per avere preso una simile precauzione.
 
“Zitta!” le sibila all’orecchio, strattonandola più forte, “dai, controlla! E tu continua a stare fermo e a non fiatare o giuro che prima ammazzo lei e poi ammazzo te!”
 
Gaetano assiste impotente e immobile alla scena: l’altro malvivente per aprire la tasca interna smette per un attimo di puntargli contro la pistola, è vero, ma basta sempre un secondo perché quello che ha identificato come il capo tra i due spari a Camilla.
 
Finalmente il complice estrae il sacchettino dalla tasca indicatagli e, con un cenno con l’altro malvivente, lo apre e ne controlla il contenuto. Soddisfatto, annuisce come ad indicare che è tutto a posto.
 
“Bene, molto bene, continuate così e nessuno si farà male, provate a fare qualche cazzata e stasera leggeranno i vostri nomi nei necrologi: leghiamogli le mani dietro la schiena!” ordina al suo complice, indicando Gaetano.
 
Continuando a puntargli addosso la pistola, l’uomo si avvicina a Gaetano, che capisce di non poter fare nulla e di doversi lasciare legare, anche se la cosa non gli piace per nulla, soprattutto perché lo rende ancora più incapace di reagire se dovessero tentare di fare qualcosa contro Camilla. Il malvivente allunga una mano e, con uno strattone, gli toglie la cintura dell’accappatoio.
 
Gaetano ribolle per la rabbia e l’umiliazione, non solo di essere “esposto” agli sguardi di scherno dei due criminali, ma di apparire debole e impotente proprio di fronte a Camilla: ha risolto decine di situazioni difficili simili a questa nella sua carriera ma ora che c’è la donna che ama più della sua stessa vita sotto tiro, non può fare altro che subire.
 
Con la pistola puntata alla testa, viene afferrato per le spalle e fatto voltare, il “capo” trascina Camilla con sé fino ad essere a un passo dalla schiena di Gaetano e, sempre con la pistola alla tempia, le ordina di legarlo stretto per i polsi.
 
Camilla obbedisce, con mani tremanti: sono così vicini ma essendo entrambi sotto tiro non possono fare nulla.
 
Il complice, sempre tenendo sotto tiro Gaetano, testa il nodo e, soddisfatto, annuisce verso il suo capo.
 
“Dov’è la camera da letto?” chiede il leader a Camilla, stringendola più forte, aggiungendo poi con tono sarcastico, “non vorremmo rovinarvi del tutto i piani per il pomeriggio.”
 
Camilla ignora la provocazione e indica la porta al malvivente con un cenno del mento. Vengono entrambi spinti verso la porta e, passando davanti al telefono fisso, il complice strappa il cavo dall’apparecchio e dal muro, prendendolo con sé. Arrivati in camera, fa lo stesso con quello della base del cordless.
 
Mentre il complice trattiene Gaetano, con la pistola alla nuca e le mani immobilizzate dietro alla schiena, il leader rinfodera la sua pistola e ordina a Camilla di mettere le mani dietro la schiena. Allenta la presa su di lei solo per un attimo, per poi afferrarle i polsi e legarli talmente stretti col cavo da toglierle quasi la circolazione. Riprende in mano la pistola e la fa sedere in un angolo, mentre il complice continua a mantenere sotto tiro Gaetano e, avvicinatosi al letto, strappa il lenzuolo, lo arrotola fino a formare una specie di lunga corda. Toglie poi le federe dai cuscini.
 
Si avvicina di nuovo a Camilla, la tira nuovamente a sé e le annoda la federa come un bavaglio sulla bocca e la spinge verso dove si trova Gaetano, mentre il complice continua a mantenerlo sotto tiro. Con lo stesso procedimento imbavaglia anche l’uomo: questa volta con la pistola alla tempia c’è di nuovo Camilla, per evitare ogni possibile reazione da parte di quello che loro ritengono essere il marito.
 
“Mettetevi l’uno di fronte all’altro, veloci!” intima il leader, spingendo Camilla addosso a Gaetano e facendo quasi perdere il precario equilibrio ad entrambi, commentando poi tagliente, “dai professoressa, bene così, stagli appoggiata contro che almeno copriamo questo penoso spettacolo.”
 
Gaetano è viola e non ha mai desiderato tanto spaccare la faccia a qualcuno come in questo momento: sente il corpo di Camilla tremare contro il suo, del resto ci sono praticamente solo i vestiti di lei a separarli e cerca di calmarsi e di non fare trasparire alcuna emozione. Ma quando i loro occhi si incrociano, quando vede lo sguardo di lei che sembra quello di una cerbiatta paralizzata di fronte ai fari dell’automobile che sta per investirla, la rabbia, il dolore e la paura minacciano di scoppiargli nel petto e non riesce a mantenere un’espressione impassibile.
 
Camilla dal canto suo sente una voglia irrefrenabile di piangere e di urlare insieme: il contatto con il corpo nudo di Gaetano, invece di calmarla e rassicurarla, le ricorda tremendamente quanto sono fragili e indifesi. E lo sguardo che le rivolge la colpisce come un pugno nello stomaco: la sola idea di perderlo la terrorizza e la atterrisce ancora di più della reale possibilità di essere uccisa.
 
I criminali passano il lenzuolo arrotolato intorno a loro, legandoli stretti, petto contro petto. Il capo apre poi l’armadio, afferra e butta sul pavimento la maggioranza dei vestiti appesi nell’armadio, che è già semivuoto, dato che Camilla, memore dell’esperienza della prima separazione, si è nel frattempo premurata di ritirare i vestiti di Renzo in un baule per rendere il trasloco definitivo, che incombe all’orizzonte, il più rapido e il meno imbarazzante possibile.
 
Camilla e Gaetano vengono spinti a forza nell’armadio, annodati come salami. Infine il complice si abbassa e li lega con l’altro cavo per le caviglie, impedendo ogni residuo movimento.
 
“Signori, è stato un piacere, ora togliamo il disturbo, divertitevi!” ironizza il capo, lanciando un’ultima occhiata di disprezzo verso i due e chiudendo a chiave la porta dell’armadio.
 
Né Camilla, né Gaetano osano quasi respirare, sentono i passi che si allontanano, la porta della camera da letto che viene richiusa e poi un’altra porta in lontananza, che riconoscono essere quella dell’ingresso, sbattere.


 
Silenzio.


 
Quasi in contemporanea esalano un sospiro di sollievo, appoggiandosi istintivamente l’uno contro l’altra. Passata la scarica di adrenalina, si sentono entrambi improvvisamente esausti e spompati. Notano due cose: la quasi completa oscurità – l’unica luce è quella che filtra dal buco della serratura dell’armadio e la scarsità d’aria. Tra l’ambiente chiuso e stretto e i bavagli è difficile respirare e Camilla avverte i primi sintomi di un attacco di panico.
 
Solleva il viso dal petto di Gaetano e individua i suoi occhi azzurri, che brillano nella penombra. Lui cerca di rassicurarla con lo sguardo e le fa un cenno come a chiederle se va tutto bene. Lei abbozza e cerca di annuire, ma lui nota quasi subito il respiro di lei farsi affannoso dietro al bavaglio.
 
Con uno sforzo sovraumano per non perdere l’equilibrio estremamente precario, appoggia una guancia contro quella di lei e comincia a cercare di spingere la federa arrotolata al di sotto delle sue labbra. Camilla capisce e prova a dargli una mano, compiendo il movimento opposto a quello che sta facendo lui, alzando il viso mentre lui lo abbassa, per aumentare l’attrito.
 
Col fiato sempre più corto e dopo attimi che sembrano eterni, finalmente il tessuto scivola oltre le labbra e le rimane appeso al mento, consentendole di respirare. Camilla inspira forte due o tre volte: boccate d’aria che le fanno bruciare il petto e girare ancora di più la testa. Incontra lo sguardo preoccupato di Gaetano e cerca di sorridere, pur non essendo sicura che lui lo possa vedere.
 
“Stai… stai tranquillo, va tutto bene,” lo rassicura con voce roca e tremante, “adesso ti libero io, ok? Giù con la testa, più giù.”
 
Gaetano obbedisce nonostante il male al collo e sente le labbra di Camilla sfiorargli la guancia mentre afferra il bavaglio con i denti e tira, facendosi leva spingendo il suo corpo contro quello di Gaetano che cerca di mantenerli entrambi in piedi con sempre maggiore difficoltà.
 
Non sa se sia per gli ultimi residui di adrenalina, per la mancanza d’aria, per lo spazio ristretto, per il calore e l’attrito del corpo di Camilla contro il suo, peraltro praticamente nudo, per il suo respiro affannoso, la sua guancia e le sue labbra che sfregano contro suo viso, ma avverte i sintomi inequivocabili di una reazione fisica istintiva, incontrollabile e totalmente inappropriata data la situazione. Prova a resistere ma è tutto inutile: il suo corpo avverte l’involontario richiamo di quello della donna che ama e che desidera talmente tanto da fargli male e si riattiva, senza che lui possa evitarlo.
 
Nel frattempo Camilla riesce finalmente a liberarlo dalla federa e Gaetano inspira più che può: il suo fiato è ormai corto e il suo battito tremendamente accelerato e non solo per la mancanza d’aria.
 
“Stai bene?” chiede lei preoccupata, ansimando a sua volta per lo sforzo fatto.
 
“Sì…” esala lui a fatica, guardandola negli occhi per tranquillizzarla, “tu sei sicura di stare bene? Ti sei fatta male?”
 
“No, no, non preoccuparti, io sto bene, davvero,” conferma lei con un altro sorriso che Gaetano riesce appena ad individuare nell’oscurità, per poi spalancare gli occhi e chiedere con apprensione, “Livietta e Tommy?”
 
“Livietta è andata a prendere Tommy all’asilo, tranquilla… Non dovrebbero tardare ancora molto…”
 
“Speriamo perché non penso riusciremo a liberarci da soli, sai? I nodi ai miei polsi sono molto stretti,” risponde lei, preoccupata, divincolandosi per cercare di allentare il cavo che le blocca le mani e fallendo miseramente.
 
“Anche i miei…” sospira lui, provando inutilmente a slacciare la cintura di spugna, aggiungendo poi in tono ironico, per alleggerire l’atmosfera, “del resto mi è sempre stato impossibile sciogliere i lacci che mi legano a te, no, professoressa?”
 
“Scusami, scusami,” lo implora lei, imbarazzata, “avrei voluto provare a fare un nodo finto ma non ero sicura di esserne capace e temevo che se ne accorgessero e…”
 
“E hai fatto bene: anche con le mani slegate non avrei potuto fare nulla e potrei fare poco anche adesso. Siamo legati in tre punti diversi con corde separate: sono dei professionisti, Camilla e farli innervosire sarebbe stata una pessima idea.”
 
Lei annuisce, anche se si sente ancora in colpa e non solo per i nodi. Capisce che l’unica cosa da fare è aspettare ed improvvisamente avverte in un sol colpo tutta la tensione e la stanchezza: esausta, si appoggia al corpo di Gaetano.
 
Un respiro strozzato che sembra una via di mezzo tra un gemito ed uno squittio le sfugge dalle labbra: solleva gli occhi e incontra quelli di Gaetano, un’espressione imbarazzata dipinta sul volto paonazzo.
 
Nessuno dei due saprebbe dire se sia l’adrenalina, la tensione, la paura terribile di perdere l’altro e il successivo incredibile sollievo o semplicemente l’assurda e magnetica attrazione che da sempre li unisce, ma in pochi istanti l’atmosfera si fa incandescente, le palpebre si chiudono e i respiri divengono ancora più irregolari.
 
Le loro labbra si scontrano e si fondono in un contatto famelico e disperato, stranamente simile a quel loro primo ed indimenticabile bacio in mezzo ad una piazza, ma allo stesso tempo diverso. C’è una consapevolezza differente, i loro corpi ormai si riconoscono e si cercano in maniera completamente naturale ed istintiva.
 
Nell’impeto della passione, la lotta per il precario equilibrio è persa in partenza e Gaetano riesce miracolosamente ad appoggiare la schiena contro le ante dell’armadio, che per fortuna non si ribalta ma sorregge il peso di entrambi. Le circostanze, le priorità, la scomodità e la mancanza d’aria non riescono a scalfire il mondo parallelo in cui sono immersi. Il bacio si interrompe solo per la necessità di respirare ed immediatamente Gaetano prende d’assalto il collo di Camilla, che è ormai completamente incollata ed afflosciata addosso a lui: la testa leggera, le gambe pesanti come macigni e interamente avvolta in uno strano senso di ebbrezza.
 
Ben presto però la frizione tra i loro corpi e tra le loro labbra si trasforma da un indicibile piacere ad un’insopportabile tortura: entrambi vogliono molto, ma molto di più di ciò che la limitatissima libertà di movimento permette. Nonostante ciò, il desiderio è talmente forte che sentono di essere entrambi sull’orlo del precipizio e di un’inevitabile esplosione.
 
“Camilla… Camilla,” rantola Gaetano, staccandosi a forza dalle labbra di lei e appoggiando il capo su una delle sue spalle, per sussurrarle all’orecchio, “amore mio, dobbiamo fermarci… dobbiamo fermarci prima che sia troppo tardi.”
 
Camilla annuisce sulla spalla di Gaetano, comprendendo perfettamente che rischiano di trovarsi in una situazione ancora più terribilmente imbarazzante di quella in cui già sono, considerato anche che l’uomo è seminudo.
 
Quasi a leggere loro nel pensiero, sentono in lontananza una porta aprirsi e l’abbaiare di Potti.
 
“Potti, Potti, dove corri?” la voce di Livietta si fa sempre più vicina, mentre sentono il cane latrare più forte.
 
“Livietta! Livietta, siamo in camera da letto, nell’armadio!” urla Camilla, lottando contro la voce roca e la bocca che sembra arsa come un deserto.
 
“EH?” sentono la risposta incredula della ragazza e poi una porta che si apre, “mamma se è uno scherzo non è divertente!”
 
“No, Livietta, non è uno scherzo, siamo chiusi nell’armadio, poi ti spiego, ma ora liberaci, ti prego!” implora la donna, mentre sente il volto avvampare per l’imbarazzo.
 
“Siamo? C’è anche Gaetano con te?” chiede la ragazza, con la voce tra l’esitante e il turbato. Ed è allora che si guarda intorno e nota i vestiti gettati a terra alla rinfusa e il letto completamente disfatto; quasi calpesta la base del cordless che giace sotto al comodino. Improvvisamente ha paura.
 
“Papà, sei lì?” domanda Tommy spaventato e confuso, con un fil di voce.
 
“Sì,” riesce solo a dire l’uomo, che già muore di rabbia e di vergogna al pensiero dello spettacolo indecoroso che sta involontariamente per offrire a Livietta e a suo figlio.
 
Sentono i passi di Livietta farsi sempre più vicini e, con uno sforzo sovraumano, si rimettono in piedi, con Gaetano che continua a dare le spalle alle ante dell’armadio, per evitare di crollare addosso alla ragazza quando queste si apriranno e per mostrare il meno possibile: per fortuna il corpo di Camilla trattiene i lembi dell’accappatoio e gli fa da scudo ma preferisce non rischiare.
 
Livietta gira la chiave con mano tremante, apre le ante e non può evitare il mezzo grido di sorpresa che le sfugge dalle labbra nel vedere sua madre e Gaetano legati come salami. Il cervello a poco a poco lascia filtrare informazioni aggiuntive, tipo cosa indossa l’uomo e soprattutto dove si trovi la cintura del suo accappatoio. Per un attimo, mentre sente il calore invaderle le guance, avverte il bisogno irrefrenabile di darsi un pizzicotto per accertarsi di non stare sognando: ha sempre saputo che sua madre ha un talento straordinario per andarsi a cacciare nelle situazioni più assurde, ma questa è talmente surreale che le batte tutte.
 
“Papà, che ci fai nell’armadio con Camilla? E perché siete legati?” domanda Tommy con voce innocente e gli occhi spalancati.
 
Camilla lancia uno sguardo supplicante a Livietta da sopra la spalla di Gaetano, mentre l’uomo vorrebbe solo sparire ed è quasi grato di non poter guardare né suo figlio né la ragazza in volto.
 
“Stanno… stanno giocando a nascondino Tommy,” prova ad abbozzare Livietta.
 
“E perché si sono fatti trovare allora?” domanda lui, scettico.
 
“Beh, perché… perché si sono stancati di aspettare nascosti, a te non capita mai?”
 
“Sì… ma perché sono legati? E chi li ha legati?” insiste il bimbo, con uno sguardo sospettoso che a Camilla ricorda in maniera impressionante quello del padre quando è nel vivo di un’indagine.
 
“È una variante del gioco, un misto tra quello degli indiani e dei cowboy e quello del nascondino,” improvvisa la ragazza, mentre Camilla si ritrova a pensare che non sa se essere grata o preoccupata del fatto che sua figlia sia così brava a mentire, “poi ti spiego… perché non vai a toglierti lo zaino e non ti lavi le mani che facciamo merenda?”
 
“Ok,” sospira il bimbo, lanciando un’ultima occhiata dubbiosa agli adulti e uscendo dalla stanza insieme al cane.
 
“Dopo esigo una spiegazione dettagliata,” sibila Livietta, per poi aggiungere, dopo aver dato un ulteriore sguardo con la coda dell’occhio alla mise di Gaetano, “ripensandoci, forse non troppo dettagliata…”
 
“Ti prego, liberaci e poi ti raccontiamo tutto,” assicura Camilla, ormai bordeaux, notando che anche Gaetano è del colore di un pomodoro maturo.
 
“Ok, ok!” concede la ragazza, avvicinandosi di più e cominciando, con mani tremanti, a cercare di sciogliere i nodi della striscia di spugna blu.
 
Gaetano praticamente non fiata, non respira nemmeno fino a quando sente il laccio allargarsi e riesce a recuperare finalmente l’uso delle mani e il possesso della cintura.
 
“Torno subito,” li rassicura Livietta, recandosi in cucina, recuperando delle forbici e tornando di corsa in camera da letto.
 
Facendo attenzione a non provocare danni, taglia il cavo intorno alle loro caviglie e, dopo l’occhiata di assenso di Camilla, taglia anche quello che resta del lenzuolo, ormai rovinato.
 
“Ok, io… vado a vedere Tommy,” proclama la ragazza, sempre più imbarazzata, filandosela dalla stanza per permettere agli adulti di ricomporsi.
 
Gaetano si stacca da Camilla, esce dall’armadio e si risistema l’accappatoio. Solleva poi gli occhi e incontra quelli della donna, che sembra esitante e disorientata.
 
“Se ti volti ti libero le mani,” propone lui e quando lei annuisce meccanicamente e gli volta le spalle, prende in mano le forbici e, con tutta la delicatezza di cui è capace, taglia l’ultimo cavo rimasto.
 
Camilla non può trattenere un mezzo grido di dolore e si massaggia i polsi per cercare di riattivare la circolazione.
 
“Sei sicura di stare bene?” chiede di nuovo Gaetano, preoccupato.
 
“Sì… sì,” conferma lei recuperando piano piano coscienza e decisione nella voce.
 
I loro sguardi si incrociano nuovamente e improvvisamente è come se la foschia che annebbiava le menti di entrambi nella concitazione dell’emergenza e della “prigionia” si sollevasse. L’atmosfera nella stanza si fa più consapevole, più seria e più cupa.
 
“Credo sia meglio che io vada a vestirmi: a questo punto non posso evitare di andare in questura,” dichiara Gaetano, aggiungendo poi con un sospiro, quando è ormai sulla porta, “e io e te dobbiamo parlare molto ma molto seriamente, professoressa.”
 
Camilla annuisce di nuovo, sedendosi sul materasso e contemplando la distesa di vestiti, sentendosi all'istante totalmente stremata.
 
Gaetano si cambia più in fretta che può: a mano a mano che i secondi passano e che si infila un indumento dopo l’altro, alla preoccupazione si sostituisce l’irritazione che cresce fino a diventare rabbia. Rabbia verso quei due bastardi, rabbia verso se stesso per non essere riuscito a proteggere la donna che ama, per essere arrivato così vicino a perderla per sempre e rabbia… rabbia anche verso di lei, verso Camilla per essersi andata ad infilare in una situazione potenzialmente mortale. Proprio lei, proprio la donna, anzi la persona più intelligente che abbia mai conosciuto: come poteva essere stata così stupida da trasportare nella borsa quelli che, anche ad uno sguardo sommario, erano evidentemente centinaia di migliaia di euro di diamanti?
 
Una volta vestito, torna a passo marziale verso quella stanza che era, fino a poche ore fa, legata indissolubilmente ai momenti più meravigliosi ed incredibili della sua vita e che ora sente in qualche modo essere stata “violata” da quei due stronzi, che gliela pagheranno anche per questo, ah se gliela pagheranno.
 
Apre la porta e trova Camilla intenta a risistemare gli abiti nell’armadio. Come lo sente arrivare si volta verso di lui ed interrompe il lavoro, appoggiando gli ultimi vestiti su una sedia e sedendosi sul materasso ancora nudo.
 
Gaetano la raggiunge, sempre in silenzio e si siede accanto a lei.
 
“Che ci facevi con quei diamanti nella borsa, Camilla?” domanda con un sospiro ed un tono tra l’incredulo e il rassegnato che spaventa la donna più che se si fosse messo a pretendere spiegazioni urlando.
 
“Me li hanno consegnati Idris e Sabrina,” risponde lei abbassando lo sguardo.
 
“Quindi non solo hai nuovamente incontrato due latitanti senza dirmi niente, ma ti sei messa pure a fare da corriere per loro, da portavalori, nonostante tutte le mie raccomandazioni di questi giorni… ma allora non ti è bastato il quasi arresto per via della cocaina nella scatola dei tartufi, eh?” le domanda esasperato, mettendosi la testa fra le mani e massaggiandosi le tempie per cercare di alleviare il terribile mal di testa che lo sta assalendo.
 
“Non è così, Gaetano, lascia che ti spieghi,” lo prega Camilla, impaurita ed addolorata per la… la delusione che percepisce nella voce dell’uomo che ama, “se ho incontrato Sabrina e Idris all’improvviso è stato proprio per fare un ultimo tentativo per convincerli a costituirsi. Naima mi ha detto che non avevano più un posto in cui stare, che erano disperati e che volevano parlare con me e… non me la sono sentita di rifiutare, temevo facessero qualche pazzia e sentivo… sentivo di doverglielo questo ultimo tentativo, Gaetano. Ma ti giuro che te ne volevo parlare appena ci saremmo visti e che, se questo tentativo fosse andato a vuoto, come in effetti è successo, mi ero ripromessa di aiutarti a trovarli, con o senza il loro consenso.”
 
“Dove vi siete visti? E cosa c’entrano i diamanti?” le chiede con un’espressione imperscrutabile sul viso.
 
“Al Bar Brico… è vicino alla scuola, ci vanno qualche volta i ragazzi. E in quanto ai diamanti me li hanno dati e mi hanno pregato di consegnarli alla polizia per dimostrare la loro innocenza. A quanto pare li hanno presi per sbaglio dalla tasca dello zio di Sabrina dopo che Idris l’aveva messo a terra con un pugno – ma quando era ancora vivo, chiaramente – scambiando il sacchetto dei diamanti per quello che conteneva l’anello di Sabrina. Io ho provato a dire loro di costituirsi e di consegnarli di persona ma mi hanno detto che se non li avessi presi io, li avrebbero venduti e avrebbero usato i soldi per la fuga. Ho avuto paura che facessero qualche cazzata, Gaetano, che si andassero a cacciare in una situazione irreparabile e allora-“
 
“E allora la cazzata hai preferito farla tu ed andartici tu ad infilare in una situazione potenzialmente mortale, no, Camilla?” esclama Gaetano frustrato, scuotendo il capo, e trafiggendola con uno sguardo incredulo e furente, “Dio mio, Camilla! Me lo dici cosa ti è saltato in mente, eh? Conosci il caso Migliasso quasi meglio di me e siccome ti conosco, so che avrai sicuramente intuito anche tu, come sto intuendo anche io adesso, che probabilmente quei diamanti sono il motivo per cui Aldo Migliasso è stato ucciso e che, in ogni caso, dato i traffici che aveva con ‘fornitori’ e ‘clienti’ che definire loschi è dir poco, al 99% sono diamanti non registrati e che potrebbero essere addirittura diamanti insanguinati, dannazione!”
 
“Hai presente quante persone muoiono ogni anno per il traffico di quei diamanti? Questa è gente senza scrupoli, Camilla, e a questo punto ringrazio il cielo che viviamo in uno stabile pieno di appartamenti e che forse per questo hanno deciso di non farci fuori all’istante! Ma anche se fossero stati diamanti di sicura provenienza, mi spieghi come ti è venuto in mente che tornare a casa in taxi con centinaia di migliaia di euro di diamanti, che peraltro ti erano stati consegnati in un locale pubblico, dove avrebbero potuto fare gola a chiunque se ne fosse accorto, sarebbe stata una buona idea? C’è gente che uccide per un centesimo di quella cifra, dannazione! Come hai potuto anche solo pensare di fare una cosa del genere, invece di avvertirmi? Di avvertire me, che oltre ad essere il tuo uomo sono pure, fino a prova contraria, un vicequestore di polizia e che avevo quindi tutti i mezzi per evitarti che succedesse quello che è successo?”
 
“Ma io ti ho avvertito, Gaetano!” protesta lei, ferita dal tono e dall’atteggiamento dell’uomo, “ti ho chiamata dal bar e ti ho detto che avrei dovuto parlarti urgentemente e consegnarti una cosa, ti ricordi?”
 
“Eh beh, certo, Camilla, perché adesso io sono un veggente, no? Concorderai anche tu che tra dirmi ‘Gaetano, ti devo consegnare una cosa’ e ‘Gaetano, ti devo consegnare dei diamanti di dubbia provenienza per un valore di centinaia di migliaia di euro’, c’è una certa differenza e che la mia reazione sarebbe stata del tutto diversa!”
 
“Eh beh, certo, Gaetano,” gli fa eco lei, la cui irritazione sta crescendo sempre di più ad ogni parola dell’uomo, aggiungendo poi con sarcasmo, “perché invece annunciare in mezzo ad un bar che dovevo consegnarti ‘diamanti per un valore di centinaia di migliaia di euro’ sarebbe stata un’ottima idea, no?”
 
“No, certo che no, Camilla, ma porca miseria, esiste la tecnologia! Potevi scrivere un sms a me o a Torre e ti avrei mandato immediatamente una volante o una macchina con colleghi in incognito per scortarti fino in questura e non di sicuro qui. Perché era lì che dovevi portarli: in un posto pieno di agenti dove nessuno sano di mente oserebbe mai un assalto e non in un appartamento che non è certo Fort Knox!”
 
“Se sono tornata a casa è perché sei stato tu a dirmi che eri qui e che stavi poco bene, se no sarei andata in questura, ovviamente! Non capisci che volevo parlarne direttamente con te e non con Torre o con un altro agente? Che se li avessi consegnati a loro questi diamanti avrei dovuto spiegare che mi ero trovata con dei latitanti e fornire prove potenzialmente compromettenti contro di loro e forse pure contro di me? Che pensavo di potermi fidare solo di te, che tu avresti capito, che mi avresti aiutata, ma forse mi sbagliavo,” spiega lei, e ora è la sua di voce che si colora di incredulità e di delusione.
 
“Camilla, prima di tutto se tu mi avessi mandato un messaggio con scritto di cosa si trattava sarei venuto in questura di corsa, ci sarei venuto pure in ambulanza se fosse stato necessario! E comunque anche se tu fossi arrivata qui e non fosse successo quello che è successo, ci saremmo andati immediatamente in questura: io, te e i diamanti, magari pure con un’auto di scorta. Perché di sicuro non li avrei tenuti qui in questa casa un secondo di più, Camilla! Ma ti rendi conto di quello che poteva succedere? Io non capisco come tu possa… come tu possa avere commesso una simile leggerezza. Io lo comprendo che tu ci tieni a quei ragazzi, al fatto che non succeda loro nulla, Camilla, davvero, e che sei generosa, che ti fai in quattro per gli altri e ti ho sempre ammirata per questo ed è uno dei motivi per cui mi sono innamorato di te. Ma quello che non riesco a concepire, che davvero non riesco a concepire è che tu possa invece dare così poco valore alla tua di vita e alla tua di incolumità e… Dio mio! Anche se non volevi farlo per te stessa, o per me, potevi, anzi avresti dovuto pensare a Tommy e a Livietta che avrebbero potuto benissimo essere in casa!”
 
“Che cosa stai insinuando, Gaetano, eh? Che io avrei messo Tommy o Livietta in pericolo?” domanda Camilla alzando la voce, in quello che è quasi un urlo.
 
“Se fossero stati in casa, sarebbero stati in pericolo, sì, Camilla, e non lo sto insinuando perché è un dato di fatto. Cosa sarebbe successo se Tommy si fosse messo a piangere o urlare, ad esempio? E anche se ne fossero usciti illesi fisicamente, avrebbero potuto avere traumi irreparabili, specie Tommy che ha cinque anni!”
 
“Questo non puoi dirlo, Gaetano, non lo accetto! Io non metterei mai Livietta o Tommy in pericolo volontariamente, piuttosto mi farei ammazzare!” grida ormai senza controllo, mentre gli occhi le si riempiono di lacrime che non riesce più a trattenere.
 
“Lo so, Camilla, lo so benissimo, ma è proprio questo il problema, maledizione! Come fai a non capirlo? Non ci dovrebbe essere bisogno che tu ti ‘faccia ammazzare’ per i nostri figli. Io non voglio che la donna che amo si vada a cacciare in continuazione in situazioni limite in cui potrebbe perdere la vita, salvo emergenze vere che non abbia modo di prevenire!” urla Gaetano di rimando, frustrato e amareggiato per non riuscirle a fare comprendere quanto la sola idea di perderla gli sia insopportabile, quanto la sua vita abbia valore per lui e non solo per lui.
 
“Sai una cosa, Gaetano? Mi sembra di stare parlando con Renzo! Cos’è, ora che stiamo insieme pensi anche tu di potermi ‘domare’, di gestirmi la vita come più ti piace, di farmi rimanere a casa a ‘fare la calza’? Io e te insieme ne abbiamo affrontate di situazioni anche forse peggiori di questa e non ti sei mai sognato di farmi una filippica di questo genere, anzi mi hai sempre sostenuta e appoggiata. Fino a che ti faceva comodo, evidentemente, mentre ora che le indagini non ti servono più come ‘scusa’ per incontrarmi, per conquistarmi, cambi musica?” chiede lei, sentendosi ferita e vulnerabile, anche perché, in un angolo della sua mente, la voce della sua coscienza le sussurra che Gaetano in fondo ha ragione e si odia per questo.
 
“E poi allora io cosa dovrei dire, eh? Pure io non vorrei che l’uomo che amo rischi la vita potenzialmente ogni santo giorno che va al lavoro. Pensi che non ci abbia mai pensato, Gaetano? Che non sappia che col mestiere che fai è un rischio concreto, che c’è sempre la possibilità che una delle tue ‘operazioni’ finisca male? Ma lo so che è il tuo lavoro, che è la tua vita, che è sempre stato così da quando ti conosco e non mi sono mai sognata né mi sognerei mai di lamentarmene o di chiederti di cambiare per farmi stare più tranquilla!”
 
“Ma per la carità, Camilla, io non ho mai preteso né mi sono mai sognato di chiederti di cambiare o che tu rimanessi a casa a ‘fare la calza’, nemmeno fossi una specie di uomo delle caverne con la clava! Tanto è vero che ti ho tenuta informata su queste indagini, ti ho detto come sempre molto ma molto di più di quello che avrei dovuto, ti ho perfino fatta partecipare a diversi interrogatori e mi sono fidato di te. E a questo punto mi tocca ammettere che ho fatto male! Perché evidentemente non sei in grado di fermarti da sola prima che sia troppo tardi: puoi indagare fin che vuoi, su tutto quello che vuoi, dannazione, ma finché questo non mette in pericolo te e chi ti sta vicino!” grida di nuovo lui, non potendo credere alle sue orecchie e alle parole che sta sentendo pronunciare da Camilla.
 
“E in quanto al fatto che io rischi la vita col mestiere che faccio, è vero ma in parte: non sono più un agente ‘di prima linea’ da anni ormai, Camilla ed entro in azione molto raramente, solo quando è strettamente necessario. È ovvio che le eccezioni ci sono e che basta anche che vada storta una cosa sola perché anche un caso apparentemente tranquillo possa finire nel peggiore dei modi. Ma lo so, l’ho scelto appunto di mestiere, Camilla: un lavoro per cui ho studiato, per cui mi sono preparato anche fisicamente, per cui ho dovuto affrontare un lungo addestramento in cui ho imparato come gestirle certe situazioni. Tu no! È questa la differenza!”
 
“Beh, perché infatti prima si è proprio visto a quanto ti è servito tutto il tuo addestramento, no, Gaetano!”
 
 
Silenzio.
 
 
Camilla capisce immediatamente di avere esagerato, che il senso di colpa, la vulnerabilità e fragilità l’hanno portata a contrattaccare con un colpo basso, di quelli che ti trafiggono dove fa più male. Comprende dall’espressione di Gaetano, paragonabile a quella di una bestia ferita, di avere centrato il bersaglio. E la cosa più assurda è che lei non pensa realmente nemmeno un decimo di ciò che è stata capace di sputargli addosso negli ultimi minuti.
 
Il volto di Gaetano si trasfigura pian piano, passando dal dolore alla durezza, al gelo.
 
“Credo che sia meglio che io adesso me ne vada, Camilla, prima di dirti qualcosa di cui probabilmente mi pentirei in futuro ma che non potrei più ritrattare,” afferma lui, secco, deciso, gli occhi azzurri come due lame affilate che la trapassano da parte a parte.
 
Completamente paralizzata, con gli occhi ancora pieni di lacrime, Camilla vede la porta richiudersi e sente i passi farsi sempre più distanti.
 
“Gaetano!” chiama, con la voce roca che pare rifiutarsi di uscire dalla gola, mentre i piedi finalmente rispondono ai comandi e la portano a una rincorsa disperata verso il corridoio, “Gaetano, aspetta!”
 
Senza fiato, continuando a chiamarlo, raggiunge la porta di ingresso e capisce che è troppo tardi: lui se ne è già andato.
 
Mentre le lacrime strabordano, rigandole le guance, sente il suono di passi veloci ma più leggeri alle sue spalle. Si volta e li vede: Livietta che insegue Tommy. Entrambi che si fermano davanti a lei e che la fulminano con sguardi carichi di delusione.
 
“Camilla… dov’è andato papà? E perché litigate? Non ci vuoi più bene?” le chiede il bimbo, agitato, con occhi grandi e tristi, facendola sentire ancora peggio.
 
“Ma no, Tommy, certo che voglio bene al tuo papà, tantissimo. È che… a volte proprio perché si tiene tanto a una persona ci si discute, ma poi passa. E comunque è solo andato al lavoro, torna presto!” afferma con voce tremante, non sapendo se stia cercando di rassicurare Tommy o se stessa e notando dallo sguardo del bimbo che non pare essere molto convinto.
 
“Tommy, perché non vai in cucina, che ci  prepariamo finalmente la merenda? Dovrebbe esserci il gelato in freezer, quello al lampone che piace a te,” propone Livietta, mettendogli una mano sulla spalla. Il bambino alza gli occhi verso di lei e annuisce, incamminandosi verso la cucina, mogio-mogio.
 
“Avete sentito tutto, immagino…” sospira Camilla, guardando Livietta, una volta che il bimbo si è allontanato.
 
“Credo che pure la nonna a Roma e papà a Londra vi abbiano sentito, se è solo per questo,” replica Livietta, pungente, “quantomeno non ho più bisogno di altre spiegazioni, ho già afferrato perfettamente che cosa è successo. E, per inciso, Gaetano ha assolutamente ragione: questa volta hai davvero esagerato, mamma, in tutti i sensi!”
 
E con un’occhiata glaciale, anche la ragazza le volta le spalle e si allontana, lasciandola lì, in mezzo al corridoio, con le lacrime che ormai scorrono a fiumi e il cuore e la testa che paiono volerle scoppiare da un momento all’altro.
 
Non si è mai sentita così sola.
 
 
 
 
Nota dell’autrice: Come avrete potuto notare, ho deciso di prendermi un poco di libertà con la scena dell’armadio e in particolare cercare di risolvere il mistero delle funi e delle bandane che i ladri nella puntata evidentemente materializzavano magicamente dalle loro tasche xD. Inoltre, dato che Renzo è ancora in quel di Londra e non può essere lui a far notare a Camilla che forse portarsi a casa e girare in taxi tranquillamente con i diamanti non fosse l’idea migliore che avesse mai avuto (chiaro che se li avesse portati in questura non avremmo avuto la famosa scena dell’armadio), ho pensato che fosse realistico che Gaetano, spaventato per il rischio corso e per la “leggerezza” commessa da Camilla, cercasse nuovamente di imporsi e di farle capire qual è il limite da non superare, come del resto faceva soprattutto nelle prime serie. E, come sempre, Camilla non la prende proprio bene quando qualcuno cerca di porle un freno…
 
Fatemi sapere cosa ne pensate e cosa vi ha convinto di più o di meno: i vostri pareri mi aiutano sempre a migliorarmi. E grazie ancora per avere avuto la pazienza e la voglia di seguire la mia storia fin qui!

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Les Liaisons Dangereuses – terza parte ***


Capitolo 18: Les Liaisons Dangereuses – terza parte
 


Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro 



“Non ti fermi a guardarlo insieme a me?”
 
Osserva Tommy, disteso sul divano e che alterna lo sguardo tra lo schermo del televisore e lei, con due occhi irresistibilmente imploranti. Non è stato facile tranquillizzarlo e convincerlo a cenare dopo la scenata di prima, specie dato che Gaetano ancora non è tornato. Ma arrivati a questo punto, c’è una cosa che deve fare e che non può rimandare, anche se questo significa dover dire di no allo sguardo degno del Gatto con gli Stivali che le sta rivolgendo il bimbo.
 
“No, Tommy, devo fare una cosa prima, ma ti prometto che appena ho finito torno e il finale ce lo vediamo insieme, ok?”
 
“Ok,” replica lui con un sospiro, rivolgendo tutta l’attenzione al televisore, dove Gothel sta spiegando a Rapunzel, in una delle infinite canzoni tipiche dei film Disney, per quale motivo non può vedere il mondo esterno e di come sia al sicuro solo “a casa”, nella torre.
 
L’ironia del testo della canzone rispetto agli eventi recenti non le passa affatto inosservata, ma ora non ha tempo di rifletterci troppo sopra. Afferra il vassoio e si avvia verso la porta chiusa della camera da letto. Come ci arriva di fronte, di nuovo l’assurdità della situazione la coglie: c’è chi lo chiamerebbe karma, chi ironia della sorte, chi la chiusura del cerchio. Ma nemmeno su questo ha ora tempo di riflettere.
 
Solleva una mano verso il legno, mentre sente i suoni inconfondibili di un pianto sommesso e stanco: quello che resta quando hai già versato quasi tutte le lacrime che avevi e a queste si sostituiscono i singhiozzi, quando il tuo corpo e la tua mente sono esausti e ti implorano di smetterla. È un suono che le diventò tristemente familiare anni fa, a Barcellona, sia quando nella stanza da letto c’era lei a piangere lacrime amare di delusione ed impotenza, sia quando, più spesso, stava in corridoio ad ascoltare le lacrime altrui, come adesso. Allora non aveva mai avuto la forza di provare a bussare.
 
Ora sì.
 
“Chi è?” una voce rauca e flebile, a stento riconoscibile.
 
“Mamma, sono io, Livietta, posso entrare?”
 
“Livietta?” chiede la voce, sorpresa, “…. sì, vieni pure….”
 
Mentre apre la porta, sente lo scricchiolare tipico dei fazzoletti di carta quando vengono compressi tra loro. La mamma è seduta sul letto col capo rivolto verso la finestra. Rapidamente si gira verso la ragazza, tendendo le labbra in quello che dovrebbe essere probabilmente l’abbozzo di un sorriso, ma è un tentativo che viene abbandonato dopo pochi istanti: sia perché non ne ha la forza, sia perché capisce, dal viso della figlia, che è assolutamente inutile.
 
“Mamma, guarda che lo so che stavi piangendo: i segni delle lacrime non si nascondono facilmente come i fazzoletti usati. E non solo non sono cieca, ma non sono nemmeno sorda,” le conferma Livietta con un tono neutro e non ostile, nonostante le parole pungenti.
 
Guarda la madre: gli occhi in fiamme, il naso e le labbra arrossati e gonfi, l’aspetto esausto e sbattuto; sembra improvvisamente più vecchia di almeno dieci anni e terribilmente più fragile. E, se la decostruzione e “l’uccisione” (in senso metaforico) delle figure genitoriali e, soprattutto di quella materna, è una tappa fondamentale  e quasi obbligata nella fase adolescenziale della vita di ogni donna, ogni prova tangibile della debolezza e della mortalità di quelle due persone che una volta si erano credute quasi invincibili, oltre che infallibili, fa paura e fa male in eguale misura, ad ogni età, ma a maggior ragione a 16 anni.
 
Dopo la merenda con Tommy, notando che la madre non li aveva ancora raggiunti, come si sarebbe aspettata, magari indossando la sua maschera preferita per queste occasioni, per tutti i “post-litigio” con suo padre: quella da “regina del focolare” – disponibile nelle varianti “pulizie di primavera”, terrore degli acari della casa e dello sporco che si annidava in angoli da sempre celati all’occhio umano, o “chef stellato”, quando la “fettina della professoressa” e la pasta mezza scotta lasciavano il posto a ricette tipiche ipercaloriche o a dolciumi da coma diabetico o ad improbabili pietanze che giusto per pietà si potevano definire fusion – aveva cominciato ad avvertire una specie di strano ronzio interiore, di quelli che senti in sottofondo, qualsiasi cosa tu faccia, e che aumentano di volume ed intensità a mano a mano che cerchi di ignorarli.
 
Passate un paio d’ore e fattasi ormai ora di cena il ronzio si stava facendo snervante e fastidioso quasi quanto il flusso continuo ed incessante di domande intelligenti e proprio per questo scomode che Tommy le sparava addosso a raffica da quando suo padre era uscito sbattendo la porta di ingresso. E così Livietta era andata in cerca della madre e non aveva dovuto faticare molto a trovarla: quei suoni inconfondibili che la riportavano indietro nel tempo, al periodo in cui le sue illusioni e i suoi sogni di bambina si erano dovuti infrangere contro la dura realtà, l’avevano indirizzata verso quella che, fino a poche settimane fa, era la camera da letto dei suoi genitori.
 
Era stata così, fuori dalla porta ad ascoltare, come qualche anno prima. Anche allora c’entrava un uomo, suo padre, per essere precisi, che se ne era andato, le aveva lasciate, o meglio aveva lasciato sua madre e non lei, come si erano sempre affrettati entrambi a specificare ad ogni occasione: ma la semantica a livello pratico per Livietta aveva fatto ben poca differenza. Se ne era andato, non viveva più con loro, non poteva più avere entrambi i suoi amati genitori sotto lo stesso tetto, doveva imparare a dividere il suo tempo e il suo affetto tra di loro.
 
Ed era allora che le maschere di sua madre che l’avevano accompagnata nel lungo periodo di pausa di riflessione e di guerra fredda tra i suoi genitori, che andava ormai avanti da qualche anno e che erano progressivamente peggiorate con l’arrivo in Spagna, non avevano più retto ed erano iniziati i lunghi “ritiri” dietro una porta chiusa, soprattutto quando sua madre credeva che lei stesse già dormendo o che fosse distratta ed impegnata da qualche attività. Pian piano si erano fatti sempre meno frequenti, ma nemmeno allora le maschere erano tornate, se non a sprazzi, anzi: la fettina e la pasta scotta erano state sostituite da tristissime uova al tegamino. L’abbigliamento già un po’ estroso di sua madre si era fatto sempre più sciatto e trasandato. I ricci erano spariti, i capelli tagliati cortissimi che la facevano sembrare più vecchia. Era diventata l’ombra di sé stessa, una donna grigia e cupa che voleva solo sparire e mimetizzarsi nell’ambiente che la circondava, che di solito era quello di casa, uscendo molto raramente.
 
Si sforzava di tornare ad essere più simile alla mamma che ricordava un tempo solo quando era con lei o quando andava al lavoro. Anzi, con lei era anche fin troppo presente ed aveva iniziato a ricoprire il ruolo prima avuto dal padre, da sempre più “pantofolaio”, che si prendeva cura di lei mentre la mamma era in giro ad intraprendere una delle sue “imprese folli”. Ma in quegli anni di “imprese folli” non ce n’era più traccia: stava sempre a casa con lei e la ricopriva di attenzioni, quasi a voler compensare la figura paterna più assente, forse anche per un’inconscia competizione con l’ex marito.
 
Pian piano la nuova situazione era divenuta normale, quasi di routine; suo padre le aveva raggiunte a Roma con Carmen ed era arrivato Marco. E poi in una serie di eventi che Livietta ancora fatica a comprendere e che forse non comprenderà mai del tutto, sua madre e suo padre erano passati dall’essere pronti a trascorrere tutto il resto della vita con altre due persone al rimettersi insieme all’improvviso, da un momento all’altro.
 
All’inizio ne era stata sbalordita ma felice, perché sembrava che in fondo i suoi sogni di bambina non si fossero davvero infranti, che fosse allora vero che anche nella vita il lieto fine è possibile, che l’amore dura per sempre e vince su tutto.
 
Si sbagliava.
 
Le maschere erano tornate presto a riempire le loro vite, arrivando ormai a sostituire in maniera quasi permanente i veri volti dei suoi genitori, in una farsa quasi grottesca. Erano sì tornati indietro nel tempo, ma non ai “bei tempi” di quando erano una famiglia unita e felice, una famiglia vera, ma alla tensione e all’aria pesante che si respirava a Barcellona e nel periodo immediatamente precedente al loro trasferimento.
 
Ed era stato allora che aveva pian piano cominciato a capire che i suoi genitori forse si volevano ancora bene, ma che non si amavano più, che probabilmente se stavano ancora insieme era solo per lei, che era per lei che portavano avanti questa parodia della famiglia del Mulino Bianco. Una parodia che era già difficile da far reggere con suo padre che viveva a Torino e loro a Roma, vedendosi pochi giorni al mese. E che si era fatta sempre più insostenibile con il “ricongiungimento” nel capoluogo piemontese.
 
Così erano iniziati i sensi di colpa e allo stesso tempo la voglia di sfidare i suoi genitori, alimentata dalla rabbia per un trasferimento che aveva sentito come l’ennesima “deportazione”. E poi il ritorno di Gaetano e Carmen nelle loro vite e, dopo mesi di inutile accanimento, quello che lei aveva già immaginato essere l’inevitabile epilogo, ma che non per questo faceva meno male, anzi: una nuova separazione, questa volta sperava davvero definitiva.
 
La rabbia verso l’ipocrisia dei genitori, verso tutti gli inutili tira e molla, verso le illusioni e delusioni continue che si erano susseguite come montagne russe negli ultimi anni, l’avevano portata alla guerra aperta. E sapeva bene che, mentre suo padre aveva preferito filarsela, in prima linea a combatterla c’era rimasta sua madre. Del resto era sempre stato così: suo padre per natura fuggiva dai conflitti e dai problemi, era quello che si ritirava, che gettava la spugna, che si arrendeva. Sua madre invece era quella che si incaponiva, che si ostinava, che lottava fino all’ultimo, quella che cercava in tutti i modi di salvare il salvabile, anche quando ormai ci si riduceva a cercare di cavare il sangue da una rapa, quando invece l’unica cosa sensata da fare sarebbe stata constatare il decesso e dare degna sepoltura ai miseri resti.
 
Livietta si era preparata e armata per la battaglia senza risparmiarsi, alimentando la sua rabbia e il suo risentimento e sfogandolo senza remore e senza riserve, sia in maniera diretta, sia in maniera indiretta, facendo ciò che, lo sapeva bene, avrebbe destabilizzato maggiormente la madre: ignorandola completamente. Ma non era solo una tattica di guerra, era anche una necessità di sopravvivenza: aveva bisogno della solitudine, di tempo e spazio per riflettere senza qualcuno che le rimanesse costantemente col fiato sul collo.
 
Tutti i suoi attacchi cadevano però contro un muro di condiscendenza e sensi di colpa. Sua madre non reagiva, non rispondeva, non contrattaccava: era comprensiva e timorosa e invece di risentirsi, di ribattere, di difendersi, la trattava come se fosse una bambola di porcellana. Livietta non cercava indulgenza o accondiscendenza: cercava un confronto, uno scontro, ma che fosse vero. Voleva che potessero infine dirsi in faccia ciò che pensavano, voleva che sua madre affrontasse finalmente con lei tutte le verità che aveva nascosto dietro alle sue maschere, tutte le verità che l’aveva sempre ritenuta troppo fragile per potere affrontare. Per questo aveva alzato sempre di più il tiro, tirato sempre di più la corda, superando e di molto il limite che normalmente sua madre avrebbe tollerato, ma invece dello “schiaffo” reale o figurato che si aspettava, aveva ottenuto solo che sua madre ignorasse ogni provocazione e la trattasse con ancora più timore ed attenzione.
 
Rispetto alla prima separazione, però, se ne era resa conto, era stata praticamente solo lei il motivo delle preoccupazioni e dei rari pianti della madre. Non c’erano più stati i ritiri dietro una porta chiusa, anzi, ora era lei a rivestire quel ruolo, mentre la madre cercava di convincerla ad uscirne. L’assenza del padre non pareva turbare la mamma, non come avrebbe dovuto a pochi giorni da una separazione. Altro sintomo inequivocabile che ormai tra loro era davvero tutto finito, morto e sepolto da un pezzo.
 
Ma, Livietta ne aveva avuto la definitiva conferma questo pomeriggio, la differenza principale tra oggi e allora in realtà aveva un nome preciso: Gaetano.
 
Aveva cominciato ad intuirlo quando lui e Tommy erano arrivati come un fulmine a ciel sereno a casa loro. All’inizio non ne era stata entusiasta, ma, data la gravità della situazione, si era ritrovata a sotterrare almeno temporaneamente l’ascia di guerra. Erano bastati pochi giorni però per rendersi conto dell’effetto che la loro presenza aveva su sua madre: era più serena, anzi era proprio felice, e, anche se con lei era sempre troppo timorosa ed arrendevole, sembrava per il resto gradatamente ritornare ad essere la mamma che ricordava dagli anni migliori della sua infanzia.
 
Gaetano era stata una piacevole sorpresa anche per lei, questo doveva ammetterlo. Quando l’aveva conosciuto ai tempi della sua amicizia con Nino, all’inizio non le era stato subito del tutto simpatico, ma aveva anzi provato una certa diffidenza verso quell’uomo. Si era infatti accorta che c’era qualcosa di strano nel rapporto che aveva con sua madre e che sua madre aveva con lui, nonostante sapesse che in teoria Gaetano era fidanzato con Roberta e che probabilmente si sarebbero sposati. Il modo in cui si guardavano, in cui ridevano e si sorridevano, il modo in cui stavano vicini era completamente diverso da come sua madre si comportava con gli altri amici di famiglia. Ed era stranamente famigliare al tempo stesso. Al principio questo l’aveva turbata e anche infastidita: provava una vaga sensazione di gelosia e di disagio, sia per se stessa sia nei confronti di suo padre, che ancora adorava.
 
Ma col passare dei giorni e delle settimane, era stato impossibile non lasciarsi conquistare dallo zio di Nino, che faceva un mestiere che era il sogno di tanti bambini – era un poliziotto vero, e non un poliziotto qualunque, ma un commissario –, che li portava in posti fantastici, che gli altri bambini dovevano accontentarsi di vedere nei fumetti e nei telefilm, come il laboratorio della scientifica, ad esempio, e che era sempre gentile e sorridente, disponibile a giocare con loro e rispondere alle loro domande. E, allora come oggi, la mamma quando c’era lui accantonava le finzioni e le recite che ormai da un po’ di tempo portava avanti a casa e tornava ad essere la mamma di sempre: felice, ironica, giocosa e un po’ folle. Anzi, con Gaetano il lato migliore di sua madre emergeva in maniera ancora più forte di quanto avesse mai visto prima: diventava una “mamma fighissima”, avventurosa e quasi vulcanica e sia lei che Nino si divertivano da morire a “spiare” Camilla e Gaetano mentre parlavano delle loro indagini. Non sempre capiva al 100% le intuizioni della madre o del commissario e i loro ragionamenti, ma era entusiasmante vederli in azione e si sentiva orgogliosa di sua madre, che, lo capiva bene, era molto intelligente e ci azzeccava spesso. E si era ritrovata diverse volte a pensare che da grande avrebbe voluto essere anche lei così, che avrebbe voluto diventare proprio come lei.
 
E, come Nino del resto, aveva iniziato quasi a mitizzare Gaetano: ai suoi occhi era un incrocio tra una versione moderna del principe azzurro delle favole e un supereroe.
 
In questo l’aveva involontariamente aiutata suo padre: era da sempre stata la cocca di papà e forse più attaccata a lui che alla mamma, ma in quel periodo era diventato sempre più distante, impaziente, insoddisfatto e annoiato. Si preoccupava solo del lavoro e dei soldi e passava gran parte del tempo nel suo studio, specie con l’arrivo di Passarelli. Per Livietta l’allontanarsi progressivo del padre era stato quasi un abbandono, un rifiuto ed in ogni caso un’enorme delusione. Si era anche sentita in colpa, si era interrogata tante volte sul perché suo padre fosse così cambiato, chiedendosi se avesse fatto qualcosa di male e se per questo lui le volesse meno bene.
 
Sua madre e Gaetano avevano riempito gli spazi lasciati vuoti da papà e anche per questo si era affezionata tanto all’uomo; del resto si sentiva delusa da papà e il senso di colpa che inizialmente provava nei suoi confronti nel vedere sua madre e Gaetano insieme era mano a mano svanito.
 
Aveva ritrovato il papà dei tempi d’oro e aveva recuperato un bel rapporto con lui solo parecchio tempo dopo, per essere precisi nel periodo in cui lui stava con Carmen. Quando il dolore e la delusione per la separazione si erano fatti più sopportabili, Livietta aveva cominciato a frequentare di più la nuova casa del padre e la sua nuova compagna ed era rimasta piacevolmente stupita dal notare che papà sembrava essere tornato quello di un tempo. Era disponibile, sorridente, giocoso e la trattava di nuovo come la sua principessa. Anzi, la presenza di Carmen mitigava un po’ il suo lato più pantofolaio, noioso e “all’antica” e lo rendeva più aperto e comprensivo rispetto ai bisogni di una ragazzina all’inizio dell’adolescenza. Col senno di poi, era per questo che aveva cominciato a volere tanto bene a Carmen: non solo perché si comportava con lei come una sorella maggiore e come una “complice” e sembrava capirla molto più di quanto facesse sua madre all’epoca, ma anche perché le aveva in un certo senso restituito “il suo papà”.
 
E, sempre col senno di poi, tutto questo rendeva anche totalmente evidente e lampante che i suoi genitori non potevano più stare insieme e che la riconciliazione era stata l’idea più assurda e forse anche dannosa che avessero mai potuto avere.
 
In quanto a Gaetano, crescendo e non vedendolo per tanti anni, la sua immagine e il suo ricordo si erano un po’ sbiaditi e si era convinta che erano stati i suoi occhi di bambina ad averlo messo su un piedistallo, senza un motivo reale.
 
In effetti Gaetano non era né il principe azzurro – col curriculum sentimentale che aveva, era impossibile sostenere il contrario – né un supereroe invincibile e invulnerabile, come era stato dimostrato dall’emergenza del pomeriggio e sottolineato dalla “gentile” frase di sua madre che li aveva messi in questa situazione.
 
No, Gaetano era un uomo, ma era un uomo nell’accezione migliore del termine. Dopo un inizio non entusiasmante e pieno di imbarazzi, l’aveva presa in contropiede, regalandole quello di cui aveva disperatamente bisogno: la verità. Ma in maniera del tutto inaspettata: non reagendo alle sue provocazioni, non tramite lo scontro che lei stava cercando di alimentare in ogni modo. Le aveva anzi mostrato che si poteva essere sinceri anche rimanendo civili, col sorriso sulle labbra. Aveva combattuto il sarcasmo con l’ironia, l’aggressività con la franchezza.
 
Di nuovo, Livietta non aveva potuto fare altro che cedere e lasciarsi riconquistare. Se già la trasformazione che vedeva ogni giorno in sua madre sarebbe stata motivo più che sufficiente per provare gratitudine verso Gaetano, dopo quella spaghettata di mezzanotte che, Livietta ne era sicura, aveva preparato solo per lei, avendo intuito che fosse successo qualcosa con Greg e che avesse bisogno di sfogarsi, non aveva avuto altra scelta che alzare bandiera bianca ed ammettere la resa totale e incondizionata.
 
E aveva compreso perfettamente per quale motivo il vicequestore avesse una lista di conquiste e di ex lunga come l’elenco telefonico di Torino e perché sua madre non fosse mai stata capace di toglierselo dalla testa e dal cuore: anzi, la resistenza decennale della mamma di fronte al fascino disarmante di Gaetano poteva quasi essere definita eroica o folle, a seconda dei punti di vista.
 
Ma, fino a poche ore prima, non aveva del tutto colto la portata degli effetti della presenza di Gaetano nella vita di sua madre, né, soprattutto, quella di una sua eventuale assenza.
 
Si rendeva ora conto che gli eventi e i fallimenti delle ultime settimane – dalla separazione con suo padre alla guerra fredda con lei – avevano in realtà colpito sua madre molto più di quanto avesse mai potuto immaginare. Ciò che la reggeva in piedi, ciò che le evitava di lasciarsi andare come qualche anno prima, erano proprio la vicinanza e l’amore di Gaetano. Ora, di fronte alla possibilità concreta di perderlo, sua madre era crollata come un castello di carte.
 
In realtà, a ben vedere, il colpo di grazia l’aveva sferrato proprio lei poche ore prima, mandando in frantumi l’ultimo tentativo disperato di sua madre di mascherare il dolore, e forse pure Tommy ci aveva, involontariamente, messo del suo, con l’onestà che solo un bimbo innocente può avere.
 
E si era sorpresa a scoprire che, dopo tutti i suoi tentativi di colpire sua madre, di ferirla, di “smascherarla” e provocare una reazione onesta e spontanea, ora che, in un certo senso c’era riuscita, non provava alcuna soddisfazione, anzi.
 
Lei voleva sì uno scontro con sua madre, ma ad armi pari, voleva colpire ed essere colpita, voleva una battaglia, un duello vero, con qualcuno che potesse difendersi e potesse contrattaccare e reagire. Infierire sull’avversario quando era già a terra non le interessava, non la appagava. E poco importava se sua madre in fondo se la fosse cercata, se si fosse scavata la fossa con le sue stesse mani: non poteva evitare di provare uno strano moto di compassione e di desiderare solamente che stesse meglio.
 
Per questo si trova ora con un vassoio in mano nella stanza di sua madre, che la osserva con gli occhi spalancati, come se fosse un miraggio o un’aliena.
 
“Ti ho portato la cena,” annuncia, come se ce ne fosse bisogno, poggiando il vassoio ai piedi del letto.
 
“La cena?” chiede Camilla, sempre più sconcertata, dubitando per un attimo di stare sognando, fino a che un pensiero improvviso la assale, ridestandola dalle nebbie che l’avevano avviluppata nelle ultime ore; lancia un’occhiata all’orologio sul comodino e viene investita dal panico, “oddio sono già le 20.30? Tommy dov’è? Devo fargli da mangiare e –“
 
“Mamma, tranquilla, calmati!” la blocca Livietta, mettendole una mano sulla spalla prima che possa alzarsi, “Tommy ha già cenato, come anche io del resto. Sta vedendosi per la trecentesima volta il film di Rapunzel. Adesso però cerca di mangiare qualcosa anche tu.”
 
“Oddio… oddio, Livietta, scusami, scusami,” esclama Camilla, mettendosi la testa tra le mani, “sono un vero disastro… sono un’irresponsabile: come stava Tommy, era molto agitato? Ti avrà fatta disperare, immagino, mentre io ero qui come un’idiota! L’ho creato io questo casino e ti ci sei ritrovata in mezzo tu.”
 
“Mamma, ti ho detto di stare tranquilla: sì, Tommy era un po’ agitato e sì, calmarlo non è stata una passeggiata, e sì, decisamente oggi non è stata una delle tue giornate migliori, per usare un eufemismo, ma preparare un po’ di pasta e stare con Tommy per qualche ora non è la fine del mondo, né un sacrificio mortale. E, sempre per inciso, a parte i fiumi di lacrime, la genialata dei diamanti e la gestione impeccabile del litigio con Gaetano oggi, ti preferisco di gran lunga come sei ora e come sei stata negli ultimi giorni che com’eri qualche settimana fa o forse sarebbe meglio dire da qualche anno a questa parte.”
 
“Come sono ora? Davvero? Dal tuo comportamento avrei detto il contrario…” non può fare a meno di commentare Camilla, con tono sempre più sorpreso, guardandola come per accertarsi per l’ennesima volta che lei sia veramente lì e che tutto sia reale.
 
“Non ero e non sono arrabbiata per la separazione in sé e per quello che è successo dopo, mamma, il problema è tutto quello che è successo prima. E, sì, ti preferisco come sei ora, preferisco un vero disastro ad una finta superdonna. Anche se, potendo, una via di mezzo non sarebbe male…” conferma Livietta con un mezzo sorriso, indicando poi con una mano il vassoio e aggiungendo, “però di questo ne possiamo parlare in un altro momento, adesso mangia qualcosa, ok?”
 
Camilla continua ad osservare la figlia, sentendo che il bruciore nel petto e negli occhi continua ad aumentare. Getta poi un’occhiata al piatto di insalata di pasta ma lo stomaco che protesta e la nausea che la assale le causano un giramento di testa.

“Livietta, io non so cosa dire… tu non hai un’idea di quanto apprezzi… tutto questo… però, ti chiedo scusa ma ho proprio lo stomaco chiuso e non so se riesco a mangiare, lo capisci?”
 
Si guardano ancora per un attimo che pare infinito, finché, all’improvviso, l’assurda e tragicomica ironia della situazione coglie entrambe, e scoppiano insieme in una risata stranamente amara e liberatoria allo stesso tempo.
 
“Chi la fa l’aspetti, no, mamma?” commenta Livietta tra le risate, scuotendo la testa.
 
Camilla annuisce e, repentinamente, un singhiozzo le blocca il riso in gola, soffocandola. Senza poterlo evitare, sente di nuovo le guance farsi umide e, anche se, tanti anni fa, aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai più permesso a sua figlia di vederla piangere, ora, per quanto si sforzi, non riesce più a mantenere quella promessa.
 
Non saprebbero dire chi si fosse mossa per prima o perché, ma si ritrovano sedute sul letto, abbracciate, e Livietta si sorprende al notare la vista che le si appanna e le lacrime che non ne vogliono sapere di smetterla di cadere.
 
Rimangono così, strette-strette, per un tempo indefinito, cullandosi a vicenda, senza sapere bene chi stia consolando chi.
 
Livietta è la prima a trovare la forza di sollevare il capo dalla spalla della madre ed allentare leggermente l’abbraccio per guardarla in viso. Camilla invece è ancora scossa da gemiti, il viso rigato da lacrime che non riesce a soffocare.
 
“Mamma, ti prego, adesso però calmati,” le chiede con voce tremante, asciugandole le guance meglio che può, “vedrai che con Gaetano si sistemerà tutto, sono sicura che farete la pace.”
 
“Certo che è il colmo,” risponde Camilla con un moto di riso amaro, “tu che consoli me sui miei problemi amorosi, quando dovrebbe essere il contrario e-“

“E chi l’ha detto, mamma, me lo spieghi?” esclama Livietta decisa, interrompendola, “se sono abbastanza grande per capire che cosa è successo tra te e Gaetano oggi sono anche abbastanza grande per poterne parlare con te. Ok, magari in quanto figlia non voglio conoscere tutti i dettagli intimi del vostro rapporto amoroso e avendo sedici anni non ho una grande esperienza in materia, è vero. Ma, conoscendovi entrambi e vedendovi insieme nei giorni scorsi, non serve chissà quale esperienza per poterti dire che il litigio di oggi è superabile, tranquillamente.”
 
“Non lo so… vorrei davvero crederlo ma non  ne sono sicura… lo conosco da tanti anni e non l’avevo mai visto così arrabbiato, e a ragione. E poi perché dovrebbe voler ancora stare con me? Con un’idiota che ha messo in pericolo lui e che avrebbe potuto mettere in pericolo anche suo figlio e che, oltretutto, invece di scusarsi ed ammettere di aver sbagliato, è riuscita pure ad insultarlo e a fargli pesare il fatto di non aver potuto fare nulla per risolvere un’emergenza potenzialmente mortale che lei stessa ha provocato, con una pistola puntata alla testa, disarmato, scalzo, in accappatoio e pure mezzo bloccato dal male al collo.”
 
“Mamma, sì, come ti ho detto qualche ora fa, la colpa di quello che è successo oggi è tutta tua, è vero, ed hai esagerato e reagito in una maniera spropositata quando il povero Gaetano ha osato fartelo notare. Ed ha tutte le ragioni per essere furioso con te, su questo non ci piove. Ma, prima di tutto, riguardo a Tommy, se Gaetano pensasse davvero che suo figlio con te sia in pericolo se lo sarebbe portato via e non ce lo avrebbe lasciato qui. E poi Gaetano, anche se ammetto che i motivi esatti ancora mi sfuggono, ti ama, mamma, anzi, è completamente pazzo di te!”
 
“Dici davvero?” chiede Camilla, stupita, non del fatto che Gaetano la ami – del resto gliel’ha dimostrato in ogni modo possibile ed immaginabile per anni e mai come in queste ultime settimane – ma del modo deciso, convinto e senza esitazioni in cui Livietta lo afferma.
 
“Ma certo!” esclama la ragazza, scuotendo il capo e sorridendo alla madre per poi, continuare con una punta di nostalgia e di invidia nella voce, “anzi, devi svelarmi il tuo segreto e come hai fatto, mamma, perché io pagherei oro per avere qualcuno che mi ami tanto quanto lui ama te. Quando parla di te, sembra che descriva una specie di divinità, un incrocio tra miss Universo e un premio Nobel. E devi ammettere che una persona con una visione così distorta della realtà, o è da TSO, o è davvero follemente innamorata!”
 
“Livietta!” esclama Camilla, non potendo evitare di mettersi a ridere, asciugando le ultime lacrime rimaste, poi, guardando la figlia negli occhi, le chiede, “quindi tu e Gaetano avete parlato di me? Quando?”
 
“Mah sì, è capitato qualche volta…” risponde Livietta, rimanendo sul vago: non si sente pronta a rivelare alla madre delle sue conversazioni e confidenze con Gaetano.
 
“Capisco,” commenta Camilla, sentendo che è meglio non insistere e non indagare oltre, “comunque lo so che Gaetano mi ama e mi ha amato per tanti anni, anche se come dici anche tu, non posso fare a meno di chiedermi il perché, che cosa ci trovi in me, come penso non possa fare a meno di domandarselo chiunque ci veda insieme. Me l’ha anche spiegato, ma… vede in me delle cose che io stessa non riesco a vedere. E ho paura che, con il litigio di oggi, abbia finalmente aperto gli occhi e si sia reso conto che non solo non ho nulla di divino, ma che sono anzi una fregatura pazzesca.”
 
“Mamma, non dire cavolate! Innanzitutto, un sentimento del genere che ha resistito per anni e anni perfino a tutti i tuoi casini e alla tua testardaggine non svanisce da un giorno all’altro per una battuta, anche se di pessimo gusto. Certo, se continui su questa strada è chiaro che prima o poi pure l’uomo più innamorato del mondo ti manderà a quel paese, ma se ti scusi e gli dimostri che hai davvero capito di aver sbagliato, vedrai che ti perdonerà,” la rassicura Livietta, sorridendole e usando il tono di voce più convinto e sicuro che possiede.
 
“Lo pensi davvero?” non può fare a meno di chiedere nuovamente Camilla, sia perché sorpresa dal tono della figlia – e da tutta questa conversazione in realtà – sia perché c’è una parte di lei che continua a temere di essere andata troppo oltre e che qualcosa tra lei e Gaetano si sia irrimediabilmente rotto.
 
“Certo!” esclama Livietta esasperata, scuotendo il capo, “mamma, non mi dirai che ti vuoi arrendere così presto? Cioè, proprio tu, che sei riuscita con la tua ostinazione a tirare avanti per anni il matrimonio con papà, nonostante ormai tra voi fosse tutto finito da un pezzo, vuoi dirmi che invece alla prima difficoltà pensi di non essere in grado di sistemare le cose e di farti perdonare da un uomo che ami e che oltretutto ti ama alla follia?”
 
“Livietta…” sospira Camilla, sempre più sconcertata dal comportamento della figlia ed avvertendo un certo disagio: già è strano e surreale confidarsi con la figlia sulle sue vicende amorose, ma parlare, anche se indirettamente, dei fallimenti e degli errori nel rapporto con suo padre è una cosa ancora più difficile e delicata.
 
“Senti, scusami, ma forse non è il caso che parliamo di queste cose… E poi ti garantisco che io a tuo padre voglio ancora e vorrò sempre un bene dell’anima e che-”
 
“Mamma, per favore, non ricominciamo! Non sono più una bambina e sono stufa di bugie, omissioni e segreti di stato sul rapporto tra te e papà, lo capisci? È proprio questo il problema tra me e te e tra me e papà! E posso anche credere che tu a lui voglia ‘un bene dell’anima’ e che forse pure lui ne voglia a te, ma volersi bene ed amarsi sono due cose diverse e tu e papà non vi amavate più da un pezzo, questa è l’unica verità! Sarò stata anche una bambina, magari avrò avuto una visione ingenua della realtà, tutto quello che vuoi, ma mi ricordo com’eravate quando ero piccola, quando eravate felici insieme. E rispetto a come eravate in questi ultimi anni c’era un abisso. Quindi che cosa ti costa ammettere la verità, soprattutto arrivati a questo punto? Cosa ti costa ammettere che vi siete sbagliati e che non sareste dovuti tornare insieme? Non è che mi sconvolgerai o mi causerai dei traumi: ormai la frittata è fatta!”
 
“Livietta…” sospira di nuovo Camilla, allungando una mano per accarezzare i capelli della figlia e continuando a stupirsi quando lei glielo permette senza ritrarsi, “non è… non è così semplice… con il senno di poi tu hai ragione e, sì, io e tuo padre probabilmente non saremmo dovuti tornare insieme. Ma quando l’abbiamo deciso credo fossimo entrambi in buona fede, sai? Io lo ero, almeno. Un po’ perché non ero mai riuscita ad accettare e ad elaborare il lutto della fine del nostro matrimonio e un po’… un po’ perché negli anni in cui eravamo stati separati, passata la rabbia iniziale, mi ritornavano alla mente solo le cose belle, i momenti migliori, tutto quello che ci aveva unito. E la mia memoria glissava invece su tutto quello che non aveva funzionato. Lo so che non è una giustificazione, Livietta, ma io ci ho davvero creduto che ricominciare con tuo padre fosse la scelta migliore per tutti noi e che potessimo essere ancora felici insieme, tutti e tre. E mi dispiace davvero che non solo non abbia funzionato ma che invece ti abbia fatta stare ancora più male, Livietta: io non volevo questo, l’unica cosa che ho sempre voluto era che tu fossi felice.”
 
“Lo so, mamma, lo so,” risponde Livietta con un sorriso, che contrasta con gli occhi di nuovo pieni di lacrime, accarezzando a sua volta il groviglio informe in cui si sono ormai trasformati i ricci della madre, “ma voglio che tu capisca che io non posso e non potevo essere felice vivendo con due persone tristi e insoddisfatte, a maggior ragione sapendo che se lo sono in un certo senso è per colpa mia. Perché lo so che se siete tornati insieme è stato soprattutto per fare contenta me e per darmi di nuovo una famiglia unita. E non sai quanto mi sono sentita in colpa per avervi in un certo senso fatto pressione, facendovi capire in tutti i modi che volevo rivedervi insieme.”
 
“No, Livietta, questo non lo devi pensare, hai capito, neanche per scherzo!” esclama Camilla tra le lacrime, abbracciando di nuovo la figlia, “se io e tuo padre non eravamo felici non era per colpa tua. Non è che ci hai puntato una pistola alla tempia – metafora infelice, considerati gli eventi di oggi, lo so – e ci hai obbligato a tornare insieme. L’abbiamo deciso io e tuo padre insieme, come insieme abbiamo scelto di continuare a proseguire questa relazione per tanti anni, quindi al limite la colpa è stata nostra, delle nostre scelte, dei nostri errori. Data la tua età, tu non hai mai potuto decidere e l’abbiamo fatto noi per te, credendo di fare la cosa migliore, la cosa più giusta, e probabilmente sbagliando. E ti ripeto che quando ho deciso di tornare con tuo padre ero sinceramente convinta, o forse illusa è il termine più adatto, che anche per me fosse la cosa migliore, che sarei stata di nuovo felice e serena con lui come lo ero stata in passato. Non ho preso questa decisione pensando di andare sul patibolo o al martirio.”
 
“Ma perché avete continuato a tirarla avanti quando avete capito che non funzionava? Perché accettare di venire a Torino se già le cose andavano male vedendoci solo pochi giorni al mese?” esclama Livietta, trovando finalmente il coraggio di chiedere ciò che si è sempre domandata in questi ultimi mesi e che aveva reso ancora più difficile il trasferimento a Torino.
 
“Non posso parlare a nome di tuo padre, Livietta, ma per quanto mi riguarda, beh, all’inizio pensavo che ci volesse del tempo per recuperare i vecchi ritmi, l’abitudine a stare insieme, poi ho dato la colpa alla lontananza, pensavo fosse per quello che non riuscivamo a sentirci di nuovo una famiglia unita. Poi quando siamo arrivati a Torino e abbiamo faticato a ingranare, mi ero convinta che dopo aver vissuto sia io che tuo padre per tanto tempo senza un compagno accanto avessimo bisogno di riabituarci a condividere i tempi e gli spazi con un’altra persona. E poi sono subentrate tante cose Livietta, che fatico a spiegarmi del tutto io stessa e… Non so… da un lato c’era la paura di ferirti, di deluderti, di farti del male e di… di perderti, questo è vero. E poi non volevo accettare, non volevo ammettere nemmeno con me stessa di avere sbagliato di nuovo, di aver commesso un errore tanto grande. Avrai potuto notare oggi pomeriggio che non mi è molto facile ammettere di avere torto…” cerca di spiegarsi Camilla con un sorriso amaro sulle labbra.
 
“Già, decisamente non serviva Sherlock Holmes per capirlo,” commenta Livietta con un mezzo sorriso, scuotendo la testa: ma del resto ha sempre saputo che sua madre quando si mette in testa una cosa è più testarda di un mulo.
 
“Infatti… e poi… questa forse è la parte più difficile da spiegarti, perché so che può sembrare assurdo ma… credo fosse anche… comodo e rassicurante da un certo punto di vista. Di tuo padre conoscevo e conosco già praticamente tutto, anche e soprattutto i lati peggiori e perfino dopo un tradimento, dopo una separazione, anche se con fatica, ne ero uscita… non mi sono mai fatta male a tal punto da... beh forse morirne non è il termine più adatto, diciamo da perdermi, ecco. Sapevo che qualsiasi cosa fosse successa l’avrei potuta superare, come avevo già fatto. Invece iniziare una storia con una persona nuova comporta dei rischi, delle incognite. E più si ama l’altra persona, più ci si mette in gioco, più si può essere sì felicissimi, se tutto va bene, ma ci si può anche ferire profondamente o addirittura distruggere se va male.”
 
Camilla stessa si stupisce mano a mano che le parole escono dalla sua bocca: non pensava che sarebbe mai riuscita a parlarne con Livietta e non è sicura che sia la cosa migliore da fare, ma sente di non poterne fare a meno.
 
“Come con Gaetano?” domanda la ragazza, cercando di assorbire qualcosa che sente di non riuscire ancora del tutto a comprendere, in cui non riesce ad immedesimarsi al 100%, nonostante tutte le fregature che ha preso in amore, da Ricky, a Bobo, a Greg, per poi aggiungere, colta da un’illuminazione, che stranamente la fa sentire sia più leggera sia più malinconica al tempo stesso, “ma allora è anche per questo che hai respinto Gaetano per tanti anni, mamma? Per paura? E non solo per me o per papà?”
 
“Non so… c’erano tanti fattori, come ti ho già detto, Livietta, ma sicuramente c’era anche una componente di paura, questo sì,” ammette Camilla con un sospiro, incredula di dove si sia andata ad infilare con questa conversazione.
 
“Beh, però scusami se te lo dico, mamma, ma non ha senso: tra l’essere sicuramente infelici al 100%, anche se non terribilmente ed avere invece anche solo una possibilità di essere felici, soddisfatti, appagati, pur con tutti i rischi del caso, chi mai sceglierebbe una vita di tristezza e di insoddisfazione garantite? È come decidere di perdere a tavolino invece che giocare la partita: pur avendo poche possibilità di vincere, uno ci prova, no?”
 
“Lo so, Livietta e infatti tu hai ragione, però… le paure non sono razionali, non si controllano facilmente e anzi, per loro stessa natura, ci fanno agire in un modo spesso illogico e contrario ad ogni buon senso. E poi nella vita… non è tutto bianco o nero. Per rimanere sull’esempio sportivo, se l’alternativa è perdere a tavolino questa partita, ma preservare i propri giocatori pronti per la prossima o giocarsela comunque, sapendo di avere uno 0,1% di possibilità di vincere e sapendo che giocando e perdendo probabilmente gran parte dei giocatori si infortunerà o sarà troppo stanco e demotivato per scendere di nuovo in campo nei prossimi match, tu cosa sceglieresti? Non sempre il gioco vale la candela.”
 
“Quindi, per ritornare in campo amoroso, mi stai dicendo che se io oggi dovessi scegliere ad esempio tra il rimanere single o mettermi con un ragazzo che non mi convince del tutto e con cui il rischio che le cose possano non funzionare è molto alto, è meglio aspettare che arrivi all’orizzonte un nuovo ragazzo che mi convince di più, invece che giocarmi il tutto per tutto e rischiare di farmi male?” chiede Livietta, mentre la sua mente passa per un attimo dai problemi di sua madre ai suoi di problemi e non può fare a meno di notare come sia ironico che sua madre involontariamente e senza sapere nulla, le stia suggerendo la stessa cosa di Gaetano: aspettare.
 
“Beh, sì, diciamo di sì. Ma stiamo ancora parlando di me, Livietta? O diciamo che questo esempio non è così tanto ipotetico e campato per aria?” non può fare a mano di chiedere di rimando Camilla, con un sorriso e un sopracciglio alzato.
 
“Mamma!” esclama Livietta, sbuffando, ma non potendo trattenere a sua volta un sorriso: sua madre l’intuito per le indagini ce l’ha proprio nel sangue.
 
“Ok, ok, hai ragione! Ritiro la domanda,” concede Camilla: è già un miracolo poter scambiare queste battute con la figlia dopo il lungo periodo di guerra fredda e non vuole tirare troppo la corda.
 
“E comunque per tornare a te, alla fine, dopo tutte le incertezze e i casini hai deciso di provarci ad avere una storia con Gaetano, no, mamma? Quindi con lui il gioco la vale la candela, giusto?” chiede conferma la ragazza, sia per deviare l’attenzione della madre dai suoi di casini amorosi, sia per assicurarsi che si sia un po’ ripresa e veda le cose in maniera più lucida e serena.
 
“Certo, certo che la vale, eccome!” ammette Camilla con un sorriso commosso.
 
“E allora gioca sta benedetta partita e vedi di vincerla!” la incita la ragazza, decisa, ricambiando nuovamente il sorriso.
 
“Da come parli… sembra quasi che ti dispiacerebbe se io… se io e Gaetano ci lasciassimo,” non può evitare di commentare Camilla, sempre più spiazzata.
 
“Certo che mi dispiacerebbe!” ribatte Livietta, con lo sguardo di chi sta pronunciando la più grossa ovvietà del mondo.
 
“Sul serio? È che… quando stavo con Marco, diciamo che avevo sempre l’impressione che non facessi i salti di gioia all’idea che avessi un nuovo compagno e che se lo tolleravi era solo per pietà nei miei confronti…”
 
“Mamma, prima di tutto ero più piccola e anche io come te… non avevo del tutto accettato ed elaborato la separazione tua e di papà e c’era una parte di me che sognava ancora che un giorno magicamente tutto sarebbe tornato come prima. Mentre ora ho capito che non è così e che tu e papà non potete più stare insieme. Poi c’è il fatto che in ogni caso non voglio vederti soffrire di nuovo come dopo la prima separazione da papà e se tu ami Gaetano e hai bisogno di lui per essere felice… non posso che augurarti di stare con lui. E lo dico anche per me: sinceramente vorrei evitarmi altri anni di uova al tegamino e di averti di nuovo sempre tra i piedi per casa.”
 
Camilla non riesce a trattenere una risata amara e commossa al tempo stesso alle parole della figlia, che le confermano per l’ennesima volta che Livietta ha sempre capito e colto tutto, nonostante i suoi tanti inutili tentativi di proteggerla dalla realtà.
 
“E poi, mamma… Marco era Marco e Gaetano è Gaetano e… non lo so come spiegartelo, mamma, ma con Marco c’era sempre qualcosa che non mi convinceva del tutto. Tu con lui stavi meglio che chiusa in casa, sola e senza uno straccio di vita sociale, d’accordo, ma non ti ho mai vista innamorata di lui come lo eri di papà quando ero piccola o come lo sei sempre stata di Gaetano, anche quando non avevate una storia, per non parlare di come vi ho visti insieme negli ultimi giorni. Era come se ci fosse qualcosa di storto, un pezzo che mancava... Ed infine, sinceramente Marco non è che mi stesse molto simpatico, a volte mi sembrava uno di quei tipi ricchi ed annoiati che devono fare gli eccentrici per forza, per farsi ‘fighi’, mentre devo ammettere che Gaetano ed anche Tommy sanno come farsi voler bene, e non è poi così male condividere le giornate con loro. Quindi mi sarebbe potuta andare molto peggio e come si dice… chi lascia la via vecchia per quella nuova…”
 
“Livietta…” sussurra Camilla, emozionata, trascinandola in un altro lunghissimo e strettissimo abbraccio, che la figlia non solo non rifiuta, ma ricambia con uguale intensità.

Forse la giornata non è stata un completo disastro dopotutto.


 
***************************************************************************************


 
La porta che si apre e dei passi cauti e quasi impercettibili.
 
Finalmente – pensa Camilla, tirando un sospiro di sollievo, guardando l’orologio che indica che sono quasi le due di notte ed allungando una mano verso l’interruttore della lampada vicina al divano-letto.
 
Luce.
 
Il bagliore improvviso, per quanto tenue, non fa altro che acutizzare le fitte dell’emicrania che è andata peggiorando progressivamente nelle ultime ore. Si sente esausta, a pezzi, indolenzita fisicamente e mentalmente: per quanto parlare con Livietta l’avesse un po’ tranquillizzata e consolata, le ore di attesa successive hanno quasi vanificato gli sforzi della figlia.
 
Infine riesce a rimettere a fuoco ciò che la circonda e lo vede sulla porta, immobile come una statua, con uno sguardo che lascia trapelare un’unica emozione: la sorpresa.
 
Si fissano per lunghi, interminabili istanti, occhi azzurri stranamente opachi e stanchi che incrociano occhi nocciola talmente arrossati da far spavento.
 
“Camilla? Che ci fai qui, ancora sveglia a quest’ora? E dov’è Tommy?” chiede infine Gaetano sottovoce, continuando ad osservarla.
 
“Tommy sta dormendo con Livietta… era molto agitato e… diciamo che trova la mia presenza ben poco rassicurante e consolatoria, dato che è evidente che pensa che sia colpa mia se suo padre non è tornato a casa né a cena, né tantomeno per dargli la buonanotte – cosa che in effetti è vera. In quanto a me… non mi è stato molto facile addormentarmi, sapendo che eri ancora in giro, e a questo punto dubitando perfino che saresti rientrato per la notte. E… camera mia è forse l’ultima stanza della casa in cui ho voglia di stare,” spiega Camilla con un tono basso e stanco, amaro.
 
“Hai un aspetto terribile, professoressa,” non può fare a meno di commentare Gaetano, squadrandola da capo a piedi: gli occhi in fiamme e gonfi, circondati da pesanti borse, il naso e le labbra arrossati, i capelli ridotti ad un groviglio informe, il colorito che più che pallido è grigiastro. Sembra quasi malata.
 
“Pure tu non scherzi,” ribatte lei, studiando le occhiaie, il viso pieno di capillari e chiazze rossastre e la camicia e la giacca che, collare a parte, sono talmente spiegazzate da sembrare reduci da una battaglia.
 
“Non mi chiedi dove sono stato e cosa ho fatto fino a quest’ora?” domanda Gaetano dopo un attimo di pausa, con un tono neutro e asciutto ed uno sguardo imperscrutabile.
 
“Dovrei chiedertelo?” domanda di rimando Camilla, cercando di mantenere lo stesso tono dell’uomo ma fallendo miseramente quando la voce le si incrina sulla parola più lunga.
 
“Dovresti,” conferma Gaetano, varcando finalmente la soglia della porta e chiudendola dietro di sé, per poi trapassarla nuovamente da parte a parte con un’occhiata tagliente.
 
E Camilla non è per niente sicura di voler conoscere la risposta a questa domanda.
 
 
 
 
Nota dell’autrice: Ebbene sì, vi lascio con un altro “cliffhanger”, chiedo venia ma altrimenti il capitolo sarebbe venuto infinito e non avrei mai postato in tempi umani. Come potete immaginare il prossimo capitolo si preannuncia… molto intenso xD. Spero che il “confronto” tra Gaetano e Camilla non deluderà le vostre aspettative.
 
Riguardo a questo capitolo che avete appena letto invece, so che molto probabilmente è parecchio diverso da ciò che molte di voi si attendevano, ma era così che me lo ero immaginato quando ho buttato giù a larghe linee la trama di questa storia ormai un po’ di settimane fa ed inoltre mentre lo scrivevo i personaggi ci hanno ancora aggiunto del loro e ho deciso di assecondarli. Spero non risulti irrealistico o noioso… Come sempre ogni parere positivo o negativo mi aiuta tantissimo a capire come tarare la mia scrittura e su cosa migliorare, quindi fatemi sapere cosa ne pensate ;).

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Les Liaisons Dangereuses quarta e ultima parte ***


Nota dell’autrice: Ed eccomi qua, finalmente. Mi scuso per il ritardo ma, come vedrete questo capitolo non è solo lungo, è infinito, sono praticamente tre capitoli insieme. Vi chiederete perché non l’ho pubblicato in più parti e me lo chiedo anche io xD. Seriamente, quando l’ho progettato nella mente sapevo che l’avrei iniziato e finito in questi punti e che volevo lasciare alle persone la possibilità di scegliere se leggerselo a pezzi, a “moduli” o tutto d’un fiato, per i più temerari ;). Come sempre, ogni parere anche negativo mi è utilissimo, soprattutto stavolta che il rischio di annoiare data la lunghezza è alto, e ne sono consapevole. Non vi rubo altro tempo e vi lascio al capitolo!
 


Capitolo 19: Les Liaisons Dangereuses quarta e ultima parte
 


Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro 



Dal capitolo precedente…
 



La porta che si apre e dei passi cauti e quasi impercettibili.
 
Finalmente – pensa Camilla, tirando un sospiro di sollievo, guardando l’orologio che indica che sono quasi le due di notte ed allungando una mano verso l’interruttore della lampada vicina al divano-letto.
 
Luce.
 
Il bagliore improvviso, per quanto tenue, non fa altro che acutizzare le fitte dell’emicrania che è andata peggiorando progressivamente nelle ultime ore. Si sente esausta, a pezzi, indolenzita fisicamente e mentalmente: per quanto parlare con Livietta l’avesse un po’ tranquillizzata e consolata, le ore di attesa successive hanno quasi vanificato gli sforzi della figlia.
 
Infine riesce a rimettere a fuoco ciò che la circonda e lo vede sulla porta, immobile come una statua, con uno sguardo che lascia trapelare un’unica emozione: la sorpresa.
 
Si fissano per lunghi, interminabili istanti, occhi azzurri stranamente opachi e stanchi che incrociano occhi nocciola talmente arrossati da far spavento.
 
“Camilla? Che ci fai qui, ancora sveglia a quest’ora? E dov’è Tommy?” chiede infine Gaetano sottovoce, continuando ad osservarla.
 
“Tommy sta dormendo con Livietta… era molto agitato e… diciamo che trova la mia presenza ben poco rassicurante e consolatoria, dato che è evidente che pensa che sia colpa mia se suo padre non è tornato a casa né a cena, né tantomeno per dargli la buonanotte – cosa che in effetti è vera. In quanto a me… non mi è stato molto facile addormentarmi, sapendo che eri ancora in giro, e a questo punto dubitando perfino che saresti rientrato per la notte. E… camera mia è forse l’ultima stanza della casa in cui ho voglia di stare,” spiega Camilla con un tono basso e stanco, amaro.
 
“Hai un aspetto terribile, professoressa,” non può fare a meno di commentare Gaetano, squadrandola da capo a piedi: gli occhi in fiamme e gonfi, circondati da pesanti borse, il naso e le labbra arrossati, i capelli ridotti ad un groviglio informe, il colorito che più che pallido è grigiastro. Sembra quasi malata.
 
“Pure tu non scherzi,” ribatte lei, studiando le occhiaie, il viso pieno di capillari e chiazze rossastre e la camicia e la giacca che, collare a parte, sono talmente spiegazzate da sembrare reduci da una battaglia.
 
“Non mi chiedi dove sono stato e cosa ho fatto fino a quest’ora?” domanda Gaetano dopo un attimo di pausa, con un tono neutro e asciutto ed uno sguardo imperscrutabile.
 
“Dovrei chiedertelo?” domanda di rimando Camilla, cercando di mantenere lo stesso tono dell’uomo ma fallendo miseramente quando la voce le si incrina sulla parola più lunga.
 
“Dovresti,” conferma Gaetano, varcando finalmente la soglia della porta e chiudendola dietro di sé, per poi trapassarla nuovamente da parte a parte con un’occhiata tagliente.
 
E Camilla non è per niente sicura di voler conoscere la risposta a questa domanda.
 
“Dove… dove sei stato e cosa hai fatto fino a quest’ora?” si decide infine a domandare con voce tremante, sentendo un improvviso desiderio di ricominciare a piangere, nonostante tutte le lacrime già versate nel pomeriggio.
 
“Anzi, forse dovresti chiedermi con chi sono stato fino a quest’ora, no, Camilla?” prosegue imperterrito Gaetano con un tono talmente gelido da farle sentire freddo.
 
“Gaetano…” esala Camilla, in quello che è quasi un singhiozzo, non riuscendo a dire altro perché la gola le si costringe e le impedisce di respirare.
 
“Perché non so la tua, Camilla, ma  io ho passato una serata davvero indimenticabile, in compagnia del questore, a cui ho dovuto cercare di spiegare, prima che lo scoprisse da voci di corridoio, perché sono stato aggredito a casa della mia compagna da due malviventi armati che cercavano dei diamanti che i principali sospettati dell’omicidio Migliasso, latitanti, avevano sottratto alla vittima, per poi consegnarli proprio nelle mani della mia compagna, con cui si erano dati appuntamento,” spiega Gaetano, sarcastico, amaro, fulminandola con lo sguardo.
 
“Al questore peraltro erano già arrivate voci sulla tua ‘ingerenza’, come l’ha definita lui, nei miei casi e, a quanto pare aveva chiuso un occhio solo perché qualcuno dei miei sottoposti – presumo Torre o la Lucianona – interrogato sull’argomento, aveva confermato che la tua ‘ingerenza’ non era dannosa ma ci era stata anzi d’aiuto e perché ufficialmente tu eri solo una mia conoscente. Ma, di fronte ad un fatto di questa gravità, peraltro in un caso di omicidio che il questore considera di alto impatto mediatico, avvenuto nella casa in cui sono ospite da giorni e che appartiene ad una donna con cui non posso certo più negare di avere una relazione sentimentale, ha minacciato, in ordine sparso, di iscriverti nel registro degli indagati per favoreggiamento in omicidio e ricettazione, di togliermi il caso per ‘conflitto di interessi’ e di sospendermi almeno fino alla conclusione delle indagini o comunque fino al chiarimento della tua posizione.”
 
Camilla ascolta come paralizzata, mentre il senso di colpa si fa sempre più opprimente ad ogni parola di Gaetano. Se lui dovesse avere problemi sul lavoro o, peggio ancora, giudiziari a causa dei suoi errori non potrebbe sopportarlo.
 
“Fortunatamente dopo un lungo e sfiancante ‘colloquio’, non so se perché mi sono ‘autodenunciato’ invece di aspettare che lo scoprisse da altri o se perché si sentiva ancora in colpa per non avermi dato fiducia quando mi hanno incastrato con l’omicidio di Serena mesi fa, mi ha concesso 48 ore di tempo per risolvere il caso e dimostrare l’estraneità dei tuoi studenti – e di conseguenza la tua – rispetto all’omicidio di Aldo Migliasso e al traffico di diamanti e per ritrovare i due malviventi che ci hanno aggredito. Quindi ho trascorso le ultime ore inviando tutti i miei uomini ed andando anche io personalmente ad interrogare tutti i principali ricettatori di un certo calibro di Torino, quelli che trattano preziosi di questo tipo. Per fortuna a quanto pare i due che ci hanno aggredito vogliono liberarsi in fretta della merce, che ormai scotta, e hanno contattato una delle nostre vecchie conoscenze, a cui dovrebbero far visita domattina, quindi se tutto va bene dovremmo riuscire ad evitarci almeno le conseguenze penali.”
 
“Tu non sai quanto mi dispiace Gaetano io… io non volevo questo,” risponde Camilla con voce tremante, abbassando lo sguardo perché non sopporta più di leggere la delusione e la stanchezza nel volto dell’uomo.
 
“Dispiace anche a me, Camilla e anche io non avrei mai voluto, né pensato, che saremmo arrivati a questo,” ribatte lui, asciutto, per poi proseguire con tono che non riesce a nascondere l’amarezza e la frustrazione, “anche perché in ogni caso il questore vuole convocare anche te ‘a colloquio’ e sono riuscito a rimandare almeno fino a domani con la scusa che eri ancora in stato di shock dopo l’aggressione. Ma o domani o dopo ti devi presentare da lui e non sarà una passeggiata. Per evitarti guai peggiori, sappi che gli ho detto che sapevo del tuo appuntamento con i due latitanti e che ti avevo autorizzata io ad incontrarli per convincerli a costituirsi. E che, quando ti hanno consegnato i diamanti come prova della loro buona fede e volontà di collaborare, tu mi hai avvisato ma, nella concitazione del momento, hai frainteso il mio ‘ordine’ di portarli subito in questura e mi hai invece raggiunto a casa, mentre mi stavo preparando per tornare in ufficio. Quindi quando ti interrogherà, vedi di confermare questa versione.”
 
“Ma così… così ti sei preso tu la colpa e la responsabilità di tutto…” sussurra Camilla, incredula, sentendosi ancora più uno schifo e provando un senso di smarrimento e terrore di fronte al modo quasi meccanico con cui Gaetano le sta parlando.
 
“Sì, perché, nonostante tutto, preferisco avere problemi sul lavoro io che saperti inquisita o in galera. E poi forse è meglio così per tutti, no, Camilla? Dato che secondo te come poliziotto valgo molto poco,” ribatte Gaetano, la voce tagliente come un rasoio e carica di dolore allo stesso tempo.
 
“NO, non è vero, questo non solo non l’ho mai detto, ma non l’ho mai nemmeno lontanamente pensato! Tu sei il migliore poliziotto che abbia mai conosciuto e ti ho sempre ammirato tantissimo e sono sempre stata orgogliosa di te, di come svolgi il tuo lavoro,” esclama Camilla decisa, con gli occhi nuovamente pieni di lacrime che le annebbiano la vista.
 
“Davvero? Hai uno strano modo di dimostrarlo, professoressa,” commenta l’uomo, sospirando e scuotendo il capo, “comunque adesso è tardissimo e domattina ho un appostamento su cui mi sto giocando la mia carriera e la tua libertà, quindi credo che sia meglio che ce ne andiamo entrambi a dormire.”
 
“Perché secondo te io riuscirò a dormire stanotte, Gaetano? Mentre tu… mentre io… mentre noi… dio mio…” la voce le si rompe in un singhiozzo, le lacrime non possono essere più contenute e le solcano le guance, “dobbiamo… dobbiamo parlare, Gaetano, dobbiamo chiarirci…”
 
“Dobbiamo?” chiede lui con un sopracciglio alzato, per poi aggiungere, scuotendo di nuovo la testa, “senti, Camilla, siamo entrambi sfiniti ed esausti, fisicamente e mentalmente e non credo che parlandone adesso potremmo risolvere qualcosa, anzi. Quindi chiudiamola qui per stanotte e andiamo a letto.”
 
Camilla, che sul “chiudiamola qui” ha praticamente avuto un mezzo infarto, si sente crollare la terra sotto ai piedi: non ha mai visto Gaetano così, e dire che di motivi per essere arrabbiato con lei negli anni ne aveva avuti eccome. Ma era stato sempre quello paziente, quello accomodante, quello comprensivo e anche le loro discussioni peggiori alla fine erano sempre state quasi “sportive” e amichevoli. E ora si trova completamente spiazzata e non sa come comportarsi.
 
“Gaetano… ascoltami, io lo capisco che sei furioso con me, deluso e… hai tutte le ragioni per esserlo e ti garantisco che non sono orgogliosa di come mi sono comportata oggi, che lo so che ho sbagliato tutto e che, se potessi tornare indietro, farei tutto in maniera diversa… Ma questa freddezza, questo distacco, mi stanno uccidendo, ci stanno uccidendo: non possiamo rimandare questa discussione. Sei stato proprio tu a dirmi che i problemi li dovevamo affrontare insieme, anche se ci fossimo fatti male, te lo ricordi? Anche se ci avesse fatto paura? E io… io preferisco che tu mi urli contro, che mi insulti, che mi dai della stronza, ma non che mi ignori, non che metti questo muro, questa barriera tra noi due,” lo implora Camilla disperata, sentendo che questa non è il genere di ferita che il tempo può curare ma che potrà solo infettarsi e peggiorare se lasciata a se stessa.
 
“Non credo che tu lo voglia davvero, Camilla, credimi,” ribatte Gaetano, trafiggendola nuovamente da parte a parte con uno sguardo, “è decisamente meglio per tutti e due se non ti parlo adesso.”
 
“Va bene, non parlare allora, ma permettimi almeno di parlarti, di spiegarti, di scusarmi, di-“
 
“Non pensi di avere già parlato abbastanza, per oggi, Camilla?” la interrompe lui, con un tono stranamente sarcastico e malinconico insieme.
 
“NO… Cioè sì, è vero, oggi ho esagerato e sono andata troppo oltre, ti ho detto cose che non solo non meritavi assolutamente, ma che ti garantisco non pensavo e non penso nemmeno lontanamente-“
 
“Però le hai dette,” le fa notare, asciutto.
 
“Sì, lo so che non è una giustificazione, Gaetano, ma è la verità. Mi sentivo in colpa, fragile e non potevo sopportare l’idea di essere stata così idiota, di avere messo in pericolo te e potenzialmente anche Livietta e Tommy e… e poi, e mi rendo conto che anche questo non giustifica il mio comportamento, ma nonostante tutti i casini che ho combinato in questi anni, nonostante tutte le situazioni assurde in cui mi sono andata a cacciare, ero abituata ad averti in un certo senso come complice, ad avere il tuo sostegno e il tuo appoggio. E invece sentire la tua delusione, la tua disapprovazione… è come se mi fosse mancata la terra sotto i piedi, mi sono sentita messa all’angolo e non so cosa mi sia preso, ma ho reagito attaccando, facendo leva sul tuo senso di colpa, che, peraltro, a differenza del mio era assolutamente immotivato. E mi rendo conto di essermi comportata come una stronza, Gaetano, soprattutto perché sapevo e so benissimo che tu non hai colpa di nulla e che né tu né nessun altro al tuo posto avrebbe potuto fare niente in quella situazione.”
 
“Camilla…” cerca di interromperla lui con un sospiro, facendo qualche passo verso di lei.
 
“Ti prego, Gaetano, lasciami… lasciami finire. Sai qual è la cosa che mi fa più male di tutta questa storia? La cosa per cui c’è l’ho di più con me stessa e che non riesco a perdonarmi? È che proprio pochi giorni fa ti parlavo di come ero convinta che io e te non ci saremmo mai fatti così male a vicenda, che qualsiasi cosa fosse successa non avremmo perso la stima e il rispetto che da sempre ci uniscono… E invece alla prima occasione mi sono comportata peggio di Eva e… Non posso sopportare che tu creda davvero che io pensi che tu valga poco, che non ti stimi, perché sei l’uomo, anzi la persona migliore che abbia mai conosciuto, la persona che ammiro di più in assoluto, sia per la tua intelligenza, che per la tua integrità e la tua bontà d’animo. E non è una mia opinione, che, mi rendo conto, vale ben poco, ma è un dato di fatto.”
 
“Davvero?” chiede lui, guardandola di nuovo negli occhi con un’amarezza che le causa una fitta al petto, “perché io invece ho avuto spesso l’impressione che tu non ti fidi di me, che pensi che io non sia in grado, che non sia all’altezza, come poliziotto e forse anche come uomo.”
 
“Gaetano, come puoi dire una cosa del genere? Ok, oggi sono stata… pessima lo so, ma per il resto, quando mai ti ho dato quest’idea?” domanda Camilla di rimando, ferita e incredula.
 
“Beh… non lo so… vogliamo parlare del fatto che ancora dopo anni, perfino dopo che abbiamo iniziato una relazione, continui a fare di testa tua nelle indagini, a prendere iniziative pericolose senza consultarmi? Dopo che ti ho pregato mille volte di avvertirmi? Del fatto che, in un sacco di occasioni, so benissimo che mi hai tenuto nascosto degli sviluppi importanti o hai coperto dei latitanti, per poi rendermene partecipe solo se costretta o arrivati al punto di svolta? Che in tanti altri casi quando ti ho pregato, implorato di rimanerne fuori perché era troppo pericoloso ti sei comunque messa in mezzo? Cosa dedurresti tu da questo, eh, Camilla? Io deduco che non ti fidi di me, del mio metro di giudizio, che pensi che non sia in grado da solo di farcela. E da un lato forse hai ragione: lo so che sei molto più intelligente di me e che hai un fiuto naturale per le indagini superiore al mio. E non me ne sono mai risentito con te finora perché, beh, non solo non è una colpa, anzi è un dono, ma soprattutto perché non me l’hai mai fatto pesare volontariamente. Anzi, sono sempre stato orgoglioso di te, Camilla, ed ero felice di poterti almeno assistere e di aiutarti, di osservarti in azione. Ma questo non significa che non faccia male sapere di non essere alla tua altezza, professoressa, e sentire che l’ammirazione immensa che ho sempre provato per te non sia ricambiata, almeno in parte.”
 
“No, Gaetano… non dirlo neanche per scherzo, non pensarlo nemmeno! Dio mio, non è così, non è affatto così! Anzi, al limite sono io che non sono alla tua altezza, Gaetano e mi è sempre sembrato evidente non solo ai miei occhi ma agli occhi di chiunque ci conosce entrambi! Gaetano, io non ho mai incontrato nessuno che possa anche minimamente paragonarsi a te. Sei bello, affascinante, intelligente, colto, ma soprattutto sei una bravissima persona. A volte mi sembri perfino troppo perfetto per essere vero.”
 
“Ah sì? Ti ripeto che hai uno strano modo di dimostrarlo, Camilla.”
 
Si studiano: occhi stanchi e disillusi che incrociano altri occhi ancora più stanchi e pieni di lacrime. A dividerli poco più di un passo: lei seduta sul bordo del letto, lui in piedi davanti a lei, ma improvvisamente a Camilla sembra che ci sia come un muro invisibile tra di loro. Vorrebbe toccarlo, vorrebbe invitarlo a sedersi accanto a lei, ma ha paura di un suo rifiuto che non potrebbe sopportare ora. E così si limita a guardarlo, sperando che lui possa leggere nei suoi occhi la sua sincerità, il suo pentimento e tutto l’amore che prova per lui.
 
“Gaetano, ascoltami, ti prego: ok, spesso ti ho nascosto o omesso le mie scoperte, è vero, ma, a parte il disastro di oggi, da quando stiamo insieme e tu mi hai pregato di tenerti aggiornato ti ho praticamente fatto ‘rapporto’ ogni sera e ti ho sempre raccontato tutto. Se oggi non ti ho avvertito è stato solo per mancanza materiale di tempo: pensavo che te ne avrei parlato stasera, come negli ultimi giorni. E in quanto al passato, se spesso ho omesso informazioni o soprattutto… informatori e sospetti latitanti, non era perché non mi fidassi di te, ma perché non volevo crearti conflitti di coscienza e di interesse col tuo lavoro, anche se considerato in che casino ti ho cacciato oggi col questore ti sembrerà ironico.“
 
“Camilla, ti ho già detto che-“
 
“Che preferisci avere conflitti con il tuo lavoro e con la tua coscienza che con me, Gaetano, lo so. E infatti ti ho avvertito che ero in contatto con Idris e di Sabrina e… con tutto quello che è successo dopo mi sento tremendamente in colpa per averti messo in una situazione simile, per averti costretto a rischiare tanto per me, Gaetano. Ma comunque, se in passato non ti ho parlato di certe cose, non è per sfiducia, ma è perché, fin dai nostri primi casi insieme, mi è sempre sembrato che in un certo senso ci fosse un accordo tacito tra noi due. Che io, essendo più libera dai vincoli e dalle procedure che tu hai come poliziotto potessi in un certo senso usare ‘strade alternative’ per cercare la verità, che tu non puoi percorrere per via del tuo ruolo, e che ti avrei ‘fatto rapporto’ solo quando avessi scoperto qualcosa di importante. Ma che, se lungo il cammino avessi avuto dei dubbi o mi fossi cacciata nei guai, sapevo di poter sempre contare sul tuo aiuto, sulla tua esperienza e sul tuo appoggio.”
 
“E invece oggi non ci sono riuscito a tirarti fuori dei guai, a proteggerti, e ti ho deluso, giusto, professoressa?” commenta lui con un sospiro pieno di disincanto.
 
“Eh? Ma stai scherzando?” chiede lei in un’esclamazione che è quasi un grido, non potendo credere a ciò che sta ascoltando e sentendosi  sempre più in colpa ad ogni secondo che passa. Senza poterlo evitare si alza in piedi, affrontandolo a viso aperto, riducendo al minimo la distanza tra loro, faccia a faccia.
 
“Gaetano, io con te mi sono sempre, sempre sentita protetta, al sicuro. Lo so che sono stata un’incosciente in diverse occasioni e, ripeto, so che non è una giustificazione, ma oggi non ci ho pensato due volte a raggiungerti coi diamanti perché, anche se è irrazionale, anche se so che tu non hai poteri magici e non sei invincibile, quando ci sei tu al mio fianco mi sento tranquilla, sento di poter affrontare qualsiasi cosa, qualsiasi sfida. Non credo che oggi sarei riuscita a mantenere il controllo, a non andare nel panico se fossi stata da sola, Gaetano. Il pensiero che c’eri tu con me se da un lato mi faceva sentire in colpa dall’altro lato è stata l’unica cosa che mi ha aiutato a mantenere un minimo di lucidità e razionalità.”
 
Guardandolo sempre negli occhi, allunga una mano, tremante, e gli sfiora una guancia, come ha fatto in mille altre occasioni prima di allora. Sente il muscolo contrarsi sotto le sue dita, irrigidirsi, ma Gaetano non si sposta, non si ritrae. Anzi, dopo pochi secondi sembra quasi appoggiare leggermente il viso contro la sua mano.
 
“Gaetano, io mi fido ciecamente di te, ho messo la mia vita nelle tue mani in un’infinità di occasioni: da quando ci hanno sparato addosso in moto, tanti anni fa, fino ad oggi. E non mi hai mai delusa, MAI, neanche una volta sola, nemmeno oggi, anzi. Se mi sento al sicuro con te è proprio perché so che sei capace di analizzare la situazione, di valutare i rischi e di fare sempre la cosa migliore. Penso che ci voglia molto più coraggio a sapere quando fermarsi, quando evitare di reagire, quando anche subire in un certo senso un’umiliazione che a fare ‘l’eroe’ a tutti i costi, mettendo in pericolo se stessi e gli altri. Ed è un’abilità che io probabilmente non ho, Gaetano, tu sì e non hai idea di quanto ti ho sempre ammirato per questo.”

“Sarà, ma intanto continui a fare di testa tua, ad andarti a cacciare in queste situazioni, invece di fidarti di me e della mia ‘abilità’…” le fa notare, asciutto, afferrando contemporaneamente la mano di Camilla e scostandosela dal viso, ma tenendola stretta nella sua in una presa quasi convulsa, per poi lasciarla andare dopo qualche secondo.
 
A Camilla sembra mancare il fiato per un attimo, come se avesse ricevuto un colpo allo sterno, le sembra quasi di barcollare fisicamente, anche se è assurdo, ma fa un profondo respiro e, sempre guardandolo negli occhi, prova a reagire, prova a spiegargli – DEVE riuscire a spiegargli.
 
“Gaetano, di solito non sono situazioni in cui mi caccio volontariamente, in modo premeditato, ma in cui mi ritrovo: ma tu pensi sul serio che se avessi saputo che mi avrebbero consegnato dei diamanti oggi ci sarei andata da sola e non ti avrei portato con me? Io pensavo di dover solo parlare con Sabrina, come avevo già fatto qualche giorno fa e non era successo nulla di preoccupante. Quando tu hai pianificato un’irruzione o un’operazione pericolosa mi sono mai messa in mezzo a meno che non mi trovassi già con te? E in quel caso c’eri appunto tu con me, non ero da sola.”
 
“Camilla, ammetterai anche tu che se ti ci ‘ritrovi’ in queste situazioni con una frequenza decisamente ma decisamente superiore a qualsiasi media è perché spesso nella foga dell’indagine non valuti i rischi e non ti fermi in tempo,” ribatte Gaetano, trafiggendola con un altro sguardo penetrante ed eloquente.
 
“D’accordo, su questo hai ragione: ti ho detto che tu hai un’abilità di analizzare la pericolosità delle situazioni che a me probabilmente manca Gaetano. Però è sempre stato così, non è da oggi e non è mai stato un problema tra noi due... Gaetano, io non mi voglio giustificare, anzi, lo so che ho sbagliato in pieno, però se ho reagito così oggi è anche perché sono rimasta spiazzata: è come se le regole del gioco tra di noi stessero cambiando, in tutti i campi, ed è normale che questo succeda, però a volte non so come regolarmi, cosa aspettarmi, soprattutto non so cosa tu ti aspetti da me.”
 
“Lo so che è sempre stato così Camilla, ma non siamo mai arrivati a questo punto fino ad ora, non ci siamo mai trovati in una situazione tanto grave e pericolosa che poteva coinvolgere non solo noi ma anche i nostri figli, la nostra famiglia. E quello di cui ho paura, Camilla e di cui sono io a sentirmi in colpa è di averti assecondata troppo in questi anni, di averti in un certo senso incentivata a rischiare sempre di più, a non porti un limite. Ho paura che stando con me ti senti ancora più libera di superarlo questo limite, Camilla, mentre Renzo riusciva a metterti un freno, anche se ho sempre pensato e sperato che fossi capace di portelo da sola. È solo e soltanto questo che mi aspettavo da te. Invece, anche se non avrei mai immaginato di doverlo dire un giorno, se ti servivano le minacce e le recriminazioni di Renzo per farti ragionare, per farti fermare a riflettere, per non farti andare oltre, beh mi toccherà ringraziarlo per averti fatta arrivare viva fin qui. E piuttosto che starti a guardare mentre fai come la falena e ti avvicini sempre di più al fuoco, Camilla, piuttosto che essere tuo complice ed aiutarti a farti ammazzare, preferisco rinunciare a te.”
 
“Gaetano…” esclama Camilla in quello che è un misto tra un grido strozzato e un singhiozzo, sentendo il sapore salato delle lacrime in bocca e provando un fortissimo senso di nausea e di freddo, “mi stai dicendo che è finita?”
 
“Non… non lo so Camilla…” le sussurra lui, ammorbidendo il viso e il tono di voce e sfiorandole una guancia per asciugarle le lacrime, “spero di no, ma sei tu che me lo devi dire, perché non dipende da me, non solo almeno.”
 
“Che vuoi dire?” sussurra lei, mentre lo smarrimento, la speranza e il dolore fanno a pugni nella sua mente.
 
“Voglio dire che anche se ti amo più di me stesso o forse proprio perché ti amo più di me stesso non posso stare con te se questo significa sapere che un giorno dovrò portarti i fiori sulla tomba e non per una tragica fatalità o per eventi naturali, ma perché hai tentato la sorte una volta di troppo. E, oltre al dolore devastante di averti persa, impazzire all’idea di averti sulla coscienza, Camilla. O, e questo forse è peggio ancora, doverti assistere mentre porti i fiori sulla tomba di qualcuno a te caro, devastata e distrutta dai sensi di colpa. Cosa sarebbe successo se oggi Livietta fosse stata in casa e le fosse capitato qualcosa, Camilla? Con il lavoro che faccio e in ogni caso per il rispetto che ho di te e della tua intelligenza, della tua indipendenza, non posso e non voglio nemmeno provare a mettermi a controllarti, a fare il cerbero come faceva Renzo. Quindi devo chiederlo io a te, Camilla: pensi di essere in grado, come ho sempre pensato e sperato, di fermarti da sola, di capire qual è il limite da non superare, anche condividendo le tue giornate con un vicequestore che di casi di omicidio all’anno ne vede a decine? Pensi di poter mettere la tua incolumità fisica e mentale e quella delle persone a me e a te care prima di tutto il resto? Prima della solidarietà verso altri, prima della scarica di adrenalina, prima della curiosità, prima della soddisfazione e della gratificazione che so possono derivare dall’indagine, dalla scoperta e forse anche dal pericolo?”
 
“Gaetano…” mormora lei, respirando forte per cercare di riacquistare l’uso della voce, appoggiando una mano su quella di lui che ancora le accarezza il viso e ricambiando il gesto con l’altra, per poi guardarlo negli occhi e aggiungere con tutta la decisione di cui è capace, “per me tu, Livietta e Tommy siete le mie priorità assolute, siete la mia ragione di vita e non c’è nulla e nessuno che venga prima, niente, niente!”
 
“E te stessa? Cosa mi dici di te stessa, Camilla? Tu dove ti metti nella tua lista di priorità? Prima mi hai detto che sono bravo ad analizzare le situazioni, a capire quando reagire e quando no, quando fermarmi. Sai perché lo sono, Camilla? Sai qual è il mio segreto? Non c’entra nulla con gli studi che ho fatto o con l’addestramento – che certo mi ha molto aiutato, anche se ancora dubito che tu la pensi allo stesso modo – o con qualche dote particolare. È che prima di entrare in azione, prima di andare ad interrogare un sospetto o prima di fare qualsiasi mossa che c’entri con uno dei miei casi di omicidio – il che, per definizione, significa che potrei avere a che fare con una persona che ha già dimostrato di essere in grado di uccidere – io penso sempre a cosa succederebbe alle persone che amo se non dovessi tornare o se rimanessi ferito e invalido, costretto a dipendere da loro.”
 
Ricambiando lo sguardo di lei con la stessa intensità, solleva l’altra mano fino a incorniciarle il viso, asciugandole le lacrime ma impedendole anche di abbassare la vista, costringendola in un certo senso ad affrontarlo a viso aperto.
 
“All’inizio pensavo a Francesca, poi, anche se non stavamo insieme, per tanti anni mi passavi tu davanti agli occhi, Camilla, tutto quello che avrei voluto dirti, che avrei voluto darti, tutto quello che c’era in sospeso tra di noi e… da quando è nato Tommy, nonostante non sia stato per tanto tempo un padre perfetto o presente, pensavo a lui. Invece da qualche mese a questa parte penso a te e a lui, a quella che per me è a tutti gli effetti la mia famiglia, da ben prima che cominciasse… tutto questo tra di noi, ma a maggior ragione ora. E metto tutto sul piatto della bilancia: vale davvero la pena di rischiare o posso ottenere lo stesso risultato in un altro modo? Quante possibilità ci sono che vada male, quante che vada bene? E se decido di rischiare allora vado e affronto la situazione con tutto me stesso, senza lasciarmi paralizzare dalla paura o dai dubbi, cercando di giocarmela fino in fondo se fosse necessario. Capisci cosa intendo?”
 
“Sì, sì lo capisco,” risponde Camilla, sentendo l’amore e l’ammirazione per quest’uomo scoppiarle nel petto insieme alla paura e al senso di colpa.
 
“E c’è un’altra cosa, Camilla. Se c’è qualcosa che ho capito dal matrimonio disastroso che ho avuto con Eva è che io non posso e non voglio stare con una persona che non mi rispetta, per cui… per cui non sono abbastanza, per cui sono una delusione, sentendo ogni giorno che non sono il tipo d’uomo con cui vorrebbe stare. Mi ha quasi distrutto quando è capitato con Eva, con una donna che non ho mai davvero amato, non oso immaginare cosa mi potrebbe accadere con te, Camilla. Sei sempre convinta di volermi al tuo fianco, che sono davvero io ciò che vuoi?”
 
“Gaetano, ma certo, ma certo che sì! Ma come puoi anche solo chiedermelo, dopo tutto quello che abbiamo vissuto, che abbiamo provato insieme negli ultimi giorni? Come puoi dubitarne? Io non posso e non voglio nemmeno immaginare il mio futuro senza di te!” esclama, alzando la voce e sentendosi come se le avesse dato uno schiaffo, per poi aggiungere, in una voce che non può nascondere l’amarezza, il dolore e la delusione, “forse dovrei essere a questo punto io a chiedertelo, a chiederti se sono il tipo di donna che vuoi al tuo fianco o se hai già cambiato idea su noi due. Se ti vado bene così come sono o se ti sei accorto che… che non sopporti i miei difetti, che ciò di cui ti sei innamorato non ero io ma era una fantasia, un’idea di me che ti eri costruito nella testa e che non corrisponde alla realtà.”
 
“Tu sei esattamente il tipo di donna che voglio, Camilla, con tutti i tuoi pregi, tutte le tue contraddizioni e tutti i tuoi difetti. Io non cambierei una virgola di te, mai. E nemmeno io voglio e posso immaginare il mio futuro senza di te, ma per avercelo un futuro con te, innanzitutto devi averlo tu un futuro! La vita è imprevedibile, lo so, e potremmo tutti e due non essere più qui tra un’ora, un minuto o un secondo. Mi rendo conto che non c’è nulla di certo e che la morte potrebbe arrivare in qualsiasi istante. Ma voglio poterti lasciare ogni mattina sapendo che tu non farai nulla per darle una mano. Puoi promettermelo? Puoi promettermi che non commetterai più una leggerezza come quella di oggi? Che non mi nasconderai più nulla sulle indagini e mi permetterai di aiutarti, di essere davvero al tuo fianco? Che saprai fermarti al momento opportuno e lascerai intervenire me? Che lascerai a me e ai miei colleghi, che siamo stati addestrati e siamo pagati per farlo, la parte più brutta, dura e pericolosa di questo mestiere e che ti terrai invece la parte migliore, quella su cui probabilmente nessuno di noi è capace di tenerti testa, professoressa? Puoi promettermelo sinceramente?”
 
“Gaetano-“ cerca di rispondere, ma viene bloccata dai pollici dell’uomo che si posano delicatamente sulle sue labbra e da quegli occhi azzurri che nuovamente paiono trapassarle l’anima da parte a parte.
 
“Camilla, adesso è davvero meglio che andiamo a dormire e ci prepariamo per la giornata di domani che non sarà facile. Voglio che tu pensi a tutto quello che ci siamo detti e a quello che ti ho chiesto, che ci rifletti davvero, davvero bene, e mi dai una vera risposta, consapevole. Non voglio una reazione di getto o parole che lasciano il tempo che trovano. Voglio la verità, anche se dovesse costarmi cara.”
 
Camilla gli bacia con delicatezza le dita, gli prende le mani tra le sue e le scosta dal viso, ma mantiene la presa, unendo le loro mani quasi come in un giuramento solenne, senza perdere mai il contatto visivo. Sente in sé una nuova determinazione e una consapevolezza, una chiarezza che poche volte ha sentito nella sua vita. Le lacrime smettono di scorrere: sa esattamente cosa deve fare.
 
“Io ce l’ho già la risposta, Gaetano, ed è l’unica risposta per me possibile. Io so cosa voglio e con chi voglio passare la mia vita, e quella persona sei tu. E ti garantisco che, per quanto dipende da me, voglio che questa vita sia più il più lunga e serena possibile: non ho alcuna intenzione di perderti. E ti dimostrerò, non con le parole, ma coi fatti, che ho capito quello che mi hai detto, che ho capito di aver sbagliato oggi e che non farei mai niente che possa mettere in pericolo ciò che abbiamo, il nostro rapporto e la nostra famiglia. Che non sono mai state le minacce di Renzo a fermarmi, che non è per merito suo se sono ancora viva. Come non è per colpa tua, per il fatto che ora stiamo insieme, se oggi ho sbagliato, se sono andata troppo oltre. Sono io l’unica e sola responsabile delle mie azioni e so che posso essere perfettamente in grado di capire dove e quando fermarmi e te lo dimostrerò. E ti garantisco che potrai continuare ad essere orgoglioso di me tanto quanto io lo sono di te.”
 
“Camilla…” mormora Gaetano con uno sguardo sorpreso ed addolcito, ma lei lo zittisce con un breve ma deciso bacio sulle labbra. È un contatto lieve e veloce, poco più del battito d’ali di una farfalla, ma colpisce entrambi con una forza straordinaria.
 
“Adesso cerca di riposare, Gaetano e concentrati sull’appostamento di domani: perché anche io non ho alcuna intenzione di doverti portare i fiori sulla tomba, chiaro?”
 
Con un ultimo sguardo, Camilla si stacca da lui, gli lascia le mani e, a passo deciso esce dalla stanza e si avvia verso la sua camera da letto e verso quella che, ne è sicura, sarà una notte insonne.
 
Ma, le ricorda una vocina interna che suona stranamente come quella di Livietta, il gioco vale la candela. E non ha alcuna intenzione di perdere.
 
***************************************************************************************
 
“Camilla Baudino?”
 
Si volta verso la voce: una ragazza giovane e bella, dall’aspetto curatissimo e professionale. Quasi inconsciamente lancia un’occhiata al suo abbigliamento che, nonostante sia molto meno casual del solito, sfigura decisamente se comparato alla perfezione stilistica che ha di fronte.
 
“Sono io,” risponde, alzandosi in piedi, senza farsi intimorire.
 
“Il questore la sta aspettando, mi segua,” proclama la ragazza, precedendola con una camminata che pare un misto tra una sfilata in passerella ed un passo militare, incedendo con sicurezza su un paio di incredibili trampoli che le provocano dolore alle caviglie solo a guardarli.
 
La porta si apre e Camilla entra, decisa. Ma quando sente il suono metallico della porta che si richiude alle sue spalle, il suo stomaco la tradisce con un sobbalzo.
 
“La professoressa Baudino, immagino?” chiede un uomo, seduto dietro un’enorme scrivania, che indossa un vestito elegante che stona col fisico fin troppo magro, i capelli visibilmente tinti ed un forte accento che non riesce però ad identificare chiaramente come milanese o torinese. Ad un primo sguardo sembra quasi un attore comico o un vecchio professore di quelli che i ragazzi amano prendere in giro, più che un severo questore ed il contrasto tra ciò che si attendeva e la realtà la spiazza immediatamente. Ma ha imparato negli anni a non fidarsi delle apparenze.
 
“Sì, sono io.”
 
“Si accomodi,” la invita lui, asciutto, indicandole una sedia.
 
“Lei sa perché l’ho fatta convocare immagino,” esordisce il questore, poggiando gli indici delle mani giunte sulle labbra ed osservandola pensieroso.
 
“Sì, me ne ha parlato Gaetano – il vicequestore Berardi.”
 
“Già… Berardi. Come si dice? Cherchez la femme. Con lui di solito non si sbaglia,” replica l’uomo continuando a studiarla con attenzione, mentre Camilla non può evitare di provare una fitta di irritazione all’allusione, per quanto colta, sulle tante, troppe donne che hanno da sempre ronzato intorno a Gaetano.
 
“Però devo ammettere che me la aspettavo diversa, sa?” proclama dopo un attimo di pausa e di scrutinio prolungati.
 
“Se intende che sono molto meno giovane e molto meno avvenente delle solite femmes a cui si accompagna il vicequestore Berardi, ne sono perfettamente consapevole,” ribatte Camilla con tono neutro e tranquillo.
 
“Bene, mi fa piacere che sia schietta e diretta perché lo sarò anche io ed eviterò ad entrambi di perdere tempo in inutili convenevoli. Come lei sa le differenze non si limitano all’estetica, giusto, signora? Le altre fiamme di Berardi, fino a prova contraria, non si divertivano ad emulare le gesta di Miss Marple o della Signora in Giallo. Non si incontravano con latitanti, non si portavano a casa diamanti rubati per un valore di centinaia di migliaia di euro e non subivano aggressioni e rapine in cui coinvolgevano un vicequestore di polizia.”

“Signor questore-“ cerca di intervenire Camilla, ma l’uomo la blocca.
 
“In effetti ho sempre temuto che un giorno la passione per le donne di Berardi avrebbe compromesso la sua carriera e messo in pericolo la sua reputazione e, di conseguenza, la mia e quella dei nostri sottoposti. Il caso di qualche mese fa è stato un forte segnale d’allarme, ma per fortuna Berardi è riuscito a dimostrare la sua innocenza – e vengo peraltro ora a scoprire che lei aveva ‘partecipato’ alle indagini anche allora, signora Baudino. Ma, quando ipotizzavo qualche scenario, mi sono sempre immaginato uno scandalo con la moglie, o la fidanzata, o l’amante, o la figlia di qualche uomo potente o che qualche ex rancorosa cercasse di fargliela pagare. Ammetto invece che non avrei mai pensato a qualcosa di questo tipo, che rischia di farci diventare degli zimbelli agli occhi di tutta Torino e probabilmente di tutta Italia. Il commissario Gordon a Gotham City ha Batman come vigilante, mentre qui in questura a Torino abbiamo una professoressa di lettere che gioca a fare la detective.”
 
Di nuovo Camilla cerca di aprire bocca ma intuisce, dallo sguardo del questore che è meglio tacere ed attendere la fine di questa tirata. È pazzesco come quell’uomo dall’aria bonaria e forse pure un po’ ridicola si sia trasformato in pochi istanti in un cane da caccia, di quelli che quando afferrano la preda non la mollano più.
 
“E che lo fa usando metodi decisamente poco ortodossi a quanto pare: coprendo dei latitanti ed incontrandosi con loro, occultando delle prove o comunque appropriandosene senza ovviamente alcuna autorizzazione o competenza, assistendo ad interrogatori riservati – come mi hanno confermato diverse persone – insomma, violando una miriade di leggi e procedure interne che regolano le indagini di polizia. Il tutto con il benestare ed oserei dire la complicità del primo dei miei sottoposti, che ho sempre ritenuto, vizio delle donne a parte, essere una persona ligia al dovere e rispettosa del suo ruolo. Lei deve ringraziare la sua buona stella che oggi Berardi ed i suoi uomini siano riusciti a fermare i due autori dell’omicidio e a recuperare quei diamanti. Altrimenti non avrei avuto altra scelta che incriminarla per favoreggiamento in omicidio e ricettazione e sospendere Berardi fino al chiarimento della sua posizione. Tuttavia, non sono ancora sicuro se potrò evitargli un’inchiesta interna e capisce anche lei cosa significa questo, immagino.”
 
“Mi sta dicendo che Gaetano… che il vicequestore Berardi rischia comunque di perdere il lavoro?” chiede Camilla, avvertendo un improvviso senso di nausea.
 
“O comunque di subire un pesante ridimensionamento del suo ruolo, diciamo di essere orientato verso altre mansioni,” conferma il questore, asciutto, continuando a scrutarla intensamente.
 
“Ma lui non c’entra niente, signor questore. La colpa di tutto quello che è successo ieri è solo e soltanto mia e sono pronta ad assumermene tutte le responsabilità, anche di fronte alla legge, se necessario. Sono stata io ad incontrarmi con Idris Garba e Sabrina Migliasso, sono stata io a decidere di prendere quei diamanti e sono stata io a sbagliare nel portarli a casa mia invece che in questura. L’unica colpa del vicequestore Berardi è stata trovarsi con me al momento dell’aggressione. Ma le garantisco che tutto quello che fatto, sbagliando, l’ho fatto in assoluta buonafede, perché ero convinta, a ragione, dell’innocenza dei miei studenti e perché non volevo lasciare in mano loro quei diamanti un secondo di più. E credo che alla fine si sia risolto tutto per il meglio e che sia stato meglio anche per voi aver evitato di arrestare Idris e Sabrina.”
 
“Che vuol dire, signora Baudino?” chiede l’uomo, sorpreso.
 
“Che in un caso mediatico come questo, il non aver tratto in arresto ingiustamente la figlia di un uomo ricco ed influente, amico di molti politici locali, ed un ragazzo appartenente ad una minoranza etnica, sia una fortuna anche per voi. In caso contrario è facile prevedere quali sarebbero state ora le reazioni dei giornalisti e che ci sarebbero state forse anche richieste di danni da parte del padre di Sabrina Migliasso,” replica Camilla, decisa a giocarsi il tutto per tutto e a far leva su quelle che sa sono realmente le maggiori preoccupazioni del questore. Non l’etica o la legge, ma l’immagine, la “facciata”.
 
“Lei è una donna molto intelligente, professoressa Baudino, questo lo devo riconoscere. E anche molto coraggiosa. Ma c’è una linea sottile che divide il coraggio dall’avventatezza, ed è in fondo il motivo per cui ci troviamo qui oggi, no?” replica il questore, dopo un attimo di pausa in cui si era limitato a fissarla sorpreso.
 
“Mi sono informato, lo sa, professoressa, e a quanto pare questo è ben il sesto caso a cui lei ‘collabora’ con Berardi nel giro di nove mesi. Tutti chiusi, questo lo devo ammettere, con i colpevoli che hanno reso una piena confessione. In effetti la percentuale di casi risolti dalla squadra di Berardi non è mai stata così alta come in questi mesi. Un lavoro encomiabile, in circostanze normali, ed utile per una futura promozione. Ma che cosa sarebbe successo se l’operazione di oggi non fosse stata un successo o se il Garba e la Migliasso fossero stati colpevoli? Se avessimo dovuto contestarle i reati di favoreggiamento in omicidio e riciclaggio? In poco tempo tutti i casi a cui lei ha collaborato con Berardi sarebbero stati messi in discussione. Saremmo stati sommersi da richieste di revisione dei processi in corso o di archiviazione. Oppure di inammissibilità delle prove già raccolte. Oltre, come già detto, alla perdita della faccia e della credibilità di tutto il corpo di polizia di Torino. Qui non si tratta più solo della Migliasso e di Garba, il problema è ben più serio. Berardi permettendole di giocare alla detective, assecondandola, ha commesso una ‘leggerezza’ imperdonabile e tutto questo, mi creda, non giova di certo alla sua credibilità e getta ombre di dubbio non solo sulla sua etica ma anche sulla sua abilità professionale, dato che, a quanto pare, con il fior fiore di uomini e mezzi a sua disposizione, ha bisogno dell’aiuto di una professoressa di lettere per risolvere i suoi casi! A questo punto, capisce anche lei che un’inchiesta interna è praticamente inevitabile!”
 
Camilla sente una colata di acido invaderle lo stomaco,  mentre l’apprensione fa a pugni con l’indignazione e il senso di colpa. Ma soffoca l’ansia e sostiene lo sguardo del questore con fermezza e determinazione.
 
“Innanzitutto non è vero che Gaetano non è in grado di risolvere i suoi casi senza il mio aiuto! Io sono qui da pochi mesi e mi sembra che ci sia riuscito perfettamente prima di allora. Quando l’ho conosciuto era già commissario e dubito che lo sarebbe diventato se non fosse in grado di fare il suo mestiere. Anzi, è il poliziotto più capace, professionale ed intelligente che io conosca, e non lo dico perché lo amo ma perché è la verità. E se lei ha lavorato con lui in questi anni, sono sicura che non può che concordare con me. La nostra collaborazione è sempre stata un lavoro di squadra tra me e lui. Se gli sono d’aiuto è sia perché gli offro un punto di vista diverso, quello di una persona ‘normale’, su cui riflettere e di cui discutere, ma soprattutto proprio perché io non ho i vincoli che lui ha per via del suo ruolo. Ma le ‘irregolarità’ che commetto non si sono mai tradotte nell’occultamento di prove o nello sviamento delle indagini. Gaetano non l’avrebbe mai permesso e non mi ha mai autorizzato o spinto ad andare oltre in questo senso. Semplicemente, non essendo un poliziotto ma una professoressa, la gente tende ad avere meno timore o pregiudizio nei miei confronti e si apre di più con me, magari ammette cose che con le autorità è restia a condividere. E posso muovermi molto più liberamente, senza vincoli di incartamenti e altro. Nonostante questo, sono fermamente convinta che Gaetano quei casi li avrebbe risolti con o senza il mio aiuto, magari ci avrebbe impiegato più tempo, ma sarebbe arrivato alla verità.”
 
“Ne è veramente convinta?” le chiede, fissandola come se volesse leggerle nell’anima.
 
“Sì,” risponde senza esitazione.
 
“Comunque questo non cambia nulla. Se anche tutto quello che lei mi ha appena detto fosse vero, questo non riduce la gravità della situazione, né la necessità di un’inchiesta interna, cosa che lei ha deliberatamente ignorato nella sua arringa difensiva,” ribatte il questore, con un mezzo sorriso sarcastico.
 
“Non l’ho ignorata affatto, ci stavo arrivando, signor questore. Mi scusi se glielo dico, ma mi sembra che ci sia una contraddizione in termini in quello che mi sta raccontando. Prima mi dice che se la mia ‘collaborazione’ con la polizia diventasse di pubblico dominio sarebbe un danno incalcolabile di immagine e che potrebbe perfino portare alla revisione dei casi a cui ho ‘collaborato’. Che è una fortuna che il caso Migliasso si sia risolto come si è risolto, proprio perché questo vi consentirà di ‘insabbiare’ l’aggressione subita da me e dal vicequestore Berardi. Mi pare quindi di capire che sia soprattutto nel suo, nel vostro interesse che questa vicenda e la mia collaborazione rimangano sotto il più stretto riserbo. Questo non contrasta con un’inchiesta?” domanda Camilla, raccogliendo il coraggio a piene mani: sa di stare giocando col fuoco, ma non può permettere che Gaetano abbia problemi per qualcosa che lei ha provocato, costi quel che costi.
 
“Un’inchiesta interna può essere molto riservata, signora Baudino,” replica l’uomo in un sussurro decisamente più intimidatorio di qualsiasi urlo.
 
“Anche se porta alla rimozione dall’incarico di un vicequestore?” ribatte lei, non lasciandosi intimorire.
 
“Di solito è nell’interesse dell’indagato farsi ‘riassegnare’ ad altro incarico nella maniera più discreta possibile. Tra l’avere una mansione inferiore e non avere un lavoro, o rischiare addirittura guai giudiziari, lei capisce qual è la scelta più logica e razionale.”
 
“Certo, lo capisco. Però immagino che un’inchiesta giudiziaria non sia altrettanto… discreta e non passi sotto silenzio. E, come le ho già detto, io sono disposta ad affrontare tutte le conseguenze delle mie azioni, e a pagare per i miei errori, se questo fosse necessario ad evitare conseguenze al vicequestore Berardi,” afferma Camilla, sentendo che il momento salto nel vuoto si sta avvicinando.
 
“Signora, le ho già detto che né lei, né il dottor Berardi subirete alcuna inchiesta giudiziaria. E comunque non vedo in che modo un’eventuale inchiesta su di lei potrebbe scagionare il dottor Berardi o aiutarlo a salvare la sua carriera. Anzi, direi che potrebbe solo peggiorare la situazione.”
 
“Non subirò alcuna inchiesta giudiziaria… Questo non toglie che io potrei sempre autodenunciarmi, giusto? Denunciare la mia intromissione nelle indagini e confessare di aver coperto dei latitanti e di aver preso quei diamanti, il movente scatenante di un caso di omicidio. Potrei anche dichiarare pubblicamente il mio coinvolgimento nei precedenti casi e magari fare un bel resoconto su tutto il lavoro svolto con la polizia di Torino in questi mesi.”
 
La voce di Camilla è decisa, asciutta, anche se dentro di sé sente solo una gran voglia di tremare: ha alzato la posta, ha scoperto le carte e spera di non pentirsene.
 
“Che cosa mi sta dicendo?” domanda il questore, non potendo evitare la sorpresa che gli colora la voce si insinua nella sua espressione.
 
“Che se lei sottoporrà il vicequestore Berardi ad un’inchiesta, io mi autodenuncerò e, mi creda, mi assicurerò di farlo nel modo più pubblico e mediaticamente rilevante possibile,” conferma Camilla, senza esitazioni e senza pentimenti.
 
“Ma è impazzita? Mi dice cosa spera di risolvere? Così rovinerebbe la sua vita, quella di Berardi e pure tutto il nostro corpo di polizia!” urla il questore, incredulo.
 
“Esatto, così ci perderemmo tutti, invece che a pagare sia solo il vicequestore Berardi,” ribadisce, per poi aggiungere, nel tono più tranquillo possibile, “se invece lei non procede con l’inchiesta, ci guadagniamo tutti: nessuno scandalo o danno all’immagine per lei e per il corpo di polizia, Gaetano mantiene il suo lavoro e lei evita di perdere uno dei migliori poliziotti che ci sono in Italia.”
 
“E lei? Lei continua a giocare a fare la detective e a mettere in pericolo la nostra integrità e la nostra immagine?” domanda, sarcastico e duro.
 
“No, se lei evita conseguenze al vicequestore Berardi io sono più che disposta a farmi da parte. Le prometto che mi terrò lontana da qualsiasi caso di omicidio e non e, se vuole, starò fisicamente alla larga dalla questura, nonostante la mia relazione con il vicequestore,” replica, col tono più sincero e deciso di cui è capace.
 
“E io dovrei crederle? Dovrei credere che riuscirà a resistere alla sua passione per le indagini, alla tentazione, specie, per l’appunto, convivendo con un funzionario di polizia che fa questo di mestiere?” le chiede, scettico, trapassandola da parte a parte con un’occhiata che vale più di mille parole.
 
“Sì, dovrebbe credermi. Perché la mia ‘passione per le indagini’ non deriva dalla sfida intellettuale o dal mistero o dal brivido, dall’adrenalina – certo sono tutte cose che mi attraggono, non lo nego –, ma se ho iniziato ad indagare, tanti anni fa, è stato per aiutare una mia alunna a conoscere la verità e rimediare ad una possibile ingiustizia. È questo che mi ha sempre spinto ad indagare quando qualcuno che conosco si trova coinvolto in un crimine: l’amore per la verità e il fatto che non sopporto e non tollero le ingiustizie. E se fare un passo indietro, se rinunciare a questa passione, significa non solo evitare un’enorme ingiustizia ad un uomo straordinario che non se la merita nella maniera più assoluta, che non merita di pagare per un errore che io ho commesso, ma soprattutto se, facendomi da parte, evito che il poliziotto più brillante, capace ed onesto che io conosca finisca a fare da passacarte, invece di poter aiutare ancora tantissime persone a trovare la verità e ad avere un po’ di giustizia, sono più che felice di farlo, senza rimpianti o ripensamenti.”
 
Si fissano per un tempo che pare infinito, si studiano, si scrutano, come a voler capire le reali intenzioni dell’altro. Infine, il questore è il primo a rompere il contatto visivo e ad abbassare lo sguardo, per poi massaggiarsi le tempie.
 
“D’accordo, le credo, professoressa Baudino. Devo ancora decidere se lei è la donna più acuta ed audace o la donna più folle che io abbia mai conosciuto, o entrambe le cose insieme. Ma le credo, sento di potermi fidare della sua parola,” ammette il questore con uno sguardo che le sembra quasi sinceramente ammirato.
 
“E non se ne pentirà, glielo garantisco, perché la manterrò,” conferma Camilla, provando una fitta di dolore all’idea di ciò che sta perdendo, ma che viene più che compensata dal sollievo al pensiero di cosa ha invece guadagnato. Tutto il resto passa in secondo piano e, del resto, ha trascorso tanti anni lontana dalle indagini e, ne è sicura, può vivere anche senza esercitare questa sua passione. Ma non potrebbe vivere con la consapevolezza che Gaetano ha perso tutto per colpa sua.
 
“Mettiamola così, professoressa Baudino, non è necessario che lei mi prometta nulla oggi, né che si tenga lontano dalla questura. Mi sembra evidente che della sua collaborazione con Berardi possano beneficiare in molti e che avere una così alta percentuale di casi risolti con successo sia fonte di prestigio per noi. E considerato quanto tiene alla carriera e al futuro di Berardi, penso di non sbagliare nel pensare che cercherà di mantenere questa collaborazione sotto il massimo riserbo. Quindi non le impedirò di indagare e di fare quello che ha fatto finora, se è questo che desidera, ma a suo rischio e pericolo, anzi, a rischio e pericolo di lei e di Berardi. Quindi dovete valutare insieme il da farsi e la avverto che la terrò sotto controllo. Se dovesse capitare nuovamente un fatto come quello di ieri, se dovesse scoppiare uno scandalo, dovrete vedervela da soli. E per quanto mi riguarda, la conversazione di oggi non è mai avvenuta, lei capisce cosa intendo?”
 
“Capisco perfettamente,” risponde Camilla con un sospiro ed un mezzo sorriso amaro sulla bocca. L’uomo che ha davanti è un politico, prima che un tutore della legge, ma ne era consapevole fin dal suo ingresso in quella stanza. Ed in fondo è proprio per questo che è riuscita ad evitare il peggio per lei e per Gaetano.
 
“Bene, dato che abbiamo raggiunto un’intesa, non faccio perdere altro tempo né a me, né a lei e la lascio andare,” proclama il questore, alzandosi dalla sedia e porgendole la mano.
 
Camilla la osserva per un secondo e poi allunga la sua, ricambiando una stretta stranamente forte e decisa, da una persona all’apparenza così gracile ed untuosa. Non è del tutto sicura di come interpretare questo gesto e il comportamento dell’uomo che ha di fronte, ma ora non le importa.
 
Si avviano insieme alla porta, che il questore apre per lasciarla passare e, varcata la soglia, si trova davanti Gaetano, in piedi e con il viso che sembra il ritratto dell’ansia e della preoccupazione.
 
“Ah, Berardi, giusto di lei avevo bisogno, venga nel mio ufficio,” lo chiama il questore, per poi girarsi verso di lei e dirle, “arrivederci professoressa Baudino, è stato un piacere fare la sua conoscenza, ma spero di rivederla in tutt’altre circostanze o di non rivederla affatto.”
 
“Forse sarebbe meglio dire che è stato un piacere non fare la mia conoscenza, signor questore,” ribatte Camilla con lo stesso mezzo sorriso, “e il sentimento è reciproco.”
 
“Non avrei saputo esprimermi meglio, professoressa,” commenta di rimando l’uomo, ignorando lo sguardo sbigottito del suo sottoposto, che assiste a quella scena con occhi spalancati, per poi fargli un cenno e avviarsi verso il suo ufficio con un laconico, “venga, Berardi, mi segua.”
 
Gaetano lancia un’occhiata verso Camilla che la donna sa essere una richiesta di spiegazioni e lei ricambia con una promessa non verbale di fornirgliele più tardi.
 
“Vado a casa, ci vediamo dopo lì?” gli sussurra, attenendo con ansia la sua risposta.
 
“Sì, vai tu a prendere Tommy all’asilo?” chiede di rimando l’uomo e Camilla annuisce, tirando un sospiro di sollievo alla conferma che ci sarà, in qualche modo, un dopo. Anche se non sa ancora per quanto tempo.
 
Con un’ultima occhiata verso Camilla, Gaetano entra nell’ufficio del suo superiore e chiude la porta dietro di sé.
 
“Berardi, sarò rapido e non farò perdere tempo né a me, né a lei. Lei è un uomo molto fortunato, Berardi e per due ragioni. Innanzitutto perché l’incidente di ieri per lei non avrà conseguenze né giudiziarie, né disciplinari e quindi non inciderà sulla sua carriera,” spiega il questore, sedendosi alla sua scrivania.
 
“E per Camilla… cioè, per la professoressa Baudino?” chiede Gaetano, non riuscendo a sentirsi sollevato come dovrebbe ignorando ancora quale sarà la sorte di lei.
 
“Non ci saranno conseguenze nemmeno per lei, Berardi. Anzi, dopo averle parlato ho deciso di darvi fiducia, ad entrambi, e se volete continuare con la vostra collaborazione non vi ostacolerò. Ma, come ho già detto alla professoressa Baudino, lo fate a vostro rischio e pericolo. Se ci saranno altri episodi di questo tipo, o peggio, uno scandalo, il dipartimento se ne laverà le mani, le è chiaro?”

“Chiarissimo, signor questore,” replica Gaetano con un sospiro e un mezzo sorriso amaro sulla bocca. Ma del resto sa benissimo che per il questore le pubbliche relazioni vengono prima di tutto. Decide quindi di cambiare discorso e togliersi una curiosità, sapendo che sarebbe assolutamente inutile tentare di ribattere, “e quale sarebbe il secondo motivo per cui sono un uomo fortunato?”
 
“Perché ha una compagna che la ama da morire, Berardi, nel senso letterale del termine. Credo si farebbe perfino ammazzare per lei, sa?” commenta l’uomo, con quella che sembra essere una punta di invidia nella voce.
 
“Ed è proprio questo il problema,” sussurra Gaetano a denti stretti, in un tono inaudibile dal suo superiore, ancora molto irritato con Camilla per il rischio corso il giorno prima.
 
“Deve ringraziare lei se ha evitato un’inchiesta interna: la Baudino è stata molto convincente. Non solo si è offerta di stare lontano dalle indagini e dalla questura, ma perfino di autodenunciarsi per salvarle il posto. Devo ammettere che un po’ la invidio, Berardi e mi continuo a domandare che cosa ci fa lei alle donne…”
 
Gaetano è completamente spiazzato e non sa se essere orgoglioso o infuriato con Camilla, per aver corso un simile rischio per lui. La sola prospettiva di lei indagata o, peggio, in carcere lo atterrisce. Ed allo stesso tempo è incredulo di fronte al tono… ammirato che assume la voce del suo superiore, di solito sempre molto sbrigativo e solo all’apparenza distratto nei modi, quando parla della sua Camilla. Tanto che sente un’assurda ed irrazionale punta di gelosia trafiggergli il cuore.
 
“A questo proposito, Berardi, se mi permette un consiglio, da uomo a uomo,” prosegue il questore, ignaro dei pensieri turbolenti che fanno a pugni nel cervello del suo sottoposto, “se fossi in lei ci andrei cauto con le sue abitudini da Don Giovanni. La Baudino mi sembra il genere di donna che non vorrei mai avere come nemica.”
 
E, mentre un’altra fitta lo colpisce in pieno petto, Gaetano decide che preferisce decisamente non sapere quale tipo di rapporto il questore vorrebbe avere con Camilla.
 
***************************************************************************************
 
“Ma si può sapere perché siete fuggiti e soprattutto perché avete mollato quei diamanti alla professoressa Baudino? Avete presente in che posizione l’avete messa, proprio lei che ha cercato in ogni modo di aiutarvi?” chiede Gaetano a Idris e Sabrina, finalmente riapparsi in questura per chiarire definitivamente la loro posizione.
 
È poco più di una formalità, sa che verranno scagionati e la loro posizione archiviata, con rapidità e discrezione, del resto sono innocenti e in ogni caso il questore è stato chiarissimo in proposito. Però non può evitare di provare rabbia verso di loro per la loro incoscienza, per quello che hanno fatto rischiare a Camilla e a lui, anche se sa che non è del tutto giustificata e che sono solo in minima parte responsabili di quello che è successo.
 
“Lo so, ci dispiace, il suo collega ci ha detto che siete stati aggrediti al nostro posto,” risponde Sabrina, con gli occhi bassi, sembrando sinceramente mortificata e molto diversa dalla ragazza strafottente che aveva conosciuto qualche mese prima.
 
“Però… insomma, con la mia fedina penale, la mia storia familiare e con quel filmato delle telecamere, sapevamo che saremmo sembrati immediatamente colpevoli,” spiega Idris, tormentandosi i dread con le dita.
 
“E che se ci fossimo presentati qui con quei diamanti ci avreste subito arrestato, pensando che eravamo dei ladri, oltre che degli assassini. Invece sapevamo che lei… che se glieli avesse consegnati la prof. a lei avrebbe dato ascolto,” commenta Sabrina, recuperando nel tono e nello sguardo un pizzico di quella malizia che ricordava.
 
“Che cosa intendi dire?” chiede Gaetano, temendo di sapere dove questo discorso andrà a parare, ma non potendo farne a meno.
 
“Beh, dato che lei e la prof. state insieme…” risponde Sabrina, come se fosse la cosa più naturale del mondo, spiazzando completamente Gaetano che si aspettava qualche frecciata sulla sua amicizia con Camilla o qualche insinuazione ma non che i ragazzi sapessero con certezza della loro relazione.
 
“L’avete sentito qui in questura?” non può nuovamente fare  a meno di domandare, conoscendo la predisposizione dei suoi sottoposti al gossip e temendo che, dopo i fatti di ieri, ci sia stata una fuga di notizie. O che la Lucianona abbia parlato. Sulla discrezione di Torre invece, nonostante il carattere espansivo dell’ispettore, è certo di poter contare.
 
“Eh? Ma no, l’abbiamo saputo dai nostri compagni,” replica la ragazza, stupita, guardandolo come se fosse pazzo o lento ad afferrare le cose.
 
“Dai vostri compagni?” chiede conferma, sempre più incredulo.
 
“Certo! Ma come, non mi dica che non lo sa, non gliel’ha detto la prof.?” domanda di rimando Sabrina, appassionandosi e recuperando quello spirito pettegolo che aveva potuto “apprezzare” durante il loro primo incontro.
 
“Detto cosa?”
 
“Che siete l’argomento preferito di gossip al Nelson Mandela da qualche settimana a questa parte. Vi hanno visto baciarvi fuori dalla scuola e…” rivela Sabrina, diventando però improvvisamente esitante.

“E?” la sollecita Gaetano, ricordando benissimo quel bacio e tutto quello che era successo prima, con una Camilla che raramente aveva visto così fragile. A parte la sera prima – gli ricorda la voce della sua coscienza.
 
“E… mettiamola così, è successo nello stesso periodo della nostra fuga e… i ragazzi l’hanno incolpata del fatto che voi ci abbiate cercato a Milano, di averci traditi e ‘venduti’ al nemico, ci sono andati giù un po’ pesante,” interviene Idris, mentre il vicequestore continua a ricordare la prima vera lite avuta con Camilla, proprio per via di quella “soffiata”, ma evidentemente non gli aveva detto tutto.
 
“E allora la prof. si è presentata in classe e ha fatto un discorso fighissimo, di quelli da film, ha presente? E tra le altre cose che ha detto, ha ammesso di essere innamorata di lei. Le lascio immaginare il gossip… Anzi, se vuole lo può vedere,” proclama la ragazza, estraendo un cellulare dalla tasca ed armeggiandoci.
 
“E quel cellulare da dove viene?” domanda Gaetano, dimenticando per un attimo Camilla e il gossip, e ritornando prepotentemente in modalità poliziotto. Sa bene che il cellulare non è uno di quelli di loro proprietà e che, soprattutto, l’utenza telefonica non è una di quelle intestate a loro: i loro telefoni con relative sim-card erano stati trovati, ormai inutilizzabili, nella toilette della loro stanza d’albergo a Milano.
 
“Beh, me l’ha procurato un amico… era un’emergenza, e comunque è colpa mia,” proclama Idris, assumendo un’aria difensiva.
 
“Ok, ok, fingerò di non averlo visto,” risponde Gaetano, con un sospiro, “ma voglio che me lo consegnate subito e che la cosa non si ripeta!”
 
“D’accordo, d’accordo,” concede la ragazza, passandogli il telefono.
 
“E questo cos’è?” chiede Gaetano, osservando una versione un po’ sgranata ma riconoscibile di Camilla sullo schermo del cellulare.
 
“È un video. Uno dei nostri compagni ha ripreso il discorso della prof. – sì lo so che non si potrebbe – e ce l’ha inviato. È stato vedendolo che abbiamo deciso di fidarci di lei. Lo può guardare anche lei, se vuole,” spiega Sabrina con un sorrisetto che non gli piace per nulla.
 
Gaetano esita per un attimo e poi la curiosità lo spinge a far partire il video. L’audio, come la qualità della ripresa, non è delle migliori ma riconosce la voce familiare di Camilla, intenta a parlare. Mano a mano che passano i secondi, la sorpresa lascia lo spazio ad una serie ingarbugliata di sentimenti forti e contrastanti, tra cui prevalgono l’amore e il senso di colpa, che si fa sempre più forte ad ogni parola che ascolta.
 
Frasi come “sono innamorata di un uomo meraviglioso” o “sono molto, ma molto orgogliosa di lui” raggiungono i suoi orecchi e Gaetano non può evitare di darsi mentalmente dell’idiota per aver reagito in quel modo ieri, per essere stato così duro e freddo con lei, oltretutto dopo che aveva appena subito un’aggressione, per quanto se la fosse cercata con la sua testardaggine. Per aver dubitato di lei, del suo amore. Per aver dato più peso a delle parole dette nella foga della discussione, in un momento di rabbia, che a tutte le dimostrazioni che gli aveva dato nelle ultime settimane, dopo tutto quello che avevano vissuto e sperimentato insieme. Dopo tutto quello che lei aveva messo in gioco per lui.
 
E, in mezzo ad una serie di lodi sperticate a lui, come uomo e come poliziotto, di cui dubita di essere davvero degno, ascolta Camilla impegnata ad impartire ai suoi ragazzi una vera e propria lezione di vita. È forse la prima volta che ha occasione di osservarla mentre svolge il suo vero mestiere: anche durante le sue visite e “testimonianze” a qualcuna delle sue classi, aveva parlato soprattutto lui. Non si sorprende nello scoprire che la professoressa Baudino è straordinariamente brillante, tanto quanto la detective Baudino, se non di più.
 
Sente, per l’ennesima volta, quel dolore al petto stranamente piacevole che lo assale da sempre ogni volta che riceve una dimostrazione, diretta o indiretta, di che donna unica ed eccezionale sia Camilla e di quanto gli sia impossibile non amarla di più ad ogni giorno che passa, ad ogni nuovo lato di lei che scopre. E, allo stesso tempo, come contraltare, viene invaso dalla consapevolezza di quanto questo lo renda fragile e vulnerabile.
 
Perché la sola idea di perderla gli è insopportabile, perché sa che per lui non c’è un’alternativa a Camilla, una seconda possibilità, sa che non amerà mai più nessuna quanto ama lei. Ma questo lo porta ancora a ricordare il motivo scatenante della lite del giorno prima e sa anche che c’è una ragione, una sola, per cui sarebbe disposto a rinunciare a lei, a lasciarla andare. Per cui si sentirebbe anzi obbligato ad allontanarla da sé.
 
Ed ora sa cosa deve fare.
 
***************************************************************************************
 
“Finalmente!” esclama una voce familiare, appena apre cautamente la porta di ingresso.
 
Gli occhi cercano di adattarsi all’oscurità e mettono finalmente a fuoco i contorni di una figura altrettanto familiare, anche se decisamente inattesa.
 
“Livietta?” chiede Gaetano, osservando la ragazza, piazzata in mezzo al corridoio con le braccia incrociate e un’espressione accigliata sul volto, “che ci fai qui?”
 
“Aspettavo te,” replica lei, come se fosse la cosa più naturale del mondo, con un tono nella voce talmente serio da non ammettere replica, “anche se cominciavo a temere che non arrivassi più.”
 
Questa conversazione è talmente surreale che Gaetano quasi si chiede se sia tutto un sogno, non fosse che si sente troppo sfinito, esausto ed ogni fibra del suo corpo protesta dopo una notte insonne e due giorni di fuoco. Altro che riposo assoluto. Guarda l’orologio che segna quasi la mezzanotte: anche questa giornata è stata molto, ma molto più lunga del previsto.
 
“Dov’è tua madre? E Tommy?” le domanda, anche se ciò che vorrebbe davvero chiederle è perché ci sia lì lei ad aspettarlo.
 
“Tommy  è in camera mia, si è addormentato un’ora fa e ti garantisco che non è stato facile fargli prendere sonno. È stato agitatissimo tutto il giorno, in realtà è da quando te ne sei andato ieri dopo il litigio con mia madre che è inquieto e la cosa ha continuato a peggiorare. Del resto è da più di un giorno che non ti vede. Mia mamma gli ha spiegato che sei tornato a casa stanotte e che sei dovuto uscire presto stamattina per motivi di lavoro ma non sono sicura che le abbia creduto. Ed è molto strano con lei, molto meno affettuoso del solito. Credo pensi che la colpa della tua sparizione sia sua,” gli spiega Livietta con una punta di rimprovero nella voce.
 
“Capisco,” sussurra Gaetano con un sospiro, sentendosi tremendamente in colpa verso suo figlio, nonostante sappia che, anche volendo, non avrebbe potuto fare altrimenti. Ma in circostanze normali, la sua assenza avrebbe sicuramente turbato Tommy molto meno di così.
 
“E Camilla?”
 
“Mamma è andata in camera sua dopo che Tommy si è addormentato e credo finga di dormire per non farmi preoccupare, o forse vuole starsene da sola, non lo so. Ma penso abbia già passato una nottata insonne, a giudicare dalla faccia che si ritrova, e anche questa sera era a pezzi, Gaetano. Io capisco che tu sia arrabbiato con lei e che si sia comportata male ieri, che abbia esagerato, però se tu la ami come hai sempre detto di amarla e come penso che tu la ami, ti prego di metterti una mano sul cuore e sulla coscienza e di smetterla con questa specie di rappresaglia.”
 
“Livietta…” sospira di nuovo Gaetano, scuotendo la testa tra l’incredulo e l’intenerito, capendo di essersi probabilmente perso parecchio nell’evoluzione del rapporto tra le donne di casa in questi ultimi due giorni, “guarda che se sono rientrato ad orari assurdi negli ultimi due giorni non è per vendicarmi di tua madre, per ripicca, ma perché davvero non potevo fare altrimenti. Con quello che è successo ieri arrestare i due che ci hanno aggrediti e chiudere in fretta il caso Migliasso era diventata una priorità assoluta e improrogabile.”
 
“Non mi stai raccontando una palla, vero?” chiede Livietta, fissandolo negli occhi.
 
“No,” risponde Gaetano sincero e risoluto, “certo, ero parecchio arrabbiato con tua madre, questo non lo posso negare, ma non al punto da desiderare intenzionalmente di farla stare male. O da trascurare mio figlio per questo.”
 
Del resto è un errore terribile che ha già commesso ai suoi tempi con Eva e, qualsiasi cosa succederà con Camilla, Gaetano non ha alcuna intenzione di mettere di nuovo a repentaglio il rapporto con Tommy ricominciando a lavorare fino a tarda notte, se non in caso di emergenza, o a comportarsi come un ventenne senza legami e senza responsabilità.
 
“D’accordo, ma allora hai intenzione di farci la pace e perdonarla o-“
 
“Livietta, credo che queste siano cose che dobbiamo risolvere io e tua madre, lo capisci vero?” la interrompe Gaetano con tono gentile ma deciso, fermo.
 
“Adesso cominci anche tu con i segreti e i misteri?” sbuffa Livietta, fulminandolo con lo sguardo.
 
“Livietta, lo so che sei una ragazza sveglia e di cui ci si può fidare, ma una cosa è essere sinceri e diretti, un’altra è… Ci sono alcune cose che penso debbano rimanere tra due persone, che debbano restare private. Non per sfiducia verso gli altri, ma per rispetto verso la persona con cui si vivono. O vuoi che quando troverai un nuovo ragazzo io ti tartassi di domande, pretendendo tutti i particolari?” le chiede con un sorriso, facendole l’occhiolino.
 
“D’accordo, d’accordo, hai ragione e per la carità: ci sono già mia madre e mio padre che mi fanno il terzo grado, soprattutto mio padre,” concede Livietta, ricambiando il sorriso, ma poi la sua espressione muta nuovamente e ritorna improvvisamente seria.
 
“Gaetano, io mi fido di te, ok? Ti prego, cerca di non deludermi, almeno tu,” afferma, con uno sguardo implorante in quegli occhioni azzurri che gli ricorda quello di una bimba spaurita e che contrasta con la decisione nel suo tono di voce.
 
E, con un’ultima occhiata penetrante, si volta e rientra nella sua stanza, piantandolo lì in mezzo al corridoio, a guardare verso quella porta chiusa con un mezzo sorriso intenerito ed incredulo ancora sulle labbra.
 
Con un profondo respiro, trova finalmente la forza di dare ai suoi piedi l’impulso di riprendere a camminare, dirigendosi verso LA stanza, dove è successo quello che li ha cacciati in questa situazione e dove tutto è cominciato.
 
Gira la maniglia e spinge la porta, ignorando l’istinto di bussare – dettato dal nervosismo e da anni di rigida educazione e disciplina familiare e militare – e immediatamente incontra il suo sguardo. Quegli occhi bellissimi, grandi ed espressivi, da cerbiatta, ma che ora somigliano a quelli di una bestia ferita e che sembrano contenere tutta la stanchezza e il dolore del mondo.
 
“Mi sembrava di avere sentito la porta di ingresso, stavo per venirti a cercare nell’altra camera,” proclama Camilla con una voce ancora più roca e bassa del solito, apparendo sempre più sfinita e rassegnata ad ogni secondo che passa.
 
“Mi ha intercettato Livietta… Mi sembra che le cose vadano meglio tra voi, o sbaglio?” chiede Gaetano, chiudendo la porta dietro di sé e facendo qualche passo per avvicinarsi a lei.
 
“Sì… credo… credo che abbia avuto pietà di me ieri e… ci siamo chiarite, spero in modo definitivo.”
 
“Sono felice che abbiate fatto pace, davvero. Almeno tutto questo… disastro è servito a qualcosa,” risponde Gaetano con un sospiro, sedendosi infine accanto a lei e guadagnandosi un’occhiata sorpresa.
 
“Già…” sospira lei di rimando, voltandosi per guardarlo negli occhi prima di domandargli, in un sussurro incerto e nervoso, “devo di nuovo domandarti dove sei stato fino a quest’ora? O non è necessario?”
 
“No, non lo è… Sono stato in questura, Camilla, a chiarire definitivamente la posizione di Idris e Sabrina, quella dei due bastardi che ci hanno aggredito e a chiudere nel modo più rapido, discreto e a prova di bomba possibile il caso Migliasso. Ormai è tutto in mano al PM e penso che non dovremo più preoccuparcene. Lo so che ho fatto più tardi del previsto ma, sai anche tu quanto fosse grave la situazione, no?”
 
“Sì, lo so, e mi dispiace davvero, Gaetano, credimi,” risponde Camilla, passandosi una mano tra i capelli ed abbassando lo sguardo.
 
“Il questore mi ha detto che ti sei offerta di autodenunciarti per evitarmi un’inchiesta interna,” esordisce Gaetano, dopo un lungo momento di silenzio, chiedendole poi con un tono pacato ma risoluto, “si può sapere come ti è saltato in mente di fare una cosa del genere?”
 
“Forse come a te era saltato in mente di prenderti tutte le colpe al mio posto. Gaetano io non potevo permettere che ti rovinassi la vita per colpa mia, che perdessi tutto per un mio errore. E comunque sapevo quello che stavo facendo, non è stato un gesto così eroico o incosciente: sapevo che era nell’interesse del questore che non mi autodenunciassi e che il tutto finisse rapidamente nel dimenticatoio. Era un rischio calcolato, ma che non potevo evitare di correre.”
 
“Ma se avesse deciso di sfidarti? Di vedere se bluffavi? Camilla, il mio lavoro e la mia reputazione non valgono la tua libertà, la tua incolumità. Preferirei perdere tutto, perfino vivere sotto un ponte che saperti in carcere,” cerca di farle capire lui, sollevandole il mento con le dita per incrociare nuovamente i suoi occhi, “non voglio che tu corra più un rischio simile per me, chiaro?”
 
“Nemmeno io voglio che tu corra più un rischio simile per me, Gaetano. Che ti prenda tu la responsabilità dei miei sbagli… E lo so che in questi giorni ne ho commessi tanti di errori e che sei arrabbiato con me, e ti chiedo nuovamente perdono e ti garantisco che mi dispiace da morire per quello che è successo, ma non credo che sia una colpa amarti o desiderare il tuo bene ancora più del mio. Perché per me è questo che significa amare qualcuno e non posso e non voglio scusarmi per questo,” risponde Camilla, decisa, mantenendo il contatto visivo, “e spero che non dobbiamo litigare anche per questo motivo perché… non ho più  la forza di litigare con te, non stasera.”
 
“Camilla…” sussurra Gaetano, commosso, muovendo la mano fino ad accarezzarle una guancia, “anche per me è esattamente lo stesso e non posso fare a meno di desiderare di proteggerti a qualsiasi costo, così come non sono venuto qui con l’intenzione di litigare ancora con te. Anzi, credo di doverti io delle scuse Camilla, tu ti sei già scusata fin troppe volte e… sono stato troppo duro con te, troppo freddo, e ho sbagliato anche io a dubitare dei tuoi sentimenti per me, dopo tutto quello che abbiamo vissuto insieme in questi ultimi giorni. Dopo tutto quello che hai affrontato per noi due. Ma devi capire che non è facile nemmeno per me, che… dopo tutti questi anni passati a rincorrerti e a sognarti, a desiderarti e a non poterti avere, c’è ancora una parte di me che non può credere alla fortuna che mi è capitata, al fatto che tutto quello che sto vivendo con te sia vero e non sia un sogno da cui avrò un brusco risveglio. Che un giorno non aprirai gli occhi e non ti accorgerai che non sono davvero quello che vuoi.”
 
“Gaetano, tu non ti devi scusare di niente, di niente, hai capito? Il tuo distacco, la tua rabbia e la tua freddezza mi hanno fatto male, molto male, è vero, però… me li meritavo e forse meritavo ancora di peggio. E anche io fatico ancora a credere che tu mi vuoi, così come sono, che, nonostante tutti i miei difetti e tutti i miei casini non ti sei stancato e non ti stancherai di me. E ho… ho paura di perderti: non voglio e non posso perderti,” afferma decisa Camilla, gettando al vento la prudenza e l’orgoglio e abbracciandolo.
 
“Camilla…” sussurra Gaetano, scosso nel profondo dal contatto, dal gesto, dalle parole, non riuscendo più a trattenersi e stringendosela ancora più forte al petto, per quanto gli è consentito dal maledetto ed onnipresente collare.
 
Camilla, nel sentire la reazione di Gaetano, nel sentire quelle braccia e quel calore che la avvolgono, viene travolta da un mix quasi devastante di emozioni, tra cui affiorano preponderanti l’amore e il sollievo.
 
“Camilla,” ripete Gaetano, riportandoli alla realtà dopo essersi persi in quel contatto per un tempo che nessuno dei due saprebbe definire, e staccandosi leggermente da lei per guardarla negli occhi.
 
“Camilla, nemmeno io voglio perderti, anzi, non posso nemmeno sopportare l’idea di dover vivere senza di te, ma proprio per questo c’è una cosa, una sola di cui anche io non posso e non voglio scusarmi con te e su cui non cambio idea. Sai a cosa mi riferisco vero?” le chiede, accarezzandole il viso.
 
“Sì, lo so,” conferma lei, annuendo solenne.
 
“Il questore… il questore mi ha detto anche che ti eri offerta di rinunciare per sempre alle indagini per evitarmi l’inchiesta. L’avresti fatto davvero?” le chiede osservandola come a volerle leggere nell’anima.
 
“Certo che l’avrei fatto, senza esitazioni!”
 
“Mentre ora… ti ha autorizzata, ci ha autorizzati a proseguire con le nostre indagini ma a-“
 
“A nostro rischio e pericolo?” interviene Camilla, imitando la voce e la cadenza del questore.
 
“Esatto,” conferma Gaetano, non riuscendo a trattenere un sorriso ma ritornando immediatamente serio, “e questo rende di ancora più vitale importanza, se possibile, quello che ti ho detto ieri, quello che ti ho chiesto ieri. Sul porsi dei limiti e sul fermarsi. Perché al prossimo passo falso di questo tipo ci giochiamo davvero tutto Camilla, sempre se sopravviviamo.”
 
“Lo so,” ribadisce lei con un sospiro amaro e pieno di consapevolezza, “e quindi cosa… cosa proponi che facciamo?”
 
“Camilla, rispondimi sinceramente,” esordisce Gaetano, inspirando aria e preparandosi a fare quella domanda che lo tormenta fin da quel pomeriggio, o forse fin da ieri, “se… se adesso te lo chiedessi io, se ti chiedessi di fermarti di… di rinunciare alle indagini, per non mettere in pericolo il mio lavoro, tu lo faresti?”
 
Camilla lo guarda per qualche secondo, con un’espressione indecifrabile, mentre entrambi paiono trattenere il respiro.
 
“Tu non me lo chiederesti per un motivo del genere, Gaetano. Io ti conosco e so che uomo sei, so che non mi imporresti di rinunciare a qualcosa che amo fare. E soprattutto so che, se mi trovassi di nuovo nella posizione di poter aiutare qualcuno ad avere giustizia o di evitare una condanna ad un innocente, tu non me lo impediresti, non mi chiederesti di voltare loro le spalle, almeno non per salvaguardare la tua carriera. Perché per te la carriera, il prestigio, l’immagine, non sono mai venuti prima delle persone, Gaetano, prima della verità. So che mi pregheresti di rinunciare, di fermarmi, solo per una ragione davvero grave, solo se ci fosse di mezzo la mia incolumità, il mio benessere, o quello delle persone che amiamo. E quindi, se tu me lo domandassi, certo che lo farei. Ma so che non me lo chiederai oggi e ti garantisco che non avrai mai bisogno di chiedermelo, perché saprò fermarmi da sola, prima di arrivare a quel punto. Quello che è successo in questi due giorni è stata una lezione che non mi scorderò finché vivo.”
 
“Hai ragione, non te lo chiederò e spero vivamente di non doverlo mai fare,” conferma Gaetano con un sorriso pieno di orgoglio e di amore per questa donna straordinaria che lo conosce e sa leggergli dentro perfino meglio di quanto lo sappia fare lui stesso, “e anche io non voglio mai più ritrovarmi a vivere due giorni come questi, professoressa.”
 
“Gaetano…” sussurra lei, emozionata, ritrovandosi di nuovo in un abbraccio talmente stretto da togliere il fiato e che è come una boccata di ossigeno dopo un’estenuante maratona.
 
“Camilla, ascoltami, c’è un’ultima cosa che vorrei sapere,” le sussurra all’orecchio, distanziandosi nuovamente quanto basta per guardarla negli occhi ma mantenendola saldamente tra le sue braccia, “ho parlato con Idris e Sabrina e… perché non mi hai mai detto di quella scritta sulla lavagna, Camilla? O che, a parte la storia della soffiata, anche la nostra relazione ti stava creando così tanti problemi con i tuoi studenti?”
 
“Ma come siete venuti in argomento? È stata Sabrina immagino…” commenta Camilla con un sospiro, scuotendo il capo.
 
“Diciamo che l’amore per il pettegolezzo di Sabrina Migliasso è sopravvissuto molto bene perfino alla latitanza, e comunque non divagare, professoressa,” ribatte lui con un sorriso.
 
“Se non te ne ho parlato è perché, a parte la soffiata, di cui in effetti eri responsabile e di cui avevamo già ampiamente discusso, per il resto non volevo che ti sentissi in colpa per qualcosa di cui… non avevi colpa.”
 
“Camilla…” ripete lui con un sorriso, accarezzandole il viso quasi con adorazione, “anche io ti prometto che mi impegnerò al massimo perché tu non abbia più problemi di questo tipo. Forse potremmo riassumere quello che abbiamo imparato da… da questi giorni, con una sola regola, che le racchiude tutte: niente più segreti, o omissioni. Dobbiamo fare davvero un lavoro di squadra e consultarci prima di ogni decisione importante che ci riguarda, salvo emergenze. E non solo nelle indagini.”
 
“Sono perfettamente d’accordo. Anche perché adoro fare squadra con te Gaetano, nelle indagini e… in privato,” risponde lei facendogli l’occhiolino.
 
“Hai un’idea di quanto ti amo?” le sussurra all’orecchio, stringendola nuovamente a sé.
 
“Ti amo anche io, da morire,” gli sussurra di rimando Camilla, per poi aggiungere, dopo un attimo di silenzio, “anche se forse, data la causa scatenante del nostro litigio degli ultimi giorni, dovrei usare una diversa locuzione avverbiale.”
 
Si guardano e scoppiano a ridere quasi contemporaneamente, come due ragazzini.
 
Ma è una risata di breve durata, che lascia spazio ad un silenzio carico di elettricità. Gli occhi si socchiudono, i respiri si mischiano e poi si fondono in un bacio dolce ma straordinariamente intenso.
 
Con un gesto rapido ed istintivo, Gaetano si libera del collare e lo getta alle sue spalle, dedicandosi poi con altrettanta premura ad esplorare quel collo che da sempre l’ha fatto impazzire.
 
Senza rendersene praticamente conto, Camilla si ritrova distesa sul letto, coperta solo dal peso e dal corpo di Gaetano, la camicia da notte scomparsa sotto l’esplorazione lenta ma inesorabile delle mani e della labbra di lui.
 
Lottando contro la nebbia che l’avvolge, gli solleva il capo con delicatezza fino a incrociare i suoi occhi, uno sguardo interrogativo nelle iridi azzurre.
 
“Qualcosa non va?” le domanda, preoccupato.
 
“In effetti sì: non ti sembra di essere un po’ troppo vestito, Gaetano?” gli sussurra con un sopracciglio alzato, spingendolo sul materasso e cominciando a liberarlo di tutti quegli indumenti che sono ormai una barriera insopportabile tra di loro.
 
Ad ogni pezzo di stoffa che vola sul pavimento, ad ogni centimetro di pelle scoperta, ad ogni bacio, ad ogni carezza si sentono entrambi infinitamente più leggeri, mentre tutta la stanchezza sembra evaporare e diventare solo un flebile rumore di sottofondo, soffocato dall’armonia di gesti, sguardi e sensazioni che stanno componendo insieme.
 
Non c’è fretta, né ansia, né disperazione: si prendono tutto il tempo per esplorarsi, per amarsi davvero, preoccupandosi più del piacere dell’altro che del proprio, più del viaggio da fare insieme che della meta da raggiungere. È una dichiarazione d’amore, un rassicurarsi a vicenda che sono ancora lì, insieme, più uniti che mai, e che non hanno alcuna intenzione di mollare la presa, di lasciarsi andare.
 
È la dolcezza, la tenerezza, più che la passione, ma di un’intensità assurda, inconcepibile ed indefinibile, che li invade, li svuota e li riempie fino a tracimare, lasciandoli tremanti, esausti, appagati, liquefatti in uno stato di lucida incoscienza, senza più riuscire a capire e a definire dove inizi l’uno e dove finisca l’altro.
 
Ma nessuno dei due ne sente la benché minima necessità: il mondo è assolutamente perfetto così.
 
***************************************************************************************
 
“Papà, papà…”
 
Un lamento nel buio, due braccine che si stringono a tenaglia intorno alla sua vita.
 
“Tommy, Tommy…” lo chiama, accarezzandogli i capelli, “svegliati stai sognando.”
 
“Dov’è papà?” le domanda con la voce ancora impastata dal sonno, aprendo leggermente gli occhi e guardandola nell’oscurità.
 
“Il tuo papà è con la mia mamma, piccoletto, credo stiano facendo la pace.”
 
“Davvero?” le domanda, spalancando gli occhioni con un’espressione piena di speranza, di aspettative e di fiducia che le scalda il cuore e che le ricorda fin troppo sé stessa, qualche anno prima.
 
“Davvero. Dai, adesso dormiamo che è tardissimo, ok? Li vedremo domattina a colazione,” lo rassicura con il tono più sereno e convincente di cui è capace, scompigliandogli ancora di più i capelli.
 
“Ok,” sospira il bambino con un mezzo sorriso, richiudendo gli occhi ed abbracciandola fortissimo.
 
E mentre sente il respiro lieve come quello di una piuma farsi sempre più tranquillo e cadenzato, mentre sente la presa allentarsi fino ad afflosciarsi, lo strano calore continua a bruciare, e la invade un improvviso e sconosciuto istinto di protezione.
 
Non ha mai desiderato un fratellino o una sorellina e non sa se sia questo che si prova ad essere una “sorella maggiore”, ma, decide, qualsiasi cosa sia questa sensazione, non le dispiace affatto.
 
***************************************************************************************
 
“Resta qui stanotte…”
 
Poco più di un sussurro nel silenzio che avvolge, insieme alle lenzuola attorcigliate, i loro corpi nudi e legati in un abbraccio che nessuno dei due ha né l’intenzione, né la forza di sciogliere.
 
Abbassa il capo e incontra nell’oscurità due fari che lo fissano da sotto la cascata di ricci che gli solletica il petto.
 
“Dovrebbero trascinarmi via con la forza, per smuovermi da qui, professoressa.”
 
Un sorriso, un bacio, le mani che si cercano, le dita che si intrecciano sotto le lenzuola.
 
E, finalmente, il sonno.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Family Portrait - Tommy ***


Nota dell’autrice: Sono stata indecisa fino all’ultimo se pubblicare questo capitolo così come lo leggerete o meno, perché in origine doveva essere solo la prima parte di un capitolo sulla vita di famiglia, ovviamente allargata nel nostro caso, e sui figli ;). La prima parte è più intima e casalinga, la seconda decisamente ma decisamente movimentata e si svolge fuori dalle mura domestiche. Alla fine ho deciso che insieme era troppo ma troppo lungo, anche per i miei standard, quindi ecco a voi la prima parte, la buona notizia (forse, se ancora non vi ho annoiato) è che, dato come sto proseguendo a scrivere, la seconda parte non tarderà molto. Come sempre i vostri pareri mi aiutano a migliorare e ad evitare di conciliarvi il sonno con i miei scritti ;).
 
Un’ultima anticipazione: in origine questo capitolo e il prossimo, quando erano ancora un solo capitolo, avrebbero dovuto chiamarsi “la quiete prima della tempesta”, anche se poi l’ho accantonato perché la seconda parte tanto quieta non è, anzi. Ma chi indovina quale sarà la tempesta che attende i nostri protagonisti alla fine di questo “ritratto di famiglia” ;)? A presto!

 
Capitolo 20: “Family Portrait - Tommy”


Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro 
 


“Papà… papà…”
 
Il suono, che aumenta di volume e disperazione a ogni secondo che passa, lo ridesta bruscamente dalle braccia di Morfeo – e di Camilla – tra le quali dormiva tranquillo: non c’è sveglia più potente o efficace della voce di suo figlio.
 
Si guarda intorno, nella stanza ancora in penombra, ma non lo vede. Cerca di sciogliersi delicatamente dalla stretta di Camilla per mettersi a sedere senza svegliarla. Fatica inutile.
 
“Gaetano?” domanda con uno sbadiglio, aprendo gli occhi e guardandolo interrogativamente. Ma poi, sentendo la voce del bimbo, spalanca gli occhi, si alza alla velocità della luce ed esclama preoccupata, “Tommy!”
 
Si guardano per un secondo negli occhi, gettano un’occhiata verso l’orologio, che segna le cinque del mattino, si scambiano poi uno sguardo imbarazzato e abbassano gli occhi verso il pavimento, dove giacciono alla rinfusa i loro indumenti.
 
Nel giro di pochi secondi, in contemporanea, Camilla recupera da terra la camicia da notte e la indossa meglio che può, mentre Gaetano si infila i boxer, raccoglie a tempo di record i suoi vestiti dal pavimento, buttandoli su una sedia e si avvia di corsa verso la porta, aprendola.
 
“Tommy!” chiama, mettendo a fuoco nell’oscurità i mobili del salone e finalmente lo vede che vaga tremante vicino ai divani.
 
Il bimbo si gira verso la voce del padre, guardandolo con due occhioni pieni di lacrime che si spalancano ancora di più.
 
“Papà!” grida, correndogli incontro ed attaccandosi alle sue gambe come una morsa.
 
“Tommy, cosa c’è? Non stai bene?” chiede Gaetano preoccupato, accarezzandogli i capelli ed abbassandosi per prenderlo in braccio.
 
“Ho sognato… ho sognato che eri sparito e non riuscivo più a trovarti, ti cercavo dappertutto ma non ti trovavo e… e allora mi sono svegliato e sono venuto in camera nostra e non c’eri e…” spiega il bimbo, buttandogli le braccia al collo tra i singhiozzi e le lacrime, agitatissimo e praticamente in panico.
 
Ogni parola è una pugnalata al cuore per Gaetano, che stringe ancora più forte suo figlio al petto e cerca di cullarlo e accarezzarlo per calmarlo.
 
“Shh, stai tranquillo, è stato solo un brutto sogno, sono qui… sono qui e non vado da nessuna parte, hai capito?” gli sussurra cercando di tranquillizzarlo.
 
Sente dei passi alle sue spalle e si volta verso Camilla, che li osserva con uno sguardo malinconico e pieno di sensi di colpa che, ne è sicuro, riflette il suo.
 
La donna allunga una mano per accarezzare la schiena del bimbo, che si volta e la guarda con gli occhioni ancora lucidi.
 
“Scusami, Tommy, è colpa mia: è che… è che stanotte non volevo dormire da sola e ho chiesto al tuo papà di farmi compagnia. Sapevo che eri con Livietta e non ho pensato che ti saresti potuto svegliare e spaventare non trovandolo nello studio.”
 
Del resto ormai il bimbo ha visto il padre uscire dalla sua stanza da letto ed è inutile nascondere che abbiano passato la notte insieme. Ringrazia il cielo che non li abbia sorpresi a letto, nudi per giunta, ma che si sia fermato prima di arrivare alla porta. Tra le emozioni e il sonno, la sera prima avevano entrambi gettato la cautela al vento e non avevano preso i necessari accorgimenti in caso di risveglio notturno del bimbo. Un errore che, Camilla si ripromette, non dovrà più ripetersi.
 
“Ma hai paura anche tu a dormire da sola? Tu sei grande!” ribatte Tommy spalancando gli occhioni con sguardo curioso.
 
“Ogni tanto anche i grandi hanno paura a dormire da soli,” ammette Camilla, accarezzandolo di nuovo, “anche se fanno finta di niente.”
 
“Ma quindi avete fatto la pace?” chiede Tommy, alternando lo sguardo tra lei e il padre, “e vi volete di nuovo bene?”
 
“Ma certo che ci vogliamo bene, moltissimo!” lo rassicura Gaetano, dandogli un bacio sulla fronte e facendogli leggermente il solletico su un fianco per farlo ridere.
 
“Tommy…” sussurra Camilla, intenerita, circondando entrambi in un abbraccio “io voglio un bene immenso al tuo papà e non ho mai smesso di volergliene. E voglio un bene immenso anche a te. Siete i due uomini più importanti del mondo per me.”
 
“E Renzo?” chiede Tommy dopo un attimo di silenzio, fissandola con uno sguardo indagatore degno del padre e facendole quasi andare di traverso la saliva per la sorpresa.
 
“Renzo?” domanda Camilla di rimando, gettando uno sguardo interrogativo a Gaetano che appare scioccato quanto lei per l’uscita del figlio.
 
“Siete sposati, no? E quindi ci dovresti volere più bene a lui che a tutti gli altri maschi. Nelle storie e nei film è così,” replica Tommy come se stesse enunciando una verità assoluta, “anche se però è da tanto che non c’è qui. Prima c’era sempre e guardava storto a papà se veniva qui e anche un po’ a me. E gli dava fastidio e si arrabbiava se tu volevi bene a papà.”
 
Camilla lancia un’altra occhiata a Gaetano che le fa un cenno con la testa come a confermarle che non sono idee che gli ha messo in testa lui. Del resto, ne ha avuto conferma anche di recente, i “piccoli” spesso vedono molto di più di quanto i grandi immaginino.
 
Con un ulteriore sguardo, il “via libera” alle spiegazioni, ormai inevitabili, è concesso da un Gaetano decisamente in apprensione. Per un tacito accordo, si siedono sul letto mezzo sfatto, Tommy ancora in braccio a Gaetano, il cui collo può però tirare un sospiro di sollievo.
 
“Beh, vedi Tommy, come posso spiegarti?” esordisce Camilla, prendendo tempo e cercando le parole giuste, “è vero che di solito ci si sposa perché ci si vuole tanto, ma tanto bene, perché ci si ama, che è un tipo di voler bene grande grande che capita poche volte nella vita. Ma non è che ci si ama automaticamente solo perché si è sposati. Capisci cosa voglio dire?”
 
“Che si può essere sposati e non volersi bene?” chiede Tommy, confuso.
 
“Più o meno… Diciamo che a volte ci si sposa e ci si vuole tanto bene, ci si ama, ma poi capitano delle cose e… l’amore finisce,” cerca di spiegargli Camilla, sapendo di starsi andando a impelagare in un discorso complicato e guarda Gaetano come per cercare supporto e consiglio.
 
“Quindi tu a Renzo non ci vuoi più bene? È per questo che non c’è più?” chiede Tommy con lo sguardo corrucciato come quando si sta concentrando su un disegno dei suoi.
 
“Io voglio molto bene a Renzo, Tommy ma… ma non ci amiamo più, e quindi non stiamo più insieme. Adesso lui è via per lavoro, presto tornerà e verrà qui anche spesso, ma non vivrà più qui con me e Livietta, capisci?”
 
“Come te e la mamma?” chiede Tommy, guardando il padre con aria malinconica.

“Sì, come me e la mamma,” conferma Gaetano, accarezzandogli i capelli.
 
“Ma quindi adesso tu ti sposi con papà?” domanda a Camilla con gli occhioni spalancati, mentre i due adulti rimangono pietrificati, non sapendo bene cosa rispondere e guardandosi come a decidere chi debba parlare.
 
“Come ti è venuta questa idea?” chiede infine Gaetano al figlio, quando recupera l’uso della voce.
 
“Beh, perché Camilla, tu hai detto che ci si sposa se ci si vuole tanto, tanto bene e hai anche detto che papà è l’uomo a cui vuoi più bene di tutti, no? A parte me, ma io sono piccolo ed è diverso,” proclama con tono solenne, come un novello Sherlock Holmes che snocciola le sue deduzioni logiche.
 
“Ma Tommy, cioè, per sposarsi innanzitutto non basta volersi bene, bisogna amarsi, essere fidanzati, e-“ esordisce Gaetano, cercando di prenderla alla larga e di lavorare sul filo delle omissioni, ma viene subito interrotto dal bimbo.
 
“Ma voi siete fidanzati, no?” domanda Tommy, squadrando il padre e Camilla con un’aria da interrogatorio che su quel visino è assolutamente adorabile.
 
“Come ti è venuta questa idea?” chiede nuovamente Gaetano, sbalordito di fronte alle intuizioni e ai discorsi del figlio.
 
“Perché dormite insieme, e tu ci dormivi insieme con le tue fidanzate,” replica il bimbo, deciso, nonostante il suo tono assuma una nota di rimprovero sulla parola “fidanzate”.
 
Gaetano è ormai bordeaux e spia di sottecchi la reazione di Camilla, che lo fulmina con un’occhiata decisamente eloquente, mentre scuote la testa incredula.
 
“Beh, ma non si dorme mica solo insieme alle fidanzate. Si può dormire nella stessa stanza anche con degli amici, delle amiche, con i propri genitori, o i figli, o i fratelli,” ribatte Gaetano, cercando di parafrasare meglio che può, dato che Tommy non ha ancora l’età per una spiegazione sulla differenza tra amore e sesso e che non l’avrà ancora per parecchi anni. Almeno spera, perché sta già andando in panico così, “e poi mica mi sono sposato con le mie “fidanzate” come le chiami tu, no?”
 
“No, però a loro non ci volevi bene come vuoi bene a Camilla, giusto?” chiede Tommy, sempre più deciso, mentre Gaetano comincia a non sapere più che pesci pigliare e Camilla li osserva tra il divertito, l’intenerito e l’imbarazzato. E il terrorizzato pensando ad Eva, a dire il vero.
 
“Giusto, è vero, hai ragione,” ammette Gaetano, sapendo che non può più omettere, che dovrebbe mentire a suo figlio per togliersi da questa situazione. E non ha alcuna intenzione di ingannarlo, di rimandare una spiegazione che comunque non avrebbe tardato ad arrivare. Di rischiare di perdere la sua fiducia, duramente conquistata. Nemmeno per paura di Eva.
 
“Hai ragione Tommy, è vero, io… io sono innamorato di Camilla, la amo e-“
 
“E anche io amo il tuo papà,” interviene Camilla, prendendo la mano di Gaetano, appoggiata vicino a lei sul materasso e sorridendo a lui e al bimbo.
 
“Quindi siete davvero fidanzati?” chiede conferma Tommy, con un tono inaspettatamente mesto.
 
“Sì, stiamo insieme,” conferma Gaetano, accarezzandogli i capelli con aria rassicurante.
 
“Da quando? E perché non me l’avete detto?”
 
“Da… da non molto. Prima eravamo solo amici. E se non te l’abbiamo detto è perché… perché sono successe tante cose in questi giorni, tra il cortocircuito, il fatto che siamo venuti ospiti qui e poi volevo aspettare che tornasse anche tua mamma per poterne parlare tutti insieme,” cerca di spiegare Gaetano, con il massimo dell’onestà possibile, data l’età di Tommy.
 
“Ma allora è per quello che Renzo è andato via? Perché ti sei fidanzata con papà?”
 
“Non proprio. Se io e Renzo ci siamo lasciati è perché non ci amavamo più. E se poi mi sono ‘fidanzata’ con il tuo papà è perché mi sono resa conto che invece lui per me non era solo un amico, che non gli voglio bene e basta, ma che lo amo. Diciamo che la presenza del tuo papà mi ha aiutata a capire che non amavo più Renzo e che probabilmente nemmeno lui amava più me, ma questo non dipende solo dal tuo papà, ma anche da tante altre cose successe tra me e Renzo. È complicato lo so…” sospira Camilla, decidendo che c’era un motivo per cui la sua memoria aveva deciso di glissare e dimenticare la fase dei perché di Livietta e quanto potesse essere complicato ritrovarsi sotto l’interrogatorio di qualcuno così innocente, schietto e senza filtri.
 
“No, ho capito, credo…” mormora il bimbo, con una voce sempre più malinconica.
 
“Tommy…. c’è qualcosa che non va? Non mi sembri molto contento...” non può evitare di commentare Gaetano, sorpreso dalla reazione del bimbo, “ma ho sempre pensato che saresti stato felice se mi fossi ‘fidanzato’ con Camilla e di avere il tuo permesso ufficiale per farlo, dato che ti è sempre stata molto più simpatica di tutte le mie ‘fidanzate’ e che so che le vuoi molto bene.”
 
Camilla e Gaetano si guardano ed attendono il verdetto trattenendo il fiato.
 
“Io ti voglio bene, Camilla, tanto, tanto, tanto,” afferma Tommy guardandola serio e mettendo la sua manina tra quelle unite dei “grandi”, per poi girarsi verso il padre e aggiungere, “però papà, sono triste perché… perché le tue vecchie fidanzate dopo poco non tornavano più e… anche quando stavi con la mamma, poi vi siete lasciati e non sei più tornato a casa, non ci venivi quasi mai a trovare e continuavate a litigare. E adesso litigate anche voi, anche se questa volta avete fatto la pace, ma in questi giorni non c’eri e io-“
 
“Tommy,” lo interrompe Gaetano, abbracciandoselo fortissimo al petto e sentendosi uno schifo al ricevere l’ennesima conferma di quanto la sua assenza in questi anni abbia inciso sulla vita di suo figlio e di come l’abbia portato ad avere paura dell’abbandono. E, se ne rende conto, non è una ferita che si rimarginerà in fretta: ci vorranno tanto tempo e tanta costanza per rimediare agli errori enormi commessi in passato.
 
Scambia un’occhiata con Camilla che li guarda con gli occhi lucidi e che gli fa segno per chiedergli se vuole che lei si allontani, perché possano parlare da soli in tranquillità, ma Gaetano scuote il capo, implorandola con gesti e sguardi di restare.
 
“Tommy, ascoltami bene,” esordisce Gaetano, col tono più sincero, deciso e rassicurante di cui è capace, allentando la presa per guardare suo figlio negli occhi, “se io e Camilla abbiamo litigato non è perché adesso stiamo insieme, penso proprio che avremmo litigato comunque e avremmo fatto comunque pace. E non significa che d’ora in poi litigheremo sempre, anzi, spero di non litigare mai più con lei. Ma quando ci si vuole bene e si passa tanto tempo insieme è normale che ogni tanto ci siano delle discussioni, ma questo non significa che ci si voglia meno bene o che ci si debba lasciare per forza. Inoltre se sono stato via in questi giorni non era perché ho litigato con Camilla, ma perché avevo un’emergenza sul lavoro, un caso da risolvere subito e che si è finalmente chiuso qualche ora fa. Lo sai che col mestiere che faccio a volte mi tocca fare tardi o fare orari strani, e capiterà ancora, ma questo non ha nulla a che fare né con Camilla, né con te, né con quello che provo per voi, chiaro?”
 
“Papà…”
 
“E soprattutto, ti prometto che qualsiasi cosa succeda o non succeda tra me e Camilla o tra me e qualsiasi altra persona, io non ti lascio, chiaro? Io ci sarò sempre per te, Tommy, sempre, tu sei la cosa più bella che ho nella vita e questo non cambierà mai, mai, sia che io stia da solo, sia che io stia in coppia con Camilla o con chiunque altra. Lo so che non ci sono sempre stato in passato e non hai idea di quanto questo mi faccia stare male, ma ti prometto che non capiterà mai più, ok?”
 
“Papà…” sussurra di nuovo Tommy, trovandosi stretto in un abbraccio fortissimo e lunghissimo.
 
“Sei più tranquillo adesso?” chiede Gaetano al figlio, quando infine si separano, scompigliandogli i capelli.
 
“Sì, però… Camilla, io ti voglio bene anche a te e a Livietta e a Potti e… non voglio che sparite se ti lasci con papà, come le sue altre fidanzate,” dichiara Tommy, incrociando lo sguardo commosso della donna con il suo e facendole provare una nuova, immensa ondata di tenerezza.
 
“Amore, vieni qui,” sussurra, allargando le braccia, in cui il bimbo si fionda, senza farselo ripetere due volte. Gli bacia il viso e i capelli e se lo culla un attimo, come ha già fatto tante altre volte e come non si stancherebbe mai di fare.

“Tommy, innanzitutto io non ho alcuna intenzione di lasciare il tuo papà, quindi sia tu che lui dovrete sopportarmi ancora per tanto, tanto tempo-“
 
“E anche io non ho alcuna intenzione di lasciare Camilla, Tommy: non ci penso nemmeno,” interviene Gaetano, passando un braccio intorno alle spalle di Camilla e l’altro intorno alla schiena di Tommy, unendo i due amori della sua vita in un’unica grande stretta.
 
“E comunque, le altre fidanzate del tuo papà erano anche amiche tue, Tommy, come lo siamo io e te?” chiede Camilla, appoggiandosi a Gaetano e stringendo ancora di più il bimbo.
 
“No, anzi mi erano pure antipatiche e mi guardavano sempre male,” risponde Tommy, con una smorfia schifata che è talmente comica che i due adulti devono trattenere a stento una risata.
 
“Ecco, mentre invece io e te siamo amici, no? E ci vogliamo tanto bene, giusto? E ce ne volevamo anche prima che io e il tuo papà ci fidanzassimo, no?”
 
“Sì, certo!”
 
“Quindi anche se un giorno io e il tuo papà ci dovessimo lasciare, cosa che spero non capiti mai, io comunque continuerò ad essere amica tua e a volerti bene, Tommy. E anche Livietta e Potti, ovviamente. Magari non ci vedremmo più tanto spesso come in questi giorni, ma non sparisco mica e ci sarò, ci saremo sempre per te, se lo vorrai e se il tuo papà è d’accordo, come penso che sia,” lo rassicura Camilla con un sorriso, guardando Gaetano.
 
“Ma certo, Tommy, non ti impedirei di vedere Camilla anche se… anche se non dovessimo più stare insieme, questo non c’entra con te,” conferma l’uomo, anche se nell’intimo del suo cuore spera che non succeda mai. Ha già passato un decennio a frequentarla senza poterla avere ed è stata una tortura, ma dopo aver provato cosa vuol dire condividere le giornate, la vita con lei, avere il suo amore, tornare ad essere un semplice conoscente sarebbe mille volte peggio. Ma la felicità di Tommy viene prima di tutto.
 
“Promesso?” chiede il bimbo, guardandoli con la fronte corrucciata in uno sguardo serissimo.
 
“Promessa solenne!” esclamano i due adulti all’unisono, come capita fin troppo spesso ultimamente, guardandosi poi di sottecchi con un sorriso complice.
 
Per tutta risposta, Tommy si rifugia ancora più a fondo in questo abbraccio di gruppo, godendosi le coccole di suo padre e di Camilla.
 
“Tommy! Tommy, dove sei?” li raggiunge all’improvviso la voce preoccupata di Livietta, ridestandoli dal mondo di coccole e solletico in cui erano immersi da un po’.
 
“Livietta!” esclama Camilla, chiamando la figlia che, dopo poco, compare sulla soglia, fermandosi di fronte a quella scena, mentre la sua espressione muta dall’agitato all’intenerito.
 
“Ma che c’è? Una festa notturna?” chiede con un sorriso, intuendo perfettamente cosa sia successo e mascherando il suo imbarazzo nel notare “piccoli dettagli” come la camicia da notte della madre messa al rovescio, Gaetano in boxer e la cascata informe di vestiti su una sedia, “posso partecipare anche io o è solo su invito?”
 
“No, anzi, scusa, ti abbiamo svegliata noi?” chiede Camilla imbarazzata più della figlia, gettando uno sguardo verso l’orologio ed esclamando, “oddio ma sono già le sei?”
 
“Sì, infatti,” commenta la ragazza con un sospiro, stropicciandosi gli occhi, “e ormai è inutile tornare a dormire… Meno male che è l’ultimo giorno di scuola e domani è sabato.”
 
“Già…” commenta Camilla con un sospiro: non fosse l’ultimo giorno di scuola anche per lei, dopo le ultime due nottate sarebbe davvero tentata di prendersi un giorno di riposo. Ma il dovere chiama e poi avrà parecchio tempo per riprendere le forze.
 
“Sentite, e se, per festeggiare l’ultimo giorno di scuola delle donne di casa, approfittassimo della levataccia e ce ne andassimo in un posto fantastico a mangiare i bomboloni? Mi ci ha portato Torre una volta e sono buoni come quelli di Roma,” propone Gaetano con un sorriso, per stemperare la tensione.
 
“Sìììììììììììììììì!” grida Tommy entusiasta, saltando giù dal letto.
 
“Chi arriva per ultimo in bagno offre a tutti!” esclama Livietta di rimando, correndo fuori dalla porta, inseguita a ruota dal bimbo.
 
“Tu non oseresti metterti in competizione con un povero infermo, vero professoressa?” chiede Gaetano con sguardo innocente, trattenendola tra le braccia e offrendole il suo sorriso più accattivante.
 
“E tu non oseresti fare pagare una signora, vero, caro il mio vicequestore?” ribatte lei, sbattendo esageratamente le ciglia.
 
“E se in bagno ci arrivassimo… a pari merito?” le sussurra in un orecchio, non resistendo e mordendole il lobo.
 
“Sì, e magari ci facciamo una lunga, lunga doccia,” mormora lei languida, accarezzandogli i fianchi, per poi mollargli un pizzicotto a tradimento ed aggiungere un eloquente, “fredda!”, liberandosi dalla presa e saltando in piedi.
 
“Camilla…” esala Gaetano, frustrato, fissandola in un modo che la fa sentire la donna più desiderata del pianeta, e che promette meraviglie da mille una notte, se solo lei cambiasse idea.
 
“Non fare quello sguardo, che non attacca: non ti è bastato il pericolo scampato di stamattina? O vuoi spiegarglielo tu a Tommy perché gli adulti ogni tanto oltre ad avere paura del buio non sono nemmeno capaci di farsi il bagnetto da soli?”
 
“Va bene, va bene, hai vinto!” sospira Gaetano, ammettendo la sconfitta solo per un secondo, per poi rilanciare, con il sorriso più sornione che possiede, “però, dato che ormai Tommy sa tutto, sappi che stasera sei tutta mia, professoressa!”
 
“Vedremo, Gaetano, vedremo,” ribatte lei, stampandogli un rapido bacio, facendogli l’occhiolino e correndo verso la porta.
 
“Corri, corri, che tanto non mi scappi,” mormora tra se e sé con un sorriso, alzandosi dal letto e preparandosi a quella che si prospetta essere finalmente una buona giornata.
 
***************************************************************************************
 
“Metto Tommy a letto e ti raggiungo,” le sussurra in un orecchio, prendendo in braccio il bimbo, che si era addormentato placidamente tra loro verso il finire di “Ralph Spaccatutto” – ormai sui film d’animazione Disney avrebbero potuto scriverci entrambi una tesi di laurea.
 
E , del resto, data la levataccia della mattina, Tommy aveva già resistito sveglio per tante ore.
 
Tra Livietta che si fermerà a dormire a casa di una sua amica dopo la cena di classe e Tommy che pare una pera cotta, entrambi pregustano già un po’ di tempo tutto per loro.
 
Gaetano distende Tommy sul divano-letto, lo copre col lenzuolo, gli stampa un bacio sulla fronte ma, come fa per alzarsi, il bimbo apre gli occhi assonnati, fissandolo intensamente.
 
“Papà, dove vai? Vai a dormire con Camilla come ieri?”
 
“Beh, se a te va bene, sì, se no dormo qui con te, Tommy. Però lo sai che non deve diventare un’abitudine quella di non dormire da solo, vero? Tra qualche giorno torniamo a casa nostra e c’è la tua cameretta che ti aspetta,” spiega al bimbo, accarezzandogli i capelli.
 
“Torniamo a casa lo stesso? Anche se adesso ti sei fidanzato con Camilla?” chiede Tommy, stupito, mettendosi a sedere e risvegliandosi del tutto.
 
“Beh, sì. Te l’avevo detto che siamo solo ospiti qui e che saremmo tornati a casa appena finiti i lavori, no? E non manca molto, giusto qualche giorno, credo. E poi, anche se due persone sono ‘fidanzate’ non è detto che debbano vivere insieme per forza.”
 
“Ma quindi non vuoi vivere con Camilla? Non ti piace stare qui?”
 
“Certo che mi piace vivere con Camilla e stare qui, Tommy, però decidere di vivere insieme a una persona è un passo importante e io e Camilla è da poco che siamo ‘fidanzati’ e dobbiamo essere sicuri prima di fare una scelta del genere in modo definitivo.”
 
“Ma quindi non sei sicuro di amare Camilla?” chiede Tommy, confuso, apparendo di nuovo triste.
 
“Certo che sono sicuro, Tommy, però, proprio perché sono sicuro e la amo tanto e voglio restare con lei ancora per molto, molto tempo – per sempre, se fosse possibile – voglio fare le cose per bene, senza fretta. Capisci?”
 
“Non molto. Se tu sei sicuro che ci vuoi tanto bene e che ti piace vivere con lei, cosa cambia se aspetti? O sei sicuro o non sei sicuro,” afferma deciso il bimbo, con un’altra di quelle sue verità assolute da bimbo di cinque anni che risultano allo stesso tempo adorabilmente ingenue ed incredibilmente provocatorie e profonde. Perché, a ben vedere, Gaetano riflette, Tommy non ha poi tutti i torti.
 
“È… complicato Tommy… quando sarai più grande capirai,” risponde Gaetano, ricorrendo alla frase salvacondotto per eccellenza che gli adulti usano quando, probabilmente, loro stessi non riescono del tutto a capire e a trovare una risposta. Ed odiandosi per questo, ma non sa davvero più che pesci pigliare.
 
“E poi pensavo che adesso ti piacesse stare nel mio appartamento, Tommy, o no?” chiede per cambiare discorso e perché ha bisogno di sapere se Tommy si è davvero ambientato con lui come pensava o se gli manca ancora tanto Eva.
 
“Sì, mi piace e mi diverto con te papà, però mi diverto ancora di più se ci sono anche Camilla, Livietta e Potti. Soprattutto quando tu sei in giro a cercare i cattivi!” esclama il bimbo, guardandolo con quegli occhioni a cui è impossibile resistere.
 
“Capisco…” commenta Gaetano con un sospiro, trattenendo il “a chi lo dici”, che rischia di sfuggirli dalla bocca. Perché la verità è che nemmeno lui ha alcuna voglia di tornare nel suo appartamento e di interrompere questa convivenza. Ma con Camilla non può assolutamente permettersi di sbagliare e non vuole fare passi falsi, specie dopo quanto successo con Eva. E poi non è sicuro che lei voglia rendere questa convivenza definitiva, almeno non subito.
 
“Adesso però dormiamo… Vado solo ad avvisare Camilla che stanotte sto qui con te, ok?”
 
“No… papà… se tu vuoi dormire con Camilla per me va bene, però…” afferma Tommy, esitante, mentre gli occhioni diventano ancora più grandi.

“Però?”
 
“Però… se poi torniamo a casa nostra io…. Posso venire anche io con voi, solo per stanotte? Vorrei tanto dormire tutti e tre insieme per una volta,” lo implora con il più irresistibile degli sguardi.
 
“Ok, ok. Facciamo così: andiamo da Camilla e lo chiediamo a lei, ok?” concede Gaetano, incapace di negare qualcosa a Tommy quando lo guarda così, “ma che anche questa non diventi un’abitudine, ok?”
 
In cambio si guadagna un mega sorriso ed un grande abbraccio. Tenendoselo stretto al petto lo solleva e si avvia verso la camera di Camilla.
 
“Camilla, ci sei? Sono io, con Tommy,” annuncia Gaetano, bussando prudentemente alla porta per evitare possibili situazioni imbarazzanti.
 
“Gaetano?” chiede lei stupita, aprendo la porta in camicia da notte, per poi aggiungere, vedendo il bimbo, “che succede? Tutto bene Tommy?”
 
“Posso dormire anche io qui con voi, Camilla? Per una volta? Per piacere!”
 
“Ma certo che puoi, se, come immagino, il papà è d’accordo,” risponde Camilla con un sorriso intenerito, di fronte a quello sguardo supplicante che la fa sciogliere.
 
E così si infilano a letto: Tommy si rifugia subito in mezzo a loro due, stringendosi prima forte-forte a Camilla e poi al padre, che si guardano sorridendo: non è esattamente quello che avevano progettato per questa notte, ma va benissimo così.
 
“Adesso però dormiamo che è tardi, ok?” sussurra infine Camilla a Tommy, che annuisce e si mette disteso, avvolto dall’abbraccio dei due grandi, che si tengono per mano.
 
E il sonno, miracolosamente, non tarda ad arrivare per nessuno dei tre.
 
***************************************************************************************
 
“Sveglia, dormiglioni!”
 
La voce e la luce, improvvisamente forte ed intensa, lo ridesta completamente. Apre gli occhi e cerca di mettersi a sedere ma un peso sul petto glielo impedisce. Finalmente riesce a mettere a fuoco e nota Tommy che, ancora mezzo addormentato, sta usando il suo torace come cuscino e Camilla sorridente con un vassoio in mano.
 
“Camilla, non dovevi!” la rimprovera lui con un sorriso, “al limite dovrei essere io a portarti la colazione a letto, a maggior ragione dato che è il tuo primo giorno di ferie.”

“In effetti dovresti,” ribatte lei con un tono fintamente severo, facendogli un occhiolino “ma dato il trauma cervicale e la settimana di fuoco sul lavoro credo di poter fare un’eccezione. E poi non osavo svegliarvi, sembravate due orsi in letargo.”
 
“Questa più tardi me la paghi, professoressa,” esclama lui trattenendo a stento le risate, per poi rivolgere le attenzioni al figlio, riuscendo finalmente a svegliarlo con la sua arma segreta: il solletico.
 
E così si mettono tutti insieme a fare colazione, avvolti da una strana coltre di euforia: anche Tommy dopo la dormita nel lettone sembra ancora più felice ed entusiasta del solito e questo fa ben sperare i due adulti sul fatto che si stia cominciando ad abituare alla loro nuova situazione sentimentale e che le sue paure in proposito si siano attenuate.
 
Improvvisamente lo squillo del telefono li interrompe mentre stanno finendo di mangiare.
 
“Pronto?”
 
“Mamma, sono Livietta, scusa se ti disturbo, ma potresti venirmi a prendere a casa di Cristina? Se no torno in taxi, però volevo avvertiti prima, dato che so che se no ti preoccupi.”
 
“Livietta? Certo che posso venirti a prendere, ma è successo qualcosa? Pensavo che dovessi andare con le tue amiche al parco acquatico, che vi accompagnasse la mamma di Cristina stamattina,” risponde Camilla, improvvisamente agitata.
 
“Sì, esatto, ma purtroppo la mamma di Cristina ha avuto un’emergenza sul lavoro, a quanto pare c’è stato un grosso incidente stanotte e dal pronto soccorso hanno richiamato tutti i medici in reperibilità. Quindi non ci può accompagnare e nessuno degli altri genitori è disponibile: sono tutti o via per il weekend o al lavoro o non hanno voglia,” sospira Livietta, chiaramente rattristata da questo imprevisto, “e il parco acquatico è raggiungibile solo in auto, con i mezzi prima che arriviamo è già ora di tornare, a saperlo ci saremmo svegliate prima. Certo, non ci voleva, è il primo giorno di vacanza e poi quasi tutte partono per il mare e quindi non riusciremo più ad andarci.”
 
“Senti, le tue amiche sono ancora lì?” chiede Camilla, notando quanto la ragazza sia delusa per dover rinunciare ai suoi progetti.
 
“Beh, sì, stiamo chiamando i nostri genitori per farci venire a prendere, dato che andarsene da qui con i mezzi pubblici è un’impresa.”
 
“Senti, se mi aspettate vi accompagno io, ok?” offre, sapendo che probabilmente se ne pentirà ma desiderando che sua figlia si goda una bella giornata dopo tutti i casini delle ultime settimane.
 
“Davvero??” esclama Livietta, con una voce che sembra realmente felice.
 
“Davvero, aspettatemi e arrivo tra poco, giusto il tempo di ricordarmi dove ho infilato il mio costume e la crema solare,” ribatte lei con un sospiro, dato che sa benissimo che la sua pelle lattea e il sole non sono mai andati molto d’accordo.
 
“Grazie mamma! Sei la migliore, ti voglio bene! A dopo!” esclama Livietta, entusiasta, troncando la comunicazione.
 
“Gita imprevista al parco acquatico?” domanda Gaetano con un sorriso.
 
“Sì, anzi, mi dispiace, lo so che avevamo in programma di passarlo insieme questo sabato, ma Livietta ci teneva tanto a questa giornata di festa con le sue amiche prima che tutte partissero per le vacanze e-“
 
“Camilla,” la interrompe lui, poggiandole un dito sulle labbra, “senti, ma questo parco acquatico è solo per signore? O la giornata è solo tra donne? Perché se a te non dispiace, è da tanto che non mi faccio una nuotata e il dottore mi ha detto che galleggiare in acqua è un toccasana per rilassare la zona cervicale. E qui c’è un certo pesciolino che adora sguazzare, vero Tommy?”
 
“Sììììì!” risponde il bimbo entusiasta: il suo amore per l’acqua è paragonabile solo a quello per i draghi. Ed è orgogliosissimo di essere uno dei pochi bimbi della sua classe che sa già nuotare bene da solo, dato che Eva lo portava in piscina con sé fin da piccolissimo.
 
“Davvero non ti scoccia? Guarda che passare una giornata con un gruppo di ragazzine adolescenti non è una passeggiata, anzi,” replica Camilla con un sorriso.
 
“Ma figurati, e poi con due macchine saremo più comodi,” ribatte lui ricambiando il sorriso, per poi sussurrarle in un orecchio, in modo che Tommy non possa sentire, “e non mi perderei lo spettacolo di te in costume da bagno per nulla al mondo, professoressa.”
 
“Scemo!” gli sussurra di rimando lei, rossa come un peperone ma sentendosi all’improvviso bellissima, come solo lui ha il potere di farla sentire. E, alzandosi dal letto, corre a predisporre tutto il necessario per la partenza.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Family Portrait - Livietta ***



 
 
Capitolo 21: “Family Portrait - Livietta”



Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro
 

 
 


“Papà, papà, possiamo andare sugli scivoli?” chiede Tommy con gli occhioni spalancati, indicando con il dito l’area dedicata ai bimbi.

“Un attimo, Tommy, prima finisco di metterti la crema solare,” replica Gaetano, riagguantando il figlio e terminando di cospargerlo di crema.
 
“Qualcuno mi potrebbe dare una mano a mettere la crema sulla schiena?” chiede Camilla con un sorriso, porgendo a Gaetano il tubetto.
 
Lui non se lo fa ripetere due volte e, mettendosi alle sue spalle sul lettino che Camilla tiene rigorosamente sotto l’ombra proiettata dall’ombrellone, comincia a massaggiarle la protezione solare sulle spalle, per poi scendere lungo quella schiena candida e perfetta che lo fa impazzire, sollevando il laccio del reggiseno del bikini per raggiungere ogni punto.
 
Ad un certo punto Camilla con un sospiro gli ferma le mani e, con voce roca e il fiato corto, gli sussurra un “adesso basta!” e lo fulmina con uno sguardo eloquente.
 
“Volevo essere sicura che fossi ben protetta,” ribatte lui con uno sguardo innocente, chiudendo il tappo della crema e buttandola nel borsone.
 
“Dal sole forse, non dai polipi,” commenta lei tra i denti, aumentando la distanza fisica tra loro, e proponendo al bimbo, “allora Tommy, andiamo a farci un tuffo?”
 
E prendendo per mano il bambino, corre verso la piscina, lanciando un’occhiata di sbieco a Gaetano che non se lo fa ripetere due volte e parte all’inseguimento, raggiungendoli a bordo vasca, agguantando Camilla per la vita e buttandola in acqua, mentre Tommy ride e si tuffa anche lui, raggiungendola.
 
“Questa me la paghi, Gaetano, sappilo!” esclama lei quando riemerge, trattenendo le risate e cercando di spostare la cortina di capelli che le blocca la vista.
 
“Direi che siamo pari con il tuo commento sugli orsi di stamattina, professoressa,” ribatte lui serafico, buttandosi in acqua vicino a lei e al figlio, che nel frattempo stanno confabulando qualcosa a bassa voce.
 
“Guerra!” esclamano entrambi all’unisono, inondando Gaetano con manate d’acqua e ridendo, mentre Gaetano cerca di difendersi come può e di contrattaccare, stando attento a dirigere i getti verso Camilla più che verso Tommy, dato che il bimbo in questa piscina “da grandi” non tocca.
 
“Mi arrendo, mi arrendo!” esclama infine, recuperando il fiato ed abbracciandosi le due adorabili pesti di fronte a lui, “allora, andiamo a questi scivoli?”
 
Poco distante nel frattempo quattro ragazze osservano tutta la scena da sotto il loro ombrellone, un po’ in disparte rispetto a quello degli “accompagnatori”, in modo da potersi godere un po’ di privacy e parlare in libertà senza la costante supervisione degli adulti.
 
“Certo che è proprio figo tuo padre, Livi!” commenta improvvisamente Lucrezia con voce sognante, ancora intenta a spalmarsi la crema solare, per poi aggiungere, notando lo sguardo assassino di Cristina che la fulmina con un’occhiata per la serie – questa potevi risparmiartela – “cioè, oddio, forse non dovrei dirtelo, dato che è tuo padre, ma è così.”
 
“Mio padre?” domanda Livietta, spiazzata per un paio di secondi, prima di essere colta da un’illuminazione, “ah, ma tu intendi Gaetano!”
 
“Eh beh, certo, perché, quanti padri hai?” ribatte la ragazza con un sorriso.
 
“Lu, Gaetano non è suo padre, è il nuovo compagno di sua madre,” spiega Arianna, scuotendo il capo, “non l’avevi capito? Ce l’ha perfino detto mentre eravamo in auto con lui e suo figlio.”
 
“Non avrò sentito, lo sai che avevo le cuffie nelle orecchie e che tengo il volume a palla, se no mi da fastidio la macchina,” ribatte la ragazza, piccata, “e comunque, Livi, non sapevo che i tuoi fossero separati. Anzi ti lamentavi sempre di tuo padre che ti rompeva se tornavi tardi e ti spiava se stavi in cortile, perfino con Greg, quando si conciava ancora come uno sfigato!”
 
“Greg non è e non era uno sfigato!” replica Livietta, provando un improvviso desiderio di strozzare Lucrezia, non fosse che il suo essere così brutalmente onesta, senza peli sulla lingua – oltre che parecchio svampita – è in fondo uno dei motivi per cui le ha ispirato simpatia quasi da subito ed è diventata sua amica. Certo, è anche uno dei motivi per cui non è il genere di amica a cui Livietta si sognerebbe mai di confidare un segreto o di rivelare i suoi problemi, dato che dopo cinque minuti tutta la scuola e mezza Torino ne verrebbero a conoscenza.
 
“Sì, certo… e comunque non hai risposto alla mia domanda!” ribatte Lucrezia, imperturbabile.
 
“Perché è da poco che i miei si sono separati e mio padre se ne è andato da casa e quindi è anche da poco che mia madre e Gaetano stanno insieme,” spiega Livietta con un sospiro, decidendo di non essere altrettanto brutalmente onesta e non infierire.
 
“Beh, mica scema tua madre! Cioè, per carità, mi dispiace per tuo padre, ma, anche se non l’ho mai visto, direi che anche io al posto di tua madre non avrei avuto dubbi su chi scegliere, con un figo del genere a disposizione!” esclama Lucrezia, guadagnandosi una mezza gomitata da Cristina.
 
“Beh, è la verità, scusate! Ma quindi il marmocchio non è tuo fratello?”
 
“A parte che anche mio padre purtroppo ha sempre avuto le sue ammiratrici e quindi non è certo da buttare,” puntualizza Livietta, mentre le ritorna alla mente quell’insegnante di danza che lo aveva addirittura definito ‘bel tenebroso’, “comunque sì Tommy è figlio di Gaetano. Te l’ho anche detto diverse volte che sono figlia unica come te e Cristina!”
 
“Ah, giusto,” ammette Lucrezia, terminando finalmente di ungersi come una cotoletta e buttando il flacone nello zaino, “comunque beata tua madre e beata pure te, Livi, con un simile figo che gira per casa. E sembra pure gentile e simpatico, disponibile, visto che ci ha accompagnate fin qui. Il compagno di mia madre invece somiglia ad un topo ed è noioso ed antipatico da morire.”
 
“Vabbé, ma che cosa cambia se è bello o no? Alla fine ci deve stare insieme la madre di Livi, mica lei,” fa notare Cristina con un sospiro, “e poi in ogni caso, sarà pure bello, ma è vecchio!”
 
“Beh, che c’entra: è sempre un bel vedere. E, Cri, io uno così, vecchio o non vecchio, me lo farei all’istante!”
 
“LU!” urlano Arianna e Cristina all’unisono, fulminandola di nuovo con lo sguardo per l’ennesima uscita a dir poco infelice della giornata.
 
“Ma sì, non vi preoccupate, ormai la conosco,” sospira nuovamente Livietta, scuotendo il capo e ringraziando il cielo che sua madre non sia a portata di orecchio, “e comunque, Lu, tanto perdi il tuo tempo, perché Gaetano è innamorato perso di mia madre. Se c’è lei nei paraggi potrebbe pure passargli accanto la donna più bella del mondo e non la noterebbe nemmeno.”
 
“Sul serio? Mi devo far svelare da tua madre il suo segreto, allora, perché sinceramente a vederla non mi sembra il tipo di donna per cui un uomo del genere può perdere la testa,” commenta Lucrezia, continuando ad ignorare le occhiate delle altre ragazze che la avvertono che sta oltrepassando abbondantemente il limite.
 
“Beh, e invece evidentemente lo è!” ribatte Livietta, con un tono di irritazione mista ad orgoglio, “ed ora possiamo andare sugli scivoli a divertirci? Perché io sono venuta qui per festeggiare la fine dell’anno scolastico con le mie amiche, non per passare il tempo a vederle sbavare sul nuovo compagno di mia madre!”
 
“Ehi, io non sbavo!” protestano in coro Arianna e Cristina, per poi aggiungere, capendo che è meglio distrarre Livietta e Lucrezia prima di rovinare completamente la giornata, “dai, andiamo.”
 
E prendendo le altre due ragazze per mano, si avviano prudentemente verso lo scivolo multipista, dato che è quello con la fila più breve. Per le attrazioni più emozionanti e quindi popolari ci sarà tempo dopo aver evitato l’emergenza.
 
***************************************************************************************
 
“Mamma!”
 
“Ehi, finalmente! Non vi vedevamo più!” esclama Camilla, vedendo la figlia che le corre incontro, seguita dalle sue tre amiche, completamente fradice ma apparentemente entusiaste. Lei e Gaetano si stanno rilassando nell’idromassaggio della laguna dei bimbi, osservando attentamente Tommy che si prepara a scendere dai mini scivoli poco distanti da lì.
 
“Eravamo sul super kamikaze, mamma, è fantastico, lo devi assolutamente provare!” esclama Livietta, esaltata, “c’è un po’ di coda ma vale la pena!”
 
“Perché dal nome mi sembra qualcosa da cui dovrei stare assolutamente alla larga?” domanda Camilla con un sorriso.
 
“Invece dal nome mi sembra proprio lo scivolo fatto apposta per te, professoressa,” interviene Gaetano, con una faccia da schiaffi ed un tono ironico ed affettuoso, nonostante l’evidente frecciatina agli eventi della settimana.
 
“Ah, ah, molto spiritoso!” ribatte lei, colpendolo al braccio, per poi aggiungere, seria, “e comunque ho promesso di tenermi alla larga dai guai, no?”
 
“Sì, ma rispetto ai guai a cui sei abituata, direi che uno scivolo ad acqua non dovrebbe spaventarti,” replica lui, recuperando  poi un tono più serio, “a parte gli scherzi, Camilla, vai pure a divertirti un po’ con Livietta, rimango io a curare Tommy. Oltretutto l’idromassaggio mi fa bene alla cervicale, mentre mi sa che gli scivoli ad alta velocità per oggi è meglio se me li scordo.”
 
“Sicuro?” gli chiede conferma: in fondo è lì per fare un favore a lei e le spiace mollarlo lì da solo.
 
“Sicurissimo!”
 
“Va bene, ma non esagerare, ancora massimo un quarto d’ora e poi fai una pausa, ok?”
 
“Agli ordini!” ribatte lui, facendole il saluto marziale e l’occhiolino, mentre lei finalmente si decide ad alzarsi dall’idromassaggio.
 
Immersi nel loro botta e risposta, nessuno dei due si accorge minimamente degli sguardi tra il colpito e il divertito che si scambiano le ragazze, mentre Livietta lancia a Lucrezia un’occhiata eloquente come a dire “te l’avevo detto”.
 
“Ma fanno sempre così?” sussurra Cristina nell’orecchio di Livietta, quando si avviano con Camilla verso la fila per lo scivolo, “sembra di vedere una puntata di una sit-com.”
 
“Sempre,” conferma Livietta con un sorriso orgoglioso, “e sì, con quei due è molto difficile annoiarsi.”
 
“Ma cos’è che fa tua mamma di pericoloso?” domanda Lucrezia con un altro sussurro, dato che ormai non sta più nella pelle dalla curiosità, “non insegna lettere?”
 
“Ehi, che cos’è che confabulate voi, là dietro? Se sono di troppo ditemelo, che non mi offendo,” commenta Camilla con un sopracciglio alzato e tono scherzoso, notando come il bisbiglio delle ragazze si interrompa bruscamente.
 
“Niente, mamma, niente,” risponde Livietta, avvicinandosi alla madre e passandole un braccio intorno alle spalle in un mezzo abbraccio, per poi voltarsi indietro verso Lucrezia e rivolgerle un ironico, “informazioni top secret!”
 
Arrivano finalmente allo scivolo e chiacchierano del più e del meno aspettando che si smaltisca la fila.
 
“Allora, vi state divertendo finora, nonostante gli imprevisti?” chiede Camilla ad un certo punto, vedendo le ragazze che sembrano sì felici della giornata ma un po’ intimidite dalla sua presenza.
 
“Sì, molto, anzi, la dobbiamo ancora ringraziare per essere venuta al posto di mia madre all’ultimo secondo. E anche il suo compagno: siete stati davvero gentilissimi,” risponde Cristina con un sorriso.
 
“Eh, ma figuratevi, non è un problema, prima di tutto mi spiaceva farvi perdere la giornata e poi ci stiamo divertendo anche noi, e Tommy è entusiasta degli scivoli.”
 
“Ma quindi poi per la discoteca come facciamo? Possiamo venire a prepararci a casa sua o ci riportate da Cristina?” chiede Lucrezia all’improvviso.
 
“La discoteca?” domanda Camilla, realizzando di colpo di aver scordato nella fretta dell’emergenza questo piccolo particolare, ovvero che la madre di Cristina oltre che al parco le avrebbe poi anche portate a ballare. Quando l’aveva sentita al telefono qualche giorno prima per assicurarsi che la figlia non le stesse raccontando una balla per ottenere il permesso, quella che le era sembrata una specie di superdonna le aveva confermato che coi turni di notte era abituata a fare le ore piccole e che da quando si era lasciata col marito amava andare in discoteca con o senza la figlia.
 
Peccato che la superdonna fosse probabilmente ancora impegnata sul lavoro ed in ogni caso di sicuro non in condizioni di accompagnarle stasera, dopo una nottata e una giornata di super lavoro al pronto soccorso.
 
“Non si preoccupi, se non può accompagnarci non fa nulla, ci andremo un’altra volta in discoteca,” interviene Arianna, con il suo sorriso quasi angelico che ben si sposa con i capelli biondi, gli occhi chiari e l’aspetto diafano, “basta che ci riporta da Cristina, vorrà dire che ci faremo un’altra nottata casalinga a base di pizza, popcorn e film e poi ci facciamo venire a prendere domattina dai nostri genitori.”
 
Camilla sta per ribattere, con un sopracciglio alzato, dato che con lei la commedia da Beatrice dei giorni nostri non attacca, quando la brunetta formosa con i capelli corti, che nella sua mente ha ribattezzato “Betty Boop” fin dalla prima volta che l’ha vista, sia per l’aspetto che per il suo essere parecchio svampita, interviene a gamba tesa.
 
“Beh, ma la discoteca è in centro a Torino, non abbiamo bisogno di farci accompagnare anche lì, possiamo arrivarci anche con i mezzi o in taxi,” fa notare Lucrezia, ignorando completamente le occhiate delle altre due ragazze che sanno bene come la mamma di Livietta sia contraria che la figlia vada in discoteca senza almeno un adulto a supervisionare.
 
“Ragazze,” esclama Camilla con un sospiro e un mezzo sorriso, “non serve che fate i segnali di fumo a… Lucrezia, giusto? Sapete con quanti adolescenti ho avuto a che fare nella mia vita? Centinaia, migliaia? E sapete quante bugie e scuse assurde mi sono dovuta sorbire nella mia carriera? Lo so benissimo che se vi riporto a casa di Cristina voi stanotte in discoteca ci andate, con me o senza di me.”
 
“No, signora, davvero, sappiamo che lei è contraria e poi Livi non verrebbe mai con noi in discoteca di nascosto,” assicura Cristina, come sempre educatissima ed apparentemente rassicurante, mantenendo perfino in costume da bagno il suo aspetto da universitaria intellettuale e responsabile, nonostante l’età e l’assenza degli occhiali da vista con montatura all’ultima moda che indossa di solito. Camilla non sa se sia un altro punto a favore della superdonna, ma sa bene che con gli adolescenti l’apparenza quasi sempre inganna.
 
“Sì, va beh, diciamo che visto che è il primo giorno di vacanze ve la passo, se però la smettete di raccontarmi storie. Anche perché lo so che Livietta già altre volte mi ha detto di essere in un posto quando poi stava in un altro,” risponde Camilla trafiggendole tutte con un’occhiata della serie ‘a me non la si fa’, ma soprattutto la figlia, memore di quanto successo mesi fa con Bobo.
 
“E comunque visto che siete tutte ancora minorenni e che siete sotto la mia responsabilità adesso, dato che i vostri genitori sanno che siete con me, non ho alcuna intenzione di lasciarvi girare in taxi o sui mezzi pubblici da sole di notte. Inoltre, per quanto mi riguarda, potrei anche lasciarvi lì e poi tornarvi a prendere, ma Livietta, lo sai che a tuo padre verrebbe un infarto se sapesse che ti ho permesso di andare in discoteca senza che un adulto rimanesse almeno nei paraggi, no?”
 
“Sì, lo so,” sospira Livietta, sapendo quanto suo padre sia contrario alle uscite notturne.
 
“Quindi se non ci prendiamo più in giro, eccezionalmente, visto che poi so che alcune di voi partono per le vacanze, vi accompagno io,” concede Camilla, sebbene la sua voglia di stare in un locale con musica assordante fino all’alba sia pari a zero, oltretutto aveva ben altro in mente per la serata, dato che è probabilmente l’ultimo weekend che Gaetano e Tommy passeranno a casa sua prima di fare ritorno al loro appartamento. Ma Livietta dopo le ultime settimane merita un po’ di svago ed un premio, sia perché ha mantenuto buoni voti a scuola, sia per l’aiuto che le ha dato negli ultimi giorni a casa, anche con Tommy.
 
“Però prima devo parlarne anche con il mio compagno, ok?” aggiunge, anche se sa benissimo che, conoscendo Gaetano, l’uomo non le impedirebbe mai di fare qualcosa per e con sua figlia.
 
“Mamma, grazie!” esclama Livietta, entusiasta ed incredula di fronte all’offerta della madre.
 
“Grazie mille, signora, davvero, non se ne pentirà, le promettiamo che non le daremo problemi,” assicura Cristina, mentre Arianna e Lucrezia annuiscono in coro.
 
Lo spero – non può fare a meno di pensare Camilla, con un sospiro.
 
***************************************************************************************
 
“Milla!” urla Tommy, correndole in contro ed abbracciandole le gambe, non appena lei esce dalla piscina del ‘super kamikaze’, con gambe ancora tremanti, il fiato corto ed uno strano senso di ebbrezza e di euforia nelle vene.
 
“Tommy! Gaetano!” esclama lei con un sorriso ancora un po’ spaesato, “che ci fate qui?”
 
“Secondo te potevo perdermi la tua espressione post super kamikaze, professoressa?” ribatte lui con la solita faccia da schiaffi che le fa venire voglia di baciarlo fino a levargliela, non fosse altro che c’è anche Tommy con loro.
 
“Guarda che oggi rischi grosso, dottor Berardi,” lo avverte lei con un sorriso, mentre vengono pian piano raggiunti dalle altre ragazze, Betty Boop a chiudere il gruppo esibendosi in urli di spavento ed eccitazione da fracassare i timpani. Camilla non ha ancora ben deciso se sia l’amica di Livietta che le sta in assoluto più simpatica o quella che meno sopporta, e ha come l’impressione che anche per la figlia sia esattamente lo stesso.
 
“E comunque vorrei vedere la tua di espressione là sopra!”
 
“Lo sai che con la cervicale è meglio che non rischio, tra l’impatto con l’acqua, i sobbalzi, eccetera eccetera…”
 
“Sì, sì, bella scusa, vorrà dire che torneremo qui non appena ti sarai ripreso e ti farò fare tutti gli scivoli, dal primo all’ultimo!”
 
“Ci conto, professoressa,” ribatte lui, senza perdere un colpo, anzi l’idea di rivederla in costume quanto prima non gli dispiace affatto. E poi, purtroppo Tommy tra poco partirà per l’America con Eva e quindi non avranno più un piccolo ed adorabile tsunami a cui badare.
 
“Senti, Gaetano, c’è una cosa di cui ti dovrei parlare…” mormora lei in tono decisamente più serio, prendendolo da parte ed allontanandosi un po’ dalle ragazze che intanto si stanno coccolando Tommy, che, degno figlio di suo padre, sembra starsene a suo agio, tranquillo e beato tra le donne.
 
“È successo qualcosa?” chiede Gaetano, preoccupato.
 
“No, cioè sì… Mi sa che stamattina ero ancora un po’ addormentata e mi sono scordata che la madre di Cristina, oltre a portare le ragazze qui, avrebbe anche dovuto accompagnarle in discoteca stasera. E, siccome è la fine dell’anno e poi non si rivedranno per un po’… Mi spiace costringerle a rinunciare, lo capisci e quindi…”
 
“E quindi ti tocca accompagnarle, giusto?” deduce Gaetano, con un tono sorpreso ma che non pare infastidito.
 
“Esatto,” sospira Camilla, guardandolo dispiaciuta, “Gaetano, scusami, davvero, mi dispiace moltissimo lasciare te e Tommy a casa da soli stasera, ma-“
 
“Camilla,” la interrompe lui, posandole un dito sulle labbra, “prima di tutto ti ho già detto che so che Livietta per te è la priorità assoluta e che è giusto così, in secondo luogo tu hai rinunciato ai tuoi piani per me e per Tommy un’infinità di volte, quindi a maggior ragione dovrei essere un vero idiota a lamentarmi adesso, e punto terzo, a meno che questa sia una serata per sole donne e a quel punto ovviamente non mi ci voglio mettere in mezzo, ma altrimenti, se tu mi vuoi, vengo anche io con voi e molto volentieri.”
 
“Gaetano, ma certo che ti voglio!” sussurra lei con un sorriso prima di bloccarsi, arrossendo come un peperone, “cioè, è chiaro che mi farebbe piacere se venissi anche tu con me. Anche perché le ragazze vorranno starsene per conto loro e so che Livietta mi ucciderebbe se qualcuno nel locale scoprisse che sono sua madre. Però come facciamo con Tommy?”
 
“Beh, a Tommy ci pensa la babysitter: Ilenia, la tua ex alunna, quella che Tommy adora, ricordi?” la punzecchia Gaetano con un sorriso.
 
“Eh certo che me la ricordo, Gaetano, non ho ancora l’arteriosclerosi, ma sono le tre del pomeriggio di sabato e dubito che Ilenia sia disponibile a venire a passare la notte a casa mia con così poco preavviso. Anzi, penso che ci manderebbe a quel paese e avrebbe pure ragione.”
 
“Camilla, Ilenia viene già stasera a casa nostra, verso le 20. E le avevo già offerto di passare la notte da noi, se si fosse fatto tardi, chiaramente pagata e tutto il resto.”
 
“Ma come facevi a -?” comincia a domandare Camilla, sbalordita, fino a realizzare il motivo dell’apparente chiaroveggenza di Gaetano e sentendosi terribilmente idiota ed in colpa allo stesso tempo, “avevi già organizzato qualcosa per stasera, vero, Gaetano? Ed io ti ho scombussolato tutti i piani come una cretina, senza nemmeno chiedere e-”
 
“Camilla,” la interrompe di nuovo con un sorriso, “prima di tutto i piani che avevo per stasera possono essere rimandati, ma soprattutto ti garantisco che la sola idea di vederti di nuovo ballare in discoteca mi ripaga decisamente di tutto e con gli interessi. Anche perché questa volta a casa ci torni insieme a me, professoressa.”
 
“Ci puoi contare,” gli sussurra lei con voce roca, prima di stampargli un rapido bacio sulla bocca, approfittando di un momento di distrazione delle ragazze e di Tommy.
 
***************************************************************************************
 
“Ehi, ma lo sai che è proprio forte tua mamma? Quando inizia a ballare è ancora più scatenata della mia!” le urla in un orecchio Cristina, indicando la zona dall’altro lato della pista rispetto al loro tavolo, dove in mezzo alla calca riescono a intravedere Camilla e Gaetano che stanno ballando insieme ormai da un bel pezzo.
 
“Sì, non l’avrei mai detto!” urla di rimando Livietta, stupita dall’energia della madre che dopo una giornata del genere alle tre di notte ha ancora la forza non solo di stare in piedi ma perfino di danzare, “però Cri, meno persone sanno che è mia madre e meglio è, ok? È già imbarazzante dover avere la scorta!”
 
“Tranquilla!” la rassicura Cristina, “nessuno sa che sono con noi!”
 
“Peccato! Io da lui mi ci farei scortare ovunque, e ci ballerei tutta la notte!” urla Lucrezia, sedendosi al loro fianco con un bicchiere in mano, di cui metà contenuto si versa sul tavolo, scoppiando poi in una risata decisamente troppo sguaiata e troppo prolungata perfino per i suoi standard.
 
“LU, ma sei ubriaca??” esclama Livietta, notando lo sguardo dell’amica, molto più opaco del solito, per poi rivolgersi alle altre due, indicando il bicchiere di mojito, “con questo a quanto siamo?”
 
“Terzo o quarto, temo!” urla Arianna, rendendosi conto di aver visto prima l’amica con una Vodka-Redbull ed una Caipirinha in mano.
 
“Lu, ma sei fuori!” grida Livietta, togliendole il drink dalla mano, “vi ho detto massimo un cocktail, che se mia madre ci becca che abbiamo bevuto ci ammazza! E Gaetano è pure un poliziotto e per legge noi non potremmo bere!”
 
“Da lui mi faccio arrestare volentieri!” proclama Lucrezia continuando a ridere, mentre le altre tre ragazze si guardano interrogandosi sul da farsi, rendendosi conto che è praticamente impossibile che a Lucrezia la sbronza passi in tempo utile per non farsi cogliere ‘in flagranza di reato’ dai loro accompagnatori.
 
Nel frattempo Camilla e Gaetano continuano a ballare, gettando ogni tanto un’occhiata verso il tavolo delle ragazze, ma non riuscendo a notare nulla di strano, sia per la distanza, sia perché hanno entrambi potuto sperimentare quanto sia esuberante e svaporata Lucrezia, sia perché i loro sensi sono in gran parte sintonizzati e concentrati sulla vicinanza e sul movimento del corpo dell’altro.

A Gaetano sembra di essere in paradiso, nonostante la folla che li schiaccia e la musica fin troppo assordante: la sua prof. in discoteca è ancora meglio di quanto ricordasse, scatenata, giocosa e di una sensualità disarmante. Se non ci fossero le altre ragazze da riaccompagnare, questa serata sarebbe probabilmente già terminata altrove e da un bel pezzo, perché il desiderio di farla nuovamente sua cresce ad ogni movimento; ogni singola volta che i loro corpi si sfiorano l’incendio che brucia dentro di lui aumenta di intensità.
 
Per questo cerca di trattenersi più che può e di mantenere un minimo di distanza di sicurezza tra i loro corpi; e poi si è ripromesso di tenere d’occhio le ragazze, perché ha già individuato prima un gruppo di ragazzotti dall’aspetto ben poco rassicurante che “puntavano” verso il loro tavolo.
 
Del resto lui di abbordaggi e “acchiappi” in discoteca se ne intende e riesce a leggere perfettamente il linguaggio del corpo anche a distanza.
 
Arriva infine l’immancabile ballo lento e, guardandosi negli occhi, con un sorriso, si appoggiano inevitabilmente l’uno all’altra e cominciano ad ondeggiare al ritmo di musica. Gli occhi che si chiudono, il battito che accelera mentre le gambe si fanno molli e i corpi reagiscono ineluttabilmente agli stimoli che stanno ricevendo.
 
Gaetano non resiste più e si appropria delle labbra di Camilla in un bacio famelico e sensuale.
 
Nel frattempo, al loro tavolo, le ragazze stanno ancora cercando una soluzione allo stato di ebbrezza di Lucrezia, che ha finalmente smesso di ridere ma pare in un mondo tutto suo – ancora più del solito, quantomeno.
 
“Se provassimo a farle bere acqua? O caffè? Dovrebbe aiutare a smaltire l’alcool!” urla Arianna.
 
“L’acqua aiuta, ma ci vuole tempo. Il caffè fa sembrare più lucidi ma si è ubriachi lo stesso. Mia mamma mi ha fatto una testa così sugli effetti dell’alcol, con tutti gli incidenti che vede di notte, mi ha anche portata a vedere gli incidentati, vi garantisco che non è un bello spettacolo e mi ha fatto passare la voglia di bere troppo o di andare in auto con chi beve. E quando guiderò eviterò gli alcolici,” spiega Cristina, che sa benissimo che se sua madre ha riscoperto la sua  passione per la discoteca è anche perché ha paura di ritrovarsela un giorno a scendere in barella da un’ambulanza. Ne ha sentito parlare con sua zia quando pensavano che lei non sentisse.
 
“E allora che facciamo?” domanda Arianna.
 
“Le facciamo bere acqua, aspettiamo e se non le passa… mi toccherà stare in punizione per secoli,” sospira Livietta, ormai rassegnata all’inevitabile, oltretutto proprio all’inizio delle vacanze.
 
“Ehi belle! Possiamo offrirvi qualcosa?” domanda una voce maschile alle loro spalle. Si voltano e vedono cinque ragazzi, sui 20-25 anni, che hanno praticamente circondato i divanetti del loro tavolino, due di loro si sono piazzati proprio di fronte alle ‘uscite’ impedendo quindi loro di alzarsi in piedi e allontanarsi.
 
Livietta, Arianna e Cristina si guardano, indecise su cosa fare: l’atteggiamento dei ragazzi non piace a nessuna di loro e sembra vagamente minaccioso, o quantomeno fin troppo invadente come approccio.
 
“No, non vogliamo niente, grazie!” urla Cristina, cercando di mantenere un tono neutro e sperando che se ne vadano alla svelta. Anche perché c’è già il problema Lucrezia da risolvere.
 
“Sicure? Nemmeno un drink?” urla uno dei due ragazzi all’estremità del divanetto, avvicinandosi fin troppo ad Arianna, che è quella seduta più vicina.
 
“No, grazie!” confermano insieme Arianna, Livietta e Cristina, mentre Lucrezia, ancora intontita, non risponde e non pare rendersi conto della situazione.
 
“E tu, bella? A te invece piace bere, no?” chiede il ragazzo all’altra estremità del divanetto, accanto a Lucrezia, appoggiandole una mano sulla spalla e indicando con l’altra il Mojito ancora mezzo pieno, “posso offrirtene un altro, se vuoi?”
 
Lucrezia per tutta risposta si limita a ridere e a guardarlo, bofonchiando un qualcosa che potrebbe essere interpretato come un “mi piace bere” o un “mi piacerebbe”, ma tra il volume e il modo in cui si mangia le parole non si capisce.
 
“Dai, allora andiamo a ballare e a berci qualcosa insieme,” replica il ragazzo, afferrandole la mano e tenendola sempre per la spalla, tentando di sollevarla in piedi.
 
“Ehi, lasciala!” urla Livietta, che è la più vicina a Lucrezia, stringendole l’altra mano, per evitare che il ragazzo riesca a tirarla su.
 
“E perché? Non hai sentito che la tua amica si vuole divertire un po’?” chiede il ragazzo più vicino a Livietta, afferrandola alle spalle.
 
“Vuoi ballare anche tu, bella? Vedrai che ci divertiamo insieme!” proclama invece il ragazzo vicino ad Arianna, prendendole un braccio e iniziando a tirarla verso di sé.
 
“Lasciami, non voglio ballare!” urla Arianna, riuscendo a divincolarsi e stringendosi di più a Cristina che le è seduta accanto.
 
“Come sono noiose le tue amiche, vieni con noi,” esclama il ragazzo vicino a Lucrezia, riprendendo a tirarla verso di sé, mentre il suo amico tiene bloccata Livietta.
 
“Lasciatela stare: non vedete che sta male!” urla Livietta, cominciando ad andare nel panico e non sapendo più come fare, vedendo Lucrezia venire sollevata ed allontanarsi da lei.
 
Nel frattempo sulla pista da ballo, Camilla riesce ad emergere dalla nebbia che l’ha avvolta, per i secondi necessari a darle la forza di staccarsi dalle labbra di Gaetano.
 
“Gaetano,” sospira bloccandolo, quando nota che lui cerca nuovamente di baciarla, “eddai, su, non possiamo qui, c’è anche Livietta!”
 
“Ma Livietta è dall’altra parte della pista e poi figurati se sta a guardare noi due!” ribatte Gaetano per tranquillizzarla, anche se non riprova ad avvicinarsi, dato che non vuole metterla in imbarazzo.
 
“Come noi riusciamo a vedere lei, lei può vedere noi,” gli fa notare Camilla con un sopracciglio alzato.
 
In contemporanea, quasi istintivamente, rivolgono ambedue un’occhiata verso il tavolo delle ragazze e quello che vedono provoca ad entrambi un mezzo infarto.
 
“Oh merda!” esclama Gaetano, guardando poi Camilla dritto negli occhi e dicendole, “tu aspettami qui, non ti muovere, ok?”
 
E, senza aspettare la risposta, si fa largo tra la folla più in fretta che può, cercando con lo sguardo gli addetti della security ma non trovandoli e dandosi mentalmente dell’idiota per essersi distratto, anche se per poco.
 
Arriva alle spalle del ragazzo che sta ormai trattenendo tra le braccia la brunetta svampita che pare evidentemente ubriaca, estrae dalla tasca il distintivo con la mano sinistra, per tenerlo pronto in caso di necessità. Se le cose degenerassero mettere la mano in tasca potrebbe essere estremamente pericoloso.
 
“Ehi lasciala, non vedi che è ubriaca,” intima al ragazzo, con il tono autoritario ma neutro che è solito usare nelle situazioni potenzialmente volatili, “e in quanto a voi mi sembra evidente che le ragazze non vogliano essere disturbate, quindi vi chiedo gentilmente di allontanarvi e di concludere la vostra serata altrove!”
 
“Gaetano, grazie al cielo!” esclama Livietta che sembra sul punto di piangere.
 
“E tu chi saresti il loro papi? O il loro pappa?” lo deride quello vicino a Livietta, trattenendola ancora per le spalle.
 
“Se non l’hai notato, bello, noi siamo in cinque e tu sei uno, quindi consigliamo a te di concludere la tua serata altrove, se non vuoi problemi,” gli urla addosso quello che tiene Lucrezia e che sembra il leader del gruppo.
 
“Polizia!” esclama Gaetano mostrando il distintivo, sapendo benissimo che mettersi in una rissa cinque contro uno sarebbe un suicidio e temendo inoltre per l’incolumità delle ragazze, “non fate cavolate ed allontanatevi, se non ne volete voi di problemi. Nessuno qui vuole avere problemi, chiaro?”
 
Gli brucia doverli lasciare andare ma del resto per ora non hanno fatto nulla di abbastanza compromettente da consentirgli di trattenerli per più di una nottata. Ed è quindi più importante che non capiti nulla a Livietta e alle sue amiche. Certo, se avesse avuto qui i suoi colleghi o se fosse riuscito a vedere un maledetto addetto della security da qualche parte, una notte al fresco come ‘lezione esemplare’ non gliel’avrebbe risparmiata nessuno.
 
“Dai ragazzi, andiamocene,” grida quello vicino a lui, buttandogli Lucrezia tra le braccia ed approfittando del momento per dileguarsi, seguito a ruota dai suoi amici.
 
“Livietta!” urla Camilla, che è arrivata anche lei di corsa, abbracciandosi la figlia che si butta tra le sue braccia tremante, “stai bene? Hai avuto paura? Ti sei fatta male?”
 
“No, non mi sono fatta niente, ma non sapevamo più cosa fare!” esclama Livietta, stringendola più forte.
 
“E voi ragazze state bene, tutto ok?” chiede Camilla, osservando le amiche di Livietta che paiono ancora un po’ spaventate ma intere.
 
“Sì, tutto ok,” confermano Arianna e Cristina, tirando un sospiro di sollievo.
 
 “Meno male che c’eri tu, Gaetano, grazie!” urla poi Livietta, sciogliendo l’abbraccio con la madre, mentre anche le altre due ragazze si uniscono ai ringraziamenti e tutte si girano ad osservarlo, Camilla inclusa.
 
“Figuratevi, dovere!” urla di rimando Gaetano con un sorriso, mentre tenta disperatamente di non fare cadere Lucrezia, che gli si è attaccata alle spalle ma ondeggia pericolosamente, “ehi, ehi, cerca di stare su, appoggiati a me!”
 
“Sì, mio eroe!” grida Lucrezia tra le risate, buttandogli le braccia intorno al collo e cercando di baciarlo sulla bocca, mentre Gaetano riesce a girare la testa in modo che il bacio finisca sulla guancia.
 
“Ehi!” urla Camilla, mentre l’ondata irrazionale di gelosia viene sommersa dalla preoccupazione mista a rabbia e delusione rendendosi conto che, per quanto svampita, Lucrezia in condizioni normali non si comporterebbe così, “ehi, ma è ubriaca?”
 
“Persa,” conferma Gaetano, che non sa più come fare per evitare che la ragazza si schianti a terra da un lato e scansare le sue avance dall’altro.
 
“Avete bevuto?” urla alle ragazze, fulminando Livietta con lo sguardo.
 
“Noi non siamo ubriache, abbiamo bevuto solo un drink a inizio serata, e comunque è colpa nostra: Livi ci aveva raccomandato di non bere alcolici,” risponde Cristina, “ci dispiace davvero, non ci siamo rese conto che Lu stava esagerando.”
 
“Adesso usciamo di qui e poi facciamo un bel discorso,” ribatte Camilla, assumendo tono e cipiglio da prof. in gita con classe particolarmente turbolenta – un anno quando insegnava ancora al Fibonacci uno degli studenti di una delle classi che erano andate insieme alla sua in gita a Firenze era finito in coma etilico e da allora si era ripromessa che non avrebbe mai più fatto l’accompagnatrice, viste le grane che erano toccate alla collega che aveva avuto la sfortuna di essere responsabile della classe incriminata, dato che il ragazzo era minorenne. Per fortuna o purtroppo i ragazzi del Mandela non potevano permettersi ‘viaggi di istruzione’, perché lì altro che alcol, ci mancavano solo i cani antidroga sul pullman o la retata in albergo.
 
“E sta buona, su!” esclama Gaetano, trattenendo Lucrezia con le braccia a distanza di sicurezza.
 
“Ti do una mano?” si offre Camilla, avvicinandosi con l’intenzione di prendere la ragazza per un braccio ed aiutarlo a condurla all’uscita.
 
“Grazie,” sospira con sollievo Gaetano, dato che Camilla non solo si prende parte del peso della ragazza, ma soprattutto lo aiuta a trattenerla impedendole di divincolarsi o di mettersi e metterlo ancora di più in imbarazzo.
 
E così piano piano, facendosi largo tra la folla, arrivano all’uscita del locale, dove finalmente Gaetano vede un buttafuori, che anche vedendoli passare con una ragazzina ubriaca continua a farsi i cavoli suoi. Si ripromette due cose: di mandare una bella ispezione a sorpresa al locale e di farsi due chiacchiere coi colleghi che di solito controllano i locali notturni per capire quale sia messo meglio – o forse sarebbe meglio dire meno peggio – come sicurezza e vendita di alcolici ai minori.
 
Arrivano al parcheggio e si avvicinano alle loro auto, ovviamente incastrate come un tetris tra le altre, quando, di colpo, Lucrezia, che stava ancora bofonchiando e ridendo, emette un rumore strozzato che per Gaetano, dopo anni ed anni ad avere a che fare con parenti e testimoni su scene di crimini più o meno violenti, è assolutamente inconfondibile. Per non parlare degli anni di frequentazione di locali notturni.
 
È un attimo: ha appena il tempo di prenderla tra le braccia e farla ruotare affinché dia le spalle a Camilla, ma non può evitare che almeno parte della prima colata di vomito gli vada a finire sulle scarpe.
 
Camilla, sospirando e scuotendo la testa, si avvicina di nuovo per aiutarlo a sostenere la ragazza e a sorreggerle il capo mentre si svuota di parte dell’alcol ingerito.
 
“E almeno dovremmo evitarci l’intossicazione,” mormora Gaetano.
 
Le altre ragazze assistono alla scena desiderando sprofondare, mentre Livietta, a parte l’imbarazzo e il senso di nausea che le provoca vedere qualcuno che da di stomaco, sente ancora di più di poter dire addio alle sue vacanze.
 
Finalmente Lucrezia si calma e, con una bottiglietta d’acqua e tanta pazienza, cercano di rimediare al disastro, aiutati dalle ragazze.
 
“Che questo vi serva di lezione,” sibila Camilla, guardandole tutte negli occhi, “spero che con quello che è successo stasera abbiate capito che con l’alcol non si scherza. Lo so che anche se è vietato alla vostra età praticamente tutti bevono, ma esagerare con l’alcol non solo non vi fa divertire di più, sentire meglio o apparire più adulte, ma anzi, vi mette in situazioni imbarazzanti ed umilianti.”
 
“E poi è pericolosissimo non avere più il controllo e perdere i freni inibitori in un locale pubblico. A maggior ragione se siete solo tra ragazze dovete avere orecchie e occhi aperti in ogni momento, per evitare situazioni rischiose e di farvi ‘imbottigliare’ ed accerchiare come è successo prima,” aggiunge Gaetano, assumendo involontariamente il tono da poliziotto, “altrimenti può finire molto, ma molto male. E soprattutto che non vi venga in mente di accettare drink offerti da altri: prendete solo ciò che vi serve direttamente il barman e non perdete mai il vostro bicchiere di vista, chiaro?”
 
Tutte annuiscono, moge-moge.
 
“Ci dispiace davvero tantissimo per quello che è successo, ma vi garantisco che lo sappiamo: anche mia madre mi fa una testa così sul bere e nessuna di noi aveva mai esagerato prima, nemmeno Lucrezia. Non lo so cosa le sia preso stasera, di solito non fa così,” risponde Cristina, sembrando onestamente mortificata.
 
“Sarà, ma adesso vi riportiamo tutte a casa e poi mi toccherà fare due chiacchiere con i vostri genitori, specie con quelli di Lucrezia,” sospira Camilla, facendo segno alle ragazze di salire in auto.
 
“La mamma di Lu non è a casa,” interviene Cristina, aggiungendo, di fronte all’occhiata incredula di Camilla, “dico sul serio, se vuole andiamo a verificare, ma è al mare col suo compagno. Sono quasi sempre via nei weekend, ultimamente Lu viene a stare da me o da Ari praticamente ogni fine settimana. Prima stava spesso a casa della nonna, ma è morta due mesi fa. Se la porta a casa mia può domandare a mia madre, che ormai sarà tornata, così magari le da anche un’occhiata, per vedere come sta.”
 
“D’accordo,” sospira Camilla, dopo un attimo di riflessione: improvvisamente l’estrema esuberanza della ragazza, il suo essere così svampita e la scena di stasera assumono un potenziale nuovo significato. Di finte vamp che nascondono dietro un perenne sorriso sulle labbra una profonda tristezza nella sua carriera ne ha viste parecchie. Per la carità, ha conosciuto anche parecchie ragazze realmente svanite e che vivevano felici nel loro mondo, ma di solito, anche in gita, erano l’anima della festa, senza bisogno di aiuti alcolici, e non finivano a vomitare l’anima da qualche parte.
 
E, senza altre parole, salgono tutti in auto: la festa è finita.
 
***************************************************************************************
 
“Allora, come sta?” chiede Camilla alla dottoressa Silvia Colombo, ossia la superdonna, che ha appena visitato e messo a letto Lucrezia.
 
“Avrà un risveglio doloroso domattina, ma niente di grave, sia perché ha vomitato, sia perché comunque non aveva ingerito un quantitativo d’alcol tale da essere in pericolo,” spiega la dottoressa, accompagnando Camilla fuori dalla stanza da letto e chiudendo la porta alle loro spalle, “anche perché dubito che regga un granché: è la prima volta che la vedo bere così.”
 
“Per fortuna sta bene, ma mi sento doppiamente in colpa per non essermene accorta prima,” risponde Camilla con un sospiro, “specie se di solito non succedeva.”
 
“Lei insegna alle superiori, giusto, Camilla? Quindi sa benissimo che quando gli adolescenti si mettono in testa di fare qualcosa è praticamente impossibile fermarli. Se non lo fanno davanti a noi lo fanno quando diamo loro le spalle. Ne ho visti abbastanza in ospedale per saperne qualcosa. È per questo che accompagno Cristina in discoteca e che a volte le lascio pure bere un drink. Forse non si dovrebbe, ma preferisco che ne beva uno con me presente, che si renda conto che non c’è niente di magico o di proibito nel farlo, piuttosto che se ne scoli a litri non appena io non ci sono, o quando crescerà e non potrò più controllarla. L’ho anche portata a vedere gli incidentati gravi, ce la metto tutta per farle capire quanto è facile rovinarsi la vita per un momento di stupidità, ma sono via al lavoro tante ore alla settimana e sono sola. E so benissimo che basta un attimo e che non posso fare altro che sperare di avere dato a Cristina gli strumenti necessari per saper stare alla larga dai pericoli, per sapere qual è la cosa giusta da fare.”
 
“Già…” sospira Camilla, capendo benissimo come si sente l’altra donna.
 
“Lei è fortunata ad avere un marito così presente e che oltretutto ha un rapporto così bello con vostra figlia: si vede che si adorano,” commenta Silvia, indirizzando lo sguardo verso il salotto dove le ragazze e Gaetano stanno ancora chiacchierando e sembrerebbe che l’uomo stia raccontando loro qualche episodio dei suoi casi passati, facendole ridere, “al mio ex marito la sola idea di passare una giornata come quella di oggi avrebbe fatto venire l’orticaria. Infatti ultimamente l’unica cosa che vedo di lui è l’assegno mensile, quando si ricorda di versarmelo.”
 
“Gaetano non è mio marito e non è il padre di Livietta, è… il mio compagno,” spiega Camilla, affrettandosi a specificare, prima che la donna pensi che anche Renzo è desaparecido, “il mio ex marito è via per lavoro, ma anche lui è molto presente nella vita di Livietta, per fortuna, solo che… diciamo che non riesce ancora ad accettare che la sua bambina stia crescendo, se capisce cosa intendo.”
 
“Sì, lo capisco,” ribatte la donna con un sorriso, “quindi direi che lei e sua figlia siete doppiamente fortunate. Già trovare un nuovo compagno quando si hanno figli non è semplice, ma trovarne uno così gentile e disponibile e che vada così d’accordo con i propri figli è un mezzo miracolo davvero.”
 
“Lo so,” ammette Camilla con un sorriso: anche lei è sorpresa del bellissimo rapporto che Livietta e Gaetano hanno costruito in così poco tempo, nonostante gli anni di conoscenza pregressa e il fatto che, lo ricordava bene, andassero molto d’accordo ai tempi di Nino e di Roberta.
 
Ma, del resto, ha avuto modo di assistere, non vista, ad una certa spaghettata notturna e sa che Gaetano si è ritrovato a fare da consigliere a Livietta nel periodo in cui loro due erano in guerra fredda e non riuscivano a comunicare. Cavandosela pure bene. Anche se, lo deve ammettere, in fondo in fondo spera che adesso che la situazione tra loro si è appianata, ritorni lei ad essere la confidente primaria di Livietta. Ma è sicuramente più tranquilla che parli con Gaetano, dei cui consigli sa di potersi fidare, piuttosto che con una delle sue amiche. Anche se ha l’impressione che Livietta non sia con le altre tre ragazze ancora in rapporti tali da confessare loro i problemi, quelli seri: l’unico amico veramente stretto che Livietta ha – o aveva – a Torino è Greg, e sa benissimo che purtroppo ora i rapporti tra loro paiono essersi incrinati. Se perché Livietta non ricambia i sentimenti del ragazzo o se perché li ricambia fin troppo ancora non l’ha capito e probabilmente non l’ha capito nemmeno Livietta.
 
“Anzi mi chiedo…” esordisce Silvia come sovrappensiero per poi però interrompersi bruscamente

“Si chiede?” la esorta Camilla, incuriosita.
 
“No, no, niente, stavo pensando tra me e me a Lucrezia,” spiega Silvia, minimizzando.
 
“Lei pensa che la presenza di Gaetano c’entri qualcosa con l’improvviso amore per l’alcol di Lucrezia, vero?” chiede Camilla con un sospiro, esprimendo ad alta voce una teoria che si era formata nella sua mente da un po’, “voglio dire… il fatto che sua madre è sempre via col suo compagno, la morte della nonna…”
 
“Sì,” ammette Silvia, “può essere che vedervi insieme, lei, Livietta e il suo compagno abbia fatto uscire allo scoperto tutto quello che Lucrezia ha cercato di nascondere da quando è morta sua nonna. In effetti avevo notato che ultimamente era ancora più sopra le righe del suo solito, ma a parte ospitarla qui per i weekend, più di tanto non posso fare. Lo so che potrei segnalare la cosa agli assistenti sociali, ma data l’età di Lucrezia non voglio farla finire in un istituto se non è più che necessario.”
 
“Lo capisco,” concorda Camilla, avendo affrontato diversi casi simili nella sua carriera, “ma il padre di Lucrezia?”
 
“Credo non l’abbia mai conosciuto, a quanto ne so…”
 
“Capisco…” sospira di nuovo Camilla, colta da una sensazione di déjà vu. Di situazioni del genere ne aveva decisamente già viste, fin troppe.
 
“Camilla, posso darti del tu?” chiede la dottoressa con un sorriso amichevole.
 
“Ma certo! Anzi, devi,” ribatte Camilla, ricambiando il sorriso.
 
“Sai, non volevo parlartene perché temevo che ti sentissi in colpa per qualcosa di cui non siete responsabili, né tu né Gaetano. Ma mi scordavo che hai a che fare con molti più adolescenti di me!”
 
“Già… ma, nonostante tutto, quando l’adolescente è proprio figlio o propria figlia, ci si ritrova lo stesso impreparati.
 
“Parole sante!”
 
***************************************************************************************
 
“Mamma, mi dispiace davvero tantissimo per quello che è successo e ti garantisco che non succederà più, che starò più attenta non solo a non bere io, ma anche a cosa fanno le mie amiche e chi mi sta intorno. Però ti giuro che non mi sono mai ubriacata e anche stasera mi sono bevuta solo un cocktail. Lo so che non si dovrebbe ma-“
 
“Livietta, il problema non è il cocktail in sé, ma quello che può succedere quando non si ha il controllo o quando si è con persone che non hanno il controllo delle loro azioni, lo capisci questo?” domanda Camilla, mentre rallenta e cambia marcia, dato che si stanno avvicinando ad una rotonda. Vede nel retrovisore l’auto di Gaetano che le “scorta”.
 
“Sì e mi dispiace davvero. Non so cosa avremmo fatto se non ci fosse stato Gaetano,” afferma la ragazza con un sospiro.
 
“Hai avuto tanta paura?” domanda Camilla, approfittando della breve sosta per guardare la figlia in viso.
 
“Un po’…” ammette con un altro sospiro, “e poi… e poi mi dispiace perché insomma, ti abbiamo coinvolta, vi abbiamo coinvolti in questa giornata all’ultimo secondo, e lo so che deve essere stato faticoso starci appresso e sopportarci così tante ore. Insomma non solo vi siete sacrificati per me ma vi siete pure trovati in tutto sto casino…”
 
“Livietta,” dice Camilla decisa, prendendo la mano della figlia e stringendola forte, “guarda che per me non è mai un sacrificio passare del tempo con te, mai. Però dato che più cresci e… e meno tempo passeremo insieme, voglio poter essere sicura che sai badare a te stessa e che sai stare lontano dai guai e dalle situazioni pericolose anche più di quanto so probabilmente fare io. E non per me: per timore di punizioni o castighi, o per non farmi stare in pensiero, ma per te stessa.”
 
Sono finalmente arrivate sotto casa e, come Camilla ferma la macchina, si ritrova stretta forte-forte nell’abbraccio della figlia.
 
“Ti voglio bene mamma!” le sussurra all’orecchio.
 
“Ti voglio bene anche io, più di ogni altra cosa al mondo!” sussurra di rimando Camilla, commossa, stringendosela più che può.
 
“Però mi vergogno ancora da morire con Gaetano,” ammette Livietta, quando si staccano finalmente dall’abbraccio, “tra la rissa mancata e Lu che prima gli si è buttata addosso e poi… gli ha vomitato addosso… Pensi che sia arrabbiato con me?”
 
“Ma no, Livietta, tranquilla. Al limite dovrebbe avercela con me, dato che sono io che l’ho coinvolto in questa giornata. E comunque Gaetano è un poliziotto e quindi per lui gli scontri e… le situazioni disgustose e non adatte ai deboli di stomaco sono all’ordine del giorno… E anche le ragazze che gli si buttano addosso, a ben pensarci, anche se quello non c’entra col mestiere che fa,” la rassicura scherzosamente, facendola ridere, anche se sa benissimo che Gaetano è stato davvero un angelo oggi e ripromettendosi di fargli capire quanto lo ami, quanto lo apprezzi e di esprimergli tutta la sua gratitudine in privato.
 
“Vedrai che basta che lo ringrazi sinceramente e per lui sarà sufficiente,” aggiunge, aprendo le portiere, “anzi, adesso scendiamo che ci sta aspettando.”
 
“Tutto bene?” chiede l’uomo quando vede madre e figlia uscire dall’auto. Ha assistito alla scena e all’abbraccio e quindi, anche se ignora cosa si siano dette, sa che i rapporti tra le due sembrano proseguire nel migliore dei modi.
 
“Sì… Gaetano, volevo ringraziarti per tutto quello che hai dovuto sopportare oggi… E per averci soccorso… Grazie!” proclama Livietta, avvicinandosi a lui ed abbracciandolo, mentre l’uomo rimane sorpreso, con le braccia a mezzaria e lancia un’occhiata verso Camilla prima di ricambiare la stretta.
 
“Abbraccio di gruppo?” domanda poi a Camilla, estendendo un braccio verso di lei, mentre Livietta fa lo stesso.
 
Camilla non se lo fa ripetere due volte e si unisce a loro, stringendo fortissimo a sé i due più grandi amori della sua vita.
 
“Andiamo a casa!” proclama e così, ancora mezzi abbracciati, si avviano verso il portone di ingresso.
 
***************************************************************************************
 
“Finalmente!” esclama Camilla, calciando via le scarpe con un sospiro di sollievo non appena lei e Gaetano entrano in camera da letto. Sono ormai le cinque e mezza del mattino e si sente completamente distrutta.
 
“Al limite dovrei essere io ad essere felice di essermi liberato delle scarpe,” ribatte Gaetano con un sorriso: le sue calzature sono finite direttamente nella spazzatura.
 
“In effetti, ma anche i tacchi sono strumenti di tortura, beati voi uomini!” proclama lei, massaggiandosi i piedi per poi chiedergli, “dato che l’altro bagno è già occupato da Livietta, che ne avrà per un bel po’, la doccia la vuoi fare prima tu? Direi che te lo meriti.”
 
“No, perché quello che mi merito, professoressa,” le sussurra, avvicinandosi a lei e prendendola tra le braccia, trafiggendola con uno sguardo che è puro fuoco, “è che la doccia noi due la facciamo insieme.”
 
“Gaetano, non è che l’idea non sia allettante, tu non hai idea quanto, ma sono davvero sfinita e, a parte il tuo collo, se entro con te in doccia a quest’ora finiamo entrambi al pronto soccorso e sulle prime pagine dei giornali. Ma ti prometto che domani e nei prossimi giorni mi saprò far perdonare e recupereremo, con gli interessi,” gli sussurra di rimando all’orecchio, mordendogli il lobo come una promessa.
 
“E allora che ne dici di un bel bagno caldo, rilassante, prima di dormire?” le propone, facendola rabbrividire.
 
“Un bagno caldo a giugno?” gli fa notare con un sopracciglio alzato.
 
“Beh, allora un bagno freddo,” ribatte, senza perdere un colpo, conducendola verso il bagno e aggiungendo, con sguardo supplicante, “eddai, professoressa, dopo che mi hai fatto impazzire con la febbre del sabato sera credo di avere bisogno di una cura e di un po’ di coccole e non posso aspettare domani.”
 
“Sul serio? Perché mi sembra che la tua dose di coccole per stanotte l’hai già avuta: da un’infermiera giovane, bruna e formosa,” replica lei con tono fintamente risentito.
 
“Ma se è una ragazzina… e  poi mi ha pure vomitato addosso!” le fa notare lui con un sorriso: adora quando Camilla fa la gelosa.
 
“Appunto!”
 
“Appunto?” chiede lui, confuso.
 
“Sì, appunto. Dato che so per esperienza che vomitarti sulle scarpe è il modo migliore per far breccia nel tuo cuore,” chiarisce Camilla, con un sorriso che gli fa venire una voglia matta di baciarla.
 
“Ti garantisco che funziona solo con le donne di nome Camilla,” risponde lui, stampandole un bacio e continuando a guidarla verso il bagno, “che insegnano lettere,” altro bacio, “e che ficcano il naso in tutte le mie indagini.”
 
“E comunque,” aggiunge con un sorriso, quando arrivano alla porta del bagno, “in ogni caso direi che, visti i precedenti, per almeno altri dieci anni puoi stare tranquilla.”
 
“Scemo!” ribatte lei ridendo e stampandogli un altro rapido bacio.
 
Senza rompere il contatto visivo nemmeno per un secondo, lui la spinge dentro, chiude a chiave la porta alle loro spalle e la trascina in un bacio lungo ed appassionato.
 
“Allora, ti sei convinta?” le domanda quando si staccano, sedendosi con lei al bordo della vasca ed aprendo l’acqua.
 
“Mmm, non del tutto, mi sa che mi ci vorranno altre rassicurazioni,” sussurra lei in modo sensuale, sentendo che il sonno e la stanchezza sono completamente svaniti e cominciando a slacciargli la camicia.
 
“Sarò lieto di fornirle tutte le rassicurazioni del caso, professoressa,” mormora lui, baciandole il collo ed abbassando la zip che le chiude il vestito.
 
“Mmm, così va meglio,” mormora lei, accarezzandogli e baciandogli il petto e liberandolo finalmente dalla camicia, gettandosela poi alle spalle.
 
“Sì, così va molto, ma molto meglio,” le sussurra lui, con voce roca e ferale, abbassandole languidamente il vestito e percorrendo con le dita e con le labbra i centimetri di pelle mano a mano lasciati scoperti, sentendola sospirare e tremare contro di lui in quel modo che lo fa diventare matto.
 
Poi, sempre tenendola tra le braccia, si rialza in piedi, sollevandola con sé. Non appena i piedi di lei toccano terra, le loro labbra si scontrano in un bacio infuocato e quasi disperato, mentre il vestito di Camilla scivola sul pavimento per effetto della forza di gravità.
 
In qualche istante, continuando a baciarlo, lo libera dai pantaloni e dai boxer, mentre lui, con pochi gesti fatti con mano tremante riesce miracolosamente a sfilarle la lingerie, che vola a raggiungere gli altri indumenti sparsi sulle piastrelle.
 
Quasi a tentoni, continuando a baciarsi, indietreggiano fino al bordo della vasca. Le loro labbra si staccano giusto il tempo necessario per entrare nella vasca, con quel sincronismo perfetto ed istintivo che ormai li contraddistingue. Gaetano, tenendola stretta a sé, cerca di mettersi, di metterli a sedere nella vasca ormai quasi piena d’acqua ma, non si sa se per l’orario o per la deliziosa distrazione del corpo nudo compresso contro il suo, calcola male le distanze e finiscono per scendere troppo rapidamente e scivolare per gli ultimi centimetri. L’acqua accoglie il loro peso attutendo l’impatto, che provoca però un’inevitabile esondazione.
 
Si guardano per qualche istante negli occhi, poi osservano il pavimento bagnato e ritornano a guardarsi negli occhi, esplodendo infine contemporaneamente in una risata.
 
“Ho capito da chi ha preso Tommy la sua passione per gli allagamenti!” esclama Camilla tra le risate, “e menomale che ci siamo evitati le acrobazie in doccia, se no altro che pronto soccorso, finivamo direttamente sui necrologi!”
 
“Senti, professoressa, non è colpa mia se qualcuna gioca sporco e impiega armi di distrazione di massa,” ribatte lui ridendo, “e poi chiedo le attenuanti per invalidità temporanea.”
 
“A proposito, come va il collo, ti sei fatto male?” chiede lei, tornando seria all’improvviso e guardandolo preoccupata.
 
“No, io sto benissimo, non sono mai stato meglio,” sussurra lui con voce roca: il calore e l’attrito della pelle nuda e bagnata contro la sua, quel corpo che lo circonda e lo avvolge insieme all’acqua tiepida lo fa sentire in estasi, “e tu? Sicura di stare bene?”
 
“Anche io sto benissimo, sto sempre benissimo quando sono tra le tue braccia,” ammette Camilla con un candore che lo sorprende e accende in lui sia un’infinita tenerezza che un desiderio ancora più lancinante.
 
“Dio, quanto sei bella… hai la minima idea di quanto sei bella?” sussurra, guardandola come se fosse la cosa più preziosa che esiste all’universo, osservando quella pelle candida, imperlata d’acqua ed ora lievemente rosata per effetto del sole, che risalta contro le linee diafane disegnate dal costume; le guance che si scuriscono, le labbra rigonfie per i baci e dischiuse in un sorriso, gli occhi che brillano, i capelli umidi che gli solleticano le spalle.
 
“E tu hai la minima idea di quanto ti amo? Di quanto sono fortunata? Mi sento la donna più fortunata del mondo ad averti accanto,” sussurra lei di rimando, baciandogli il collo e le spalle.
 
“Camilla…” esala lui, il cuore che pare scoppiargli nel petto, prendendole il viso tra le mani e sollevandolo.
 
I loro occhi si incontrano e poi si socchiudono, le labbra si incontrano in un nuovo bacio che, nel giro di pochi secondi si tramuta dal tenero al passionale, al quasi feroce, mentre il desiderio, il bisogno dell’altro diventa talmente intenso da essere lacerante.
 
Camilla perde e prende il controllo: in qualche istante sono di nuovo un’unica essenza.
 
E poi sono mani, bocche, corpi ed aliti, sono gemiti, risa e gridi soffocati che sfuggono e scrosciano insieme all’acqua da quella vasca, muovendosi al ritmo di un suono naturale, ancestrale fino all’ultimo passo di danza.
 
Rimangono poi abbracciati, spalmati contro il bordo della vasca, senza fiato, senza ossa, senza forze e senza alcuna fretta né necessità di muoversi. L’acqua che li lambisce si raffredda, ma non riesce ad intaccare il rifugio caldo ed accogliente in cui sono avvolti.
 
Il resto del mondo, là fuori, può attendere.
 
***************************************************************************************
 
 
Drrrrinnn, drrriiiiin, driiiiiin.
 
Ci sono poche occasioni nella vita nelle quali il suono del campanello, metallico e cacofonico, risulta piacevole all’orecchio: una visita a lungo attesa, l’idraulico che finalmente arriva a riparare una perdita prima che la casa si allaghi, il ragazzo delle consegne quando hai un’enorme fame e il frigo vuoto…
 
Ma quando è domenica mattina e sei in bagno, ancora sotto la doccia, il suono del campanello passa automaticamente da irritante ad insopportabile. L’unica cosa che lo trattiene dal maledire il “musicista” è il fatto che una certa donna meravigliosa, tanto adorabile quanto sbadata, aveva deciso di offrirsi, a dispetto delle sue proteste, ad andare a prendere i cornetti per colazione – anche se ormai in effetti era praticamente ora di pranzo – e si era probabilmente scordata un’altra volta le chiavi. Era già la terza volta che succedeva, sempre di mattina: del resto Camilla era di indole più notturna e ci metteva un po’ a carburare appena sveglia. A maggior ragione dopo la nottata di ieri, quando quello spirito nottambulo da “febbre del sabato sera” che aveva già avuto modo di ammirare anni orsono era riemerso in tutto il suo splendore. Per non parlare di quello che era successo poche ore prima proprio in questa stessa vasca e che gli aveva confermato quanto straordinariamente ed istintivamente sensuale e passionale fosse la sua Camilla.
 
Rendersi conto di conoscere questi piccoli dettagli che fino a poche settimane fa gli erano completamente ignoti e preclusi lo riempie di una strana felicità, facendolo sentire incredibilmente idiota ed incredibilmente fortunato allo stesso tempo.
 
“Livietta!” urla, mentre chiude il getto d’acqua, afferra un asciugamano e si asciuga meglio che può, giusto per evitare di grondare sul pavimento, “Livietta! Puoi andare tu ad aprire?”
 
Il silenzio che riceve come risposta gli fa intuire che o la ragazza non sente né lui, né il campanello, o non può comunque rispondere alla porta.
 
“Arrivo, arrivo!” urla, con un sospiro ed un mezzo sorriso sulle labbra, avviandosi verso l’ingresso: scalzo, i capelli ancora bagnati, l’asciugamano avvolto intorno alla vita.
 
Drrrriiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiinnn
 
“Arrivo!” grida di nuovo, agguantando la maniglia ed aprendo la porta in modo quasi automatico, aggiungendo un ironico, “mi toccherà legarti le chiavi al polso, amo-“

“Renzo?!”
 
 
 
Nota dell’autrice: Ed eccoci alla fine di questo “ritratto di famiglia”, ora sapete qual è la “tempesta” che attende i nostri protagonisti nel prossimo capitolo ;). Questo che avete appena letto è stato molto difficile da scrivere in alcuni passaggi, non solo perché non è semplice trovare attività che coinvolgano sia un bimbo di pochi anni sia una ragazza adolescente che desidera indipendenza dalla famiglia e starsene per i fatti suoi, come è normale a quell’età, sia perché volevo evitare situazioni finte da diabete ed essere il più realistica possibile. Non avendo figli, a maggior ragione adolescenti, non so se ci sono riuscita e in alcuni passaggi temevo di annoiarvi, soprattutto dovendo inserire, giocoforza, alcuni “personaggi originali” e di stare scrivendo una specie di pubblicità progresso antiubriacature xD, ma ho cercato di immaginare come si sentono i genitori quando avvertono che i figli crescono, che stanno perdendo il controllo su di loro e che non possono fare molto altro se non pregare di averli educati bene a non andare a cacciarsi in guai irreparabili. Come sempre i vostri commenti anche negativi mi aiutano tantissimo a migliorare e a tararmi sulla scrittura e, se vi va, vi do appuntamento al prossimo, turbolento capitolo ;), ringraziandovi ancora per avere avuto la pazienza di seguirmi fin qui!

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** A Green-Eyed Monster ***


Capitolo 22: “A Green-Eyed Monster”



Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro
 

 
Drrrrinnn, drrriiiiin, driiiiiin.
 
Ci sono poche occasioni nella vita nelle quali il suono del campanello, metallico e cacofonico, risulta piacevole all’orecchio: una visita a lungo attesa, l’idraulico che finalmente arriva a riparare una perdita prima che la casa si allaghi, il ragazzo delle consegne quando hai un’enorme fame e il frigo vuoto…
 
Ma quando è domenica mattina e sei in bagno, ancora sotto la doccia, il suono del campanello passa automaticamente da irritante ad insopportabile. L’unica cosa che lo trattiene dal maledire il “musicista” è il fatto che una certa donna meravigliosa, tanto adorabile quanto sbadata, aveva deciso di offrirsi, a dispetto delle sue proteste, ad andare a prendere i cornetti per colazione – anche se ormai in effetti era praticamente ora di pranzo – e si era probabilmente scordata un’altra volta le chiavi. Era già la terza volta che succedeva, sempre di mattina: del resto Camilla era di indole più notturna e ci metteva un po’ a carburare appena sveglia. A maggior ragione dopo la nottata di ieri, quando quello spirito nottambulo da “febbre del sabato sera” che aveva già avuto modo di ammirare anni orsono era riemerso in tutto il suo splendore. Per non parlare di quello che era successo poche ore prima proprio in questa stessa vasca e che gli aveva confermato quanto straordinariamente ed istintivamente sensuale e passionale fosse la sua Camilla.
 
Rendersi conto di conoscere questi piccoli dettagli che fino a poche settimane fa gli erano completamente ignoti e preclusi lo riempie di una strana felicità, facendolo sentire incredibilmente idiota ed incredibilmente fortunato allo stesso tempo.
 
“Livietta!” urla, mentre chiude il getto d’acqua, afferra un asciugamano e si asciuga meglio che può, giusto per evitare di grondare sul pavimento, “Livietta! Puoi andare tu ad aprire?”
 
Il silenzio che riceve come risposta gli fa intuire che o la ragazza non sente né lui, né il campanello, o non può comunque rispondere alla porta.
 
“Arrivo, arrivo!” urla, con un sospiro ed un mezzo sorriso sulle labbra, avviandosi verso l’ingresso: scalzo, i capelli ancora bagnati, l’asciugamano avvolto intorno alla vita.
 
Drrrriiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiinnn
 
“Arrivo!” grida di nuovo, agguantando la maniglia ed aprendo la porta in modo quasi automatico, aggiungendo un ironico, “mi toccherà legarti le chiavi al polso, amo-“

“Renzo?!” esclama, non appena mette a fuoco chi c’è oltre l’uscio, con il tono che passa dal tenero al sorpreso misto ad imbarazzo.
 
L’architetto, invece, è completamente paralizzato, con il dito ancora proteso verso il campanello, la bocca e gli occhi spalancati in uno sguardo a dir poco comico, mentre la valigia che tiene nella mano destra cade bruscamente sul pavimento del pianerottolo.
 
“Gaetano?! Che ci fai qui?!” esala infine, in una specie di grugnito, per poi aggiungere, dopo un attimo di riflessione, “anzi no, tutto sommato preferisco non saperlo!”
 
I due uomini continuano a studiarsi per istanti che sembrano infiniti, fino a che una voce li ridesta bruscamente dai loro pensieri.
 
“Renzo!”
 
Si voltano quasi in contemporanea verso Camilla, che è appena uscita dall’ascensore, con le chiavi – allora non se le era scordate – e il sacchetto dei croissant in mano e che è rimasta pietrificata, alternando lo sguardo tra i due uomini davanti a lei.
 
“Gaetano, è tornata la mamma? Mi devi aiutare con Tommy, si è-“ li raggiunge la voce di Livietta, che si blocca bruscamente non appena arriva vicino alla porta e vede il padre.
 
Per qualche secondo paiono quattro statue di sale o delle comparse in uno di quei flash mob che ogni tanto si vedono nelle piazze e nelle stazioni.
 
“Ah, sei tornato,” commenta infine Livietta, con una voce tanto fredda quanto piatta, rivolgendo a Renzo uno sguardo che potrebbe incenerire chiunque.
 
Dopo qualche secondo, si volta verso Gaetano, recuperando un’espressione ed un tono normali, come se non fosse successo nulla e, ignorando completamente la presenza del padre, riprende il discorso che aveva lasciato a metà.
 
“Gaetano, Tommy ha insistito tanto perché lo aiutassi a fare il bagnetto, senza aspettarti, ma adesso non vuole uscire dalla vasca e non riesco a prenderlo in braccio così bagnato: ho paura che mi scivoli e si faccia male. Puoi venire a darmi una mano?” gli chiede con il suo migliore sorriso, sotto lo sguardo incredulo del padre, che pare aver visto un fantasma, o un ufo con tanto di omini verdi atterrare nel giardino di casa.
 
Gaetano lancia un’occhiata verso Camilla che, nonostante l’imbarazzo e la sorpresa, annuisce lievemente e, intuendo che forse è meglio che lasciare che Camilla possa chiarirsi con Renzo senza la sua presenza ad esasperare gli animi, annuisce a sua volta verso la ragazza.
 
“Ma certo, anzi, scusalo e scusami per tutto il disturbo, Livietta: Tommy nella vasca da bagno subisce una specie di metamorfosi e da il peggio di sé!” risponde Gaetano, avviandosi verso il bagno con la ragazza, non prima di aver incrociato per un’ultima volta lo sguardo di Camilla e di aggiungere un eloquente, “aiuto Tommy a prepararsi e torno tra poco.”
 
Il “se hai bisogno, basta che mi chiami” non viene enunciato, ma Camilla riconosce quell’espressione da anni di indagini e di situazioni potenzialmente a rischio in cui si è trovata insieme a Gaetano, e annuisce di nuovo come a fargli capire di non preoccuparsi e che ha la situazione sotto controllo. O almeno spera.
 
I due coniugi rimangono per un attimo in silenzio ad osservarsi, ancora sul pianerottolo, con la porta spalancata. È Camilla che prende le redini e si muove per prima, varcando la soglia di casa.
 
“Ti va un cornetto?” propone, domandando la prima cosa che le passa per la mente, per stemperare la tensione.
 
“Mi sa che di cornetti, corni e corna in genere ne ho abbastanza, Camilla,” ribatte tagliente Renzo, riprendendosi finalmente dalla catalessi, sollevando la valigia e seguendola dentro l’appartamento.
 
“Se intendi di ‘farli’ sono d’accordo, ma sul ‘mangiarli’ direi proprio che sei a digiuno, Renzo,” replica lei, piccata, sapendo che sarebbe più prudente non alzare i toni fin da subito e non raccogliere la provocazione, ma non potendo farne a meno.
 
“Ah, sì? L’uomo in asciugamano che ha risposto alla porta mi sembra la dimostrazione evidente del contrario,” le fa notare Renzo, sbattendo la porta alle loro spalle.
 
“Dato che io e te non stiamo più insieme, non vedo come la presenza di Gaetano qui oggi possa essere considerata un tradimento, Renzo,” sospira lei, appoggiando i croissant sul bancone della cucina e voltandosi verso l’ex marito, cercando di riprendere la situazione in mano prima che degeneri, “e mi sembrava che ti fosse chiaro, prima della tua partenza, che avrei iniziato una storia con lui. E che fossimo riusciti a mantenere dei toni civili e a comportarci come due adulti.”
 
“Innanzitutto non mi riferisco solo alla presenza di oggi, ma alla costante, continua ed incessante presenza degli ultimi mesi e di anni, ed anni ed anni,” le sputa addosso lui, sarcastico, alzando il tono ad ogni ripetizione, “e, considerato che in un paio di settimane, siete riusciti addirittura ad andare a convivere stabilmente, dato che il poliziotto superpiù si comporta come se fosse di casa, che mia figlia non si scompone nemmeno a vederselo girare seminudo per casa di domenica mattina e che perfino il piccoletto sta qui con voi, mi perdonerai se i miei dubbi sul fatto che foste già amanti da tempo diventano praticamente certezza. Come se non bastassero il numero infinito di ore passate a casa sua, il fatto che te lo sognavi quasi tutte le notti, che vi ho perfino sorpresi a casa sua con indosso solo un accappatoio e… devo andare avanti?”
 
“Senti, Renzo, questo discorso l’abbiamo già fatto ed è assolutamente inutile ritornarci adesso. Se tu vuoi convincerti che io e Gaetano siamo stati amanti, sei libero di farlo, io non posso provarti il contrario e a questo punto sarebbe assolutamente inutile anche solo tentare di farlo, perché non cambierebbe la realtà delle cose, ovvero che tra noi è finita da un pezzo e non solo per Gaetano o per Carmen, ma per noi due. E lo sai anche tu, ne eri convinto anche tu prima di partire. Anzi, avevi detto che saresti andato a Londra per trovare tranquillità e riflettere e invece torni e praticamente mi aggredisci appena apriamo bocca. Che cos’è cambiato, me lo spieghi?”
 
“Non è cambiato niente a Londra, Camilla, anzi, ti garantisco che sono venuto qui con le migliori intenzioni oggi, con tanto di valigia per prendermi la mia roba. Volevo vedere come vi andavano le cose qui e vedere mia figlia. Quello che è cambiato è che invece di ritrovare la mia famiglia, o quello che ne resta, mi sono ritrovato a casa della famiglia Berardi. Quello che è cambiato è che non hai nemmeno avuto il buon gusto di attendere – per usare un paragone che immagino sarà caro a te e al poliziotto – che il cadavere fosse freddo prima di rifarti una vita con lui, non fosse altro per riguardo a Livietta e per un minimo di rispetto per me. Invece non aspettavi altro che io mi facessi da parte per sostituirmi, come uno straccio vecchio!”
 
“Ascoltami, Renzo, anche se non penso di doverti spiegazioni, dato che non stiamo più insieme, siccome per l’appunto sei il padre di mia figlia e lo sarai sempre e quindi non voglio che ci siano malintesi tra noi, sappi che Gaetano e Tommy sono ospiti in questa casa temporaneamente, perché quasi due settimane fa c’è stato un cortocircuito ed un principio di incendio nel loro appartamento e stanno ancora ultimando i lavori per renderlo agibile. Quindi non è stata una cosa programmata ed è una situazione provvisoria.”
 
“Eh beh, perché a Torino non c’erano altri alloggi, non so… degli alberghi, vero? Dovevano proprio stare qui!”
 
“Senti, Renzo, non vedo quale sia il problema, se ho preferito offrire loro ospitalità che costringere Tommy a stare in albergo per niente. E comunque penso di avere tutto il diritto di decidere chi ospitare in casa mia, soprattutto dato che, come avrai notato, anche Livietta è d’accordo con questa soluzione!” esclama lei, cominciando a perdere la pazienza di fronte al tono sarcastico e bellicoso di Renzo.
 
“Casa nostra, Camilla! Fino a prova contraria è anche mia al 50%!”
 
“Ma bene, siamo arrivati al piano economico? Non ci posso credere, Renzo! Cosa pretendi, che io e nostra figlia ci troviamo un altro alloggio? Per la carità, se vuoi possiamo vendere questo così tu ti prendi il tuo 50% ed io il mio, ma ti ricordo che c’è il mantenimento di Livietta a cui pensare e che almeno con la prima separazione eravamo riusciti ad evitare queste beghe economiche e a non riempire di soldi gli avvocati facendoci la guerra sui centesimi. E spero vivamente che sarà lo stesso anche per questa seconda separazione,” sibila Camilla, fulminandolo con lo sguardo.
 
Renzo apre la bocca per ribattere ma si interrompe bruscamente quando la porta del bagno si apre e ricompaiono in corridoio Gaetano con Tommy che si divincola tra le sue braccia, entrambi avvolti da un asciugamano.
 
“Tommy, stai fermo che finisce che cadi!” lo rimprovera Gaetano: tra il fatto che sono entrambi bagnati e lui è anche scalzo e con un asciugamano avvolto intorno alle gambe il rischio di far scivolare il bimbo è alto.
 
“Aspetta, aspetta, ti aiuto!” proclama Livietta, che li raggiunge, completamente fradicia dalla testa ai piedi, appoggiandosi a Gaetano e Tommy  per bloccare il bimbo tra loro e impedirgli di dimenarsi, aiutando poi l’uomo a recuperare una presa più salda e sollevare il bimbo su una spalla.
 
“Tommy, sei davvero un impiastro, guarda cosa hai combinato!” esclama la ragazza, esaminando la t-shirt oversize che usa come camicia da notte ormai completamente zuppa dopo la “battaglia navale” che Tommy ha messo in scena in bagno, per poi cedere e lasciarsi contagiare insieme a Gaetano dalle risate del bimbo che la guarda agitando le gambe da sopra la spalla del padre.
 
“Ehm, ehm!”
 
Al sentire il “colpo di tosse” di Renzo le risate dei tre si troncano a mezz’aria, anche Tommy smette di agitarsi e guarda l’uomo con gli occhioni spalancati dalla sorpresa.
 
“Dai, Tommy, andiamo a cambiarci,” propone Gaetano cercando di mantenere un tono di voce calmo ed ignorando lo sguardo di Renzo che pare volerlo fulminare all’istante.
 
“Sì, vado anche io a cambiarmi, prima di prendermi un raffreddore a giugno,” commenta Livietta con un sospiro, ignorando completamente il padre ed avviandosi verso la sua stanza.
 
Una volta che le porte si richiudono e sono di nuovo soli, Renzo pare perso nei suoi pensieri, mentre il suo sguardo si fa sempre più serio e cupo. Camilla non sa bene come reagire e si limita ad osservarlo, attendendo che faccia lui la prima mossa e ritorni nel “mondo dei vivi”.
 
Dopo pochi minuti la porta dello “studio” si riapre e Gaetano e Tommy emergono, finalmente vestiti e asciutti, il bimbo ancora in braccio al padre. Si avviano verso il bancone della cucina.
 
“Tommy ha fame e insiste che vuole fare colazione,” afferma con tono neutro senza rivolgersi a nessuno in particolare, per poi lanciare un’occhiata eloquente al bimbo ed aggiungere, “anche se non te lo meriteresti dopo quel disastro! Ti ho detto mille volte che non si gioca in bagno e che la vasca non è una piscina: hai visto quanto ci è voluto ad asciugare il pavimento? E poi hai fatto disperare la povera Livietta che è stata così gentile ad aiutarti.”
 
“Scusa papà, ma è che giocare con l’acqua è così divertente, però ti prometto che non lo faccio più,” risponde il bambino, sembrando sinceramente pentito per il guaio  provocato, anche se Gaetano dubita che l’amore del figlio per gli allagamenti e per l’acqua, probabilmente incentivato dalla gita del giorno prima, svanisca così facilmente.
 
Dopo poco anche Livietta ricompare, nuovamente presentabile e, continuando a comportarsi come se il padre non fosse presente, proclama: “allora, facciamo colazione o no? Che con tutto quello che abbiamo bruciato ieri muoio di fame!”
 
“Bruciato?” domanda Renzo, con un tono strano e indefinibile.
 
“Sì, ieri siamo andati tutti insieme al parco acquatico con Livietta e le sue amiche e poi le abbiamo accompagnate a ballare,” spiega Camilla, sentendosi ancora indolenzita e mezza cotta tra sole, acqua, balli e orari a cui non era decisamente più abituata – per non parlare di cosa era successo al rientro a casa –  ma anche soddisfatta per aver salvato il primo giorno di vacanza della figlia, nonostante tutti gli imprevisti finali. E poi, ad essere sincera, a parte l’ubriacatura di Lucrezia e il terribile spavento del tentativo di abbordaggio, si era divertita come erano anni che non succedeva.
 
“Tutti insieme?” domanda di nuovo Renzo, con tono quasi meccanico.
 
“Sì, io, Gaetano e Tommy e Livietta. Ovviamente Tommy non è venuto in discoteca,” conferma Camilla, non potendo trattenere un sorriso di fronte allo sguardo dispiaciuto del bimbo, il cui umore migliora repentinamente non appena Gaetano gli passa uno dei croissant.
 
“Renzo, bevi qualcosa? Caffè, tè, caffelatte? Come ti ho già detto, se vuoi c’è un croissant in più. Capisco che sia più ora di pranzo che di colazione, ma…” offre con il tono più neutro di cui è capace, avviandosi verso il bancone della cucina e sperando che la presenza di Livietta e di Tommy eviti un nuovo innalzamento dei toni e di riuscire a fare almeno colazione più o meno in pace. Oltretutto anche il suo stomaco protesta vivacemente ed esige di essere riempito.
 
“Magari un caffè…” articola l’uomo con lo stesso tono meccanico e semi-catatonico, seguendo Camilla ma attendendo prima di sedersi al bancone.
 
“Io invece prendo un caffelatte,” proclama Camilla, recuperando il latte e il relativo pentolino, “tu Livietta mi fai compagnia? E tu Tommy vuoi il latte con l’orzo?”
 
“Sì, però il caffè lo prepara Gaetano. Che almeno è bevibile!” commenta Livietta, estraendo le tazze e le tazzine dagli armadietti.
 
“Agli ordini!” ribatte l’uomo con un sorriso, circumnavigando intorno alle due donne di casa, aprendo cassetti ed ante per procurarsi l’attrezzatura necessaria.
 
“E io fingerò di non aver sentito questa battuta sul mio caffè, di cui nessuno finora si era mai lamentato,” replica Camilla con un sospiro, anche se deve ammettere che la figlia ha ragione: il caffè è una delle poche cose che Gaetano sa preparare alla perfezione e su cui la straccia completamente – sempre se non se lo scorda sul fuoco.
 
In tutto questo, Renzo rimane in disparte, immobile ad osservare quella scena e a chiedersi se sia stato catapultato in una specie di dimensione parallela e se questa sia davvero quella che fino a poche settimane prima considerava casa sua, se questa sia davvero quella che una volta era la sua famiglia. Perché ora gli sembra di essere di troppo, un intruso, un guardone che spia la vita degli altri, una vita in cui non c’è più spazio per lui. Perché la scena che ha davanti agli occhi sembra quasi essere uscita da un film, o da uno spot ed è talmente… naturale ed innata nella complicità e nell’affiatamento che si respirano in ogni singolo gesto, che pare qualcosa che deve essere stato così da sempre e non solo da pochi giorni.
 
Tanto che improvvisamente gli sembra che siano passati secoli dall’ultima volta che ha messo piede in questa casa, gli sembra di essere in uno di quei film di fantascienza in cui il protagonista ritorna dallo spazio pensando che siano trascorsi pochi giorni e scopre invece che sono passati dei decenni. Che il mondo è andato avanti e lui è rimasto indietro.
 
Perché è così che si sente: lasciato indietro.
 
Ed un’amarezza, una rabbia, una gelosia e un’invidia profonde, devastanti, brucianti lo assalgono con una forza che non aveva mai sperimentato in vita sua, mentre una colata d’acido che nemmeno un chilo di bicarbonato potrebbe alleviare gli invade lo stomaco.
 
Meccanicamente, quasi inconsapevolmente, accetta la tazzina che gli viene offerta dal dannato poliziotto superpiù e se la porta alle labbra: ogni goccia è come puro, bollente veleno che alimenta le fiamme che incendiano il suo stomaco.
 
“Grazie Milla, sono proprio buoni i cornetti!” esclama Tommy, accertandosi prima di aver deglutito il boccone di pasta sfoglia e crema, “non so se sono più buoni questi o i bomboni dell’altro ieri!”
 
“Bomboloni, Tommy, bomboloni,” lo corregge affettuosamente Gaetano, pulendogli una guancia dall’ennesimo sbaffo di crema e mangiando il suo cornetto.
 
“Renzo, sei sicuro che non ne vuoi? Sono davvero buoni, anche se non è mattina presto,” offre ancora Camilla, notando che l’ex marito sembra su un altro pianeta.
 
“No,” riesce solo a sillabare Renzo, dato che ha lo stomaco chiuso e che la sola idea di mangiare qualcosa ora gli provoca nausea.
 
“Ed è proprio buono anche il caffè, ma cos’è che ci metti?” chiede Livietta a Gaetano, assaggiandone un sorso prima di porgere la tazza alla madre perché ci versi il latte.

“Devo ammettere che il merito è tutto di Torre: è sua la miscela e anche il metodo. Del resto dopo tante nottate passate in bianco a lavorare, ho appreso i trucchi del mestiere,” replica Gaetano facendole l’occhiolino.
 
“Si dice lavorare adesso…” bofonchia Renzo tra i denti, in tono basso e non udibile dagli altri.
 
“Non è che magari Torre nelle nottate in bianco potrebbe insegnarti anche come fare che ne so… la pizza, la pastiera, le sue lasagne, eccetera, eccetera,” commenta Camilla con un sorriso, ormai presa dalla conversazione e dal loro solito botta e risposta che le viene quasi automatico, facendole dimenticare l’imbarazzo per la presenza di Renzo.
 
“Potrebbe, ma questo significherebbe dover passare tante nottate in bianco sul lavoro, professoressa. Quindi temo che tu debba scegliere tra la pizza, la pastiera, le lasagne e-“
 
“Ehm, ehm,” si schiarisce nuovamente la voce Renzo, che non ha quasi nemmeno bisogno di fingere che il caffè gli sia andato di traverso, riportandoli bruscamente alla realtà.
 
Si guardano per un secondo, imbarazzati, rendendosi conto di essersi praticamente scordati, per l’ennesima volta, del mondo intorno a loro, immersi nel loro battibeccare. Solo che con Renzo presente non era mai successo prima e probabilmente non dovrebbe succedere nemmeno ora. Ma qualcosa è cambiato in queste settimane e la portata del cambiamento è qualcosa che loro stessi riescono a cogliere solo adesso.
 
“Tommy, che ne dici se portiamo Potti a fare due passi?” propone Livietta d’improvviso, finendo l’ultimo sorso di caffelatte.
 
“Sì!” esclama entusiasta il bimbo, con un sorriso a 50 denti reso ancora più comico dai residui di cornetto e orzo.
 
“Gaetano, vieni anche tu con noi?” domanda poi Livietta con un sorriso, dopo un attimo di esitazione.
 
Gaetano guarda Livietta, Camilla e Renzo e non sa cosa rispondere: da un lato sa che probabilmente è giusto lasciare ai due ex un po’ di spazio per chiarire le cose che ci sono da chiarire in privato, senza la sua presenza ad alimentare la tensione e gli imbarazzi. Ma dall’altro l’idea di lasciare Camilla a casa da sola con Renzo, anche se sa che è irrazionale, anche se sa che l’architetto non è un uomo pericoloso o violento e che non farebbe mai fisicamente del male a Camilla, gli causa una tremenda fitta di emozioni negative e nebulose tra cui può distinguere la gelosia e la paura, anche se non sa bene di cosa o per cosa.
 
Alla fine è un’occhiata di Camilla che gli da la forza necessaria per decidere: riconosce quello sguardo e sa che la donna gli sta chiedendo di fidarsi di lei e forse anche di quello che c’è tra loro.
 
“Ok, dai, andiamo a metterci le scarpe,” acconsente, aiutando Tommy a scendere dalla sedia e avviandosi verso lo studio.
 
Camilla guarda Renzo che continua a fissare verso il corridoio, fino a quando riemergono Livietta, Tommy e Gaetano con Potti, pronti per la passeggiata. A quel punto continua ad alternare lo sguardo tra l’uomo e la figlia con un’aria cupa e seria.
 
“Noi andiamo, torniamo presto,” proclama Gaetano, incontrando gli occhi di Camilla. Vorrebbe avvicinarsi a lei, vorrebbe darle un bacio o anche solo toccarla, ma sa che sarebbe un qualcosa di infantile, un simbolo di possesso. E quei gesti hanno troppo valore per lui per macchiarli in questo modo.
 
“Vi aspetto,” risponde lei con un sorriso luminoso che gli fa capire che, come sempre, lei ha letto, capito ed apprezzato. Ma del resto, dopo anni di non detti e sottotesti, potrebbero quasi condurre un’intera conversazione senza dire una sola parola.
 
“Ciao,” saluta Livietta, facendo segno di voler uscire dalla porta.
 
“Livietta! Poi vorrei parlare con te, quando torni dalla… passeggiata,” annuncia Renzo, usando uno strano tono sulla parola passeggiata.
 
“Sai una cosa, papà? Non si può avere sempre tutto quello che si vuole, quando lo si vuole. Magari io avevo voglia di parlarti nelle settimane scorse, ci hai pensato? E magari la voglia mi tornerà tra qualche giorno di pausa di riflessione e meditazione. Ma oggi proprio non mi va!” proclama la ragazza, con quel tono risoluto e regale che ormai sia Gaetano che Camilla hanno imparato molto bene a conoscere.
 
E, senza guardare indietro, esce dalla porta, tenendo Tommy con una mano e il guinzaglio di Potti con l’altra.
 
“Livietta! LIVIETTA TORNA QUI!” urla Renzo, chiamandola, ma la ragazza non si ferma né torna indietro.
 
Gaetano rimane per un attimo fisso sulla porta senza sapere cosa fare, se seguire Livietta o attendere la reazione di Renzo, che si sta avvicinando a lui con aria infuriata.
 
“Renzo, aspetta, lo sai com’è fatta Livietta: devi darle tempo, non puoi prenderla di punta adesso, non solo non risolveresti niente ma peggioreresti la situazione. Anche se ha esagerato e mi dispiace,” cerca di tranquillizzarlo Camilla, trattenendolo per un braccio.
 
A quel punto Gaetano, dopo un ultimo cenno di intesa con Camilla, decide di seguire Livietta, sia per cercare di calmarla, sia per evitare di mettersi in mezzo ad una discussione che in fondo riguarda Renzo e Camilla nel loro ruolo di genitori di Livietta. E sa che questo non cambierà mai, che è un legame che avranno per sempre e che quindi dovranno riuscire a costruire un rapporto, un equilibrio tra loro e la figlia.
 
“Ah, certo, è comodo per te parlare così, dato che con te Livietta è gentile, affettuosa, felice e spensierata, mentre è me che tratta come un appestato,” ribatte Renzo, svincolandosi dalla presa di Camilla, riprendendo in mano la valigia ed avviandosi verso una porta ben precisa.
 
“Renzo, calmati, dove vai?”
 
“Vado in quella che una volta era la nostra camera da letto a riprendermi i miei vestiti e le mie cose che restano qui. O non sono più lì? Ma certo, che stupido! Quella ormai sarà l’alcova tua e del poliziotto e quindi probabilmente serviva a lui l’armadio, no?”
 
“Renzo!” lo chiama Camilla di nuovo, per cercare di farlo fermare a ragionare, ma l’uomo, deciso e furioso come mai l’ha visto prima d’ora, la ignora completamente, raggiunge la porta e la apre.
 
Ed ovviamente ci trova un letto ancora sfatto, che chiaramente non può essere stato ridotto così da un singolo occupante, e degli indumenti, tra cui una camicia e un paio di pantaloni sicuramente non femminili, sistemati disordinatamente su una sedia in un angolo. Del resto, una volta usciti dalla vasca la sera prima, l’unica preoccupazione di Gaetano e Camilla era stata quella di ripulire il disastro ed evitare di lasciare prove compromettenti in bagno, ma, arrivati in camera, ogni pensiero sui panni da lavare era stato rinviato alla mattina seguente.
 
E poi Renzo inizia a notare le assenze, perché praticamente ogni traccia del suo passaggio, della sua esistenza in questa camera è stata accuratamente rimossa: foto, oggetti personali, libri, ricordi.
 
“Renzo! Ma si può sapere che modi sono questi?” gli arriva alle spalle Camilla, decisamente irritata dall’atteggiamento dell’ex marito.
 
“Dove sono le mie cose?” chiede Renzo, gelido.
 
“Le ho sistemate in un baule, per facilitarti il trasloco. E dato che occupava parecchio spazio l’ho messo nella stanza degli ospiti,” spiega Camilla cercando di non alzare il tono di voce.
 
“Eh certo, perché a te e al poliziotto lo spazio serviva per le vostre evoluzioni immagino,” ribatte lui, tagliente.
 
“Renzo,” sibila Camilla tra i denti, in un tono che è un chiaro segnale di avvertimento che il limite sta per essere superato.
 
“Ci sono già i suoi vestiti nell’armadio, Camilla?” chiede Renzo, percorrendo la distanza che lo separa dal mobile in pochi passi, afferrando la maniglia ed aprendolo. Fa giusto in tempo a constatare che l’armadio è mezzo vuoto e i vestiti sono tutti da donna, perché Camilla si avventa sull’anta e la richiude con un colpo secco.
 
“Renzo, ma sei impazzito?!” urla, incenerendolo con uno sguardo furibondo, “non ti permettere mai più di frugare tra le mie cose, hai capito? Non puoi permetterti di comportarti così, di trattarmi così. E soprattutto non puoi permetterti di invadere la mia privacy e di metterti a fare perquisizioni a casa mia!”
 
“Casa nostra!” urla lui di rimando, “e comunque pensavo che perquisizioni, indagini e ispezioni ti piacessero, no Camilla?”
 
“Renzo,” sibila lei di nuovo, facendo un respiro per cercare di mantenere il controllo, “Sarà anche nostra al 50%, ma adesso qui ci vivo io! Cos’è, se affittassimo la casa a qualcuno secondo te questo ci darebbe il diritto di entrare senza il loro permesso e metterci a rovistare tra le loro cose? Non funziona così e tu non hai nessun diritto di violare in questo modo la mia intimità!”
 
“L’intimità tua e del poliziotto vorrai dire!”
 
“Sì, anche l’intimità di Gaetano, che a maggior ragione non si merita di trovarsi l’inquisizione a casa!”
 
“Ah, quindi ammetti che questa è anche casa sua adesso!”
 
“No, ma anche se lo fosse questo non ti da comunque il diritto di ficcare il naso nella nostra vita privata!”

“Ma certo che hai un bel coraggio a parlare di riservatezza, intimità, privacy: proprio tu che sei la più grande ficcanaso che abbia mai conosciuto, Camilla!”
 
“Se io ficco il naso è sempre su cose che riguardano strettamente i casi su cui sto indagando e non mi metto a perquisire le case altrui senza motivo o a spiare cosa fanno gli altri nell’intimità delle loro camere da letto. E tu dovresti saperlo molto bene, dato che quando ci siamo separati per la prima volta e tu stavi con Carmen non sono mai venuta a casa vostra ad impicciarmi degli affari vostri, se non quando mi hai chiesto tu di farlo per aiutarti a scagionare Carmen e, in ogni caso, non mi sono mai messa ad indagare sulla vostra relazione sentimentale e sessuale. Anche se in effetti non ne avevo nemmeno bisogno, dato che hai mollato per secoli a casa mia un baule pieno di biancheria intima leopardata che prendevi, riponevi e con cui giravi pure per casa mia, come se fosse la cosa più normale del mondo! Ma se a te certe cose piace condividerle, od ostentarle, io preferisco decisamente tenermele per me e penso di averne tutto il sacrosanto diritto!”
 
“Forse a te non piacerà ostentarle certe cose, ma credo che il California Dream Man che mi ha aperto la porta mezzo nudo non sia della tua stessa opinione,” sibila Renzo, con un tono derisorio nella voce che la manda in bestia. Finché tocca lei lo può tollerare, ma non sopporta che insulti Gaetano o che lo schernisca.
 
“Prima di tutto non ti permetto di parlare così di Gaetano, di mancargli di rispetto in questo modo! Se vuoi prendertela con me fallo pure, ma lui lascialo fuori da questa discussione! E soprattutto se Gaetano ha aperto la porta mezzo nudo è perché evidentemente il campanello è suonato mentre si stava facendo la doccia e sicuramente pensava che fossi io che rientravo a casa. E non gli do torto, dato che ti sei presentato a casa nostra di domenica mattina, senza nemmeno degnarti di avvertire con una telefonata, dopo settimane di assenza!” urla Camilla, indignata ed incapace di controllarsi oltre.
 
“Casa vostra?” sibila Renzo, con voce asciutta e glaciale, facendole bloccare il fiato in gola. Nella concitazione della discussione il lapsus freudiano le è sfuggito dalla bocca in modo totalmente inconsapevole. E l’impatto non solo su Renzo ma anche su di lei è devastante.
 
“Casa mia! E comunque questo non cambia il fatto che se tu avessi avvisato della tua visita, di sicuro Gaetano sarebbe stato perfettamente vestito ed avresti avuto un’accoglienza diversa. Anche perché se Gaetano avesse voluto ostentare oggi, fare il gallo e farti pesare il nostro nuovo rapporto, ti garantisco che avrebbe potuto fare di molto peggio, che si sarebbe comportato in tutt’altro modo. Invece si è fatto da parte per lasciarci chiarire e parlare, non ha fatto alcun gesto per metterti o mettermi in imbarazzo ed è stato un vero signore!”
 
“Ma certo, lo faranno santo, poverino!” esclama Renzo, sarcastico, “anzi, probabilmente dovrei ringraziarlo per avermi portato via la moglie, la casa e a quanto pare ora il suo nuovo obiettivo è mia figlia. Devo lasciargli anche qualcuno dei miei oggetti in eredità per aiutarlo a sistemarsi meglio qui?”
 
“Ma che stai dicendo, Renzo? Prima di tutto io non sono un oggetto che può essere rubato. E anche se posso capire che il fatto che Gaetano non abbia mai fatto mistero dei suoi sentimenti per me in questi anni non te l’abbia reso affatto simpatico, anzi, comunque la decisione di ricambiare o meno è stata solo mia. E se mi sono innamorata di lui è anche perché le cose tra noi hanno cominciato a non funzionare più e in questo invece le colpe non sono state solo mie. Ma è inutile continuare a ripetere le stesse cose. Per quanto riguarda la casa, rimane sempre tua al 50%, come hai continuato a ribadire da quando sei arrivato e Gaetano di sicuro non vuole nemmeno un centesimo da te. E in quanto a Livietta è e sarà sempre tua figlia, questo nessuno te lo toglierà mai e Gaetano non ha la benché minima intenzione di mettersi in mezzo tra voi due.”
 
“Ah no? Perché, guarda un po’, mentre io vengo trattato come un cane da mia figlia che praticamente fa finta che io non esista, Livietta col poliziotto superpiù è tutta una moina, una gentilezza ed è decisamente, ma decisamente molto ma molto amorevole ed affettuosa, fin troppo! E come sei bravo Gaetano! E che buono il tuo caffè Gaetano! E usciamo insieme, Gaetano!” esclama Renzo, con una voce leziosa in falsetto che dovrebbe imitare quella della figlia, per poi aggiungere con un tono che passa dal velenoso ad una nota strana che Camilla non ha mai sentito prima, “tanto che non solo mi chiedo cosa tu le abbia messo in testa su di me, in mia assenza, sulla nostra separazione, dato che evidentemente attribuisce a me tutte le colpe, considerato come si comporta con te e come invece si comporta con me, ma soprattutto mi chiedo cosa lui le abbia messo in testa, Camilla, in questi giorni di convivenza e forse te lo dovresti chiedere anche tu!”
 
“Ma cosa stai dicendo: né io né Gaetano abbiamo messo in testa alcunché a Livietta, Renzo! Guarda che anche con me si comportava esattamente come si è comportata con te poco fa, se non peggio, fino praticamente a tre giorni fa. E anche con Gaetano all’inizio è stata scontrosa e probabilmente anche maleducata. Ma noi siamo rimasti qui con lei, abbiamo tenuto duro, abbiamo affrontato il problema insieme e alla fine io sono riuscita a chiarirmi con lei e Gaetano a costruirci un buon rapporto. Cosa pretendevi? Che andandotene e sparendo per un po’ magicamente tutto sarebbe tornato a posto e ti avrebbe accolto a braccia aperte come se non fosse successo nulla? Ti tratta esattamente come ti trattava prima della tua partenza, Renzo, forse è solo un po’ più irritata per la tua assenza, ma vedrai che se affronti le cose con lei, con pazienza, senza aggredirla ma parlandole onestamente tutto si risolverà anche tra di voi. Livietta ti vuole molto bene e lo sai!” spiega Camilla, non potendo credere alle parole dell’ex marito, che sia arrivato ad accusare lei e perfino Gaetano di mettergli contro sua figlia, che poi Gaetano che interesse avrebbe a…
 
Di colpo si blocca nei suoi pensieri e si sente come se avesse appena ricevuto un pugno alla bocca dello stomaco, perché il tono di Renzo, il modo in cui ha pronunciato certe parole, le parole esatte che ha scelto e che lei aveva inizialmente ignorato nella foga della difesa e del chiarimento, assumono un nuovo significato, talmente inconcepibile, assurdo e… inconcepibile che la sua mente probabilmente si era inizialmente rifiutata di prenderlo perfino in considerazione.
 
“Ti prego, Renzo, dimmi che non stai insinuando quello che io non posso nemmeno pensare che tu stia insinuando,” mormora lei, asciutta, con la voce che si incrina in un paio di punti, trafiggendolo con uno sguardo incredulo e carico di avvertimenti.
 
“Eh, certo, tu non puoi nemmeno pensarlo, vero, Camilla? Sei così accecata da quest’uomo che non ti sfiora nemmeno il pensiero che avere un noto dongiovanni che gira per casa insieme a nostra figlia possa creare dei problemi? Che non sia normale che un uomo che potrebbe essere suo padre ma che non è suo padre le ronzi intorno tranquillamente seminudo, come se fosse la cosa più naturale del mondo, e che lei dal canto suo gli si strusci addosso conciata come Miss Maglietta Bagnata?” urla Renzo, ormai completamente fuori di sé.
 
“Renzo, io… io non posso nemmeno concepire, nemmeno credere, non voglio credere di stare sentendo quello che sto sentendo. E non meriteresti nemmeno una risposta, neanche una, ma se Gaetano era in asciugamano è perché, te lo ripeto, l’hai interrotto tu mentre era sotto la doccia. E Livietta non si strusciava, stava solo tenendo fermo Tommy e, sì indossava una maglia bagnata perché Tommy le ha fatto fare una doccia fuori programma ma non era né attillata, né bianca, né trasparente… e… dio mio…” sussurra lei, con voce tremante, gli occhi spalancati e le mani che sono scosse da fremiti che piano piano si estendono al resto del corpo, “ti rendi conto di quello che stai dicendo? Che non è solo Gaetano che stai… che sta insultando, che stai infangando, che stai sporcando con queste accuse assurde ed inammissibili ma anche tua figlia? Che stai dando a lui del maniaco, del puttaniere e a lei della… della… non ci posso credere! Non posso credere che tu possa davvero essere arrivato a tanto, Renzo!”
 
“No, Camilla, io non sto incolpando nostra figlia, che ha solo 16 anni ed è ancora ingenua e credulona e che si innamora un giorno sì e l’altro pure e chissà da quali promesse si fa infinocchiare, ma da chi magari le da ad intendere certe cose, da chi si approfitta della sua vulnerabilità, della sua inesperienza!”
 
“Gaetano non farebbe mai una cosa simile, non è… non è nemmeno lontanamente nella sua natura! E sono anni che vuole bene a Livietta, da quando era piccola così, maledizione! A meno che tu adesso non voglia insinuare che sia anche un pedofilo, già che ci siamo!” urla Camilla, anche lei ormai completamente ed assolutamente fuori controllo.
 
“Ti dico solo due parole, Camilla, anzi quattro: Woody Allen e Soon-Yi! O… com’è che si chiamava quella ragazzina che abitava nel nostro palazzo a Roma eh… e il padre del suo fidanzato, che la conosceva da quando era piccola così, eppure quando si è accorto che non era più tanto piccola…”
 
“Karin, Karin Levrone,” sussurra Camilla tra sé e sé, scuotendo il capo e passandosi una mano tra i capelli, mentre ormai il tremore si è esteso a tutto il corpo e guarda Renzo come se non l’avesse mai visto prima, perché non può davvero ancora credere che lui sia realmente lì, davanti a lei a dirle quelle cose.
 
“E comunque, ti faccio solo notare, Camilla, che l’età media delle donne a cui si accompagna di solito il tuo amato poliziotto, è molto, ma molto più vicina a quella di nostra figlia, che alla tua,” aggiunge Renzo come stoccata finale, con un mezzo sorriso sardonico.
 
Per un attimo regna il silenzio, Camilla con i pugni e gli occhi chiusi, che trema in mezzo alla stanza, mentre Renzo, che pensa forse di averla spuntata, di esserle riuscito a far capire il suo punto di vista, si rilassa impercettibilmente.
 
Letteralmente in un battito di ciglia, gli occhi di Camilla si riaprono e lo sguardo che rivolge a Renzo, ferale, lucido, furente e calmo allo stesso tempo, uno sguardo che lui in più di 20 anni di matrimonio non ha mai visto prima, gli fa correre un brivido lungo la schiena.
 
“Renzo,” esala in un sussurro che è un sibilo, apparentemente calmo e che contrasta con il corpo che ancora trema come una foglia, “per il tuo bene e per il bene di nostra figlia, per rispetto a tutto quello che c’è stato tra noi in questi anni, ti consiglio vivamente di andare nella stanza degli ospiti, prendere il tuo baule, uscire da questa casa e di non farti né vedere né sentire per qualche giorno, fino a che mi sarò calmata e riuscirò a far finta che tu non abbia mai detto… quello che sei riuscito a dire oggi. E soprattutto che non ti venga mai più in mente non solo di ripetere, di suggerire, di lasciar intendere, ma nemmeno di pensare qualcosa del genere in presenza mia o di chiunque altro, a maggior ragione di mia figlia o di Gaetano o di Tommy, È CHIARO?”
 
“Certo, Camilla, così tu potrai continuare a mettere la testa sotto la sabbia, a fare finta di niente, a ignorare la situazione!” urla Renzo, spiazzato e ferito dalla reazione di Camilla e avendo perso ormai ogni freno inibitorio, “Io invece non posso credere che tu non voglia aprire gli occhi, che sia così accecata da quest’uomo da mettere potenzialmente in pericolo la serenità di nostra figlia, il suo benessere, per lui, da non capire che cosa potrebbe succedere se continuano a giocare col fuoco… Cos’è, è così tanto bravo a letto che-“
 
SMACK!
 
Lo schiaffo, forte, violento e netto, gli fa ruotare la testa e lo spinge all’indietro di due o tre passi.
 
Con mano tremante si tocca l’angolo della bocca, e guarda le sue dita insanguinate, poi guarda il volto di Camilla che ormai è scossa da tremori fortissimi e il cui viso, il cui sguardo è completamente trasfigurato in una maschera di furore, collera e allo stesso tempo di lucidità che gli fa gelare il sangue nelle vene.
 
Non sa se siano lo sguardo o lo schiaffo a risvegliarlo dalla nebbia verde e livida di invidia che gli aveva oscurato la vista e preso il sopravvento, il controllo. Una nebbia carica di gelosia nei confronti di Camilla e dell’uomo che pareva avere preso il suo posto nel cuore di sua moglie e di sua figlia, di rancore, di desiderio di vendetta, di rivalsa, di ferirla quanto lui si era sentito ferito, di distruggere, cancellare e rovinare quel quadretto perfetto da famigliola felice che l’aveva annientato e devastato fin nel profondo dell’anima. Ma improvvisamente ritorna in sé e si accorge di aver non solo esagerato, ma di aver oltrepassato ogni limite. Di essere andato davvero troppo, ma troppo oltre. Ma ormai è troppo tardi.
 
“Renzo,” soffia lei, in un tono basso, calmo e letale, “ti ringrazio, sai? Ti ringrazio per avermi davvero fatto aprire gli occhi e avermi dato conferma di quanto Gaetano sia un uomo infinitamente migliore di te, e non solo a letto. Ma, adesso, prendi le tue cose e vattene, subito.”
 
“Camilla, scusami io-“
 
“Vattene,” lo interrompe lei, con un altro sibilo più intenso, come una valvola pronta ad esplodere.
 
“Camilla, ti prego, ascoltami, io-“
 
“FUORI!” urla lei, roca, aspra, ormai senza controllo, senza freni.
 
“FUORI, VAI FUORI!” ripete, ancora più forte, avvicinandosi a lui e spintonandolo verso la porta quando si accorge che non si muove, “FUORI!!!”
 
“CAMILLA, CHE SUCCEDE?” li raggiunge la voce di Gaetano, distante e poi sempre più vicina. La porta si apre e l’uomo entra, prendendo Camilla, ancora intenta a spingere Renzo, tra le sue braccia e trattenendola per i polsi, “Camilla, Camilla, amore, calmati, ti prego! E tu, Renzo, per favore, esci!”
 
“Gaetano, io-“ cerca di intervenire Renzo, ma un’occhiata dell’altro uomo gli fa perdere la voce.
 
“Renzo, esci, e non farmelo ripetere un’altra volta,” ripete Gaetano, con tono fermo, calmo ma che fa intuire all’altro uomo che se non lo farà, è pronto ad arrivare allo scontro fisico.
 
“Ok, ok,” sussurra Renzo alzando le mani ed indietreggiando, per poi afferrare la valigia su cui era quasi inciampato, lanciare un’ultima occhiata verso la moglie, che sembra aver smesso di divincolarsi tra le braccia dell’altro uomo ed uscire finalmente dalla stanza.
 
Un rumore di passi e la porta di ingresso che sbatte e si chiude.
 
Gaetano sente Camilla afflosciarsi contro il suo petto come un palloncino svuotato dall’aria che conteneva e percepisce chiaramente i fremiti che la scuotono.
 
“Camilla,” la chiama, cercando di sollevarle il viso per guardarla negli occhi, ma lei lo mantiene sepolto contro la sua maglietta, “Camilla, amore, che è successo? Ti sei fatta male? Ti ha messo le mani addosso?”
 
Ma Camilla si limita a rimanere abbracciata a lui, facendo no con la testa, continuando a tremare come una foglia.
 
“Camilla, ti prego, mi fai preoccupare così! Parlami, dimmi che cosa è successo… che cosa ha fatto Renzo, cosa ti ha detto?” chiede di nuovo Gaetano, sentendo la t-shirt farsi bagnata e capendo che la donna sta piangendo.
 
“Non… non hai sentito nulla?” chiede lei, sollevando finalmente il viso solcato dalle lacrime che gli riempiono gli occhi e tirando su con il naso.
 
“No, no, ero appena rientrato quando ti ho sentita urlare e a quel punto sono venuto di corsa in camera.”
 
“Livietta? Dov’è Livietta? E Tommy?” chiede nuovamente, con la voce che si spezza in più punti.
 
“Livietta è voluta rimanere per più tempo al parco… credo non volesse rischiare di trovare ancora Renzo qui al suo rientro e ha insistito perché Tommy rimanesse con lei e Potti, ma io tornassi indietro ad ‘aiutarti a preparare il pranzo’,” spiega l’uomo con un mezzo sorriso sulle labbra, “credo avesse notato che ero parecchio inquieto e che volesse che venissi a tenere d’occhio l’evoluzione della situazione, e ha fatto bene, direi.”
 
“Già,” sospira Camilla per poi irrigidirsi, col fiato che le si blocca in gola, mentre un’immagine di Gaetano e Livietta insieme l’assale nuovamente, come quando Renzo le stava sputando addosso tutto quel veleno, tutto quel… marciume. Scuote il capo togliendosela immediatamente dalla mente ed odiando con tutte le sue forze l’ex marito per averle anche solo fatto immaginare una cosa del genere.
 
“Camilla, che succede?” domanda Gaetano, angustiato, notando i muscoli di lei contrarsi tra le sue braccia.
 
“Niente, non ti preoccupare,” lo rassicura Camilla, guardandolo negli occhi e rilassandosi contro di lui, in quell’abbraccio che la fa sentire protetta e in pace con il mondo.
 
“Come posso non preoccuparmi, Camilla? Non… non ti avevo mai vista così. Cos’è successo con Renzo?”
 
“Niente… davvero, non ti preoccupare…” sussurra lei sforzandosi di sorridere.
 
Sa benissimo che se dovesse rivelare a Gaetano cosa è stato capace di insinuare Renzo i due uomini arriverebbero allo scontro fisico e, ora che si è un po’ calmata e non è più completamente accecata dalla furia, si rende conto di quali sarebbero le conseguenze.
 
Perché sa che in una colluttazione Renzo non avrebbe alcuna speranza contro Gaetano e che quindi l’uomo che ama potrebbe trovarsi in guai molto ma molto seri, con il lavoro e perfino con la legge. Per non parlare di cosa potrebbe succedere con Eva e Tommy se Gaetano fosse dipinto come un uomo violento. Ed inoltre Renzo è padre di Livietta e malgrado ora il solo pensiero di lui le provochi un cocktail di emozioni negative, tra cui spiccano l’indignazione e l’amarezza, talmente potente da farle girare la testa fino alla nausea, sa che non può permettersi che le cose tra loro due degenerino oltre.
 
E la benché minima eventualità che Livietta possa venire a conoscenza di cosa ha detto suo padre oggi le provoca una seconda, devastante ondata di nausea e sa che non può rischiare una cosa del genere. Specialmente dato che, fortunatamente, nessuno ha sentito nulla della loro lite.
 
“Camilla… Ho visto che Renzo sanguinava da un labbro. Gli hai tirato uno schiaffo, vero?” chiede Gaetano, prendendole la mano destra nella sua e sentendola inspirare bruscamente per il dolore. Il gonfiore che comincia a manifestarsi e l’indolenzimento gli confermano quanto è successo e che il colpo deve essere stato bello forte.
 
“Sì,” sospira lei, sottraendo la mano alla stretta di Gaetano e guardandola, come se appartenesse a qualcun altro. In tanti anni di matrimonio, nemmeno dopo aver scoperto di lui e di Carmen aveva mai reagito così, gli aveva mai alzato le mani addosso, per quanto fosse stata molto ma molto tentata di farlo in un paio di occasioni.
 
“Camilla, da quanti anni è che ci conosciamo noi due? Non ti ho mai vista perdere la pazienza, il controllo, fino al punto di colpire qualcuno… Non mi puoi dire che non è successo niente. Cosa ti ha detto Renzo?” le domanda nuovamente Gaetano, parendo leggerle, come sempre, nell’anima.
 
“Niente, Gaetano, niente che abbia alcun senso, alcuna importanza o alcun significato per me,” ripete lei, più decisa, guardandolo negli occhi e sollevando la mano sinistra per accarezzargli il viso.
 
Gaetano riconosce quello sguardo, quel tono e sa che è inutile insistere, che lei non ne vuole parlare e che gli sta chiedendo, implorando, di fidarsi di lei e del suo giudizio, della sua decisione.
 
“D’accordo, d’accordo, Camilla, io non ti chiederò altro, però, tu lo sai che puoi dirmi qualsiasi cosa, vero? Che puoi fidarti di me,” le dice, calmo ma risoluto, non perdendo il contatto visivo nemmeno per un istante.
 
“Lo so, però, credimi, non è nulla che meriti di essere ripetuto o considerato o discusso,” ribadisce lei con lo stesso tono, “è un discorso chiuso e non voglio più nemmeno pensarci.”
 
O almeno spera che sia così, perché, se Renzo dovesse tornare all’attacco, a quel punto Camilla sa che non potrebbe evitare di parlarne con Gaetano e prega davvero che non sia necessario farlo, mai. Ma una voce dentro di lei, la voce del suo istinto, della sua autocoscienza, le sussurra che se Renzo ha agito così è stato perché accecato dalla gelosia sia verso di lei che verso la figlia, perché ha percepito Gaetano come un “concorrente”, come una minaccia al suo ruolo di padre, al rapporto con “la sua bambina”. A cui probabilmente si è sommata la paura e la diffidenza ai limiti dell’ossessivo che ha da sempre nutrito verso qualsiasi esponente del sesso maschile che abbia mai osato avvicinarsi a Livietta, dal suo amichetto Giulio tanti anni fa in avanti.
 
Sebbene questo non renda il suo comportamento meno odioso, meno inammissibile e non scalfisca la rabbia, l’amarezza che scorrono ancora nelle sue vene come una tossina, le da comunque un minimo di speranza che, a mente fredda, Renzo stesso non creda davvero a quelle… assurdità e che questo sia quindi stato un episodio isolato, che non si ripeterà.
 
Deve essere così, perché l’alternativa… la sua mente si rifiuta di considerare l’alternativa. Cosa potrebbe succedere a lei, a Gaetano e ai loro figli se Renzo persistesse con le sue insinuazioni, con le sue accuse.
 
“Ok, ok,” le sussurra Gaetano in un orecchio, sospirando.
 
“Gaetano, posso solo chiederti una cosa?” gli domanda Camilla, guardandolo di nuovo negli occhi.
 
“Tutto quello che vuoi, e lo sai,” le sussurra lui, accarezzandole il viso.

“Puoi stringermi forte per un po’?” gli sussurra di rimando, le lacrime che ancora scendono dagli occhi.
 
“Camilla…” esala lui con un sospiro, intensificando l’abbraccio e stringendola a sé più che può, mentre la preoccupazione mista a tenerezza gli invadono nuovamente il petto, “non serve nemmeno che lo chiedi, e sai anche questo.”
 
Camilla si limita ad annuire e rimangono così, stretti-stretti, in piedi in mezzo alla stanza per un tempo indefinito.
 
“Dai, andiamo a preparare questo pranzo,” afferma infine Camilla, con voce decisa, sollevando lo sguardo arrossato ma finalmente asciutto.
 
“Sicura?” chiede lui, accarezzandole le guance e cancellando gli ultimi segni di pianto.
 
“Sicurissima. Anche perché ti sei offerto di darmi una mano, quindi ne devo approfittare,” risponde lei con un sorriso più sincero dei precedenti, anche se ancora un po’ tremolante.
 
“A tuo rischio e pericolo però, professoressa,” la avverte lui ricambiando il sorriso, per poi aggiungere, facendole il saluto militare, “ma giuro solennemente di fare del mio meglio!”
 
“Sarà meglio!” ribatte lei, dandogli un pizzicotto sul fianco e regalandogli un sorriso più ampio, luminoso e sicuro.
 
Così, mano nella mano, si avviano in cucina dove affogano nel lavoro manuale e ripetitivo, nella rassicurante familiarità del loro battibeccare e nella vicinanza dell’altro i pensieri e le paure.
 
E poco importa che le melanzane siano tagliate storte e quindi non cuoceranno uniformemente nella parmigiana o che le meringhe da mangiare col gelato non siano perfettamente bianche, ma in compenso pendenti come la torre di Pisa, o che la cucina alla fine sembri un campo di battaglia: l’importante è averlo fatto insieme.
 
 
 
Nota dell’autrice: ed eccoci arrivati alla fine di questo capitolo molto ostico e delicato. Ci ho pensato a lungo prima di scriverlo, ma quando immaginavo la reazione di Renzo non solo a vedere Camilla e Gaetano insieme, come una famiglia, ma soprattutto a vedere un avvicinamento tra Livietta e Gaetano, mi è venuto in mente quasi naturalmente un unico scenario e non ho potuto fare a meno di metterlo su carta virtuale xD. Del resto che Renzo sia gelosissimo della figlia e veda ovunque “attentatori” alla sua innocenza e virtù (che fa molto ‘800 xD), è evidente da tutte le serie, fin da quando Livietta era piccolissima, e considerato che Gaetano è un bell’uomo, il suo essere stato un noto dongiovanni e la sua abitudine di girare spesso mezzo nudo per casa propria, se due più due fa quattro, mi sembrava impossibile che Renzo non venisse assalito da questa paura, oltre che da una certa sete di rivalsa. Come i nostri protagonisti affronteranno questo ed altri “cicloni” lo vedrete nei prossimi capitoli: se ne prospetta una serie parecchio movimentata e ricca di imprevisti, anche se con i soliti, immancabili, momenti più riflessivi ;). Come sempre, se vi va, fatemi sapere che cosa ne pensate: lo so che questo è un capitolo dagli argomenti per l’appunto molto, molto delicati, e che il rischio di far apparire qualcuno come “il cattivo” della situazione è alto, quindi anche i pareri negativi mi aiutano a tararmi e a capire cosa funziona e cosa no. Ancora un grazie per avermi letto e seguito fin qui, nonostante la mia proverbiale prolissità e, se volete, vi do appuntamento al prossimo capitolo ;).

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Out of Eden ***


Capitolo 23: “Out of Eden”



Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro 
 


“Allora, come è andata?”
 
Vederla lì su quella seggiola, una lieve traccia d’apprensione ad incresparle il volto, lo rasserena quasi di più del responso del medico.
 
“Bene: nonostante tutti gli imprevisti, a quanto pare mi sono ripreso e non dovrei avere conseguenze. Posso smettere di tenere il collare, ma devo fare massaggi ed andarci piano con pesi, palestra e sforzi ancora per qualche settimana,” annuncia con un sorriso.
 
“Meno male!” esclama lei, sollevata, alzandosi e avvolgendolo in un rapido abbraccio.
 
“Sì, e, soprattutto per la parte dei massaggi, professoressa, dovrò attenermi scrupolosamente alle indicazioni del dottore,” le sussurra lui nell’orecchio, in modo suggestivo, mentre si avviano a braccetto verso l’uscita.
 
“Sì, però, dottor Berardi, io le consiglierei di fare molta attenzione nel scegliere la massaggiatrice, se non vuole ritrovarsi presto al pronto soccorso a rimpiangere il ‘trauma cervicale del terzo grado’,” lo mette in guardia lei, pungente, con un sopracciglio alzato che contrasta con il sorriso e uno sguardo giocoso che contiene però una traccia di reale avvertimento.
 
“Io pensavo ad una fisioterapista alta, sottile ma con le curve al punto giusto, riccia, mora, occhi scuri, bellissima e pericolosa…” sussurra lui di nuovo, soffiandole leggermente nell’orecchio.
 
“Dai, Gaetano, non qui, aspetta almeno che torniamo in macchina,” lo ammonisce non riuscendo però a trattenere un risolino per il solletico e il brivido che le corre lungo la schiena, peggio di una sedicenne alla prima cotta, “e comunque sottolineerei soprattutto il pericolosa. A buon intenditor…”
 
“Poche parole!” replica lui con un sorriso.
 
“E, per inciso, la fisioterapista pericolosa è disponibilissima per massaggi, ma solo dopo che un fisioterapista vero ti avrà sistemato e dato l’ok. Ci manca solo che ti peggioro la situazione,” chiarisce lei, con un tono di sincera preoccupazione.
 
“Beh, allora diciamo che per intanto puoi allenarti a manipolare… altre aree, che ne dici?” le propone tra l’ironico e il sensuale, una volta arrivati vicino all’auto.
 
“Mmm… vedremo, Gaetano, vedremo…” replica lei con un sorriso, dandogli un rapido bacio prima di salire in macchina.
 
Dopo poco si apre l’altra portiera e Gaetano la raggiunge, mettendosi al posto di guida. Inserisce la chiave ma esita prima di girarla e di mettere in moto.
 
“C’è qualcosa che non va?” chiede Camilla, temendo che l’uomo non le abbia detto tutto.
 
“Non proprio, ma… diciamo che quella del mio collo non è l’unica novità della giornata…” annuncia lui con un sospiro, per poi farsi forza e aggiungere, sempre fissando il volante, “Camilla, mi hanno chiamato gli operai e il lavoro è terminato. Domani deve venire il tecnico a fare gli ultimi rilievi per certificare che l’appartamento è di nuovo agibile. Insomma, per dopodomani al massimo io e Tommy potremo rientrare a casa.”
 
“Ah,” esala lei, abbassando lo sguardo, incapace di dire altro perché sente un peso comprimerle il petto e lo stomaco e la bocca farsi secca.
 
“Già…” mormora lui, osando finalmente girarsi a guardarla, mentre anche lei prende coraggio e fa lo stesso.
 
I loro sguardi si incrociano e si riflettono perfettamente l’uno in quello dell’altra: non c’è bisogno di parole per capire che nessuno dei due vorrebbe che questa convivenza provvisoria arrivi alla sua naturale conclusione.
 
“Beh, sapevamo che questo momento sarebbe arrivato prima o poi…” commenta infine Camilla in quello che è poco più di un bisbiglio.
 
“Già, ma questo non rende le cose più facili…”
 
“No… no, infatti, anzi. È stato così… incredibilmente semplice e… naturale abituarmi alla vostra presenza, a condividere con voi le giornate e… e le nottate,” ammette lei con un sorriso malinconico, “ma non credo sarà altrettanto semplice riabituarmi alla vostra assenza. Anche se lo so che è stupido, perché alla fine possiamo sempre guardarci dalla finestra e raggiungerci in cinque minuti d’orologio, se non di meno, però…”
 
“Però non è la stessa cosa, giusto?”
 
“No, infatti e poi… e poi sono stanca di guardarvi dalla finestra.”
 
“Camilla…” mormora, cedendo all’impulso irrefrenabile di trascinarla in un abbraccio il più stretto possibile, nonostante lo spazio limitato nell’abitacolo.
 
“Camilla, ascoltami, se vuoi… se vuoi possiamo rimandare ancora per qualche giorno, il tempo… il tempo di elaborare un po’ la notizia, di abituarci all’idea,” suggerisce lui, sapendo benissimo che nulla potrà rendergli meno indigesto il ritorno al suo appartamento, ma desiderando ritardarlo più che può.
 
“Non credo sia una buona idea, Gaetano, anche se lo vorrei, dio solo sa quanto lo vorrei. Ma più tempo passa e più diventa difficile e più… non so se riuscirò a lasciarvi andare via,” confessa lei accarezzandogli il viso, per poi aggiungere, con un’espressione seria e decisa, “e poi tra qualche giorno torna Eva e… diciamo che ho come l’impressione che sia decisamente meglio che non ci trovi ad abitare ancora insieme.”
 
“Camilla, ascoltami, qualsiasi cosa accada io non ho alcuna intenzione di permettere ad Eva di condizionarmi la vita e di intromettersi tra noi due. Io ti amo e voglio stare con te, che a lei piaccia o no, e dovrà abituarsi a questa idea,” chiarisce lui, altrettanto serio e deciso.
 
“Gaetano, lo so che mi ami e lo so che faresti qualsiasi cosa per me, perché sei davvero un uomo straordinario. E anche io ti amo e ti garantisco che non ho alcuna intenzione di permettere a nessuno di interferire con la nostra relazione ma… Gaetano, tu hai lottato tanto per ricostruire un rapporto con tuo figlio e ci sei riuscito. Siete… siete bellissimi insieme e Tommy ti adora e lo so che per te lui è la cosa più importante in assoluto. E non voglio che per me tu metta in pericolo il rapporto con lui proprio adesso, che rischi uno scontro frontale con Eva. Anche perché lo sappiamo tutti e due che negli affidamenti dei figli sono le madri ad avere il coltello dalla parte del manico e che… che Eva non è italiana e in ogni caso per lavoro gira il mondo e quindi-”
 
“E quindi se dovessimo farci la guerra e se lei chiedesse l’affido esclusivo e lo ottenesse potrebbe portarselo in Svezia o in capo al mondo. O potrebbe comunque provarci, se le cose tra noi dovessero degenerare,” sospira Gaetano, per nulla sorpreso che Camilla abbia colto al volo il cuore del problema e delle sue paure riguardo all’ex moglie. Perché la possibilità che Eva si porti via Tommy in un posto dove lui non potrebbe raggiungerlo, se non al massimo poche volte l’anno, è una di quelle paure che lo assillano da mesi, soprattutto dopo lo scampato pericolo delle Filippine. Ed è uno dei motivi per cui è molto in apprensione per il viaggio a Los Angeles.
 
“Esatto. Quindi dobbiamo farle capire che il nostro rapporto non è una minaccia per lei o per Tommy. Che non siamo due incoscienti che si fanno trascinare dalla passione del momento ma che quella che stiamo costruendo è una relazione seria, stabile e duratura. Che faremo le cose per bene e ci comporteremo come gli adulti responsabili che dovremmo essere. E che per te Tommy e il suo benessere vengono prima di tutto, anche prima di me, e che questo non cambierà mai, qualsiasi cosa succeda tra noi due.”
 
“Camilla…” mormora lui con un sorriso ammirato ma malinconico, stringendola nuovamente a sé e sussurrandole all’orecchio, “sei fin troppo saggia e fin troppo generosa, come sempre. Però su una cosa ti devo correggere: anche il tuo benessere per me è al primo posto Camilla. E non sono disposto a sacrificarlo per nulla al mondo, tanto quanto non sono disposto a sacrificare quello di Tommy, ok?”
 
“Lo so… Ma io sono grande e anche con tutti i miei casini me la posso cavare da sola, in qualche modo. Tommy è un bambino e ha bisogno di te. E posso capire ed aspettare e fare qualche sacrificio, che non è affatto un sacrificio se significa proteggere la vostra di felicità. Posso ben sopportare di attraversare un cortile se questo significa evitare che tu debba attraversare un oceano per stare accanto a tuo figlio. Perché anche io non sono disposta a sacrificare la felicità di nessuno, né la tua, né quella di Tommy-“
 
“Né quella di Livietta?” le domanda lui interrompendola con un sorriso.
 
“Cosa c’entra Livietta con Eva?” domanda lei di rimando, confusa.
 
“Con Eva niente, o spero niente. Mi auguro per lei che almeno tua figlia possa stare alla larga dall’uragano Eva…” commenta lui con un altro sorriso, “però c’entra con Renzo e… Camilla, nemmeno io voglio che tu per me sacrifichi la serenità di tua figlia e il suo rapporto con suo padre.”
 
“Cosa vuoi dire?” domanda Camilla con un filo di voce, mentre il panico si impossessa di lei, alla sola idea che Gaetano possa avere sentito qualcosa o comunque scoperto cosa è successo durante l’ultimo ‘incontro’ con Renzo. E una nuova ondata di rabbia e indignazione la assale: si è un po’ calmata rispetto a due giorni prima, ma è ancora molto, ma molto infuriata con l’ex marito.
 
“Camilla… senti, lo so che tu non mi vuoi parlare di cosa è successo l’altro giorno e non ti farò pressioni. Però, correggimi se mi sbaglio, mi sembra di aver notato che Renzo non solo non si è fatto più vedere ma nemmeno sentire. E, per quel poco che conosco tua figlia, non ci vuole un genio per capire che questo la faccia stare male. Che, anche se l’ha praticamente ignorato l’altro giorno, in realtà la sua era più che altro una provocazione, una richiesta di attenzione, di confronto e di scontro. Esattamente come ha fatto con te nelle ultime settimane. Che magari si aspettava o sperava che Renzo la cercasse, insistesse e l’affrontasse e che questa nuova sparizione, invece, sia stata una grande delusione per lei.”
 
“Per quel poco che la conosci?” esclama lei con tono tra l’incredulo, l’ammirato e l’ironico, “ma se praticamente le hai fatto il profilo psicologico! Anzi, sai una cosa, Gaetano? Alle volte ho l’impressione che tu capisca Livietta molto meglio sia di me che di Renzo, anche se davvero non so come sia possibile.”
 
“Ma veramente?” chiede lui, sorpreso, mentre lei annuisce a conferma delle sue parole.
 
“Boh, non lo so, Camilla, sarà forse che mi ricorda parecchio te, o meglio, come mi immagino che dovessi essere tu da adolescente,” spiega con un sorriso.
 
“Davvero?” chiede Camilla, mentre di nuovo le parole di Renzo la investono per un istante, facendole girare la testa. Ma le ricaccia indietro in un secondo: non ha alcuna intenzione di farsi condizionare dalle accuse deliranti dell’ex marito.
 
“Sì,” conferma Gaetano, non notando la reazione di Camilla, concentrato com’è sul ragionamento, “e poi… e poi sinceramente mi ricorda molto anche Francesca, mia sorella.”
 
“Francesca?” domanda di nuovo Camilla, dandosi mentalmente dell’idiota per aver ripensato anche solo per un secondo a quello che aveva detto Renzo e, allo stesso tempo, preoccupandosi del paragone. Perché avere una figlia che ricordi ‘la mina vagante’, con tutto il rispetto e l’affetto per la sorella di Gaetano, non è un buon segno.
 
“Sì! Non ti preoccupare, che non me la ricorda nel periodo ‘mina vagante’,” si affretta a precisare lui, parendo leggerle di nuovo nel pensiero, “diciamo com’era all’inizio dell’adolescenza. Quando eravamo ancora molto uniti, fino a prima che io partissi per l’università. Era molto sensibile e molto sveglia, proprio come Livietta, ma più fragile. E con i miei si comportava proprio come fa Livietta per richiedere attenzioni. Solo che, mentre di solito voi con Livietta ci andate d’accordo e le date le attenzioni di cui ha bisogno, le richieste di mia sorella cadevano praticamente sempre nel vuoto. E con la mia assenza… c’è stata un’escalation fino ad arrivare alla mina vagante.”
 
“Capisco,” sospira Camilla, rendendosi conto per l’ennesima volta di quanto poco sappia della famiglia di Gaetano, delle sue origini. Ricorda solo una foto di una signora bionda ed elegante sulla sua scrivania, tanti anni prima, ma non sa nemmeno se i suoi genitori siano ancora in vita o meno. È però lampante che i rapporti con loro non devono essere stati semplici né per Gaetano, né per sua sorella.
 
“E poi Livietta è molto più matura e con la testa sulle spalle di Francesca alla sua età, quindi non ti devi preoccupare. Del resto, non poteva essere altrimenti, visto che è tua figlia e come l’hai educata. Però ha ancora bisogno di te e… e di suo padre. E ritorniamo quindi a quello che è successo l’altro giorno.”
 
“Gaetano…”
 
“Non ti chiederò niente, Camilla, tranquilla. Però ho capito benissimo che è stato un litigio… pesante. E mi sembra chiaro che… che la mia presenza in casa tua debba avere in qualche modo contribuito. Che a Renzo non debba aver fatto piacere vederci convivere dopo così poco tempo. Che sia geloso del rapporto che ho con te e che forse l’abbia anche infastidito il fatto che io e Livietta andiamo d’accordo. Ogni volta che lei mi parlava, Renzo sembrava volermi fulminare con lo sguardo,” ricorda Gaetano con un sospiro.
 
“Gaetano…” ripete Camilla in un sussurro, sempre più ammirata dalla capacità di percezione dell’uomo.
 
“E penso che il fatto che invece con lui Livietta sia scontrosa non faccia altro che peggiorare ancora le cose. Insomma, che senta che io gli ho fregato il posto, come ‘marito’ per te e come ‘figura paterna’ per Livietta.”
 
I colpi di tosse sono inevitabili, mentre cerca di non soffocare sulla sua stessa saliva, seguiti da qualche respiro doloroso alla ricerca disperata di un po’ d’aria, che provocano altri colpi di tosse, mentre lacrime assolutamente involontarie le annebbiano la vista.
 
“Ehi, ehi! Respira, respira!” esclama Gaetano, dandole qualche pacca delicata sulla schiena per aiutarla.
 
Piano piano l’ossigeno ritorna a fluire normalmente nei polmoni, il respiro a farsi più regolare e la tosse si calma e passa.
 
“Tutto bene?” chiede lui, preoccupato, accarezzandole il viso.
 
“Sì, sì,” lo rassicura, anche se in realtà è vero solo in parte. Perché quello che ha provocato questa mezza asfissia è stato proprio il fatto che perfino l’intuito, il fiuto di Gaetano non sono potuti arrivare nemmeno lontanamente vicino alle reali ed assurde paure di Renzo sul rapporto tra il vicequestore e la figlia.
 
E se questo da un lato la rassicura e la conforta, dall’altro lato la mette in una posizione scomoda: quella di mentire, sapendo di mentire, o quantomeno di omettere.
 
“Il soffocamento significa che ho colpito nel segno o che ho fatto un buco nell’acqua?” le domanda Gaetano con un sorriso che non nasconde però del tutto la preoccupazione sul suo volto.
 
“Significa che ci hai azzeccato quasi su tutto. È vero: Renzo non ha affatto gradito trovarci a vivere già insieme, anzi. E non sopporta il fatto che tu e Livietta abbiate un bel rapporto, che vi siate avvicinati così tanto…” conferma Camilla, lavorando sul filo delle omissioni, anche se non le piace per nulla.
 
“Beh, da un lato lo capisco,” ammette Gaetano con un sorriso malinconico.
 
“Lo capisci?!” domanda Camilla, sbalordita, guardandolo negli occhi.
 
“Sì, lo capisco… Camilla, nessuno quanto me può capire cosa si provi a... a sentirsi come uno spettatore esterno che osserva la vita d’un altro e sapere che non è la tua vita, che non ne fai parte e che non la potrai avere, per quanto lo desideri. Tu hai un’idea di quanto ho sognato poter… poterci essere io al posto di Renzo, quando vi ‘guardavo dalla finestra’, e non solo nell’ultimo anno? Quanto… quanto l’ho invidiato per quello che aveva: il tuo amore, una famiglia, la certezza che, qualsiasi cosa fosse capitata, non sarebbe stato mai solo. E io non avevo mai nemmeno provato cosa volesse dire avere… tutto questo, cosa volesse dire averti, Camilla. Non voglio immaginare cosa possa sentire lui, adesso, sapendo benissimo cosa ha perso. E cosa io invece ho guadagnato.”
 
“Gaetano…” mormora lei con voce strozzata dall’emozione, stringendolo nuovamente a sé più che può, sentendo il cuore dolerle di quel male agrodolce che solo lui sa suscitare in lei. E chiedendosi come sia possibile che lui riesca a farla innamorare sempre di più, ad ogni giorno, ad ogni momento che passa.
 
“Camilla, scusami,” le sussurra lui all’orecchio, accarezzandole i capelli, “non… non avrei dovuto, io non-“
 
“No, no, anzi,” lo interrompe lei, unendo le loro labbra in un bacio breve e delicato, per poi sfiorargli una guancia con la punta delle dita, “Gaetano, però, io non voglio che tu ti senta in colpa nei confronti di Renzo… Tu non gli hai rubato nulla, perché la verità è che quello che abbiamo adesso noi due, io e Renzo l’avevamo smarrito per strada tanto, ma tanto tempo fa. E in realtà non sono nemmeno sicura che il rapporto tra me e Renzo sia mai stato paragonabile a quello che stiamo vivendo io e te insieme ora, non in questo modo, almeno, non con questa… intensità, questa naturalezza. E comunque non avremmo mai più recuperato quello che eravamo un tempo, anche se non ti avessi mai rincontrato, anche se avessi continuato ad ostinarmi a portare avanti il nostro matrimonio.”
 
“Lo so, Camilla, ma questo non significa che faccia meno male sapere di averlo perso, qualunque sia stato il motivo, o che sia più facile per lui da accettare. E… comunque posso capire di non essergli mai andato molto a genio e del resto il sentimento è sempre stato reciproco,” ammette con un altro sorriso malinconico, “quindi forse il fatto di tornare a vivere ognuno nel suo appartamento può aiutarlo a digerire meglio la situazione e soprattutto dare a lui e a Livietta tempo e spazio per chiarirsi e riconciliarsi e a voi due tempo e spazio per trovare un nuovo equilibrio da… genitori separati, senza la mia presenza a complicare le cose.”
 
“Lo sai che sei davvero un uomo eccezionale? E decisamente, ma decisamente molto più saggio e generoso di me. Molto più di quanto io mi meriti e sicuramente molto ma molto di più di quanto si meriti Renzo,” sussurra lei, abbracciandoselo di nuovo e sentendosi straordinariamente calma ed in pace con se stessa, come se quel tarlo che la tormentava da quando aveva litigato con Renzo si fosse finalmente zittito.
 
“Sarà la tua vicinanza, professoressa… E comunque non so se sono tanto saggio, sai? Perché in realtà non capisco del tutto le sue preoccupazioni su Livietta. Cioè, per la carità, anche per me non sarebbe per nulla semplice competere con una nuova figura paterna per Tommy, se Eva dovesse rifarsi una vita. Ma Tommy ha cinque anni ed è da poco che ci siamo ritrovati. Livietta invece è cresciuta con Renzo e gli è sempre stata legatissima. E poi ormai è grande e di sicuro non ha bisogno di un altro padre e non credo proprio potrebbe mai vedermi come tale. Al massimo come… boh, come uno zio, un amico più grande con cui parlare. Quindi penso che il ruolo di Renzo non sia assolutamente in discussione, e dovrebbe rendersene conto anche lui.”
 
“Ed è proprio questo il problema…” sussurra Camilla a bassa voce, sentendo la calma evaporare nuovamente. Perché, a maggior ragione dopo tutto quello che Gaetano le ha detto, la sola idea di ingannarlo le è insopportabile. E per scansare questa domanda indiretta, non potrebbe fare altro che mentire.
 
“Come?” domanda lui, non avendo sentito bene.
 
Camilla lo guarda negli occhi, in quegli occhi azzurri che l’hanno da sempre osservata, letta ed adorata come la cosa più preziosa del mondo. Quegli occhi nei quali, specchiandosi, ha sempre visto riflessa la parte migliore di sé, una parte di cui ignorava l’esistenza stessa e che con lui, e solo con lui, straordinariamente ha visto la luce, fin dal loro primo incontro, come se non fosse possibile fare altrimenti.
 
E sa cosa deve fare, cosa non può evitare di fare.
 
“Gaetano,” mormora in un respiro, continuando a mantenersi riflessa in quegli specchi, “ti devo… ti devo dire una cosa ma… ma prima ho bisogno che tu mi faccia una promessa.”
 
“Camilla, cosa mi devi dire? Se parli così mi fai preoccupare…” risponde lui, scostandole un riccio ribelle dal viso e accarezzandole una guancia.
 
“Gaetano, ho bisogno che mi prometti che, qualsiasi cosa ti dirò, tu manterrai la calma e non… non reagirai, non ti lascerai prendere dalla rabbia o… o dall’indignazione e non ti metterai nei guai. Te lo chiedo per Tommy, per me, e soprattutto per te,” gli chiede, appoggiando la mano sulla sua che ancora le copre la guancia ed intrecciando le loro dita.
 
“Camilla, mi stai davvero preoccupando. Cos’è successo?”
 
“Prima promettimelo, Gaetano, per favore,” lo implora, trafiggendolo con un’occhiata talmente carica d’amore e di angoscia da fargli girare la testa. Sa che non potrebbe negarle nulla, soprattutto non se lo guarda in quel modo. Ma una paura, anzi, un incubo lo assale, comprimendogli lo stomaco e le vie aeree e sa che c’è un solo caso in cui non potrebbe accontentarla, in cui gli sarebbe fisicamente e mentalmente impossibile mantenere quella promessa.
 
“Camilla, se Renzo ti ha messo le mani addosso o ti ha fatto del male, io non posso-“
 
“No, no, tranquillo… fisicamente Renzo non mi ha mai fatto del male... anche se, come si suol dire? Ne ferisce più la penna – o in questo caso la lingua – che la spada. Ma comunque non ero io l’obiettivo principale delle sue pugnalate verbali dell’altro giorno,” cerca di spiegargli con un sospiro, mentre sente la stretta delle dita tra le sue rilassarsi e farsi meno convulsa. Ma la preoccupazione nelle iridi cerulee non accenna ad allentarsi.
 
“Per favore, Gaetano,” ripete in un respiro che sembra quasi un rantolo.
 
“D’accordo, d’accordo, Camilla, te lo prometto. Non farò nulla che possa mettermi o metterci nei guai, qualunque cosa tu mi dica,” concede infine con un sospiro, sapendo che, in caso contrario, lei non gli rivelerà mai cosa è successo con l’ex marito ed avvertendo nitidamente che è qualcosa che non può, che non possono assolutamente permettersi di ignorare. Anche se il suo istinto già sa che probabilmente non è qualcosa che gli piacerà, anzi, che gli farà probabilmente ancora più male di quanto già ne abbia fatto alla donna che ama. Ma si era ripromesso di non mettere mai la testa sotto la sabbia, non con lei, e sa che i segreti, alla lunga, feriscono più di qualsiasi altra cosa: come la proverbiale goccia d’acqua che scava la roccia, si insinuano, formano crepe invisibili che però, prima o poi, inevitabilmente sgretolano e distruggono dall’interno ciò che li conteneva.
 
“D’accordo, mi fido di te e della tua parola,” replica Camilla con un sorriso malinconico, prendendo un lungo respiro per farsi forza, “credimi che non è facile dirtelo perché… è completamente assurdo ed inconcepibile anche per me e… ancora fatico a crederlo io stessa.”
 
“Camilla…” la avverte lui, con quel tono che le fa capire che è il momento di arrivare al sodo e che non può girarci attorno oltre.
 
“Renzo… Renzo ha paura o… sostiene di avere paura che possa esserci o che possa nascere qualcosa tra te e Livietta,” rivela, prima esitante e poi tutto d’un fiato, stringendogli la mano più che può, mentre una nuova ondata di nausea la investe insieme alle immagini che il pronunciare quella frase porta inevitabilmente con sé.
 
Gaetano non risponde, non reagisce, rimane immobile a guardarla, mentre l’incredulità, lo sgomento e lo shock si fanno largo sul suo volto. Spalanca la bocca per qualche secondo e la richiude, senza riuscire a proferire un suono.
 
“Cosa?” esala lui in un sussurro, quasi tra sé e sé, fissando il vuoto.
 
“Sì, insomma, che Livietta si innamori di te, si prenda una cotta per te e che tu… che tu non solo non la respingeresti in quel caso ma anzi… ma anzi che tu la stia condizionando, che tu potresti approfittarti di lei e tentare di sedurla,” continua con un filo di voce, mentre la nausea si tramuta quasi in conati e le immagini si fanno sempre più vive e più nitide togliendole il fiato e annebbiandole la vista.
 
“Cosa?” ripete lui, guardando avanti a sé senza vedere più niente, mentre le parole di Camilla gli rimbombano nella testa come suoni sconnessi, senza un ritmo e senza un senso.
 
“Gaetano…” sussurra, sollevando la mano libera dalla morsa in cui la sta trattenendo quella dell’uomo per sfiorargli la fronte e poi una guancia, ridestandolo da quella specie di stato di trance in cui sembrava essere caduto.
 
Ed è allora che nota il tremore e il pallore di lei, gli occhi umidi e le labbra contratte in una smorfia, come se si stesse sforzando per non dare di stomaco. È come se una doccia fredda lo investisse, scorrendogli lungo la spina dorsale ed insinuandosi fin nelle ossa, mentre le sue di viscere si annodano e si rivoltano dall’interno.
 
“Camilla, tu lo sai che io non farei mai una cosa del genere, vero? MAI!” afferma lui, deciso, afferrandole una spalla con la mano non intrecciata in quella di lei e scuotendola lievemente, mentre sente tutto il sangue defluire verso il basso con quelle gocce di elettricità e sudore ghiacciato.
 
“Gaetano-“ cerca di interromperlo lei, comprendendo con un sussulto come l’uomo abbia completamente frainteso verso cosa e soprattutto verso chi fossero rivolti il suo disgusto e il suo dolore.
 
“Camilla, lasciami parlare,” la implora lui, bloccandola come un fiume in piena, “prima di tutto non ti tradirei mai, MAI, con nessuna. Per me esisti solo tu, e lo sai. E poi non… l’ultima volta che ho avuto una storia con una minorenne avrò avuto 20 anni e non mi sognerei mai di approfittarmi di una ragazzina. E soprattutto, Livietta è come se fosse una nipotina per me, come Nino, e io-“
 
Le labbra compresse sulle sue infine arginano il flusso di parole e di pensieri, permettendo al sangue e all’ossigeno di riprendere il loro corso naturale.
 
“Gaetano,” un’invocazione a metà tra il dolce e l’esasperato non appena le loro bocche si separano da quel contatto breve ma lancinante nella sua intensità, “mi vuoi stare a sentire, per la miseria?! Non serve che mi spieghi nulla o che mi giustifichi nulla, perché lo so benissimo che non c’è nulla da spiegare e nulla da giustificare. Ma tu pensi sul serio che se avessi mai avuto il benché minimo, microscopico dubbio che tu potresti rappresentare una minaccia per mia figlia, ti avrei mai portato nella sua, nella nostra vita? Che ti avrei frequentato per tutti questi anni, che avrei iniziato una relazione con te, che l’avrei proseguita, che sarei ora seduta qui con te a parlarne e soprattutto che tu saresti qui a parlarne con me e non a cantare in un coro di voci bianche?”
 
“Camilla…” sussurra lui con un sorriso incredulo ed orgoglioso, mentre il freddo, il voltastomaco lasciano il posto a quel calore nel petto che ha scoperto grazie a lei e che ormai è a lei indissolubilmente legato.
 
“Se te ne sto parlando non è perché penso o ho mai pensato che possa essere vero ma perché mi sono resa conto che non posso omettere o mentirti su una cosa… su una cosa così grave, così inconcepibile. Sono ancora… furiosa ed indignata, credimi, ma non con te, anzi, credimi che mi sento… mi sento male io a dovertelo riferire e che mi dispiace davvero che per causa mia ti trovi in una situazione tanto… assurda. E poi-“
 
“Camilla, non hai nulla di cui dispiacerti o di cui scusarti, tu, non è colpa tua,” pronuncia lui con più decisione, mettendole un dito sulle labbra, mentre i ruoli si invertono e al calore si sostituisce un’indignazione che cresce e monta e ribolle, bloccata solo da un lampo improvviso, “è per questo che hai colpito Renzo? Per difendere me?”
 
“Per difendere te, per difendere Livietta e forse anche per difendere me stessa. E sinceramente se non fossi arrivato tu a fermarmi probabilmente avrei fatto anche di peggio,” ammette lei con un sospiro, scuotendo il capo.
 
“Credo proprio che io e Renzo dovremo fare due chiacchiere,” sibila lui, quasi fra sé e sé, scuotendo il capo di rimando, ricordando con rabbia quanto fosse sconvolta, devastata Camilla quel giorno e desiderando con tutte le sue forze di infliggere allo stimato architetto Ferrero esattamente la stessa sofferenza.
 
“Eh, no, Gaetano, hai promesso, ricordi? Io non voglio che tu ti metta nei casini, che tu faccia il gioco di Renzo, maledizione!” sbotta lei, prendendogli il viso tra le mani e trafiggendolo con uno sguardo eloquente e deciso, “se te ne ho parlato è proprio perché non voglio che tu abbia problemi in futuro Gaetano, che questo… delirio possa avere conseguenze su di te, su di me, su di noi o, peggio, anche su Livietta o Tommy.”
 
“Camilla…”
 
“Ascoltami, Gaetano, io mi sono sentita in dovere di parlartene, proprio per metterti in guardia, per decidere insieme il da farsi… Io non so cosa sia preso a Renzo, credo… credo che abbia reagito così per gelosia verso noi due, verso quello che stiamo costruendo insieme, per tutti i motivi che hai giustamente già compreso tu. E poi, anche se assolutamente non lo giustifico, anzi, purtroppo Renzo ha sempre avuto una diffidenza quasi ossessiva ed assolutamente esagerata verso ogni persona di sesso maschile che abbia mai osato avvicinarsi alla ‘sua bambina’, fin da quando era piccolissima. Ti ricordi anche come si preoccupava della sua amicizia con Nino, no? Anche se era un amore platonico e innocente da bimbi. Non so nemmeno se pensi davvero quello che ha detto e spero sinceramente che non ritornerà alla carica con questo argomento e che non ne farà più parola, ma se lo facesse voglio… voglio che possiamo essere preparati al peggio e a fare fronte comune, ad affrontarlo insieme.”
 
Gaetano, senza interrompere il contatto visivo nemmeno per un secondo, prende le mani di Camilla, che ancora gli accarezzano le guance e le unisce alle sue, come a suggellare un patto.
 
“Camilla, tranquilla, non ho intenzione di mettermi nei guai e di dare a Renzo la soddisfazione di poter fare la parte della vittima. Ma penso che a questo punto sia necessario che io lo affronti apertamente e mi chiarisca con lui, verbalmente si intende. Del resto, come hai detto tu, ne ferisce più la lingua che la spada e-“
 
“Gaetano-“ cerca di intervenire lei, temendo che un duello a base di stilettate verbali possa degenerare o comunque creare complicazioni sul lungo termine quasi quanto uno scontro fisico.
 
“Camilla,” la blocca lui, con uno sguardo deciso e risoluto, aperto e disteso, che sembra leggerle dentro, fin nel profondo dell’anima, “non ti preoccupare: non voglio di certo mettermi sullo stesso piano di Renzo o aggravare ancora di più la situazione. Come ti ho già detto, lo so che Renzo è il padre di Livietta, che lo sarà sempre e che lei ha bisogno di lui. E poi, nonostante tutto, è evidente che Renzo voglia molto bene a vostra figlia e… per quanto mi sembra palese che abbia superato ogni limite e che… sinceramente mi spaventa pensare che possa essere arrivato a tanto, Camilla, e la cosa non mi piace per nulla, non solo per me, ma soprattutto per te e per Livietta stessa, ma… il suo essere iperprotettivo in fondo posso anche capirlo. O meglio, posso capire da cosa derivi.”
 
“Sul serio?” chiede nuovamente Camilla, sempre più sbalordita.
 
“Camilla, a me basta che tu mi credi, che tu sai che non sono quel genere di persona e non farei mai nulla di simile. Ma Renzo… diciamo che il fatto che mi veda come il fumo negli occhi e che mi voglia colpire con ogni mezzo in fondo non mi stupisce come forse dovrebbe, considerati i precedenti tra noi e tutto quello che ho visto col lavoro che faccio. Casi da fare impallidire ‘La Guerra dei Roses’. E, soprattutto, non mi stupisce che sia così preoccupato per vostra figlia e che la veda sempre come una bambina… Camilla, anche io quando guardo Livietta non posso fare a meno di pensare alla bimba che giocava con le Winx, che aveva la camera piena di peluche e che cercava di convincermi a regalarle un ‘fratellino’ per Potti per il compleanno,” spiega con un sorriso, scuotendo leggermente il capo al ricordo.
 
“Aveva stressato anche te con la storia del ‘fratellino’?” domanda Camilla, non riuscendo a sua volta a trattenere un sorriso al ricordo di quanto sapesse essere insistente, sfiancante ed adorabile Livietta da bimba quando si impuntava su qualcosa. Con l’adolescenza le prime due caratteristiche erano rimaste, se non si erano accentuate, mentre la terza si era, purtroppo, un po’ persa.
 
“Già… la prima volta che è venuta da me dichiarando che per il compleanno dovevo assolutamente regalarle un fratellino mi ha fatto venire un mezzo infarto,” ricorda lui, trascinandola in una risata liberatoria.
 
“Quando hai capito che si trattava di un cane?” gli chiede lei, non appena riesce nuovamente a respirare tra le risate.
 
“Un minuto dopo circa, se non ricordo male, non appena ha iniziato a parlare di razze e taglie,” racconta con un sorriso ancora sulle labbra, “ma è stato uno dei minuti più lunghi della mia vita anche se, in realtà, l’idea regalo originaria non mi dispiaceva affatto, professoressa, anzi.”
 
“Gaetano…” sussurra lei, sorridendogli di rimando ed accarezzandogli una guancia.
 
“Comunque, tornando a Renzo, insomma, in fondo posso comprendere sia le sue difficoltà ad accettare che Livietta stia crescendo, sia le sue preoccupazioni sulle uscite e sui ragazzi e sugli uomini che si avvicinano a lei. Tra il mio lavoro, tutte le storie che ho visto e sentito e tutti i locali notturni che ho frequentato, posso capire che stia in ansia. L’altra sera in discoteca mi è quasi venuto un colpo, Camilla.”
 
“Non dirlo a me…” sussurra lei, ricordando quei cinque ceffi in discoteca.
 
“Anzi, in realtà, avevo pensato… volevo parlartene stasera, ma già che siamo in argomento…” esordisce esitante, voltandosi per prendere un paio di opuscoli dal sedile posteriore e porgendoglieli.
 
“Autodifesa?” domanda stupita, quasi tra sé e sé, scorrendo rapidamente le immagini sul pieghevole.
 
“Sì… è un corso gratuito per sole donne organizzato dalla polizia locale. Ricordo che Livietta aveva fatto Judo con Nino, quindi un minimo di basi le ha, ma questo corso non riguarda tanto le arti marziali, anche perché con gente armata non si scherza, ma si concentra soprattutto su come identificare e prevenire le situazioni a rischio e su come reagire nella maniera migliore in caso di emergenza. Conosco gli istruttori e sono molto bravi, preparati, sono gli stessi che tengono i corsi per gli agenti,” spiega, cercando di valutare la reazione di Camilla a quella che sa, potrebbe essere interpretata come un’ingerenza non richiesta, “c’è un corso che inizia settimana prossima e pensavo… beh pensavo che, dato tutto quello che è successo negli ultimi giorni, magari potreste farlo insieme tu e Livietta, o solo tu, o solo lei… Insomma, se volete, chiaramente, senza impegno, non voglio imporre niente, anzi, ma è che-“
 
Un tocco morbido sulla bocca gli blocca nuovamente le parole in gola, mentre viene avvolto da un abbraccio talmente stretto da togliergli il fiato e sente le labbra sulle sue dischiudersi in un sorriso. Un altro bacio, lieve come un battito di ciglia, un morso delicato sul labbro inferiore e si ritrova con un dolce peso sulla spalla e un mare di ricci a solleticargli il collo.
 
Rimangono per un po’ così, abbracciati, senza dire nulla, a tracciarsi linee invisibili sulla schiena, sulla nuca e tra i capelli. La macchina spenta, nonostante l’ombra, è ormai una scatola rovente sotto il sole di giugno, ma nessuno dei due avverte nulla al di fuori del senso di pace che li riempie quando entrano nel loro mondo.
 
“Cosa pensi di fare con Renzo?” si impone infine di domandare lei, rompendo il silenzio e la quiete, sapendo che è necessario.
 
“Ti fidi di me?” domanda lui di rimando, occhi negli occhi.
 
“Sempre,” afferma lei decisa, mentre un altro mezzo sorriso le increspa le labbra.
 
“Parlerò con lui, professoressa, e gli farò capire che non solo non farei mai del male né a te, né a Livietta, ma soprattutto che non permetterei e non permetterò mai a nessuno di farvi del male. Nemmeno a lui.”
 
Un sorriso commosso, le mani tra i capelli, le ali di una farfalla che gli si posano sulle palpebre, sul naso, per poi unirsi al suo respiro in un carezza leggera che presto esplode in uno di quei baci che fanno appannare i finestrini, dal sapore fin troppo passionale e fin troppo innocente per una coppia che la boa dei venti l’ha non solo sorpassata ma doppiata da un pezzo.
 
Due colpi al vetro, un’anziana scandalizzata che ricorda ad entrambi la vecchia portiera di Camilla, scuse mormorate, risate trattenute ed una rapida ripartenza verso quella che, a dispetto di quanto avverrà nelle prossime ore, entrambi considerano ormai casa loro, con una leggerezza d’animo quasi inspiegabile, impossibile, considerato tutto quello che hanno dovuto e che dovranno affrontare.
 
Ma in due è davvero tutto più semplice, tutto più lieve, tutto più chiaro e più luminoso, e anche gli scogli più insormontabili diventano dei sassolini, visti insieme da lassù.


 
***************************************************************************************
 


“Vi dobbiamo dire una cosa,” annuncia Gaetano, sovrastando le risate di Livietta e Tommy mentre impastano insieme la pizza per cena, infarinati dalla testa ai piedi, la cucina ridotta a un campo di battaglia, “domani finiscono le ultime verifiche per il mio appartamento, quindi dopodomani io e Tommy torniamo… al di là del cortile.”
 
Avrebbe voluto dire “torniamo a casa”, ma quelle due parole proprio non ne hanno voluto sapere di uscire.
 
Le risate si troncano bruscamente, mentre Livietta e Tommy si guardano e li guardano con una malinconia nei volti che fa quasi male a vedersi.
 
“Ah,” è l’unica reazione della ragazza, in un’imitazione quasi perfetta, tanto quanto involontaria, di quella della madre poche ore prima.
 
Seguono lunghi attimi di silenzio, intervallato solo dal lieve rumore dell’impasto che viene lavorato con fin troppo vigore.
 
Del resto non servono parole: gli sguardi dicono già tutto, come le nubi uggiose che hanno soffocato e spazzato via l’atmosfera calda e spensierata che si respirava fino a pochi minuti prima in quella stanza.
 
Camilla e Gaetano non possono fare a meno di guardarsi e di chiedersi se non stiano sbagliando tutto.
 
La suoneria di un cellulare – La Cavalcata delle Valchirie – un nome sul display – Eva – come un segno cosmico forniscono loro la risposta che stavano cercando, l’unica risposta possibile, anche se non è né facile, né piacevole.
 
Non possono permettersi di giocarsi la guerra, per vincere una battaglia.
 



 
Nota dell’autrice: Come avete potuto vedere questo è un capitolo di transizione e di “ritorno alla realtà”. Ogni tanto capitano e purtroppo sono necessari (sia i capitoli di transizione, sia i ritorni alla realtà xD). Spero non sia risultato noioso, se sì fatemelo sapere, che i vostri pareri mi aiutano davvero sempre a tararmi e a migliorarmi. I prossimi due/tre capitoli saranno molto movimentati e intensi, vi anticipo i titoli che ho in mente, giusto per darvi un’idea di cosa vi aspetta: “Il serpente” ed “Eva”. Vi lascio immaginare chi sia il serpente xD. I nostri protagonisti avranno delle belle gatte da pelare e sfide da affrontare. Se vi va, vi aspetto al prossimo capitolo, ringraziandovi come sempre per avermi sopportato e supportato fin qui ;).

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Il Serpente - prima parte ***


Capitolo 24: “Il serpente – prima parte”




Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro 


 
Strano, rifletteva Gaetano mentre chiudeva l’auto al termine di una lunga giornata di lavoro, senza pausa pranzo – del resto di rientrare in un appartamento vuoto non aveva nessuna voglia – come alcuni oggetti sembrino racchiudere in pochi centimetri quadrati un mondo di emozioni, di simboli, di significati.
 
Il giorno prima per tornare dall’altra parte del cortile era bastata una semplice valigia a contenere i pochi vestiti portati a casa di Camilla. Era stato tutto rapido e semplice: la mattina lui e Tommy erano usciti per andare al lavoro e all’asilo e, al ritorno, avevano semplicemente girato a destra invece che a sinistra nel cortile.
 
Niente lunghi saluti, niente addii drammatici da film: del resto bastavano pochi minuti per rincontrarsi ogni volta che lo volevano. Potevano guardarsi dalla finestra, telefonarsi e, alla fin fine avevano trascorso molto tempo insieme comunque, come del resto succedeva già non solo prima che iniziasse questa convivenza improvvisata, ma prima ancora che lui e Camilla diventassero una coppia, quando lei era ancora, a tutti gli effetti e non solo per la legge, la signora Ferrero.
 
Camilla, essendo in ferie e con gli scrutini ormai conclusi, aveva continuato ad andare a prendere Tommy all’asilo come sempre e il bimbo aveva trascorso entrambi i pomeriggi con lei e con Livietta. La sera prima quando era tornato dal lavoro ed era andato a recuperarlo, la tentazione di fermarsi a cena era stata forte, ma, per evitare ulteriori confusioni nel bimbo e per evitare di rendere il tutto ancora più difficile, avevano optato per un gelato e una breve passeggiata dopo cena.
 
Razionalmente non potevano quindi lamentarsi e in fondo poco sembrava essere cambiato: passavano molto più tempo insieme di quanto la maggior parte delle coppie e delle famiglie che vivono sotto lo stesso tetto facciano normalmente ogni giorno.
 
Ma quando si tratta dei sentimenti la razionalità si eclissa e lo stomaco, il cuore non ne vogliono sapere di seguire i saggi consigli dettati dal cervello.
 
Perché quando aveva chiuso quella valigia, la mattina prima, aveva sentito che le cose più importanti, quelle di cui aveva davvero bisogno, non poteva portarsele dietro, nemmeno con la valigia più capiente del mondo. Perché quando l’aveva sollevata gli era parsa pesante come un macigno, proprio a lui che, traumi cervicali a parte, alzava con tranquillità pesi decine e decine di volte superiori a quello. Perché quando aveva varcato la soglia di quell’appartamento, gli era sembrato di averci lasciato una parte di sé.
 
Né l’ultima giornata trascorsa in famiglia – grazie ad un giorno di permesso, mai così ben sfruttato – tra cibo casalingo, sfide di videogame, giro al parco e film sul divano, né l’indimenticabile nottata insonne trascorsa con Camilla, a far l’amore, a coccolarsi, ad abbracciarsi, ad annusarsi e a viversi fino all’alba, senza bisogno di parole, assaporando ogni attimo come se fosse l’ultimo, erano bastati ad alleviare la sofferenza per il distacco, anzi l’avevano reso, se possibile, ancora più doloroso.
 
E quando la sera era tornato nel suo appartamento, quando si era coricato nel suo letto, si era sentito come in terra straniera. Aveva provato un’insofferenza, quasi un odio verso ogni singolo angolo di ogni singola stanza, verso quei mobili e quegli oggetti che aveva selezionato lui personalmente e che ormai da anni facevano parte del suo mondo.
 
Gaetano non era mai stato un appassionato di arredo, non si era mai innamorato di un appartamento in particolare, non si era mai sentito veramente a casa in nessuna della lunga serie di abitazioni in cui aveva soggiornato dall’infanzia in avanti. Con il mestiere di suo padre, che comportava continui trasferimenti e poi con il suo di mestiere, che, specie nei primi anni di carriera, l’aveva portato a girare per mezza Italia, si era abituato a non legarsi mai ad un posto, a vedere la residenza come un luogo dove riposarsi e stare un po’ in pace quando lo desiderava, ma assolutamente privo di legami affettivi o emozionali.
 
Era quindi quasi ironico, per non dire beffardo, che il primo luogo che avesse mai sentito di poter davvero chiamare casa non gli appartenesse nemmeno, che non solo si sentisse a suo agio, ma che anzi si fosse affezionato a mobili, suppellettili ed oggetti d’arredo che non soltanto non aveva scelto, ma che riflettevano il gusto personale dello stimatissimo architetto Ferrero. E, se il solo pensiero del suddetto architetto da un paio di giorni a questa parte gli faceva ribollire il sangue nelle vene e gli faceva provare un desiderio atavico e straripante di spaccargli quei dannati occhialetti dalla montatura rossa sulla faccia con un pugno ben assestato, quegli oggetti dallo stile forse fin troppo estroso e “di design” per un uomo pragmatico come lui, gli erano entrati nel cuore e tra le stanze di quell’appartamento provava un senso di appartenenza, di pace, che non aveva mai sentito in vita sua.
 
Ma gli oggetti materiali non c’entravano, questo Gaetano lo sapeva, erano le persone che contavano e sapeva anche ormai con assoluta certezza, che l’unico posto al mondo dove poteva trovarsi a casa era quello dove c’erano anche Camilla e Livietta, oltre che Tommy. E, dopo l’assaggio di queste settimane, ora il suo unico sogno, il suo unico obiettivo era poter “ritornare a casa” e questa volta per sempre. Avrebbe smosso mari e monti, avrebbe lottato con le unghie e con i denti per riuscirci e per riuscirci in un lasso di tempo il più breve possibile. Perché dopo solo due giorni “via da casa” già gli sembrava passata un’eternità.
 
Arrivato in mezzo al cortile viene ridestato bruscamente dai suoi pensieri quando scorge una figura familiare davanti a sé, di spalle, che sta procedendo con passi lenti e quasi esitanti verso la porta della scala di Camilla.
 
Pensi del diavolo…
 
“Renzo,” chiama con il tono più neutro possibile, facendo leva sull’esperienza acquisita in anni e anni in polizia, quando anche se l’istinto grida che quello davanti a te è il peggiore dei criminali, devi mantenere una facciata cortese e professionale, per riuscire ad incastrarlo, a fare in modo che paghi per ciò che ha commesso.
 
Al suono della sua voce, l’architetto – nota Gaetano con una certa dose di soddisfazione – sussulta visibilmente, in quello che è praticamente un mezzo salto. Si volta lentamente, cautamente, guardandolo come la gazzella guarderebbe il branco di leoni che la sta per sbranare.
 
“Ga-Gaetano,” balbetta Renzo in un soffio, continuando a studiarlo con circospezione, come se fosse davvero di fronte ad una fiera.
 
“Stavi andando da Camilla?” chiede Gaetano con lo stesso tono neutro, mantenendo l’espressione più impassibile che possiede, senza scoprire le sue carte, anche se nella mente gli passano di fronte decine di scenari fantasiosi, tutti che finiscono con Renzo a terra, di solito col naso, più qualche altro osso – costole, mandibola, polso – fratturati. Ma, per quanto appaganti, li ricaccia indietro e si impone di rimanere stoico e imperscrutabile.
 
“B-beh, sì… sì. A te è inutile che lo chiedo, immagino…” commenta l’uomo quasi tra sé e sé, continuando a studiarlo, ad alternare lo sguardo tra gli occhi cerulei e il corpo, soprattutto le mani, del vicequestore, come se volesse leggergli dentro.
 
“In effetti ci stavo andando anche io, per prendere Tommy. Lo sai che siamo rientrati nel nostro appartamento ieri, no?” domanda con nonchalance, come se stesse facendo conversazione tranquillamente.
 
“Ah… sì, cioè… cioè no, in realtà io… non sento Camilla da qualche giorno,” biascica Renzo, che pare visibilmente sudato e non solo per il caldo estivo, continuando a fissarlo, mentre l’espressione pare lievemente rilassarsi, “comunque allora… saliamo?”
 
“Sì, buona idea, ma, in realtà, Renzo, se non ti dispiace, vorrei che venissi un attimo nel mio di appartamento, prima di andare da Camilla,” propone Gaetano, la maschera di tranquillità saldamente sul volto.
 
“Nel… nel tuo appartamento?” domanda l’architetto di rimando, i muscoli facciali che si contraggono nuovamente in una specie di tic involontario.
 
“Sì, c’è una cosa di cui credo proprio che dovremmo discutere,” ribadisce, non lasciando ancora trapelare nulla dal tono di voce.
 
“Adesso? Non- non possiamo rimandare? Sai, non vedo Livietta da un po’ e…” cerca di spiegare Renzo, sempre più a disagio, mentre Gaetano, dietro la maschera di imperturbabilità, sente lo stomaco chiudersi e la pressione salire non appena l’architetto pronuncia il nome della figlia.
 
“Non ci metteremo molto Renzo e no, non possiamo rimandare,” ribatte Gaetano, serafico, avviandosi verso il suo portone come a fare strada.
 
Non sa se per automatismo, per quell’atavico istinto di obbedienza di fronte all’autorità che ha da sempre riscontrato essere stato martellato inconsciamente nel cervello degli uomini come Renzo, ma sente dai passi che l’architetto lo segue a poca distanza. Apre il portone e salgono insieme in ascensore, nel silenzio più totale.
 
Superata la soglia di casa, Gaetano si avvia verso il salotto, appoggia poi sul tavolo la giacca, dove ripone anche il cellulare, premurandosi prima di premere, non visto, il pulsante di avvio della registrazione vocale. Sa per esperienza che non si sa mai e che, anche se una registrazione di questo tipo difficilmente può essere accettata come prova in tribunale, se la situazione dovesse degenerare è sempre un’ottima assicurazione contro accuse assurde e infondate o per comprovare un’avvenuta aggressione, fisica o verbale.
 
Renzo si ferma poco distante da lui, vicino ai divani, quasi paralizzato, continuando a fissarlo come se volesse leggergli dentro.
 
Ma non è necessario: è ora di giocare a carte scoperte.
 
“Renzo, è inutile che mi studi in questo modo. Lo so benissimo che cosa ti stai chiedendo e la risposta è sì,” proclama Gaetano, lasciando finalmente trasparire l’irritazione, l’insofferenza che prova nel tono di voce.
 
“Sì cosa?” domanda Renzo, trasalendo e deglutendo visibilmente, il pomo d’Adamo che si alza e poi riscende quasi di scatto.
 
“Sì, so benissimo che cos’è successo domenica mattina, mentre ero fuori con Tommy e con Livietta, per lasciarti il tempo di chiarirti con Camilla. Anche se probabilmente nella tua mente, invece di essere stato un favore, un gesto di civiltà e di buonsenso, di riguardo nei tuoi confronti, la nostra uscita era una specie di appuntamento romantico, anzi no, meglio dire un tentativo di adescamento nel parco,” spiega deciso, secco, permettendo al disgusto di emergere e di uscire allo scoperto.
 
Per qualche lunghissimo istante Renzo rimane quasi a bocca aperta, il sudore sempre più visibile ad imperlargli la fronte, i dannati occhialetti calati sul naso.
 
“Camilla te l’ha detto?!” una mezza domanda e una mezza affermazione, quasi sussurrata fra sé e sé.
 
“Sì, Camilla me l’ha detto. Per tua sfortuna e per mia fortuna, Renzo, io e lei ci siamo promessi che non ci sarebbero stati segreti tra noi due, che avremmo sempre affrontato i problemi insieme, apertamente, faccia a faccia, e lo stiamo mantenendo questo proposito, noi due,” dichiara, trafiggendo l’altro uomo con uno sguardo eloquente.
 
“Ma bene, complimenti, me ne rallegro per voi due! E quindi Camilla sapeva anche che avevi intenzione di attirarmi qui, a casa tua, in questo modo sleale, per avere questo ‘confronto’ con me? Di solito all’avversario si concede almeno di scegliere un luogo neutro, qualche ora per prepararsi e quale arma usare. Non gli si tende un’imboscata in territorio nemico, mettendolo con le spalle al muro, disarmato,” ribatte Renzo, con voce allo stesso tempo tremante e tagliente, mentre stringe inconsciamente i pugni e assume una posa difensiva.
 
“Renzo, certo che tu non cambi mai: sei sempre stato melodrammatico e vittimista e lo sarai sempre. E proprio tu parli di slealtà, di doppiezza, di imboscate? Proprio tu che invece di venire a parlarne con me, a discuterne con me, ad affrontarmi, ma a viso aperto, a dirmele in faccia le cose gravissime che sei stato capace di affermare, come avresti dovuto fare se, come sostieni, eri così preoccupato per tua figlia, hai preferito aspettare che io non ci fossi per pugnalarmi alle spalle, senza che io potessi difendermi o replicare in alcun modo, per sputare il tuo veleno addosso a Camilla quando era più vulnerabile. Perché è questa la tua arma d’elezione, Renzo, il veleno e devo dire che ti si adatta perfettamente-“
 
“Gaetano-“ lo interrompe Renzo in un mezzo grido, sembrando sempre più furioso.
 
“Eh, no Renzo, dopo tutto quello che sei stato in grado di dire adesso lasci parlare me! Tu sei il perfetto esempio dell’avvelenatore. Di quel genere di persona che, o per motivi oggettivi di inferiorità fisica, o per motivi psicologici, invece di avere almeno il coraggio di guardare la propria vittima negli occhi mentre la colpisce a morte, preferisce distaccarsi dal suo crimine dietro una facciata, agendo a distanza, rendendo il tutto molto impersonale, oltre che molto vigliacco.”
 
“E tu invece chi saresti, eh, poliziotto superpiù? Il guerriero che affronta con coraggio il nemico o il bulletto di quartiere che ti blocca nel suo territorio e ti aggredisce facendo sfoggio della forza fisica e di quel fisico da macho palestrato che ami sempre ostentare come un trofeo nei confronti di noi poveri mortali? Come adesso che mi hai portato qui. Cosa vuoi, picchiarmi? Spaccarmi la faccia? Farmela pagare?” ribatte Renzo, uno strano misto di paura e di rabbia nella voce e sul volto.
 
“Prima di tutto sono un poliziotto, non un membro di una gang alla Fight Club, Renzo, per tua fortuna. In secondo luogo, proprio perché sono un poliziotto e non sono un idiota, se avessi voluto farti del male di sicuro non ti avrei portato in un luogo compromettente come casa mia, che oltretutto è di fronte alla casa di Camilla che, sì, sa perfettamente che avevo intenzione di chiarirmi con te una volta per tutte. Perché è per questo che ti ho portato qui, per far uscire allo scoperto tutto quello che probabilmente avremmo dovuto tirare fuori già anni fa e se ho scelto casa mia è anche per riguardo nei tuoi confronti. O forse avresti preferito che questa discussione avvenisse in mezzo alla strada o, peggio, di fronte a Camilla e a tua figlia?”
 
“Ma certo, tu sei sempre quello premuroso, gentile, considerato, no, Gaetano? Come sei generoso! Dovrei anche ringraziarti adesso? E quindi cosa proponi di fare, eh? Di berci una birra e fare un bel discorso, cuore a cuore, come due amici d’infanzia in un romanzetto di quart’ordine?” chiede Renzo, sarcastico, gesticolando con le mani, “o magari una birra, poi due scazzottate, poi un’altra birra, tipo spaghetti western?”
 
“Guarda che sei tu che da quando sei arrivato qui prospetti scenari alla mezzogiorno di fuoco, non io. Se vuoi la birra te la offro pure, ma in quanto alla violenza fisica, te lo ripeto, sono un poliziotto e non sono uno stupido. Pensi che non lo sappia che se alzo solo un dito su di te tu correrai da Camilla a fare la parte della vittima, e magari a sostenere che oltre ad un maniaco sessuale sono pure un violento, un manesco, uno psicopatico, un serial killer, già che ci siamo?” replica Gaetano, tagliente, rimanendo saldamente al suo posto, a dispetto delle sue parole: è più prudente tenersi alla larga da alcolici ed oggetti di vetro.
 
“Toglimi una curiosità, Gaetano: ma vi fanno un corso apposta in polizia per insegnarvi questa retorica, questo fine umorismo e questi dialoghi da duro da film noir di serie z?” ribatte Renzo, non perdendo un colpo, con tono derisorio e sprezzante.
 
“Senti, Renzo, potrei utilizzare il mio fine umorismo per qualche ulteriore battuta su cosa vi insegnino ad architettura, ma non ti ho portato qui per questo, ma, come ti ho già detto, per darti l’occasione unica ed irripetibile di dirmi in faccia tutto quello che pensi di me. In faccia, e non con un’aggressione indiretta per interposta persona, stavolta. Quindi, forza, sfogati, esprimiti pure liberamente!” lo incita Gaetano, trafiggendolo con uno sguardo aperto e senza alcuna riserva, alcun timore.
 
Renzo continua a fissarlo, con i pugni ancora chiusi, ma non replica, non apre bocca, rimane così, immobile in mezzo alla stanza.
 
“Che cosa c’è, Renzo? È così difficile spararle certe sentenze, vomitarlo fuori tutto il tuo livore quando il destinatario delle tue gentilezze ce l’hai proprio di fronte a te?”
 
Renzo sembra ormai schiumare di rabbia e, Gaetano ne è sicuro, sta probabilmente immaginandosi nella mente mille metodi orribili e dolorosi per farlo fuori. Ma non apre bocca, pare come paralizzato e incerto sul da farsi, su cosa dire. Tanto era aggressivo e pronto alla battuta prima, tanto ora, che in teoria potrebbe prendere l’iniziativa e buttare fuori tutto quello che sente, sembra aver perso l’uso della parola.
 
“O non sarà forse che sto leggendo la situazione al contrario? Che il vero problema è che adesso di fronte a te non hai una persona che, lo sai benissimo, ti vuole ancora molto bene e a cui, proprio per questo, le tue parole possono fare doppiamente male, ma quello che dovrebbe essere in teoria il tuo vero obiettivo, ma che, a quanto pare, invece è solo in realtà un  target secondario, un mezzo per raggiungere uno scopo, un danno collaterale, no?”
 
“Ma che stai dicendo?” chiede Renzo, sembrando visibilmente confuso e preso in contropiede.
 
“Che forse sei un tipo particolare di avvelenatore, Renzo. Per usare le tue metafore di guerra, tu sei il tipo di comandante che invece dello scontro diretto, dà ordine di avvelenare la falda acquifera della città avversaria sotto assedio. Quello che colpisce i ponti, gli ospedali, le infrastrutture. Quello che non si sporca le mani direttamente, ma uccide in maniera silenziosa e sotterranea. Chi volevi colpire l’altro giorno non ero io, non solo almeno. Certo, insultarmi non ti sarà dispiaciuto, anzi, ma il tuo vero obiettivo non ero io, ma era proprio Camilla stessa: era a lei che volevi fare male, era lei a cui volevi far provare dolore, più che a me. Ma non attaccando direttamente lei, no, Renzo? Quello avrebbe richiesto una dose troppo alta di coraggio e avrebbe comportato un rischio fin troppo grosso di tagliare i ponti tra voi due in maniera definitiva. E questo tu non lo volevi. No, tu hai preferito sferrare un’offensiva indiretta, attaccando le persone che Camilla ama di più, infangandole, cercando di minare le sue certezze nel suo ruolo di madre e di compagna. Peccato che nella foga forse non ti sei reso conto che questo per Camilla sarebbe stato ancora più imperdonabile di un attacco diretto. O forse hai sottovalutato, come sempre hai fatto da quando ti conosco, la sua intelligenza, Renzo, la sua lealtà.”
 
Renzo è sempre più rosso, le mani che tremano, ma continua a non reagire, a non parlare, a non esprimersi, in una specie di strano stato di stallo, tra lo scioccato e il furioso.
 
“Non hai niente da dire? Allora, visto che non vuoi iniziarlo tu, questo chiarimento, lascia che sia io a dirti per primo cosa penso di te, Renzo. Tu mi hai accusato di averti teso un agguato, senza darti possibilità di prepararti prima, ma lo sai perché l’ho fatto? Perché tu non ti presenteresti mai ad un duello, ad una battaglia, vera o figurata: tu i problemi li fuggi, li hai sempre fuggiti, così come le sfide, perché non riesci ad affrontare ed accettare le possibili sconfitte come l’uomo adulto che dovresti essere. Perché tu le colpe dei tuoi insuccessi, dei tuoi fallimenti, le dai sempre agli altri, invece di guardare le tue di responsabilità e di mancanze. E se tu ti senti sconfitto, se tu stai male, non sopporti che per gli altri non sia così, che qualcuno possa stare meglio di te, soprattutto le persone che ti dovrebbero essere più care. Che magari abbiano più successo di te o che possano stare bene anche senza di te, ma, anzi, vuoi che soffrano insieme a te, che provino quello che provi tu. E non sto parlando di compassione, o di partecipazione emotiva, no, tu vuoi proprio che patiscano come patisci tu. E se non lo fanno, ci pensi tu a buttarle giù, no, Renzo? A boicottarle, a minarle alla base.”
 
“COME TI PERMETTI??? STAI ZITTO!!!! TU NON MI CONOSCI, TU NON SAI NIENTE DI ME, NIENTE!!” urla Renzo, fuori di sé, avvicinandosi di un paio di passi verso Gaetano e sollevando i pugni, talmente stretti che le nocche sono ormai bianche.
 
“Invece io ti conosco Renzo, ho imparato a conoscerti molto bene in questi anni, anche se non in maniera diretta,” replica Gaetano, con il tono di voce più tranquillo e neutro che ha, rimanendo fermo al suo posto ed impassibile, “vogliamo parlare del modo esemplare in cui ti sei comportato quando hai perso quel famoso concorso? Quando eri talmente preso da te stesso, dal tuo orgoglio ferito, che continuavi ad attaccare, ad aggredire chi ti voleva solo aiutare? Quando eri pieno di livore e di risentimento verso Camilla per il solo fatto che in quel periodo guadagnava più di te e non perdevi occasione per farglielo pesare e punirla per questo? Mentre lei non faceva altro che cercare di farti sentire meglio, cercare di starti vicino e tu come ringraziamento continuavi a sfogare le tue frustrazioni su di lei. Quando trascuravi lei e soprattutto tua figlia, rinchiudendoti nel tuo studio e passando tutto il tempo con un individuo che bastava parlarci cinque minuti per capire che razza di persona fosse? C’ero io a sostenere Camilla, allora, mentre tu continuavi a cercare di affossarla più che potevi. C’ero io a raccogliere i cocci rotti e a fare per lei e per Livietta quello che avresti dovuto fare tu, preso com’eri dalla tua autocommiserazione.”
 
“Ma certo, abbiamo davanti un santo, un martire, un premio Nobel per la pace! Tu mia moglie la sostenevi proprio, eccome se la sostenevi e in modo disinteressato, nobile, senza alcun secondo fine, no, Gaetano? Sarà stato proprio un grande sacrificio per te interpretare il ruolo dell’amico e confidente mentre cercavi di portartela a letto! E a questo punto mi chiedo se non ci sei pure riuscito a consolarla già all’epoca con due bei giri tra le lenzuola!” grida Renzo, continuando ad avanzare gradatamente verso Gaetano.
 
“Non ti permetto di parlare così di Camilla! Lei non ti ha mai tradito, Renzo, ti ha sempre rispettato, mentre la stessa cosa non si può dire di te, che in quanto a giri tra lenzuola altrui sei un esperto, e pure recidivo!” urla di rimando Gaetano, fulminandolo con uno sguardo minaccioso: finché insulta lui lo può sopportare, ma che nomini Camilla con quel tono offensivo non lo tollera.
 
“Ha parlato il monaco di clausura, casto e puro: ma se da quando ho avuto il dispiacere di conoscerti hai cambiato donne con più frequenza di quanto io cambi le camicie! Tutte alte, fisico perfetto, bellissime, praticamente un calendario di top model! Ma a te non bastava, no, Gaetano? No, tu, con tutto il parterre di dee a tua disposizione, dovevi impuntarti proprio su MIA moglie! Probabilmente perché all’inizio ti avrà anche resistito, e allora ne hai fatto una questione di orgoglio, di puntiglio: dovevi averla, farla cedere, con tutti i mezzi. Una specie di Valmont dei giorni nostri, con mia moglie nel ruolo della de Tourvel. TU SEI STATO LA ROVINA DELLA NOSTRA VITA, DEL NOSTRO MATRIMONIO: io e Camilla eravamo felici ed innamorati, prima che lei incontrasse te! Ci hai e le hai dato il tormento per mesi, per anni, continuando ad insistere e a insinuarti nella nostre vite come una specie di serpente a sonagli, anzi un boa constrictor! Una marcatura strettissima, sfiancante e implacabile, fino a che lei non ha ceduto, no?”
 
“Fantastico: adesso oltre ad un maniaco sessuale sono anche uno stalker! Ricordami, Renzo: quando mai ho fatto la posta sotto casa vostra o quando mai ho pedinato Camilla o quando mai l’ho tormentata e le ho imposto di vedermi mentre lei non lo voleva? MAI, perché era anche LEI che mi voleva frequentare, e lo sai benissimo! E poi comunque, passi pure che insulti me, dato che tra me e te non è mai corso buon sangue. Ma ti rendi conto di come parli di Camilla? Della donna che fino a qualche giorno fa professavi di amare? Se non ho potuto fare a meno di innamorarmi alla follia di lei, non è certo perché mi ha resistito. Certo, la sua lealtà nei tuoi confronti – decisamente immeritata – e il suo preoccuparsi di più degli altri che di se stessa, il suo voler tenere fede a una promessa fatta, mi hanno portato ad ammirarla e ad amarla ancora di più. E gli anni trascorsi mi hanno permesso di conoscerla meglio, di apprezzarla sempre di più, di darle fino in fondo il valore immenso che merita. Quello che evidentemente tu non sai fare. Perché sei tu che ormai da tanto tempo a questa parte tratti Camilla come una specie di rifugio, di premio di consolazione, di piano b, come se fosse un ripiego e non la donna eccezionale e unica che è. Perché, anche se continui a sviare e ignorare l’argomento, sei tu che correvi e corri dietro a tutte le belle ragazze che ti davano e ti danno corda, anche se non valevano e non valgono un decimo di tua moglie. Sei tu che non riesci ancora a capire o a credere che Camilla è mille spanne sopra di tutte le donne che ho avuto messe insieme esattamente così com’è, per quello che è, e che se anche avesse ‘ceduto’ dieci anni fa, non l’avrei per questo amata di meno e che, anzi, sono convinto, il mio amore per lei sarebbe cresciuto ogni giorno di più, che saremmo ancora insieme oggi e potrei guardare indietro agli ultimi dieci anni come ai più fortunati e felici della mia vita.”
 
“Ma come sei romantico! E poi sarei io il melodrammatico? Sembra di leggere un romanzetto rosa di quelli che allegano alle riviste da parrucchiere o una raccolta di bigliettini dei Baci Perugina! Ma cosa ne vuoi sapere tu di cosa voglia dire stare dieci anni con una donna, tu che al massimo hai avuto relazioni da dieci mesi, quando ti sei proprio sforzato!” lo interrompe Renzo, ormai a pochi passi da lui, praticamente ridendogli in faccia, “e non sto ignorando nessun argomento. Perché se io ho sbagliato a volte e mi sono fatto tentare prima con Pamela, con cui comunque non è successo niente, e poi ho lasciato Camilla per Carmen, è stato perché ero esasperato, perché mi sentivo  trascurato e messo da parte, trattato come una specie di cagnolino fedele, da cui tornare quando faceva comodo, a fine giornata! E sai perché? Perché mia moglie le giornate le passava con TE, perché c’eri di mezzo TU, sempre TU, TU, TU a logorare il nostro rapporto, a rovinare tutto!”
 
“Certo che il tuo livello di autoconvincimento e autogiustificazione è davvero preoccupante, Renzo. Potrei passartela per Pamela, dato che in effetti io e Camilla ci frequentavamo in quel periodo. Ma Carmen? Io a Barcellona non c’ero, Renzo: ero a Roma e poi a Sondrio, a cercare di ricostruire la mia vita dopo che Camilla se n’era andata a migliaia di chilometri di distanza per cercare proprio di salvarlo il vostro matrimonio. E tu come l’hai ripagata? Lei ha sradicato la sua vita e quella di vostra figlia, ha rinunciato a tutto per seguirti e tu l’hai mollata per un’altra alla prima occasione!“
 
“Prima di tutto tu per l’appunto non c’eri e non hai idea di cos’è successo tra me, Carmen e Camilla, quindi ti pregherei di stare zitto  di non parlare di cose di cui non sai nulla! Ma anche se non c’eri fisicamente in quel momento, c’eri stato in tutti i mesi precedenti, approfittando della mia debolezza e del tuo famoso ‘sostegno’ per ridurre il nostro matrimonio in macerie. Le cose tra me e Camilla erano arrivate ad un punto insostenibile e il viaggio non è bastato per recuperare i danni, anzi ha peggiorato le cose, perché Camilla odiava Barcellona e poi… e poi lo capivo sai, che passava il suo tempo a rimpiangere Roma e diciamo le amicizie che aveva a Roma. Eravamo arrivati a non sopportarci più e a quel punto-“
 
“E a quel punto tu ovviamente non hai potuto fare a meno di tradirla! Ma mi spieghi perché le cose che fai tu sono sempre colpa degli altri, Renzo? O di Camilla, o mie ma mai tue. Io non ho approfittato di un bel niente e, te lo ripeto, non ho puntato una pistola alla tempia a Camilla per obbligarla a passare del tempo con me, anzi, era lei che lo voleva. E forse dovresti chiederti perché preferiva passare il suo tempo con me piuttosto che con te, Renzo. Anzi dovresti chiederti perché, soprattutto in certi periodi, avrebbe probabilmente preferito passare il tempo con chiunque tranne che con te, e nessuno avrebbe potuto darle torto. Ma questo richiederebbe uno sforzo di autocritica troppo elevato per uno struzzo come te!”
 
“STAI ZITTO!” urla a squarciagola Renzo, la distanza con l’altro uomo talmente ridotta ai minimi termini che Gaetano sente il respiro pesante e irregolare dell’architetto sul viso, per poi aggiungere, in un sibilo, il viso trasfigurato in una maschera di furia, “se Camilla preferiva passare il suo tempo con te era perché tu hai usato ogni mezzo, ogni scusa, ogni strategia possibile ed immaginabile per conquistarla ed incentivarla a farlo! Prima hai continuato a sfruttare la sua curiosità, il suo buon cuore, coinvolgendola nelle tue indagini, incoraggiandola ad occuparsi di cose di cui mai si sarebbe dovuta occupare, fregandotene completamente del pericolo in cui la mettevi o del fatto che avesse una figlia piccola a casa che poteva rimanere orfana! Poi hai usato proprio nostra figlia per i tuoi scopi: approfittandoti della sua amicizia con tuo nipote e del fatto che io stessi male e dovessi lavorare, hai iniziato a ‘sostenere’ mia moglie, come dici tu, e a circuire pure mia figlia, interpretando questo ruolo da zio o padre putativo amorevole, anche se la presenza dei bambini era solo un modo per intenerire Camilla, per farti bello ai suoi occhi e una scusa per potervi vedere liberamente a tutte le ore. Perché anche io ho fatto le mie indagini all’epoca, sai, Gaetano? E tu e mia moglie vi vedevate tutti i giorni, più volte al giorno, al vostro bar o nel tuo appartamento: passava più tempo con te che a casa nostra, come del resto è successo anche quest’anno! E posso solo immaginare come tu la ‘supportassi’, che bei consigli che sicuramente le davi, le gentilezze che le avrai detto nei miei confronti, quelle stesse cortesie che mi stai riservando ora. Come mi avrai dipinto come il peggiore dei mariti, come avrai cercato in ogni modo di farmi apparire come il mostro, il cattivo della situazione, probabilmente anche con mia figlia, che infatti all’epoca si comportava in modo molto più freddo con me, mentre tu eri l’eroe buono, il salvatore della patria, il principe azzurro, no?”
 
“Vedo che continui ad attribuire a me le tue colpe Renzo: non hai mai pensato che se Livietta in quel periodo era più fredda con te era perché TU per primo la trascuravi? E noto che cerchi di attribuirmi anche i tuoi pregi, ma io e te siamo molto diversi. Il serpente, quello che sparla alle spalle, che sputa veleno, che insinua e mina e distrugge sei tu, non sono io. Perché io, a differenza tua, le cose che avevo da dirti te le sto dicendo in faccia, qui, adesso, ma non le ho mai condivise con nessuno prima d’ora: né con Camilla, né con tua figlia. Perché io al loro benessere, alla loro salute e integrità fisica e mentale ci tengo davvero e so che tu sei stato, sei e sarai sempre una persona molto importante per loro. E credimi che di occasioni per pugnalarti alle spalle o per parlare male di te, anzi, per mettere in guardia Camilla su che genere di uomo tu fossi, Renzo, ne ho avute, oh, eccome se ne ho avute: da quando ti ho beccato a baciarti con Pamela e me lo sono tenuto per me, a quando eri il principale sospettato di un caso di omicidio e, invece di approfittarmene, come sicuramente avresti fatto tu al mio posto, ti ho riservato addirittura un trattamento di favore, ti ho aiutato in ogni modo, nonostante ci fosse di mezzo pure una falsa testimonianza, con una testimone corrotta per favorirti, e tutte le prove fossero contro di te.”
 
“SANTO SUBITO! Chiamiamo il Vaticano per la beatificazione! Come potrò mai esprimerti tutta la mia gratitudine, eh, Gaetano? Ti basta esserti preso mia moglie e mia figlia o c’è qualcos’altro che posso fare per te?” gli sputa addosso – quasi letteralmente – Renzo, i loro visi ormai vicinissimi.
 
“No, non sono un santo, Renzo e non ho mai sostenuto di esserlo. Non mi prendo meriti che non ho, perché la verità, è che anche se avessi voluto fare tutto quello che tu dici, cercare di seminare zizzania tra te e Camilla, non avrei potuto. Perché non avrei ottenuto altro risultato che allontanarla definitivamente da me. Ma ti rendi almeno conto di come continui a parlare di Camilla, Renzo? Di come la sottovaluti? Come se fosse un oggetto, un pacco, una specie di povera cretina, che si lascia plagiare e condizionare facilmente, e non la donna, anzi la persona più intelligente che io abbia mai conosciuto: molto più intelligente di te e di me messi insieme. Ma tu pensi davvero che se avessi cercato di usare vostra figlia per arrivare a lei, lei non se ne sarebbe resa conto e che soprattutto avrebbe continuato a frequentarmi? E la stessa cosa sarebbe accaduta se avessi provato a distruggere il vostro rapporto approfittando della fiducia che lei riponeva nei miei confronti. E soprattutto, io non metterei MAI Camilla in pericolo, né tua figlia, MAI, non vorrei mai che succedesse loro qualcosa, piuttosto preferirei farmi ammazzare io. Non ho incentivato io Camilla a indagare, anzi, credimi che all’inizio ci ho provato in tutti i modi a tenerla lontana dai miei casi ma non ci sono mai riuscito. E alla fine ho capito che il modo migliore di proteggerla era appoggiarla, confrontarmi con lei, invece che cercare di impedirle di fare ciò che avrebbe fatto comunque. Ma almeno non l’avrebbe fatto da sola. Ed è questo il tuo grande errore, quello che tu non sei mai riuscito a capire, quello su cui hai sempre sbagliato, sia nel rapporto con Camilla, che in quello con Livietta.”
 
“Non permetterti nemmeno di nominarla, mia figlia, hai capito?!” urla Renzo, agguantandolo per la giacca, “tu vorresti insegnare a fare il padre a ME? A ME che per mia figlia ci sono sempre stato quando aveva bisogno di me, a me che l’ho vista nascere, crescere e che non le ho mai fatto mancare niente, che mi sono sempre preso le mie responsabilità! Mentre tu sei riuscito a fare un figlio e a dimenticartene per anni, te ne sei fregato totalmente di lui. E quand’è che hai deciso di ritrovare il tuo istinto paterno e di fare il genitore, eh? Ma, guarda che caso, proprio quando Camilla è tornata nella tua vita! Quando il bambino dolce, tenero ed indifeso ti serviva per fare leva sul suo spirito materno, per avere di nuovo una scusa per starle vicino, per attirarla nel tuo appartamento a tutte le ore del giorno e della notte!”
 
“Renzo, lasciami,” sibila Gaetano con un tono basso e pericoloso, gli occhi ridotti a fessure, afferrando le mani dell’architetto ed obbligandolo a mollare la presa, “e se ti azzardi di nuovo ad insinuare che io non amo mio figlio, che lo uso, che mi servo di lui per un doppio fine, ti garantisco che avrai bisogno di un buon dentista, che riesca a risistemarti la bocca e magari a fare qualcosa anche per quella lingua biforcuta che ti ritrovi.”
 
“Ah, ma bene, siamo passati alle minacce, finalmente usciamo allo scoperto, eh?” ribatte Renzo, con tono deciso, nonostante si massaggi le mani indolenzite, “cos’è, la verità fa male?”
 
“Renzo,” sibila di nuovo Gaetano, chiudendo gli occhi per qualche secondo e stringendo i pugni contro i fianchi per trattenersi dal togliergli quel sorrisetto con un bel gancio destro, sapendo che farebbe solo il gioco dell’architetto, “se continui così sarà qualcos’altro a farti male, e non solo la verità.”
 
“Sei tu che hai iniziato, Gaetano, a mettere in dubbio la mia abilità di fare il padre, a permetterti di criticarmi nel rapporto con mia figlia, ad ergerti a modello di virtù, ad educatore, quando non ne hai né i titoli, né le competenze!” urla di rimando Renzo, avvicinandosi nuovamente fin troppo al vicequestore.
 
“Io non ho mai detto che non sei in grado di fare il padre Renzo, non ho mai preteso di essere un modello di virtù, né un esperto di pedagogia! E comunque ti garantisco che sono perfettamente consapevole dei miei errori, IO, a differenza tua, ma almeno io li riconosco! So di non essere stato un padre presente o forse non essere stato un padre per troppo tempo. Ed è un rimpianto con cui dovrò vivere per sempre, quello di essermi perso i primi anni di mio figlio. Ed è vero, è anche grazie a Camilla che ho recuperato il rapporto con mio figlio, lei mi ha dato fiducia quando nessuno avrebbe scommesso un euro su di me come padre, lei mi ha aiutato a capire come fare, mi è stata vicino e non le sarò mai grato abbastanza. Ma non avevo di certo bisogno di Tommy per stare con Camilla, né lei per stare con me. Ti faccio notare, dato che tu ricordi solo quello che fa comodo a te, che io e Camilla ci siamo conosciuti e frequentati per un sacco di tempo senza che io avessi alcun bambino di cui occuparmi.”
 
“Se ho fatto degli errori come padre questo al limite riguarda me, Camilla e Livietta, tu non ti puoi permettere di giudicarmi. Quindi, ti pregherei di non nominare più mia figlia a sproposito in mia presenza e di risparmiarmi i tuoi consigli e i tuoi pareri disinteressati di cui non so che farmene! E soprattutto di mantenere le debite distanze da mia figlia, di piantarla di sfilarle intorno mezzo nudo, magari di sforzarti di indossare dei vestiti degni di questo nome – anche se per questo dovrai rinunciare a dare sfoggio dei tuoi muscoli come un pavone a tutte le ore – e di comportarti con lei in modo appropriato, considerato che non è né tua figlia, né una tua parente, e di smetterla di trattarla come se fosse la tua amichetta del cuore, per non dire altro!”
 
“Renzo, io posso capire che tu sia geloso di tua figlia, che ti preoccupi per lei e non dubito che tu le voglia bene, ma hai uno strano modo di dimostrarlo, sai? Io tua figlia l’ho sempre non solo nominata, ma soprattutto trattata col massimo rispetto, cura ed affetto fin da quando l’ho conosciuta da bambina, e sottolineo da bambina. Livietta è come una nipotina per me. Mentre sei proprio tu che pochi giorni fa, anche se forse non te ne sei reso conto, accecato dal risentimento nei miei confronti e nei confronti di Camilla, le hai praticamente dato, nella migliore delle ipotesi, dell’idiota facilmente plagiabile e, nella peggiore delle ipotesi, della lolita, della ragazza facile e senza alcuno scrupolo morale, nemmeno nei confronti di sua madre, e vedo che continui a farlo anche oggi!”
 
“NON TI PERMETTO DI PARLARE COSÌ DI LEI!” urla ancora più forte Renzo, perdendo completamente il controllo e sferrando un destro goffo che Gaetano riesce ad intercettare e bloccare prima che lo raggiunga in volto. Stringe il pugno chiuso dell’architetto per qualche secondo come avvertimento e poi lo ributta indietro. Renzo, tra la spinta e l’iniziale perdita di equilibrio causata dal colpo sferrato, barcolla all’indietro per qualche passo, evitando per un soffio di cadere.
 
“Non sono IO che parlo così di lei, sei TU, Renzo, per la miseria! Ma veramente non ti rendi conto delle implicazioni di quello che hai insinuato domenica e che stai insinuando oggi? Che per infangare me stai di fatto infangando anche tua figlia?” domanda Gaetano, cercando di mantenere il controllo anche sul tono di voce e ignorando completamente l’aggressione fisica appena subita: sa che la situazione sta per sfuggire di mano ad entrambi e non se lo può permettere, non era questo che voleva.
 
“Mia figlia è innocente, ingenua, è ancora una bambina e non è colpa sua! Sei TU che sei la disgrazia della nostra vita, sei TU che sporchi e infanghi tutto quello che tocchi! Devi starle lontano, bastardo!” urla Renzo, ormai fuori di sé, avventandosi nuovamente sull’altro uomo con il pugno alzato.
 
Gaetano schiva i primi due colpi dati quasi alla cieca, blocca il terzo pugno, afferrando anche l’altro braccio di Renzo prima che possa sferrare il quarto colpo e, con una rapida mossa, l’architetto si ritrova girato su se stesso, le braccia trattenute dietro la schiena dalla stretta di Gaetano.
 
“LASCIAMI, LASCIAMI, MALEDETTO!” urla Renzo, cercando di divincolarsi.
 
“Renzo, piantala, calmati e stai fermo!” gli intima Gaetano nell’orecchio, assumendo inconsciamente il tono da poliziotto, “non voglio farti male, ma se continui così ti slogherai una spalla.”
 
“Grazie dell’avvertimento, troppo gentile! Ti diverti ad umiliarmi, eh?” sibila Renzo, mentre gli occhi gli si riempiono di lacrime di rabbia, frustrazione ed impotenza, “lasciami ed affrontami da uomo a uomo!”
 
“Renzo, sei tu che ti umili da solo, stai facendo tutto tu!” gli fa notare Gaetano, continuando a trattenerlo e cercando allo stesso tempo di contenere la voglia sempre più forte che ha di fare esattamente quello che Renzo gli sta chiedendo. Ma sa che sarebbe la cosa più stupida che potrebbe mai fare.
 
“E in quanto all’affrontarti da uomo ad uomo, credimi che sarei molto, ma molto tentato di farlo, ma non sono uno stupido e, anzi, dovresti ringraziarmi per aver schivato e bloccato i tuoi colpi e per il fatto che ti sto trattenendo dal peggiorare ulteriormente le cose. Perché avrei potuto lasciarmi colpire e approfittarne, come avresti fatto tu, per fare la vittima e magari denunciarti pure per aggressione e lesioni personali. Ma, nonostante la bassissima opinione che tu hai di me, io a Camilla e Livietta tengo davvero da morire e so che la loro felicità e il loro benessere dipendono purtroppo anche dal tuo benessere e dalla tua incolumità. Quindi cerca di darti una calmata, lo dico nel tuo interesse!”
 
“Lasciami e piantala con queste frasi da amicone! A te del mio benessere, della mia incolumità e del mio interesse non è mai fregato un bel niente, anzi, hai fatto di tutto per distruggermi la vita, per rubarmi tutto quello che avevo!” urla Renzo, continuando a divincolarsi.
 
“Renzo, ascoltami, mi spieghi che cosa speri di ottenere comportandoti così? Se anche io adesso ti lascio e ti permetto di colpirmi, anzi perfino di picchiarmi senza difendermi, cosa cambia nella tua vita? Magari avrai una soddisfazione, una rivalsa momentanea e poi? Supponendo anche che non ti denuncio e che non hai conseguenze, che cosa succede? Pensi di recuperare l’amore di Camilla? Di avere una vita più felice?”
 
“Gaetano-“ cerca di protestare Renzo, ma Gaetano rafforza la stretta fino a fargli male quanto basta per zittirlo.
 
“Sta zitto due minuti e ascoltami davvero, per una volta, ascoltami, dannazione! Se anche io sparissi, se domani sparissi dalla vita di Camilla e dalla tua vita, se non ci fosse alcun ostacolo perché voi tornaste insieme, se anzi voi tornaste proprio insieme, pensi davvero che sarai felice, che sarete felici? Che avrai la vita che vuoi?”
 
Renzo non risponde e, anzi, Gaetano sente i muscoli dell’uomo farsi meno tesi, anche se continua a mantenere salda la presa, per sicurezza.
 
“Lo sai anche tu che non è così, Renzo. Da quanto tempo è che non eravate davvero felici insieme? D’accordo, anche la mia presenza avrà contribuito e io non avrò aiutato la vostra serenità coniugale, anzi, ma le cose tra voi due non funzionano più da… almeno dai tempi di quel benedetto concorso di cui abbiamo già discusso, da quando tornai da Praga con Roberta al seguito. Se non da prima, dato che comunque c’era stata la – chiamiamola amicizia – con Pamela. E il vostro matrimonio ha continuato a deteriorarsi anche in mia assenza, quando io ero a Praga e quando voi eravate a Barcellona, e non puoi in coscienza attribuirne a me tutte le colpe. Tanto che sei stato tu stesso a lasciare Camilla allora. E se l’hai fatto era perché evidentemente con lei non eri più felice, o sbaglio?”
 
Renzo sembra quasi sgonfiarsi, respira in modo più profondo e calmo. Continua a non rispondere e pare perso nei suoi pensieri.
 
“Posso lasciarti e possiamo parlarne come due persone civili?” gli chiede Gaetano con un tono basso e tranquillo, allentando lievemente la presa e poi sciogliendola quando l’altro uomo annuisce.
 
Renzo fa due passi in avanti, allontanandosi da lui e inizia a massaggiarsi le braccia e i polsi, indolenziti da quella posizione, poi inforca meglio gli occhiali sul naso, si volta e, continuando il massaggio, lo guarda.
 
Occhi azzurri incontrano altri occhi azzurri, in uno sguardo stranamente calmo, aperto e diretto.
 
“Renzo, forse tu non ci crederai ma io capisco cosa provi, cos’hai provato domenica, perché è la stessa cosa che io ho provato per tanti anni vedendo te e Camilla insieme, anzi, sicuramente è molto peggio. Ma almeno io sapevo o speravo con ragionevole certezza che se avessi avuto la possibilità di avere una relazione con Camilla saremmo stati molto felici insieme. Invece quello che tu rimpiangi, il rapporto con Camilla che tu rimpiangi è qualcosa che non esiste più da anni ormai, e lo sai. E in amore quando qualcosa si rompe è impossibile rimettere insieme i pezzi, ci avete già provato e non ha funzionato. Quello che tu senti non è gelosia, ma è possesso: non tolleri che lei possa essere felice senza di te, che possa essere più felice di te in questo momento. Ti comporti come un bambino che ha un vecchio giocattolo che non usa ormai più, ma quando arriva un altro bambino e ci vuole giocare corre a toglierglielo dalle mani. E poi quando l’altro bambino si allontana, ributta il gioco nel cesto senza più toccarlo,” cerca di spiegare Gaetano con il tono più calmo e tranquillo che possiede.
 
“Gaetano-“
 
“Renzo, fammi finire per favore, poi puoi dirmi tutto quello che vuoi. Riguarda indietro agli ultimi anni: sei stato proprio tu a renderti conto per primo che le cose tra te e Camilla non funzionavano più, per colpe probabilmente di entrambi e anche mie, ma non è questo il punto. Comunque sia successo, per qualunque motivo sia successo, il vostro matrimonio, come hai detto tu stesso, era in macerie, non vi sopportavate più e tu hai avuto un’altra relazione, con una donna che probabilmente ti dava quello che ti mancava, che ti rendeva di nuovo felice. Ma poi hai deciso di tornare con Camilla. E quando è successo questo Renzo? Pensaci, guarda caso proprio quando Camilla stava per rifarsi una vita con un altro. Fino a che lei era infelice e sola come un cane, tu eri tranquillo e sereno con Carmen e a tornare con Camilla non ci pensavi nemmeno, o sbaglio?”
 
“Chi ti ha detto queste cose? È stata Camilla?” chiede Renzo, avvicinandosi di un passo, mentre il tono di voce si alza nuovamente.
 
“No, Camilla non mi ha mai parlato della vostra separazione e di cosa è successo in quegli anni, se non a grandi linee. Sapevo quando ci siamo rivisti che per lealtà nei tuoi confronti non mi avrebbe detto nulla che potesse metterti in cattiva luce e da quando abbiamo iniziato la nostra relazione non siamo mai venuti in argomento e io non ho mai chiesto per non metterla a disagio, per non metterla in una posizione scomoda. Ma dimentichi che in quel periodo a Roma con lei, con voi c’erano altre persone che conosco anche io,” chiarisce, cercando sempre di mantenere sotto controllo il tono di voce.
 
“Ah, ma certo, mia suocera! Anzi la mia ex suocera. Avrei dovuto immaginarlo, non avrà perso occasione per dipingermi come un mostro  e magari incitarti a farti avanti con Camilla!” esclama Renzo scuotendo la testa incredulo, “devo ammettere che Andreina sono molto felice di lasciartela in eredità, Gaetano, anche se a te è andata meglio che a me, dato che sta a più di 600 km di distanza e non al piano di sotto.”
 
“No, non è stata Andreina, non solo almeno, ma non è nemmeno questo il punto,” replica Gaetano, non riuscendo a trattenere un sorriso di fronte al tono di Renzo quando parla della madre di Camilla. Ma, in confronto ai genitori di Roberta e a quelli di Eva, Andreina è un pezzo di pane.
 
“E quale sarebbe il punto? E comunque la presenza di Marco mi ha fatto capire che probabilmente ero ancora innamorato di Camilla, che non volevo perderla, che non potevo vivere senza di lei-“
 
“Ma tu l’avevi già persa e per tua scelta. Avevi già deciso tu che potevi vivere benissimo senza di lei. Ma mettiamo che tu abbia ragione, cos’è successo quando vi siete rimessi insieme? Eravate felici e soddisfatti? Non so come sia andata nel frattempo, ma in quest’anno si vedeva chiaramente che non era così. Tu hai perfino fatto tornare Carmen e Camilla ha accettato, ha ingoiato nuovamente il rospo. E che cos’è successo? Tu l’hai tradita di nuovo con Carmen e-“
 
“IO NON L’HO PIÙ TRADITA CON CARMEN! Non è vero! E tu subito ne hai approfittato per consolarla, ti sei approfittato di un malinteso e l’hai convinta a mollarmi, è questa la verità!” grida Renzo, avvicinandosi pericolosamente all’altro uomo.
 
“Renzo, per favore, non ricominciamo. Va bene, non l’avrai magari tradita con Carmen, ma Camilla ne era convinta ed era disperata, davvero disperata, non l’avevo mai vista così. Ma ti rendi conto di cosa ha dovuto subire ed incassare in questi anni? Prima che tu la lasciassi per un'altra, vederti con un’altra. Non pensi che avrà provato quello che tu stai provando adesso, anzi che sarà stato molto peggio di quello che provi tu adesso? Sola, con una figlia piccola, in un paese che non era il suo. Ed è stata una vera signora, lei, dato che tu hai potuto fare la tua vita con Carmen e Carmen ha potuto costruire un bel rapporto con vostra figlia senza che Camilla vi ostacolasse o si mettesse ad insinuare le peggiori cose sul conto della tua nuova compagna. Poi ha accettato di ricominciare con te, e tu sei andato a richiamare di nuovo Carmen e lei di nuovo ha acconsentito, perché vedeva che non eri sereno. Ma cosa pretendevi da lei? Se anche non l’hai tradita era evidente a tutti che preferivi passare il tuo tempo con Carmen piuttosto che con lei, vi ho visti anche io mille volte felici, abbracciati, sempre col sorriso sulle labbra, mentre con tua moglie avevi continuamente una faccia da funerale ed era chiaro che non ti bastava più. Tanto che quando Camilla ha deciso di chiudere con te mi ha detto che hai accettato in modo civile, che eri anche tu d’accordo che non potevate andare avanti così.”
 
“Sì, ma-“
 
“Sì ma niente, Renzo! Cos’è cambiato da allora? Qual è stato il crimine imperdonabile che ha commesso Camilla per sentirsi vomitare addosso tutto il livore dell’altro giorno? Il fatto che ora è lei che si sta rifacendo una vita prima di te? Il fatto che dopo tutti questi anni ha osato cercare di essere di nuovo felice? Il fatto che anche tua figlia è più serena così e che hanno un bel rapporto? Il fatto che Livietta ha un bel rapporto anche con me e con Tommy e quindi approva la nostra relazione ed è probabile che le cose tra me e Camilla possano funzionare davvero? Ma ti rendi conto di quanto è egoista questo comportamento? Sembri Luigi XV: ‘dopo di me il diluvio!’. Che poi ne ottenessi almeno qualche vantaggio, fossi almeno felice tu, ma non lo sei. Che senso ha, me lo spieghi? Pensi che sia meglio che siate tutti infelici? Che questo sia non solo corretto o lecito, ma soprattutto logico o razionale? Non sarebbe meglio che tu dedicassi le tue energie e i tuoi sforzi a cercare di trovare la tua di felicità, a rimettere in piedi la tua di vita, invece che a sabotare quella di Camilla?”
 
“Sempre con questi consigli disinteressati, come se della mia felicità ti interessasse qualcosa! E comunque io non voglio sabotare un bel niente, non voglio che Camilla e Livietta siano infelici, anzi, tutto il contrario. Sono preoccupato per loro, perché anche io ti conosco e so che tipo d’uomo sei, Gaetano. Perché se parliamo di bambini e di giocattoli, tu sei il tipo di bimbo che ha un nuovo giocattolo preferito ogni mese e getta via quello vecchio quando non sa più che farsene. E che cosa succederà a Camilla quando tra poco tempo ti stancherai di questa bella famiglia allargata e ricomincerai con la tua vita di sempre? Tu adesso pensi di poterle essere fedele, magari ci credi davvero che sarete felici per sempre, ma la verità è che portare avanti una relazione con la stessa donna per tanto tempo è complicato, richiede sacrifici e un grande senso di responsabilità. Tutte doti che a te mancano completamente e se facessi anche tu questa benedetta autocritica di cui ti riempi tanto la bocca, non potresti fare altro che ammetterlo e darmi ragione.”
 
“No, Renzo, non è affatto così e credo che in fondo lo sappia anche tu. Perché se no non ti preoccuperesti così tanto e aspetteresti che la relazione mia e di Camilla faccia il suo corso e finisca tra pochi mesi per essere lì pronto a dirle ‘te l’avevo detto!’”, ribatte Gaetano con un sospiro, scuotendo il capo.
 
“Quindi sarei una specie di uccello del malaugurio? Sei tu che ti sbagli sul mio conto, Gaetano e di grosso e-“
 
“E allora dimostramelo, Renzo! Dimostramelo che mi sbaglio,” lo interrompe Gaetano, trafiggendolo con uno sguardo deciso e che non ammette repliche, “dimostrami che tu ci tieni davvero alla felicità di Camilla e di Livietta e che vuoi davvero il loro bene, anche se il loro bene dovesse comprendere me, la mia presenza nelle loro vite. Il tempo è galantuomo, Renzo, e vedremo chi di noi due aveva ragione o se magari avevamo torto entrambi.”
 
“E quindi dovrei stare a guardare e lasciarti campo libero, correre il rischio di vederle soffrire per causa tua senza fare niente?” domanda Renzo, ricambiando l’occhiata di Gaetano con una altrettanto decisa.
 
“E invece allora è meglio che, nel dubbio, le condanni già tu a una bella sofferenza preventiva, per evitare magari una possibile sofferenza futura? Ti sei reso almeno conto del dolore immenso che hai inflitto a Camilla l’altro giorno?” chiede Gaetano di rimando con un sopracciglio alzato.
 
“Io non-“
 
“Renzo, senti, mettiamola così: se anche tu avessi ragione sul mio conto, comportandoti come ti stai comportando ora non stai facendo altro che allontanare sempre di più Camilla e Livietta da te. Mentre la cosa più logica da fare sarebbe stare loro vicino, in modo che se dovessero avere dei problemi per causa mia o di chiunque altro sapranno di poter contare su di te. Ma ti garantisco non sarà necessario, almeno non per quanto mi riguarda, perché io, dal canto, mio ti dimostrerò coi fatti che ti sbagli sul mio conto, sia per quanto riguarda Camilla, sia per quanto riguarda Livietta. Che non farei e non farò mai loro del male e che non permetterò mai a nessuno di far loro del male, chiaro? Nemmeno a te.”
 
“Ma-“
 
“Ma niente. Perché, Renzo, ti giuro su quello che ho di più caro al mondo che se quello che è successo domenica si dovesse ripetere, se dovessi trovare di nuovo Camilla ridotta in quello stato per colpa tua, o se lo stesso dovesse capitare a Livietta, allora farò qualsiasi cosa in mio potere, qualsiasi cosa, per proteggerle da te e per tenerti il più lontano possibile da loro, padre o non padre. A costo di andarci di mezzo io. Sono stato chiaro?” sibila, duro, fermo, risoluto, con un’espressione mortalmente seria sul volto che fa correre un brivido lungo la schiena dell’architetto.
 
“È una minaccia?” domanda Renzo, con un tono che vorrebbe essere deciso, non fosse per il tremore sulla parola lunga.
 
“No, è la pura e semplice verità. Regolati tu di conseguenza, io ti ho avvisato e credo di essere stato molto, ma molto paziente e comprensivo con te oggi, Renzo. Di fronte ad un’accusa del genere molta gente al mio posto avrebbe fatto di molto peggio, per non parlare del tentativo di aggressione. Devi ringraziare anche il distintivo che porto, ma, se la tua presenza nella vita di Camilla e di Livietta dovesse diventare dannosa o pericolosa, sono pronto perfino a giocarmelo, a giocarmi tutto pur di fermarti,” ribatte Gaetano, senza scomporsi, “e adesso che abbiamo messo tutte le carte sul tavolo, io andrei a riprendermi mio figlio, che è ora di cena, e tu forse è il caso che vada a trovare tua figlia, prima che ti dia un’altra volta per disperso.”
 
“Gaetano!” prova a protestare Renzo, visibilmente scosso e turbato, ma l’altro uomo procede a passo spedito verso la porta d’ingresso, lanciando un’occhiata eloquente all’architetto, che alla fine non può fare altro che seguirlo.
 
Di nuovo nel più completo silenzio, quasi come se le voci e le parole fossero rimaste rinchiuse ed intrappolate nell’appartamento del vicequestore, scendono e poi risalgono con l’ascensore, fino a trovarsi di fronte ad una porta estremamente familiare – in tutti i sensi – per entrambi.
 
Allungano entrambi il dito verso il campanello, quasi all’unisono, ma è Gaetano a premerlo, di fronte all’esitazione di Renzo.
 
Rumore di passi, un attimo di esitazione – probabilmente per guardare dallo spioncino – e la porta che si apre.
 
“Amore, finalmente: non arrivavi più! Sarà un’ora che-“ proclama Camilla con un sorriso, ma le parole le muoiono in bocca quando nota finalmente con la coda dell’occhio l’ex marito, in piedi poco distante da Gaetano, ma quasi nascosto dalla cornice della porta.
 
“Renzo,” esala, gelida, fulminandolo con un’occhiata che farebbe rabbrividire chiunque, “noto che fare una telefonata prima di passare è un concetto che ti è ancora sconosciuto. Se sei qui per vedere Livietta noi staremmo per cenare…”
 
Dal tono e dallo sguardo è evidente che quello non è un invito a rimanere a cena, anzi.
 
“Camilla, è che…”
 
“È che in realtà Renzo era arrivato già da un po’ ma… ci siamo intrattenuti a fare quattro chiacchiere, non è vero, Renzo?” interviene Gaetano, lanciando due occhiate completamente diverse ma altrettanto eloquenti verso l’uomo e poi verso la donna che ama.
 
L’architetto pare volere scomparire, mentre Camilla studia entrambi per qualche attimo, come a volersi accertare che siano tutti interi.
 
“Capisco… dai, entrate,” li invita infine, indietreggiando di due passi e facendo loro spazio.
 
Gaetano avanza per primo, venendo attirato da Camilla non appena varca la porta, con sua grande sorpresa, in un rapido bacio sulle labbra. Il sorriso e lo sguardo sul viso della donna, un misto tra sollievo ed orgoglio, gli fanno capire, se ne avesse avuto bisogno, che il gesto non è una punizione, uno sfregio verso Renzo, non solo almeno, ma è soprattutto un riconoscimento per lui, un riconoscimento di quello che c’è tra loro.
 
Lancia un’occhiata verso Renzo, sapendo benissimo come ci si sente dall’altra parte – quante volte ha dovuto subire lui, in silenzio, una dimostrazione pubblica d’affetto tra i due coniugi, quasi sempre su iniziativa di Renzo – ma l’architetto appariva già talmente a disagio anche prima, che fatica a notare la differenza.
 
Dopo qualche attimo di esitazione, alla fine anche Renzo si decide ad entrare nella casa e a chiudere la porta dietro di sé.
 
“Papà, papà!” li raggiungono le urla di Tommy che compare dietro l’angolo e si butta subito in braccio al padre.
 
“Papà…” proclama Livietta quasi in un sospiro, un tono che contrasta con quello entusiasta del bambino come il giorno con la notte, fissando quegli occhi gemelli dei suoi con uno sguardo indefinibile ma distante.
 
Per un attimo cala il silenzio, Gaetano guarda verso Camilla, incerto sul da farsi: da un lato sa che deve riportare Tommy a casa e che non era previsto che si fermassero a cena, sa che Livietta ha bisogno di tempo per chiarirsi con suo padre, ma dall’altro l’idea di lasciare lei e Camilla da sole con Renzo, nonostante gli avvertimenti chiari e forti dati all’architetto, lo spaventa.
 
“Beh, allora io e Tommy andremmo a casa…” dichiara infine, continuando a incrociare il suo sguardo con quello di Camilla, per valutare la sua reazione.
 
“Ma no, dai, dato che si faceva tardi e che non ti vedevo arrivare ho fatto dell’insalata di riso in più e… fermatevi a cena con noi,” risponde Camilla senza esitazioni, in un tono apparentemente neutro ma in cui Gaetano riconosce una nota di panico e quasi di implorazione.
 
“Come possiamo rifiutare un simile invito, giusto Tommy?” replica Gaetano con nonchalance, depositando a terra il bimbo e rassicurandola con uno sguardo che non ha alcuna intenzione di muoversi da lì fino a che lei non lo vorrà.
 
“Giusto!” esclama con entusiasmo il bambino, completamente ignaro dell’atmosfera pesante che si respira nella stanza.
 
Cala nuovamente il silenzio, mentre Renzo si guarda intorno esitante: apre e chiude la bocca un paio di volte ma senza pronunciare parola.
 
“Rimani anche tu a mangiare qui, Renzo?” domanda infine Camilla, con un tono neutro e molto meno freddo di quello usato fino a quel momento nei confronti dell’ex marito, probabilmente per via della presenza di Livietta, ma comunque nemmeno lontanamente cordiale.
 
“Se… se non… se non vi è di troppo disturbo, sì, volentieri,” replica Renzo, quasi balbettando, alternando lo sguardo tra i presenti.
 
“Andiamo a tavola allora, che muoio di fame,” interviene Livietta, avviandosi verso la sala da pranzo, seguita a ruota da Tommy, e, dopo qualche secondo, dal padre.
 
Gaetano fa per seguirli ma Camilla gli afferra la mano destra per trattenerlo. Il sibilo di dolore è immediato e inconfondibile.
 
“Oddio, che hai fatto a questa mano?” domanda Camilla, preoccupatissima, sollevandola ed esaminando il gonfiore del palmo e delle dita, normale conseguenza dei pugni che aveva dovuto bloccare e che, per quanto maldestri, avevano comunque avuto il loro impatto.
 
“Niente, non ti preoccupare, non è niente,” le sussurra lui di rimando, cercando di tranquillizzarla.
 
“MA COME-“ ribatte per poi aggiungere, in un tono più basso, cogliendo l’occhiata di Gaetano, “ma come non è niente? È gonfissima! Cos’è successo con Renzo?”
 
“Dopo ti spiego, comunque non ti devi preoccupare, davvero. Ma ora andiamo prima che Livietta si faccia qualche domanda e si dia anche qualche risposta.”
 
E così si avviano ad una cena a dir poco surreale, i piatti extra aggiunti in fretta e furia, tutti intorno al tavolo a mangiare, il silenzio coperto dai racconti di Tommy sulla sua giornata.
 
“Papà, ma cos’hai fatto alla mano?” chiede ad un certo punto Livietta, che, essendo l’unica seduta affianco al padre, è anche l’unica che lo vede abbastanza da vicino.
 
Tutti sollevano la testa dal piatto ed è allora che anche Camilla nota che le nocche della mano destra di Renzo sono decisamente molto più gonfie di quanto dovrebbero essere. Lancia uno sguardo verso le mani di Gaetano, i cui dorsi sembrano intatti, lancia un ulteriore sguardo verso i due uomini, che non sembrano comunque essersi fatti male e si fa un’idea precisa di cosa dev’essere successo, ma si ripromette di parlarne con Gaetano in seguito.
 
“Ah, niente… niente, una stupidaggine,” abbozza Renzo, visibilmente agitato, mettendo la mano sotto il tavolo per sottrarla dallo sguardo della figlia.
 
“Se lo dici tu…” sospira Livietta, continuando a mangiare.
 
“Senti, piuttosto, io lunedì devo andare a Sanremo per curare la ristrutturazione interna di un appartamento. Potresti venire con me e stare un po’ al mare, torneremmo venerdì, così stiamo un po’ insieme e…” propone Renzo, che concentrato com’è sulla figlia, non nota l’espressione di Camilla o come i muscoli della donna si irrigidiscano bruscamente. Già normalmente non gradirebbe che Renzo proponga un viaggio alla figlia senza almeno consultarla prima, senza il suo consenso, ma, data la situazione, la sua tolleranza per questo tipo di iniziative è pari a zero.
 
Gaetano le stringe la mano sotto il tavolo, usando la sinistra, che è ancora intatta, e le lancia un’occhiata come a dirle di calmarsi, e che con Renzo ne discuteranno dopo.
 
“Cinque giorni al mare da sola, con te che devi lavorare, in un posto per vecchi e famiglie? No, grazie,” ribatte Livietta, con un’espressione che fa capire chiaramente quanto l’idea non la entusiasmi.
 
“Ma non è un posto per vecchi e famiglie, c’è-“
 
“In ogni caso martedì io e mamma abbiamo la prima lezione del corso di autodifesa e non voglio perdermela,” lo interrompe Livietta sul nascere, con un tono e uno sguardo che non ammettono repliche o ripensamenti.
 
“Au-autodifesa?” balbetta Renzo, la forchetta che cade sul piatto.
 
“Sì, è un corso organizzato dalla polizia, per donne e ragazze,” spiega Livietta, continuando a mangiare.
 
“È un’idea tua?” chiede Renzo a Gaetano, fulminandolo con lo sguardo.
 
“Sì, ce l’ha proposto Gaetano e noi abbiamo accettato. Giusto, mamma?” conferma Livietta, ignorando volutamente il tono e l’occhiata omicida del padre.
 
“E quando è che pensavi di chiedere il mio parere, prima di autorizzare nostra figlia a partecipare ad un corso del genere?” chiede Renzo, alzando il tono di voce.
 
“Quando tu mi avresti chiesto l’autorizzazione per portarla in Liguria con te,” ribatte Camilla, tagliente, ricambiando l’occhiata di Renzo con una che farebbe incenerire chiunque, “e, per inciso, non credevo di doverti chiedere un parere per permettere a nostra figlia di fare qualcosa che migliorerà la sua sicurezza, peraltro con me presente nella stessa stanza. Mentre uno spostamento di qualche giorno dovrebbe richiederlo. È sempre stato così durante la nostra prima separazione e spererei che questa regola sia ancora in vigore, Renzo.”
 
“Posso essere d’accordo con te sugli spostamenti e te ne parlerò prima, in futuro. Te ne avrei già parlato prima se avessi potuto,” sibila Renzo tra i denti, in un evidente riferimento al come si erano lasciati lui e Camilla e il suo veto assoluto al farsi sentire per qualche giorno, “ma in quanto al ‘migliorare la sicurezza di nostra figlia’, dubito che incentivarla ed incentivare te, come se ne avessi bisogno, a reagire di fronte ad un’aggressione migliorerà la vostra sicurezza, anzi, può solo mettervi in guai ancora peggiori.”
 
“Per favore, non iniziate a litigare, almeno a tavola, se no me ne vado in camera mia,” interviene Livietta, lasciando trapelare l’esasperazione nel tono di voce.
 
“Ma-“
 
“Renzo, il corso ci dovrebbe insegnare proprio a prevenire le situazioni di pericolo, a valutarle, e a reagire solo in caso di necessità estrema, e solo se l’avversario e la situazione sono alla nostra portata e lo consentono,” spiega Camilla con un sospiro, aggiungendo poi, con un’occhiata che vale più di mille parole, “e inoltre c’è anche una parte di corso mirata ad identificare le relazioni a rischio, tossiche, ad individuare la violenza non solo fisica ma anche psicologica e a sapere come contrastarla. Credo che siano tutti insegnamenti molto utili per ogni donna, ma a maggior ragione per una ragazza giovane, non sei d’accordo, Renzo?”
 
“Beh, certo, io…” balbetta Renzo, ormai visibilmente sudato, alternando lo sguardo tra la moglie, la figlia e Gaetano.
 
“E inoltre ti garantisco, Renzo, per quanto valga la mia parola, che in polizia non abbiamo di certo bisogno di ‘clienti’ in più, abbiamo già fin troppi casi per le mani: questi corsi sono fatti anche per cercare di ridurre il più possibile il numero di crimini violenti, non di certo per incrementarli incitando le persone all’aggressività reciproca,” interviene infine, Gaetano, con un sopracciglio alzato, mettendoci il suo carico da novanta.
 
Renzo non può fare altro che ammutolire ed alzare bandiera bianca di fronte ad un simile fuoco incrociato, massaggiandosi, quasi inconsciamente, la mano ancora dolorante.
 
Il resto della cena prosegue in relativa tranquillità, anche se solo apparente. La tensione è sempre presente e pare aleggiare nella stanza come una cappa, solo Tommy, nella sua innocenza, sembra non notarlo.
 
“Io adesso devo proprio andare, domattina ho un appuntamento molto presto,” proclama infine Renzo, non appena finisce la sua porzione di dessert, chiaramente ansioso di togliersi da quella situazione in cui si sente in minoranza ed accerchiato.
 
“Ah,” si limita a rispondere Livietta, non staccando gli occhi dalla coppetta di gelato.
 
“Senti, Livietta, io adesso sto in un residence… è una sistemazione temporanea, finché non trovo un appartamento adeguato, ma è un bel posto e c’è anche una piscina. Ti andrebbe di venirci questo weekend?” domanda, aggiungendo, dopo aver lanciato un’occhiata all’ex moglie, “se anche a te va bene, Camilla.”
 
“Veramente questo weekend andiamo a Gardaland,” risponde Livietta, asciutta, “possiamo fare per il prossimo, quando torni dalla Liguria, se vuoi.”
 
“Andiamo?” domanda Renzo, presumendo già che non gli piacerà la risposta.
 
“Sì, avevamo organizzato una gita a Gardaland, dato che poi la prossima settimana torna Eva e Tommy partirà per gli Stati Uniti,” spiega Gaetano, studiando la reazione di Renzo.
 
“Ah,” replica Renzo, gelido, per poi aggiungere, una punta di sarcasmo nella voce, “e quindi un soggiorno nella zona del Garda non è qualificabile come uno ‘spostamento di qualche giorno’, mentre la Liguria, che è pure più vicina, sì?”
 
“Renzo, probabilmente andremo e torneremo in giornata, al massimo staremo via una notte e anche io in circostanze normali ti avrei avvisato prima,” sibila Camilla, un tono di chiaro avvertimento nella voce.
 
“Capisco, va bene, allora quando avrete un buco libero nella vostra fitta agenda di impegni familiari, avvertitemi,” ribatte Renzo, pulendosi la bocca, sbattendo il tovagliolo sul tavolo con mala grazia ed alzandosi.
 
“Buona serata e grazie per la cena!” proclama, sarcastico, avviandosi a passo deciso verso l’uscita.
 
“Papà, aspetta!” lo chiama Livietta, alzandosi anche lei.
 
Renzo fa ancora qualche passo ma poi si blocca, voltandosi verso la figlia.
 
“Se hai ancora due minuti potremmo fare due passi con Potti, per digerire,” propone la ragazza, fissando i propri occhi in quelli del padre.
 
“Beh, giusto, facciamo fare un giretto al cane, diamogli questo contentino, e, già che ci siamo, portiamoci dietro anche Potti,” ribatte amaro Renzo, per poi aggiungere, “scusami, Livietta, ma non credo mi basteranno due passi per digerirla questa cena. È meglio che rimaniamo d’accordo per il prossimo weekend, se non ti subentreranno altri appuntamenti più prioritari di me nel frattempo, è ovvio.”
 
E, detto questo, Renzo si volta e si avvia a passo deciso e furioso verso l’uscita.
 
“Papà!” chiama Livietta, un misto di sorpresa, dolore e delusione sul volto.

“Renzo, ma sei impazzito? Torna qui, Renzo!” grida Camilla, ma il rumore della porta d’ingresso che sbatte conferma che l’uomo se ne è andato.
 
Camilla, Gaetano e Livietta si scambiano qualche occhiata, mentre Tommy rimane con la testa bassa sul suo gelato.
 
“Beh, peggio per lui,” sibila infine Livietta, anche se, gli altri due adulti lo notano, la maschera di indifferenza non riesce a nascondere la botta subita, “vado in camera mia, che ho un appuntamento in chat con le mie amiche.”
 
Dopo aver dato un rapido bacio sulla testa di Tommy, entra nella sua stanza e sentono entrambi il rumore della chiave che gira nella toppa.
 
“Forse è meglio se andiamo anche noi adesso, Tommy. Portiamo giù Potti tutti insieme?” propone Gaetano e Camilla annuisce, intuendo che è un modo per distrarre il bimbo e permettere a loro due di parlare.
 
Camilla afferra la borsa, le chiavi, mette il guinzaglio a Potti e scendono in giardino. Si allontanano di qualche passo dal bambino che gioca col cane.
 
“Forse non ci saremmo dovuti fermare a cena: la mia presenza ha di nuovo peggiorato le cose,” mormora Gaetano, osservando Camilla con apprensione.
 
“No, meno male che siete rimasti… Non ero pronta ad affrontare Renzo da sola e adesso lo sono, se possibile ancora meno. Se ce l’avessi qui davanti lo strozzerei,” gli sussurra di rimando Camilla in un orecchio, “non aveva mai risposto così a Livietta, nemmeno quando ci mandava ancora più fuori di testa con le mattane adolescenziali. Finché attacca me lo posso tollerare, ma che se la prenda con lei non lo ammetto. È vero che è molto fredda con lui, ma dovrebbe capire perché si comporta così.”
 
“Probabilmente anche il nostro chiarimento prima di cena non ha aiutato il suo umore… Anche se spero che almeno su certe cose non tornerà mai più in argomento. Pensavo di essere anche riuscito a convincerlo a mantenersi civile con te e con me e a piantarla con questo tentativo di rappresaglia, facendo leva su quanto so che odia dovermi dare ragione. Ma a questo punto temo che il suo risentimento sia ancora più forte della razionalità e dell’orgoglio e se continua a trattarvi così ti giuro che lo strozzo io personalmente e molto volentieri,” ribatte Gaetano, passandole un braccio intorno alla spalla, “tu stai bene?”
 
“Io sì, adesso che Renzo se ne è andato. Ma tu? Come va la mano? Immagino che Renzo abbia provato a darti un pugno e tu l’abbia parato?”
 
“Più o meno. Diciamo che Renzo cercava lo scontro fisico e l’ho bloccato sul nascere. Speravo si fosse sfogato a sufficienza, ma evidentemente cova ancora troppa rabbia e la cosa mi preoccupa molto, Camilla.”
 
“Scusami, Gaetano, scusami: non hai idea di quanto mi dispiace che ti trovi coinvolto in tutto questo casino a causa mia,” sussurra Camilla, abbracciandolo forte.
 
“Ehi, non dirlo nemmeno: non ti devi scusare per qualcosa di cui non hai colpa e… e poi pure tu hai dovuto e dovrai sopportare l’uragano Eva, quindi…” le sussurra di rimando Gaetano nell’orecchio, facendola sorridere per la prima volta in quella sera.
 
Quasi all’unisono si voltano ad ammirare Tommy che lancia una pallina a Potti. Dopo un po’ però è evidente ad entrambi che il bimbo è stanco e il cane altrettanto: è ora di rientrare a casa.
 
“Allora buonanotte, e… se hai bisogno, per qualsiasi cosa, basta che mi chiami, ok?” la rassicura, attirandola a sé per darle un rapido bacio sulle labbra.
 
“Ok,” conferma lei con un sorriso.
 
“Tommy, andiamo?”
 
Il bimbo si avvicina con Potti al guinzaglio, che porge a Camilla che, per tutta risposta, se lo abbraccia e se lo bacia, scompigliandogli i capelli.
 
Stanno per avviarsi quando Camilla improvvisamente ricorda qualcosa.
 
“Gaetano, aspetta!” lo blocca, infilando poi una mano nella borsa, trafficando ed estraendone una busta.
 
“Era nella mia buca delle lettere, ma è indirizzata a te,” spiega Camilla, porgendogliela.
 
“Strano… forse il portiere si è confuso,” commenta Gaetano, esaminando la busta che ha come mittente il questore di Torino.
 
Colto da un’illuminazione apre la busta e ci trova dentro un pieghevole bianco e azzurro. Fa scorrere lo sguardo sul testo e sussulta sorpreso.
 
“In realtà riguarda anche te: è l’invito per la cena annuale della polizia di stato da parte del questore. C’è anche il tuo nome accanto al mio, vedi?”
 
Camilla prende in mano il cartoncino e, sì, le parole “Vicequestore Gaetano Berardi e Professoressa Camilla Baudino” sono scritte a penna, sopra il classico testo prestampato “la signoria vostra è invitata…”. In calce c’è la firma del questore in persona.
 
“Non so cosa dire…” commenta Camilla, sorpresa da questo invito tanto quanto sembra esserlo Gaetano.
 
“Ah, nemmeno io…” scuote il capo Gaetano, completamente sconcertato da questa iniziativa del suo capo, “tra l’altro la cena è venerdì, cioè domani sera e me ne ero completamente scordato, come al solito.”
 
“DOMANI SERA?” esclama Camilla, guardando meglio la data che conferma l’inevitabile.
 
“Ci… ci vuoi venire?” domanda Gaetano, esitante, osservandola per capire la sua reazione.
 
“Beh, di fronte ad un invito del genere posso forse rifiutare? Considerati i fatti recenti, oltretutto?” domanda Camilla di rimando, per poi aggiungere dubbiosa, “a meno che non sia una specie di test e il questore si aspetti che io rifiuti ma-“
 
“No, Camilla, ho l’impressione che il questore si auguri proprio che tu accetti,” commenta Gaetano con un sospiro, mentre una strana sensazione allo stomaco lo invade al ricordo di quanto il suo capo fosse rimasto impressionato da Camilla.
 
“In questo caso… a che ora passi a prendermi?”
 
 
 
Nota dell’autrice: Ed eccoci qui alla fine di un altro luuungo capitolo ricco di amore, armonia e di pace xD. Spero che questo lungo e spinoso confronto tra Gaetano e Renzo non abbia deluso le vostre aspettative e, come avrete notato, i problemi tra Renzo e la nostra famiglia allargata sono ben lungi dall’essere risolti. Lascio a voi decidere chi era il serpente in questo capitolo ;). Nella seconda ed ultima parte avremo a che fare con altri tipi di serpenti e poi ci attende Eva. Lo so che mi avete scritto di non utilizzare più la parola noioso, ma, come sempre fatemi sapere sinceramente che cosa ne pensate di questi chilometrici scritti, tutti i commenti, anche le critiche sono ben accetti e mi aiutano davvero molto a regolarmi nella scrittura. Se vi va, vi aspetto al prossimo capitolo “avvelenato” e vi ringrazio come sempre per avere avuto l’enorme pazienza di seguirmi fin qui.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Il Serpente - seconda parte ***


Capitolo 25: “Il Serpente – seconda parte”



Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro
 

 
“Berardi!”
 
Si voltano entrambi verso la voce: un uomo sui 50-55, brizzolato, non bello ma piacente e molto curato, fisico e portamento da ex sportivo un po’ appesantito con l’età  ma comunque ancora prestante.
 
“Riva!” risponde Gaetano con un sorriso cordiale, avvicinandosi all’altro uomo e salutandolo con una stretta di mano.
 
“Quanto tempo! È da un bel po’ che non ci pestiamo i piedi a vicenda, Berardi,” proclama l’altro uomo ricambiando il sorriso, “e poi non partecipi mai alle nostre attività: lo sai che ti aspettavamo al torneo di tennis e anche a quello di golf. Almeno per la partita di calcio di beneficienza contro i magistrati però devi promettermi che giochi, se no chiederò ufficialmente al questore di spedirti a dirigere il traffico.”
 
“Beh, non è colpa mia se a te, per tua fortuna, è toccato il quartiere più tranquillo di Torino, e quindi non solo non mi pesti i piedi, ma hai tempo per il golf, il tennis e il calcio. Mentre io mi godo tutti i casi di omicidio più rognosi della città. E comunque alla partita giocherò, anche perché ci dobbiamo rifare dalla sconfitta ai rigori di due anni fa, ma da qui ad ottobre c’è tempo,” replica Gaetano, con tono scherzoso.
 
“E non hai mai pensato che se il mio quartiere è così tranquillo è anche perché ha il miglior vicequestore della città che vigila costantemente sulla sua sicurezza?” lo provoca l’uomo, con una mezza risata.
 
“Di sicuro il più modesto,” ribatte Gaetano, ridendo di rimando.
 
“In realtà Berardi, sono stupito di vederti stasera: gli ultimi due anni hai sempre bigiato. Ero quasi arrivato a credere che commissionassi tu apposta gli omicidi per avere la scusa per non presentarti,” commenta Riva proseguendo con il tono goliardico della conversazione.
 
“Guarda, non ne ho bisogno: purtroppo mi piovono addosso da tutte le parti. Potrei avere scuse per non presentarmi a quasi qualsiasi evento, 365 giorni all’anno. E poi lo sai che non amo molto queste occasioni mondane,” gli ricorda con un sospiro.
 
“Lo so, Berardi, ma fai male: le pubbliche relazioni e la politica sono un male necessario, anche nel nostro mestiere, specialmente al nostro livello, e lo sai,” gli fa notare Riva, assumendo un tono più serio.
 
“Sul fatto che siano un male siamo d’accordo, sulla definizione di necessario penso che non concordiamo per nulla. Le necessità improrogabili di questo mestiere sono altre, e lo sai anche tu. E poi il carrierismo non fa per me,” risponde Gaetano, altrettanto serio.
 
“Non c’è nulla di male a fare ciò che è necessario perché le proprie abilità trovino il riconoscimento che meritano, Berardi, salvo cadere nell’illegalità, ovvio.”
 
“Forse, ma anche se le mie abilità non ricevessero un riconoscimento ulteriore rispetto a quello che ho ora, posso in fondo ritenermi soddisfatto della carriera che ho fatto e il mio lavoro mi piace. Non ho fretta di finire dietro una scrivania ad occuparmi quasi esclusivamente di politica, amministrazione ed immagine, senza vedere più casi reali se non indirettamente.”
 
“De gustibus… Diciamo che se non altro quasi certamente continueremo a non pestarci i piedi, in tutti i sensi. Ma sappi che se un giorno dovessi diventare tuo superiore, ti obbligherò a partecipare a tutti i tornei,” lo minaccia Riva, scherzosamente.
 
“E allora mi toccherà chiedere il trasferimento,” replica Gaetano, ridendo.
 
Riva ride di rimando ed, improvvisamente, nota la donna che sta di qualche passo alle spalle di Gaetano e che si guarda intorno con un certo disagio. E si rende conto che non si è mossa di lì per tutta la breve durata del loro botta e risposta.
 
Non può fare a meno di osservarla – deformazione professionale: alta, bruna, sottile, tra 40 e i 50, non classicamente bella ma d’aspetto gradevole e particolare: il tipo di persona il cui viso ricordi ed identifichi facilmente a distanza di tempo. Il vestito nero semplice ed elegante, i pochi piccoli gioielli portati con discrezione, la pelle diafana anche d’estate che contrasta con i toni scuri del vestito, dei capelli e di quei grandi occhi che lo studiano di rimando, avendo notato il suo sguardo, la fanno spiccare in mezzo alle altre donne presenti in sala come un’eccezione, un’anomalia.
 
Le altre esponenti del genere femminile sono infatti quasi tutte “mogli di” dirigenti di polizia, politici locali, imprenditori: la fauna umana che popola questo genere di eventi. E si dividono in due categorie: quelle giovani – spesso seconde e terze mogli – abbronzate, curatissime, le cui mani dalla perfetta manicure non hanno forse mai visto un’ora di lavoro – casalingo e non – e le “matrone”. Donne nate ricche ed influenti, di cognome – spesso anche nobiliare – che per i mariti rimaneva un incentivo sufficiente a relegare – forse più saggiamente – la “carne fresca” al ruolo di amante, invece che farla assurgere ad uno status ufficiale, per poi ripetere il ciclo qualche anno più tardi e spendere un patrimonio in alimenti. Donne rimaste spesso ancorate a canoni di eleganza più che classici, vetusti, specchio anche di quell’anima un po’ provinciale che caratterizza Torino: mastodontici e vistosi gioielli, vestiti che le fanno somigliare a degli enormi tappeti orientali o a delle emule della Regina Elisabetta.
 
Le “non mogli di”: dirigenti di polizia – ancora poche ma ci sono – le imprenditrici e donne politiche, insomma le “self-made woman”, spiccano per lo stile più pratico, semplice e a volte quasi maschile del loro abbigliamento, anche se tra le più “agée” – definizione politically-correct attualmente in voga – lo stile da tappeto persiano o da nobildonna della terra d’Albione fa ogni tanto capolino.
 
La donna accanto a Berardi come aspetto è una strana via di mezzo tra le due categorie, però si avvicina decisamente più a quella delle “self-made woman”, ma più femminile, e lo sorprende molto sia la sua stessa presenza in quella sala – le rare volte in cui aveva partecipato a questi eventi Berardi l’aveva sempre fatto da solo – sia il suo essere decisamente molto distante dal genere di donne che di solito frequenta il collega, ovvero le più ambite esponenti della categoria delle “mogli di” o delle aspiranti tali. Avevano fatto anche qualche uscita insieme per locali, freschi di separazione entrambi, ed aveva avuto modo di vedere da vicino il “modus operandi” del collega. Poi lui si era dato una calmata: troppe donne possono attirare guai e scandali e lui teneva e tiene troppo alla carriera e all’immagine per poterseli permettere. Berardi invece aveva, a quanto ne sapeva, proseguito con la sua vita da viveur.
 
Proprio per questo ipotizza che sia una collega o un’esperta che collabora a qualche titolo con la polizia: in fondo lui non conosce di persona tutti quelli che lavorano con la squadra mobile.
 
Gaetano nota lo scambio di occhiate tra Camilla e il collega, come sembra si stiano studiando a vicenda e si rende finalmente conto, con un certo imbarazzo che, preso dalla discussione, non aveva subito fatto le dovute presentazioni. Si volta verso Camilla con un sorriso ed uno sguardo che è una richiesta di perdono.
 
Il sopracciglio alzato di Camilla, accompagnato da un sorrisetto ironico ma affettuoso e da un lieve picchiettare sull’orologio gli fanno capire che, per sua fortuna, si è innamorato di una donna intelligente e comprensiva, senza manie di protagonismo, ma che è meglio che la cosa non si ripeta. Ma del resto nelle situazioni mondane formali si è sempre un po’ sentito come un pesce fuor d’acqua.
 
“Scusate, preso com’ero dallo scambio di vedute non ho fatto le presentazioni: il dottor Riccardo Riva, vicequestore a capo del commissariato di Borgo Po, Camilla Baudino, professoressa, nonché-“
 
“Consulente della polizia di stato?” domanda Riva, notando con stupore come Berardi e la donna si scambino un’occhiata ed un sorriso.
 
Non sa che entrambi hanno pensato, in contemporanea, “quasi!” e che soprattutto sono entrambi perfettamente consapevoli di questo, comunicando con quella specie di linguaggio non verbale che ormai condividono.
 
“No, no, sono solo una professoressa di lettere, insegno al Nelson Mandela,” chiarisce Camilla, da un lato divertita all’idea di poter sembrare una consulente, ma dall’altro lato lievemente turbata dal fatto che agli occhi di quello che è evidentemente quasi più un amico che un collega di Gaetano, sia questa l’ipotesi più probabile, anche vedendoli insieme ad un evento come questo e non in questura o per strada.
 
Sa di non essere il genere di donna a cui solitamente Gaetano si accompagna e, nonostante lui si fosse prodigato in complimenti sulla sua bellezza da quando l’aveva vista scendere in cortile con quell’abito nero che aveva dovuto comprare in fretta e furia – “mi farai venire un infarto, professoressa” aveva commentato, non appena aveva smesso di studiarla in quel modo che sembrava volerla spogliare con lo sguardo – non può fare a meno di sentirsi inadeguata esteticamente al confronto delle sue oggettivamente bellissime ex.
 
“Al Nelson Mandela? Però… è un ambiente-“
 
“Difficile!” esclamano all’unisono Gaetano e Camilla, scambiandosi un altro sorriso, sotto lo sguardo sorpreso di Riva.
 
“E posso chiederle come mai è qui stasera ad annoiarsi insieme a noi, professoressa?” domanda Riva, presumendo la risposta ma volendo esserne certo prima di sbilanciarsi.
 
“Beh, innanzitutto perché sono stata invitata e poi perché-“
 
“Camilla è la mia compagna,” interviene Gaetano, con un sorriso ed uno sguardo pieno di orgoglio, che meraviglia profondamente Riva, nonostante avesse già intuito la natura della relazione tra i due.
 
Raramente ha visto un uomo guardare una donna con un’adorazione paragonabile a quella che legge nello sguardo di Berardi quando posa gli occhi su questa donna e parla di lei, come se stesse guardando la cosa più bella e più preziosa esistente al mondo. E, conoscendo Berardi, la cosa lo sorprende doppiamente, sia perché più che tipo da storie d’amore, l’ha sempre considerato un tipo da storie di letto – tranne per una notabile eccezione – sia perché la donna in questione è sì particolare, ma non sembra di certo niente di così straordinario, specie se confrontata con le donne stupende che Berardi suole frequentare.
 
Camilla coglie lo sguardo di stupore di Riva e quel tarlo che la rode dentro, quel tarlo di inadeguatezza, di inferiorità si fa un poco più forte, anche se sa che è stupido, ma non può farne a meno. Ma repentinamente, lo sguardo del vicequestore muta, come se fosse stato colto da un’improvvisa illuminazione, per poi tornare ad uno sconcerto ancora più forte, se possibile, sembrando completamente sbalordito.
 
“Professoressa… Camilla… ma certo! Lei è la famosa professoressa di Roma?” domanda Riva con tono incredulo, un po’ tra sé e sé, un po’ rivolto a Gaetano.
 
“Sì, è lei,” conferma Gaetano tra l’imbarazzato e l’orgoglioso, maledicendo l’ottima memoria del collega, mentre Camilla alterna lo sguardo tra i due, sorpresa a sua volta e chiedendosi come Riva sapesse di lei.
 
Riva, dal canto suo, continua a studiare Camilla, mentre tenta di riconciliare la signora decisamente… normale che ha davanti con l’immagine mentale che si era creato di questa donna quasi mitologica per come Berardi gliel’aveva descritta.
 
Durante una delle loro rare uscite serali, dopo una festa deprimente ed un paio di cocktail – caso più unico che raro, entrambi non bevevano praticamente mai, del resto i casi urgenti possono capitarti tra capo e collo in qualsiasi momento e farsi trovare brilli non è mai una buona idea – lui e Berardi avevano per una volta spostato la conversazione più sul personale.
 
Riva, che per la fine del suo matrimonio, non per sua scelta – la moglie si era trovata un uomo più giovane, più spiantato ma che faceva un lavoro normale, di quelli d’ufficio, che hanno rispetto di festività, occasioni e ricorrenze – aveva subito un duro colpo, invidiava spesso il modo in cui Berardi sembrava affrontare il suo stato da “nuovamente single”. Appariva sereno e a suo agio in quel mondo di conquiste, divertimento e vacuità, sembrava bastare a se stesso, in un certo senso: le donne un piacevole contorno ma non una necessità, senza legami emozionali problematici.
 
E quella sera gliel’aveva detto e aveva osato porgli quella domanda che “a gola secca” non si sarebbe probabilmente mai azzardato a fargli, dato che suonava più come una di quelle confidenze tra amiche donne, che come qualcosa di lecitamente discutibile tra due colleghi che non sono semplicemente due conoscenti, ma che non sono nemmeno propriamente amici. Gli aveva chiesto se si fosse mai innamorato, se avesse mai sofferto per amore almeno una volta nella sua vita.
 
E l’altro uomo aveva abbassato lo sguardo, era parso indeciso per un attimo se parlare o meno, e poi aveva risposto con una risata amara che non lasciava dubbi sul sincerità della replica. Riva gli aveva fatto notare che allora dissimulava molto bene, perché non sembrava turbato dalla separazione. E Berardi aveva chiarito che non si trattava dell’ex moglie – e del resto incontrandola qualche mese dopo in questura Riva aveva compreso perfettamente perché Berardi apparisse così sollevato dalla fine di quel matrimonio, dato che quella donna era sì bellissima, ma rassomigliava come carattere ad un doberman addestrato per la difesa.
 
Quasi in modo naturale, inconsapevole Berardi aveva iniziato a raccontare di LEI, l’unica donna che avesse mai amato in vita sua. Sposata, ma non con lui, una figlia, professoressa alle superiori, si erano conosciuti “di fronte ad un cadavere” e Berardi gli aveva anche rivelato, lasciandolo di stucco, che questa donna, oltre ad essere, a suo dire, non solo bellissima ed affascinante ma anche intelligentissima ed incredibilmente brillante, aveva anche un vero e proprio talento innato per le investigazioni. Che le aveva perfino permesso di immischiarsi in diverse indagini di polizia e di “collaborare” con lui e che, sempre a suo dire, era stata praticamente sempre lei a trovare la soluzione dei casi a cui avevano “lavorato” insieme.
 
Riva aveva a quel punto fatto notare al collega quanto fosse stato azzardato da parte sua acconsentire a qualcosa del genere, che andava contro tutte le regole e le procedure, come avesse messo a rischio la sua carriera per quella donna e che doveva ritenersi fortunato che non fosse mai successo nulla di compromettente. Ma Berardi pareva non curarsene e, anzi, rimpiangere quei tempi, completamente stregato da quella donna e dal suo ricordo anche ad anni di distanza.
 
La cosa più sconvolgente però l’aveva scoperta quando aveva provato ad azzardare un’ipotesi sulla fine di questa “collaborazione”, ovvero che lei avesse deciso di rimanere con il marito e di troncare la loro relazione clandestina. Ed era stato allora che Berardi, lo stesso Berardi che passava di letto in letto con la più assoluta disinvoltura, gli aveva rivelato, come se fosse la cosa più naturale del mondo, che lui e Camilla – così si chiamava l’ammaliatrice – non erano mai stati amanti. Che tra loro c’era stato un solo ed unico bacio e che tutto era sempre rimasto assolutamente platonico, perché lei era sempre voluta rimanere fedele a suo marito e alla sua famiglia: una storia alla “dolce stil novo” quasi surreale ai giorni nostri, soprattutto per uno come Berardi.
 
O meglio, per l’idea che si era fatto di Berardi, perché era a quel punto risultato evidente che conosceva il collega molto ma molto meno di quanto aveva fino a quel punto creduto.
 
“Gaetano le ha parlato di me?” domanda Camilla, tra il sorpreso e l’imbarazzato, rompendo il silenzio e interrompendo i pensieri dei due uomini, aggiungendo poi con un sorriso ironico, “spero solo cose belle.”
 
“Definirle belle sarebbe riduttivo, professoressa. Una vera e propria apoteosi nel senso originario del termine, fortunatamente non postuma,” replica l’uomo, ricambiando il sorriso e facendo arrossire sia Camilla che, soprattutto, Gaetano.
 
“Riva-“ interviene Gaetano con tono di avvertimento, imbarazzatissimo.
 
“Ma è la verità… Però mi devo essere perso qualche passaggio di questa storia: ero rimasto che lei era – in Spagna forse? – e che non vi vedevate da anni. E invece vi trovo qui, insieme, anzi, direi che le congratulazioni sono d’obbligo, Berardi!” esclama Riva, dando una leggera pacca sulla spalla al collega.
 
“Riva…” sospira di nuovo Gaetano, non potendo però evitare di sorridere.
 
Camilla alterna lo sguardo tra i due uomini, non sapendo bene cosa pensare e cosa esattamente Gaetano abbia raccontato all’altro uomo di lei, a parte che ovviamente dovevano essere cose risalenti ai tempi di Roma. Ma, a giudicare da quanto detto da Riva e dalle sue espressioni facciali, Gaetano doveva averla dipinta come una specie di divinità, come solo lui potrebbe mai fare, e non si stupiva che il poveruomo fosse rimasto sorpreso nel vederla, e quasi certamente deluso nelle sue attese, aspettandosi presumibilmente una sosia della Bellucci e trovandosi invece di fronte lei.
 
Sta per rispondere quando una voce conosciuta alle sue spalle li interrompe.
 
“Berardi, Riva,” li saluta la voce. Camilla si volta per confermare quello che immaginava: il questore.
 
“Signor questore,” replicano praticamente in coro i due uomini, con automatismo militare.
 
“Berardi, sono felice di vedere che quest’anno ha deciso di presenziare,” proclama il questore, con il suo solito sorriso e tono affettato e un po’ svanito, “lei Riva invece è sempre una certezza.”
 
“Si fa quel che si può, signor questore,” risponde Riva con tono ironico ma con una nota di ossequiosità nella voce che non passa inosservata né a Gaetano, né a Camilla.
 
“Professoressa Baudino, è un vero piacere rivederla in tutt’altre vesti – e che vesti. Spero che Berardi non se ne abbia a male se mi permetto di dirle che è davvero bellissima stasera,” dichiara con un sorriso ancora più ampio e tono affabile, porgendole la mano in una stretta vigorosa che, nonostante tutto, la coglie impreparata come la prima volta.
 
“E lei è troppo gentile, signor questore,” replica Camilla, lievemente imbarazzata dal complimento, mentre il suo istinto le lancia segnali di allarme e le dice di stare in guardia: ha già avuto modo di sperimentare in passato l’abisso che esiste tra come il questore appare, anzi, come decide di mostrarsi agli altri, e quello che invece è realmente, dietro la maschera.
 
Presa dai suoi sospetti e timori, non nota nemmeno come i muscoli del corpo e del viso di Gaetano si irrigidiscano in una postura e in un’espressione che lasciano trapelare un malcelato fastidio.
 
Quando il questore le lascia la mano ed entrambi rivolgono nuovamente l’attenzione ai due vicequestori, il volto di Gaetano è già ricomposto ed assolutamente imperscrutabile.
 
“Lei e la professoressa vi conoscete già, signor questore?” domanda Riva, incuriosito dall’atteggiamento del suo superiore e dal fatto stesso che la donna sia stata invitata all’evento, “onore” che di solito capita solo alle mogli o alle compagne ufficiali di lunghissima data dei dirigenti di polizia.
 
“Sì, ho già avuto modo di incontrare la professoressa per il caso Migliasso: lei insegna al Mandela e Migliasso e Garba erano suoi studenti. La professoressa ha cercato fare da tramite tra noi e i compagni dei due latitanti per aiutarci a scoprire dove si nascondevano e a convincerli a costituirsi. Sa, l’omertà tra compagni di classe non è facile da rompere, specialmente in una scuola come quella,” chiarisce il questore con un sorriso affabile, mentre sia Gaetano che Camilla capiscono al volo la strategia dell’uomo e forse il motivo stesso dell’invito: dare una spiegazione ufficiale ed innocua al “colloquio” avuto con Camilla, in caso qualcuno l’avesse notato o corressero delle voci, come spesso succede in questura.
 
“Purtroppo non vi sono stata molto di aiuto, anche se alla fine per fortuna Idris e Sabrina erano innocenti,” replica Camilla, decidendo di stare al gioco e di lavorare sul filo delle omissioni. In effetti nel caso Migliasso aveva combinato un bel casino e non riusciva ancora a decidere se fosse stata più d’aiuto o di ostacolo alle investigazioni, nonostante alcune intuizioni chiave fossero state sue.
 
“Beh, l’importante è poter contare sul senso civico dei nostri concittadini, anche se non sempre si dimostra risolutivo. E poi, professoressa, benché l’occasione non sia stata delle migliori, mi ha dato modo di incontrarla e di questo sono grato al destino per due motivi: innanzitutto perché grazie alla sua partecipazione di stasera sono riuscito finalmente ad avere Berardi nuovamente presente ai nostri eventi,” proclama il questore con quel tono da tonto a cui non daresti due euro che lo contraddistingue, continuando a sorridere, “e poi perché ho un progetto che mi ronza in testa da un po’ e credo proprio che lei sia la persona giusta con cui realizzarlo.”
 
“Un progetto?” chiede Camilla, un’altra volta spiazzata da quest’uomo che sembra avere mille facce.
 
Impegnata com’è nel cercare di “leggere” il suo interlocutore, di nuovo non riesce a percepire i piccoli ma inequivocabili segnali che il linguaggio del corpo di Gaetano le sta lanciando: i pugni che si stringono lievemente, le spalle che si contraggono, la mascella che si serra, conferendogli un’espressione seria e quasi torva.
 
Riva, sebbene sia decisamente stupito dal comportamento del questore, riesce invece ad avvedersene e trattiene a stento un sorriso: se qualcuno gli avesse detto che un giorno avrebbe visto Berardi geloso di una donna – e per via del questore oltretutto – gli avrebbe probabilmente riso in faccia.
 
“Sì, si tratta di-“ cerca di spiegare, ma alle sue spalle arriva un uomo che parrebbe essere il segretario o un assistente, facendogli un cenno.

“Scusate, ma è il momento del discorso prima della cena. Ne riparliamo dopo, professoressa? Buona cena a tutti e tre,” dichiara e, senza attendere risposte, segue l’altro uomo fin sul piccolo palco del salone.
 
Camilla lancia uno sguardo verso Gaetano che pare nuovamente imperturbabile. Pazientemente ascoltano i lunghissimi e noiosissimi discorsi del questore e del prefetto: un trionfo di statistiche sulla sicurezza della città e della provincia e di luoghi comuni su come migliorare le cose, intervallati da qualche rara iniziativa interessante.
 
Alla fine gli ospiti vengono invitati ad accomodarsi per la cena: Camilla e Gaetano si separano da Riva essendo stati assegnati a tavoli diversi. Si ritrovano in compagnia di perfetti sconosciuti: un sindaco e un imprenditore con relative signore e una donna sulla trentina, stranamente non accompagnata.
 
La cena leggera a base di pesce è appesantita dalla conversazione: soldi, vanterie, soldi, racconti di mirabolanti vittorie, mentre le mogli annuiscono, per poi, dopo un po’ d’indulgente adorazione delle imprese dei mariti, intrattenersi in un lungo dialogo su giri di shopping nelle vie più care del centro di Milano e sulle loro opere di beneficienza, compiute con le varie associazioni di riccone di cui fanno parte.
 
Camilla capisce il motivo per cui Gaetano odia questi eventi: il vicequestore, in quanto unico rappresentante di un certo livello delle forze dell’ordine al tavolo viene coinvolto in ogni modo nella conversazione ed è costretto a seguirla e a partecipare fingendo interesse.
 
A lei tutto sommato è andata meglio: dopo aver rivelato di non essere la moglie di Gaetano ma solo la compagna e, soprattutto dopo aver svelato di essere una professoressa – e no, non universitaria – per di più di una materia umanistica e di insegnare al Mandela, beh, era stata praticamente ignorata dai due uomini e guardata quasi con compatimento dalle rispettive signore che non avevano provato nemmeno a coinvolgerla nei loro discorsi su acquisti di oggetti frivoli e spesso inutili che costavano come un mese del suo stipendio.
 
Per fortuna l’altra donna al tavolo, una che all’università ci aveva anche provato a insegnare, ma si era poi dovuta arrendere dopo qualche anno di fronte alla mancanza di fondi e prospettive e tornare all’ovile nell’azienda di famiglia – una che stranamente non aveva problemi ad ammettere di essere una figlia di e di quanto questo fosse una fortuna di questi tempi – l’aveva coinvolta in una chiacchierata interessante sulle gioie e i dolori di avere a che fare con gli studenti e con il mondo scolastico ed accademico. Aveva fatto supplenze alle superiori quando era una ricercatrice per cercare di mantenersi ed era pure incredibilmente fidanzata con un insegnante precario di scuola superiore, ovviamente non invitato all’evento.
 
La cena finalmente arriva alla sua conclusione ed è il momento dell’intrattenimento musicale ad opera di alcuni detenuti del carcere delle Vallette, coinvolti in un’iniziativa di rieducazione e reinserimento.
 
La musica è ad un volume tale da rimanere di sottofondo per consentire agli invitati di “fare salotto”, praticamente tutti si alzano in piedi per interagire con le persone degli altri tavoli. Gaetano viene subito intercettato dall’assessore alla sicurezza con giovane moglie al seguito. Dopo le presentazioni di rito e un breve scambio di battute sul corso di autodifesa che Camilla e Livietta inizieranno a breve e che, a quanto pare, è uno dei cavalli di battaglia dell’assessore, Camilla ne approfitta per smarcarsi e recarsi in bagno per una “pausa” di silenzio e solitudine, dopo tutte le inutili chiacchiere.
 
E’ nel cubicolo della toilette intenta a leggere i messaggi di Livietta sul cellulare, che le conferma che Tommy è tranquillo e si è addormentato: purtroppo Ilenia era impegnatissima sul lavoro e con così poco preavviso non aveva potuto proprio fare babysitting, ma la figlia si era presa questo impegno di buon grado. Anzi, quando li avevano lasciati a casa di Gaetano, Livietta sembrava quasi contenta, nonostante la attendesse una lunga serata con tanto di immancabile film Disney – questa volta un classico, “La Spada nella Roccia”, uno dei suoi preferiti da bimba.
 
Sente la porta aprirsi e un ciarlare di donne – abbastanza giovani a giudicare dalla tonalità delle voci – che iniziano a spettegolare sul look delle altre invitate, snocciolando nomi di signore che lei non ha mai sentito nominare, accompagnati da giudizi impietosi su “vestiti di collezioni passate” o “secondo me quella è tutta bigiotteria!” o su “hai visto com’è ingrassata la moglie del prefetto dopo la menopausa?”.
 
Sta per uscire dal cubicolo e poi dal bagno – addio pace, rimpiange quasi l’assessore – quando un nome la blocca: Berardi.
 
“Avete visto la signora con cui si è presentato? O i suoi gusti sono drammaticamente peggiorati o sta perdendo colpi, del resto gli anni passano per tutti,” commenta una con una sogghigno.
 
“Ma no, lui si mantiene bene, è lei che è troppo vecchia ed insignificante per lui e per i suoi standard soliti,” interviene un’altra, aggiungendo poi, sempre sghignazzando, “tu che ne dici Rebecca? Del resto lo conosci meglio di tutte noi, in tutti i sensi.”
 
“Sì, ma sono un paio d’anni che non ci frequentiamo, anche se non mi sembra molto cambiato fisicamente… Mah, in realtà mi stupisce ancora di più che sia venuto accompagnato: quando sono stata con Gaetano evitavamo gli eventi ufficiali. Del resto ci divertivamo e basta. Anche perché anche se a letto è molto bravo, questo lo devo ammettere, non è né abbastanza affidabile, né abbastanza ricco per pensare di poterci avere una storia seria, oltretutto con il rischio che ti riempia di corna o ti molli per un’altra dopo poco tempo e non potersi nemmeno consolare con un assegno mensile degno di questo nome.”
 
Le risate riempiono il bagno mentre Camilla, la mano ancora stretta intorno alla maniglia, è come paralizzata, combattuta tra due desideri contrastanti: quello di uscire da lì e sistemare quelle tre cretine con un paio di battute al vetriolo e quello di non dare loro altra importanza o altro appiglio. Non sa cosa le faccia più male: se il modo in cui parlano di lei, il modo in cui parlano di Gaetano – come se fosse una specie di stallone da monta, un giocattolo con cui divertirsi – o l’idea stessa di lui a letto con un’altra. Una come quella Rebecca oltretutto.
 
“Magari allora è lei che è ricca, si spiegherebbero molte cose,” ribatte quella che l’aveva già definita vecchia ed insignificante, rincarando la dose con tono malizioso.
 
“Ma va, hai visto com’è vestita? E i gioielli? Niente firme, tutta roba da poco,” fa notare quella che era entrata per prima in argomento nominando Gaetano.
 
“Non è che magari è una collega allora? Le poliziotte non guadagnano un granché,” ipotizza ancora l’altra, come se non potesse credere che uno come Gaetano avesse scelto di passare una serata con una come lei senza un secondo fine o una motivazione di lavoro.
 
E, anche se si odia per questo, Camilla non può evitare di provare una fitta al petto e un dolore sordo e pulsante ad ogni nuova parola di quelle arpie: quel senso di inadeguatezza e di insicurezza che, in fondo, ha sempre provato per quanto riguarda il suo aspetto e che al confronto con l’avvenenza estetica di Gaetano e, soprattutto, delle sue ex, non fa che acutizzarsi.
 
“No, no, ho sentito dire da Adriana che insegna alle superiori, al Mandela, quella specie di ghetto pieno di figli di immigrati,” chiarisce Rebecca, che a quanto pare non ha perso tempo a spettegolare con la moglie del sindaco che era sullo stesso tavolo di lei e Gaetano.
 
“Mmm, certo che per essere da un paio d’anni che non lo frequenti mi sembra che Gaetano ti interessi ancora parecchio, dato che sei andata subito ad informarti,” la punzecchia una delle altre due, “non è che ti piacerebbe farci un altro giro?”
 
“Mah, ammetto che l’idea è allettante, e poi mio marito a letto è una noia mortale, ma non posso rischiare la separazione con addebito, non prima di avere almeno un figlio come assicurazione,” ammette candidamente Rebecca, facendo di nuovo ridere le amiche, mentre Camilla viene pervasa da un desiderio improvviso di strozzare questa donna che non ha nemmeno mai visto in faccia.
 
Nel frattempo, nella sala principale Gaetano è finalmente riuscito a liberarsi dell’assessore e si guarda intorno cercando Camilla: è da un sacco di tempo che è in bagno e comincia a preoccuparsi che possa essersi sentita male.
 
Sta per avviarsi verso i bagni quando una voce familiare lo intercetta.
 
“Ehi dottore, non immaginavo di trovarti qui!”
 
“Ricci!” ricambia il saluto, voltandosi e incrociando lo sguardo del medico legale, che gli sorride e lo osserva in quel modo tra il malizioso e l’ironico che ha sempre caratterizzato i loro incontri e i loro scambi di battute, “neanche io pensavo di trovarti qui, anzi, ad essere sincero non ti avevo proprio notata. Ma a che tavolo eri?”
 
Del resto il salone era grande ma non enorme e i tavoli non erano molti. Gli sembrava strano che la donna potesse essergli passata inosservata, a maggior ragione in quell’abitino nero talmente attillato da sembrarle quasi cucito addosso e con una scollatura profonda che lasciava ben poco spazio all’immaginazione. Nota, come prevedibile, diversi sguardi degli uomini nei paraggi puntati su di lei.
 
“Tranquillo che non ti sei arrugginito, Berardi. Sono arrivata da poco: c’era un morto al Valentino e come sai se il dovere chiama il piacere deve attendere.”
 
“Un morto al Valentino?” sospira Gaetano, già temendo un nuovo caso sulla sua scrivania: ne avevano già parecchi per le mani, anche se nulla di particolarmente grosso o “mediaticamente rilevante”.
 
“Non ti preoccupare: un tossico, probabile overdose. Salvo sorprese durante l’autopsia di domani non te ne dovrai occupare,” lo rassicura con una lieve pacca sulla spalla.
 
“In realtà, con tutto rispetto per il morto, se mi avesse evitato di dover presenziare stasera… quasi quasi avrei preferito starmene al Valentino.”
 
“Addirittura? Devi proprio odiarli questi eventi, Berardi! Cos’hanno di così terribile queste cene?”
 
“Mah, non lo so. A parte che devi fare salotto con perfetti estranei che ti guardano dall’alto in basso perché guadagnano in un anno quello che tu guadagnerai forse in tutta la tua vita ed intrattenerli con racconti avventurosi sul mestiere di poliziotto? O che bisogna vestirsi come dei pinguini anche se è giugno e fa caldo dove non c’è l’aria condizionata?”
 
“Da pinguini?” ripete lei con un sopracciglio alzato ed un’occhiata provocante, avvicinandosi ancora di più a lui e cominciando a giocherellare con la sua cravatta, come per risistemarla, “se tutti i pinguini fossero come te stasera, al polo sud ci sarebbe la fila di donne.”
 
Gaetano è preso in contropiede e non sa bene come reagire: lui e la dottoressa hanno praticamente da sempre flirtato in modo scherzoso durante i loro incontri sulle varie scene del crimine, ma lei non aveva mai cercato il contatto in questo modo. Non sa se sia per via del fatto che sono entrambi teoricamente “fuori servizio”, per l’abbigliamento o per il contesto, ma sente che è come se una linea sottile ed invisibile fosse stata superata, che il gioco ha forse smesso improvvisamente di essere tale, almeno da parte di lei.
 
Quasi come a riprova di questa intuizione istintiva, avverte un tocco sul petto e abbassa lo sguardo per confermare che la mano sinistra della donna ha lasciato la cravatta e ha iniziato a percorrere la camicia, arrivando quasi al colletto in un contatto decisamente troppo intimo per essere classificato come appropriato tra colleghi. Si sta appena riavendo dalla sorpresa e alza una mano per bloccarle il braccio quando una voce lo fa sussultare.
 
“Non serve andare al polo sud: mi pare che la fila ci sia già qui. Anzi, dov’è il taglia code e a che a che numero siamo arrivati mentre ero in bagno?”
 
Gaetano volta la testa e incontra lo sguardo di Camilla, a pochi passi da lui, alla sua destra. Riconosce quel tono sarcastico e pungente e quell’occhiata che pare volerlo fulminare all’istante e sa di essere nei guai fino al collo, letteralmente.
 
 
Nota dell’autrice: Prima di tutto mi scuso tantissimo per il ritardo pauroso nel postare ma è un periodo incasinatissimo sul lavoro. Proprio per questo, dato che per ancora qualche giorno non avrò il tempo materiale di scrivere come vorrei e che non voglio scrivere e postare qualcosa di fatto male, in fretta o quando sono stanca, ma allo stesso tempo non voglio lasciarvi con un’attesa troppo lunga ho deciso di tagliare qui la seconda parte di questa serie avvelenata di capitoli ;) e riservare la terza, ultima ed ehm intensa parte per il prossimo capitolo. Da settimana prossima le cose dovrebbero tornare alla normalità, quindi spero di postare la terza parte già magari lunedì, comunque non dovrebbe più tardare come questa. Anche qui chi o cosa sia il serpente lo lascio giudicare a voi, come sempre anche le critiche sono davvero importantissime e mi aiutano a tarare la scrittura. Vi ringrazio tantissimo per avermi seguito fin qui e se volete e se ne avete ancora la pazienza vi do appuntamento al prossimo capitolo ;)!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Il Serpente - terza e ultima parte ***


Capitolo 26: “Il serpente – terza e ultima parte”



Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro


 
Dal capitolo precedente…



 
Nel frattempo, nella sala principale Gaetano è finalmente riuscito a liberarsi dell’assessore e si guarda intorno cercando Camilla: è da un sacco di tempo che è in bagno e comincia a preoccuparsi che possa essersi sentita male.
 
Sta per avviarsi verso i bagni quando una voce familiare lo intercetta.
 
“Ehi dottore, non immaginavo di trovarti qui!”
 
“Ricci!” ricambia il saluto, voltandosi e incrociando lo sguardo del medico legale, che gli sorride e lo osserva in quel modo tra il malizioso e l’ironico che ha sempre caratterizzato i loro incontri e i loro scambi di battute, “neanche io pensavo di trovarti qui, anzi, ad essere sincero non ti avevo proprio notata. Ma a che tavolo eri?”
 
Del resto il salone era grande ma non enorme e i tavoli non erano molti. Gli sembrava strano che la donna potesse essergli passata inosservata, a maggior ragione in quell’abitino nero talmente attillato da sembrarle quasi cucito addosso e con una scollatura profonda che lasciava ben poco spazio all’immaginazione. Nota, come prevedibile, diversi sguardi degli uomini nei paraggi puntati su di lei.
 
“Tranquillo che non ti sei arrugginito, Berardi. Sono arrivata da poco: c’era un morto al Valentino e come sai se il dovere chiama il piacere deve attendere.”
 
“Un morto al Valentino?” sospira Gaetano, già temendo un nuovo caso sulla sua scrivania: ne avevano già parecchi per le mani, anche se nulla di particolarmente grosso o “mediaticamente rilevante”.
 
“Non ti preoccupare: un tossico, probabile overdose. Salvo sorprese durante l’autopsia di domani non te ne dovrai occupare,” lo rassicura con una lieve pacca sulla spalla.
 
“In realtà, con tutto rispetto per il morto, se mi avesse evitato di dover presenziare stasera… quasi quasi avrei preferito starmene al Valentino.”
 
“Addirittura? Devi proprio odiarli questi eventi, Berardi! Cos’hanno di così terribile queste cene?”
 
“Mah, non lo so. A parte che devi fare salotto con perfetti estranei che ti guardano dall’alto in basso perché guadagnano in un anno quello che tu guadagnerai forse in tutta la tua vita ed intrattenerli con racconti avventurosi sul mestiere di poliziotto? O che bisogna vestirsi come dei pinguini anche se è giugno e fa caldo dove non c’è l’aria condizionata?”
 
“Da pinguini?” ripete lei con un sopracciglio alzato ed un’occhiata provocante, avvicinandosi ancora di più a lui e cominciando a giocherellare con la sua cravatta, come per risistemarla, “se tutti i pinguini fossero come te stasera, al polo sud ci sarebbe la fila di donne.”
 
Gaetano è preso in contropiede e non sa bene come reagire: lui e la dottoressa hanno praticamente da sempre flirtato in modo scherzoso durante i loro incontri sulle varie scene del crimine, ma lei non aveva mai cercato il contatto in questo modo. Non sa se sia per via del fatto che sono entrambi teoricamente “fuori servizio”, per l’abbigliamento o per il contesto, ma sente che è come se una linea sottile ed invisibile fosse stata superata, che il gioco ha forse smesso improvvisamente di essere tale, almeno da parte di lei.
 
Quasi come a riprova di questa intuizione istintiva, avverte un tocco sul petto e abbassa lo sguardo per confermare che la mano sinistra della donna ha lasciato la cravatta e ha iniziato a percorrere la camicia, arrivando quasi al colletto in un contatto decisamente troppo intimo per essere classificato come appropriato tra colleghi. Si sta appena riavendo dalla sorpresa e alza una mano per bloccarle il braccio quando una voce lo fa sussultare.
 
“Non serve andare al polo sud: mi pare che la fila ci sia già qui. Anzi, dov’è il taglia code e a che a che numero siamo arrivati mentre ero in bagno?”
 
Gaetano volta la testa e incontra lo sguardo di Camilla, a pochi passi da lui, alla sua destra. Riconosce quel tono sarcastico e pungente e quell’occhiata che pare volerlo fulminare all’istante e sa di essere nei guai fino al collo, letteralmente.
 
Prova a fare un passo indietro ed a liberarsi da quel contatto fattosi ormai pericolosissimo ma Ricci lo trattiene ancora quasi inconsciamente per la cravatta, mentre studia Camilla, che la fissa di rimando con un sopracciglio alzato ed un’espressione con un sorriso tirato e finto che Gaetano ricorda benissimo dai tempi di Sonia. Solo che ora le circostanze tra loro sono molto diverse.
 
“Camilla, finalmente, mi stavo cominciando a preoccupare: non tornavi più!” risponde Gaetano con nonchalance, cercando di non dare importanza ad un qualcosa che per lui effettivamente non ne ha e riuscendo infine a fare un ulteriore passo indietro, dato che Ricci molla la presa, rivolgendo tutta la sua attenzione a Camilla.
 
“Davvero? Mi sembra che avessi di che intrattenerti per ingannare l’attesa,” ribatte Camilla, tagliente anche se sempre con quel sorriso stampato sulle labbra.
 
“In realtà stavo proprio dicendo a Ricci quanto detesti questi eventi, professoressa, e lo sai. Anzi, se non fossi venuta anche tu con me stasera, avrei sicuramente bigiato anche quest’anno,” chiarisce Gaetano, cercando di rimarcare come lei sia l’unica che gli interessi, l’unica compagnia che desideri e non solo questa sera.
 
“Ah sì? Beh, ma direi proprio che poi ti sei ambientato bene in mia assenza, Gaetano,” replica con un sorriso ancora più ampio e un tono fintamente dolce, “anzi, non mi presenti la tua amica?”
 
“Ehm… sì, certo, anche se è una collega, più che un’amica, anzi, non proprio una collega…” cerca di spiegare Gaetano, quasi balbettando tanto è a disagio, “comunque Camilla, lei è la dottoressa Sofia Ricci, un medico legale che lavora con la questura, infatti è arrivata proprio ora da un potenziale omicidio al Valentino. Ricci, ti presento la professoressa Camilla Baudino, la mia compagna.”
 
“Ah… beh, piacere di conoscerla professoressa,” farfuglia Ricci di rimando, porgendo la mano all’altra donna, un’espressione di sorpresa e di imbarazzo sul volto, “mi scusi ma non sapevo proprio che Berardi fosse qui con lei, o che avesse una compagna.”
 
“Sì, l’avevo notato,” ribatte Camilla con un sopracciglio alzato, mantenendo sempre quel mezzo sorriso tirato sulle labbra e tendendole infine la mano di rimando, il braccio teso e contratto, data la distanza tra le due che Camilla non accenna a voler accorciare. Una stretta rapida e rigida, mentre la tensione si taglia con un coltello.
 
“È che non c’è stata nemmeno l’occasione di venire in argomento: io e Camilla stiamo insieme da poco,” prova a chiarire Gaetano, rendendosi conto immediatamente, dall’occhiata raggelante che gli lanciano quegli occhi castani, di aver solo peggiorato la situazione, sminuendo involontariamente l’importanza della loro relazione; sentendosi improvvisamente sudato prova a correggere il tiro, “e poi in realtà io e Ricci non parliamo praticamente mai delle nostre vite private, giusto Ricci?”
 
“Beh, sì, certo,” conferma la bionda, sempre più a disagio.
 
“Eh, lo immagino che avrete altro di ben più interessante da fare piuttosto che parlare,” ribatte Camilla per poi aggiungere, dopo un attimo di eloquente pausa, “sulla scena di un crimine.”
 
“Già… anzi, a proposito di scene del crimine, ho intravisto Riva e forse è meglio che vada ad aggiornarlo sul caso del Valentino: sono stati i suoi uomini a rispondere alla chiamata,” proclama Ricci, chiaramente ansiosa di togliersi da questa situazione, “beh, buona serata dottore, professoressa.”
 
E, senza perdere un altro secondo, si avvia verso l’altro lato della sala, ad una velocità quasi incredibile considerando i tacchi.
 
“Camilla-“
 
“Camilla cosa?” lo interrompe in un sibilo, che lui riconosce esattamente per quello che è – la trasposizione da luogo pubblico di un urlo – incenerendolo con lo sguardo, e aggiungendo in un sussurro basso, udibile solo da lui, ma pericoloso, “non posso lasciarti solo cinque minuti che ti trovo praticamente avvinghiato ad un’altra? Dimmi, Gaetano: come devo pensare che ti comporti quando io non ci sono proprio, eh?”
 
“Camilla, io non… io non ero avvinghiato a Ricci: non l’ho nemmeno sfiorata, al limite è lei che mi si è avvicinata troppo, questo è vero, ma-“
 
“E non potevi che ne so, scostarti o allontanarla?” sussurra di rimando, con tono sarcastico.
 
“È che mi ha preso di sorpresa: stavo per farlo ma sei arrivata tu prima che potessi reagire e-“
 
“Ma certo, sono proprio arrivata nel momento sbagliato, no? O forse in quello giusto. E comunque anche se oggi avesse fatto tutto lei e anche se tu non l’avessi ‘nemmeno sfiorata’, mi viene spontaneo chiedermi perché lei si sia comportata così, dato che non mi sembra una stupida e che è oltretutto una persona con cui ti devi e ti dovrai incontrare spesso per lavoro. Non so tu, ma, fossi in lei, non ci proverei mai in questo modo con un collega se non avessi avuto dall’altra parte segnali abbastanza inequivocabili che la cosa sarebbe gradita, dato che, in caso di rifiuto, la cosa sarebbe terribilmente imbarazzante e poi-“
 
“Camilla-“ prova a interromperla ma lei è ormai un fiume in piena e probabilmente solo il luogo e il non desiderare che gli altri sentano questa discussione impediscono ai toni di alzarsi.
 
“Guarda!” gli sibila nell’orecchio, voltandolo e indicandogli Ricci e Riva che stanno chiacchierando tranquillamente dall’altra parte della stanza, anche se ogni tanto lanciano entrambi un’occhiata nella loro direzione, “mi sembra che con l’altro vicequestore le distanze le mantenga benissimo. Quindi o Riva sa annodarsi la cravatta molto meglio di te, oppure forse ci sarà un motivo se con lui si comporta in modo professionale mentre con te fa la gattamorta.”
 
“Camilla,” le sussurra, afferrandola delicatamente per le spalle lasciate nude dal vestito e girandola verso di sé, in modo da obbligarla a guardarlo negli occhi, “ascoltami, per favore. D’accordo, è vero, un motivo c’è, ma-“
 
“Ci sei andato a letto?” lo interrompe lei, con tono basso e amaro, fissandolo come a voler cogliere ogni minimo indizio di una menzogna.
 
“NO!” esclama lui istintivamente, accorgendosi subito di aver alzato troppo il tono di voce dato che diverse persone nelle vicinanze si voltano a guardarli incuriositi.
 
“No,” ripete piano, in modo che senta solo lei, “non c’è mai stato niente tra di noi, Camilla ma… Diciamo che quando ci incontravamo sulle varie scene del crimine facevamo magari un paio di battute, ma sempre in maniera scherzosa e da molto prima che io e te iniziassimo una relazione, anzi da molto prima che tu tornassi a Torino.”
 
“Ma, visto il suo comportamento, immagino che avrete continuato anche dopo il mio ritorno a Torino e soprattutto anche dopo l’inizio della nostra relazione, o sbaglio?”
 
Gaetano sa che sarebbe più saggio mentire, ma sa anche che le speranze che lei non se ne accorga sono pari a zero, soprattutto quando lo guarda in quel modo. Piuttosto che pensi al peggio, decide quindi che è meglio dire la verità, anche se sente già che Camilla non la prenderà bene.
 
“Da quando io e te stiamo insieme l’ho vista una volta sola, per il caso Migliasso e se non ricordo male abbiamo fatto due commenti ironici su anelli di fidanzamento e proposte di matrimonio, per via dell’anello di Sabrina trovato nella tasca di suo zio, ma erano sicuramente delle battute che nessuno avrebbe mai potuto prendere sul serio. Camilla, per me scherzare in questo modo con lei era ormai praticamente automatico, ed è sempre stato un gioco, come… che ne so… la mia finta rivalità con Riva. Ma ti garantisco che non sono mai stato interessato ad avere una storia con lei, né ci ho mai provato con lei, né ho mai creduto che lei potesse pensare il contrario o comunque voler andare oltre le battute e il rapporto professionale, dato che ci comportiamo così da anni e tra noi non è mai successo niente.”
 
“Beh, evidentemente ti sbagliavi, Gaetano. E comunque per rispetto nei miei confronti speravo che, da quando le circostanze tra noi sono cambiate, avessi smesso di fare il cascamorto con le altre ma anche io evidentemente mi sbagliavo, purtroppo,” mormora con uno sguardo ed un tono di voce talmente carichi di delusione che sono come un pugno allo stomaco.
 
“Camilla, non è così, te lo giuro. Da quando stiamo insieme non solo non ho più ‘fatto il cascamorto’ con nessuna, ma non ho più nemmeno guardato un’altra donna: per me ci sei solo tu, non potrei né vorrei mai stare con qualcun’altra, e lo sai. E non ti mancherei mai di rispetto, non vorrei mai farti soffrire, io-“
 
“Gaetano,” lo interrompe lei con un sospiro disilluso e amaro, “forse il problema è che io e te abbiamo una diversa concezione di quali siano i comportamenti leciti e… rispettosi quando si è in coppia. A te farebbe piacere se io mi mettessi a fare certe battute con qualcun altro, oltretutto senza nemmeno degnarmi di chiarire che sono felicemente impegnata? Ma forse non vuoi rovinare la tua reputazione.”
 
“Camilla, ti garantisco che l’unica con cui ho fatto una mezza battuta è stata proprio Ricci, e solo perché da parte mia non c’era nulla di malizioso nel farlo: davvero per me era come scherzare con un collega maschio. E non ho alcun problema che si sappia in giro che sono impegnato: anzi, tu non hai idea di quanto sono orgoglioso di te e di averti al mio fianco, ma non sono abituato a parlare della mia vita privata con gli altri, se non con le persone a me più care, anche per rispetto nei tuoi confronti, nei confronti della nostra intimità. Ma per me il portarti qui stasera era in un certo senso come dichiarare in pubblico quello che c’è tra noi: che sto con te, che sono felicissimo di stare con te, che tu sei l’unica donna per me e che ti amo.”
 
“E lo dichiari permettendo ad un’altra di flirtare con te davanti a tutti appena volto le spalle? Sai te che bella dichiarazione d’amore, davvero romantica! A parte oltretutto che l’idea di farmi venire qui stasera è stata del questore, anzi, a questo punto ho perfino il sospetto che lo scopo dell’invito fosse quello di farmela pagare facendomi diventare lo zimbello della festa e devo dire che, in quel caso, l’ha raggiunto in pieno: raramente mi sono sentita tanto mortificata e a disagio come stasera.”
 
“Camilla, ma cosa dici? Non sei affatto uno zimbello, anzi, e perché ti dovresti sentire mortificata o a disagio? Per Ricci? Ti prego, dimmi che non parli sul serio!” la implora Gaetano, stringendola ancora di più per le spalle, spaventato dall’amarezza e dal dolore che percepisce in quelle parole sussurrate, nonché dagli occhi di lei che si fanno sempre più lucidi. E sebbene non avesse avuto alcuna intenzione di ferirla o di farle del male, sebbene sa di non aver provocato il medico legale in alcun modo, sente il senso di colpa farsi sempre più forte ed opprimente.
 
“La tua Ricci è la punta dell’iceberg, la ciliegina sulla torta,” sibila lei di rimando, trattenendo le lacrime, “ma non ti sei chiesto perché lei abbia potuto pensare che le tue battute scherzose potessero essere qualcosa di più Gaetano? Magari, per caso, perché hai una lista di avventure lunga come l’elenco del telefono? Anche qui stasera sembra esserci una specie di riunione delle tue ex, un club di cui a questo punto magari a breve potrei fare parte pure io, anche se probabilmente non mi accetterebbero perché non raggiungo i canoni estetici minimi.”
 
“Camilla-“ prova ad intervenire lui, sempre più preoccupato, ma lei lo interrompe di nuovo.
 
“Sai cosa pensano di me queste persone, Gaetano? Nella migliore delle ipotesi che sono una tua collega o un’amica, nella peggiore che sono ricca e stai con me per interesse o che ti sei bevuto il cervello. Sono tutti qui che mi guardano come se fossi una specie di cenerentola, una miracolata, una poveraccia, confrontata con le donne stupende di cui ti sei sempre circondato. E poi mi tocca pure incontrarle le tue ex, come ad esempio una certa Rebecca.”
 
“Rebecca?” domanda lui sorpreso, spalancando gli occhi.
 
“Sì, Rebecca. Cos’è, ne hai avute così tante che non ti ricordi nemmeno come si chiamano? Ma lei invece si ricorda benissimo di te e soprattutto di com’eri tra le lenzuola. Ne dice addirittura meraviglie, anche se-“
 
Non riesce a finire la frase perché una voce alle sue spalle la prende alla sprovvista e la fa trasalire. Gaetano allenta la presa quasi inconsciamente e Camilla si volta verso la voce.
 
“Vicequestore: è da un po’ che non ci incontriamo. Come sta?” chiede un uomo sulla cinquantina, basso, rasato – evidentemente per mascherare la calvizie – ed un fisico terribilmente sproporzionato. Testa grossa, spalle strette, gambe corte e magrissime e pancia prominente. Con indosso quel vestito a giacca elegantissimo, Armani probabilmente, sembra ancora più ridicolo.
 
“Bene… bene,” abbozza Gaetano, chiaramente a disagio, “e lei professore?”
 
“Benissimo, Berardi, anzi la devo ancora ringraziare per aver risolto quel brutto caso di omicidio prima che degenerasse in uno scandalo in facoltà,” replica l’altro uomo con un sorriso ebete sul volto, porgendo la mano a Gaetano in una stretta scoordinata e fin troppo vivace, “le volevo presentare mia moglie Rebecca.”
 
“Piacere di conoscerla,” proclama con nonchalance la donna accanto a lui tendendo a sua volta la mano verso Gaetano. Più alta del marito di quasi dieci centimetri, nonostante l’assenza di tacchi, un vestito che riesce ad essere sensuale ma elegante al tempo stesso, bionda ed occhi azzurri, fisico da Angelina Jolie dei tempi d’oro, viso da copertina e, soprattutto, voce terribilmente familiare.
 
Parli del diavolo…
 
Camilla si rende conto di averla già vista da qualche parte: era una soubrette e lavorava nel corpo di ballo di alcuni varietà in televisione qualche anno prima. Aveva presumibilmente smesso dopo essersi “sistemata”, come tante. Del resto per un professore universitario avere una moglie che saltellava mezza nuda in televisione non doveva essere propriamente accettabile. La cosa assurda però è che a confronto di questa Rebecca le altre ex di Gaetano quasi sfigurano: è davvero obiettivamente bellissima, anche se la sua bellezza è indubbiamente direttamente proporzionale all’antipatia e alla faccia tosta.
 
“Piacere,” risponde Gaetano, che sembra sempre più in difficoltà, ricambiando la stretta di mano ed alternando lo sguardo tra il professore, Rebecca e Camilla.
 
“Permettetemi di presentarvi la professoressa Camilla Baudino, che, per mia grande fortuna, è la mia compagna,” aggiunge Gaetano dopo un attimo di pausa, guadagnandosi un’occhiata sorpresa da entrambe le donne, “Camilla, ti presento il professor Milani-“
 
“L’economista,” interviene Camilla, riconoscendo infine l’uomo da qualche sporadica apparizione in tv e sui giornali come esperto, “molto piacere di conoscerla, professore, e anche la sua signora.”
 
Saluta entrambi con una stretta di mano da manuale, senza lasciare minimamente trasparire nessun indizio della discussione di pochi attimi prima. Gaetano non sa se esserne rassicurato o ancora più turbato.
 
“Piacere di conoscerla, professoressa. Posso chiederle in cosa?” domanda l’uomo guardandola incuriosito.
 
“Lettere, alle superiori. Al Mandela, per essere precisi, probabilmente l’istituto con la peggiore reputazione di Torino e che almeno per ora temo dia ben pochi nuovi studenti alla sua facoltà,” replica Camilla con un sorriso sereno e affabile, anticipando le probabili domande successive e aspettandosi una reazione tra l’altezzoso e il commiserante.
 
“Beh, caspita, non è da tutti resistere in un ambiente del genere. Da ragazzo ho fatto supplenze alle superiori e lo ricordo ancora come un incubo, ed era una ragioneria molto più tranquilla del Mandela. Ammiro molto chi ce la fa: deve essere una donna di carattere, professoressa,” proclama invece l’accademico senza alcuna traccia di supponenza, spiazzandola, per poi aggiungere con tono ironico, “anche per tenere a bada il vicequestore. Quando l’ho conosciuto un paio di anni fa era uno scapolo impenitente e ha fatto girare la testa a parecchie studentesse e colleghe. Infatti ero tentato di chiedergli di rimanere per le giornate di orientamento, per aiutarci ad aumentare il numero delle iscritte.”
 
“Ah lo immagino, come immagino che sarebbe stato felice di sacrificarsi per una così nobile causa,” ribatte Camilla con un mezzo sorriso e tono sarcastico, “in quanto a me, la ringrazio professore ma non so se sono una donna di carattere. Anzi, sono convinta che tenere a bada il proprio partner possa essere molto complicato, se non impossibile.”
 
L’occhiata che lancia a Rebecca è sottile ma eloquente.
 
“Infatti se c’è una cosa che ho imparato a caro prezzo negli anni è che se si arriva al punto di dover ‘tenere a bada’ il proprio partner, è meglio lasciar perdere e che ognuno prenda la sua strada. La vita è troppo breve per sprecarla cercando inutilmente di cambiare le persone.”
 
“Mi sembra molto saggio, professoressa. E, mi creda, lei ha decisamente carattere,” ammette l’uomo, ignorando apparentemente i sottotesti rivolti anche alla moglie, per poi aggiungere con una risata, “quindi Berardi, direi che può ritenersi avvisato!”
 
Gaetano abbozza un mezzo sorriso, mentre la preoccupazione continua a salire. Sta per aprire bocca per replicare ma Camilla parla prima che possa farlo lui.
 
“Spero vogliate scusarmi, ma devo andare a telefonare a mia figlia,” proclama Camilla, decisa a trovarsi un rifugio davvero tranquillo prima che la maschera finora tenuta insieme dalla rabbia si crepi ancora di più e si rompa.
 
“Ah, ha una bimba?” domanda il professore, apparendo sinceramente interessato. Se l’aria da ingenuo bonario non è una commedia come quella del questore, Camilla prova un sincero moto di pietà per quest’uomo e per la sua scelta a dir poco infelice in campo coniugale.
 
Il pensiero che in fondo se la sia un po’ cercata per avere avuto l’hybris di scegliere una compagna tanto più giovane e tanto più bella la sfiora per un secondo, il tempo che ci impiega l’amara ironia per colpirla come uno schiaffo in pieno viso e rendere sempre più insostenibile il bruciore agli occhi e nel petto.
 
“In realtà ha 16 anni ormai…” riesce a replicare, con uno sforzo recitativo da Oscar per continuare a mantenere il viso impassibile.
 
“Beh, allora magari presto potrei averla come studentessa…” commenta con un grande sorriso il professore.
 
“Magari… scusatemi davvero ma se non la chiamo ora poi diventa troppo tardi…”
 
“Ah, certo, è venerdì sera e starà per uscire,” si inserisce Rebecca con un sorriso talmente angelico che Camilla decide che come soubrette era davvero sprecata: avrebbe dovuto fare l’attrice.
 
“No, è che poi mio figlio Tommy va a dormire e se si sveglia è un bel problema… ha solo cinque anni,” interviene infine Gaetano, notando l’espressione tirata di Camilla e comprendendo che è meglio che si allontani da lì e da Rebecca al più presto, “anzi, amore, quando senti Livietta ringraziala ancora da parte mia per l’aiuto.”
 
Camilla non riesce a fare altro che annuire, salutare nuovamente con un “è stato un piacere conoscervi” che riesce a non suonare sarcastico ed incamminarsi verso la porta finestra che da sulla balconata con quello che spera sia un passo deciso ma non frettoloso: non vuole che la sua ritirata sembri la fuga che in realtà è.
 
 Mentre si allontana riesce ancora a sentire Rebecca che, con tono di voce stupito – e forse per la prima volta sincero – domanda a Gaetano se loro due convivano. Non riesce però a cogliere la risposta, tra le orecchie che le ronzano, la musica e la distanza.
 
Arrivata sulla balconata che da sull’enorme e bellissimo giardino – forse uno dei motivi per cui era stata scelta questa villa poco fuori Torino – inspira forte l’aria pura e relativamente fresca due o tre volte, fino a sentire la testa girare. Si appoggia al parapetto in pietra e cerca di tranquillizzarsi, anche se la furia, la delusione e l’amarezza continuano a fare a pugni nel suo stomaco.
 
È ancora con gli occhi chiusi, intenta a respirare in modo controllato e profondo per cercare di rilassarsi e calmare i battiti del cuore, quando sente dei passi maschili alle sue spalle. Sa istintivamente che non si tratta di Gaetano: saprebbe riconoscere la sua camminata tra mille. Spera che non sia un altro scocciatore perché non è dell’umore adatto per affrontare nessuno.
 
“Bella serata, non è vero?” chiede una voce che invece è assolutamente familiare, provocandole un moto di riso amaro che soffoca prima che un solo suono possa uscire dalla sua gola.
 
“Magnifica!” si limita a replicare con un sarcasmo malcelato, quando recupera l’uso della voce, voltandosi e incontrando lo sguardo del questore.
 
“Intendevo da un punto di vista climatico: il cielo è bellissimo con questa luna piena e si vedono anche le stelle. Non sembra di essere a pochi chilometri da Torino,” spiega avvicinandosi a Camilla ed appoggiandosi alla balaustra al suo fianco, sollevando lo sguardo per qualche istante per poi rivolgerlo verso di lei, “da un punto di vista personale mi sembra palese che non si stia proprio divertendo stasera, professoressa, anzi. So che non deve nutrire una grande stima nei miei confronti o una grande simpatia, ma di solito si sforza di rimanere civile, mentre adesso le sue emozioni sono quasi a fior di pelle.”
 
“È per questo che mi ha seguita qui fuori, signor questore? Per metterci il suo carico da undici?” domanda, trafiggendolo con uno sguardo che non prova nemmeno più a celare ciò che l’uomo evidentemente già sa.
 
“No, professoressa, anzi, tutto il contrario. Se mi sono permesso di raggiungerla è per due motivi. Innanzitutto, come le ho già detto, ho bisogno di parlarle di un progetto che mi sta molto a cuore, anche se immagino non sia dell’umore più adatto per ascoltarmi. E poi perché volevo accertarmi che stesse bene e magari passare qualche minuto in compagnia di qualcuno che non ha paura di dirmi in faccia quello che pensa di me e del mondo in generale. Quando si arriva a ricoprire un ruolo come il mio, la schiettezza diventa merce rara, professoressa Baudino, forse la più rara e preziosa. Come avrà sicuramente avuto modo di constatare incontrando i commedianti della grande recita di stasera. E no, prima che me lo chieda, non è per questo che l’ho invitata, per farle un torto, anche se non ci crederà, ma per i motivi che le ho appena spiegato.”
 
“Se voleva parlarmi poteva farlo in un altro momento, signor questore. Non serviva attirarmi in questo covo di serpi,” gli fa notare Camilla, fissandolo in un modo che lascia chiaramente trasparire quanto poco si fidi di lui e delle sue parole, “e comunque, come ha già detto lei stesso, non sono dell’umore adatto per ascoltarla o per parlarle e più che schietta e sincera potrei risultare brusca ed inopportuna. A meno che lei non ami la brutale onestà che sfiora od oltrepassa la maleducazione. In quel caso, se non rischiasse una denuncia, le consiglierei di ascoltare i discorsi tra le sue invitate nel bagno delle donne o, ancora meglio, di andarsi a fare un giro tra gli adolescenti, magari della mia scuola.”
 
“Temo di non poter raccogliere il primo suggerimento,” risponde con una risata che pare stranamente sincera, “per quanto riguarda il secondo invece, lei sembra avere l’abilità di leggermi nel pensiero, professoressa, perché è proprio questo il progetto di cui volevo discutere con lei.”
 
“Farsi un giro tra gli adolescenti della mia scuola?” domanda incredula, con un sopracciglio alzato.
 
“Più o meno… Diciamo che vorrei avvicinare i ragazzi, soprattutto quelli che vengono da ambienti… difficili alla polizia. Far vedere loro chi siamo e come lavoriamo, insomma il volto umano dietro l’autorità. E far loro capire perché il nostro è un mestiere necessario e spesso difficile e ingrato, ma che può dare grandi soddisfazioni ed aiutare tante persone, fare davvero la differenza.”
 
“Ma sarebbe un progetto di educazione civica o uno spot per il reclutamento?”
 
“Lei arriva sempre subito diritta al punto, vedo,” commenta ridendo nuovamente, in una maniera quasi contagiosa, “beh, diciamo che lo scopo principale è il primo… Se poi si arriva al secondo… perché no, ben venga!”
 
“Guardi, sinceramente un po’ d’anni fa Gaetano venne a fare un ciclo di incontri all’istituto in cui insegnavo, a Roma, per il progetto ‘il poliziotto, un amico in più’. Gli studenti erano anche stati abbastanza interessati, ma poi a quanto ne so solo uno è entrato in polizia, e credo l’avrebbe fatto comunque. Non so se e quanto il loro senso civico sia migliorato, ed erano ragazzi molto ma molto più tranquilli di quelli del Mandela,” spiega, non stupendosi affatto che il questore non appaia sorpreso alla notizia che lei e Gaetano si conoscevano già ai tempi di Roma. Il questore aveva, come prevedibile, fatto i compiti a casa e si chiedeva quanto sapesse del suo passato e della sua vita privata. Probabilmente tutto quello che c’era da sapere e che era di dominio pubblico.
 
“Quello che ho in mente è qualcosa di più approfondito di un incontro o di un concorso, professoressa, ma forse è davvero meglio che ne parliamo in un altro momento. Magari uno di questi giorni quando fa visita in questura può passare anche dal mio ufficio, oltre che da quello di Berardi…”
 
In maniera quasi automatica, Camilla si volta verso il salone dove scorge Gaetano praticamente circondato di persone: al professor Milani e affettuosa consorte, si sono aggiunte altre due coppie, mentre lui si guarda intorno e pare cercare in ogni modo di smarcarsi.
 
“Ci sono problemi con Berardi, vero?” domanda, aggiungendo poi di fronte all’occhiata stupita ed irritata di lei, “lo so che non sono affari miei, ma se gli sguardi potessero incenerire… credo che dovrei cercarmi un nuovo vicequestore.”
 
“Appunto, signor questore, francamente non sono assolutamente affari suoi. E, in ogni caso, non ho alcuna voglia di parlarne e, per quanto riguarda il suo progetto, le scuole adesso sono chiuse e sicuramente avremo modo di discuterne in un altro momento. Quindi, se vuole scusarmi,” sibila, facendo leva sugli ultimi residui di selfcontrol e scendendo la scalinata che porta in giardino.
 
Quando sente i passi che la seguono fin sul ghiaino del sentiero tra le aiuole, si fanno largo in lei un’esasperazione ed un senso di impotenza che raramente ha provato in vita sua. Solo il fatto che l’uomo sia il capo di Gaetano, nonché uno dei massimi esponenti delle forze dell’ordine, le impedisce di voltarsi e di mandarlo a quel paese all’istante.
 
“Professoressa, aspetti!” la chiama, raggiungendola e afferrandola delicatamente per un polso, costringendola a fermarsi e a voltarsi verso di lui, “la prego di perdonarmi, non volevo essere scortese o inopportuno ma-“
 
“Ma lo è stato e lo è ancora,” sibila di nuovo Camilla, trafiggendolo da parte a parte con un’occhiata eloquente, “e la pregherei di lasciarmi il braccio e di lasciarmi sola, prima di costringere me a diventare scortese e sgarbata.”
 
“Mi ascolti, la prego. Non volevo infastidirla o peggiorare le cose, anzi: mi creda che mi dispiace davvero vederla così,” le dice in un tono stranamente basso e gentile, mollando la presa.
 
Si studiano a vicenda per qualche secondo, mentre Camilla fa un paio di respiri profondi e tenta nuovamente di calmarsi.
 
“Le va di fare due passi? Rimango in silenzio se vuole,” propone l’uomo, continuando a fissarla in quel modo strano, tra il preoccupato e l’esitante.
 
“Cambia qualcosa se le rispondo che i due passi preferirei farli da sola?” domanda di rimando, sospirando con tono rassegnato ma meno ostile.
 
“Non mi va di lasciarla vagare qui fuori, al buio, da sola…”
 
“Non siamo nella giungla, signor questore,” gli fa notare con un altro sospiro e un sopracciglio alzato.

“Lo so, ma non vorrei che si sentisse male e poi-“
 
“Ho capito, ho capito: non cambia niente. Mi dica: ma lei prende sempre le persone per sfinimento?” domanda Camilla, scuotendo il capo esasperata e facendolo ridere di nuovo.
 
“Diciamo che nel mio mestiere sapere come farsi ascoltare ed evitare che gli altri possano ignorarti è fondamentale,” replica il questore, aggiungendo dopo un momento di riflessione, “e forse anche nel suo, professoressa.”
 
“Già…” commenta Camilla, sovrappensiero, incamminandosi lungo il sentiero quasi inconsciamente.
 
E così percorrono diverse decine di metri tra aiuole, siepi altissime e perfettamente potate e fontane, fino a giungere ad un altro parapetto in pietra, che delimita il giardino più o meno pianeggiante dal ripido pendio della collina. Riesce a vedere in lontananza la strada e i filari delle vigne, illuminati solo dalla luce lunare.
 
“Che cosa c’è?” domanda il questore, notando l’occhiata sorpresa di Camilla.
 
“C’è che è rimasto veramente in silenzio. Non me l’aspettavo,” chiarisce con un tono ironico ma meno sarcastico: la quiete, la penombra e il profumo tipico dei giardini in estate l’hanno un po’ calmata.
 
“Lo so che questo la stupirà, ma io ho l’abitudine di mantenere sempre le mie promesse, professoressa.”
 
“Mi faccia indovinare: ne fa poche e, se proprio deve farne, si mantiene su proclami generici ed obiettivi di massima non facilmente misurabili ex post?” ironizza Camilla, facendolo nuovamente scoppiare a ridere.
 
“Qualcosa del genere, sì,” ammette il questore non appena riprende fiato, scuotendo la testa.
 
“Senta, signor questore, me la toglie una curiosità, dato che sostiene di apprezzare tanto la franchezza? Mi spiega che cosa ci fa qui con me invece che con i suoi invitati? Immagino che ci saranno ospiti ben più illustri ed influenti di me da intrattenere. Cosa spera di ottenere?” gli domanda, trafiggendolo con uno sguardo a cui è molto difficile sottrarsi.
 
“Diciamo che avevo semplicemente voglia di una bella boccata di aria fresca, professoressa, in tutti i sensi,” risponde con un sorriso che pare sincero e proprio per questo la spiazza, per poi aggiungere dopo un attimo di esitazione, “me la toglierebbe anche lei una curiosità?”
 
“Dipende dalla curiosità,” replica Camilla, nuovamente guardinga.
 
“Mi spiega cosa ci fa una donna come lei con uno come Berardi? Sinceramente non lo capisco.”
 
“Lei e tutto il resto degli invitati e delle invitate,” commenta Camilla con una mezza risata amara, sottraendosi dallo sguardo dell’uomo e voltandosi nuovamente verso la balaustra, afferrandola quasi come per farsi forza e scudo allo stesso tempo.
 
“No, no, non ha capito,” si affretta a chiarire, appoggiandosi anche lui al parapetto e cercando di cogliere quanto della sua espressione riesce ad intravedere tra i ricci che le coprono il viso.
 
“Mi creda: ho capito benissimo,” sibila Camilla, stringendo ancora di più il marmo tra le dita, per trattenersi da qualsiasi reazione non appropriata.
 
“No, le garantisco di no, anzi… Professoressa, lei è forse la donna più intelligente, più brillante e più… affascinante che abbia mai conosciuto in vita mia. E mi creda che per lavoro ne ho dovute incontrare davvero tante, troppe. E poi stasera è veramente bellissima, soprattutto sotto la luce di questa luna,” proclama con tono basso ma deciso, scrutandola ancora più attentamente quando si volta di scatto per guardarlo negli occhi.
 
“Eh beh, certo: la luce fioca attenua le rughe. E quando sono completamente avvolta dalle tenebre potrei perfino vincere il concorso di Miss Universo,” replica tagliente, con un’espressione che esprime inequivocabilmente come non creda ad una sola parola di ciò che il questore ha appena detto.
 
“Guardi che parlo seriamente: come le ho già detto per mestiere incontro una marea di persone e raramente mi sorprendo ormai di qualcosa. Invece quando l’ho conosciuta, nonostante abbiamo avuto solo un breve scambio di battute… beh, dire che sono rimasto impressionato e colpito è dire poco. Quindi non mi stupisco affatto che Berardi possa essere attratto da lei o che l’abbia scelta come compagna. Anzi, devo dire che questo mi porta a rivalutare e di molto il suo gusto in campo femminile, dato che lei è come minimo dieci spanne sopra a quelle specie di galline – bellissime per la carità, ma col vuoto pneumatico nel cervello e nell’animo – che frequenta di solito. Quello che mi sorprende è invece che lei si sia innamorata a tal punto – e ho potuto verificare di persona quanto – proprio di un uomo come Berardi.”
 
Camilla spalanca gli occhi e poi li chiude quasi a fessura, serrando la mandibola, mentre lo sbigottimento e l’indignazione le riempiono il cuore, la gola e lo stomaco in egual misura.
 
“Non mi fraintenda,” aggiunge, bloccandola prima che possa formulare una risposta, “ho grande stima di Berardi come poliziotto e come uomo, anche se forse non mi crederà. Se dovessi mai trovarmi nei guai è probabilmente l’unico dei miei sottoposti a cui mi rivolgerei: l’unico a cui potrei mettere in mano la mia vita senza timori. Berardi è un uomo estremamente intelligente e capace, ma soprattutto onesto e praticamente incorruttibile. E non è un arrivista e non è ambizioso, anzi, forse eccede dal lato opposto. Praticamente il poliziotto perfetto e, per quanto lo conosco, sono sicuro che sia un’ottima persona anche dal punto di vista umano. Ma penso che ognuno di noi abbia un tallone d’Achille, un vizio a cui non riesce a resistere. C’è chi ha i soldi, chi il gioco, chi il cibo, chi l’alcool, chi la droga, chi la sete di potere… Berardi ha le donne: è sempre stato così da quando lo conosco. E, visto che lei è una donna molto intelligente, credo che ne sia perfettamente consapevole e che sappia anche lei che, se è già molto improbabile che le persone possano cambiare superata l’adolescenza, dopo i quarant’anni… beh, diventa quasi impossibile, salvo miracoli. Proprio per questo mi sorprende che lei abbia scelto proprio Berardi per rifarsi una vita, nonostante le sue tante indubbie qualità umane che, ribadisco, non metto assolutamente in discussione.”
 
È come se avesse ricevuto una secchiata d’acqua gelida in pieno viso. Le parole del questore si insinuano, come un gas velenoso, in ogni poro della sua pelle, scavando e bruciando nello stomaco come acido, riportando definitivamente alla luce tutte le insicurezze e le paure che credeva ormai sepolte e superate e che questa serata ha invece acuito. Sente e vede un turbinio sconnesso di immagini e di parole che si scontrano e combattono nella sua mente, nelle sue orecchie e davanti ai suoi occhi: il medico legale che “aggiusta la cravatta” a Gaetano; le parole di Rebecca e delle sue amiche; Gaetano che la paragona ad un bicchiere di vino rosso pregiato; hybris; le lodi di Bettina e di Roberta sulle “abilità amatorie” di Gaetano; lei e Gaetano che fanno l’amore; la “venere del Botticelli”; Alba; Bettina in lacrime – mi sento così brutta e vecchia – in un camerino; Roberta mollata all’altare senza nemmeno una spiegazione; Gaetano che confessa di amare lei e solo lei; hybris; la “granita di fragole” sulla camicia di Gaetano; le “battute scherzose” di Gaetano col medico legale; Riva che sapeva di lei; hybris; hybris; hybris.
 
C’è una lotta senza esclusioni di colpi tra il suo cuore che sente, che protesta che Gaetano la ama; che con lei è diverso che con le altre; che quello che c’è tra loro funziona e sfugge ad ogni definizione, ad ogni logica; che il questore è un opportunista, finto come il suo colore di capelli, che non sa niente di lei e di Gaetano, di quello che hanno passato, di quello che hanno condiviso, di quello che hanno vissuto; che non può giudicare, e il cervello, la razionalità, che sussurra sottovoce che, in fondo, le parole del questore un senso ce l’hanno. Che come può lei avere la presunzione, l’hybris di essere unica, speciale, l’eccezione, diversa da mille altre prima di lei? Donne più giovani, più belle, più sensuali di lei e in alcuni casi – vedi Bettina, Sonia ed Eva – anche molto intelligenti e di carattere? Di essere migliore di loro, di poter “cambiare un uomo”? Quante volte sentendo quella frase pronunciata da un’amica con la sindrome da crocerossina aveva alzato gli occhi al cielo e sospirato, preparandosi a raccogliere i cocci rotti di lì a poco?
 
“Ha freddo?”
 
La voce preoccupata la ridesta dai suoi pensieri e si rende conto improvvisamente di stare tremando. Mette a fuoco nuovamente il viso del questore che la fissa esitante e avverte un dolore sordo ed una rabbia che ribolle, monta e minaccia di esplodere. Non sa se verso questa specie di politicante, evidentemente incapace di farsi gli affari suoi, ma che ha la straordinaria quanto sgradita capacità di destabilizzarla, se verso Gaetano, se verso “le altre” o se verso se stessa.
 
Due sentimenti contrastanti e forti in egual misura la scuotono e la fanno tremare: da un lato la voglia di ribattere, di attaccare, forse anche fisicamente, l’uomo allampanato che le sta di fronte con quell’espressione di insopportabile quanto ipocrita preoccupazione e dall’altro la voglia di girare i tacchi e di andarsene da lì e da questa serata, da questa maledetta festa a cui si pente amaramente di aver deciso di partecipare.
 
Chiude un secondo gli occhi e scuote il capo per schiarirsi le idee. Quando li riapre nota una macchia di bianco che prima non c’era e sente una coltre calda e ruvida coprirle le spalle: la giacca che il questore – rimasto in maniche di camicia – le drappeggia addosso in un gesto cavalleresco d’altri tempi, che pare totalmente ridicolo e fuori posto da parte di un uomo del genere. E alla mente non può che tornarle un maglione grigio, avvoltole intorno alle spalle in modo praticamente identico ma da un uomo completamente diverso, nella fatidica sera che li aveva infine condotti fin qui.
 
L’istinto di scrollarsi di dosso la giacca, che il questore sta ancora finendo di sistemare, è debordante. Apre la bocca per protestare e per rimetterlo finalmente al suo posto, ma qualcuno lo fa prima di lei.
 
“Camilla!”
 
Si volta e lo vede: appena oltrepassato l’angolo formato dalle grandi siepi, a qualche metro da lei, con un’espressione sul volto che, in anni di conoscenza reciproca, non aveva mai visto prima. Ma, perfino nella semioscurità, riesce a notare la mascella e i pugni serrati, la postura rigida e gli occhi che sembrano fissarsi alternativamente nei suoi e sulle mani del questore, che trattengono ancora la giacca per il bavero.
 
“È un’ora che ti cerco,” esala, avvicinandosi a loro in un paio di falcate decise, per poi aggiungere con velato sarcasmo, “temevo ti fossi sentita male, ma vedo che non avevo proprio motivo di preoccuparmi.”
 
“Berardi!” esclama il questore, mollando la presa e facendo di rimando un paio di passi indietro, mentre il solito sorriso ebete torna ad increspargli il volto, “in effetti mi sono permesso di accompagnare la professoressa a prendere un po’ d’aria fresca e di offrirle la mia giacca, dato che questa brezza di campagna è fin troppo frizzante.”
 
“Vorrei poterle esprimerle adeguatamente quello che provo per la sua straordinaria sollecitudine e premura, signor questore, per essersi preso così tanta cura di Camilla in mia assenza,” proclama in un tono di voce tutt’altro che riconoscente, fissando l’altro uomo dritto negli occhi ed arrivandogli quasi addosso, “ma dubito esistano parole sufficienti allo scopo.”
 
“Non… non serve che mi ringrazi Berardi: dovere!” afferma il questore, balbettando ed assumendo un’espressione ancora più svanita.
 
“Oltre che piacere, immagino,” sibila Gaetano in un tono basso e pericoloso.
 
“Oddio, ma è tardissimo: dobbiamo proprio andare!” ha la prontezza mentale di intervenire Camilla, guardando l’orologio a conferma delle sue parole: per quanto sia ancora furiosa con Gaetano capisce perfettamente dal tono usato e dallo sguardo assassino rivolto al questore che la situazione sta per degenerare in una scenata in piena regola, superiore o non superiore. E non vuole di certo che Gaetano abbia conseguenze sul lavoro.
 
“Camilla-“ prova ad intervenire Gaetano, ma lei è più rapida di lui: in una mossa si libera della giacca e, quasi lanciandola tra le mani del questore, afferra Gaetano per un gomito e comincia ad allontanarlo leggermente dall’altro uomo.
 
“Signor questore, vorrei anche io riuscire a ringraziarla adeguatamente per l’invito e la serata, ma credo sappia anche lei come questo mi sia assolutamente impossibile,” dichiara Camilla con un’occhiata eloquente, mentre l’uomo spalanca lievemente gli occhi e deglutisce visibilmente.
 
“Dovere…” ripete come un disco rotto, abbozzando un altro sorriso idiota da manuale.
 
“Arrivederci!” saluta, cominciando a camminare ed, in sostanza, a trascinare Gaetano con sé, allontanandosi dall’altro uomo che li fissa ancora con sguardo ebete fino a che girano l’angolo e vengono nascosti tra le siepi.
 
“Che ti salta in mente?” le sussurra Gaetano, con un tono che esprime pienamente la sua irritazione.
 
“Non qui!” sibila lei di rimando, volendo rinviare ogni ulteriore discussione a quando ritorneranno nella relativa privacy della loro auto: la serata è già stata abbastanza umiliante e disastrosa così.
 
“Camilla,” protesta Gaetano fulminandola con lo sguardo, smettendo di camminare e scaricando tutto il peso a terra, di fatto bloccandola.
 
Camilla lo fulmina di rimando, gli molla il braccio e inizia ad avviarsi a passo veloce verso la parte laterale del giardino, tra la balconata e l’area panoramica dove hanno appena piantato in asso il questore. Dopo qualche secondo sente passi decisi e pesanti avvicinarsi a lei.
 
Si guarda intorno meglio che può nella semioscurità e infine scorge una specie di imbuto tra tre file di siepi, accessibile solo da un lato e per il resto completamente nascosto alla vista. Lancia un’occhiata alle sue spalle, incrociando lo sguardo di Gaetano, e ci si va ad infilare.
 
“Che fai?” le domanda lui, raggiungendola, ad un volume che nel silenzio quasi perfetto della campagna le sembra altissimo.
 
“Shhh! Vuoi che tutti ci vedano e ci sentano litigare? Non eri tu quello rispettoso dell’intimità e della privacy del nostro rapporto?” sibila lei tagliente.
 
In quell’angolo buio i contorni sono ancora più sfumati e riescono appena ad intravedere il viso e le espressioni dell’altro.
 
“Come ti è saltato in mente di trascinarmi via in quel modo, come fossi un pacco postale?” sibila lui di rimando, chiaramente furente.
 
“Scusami tanto se cerco di evitarti problemi sul lavoro e di commettere una sciocchezza: com’è saltato in mente a te di comportarti in quel modo proprio con il questore? Sembrava che volessi saltargli addosso!”
 
“Veramente era lui che sembrava volerti saltare addosso da un momento all’altro, Camilla! Che cosa avrei dovuto fare, secondo te? Ringraziarlo e congratularmi con lui per le tecniche seduttive da manuale sfoderate con la mia donna?” chiede con un tono basso e gelido.
 
“Tecniche seduttive?” domanda lei di rimando, incredula, “al limite tecniche manipolative e quelle sì da manuale ma-“
 
“Per favore, Camilla, non prendiamoci in giro: si vedeva da un chilometro di distanza, pure nell’oscurità, che il questore ci stava provando spudoratamente con te. Vogliamo parlare della mossa della giacca, con tanto di mezzo abbraccio finale, come nel più classico dei copioni?” esclama sarcastico, alternando lo sguardo tra gli occhi di lei e quelle spalle nude che sembrano quasi brillare sotto la fioca luce lunare, “e la cosa peggiore è che tu non solo non ti sei negata o scansata, ma sei rimasta lì immobile a farti scaldare, compito che al limite dovrebbe essere prerogativa mia.”
 
“Infatti l’unico che mi sta facendo scaldare stasera sei proprio tu Gaetano ma la seduzione non c’entra niente. E questa scenata di gelosia, oltre che assurda, è assolutamente fuori luogo e non posso credere che tu stia tentando di rigirare la frittata in questo modo! Hai una bella faccia tosta a colpevolizzare ME per una giacca dopo che ti ho trovato con quella bionda praticamente spalmata addosso!”
 
“È di questo che si tratta, Camilla? Di una rappresaglia? Pensi che io ci abbia provato con Ricci e allora mi rendi pan per focaccia?” le chiede Gaetano, con tono incredulo e deluso.

“Ma sei matto?!” afferma in quello che è quasi un urlo, per poi aggiungere in un tono basso e amaro, “ma con chi credi di avere a che fare, eh? Con una vampira opportunista, per non dire di peggio, tipo quella Rebecca? Secondo te per fartela pagare io mi getterei tra le braccia del primo che passa, oltretutto di uno come il questore? Secondo te io svenderei la mia dignità e mi farei del male per punirti?”
 
“Non dico quello, ma che magari volevi farmi ingelosire. E sinceramente la preferirei come spiegazione alle possibili alternative che possano averti spinta ad appartarti con un altro al chiaro di luna!” sibila deciso, trafiggendola con uno sguardo ferito e furente insieme.
 
“Appartata?! Io adesso mi sarei appartata?! Col questore?” domanda incredula Camilla, guardandolo come fosse completamente impazzito.
 
“Certo, col questore. Se la memoria non mi inganna appartarsi significa ritirarsi in un luogo isolato, appartato, appunto. Proprio come quello dove eravate voi! Un luogo che non si raggiunge certo in mezzo minuto e in cui ti devi essere di conseguenza recata deliberatamente, con un altro!”
 
“Al limite questo dove ci troviamo adesso è un angolo appartato del giardino. Dov’eravamo prima chiunque avrebbe potuto raggiungerci: bastava seguire il sentiero. Se ho deciso di allontanarmi dagli altri invitati e soprattutto dalle altre invitate è perché non volevo esplodere davanti a tutti. E il questore ha insistito allo sfinimento per seguirmi, non so quanto per reale e sincera preoccupazione, ma si è accorto benissimo anche lui che stavo male. E sai perché stavo male? Perché non solo ho trovato il mio uomo a fare il cretino con un’altra davanti a tutti, che, ti dirò, forse è ancora peggio che in un luogo appartato, ma perché ho anche dovuto, in sequenza: scoprire che almeno metà delle invitate potrebbe stilare pagelle sulle tue performance sessuali, essere trattata con compatimento, pietà o supponenza da quasi tutto il resto degli invitati e, soprattutto, come ciliegina sulla torta, scoprire che il mio uomo, quello che credevo innamorato, fedele, rispettoso, continua a fare battute idiote e a flirtare con le altre, dimenticandosi oltretutto di comunicare loro di non essere più sulla piazza!”
 
“Ma certo che ti amo, che ti sono fedele e che ti rispetto, Camilla! Come puoi pensare il contrario? E da quando stiamo insieme, anzi da ben prima che stessimo insieme, da quando ho chiuso con Alba, per essere precisi, non ho più flirtato con nessuna: ho solo fatto una battuta con Ricci, una sola battuta innocua e che, ti ripeto, nessuna avrebbe mai potuto prendere sul serio!”
 
“Ah, sì? Ma direi che il teatrino di stasera dimostra che le tue battute la tua dottoressa le ha prese decisamente sul serio, caro il mio pinguino,” ribatte Camilla, tagliente, “e, visto che continui ad insistere che non c’è niente di male, allora anche io potrei mettermi a fare queste belle battute innocue, che ne so, col questore, tanto per restare in argomento. Anzi, che stupida, che sono stata! Quando mi ha interrogata per la storia dei diamanti e dell’aggressione avrei dovuto fargli l’occhiolino e sussurrargli all’orecchio che un diamante è per sempre, no?”
 
“Non è affatto la stessa cosa!” protesta Gaetano, sentendo il sangue ribollire al solo pensiero di Camilla che flirta con il questore.
 
“E perché, di grazia?”
 
“Perché con Ricci mi comportavo così già da prima che io e te stessimo insieme e non pensavo assolutamente che fosse interessata a me, quindi ero in totale buona fede, mentre mi pare evidente che il questore sia molto, ma molto interessato a te!“
 
“Se è per una questione di abitudini pregresse che non riesci a perdere, mi sento proprio rassicurata,” lo interrompe lei, sarcastica, “dato che le tue abitudini comprendevano anche cose come cambiare donne ogni due settimane! E poi tu le tue battute innocenti le facevi anche con me: è proprio così che abbiamo iniziato noi due, no? E anche allora eri impegnato: con Bettina, con Sonia, perfino quando dovevi sposarti con Roberta… devo continuare?”
 
“Le due cose non sono assolutamente paragonabili e lo sai anche tu, o dovresti saperlo!” esclama Gaetano, amareggiato, scuotendo il capo.
 
“Ah no?”
 
“No!” afferma deciso, afferrandola per le spalle per costringerla a guardarlo negli occhi e trattenendola mentre cerca di divincolarsi, “Camilla, quelle tra noi non sono mai state battute innocenti: io ti volevo e sapevo di volerti e con l’umorismo ti dicevo esattamente quello che pensavo e che non potevo esprimere altrimenti. Io ti amo, ti amo da morire, porca miseria, ti ho sempre amata! Invece non ho mai amato Bettina, Sonia, Roberta, né nessun’altra: stavo con loro ma volevo stare con te, volevo solo te! E ora che finalmente posso averti, ora che ho provato cosa vuol dire averti, stare con te, condividere le giornate, la vita con te, ti garantisco che a maggior ragione non voglio né potrei volere nessun’altra. Che per la prima volta in vita mia sono completamente, totalmente soddisfatto e felice, davvero felice, esattamente con quello che ho e non mi interessa nemmeno provare a cercare altro o altre. Lo capisci?”
 
“Gaetano…” mormora lei, scossa ed addolcita da quelle parole ma soprattutto dal modo schietto e senza esitazioni con cui sono state pronunciate e dalla sincerità che legge in quegli occhi che la trafiggono e la paralizzano.
 
“E poi allora potrei dire anche io lo stesso di te e del questore! Anche da me ti lasciavi corteggiare e lusingare: mi permettevi di farti le nostre famose battute, di avere certe attenzioni, certi gesti galanti, di avvicinarmi a te, nonostante fossi sposata con Renzo. E non puoi dirmi che non avessi capito fin da subito o quasi che tu mi piacevi davvero, e molto, come non puoi dirmi che il dubbio che anche il questore possa essere realmente interessato a te non ti abbia nemmeno sfiorata!”
 
“Pure tu sai che le due situazioni non sono nemmeno lontanamente simili, Gaetano! E anche se il questore fosse non solo interessato ma diciamo pure follemente innamorato di me, cosa che non credo affatto, comunque la cosa non mi interessa, lui non mi interessa, non mi è mai interessato! Mentre tu non mi sei mai stato indifferente, anzi, e se ti permettevo certe cose è perché non potevo farne a meno: perché ti ho sempre desiderato e non ho potuto evitare di innamorarmi di te praticamente fin da subito, anche se ho cercato in ogni modo di resistere. Non ho… non ho mai amato nessuno come amo te, con l’intensità con cui ti amo e anche io sono completamente, totalmente appagata da quello che abbiamo… non sono mai stata più felice di così, o meglio, di com’ero fino a questa maledetta festa! E non me ne frega niente se qualcun altro possa o non possa essere interessato a me, che sia il questore, o George Clooney o chiunque altro: io voglio solo te, per me non c’è nessun altro. E proprio per questo ho paura, ho paura di perderti: riesci a capirlo questo? Riesci a capire cosa ho provato vedendoti tra le braccia di quella… e… e sentendo quelle… quelle Barbie viventi che parlavano di te come di una specie di stallone da monta, di giostra su cui fare un altro giro?”
 
La voce le si spezza in più punti e si sente soffocare, mentre alla furia si sostituisce il dolore ed un desiderio improvviso ed assolutamente irrazionale di piangere, di sfogarsi, che si sforza però di contenere. Sente le mani sulle sue spalle stringerla ancora più forte e spingerla in avanti e, senza quasi sapere come, si ritrova tra le braccia di Gaetano, rintanata contro il suo petto, tra le pieghe della giacca e della camicia. Non ha né la forza, né la voglia di protestare o di tentare di liberarsi: chiude gli occhi e si affloscia su di lui, permettendogli di sorreggerla e quasi di cullarla, mentre le mani le accarezzano i capelli e la schiena.
 
“Camilla,” le sussurra all’orecchio con voce bassa ed impastata, “certo che capisco cosa hai provato, perché è la stessa cosa che ho provato io vedendoti insieme al questore. E mi dispiace, mi dispiace da morire e mi… mi uccide vederti così. Io non voglio e non ho mai voluto farti star male. So di aver fatto tanti errori in passato e non… non vado fiero di tanti periodi della mia vita. E credimi che ho capito di aver sbagliato a fare quella battuta con Ricci, anche se, ti ripeto, ero in assoluta buona fede. Ma ti giuro che la cosa non si ripeterà più, con nessun’altra. Io voglio che tu continui ad essere felice ed appagata con me come io lo sono con te, ad avere fiducia in me: voglio essere il compagno perfetto, darti solo il meglio, darti tutto ciò che meriti. E ti prometto che farò tutto ciò che è in mio potere per riuscirci. Ma purtroppo non posso cambiare il passato, Camilla, non posso cancellare quello che è successo prima… il fatto che ho avuto molte altre donne, che, sì, si può dire che sono stato un playboy. Ma non te l’ho mai nascosto, l’hai sempre saputo e pensavo che avessi superato i tuoi timori in proposito… che se hai deciso di stare con me è perché hai sentito di poterti fidare di me, di quello che provo per te.”
 
“È vero, l’ho sempre saputo… ho sempre saputo che hai avuto tante donne bellissime e che… non eri un monaco di clausura. Però un conto è sapere certe cose, un conto è vedersele sbattere in faccia non solo dalle tue ex, ma perfino dai tuoi conoscenti uomini. Ma se i loro commenti mi hanno fatto male, vederti con la dottoressa è stato il colpo di grazia: mi sono chiesta come potessi aver avuto la presunzione ti poterti cambiare, come avessi potuto essere così stupida da credere che con me sarebbe stato diverso, che-“
 
“Ma con te è diverso!” ribadisce Gaetano, allentando leggermente l’abbraccio per guardarla negli  occhi, “è diverso, completamente diverso, e nessuno  lo può sapere meglio di te! Tu c’eri quando stavo con Bettina, con Sonia, con Roberta, e pure di recente con Alba. E sai cosa è successo con Eva. Ti sembra che mi comportassi con loro come mi comporto con te? Che il rapporto che avevo con loro fosse minimamente paragonabile a quello che ho con te?”
 
“Beh… io non ho potuto vedere come fossi con loro nell’intimità, Gaetano, grazie al cielo. Ma sia Bettina che Roberta parlavano molto bene di te, ti descrivevano come un amante focoso ma allo stesso tempo dolce, attento, premuroso, gentile,” ricorda Camilla, abbassando lo sguardo, mentre un’altra pugnalata la trafigge al cuore, aggiungendo, con una punta di amarezza, “tutte cose su cui posso concordare ma anche dettagli che sinceramente avrei preferito non sapere da altre!”
 
“E non ti sei mai chiesta perché li condividessero proprio con te tutti questi dettagli? Anche Roberta che non era affatto una tua amica?” domanda Gaetano, per nulla sorpreso da questa rivelazione, “Camilla, tutte le mie ex che ti hanno conosciuta sono sempre state gelose marce di te, e a ragione. Proprio di te, non di tutte le altre ‘Barbie’ di cui tu hai tanto timore, ma di te. Sai in quante mi hanno rinfacciato di non averle mai guardate come guardavo te? Che con te ero completamente diverso che con loro? E se perfino loro se ne sono accorte, come puoi non accorgertene tu?”
 
“Gaetano…”
 
“Credi davvero che se ci fossi stata tu al posto di Bettina o di Sonia o di Roberta o di Eva le cose sarebbero finite allo stesso modo?” le chiede, fissandola come a volerle leggere fin nel profondo dell’anima, con una traccia di vulnerabilità, di fragilità nella voce, “che ti avrei mai lasciata all’altare come ho lasciato Roberta, o che se Tommy fosse stato figlio nostro, se io e te fossimo stati sposati, sarebbe successo quello che è successo con Eva? Dopo tutto quello che abbiamo condiviso in questo periodo?”
 
“No,” afferma lei decisa, dopo un attimo di riflessione, sollevando la mano per accarezzargli il viso, “no, non lo penso affatto.”
 
“Camilla…” sussurra lui con un sorriso, catturando la mano nella sua e baciandone il palmo, sentendo di poter tornare a respirare.
 
“Anzi, probabilmente ho esagerato stasera: ho reagito in modo eccessivo e mi dispiace davvero, Gaetano, però… diciamo che dopo quello che è successo con Renzo, temo di essere ancora molto sensibile sull’argomento tradimento. Specie dato che Renzo non aveva un decimo del successo con il gentil sesso che hai tu, che potresti avere praticamente qualsiasi donna volessi, e lo sai, comprese quasi tutte le invitate di stasera. E non è facile per me sapere di dover competere con loro e-“
 
“E infatti non devi competere con loro, perché non c’è competizione, o se c’è tu la vinci sempre e comunque in partenza. Camilla, loro non valgono un centesimo di quello che vali tu, e lo sai benissimo!”
 
“Beh, dipende. Finché parliamo di sanguisughe come quella Rebecca, ci mancherebbe pure altro che mi mettessi sul loro stesso piano. Ma tu non sei solo bello e affascinante, Gaetano, sei un uomo straordinario, sei colto, sei intelligente, sei interessante e quindi puoi attrarre donne bellissime sia fuori, ma anche e soprattutto dentro e-”
 
“Come te,” la interrompe di nuovo, facendola sorridere.
 
“Avevo dimenticato adulatore e ruffiano,” ribatte lei con tono affettuoso, continuando a sorridere, per poi tornare più seria, “però Gaetano, parlando seriamente-“
 
“Ma io sono serio,” la blocca per l’ennesima volta, tracciandole con le dita i contorni di uno zigomo, della guancia, per poi percorrerle le labbra ancora dischiuse, fino a che lei non frena la sua mano con la sua.
 
“Lo so, però… quello che voglio dire è che… se posso da un lato capire il tuo interesse, più o meno forte, per donne come Sonia, come Eva, come la stessa Ricci, da quel poco che ho intuito di lei, donne che per questo motivo sono sempre state quelle che ho temuto e che temo di più, dall’altro lato non capisco come tu, con tutto l’imbarazzo della scelta, possa esserti circondato invece di… di parassite senza cervello come quella Rebecca, o Alba, o la Venere del Botticelli-“
 
“La Venere del Botticelli?” domanda lui, confuso.
 
“La tizia con cui stavi quando mi sono trasferita a Torino: alta, bruna, formosa. Comunque non ha importanza: quello che io non capisco e che mi fa male, per te, è come tu possa aver voluto avere accanto donne che, a parte l’indubbia avvenenza estetica, non valevano un centesimo non solo di me, ma soprattutto di te, che non ti meritavano affatto.”
 
“Ed è esattamente per questo che le ho scelte Camilla,” rivela, toccato profondamente da ciò che legge e sente nella voce di lei, “anche perché ad essere sincero all’epoca erano esattamente il genere di donne che meritavo, o meglio che si meritavano di avermi accanto.”
 
“Come scusa?”
 
“Camilla,” sospira, prendendo fiato e ricominciando ad accarezzarle il viso, “dopo quello che è successo con Roberta e poi con Eva… ho capito che non potevo continuare così: che non potevo continuare a ferire, ad illudere delle donne che non si meritavano di stare con un uomo che non solo non le amava ma che continuava ad essere innamorato di un’altra. E così mi sono ripromesso di avere soltanto relazioni… di letto, inutile negarlo, e solo con donne come quelle che hai citato: delle opportuniste, appunto, interessate come me a divertirsi e basta e che, se avessi lasciato, non solo non avrebbero sofferto, ma si sarebbero sicuramente consolate ben presto con qualcuno di molto più ricco e generoso di me.”
 
Camilla prova una fitta al petto e un senso di tristezza e malinconia che raramente ha provato in vita sua. Ritorna ad accarezzargli il viso lentamente, con dolcezza.

“Mi dispiace, Gaetano, io-“
 
“Shhh,” la zittisce, posandole un dito sulle labbra, “non è colpa tua, non è colpa di nessuno.”
 
“Lo so però… mi fa male pensare a tutto il tempo perso, a quanto male ci siamo fatti inutilmente,” sussurra, baciando e mordicchiandogli la punta del dito indice, “anche stasera: per una volta che usciamo insieme, da soli… in un certo senso era come se fosse il nostro primo vero appuntamento e lo abbiamo sprecato a litigare e… Diciamo che me la ero immaginata diversamente questa serata.”
 
“Camilla,” mormora con voce arrochita, “ti ricordi qual era la regola numero tre?”
 
“Nessun rimpianto?” risponde con un sorriso commosso.
 
“Esatto. E anche se l’inizio non è stato dei migliori, e per questo ti chiedo ancora scusa, ora sei qui tra le mie braccia, sei bellissima, hai gli occhi che brillano e mi sorridi, ed è esattamente così che me l’ero immaginata questa serata,” le sussurra sorridendole di rimando.
 
“Gaetano…” mormora, dischiudendo le labbra in un sorriso ancora più luminoso, per poi cedere all’impulso irresistibile di unirle a quelle di lui in un bacio dolce e morbido, in cui entrambi esprimono appieno la vulnerabilità, il sollievo, l’amore che provano.
 
Senza quasi rendersene conto però, il bacio da tenero e delicato aumenta rapidamente ed inesorabilmente di intensità, con le mani di entrambi che, dai capelli, cominciano una lenta e languida discesa, muovendosi a perlustrare ed esplorare territori ben più azzardati.
 
Le dita e la bocca troppo, troppo vicine alla linea della scollatura e dei seni, innescano i campanelli d’allarme, ridestando Camilla dalla foschia, dall’incantesimo in cui era avvolta per il tempo necessario ad aggrapparsi al viso di Gaetano e sollevarlo, bloccandolo prima che sia troppo tardi e riprendendo il contatto visivo. Occhi negli occhi, le iridi quasi scomparse intorno al nero dilagante delle pupille, dilatate dall’oscurità e dall’eccitazione.
 
“Non qui,” riesce ad articolare con estremo sforzo, la bocca impastata.
 
“L’hai detto tu… che siamo in un luogo appartato,” esala a fatica, la voce come cartavetra, afferrandole le mani e sporgendosi in avanti per morderle delicatamente il labbro inferiore.
 
“Gaetano…” soffia lei come avvertimento, mentre lui, noncurante, ricomincia a tormentarle il collo con una scia di baci sempre più infuocata, “dai… no… potrebbe arrivare qualcuno!”
 
“Non ci vedrà nessuno…” le sussurra vicino all’orecchio, facendola rabbrividire, per poi rinnovare l’assalto ai suoi sensi con ancora maggiore vigore.
 
“Gaetano… no… no…” cerca di protestare, il cervello ormai avvolto in una nube d’ovatta, mentre gli ultimi barlumi di consapevolezza e di inibizione si dissolvono come neve al sole.
 
Un suono gutturale sfugge dalla gola di Gaetano quando, finalmente, con un movimento deciso, benedicendo come non mai la scelta del vestito senza spalline, riesce ad abbassare il dannato tessuto ed a raggiungere il suo obiettivo.
 
Il “sì” strozzato ed ansante che sente vibrare sulle sue labbra, prima che nelle orecchie, insieme alle dita sottili che si insinuano tra la cintura e la camicia, sono le ultime conferme di cui ha bisogno e che fanno cadere ogni residua vestigia di self-control.
 
Quello che segue è un tumulto di sensazioni, di contrasti: l’aria frizzante e balsamica della sera e il calore, l’odore del corpo dell’altro che si muove contro e con il proprio; il canto melodico dei grilli e la cadenza irregolare dei respiri affannosi, che bruciano nel petto; l’asperità delle foglie della siepe a cui sono appoggiati per non perdere l’equilibrio quanto mai precario, che sfregano contro la schiena di lei e le mani di lui e la morbidezza della pelle nuda, il delizioso attrito che alimenta ad ogni movimento l’incendio che divampa tra loro.
 
È una corsa forsennata, scoordinata, quasi febbrile, fino alla deflagrazione finale, le mani sulle bocche come bavaglio per contenere ciò che non può essere contenuto.
 
Qualche attimo, secondo o minuto per riprendere fiato, gli occhi che infine si incontrano, un sospiro esalato all’unisono.
 
“Mi correggo,” riesce a pronunciare lui con un sorriso, tra un respiro e l’altro, “questa serata è molto, ma molto meglio di come me l’ero immaginata.”
 
“Scemo!” esclama lei, con un suono strozzato che è l’equivalente di una risata in mancanza di ossigeno, dandogli un ultimo, rapido bacio.
 
Slaccia le gambe, molli come gelatina, dai fianchi di Gaetano, ritornando faticosamente, e in tutti i sensi, con i piedi per terra e dando un po’ di sollievo ai muscoli di lui che bruciano ancora per lo sforzo compiuto. Si affretta con le mani a trattenere il vestito, ormai accartocciato intorno alla vita, prima che cada sull’erba.
 
Quando finalmente sente di non avere più bisogno del supporto della siepe e delle braccia di lui per reggersi in piedi, gli stringe un avambraccio e fa un lieve cenno di assenso con il capo.
 
Gaetano fa un passo indietro, facendo attenzione a non inciampare nei pantaloni e si guardano per la prima volta. È come un brusco ritorno alla realtà e Camilla avvampa di vergogna rendendosi conto dello stato pietoso ed assolutamente inequivocabile in cui sono ridotti.
 
Senza parole si risistemano i vestiti meglio che possono, per poi abbandonare quell’alcova improvvisata, dirigersi verso la balconata ed esaminarsi nuovamente alla luce leggermente più intensa della luna e dei lampadari del salone, o meglio, di quella che filtra dalla finestra. Per fortuna gli indumenti non sono danneggiati, né sporchi d’erba. Miracolosamente è saltato un solo bottone, ma è nascosto dalla cintura, la zip del vestito è intatta e la giacca di Gaetano copre perfettamente i segni rossi lasciati dalla siepe sulla schiena candida di Camilla. E lei ringrazia il cielo per aver deciso di evitare il rossetto e di usare make-up waterproof, temendo il caldo: il trucco è tutto sommato ancora presentabile.
 
Ma i capelli spettinati e le pieghe sui vestiti rimangono e, già da soli, bastano e avanzano.
 
“Ecco, lo vedi cosa mi hai fatto fare? È tutta colpa tua!” lo rimprovera, le guance ancora bordeaux, ma con un sorriso sulle labbra, un brillio negli occhi e il tono giocoso. Sa benissimo che morirà di imbarazzo non appena metterà di nuovo piede in quella sala, ma, nonostante la pazzia appena commessa, non riesce proprio ad arrabbiarsi, forse anche per merito dell’overdose di endorfine che le scorre ancora nelle vene.
 
Gaetano si limita a sorriderle di rimando e ad abbracciarla: in questo momento potrebbero arrestarlo per oltraggio al pudore e non gli importerebbe.
 
“Senti, facciamo così: al mio tre entriamo e ci avviamo verso l’uscita, a passo normale, in modo da non attirare l’attenzione. Vedrai che gli altri invitati saranno tutti impegnati a fare salotto e nessuno farà caso a noi due,” propone dopo un attimo di riflessione, cercando di tranquillizzarla.
 
“Lo spero: ti rendi conto di cosa penseranno se ci vedono conciati così?”
 
“Penseranno che ci amiamo alla follia, che poi è soltanto la pura e semplice verità,” proclama, facendole l’occhiolino e stampandole un altro rapido bacio sulle labbra, prima di prenderle la mano ed incamminarsi verso la scalinata.
 

 
***************************************************************************************

 
“Non ci posso ancora credere che tu lo abbia fatto sul serio!” commenta Camilla ridendo, percorrendo gli ultimi passi che li separano dalla porta d’ingresso di Gaetano.
 
“Che cosa? Ringraziare il questore per l’invito e la bella serata? O dichiarare che tutto sommato avevo rivalutato questi eventi e che avevano anche dei risvolti positivi? Sono stato semplicemente cortese,” proclama Gaetano con tono innocente e con una faccia da schiaffi, ridendo di rimando al ricordo dell’espressione del questore, che si erano ritrovati davanti poco prima che potessero lasciare la sala, impegnato nei saluti.
 
Ed era pure in buona compagnia, dato che si stava congedando proprio dai coniugi Milani e dal sindaco più la famosa moglie Adriana, che avevano avuto come commensali al tavolo. Il gruppetto aveva squadrato lei e Gaetano da capo a piedi, soprattutto Rebecca, ed era facilmente intuibile che cosa avessero pensato.
 
“Sei sicuro che questo non ti causerà problemi sul lavoro?” chiede, tornando improvvisamente seria, la preoccupazione evidente nella voce.
 
“Non credo che il questore possa contestarmi di, come posso dire, aver seguito la sua linea di condotta ma aver avuto più successo di lui,” ribatte Gaetano con leggerezza, per poi aggiungere con un altro sorriso, “e poi, seriamente parlando, ha solo degli indizi ma nessuna prova. Al massimo non mi inviterà più ai prossimi eventi e non credo proprio che mi dispererò per questo.”
 
“Ah, nemmeno io,” commenta con un sorriso, sperando in cuor suo che Gaetano abbia ragione.
 
Gaetano apre la porta e si avviano verso il salotto, guardandosi intorno alla ricerca di Livietta. Camilla ringrazia il cielo di aver deciso di portarsi dietro in macchina una mantella leggera, che copre i segni più evidenti di quanto successo. Non trovando traccia della ragazza, si dirigono verso la cameretta di Tommy ed è lì che li trovano: distesi sul letto, abbracciati e profondamente addormentati.
 
Il nodo in gola è inevitabile: si scambiano un rapido sguardo e sanno perfettamente che nessuno dei due avrà il coraggio di svegliarli.
 
Richiudendo la porta senza far rumore, ritornano in salotto nel più perfetto silenzio.
 
“Camilla… senti, lo so che forse non si potrebbe e che… che non dobbiamo generare più confusione in Tommy, però… alla fine domani dobbiamo svegliarci presto per andare a Gardaland,” le sussurra con quello sguardo irresistibile che ha tramandato anche a Tommy, per poi aggiungere, con una punta di malizia nella voce, facendole l’occhiolino, “e poi… e poi se non sbaglio abbiamo ancora un letto da inaugurare noi due.”
 
“Sei tremendo!” proclama lei, scuotendo il capo, ma permettendogli di prenderla per mano e di condurla verso la sua camera da letto, “oltre che instancabile: io mi sento ancora tutta indolenzita da un certo incontro ravvicinato con una siepe.”
 
“Ehi, ho due notti di astinenza da recuperare e non è colpa mia se sei ancora più bella ed irresistibile del solito stasera,” ribatte, aprendo la porta e chiudendola a chiave dietro di loro, per poi sussurrarle in un orecchio, “quando ti ho vista scendere in cortile con questo vestito l’unica cosa che volevo era trascinarti nel tuo appartamento e non lasciarti uscire fino a domattina.”
 
“Gaetano…” sospira lei, sentendo nuovamente la stanchezza e la fatica svanire quasi per magia.
 
“E poi…” le sussurra ancora, sedendosi sul letto e accomodandola sulle sue ginocchia, “e poi hai un’idea di quante volte ho desiderato, ho sognato di averti qui con me in questo letto?”
 
“Davvero?” domanda con un sorriso e un sopracciglio alzato, spingendolo fino a sdraiarlo sul letto, per poi assumere un’aria professionale ed aggiungere, in tono fintamente clinico, “allora, perché non mi parla di questi suoi sogni, dottor Berardi?”
 
 
 
Nota dell’autrice: Lo so, lo so, sono di nuovo in ritardo, ma come avrete visto questo capitolo è lungo, lungo, lungo e pieno di discussioni, liti ed… ehm… scene particolari che sono per me le più difficili da scrivere, soprattutto le liti ed il relativo botta e risposta. Quindi, anche finito il periodo di superlavoro, ci ho messo più tempo del previsto a completare il tutto. Spero che non sia risultato troppo lungo o noioso e che non abbia deluso le vostre aspettative e, come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate, che sia i commenti positivi che le critiche fanno bene alla scrittura. Vi ringrazio per l’enorme pazienza con cui continuate a seguirmi e, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo, di cui anticipo solo il titolo, che dice già tutto: “Eva” ;).

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Eva - prima parte ***


Capitolo 27: “Eva - prima parte”



Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

Un terremoto la scuote, ridestandola gradatamente dal sonno profondo da cui era avvolta.
 
La consapevolezza di essere tra il sonno e la veglia viene accompagnata da quella che il terremoto non è altro che un braccio che la scrolla.
 
“Mamma, ancora cinque minuti!” mugugna, spingendo il viso nel cuscino per ritardare l’inevitabile risveglio.
 
“Non sono sua madre!” una voce sconosciuta e dura le sibila nell’orecchio, facendole finire il cuore dritto in gola, mentre si volta di scatto ed apre gli occhi, ferendosi con la luce calda e bianca che riempie la stanza.
 
Pochi secondi e il bruciore accecante viene sostituito dal ghiaccio di due iridi azzurre a pochi centimetri da lei.
 
L’istinto di urlare è zittito solo dal calore delle braccine che sente ancora avvolte intorno alla vita: Tommy.
 
“Ah, ma sei una ragazzina!” proclama la regina di ghiaccio, con voce bassa ma tagliente, quasi derisoria, per poi aggiungere, minacciosa, “si può sapere chi sei e soprattutto cosa ci fai nel letto di mio figlio?”
 
È come se una lampadina si accendesse nel suo cervello: occhi azzurri, capelli biondi, tratti aristocratici, eleganti ma severi, fisico sottile.
 
Eva.
 
O forse, dato lo sguardo omicida, un serpente, anzi un’idra – è il primo pensiero lucido.
 
Merdamerdamerda – se pensiero si può definire, il secondo.
 
“Allora, mi vuoi dire chi sei? So già che mi capisci quando parlo e che l’Italiano è la tua lingua madre, in tutti i sensi,” ironizza Eva, fulminandola nuovamente con lo sguardo.

Si mette a sedere e, nel farlo, sente Tommy muoversi e bofonchiare. Lancia un’occhiata verso di lui e osserva gli occhioni aprirsi piano piano e fissarla assonnati.
 
“Livietta…” mugugna il bimbo, sorridendole, “allora non sei andata via.”
 
Livietta sorride di rimando e sta per rispondergli quando la voce, trasfigurata in maniera incredibile dal gelo alla più profonda tenerezza ed amore, la anticipa.
 
“Tommy!”
 
Il bambino si volta verso il suono, sorride ancora di più, si guarda intorno, come ad accertarsi di non stare sognando, si mette a sedere di corsa e si butta tra le braccia della donna bionda, urlando “mamma!”.
 
Livietta assiste per qualche secondo, ancora frastornata e sbigottita, all’abbraccio tra il bimbo e la madre, osservando con stupore i tratti serpentini mutare nel più angelico dei visi.
 
Non sa bene cosa fare, se rimanere dov’è o alzarsi e lasciare questo momento a madre e figlio, che si scambiano alcune parole in una lingua che lei non conosce ma che presume essere svedese, quando Tommy decide per lei, sciogliendo l’abbraccio e rivolgendosi a lei.
 
“Questa è la mia mamma!” annuncia con un sorriso orgoglioso.

“Sì, molto piacere signora,” abbozza Livietta, tendendole una mano e non sorprendendosi per nulla quando si ritrova ad abbassarla sul materasso, dato che dall’altra parte il gesto non viene ricambiato.
 
“Vorrei poter dire lo stesso, ma non so nemmeno chi sei… Livietta, giusto?” ribatte Eva, pronunciando il diminutivo del nome con tono canzonatorio, “e soprattutto perché dormi nel letto con mio figlio. Sei la sua babysitter?”
 
“No, Livietta è una mia amica,” spiega Tommy con un grandissimo sorriso.
 
“Mi sembra un po’ grande per essere una tua amica, Tommy,” ribatte Eva studiandola con maggiore attenzione, aggiungendo con tono sarcastico, “e mi sembri un po’ troppo giovane per essere un’amica di Gaetano, perfino per i suoi standard soliti.”
 
“No, no,” si affretta a spiegare Livietta, non potendo evitare di arrossire, facendo un profondo respiro e preparandosi a sganciare quella che, già sa, sarà una bomba, “cioè, in realtà conosco Gaetano da quando ero poco più grande di Tommy. Sono… sono la figlia di Camilla.”
 
“Ah.”
 
Una sillaba secca come un colpo di frusta ed un lampo che passa in quegli occhi gelidi.
 
“Non somigli per nulla a tua madre,” nota Eva, squadrandola dalla testa ai piedi, “forse solo il fisico.”
 
“Ho… ho preso di più da mio padre sì,” ammette Livietta, sempre più spiazzata.
 
“Gaetano mi aveva detto che c’era stato un cortocircuito e che vivevate tutti insieme ma a casa di Camilla. Ho capito male io o adesso è il vostro di appartamento ad essere inagibile? Cos’è, c’è stato un altro cortocircuito? Un allagamento? E soprattutto Gaetano non poteva almeno concederti la stanza degli ospiti?” sibila la donna, sempre più sardonica.
 
“No, cioè… in effetti il cortocircuito è stato qui e si è risolto. È solo che ieri Gaetano e mia madre avevano una cena e la babysitter non poteva venire e allora mi sono offerta io di stare con Tommy e… ci dobbiamo essere addormentati,” spiega Livietta, sforzandosi di mantenere un tono tranquillo e decidendo che non invidia per nulla né Gaetano, né sua madre: Eva e il suo terzo grado le stanno facendo rivalutare perfino la terribile prof. di latino.
 
“E quindi Gaetano e tua madre dormivano fuori?”
 
“No, non credo. Penso che saranno tornati tardi e-“
 
Ma non fa in tempo a finire la frase perché Eva si alza dal letto e si avvia a passo deciso verso la porta, la apre e scompare con passi pesanti e decisi lungo il corridoio.
 
Merdamerdamerda – è di nuovo il pensiero istintivo di Livietta, mentre guarda Tommy e si scervella su come fare per evitargli di assistere a quella che, ne è sicura, sarà una scenata epocale.
 
Il bagnetto, tra il rumore dell’acqua e le distrazioni, sarebbe l’ideale, ma, se già Eva è stata furiosa a trovarla a dormire con Tommy, immagina che non gradirebbe esattamente l’idea. Finché non viene colta da un’illuminazione.
 
“Tommy, mi sa che è meglio che vado a prendere Potti e a portarlo in giardino. Se ti vesti di corsa vieni con me?”
 
Eva nel frattempo è arrivata di fronte al suo obiettivo e, senza esitazioni, abbassa la maniglia della porta, trovandola chiusa a chiave e confermando quindi i suoi sospetti.
 
“Gaetano!” chiama con tono imperioso, battendo tre volte sul legno, “Gaetano, apri!”
 
Gaetano spalanca gli occhi facendo quasi un balzo nel letto e gridando: “Eva?!”. Stava sognando di essere su una spiaggia bianca con Camilla quando improvvisamente gli occhi castani sono diventati azzurri e si è ritrovato davanti la svedese.
 
Con timore si volta verso l’altro lato del letto e, con sollievo, vede ricci castani che si muovono.
 
“Mi hai chiamata Eva?” domanda Camilla tra l’incredulo e il furente, sollevando il capo e fulminandolo con lo sguardo.
 
“No, io…”
 
“Gaetano, lo so che sei lì! Apri questa porta!”
 
La voce melodiosa di Eva li raggiunge, paralizzandoli come statue di sale.
 
Oh merda…
 
“Eva!” esclamano entrambi all’unisono, guardandosi come due cerbiatti accecati dai fari prima di esalare l’ultimo respiro.
 
In un secondo si precipitano fuori dal letto, ancora nudi, ed ispezionano la stanza. Camilla raccoglie di corsa i vestiti sparpagliati a terra, mentre Gaetano spalanca l’armadio in cerca di qualcosa da mettersi e da fare indossare a Camilla, dato che il vestito della sera prima, tra la siepe e la “seduta di analisi”, è assolutamente inservibile.

“Un attimo!” urla intanto, cercando di prendere tempo.
 
Camilla lo raggiunge e partecipa alla ricerca, mentre la voce di Eva li raggiunge nuovamente.
 
“Gaetano: apri!”
 
Non c’è tempo, lo sanno entrambi: Gaetano guarda verso il fondo dell’armadio e ha un’intuizione.
 
“No, no, no,” mormora Camilla, scuotendo il capo ed osservando i due ridicoli accappatoi multicolore che Gaetano tiene in mano e che le sono tristemente familiari.
 
“Gaetano!”
 
“Arrivo!” urla di nuovo l’uomo, ormai spazientito, passando l’accappatoio più lungo e coprente a Camilla.
 
“Ok,” concede con un sospiro la donna, sapendo di non avere altra scelta e infilandosi l’indumento di spugna, accertandosi che non si veda praticamente nemmeno un centimetro della pelle nuda sottostante.
 
Con un cenno del capo, Gaetano si avvicina alla porta e la apre, trovandosi davanti lo sguardo infuriato dell’ex moglie.
 
“Gaetano,” esala Eva con un tono asciutto e polare, per poi spalancare gli occhi quando intravede l’altra donna avvicinarsi a piedi scalzi, aggiungendo con un sorrisetto sardonico e un sopracciglio alzato, “Camilla: che sorpresa! Devo dire che è da un po’ che sto lontana dalle passerelle milanesi, ma mi sembra che i trend della moda in Italia siano molto peggiorati. O è la giornata mondiale di solidarietà verso i daltonici? Comunque siete veramente adorabili col completo coordinato.”
 
“Eva!” sibila Gaetano come avvertimento, mettendosi quasi inconsciamente di fronte a Camilla in un gesto protettivo: che Eva si sfoghi nel suo solito modo distruttivo e beffardo con lui lo può tollerare, in fondo ci è, purtroppo, fin troppo abituato, ma che tratti Camilla come una deficiente non lo sopporta.
 
“Buongiorno, Eva, devo dire che io invece la trovo in forma smagliante, nonostante il jet-lag, il fuso orario e la foresta pluviale: complimenti!” risponde Camilla con un sorriso tranquillo, appoggiando una mano sulla spalla di Gaetano e portandosi al suo fianco, per poi guardarlo e aggiungere con un altro sorriso, “e sì, bisogna ammetterlo: questi accappatoi sono davvero un po’ troppo variopinti. Fammi indovinare: regalo di Torre?”
 
“In effetti sì, ma come hai fatto…?” domanda Gaetano, sbalordito, rilassandosi lievemente senza nemmeno rendersene conto.
 
“Tra le righe da carcerato e l’overdose cromatica, lo stile è assolutamente inconfondibile.”
 
“Torre? Chi è Torre? Una tua ex?” si inserisce Eva con tono tra il curioso e lo spiazzato.
 
“Torre è un ispettore che lavora per me, oltre che un grande amico.”
 
“Un uomo? E ti regala accappatoi?” domanda di nuovo Eva, con il sopracciglio ormai quasi in cima alla fronte.
 
“È che in passato sono stato ospite per un periodo a casa sua… c’era una grave emergenza in questura,” spiega Gaetano, cercando di glissare sugli arresti domiciliari, “e poi se lo conoscessi non ti stupiresti: Torre è praticamente di famiglia.”
 
“E non solo lui, a quanto vedo,” sibila Eva, mentre Gaetano si da mentalmente dell’idiota per averle dato un simile spiraglio per ritornare sull’offensiva, dopo che Camilla era riuscita magistralmente a sviare il discorso per qualche istante.
 
“Beh, effettivamente non c’è nulla che avvicini ed unisca le persone quanto condividere le situazioni imbarazzanti o le emergenze,” proclama Camilla con un altro sorriso, aggiungendo con tono autoironico, “e in queste settimane tra il cortocircuito, la convivenza improvvisata e poi adesso questi accappatoi… ne abbiamo avute in abbondanza sia delle prime che delle seconde.”
 
Gaetano è completamente spiazzato dall’atteggiamento di Camilla: un vero e proprio muro di gomma di gentilezza e placidità su cui rimbalzano tutti i tentativi di Eva di alzare i toni. Non solo, ma, nonostante il proclamato imbarazzo, appare assolutamente a suo agio, serena e quasi regale a piedi scalzi in quel ridicolo accappatoio ed in quella camera con il letto sfatto e gli indumenti della sera prima lanciati su una sedia.
 
Eva sembra presa in contropiede ed incerta su come comportarsi.
 
In quel momento si sentono delle voci in salotto e compaiono Livietta e Tommy: la ragazza con ancora indosso gli indumenti della sera prima, un po’ spiegazzati, mentre il bimbo è perfettamente vestito e pettinato.
 
“Tommy!” esclama Eva, stupita, squadrando il bimbo e la ragazza da capo a piedi.
 
“Mamma, penso che sia meglio che vada a portare Potti giù in giardino, prima che faccia disastri. E Tommy viene a darmi una mano,” annuncia la ragazza con una nonchalance quasi paragonabile a quella della madre. Gaetano rimane, come sempre, colpito nel constatare quanto madre e figlia tendano inconsciamente a reagire in modo simile nelle situazioni delicate come questa.
 
“Sì, in effetti è da ieri sera che è chiuso in casa, poverino,” concorda Camilla, comprendendo in pieno la strategia della figlia.
 
“Tommy deve ancora fare colazione e, immagino, lavarsi come si deve. Penso che il cane possa aspettare,” si inserisce Eva, con un’occhiata letale.
 
“Ma mamma, poi dopo non c’è tempo e voglio salutare Potti prima di partire,” spiega il bimbo con gli occhioni imploranti, per poi aggiungere, guardando il padre, “tra quanto si parte?”
 
“Partire? Partire per dove?” domanda Eva, squadrando Gaetano e Camilla e sputando ormai veleno dagli occhi.
 
“È che avevamo in programma una gita a Gardaland per il weekend…” chiarisce Gaetano, alternando lo sguardo tra Eva e Tommy.
 
“E quando pensavi di dirmelo?”
 
“Te l’avrei già detto se ci avessi chiamato. Eva: tu mi avevi detto che saresti tornata a metà settimana. Non ci aspettavamo che arrivassi oggi e non avremmo fatto progetti o preso impegni, se l’avessimo saputo,” le fa notare l’uomo, lasciando trasparire nemmeno troppo velatamente l’irritazione nella voce, “ma del resto ormai dovrei essere abituato alle tue improvvisate.”
 
“Eh, l’ho notato che non ve l’aspettavate,” ribatte sarcastica, alzando un sopracciglio e squadrandoli nuovamente da capo a piedi, indugiando sugli accappatoi.
 
“Allora io andrei,” si inserisce Livietta, con aria di chi ha appena indossato l’elmetto protettivo e si prepara ad attraversare le trincee.
 
“Sì. Anche tu Tommy, vai pure tranquillo a salutare Potti,” replica Gaetano, lanciando uno sguardo grato alla ragazza, simile a quelli che rivolge ai colleghi quando si offrono di coprirgli le spalle in una sparatoria.
 
“Gaetano!” sibila di nuovo Eva, fulminando sia lui che Livietta.
 
“Ma quando si parte?” chiede un'altra volta Tommy, con l’entusiasmo e l’incolpevolezza che solo i bimbi possono avere, ignorando l’atmosfera pesante e tesa.
 
“Beh, Tommy, forse è meglio che…” esordisce Gaetano, odiando l’idea di dover deludere il figlio ma sapendo perfettamente che partire lo stesso, mollando Eva a Torino, sarebbe un suicidio.
 
“Forse, dato che è tornata la mamma e che non vi vedete da tanto, potresti andarci con mamma e papà. Così passate un po’ di tempo insieme,” si inserisce Camilla, guardando Gaetano per fargli capire che non è un volerlo abbandonare tra le grinfie di Eva, prospettiva che non alletta nemmeno lei, ma che è la cosa giusta da fare per salvare capra e cavoli.
 
Sia Eva che Gaetano la guardano sorpresi e indecisi sul da farsi.
 
“Sì, dai, mamma, vieni anche tu!” la prega, con gli occhioni più irresistibili che si siano mai visti.
 
“Beh, Tommy, magari la mamma è stanca dopo il viaggio…” si inserisce Gaetano, notando l’esitazione di Eva e non morendo esattamente dalla voglia di fare questa gita con l’ex moglie già sul piede di guerra.
 
“Non sono mai troppo stanca per mio figlio,” ribatte seccamente, abbassandosi poi per scompigliare i capelli al bimbo, “ok, Tommy: è tanto che non andiamo alle giostre insieme.”
 
“Sìììì,” esclama il bimbo, felice, attaccandosi al collo della mamma.
 
“Beh… bene, allora noi andiamo e vi lasciamo ai preparativi per la gita,” commenta Camilla, scambiando un altro sguardo con Gaetano ed aggiungendo con un sorriso, “cioè, se mi date cinque minuti mi rivesto ed andiamo. Magari se hai qualcosa da prestarmi, Gaetano, che non so se sia peggio attraversare il cortile in accappatoio o in abito da sera a quest’ora.”
 
“Sì, certo,” annuisce l’uomo, intuendo che sia l’occasione perfetta per parlare da solo con lei, prima di affrontare Eva e la giornata.
 
“Ma Camilla, non venite anche tu e Livietta con noi?” li blocca di nuovo Tommy, con sguardo improvvisamente triste.
 
Un silenzio opprimente cala sul salotto mentre inizia un vero e proprio palleggio di occhiate tra i “grandi”.
 
“Amore, ma sicuramente preferirai goderti un po’ la mamma, che è tanto che non vi vedete. Vedrai che non avrai nemmeno il tempo di notare che non ci siamo. E noi staremo insieme un’altra volta,” prova a mediare Camilla con un sorriso.
 
“Ma poi dopo io e la mamma andiamo in America e anche a voi non vi vedo per tanto. E poi, Livietta, mi avevi promesso di accompagnarmi a vedere i pirati e la piramide e le rapide…” protesta Tommy con gli occhioni alla Wall-e.
 
“Le rapide?” interviene Eva, fulminando Livietta con uno sguardo accusatore.
 
“Ma non sono pericolose, ci sono stata anche io una volta quando ero piccola come Tommy, ti ricordi, mamma?” replica la ragazza con l’aria di chi vorrebbe essere da tutt’altra parte, “e comunque Tommy, le attrazioni non scappano mica e se vuoi possiamo sempre andarci un’altra volta…”
 
“Ma me l’avevate promesso e io voglio stare sia con la mamma e il papà che con voi, tutti insieme. Non abbiamo mai fatto qualcosa tutti insieme!”
 
E per un buon motivo – pensano Camilla e Gaetano, sentendosi divisi tra il non deludere Tommy e l’istinto di sopravvivenza e soprattutto la necessità di mantenere un minimo di rapporti civili con Eva.
 
“Per favore, per favore, per favore! Farò il bravo, sarò buonissimo,” implora il bimbo, alternando lo sguardo soprattutto tra Camilla ed Eva e prendendo una manica di Eva con la mano sinistra e un lembo del accappatoio di Camilla con la destra.
 
Gaetano non può fare a meno di chiedersi se suo figlio sia la creatura più tenera ed innocente o quella più diabolicamente manipolatrice che abbia mai conosciuto in vita sua.
 
Camilla ed Eva si lanciano un’occhiata in tralice: chiaramente nessuna delle due vuole fare la parte della “cattiva” e dire di no a Tommy.
 
“Se la tua mamma e il tuo papà non hanno nulla in contrario… chiaramente mi farebbe piacere venire. E anche a Livietta, giusto?” proclama infine Camilla, rompendo il silenzio.
 
“Certo..” mormora Livietta, sforzandosi di sorridere al bimbo anche se l’idea di passare tanto tempo con la regina delle nevi non la entusiasma per nulla.
 
Tommy si gira verso la madre e concentra su di lei la sua occhiata irresistibile.
 
“Fate un po’ come vi pare… ma io voglio passare tutta la giornata con mio figlio, che sono settimane che non lo vedo,” ribatte Eva con un sospiro, fulminandoli tutti di nuovo con lo sguardo.
 
“Ok, allora io e Tommy andiamo a prendere Potti. Lo devo portare da Madame Mille Lire o no?” domanda Livietta, in una specie di messaggio in codice per chiedere alla madre se si fermeranno a dormire, come già previsto, o meno.
 
“Madame Mille Lire?” domanda Eva, sorpresa, “ma chi? Quella mezza matta che avevano accoltellato?”
 
“Sì, ma si è ripresa e sta benissimo. Non è affatto matta,” sospira Gaetano, scambiando uno sguardo con Camilla per decidere il da farsi. In effetti era già tutto prenotato ma pagherebbe il doppio della cifra per non passare non uno ma ben due giorni con Eva al seguito.
 
“Sì, così Potti non si sente solo stanotte,” spiega Tommy con un sorriso.
 
Gaetano si chiede un'altra volta se suo figlio sia adorabilmente inconsapevole o un genio assoluto del male. Del resto con la vicinanza di tre maestre nell’arte di ottenere ciò che si vuole come Eva, Camilla e Livietta – ricorda ancora quanto sapesse essere irresistibilmente persuasiva da bimba – probabilmente ha avuto fulgidi esempi da cui apprendere.

“Stanotte? Vuoi dirmi che ci si ferma anche a dormire? E quando pensavi di dirmelo?” domanda Eva con un sopracciglio alzato,
 
“No, cioè… pensavamo di dormire lì, ma dato che sarai stanca e tutto… insomma, possiamo anche tornare stasera, no? Tanto se partiamo tra poco facciamo in tempo a girare un bel po’ di attrazioni,” prova a mediare Gaetano, guardando il figlio ed Eva.
 
“No, ma non ti preoccupare Gaetano, anzi, forse è meglio così, dato che anche rimanendo qui probabilmente avrei dovuto cercarmi un albergo o magari chiedere a te o a Camilla se mi prestavate l’appartamento lasciato libero, dato che ormai vivete tutti insieme appassionatamente e le stanze scarseggiano. Cos’è, fate a turni? Una sera per casa? O lanciate una moneta? Comunque sia, almeno un albergo ha tante camere!”
 
“Noi andiamo!” interviene Livietta, prima che i toni si scaldino irrimediabilmente, “porto Potti da Madame e torno. Mamma, ti porto un cambio qui insieme ai borsoni?”
 
“Sì, ottima idea. Grazie mille!” risponde Camilla, capendo al volo che è meglio che Livietta e soprattutto Tommy si allontanino da lì in un tempo di molto inferiore a quello che le  occorrerebbe a cambiarsi d’abito.
 
E, con un’ultima occhiata di intesa tra madre, figlia e Gaetano, Livietta prende Tommy per mano ed esce dall’appartamento.
 
“Gaetano-“ parte all’assalto Eva, ma viene interrotta.
 
“Camilla, forse è meglio se cominci a fare tu la doccia, così facciamo prima e partiamo presto,” interviene Gaetano: sa che quella che si prospetta con Eva sarà una discussione molto accesa e non vuole che Camilla ci rimanga presa in mezzo.
 
“Sei sicuro?” chiede Camilla per fargli capire che lei non ha paura di quello che Eva potrà dire, ma che, se vuole affrontarla da solo, rispetterà la sua decisione.
 
“Sì,” annuisce deciso.
 
“Però prima o poi credo proprio che vorrò fare due chiacchiere anche con lei Camilla. Anche se forse devo chiedere il permesso al suo cane da guardia, prima,” la blocca Eva, prima che possa dirigersi in bagno.
 
“Quando vuole. E comunque i cani sono dolci, attenti, premurosi, fedeli e si farebbero ammazzare per le persone che amano. E se amano è per tutta la vita. Quindi la ringrazio molto per l’augurio, anche se sia io che Gaetano sappiamo cavarcela perfettamente da soli e siamo liberi di fare ciò che sentiamo e non dobbiamo chiedere autorizzazioni a nessuno, se non alla nostra coscienza,” ribatte Camilla mantenendo sempre un tono disteso e un sorriso sulle labbra, per poi lanciare un ultimo sguardo di incoraggiamento verso Gaetano, avviarsi in bagno e chiudere la porta dietro di sé.
 
“Senti, Eva, per l’amor di dio, è mattina presto, sei appena tornata e dovremo trascorrere due giorni tutti insieme, spero in maniera civile. Possiamo evitare di alzare subito i toni?” chiede Gaetano non appena lui ed Eva rimangono soli, prendendo il toro per le corna.
 
“Ma certo! Del resto quale madre non è contenta di ritornare a casa dopo settimane di assenza e trovare suo figlio che dorme con una perfetta estranea e suo padre che invece dorme – per usare un eufemismo – con la donna del momento, con cui è andato praticamente a convivere dopo cinque minuti di relazione, non appena lei si è liberata del marito. E prima a casa di uno e poi a casa dell’altro! Ma sì, chi se ne frega del benessere di Tommy o dell’esempio che gli diamo! Chi se ne frega se lo lasciamo da solo con una ragazzina e la casa libera di venerdì sera, che chissà cosa combina con quella sua aria da santarellina e con quei suoi occhioni azzurri da finta ingenua, se ha preso esempio da sua madre, poi! In fondo l’importante per te, Gaetano, è sempre stato avere qualcuno che ti scaldi il letto, no?”
 
“Eva, non ti permettere mai più di parlare così di Camilla e di Livietta in mia presenza o in presenza loro o di Tommy!” quasi ruggisce Gaetano, avvicinandosi di più a lei e gelandola con un’occhiata che le fa capire che il limite da non superare è già stato abbondantemente oltrepassato, “finché mi insulti o fai le tue battutine sarcastiche su di me è un conto: capisco che tu possa ancora covare risentimento nei miei confronti per tutto quello che è successo tra noi in passato, ma loro due non ti hanno fatto niente, quindi lasciale fuori! Chiaro?!”
 
Eva fa un paio di passi indietro, sorpresa dalla fermezza e dall’istinto di protezione quasi ferale che sente e legge nella voce e negli occhi dell’uomo. Hanno avuto centinaia di discussioni prima di allora, ma non ha mai visto Gaetano reagire così.
 
“Livietta non è un’estranea o una specie di pazza maniaca, ma è una ragazza matura ed affidabile e che soprattutto vuole molto bene a Tommy e a cui Tommy vuole molto bene. Ed è mille volte meglio che stia con lei che con la sfilza infinita di babysitter a cui lo affidavi tu e che cambiavi come ti girava l’umore o quando si licenziavano per sfinimento. Camilla non è la donna del momento ma è la donna che amo e che ti pregherei di trattare con il dovuto rispetto, dato che non solo non ti ha fatto nulla, ma ti ha sempre rispettata, LEI. E se per un’emergenza abbiamo convissuto per un periodo e se poi, anche finita la convivenza lei, in casi particolari, passa la notte qui, a casa MIA e non a casa tua, penso che siano solo affari miei, dato che è la mia compagna e che questa è la mia vita. Inoltre Camilla non scalda solo il mio letto, ma riempie di calore e serenità la mia vita e, di conseguenza, anche la vita di Tommy. Perché non solo non credo che per Tommy vedere suo padre felice ed innamorato sia un cattivo esempio o che possa provocargli alcun disagio, ma, anzi, la presenza di Camilla nella mia vita mi ha reso e mi rende una persona migliore e di conseguenza anche un padre migliore per Tommy. Oltre al fatto che Camilla adora Tommy e, di nuovo, la cosa, come ben sai, è assolutamente reciproca. Quindi, per quanto è nelle mie possibilità, Camilla è la donna con cui mi auguro di passare tutto il resto della mia vita e non ho alcuna intenzione di rinunciare a lei, come non ho alcuna intenzione di rinunciare a mio figlio, pertanto dovrai abituarti alla sua presenza, che ti piaccia o meno.”
 
Silenzio.
 
Si osservano per qualche istante, finita la tirata, Gaetano col fiato corto, Eva con la mascella serrata e una vena che pulsa sotto la pelle sottile e trasparente della tempia.
 
Clap.
 
Clap.
 
Clap.
 
Un applauso lento e cadenzato, l’angolo destro della bocca sollevato, gli occhi semichiusi in uno sguardo sprezzante.
 
“Complimenti, Gaetano. Non so se sia un’interpretazione da Oscar o se tu ci credi sul serio, ma è davvero molto toccante. Mi sarei commossa, se non ti conoscessi fin troppo bene e se non sapessi come ti comporti con le tue donne!”
 
“Proprio perché mi conosci bene, Eva, o dici di conoscermi, dovresti sapere anche tu che questa volta è diverso, che con Camilla non è come con le altre. Ti ho mai parlato di qualcuna come ti sto parlando di lei?”
 
“No, in effetti no. Ma io quei proclami da film romantico li ho già sentiti, Gaetano. Anche a me avevi promesso che avremmo passato tutta la vita insieme, l’hai perfino giurato davanti a un sindaco e alle nostre famiglie. Che volevi una famiglia e che volevi cambiare vita, no? E sappiamo tutti e due com’è finita: ti sei stufato di me e della nostra famiglia, perfino di tuo figlio, in pochi mesi e sei tornato alla tua vita di prima, dalle tue amichette,” sibila Eva, le labbra ormai del tutto tirate in un ghigno sardonico e amaro.
 
“Non mi sono MAI stancato di mio figlio, Eva, mai! Mi sono stancato di TE e tu hai fatto di tutto perché succedesse e perché l’ultimo posto in cui desiderassi stare fosse casa nostra, ma questo te lo dimentichi sempre!”
 
“Non ti sei mai stancato di tuo figlio? Ma se l’hai ignorato per anni, te ne sei fregato, ci mandavi giusto i soldi per ripulirti la coscienza: era l’unica cosa che facevi per lui!” quasi urla Eva, avvicinandosi di un passo con i pugni chiusi.
 
“E ho sbagliato e me ne assumo tutte le responsabilità! Ma se l’ho fatto è anche perché tu hai continuato a distruggermi, a demolirmi come padre, a trattarmi come se Tommy con me fosse in pericolo, come se non fossi in grado di occuparmene! Invece Camilla ha fiducia in me, ha avuto fiducia in me, mi ha fatto capire che potevo e dovevo darmi un’altra possibilità come padre, mi ha sostenuto dicendomi che potevo farcela e infatti ce l’ho fatta! È questa la differenza, Eva, ed è il motivo per cui so che con Camilla le cose potranno funzionare e sarà diverso da come è stato con te. Ma tanto per te è più comodo farmi fare il ruolo del cattivo ed addossare solo su di me il fallimento del nostro matrimonio, invece che prenderti anche la tua parte di responsabilità!”
 
“Io me le sono prese le mie responsabilità, Gaetano, per essere stata talmente idiota da mettermi con un dongiovanni come te e farci pure un figlio. Me le sono prese crescendomi Tommy da sola per anni, rinunciando praticamente a tutto quello che ero, alla mia vita, alla mia carriera per lui, mentre la tua vita e la tua carriera proseguivano come sempre. Camilla ha avuto fiducia in te? E allora è un’illusa, Gaetano, e si sbaglia e se ne pentirà come me ne sono pentita io, quando verrà scaricata come l’ennesimo giocattolo di cui ti sei stancato. Perché tu sei un bambino Gaetano, un immaturo: tu vuoi qualcosa e te la prendi; sai essere anche molto convincente, fai di tutto per ottenerla. Ma poi una volta che ce l’hai ti stanchi e ne vuoi un’altra e un’altra ancora. Ma, se delle sofferenze che aspettano la tua amata Camilla di qui a pochi mesi al massimo, sinceramente, me ne frega ben poco, quello che mi preoccupa invece è quello che passerà Tommy quando le tue care Camilla e Livietta, a cui si è tanto affezionato, non faranno più parte della tua e della sua vita!”
 
“Mi dispiace che tu abbia rinunciato a tante cose per Tommy, dico davvero, anche se almeno tu non dovrai mai vivere col rimpianto di esserti persa i suoi primi anni, cosa che invece dovrò fare io. E se potessi tornare indietro sarei un padre completamente diverso, ma non posso. Non sarò un modello di perfezione, non l’ho mai detto e avrò fatto tanti errori, ma non sono un bambino, Eva, e te lo dimostrerò. Ti dimostrerò che ti sbagli sul conto mio e di Camilla. Anzi, in questi due giorni potrai vederci insieme e con Tommy e sono sicuro che dovrai ricrederti e che capirai anche tu, anche se penso tu lo sappia già, ed è proprio questo che ti spaventa tanto, che Camilla è davvero la donna giusta per me e che lei e Livietta continueranno a fare parte della vita mia e di Tommy per molti, molti, moltissimi anni.”
 
“Beh, certo, perché vedervi tranquilli e felici in un parco giochi dopo un mese di relazione, sicuramente è garanzia di un lungo futuro insieme!” ridacchia Eva, scuotendo il capo.
 
“E allora dimmelo tu, Eva, come posso farti cambiare idea, se esiste un modo? Come posso dimostrarti che non hai nulla di cui preoccuparti e che la relazione che ho con Camilla non è una minaccia per nessuno, a maggior ragione per Tommy, anzi tutto il contrario?”
 
“Avresti potuto forse dimostrarmelo evitando di andarci a convivere dopo due giorni, evitando di coinvolgere mio figlio in questa relazione e di creare questa specie di famiglia allargata prima di essere davvero sicuro che le cose tra te e Camilla funzionassero, facendo passare almeno qualche mese di tempo. E magari evitando di dire a Tommy di te e di Camilla, dopo che ti avevo pregato di aspettare il mio ritorno, mentre è evidente dal modo in cui si è comportato stamattina che lo sa, dato che non era per niente sorpreso di vedere che avete dormito insieme. O sbaglio?”
 
“Mi ha chiesto se io e Camilla ci eravamo ‘fidanzati’, Eva: Tommy non è uno stupido. E non potevo, né volevo mentirgli, dato che da lì a poco l’avrebbe saputo comunque. Camilla e io gli abbiamo spiegato tutto e, come avrai visto, non solo non è rimasto traumatizzato, ma anzi ne è stato molto felice, una volta che si è abituato all’idea.”
 
“Ma non l’avrebbe nemmeno pensato se tu e Camilla non foste andati a convivere, se tu fossi andato in un albergo come fanno tutte le persone normali. Così avreste avuto tutto il tempo di vedere se questo grande amore davvero era tale, senza illuderlo e senza mettere in pericolo la sua felicità e senza continuare a sballare tutti i suoi punti di riferimento! E prima convivete, poi smettete di convivere ma continuate a fare avanti e indietro tra i vostri appartamenti: un caos per chiunque, figuriamoci per un bimbo di cinque anni!”
 
“Guarda che se sono tornato a casa mia e abbiamo interrotto la convivenza, è stato soprattutto per riguardo A TE e all’ex marito di Camilla: per cercare di evitare una terza guerra mondiale e farvi capire che non siamo degli incoscienti ma che il benessere dei nostri figli viene prima di tutto. Per dare il tempo a tutti di abituarsi a questa nuova situazione. Fosse stato per me, Camilla, Tommy e Livietta credo che avremmo proseguito la convivenza a tempo indeterminato, talmente ci siamo trovati bene, anzi benissimo. E, piuttosto, questa esperienza per quanto mi riguarda è stata solo una conferma del fatto che ci sono tutte le basi perché questo rapporto duri davvero a lungo. E sono convinto che il tempo mi darà, ci darà ragione, Eva e che dovrai ricrederti su me e su Camilla.”
 
“Delle tue convinzioni non me ne faccio niente, Gaetano, non me ne sono mai fatta niente, anzi, mi hanno solo provocato problemi e sofferenze,” sibila, trafiggendolo con uno sguardo amaro e cinico.
 
“E ti ripeto che di questo mi dispiace, Eva, ma… la verità è che io e te non eravamo fatti per stare insieme: siamo incompatibili, siamo troppo diversi. Ma ti garantisco che quando ti ho promesso quelle cose ero in buona fede, che mi sono illuso quanto te che le cose tra noi potessero funzionare,” proclama in un tono più calmo, lasciando emergere il rammarico che ancora prova per come sono andate le cose.
 
“Appunto, Gaetano, appunto. Questo ti dimostra quanto sono affidabili le tue convinzioni!”
 
“E allora dimostra anche quanto siano affidabili le tue di convinzioni. Eva, c’eri anche tu con me quando abbiamo deciso di provare ad avere un figlio, quando abbiamo deciso di sposarci. Il problema è che non ci conoscevamo abbastanza, quasi per niente. Ci siamo lasciati trascinare come due incoscienti dalla passione e dalla chimica e dall’euforia iniziale!”
 
“E non è esattamente quello che sta accadendo adesso, Gaetano?” domanda in quello che è quasi un urlo, ma che a Gaetano sembra velato da una traccia di vulnerabilità. Come se avesse quasi un bisogno inconscio di credere che sia così.
 
“No, non lo è. Eva, io conosco Camilla da tanto tempo. Ci siamo visti al nostro meglio e al nostro peggio. E lei mi conosce meglio di quanto mi conosca io stesso, conosce benissimo non solo i miei pregi ma tutti i miei difetti, come io conosco i suoi. Siamo assolutamente compatibili, anche in queste settimane di convivenza ne abbiamo avuto conferma. E poi Camilla vuole un bene dell’anima a Tommy, e anche Livietta lo adora e lui con loro sta bene, è felice. E, arrivati a questo punto, comunque ci siamo arrivati, il tuo atteggiamento verso di loro non solo non proteggerà Tommy da possibili sofferenze, ma gli fa e gli farà solo del male. Non capisci quello che ti ha chiesto Tommy poco fa? Lui vuole bene a tutti noi, in modo diverso certo, ma comunque desidera che le persone a cui tiene possano non dico volersi bene, ma almeno andare d’accordo. Vuole poter stare con tutti noi insieme, Eva, non vuole dover scegliere. E quindi se tu chiedi a me di dimostrati che tengo al bene di nostro figlio, anche io te lo chiedo Eva: ti chiedo di dimostrarmi che ciò che conta per te è davvero solo il benessere di Tommy. Che non agisci così per ripicca nei miei confronti o per gelosia nei confronti di Camilla e-”
 
“Io non sono gelosa di Camilla!” grida, sprezzante e indignata, “sono solo preoccupata per mio figlio!”
 
“Invece mi sembra evidente che lo sei: tutti i problemi e i dubbi sull’affidarmi Tommy sono nati quando hai saputo di lei. Prima, quando frequentavo le mie ‘amichette’, come le chiami tu, non hai avuto esitazioni a lasciarmelo e a partire per Los Angeles, a stare via per mesi. Tu non hai paura che Tommy soffra a causa di Camilla, tu hai paura che lui con lei stia bene e sia felice. E magari hai anche paura di scoprire che io con lei sto bene e sono felice, che-“
 
“A me non me ne frega niente se tu con Camilla stai bene e sei felice, Gaetano. Dopo quello che mi hai fatto, non ti vorrei più nemmeno se fossi l’ultimo uomo rimasto sulla faccia della Terra!” urla Eva, avvicinandosi a lui con i pugni serrati, quasi volesse colpirlo.
 
“Non dico questo, Eva, dico che forse hai paura di scoprire che magari quello che è successo tra noi non è solo colpa mia. Che non sono il mostro di uomo e di marito che dipingi. Che hai paura in un certo senso che Camilla possa riuscire dove tu senti di aver fallito e-“
 
“Io non-“ prova ad interromperlo lei, sdegnata, ma lui la blocca mettendole una mano sulla spalla.
 
“Eva, per favore, fammi finire, poi puoi dire tutto quello che vuoi. Quello che tu non capisci è che quello che è successo tra noi è colpa di entrambi o non è colpa di nessuno. Non ci sono vittime o carnefici, mostri o santi. Semplicemente io non ero adatto per te e tu lo eri per me, mentre Camilla lo è. Ma questo non la rende una donna migliore o peggiore di te in assoluto: è la combinazione tra me e lei che funziona, mentre quella tra me e te era destinata a fallire in partenza. Forse il nostro primo ed unico grande errore, da cui sono poi nati tutti gli altri, è stato quello di non rendercene conto fin da subito. Ma questo non significa che io o te abbiamo qualcosa di sbagliato, anzi: anche se tu non ci crederai io ti ho sempre ammirata e stimata, Eva. Ho sempre pensato che tu sia una donna fuori dal comune ed è per questo che mi sono illuso, che ho voluto credere in una vita insieme, di poter essere l’uomo per te. E ti auguro di trovarlo, perché sono sicuro che ci sia da qualche parte un uomo che ti merita e che tu meriti e con cui puoi essere felice come non lo sei stata con me. E se io invece ora l’ho trovata la persona giusta per me, prima di te, vorrei che tu riuscissi ad accettarlo e non dico ad esserne felice, ma almeno a non mettermi i bastoni tra le ruote intenzionalmente.”
 
“Gaetano,” mormora Eva, la vulnerabilità più evidente nella voce roca e negli occhi, lucidi e malinconici. È palese che il fallimento del loro matrimonio sia ancora un nervo scoperto per lei, così perfezionista ed intransigente non solo con gli altri, ma anche con se stessa.
 
“E per quanto riguarda Tommy, non hai nulla da temere: tu sei e rimarrai sempre sua madre e probabilmente la persona a cui è più legato e che ama di più in assoluto. Ma se adesso non siete più ‘soli al mondo’, se Tommy ha anche me ed altre persone che tengono a lui e a cui lui è affezionato, persone fidate e che, credimi, si farebbero ammazzare per lui se fosse necessario, mi dici che male c’è? Anzi, io sono sollevato dal sapere che, di qualsiasi cosa Tommy potrà aver bisogno in futuro, avrà, oltre a te e a me, altre persone su cui contare, che avrà una famiglia su cui contare. Una famiglia allargata, incasinata, tutto quello che vuoi, ma una famiglia.”
 
“Una famiglia che io però non ho scelto, Gaetano,” gli fa notare Eva, sempre più amara.
 
“Beh, non è forse così per la maggior parte dei parenti?” le chiede Gaetano con un mezzo sorriso, amaro anche per lui.
 
“Già…” sospira Eva, sapendo benissimo che l’aver avuto un rapporto molto problematico e, da un certo momento in poi, quasi inesistente con i propri genitori e con la propria famiglia di origine è una delle poche cose che lei e Gaetano hanno in comune.
 
“E poi molto probabilmente anche tu un giorno ti rifarai una vita, Eva, cosa che ti auguro di cuore, e allora a dovermi adattare sarò io. So che non sarà semplice, ma so anche che sarebbe sbagliato provare ad impedirtelo o ad ostacolarti per una mia paura di dover condividere o perdere l’affetto di nostro figlio. Quindi l’unica cosa che ti chiedo, Eva, è di dimostrarmi che, se capirai, come sono sicuro capiterà, che Camilla e Livietta influiscono positivamente sulla vita di Tommy e sulla mia, e che, come ti ripeto, questa è una situazione destinata a durare, tu non ti metterai in mezzo e non ci saboterai. Che non costringerai Tommy a scegliere, che non gli impedirai di vedere Camilla e Livietta e soprattutto che non gli farai pesare il fatto di volere bene anche a loro. Solo questo.”
 
Si guardano per qualche istante che pare eterno, il viso di Eva un mix di emozioni contrastanti, che Gaetano non riesce a decifrare.
 
Driiiiiinnnnnnnnnn
 
Il suono del campanello li ridesta, impedendo qualsiasi risposta: sono Tommy e Livietta, con borsoni al seguito.
 
Pochi istanti dopo, Camilla emerge dal bagno, con di nuovo indosso l’ormai immancabile accappatoio, prendendo in consegna il cambio che le ha portato la figlia.
 
Prima di perdersi nei preparativi per la giornata, Gaetano lancia ad Eva un’ultima occhiata, quasi a voler sigillare un patto tra loro.
 
Ma il suo istinto gli dice che, purtroppo, sono appena all’inizio di una lunga e sfibrante guerra di nervi e che in questi due giorni si sta giocando il futuro suo e di Tommy. Ed è una guerra che non può permettersi di perdere, per nessun motivo al mondo.

 
***************************************************************************************

 
“Ma quindi i pirati erano cattivi e i corsari erano buoni?”
 
Gaetano non può fare a meno di sorridere di fronte alla domanda di Tommy, fatta con uno sguardo concentrato ed imbronciato.
 
Sono tutti in fila per salire su “I corsari” e, per stemperare la tensione ed il silenzio pesante, Gaetano si era messo a raccontare a Tommy qualche aneddoto sulla storia della pirateria, di cui da piccolo era stato un grande appassionato. Camilla, da prof. quale era, aveva fatto qualche intervento qua e là, confermando o disquisendo su alcuni punti. C’era stato anche un breve scambio di battute con Eva sulla pirateria vichinga.
 
La giornata finora era stata all’insegna di una tensione strisciante e costante, anche se non si era fortunatamente ancora arrivati allo scontro diretto. Ma ciò non rendeva il tutto meno frustrante: tutti i loro piani di un weekend rilassante e spensierato erano andati in fumo e quello che stavano vivendo sembrava più una partita di poker che una visita ad un parco divertimenti.
 
Da quando erano saliti in macchina e si era presentato il problema di dove sedersi, risolto con Eva che, volendo stare accanto al figlio, si era infine seduta sul sedile posteriore con Tommy e la povera Livietta, mentre Camilla aveva conquistato il sedile anteriore, era stato tutto un crescendo di battutine, non detti e reclami.
 
C’era stato il silenzio opprimente in auto, alla fine risolto grazie a Tommy che aveva richiesto di cantare le canzoni dello Zecchino d’Oro, coinvolgendo Livietta in improbabili duetti sui pezzi già famosi quando anche lei era piccola, mentre Eva non aveva perso occasione per esprimere il suo disappunto e per definirle “canzoni ridicole”.
 
Poi, una volta arrivati a destinazione, per fortuna grazie alle prenotazioni avevano saltato almeno la coda ai cancelli di ingresso, ma lì era iniziata l’estenuante trattativa sull’attrazione da cui partire. O meglio, su quella da cui non partire, perché Eva aveva messo di  traverso una sfilza di paletti, divieti e preoccupazioni. Alla fine si era optato per quella tranquillissima del galeone pirata, ma lì la coda era stata inevitabile.
 
“Beh, diciamo che i corsari erano autorizzati dalla monarchia, dal re per cui combattevano, ad assaltare le navi dei regni nemici. Ma non si può proprio dire che fossero buoni. Alla fine erano un po’ come dei criminali legalizzati, dato che rapinavano e terrorizzavano le navi mercantili e anche civili. Però per il regno per cui lavoravano non erano considerati dei criminali, come invece lo erano sempre i pirati. Non so se riesco a spiegartelo,” cerca di chiarire Gaetano, rendendosi conto che discutere della differenza tra legalità ed etica morale con un bambino di cinque anni è molto difficile.
 
“Diciamo che i pirati erano sempre considerati cattivi, mentre per i corsari… dipende dai punti di vista,” spiega Camilla con un sorriso.
 
“È anche lei una sostenitrice del relativismo morale di cui ultimamente è promotore Gaetano? Perché sa, può essere molto pericoloso. Se seguiamo la vostra linea di pensiero potremmo anche estenderla ai soldati del giorno d’oggi, o perfino ai poliziotti, quando fanno applicare leggi considerate ingiuste o immorali da qualcuno,” si inserisce Eva con il suo sorrisetto serpentino ed un’aria di sfida nello sguardo.
 
“Ma per fortuna non siamo più nel ‘600 e direi che quindi il problema di leggi ingiuste o immorali non si pone, salvo eccezioni in cui comunque c’è la discrezionalità e il buon senso di chi la legge la applica o di chi poi giudica. E comunque allora questo dilemma esiste per qualsiasi figura di autorità che, in virtù del proprio ruolo, può imporre la propria visione del mondo e la propria idea di giusto e di sbagliato sugli altri: anche sul lavoro ad esempio, o in famiglia,” sibila Camilla, fulminando Eva con lo sguardo, sebbene il tono si mantenga comunque pacato.
 
“Ma quindi i poliziotti non sono sempre buoni?” domanda Tommy, avendo, nonostante l’uso di paroloni difficili da entrambe le parti, colto perfettamente il cuore del problema e della stoccata di Eva.
 
“Beh, Tommy, come in tutte le cose, dipende dalle persone. Ci possono essere delle persone che non sono proprio buone e che di lavoro finiscono a fare il poliziotto, come può capitare anche per gli insegnanti, per i fotografi, per qualsiasi mestiere. Ma ti garantisco che io di poliziotti ne ho conosciuti tanti e il tuo papà non è soltanto buono o bravo a fare il suo lavoro, ma è il migliore in assoluto,” risponde Camilla con un sorriso, scompigliandogli i capelli e venendo ricompensata da un mega abbraccio a morsa intorno alle gambe e da uno sguardo grato e quasi commosso di Gaetano.
 
Entrambi si voltano poi in direzione di Eva e le lanciano un’occhiata di avvertimento a cui lei controbatte con una di sfida.
 
“Certo che in effetti è ironico che ti piacessero tanto i pirati da bimbo, no, Gaetano?” interviene Livietta, cercando di cambiare argomento per stemperare la tensione.
 
“Beh, sì, e ti dirò che ero pure un grande appassionato di Diabolik,” confessa con una mezza risata.
 
“Ma lo sai che anche a me piaceva Diabolik? Non me ne perdevo un numero,” ammette Camilla con un sorriso, stupita come sempre dai piccoli dettagli che lei e Gaetano ogni tanto scoprono di avere in comune.
 
“Però poi compensavo con Tex Willer,” chiarisce Gaetano, ricambiando il sorriso, aggiungendo, di fronte allo sguardo confuso di Tommy, “un cowboy, un ranger. Insomma, uno sceriffo.”
 
“Come te, papà!” proclama orgoglioso Tommy, sollevando le braccia verso il padre per farsi prendere in braccio, e venendo subito accontentato.
 
“Come no…” commenta Eva con una mezza risata sarcastica, mentre Camilla si trattiene a stento dal darle una gomitata o pestarle un piede.
 
“Tex piaceva molto a papà, vero mamma? Ne aveva una mezza collezione a Roma. Infatti li leggevo da piccola,” si inserisce di nuovo Livietta, cercando di coprire la frecciata di Eva.
 
“Sì, esatto. Ogni tanto ne leggevo qualcuno anche io. Non erano niente male.”
 
“Diabolik, gli sceriffi, tutte cose molto femminili,” fa notare Eva, lanciando un’occhiata eloquente verso l’abbigliamento di Camilla, come sempre molto comodo e oversize. La svedese invece, anche vestita casual, sembra uscita direttamente dalla copertina di una rivista di moda primavera-estate, le gambe chilometriche sottolineate dagli shorts che valorizzano l’abbronzatura.
 
“Beh, c’era Eva Kant che era estremamente femminile, anche se non le somiglio per niente,” ribatte Camilla con nonchalance, per poi aggiungere, dopo un attimo di riflessione, “però, ripensandoci, direi che assomiglia invece molto a lei: il nome, l’aspetto e forse anche un po’ il carattere.”
 
“E poi mi piaceva molto pure Batman, anche se non era un poliziotto e doveva indagare in maniera non ufficiale. La polizia non ci faceva sempre una gran figura nemmeno in quelle storie, in effetti, ma lui e il commissario insieme erano una bella squadra,” interviene di nuovo Gaetano, prima che Eva possa ribattere, lanciando un’occhiata complice a Camilla che gli sorride di rimando, comprendendo perfettamente il parallelo.
 
“Chissà perché questa tua passione invece non mi sorprende affatto, Gaetano. Anche se mi chiedo se tu ammirassi di più Batman o Bruce Wayne,” sibila Eva, sarcastica, non perdendo un colpo, facendo chiaramente riferimento alla vita da playboy impenitente del miliardario di Gotham City.
 
“Secondo me ammiravi di più il commissario Gordon. E se non lo facevi avresti dovuto farlo perché forse era lui il più grande eroe della storia. Quello che ci metteva la faccia, che metteva a rischio la sua vita professionale e personale per un’ideale di giustizia, che agiva nel sistema, che cercava di cambiare il sistema in meglio, ma che allo stesso tempo non aveva paura di farsi aiutare, di mandare giù l’orgoglio personale per fare ciò che era giusto e che da solo non avrebbe potuto fare. Di lasciare anche a volte che gli altri si prendessero i meriti e di rischiare di fare la figura dello stupido. E che andava avanti con uno stipendio normale, senza ville, eredità miliardarie o un’identità segreta dietro a cui nascondersi quando faceva comodo.”
 
Gaetano guarda Camilla, fiera, decisa, una luce intensa che accende le iridi nocciola, ed un nodo gli si blocca in gola, mentre gli occhi iniziano a pizzicare e bruciare. Non sa come sia possibile ma sente l’amore e l’ammirazione che nutre per lei crescere ancora di più, insieme alla gratitudine per tutto quello che sta affrontando e sta facendo per lui. Vederla in azione mentre smonta ogni attacco di Eva con un sorriso sulle labbra, mentre lo sostiene, lo rassicura e lo supporta di fronte a suo figlio, annullando tutti i tentativi di Eva di minarlo alle fondamenta, di farlo ritornare quel Gaetano che aveva perso ogni stima di sé come padre e come uomo è qualcosa di talmente grande che non trova nemmeno gli aggettivi per descriverlo e che, ne è sicuro, non scorderà mai finché vive. Qualcosa per cui non potrà mai ringraziarla e ripagarla abbastanza.
 
“E il mio papà è proprio un commissario come lui, vero?”
 
La vocina orgogliosa di Tommy lo ridesta dalla sua contemplazione, giusto in tempo per un’altra fitta al cuore, mentre si stringe ancora di più suo figlio al petto in un mega abbraccio.
 
“Certo, anzi, il tuo papà è anche meglio,” conferma Camilla con un sorriso, scompigliandogli i capelli ed ignorando l’occhiata assassina di Eva.
 
Per fortuna sono ormai alla fine della coda e quindi anche del primo round. Mentre prendono posto e si siedono, Tommy accanto ad Eva, poi Camilla con Gaetano e Livietta con un’altra ragazza, non possono fare a meno di sospirare e di scambiare uno sguardo assolutamente eloquente anche con Livietta.
 
Non sanno per quanto ancora potranno resistere.
 



 
Nota dell’autrice: Sono stata parecchio indecisa su dove far finire questa prima parte, alla fine ho scelto di lasciarvi almeno un assaggio di ciò che accadrà in questo weekend al parco divertimenti, anche se, come si può già intuire, sarà tutto tranne che divertente per i nostri protagonisti, e siamo appena alle battute iniziali ;). Come sempre tutti i vostri pareri anche negativi sono utilissimi per me. Scrivere Eva è sempre una sfida, soprattutto cercare di renderla tosta ed agguerrita, senza però dipingerla come il mostro della situazione. Per scoprire se ed in quanti sopravvivranno a questa guerra di nervi che si prospetta sempre più accesa, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo, ringraziandovi come sempre per tutto il sostegno e per la pazienza dimostratami fin qui ;).

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Eva - seconda e ultima parte ***


Nota dell’autrice: Lo so che sono in un ritardo pauroso, ma il capitolo che leggerete è lunghissimo, il più lungo che ho mai scritto, sono praticamente tre capitoli insieme. Avrei potuto separarlo a metà ma ho deciso che avesse più senso così, nella sua compiutezza e che fosse più giusto lasciare la possibilità a voi di decidere se leggervelo tutto in una volta o se dividerlo a “tranche”. Non vi faccio perdere altro tempo e vi auguro buona lettura, dandovi appuntamento alle note a fine capitolo ;)!



 
Capitolo 28: “Eva – seconda e ultima parte”



Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


 
“È stato divertentissimo! Lo rifacciamo?” proclama Tommy entusiasta, non appena scendono dal gommone delle Jungle Rapids, nonostante sia abbastanza bagnato, come tutti loro del resto, o forse proprio per quello.
 
Eva che, ovviamente, per la sempre valida Legge di Murphy, era stata quella più inzuppata di tutti, essendo seduta proprio sul seggiolino che aveva ricevuto in pieno l’ondata più forte, oltre alla doccia delle proboscidi degli elefanti, dopo essersi strizzata i capelli e la maglia, fulmina Gaetano con l’ennesimo sguardo accusatore.
 
Era stata già una mezza lotta convincerla a salire sull’attrazione, dopo una lunga disquisizione su quanto fosse pericoloso per un bambino dell’età di Tommy, dato che Eva temeva non solo che si bagnasse e si prendesse un malanno, ma soprattutto che potesse essere sbalzato fuori dal gommone, nonostante superasse abbondantemente il limite minimo di altezza.
 
Alla fine Gaetano le aveva fatto notare, a denti stretti, che se era quasi arrivata a portarsi dietro Tommy nella foresta pluviale, con tanto di paludi, coccodrilli, animali pericolosi in genere, nonché una sfilza di possibili malattie da far spavento, non ci sarebbero dovuti essere problemi per una giungla finta e un po’ d’acqua. E così erano riusciti a convincerla a mettersi in fila.
 
“Fatti vedere,” esclama infine, preoccupata, abbassandosi per ispezionare il figlio, “sei bagnato fradicio! Andiamo in bagno a cambiarci prima che ti ammali.”
 
“Ci troviamo qui?” chiede Gaetano con un sospiro, rinunciando persino a tentare di farla ragionare sul fatto che Tommy fosse solo lievemente bagnato e non zuppo e che con il caldo e il sole si sarebbe asciugato di lì a poco. Forse anche perché un time out da Eva non è una prospettiva così sgradita.
 
“Sì, dopo voglio andare sul Mammut!” dichiara Tommy, indicando l’attrazione lì di fianco, una specie di incrocio tra un trenino e le montagne russe.
 
“Dopo vediamo,” sibila Eva, prendendo il bimbo per mano ed avviandosi verso le toilette.
 
“Presumo che fosse un sì?” domanda Camilla con un sospiro, guardandosi intorno per capire cosa fare nell’attesa, a parte lasciare che il sole asciughi i vestiti.
 
“Guarda mamma: c’è una gelateria. Che ne dici se ci mangiamo un cono mentre aspettiamo?”
 
“Ma sai che quasi quasi mi hai fatto venire voglia?” risponde Camilla, seguendo la figlia verso il chiosco, “tu Gaetano ti unisci a noi?”
 
“Dai, che almeno ci addolciamo un po’ la bocca, prima di riaffrontare la Strega Bianca,” lo incita Livietta, mentre la madre cerca i soldi nella borsa.
 
“Livietta!” la ammonisce Camilla, fulminandola con  lo sguardo.
 
“La strega bianca?” domanda invece Gaetano, cercando disperatamente di non ridere.
 
“Ma sì, quella di Narnia… Specie nella versione del film… Non l’hai mai vista? Tutta vestita di bianco, con una corona di ghiaccio in testa tipo regina delle nevi?”
 
“Livietta…” sospira di nuovo Camilla, “non devi parlare così di Eva: è la mamma di Tommy e dobbiamo cercare di trattarla con rispetto e-“
 
“Proprio come lei fa con noi, no?” obietta Livietta, sollevando gli occhi al cielo, “comunque mamma, va bene tutto, e, per la carità, davanti a lei o a Tommy non direi mai nulla di male su di lei, non solo perché ci tengo a Tommy ma anche perché ci tengo alla vita, ma è davvero insopportabile: sembra che si nutra di yogurt inacidito dalla mattina alla sera! Sinceramente mi vengono anche dei dubbi sul perché a Tommy piaccia tanto Rapunzel: non è che inconsciamente nota una certa somiglianza tra lei e Gothel?”
 
“Livietta!” esclama di nuovo Camilla, anche se deve anche lei trattenere le risate, amare. Perché al paragone tra Gothel ed Eva sinceramente ci aveva già pensato. Ma sente anche che l’iperprotettività di Eva, la possessività di Eva, a differenza di quella di Gothel, sono dettate dall’amore sincero che nutre per suo figlio e dalla paura di perderlo. Anche se lo manifesta in modo sbagliato.
 
“Ma è la verità: ci tratta come se stessimo sempre per fargli del male o per ucciderlo. Ed è apprensiva da morire: e questo no, e quello no! Sembra che siamo in una zona di guerra più che in un parco divertimenti, in tutti  sensi,” sbuffa, aggiungendo, dopo un attimo di riflessione, rivolta a Gaetano, “ma fa sempre così?”
 
“Più o meno, ma oggi è peggio del solito. Credo che sia un mix tra la stanchezza del viaggio, il non vedere Tommy da tanto e il fatto che ce l’ha con me e tua madre per la nostra convivenza e per averci trovato tutti insieme stamattina.”
 
“Credo ce l’abbia su a morte anche con me per aver dormito con Tommy: stamattina quasi mi ha fatto venire un infarto… Oltre che per essere figlia tua, mamma.”
 
“Va beh… Più che altro mi chiedo come pensasse di portarsi dietro Tommy nelle Filippine, apprensiva com’è,” commenta Camilla, esprimendo ad alta voce ciò che Gaetano si chiede da qualche ora a questa parte.
 
“Non lo so… secondo me quella era una decisione istintiva, una dimostrazione di forza e anche un po’ una ripicca nei miei confronti. Non credo ci avesse pensato bene nemmeno lei e secondo me se l’avesse fatto sul serio sarebbe poi andata nel panico. Ma del resto Eva è sempre stata tanto intelligente quanto piena di contraddizioni.”
 
“Già… infatti mi domando anche come una donna capace di resistere per settimane nella foresta pluviale, immagino in quali condizioni igieniche, possa dare di matto per un po’ d’acqua,” mormora Camilla, quasi tra sé e sé.
 
Arrivano alla fine della breve coda e analizzano i gusti di gelato, quando Livietta posa gli occhi su una macchina familiare, che sa di infanzia e di ricordi spensierati.
 
“Mamma, c’è anche lo zucchero filato: sono secoli che non lo mangiamo. Ti andrebbe? Quasi quasi lo preferisco al gelato!”
 
“In effetti… ma sì dai! Tu Gaetano lo vuoi?”
 
“Perché no! Uno per noi due e uno per Livietta?”
 
“Ok. Ne prendiamo uno anche per Tommy? Mi sentirei in colpa a mangiarlo senza di lui,” ammette Livietta con un sorriso, per poi aggiungere con un sopracciglio alzato, “e magari uno anche per la tua ex moglie, che almeno si addolcisce un po’.”
 
“Livietta!” esclama Camilla, in quello che è ormai quasi un urlo, lanciandole un’occhiata eloquente, “adesso basta però! Non voglio più sentire lamentele o battute su Eva, chiaro? E poi dobbiamo capire che per lei la situazione non è facile: in mezzo a tutti noi si sentirà come un pesce fuor d’acqua e non ha visto suo figlio per tanto tempo.”
 
“Ok, ok,” concede Livietta, sospirando.
 
“Per quanto riguarda lo zucchero filato, invece, va bene per Tommy ma per Eva lasciamo stare: non mangia i dolci,” chiarisce Gaetano con un sospiro, ricordando il regime dietetico rigorosissimo a cui si atteneva Eva e a cui aveva cercato di convertire anche lui. In quei mesi di convivenza aveva finalmente capito come si doveva essere sentito Torre quando si era fidanzato con Giulietta, l’integralista salutista.
 
“Chissà perché lo sospettavo,” mormora Livietta, per poi aggiungere, dopo un’altra occhiataccia della madre, cercando di correggere il tiro, “ok, ok, hai ragione. Ma intendevo anche che, dato il fisico, è evidente che sta molto attenta all’alimentazione.”
 
“Eh sì, Eva è stata una modella e certe regole ferree le sono state martellate in testa da quando aveva boh, forse 13 anni,” conferma Gaetano con un altro sospiro.
 
Prendono lo zucchero filato, si siedono sulle panche lì vicino e aspettano. Gaetano sorregge lo stecco di Tommy, mentre allunga la mano verso la massa candida che Camilla tiene in mano per staccarne qualche boccone, operazione che si rivela più complicata del previsto, data la collosità dello zucchero. Con un sorriso Camilla, dopo qualche morso, ne preleva un altro pezzo e, senza quasi pensarci, allunga la mano verso Gaetano, imboccandolo e facendolo ridere.
 
“Eh, no, per favore, voi due!” esclama Livietta, alzando gli occhi al cielo e scuotendo il capo, “cioè, va bene tutto: capisco che siete innamorati persi e l’amore rincitrullisce e capisco pure che dovete approfittarne finché Eva non c’è, ma almeno il tempo delle mele, per favore, risparmiatemelo. È imbarazzante!”
 
“Va bene, scusa, scusa, hai ragione!” ammette Camilla, ridendo a sua volta ed arrossendo.
 
Stanno ancora ridendo quando vedono di nuovo sopraggiungere Eva con Tommy, perfettamente cambiati ed asciutti, capelli a parte. Tommy non appena li vede percorre gli ultimi metri di corsa per raggiungerli.
 
“Tommy, non correre e non ti allontanare da me!” lo richiama Eva con tono deciso.
 
“Ma andavo da papà, non mi sono allontanato…” prova a fare notare Tommy, con sguardo innocente.
 
“Non c’entra: ti ho già detto che nei luoghi affollati non si corre. È pericoloso!”
 
“Ok, mamma, scusa, non lo faccio più!” ribatte Tommy, abbassando il capo un po’ mogio.
 
Poi però si gira verso Gaetano, Camilla e Livietta e, vedendo cos’hanno in mano, recupera il sorriso.

“Zucchero filato!” esclama felice, battendo le mani.
 
“Tieni, Tommy, questo è per te,” proclama Gaetano, passandogli lo stecco ancora intatto.
 
O almeno provandoci, perché Eva subito lo intercetta.
 
“Eh no, Gaetano: te l’ho detto mille volte che non voglio che Tommy mangi schifezze e questo è zucchero puro! Lo sai che lo zucchero raffinato è come una droga, crea dipendenza e-“
 
“E rovina i denti,” termina lui la frase, già sentita mille volte, “lo so, lo so, ma non mangia mica zucchero dalla mattina alla sera. Siamo in un parco divertimenti e Tommy è un bambino: mi dici che c’è di male se si gode un po’ di zucchero filato, come tutti i bimbi del mondo?”
 
“C’è che tu stai stravolgendo tutte le regole che ho insegnato a mio figlio in questi anni, Gaetano,” ribatte Eva, in un tono talmente alto che sembra quasi un urlo trattenuto, brandendo lo zucchero filato come una spada, “e non mi va che tu fai la parte del buono, che lo riempi di vizi e a me invece tocca fare la strega cattiva!"
 
Livietta lancia una rapida occhiata verso la madre, tra lo sbigottito e il malinconicamente divertito, mentre Camilla le dà una lieve gomitata nel fianco come avvertimento.
 
“Non faccio nessuna parte, Eva e non riempio Tommy di vizi. Porca miseria, guardalo: ti sembra un bimbo obeso o in cattiva salute? A me sembra energico e vitale come sempre, come prima che tu me lo affidassi. E i denti, guarda un po’, sono ancora tutti al loro posto. Inoltre non mi sembra che sia diventato maleducato, né che abbia sviluppato cattive abitudini, anzi, è un bambino vivace ma buono che merita ogni tanto un premio, senza che per questo caschi il mondo o sia necessario farne un caso di stato!”
 
“E invece è necessario, perché associare il cibo, soprattutto i dolci, a un premio o una gratificazione è pericoloso ed è il primo passo verso disturbi alimentari e un rapporto compensativo con il cibo e-“
 
Camilla viene bruscamente ridestata dalla filippica di Eva quando nota improvvisamente qualcosa, o meglio qualcuno che manca: Tommy!
 
Si guarda intorno e finalmente lo vede allontanarsi deciso e veloce, nonostante le gambe corte, verso il villaggio west. Senza pensarci due volte si alza e lo rincorre, agguantandolo infine per un braccio e trattenendolo.
 
“Tommy! Ma sei matto? Lo sai che cosa succede se ti perdi in mezzo a questa folla di gente?” gli domanda, mentre sente il cuore ancora rimbombarle all’impazzata nel petto, abbassandosi per guardalo negli occhi.
 
“Lasciami!” urla il bimbo, cercando di divincolarsi, ed è allora che Camilla nota i lacrimoni che strabordano dagli occhi e gli rigano le guance.
 
“Tommy…” sussurra intenerita, mentre il cuore fa un altro tuffo, dimenticando ogni rimprovero e abbracciandoselo stretto al petto.
 
“Camilla,” singhiozza, scoppiando a piangere e stringendole le braccia intorno al collo a morsa.
 
“Shhh, tranquillo, va tutto bene,” lo rassicura, accarezzandogli la schiena.
 
“No, non è vero!” esclama tra le lacrime, “loro litigano sempre ed è colpa mia!”
 
“Tommy, non è colpa tua, non lo devi nemmeno pensare, chiaro?” afferma decisa Camilla, mollando lievemente la presa per guardarlo negli occhi ed asciugargli le lacrime, “la tua mamma e il tuo papà hanno opinioni diverse su tante cose e per questo discutono spesso, ma ti vogliono tantissimo bene tutti e due e si preoccupano per te, di darti solo il meglio.”
 
“Appunto, è colpa mia. Litigano per me,” ripete Tommy, tirando su col naso.
 
“No, Tommy: la tua mamma e il tuo papà la vedono diversamente su tantissimi argomenti e quindi discuterebbero comunque anche se tu non ci fossi. Non è colpa di nessuno: semplicemente ognuno è fatto a modo suo,” spiega dolcemente per poi aggiungere con un sorriso, “anzi, al contrario tu sei ciò che li unisce e li unirà per sempre, la cosa più importante del mondo per entrambi e la cosa più bella che hanno fatto in tutta la loro vita.”
 
“Davvero?” domanda il bimbo, guardandola con quell’espressione piena di fiducia che le spezza sempre il cuore.
 
“Davvero, davvero,” conferma, prendendolo in braccio e voltandosi, pronta a tornare dagli altri.
 
Ma non serve: Eva, Gaetano e Livietta sono lì, a pochi passi, congelati come statue di sale, il senso di colpa e la tenerezza evidenti sul viso di Gaetano, mentre la svedese li osserva intensamente, con un’espressione indefinibile, impugnando ancora quel povero stecco di zucchero filato, che ha decisamente visto tempi migliori.
 
“Tommy…” sussurra infine Gaetano, avvicinandosi al bimbo e a Camilla e allungando le braccia, “vieni qui.”
 
Tommy sembra esitare per qualche secondo ma poi si butta in braccio al padre.
 
“Scusami Tommy: non volevo farti stare male. Però non allontanarti mai più così, chiaro? Mi hai fatto prendere un colpo,” sussurra al bimbo, stringendoselo forte forte e lanciando un’occhiata piena di gratitudine a Camilla.
 
“Tommy…” mormora anche Eva, toccando la schiena del bimbo per farlo girare verso di sé, per poi porgergli lo zucchero filato, “tieni, dai, e non piangere.”
 
“No!” esclama il bambino deciso, scuotendo il capo e spingendo via la mano della madre, “non lo voglio! Non voglio mangiarlo se poi ti arrabbi e vi litigate per questo.”
 
“Tommy…” sussurra Eva, mentre Gaetano la trafigge con uno sguardo furioso e più che eloquente, dato che, se Eva continua così, c’è sì il rischio che Tommy soffra di disturbi dell’alimentazione in futuro, ma non di certo compensativi. Al contrario, la paura di Gaetano è che Tommy arrivi ad odiare e rifiutare il cibo, almeno in presenza di Eva.
 
“Senti… sai cosa facciamo? Questo zucchero filato ormai è rovinato: che ne dici se prima andiamo a fare un giro sul Mammut e poi ne compriamo un altro? Ti garantisco che non mi dispiace se lo mangi e che non me la prendo, però mi devi promettere che non scapperai mai più in quel modo: è pericoloso,” lo rassicura Eva, accarezzandogli i capelli con la mano libera.
 
“Ok,” conferma Tommy, guardando tra sua madre e suo padre come per avere una conferma che non discuteranno più.
 
E così, dopo aver gettato i poveri resti di zucchero filato in un cestino lì vicino, si avviano tutti insieme verso l’attrazione, ognuno immerso nei propri pensieri, un’atmosfera malinconica quanto pesante che aleggia nell’aria.
 
***************************************************************************************
 
Dopo la quasi fuga di Tommy il clima non si era rasserenato, ma era diventato sicuramente molto più civile. Eva aveva contenuto al minimo battutine, rimostranze ed obiezioni.
 
Scesi dal velocissimo treno del Mammut, un Tommy esaltatissimo per la sua prima corsa su un’attrazione “da grandi” aveva avuto il suo zucchero filato, come promesso, ed Eva si era trattenuta al massimo, evitando le espressioni schifate o contrariate, lasciandolo mangiare in pace. Erano poi andati a fare un giro su “Ramses: il Risveglio”. Gaetano aveva, come prevedibile, ottenuto un punteggio stratosferico con le pistole laser, ma anche Livietta e Tommy avevano fatto registrare ottimi risultati, probabilmente grazie a tutto l’allenamento fatto con i videogame.
 
Era poi venuto il momento di un pranzo un po’ tardivo e, di nuovo, Eva non aveva sollevato obiezioni al fatto che anche Tommy si godesse, come gli altri, un bel trancio di pizza con patatine, sebbene lei si fosse ovviamente orientata su un’insalata ipersalutistica e ipocalorica.
 
Eva aveva quindi suggerito che fosse meglio che lei accompagnasse il figlio all’area delle giostre per i bambini, dato che Tommy voleva andare a visitare la casa di Prezzemolo, la mascotte del parco, mentre Gaetano, Livietta e Camilla potevano dedicarsi alle attrazioni precluse ai più piccoli.
 
Gaetano, intuendo che fosse la cosa migliore da fare e che la tolleranza dell’ex moglie fosse una recita tenuta in piedi con sommo sforzo e destinata a rompersi di lì a poco, aveva acconsentito ben volentieri a concederle e a concedersi un time-out, nonostante Tommy non fosse proprio entusiasta all’idea di doversi separare da loro.
 
Una volta soli, c’era stata una lunga contrattazione tra Livietta e Camilla su quale delle montagne russe provare. Alla fine Gaetano aveva fatto notare alla sua amata che, dopo tutte le situazioni pericolosissime ed assurde in cui si era andata a cacciare negli anni, non avrebbe dovuto di certo spaventarsi di fronte ad un paio di giri della morte ed a qualche discesa in picchiata. Per tutta risposta aveva ricevuto un pizzicotto nel costato, seguito, quando Livietta dava loro le spalle, da uno rapido ma deciso sul sedere che lo aveva fatto sobbalzare quasi più del precedente.
 
Si era voltato ed aveva incrociato due occhi scuri che brillavano ed un sorriso birichino e malizioso insieme, i denti a morderle delicatamente il labbro inferiore. E mentre il desiderio di caricarsela in spalla e portarsela direttamente in hotel, tanto irrealizzabile quanto lancinante, si era nuovamente impadronito di lui, non aveva potuto evitare di restare, per l’ennesima volta, completamente ammaliato da questo lato di Camilla: giocoso, disinibito, inspiegabilmente innocente e tremendamente sensuale. Una sensualità naturale, vera, senza artifici, senza bisogno di pantomime che, se per tanti anni si era dovuto contentare di intravedere ed intuire tra le righe dei loro scambi di battute e di sguardi, oltre che da qualche fugace contatto, poteva invece adesso scoprire ed ammirare liberamente in tutto il suo splendore.
 
Era una sensazione che non cessava di meravigliarlo e di scombussolarlo e a cui sperava sinceramente di non abituarsi mai, mentre non poteva fare a meno di chiedersi come una donna così passionale e così… viva come la sua Camilla avesse potuto soffocare per tanti anni qualcosa di così potente, istintivo e… naturale come il sentimento e il desiderio che da sempre li aveva inesorabilmente attratti l’uno verso l’altra. Quanta forza di volontà, quanto senso del dovere, quanto autocontrollo ci dovevano essere voluti. E, viste col senno di poi, quella rincorsa e quella fuga decennali contro l’inevitabile apparivano insensate, quasi inconcepibili. Gli sembrava talmente assurdo adesso anche il solo pensare di non poterla accarezzare, toccare, abbracciare, baciare, sentire, di non poter fare l’amore con lei. Pensare di reprimere qualcosa di così innato, di così spontaneo, era come pensare di negarsi il cibo o il sole o l’aria che respirava: semplicemente, completamente assurdo ed impossibile.
 
Camilla invece, non si era affatto sorpresa al sentire, dopo qualche passo, Gaetano renderle pan per focaccia. Si era limitata a trattenere la mano malandrina con la sua, appoggiarsela sul fianco e cingergli poi la vita con un braccio. E non aveva potuto trattenere un sorriso sollevato quando aveva sentito i muscoli dell’uomo rilassarsi ed aveva spiato i contorni del viso distendersi: se era riuscita a distoglierlo anche solo per un attimo dai problemi con Eva, poteva ritenersi assolutamente soddisfatta.
 
Così, mezzi abbracciati, avevano seguito Livietta verso l’ottovolante classico del parco, cercando di sfruttare al massimo ogni istante di pace che rimaneva e di ricaricare le batterie per poter affrontare il resto del weekend senza impazzire.
 
***************************************************************************************
 
“Mamma mia: non è stato fighissimo!!!???”
 
Gaetano e Camilla non possono evitare di sorridere di fronte all’entusiasmo di Livietta, mentre cercano di riprendere fiato dopo il Blue Tornado: sentono ancora le gambe traballanti, il sangue alla testa e l’adrenalina a mille in corpo.
 
E se, da un lato, la luce sul volto della ragazza li intenerisce e ricorda ad entrambi la Livietta di qualche anno prima, la bambina vivace e spensierata che esultava per una cena a base di hamburger e patatine o per una nuova mossa imparata a judo, dall’altro lato le sensazioni che provano riconducono entrambi a ricordi di ben altro genere. Del resto la scarica di adrenalina ha sempre avuto su di loro effetti collaterali di un certo tipo, da ben prima dell’esplosione con quel bacio disperato e rovente in mezzo ad una piazza.
 
“Sì, è stato molto divertente, ma dopo due ottovolanti di fila ho bisogno di una pausa: se non vi dispiace andrei in bagno,” proclama Camilla, decidendo che è più prudente mettere un po’ di spazio tra lei e Gaetano fino a che i suoi parametri fisiologici non saranno rientrati nella norma.
 
“Ok, ok, ci troviamo qui?” concorda Livietta.
 
Camilla si limita ad un cenno affermativo col capo e si avvia rapidamente verso le toilette.
 
“Ti va qualcosa da bere?” le domanda Gaetano, avviandosi verso un chiosco lì vicino, sentendo il bisogno di una bibita gelata.
 
“Ma sì, perché no…”
 
E così si mettono a sorseggiare due tè freddi, osservando la fiumana di gente che affolla il parco, soprattutto gruppi di giovani e famiglie con bimbi al seguito.
 
“Livietta… non sono molto bravo in queste cose…” esordisce Gaetano dopo un silenzio lungo ma stranamente gradevole, “però volevo, voglio ringraziarti per tutto quello che stai facendo e che hai fatto in questi giorni: da ieri sera con Tommy ad oggi… Lo so che non deve essere molto piacevole per te trovarti in mezzo a questa specie di campo minato e lo so che stai sopportando tutto questo perché vuoi molto bene a Tommy. E volevo solo dirti che lo apprezzo più di quanto immagini e che sono consapevole che ti devo molto più di un favore.”
 
“In effetti sì: tu e mia madre potete pure considerarvi in debito con me fino a che diventerò maggiorenne, sempre se sopravviviamo al weekend,” ironizza lei ma con tono affettuoso, aggiungendo poi con un sorriso, “e comunque lo faccio volentieri, e non solo per Tommy.”
 
“Livietta…” sussurra commosso, osservandola bere fin troppo rapidamente un altro sorso ghiacciato.
 
“Sai, credo di dovertelo io un ringraziamento per… per come rendi felice mia madre: erano anni che non la vedevo così… In realtà non so se l’ho mai vista così, rimbambimento da tempo delle mele a parte… anche se un po’ mi fa male ammetterlo, ma è la verità. E anche per tutto quello che hai fatto per me, per come ti comporti con me e soprattutto perché sento che non lo fai per farti bello di fronte a mia madre, ma che sei sincero.”
 
Questa volta è Gaetano a mandare giù una sorsata di tè per cercare di snodare il groppo gigantesco in gola: non è capace di fare altro, nemmeno di parlare. Si limita a scambiare uno sguardo grato e acquoso con la ragazza e capisce dal sorriso di lei, che si fa ancora più ampio, che non c’è bisogno di dire nulla.
 
“E comunque, la sai una cosa? Mi chiedo se questo weekend non sia anche una specie di castigo karmico o divino nei miei confronti… tipo legge del contrappasso,” proclama con autoironia, per stemperare la commozione, “devo riconoscere che non è piacevole avere a che fare con una persona costantemente aggressiva e ostile: me ne rendo conto adesso che mi trovo dall’altra parte. Non deve essere stato facile per mia madre sopportarmi negli ultimi mesi e anche con te non mi sono comportata sempre bene.”
 
“Ehi, innanzitutto tu hai 16 anni e sei in piena adolescenza, mentre Eva è adulta e poi ti garantisco che tu in confronto ad Eva eri gentile, calma e conciliante,” replica con un sorriso e con tono leggero, dato che non vuole che la ragazza si senta in colpa, “però sono felice che tu ti sia riconciliata con tua madre: lei ti vuole davvero un bene dell’anima, Livietta, e so che anche tu gliene vuoi altrettanto.”
 
“Adesso basta, però: così non vale!” proclama Livietta dopo un’altra sorsata di tè, dandogli un colpo sul braccio ed asciugando rapidamente una lacrima sfuggitale a tradimento dall’occhio destro, “anche se devo ammettere che dopo aver visto la tua ex moglie in azione non potrò mai più lamentarmi di mia madre e del fatto che sia pesante. Lo so che non dovrei dirlo, ma è così.”
 
Gaetano si limita a sospirare e a scuotere il capo: sa che dovrebbe protestare o tentare di difendere Eva, ma con Livietta non gli riesce proprio di essere ipocrita o di dire cose che non pensa.
 
“Anzi, lo sai che cos’è che mi stupisce di più? Che mia madre ed Eva sono diverse come il giorno e la notte. Certo, hanno tutte e due un carattere tosto, la testa dura come il granito e quando si mettono in testa una cosa è impossibile smuoverle, ma mia madre è sempre stata un po’ folle, in senso buono, casinista. Ci sono poche cose su cui non transige ma per il resto è tollerante e aperta, anche un po’ anarchica. E si affeziona in fretta alle persone, quasi le adotta quando le vede nei guai, e poi è solare e vive tutto di pancia, fin troppo. Mentre Eva è molto fredda, rigida e somiglia ad un sergente maggiore alla Full Metal Jacket. Invece tu, anche se sei un poliziotto, mi sembri più un tipo alla vivi e lascia vivere, finché non c’è un crimine o un qualcosa di veramente grave di mezzo.”
 
“Lo so… Diciamo che ho sempre avuto una tendenza a scegliere donne dal carattere forte. E con Eva all’inizio è stato un caso di opposti che si attraggono ma poi…”
 
“Ma poi esplodono?”
 
Si guardano nuovamente e nemmeno in questo caso c’è bisogno di parole. Stanno finendo in silenzio gli ultimi sorsi di tè, quando vengono raggiunti da una vocina familiare.
 
“Papà, Livietta!”
 
Tommy ed Eva li raggiungono: la donna sempre con un’espressione seria ed indecifrabile, mentre il bambino sembra felice e sorridente.
 
“Allora, ti sei divertito?”
 
“Tanto, papà: la casa di Prezzemolo era bellissima! E anche il trenino e la fattoria e-“ comincia a raccontare, chiaramente entusiasta.
 
“Tua madre non è con voi?” domanda Eva a Livietta, mentre Tommy continua con il suo resoconto dettagliato al padre.
 
“No, è andata in bagno,” spiega la ragazza, sorpresa da quella domanda.
 
“Dovrei andarci anche io. Curate voi Tommy un attimo?” chiede di nuovo con nonchalance, voltandosi per avviarsi verso le toilette prima ancora di ricevere risposta.
 
Gaetano e Livietta si scambiano uno sguardo preoccupato mentre Tommy, ignaro di tutto, prosegue come una macchinetta a fare la cronistoria di tutto ciò che ha visto e fatto in loro assenza.
 
“Rieccomi! Scusate, vi ho fatto aspettare? C’era coda e…”
 
“Mamma!” esclama Livietta, sollevata, vedendosela comparire di fronte all’improvviso.
 
“Tommy, sei tornato dalle giostre? Ma la mamma dov’è?” chiede la donna, stupita dal tono della figlia: come se fosse appena tornata da una guerra e non da una toilette.
 
“Eva è andata in bagno. Credo vi siate mancate di poco,” risponde Gaetano, con uno sguardo più eloquente di mille parole.
 
“Capisco,” sospira Camilla, “beh, allora la aspettiamo qui. Tommy, che ne dici se anche noi ci beviamo qualcosa?”
 
Il bambino fa segno di sì con la testa ma poi la sua espressione si illumina di colpo.
 
“Guardate, c’è Prezzemolo! Ci facciamo una foto con lui, tutti insieme? Per favore!” li implora, indicando la mascotte che gira per il parco con il suo costume verde, facendo foto con le persone che lo fermano.
 
“Ok, dai, ci proviamo,” concorda Gaetano, provando in cuor suo un moto di compassione per il poveretto che deve indossare quello scafandro peloso con questo caldo.
 
Dopo un po’ di coda finalmente riescono ad avvicinare la mascotte. Camilla propone di scattare lei la foto ma una signora più anziana gentilmente si offre di fare uno scambio: lei scatterà la foto a Tommy, Camilla, Gaetano e Livietta mentre loro la scatteranno a lei, a suo marito e alla loro nipotina, una bimba che sembra avere più o meno l’età di Tommy.
 
E così, dopo qualche tentativo con le rispettive macchine fotografiche, entrambi i bimbi hanno la tanto ambita foto ricordo con il drago.
 
“Cosa si dice alla signora?” domanda Gaetano a Tommy, facendogli l’occhiolino.
 
“Grazie mille, signora!” proclama il bimbo con un sorriso, come gli ha insegnato il padre.
 
“Ma che bambino beneducato: di questi tempi è raro, purtroppo! Come ti chiami?”
 
“Io sono Tommy, molto piacere!” risponde, tendendole la mano.
 
“E io sono Agata, il piacere è mio. E questa è mia nipote Gaia, ma è un po’ timida,” replica l’anziana, indicando la bimba che si nasconde dietro alle sue gambe.
 
“Ciao Gaia!” la saluta Tommy, agitando la manina, mentre la bimba dopo un attimo di esitazione ricambia.
 
“E tu come ti chiami invece?”
 
“Io sono Livietta,” risponde la ragazza, divertita dal tono curioso dell’anziana, porgendole a sua volta la mano.
 
“Eh, ormai tu sei grande,” proclama la signora, contraccambiando la stretta per poi aggiungere, senza perdere un colpo, rivolta a Camilla e Gaetano, “eh i figli crescono così in fretta: sembra ieri che sono piccoli e dopo poco se ne vanno di casa… ma almeno poi ci si consola con i nipotini.”
 
“Beh, per i nipotini c’è tempo…” abbozza Camilla cercando di sorridere: la sola idea di Livietta incinta a 16 anni le provoca un attacco di panico.
 
“No, no, certo… e poi voi avete fatto bene a distanziare, così vi godete ancora per un po’ questo piccoletto,” dichiara l’anziana con un altro sorriso, per poi scrutare di nuovo bene lui e Livietta e affermare, dopo un attimo di riflessione, “certo che avete proprio dei figli bellissimi: complimenti! Tu piccolino assomigli di più alla tua mamma, mentre tu al papà: soprattutto gli occhi.”
 
Gaetano e Camilla si guardano e si rendono conto per la prima volta che in effetti i colori dei propri figli, per una specie di strano scherzo del destino, sono più simili a quelli dell’altro.
 
“La ringrazio signora, ma in realtà-“ prova a spiegare Camilla, ma non fa in tempo.
 
“In realtà Tommy è MIO figlio,” interviene la voce di Eva alle loro spalle, facendoli sobbalzare e sottolineando il mio in un modo che non fa presagire niente di buono.
 
“E Livietta invece è mia figlia,” aggiunge Camilla, cercando di mascherare un po’ l’entrata a gamba tesa di Eva.
 
“Ah… capisco… cioè in realtà con queste famiglie allargate moderne si fa sempre confusione,” ribatte l’anziana, chiaramente a disagio, avendo colto perfettamente il tono di Eva, “bene, allora vi ringraziamo ancora per la foto e andiamo. Arrivederci!”
 
E, a passo rapido considerata l’età, lei, il marito e la piccola Gaia spariscono di lì a poco tra la folla.
 
***************************************************************************************
 
“Come sarebbe a dire che non ci sono altre camere??!!”
 
La voce di Eva, tuonante più di quella di Zeus dalla cima dell’Olimpo, riecheggia per la hall, mentre il povero receptionist la guarda quasi spaventato.
 
L’incidente della foto ricordo fatta senza di lei e dello “scambio di maternità” aveva di nuovo inasprito il clima e da lì era stata tutta un’escalation, forse anche perché Eva era visibilmente stremata. Ma quando Gaetano aveva provato a suggerirle di andare a riposarsi in albergo aveva ricevuto un’occhiata degna di Shining, seguita da un tagliente “non penserete di liberarvi così facilmente di me, vero?”, che, agli occhi di Gaetano, parevano mille volte più minacciose di qualsiasi intimidazione avesse mai ricevuto dai vari criminali che aveva avuto il dispiacere di conoscere negli anni di onorato servizio.
 
Dopo aver ritrovato per pura fortuna un’altra mascotte di Prezzemolo, avevano tentato di convincere Eva a farsi questa benedetta foto col figlio, ma ovviamente per lei era diventata una questione di principio.  A nulla erano serviti i loro tentativi di spiegarle che era già difficile riuscire ad avvicinarsi alle mascotte, con la calca che c’era, e che quindi convincerle a fermarsi ad aspettare qualcuno era praticamente impossibile.
 
Dopo un giro sul brucomela e sulle tazze rotanti e le relative code, per fortuna abbastanza brevi, in un’atmosfera da thriller psicologico, si era fatto finalmente tardi ed erano riusciti ad andare in albergo, promettendo a Tommy che il giorno dopo ci sarebbe ancora stato il tempo per visitare qualche altra attrazione.
 
Ma, ritirati i bagagli al deposito e arrivati alla reception, ecco l’amara scoperta: non c’erano altre camere libere, tutto prenotato, quindi avrebbero dovuto adattarsi con le due camere già riservate. Una matrimoniale e una doppia a tema subacqueo, che doveva essere destinata a Livietta e Tommy.
 
“Te l’ho detto che dovevamo venire qui subito stamattina!” esclama Eva furiosa, rivolgendosi all’ex marito.
 
“Ma il check-in iniziava oggi pomeriggio, Eva,” prova a farla ragionare Gaetano, con un sospiro.
 
“E poi signora non sarebbe cambiato nulla: tutti i posti sono prenotati da giorni. Nei weekend d’estate siamo quasi sempre al completo,” spiega il receptionist, probabilmente avendo pietà di Gaetano.
 
“E quindi che facciamo, eh?” domanda Eva, esasperata, incenerendo tutti i presenti con lo sguardo, “in ogni caso io voglio dormire con MIO figlio!”
 
Camilla e Gaetano si guardano, indecisi su cosa fare. È evidente che ci sono solo due soluzioni fattibili e non troppo imbarazzanti: o Livietta divide la stanza doppia con Eva e Tommy oppure…
 
“Gaetano, se vuoi andare nella doppia con Tommy e con Eva, per me non ci sono problemi,” propone Camilla con un sospiro, per nulla entusiasta all’idea, ma non sentendosela di costringere la figlia a sopportare Eva pure per la notte e sapendo benissimo che Gaetano non l’avrebbe mai suggerito per rispetto a lei, anche se, tutto sommato, lui ed Eva probabilmente nei giorni successivi avrebbero condiviso nuovamente il suo appartamento fino alla partenza della svedese e del bimbo per Los Angeles. Una notte nella stessa stanza ma in due letti separati non avrebbe fatto molta differenza e poi ci sarebbe stato anche Tommy con loro.
 
Sia Gaetano che Eva la guardano sorpresi, soprattutto Gaetano che, dopo la scenata di gelosia nei confronti del medico legale della sera precedente, non si sarebbe mai aspettato una simile proposta.
 
“Camilla, mi stupisce! O lei e Gaetano siete sostenitori della – come si dice? – coppia aperta?” chiede Eva con un sorrisetto sarcastico e tono tagliente, “in effetti, dati i precedenti di Gaetano, forse è una saggia decisione per non impazzire. Era questo che intendevi quando dicevi che tu e lei eravate compatibili?”
 
“Eva…” sibila Gaetano, mentre Tommy con tono innocente chiede che cosa sia una coppia aperta e il receptionist assume ancora di più l’aria di chi vorrebbe essere dappertutto ma non lì.
 
“No, non siamo una coppia aperta. Anzi, se Gaetano provasse ad aprire io chiuderei immediatamente con lui. Ed immagino che Gaetano farebbe, giustamente, lo stesso nel caso contrario. Però innanzitutto mi fido di lui ed inoltre perché succedano certe cose bisogna essere in due a volerle, e, dati i pregressi che lei cita e dato il suo atteggiamento, presumo che da parte sua non ci sia alcun interesse o pericolo in tal senso. O sbaglio?” domanda Camilla trafiggendola con uno sguardo eloquente.
 
“Certo che no!” esclama Eva con aria di superiorità, come se la sola idea di andare a letto con l’ex marito fosse per lei nauseante.
 
“Benissimo, e allora-“
 
“Se per voi va bene, starei io con Eva e Tommy,” si offre Livietta, interrompendo la madre prima che possa finire la frase.
 
“Sei sicura?” domandano praticamente in contemporanea Camilla e Gaetano, guardandosi e poi guardando la ragazza, mentre Eva alza gli occhi al cielo.
 
“Beh, sì, certo, se non è un problema per lei,” aggiunge la ragazza, rivolgendosi alla svedese.
 
“Fate un po’ come volete: io tanto dormo con Tommy. Però voglio andare a letto presto e non essere disturbata!” proclama Eva, squadrando Livietta con sufficienza e sospetto.
 
“Beh, anche io sono stanca, quindi non c’è problema,” replica Livietta, straordinariamente paziente.
 
E così, prese le chiavi e sbrigate le formalità, si avviano verso le loro stanze. Prima che Livietta sparisca nell’ascensore insieme alla svedese e a Tommy, Camilla e Gaetano le fanno un ceno di intesa colmo di gratitudine.
 
“Secondo te basterà come ringraziamento comprarle un’automobile quando avrà 18 anni?” sussurra Gaetano ironico, beccandosi per tutta risposta un colpo sul braccio.
 
“Basta che non ci tocchi pagarle anni di analisi per superare i traumi provocati da questa gita,” mormora Camilla di rimando, scuotendo il capo, “anzi, chissà se fanno uno sconto famiglia? Perché potrei averne bisogno anche io.”
 
“A chi lo dici…” sospira Gaetano, rassegnato, prima di passarle un braccio intorno alle spalle, prendere i loro borsoni ed entrare nell’ascensore.
 
***************************************************************************************
 
“Davvero non ti avrebbe dato fastidio se io ed Eva avessimo passato la notte insieme?”
 
Camilla alza gli occhi dal cellulare – stava finendo di rispondere ad un messaggio di Andreina – e guarda verso il letto matrimoniale: Gaetano, in boxer, è già seduto sotto le lenzuola, dal lato sinistro, come al solito, anche se poi durante la notte spesso le posizioni si invertono.
 
“Definiscimi ‘passare la notte insieme’,” ribatte Camilla con un sopracciglio alzato, avvicinandosi al letto, depositando il cellulare sul comodino e sedendosi al suo fianco, ma sopra le lenzuola.
 
“E dai, professoressa, lo sai cosa voglio dire,” replica Gaetano sorridendole ed allungando una mano per accarezzarle i capelli, “e poi c’è una sola definizione possibile e basta.”
 
“Sarà meglio!” esclama lei sorridendogli di rimando, ma con una nota di avvertimento nella voce, dandogli due colpi con il dito indice all’altezza dello sterno.
 
Per tutta risposta, il sorriso di Gaetano si fa ancora più ampio, mentre le afferra la mano e la usa come leva per trascinarla a sedersi sulle sue ginocchia, anche se con il lenzuolo di mezzo.
 
“Che c’è? Sembri quasi soddisfatto,” gli fa notare lei, fissandolo negli occhi.
 
“Mi prendi per matto se ti dico che il fatto che tu sia gelosa di me un po’ mi fa piacere, anche se non ne hai motivo?” le domanda Gaetano, dopo un attimo di esitazione, affrettandosi poi a precisare, “non quando per questo arriviamo a litigare o non se tu stai male, come ieri sera. Ma sapere che la cosa non ti sarebbe stata indifferente mi rassicura, in un certo senso, capisci cosa intendo?”
 
“Ti capisco benissimo e non sei matto per nulla,” risponde lei, intenerita, approfittando della posizione per dargli un rapido bacio sulle labbra, “e ti garantisco che, ci fosse stata chiunque altra al posto di Eva, non mi sarei mai sognata di proporre una cosa simile. O se non ci fosse stato Tommy con voi. Però mi fido di te e so che non saresti mai così masochista da provarci di nuovo con Eva, visto come sono andate le cose tra voi e visto come ti tratta. E poi la situazione con Eva è talmente delicata e c’è il rapporto con tuo figlio di mezzo, quindi nei limiti del possibile non voglio crearti più problemi di quelli che già ci sono.”
 
Anche a cena l’atmosfera era stata così tesa che a tutti era sembrato di camminare appesi ad un filo sopra ad un burrone. Eva aveva ordinato per sé e per Tommy due piatti tristissimi, quasi da ospedale, e si era dopo poco ritirata nelle sue stanze con il figlio, nonostante le proteste del bimbo di non avere ancora sonno. Il modo in cui Tommy aveva adocchiato il carrello dei gelati da cui si stavano servendo altri bimbi aveva stretto ad entrambi il cuore. Si erano intrattenuti con Livietta fino a che avevano potuto e poi la ragazza era andata stoicamente incontro ad una nottata non facile, augurandosi che Eva dormisse già.
 
“Tu non mi crei mai problemi, mai,” la rassicura lui deciso, accarezzandole il viso, “anzi, mi aiuti ad affrontarli e a risolverli. Non so come avrei fatto oggi se non ti avessi avuta al mio fianco: mi dai una forza che nemmeno immagini.”
 
“Gaetano…” sussurra lei commossa, accarezzandogli il viso di rimando, “anche tu mi dai tanta forza… E io non so come avrei affrontato le ultime settimane, gli ultimi mesi senza di te. Quando sei con me sento di poter superare qualsiasi ostacolo ed è sempre stato così, sempre, da quando ti conosco.”
 
Un sorriso, un bacio, un “vieni qui!” sussurrato, un tuffo sotto le lenzuola. Fuori il resto del mondo.
 
***************************************************************************************
 
“Non dormi, vero?”
 
La voce improvvisa, anche se bassa, poco più di un sussurro, la fa sobbalzare: spalanca gli occhi e si volta, notando che la luce fioca del comodino del letto accanto al suo proietta ombre quasi oniriche sulle pareti decorate della stanza, una riproduzione quasi perfetta di una barriera corallina, insieme a quella che viene dal maxischermo che funge da finto acquario.
 
Sarebbe stato divertente giocarci con Tommy, vedere il suo entusiasmo e sentirlo ridere: aveva di recente scoperto che, per qualche strano motivo, riuscire a far divertire Tommy, guardarlo sorridere, le provocava una strana sensazione di soddisfazione e di pace che era una delle cose più belle che avesse mai provato in vita sua. E poco importava che lei ormai fosse grande per i giochi o per una stanza come questa, anche se, fino a qualche anno fa, sarebbe stato un sogno poterci passare una notte.
 
Invece aveva dovuto prepararsi e mettersi a letto cercando di essere più silenziosa di un ninja, per non svegliare Tommy e, soprattutto, Eva, che sembravano dormire placidamente nel letto a conchiglia.
 
Ma ora la svedese è seduta nel letto e la osserva con quei suoi occhi di ghiaccio che brillano nella semioscurità, mentre Tommy riposa ancora tranquillo accanto a lei, sotto le lenzuola azzurre. Livietta sbircia l’ora sul suo orologio digitale: le due di notte.
 
“No, non dormivo,” conferma Livietta, mettendosi anche lei a sedere: il rumore delle onde di sottofondo dovrebbe rilassarla e forse normalmente sarebbe stato così. Ma dopo una giornata con i nervi a fior di pelle e data la compagnia, il fruscio dell’acqua non fa altro che ricordare al suo inconscio che non è nella tranquillità della sua stanza, ma in territorio, almeno in parte, decisamente ostile.
 
Un pochino si pente di essersi messa di traverso e di aver suggerito questa sistemazione per la notte. In realtà non sa bene nemmeno lei perché l’abbia fatto, ma dopo aver sentito le battutine di Eva nei confronti di sua madre e di Gaetano era stato più forte di lei.
 
“Lo sentivo dal respiro,” proclama la svedese, in un modo che a Livietta provoca una certa inquietudine, “io mi sono svegliata, colpa del cambio di fuso orario, credo.”
 
Livietta si limita ad annuire, non sapendo bene come rispondere.
 
“Mi potresti togliere una curiosità, Livietta?” domanda, pronunciando nuovamente il suo nome come se fosse una parola difficile ed assurda, “che ci fai qui?”
 
“Come?” chiede Livietta, interdetta.
 
“Che ci fai qui? In questa stanza, in questo parco, qui. Hai 16 anni e alla tua età il weekend si passa di solito in altro modo, non badando al figlio del nuovo amico della propria madre o andando in giro con loro e con l’ex moglie del nuovo amico della propria madre per un parco divertimenti. È vero che voi italiani siete più mammoni e meno indipendenti di noi svedesi, ma mi sembra strano perfino per i vostri standard.”
 
Livietta sospira, mentre alla voglia di strozzare la donna per i suoi giudizi sparati con quel tono di superiorità divina si unisce la consapevolezza che in fondo non ha tutti i torti. Se fino ad un mese fa qualcuno le avesse detto che avrebbe accettato di trascorrere un weekend del genere invece che stare con i suoi amici, gli avrebbe riso in faccia. Ma tra le strane scoperte di queste ultime settimane c’era il fatto che anche passare un po’ di tempo con Tommy, con Gaetano e con sua madre non era affatto male, anzi, poteva essere molto divertente. C’era una vocina che continuava a sussurrarle all’orecchio che l’adorabile impiastro le sarebbe mancato tantissimo nei prossimi mesi a Los Angeles. E la sola idea di deludere Tommy le faceva venire un nodo in gola.
 
“Ma soprattutto di solito quando i propri genitori si separano i figli non sono contenti, anzi, e spesso provano rabbia o risentimento verso i nuovi compagni dei propri genitori. Invece tua madre molla tuo padre per Gaetano e tu non solo non ce l’hai con lui o con lei, non sembri arrabbiata e delusa, ma anzi ti offri perfino di dividere la stanza con una sconosciuta per permettere a loro di passare la notte insieme. A me sembra una cosa completamente assurda e senza senso!”
 
“Sono stata arrabbiata e delusa, molto, ma… come posso spiegarle? I miei si erano già separati qualche anno fa, poi sono tornati insieme ma non ha funzionato. Le cose tra loro non andavano più da tempo e Gaetano c’entra solo in parte,” chiarisce Livietta con un sospiro, “anzi, Gaetano rende molto felice mia madre e… anche quando lui e Tommy sono stati ospiti da noi all’inizio non ero entusiasta all’idea ma poi non ho potuto non ammettere che il clima in casa è molto migliorato: più sereno, disteso. Mentre con mio padre c’era purtroppo sempre tensione e un’atmosfera pesante.”
 
“Gaetano rende felice tua madre?” domanda Eva con una mezza risata amara, per poi aggiungere, caustica, “non ne dubito, Livietta, ma mi chiedo e dovresti chiederti anche tu per quanto.”
 
Livietta si limita a sospirare, capendo benissimo dove voglia andare a parare la donna.
 
“Non so quanto tu conosca realmente Gaetano,” incalza l’altra donna, notando il silenzio della ragazza, “ma il mio ex marito non è esattamente noto per la durata delle sue storie o per la sua fedeltà. Che poi è proprio il motivo per cui è il mio EX marito.”
 
“Lo conosco abbastanza da sapere che ha avuto tante donne, sì. Ne ho anche conosciute alcune. Ma quando è con mia madre lo vedo sincero e penso che sia davvero molto innamorato di lei,” spiega Livietta, dopo un profondo respiro, pronta ad affrontare la reazione che è certa ne seguirà.
 
“Sincero? Innamorato?” ripete Eva con tono canzonatorio ed una mezza risata, “come si dice in Italia? Beata innocenza? Gli uomini come Gaetano non cambiano, Livietta, anzi, di solito con l’età peggiorano.”
 
“E allora perché l’ha sposato e ci ha fatto un figlio?” domanda Livietta di getto, di istinto, richiudendo quasi di scatto la bocca, atterrita, quando si rende conto di cosa ha detto.
 
Si aspetta un’esplosione che non arriva, forse anche perché Tommy dorme ancora placidamente accanto ad Eva, ma la donna la osserva in silenzio per qualche secondo prima di sollevare un sopracciglio ed un angolo della bocca in un’espressione stranamente divertita, che le ricorda quella del gatto quando gioca con il topo prima di mangiarselo in un sol boccone.
 
“Perché non lo conoscevo e mi sono lasciata ingannare dai suoi modi, da come si comportava. Quando Gaetano si mette in testa di conquistare una donna sa essere davvero convincente: concentra tutta la sua attenzione su di te, ti fa sentire unica, il centro del suo mondo ed è molto difficile resistergli. Anche io credevo che lui fosse follemente innamorato di me e invece… Non so se sia tutta una recita o se lui si convinca sul serio di quello che fa e dice, ma, una volta ottenuto ciò che vuole, dopo poco si stanca e passa oltre. E se hai conosciuto alcune delle sue donne dovresti conoscere anche il suo modus operandi.”
 
“Più che altro ne ho conosciuta una, ma, anche se ero una bambina, ricordo che Gaetano con lei era molto diverso da com’è adesso con mia madre, e poi-“ si tronca bruscamente, mordendosi la lingua.
 
Stava per dirle che Gaetano era stato da sempre innamorato di sua madre ma la vocina dell’istinto, quella che l’aveva tirata fuori dai guai in più di un’occasione, anche se non sempre, purtroppo, le suggerisce che questa è un’informazione che sarebbe troppo pericoloso condividere con Eva, sebbene potrebbe forse metterla a tacere una volta per tutte.
 
“E poi?” la incalza Eva, con espressione curiosa.
 
“E poi non ho potuto vedere invece come si comportava con lei, ovviamente,” corregge il tiro Livietta, sperando che Eva non lo noti, “e in ogni caso non sta a me giudicare. Però se, come ammette lei stessa, si è già sbagliata una volta sul conto di Gaetano, nel valutare quello che provava o non provava, e di grosso, non potrebbe sbagliarsi anche adesso?”
 
Per tutta risposta Eva spalanca gli occhi e poi mette una mano sulla bocca come a soffocare una risata, probabilmente per non svegliare il figlio.
 
“Sei divertente, lo sai? E sei più simile a tua madre di quello che pensavo: avete sempre la battuta pronta e volete avere l’ultima parola su tutto. Ma lo vedremo chi ha ragione e quasi mi dispiace, sai, sapere che tra qualche mese sparirete come tutte le altre amichette di Gaetano prima di voi.”
 
“Non sono un’amichetta di Gaetano e nemmeno mia madre lo è,” sibila Livietta, tra l’imbarazzato e l’indignato per il tono di Eva.
 
“No, no, certo, almeno con le minorenni Gaetano ancora si trattiene, per fortuna. E poi tu lo conosci da quando eri poco più grande di Tommy, mentre Camilla è l’amica di lunga, lunghissima data, giusto?” domanda Eva, non provando nemmeno a celare il sarcasmo sulle definizioni usate per lei e per sua madre.
 
“Sì, è la verità,” replica in tono neutro, deciso.
 
“Ah, non ne dubito, anche se tutta questa conoscenza è servita a ben poco…” ribatte Eva con supponenza, “in realtà mi domando come sia nata questa grande amicizia con tua madre. O era amico di tuo padre? Perché in quel caso sarebbe ironico, non credi?”
 
“No, Gaetano non è mai stato amico di mio padre,” precisa Livietta, trattenendosi dall’aggiungere che, anzi, i due uomini si erano sempre sopportati a fatica, per ovvie ragioni.
 
“Beh, però doveva essere un amico di famiglia, se tu lo frequentavi e addirittura hai conosciuto alcune delle sue donne,” fa notare Eva, celando a fatica la curiosità.
 
“È che ero amica e compagna di scuola di suo nipote Nino,” spiega Livietta, decidendo che, oltre ad essere, in fondo, la verità, è anche la versione meno compromettente da fornire, “e Gaetano per un periodo ha ospitato Nino a casa sua, quindi frequentando Nino è capitato che frequentassi anche lui e… casa sua, appunto.”
 
“Il figlio del marito di Francesca? È vero: più o meno ormai avrà la tua età…” commenta Eva, dopo un attimo di riflessione, quasi tra sé e sé.
 
“Esatto.”
 
“Quindi è così che tua madre e Gaetano si sono conosciuti?” domanda Eva con nonchalance, anche se Livietta capisce che si stanno dirigendo in un territorio molto minato. Ma rifiutarsi di rispondere non farebbe che peggiorare la situazione, anche se in fondo non sono affari che riguardino la svedese.
 
“No, penso si siano conosciuti per un caso di omicidio. Mamma era una testimone, credo, o qualcosa del genere. Ero piccola e chiaramente non mi parlavano di queste cose,” chiarisce, mantenendosi sul vago e lasciando che sia Eva a trarne le conclusioni.
 
“E tutto questo è successo quando i tuoi erano separati?” chiede Eva, con lo stesso tono apparentemente indifferente.
 
“No, no. I miei si sono separati un po’ di tempo dopo, quando vivevamo in Spagna e non frequentavamo già più Gaetano.”
 
Di nuovo sta, tutto sommato, dicendo la pura e semplice verità. Certo, lo sa bene anche lei che non è tutto così semplice e che la presenza di Gaetano aveva contribuito anche allora a peggiorare la crisi tra i suoi. Ma di fronte a questo interrogatorio di Eva, l’obiettività e la schiettezza lasciano il posto all’istinto di sopravvivenza e alla lealtà verso sua madre e verso Gaetano.
 
“E quindi poi con Gaetano non vi siete più rivisti per anni, giusto?”
 
“Sì, esatto. Quando siamo tornati a Roma, Gaetano credo fosse già da tempo qui al nord. Ci siamo incontrati di nuovo pochi mesi fa a Torino, quando abbiamo scoperto che era nostro vicino di casa,” conferma Livietta, ricordando qual era stato il suo primo pensiero nel rivedere il commissario e sua madre insieme: ci risiamo!
 
“E non hai mai pensato che magari quest’incredibile coincidenza non fosse affatto una coincidenza? Che lui e tua madre potessero essere rimasti in contatto negli anni e si fossero probabilmente messi d’accordo?” chiede Eva, l’espressione serpentina di nuovo sul viso.
 
“Certo che me lo sono chiesta. Ma l’appartamento l’ha scelto mio padre: era lui che lavorava a Torino già da un po’ di mesi e che ha insistito tanto perché io e mia madre ci trasferissimo. Ha organizzato tutto lui, quindi mia madre non c’entra, ne sono sicura,” afferma convinta Livietta e questa volta non ha bisogno di omettere o dissimulare.
 
“Com’è che si dice? Scavarsi il fossato da soli?” ribatte la svedese con una mezza risata.
 
“Il fosso. E comunque la presenza di Gaetano non ha fatto altro che accelerare l’inevitabile. I miei non potevano più stare insieme, non è stato facile ammetterlo né per me, né forse per loro, ma è così,” ribadisce Livietta con un sospiro.
 
“E quindi per te va tutto bene e sei contenta di metterti a giocare alla famigliola felice con Gaetano e Tommy?”
 
“Non gioco ad essere felice con loro: con Tommy e Gaetano è difficile annoiarsi e riescono sempre a farmi sorridere, anche quando sono giù di morale. È stato praticamente impossibile non affezionarsi a loro, soprattutto in queste ultime settimane, e voglio molto bene a tutti e due, anche se forse lei non mi crederà.”
 
L’espressione di Eva muta nuovamente: spalanca gli occhi e poi i lineamenti passano dal serpentino al felino. Apre bocca per ribattere ma qualcosa, o meglio qualcuno la blocca.
 
“Livietta…” sussurra Tommy, muovendosi ed aprendo gli occhi, per poi aggiungere con un sorriso, vedendo Eva accanto a lui, “mamma!”
 
“Tommy…”
 
“Ma state facendo un pigiama party? Bello!” esclama il bimbo, balzando a sedere sul letto, alternando lo sguardo tra la madre e Livietta.
 
“No, no, ci siamo svegliate ma stavamo tornando a dormire, giusto?” domanda Eva a Livietta, in un modo che rende evidente che ci sia un’unica risposta possibile.
 
“Giusto!” conferma la ragazza, a disagio, notando l’espressione di Tommy passare dall’entusiasta al deluso.
 
“Anzi, dai Tommy, rimettiamoci distesi, chiudiamo gli occhi e dormiamo che domani sarà una lunga giornata,” propone Eva con un tono che riesce ad essere dolce, affettuoso e autoritario insieme.
 
“Però io adesso sono sveglio e ho bisogno di una storia per rimettermi a dormire!” si lamenta il bimbo, guardando la madre con i suoi occhioni irresistibili.
 
“D’accordo, quale storia vuoi? Rapunzel?” concede Eva, sapendo che è la preferita del figlio.
 
“No, voglio quella di Nemo,” proclama Tommy con un sorriso, indicando la stanza intorno a sé.
 
“Il capitano Nemo?” chiede Eva, stupita dalla scelta del figlio.

“No, il pesciolino!” chiarisce il bimbo come se stesse dicendo un’ovvietà.
 
“È un film della Disney,” spiega Livietta, notando che Eva è in difficoltà e che probabilmente non lo conosce. Del resto era un film di qualche anno prima, ma era uno dei suoi preferiti da bimba ed era stata proprio lei a farlo vedere per la prima volta a Tommy.
 
“Livietta la sa bene la storia: me la puoi raccontare?” domanda Tommy, rivolto alla ragazza, implorante.
 
“Ehm, ok, sei sicuro che non ne vuoi un’altra di storia?” chiede Livietta, spiando la reazione tutt’altro che entusiasta di Eva, che pare fulminarla con lo sguardo.
 
“No, voglio quella!”
 
“D’accordo,” proclama Eva con un sospiro, coricandosi nuovamente nel letto e trascinando Tommy con sé, “dai, sentiamo questa benedetta storia!”
 
Livietta, sospirando di rimando, comincia a raccontare. Mano a mano che illustra le vicende del piccolo pesciolino Nemo che, soffocato dall’iperprotettività del padre Marlin – terrorizzato dalla paura di perdere il suo unico figlio – finisce per fare una bravata per ribellione e per venire catturato da dei pescatori e messo nell’acquario di un dentista, a cui segue un viaggio disperato del padre per ritrovarlo, non può fare a meno di chiedersi se si tratti di ironia della sorte o se Tommy stia, consapevolmente o inconsapevolmente, lanciando un messaggio ad Eva.
 
Va avanti a narrare a grandi linee le vicende del film fino a che sente i rumori e i respiri nella stanza farsi più tranquilli. Si ferma un attimo e osserva madre e figlio che dormono abbracciati stretti-stretti. Non sa se sia il gioco delle luci che si riflettono sulle pareti, scolpite come una barriera corallina, ma le sembra di vedere la traccia lucente di una lacrima rigare la guancia della svedese.
 
Con una strana sensazione dolceamara nel petto e nello stomaco spegne la luce, si corica e, dopo poco, senza rendersene conto, crolla tra le braccia di morfeo.
 
***************************************************************************************
 
“Ecco, lo sapevo: nelle mie scarpe potrebbero nuotarci i pesci! Ma voi italiani trovate proprio così divertente farvi sparare litri d’acqua addosso? A saperlo mi sarei messa gli scarponi da trekking come nella foresta pluviale!”
 
Gaetano alza gli occhi al cielo di fronte all’ennesima protesta indignata dell’ex moglie: e pensare che la giornata era iniziata in modo tutto sommato tranquillo. Eva era stata più silenziosa del giorno precedente, pareva quasi immersa nei suoi pensieri. Non aveva nemmeno protestato quando Tommy aveva chiesto di visitare le altre due attrazioni “bagnate” del parco: il “Colorado Boat” e la “Fuga da Atlantide”.
 
Armata di poncho impermeabile per lei e per il figlio, comprato ad un negozio del parco, nonostante il caldo torrido, aveva affrontato di buon grado la prima attrazione. E poi l’unico ad essere “lavato” era stato Gaetano, che si era messo nel seggiolino di fronte proprio per riparare gli altri.
 
Ma sulla “Fuga da Atlantide” le cose erano andate diversamente: tra le ondate e, soprattutto, i cannoni ad acqua, che si era rapidamente accumulata sul fondo della “barca”, ne erano usciti tutti completamente inzuppati, tranne Tommy che era stato messo da sua madre in centro alla “barca”, dove era ben protetto, e che non toccava a terra con i piedi e Livietta a cui un signore molto corpulento seduto accanto a lei aveva, involontariamente, fatto da scudo e che era munita di sandali infradito.
 
“Io devo andare a cambiarmi!” proclama la svedese, strizzando un po’ d’acqua dalla maglietta e togliendosi le scarpe da ginnastica da cui escono due pozze di liquido.
 
“Sì, in effetti forse è meglio,” concorda Camilla, sentendosi pesante come una spugna intrisa d’acqua.
 
“Dai, Tommy, andiamo!”
 
“Ma mamma, io non mi sono bagnato!” risponde il bimbo, mostrando i vestiti e le scarpe perfettamente asciutti.
 
“Se volete posso stare io con Tommy: anche io non mi sono bagnata,” si offre Livietta, aggiungendo poi con un sorriso, “tu Gaetano che fai?”
 
“Se tu rimani con lui io andrei a cambiarmi…”
 
Non solo dopo il secondo lavaggio è talmente zuppo che nemmeno il sole a picco potrebbe asciugarlo in tempi umani, ma soprattutto non vuole lasciare Camilla ed Eva da sole, se possibile.
 
“Va bene, se vuoi rimanere qui con Livietta puoi farlo, ma a due condizioni: niente schifezze che tra poco è ora di pranzo e soprattutto niente giostre pericolose, chiaro? E tu non devi perderlo di vista un secondo!”
 
Livietta, sorpresa dalla concessione della svedese, quasi non fa caso allo sguardo e al tono minacciosi con cui è stata proferita l’ultima “raccomandazione”.
 
“Ok, ok, state tranquilli: staremo attentissimi, vero Tommy?” la rassicura la ragazza, mentre Tommy conferma annuendo col capo.
 
Nel dubbio di cosa la svedese possa ritenere “pericoloso”, Livietta decide di andare sul sicuro e di portare Tommy nella nuova area a tema destinata solo ai bambini: “Prezzemolo Land”.
 
Nonostante le proteste di Tommy evita accuratamente il castello, dato che sparano con i cannoni ad acqua e sa benissimo quanto Eva non sopporti che il figlio si bagni e cominciano a fare il giro degli altri giochi, più simili a quelle di un parco cittadino che di un Luna Park o Parco Divertimenti.
 
Dopo i tappeti elastici e i ponti di corda e gli ostacoli della “catapulta” e delle “tavolozze di colore”, arrivano al “planetario”. Si tratta di una collina che i bimbi devono scalare con l’aiuto di corde. Una versione “asciutta” dei classici palloni giganti che si trovano nelle piscine dei parchi acquatici. Livietta rimane in disparte ad osservare mentre Tommy tenta la scalata.
 
Riceve un messaggio sul cellulare: è Gaetano che la avvisa che stanno tornando dal deposito bagagli e vuole sapere dove si trovano lei e Tommy per raggiungerli. Gli risponde rapidamente, mentre continua a tenere d’occhio il bambino, che sta avendo un po’ di problemi nell’arrampicata.
 
Infatti la parete della collina è in realtà bagnata, e quindi scivolosa, probabilmente perché parecchi bambini ci salgono ancora mezzi bagnati dopo il castello. Dopo un paio di tentativi a vuoto ci riprova per l’ennesima volta, ma il bambino che è salito prima di lui scivola poco prima di arrivare in cima e, cadendo indietro, travolge Tommy, spingendolo e ruzzolando insieme fino al piano.
 
“Tommy!” urla Livietta, preoccupata, avvicinandosi di corsa ai due bimbi, mentre una signora, presumibilmente la madre dell’altro bambino, si precipita insieme a lei.
 
“Tommy, stai bene?” chiede, con il cuore in gola, inginocchiandosi e prendendo tra le braccia il bimbo che piange disperato, “ti sei fatto tanto male? Cosa ti senti?”
 
Il bambino continua soltanto a piangere e a scuotere il capo, mentre Livietta fa la conta dei danni: un ginocchio sbucciato, qualche abrasione nella parte anteriore delle gambe, poco sotto il ginocchio, probabilmente per via delle scarpe indossate dall’altro bimbo, e i palmi delle mani con qualche lieve escoriazione, forse una bruciatura da corda. Il viso sembra intatto e con le dita tremanti si accerta che anche sotto i capelli non ci siano tagli. Del resto la superficie è morbida, studiata appositamente perché si possa cadere senza farsi male: il problema è il peso e l’impatto con l’altro bambino, che per fortuna non sembra essere stato molto forte.
 
“Puoi muovere le gambe e le braccia?” gli chiede, terrorizzata alla sola idea che possa essersi rotto qualcosa e il bimbo, seppur continuando a piangere, fa come chiesto.
 
Sta per tirare un sospiro di sollievo quando sente una voce che le fa gelare il sangue nelle vene. Proprio adesso…
 
“Tommy!” grida Eva, disperata, buttandosi quasi a terra accanto a lei e praticamente strappandole il bimbo dalle braccia, cominciando a parlargli in modo concitato in una lingua che non capisce e che di nuovo presume essere svedese.
 
“Sto bene mamma,” mormora Tommy, tra i lacrimoni, per rassicurarla, mentre la madre continua a passare in rassegna ogni centimetro di pelle, “mi fa male, ma sto bene.”
 
Eva sembra tranquillizzarsi un attimo, fa un profondo respiro, ma poi si volta verso di lei e l’espressione della donna, un misto di rabbia, paura e dolore, è la cosa più terrificante che Livietta abbia mai visto in vita sua.
 
“Tu!” sibila Eva, mentre Livietta di istinto si alza in piedi e fa un paio di passi indietro, spaventata, “ti lascio due minuti da sola con mio figlio e questo è il risultato?!”
 
“Mi dispiace io-“ cerca di spiegarsi la ragazza, ma la donna ormai è una furia.
 
“Ti dispiace? TI DISPIACE??!! Sai cosa me ne faccio io del tuo dispiacere? NIENTE! Non me ne frega niente se ti dispiace!!” urla Eva, alzandosi anche lei in piedi, completamente fuori di sé.
 
“Ma la ragazza non c’entra niente: è stato un incidente,” prova ad intervenire la madre dell’altro bambino, dimostrando un certo coraggio.
 
“Lei non si intrometta!” sibila Eva, fulminandola con lo sguardo, “e ringraziate il cielo, tutte e due che Tommy sembra non essersi fatto nulla di grave, altrimenti!”
 
“Eva… anche io mi sono spaventata molto e mi dispiace davvero, ma… sono bambini, sono cose che succedono giocando,” cerca di farla ragionare Livietta, con tono conciliante e sinceramente dispiaciuto.
 
“Sono cose che SUCCEDONO??” urla di nuovo Eva, avvicinandosi a Livietta in modo minaccioso, fino ad esserle praticamente addosso, afferrandola per la maglietta e strattonandola, sputando fuoco dagli occhi, “non sono cose che possono o che devono succedere! Non A MIO FIGLIO!”
 
“Eva, calmati! Calmati, maledizione: adesso basta!”
 
Livietta sente la donna mollare la presa, alza gli occhi e vede Gaetano che trattiene tra le braccia l’ex moglie, bloccandola.
 
“Lasciami!” urla la svedese, divincolandosi. Riesce in qualche modo a liberarsi ma un’ombra si inframmezza tra lei e Livietta.
 
“Mamma!” esclama la ragazza, tra il sollevato e il preoccupato, guardando Camilla, davanti a lei, a farle quasi da scudo, i pugni stretti e il corpo visibilmente ansante, probabilmente per la corsa fatta.
 
“Non si azzardi MAI PIÙ a mettere le mani addosso a mia figlia o a trattarla in questo modo! SONO STATA CHIARA?!” grida Camilla, affrontando la svedese faccia a faccia.
 
“Ma-“
 
“Ma, niente! Adesso basta, capito? BASTA! Sono due giorni che sopportiamo: sopportiamo le sue battute, le sue frecciatine, i suoi malumori, le sue facce schifate, i suoi musi, i suoi veti, i suoi sbalzi d’umore. E mi pento amaramente di aver coinvolto mia figlia in questa gita, di averla quasi indotta a subire tutto questo! E sa perché abbiamo tollerato, pazientato fino adesso? Mia figlia perché, lo so, vuole un bene dell’anima a Tommy e anche a Gaetano e non voleva deluderli o creare problemi e io, oltre a tutto questo, perché sono una madre e capivo, da madre, che lei si comportasse in questo modo perché ha paura di perdere suo figlio o che gli possa capitare qualcosa di male. Ma adesso, da madre, quello che devo fare è innanzitutto evitare che alla mia di figlia capiti qualcosa di male o che possa pensare che subire un trattamento simile, anche se per amore di qualcuno, sia lecito o accettabile!”
 
“Lei non capisce: lei non sa cosa significa crescere un figlio da sola! Tommy è l’unica cosa che ho e per colpa di quell’incosciente di sua figlia poteva non solo capitargli qualcosa di male, ma subire danni gravissimi!” urla la svedese di rimando, avvicinandosi ancora di più a Camilla.
 
“Io non posso capire? Ma cosa crede, di averli solo lei i problemi? Di aver sofferto solo lei? Io non avrò cresciuto mia figlia da sola nei suoi primi anni di vita, per fortuna, ma sono stata mollata da mio marito per un’altra donna, di punto in bianco, dopo 15 anni di matrimonio, e lasciata sola con una bambina ancora piccola, in un paese che non era il mio, di cui capivo e parlavo a malapena la lingua e dove non conoscevo nessuno! Mi sono dovuta trasferire di nuovo in Italia, ringraziare il cielo di avere ancora un lavoro, perché ero in aspettativa, ed implorare l’aiuto di mia madre per tirare avanti e far quadrare i conti. E cercare di non far mancare nulla a mia figlia, dato che il padre viveva a migliaia di chilometri da noi e si vedevano a volte un weekend al mese. Ma non per questo mi sono mai sognata di comportarmi come si comporta lei! Anzi, non solo ho accettato senza problemi che mia figlia frequentasse il mio ex marito, ma quando Livietta si è affezionata tantissimo alla nuova compagna del padre, che non era una sconosciuta che non mi aveva mai fatto nulla di male nella vita, ma una donna che avevo frequentato e considerato quasi un’amica e che non si è fatta alcuno scrupolo a provarci con mio marito, non mi sono mai opposta e ho cercato in ogni modo di tenermi dentro i miei risentimenti personali e di non farglielo pesare, anche se faceva male. E sa perché? Perché volevo il bene di mia figlia, prima ancora del mio e sapevo che il bene di mia figlia era poter stare liberamente anche con suo padre, poter avere il suo amore, potergli voler bene e fare parte della sua nuova vita, senza doversi sentire in colpa nei mei confronti per questo!”
 
“Anche io voglio solo il bene di mio figlio! E la sua storiella strappalacrime può anche risparmiarsela: cosa dovrei fare, commuovermi per lei?” domanda Eva, sarcastica.
 
“Ma per la carità! Anche perché, pure se avessi avuto la vita più perfetta, più fortunata e meravigliosa di questo mondo, se non avessi mai avuto un solo problema da quando sono nata, questo comunque non le darebbe alcun diritto di trattare me e mia figlia come ha fatto in questi giorni! E lei comportandosi come si comporta non fa affatto il bene di Tommy: lei sta pensando solo al suo di bene, alle sue di paure. I figli non sono oggetti di nostra proprietà, su cui abbiamo l’esclusiva e nulla, NULLA, nemmeno l’aver fatto sacrifici per loro, per metterli al mondo, per farli crescere, fossero anche dei sacrifici enormi, ci da il diritto di avere alcuna pretesa in tal senso. Lei continua a lamentarsi di aver cresciuto Tommy da sola, e di questo mi dispiace per lei e non oso nemmeno immaginare quanto sia stato difficile, sotto tutti i punti di vista, ma adesso che non è più sola, invece di esserne felice mi sembra ce la stia mettendo tutta per ritornare ad esserlo. Lo capisce che non ha senso?”
 
“Lei non può permettersi di parlarmi così! Che cosa crede, eh? Di potermi insegnare a fare la madre?” grida Eva, le vene del collo in evidenza, i  pugni chiusi, come un animale pronto a scattare.
 
“Ma assolutamente no! È lei che ha passato gli ultimi due giorni ad impartirci lezioni di vita non richieste, è lei che pensa di essere detentrice della verità assoluta e si permette non solo di parlare agli altri, ma soprattutto di trattarli come se fossero dei poveri deficienti. Io invece so benissimo che lei è molto intelligente, Eva, e proprio per questo, perché non mi capacito che una donna intelligente, moderna, indipendente come lei, che la donna che ha cresciuto un figlio da sola, un bambino buono, equilibrato e sano come Tommy, possa essere la stessa donna che da in escandescenza per un po’ di zucchero o per un goccio d’acqua o per un ginocchio sbucciato, mi permetto di darle un consiglio, non solo da madre ma da insegnante. Lei vuole avere il controllo totale su suo figlio, pensa di averlo e forse ora che Tommy ha cinque anni ce l’ha anche: Tommy non può fare granché senza di lei, senza un adulto nei paraggi. Ma Tommy non avrà cinque anni per sempre, crescerà e crescerà molto più in fretta di quanto lei possa immaginare. E passerà sempre meno tempo con lei e avrà sempre di più i mezzi per fare ciò che vuole, senza che lei possa impedirglielo. Ma nessuno meglio di lei dovrebbe saperlo, dato che, come non si stanca di ricordarci, voi scandinavi siete molto più aperti e moderni di noi poveri italiani e a 16 anni spesso già andate via di casa, massimo a 18. Nella mia carriera di figli di madri iperprotettive ne ho visti tanti, tantissimi e sa che fine fanno di solito? O sono talmente insicuri, talmente privi di qualsiasi fiducia in se stessi che diventano vittime di ogni bulletto che trovano sul loro cammino, subendo i maltrattamenti peggiori, o, al contrario, sfiniti ed esasperati, si ribellano e o finiscono in brutti giri, o si imbarcano nelle imprese più assurde e pericolose, o addirittura scappano di casa. È questo che vuole?”
 
La svedese, per la prima volta da quando la conosce, non sembra avere la battuta pronta, non risponde, non ribatte e pare quasi sgonfiarsi, mentre alterna lo sguardo tra Camilla, Livietta, immobile come una statua di sale poco dietro di lei e Tommy, che è ancora steso a terra poco distante, con accanto Gaetano e la madre dell’altro bimbo, che le guarda con aria sconvolta ed imbarazzata, come se volesse trovarsi ovunque tranne lì, ma allo stesso tempo non riuscisse a muoversi, quasi ipnotizzata.
 
“Lo so che la sola idea di perdere il proprio unico figlio è… inconcepibile, che preferiremmo farci ammazzare, torturare, che non vorremmo mai che soffrissero, che sbagliassero, che avessero dei problemi, che vorremmo potercene fare noi carico, che vorremmo poterli proteggere da tutto, ma non possiamo. Non possiamo vivere al posto loro: perché è la loro vita, non la nostra. L’unica cosa che noi possiamo fare per loro è dare loro tutti gli strumenti per imparare a cavarsela da soli, per fare le scelte migliori, e stare loro accanto quando avranno bisogno di noi.”
 
Di nuovo Eva sembra paralizzata e si limita a fissarla immobile, un’espressione indecifrabile sul volto. Apre e chiude la bocca un paio di volte ma non ne esce nessun suono.
 
“Va beh, ho già parlato fin troppo. Lei faccia ovviamente quello che ritiene più opportuno per se stessa e per suo figlio e io farò altrettanto per me stessa e per mia figlia. Livietta, vieni con me che torniamo a casa?” domanda, girandosi verso la figlia che la fissa con gli occhi lucidi, altrettanto sconvolta.
 
“Mamma…” mormora Livietta, esitando un attimo prima di annuire e rispondere con un semplice, “va bene.”
 
“Camilla,” interviene Gaetano, riavendosi dalla paresi che l’aveva colpito durante lo scontro tra le due donne ed avvicinandosi a lei, mentre un terrore cieco gli rimescola le viscere, “Camilla, aspetta, ti prego, mi dispiace io-“
 
“Shh,” lo zittisce lei, mettendogli un dito sulle labbra e sorridendogli, anche se con aria malinconica, “non ti preoccupare e non serve che ti scusi: non è colpa tua. Anzi, forse è stata anche colpa mia: Livietta e io non saremmo dovute venire con voi. È stato uno sbaglio.”
 
“Camilla, ti prego, come pensi di tornare a casa con Livietta, da sole? Se non vuoi tornare in auto con Eva, e ti capisco, vi posso accompagnare io, e poi ritorno a prendere Eva e Tommy e-“
 
“E farti tutto il giorno in auto? Ma non dirlo neanche per scherzo: prenderemo un taxi o la navetta e poi il treno, come fanno in tanti! Per Torino c’è anche la linea diretta: non ti preoccupare che ce la caveremo. Tu adesso porti Tommy in infermeria a farsi medicare e poi rimanete qui e finite la vostra giornata tranquillamente. Credo che sia meglio… mettere un po’ di spazio.”
 
“Camilla-“ esclama Gaetano, sempre più spaventato, ma la donna di nuovo gli posa l’indice sulle labbra.
 
“Non tra me e te ma con Eva,” gli sussurra intenerita, sollevando l’altra mano per accarezzargli il viso e aggiungendo, “ci vediamo a casa.”
 
Gli posa un lieve bacio sulle labbra, una rassicurazione e una promessa insieme. Fa un cenno di intesa verso di lui, che annuisce con gli occhi lucidi e la mascella serrata, un mix di rabbia, dolore e rassegnazione sul volto.
 
Lancia un’occhiata verso Livietta che assente a sua volta, quando sente una stretta fortissima intorno alle cosce.
 
“Ti prego: non andare via!” la implora Tommy, guardandola con due pozzanghere al posto degli occhi.
 
“Tommy…” mormora Camilla, avvertendo una pugnalata nel petto e sentendosi uno schifo: per non deluderlo aveva fatto il passo più lungo della gamba e gli aveva fatto solo più male.
 
“Ti prego, ti prego!” continua a supplicare Tommy, piangendo.
 
“Ascoltami,” gli sussurra, abbassandosi per guardarlo negli occhi, asciugandogli un paio di lacrimoni dalle guance e stupendosi quando Eva non fiata e non interviene minimamente, “adesso vai col papà a farti medicare e poi… qui hai ancora un sacco di giochi da fare e di cose da vedere. Vedrai che la giornata passerà in un lampo! Noi staremo insieme un’altra volta, ok?”
 
“Ma io non voglio che andate via, non è giusto!” protesta il bimbo, apparentemente inconsolabile.
 
“Tommy, ci vediamo prestissimo, stai tranquillo,” interviene Livietta, accarezzandogli i capelli, anche se in cuor suo ne dubita. Ma sia per lei che per sua madre la misura è più che colma e capisce benissimo perché sia necessario andarsene ora, prima che le cose sfuggano ancora di più di mano a tutti quanti. E poi la sola idea di affrontare ore bloccati in auto con Eva…
 
“Per favore!” le implora un’ultima volta Tommy, ma madre e figlia, nonostante la morsa al cuore, gli danno un ultimo bacio sulla fronte e si avviano a passo deciso in direzione del deposito bagagli.
 
“Sei cattiva: è tutta colpa tua!” urla il bimbo all’improvviso, rivolgendo ad Eva, ancora bloccata in uno stato semicatatonico, un’occhiata che è come una secchiata d’acqua gelida, prima di scoppiare in un pianto disperato.
 
“Tommy!” esclama Eva, riemergendo dal tumulto paralizzante di pensieri che l’aveva avvolta, ma Gaetano, più rapido, ha già preso il figlio in braccio e sta cercando di consolarlo come può.
 
“Porto Tommy a farsi disinfettare le ferite,” proclama Gaetano, fulminando Eva con uno sguardo carico d’odio e disprezzo, uno sguardo che Eva non aveva mai visto prima, nemmeno durante i loro scontri più feroci, per poi sibilarle in un orecchio, “spero che tu sia soddisfatta, visto che hai ottenuto ciò che volevi.”
 
“Gaetano!” prova a trattenerlo Eva, ma capisce dall’espressione dell’uomo che è tutto inutile.
 
Gaetano, dopo un paio di scuse mormorate alla madre dell’altro bambino, ancora sconvolta, si avvia con lei e con i rispettivi figli verso l’infermeria.
 
Ed Eva, per la prima volta da quando è in Italia, sente il freddo, quello vero, entrarle fin nel profondo delle ossa.
 
***************************************************************************************
 
“Aspettate!”
 
Un grido quasi disperato le raggiunge mentre si stanno per mettere in fila con altri turisti per salire sulla navetta.
 
Si voltano e si trovano davanti Eva: il viso arrossato, il fiatone, i capelli al vento e l’aria di chi ha appena corso una maratona.
 
“Eva, per favore, non ricominciamo,” esclama Camilla con un sospiro, lanciando un’occhiata verso il pulmino, come un naufrago osserva la nave che sta venendo a salvarlo, “se ha altre cose da dirmi o da urlarmi addosso credo che possano aspettare fino a Torino. Tanto sa dove abito.”
 
“No, anzi, io… vi chiedo scusa,” proclama la svedese dopo un respiro profondo, pronunciando tre parole che Camilla mai si sarebbe aspettata di sentir uscire da quelle labbra, aggiungendo poi, quasi disperata, “ho sbagliato, ho sbagliato tutto e mi dispiace, però vi prego: non partite!”
 
Camilla e Livietta si guardano, sconcertate, faticando a riconciliare la donna che hanno davanti con l’erinni con cui hanno avuto a che fare negli ultimi due giorni.
 
“Eva, ascolti-“ esordisce Camilla, imbarazzata, ma la svedese è un fiume in piena, in tutti i sensi, con le lacrime a rigarle il viso.
 
“No, vi prego, ascoltatemi: lo so che non posso chiedervi nulla, ma se voi partite sento che Tommy non me lo perdonerà mai. E voi penserete che me lo merito e probabilmente è così, ma io non posso perdere Tommy: è l’unica cosa che ho, l’unica cosa che mi è rimasta, a parte forse il lavoro. Ma preferirei vivere sotto i ponti piuttosto che sapere che Tommy mi odia, rinuncerei a qualsiasi cosa per lui: ho rinunciato a qualsiasi cosa per lui. E lo so che questo non mi giustifica ma… Tommy con voi è così felice, si è affezionato tanto a voi e a Gaetano e sembrate questa… questa specie di famiglia perfetta da pubblicità. E ho sentito invece che si stava allontanando da me, che io non gli bastavo e non gli basto più e ho avuto paura, paura di perderlo e poi l’ho visto lì per terra e… non ho capito più niente e ho esagerato. E mi rendo conto che adesso rischio di perderlo davvero ed è solo colpa mia e… e non so che fare!”
 
“Eva…” sussurra Camilla, toccata dalla sincera e profonda angoscia che emerge da ogni parola di questa donna così perfezionista ed orgogliosa che si mette a nudo fino alle lacrime di fronte ad una folla di perfetti estranei.
 
“Eva, mi ascolti, nessuno qui vuole portarle via Tommy o vuole metterglielo contro, nessuno: né io, né mia figlia, né soprattutto Gaetano. E Tommy le vuole un bene immenso: lei non ha un’idea di quante volte mi ha parlato di lei in questi mesi, delle cose che facevate insieme, di quante volte chiedeva notizie a me o a Gaetano su dov’era, mentre cercava di immaginarsi i posti che stava visitando per lavoro, di come aspettava con ansia ogni sua telefonata,” spiega all’altra donna, avvicinandosi a lei e abbandonando la fila, “e anche se ora vuole molto bene a Gaetano e a noi, questo non significa che ne voglia di meno a lei. Ma se continua a soffocarlo per paura di perderlo, prima o poi lo perderà veramente. In psicologia le chiamano profezie autorealizzanti.”
 
“Tenga,” offre poi, porgendole un pacchetto di fazzoletti di carta che ha pescato a fatica dalla borsa.
 
“Grazie…” mormora la svedese, asciugandosi gli occhi e soffiandosi il naso, aggiungendo, dopo un attimo di pausa, “quindi restate?”
 
“Se mia figlia non ha niente in contrario sì,” risponde Camilla, guardando verso la ragazza che, commossa, fa segno che per lei non ci sono problemi a restare, “ma la avverto che non tollereremo più un trattamento del genere. Pensa di poter mantenere la calma e comportarsi con noi in modo educato e civile fino al nostro ritorno a Torino? Se no è meglio per tutti, Tommy compreso, se saliamo su quel pullman e ce ne andiamo adesso.”
 
Lancia un’occhiata eloquente verso le ultime persone della fila che stanno salendo sulla navetta, alcune che ancora osservano la scena con curiosità e poi ne lancia un’altra altrettanto eloquente verso la svedese, attendendo il verdetto.
 
***************************************************************************************
 
“Dai, Tommy, hai sentito il dottore, no? Non è niente, solo qualche graffio.”
 
Gaetano cerca di usare il tono più incoraggiante che possiede per consolare il figlio e tirarlo su di morale, ma sa benissimo che non sono le “bue” il motivo per cui Tommy è così triste e spento.
 
Si sta avviando verso il villaggio west, in mezzo al parco, dove ha appuntamento con Eva, con lo stesso entusiasmo di un condannato a morte che si avvia al patibolo. Se non ci fosse stato Tommy a cui pensare avrebbe mandato Eva definitivamente a quel paese, come si merita, e se ne sarebbe andato con Camilla e Livietta. Ma il messaggio della sua professoressa è stato forte e chiaro e sa che, quando la donna è così decisa, l’unica cosa da fare è rispettare le sue decisioni, anche se gli fa male, da morire.
 
“Che ne dici se ci prendiamo un gelato?” propone al figlio, abbracciandoselo più stretto al petto.
 
“Non ho fame…” mormora il bambino, abbacchiato, senza nemmeno sollevare la testa appoggiata sulla spalla del padre.
 
“E dai, Tommy, su, il gelato è-“
 
“Tommy, Gaetano!!”
 
Per un secondo Gaetano si chiede se sia possibile desiderare tanto una cosa da avere delle allucinazioni uditive ma poi alza gli occhi e vede Camilla e Livietta correre loro incontro, seguite a ruota da Eva.
 
“Camilla! Livietta!” urla Tommy, alzando il capo dalla spalla del padre e facendogli capire inequivocabilmente, con un grande sorriso sulle labbra, che vuole essere messo a terra.
 
Gaetano non se lo fa ripetere due volte e, come i piedi di Tommy toccano l’asfalto, il bimbo si lancia di corsa tra le braccia di Camilla che se lo abbraccia e se lo bacia, commossa.
 
“Non siete andate via…” continua a ripetere il bimbo, estatico, come in un mantra, staccandosi dall’abbraccio di Camilla solo per attaccarsi al collo di Livietta che se lo spupazza ridendo e ripetendogli affettuosamente “impiastro” mentre gli accarezza i capelli.
 
Gaetano guarda Camilla e poi Eva, che assiste a questa scena un po’ in disparte, un’espressione indecifrabile sul viso.
 
“Tutto bene?” bisbiglia a Camilla che annuisce, prima di trascinarla in un abbraccio di quelli che non lasciano respirare, sollevandola praticamente da terra.
 
“Ti amo,” le sussurra all’orecchio, ringraziando per l’ennesima volta il cielo o il destino, che dir si voglia, per averla messa sulla sua strada ormai dieci anni orsono, con il suo vermouth, la sua passione per le indagini e il suo non arrendersi mai. Nonostante tutti gli incidenti di percorso che ci erano voluti per arrivare fin qui, Camilla gli dimostra ogni giorno di più, quasi senza volerlo, quanto sia valsa la pena aspettare, se la ricompensa è avere accanto una donna straordinaria come lei.
 
“Anche io ti amo, ma questa volta, se siamo tornate indietro, il merito è anche e soprattutto di Eva,” sussurra lei di rimando, dandogli un rapido bacio e separandosi da lui.
 
Gaetano fissa gli occhi in quelli dell’ex moglie, sorpreso, fino a che Tommy, dopo essersi goduto un po’ di coccole da Livietta, non si frappone tra loro, guardando le tre donne a turno, con aria solenne.
 
“Ma allora avete fatto pace? E non litigate più?”
 
“La tua mamma è venuta a cercarci e ci siamo chiarite. E per oggi non litighiamo più,” conferma Camilla, non sentendosela di fare promesse più a lungo termine di così.
 
“Promesso?” domanda Tommy, fissandole con uno sguardo che a Camilla ricorda terribilmente quello del padre, tutte le volte che le faceva giurare di tenersi lontano dai guai.
 
“Promesso,” lo rassicura anche Eva, avvicinandosi a lui. Il bimbo per tutta risposta sorride e le abbraccia le gambe.

Camilla non può non notare il lieve tremore nelle labbra dell’altra donna mentre accarezza i capelli al figlio.
 
***************************************************************************************
 
“Non è stato fantastico??!!” urla Livietta, scendendo dal Raptor.
 
“Sì, insomma,” bofonchia Camilla, cercando disperatamente di riprendere fiato.
 
“E adesso ci manca solo il Blue Tornado. Forza Camilla, non si vorrà arrendere così presto?” la incalza Eva, piazzandosi accanto a lei, i capelli scarmigliati, il viso arrossato ma senza un filo di fiatone.
 
E dire che erano al secondo ottovolante di fila e, nonostante la coda avesse dato un po’ di respiro a tutti, Eva aveva passato gran parte di entrambe le corse ad urlare cose incomprensibili in una lingua che, di nuovo, Camilla presumeva essere svedese. Ma non ci voleva una gran conoscenza linguistica per intuire che era forse meglio che Tommy non si avvicinasse nemmeno lontanamente all’altezza minima e non avesse quindi potuto salire con loro, dato che era l’unico che avrebbe potuto decifrare quei suoni per loro inintelligibili.
 
Camilla cominciava a chiedersi se urlare non fosse davvero terapeutico ma, finché la svedese si sfogava così e non su di lei o su Livietta, non aveva di che lamentarsi.
 
Perché in quella donna che era salita su quelle montagne russe con loro e che affrontava giri della morte e discese letteralmente da capogiro con il sorriso sulle labbra e senza minimamente scomporsi, riusciva finalmente ad intravedere la stessa persona che aveva resistito per un mese nella foresta pluviale. La donna da cui Gaetano era rimasto irresistibilmente attratto ed affascinato al punto da aver voluto costruire una famiglia con lei, anche se, col senno di poi, era stata una follia.
 
Mentre Eva prende in braccio Tommy, mentre aspettano che anche Gaetano faccia il suo giro, dato che era rimasto “a terra” ad aspettarle con il bimbo, mentre ascolta lei e Livietta raccontare a Tommy le sensazioni appena provate, scambiarsi opinioni sulle differenze tra le queste montagne russe e quelle classiche e progettare il giro sul Blue Tornado che, a detta di Livietta – e anche lei concordava – era probabilmente l’attrazione più adrenalinica delle tre, un sentimento agrodolce continua a batterle nel petto, insieme al cuore che sta gradatamente rallentando il suo correre e tornando nei ranghi.
 
Una vocina che non può ignorare continua a chiederle quale faccia di Eva la spaventi di più: se quella da Idra, da Erinni, da Medusa, verso cui è così facile nutrire avversione ed antipatia, senza per questo provare sensi di colpa, o se il volto umano che riesce ora ad intuire, a scorgere a sprazzi e che le dimostra per l’ennesima volta che, nella vita, non è tutto bianco o nero.
 
E, realizza con un mezzo sorriso sulle labbra, probabilmente anche per Eva è esattamente lo stesso.
 
***************************************************************************************
 
“Bene, allora buona notte!”
 
Sono le dieci di sera e sono appena giunti in mezzo al cortile, dopo una giornata lunghissima e sfiancante, ma caratterizzata da un pomeriggio e da un viaggio di ritorno straordinariamente tranquilli.
 
“Aspettate!” le chiama Eva, prima che possano avviarsi verso la scalinata che conduce all’appartamento di Camilla, “forse… forse è il caso che mi cerchi un albergo. Conoscete qualche posto nei paraggi?”
 
“Ma noi torniamo a casa nostra, come le ho già detto quello dell’altra notte è stato solo un caso e-“
 
“No, no, lo so, ma è che… immagino che a lei non faccia piacere se… condivido l’appartamento con Gaetano, no? In fondo l’ultima volta che sono stata ospite qui voi non stavate ancora insieme, o sbaglio?”
 
Camilla e Gaetano rimangono completamente spiazzati, quasi a bocca aperta, da una frase così ovvia ma così straordinariamente… anomala se pronunciata da una donna come Eva, con le sue “improvvisate” – o, per meglio dire, agguati – e la sua tendenza a fare e disfare senza più di tanto curarsi dei disagi che questo potrebbe causare ad altri.
 
“No, cioè, non stavamo insieme, è vero, ma… io mi fido di Gaetano e di sicuro non sarò io a costringerla o a chiederle di cercarsi un albergo. E poi immagino che Tommy preferirebbe stare sia con lei che con Gaetano, dato che non vede lei da tanto e tra qualche giorno non vedrà anche il padre per parecchio tempo,” risponde Camilla, dopo un attimo di riflessione, per poi avvicinarsi ad Eva ed aggiungere in un sussurro, in modo che Tommy non senta, “però Tommy preferisce stare con entrambi i suoi genitori, è vero, ma a patto che non passino il tempo a scannarsi dalla mattina alla sera. Mi sono spiegata?”
 
Eva annuisce, altrettanto sorpresa: il messaggio è stato chiarissimo.
 
“Credo che mi cercherò un albergo e… tornerò qui domattina,” proclama di nuovo Eva, dopo un attimo di riflessione, in un momento di straordinaria onestà intellettuale che colpisce Camilla quasi di più dell’offerta precedente.
 
“Mamma!” protesta Tommy, mezzo addormentato in braccio al padre, “non andare via!”
 
“Magari posso leggerti la storia per farti addormentare, prima, che ne dici?” chiede Eva, accarezzando la testa del figlio.
 
“Senta, visto che è tardi e… se vuole c’è un appartamento al primo piano della mia scala che è libero al momento. L’inquilina è... una collega del mio ex marito e ora è a New York e non so se e quando tornerà, ma aveva lasciato le chiavi a Renzo e quindi in realtà ce le ho ancora io. Credo che non ci siano problemi se ci passa una notte o due, naturalmente solo se vuole.”
 
“Sarebbe… sarebbe perfetto,” concorda Eva, alternando lo sguardo tra Tommy, mezzo addormentato, e Camilla, indecisa su come procedere.
 
“Tommy aspetta la sua storia, io le lascio le chiavi dal portiere,” proclama Camilla, avvicinandosi a Gaetano e Tommy e stampando un bacio sulla bocca del primo e poi uno sulla fronte del secondo.
 
Anche Livietta si congeda da entrambi e, con un ultimo sguardo e un augurio di buonanotte ad Eva, si avviano verso casa.
 
Forse il weekend non è stato una totale catastrofe e forse c’è una flebile speranza per il futuro, pensa Camilla, mentre gira le chiavi nella toppa. Ma non è ancora pronta a metterci la mano sul fuoco.
 



Nota dell’autrice: E per i lettori sopravvissuti a questo luuuungo capitolo, pieno di amore, pace ecc… xD, ma anche di momenti più “sereni”, che, nella mia mente, doveva essere un po’ come un lungo e turbolento viaggio sulle montagne russe ;), vi ringrazio come sempre tantissimo per la pazienza e per avermi seguita fin qui. Spero che il capitolo non abbia deluso le vostre aspettative e non sia risultato noioso: lo so che dato la lunghezza il rischio era alto e come sempre i vostri pareri, anche negativi, mi aiutano a tarare la scrittura e a capire su cosa soffermarmi di più o di meno, soprattutto per evitare di tediarvi ;). Quindi non vedo l’ora di leggere cosa ne pensate, anche su Eva che è sempre una grandissima sfida da scrivere. Il prossimo capitolo segnerà la fine di un’altra fase nella storia e ci sarà un salto anche temporale e poi… tutte le strade portano a ;)… Ringraziandovi ancora tantissimo, colgo l’occasione per farvi i miei migliori auguri di buone feste, anche se ormai in ritardo per Pasqua, ma in tempo per il periodo che ci attende di “ponti” e di bel tempo (o almeno si spera).

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Letting go - prima parte ***


Capitolo 29: “Letting go – prima parte”




Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.



 
Crash!
 
Il rumore del phon, ancora acceso, che precipita a terra, il beccuccio di plastica che si infrange in mille pezzi, è coperto da quello della pesante valigia che si schianta al suolo, finendo quasi sui piedi della sua proprietaria.
 
“För helvete!”
 
“Maldita sea!”
 
Un salto in perfetto unisono, un’imprecazione e occhi castani, sopresi e spaventati, che incrociano occhi cerulei che riflettono il medesimo sentire.
 
“Chi è lei?!” urla la bionda, guardando la sconosciuta di fronte a sé, mentre il cuore le martella nel petto: si stava asciugando i capelli e non l’aveva sentita arrivare fin quando se l’era praticamente trovata davanti.
 
“Qué?? Chi è lei e che cosa diavolo ci fa in casa mia?!” grida di rimando la bruna, osservando la stangona in accappatoio azzurro che ha invaso quella che, fino a qualche settimana fa, era la sua camera da letto.
 
“Ah, ma quindi lei è l’inquilina, quella che stava a New York? Mi spiace, ma mi avevano detto che l’appartamento sarebbe stato libero e che potevo rimanere qui per qualche giorno,” spiega Eva, tranquillizzandosi un attimo e analizzando l’altra donna.
 
“È un’amica di Renzo?” domanda Carmen, mentre un dubbio improvviso l’assale, insieme alla spiacevole sensazione di essere stata rimpiazzata.
 
“Renzo?” chiede di rimando Eva, confusa, imitando quasi involontariamente la erre marcata con cui la sua interlocutrice pronuncia quel nome.
 
“Sì, Renzo. Le ha dato lui le chiavi? Lavorate insieme? Mi ha detto che voleva prendere un altro architetto per il progetto di Londra ma…”
 
“No, le chiavi me le ha date Camilla…” risponde la svedese, perplessa.
 
“Camilla?” ripete la spagnola, non capendoci più niente, “che c’entra Camilla?”
 
“Ah, Renzo! Intende l’ex marito di Camilla?” esclama Eva, ricollegando finalmente il nome con quell’uomo che aveva giusto intravisto di sfuggita una mattina dalla finestra dell’appartamento di fronte e che nella sua mente era stato da tempo ribattezzato con l’equivalente svedese de “il povero cornuto”.
 
“Sì, l’ex marito di Camilla,” annuisce la spagnola, prima di fermarsi bruscamente, la bocca semiaperta, e ripetere, “qué? EX marido?”
 
“Sì, ex marito,” conferma la svedese.
 
“Se separaron? Otra vez?” mormora Carmen, quasi tra sé e sé, per poi aggiungere, come accorgendosi della presenza della svedese, “si sono separati di nuovo? Ma da quanto?”
 
“Sì, da poco più di un mese, più o meno,” chiarisce Eva, facendo il conto del tempo trascorso, “magari lei era già a New York?”
 
“Sì, ma porque Renzo no me dijo nada?” si domanda Carmen, soprappensiero, in un tono basso e praticamente inudibile dall’altra donna.
 
“Cosa?”
 
“No, niente… ma quindi lei è un’amica di Camilla?” chiede Carmen, dopo un secondo di imbarazzo.
 
“No, non sono un’amica di Camilla,” replica la svedese, scoppiando in una mezza risata.
 
“Ma non ha detto che è stata lei ad ospitarla qui?” domanda Carmen, sempre più confusa.
 
“Sì, ma… Io sono Eva, l’ex moglie di Gaetano, la madre di Tommy. Non so se li conosce…”
 
“Il poliziotto amico di Camilla e il bimbo che abitano qui di fronte?” chiede conferma la spagnola, dato che li aveva spesso incrociati ma mai realmente frequentati.
 
“Sì, esatto,” annuisce Eva, mentre un sorriso amaro le scappa al sentire pronunciare la parola “amico”.
 
“Piacere, io sono Carmen e lavoro con Renzo, l’EX marito di Camilla… o lavoravo, ancora non lo so,” si presenta infine la spagnola, tendendo la mano ad Eva che ricambia la stretta, incuriosita.
 
“Anzi, magari può aiutarmi. Sa per caso dove posso trovare Renzo? Immagino che non viva più con Camilla, se si sono separati,” commenta Carmen, studiando nuovamente l’altra donna.
 
“Non lo so proprio. L’ho visto di sfuggita una volta e basta e avevo altro di cui preoccuparmi. Comunque no, non abitano più insieme,” conferma Eva, con un sopracciglio alzato, cogliendo perfettamente la curiosità della spagnola e centellinando di proposito le informazioni, per vedere fino a che punto oserà spingersi con le domande.
 
“Senta, dato che la situazione mi sembra… complicata… per evitare imbarazzi… non è che mi sa dire cos’è successo tra Renzo e Camilla e perché si sono separati? Non so, magari lei era qui, o ha sentito qualcosa da Camilla o dal suo ex marito. Potrei chiedere a Camilla ma vorrei evitare, se non è necessario, lei capisce, vero?”
 
“Ma certo,” risponde Eva serafica, con un mezzo sorriso sornione, “e conosco i motivi di questa separazione, anzi, anche volendo, non avrei potuto evitare di conoscerli, dato che mi ci sono ritrovata in mezzo. Vede, Camilla ha mollato il suo ex marito… per mettersi con il mio ex marito.”
 
“Qué?” esclama di nuovo Carmen, la bocca aperta in modo quasi comico, “quindi è stata Camilla a dejar… a lasciare Renzo?”
 
“Considerato che ha iniziato una relazione con Gaetano praticamente subito dopo che si sono lasciati… lei che ne dice?” replica Eva con un’espressione felina e un sorrisetto sarcastico.
 
“Effettivamente… ricordo che Renzo era molto geloso di lui, ogni tanto si lamentava del tempo che Camilla passava con lui e con vostro figlio. Diceva sempre: ‘passa più tempo a casa loro che a casa nostra’,” commenta la spagnola, ricordando anche le volte che Renzo, in maniera più o meno velata le aveva domandato lumi sugli spostamenti della moglie o quando l’aveva beccato a spiare il cortile o la finestra dell’appartamento del poliziotto.
 
“Direi che aveva ragione ad essere geloso,” commenta Eva con una mezza risata.
 
“Sì, ma… non mi sarei mai aspettata che Camilla lasciasse Renzo. Al limite il contrario,” commenta Carmen, di nuovo quasi tra sé e sé.
 
Dopo che Camilla aveva accettato di riprendersi Renzo di punto in bianco, dando il benservito ad un uomo con cui, in teoria, doveva addirittura andare a convivere e dopo che aveva acconsentito al fatto che lei e Renzo tornassero a lavorare insieme e a vivere nella stessa palazzina, Carmen si era convinta che Camilla sarebbe stata disposta praticamente a tutto pur di tenersi stretto Renzo e mantenere unita la famiglia. E che magari la sua amicizia con il vicino di casa fosse semplicemente un modo per fare ingelosire Renzo e tenerlo sul “chi vive” ora che lei era tornata nelle loro vite. Ma, evidentemente, si sbagliava.
 
“Perché è stato lui a lasciarla la prima volta che si sono separati?” domanda Eva, sempre più intrigata dalle reazioni dell’altra donna.
 
“Sì, ma lei come… è stata Camilla a raccontarglielo?” chiede Carmen, spiazzata, mostrando un certo disagio.
 
“Mi ha solo detto che il marito l’aveva piantata per un’altra…” spiega Eva, bloccandosi quando il cervello fa un collegamento ovvio, evidente, ma che fino a quel momento, per qualche strano motivo, le era sfuggito, “un momento: lei è spagnola, giusto?”
 
“Sì, si sente molto, eh?” conferma Carmen, corrugando la fronte e cercando di capire dove l’altra donna voglia andare a parare, anche se pensa di saperlo, “ma anche lei non è italiana, o sbaglio?”
 
“No, sono svedese… Mi scusi ma, se non ricordo male, Camilla e... Renzo quando si sono lasciati per la prima volta abitavano in spagna. Quindi mi è venuto il dubbio che magari lei li frequentava già allora e conosce i dettagli della loro prima separazione…”
 
“Sì, e anche io, come lei, non avrei potuto evitare di conoscerli,” replica Carmen con una mezza risata amara, scuotendo il capo, “vede, sono io ‘l’altra’ per cui Renzo aveva piantato Camilla.”
 
“Eh?!” esclama Eva, spalancando la bocca, incredula e sicura per un attimo di aver capito male, “no, mi scusi ma… ma quindi lui l’ha lasciata per lei e poi… è tornato con Camilla e… e lei ha continuato lo stesso a lavorare con lui? E Camilla ha accettato non solo che voi due lavoraste insieme ma anche che lei abitasse due piani sotto il loro appartamento?”
 
“Sì, no, cioè… lo so che può sembrare assurdo ma… è una storia lunga e complicata,” cerca di spiegare Carmen, passandosi una mano tra i capelli, imbarazzata.
 
Alla faccia del povero cornuto! – è il primo pensiero di Eva, che ripensa, ancora incredula, a quell’uomo dall’apparenza così mite – e pure un po’ ingenua – con il suo maglioncino e i suoi occhialetti da intellettuale ma che, evidentemente, era riuscito addirittura a far digerire a due donne una situazione del genere. E, anche se non conosceva affatto la spagnola di fronte a lei, già solo per quello che aveva potuto vedere di Camilla e del suo carattere, la cosa era doppiamente sconvolgente. Perché, al loro posto, da qualsiasi punto di vista guardasse questa storia, avrebbe spedito il fedifrago e la sua incredibile faccia tosta a cantare nelle voci bianche con un calcio ben assestato.
 
“No, mi scusi… non volevo essere invadente è che-“ corregge il tiro Eva, non appena si è un attimo riavuta dallo shock, notando che l’altra donna è a disagio e decidendo che è meglio non inimicarsela, se possibile.
 
“No, no, non fa niente, lo so che è strano,” la interrompe Carmen con un sorriso malinconico, ancora venato di imbarazzo, “ed è una storia lunga e complicata, è vero, ma non segreta. Anzi, se vuole gliela racconto di fronte a un tè e magari lei mi aggiorna su cosa è successo qui negli ultimi mesi.”
 
“Volentieri,” replica Eva, ricambiando il sorriso, “se mi da solo due minuti che mi rivesto e poi non si preoccupi che rifaccio la valigia e mi cerco un albergo. Anzi, mi scuso ancora per l’invasione.”
 
“Ma no si figuri, faccia pure con comodo, la aspetto in cucina,” replica Carmen, voltandosi e chiudendo la porta dietro di sé dopo un’ultima occhiata all’altra donna.
 
Interessante – pensa Eva, scuotendo il capo, un sopracciglio ed un angolo della bocca alzati, - davvero molto interessante.
 
***************************************************************************************
 
“E quindi, ricapitolando, se siete sole in zone potenzialmente a rischio, e non potete proprio evitare di recarvici o avere chi vi accompagni, cosa che sarebbe sempre e comunque preferibile, evitate qualsiasi attività che possa distrarvi o ridurre le vostre capacità di percezione: non solo evitare di assumere sostanze che le alterino, come gli alcolici, ma evitare anche, ad esempio, di ascoltare la musica con le cuffie. Dovete essere concentrate su chi vi circonda, sugli atteggiamenti e il linguaggio del corpo di chi vi sta intorno, sui rumori, sull’illuminazione stradale se non si è alla luce del giorno. Tenete invece sempre a portata di mano il telefono e, nel caso vi accorgeste di essere seguite, o se la situazione vi sembrasse comunque sospetta, comporre il numero di emergenza e intanto fingere di parlare al telefono può essere un ottimo deterrente per un potenziale aggressore. Tutto chiaro fin qui?”
 
L’istruttore, un uomo sui trent’anni, alto, moro, occhi di un colore indefinibile tra il verde e l’azzurro, fisico da sportivo e lieve accento siciliano, lancia un’occhiata alle partecipanti che annuiscono.
 
“Ok, allora passiamo alla parte pratica di questa prima lezione. Partiremo da un caso molto semplice: come comportarvi se qualcuno vi blocca la strada, disarmato. Vedremo anche come reagire nel caso vi afferri per un braccio. Ricordate che la prima regola, comunque e sempre è, se possibile, quella di allontanarvi dal potenziale aggressore ed evitare lo scontro fisico. Ogni scontro evitato è uno scontro vinto, non dimenticatelo mai: tenersi in forma ed allenarsi alla corsa fa bene alla salute in tutti i sensi. Quindi, se andate in zone a rischio cercate di indossare scarpe comode, che non vi intralcino nella fuga. Le scarpe eleganti al limite portatevele dietro in borsa. Bene, direi che possiamo cominciare.”
 
L’istruttore e un altro assistente danno una prima dimostrazione pratica, uno nel ruolo dell’aggressore e l’altro dell’aggredito.
 
“Ora a turno faremo una prova con ciascuna di voi. Chi si offre per prima per rompere il ghiaccio?” domanda, guardandosi intorno mentre, non può fare a meno di notare Camilla con un sorriso, le partecipanti si comportano esattamente come i suoi alunni prima di un’interrogazione.
 
Sta per alzare la mano quando la voce di Livietta, accanto a lei, la blocca sui suoi passi.
 
“Mi offro io!” proclama la ragazza, determinata, alzando la mano.
 
“Bene, bene: la più giovane del corso. Posso darti del tu e chiederti come ti chiami?” risponde l’istruttore, sorridendole in maniera gentile ed affabile.
 
“Sì, certo. Io sono Livia,” replica la ragazza, avvicinandosi al centro della palestra e all’uomo.
 
“Benissimo, Livia. Ti è tutto chiaro o preferisci vedere la dimostrazione un’ultima volta? Comunque andremo passo-passo,” la rassicura l’istruttore, mettendola a suo agio.
 
“No, è tutto chiaro,” conferma Livietta, ricambiando il sorriso.
 
Camilla assiste orgogliosa mentre la figlia riesce ad evadere il tentativo di stallo da parte dell’istruttore, mantenendo la distanza e l’atteggiamento corretti, parlando tranquillamente e riuscendo quindi infine ad aggirarlo, come mostrato in precedenza.
 
“Bene, e ora si fa sul serio,” dichiara l’uomo con un altro sorriso, prima di avvicinarsi a Livietta ed afferrarla per un braccio.
 
Anche se sa che è solo una dimostrazione, Camilla non può evitare di osservare con il cuore in gola ed una certa apprensione, all’idea che quell’uomo dalla stazza e dalla forza innegabili possa fare male a Livietta, minuta com’è.
 
Dopo un primo tentativo fallito, Livietta riesce ad eseguire la mossa per liberarsi della presa. Istintivamente, senza nemmeno pensarci, nella foga del momento, passa una gamba piegata intorno al polpaccio dell’istruttore, tirandolo poi verso di sé. L’uomo, preso completamente in contropiede da quest’iniziativa inattesa, perde l’equilibrio e finisce steso sui materassi protettivi che rivestono il pavimento della palestra.
 
Per qualche secondo occhi verdi, increduli, incrociano occhi azzurri, mentre le guance di Livietta diventano rosse come un peperone.
 
“Oddio, mi scusi, è che-“ balbetta Livietta, imbarazzata.
 
“Prima regola: mai avere pietà o rimorsi verso il proprio aggressore,” la interrompe l’uomo con un sorriso, scuotendo il capo, “non ti devi scusare, ma mi devi spiegare da dove arriva quella mossa. Fai arti marziali?”
 
“Ho fatto un anno di judo ma… era un bel po’ di tempo fa, ormai,” risponde Livietta, titubante, mentre l’istruttore si rialza in piedi.
 
“Beh, direi che qualcosa ti è rimasto, anche se la padronanza delle arti marziali di solito si perde molto rapidamente, se non ci si allena con costanza,” commenta, per poi aggiungere, rivolto alle altre allieve, “bene, direi che da questo episodio possiamo trarne altre due lezioni: mai sottovalutare l’avversario ed essere pronti a tutto, sempre, imparare ad aspettarsi l’inaspettato, per non farsi cogliere di sorpresa. Grazie Livia.”
 
Livietta torna al suo posto, accanto alla madre, che la guarda ancora con un misto di orgoglio e di incredulità: tutto l’allenamento fatto anni prima ad atterrare Renzo evidentemente era servito a qualcosa.
 
Le altre partecipanti al corso si alternano con gli istruttori e arriva finalmente il turno di Camilla con l’assistente. Si destreggia abbastanza bene, rispetto ad altre sue coetanee. Del resto dopo aver avuto una pistola puntata alla tempia, una finta aggressione non riesce certo ad intimidirla.
 
L’ora e mezza finisce rapidamente e l’istruttore, dopo essersi congedato dalle allieve, apre la porta della palestra e fa loro strada verso l’uscita ma, arrivati in giardino, si blocca sui suoi passi.
 
“Dottor Berardi?” domanda, con tono sorpreso quanto deferente, mettendosi sull’attenti e osservando l’uomo in giacca e cravatta, seduto su una panchina poco distante, “ci scusi ma non attendevamo una sua visita. È da molto che aspetta?”
 
“Comodi, comodi,” fa segno Gaetano a lui e all’assistente, alzandosi in piedi.
 
Sta per spiegare che non era lì in vesti ufficiali, ma il rumoreggiare delle allieve che si domandano chi lui sia porta l’istruttore a prendere di nuovo la parola.

“Mi scusi se non ho fatto le dovute presentazioni. Il dottor Berardi è il vicequestore a capo della squadra omicidi qui a Torino. Magari vuole dire due parole, dottore?” domanda l’istruttore, mentre le donne bisbigliano tra di loro.
 
“Veramente…” sospira Gaetano, incrociando lo sguardo divertito di Camilla che ha colto in pieno il suo imbarazzo, dato che non era minimamente preparato per mettersi a fare un discorso. Ma del resto ormai è in ballo e deve ballare.
 
“Innanzitutto vi ringrazio per aver deciso di partecipare a questo corso organizzato dalla polizia locale. Sebbene io faccia parte della polizia di stato e non sia mai stato quindi direttamente coinvolto né nella sua organizzazione, né nella sua gestione, è un corso a cui personalmente tengo molto, sia per il mestiere che svolgo, sia parlandovi non come funzionario di polizia ma come cittadino, come uomo,” esordisce, cercando di mettere a frutto anni di pratica di discorsi motivazionali fatti ai sottoposti prima di qualche missione difficile, anche se lui ha sempre detestato parlare in pubblico.
 
Fissa nuovamente i suoi occhi in quelli della sua professoressa e l’occhiolino quasi impercettibile e il sorriso di incoraggiamento, sono tutto quello di cui ha bisogno per dargli la sicurezza e l’ispirazione necessaria per proseguire e improvvisare.
 
“Nel mio lavoro sfortunatamente ho ogni giorno a che fare con casi in cui la vittima è una donna. È innegabile che purtroppo la stragrande maggioranza dei colpevoli di crimini violenti siano uomini. E se, in generale, anche le vittime di omicidio sono in maggioranza uomini, si tratta molto raramente di delitti maturati nell’ambito familiare. Invece quando la vittima è donna, molto, ma molto spesso l’assassino non è uno sconosciuto, ma qualcuno a cui la vittima era legata da una relazione sentimentale o comunque un parente stretto. E prima che si arrivi all’omicidio ci sono spesso persecuzioni durate anni, violenza domestica, stalking. Per non parlare di altri crimini violenti di cui raramente mi occupo, se non indirettamente ma che non per questo sono meno tragici o devastanti, come le aggressioni e le violenze sessuali.”
 
I commenti e i bisbigli sono ormai completamente cessati. Camilla nota, per nulla sorpresa, gli sguardi quasi ipnotizzati che le compagne di corso rivolgono a Gaetano: sembrano praticamente pendere dalle sue labbra.
 
“Ma poi nel privato, smessi i panni del poliziotto, io e i miei colleghi dobbiamo fare i conti con l’altra faccia della medaglia. Voi donne siete le nostre madri, le nostre sorelle, le nostri mogli, le nostre compagne, le nostre figlie, le nostre amiche, le nostre colleghe. Con quello che vediamo e sentiamo ogni giorno è ovvio che non possiamo fare a meno di pensare a ciò che potrebbe succedere, a ciò che, statistiche alla mano, sicuramente succede o è successo in passato a qualche nostra conoscente o parente, non solo quando escono di casa per andare al lavoro, o quando tornano a casa la sera, o in qualche locale, o sui mezzi pubblici, ma magari di nascosto tra le mura domestiche, per quello stupido senso di vergogna, di pudore che ci insegna che i panni sporchi si dovrebbero lavare in casa. Che insegna alle donne a sopportare ad accettare l’inaccettabile ad opera di persone che a parole sostengono spesso di amarle e che mi fanno profondamente vergognare di appartenere al genere maschile. E la cosa che mi stupisce e mi addolora di più in questi casi è che non sempre le vittime sono donne deboli e succubi nella vita di tutti i giorni, ma anzi, spesso si tratta di donne intelligenti, forti, determinate, anche di successo, ma che nel privato finiscono per accettare una vita di schiavitù, un rapporto malato.”
 
Fa una pausa, passando in rassegna tutte le signore davanti a lui, fermandosi poi nuovamente su Camilla e Livietta ed incrociando i loro sguardi prima di proseguire.
 
“Se c’è una cosa che ho imparato negli anni e di cui ho avuto conferma proprio recentemente è che voi donne siete delle forze della natura, quando serve sapete tirare fuori una determinazione e un’energia invidiabili. Avete spesso un intuito, un’abilità di gestire le situazioni e di destreggiarvi tra i ruoli più svariati che raramente ho visto nei miei amici e colleghi maschi. Nella società moderna siete, fortunatamente, sempre più libere: libere di lavorare, di essere indipendenti anche economicamente, libere di scegliere per la vostra vita e chi volete accanto a voi. E purtroppo alcuni uomini che, ripeto, mi vergogno a definire tali, hanno paura di questo, non riescono ad accettare ad esempio un rifiuto, una sconfitta, la possibilità di perdervi o che abbiate più successo di loro, la possibilità che la vostra vita non inizi e non finisca con loro. O magari hanno proprio paura di un rapporto ad armi pari, di un rapporto vero. E allora cercano di tarparvi le ali o di prendersi quello che desiderano con la forza fisica, che, per motivi fisiologici, è ciò su cui voi partite purtroppo svantaggiate, o con la violenza psicologica, con il condizionamento e la destabilizzazione. A furia di sentirsi dire di non essere in grado di fare qualcosa da soli, ce ne convinciamo veramente e questo l’ho sperimentato io stesso, di persona, sulla mia pelle.”
 
Camilla ascolta commossa ed orgogliosa, osservando il suo Gaetano in azione mentre riconosce il chiaro riferimento ad Eva. Perché se sulla violenza fisica, lo sa perfettamente, i maschi la fanno da padrone, su quella psicologica anche molte mogli e molte madri non sono assolutamente da meno, purtroppo.
 
“Questo corso vuole invece proprio aiutarvi ad acquisire una maggiore consapevolezza delle vostre abilità e delle vostre possibilità. A non sottovalutarle, né a sopravvalutarle. Né io né i vostri istruttori vogliamo certo dirvi che con poche lezioni potrete affrontare qualsiasi scontro fisico e qualsiasi situazione pericolosa perché non è così. Di fronte ad un aggressore armato o a più aggressori anche persone allenate e preparate per anni a volte possono fare ben poco. Quello che vogliamo farvi capire è come prevenire le situazioni di pericolo, le violenze fisiche e psicologiche, come riconoscerle in tempo e come evitarle e, nel caso questo non fosse possibile darvi gli strumenti necessari per capire come comportarvi. Insomma, mi auguro che questo corso possa, almeno in parte, aiutarvi a vivere la vostra vita di tutti i giorni in maniera più serena, libera e consapevole, senza farvi paralizzare e condizionare dalle paure ma mantenendo sempre una visione lucida e chiara del mondo che vi circonda e prendendo le decisioni più giuste per il vostro benessere. Innanzitutto per voi stesse e poi perché il benessere delle persone che realmente vi amano, dipende anche e soprattutto dal vostro benessere.”
 
L’occhiata che si scambia con Camilla è assolutamente eloquente e capisce benissimo dal sorriso e dal lieve annuire del capo, che stanno pensando entrambi alla stessa identica cosa e alla promessa che lei gli ha fatto dopo l’aggressione per quei maledetti diamanti.
 
“Vi ringrazio per avermi dedicato un po’ del vostro tempo e per esservi iscritte a questo corso e vorrei chiudere dicendo che è stato un piacere vedervi qui stasera ma spero vivamente di non avere mai occasione o necessità di rincontrarvi, almeno non nell’esercizio delle mie funzioni,” aggiunge con tono tra il serio e l’ironico, scatenando qualche risata, “però se aveste bisogno, ricordatevi che una chiamata può salvarvi la vita e che è meglio eccedere di prudenza che rischiare conseguenze irreparabili. Insomma, aiutateci ad aiutarvi. Grazie mille!”
 
L’applauso è roboante e, mentre Camilla batte la mani e risponde allo sguardo interrogativo di Gaetano – una specie di “come sono andato?” non verbale – con un occhiolino e un sorriso rassicurante ed orgoglioso, sente alcuni sussurri e risate alle sue spalle, che quasi si perdono in mezzo al battimani.
 
“Che uomo!”
 
“Che figo!”
 
“Anche l’istruttore è un gran bel pezzo di figliolo, però!”
 
“Ah, a saperlo: abbiamo sbagliato tutto, dovevamo entrare in polizia!”
 
Si guarda alle spalle con la coda dell’occhio e osserva le autrici dei commenti e dei risolini: tre signore che saranno più o meno sue coetanee. Non può evitare di alzare gli occhi e di scuotere il capo tra il divertito e il rassegnato: le ritorna alla mente l’immagine di Debbie Lentini che si mangiava Gaetano con gli occhi, si spellava le mani e praticamente sbavava sul suo banco di scuola mentre lo ascoltava parlare. Ma evidentemente Gaetano fa questo effetto non solo sulle adolescenti, anzi, e questa ne è l’ennesima conferma.
 
“Grazie! Grazie, troppo buone!” si schernisce Gaetano imbarazzato, mentre l’applauso si prolunga fin troppo.
 
Non appena l’acclamazione termina alcune signore, invece di avviarsi verso l’uscita, circondano Gaetano e l’istruttore, bombardandoli di domande, miste a complimenti e ringraziamenti.
 
Camilla e Livietta si guardano con un sopracciglio alzato, attendendo pazientemente che la calca si riduca.
 
“Tra un po’ gli chiederanno di firmare autografi,” commenta Livietta con sarcasmo, aggiungendo poi con una faccia da schiaffi, “allora, come ci si sente ad essere la compagna di una rockstar?”
 
“Spiritosa!” ribatte Camilla con una risata, provando a passarle un braccio intorno alle spalle, gesto a cui però la figlia si sottrae quasi subito.
 
“Mamma!” si lamenta Livietta con tono di avvertimento.
 
“Ho capito, ho capito: niente smancerie in pubblico,” concede Camilla con un sospiro.
 
“Scusatemi, ma ci sono due persone importantissime che non posso e non voglio far aspettare oltre. Mi capite, vero?” pronuncia la voce di Gaetano, che vedono emergere poco dopo, districandosi magistralmente dall’accerchiamento con un sorriso sulle labbra.
 
Camilla nota l’espressione quasi comica che si dipinge sui volti delle altre signore presenti quando vedono Gaetano dirigersi verso di loro.
 
“Ciao amore,” proclama dolcemente, salutandola con un rapido bacio sulle labbra, mentre i bisbigli e i commenti aumentano di intensità.
 
“Ciao Livietta,” aggiunge poi, salutando la ragazza che, capendo benissimo il motivo di quella dimostrazione pubblica di affetto verso la madre, si limita a ricambiare il saluto con un sorriso, evitando i commenti.
 
“Dottore, mi scusi, non sapevo che fosse qui per loro,” interviene l’istruttore, avendo finalmente colto che Gaetano non era lì in vesti ufficiali, almeno nelle intenzioni iniziali.
 
“Non fa niente, non poteva saperlo,” risponde Gaetano con un sorriso cordiale, “anzi, anche se immagino le abbia già conosciute, le voglio presentare le due donne più importanti della mia vita: la professoressa Camilla Baudino, che per mia enorme fortuna è la mia compagna e lei invece è Livi-“
 
“Livia,” lo interrompe la ragazza con un sorriso, prima che possa aggiungere il diminutivo. Gaetano le lancia un’occhiata interrogativa ma si guarda bene dal commentare.
 
“Sì, io e sua figlia ci siamo già presentati quando mi ha steso al tappeto,” risponde l’altro uomo con una mezza risata, aggiungendo poi, rivolto alla ragazza, sorridendole, “ora ho capito da chi hai preso: altro che un anno di judo!”
 
“In realtà Livia non è mia figlia, quindi purtroppo non posso prendermi meriti che non ho, anche se mi piacerebbe,” ribatte Gaetano con un tono ed un’espressione pieni di stupore misto ad orgoglio, “però ricordo benissimo che era una campionessa a judo qualche anno fa. Aveva completamente stracciato mio nipote in una gara: credo debba ancora riprendersi dalla sconfitta.”
 
“Anche io devo ancora riprendermi del tutto,” ammette l’uomo con autoironia, “spero almeno che la lezione vi sia piaciuta e che l’abbiate trovata interessante.”
 
“Molto!” confermano in coro madre e figlia.
 
“Bene, allora, professoressa, Livia, è stato un piacere conoscervi, ci vediamo tra due giorni,” proclama con un sorriso l’istruttore, “dottore, mi scuso ancora per averla incastrata ma-“
 
“Si figuri: se riesce ad insegnare a Camilla come tenersi lontana dai guai le sarò grato per sempre,” ribatte Gaetano con un tono ironico quanto affettuoso, beccandosi una gomitata nelle costole dalla sua amata.
 
“Adesso sì che ho capito da chi ha preso,” mormora tra sé e sé l’istruttore, allontanandosi e scuotendo il capo, divertito.
 
***************************************************************************************
 
“Papà, Camilla, Livietta!”
 
Sollevano gli occhi e vedono Tommy correre loro incontro, in mano la palla di spugna con cui stava giocando, seguito a ruota da due figure familiari che si alzano da una panchina poco distante.
 
“Carmen?!” esclama Camilla, sorpresa, riconoscendo immediatamente la mora, mentre Gaetano si abbassa per prendere in braccio il figlio.
 
“Ciao Camilla,” risponde la spagnola, avvicinandosi esitante, affiancata dalla bionda.
 
“Non mi aspettavo di vederti, cioè non pensavo saresti tornata e allora avevo dato le tue chiavi ad Eva… Ma vedo che vi siete già conosciute,” farfuglia Camilla, presa in contropiede.
 
“Sì, me la sono trovata davanti stamattina. Ci siamo prese un bello spavento ma abbiamo fatto conoscenza,” risponde la spagnola con un sorriso.
 
“Mi dispiace, ma-“
 
“Non fa niente, anzi, Eva è davvero molto simpatica,” proclama Carmen con un sorriso, mentre Camilla, Gaetano e Livietta si lanciano un’occhiata stupita, dato che simpatica è probabilmente l’ultimo aggettivo che avrebbero mai pensato di utilizzare per definire la svedese, “e poi mi ha raccontato un po’ dei suoi viaggi e dei suoi servizi fotografici: fa davvero un lavoro molto affascinante.”
 
“E tu che hai ridisegnato mezza Manhattan? La prossima volta che passo da New York andrò sicuramente a vedere il lavoro che hai fatto per il Metropolitan,” risponde la svedese con un sorriso altrettanto amabile.
 
“Se passi da New York ti faccio da guida.”
 
“Ci conto, e ovviamente ricambierò volentieri se decidi di farti un viaggio a Los Angeles.”
 
Camilla e Gaetano sono ancora completamente spiazzati da questo scambio di gentilezze quando Carmen si fa più seria e rivolge l’attenzione verso l’ex rivale in amore.
 
“Camilla, scusami ma… io avrei davvero bisogno di parlare con Renzo. Sai dirmi dove posso trovarlo?” le domanda, uno strano mix di esitazione e determinazione nel tono di voce, aggiungendo poi, notando che l’altra donna sembra a disagio, “Eva mi ha detto che vi siete separati e che adesso voi due state insieme. Non so se si possano fare le congratulazioni in questi casi, ma devo dire che ti trovo bene, Camilla, molto meglio di come ti ho vista prima della mia partenza.”
 
Carmen era proprio tornata a New York un paio di giorni prima che lei e Renzo si lasciassero e il periodo precedente, tra Livietta con Bobo, l’arrivo di Eva, l’aggressione a Madame e, soprattutto, la famosa fattura, era stato veramente stressante, sfiancante e sfibrante a livello psicologico. Ma il commento di Carmen riesce nonostante tutto a sorprenderla, anche perché sembrano tutte cose successe in un’altra vita e non poche settimane prima.
 
“Grazie e… sì, credo che sia stata la decisione migliore per tutti. E per quanto riguarda Renzo, a quanto ne so è a Sanremo per un lavoro e ci rimarrà fino a venerdì. Ti conviene cercarlo sul cellulare… anche se mi stupisco che tu sia venuta a sapere della nostra separazione da Eva. Pensavo che tu e Renzo foste rimasti in contatto.”
 
“In realtà è da quando sono partita per New York che Renzo evita le mie chiamate, credo se la sia presa per il fatto che me sono andata all’improvviso, non lo so. E negli ultimi giorni trovo sempre il cellulare spento,” spiega Carmen con tono preoccupato.
 
Camilla scambia uno sguardo con Gaetano: in effetti lei erano giorni, settimane, che non provava nemmeno a telefonare all’ex marito. Ma di solito si faceva sentire lui e poi… dopo le insinuazioni su Gaetano e Livietta e dopo la cena della settimana prima, la voglia di comunicare con lui era precipitata ai minimi storici.
 
“Non è che è successo qualcosa a papà?” domanda Livietta, con tono altrettanto preoccupato: nonostante si comportasse in modo freddo e distante con lui, Camilla sa benissimo che Livietta vuole molto bene al padre.
 
“Ma no, tranquilla, probabilmente tuo padre voleva solo starsene un po’ per conto suo… Però… Carmen tu hai ancora le chiavi dello studio? Potremmo andare a vedere tra le sue carte e capire dov’è il cantiere di Sanremo, magari c’è anche qualche recapito. Se non ricordo male doveva ristrutturare l’interno di un appartamento,” propone Camilla, con tono calmo e rassicurante, “sicuramente non è successo niente ma almeno, anche se non dovesse accendere il cellulare, sappiamo dove trovarlo.”
 
“Sì, erano nello stesso mazzo che hai dato ad Eva, insieme alle chiavi dell’appartamento. Allora io andrei a cercare, vieni anche tu con me?” domanda Carmen, esitante.
 
“In due si fa prima,” annuisce Camilla, come sempre pronta all’azione.
 
“In tre ancora prima… se non vi crea problemi, si intende,” si offre Gaetano, guadagnandosi occhiate sorprese da parte di Camilla, Livietta ed Eva.
 
“No, certo che no, non abbiamo nulla da nascondere. Anzi, tu sarai abituato a rovistare tra le carte,” risponde Carmen, grata per l’aiuto, prima di aggiungere, “scusa, non c’è problema vero se ti do del tu?”
 
“Nessun problema, e comunque mica è un’ispezione ufficiale di polizia,” la rassicura Gaetano, avvicinandosi all’ex moglie e mettendo giù il bimbo,  “Eva, puoi pensare tu alla cena di Tommy?”
 
“Sì, certo,” conferma la svedese, che ha assistito a quella scena in disparte.
 
“Mamma… se avete notizie su papà mi avvisi? Io intanto provo a chiamarlo,” propone Livietta, con tono ancora preoccupato.
 
“D’accordo, chi lo trova per primo chiama gli altri, ok? Dai, andiamo.”
 
***************************************************************************************
 
“Hai trovato qualcosa?”
 
“No: ma qui è un casino! Da quando Renzo è così disordinato?” si lamenta Carmen, intenta ad analizzare una pila di carte su quella che in teoria avrebbe dovuto essere la sua scrivania.
 
“Non lo so…” ribatte Camilla con un sospiro, sapendo che in effetti almeno sull’abilità e sull’attitudine di Renzo per i lavori di casa, dalle pulizie alla cucina, non aveva mai avuto di che lamentarsi.
 
“Renzo non tiene più un’agenda cartacea, per caso?” domanda Gaetano dall’altro lato dello studio, dove sta facendo passare un’altra pila di scartoffie.
 
“No, ha tutto sul cellulare, sul tablet e sul computer, sincronizzato. Ma se li deve essere portati dietro…” spiega Carmen con un altro sospiro.
 
“Forse ci siamo!” proclama infine Gaetano, avvicinandosi alle due donne e mostrando loro una mappa catastale con la parola Sanremo scritta a mano sul bordo superiore ed una particella sottolineata in rosso.
 
“Forse sì… avevate altri progetti in ballo a Sanremo, che tu sappia?” domanda Camilla a Carmen, studiando lo schizzo.
 
“No, non fino a un mese fa, almeno…”
 
“Allora faccio una ricerca e troviamo l’indirizzo,” spiega Gaetano, componendo un numero di telefono e ottenendo, dopo una breve conversazione, il recapito corrispondente alla particella.
 
“Direi di cercare se l’indirizzo ha un numero di telefono fisso intestato e a chi,” propone Camilla, tirando fuori il suo cellulare e facendo una breve ricerca su internet.
 
“Ci sono vari numeri, di più appartamenti,” sospira Camilla, mostrando i risultati a Gaetano e Carmen.
 
“E ora come facciamo a capire qual è quello giusto? Li chiamiamo tutti?” domanda Carmen, scoraggiata.
 
“Forse non serve…” ribatte Camilla, puntando il numero di una certa Armida che, tra il nome ormai desueto e il fatto di essere l’intestataria del contratto, presume essere un’anziana vedova o sola. Il che rende, tra le altre cose, improbabile che sia il suo appartamento quello in cui sta lavorando Renzo: per esperienza, le anziane sole non amano i cambiamenti.
 
“Pronto?” la voce arrochita dall’età che le risponde al telefono le conferma almeno un’ipotesi.
 
“Pronto, signora Traverso? Mi scusi il disturbo, lei non mi conosce ma sono Camilla Ferrero, la moglie dell’architetto che sta curando la ristrutturazione di un appartamento nel vostro stabile,” esordisce Camilla con nonchalance, mentre Carmen e Gaetano la guardano stupiti, soprattutto Gaetano che sul Camilla Ferrero avverte uno strano senso di vuoto allo stomaco, anche se in fondo, da un punto di vista legale, è la pura e semplice realtà dei fatti.
 
“Ah, sì, certo, l’architetto che sta risistemando casa ai Bertani,” conferma l’anziana, “ma perché telefona a me, scusi?”
 
Camilla fa scorrere rapidamente la lista dei numeri e non ci sono Bertani in elenco.
 
“No, è che sono due giorni che provo a chiamare mio marito al cellulare ed è sempre staccato e non ho altri recapiti. Mi comincio a preoccupare che gli sia successo qualcosa… Lei non sa se la casa dei Bertani ha un numero fisso? O almeno ha visto passare mio marito di recente?”
 
“Non so se i Bertani abbiano un numero ma non credo: sa questi giovani, con i loro cellulari, non tengono più il telefono fisso in casa,” ribatte la signora, “e suo marito penso di averlo visto ieri per l’ultima volta, ma sa, c’è un tale movimento di operai che…”
 
“Sa per caso se stanno ancora lavorando?” domanda Camilla, speranzosa.
 
“No, no, alle 18 se ne vanno, puntuali come orologi. Ma non ho visto passare suo marito.”
 
“Lei non sa dirmi il nome della ditta degli operai? O ha magari visto o sentito in che hotel soggiorna mio marito? Detesto importunarla ma sono davvero preoccupata… e non solo che possa essersi sentito male… sa, lei è una donna e mi può capire, purtroppo certi uomini lontani da casa… E nel caso di mio marito non sarebbe nemmeno la prima volta,” sospira Camilla, non faticando per nulla ad immedesimarsi nella recita.
 
“Ah, signora, certo, anche se suo marito mi sembra un tipo tanto distinto… ma sono sempre le acque chete quelle di cui non bisogna fidarsi,” proclama l’anziana, in un moto di solidarietà femminile e di pettegolezzo, “comunque io non conosco il nome della ditta, so solo che sono praticamente tutti albanesi. E non so nemmeno il nome dell’albergo, ma suo marito l’ho sempre visto arrivare qui a piedi, quindi…”
 
“Grazie mille lo stesso, signora, è stata gentilissima!” ringrazia Camilla, chiudendo la comunicazione ed incontrando lo sguardo divertito di Gaetano e quello sorpreso di Carmen.
 
“L’ha visto ieri per l’ultima volta e soggiorna in un posto abbastanza vicino da andare e tornare a piedi. E Renzo non è di certo un gran sportivo, quindi-“
 
“Quindi cerchiamo gli hotel nei paraggi? Non saranno pochi…” commenta Gaetano con un sospiro, sapendo che in una località turistica spuntano come funghi.
 
“Ma se ce li dividiamo tra noi tre e cominciamo a chiamare non ci metteremo tanto,” interviene Carmen, determinata.
 
“Sperando che non ci siano altri Renzo Ferrero…” commenta Camilla, anche se tutto sommato di figure imbarazzanti nella sua lunga carriera di investigatrice dilettante ne ha fatte a iosa.
 
Dalla mappa dell’area circostante, Gaetano ricava i nomi degli hotel e cominciano a chiamare quelli più vicini. Dopo un po’ di tentativi a vuoto, finalmente lo sguardo di Carmen si illumina.
 
“Può passarmelo per favore?” domanda al receptionist dall’altro capo del telefono, per poi aggiungere, nuovamente preoccupata, “come non c’è? Sa quando è uscito o quando torna? Come chi sono io? Io sono una collega e-”
 
“Pronto, mi scusi, sono Camilla, la moglie di Renzo Ferrero,” interviene Camilla, prendendo il telefono dalle mani di Carmen, visibilmente in difficoltà, “sì, la moglie, se le ha lasciato i documenti ci troverà scritto sopra coniugato. Mi ascolti, io e la signora Rocas sono due giorni che non riusciamo a rintracciare mio marito e siamo molto preoccupate. Ora lei capisce che, essendo trascorse quasi 48 ore potremmo far partire una denuncia alla polizia per scomparsa, ma vorremmo evitare di arrivare a tanto, e credo che questo non convenga nemmeno a voi. Mi può adesso gentilmente dire quando ha visto per l’ultima volta uscire mio marito e se ha fatto sapere quando rientrava? Le garantisco che non vogliamo dare problemi o creare scandali, solo sapere se sta bene.”
 
“Quindi è da ieri che non lo vedete nemmeno voi?” chiede conferma, mentre comincia ad essere anche lei seriamente preoccupata, “e non vi ha lasciato detto nulla? Non so, se si fermava una notte da qualche parte o… No? D’accordo, d’accordo, grazie. Se lo vede, può dirgli di chiamare immediatamente me o la signora Rocas? Lo può riferire anche ai suoi colleghi se stacca il turno? Grazie, grazie mille.”
 
“E adesso che si fa?” domanda Carmen, la voce quasi tremante.
 
“Posso provare a contattare i colleghi di Sanremo… non sono ancora trascorse 48 ore però magari cominciano a fare un po’ di telefonate…” offre Gaetano e non è necessario che finisca la frase, perché Camilla sa benissimo di quali telefonate sta parlando: ospedali e, purtroppo, obitori.
 
“Non so… se non fosse successo niente e gli mandiamo dietro la polizia si scatenerebbe un putiferio, conoscendo Renzo,” sospira Camilla, quasi non volendo nemmeno prendere in considerazione un’altra ipotesi, “però…”
 
“Io vado a Sanremo,” proclama Carmen, un lampo deciso negli occhi scuri, “anche se non fosse successo niente devo parlare con Renzo di persona. Sono tornata per questo.”
 
“E vorresti partire adesso?”
 
“Sì, subito. Lo so che ti chiedo molto, Camilla, ma mi potresti prestare la macchina? È troppo tardi per chiamare un autonoleggio e-“
 
“Ma figurati, vengo anche io con te,” proclama Camilla, sapendo che è l’unica cosa sensata da fare, “Gaetano… non ti dispiace vero?”
 
“Camilla, ma certo che non mi dispiace, anzi, vi accompagno e guido io,” replica Gaetano, con tono di chi non vuole sentire obiezioni.
 
“Ma come fai con il lavoro? E poi è tardi e c’è Tommy ed Eva riparte con lui tra tre giorni e-“
 
“E di Tommy si può infatti occupare Eva, anzi, non vedrà l’ora. Al lavoro posso chiedere un giorno di permesso, se serve, e poi per l’appunto è tardi e tu sei stanca e immagino anche Carmen, se è appena arrivata da New York, e non ho alcuna intenzione di lasciarvi da sole di notte. In tre ore arriviamo a Sanremo e da lì vediamo come muoverci, ok?”
 
“Gaetano…” sussurra Camilla, commossa e grata, prima di aggiungere, con un sorriso malinconico, “ok.”
 
***************************************************************************************
 
“Ancora niente?”
 
“Niente,” conferma Carmen dopo l’ennesima telefonata a vuoto: cellulare non raggiungibile.
 
“Posso portarvi qualcosa dal bar? Magari un caffè?” domanda il receptionist, avvicinandosi ai divanetti della hall sui quali sono seduti.
 
“No, grazie, davvero,” risponde Camilla, stravolta.
 
Dopo tre ore di macchina, fortunatamente niente traffico a quell’ora di martedì sera, erano finalmente arrivati all’albergo presso cui, teoricamente, soggiornava Renzo.
 
Era stato difficile convincere Livietta a non venire con loro ma Camilla sapeva che c’era la possibilità che fosse successo qualcosa di grave ed in quel caso voleva essere lei di persona ad informare la figlia e soprattutto evitare che vedesse cose che l’avrebbero segnata per sempre. Non che non sarebbe stata comunque segnata per sempre se fosse capitato qualcosa di irreparabile a Renzo, questo Camilla lo sapeva bene, ma c’era una scala di gravità anche nei traumi peggiori.
 
Il receptionist, un collega di quello con cui avevano parlato al telefono, si era dimostrato molto più gentile e collaborativo, forse anche per merito del distintivo che Gaetano aveva prontamente esibito. Aveva purtroppo confermato loro che Renzo ancora non era rientrato e non aveva dato notizie di sé. Il cellulare era sempre spento o comunque irraggiungibile.
 
“Senti, Camilla, forse a questo punto è il caso che faccia questa telefonata. Anzi, il commissariato è qui vicino, potrei andarci di persona e parlare con gli agenti in turno di notte. Potrei anche farle io queste chiamate ma se ci fosse bisogno non vorrei che il commissario e gli agenti del posto la prendano come un’ingerenza: è meglio non inimicarseli.”
 
“D’accordo,” annuisce Camilla, guardando l’ora: sono quasi le tre di notte.
 
“No, no, vado da solo: voi rimanete qui e mi avvertite se torna, ok?” le blocca con un gesto della mano, quando le vede alzarsi dal divanetto, aggiungendo poi, quasi per giustificarsi, “se c’è da chiedere di fare uno strappo alle regole, meno si è e meglio è.”
 
“Gaetano…” mormora Camilla, capendo benissimo che lo strappo alle regole non è di certo l’unica motivazione che lo porta ad agire così, bensì lo stesso istinto di protezione che l’ha spinta a lasciare Livietta a Torino.
 
Si ritrova trascinata in un abbraccio fortissimo: niente parole, né rassicurazioni, né promesse che, lo sanno entrambi, lasciano il tempo che trovano in una situazione del genere.
 
“Camilla, se fosse successo qualcosa, qualsiasi cosa, non è colpa tua. Lo sai, vero?” le domanda, staccandosi lievemente per guardarla negli occhi, che si fanno lucidi, mentre lei annuisce.
 
Lo sanno entrambi che, razionalmente, nessuno di loro c’entra nulla con la scomparsa di Renzo, ma sanno anche che i sensi di colpa sono irrazionali per loro stessa natura.
 
Un ultimo abbraccio, un saluto a Carmen, che li osserva toccata, e Gaetano si volta ed esce a passi rapidi dall’albergo, prima di cambiare idea.
 
“Ti ama davvero moltissimo, Camilla,” dichiara Carmen con voce malinconica, dopo qualche istante di silenzio, “in altre circostanze ti direi che sei molto fortunata…”
 
“Lo so,” annuisce, osservando la spagnola, che sembra improvvisamente invecchiata di dieci anni, rispetto solo a qualche ora fa.
 
“E si vede che la cosa è reciproca. Sai, quando Eva mi ha raccontato che avevi lasciato Renzo quasi non ci potevo credere, dopo tutto quello che avevate superato per tornare insieme, dopo tutto quello che gli avevi perdonato. Ma adesso capisco…” mormora, quasi tra sé e sé.
 
“Anche tu gli hai perdonato tanto, Carmen, forse troppo. Non avrei mai pensato che saresti tornata a lavorare con lui, sai? E quando voi due stavate insieme, quando Renzo mi ha lasciata per te, ci sono stati momenti in cui ti ho odiata, lo ammetto. Ma di una cosa sono sempre stata sicura: che tu eri davvero molto innamorata di Renzo e… anche per te non deve essere stato per nulla facile quando lui ha deciso di riprovarci con me e ti ha mollata di punto in bianco. Hai dovuto rifarti una vita praticamente da zero.”
 
“L’ho odiato tanto quanto l’ho amato, Camilla. Ma del resto l’amore per Renzo e… e l’avergli perdonato troppo è sempre stata una delle poche cose che avevamo in comune, almeno fino a qualche tempo fa.”
 
La voce le si spezza e Camilla non può fare a meno di chiedersi il significato di quella frase. Se entrambe abbiano smesso davvero di amare Renzo o se forse Carmen ci è ancora dentro in pieno. Nonostante Jack, Camilla ha sempre sentito che difficilmente Carmen sarebbe tornata a lavorare con Renzo, se non avesse ancora provato per lui qualcosa di molto forte.
 
“Sai, mi sento in colpa per averlo lasciato da solo ed essere ripartita per New York, però… però non potevo permettermi di distruggere di nuovo tutta la mia vita per lui, tutto quello che avevo ricostruito in questi anni. Ma adesso vorrei solo sapere che sta bene: ho tanta paura di dover pensare lui al passato,” proclama Carmen, scoppiando infine a piangere.
 
Senza quasi rendersene conto, Camilla se la ritrova di nuovo tra le braccia, come era successo qualche anno prima, quando Carmen era stata indagata per l’omicidio del marito e lei l’aveva aiutata a scagionarsi. Ora come allora le sembra quasi assurdo consolare questa donna che aveva odiato con tutte le sue forze, che non le è mai stata amica, che aveva contribuito a quello che era stato uno dei periodi più bui della sua vita. Ma ora, col senno di poi, si rende ancora di più conto che in fondo Carmen era stata solo una conseguenza e non l’origine dei suoi problemi, dei suoi mali. E ora, soprattutto, capisce che forse, paradossalmente, non erano mai state entrambe innamorate dello stesso uomo, non nel medesimo momento, almeno.
 
Perché quello che Camilla aveva invidiato a Carmen era un rapporto che tra lei e Renzo già allora non esisteva ormai più da anni, sostituito da senso del dovere, rimpianti, affetto, abitudine. E al senso di colpa che, nonostante le parole di Gaetano e tutto quello che aveva combinato Renzo, prova per essersi resa conto della scomparsa del padre di sua figlia – un uomo che aveva amato profondamente per tanti anni e a cui, nonostante tutto, continua a voler bene – solo per merito di qualcun altro, di una donna che invece forse Renzo l’aveva sempre amato da quando lo conosceva, si aggiunge quello per aver contribuito, insieme a Renzo, a combinare il gran casino degli ultimi due anni. Un tira e molla inutile che aveva arrecato solo dolore a così tante persone, prima di tutto a loro stessi.
 
E che, riflette adesso, mentre un brivido le percorre la schiena, potrebbe essere addirittura finito in tragedia.
 
“Buonasera. Camera 204!”
 
La voce, familiare e diversa al tempo stesso, le ridesta entrambe di colpo. Carmen solleva il viso, ancora bagnato di lacrime, ed entrambe guardano quasi incredule verso il bancone della reception.
 
“Renzo!” esclamano all’unisono, mentre l’uomo si gira e spalanca la bocca in maniera quasi comica.
 
“Carmen? Camilla? Che ci fate qui?” domanda, con un tono di voce roco ed impastato.
 
“Stai bene?” chiede di rimando Carmen, alzandosi dal divanetto insieme a Camilla ed avvicinandosi a Renzo.
 
“Una meraviglia,” replica l’uomo, con un mezzo risolino che suona strano ad entrambe le donne, “ma voi che ci fate qui?”
 
“Che ci facciamo qui? Renzo, sei sparito per due giorni! Avevi il cellulare staccato e non sei tornato a dormire qui in hotel, nessuno aveva tue notizie da ieri! Pensavamo ti fosse successo qualcosa di grave, sono ore che cerchiamo di metterci in contatto con te o di capire dove sei. Come ti è saltato in mente di sparire così, dove sei stato?” domanda Camilla, con un tono di voce che sale progressivamente mano a mano che allo spavento e al sollievo si sostituisce la rabbia.
 
“Sono stato a farmi un giro a Cannes e poi stasera ho fatto un salto al casinò. Il cellulare mi si era scaricato e mi ero dimenticato il caricabatteria: problemi?” afferma Renzo con tono di sfida e la voce ancora più strana, quasi distorta.
 
“Ma hai bevuto? E da quando giochi d’azzardo?” domanda Camilla, incredula, comprendendo finalmente cosa c’era di diverso nella voce di Renzo e notando l’incertezza nei movimenti, come se gli costasse fatica mantenere l’equilibrio.
 
“Un paio di bicchieri. E tranquilla che ho giusto fatto un paio di partite, non sono mica andato in bancarotta, anche se tanto adesso hai qualcun altro che ti aiuta con le spese, no?” commenta sarcastico, “e comunque dato che non stiamo più insieme non credo di doverti rendere conto di quello che faccio o dei miei spostamenti!”
 
“Ma chi te l’ha mai chiesto! Non pretendo certo che mi rendi conto dei tuoi spostamenti, ma almeno che non sparisci dalla faccia della Terra o che non ti rendi irreperibile per giorni!” replica Camilla, mentre la rabbia e l’indignazione continuano a montare, “ti rendi conto di quello che ci hai fatto passare? Siamo venuti qui di corsa, preoccupati da morire, temendo il peggio!”
 
“Ti sei preoccupata, davvero? Sinceramente non l’avrei mai detto e non avrei mai pensato nemmeno che ti sarebbe cambiato qualcosa se non ero reperibile per due giorni, anzi che non te ne saresti neanche accorta, dato che sono settimane che non provi nemmeno per sbaglio a chiamarmi!” urla Renzo, duro ed amaro.
 
“Signori, per favore, ci sono gli ospiti che dormono..” interviene il receptionist, visibilmente imbarazzato.
 
“E sai benissimo anche tu perché non muoio esattamente dalla voglia di chiamarti, Renzo,” sibila Camilla in tono più basso, anche se il senso di colpa la trafigge nuovamente, “e comunque certo che mi preoccupo: sei sempre il padre di mia figlia! E Livietta era disperata quando ha saputo che non ti trovavano: sono ore che è in ansia per te e prova a chiamarti su quel dannato cellulare!”
 
“Livietta era preoccupata per me?” domanda Renzo, bloccandosi di colpo.
 
“Ma certo che era preoccupata: temeva che fossi morto!” ripete Camilla, sentendosi quasi male quando pronuncia quella parola.
 
“Beh, almeno qualcosa di me ancora le importa, anche se solo quando pensa che sono passato a miglior vita,” mormora Renzo, quasi tra sé e sé.
 
“Cosa? Cosa? Non… tu non hai messo su tutto questo casino per farci sentire in colpa e per vedere se ci saremmo preoccupati per te, vero?” sibila Camilla, fulminandolo con uno sguardo assassino.
 
“Camilla, ma no, Renzo non farebbe mai qualcosa del genere,“ prova ad intervenire Carmen, che aveva assistito a tutta la scena in disparte, sentendosi, come sempre quando Renzo e Camilla sono insieme, un’intrusa.
 
“Tu non lo conosci quanto lo conosco io, Carmen, credimi. Una volta durante una nostra pausa di riflessione mi salutò una notte con una frase tipo ‘qualsiasi cosa succeda, ricordatevi che vi ho voluto bene!’, come se dovesse morire o suicidarsi di lì a poco. E quando poi glielo feci notare, dopo una notte insonne, sai cosa mi rispose? Che forse il mezzo infarto che mi aveva fatto prendere era servito a farci capire che a me di lui importava ancora qualcosa!”
 
“Tanto stavolta non mi sarebbe servito a nulla testare se ci tieni ancora a me o meno, Camilla: la risposta la conosco già, dato che nell’ultimo anno sono stato giusto un intralcio, un ostacolo alla storia d’amore del millennio tra te e lo sbirro. Sono mesi che non te ne frega più niente di me e se non ci fosse Livietta te ne fregherebbe ancora di meno. Ma almeno mi consola sapere che ho ancora una figlia, anche se pure lei ovviamente preferisce passare il suo tempo con il poliziottosuperpiù,” proclama Renzo, sardonico, “anzi, dov’è Livietta, è qui con voi?”
 
“Livietta è a Torino: ho preferito lasciarla a casa, dato che non sapevo se ed in quali condizioni ti avremmo ritrovato, Renzo,” sospira Camilla, decidendo di ignorare i commenti su Gaetano prima che la discussione degeneri.
 
“E l’hai lasciata sola con il poliziotto a prendersi cura di lei? Ma complimenti! Immagino come la starà consolando per la mia scomparsa!” quasi grida Renzo, serrando la mascella e i pugni, mentre Carmen e il receptionist li guardano sconvolti.
 
“Renzo, stai zitto: non ti permettere mai più, hai capito?!” urla Camilla con tono letale, mentre fa leva su tutto il suo self-control: solo l’essere in pubblico, in mezzo a testimoni, e il fatto che Renzo è visibilmente alticcio, per non dire sbronzo, la trattengono dal mollargli un altro ceffone.
 
“Per favore calmatevi,” prova ad intervenire di nuovo Carmen, mettendosi in mezzo, letteralmente.
 
“E comunque Gaetano non è rimasto a Torino, è venuto con noi per aiutarci a cercarti, anzi adesso è-“ sbotta Camilla, interrompendosi di colpo, quando si rende conto che, nella concitazione del momento, ha dimenticato un dettaglio importante, “oddio, devo chiamarlo per dirgli che sospendano le ricerche.”
 
“Sospendano le ricerche?” chiede Renzo, “chi deve sospendere le ricerche?”
 
“Gaetano è andato al commissariato qui vicino per denunciare la tua scomparsa e convincere gli agenti a cominciare a cercarti anche se non erano passate 48 ore,” spiega Carmen con il tono più conciliante che possiede, “è stato davvero molto gentile, Renzo.”
 
“Immagino…” borbotta Renzo, sardonico, per nulla impressionato, “si sarà semplicemente voluto sincerare di persona che fossi passato a miglior vita. Non vedeva l’ora, scommetto!”
 
Intanto Camilla ha già tirato fuori il telefono e composto il numero.
 
“Gaetano, ciao, ascoltami, ferma tutto: Renzo è tornato in albergo, è qui davanti a me, non gli è successo nulla,” spiega rapidamente, cercando di sembrare molto più tranquilla di quello che è.
 
“Ah, meno male, allora dico ai ragazzi di sospendere le chiamate e-“
 
“Sei al telefono con il tuo amato?” li interrompe Renzo, che alza di proposito il volume della voce, in modo da farsi sentire dal rivale dall’altro capo della cornetta, “allora riferiscigli pure che per stavolta gli è andata male, perché se pensava di essersi liberato definitivamente di me, si sbagliava e di grosso. Non ho alcuna intenzione di tirare le cuoia e di fargli l’enorme piacere di lasciargli il campo libero, chiaro?”
 
“Signore, per favore se continua così le devo chiedere di  andarsene,” interviene di nuovo il receptionist, evidentemente in difficoltà.
 
“Renzo, por favor,” lo implora Carmen, prendendolo per un braccio e allontanandolo di qualche passo dall’ex moglie.
 
“Camilla, che succede? Renzo sta dando di matto?” chiede Gaetano, la preoccupazione evidente nel tono di voce, “ma ha bevuto?”
 
“Purtroppo sì, e no, non ti preoccupare, è tutto sotto controllo, però, per favore, torna presto,” sussurra Camilla, allontanandosi ancora da Renzo.
 
“Arrivo di corsa! Il tempo di avvertire i colleghi, ok?” la rassicura Gaetano, mettendo giù la comunicazione.
 
“Renzo, forse è meglio che vai in camera a riposare. Dai, ti accompagno,” propone Carmen, chiaramente preoccupata che ci sia una nuova escalation. Non avrebbe mai pensato di vedere Camilla e Renzo litigare in questo modo: anche la loro prima separazione era stata straordinariamente civile.
 
“Prima voglio avvertire mia figlia che sto bene,” replica Renzo, tirando fuori il cellulare e tentando invano di accenderlo, per poi ricordarsi che è scarico e rivolgersi alla spagnola, “mi presteresti il tuo telefono?”
 
“Renzo, avvertirò io Livietta che stai bene e che è tutto a posto ma tu prima dormi e ti fai passare la sbronza e poi casomai domattina la chiami, chiaro?”
 
“Camilla, tu non puoi impedirmi di sentire mia figlia!” grida di nuovo Renzo, cercando di liberarsi dalla presa di Carmen.
 
“Guarda che se te lo impedisco è solo per evitarti di distruggere completamente il rapporto con lei, date le condizioni in cui sei! Domattina quando ti sarai dato una calmata la chiami.”
 
“Renzo, Camilla ha ragione: per favore, ti accompagno nella tua stanza. Mi può dare le chiavi?” domanda al receptionist che, ansioso di liberarsi da quella situazione volatile, acconsente alla richiesta.
 
“Carmen, sei sicura?” chiede Camilla, preoccupata di lasciare la spagnola sola con Renzo in queste condizioni.
 
“Tranquilla, tutto a posto, dai Renzo, andiamo!”
 
“Ma Carmen io-“ prova a protestare Renzo ma, forse per via dei fumi dell’alcol, la donna non ha problemi a trascinarlo con sé verso l’ascensore.
 
“Mi scusi davvero, mi dispiace per tutto il disturbo,” dice Camilla al ragazzo dietro il bancone, imbarazzata.
 
“Si figuri signora, sapesse quante cose si sentono e si vedono facendo il turno di notte,” cerca di rassicurarla con un sorriso.
 
Ma sa che c’è una sola persona al mondo che ha il potere di rassicurarla, o almeno di alleviare il dolore sordo e pulsante, l’ansia che sente invaderle la testa ed il cuore. E prega che arrivi il più presto possibile, perché non è sicura di quanto potrà ancora resistere da sola, prima che la maschera crolli.
 
 
 


Nota dell’autrice: Allora, sono stata in dubbio fortissimo su dove far finire il capitolo, perché volevo fare un capitolo unico ma, scrivendolo mi stava venendo davvero troppo, ma troppo lungo, anche di più del capitolo precedente a questo e quindi ho deciso di interrompere qui, ma la buona notizia è che il prossimo capitolo è già quasi del tutto scritto e quindi dovrebbe arrivare nel giro di pochi giorni, giusto il tempo di terminarlo e di darmi e darvi un po’ di respiro tra una lettura e l’altra. Vi do quindi appuntamento tra pochi giorni per scoprire quali saranno le conseguenze di questa “sparizione” di Renzo, con sbronza annessa, ci sarà anche la partenza di Tommy ed Eva e… non voglio anticipare altro, ma diciamo che sarà un capitolo molto, molto movimentato.
Tra due capitoli invece arriverà finalmente un ritorno alle origini per i nostri: la Caput Mundi li aspetta per nuove avventure e nuovi misteri ;). Come sempre vi ringrazio per avermi seguito fin qui: i vostri commenti, anche negativi, mi aiutano tantissimo a tararmi nella scrittura e sono curiosissima di conoscere i vostri pareri sul capitolo in generale e su Renzo e anche su Carmen in particolare, dato che nel primo caso è una sfida scriverlo in quello che è, evidentemente, un periodo decisamente nero della sua vita (con tutte le conseguenze del caso per se stesso e per chi lo circonda) e nel caso della spagnola perché è un personaggio molto complesso anche nella serie, né buona, né cattiva ma con molte aree di grigio ;). 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Letting go - seconda e ultima parte ***


Capitolo 30: “Letting go – seconda e ultima parte”
 


Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


 
“Ahh, la mia testa!”
 
“Se non avessi bevuto così tanto adesso non staresti così,” lo rimprovera Carmen, prima di prendere il fazzoletto che copre la fronte dell’uomo, bagnarlo di nuovo in acqua fredda e rimetterlo al suo posto.
 
“Hai ragione. Scusami, Carmen, per tutto il disturbo e anche per prima… mi sono comportato da idiota, ma-“
 
“Ma eri borracho… ubriaco… Adesso pensa a riprenderti, ok?”
 
Erano ormai le sei del mattino e di sonno nemmeno a parlarne: quando aveva portato Renzo in camera sua l’aveva dovuto aiutare a svestirsi e a mettersi a letto. Nel delirio alcolico, Renzo, forse perché l’aveva vista togliergli i vestiti, aveva anche tentato di baciarla e l’aveva chiamata “mi gatita”, come faceva quando stavano insieme a Barcellona. Nonostante ci avesse provato insistentemente, non le era stato difficile scansarsi, dato che a stento si reggeva in piedi, figuriamoci riuscire a coordinare i movimenti.
 
Poi, quando stava per andarsene, erano arrivati gli attacchi di vomito: per fortuna aveva afferrato per tempo il cestino dei rifiuti.
 
Alla fine era rimasta con lui, non se l’era sentita di lasciarlo solo e l’aveva assistito fino ad ora, cercando di alleviare i sintomi da hangover, come si diceva a New York, o da resaca, come si diceva a Barcellona. In qualunque modo si volessero chiamare, erano decisamente spiacevoli.
 
“E comunque non è tanto con me che dovresti scusarti, ma con Camilla: non vi avevo mai visto litigare così,” osa infine aggiungere la spagnola, dopo un attimo di riflessione.
 
“Si vede che sei stata via un po’ di tempo,” ribatte Renzo con una risata che provoca un altro attacco di conati, anche se ormai espelle solo parte dell’acqua che Carmen gli ha fatto bere per reidratarsi, “ultimamente io e Camilla non riusciamo a fare altro che litigare, le poche volte che ci parliamo.”
 
“Ma quando vi siete separati a Barcellona discutevate, sì, ma siete sempre rimasti in rapporti civili.”
 
“Ma c’era una differenza fondamentale, Carmen,” replica Renzo, amaro, bevendo un sorso d’acqua con un’espressione disgustata, come se si trattasse di veleno.
 
“Che stavolta ti ha lasciato lei?” chiede Carmen, con un sopracciglio alzato.
 
“Benissimo, vedo che ormai tutto il mondo sa che sono un cornuto. Ebbene, sì, Camilla mi ha mollato per quella specie di Big Jim… Ed è proprio lui il problema: ha un’influenza, un ascendente assurdo sia su Camilla che su Livietta e ha fatto e sta facendo di tutto per allontanarle da me!”
 
“Renzo, guarda che oggi un po’ l’ho conosciuto Gaetano e non mi sembra affatto come lo descrivi. Anzi, come ha saputo che eri sparito ha mollato tutto e ci ha aiutate a cercarti, ci ha portato qui... Non saremmo probabilmente mai riuscite a trovarti senza il suo aiuto,” prova a spiegare Carmen, conciliante.
 
“Ma benissimo: ha conquistato anche te? Fai parte anche tu dell’affollatissimo Gaetano Berardi fan club?” sogghigna Renzo, amaro, guardandola come se l’avesse tradito.
 
“No, Renzo, non mi ha conquistata. Ma sto solo cercando di dirti che forse Gaetano non è il male assoluto e nemmeno il motivo per cui Camilla e Livietta si stanno allontanando da te.”
 
“E quale sarebbe allora questo motivo?”
 
“Il tuo risentimento e la tua gelosia nei confronti di Gaetano e il modo in cui tratti non solo lui, ma soprattutto Camilla,” risponde Carmen, fissandolo dritto negli occhi come se stesse pronunciando un’ovvietà.
 
“Beh, scusami tanto se ce l’ho con lui per avermi portato via la moglie, o con lei per avermi riempito di corna in quest’ultimo anno, se non da prima. Cosa dovrei fare, eh? Fare loro i complimenti e le congratulazioni e augurare loro ogni felicità?” chiede Renzo, alzando il tono di voce e pentendosene immediatamente quando un’altra fitta gli trapassa il cranio da parte a parte.
 
“No, capisco che ti fa male, però… Renzo, non hai mai pensato che come ti senti ora tu è lo stesso modo in cui si deve essere sentita Camilla quando l’hai lasciata per stare con me? Anche lei allora era la cornuta, Renzo, anche se odio quel termine. Io e te ci siamo visti di nascosto per mesi prima che la lasciassi, e lo sai. Come ti saresti sentito se Camilla avesse iniziato a trattarti o a trattare me nel modo in cui tu hai trattato lei e Gaetano prima, giù alla reception?”
 
“Non è la stessa cosa!”
 
“Ma certo che è la stessa cosa, Renzo! Credi che Camilla non sia stata ferita ed arrabbiata quando vi siete lasciati? Pensa se Camilla avesse iniziato ad aggredirti o ad insultarmi ogni volta che ci incontravamo. Cosa sarebbe successo? So che tu avresti cercato in ogni modo di difendermi e i rapporti tra di voi sarebbero ancora peggiorati! Quando Andreina mi offendeva e mi dava della… della puta… quando io mi sentivo in colpa, ti ricordi cosa mi dicevi? Che non era colpa mia se ti eri innamorato di me e che io non avevo nessun obbligo nei confronti di Camilla. Che non si può decidere chi si ama. E io allora ero nella stessa posizione di Gaetano adesso, se non peggio.”
 
“Ma-“
 
“Ascoltami, io non c’ero nelle ultime settimane e quindi non posso sapere bene quello che è successo, ma quello che ho visto prima di sotto mi è bastato per farmi un’idea. Renzo, Camilla era molto preoccupata per te e si è fatta in quattro per capire dove ti trovavi, in che albergo stavi: è davvero brava nelle indagini, ancora meglio di quanto ricordassi…”
 
“Eh, certo, lei e il poliziotto insieme fanno questa specie di squadra imbattibile, no?” commenta Renzo, scuotendo il capo e di nuovo pagandola cara, dato che viene investito da un’ondata di nausea peggiore del mal di mare.
 
Carmen lo aiuta a distendersi nuovamente e aspetta che lui riapra gli occhi e la guardi prima di rispondergli.
 
“Renzo, non è questo il punto. Il punto è che Camilla ci tiene ancora a te, probabilmente non ti ama più, ma ti vuole bene e anche Livietta ti adora. Ma quando sei arrivato, in pochi minuti con il tuo atteggiamento hai distrutto ogni sentimento positivo che lei può avere provato oggi nei tuoi confronti. E poi sparire così, bere così… non è da te Renzo. Ho visto anche il casino nel tuo studio: e dire che quando stavamo insieme ti chiamavo Don Limpio, Mastro Lindo, da quanto eri maniaco dell’ordine e della pulizia.”
 
“Carmen…” prova ad obiettare, ma la voce gli muore in gola. Sa che ha ragione, sa che ultimamente sembra che stia perdendo il controllo in tanti, troppi ambiti della sua vita. Ormai gli è rimasto solo il lavoro: l’unica cosa che riesce a distrarlo e in cui non si sente un fallimento totale.
 
“Renzo, tu non puoi distruggere la tua vita perché Camilla ti ha lasciato. E non puoi nemmeno cercare di distruggere la sua di vita per ripicca…”
 
“Carmen, non è facile io… io non so se posso vivere senza Camilla,” confessa Renzo, mentre una grande malinconia gli chiude lo stomaco.
 
“Renzo, por favor, non dire idiozie e non fare il melodrammatico! Quando stavi con me hai passato mesi, anni senza quasi vedere Camilla, a migliaia di chilometri di distanza. Forse non sarò stata la compagna che volevi, forse non ti avrò reso felice e non mi amavi, ma sei sopravvissuto benissimo e non mi sembravi certo disperato,” gli ricorda Carmen, con tono improvvisamente duro, quasi aspro.
 
“Carmen… scusami io… non dovrei sfogarmi proprio con te, lo so. Sono un idiota,” ammette, rendendosi conto che Carmen è la persona meno adatta con cui parlare di Camilla.
 
“Meglio che ti sfoghi con me, piuttosto che ti distruggi il fegato con l’alcol,” replica Carmen con una mezza risata amara, “e poi dubito che qualsiasi cosa tu mi dirai potrà farmi più male di quando mi hai mollata su due piedi, cinque minuti prima di partire per New York.”
 
Si guardano per qualche istante, Renzo prova a prenderle una mano ma lei si sottrae. Poi, dopo qualche altro istante di silenzio, tira un forte sospiro ed alza gli occhi al soffitto, prima di posare la mano su quella dell’uomo.
 
“Renzo, se c’è qualcosa che ho imparato in questi anni è che non si muore per le sofferenze amorose, per quanto dolorose. Quando mi hai lasciata pensavo che la mia vita fosse finita, ero disperata, ma sono andata avanti e mi sono rifatta una vita. Anche Camilla quando l’hai lasciata ha sofferto, era evidente che stava male quando la incontravamo, ma è sopravvissuta e l’ha superato. La vita continua, Renzo, e sarà così anche per te. Nessuno dice che sia facile, ma è possibile.”
 
Renzo apre bocca ma esita prima di parlare, limitandosi a guardarla negli occhi.
 
“Dai, sfogati pure, dimmi che ti passa per la cabeza, tranquillo,” proclama con un sorriso rassicurante che le richiede un grande sforzo, stringendogli la mano.
 
Si maledice per la sua debolezza, per la sua accondiscendenza nei confronti di quest’uomo, ma sa anche che Renzo, a parte lei, non ha nessun altro con cui sfogarsi. Niente genitori, solo un padre che chissà dove stava e che non si era mai comportato come tale, nessun parente, praticamente nessun amico rimasto dopo i tanti trasferimenti. Solo colleghi, conoscenti di lavoro e lei, ma loro non erano mai stati veramente amici.
 
Non ci aveva mai pensato, del resto la vita di Renzo era sempre stata affollata, tra Camilla, Livietta e Andreina, e non aveva mai pensato che sarebbe potuto essere altrimenti, ma la verità era che, tagliati i ponti con Camilla, Renzo era un uomo solo, davvero solo.
 
“Carmen…” sussurra lui commosso, per poi aggiungere, dopo un attimo di esitazione, “lo so che la vita continua e che… e che tante persone si lasciano e vanno avanti ma… è che ho sempre pensato che io e Camilla saremmo invecchiati insieme, che, qualsiasi cosa fosse successa, lei per me ci sarebbe stata. Che sarei sempre stato io l’uomo più importante della sua vita, che sì, magari poteva anche desiderare ed essere attratta da un altro uomo, ma che alla fine avrebbe sempre scelto me.”
 
“Come quando ha mollato Marco di punto in bianco per tornare con te?” domanda la spagnola, aggiungendo poi, senza bisogno di ascoltare la risposta, “ma se l’ha fatto è perché probabilmente non amava Marco, mentre di Gaetano mi sembra davvero innamorata e credo che dovresti cominciare ad accettarlo, anche se fa male.”
 
Del resto aveva visto più trasporto da parte di Camilla nei confronti di Gaetano in poche ore che in tutte le occasioni in cui l’aveva vista con Marco – e forse anche con Renzo – messe insieme, anche se questo pensiero ovviamente ritiene più prudente tenerselo per sé.
 
“Renzo, sinceramente il problema è che tu tratti, hai sempre trattato Camilla come se non fosse solo tua moglie, anzi, a volte proprio come se non fosse affatto tua moglie, ma una madre, una sorella, la tua famiglia di origine. Il porto sicuro da cui tornare quando fa comodo, il piano di backup. Però non è giusto pretendere questo da lei, lo capisci?” prova a farlo ragionare, fissandolo negli occhi, come implorandolo di smettere di mentire a se stesso, “da quando sono arrivata a Torino non vi ho mai visti felici come coppia: tu spesso la sera non avevi affatto voglia di tornare a casa, te lo si leggeva in faccia. Quando dovevamo partire per Parigi, sembrava quasi che non vedessi l’ora. E, come continuavi a raccontarmi, anche lei preferiva passare tutto il suo tempo libero altrove piuttosto che a casa vostra. Ma davvero preferivi continuare una vita del genere, di bugie, di insoddisfazioni piuttosto che stare da solo? Perché secondo me è di questo che hai paura, Renzo: di rimanere solo.”
 
“Non ho paura di rimanere solo! Ma ho paura di perdere anche mia figlia, lo capisci? Livietta è l’unica famiglia che mi è rimasta e-“
 
“E la perderai se continui a comportarti così: ma non ti rendi conto che trattando male sua madre, sparendo per giorni, bevendo, insomma, comportandoti come un idiota, l’unica cosa che ottieni è di allontanarla da te? E poi, soprattutto, non ti rendi conto che se dai di te un’immagine instabile, aggressiva, autodistruttiva, rischi sul serio di non vederla più tua figlia? Non solo Camilla, come madre, parte avvantaggiata, ma sta anche con un poliziotto e non un poliziotto qualunque, ma uno che conta. Sai cosa succede se finite in tribunale?”
 
“Carmen…” sussurra Renzo, colpito nel profondo da quelle parole che suonano terribilmente vere.
 
“Pensaci, ok?”
 
Per qualche istante non parlano e si limitano a fissarsi in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri.
 
“Sono stato così preso dai miei problemi che non ti ho nemmeno chiesto perché sei tornata, come è andata a New York, come sta Jack…” commenta improvvisamente Renzo, anche se il suo tono di voce diventa strano quando pronuncia il nome del compagno di Carmen.
 
“Senti, ne parliamo in un altro momento, ok? Adesso cerca di riposare un po’ e di riprenderti, poi con calma ne discutiamo,” risponde Carmen, spegnendo la luce sul comodino e provando ad alzarsi, ma lui trattiene ancora la mano di lei nella sua e non pare intenzionato a lasciarla andare.
 
Con un sospiro, quasi per un tacito accordo si corica accanto a lui, sopra al lenzuolo e, uno accanto all’altra, ma ognuno perso nei suoi pensieri, aspettano un sonno che non ne vuole sapere di arrivare.
 
***************************************************************************************
 
“Allora tu rimani? Sei sicura?”
 
Sono nella hall, Carmen è davanti a loro e, se esistesse una gara per le occhiaie più profonde, arriverebbero sicuramente tutti e tre sul podio, ma la spagnola vincerebbe indubbiamente il primo posto.
 
Dopo che Gaetano era tornato in hotel, Camilla aveva impiegato parecchio tempo a rassicurarlo sul fatto che stesse bene e ad evitare che potesse andare a fare “quattro chiacchiere” con Renzo, adducendo la motivazione, peraltro vera, che l’ex marito era ubriaco fradicio. Successivamente avevano deciso, nonostante l’orario improponibile, di avvertire Livietta che il padre era sano e salvo, sapendo che altrimenti la ragazza avrebbe passato non solo una notte insonne, ma anche in preda all’ansia. A lei avevano detto che Renzo aveva lavorato per due giorni praticamente non stop per finire in tempo, dormendo in una stanza dell’appartamento che stava ridecorando, senza nemmeno accorgersi che il cellulare si fosse scaricato e che quindi stava finalmente riposando e l’avrebbe chiamata l’indomani. Non sapevano se ci avesse creduto, ma avevano deciso che era meglio che raccontarle la verità. Erano poi rimasti anche loro in una camera dell’hotel per poche ore di sonno, giusto il necessario perché nessuno dei due si addormentasse al volante sulla strada del rientro a Torino.
 
“Sì… ho bisogno di parlare con Renzo e lo farò quando si sveglia… poi almeno do un’occhiata a come sta procedendo il progetto. Non so se oggi riuscirà a lavorare…” commenta la spagnola con un sospiro, stropicciandosi gli occhi, “e poi tornerò in macchina con lui.”
 
“D’accordo, Carmen… se hai bisogno chiamaci e… grazie,” proclama Camilla, guardando l’ex rivale negli occhi.
 
“Credo che non ci sia bisogno che mi ringrazi Camilla. Sono io che sono in debito con te, un debito che non so se potrò mai ripagarti… Se c’è una cosa di cui mi sono resa ancora di più conto nelle ultime ore è quanto tu sia stata… una signora con me e Renzo, quando è successo quello che è successo a Barcellona. Probabilmente molto più di quanto ci meritassimo.”
 
Puoi dirlo – pensa Camilla, evitando però qualsiasi ulteriore commento, rivolgendole un’ultima occhiata eloquente, voltandosi e dirigendosi insieme a Gaetano verso il parcheggio.
 
Come quasi sempre accade quando ha a che fare con la professoressa, Carmen non può evitare di sentirsi piccola ed inadeguata al suo cospetto, insignificante. E, lo sa bene, l’età anagrafica non c’entra nulla.
 
***************************************************************************************
 
“Dai papà, ancora cinque minuti, per favore!”
 
Lo sguardo implorante di Tommy quasi spezza loro il cuore, ma sanno che il momento, tanto odiato e rinviato fino all’ultimo, è infine arrivato.
 
La mattina dopo Eva e Tommy sarebbero partiti molto presto per Los Angeles. La svedese, che ancora occupava l’appartamento di Carmen in assenza della spagnola, aveva straordinariamente concesso loro di fare un’ultima cena tutti insieme a casa di Camilla, declinando però l’invito – cosa di cui, sinceramente, le erano stati doppiamente grati.
 
“Tommy, domattina ti devi alzare presto ed essere pronto per il viaggio ed è ora di andare a dormire,” proclama Gaetano, sapendo che è la cosa responsabile da fare, anche se vorrebbe rimandare questo saluto all’infinito.
 
“Il papà ha ragione, Tommy, è tardi…” conferma Camilla, accarezzando i capelli del bimbo.
 
“Ma poi non ci vediamo per tanto e… io non voglio,” si lamenta il bimbo, con gli occhi lucidi.
 
“Ehi,” sussurra Camilla, abbracciandoselo forte al petto e sentendolo attaccarsi al suo collo in modo quasi disperato, “Tommy, ascolta: ti ricordi quanto eri triste quando è partita la mamma? Ma hai visto che questi mesi sono passati in fretta, no? Vedrai che anche le settimane in America con la mamma passeranno velocissime: avrai tante cose da fare e da vedere che non avrai nemmeno il tempo di sentire la nostra mancanza. E poi c’è skype e quindi possiamo vederci e sentirci spesso.”
 
“Lo so, ma non è la stessa cosa. Mi mancherete tanto e anche Potti,” proclama, tirando su con il naso.
 
“Vedrai che starai bene in America e poi quando tornerai avrai un sacco di cose da raccontarci,” lo rassicura di nuovo Camilla, accarezzandogli la schiena, “a proposito di Potti… Livietta?”
 
Livietta annuisce ed estrae da un armadietto lì vicino un pacchetto incartato.
 
“Tieni, Tommy,” annuncia, porgendoglielo con un sorriso.
 
“È per me?” domanda il bimbo, con uno sguardo incredulo e felice.
 
“Certo che è per te. Dai, apri!” conferma la ragazza, scompigliandogli i capelli.
 
Il bimbo non se lo fa ripetere due volte e strappa la carta regalo, estraendone un peluche che è un sosia di Potti e guardandolo quasi incantato.
 
“Lo so che hai già il tuo drago, ma così se senti la mancanza di Potti o… nostra te lo tieni vicino ed è come se fossimo lì con te.”
 
“Grazie! Grazie!” continua a ripetere il bimbo, abbracciando prima la ragazza e poi Camilla, “vi voglio tanto bene!”
 
“Anche noi, Tommy, anche noi,” proclamano commosse, coccolandoselo ancora per un’ultima volta.
 
***************************************************************************************
 
“Allora, sei pronto per la nanna?”
 
“Sì, papà…”
 
Il bimbo lo attende già nel lettone. Date le circostanze, Gaetano gli ha concesso il permesso di dormire insieme per questa notte. Poco distante c’è la valigia di Tommy, già pronta, l’ultima aggiunta il peluche regalatogli da Camilla e Livietta.
 
Come si siede sul letto il bimbo gli si getta praticamente addosso, abbracciandolo.
 
“Ehi, ehi, cosa c’è?” gli sussurra, accarezzandogli la schiena.
 
“È che mi mancherai tantissimo e poi… ho paura che se non ci vediamo per tanto… ti dimentichi di me un’altra volta,” mormora di rimando il bimbo, sollevando il viso per guardare il padre negli occhi.
 
“Tommy…” sospira Gaetano, maledicendosi per l’ennesima volta per l’insicurezza, la paura dell’abbandono che ha trasmesso a suo figlio nei suoi primi anni di vita, “ascoltami, tu potrai andare anche in capo al mondo, potremmo non vederci per un sacco di tempo, ma io non mi dimenticherò mai di te. Anzi, sarò sempre ad aspettarti e a contare i giorni fino al momento in cui ci rivedremo. E ci rivedremo prestissimo.”
 
“Promesso?”
 
“Promesso! Anzi… aspetta un secondo,” proclama, girandosi per aprire un cassetto del comodino, “volevo darteli domani mattina, ma…”
 
Porge a Tommy un portafoto di plexiglass, contenente la foto che hanno scattato tutti insieme a Gardaland ed un piccolo lettore mp3 di plastica.
 
“Ci ho memorizzato tutte le canzoni dello Zecchino d’Oro che ti piacciono di più e anche l’inno di Mameli cantato da me,” spiega Gaetano, lievemente imbarazzato all’idea che qualcuno, a parte Tommy, possa ascoltare la sua performance canora, “e poi Camilla e Livietta mi hanno aiutato a registrare alcune delle tue storie preferite, quelle che la mamma non conosce, dato che le altre te le racconterà sicuramente lei. Così se senti nostalgia, te le puoi ascoltare prima di dormire.”
 
“Papà…” esclama Tommy con i lacrimoni, attaccandosi di nuovo alla via del padre, “grazie, grazie mille! Sono i regali più belli che ho mai ricevuto!”
 
Continuando a tenerselo stretto al petto, Gaetano spegne la luce e si prepara a vegliare suo figlio in quella che, già lo sa, sarà una notte insonne. Ma la sensazione di Tommy stretto a lui, i respiri che diventano sempre più lievi, il calore di quel corpicino contro il suo petto, la sensazione di avere tra le braccia la cosa più preziosa del mondo, sono ricordi che vuole imprimersi a fuoco nella mente e nel cuore, per aiutarlo a superare le lunghe settimane di assenza.
 
Anche se forse, ad essere sinceri, quello che lo spaventa di più non è tanto questa vacanza, ma quello che verrà dopo. Perché sa benissimo che non dipenderà solo da lui.
 
E la sensazione di incertezza, di impotenza lo fa sentire fragile, debole, come mai prima d’ora.
 
***************************************************************************************
 
“Renzo? Carmen?”
 
“Possiamo entrare?” domanda Renzo, con un’aria tra l’imbarazzato e l’esitante, “avrei bisogno… avrei bisogno di parlare con te.”
 
“Se è per insultarmi o insultare le persone a me più care come l’altra sera, ti pregherei di risparmiarci l’ennesima lite e andare a sfogarti altrove,” ribatte Camilla, gelida, non muovendosi di un centimetro dalla porta. Già era di pessimo umore per la partenza di Tommy poche ore prima e ci mancava solo Renzo o la spagnola ad aggiungerci un carico da undici.
 
“Camilla… l’altra sera mi sono comportato come un idiota, è vero, ma ero ubriaco e-“
 
“A parte che dubito che qualcuno ti abbia obbligato a bere così tanto o a sparire per giorni, ma, soprattutto, so benissimo che certe cose le pensi, eccome se le pensi, dato che me le avevi già sputate addosso quando non avevi una sola goccia d’alcol in corpo,” replica, tagliente, trapassandolo da parte a parte con uno sguardo da far tremare le ginocchia.
 
Renzo lancia un’occhiata a Carmen, quasi come a chiederle consiglio.
 
“Camilla, ascolta-“
 
“Carmen, per quanto abbia apprezzato il tuo aiuto l’altro giorno, mi chiedo perché tu abbia accompagnato Renzo,” la interrompe prima che possa parlare, “credo che non abbia bisogno dell’avvocato difensore o del suggeritore e penso che i problemi, gravi, che esistono tra noi due in questo momento dobbiamo risolverceli da soli, dato che riguardano solo noi due e, al limite, Livietta.”
 
“È proprio di Livietta che ti devo parlare, Camilla. E ho chiesto a Carmen di accompagnarmi perché temevo che, dopo l’altra sera, non avresti voluto parlarmi da sola, ma che avresti preferito che ci fosse anche qualcun altro,” spiega Renzo, cercando sempre di mantenere un tono conciliante.
 
Camilla non può fare a meno di scuotere il capo e massaggiarsi le tempie, mentre avverte le prime avvisaglie di un’emicrania.
 
“Sai una cosa, Renzo? Forse hai ragione. Solo che non pensavo che saremmo mai arrivati ad un punto in cui avrei preferito la presenza di Carmen insieme a noi al rimanere da sola con te,” commenta amara, riflettendo che la vita a volte ha un’ironia davvero beffarda, “e comunque Livietta non è in casa.”
 
“Lo so,” annuisce Renzo, aggiungendo poi, di fronte all’occhiata sorpresa di Camilla, “quando l’ho sentita l’altro ieri mi aveva detto che oggi sarebbe stata tutto il giorno in piscina con la sua amica Cristina. E ho pensato che forse sarebbe stato meglio poter parlare di quanto successo l’altro giorno e… confrontarci quando lei non c’era.”
 
Camilla si chiede se l’orario mattutino sia stato scelto anche per un altro motivo: il fatto che Gaetano quasi sicuramente sarebbe stato al lavoro – ed in effetti così è.
 
“Dai, entrate, prima che cambi idea,” acconsente dopo un attimo di riflessione, facendosi da parte, “ma ti avverto, Renzo: alla prima battuta sarcastica o, peggio, al primo insulto anche velato che sento, quella è la porta.”
 
“Ok, ok,” risponde Renzo, sollevando le mani quasi in segno di resa, mentre Carmen lo segue, con l’aria di chi vorrebbe essere ovunque ma non lì.
 
In altre circostanze, Camilla avrebbe potuto provare compassione per lei. Ma non in queste.
 
“Allora, cosa devi dirmi?” lo sprona, tagliando corto con i preamboli.
 
“Volevo dirti che mi dispiace per l’altra sera, che ho esagerato e ti chiedo scusa. Però… sono settimane che non passo un po’ di tempo con nostra figlia Camilla e… domani sarebbe dovuta venire a trascorrere il weekend con me,” spiega, affrettandosi ad aggiungere, dopo aver visto l’occhiataccia di Camilla, “e capisco che dopo quello che è successo a Sanremo… i piani possano essere cambiati e che tu possa essere contraria, però-“
 
“Sono felice che tu capisca, Renzo, perché in effetti il tuo comportamento degli ultimi periodi mi porta a dubitare che sia opportuno che Livietta passi del tempo da sola con te. Tra il fatto che sembri non essere capace di evitare di sfogare il tuo livore su chi ti sta intorno e di fare delle insinuazioni che definire gravissime è dire poco e il fatto che non ti ho mai visto bere come l’altra sera o perdere il controllo in quel modo… devo proseguire?”
 
“Lo so, Camilla, lo so e ho sbagliato ma non avrei mai pensato o voluto che voi mi vedeste in quello stato,” risponde Renzo, cercando sempre di mantenere un tono calmo e pacato.
 
“Perché se ti riduci in quello stato quando non ti vediamo il problema non esiste?” domanda Camilla, sarcastica.
 
“No, ma… non è che mi ubriaco tutti i giorni. È stato un caso isolato, Camilla: ero solo e l’ultimo periodo non è stato facile per me, per usare un eufemismo. E quindi ho voluto... distrarmi per un paio di giorni, cercare di dimenticare per un attimo i problemi e lo so che le cose non si risolvono in questo modo e che ho bevuto troppo e che non avrei dovuto rendermi irreperibile, ma non l’ho fatto in cattiva fede. Camilla, tu mi conosci da una vita, mi conosci meglio di chiunque altro e lo sai che non sono un uomo aggressivo o violento e soprattutto che non sono di certo un alcolizzato: non bevo praticamente mai e anche per questo reggo poco l’alcol. E soprattutto sai che non farei mai del male a nostra figlia, né mi ubriacherei o farei cose che possano farmi perdere il controllo in sua presenza.”
 
“Non lo so Renzo, la verità è che ultimamente mi sembra di non conoscerti più,” risponde Camilla con un’amarezza nel tono di voce che rispecchia quanto le faccia male come si sono evoluti i rapporti tra di loro, quanto lui le abbia fatto male.
 
“Camilla… io e te abbiamo i nostri problemi, è vero, e io posso avercela con te e con Gaetano, come tu puoi avercela con me, ma Livietta non c’entra. Io voglio un bene dell’anima a nostra figlia e non voglio perderla. E, ti ripeto, non farei mai nulla che possa farle del male, mai. Quello dell’altro giorno doveva essere un momento di sfogo solitario, un attimo in cui potevo… lasciarmi andare anche al dolore, sapendo che nessuno mi avrebbe visto. Capisci cosa intendo?”
 
Camilla sospira, capendo purtroppo benissimo cosa intende Renzo e ricordando un paio di volte in cui, dopo la loro prima separazione, era andata in auto in qualche posto isolato a piangere e sfogarsi. Ma non aveva mai perso il controllo in quel modo e non era mai scomparsa per giorni.
 
“Camilla, ti garantisco che quello che è successo l’altro giorno non si ripeterà mai più: né il bere, né… la sparizione. Però, per favore, permettimi di passare del tempo con nostra figlia, di recuperare un rapporto con lei. Non posso perdere anche Livietta,” la implora Renzo, guardandola con quell’espressione da cane bastonato a cui le è sempre stato difficilissimo resistere, forse perché le ricorda quella che usa anche la figlia quando vuole ottenere qualcosa.
 
“Io non voglio impedirti di vedere Livietta, Renzo, però capisci che l’idea di lasciarvi da soli non mi entusiasma e-“
 
“Ma non saremmo soli… Carmen si è offerta di venire con noi per il weekend, sempre e solo se tu sei d’accordo, ovviamente, così magari sei più tranquilla,” la interrompe Renzo, con il tono più convincente che possiede.
 
“Carmen?” domanda Camilla, incredula di fronte ad una simile proposta e ad una simile faccia tosta.
 
“Solo se vuoi, Camilla, claro…”
 
“E, sentiamo, cosa fareste in questo weekend? E soprattutto come giustifichereste la presenza di Carmen a Livietta, dato che non sa nulla della tua brillante performance dell’altro giorno?” chiede Camilla, con un sopracciglio alzato, “a meno che io non mi sia persa qualcosa e che voi due non siate tornati insieme.”
 
“No, no, non siamo tornati insieme. Io sono fidanzata e lo sai,” replica Carmen, imbarazzata, “però, ho pensato… io volevo andare a fare un po’ di shopping, sai, con i saldi. E allora magari potevo approfittare dell’occasione e Renzo poteva accompagnare me e Livietta in un giro per negozi a Milano. Così la mia presenza è giustificata e sono sicura che Livietta si divertirebbe.”
 
“Eh, certo, immagino che si divertirebbe a fare shopping in centro a Milano. Però, Renzo, lo sai come la penso sul riempire Livietta di regali, soprattutto se è per compensare altre… carenze e assenze e oltre che diseducativo, lo trovo assolutamente inutile e-“
 
“Camilla, lo so, ne abbiamo discusso allo sfinimento durante la nostra prima separazione. Ma siccome non abbiamo ancora preso una decisione sugli alimenti… è anche il mio modo per contribuire alle spese. Non compreremo cose costose e non esagereremo, diciamo l’essenziale per l’estate,” spiega Renzo, con il tono più persuasivo che possiede, “per favore, Camilla, dammi una possibilità, ti chiedo solo questo.”
 
Camilla sospira e si mette la testa tra le mani: sa che Livietta ha bisogno di passare del tempo con suo padre e, sebbene non se lo sarebbe mai aspettato, la presenza di Carmen la rassicura. Perché, anche se fa male, deve ammettere che Renzo è sempre stato più sereno, più calmo in sua presenza, che lei sa come prenderlo. Però ha paura, ha tanta paura di pentirsene amaramente.
 
“Renzo, questa non è una possibilità: è la tua ultima possibilità. Puoi andare a Milano con Livietta ma alle seguenti condizioni: voglio che mi chiami almeno due volte al giorno e che tieni il cellulare sempre acceso, che mi dai subito il recapito dell’hotel dove soggiornerete e che, soprattutto, mi prometti che non toccherai alcol e che manterrai un comportamento civile. Se ti azzardi anche solo a insultare me, Gaetano o a fare le tue battutine, le tue insinuazioni con Livietta, e lei me lo venisse a riferire o se mi accorgessi che si comporta in modo strano al suo rientro, e ti garantisco che me ne accorgerei…”
 
Lascia la frase in sospeso e non c’è nemmeno bisogno di finirla: il messaggio è chiarissimo e sarebbe più che disposta a finire in tribunale, se necessario, per tutelare sua figlia, anche se spera che non si arrivi mai a tanto.
 
“Grazie Camilla, vedrai che non te ne pentirai,” la assicura, guardandola negli occhi.
 
“Lo spero… lo spero tanto per tutti noi, Renzo.”
 
***************************************************************************************
 
Camilla esce dal bagno e si avvia in camera per finire di prepararsi. Nemmeno i getti d’acqua della doccia ipertecnologica che Renzo aveva voluto a tutti i costi comprare “per il suo mal di schiena” sono riusciti a rilassarla del tutto.
 
Poche ore prima Renzo e Carmen erano passati a prendere Livietta. La figlia si era comportata in modo molto distante col padre, ma sembrava più esitante, più incerta e meno dura. Camilla non sapeva cosa la figlia pensasse realmente di quello che era successo a Sanremo, ma in cuor suo dubitava che si fosse bevuta la storia del superlavoro matto e disperatissimo, peggio dello studio per Leopardi. Non aveva però insistito o preteso altre spiegazioni e Camilla si chiedeva se il motivo fosse che anche Livietta questa volta avesse paura di conoscere la verità e quindi si fosse, almeno per ora, fatta andare bene la “versione ufficiale” o se avrebbe indagato per conto suo, magari proprio con il padre.
 
La presenza di Carmen l’aveva profondamente sorpresa e anche Livietta aveva subito domandato se i due fossero tornati insieme di nuovo, con lo stesso tono con cui rinfacciava a lei e a Renzo le loro incoerenze. Ma Carmen aveva negato e, anzi, lei e Renzo avevano rivelato che la spagnola probabilmente si sarebbe di lì a poco trasferita a Londra per seguire il progetto che avevano nella City, dato che Jack trovava più comodo, anche per motivi linguistici e di lavoro, seguirla lì piuttosto che a Torino. Così, aveva aggiunto Renzo con un sorriso che Camilla aveva trovato ben poco rassicurante, lui si sarebbe potuto dedicare ai progetti in Italia e stare più vicino alla figlia.
 
C’era stato un momento di tensione quando una telefonata di Andreina li aveva interrotti e aveva reso inevitabile annunciare a Renzo che, nel giro di quindici giorni, più o meno, lei e Livietta sarebbero andate a Roma per una settimana. La domanda aleggiava nell’aria e Camilla aveva preferito sgombrare subito il campo da ogni dubbio, anche per testare la reazione di Renzo, specificando che anche Gaetano le avrebbe accompagnate. Renzo aveva abbozzato con un paio di battute su come fosse ben felice di lasciare Andreina in eredità al nuovo “genero” ma era evidente a tutti i presenti che stava trattenendosi più che poteva e che la notizia non gli aveva di certo fatto piacere, anzi.
 
Camilla sperava solo che si contenesse anche per tutto il weekend, perché altrimenti… Non ci voleva nemmeno pensare.
 
Presa da queste riflessioni ben poco felici, finisce di truccarsi e, ancora in accappatoio, afferra il cordless, si avvicina alla finestra e guarda verso l’appartamento di Gaetano, ma le tende sono tirate: dopo la partenza di Tommy il giorno prima, si erano visti per un aperitivo – che era praticamente un pranzo – dato che Livietta era in piscina e lui aveva pochi minuti di pausa dal lavoro. Avevano però evitato di parlare del bimbo, quasi per un tacito accordo. Lei gli aveva riferito della visita di Renzo e della decisione di permettergli di passare il weekend con la figlia e con Carmen. Come sempre accadeva in questi casi, Gaetano aveva ascoltato i suoi timori, le sue preoccupazioni e i suoi dubbi ma non aveva espresso giudizi, ricordandole però che, di qualsiasi cosa avesse avuto bisogno per sé o per Livietta, bastava un colpo di telefono e lui avrebbe fatto tutto quanto era in suo potere per aiutarle e per proteggerle. Si era anche offerto di essere presente al momento dell’arrivo di Renzo quella mattina, ma Camilla aveva ritenuto più prudente evitare l’incontro e le tensioni che sicuramente ne sarebbero seguite.
 
Sembrava però poi essere rimasto fuori fino a tardi, forse per lavoro: la sera prima tutte le luci dell’appartamento di fronte erano rimaste spente. Aveva infine ceduto al sonno ed era andata a dormire, vergognandosi un po’ per aver controllato così tante volte, peggio delle “poste” delle ragazzine alla prima cotta o di una stalker. Ma adesso sa che è in casa: ha visto la macchina parcheggiata fuori e ha deciso di fargli una sorpresa, spera gradita, per alleviare la malinconia di questo primo weekend senza il figlio.
 
Sta per comporre il numero quando il telefono si mette a squillare, facendole venire un mezzo infarto.
 
“Pronto?”
 
“Ciao, professoressa,” risponde una voce inconfondibile, con tono giocoso, mentre una delle tende di fronte si scosta e lo vede, oltre che lo sente, sorriderle e farle l’occhiolino.
 
“Gaetano,” sorride lei di rimando, scuotendo il capo incredula, “ci credi se ti dico che ti stavo per chiamare io? A volte penso che siamo telepatici.”
 
“Mmm, vediamo se lo siamo veramente. Per quale motivo mi stavi chiamando tu?” replica con quella voce e quella faccia da schiaffi che porta il suo sorriso a farsi ancora più ampio.
 
“Per invitarti a pranzo… sai, già che ho cucinato per me… io sono da sola e tu sei da solo, quindi…”
 
“E cos’avresti cucinato per te?” le domanda, sottolineando le ultime due parole, per farle capire che il tentativo, assolutamente adorabile, di sdrammatizzare l’invito, è anche assolutamente inutile e che a lui non la si fa.
 
“Mah… insalata di riso, vitello tonnato alla piemontese e una cheesecake,” risponde lei, sentendosi avvampare mentre la sfilza di pietanze conferma quello che è già ovvio. Ma del resto cucinare l’aveva aiutata a distrarsi e a non pensare a Renzo e a Livietta, sia la sera prima che quella mattina.
 
“Però! Ti tratti bene, professoressa. Forse dovresti cucinare solo per te più spesso,” ribatte lui, facendole di nuovo l’occhiolino.
 
“Gaetano…” lo avverte lei, ancora imbarazzata.
 
“E comunque su una cosa ti devo dare ragione, sai? Siamo davvero telepatici. Anche io ho cucinato qualcosa per me e… forse ho un po’ esagerato con le dosi. Allora mi sono chiesto: Gaetano, chi può aiutarti a finire tutto questo cibo prima che vada a male? Ero indeciso tra te, Madame Mille Lire o il portiere ma…”
 
“Gaetano!” esclama, scuotendo il capo e scoppiando insieme a lui in una risata, “sei tremendo, lo sai?”
 
“Mai quanto te,” ribatte con tono affettuoso.
 
“E si può sapere cosa avresti cucinato per te?” gli domanda, imitando il suo tono di prima.
 
“È una sorpresa, professoressa,” annuncia misterioso.
 
“Una sorpresa per cui bisogna chiamare i NAS o finire a farsi una lavanda gastrica?” lo punzecchia amorevolmente, conoscendo le sue scarse doti ai fornelli.
 
“Ecco, infatti, sei tremenda!” esclama, scoppiando di nuovo a ridere, “e comunque dovrai venire a scoprirlo di persona: dai che ti aspetto. E già che ci sei porta anche le cose che hai cucinato per te, così-“
 
“Abbiamo un piano d’emergenza?” lo interrompe con un’altra risata, “dai, scherzo, arrivo subito, il tempo di vestirmi.”
 
“Per me puoi rimanere anche così,” sussurra nella cornetta, trafiggendola con uno sguardo che, anche ad un cortile di distanza, la fa rabbrividire.
 
“Ah, e quindi ti va bene che il portiere mi veda in accappatoio? D’accordo che ormai siete in amicizia, ma…”
 
“Camilla!” esclama di nuovo, con un’occhiata tra l’esasperato e il geloso, “guarda che se continui così ti vengo a prendere, ti carico in spalla e ti porto qui di peso!”
 
“Se stai cercando di disincentivarmi dal continuare così, direi proprio che stai usando le minacce sbagliate, Gaetano: potrei prenderti in parola!” sussurra lei con un tono roco e carico di promesse.
 
Gaetano rimane per un attimo senza parole e si limita a deglutire.
 
“Arrivo subito,” gli promette, facendogli l’occhiolino e chiudendo la comunicazione prima che possa reagire, avviandosi verso la sua camera con un sorriso sulle labbra.
 
***************************************************************************************
 
“Consegna a domicilio!”
 
Le apre la porta e si trova davanti ad una pila di portavivande umana.
 
“Aspetta, aspetta: ti aiuto io,” si offre, liberandola dal fardello e ritirando il tutto nel frigorifero.
 
Si volta e rimane senza fiato a guardarla per qualche istante, ipnotizzato.
 
“Ritiro quello che ho detto sul rimanere in accappatoio: sei bellissima, ancora più del solito, anche se non so come sia possibile,” proclama, ancora mezzo intontito, ammirandola in quel vestitino bianco estivo che le arriva un po’ sopra al ginocchio e le lascia, per una volta, scoperte le gambe, di solito nascoste dai pantaloni ampi che usa sempre.
 
Sa benissimo che Camilla non sfoggia praticamente mai gonne e vestiti e, anche se, qualsiasi cosa indossi – o non indossi – rimane la donna più attraente e sensuale che abbia mai conosciuto, il fatto che si sia vestita così apposta per lui gli fa provare uno strano calore al petto, insieme ad altre reazioni fisiologiche assolutamente inequivocabili.
 
“Grazie,” risponde, lusingata dalle parole e soprattutto dagli sguardi che, non solo le fanno capire quanto i complimenti siano sinceri, ma che la fanno sentire davvero bella come lui la vede, “e tu… se le tue ammiratrici ti vedessero vestito così, altro che le file con il numeretto: dovrebbero mettere i tornelli e le transenne.”
 
“C’è una sola donna da cui desidero essere ammirato,” le sussurra, accarezzandole una guancia e dandole un lieve bacio sulle labbra, avendo riconosciuto benissimo il rimando alla battuta di Ricci che aveva scatenato una mega scenata di gelosia.
 
“Beh, allora sei fortunato, perché ti ammira davvero moltissimo, in tutti i sensi,” gli sussurra di rimando, mangiandoselo con gli occhi: con quella camicia e quei pantaloni in lino bianco sembra quasi una visione, un sogno, uscito direttamente da un servizio fotografico con tanto di spiaggia bianca, mare, sole e palme.
 
“Sai che siamo davvero telepatici? A guardarci sembra che ci siamo vestiti in coordinato,” commenta Gaetano per stemperare la tensione che ribolle nell’aria, prima che la passione esploda e la sorpresa vada, letteralmente, in fumo.
 
“In effetti è vero,” ribatte lei con un sorriso, lasciandosi condurre da lui oltre il bancone e verso il tavolo da pranzo.
 
“Ma che meraviglia!” commenta a bocca aperta, ammirando incredula una tavola perfettamente apparecchiata per due.
 
“Madame,” proclama lui galante, prendendole la mano e baciandogliela in un gesto di altri tempi, prima di porgerle una singola rosa rossa a stelo lungo.
 
“Guarda che mi sa che hai sbagliato l’invito: la Signorina Lovera è al terzo piano,” replica lei con un sorriso ancora più ampio, prima di trascinarlo in un bacio breve ma infuocato, che li lascia entrambi col fiatone e sussurrargli, a pochi centimetri dalle labbra, “grazie: è bellissima, è tutto bellissimo.”
 
“E aspetta di vedere il resto,” bofonchia lui, ancora a corto d’ossigeno, prima di scostare una sedia dal tavolo, per farla sedere come un perfetto gentleman.
 
“In realtà è proprio il resto che temo,” ribatte Camilla con una risata, facendogli l’occhiolino.
 
“Sappi che tra pochi minuti dovrai rimangiarti queste parole, letteralmente,” proclama, avviandosi in cucina ed estraendo una pirofila dal forno.
 
“Lo so che non è un piatto molto adatto a queste temperature ma… ogni tuo desiderio è un mio ordine, milady,” annuncia, posando la ceramica bollente su un sottopentola, abbastanza vicino che Camilla possa spiarne il contenuto.
 
“Lasagne?” domanda, sorpresa, “no: sono le famose lasagne di Torre?”
 
“Proprio quelle!”
 
“Ma allora non vale: non hai cucinato tu! Anche se probabilmente il mio stomaco ringrazierà,” protesta Camilla, ridendo.
 
“E invece le ho preparate personalmente. Torre mi ha dato la ricetta e mi ha supervisionato nella preparazione, insieme alla Lucianona. Ci sono voluti un po’ di tentativi ma… dovrebbero essere buone,” proclama orgoglioso, come un bimbo quando mostra alla mamma il compito in classe da 10 e lode.
 
“Davvero? E quando avreste fatto questo corso accelerato di cucina?” chiede, prima di rispondersi da sola, “ieri sera?”
 
“Sì, ci è voluto più del previsto, abbiamo finito in tarda notte, ma dovrebbe esserne valsa la pena,” dichiara, tagliandone due porzioni e impiattandole. Data la scarsa abilità manuale, nel servizio la lasagna un po’ si sfalda, ma Camilla è talmente stupita e toccata da questo gesto che non ci fa nemmeno caso.
 
“Ma quindi hai fatto tutto tu? Anche la besciamella, il ragù e la pasta all’uovo?” chiede conferma, ancora incredula.
 
“Tutto a partire da uovo, farina, pomodori e carne eccetera eccetera,” garantisce, mettendosi una mano sul cuore tipo giuramento solenne, “dai, assaggia.”
 
Dopo un secondo di esitazione, ne taglia un boccone e se lo porta alle labbra.
 
“Allora?” domanda, quasi trattenendo il fiato, osservando il mix indefinibile di espressioni sul volto della sua amata che, infine, chiude gli occhi.
 
“Sono buonissime!” esclama con un sorriso orgoglioso, riaprendo gli occhi.
 
“Non lo dici solo per farmi piacere?”
 
“No, no, sono buonissime assaggia!” conferma, staccandone un altro pezzo ed imboccandolo.
 
Gaetano si limita ad annuire, soddisfatto, constatando che è la verità.
 
“Il mio chef stellato!” proclama lei con un sorriso, avvicinandosi a lui oltre l’angolo del tavolo e dandogli un altro bacio, ancora più focoso del primo.
 
“Camilla,” sospira lui, separandosi con sommo sforzo, “se continuiamo così le lasagne le mangiamo gelate.”
 
“Vuoi dire che preferisci la lasagna a me?” lo provoca, facendo l’offesa.
 
“No, ma dopo tutto lo sforzo fatto…”
 
“Sarebbe un delitto sprecarle, hai ragione,” conferma, attaccando il suo piatto con grande appetito, nonostante non sia forse il cibo più adatto col caldo torrido che fa. Ma tutto il resto passa in secondo piano, di fronte ad un simile impegno, e soprattutto ad un piatto così buono.
 
“Che c’è?” domanda dopo un po’, notando che lui la osserva attentamente e non la perde di vista nemmeno per un secondo.
 
“C’è che adoro il modo in cui mangi!”
 
“Eh, sì, va beh, immagino che spettacolo: guardarmi mentre addento la lasagna,” si schernisce lei con tono affettuoso, sapendo benissimo che Gaetano, per qualche assurda ragione, probabilmente riuscirebbe a trovarla stupenda anche mentre getta l’immondizia o prepara la ciotola di Potti.
 
“No, sul serio: è che si vede che mangi di gusto, che ti godi il cibo, che ci metti passione, come in tutte le cose che fai,” conferma, spostando un riccio che le copre gli occhi.
 
Un altro bacio, un sorriso e finiscono le lasagne in quasi completo silenzio, godendosi la compagnia e l’atmosfera.
 
“E adesso… c’è la seconda parte della sorpresa,” annuncia, raccogliendo i piatti ed avviandosi verso la cucina.
 
“Non dirmi che…” esclama lei, intuendo cosa la aspetta e non potendo ancora crederci.
 
“Et voilà, pastiera napoletana: ricetta di Torre, riprodotta dal sottoscritto,” conferma, depositando la torta con la sua alzatina a centrotavola, “anche questo non è un dolce molto estivo, lo so, però-“
 
“Però è meraviglioso… TU sei meraviglioso: questa è la cosa più romantica che qualcuno abbia mai fatto per me,” confessa, commossa, alzandosi in piedi e abbracciandolo talmente forte da farsi quasi male alle braccia: il fatto che Gaetano si sia ricordato di quella che era una semplice battuta e si sia impegnato a tal punto per realizzarla, nonostante le sue ben note difficoltà ai fornelli, la lascia senza parole.
 
“Camilla…” sussurra, intenerito, ricambiando la stretta, “se questo è davvero il gesto più romantico che hai mai ricevuto, lo sarà ancora per poco, perché voglio darti solo il meglio, tutto ciò che meriti, e questo è solo un piccolo assaggio di ciò che ti aspetta, professoressa.”
 
“Tu mi dai già il meglio, Gaetano. Sei un uomo straordinario esattamente così come sei: anche se bruci il caffè o i biscotti. Non serve che fai gesti eclatanti o che migliori o che cambi in nulla. Ma il fatto che ti sia impegnato così tanto ad organizzare tutto questo per me è...” si interrompe perché non esistono parole che possano descrivere ciò che prova, si limita a riempirgli di baci le guance per poi posarne un ultimo, dolce e delicato, sulle labbra, e sussurrargli “ti amo!”
 
“Allora, questa torta?!” gli domanda poi, per alleggerire la commozione che aleggia nell’aria, sciogliendo l’abbraccio ed andandosi a sedere.
 
Gaetano sorride con gli occhi ancora lucidi e serve le due porzioni, riuscendo miracolosamente ad evitare di fare troppi danni, anche se l’irregolarità nella pasta frolla e il fondo un po’ troppo cotto, a tratti quasi bruciato, confermano inequivocabilmente la paternità del dolce.
 
“Mmmm… è squisita,” proclama, estasiata, dopo averne assaporato un boccone.
 
Di nuovo Gaetano constata con soddisfazione che è la verità: tutti gli sforzi sono serviti a qualcosa.
 
“Dovrò anche ricordarmi di ringraziare Torre: a parte che lui e la Lucianona potrebbero mettere su una scuola di cucina, se questi sono i risultati, ma immagino quanto impegno ci avranno messo,” commenta poi Camilla, tra un morso e l’altro, ancora deliziata.
 
“Sì, credo che Torre stesse per strapparsi i capelli che gli sono rimasti o per buttarsi giù dal balcone per la disperazione, ma alla fine ce l’abbiamo fatta,” conferma ridendo, ricordando l’espressione dell’amico di fronte al tornado che sembrava aver invaso la sua cucina.
 
“Eccome: fosse per me non smetterei più di mangiarla, anche se è una bomba calorica,” proclama Camilla ricambiando la risata che però lentamente, in maniera quasi impercettibile si trasforma in un sorriso malizioso.
 
“Anzi,” aggiunge in un sussurro, alzandosi in piedi per poi accomodarsi, con movenze quasi feline, in braccio all’uomo che la guarda con uno strano mix di sorpresa e desiderio negli occhi, fattisi improvvisamente più cupi, “io conosco un sistema perfetto per smaltirle le calorie. Ti andrebbe di testarlo?”
 
“Camilla!” esclama con una mezza risata che gli si congela in gola quando sente un tocco caldo e umido sul collo e poi un altro e un altro ancora, come marchi a fuoco sulla pelle.
 
E poi, inatteso, un morso alla base del collo ed una scarica elettrica che lo attraversa da capo a piedi ed i pantaloni che sembrano improvvisamente di due taglie più piccoli.
 
“Camilla!” quasi grida, colto alla sprovvista e stregato da quest’iniziativa: sebbene la sua professoressa sia una donna molto passionale, raramente è lei a fare la prima mossa, e che mossa. Di solito conduce il gioco, è vero, ma facendosi inseguire, facendolo impazzire di desiderio prima di cedere e di lasciarsi andare completamente.
 
Ma ora il suo lato più sensuale diventa esplosivo, travolgente: il modo in cui gli sbottona la camicia, proseguendo il sentiero incandescente di baci e morsi leggeri mano a mano che scopre centimetri di pelle, fino a slacciargli la cintura e liberarlo da quelle costrizioni fattesi ormai fin troppo opprimenti. Il modo in cui si muove contro di lui, in cui lo tocca, in cui solleva lo sguardo, gli occhi da cerbiatta ridotti quasi a fessura e trasformati in quelli di una leonessa che divora la preda.
 
Solo che la preda è ben felice di lasciarsi divorare.
 
È proprio quello sguardo, o forse il brivido che gli corre lungo la schiena, a destarlo finalmente dalla paralisi che l’aveva colto e in cui si era limitato ad osservarla incantato e ad assaporare ogni sensazione. Ma ora le prende il viso tra le mani e la solleva, incollando quelle labbra che l’hanno fatto impazzire alle sue in un bacio quasi selvaggio, un vero e proprio duello praticamente in apnea, con la testa leggera e il cuore a mille, mentre le sue mani le percorrono le cosce, insinuandosi sotto il vestito e sollevandolo sempre di più.
 
Un altro morso delicato sulle labbra e riemergono per prendere fiato, mentre la camicia di lui infine vola a terra, seguita ben presto dall’abito, sfilato con urgenza che diventa disperazione: entrambi sono ormai quasi al punto di rottura. L’equilibrio sulla sedia si fa sempre più precario mentre i loro corpi si muovono l’uno contro l’altro ed evitano solo per un soffio di ribaltarsi a terra.
 
Camilla si alza quindi in piedi, trascinandolo con sé, mentre i pantaloni e i boxer gli scivolano lungo le gambe. Si guardano intorno per un secondo ed è Gaetano stavolta  a prendere l’iniziativa, guidandoli meglio che  può, cercando di non inciampare nei suoi stessi vestiti, e praticamente buttandosi con lei sull’isola del divano poco distante.
 
Riesce a calciare via gli ultimi indumenti rimastigli attorcigliati intorno alle caviglie, mentre Camilla si libera dell’intimo. Pochi secondi e finalmente è di nuovo dentro di lei, le grida soffocate nel collo dell’altro. Si muovono insieme ad un ritmo spasmodico, selvaggio, il sangue che rimbomba nelle orecchie e nel petto come un tamburo tribale.
 
Dopo qualche attimo o forse un’infinità, Gaetano si ritrova, non sa bene come, disteso sul tessuto morbido del divano: Camilla sopra di lui, quasi trasfigurata nell’impeto della passione, eterea e ferale allo stesso tempo, che lo prende e si prende il controllo, facendolo suo senza freni e senza inibizioni.
 
E da lì iniziano una danza, una battaglia per il controllo, tra gridi, gemiti, risa e baci, fino a che i contorni si sfumano, perdendosi l’uno nell’altra, mentre la vista si annebbia e vengono travolti dall’estasi e dall’oblio.
 
La prima a recuperare i sensi è Camilla, che si ritrova spalmata sopra a Gaetano in una posizione quanto mai precaria: il corpo per metà oltre il bordo del divano.
 
Cercando di evitare di ruzzolare per terra, si solleva, mentre anche Gaetano fa lo stesso, sedendosi l’uno accanto all’altra, uniti in un mezzo abbraccio.
 
“Wow,” esala Gaetano, cercando di riprendere ancora il fiato, “se ogni volta che ti preparo il pranzo questa è la ricompensa, mi toccherà iscrivermi ad una scuola alberghiera!”
 
“Scemo!” ride lei, stampandogli un bacio all’angolo delle labbra.
 
“Non è che pensi di ringraziare così anche Torre, vero?” aggiunge poi, con un’aria da schiaffi, guadagnandosi una gomitata nel fianco.
 
Sta ancora scuotendo il capo divertita, quando finalmente si guarda intorno e sente il viso avvampare: sembra un campo di guerra, con vestiti sparsi ovunque, alcuni volati perfino su una lampada e fino in cucina.
 
Si alza in piedi e si china per recuperare il primo indumento che le capita a tiro – il reggiseno – ma, appena si rialza, sente due braccia forti cingerle la vita da dietro.
 
“Dove pensi di scappare, professoressa?” le sussurra all’orecchio, baciandole la nuca e strappandoglielo dalle mani, ributtandolo a terra, aggiungendo, con tono roco, “questo non ti serve.”
 
“Gaetano!” esclama, ridendo per il solletico e cercando di divincolarsi, invano, dato che lui stringe ancora di più la presa, “e dai, su, e poi non eri tu che dicevi che vestita così ero bellissima?”
 
“E infatti vestita così sei bellissima, ma ti preferisco svestita e non credo esista un abito in grado di farmi cambiare idea,” proclama, cominciando a percorrerle la linea della spina dorsale con le labbra.
 
“Sì, ma non possiamo mica passare tutto il weekend così,” protesta lei, rabbrividendo, mentre sente la foschia calare di nuovo sul mondo che li circonda. Senza rendersene nemmeno conto, si ritrova letteralmente messa al muro: il contrasto tra il corpo rovente incollato alla sua schiena e il freddo della parete contro cui è compressa accentua ogni sensazione.
 
“E chi l’ha detto? Anzi, è proprio così che voglio passare questi due giorni con te: nudi, a fare l’amore. Abbiamo ancora tante stanze da inaugurare in questa casa e tanti di quei mobili,” le sussurra, mentre le mani ricominciano a vagare e ad esplorarla languidamente, fiaccando ancora di più le sue resistenze, aggiungendo poi, con un sorriso, “e il cibo per recuperare le energie non ci manca, anzi, e poi dovremo consumare le calorie e quindi ci occorrerà tanta, tanta attività fisica.”
 
“E in questo programma è contemplata qualche uscita o dovremo rimanere sempre chiusi tra queste quattro mura?”
 
“Mmmm, direi che possiamo uscire, sì, ma solo per percorrere lo spazio del cortile ed andare a casa tua: anche lì abbiamo ancora molte, molte stanze da battezzare,” replica prima di baciarle e poi mordicchiarle l’incavo del collo, facendola sobbalzare e gridare di piacere e di sorpresa.
 
“Non solo sei insaziabile, ma sei peggio di Dracula!” protesta con un sorriso, imbarazzata all’idea che i vicini possano averla sentita.
 
“Se lo sono è perché mi hai contagiato con il tuo morso di prima, cara la mia vampira,” ribatte ridendo.
 
Camilla volta il capo e per la prima volta nota, con la coda dell’occhio, il segno rosso vivo vicino alle scapole di Gaetano. Sentendosi avvampare, quasi senza pensarci, solleva una mano e sfiora il livido col pollice.
 
Questa volta è il turno di Gaetano di sussultare, mentre un suono strozzato gli sfugge dalle labbra.
 
Camilla approfitta dell’attimo di distrazione per liberarsi della presa e fuggire lungo il corridoio, riuscendo ad aprire una porta a caso e ad infilarcisi prima di venire nuovamente catturata: i polsi bloccati dietro la schiena, il respiro affannoso di lui sul collo e poi la risata nelle orecchie che fa eco alla sua, come due adolescenti spensierati.
 
Dopo pochi secondi però la risata cessa di colpo, quando si rendono conto di essere finiti nello studio.
 
L’immagine di Camilla nuda di fronte alla sua scrivania, scatena in Gaetano un desiderio lancinante, frutto di tante, troppe fantasie a lungo accarezzate ed immaginate – quasi fin dai loro primissimi incontri romani – ma mai realizzate.
 
“Allora, commissario,” lo provoca, come sempre sembrando leggergli nel pensiero, usando quel titolo che erano anni che non le sentiva pronunciare, voltandosi per incontrare il suo sguardo, “mi vuole spiegare per quale motivo mi sta trattenendo qui con la forza?”
 
“Professoressa, la dichiaro in arresto,” le sibila all’orecchio, stando al gioco ed iniziando a spingerla verso la scrivania, tenendole i polsi bloccati come se fosse ammanettata, “ha diritto di rimanere in silenzio, qualsiasi cosa dirà potrà essere e sarà usata contro di lei.”
 
Le lascia per un attimo il polso destro con l’intenzione di liberare la superficie da ogni ingombro, ma, non appena fa volare a terra gli oggetti sulla metà di destra, lei, approfittando del fatto che sia sbilanciato in avanti, riesce a spingerlo indietro e a fargli mollare del tutto la presa. Ruota su se stessa, lo trafigge con un’occhiata che è pura lava, sussurrandogli un “ci conto!” sulle labbra, prima di spazzare via lei stessa praticamente tutti gli oggetti rimasti e di stendersi sul legno, trascinandolo con sé in un bacio famelico.
 
Del resto Camilla non ha mai avuto un gran rispetto delle regole e dei ruoli – è l’ultimo pensiero coerente che percorre la mente di Gaetano, prima di affondare di nuovo nell’oblio – ed è anche per questo che è completamente, totalmente ed irrimediabilmente pazzo di lei.
 
 


Nota dell’autrice: Ed eccoci arrivati alla fine non solo di questo capitolo… molto infuocato, in tutti i sensi, ma anche di questa fase della storia. Cosa ci aspetta dal prossimo capitolo in poi? La città eterna, una suocera, diversi ritorni di personaggi “storici” e soprattutto finalmente un nuovo mistero da risolvere per i nostri. La nostra prof. senza indagini non riesce a stare e, un po’ come Miss Marple, dove va lei… Non voglio anticiparvi altro ma spero che la storia si mantenga sempre interessante e piacevole da leggere per voi come lo è per me da scrivere.

Se così non fosse fatemelo sapere, i suggerimenti sono per me fondamentali come tutti i vostri pareri e le vostre critiche, mi motivano davvero tantissimo alla scrittura e mi aiutano ad evitare di annoiarvi e a capire in che cosa migliorarmi e su cosa concentrarmi di più e su cosa di meno. Sono curiosissima di sapere cosa avete preferito e cosa meno di questo capitolo ;).

Grazie mille ancora per avermi seguita fin qui per tutti questi 30 capitoli e vi do appuntamento tra una settimana per il primo capitolo romano :)!

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Black ***


Capitolo 31: “Black”



Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 


“Professoressa?!”
 
“Buongiorno Rosetta,” la saluta Camilla con un sorriso, rendendosi conto con un po’ di sorpresa che, in fondo-in fondo, quell’impicciona della portiera le era mancata.
 
“Sentivate la nostalgia di Roma? Siete tornate a trovare sua madre? Certo, che poi la signora Andreina ha passato più tempo da voi a Torino che qui a Roma negli ultimi mesi…” commenta a raffica, come al suo solito, osservando Camilla, Ilenia e Livietta con Potti al seguito come se stesse studiando ogni piccolo dettaglio, cambiamento o difetto.
 
“La risposta è sì a tutte e due le domande, anche se devo dire che Torino è una città… sorprendente.”
 
“E questa ragazza chi è? Non ricordo di averla mai vista prima…”
 
“Ilenia è un’amica e sarà per un po’ ospite di mia madre, insieme a noi. Vuole conoscere anche il suo codice fiscale, la sua professione, per quale motivo si trova qui o le informazioni che le ho dato sono sufficienti?” domanda di rimando, senza celare il sarcasmo: va bene la nostalgia, ma con una ficcanaso come Rosetta era essenziale porre dei paletti ben precisi e non farsi mai mettere i piedi in testa.
 
“Ma per la carità, professoressa, era solo per parlare… Mi sa che l’aria di Torino le ha peggiorato il carattere, se possibile: è ancora più intrattabile del solito!” ribatte la portiera, con un’aria stizzita ed indignata.
 
“Lei invece non è cambiata di una virgola, Rosetta: è bello avere sempre delle certezze nella vita, dei punti fermi ed immutabili.”
 
“A proposito di punti fermi ed immutabili: suo marito dov’è? Sta cercando parcheggio?” domanda con un sopracciglio alzato e malcelata curiosità, “o non è venuto con voi?”
 
“Veramente…”
 
“Scusate se vi ho fatto aspettare, ma mi ero quasi dimenticato quanto fosse difficile trovare un parcheggio a Roma,” proclama Gaetano con un sospiro, raggiungendole con due valigie ed un borsone in mano.
 
“Però non si doveva disturbare con i bagagli: potevamo fare da sole,” protesta Ilenia, cercando di farsi consegnare almeno il suo borsone, ma Gaetano non accenna a mollare la presa.
 
“Prima di tutto, ti ho già detto che mi devi dare del tu, se no mi fai sentire ancora più vecchio di quello che sono. E poi, per l’appunto, va bene che sono vecchio ma il peso di qualche bagaglio ancora lo riesco a reggere e ho perfino un certificato del medico che attesta che posso finalmente tornare a sollevare pesi,” risponde Gaetano con un sorriso gentile.
 
“D’accordo, d’accordo, se la mette – se la metti così… grazie!” replica Ilenia, ricambiando il sorriso.
 
“Credo di essermi persa qualcosa… però lei ha un’aria familiare…” interviene Rosetta, fissando Gaetano con grande concentrazione, “ah, sì! Lei è il poliziotto, il commissario, quello che una volta veniva sempre qui a trovare la professoressa con quel marmocchio al seguito. Ma saranno… più di cinque anni che non la vedevo da queste parti.”
 
“A lei non sfugge niente, eh, Rosetta?” sospira Camilla, mentre Gaetano osserva la portiera con aria sorpresa.
 
“Ma-“
 
“Senta, le risparmierò e mi risparmierò ipotesi, congetture, domande ed interrogatori. La situazione è molto semplice: sì, mi sono di nuovo separata da Renzo, come avrà probabilmente intuito, e questa volta in maniera definitiva. E sì, Gaetano è il mio nuovo compagno. Tutto chiaro?”
 
“Beh, sì, ma-“
 
“Benissimo, allora noi andremmo che ci aspettano per cena. Buonasera,” la saluta Camilla con un sorriso ma l’aria decisa, avviandosi verso la scala, seguita  a ruota dagli altri.
 
“Certo che questa come casca, casca sempre bene!” mormora Rosetta tra sé e sé osservando Gaetano salire i gradini con i bagagli, per poi scendere dopo poco in portineria, uscire dal palazzo e ritornare con un mazzo di gigli bianchi in una mano ed una confezione di vino nell’altra, salutandola di nuovo con un sorriso.
 
“Ah, c’è chi ha tutte le fortune!” sospira, continuando a spazzare il pavimento.
 
“Gaetano, ma non dovevi!” proclama Camilla, vedendo arrivare l’uomo con il mazzo di fiori appena comprato dal fioraio all’angolo. Altro che andare a recuperare la bottiglia “dimenticata” in macchina.
 
“Credimi: dovevo,” ribatte con un mezzo sorriso, già tremando al pensiero di Andreina.
 
“Va beh, pronti?” domanda Camilla, appoggiando il dito sul campanello. Tutti annuiscono e suona, quasi trattenendo il fiato.
 
“Camilla!” la saluta Andreina con un sorriso, aprendo la porta e dando poi un bacio alla figlia, per poi voltarsi verso la nipote ed abbracciarla, “Livietta: ma sei ancora cresciuta!”
 
“Ma no, nonna dai… e poi è poco che non ci vediamo,” protesta la ragazza, un po’ imbarazzata, ma lasciandosi abbracciare.
 
“Devo dire che vi trovo bene, comunque,” proclama Andreina, osservando figlia e nipote, “soprattutto tu Camilla: sembri ringiovanita e poi finalmente ti vedo con un vestito un po’ femminile e non nascosta sotto quei sacchi informi che metti di solito.”
 
“Mamma!” esclama, fulminandola con un’occhiata di avvertimento, “non so se ringraziarti per i complimenti, ma i sacchi informi tengono caldo per l’inverno, mentre adesso ci sono 30 gradi all’ombra, se va bene, e quindi si può andare in giro in gonna senza surgelarsi.”
 
“Eh, certo, peccato che le estati scorse qui a Roma non ti ho mai vista in una gonna, nemmeno per sbaglio,” commenta l’anziana con un sopracciglio alzato ed un mezzo sorriso per la serie – a me non la si fa!
 
“Cos’è, mi devo andare a cambiare?” domanda Camilla, esasperata, alzando gli occhi al cielo.
 
“Ma no, per la carità, che stai benissimo! E invece tu devi essere Ilenia, giusto?”
 
“Sì, esatto. Molto piacere di conoscerla signora e grazie mille per l’ospitalità: è stata gentilissima!”
 
Aspetta a ringraziarla quando tornerai a casa – pensa Camilla, già temendo per la povera ragazza.
 
“Ma figurati: è un piacere! E poi almeno avrò per una volta degli ospiti in questa casa, dato che è così raro che qualcuno mi venga a trovare,” commenta Andreina, mente Camilla alza di nuovo gli occhi al cielo, già esasperata dall’ennesima frecciatina, pensando che c’è un motivo se, nonostante voglia molto bene a sua madre, l’idea di averla sotto lo stesso tetto non le faccia fare propriamente i salti di gioia.
 
“Vicequestore, come va? Ho saputo che ha avuto un brutto infortunio, ma la vedo in forma,” domanda rivolgendosi infine all’uomo che è rimasto un attimo in disparte ad osservare la scena. Di solito vedere Andreina in azione l’aveva sempre divertito, ma ora è molto preoccupato del suo giudizio e, soprattutto, di non creare problemi a Camilla con la madre. Sa che avere la “benedizione” di Andreina è molto importante per lei e, di conseguenza, per entrambi.
 
“E infatti va molto bene, signora, anzi, benissimo: l’infortunio sembra essersi risolto senza conseguenze e… è un periodo molto fortunato, non potrei chiedere di meglio,” proclama sincero, scambiando uno sguardo ed un sorriso con Camilla, “però, la prego, mi chiami Gaetano e… questi sono per lei.”
 
“Gigli bianchi?” domanda Andreina, accettando il mazzo di fiori che Gaetano aveva tenuto nascosto dietro la schiena, “era da tanto che nessuno mi regalava dei fiori, a parte…”
 
Andreina lascia la frase in sospeso e Camilla non può fare a meno di chiedersi se stia pensando ad Edmondo.
 
“Ed in realtà è la prima volta in assoluto che ricevo dei gigli: sono davvero bellissimi, grazie. E anche lei mi chiami Andreina: del resto ormai è di famiglia… Sono anni che è di famiglia, in un certo senso,” commenta poi con un sopracciglio alzato ed un mezzo sorrisetto.
 
“Mamma!” sbuffa Camilla, lanciandole un’altra occhiata.
 
“Ma su, entrate, accomodatevi!”
 
E così entrano e, in salotto, trovano ad aspettarli Amedeo. Si fanno nuovamente i saluti e le presentazioni ma Camilla nota che, nonostante Amedeo sia molto gentile e cordiale come al solito, profondendosi in ringraziamenti verso Gaetano per la bottiglia di barolo d’annata portata in dono, sembra che ci sia un’aura di tristezza che aleggia su di lui.
 
Amedeo mostra a Livietta e ad Ilenia la stanza dove soggiorneranno, l’ex studio di Amedeo, trasformato in una camera piccola ma accogliente con l’immancabile divano-letto, mentre Andreina accompagna Camilla e Gaetano nella stanza degli ospiti, evidentemente tirata a lucido e rimessa a nuovo dall’ultima volta in cui Camilla era stata in questa casa, prima di partire per Torino.
 
“Eh, avevo sistemato le due stanze pensando a quando mi sareste finalmente venuti a trovare, tu, Livietta e magari anche Renzo. Ma alla fine… molto meglio così…” commenta Andreina con una risata, odorando i gigli, “anche perché Renzo al massimo mi avrebbe portato un mazzo di carciofi, e probabilmente nemmeno quelli.”
 
“Mamma, per favore,” sospira Camilla scuotendo la testa esasperata, mentre Gaetano è imbarazzato e non sa come reagire.
 
“Sei sicuro che vuoi affrontare tutto questo, sì?” gli domanda Camilla quando infine Andreina li lascia soli  per rinfrescarsi e risistemarsi dopo il viaggio, “siamo ancora in tempo a cercarci un albergo, anche perché non vorrei che mi mandassi a quel paese, giustamente, prima della fine di queste vacanze.”
 
“Camilla: prima di tutto non ti manderei mai a quel paese, dato che, qualsiasi cosa possa fare tua madre, non sarebbe affatto colpa tua. E poi certo che sono sicuro: tu e Livietta è giusto che passiate un po’ di tempo con Andreina e anche io voglio farmi conoscere da lei e farle capire che con te desidero costruire qualcosa di veramente importante, Camilla, che per me tu e Livietta e, di conseguenza, anche lei siete davvero la mia famiglia, battute a parte.”
 
Camilla si limita a sorridergli e ad abbracciarlo forte, godendosi gli ultimi momenti di pace prima della cena.
 
Ma ben presto arriva l’ora di mettersi a tavola: orecchiette alle cime di rapa, la specialità di Andreina.
 
“Ne volete ancora un po’?” domanda dopo che tutti, chi più o chi meno, hanno finito la prima porzione.
 
“Molto volentieri, signo- Andreina,” si corregge Gaetano, con un sorriso, porgendole il piatto, dopo aver notato che nessun altro si era fatto avanti, “sono davvero buonissime: complimenti!”
 
“Grazie: finalmente qualcuno che mangia con appetito e apprezza la mia cucina, senza annegarla in boccioni di bicarbonato,” commenta, ricambiando il sorriso e ignorando l’occhiata d’avvertimento di Camilla.
 
Per quanto i rapporti con Renzo siano sempre molto tesi, per usare un eufemismo – nonostante il weekend a Milano sia apparentemente filato liscio – Camilla non vuole che sua madre faccia certe battute in presenza di Livietta, dato che Renzo è pur sempre suo padre.
 
“Eh, è che adoro le orecchiette: sono stato per un periodo a Bari quando ero ancora ispettore e me ne sono appassionato. E devo dire che le sue non hanno nulla da invidiare a quelle che mangiavo lì.”
 
“È perché il mio povero marito… il padre di Camilla… sa era un generale dell’esercito e anche lui quando era capitano era stato assegnato per un periodo a Bari. Andava matto per le orecchiette e allora sono riuscita a farmi passare la ricetta da una signora del posto prima di trasferirci, giurando che l’avrei mantenuta segreta,” spiega Andreina con un sorriso, chiaramente lusingata, “però se le piace tanto posso insegnarla a Camilla, così può rifargliela qualche volta. Anche se in realtà spero di tornare presto anche io in visita a Torino e prepararvela di persona… sa, Camilla e Livietta mi mancano tanto!”
 
“Lo immagino,” annuisce Gaetano con un sorriso cordiale, mentre Camilla non può fare a meno di notare l’espressione tutt’altro che entusiasta di Amedeo alle parole di Andreina. Come non può fare a meno di notare che non ha praticamente aperto bocca in tutto il pranzo.
 
“A proposito di Torino, ma quindi adesso convivete o state mantenendo i due appartamenti?” domanda poi Andreina, con uno sguardo curioso.
 
“Mamma, ti ho già spiegato che Gaetano e Tommy sono stati ospiti da noi perché avevano la casa inagibile, ma poi quando tutto si è risolto sono tornati nel loro appartamento. Del resto stiamo insieme da poco e non vogliamo correre e poi-“
 
“E poi tanto una volta andiamo noi a cena da Gaetano, che in effetti per ora non ci ha ancora fatte finire al pronto soccorso, una volta viene lui da noi, e in quei rari momenti in cui ognuno è a casa sua passano il tempo a guardarsi dalla finestra sospirando come Romeo e Giulietta,” commenta Livietta con tono ironico ma affettuoso, mentre Ilenia trattiene una risata e i due piccioncini arrossiscono visibilmente.
 
“Livietta!” protesta Camilla, imbarazzata.
 
“Beh, mamma, ma è vero. Da quando Tommy è partito siete ancora peggiorati,” le fa notare con un sorriso, “ormai se entro le sette di sera non vedo arrivare Gaetano mi preoccupo che gli sia successo qualcosa.”
 
“Ah, l’amore… i primi tempi si vorrebbe passare insieme ogni minuto e si contano anche i secondi prima di potersi rivedere,” sospira Andreina, con un’espressione nostalgica, mentre Amedeo non solleva gli occhi dal piatto e appare ancora più malinconico, “ma quindi quando torna Tommy? È in America, giusto?”
 
“Sì, esatto, è in America con Eva, la mia ex moglie, e tornerà a fine agosto,” spiega Gaetano, da un lato felice di cambiare discorso, ma dall’altro immalinconito all’idea di quanto tempo dovrà ancora passare prima di poter riabbracciare il figlio. Parlargli al telefono o su skype non è affatto la stessa cosa e spesso quando si ritrova la sera da solo nel suo appartamento gli prende un nodo alla gola che non lo lascia quasi respirare.
 
“Già… la sua ex moglie. Dato che siamo in argomento, lei ed Eva adesso siete separati, se non ricordo male. Pensa di divorziare definitivamente o-“
 
“Mamma!” esclama Camilla, fulminandola con un’altra occhiata, intimandole di piantarla con questo interrogatorio.
 
“Sì, siamo separati e la sentenza di divorzio dovrebbe arrivare tra meno di un anno, se tutto va come deve e come spero,” spiega tranquillamente Gaetano, toccando la mano di Camilla sotto al tavolo per rassicurarla che va tutto bene.
 
“Bene, allora speriamo che tutto fili liscio. E invece tu e Renzo a che punto siete? Dato che l’altra volta gli hai concesso la separazione consensuale e non hai neppure chiesto l’addebito, nonostante lui avesse abbandonato il tetto coniugale per stare con quella-“
 
“Mamma!”
 
“Per stare con Carmen, voglio sperare che anche questa volta sia lo stesso. Avete già trovato un accordo e presentato il ricorso in tribunale per l’omologa?” domanda Andreina, ignorando gli avvertimenti della figlia, che le sta lanciando occhiate sempre più assassine, snocciolando termini tecnici come fosse un avvocato divorzista. Cosa che non passa inosservata a nessuno dei presenti.
 
“No, mamma, non abbiamo ancora trovato un accordo. Comunque dovremmo incontrarci con gli avvocati tra due settimane per discuterne. Se no, se ne riparlerà a settembre…”
 
“Ma devi tutelarti figlia mia! E intanto almeno ti passa qualcosa per il mantenimento di Livietta? Perché, se no, è chiaro che gli fa comodo rimandare, e più rimandate più poi ci vuole tempo sia per la separazione, sia per il divorzio!”
 
“Mamma,” sibila, sentendosi come un disco rotto, mentre Ilenia sembra sprofondare nella sedia dall’imbarazzo e Livietta e Gaetano si scambiano uno sguardo eloquente, “se non te ne fossi accorta, sono adulta, vaccinata ed ho già affrontato una separazione, come sai benissimo anche tu, quindi credo che questi dettagli ce li dobbiamo gestire io e Renzo. E, come avrai notato, né io né Livietta siamo in una situazione di indigenza.”
 
“Quindi in poche parole non ti passa ancora un bel niente, giusto? Tu sei sempre stata troppo buona con Renzo, Camilla, e lui lo sa e se ne approfitta. Se continui così te ne pentirai: ma non ti ha insegnato niente la vostra prima separazione, eh? Quando lui faceva la bella vita con quella mentre tu a malapena avevi i soldi per comprare il necessario per te e per Livietta, figuriamoci per le spese straordinarie! Cosa avresti fatto se non avessi avuto me ed Amedeo a darti una mano? Adesso forse la situazione è diversa perché siete separati da poco e perché hai Gaetano che contribuisce alle spese, ma non è giusto e-“
 
“Mamma, adesso basta!” esclama in un mezzo grido, sbattendo le posate sul piatto, per poi aggiungere, con tono più calmo ma deciso, “non potrò mai ringraziarti abbastanza per il tuo aiuto durante la mia prima separazione, è vero, ma questo non ti da il diritto di fare i conti in tasca a me e soprattutto a Gaetano o ad immischiarti in faccende che non ti riguardano, nemmeno se in buona fede. Anche perché ti garantisco che non ho nessuna intenzione di permettere ancora a qualcuno di mettermi i piedi in testa: quell’epoca è finita da un pezzo. E non verrò a chiederti nemmeno un centesimo, tranquilla. Però adesso o la pianti con questo interrogatorio o noi ce ne andiamo: i soldi per l’albergo per quattro persone ancora ce li abbiamo, grazie al cielo, e non ho alcuna intenzione di subire o di far subire ad altri un terzo grado simile per tutta la durata di questa vacanza!”
 
“Ma Camilla…” mormora Andreina con voce tremante, mentre gli occhi le si fanno lucidi.
 
“Camilla ha ragione, Andreina: non puoi sempre pretendere di gestire la vita degli altri e di decidere tu anche per loro!” sbotta Amedeo, facendo sentire la sua voce per la prima volta dall’inizio del pranzo, per poi aggiungere in un sussurro, udibile solo dalla moglie, “e prima di preoccuparti delle separazioni e dei divorzi altrui, forse dovresti preoccuparti del tuo, del nostro di matrimonio.”
 
Sotto gli sguardi sbigottiti dei presenti, l’uomo si scusa e si alza da tavola, avviandosi a passi rapidi verso il bagno e sbattendo la porta alle sue spalle. Andreina rimane per un attimo seduta, quasi intontita, ma poi si riprende e si alza anche lei, rifugiandosi in quella che Camilla sa essere la camera da letto.
 
Con un sospiro, dopo qualche secondo di esitazione, Camilla segue la madre, lasciando Gaetano, Livietta ed Ilenia a guardarsi sconcertati.
 
La settimana sta proprio iniziando nel migliore dei modi.
 
“Mamma,” sussurra Camilla, sentendosi già in colpa, osservando Andreina che piange seduta sul letto matrimoniale.
 
“Mamma,” ripete, sedendosi accanto all’anziana e cercando di passarle un braccio intorno alle spalle, gesto a cui però la madre si sottrae, “mamma, ascoltami, non volevo farti piangere e lo sai che ti voglio bene, però ho quasi cinquant’anni ormai e sono in grado di vivere la mia vita e fare le mie scelte. E se sbaglio ne pagherò le conseguenze. Tu mi sei mancata in queste settimane ed ero e sono felice di passare un po’ di tempo con te, ma non se mi devo sentire costantemente giudicata o sotto esame, o, peggio, se quelli messi sotto esame sono Gaetano, Livietta o la povera Ilenia, che secondo me si starà già pentendo amaramente di essere venuta con noi.”
 
“Camilla, scusami, ma… è che mi preoccupo per te, lo capisci?” domanda Andreina, accettando infine l’abbraccio della figlia e stringendola forte, “è che siamo lontane e non posso esserci per te come vorrei e…”
 
“Mamma, lo so, ma so anche che se alzassi la cornetta ti precipiteresti in mio aiuto sebbene siamo a centinaia di chilometri di distanza. E questo mi è di grande sostegno ed è l’unica cosa che puoi fare per me: starmi vicino e supportarmi moralmente,” cerca di spiegarle, accarezzandole la schiena per farla smettere di piangere, “e lo stesso voglio poter fare io per te, dato che ormai sono più che grande. Quindi non ti farò domande però… mi sembra di aver notato una forte tensione tra te ed Amedeo, mamma. Non l’avevo mai visto risponderti in quel modo.”
 
“Diciamo che le cose tra me ed Amedeo dopo Torino sono molto cambiate. Forse sono cambiata io, forse lui, ma non riusciamo a tornare alla vita che avevamo prima. E la cosa peggiore è che mi sembra che sia io che lui ce la stiamo mettendo tutta ma… è come se ci fosse un muro tra noi, qualcosa di stonato. Sono nervosa, siamo sempre nervosi e... probabilmente ne avete fatto le spese voi e mi dispiace.”
 
“Mamma, forse è meglio se ci troviamo davvero un’altra sistemazione: se le cose tra te e Amedeo sono così tese non vorremmo peggiorare la situazione,” sospira Camilla che, oltretutto, nutre ancora forti dubbi che stare tutti assiepati in casa di Andreina sia una soluzione fattibile e non dannosa per la loro incolumità fisica e mentale e, soprattutto, per il suo rapporto con Gaetano.
 
Nonostante fosse stato proprio lui ad insistere che non c’erano problemi e che, anzi, era la cosa migliore, Camilla sa benissimo che Gaetano, dopo anni passati nel ruolo de “l’altro”, avrebbe sopportato quasi qualunque cosa pur di farsi accettare “in famiglia”. E questo è profondamente ingiusto nei suoi confronti.
 
“No, Camilla, anzi, almeno quando c’è gente intorno… c’è una distrazione, capisci?” domanda Andreina, con aria malinconica, asciugando le ultime lacrime.
 
“Mamma, capisco benissimo, credimi, però il problema resta: con o senza distrazione. E, se posso darti un consiglio basato sulla mia esperienza è quello di capire se e quando fermarti in tempo, prima di arrivare ad odiarsi, a non sopportare nemmeno la presenza dell’altro e a… distruggere tutto quello che di buono c’è stato, anche se è stato tanto.”
 
“È quello che sta accadendo a te e a Renzo?” chiede Andreina, avendo un’improvvisa intuizione, “è per quello che non vi siete ancora accordati sulla separazione?”
 
“Mamma…”
 
“D’accordo, hai ragione… però non andate via, davvero non è necessario e ti prometto che non farò altre domande… mi tratterrò al massimo. E poi starete sempre via praticamente tutto il giorno e almeno una notte la passerete fuori, no? Vedrai che sarà come se non ci fossimo.”
 
“Mamma, il punto non è quello, non solo. Il punto è che cosa Amedeo pensa di questa sistemazione. Sei sicura che anche lui sia felice di avere questa distrazione? Pensaci…”
 
E, detto questo, si alza e torna in sala da pranzo, lasciando la madre immersa nei suoi pensieri.
 
***************************************************************************************
 
“Sei sicura di non voler venire con noi? Mia sorella Francesca è un po’ una mina vagante ma è molto simpatica e alla mano. E sarà un pranzo informale, niente di noioso.”
 
Sono appena usciti da casa di Andreina: alla fine sia lei che Amedeo avevano insistito perché rimanessero da loro, anche se Amedeo appariva sempre più malinconico, quasi rassegnato. Ma quando Camilla aveva provato a parlargli in privato e a chiedergli se davvero la loro presenza non creava problemi, l’uomo aveva negato ed insistito a tal punto che le era quasi sembrato di farsi pregare e aveva quindi deciso di aspettare e vedere come si sarebbero evolute le cose. Per ora, in effetti, la mattinata e la colazione erano state molto più tranquille della cena.
 
“No, grazie, davvero ma… già che sono a Roma ho delle commissioni da sbrigare e poi saremo presi con la rimpatriata e quindi preferisco sistemare tutto oggi.”
 
“D’accordo, allora ci vediamo stasera. Buona giornata e se hai bisogno…”
 
Ilenia si limita a sorridere ed annuire, allontanandosi da loro e avviandosi verso la fermata del tram. Sale e lo trova, ovviamente, già pieno. Rimane quindi in piedi, attaccata alla sbarra per non cadere, pressata in mezzo alla calca. Alla seconda fermata però, improvvisamente, viene strattonata all’indietro e poi spintonata talmente forte che quasi cade addosso ad un’anziana seduta lì vicino, riuscendo miracolosamente ad appoggiarsi con le mani sui sedili e a mantenere l’equilibrio. Si risolleva e si volta, ma il maleducato o la maleducata sono ormai persi nel fiume di gente che scende dal mezzo.
 
“Tutto bene?” domanda la signora, aggiungendo poi, “occhio alla borsa!”
 
“Sì, grazie signora e mi scusi,” risponde Ilenia, assicurandosi che, apparentemente, la borsa sia intatta e cellulare e portafogli siano ancora al sicuro nelle tasche interne della tracolla.
 
Scende alla sua fermata e si avvia verso l’ingresso. Una breve sosta all’ufficio informazioni, dove deve pronunciare quel nome, sebbene anche solo pensarlo le provochi una fitta al petto, e sa dove deve andare.
 
Dopo una lunga camminata arriva e lo trova, un loculo spoglio, senza fiori, senza foto, solo quel nome: Mauro Misoglio e due date che non potrà mai scordarsi. Del resto lei e sua madre erano fuggite da Roma ben prima del funerale e praticamente senza soldi. Aveva saputo poi da Sammy che funerale e tomba erano stati pagati con una colletta congiunta dei punkabbestia, dei compagni di scuola e dei professori ma in gran parte, ne è certa, proprio dalla prof. Baudino, da Camilla, come ultimamente le chiede di chiamarla, anche se le suona ancora così strano.
 
E anche lei è lì senza fiori in mano: del resto a cosa servirebbero, se non a seccare o a marcire fino a quando, magari, qualcuno avrebbe avuto il buon cuore di rimuoverli?
 
“Ciao fratellone,” pronuncia con voce tremante, “lo so che non ci sono stata al tuo funerale e che non sono mai venuta a trovarti, però… però volevo dirti che ti penso sempre, che ti porto con me in ogni cosa che faccio. E soprattutto che io non dimentico e non dimenticherò mai, Black.”
 
***************************************************************************************
 
“Fratellone!”
 
“Francesca!” esclama sorridendo quando il tornado biondo gli si butta in braccio.
 
“Come stai? Ti trovo bene, anche se un po’ invecchiato,” proclama la donna con una mezza risata affettuosa, facendogli l’occhiolino.
 
“Molto spiritosa, anche io ti trovo bene e devo dire che tu invece non sembri invecchiare mai! O cambiare mai!”
 
“Zio!” si sente chiamare e si volta, trovandosi davanti un ragazzo alto ma dal volto ancora fanciullesco, come è tipico per tanti adolescenti a quell’età.
 
“Nino?! Mamma mia, quanto sei cresciuto!” lo saluta con un abbraccio e un paio di pacche sulla spalla, “ormai sei alto come me.”
 
“Ciao Gaetano!”
 
“Jerry, ciao!” stringe la mano al cognato, che ancora fatica a pronunciare il suo nome, nonostante gli anni passati in Italia e che, nota Gaetano con una certa preoccupazione, appare sempre più anziano e fragile: la mano nella sua trema visibilmente e percorre i pochi passi per entrare nel ristorante con una certa fatica.
 
Se la grande differenza di età con Francesca ed il sembrare più il nonno di Nino che il padre balzavano già all’occhio quando l’aveva incontrato per la prima volta, ora il divario sembra ancora più evidente e si chiede come Francesca, così vitale e piena di energia, viva questa situazione. Come Nino viva questa situazione.
 
“Adoro questo ristorante, ma perché non sei voluto venire a pranzo da noi? Sappi che potrei prenderla come un’offesa personale verso la mia cucina, soprattutto visto che tu ai fornelli sei un cataclisma,” lo punzecchia Francesca, mentre percorrono la sala, circondati dal profumo dei piatti tipici romani.
 
“Perché se no avrei dovuto per forza rovinarti la sorpresa,” risponde Gaetano, conducendole al tavolo dove li attendono Camilla e Livietta.
 
“La sorpresa? Oddio… Camilla?!” esclama Francesca, riconoscendo la mora riccia che si sta alzando in piedi e trascinandola in un abbraccio, “è una vita che non ci vediamo: non hai idea di quanto sono felice di rivederti!”
 
“Anche io, Francesca: non sei cambiata di una virgola,” sorride sincera, ricambiando la stretta. Del resto aveva provato una simpatia istintiva per la mina vagante fin dal primo momento in cui si erano conosciute.
 
“Livietta?” domanda Nino, osservando con occhi spalancati la bellissima ragazza di fronte a lui.
 
“Ciao Nino,” conferma con un sorriso, mentre lui si avvicina e la saluta con un po’ di incertezza, quasi timidamente, con i canonici due baci sulle guance.
 
“Ma quindi cos’è successo? Come mai siete qui? Vi siete rincontrati qui a Roma in questi giorni? Ero rimasta che tu eri partita per… Barcellona, forse?” domanda Francesca, evidentemente curiosa quanto sorpresa.
 
Sa benissimo – anche se lei e suo fratello non ne avevano mai parlato apertamente, a parte qualche battuta – che Gaetano, almeno in passato, era stato innamorato perso della sua “amica” professoressa. E a giudicare da come la guarda, ci è ancora dentro con tutte le scarpe: non l’ha mai visto così non nessun’altra.
 
“Sì, ero a Barcellona, poi in realtà sono tornata a Roma qualche anno fa, ma tuo fratello si era già trasferito al nord. Ci siamo ritrovati per caso a Torino, praticamente abbiamo scoperto di abitare l’uno di fronte all’altra…”
 
“Quando si dice il destino, insomma!” commenta Francesca, aggiungendo poi, con uno sguardo eloquente, sperando, per il bene suo fratello, di aver avuto l’intuizione giusta, “e quindi come mai siete venuti a Roma insieme? Va bene che sarete buoni vicini di casa, ma…”
 
“Francesca, è inutile che usi quel tono sornione e fai quel sorrisetto. Il motivo per cui siamo venuti a Roma insieme è che… stiamo insieme,” proclama con un enorme sorriso che riflette la sua felicità nel poter pronunciare quelle due parole di fronte a sua sorella.
 
“Finalmente! Auguri!” quasi urla Francesca, attirandosi gli sguardi degli altri avventori, stringendo nuovamente sia il fratello che Camilla in un abbraccio, “che bello: non hai idea di quanto sono felice per voi! Lo sapevo, l’ho sempre saputo che eravate, che siete fatti l’uno per l’altra, anche se ci avete messo un decennio per capirlo. Ma del resto siete uguali pure per quanto riguarda la testardaggine.”
 
“Senti chi parla!” esclamano all’unisono, guardandosi e scoppiando a ridere.
 
“Ecco appunto: siete proprio fatti l’uno per l’altra. Davvero, sono troppo contenta, fratellone: è la più bella notizia che tu potessi darmi, e poi finalmente avrò una cognata simpatica! Anche se, visti i precedenti, non è che ti stia facendo questo gran complimento, Camilla, credimi,” proclama, ripensando a Roberta e ad Eva: fortunatamente aveva avuto poche occasioni per avere a che fare con entrambe, ma le erano bastate ed avanzate.
 
“Francesca…” sospira Gaetano, non trattenendo però un’altra mezza risata, soprattutto di fronte alle espressioni di Camilla e di Livietta.
 
Si siedono al tavolo e fanno le loro ordinazioni, prima di dedicarsi a recuperare il tempo perduto e ad aggiornarsi su tutti gli avvenimenti degli ultimi anni, in un clima di festa, di vera famiglia.
 
***************************************************************************************
 
“Prof!”
 
“Allegra: che bello vederti e grazie mille per l’invito!” esclama Camilla, lasciandosi trascinare dalla ragazza in un forte abbraccio, “poi questo posto è stupendo: complimenti!”
 
“Ma si figuri, prof., anzi, sono io che devo ringraziarla per essere venuta e per… per tutto. Sono davvero felice di rivederla, sa, le devo tantissimo: poche persone mi hanno aiutata quanto lei, hanno creduto in me e se sono qui oggi e ho tutto questo è anche merito suo.”
 
“Allegra…” sussurra Camilla, toccata, aggiungendo, quando si staccano, osservando la magnifica tenuta, “però direi che sopravvaluti il mio intervento: se non credi in te stessa, nessuno può farlo al posto tuo, come nessuno può reagire al posto tuo alle difficoltà della vita. E mi sembra che tu ci sia riuscita benissimo.”
 
“Eh, me la sono cavata, però in fondo partivo avvantaggiata: i soldi per avviare il resort non mi mancavano. Almeno l’ossessione di mio padre per il lavoro e per il successo a qualcosa è servita…”
 
“Sì, ma i soldi si fa in fretta a bruciarle, se non si sta attenti, e poi questo posto deve richiedere un gran impegno di gestione per essere così ben tenuto.”
 
“Un po’ sì, ma mi piace il verde, il contatto con la campagna, la pace, la tranquillità, organizzare gli eventi. E poi, quando c’è l’occasione per scatenarsi, come stasera, si può fare festa fino all’alba senza diventare matti con i permessi e i rapporti di vicinato,” commenta con un sorriso, indicando l’area dove i DJ stanno montando le loro attrezzature e le zone bar già allestite. Nel farlo nota finalmente l’uomo che attende paziente pochi passi dietro la professoressa.
 
“Oddio, commissario, mi scusi: ero talmente presa che non l’ho nemmeno salutata,” proclama, avvicinandosi all’uomo e stringendogli la mano.
 
“Ma figurati, anzi, grazie per avere esteso l’invito: in fondo sono una specie di imboscato,” commenta con una risata, “però chiamami Gaetano, ok? Niente titoli: stasera non sono in servizio.”
 
“Ok, Gaetano e altro che imboscato: lei era praticamente un’istituzione per noi… anzi, sono felice di ritrovarla in circostanze migliori, anche lei ha fatto tanto per me. E poi, se la prof. non si offende, le confesso che credo che molte delle mie compagne saranno ben contente di incontrarla di nuovo: dopo che era venuto a farci quella lezione quasi tutte le ragazze della classe si erano prese una cotta pazzesca per lei, soprattutto Debbie.”
 
“Ah, beh, grazie… ma ormai voi siete cresciute e io sono invecchiato. Credo che, sempre ammesso che si ricordino ancora di me, rimarranno molto deluse,” si schernisce, osservando di sottecchi Camilla, in apprensione, avendo avuto modo di constatare quanto sia gelosa, ma lei sembra imperturbabile.
 
“Allegra!” una voce li interrompe, prima che possa rispondere.

“Sammy, ciao!”
 
Le due ragazze si abbracciano e poi Sammy, notando Camilla, si illumina, esclama l’immancabile “prof!” e quasi le si getta al collo, stringendola forte.
 
“Mamma mia, fatti vedere: sei diventata ancora più bella!” proclama Camilla, quando riesce a staccarsi, aggiungendo poi, notando la fede e l’uomo che si avvicina alle sue spalle, “e mi hanno detto che ti sei sposata, congratulazioni!”
 
“Infatti, questo è mio marito, Pietro,” conferma, indicando l’uomo, alto, moro, sicuramente attraente ma che avrà, ad occhio e croce, almeno una decina d’anni più di lei. A parte il fisico sportivo, di cui Camilla non si stupisce, ricordando che è un ispettore di polizia, c’è qualcosa nel suo aspetto di stranamente familiare.
 
“Piacere,” proclama, stringendogli la mano, “io sono Camilla Baudino, ero l’insegnante di lettere di Sammy. Ma… lei… non so perché ma ho l’impressione di averla già vista.”
 
“Cavoli prof., certo che a lei non sfugge mai niente! Le sembra di averlo già visto perché l’ha già visto. Si ricorda quando mi aveva accompagnata quel giorno, insieme al suo amico del centro sociale, per… per la storia di Nicola e ci avevano fermate ad un posto di blocco?” le chiede Sammy con un sorriso, anticipando la reazione della professoressa.
 
“NO? Lei era… lei era l’agente che ci ha fermate e mi ha fatto rimanere per due ore ad aspettare il libretto della macchina. Ci voleva quasi arrestare!” esclama Camilla, incredula, mentre gli sposini scoppiano in una risata complice.
 
“In effetti è vero: posso solo dire a mia discolpa che probabilmente avevo intuito già allora che Sammy non potevo lasciarmela sfuggire, anche se avevo completamente sbagliato i metodi,” ribatte imbarazzato, passandosi una mano tra i capelli, “anzi, spero che possa perdonarmi per l’inconveniente ma, sa-“
 
“Stava solo facendo il suo lavoro, tranquillo, capisco benissimo. Certo, più che altro se avrete dei figli, dovrete decidere cosa raccontargli quando vi chiederanno come vi siete conosciuti.”
 
“In effetti uno scampato fermo non è proprio l’inizio più romantico per una storia d’amore, ma ci siamo rifatti dopo, spero,” ammette l’uomo con una risata.
 
“A parte che di inizi non proprio romantici ne sapete qualcosa, anche voi, no prof.? Anzi, commissario, mi scusi se non l’ho ancora salutata, ma mi fa davvero piacere rivederla e soprattutto vedervi insieme,” dichiara, stringendogli la mano, “anche perché mi considero un po’ la fautrice di questa storia d’amore: se vi siete conosciuti in fondo è merito mio, no? E almeno da quella brutta storia ne è uscito qualcosa di buono.”
 
“Effettivamente tra un fermo mancato e il riconoscimento di una vittima di omicidio, direi che la palma per primo incontro meno romantico vada proprio a noi due. E, anche se avrei preferito conoscere Camilla in circostanze diverse, devo dire che sono grato a te e al destino per averla messa sulla mia strada.”
 
“Mi hai tolto le parole di bocca. E in quanto a romanticismo… abbiamo recuperato e stiamo recuperando abbondantemente,” commenta Camilla, cingendogli la vita e sorridendogli in quel modo che solo gli innamorati conoscono.
 
“Ma quindi lei è un commissario?” domanda Pietro improvvisamente, mettendosi sull’attenti ancora prima di ricevere risposta.
 
“Comodo, comodo,” lo rassicura Gaetano, stupito da tanto rigore, essendo entrambi in borghese, porgendogli la mano, “sono il vicequestore Gaetano Berardi, dirigo la squadra omicidi a Torino, piacere di conoscerla. Però siccome non siamo in servizio e, anzi, sono qui in vacanza, niente formalità, davvero.”
 
“Lei è il vicequestore Berardi? Sono l’ispettore Pietro Mancini, è un vero onore conoscerla. Lavoro nella omicidi qui a Roma, quindi ho sentito parlare di lei,” spiega, mantenendo comunque un atteggiamento molto deferente.
 
“Nella mia ex squadra? Certo che il mondo è piccolo!” commenta Gaetano, sorpreso, mentre Camilla fa ben altro collegamento mentale.
 
“Buonasera!”
 
“Marchese!” esclama, proclamando ad alta voce il nome che le era appena passato per la testa.
 
“Buonasera prof., che bello rivederla,” risponde Marchese con il suo solito sorriso, avvicinandosi per salutarla ma bloccandosi bruscamente quando nota l’ispettore e Sammy.
 
“Ispettore,” saluta, mettendosi sull’attenti e rimanendoci fino a che l’uomo fa un cenno col capo.
 
Dopo aver ricevuto il “permesso” si volta nuovamente verso Camilla e la saluta con i canonici due baci e stretta di mano, oltre che con un’occhiata eloquente che sembra un – ne parliamo dopo – non verbale, prima di fare lo stesso con Allegra. Con Sammy scambia solo una stretta di mano rigida e distante.
 
La tensione tra Marchese e la coppia è palpabile e quasi si taglia con un coltello.
 
“Va beh, che ne dite se vi accompagno alle vostre camere?” propone Allegra, per stemperare l’atmosfera, “Gianni, tu sei al primo piano, stanza 5, con Berilli, come ai vecchi tempi. Le chiavi le ho già lasciate a lui, se lo vuoi raggiungere…”
 
“Certo, grazie mille!” annuisce Marchese, evidentemente ansioso di andarsene da lì, ma prima si mette nuovamente sull’attenti e pronuncia di nuovo un formalissimo, “ispettore”, attendendo l’assenso di Mancini prima di allontanarsi.
 
Camilla lancia un’occhiata a Gaetano, che pare stupito quanto lei da una simile rigidità, oltretutto considerata la situazione. Avere come tuo collega e superiore l’attuale marito della tua ex deve essere terribilmente imbarazzante.
 
“Voi siete al secondo piano. Dovrebbe essere la zona più tranquilla,” spiega Allegra con un sorriso, cominciando a fare loro strada, “tra l’altro prof., mi stavo quasi dimenticando di domandarglielo, ma dov’è Ilenia? Mi era sembrato di capire che foste venute qui insieme da Torino.”
 
“E infatti è così, però a quanto pare aveva delle commissioni da sbrigare e ci ha detto che sarebbe venuta qui in taxi un po’ più tardi, di cominciare pure ad avviarci. Credo sarà qui a momenti, in caso contrario le telefono…”
 
“Ok, benissimo, queste sono le vostre stanze: se avete bisogno di qualsiasi cosa, basta che chiamate la reception. Tra un’ora iniziamo col buffet, il bar e la musica. Ci vediamo dopo,” li saluta Allegra, allontanandosi.
 
Le due coppie si congedano rapidamente ed entrano nella camera a loro assegnata.
 
“Amore, cos’è la storia della vittima di omicidio e del riconoscimento? E cosa c’entravate tu e la professoressa?”
 
“Amore… è una storia lunga e complicata ed è successo tanto tempo fa…” cerca di divagare Sammy, intuendo che il marito non avrebbe propriamente fatto i salti di gioia nel venire a conoscenza della sua storia d’amore con un mezzo camorrista e del suo coinvolgimento nelle indagini sul suo omicidio.
 
“Ma abbiamo tutto il tempo, così me la puoi raccontare con calma,” ribatte Pietro, con l’aria di chi non si lascerà di certo distrarre da qualche tentativo di stallo.
 
Del resto è un poliziotto e tirare fuori la verità da testimoni reticenti è il suo pane quotidiano.
 
***************************************************************************************
 
“Ilenia, meno male: stavo per chiamarti, ero preoccupata!”
 
È nel corridoio del secondo piano, a pochi passi dalla sua stanza: stava scendendo proprio per avere notizie della ragazza, mentre Gaetano stava ancora cercando di telefonare ad Eva e quindi a Tommy.
 
“Eh, lo so prof. ma è che ci ho messo più del previsto a sbrigare tutto e poi… dovevo comprarmi un vestito per stasera. A Torino non avevo fatto in tempo,” spiega, mostrandole un paio di shopper oltre all’ampia tracolla con cui era uscita quella mattina.
 
“Tutto bene?” domanda Camilla, notando come la ragazza sembri esausta, spenta, per nulla dell’umore adatto ad una festa. Tanto che non si ricorda nemmeno di pregarla, per l’ennesima volta, di non chiamarla più prof. ma semplicemente Camilla.
 
“Sono un po’ stanca, sì…” ammette con un sospiro, stropicciandosi gli occhi.
 
“Ilenia… guarda che se c’è qualcosa che non va me ne puoi parlare liberamente: non serve che fingi con me, lo sai,” la rassicura, guardandola dritta negli occhi.
 
“Lo so prof. ma è che… Roma è una città meravigliosa e mi è rimasta nel cuore, ci ho lasciato una parte di me, però… mi riporta alla mente anche tanti ricordi dolorosi…”
 
“Capisco… se hai bisogno di qualcosa io ci sono, ok?” ribadisce, poggiandole una mano sulla spalla.
 
“Grazie prof. ma sono sicura che questa serata mi farà bene: voglio divertirmi e lasciarmi tutti i problemi e i pensieri alle spalle,” proclama Ilenia con un sorriso tirato ma con tono deciso, “ci vediamo dopo.”
 
E, mentre Camilla continua ad osservarla preoccupata, si ritira nella sua stanza.
 
***************************************************************************************
 
“A che pensa, prof.?”
 
La voce inaspettata alle sue spalle la fa sobbalzare: nonostante la musica forte e la confusione era concentrata su una cosa sola, o meglio, su una persona sola.
 
“Marchese!” esclama, mettendosi una mano sul petto, “mi stavi facendo venire un infarto.”
 
“Mi scusi prof., ma, a qualunque cosa stesse pensando, le ricordo che l’omicidio è punibile con l’ergastolo e che sarebbe mio dovere arrestarla in flagranza di reato,” commenta il ragazzo con un mezzo sorriso furbetto.
 
“Marchese, io ti ricordo che mi sono sorbita le centinaia di pagine del tuo romanzo d’esordio e che non puoi né indagare, né arrestare il colpevole di un omicidio, se ne sei la vittima,” ribatte lei con uno sguardo che vale più di mille parole, facendolo ridere.
 
“Touché, prof.! Posso però solo aggiungere, prima di passare a miglior vita, che se avessi un ultimo desiderio, sarebbe quello di avere metà del successo che ha lui con le donne? A chi tutto e a chi niente…” commenta con tono tra il divertito e il malinconico, seguendo la linea visiva della prof. e osservando Gaetano accerchiato dalle sue ex compagne di classe, le più carine ovviamente e che, se possibile, nei dieci anni trascorsi sono diventate ancora più belle.
 
“Se gliene prendessi metà e gliene lasciassi l’altra metà ne sarei ben felice,” ribatte lei scuotendo il capo e pensando che dovrà munirsi di un catetere per le prossime feste: di nuovo non appena si è allontanata per andare in bagno si è formato un codazzo da far invidia ad una rockstar.
 
Riconosce tra le altre Viola e, soprattutto, Debbie, in forma smagliante e con un miniabito che le sembra dipinto addosso e che le lascia scoperte sia le gambe, sia la scollatura. È proprio lei quella più vicina a Gaetano e continua a ridurre le distanze, fino a posargli una mano sull’avambraccio.
 
Il velo rosso che le copre la vista, insieme al gusto metallico in bocca, si attenuano però quando nota che l’uomo, con discrezione, sposta il braccio ed indietreggia leggermente, pur mantenendo il sorriso sulle labbra, mentre si guarda intorno ed, incrociando i suoi occhi, le lancia un’espressione della serie “non è colpa mia, abbi pietà di me”, a cui lei risponde con un sorriso intenerito e divertito, accompagnato però da un’occhiata di avvertimento.
 
“Da quello che vedo non credo abbia nulla di cui preoccuparsi prof.,” commenta Marchese con un altro sorriso ancora più malinconico, “come si dice? C’è chi ha il pane e non ha i denti e chi ha i denti e non ha il pane…”
 
“Non so perché ma ho l’impressione che nemmeno a te interessi tutta la panetteria, Marchese, ma una pagnotta che purtroppo è già… prenotata,” gli fa notare, dato che non le erano affatto sfuggiti gli sguardi lanciati verso la zona da ballo, dove Sammy e il marito sono impegnati in un lento.
 
“Marchese, non dirmi che sei ancora innamorato di Sammy: da quant’è che vi siete lasciati?” gli chiede, ricordando che quando l’aveva frequentato due anni prima, anche se non avevano mai parlato esplicitamente delle loro situazioni sentimentali, aveva avuto comunque la forte impressione che fosse single.
 
“Da quattro anni, prof., ma il problema non è Sammy, non solo, il problema è lui,” spiega, mentre il suo tono assume una nota dura che Camilla non gli aveva mai sentito pronunciare, considerato che Marchese è sempre stato mite e buono di natura.
 
“Lui? Ma da un punto di vista privato o professionale?”
 
“Entrambi… prof., sa come si sono conosciuti quei due, eh? Grazie a me! Ironico, non le pare?”
 
“Grazie a te?!” domanda, spiazzata.
 
“Sì, grazie a me. Quando ero ancora in addestramento lui era uno dei miei istruttori. Lo chiamavamo il mastino o il generale d’acciaio, perché… ha visto com’è fissato con la disciplina, no? Sarebbe dovuto entrare nell’esercito, più che in polizia,” spiega Marchese con un sospiro, “fatto sta che Sammy ogni tanto mi veniva a trovare e una volta mentre mi aspettava si sono incontrati. Lei l’ha riconosciuto e hanno iniziato a parlare. Quando sono arrivato mi sono trovato davanti il mastino che sorrideva, anzi, rideva proprio, mentre Sammy mi spiegava del posto di blocco e gli parlava come se si conoscessero da una vita. Nel giro di un paio di mesi le sue visite hanno cominciato a ridursi e alla fine mi ha mollato, senza una spiegazione.”
 
“E quando l’hai scoperta la spiegazione?”
 
“Quando si è trasferito da noi un anno fa ormai, o quasi, per sostituire Torre, che è venuto da voi a Torino. Tra l’altro quando lo vede me lo saluti tanto e gli dica che lo rimpiangiamo tutti nella squadra.”
 
“Certo, sono sicura che gli farà piacere…” conferma Camilla con un sorriso, aspettando il prosieguo della storia.
 
“Insomma, per farla breve, già ero disperato all’idea di dover di nuovo avere a che fare con il mastino… Prof., lei non ne ha un’idea, ma tra lui e De Matteis insieme… a volte veramente sembra di stare in caserma: almeno prima c’era Torre che un po’ riequilibrava le manie di De Matteis, ma così… si fomentano a vicenda!”
 
“Oddio, non vi invidio per niente…” commenta, rabbrividendo al sol pensiero di quel fissato di De Matteis, della sua spocchia e della sua supponenza.
 
Se pensa che poteva diventare suo cognato e lo confronta con Francesca… le è andata veramente di lusso.
 
“No, infatti, ma ho notato quasi subito che con me Mancini era ancora peggio che con gli altri. Se qualcosa andava storta la colpa era sempre mia. Tutti i compiti più rognosi toccavano sempre a me: appostamenti al gelo, turni doppi, festività… All’inizio pensavo fosse per l’anzianità e perché Grassetti è una donna ma poi è arrivato un nuovo agente maschio più giovane e la situazione non è migliorata. Ed un giorno esco dal commissariato e mi trovo davanti Sammy abbracciata a lui, mentre Grassetti mi rivela che è la moglie dell’ispettore e che si sono sposati da poco.”
 
“Ma quindi tu pensi che lui faccia così per via di te e di Sammy… Ma no dai… sei sicuro?”
 
“Sicurissimo, prof., lei non lo conosce…” proclama con tono ancora più aspro, fissandolo con sguardo torvo, “è davvero un mastino: ti si attacca alla gola e non ti molla più.”
 
“Ma con Sammy mi sembra molto dolce ed innamorato, lei mi pare felice,” commenta, anche se sa che gli farà male, ma teme che Marchese nei confronti dell’ispettore sia un po’ prevenuto, dato che gli ha portato via la ragazza.
 
“Sì, con lei si trasforma, è tutta un’altra persona e magari è veramente innamorato e la rende felice. Ma con noi è un vero nazista, prof., glielo garantisco: ci gode ad avere potere sugli altri in generale e su di me in particolare.”
 
Camilla volge di nuovo gli occhi verso la coppia, che balla e ride spensierata: lui prova a farle fare una piroetta, fissandola adorante e, quando evitano per un soffio di inciampare e schiantarsi a terra, se la appoggia al petto e ride con lei, che gli bacia una guancia.
 
Fatica a riconciliare il “nazista” con quest’uomo evidentemente innamorato, ma ha visto metamorfosi ben più strane.
 
Anche se, le ricorda una voce, la voce di suo padre, la vera natura di una persona spesso si vede proprio da come tratta i suoi sottoposti.
 
E, per quanto sperimentato finora sulla sua pelle in quasi mezzo secolo di vita, suo padre aveva perfettamente ragione.
 
***************************************************************************************
 
Maledetti sacchi di pulci – è l’imprecazione silenziosa che lo accompagna mentre la cagnara, nel vero senso della parola, l’abbaiare e il ringhiare dei cani, l’ululare disperato e pulsante, riempiono la notte solitamente tranquilla della campagna romana.
 
Non è uno stupido, anche se non ha mai potuto e voluto studiare e legge e scrive a fatica: da quanto aveva incrociato per la prima volta il nuovo vicino, poco più di un anno fa, aveva capito subito che era uno di quei tipi da cui è meglio stare alla larga, rimanere invisibili.
 
I cani erano arrivati a poco a poco: prima uno, poi due, poi tre, quasi a dirgli che, sì, era decisamente meglio farsi i fatti suoi.
 
Ma, dopo ore di rumore infernale, ora l’unica cosa che desidera è non impazzire, farli smettere. Chiamerebbe la polizia, non fosse che è l’unico essere umano nel raggio di miglia, l’unico abbastanza vicino da poter sentire i cani e che è sicuro che il vicino gliela farebbe pagare cara. La soluzione è una sola: andare di persona e sperare di non pentirsene.
 
Suona al rudimentale campanello, mentre i latrati e i ringhi aumentano di intensità, se possibile. Ma nessun suono di origine umana si interpone al concerto animale.
 
“C’è nessuno?” prova ad urlare, non ottenendo alcuna risposta, non da qualcuno su due zampe, almeno.
 
Nota allora che il cancello di rete è socchiuso. Sa che è una pessima idea, che se ne pentirà, ma il rumore incessante lo sta facendo diventare matto e farebbe qualsiasi cosa pur di farlo smettere.
 
Lo apre e, cautamente, si avvia lungo il viale, sempre chiamando per annunciare la sua presenza, dichiarando di essere il vicino e di non avere cattive intenzioni. Nulla.
 
Le file di gabbie si stagliano alla sua destra e alla sua sinistra. Nella completa oscurità nota diverse gabbie vuote e gli occhi lattei degli occupanti che brillano sotto la luce lunare, mentre si scagliano contro le reti e mostrano i denti lunghi, candidi ed affilati.
 
E poi gira l’angolo e sente il cuore fermarsi nel petto.

Lo vede: un cane nero come la notte, il liquido nero inchiostro, dai riflessi vermigli, che riluce a chiazze sul pelo e che cola a cascata dai canini. Si ritrova bambino, al cinema itinerante, a sbirciare tra le dita una pellicola in bianco e nero, il cuore in gola, mentre un enorme mastino cerca di sbranare un damerino inglese nella brughiera.
 
Il suo istinto sa che quella che ha di fronte a lui è la morte, ancora prima di notare un fantoccio, un insieme disarticolato di stoffa, brandelli di stoffa, sopra all’inchiostro nero e al bianco, il bianco dell’osso.
 
Sussulta e non sa se sia quel movimento o il mezzo grido che non può contenere, ma la morte si avventa verso di lui con un ringhio spettrale.
 
È un secondo: si volta e corre, corre, mentre muscoli che non immaginava più di possedere, rattrappiti sotto il peso dell’età che avanza, si riattivano. L’adrenalina nel suo corpo ha un unico obiettivo: sopravvivere. Si guarda intorno disperato, sa che non può correre più veloce della morte, non a lungo, e la vede: la porta aperta di una gabbia vuota. Ci si butta dentro e la richiude alle sue spalle, spingendo con forza contro il muso e contro i denti, sentendo finalmente il click ed allontanandosi appena in tempo, prima che i guaiti di dolore si trasformino in latrati ed in un tentativo disperato di divorare anche il metallo.
 
Non sa come ma è illeso, nemmeno un graffio, solo il cuore che pare scoppiargli nel petto e che lo porta a chiedersi che cosa si prova quando si ha un infarto. Estrae con mano tremante l’aggeggio infernale dalla tasca, ringraziando la sorella per avere tanto insistito per regalarglielo, anche se solo per ripulirsi la coscienza di averlo abbandonato lì, in mezzo al nulla, mentre lei viveva una vita diversa nella grande città in mezzo alla nebbia, dove tutti correvano sempre senza arrivare mai da nessuna parte.
 
Tre cifre, tre squilli, parole confuse, sconnesse, rimescolate dal panico.
 
E poi c’è solo il buio, il nero, l’inchiostro.
 
 
 
Nota dell’autrice: Ed eccoci qui alla conclusione di questo primo capitolo romano, che, come avete avuto modo di vedere ha parecchi cambi di tono e di atmosfera. Sono curiosa di sapere cosa ne pensate, cosa vi ha convinte di più e cosa di meno. Come sempre i vostri commenti, pareri e critiche mi aiutano tantissimo ad evitare di annoiarvi e a capire su cosa concentrarmi di più e cosa invece limare. Per ovvie ragioni di trama, dato lo spostamento geografico, questo è stato un capitolo più introduttivo, che ha gettato un po’ di basi e un po’ di semi. Nel prossimo entreremo nel vivo sia come giallo, sia come rapporti tra i personaggi, ci saranno ancora un paio di “ritorni” che porteranno un bel po’ di scompiglio. Non anticipo altro ma vi do quindi appuntamento tra una settimana, ringraziandovi davvero di cuore per avermi seguita fin qui!

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** What goes around... comes around... ***


Capitolo 32: “What goes around… comes around…”
 
 


Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 


 
“Non ti sembra di stare bevendo un po’ troppo? Cos’è, il secondo o il terzo Mojito?”
 
“E a te non sembra di non stare bevendo abbastanza?” ribatte, osservando il suo bicchiere di acqua tonica, senza gin, con un tono ed un’occhiata eloquente che gli dimostrano che Ilenia, almeno per ora, non è affatto ubriaca.
 
“Forse l’alcol aiuterebbe, è vero, ma se lui mi vede berne anche solo un sorso mi fa rapporto o come minimo un predicozzo di due ore,” spiega, indicando l’ispettore che, poco distante, sta ancora ballando con Sammy.
 
“Ma non sei in servizio…”
 
“Un poliziotto è sempre in servizio, Marchese: un’emergenza potrebbe capitare in qualsiasi momento e bisogna rimanere pronti e lucidi, chiaro?!” proclama con tono marziale, imitando la voce di Mancini e facendo ridere Ilenia.
 
“È davvero così terribile?” domanda, ancora tra le risate.
 
“Peggio, molto peggio,” sospira Marchese, scuotendo il capo.
 
“A che pensi?” chiede Ilenia, dopo che avevano bevuto per un po’ in silenzio, ascoltando la musica ed osservando la gente ballare, mentre loro stavano defilati ai lati della festa.
 
“Che perfino la mia ex professoressa che ha quasi il doppio dei miei anni ha una vita sentimentale mille volte migliore della mia,” ribatte lui, amaro, osservando Camilla e Gaetano che ballano in pista, instancabili, ormai da più di un’ora e che sembrano il ritratto della felicità, “negli ultimi due anni la prof. ha avuto almeno tre uomini a contendersela, a quanto ne so. Io da quando mi ha lasciato Sammy a stento trovo una ragazza che si interessi a me. E passo la serata della rimpatriata di classe a bere acqua tonica ai bordi della pista mentre gli altri si divertono. Non è patetico?”
 
“Mi stai dando della patetica?” fa notare Ilenia, con un sopracciglio alzato.
 
“No, no, no!” esclama Marchese, quasi fucsia, “è che… sono un idiota e… va beh, adesso lo capisci perché sono ancora single, no? Sempre se avevi qualche dubbio…”
 
Per tutta risposta Ilenia scoppia di nuovo a ridere e più lei ride più Marchese diventa color fucsia neon, scatenando altre risate.
 
“Grazie Marchese,” risponde lei, quando si riprende, “davvero, grazie, sei riuscito a tirarmi su di morale.”
 
“Beh, almeno fare la figura dell’idiota è servito a qualcosa…” commenta lui con un sorriso, aggiungendo poi, dopo un attimo di esitazione, “anzi, siccome siamo qui tutte e due a bere e ad annoiarci… perché non facciamo qualcosa per divertirci insieme? Ti andrebbe di ballare?”
 
“Adesso sì che capisco veramente perché sei ancora single, Marchese: questo è l’invito più lusinghiero ed allettante che io abbia mai ricevuto,” ribatte lei con tono sarcastico, scuotendo il capo e bevendo un altro sorso di mojito per nascondere il sorriso intenerito e divertito che, nonostante tutto, minaccia di sfuggirle dalle labbra.
 
“No, no, scusa, non… non intendevo… Ilenia, lo so che sono un cretino e che mi merito di essere mandato a quel paese, ma me piacerebbe davvero moltissimo ballare con te,” ribadisce deciso, con le guance ormai del colore di un’insegna, ma cercando di farle capire che è sincero.
 
“Mmmm, d’accordo, diciamo che ti voglio credere, anche perché è sempre meglio che stare qui a fare la muffa. Dai, andiamo,” lo sprona con un sorriso, prendendolo per mano e avviandosi verso l’area da ballo.
 
Nonostante l’imbarazzo e la scarsa attitudine al ballo di entrambi, riescono ad affrontare i primi due pezzi ritmati senza pestarsi troppe volte i piedi e ridendo dei rispettivi passi falsi come non succedeva ad entrambi da molto tempo. Tanto che praticamente quasi non si rendono conto di avere puntati su di loro gli sguardi sia di Camilla e Gaetano, che li osservano piacevolmente sorpresi, sia di Sammy e Pietro, che sono invece stupiti e basta.
 
Come non si rendono conto del cellulare di Mancini che squilla, il suono sepolto dalla musica a tutto volume, e del dialogo concitato al telefono, seguito da uno scambio di battute con Sammy che, alla fine, annuisce anche se con uno sguardo tra il triste e il rassegnato. E non avvertono l’uomo avvicinarsi fino a quando picchietta con un dito sulla spalla di Marchese, facendolo sobbalzare.
 
“Ispettore? Che succede?” domanda il ragazzo, col cuore ancora in gola, anche se ciò che vorrebbe davvero chiedergli è se adesso sia pure proibito ballare e divertirsi.
 
“Chiamata urgente: un possibile omicidio, nemmeno troppo distante da qui. Dobbiamo andare,” intima con un tono che non lascia spazio ad obiezioni, anche se Marchese sa benissimo che, mentre Mancini è in reperibilità quella notte, lui in teoria non lo sarebbe.
 
Ma sa anche benissimo che rifiutarsi di seguirlo equivarrebbe alla guerra aperta.
 
“D’accordo,” annuisce, voltandosi poi verso Ilenia che lo guarda preoccupata, “mi dispiace Ilenia ma-“
 
“Il dovere chiama, tranquillo,” annuisce la ragazza con un sorriso triste.
 
Un ultimo sguardo e si allontana, maledicendo per l’ennesima volta nell’ultimo periodo la sua decisione di entrare in polizia.
 
***************************************************************************************
 
“Su, prof., la prego, venga anche lei: sarà divertente!”
 
“Viola, mi spiace, ma temo di essere un po’ fuori età per il bagno di mezzanotte, anzi, delle quattro di notte, praticamente delle cinque, ora che arriviamo al mare,” risponde Camilla, cercando di non cedere di fronte allo sguardo implorante della ragazza che, insieme ai suoi compagni, ha smesso di ballare e si sta avviando verso il parcheggio, direzione Lido di Ostia.
 
L’idea era partita da Berilli ed in pochi minuti aveva contagiato tutti. O quasi.
 
“Su prof., l’ho vista ballare stasera e ha quasi più energia di me che lo faccio di mestiere. Cosa vuole che sia un bagno?” la incita Berilli che, insieme all’ex compagna Flo, aveva aperto ormai da anni una scuola di danze latino-americane e caraibiche che riscuoteva un certo successo.
 
“E poi immergersi in mare al buio e vedere il sorgere del sole sentendo le onde che accarezzano la pelle è una di quelle cose che si devono provare almeno una volta nella vita, non potete mancare,” commenta Debbie con voce sensuale, rivolgendosi però praticamente solo a Gaetano, quasi mangiandoselo con gli occhi.
 
“E infatti l’ho già provato diverse volte e mi è bastato. Per la carità, bellissimo, ma l’acqua all’alba è gelida e poi… non so se sia il caso,” replica Gaetano, notando l’espressione tirata di Camilla di fronte all’ennesima avance molto poco velata della ragazza che, dopo qualche drink, sembra sempre più disinvolta nei modi. Ad inizio serata almeno in presenza di Camilla si conteneva.
 
“Ma ci sono tanti modi per scaldarsi…” ribatte Debbie, incorreggibile, con un mezzo sorriso inequivocabile.
 
“Ehm, ehm,” si schiarisce la voce Camilla, ormai emettendo fumo dalle narici, mentre Gaetano le passa un braccio intorno alle spalle e la attrae contro di sé, quasi per contenerla prima che esploda.
 
“Il vicequestore ha ragione… non so se sia il caso nemmeno per me. Non credo che a Pietro farebbe piacere se andassi a fare il bagno di notte senza di lui,” interviene Sammy, sia per disarmare la bomba, sia perché sa benissimo che il marito non approverebbe e non vuole rischiare di avere problemi con lui. Aveva già fatto fatica a tranquillizzarlo quando gli aveva dovuto raccontare di quello che era successo per via di Nicola, sebbene fossero fatti risalenti a dieci anni prima.
 
“Ma mica facciamo  il bagno nudi!” fa notare Berilli, con una risata.
 
“E meno male: ci mancherebbe solo quello!”
 
“Va beh, ragazzi, se non vogliono venire mica possiamo obbligarli. E se aspettiamo ancora un po’ qui si fa giorno e addio alba,” proclama Allegra, prendendo in mano le redini della situazione.
 
“Ho capito, lasciamo questi guastafeste e andiamo a divertirci! Tutti al mare!” urla Berilli, mentre un coro di “tutti al mare!” si leva e risuona nella campagna.
 
“Ilenia, vai anche tu?” domanda Sammy, sorpresa, notando che la ragazza si avvia con gli altri.
 
“Sì, certo, perché?”
 
“Perché alle superiori non volevi mai fare il bagno di notte, ti sei sempre rifiutata…”
 
“Eh certo, perché mi vergognavo a farmi vedere in costume. Ma adesso chissenefrega: stasera ho proprio voglia di divertirmi,” proclama con una risata, cercando nuovamente di seguire gli altri.
 
“Ilenia, ma sei sicura di stare bene? Hai bevuto parecchio stasera,” interviene Camilla, a cui quella risata fin troppo sguaiata risulta ancora più strana del proposito di fare il bagno.
 
“Tranquilla prof., non sono ubriaca: semplicemente ho voglia di farmi un bagno. Cos’è, è proibito?” domanda, con un tono quasi sfrontato che assolutamente non è da lei, mettendosi in equilibrio su un piede solo, come per dimostrare di essere sobria ed aggiungendo un eloquente, “visto?”
 
E mentre Ilenia si volta per raggiungere gli altri, Camilla scambia uno sguardo con Gaetano, che annuisce, capendo perfettamente senza bisogno di parole.
 
***************************************************************************************
 
“Che cosa abbiamo qui?”
 
“Maschio, caucasico, apparentemente morto in seguito a lesioni e lacerazioni da morsi di cane ed il relativo dissanguamento,” spiega il medico legale, alzandosi e massaggiandosi la schiena.
 
Mancini pare imperturbabile, mentre Marchese trattiene a stento un conato di vomito: di cadaveri nella sua carriera ne ha visti ormai parecchi, ma questo è forse il peggiore di tutti. È talmente malridotto da essere irriconoscibile.
 
“Chi ha trovato il corpo?”
 
“Viceispettore Peroni, commissariato di Spinaceto,” si presenta, facendo il saluto militare, “abbiamo ricevuto una chiamata da un uomo, molto agitato, da cui siamo riusciti ad intuire che un cane aveva sbranato una persona. Quando siamo arrivati, io e l’agente scelto Mura abbiamo trovato il cane, un rottweiler nero, che ha tentato di aggredirci. Siamo stati costretti a sparare per fermarlo.”
 
Dirigono lo sguardo verso la carcassa dell’animale, che giace sul fianco poco distante, indubbiamente morto.
 
“E l’uomo che ci ha chiamato? Dove si trova?” continua a condurre le indagini Mancini, snocciolando le domande di rito.
 
“Proietti Elvio, il testimone, un agricoltore che risiede qui vicino, si era chiuso dentro una gabbia, probabilmente proprio quella del rottweiler, ed era privo di conoscenza. Abbiamo dovuto forzare la serratura e chiamare l’ambulanza. Ha avuto un principio di infarto ma secondo i medici ha buone possibilità di cavarsela senza conseguenze,” spiega Peroni, aggiungendo poi, “ho ritenuto opportuno inviare Mura con lui per raccogliere la sua deposizione qualora si fosse svegliato.”
 
“E la vittima? Chi era, come mai si trovava qui? È il proprietario dei cani o…?”
 
“Dai primi accertamenti sui documenti rinvenuti nel portafoglio della vittima, o quello che ne è rimasto, ed in un’auto parcheggiata qui fuori, parrebbe trattarsi di Scortichini Fernando, 62 anni. Il terreno e l’edificio sono intestati ad un certo Tariq Hussain, pachistano, nessun altro recapito conosciuto.”
 
“Un possibile prestanome?” domanda Mancini, massaggiandosi una tempia, tic che Marchese riconosce come segnale di nervosismo.
 
“Probabile. Lo Scortichini ha una sfilza di precedenti, tra cui una condanna per lotte clandestine tra cani. È quindi plausibile che lo stabile fosse in realtà suo, o comunque utilizzato da lui.”
 
“D’accordo, Peroni. Quello che non capisco però è perché ci abbiate fatti chiamare d’urgenza. Da quello che lei racconta, l’ipotesi dell’incidente mi sembra la più probabile, almeno fino ad un esame autoptico più approfondito: se questi sono cani da combattimento sono stati addestrati per essere aggressivi, per uccidere, e non sarebbe la prima volta che sfuggono di mano a chi li detiene,” fa notare Mancini, mentre una punta di irritazione emerge dalla voce.
 
“Lei ha ragione, ispettore, però, vede, come le ho detto Scortichini ha una lista di precedenti lunghissima e che non si limita alle lotte tra cani ed ai giri di scommesse relativi. È stato arrestato e processato per omicidio volontario, condannato in primo grado e poi prosciolto in appello per mancanza di prove, sentenza confermata dalla cassazione. Inoltre, quando è stato scarcerato, al termine del processo d’appello, ha subito un’aggressione, un pestaggio in piena regola, ma si è rifiutato di denunciare gli aggressori.”
 
“Insomma, il genere di vittima con una fila di persone con un buon movente per un omicidio che va da qui a Milano. Ed almeno una sufficientemente arrabbiata da passare alle vie di fatto già in passato,” deduce Mancini, con un tono più tranquillo, “capisco, avete fatto bene a chiamarci Peroni: in questi casi è meglio prendere in considerazione ogni ipotesi fin da subito. Chi è la vittima dell’omicidio per cui è stato processato?”
 
“Non lo so, ispettore, non ho qui la scheda sottomano, quelle che le ho riferito sono le informazioni che mi hanno passato i colleghi al telefono. Comunque li ho già allertati di trasmettere il tutto alla vostra squadra.”
 
“D’accordo, ora vorrei che mi descriveste in dettaglio cosa avete fatto e cosa avete toccato da quando siete arrivati qui.”
 
Peroni annuisce e comincia a spiegare, mentre gli agenti della scientifica arrivano sul posto ed il coroner ed un medico veterinario danno le necessarie disposizioni per il trasporto dei resti della vittima e dell’ “aggressore”.
 
***************************************************************************************
 
“Mi spieghi ancora perché mi sono lasciata convincere a venire?”
 
“Perché sei preoccupata per Ilenia e vuoi tenerla d’occhio, come del resto voglio fare io. Dai professoressa, questa cosa del bagno non entusiasma neppure me, ma siccome ormai siamo qui… buttiamoci, in tutti i sensi.”
 
“È che mi vergogno a rimanere letteralmente in mutande davanti ai miei ex studenti,” sospira, guardandosi intorno ed osservando i ragazzi, intenti a liberarsi dei vestiti e a mollarli senza troppe cerimonie sulla sabbia.
 
“E pensi che invece a me faccia piacere che qualcuno, a parte me, ti veda così?”
 
“Ma se nessun ragazzo farà caso a me: al limite mi osserveranno le ragazze con compatimento, facendo commenti sul mio fisico da over anta! Mentre, al contrario, nel tuo caso non vedranno l’ora di poterti ammirare in boxer e saranno tutte lì pronte a mangiarti con gli occhi,” gli fa notare, lasciando trasparire chiaramente la gelosia nella voce, aggiungendo poi, con ironia, “e, per inciso, se avessi saputo che ci saremmo trovati circondati da tutte queste ventenni stupende in lingerie, ti avrei lasciato a casa con mia madre come cane da guardia.”
 
“Prima di tutto, il tuo fisico da over anta sta benissimo e non hai nulla ma proprio nulla da invidiare a nessuna: mi dici come faccio a guardare qualcun'altra quando non riesco a toglierti gli occhi di dosso?” ribatte, lasciando scorrere lo sguardo su quel vestito rosso scuro che sembrava fatto apposta per ballare e per fargli perdere il lume della ragione, aggiungendo con tono ironico, “e poi loro mi mangeranno anche con gli occhi, ma tu sei l’unica che mi azzanna sul serio, cara la mia vampira.”
 
“Scemo!” ribatte lei ridendo e colpendolo al petto.
 
“Però Camilla, dammi retta, per esperienza personale, è meglio che adesso ci svestiamo e ci buttiamo in acqua insieme agli altri, così nella folla nessuno farò caso a noi: se aspettiamo, allora sì che ci noteranno tutti.”
 
“Giusto, dimenticavo che tu sei l’esperto: quello che ha già fatto i bagni all’alba e… anche molto di più su una spiaggia,” replica con un tono che è tutto un programma, incominciando però a slacciarsi il vestito.
 
“Se non ricordo male siamo in due ad avere fatto molto di più su una spiaggia,” ribatte lui, l’intonazione che rispecchia e, se possibile, supera addirittura la gelosia nella voce di lei, iniziando a sbottonarsi la camicia.
 
“Sì, ma, a differenza tua, io non sono mai stata in spiaggia né all’alba, né di notte,” rimpalla con un sopracciglio alzato, facendo scivolare il vestito sulla sabbia.
 
“Cioè, mi stai dicendo che hai fatto… certe cose nel bel mezzo di una spiaggia pubblica in pieno giorno?!” domanda con gli occhi spalancati, non potendo evitare di alzare la voce, provando un’improvvisa voglia di strangolare il maledetto produttore di vini molto affascinante, anche se sa che questa gelosia retroattiva è stupida. Ma non può farci niente.
 
“Ma no, certo che no,” ribatte lei con un sorriso apparentemente innocente, che però, non appena Gaetano si rilassa visibilmente, si trasforma in un sorrisetto malizioso, aggiungendo, con tono serafico, “in una cabina, non in mezzo alla spiaggia.”
 
“Camilla!” esclama lui in quello che è quasi un ruggito ma, prima che possa reagire, lei si libera del tutto del vestito e corre ridendo verso la battigia insieme a molti ragazzi che seguono il suo esempio, tra urla e schizzi.
 
Calcia via i pantaloni alla velocità della luce e, in poche rapide falcate, sente l’acqua gelida frustargli il corpo, ma non rallenta fino a quando raggiunge il suo obiettivo e, con un placcaggio da vero professionista, la trascina con sé sottacqua, mentre il freddo si insinua in ogni poro.
 
Riemergono dopo pochi secondi, prendendo un forte respiro e lei cerca di divincolarsi, ma lui la tiene ancora stretta a sé, sussurrandole un, “dove pensi di andare, professoressa? Non mi scappi!”
 
Inizia una battaglia senza esclusione di colpi, tra pizzicotti, solletico e schizzi d’acqua in faccia, completamente ignari di tutto, di tutti e di tutte: alcuni dei ragazzi li osservano divertiti ed increduli prima di lanciarsi in  una gara collettiva di spruzzi.
 
Ma, nonostante le urla e le ondate, Camilla e Gaetano rimangono concentrati nel loro mondo, continuando a lottare fino a che Camilla, esausta, non si affloscia tra le braccia di lui, il viso appoggiato contro il suo petto bagnato, aggrappata con le mani al suo collo, le gambe intrecciate intorno alla vita, il corpo ancora scosso dalle risate.
 
Infine solleva il viso e si guardano per qualche istante che pare eterno, mentre il sole emerge dalle acque, tingendole e tingendo il cielo di rosa. Rimangono abbracciati in silenzio ad ammirare lo spettacolo sopra le loro teste, mentre anche gli altri ragazzi sembrano proclamare una tregua per godersi il momento.
 
“La sai una cosa, Gaetano? Debbie aveva proprio ragione sul mare all’alba: è un’esperienza unica, senza paragoni, mille spanne sopra al mare di giorno,” gli sussurra con un sorriso, mentre lui, cogliendo perfettamente i sottotesti, la stringe a sé ancora di più e le posa un bacio delicato sulle labbra salate.
 
“E aveva ragione anche su un’altra cosa: l’acqua è fredda, ma ci sono metodi molto efficaci e molto piacevoli per scaldarsi,” proclama, percorrendole la schiena con le mani e sentendola tremare contro di lui, per poi prendere nuovamente possesso delle sue labbra in un bacio famelico e che pare rendere l’acqua intorno a loro improvvisamente bollente.
 
Ma, dopo pochi attimi, un grido li ridesta bruscamente dal loro mondo a due.
 
“Ilenia, oddio, Ilenia, che hai? Aiutatemi!!”
 
“Ilenia!” esclamano all’unisono Gaetano e Camilla, dandosi mentalmente degli idioti per essersi distratti: del resto erano andati con i ragazzi proprio per tenerla d’occhio e invece…
 
Sciolgono l’abbraccio e si fanno strada verso la voce di Sammy che ancora chiede aiuto. Alla fine, dato che tutti gli altri avevano deciso di andare ad Ostia, si era lasciata convincere anche lei ad unirsi alla comitiva.
 
“Sammy, che è successo?” domanda Camilla, vedendo infine la biondina sorreggere Ilenia, priva di conoscenza, cercando come può di tenerle la testa sopra al pelo dell’acqua.
 
“Non so prof., si è lamentata, mi ha detto che le faceva male la pancia. Non ho fatto in tempo a proporle di uscire dall’acqua che mi ha detto di vedere tutto nero ed ha perso i sensi,” spiega, preoccupatissima.
 
“Può essere una congestione, dobbiamo portarla a riva. Lasciala a me,” proclama Gaetano con il tono deciso e risoluto che Camilla riconosce da tutte le azioni di polizia a cui ha assistito.
 
L’uomo prende Ilenia in braccio e, nonostante la ragazza sia a peso morto, riesce a trasportarla fino al bagnasciuga.
 
“Dobbiamo metterla su un asciugamano e portatemene uno per coprirla,” ordina, mentre i ragazzi recuperano gli asciugamani da un borsone e ne stendono uno sulla sabbia asciutta.
 
Gaetano vi deposita la ragazza, ascoltando il battito e il respiro.
 
“Il polso è debole, ma presente e il respiro affannoso, ma regolare. È probabile che sia una congestione. Dobbiamo tenerla al caldo e sollevarle le gambe,” spiega Gaetano, aggiungendo poi, “forza con questi asciugamani!”
 
“Mi scusi commissario,” quasi grida Viola, uscendo di corsa dall’acqua insieme a Max Gallo, con cui si era allontanata verso gli scogli, “io sono un’infermiera, posso aiutarla. Però è meglio chiamare il 118 e farla vedere da un medico il prima possibile: quando c’è perdita di conoscenza bisogna essere prudenti.”
 
“Chiamo io,” proclama Camilla, avvolgendosi in un asciugamano ed afferrando la borsa abbandonata sulla sabbia, componendo il numero con il cuore in gola.
 
***************************************************************************************
 
“Perfetto, allora attendo il vostro rapporto appena avrete finito con i rilievi.”
 
“Certo, ispettore,” conferma il supervisore degli agenti della scientifica.
 
“Bene. Marchese, direi che qui per stanotte, anzi per stamattina, abbiamo finito. Possiamo rientrare,” proclama Mancini, avviandosi verso il portone d’ingresso, senza attendere risposta dal sottoposto. Del resto ormai è giorno: il sole sta sorgendo nel cielo.
 
Marchese sta per seguire l’ispettore quando, con la coda dell’occhio, nota qualcosa di strano nella rete di recinzione che durante la precedente perlustrazione del perimetro gli era sfuggita, probabilmente per via del buio.
 
“Marchese, Marchese, cosa sta facendo?” domanda l’ispettore, chiaramente irritato quando, raggiunto il portone, si accorge che l’agente non l’ha seguito fin lì, “Marchese!!”
 
“Venga qui ispettore, ho trovato qualcosa nel recinto sul retro,” proclama Gianni, cercando di non farsi intimorire dal superiore.
 
“Che cosa c’è adesso?” chiede infastidito, avvicinandosi al ragazzo, inginocchiato vicino a dei bidoni dell’immondizia.
 
“Qui la rete è tagliata,” fa notare Marchese, indicando un quadrato quasi perfetto di rete, tagliato sul lato inferiore e sui due laterali come a formare una finestrella o una porticina per un cane. Ma lo spazio è più che sufficiente perché ci passi una persona, anche se a carponi.
 
“Vede questi cerchi sul terreno e sull’erba? Di solito questi bidoni sono proprio qui davanti, di fronte al taglio nella rete, ma sono stati mossi di recente e lasciati fuori posto.”
 
“È vero, Marchese, e sono vuoti, quindi molto leggeri. A giudicare dal loro stato e dalla relativa pulizia direi che o non sono mai stati utilizzati o poco ci manca,” commenta Mancini, aprendo i bidoni con le mani guantate ed annotandosi di far cercare eventuali impronte dagli agenti della scientifica.
 
“Già, pur non conoscendo questo Scortichini, dato il tipo, mi sembra probabile i rifiuti li bruciasse o li gettasse nei campi. E poi il genere di… rifiuti che genera un posto come questo è in gran parte di tipo organico.  In sintesi, lui o chiunque altro utilizzasse questo edificio si sarà sicuramente avvicinato ai bidoni molto raramente,” aggiunge Marchese, chinandosi nuovamente per osservare meglio, “e questo, unito a questi residui di nastro isolante, mi porta a supporre che l’apertura sia stata praticata già qualche tempo fa ed utilizzata più volte, rimanendo nascosta allo sguardo grazie ai bidoni ed alla vegetazione cespugliosa che cresce dall’altra parte della rete. Ma-“
 
“Ma di sicuro questo accesso è stato anche usato di recente,” lo interrompe Mancini, osservando il brandello di stoffa bianca rimasto impigliato nelle estremità tagliate di netto di due dei fili di ferro sul “lato” dell’apertura, “dallo spessore del tessuto sembrerebbe un pezzo di un paio di pantaloni. E, dato che la stoffa è ancora bianca, ritengo improbabile che sia rimasta esposta agli elementi e alla polvere a lungo.”
 
“E se uniamo questo indizio al fatto che i bidoni non sono stati rimessi al loro posto e la rete non è stata di nuovo ricomposta,  o chi si è introdotto per l’ultima volta se ne è dovuto andare in tutta fretta, o comunque sapeva già che non avrebbe avuto più bisogno di tornare qui,” conclude Marchese, notando con soddisfazione il viso dell’ispettore corrugarsi, dato che sa di avere avuto l’intuizione giusta e sa anche quanto questo roda al nazista.
 
“Ed, in entrambi i casi, è molto probabile che chi ha lasciato involontariamente questo souvenir c’entri qualcosa con quanto accaduto allo Scortichini,” concorda Mancini, sollevandosi in piedi e chiamando uno degli agenti della scientifica perché prelevi e cataloghi il reperto.
 
“D’accordo Marchese, se ci sbrighiamo facciamo in tempo a tornare al casale e ad essere a Roma per far rapporto al dottor De Matteis, andiamo!”
 
Nemmeno un segno di apprezzamento o una parola in più, ma Marchese ormai ha imparato a non aspettarsene. Si limita a seguire Mancini, in quella che si preannuncia essere una giornata sfiancante, senza nemmeno un’ora di sonno alle spalle.
 
***************************************************************************************
 
Ma le previsioni di Mancini erano destinate ad essere disattese perché, arrivati alla tenuta, la trovano praticamente deserta. Mancini prova a chiamare la moglie un numero talmente alto di volte da risultare imbarazzante, ma trova sempre il cellulare non raggiungibile.
 
Alle nove di mattina, finalmente, vedono arrivare una fila di macchine, capitanate dall’auto di Gaetano, da cui scendono Camilla e Sammy che sorreggono Ilenia, ancora debole, e la aiutano a camminare.
 
“Si può sapere dov’eri? Sono ore che ti cerco e il cellulare era sempre staccato!” esclama Pietro, preoccupatissimo, notando i vestiti spiegazzati e i capelli umidi ed arruffati.
 
“Pietro, per favore, non è il momento: non vedi che Ilenia non sta bene? Poi ti spiego,” replica Sammy, con un’occhiata implorante.
 
“Sammy, voglio sapere dove sei stata e cosa è successo: sembra che vi siate messi tutti in una centrifuga e… Ma sai di salsedine?”
 
“Con i ragazzi abbiamo deciso di andare a fare un bagno all’alba al Lido di Ostia. Pensavamo di rientrare ben prima di voi e immagino che Sammy non l’abbia chiamata per non disturbarla mentre lavorava, ma purtroppo Ilenia ha avuto un malore e l’hanno portata al Grassi di Ostia per accertamenti. Per fortuna non era nulla di grave, l’hanno dimessa ed eccoci qui. In quanto al cellulare, al pronto soccorso l’abbiamo dovuto spegnere,” spiega Camilla con tono tranquillo e conciliante, mentre lei, Sammy e Ilenia continuano a camminare verso la reception.
 
“Mi spiace, non volevo darvi problemi,” continua a ripetere Ilenia, mortificata, mentre loro la rassicurano.
 
Mancini digrigna i denti e sembra fare buon viso a cattivo gioco.
 
Sistemano Ilenia nella sua camera e Camilla e si offre di rimanere con lei per assisterla durante le ore di meritato riposo. Gaetano assente, sapendo che è la cosa giusta da fare e che probabilmente è meglio che Camilla possa parlare con Ilenia a tu per tu.
 
I ragazzi escono e si ritirano nelle loro stanze esausti. Gaetano non si sorprende quando, mentre è ancora intento a cambiarsi d’abito, sente le urla di Mancini e di Sammy arrivare dalla stanza accanto, in quella che ha tutta l’aria di essere una litigata furiosa. Anche non volendo origliare, non può fare a meno di cogliere il succo della questione: Mancini accusa Sammy di farsi condizionare dalle “cattive compagnie” e di non averlo avvertito del “cambio di programma”, mancandogli di rispetto, mentre Sammy, d’altro canto, l’accusa di non fidarsi di lei e di trattarla come una bambina. Al che Mancini sbotta che se lo fa è perché lei a volte si comporta in modo immaturo e la litigata furiosa si conclude con una porta che sbatte e con passi femminili che si allontanano a gran velocità, fino a risultare inudibili.
 
***************************************************************************************
 
“Gaetano, Camilla, che bello: ce l’avete fatta a venire!”
 
“Come potevamo mancare? Certo, se ci avessi avvertito un po’ prima e non l’altro ieri ci saremmo organizzati meglio,” le fa notare Gaetano con un sorriso, abbracciandola.
 
“È che pensavo che fossi qui a Roma da solo e… non volevo costringerti a sorbirti una sfilata di moda, per di più femminile. Anche perché so che, tra ex modelle e fotografe… tu e il mondo della moda non andate proprio d’accordo,” replica con una mezza risata quando si staccano.
 
“Ma se la stilista è la mia sorellina che oltretutto fa il suo grande debutto alla settimana della moda di Roma, pensi davvero che mi sarebbe pesato venirci, fossi stato anche solo? Certo, con questa compagnia la serata è mille volte più piacevole… però tu e Camilla avete congiurato alle mie spalle per farmi venire un infarto,” ribatte ironico, ammirando l’abito lungo ed elegantissimo da sera, disegnato da Francesca e con cui Camilla sembra davvero una diva d’altri tempi, da tappeto rosso.
 
“Francesca, devo ancora ringraziarti per questo vestito che mi hai mandato: è stupendo e hai un occhio straordinario, dato che hai perfino azzeccato perfettamente la mia taglia. Però a fine serata te lo rendo: non posso assolutamente accettare un regalo così costoso,” proclama Camilla, dopo averla a sua volta abbracciata.
 
“Ma figurati: devi accettarlo! Camilla, io sono ancora in un debito pazzesco con te, per non parlare del fatto che ormai siamo di famiglia e che ti sono grata per come rendi felice il mio fratellone e per avergli fatto mettere finalmente la testa a posto. E poi, diciamo che se lo indossi in qualche evento in quel di Torino mi fai anche un po’ di pubblicità,” la rassicura, facendole l’occhiolino.
 
“A parte che dubito che avrò molte occasioni per sfoggiarlo, ma credo che la maggior parte degli stilisti mi pagherebbe per non vedermi indossare i loro abiti,” ribatte con un sorriso autoironico, sapendo benissimo di non essere certo una modella, anzi.
 
“Peggio per loro, vero fratellone?” proclama Francesca, prima di congedarsi rapidamente, dato che la sfilata sta per iniziare e deve tornare nel backstage.
 
E così, seduti in terza fila, assistono al défilé, in cui si alternano abiti molto eleganti e sofisticati con altri bellissimi ma dallo stile più estroso e particolare, proprio come la ex mina vagante.
 
Si alzano in piedi insieme agli altri spettatori per applaudire la stilista e il suo staff. Mentre attendono pazientemente il loro turno per fare le dovute congratulazioni a Francesca, Gaetano nota che Camilla controlla più volte il cellulare e manda un paio di messaggi.
 
“Per chi sei più preoccupata, professoressa? Per tua figlia che è in giro con mio nipote e i suoi amici o per Ilenia ancora convalescente, vegliata amorevolmente da tua madre?”
 
Dopo lo spavento e la corsa in ospedale avevano passato quasi tutta la mattina e il pomeriggio del giorno precedente a riposare alla tenuta di Allegra. In camera con Camilla e Ilenia era venuta anche Sammy – la scusa ufficiale era che era preoccupata per l’amica, ma Camilla aveva capito benissimo che c’era anche dell’altro, ancor prima che Gaetano le raccontasse del litigio tra la ragazza e il marito.
 
Una volta tornati a casa di Andreina, la ragazza era rimasta quasi sempre nella stanza che condivideva con Livietta. Camilla aveva avuto l’impressione che Ilenia esagerasse la sua reale necessità di dormire e di recuperare per sottrarsi alle sue domande e ai suoi tentativi di avvicinamento e, non potendo certo obbligarla a confidarsi, non aveva insistito. Ma ormai erano passati quasi due giorni dal suo malore ed Ilenia non avrebbe certo potuto trascorrere tutto il resto della settimana a letto, sarebbe dovuta uscire prima o poi.
 
“La seconda che hai detto… Per la carità, il fatto di non conoscere gli amici di Nino un po’ mi preoccupa ma tuo nipote mi sembra un bravo ragazzo e poi sono felice che Livietta si crei qualche nuova amicizia qui a Roma, dopo quello che è successo con il suo ex ragazzo e con la sua ex migliore amica. E anche a Torino non ha moltissimi amici e sono ormai quasi tutti partiti per le vacanze. Ultimamente passava fin troppo tempo in casa con me e alla sua età non va bene: ha bisogno di stare con i suoi coetanei.”
 
“Già… purtroppo quando ci si trasferisce spesso è difficile mantenere le amicizie e farne di nuove, io e Francesca ne sappiamo qualcosa, con la vita nomade che abbiamo fatto per via del lavoro di mio padre… e poi io per il mio lavoro,” commenta Gaetano con un sospiro, chiedendosi se la stessa sorte toccherà, come è molto probabile, anche a Tommy.
 
“Sì… anche per me è stato lo stesso, ma per fortuna il liceo sono riuscita a farlo tutto a Roma, anche perché mia madre si era imposta con mio padre e poi lui ormai era già generale e aveva più possibilità di scelta.”
 
“Un giorno mi piacerebbe che mi parlassi un po’ di tuo padre, sai? Non so praticamente nulla di lui, a parte aver visto il ritratto che c’è in salone,” dice con un tono quasi esitante, riuscendo infine ad esprimere, uno dei pensieri che ormai da tempo rimuginava nella sua mente, quell’esigenza di conoscere, di sapere, di comprendere quanto più possibile della sua Camilla, di come sia diventata la donna straordinaria che è.
 
“Già… tra l’altro ogni tanto mi chiedo cosa ne pensi Amedeo di quel ritratto ancora così in bella vista,” commenta Camilla, quasi tra sé e sé, per poi aggiungere, più decisa, “e in quanto a mio padre, se vuoi conoscerne vita, morte e miracoli, basta che introduci l’argomento con mia madre, preferibilmente quando Amedeo non è nei paraggi, e dovrai implorarla di smetterla, perché sarebbe in grado di parlarne ad oltranza.”
 
“Ma io non voglio la cronistoria dettagliata delle gesta del Generale Baudino dal punto di vista di tua madre, vorrei conoscere il tuo punto di vista, come l’hai vissuto tu, com’era con te, come padre, come persona… capisci?”
 
“Capisco benissimo,” ammette Camilla con un sospiro, sorridendogli però dolcemente, toccata da questa richiesta più di quanto Gaetano possa immaginare, “e anche io vorrei saperne di più dei tuoi genitori… tu almeno mia madre la conosci, sai da chi ho ereditato il mio caratteraccio, la mia testa dura e la mia tendenza a ficcare il naso in affari che non mi riguardano, mentre di te… Mi piacerebbe sapere com’eri da bambino, da chi hai preso quella fossetta sul mento, i tuoi modi da gentiluomo, la tua dolcezza, la tua intelligenza ma anche la tua tendenza a carbonizzare il cibo e la tua faccia da schiaffi… forse vorrei capire da dove derivano questa strana familiarità, questo senso di appartenenza che ho sempre sentito nei tuoi confronti... tutte queste cose che, pur avendo vissuto vite così diverse, esperienze così diverse, spesso scopriamo di avere in comune, senza saperlo.”
 
“Camilla…” sussurra, ignorando la folla intorno a loro ed abbracciandola fortissimo per qualche istante purtroppo troppo breve, “immagino che avrai capito che non è un argomento molto facile per me da affrontare però ci voglio provare, voglio davvero poter condividere tutto con te, tutto.”.
 
Ancora mezzi abbracciati riescono finalmente a raggiungere Francesca e a farle le congratulazioni, venendo presentati ai suoi collaboratori e al suo staff. Si avviano poi insieme a Jerry, visibilmente affaticato e stanco ma sorridente e gioviale come al solito, al rinfresco nella sala accanto.
 
Francesca viene nuovamente circondata da ospiti e da qualche giornalista e Gaetano e Camilla si intrattengono con Jerry. Notando come l’uomo quasi si accascia su una delle poche sedie disponibili, Gaetano si offre di andare a prendere qualcosa da bere e da mangiare per tutti e tre, sapendo che Francesca sarà impegnata e non potrà assistere il marito.
 
Dopo una lunga fila, si sta girando con i drink in mano, quando riceve una spinta, quasi una gomitata, nel fianco, riuscendo miracolosamente a non versarsi tutto addosso.
 
“E stia un  po’ attento!” proclama all’unisono con una voce femminile.
 
Non saprebbe dire quale dei suoi sensi abbia effettuato per primo il riconoscimento, se l’udito abbia identificato quel tono irritato ed assolutamente inconfondibile, o la vista quei capelli biondi e quegli occhi tondi con le sopracciglia inarcate e sollevate, la fronte perennemente corrucciata, ma avverte nettissimo un colpo alla bocca dello stomaco.
 
“Roberta?!”
 
“Gaetano?!”
 
“Che ci fai qui? Non ti eri trasferito al nord?” gli domanda dopo un attimo di esitazione, con tono tutt’altro che conciliante.
 
“Infatti, sono a Roma di passaggio. E tu cosa ci fai qui?”
 
“Lavoro. Se te lo fossi dimenticato sono una giornalista e la settimana della moda è un evento importante. Piuttosto mi chiedo come mai tu sia venuto apposta a Roma per assistere ad una sfilata di moda femminile. Se è per le modelle, potevi aspettare settembre e ne avresti trovate fin che volevi in giro per Milano,” commenta sarcastica e pungente, con quell’occhiata altezzosa che ricorda fin troppo bene.
 
“No, non è per le modelle. Francesca, mia sorella, è la stilista,” spiega, cercando di mantenere i toni distesi nonostante gli stia già venendo il mal di testa.
 
“Ecco perché mi sembrava di averla già vista, anche se è ancora praticamente sconosciuta,” ribatte in quella che è una frecciatina neppure tanto velata verso la sorella, per poi aggiungere con un mezzo sorriso sardonico, “ma del resto tu sei sempre stato un fratello premuroso, no, Gaetano? Come fidanzato eri… inqualificabile ma eri il fratello e lo zio dell’anno, anche se forse solo perché ti faceva comodo per evitare di impegnarti con me.”
 
“Roberta, per favore, non mi dirai che ce l’hai ancora con me fino a questo punto. Sono passati tanti anni e-“
 
“E cosa? Dovrei dimenticare quello che mi hai fatto passare? Sai, Gaetano, se tra sei anni mi chiedessi cosa ho fatto ieri sicuramente non ti saprei rispondere, ma essere mollata come una cretina il giorno delle mie nozze, ad un passo dal sì, davanti a tutti gli amici e i parenti, il dolore, l’umiliazione, ti garantisco che sono cose che non mi scorderò mai finché vivo. Quindi direi che ho tutto il diritto di avercela ancora con te e di conservare un pessimo ricordo della nostra storia e di te come uomo in generale.”
 
“Roberta…”
 
“Ma magari per te è stato un evento così, come tanti altri… Cos’è, hai mollato altre povere illuse come me all’altare o ti sei limitato a spezzare loro il cuore? Sono stata io il punto più basso a cui sei sceso o sei andato oltre? Perché fatico a crederlo possibile, ma sai, tu sei un uomo pieno di sorprese,” sputa in quello che è quasi un sibilo, gli occhi a fessura.
 
“Roberta, adesso basta, posso capire che io ti abbia ferita e molto, ma-“
 
“Gaetano, dove sei finito? Tutto bene?”
 
Per una volta la voce alle sue spalle invece di farlo sentire in pace con il mondo, lo mette, se possibile, ancora più in agitazione.
 
“Camilla?!” domanda Roberta con tono incredulo, gli occhi ancora più spalancati, mentre un sorriso amaro le si dipinge sul volto.
 
“Roberta?” chiede di rimando, il viso congelato in un’espressione di stupore.
 
“Non ci posso credere… la tua carissima amica professoressa. Ma quindi i tre prosecchi sono per te, per lei e per la nuova fortunata che si è trovata invischiata come me in un ménage à trois sadico e disfunzionale o finalmente vi siete decisi ad uscire allo scoperto e ad evitare ad altre poverette inutili sofferenze?”
 
“Roberta, non ti permetto di parlare così a Camilla: capisco il tuo livore, ma lei non ti ha fatto niente. La colpa di quello che è successo tra noi due è solo ed esclusivamente mia,” mette in chiaro Gaetano, con un tono improvvisamente molto più duro e deciso.
 
“E infatti ce l’ho soprattutto con te, ma lei è stata tua complice: anche volendo credere che non foste amanti, passava ore e ore con te, e non mi provare a dire che non sapesse che eri innamorato di lei, dato che so benissimo che non è un’idiota e che pure un cieco se ne sarebbe accorto. Per non parlare di quella pantomima del cellulare il giorno del nostro matrimonio: forse avrei preferito se avesse avuto almeno le palle di alzarsi in piedi e dire a tutti perché non poteva permettere che noi ci sposassimo,” ammette con voce altrettanto dura ma velata d’amarezza.
 
“Roberta!”
 
“No, Gaetano, va tutto bene. E lei Roberta in fondo non ha tutti i torti, non sono stata del tutto onesta con lei, anche se, per quel che vale, le garantisco che ero in buona fede e ho cercato fino all’ultimo di essere felice per il vostro matrimonio, pensando che fosse la cosa migliore per tutti. Il problema è che mi sono resa conto solo molto tempo dopo, di recente, che a lottare contro se stessi, contro quello che si prova, si finisce solo per fare del male se stessi e anche a tutte le persone che si pensava di proteggere. Quindi-“
 
“Quindi ora state insieme, giusto?” la interrompe Roberta, prima che possa scusarsi, non sembrando per nulla colpita dalle sue parole, ma anzi, con uno sguardo quasi omicida.
 
“Sì,” confermano all’unisono, semplicemente.
 
“Beh, congratulazioni! Siete davvero fatti l’uno per l’altra, vi meritate a vicenda. Però se fossi in lei, professoressa, starei in guardia dalle future amicizie di Gaetano e mi terrei a debita distanza dalle cerimonie nuziali. Buona serata, godetevi la festa!”
 
E, prima che possano replicare, si volta e si allontana rapidamente, i tacchi che sembrano pugnalare il linoleum ad ogni passo, lasciandoli a guardarsi sconcertati e pervasi da un vago e pulsante senso di colpa.
 
***************************************************************************************
 
“Marchese, sei tornato finalmente: il vicequestore ci aspetta per fare rapporto sul caso Scortichini.”
 
“Sì, ispettore. Mi scusi, ma i proprietari dell’azienda agricola erano in giro per i campi e ho dovuto attendere il loro rientro prima di poter prelevare i nastri delle telecamere. Sa, non avevo un mandato e c’era a casa solo il capofamiglia, un anziano burbero che si rifiutava di parlarmi senza la presenza dei figli. E ho preferito non inimicarmelo, anche sapendo che per ora sarebbe stato difficile ottenerlo un mandato,” spiega Marchese, cercando di mantenere un tono pacato e tranquillo anche se l’atteggiamento dell’ispettore oggi gli da ancora più sui nervi che di solito.
 
Sebbene quella notte avesse potuto dormire qualche ora, gli effetti della nottata insonne precedente e di due giorni non stop di lavoro si sentono ancora, specialmente adesso che è ormai sera e si avvicina l’ora di staccare.
 
Che poi, oltretutto, per ora il fatto che quello dello Scortichini potesse essere qualcosa di più di un tragico incidente è solo un’ipotesi, derivata dal passato a dir poco torbido dell’uomo, dal pestaggio subito e da quel taglio nella recinzione. Ma sono tutti elementi talmente circostanziali che non rappresentano nemmeno i classici tre indizi che fanno una prova. Ed è esattamente il motivo per cui è assai improbabile, per non dire impossibile, ottenere un mandato da un giudice.
 
Mancini si limita ad annuire ed insieme si recano da De Matteis. Lo trovano come al solito seduto alla scrivania, intento a rifare la punta a una delle sue matite e a compararne la lunghezza con le altre.
 
“Alla buonora: tra venti minuti ho un appuntamento importante, quindi vi chiedo di essere rapidi e precisi. Quali sono gli ultimi sviluppi? Sempre se ci sono sviluppi e se si tratta di un omicidio, cosa su cui ho ancora i miei dubbi.”
 
“Sì, dottore. Le analisi confermano che il frammento di tessuto ritrovato per la trama, lo spessore e le cuciture, al 99% appartiene alla tasca di un paio di pantaloni di cotone. La recinzione è stata tagliata con una normale cesoia da giardinaggio. I residui collosi appartengono ad un marchio molto comune di nastro isolante. Non ci sono impronte, né sui residui di nastro isolante, né sui bidoni, né sul portone di ingresso o sulla gabbia del rottweiler, se non quelle dello Scortichini stesso e del signor Proietti. L’autopsia del medico legale conferma che l’uomo è deceduto in seguito alle lacerazioni e al dissanguamento per i morsi subiti. A causa dell’estensione dei traumi è difficile stabilire se possa esserci stata una precedente aggressione per mano umana, ma sicuramente quando è stato aggredito era ancora vivo e vigile e ha lottato, come testimoniato dalle tracce di sangue sul vialetto e dai graffi sul muso e sul collo dell’animale che dimostrano un disperato tentativo di sfuggirgli. Lo stomaco della vittima era vuoto e, dalle ciotole rovesciate trovate vicino al cadavere si può supporre che avesse aperto la gabbia del rottweiler per portare loro il cibo. Unendo questo dato con la testimonianza del signor Proietti sull’abbaiare dei cani e sulle abitudini del vicino, possiamo far risalire la morte con ragionevole certezza prima di cena, in un orario che va dalle 18.00 alle 20.00. Tracce di alcol nel sangue ma a livelli tutto sommato nella norma, niente droga o farmaci.”
 
“C’è altro?” chiede De Matteis, visibilmente annoiato.
 
“Sì, il medico veterinario ha confermato che il rottweiler è deceduto in seguito ai colpi di pistola. Negativo al test sulla rabbia, è stata invece trovata una forte concentrazione nel sangue di un comune farmaco antidepressivo per uso umano.”
 
“Un farmaco antidepressivo ad un cane?” domanda sorpreso De Matteis, parendo per la prima volta interessato a ciò che gli sta raccontando l’ispettore.
 
“Sì. Il veterinario mi ha spiegato che in a volte vengono usati nel trattamento di cani particolarmente vivaci o aggressivi, però il loro impiego è dibattuto perché in alcuni cani predisposti possono avere l’effetto opposto. La stessa cosa può avvenire se vengono somministrati quando il cane è già molto agitato, o così sostiene il medico. In ogni caso, l’utilizzo di questi farmaci su un cane da combattimento è sicuramente molto inusuale. A meno che il cane non avesse già tentato di aggredire la vittima in passato e fosse un ultimo tentativo di preservare l’investimento prima di abbatterlo, ma mi sembra improbabile. Vista la pericolosità di un cane di quel genere, penso che lo Scortichini se ne sarebbe liberato qualora si fosse accorto di non poterlo gestire, non importa quanti soldi di scommesse rischiasse di perdere.”
 
“Allo Scortichini erano stati per caso prescritti farmaci antidepressivi? Dato che si vendono solo su ricetta…”
 
“Apparentemente no, dottore. Però presumiamo che non gli sarebbe stato difficile procurarseli per vie alternative…”
 
“Già… e tu Marchese, che notizie mi porti?”
 
“Ho appena ritirato i nastri delle telecamere dal cascinale che c’è all’inizio della strada sterrata che arriva al capanno dove è stato ritrovato lo Scortichini. Per nostra fortuna, come avevamo notato, i proprietari hanno ignorato la legge e le possibili multe e hanno puntato una delle telecamere direttamente sulla strada, senza segnalarla e conservando i nastri per più delle 24 ore previste. Abbiamo ottenuto i nastri dietro promessa di chiudere un occhio sull’infrazione. Il veicolo usato dall’assassino deve essere passato di lì per forza, trattandosi di una strada senza uscita.”
 
“Capisco, c’è altro?”
 
“No, per ora no, dottore,” conferma Mancini, sembrando attendere il verdetto con il fiato sospeso.
 
“Bene. A questo punto non ci resta che aspettare i risultati di quei nastri e vedere se salta fuori qualcosa di interessante. Nel frattempo non voglio che destiniate troppe risorse a questo caso, dato che potrebbe concludersi con un nulla di fatto, ma converrebbe concentrarsi innanzitutto su chi ha un buon movente per il delitto. O meglio, chi ne ha più di altri. Bisognerebbe richiedere la documentazione dell’ospedale sul pestaggio subito dallo Scortichini e forse partire da quell’omicidio da cui è stato scagionato per mancanza di prove. Come si è svolta la vicenda? E ci sono parenti della vittima ancora in vita? Amici?”
 
“La vittima era uno sbandato, dottore, un punkabbestia, l’accusa sosteneva che lo Scortichini l’avesse ucciso perché gli aveva sottratto uno dei suoi cani da combattimento. Sa… i punkabbestia con i cani…” esordisce Mancini, aprendo il file per recuperare le informazioni, mentre De Matteis si limita ad annuire, ripulendo i suoi occhiali.
 
“È stato condannato in primo grado, ma poi assolto per insufficienza di prove. A quanto pare tutto l’impianto accusatorio si reggeva su una sua ammissione di colpevolezza, a suo dire estorta con l’inganno dalla PM e dal vicequestore a capo dell’indagine, e da alcune prove circostanziali. Durante il processo d’appello l’avvocato è riuscito a sostenere che la confessione, avvenuta durante un ricovero ospedaliero, fosse scaturita sotto pressione e mentre l’imputato era sotto effetto di farmaci tranquillanti ed antidolorifici, che avrebbero inciso sulla sua capacità di intendere e di volere. Alla fine il giudice ha tralasciato le accuse verso gli inquirenti, ma l’ha assolto per insufficienza di prove e la cassazione ha confermato la sentenza.”
 
“Chi era il PM?”
 
“Dunque, il PM era… la dottoressa Sonia De Giorgis,” proclama Mancini, leggendo il fascicolo.
 
“Che però si è trasferita a Trieste anni fa… chi si occupava delle indagini?”
 
“Vediamo… a capo delle indagini c’era il vicequestore Berardi.”
 
“Il mio predecessore? Quindi magari qui in questura c’è qualcuno che ancora si ricorda di questo caso. Chi lavorava qui già allora?”
 
“Non lo so dottore, ma il vicequestore Berardi è a Roma in questi giorni, l’ho incontrato proprio ieri,” spiega Mancini.
 
“Ah sì, in quali circostanze?” chiede De Matteis, incuriosito.
 
“Ad una cena tra ex compagni di classe… la sua fidanzata era una professoressa di mia moglie.”
 
“Una professoressa? Io e la categoria non andiamo molto d’accordo,” commenta De Matteis con tono sarcastico, mentre Marchese spera vivamente che Mancini non ricordi il nome della prof. o comunque non se lo lasci sfuggire con De Matteis, “comunque, sa come contattare Berardi?”
 
“Non ho i suoi recapiti ma credo che Sammy – mia moglie – potrebbe averli.”
 
“Perfetto, allora provi a rintracciarlo e a convocarlo qui per uno scambio di informazioni. Ed in quanto ad amici e parenti del punkabbestia? Si sa qualcosa?”
 
“Sì, ho già fatto fare una ricerca da Grassetti. Come amici potremmo citare i due punkabbestia che hanno anche testimoniato al processo, un certo Marco De Montis, detto Marcio e Domenico Ceci, detto Sisma.”

“Splendido… irreperibili immagino, domicilio sconosciuto eccetera, eccetera,” proclama De Matteis con un sopracciglio alzato, proseguendo con la pulizia spasmodica degli occhiali.
 
“Esatto, come parenti invece abbiamo il padre, Fausto Misoglio, pensionato e residente qui a Roma, la madre Rita Misoglio e la sorella, la dottoressa Ilenia Misoglio, residenti invece a Torino.”
 
Il cuore di Marchese pare fermarsi per qualche istante, mentre sente tutto il sangue corrergli verso i piedi. Ilenia… suo fratello…
 
Oh merda…
 
“Dovremo provare a contattarli… Partiamo dal padre, che è il più vicino,” ragiona De Matteis, quasi tra sé e sé.
 
Marchese si sente diviso in due come mai prima: deve rivelare chi è Ilenia, che la conosce e che peraltro si trova a Roma proprio in quei giorni, coincidenza che, lo sa benissimo, la renderà immediatamente sospetta agli occhi di Mancini e De Matteis o conviene aspettare? Ma prima o poi, in ogni caso, la contatteranno e Mancini l’ha vista, la riconoscerebbe subito e a quel punto come potrebbe giustificare il suo silenzio?
 
“Mancini, ma la dottoressa Misoglio, in cosa è dottoressa? È un medico?” chiede De Matteis dopo un attimo di riflessione.
 
“È una veterinaria,” spiega Mancini, continuando a leggere la sua scheda.
 
“Interessante, molto interessante. Credo che sia il caso di rintracciare subito anche lei. Forse dovremmo rivolgerci ai colleghi di Torino e spiegare loro la situazione. Marchese, cercami chi è a capo della omicidi a Torino, in questo momento mi sfugge, e chiamamelo.”
 
“Veramente-“
 
“Veramente a capo della omicidi a Torino c’è il dottor Berardi che, per l’appunto, è qui a Roma,” si inserisce Mancini, senza dare il tempo a Marchese di finire la frase.
 
“Certo che il mondo è piccolo… D’accordo, quindi conviene mettersi prima in contatto con lui, così darà disposizione ai suoi sottoposti di convocare la Misoglio e-“
 
“Scusate,” li interrompe Marchese, guadagnandosi due occhiatacce ma sapendo che ormai tacere è assolutamente inutile, “ma non è necessario. Conosco Ilenia Misoglio ed in questo momento si trova a Roma.”
 
“Cosa? E perché non l’hai detto prima?” lo fulmina De Matteis.
 
“Ci ho provato non appena ho capito che non si trattava di un semplice caso di omonimia, ma-“
 
“D’accordo, d’accordo,” lo interrompe nuovamente De Matteis, “certo che in questo periodo c’è uno scambio culturale Torino-Roma in corso, prima Berardi poi questa Misoglio. Una strana coincidenza… Hai i suoi contatti? E come la conosci?”
 
“Ilenia veniva a scuola con me, dottore, e l’ho rivista alla rimpatriata di classe, insomma alla cena dell’altra sera, quella a cui hanno partecipato anche la moglie dell’ispettore Mancini che era una mia… ex compagna, l’ispettore Mancini e il dottor Berardi. E non si tratta di una coincidenza, vede, Ilenia è arrivata da Torino proprio con il dottor Berardi,” spiega Marchese, preparandosi alla reazione dei due.
 
“Cosa? Ma non aveva detto che la compagna di Berardi era una professoressa, Mancini?”
 
“Sì, infatti, ma lei e Ilenia si sono ritrovate a Torino e hanno deciso di venire insieme a questa rimpatriata. E il dottor Berardi le ha accompagnate,” chiarisce Marchese, già temendo la reazione di De Matteis quando scoprirà, perché a questo punto lo scoprirà, chi è la professoressa.
 
“Ilenia? Un momento, è l’amica di Sammy? Quella che si è sentita male e con cui ballavi prima che ci chiamassero per il cadavere dello Scortichini?” domanda Mancini, sorpreso, mentre Marchese vorrebbe strozzarlo perché sa che ciò che ha detto l’ispettore porterà grane sia a lui che a Ilenia.
 
“La Misoglio si è sentita male? La sera del delitto? E ballavate? In che rapporti siete tu e la Misoglio, Marchese? Se sei sentimentalmente coinvolto lo sai che devo sospenderti dal caso,” interviene De Matteis, alzandosi dalla scrivania e avvicinandosi ai due sottoposti, scrutando il viso del ragazzo come per cogliere ogni possibile menzogna, “adesso voglio che mi raccontiate esattamente dall’inizio tutto quello che è successo a questa benedetta cena. E, Marchese, se scopro che mi hai omesso qualche dettaglio, giuro che ti sbatto a dirigere il traffico.”
 
***************************************************************************************
 
“Camilla, scusami, ma all’ultimo incrocio dovevi girare a destra, non a sinistra…”
 
Il rinfresco è finito e stanno tornando a casa. L’incontro con Roberta e l’imbarazzo che ne era derivato erano stati presto spazzati via dall’irresistibile entusiasmo della mina vagante: a quanto pare la sfilata era andata molto bene ed erano arrivati più ordinativi di quelli che la sua piccola azienda di moda era, almeno per ora, in grado di evadere.
 
Per qualche motivo, Camilla ha insistito per guidare, nonostante i tacchi e il vestito, e Gaetano non se l’è sentita di dirle di no. Del resto non voleva certo apparire come uno di quei retrogradi che pensano che rimanere al posto del passeggero quando guida una donna sia un disonore o che sparano fuori frasi tipo “donna al volante, pericolo costante”. Anche perché sa benissimo che le statistiche stradali dimostrano, al limite, esattamente il contrario.
 
“No, ti garantisco che dovevo proprio girare a sinistra,” ribatte lei con un sorriso, continuando dritta per la sua strada e poi svoltando a destra.
 
“Professoressa, dov’è che mi stai portando? Cos’è, un sequestro di persona?” domanda con tono ironico, mentre si da dell’idiota per non aver sospettato nulla fin dall’inizio.
 
“Più o meno… e niente anticipazioni, dottor Berardi.”
 
“D’accordo, ho capito…” sospira lui, sorridendo ancora incredulo, fino a che si immettono su una stradina laterale che gli sembra decisamente familiare.
 
“Oddio Camilla, ma… non staremo andando dove penso che stiamo andando?” domanda incredulo, un’espressione ebete sul volto e il cuore che comincia a dolergli nel petto in quel modo che solo lei gli sa provocare.
 
“Tu che ne dici?” gli chiede di rimando con un sopracciglio alzato e quell’espressione soddisfatta sul volto, quella da – ho avuto l’intuizione giusta prima di te e lo so – quella che, fin dal loro primo incontro, gli ha sempre provocato un desiderio inconfessabile di caricarsela in spalla, condurla nel luogo appartato più vicino e dedicarsi ad un genere di attività ancora più piacevole ed appagante per entrambi.
 
La segue dentro al cortile di un ex stabilimento industriale, riconvertito a loft. Ancora intontito, la osserva estrarre le chiavi dalla pochette striminzita ed aprire la porta, chiedendosi per un attimo se non stia sognando.
 
“Allora? Visto che siamo arrivati fino a qui, puoi pure fare un altro passo,” lo punzecchia con tono giocoso.
 
“Camilla…” sospira lui, scuotendo il capo e sorridendo come un cretino al pensiero che anche lei, proprio come lui, ricordasse ogni battuta che si erano scambiati quel giorno di dieci anni fa, in quella che una volta era casa sua, come se fosse successo ieri.
 
E si sente esattamente come dieci anni fa: completamente idiota, innamorato perso, vulnerabile e privo di difese.
 
“Alcuni mobili sono cambiati, chiaramente, ma, a quanto ho visto, il divano c’è ancora,” aggiunge lei con un sorriso, dopo aver richiuso la porta alle loro spalle, mentre si fanno strada nel grande open space.
 
“E c’è anche il vermouth con due bicchieri,” nota, sconvolto, “ma come hai fatto?”
 
“Qui ho ancora parecchie amiche, tra cui una che ha un’agenzia immobiliare e quando abbiamo deciso di venire a Roma non ho resistito e le ho fatto fare una ricerca. Questo loft lo affittano ammobiliato e per fortuna al momento era libero e quindi sono riuscita ad avere le chiavi, almeno per oggi. E stamattina, quando sono andata dal parrucchiere, ne ho approfittato per… sistemare gli ultimi dettagli.”
 
“Camilla… è… è…” sussurra, ma il nodo alla gola gli impedisce di parlare, il cervello si rifiuta di ragionare, si limita quindi a stringerla a sé in un abbraccio fortissimo e che sembra non finire mai.
 
“Ti ricordavi ancora l’indirizzo?” riesce infine a pronunciare e sa che è una domanda stupida e che ci sarebbero mille altre cose che vorrebbe dirle, ma è come se i suoi neuroni fossero in ammutinamento.
 
“Gaetano, io mi ricordo tutto di quel giorno, tutto. E non potrebbe essere altrimenti: questo loft è legato allo stesso tempo ad uno dei momenti più belli della mia vita e ad uno dei miei più grandi rimpianti, uno dei miei più grandi errori. Tu non hai idea di quante volte me lo sono sognato quel giorno, ma con un finale diverso. Così ho pensato di portarti qui per riscriverlo insieme. Voglio avere solo ricordi belli di questo posto. E poi… dopo esserci sorbiti mia madre per giorni, desideravo un momento solo per noi due.”
 
Del resto, pur condividendo la stessa stanza da letto, considerato quanto è impicciona Andreina, la sola idea che l’anziana potesse captare il benché minimo rumore li aveva costretti a notti di castità forzata. E dormire insieme, fianco a fianco, senza potersi vivere appieno era una tortura terribile per entrambi.
 
“Camilla…” sussurra di nuovo, accarezzandole una guancia, per poi prenderla per mano e condurla fino alla metà sinistra del divano, sedendosi con lei nella medesima posizione di allora, quando aveva deciso di smetterla di giocare al gatto con il topo, di accontentarsi di battute e di mezze frasi, e le aveva finalmente confessato di essersi innamorato di lei.
 
“Se vuoi potrei ripeterti tutto quello che ti dissi allora: non solo ricordo, ma soprattutto penso ancora ogni singola parola, Camilla, ma adesso sento anche molto, ma molto di più. Se dieci anni fa credevo di essere innamorato perso di te, e lo ero, mi sembra quasi niente rispetto a quello che provo ora. E se già eri bellissima, questa sera vestita così sei… non trovo nemmeno gli aggettivi per descriverti,” proclama con un sorriso, stringendole le mani.
 
“Non serve che dici niente, Gaetano, lo hai fatto già allora e soprattutto continui a farlo, a farmi sentire amata e desiderata, quasi venerata ogni giorno, ogni singolo istante che ti ho accanto. E adesso è il mio turno, anche se non credo nemmeno io che esistano parole per spiegare quello che sento per te, quello che rappresenti per me. Quando ti ho incontrato ti ho ammirato fin da subito per come svolgevi il tuo lavoro, per la tua intelligenza, il tuo umorismo, il tuo carattere. Poi ho conosciuto l’uomo dietro la divisa e non ho potuto fare a meno di innamorarmene. Ad ogni lato di te che scoprivo, l’amore, la stima che nutrivo nei tuoi confronti cresceva e continua a crescere anche adesso: sei un fratello meraviglioso, un amico straordinario, il compagno migliore che una donna potrebbe mai desiderare e il padre migliore che un bambino potrebbe mai desiderare.”
 
Si ferma per un istante per accarezzargli il viso ed asciugare una lacrima che gli solca silenziosa la guancia sinistra.
 
“Gaetano, da quando ti conosco riempi di luce e di calore la mia vita: con te sento di poter essere me stessa, del tutto me stessa, senza timori, senza riserve. Perché tu mi capisci come nessun’altra persona al mondo sa fare, sai essere dolcissimo ma, allo stesso tempo, sai tenermi testa. Amo il tuo intuito, il fatto che sai leggere dietro le mie maschere e i miei trucchetti, ma mi permetti lo stesso di usarli, quando sai che ne ho bisogno, senza farmelo pesare. Il modo in cui sai prenderti cura di me, lasciandomi però i miei spazi e la mia indipendenza, come se capissi istintivamente quando ho bisogno di sentirmi coccolata e trattata come una regina e quando invece quello che mi serve è uno sfidante con cui duellare. E adoro quando mi sfidi con quell’espressione da schiaffi, perché so che sia che io vinca, sia che vinca tu, alla fine vinciamo entrambi, che tu gioisci dei miei successi così come io gioisco dei tuoi.”
 
“Camilla…”
 
“E lo so che quello di stasera non è niente in confronto a tutto quello che mi regali ogni giorno, ma è il mio modo per cercare di esprimerti tutto quello che so benissimo che non riuscirò mai a dirti. Ti amo, ti amo, ti amo,” sussurra, la voce roca e flebile per l’emozione, continuando a tracciargli i contorni del viso e a guardarlo negli occhi.
 
Cerca di risponderle, ma la voce gli si spezza, la gola gli si chiude, senza permettergli di pronunciare una sola sillaba. Si limita quindi a cingerle la vita e sollevarla sulle sue gambe, azzerando le distanze tra i loro corpi e le loro labbra, in un bacio talmente dolce e talmente intenso da lasciarli tremanti come foglie in balia del vento, il cuore e l’anima sulle labbra salate ed umide, che si cercano e si fondono senza fretta e, allo stesso tempo, come se non ci fosse un domani.
 
Tutto sparisce: il divano, i vestiti, i rimpianti, i ricordi, la città, le pareti… i contorni si sfumano e si dissolvono, rimane solo l’essenziale, rimangono solo loro, galleggiando in un’immensità di emozioni, di sensi, di tenerezza e di calore, di fuoco, fino a sublimarsi, a diventare vapore, che si annulla nell’aria, che è ovunque e da nessuna parte, fino a diventare loro stessi infinito.
 
***************************************************************************************
 
“Professoressa, aspetti!”
 
Avvolti nel loro mondo ovattato e pieno di luce, abbracciati, ridendo come ragazzini, ignari di tutto, ebbri d’amore e di sensazioni, non percepiscono né la presenza, né le parole di quella impicciona della portiera, fino a che non si para loro davanti, bloccando la strada e l’accesso alle scale.
 
“Rosetta? Che c’è?” chiede Camilla, con il tono indulgente di chi è talmente felice e sulle nuvole dal sentirsi al di sopra di tutte le complicazioni e le scocciature terrene.
 
“C’è che la polizia si è praticamente installata a casa di sua madre,” proclama agitata ed incuriosita al tempo stesso.
 
“Tranquilla, Rosetta, il pettegolezzo non è un reato e non ho intenzione di arrestarla,” ribatte Gaetano con una risata, che però si interrompe bruscamente, quando nota lo sguardo serio e grave della donna.
 
Ed è allora che la nebbia si solleva dagli occhi suoi e di Camilla e notano la pantera parcheggiata fuori da casa, accanto ad un’auto scura e anonima, ma che Gaetano sa essere un modello spesso in dotazione alla polizia, utilizzato per le uscite in borghese.
 
In quel momento sentono una cascata di passi alle loro spalle, quasi una carica di bufali, e vedono Ilenia, affiancata da Mancini e da Marchese, che la scortano lungo le scale.
 
“Ilenia? Marchese? Cosa sta succedendo?” domanda, sconvolta, chiedendosi se non stia ancora sognando.
 
Marchese fa per aprire la bocca ma un’occhiataccia di Mancini lo porta a richiuderla bruscamente.
 
“Queste sono informazioni riservate, professoressa, c’è un indagine in corso,” ribatte Mancini, brusco, per poi aggiungere, marziale, rivolto a Gaetano, “e non sono autorizzato a riferirle a nessuno, nemmeno a lei dottore, ordini superiori. Adesso dobbiamo andare, forza Marchese.”
 
E, sotto i loro occhi, si portano via Ilenia, lo sguardo basso e triste, spento, mentre Marchese le lancia un’occhiata di scuse, come a dire “non è colpa mia.”
 
Avverte la mano di Gaetano afferrare la sua e si lascia condurre lungo le scale, sentendosi come se stesse camminando sulla melassa, fino a quando le urla di sua madre e di una voce maschile la riconducono alla realtà, portandola a salire gli ultimi gradini e a spalancare la porta d’ingresso, ancora socchiusa, di corsa.
 
“Lei non ha un mandato, non ha alcun diritto di frugare in casa mia!”
 
“Signora, o collabora, ci lascia lavorare e mi dice quello che sa spontaneamente, oppure quando avrò il mandato, e le garantisco che lo avrò, mi premurerò personalmente di far sì che questa casa sia rivoltata da cima a fondo come un calzino… magari ci sarà bisogno anche di ispezioni ripetute. Per non parlare del fatto che, se scomodiamo un giudice, lei capisce che non posso garantirle alcuna riservatezza,” minaccia l’uomo che, sentendo il rumore dei tacchi alti sul pavimento alle sue spalle, si volta verso  l’ingresso e sbianca, come se avesse visto un fantasma.
 
“Professoressa Baudino?!”
 
“Salve, dottor De Matteis.”
 
 
 
Nota: Ed eccoci giunti alla fine di questo secondo capitolo. Come avrete notato questi primi due capitoli romani sono stati più “corali”, con vari cambi di personaggi e di punti di vista, necessari ai fini della trama gialla e di alcuni sviluppi futuri ;). Credo che ormai avrete capito in che genere di guaio si trova Ilenia e Camilla ovviamente si ritroverà di nuovo, suo malgrado, coinvolta in un’indagine, che peraltro le è piombata direttamente in casa. Dal prossimo capitolo quindi la palla delle investigazioni passerà a lei e il focus tornerà di più sui nostri protagonisti. Le cose si complicano anche per Gaetano, dato che il caso non è suo e che si troverà diviso tra i suoi doveri e il suo ruolo istituzionale e l’amore per Camilla. E potrebbe ritrovarsi per una volta anche lui dall’altra parte, quella dell’investigatore “dilettante”, ma con le ovvie possibili conseguenze sul lavoro ;).
 
Visto il cambio di “tono” e la trama gialla, su cui sono molto in apprensione, vorrei davvero conoscere il vostro parere sul capitolo, per cercare di capire in cosa posso migliorarmi, cosa non vi è piaciuto, cosa non vi ha convinto e cosa invece funziona. Scrivo prima di tutto per passione e per me stessa, ma vorrei evitare di scrivere solo per me stessa e di annoiarvi, quindi davvero, esprimete liberamente che cosa ne pensate, che non mi offendo, anzi, le vostre opinioni, le vostre critiche e i vostri consigli sono preziosi per me.
 
Vi ringrazio ancora tantissimo per avermi letto fin qui e, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** (Ri)sentimenti ***


Capitolo 33: “(Ri)sentimenti”
 

Dal capitolo precedente…

 
“Professoressa, aspetti!”
 
Avvolti nel loro mondo ovattato e pieno di luce, abbracciati, ridendo come ragazzini, ignari di tutto, ebbri d’amore e di sensazioni, non percepiscono né la presenza, né le parole di quella impicciona della portiera, fino a che non si para loro davanti, bloccando la strada e l’accesso alle scale.
 
“Rosetta? Che c’è?” chiede Camilla, con il tono indulgente di chi è talmente felice e sulle nuvole dal sentirsi al di sopra di tutte le complicazioni e le scocciature terrene.
 
“C’è che la polizia si è praticamente installata a casa di sua madre,” proclama agitata ed incuriosita al tempo stesso.
 
“Tranquilla, Rosetta, il pettegolezzo non è un reato e non ho intenzione di arrestarla,” ribatte Gaetano con una risata, che però si interrompe bruscamente, quando nota lo sguardo serio e grave della donna.
 
Ed è allora che la nebbia si solleva dagli occhi suoi e di Camilla e notano la pantera parcheggiata fuori da casa, accanto ad un’auto scura e anonima, ma che Gaetano sa essere un modello spesso in dotazione alla polizia, utilizzato per le uscite in borghese.
 
In quel momento sentono una cascata di passi alle loro spalle, quasi una carica di bufali, e vedono Ilenia, affiancata da Mancini e da Marchese, che la scortano lungo le scale.
 
“Ilenia? Marchese? Cosa sta succedendo?” domanda, sconvolta, chiedendosi se non stia ancora sognando.
 
Marchese fa per aprire la bocca ma un’occhiataccia di Mancini lo porta a richiuderla bruscamente.
 
“Queste sono informazioni riservate, professoressa, c’è un indagine in corso,” ribatte Mancini, brusco, per poi aggiungere, marziale, rivolto a Gaetano, “e non sono autorizzato a riferirle a nessuno, nemmeno a lei dottore, ordini superiori. Adesso dobbiamo andare, forza Marchese.”
 
E, sotto i loro occhi, si portano via Ilenia, lo sguardo basso e triste, spento, mentre Marchese le lancia un’occhiata di scuse, come a dire “non è colpa mia.”
 
Avverte la mano di Gaetano afferrare la sua e si lascia condurre lungo le scale, sentendosi come se stesse camminando sulla melassa, fino a quando le urla di sua madre e di una voce maschile la riconducono alla realtà, portandola a salire gli ultimi gradini e a spalancare la porta d’ingresso, ancora socchiusa, di corsa.
 
“Lei non ha un mandato, non ha alcun diritto di frugare in casa mia!”
 
“Signora, o collabora, ci lascia lavorare e mi dice quello che sa spontaneamente, oppure quando avrò il mandato, e le garantisco che lo avrò, mi premurerò personalmente di far sì che questa casa sia rivoltata da cima a fondo come un calzino… magari ci sarà bisogno anche di ispezioni ripetute. Per non parlare del fatto che, se scomodiamo un giudice, lei capisce che non posso garantirle alcuna riservatezza,” minaccia l’uomo che, sentendo il rumore dei tacchi alti sul pavimento alle sue spalle, si volta verso  l’ingresso e sbianca, come se avesse visto un fantasma.
 
“Professoressa Baudino?!”
 
“Salve, dottor De Matteis,” lo saluta asciutta, una nota metallica nella voce: i rapporti tra loro non erano mai stati buoni, ma che si mettesse a gridare in quel modo intimidatorio a sua madre, che comunque è una donna e per di più anziana…
 
“Buongiorno anche a lei, Grassetti,” aggiunge, notando la ragazza bionda che osserva la scena in disparte, sembrando in imbarazzo e che ricambia timidamente il saluto.
 
“Sinceramente me la ricordavo un po’ diversa, professoressa. Cos’è, c’era una festa in maschera stamattina o è una nuova moda andare in giro in abito lungo a tutte le ore del giorno?” domanda derisorio, riprendendosi dallo shock e guardandola dalla testa ai piedi in un modo che però fa ribollire il sangue a Gaetano. Non sa chi sia questo damerino con gli occhiali ma già non lo sopporta.
 
“Lei invece è sempre esattamente uguale, dottor De Matteis, dalla punta dei piedi a quella dei capelli,” ribatte Camilla, nello stesso medesimo tono.
 
“Allora è lei la professoressa di Marchese, della Misoglio e della moglie di Mancini? Avrei dovuto immaginarlo,” proclama sarcastico e rassegnato, aggiungendo poi, notando Gaetano dietro Camilla, “e quindi è anche la compagna del dottor Berardi… pure questo in fondo non dovrebbe sorprendermi, anche se vorrei capire cosa sia successo al grande ritorno di fiamma con suo marito… e questa… signora è sua madre, immagino.”
 
“La risposta è sì a tutte le sue domande. Quello che vorrei invece capire io è che cosa sta succedendo qui, perché i suoi agenti si sono portati via Ilenia come un pacco e perché si stava rivolgendo con quel tono a mia madre,” replica Camilla, dura e decisa.
 
“Non sapevo si fosse trasferita a Torino, professoressa, anche se in effetti era da un po’ di mesi che potevo finalmente lavorare in santa pace. Ma, mi tolga una curiosità, mio fratello l’aveva conosciuta sua madre?” domanda con sarcasmo, ignorando completamente le domande di Camilla.
 
“Sì, si erano conosciuti, ma non-“
 
“Doveva essere proprio innamorato perso allora, o aver preso una bella botta in testa… Dottor Berardi, sono il vicequestore De Matteis, ho preso il suo posto alla squadra omicidi qui a Roma quando lei si è trasferito a Sondrio. Ho sentito molto parlare di lei e dei suoi metodi investigativi,” proclama, porgendo la mano al collega e interrompendo bruscamente Camilla. Gaetano esita per qualche istante, la mascella contratta e l’aria di chi vorrebbe fare tutto tranne che stringere la mano all’altro uomo, ma alla fine estende il braccio, in un saluto formale e rigido, una specie di braccio di ferro.
 
“Io invece, purtroppo, non ho avuto il medesimo piacere,” ribatte Gaetano, pronunciando la parola piacere con lo stesso tono sarcastico con cui De Matteis aveva scandito metodi investigativi. Raramente ha provato un’immediata ed istintiva antipatia come per l’uomo di fronte a lui.
 
“Ah, no? Beh, non mi sorprende che la professoressa non le abbia parlato di me, dato che i nostri rapporti non sono mai stati propriamente idilliaci. Mi chiedo invece se le abbia mai raccontato di mio fratello e della loro relazione…” dichiara con un sopracciglio alzato.
 
“Il produttore di vini?” chiede Gaetano, omettendo gli aggettivi ma non il tono che di solito usa nel riferirsi a “quello lì” e guadagnandosi un’occhiata stupita di Camilla, che non gli aveva mai parlato della parentela tra Marco e De Matteis. Ma, evidentemente, ci aveva già pensato un certo ispettore partenopeo.
 
“Esatto. E le ha parlato anche di come è finita, con uno spettacolo indecoroso che nemmeno nelle peggiori soap opera? Sa, collega, sono indeciso se, nel suo interesse, dovrei augurarle che non le capiti mai quello che è successo a mio fratello, o invece l’esatto contrario,” asserisce sardonico, guardando però praticamente sempre Camilla, aggiungendo poi con un mezzo sorrisetto, alternando lo sguardo tra madre e figlia, “anche se invece, nel mio interesse, non posso che esprimerle tutta la mia gratitudine per essersi portato la Baudino a 700 chilometri di distanza da qui e soprattutto per aver contribuito ad evitare a me e a mio fratello certe parentele acquisite.  Certo, il ringraziamento più grande va al suo ex-ex-ex marito,  professoressa, e alla sua sceneggiata in pubblica piazza, sebbene, a quanto pare, non sia servita poi a molto, nel lungo termine.”
 
“E invece la sa lei una cosa, giovanotto? Non credevo che avrei mai pronunciato queste parole, dato che suo fratello Marco sì che era un vero signore, ma temo che perfino a me toccherà ringraziare il mio ex genero per averci evitato di imparentarci con uno come lei,” sibila Andreina, fulminando De Matteis con uno sguardo quasi peggiore di quelli che rivolgeva a Renzo nei periodi di massima tensione tra loro.
 
“Prima di tutto la prego di chiamarmi dottore o vicequestore, non giovanotto, in secondo luogo la invito a moderare i termini e a portarmi rispetto, dato che esiste il reato di oltraggio a pubblico ufficiale e che lei mi ha sufficientemente sfinito nell’ultima mezzora da portarmi ad un passo dal far scattare la denuncia ancor prima che scoprissi con chi era imparentata.”
 
“Il rispetto bisogna guadagnarselo, e lei prima irrompe in casa mia senza una spiegazione, si porta via una mia ospite, trattandoci tutti come delinquenti della peggior specie e pretendendo di fare perquisizioni senza nemmeno un mandato e adesso si mette pure ad insultare me e mia figlia, e poi sono io che dovrei moderare i termini?” domanda Andreina in un altro grido, chiaramente furibonda.
 
“Mamma, per favore, calmati,” la implora Camilla, passandole un braccio intorno alle spalle, preoccupandosi non solo che la madre possa avere rogne legali, ma anche per la sua salute, dato che il viso di Andreina è ormai bordeaux e la donna soffre già di suo di problemi circolatori.
 
“Senta dottor De Matteis, io non la conosco, non so cosa sia successo tra lei, suo fratello e Camilla in passato, ma le ricordo che esiste anche il reato di abuso di potere e che i risentimenti personali non devono interferire con le indagini di polizia e con il ruolo che svolgiamo, con il modo in cui lo svolgiamo,” interviene Gaetano, piazzandosi davanti a Camilla e Andreina, cercando di mantenere un tono calmo ma deciso, nonostante l’atteggiamento e le parole di De Matteis gli stiano dando seriamente sui nervi.
 
“I risentimenti personali non devono interferire con le indagini di polizia? E i sentimenti personali, invece, dottor Berardi? Cos’è, pretende di insegnarmi il mestiere? Proprio lei che per motivi personali, anzi, oserei dire intimi, ormai evidenti a tutti, ha permesso e non so se continua a permettere ancora adesso ad una professoressa di lettere senza arte né parte di improvvisarsi detective e di partecipare alle investigazioni, interferendo in chissà quanti casi? E proprio lei che, ne ho avuto conferma di recente, oltre a tollerare queste intromissioni e il possibile rischio di inquinamento delle prove, ha anche spesso adottato procedure più che discutibili pur di ottenere un rinvio a giudizio?”
 
“Ma di cosa sta parlando? Come si permette?”
 
“Mi permetto eccome: lei, Berardi, deve ringraziare la sua buona stella e forse lo spirito di corpo se non è mai finito nei guai per la sua totale mancanza di rispetto delle procedure, ma la sua fortuna potrebbe non durare in eterno e la avverto che anche se è un mio parigrado, nonché il mio predecessore, non tollererò alcuna intromissione nelle mie indagini e nel mio operato né da parte sua, né da parte della sua compagna. Perché io sono qui per un’indagine in corso, come avrete potuto notare e, sentimenti o risentimenti personali a parte, sto cercando di svolgere il mio mestiere, cosa che mi è però impossibile, visto che sua suocera ha deciso di mettersi di traverso e di fare di tutto per impedirmelo.”
 
Gaetano serra la mascella di fronte a quest’evidente minaccia, neppure tanto velata, fa un respiro e sta per rispondere quando il collega prosegue con la sua tirata.
 
“Quindi invece di darmi consigli non richiesti su come fare il mio lavoro, dovrebbe preoccuparsi di far capire alle signore qui presenti che se non collaborano rischiano una bella denuncia per favoreggiamento in omicidio e-“
 
“Omicidio? Chi è stato ucciso e cosa c’entra Ilenia?” domanda Camilla prima di potersi trattenere.
 
“I dettagli non la riguardano, professoressa, sono riservati e ci sono appunto le indagini in corso. Ma, detto questo, credo che sia nel vostro interesse collaborare e farmi fare questa perquisizione, prima di dovervi obbligare con un decreto del GIP e aggravare la vostra posizione se dovessimo trovare, come penso, prove della colpevolezza della Misoglio.”
 
“Mi scusi, collega, ma penso che la domanda di Camilla sia più che legittima: il diritto a conoscere le motivazioni di una perquisizione è sacrosanto e sancito dalla legge e-“
 
“E infatti ve l’ho detto: c’è stato un omicidio. Penso che i dettagli non servano.”
 
“E invece servono, o quantomeno, il fatto che sia così restio a rivelare il benché minimo particolare mi dà da pensare, sa, De Matteis... Da un lato lei pretende collaborazione, ma poi non ci mette nelle condizioni di collaborare. Per quanto i suoi rapporti con Camilla in passato possano non essere stati idilliaci, se l’ha conosciuta, non potrà non ammettere che il suo senso civico e la sua onestà non siano in discussione e che sia sempre pronta a collaborare con le autorità, qualora possibile; forse potrebbe al limite contestarle un eccesso di collaborazione. Come se questo non bastasse, intima a me che, anche se non assegnato a questo caso, rimango comunque un pubblico ufficiale che indaga su decine di omicidi l’anno, di rimanerne completamente fuori, quasi come se mi stesse chiedendo di scollegare il cervello e quindi di non aiutarla nemmeno se dovessi avere degli elementi utili in mano. Capisce quindi, dottor De Matteis, che le sue richieste sono quantomeno contraddittorie.”
 
Stavolta è il turno di De Matteis di digrignare i denti e cercare di protestare ma venire interrotto.
 
“Non sarà forse che questa sua ritrosia a fornire dettagli, collega, derivi non solo da un timore di inquinamento delle prove che, visto il genere di persone che ha di fronte, non dovrebbe assolutamente sussistere, ma, anche e soprattutto, dal fatto che sa benissimo di non avere in mano alcun elemento solido? Perché, parliamoci chiaro, De Matteis, se lei avesse elementi solidi in mano, avrebbe anche un decreto di perquisizione, lo sappiamo benissimo entrambi come funziona. E se lei invece il decreto non ce l’ha, considerato che la persona sotto indagine non è nemmeno la padrona di casa ma un’ospite di passaggio, credo che concederle una perquisizione completa dell’appartamento, per di più ‘al buio’, sarebbe non solo un atto di buona volontà e di senso civico, ma, anzi, un enorme favore nei suoi confronti da parte della signora Andreina. Un favore che, di fronte al suo atteggiamento evidentemente ostile, all’invasione della privacy e alle possibili complicazioni legali che potrebbero scaturirne e che non possiamo valutare, dato che lei non ce ne dà modo, non mi sentirei assolutamente di consigliare alla signora Andreina di concederle. Se invece magari lei ci spiegasse cosa sta succedendo e perché ritiene necessaria una perquisizione-”
 
“Questo se lo può scordare, Berardi, magari la Baudino avrà un grande senso civico e sarà anche onesta, ma so benissimo com’è fatta e non voglio trovarmela tra i piedi come un’ombra fino a fine indagine a fare l’avvocato difensore della Misoglio e a mettere a repentaglio il mio lavoro. Per non parlare del fatto che ora ha pure lei come cane da guardia,” ribatte con un sorrisino sprezzante, “comunque se non volete concedermi una perquisizione, voglio sperare che possiate almeno rispondere a delle semplici domande, prima di costringermi a convocarvi tutti in questura. E, sia ben chiaro, il decreto del GIP conto di averlo presto e allora farò rivoltare e analizzare ogni centimetro di questa casa!”
 
“Se e quando il giudice le avrà firmato il decreto di perquisizione, sarà anche debitamente motivato, come deve essere per legge, De Matteis, e allora il discorso sarà diverso. Comunque credo che qui siamo tutti più che disposti a rispondere alle sue domande, nei limiti della ragionevolezza.”
 
Camilla e Andreina assentono, anche se rigidamente.
 
“Voglio conoscere i movimenti della Misoglio da quando siete arrivati qui a Roma fino ad adesso. Quando era con voi e quando invece era da sola?” domanda De Matteis altrettanto rigidamente, senza perdere altro tempo e andando subito al punto.
 
“Siamo arrivati venerdì sera, verso le 20.00, in tempo per la cena. Abbiamo cenato ed Ilenia è sempre stata con noi. Sabato era la giornata della rimpatriata… Ilenia è uscita di qui verso le undici del mattino, io, Gaetano e mia figlia avevamo un appuntamento con la sorella di Gaetano e la sua famiglia in un ristorante, mentre Ilenia doveva fare delle commissioni. Poi l’abbiamo rivista la sera, quando è arrivata nella tenuta Bianco, fuori Roma, ma credo che l’ispettore Mancini e Marchese le abbiano già riferito della rimpatriata tra ex compagni di classe e di dove si sia svolta la serata e cosa sia successo. Ilenia è rientrata verso le 21.00, l’ho incrociata mentre saliva in camera.”
 
“E quindi non l’ha né vista, né sentita nel lasso di tempo che va dalle undici alle ventuno?” chiede conferma De Matteis, mentre Grassetti prende appunti.

“No, mi ha solo mandato un sms verso le 16.30 dicendomi che avrebbe tardato e di cominciare ad avviarci e che ci avrebbe raggiunto alla tenuta. Io le ho risposto e basta.”
 
“E non è tornata qui nemmeno per un momento?” domanda, rivolgendosi ad Andreina.
 
“No, non l’ho più rivista quel giorno,” conferma l’anziana, con un tono ed uno sguardo glaciali.
 
“E poi?”
 
“E poi Ilenia è stata sempre con noi, prima alla festa, poi al mare e…” esita un attimo, sapendo che rivelare il malore di Ilenia potrebbe portare a domande sullo stato d’animo della ragazza a cui è più prudente non rispondere se, come pensa a questo punto, date le domande serrate di De Matteis, il sabato potrebbe essere stato il giorno di questo fantomatico delitto. Ma, qualcosa nello sguardo dell’uomo le fa supporre che lui già sappia, probabilmente Mancini gliel’ha già riferito e poi non ci metterebbe niente a fare un controllo negli ospedali.
 
“E… poi ha avuto una congestione, niente di grave ma ci siamo presi un bello spavento. L’abbiamo accompagnata in ospedale e dopo che è stata dimessa abbiamo trascorso quasi tutta la domenica alla tenuta a riposare. Siamo tornati qui verso le 17.00, più o meno ed Ilenia è restata sempre nella sua camera, anche ieri. Poi noi ieri sera siamo usciti e siamo tornati solo adesso, ma credo Ilenia sia rimasta qui, giusto mamma?”
 
“Sì, non si è mossa di qui, confermo,” assente Andreina con un sospiro.
 
“E com’era vestita la Misoglio sabato scorso quando è uscita da questa casa?”
 
Camilla e Gaetano si guardano scambiandosi un’occhiata interrogativa e dubbiosa.
 
“Sinceramente non me lo ricordo…”
 
“Ma come professoressa Baudino, mi stupisco di lei: è stata in grado di riconoscere l’ispettore Mancini dopo dieci anni, avendolo incontrato una volta sola, e sono sicuro che saprebbe dirmi anche il numero esatto di matite che tengo sulla mia scrivania e mi vuole far credere che non si ricorda com’era vestita la Misoglio tre giorni fa?” domanda sarcastico e con tono dubbioso.
 
“Essere fermati ad un posto di blocco per ore o incontrare qualcuno che tiene sulla scrivania dieci matite 2H e dieci matite HB tutte temperate allo stesso identico modo non sono cose che succedono tutti i giorni, dottor De Matteis,” ribatte Camilla con un tono altrettanto sarcastico, “invece notare come qualcuno esce di casa vestito una mattina di un giorno qualunque…”
 
“Senta, Baudino, parliamoci chiaro. Lei non ricorda o non vuole ricordare?” le chiede esasperato, avvicinandosi di più a lei con aria di sfida.
 
“Camilla, secondo me… non aveva su quella maglietta del tour di quella band, quella che piace anche a Livietta e ne avevano parlato, progettando magari di andare al prossimo concerto insieme, ti ricordi? Mi sembra fosse proprio sabato,” interviene Gaetano, frapponendosi di nuovo tra i due contendenti.
 
“Sì, hai ragione. Anche perché dopo non è più uscita…”
 
“E a parte la maglietta?” incalza De Matteis, ansioso di arrivare al punto.
 
“Mah… un paio di pantaloni bianchi, capri,” ricorda Camilla, richiamando infine l’immagine dalla memoria.
 
“Di che tessuto?”
 
“Non saprei, non erano pesanti, ma neanche di lino. Boh, forse di cotone, un tessuto estivo, comunque.”
 
“D’accordo. Allora, io ho bisogno di vedere i vestiti della Misoglio, in particolare quelli che mi avete descritto. Penso sia nel vostro interesse e anche in quello della Misoglio mostrarmeli: se è innocente, questo aiuterà a scagionarla. Ma se non lo fosse e tentasse di liberarsi dei vestiti o di altri elementi probatori, vi garantisco che potreste passare dei guai seri. Così invece vi tutelate, mostrando la vostra buona fede ed estraneità ad eventuali occultamenti di prove.”
 
Si guardano per qualche istante, Andreina e Camilla sembrano chiedere consiglio a Gaetano che, infine, prende in mano la situazione ed annuisce.
 
“Se la signora Andreina è d’accordo si può fare, secondo me, ma a due condizioni: primo, che ad effettuare l’ispezione sia lei”, spiega, indicando Grassetti, “secondo, che l’ispezione avvenga in presenza di Camilla e di Andreina, terzo, che non mettiate a soqquadro la camera. Ilenia la condivide con Livietta e ci sono anche i suoi oggetti personali lì dentro.”
 
“Per me così è ragionevole,” concorda Andreina con un sospiro, “però solo i vestiti di Ilenia, non voglio che tocchiate nulla di mia nipote, lei non c’entra niente.”
 
“D’accordo, può bastare, per adesso. Grassetti…” ordina De Matteis con tono secco ed evidentemente irritato, mentre Andreina e Camilla fanno strada all’agente e De Matteis e Gaetano rimangono in salotto a fissarsi in cagnesco, rigidi come due statue.
 
***************************************************************************************
 
“Allora, Misoglio, glielo chiedo per l’ennesima volta, che cos’ha fatto sabato dalle 15.30 alle 21.00 quando è arrivata presso la tenuta Bianco?”
 
“E io, ispettore, le ripeto per l’ennesima volta che sono stata a fare delle commissioni nel pomeriggio, ho fatto un po’ di shopping, vi ho anche dato gli scontrini e potete verificare con la mia carta di credito e-“
 
“E abbiamo verificato, infatti, ma il suo ultimo acquisto risale alle 15.25, dopo ci sono più di cinque ore di vuoto. Dov’era, Misoglio?”
 
“Sono andata a prendermi qualcosa da bere e a leggere e fare due passi,” replica Ilenia, aggiungendo con un tono esasperato ed sarcastico che sorprende Marchese, che sta assistendo a questo interrogatorio in un angolo della stanza, “purtroppo non ho l’abitudine di conservare gli scontrini del bar o di pagare una bottiglietta d’acqua con la carta di credito, nonostante i prezzi di Roma.”
 
“Senta, Misoglio, non faccia la spiritosa e si limiti a rispondere alle domande, astenendosi da commenti personali. Quale bar e dove li ha fatti questi due passi? C’è qualcuno che può testimoniare?”
 
“In un chiosco al Pincio e poi ho fatto due passi per il parco, mi sono fermata su una panchina, il percorso preciso non lo ricordo, ho camminato un po’... Di gente in giro ce n’era parecchia, ma…”

“Ma?” la sollecita Mancini, notando l’esitazione della ragazza.
 
“Ma nessuno che conosco o a cui potrei chiedere. Forse il personale del chiosco si ricorda di me…” ribatte Ilenia, aggiungendo, dopo un attimo di riflessione, “e c’erano delle telecamere in giro, magari mi hanno ripresa.”
 
“No, Misoglio, forse a Torino la notizia non è arrivata, anche se, le dirò, non so perché ma ne dubito, ma le telecamere del Pincio sono fuori uso da un mese, in seguito all’ennesimo atto di vandalismo e non so nemmeno se qualcuno si prenderà la briga di ripararle, dato che vengono regolarmente manomesse,” replica Mancini, con un tono che le fa capire che sia convinto che lei fosse perfettamente al corrente del mancato funzionamento delle telecamere.
 
“Le garantisco che informarmi sulle telecamere e sugli atti di vandalismo in un parco di una città a centinaia di chilometri dalla mia e dove non mi reco da anni non è una delle mie attività preferite nel tempo libero.”
 
“Ma il Pincio non è un parco qualunque, Misoglio,” sibila Mancini, avvicinandosi a lei con fare minaccioso, chiaramente irritato dal modo in cui Ilenia sembra non farsi intimidire e, anzi, quasi farsi beffe di lui, “è il parco dove è morto suo fratello. Scelta strana e anche un po’ macabra e morbosa come luogo per passare un pomeriggio libero d’estate nella propria città d’origine, per di più una città piena di cose da fare e vedere come Roma. Soprattutto considerato che è arrivata in ritardo al ritrovo con gli altri alla tenuta Bianco e che ha addirittura avvertito la professoressa Baudino con largo anticipo di recarsi alla tenuta senza di lei, e che quindi il suo attardarsi era programmato e previsto.”
 
Del resto l’ispettore per sua fortuna aveva assistito alla conversazione tra la professoressa e Allegra, che chiedeva lumi sull’assenza di Ilenia.
 
“Avevo bisogno di un po’ di tempo per me e il Pincio non è solo il parco in cui è stato ucciso mio fratello, è anche e soprattutto legato a ricordi belli di me e lui, spesso ci incontravamo lì negli ultimi anni in cui era vivo, e di me e le mie amiche. E non ci vedo nulla di macabro o di morboso a volerlo visitare e a voler passare un po’ di tempo per conto mio a rilassarmi nel mio primo giorno di ferie dopo mesi e mesi di lavoro non-stop.”
 
“D’accordo, ipotizziamo pure per un momento che io le creda, questo comunque mi indica chiaramente che lei è ancora molto legata alla memoria di suo fratello, Misoglio, nonostante gli anni trascorsi.”
 
“E c’è qualcosa di male in questo?”
 
“No, ma mi porta a pensare che lei debba nutrire ancora molto risentimento nei confronti del presunto assassino di suo fratello e mi porta altresì a dubitare che lei, come ha asserito prima, non si sia informata sulle sorti dello Scortichini in seguito alla sua scarcerazione e, a maggior ragione, quando ha avuto pochi mesi fa la conferma definitiva che suo fratello probabilmente non avrebbe mai avuto giustizia.”
 
“Prima di tutto Scortichini non era il presunto assassino di mio fratello: è stato lui ad ucciderlo, l’ha anche confessato e se è stato assolto è solo perché aveva un avvocato che contava e che dio solo sa come si sia potuto permettere o chi gliel’abbia pagato, e perché invece noi non avevamo nemmeno i soldi per pagarci il più economico degli avvocati per costituirci parte civile o per fare pressioni per riaprire le indagini e cercare nuovi elementi, e di un punkabbestia morto ammazzato non gliene frega niente a nessuno, purtroppo. Però, per quanto risentimento potessi nutrire per lo Scortichini, e per quanto sia stato lui materialmente ad uccidere mio fratello, non è lui la persona che incolpo di più della sua morte. E, sebbene il fatto che abbia fatto la fine che dite non mi addolora, e sebbene non pensi che il mondo ci abbia rimesso dalla dipartita di un uomo del genere, non mi sono mai augurata che morisse, né ho mai pensato di ucciderlo o di vendicarmi. In quanto ad informarmi su di lui, sinceramente ho una vita pienissima ed incasinata e dopo otto anni l’idea di combattere ancora contro i mulini a vento non mi attirava per niente e, anzi, volevo e voglio solo guardare avanti.”
 
“Andando a passeggiare e a rilassarsi nel luogo dove è morto suo fratello?” le domanda di nuovo Mancini, sempre più sarcastico.
 
“Guardare avanti non significa dimenticare e rimuovere dalla memoria, ispettore,” ribatte Ilenia, con tono deciso e quasi duro.
 
“D’accordo. E, sentiamo, chi è questa persona che incolperebbe di più morte di suo fratello, Misoglio?”
 
“Mio padre. Se non fosse stato per lui mio fratello non sarebbe scappato di casa e non sarebbe entrato nei punkabbestia, né avrebbe sviluppato quell’amore quasi ossessivo per i cani,” replica Ilenia, il tono che da duro diventa gelido al ricordo di quell’uomo di cui detesta portare ancora il cognome. Ma era anche il cognome di suo fratello e aveva deciso di mantenerlo come un doloroso ricordo di ciò a cui era sfuggita per miracolo, del punto di partenza, come monito e stimolo per ricordarle di non mollare mai, anche di fronte a mille difficoltà, e di non ripetere mai gli errori di sua madre.
 
“Già… un’ossessione per un certo tipo di cani in particolare, giusto, Misoglio? Dagli atti del caso di suo fratello abbiamo recuperato la foto del cane che, da quanto annotato da Berardi, fu la causa scatenante della lite tra suo fratello e suo padre e quella del cane oggetto del contendere sfociato in omicidio tra suo fratello e lo Scortichini. E si tratta di cani neri, nel secondo caso un rottweiler. Ed è quindi una coincidenza quantomeno singolare che il cane che ha sbranato lo Scortichini sia proprio un rottweiler, quasi identico a quello ucciso insieme a suo fratello, non le pare?”
 
“No, non mi pare. I rottweiler sono i più usati insieme ai pittbull nei combattimenti clandestini e quindi mi sembra perfettamente normale per le leggi della probabilità,” ribatte Ilenia con un sopracciglio alzato che imita perfettamente quello dell’ispettore.
 
Marchese è sempre più sorpreso dal modo in cui Ilenia, che lui ricorda da sempre come dolce, gentile e a volte fin troppo remissiva, ribatte colpo su colpo alle accuse di Mancini, in un modo sicuro e quasi sfrontato. Tanto che non sembra nemmeno essere la stessa ragazza che si era lasciata portare via dalla casa della madre della prof. senza protestare o che beveva un mojito dopo l’altro guardando gli altri ballare con aria malinconica la sera della festa.
 
E non sa questo nuovo lato di Ilenia lo tranquillizzi o lo spaventi di più.
 
“Ah, sì? E, mi dica, Misoglio, quante sono le probabilità che il presunto assassino di suo fratello rimanga vittima di un tragico incidente proprio quando lei ritorna a Roma dopo anni di assenza, vera o presunta, oltretutto nell’unico lasso di tempo in cui era da sola senza un alibi, né alcun elemento che possa attestare la sua localizzazione? Oltretutto aveva pure il cellulare spento e irrintracciabile.”


“Come le ho detto volevo rilassarmi e starmene per conto mio per qualche ora e quindi ho spento il telefono. Non ci vedo nulla di male.”
 
“No, certo, peccato che, guarda caso, proprio mentre lei si rilassava, un cane identico a quello per cui suo fratello è stato ucciso ha ridotto l’uomo che lei ritiene essere senza ombra di dubbio il suo assassino così,” esclama Mancini, duro e sprezzante, sbattendo sul tavolo davanti ad Ilenia una foto dei resti dello Scortichini.
 
Per un secondo Ilenia pare non reagire, poi si volta portandosi la mano alla bocca e trattenendo un conato di vomito.
 
“Ispettore!” protesta Marchese, indignato, avvicinandosi per prendere in mano la foto, ma Mancini lo blocca, fulminandolo con lo sguardo.
 
“Allora, Misoglio?” la incalza, senza esitazione alcuna, avvicinandosi ancora di più a lei, fino a torreggiare sopra di lei, a pochi centimetri dal suo viso, “mi spiega com’è possibile questa straordinaria coincidenza? Che proprio mentre lei era nei paraggi, lo Scortichini sia finito a fare da cibo per i cani, aggredito da un cane da combattimento con una forte dose di fluoxetina nel sangue, oltre a farmaci anabolizzanti? E il veterinario che ci fa da consulente ci ha spiegato che non solo la fluoxetina può causare aggressività nei cani predisposti, ma che una variazione improvvisa nel suo dosaggio o un’assunzione iniziale troppo elevata possono provocare comportamenti aggressivi incontrollati, mania, e che anche a dosaggi normali riduce in ogni caso le inibizioni, quindi combinata con gli anabolizzanti che già di loro possono incrementare l’aggressività, e con l’allenamento da combattimento, si crea una bomba ad orologeria pronta a scoppiare. E lei, come veterinario, aveva tutte le conoscenze e i mezzi necessari per armarla e per farla detonare questa bomba, o sbaglio?”
 
L’esito completo delle analisi del sangue sul cane, arrivato quella mattina, e la successiva ispezione del capanno dello Scortichini alla ricerca di farmaci, nonché il parere di un secondo veterinario comportamentalista, specializzato nella riabilitazione dei cani da combattimento, avevano gettato una luce ancora più inquietante sul caso e fatto propendere per l’immediato interrogatorio della Misoglio, nella speranza di ottenere elementi utili prima che si fosse liberata di eventuali prove compromettenti e di metterla sotto pressione per farla crollare ed ottenere una confessione.
 
“Io come tutti i miei colleghi e forse lo Scortichini stesso. Non ha pensato che magari sia stato proprio lo Scortichini a dopare in questo modo il suo cane per spingerlo a combattere senza esitazioni fino alla morte? Magari lo faceva a tutti i suoi cani!”
 
“E infatti stiamo verificando, Misoglio, ma, mentre le confezioni di anabolizzanti le abbiamo trovate nel capanno dello Scortichini in quantità tali da far pensare appunto che li somministrasse a tutti i suoi cani, di fluoxetina non ce n’era nemmeno l’ombra. Mentre a lei sarebbe stato semplicissimo procurarsela.”
 
“Prima di tutto come avrei potuto sapere che Scortichini dava gli anabolizzanti ai suoi cani? Inoltre l’assenza di confezioni non vuol dire niente e poi comunque non ho mai prescritto farmaci veterinari a base di fluoxetina, può controllare,” ribatte Ilenia, anche se entrambi i poliziotti notano un’esitazione nel tono di voce.
 
“A quanto ci dice un suo collega, Misoglio, dare anabolizzanti ai cani da combattimento è la norma e quindi era perfettamente prevedibile che anche lo Scortichini lo facesse, per la sua amata legge delle probabilità. E comunque già l’addestramento da combattimento ed uno sbalzo nel dosaggio sarebbero stati sufficienti, sempre secondo il suo collega, per scatenare un’aggressione violenta ed irrefrenabile, anche senza anabolizzanti. In quanto alle sue prescrizioni, ho già provveduto a fare i dovuti controlli, ed in effetti lei non li ha mai prescritti, peccato che però la fluoxetina la usino anche gli umani e che sua madre sia in cura psichiatrica ormai da anni per disturbi depressivi. E, ma guarda un po’ di nuovo che coincidenza, assume tutti i giorni proprio il prozac, cioè la fluoxetina,” la pressa l’ispettore, un mezzo sorriso trionfante sul volto.
 
“Se avere un parente che assume farmaci antidepressivi bastasse per essere sospettati di omicidio, allora non dovreste interrogare solo me ma, purtroppo, altri milioni di italiani. E non so cosa spera di ottenere continuando a sventolarmi quella foto sotto al naso, ispettore, quali reazioni si aspetta da me, ma la verità è che non avete in mano nulla di concreto che giustifichi il trattamento che mi state riservando e che, sinceramente, dubito perfino che quello dello Scortichini sia stato qualcosa di più di un incidente, o meglio, il prevedibile risultato che ottiene chi tratta gli animali come se fossero armi, dimenticandosi che, a differenza di un fucile o di una pistola, un animale ha un cervello proprio ed è per sua natura non del tutto controllabile.”
 
Il sorriso trionfante svanisce, le labbra tese in una linea sottile, i muscoli facciali contratti, la fronte corrugata, Mancini fissa Ilenia che lo fissa di rimando, senza battere ciglio, con il mento alzato e l’aria di chi non ha intenzione di indietreggiare di un millimetro.
 
Marchese osserva in disparte questa battaglia e non sa se essere più sconvolto dall’atteggiamento del mastino che, tutto sommato, è nella norma per lui, o da quello di Ilenia che è invece completamente inatteso. Se Mancini si aspettava di ottenere una facile confessione o rivelazioni incriminanti è evidente che si sbagliava di grosso, ma Marchese sa per esperienza che provocare in questo modo il mastino ha un solo ed unico effetto: ora per Mancini trovare prove della colpevolezza di Ilenia è diventato un fatto personale. Marchese prega e spera per Ilenia che non salti fuori nulla di nuovo e di compromettente, perché è sicuro che il mastino non mollerà fino ad aver completamente spolpato la sua preda.
 
***************************************************************************************
 
“Allora Grassetti?”
 
“Niente, dottore, la maglietta c’è, ma i pantaloni mancano,” spiega la ragazza, con l’aria di chi non voleva affatto trovarsi nella posizione di dover dare al vicequestore questa notizia.
 
“Cosa? È sicura? Ha controllato bene?” domanda De Matteis, con un tono da far invidia a Zeus sull’Olimpo.
 
“Abbiamo fatto passare tutti gli effetti personali della Misoglio e il dottor Berardi e la professoressa hanno riconosciuto la t-shirt, ma non hanno identificato nessuno dei pantaloni presenti come quello indossato sabato dalla Misoglio.”
 
“Confermo,” ribadisce Gaetano, annuendo col capo.
 
“Beh, quei pantaloni non possono essere spariti. A questo punto vi devo chiedere di controllare tra gli effetti personali di sua figlia, Baudino, magari le ragazze hanno fatto uno scambio di vestiti. Altrimenti dovrò fare ispezionare tutta la casa.”
 
“Escludo lo scambio, dato che Ilenia e Livietta hanno due strutture fisiche e due taglie completamente diverse: a mia figlia i pantaloni capri che indossa Ilenia arriverebbero sopra al ginocchio e starebbero larghi, E per quanto riguarda l’ispezione se lo può scordare. Oltretutto Ilenia è praticamente sempre rimasta nella sua stanza e con mia madre in casa con lei le garantisco che non avrebbe potuto nascondere nulla da nessun’altra parte senza che lei se ne accorgesse.”
 
“Su questo probabilmente non posso darle torto,” ammette De Matteis, passandosi di nuovo una mano sulla fronte e scambiando un’occhiata omicida con Andreina, che sentitamente ricambia, “però credo che sia nell’interesse di sua figlia a questo punto che ci togliamo ogni dubbio residuo e che Grassetti ispezioni bene tutta la stanza ed anche i suoi oggetti personali. La Misoglio potrebbe ad esempio avere infilato i pantaloni nella valigia di sua figlia senza che lei se ne accorgesse.”
 
Camilla apre la bocca per obiettare ma Gaetano interviene.
 
“Camilla, credo che De Matteis questa volta abbia ragione. È meglio sgombrare il campo subito da ogni dubbio per evitare problemi a Livietta. A patto che nulla venga messo agli atti e non vengano scattate foto od altro agli oggetti personali di Livietta, che tutto venga rimesso a posto e che sia usata la massima discrezione.”
 
“Se Gaetano lo ritiene necessario, mi fido del suo parere e per me non ci sono problemi,” replica Andreina, senza di nuovo dare il tempo a Camilla di aprire bocca.
 
Sentendosi quasi accerchiata, alla fine Camilla acconsente, anche se non è del tutto convinta che sia la cosa giusta da fare.
 
***************************************************************************************
 
“Ispettore?”
 
“Si può sapere che succede? Ho detto che non volevo essere disturbato!” esclama in quello che è quasi un grido, facendo il pelo e il contropelo al povero agente che aveva osato bussare alla porta della sala interrogatori.
 
Del resto l’interrogatorio di Ilenia era ormai ad un punto di stallo e Mancini non era riuscito a scoprire nulla che non sapesse già.
 
“Mi scusi ispettore, ma il dottor De Matteis è ancora fuori e mi avevate detto che volevate essere aggiornati subito se ci fossero state novità sulla registrazione delle telecamere.”
 
“D’accordo, vieni con me,” ribatte l’ispettore, avviandosi verso l’uscita della stanza, “vieni anche tu, Marchese. Lei Misoglio aspetti qui che non abbiamo ancora finito.”
 
Marchese lancia un’ultima occhiata ad Ilenia che però si limita ad abbassare lo sguardo e segue l’ispettore, sapendo benissimo che non lo lascerebbe mai da solo con la ragazza.
 
“Allora, che novità ci sono?”
 
“Abbiamo spulciato tutti i filmati e a parte il furgone dello Scortichini, che è passato davanti alle telecamere verso 13.45 ed è poi tornato indietro verso le 18.15, è passato solo un altro veicolo, che si è diretto verso il capanno dello Scortichini alle 17.40 ed è tornato verso la strada principale alle 19.00 circa. Il guidatore non si vede, o meglio, è una figura scura indistinta, pare che chiunque fosse al volante indossasse un cappellino e forse un impermeabile. Erano però leggibili le prime due lettere e il primo numero della targa, e incrociandole con il modello di macchina e con le denunce di furti in zona siamo probabilmente riusciti a risalire al veicolo: una fiat panda 4x4 bianca, che è stata rubata il giorno stesso dell’omicidio, in zona EUR. A quanto pare il proprietario, un cameriere che lavora in un hotel della zona, non avrebbe più trovato l’auto quando ha staccato il turno alle 22.00. L’auto era lì dalle 15.00, più o meno.”
 
“Quindi un’auto che non dà nell’occhio e adatta allo sterrato, la scelta ideale per recarsi nella zona del capanno dello Scortichini. E il proprietario non sarebbe potuto tornare in tempo per accorgersene prima dell’omicidio dello Scortichini, tutto premeditato nei minimi dettagli… L’EUR è pieno di telecamere, chiamami i colleghi del commissariato di zona e chiedi loro di visionare i nastri e mettiti in contatto anche con i carabinieri per le telecamere di loro competenza. E se c’erano telecamere private nella zona in cui era parcheggiata l’auto, procuratevi i nastri. Magari anche loro li hanno conservati per più di 24 ore, anzi, è probabile.“
 
“Sì, ispettore,” proclama l’agente, mettendosi sull’attenti e allontanandosi rapidamente per eseguire i compiti richiesti.
 
***************************************************************************************
 
“Niente?”
 
“No, niente, dottore. I pantaloni mancanti non erano né tra gli indumenti della figlia della professoressa, né altrove nella stanza,” conferma Grassetti, con l’espressione di chi si prepara ad un’imminente esplosione.
 
“Allora bisognerà ispezionare anche…”
 
“Allora niente, mi dispiace ma non intendo autorizzare altre ispezioni,” si mette di traverso Andreina, decisa, “come le hanno già spiegato, è praticamente impossibile che quei pantaloni siano finiti altrove in questa casa senza che io me ne accorgessi.”
 
“E se lei continua a credere che la Misoglio sia colpevole, e se questi pantaloni sono, a quanto pare, una prova incriminante, sarebbe in ogni caso più probabile che se ne sia liberata altrove, non le pare?” si inserisce Gaetano, con un sopracciglio alzato, “oltretutto siete arrivati senza preavviso di mattina presto, quindi è improbabile anche un tentativo dell’ultimo momento di occultare le prove.”
 
“A questo c’ero arrivato anche io, collega, grazie. Volevo solo assicurarmi di escludere che fossero in questa casa, prima di mettermi a cercarli altrove,” ribatte De Matteis, infastidito, “e comunque la sparizione dei pantaloni incrementa ancora di più i sospetti sulla Misoglio.”
 
“Come potrebbe esserci una spiegazione ragionevole e che nulla ha a che fare con un omicidio. Camilla, Ilenia indossava ancora quei pantaloni quando l’hai vista arrivare alla tenuta la sera di sabato?” domanda Gaetano, guardandola negli occhi.
 
“Mi sembra di sì… non ho notato nulla di particolare e credo che se si fosse cambiata me ne sarei accorta, anzi, sono sicura al 99% che li avesse ancora indosso, ma-”
 
“Benissimo, allora siccome poi la sera alla festa e in spiaggia indossava altro e i pantaloni qui non ci sono, mi sembra evidente che debbano essere rimasti per motivi non meglio precisati alla tenuta Bianco. Magari nella confusione Ilenia se li è semplicemente dimenticati mentre rifaceva i bagagli,” ipotizza Gaetano, rivolgendosi a De Matteis.
 
“Ilenia non aveva una valigia, solo alcune buste con gli acquisti della giornata, che Grassetti ha già controllato, ed una tracolla. E i vestiti di Ilenia li ha ritirati Sammy, in realtà, dato che Ilenia non stava ancora bene,” precisa Camilla, con un’espressione con gli occhi a fessura che Gaetano sa essere foriera di guai.
 
“Sammy? La moglie dell’ispettore Mancini?” domanda De Matteis, sorpreso e riconoscendo perfettamente anche lui lo sguardo della Baudino, che ricollega ad alcune delle peggiori figuracce fatte nella sua carriera.
 
“Esatto, potete verificare. Volete per caso incriminare anche lei per favoreggiamento personale ed occultamento di prove?” chiede Camilla con un sopracciglio alzato ed un mezzo sorriso sarcastico.
 
“D’accordo, ho capito. Grassetti, andiamocene. Grazie mille per l’aiuto e non disturbatevi, conosciamo la strada. Ma probabilmente saremo presto di ritorno.”
 
E, senza attendere risposta né dalla collega, né dai presenti, si avvia a passo marziale verso l’ingresso, sbattendo la porta dietro di sé.
 
***************************************************************************************
 
“Ilenia? Che ci fai qui? Sei venuta a trovare Marchese?”
 
“No, Sammy, purtroppo non si tratta affatto di una visita di cortesia,” risponde Ilenia, con un tono tra l’amaro e il triste e rassegnato, trafiggendo con un’occhiata prima Marchese e poi l’ispettore, che l’affiancano e la stanno riaccompagnando alla pantera che la riporterà a casa della signora Andreina.
 
“Come? Ma è successo qualcosa?” domanda Sammy, sempre più spiazzata. Aveva appena finito delle commissioni in tribunale per conto dello studio legale dove stava facendo il praticantato da avvocato e ne aveva approfittato per fare un salto in questura a proporre al marito di pranzare insieme, se non aveva altri impegni. Tutto si sarebbe aspettato tranne di trovarsi davanti Ilenia, con una faccia da funerale, oltretutto.
 
“Scusami Sammy ma non ne possiamo parlare, ci sono delle indagini in corso,” risponde l’ispettore, cercando di tagliare corto, chiaramente a disagio.
 
“Indagini in corso? Che indagini?”
 
“Indagini di omicidio. Pensano che abbia ucciso l’assassino di mio fratello, per vendetta,” risponde Ilenia, aggiungendo poi, di fronte all’occhiataccia di Mancini, “dubito che l’indagato abbia l’obbligo di riservatezza, giusto? Una volta che mi avete gentilmente invitata ad essere interrogata non potete certo pretendere che finga che non sia successo niente o che non possa parlarne con altri.”
 
Di nuovo Marchese non sa se ammirare il carattere di Ilenia o preoccuparsi per lei: sa benissimo che Ilenia non è stupida e che ha capito perché Mancini fosse restio a parlare davanti a Sammy, che volesse evitare la prevedibile reazione indignata, che infatti non tarda ad arrivare.
 
“Che cosa?? Indagata di omicidio? Ma siete impazziti? Marchese, tu Ilenia la conosci da una vita come me e sai che non sarebbe mai capace di nulla di simile!” esclama Sammy, furente, fulminando entrambi gli uomini con lo sguardo.
 
“Mi dispiace, Sammy, ma non dipende da me,” ribatte Marchese, sapendo benissimo che l’ira di Mancini si abbatterà presto su Ilenia e anche su di lui, ma in fondo lui ci è abituato, e tanto vale togliersi almeno un sassolino dalla scarpa, prima di andare in guerra.
 
“Pietro, tu invece sei davvero convinto che sia colpevole? È così?” domanda Sammy, riconoscendo benissimo lo sguardo del marito, del resto l’aveva già visto una volta rivolto alla prof. a quel famoso posto di blocco.
 
“Sammy… ci sono motivi per ritenere che…” abbozza Mancini, che sta praticamente sudando freddo.
 
“Che cosa?? Quali motivi ci possono essere?”
 
“Scusate, ispettore, se lei aveva un appuntamento con Sammy, riaccompagnerei io Ilenia dalla signora Andreina e andrei a vedere se il dottor De Matteis e Grassetti sono ancora lì e se hanno bisogno di aiuto,” si intromette Marchese, sapendo di starsi giocando il tutto per tutto ma sapendo altresì che Mancini non può allontanarsi di lì senza aver parlato con Sammy, che indossa l’espressione da litigata furiosa, quella che, quando stavano ancora insieme, preannunciava l’apocalisse imminente e giorni di fiori, cioccolatini, scuse in ginocchio e di autoflagellazione, per avere qualche speranza di uscirne vivo. E sa anche che Mancini si farebbe spellare vivo piuttosto che litigare con la moglie davanti a lui.
 
“D’accordo Marchese, ma ti rivoglio qui il prima possibile, chiaro?”
 
“Chiarissimo ispettore,” risponde, sapendo benissimo che è una specie di messaggio in codice, che significa che faranno i conti dopo e di non azzardarsi ad intrattenersi né con la prof., né con il dottor Berardi.
 
Salutando con un cenno del capo Sammy, precede Ilenia fino alla volante e le apre la portiera del passeggero davanti, anche se sa che non è da protocollo. Ma a questo punto, dubita che possa peggiorare ulteriormente la sua situazione con Mancini.
 
Ilenia non dice niente e mantiene la testa bassa, sembrando di nuovo spenta, triste, malinconica e remissiva come quando l’avevano prelevata quella mattina.
 
“Ilenia… come va?” si azzarda a domandarle dopo un dieci minuti buoni di assoluto silenzio, che contrasta con il caos del traffico cittadino.
 
“Secondo te, Marchese?” domanda sarcastica, continuando però a guardarsi i piedi come se fossero la cosa più interessante del mondo.
 
“Lo sai che non ci posso fare niente, che non decido io chi indagare e chi no, vero?” le chiede, ma Ilenia non risponde, limitandosi a scuotere il capo.
 
“Ilenia, per quello che vale, io penso che tu sia innocente, dico davvero,” aggiunge dopo un attimo di esitazione, cercando di toccarle la mano, che però lei ritrae bruscamente.
 
“Scusami Marchese, ma non so se questa sia una recita da poliziotto buono o se tu ci creda sul serio, ma poco cambia. Come hai detto prima non ci puoi fare niente e non dipende da te: se De Matteis e Mancini ti ordinano qualcosa tu devi obbedire, quindi non rendiamo tutto più difficile e più imbarazzante di quanto già è,” ribatte Ilenia, amara, trafiggendolo con un’occhiata che è come una pugnalata al cuore, prima di voltare la testa verso il finestrino.
 
“D’accordo. Però, Ilenia, se ti posso almeno dare un consiglio, non dovresti sfidare Mancini in quel modo: è pericoloso. Se si impunta su di te quello non molla più.”
 
“Tanto… peggio di così… e poi almeno qualcuno dovrà provare a tenergli testa, no, Marchese?” chiede, una nota nel tono di voce che è una seconda stilettata nel petto, facendogli perdere del tutto l’uso della parola.
 
***************************************************************************************
 
“Questo posto è davvero bellissimo, dottore, non trova?”
 
“Mah, preferisco il casale di mio fratello,” ribatte De Matteis, continuando a camminare verso l’ingresso dell’edificio, “e comunque non siamo qui in visita di piacere, Grassetti, si concentri!”
 
“Sissignore,” risponde la ragazza, abbassando il capo mestamente e rinunciando ad ogni ulteriore tentativo di tirar su di morale il suo superiore o di fare conversazione.
 
E dire che per un periodo le era quasi sembrato che lui potesse accorgersi di lei ma poi niente… continuava ad essere quasi invisibile per lui, solo uno dei suoi “uomini”. Vederlo tutti i giorni di sicuro non la aiutava a toglierselo dalla testa, purtroppo.
 
“Buongiorno, desiderate? Se volete una camera ne abbiamo ancora un paio disponibili,” li saluta Allegra con un sorriso e tono professionale, mentre Grassetti arrossisce fino alla punta delle orecchie.

“No, polizia,” risponde De Matteis, annoiato, mostrando il distintivo per identificarsi, dato che sono entrambi in borghese.

“Ah, capisco. Come posso aiutarvi?” chiede Allegra, mentre il sorriso le muore sulle labbra, visibilmente in apprensione.
 
“Vorremmo vedere la stanza dove ha soggiornato durante il fine settimana Ilenia Misoglio. Poi vorremmo anche sapere se avete ritrovato degli oggetti nella stanza, quando è stata pulita,” spiega De Matteis, fissando la ragazza come per cogliere la minima esitazione o menzogna.
 
“Ilenia? Mi scusi, ma posso sapere il perché di tutto questo?”
 
“Sono notizie riservate, ci sono delle indagini in corso,” taglia corto De Matteis, asciutto.
 
“E avete un mandato?”
 
“No, però mi creda, è nell’interesse suo, della sua attività e anche della Misoglio stessa che lei ci lasci fare questa verifica adesso, quando possiamo garantirle la massima riservatezza. Lei mi capisce, un decreto di perquisizione attira inevitabilmente l’attenzione. E comunque sono stati la professoressa Baudino e il dottor Berardi a suggerirmi di venire a parlare con lei, dicendo che avrebbe saputo aiutarmi,” aggiunge con un mezzo sorriso, guadagnandosi un’occhiata stupita di Grassetti per questa… interpretazione molto elastica della realtà.
 
“La prof. e il commissario? D’accordo in questo caso vi mostro la stanza. Per quando riguarda gli oggetti smarriti, la donna delle pulizie non mi ha fatto sapere niente, quindi tenderei ad escluderlo,” risponde Allegra, stupita, ma fidandosi delle parole di De Matteis e facendo loro strada.
 
“E immagino che non sia qui, giusto?”
 
“No, infatti, è qui al mattino, se n’è andata un’ora fa, più o meno.”
 
“E i rifiuti invece, che mi dice? Della stanza della Misoglio, ovviamente anche se immagino siano ormai insieme agli altri. Sono ancora qui da qualche parte o li avete già fatti portar via?” domanda De Matteis, pregando che, dato il relativo isolamento della tenuta, il furgone della nettezza urbana non passi tutti i giorni.
 
“Su questo siete fortunati: li ritirano il mercoledì e il sabato mattina, quindi sono ancora qui nel cassonetto…”
 
“Grassetti, te ne occupi tu?” domanda De Matteis in una domanda retorica che è un ordine, mentre Allegra lancia un’occhiata di solidarietà mista a compatimento alla ragazza: è proprio vero che la cavalleria è morta.
 
***************************************************************************************
 
“Ilenia, finalmente! Che è successo, tutto a posto?”
 
Avevano appena finito di calmare e di rassicurare Andreina e di spiegare ad Amedeo, che era tornato dalla sua gita di pesca con gli amici pensionati del circolo, quanto era successo, cercando di tranquillizzare anche lui. L’uomo non era stato per nulla contento al ricevere la notizia della “visita” della polizia ed era evidente a tutti che cercava di trattenersi al massimo data la presenza degli ospiti, ma che l’idea di trovarsi l’inquisizione in casa per aver ospitato quella che in fondo era una perfetta sconosciuta, per fare un favore ad Andreina e a lei, non l’aveva per nulla entusiasmato.
 
Camilla sperava solo che questo non peggiorasse ulteriormente le cose tra Amedeo e Andreina. Già spesso si sentiva in colpa per i problemi che aveva creato negli anni alla vita coniugale di sua madre che, pur con tutti i suoi tanti difetti, aveva sempre anteposto i bisogni, i problemi e le necessità sue e di Livietta a quelli del marito. Amedeo aveva sempre accettato ed abbozzato, ma ora la situazione era molto diversa, molto più tesa e c’era il rischio che questa fosse la proverbiale ultima goccia che fa traboccare il vaso.
 
“Non si preoccupi, prof., va tutto bene. Non hanno niente in mano, solo un sacco di supposizioni, di congetture e di castelli di carta. Mi spiace solo per tutto il disturbo che vi ho provocato, siete stati così gentili ad ospitarmi e questo è il risultato… Comunque non vi preoccupate: mi cerco un albergo, così qualsiasi cosa possa succedere voi non rimarrete coinvolti,” risponde Ilenia, alternando lo sguardo  tra Camilla, Gaetano, Andreina ed Amedeo, cercando poi di avviarsi verso la sua stanza.
 
“Ilenia, scusami, però… lo sai che non puoi lasciare la città per ora e a questo punto la prof. e la sua famiglia sono coinvolti in ogni caso e non credo che De Matteis gradirebbe se tu cambiassi recapito,” interviene Marchese, vincendo finalmente l’imbarazzo e il mutismo.
 
“Non ti preoccupare, Marchese, vi darò subito il nuovo recapito e, anzi, se vuoi mi puoi scortare fino in albergo per accertartene di persona.”
 
“Prima ne devo parlare con De Matteis, lo capisci vero?”
 
“Fai come credi, io intanto preparo le mie cose, fammi sapere qualcosa,” replica Ilenia, raggiungendo la camera prima che qualcun altro possa obiettare e chiudendo la porta dietro di sé.
 
“Marchese, si può sapere che succede? Di cosa è accusata Ilenia? E davvero non c’è da preoccuparsi o-“
 
“Prof. mi creda che voglio parlarle, devo parlarle, anzi parlarvi, sia a lei che al vicequestore, ma se torno in ritardo e Mancini o De Matteis se ne accorgono si scatenerà il finimondo e ci finirete di mezzo anche voi. Potremmo vederci stasera verso le 20.00? Magari al centro commerciale Roma Est? C’è sempre un sacco di gente, l’ideale per non dare nell’occhio.”
 
“Beh, per me potrebbe andare bene e-“
 
“Scusami, Camilla, però.. Marchese, sei sicuro che non ci siano altri agenti in borghese a seguire i nostri movimenti. O i tuoi, a questo punto? Considerati i risentimenti personali tra te e Mancini e tra De Matteis e Camilla… sinceramente sono molto preoccupato di cosa potrebbe succedere se scoprissero che ci siamo incontrati di nascosto e che ci hai riferito dettagli sul caso, contravvenendo agli ordini,” si inserisce Gaetano, un tono serio e grave che si riflette nella sua espressione e che Camilla ha raramente visto prima.
 
“Lo so, dottore, ed è possibile che nei prossimi giorni mettano qualcuno a seguire i movimenti di Ilenia o anche i vostri, anche se lei dovesse andarsene da qui. Però secondo me stasera è troppo presto perché riescano a muoversi in questo senso. A meno che De Matteis non dia l’ordine adesso, ma in quel caso posso scoprirlo. Tra l’altro, sapete dov’è?”
 
“Credo sia andato alla tenuta di Allegra,” commenta Camilla con un tono di voce irritato, lanciando un’occhiata eloquente a Gaetano, “se fosse così penso che ne avrà per un po’ e quindi credo che Marchese abbia ragione e che stasera possiamo incontrarci senza problemi.”
 
“Camilla, io-“
 
“Scusate, ma io devo assolutamente chiamare De Matteis e rientrare. In ogni caso stasera sarò alle 20.00 alla biglietteria del cinema. Se non vi vedo arrivare entro mezz’ora mi guarderò uno spettacolo…” si inserisce Marchese, avviandosi verso l’ingresso ad un passo deciso e risoluto che Camilla non gli aveva mai visto usare prima.
 
***************************************************************************************
 
“Si può sapere tu da che parte stai?”
 
“Eh?” domanda, sperando di non aver capito bene la domanda, ma bloccandosi quando nota lo sguardo realmente risentito, per non dire proprio arrabbiato di lei.
 
Sono appena rientrati nella loro stanza, dopo che Ilenia, nonostante le insistenze di Camilla e di Marchese di rimanere a casa di Andreina, avuto il via libera da De Matteis, aveva deciso di trasferirsi in albergo. Camilla non era stata troppo sorpresa dall’assenso di De Matteis: probabilmente non voleva che lei e la ragazza avessero molte occasioni per scambiarsi informazioni. Camilla aveva anche provato a convincerla ad accettare un aiuto per le spese dell’albergo, dato che sapeva che Ilenia aveva problemi di soldi, ma la ragazza aveva rifiutato e se ne era andata via dopo un rapido saluto ed altre scuse ad Amedeo e Andreina, scortata da Marchese.
 
“Da che parte stai, Gaetano? Da quella di Ilenia, e quindi dalla mia, o da quella di De Matteis? Perché il tuo comportamento sinceramente non lo capisco. Prima ci hai difeso a spada tratta, con le unghie e con i denti, per un momento ho quasi temuto arrivaste allo scontro fisico tu e De Matteis, ma poi non solo hai convinto mia madre a concedere a De Matteis di ispezionare anche gli oggetti di Livietta, cosa che non reputavo affatto necessaria, ma, soprattutto, ti sei messo addirittura a suggerirgli dove e come trovare questi benedetti pantaloni, sebbene, per quanto ne sappiamo noi, questo potrebbe mettere Ilenia ancora di più nei guai. E, dulcis in fundo, non vuoi nemmeno che ci incontriamo con Marchese per scoprire cosa sta succedendo? Soprattutto ora che Ilenia se ne è andata e, visto che, in ogni caso, dal suo atteggiamento mi sembra evidente che non voglia parlarne e che da lei non caveremo un ragno dal buco.”
 
“Camilla, come puoi chiedermi questo?” le domanda, incredulo e ferito dalle parole di lei, “io sto dalla tua parte, dalla nostra parte, ma sto soprattutto dalla parte della verità, qualunque essa sia. E se Ilenia è davvero innocente-“
 
“Allora ne dubiti? Tu pensi sul serio che possa essere coinvolta in un omicidio?” gli domanda, stupita ed addolorata, trafiggendolo con uno sguardo che gli fa male al cuore.
 
“Camilla, come faccio ad avere una qualsiasi opinione su un caso di cui, come te del resto, non so praticamente niente, se non il fatto che evidentemente è avvenuto sabato scorso e che devono avere trovato delle fibre o una qualche prova riconducibile a dei pantaloni bianchi?”
 
“Non conoscerai nulla del caso ma conosci Ilenia, come la conosco io, e dovresti sapere benissimo che non sarebbe mai capace di nulla di violento e sicuramente non di un omicidio. E-“
 
“E infatti penso, spero che sia innocente. E proprio per questo motivo credo che sia soprattutto nell’interesse di Ilenia che De Matteis trovi questi dannati pantaloni e si levi ogni dubbio, piuttosto che possa davvero pensare che li abbia fatti sparire lei di proposito perché aveva qualcosa da nascondere. E soprattutto, sinceramente, volevo evitare a tutti noi, a te, a Livietta, a tua madre e ad Amedeo altri interrogatori ed altre ispezioni e far capire a De Matteis che nemmeno noi abbiamo nulla da nascondere, anzi.”
 
“E quindi per evitare problemi a noi preferisci che De Matteis concentri tutta l’attenzione su Ilenia, senza nemmeno fare nulla per aiutarla?”
 
“Ma no, Camilla, certo che no, porca miseria! Ma se Ilenia se ne è andata di qui, se non ti ha voluto parlare, non pensi che l’abbia fatto perché, essendo una ragazza intelligente, nonostante abbia cercato di minimizzare con noi, si è resa conto lei stessa che la situazione è molto complicata e delicata? Che l’abbia fatto per proteggerci, perché ha capito che per il bene di tutti era meglio mettere delle distanze subito, prima che la situazione degeneri?”
 
“Ilenia è ancora solo una ragazza, una ragazza sola che si è abituata a non poter contare su nessuno se non su se stessa, con una madre fragile e debole e un padre violento. Ilenia ne ha già passate tante, troppe nella vita, Gaetano, e probabilmente, qualsiasi cosa sia successa, si sente in colpa verso di noi, si vergogna magari, ed è spaventata e confusa. E tu mi stai dicendo che dovrei assecondarla in questo suo ‘spirito di sacrificio’ ed abbandonarla a se stessa proprio quando ha più bisogno di me, sapendo oltretutto che non c’è nessun altro che possa aiutarla e starle vicino se noi le voltiamo le spalle? Che dovrei prendere le distanze da lei come se avesse un morbo contagioso ed incurabile, come se fosse un’appestata?” domanda, continuando ad alzare la voce, mentre gli occhi le si fanno sempre più umidi e continua a fissarlo in quel modo che gli fa salire un nodo in gola, come se lui l’avesse tradita, come un cane guarderebbe il padrone che lo sta abbandonando in autostrada.
 
“No, Camilla, no, ascoltami, ti prego, ascoltami,” la implora abbracciandola e non lasciandola andare nemmeno quando lei cerca di divincolarsi, tenendola stretta a sé fino a che si tranquillizza un attimo e smette di resistere, lasciandosi andare tra le sue braccia, e aggiungendo, guardandola dritta negli occhi, “sto dicendo che è nell’interesse di tutti, di Ilenia innanzitutto, oltre che nostro, che De Matteis creda che abbiamo preso le distanze da Ilenia, che non c’entriamo nulla, prima che farla incriminare, che provare la sua colpevolezza, diventi una questione personale, se non lo è già diventata, una sfida tra te e lui e magari pure tra Mancini e Marchese, già che ci siamo.”
 
“Gaetano…”
 
“Quindi non ti sto dicendo che devi abbandonarla e voltarle le spalle, ma che dobbiamo agire in modo razionale e ponderato, soprattutto per evitare di peggiorare ulteriormente la sua situazione. E ti sto dicendo anche che come Ilenia è indifesa e bisognosa di aiuto, lo è anche tua figlia e, anche se il termine indifesa non le si addice proprio, lo è anche tua madre, in un certo senso, ed Amedeo, che comunque sono anziani e… fragili e hanno già mille problemi. E tu non puoi per cercare di evitare un’ingiustizia ad Ilenia crearne delle altre, Camilla, a danno di persone che non c’entrano nulla e che non hanno scelto di giocarsi tutto, di partecipare ad una roulette russa. C’è anche la separazione con Renzo di mezzo… e i rapporti con lui sono molto tesi, per usare un eufemismo, ti rendi conto di cosa può succedere all’affidamento di Livietta se ti ritrovi denunciata per favoreggiamento in omicidio o se De Matteis mette in atto la sua minaccia e fa in modo che la nostra… collaborazione negli anni alle indagini venga a galla? Lo sai che dopo quello che è successo con quei diamanti già siamo sorvegliati speciali dal questore di Torino. E anche se lui ha un debole per te-“
 
“Gaetano, per favore,” protesta lei, scuotendo il capo, ma lui insiste, con un’espressione determinata e priva di dubbi.
 
“Ha un debole per te, questo non facilita le cose, anzi le rende, se possibile ancora più complicate e-“
 
“Gaetano-“
 
“Per favore, Camilla, fammi finire, poi puoi dirmi tutto quello che vuoi. Voglio aggiungere, prima che tu possa pensare che mi comporto così per paura delle conseguenze sulla mia carriera, che per te sarei disposto a farmi cacciare fuori a calci dalla polizia di stato anche domani, ma, per quanto voglia bene ad Ilenia e per quanto, te lo garantisco, desidero aiutarla tanto quanto te, prima di tutto devo pensare a proteggere te, Livietta e la nostra famiglia. Chiamami egoista se vuoi, ma per me voi venite prima di tutto e di tutti e non posso e non voglio fare nulla se so che questo vi metterà in pericolo, lo capisci?”
 
“Gaetano, lo capisco, capisco le tue paure e lo so benissimo che saresti disposto a giocarti tutto per me, per noi, me l’hai dimostrato mille volte, di recente proprio per la storia di quei maledetti diamanti, e anche io non farei mai nulla che possa mettere in pericolo te o Livietta o la nostra famiglia, però se posso fare qualcosa per Ilenia io devo almeno provarci, Gaetano. De Matteis io lo conosco bene, fa tante storie, fa la voce grossa, ma alla fine non ha mai fatto nulla quando si è accorto delle mie intromissioni nelle indagini e-“
 
“E non pensi che magari il fatto che tu e il produttore di vini molto affascinante aveste una relazione potrebbe aver inciso sulla sua decisione di chiudere un occhio? Che ora le cose potrebbero essere molto cambiate? Non so cosa sia successo tra te, De Matteis e suo fratello, per fargli nutrire tutto questo livore nei tuoi confronti, quasi come se avessi lasciato lui e non suo fratello… anzi, sinceramente questo mi porta anche a chiedermi se dietro a tutto questo risentimento non si celi ben altro.”
 
“Cosa? Gaetano, non dirmi che sei anche geloso di De Matteis adesso, per favore,” protesta di nuovo Camilla, con una mezza risata  incredula ed esasperata, avendo riconosciuto alla perfezione il tono dell’uomo, “io e De Matteis ci detestiamo da sempre!”
 
“Come si  suol dire, Camilla, chi disprezza compra… e raramente ho visto tanto accanimento, tanto interesse, anche se manifestato in modo negativo: è evidente che rivederti ha completamente sconvolto De Matteis.”
 
“No, in questo caso chi disprezza, disprezza e basta e la cosa è reciproca. Ma comunque, per quanto De Matteis possa avercela a morte con me, non credo che arriverebbe sul serio a denunciarci, Gaetano e-“
 
“Non credi o ne sei sicura? E poi c’è pure di mezzo Mancini e la sua rivalità con Marchese che, mi sembra evidente, è disposto a giocarsi pure la carriera per aiutare la Misoglio. E se Mancini lo intuisce, cosa pensi che succederà? Non credi che per creare problemi a Marchese sarebbe più che disposto ad accanirsi contro Ilenia per spingerlo ad andare troppo oltre e quindi a coinvolgere anche noi? Sai cosa succede se viene fuori che Marchese ha violato il segreto di indagine? Camilla, io di poliziotti come Mancini ne ho incontrati diversi durante la mia carriera: quelli che, per compensare le loro insicurezze, si fanno forti con i deboli e sono poi ossequiosi come degli zerbini con i superiori. E, ti garantisco, sono una delle categorie più pericolose di poliziotti che purtroppo abbiamo in giro, nonché una delle peggiori in assoluto da mettersi contro, specie quando sanno di avere un potere su di te.”
 
Camilla rimane per un attimo senza parole, ricordando le parole di Marchese sul mastino e stupendosi dell’intuito di Gaetano, di come fosse riuscito probabilmente, in pochi scambi di battute, ad inquadrare perfettamente Mancini. E tutto questo la preoccupa ulteriormente, perché, ora che si è un po’ calmata e ha avuto modo di riflettere, capisce che le preoccupazioni di Gaetano sono più che fondate. Che, se non sta attenta, rischia veramente di farsi male e soprattutto di fare del male a tutte le persone che ama di più e che vorrebbe solo proteggere.
 
“Quindi cosa dovrei fare, secondo te? Cosa dovremmo fare? Siamo davvero arrivati al momento in cui mi chiedi di fermarmi? Di non indagare? Di non andare questa sera da Marchese?” gli domanda, dopo un attimo di silenzio, guardandolo negli occhi, ricordando la loro conversazione, il loro chiarimento dopo la peggiore litigata che avessero mai avuto, dopo l’aggressione in casa per via di quei dannati diamanti, quando lui le aveva chiesto se sarebbe stata disposta a fermarsi se lui glielo avesse domandato.
 
“Ti fermeresti, se te lo chiedessi?” le chiede lui di rimando, ripetendole la domanda di allora, non spostando di un millimetro le pupille dalle sue.

Camilla apre la bocca per rispondere ma il dito di lui poggiato sulle sue labbra la ferma.
 
“Non devi rispondermi ora, Camilla, perché non te lo sto chiedendo, non adesso. E all’appuntamento con Marchese stasera ci andiamo insieme: voglio capire cosa succede, cosa possiamo fare, voglio valutare la situazione insieme a te. Ma quello che ti sto dicendo è che, per come si stanno mettendo le cose, il momento in cui ti dovrò fare questa maledetta domanda potrebbe purtroppo arrivare molto presto, anche se mi auguro di no. E quindi ti chiedo di rifletterci, perché se e quando quel momento arriverà, vorrei avere da te una risposta sincera e convinta, evitandomi ed evitandoci i teatrini che facevi con Renzo. Perché lo so benissimo che quando tu ti metti in testa di fare una cosa nessuno ti smuove e nessuno ti farà cambiare idea, professoressa.”
 
Si guardano per attimi infiniti, gli occhi lucidi, il cuore che fa male, la lingua come di cartavetra: conoscono entrambi benissimo la portata, la gravità delle conseguenze che potrebbero derivare da quella domanda e soprattutto da quella risposta.
 
E poi lei lo abbraccia stretto, senza parole, sentendo che anche lui si aggrappa a lei con una forza tale da toglierle il fiato.
 
Il loft, la luce e il calore, la spensieratezza di quella mattina sembrano improvvisamente chimere lontanissime, anche se sono passate solo poche ore, come un miraggio nel deserto che svanisce all’improvviso, lasciandoti in mano solo un pugno di sabbia che si disperde nell’aria.
 
***************************************************************************************
 
“E quindi stanno ancora cercando chi può avere rubato quella macchina?”
 
“Esatto prof., purtroppo è un lavoro lungo: ci sono un sacco di registrazioni da analizzare e ci vorrà un po’ di tempo…”
 
“A parte il casale agricolo all’inizio della strada e poi quello del signor Proietti e il capanno dello Scortichini, che sono a più di cinque minuti di auto, quindi isolati, non c’è altro in quella zona, giusto?”
 
“No, prof., potrebbe trattarsi di un cacciatore ma la coincidenza degli orari è strana, anche se l’auto è tornata indietro un po’ di tempo dopo il presumibile orario di arrivo dello Scortichini al suo capanno…”
 
“Beh, ma dalla recinzione e dal lembo di stoffa, sembra probabile al 99% che qualcuno si sia introdotto nella proprietà dello Scortichini quel giorno, e quindi dev’essere stato per forza chi era su quell’auto. Certo, non è detto che sia stato con intenti omicidi, però… A meno che vogliamo sospettare il Proietti, ma, visto che si è pure sentito male, e per come me l’avete descritto, credo che da quel posto preferisse rimanere alla larga.”
 
“Giusto, Gaetano. E, se l’intruso fosse stato colto di sorpresa dal ritorno dello Scortichini e se ne fosse andato in tutta fretta, come lasciato supporre dallo stato dei bidoni e della recinzione, nonché da quel frammento di stoffa, magari si è nascosto e ha aspettato un po’ a mettere in  moto la macchina e a tornare indietro per non far insospettire lo Scortichini. Del resto in quel posto isolato un rumore di motore non si sentirà spesso.”
 
“Già,” conferma Marchese, ammirato dalle intuizioni del vicequestore e della prof., ma soprattutto dal modo in cui lavorano insieme, una specie di rimpallo continuo di idee e di ipotesi, fino ad arrivare a quella giusta. Sono davvero un’ottima squadra.
 
“Marchese, sai cos’è che non mi torna di tutta questa storia?” domanda Camilla, dopo un attimo di riflessione, “capisco i motivi per cui Ilenia possa risultare sospetta: il suo mestiere, il fatto che sia qui a Roma, che non abbia un alibi e invece abbia un ottimo movente, gli psicofarmaci di sua madre, il rottweiler eccetera, eccetera… Ma ci sono quei segni di nastro adesivo sulla recinzione, che fanno supporre visite ripetute al capanno dello Scortichini. Mentre Ilenia è arrivata qui venerdì sera e prima stava a 700 chilometri di distanza.”
 
“De Matteis pensa che possa già essere venuta qui in precedenza, in qualche occasione.”
 
“Ma Ilenia ha mille lavori, è sempre impegnata e non ha molti soldi. Certo, d’inverno forse ha più tempo libero dato che il bioparco è chiuso ai visitatori, però gli animali vanno curati lo stesso… E poi se fosse venuta a Roma nei mesi scorsi con i mezzi pubblici o in auto avreste modo di verificarlo, no?”
 
“Sì, prof., e infatti De Matteis ci sta facendo fare verifiche in tal senso. Se ne sta occupando Grassetti.”
 
“E poi non solo dubito che Ilenia abbia le conoscenze necessarie per rubare un’automobile, ma, dalle tempistiche che mi hai elencato, come avrebbe fatto in due ore, peraltro il primo giorno in cui era qui a Roma, ad andare dal centro città all’EUR con taxi o mezzi pubblici, trovare il veicolo ideale, rubarlo e recarsi in un luogo isolato in campagna ad imbottire di psicofarmaci il cane dello Scortichini? Già solo di spostamenti ci avrebbe messo più di un’ora in tutto, diciamo pure un’ora e un quarto, quindi lasciandole pochissimo tempo per trovare e rubare l’auto.”
 
“Sì, hai ragione,” annuisce Gaetano, consultando il tovagliolo su cui Camilla si era annotata le tempistiche, dalle 15.25 di sabato in poi, “è fattibile per un professionista che conosce anche bene le vie e sa muoversi a colpo sicuro. Non per una ragazza che è appena tornata a Roma dopo anni di assenza e che in teoria nella vita fa tutt’altro mestiere. Questo come se lo spiega De Matteis? O non se lo spiega? Perché mi sembra evidente che o valutiamo l’ipotesi di un complice professionista o il tutto appare molto improbabile.”
 
“Penso che De Matteis non escluda l’ipotesi che la Misoglio abbia avuto un aiuto da qualcuno, sì. Del resto lo Scortichini frequentava giri a dir poco loschi e aveva già subito un avvertimento.”
 
“Il famoso pestaggio… e anche quello mi sembra inverosimile possa essere stato compiuto da una ragazza come Ilenia, anzi, devono essere state più persone, immagino.”
 
“Sì, dottore, dai referti del medico si pensa almeno a due persone. Lo Scortichini era un uomo robusto e forte, nonostante l’età… E comunque il pestaggio è avvenuto ormai quattro anni fa e allora Ilenia andava ancora all’università e aveva l’obbligo di frequenza con la firma. Abbiamo già verificato con la segreteria ed effettivamente era a Torino, senza ombra di dubbio, sia in quel giorno che in quelli precedenti e successivi.”
 
“E quindi, secondo De Matteis, prima Ilenia si sarebbe fatta aiutare da dei professionisti ma poi avrebbe agito di persona nel ‘dopare’ il cane?” domanda Camilla, dubbiosa.
 
“Beh, se fosse per vendetta, il volerlo fare di persona avrebbe un senso, forse,” ammette Gaetano, apparendo come lei poco convinto, “però che un criminale professionista acconsenta ad un metodo così poco ortodosso e anche rischioso e possibilmente fallimentare per un’esecuzione… mi sembra improbabile, sinceramente. A meno che si ipotizzi che Ilenia abbia assoldato un professionista prezzolato, su commissione, per fare parte del lavoro sporco al posto suo.”
 
“E dove l’avrebbe trovato il professionista prezzolato? Sulle pagine gialle?” domanda Camilla, con un sopracciglio alzato, “per non parlare dei soldi, e poi… Ilenia mandante tipo Al Capone… ma dai, non sta in piedi!”
 
“Lo so Camilla, non devi convincere me, ma De Matteis,” le fa notare Gaetano,  aggiungendo poi con un sospiro, “e comunque esiste sempre la possibilità che Ilenia possa davvero avere fatto tutto da sola. È improbabile, ma non impossibile. Certo, avrebbe richiesto una grande preparazione, ma se di omicidio si tratta, è evidente che l’assassino ha studiato molto per prepararlo, fin nei minimi dettagli. Per ora, a parte forse l’auto, ha fatto un solo possibile passo falso: quel frammento di stoffa sulla cancellata.”
 
“A proposito di stoffe e pantaloni, non hanno trovato niente alla tenuta?”
 
“Per ora no, prof.: la povera Grassetti ha perfino fatto passare tutti i rifiuti, ma niente,” spiega Marchese, ripensando alla collega che era tornata sporca, puzzolente ed inviperita come non l’aveva mai vista prima, soprattutto dato che De Matteis le aveva pure ordinato di andare a lavarsi con aria schifata. Per la serie: oltre al danno la beffa. Marchese aveva avuto per un attimo la sensazione che Grassetti stesse per mandare a quel paese il vicequestore, tanto era fuori di sé.
 
E il solo ricordo, il solo pensiero di quel terribile fetore rendono ancora più indigesto l’hamburger che sta cercando di mangiare, seduto ad un tavolino dell’affollato fastfood. Del resto non c’è nulla di meglio di una folla di gente per mimetizzarsi ed avere riservatezza, paradossalmente.
 
“Strano… e Ilenia che dice? Le avete chiesto che fine hanno fatto i pantaloni? Non so cosa ricordi Sammy, ma io effettivamente non ricordo di aver lasciato indietro delle cose in quella stanza, anche se era talmente tanto il trambusto che…”
 
“Non dice nulla, prof.. Non solo perché parla a monosillabi, ma perché De Matteis finora non ci ha autorizzato a dire nulla ad Ilenia sulle fibre trovate sulla recinzione. Certo, ora voi potreste riferirle che lui ha fatto cercare i suoi vestiti di sabato e in particolare i pantaloni, ma credo che De Matteis contasse sul fatto che lei sia andata in albergo e che quindi avreste avuto meno occasioni di scambiare informazioni. Penso non voglia scoprire le carte su questo punto se non all’ultimo, però ormai non ha molte alternative, dato che i pantaloni non si trovano.”
 
“De Matteis deve riporre molte speranze su queste fibre,” commenta Camilla, giocherellando distratta con le patatine, lo stomaco chiuso da ore ormai.
 
“Per forza: Ilenia non aveva tutti i torti. Da quello che ci hai detto, Marchese, non avete quasi nulla in mano, se non un sacco di indizi ed elementi circostanziali, che non reggerebbero non solo in tribunale, ma nemmeno davanti al G.I.P.. Certo, ci sono un po’ troppe coincidenze sospette, ma nessuna prova concreta che collochi Ilenia sulla scena del crimine o che ci dimostri con certezza che non si sia trattato di un incidente. Le fibre sono l’unica di speranza di De Matteis, per ora. E la sparizione dei pantaloni lo convincerà sicuramente ancora di più della colpevolezza di Ilenia, anche se non la può provare, per ora.”
 
“Quindi rimani convinto che sia meglio per Ilenia che vengano ritrovati?”
 
“Se è innocente, sì, questo aiuterebbe ad allontanare da lei i sospetti,” conferma Gaetano, dopo un attimo di riflessione.
 
“Certo che è innocente!” proclama Marchese, determinato, con un tono di voce così alto che alcune persone nei tavoli intorno si girano verso di lui, aggiungendo poi, a voce più bassa, “ma quindi dove saranno finiti? Non possono essere spariti.”

“Secondo me l’unica è chiedere ad Ilenia e sentire cosa dice.”
 
“Finché De Matteis non mi autorizza, non posso mettermi in contatto con lei. Se almeno fosse rimasta a casa sua, prof.! Ma in albergo possono controllare tutte le chiamate e tutte le visite.”
 
“E la cameriera?”
 
“Non l’abbiamo ancora sentita, lo faremo probabilmente domani mattina… Ma se lei ricorda che nella stanza non c’era niente…” sospira Marchese, accartocciando il tovagliolino di carta e gettandolo nel cartone vuoto dell’hamburger.
 
“Ma certo!” esclama Camilla, all’improvviso, quasi facendoli sobbalzare sulla sedia, “Marchese, non c’era nulla nella stanza, ma il cestino… il cestino ora che mi ci fai pensare era quasi pieno. Tanto che ho faticato a farci stare un paio di bottigliette d’acqua del frigobar, quelle piccole di vetro, che avevamo usato per dare le medicine ad Ilenia. Sul momento non ci ho fatto caso ma tutti quei rifiuti in poche ore di permanenza… è strano.”
 
“Sì, è strano, ma se nel cassonetto Grassetti non ha trovato niente…”
 
Gaetano e Camilla si guardano, capendo di avere avuto entrambi la stessa intuizione.
 
“Beh, potrebbe esserci stato un intoppo prima, nel percorso. Fossi in te interrogherei molto bene la cameriera, Marchese. Di questi tempi un paio di pantaloni possono essere un rifiuto appetibile. Anche se, se così fosse, mi chiedo perché Ilenia li avrebbe gettati via,” commenta Camilla, preoccupata, rendendosi conto delle possibili implicazioni.
 
“Non vorrei finire per metterla ancora più nei guai,” sospira Marchese, scambiando uno sguardo eloquente con la prof. e con il vicequestore.
 
“Scoprire la verità non mette mai nei guai chi è innocente, Marchese, questa è la convinzione su cui si basa il nostro mestiere e non possiamo astenerci dal scoprirla, per quanto possa risultare scomoda o dolorosa o pericolosa,” gli ricorda Gaetano, con il tono con cui parlerebbe ad uno dei suoi sottoposti quando vengono a chiedergli consiglio.
 
“Ma ci sono anche tanti errori giudiziari e tanti innocenti in carcere, Gaetano, e tu lo sai,” interviene Camilla, guardandolo dritto negli occhi.
 
“Lo so, ma, tranne casi di malafede, gli errori giudiziari derivano proprio dal non aver scovato la verità, non tutta la verità almeno, magari solo una parte e averle dato un’interpretazione sbagliata. Ed è questo il nostro compito, andare fino in fondo, al 100%, ovunque ci conducano le indagini e seguire la verità, non cercare di ignorarla per paura di cosa potremmo scoprire. Perché, se no, non siamo meglio dei criminali a cui diamo la caccia o dei giustizieri da far west, o dei corrotti che pensano che la legge non sia uguale per tutti.”
 
Camilla annuisce, sorridendo orgogliosa, anche se con uno sguardo malinconico, appoggiando la sua mano su quella dell’uomo e stringendola forte.
 
“Ha ragione, vicequestore, ha assolutamente ragione e non mi tirerò indietro, qualsiasi cosa succeda, scoprirò cosa è successo allo Scortichini. E sono sicuro che così scagionerò Ilenia,” afferma Marchese, deciso, con tono ammirato, non potendo evitare di pensare con rimpianto a quanto sarebbe stata diversa la sua carriera in polizia se Berardi fosse rimasto a Roma. Ora capisce perché Torre lo rimpiangeva a tal punto da parlarne in continuazione e da essersi perfino fatto trasferire a Torino per tornare a lavorare con lui.
 
“E, per quanto mi sia possibile, ti aiuterò, ti aiuteremo, ma senza fare pazzie, chiaro?” domanda Gaetano, alternando lo sguardo tra Camilla e il ragazzo, sembrando voler leggere loro dentro.
 
“Chiaro,” risponde Marchese, mentre Camilla si limita ad annuire e a stringergli ancora più forte la mano, in un patto solenne.
 

 
 
 
Nota: Innanzitutto chiedo venia per il ritardo ma in questo periodo sono incasinatissima sul lavoro. Spero che il capitolo possa ripagarvi dell’attesa. Come si può intuire, nel prossimo capitolo Camilla, Gaetano, per una volta nei panni della “prof.”, e Marchese si troveranno uniti ad indagare per scagionare Ilenia ed entreremo nel “cuore” di questo giallo ma… non sarà affatto semplice, ci saranno molte rivelazioni ma anche molte nuove domande: non tutto è come sembra ;). E tra De Matteis e Mancini ormai sul piede di guerra, il rischio per Gaetano di dover porre quella famosa ed odiata richiesta a Camilla aumenta sempre di più.
 
Vi ringrazio tantissimo per i vostri commenti, spero che il giallo rimanga interessante, fatemi sapere cosa vi ha convinto di più e cosa di meno, io sto cercando di mantenere il tutto realistico: gli indizi, le scoperte, le deduzioni e le tempistiche, ma non è semplice e quindi i vostri pareri e le vostre critiche mi aiutano moltissimo a capire cosa va bene e cosa invece è meglio limare o evitare.
 
Ringraziandovi ancora per avermi seguita fin qui, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo, che, salvo miracoli, dati i miei impegni lavorativi, arriverà non questo ma il prossimo weekend (probabilmente il 15). Poi gli aggiornamenti, dovrebbero tornare più frequenti e a cadenza settimanale :).

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Deception ***


Capitolo 34: “Deception”


Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono ma sono di proprietà dei rispettivi proprietari/detentori di copyright. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

 
“Scusami, Gaetano, ma mi è rimasto un dubbio: come ha fatto Scortichini ad essere assolto per mancanza di prove, se aveva confessato?”
 
Sono in auto e stanno tornando a casa dopo aver salutato Marchese ed essersi accordati per tenersi aggiornati a vicenda. Si erano quindi dati appuntamento per la sera dopo in un famoso pub del centro di Roma. Se Marchese non si fosse presentato, sarebbe stato un segnale che i loro movimenti erano seguiti dalla polizia. Avevano ritenuto più prudente evitare le telefonate e qualsiasi cosa potesse essere registrata.
 
“Vedi, Camilla, è che per spingerlo a confessare io e Sonia… la dottoressa De Giorgis,” si corregge, quando nota l’occhiataccia di lei al sentirgli pronunciare quel nome, “insomma, per spingerlo a confessare, avevamo organizzato quella messa in scena con i punkabbestia minacciosi ed arrabbiati. Quella che avevamo studiato insieme io e te, ti ricordi no?”
 
“Certo, certo che mi ricordo. Per mettergli paura e convincerlo che fosse meglio rimanere in galera che stare fuori.”
 
“Esatto, ma il problema è che Scortichini era un osso duro e non mollava, continuava a negare tutto e avevamo prove circostanziali, che anzi, sinceramente, avrebbero potuto incriminare di più la tua amica Martina Predolin che lui, dato che la pistola l’aveva gettata via lei e che non c’era alcuna prova concreta che arrivasse proprio dallo scambio dei loden o che questo scambio fosse mai avvenuto. Comunque, per farlo confessare, gli ho strappato un capello e, d’accordo con la dottoressa De Giorgis, gli abbiamo detto di aver ritrovato un capello sul loden che Martina aveva preso per sbaglio e che il DNA l’avrebbe inchiodato.”
 
“E non era vero?”
 
“In parte: avevamo trovato un capello, ma era senza il bulbo, e quindi inutilizzabile.”
 
“Capisco…”
 
“E quindi Scortichini al processo d’appello s’è trovato un ottimo avvocato, che mi chiedo ancora come sia riuscito a pagare, tra parentesi, e ha convinto il giudice che la confessione fosse avvenuta in un momento di non lucidità e non fosse ammissibile come prova. Abbiamo anche rischiato problemi legali e lavorativi sia io che la dottoressa De Giorgis, ma per fortuna il giudice non è arrivato a tanto e non ha voluto mettere in dubbio la nostra buona fede. Ma nel frattempo lo Scortichini è riuscito ad uscire di galera e a tornare in libertà.”
 
“Ma come mai non me ne hai mai parlato? Soprattutto dopo che abbiamo rivisto Ilenia e abbiamo iniziato a frequentarla?” gli domanda, e, anche se deve guidare e può solo sbirciarla di sfuggita ogni tanto, percepisce lo sguardo di lei fisso sul suo viso.
 
“Perché me l’ha chiesto proprio Ilenia di non dirti nulla, Camilla…” ammette, stringendo quasi inconsciamente di più il volante.
 
“Cosa? Ma perché? E quando?” esclama lei stupita, alzando anche il tono di voce.
 
“Sai, quando ci siamo sentiti al telefono per la prima volta, per metterci d’accordo sul babysitting di Tommy, ho voluto chiederle scusa per quello che era successo e dirle quanto mi dispiaceva per… per non essere riuscito a far avere giustizia a suo fratello. E lei mi ha assicurato di essere convinta che avevo, che avevamo fatto tutto il possibile e che sapeva che non ci potevo fare più niente, anche volendo. Mi ha detto che stava guardando avanti, che aveva ormai accettato la situazione e che comunque lo Scortichini non era la persona che più incolpava per la morte di suo fratello.”
 
“Eh, certo, incolpava suo padre, giustamente,” intuisce Camilla, rabbrividendo al sol pensiero di quell’uomo che, per fortuna, aveva avuto il dispiacere di conoscere solo per brevi istanti.
 
“Esatto, e mi ha chiesto di non dirti niente, sapendo che altrimenti ti saresti sentita in colpa e ti saresti tormentata per non averla potuta aiutare più di così e… conoscendoti, Camilla, ho pensato che fosse la cosa migliore. Che fosse inutile rivangare questa storia e rischiare di farti stare male, soprattutto visto che, per l’appunto, non ci potevamo ormai fare più niente,” spiega, trattenendo il fiato e attendendo la reazione che, come prevedibile non tarda ad arrivare.
 
“E quindi per non farmi stare male hai preferito nascondermelo? Ma non sei stato tu a dirmi che volevi condividere tutto con me, non ci siamo promessi che non ci sarebbero stati segreti tra noi?” domanda lei, ferita, guardandolo di nuovo in quel modo che lo fa sentire un verme.
 
“Lo so, ma-“
 
“Ma niente! Ma per chi mi hai preso? Per una bambola di porcellana o per una di quelle dame da romanzo rosa, quelle che svengono ogni due minuti?” esclama alzando la voce, tanto da spingerlo ad accostare la macchina per poterla guardare negli occhi.
 
“Camilla, ma certo che no, non l’ho mai pensato, nemmeno lontanamente! Lo so che sei una donna forte, probabilmente anche più forte di me, ma so anche quanto tu sia sensibile e generosa e quanto non ti dia pace per le ingiustizie, anche e soprattutto per quelle che non puoi risolvere. E Ilenia ha così insistito che ho anche pensato che forse lei stessa non era pronta a parlarne, a rievocare quel periodo e che te l’avrebbe raccontato se e quando l’avesse ritenuto opportuno.”
 
“E invece magari parlarne con qualcuno era proprio quello di cui aveva bisogno, Gaetano. E comunque non era giusto che tu decidessi anche per me, lo capisci?” gli domanda, con tono più calmo ma dal retrogusto amaro.
 
“Sì, lo capisco, e hai ragione, Camilla, scusami. Ma ti garantisco che non ti nasconderei mai nulla di importante… però se qualcuno mi chiede di mantenere il segreto su qualcosa che non riguarda direttamente noi due o i nostri cari e che non avrà alcuna ripercussione su… sulla nostra famiglia… cosa dovrei fare?” le chiede, catturando la mano destra di lei nella sua e tirando un sospiro di sollievo quando lei non la ritrae.
 
“Sì, non hai tutti i torti…” sospira lei dopo un attimo di riflessione, mentre il suo cuore si ferma come sempre per qualche istante quando lui pronuncia quelle due parole – nostra famiglia. Perché, sebbene stiano insieme tutto sommato da poco, nonostante non ci sia alcun vincolo tra loro secondo la legge e non convivano nemmeno più – almeno per il momento – anche lei non riuscirebbe a definire il rapporto che si è creato tra lei, Gaetano, Livietta e Tommy in nessun altro modo.
 
“Gaetano, non pretendo che tu mi venga a riferire ogni singola cosa, che ti debba sempre sentire in obbligo di raccontarmi tutte le confidenze altrui, però per me questa cosa ci riguardava ed era ed è importante, non solo perché voglio molto bene ad Ilenia, e lo sai, ma anche perché quel caso l’avevamo affrontato insieme.”
 
“D’accordo, messaggio ricevuto, professoressa,” la rassicura, posandosi la mano di lei sul cuore, “è che… non sono abituato a… tutto questo, ad avere questa… intimità con qualcuno e non sto solo parlando delle altre donne con cui sono stato, Camilla, ma anche dei miei amici e della mia… famiglia. E, anche se tu non immagini nemmeno cosa significhi per me, quanto l’abbia desiderato quello che stiamo costruendo, vivendo insieme, è ancora tutto nuovo per me e a volte non so come muovermi, come regolarmi e mi sento imbranato ed inadeguato come un ragazzino e-”
 
“Gaetano…” sussurra lei, mentre l’irritazione evapora e lascia di nuovo il posto a quel blocco allo stomaco agrodolce, soprattutto quando nota la differenza tra il modo malinconico e quasi aspro in cui ha pronunciato la parola famiglia ora, riferendosi ai suoi genitori, rispetto alla dolcezza e al calore di pochi istanti fa, quando parlava di lei, di loro.
 
In un impulso circumnaviga gli stretti spazi dell’abitacolo e se lo abbraccia forte.
 
“Ti garantisco che te la cavi benissimo, molto più di quanto avrei mai osato sperare,” gli sussurra nell’orecchio, sentendo le braccia di lui stringersi ancora di più attorno alla sua vita, “ed è proprio per questo, perché mi sto abituando così bene, a poter dividere davvero tutto con te, e ti garantisco che nemmeno a me era mai successo prima, non in un modo così… profondo e naturale almeno, che mi… mi fa male quando scopro che c’è qualcosa che senti di non poter condividere con me. E probabilmente non è giusto nei tuoi confronti che pretenda tanto da te ma…”
 
“Mi stai dicendo che sono come uno di quegli studenti con la media del nove, che quando prendono sette, deludono le tue aspettative?” le domanda con un sorriso, allentando leggermente l’abbraccio per accarezzarle il viso.
 
“Come siamo modesti, dottor Berardi,” replica, scuotendo il capo e facendolo ridere, per poi però abbracciarlo ancora più forte ed aggiungere in sussurro, “ma te lo puoi permettere: sei da dieci e lode.”
 
***************************************************************************************
 
“Sammy? Che ci fai qui?”
 
“Finalmente, prof.: è da un’ora che aspetto e ormai pensavo non tornaste più,” replica la ragazza, uscendo dalla  macchina parcheggiata di fronte a casa di Andreina, “sua madre mi ha detto che non c’eravate ma io ho bisogno di parlarvi.”
 
Camilla sbircia con la coda dell’occhio Rosetta che “passeggia” all’ingresso del condominio, sebbene sia ormai quasi mezzanotte.
 
“Ma è tardissimo, e tuo marito?” le domanda, avendo ormai intuito la gelosia dell’ispettore Mancini e stupendosi che Sammy esca da sola a tarda notte.
 
“Pietro è al lavoro, temo che si sia ormai fissato sul caso di Ilenia, prof. ed è proprio di questo che voglio parlarle.”
 
“E tu come lo sai? Te l’ha detto lui di Ilenia?”
 
“No, anzi, non me ne voleva parlare, ma l’ho incontrata oggi di fronte alla questura e mi ha detto che è indagata per omicidio. Solo che quando ho telefonato a casa di sua madre per avere sue notizie, il marito di sua madre mi ha detto che Ilenia non sta più qui con voi. L’ho chiamata sul cellulare ma è sempre staccato e non so come raggiungerla…”
 
“Ti ha seguita qualcuno?” domanda Gaetano preoccupato, guardandosi intorno.
 
“No, no, sono sicura di no. E comunque i colleghi di Pietro li conosco tutti, se fossero qui intorno me ne sarei accorta,” spiega, cogliendo al volo il cuore del problema.
 
“Sammy, di cosa mi vuoi parlare?” chiede Camilla, intuendo e temendo già quello che seguirà.
 
“Prof., lei pensa di… di aiutare Ilenia, vero?”
 
“Sammy, la situazione è complicata e… e poi…”
 
“E poi mio marito è convinto che lei sia colpevole e questo mi mette in una posizione scomoda. Lo so, prof., ma… vorrei capire quanto è grave la situazione. Pietro è un pezzo di pane, prof., nella vita di tutti i giorni almeno, ma sul lavoro lo so come è fatto e se si mette in testa qualcosa non molla. E io ho paura per Ilenia, prof., ma non so a chi chiedere notizie. Ho provato a parlarne con Pietro ma già abbiamo litigato e pure di brutto e so già che non mi dirà niente. E non posso chiedere a Marchese, prof., per le ovvie ragioni che immaginerà anche lei… a volte penso che mi odi, oltre ad odiare Pietro…”
 
Camilla sospira: la ripetizione in serie della parola prof. denotava chiaramente l’agitazione di Sammy. Lo faceva anche quando la chiamava alla lavagna e non aveva studiato.
 
“Marchese non ti odia, Sammy, ma sai anche tu che con tuo marito come superiore… è una situazione complicata ed imbarazzante per tutti. Comunque, De Matteis e anche tuo marito ci hanno intimato di restare fuori da questo caso e di non occuparcene, sia a me che a Gaetano e… non vogliamo problemi, ma soprattutto non vorremmo crearne alla tua vita di coppia.”
 
“E quindi non farete nulla per Ilenia?” le domanda, la sorpresa e la delusione evidenti nella voce.
 
“Credo che quello che Camilla sta cercando di dirti, Sammy, è che qualsiasi cosa potremo o non potremo fare per Ilenia, è meglio per tutti se non te ne parliamo,” si inserisce Gaetano, notando quanto Camilla sia in difficoltà.
 
“Quindi siccome sono sposata con Pietro pensate di non potervi fidare di me, è così? Che non saprei mantenere un segreto?” chiede, alzando la voce, il tono sempre più amareggiato.
 
“No, Sammy, non sto dicendo questo e nemmeno Gaetano. Lo so che saresti capace di mantenerlo il segreto, ma è proprio questo il problema: ho provato per esperienza cosa succede ad una coppia quando cominciano ad esserci segreti, specie se riguardano un argomento sul quale uno dei due è completamente intransigente, come in questo caso lo è tuo marito. E poi se tuo marito lo scoprisse, oltre ai problemi che si creerebbero tra voi, sicuramente questo non farebbe che peggiorare la posizione di Ilenia,” spiega Camilla, posandole una mano sulla spalla per cercare di tranquillizzarla e di farle capire il suo punto di vista.
 
“Prima di tutto non è detto che Pietro lo scopra, prof., e poi, se seguissi il suo ragionamento, per quieto vivere dovrei assecondare tutte le decisioni di mio marito, tutte le sue idee, anche quando penso che stia sbagliando?”
 
“No, Sammy, però… dovreste parlarne, dovresti parlarne con lui, chiarirti con lui, fargli comprendere che secondo te si sbaglia, non agire alle sue spalle. Lo capisci?”
 
“Ma l’avrà capito anche lei com’è fatto… non ho alcuna speranza di fargli capire che si sbaglia, se non posso dimostrarglielo in modo oggettivo. Anzi, come dice lei, si irriterebbe solo di più e questo peggiorerebbe la posizione di Ilenia,” sospira la ragazza, aggiungendo poi, dopo aver notato lo scambio di sguardi tra Camilla e Gaetano, “lo so cosa starete pensando, ma Pietro davvero non è cattivo, anzi, però sul lavoro è completamente intransigente: è il suo tallone d’Achille. Per favore, vi chiedo solo di farmi almeno capire che cosa sta succedendo ad Ilenia e se può contare su qualcuno o no.”
 
“D’accordo,” sospira di rimando Camilla, dopo essersi scambiata un altro cenno di intesa con Gaetano, “ma non qui in strada: vieni con noi.”
 
***************************************************************************************
 
“Mancini, Grassetti, ma siete ancora qui?”
 
De Matteis posa lo sguardo sull’ispettore e sull’agente, seduti davanti agli schermi che proiettano i filmati delle varie telecamere di sorveglianza. Un lavoro immane che avevano iniziato diversi agenti quel pomeriggio e che a quanto pare Mancini stava portando avanti ad oltranza. Grassetti appare esausta e sembra quasi malata.
 
“Sì, dottore: credo che sia importante scoprire chi ha rubato quell’auto. Ormai la Misoglio è stata allertata e dobbiamo chiudere il cerchio prima che riesca a sfuggirci… avere elementi concreti in mano per ottenere i decreti di perquisizione che ci servono.”
 
“Quindi è convinto che i pantaloni siano o da qualche parte a casa della Baudino o in quella tenuta?”
 
“Non credo possano essere altrove. Ho controllato personalmente con Marchese i bagagli della Misoglio dopo che è arrivata in albergo e non c’erano…”
 
“E l’agente Luciani è sempre di guardia fuori dall’albergo?”
 
“Sì, dottore: se la Misoglio fa anche solo un passo fuori da lì lo sapremo.”
 
“Novità su queste telecamere?” chiede, rivolgendosi a Grassetti, che continua ad osservare gli schermi, trattenendo uno sbadiglio
 
“Per ora niente: stiamo ricostruendo il percorso e in un paio di filmati si vede l’auto, ma non il conducente,” risponde Grassetti, con la voce velata dal sonno.
 
“Sentite, entro mezz’ora al massimo vi voglio fuori di qui. Per quanto la Misoglio sia estremamente sospetta, se questo caso si concludesse con un nulla di fatto non potete sprecarci tutte le vostre energie: mi servite vigili ed attenti.”
 
“Sì, dottore,” annuisce Mancini, anche se con un po’ di riluttanza, sorpreso da quest’ordine di De Matteis, osservandolo uscire da lì, intento a ripulirsi furiosamente gli occhiali, come spesso fa quando è immerso nei suoi pensieri.
 
 
***************************************************************************************
 
“Ma quindi, a quanto capisco, Ilenia per ora non rischia molto…”
 
“Se non trovano nuovi elementi più compromettenti, no, non hanno nulla in mano che possa reggere di fronte al GIP,” conferma Gaetano, sorseggiando il suo vermouth.
 
Certo, il bar vicino all’appartamento di Andreina non è il “loro” bar e la marca dell’alcolico non è la loro preferita, ma fa un certo effetto ritrovarsi nuovamente a sorseggiarlo a tarda notte, come avveniva in qualche occasione tanti anni fa, quando questi appuntamenti erano spesso l’unico modo per vedersi e scambiarsi informazioni, sguardi, battute, qualche raro contatto, sempre troppo intenso e troppo breve. E la presenza di Sammy lo riporta indietro al loro primo incontro, al loro primo caso, solo che adesso è tutto cambiato: lei è sempre la prof., ma lui, almeno qui e ora, non è più il commissario, ma solo un privato cittadino che, proprio come lei, si sta occupando di cose che non lo riguardano affatto.
 
“Sentite, io posso andare e venire quando voglio dalla questura, sono amica di Grassetti e poi conosco tutti lì. Se serve posso procurarvi informazioni, fare da ponte… Lo so che vi sta già aiutando Marchese, ma è probabile che Pietro lo tenga d’occhio e-”
 
“No, Sammy, è troppo rischioso: non pensi che sia tuo marito che De Matteis potrebbero sospettare qualcosa? Lo sanno che sei amica di Ilenia e credo che terranno d’occhio anche te… e poi-“
 
“E poi Pietro non farà mai nulla contro di me, prof., mentre contro Marchese sì, e lo sapete anche voi. Pietro so come prenderlo e-“
 
“E magari non rischierai la galera o il posto come Marchese, ma rischi di mettere in pericolo il tuo matrimonio, Sammy. Ti sei sposata da poco e sembrate felici insieme: è davvero quello che vuoi? Quando la fiducia si spezza… non si torna indietro,” risponde Camilla, con tono amaro e malinconico, tanto che Gaetano si volta a guardarla, chiedendosi se stia pensando a quello che è accaduto con Renzo. O, peggio, a quello che potrebbe accadere a loro se non stanno attenti.
 
“Pietro mi ama, prof., e anche io lo amo e… anche se dovesse scoprire qualcosa, sono sicura che alla fine capirà, che mi perdonerà, anche perché dovrà riconoscere che avevo i miei buoni motivi per agire così, dato che Ilenia è innocente,” afferma Sammy, decisa e determinata.
 
“Non lo so, Sammy, non so se posso permetterti di rischiare tanto e-“
 
“Ah no? E perché lei invece può rischiare tanto, eh, prof.? Non sono più una ragazzina, anzi, sono più che maggiorenne e lei non ha il diritto di dirmi cosa posso o non posso fare. Quindi o mi permette di aiutarla ad aiutare Sammy, o farò da sola!”
 
Camilla e Gaetano si lanciano un’altra occhiata: riconoscono entrambi quello sguardo di Sammy, e poi Camilla l’aveva visto più di una volta durante le indagini sulla morte di Nicola. Sanno che la ragazza ormai ha deciso e che non riusciranno mai a farle cambiare idea.
 
E, tra lei e Marchese, Gaetano non sa da chi temere i peggiori colpi di testa: questa storia gli piace sempre di meno e lo preoccupa sempre di più.
 
Ma a questo punto, per contenere i danni, c’è un’unica cosa sensata da fare.
 
***************************************************************************************
 
“Pronto?”
 
“Ilenia?”
 
“TU? Che cosa vuoi da me? Hai un bel coraggio a chiamarmi ancora, dopo che ti avevo detto che non volevo più vederti né sentirti,” esclama, improvvisamente sveglia, nonostante sia l’una di notte e si fosse appena addormentata.
 
“Ilenia, so cos’è successo allo Scortichini, so che è stato ucciso, che non è stato un incidente e soprattutto so chi è stato.”
 
“Cosa? Dove sei? Dimmi dove sei!”
 
“Sapevo che avresti cambiato idea… ci troviamo domani, stesso posto e stessa ora dell’altro giorno. Ora devo andare.”
 
“Pronto?! Pronto?!”  quasi urla nella cornetta, ma è tutto inutile: ha già riattaccato.
 
***************************************************************************************
 
“Dove sei stata?!”
 
“Potrei chiedere la stessa cosa io a te, non pensi?” gli domanda, notando la divisa ancora indosso e sapendo che di solito la toglie poco dopo essere tornato a casa.
 
“Io ho lavorato e ti avevo avvertito che avrei fatto tardi. Cosa che tu invece non hai fatto: dove sei stata?” le chiede di rimando, evidentemente irritato, per non dire arrabbiato.
 
“Sono uscita con dei miei amici a bermi qualcosa. E, prima che tu me lo chieda, amici non indagati di omicidio,” ribatte, dato che in fondo è la semplice e pura verità.
 
“Cos’è, una ripicca per la tua amica Ilenia?”
 
“No, semplicemente, dato che secondo te sono infantile ed immatura, ho deciso di fare quello che le persone infantili ed immature della mia età, e anche della tua, in realtà, fanno dopo una mega litigata con il marito, che invece di tornare a casa e magari scusarsi, preferisce starsene fino a tardi al lavoro, oltretutto per cercare di incriminare la compagna di banco, nonché una delle più care amiche della moglie,” sibila, mentre tutta la rabbia del litigio ritorna alla galla: improvvisamente non è più solo una tattica per sviare le domande di Pietro.
 
“Se ti ho detto quelle cose è perché a volte ti comporti come una ragazzina, come ammetti tu stessa: andarsi a divertire con gli amici non mi sembra una reazione normale dopo un litigio con il proprio marito. Io sono stato male e-“
 
“E hai uno strano modo di dimostrarlo! E poi, chi ti ha parlato di divertirsi, eh? Perché, uno non può farsi sostenere ed ascoltare dai propri amici, quando la persona che dovrebbe farlo preferisce stare altrove? E comunque, se volevi una donna adulta e matura, dovevi sposarti con una quarantenne, magari come la tua ex, non con una ragazza di 27 anni e poi rinfacciarmi se mi comporto a volte, appunto, come una ventisettenne! Ma forse ti sei già pentito di avere scelto me!”
 
“Sammy…” sussurra, vedendo gli occhi di lei riempirsi di lacrime, mentre Sammy ormai non riesce più a separare le omissioni dalla realtà e la realtà è che il comportamento di Pietro negli ultimi giorni, da quella maledetta serata della rimpatriata in poi, le ha fatto davvero male.
 
“Scusami, amore mio, scusami, e non piangere, ti prego: io voglio solo te, ti amo esattamente così come sei e non mi pentirò mai di averti scelta, anzi, non saprei stare senza di te,” proclama con voce roca, abbracciandola e tenendola stretta a sé fino a che lei smette di protestare.
 
Avvolta tra quelle braccia che l’hanno sempre fatta sentire protetta e in pace, improvvisamente Sammy non sa se sia più il sollievo che prova o più il senso di colpa.
 
Ma la professoressa aveva ragione: ormai non si torna più indietro.
 
***************************************************************************************
 
“Permesso, permesso!”
 
“Chūmoku!”
 
Si fa largo tra la folla di turisti giapponesi, che gli urlano contro frasi incomprensibili, evidentemente irritati, sembrando non capire che chi scende ha precedenza, e dire che loro di metropolitane dovrebbero intendersene. E lui deve scendere, ora: pedinare qualcuno a piedi in orario di punta è un vero incubo, cercando di non farsi notare e mantenere le distanze e allo stesso tempo non perdere di vista l’obiettivo.
 
Finalmente è fuori, analizza la folla che confluisce verso le scale ma non la trova. Cominciando ad andare in panico si avvia verso i gradini, continuando a guardarsi intorno, fino a che si volta quasi del tutto e con la coda dell’occhio la vede, salire di nuovo sul treno, due carrozze più avanti.
 
Maledizione! – impreca tra sé e sé, tornando sui suoi passi e cercando nuovamente di farsi largo tra la fiumana di gente che gli rema contro. Guadagnandosi una lunga serie di accidenti ed insulti, arriva finalmente alla porta ma gli stessi dannati giapponesi di prima si sono piazzati davanti e non accennano a spostarsi, fino a che la porta si chiude di fronte al suo naso e fa appena in tempo a fare un balzo indietro, prima che il convoglio riparta a tutta velocità.
 
Cazzo, cazzo, cazzo! – è il suo unico pensiero: l’aveva fregato e dire che sembrava tanto ingenua e tranquilla.
 
Estrae il telefono: sa che l’unica speranza ora è capire almeno a che fermata sia scesa, dalle telecamere delle altre stazioni. Esita per un secondo su chi sia meglio – o forse è meglio dire meno peggio – chiamare, finché seleziona il numero e attende in linea.
 
“Dottor De Matteis, sono Luciani: abbiamo un problema…”
 
***************************************************************************************
 
“Che cosa??!! Ma è impazzita? Non può farmi questo, prof., non potete farmi questo! E poi, se il mastino lo scopre… si scatenerà il finimondo!”
 
“Lo so, Marchese, ma lo sai com’è Sammy quando si mette in testa una cosa, no? Non c’è modo di fermarla e coinvolgerla, il meno possibile ovviamente, in modo da controllare quello che fa è l’unica soluzione che abbiamo per impedirle di cacciarsi in guai più seri.”
 
Marchese prende una gran sorsata della birra che sta bevendo, come a farsi forza: la prospettiva di dover collaborare con Sammy non lo entusiasma per niente e nemmeno l’idea di farlo dietro le spalle del mastino lo consola o gli da quella soddisfazione che avrebbe forse dovuto provare.
 
“In realtà sono abbastanza d’accordo con Marchese, Camilla: siamo in troppi in quest’investigazione parallela, e più persone ne sono a conoscenza più rischi corriamo tutti quanti,” fa notare Gaetano, la cui preoccupazione non accenna a diminuire dalla sera prima.
 
“Hai ragione, però… mi dici che alternative abbiamo? Se Sammy indaga per conto suo e si fa scoprire, lo sai che penseranno comunque che c’entriamo qualcosa, no?”
 
“Sì, lo so…” sospira Gaetano, che è purtroppo giunto alla stessa conclusione: De Matteis e Mancini forse non l’avrebbero fatta pagare a Sammy, ma l’avrebbero sicuramente fatta pagare a loro.
 
“Senti, Marchese, piuttosto, ci sono novità? Avete trovato questi benedetti pantaloni?” domanda Camilla, decidendo che è più prudente cambiare argomento.
 
“No, prof., purtroppo no: la cameriera stamattina aveva il giorno libero e, non avendo un mandato, Allegra si è rifiutata di dare l’indirizzo della cameriera a De Matteis, sebbene ci fossi anche io presente. Torneremo domani alla tenuta per interrogarla.”
 
“Capisco… e che mi dici della macchina e dei video? Si è scoperto qualcosa?” chiede Gaetano, massaggiandosi le tempie, dato che l’ora tarda e la musica forte non aiutano l’emicrania che si sta impossessando di lui.
 
“No, purtroppo no. Grassetti ci ha lavorato per ore con Mancini, sia ieri che oggi, ma niente: si vedono solo immagini dell’auto, ma nulla del guidatore. Tutte le telecamere pubbliche erano troppo distanti e non avevano una risoluzione sufficiente.”
 
“Quelle pubbliche… e quelle private? Vicino a dove è stata rubata l’auto non c’era nulla? Un negozio, una banca, qualcosa?”
 
“In realtà ci sarebbe una gioielleria, dottore, però… ci siamo stati oggi io e De Matteis, mentre tornavamo dalla tenuta di Allegra, e la proprietaria dice di avere cancellato i nastri di quel giorno e… anche se, dalla nostra esperienza, ci sembra strano… non possiamo provare il contrario, né obbligarla a consegnarceli, non avendo alcun decreto del giudice in mano.”
 
“Ma perché la proprietaria dovrebbe mentire? Per evitare multe?”
 
“Diciamo che quella non è proprio una gioielleria, prof., è più un compro oro, insomma, diciamo pure un monte dei pegni, dalle voci che si sentono e… la proprietaria non mi sembra proprio vedere di buon occhio le forze dell’ordine, ecco…”
 
“Capisco… e com’è questa proprietaria?”
 
“In che senso, prof.?”
 
“Età, stato civile, aspetto, insomma, come ti sembra?”
 
“È una donna sulla cinquantina, non bella ma… sa, una di quelle che si truccano tantissimo, hanno un fisico ancora piacente e quindi si vestono come se avessero vent’anni in meno e andassero in discoteca? Minigonna, top attillato… Ha come minimo un figlio adolescente, da una foto che c’era dietro al bancone, ma niente fede nuziale, però non vuol dire… altro non so.”
 
“Se quel nastro esiste, credo di sapere come possiamo ottenerlo, Marchese, anche se l’idea non mi entusiasma per niente,” proclama Camilla con un sospiro e un’occhiata eloquente.
 
***************************************************************************************
 
“Allora, signora, è sicura di non aver trovato niente in quella stanza, quando l’ha pulita lunedì?”
 
“No, io… a quanto ricordo c’erano solo rifiuti nel cestino, nient’altro, come in tutte le altre stanze, del resto,” risponde la cameriera, una signora sulla cinquantina, che, nota Marchese, appare però stranamente agitata.
 
“E che rifiuti erano? C’era qualcosa di particolare?” domanda Marchese, prendendo l’iniziativa, mentre De Matteis gli lancia un’occhiata sorpresa.
 
“No, no, alcune bottiglie d’acqua, quelle del minibar, e basta…”
 
“E lei come fa ricordarselo?” chiede di nuovo Marchese, con un’occhiata eloquente.
 
“Come, scusi?”
 
“Come fa a ricordarsi che c’erano bottiglie d’acqua del minibar, cosa peraltro esatta, considerato che, per l’appunto, ha pulito decine di stanze quella sera, visto che la tenuta era piena? Mi sembra che la risposta più normale in questi casi dovrebbe essere un non ricordo. Come fa a ricordare il contenuto preciso di quel cestino? O non sarà forse che c’era qualcosa che lo distingueva dagli altri?”
 
“Io… io…”
 
“Come ad esempio un paio di pantaloni? Magari ancora in buono stato e… anche se qualcuno li aveva gettati via, a qualcun altro potevano invece servire, no?” prosegue imperterrito Marchese, mentre la signora è sempre più in difficoltà e De Matteis gli lancia un’occhiata tra lo stupito e l’ammirato, capendo che il ragazzo ha avuto per una volta l’intuizione giusta. Forse Marchese sta finalmente crescendo come agente.
 
“Io, no, cioè… non mi permetterei mai, io…”

“Senta, signora,” interviene De Matteis, assumendo un’aria severa e comprensiva insieme, quella che di solito funziona in casi di questo tipo, “se lei si fosse appropriata di qualcosa trovato nella spazzatura non potremmo considerarlo un furto, ma se ora rifiuta di rivelarcelo, sta intralciando le indagini e potrebbe essere accusata di favoreggiamento. E inoltre lei capisce che dovrei parlare dei nostri sospetti con la titolare e chiedere al giudice di perquisire casa sua. Mentre se collabora, ne terremo conto…”
 
“No, la prego no, non dica niente alla signora Allegra. Io… io non posso permettermi di finire nei guai e di perdere il posto: ho tre figli e sono sola. Ho preso quei pantaloni per mia figlia, sa, è così difficile per me poterle comprare dei vestiti nuovi e… non pensavo di fare nulla di male!” esclama la cameriera, gli occhi che si riempiono di lacrime e la voce tremante.
 
“D’accordo signora, d’accordo, però ora ho bisogno di vedere quei pantaloni. Sono a casa sua? Può accompagnarci?”
 
“Ma se i vicini vedono i poliziotti arrivare a casa mia, cosa penseranno di me?”
 
“Entrerò solo io: sono in borghese, nessuno si accorgerà di niente,” la rassicura De Matteis, con il suo tono più conciliante, fino a che la donna acconsente, sebbene tra le lacrime.
 
***************************************************************************************
 
“Non posso ancora crederci: mi spiegate perché mi sono lasciato convincere?”
 
“Perché sei un uomo meraviglioso e perché mi ami,” risponde Camilla con un sorriso, posandogli un lieve bacio sulle labbra e squadrandolo per l’ennesima volta da capo a piedi.
 
“Ma sono ridicolo conciato così: sembro un coatto o uno di quei… vitelloni che vanno in tv a farsi corteggiare!” proclama esasperato, osservando i pantaloni aderentissimi e di almeno una taglia in meno di quella che porta abitualmente, e quella ridicola maglietta talmente attillata da risultare praticamente trasparente. Per non parlare dei capelli ingellati che lo fanno sembrare peggio di un gallo cedrone o degli occhiali da sole a specchio e decisamente troppo grossi.
 
“Chi? I tronisti?” domanda Sammy, scoppiando a ridere e mettendolo ancora più a disagio, “in effetti è vero, ma è proprio quello che volevamo, giusto prof.?”
 
“Giusto, purtroppo…” commenta Camilla, chiedendosi come lui possa risultare terribilmente attraente persino conciato così, anche se lei preferisce mille volte il suo Gaetano, l’uomo dal gusto sempre impeccabile, che riesce a sembrare elegante anche in maniche arrotolate di camicia o quando gira seminudo per casa.
 
Ma, dalla descrizione avuta da Marchese della proprietaria della gioielleria, e visto il ruolo che bisognerà interpretare, è convinta che questo sia proprio il look perfetto per ottenere ciò che stanno cercando.
 
“Sappiate che mi sento trattato come un uomo oggetto, un toy boy,” ribatte Gaetano, con tono ironico e volutamente melodrammatico, guadagnandosi una gomitata nel braccio da parte di Camilla.
 
“Piantala di fare lo scemo! E comunque, vedi di non entrare troppo nel ruolo, caro il mio tronista, siamo intesi?” lo avverte con un’occhiata che gli fa capire che non sta del tutto scherzando.
 
“Tranquilla, Camilla, non hai nulla da temere, e non solo perché, come hai già ricordato tu stessa, ti amo, ma anche perché preferisco senza alcun’ombra di dubbio stare con una donna a cui piaccio anche se indosso dei pantaloni che non mi tolgono la circolazione,” ribatte, semiserio, aggiungendo poi con una mezza risata, “sembro uscito da un film di Verdone!”
 
“Sì, vabbé, dai, Ivano, datte ‘na mossa: vai e vedi di tornare vincitore,” lo punzecchia, indicandogli la gioielleria che ormai è poco distante: onde evitare problemi avevano parcheggiato la macchina di Sammy lontano da ogni telecamera ed avevano fatto l’ultimo tratto a piedi.
 
“Questa più tardi me la paghi, Jessica,” rimpalla, non perdendo un colpo e facendole l’occhiolino, trattenendosi però dal citare la più celebre battuta del film, vista la presenza di Sammy.
 
“Beh, sempre meglio Jessica che Fosca…” commenta Camilla con un sorriso malizioso, confermandogli che si sono intesi perfettamente senza bisogno di parole.
 
Si volta e si avvia verso il negozio. Camilla lo osserva mentre si allontana e nota immediatamente un paio di passanti che si girano per ammirarlo, mangiandoselo con gli occhi.
 
E, mentre il drago dentro di lei riprende a ruggire, si maledice per aver avuto questa bella pensata e spera di non doversene pentire.
 
“Salve!”
 
“Salve,” gli risponde una voce annoiata, finché la donna dietro al bancone si gira, lo squadra da capo a piedi ed aggiunge con un tono decisamente molto più amichevole e gentile, “desidera qualcosa?”
 
“Sì, in effetti sì…”
 
“Cerca qualcosa per lei? O si tratta di un regalo? Magari per sua moglie…” commenta la proprietaria, in un modo civettuolo che gli rende difficile trattenere una risata.
 
“No, no, per la carità: sono divorziato,” risponde, cercando di mantenere la parte studiata con Camilla, marcando più che può quell’accento romano che ha ormai perso completamente in anni di vita al nord e che in passato invece tendeva ogni tanto ad emergere, soprattutto quando era agitato o alterato, “però in realtà la mia ex moglie c’entra con il motivo per cui sono qui.”
 
“Ah, sì? Mi scusi ma non capisco…” proclama, incuriosita, sporgendosi lievemente sul bancone, mentre lui si avvicina.
 
“Vede… non so se l’ha saputo, ma… sabato scorso hanno rubato un’auto, praticamente qui di fronte,” comincia a spiegare, notando come gli occhi della donna si allargano quasi impercettibilmente, mentre deglutisce.
 
“Se è un poliziotto-“ lo avverte, ritraendosi lievemente, mettendosi sulla difensiva.
 
“No, no, assolutamente no. Ma, perché, c’ho l’aria da sbirro? Non me l’aveva mai detto nessuno, ma…“ commenta con una risata, appoggiandosi contro l’altro lato del bancone e sollevando gli occhiali da sole sui capelli per lanciare alla donna la sua migliore occhiata innocente ed irresistibile. Quella che funzionava quasi sempre nelle sue scorribande per locali.
 
“In effetti no, per niente, però non capisco perché le interessi la storia della macchina,” ammette lei, rilassandosi quasi impercettibilmente e ritornando a sporgersi oltre il bancone.
 
“Vede… l’auto è mia, ma la usava mio figlio, anche il giorno che l’hanno rubata,” racconta con nonchalance, sperando che Marchese avesse ragione quando sosteneva che il cameriere e la proprietaria della gioielleria non si conoscessero.
 
“Ah, lei ha un figlio già grande? Sembra così giovane…” commenta la donna, apparendo sempre più interessata e a suo agio, quasi fin troppo a suo agio per i suoi gusti, da come lo squadra.
 
“Sì, ha 19 anni, fa il cameriere per mantenersi… è un bravo ragazzo, per fortuna. Sa, prima viveva con la mia ex ma… lei c’ha le mani bucate, le davo quasi tutto quello che avevo di mantenimento, ma spendeva tutto per sé, tanto che mio figlio non appena s’è trovato un lavoro ha deciso di andarsene a vivere da solo. Quindi l’assegno di mia moglie si è molto ridotto negli ultimi mesi e… diciamo che sospetto che questo furto… non è proprio un furto…”spiega, continuando a lasciar emergere l’accento e a sforzarsi di evitare congiuntivi e condizionali, come suggeritogli da Camilla, per apparire coerente col ruolo interpretato, ma senza strafare e cadere in una specie di parodia stereotipata alla Ivano o alla “supercafone” di Er Piotta.
 
“Lei pensa che sua moglie…”
 
“Mia moglie sa che l’auto è mia e che aiuterò nostro figlio a comprarne un’altra, se non si trova, dato che gli serve per lavorare, e… lei c’aveva le chiavi di riserva quando abitavano insieme e non le ha mai restituite a mio figlio, lei capisce cosa intendo, vero?” domanda facendole l’occhiolino, notando come le guance di lei si scuriscano perfino sotto la palata di fondotinta che deve avere sul viso e che la fa sembrare innaturale, quasi uscita da un museo delle cere.
 
“Ah, guardi, se penso a quel bastardo del mio ex e a tutto quello che è stato capace di inventarsi non mi stupisco più di niente,” sospira la donna, aggiungendo con un tono complice ed indignato insieme, “pensi che dopo avermi mollata da sola a crescere due figli è stato ancora capace di ripresentarsi quando ho aperto questo posto e di chiedermi il mantenimento, lui a me!”
 
Gaetano non può fare a meno di notare con ammirazione come l’intuizione di Camilla sul probabile stato civile della donna e sui rapporti con l’ex marito fosse stata assolutamente corretta, sebbene derivata solo da un’analisi per interposta persona.
 
“Però non ho ancora capito come pensa che posso aiutarla…” commenta poi sorridendo ed inclinandosi ancora di più verso di lui, in un modo che mette in evidenza la generosa scollatura, strizzata in una maglietta molto, ma molto scollata.
 
“Beh, ho notato che qua fuori c’è una telecamera e… siccome l’auto di mio figlio era praticamente parcheggiata qui davanti… mi chiedevo se c’ha le registrazioni di quel giorno. Magari si riesce a vedere chi l’ha portata via…” spiega con il suo migliore sorriso.
 
“In effetti la registrazione ce l’ho, però adesso devo lavorare e non ho il tempo di cercarla e farne una copia. Ma se ripassa stasera, dopo la chiusura, possiamo guardarlo insieme: in due si fa prima,” propone, con tono suggestivo ed uno sguardo eloquente, riducendo ancora le distanze fino ad essere a pochi centimetri dal suo viso.
 
Gaetano sa che se non vuole rischiare la vita e il suo rapporto con Camilla, deve pensare a qualcosa e in fretta.
 
“Grazie, è un angelo, però purtroppo io stasera lavoro: ho lezioni fino a tardi in palestra e poi faccio pure il buttafuori in una discoteca per arrotondare, quindi non c’ho proprio un minuto libero.”
 
“Ma quindi fa l’istruttore in palestra?”
 
“Sì: crossfit e kick boxing… roba così,” improvvisa Gaetano con un sorriso, avendo notato con la coda dell’occhio la foto del figlio con i guantoni in mano che solleva una medaglia.
 
“Beh, si vede: con quel fisico!” commenta la donna con una lunga occhiata di apprezzamento, per poi aggiungere, con tono orgoglioso e decisamente più materno, indicando la foto, “sa, mio figlio grande è appassionato di boxe: ha anche vinto la medaglia d’oro ai campionati regionali juniores, nei 56 kg.”
 
“Complimenti! Deve essere molto orgogliosa di lui,” risponde con un sorriso ed aria partecipe ed interessata, per poi aggiungere, “senta, anzi, senti, possiamo darci del tu?”
 
“Ma certo, anzi, devi darmi del tu,” ribatte lei con sguardo provocante, tendendo poi una mano con tanto di manicure zebrata e proclamando, “anzi, io sono Stefania, molto piacere.”
 
“Il piacere è tutto mio, io sono Ivano,” replica Gaetano, pronunciando il primo nome fasullo che, per ovvie ragioni, gli viene in mente, prendendole la mano ed esibendosi in un baciamano volutamente esagerato e privo di qualsivoglia classe, che avrebbe fatto inorridire suo padre, ma che produce invece una risatina leziosa e compiaciuta da parte di lei.
 
“Senti, Stefania,” prosegue Gaetano, continuando a tenerle la mano e a mantenere il contatto visivo, “io c’ho avuto un’idea: secondo me è meglio se questa registrazione tu la dai direttamente alla polizia.”
 
“Ma-“ protesta lei, irrigidendo il braccio e il polso, ma lui la interrompe con un altro sorriso rassicurante.
 
“Se è stata la mia ex moglie, è l’unico modo per evitarmi altri giochetti di questo tipo in futuro. E se glielo porto io, rischio di inguaiarmi, che magari pensano che c’entro qualcosa, mentre se glielo dai tu sta tutto a posto.”
 
“Ma io non posso tenere le registrazioni per più di un giorno, Ivano. E poi non mi piace la polizia.”
 
“Neanche a me me piacciono gli sbirri, ma ogni tanto possono pure far comodo, no?” proclama lui rifacendole l’occhiolino, “e poi, eddai, una donna bella come te, sono sicuro che te li rigiri come vuoi. E fa comodo pure a loro avere quel video.”
 
“Beh, sì, in effetti…” annuisce lei con un’altra risatina, mentre Gaetano nota il rosso delle guance emergere sempre di più sotto il marrone del trucco e il battito del polso farsi più accelerato.
 
“Così lasciamo tutto il lavoro noioso a loro e noi due invece, magari domani sera, che c’ho la mia serata libera, possiamo fare qualcosa di molto più piacevole insieme, che starcene chiusi qui a vederci un video. Che ne dici di una cena? Solo se ti va, ovvio, magari hai già impegni, però-“
 
“No, no, domani sera va benissimo,” lo interrompe lei, non mascherando in alcun modo l’entusiasmo.
 
“Ti piace il sushi? Sai, anche tu mi sembra che ci tieni molto alla forma fisica e quindi…” commenta, cercando di ricambiare l’occhiata di apprezzamento di lei nel modo più credibile possibile.
 
“Adoro il sushi!” proclama con un sorriso ancora più a 500 denti, che evidenzia i denti sbiancati artificialmente, mentre Gaetano non può fare a meno di chiedersi sui cimeli di famiglia di chissà quanti disgraziati questa donna abbia fatto la cresta per poterselo permettere. Come non può fare a meno di chiedersi come possa gestire un posto del genere – un mestiere in cui ci si fanno parecchi nemici –  da sola, o se ci sia qualcun altro dietro.
 
“Allora, mi dai il tuo numero?” gli domanda, interrompendolo nei suoi pensieri e costringendolo nuovamente a ragionare e in fretta.
 
“Certo, certo, aspetta,” risponde, cominciando a tastare le tasche alla ricerca del cellulare, come se potesse non accorgersi della sua presenza con i pantaloni praticamente cuciti addosso, per poi aggiungere, con uno sguardo e un tono tra lo scocciato e il dispiaciuto, “ecco, lo sapevo! L’ho di nuovo lasciato nei pantaloni della divisa da buttafuori. Una volta l’ho perfino messo in lavatrice: ma dove c’avrò la testa?”
 
“Eh, succede…” proclama lei con un’altra risatina esagerata, come se avesse appena fatto una battuta divertentissima.
 
“Senti, perché non mi dai il tuo? E magari ci mettiamo già d’accordo. Ti va se ti passo a prendere alle otto e mezza domani sera? Qui o a casa tua?”
 
“Alle otto e mezza è perfetto e io abito qua sopra, quindi…”
 
“Ah, beh, comodo,” commenta con un sorriso, mentre lei gli passa un biglietto da visita appariscente quasi quanto la proprietaria.
 
“A domani sera allora,” ribadisce lei, porgendogli di nuovo la mano con sguardo pieno di aspettative.
 
“A domani sera,” conferma, producendosi in un nuovo baciamano troppo vigoroso, per poi aggiungere, guardandola di nuovo negli occhi, “mi sa che alla fine mi toccherà pure ringraziare la mia ex per avermi fatto incontrare una fata come te.”
 
La donna per tutta risposta scoppia nell’ennesima risata da adolescente. Lui approfitta del momento per dileguarsi, voltandosi per farle per un’ultima volta l’occhiolino prima di uscire dal locale.
 
Si avvia a passo non troppo rapido fino al bar, abbastanza distante, in cui ha convenuto di ritrovarsi con Camilla e Sammy. Le trova intente a mangiarsi un gelato.
 
“Finalmente, non arrivavi più!” proclama Camilla, visibilmente sollevata, scrutandolo dalla testa ai piedi come per verificare se davvero sia tutto a posto e cercare ogni traccia compromettente, “allora?”
 
“Allora è fatta: dovrebbe chiamare la polizia e dare loro il video, senza parlare della mia visita,” risponde, cercando di sedersi e maledicendo per l’ennesima volta i pantaloni.
 
“E per il resto? Tutto bene? Come hai fatto a convincerla?” gli domanda e lui capisce benissimo che cos’è che realmente vuole sapere.
 
“Ma niente di che… sono bastati giusto un paio di baci,” proclama con nonchalance, aggiungendo, notando lo sguardo omicida di lei e scoppiando a ridere, “sulla mano, Camilla, solo sulla mano.”
 
“Scemo!” esclama lei, tirandogli un pugno sul braccio, mentre Sammy li osserva tra il divertito e l’imbarazzato, “nient’altro?”
 
“Beh sì, sappi che ormai rispondo solo al nome di Ivano,” ribatte lui, marcando nuovamente l’accento ed estraendo dalla tasca il biglietto da visita della gioielliera, “e Ivano si è guadagnato questo numero di cellulare ed una cena romantica a base di sushi domani sera.”
 
“Cosa?!” domanda lei, osservando quella specie di cartoncino che sembra uscito da un casinò di Las Vegas, mentre sente lo stomaco contrarsi nuovamente.
 
“Avresti preferito che passassi tutta la serata di stasera con lei a vedere i video di sorveglianza chiusi nel suo negozio? O che le lasciassi il mio numero di cellulare? E poi ti ricordo che l’idea di tutta questa sceneggiata è stata tua.”
 
“Per la carità! Io e le mie idee…” sospira lei, aggiungendo poi, preoccupata, dopo un attimo di riflessione, “e se non chiamasse la polizia?”
 
“Beh, allora mi toccherà proprio andarci a cena con Stefania, per convincerla,” proclama serio, prima di scoppiare di nuovo in una risata di fronte allo sguardo inferocito di lei: adora quando Camilla fa la gelosa, “e dai, professoressa, ma ti pare?”
 
“Guarda che stai rischiando grosso, dottor Berardi,” lo minaccia, colpendolo con la punta del dito indice appena sotto lo sterno.
 
“Camilla, ti garantisco che invece tu non rischi assolutamente nulla,” ribatte lui con un sorriso, trattenendole la mano nella sua, prima di aggiungere in un sussurro, in modo da non farsi sentire da Sammy, “e poi in queste serate ho già preso un impegno con una certa Jessica, con cui ho un conto in sospeso.”
 
“Vedremo se anche lei avrà un conto in sospeso con te, e soprattutto di che tipo, caro il mio Ivano,” ribatte lei, mordendosi però le labbra per trattenersi dal ricambiare il sorriso.
 
***************************************************************************************
 
“Centrale a Bravo otto, Centrale a Bravo otto…”
 
“Qui bravo otto, ditemi Centrale,” risponde, attivando il microfono della radio.
 
“Marchese?”
 
“Si, Grassetti, sono io. È successo qualcosa?”
 
“Cercavo il dottor De Matteis, ho un messaggio per lui.”
 
“Il dottor De Matteis non è con me. Sta interrogando una testimone e tornerà poi in taxi, credo. Hai provato sul cellulare?”
 
“Sì, ma è irraggiungibile…”
 
“Grassetti, di che si tratta? Magari posso aiutarti…”
 
“È per il caso Scortichini: abbiamo ricevuto una chiamata dalla gioielleria di fronte al luogo dove hanno rubato la panda bianca. A quanto pare la proprietaria ha ritrovato la registrazione, dice che l’aveva ancora nel cestino del computer e non l’aveva cancellata del tutto,” spiega Grassetti con un sospiro, facendo capire quanto questa versione non la convinca.
 
Allora ce l’hanno fatta – è il pensiero di Marchese, che non può evitare un sorriso.
 
“Senti, Grassetti, ci vado io, tanto sono di strada, non sono distante dall’EUR,” propone, cercando di contenere l’entusiasmo per l’enorme colpo di fortuna di aver risposto per primo a questa chiamata, “così per quando De Matteis torna abbiamo la registrazione in centrale.”
 
“Va bene,” proclama lei dopo un attimo di esitazione: Mancini era con Luciani di fronte all’albergo della Misoglio e non aveva nessuno a cui chiedere istruzioni.
 
Del resto dopo che la Misoglio era sparita per qualche ora il giorno prima, avevano deciso di intensificare i controlli, sebbene fosse ritornata regolarmente in albergo la sera stessa. La cosa che però la preoccupa di più è l’ordine tassativo di Mancini di non riferire a Marchese né del pedinamento, né della “fuga”. È anche per questo che non è sicura che mandare lui a prendere i nastri sia una buona idea, ma in fondo De Matteis non l’ha tolto dal caso, sebbene la Misoglio fosse stata una sua compagna di classe.
 
“Ok, Centrale, passo e chiudo!”
 
Stacca la comunicazione, e, facendo attenzione alla strada, afferra il cellulare e seleziona in rubrica un numero che erano anni che non componeva e che, almeno quello, era rimasto lo stesso, anche se era cambiato tutto il resto.
 
“Sammy? Sono Marchese…” annuncia con tono imbarazzato ed esitante, che combacia perfettamente con quello della ragazza all’altro capo della cornetta, “ci sono novità: siete ancora in zona EUR, per caso?”
 
***************************************************************************************
 
“Eccoci qui…”
 
Finalmente – pensa, trattenendosi per un soffio dall’esclamarlo ad alta voce: non ne poteva più.
 
Per tranquillizzare la cameriera aveva dovuto rimandare in centrale Marchese con la pantera della polizia e aveva quindi deciso di accompagnare la donna fino a casa sull’auto di lei.
 
Peccato che la macchina in questione fosse una punto ormai maggiorenne che aveva decisamente visto tempi migliori e che, unita alla guida iperprudente al limite dell’intralcio al traffico della signora, si era tradotta in quello che più che un viaggio gli era parso un pellegrinaggio in ginocchio.
 
“Dove sono questi pantaloni?” domanda, cercando di non apparire troppo impaziente, dopo che la signora aveva chiuso la porta dietro di loro.
 
“Sì, mi scusi… è che… lei è tanto elegante e… qui non siamo abituati a vedere qualcuno vestito come lei. Ha notato come ci guardavano sulle scale? Chissà cosa penseranno i vicini…” commenta la signora, chiaramente a disagio e in imbarazzo.
 
“Senta, signora, sono sicuro che potrà inventarsi una storia credibile per i vicini, ma ora, per favore, avrei davvero bisogno di vedere quei pantaloni,” ripete, sforzandosi di mantenere un tono conciliante.
 
“Sì, sì, certo, mi scusi, subito,” balbetta la signora, avviandosi verso una delle stanze.
 
Sa che forse non dovrebbe ma la segue.
 
Più che una stanza quello che compare loro davanti è una specie di campo di battaglia: vestiti gettati qua e là insieme a riviste e a un solo libro, che appare quasi fuori posto in mezzo a quel ciarpame, una scrivania zeppa di trucchi sparpagliati alla rinfusa, poster appesi a tutte le pareti. Insomma, la camera di un’adolescente tipica. Solo che lui detesta il caos, il disordine e gli adolescenti tipici.
 
La donna, a cui probabilmente ogni albergo toglierebbe il posto se vedesse la camera della figlia e poi forse la riassumerebbe se la donna fosse in grado di risistemarla in tempi brevi, cosa per cui, a parere di De Matteis, occorrerebbe la magia di Mary Poppins, appare a suo agio in mezzo a quel maremoto e si avvia decisa verso una delle pile di vestiti, da cui cava finalmente un capo di stoffa bianca.
 
De Matteis per una volta estrae ed indossa più che volentieri i guanti di lattice e non di certo per non contaminare le prove: più contaminate di così…
 
“Sono questi,” proclama la donna, come se fosse necessario, porgendoglieli.
 
“Benissimo,” sospira, sollevato, tenendoli a distanza di sicurezza dal proprio corpo ed analizzandone ogni dettaglio.
 
E poi li volta ed è come se una scarica di adrenalina ed una secchiata d’acqua gelida gli percorressero il corpo nel medesimo istante.
 
Merda!
 
***************************************************************************************
 
“Eccomi!”
 
“Finalmente, Marchese!” proclama Camilla, tirando un sospiro di sollievo, “stavamo per esaurire la lista delle consumazioni di questo bar.”

“Ho fatto prima che ho potuto e-“ esordisce, ma poi alza gli occhi e li strabuzza, mentre la mandibola quasi gli precipita al suolo, non appena nota il coatto palestrato da reality seduto accanto alla prof. e, soprattutto, chi è il coatto palestrato da reality seduto accanto alla prof..

“Dottor Berardi?!” domanda, incredulo, trattenendo a stento le risate.
 
“Marchese, non t’azzardare a ridere, o giuro che, a costo di farmi radiare io stesso, vado dal questore in persona per convincerlo a sbatterti a dirigere il traffico,” minaccia Gaetano, lottando però per rimanere serio.
 
“Beh, però devo dire che il travestimento ha funzionato: la gioielliera sembrava un’altra rispetto alla volta scorsa. Gentile, disponibile, collaborativa, si è raccomandata di fare tutto il possibile per aiutare il povero ragazzo a cui avevano rubato l’auto,” ricorda Marchese, scoppiando infine a ridere.
 
“Ah, buono a sapersi, Ivano,” commenta Camilla, sibilando il nome nell’orecchio di Gaetano.
 
“Allora, hai il filmato?” domanda Sammy, tagliando corto, prima che ricomincino a battibeccare per altre due ore, mentre Marchese si siede, con un certo imbarazzo, accanto a lei.
 
“Sì, sì, su cd e su chiavetta USB, per sicurezza,” conferma, estraendo gli oggetti e posandoli sul tavolo, “avete un computer? Però vi avviso che non posso fermarmi per molto, al limite ve ne lascio una copia e io vado.”
 
“Ho il tablet,” proclama Sammy, estraendolo dalla borsa e collegando la chiavetta USB con l’adattatore.
 
Poche indicazioni da parte di Marchese ed aprono il file. Marchese prende in mano il tablet e la situazione ed arriva all’orario incriminato.
 
“Dagli altri filmati sappiamo che l’auto deve essere stata rubata prima delle 16.30, ma alle 15.00 era lì… E infatti alle 15.00 ecco la panda,” proclama, indicando l’auto bianca che fortunatamente è inquadrata molto bene dalla telecamera.
 
“Bene, a questo punto procediamo di dieci minuti in dieci minuti e vediamo se è ancora lì,” prosegue Marchese, saltando avanti nel filmato, fino a quando arrivano alle 16.10 e l’auto scompare.
 
“Ok, allora adesso vediamo il filmato dalle 16.00 alle 16.10…”
 
Con il fiato sospeso, si sporgono tutti sullo schermo per osservare il filmato, fino a che, alle 16.03 arriva qualcuno che armeggia rapidamente accanto all’auto, nel giro di un minuto è dentro e in altri due, tre al massimo, se ne va.
 
“Questo è un professionista, o comunque uno che di auto ne ha già rubate un po’,” commenta Gaetano, usando il maschile non a caso: si nota infatti anche ad uno sguardo sommario che il ladro ha un vistoso pizzetto e i capelli corti, “riesci a ingrandire un po’ il volto?”
 
“Mmm, con l’apparecchiatura professionale sicuramente posso fare di meglio ma, tentiamo di andare fotogramma per fotogramma quando è ancora fuori dall’auto, e zoomiamo,” risponde Marchese, procedendo molto lentamente e allargando la zona interessata.
 
Bastano pochi fotogrammi, in realtà, perché Sammy esclami un “oddio, non ci posso credere!”
 
“Ma è-“ conferma Camilla, ma non fa in tempo a finire la frase, perché il telefono di Marchese squilla.
 
“Grassetti, cosa c’è?”
 
“Marchese, hai ritirato il filmato? De Matteis è tornato e ha chiesto di te, ti vuole vedere subito…”
 
“De Matteis mi vuole vedere subito?” domanda, preoccupato, “e non sai il perché?”
 
“No, ma sbrigati, lo sai che non ama aspettare,” risponde la ragazza, “adesso devo andare, a tra poco!”
 
“Che è successo?” domanda Gaetano, la cui espressione riflette quella del ragazzo, che però non fa in tempo a rispondergli perché dopo pochi secondi il silenzio viene interrotto da un altro squillo di cellulare.
 
“È il mio, ma chi è?” si chiede Camilla, estraendolo dalla borsa e leggendo il display, ma la chiamata è anonima, “pronto?”
 
“Professoressa Baudino? Sono Grassetti…”
 
“Grassetti?” domanda Camilla, cercando di mantenere un tono neutro, mentre Marchese e Gaetano si scambiano occhiate sempre più turbate, “a cosa devo questa chiamata?”
 
“Il dottor De Matteis la vuole vedere subito, cioè vuole vedere lei e anche il vicequestore Berardi.”
 
“De Matteis vuole vedere me e Gaetano, subito?” ripete ad alta voce, trattenendo a stento il panico nella sua voce, “ma come mai?”
 
“Non lo so, professoressa, ma mi ha detto che è urgente e… lo sa com’è fatto il dottore, no?”
 
“Sì, sì, ok, il tempo di arrivare, e siamo lì,” conferma Camilla, chiudendo la chiamata e scambiandosi con i suoi “complici” uno sguardo degno dei condannati al patibolo.
 
Oh, merda!
 
***************************************************************************************
 
“Voleva vedermi, dottore?”
 
“Sì, Marchese, chiudi la porta.”
 
Marchese deglutisce e fa come ordinato, cercando di apparire impassibile e naturale, anche se dentro di lui si sta scatenando l’inferno.
 
“Marchese, dove sei stato fino adesso?”
 
“Non gliel’ha detto Grassetti? La proprietaria della gioielleria ha chiamato dicendo di avere recuperato il filmato dal cestino del computer, quindi sono andato per prenderlo. Ne ho fatte più copie per sicurezza, tutto refertato come da procedura, ecco qui,” spiega, appoggiando cd e chiavetta sulla scrivania di De Matteis, attento a non turbare minimamente l’ordine perfetto e maniacale.
 
“Bene… certo è strano che si sia convinta Marchese, dopo diversi giorni, ma magari le è stato suggerito da qualcuno…” commenta De Matteis, mentre Marchese si sente mancare la terra da sotto ai piedi.
 
“Lei pensa?”
 
“Sì, lo penso… Del resto oggi è stata una giornata particolarmente fortunata, no, Marchese? Prima i pantaloni, poi il filmato,” dichiara, alzandosi dalla sedia e girando intorno alla scrivania, per fermarsi accanto all’agente.
 
“Sì… direi di sì…” balbetta, cercando di deglutire saliva, ma la bocca è completamente arida, peggio di un deserto.
 
“Sai, Marchese, quando ho saputo che la Misoglio era una tua ex compagna, ho pensato che fosse meglio toglierti dal caso, temevo che ti facessi condizionare, che non fossi obiettivo, lucido o che, peggio, potessi remarci contro durante le indagini…” proclama, guardandolo negli occhi, “ma poi mi sono lasciato convincere da te e dal fatto che in fondo non avevi visto la Misoglio per tanti anni e che quindi i rapporti tra voi non avrebbero dovuto essere stretti a tal punto da impedirti di fare il tuo mestiere, da farti venire meno ai tuoi doveri.”
 
“Dottore io…”
 
“Ma oggi hai mostrato uno straordinario spirito di iniziativa, assolutamente non da te, come quell’intuizione sulla cameriera, incredibilmente brillante, quasi troppo brillante. E allora ho capito tutto, Marchese, ho capito di avere commesso un gravissimo errore di valutazione…” afferma, continuando a fissarlo come se lo stesse studiando, “e quindi ho preso una decisione che ti riguarda e che, soprattutto, riguarda la tua carriera.”
 
***************************************************************************************
 
“Questo posto non è proprio cambiato…”
 
“Già, quanti ricordi, eh?” commenta con un sorriso malinconico, anche se ancora velato da una punta di apprensione, mentre percorrono insieme quei corridoi così familiari.
 
Durante il tragitto avevano rischiato multiple multe per eccesso di velocità, ma erano comunque in ritardo, dato che avevano dovuto passare da casa per cambiarsi: Gaetano non poteva certo presentarsi in questura conciato come “Ivano”.
 
“Già… però le facce sono tutte nuove: non è praticamente più rimasto nessuno della mia vecchia squadra,” nota con un sospiro, guardandosi ancora intorno, “sembra quasi surreale tornare qui e non vedere Torre, Ferrari, Piccolo e tutti gli altri…. Certo, razionalmente lo so che il tempo è passato e che sono cambiate tante cose, anche tra noi due, ma…”
 
“Lo so, ti capisco,” risponde lei con un altro sorriso, stringendogli la mano, mentre si siedono sulle scomodissime seggiole che Grassetti ha indicato loro, in attesa che De Matteis possa riceverli, “tu non hai idea di cosa ho provato io quando sono tornata qui per la prima volta e ho scoperto che non lavoravi più qui. Soprattutto dato che Torre per un momento mi ha fatto credere che tu… che tu fossi morto…”
 
“Cosa?!” domanda lui, con tono talmente forte che alcuni agenti di passaggio si voltano a lanciargli un’occhiataccia.
 
“Sì, mi ha mostrato una tua foto e mi ha detto che era l’unica cosa che gli rimaneva di te, che te ne eri andato e che ‘ci avevi lasciato’. Dio mio, se ci ripenso…” spiega con voce tremante, ricordando quel terribile pugno alla bocca dello stomaco, l’angoscia, il vuoto, un immenso vuoto, quel vuoto che precede il dolore quando il dolore è troppo immenso per poter essere assimilato tutto insieme. Ma per fortuna il dolore non era mai arrivato, perché Torre aveva chiarito subito l’equivoco, prima che potesse investirla.
 
“Sai,” aggiunge con una mezza risata amara, “quando mi ha spiegato che ti eri solo trasferito, ho provato un tale sollievo che… che perfino quando mi ha detto che ti eri rifatto una vita, che ti eri sposato e che avevi un bimbo non sono riuscita a sentire altro che gioia per te, perché stavi bene, perché anche se tra noi due era tutto finito, o forse non era mai iniziato, tu avevi la vita che avevi sempre meritato e anche quel figlio che volevi tanto. E poi è arrivato invece il rimpianto per me, per tutto quello che avevo perso, che non avevo mai avuto, insieme alla consapevolezza e alla crudele ironia che evidentemente non era proprio destino tra noi due, che non riuscivamo mai ad essere nello stesso posto nello stesso momento.”
 
“Amore mio,” sussurra lui, commosso, abbracciandola di lato, incurante del contesto e degli agenti, “e invece, hai visto? Per una volta ti sbagliavi, professoressa!”
 
“Non sono mai stata così felice di essermi sbagliata di qualcosa, Gaetano!”
 
***************************************************************************************
 
“Dottore io… posso spiegarle…”
 
“Non serve spiegare, Marchese, ecco, prendi,” dichiara, porgendogli una busta e facendogli segno di aprirla, “leggila.”
 
Marchese, con le mani tremanti, estrae quel foglio dalla busta che pare una condanna a morte e scorre rapidamente il testo. Il suo cervello si rifiuta di comprendere le parole, tanto che si chiede se stia allucinando, fino a che si calma un secondo e riesce finalmente a dare un senso a quello che sta leggendo.
 
“Ma… ma… qui c’è scritto che mi propone per una promozione ad assistente!” afferma, incredulo, tirando un sospiro di sollievo.
 
“Eh beh, certo, perché tanta sorpresa? Sei cresciuto molto Marchese, da quando ti ho incontrato per la prima volta e quindi te la sei meritata. Certo, non posso prometterti niente, lo sai, però ci proviamo. E poi tra qualche mese ci sarà di nuovo il concorso per ispettori e vorrei che tu lo tentassi, Marchese. Hai fatto un ottimo lavoro oggi!” proclama, dandogli una pacca sulla spalla, anche se un po’ rigida e fredda, ma del resto questo è già un miracolo da uno come De Matteis.
 
“Ma tutto questo… solo per… solo per l’intuizione sulla cameriera?” domanda, stupito, mentre al sollievo si sostituisce gradatamente il senso di colpa.
 
“Per la cameriera e soprattutto per avermi dimostrato che possiedi la prima dote fondamentale di questo mestiere, ossia l’imparzialità e la professionalità, anche quando è coinvolto qualcuno che conosci personalmente,” spiega De Matteis, dandogli una seconda pacca sulla spalla, provocandogli un’altra colata di acido nello stomaco e allontanandosi poi da lui per rispondere al telefono.
 
“Ci sono i primi risultati della scientifica su quei pantaloni, Marchese, andiamo,” ordina, avviandosi verso la porta.
 
“Ma dottore e la pro-“ esordisce, rendendosi poi conto della terribile gaffe che stava per commettere, dato che lui non dovrebbe sapere che la prof. è stata convocata in questura.
 
“E la prova del filmato?” aggiunge, salvandosi in corner.
 
“Il filmato lo vediamo dopo Marchese, se quei pantaloni corrispondono, potrebbe essere solo una formalità!”
 
***************************************************************************************
 
“Ma è normale fare tutta quest’anticamera?” domanda Gaetano, innervosito, guardando l’orologio: è ormai da un’ora che aspettano.
 
E nell’attesa, l’ansia su cosa potesse avere scoperto De Matteis continua ad ingigantirsi, a crescere e a peggiorare.
 
“Sì, purtroppo è normale,” conferma lei con un sospiro, ricordando le visite precedenti in questura, “credo che ci goda a sottolineare che lui può farti aspettare.”
 
“E non ha nemmeno rispetto per un collega e pure parigrado,” sospira Gaetano, mentre la sua antipatia per De Matteis continua a crescere ad ogni istante che passa, per poi aggiungere, notando l’espressione di lei, “non che sia lecito fare aspettare chiunque così, salvo emergenze.”
 
“Più che altro ho paura che stia mettendo sotto torchio Marchese e qui nessuno ci dice niente… Dio mio, che succede se hanno scoperto che ci passa le informazioni? E non dirmi te l’avevo detto!”
 
“Ma io non ho nemmeno parlato!” sottolinea Gaetano, trattenendo un sorriso, nonostante tutto, di fronte all’espressione di lei.
 
“Ma conosco quello sguardo, ci manca solo un bel ‘ah’ a completare il tutto.”
 
“Camilla, ascoltami, a questo punto non possiamo fare altro che aspettare e, qualunque cosa sia successa, la affronteremo insieme, ok?” cerca di tranquillizzarla, sebbene sia molto, ma molto preoccupato.
 
“È che… se tu dovessi avere problemi per colpa mia, non me lo perdonerei mai,” gli sussurra, sentendosi tremendamente in colpa.
 
“Ehi, professoressa, mica mi hai puntato una pistola alla tempia e quindi la colpa è anche mia,” la rassicura, passandole un braccio intorno alle spalle.
 
Attendono ancora per un po’ in silenzio, fino a che gli occhi di Gaetano cadono sull’enorme orologio in corridoio.
 
“Adesso quello che rischiamo però è una multa: devo andare a rinnovare il biglietto del parcheggio. Torno subito, tu resti qui? Se De Matteis ti chiama, insisti per aspettarmi, ok? Io faccio in un attimo.”
 
“Tranquillo,” annuisce lei con un sorriso, anche se l’apprensione cresce e monta ad ogni passo che lui fa verso l’uscita.
 
Non sa quanti minuti siano trascorsi, tra l’agitazione ed un mix ingarbugliato di pensieri, quando una voce stranamente familiare la raggiunge.
 
“Ho bisogno di parlare con il dottor De Matteis.”
 
Camilla solleva il viso, incredula e lo vede: a pochi passi da lei, intento a parlare con un giovane agente che non ha mai visto prima e che, dall’età, sembra fresco di accademia.
 
“Ma ha un appuntamento?”
 
“No, ma io sono-“
 
“Mi dispiace, ma il dottore è impegnato e ha dato ordini di non essere disturbato e poi ha già gente in attesa,” lo interrompe il ragazzo, indicando con il dito la seggiola su cui lei è seduta.
 
È come se il mondo andasse in slow-motion: l’uomo volta il capo nella direzione indicata dalla mano e quegli occhi azzurri incrociano i suoi, riconoscendola tra stupore, imbarazzo e sembrerebbe anche esserci una punta di malinconia.
 
“Camilla…” esala in quello che è quasi un sospiro, voltandosi poi per un secondo verso l’agente e rassicurandolo che non c’è problema e può aspettare.
 
Si avvicina a lei, e di nuovo il tempo sembra scorrere al rallentatore, mentre continua ad osservarla come se volesse studiare ogni minimo particolare, ogni minimo cambiamento.”
 
“Camilla,” ripete, fermandosi ad un passo da lei, come se non sapesse più come proseguire.
 
“Ciao, Marco.”
 
 
Nota dell’autrice: Lo so, lo so, lo so, chiedo venia per l’attesa ma ero via per lavoro e il tempo per scrivere è stato inesistente per tanti giorni. Spero di aver recuperato e che il nuovo capitolo non abbia deluso le vostre aspettative, anche se vi ho lasciati su un bel cliffhanger xD. Potete immaginare cosa ci attende all’inizio del nuovo capitolo, no? E nel prossimo scopriremo finalmente chi è il misterioso ladro d’auto, avremo i risultati delle analisi sui pantaloni e… non anticipo altro, diciamo che, ripeto, nulla è come sembra e ci sono un bel po’ di misteri ancora da risolvere per i nostri “complici in indagini criminali”, che sono sempre ad un passo dall’essere scoperti. E in quel caso, che succederebbe, secondo voi ;)?
 
Come sempre i vostri pareri e le vostre critiche sono utilissimi per migliorarmi, quindi non vedo l’ora di leggere cosa ne pensate. Vi ringrazio per la pazienza di avermi seguita fin qui e, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo: nei prossimi giorni dovrei avere più tempo per scrivere quindi. salvo imprevisti, non dovrebbe impiegarci quasi due settimane come questo ;).

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Betrayals ***


Capitolo 35: “Betrayals”


Avvertenza: come vedrete questo capitolo è lungo perfino per i miei standard, ma per motivi narrativi non mi era assolutamente possibile chiuderlo prima e rinviare la parte finale di una settimana senza snaturarlo. Lascio a voi la scelta se leggerlo tutto d’un fiato (per i più temerari) o a piccole dosi e spero che vi ripaghi dell’attesa ;). Do appuntamento ai superstiti alla nota a fine capitolo xD.


 
“Ciao, Marco,” lo saluta con una voce che spera risulti neutra ma che lascia trapelare l’imbarazzo: del resto, se ci ripensa, si sente ancora tremendamente in colpa per come era finita la loro storia, da un minuto per l’altro, in mezzo ad una strada.
 
Sebbene Marco non fosse mai stato un modello di perfezione, anzi, con il suo carattere un po’ inaffidabile, con le sue sparizioni, i suoi cambi di idea improvvisi, la sua apparente incapacità di comprendere le esigenze e i doveri di una madre con una figlia adolescente, quasi inconciliabili con il suo spirito libero, un po’ Bohèmienne, comunque l’aveva amata, a modo suo, di questo era sempre stata convinta e non si era meritato un addio del genere, cinque minuti prima di andare a convivere, di dover addirittura assistere alla riconciliazione tra lei e Renzo.
 
E, per quanto odiasse doverlo ammettere, De Matteis non aveva tutti i torti ad avercela con lei per com’erano andate le cose con Marco. Certo, ce l’aveva con lei già da prima, fin dal momento in cui si erano conosciuti, probabilmente per il solo fatto che esistesse, per una di quelle antipatie istintive ed immediate, ma almeno su questo punto aveva i suoi buoni motivi.
 
“Che cosa ci fai qui?” le domanda, con un tono pacato, apparentemente senza traccia di recriminazione o di fastidio, più di genuina curiosità.
 
“Sono… sono stata convocata da tuo fratello,” spiega, schiarendosi la voce che pare volersi bloccare in gola.
 
“E come mai?”
 
“Mah, in realtà non lo so… cioè… sta indagando su una mia ex alunna che era ospite a casa di mia madre… una storia complicata, però non ho idea del perché mi abbia convocata oggi esattamente…”
 
“Perciò ti sei di nuovo trovata in mezzo ad uno dei casi di mio fratello? Certo che tu lontana dalle indagini – e dai guai – non riesci proprio a stare,” commenta, scuotendo il capo con un mezzo sorriso malinconico, “ma quindi tu e mio fratello vi eravate già rivisti nei giorni scorsi?”
 
“Sì, un paio di giorni fa, sì,” conferma, spiazzata dall’atteggiamento di lui, così… sereno e normale, come se tra loro non fosse successo tutto quello che era successo. Non sapeva cosa si aspettasse da lui rivedendolo, non è che ci avesse mai più di tanto pensato, in realtà, ma comunque non questo.
 
Era quasi paradossale che, come le aveva fatto notare giustamente Gaetano, sembrasse essersela presa molto di più De Matteis, come se davvero quello mollato su due piedi fosse stato lui e non Marco.
 
“Non mi ha detto niente…” commenta, scuotendo il capo.
 
“Beh, probabilmente avrà avuto i suoi buoni motivi, no?” sospira lei, guardandolo negli occhi e aggiungendo, in un attimo di coraggio, in quelle che sa essere delle scuse totalmente inadeguate, “insomma, già non andavamo molto d’accordo prima e… le cose tra noi due non sono proprio finite nel migliore dei modi…”
 
Marco si limita a fissarla per un attimo in silenzio.
 
“Posso sedermi qui? O è già occupato?” domanda poi, indicando la seggiola accanto a lei sulla sinistra.
 
Camilla si limita ad annuire, sempre più sorpresa.
 
“Sai, Camilla, in realtà quando ti ho chiesto cosa ci facevi qui, non intendevo solo qui in Questura, ma più in generale qui a Roma. Avevo sentito che ti eri trasferita a Torino…” commenta, alternando lo sguardo tra le sue mani e gli occhi di lei.
 
“Sì, è vero, ma da chi l’hai saputo?”
 
“Da tua madre…”
 
“Da mia madre?!” ripete lei, stupita e confusa, dato che Andreina non le aveva mai detto di aver rivisto Marco o di essere rimasta in contatto con lui.
 
“Sì, ci siamo incontrati ad ottobre, ad una fiera autunnale, io esponevo i miei vini e… ci siamo riconosciuti e abbiamo scambiato due parole, io le ho chiesto di te e mi ha detto che eri andata a vivere a Torino, per seguire… tuo marito,” spiega, mentre lei nota il tono tirato che la voce di lui assume sulle ultime due parole.
 
“Sì, esatto,” conferma, non sapendo cosa fare, se dire qualcosa su Renzo, se omettere, se aspettare.
 
“Tra l’altro, Renzo dov’è? È qui con te?” le chiede, guardandosi intorno, lasciando emergere nuovamente un certo imbarazzo e togliendole la decisione dalle mani.
 
“No, Renzo… Renzo è a Torino… Vedi, Marco, la mia vita è molto cambiata dall’ultima volta che ci siamo visti,” esordisce, cercando in qualche modo di introdurre l’argomento e di spiegare, ma lui la interrompe.
 
“Eh, immagino… Sai, mi sono sempre chiesto come avessi potuto tornare con tuo marito, pensare di poter essere di nuovo felice con lui, dopo tutto che era successo tra di voi, perché avessi preferito lui a me. Però invece ti trovo bene, mi tocca ammetterlo. Quando ti ho vista, per poco non ti riconoscevo: questa pettinatura ti dona e poi… sembri più… più luminosa, quasi ringiovanita rispetto ad un paio di anni fa,” commenta, voltandosi verso di lei per scrutarla nuovamente in viso, inclinando lievemente la testa di lato, assorto nella sua analisi, facendola arrossire, “e… anche se adesso sei in imbarazzo, mi sembri… serena, in generale.”
 
“Sì, è vero… sia che sono in imbarazzo, sia che sono serena,” ammette con schiettezza, cercando disperatamente nella sua testa le parole giuste per spiegare.
 
“Scusa per il ritardo, Camilla, ma non avevo più moneta e-“
 
La voce alle sue spalle li interrompe e la porta a girarsi verso Gaetano che osserva stupito Camilla e quell’uomo, seduti fianco a fianco e che, da come parlavano, parevano impegnati in una specie di confessione intima e solenne, con tanto di atto di dolore e – forse – di assoluzione finale.
 
“Gaetano!” esclama lei, alzandosi in piedi quasi di scatto, sentendo l’imbarazzo triplicare di colpo e il panico impossessarsi di lei, conoscendo bene la sua gelosia, soprattutto nei confronti di Marco, fin da quando gli aveva raccontato di quell’episodio in spiaggia.
 
Marco osserva sorpreso il perfetto sconosciuto di fronte a lui, elegante come un avvocato o un magistrato ma con il fisico da atleta, quello che ha visto in diversi colleghi di suo fratello, di solito quelli dei reparti speciali, esperti di arti marziali e di corpo a corpo. Sebbene non abbia la più pallida idea di chi possa essere, imita Camilla e si alza in piedi.
 
Gaetano, a sua volta, studia quell’uomo dall’aria da intellettuale o da artista, tra i baffi, i capelli lunghi e la giacca di pelle. Sembra un professore di liceo o universitario, magari di filosofia, di quelli che girano in moto e affascinano le studentesse raccontando loro degli anni ’70, delle lotte studentesche e disquisendo con loro sul senso della vita. Ma soprattutto si chiede come Camilla lo conosca e che cosa l’uomo ci faccia qui, perché è evidente dal modo in cui parlavano che non possono essersi incontrati in questi dieci minuti.
 
“Mi sono perso qualcosa? Non ci presenti?” domanda a Camilla, continuando a studiare l’altro uomo.
 
“No, cioè sì, cioè non ti sei perso nulla e sì, certo, che vi presento…” farfuglia Camilla, visibilmente in imbarazzo, “Marco Visconti, il vicequestore Gaetano Berardi, che-“
 
“Un vicequestore? Ah, ecco, ero indeciso se fosse un poliziotto, un magistrato o un avvocato. Molto piacere,” la interrompe Marco con un sorriso, porgendo la mano a Gaetano in una stretta decisa, solida, ma non eccessiva.
 
Una bella stretta di mano, deve ammettere Gaetano, da persona schietta, aperta.
 
“Io invece sono ancora indeciso se lei sia un artista, un professore o un poliziotto,” ribatte Gaetano, ricambiando il sorriso e la stretta.
 
“Ah, nessuna delle tre cose, per la carità: le velleità artistiche le lascio a mio figlio, dato che le Muse sono state ben poco generose nei miei confronti quando distribuivano i talenti, l’insegnamento lo lascio più che volentieri a Camilla, che di sicuro se la cava molto meglio di quanto potrei fare io – già non riesco ad imporre la disciplina a mio figlio, figuriamoci ad una masnada di adolescenti – mentre le indagini le lascio più che volentieri al mio fratellino. Come le dicevo, la disciplina non è proprio il mio forte,” spiega con una risata, passandosi una mano tra i capelli.
 
“Capisco,” annuisce Gaetano, non potendo evitare di sorridere ancora, dato che quest’uomo gli ricorda, per qualche strano motivo, sua sorella Francesca, o meglio, come potrebbe essere al maschile, “ma quindi suo fratello è un poliziotto? Lavora qui?”
 
“Sì, sì, è un vicequestore, proprio come lei, anche se sorride molto, ma molto meno di lei, purtroppo per me, ma probabilmente vi conoscerete…”
 
Il sorriso di Gaetano gli si congela in volto mentre i suoi neuroni fanno il collegamento.
 
“Lei, lei è il fratello di De Matteis?” domanda, incredulo, squadrandolo di nuovo da capo a piedi come se lo vedesse per la prima volta.
 
“Sì, esatto,” conferma Marco con un altro sorriso, non cogliendo affatto il cambio di tono di Gaetano.
 
“Ma non ha detto che si chiama Visconti?”
 
“Sì, ma… vede, io ho preso il cognome di mia madre, grande soprano dilettante, mentre ho lasciato a mio fratello l’onore di portare il cognome di nostro padre, il generale De Matteis. Ad ognuno la sua vocazione,” spiega, sempre in tono molto cordiale ed autoironico.
 
“Quindi… lei è… il produttore di vini?” chiede, non potendo evitare di assumere il solito tono nel pronunciare quelle tre parole, pure senza aggettivi.
 
Perché il suo cervello, la sua immaginazione, di solito preziosi alleati nello svolgimento del suo lavoro e anche nella vita privata, gli si stanno ora rivoltando contro, mostrandogli immagini inequivocabili di… di baffetto d’oro insieme alla sua Camilla in quella famosa cabina sulla spiaggia. Immagini che gli fanno ribollire il sangue nelle vene dalla gelosia, anche se sa che è stupido ed irrazionale.
 
“Esatto, ma lei come lo sa? Non mi dica che l’ha intuito come Sherlock Holmes perché non ci credo,” scherza Marco, che, non conoscendo Gaetano, non riesce a captare le sfumature della sua voce, pensando che l’uomo sia semplicemente sorpreso, reazione che capita di frequente quando rivela la parentela con il fratello, dato che non si somigliano quasi per niente.
 
“No, è che… ho sentito molto parlare di lei,” replica Gaetano, lanciando un’occhiata a Camilla che sembra pietrificata.
 
“Da mio fratello?”
 
“Anche, ma soprattutto da Camilla,” chiarisce, continuando a fissarla.
 
“Ah, e come-”
 
“Sì, Marco, vedi è che…” lo interrompe Camilla, ritrovando infine la voce e cercando di disarmare le potenziali bombe pronte ad esplodere, “è che, come stavo cercando di dirti, Gaetano, a parte essere un vicequestore è… il mio compagno.”
 
“Il tuo… il tuo compagno?” domanda, spalancando gli occhi e la bocca, sbigottito, guardando l’uomo di fronte a sé con occhi nuovi e studiandolo un'altra volta da capo a piedi, “cioè, intendi dire che…”
 
“Sì, io e Gaetano stiamo insieme,” conferma, alternando lo sguardo tra i due uomini .

“E Renzo?” chiede, prima di potersi trattenere, mordendosi la lingua non appena nota l’occhiataccia dell’altro uomo e l’imbarazzo di Camilla, “scusami… è una domanda idiota… è che… non me lo aspettavo.”
 
“No, cioè sì, cioè… come avrai intuito ovviamente io e Renzo ci siamo lasciati…”
 
“Sì, vogliate scusarmi, anzi, soprattutto lei, vicequestore, è che…” si interrompe, scoppiando in un accenno di risata nervosa e imbarazzata e passandosi una mano tra i capelli, non sapendo come gestire la situazione.
 
“Non si preoccupi, so tutto: Camilla mi ha parlato della vostra… relazione,” replica Gaetano, aggiungendo poi con un’occhiata eloquente, “sa, io e Camilla ci siamo promessi di raccontarci sempre tutto, non ci sono segreti fra noi.”
 
“Ah, bene, bene…” abbozza Marco, mentre Camilla lancia a Gaetano un’occhiataccia della serie – questa potevi pure risparmiartela – che però viene da lui completamente ignorata.
 
“La professoressa Baudino e il vicequestore Berardi sono arrivati?” li raggiunge una voce gelida ed inconfondibile, che però, per una volta, Camilla quasi benedice.
 
Si voltano e vedono De Matteis parlare con l’agente di prima, che gli indica la zona dove si trovano. De Matteis solleva gli occhi e, non appena nota la loro presenza e, soprattutto, la presenza di Marco, la mascella gli si irrigidisce.
 
“Marco, cosa ci fai qui?” domanda, avvicinandosi al fratello, per poi aggiungere, senza nemmeno attendere una risposta, “odio interrompere questa bella rimpatriata, ma ho urgente bisogno di conferire con il vicequestore Berardi e consorte. Se hai bisogno di me dovrà aspettare, non ci dovremmo mettere molto, comunque. Se mi volete seguire…”
 
“Ehi, Paolo, aspetta, ma che modi sono?” prova a protestare Marco, ma il fratello gli fa un breve cenno della mano come a dire che non ha tempo e si incammina verso il suo ufficio.
 
“Vicequestore Berardi e consorte?” sussurra Gaetano a Camilla, spiazzato dal comportamento di De Matteis, dimenticando per un attimo la gelosia nei confronti del di lui fratello.
 
“Che ti devo dire? Ma mi sa che è meglio non farlo aspettare…” sussurra di rimando Camilla, scrollando le spalle, ma in cuor suo ringraziando per una volta i modi bruschi e sbrigativi di De Matteis, per poi girarsi verso Marco e congedarsi con un rapido, “scusa, ma come vedi dobbiamo andare.”
 
E così seguono De Matteis, mentre Marco rimane lì a guardarli, un misto di sorpresa, malinconia ed amarezza sul volto.
 
“Bene, verrò subito al dunque del perché vi ho convocato. Marchese, vieni pure. E chiudi la porta,” ordina De Matteis, imperioso, mentre il giovane entra con una busta di plastica in mano, una di quelle usate dalla polizia scientifica.
 
“Prego, Marchese,” gli fa cenno e il ragazzo, dopo aver indossato un paio di guanti di lattice, estrae il contenuto della busta.
 
“Sono questi i pantaloni che indossava Ilenia Misoglio sabato scorso?” domanda De Matteis, senza perdere altro tempo, mentre Marchese mostra l’indumento a Camilla e Gaetano.
 
“Mah… sembrerebbe di sì, però… sono dei pantaloni bianchi come tanti altri, difficile dirlo con certezza…” commenta Camilla, mentre Gaetano si limita ad annuire.
 
Poi Marchese li volta ed è in quel momento che Camilla nota un’incongruenza.
 
“No, però, quella bandiera americana sulla tasca non c’era sui pantaloni di Ilenia. Vero, Gaetano?”
 
“Confermo,” annuisce l’uomo, posandole una mano sulla spalla.
 
“Perché quella è una toppa, applicata successivamente, professoressa. Comunque, a parte la toppa, mi conferma che i pantaloni sono quelli della Misoglio?”
 
“Le confermo che non escludo che lo siano, insomma, potrebbero essere i suoi, ma non posso nemmeno affermarlo con certezza. Se vuole esserne sicuro forse dovrebbe chiederlo a lei o farglieli provare, non crede?”
 
“Sì, come la scarpetta a Cenerentola… Non è possibile, professoressa e poi la prego di non fornirmi suggerimenti non richiesti su come svolgere il mio lavoro, ma di darmi invece le informazioni che le chiedo, su cui però, guarda caso, è sempre lacunosa e reticente. Va beh, come sempre grazie per il preziosissimo aiuto, potete andare,” proclama facendo cenno verso la porta ed iniziando a pulirsi gli occhiali, ignorandoli.
 
“Tutto qui?”
 
“Devo farle anche un inchino per congedarla?” domanda sarcastico, continuando a concentrarsi sugli aloni delle lenti.
 
“No, intendo dire: ci ha convocati di corsa, ci ha fatto aspettare un’ora… tutto solo per questa domanda?” chiede Camilla, l’irritazione che emerge chiaramente dal tono di voce.
 
“Camilla…” la avverte Gaetano, iniziando a tirarla verso la porta, ma De Matteis solleva finalmente lo sguardo e la fulmina con un’occhiata derisoria.
 
“Cosa si aspettava? Un invito a cena? Capisco che lei sia stata abituata a ben altro trattamento da parte delle forze dell’ordine, ma, per sua sfortuna, non condivido affatto gli inspiegabili gusti di mio fratello,” sibila, tagliente come un rasoio.
 
E stavolta è Camilla che si trova a trattenere Gaetano per il braccio, prima che si arrivi allo scontro fisico.
 
“Calmati,” gli sussurra all’orecchio, “non dargli questa soddisfazione, non ne vale la pena.”
 
“Non sopporto che ti manchi di rispetto in questo modo…” sussurra lui di rimando, anche se fa come chiesto e si tranquillizza.
 
“Anzi, a proposito di mio fratello, Marchese,” prosegue De Matteis, ignorando completamente la coppia e sedendosi dietro la scrivania, “accompagna il vicequestore e la professoressa all’ingresso e nel frattempo dì a mio fratello di entrare, che posso riceverlo. E poi riporta i pantaloni alla scientifica per le ultime analisi.”
 
Marchese lancia a Gaetano e Camilla uno sguardo di scuse, annuisce e fa come chiesto.

Scambiano solo un rapido sguardo con Marco, che entra nell’ufficio del fratello.
 
“Allora, come mai sei qui? Avevi bisogno di qualcosa?” domanda, senza perdere tempo in preamboli e senza alzare lo sguardo dal foglio.
 
“Sì, avevo bisogno delle chiavi della tua auto: la mia è in panne e lo sai che oggi pomeriggio ho la degustazione a Frascati e devo portare le casse di vino, e il furgone serve a Gaspare per comprare le provviste per stasera…”
 
“Non se ne parla, l’auto mi serve per il lavoro!”
 
“Ma se hai schiere di auto di servizio e agenti che ti possono trasportare! E, dato che sei ormai da anni ospite a casa mia, credo che almeno questo me lo devi!” protesta Marco, irritato dall’atteggiamento del fratello.
 
“Ospite? Ma se contribuisco alle spese!” obietta De Matteis, tirando però fuori le chiavi dal taschino interno della giacca e porgendole al fratello con un sospiro.

“Sai te che contributo: ogni tanto ti sprechi con un po’ di cibo, quello che compri in offerta, e basta. Comunque, piuttosto, mi spieghi perché non mi hai detto che avevi rivisto Camilla?” domanda, intascandosi le chiavi prima che quel tirchio del fratello cambi idea.
 
“E cosa avrei dovuto dirti? Sai, Marco, ho rivisto quella stronza della tua ex, quella che ti ha mollato come un cretino in mezzo ad una strada con i mobili già sul camion dei traslocatori e che è stata capace di rispedirti l’anello di fidanzamento per posta, dato che, ovviamente , si vergognava a metterci la faccia?”
 
“Paolo! Innanzitutto ti prego di avere un po’ di rispetto per Camilla ed evitare certi insulti. E l’anello me l’ha spedito per posta perché sono partito per New York il giorno dopo che mi ha lasciato. E comunque se l’ho superata io questa storia, non vedo perché non possa superarla tu,” gli fa notare, sconcertato dal livore che emerge dalla voce del fratello.
 
“Perché io c’ero e ricordo come l’hai superata questa storia, come stavi male quando sei tornato da New York, anche se cercavi di nasconderlo. E non capisco come tu possa essere così conciliante e comprensivo con lei, soprattutto dopo che hai potuto verificare di persona come non sia affatto questa specie di eroina che si immolava per riunire la famiglia che ti eri creato nella tua testa per giustificare quello che aveva combinato, anzi, visto che alla prima occasione ha dato il benservito pure al marito.”
 
“Ma tu che ne sai, eh? Magari il marito l’ha tradita o lasciata di nuovo e lei allora ha iniziato una storia con questo vicequestore…”
 
“Ma come sei ingenuo, fratellone, possibile che tu non l’abbia ancora capito? Berardi era il mio predecessore… come pensi che sia nato nella Baudino tutto questo amore per le indagini, eh? Te l’avevo detto no, che giravano voci qui in questura che il mio predecessore la assecondasse in questa sua passione per l’investigazione? E che se lo faceva era perché era il suo amante, perché ne era innamorato. E ora, guarda caso, stanno insieme. Altro che moglie devota!” commenta con una risata beffarda, scuotendo il capo.
 
Marco apre la bocca come per protestare ma poi la richiude, corrugando la fronte, perso nei suoi pensieri.
 
***************************************************************************************
 
“E stai attento, porca miseria!”
 
Camilla lo guarda sorpresa mentre suona il clacson contro un motociclista dalla guida molto sportiva che per poco non rifaceva loro la fiancata, rischiando oltretutto di farsi tirare sotto.
 
“Gaetano, che succede?” gli domanda, osservandolo preoccupata.
 
“Non hai visto? Lui-“
 
“Sai cosa voglio dire… perché sei così nervoso? Non è da te, e lo sai… Non dirmi che è per via di Marco…” sospira lei, lanciandogli un’occhiata eloquente.
 
“Ma no… perché mai dovrebbe avermi dato fastidio trovarti a parlare cuore a cuore con il produttore di vini molto affascinante e poi dover pure subire la strafottenza ed il risentimento del fratello del produttore di vini molto affascinante?” le domanda, sarcastico, afferrando il volante quasi come se volesse staccarlo.
 
“Non stavo parlando cuore a cuore con Marco, eravamo solo entrambi stupiti di esserci rincontrati ed in imbarazzo e… sinceramente stavo cercando di scusarmi con lui per quanto successo. Non sono riuscita a farlo due anni fa e… glielo dovevo,” spiega, appoggiandogli una mano sul braccio per cercare di farlo rilassare, ma lui rimane teso come un  legno.
 
“Ma non mi sembrava poi così arrabbiato con te, anzi, tutt’altro. E, ti ripeto, dall’atteggiamento di De Matteis, se non sapessi nulla, penserei che tu abbia lasciato lui e non il fratello, che invece era tranquillo, gentile e sorridente…”
 
“Lo so ma…”
 
“Che poi si può sapere che cos’è che è successo con questo Marco? Com’è che vi siete lasciati? Cos’è sta storia di Renzo e della sceneggiata in pubblica piazza?” domanda Gaetano, non resistendo più e ponendole la domanda che ormai gli ronzava in testa da martedì, quando aveva incontrato De Matteis e le sue battutine per la prima volta.
 
“Gaetano…” sospira lei di nuovo, preoccupata e in imbarazzo, anche se, in fondo, un po’ se lo aspettava, “io se vuoi te lo spiego ma… non ci faccio una gran figura e… ho paura che penserai male di me. E poi non voglio che ti ingelosisca di nuovo se ti racconto di me e di Marco, soprattutto perché non ne hai motivo.”

“Camilla…” ripete lui, approfittando di un semaforo per guardarla negli occhi, “se mi dici così e non me ne parli, mi farai solo preoccupare di più, immaginare chissà che cosa. E poi non credo potresti mai raccontarmi qualcosa che mi faccia pensare male di te, professoressa.”
 
“D’accordo…” annuisce lei, prendendo un gran respiro per farsi coraggio, “vedi, per farla breve… Renzo mi aveva lasciata per Carmen e io sono tornata in Italia con Livietta e ho cercato di rifarmi una vita. Sono stata sola per parecchio tempo e poi ho conosciuto Marco, lo stesso giorno che ho conosciuto De Matteis, quando sono stata convocata in questura per una sparatoria di fronte a scuola e… quando ho scoperto da Torre che tu… che tu non eri più a Roma…”
 
“Una sparatoria?” domanda, preoccupato, accostando la macchina per concentrare tutta l’attenzione su di lei.
 
“Non mi era successo niente, non ti preoccupare,” lo rassicura, accarezzandogli il braccio, toccata dal fatto che, prima di tutto, lui si preoccupasse di lei, “comunque ci siamo frequentati per un po’ di mesi…”
 
“Quando è capitato il famoso episodio della spiaggia,” si inserisce lui, non potendo nascondere la gelosia nel tono di voce, mentre le immagini di Marco che fa l’amore con Camilla continuano a scorrergli in testa come in un film.
 
“Sì, esatto,” ammette Camilla, maledicendosi per l’ennesima volta per avere avuto la brillante pensata di farlo ingelosire raccontandoglielo, in una specie di stupido tentativo di rivalsa nei confronti della parata di bellezze inarrivabili che gli ronzavano sempre intorno e della sua vita da latin lover: aveva funzionato fin troppo.
 
“Comunque, poi… lui mi ha fatto la fatidica proposta, insomma mi ha regalato l’anello e mi ha chiesto di andare a vivere con lui.”
 
“Cosa?!” esclama, guardandola sconcertato, mentre il demone della gelosia di nuovo si impadronisce di lui e gli tinge lo sguardo di rosso, “ma quindi vi eravate fidanzati, vi dovevate sposare?”
 
“Beh, sì, cioè, io ero ancora sposata con Renzo, quindi chiaramente avremmo dovuto attendere il divorzio ma l’idea era quella, credo… Non avevamo fatto progetti precisi ma…” cerca di spiegare, sempre più preoccupata di fronte all’espressione sul volto di lui, che sembra aver appena mangiato un limone intero. Gli posa una mano sulla spalla, sentendolo rigido come un blocco di granito, cerca di accarezzarlo, ma lui scrolla le spalle, sottraendosi al tuo tocco.
 
“Gaetano!” esclama lei, tra l’addolorato e il meravigliato, sentendosi come se avesse appena ricevuto uno schiaffo, “ma si può sapere perché fai così? Non ti ho mai visto così geloso, Gaetano, nemmeno di Renzo! Lo sapevi che avevo avuto una storia con qualcuno durante la separazione da Renzo e… tu non c’eri, non ti vedevo da anni e non avrei potuto stare con te nemmeno volendo. Lo capisci che questa gelosia è stupida e non ha senso?”
 
“Sì, hai ragione, scusami,” ammette lui con un sospiro, dandosi del cretino quando nota l’espressione ferita di lei, staccando finalmente una mano dal volante e afferrando quella che lei ancora tiene sollevata in aria, quasi come se si fosse scottata. Lei prova a scostarla per un secondo ma alla fine cede, permettendogli di intrecciare le loro dita.
 
“Vedi Camilla, è che… per quanto non mi abbia mai fatto piacere immaginarti con Renzo, lui in un certo senso ha sempre fatto parte della tua vita, era… inevitabile. Tu eri sua moglie, era ed è il padre di tua figlia ed io questo l’ho sempre saputo. Ho sempre saputo che lui e Livietta erano il centro del tuo mondo e che probabilmente questo non sarebbe mai cambiato. Mi sono abituato fin da subito all’idea di poterti solo ammirare da lontano, di dovermi accontentare di quel poco che potevi o volevi offrirmi. Invece con questo Marco… da quello che mi avevi raccontato, e… da quello che mi aveva raccontato Torre... pensavo che fosse stata una storia breve, che fosse durata poco. Poco più di un’avventura ecco… E invece era una cosa importante, evidentemente: l’hai amato a tal punto da pensare di costruirci una famiglia, di passare tutta la vita con lui. Non so perché questo mi faccia male, Camilla: lo so che non stavamo insieme, che non facevo più parte della tua vita, che eri single e che… con tutte le donne che ho avuto io, sarei un idiota a prendermela con te per aver cercato di rifarti una vita dopo la separazione da Renzo, però… mi fa male lo stesso e non posso farci niente. E, anche se non l’avrei mai pensato, preferivo mille volte immaginarti con lui su quella maledetta spiaggia, piuttosto che quando accetti di sposarlo o, peggio, all’altare, come sto facendo adesso.”
 
“Gaetano…” sussurra lei, stringendogli la mano, “ascoltami, credo di capire cosa stai provando, perché è la stessa cosa che provo io quando penso a te ed Eva insieme, la stessa cosa che ho provato la prima volta che l’ho vista ma-“
 
“Ma non è la stessa cosa: quella con Eva è stata una follia per entrambi, un enorme fuoco di paglia. Non ho mai amato Eva, Camilla, e tu lo sai… Invece… Camilla, io ti conosco e so che non avresti mai acconsentito a sposare qualcuno, a vivere con lui, a portarlo nella vita di tua figlia, se non l’avessi amato davvero molto.”
 
“Gaetano, io-” prova a spiegare, sentendosi improvvisamente piccola-piccola, inadeguata rispetto all’immagine che lui ha di lei, a quella stima, a quell’ammirazione che sente di non meritare.
 
Ma il suono del cellulare la blocca. Camilla ci impiega qualche secondo a ritornare alla realtà e a comprendere che è il suo. Lo estrae dalla borsa e legge il nome sul display.
 
“È mia madre…” annuncia preoccupata prima di accettare la chiamata, non sapendo se benedire o se maledire questa interruzione.
 
***************************************************************************************
 
“Per quando potremo avere i risultati sulla corrispondenza tra i pantaloni e il lembo di cotone sulla recinzione?”
 
“È un lavoro delicato, a causa della toppa che è stata applicata. Dobbiamo scucirla e rimuoverla con molta delicatezza e poi valutare se lo strappo è stato lasciato così com’era o se è stato modificato con forbici o altro. In ogni caso sarà difficile avere una corrispondenza perfetta. E questo sarebbe un problema, perché il cotone bianco è un tessuto molto diffuso e, non essendo stato sottoposto a tintura, è praticamente impossibile stabilire la corrispondenza a livello di fibre tra il lembo e i pantaloni. O meglio, potremmo arrivare ad affermare che il lembo possa appartenere a quei pantaloni, ma non ad escludere con ragionevole certezza che potrebbe invece appartenere a tantissimi altri capi simili in commercio. E purtroppo non possiamo nemmeno sperare di trovare tracce chimiche o organiche sui pantaloni che corrispondano con il lembo, ad esempio DNA, piante, semi, peli o anche solo, che ne so, residui di una particolare marca di ammorbidente, dato che i pantaloni sono stati candeggiati e lavati accuratamente prima di applicarci la toppa e poi sono stati usati da un’altra persona.”
 
“Esatto,” conferma Marchese, sospirando, dato che l’agente della scientifica gli conferma quello che già ricordava dalle nozioni di indagine scientifica di base apprese durante l’addestramento, “quanto ci vorrà per rimuovere la toppa e avere almeno un’idea indicativa?”
 
“Se diamo priorità a questo, direi entro stasera e poi valutiamo il da farsi. Vi chiamo non appena abbiamo terminato.”
 
“D’accordo, grazie,” lo saluta Marchese, per nulla felice della prospettiva di dover dare la brutta notizia a De Matteis.
 
***************************************************************************************
 
“Sammy, stai bene?”
 
“Sì, prof., sto bene, non si preoccupi,” la rassicura la ragazza, alzandosi in piedi dal divano del salotto di Andreina, su cui era seduta con indosso solo una vestaglia, che Camilla riconosce come una di quelle di sua madre.
 
“Quelli che non stavano bene erano i suoi vestiti: sembrava appena tornata dall’Oktober Fest,” commenta Andreina con un sospiro, portando un vassoio con tè e biscotti.
 
“Sì, anzi la ringrazio moltissimo per avermi prestato questa vestaglia e la lavatrice… non potevo tornare a casa conciata in quel modo: la mia portiera è una pettegola tremenda e se Pietro lo fosse venuto a sapere avrebbe fatto domande e…”
 
“E a parte che la nostra di portiera non è sicuramente da meno, anzi, quindi non potevo certo lasciarti qua fuori in quello stato ad aspettare Camilla, ma poi, ragazza mia, come ti è saltato in mente di andare ad attaccare briga con quella gente? Sono pericolosi!”
 
“Non sono tutti pericolosi, mamma, però possono diventarlo se ti avvertono come una minaccia per loro o per uno del loro gruppo,” spiega Camilla con un sospiro, “e non amano i curiosi, Sammy, e tu lo sai bene. Andare a far loro domande, da sola oltretutto, cosa ci eravamo promessi?”
 
“Niente colpi di testa, lo so, ma… me ne sono trovata davanti un gruppo mentre andavo in tribunale e non ho resistito… non pensavo sarebbero arrivati a gettarmi addosso la birra,” sospira Sammy, lisciando la vestaglia quasi di riflesso.
 
“Ma ti hanno anche rapinata?” domanda Gaetano, con un tono tra l’irritato e il preoccupato: questa collaborazione gli piace sempre di meno ad ogni secondo che passa.
 
“No, hanno provato a strapparmi di mano il telefono su cui avevo la foto e a buttarci sopra la birra, ma per fortuna è impermeabile e avevo il cinturino al polso e poi sono arrivati dei ragazzi e li hanno messi in fuga…”
 
“Certo che anche tu, mostrare loro la foto su un cellulare di ultima generazione, ma non ti è bastata la storia della telecamera?” domanda Camilla, incredula di fronte alla leggerezza di Sammy.
 
“Lo so, prof., ma… a proposito della telecamera, il ladro d’auto l’ha riconosciuto anche lei, no? È il punkabbestia che mi aveva fregato la telecamera, o meglio, che l’aveva fregata a Berilli, l’amico del fratello di Ilenia…”
 
“Sì, in effetti, se non è lui è il suo sosia… Non aveva quella cresta e aveva qualche anno di meno, ma la somiglianza è impressionante e-“
 
“E lei capisce cosa vuol dire questo, prof.? Che siamo ad un passo dal dimostrare l’innocenza di Ilenia! Quel punkabbestia aveva un ottimo movente per fare fuori lo Scortichini, no?”
 
“Forse, ma sinceramente la modalità del delitto, se di delitto si è trattato, non mi convince affatto: troppo cervellotico, troppo rischioso e poi richiede competenze di veterinaria e accesso a dei farmaci che comprati sottobanco sono costosi. E i punkabbestia non navigano nell’oro e di solito, come dimostrato dall’episodio di oggi, sono molto ma molto diretti nei loro metodi e non hanno paura a sporcarsi le mani quando lo ritengono necessario,” commenta Gaetano con un sospiro, mentre quel presentimento negativo non cessa di attanagliargli lo stomaco.
 
“Però amano i cani e li conoscono bene, magari qualcuno di loro li ha studiati e si è informato e…”
 
“E come dici tu amano i cani: mi sembra strano che poi decidano di usarne uno come arma per un omicidio. Ricordo quanto odiassero i combattimenti clandestini e quanto disprezzassero lo Scortichini,” aggiunge Camilla, anche lei poco convinta.
 
“Ma magari la consideravano una punizione, una giusta rappresaglia, prof.! La vittima che si vendica del suo carnefice e gli si ritorce contro. Come in Dante…”
 
“La legge del contrappasso?” domanda Camilla, cercando gli occhi di Gaetano per capire cosa ne pensi, ma l’uomo guarda in basso e pare perso nei suoi pensieri.
 
“Senta, prof., comunque vogliamo vedere le cose, una certezza ce l’abbiamo, ovvero che l’auto l’ha rubata questo punkabbestia, quindi dobbiamo trovarlo!”
 
Il suono del campanello interrompe la discussione: Andreina, che si era tenuta in disparte ma aveva, ovviamente, ascoltato tutto, va ad aprire.
 
“Livietta, Nino, già di ritorno?” saluta Camilla, vedendo entrare i due ragazzi con due caschi in mano e gli zaini sulle spalle.
 
Livietta sembrava essersi ormai inserita benissimo nella compagnia di Nino e i ragazzi uscivano insieme praticamente tutti i giorni e spesso tornavano solo la sera, in orario di cena. È quindi quasi strano vederli rientrare a metà pomeriggio.
 
E lo stesso, purtroppo, sembrava valere per Amedeo. Ma se, nel caso della figlia, Camilla era contenta e, anzi, le dispiaceva per Livietta pensare che di lì a qualche giorno sarebbero tornati a Torino e avrebbe dovuto salutare tutte le nuove amicizie che aveva fatto, nel caso dell’anziano, invece, sapeva che la cosa non deponeva affatto a favore del matrimonio della madre. Anche se, in effetti, era stato un bene che l’uomo non fosse in casa quando era arrivata Sammy, lavata di birra da capo a piedi.
 
“Sì, mamma, stasera c’è il concerto della band di Nino, ti ricordi?” risponde Livietta, buttandosi sull’altro divano.
 
“Ah, sì, giusto, era stasera… Però non mi hai ancora detto dov’è questo concerto,” le fa notare Camilla, accantonando per un attimo le indagini e ritornando nel ruolo di madre.
 
“Già… beh, ma invece voi, come mai siete tutti qui? E chi è questa ragazza, e come mai ha su la vestaglia di nonna?” domanda Livietta, guardando Sammy.
 
“Lei è Sammy una mia ex alunna, forse te la ricordi, vi siete viste qualche volta…”
 
“Ah, sì, era quella che stava con quell’altro tuo allievo, quello che adesso è poliziotto, ed era amica di Ilenia, giusto?” chiede Livietta, mostrando grande interesse e aggiungendo con un sopracciglio alzato, “ma quindi siete impegnati in una… riunione investigativa? Per cercare di aiutare Ilenia? Proseguite pure, non badate a noi…”
 
“Più tardi proseguiremo la riunione, ma prima quello che mi preme investigare è dove si trova questo benedetto concerto. E non provare di nuovo a cambiare discorso, che non attacca,” mette in chiaro Camilla, trafiggendo i due ragazzi con un’occhiata della serie “a me non la si fa”.
 
“Beh… il concerto è a casa del batterista della band, giusto?” risponde Livietta, incerta, guardando Nino.
 
“Sì, sì, esatto,” conferma il ragazzo con un sorriso.
 
“Un concerto in una casa privata?” domanda Camilla, sempre più dubbiosa.
 
“È che non è solo un concerto, è anche una festa di addio, in un certo senso. Tutti i ragazzi della band frequentano come me il liceo americano, siamo tutti con la doppia cittadinanza. Il nostro batterista è il più grande tra noi, si è appena diplomato ed è stato ammesso alla Juilliard di New York, sa la famosa università dove si può studiare ballo, recitazione, musica… E tra un paio di settimane si trasferirà di nuovo in America e quindi è l’ultima volta che suoniamo insieme.”
 
“Capisco… però, dov’è la casa di questo batterista?”
 
“È in campagna… sui Colli Albani…” mormora Nino, quasi come se avesse paura di pronunciare quelle parole.
 
“Eh? E come pensereste di arrivare fin lì?” domanda Camilla, mentre il suo sopracciglio è quasi ormai giunto sulla cima della fronte.
 
“Beh… pensavamo di farci accompagnare dal nostro chitarrista…”
 
“Età?”
 
“Diciott’anni e mezzo…” abbozza Nino, con l’aria di chi si prepara ad un’esplosione.
 
“Non se ne parla nemmeno. Non so cosa ne pensino tuo padre e Francesca, Nino, ma, Livietta, lo sai che c’è una regola precisa in casa e che non si sale sulle auto di neopatentati. Soprattutto non di notte e non in strade tortuose di campagna,” proclama Camilla, con un tono di chi non ammette repliche.
 
“Ma in moto con Nino mi ci fai andare,” protesta Livietta, guardandola con sguardo implorante.
 
“Perché di Nino so che posso fidarmi e poi sono due anni che guida il motorino. Ma se vuoi che ti tolga il permesso anche per quello non hai che da dirlo…”
 
“No, no, ma… Come facciamo?”
 
“Non so cosa voglia o possa fare Nino, ma nel tuo caso di sicuro ti ci porto io, se Gaetano mi presta la macchina…”
 
“Vi accompagno anche io,” si inserisce Gaetano, che, con tutti gli incidenti mortali di neopatentati che ha visto nella sua carriera, è più che d’accordo con Camilla.

“Ma è un’ora di macchina ad andare e una a tornare e…” protesta Livietta, ma viene interrotta da Gaetano.
 
“E, se non possiamo fermarci a questo concerto, troveremo qualcosa da fare… magari un agriturismo in cui cenare… Mal che vada faremo un picnic notturno in mezzo al verde…”
 
“In realtà non è necessario, zio, credo che il padre del nostro batterista abbia organizzato una specie di festa separata per gli adulti. Ha un’azienda agricola e penso che faccia fare un giro delle cantine, cose così,” interviene Nino, sentendosi in colpa nei confronti dello zio e di Camilla e parendo non accorgersi dello sguardo assassino che gli lancia Livietta, fino a quando gli tira un colpo negli stinchi.
 
“Ma allora che problema c’era? Perché tutto questo mistero? È così terribile averci appresso e non a decine di chilometri di distanza anche se vi lasciamo per conto vostro?” chiede Camilla, con tono stupito e un po’ ferito: sapeva che Livietta si vergognava ad essere accompagnata dai genitori alle feste, ma di solito non arrivava a tanto.
 
“No, mamma è che… è un’azienda vinicola, in campagna, e so quanto non ami quel genere di posti,” risponde Livietta, guardandola e muovendo le sopracciglia in un modo strano, come se stesse cercando di dirle qualcosa.
 
“Guarda che ti confondi, cara, quello che non ama la campagna è quel pantofolaio di tuo padre. Tua madre, proprio come me, ha sempre apprezzato la natura, ricordi che belle gite facevamo con tuo padre?”
 
E soprattutto apprezzava i produttori di vino – pensa Gaetano, digrignando quasi di riflesso i denti.
 
“Sì, mamma…” sospira Camilla, ormai assuefatta alle decine di frecciatine velenose contro l’ex marito, ma non notando l’espressione di Gaetano, “e comunque, Livietta, è deciso: ti accompagniamo noi. Tu cosa fai, Nino, vieni con noi o…?”
 
“Beh, sì, a questo punto sì,” annuisce il ragazzo, continuando a non capire perché Livietta lo stia guardando come se l’avesse tradita.
 
“Allora, se voi dovete prepararvi per questa festa, forse io è meglio che vada: i miei vestiti ormai saranno quasi asciutti, no?” interviene Sammy, che aveva assistito alla scena in silenzio.
 
“Credo di sì… vado a controllare,” conferma Andreina, alzandosi e avviandosi verso la stireria.
 
“E con i punkabbestia come rimaniamo?”
 
“I punkabbestia?” domandano all’unisono Livietta e Nino, incuriositi, “cosa c’entrano i punkabbestia?”
 
“C’entra che dobbiamo rintracciare un punkabbestia e -”
 
La polizia lo deve rintracciare: Marchese avrà già mostrato i filmati a De Matteis e ci penseranno loro a ritrovarlo. Oltretutto sapranno sicuramente molto meglio di noi quali sono le zone frequentate dai punkabbestia attualmente,” mette in chiaro Gaetano, sollevando lo sguardo e squadrando le due donne con un’occhiata di avvertimento.
 
“Ma lo sa anche lei che con la polizia non collaboreranno mai, non parleranno mai. Ha visto cos’è successo l’altra volta, no? Sapevano chi era l’assassino del fratello di Ilenia ma hanno preferito cercare di farsi giustizia da soli, quindi figuriamoci se tradirebbero uno dei loro!”
 
“Su questo Sammy ha ragione, Gaetano… anche se è stata un’incosciente oggi e su questo hai ragione tu,” si affretta ad aggiungere Camilla, notando l’espressione dell’uomo.
 
“Forse i punkabbestia non collaboreranno con la polizia, ma non parleranno nemmeno con noi, se è solo per questo: si fidano solo di chi conoscono e considerano amico. E io non posso permettervi di correre altri rischi: se provocati possono essere pericolosi e oggi ti è andata persino bene, Sammy, nonostante la doccia a base di birra,” replica con tono che non ammette obiezioni.
 
“I punkabbestia ti hanno rovesciato la birra addosso?” domanda Nino, stupito, non trattenendo un mezzo sorriso, “certo che tra te e Camilla, zio, non ci si annoia mai! Però forse stavolta posso aiutarvi.”
 
“E come? Nino, scordati di offrirti di andare a parlare tu con i punkabbestia o cose simili, chiaro? Ci manca solo che ti riporto da Francesca e da tuo padre con un occhio nero!”
 
“Ma zio, tu hai detto che si fidano di chi conoscono e considerano amico, no?”
 
“E tu saresti amico dei punkabbestia, adesso?” domanda Gaetano, tra l’incredulo e il preoccupato.
 
“No, io no, però il nostro batterista è un tipo... un po’ alternativo… cioè i soldi non gli mancano e non è uno sbandato, però… spesso va a suonare per strada: se trova qualche gruppo di musicisti si unisce a loro e poi lascia loro le elemosine, ovviamente. So che ha suonato diverse volte anche con dei punkabbestia qui a Roma, e credo ci abbia fatto amicizia. Potete chiederglielo stasera e magari lui vi può dare una mano.”
 
Ci mancava solo l’artista figlio di papà/finto alternativo in questa indagine – non può fare a meno di pensare Gaetano, massaggiandosi le tempie e sentendo che la situazione gli sta sfuggendo di mano.
 
E la cosa, di nuovo, non gli piace per niente.
 
***************************************************************************************
 
“Avanti!”
 
“Dottor De Matteis, ho visto i filmati e-“
 
“Un attimo Marchese,” lo stoppa sul nascere De Matteis, fino a che il ragazzo si guarda intorno e nota il supervisore della scientifica con una cartellina in mano, mentre una identica è in mano a De Matteis, “anche se quello che stavamo dicendo interessa anche te. Allora, i risultati su questi pantaloni?”
 
“Se guarda la foto a pagina tre, può notare che la tasca del pantalone, prima di applicare la toppa, è stata chiaramente rifilata con una forbice per eliminare i fili sporgenti. Detto questo però, il lembo di cotone rinvenuto sulla recinzione rientra nel buco sulla tasca, anche se, ovviamente, non coincide perfettamente. Non posso quindi darle una corrispondenza assoluta, ma, dalle foto di quel modello di pantaloni ritrovate su internet, è evidente che una volta ricostruita, tralasciando gli spazi vuoti, la tasca è praticamente identica all’originale. Ritengo quindi che ci sia un’ottima probabilità che il lembo provenga da questi pantaloni e che la nostra perizia in tal senso potrebbe reggere davanti al giudice ed in tribunale, se sommata chiaramente ad altri elementi indiziari.”
 
Per Marchese è come una doccia gelida: questa era la cosiddetta pistola fumante, e il peggio era che era stato proprio lui a consegnarla in mano a De Matteis.
 
E dire che, quando aveva visto il punkabbestia nel filmato, per un attimo aveva pensato di essere finalmente riuscito a dimostrare l’innocenza di Ilenia. Ma che cosa ci faceva Ilenia a casa dello Scortichini? E cosa c’entrava con quel punkabbestia? Perché, se era stata a casa dello Scortichini, doveva esserci andata per forza con quell’auto rubata.
 
Non poteva credere che Ilenia fosse colpevole, si rifiutava di crederlo, però…
 
“Benissimo, finalmente una buona notizia! E dobbiamo ringraziare l’agente Marchese: senza di lui forse non avremmo mai ritrovato quei pantaloni,” proclama De Matteis, sembrando leggergli nel pensiero, o almeno in parte, dato che gli rivolge un sorriso orgoglioso.
 
“Grazie, dottore, però, le dicevo, quei filmati…”
 
“I filmati possono aspettare, Marchese: a questo punto non c’è motivo di lasciare a piede libero la Misoglio. Andiamo a prelevarla: se tutto va come deve, potremmo avere una sua piena confessione entro stasera.”
 
***************************************************************************************
 
“Siamo sicuri che la strada sia questa? Al buio queste strade di campagna sembrano tutte uguali, maledizione!”
 
“Già, hai ragione,” annuisce Camilla, seduta accanto a lui, dato che in effetti quella stradina le sembra quasi familiare.
 
“Non lo so zio, quando sono venuto le altre volte guidava sempre il padre del mio amico e non ho mai fatto caso alla strada… e poi di solito ci arrivavo di giorno. Ma hai impostato il navigatore con l’indirizzo che ti ho dato?”
 
“Sì, certo: Azienda Agricola La Fattoria, Via dei Filari, niente numero civico, ovviamente,” conferma Gaetano, continuando a guidare prudentemente.
 
Ma, nonostante la guida tranquilla, Camilla sente un improvviso bisogno di vomitare. Certo che la strada le sembrava familiare: era familiare! Due volte in un giorno: il destino doveva proprio avercela con lei oggi! Perché, perché, perché?
 
Un’illuminazione la coglie e si gira verso Livietta, che le lancia un’occhiata della serie “io ci ho provato a salvarti da questo disastro, ma non mi hai voluto dare retta!”.
 
E dire che gli indizi li aveva avuti tutti: il batterista mezzo americano, più grande di Livietta, alternativo, che suonava per strada e che aveva il padre con una tenuta agricola in campagna. Quanti ragazzi corrispondenti a questa descrizione potevano mai esistere a Roma?
 
Stupida, stupida, stupida!
 
“E questa sarebbe una fattoria? Sembra il cancello di Buckingham Palace,” commenta Gaetano, ridestandola dai suoi pensieri, mentre oltrepassano la cancellata, lasciata aperta probabilmente per via della festa, e percorrono quei vigneti che lei conosce bene.
 
“Sì, il padre di Tom è di una famiglia di origini nobiliari. Come ti ho detto, i soldi non gli mancano di certo.”
 
Figlio di papà, annoiato, che per farsi figo fa l’alternativo – conferma la sua analisi Gaetano con un sospiro: uno dei generi di persona che tollera di meno in assoluto.
 
Parcheggiano l’auto dietro a molte altre, a quanto pare questa festa sarà parecchio affollata, e stanno per scendere dall’auto.
 
“Gaetano, aspetta!” lo ferma Camilla, toccandogli il braccio, “senti, che ne dici di andare in quell’agriturismo che abbiamo passato venendo qui, in fondo non sembrava male, no?”
 
“Ma non eri tu che volevi parlare con questo benedetto batterista?” le chiede, sorpreso da questo cambio di idea.
 
“Infatti, dai Camilla, e poi il papà di Tom è un tipo molto simpatico e alla mano: vedrete che sarà divertente!” proclama Nino con un sorriso, “le cantine sono pazzesche: sembrano uscite da un film, ci sono pure i passaggi segreti. Sono sicuro che vi piaceranno.”
 
“Ehm, ma magari la mamma e Gaetano preferiscono starsene un po’ da soli… senza mia nonna sempre in agguato, e godersi una serata solo per loro,” interviene Livietta, guadagnandosi un’occhiata grata di Camilla.
 
“Mah… in effetti… forse…” replica Gaetano, esitante: l’idea di una serata romantica solo per lui e Camilla, sotto le stelle, non gli dispiace affatto, e magari lo aiuterà a togliersi l’amaro in bocca che gli è rimasto dall’incontro con il dannato produttore di vini.
 
E poi Camilla ha ancora parecchie cose da spiegargli su quella storia…
 
“Scusate, ci sono problemi? La macchina potete lasciarla qui,” li raggiunge una voce, mentre una mano guantata bussa al finestrino di Gaetano.
 
“No, Gaspare, sono io,” lo saluta Nino, scendendo dall’auto.
 
“Nino!” sorride l’uomo, affabile, “meno male che sei arrivato: gli altri della band sono già tutti qui e Tom è impaziente di iniziare le prove.”
 
“Eh, lo so, ma con mio zio avevamo un po’ di problemi a trovare la strada…”
 
“Buonasera,” saluta Gaetano, sentendosi a questo punto incastrato ed uscendo anch’egli dalla macchina per salutare il cameriere, in uniforme per giunta, sentendosi trasportato in un mondo parallelo, da film in costume.
 
“Ah, lei è lo zio di Nino? Il vicequestore?” domanda Gaspare con un altro grande sorriso.
 
“Sì, esatto, Nino le ha parlato di me?” chiede Gaetano, sorpreso da questa rivelazione e da quest’uomo che, a quanto pare, è ben più di un cameriere.

“Sì, vede, è che anche lo zio di Tom è un-“ inizia a spiegare, ma la voce e il sorriso gli si congelano in volto quando riconosce la donna riccia ed elegante che è appena scesa dal sedile del passeggero e che si sta avvicinando all’uomo, “signora Camilla?”
 
“Buonasera Gaspare,” lo saluta, imbarazzata, notando che lo sguardo dell’uomo, di solito così amichevole, si indurisce visibilmente.
 
“Vi conoscete?” domanda Gaetano, sempre più confuso, fino a che una voce li raggiunge.
 
“Nino, finalmente! Tom è talmente euforico che ci sta facendo uscire tutti di testa: tra un po’ spacca le bacchette, o gliele spacco io!”
 
“Marco, ciao! Scusaci, ma abbiamo faticato a trovare la strada,” risponde Nino con un sorriso, ricambiando la pacca sulla spalla dell’uomo, che si comporta con lui quasi come se fosse un suo amico, un suo coetaneo.
 
“E questa bellissima ragazza? Non dirmi che è la tua fidanzata: se sì, complimenti per l’ottima scelta!” commenta Marco, vedendo Livietta dietro a Nino e sorridendole, per poi aggiungere, dopo un attimo di riflessione, “però, mi sembra di averti già vista: sei venuta qui altre volte?”
 
“No, in realtà…”
 
“È che Livietta è mia figlia… anche se quando l’hai conosciuta era più piccola…” interviene Camilla, mentre Marco si volta, la vede e quasi sbianca.
 
“Camilla? Vicequestore? Cosa ci fate qui?”
 
“Vi conoscete già? Lui è mio zio,” spiega Nino con un sorriso, non notando la tensione che si può tagliare con un coltello.
 
“Lo zio vicequestore, ma certo… il mondo è proprio piccolo,” sospira Marco, con l’aria rassegnata di chi sa che al fato beffardo non si sfugge.
 
“E lei quindi deve essere il padre del batterista,” deduce Gaetano, in fondo per nulla stupito che il figlio di papà, alternativo, amico dei punkabbestia, possa essere figlio di baffetto d’oro Bohèmienne.
 
“Bene, allora ragazzi, divertitevi e buon concerto, noi torniamo più tardi a riprendervi,” proclama Camilla, cercando di contenere i danni, anche se spera che la terra la inghiottisca da un momento all’altro.
 
“Ma dai, ormai che siete qui… Così vi presento Tom e gli altri. E poi almeno mi sentite suonare, se no chissà se e quando ci ricapiterà l’occasione…” li invita ancora Nino con un sorriso, in fondo in fondo felice della presenza dello zio e di Camilla, dato che suo padre purtroppo ormai usciva ben di rado, soprattutto la sera, e non l’aveva praticamente mai visto esibirsi e che Francesca di solito rimaneva a casa ad assisterlo.
 
E, anche se era ormai in un’età in cui preferiva starsene da solo con i suoi amici, ciò non toglieva che ogni tanto avrebbe voluto anche lui avere come gli altri ragazzi qualcuno ad assistere con orgoglio alle sue performance, applaudendo perfino le sue stecche come se avesse avuto la voce di Freddie Mercury, avere anche lui un “parente figo” da presentare. I genitori degli altri componenti della band erano praticamente tutti relativamente giovani e con una vita molto attiva: membri dell’esercito, funzionari dell’ambasciata, del consolato, imprenditori, artisti, giornalisti…
 
Sapeva che suo padre gli voleva bene, lo amava ed era sempre stato un ottimo genitore: anche quando era mancata la mamma si era fatto in quattro per stargli vicino e non fargli mancare niente. Sapeva che non era colpa sua se ormai era anziano e fragile, però non era sempre semplice avere un padre che, per età e stile di vita, sembrava più un nonno. Anzi, la signora Andreina e il signor Amedeo, in confronto a suo padre, erano quasi il ritratto della salute.
 
Camilla, Gaetano e Marco si guardano: hanno notato tutti e tre il tono di Nino e non sanno che fare.
 
“Ma sì, infatti, fermatevi con noi: la musica non è niente male, se mio figlio non si fa prendere la mano e decide di pestare troppo su quella batteria e, mal che vada, la casa è grande e le cantine sono praticamente insonorizzate. E poi abbiamo sempre il vino con cui consolarci: dopo una bottiglia o due vi sembrerà di ascoltare gli eredi degli Stones,” offre Marco con il solito tono ironico e cordiale, ma Camilla, che comunque lo conosce bene, nota chiaramente che questo gli costa una certa fatica.
 
“In effetti potrebbe essere la serata ideale per darsi all’alcol,” commenta Gaetano con tono altrettanto ironico, velato da una punta di sarcasmo, sorprendendo comunque Camilla, dato che, ironia o no, suona proprio come un sì all’invito di Marco. Cosa che viene confermata quando aggiunge con tono ancora più ironico, “e, mi dica, anche suo fratello è dei nostri?”
 
“No, per la carità: anche se, come Camilla può testimoniare, l’alcol rende perfino Paolo un estimatore della musica e delle percussioni, mio fratello non è mai stato tipo da feste. E comunque aveva da lavorare anche stasera. Anzi, dottor Berardi, se permette, le offrirei un bel bicchiere del mio Cannellino di Frascati, per compensarla di avere dovuto avere a che fare con lui oggi pomeriggio. Sa, devo tenere alto il buon nome di famiglia e so che Paolo quando è preso dal suo lavoro tende ad essere delicato come uno schiacciasassi. Ma, prego, entrate.”
 
Camilla lancia uno sguardo ad entrambi gli uomini, sorpresa da tutta questa civiltà e questa cortesia, ma il volto di Gaetano è una maschera impassibile, mentre quello di Marco sembra uscito dal manuale del perfetto padrone di casa.
 
E, non sa perché, ma il suo istinto le dice che questo è un pessimo, pessimo segno.
 
***************************************************************************************
 
“Marchese? Vicequestore, ma cosa?”
 
“Ci deve seguire in questura, Misoglio,” proclama De Matteis, non attendendo di essere invitato ad entrare e facendosi largo nella piccola stanza della ragazza. Del resto questo è un albergo di quart’ordine, quasi una topaia ai limiti dell’igiene e della sicurezza. Ma, a quanto pare, la Misoglio è la più pericolosa degli avventori di questo posto.
 
“Immagino che non sia un invito,” replica Ilenia con tono freddo, trafiggendo Marchese con un’occhiata che è come una pugnalata al cuore.
 
“No, infatti. Le do il tempo di preparare una borsa con un cambio per la notte,” conferma De Matteis, gelido più di lei, con un tono che non lascia spazio ad interpretazioni.
 
“È un ordine?” domanda, la voce ormai asciutta, secca.
 
“È un consiglio, libera di non seguirlo, ma-“
 
“Ma questo non cambierà nulla, giusto?”
 
“Vedo che ci intendiamo, Misoglio.”
 
“A parte preparare la borsa, dovrei cambiarmi,” proclama Ilenia, indicando la t-shirt oversize con cui è vestita e che le fa da camicia da notte.
 
“D’accordo, io e Marchese la attendiamo qui fuori. Ha dieci minuti e non provi a fare sciocchezze, se non vuole aggravare la sua posizione.”
 
Ilenia non risponde e si limita a continuare a guardarli gelidamente, fino a che la porta si chiude.
 
Col senno di poi Marchese penserà che questo silenzio era strano, dato che Ilenia negli interrogatori finora non aveva avuto peli sulla lingua e si era difesa con le unghie e con i denti. Ma è tutto più semplice col senno di poi.
 
Come la porta si chiude, Ilenia inizia a cambiarsi: un completo da turista americana in vacanza, con tanto di occhiali da sole e cappellino e la parrucca bionda che aveva comprato il giorno prima, quando era stata sicura di essere sfuggita a quell’idiota di un poliziotto, un ragazzino che non era nemmeno capace di nascondere bene la pistola che aveva addosso o di seguirla senza farsi notare.
 
Poi apre l’armadio e prende la tracolla, già pronta da due giorni, da quando ha capito che le cose si mettevano male per lei. Pochi vestiti e i soldi prelevati dalla carta prepagata intestata alla madre, che faceva ad entrambe da conto corrente. Sa che la lascerà nei guai, ma ora quei soldi servono di più a lei e poi sua madre erano anni che viveva alle sue spalle, senza potere o volere fare nulla per mantenersi, tra la malattia e quell’ignavia che aveva da sempre caratterizzato il suo lasciarsi vivere, il suo appoggiarsi agli altri, come una pianta di pomodori incapace di sorreggersi da sola. E, se servirà, ci penserà la zia Caterina a prendersi cura di lei: adesso Ilenia deve e vuole pensare a se stessa e solo a se stessa, per una volta nella vita.
 
Facendo attenzione a non fare alcun rumore, apre del tutto la finestra, già socchiusa e ringrazia il cielo di avere avuto l’accortezza di scegliersi una stanza al pian terreno, anche se per questo più pericolosa, e con vista sui cassonetti. Mette fuori la borsa e poi scavalca lei, guardandosi in giro per assicurarsi che non ci siano altri agenti. A passo normale, senza dare nell’occhio, si avvia per strada, verso la stazione che è a due passi. Sale sul primo treno regionale che trova, uno degli ultimi della giornata, dato l’orario, percorre un paio di carrozze e butta il cellulare dentro uno di quegli scatolotti sporchi e mezzi rotti che dovrebbero essere cestini per i rifiuti. I numeri sono già stati trascritti su un’agendina di carta, che custodisce gelosamente vicino al cuore, insieme con i soldi, anche se sa che probabilmente non li potrà mai più contattare. Scende prima che il treno parta ed esce dalla stazione.
 
Si ferma un minuto per imbucare una busta e si avvia verso le rastrelliere delle bici. Se ne era procurata una il giorno prima, usata e a poco prezzo. Ringrazia il cielo che è estate e che un pallido sole splenda quindi ancora sulla città, invogliando i turisti e non ad uscire e girare ora che si può farlo senza cuocere come uova al tegamino sull’asfalto.

Apre il lucchetto, inforca il sellino e si unisce ad un gruppo di ciclisti che stanno pedalando in direzione del centro.
 
Del resto non c’è miglior posto per nascondersi che uno bene in vista e sa bene che nei paesini ogni faccia nuova viene subito notata. Mentre nella città eterna, in cui di facce nuove se ne vedono talmente tante da cessare perfino di essere nuove, sa benissimo che, se si gioca bene le sue carte, nessuno farà caso a lei.
 
***************************************************************************************
 
“Quindi questa era la casetta in cui dovevate andare a convivere? Comoda, poco impegnativa… avresti quasi potuto farti chiamare maestà,” afferma Gaetano con sarcasmo, guardandosi intorno nell’opulento salone, perfetto per una festa, prima di aggiungere, dopo un attimo di riflessione, in un tono strano e tirato, “o ci avete convissuto qui?”
 
“No, non ci abbiamo convissuto, cioè non abbiamo mai convissuto: è finita prima che mi trasferissi qui…” spiega lei con un sospiro, non sapendo se sia il caso o meno di spiegare come era andata, considerato da un lato che lui gliel’aveva chiesto stamattina, prima che fossero interrotti dall’emergenza di Sammy, e che si erano promessi di non nascondersi niente, ma dall’altro lato avendo visto la reazione di Gaetano e la sua gelosia.
 
E sa benissimo che questa serata non può fare altro che peggiorare le cose.
 
“Allora, com’è questo Cannellino di Frascati?” li interrompe Marco prima che possa prendere una decisione, sempre con quel tono ospitale, cordiale e gioviale ma che a Camilla suona terribilmente finto, diverso dal vero Marco ospitale, cordiale e gioviale che lei conosce, “si esprima pure liberamente vicequestore, che non mi offendo.”
 
“In realtà non sono un grande esperto di vini e devo ammettere inoltre che ho una certa predilezione per i vini rossi e corposi,” risponde Gaetano con un tono altrettanto cordiale, lanciando un’occhiata a Camilla che non può trattenere un sorriso, avendo colto in pieno il sottotesto.
 
“Beh, poi vivendo in Piemonte, la patria dei vini rossi e corposi… come darle torto?” commenta Marco con una mezza risata, ad avviso di Camilla fin troppo brillante, “ma d’estate possono risultare un po’ troppo pesanti e poi… un po’ di varietà ci vuole, no?”
 
“Già, e questo è sicuramente un vino che ha qualcosa di molto interessante da dire, anche se le confesso che non credo proprio che lei riuscirà a farmi cambiare idea e preferenze questa sera… o almeno spero,” proclama, aggiungendo le ultime tre parole in un sussurro udibile solo da Camilla, il cui sorriso si trasforma in una smorfia. Perché ha di nuovo colto perfettamente il messaggio in codice – e l’avvertimento – e si sente quasi barcollare, nonostante di vino ne abbia bevuto praticamente solo un sorso.
 
“Lei mi lasci almeno tentare e tentarla, anzi tentarvi. Ho in serbo per voi un Frascati Superiore e un Moscatello Passito del 2012 che, a detta del mio enologo Otto, è stata un’annata particolarmente fortunata per noi. Almeno dal punto di vista vinicolo, perché da quello personale…” proclama, lasciando in sospeso la frase ma trafiggendo Camilla con un’occhiata che è tutto un programma e che non sfugge affatto a Gaetano. L’aveva lasciato proprio nel 2012, poco prima che il freddo dell’inverno potesse lasciare posto al calore della primavera.
 
“Capisco… beh, ovviamente non posso certo impedirle di provarci, ma sia io che soprattutto Camilla sappiamo resistere molto bene alle tentazioni. Vero, Camilla?” le chiede con un’occhiata da fare impallidire quella di Marco di poco fa, che è un altro avvertimento e una richiesta di conferma insieme.
 
“Verissimo, e lo sai bene,” lo rassicura lei, posandogli una mano sul braccio: del resto nessuno meglio di lui conosceva gli anni e anni di stoica resistenza, nessuno come lui sapeva quanto lei avesse lottato con le unghie e con i denti contro quello che sentiva pur di non infrangere una promessa fatta.
 
E, soprattutto, in questo caso, il problema non si pone nemmeno, perché non c’è proprio alcuna tentazione a cui resistere: vedere Marco e Gaetano l’uno accanto all’altro le aveva solo dato conferma di quello che il suo cuore già sapeva, ovvero che non c’è e non c’è mai stato nemmeno lontanamente paragone, da nessun punto di vista.
 
“Ah, sì? Forse dipende dal tipo di tentazione, non crede?” chiede Marco con un sopracciglio alzato e un mezzo sorriso, aggiungendo poi, guardando Camilla dritto negli occhi, “anzi, sono sempre stato attratto da quelle persone che di solito sono ligie al dovere e rispettano le regole, ma quando vogliono cedere e trasgredire sanno farlo e alla grande.”
 
Camilla sente ogni singolo muscolo del braccio di Gaetano contrarsi e, di riflesso, lo stringe ancora di più, quasi tirandolo verso di sé.
 
“Marco, scusami, Tom si chiedeva quando iniziavi il giro delle cantine e quanto durerà. Così si regola per i suoni e ha detto che fa le canzoni più heavy prima e ci lascia per dopo quelle più ‘da vecchi’,” li interrompe Gaspare, ignorando Camilla e Gaetano se non per riservare alla donna uno sguardo che farebbe surgelare l’equatore.
 
“Andiamo subito. E digli da parte mia che vecchio ci sarà lui e pure prima di quanto crede,” risponde con un tono ed un sorriso affettuosi, per poi voltarsi ed annunciare ad alta voce agli adulti presenti, “per chi vuole rifugiarsi in cantina, mi segua: ha resistito a qualche secolo di guerre, assedi, bombardamenti… credo possa resistere anche ai decibel di stasera.”
 
***************************************************************************************
 
Rispondete, maledizione, rispondete! – è l’unico pensiero di Marchese, mentre prova per la terza volta a comporre il numero della prof. e la signorina dalla voce metallica lo informa di nuovo che “il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile, si prega di provare più tardi.”
 
E aveva già provato tre volte sul numero di Berardi, sempre con lo stesso risultato: ma dov’erano quando aveva bisogno di loro?
 
Ilenia era scappata, se l’era data a gambe e aveva finora eluso i controlli. Era stata una fuga rapida, non sembravano mancare molti vestiti e dubitava avesse molti soldi, probabilmente una cosa di impulso, dato il poco tempo che aveva avuto a disposizione. Avevano finalmente rintracciato il suo cellulare su un regionale diretto a Napoli ed erano riusciti a bloccare il treno nella campagna tra Caserta e Napoli con la scusa di un incidente. I colleghi della Polfer stavano setacciando il treno, finora però nessuna traccia di Ilenia.
 
De Matteis aveva quasi dato di matto: non tollerava un fallimento dagli altri e nemmeno da se stesso ed era indubbio che Ilenia li avesse fregati e avesse fatto fare loro la figura dei cretini. Sa che questo significa che ora questo caso è balzato in cima alla lista di priorità per De Matteis e sa anche che con questa fuga, è come se Ilenia avesse firmato una confessione ai suoi occhi e forse anche agli occhi del PM, del GIP e di tutti i suoi colleghi.
 
Ma c’è una voce in lui che continua a ripetergli che Ilenia è innocente, che deve essere innocente, che ci deve essere una spiegazione per quel lembo di stoffa e per questa fuga, che non può aver davvero pianificato la morte di un uomo per farla sembrare un incidente. Si rifiuta di credere che quando ha ballato con lei, lei avesse già le mani sporche di sangue, che fosse appena tornata dall’eseguire un diabolico progetto di vendetta.
 
Non può credere che l’unica persona che sembrava essere stata capace di capirlo, con cui avesse sentito una connessione dopo la batosta di Sammy fosse un’assassina lucida e spietata.
 
Non può credere che sia stata tutta una bugia.
 
***************************************************************************************
 
“E queste erano le prigioni e la stanza delle torture… diciamo che una volta la giustizia era molto più sbrigativa, no, vicequestore? Anche se credo che ogni tanto mio fratello tornerebbe volentieri a quel periodo,” commenta Marco con una risata, mentre sta mostrando loro la parte più antica dei sotterranei che risale ad un periodo di gran lunga precedente il resto della tenuta.
 
“Ma quindi lei è in polizia?” domanda la mamma del bassista, una rossa tutta curve che in teoria dovrebbe avere almeno quarant’anni, ma che di fatto ne dimostra massimo 30, attrice di teatro e musical, americana ormai trapiantata in Italia e che, mentre giravano le cantine e degustavano i vini aveva quasi fin da subito attaccato bottone con loro, o meglio, con Gaetano, invitandoli anche ad andare a vedere il suo spettacolo a teatro.
 
“Sì, esatto, sono nella omicidi, ma a Torino.”
 
“Mentre mio fratello è nella omicidi qui a Roma,” interviene Marco, anche se la rossa quasi non sembra sentirlo.
 
“Ma sa che il mio prossimo ruolo sarà proprio quello di una poliziotta in una serie tv?”
 
“Ah, sì? Interessante…”
 
“Magari potrebbe darmi qualche consiglio, qualche dritta su come entrare nel personaggio, sa per rendere il tutto più realistico, più vero…”
 
“Guardi, sono qui solo di passaggio e comunque davvero non saprei come consigliarla. Potrebbe invece chiedere al dottor De Matteis…” propone Gaetano, notando l’espressione di Camilla che comincia ad essere decisamente irritata dall’invadenza della rossa.
 
“Con tutto il rispetto per lui, il fratello di Marco è così… brusco e non è per nulla disponibile,” replica la rossa, implacabile.
 
“E invece Gaetano è così disponibile… giusto Gaetano?” commenta Camilla con tono fintamente gentile e con uno sguardo che porta Gaetano a dubitare se voglia appendere lui o la rossa alle pesanti catene ancora attaccate al muro.
 
***************************************************************************************
 
“Allora, Luciani, notizie dalla Polfer?”
 
“Niente, dottore: la Misoglio non era su quel treno, o se c’era è scesa o a Caserta o nelle fermate precedenti. Abbiamo ritrovato il cellulare in uno dei cestini, ancora acceso.”
 
“Ha allertato le stazioni e attivato i posti di blocco?”
 
“Sì, dottore: tutte le stazioni di treno e di autobus, gli autonoleggi e gli aeroporti. E ci sono posti di blocco su tutte le uscite principali da Roma.”
 
“Marchese, hai trovato la Baudino o Berardi? La Misoglio potrebbe essersi messa in contatto con loro,” afferma De Matteis, guardando l’agente ancora impegnato al cellulare.
 
“No, dottore, hanno entrambi il cellulare spento o non raggiungibile,” risponde Marchese, per una volta grato alla sorte per avergli fornito questo ottimo alibi per cercare di contattare ancora la prof. e il vicequestore senza doversi nemmeno nascondere da De Matteis.
 
“Strano, molto strano. Chiama a casa della madre della Baudino e chiedile notizie: se non sono coinvolti nella fuga, potrebbero anche essere in pericolo!”
 
“Lo crede davvero? Ilenia non mi sembra così pericolosa e poi il dottor Berardi è addestrato ed esperto,” risponde Marchese, non potendo credere che De Matteis pensi davvero che Ilenia potrebbe fare loro del male.
 
“Marchese, hai mantenuto l’imparzialità e la lucidità fino adesso, vedi di non deludermi! La Misoglio ha già ucciso un uomo, in maniera indiretta certo, ma ha dimostrato grande intelligenza e sangue freddo. La Baudino è troppo credulona e fiduciosa, vede sempre il meglio nelle persone. E Berardi è innamorato di lei e so benissimo quanto sentimenti del genere ti facciano perdere la lucidità in certi momenti. Quindi voglio che li troviate e che non sottovalutiate la situazione, chiaro?”
 
“Chiaro, dottore,” risponde Marchese, sorpreso dalla veemenza nel tono di De Matteis ma anche da quella che sembra essere una traccia di preoccupazione nella sua voce e che stona con l’odio e il disprezzo che lui prova e manifesta apertamente per la professoressa.
 
“E poi voglio che cerchi tutti i possibili contatti della Misoglio qui a Roma: amici e parenti. Il padre ad esempio…”
 
“Ilenia odia suo padre, dottore, non andrebbe mai da lui.”
 
“Non importa, contattatelo lo stesso. E chiamate i colleghi di Torino e allertateli della situazione e chiedete loro se possono sorvegliare la casa dei parenti della Misoglio: chiederò al GIP di mettere sotto controllo i loro telefoni. E come amici, quali sono i più prossimi?”
 
“Beh, forse Sammy… la moglie dell’ispettore Mancini,” risponde Marchese, decidendo che è meglio giocarsi il tutto per tutto e sperando di non sbagliarsi nel bluff, “ma non si sono viste per tanti anni e poi dubito che Ilenia la contatterebbe o si rifugerebbe da lei, non crede? Oltretutto adesso Mancini è a casa con lei sicuramente.”
 
“Sì, Marchese, hai ragione, chiamerò Mancini personalmente per avvisarlo della fuga della Misoglio e accertarmi che sia tutto a posto, ma non credo ci siano problemi. Bene, sapete tutti cosa dovete fare, forza, voglio che quei telefoni scottino: le prime 12 ore sono cruciali e lo sapete.”
 
“Sì, dottore!”
 
***************************************************************************************
 
“Eddai, Marchese, rispondi!”
 
Tornati dalla cantina avevano visto le chiamate al cellulare sia suo che di Gaetano, ma ora il numero pareva perennemente occupato.
 
“Problemi?” domanda una voce familiare, facendola sospirare: non è affatto sicura di avere voglia di parlargli.
 
“No, sto solo cercando di rintracciare una persona che ci aveva telefonato. Richiamerò domani…” proclama Camilla, rientrando nel salone: aveva già avuto esperienze di balconate e giardini notturni e relative scenate di gelosia e le erano abbondantemente bastate.
 
Si guarda intorno per cercare Gaetano e lo vede, di nuovo tampinato dalla rossa che sembra mangiarselo con gli occhi e che continua a parlargli nonostante la musica. Ringrazia il cielo che almeno le altre madri presenti siano tutte accompagnate.
 
“Certo che ha successo con le donne…” commenta Marco, seguendo lo sguardo di Camilla, “non ho mai visto Jodie fare così con qualcuno. Anzi, di solito è lei che deve correre più forte dei suoi ammiratori.”
 
“Lo so…” risponde Camilla in tono neutro, facendo due passi per cercare di raggiungerli.
 
“E non ti da fastidio?” la voce di Marco la blocca sui suoi passi e la porta a voltarsi per guardarlo.
 
“Non mi fa piacere, ovviamente, ma mi fido di lui,” risponde in maniera decisa e determinata.
 
“Ma non mi sembra che lui invece si fidi molto di te, Camilla…” le fa notare Marco, avendo notato quanto Gaetano non sembri tollerare la sua presenza e tutte le frecciatine che gli aveva lanciato durante la serata.
 
“Gaetano è geloso ma si fida di me e comunque non ha alcun motivo di preoccuparsi,” replica cercando di nuovo di mantenere la risolutezza nella voce.
 
“Beh, forse qualche motivo ce l’ha… visti i precedenti…” commenta Marco, amaro, in un modo che spiazza Camilla, ormai abituata all’estrema cortesia che aveva dimostrato durante tutta la giornata. Ma questa è probabilmente la sua reazione più vera fino a quel momento.
 
“Se intendi il modo in cui è finita tra noi due-“
 
“Non solo… mio fratello mi ha detto che Gaetano era il suo predecessore e che… indagavate insieme e si dice che faceste molto più che indagare. Ed eri ancora sposata con Renzo, no? Era prima della vostra separazione.”
 
“Certo che tuo fratello ha sempre una buona parola per tutti… ma del resto non mi stupisce, dato che so che ha un’altissima opinione di me. E comunque se è una domanda la tua, se mi stai chiedendo se ho tradito Renzo con Gaetano, direi proprio che non sono affari tuoi, né di tuo fratello,” ribatte Camilla, irritata dal tono accusatorio nella voce dell’uomo, che suona così strano proprio da lui, che è sempre stato un tipo anticonformista, alla vivi e lascia vivere.
 
“Quindi se non mi rispondi è perché è la verità,” deduce Marco, il tono amaro e deluso, quasi come se avesse tradito lui e non Renzo.
 
“Marco, senti, come ti ho già detto oggi mi dispiace per come è finita tra noi due: meritavi di meglio e… immagino di averti dato ottimi motivi di credere che io sia una stronza della peggior specie. Ma la verità è che io e te insieme non saremmo stati felici, e sai perché? Non per Renzo o per Gaetano, ma perché tu nel profondo non mi conosci, non mi hai mai conosciuta davvero, non hai mai saputo capirmi del tutto, non hai mai capito chi ero e cosa volevo realmente. Ma non te ne faccio una colpa, perché all’epoca probabilmente non riuscivo a capirmi nemmeno io, però questo non ti da il diritto di giudicarmi o di chiedermi di parlarti di cose intime e private, che non ti riguardano assolutamente.”
 
E, con tutta la dignità di cui è capace, si avvia verso Gaetano, senza fermarsi o voltarsi nemmeno quando sente Marco chiamare il suo nome.
 
***************************************************************************************
 
“Pronto?”
 
“Sammy, sono io, scusa l’orario. Puoi parlare?” domanda Marchese, che è finalmente riuscito ad infilare questa telefonata tra tutte quelle ordinategli da De Matteis.
 
“Sì, però, fai in fretta: Pietro è in bagno e se ci scopre…” sussurra la ragazza e Marchese viene colpito di nuovo dall’ironia di questa telefonata e di queste frasi, degne di due amanti e non di due persone coinvolte in un’indagine al limite della legalità.
 
“Mancini ti ha parlato di Ilenia?” le chiede, sapendo che De Matteis ha già chiamato l’ispettore.
 
“No, è successo qualcosa ad Ilenia?” domanda Sammy, con tono preoccupatissimo.
 
“È scappata, Sammy… eravamo andati da lei per… beh, probabilmente per sottoporla ad un fermo di polizia e lei l’ha capito ed è scappata.”
 
“CHE COSA?” quasi urla, prima di ricordarsi che deve tenere la voce bassa, “cosa? Ma e il filmato? E il punkabbestia? Siete impazziti?”
 
“Sammy… è una storia lunga, poi ti spiego, adesso non c’è tempo. Sappi solo che Ilenia è nei guai fino al collo, che De Matteis pensa di avere prove schiaccianti sul suo conto e non ha del tutto torto, e che se ti contattasse devi farmelo sapere immediatamente, capito? E stai attenta, perché è possibile che tuo marito ti tenga d’occhio, pensando appunto che Ilenia potrebbe mettersi in contatto con te. Ma, soprattutto, se conosci qualche buon avvocato… probabilmente è meglio cominciare a pensare ad una linea difensiva per Ilenia, anche se è latitante e con la fuga ha aggravato la sua posizione. Ormai è questione di ore prima che sia ufficialmente iscritta nel registro degli indagati e venga spiccato ufficialmente il mandato d’arresto, anche se la stanno già cercando ovunque.”
 
“D’accordo, Marchese,” sussurra lei con un sospiro, sembrando terribilmente triste e stanca, “e grazie per avermi avvertita. La prof. sa già?”
 
“La prof. a quanto pare è a una festa con la figlia e il vicequestore. Quando torna la avviserà sua madre, a questo punto la sentiremo domani…”
 
“E quando ci possiamo vedere?”
 
“Non lo so, Sammy, qui è un caos e ho il fiato sul collo. Mi faccio vivo io, ok? O con te o con la prof.. Sii prudente,” le risponde, sentendo per la prima volta dopo anni un senso di pace mentre parla con Sammy: l’astio e il risentimento sono evaporati di fronte all’emergenza.
 
“Anche tu. E grazie ancora, per tutto,” gli sussurra, sperando che lui comprenda quanto lei racchiuda in quel tutto, anche le scuse dovute da anni e che mai era stata in grado di esprimergli, mettendo giù prima che possa risponderle.
 
“Con chi parlavi a quest’ora?”
 
La voce quasi la fa sobbalzare: si volta e vede Pietro con indosso solo un asciugamano, evidentemente appena uscito dalla doccia.

“Con il mio amante, ovvio,” risponde lei con una risata, sperando che il bluff funzioni, “ma con chi vuoi che stessi parlando? Era mia madre che voleva sentire come stavamo e che ci invitava a pranzo per domenica.”
 
In effetti l’invito c’era stato sul serio, ma quella mattina e si era dimenticata di dirglielo. Fortunatamente, col senno di poi.
 
“Molto spiritosa,” ribatte lui, non sembrando però particolarmente divertito, “e per domenica va bene, salvo emergenze sul lavoro, lo sai.”
 
“Lo so, lo so,” sospira lei.
 
“Vieni a dormire?” le chiede, fissandola in un modo strano.
 
“Mmm, io ho in mente qualcosa di meglio che dormire…” mormora in modo sensuale, avvicinandosi a lui e liberandolo dell’asciugamano.
 
“Sammy…” prova a protestare, ma le labbra di lei in un attimo sono sulle sue ed ogni pensiero razionale va a fare compagnia all’asciugamano, dimenticato in un angolo della stanza.
 
***************************************************************************************
 
“Ok, e ora l’ultima canzone, in tutti i sensi. Vorremmo dedicarla innanzitutto a te, Tom: abbiamo sempre saputo che eri e sei un fuoriclasse ed è stato un onore per noi suonare con te in questi due anni che hai passato in Italia. Quando sarai famoso, ricordati degli amici,” proclama Nino al microfono, facendo ridere tutti i presenti, “e a proposito di amicizia, ho avuto in questi giorni conferma che, quando ci si vuole bene davvero, la lontananza non conta. Puoi ritrovarti dopo anni e sembrerà di essersi salutati il giorno prima. E per questo vorrei dedicare questa canzone anche a tre persone per me molto importanti che sono presenti qui stasera e che purtroppo vedo sempre troppo raramente: a zio Gaetano e zia Camilla e a Livia.”
 
“Zia Camilla?” sussurra Camilla, stupita e lievemente commossa, mentre intorno a loro si scatena ancora l’applauso.

Scambia uno sguardo con Gaetano e per un attimo dimenticano la tensione della giornata, le discussioni e perfino la presenza di Marco o di Jodie accanto a loro: lui le passa un braccio intorno alle spalle e lei si appoggia a lui per ascoltare questa canzone, senza bisogno di parole, mentre le prime inconfondibili note di “The Final Countdown” riempiono la sala.
 
Non notano nulla: né lo sguardo carico di tristezza e rimpianti di Marco, né l’espressione di Jodie, che sembra aver finalmente intuito che non c’è trippa per gatti.
 
Nino finisce di cantare tra gli applausi degli amici e dei parenti, mentre i ragazzi improvvisano ancora qualche assolo finale.
 
“Sono bravi, eh?” commenta alla fine Marco con un sorriso tirato, guardando però suo figlio con orgoglio.
 
“Molto, molto bravi. Poi Tom è sempre stato bravissimo, sono sicura che farà una carriera incredibile in America,” risponde Camilla, cercando di tornare su toni civili.
 
“Eh, lo spero… è un mestiere duro… come si dice? Uno su mille ce la fa…” replica con una mezza risata.
 
In quel momento arriva uno squillo sul cellulare di Gaetano.
 
“È ancora Marchese, per caso?” chiede Camilla, curiosa su chi possa cercarlo a quest’ora e ancora di più quando l’uomo sorride alla lettura del messaggio: no, decisamente non è Marchese.
 
“È di Eva,” spiega, affrettandosi ad aggiungere, dopo aver visto l’occhiataccia di Camilla, “mi ha mandato una foto di Tommy, finalmente, guarda!”
 
Anche Camilla non può evitare di sorridere intenerita di fronte all’immagine di Tommy vestito da sceriffo, probabilmente fotografato sul set western degli Universal Studios, e alla sua espressione seria e concentrata, da vero “duro”.
 
“My god, he’s so cute!” esclama Jodie, che si era sporta per sbirciare, come Marco, del resto, “ma è tuo figlio? Quanti anni ha?”
 
“Sì, esatto, è mio figlio Tommy, ha cinque anni e adesso è a Los Angeles con la mia ex moglie, Eva,” spiega Gaetano, continuando ad ammirare la foto come inebetito.
 
“Suo figlio si chiama Tom come il mio?” domanda Marco, incredulo.
 
“Sì, in effetti, sì.”
 
“E ha anche lei un’ex moglie americana?” chiede, con un sopracciglio alzato.
 
“No, è svedese, ma ultimamente lavora in America. Fa la fotografa, gira il mondo…”
 
“Anche mia moglie era una fotografa, adesso però fa la gallerista e l’artista concettuale, dato che non ne poteva più di girare il mondo,” spiega Marco, scuotendo il capo, per poi aggiungere con una mezza risata, “certo che… quando si dice avere gusti simili.”
 
Gaetano e Camilla si guardano, notando per la prima volta gli evidenti parallelismi. E dire che Gaetano e Marco non potrebbero essere più diversi.
 
“Papà!”
 
“Zio!”
 
Le voci dei ragazzi li tolgono dall’imbarazzo: Nino e Tom li raggiungono, insieme con Livietta che era in prima fila.
 
“Allora, come siamo andati?” domanda Tom con un sorriso al padre.
 
“Benissimo, campione! Concordo anche io con i ragazzi: quando sarai famoso, ricordati del tuo vecchio!”
 
“Ah, allora adesso che ti fa comodo sei vecchio? È sempre così…” sospira Tom, prima di rivolgere lo sguardo ai presenti e corrugare la fronte quando nota Camilla.
 
“Lui è mio zio Gaetano, il fratello di Francesca, e lei è zia Camilla, la mamma di Livia,” spiega Nino con un sorriso, utilizzando nuovamente quel titolo che le fa venire un tuffo al cuore.
 
“Ah, il famoso vicequestore? Beh, dato che è rimasto a sentirci senza lamentarsi, direi che è già molto meglio di mio zio, non so se lo conosce…”
 
“Sì, l’ho conosciuto,” risponde Gaetano, trattenendosi dall’aggiungere il purtroppo sul finale.
 
“E tua zia invece mi sembra di averla già vista…” commenta Tom, squadrando di nuovo Camilla, prima di guardare Livietta, spalancare gli occhi e fare il collegamento, “ma certo: tu sei la ragazzina che compiva gli anni e che continuava a parlare del suo fidanzato. Ecco perché avevi un’aria familiare. E lei è Camilla! Quella che ha mollato mio padre in mezzo ad una strada proprio mentre stava traslocando per venire a vivere qui. Te ne ho parlato, ti ricordi?”
 
“Cosa?!” domandano all’unisono Nino e Gaetano, guardando Camilla come se non l’avessero mai vista prima.
 
“Tom…” prova ad interromperlo Marco, non solo perché nota l’imbarazzo dei presenti ma soprattutto perché si sente lui stesso a disagio.
 
“Camilla, lei è una leggenda nella nostra famiglia, ormai! Zio Paolo e Gaspare ce l’hanno a morte con lei, ma in compenso è diventata l’idolo di mia madre. Era così felice che qualcuno avesse fatto finalmente provare a mio padre cosa vuol dire stare con una persona completamente inaffidabile, che cambia idea ogni cinque minuti,” spiega Tom con una risata, senza alcun risentimento apparente, sembrando semplicemente molto divertito dalla situazione.
 
“Tom!” lo avverte ancora Marco, mentre Camilla vorrebbe sprofondare.
 
“Ah, poi Nino mi ha detto che avete bisogno di un favore, che dovete rintracciare un punkabbestia. Se volete posso aiutarvi: del resto mi sa che se c’è lei di mezzo ci sarà da divertirsi,” offre ancora con una mezza risata, cambiando finalmente discorso.
 
“Nino…” sibila Gaetano, che non aveva autorizzato di certo il nipote a parlarne con l’amico senza di loro.
 
“Cos’è questa storia del punkabbestia?” chiede Marco, felice di cambiare argomento, per poi avere un’illuminazione, “non ditemi che c’entra il caso di mio fratello in cui è coinvolta la tua ex alunna… Stai indagando per conto tuo come al solito?”
 
“Beh, cioè… è una cosa delicata,” abbozza Camilla, ancora bordeaux, mentre Gaetano si massaggia le tempie, sentendo che la testa sta per scoppiargli: ormai questa più che un’indagine segreta è un affare pubblico. Ci manca solo l’annuncio con i megafoni in piazza.
 
“Se si tratta di fare qualcosa dietro le spalle di zio Paolo, contate pure su di me,” proclama Tom, ridendo di nuovo di gusto.
 
“E tu da quand’è che saresti amico dei punkabbestia, eh? Io e te dobbiamo parlare,” proclama Marco, assumendo per una volta un tono paterno, se non quasi severo, “e in quanto a voi, se volete coinvolgere mio figlio in questa indagine clandestina, esigo di sapere cosa sta succedendo.”
 
“Veramente noi non…” prova a protestare Camilla, ma viene interrotta dalla mano di Gaetano che afferra il suo braccio in maniera decisa.
 
“Scusate un attimo, ma io e Camilla dovremmo conferire un secondo in privato. Torniamo subito,” dichiara Gaetano, con tono fermo e autoritario, iniziando praticamente a trascinarla verso la balconata
 
“Gaetano… Gaetano… piano…” prova a protestare. Lui rallenta ma non accenna a fermarsi, portandola con sé fino in giardino.
 
“Camilla, ti rendi conto che qui ci sono in ballo la mia carriera, la nostra reputazione, la serenità nostra e dei nostri cari e forse pure la nostra libertà? Questo non è un gioco maledizione! E ora invece ci troviamo di mezzo pure il nipote e il fratello di De Matteis. Manca qualcun altro in quest’indagine? Direi di coinvolgere pure la tua portiera, già che ci siamo, almeno quei tre eschimesi che ancora non ne sanno nulla saranno informati entro domattina!”
 
“Gaetano, lo so, hai ragione, ma che ci posso fare? Non sono stata io a parlarne a Tom, è stato Nino e comunque Nino non poteva sapere chi era De Matteis e che fosse lo zio di Tom e-“
 
“E infatti probabilmente era il caso di tenere Nino e pure Livietta, che sono ancora due ragazzini, lontani da questa storia!”
 
“Ma non ne ho parlato io con loro, è stata Sammy e lo sai anche tu, perché eri con noi nella stanza,” replica lei, ferita dal tono duro e tagliente di Gaetano.
 
“E cosa ti avevo detto fin dall’inizio su quanto fosse pericolosa questa collaborazione con Sammy? Non capisci che è come una Catena di Sant’Antonio? Uno ne parla ad un altro, che ne parla ad un altro ancora: con chi ne parleranno Marco e suo figlio, che oltretutto ha dimostrato chiaramente poco fa di non avere filtri né peli sulla lingua? Chi è il loro parente più vicino, eh? Forse facciamo prima ad andarci direttamente noi da De Matteis, così gli consegno il mio distintivo e la facciamo finita. Ti rendi conto che la situazione ci è completamente sfuggita di mano?”
 
“Gaetano, te lo ripeto, hai ragione, lo so, però, maledizione, non puoi dare tutta la colpa a me per quello che è successo stasera: non ho fatto nulla di diverso dalle altre decine di indagini in cui abbiamo collaborato insieme, e lo sai. Non è colpa mia se per una serie di coincidenze ci siamo ritrovati in mezzo i parenti di De Matteis!”
 
“Non sarà forse tutta colpa tua, ma mi sembra anche assurdo e sinceramente fin troppo comodo dare invece la colpa solo alle coincidenze e al caso!” ribatte lui, amaro e sarcastico.
 
“E allora cosa pretendi che faccia, eh? Mi spieghi a cosa serve stare qui a discuterne con me, quando sai benissimo che, anche volendo, non ci posso fare niente ormai? Che la cosa da fare invece sarebbe cercare di parlare con Marco e con Tom e di far capire loro la situazione e quanto sia delicata e pregarli di non farne parola con nessuno, invece che perdere tempo a recriminare? O non sarà forse che stai cercando solo una scusa per litigare, Gaetano, un buon motivo per sfogarti?” gli domanda in un tono pungente che si riflette in quello usato da lui finora, trafiggendolo con un’occhiata piena di tristezza.
 
“Se ti riferisci a quanto accaduto poco fa e al fatto che tutti tranne me sembrano sapere cosa diavolo è successo con il dannato produttore di vini, in effetti la cosa non mi ha fatto di certo piacere. Anche perché  è da stamattina che ti ho chiesto di parlarmene, e tu hai continuato a svicolare e-“
 
“E invece ci ho provato, ma ci hanno sempre interrotti!”
 
“Eh, certo, è sempre colpa degli altri, no, Camilla? Delle circostanze… Se avessi voluto davvero parlarmene, avresti trovato il tempo e il modo, e lo sai!” rimpalla, non cedendo di un millimetro.
 
“Ah, sì? Bene, vuoi sapere cosa è successo? Ti accontento subito!” quasi urla lei, mentre l’irritazione sta ormai tracimando in rabbia, “il giorno in cui mi dovevo trasferire qui, fare il trasloco, Renzo si è presentato da me. Lui quel giorno doveva partire per New York con Carmen e sarebbe stato via per qualche anno a lavorare in America.”
 
“E tu hai deciso di fare il trasloco proprio lo stesso giorno? Un’altra incredibile coincidenza…” commenta Gaetano, sarcastico, capendo benissimo che le coincidenze non c’entravano, che forse c’era invece di mezzo una bella rivalsa verso l’ex marito.
 
“Comunque, poco prima che caricassero gli ultimi mobili, Renzo è arrivato a casa mia, insomma, nella nostra ex casa e mi ha pregato di ripensarci, dicendomi che mi amava ancora, che non poteva immaginare di invecchiare lontano da me ed implorandomi di dargli un’altra possibilità, ripetendomi le parole che gli avevo detto quando mi aveva lasciata in Spagna…”
 
“Certo che la faccia tosta a Renzo non è mai mancata,” sibila Gaetano, scuotendo il capo, sempre più incredulo, “e tu?”

“E io ovviamente l’ho mandato a quel paese e gli ho detto che era troppo tardi ormai, che avrebbe dovuto pensarci prima…” spiega lei con un sospiro ed un attimo di esitazione.
 
“Ma? C’è un ma, non è vero?”
 
“Ma lui mi ha rincorsa fuori, ha inseguito me e Marco mentre ci allontanavamo in macchina, quasi si è fatto tirare sotto. E mi ha detto che non potevo farlo, che non potevo farlo e… e ho sentito che aveva ragione, che stavo facendo un errore, un terribile errore, che davvero non potevo proprio farlo.”
 
Gaetano è ammutolito, mentre la guarda di nuovo in quel modo, come se non la riconoscesse più.
 
“E allora ho chiesto scusa a Marco, sono scesa dall’auto e… insomma, sono tornata con Renzo e il resto lo sai…”
 
“Cioè fammi capire: Renzo si presenta da te dopo anni che stava con un’altra, dopo che ti aveva tradita e mollata, e, ovviamente, lo fa proprio cinque minuti prima che tu ti rifacessi una vita con un altro, perché non poteva rendersene conto prima che ti amava ancora, no?” proclama lui sarcastico in una domanda retorica, pronunciando quelle due parole, amava ancora, come se il solo enunciarle gli corrodesse la bocca, “e tu cosa fai? Non solo non gli ridi in faccia e non lo mandi davvero a quel paese, ma molli su due piedi un uomo di cui eri innamorata e con cui eri pronta fino a due minuti prima a passare il resto della vita? Sai una cosa? Adesso quasi capisco il risentimento di De Matteis e di Gaspare, quella che non capisco è la civiltà di Marco, frecciatine a parte, perché io al posto suo avrei reagito molto, ma molto peggio. Basta che Renzo schiocchi le dita e tu gli obbedisci come un cagnolino ammaestrato?”
 
“Ma assolutamente no!” sbotta lei, indignata e furente, un mix micidiale di rabbia, dolore e paura nel petto di fronte al tono di lui e al suo sguardo così carico di delusione, “come puoi dire una cosa del genere? Non è affatto così, e lo sai e poi… maledizione, Gaetano, giuro che non ti capisco! Prima mi hai fatto una scenata di gelosia pazzesca per il fidanzamento e la convivenza, perché quella con Marco non era stata un’avventura, perché ti faceva male pensare che potessi essermi innamorata di lui e adesso invece ti arrabbi perché l’ho lasciato? In un modo di cui non vado fiera, d’accordo ma…”
 
“E ci mancherebbe altro! E comunque è proprio il fatto che tu non mi capisca, che tu non capisca quale sia il  problema che… dio mio!” sbotta, continuando a guardarla in quel modo, come se lei fosse un’estranea, una sconosciuta, in quel modo che le fa gelare il sangue nelle vene, nonostante la temperatura e la discussione accesa, “sai una cosa, Camilla? Neanche io ti capisco, giuro che ci sto provando ma non ti capisco e anche se non pensavo che avrei mai dovuto dirlo, mi sta anche venendo il dubbio di non averti mai capita davvero. E probabilmente hai ragione tu: è inutile stare qui a discuterne. Quindi ora, se vuoi scusarmi, vado a parlare con Marco e con suo figlio, prima che finiamo tutti in galera.”
 
Si volta ed inizia ad allontanarsi da lei e ad incamminarsi verso la scalinata, a passo deciso.
 
“Gaetano! Gaetano, aspetta! Gaetano!” grida lei, maledicendo i tacchi e sentendo come un macigno nello stomaco e la bocca piena di ovatta, ma lui non rallenta il passo e non si volta indietro nemmeno una volta.
 
***************************************************************************************
 
Sente il suo respiro sul collo, i battiti cadenzati e lenti del suo cuore contro il suo costato, i ricci che gli solleticano la pelle. La guarda dormire, con quell’espressione innocente, da bambina, che mantiene solo nel sonno, perché poi, quando è sveglia, quegli occhi castani così intensi e così vivi sembrano sfidarlo costantemente, tenerlo sul chi vive, giocare con lui e tormentarlo fino a farlo impazzire.
 
Era proprio di quegli occhi e di quello sguardo che si era innamorato come non gli era mai successo prima, anche se sapeva che probabilmente era sbagliato, che non avrebbe dovuto farlo, che tra loro non c’era futuro.
 
Ma per lei avrebbe e ha fatto qualsiasi cosa: contro il parere di tutti aveva lasciato la fidanzata storica e decennale, un rapporto tranquillo, sicuro e consolidato – come del resto era tutto il resto della sua vita – senza sbalzi, senza follie, senza particolari gioie ma anche senza particolari dolori. E poi le aveva chiesto di sposarlo, proprio lui che aveva sempre considerato il matrimonio come un contratto capestro e che era allergico agli altari. Proprio lui, che, come dicevano sempre tutti, aveva già sposato la sua divisa.
 
Lui aveva voluto credere a quello sguardo, a quegli occhi, che lo guardavano con amore, con fiducia, che si illuminavano proprio per lui e per nessun altro. Anche lei aveva lasciato il suo fidanzato storico per lui, anche lei era andata contro i suoi genitori, che all’inizio lo vedevano come una specie di vecchio bavoso che voleva approfittarsi della “loro bambina”, anche lei aveva fatto la follia di sposarsi giovanissima, con ancora gli ultimi esami da terminare, una tesi da discutere e un lungo praticantato davanti a sé.
 
Sapeva però che quasi quindici anni di differenza non sono uno scherzo, che c’era il rischio che prima o poi lei, così bella, così giovane, così piena di vita e di entusiasmo si accorgesse che lui non era altro che un noioso quarantenne, in fondo legato alle sue regole e ai suoi schemi, alle sue sicurezze e alle sue abitudini. Che volesse qualcosa di più, qualcosa che lui non poteva darle. Che crescendo, maturando, diventando del tutto una donna, si sarebbe allontanata da lui.
 
Si è sempre chiesto cosa avrebbe fatto se e quando questo momento sarebbe arrivato, se avrebbe preferito non sapere, accontentarsi di quello che lei poteva dargli, fino a quando poteva darglielo, o se invece avrebbe voluto guardare in faccia la realtà, se non gli sarebbe bastato un compromesso, una finzione, una presenza vuota accanto a lui.
 
Ma ora lo sa: per questo guarda per un’ultima volta quel viso angelico, le posa un bacio sulla fronte e delicatamente, facendo attenzione a non svegliarla, si alza e si avvia verso il salotto, ancora completamente nudo. Perché è così che si sente, nudo.
 
Trova il cellulare abbandonato sul divano. Sa che forse non dovrebbe, ma vuole sapere, ha bisogno di sapere.
 
Pregando di essersi sbagliato, di essere solo paranoico, apre la lista delle chiamate: sa che lei non può avere avuto il tempo di cancellarle.
 
Legge il primo nome su quell’elenco ed è come se avesse ricevuto un pugno in pieno petto, come se non riuscisse a respirare.
 
Marchese
 
Lui, proprio lui, sempre lui, maledizione! – pensa, tirando un pugno al cuscino del divano.
 
Sammy era strana, era diversa da qualche giorno, da poco dopo quella maledetta cena di classe, per essere precisi, e ora finalmente capisce il perché, anche se è una ben magra consolazione.
 
Gli indiani lo chiamerebbero karma, probabilmente, del resto era proprio così che era iniziata la loro storia, con un tradimento, e forse era destino che tutto finisse proprio da dove era cominciato, che la sua vittima diventasse il suo carnefice.
 
Si chiede se anche Marchese si fosse sentito così allora, così… vuoto, quel vuoto che forse è ancora peggio del dolore, quel vuoto che ti consuma fino a che tu sei il vuoto.
 
Rimane così, nudo, seduto sul divano con quel telefono in mano, pensando a tutto e a niente, mentre per la prima volta nella sua vita le sue regole e i suoi schemi non funzionano più. Perché non ha idea di come comportarsi, di come reagire, di cosa farà domani, di cosa farà tra un’ora o un minuto.
 
Sa solo che deve fare qualcosa se non vuole rischiare di impazzire.
 
 
Nota dell’autrice: E con questo capitolo credo di avere battuto il mio precedente record di lunghezza, ma non potevo assolutamente chiuderlo prima di questo punto. Come avrete potuto intuire, questa indagine parallela sta precipitando e si sta trasformando in un caos senza precedenti che rischia di travolgere praticamente tutti quanti e anche l’indagine ufficiale non è che vada molto meglio, anzi. Nel prossimo capitolo ci sarà, tra le altre cose, la ricerca del punkabbestia e… un po’ di situazioni potrebbero arrivare al punto di rottura, con relativa esplosione. Non anticipo altro ;).
 
Vi ringrazio come sempre per aver seguito fin qui i miei chilometrici capitoli e per i vostri commenti e pareri. Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate, in positivo e in negativo, è sempre bello vedere come le altre persone interpretano e vivono ciò che scrivo e cosa convince di più e cosa di meno. Se vi va, vi do appuntamento tra una settimana circa per il prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Cold, cold heart ***


Capitolo 36: “Cold, cold heart”



 
“Certo che da quanto mi dici, Camilla, questa Ilenia, se non è colpevole, è proprio sfortunata: non deve avere avuto una vita semplice...”
 
“In realtà anche se fosse colpevole sarebbe sfortunata, non credi papà? Con tutto quello che le è successo, se avesse ucciso quell’uomo non dico che sarebbe giustificata, però…”
 
Gli ospiti se ne sono ormai andati e anche gli altri ragazzi della band. Per la gioia di Gaspare, che continua a guardare Camilla come se fosse un esemplare di scorpione particolarmente velenoso, sono riuniti nel salotto, davanti al caminetto spento, sorseggiando il famoso Moscatello Passito e cercando di chiarire a Marco e a Tom la gravità della situazione e di metterci una pezza prima che si arrivi al disastro.
 
“Nulla giustifica mai un omicidio o la vendetta, altrimenti il mondo sarebbe nel caos totale,” replica Gaetano, che nella sua carriera ha imparato a temere i giustizieri e chi ne fa l’apologia quasi più dei peggiori criminali.
 
“Ma il mondo è già nel caos totale… Il sistema non funziona e il fatto che quell’uomo fosse libero ne è la prova: basta un buon avvocato e sei fuori anche se sei colpevole. Se sei povero o considerato un diverso puoi essere innocente e nessuno ti difenderà: questa è la verità,” ribatte il ragazzo, altrettanto deciso. Gaetano, che già non si fida particolarmente del giovane batterista alternativo-figlio di papà – o del padre se è solo per questo – dopo questa affermazione, è ancora più preoccupato sia della decisione di spiegare loro la situazione – e quindi di mettere, di fatto, le loro vite nelle loro mani – sia della frequentazione tra il ragazzo e suo nipote.
 
“Non è sempre vero: in questo caso è andata così perché purtroppo lo Scortichini era stato abile o fortunato a non lasciare prove compromettenti. Il sistema non è perfetto perché le persone non sono perfette, ma quale sarebbe l’alternativa? Abbandonarsi all’anarchia? Vendetta chiama vendetta, sangue chiama sangue: si parte da uno sgarro e si passa alla guerra civile…”
 
“Sarà… ma il fatto stesso che vi siete messi ad indagare per conto vostro testimonia che il sistema non funziona e lo sapete anche voi. E comunque…”
 
“E comunque, discussioni filosofiche a parte, il problema in questo caso non si pone perché Ilenia è innocente: la conosco e sono sicura che non farebbe mai una cosa simile,” interviene Camilla, per evitare uno scontro tra Gaetano e Tom.
 
“Certo che tu non cambi mai: quando prendi a cuore una persona la difendi con le unghie e con i denti!” proclama Marco con tono malinconico, osservando il liquido ambrato nel suo bicchiere come se dovesse svelargli i segreti dell’universo, per poi aggiungere, rivolgendosi a Gaetano, “sa, vicequestore, ho già avuto modo di osservare Camilla in azione… e anche di collaborare con lei a qualcuna delle sue indagini, in realtà.”
 
“Ah sì?” domanda Gaetano con un’espressione imperscrutabile e un tono piatto.
 
“Sì… nonostante, come le ho detto, la disciplina non sia il mio forte, ho sempre avuto una passione per il mistero. A Londra per un periodo ho fatto l’investigatore privato, tanti anni fa… in realtà l’agenzia era di un mio amico e l’idea mi divertiva, così per un po’ ci ho lavorato anche io. Ma erano cose da poco, casi noiosi per lo più: corna e soldi, soldi e corna… Mentre con Camilla quello di annoiarsi era l’unico rischio che non correvo: una volta ci siamo persino trovati con una pistola puntata contro,” ricorda con una mezza risata, scuotendo il capo, “un galantuomo che aveva rubato dei soldi che dovevano andare alla famiglia della sua ex e che ha preso Camilla come ostaggio per scappare.”
 
“E lei questo lo trova divertente?” chiede Gaetano, incredulo, guardandolo come se fosse un folle, mentre la mente ritorna a quei maledetti diamanti e all’aggressione subita, all’impotenza, al terrore che aveva provato vedendo Camilla con una pistola alla tempia. E sa che nemmeno tra un milione di anni riuscirebbe a riderci sopra.
 
“No, divertente no, però… diciamo che riguardando indietro è stata tutta un’avventura… un’avventura bella, avvincente, complicata e piena di colpi di scena, fino alla fine… un’avventura che, comunque sia andata, non mi scorderò mai e che è valsa la pena di vivere,” replica Marco, guardando però solo Camilla con una tale intensità da far capire chiaramente sia a Camilla che a Gaetano che l’uomo non sta più parlando solo delle indagini.
 
“Io invece penso che se un’avventura ha buone probabilità di avere una conclusione drammatica per tutte le persone coinvolte, non è un’avventura ma è una follia e allora è meglio non viverla proprio. Che ci sono alcune esperienze talmente negative che non possono e non devono fare media con quelle positive, perché le annullano completamente,” ribatte Gaetano, alternando lo sguardo tra l’altro uomo e Camilla, in un modo che aumenta ancora, se possibile, il peso del macigno che lei già sente sullo stomaco.
 
“Ma mi sembra di aver capito che Camilla si sia ritrovata spesso coinvolta nei suoi casi, dottor Berardi, e che, a differenza di mio fratello, lei non solo non abbia mai fatto nulla per impedirlo ma, anzi, l’abbia sempre incoraggiata. Anche adesso la sta perfino aiutando in queste indagini che non le competono affatto, invece di lasciare che se ne occupi mio fratello, come immagino che il suo ruolo oltretutto le imporrebbe. E, trattandosi sempre di casi di omicidio, mi sembra evidente che ci sia un rischio notevole ed inevitabile quando ci si va a metterci il naso,” rimpalla Marco, non perdendo un colpo, bevendo l’ultimo sorso di moscatello e quasi picchiando il bicchiere sul tavolo come se fosse il martello di un giudice in qualche serial americano, squadrandolo con uno sguardo di sfida.
 
“Quello che ho sempre incoraggiato Camilla a fare è ad usare la testa, in tutti i sensi, dato che l’ho sempre considerata la persona più intelligente che abbia mai conosciuto, e che quindi sono sempre stato convinto che fosse perfettamente in grado di prendersi cura di se stessa, di sapere cosa fosse più giusto per sé e per gli altri e di capire da sola quando è arrivato il momento di fermarsi. Che ciò che l’ha sempre spinta a mettere il naso nei miei casi sia la generosità, la lealtà verso le persone a cui vuole bene, una lealtà talmente grande da portarla a fare il possibile e l’impossibile per loro, per mantenere un impegno, una promessa. Non l’ho mai ritenuta una di quelle persone che amano l’avventura fine a se stessa, che cercano il brivido momentaneo, e al diavolo le conseguenze!” proclama, non lasciando gli occhi di lei nemmeno per un secondo, il tono grave, serissimo e asciutto, un tono che lei raramente gli ha sentito usare e che lei associa ormai indelebilmente a quella maledetta sera dopo il peggiore litigio mai avuto con Gaetano, per via di quei dannati diamanti.
 
“Altrimenti credo sinceramente che sarei stato ancora più severo di suo fratello e, per il bene di Camilla, oltre che per il bene delle persone a lei care e di tutte quelle coinvolte nei miei casi l’avrei non solo scoraggiata, ma, se avesse persistito, l’avrei incriminata per favoreggiamento in omicidio alla prima occasione, per essere sicuro che si tenesse alla larga da me e dalle mie indagini. Il mio lavoro non è un gioco, signor Visconti: ho il compito di dare voce a chi non ha più voce, incontro ogni giorno persone più o meno innocenti nel momento peggiore della loro vita, ho a che fare con criminali che a volte non mi sentirei nemmeno di definire umani, ho la responsabilità di decidere se privare qualcuno della libertà e, se mi sbaglio, posso rovinare e macchiare per sempre la vita di un innocente. Non è quindi proprio mia abitudine assecondare mitomani o investigatori della domenica e non avrei mai permesso a Camilla quello che ho permesso se non fossi stato più che convinto della sua onestà, della sua buona fede e delle sue capacità, se non mi fossi da sempre fidato ciecamente di lei, se non avessi sempre pensato che la sua presenza nelle mie indagini e nella mia vita non mi togliesse affatto la lucidità necessaria per fare il mio lavoro, ma anzi, mi aiutasse a svolgerlo al meglio. In caso contrario non potrei mai stare con lei, e ,se mai mi accorgessi di essermi sbagliato, che il mio assecondarla mi ha portato a violare i miei doveri e le mie responsabilità, a mettere in pericolo o a danneggiare le persone che ho giurato di tutelare, sarei io il primo a rinunciare spontaneamente al mio distintivo e ad autodenunciarmi.”
 
Nella stanza cala un silenzio solenne e quasi opprimente: Camilla lo guarda con gli occhi lucidi, avendo colto benissimo tutti i sottotesti, mentre il macigno che le opprime il torace si è ormai fatto soffocante a tal punto che sente mancarle il fiato e la terra sotto i piedi. Marco invece alterna lo sguardo tra i due e alla malinconia nella sua espressione si unisce una certa dose di stupore e anche di rispetto.
 
“Non volevo mettere in dubbio la sua professionalità, la sua correttezza o la sua onestà, dottor Berardi e mi scuso se le ho dato questa impressione,” proclama infine Marco, sembrando non cogliere o forse ignorare gli sguardi tra Gaetano e Camilla, “e le garantisco che anche io, nonostante ami godere appieno di quel poco di leggerezza che la vita ci offre, finché ce ne offre, so capire quando una situazione è grave e seria e regolarmi di conseguenza. E sono sicuro che lo stesso valga per mio figlio. Quindi, se ci spiegate in che modo possiamo aiutarvi a tirare questa povera ragazza fuori dai guai, lo faremo più che volentieri. E le assicuro che, essendoci anche mio figlio di mezzo, io per primo voglio evitare ogni rischio non necessario o qualsiasi colpo di testa.”
 
Gaetano lascia gli occhi di Camilla e azzurro incontra azzurro, studiandosi a vicenda per attimi che paiono infiniti.
 
“D’accordo,” annuisce Gaetano con un sospiro, “e mi scusi anche lei: forse le sarò sembrato esagerato, però… la situazione è molto delicata e… quello che vi dirò non deve uscire da questa stanza, mi capisce?”
 
“Immagino quindi che mio fratello non sia al corrente di questa… indagine che state conducendo,” deduce Marco, versandosi un altro bicchiere di vino.
 
“Peggio… Marco, tuo fratello ci ha chiesto di restarne fuori e ha minacciato nemmeno troppo velatamente di denunciare me e Gaetano per questa e per le nostre altre… collaborazioni… se ci fossimo immischiati in questa vicenda. E non voglio che Gaetano abbia problemi sul lavoro per colpa mia…” interviene Camilla, la bocca e la gola come cartavetra.
 
“Camilla…” sussurra Gaetano, lanciandole un’occhiataccia di avvertimento che le fa intuire che forse avrebbe fatto decisamente meglio a tenere la bocca chiusa.
 
“Addirittura? Non pensavo che Paolo arrivasse a tanto, però… Camilla, tu lo conosci: mio fratello abbaia ma non morde,” la rassicura con un sorriso, per poi aggiungere, rivolto all’uomo, “vicequestore, capisco la vostra preoccupazione, ma non credo che Paolo attuerebbe mai le sue minacce, anche se vi scoprisse. E in ogni caso le do la mia parola che sia io che Tom saremo una tomba e non faremo parola con nessuno di quello che ci direte stasera. Vero Tom?”
 
“Sì, certo,” conferma il ragazzo, sembrando anch’egli più serio e pensoso, “anche perché io invece non sono convinto che zio Paolo ci passerebbe sopra, sai? Ce l’ha davvero a morte con lei, Camilla, raramente l’ho sentito parlare di qualcuno con così tanto rancore. E per lo zio Paolo il mondo è tutto bianco e nero, non ha mezze misure, e lo sai anche tu, papà.”
 
Fantastico – non può fare a meno di pensare Gaetano, sentendo che la testa si è ormai trasformata in un enorme livido pulsante, mentre Camilla rompe il silenzio imbarazzato cominciando a spiegare del punkabbestia che devono rintracciare – assolutamente fantastico!
 
***************************************************************************************
 
“Vado a farmi una doccia,” proclama non appena entrano nella stanza, buttando la giacca su una sedia e cominciando ad estrarre dall’armadio gli indumenti con cui cambiarsi.
 
“Gaetano, aspetta,” lo blocca, poggiandogli la mano sinistra sulla spalla e la destra sul braccio, “aspetta, per favore, dobbiamo parlare.”
 
“Camilla, ho la testa che mi scoppia peggio che dopo un incontro di boxe finito male: ho bisogno di una doccia e di dormirci sopra,” replica asciutto e deciso, scostandosi dal suo tocco e voltandosi per guardarla, notando con un sospiro che si è piazzata in mezzo alle ante dell’armadio, bloccandogli il passaggio.
 
“Gaetano, per favore, anche io sono stanca, ma dobbiamo parlare di quello che è successo alla Fattoria.”
 
“Alla Reggia di Venaria, vorrai dire, e comunque credo che abbiamo già parlato più che a sufficienza: sono ore che parliamo con mezzo mondo di cose su cui sarebbe stato meglio mantenere il più assoluto riserbo e sinceramente ne ho abbastanza,” ribatte senza cedere di un millimetro, nonostante il tono e lo sguardo imploranti di lei.
 
“Forse ne avremo parlato con mezzo mondo ma non ne abbiamo parlato io e te e se ti ha dato fastidio che abbia raccontato a Marco delle minaccia di suo fratello io-“
 
“Dato fastidio? Ma no, ma perché mai avrebbe dovuto darmi fastidio, eh? Ci mancava solo che ci attaccassimo in fronte un bersaglio, Camilla, e poi eravamo a posto!” proclama non nascondendo affatto l’irritazione che prova e non potendo evitare di alzare la voce.
 
“Se l’ho fatto è perché era l’unico modo perché Marco e Tom capissero quanto è grava la situazione e quanto è importante che De Matteis non ne sappia nulla. Gaetano, Marco avrà tanti difetti, non sarà l’uomo più affidabile del mondo, ma è una brava persona e mi fido di lui, e sono sicura che non ha nessuna intenzione né nessun motivo per volerti colpire,” ribatte con tono calmo ma deciso, guardandolo negli occhi.
 
“Ma magari è lui che non si fida di te e magari ha dei buoni motivi per volerti colpire, Camilla, non credi? C’è gente che porta rancore per molto meno. E in quanto ad inaffidabilità, comincio a pensare che, come dice il detto, chi si somiglia si piglia,” commenta duro, aspro, trafiggendola di nuovo con quell’occhiata carica di delusione che è come un pugno allo sterno.
 
“E invece no, ed è proprio di questo che ti devo parlare, ti devo spiegare come sono andate le cose, ho bisogno di spiegartelo, di farti capire perché è andata come è andata con Marco,” lo prega di nuovo, appoggiandogli le mani sulle spalle come per trattenerlo e costringerlo ad ascoltarla e a guardarla negli occhi.
 
“Mi sembra che non ci sia altro da spiegare, Camilla: è tutto chiarissimo e non penso che ci sia qualche giustificazione che possa rendere quello che mi hai raccontato stasera meno…  meno assurdo e… inconcepibile,” proclama scuotendo il capo e voltandosi nuovamente per liberarsi dalla presa di lei e afferrare il necessario per la doccia.
 
“Gaetano…” sussurra lei, ferita da quel gesto e da quel rifiuto peggio di un pugno allo stomaco.
 
“Camilla, per favore, lasciami passare,” le chiede con tono più pacato, provando, nonostante tutto, una fitta al petto: non sopporta di vederla stare male, soprattutto se è lui stesso  il motivo del suo malessere, “come ti ho detto sono stanco, anzi, sono distrutto e sono nervoso e… credimi quando ti dico che discutendone adesso potremmo solo peggiorare le cose.”
 
“E invece rinviando questa discussione miglioreranno le cose ? Lo sai anche tu che non è così, anzi, che è proprio l’esatto contrario! Gaetano, te l’ho già detto: preferisco mille volte che ti sfoghi con me, che mi insulti perfino, piuttosto che una guerra fredda. Ci siamo promessi di affrontare insieme i problemi, di dirci sempre in faccia le cose come stanno ed inoltre quando è successo tutto il casino dei diamanti mi sono promessa che se avessimo avuto altre liti o discussioni del genere non sarei mai più andata a dormire prima di esserci chiariti, che non avrei più rimandato al mattino dopo.”
 
“Mi dispiace, Camilla, ma come sai benissimo anche tu, non è sempre possibile mantenerle le promesse, no? E io questa sera proprio non ci riesco, credimi che forse dispiace più a me, ma non ci riesco.”
 
Quelle parole, il modo in cui le pronuncia, così carico di amarezza, di delusione, di tristezza, la lascia per un attimo come paralizzata, tanto che lui riesce a sgusciare via e ad aggirarla, gli indumenti sotto un braccio, dirigendosi verso la porta.
 
“Gaetano, aspetta,” ripete più forte, in quello che è ormai quasi un urlo, ma lui ormai è già fuori dalla porta che richiude dietro di sé.
 
Le sue gambe si muovono da sole con inattesa velocità: lanciandosi all’inseguimento apre la porta ed entra nel corridoio, decisa a seguirlo fino in bagno, a non demordere fino a che lui non l’avrà ascoltata, perché deve ascoltarla, non può non ascoltarla, ma, fatti pochi passi, la porta della camera da letto di sua madre e di Amedeo si apre ed emerge Andreina in vestaglia, bloccandola sui suoi passi.
 
“Siete tornati…”
 
“Sì… ti abbiamo svegliata?” le domanda, sondando il terreno, sebbene sua madre abbia la voce e l’aspetto di chi non è mai andata realmente a dormire.
 
“No… non dormivo… E sì, vi ho sentiti, se è questo che vuoi sapere. Avete litigato, vero?” domanda Andreina, scrutandola con lo stesso sguardo che usava da bambina per capire se fosse stata lei a rovesciare il preziosissimo vaso, regalo di una lontana cugina di ottantesimo grado, o a mangiare di nascosto i cioccolatini. Ci aveva provato tante volte a mentirle per farla franca, con scarsissimi risultati.
 
“Se conosci già la risposta, perché me lo chiedi, mamma?” le domanda di rimando, con un sopracciglio alzato, per poi aggiungere con un sospiro, “scusami, ma adesso non ho tempo di parlarne con te, devo… devo chiarirmi con Gaetano.”
 
“Camilla, ascoltami, lascia perdere: è meglio se lo lasci sbollire, dai retta a tua madre,” proclama Andreina, con quel tono paternalistico da verità assolute che le ha sempre provocato un fastidio atavico ed innato e che non fa che peggiorare i suoi nervi già a fior di pelle.
 
“Perché evitando di parlarne i problemi si risolvono magicamente da soli, vero, mamma?” si lascia sfuggire prima di potersi controllare, pentendosene immediatamente quando vede lo sguardo addolorato della madre, che ha colto perfettamente il riferimento alla situazione tra lei ed Amedeo, “scusami mamma, non volevo io-“
 
“Camilla, credo che sia meglio se sbollisci un po’ anche tu, non credi?” ribatte l’anziana, trafiggendola con un’occhiata eloquente, “e i problemi forse non si risolveranno evitando di affrontarli, ma nemmeno affrontandoli a testa bassa tipo kamikaze.”
 
“Hai ragione…” ammette con un altro sospiro, massaggiandosi la testa che sembra ormai fatta di piombo.
 
“Mia figlia che mi da ragione: questo deve essere uno dei segni dell’Apocalisse!” commenta Andreina con un sorriso, posandole una mano sulla spalla per spingerla a guardarla di nuovo degli occhi, “ti va una camomilla?”
 
Camilla si limita ad annuire e si avviano insieme verso la cucina. La mano di Andreina rimane saldamente sulla spalla della figlia e Camilla non fa nulla per evitarlo, cosa che non passa inosservata agli occhi dell’anziana, che non sa se esserne più felice o più preoccupata.
 
***************************************************************************************
 
Calore, si sente avvolta dal calore, dalla pace, come se fluttuasse.
 
Rimane così ancora per un attimo, ad occhi chiusi, affondando di più il viso in quel tepore, in quel profumo che nessun cuscino potrà mai regalarle.
 
E poi li apre, solleva lo sguardo e lo vede, bagnato dalla luce che filtra dalle tapparelle abbassate, addormentato con quell’espressione tranquilla, aperta, serena, che le ricorda da morire Tommy.
 
Sorride e allunga il collo per posargli un bacio sulle labbra. A pochi centimetri però si blocca: il velo di sonno è ormai evaporato e ha lasciato spazio alla consapevolezza e al ricordo di quanto è successo la sera prima.
 
Dopo la camomilla con sua madre e dopo aver constatato che Gaetano, uscito dalla doccia, non pareva intenzionato a parlare con lei più di quanto lo fosse prima, limitandosi a cambiarsi nel più totale silenzio, come se ogni gesto richiedesse la sua massima concentrazione, era andata anche lei in bagno e, al suo ritorno, l’aveva trovato addormentato. O forse fingeva solo di dormire, disteso praticamente sul bordo del letto, rivolto verso il comodino, come a voler evitare ogni contatto con lei.
 
Si era messa a letto con un vago senso di nausea, sentendosi addosso un peso opprimente: da quando stavano insieme ogni volta che avevano potuto condividere lo stesso letto si erano sempre addormentati abbracciati, sempre, anche quando, come in queste sere, non avevano potuto fare l’amore. Anche dopo l’episodio dell’armadio e il litigio pesantissimo che ne era seguito, erano rimasti in due camere separate: se allora aveva pensato che non c’era nulla di peggio di quel letto vuoto e freddo, di quella notte trascorsa in bianco a fissare il cuscino accanto a sé, si era dovuta ricredere. Perché averlo accanto ma così… distante… non faceva che sottolineare quanto successo, non faceva che aumentare quel dolore nel petto e nella gola che pareva non volersene andare.
 
Si era rigirata per ore, cercando un sonno che non arrivava e pregando allo stesso tempo in un suo cenno, in un suo gesto, ma nulla. Alla fine si era fermata in una posizione, imponendosi di rimanerci in un ultimo tentativo di prendere sonno e dopo un po’ di tempo finalmente l’aveva sentito muoversi, girarsi verso di lei. Non aveva osato aprire gli occhi ma aveva sentito il suo sguardo bruciarle suo viso, per quella specie di istinto che li aveva da sempre uniti, che le faceva sempre avvertire quando aveva i suoi occhi puntati su di lei. E poi, dopo qualche minuto o forse qualche secondo, aveva sentito un tocco lieve sui capelli, sulla fronte e dietro l’orecchio, talmente rapido e leggero che quasi si era chiesta se non se lo fosse sognato, ma quel riccio che le copriva l’occhio sinistro non c’era più.
 
Poi non aveva più sentito niente, silenzio totale, solo il lieve rumore del respiro di lui, ma il sonno non aveva tardato ad arrivare.
 
E ora si è svegliata così, avvolta dal suo abbraccio come ogni mattina, come se nulla fosse successo, come se il gelo della sera prima fosse solo un lontano ricordo. Ma qualcosa era successo e, anche se il fatto che lui inconsciamente l’avesse cercata e accolta nel sonno in parte la rassicura, Camilla sa che purtroppo non è così semplice, che non basta a risolvere tutto.
 
E così rimane ferma, immobile, quasi trattenendo il fiato, godendosi questo calore e questo abbraccio più che può, desiderando con tutte le sue forze di poter fermare il tempo in questo istante. Ma, mano a mano che la luce nella stanza si fa più forte, il corpo che la circonda comincia a muoversi, finché infine le palpebre si dischiudono e iridi azzurre incontrano le sue.
 
“Amore…” mormora, la voce impastata dal sonno, guardandola con quell’espressione che le fa sentire quanto quella parola sia vera, reale. Senza quasi rendersene conto si ritrova con le labbra sulle sue, in un bacio delicato e dolce, il bacio del buongiorno. Rimane paralizzata e stupita per un paio di secondi e poi ricambia con tutto l’amore che prova, mentre sente il peso sul cuore farsi sempre più leggero ed iniziare a svanire.
 
Fa scorrere le mani sul petto e sul collo di lui, fino ad arrivare alla nuca, inclinando il capo per approfondire il bacio, lui risponde stringendola più forte a sé ed accarezzandole la schiena languidamente, scendendo sempre più in basso, in quello che lei sa benissimo essere preludio a molto, ma molto di più.
 
E poi, improvvisamente, le dita di lui si bloccano, come congelate, e Camilla sente che qualcosa non va, come se fosse stato premuto un interruttore, come se il sapore di quel bacio fosse radicalmente mutato. Le labbra si staccano dalle sue in fretta, troppo in fretta e Gaetano, completamente sveglio, ansante e rosso in viso, la guarda di nuovo con l’espressione amara e distante della sera prima, mista a qualcosa di indefinibile ma che non promette niente di buono. In pochi secondi si volta per posarla sul materasso, come se scottasse, e cerca poi di sollevarsi, ma lei lo trattiene a sé con le braccia e con le gambe.
 
“Gaetano, aspetta,” sussurra, la voce roca che minaccia di rompersi in ogni momento, tanto che riesce solo ad aggiungere un flebile “perché?”
 
“Lo sai anche tu il perché, Camilla,” risponde, la voce altrettanto roca e altrettanto fioca, quasi tremante, “per favore, lasciami andare.”
 
“Gaetano…” esala, mentre quelle due parole, lasciami andare, suonano terribilmente enormi, minacciose e cariche di un significato molto più profondo, “mi spieghi che senso ha? Lo so che non è davvero quello che vuoi, come non lo voglio io e-“
 
“Camilla, per favore… sì, ti desidero, è vero, non posso evitare di desiderarti, ma non così… Non voglio che sia solo una… una distrazione, che-”
 
“Io non voglio fare l’amore con te per distrarmi o per distrarti, Gaetano, maledizione, ma perché ti amo!” proclama, non potendo evitare di alzare la voce e guardandolo negli occhi, pregandolo di capire, di capire quanto sia sincera.
 
“Anche io ti amo, da morire, ma è proprio per questo che non posso farlo, Camilla, lo capisci? Non posso farlo se queste parole non hanno per te lo stesso significato, lo stesso valore che hanno per me e non... non ne sono più sicuro, mi sembra di non sapere più niente, di non capire più niente.”
 
Non sa se sia per le parole o per il tono o per lo sguardo con cui vengono pronunciate, ma Camilla lascia la presa, come se adesso fosse lui a scottare, mentre si sente travolgere da una valanga che la schiaccia e la stritola in una morsa fredda e gelida, le mille parole che vorrebbe dirgli, urlargli, fargli capire, congelate in gola.
 
Riesce a resistere fino a che lui compie i pochi passi necessari per uscire dalla porta e poi il ghiaccio si rompe e le lacrime cominciano a scorrere.
 
***************************************************************************************
 
“Ah, finalmente è arrivato, Mancini.”
 
“Mi scusi, dottore, ma ho trovato traffico…” replica l’ispettore, dopo un attimo di esitazione, guardandosi intorno.
 
“Va bene, ma mi serve operativo da subito: mi deve rintracciare e convocare il padre della Misoglio e la Baudino e Berardi, dato che ieri sera erano irreperibili. E vorrei anche parlare con sua moglie, appena possibile.”
 
“Con mia moglie?” ripete, quasi inebetito, mentre la mente ritorna a quel maledetto nome sul display del cellulare e a quella mattina, quando Sammy si era svegliata accanto a lui, che invece non aveva chiuso occhio, gli aveva sorriso e l’aveva baciato.
 
E lui aveva provato un senso di nausea terribile, ma l’aveva lasciata fare, come intontito. E non sapeva come, ma si era ritrovato a fare sesso con lei, mentre il piacere si mischiava al dolore, alla rabbia, al senso di nausea, al senso di colpa, mentre una parte di sé si chiedeva se lei fosse così anche con Marchese, se pronunciasse anche il nome di lui come un grido e un gemito insieme, se lo baciasse in quel modo innocente, dolce e sensuale. Ma non era riuscito a fermarla, a fermarsi, era andato avanti come un automa, come se fosse tutto un sogno o forse un incubo da cui non riusciva a svegliarsi.
 
Poi l’aveva vista andare in bagno, vestirsi e prepararsi e non era riuscito a fare nulla: né a urlare, né a chiedere una spiegazione, nulla.
 
“Sì, era amica della Misoglio ai tempi della scuola, no? O così mi ha detto Marchese…”
 
“Marchese… dov’è Marchese?” chiede Mancini, ignorando totalmente la domanda di De Matteis.
 
“Marchese ha la mattinata libera: siamo rimasti impegnati nelle ricerche fino a tardi ieri sera ed era distrutto… Ma piuttosto, Mancini, è sicuro di stare bene? Mi sembra stravolto…”
 
“In effetti… in effetti forse non mi sento molto bene, dottore…” ammette Mancini, mentre già si immagina come e con chi Marchese sfrutterà la mattinata libera: altro che stanchezza…
 
“Forse ha lavorato troppo in questi giorni, Mancini. Riesce a resistere ancora per questa mattina? Sa, manca già Marchese e con le ricerche della Misoglio ho bisogno di più persone possibili… però se non se la sente troveremo un’altra soluzione.”
 
È come se si risvegliasse dalla catatonia: Mancini guarda De Matteis negli occhi ed improvvisamente sa cosa deve fare.
 
***************************************************************************************
 
“Marchese, si può sapere che succede? Perché ci hai fatto venire qui di corsa? Sammy, ci sei anche tu?”
 
“Buongiorno, prof.,” risponde la ragazza, che sembra da un lato in apprensione ma dall’altro stranamente… normale… e non a disagio nonostante la presenza di Marchese, come invece avveniva nei giorni precedenti.
 
La chiamata di Marchese era arrivata mentre stavano ancora facendo colazione con Andreina e Livietta che cercavano di riempire con le chiacchiere un silenzio opprimente, tra Amedeo che, come al solito, sembrava un fantasma in casa propria e la tensione tra lei e Gaetano che si poteva tagliare con un coltello.
 
Poche parole, l’indirizzo di un bar poco distante da casa e un “venite subito!” che non lasciava spazio ad interpretazioni. E da un lato avere qualcosa da fare, qualcosa con cui distrarsi era stato un sollievo, un modo di concentrarsi su qualcosa che non fosse quello che stava succedendo tra lei e Gaetano.
 
“Ilenia è scappata e non si trova,” annuncia Marchese non appena si siedono, senza perdere tempo in convenevoli.
 
“Cosa? COSA? Marchese ma… cos’è successo da ieri pomeriggio?” domanda Camilla, incredula: quando avevano recuperato il filmato che mostrava il punkabbestia rubare quell’auto, sembrava che le cose per Ilenia stessero finalmente cominciando a girare per il verso giusto e invece…
 
“Sa quei famosi pantaloni che mi avete aiutato a ritrovare e per cui De Matteis vi ha convocato ieri? Avevano una toppa che copriva uno squarcio sulla tasca e… purtroppo il brandello di cotone trovato sulla recinzione dello Scortichini è compatibile con la tasca. Non c’è una certezza al 100% perché la cameriera ha rifinito lo strappo ma… con tutti gli altri indizi e con il movente che ha Ilenia…”
 
“E poi cos’è successo?” chiede Gaetano, passandosi una mano sulla fronte con un sospiro: avere già mal di testa alle nove del mattino non è esattamente un buon segno.
 
“E poi ho provato a dire a De Matteis del filmato ma a quel punto lui ha voluto che lo accompagnassi ad arrestare Ilenia. Lei ci ha chiesto cinque minuti per cambiarsi e preparare la borsa e… quando sono trascorsi e non ha risposto siamo entrati nella stanza e non c’era più. Mancava la tracolla e qualche indumento di quelli che avevamo ispezionato l’altro giorno… soldi non dovrebbe averne avuti tanti con sé, immagino, e stiamo aspettando di vedere se e quando userà la sua carta di credito. Nei giorni scorsi comunque non aveva effettuato spese straordinarie. Il cellulare l’abbiamo ritrovato in un cestino di un regionale diretto a Napoli, ma potrebbe anche non esserci mai salita. Probabilmente è stata una fuga di impulso ma finora ha eluso tutti i controlli.”
 
“Ilenia ha due carte, o meglio, una è intestata a sua madre,” chiarisce Gaetano, guadagnandosi un’occhiata sorpresa da Marchese, “fa da babysitter a mio figlio Tommy e di solito la pago in contanti, ma una volta mi ero dimenticato di prelevare. Lei ha insistito perché non uscissi di nuovo e mi ha chiesto di ricaricarle una carta prepagata con l’homebanking e ricordo che era a nome della madre.”
 
“Forse dovremmo controllare allora…”
 
“Forse? Marchese, certo che dovete controllare!” ribatte Gaetano, con aria di chi non ammette obiezioni e un tono autoritario che raramente Camilla gli ha sentito usare.
 
“Ma quindi lei vuole aiutare la polizia a trovare Ilenia?” domanda Sammy, incredula, “se la prendono prima che scopriamo il vero assassino… lo sa che succede, no?”
 
“Non è colpa nostra se Ilenia scappando ha peggiorato la sua posizione, Sammy ed una vita da latitanti non è uno scherzo, anzi. Quindi anche se Ilenia non fosse colpevole-“
 
“Se? Certo che non è colpevole! Avrà avuto paura di finire in galera e avrà fatto una sciocchezza ma questo non significa che abbia ucciso qualcuno!“
 
“Sammy, credo che quello che Gaetano sta cercando di dire è che anche se Ilenia, come credo, è innocente, rimane il fatto che quella sera deve essere andata al capanno dello Scortichini. Le probabilità che si sia strappata i pantaloni nello stesso identico punto di chi è passato da quel buco nella recinzione sono praticamente inesistenti. E se ci è andata può esserci arrivata solo con la macchina rubata dal punkabbestia e quindi dobbiamo capire cosa c’entra con lui e cos’è successo quella sera. Se è lui l’assassino, Ilenia lo sa e lo stava coprendo e ora è latitante e vulnerabile, potrebbe essere in pericolo.”
 
“Esatto,” annuisce Gaetano, scambiando uno sguardo con Camilla e sentendo, nonostante tutta la confusione e il dolore che ha nella testa e nel cuore, quel moto di ammirazione e di orgoglio che ha da sempre provato per lei, per quell’intuito e per quella intelligenza assolutamente fuori dal comune.
 
Camilla nota quel lampo, quel cambio di espressione che gli addolcisce i tratti del viso, che lo fa ritornare ad essere il suo Gaetano e non sa se provare più sollievo o più rabbia verso se stessa e verso di lui per questo litigio, per questa incomprensione e per questa situazione assurda.
 
“E quindi l’unica cosa da fare adesso è trovare il punkabbestia,” prosegue Camilla decisa, cercando di ricacciare tutti i pensieri negativi in un angolo della mente e di concentrarsi solo sulle indagini, “tra due ore ci troviamo con l’amico di Nino, il nipote di Gaetano, che conosce alcuni punkabbestia e che si è offerto di aiutarci, però…”
 
“Però l’amico dei punkabbestia è anche il figlio del fratello di De Matteis…” si inserisce Gaetano, lanciandole un’occhiata che potrebbe incenerire e che fa capire a tutti quanto non sia assolutamente felice di questa soluzione.
 
“Cosa? Il figlio del signor Visconti? Ma siete matti?! Se De Matteis lo viene a sapere sono finito!” esclama Marchese, agitatissimo.
 
“Se De Matteis lo scopre siamo tutti finiti, Marchese, e credimi che anche io avrei di gran lunga preferito evitare…” commenta Gaetano con un sospiro, fulminando con lo sguardo sia Sammy che Camilla e bevendo un sorso del caffè doppio portatogli dalla cameriera come se dovesse togliergli quel sapore amaro che sente in bocca.
 
“Comunque sia, Marco e suo figlio hanno promesso di non farne parola con nessuno, soprattutto non con De Matteis. E inoltre non abbiamo fatto né il tuo nome, né quello di Sammy: a quanto ne sanno loro, stiamo indagando solo io e Gaetano.”
 
“Ma se De Matteis scopre che stavate cercando il punkabbestia, verrà fuori la storia del filmato ed è chiaro che l’avreste potuto sapere solo da me,” sospira Marchese, passandosi una mano sulla fronte.
 
“E allora cosa dovremmo fare, Marchese? Vuoi tirarti indietro?” domanda Sammy, fulminandolo con quello sguardo che precedeva la tempesta quando stavano insieme. E dire che avevano appena dichiarato una tregua.
 
“Non voglio tirarmi indietro, Sammy, anzi, voglio aiutare Ilenia quanto te, ma vorrei solo evitare un disastro,“ replica Marchese, evidentemente preoccupato.
 
“Per quello è un po’ tardi, Marchese, orma siamo in ballo e dobbiamo ballare, purtroppo. Però concordo: non possiamo permetterci passi falsi e dobbiamo usare la testa. Quindi dobbiamo concentrarci su due cose: trovare Ilenia e il punkabbestia il prima possibile e chiudere rapidamente questa storia. Fai pressioni su De Matteis perché si interessi anche alla pista del punkabbestia e capisca che seguendola potrebbe trovare Ilenia e controlla quella carta prepagata. Noi faremo la nostra parte, fino a che sarà possibile,” si inserisce Gaetano, cercando di mantenere il tono fermo ma rassicurante che usa con i suoi sottoposti,
 
“Cosa significa finché sarà possibile?” domanda Sammy, riservando anche a Gaetano la stessa occhiataccia che ha appena rivolto a Marchese.
 
“Significa che c’è un limite, Sammy, oltre il quale non mi voglio spingere: non posso e non voglio rischiare la vita e il futuro di tutti noi e dei nostri cari. Quindi al minimo sospetto di De Matteis o al minimo segnale di pericolo ci dobbiamo fermare. E poi oggi è venerdì e io lunedì devo rientrare al lavoro a Torino e se la situazione non si sblocca in questo weekend non so quanto sia utile per me rimanere qui e inoltre sinceramente non saprei nemmeno come giustificare altri giorni d’assenza ai miei superiori, salvo emergenze gravi che spero non ci siano. Sono stato via per una settimana ed è già tanto con il mestiere che faccio,” spiega, guardando però solo Camilla, dritto negli occhi, come a studiare ogni sua reazione, ogni suo gesto.
 
Camilla ricambia lo sguardo stupita: sapeva anche lei che la loro “vacanza Romana” stava giungendo al termine e che, mentre lei era in ferie per tutta l’estate, Gaetano invece non era altrettanto fortunato. Ma con tutta questa storia di Ilenia… non ne avevano nemmeno parlato in realtà, ma aveva sempre pensato che avrebbero deciso insieme il da farsi, che, se la situazione non si fosse risolta entro domenica, lui si sarebbe offerto di restare, che avrebbe fatto di tutto per restare. Ora invece non solo sembra avere già deciso, ma soprattutto ne parla in questo modo a Sammy prima che con lei. E questo le fa male e le fa paura allo stesso tempo.
 
“Ma quindi vuole abbandonare Ilenia così? Lavarsene le mani? Anche lei, prof.?” chiede di nuovo Sammy, il tono che passa dall’indignato allo stupito e addolorato.
 
“Non so cosa voglia fare Camilla e non posso parlare anche per lei, ma, per quanto mi riguarda, non si tratta di abbandonare qualcuno o di lavarsene le mani, si tratta di avere ben chiare quali sono le proprie priorità nella vita, che vanno salvaguardate a qualsiasi costo. E per quanto io mi sia molto affezionato ad Ilenia e per quanto voglia trovarla e provare che è innocente, non posso farlo quando questo va a scapito di ciò a cui tengo di più al mondo e non sto parlando del mio lavoro,” chiarisce, continuando a guardare Camilla, per poi aggiungere, “e dovreste rifletterci anche voi, molto seriamente, prima che sia troppo tardi per pentirsene.”
 
“Gaetano…” mormora Camilla, avendo capito perfettamente il messaggio, l’avvertimento, mentre il gelo che sente continua a peggiorare e Sammy e Marchese si guardano in silenzio.
 
“Noi adesso andiamo a incontrare Marco e Tom,” proclama infine Gaetano, rompendo il silenzio, aggiungendo poi, rivolto ai due ragazzi, “vi terremo aggiornati.”
 
Lo squillo di un telefono li blocca prima che possano alzarsi dal tavolo: Camilla estrae il cellulare, osserva per un attimo il display che annuncia “numero riservato” e risponde.
 
“Sì, sono io. Sì, possiamo venire. Ma è successo qualcosa? D’accordo, va bene, a tra poco.”
 
“Era tuo marito, Sammy,” annuncia quando riattacca, “De Matteis vuole me e Gaetano in questura il prima possibile, probabilmente pensa che sappiamo qualcosa della fuga di Ilenia. A questo punto credo che convenga andarci subito: via il dente e via il dolore.”
 
***************************************************************************************
 
“La Misoglio è scappata ieri sera,” annuncia De Matteis senza perdersi in convenevoli, “e immagino che voi non ne sapevate niente?”
 
“Ilenia non si è messa in contatto con noi, se è questo che vuole sapere,” risponde Camilla cercando di mantenere la calma e di evitare di mentire lavorando sul filo di lana delle omissioni, cosa che non passa inosservata a Gaetano.
 
“Sì, è quello che voglio sapere, professoressa, e spero che non mi stia mentendo e non stiate coprendo la Misoglio, primo perché è contro la legge e secondo perché può essere pericoloso e-“
 
“De Matteis, mi scusi, ma sono un tutore della legge tanto quanto lei e mi sento offeso da questa insinuazione: non mentirei mai per coprire una latitante e meno che mai lo farebbe Camilla. Siamo convinti anche noi come lei che la cosa migliore anche per la stessa Misoglio sia che la troviate al più presto possibile,” lo interrompe Gaetano, intervenendo a gamba tesa e poggiando una mano sul braccio di Camilla in un gesto protettivo che non sfugge a nessuno dei presenti.
 
“Certo,” conferma lei, stringendo la mano di Gaetano nella sua e provando un moto di sollievo quando lui non si sottrae al contatto.
 
“D’accordo, diciamo che vi credo, ma solo fino a prova contraria,” ribatte De Matteis, osservando le loro mani unite con un’espressione indefinibile e squadrandoli poi con un’occhiata che pare voler leggere loro dentro, “vorrei però sapere dove eravate ieri sera e perché non eravate reperibili.”
 
Camilla guarda Gaetano come per chiedergli che fare, se possono dire la verità o meno e lui annuisce.
 
“Vede, dottor De Matteis, se i nostri telefoni non erano raggiungibili era probabilmente perché eravamo in una cantina dove non c’era campo. La cantina della Fattoria, per essere precisi. A quanto pare suo nipote e il nipote di Gaetano suonano nella stessa band e senza saperlo ci siamo trovati alla festa di saluto per Tom.”
 
“Cosa?? Vuole dire che eravate a casa mia? Con mio fratello??” chiede incredulo, spalancando gli occhi in un modo quasi comico.
 
“Esatto, può chiedere conferma a lui, se serve. Mi creda, anche noi eravamo sorpresi di questa coincidenza: il mondo è piccolo!” commenta Camilla, non potendo evitare di sospirare al solo ricordo di una delle serate più tese, imbarazzanti e disastrose della sua vita.
 
“Lo farò, ne stia pure certa… nel frattempo, dottor Berardi, ho bisogno di contattare i parenti della Misoglio che sono a Torino: la madre e gli zii. Non è escluso che possa tentare di recarsi lì durante la sua fuga o che ci sia già arrivata in qualche modo. Può disporre che uno dei suoi uomini a Torino si rechi a interrogarli? E magari assegnare un agente che rimanga per qualche giorno appostato fuori da casa della Misoglio e della madre?”
 
“Quindi adesso vuole la mia collaborazione? Cos’è successo al ‘rimanerne tassativamente fuori’?” non può fare a meno di chiedere Gaetano, con una punta di malcelato sarcasmo.
 
“Succede che non posso mandare i miei uomini fino a Torino se non è assolutamente necessario e che questa è la prassi in questi casi, ma se non vuole cooperare allora-“
 
“Dottor De Matteis, certo che voglio cooperare: non è mia abitudine mettere i risentimenti personali prima dei miei doveri e della ricerca della verità, come le ho già detto. Anzi, se lei non si fosse posto in questo modo ostile nei miei confronti fin dall’inizio, avrei già fatto tutto il possibile per darle una mano anche qui a Roma. Comunque contatterò Torre, visto che lo conoscete e mi fido ciecamente di lui, e farà da tramite con Torino e con i parenti della Misoglio. E quando tornerò a Torino, se questa vicenda non si sarà già risolta prima, come spero, potrà contare anche su di me per qualsiasi cosa,” replica Gaetano con tono pacato ma fermo e deciso, notando con una certa soddisfazione che De Matteis sembra per un attimo in imbarazzo e rompe il contatto visivo abbassando lo sguardo.
 
“D’accordo… Grassetti!”
 
“Sì, dottore, ha chiamato?” domanda la ragazza, entrando nell’ufficio.
 
“Accompagni il dottor Berardi a telefonare all’ispettore Torre. Ci aiuterà con i parenti torinesi della Misoglio.”
 
“Sì, dottore.”
 
Gaetano si alza in piedi e Camilla fa lo stesso, ma la voce di De Matteis la ferma.
 
“Un momento, professoressa: mentre il dottor Berardi sarà impegnato con questa chiamata, vorrei scambiare ancora due parole con lei.”
 
“De Matteis…” sibila Gaetano, praticamente parandosi davanti a Camilla, “lei sta abusando della mia pazienza e della nostra buona fede e non-“
 
“Va tutto bene, non ti preoccupare,” gli sussurra Camilla, mettendogli una mano sulla spalla e facendolo voltare verso di lei, “vai pure tranquillo.”
 
Si guardano per qualche secondo, poi Gaetano annuisce e segue un’imbarazzata Grassetti fuori dall’ufficio.
 
“Bene, adesso che il principe azzurro se n’è andato e posso risparmiarmi ulteriori sceneggiate da coma diabetico, è ora di parlare seriamente, professoressa,” proclama De Matteis sarcastico, alzandosi in piedi e girando intorno alla scrivania, fino a torreggiare sopra di lei.
 
“Se voleva parlarmi da sola bastava dirlo senza fare tutta questa sceneggiata e in quanto a Gaetano forse non sarà un principe ma è un vero signore, oltre ad essere il poliziotto migliore che io conosca,” ribatte Camilla, sottolineando volutamente le ultime parole, “e non si merita di essere trattato in questo modo da lei per il solo fatto di stare con me. Quindi se vuole sfogare il suo livore lo faccia pure, ma con me, non per interposta persona: sono qui e non vado da nessuna parte.”
 
“Come siete sempre melodrammatici voi due! E comunque non dubito che per lei Berardi sia il migliore poliziotto che abbia mai conosciuto, dato che le ha sempre permesso di fare il bello e il cattivo tempo, ma, fortunatamente, non tutti condividono questo suo punto di vista, anzi, direi proprio l’esatto contrario,” replica De Matteis, tagliente, avvicinandosi a lei in modo quasi minaccioso, aggiungendo poi in un sibilo, “quindi, se ci tiene alla carriera del suo amato, ho due consigli per lei. Primo: si tenga alla larga da queste indagini e se la Misoglio si mettesse in contatto con lei, in qualsiasi modo, me lo venga subito a riferire. Secondo: stia alla larga da mio fratello. Marco ha già sofferto abbastanza per colpa sua e frequentarla di nuovo o, peggio, vederla tubare come un’adolescente con Berardi è l’ultima cosa di cui ha bisogno. Sono stato chiaro?”
 
“Chiarissimo,” risponde Camilla con il mento alto e lo sguardo deciso, anche se sente le viscere rimescolarsi, dato che non può seguire né il primo, né il secondo consiglio, “lei è sempre chiarissimo, dottor De Matteis. Posso andare adesso?”
 
“Certo, anzi, mi creda: meno tempo devo passare in sua compagnia e meglio sto,” rimpalla De Matteis, guardandola con aria di sfida, il viso ormai praticamente a due centimetri dal suo.
 
“Il sentimento è assolutamente reciproco!”
 
Si guardano in cagnesco ancora per qualche secondo, poi De Matteis le gira intorno e apre la porta.
 
Emergono nel corridoio e De Matteis apre la bocca per parlare, ma una voce maschile concitata e agitata lo interrompe.
 
“Senta, sono secoli che aspetto: mi avete buttato giù dal letto e ho la testa che mi scoppia! O il vostro capo mi riceve adesso o io me ne vado!”
 
Camilla alza gli occhi e vede un uomo che passeggia avanti ed indietro gesticolando furiosamente come se non avesse pace, mentre un agente cerca di tranquillizzarlo. Lo riconosce subito, anche se l’ha visto una sola volta otto anni fa. Nel frattempo è un po’ invecchiato: i capelli ancora più bianchi, le spalle più curve, ma l’aria da orco cattivo delle fiabe c’è ancora, forse ancora più marcata di prima, anche per via di quell’atteggiamento aggressivo e ansioso, che sembra essere, se possibile, ancora peggiorato negli anni.
 
“Signor Misoglio, per favore, vedrà che… Ah, ecco: il vicequestore si è liberato e penso possa riceverla!” proclama il ragazzo con aria immensamente sollevata, indicando in direzione di Camilla e di De Matteis.
 
“Alla buonora! Come ho già detto al suo agente non so-“ replica l’uomo, fermandosi bruscamente quando i suoi occhi si posano su Camilla.
 
“Che ci fa lei qui??!!” ruggisce, avvicinandosi a lei e a De Matteis in modo minaccioso, “cosa c’entra lei adesso??!!”
 
“Signor Misoglio, si calmi,” interviene De Matteis, sorpreso, alternando lo sguardo tra l’uomo e Camilla, “sono un pubblico ufficiale e questa è una questura e il suo atteggiamento-“
 
“Il mio atteggiamento? Sa chi è questa? Questa è la stronza che si è portata via mia moglie e mia figlia, che le ha convinte ad andarsene di casa!” urla Misoglio, evidentemente fuori di sé, afferrando Camilla per un polso e tirandola a sé, per poi soffiarle in faccia, “anche se forse mi ha fatto un favore, dato che mia moglie è sempre stata una povera pazza e i miei figli purtroppo hanno preso da lei.”
 
Camilla non può evitare di lanciare un grido di dolore e di paura: la presa dell’uomo è fortissima, peggio di una morsa e sente il suo alito pesante sul viso.
 
E poi all’improvviso è Misoglio ad emettere un suono strozzato e a mollare la presa: De Matteis gli ha sferrato un colpo deciso sull’avambraccio e Camilla osserva incredula mentre De Matteis, l’impeccabile De Matteis con la sua giacca, la sua cravatta e i suoi occhialini afferra Misoglio per il bavero e lo sbatte contro il muro con una forza di cui non l’avrebbe mai ritenuto capace.
 
“Non si permetta mai più, ha capito!” intima De Matteis in quello che è quasi un urlo, aggiungendo poi, minaccioso, “se dice ancora una parola o si azzarda ad alzare ancora un dito contro la professoressa o contro chiunque altro la denuncio per aggressione ed oltraggio a pubblico ufficiale. A meno che la professoressa stessa non voglia sporgere denuncia, ovviamente.”
 
“No, io…” mormora Camilla, ancora sbalordita, guardandolo con gli occhi spalancati e tenendosi il polso.
 
“Mi scusi… io… non so cosa mi sia successo… è che… sono giorni che non sto bene e soffro di emicrania e ho appena scoperto che mia figlia è scomparsa… mi scusi,” proclama Misoglio, sembrando improvvisamente mansueto come un agnellino.
 
“Non deve scusarsi con me, ma con la professoressa,” dichiara De Matteis, mantenendo la presa ma voltando l’uomo verso Camilla.
 
“Sì, sì… mi scusi, professoressa…” pronuncia Misoglio, con lo stesso tono arrendevole di prima a cui Camilla non crede affatto.
 
“In realtà dovrebbe scusarsi con sua moglie, sua figlia e suo figlio che non c’è più, ma per certe cose non c’è rimedio, né perdono, signor Misoglio,” risponde Camilla, continuando a massaggiarsi il polso e quasi aspettandosi un’altra reazione aggressiva, che però non arriva.
 
“Lorenzi, accompagna il signor Misoglio nel mio ufficio: arrivo subito,” ordina De Matteis, lasciando la presa sull’uomo.
 
Camilla, ancora sbalordita, osserva Misoglio e l’agente avviarsi verso l’ufficio: l’uomo cammina con lentezza, quasi come se fosse immerso nella melassa, toccandosi ripetutamente il braccio e la spalla destra.
 
“Sta bene?” le domanda De Matteis, sembrando sinceramente preoccupato, prendendole delicatamente la mano per osservarle il polso, “si è fatta male?”
 
“Sto bene, davvero, non è nientEEE!” non può evitare di gridare quando lui le tasta il polso, su cui stanno comparendo i primi segni di un bel livido.
 
“Cosa succede qui??!!”
 
Si voltano e vedono Gaetano, l’espressione che pare voler incenerire De Matteis all’istante, e che si fa omicida quando nota i petali scarlatti che stanno fiorendo sulla pelle candida di Camilla.
 
“Gaetano, aspetta!” esclama Camilla, frapponendosi tra i due uomini e poggiando le mani sul petto di Gaetano per fermarlo, “è stato il padre di Ilenia: ce l’ha ancora con me perché pensa sia stata io a convincere Ilenia e sua madre ad andare a Torino… Ma De Matteis l’ha fermato e mi ha aiutata: è tutto a posto.”
 
“Non è tutto a posto, Camilla,” ribatte Gaetano, con tono spaventato e arrabbiato, sollevandole la mano per osservare meglio il livido, “ti ha toccata? Ti ha colpita?”
 
“No, mi ha solo afferrata per il polso. Davvero, Gaetano, va tutto bene, tranquillo,” lo rassicura di nuovo, stringendogli la mano e sorridendogli a conferma delle sue parole.
 
“E adesso dov’è il signor Misoglio?” sibila Gaetano, rivolgendosi a De Matteis.
 
“Gaetano, è tutto a posto: andiamo a casa, per favore,” lo prega Camilla, prima ancora che De Matteis possa rispondere, allungando la mano sana per accarezzargli il viso e tirando un sospiro di sollievo quando lui non solo non si scosta ma pare tranquillizzarsi.
 
“D’accordo,” sospira Gaetano, dopo averla guardata negli occhi per qualche istante.
 
“Grazie, dottor De Matteis, grazie davvero,” proclama Camilla, sincera, voltandosi verso l’uomo che li osserva ancora con quell’espressione indecifrabile.
 
“Ho solo fatto il mio dovere,” ribatte De Matteis, ogni traccia di preoccupazione svanita, per lasciare il posto alla solita freddezza, “e si ricordi quello che le ho detto, professoressa.”
 
“Lo farò,” sospira Camilla, scuotendo il capo e osservando De Matteis ritirarsi nel suo ufficio, pensando che non riuscirà mai a capirlo del tutto, dovessero passare anche mille anni.
 
“Che cosa ti ha detto?” domanda Gaetano mentre escono dalla questura.
 
“Le solite minacce… che se ci tengo alla tua carriera devo stare alla larga da queste indagini e da… da suo fratello,” ammette con un sospiro, trattenendo il fiato e attendendo la reazione di Gaetano.
 
“E invece tra meno di un’ora abbiamo un appuntamento proprio con suo fratello, che abbiamo coinvolto in queste indagini… ironico, non ti pare?” commenta Gaetano con tono amaro e sarcastico, aprendo la macchina e salendo a bordo.
 
“Mi stai dicendo che vuoi che annulliamo questo appuntamento, che vuoi che ci fermiamo?” gli domanda Camilla, avendo notato perfettamente il cambio di atmosfera tra lei e Gaetano e che la preoccupazione, la tenerezza che aveva avuto nei suoi confronti di fronte a De Matteis è svanita come un miraggio.
 
“Lo sai anche tu che è impossibile oramai, che non possiamo di certo non presentarci a questo maledetto appuntamento dopo che abbiamo raccontato a Marco e a suo figlio quasi ogni singolo dettaglio di questo caso,” ribatte Gaetano, tagliente, sospirando forte e sembrando sul punto di scoppiare.
 
“E allora andiamo a questo appuntamento, ma poi io e te dobbiamo parlare molto seriamente, Gaetano,” replica, mentre il dolore e la paura di perderlo stanno lentamente lasciando il posto all’irritazione, per non dire alla rabbia, “non ti capisco più: mi sembri schizofrenico!”
 
“Allora siamo in due, Camilla e comunque il problema qui non sono le parole, ma i fatti, o meglio, che alle parole non corrispondono i fatti e che i fatti tolgono valore alle parole,” ribatte con un misto di tristezza, malinconia e rabbia.
 
“Che vuoi dire?” chiede lei, sempre più spiazzata, guardandolo negli occhi.
 
“Secondo te cosa potrò mai voler dire, Camilla?” sospira, accendendo il motore e immettendosi nel traffico caotico della capitale, lasciandola immersa nei suoi pensieri.
 
***************************************************************************************
 
“Ma si può sapere cosa volete da me? Vi ho già detto che non ho contatti con mia figlia da otto anni!”
 
“Senta signor Misoglio, qui le domande le faccio io e le consiglierei di cambiare atteggiamento, se non vuole ritrovarsi nei guai!” tuona De Matteis, irritato di fronte all’atteggiamento strafottente e aggressivo dell’uomo, “l’assassino di suo figlio è stato ucciso e sua figlia è scomparsa e lei aveva un ottimo movente per volere la morte dello Scortichini o per cercare di aiutare sua figlia nella fuga, quindi risponda alle mie domande se non vuole finire nei guai.”
 
“Ma io le sto rispondendo! Non avevo nessun movente per uccidere questo Scortichini: mio figlio era uno sbandato e sapevo che prima o poi avrebbe fatto quella fine, si può dire che sia morto il giorno in cui se ne è andato di casa. E con mia figlia non parlavo da anni, perché si è lasciata condizionare da quella povera pazza di sua madre e da quella professoressa: la madre di Ilenia è sempre stata una donna fragile, instabile, piena di problemi e ha educato i miei figli allo stesso modo. Io ho sempre cercato di insegnare ai miei figli la disciplina e i valori della vita, l’obbedienza, il rispetto delle regole, mentre lei li viziava e… i fatti mi hanno dato ragione, purtroppo, vista la fine che hanno fatto i miei figli non appena non hanno più avuto me a mettere loro un freno, a mostrare loro la strada da seguire. Quindi non ce l’ho con questo Scortichini ma con mia moglie: è lei la vera colpevole e visto che ho già perso tutto quello che c’era da perdere anni fa, le chiederei di lasciarmi in pace. Le garantisco che se sapessi dove si trova mia figlia, sarei il primo a dirvelo: magari la disciplina del carcere le farebbe ben-cough, cough, cough!”
 
Scortichini pronuncia l’ultima parola in una specie di rantolo, per poi essere scosso da un fortissimo attacco di tosse, come se gli fosse andato di traverso qualcosa e stesse soffocando.
 
“Ehi, signor Misoglio, respiri, forza, respiri!” esclama De Matteis dopo un attimo di esitazione, vincendo la sua avversione per il contatto fisico e dando all’uomo due o tre vigorose pacche sulla spalle, che sembrano sortire l’effetto sperato perché lo Scortichini inspira in maniera quasi disperata un paio di volte e sembra assestarsi.
 
“Mi è… mi è andata di traverso la saliva,” si giustifica, asciugandosi gli occhi pieni di lacrime.
 
“D’accordo, vuole un po’ d’acqua?” domanda con un sospiro De Matteis, riempiendo un bicchiere con l’acqua della bottiglia di vetro che tiene sempre sulla scrivania e porgendolo all’uomo.
 
“No, no, grazie,” replica Misoglio, indietreggiando sulla sedia e apparendo improvvisamente nervoso, “mi scusi ma non sto molto bene in questi giorni, ho anche un po’ di febbre… Posso andare? Non so nulla, davvero!”
 
“Va bene…” concede De Matteis, non del tutto convinto ma decidendo che se anche se l’uomo sapesse qualcosa o fosse in contatto con la figlia a questo punto è più utile fuori che dentro, “ma potremmo ancora avere bisogno di lei, quindi resti a disposizione. E se sua figlia dovesse mettersi in contatto con lei…”
 
“È più probabile che vinca al superenalotto, ma se dovessi sentire quella disgraziata, vi avvertirei subito, non si preoccupi,” ribatte l’uomo con sarcasmo, alzandosi dalla sedia e uscendo dall’ufficio con una rapidità quasi impressionante.
 
“Con un padre del genere, altro che diventare assassini!”
 
Si volta verso Grassetti, che ha un’espressione dura e disgustata in volto che contrasta con il suo solito atteggiamento aperto, gentile e solare: non l’ha mai vista così.
 
E, in fondo, non se la sente di darle torto, anche se non lo ammetterebbe mai per rispetto al ruolo che ricopre. Si limita quindi a lanciarle un’occhiata severa e ad intimarle di tornare al lavoro.
 
***************************************************************************************
 
“Senta, mi dia retta, è meglio che andiamo io e mio padre da soli a parlarci: mio padre ha l’aria da alternativo povero in canna, con voi invece non parleranno mai.”
 
“Non so se considerarlo un complimento, Tom,” ribatte Marco con un sorriso.

“D’accordo, ma al primo segnale di guai voglio che vi allontanate o interverrò io. Sapete cosa dovete dire, no?” domanda Gaetano con un sospiro, per nulla entusiasta all’idea.
 
“Sì, certo, stia tranquillo,” lo rassicura Marco, per poi fare un cenno al figlio ed avviarsi verso il gruppo di punkabbestia che suona e chiede l’elemosina poco distante, vicino alla stazione Tiburtina.
 
“Non mi piace per niente…” sospira di nuovo Gaetano, osservandoli allontanarsi.
 
“Marco e Tom sono abituati a girare il mondo e a stare per strada, se la caveranno.”
 
Certo: comodo fare gli alternativi con i milioni sul conto in banca ed una reggia ad aspettarti quando ti sei stufato di giocare al principe e il povero – pensa Gaetano, evitando di rispondere a Camilla per non innescare l’ennesima discussione della giornata.
 
“Ehi Lupo, come va?”
 
“Il Principe! Amico è da un sacco che non ti si vede in giro: ti unisci a noi?”
 
Gaetano e Camilla, anche da distanza, assistono sorpresi al saluto tra i due ragazzi: il punkabbestia si alza in piedi e dà una pacca sulla spalla e un mezzo abbraccio a Tom come se fossero amici fraterni.
 
“Mi piacerebbe molto, ma non ho dietro i bonghi. In realtà sono qui perché avrei bisogno di un favore,” spiega il ragazzo, guardando verso il padre di fianco a lui.
 
“Un favore? Se sei diventato povero e hai bisogno di soldi, non ne abbiamo molti, ma se suoni con noi possiamo rimediare, visto che c’è sempre un casino di gente quando ci sei tu,” ribatte il punkabbestia ridendo ma adocchiando Marco con un certo sospetto, “lui è con te?”
 
“Sì, è il mio professore di lettere e in realtà è lui che ha un problema e spero che tu ci possa aiutare.”
 
“Cioè?” domanda Lupo, mentre anche gli altri punkabbestia smettono di suonare e li guardano incuriositi.
 
“È che… settimana scorsa hanno fregato la macchina a suo figlio e dal filmato di una telecamera lì vicino si vede che è un punkabbestia. Il prof. sa che ho amici tra voi punkabbestia e mi ha mostrato la foto e… l’ho anche incrociato in un paio di occasioni, credo si faccia chiamare Marcio nell’ambiente. È biondo, col pizzetto, gli occhi azzurri, una cresta…”
 
“E che cosa volete da lui? Se c’è da denunciarlo alla polizia noi non-“
 
“No, no, non voglio denunciarlo… è che… nella mia famiglia lavoriamo solo io e mio figlio, io sono precario e la macchina gli serve per lavorare e… non abbiamo i soldi per comprarne un’altra, nemmeno usata e nessuno ci darebbe un finanziamento e-“
 
“E non puoi aiutarlo tu? Non sei povero in canna come noi,” Lupo fa notare a Tom, lo sguardo accigliato.
 
“Non potrei mai accettare un aiuto del genere da uno studente, specie dato che i soldi non sono suoi ma di suo padre… vorrei solo trovare questo ragazzo per convincerlo, se non ha già rivenduto la macchina o i pezzi, a restituirmela. Non voglio mettere in mezzo la polizia o metterlo nei guai, ma ho davvero bisogno di quell’automobile, mio figlio ne ha davvero bisogno o rischia di perdere il lavoro.”
 
“Per favore, Lupo: io mi fido del professore. È una brava persona e sono sicuro che possiamo trovare un accordo che vada bene per tutti quanti,” lo esorta Tom, con l’espressione più convincente che possiede.
 
“Senti, va bene, mi fido di te, ma niente scherzi, ok? Marcio lo conosco di sfuggita, però è molto amico di Ginger, una che di solito sta in zona Porta Pia…”
 
“E come facciamo a riconoscerla? Vorremmo andarci a parlare…”
 
“La chiamo e le chiedo se è lì e la avverto che andrete a parlarci. Occhio che lei e Marcio sono molto… amici, se capisci che intendo e lei… diciamo che lei e il suo cane sanno difendersi molto bene, fin troppo bene,” li avverte Lupo, con uno sguardo che fa intuire chiaramente che non sta scherzando.
 
“Non avrà bisogno di difendersi perché non abbiamo intenzione di creare problemi. Falle sapere anche quello, ok?”
 
Lupo annuisce, estrae dalla tasca un cellulare vecchio e scassatissimo e inizia a cercare in rubrica.
 
***************************************************************************************
 
“Non so dov’è e non lo vedo da giorni.”
 
Questa era l’unica risposta che finora erano riusciti a cavare da Ginger, di cui era semplice intuire l’origine del soprannome: aveva i capelli lunghi e naturalmente ramati con le punte tinte di un rosso fluo. La pelle diafana piena di piercing, gli occhi azzurrissimi e l’accento irlandese completavano il tutto.
 
“Ginger, ascolta, non vogliamo creare problemi né a te né a lui, ma abbiamo bisogno di parlargli, solo questo,” cerca nuovamente di convincerla Tom, mentre il cane di Ginger, un molossoide gigantesco, comincia a dare segni di nervosismo come la padrona e a fare quella specie di borbottio che precede un ringhio.
 
“E io vi ripeto che non so dov’è e non lo vedo e non lo sento da giorni!” ripete la ragazza, irritata, tendendo il guinzaglio del cane in un modo che non promette niente di buono e aggiungendo, con tono inequivocabile, “quindi adesso lasciatemi in pace!”
 
“Ginger, ti stanno dando fastidio?”
 
“Qui si mette male, devono venire via!” esclama Gaetano, che con Camilla controlla la situazione da un altro angolo della piazza, osservando il ragazzo che è appena sopraggiunto con aria minacciosa ed un cane ancora più grosso di quello di Ginger.
 
“Ma quello è… Non è un amico di Black e di Marcio o come cavolo si chiama?” domanda Camilla, riconoscendo il ragazzo moro con pizzetto, occhi azzurri e piercing.
 
“Sì, sì, è vero, hai ragione!” conferma Gaetano, come sempre sorpreso dalla straordinaria memoria visiva di Camilla, “l’ho visto qualche anno fa al processo… si chiamava… ehi, Camilla, dove vai?!”
 
“Camilla, vieni qui!” la chiama di nuovo, ma lei procede a passo spedito verso i punkabbestia, senza rallentare. Non gli rimane altro da fare quindi che correrle dietro, come sempre.
 
“Scusami, scusami, tu sei l’amico di Black, giusto? Ti ricordi di me?” domanda Camilla, arrivando nel bel mezzo del gruppo e del principio di rissa, ignorando i cani ringhianti e rivolgendosi direttamente al punkabbestia appena sopraggiunto.
 
“Black? Che c’entra Black? Come sai quel nome?” chiede il ragazzo, sorpreso, trattenendo il cane che, già agitato, abbaia ancora di più all’arrivo di Camilla.
 
“Sono la professoressa di Ilenia, la sorella di Black. Ci siamo conosciuti quando… quando è stato ucciso,” spiega Camilla con il fiatone per la corsa fatta.
 
“Ma certo! Quella della telecamera e lui… e lui è il commissario!” esclama, vedendo sopraggiungere Gaetano di corsa.
 
“Cosa? Siete della polizia?! Lo sapevo!” quasi urla Ginger, rabbiosa, mollando parzialmente la presa sul guinzaglio in modo da tenerlo lungo, mentre il suo cane ringhia e abbaia sempre più forte contro gli sconosciuti.
 
“Calma! Non siamo della polizia!” esclama Camilla, alzando le mani in segno di resa, “cioè, Gaetano lavora in polizia ma è qui a Roma con me in vacanza, è il mio compagno. E loro sono amici. La polizia non c’entra niente.”
 
“Si può sapere che volete da Marcio? E cosa c’entrate con sta storia dell’auto rubata?” chiede Ginger, per nulla convinta, con l’aria di chi sta per liberare il cane da un secondo per l’altro.
 
“Come vi ho detto e come lui sa, sono un’amica della sorella di Black, Ilenia. Black era un punkabbestia molto amico di Marcio e anche di…”
 
“Sisma,” proclama il ragazzo con un sospiro, confermando il suo nome d’arte.
 
“Sisma, ascoltami: Gaetano, Ilenia e io adesso viviamo a Torino, eravamo qui in vacanza e Ilenia era nostra ospite. Ma qualche giorno fa è stato trovato morto lo Scortichini, l’assassino di Black, sbranato da uno dei suoi cani.”
 
“Che cosa? Veramente?” domanda Sisma, sembrando genuinamente sorpreso dalla notizia, “allora forse c’è davvero una giustizia divina!”
 
“La giustizia divina potrebbe non c’entrare: la polizia sospetta che non si sia trattato di un incidente e si sono convinti che Ilenia sia colpevole, che abbia voluto vendicare suo fratello,” spiega Camilla con un sospiro.
 
“Ma in tutto questo cosa c’entra Marcio?” domanda Sisma, sembrando preoccupato, mentre Ginger continua a fissarli con uno sguardo omicida.
 
Camilla scambia un’occhiata con Gaetano, indecisa su come proseguire, su quanto rivelare.
 
“È che Ilenia è scomparsa da ieri, è scappata e sappiamo che era in contatto con Marcio e ci chiedevamo se magari la stesse aiutando nella fuga, anche perché per come sono andate le cose pensiamo sia ancora qui in città o nei dintorni,” spiega Gaetano, decidendo che è più prudente evitare ogni riferimento a indizi vitali in mano alla polizia e alla possibile colpevolezza di Marcio.
 
“Marcio non conosce nessuna Ilenia! Se la conoscesse lo saprei,” ribatte Ginger, stupita e seccata.
 
“Ti garantisco che si conoscono: si sono visti sicuramente sabato scorso, nel pomeriggio,” replica Gaetano, mettendo insieme gli elementi in loro possesso e sapendo che il giorno del delitto dopo il furto d’auto i due ragazzi si dovevano essere incontrati per forza.
 
“Sabato pomeriggio? In effetti… sabato pomeriggio Marcio non era con noi, ti ricordi? Ma ha detto che aveva delle commissioni da sbrigare per il Vecchio…” commenta Sisma, mentre Ginger lo fulmina con lo sguardo.
 
“Il Vecchio? Chi è il Vecchio?” domanda Camilla, incuriosita, chiedendosi se fosse solo una scusa di Marcio per evitare di dire dove andava – come del resto aveva tenuto segreta la sua conoscenza con Ilenia – o se questo Vecchio c’entrasse in qualche modo.
 
“Il Vecchio è un amico di Marcio e un po’ anche nostro. Ama molto i cani, ne ha diversi suoi e ogni tanto ci porta il cibo per i nostri, anche se devo dire che Skeggia e Skizzo non lo amano molto, forse perché ha addosso l’odore dei suoi cani e Skeggia e Skizzo sono due maschi alfa...” commenta Sisma, guardando i due animali ringhianti con un sorriso affettuoso, come se fossero i più teneri dei cuccioli.
 
“Comunque siamo sicuri che abbia incontrato Ilenia sabato, con o senza questo Vecchio. Abbiamo davvero bisogno di parlare con Marcio, siamo preoccupati per Ilenia e vogliamo capire se ha almeno avuto sue notizie da ieri, se sta bene,” insiste Gaetano, cercando di usare il suo tono più rassicurante.
 
“Ho già detto ai vostri amici che non so dov’è, ma siete sordi? Non lo vedo da qualche giorno!“
 
“Ma non puoi chiamarlo?” le domanda Gaetano, faticando a credere a questa storia.

“Lo farei, ma ha anche il cellulare staccato…”
 
“E la cosa non ti preoccupa?” chiede Camilla, mentre un’idea le si forma nella mente su come ottenere le informazioni che cercano.
 
“Preoccuparmi? No, Marcio ogni tanto sparisce per qualche giorno, magari prende il primo treno e fa un viaggio in cerca di fortuna e poi torna. Perché dovrei-?” domanda Ginger, bloccandosi di colpo, come se fosse stata colta da un lampo, “voi pensate che siano scappati insieme, vero?”
 
“Beh, a questo punto se davvero non lo vedi da qualche giorno, mi sembra probabile. Sai, Ilenia e Marcio da quello che so devono essere molto amici,” bluffa Camilla, dando volutamente una connotazione suggestiva alla parola amici, avendo riconosciuto perfettamente il tono geloso di Ginger.
 
“Ma non è possibile… Marcio me l’avrebbe detto… non mi pianterebbe mai in asso così,” protesta Ginger, sembrando però sempre più dubbiosa.
 
“Non so, ma se non si è allontanato volontariamente, potrebbe essere nei guai,” fa notare Gaetano, aggiungendo poi con tono amichevole e preoccupato, “senti, se mi dai il suo numero di cellulare posso provare a rintracciarlo. Anche se non mi occupo io delle indagini ho i mezzi per fare una ricerca sul numero e capire dove si trova o dove si trovava l’ultima volta che è stato acceso.”
 
“Non so, io-“
 
“Non voglio mettervi nei guai, sono solo preoccupato per Ilenia e a questo punto anche per Marcio. Sisma, diglielo anche tu: mi sembra che mi sono sempre comportato correttamente con voi, che ho cercato di aiutarvi in ogni modo con la storia di Black, anche se purtroppo non è bastato,” sospira Gaetano, e questa volta non deve fingere il suo sincero dispiacere: se solo fosse riuscito a far condannare lo Scortichini tutto questo casino non sarebbe successo.
 
“Sì, è vero… avrebbe potuto farci arrestare e non l’ha fatto e ha rischiato pure di passare dei guai per dare giustizia a Black,” conferma il ragazzo e Ginger si rilassa visibilmente. Non sembra più arrabbiata, solo preoccupata.
 
“Va bene, se Sisma dice che mi posso fidare mi fido. Ma loro due che c’entrano? La storia della macchina era una palla, vero? Marcio non ruba automobili…”
 
“No, la storia dell’auto è vera, anche se non l’hanno rubata a lui, ma non sapevamo come rintracciarvi e… Tom è un amico di mia figlia e mi ha detto di avere amicizie tra voi punkabbestia e si è offerto di aiutarmi…” spiega Camilla, scambiando uno sguardo con Gaetano per capire quanto rivelare.
 
“Quindi Marcio ha davvero rubato un’auto? E voi come lo sapete?”
 
“Ce l’ha detto un mio collega che si occupa delle indagini… Marcio l’ha rubata prima di vedersi con Ilenia sabato…” conferma Gaetano, usando lo stesso tono suggestivo che in precedenza aveva adoperato Camilla e lasciando Ginger trarre da sola le conclusioni.
 
“E pensano che l’abbia rubata per lei? Che la stiano usando per la fuga?” domanda Ginger, la voce che ormai trasuda gelosia.
 
“Sì, qualcosa del genere… l’auto non è ancora stata ritrovata…” commenta Camilla, mettendoci il suo carico da undici, “senti, non è che hai qualche idea di dove potrebbero essere? Non lo so, Marcio non ha un rifugio, un posto dove va abitualmente quando vuole sparire per un po’?”
 
“Mah... da quello che so, quando spariva o andava fuori città o credo che andasse a stare dal Vecchio,” rivela Ginger, avendo ormai perso ogni riserva, evidentemente ansiosa di ritrovare quello che lei pensa essere un fedifrago il prima possibile.
 
“Dove vive questo Vecchio? E me lo potreste descrivere?” chiede Gaetano, domandandosi come quest’uomo c’entri in questa storia, sempre se c’entri qualcosa. Ma è pur sempre un punto di partenza.
 
“Il Vecchio avrà sui sessant’anni, forse settanta, ma è un uomo forte, robusto. Vive in campagna, in un rudere con i cani, le galline, taglia la legna, cose così… è un tipo strano, un po’ chiuso, ma adora Marcio e si fida solo di lui. A volte mi è anche venuto il dubbio che fosse suo padre o uno zio o un parente, perché lo tratta quasi come un figlio, mentre con noi secondo me è gentile solo perché siamo amici di Marcio.”
 
“E tu gliel’hai mai chiesto se sono imparentati?” domanda Camilla, incuriosita.
 
“Sì, ma Marcio si è messo a ridere e mi ha detto che mi fumavo troppa roba e non ho più insistito…  Comunque ci sono stata solo una volta a casa sua, quando il Vecchio non c’era e Marcio si era offerto di curargli gli animali per un paio di giorni. Marcio mi ha spiegato che il Vecchio non voleva che portasse altri di noi a casa sua. Ma era inverno e per strada faceva freddo e allora Marcio per me ha fatto uno strappo alle regole, tanto il Vecchio non se ne sarebbe accorto. Ci siamo andati quando era buio e quindi non ricordo bene la strada, so solo che era dopo Spinaceto, nelle campagne intorno a Castel Romano, un posto isolato.”
 
Gaetano e Camilla si guardano sorpresi: a grandi linee è la stessa zona dove si trova il capanno dello Scortichini.
 
“E non ci sapresti tornare quindi? O non ricordi altri dettagli?” chiede Gaetano, mentre il suo fiuto gli dice che potrebbero essere vicini ad una svolta.
 
“Non ci saprei tornare, no. Ricordo che era un cascinale molto vecchio, sembrava più un rudere che una casa abitabile. Dipinto di rosso ruggine, ma quasi completamente scrostato, a due piani. C’era un pollaio di legno e una piccola stalla col tetto rotto: il vecchio ci teneva la legna per la stufa e forse l’automobile. Pensate di riuscire a trovarlo?”
 
“Ci proveremo, Ginger, ci proveremo.”
 
***************************************************************************************
 
“Ti suona il telefono, Marchese, non rispondi?”
 
“Ah, sì, ispettore,” annuisce, estraendo il telefono e leggendo sul display la parola “Berardi”.
 
“È mia madre, la chiamerò più tardi,” spiega Marchese, sapendo come il Mastino non tolleri chiamate personali in orario di lavoro.
 
“Ma no, Marchese, rispondi pure: potrebbe essere urgente e qui siamo ad un punto morto,” concede Mancini, indicando i filmati delle telecamere della stazione: Ilenia doveva avere evitato accuratamente di essere ripresa, perché avevano controllato tutti i filmati dall’orario della fuga a quello della partenza del treno per Napoli e non avevano visto nulla.
 
“D’accordo, grazie,” annuisce Marchese, sorpreso da questa concessione. Ma del resto il Mastino era stato strano tutto il giorno e Grassetti gli aveva confermato che era ammalato ma aveva deciso stoicamente di rimanere a lavorare. Forse la febbre lo rendeva più malleabile?
 
“Pronto? Sono al lavoro, mamma, con l’ispettore Mancini. È una cosa urgente o posso richiamarti dopo?” domanda in una specie di messaggio in codice.
 
“Marchese, ascoltami,” replica la voce dall’altro capo della cornetta, “basta che mi rispondi con un sì. Ho il numero di cellulare del punkabbestia, te lo mando per SMS. Controlla tutte le ultime chiamate ricevute ed effettuate e soprattutto che celle ha agganciato per ultime e durante la giornata di sabato. Controlla se ce n’è qualcuna nella campagna vicino a Castel Romano, anche nelle ultime settimane e se sì facci sapere quali. E controlla se ci sono numeri ricorrenti e se e quando ha chiamato il numero di Ilenia.”
 
“Sì, mamma, ho capito, vado io in banca, tranquilla. Adesso però ti lascio, ci vediamo dopo,” risponde, chiudendo rapidamente la chiamata.
 
“Problemi?” domanda Mancini con un’espressione stranamente interessata.
 
“No, mia madre… sa come sono le madri, no? C’è sempre qualche commissione da fare…” replica Marchese con un sospiro, sperando che l’uomo se la beva, “comunque, dato che con le telecamere abbiamo fatto un buco nell’acqua, vorrei iniziare a controllare i tabulati telefonici del cellulare di Ilenia nei giorni precedenti la sua fuga.”
 
“Marchese, mi sembra che-“
 
“Mi sembra un’ottima iniziativa, Marchese,” li interrompe una voce alle loro spalle, si voltano e vedono De Matteis sull’uscio, “altre idee?”
 
“Beh, forse sì… in qualche modo la fuga se la deve finanziare, no? E allora se non usa la sua carta di credito e non l’ha usata nei giorni precedenti… forse ci conviene controllare i conti bancari dei parenti stretti, magari aveva accesso anche a quelli o qualcuno la sta aiutando,” risponde Marchese, seguendo il consiglio di Gaetano.
 
“Sì, anche questa mi sembra un’ottima idea: bravo, Marchese! Se ne occupa lei, Mancini? O preferisce magari andare a casa e lo faccio fare da Grassetti?”
 
“In effetti forse è meglio che vada a casa adesso, se non le dispiace, dottore, ma sto veramente poco bene. Anzi, magari prima passo dal medico,” risponde Mancini con aria sofferente.
 
“Non c’è problema: veda di rimettersi presto e si riguardi, che mi serve in forze.”
 
“Sì, dottore,” risponde Mancini, uscendo dalla stanza, sotto gli sguardi di Marchese e di De Matteis.
 
Forse anche il Mastino in fondo è solo un uomo.
 
***************************************************************************************
 
“Allora, che cosa farete adesso?”  domanda dopo un altro sorso di vermouth, mentre osserva Gaetano che parla al cellulare poco distante dal bar in cui si sono fermati, a metà strada tra Porta Pia e dove avevano lasciato le loro auto.
 
Né Camilla né Gaetano erano stati particolarmente entusiasti all’idea, soprattutto Camilla che si sentiva costantemente tra due fuochi, ma Marco aveva molto insistito per offrire un aperitivo ed era stato impossibile rifiutare. Gaetano si era già allontanato due volte per “telefonate di lavoro”, Torre, da quanto aveva capito, ma le veniva il dubbio che fosse soprattutto un sistema per evitare l’atmosfera pesante ed imbarazzante che si respirava tra loro.
 
“Faremo le nostre ricerche e-“
 
“E se scoprite qualcosa pensate di farlo sapere alla polizia o no?” le chiede con un’occhiata eloquente.
 
“Gaetano è un poliziotto, Marco, quindi ovviamente se scopriremo qualcosa di importante faremo in modo di farlo sapere alla polizia,” risponde Camilla, rimanendo volutamente sul vago.
 
“E come pensate di fare, dato che mio fratello vi ha intimato di rimanerne fuori?” le chiede pensieroso, per poi aggiungere, dopo aver avuto un’illuminazione, “ma certo: avete un contatto in polizia! Marchese, immagino…”
 
“Mi sono perso qualcosa?” domanda Gaetano, sopraggiunto in tempo per sentire l’ultima frase, lanciando un’occhiata a Camilla prima di sedersi nella sedia accanto a lei.
 
“Stavo dicendo a Camilla che immagino che abbiate un contatto in polizia e, se le cose non sono troppo cambiate da due anni a questa parte, quando indagavamo insieme io e lei, immagino che la talpa sia ancora Marchese…” risponde Marco con una risata, ignorando completamente il tono e l’occhiata di Gaetano.
 
“Senta, signor Visconti, io sono molto grato a lei e a suo figlio per l’aiuto che ci avete dato oggi, ma, considerati i problemi con suo fratello, penso che sia meglio che da qui in poi ce ne occupiamo noi e vi teniamo fuori da questa storia, che è già abbastanza complicata,” replica Gaetano deciso.
 
“Ma ormai ne siamo a conoscenza, e più teste sono meglio di una, non le pare? E poi credo proprio che se c’è una persona che non rischia in questo caso sono io: mio fratello non farebbe mai nulla contro di me e-“
 
“Ma farebbe qualcosa contro di noi, te lo garantisco,” risponde Camilla, guardandolo con quello sguardo implorante a cui gli è sempre stato impossibile resistere, “per favore, Marco, Gaetano ha ragione: è meglio se ne rimani fuori.”
 
“Se mi guardi così, come faccio a dirti di no?” le chiede Marco con un sorriso, non notando l’espressione di Gaetano scurirsi e i suoi muscoli irrigidirsi, “però… come pensate di trovarlo quel casale? Ci avete pensato? Almeno su questo, già che siamo qui, mentre ci beviamo l’aperitivo magari possiamo darvi qualche idea…”
 
“Senta, signor Visconti, noi-“
 
“Potreste usare google earth: sapete più o meno la zona, non ci saranno tantissimi cascinali corrispondenti a quella descrizione, no?” interviene Tom, interrompendo Gaetano e sollevando il viso dal suo smartphone di ultima generazione, “anzi, possiamo anche farlo subito.”
 
“Tom, è un’ottima idea!” concorda Marco, dando una pacca sulla spalla al figlio, mentre Camilla nota con preoccupazione il modo in cui Gaetano stringe i pugni sotto al tavolo.
 
“Sì, ma magari-“ prova ad obiettare Camilla, ma proprio in quel momento le squilla il telefono.
 
Legge il nome sul display: Marchese. Lo mostra a Gaetano, che le fa segno di allontanarsi per rispondere e, dopo pochi secondi, vede che si alza anche lui e la raggiunge, lasciando padre e figlio seduti al bar.
 
“Pronto, Marchese, ci sono novità?” domanda, mettendo in viva voce così che possa sentire anche Gaetano.
 
“Sì, prof., grosse novità, ma purtroppo non buone,” replica Marchese, che ha approfittato di una pausa al bar per fare questa telefonata, “il punkabbestia, la cui utenza telefonica è peraltro intestata ad un ottantenne di Bari, insomma, ad un paravento, ha chiamato Ilenia giovedì scorso, ancora prima che arrivaste a Roma, poi sabato scorso, il giorno del delitto, due volte, poi una telefonata nella notte tra martedì e mercoledì. All’una, per essere precisi.”
 
“All’una di notte?” domanda Camilla, sempre più preoccupata ad ogni parola di Marchese, “era… era la prima sera che Ilenia era in albergo, giusto?”
 
“Esatto e poi un’ultima chiamata mercoledì, al pomeriggio, quando, a quanto riferitomi da Grassetti oggi, Ilenia era uscita dall’albergo ed era riuscita ad evadere il nostro agente che la stava pedinando. Non so perché ma non ne sapevo nulla…”
 
“Che cosa?! Dio mio, Marchese… hai ragione, le notizie sono pessime. C’è altro?”
 
“Sì: il telefonino del punkabbestia è spento da mercoledì, poco dopo l’ultima telefonata che è quella ad Ilenia. Era nella campagna vicino a Castel Romano, la zona dista giusto qualche chilometro dal capanno dello Scortichini.”
 
“Marchese, sono Gaetano, ci sapresti dire la zona precisa?”
 
“Le invio la mappa della zona per email. Sto proseguendo i controlli sulle telefonate del punkabbestia ma ci vorrà tempo, anche perché non so a chi corrispondano i numeri, a parte quello di Ilenia, ma ce ne sono tre o quattro ricorrenti e mi concentrerò su quelli.”
 
“Altro?”
 
“Sì, dottore, e anche queste sono brutte notizie: Grassetti è riuscita ad avere l’autorizzazione per i controlli sulle carte e sui conti della madre e degli zii della Misoglio e quella prepagata che dicevate… Ilenia l’ha praticamente svuotata il giorno prima della fuga, quando era uscita, forse per incontrarsi con il punkabbestia,” rivela Marchese, con un tono da funerale.
 
“Quindi la fuga potrebbe essere programmata, o comunque meglio pianificata di quanto pensassimo,” deduce Gaetano, massaggiandosi una tempia, “altro?”
 
“No, però…”
 
“Però è già più che abbastanza, no, Marchese?” commenta Gaetano con sarcasmo ed amarezza, lanciando a Camilla un’occhiata eloquente.
 
“Voi avete novità?”
 
“Ti aggiorneremo poi, Marchese, comunque secondo i suoi amici il punkabbestia è scomparso da mercoledì… probabilmente si è liberato del cellulare e a questo punto penso che se troviamo lui troveremo anche Ilenia… C’è la possibilità che si siano rifugiati almeno temporaneamente in un casale vicino a Castel Romano, se ci mandi la mappa ti faccio sapere se riusciamo ad identificarlo.”
 
“Ok… prof. … secondo lei Ilenia può essere davvero colpevole?” chiede Marchese dopo un attimo di esitazione, con un tono che lascia chiaramente trasparire tutto il dolore e la delusione che prova.
 
“Non lo so Marchese… oggi mi sembra di non capire più niente, di non avere punti fermi…” risponde con un sospiro, guardando negli occhi Gaetano con uno sguardo altrettanto eloquente e malinconico, “a più tardi.”
 
Chiude la chiamata e si avvia verso il bar dove Marco e Tom li stanno ancora aspettando.
 
“Novità?” chiede Marco con un sopracciglio alzato, sembrando lievemente irritato, per poi aggiungere, senza attendere risposta, “perché mentre voi vi occupavate delle vostre telefonate private, noi avremmo identificato un paio di cascine promettenti, uno in particolare.”
 
“Dove?” domanda Camilla, vinta dalla curiosità.
 
“Ecco, qui o qui,” spiega Tom, mostrando a lei e a Gaetano i due cascinali in questione.
 
Il trillo che annuncia l’arrivo di una nuova mail porta Gaetano ad estrarre anche il suo cellulare. E uno dei casali identificati da Tom rientra perfettamente nella mappa della cella inviata da Marchese.
 
“Sbaglio o possiamo dire Eureka?” domanda Marco con un sorriso compiaciuto, “a questo punto cosa pensate di fare? Andare a controllare?”
 
“Penso che sia il caso che la polizia vada a controllare,” replica Gaetano, deciso, fulminandolo con un’occhiata.
 
“E come farà Marchese a giustificare questo lampo di genio investigativo? Va bene il numero di telefono ricavato magari dalle telefonate alla Misoglio, va bene la cella, ma il casale preciso? Come avrebbe potuto sapere di cercare lì? O convincete la punkabbestia a testimoniare di fronte a uno della polizia… o pensate di fare una di quelle telefonate anonime, come nei film?” domanda Marco con malcelata ironia, per poi aggiungere, “e intanto che perdete tempo magari è troppo tardi… Così invece se i ragazzi fossero lì potete convincerli a costituirsi e se al contrario non ci fossero e fosse solo un buco nell’acqua evitate un’inutile gara di arrampicamento sui vetri al povero Marchese.”
 
“Forse Marco non ha tutti i torti, Gaetano, in fondo tu sei più che addestrato per queste situazioni e poi… non penso che Ilenia se la prenderebbe mai con noi, che sarebbe capace di farci del male e nemmeno questo ragazzo… li conosciamo e non sono pericolosi,” non può fare a meno di intervenire Camilla, notando subito dall’espressione di Gaetano che non è stata una buona idea.
 
“Certo, Camilla, perché tu adesso hai una laurea in psicologia criminale, no? Abbiamo dimenticato che almeno uno dei due soggetti non pericolosi ha ucciso un uomo con premeditazione? E che l’altro o altra lo sta coprendo e sapeva tutto? Che questo omicidio e l’amicizia stessa tra Ilenia e questo punkabbestia sono frutto di un rancore covato per anni? E ti garantisco che è il genere di rapporto più pericoloso che possa esistere. Lo Scortichini non sarà stato un santo, anzi, ma pianificare un omicidio non è come programmare cosa si farà per le vacanze,” ribatte Gaetano, non nascondendo più la sua irritazione, per non dire proprio rabbia, “e magari vorresti venire anche tu, eh? E se fossero armati? Se la nostra visita li portasse a commettere gesti estremi? Capisco che forse voi due troviate divertente e avventuroso avere una pistola puntata contro, essere presi come ostaggi e tutte queste belle attività ricreative che movimentano una giornata noiosa, ma scordatevi di farlo con la mia benedizione!”
 
“Maledizione, Gaetano, non trovo affatto divertente o avventuroso mettere a rischio la mia vita o la tua!” sbotta Camilla, la misura ormai colma, mentre Marco e Tom li osservano stupiti e imbarazzati, “quello che sto dicendo è che in una fuga le prime 24-48 ore al massimo sono cruciali e lo sai anche tu. Ilenia è scappata ieri sera e se lei e Marcio si fossero rifugiati in quel casale è probabile che non ci rimarranno a lungo, magari se ne stanno andando proprio adesso, mentre noi stiamo qui a perdere tempo a litigare! E o chiamiamo De Matteis e gli riveliamo tutto o Marchese non ha modo di intervenire e sai anche questo.”
 
“E allora dovrei fare irruzione io da solo in un cascinale su cui non ho la benché minima informazione? O io e te? O magari noi quattro, già che ci siamo, giusto per mettere in pericolo il maggior numero di persone possibile?”
 
“Guardi che sono cintura nera di karate e anche mio figlio, sappiamo cavarcela entrambi in uno scontro fisico,” interviene Marco, punto nell’orgoglio, mentre Gaetano alza gli occhi al cielo: ti pareva che il produttore di vini bohémien e il figlio finto-alternativo non fossero pure campioni mondiali di qualche arte marziale, giusto per rendersi ancora più insopportabilmente “fighi”.
 
“Mi fa piacere per voi, ma quando ti trovi disarmato con una pistola puntata contro il karate serve fino ad un certo punto, a meno che ci sia l’elemento sorpresa. Sono situazioni in cui perfino un agente con anni di esperienza in irruzioni avrebbe difficoltà a cavarsela, che poi è il motivo per cui a fare le irruzioni ci si va armati e con le dovute protezioni!”
 
“Ma non sono disarmato: ho una pistola con me, regolarmente detenuta con il porto d’armi, e la so usare se serve,” rivela Marco toccandosi una tasca della giacca che indossa nonostante il caldo.
 
“Che cosa? Lei va in giro armato?!” domanda Gaetano, sempre più preoccupato, incredulo e arrabbiato, anche con se stesso, per non aver notato nulla.
 
“Non sempre, ma se so che potrei trovarmi in una situazione pericolosa, come potevano essere i nostri colloqui con i punkabbestia di oggi, me la porto dietro. È una pistola piccola, non un lanciarazzi e ovviamente non la tirerei mai fuori salvo emergenze,” spiega Marco con un sospiro.
 
“Anche supponendo che lei questa pistola la sappia davvero usare in un’emergenza, cosa che sinceramente dubito, soprattutto se non ha esperienza di vere emergenze in cui, le garantisco, o si ha un grande addestramento o si va nel pallone, comunque non saremmo solo noi quelli in pericolo, ma anche Ilenia e il punkabbestia: per il tipo di relazione che si è instaurata tra loro, per il movente del loro crimine, sono il tipico caso da manuale ad alto rischio di suicidio se si sentono braccati, soprattutto dato che l’elemento che li ha uniti, il proposito di vendetta è stato già realizzato e compiuto con successo. Volete prendervela voi questa responsabilità?”
 
Il silenzio cala sul tavolo, come se la gravità della situazione fosse finalmente caduta sulle loro spalle come un macigno. Camilla e Gaetano si fissano per qualche istante, quasi col fiatone per la discussione concitata, in uno di quei momenti in cui ci sarebbe talmente tanto da dire che non si riesce a dire più nulla.
 
“Ascoltami, Gaetano, forse ho una soluzione, un compromesso, diciamo. Noi andiamo nella zona di quel cascinale ma non entriamo né ci avviciniamo troppo, lo osserviamo da distanza, per vedere se c’è qualcuno, e soprattutto se arriva o si allontana qualcuno e-“
 
“Ed è in un posto isolato, Camilla, noterebbero subito una macchina che si avvicina e si ferma, anche se sta a distanza,” ribatte Gaetano, per nulla convinto.
 
“Guarda qui,” lo incalza Camilla, prendendo il cellulare di Tom e mostrando di nuovo la mappa aerea del luogo, “c’è un’area boscosa poco distante. Se noi passiamo da qui e lasciamo la macchina nella zona protetta dagli alberi e facciamo l’ultimo pezzo a piedi nella boscaglia, non ci noteranno.”
 
“Forse… e poi?” chiede Gaetano, dovendo ammettere nel suo intimo che Camilla non ha tutti i torti.
 
“E nel frattempo sentiamo Marchese e gli diciamo di convincere De Matteis a mandare a parlare con i punkabbestia, possibilmente da solo. Non serve che ci vada sul serio, l’importante è che crei un’occasione plausibile in cui può essere venuto a conoscenza dell’esistenza di questo benedetto cascinale. Ci può raggiungere e insieme a te valutare il da farsi e se è il caso chiamare i rinforzi. Noi non ci metteremo piede in quella cascina, ma almeno se i ragazzi sono lì evitiamo che si allontanino in un posto in cui non potremo più rintracciarli.”
 
“Va bene, così mi sembra ragionevole,” concede Gaetano con un sospiro, per poi aggiungere, guardandola dritto negli occhi, “ma, Camilla, niente-“
 
“Niente colpi di testa, lo so, tranquillo: non farò un solo passo senza il tuo consenso, te lo prometto.”
 
“E noi due?” domanda Marco a Gaetano, “so che lei non ha una gran opinione di me e che pensa che io sia una specie di pazzo spericolato, ma forse è meglio se siamo in quattro invece che solo voi due, se dovesse succedere qualcosa di imprevisto, anche se non me lo auguro…”
 
“Signor Visconti-“ prova ad obiettare Gaetano, ma l’altro uomo lo interrompe.
 
“Vicequestore, le garantisco che ci sta a cuore la stessa identica cosa,” afferma deciso, lanciando un’occhiata verso Camilla.
 
Purtroppo – non può fare a meno di pensare Gaetano, leggendo la sincerità negli occhi dell’altro uomo, ignorando l’ennesimo morso allo stomaco provocato dalla gelosia e non potendo evitare di chiedersi fino a che punto lui e Marco siano, in fondo, esattamente nella stessa barca.
 
***************************************************************************************
 
“Marchese, aspetta!” lo raggiunge una voce, mentre una mano gli tocca la spalla, portandolo a voltarsi.
 
“Sammy, che ci fai qui?” domanda il ragazzo, che, uscito di corsa dalla questura, stava per salire su una delle volanti.
 
Come istruito dalla prof. e da Berardi aveva fatto rapporto a De Matteis sulle scoperte del pomeriggio, gli aveva detto di voler provare a seguire la pista del misterioso complice di Ilenia che aveva fatto quelle telefonate, che questo complice probabilmente doveva essere il punkabbestia che aveva rubato l’auto, che lui aveva un amico con conoscenze nell’ambiente e che voleva provare ad andare a fare domande “in borghese”.
 
De Matteis si era complimentato con lui per l’ottimo lavoro, dandogli carta bianca e dicendogli addirittura che, fosse stato possibile, l’avrebbe promosso seduta stante ad ispettore. Il modo pieno di orgoglio con cui gli aveva parlato e quella pacca sulla spalla, così rara per uno schivo come De Matteis l’aveva fatto sentire ancora più tremendamente in colpa.
 
“De Matteis mi aveva convocato per chiedermi di Ilenia, poi volevo fare una visita a Pietro ma mi hanno detto che non c’è, che non sta bene,” risponde Sammy, con tono evidentemente preoccupato.
 
“Sì, credo che sia andato dal medico e poi tornava a casa,” conferma Marchese, stupendosi quando quel nome pronunciato sulle labbra di Sammy non gli provoca il solito moto di acidità allo stomaco.
 
“È strano… lui di solito è una roccia, non si è mai ammalato da quando lo conosco…”
 
“Lo so…” sospira Marchese che tante volte aveva pregato che il Mastino si prendesse un paio di giorni di malattia o di ferie e lo lasciasse in pace, ma niente, Mancini era un vero stacanovista.
 
“Mi sa che conviene che lo chiamo… e tu invece, dove stai andando, ci sono novità?” gli domanda, mentre alla preoccupazione si unisce una certa curiosità.
 
“Forse, però… è una storia lunga e sono di corsa: è meglio se ne parliamo in un altro momento…”
 
“Se devi trovarti con la prof. posso venire anche io, posso seguirti con la mia macchina e-“
 
“No, Sammy, per favore, è… può essere pericoloso, ok?” la ferma, mettendole una mano sul braccio e guardandola negli occhi per farle capire che non scherza.
 
“Ok, ok, però poi mi chiami e mi aggiorni su tutto, promesso?” gli chiede con quello sguardo da cucciolo abbandonato a cui è impossibile dire di no.
 
“Promesso,” conferma lui con un sorriso, voltandosi per salire in macchina ma bloccandosi quando lei di nuovo gli mette una mano sulla spalla.
 
“Cosa c’è?” le domanda sorpreso.
 
“Stai attento,” si raccomanda con aria genuinamente preoccupata.
 
“Lo farò, tranquilla,” la rassicura, sorridendole di nuovo e stringendole la mano prima di salire in macchina, meravigliandosi di come il rancore che li aveva divisi in questi anni sia evaporato, lasciando il posto a quell’affetto di due persone che sono cresciute insieme e che hanno diviso qualcosa di molto importante, anche se è finito male.
 
Nessuno dei due nota la macchina parcheggiata poco distante o l’uomo che osserva quella scena con i pugni e la mascella serrati, mordendosi il labbro inferiore fino a far uscire sangue.
 
***************************************************************************************
 
“Li senti?”
 
“Sì, certo che li sento…” conferma Gaetano, osservando il cascinale di fronte a loro, che è proprio come descritto da Ginger.
 
Non si muove una foglia, non ci sono automobili o persone in vista, ma in compenso c’è un rumore fioco e lancinante: guaiti sommessi di cani. E, a giudicare dalla flebilità dei mugolii, che sembrano arrivati allo stremo, è un concerto che deve stare proseguendo da un po’. Ma il cascinale è completamente isolato e nessuno avrebbe potuto sentirli.
 
“Non mi piace… non mi piace per niente,” commenta Gaetano, mentre il suo istinto gli dice che forse sono arrivati troppo tardi.
 
“Che facciamo? Aspettiamo Marchese? Non so se sia il caso di chiamare i rinforzi, secondo me lì dentro non c’è nulla di pericoloso, non più almeno… Nessuno potrebbe sopportare questo rumore straziante a lungo,” risponde Camilla, che sembra avere avuto la sua stessa intuizione.
 
“Forse hai ragione… aspettiamo Marchese e-“
 
In quel momento si sente un latrato acutissimo e disperato, una specie di estrema richiesta di aiuto che gela il sangue nelle vene. Camilla sa che i cani hanno un udito finissimo e si chiede se siano riusciti a sentirli, anche a questa distanza.
 
“Gaetano…” sussurra, guardandolo negli occhi e non c’è bisogno di altre parole.
 
“D’accordo, vado a vedere. Voi aspettate qui Marchese e se succede qualcosa-“
 
“Vicequestore, mi permetta di accompagnarla,” lo interrompe Marco, avendo notato lo sguardo ansioso di Camilla all’idea che Gaetano vada da solo, “sono armato, come le ho già detto, e le garantisco che so cavarmela e che non farò colpi di testa, ma seguirò le sue istruzioni. Credo che l’unico pericolo ormai potrebbero essere i cani, ammesso che si reggano ancora in piedi, visto come abbaiano, e in quel caso è meglio essere in due, non crede? Tom può rimanere qui con Camilla.”
 
Gaetano studia per qualche istante l’altro uomo e, nonostante odi ammetterlo, sente che ha ragione.
 
“Ok, io vado avanti e lei mi segue. E qualsiasi cosa le dico, anche e soprattutto se le dico di indietreggiare o di scappare lei lo fa, chiaro?” domanda, estraendo la pistola dalla fondina.
 
“Chiarissimo,” conferma Marco, tirando fuori a sua volta la pistola dalla tasca: un modello che Gaetano riconosce e che sa essere compatto ma preciso, una scelta da intenditore, ovviamente. Non che si aspettasse niente di meno da quest’uomo dagli insopportabili mille talenti.
 
“Gaetano…” sussurra Camilla, poggiandogli la mano sul braccio, preoccupata, nonostante tutto, come non può evitare di essere ogni volta che lo vede entrare in azione, “fai attenzione, ok?”
 
“Ok. E tu non muoverti da qui, per favore: ti chiamo non appena abbiamo conferma che non ci siano pericoli, ma fino ad allora…”
 
“Tranquillo,” gli sorride, dimenticando per un attimo tutte le discussioni, le incomprensioni e perfino la presenza di Marco e di Tom e dandogli un lieve bacio sulle labbra, che lui ricambia accarezzandole il viso.
 
“Anche io sarò prudente, non preoccupatevi troppo per me, eh,” commenta Marco con ironia velata di sarcasmo, avendo osservato con malinconia quel momento d’affetto, anzi, d’amore tra i due.
 
Perché Camilla non l’aveva mai guardato in quel modo, mai, nemmeno quando aveva accettato di sposarlo, nemmeno quando si era quasi fatto ammazzare per tirarla fuori dai guai.
 
“Andiamo!” lo incita Gaetano per rompere il momento di imbarazzo e i due uomini si mettono in marcia, cercando di percorrere la distanza che li separa dalla casa il più rapidamente possibile, dato che sono totalmente esposti e senza coperture.
 
Arrivano allo stabile e fanno un primo giro del perimetro, guardandosi le spalle a vicenda e mantenendosi contro il muro. Gaetano deve ammettere che il produttore di vini se la cava e anche molto bene, tanto che si chiede se, odio professato per la disciplina a parte, non ci sia stato un addestramento militare di qualche tipo nel suo passato.
 
Il cascinale ha due porte: una posteriore e una anteriore, entrambe chiuse dall’esterno con un pesante lucchetto, mentre le finestre sono tutte sbarrate da pannelli di legno. È evidente che non ci possa essere dentro qualcuno. L’edificio in sé è un vero rudere a cui nessuno si sognerebbe mai di dare l’agibilità: sembra poter crollare a pezzi da un momento all’altro alla minima folata di vento.
 
I guaiti provengono dalla stalla lì vicino. Ad un cenno di Gaetano si avvicinano e, arrivati al piccolo pollaio in legno, fanno la prima macabra scoperta: piume e sangue rappreso ovunque. O un animale selvatico, o i cani stessi, deducono, togliendo la sicura dalla pistola e arrivando davanti al portone della stalla.
 
“Ok, Visconti,” sussurra Gaetano, “lei apre il portone e io entro. Se ci fossero pericoli esco e lei lo richiude subito, ok?”
 
L’uomo annuisce e fa come ordinato. In pochi secondi Gaetano è dentro e gli fa un cenno che conferma che la via è libera, anche se dato con mano tremante.
 
Marco entra e capisce il perché: tre cani, tutti rottweiler, giacciono praticamente esanimi l’uno vicino all’altro sulla pietra della pavimentazione, legati con spesse catene ad una delle colonne portanti della stalla. Quando li vedono sollevano il muso e provano a latrare ma ne esce di nuovo poco più di un mugolio sommesso: sono proprio allo stremo delle forze.
 
E, accanto ai cani, una panda bianca 4x4 con la vernice bianca delle portiere dal lato del guidatore tutta graffiata, probabilmente in un disperato tentativo degli animali di entrare nell’auto
 
Mantenendo la distanza di sicurezza dai cani che, seppure debolissimi, devono essere anche terribilmente affamati, Gaetano si avvicina al lato del passeggero, dove i cani non possono arrivare.
 
“Merda!” esclama, sentendo un brivido di freddo corrergli lungo la schiena.
 
“Oh dio mio,” sussurra Marco, sconvolto, prima di domandare, “ma è?!”
 
Gaetano si limita ad annuire: al posto di guida, le cinture ancora allacciate, la testa che ciondola in avanti verso il volante ed un foro nero e vermiglio che gli trapassa il cranio da una tempia all’altra c’è un corpo. Il cadavere di Marco De Montis, detto Marcio.
 
E Gaetano non può fare a meno di chiedersi, mentre sente dita lunghe gelide chiuderglisi intorno al cuore, chi sia veramente Ilenia Misoglio.
 
 


Nota dell’autrice: Lo so, lo so, sono in vergognoso ritardo, ma questo capitolo è stato un vero parto da scrivere e gli impegni sul lavoro da qualche settimana a questa parte non mi danno un attimo di respiro. Spero che il lungo capitolo abbia ripagato l’attesa e che gli sviluppi del giallo e dei rapporti tra i personaggi siano convincenti e che si mantengano interessanti. Come sempre i vostri commenti e pareri anche negativi sono preziosissimi per me e mi aiutano tantissimo a tararmi e a capire in cosa sbaglio, quindi non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate.

All’inizio del prossimo capitolo ci attende la reazione di Camilla, di Gaetano e di Marchese a questi sviluppi e inoltre Mancini, convinto che Sammy lo tradisca, secondo voi cosa combinerà? Posso solo anticiparvi che ci saranno delle vere e proprie esplosioni che metteranno a durissima prova il rapporto tra Camilla e Gaetano (e anche tra Sammy e Mancini) e che si arriverà ad un punto di rottura. Riusciranno i nostri a sopravvivere a questo tsunami? Le indagini segrete verranno smascherate? Ilenia è davvero un’assassina lucida e spietata? A queste ed altre domande troverete, in tutto o in parte, risposta nel prossimo capitolo, a cui vi do appuntamento, se vi va, ringraziandovi come sempre per avermi seguita fin qui ;)…
 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Trust ***


Nota dell’autrice: prima di tutto mi scuso per il ritardo ipervergognoso, ma sono stata via in viaggio di lavoro per due settimane e il tempo di scrivere in quel periodo è stato assolutamente inesistente. Adesso sono in vacanza quindi ho parecchio tempo libero per scrivere e i prossimi aggiornamenti dovrebbero essere molto più frequenti. E in tal proposito, in origine avevo in mente un punto ben preciso dove far finire questo capitolo ma, essendoci molte “scene” complicate stava diventando davvero, davvero lunghissimo persino per i miei standard. Per questo motivo ho deciso di dividerlo in due capitoli. Il primo è quello che trovate qui di seguito e che ha un suo filo conduttore dall’inizio alla sua conclusione. Il secondo capitolo che è ancora più lungo di questo è praticamente concluso, mi manca solo da terminare di scrivere la complicatissima scena finale, ma dovrebbe quindi arrivare tra pochi giorni, diciamo verso martedì, giusto il tempo di dare un po’ di respiro tra un capitolo e l’altro e concludere il secondo come merita. Vi ringrazio per la pazienza e vi do appuntamento alle note finali.
 



Capitolo 37: “Trust”



 
Marchese era arrivato di corsa, pieno di speranza sul fatto di riuscire a ritrovare Ilenia, colpevole o innocente che fosse, pronto ad entrare in azione e invece… c’era ben poco da fare.
 
Non riesce a togliere gli occhi di dosso da quel cadavere e, anche se non l’avrebbe mai immaginato, si trova a rimpiangere i tempi in cui lui e l’uomo riverso sul volante erano due ragazzi, i tempi in cui recuperare la telecamera di Sammy sembrava un problema della massima importanza. I tempi in cui Ilenia Misoglio era solo una ragazza timida e cicciottella, la migliore amica di quella che era convinto fosse il grande amore della sua vita e che lo sarebbe stato per sempre. Era un mondo così bello, semplice e pieno delle certezze granitiche dell’adolescenza, quando pensi davvero di poter avere il mondo e il futuro nelle tue mani, quando è tutto bianco o nero.
 
Mentre ora l’unica certezza che ha è quella di non avere più certezze, nemmeno una. E non può fare a meno di chiedersi chi sia realmente Ilenia Misoglio.
 
“E ora che facciamo?” chiede rivolgendosi a Gaetano, sentendosi perso, avendo bisogno di qualcuno che decida e pensi per lui.
 
“Chiama De Matteis e fai venire qui anche gli agenti della scientifica… Avete toccato qualcosa?”
 
“No, ho aperto la porta con la spalla, non ho toccato nulla,” lo rassicura Marco con un sospiro, continuando a guardarsi intorno.
 
“E dovete anche chiamare i veterinari per questi poveri cani e magari dare loro almeno un goccio d’acqua. Poca però, se no rischiano di stare ancora più male,” si inserisce Camilla che, insieme con Tom aspetta oltre all’uscio della porta aperta della stalla, “sentite, non posso proprio entrare? È ridicolo stare qui fuori così.”
 
“Assolutamente no,” rispondono all’unisono Gaetano e Marco, guardandosi poi con aria sorpresa.
 
“Va bene, va bene, come non detto. Però, se posso almeno parlare, direi che prima di chiamare i rinforzi forse è il caso di dare un’occhiata nella casa,” risponde Camilla sollevando gli occhi al cielo.
 
“Assolutamente no,” ribadisce Gaetano, con tono fermo e severo, “rischiamo di contaminare troppo la scena del crimine: già qui non ci saremmo dovuti entrare e non devono assolutamente trovare nostre tracce, se no è finita.”
 
“Ma Marchese potrà pure fare un sopralluogo, no? Intanto che arrivano i rinforzi… E anche tu Gaetano sei un poliziotto, sai benissimo come muoverti per non contaminare le prove,” fa notare Camilla, aggiungendo poi, guardandolo negli occhi, “noi possiamo anche rimanere fuori, Gaetano, ma a questo punto non abbiamo altre piste, siamo ad un punto morto e bisogna rintracciare Ilenia a tutti i costi. E, con tutto il rispetto per De Matteis e per Mancini, mi fido molto di più dei tuoi occhi che dei loro.”
 
“Ma le porte sono chiuse con lucchetti e non possiamo di certo forzarli noi. E ti ringrazio per la fiducia, Camilla, ma non sono ancora in grado di volare e per le impronte di scarpe un conto è la pavimentazione in cemento della stalla, un conto potrebbe essere quella della casa. E poi basta un capello e finiamo nei guai.”
 
“Per questo posso risolvere io: ho in auto i copriscarpe e le cuffie usa e getta,” si inserisce Marchese, sfidando la sorte e l’occhiata del vicequestore, “e poi ho fatto fin troppo in fretta, non è credibile che sia già riuscito a parlare con i punkabbestia e a venire fin qui. Dobbiamo prendere un po’ di tempo e possiamo sfruttarlo in qualche modo.”
 
“E perché non te li sei portati dietro subito i copriscarpe e le cuffie? Ci sarebbero già potuti essere utili,” sospira Gaetano, sentendosi come se delle miccette gli esplodessero nel cranio.
 
“Perché pensavo di dover fare un’irruzione, non un’ispezione…”
 
“D’accordo, diciamo che ve la do per buona. Resta il problema dei lucchetti: come pensate di aprirli? Perché di forzarli prima che arrivino quelli della scientifica non se ne parla.”
 
“Se riesco a trovare le chiavi voi andate a vedere?” domanda Camilla con quello sguardo che Gaetano conosce benissimo, che è una sfida e un patto insieme.
 
“Va bene, libera di provarci. Ma non toccare niente, intesi?”
 
“D’accordo, d’accordo,” sospira Camilla, felice di poter evitare di rimanere lì fuori come una bella statuina, “tu intanto Marchese puoi dare un po’ d’acqua a questi poveri cani? Ci sono delle ciotole fuori vicino alla fontanella. Stai attento a non avvicinarti troppo, però: sono affamati e potrebbero essere aggressivi. E poi vai a recuperare i copriscarpe e le cuffie in macchina. Penso che vi serviranno.”
 
“Agli ordini, prof.!” risponde il ragazzo, scuotendo il capo con un mezzo sorriso divertito, grato per avergli dato qualcosa di pratico da fare per distrarsi ed evitare di impazzire. Ma del resto la prof. è sempre stata in grado di leggergli dentro e di capire i suoi stati d’animo e di cosa avesse bisogno, molto più di quanto sia mai riuscito a fare lui stesso.
 
“Ma certo che non ti arrendi proprio mai,” sospira di rimando Gaetano, per nulla stupito, uscendo dalla stalla e seguendola verso le porte del cascinale, esasperato ma al tempo stesso in fondo – in fondo ammirato, come sempre.
 
Perché è questa la Camilla di cui si è innamorato, quella che gli ha sempre tenuto testa, lottando con le unghie e con i denti per difendere quello a cui tiene. E un retrogusto amaro in bocca invece gli ricorda che è proprio questo il cuore del problema: quello a cui lei tiene di più, o forse quello a cui non tiene evidentemente abbastanza.
 
“Cosa speri di trovare?” le chiede, mentre la vede abbassarsi per osservare meglio il lucchetto senza toccarlo.
 
“Vedi? C’è della terra vicino alla serratura, forse anche nella serratura…”
 
“Siamo in aperta campagna, Camilla, direi che è normale che ci sia terriccio in giro…”
 
“Ma non nella serratura di un lucchetto, a meno che venga buttato per terra quando è inutilizzato ma… tu lo faresti? Invece-“
 
“Invece forse c’è una chiave nascosta da qualche parte qui in giro, che sarebbe anche un classico, ma in un posto del genere?”
 
“Siamo in campagna e questo è il genere di abitazione che dubito attiri i ladri, Gaetano,” commenta Camilla, guardandosi intorno.
 
“Questo è vero ma… Tu lasceresti la chiave in giro dopo che… è successo quello che è successo?” chiede, dubbioso, guardandola negli occhi.
 
“Non so… mi sembra evidente che chi ha ucciso Marcio non pensava di tornare qui. E ha abbandonato i cani a morire ma nascosti al coperto, in modo che nessuno potesse vederli. La macchina è ritirata al chiuso e qui  è tutto serrato, come a non voler dare nell’occhio…”
 
“Quindi tu pensi che Ilenia si sia premurata di fare in modo che un passante occasionale non notasse nulla di strano nel casale ma che non pensava che qualcuno sarebbe mai venuto qui a verificare? Che non pensava che qualcuno avrebbe mai ricollegato questo casale con l’omicidio dello Scortichini, con lei e il punkabbestia? Che forse qualcuno ci sarebbe capitato per caso prima o poi, qualche sbandato magari, ma tra mesi e mesi quando la maggioranza delle possibili prove sarebbero andate perdute e la traccia sarebbe stata ormai fredda?” deduce, dovendo ammettere che l’ipotesi in effetti è plausibile. Loro erano arrivati qui per puro caso, perché erano stati fortunati a rintracciare proprio Ginger e perché Ginger sapeva qualcosa che non avrebbe mai dovuto sapere.
 
Perché gli unici che dovevano sapere dell’esistenza del casale erano..
 
“Esatto, ma non so se si tratti di Ilenia… tu credi veramente che lei avrebbe mai abbandonato quei cani a morire di fame e sete? Io non ci posso credere…” sussurra Camilla, guardandolo con un’espressione incredula e smarrita, mentre Gaetano nota un tremore che le percorre la spina dorsale.
 
“Camilla, con tutto il rispetto per i cani, credo che forse sia il meno tra tutto quello di cui evidentemente Ilenia è stata capace e penso che tu debba entrare nell’ordine delle idee che l’Ilenia che credevamo conoscere non esiste ma è solo una bravissima attrice, oltre che una delle assassine più lucide, calcolatrici e spietate che abbia mai conosciuto nella mia carriera. Anche perché chi altri avrebbe potuto uccidere Marcio, me lo spieghi?”
 
“Non lo so… ma… il Vecchio, ad esempio. Dov’è? Che fine ha fatto? Se questo è il suo cascinale e Marcio è morto sicuramente da due giorni… dov’era il Vecchio in tutto questo?” gli domanda, aggrappandosi ad ogni flebile speranza per poter evitare di accettare una verità che il suo cervello si rifiuta di assimilare, esprimendo ad alta voce il quesito che ronzava anche nella mente dell’uomo da un paio di minuti.
 
“Non lo so nemmeno io, Camilla, ma chi pensi che sia più probabile che abbia ucciso Marcio? Un vecchio contadino amante degli animali che lo considerava come un figlio e che probabilmente se è rimasto invischiato in questa vicenda è stato suo malgrado, per il solo fatto di conoscere Marcio e magari aver offerto rifugio a lui e a Ilenia, o la persona che aveva il movente più forte per volere morto lo Scortichini e che aveva le conoscenze necessarie per programmarla e farla sembrare un incidente? La persona che ha evidentemente pianificato la fuga fin dal primo momento in cui la polizia è venuta a cercarla a casa di tua madre e proprio per questo ha deciso di andarsene in albergo dove non avemmo potuto controllarla, con la scusa del non volerci coinvolgere?”
 
“Va bene, senti, concentriamoci sul trovare le chiavi adesso, al resto penseremo dopo, ok?” propone, sentendo il bisogno di un time-out per assorbire il colpo e tirando un sospiro di sollievo quando lui sembra comprendere e annuisce.
 
“Tu dove la nasconderesti una chiave?” gli domanda, guardandosi intorno nuovamente, finché il suo sguardo si posa su un cordolo basso fatto di pietre che circonda un’aiuola adibita ad orto che si sviluppa lungo uno dei due lati lunghi del cascinale.
 
Con la coda dell’occhio nota che anche Gaetano sembra aver avuto la stessa idea.
 
Senza parole, si avviano verso le rocce, Gaetano le passa uno dei suoi guanti e cominciano a smuoverle, una per una. Concentrati nel loro lavoro non notano nemmeno Marco e Tom che si sono avvicinati per assistere alla loro discussione e a quella scena.
 
“Forse ci siamo,” esclama Camilla, sentendo una roccia che si smuove molto di più delle altre. E il luccichio del metallo le conferma che la sua intuizione era giusta.
 
“Ecco qui,” proclama, posando le due chiavi nel palmo guantato di Gaetano, con quell’espressione soddisfatta che l’ha sempre fatto impazzire e che non può evitare di provocargli un moto di orgoglio e una voglia di levargliela con un bacio che però uccide sul nascere.
 
“Avete trovato la chiave?” domanda Marchese, tornato con quanto richiesto più due torce elettriche.
 
Lui e Gaetano indossano copriscarpe, cuffie e guanti e poi aprono il lucchetto della porta anteriore.
 
“Voi rimanete qui e state fuori dalla stalla e non toccate niente, per favore,” prega Gaetano, guardando Camilla dritta negli occhi.
 
“Tranquillo, Gaetano, voi pensate solo a fare quello che dovete fare, ok?” lo rassicura mantenendo lo sguardo nel suo per fargli capire che è sincera.
 
E così i due poliziotti entrano, mentre Marco, Camilla e Tom rimangono fuori ad aspettare.
 
“Fa sempre così? O è perché ci siamo anche noi?” domanda Marco dopo un attimo di silenzio.
 
“Così come?”
 
“Come se dovesse tenerti alla larga dai guai, come se tu fossi una specie di pazza spericolata, un po’ come tratta me, in effetti,” spiega Marco con un sospiro, “avevo capito che collaboravate alle indagini, ma mi chiedo come sia possibile, ansioso com’è.”
 
“Veramente mi sembra che anche tu mi abbia quasi assordato quando poco fa ho chiesto se potevo entrare in quella stalla,” replica Camilla con un sopracciglio alzato, “e comunque… in effetti forse oggi è più apprensivo del solito, sia perché ci siete voi, sia perché non è lui che gestisce queste indagini e non vuole che tuo fratello sappia che siamo stati qui, sia perché… diciamo che l’ultimo caso in cui gli ho dato una mano è quasi finito in tragedia per me e per lui. Ho fatto un’idiozia e ci hanno presi come ostaggi a casa mia e poi tu-”
 
“E poi io gli ho raccontato di quando ti hanno presa in ostaggio nel caso di Irina e questo ha peggiorato le cose, giusto?” deduce Marco con un sospiro, ricordando benissimo la reazione dell’altro uomo.
 
“Sì, in effetti sì,” ammette Camilla, ricambiando il sospiro, per poi aggiungere, dopo un momento di riflessione, “e comunque, vedi, Marco, tra me e Gaetano c’è sempre stata una serie di regole non dette e non scritte. Diciamo che le scene di crimini volenti, salvo mi ci trovassi in mezzo senza poterlo evitare, per me sono sempre state off-limits, idem le irruzioni e le azioni di polizia. E, sinceramente, credo che sia giusto così: non è che l’idea di trovarmi di fronte a cadaveri di morti ammazzati mi alletti molto, né quella di farmi sparare addosso o… di dover assistere in disparte mentre lui entra in azione, sapendo che non posso farci niente. Ci sono cose che in fondo, nonostante la mia curiosità, preferisco anche io non dover vedere e Gaetano questo l’ha sempre capito, anche se forse adesso dopo gli ultimi avvenimenti ha… ha paura di essersi sbagliato, di non avermi capita fino in fondo. E per questo è più protettivo e ansioso, anche se non ne ha motivo.”
 
“Perché lui invece ti ha sempre capita fino in fondo?” le domanda con tono agrodolce in un chiaro riferimento a quello che lei gli aveva contestato la sera prima, al fatto che durante la loro relazione lui non fosse mai stato capace di comprenderla al cento per cento, che in fondo non la conoscesse davvero.
 
“Gaetano ha sempre avuto la capacità di capirmi meglio di chiunque altro e mi conosce forse meglio di quanto mi conosca io stessa. Non so se sia merito o colpa di qualcuno: è sempre stato così e basta,” ammette Camilla, guardandolo in un modo che gli fa capire quanto sia dispiaciuta per aver fatto quel commento, ma che ciò non toglie che sia la verità.
 
“Però qualcosa è cambiato in questi giorni, no?” le fa notare Marco con tono e con uno sguardo indefinibili.
 
“Da parte mia no e non credo nemmeno da parte sua. I malintesi succedono, dobbiamo solo chiarirci: io e Gaetano ne abbiamo dovute affrontare e superare tante da quando stiamo insieme, per non dire da quando ci conosciamo, e supereremo anche questa,” replica Camilla, decisa, anche se non è sicura se stia cercando di convincere lui o se stessa.
 
Marco la osserva sempre in quel modo enigmatico e malinconico insieme, fissando il suo sguardo nel suo come se volesse leggerle dentro.
 
“Se ci fosse stato Gaetano al mio posto… non l’avresti mai mollato in mezzo ad una strada, non è vero? Non saresti mai tornata con Renzo,” proclama infine, interrompendo il silenzio, in quella che più che una domanda sembra un’incrollabile certezza.
 
Camilla spalanca la bocca e gli occhi, sorpresa, sorpresa non solo per le parole di Marco, ma soprattutto perché è qualcosa a cui non aveva mai pensato prima, ma le basta una frazione di secondo per rendersi conto che è vero, che Marco ha colto perfettamente nel segno.
 
***************************************************************************************
 
“Come faceva a viverci qualcuno qui? Mi sembra che questo posto possa cadere a pezzi da un momento all’altro!”
 
Gaetano si limita ad annuire, muovendosi lungo il corridoio impolverato e pieno di ragnatele: avevano appena fatto passare una cucina piccola e sporca, un bagno in condizioni improponibili e uno sgabuzzino pieno di attrezzi, cibo per cani e mangime per le galline.
 
“Non ci resta che il piano superiore…” commenta Gaetano, facendo segno verso le scale e cominciando a salire i gradini, testandoli uno a uno per verificare che reggano il peso, mentre il legno protesta con mille scricchiolii.
 
Con un cenno si avvicinano alla prima porta sulla destra e Gaetano la apre. Una stanza da letto con una vecchia rete e un materasso malconcio, niente lenzuola. Un armadio ma niente vestiti.
 
“Qui qualcuno ha ripulito la stanza,” proclama Gaetano, guardandosi intorno: può ancora vedere dei segni nella polvere dell’unico comodino.
 
“Già…”
 
“In fretta e furia, direi,” aggiunge poi, chinandosi quando vede un bottone per terra e una cintura da uomo sul fondo dell’armadio, “quando arriva De Matteis devi insistere perché faccia analizzare questa stanza dalla scientifica, Marchese, ci potrebbero essere ancora delle tracce. Fibre, capelli e quindi magari del DNA.”
 
“D’accordo.”
 
Tornano nel corridoio ed entrano in un’altra stanza: un bagno più grande di quello del piano di sotto e decisamente più pulito, fin troppo pulito.
 
“Candeggina… maledizione!” esclama Gaetano, riconoscendo l’odore acre che impregna la stanza chiusa, “temo che negli scarichi non troveremo niente… fai controllare lo stesso ma… dobbiamo sperare che ci sia qualche traccia in un posto meno visibile: sul pavimento, dietro al wc…”
 
“Sì…” sospira Marchese, sentendosi come spaesato: se è stata Ilenia a ripulire la casa ha pensato davvero a tutto.
 
“Ed ecco qui la fluoxetina,” sospira di rimando Gaetano, aprendo uno degli armadietti del bagno e trovandolo pieno di scatole di prozac, “codice a barre staccato, non rintracciabili.”
 
“Però mi sembra una quantità ben superiore a quella che Ilenia avrebbe potuto accumulare facendo la cresta sul prozac della madre,” fa notare Marchese, dato che la quantità di farmaco è davvero notevole e avrebbe potuto insospettire qualunque medico curante.
 
“O la madre non lo prende regolarmente o magari se l’è fatto procurare da Marcio… o dal Vecchio, ovunque egli sia in questo momento…”
 
“Già… dov’è il Vecchio?” mormora quasi tra sé e sé Marchese, guardandosi intorno: ogni traccia del proprietario sembra essere stata completamente cancellata o quasi. Per ora avevano trovato solo quella cintura.
 
“E qui ci sono degli anabolizzanti,” commenta poi con un sospiro, aprendo un altro armadietto, “e questa è decisamente roba venduta sottobanco.”
 
“Perché tenere anche gli anabolizzanti qui? I cani li dopava già lo Scortichini…” fa notare Gaetano, facendo scorrere rapidamente le scatole, aggiungendo, dopo un attimo di riflessione, “la marca è la stessa che usava lo Scortichini?”
 
“Sì… sì, in effetti sì, infatti li ho riconosciuti subito,” conferma Marchese, stupito, “ma come ha fatto a…”
 
“Sai, Marchese, forse quei cani lì fuori avevano un ruolo ben preciso. Non erano solo cani di un vecchio contadino o parte di una specie di… eredità spirituale di Black o cose simili…”

“Che vuol dire?”
 
“Che forse erano delle cavie per testare gli effetti del mix di farmaci sui cani. Non mi stupirei se fossero ex cani da combattimento…” sospira Gaetano, sentendo sempre più freddo ad ogni secondo che passa, “bisogna far fare loro delle analisi, vedere se hanno assunto questi farmaci e in quali dosi.”
 
“Ma… ma oltre che crudele è pericoloso: è come tenersi in casa tre bombe ad orologeria e poi… se erano i cani del Vecchio, lui avrebbe acconsentito ad una cosa del genere? Capisco che Marcio e… e Ilenia avrebbero potuto avere tanto rancore nei confronti dello Scortichini, ma… che ruolo aveva quest’uomo in tutto questo? E dov’è?”
 
“Non lo so, Marchese, ma dobbiamo scoprirlo. Sia che fosse complice di Ilenia e Marcio, sia che fosse del tutto inconsapevole… potrebbe essere in pericolo, se non gli è già successo qualcosa…”
 
“Lei pensa sul serio che…” lascia in sospeso la frase Marchese, incredulo, mentre la voglia di vomitare si fa sempre più forte.
 
In silenzio fanno passare gli altri armadietti del bagno, tutti vuoti.
 
“Ma perché buttare tutto il resto e lasciare i farmaci qui?”
 
“Non lo so, Marchese, forse il resto è più facile da smaltire: cassonetti dell’immondizia o cassoni dell’Humana. I farmaci hanno uno smaltimento speciale e un quantitativo simile gettato da qualche parte avrebbe potuto attirare l’attenzione. E come diceva Camilla, e credo abbia ragione, dubito che qualcuno si aspettasse che trovassimo questo cascinale, non a breve almeno. Una specie di nascondiglio perfetto.”
 
Marchese si limita ad annuire mentre escono dal bagno e si avviano verso l’ultima stanza.
 
“Dio mio!” non può evitare di esclamare, lo stomaco ormai sottosopra.
 
Gaetano invece è ammutolito, completamente ammutolito, perché la scena che gli si presenta di fronte è degna di un film americano con tanto di agenti del FBI esperti di profiling.
 
La stanza è di medie dimensioni, con un'altra rete ed un altro materasso consunto, poco più di una brandina. Una cassapanca e un tavolo con due sedie completano l’arredamento.
 
Ma ciò che spicca sono le pareti: completamente tappezzate da articoli di giornale, foto, post-it, tutti riguardanti il caso di Black e lo Scortichini. Il processo, la scarcerazione, foto di lui con i suoi cani, foto di lui per strada, appunti su orari, abitudini, sui cani.
 
“A questo punto il Vecchio non poteva non sapere,” commenta Marchese non appena ritrova l’uso della voce, sebbene tremante e incerta.
 
“No, infatti, non poteva non sapere,” conferma Gaetano con voce roca, sentendosi come se qualcuno gli avesse tirato un pugno alla bocca dello stomaco, “dobbiamo capire se è vivo, Marchese, bisogna trovare lui e Ilenia, subito. È… è molto peggio di quanto pensassi e… se la scientifica non trova niente, non abbiamo niente in mano, neanche un indizio su dove possano essere finiti, maledizione!”
 
***************************************************************************************
 
“Lo immaginavo…” sospira Marco, la consapevolezza che legge sul volto di Camilla più efficace e convincente di qualsiasi risposta.
 
“Mi dispiace, Marco,” risponde Camilla, sentendosi in imbarazzo, ma non potendo mentire o dissimulare. Se Gaetano non si fosse trasferito, se l’avesse rincontrato durante la prima separazione da Renzo le cose sarebbero andate molto diversamente, ne è sicura.

“E di che cosa? Come hai detto tu forse non è colpa di nessuno, anzi, al limite la colpa di quello che è successo è mia,” ammette l’uomo, passandosi una mano tra i capelli e sospirando.
 
“Tua? Come può essere colpa tua? Sono io che-“
 
“No, Camilla, vedi, è che…” la interrompe lui con un altro sospiro, cercando a fatica le parole nel groviglio di idee e pensieri contrastanti che gli ronzano in testa da quando l’ha rivista, “è che… riguardando indietro credo… credo che in fondo me la sia cercata, che ti abbia chiesto di venire a vivere da me per i motivi sbagliati. Non perché non lo volessi, anzi, ma… era troppo presto forse anche per me, ma ho voluto accelerare le cose, metterti fretta perché sentivo che ti stavi allontanando da me, o forse che… non ti stavi avvicinando abbastanza, non come avrei desiderato e… non volevo perderti e probabilmente una parte di me deve aver immaginato che con la convivenza ti sarebbe stato più difficile lasciarmi o che comunque le cose sarebbero migliorate, che vivere insieme ci avrebbe unito, avrebbe reso più profondo il nostro rapporto.”
 
“Cosa?” sussurra stupita, sentendo come se una nuova luce, una nuova consapevolezza si fosse accesa in lei, come se ad ogni parola di Marco riuscisse a riguardare indietro a quel periodo con occhi diversi.
 
“Camilla, ogni volta che c’era Renzo con noi io… mi sentivo quasi invisibile, lui veniva praticamente sempre prima di me, sempre, e quando questo non accadeva avvertivo che non era perché tu davvero lo sentissi, ma perché ti sforzavi di darmi la precedenza, come se ti sentissi in dovere di farlo. Ho provato a convincermi che fosse per via di Livietta, perché Renzo era suo padre, ma anche quando tua figlia non c’entrava le cose non cambiavano. Tu non hai un’idea di quanto ho invidiato il modo in cui mi parlavi di lui, di quando stavate insieme, con così tanta nostalgia, così tanta stima, ammirazione e… amore, nonostante tutto quello che ti aveva fatto con Carmen. Ho pensato tante volte che avrei voluto che tu parlassi così di me con qualcun altro, che avessi con me un rapporto, un legame forte e profondo come quello che avevi avuto con lui e che sentivo che ancora vi univa.”
 
“Marco…”
 
“Quando mi hai lasciato, mi sono detto che l’avevi fatto per Livietta e che… e che Renzo era il grande amore della tua vita, il padre di tua figlia e che nessuno sarebbe mai stato in grado di competere con lui ai tuoi occhi, con quello che avevate costruito insieme in tanti anni, che magari non vi amavate più come prima, ma che alla fine avresti sempre scelto lui, per tutto quello che vi legava, che vi univa e che sarebbe stato così per sempre,” ammette Marco, per poi aggiungere, con una mezza risata amara, “ma la verità è che era la giustificazione più comoda, perché così non dipendeva da me, capisci? E invece vedendoti con Gaetano mi sono reso conto che il modo in cui lo guardi, il modo in cui gli parli e con cui parli di lui, la complicità che avete anche quando discutete è… non è paragonabile non solo con il rapporto che avevi con me, ma nemmeno con quello che avevo sempre invidiato tra te e Renzo. Tu avevi ragione ieri sera quando hai detto che non ti ho mai conosciuta davvero, che non ti ho mai capita, probabilmente perché non ho mai voluto capire, ma ora sono stato finalmente costretto ad aprire gli occhi e a vedere che il problema non era Renzo, non solo, ma che il problema ero io: tu non mi hai mai amato, Camilla, non come amavi Renzo una volta e assolutamente non come ami Gaetano adesso.”
 
“Mi dispiace, credimi che mi dispiace,” sussurra lei di nuovo, sentendosi come un disco rotto e sapendo benissimo che lui ha ragione su tutto, “non avrei voluto che andasse così… tu… tu mi piacevi molto e sei stato molto importante per me, davvero, sei arrivato in un periodo non facile della mia vita e mi hai dato tantissimo, mi hai aiutata tantissimo, molto più di quanto immagini ma…”
 
“Ma non era abbastanza, non per costruire una famiglia con me,” conclude Marco, avendo infine conferma di ciò che una parte di lui aveva sempre saputo.
 
“No, infatti, siamo troppo diversi noi due, vogliamo cose diverse dalla vita, Marco, viviamo la vita in modo diverso e… uno di noi due avrebbe sempre dovuto adattarsi, non saremmo stati felici, non nel lungo termine, almeno,” conferma Camilla sentendosi come se si fosse liberata di un peso, come se avesse fatto pace con uno dei capitoli più ingarbugliati e complicati della sua vita, “mi dispiace solo di non essermene resa conto in tempo per evitarti quello che è successo, ma, per quel che vale, sono sempre stata sincera con te e… mi ero davvero convinta di amarti e che potesse funzionare tra noi, forse avevo un disperato bisogno di convincermene e… non ero in una fase della mia vita in cui brillavo per lucidità ed autoconsapevolezza, Marco, e ti chiedo scusa perché ci sei andato di mezzo tu e non te lo meritavi.”
 
Marco si limita ad annuire, guardandola negli occhi lucidi che riflettono i suoi, provando allo stesso tempo un’incredibile tristezza e un incredibile sollievo.
 
“Posso abbracciarti?” le domanda, le parole che gli sfuggono dalla gola prima di poterle frenare.
 
Per tutta risposta, Camilla gli sorride commossa e lo stringe a sé in un abbraccio liberatorio e catartico, uno di quegli abbracci che sanno di consapevolezza, di perdono, di pace, di un modo di scrivere la parola fine senza rancori, dopo il modo disastroso in cui si era conclusa la loro breve relazione.
 
“Camilla!”
 
La pace viene squarciata da quella voce e da quel tono che Camilla riconosce alla perfezione. Si separa quasi istintivamente da Marco, forse fin troppo in fretta, si volta e lo vede con un’espressione sul volto che riconosce altrettanto alla perfezione: la stessa identica espressione di quando l’aveva trovata in giardino con il questore e la sua maledettissima giacca.
 
Ci mancava solo questa, la classica ciliegina sulla torta a coronare questa stramaledetta vacanza romana. E dire che era partita così bene, ma ora la notte in quel loft le sembra quasi risalire ad una vita fa e non solo a quattro giorni prima. Vedere l’espressione furiosa e delusa sul volto di Gaetano la fa sentire in bilico su un precipizio, come se al minimo alito di vento potesse cadere nel vuoto. La delusione è quello che le fa più male, quello che le fa più paura, perché fino a pochi giorni prima era qualcosa di completamente estraneo al loro rapporto, escludendo l’episodio dell’aggressione dei diamanti. Al contrario, Gaetano l’aveva sempre ammirata, stimata, a volte quasi venerata e ora pensare di poter avere perso tutto questo le è assolutamente insopportabile.
 
Vorrebbe dire qualcosa, ma le frasi che le balenano alla mente, a partire dal più classico “ti posso spiegare: non è come sembra!”, per quanto vere, non farebbero che peggiorare le cose, soprattutto se pronunciate in presenza di altri. Nota con la coda dell’occhio le espressioni imbarazzate sui volti di Marchese e di Tom, che si era fino a quel momento tenuto in disparte.
 
“Forse avrei dovuto essere più specifico quando mi sono raccomandato di non toccare niente,” proclama infine Gaetano con tono sarcastico, fissandola negli occhi.
 
“Che cosa avete scoperto lì dentro?” domanda Camilla, ignorando la battuta e lanciandogli un’occhiata che è una richiesta e una promessa di chiarirsi in privato.
 
“Lì dentro? Molto meno di quanto ho scoperto qui fuori, in realtà,” ribatte tagliente, non lasciando per un attimo il suo sguardo, “diciamo che ho avuto un’ulteriore conferma che a volte le persone che pensi di conoscere non sono affatto come sembrano, anzi.”
 
“Gaetano…”
 
“Scusate, ma, come mi aveva chiesto, dottore, ho già avvertito De Matteis: tra venti minuti saranno qui, conviene che ve ne andiate e alla svelta, prima che vi trovino qui,” interviene Marchese, in un evidente tentativo di cambiare discorso ed evitare un’escalation di questa discussione.
 
E per una volta né Marco, né Camilla se la sentono di protestare o di domandare a Gaetano il motivo di tutta questa fretta nel chiamare “i rinforzi” visto che entrambi vorrebbero soltanto essere da tutt’altra parte.
 
***************************************************************************************
 
“Se non vuoi parlarmi, posso almeno farlo io?”
 
Avevano appena lasciato Marco e Tom alla loro auto dopo un viaggio nel silenzio  più assoluto e carico di tensione che si potesse immaginare. Almeno fino a quando erano rimasti da soli perché a quel punto la tensione era, se possibile, ancora peggiorata, con Gaetano che afferrava il volante come se fosse un cavallo imbizzarrito da domare e che fissava la strada con la stessa concentrazione di un neurochirurgo nella più delicata delle operazioni.
 
“Gaetano, per favore…” lo prega, quando non riceve ancora risposta, poggiandogli una mano sul braccio, rigido come un palo, fino a che lui lo sottrae al suo tocco.
 
“Camilla, sto guidando…”
 
“Gaetano, ti conosco da dieci anni ormai e so che sei perfettamente in grado di parlare e guidare allo stesso momento, a maggior ragione di guidare e ascoltare quello che ho da dirti,” ribatte Camilla, mentre alla paura e al dolore comincia a subentrare l’irritazione per questo muro che lui sembra avere eretto nei suoi confronti, impedendole ogni contatto, in tutti i sensi.
 
“E cosa dovresti dirmi, eh? Sentiamo… Cose tipo: non è come sembra, posso spiegarti?”
 
“Lo so che è uno dei peggiori cliché da romanzo rosa, ma è così: con Marco le cose non sono andate affatto come pensi tu, né poco fa, né due anni fa,” proclama decisa, cercando di fargli capire quando è sincera.
 
“Beh, due anni fa non c’ero, ma poco fa sì, Camilla, e vi ho visti avvinghiati in un quadretto degno dei peggiori cliché da romanzo rosa…”
 
“Non eravamo avvinghiati! Ci stavamo solo abbracciando e-“
 
“E quale sarebbe il motivo di questo abbraccio? Vi stavate facendo forza a vicenda e vi stavate consolando per superare il trauma delle scoperte del pomeriggio?” domanda sempre più sarcastico, continuando a guardare dritto davanti a sé.
 
“No, ci stavamo semplicemente chiarendo, Gaetano, e ci stavamo dicendo addio, in un certo senso,” cerca di spiegare, contenendo al massimo il tono di voce e l’irritazione.
 
“Mi sembra che vi foste già detti addio quando l’hai mollato in mezzo ad una strada per rimetterti con Renzo, ma forse mi sono perso qualcosa…”
 
“Appunto, stavamo cercando di riscrivere la parola fine su quel capitolo della nostra vita in un modo più civile e dignitoso per entrambi, di chiarire i motivi per cui era successo quello che era successo, visto che almeno lui mi ha permesso di spiegarglieli!” ribatte, non riuscendo più ad evitare di alzare la voce.
 
“Ne sono felice per voi, anche se mi chiedo quali motivazioni ci possano essere state che potrebbero mai averlo portato addirittura ad abbracciarti in quel modo… A meno che lui non speri che, visti i precedenti, tu cambi idea per l’ennesima volta e gli dia un’altra possibilità!” replica tagliente, accorgendosi subito dal silenzio gelato che riempie l’abitacolo di avere esagerato.
 
“Ferma la macchina,” sibila, bassa, fredda e dura, portandolo finalmente a girarsi verso di lei e vedere quell’espressione così furente e piena di dolore che gli fa sentire come se una lama affilata e rovente lo avesse trafitto e passato da parte a parte.
 
“Camilla…” mormora, cercando di prenderle la mano, ma questa volta è lei a scostarsi, schiacciandosi contro alla portiera come se la sola vicinanza con lui le facesse ribrezzo.
 
“Ferma questa macchina subito! Voglio scendere!” esclama in quello che è quasi un urlo, fulminandolo con lo sguardo.
 
“Camilla, ti prego: è tardi e mancano ancora parecchi chilometri a casa di tua madre e-“
 
“Appunto! E preferisco farmeli in taxi o a piedi: non ho alcuna intenzione di passare un minuto di più a sentirmi trattare come se fossi una… una mignotta della peggior specie e-“
 
“Non devi dirlo nemmeno per scherzo!!” la interrompe sconvolto, sentendosi travolgere dal senso di colpa e frenando infine la macchina, accostando al bordo della strada, “io questo non l’ho mai detto né pensato, MAI e non-“
 
“Ah no?” lo tronca lei bruscamente, non ammorbidendo minimamente il tono, “forse non l’hai detto ma l’hai sottinteso non solo negli ultimi minuti, ma con tutto il tuo comportamento degli ultimi due giorni, e questo mi fa male, Gaetano, da morire. Prima di tutto perché, se permetti, ma da che pulpito viene la predica! Io ho avuto tre uomini negli ultimi vent’anni, mentre tu cambiavi a volte tre donne in venti giorni e hai avuto più conquiste tu di tutti i miei conoscenti uomini messi insieme, ma non per questo mi sono mai sognata di trattarti come se fossi una specie di… di gigolo. E poi soprattutto perché credevo che tu mi conoscessi meglio di chiunque altro e che nessuno più di te potesse sapere che non sono di certo il tipo da gettarmi tra le braccia del primo che passa, da tradire o lasciare qualcuno a cuor leggero, visto che ho resistito al tuo corteggiamento per dieci anni e che prima di iniziare davvero una relazione con te ho voluto mettere in chiaro le cose con Renzo una volta per tutte!”
 
“Non intendevo certo questo, Camilla, non ho mai pensato che tu fossi una… una che si getta tra le braccia del primo che passa, maledizione, ma è proprio perché ti conosco che non ci capisco più niente! Che non capisco come la donna che è riuscita a soffocare i suoi desideri per un decennio pur di non tradire una promessa, sia la stessa donna che ha mollato su due piedi un uomo cinque minuti prima di andare a vivere con lui!”
 
“E allora io cosa dovrei dire, eh? Che non capisco come lo stesso uomo che mi ha corteggiata per dieci anni senza arrendersi mai sia lo stesso uomo che ha mollato la sua fidanzata all’altare senza una spiegazione o che si è sposato e ha fatto un figlio con una sconosciuta nel giro di tre mesi per poi pentirsene? Che non capisco come sia possibile che lo stesso uomo che ora è un padre meraviglioso e premuroso possa avere ignorato quel tesoro di suo figlio per quattro anni? E invece io lo capisco, perché ti conosco, perché ti ho ascoltato e ho compreso le tue motivazioni, Gaetano, e mi sono fidata di te, nonostante tutti i tuoi di precedenti, anche se forse a questo punto ho fatto male!”
 
“Non è la stessa cosa e lo sai anche tu!”
 
“Ah no? E perché? Perché io sono una donna e tu un uomo? O forse perché io ho mollato Marco soltanto davanti a Renzo e non davanti a decine di amici e parenti? O perché ho avuto il buon senso di usare le dovute precauzioni e di non rimanere incinta di Marco dopo poche settimane che ci conoscevamo?” domanda sarcastica e tagliente continuando ad alzare la voce.
 
“Innanzitutto perché io non ho mai amato né Roberta né Eva, Camilla, mentre tu Marco o lo amavi o credevi di amarlo, altrimenti non avresti accettato di vivere con lui e poi-”
 
“Esatto, credevo di amarlo, credevo, ma non lo amavo, altrimenti non sarebbe finita com’è finita tra noi e quindi-“
 
“E quindi è proprio come pensavo, come temevo, Camilla, e qui arriviamo alla seconda e direi fondamentale differenza. La differenza è che io ho mollato Roberta e non sono riuscito ad essere felice con Eva non solo per differenze caratteriali, ma anche e soprattutto perché c’è una sola donna che abbia mai amato nella mia vita, TU, Camilla, e non riuscivo a dimenticarti, non riuscivo a provare per loro quello che provavo e provo per te. Mentre tu hai lasciato Marco perché non riuscivi a dimenticare Renzo! Nonostante tutto quello che ti aveva fatto, è bastato un suo cenno e tu hai mollato tutto per tornare con lui. Capisci qual è la differenza?”
 
“Non… non penserai davvero che… che…” sussurra Camilla, spalancando gli occhi, avendo finalmente colto il cuore del problema anche se non riesce a crederci, non dopo tutto quello che hanno vissuto insieme in questi ultimi mesi.
 
“Sì, Camilla, lo penso… penso che la tua storia con Marco non sia stato altro che un tentativo di rivalsa verso Renzo, una ripicca, chiodo-scaccia-chiodo. Tanto è vero che hai scelto di traslocare con lui proprio quando Renzo doveva partire per New York con Carmen, lo stesso identico giorno! E quando Renzo è tornato ad implorarti, a chiederti scusa, Marco è stato come se non fosse mai esistito: via, finito, cancellato in due minuti! E com’è che è iniziata la storia tra noi due, eh? Quando è iniziata? Io ti ho corteggiata per anni, anche da quando ci siamo rivisti qui a Torino ci sono state mille occasioni in cui avresti potuto cedere e non l’hai fatto. E invece poi hai scoperto che Renzo era stato di nuovo con Carmen e solo a quel punto hai deciso di darmi una possibilità e forse è colpa mia, Camilla, è colpa mia che ti ho fatto pressione, che senza volerlo ho… approfittato di un tuo momento di confusione e di debolezza ma ti amavo e ti amo da morire, Camilla, e non ne potevo più di aspettare. Ma ho sempre pensato che quello che ti aveva fatto cambiare idea fosse stato tutto quello che ci siamo detti a casa di Madame e poi in ospedale e che il nuovo tradimento di Renzo ti avesse dato in un certo senso il ‘via libera’, l’autorizzazione a poter finalmente seguire il tuo cuore senza sensi di colpa. Mentre ora mi chiedo se… anche se in buona fede, inconsciamente, se questa non sia tutta un’altra ripicca, Camilla, un’altra vendetta verso Renzo. E ho paura, maledizione, ho paura! Ho paura che quando Renzo la pianterà di fare l’idiota e di farti la guerra, che quando verrà di nuovo ad implorarti di tornare con lui, che sia fra un giorno o fra un anno, magari se decideremo anche noi di andare a convivere stabilmente o se, che ne so, ci saranno da firmare le carte del divorzio, allora tu ti renderai di nuovo conto che non puoi farlo, Camilla, che non puoi vivere senza di lui. E se già ora non so se riuscirei a sopportarlo, più tempo passo con te, più ti amo e più… un tuo dietrofront mi ucciderebbe, letteralmente, Camilla.”
 
Camilla rimane ammutolita per qualche istante, ancora incredula, con un dolore sordo nel petto che non pare volersene andare.
 
“Io… io non posso credere che dopo tutto quello che abbiamo vissuto insieme… che tu possa avere anche solo il minimo dubbio… dio mio, Gaetano, c’eri anche tu con me in queste settimane! Hai provato anche tu quello che ho provato io, o no? Come puoi adesso anche solo pensare che...? Non ci posso credere!”  mormora, scuotendo il capo, amareggiata.
 
“Lo so, Camilla, lo so e infatti anche io fino a ieri non avevo il minimo dubbio… stava andando tutto così bene tra noi, era tutto così perfetto, nonostante tutti i casini che ci circondano, oltre le mie più rosee aspettative! Il periodo di convivenza con te e con i nostri figli, poi questa vacanza insieme, mi sentivo davvero come se fossimo già una famiglia, mi sentivo a casa e… non mi era mai successo niente del genere, con nessuna, Camilla. Non avevo mai sentito questa… appartenenza con nessuna e pensavo che anche per te fosse lo stesso, che, se in un certo senso stavamo bruciando le tappe, era la conferma che quello che ci unisce da sempre è un sentimento forte, unico ed irripetibile per tutte e due. E invece poi scopro che è la stessa identica cosa che è già successa con Marco, anzi, con lui addirittura parlavate già di matrimonio e avevate deciso di convivere stabilmente e… capisci che anche se so cosa ho vissuto io, cosa ho sentito io in queste settimane, mi viene il dubbio di cosa hai vissuto tu, se… se quello che abbiamo vissuto insieme ha avuto per te lo stesso significato che ha avuto per me o no.”
 
“Non è affatto la stessa cosa che è successa con Marco, Gaetano, per nulla! E, ti ripeto, come puoi non sentirlo nel tuo cuore, come puoi non sentire che è diverso?”
 
“Io non c’ero, non ti ho vista con Marco e-“
 
“Ma c’eri quando stavo con te! Non puoi non aver sentito cosa provavo ogni volta che facevamo l’amore, fin dalla prima volta a quando siamo stati in quel loft pochi giorni fa: momenti che non mi scorderò mai, mai, finché vivo! E non sto parlando di piacere, di sesso, di divertimento, ma di amore, di sentimenti, Gaetano, di sentimenti così forti da scuoterti, da sconvolgerti l’esistenza in meglio. E non puoi non aver sentito cosa provavo mentre… mentre stavamo con i nostri figli, mentre affrontavamo insieme Eva e Renzo e tutti i problemi che ci sono piovuti addosso in queste settimane e che pensavo ci stessero rendendo più forti, Gaetano. Non puoi davvero pensare che sia tutto frutto di una specie di autosuggestione o che sia un’attrice da oscar a tal punto!”
 
“Camilla…” sussurra lui, avvertendo la sincerità, l’amarezza, la delusione e il dolore nel tono di lei e sentendosi un perfetto idiota per aver dubitato di lei, del loro amore.
 
Ricaccia indietro a forza quel demone che gli rode il fegato e l’anima, il demone della paura, della paura di perderla, di perdere quel sogno inseguito per tanti anni e finalmente realizzato, di rimanere di nuovo solo, come era sempre, in fondo, stato per tutta la sua vita, quel demone che ruggisce ancora in un angolo della sua mente e del suo cuore, che ruggisce di non fidarsi, di non illudersi, non di nuovo. E si rende conto che forse per le sue stupide paure, per le sue stupide paranoie, ha rovinato davvero tutto e con le sue stesse mani.
 
“Se ne è accorto perfino Marco che ci ha visti insieme per due giorni, che ti amo da morire, come non ho mai amato nessun altro. Come fai a non accorgertene tu, dannazione?!”
 
“Se ne è accorto Marco?” domanda sorpreso e confuso, “avete parlato di me, di noi?”
 
“Sì, oggi, mentre tu e Marchese eravate in quella casa, mi ha guardata e mi ha detto che era convinto che se ci fossi stato tu al suo posto due anni fa io non sarei mai tornata con Renzo, che non ti avrei mai lasciato come ho fatto con lui. E non ci avevo mai pensato prima ma è così, e mi sono bastati pochi secondi per capirlo. Gaetano, se avessi trovato te a Roma e se le cose tra noi fossero andate anche solo bene la metà di come sono andate in questi ultimi mesi, Renzo avrebbe potuto pure mettersi in ginocchio, prostrarsi per terra e pregarmi per giorni ma non mi sarei mai sognata di tornare con lui, mai. Perché in queste settimane mi hai ricordato cosa vuol dire stare con qualcuno che amo veramente e che mi ama veramente, cosa vuol dire vivere davvero e non accontentarsi di sopravvivere lasciandosi trascinare dall’abitudine, dall’affetto, dal senso del dovere, dai ricordi di qualcosa che non tornerà mai più.”
 
“Camilla, io…” prova a inserirsi, per chiederle scusa ma lei ormai è come un fiume in piena.
 
“Gaetano, hai parlato tu fino ad adesso, ora fammi parlare, per favore, lascia finalmente che ti spieghi cosa è successo con Marco, anche se speravo che non ce ne fosse bisogno,” proclama, la voce ancora dura e tagliente, amara, “in questa specie di… di film assurdo che ti sei creato in testa c’è solo una cosa su cui hai ragione, in parte almeno: è vero, probabilmente, con il senno di poi, il rapporto con Marco è nato come una specie di tentativo di chiodo-scaccia-chiodo ma non nei confronti di Renzo, con cui era finita ormai da due anni, peraltro.”
 
“E nei confronti di chi, allora?” chiede lui, stupito, mentre di nuovo la gelosia si impossessa di lui e si maledice per questo, per questa sua debolezza.
 
“Di te, Gaetano, di te,” spiega lei con un sospiro, scuotendo il capo.
 
“Di me? Ma non ci vedevamo da anni e-“
 
“E mi lasci spiegare, per favore?” gli domanda ancora con un tono che lo zittisce immediatamente, “Gaetano, quando Renzo mi ha lasciata, mi sono sentita morire, ma, sempre col senno di poi, non per la perdita in sé, non solo almeno, né per l’umiliazione o il tradimento. Io e Renzo non andavamo d’accordo da anni e le cose non erano di certo idilliache tra di noi. Mi sono sentita morire perché avevo rinunciato a tutto per cercare di salvare questo matrimonio: al mio lavoro, alla mia città, a mia madre, alle mie amiche e soprattutto a te. Avevo troncato ogni contatto con te, avevo soffocato quello che sentivo, la mancanza che sentivo ogni giorno e ti garantisco che, specie i primi tempi, mi mancavi da morire! Tu non immagini quanto sia stato difficile per me impormi di non vederti più, di non sentirti più. Non immagini quante volte ho preso in mano il cellulare e poi ho ricacciato a forza l’impulso di chiamarti e… avevo avuto bisogno di mettere oltre mille chilometri tra noi, perché se no… non so se ce l’avrei fatta a resistere.”
 
“Camilla…” sussurra lui commosso, sentendosi sempre più uno schifo.
 
“Quando sono tornata a Roma, il primo pensiero è stato quello di cercarti, di dirti che ero libera e che potevo e volevo… che volevo stare con te, finalmente. Ma ho avuto paura, Gaetano: paura che mi avessi dimenticata, che non solo non mi amassi più ma che ce l’avessi, giustamente, con me, per come ero sparita e… e leggere l’odio sul tuo viso… non l’avrei sopportato, Gaetano. Mi sentivo fragile, la mia autostima era sotto la suola delle scarpe dopo quello che era successo con Renzo e non mi sentivo abbastanza forte per affrontarti, per affrontare il rischio di un rifiuto. E così ho aspettato e ho aspettato e più aspettavo e più mi mancava il coraggio, fino a quando è successa quella sparatoria e l’ho vista… l’ho vista come un segno del destino, che era arrivato il momento di rincontrarti, finalmente. Ma lì ho scoperto quello che temevo: che ti eri rifatto una vita, che eri felice senza di me, che io ero solo un ricordo per te. E anche se ti giuro che ero felice per te, dall’altro lato mi sono… mi sono sentita morire, mi sono sentita patetica: tu, Renzo, eravate andati avanti mentre io ero rimasta lì a compiangermi. E allora ho incontrato Marco, proprio lì fuori, proprio al momento giusto, o forse al momento sbagliato, e mi ha affascinata, mi piaceva e… e ho deciso di dare finalmente retta a mia madre, che erano mesi che mi tampinava perché mi trovassi un uomo. Ma credo che il sogno, l’idea, la fantasia di un futuro con te mi avessero sempre frenato. Io non volevo un uomo qualunque, io volevo te, Gaetano e… quando ho capito che questo non sarebbe mai stato possibile, mi sono detta: perché no?”
 
Si guardano per qualche istante, gli occhi lucidi, il dolore e il rimpianto riflesso negli sguardi di entrambi, anche se quello di lei rimane duro e determinato.
 
“Marco… credo che Marco mi abbia attratta perché rappresentava e rappresenta la parte più leggera, più folle e più spensierata di me: quella che vorrebbe girare il mondo, vivere una vita diversa ogni giorno, godersi ogni istante come se fosse l’ultimo, senza pensieri e senza legami. E dopo due anni di uova al tegamino, di stare chiusa in casa a fare la muffa peggio di un’ottantenne avevo bisogno di leggerezza, avevo bisogno di un po’ di follia nella mia vita, Gaetano. Ma io non sono così, io non sono solo quello: ho anche bisogno di certezze, di punti fermi, stabili, amo la mia famiglia, mia figlia e sono legata alle mie radici e alle persone che amo e alle responsabilità che ho nei loro confronti e non posso essere felice senza di loro, o a scapito di loro. Marco questo non lo capisce, non lo concepisce… lui è uno per cui ‘l’amore è eterno finché dura’, mentre io permetto a pochissimi di entrare nel mio cuore, ma se ci entrano, di solito è per sempre. Hai presente il famoso episodio della spiaggia, quello che tanto ti ha fatto ingelosire e preoccupare?”
 
“Come potrei dimenticarmelo…” mormora lui, senza poter evitare per l’ennesima volta la colata di acido nello stomaco.
 
“Sai cos’è successo dopo?”
 
“No, e forse preferisco non conoscere i dettagli,” risponde sinceramente lui, strappandole un mezzo sorriso esasperato.
 
“Beh, te li racconto lo stesso, anche se in realtà c’è ben poco da raccontare: è sparito, Gaetano. Non si è fatto sentire per giorni, se ne è andato a New York, senza dirmi niente e poi è tornato come nulla fosse successo e ci ha pure messo un po’ di tempo a capire perché fossi arrabbiata con lui o perché lo ritenessi inaffidabile!”
 
“Cosa??!!”  domanda lui, incredulo da quanto sta sentendo. Perché la sola idea che qualcuno dopo aver fatto l’amore con Camilla potesse desiderare qualcosa che non fosse stare con lei, in tutti i sensi, gli sembra assurda e inconcepibile.
 
“Sì, e alla fine mi ha confessato di averlo fatto per paura di innamorarsi di me e si è scusato ma… ma è stato il primo di tanti scricchiolii nel nostro rapporto che avrebbero dovuto farmi capire da subito che eravamo troppo diversi e che non era la persona adatta a me. Una volta ha organizzato un viaggio a Parigi per noi due e me l’ha comunicato solo la sera prima della partenza…”
 
“E come hai fatto con Livietta e con il lavoro?”
 
“Appunto! Ovviamente non potevo partire, Gaetano, e questo tu lo capisci, l’hai capito subito, ma lui no, lui non lo capiva e forse non lo capirà mai, anzi, l’ha pure detto a mia figlia, quasi facendoglielo pesare, come se fosse stata colpa sua che non eravamo potuti partire per la nostra fuga romantica. E infatti Livietta Marco non l’ha mai potuto sopportare, mentre con te… ti adora, e lo sai. Marco è intelligente, l’hai visto anche tu, anzi direi proprio che è brillante e ha un grande cuore, è una bravissima persona, ma è abituato a prendere la vita così come viene, giorno per giorno, carpe diem, anche perché ha i mezzi e un lavoro che gli consente di farlo. Io non sono così e probabilmente non lo sarei nemmeno se fossi la donna più ricca del mondo, per me non è la libertà assoluta che fa la felicità, non mi basta.”
 
“Ma perché accettare di andarci a convivere se… se avevi tutti questi dubbi?”
 
“Perché li mettevo a tacere, Gaetano, perché una parte di me aveva bisogno di credere che con Marco andasse tutto bene, che lo amassi e che… che stavo prendendo la decisione giusta. Mi sono lasciata trascinare dal suo entusiasmo e dall’entusiasmo di mia madre e forse… forse sì, da una voglia di rivalsa, dalla paura di rimanere di nuovo sola, dal bisogno di essere di nuovo felice in qualche modo dopo un periodo di buio assoluto e… e ho sbagliato, Gaetano, ho sbagliato e non è un periodo della mia vita di cui vado fiera, perché… non capivo cosa volevo e ho inanellato una serie di errori uno peggiore dell’altro, soffrendo io e facendo soffrire molte altre persone.”
 
“Come quando sei tornata con Renzo?” le chiede, cominciando a capire e sentendosi sempre più cretino per non averlo fatto prima.
 
“Esatto. Gaetano… quando Renzo è venuto da me e mi ha detto che non potevo stare con Marco, che non potevo passare il resto della vita con lui, ho sentito che aveva ragione. E sai perché? Perché quando stavo con Marco mi ritrovavo in continuazione a rimpiangere i bei tempi andati con Renzo, a rimpiangere quello che avevamo, l’affetto, la stabilità, la tenerezza, ignorando ovviamente tutto quello che non aveva funzionato e… com’era finita. Tanto che mi sono convinta che il motivo per cui non potevo essere felice con Marco era che amavo ancora Renzo, ma la verità era che non potevo essere felice con Marco perché… perché non amavo Marco e perché non era la persona adatta a me, né io a lui. Mi mancava qualcosa, la stabilità che avevo con Renzo e l’amore, quello vero, perché comunque Renzo l’ho amato e molto. Ma anche con lui mi mancava qualcosa, Gaetano, e se all’inizio, innamorata com’ero, non me ne accorgevo, negli anni, a lungo andare, è diventato sempre più evidente, soprattutto quando ti ho conosciuto. Perché Renzo è agli antipodi di Marco, lui ha sempre rappresentato la parte più stabile, più pantofolaia e più… tranquilla di me. La parte che vorrebbe vivere in famiglia e per la famiglia, che è prevedibile, stabile, rassicurante, e a volte forse un po’ noiosa… Ma io non sono nemmeno solo quello… Anche se poi, visto quello che è successo con Carmen… pure Renzo evidentemente non è solo casa e famiglia, anzi,” commenta con un mezzo sorriso amaro che non le si riflette negli occhi.
 
“Sai quante volte ho rimpianto quello che avevo con Renzo da quando stiamo insieme io e te, Gaetano? Quante volte mi sono detta: ‘eh, certo però che in questo con Renzo era mille volte meglio’?”
 
“No…” sussurra lui, sentendo una fitta al petto e non essendo affatto sicuro di voler conoscere questa risposta.
 
“Mai, Gaetano, mai! Certo, negli ultimi giorni ogni tanto mi sembrava quasi che tu ti fossi trasformato in Renzo, ma per il resto non ho mai passato un secondo delle ultime settimane a rimpiangere il nostro matrimonio, nemmeno i momenti migliori in assoluto. Perché con te sto davvero bene, Gaetano, o stavo davvero bene, fino a qualche giorno fa, innanzitutto perché tu sei esattamente come me: da un lato hai la disciplina e il senso di responsabilità, del dovere, l’amore per gli affetti più cari, che è così evidente nel tuo lavoro, nel tuo rapporto con tua sorella, con Tommy e dal modo in cui ti sei innamorato di me. E dall’altro hai un lato più… folle, in senso buono, più ribelle e più turbolento, che è probabilmente il lato che ti ha spinto ad iniziare la nostra collaborazione anni fa e che si è sempre espresso in modo eclatante nella tua vita… sentimentale con tutte le tue tante conquiste.”
 
Gaetano è ammutolito di fronte a questa confessione e a questa analisi di Camilla, così lucida e piena di autoconsapevolezza, un’autoconsapevolezza che a lui probabilmente manca. E, come sempre accade, anche se di solito avviene nelle indagini, le cose più oscure e complicate, le cose che lui non riesce a capire assumono una luce diversa e sembrano così dannatamente ed infinitamente semplici e… logiche quando le spiega lei, quando le vede con i suoi occhi. Ma, se di solito è orgoglioso e ammirato delle scoperte di Camilla, ora non può fare a meno di sentirsi inadeguato e pieno di sensi di colpa nei suoi confronti.
 
“E poi… Marco oggi mi ha detto anche un’altra cosa, che mi ha fatto riflettere. Mi ha detto che ogni volta che ero con lui e Renzo nella stessa stanza, davo sempre precedenza a Renzo, sempre. Mentre… e me ne sono resa conto solo oggi, anche quando ero sposata con Renzo, anche se mi ostinavo a rimanere con lui, soprattutto da quando ci siamo ritrovati a Torino, a chi ho praticamente sempre dato precedenza, Gaetano, a discapito di Renzo, della mia famiglia e quindi a volte forse perfino di Livietta?”
 
“A me,” ammette Gaetano, sentendo il cuore e il cervello scoppiargli e martellargli nel petto e nel cranio, “a me… con Tommy, con le indagini… con il caso di Serena… ogni volta che avevo dei problemi… anche anni fa con Nino, con Francesca… a me.”
 
“Già… a te… e sai perché? Perché ti amo, mi sono innamorata di te quasi fin da subito e poi quando sei tornato da Praga e ho cominciato a frequentarti tutti i giorni per via di Nino l’attrazione, l’innamoramento si è trasformato in amore, quello vero, anche se non potevo accettarlo, non ancora, non ero pronta a farlo. E mi dispiace averci impiegato tutto questo tempo, Gaetano, mi dispiace se la mia indecisione ti ha fatto soffrire e se… se ti ha reso così insicuro su noi due, sui miei sentimenti nei tuoi confronti, te l’ho anche detto la prima volta che abbiamo litigato, te lo ricordi?”
 
“Certo, come potrei dimenticarmelo,” annuisce lui, ricordando benissimo la discussione nel suo ufficio, quando aveva davvero temuto che lei volesse già lasciarlo, che si fosse già pentita di loro due.
 
“Ma… speravo che l’avessimo superata, che fossimo andati oltre, Gaetano, di essere riuscita a farti capire con le parole e con i fatti quello che provo per te, anche perché io non posso cambiare il passato, purtroppo non posso farlo. E invece ora mi accorgo che non è così, che siamo ancora esattamente al punto di partenza, e anche se tu mi ami e anche se io ti amo, la fiducia è alla base di un rapporto di coppia, tanto quanto l’amore. Senza la fiducia non si va da nessuna parte e tu… tu nel profondo non ti fidi di me, o meglio, non ti fidi di quello che provo per te e… anche su questo Marco aveva ragione e credimi che mi fa davvero male doverlo riconoscere,” ammette amara e malinconica, mentre Gaetano sente lo stomaco in gola, come in un vuoto d’aria.
 
“Camilla, io mi fido di te, ti credo, credo a tutto quello che mi hai detto, a quello che abbiamo vissuto insieme e ho capito, ho capito di aver sbagliato e di essermi comportato come un idiota, però-“
 
“Per quanto, Gaetano? Per quanto ti fiderai di me? Quanto tempo passerà prima che tornerai ad essere roso dai dubbi, dalla gelosia? Io posso cercare di spiegartelo ancora una, due, mille volte, posso tentare di dimostrartelo in ogni modo, ma quello che conta non è quello che provo realmente io, è quello che senti tu, quello che percepisci tu, le tue paure e a questo punto anche le mie paure. Perché anche io ho paura, anche io mi lego a te di più ogni giorno che passa, anche per me l’idea di perderti è sempre più insopportabile e andare avanti ancora per un mese, un anno, abituarmi sempre di più a tutto questo e poi un giorno, se Renzo dovesse tornare alla carica, come dici tu, o anche solo se io e Renzo dovessimo recuperare un rapporto più civile, o se un altro uomo dovesse avvicinarsi a me, per qualsiasi motivo, scoprire che siamo ancora sempre al punto di partenza, peggio che al punto di partenza, rivivere di nuovo quello che è successo in questi ultimi giorni, la tua freddezza, il tuo risentimento, non… non lo sopporterei, Gaetano. Quindi devi rifletterci molto bene, devi dirmi se davvero, davvero sei convinto che riuscirai ad avere fiducia in quello che provo per te, a credere in noi due, perché se no… se no forse… anche se la sola idea mi distrugge, forse è meglio se ci fermiamo finché siamo in tempo, prima di farci ancora di più del male a vicenda.”
 
Mentre pronuncia quelle parole che non pensava, fino a poche ore fa, che avrebbe mai voluto o potuto pronunciare, si sente come anestetizzata, con la bocca e la lingua impastate, e solo quando afferra la maniglia della portiera, si rende conto di stare tremando come una foglia.
 
Gaetano, dal canto suo, è completamente paralizzato, si sente letteralmente k.o., come se l’avesse appena tirato sotto un tir, ogni singolo muscolo, ogni singola fibra nervosa del suo corpo brucia e duole e protesta.
 
“Credo che abbiamo tutti e due molto su cui riflettere… Ho bisogno di stare da sola per un po’.”
 
La voce di Camilla, bassa e roca, lo raggiunge con qualche secondo di ritardo, giusto il tempo di vederla aprire la portiera e uscire quasi di corsa dall’abitacolo.
 
Altri due secondi, il tempo necessario perché il cervello e le gambe si rimettano in moto.
 
“Camilla, Camilla, aspetta, dove vai?!” urla, scendendo dall’auto senza nemmeno guardare e guadagnandosi una strombazzata di clacson da una monovolume che lo evita per un soffio.
 
Maledicendosi per la sua idiozia parte all’inseguimento ma lei, anche se su gambe tremanti ha già guadagnato terreno ed è riuscita a fermare uno dei tanti taxi che passano di lì. Del resto sono ormai vicino alla stazione.
 
Rimane lì come un ebete a fissare il veicolo bianco che si allontana nel traffico della sera, fino a diventare un puntolino minuscolo e quasi invisibile che svolta ad un incrocio.
 


 
Nota dell’autrice: Ed eccoci qui alla fine di questo capitolo che ha per tema la fiducia e se credete che già qui ci sia tensione tra i nostri due protagonisti, vi garantisco che è una passeggiata di salute rispetto a quello che li aspetta nel prossimo capitolo, di cui vi anticipo già il titolo “the breaking point” perché si arriverà davvero a un punto di rottura, più o meno definitivo, in diverse situazioni. E anche per quanto riguarda le indagini ci saranno nuove (e spero) sconvolgenti rivelazioni. Ci stiamo avvicinando alla fase finale del giallo e di questa rilassante vacanza romana e sono curiosa di sapere cosa ne pensate, se avete idee su chi abbia ucciso lo Scortichini e Marcio e… cosa ne pensate in generale ;). Grazie mille come sempre per la pazienza di avermi seguita fin qui, mi scuso ancora moltissimo per il ritardo e vi do appuntamento a tra pochi giorni con il prossimo capitolo.

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** The Breaking Point ***


Capitolo 38: “The breaking point”
 
 
 
“Camilla è qui?”
 
“Gaetano!” esclama Andreina, sorpresa dalla veemenza con cui l’uomo è entrato in casa, “sì, certo, Camilla è qui, credo si stia facendo un bagno e mi ha avvisato che lei ci avrebbe raggiunto dopo. Ma è successo qualcosa? Pensavo foste d’accordo.”
 
“Sì, cioè… mi chiedevo solo se fosse già arrivata,” abbozza Gaetano, capendo che Camilla evidentemente non voleva far sapere alla madre quello che era successo tra loro.
 
“Ma è successo qualcosa di grave? La vedo molto agitato… O siete ancora in lite?” chiede la donna con un sospiro, facendo strada verso il salotto e intuendo, dall’espressione dell’uomo di aver colto nel segno, “Gaetano, mi ascolti, non so cosa è successo con mia figlia, ma se è ancora arrabbiato con lei, le garantisco che mia figlia non solo la ama, ma la adora: non l’ho mai vista così con nessuno e dire che ha cinquant’anni suonati e non venti…”
 
“Lo so, Andreina, lo so e le garantisco che anche per me è lo stesso. Abbiamo solo bisogno di parlare e di chiarirci, tutto qui,” la rassicura Gaetano, sperando in cuor suo che sia vero, dato che non aveva mai visto Camilla così.
 
“Senta, io conosco bene mia figlia, se mi spiega qual è il problema, magari posso fare qualcosa per lei, per voi, e aiutarla, aiutarvi,” si offre Andreina, in fondo curiosa di scoprire i motivi di questo litigio, dato che quando erano arrivati in visita i due sembravano il ritratto della felicità, quasi da coma diabetico.
 
“La ringrazio ma… è qualcosa che devo discutere da solo con Camilla, lei mi capisce, vero?” risponde, in apprensione per dover rifiutare qualcosa a quella che spera di poter ancora considerare la sua futura suocera, ma sapendo che è l’unica cosa sensata da fare se non vuole peggiorare ancora le cose con Camilla.
 
“Siete proprio uguali voi due. È la stessa risposta che mi ha dato mia figlia ieri sera,” commenta Andreina con una mezza risata, per poi aggiungere, mettendogli una mano sul braccio, “vedrà che andrà tutto a posto: però mi raccomando, non mi deluda anche lei! Stavo appena cominciando a rivalutare il gusto di mia figlia in fatto di uomini, non mi faccia di nuovo cambiare idea.”
 
La stretta improvvisa sull’avambraccio, dalla forza straordinaria considerata l’età di Andreina, l’occhiata tagliente e il tono di avvertimento, oltre a ricordargli quelli di una certa professoressa e di una certa adolescente dagli occhi azzurri, gli fanno anche capire che quello dell’anziana non è solo un amichevole consiglio.
 
E si sorprende nel pensare che non cambierebbe una virgola nemmeno di Andreina, per nessun motivo, perché non può evitare di ammirare le donne di casa Baudino, con tutta la loro forza, la loro intelligenza e la loro “pericolosità” e perché è proprio questa la famiglia di cui vuole far parte. E non ha alcuna intenzione di perderla.
 
***************************************************************************************
 
Si sveglia con un dolce peso sul petto, ben diverso dal macigno che aveva avuto piantato sullo sterno fin dalla magnifica serata a casa del produttore di vini e che era ancora peggiorato dopo la discussione con Camilla e successiva fuga in taxi.
 
Apre gli occhi, abbassa il capo e la vede, distesa accanto a lui su un fianco, il capo appoggiato sul suo petto come se fosse un cuscino, abbracciata a lui e profondamente addormentata.
 
Il parallelismo con la notte e con la mattinata precedente non gli sfuggono affatto e trattiene a stento un moto di riso amaro, mentre la contempla, timoroso di svegliarla e di distruggere questo momento di pace e di serenità, di calore, di amore.
 
La sera prima Camilla aveva fatto un lunghissimo, interminabile bagno, a cui era seguita una cena con Amedeo ed Andreina in cui la tensione tra i componenti delle due coppie riempiva ogni singolo angolo della stanza, quasi come se fosse un fumo nero, fitto e soffocante. Livietta era fortunatamente uscita con Nino e i suoi amici, per godersi le ultime serate insieme prima del ritorno a Torino.
 
Dopo la cena Camilla sembrava aveva riscoperto un’improvvisa passione per i noir classici, insistendo per guardare insieme a sua madre Casablanca, il meglio di un palinsesto estivo pieno di repliche di repliche di repliche.
 
Lui, non volendo perdere nemmeno il minimo spiraglio per un chiarimento, si era unito a loro e quella storia di due amanti che devono dirsi nuovamente addio l’aveva lasciato, se possibile, ancora più depresso di quanto già fosse.
 
Finito il film, Camilla aveva proclamato di essere terribilmente stanca ed era andata direttamente a letto. A nulla erano valsi i suoi tentativi di parlarle, di chiarirsi con lei. Distesa a letto, la testa appoggiata su un gomito, l’aveva guardato con un’espressione determinata e vulnerabile insieme, un’espressione che non si sarebbe mai più scordato e l’aveva pregato di riflettere molto bene su quello che lei gli aveva detto, sui suoi sentimenti e sulle sue paure, prima di farle promesse che non avrebbe potuto mantenere. L’aveva implorato di non aprir bocca se non era sicuro e convinto al cento per cento di quello che stava per dire.
 
E lui era rimasto di nuovo come paralizzato, imbambolato, mentre le parole che voleva dirle, che aveva bisogno di dirle sembravano scontrarsi nella sua mente e sfuggirgli non appena le sfiorava. Lei lo aveva guardato malinconica per qualche istante, per poi girarsi verso il bordo del letto, dandogli le spalle.
 
Non ricordava con precisione quante volte, in quella lunghissima notte praticamente insonne, avesse allungato una mano per accarezzarle la schiena, ma il coraggio all’ultimo minuto gli era sempre mancato e si era limitato a fissare quella pelle candida che sembrava quasi brillare nel buio della stanza, maledicendosi per la sua idiozia e per tutto quello che doveva averle fatto passare la notte precedente. Perché trovarsi dall’altra parte non era affatto piacevole, per nulla, anche se pure per lui la notte prima non era stata per nulla semplice, anzi, era stata una vera tortura: sentirla muoversi nel letto, senza pace, e lottare contro la voglia straripante di voltarsi e di abbracciarla stretta a sé, fino a tranquillizzarla e a tranquillizzarsi.
 
Alla fine le due notti insonni avevano sortito il loro effetto e si era addormentato, sempre fissando quella pelle lattea, e ora si era di nuovo risvegliato abbracciato a lei, come se nulla fosse successo, come se, inconsciamente, non potessero proprio stare lontani. Ma consciamente era un altro discorso: come aveva detto Camilla a volte l’amore non basta, se manca la fiducia. E lui temeva di averla spezzata per sempre quella fiducia, in una specie di stupido circolo vizioso, di profezia autorealizzante, come le chiamavano in uno dei corsi di psicologia che aveva frequentato all’università. Se hai paura di perdere qualcosa la perderai, perché la paura ti farà comportare come un cretino. Questo era il succo della lezione e lui ci era cascato con tutte le scarpe.
 
Mentre è ancora immerso nei suoi pensieri, le palpebre di Camilla si dischiudono leggermente e lei lo guarda con occhi ancora gonfi, addormentati ma pieni d’amore e gli sorride come ogni mattina. Ma è questione di qualche secondo, immediatamente la sua espressione muta e diventa malinconica: evidentemente il cervello e la memoria di Camilla si riattivano molto più rapidamente dei suoi. Cerca di alzarsi ma lui la trattiene abbracciata a sé.
 
“Camilla, ti prego, perdonami io… io mi sono comportato da idiota ma ti amo e-”
 
“Shhh,” lo zittisce, posandogli un dito sulle labbra, non potendo trattenere un sospiro quando lui, incapace di resistere, le bacia il polpastrello, “Gaetano, non serve che ti scusi, perché non c’è nulla da perdonare, non è colpa di nessuno o forse è di tutti e due. E lo so che mi ami, ma qui l’amore non c’entra, non è quello il problema. Il problema è se puoi credere o meno che anche io provo lo stesso per te, se non di più e-“
 
“Io mi fido di te, Camilla, più di quanto mi fidi di qualsiasi altra persona al mondo e lo sai,” la interrompe, guardandola negli occhi per farle capire quanto è sincero.
 
“Gaetano, per favore, l’unica cosa che ti chiedo è di rifletterci sul serio, con calma, come questa risposta, come il nostro rapporto merita, di guardarti dentro nel profondo. Io sono qui, non vado da nessuna parte, vorrei solo capire se ne sei davvero consapevole e convinto anche tu, al cento per cento,” risponde accarezzandogli il viso in un modo dolce e triste al tempo stesso che gli spezza il cuore.
 
Sta per rispondere quando un bussare insistente sulla porta li interrompe.
 
“Camilla, Gaetano, siete svegli?”
 
“Mamma, che succede?” domanda Camilla stupita, dato che sua madre non si era mai nemmeno avvicinata alla loro stanza da letto in questi giorni.
 
“Scusate se vi disturbo, ma c’è una cosa che credo dobbiate vedere subito, vi aspetto in sala da pranzo con la colazione,” risponde dall’altro lato della porta ancora chiusa, un tono quasi solenne che non sfugge a nessuno dei due.
 
Si scambiano uno sguardo preoccupato prima di correre a vestirsi: il resto dovrà aspettare.
 
***************************************************************************************
 
“Cos’è successo, mamma?”
 
“Quella, è indirizzata a voi. È arrivata in una busta più grande, indirizzata a me, che è lì sul tavolo.”
 
Camilla guarda la busta gialla e spessa e poi la busta bianca, più piccola, con una scrittura tondeggiante ed ordinata che riconosce subito.
 
“È di Ilenia: quella è la sua grafia,” proclama, allungando una mano per afferrare la busta.
 
“Aspetta: è meglio mettere i guanti,” la blocca Gaetano, “signora Andreina, non ne avrebbe un paio? Quelli usa e getta per le pulizie di casa vanno benissimo.”
 
“Sì, sì, certo.”
 
E così, con mani guantate e tremanti Camilla apre la busta che, a differenza di quella gialla, non è sigillata e ne estrae un paio di fogli scritti fitti-fitti, fronte e retro.
 
 
Camilla, Gaetano,
 
è ironico che non sia praticamente mai riuscita a chiamarvi in questo modo di persona e invece mi venga così naturale farlo mentre scrivo queste righe. So che quando le leggerete saprete già della mia fuga e so che probabilmente vi ho deluso e che forse non crederete a una sola della parole di questa lettera, ma volevo e dovevo ringraziarvi e dirvi quanto mi dispiace.
 
Grazie per quello che avete fatto per me e per mio fratello otto anni fa: anche se alla fine è andata come è andata, mi avete fatto capire che cosa vuol dire lottare per quello in cui si crede e non arrendersi mai, mi avete mostrato che c’era un’altra strada, che potevo prendere in mano la mia vita, scegliere cosa volevo diventare e allontanarmi dal destino di sofferenze che mi attendeva accanto a mio padre.
 
Camilla, non hai idea di quanta forza mi hai trasmesso, di quanto l’affetto e… l’amore che mi hai dimostrato, a me che in fondo ero solo una tra i tuoi tanti studenti, abbia significato per me. Avrei tanto voluto avere una madre come te, credo che la mia vita sarebbe stata molto diversa, non fosse altro perché non avresti mai accettato di stare accanto ad uno come mio padre.
 
E qui arrivo a te, Gaetano, e a questi ultimi mesi. Ogni volta che venivo a fare da babysitter a Tommy, ammetto che mi sentivo in colpa a farmi pagare, perché onestamente credo che avrei dovuto pagare io voi per tutto quello che mi avete dato. Mi avete accolta come una di famiglia e per la prima volta da… da sempre mi avete fatto sentire a casa, tutti, non solo voi due, ma anche Tommy, Livietta e perfino la signora Andreina nei giorni in cui sono stata ospite a casa sua.
 
Forse per colpa di mio padre non ho mai avuto molta fiducia nel genere maschile e nell’amore in generale, nell’idea del matrimonio e dei figli: ho sempre pensato che fossero un’illusione, che ci si sposasse per paura di restare soli per poi trovarsi in una prigione a rimpiangere la propria indipendenza. Ma vedervi insieme, vedere quanto vi amate, vi rispettate e vi supportate a vicenda, il modo in cui amate Tommy e Livietta davvero come se fossero figli di entrambi e quanto avete lottato per stare insieme mi ha quasi fatto cambiare idea. Anche se ormai è troppo tardi per me, vista la vita che mi aspetta, ma del resto non ho mai immaginato una famiglia e dei figli nel mio futuro, quindi si vede che non era proprio destino.
 
So cosa vi starete chiedendo: “perché sei fuggita?”. La verità è che dopo quello che è successo a mio fratello non credo più nel sistema, non credo più nella giustizia. Lo so che tra le forze dell’ordine ci sono ottime persone, come te Gaetano, che danno l’anima per il loro lavoro, ma alla fine conta di più un bravo avvocato che la verità, soprattutto visto che a capo delle indagini ci sono un nevrotico e un bullo della peggior specie, che me l’ha giurata fin da subito per via di risentimenti personali verso Marchese. E io non ho i soldi per permettermi un bravo avvocato e non voglio passare il resto della mia vita in galera per qualcosa che non ho commesso.
 
Perché, anche se dubito che potrete credermi ancora, io non ho ucciso lo Scortichini, né ho contribuito in alcun modo alla sua morte. Quando è tornato libero ho provato dolore, delusione, sono diventata più cinica e dura, ma non credo di averlo mai odiato, anche perché non l’ho praticamente mai nemmeno visto in faccia, è sempre stato un perfetto estraneo per me. Chi invece ha ucciso davvero mio fratello è mio padre e il mio odio è sempre andato tutto a lui, ma nemmeno a lui farei mai del male, perché mi abbasserei al suo livello e mi sono sempre ripromessa che avrei fatto di tutto per non somigliargli in nulla.
 
Conoscendovi, immagino che probabilmente state o stavate indagando per tirarmi fuori dai guai e so che con la mia fuga rischiate di finirci voi nei guai e per questo volevo scusarmi con tutti voi. So che vi ho messo in una posizione non facile, anche con il lavoro di Gaetano e davvero mi dispiace. Spero che almeno sia servito a qualcosa allontanarmi in questi ultimi giorni… Credetemi quando vi dico che l’ultima cosa che volevo era coinvolgermi nei miei problemi.
 
Non so se proseguirete ad indagare su questo caso o meno, non voglio assolutamente che abbiate problemi per colpa mia, ma, in ogni caso, quello che posso dirvi è che non sono stata io e non so chi sia stato, ma c’è qualcuno che sa o dice di saperlo. Non ho fatto il suo nome alla polizia perché non avrebbero mai creduto che non c’entravo nulla, ma arrivati a questo punto… Si tratta di un punkabbestia amico di mio fratello: quello che fregò la telecamera a Sammy. Si fa chiamare Marcio, mi ha rintracciata qualche settimana fa, mi ha detto che aveva saputo tramite facebook che sarei tornata a Roma e che voleva parlarmi.
 
All’inizio la cosa mi ha inquietata un po’, ma sembrava gentile e ancora molto colpito dalla morte di mio fratello e… ero curiosa di sapere, di conoscere la vita di mio fratello negli ultimi tempi prima della sua morte, di poter condividere il mio dolore con qualcun altro. Ci siamo visti proprio sabato, il giorno in cui è morto lo Scortichini, mi ha dato un appuntamento al Pincio e abbiamo parlato per quasi due ore di mio fratello, della sua vita con i punkabbestia e del processo. Poi quando siamo entrati in confidenza mi ha chiesto di seguirlo in un posto, dicendomi che doveva mostrarmi qualcosa e che c’erano dei cani che avevano bisogno del mio aiuto. Io mi sono un po’ inquietata ma non volevo essere scortese e gli ho detto che avevo un impegno la sera ma lui ha insistito dicendo che mi avrebbe riaccompagnata in tempo e che non c’era nulla da temere, che mi potevo fidare di lui.
 
Lo so che forse sono stata stupida ma sono salita con lui su un furgoncino scassatissimo e mi ha portata in un posto in campagna. Non ricordo esattamente la strada ma era dopo Spinaceto. C’era un cascinale mezzo diroccato e c’erano due rottweiler che però non sembravano passarsela male, anche se erano un po’ intontiti. Lui mi ha spiegato che erano ex cani da combattimento e che lui e il proprietario del cascinale li stavano curando in memoria di Black. All’inizio ho trovato la cosa toccante e ho accettato di visitarli anche se si stava facendo tardi. Poi però ho detto a Marcio che era ora di andare e lui ha cominciato ad insistere che dovevo aspettare il proprietario del cascinale, che dovevo assolutamente incontrarlo.

Ho iniziato ad innervosirmi e a cercare di fargli capire che dovevo andarmene e lui mi ha fatto un discorso quasi delirante sul fatto che io e lui eravamo come fratelli e che quella era una sera speciale, che Black finalmente sarebbe stato vendicato e che dovevo aspettare per riuscire a capire. Mi ha portato in una stanza della casa, piena di ritagli di giornale sul caso Scortichini e di foto dello Scortichini e dei suoi cani e lì ho avuto davvero paura. Poi però, improvvisamente, ha ricevuto una telefonata, è uscito per rispondere e quando è tornato è radicalmente cambiato: mi ha detto che dovevamo andarcene di lì. Io non volevo salire in macchina con lui ma mi ci ha quasi costretta e per fortuna mi ha riportata a Spinaceto, dove finalmente mi ha lasciata scendere. Gli ho detto chiaro e tondo che non volevo che mi cercasse mai più, che abitavo con un vicequestore e che se mi avesse ancora importunata l’avrei denunciato e sono corsa in un bar lì vicino e poi ho preso un taxi e sono venuta alla tenuta di Allegra.
 
Vi starete sicuramente chiedendo perché non vi ho detto niente, ma all’inizio ero scossa, mi sentivo come se mio fratello fosse morto di nuovo, come se la sua memoria fosse stata di nuovo sporcata… E quando sono venuti a prendermi quelli della polizia e mi hanno spiegato quando era morto lo Scortichini ho capito che se avessi detto con chi ero non solo non avrei avuto un alibi, ma avrei rischiato di peggiorare ancora la mia situazione. Poi nella notte tra martedì e mercoledì ho ricevuto  una chiamata sul cellulare. Il numero era stato reso anonimo, ma era lui e mi ha detto che sapeva chi aveva ucciso lo Scortichini e come e che dovevamo incontrarci.
 
Sapevo che non poteva essere stato lui, non materialmente almeno, perché era con me, ma ero sicura che fosse stato un suo complice e allora ho deciso di andarci e di provare a registrare quello che mi avrebbe detto, per riuscire a scagionarmi. Ma all’appuntamento al Pincio non si è mai presentato e non so che fine abbia fatto, non ha mai più risposto alle mie chiamate.
 
Lo so che sembra una storia assurda ma è la pura verità e so che se c’è qualcuno che può credermi, che può credere in me ancora una volta, siete voi.
 
Lo ripeto, non vi chiedo di indagare ancora, fate di queste informazioni ciò che credete, ma avevo bisogno di farvelo sapere, di farvi sapere che non sono un’assassina.
 
In ogni caso vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per me, per avermi voluto bene e, per quel che vale, vi garantisco che la cosa è stata ed è reciproca. Perdonatemi, se potete.
 
Vostra,
 
Ilenia
 
 
Camilla finisce di leggere la lettera ad alta voce e lei e Gaetano si guardano per qualche istante, mentre cercano di elaborare quanto appena letto.
 
“Non dirmi che credi a quello che c’è scritto su questa lettera,” sospira Gaetano, riconoscendo perfettamente l’espressione sul viso di Camilla.
 
“Perché? Tu non ci credi?”
 
“Non credo a una sola parola, Camilla! È scritta molto bene, questo lo riconosco, evidentemente Ilenia oltre ad un Oscar potrebbe pure meritarsi un Pulitzer, ma è solo l’ennesimo tentativo di gettarci fumo negli occhi. Se perché lei spera che così cercheremo di scagionarla o comunque la copriremo se dovessimo scoprire qualcosa su dove si trova non lo so ma-“
 
“Ma mi sembra che questa lettera contenga delle spiegazioni, Gaetano, che peraltro coincidono in gran parte con i fatti che sappiamo e-“
 
“Appunto, Camilla, coincidono con i fatti che conosciamo, anzi con i fatti che Ilenia pensa che noi e la polizia conosciamo.”
 
“Che vuoi dire?”
 
“Voglio dire che in questa spiegazione, Camilla, c’è un’evidente contraddizione. Ilenia dice di essere stata al Pincio e poi al cascinale, cosa che sappiamo benissimo entrambi non può essere vera, dato che la polizia ha ritrovato un brandello della tasca dei suoi pantaloni sulla ringhiera dello Scortichini. Perché commettere un errore così grossolano, perché non tentare almeno di inventarsi un motivo per spiegare la sua presenza al casale dello Scortichini, mentre si è premurata di giustificare la sua conoscenza con Marcio? Perché Ilenia non sa che la polizia ha ritrovato quel frammento di tessuto, dato che De Matteis gliel’ha tenuto nascosto di proposito!”
 
“Ma allora perché raccontarci invece di Marcio? Guarda la data di affrancatura della busta, Gaetano. È di ieri, è stata consegnata stamattina, ma probabilmente è stata spedita già giovedì, il giorno della sua fuga, o ieri mattina al massimo. E noi a quel punto stavamo ancora cercando il punkabbestia, Gaetano, la polizia ne ignorava l’esistenza e non sapevamo nulla dei rapporti tra lui e Ilenia negli ultimi mesi e-“
 
“E se Ilenia voleva che la scagionassimo, doveva pure trovare un sospettato alternativo, no? Qualcuno su cui scaricare la colpa, sapendo benissimo che non avrebbe mai potuto replicare, né difendersi, dato che era già morto. Per questo ci ha scritto di Marcio, intervallando la sua confessione con tentativi di lusinga, di fare presa sull’affetto che sa che provi per lei, misti a riferimenti alle sue disgrazie per cercare di muoverci ulteriormente a compassione. L’ennesimo tentativo di manipolazione, Camilla, come fai a non accorgertene?”
 
“Se voleva scaricare le colpe su Marcio, perché parlarci del cascinale, sapendo che se ci fossimo arrivati avremmo trovato il suo cadavere? Non ha senso, lo capisci?” ribatte Camilla, decisa e determinata.
 
“Prima di tutto perché in ogni caso qui non c’è una mezza indicazione utile su come ritrovarlo quel cascinale, solo che si trova ‘dopo Spinaceto’ e sai quanti cascinali corrispondono a questa descrizione? E poi perché non voleva scaricare solo le colpe su Marcio, dato che, per crearsi un alibi che nessuno, ripeto, nessuno, avrebbe potuto smentire, si è inventata la storia dell’incontro al Pincio. No, da come scrive, Ilenia vuole chiaramente insinuare che la persona che materialmente ha drogato i cani dello Scortichini è il proprietario del cascinale, cioè il Vecchio che-“
 
“Che non si trova, Gaetano. E dov’è, me lo spieghi? Non pensi che questa sparizione sia quantomeno strana, che forse dovremmo capire chi è e dove si trova questo benedetto Vecchio?”
 
“Vuoi sapere dove si trova? Secondo me si trova sottoterra da qualche parte! Lo temevo già ieri quando sono stato in quel casale e ora, dopo aver letto questa lettera, ne sono ancora più convinto,” replica Gaetano, altrettanto deciso e determinato a farla ragionare e a farle vedere il suo punto di vista, prima che si illuda ulteriormente e si cacci nei guai.
 
“Ma come fai ad esserne sicuro? Non ne hai alcuna certezza!”
 
“Forse non ne avrò la certezza, ma è la cosa più probabile, Camilla, dopo tutto quello che è successo e che abbiamo già scoperto. E a questo punto mi spiego anche il modo in cui è stato ripulito il casale, come ad eliminare ogni minima traccia del proprietario!” esclama Gaetano mentre sente nuovamente lo stomaco ribaltarsi, perché l’astuzia di Ilenia, la freddezza di Ilenia va oltre ogni sua peggiore aspettativa.
 
“Che vuoi dire?”
 
“Voglio dire che Ilenia si è premurata affinché anche se, nonostante le sue indicazioni inconsistenti, fossimo arrivati al cascinale e avessimo scoperto il cadavere di Marcio, avremmo comunque continuato a cercare questo Vecchio. E a Ilenia fa comodo che noi pensiamo che sia vivo e che sia fuggito da qualche parte. Ma metti caso che tra un po’ di tempo qualcuno ritrovi da qualche parte il suo cadavere, non pensi che sia nell’interesse di Ilenia che non ci sia alcuna traccia di DNA in quel cascinale che possa identificarlo come il Vecchio?”
 
“E allora perché non nascondere anche il cadavere di Marcio? Perché lasciarlo lì? Non ha senso Gaetano, non regge!”
 
“Forse perché non voleva che sembrasse che fosse fuggita con lui e che erano complici? Magari pensava che non l’avremmo mai ritenuta capace di un gesto simile, di un omicidio a sangue freddo e che ci saremmo concentrati sul Vecchio oppure-“
 
“No, Gaetano, mi spiace ma non ne sono convinta,” lo interrompe Camilla, scuotendo il capo, con un’espressione che lui conosce benissimo e che gli fa capire che lei non cambierà idea, “e non ti sembra che la spiegazione più semplice per la sparizione del Vecchio e di qualsiasi traccia che lo riguardi sia che è il Vecchio stesso ad avere molto da nascondere? Che sia davvero lui l’esecutore di questo omicidio, magari addirittura la mente dietro al delitto dello Scortichini e che non vuole farsi ritrovare? La stanza… l’altare delirante dedicato a Black e allo Scortichini che Ilenia cita in questa lettera c’era sul serio in quel casale, giusto?”
 
“Sì, esatto… e ti garantisco che è una cosa che non mi scorderò mai più fin che vivo, Camilla… Non ho mai visto qualcosa del genere in anni di carriera, una simile ossessione patologica, non portata a quei livelli. E dire che di crimini per vendette covate per anni e anni ne ho risolti parecchi,” le conferma, mentre un brivido gli percorre ancora la spina dorsale. Con la tensione e con tutte le discussioni avute dopo essere usciti da quel cascinale non aveva nemmeno potuto parlarle di che cosa avevano scoperto.
 
“Capisco… ma, in ogni caso, l’esistenza di quella stanza dimostra che il Vecchio non poteva non sapere e che evidentemente era coinvolto nel progetto di omicidio dello Scortichini, per non dire che ne poteva essere il mandante.”
 
“Il Vecchio era un anziano solo e amante degli animali, affezionato a Marcio e che lo riteneva come un figlio, da quanto ne sappiamo. Il soggetto perfetto per essere plagiato, Camilla. E inoltre, sempre per quanto ne sappiamo, quella stanza potrebbe pure averla messa in piedi Ilenia dopo essersi liberata di Marcio e del Vecchio, per corroborare l’idea che il Vecchio sapesse e c’entrasse qualcosa con questa storia.”
 
“Gaetano, da come ne parli sembra che Ilenia sia il male assoluto. Dove li avrebbe trovati i ritagli di giornale e il materiale necessario per fare una cosa del genere?”
 
“Poteva averli lei o Marcio, anzi, è molto probabile che li avessero, considerato quanto erano ossessionati dalla morte di Black. E comunque, qualunque sia stato il ruolo del Vecchio in questa storia, non puoi ignorare il ruolo che deve avere avuto Ilenia, Camilla, non puoi-“
 
“Io non voglio ignorare il ruolo di Ilenia, ma non capisco perché tu voglia ignorare quello di questo Vecchio. Perché dai più fiducia ad un perfetto sconosciuto che non ad una ragazza che sia io che te conosciamo benissimo e a cui volevamo bene, a cui voglio bene. Invece io mi fido delle persone a cui tengo e per quanto possibile, cerco di concedere loro almeno il beneficio del dubbio,” ribatte tagliente e amara, in un chiaro riferimento al litigio della sera prima.
 
“Questo adesso non c’entra niente con noi due, Camilla, maledizione! E anche io mi fido delle persone a cui tengo, ma entro i limiti della ragionevolezza, Camilla, fino a prova contraria. Non posso di certo chiudere gli occhi e far finta di niente!” replica, ferito, non potendo evitare di alzare la voce e di iniziare a perdere la pazienza nei confronti della sua ostinazione.
 
“Ma qui non c’è una prova contraria! Non c’è una prova definitiva che ci dice che sia stata Ilenia a uccidere lo Scortichini e Marcio, non oltre ogni ragionevole dubbio!”
 
“Non ci sarà una prova definitiva, ma ci sono tonnellate di indizi a suo carico, a partire da quei pantaloni. E sai cos’è che mi fa male, Camilla? Che sei una donna intelligente, brillante, molto più di me, eppure ti ostini a negare l’evidenza!”
 
“Anche nel caso tuo e di Serena c’erano tonnellate di indizi a tuo carico, avevi pure il suo cadavere in macchina! Ma non ho dubitato mai di te, mai, nemmeno per un secondo, perché ti conosco e so che non avresti mai fatto nulla del genere, che non è nella tua natura. E conosco Ilenia, la conosco da quando era una ragazzina e l’ho rivista in questi mesi e sono sicura che non sarebbe mai capace di uccidere due o addirittura tre persone, non è nella sua natura, non è lei.”
 
“Non puoi paragonare il mio caso a quello di Ilenia, Camilla! Prima di tutto perché se permetti credo che noi due ci conosciamo molto ma molto meglio di quanto tu o io possiamo conoscere Ilenia, che oltretutto avrai anche conosciuto da ragazzina, ma non hai più visto per otto anni. E in otto anni di acqua ne passa sotto i ponti e può succedere di tutto!”
 
“Anche noi due non ci eravamo visti per cinque anni, Gaetano, ma le persone non cambiano in questo modo, non fino a questo punto. E non ho mai pensato che negli anni in cui non ci eravamo visti potessi essere diventato un assassino, per lo più idiota a farti trovare con un cadavere in auto. Non mi è mai passato nemmeno nell’anticamera del cervello!”
 
“Ma Ilenia ha avuto una vita complicatissima, Camilla e quando se ne è andata da Roma aveva appena subito una perdita terribile, traumatica, dopo una vita di soprusi e violenze. C’è gente che impazzisce per molto meno e tu non puoi sapere quali sono stati gli effetti della morte di suo fratello sulla sua psiche. Mentre, se permetti, il matrimonio con Eva, per quanto non sia stato di certo benefico per la mia salute fisica e mentale, non è certo paragonabile a quello che ha passato Ilenia,” le fa notare, strappandole nonostante tutto un mezzo sorriso, “e poi Ilenia ci ha mentito pure in questa lettera, negando di essere stata dallo Scortichini! A fare cosa, me lo spieghi? E se invece proprio vuoi credere alla storiella che ci ha propinato, come c’è finito un pezzo del tessuto della tasca dei suoi pantaloni su quella recinzione, eh? Me lo sai spiegare?”
 
Camilla esita per un attimo, poi fa quell’espressione che lui riconosce benissimo, quella di quando viene colta da un’illuminazione.
 
“Forse nello stesso identico modo in cui il cadavere di Serena è finito nella tua auto…” mormora quasi tra sé e sé, mentre lui può quasi vedere gli ingranaggi del suo cervello che si attivano e girano a ritmo esponenziale.
 
“Vuoi dirmi che qualcuno voleva incastrala? Camilla, ma non è probabile, te ne rendi conto? Io sono un vicequestore e dio solo sa quanti nemici mi sono fatto nella mia carriera, ma Ilenia, perché qualcuno dovrebbe cercare di incastrarla? L’unico che poteva forse avere interesse a farlo era Marcio, per distogliere i sospetti da sé, ma, prima di tutto, ha fatto la fine che ha fatto, e poi, se il piano avesse funzionato, nessuno avrebbe nemmeno mai indagato sulla morte dello Scortichini…. Capisci che non ha senso?”
 
“Beh, c’è qualcun altro in questa storia, Gaetano, anche se tu continui a dimenticarlo,” ribatte Camilla con un sospiro e un sopracciglio alzato.
 
“Il Vecchio? Ma che interesse poteva mai avere quest’uomo che peraltro è rimasto invischiato in questa storia perché voleva bene a Marcio come a un figlio, a incastrare Ilenia?” le fa notare con un’espressione scettica che rispecchia la sua.
 
“Tu continui a dire che gli voleva bene come a un figlio, ma questo è quello che dice Ginger, che il Vecchio, da quanto ho capito, lo conosceva in fondo ben poco. Ma se noi prendiamo in considerazione anche per un solo secondo l’ipotesi che sia stato il Vecchio e non Ilenia a uccidere lo Scortichini e poi Marcio, capisci anche tu che l’amore paterno va a farsi benedire, a meno che non stiamo parlando di un amore paterno degno di quello del padre di Ilenia, se non peggio. Noi di quest’uomo non sappiamo niente, niente, potrebbe essere un sant’uomo come potrebbe essere un delinquente della peggior specie!”
 
“Ma non ti arrendi proprio mai tu…” sospira Gaetano, rendendosi conto che non farà cambiare idea a Camilla nemmeno se dovessero discuterne per giorni, ma del resto lei è sempre stata così e si è innamorato di lei anche per questo, “d’accordo, allora, prendiamo per ipotesi che io mi fidi anche questa volta del tuo intuito e del tuo istinto, cosa proponi di fare?”
 
“Di scoprire chi è questo Vecchio innanzitutto. Avrà un nome, un cognome, una famiglia magari…”
 
“Ok, e una volta che lo scopriamo cosa risolviamo? Come lo ritroviamo, ammesso che sia scappato? In quella casa non c’era niente Camilla, nessuna traccia, nessun indizio, a meno che gli agenti della scientifica trovino qualcosa. Ma anche in quel caso sarebbero probabilmente tracce organiche, che potrebbero aiutarci ad identificarlo se lo dovessimo ritrovare, vivo o morto. Ma, ripeto, come pensi di ritrovarlo?”
 
“Non lo so… Ma conosciamo qualcuno che lo conosceva, per quanto superficialmente. Dobbiamo tornare a parlare con i punkabbestia, Gaetano, e cercare di scoprire di più di quest’uomo. Che ne so… una descrizione, quando l’hanno visto per l’ultima volta, le sue abitudini… qualsiasi cosa. Non ti chiedo di mettere la mano sul fuoco per Ilenia, Gaetano, solo di provare almeno a fare luce su questo ultimo punto oscuro, prima di condannarla anche noi senza appello, solo questo.”
 
“E pensi che i punkabbestia ci accoglieranno a braccia aperte? Vuoi essere tu a dire a Ginger che Marcio è morto? Con la morte di Marcio, temo che Ginger potrebbe essere ben poco cooperativa con noi, Camilla, e non voglio che tu ti vada a cacciare in una situazione così pericolosa e volatile. Piuttosto preferirei andare personalmente ad autodenunciarci da De Matteis,” la avverte con un tono serio, grave e deciso e Camilla capisce perfettamente che non sta scherzando.
 
“Forse… potremmo sentire Marchese, magari hanno già avvertito loro l’ambiente dei punkabbestia e così sentiamo se ci sono novità…” propone Camilla, cauta, “e poi valutiamo insieme il da farsi, ti prometto che non farò colpi di testa, ok?”
 
“Ok, va bene, vado a chiamare Marchese” sospira Gaetano, temendo di pentirsene ma sapendo che non c’è alternativa, “Camilla, però, mettiamo subito in chiaro una cosa. Ogni minuto in più che ci immischiamo in questa indagine è un rischio per tutti noi e per la nostra famiglia, non solo per via di De Matteis o di Mancini, ma soprattutto dato che abbiamo a che fare con un assassino intelligente, spietato e senza scrupoli, sia che si tratti di Ilenia, come temo io, sia che si tratti di qualcun altro. Quindi se la ricerca su questo Vecchio dovesse portare a un nulla di fatto o se non ci dovessero essere indizi concreti che ci portino a pensare che sia lui l’assassino, non ho alcuna intenzione di proseguire in una specie di gioco dell’oca a vuoto che non aiuta nessuno. E spero che anche tu saprai quando è arrivato il momento di fermarsi, Camilla, ne abbiamo già discusso tante volte e… lo sai cosa intendo, no?”
 
Camilla annuisce, ricordando benissimo la domanda di Gaetano “ti fermeresti se te lo chiedessi?” e sapendo perfettamente cosa c’è in gioco, a maggior ragione vista la situazione tutt’altro che serena degli ultimi giorni e la risposta che anche lei attende di avere da lui e da cui dipende tutto il loro futuro. Anche se la rassicura un po’ il fatto che lui abbia di nuovo usato quelle due parole “nostra famiglia”, senza nemmeno doverci pensare. Ma la fiducia, la fiducia è un’altra cosa e non sempre va di pari passo con l’amore.
 
Come Gaetano esce dalla stanza, Camilla sente un colpo di tosse e nota sua madre, in piedi in un angolo della stanza: nella foga della discussione si era completamente scordata della sua presenza.
 
“Ma discutete sempre così? Sembrava quasi una partita di tennis tra professionisti… potremmo vendere i biglietti: la gente pagherebbe per vedervi,” commenta Andreina con un sopracciglio alzato, avviandosi finalmente a preparare il caffè.
 
“Mamma… io e Gaetano non discutiamo sempre però… non sono stati dei giorni facili per noi due e poi… e poi lui si preoccupa per me, ha paura che mi succeda qualcosa e-“
 
“E fa bene!” la interrompe Andreina con un mezzo sorriso, “Camilla, non serve che lo difendi, il mio non era un attacco nei confronti di Gaetano, anzi.”
 
“Quindi secondo te è colpa mia?” domanda Camilla con un sospiro, in fondo non sorpresa che sua madre parteggi per qualcuno che non sia lei.
 
“Non è una questione di colpe, di chi ha torto o ragione, Camilla, ma tu… tu quando ti metti in testa una cosa sei testarda come un mulo e spesso in passato ti sei andata a cacciare in situazioni pericolose, credi che non lo sappia? E sono felice di constatare che finalmente hai trovato un uomo che ti ama e che, proprio per questo, sa tenerti testa quando serve,” spiega l’anziana, scuotendo il capo mentre mette la caffettiera sul fuoco.
 
“Cioè, a te fa piacere se io e Gaetano discutiamo?” chiede di nuovo Camilla, sperando di non avere capito bene.
 
“Non mi fa piacere se litigate come immagino sia successo negli ultimi giorni, anche se nessuno di voi vuole dirmi il perché,” ribatte l’anziana con un sospiro, “ma il fatto che discutiate come stamattina credo sia positivo, Camilla. Renzo non ha mai saputo o voluto tenerti testa: per paura di turbare la vita familiare, lo status quo, preferiva incassare. Certo, ogni tanto faceva le sue sfuriate di due minuti, i suoi ultimatum, ma non ci credeva neanche lui e continuava comunque ad incassare. Tu hai un’idea di quante volte ho pensato ‘povero Renzo!’ i primi tempi in cui ti era venuto questo pallino delle indagini? A volte mi sembrava un cagnolino fedele e ubbidiente che ti aspettava a casa e che si accontentava dei contentini che gli davi, mentre tu andavi in giro a vivere le tue avventure.”
 
“Mamma…” sussurra Camilla meravigliata e sbigottita, considerato il disamore di sua madre per Renzo e la loro proclamata ostilità.
 
“Poi, certo, ho cambiato idea quando è iniziata la sua pausa di riflessione e poi con Carmen, ma è proprio questo il problema, Camilla. Avevi ragione l’altra sera quando mi hai detto che i problemi non si risolvono magicamente da soli, Camilla, e Renzo non ha mai avuto il coraggio di affrontarli, di affrontarti, ha preferito incassare e accumulare, accumulare e poi è esploso con la pausa di riflessione, con Carmen. Insomma è andato all’estremo opposto, comportandosi per l’ennesima volta da vigliacco, Camilla, ed è questo che non gli perdono. Mentre Gaetano, anche se presumo siate ancora in lite e ti garantisco che ieri sera quando è arrivato qui l’ho visto molto preoccupato, perfino con me presente, se pensa che stai sbagliando te lo dice subito in faccia, magari anche animatamente, ma senza mai mancarti di rispetto. Preferisce correre il rischio di perderti o di inimicarsi per sempre me, piuttosto che permettere che ti succeda qualcosa, Camilla. E questo è sano, soprattutto dato che in un rapporto non possono sempre essere tutte rose e fiori, e mi rassicura molto su voi due.”
 
Beata te che sei sicura – pensa Camilla, che dopo gli ultimi disastrosi giorni non si sente per nulla tranquilla o rassicurata sullo stato del suo rapporto con Gaetano.
 
“Però Camilla, dai retta a tua madre, anche se Gaetano ti ama, cerca di non tirare troppo la corda, ok? Che se si spezza non si riannoda più,” le raccomanda l’anziana, sembrando leggerle nel pensiero, “e per una volta che ho trovato un genero che mi sta simpatico, che sta molto simpatico a Livietta e che conosce pure il linguaggio dei fiori e non è spilorcio, mi spiacerebbe perderlo.”
 
***************************************************************************************
 
È come se il suo cervello fosse scisso in due: una parte che continua a ricordargli che è patetico, per non dire patologico quello che sta facendo. La seconda che gli dice che ha bisogno di sapere e per sapere deve vedere con i suoi occhi e scoprire la verità in fondo è il suo mestiere. E la seconda voce soffoca e zittisce ogni protesta della prima.
 
La sera prima non ha nemmeno dovuto fingere più di tanto un malessere fisico, perché il solo averla vicina gli provocava un dolore fin nel profondo delle ossa, misto ad un senso di nausea, anche se non saprebbe dire se verso di lei o verso se stesso.
 
Lei era stata premurosa, comprensiva, quasi materna, e lui aveva finto di addormentarsi quasi subito, perché non lo sopportava, non sopportava tutte queste attenzioni, tutto questo affetto che gli faceva male più di una pugnalata.
 
E stamattina aveva ancora finto di stare male, ma, quando lei aveva ricevuto la chiamata di “sua madre”, aveva insistito affinché uscisse, dicendole che preferiva riposarsi e dormire ancora un po’ e che almeno così non avrebbe rischiato di attaccarle il malanno.
 
Poi era corso in bagno, aveva infilato i primi indumenti che gli capitavano a tiro ed era partito all’inseguimento. Anche se in fondo non era necessario affrettarsi, dato che poche ore prima, mentre lei dormiva, le aveva installato un programma sul telefonino che gli consentiva di sapere sempre dove si trovasse, un software degno di un marito stalker o del peggiore investigatore privato. Un rigurgito di coscienza l’aveva bloccato per mezzora con quel cellulare in mano nella più totale indecisione, ma alla fine la sua coscienza, come sempre quando si trattava di lei, era andata a farsi benedire.
 
E ora è qui fuori in macchina che attende, mentre lei è seduta al bar, tranquilla, come se niente fosse, intenta a bersi un aperitivo.
 
Finalmente lo vede arrivare, l’uomo che ormai popola i suoi incubi peggiori: divisa d’ordinanza, sorriso fin troppo ampio e atteggiamento un po’ imbranato, ma che a quanto pare fa ancora presa sulle donne, su una in particolare. Lei si alza in piedi e gli sorride con una dolcezza che gli da il voltastomaco, pare indecisa per un secondo e poi lo saluta con due baci sulle guance che sembrano quasi timidi, mentre lui appare sorpreso.
 
Niente effusioni in pubblico, evidentemente, prudenti, ma non abbastanza – pensa, stringendo i pugni a tal punto da farsi male.
 
Stanno lì a parlare tranquillamente, nulla di compromettente, come due vecchi amici che fanno conversazione e lui comincia a sentirsi impaziente, impaziente di sapere quando si alzeranno di lì per andare dove devono andare a fare quello che immagina e che non vorrebbe immaginare. Li seguirà e li coglierà in flagrante, questo è il suo piano.
 
E poi, improvvisamente, al tavolo si avvicinano altre due persone, un uomo e una donna. Sbigottito, si sporge sul sedile oltre il volante per controllare meglio e li riconosce: Berardi e la sua compagna, quella ficcanaso della professoressa. Si siedono al tavolo e ordinano qualcosa al cameriere, come se fosse la cosa più naturale del mondo e poi tutti e quattro cominciano a chiacchierare fitto-fitto.
 
Non ci capisce più niente, sente la testa che gli scoppia, ma sa che deve ascoltare questa conversazione, fosse l’ultima cosa che fa.
 
***************************************************************************************
 
“E cosa intende fare con questa lettera?”
 
“Consegnarla a De Matteis, ovviamente, Marchese, anzi, conto di andare in questura non appena abbiano finito qui.”
 
“Gaetano… ma ti sembra davvero una buona idea consegnare quella lettera a De Matteis? Tra i riferimenti a possibili indagini da parte nostra e… il modo in cui vengono definiti lui e Mancini non so se-“
 
“Camilla, per quanto ne sappiamo Ilenia potrebbe avere scritto quelle cose appositamente perché noi non consegnassimo la lettera a chi di dovere e non intendo fare nulla per nascondere delle prove e intralciare le indagini. Anzi, consegnando quella lettera spero di dimostrare una volta per tutte a De Matteis la nostra buona fede.”
 
“E invece voi non avete scoperto nulla di nuovo?” domanda Camilla a Marchese per cambiare argomento, percependo che Gaetano è irremovibile, anche se non è convinta che sia davvero una buona idea.
 
“No, prof., nulla di più di quello che abbiamo già scoperto ieri durante il nostro sopralluogo. La scientifica sta ancora effettuando i rilievi, la casa è grande e stanno setacciando tutto palmo a palmo, ma per ora hanno trovato solo delle impronte digitali. Alcune appartenenti a Marcio, qualcuna ad Ilenia – le abbiamo confrontate con quelle trovate sugli oggetti personali che aveva lasciato in hotel - e altre ad una persona sconosciuta e non schedata.”
 
“Probabilmente il Vecchio,” sospira Camilla, sentendo che non sarà facile sapere qualcosa di più su quest’uomo, “niente DNA? Qualche indizio su chi sia o dove sia finito il proprietario? La casa a chi era registrata?”
 
“Niente DNA per ora, niente capelli, uno dei bagni era sporco ma probabilmente inutilizzato da mesi se non anni, l’altro era stato ripulito accuratamente con la candeggina. Nulla di riconducibile al proprietario dello stabile: documenti, foto, niente. La casa appartiene ad un certo Cesare Giuliani, anni 84, nessun parente in vita, nessun precedente penale. Un uomo che conduceva una vita praticamente invisibile da anni ormai e che sembra sparito nel nulla.”
 
“Ma Ginger non aveva detto che il Vecchio aveva sui sessant’anni?” domanda Camilla, stupita.
 
“Sì, ma… a volte questi uomini di campagna rimangono forti e vigorosi e sembrano più giovani di quello che sono,” prova ad ipotizzare Gaetano, avendo conosciuto parecchi ottuagenari che davano piste ai ragazzi più giovani.
 
“Sarà… possibili legami con Marcio o con lo Scortichini o con la famiglia di Ilenia?”
 
“Stiamo verificando, prof., ma per ora nulla di apparente. Di sicuro non è imparentato con nessuno di loro, di più non si sa,” spiega Marchese con un sospiro.
 
“Avete una sua foto, per caso?”
 
“Ci stiamo informando presso il comune di Spinaceto, dottore, che gli ha emesso l’ultima carta di identità, ormai vent’anni fa, dato che non si trovano i documenti in casa. Se troviamo qualcosa ve ne posso procurare una copia.”
 
“Vent’anni fa? E come faceva con la banca o con la posta o con la pensione?” domanda Gaetano, sbigottito.
 
“Non faceva. Niente conti correnti bancari o postali e niente pensione: non ha mai versato i contributi. Ve l’ho detto: conduceva una vita invisibile…”
 
“Ma non pagava… che ne so… le bollette?”
 
“No, dottore. La casa è riscaldata a legna e ha un generatore autonomo per le poche lampadine. Niente bollette.”
 
“Ma… cartelle mediche? Impronte dentistiche? Magari che ne so… per la dentiera… qualcosa che possa aiutare ad identificarlo?” chiede Camilla, sentendosi proiettata in un film ottocentesco: sembrava quasi incredibile che nel mondo dei social media, di una specie di Grande Fratello collettivo, qualcuno potesse vivere a tal punto fuori dal sistema da diventare invisibile.
 
“Ci stiamo informando, ma l’ultimo medico di base con cui era registrato è ormai in pensione da cinque anni e apparentemente non si è mai fatto vedere da quello nuovo. Niente dentista.”
 
“Doveva avere una salute di ferro… altro che dimostrare meno anni…” commenta Sammy con un sopracciglio alzato.
 
“Non lo so, comunque non appena scopro qualcosa di nuovo vi avverto,” li rassicura Marchese con un sospiro, mandando giù gli ultimi sorsi ormai tiepidi del suo aperitivo analcolico.
 
“E i punkabbestia? Li avete già avvertiti della morte di Marcio, per caso?” domanda Camilla, trattenendo il fiato in attesa di quella risposta.
 
“No, ma mi sono offerto di farlo io da solo, dicendo che i punkabbestia avrebbero parlato solo con me. La verità è che non so come rintracciare gli amici di Marcio, prof., mi dovete aiutare voi e ho cercato di prendere tempo con De Matteis.”
 
“Capisco, ma la voce non è ancora girata nell’ambiente?”
 
“Non credo, per ora nessuno sa del ritrovamento di Marcio, la notizia non dovrebbe essere trapelata sulla stampa, del resto pure la notizia della fuga e della ricerca di Ilenia è uscita sui tg solo ieri sera e stamattina sui giornali. Ormai è formalmente accusata dell’omicidio dello Scortichini ed è ufficialmente ricercata. Sa cosa significa questo, no?” domanda Marchese con tono solenne e grave.
 
“Già… vuol dire che… vuol dire che ormai la sua vita è rovinata: perderà il lavoro sicuramente e… dio mio… avete già avvertito la sua famiglia, vero? Spero non l’abbiano saputo dai giornali…”
 
“No, prof., non l’hanno saputo dai giornali… ci siamo messi in contatto con i suoi familiari a Torino tramite Torre e a quanto ne so la madre di Ilenia ha avuto un tracollo nervoso e l’hanno dovuta ricoverare in ospedale,” rivela con un’aria, se possibile, ancora più triste e malinconica.
 
“Cosa??? Gaetano, Torre non ti ha detto niente?” domanda stupita e addolorata, anche se in fondo era prevedibile che la madre di Ilenia non reggesse il colpo.
 
“No, Torre non si è fatto sentire, Camilla, ma, siccome gli ho parlato davanti a… come si chiama… Grassetti? Insomma, gli ho dovuto dare chiare istruzioni di riferire direttamente a De Matteis su questo caso. Gli ho solo raccomandato di usare la massima cautela, dato lo stato psichico fragile della madre di Ilenia, ma vedo che non è servito a molto… Contavo di richiamarlo in privato e spiegargli meglio cosa stava succedendo, ma poi con tutto quello che è successo tra ieri sera e stamattina, sinceramente mi è passato completamente di mente. Appena abbiamo finito qui lo chiamo.”
 
“Già… sono successe troppe cose…” sospira Camilla, sentendosi fisicamente esausta dopo due notti quasi insonni e dopo tutte le brutte notizie degli ultimi due giorni.
 
“Allora, come facciamo con i punkabbestia? Mi ci portate voi?” chiede Marchese, rompendo il silenzio carico di tensione e di riflessione.
 
“Potrei portartici io… già ieri la situazione era molto tesa e quando sapranno quello che è successo a Marcio… potrebbe essere pericoloso,” risponde Gaetano, alternando lo sguardo tra il ragazzo e Camilla.
 
“Perché se ci andate solo voi due, uno in divisa, l’altro che comunque sanno che è un poliziotto, si sentiranno molto più bendisposti a parlare, no?” ribatte Camilla con un sopracciglio alzato.
 
“E che cosa proponi di fare allora? Vuoi andare tu a parlarci con Marchese da soli? Camilla, ti ho già detto che piuttosto che permetterti di infilarti in una situazione così pericolosa preferirei-“
 
“No, potremmo andarci tutti insieme. Ieri abbiamo parlato con loro e siamo ancora vivi, no?”
 
“Sì, ma pensavano che Marcio fosse scappato e Ginger voleva ritrovarlo. Quando sapranno che è morto… ti ricordi cos’è successo dopo la morte di Black? Potrebbero perdere il controllo e non voglio che ti trovi proprio lì quando succederà.”
 
“Forse Ginger potrebbe perdere il controllo, è vero, ma dobbiamo fare in modo che non ci sia solo lei. Sisma mi sembra il più ragionevole, dobbiamo puntare su di lui, Gaetano, e farci aiutare per dare la notizia anche a Ginger. E poi di ragazze come Ginger ne ho incontrate tante: fa la dura e la strafottente per mascherare che in fondo è fragile e insicura. Hai visto come ha reagito ieri quando ho insinuato che tra Ilenia e Marcio potesse esserci una relazione, no?”
 
“Lei pensa che Ilenia e Marcio…” interviene Marchese con un tono sorpreso e che non sembra per nulla contento.
 
“No, non credo avessero una relazione, Marchese. Diciamo che per convincere Ginger a collaborare era necessario fare leva sulla sua gelosia nei confronti di Marcio…” spiega Camilla, avendo notato perfettamente il tono del ragazzo, mentre alcuni suoi dubbi trovano conferma.
 
“Allora, per ricapitolare, cerchiamo Sisma e poi gli chiediamo di aiutarci a dare la notizia a Ginger? In effetti così mi sembra ragionevole… anche durante il caso di Black Sisma è sempre stato il più collaborativo e pacato tra i punkabbestia, anche se Marcio era il leader mentre Sisma stava più in disparte, Sisma era quello che lo consigliava sul da farsi,” commenta Gaetano, ricordando che era stato proprio Sisma ad autorizzare, in un certo senso, Marcio a parlare e dire la verità sullo Scortichini, “però Camilla, al primo segnale di nervosismo voglio che tu ti allontani e lasci gestire la cosa a me e a Marchese, sono stato chiaro?”
 
“Sì, certo,” conferma Camilla con un sospiro, “Gaetano, dopo tutti i casi che abbiamo affrontato insieme, direi che potresti pure fidarti un po’ di più del mio buonsenso, no? Guarda che non ci tengo nemmeno io a finire in ospedale!”
 
Gaetano si blocca per un attimo, cogliendo perfettamente il riferimento al litigio della sera prima e sapendo che Camilla lo sta mettendo alla prova, che deve dimostrarle che si fida di lei, quanto si fida di lei.
 
“Io mi fido di te e del tuo buonsenso, Camilla, tanto che ho messo la mia vita mia e delle persone a me più care nelle tue mani in ben più di un’occasione, e lo sai, e che anche in questo caso ho deciso di seguire il tuo suggerimento sul da farsi,” le fa notare Gaetano, guardandola negli occhi, “ma siccome ti conosco, so anche che nella concitazione e nello slancio del momento a volte lasci che la tua… generosità offuschi il tuo buon senso. E lo sai anche tu che è vero.”
 
Camilla sospira di nuovo ma annuisce, non potendo negare che Gaetano non ha tutti i torti. Si scambiano ancora qualche sguardo, in una specie di intesa non verbale.
 
“E io? Non vorrete mica lasciarmi qui, spero!” si inserisce Sammy all’improvviso, squadrandoli tutti con sguardo quasi indignato.
 
“Sammy… come ha detto il dottor Berardi può essere pericoloso e inoltre… tu con i punkabbestia non hai proprio dei gran bei trascorsi,” obietta Marchese, con tono preoccupato.
 
“Ma stavolta non sono da sola, ma sono con voi e poi questo Sisma conosce anche me, no? Sa che ero amica di Ilenia e… e magari la presenza mia e della prof. può aiutare ad evitare che sembri un interrogatorio ufficiale di polizia, considerato quanto i punkabbestia odiano le autorità…” ribatte Sammy con un sospiro esasperato, “insomma, anche io non sono più una bambina, sto facendo il praticantato per fare l’avvocato penalista e non è che nel mio lavoro si ha sempre a che fare con dei gentiluomini.”
 
“D’accordo, d’accordo,” sospira Gaetano, sentendo che gli si sta riacutizzando il mal di testa e capendo che ogni obiezione è inutile, “ma, ribadisco, al primo segnale di pericolo voglio che vi allontaniate e lasciate gestire la situazione a me e a Marchese, siamo intesi?”
 
***************************************************************************************
 
“Sisma? Finalmente ti abbiamo trovato!”
 
Avevano fatto passare tutta la zona vicina a Porta Pia e alla fine l’avevano rintracciato con altri, intenti a chiedere l’elemosina all’uscita di un cinema.
 
“Noi non parliamo con gli sbirri e non stiamo facendo nulla di male!” grida un ragazzo con una cresta talmente variopinta da sembrare un arcobaleno, mentre i cani iniziano ad abbaiare.
 
“Tranquilli, Sisma ci conosce e abbiamo bisogno di parlargli perché abbiamo delle notizie da dargli. Non vogliamo crearvi problemi, ok?” spiega Gaetano con tono calmo e pacato, lanciando uno sguardo a Sisma che spera gli faccia capire non solo la loro sincerità, ma soprattutto che la situazione è seria.
 
“Li conosci davvero questi?”
 
“Sì, non ti preoccupare, sono a posto. Vado un attimo a parlare con loro, voi aspettatemi qui,” li rassicura Sisma, poggiando a terra la sua birra e allontanandosi di qualche metro, fino ad appoggiarsi sul muro del cinema, dalla parte opposta della strada.
 
“Voi in realtà non vi conosco… lui è il collega di cui parlava ieri? Quello che si occupa del caso dello Scortichini?”
 
“Sì, esatto, e-“
 
“No, ma aspetta, aspetta, io a voi v’ho già visto. Tu eri la ragazzina della telecamera e tu eri il suo ragazzo, quello che ci ha contattato per ricomprarla!” esclama Sisma aggiungendo poi con una mezza risata, sembrando rilassarsi visibilmente, “e quindi adesso sei diventato un poliziotto? Spero che non ti fai più fregare tanto facilmente come allora! Mentre tu sei decisamente diventata una donna, in tutti i sensi, sei una bomba, quasi non ti riconoscevo!”
 
“Senti, Sisma, possiamo evitare battute e commenti?  Non vogliamo problemi ma rimango sempre un pubblico ufficiale e ti garantisco che sono molto cambiato e cresciuto in questi anni,” ribatte Marchese, irritato e deciso.
 
“Va bene, va bene, non ti scaldare! Piuttosto, come mai siete qui? Ci sono novità su Marcio?”
 
“Sì, esatto…” conferma Marchese, guardando verso Gaetano e Camilla, come a chiedere chi debba parlare.
 
“Sisma, mi dispiace, non so come dirtelo ma…” esordisce Gaetano, esitante, comprendendo dall’espressione dell’uomo che non c’è bisogno di aggiungere altro. Ha già capito.
 
“Marcio è morto, è così, commissario?”
 
“Sì, mi dispiace davvero.”
 
“Merda, merda, merda!” esclama Sisma tirando un pugno contro il muro fino a spaccarsi le nocche, sembrando poi quasi sgonfiarsi, voltandosi per nascondere loro il viso.
 
Gaetano guarda Camilla, preoccupato, ma lei gli fa cenno di aspettare e di rimanere in silenzio.
 
“Prima Black, poi Marcio… per non parlare di quelli che si è portata via la droga o la strada. Sapete quanti sono rimasti del mio primo gruppo, quello con cui ho iniziato qui a Roma? Solo io,” commenta Sisma a bassa voce, voltandosi per guardarli con uno sguardo che sembra molto più vecchio e stanco della sua età anagrafica, “di solito gli anni peggiori per noi punkabbestia sono i primi, c’è tanta gente che non regge o che… che si fa uccidere dalla roba o dall’alcol e poi… e poi quando si diventa vecchi, il fisico cede e non ce la fai più. Ma Marcio… Marcio era una roccia, era un veterano come me e… non pensavo se ne sarebbe andato anche lui, non così presto.”
 
Camilla si limita ad annuire, mentre Sammy, che sulla battuta precedente aveva lanciato a Sisma un’occhiataccia che poteva uccidere, sembra ora quasi commossa.
 
“Com’è morto?” domanda poi prendendo il fiato e scuotendo il capo quasi come a volersi schiarire le idee.

“L’abbiamo trovato nel cascinale del Vecchio… era stato ucciso con un colpo di pistola. Morte istantanea, non se ne deve essere nemmeno reso conto,” spiega Camilla con il tono più calmo che possiede.
 
“Nel cascinale del Vecchio? E il Vecchio? E la sorella di Black?”
 
“Non si trovano ancora… sono spariti e li stiamo cercando…”
 
“Quindi… quindi uno dei due o tutti e due… uno dei due ha ucciso Marcio. È così, vero, commissario?”
 
“Ovviamente sono i principali sospettati e la polizia sta vagliando entrambe le ipotesi, per questo siamo qui anche con Marchese… per farvi sapere cosa è successo e perché alla polizia servono più informazioni possibili su questo Vecchio.”
 
“E a che servirebbe, eh? Ormai Marcio è morto…”
 
“Ma almeno potrà avere giustizia,” interviene Camilla, rendendosi subito conto dall’occhiata che le lancia Sisma di avere sbagliato a parlare.
 
“Come l’ha avuta Black? A nessuno frega qualcosa di un punkabbestia morto ammazzato e non voglio ripetere la stessa storia di Black, non lo sopporterei più!”
 
“Ma le cose non vanno sempre così. Nel caso dello Scortichini non c’erano prove, mentre qui alcune prove ci sono e potrebbero essercene altre. E poi lo Scortichini aveva un avvocato di grido e non credo che né il Vecchio né Ilenia potrebbero permettersene uno. E comunque in questo caso voi non siete i testimoni chiave e… ci servono solo delle informazioni in più. Non si tratta di testimoniare ad un processo, solo di rispondere adesso a qualche domanda per aiutare la polizia a rintracciare il Vecchio e magari anche Ilenia. Cosa avete da perdere?”
 
“La professoressa ha ragione: tutte le cose che ci avete detto e che ci direte verranno trattate come una chiacchierata informale. La vostra deposizione non verrà messa agli atti, né nulla e non vi chiederemo di testimoniare ad un eventuale processo, a meno che qualcuna delle testimonianze che ci avete dato sia vitale, ma allo stato attuale delle cose non è probabile e comunque a quel punto sareste liberi di rifiutarvi in qualsiasi momento. Al limite potremmo chiedervi di riconoscere il Vecchio se e quando riusciremo a trovarlo, ma non è detto che sia necessario,” conferma Marchese con il tono più conciliante e convincente di cui è capace.
 
“Certo che non molla mai, prof.,” risponde Sisma con un sospiro, “d’accordo, posso rispondere alle vostre domande, non mi costa nulla farlo e se c’è almeno una possibilità di far pagare chi ha ucciso Marcio… ne vale la pena. Ma non voglio più stare in un processo e poi… non so quanto posso esservi utile. Non so nulla di questa Ilenia e non sapevo nemmeno che Marcio la conosceva. E sul Vecchio… non ne so molto di più di quello che vi abbiamo già detto ieri. L’unico che lo conosceva davvero bene era Marcio... o credeva di conoscerlo bene, vista la fine che ha fatto. E l’altra persona che lo conosce bene è Ginger ma… bisogna dire a Ginger di Marcio e non sarà facile… né per lei, né per chi glielo farà sapere e… dubito che Ginger sarà in grado o vorrà rispondere a delle domande, almeno per un po’.”
 
“Capisco…” annuisce Gaetano, “sappiamo che lei e Marcio erano molto… intimi e immaginiamo che sarà un colpo durissimo per lei e nessuno qui la vuole forzare. Però siamo anche convinti che sia suo diritto sapere cosa è successo a Marcio.”
 
“Sì, ma… forse è meglio se le parlo io, se le do io la notizia, anche se… preferirei quasi farmi un anno al gabbio…” commenta Marcio con una mezza risata amara, “ma se glielo dico io nessuno si farà male, almeno spero. E vi posso chiamare quando sarà più pronta a parlare, a parlarne, se mi lasciate un numero.”
 
“Mi sembra la cosa migliore, grazie, Sisma,” annuisce Gaetano con gratitudine, aggiungendo, rivolto a Marchese, “l’agente Marchese ti lascerà il suo numero. Io potrei dover tornare presto a Torino e anche Camilla… di lui vi potete fidare. È un bravo ragazzo prima di un ottimo poliziotto e credo lo sappia anche tu.”
 
Sisma alterna per un attimo lo sguardo tra Gaetano e Marchese e poi acconsente, segnandosi il numero dettato da Marchese.
 
“Nel frattempo… ci servirebbero altre notizie sul Vecchio, qualsiasi cosa che ci possa aiutare ad identificarlo. Qualche particolare fisico o di comportamento che saltava all’occhio… quando l’hai visto per l’ultima volta, se sai chi potessero essere amici o conoscenti… qualsiasi cosa.”
 
“Mah, professoressa… io il Vecchio come vi ho detto l’ho conosciuto poco. Non sapevo nemmeno il suo nome, né il cognome. Un giorno Marcio si è presentato con lui e ci ha detto che il Vecchio era un suo amico, lo chiamava così e abbiamo iniziato anche noi a chiamarlo così. Il Vecchio l’avrò visto un quattro, cinque volte al massimo, quando ci portava il cibo per i cani. Ricordo che aveva un furgoncino, un Fiorino vecchissimo e che sembrava tenuto insieme per miracolo. Cose particolari… era molto stempiato, calvo dietro, occhi azzurri… e… forse… forse sì, aveva un neo sopra il sopracciglio destro. Robusto, forte per la sua età, ma abbastanza basso, più basso di voi… alto, sì… alto più o meno come lei,” proclama, indicando Sammy, “l’ho visto l’ultima volta… sarà stato un mese fa, non so nulla di amici o conoscenti, penso fosse una specie di eremita. Quello che posso dire è che… anche se era gentile con noi e molto amico di Marcio… non so perché ma non mi ha mai convinto del tutto, ma probabilmente era solo una sensazione.”
 
“Perché?”
 
“Non c’era un motivo preciso, prof., come vi ho detto era gentile con noi e… questo è molto raro per noi punkabbestia, che qualcuno sia gentile con noi. Ma ai cani non è mai piaciuto, anche se portava loro i croccantini e ne vanno matti e… i cani difficilmente sbagliano e non lo potevano vedere.”
 
“Ma che vuol dire! Cioè, con tutto il rispetto, i vostri cani non sono proprio gentili con gli estranei, ringhiano sempre,” controbatte Gaetano che in cuor suo comincia ad averne abbastanza di sesti sensi ed intuizioni senza fondamento.
 
“Appunto, con gli estranei, ma con gli amici, specie se portano del cibo e più di una volta, diventano degli agnellini, anche se forse non dovrei dirvelo,” replica con una mezza risata, scuotendo il capo, “mentre col Vecchio erano sempre sul chi vive. E poi… e poi Marcio era cambiato da quando frequentava il Vecchio. Spariva sempre più spesso, stava via per giorni e tornava o con gli stessi soldi con cui era partito o con ancora meno soldi, anche se raccontava palle di essere stato in giro per l’Italia a chiedere elemosina, ne dubito. Ed era più distante, anche con tutti noi, più freddo.”
 
“Ma Ginger ne ha parlato bene ieri,” obietta di nuovo Gaetano, scettico, “ha detto che il Vecchio trattava Marcio come un figlio e che era un amico per voi.”
 
“Ginger si beveva tutto quello che Marcio le diceva e si faceva andare bene tutto. Ginger fa la dura e l’aggressiva ma in realtà… con Marcio a volte era peggio di uno zerbino, per lei Marcio era quasi un dio, non sbagliava mai. È stato per lui che è entrata nei punkabbestia tre anni fa: era qui come turista e poi si è innamorata di lui e non l’ha più mollato un attimo finché lui ha ricambiato in qualche modo. Ho provato a parlarle dei miei dubbi sul Vecchio e sulla sua influenza su Marcio ma lei diceva che ero geloso della sua amicizia con il Vecchio…”
 
“E lei non era gelosa di questa amicizia?” domanda Camilla, incuriosita, avendo notato la gelosia di Ginger del giorno prima.
 
“Credo che a Ginger bastasse che Marcio non avesse un’altra, o almeno non saperlo… avere l’esclusiva. E poi non credo… secondo me anche se si rendeva conto che forse Marcio era più legato al Vecchio che a lei, non ci pensava, non voleva pensarci e faceva finta di niente.”
 
Camilla e Gaetano si guardano, lei con un sopracciglio alzato alla “che cosa ti avevo detto?”, lui sorpreso e colpito come sempre della capacità di lei di valutare le persone anche se incontrate da poco, di tracciare un loro profilo psicologico sulla base di pochi elementi. Se non fosse così… emotiva, così poco ligia alle regole e alle divise, avrebbe potuto essere una grande profiler, di questo ne era sicuro.
 
Salutano e ringraziano Sisma, che promette loro di risentirli non appena Ginger sarà in condizioni di ricevere “visite” e si avviano verso l’auto d’ordinanza di Marchese e l’automobile di Gaetano.
 
Sono quasi arrivati quando squilla il cellulare di Marchese.
 
“Sì, dottore… stavo parlando con uno dei punkabbestia, diciamo che in parte sono riuscito ad avere informazioni ma… è complicato, poi le spiego. Ma è successo qualcosa? COSA??? Ma quindi è…. beh, chiaro non si può sapere, però… ma dove?... Ok, ok, capisco, quindi a questo punto immagino che voglia che rientri? Capisco, capisco, mezzora al massimo e sono lì, anche meno.”
 
“Immagino dalla tua faccia che non siano buone notizie, Marchese,” proclama Camilla, riconoscendo perfettamente l’espressione del ragazzo.
 
“No, no, infatti… oddio, forse dipende dai punti di vista. Gli agenti della scientifica hanno fatto un secondo sopralluogo stamattina e si sono portati dietro i cani. Volevano cercare di far annusare loro la cintura che abbiamo trovato e i pochi oggetti appartenuti sicuramente al proprietario dello stabile, non avendo altro su cui basarci, vedere se trovavano almeno qualche traccia olfattiva, ma, come sono arrivati sul posto, i cani hanno iniziato a tirare e abbaiare. Gli agenti li hanno seguiti e i tre cani si sono tutti diretti in un punto preciso nel giardino, ad una decina di metri dal cascinale, vicino a due grossi tronchi ancora da tagliare. Hanno iniziato a scavare con le zampe e poi alcuni agenti hanno scavato con le pale… E ad un paio di metri di profondità hanno trovato un cadavere di un uomo, chiuso in un sacco di plastica...”
 
“Ed ecco dov’è finito il Vecchio,” sospira Gaetano, guardando Camilla dritta negli occhi, “cosa ti avevo detto stamattina?”
 
“Ma era… cioè… da quanto tempo era morto? È stato identificato in qualche modo o…?”
 
“Non so molto sinceramente, solo che è un uomo, che si pensa ovviamente che si tratti del proprietario dello stabile e che si sta cercando di identificarlo con certezza. De Matteis vuole che rientri e dia priorità a questo. Vi terrò informati, ora devo scappare.”
 
“Per quanto mi riguarda non è necessario Marchese, per me queste indagini parallele si chiudono qui,” risponde Gaetano, deciso, tanto che Marchese si blocca sui suoi passi, mentre Camilla e Sammy lo guardano stupite.
 
“Mi sembra evidente che le probabilità che il cadavere non appartenga al Vecchio, anzi al signor Giuliani sono praticamente inesistenti. Non so se sia morto in questi ultimi giorni o sia morto già da un po’ di tempo, se sia morto di cause naturali o, come penso, sia stato ucciso, o perché era un testimone scomodo, o perché si è tirato indietro all’ultimo momento, ma arrivati a questo punto non c’è più nulla da chiarire: c’è solo una persona che può avere ucciso Marcio e lo Scortichini ed è Ilenia. L’unica cosa che resta da fare è ritrovarla e credimi Marchese quando ti dico che dormirei sonni molto più tranquilli sapendola in carcere o in una struttura psichiatrica, ma non abbiamo uno straccio di indizio che ci dica dove cercarla e io devo rientrare a Torino e a questo punto non ha alcun senso che prolunghi la mia visita qui. Vi auguro di trovarla, Marchese, se potrò aiutarvi da Torino lo farò volentieri ma non credo ne avrò l’occasione, perché dubito fortemente che le interessi mettersi in contatto con la sua famiglia, considerato quello che abbiamo scoperto in questi ultimi giorni.”
 
Cala un silenzio tombale, Camilla guarda Gaetano che la osserva di rimando, dritto negli occhi, una domanda non espressa ma che aleggia nell’aria.
 
“Sammy, Marchese, è stato un piacere collaborare con voi, siete due bravi ragazzi, intelligenti, e avete sicuramente una brillante carriera davanti a voi, quindi… quindi cercate di non fare cavolate, ok?” proclama, soffermandosi su entrambi, per poi rivolgere di nuovo lo sguardo a Camilla, “nella vita è importante sapere quando fermarsi, quando accettare la sconfitta o comunque che le cose non sono come le immaginavamo. Non si può avere sempre ragione, purtroppo.”
 
“Ora vado in questura a consegnare la lettera a De Matteis e poi mi preparerò per il viaggio di ritorno a Torino. Camilla, tu vieni con me?” le domanda infine, in quella che appare essere una domanda che si riferisce a molto di più che a un viaggio in macchina.
 
“Sì, certo, ma… Gaetano… non pensi che arrivati a questo punto, varrebbe la pena di cercare di scoprire almeno qualcosa di più su questo cadavere prima di-"
 
“Ok, ho capito, ho capito,” sospira Gaetano, rassegnato, estraendo di tasca le chiavi della macchina, porgendole a Camilla che le accetta stupita e aggiungendo con un tono stranamente calmo, “senti, forse è meglio se ci vai solo tu in questura, allora. Così puoi dimostrare a De Matteis la tua buona fede, ascoltare le voci di corridoio e… fare tutto quello che fai di solito, senza che io ti intralci. Ti lascio la macchina e io prenderò un taxi. In ogni caso il mio treno parte alle 19. Se torni in tempo, ci vediamo dopo a casa di tua madre. Ragazzi, di nuovo è stato un piacere rincontrarvi, vi auguro il meglio per il vostro futuro.”
 
E si allontana, lasciando dietro di sé una Camilla sconcertata che ci mette qualche secondo a elaborare le informazioni: parole come “senza che io ti intralci” e, soprattutto, “il mio treno parte alle 19” le roteano vorticosamente nella mente, come un tornado.

“Gaetano, Gaetano, aspetta!” grida, partendo all’inseguimento, sentendo uno strano senso di déjà vu al contrario. Ma, percorse poche decine di metri, lo vede salire su un taxi. Non le resta quindi che tornare alla macchina, avvolta da un senso di nausea.
 
“Mi sa che si preannuncia una litigata colossale…” commenta Marchese, osservando la scena.
 
“Forse peggio… si è perfino scordata che doveva darmi un passaggio… ti ricordi quando litigavamo anche noi così?”
 
“Già… anche se più che altro tu litigavi con me e io invece mi disperavo e mi scervellavo per settimane per farmi perdonare,” risponde con un sorriso e un tono divertito e una mezza risata, sorprendendosi di come riesca a ripensare a quel periodo con leggerezza, senza rancori.
 
“Già…” replica lei ricambiando il sorriso, aggiungendo poi, con tono dolce e malinconico insieme, “sai una cosa, Marchese? Questa storia di Ilenia è stato un vero disastro, su tutti i fronti, però forse almeno è servita a qualcosa: riusciamo a parlarci senza litigare, anzi riusciamo perfino a ridere e a scherzare e… lo so che è stata colpa mia, il modo in cui è finita la nostra storia, però… sono davvero felice di questa nuova aria che si respira tra di noi e ti sono molto grata per questo.”
 
“Anche io, Sammy, anche io. E poi, ehi, in fondo le storie nate sui banchi di scuola non durano quasi mai per sempre e… alla fine è andata come doveva andare… Meglio prima che dopo, no? E sai quanto ho risparmiato tra fiori e regali per farmi perdonare in questi ultimi anni? Quasi posso comprarmici un appartamento senza fare il mutuo,” scherza con un sorriso, facendola ridere di nuovo.
 
“Marchese… posso chiederti una cosa?” gli domanda, tornata improvvisamente seria ed esitante, “ti ho visto ballare con Ilenia alla festa. Ti piace o… ti piaceva Ilenia?”
 
“Mah… forse… non è che basta un ballo per innamorarsi come nelle fiabe, ma, sì, ho sentito qualcosa quella sera, capisci cosa intendo? Però la ragazza che credevo di conoscere non esiste e quindi che senso ha pensarci? Certo, visti i miei ultimi exploit in campo sentimentale, forse è meglio se rinuncio ai gradi e prendo invece i voti,” cerca di sdrammatizzare, perché sente un nodo formarsi in gola.
 
“Quindi… pensi anche tu che sia colpevole?”
 
“Mi piacerebbe poter credere il contrario, Sammy, ma… i sospettati di questa storia sono morti tutti, tutti tranne lei… anche se… mi sembra impossibile che… che Ilenia… la nostra Ilenia possa…”
 
Si guardano con gli occhi lucidi, entrambi ancora increduli al solo pensiero che la ragazza timida e dolce e malinconica che conoscevano fin da quando erano bambini possa essere davvero diventata un’assassina lucida, spietata, senza scrupoli.
 
Senza parole si trovano stretti in un abbraccio che scuote entrambi per l’intensità di quello che rappresenta e che li fa sentire in pace, sereni, nonostante tutto.
 
Nessuno dei due nota gli occhi ridotti a fessura che li osservano da dietro un paio di occhiali scuri poco lontano.
 
***************************************************************************************
 
“E come mai ha deciso di consegnarmi questa lettera?”
 
“Beh, è stato lei a raccomandarmi di tenerla informato se Ilenia avesse cercato di contattarci e l’ho fatto. Certo, se preferiva invece che me la tenessi per me…” non può evitare di commentare, già irritata dall’atteggiamento di De Matteis. È evidente che la gentilezza momentanea di ieri era stata solo l’eccezione che conferma la regola, tra loro è tornato tutto come al solito.
 
Il suo primo istinto era stato quello di seguire Gaetano, ma poi, ripensando alla lettera che giaceva in una busta di plastica protettiva nella sua borsa e ripensando all’insistenza di Gaetano affinché fosse consegnata alle autorità, si era chiesta se non fosse un test, un volerla mettere alla prova, verificare se avrebbe coperto o meno Ilenia. Aveva quindi deciso di fare una rapida visita in questura, pregando che De Matteis non la trattenesse e poi correre subito a casa di sua madre e cercare di fermare Gaetano.
 
“No, no, è che… questo improvviso zelo collaborativo mi sorprende, ecco. Soprattutto dati i riferimenti a possibili indagini sue e di Berardi…”
 
“Se io o Gaetano avessimo qualcosa da nascondere, dottore, non le avrei consegnato quella lettera, le pare?”
 
“Forse… o magari ci teneva semplicemente a farmi sapere che la Misoglio mi considera un pazzo nevrotico, mentre tesse le lodi di lei e Berardi,” commenta con tono tagliente e Camilla capisce che il commento di Ilenia l’ha punto sul vivo, “ma, mi dica, in tal proposito, il principe azzurro/guardia del corpo dove l’ha lasciato?”
 
“Gaetano non è un cagnolino che lascio da qualche parte, dottor De Matteis ed era impegnato con i preparativi per il ritorno a Torino. Come immagino lei sappia, non gli è facile assentarsi dal lavoro a lungo, con tutti i casi e le responsabilità che ha da portare avanti,” ribatte, non potendo sopportare il tono strafottente e derisorio dell’uomo, anche se in cuor suo il solo pensiero di Gaetano le suscita sentimenti turbolenti e contrastanti.
 
“Ah, e quindi è giunta l’ora di salutarci di nuovo, professoressa? E immagino che, visti gli importantissimi impegni di Berardi, anche lei non tornerà nella capitale molto presto. Cercheremo di farcene una ragione…”
 
“Mi dispiace deluderla, Dottor De Matteis, ma esiste la possibilità che io mi fermi ancora per qualche giorno… Sa, noi insegnanti abbiamo delle lunghe vacanze estive,” risponde nella foga del momento, decisa a togliergli quel sorrisetto dalla bocca.
 
“Ah sì? E Berardi glielo permette?”
 
“Gaetano non è il mio padrone, come io non sono la sua padrona. Ma dimenticavo che lei ha una visione quasi medievale del mondo e delle relazioni sociali…”
 
“Mentre io dimenticavo che lei ha una visione molto… disinvolta delle relazioni sentimentali, professoressa. O non sarà che ci sono problemi in paradiso? Perché in quel caso devo ricordarmi di spedire a Berardi una buona bottiglia per festeggiare la ritrovata libertà e il pericolo scampato e di avvertire tutti i miei amici e colleghi di starle alla larga, dato che, per qualche strano motivo che sfugge alla mia comprensione, lei riscuote un certo successo tra il genere maschile.”
 
“Prima di tutto, conoscendola, immagino che la bottiglia sarebbe di acqua minerale, per non dire piovana,” ribatte Camilla in quello che è quasi un sibilo, trattenendosi a fatica dal mandarlo apertamente a quel paese, ricordandosi della divisa che purtroppo porta, “e comunque c’è un solo uomo che mi interessi e non credo proprio che lei possa annoverarlo tra i suoi amici, sempre che lei ce li abbia degli amici, considerata la sua ricchissima vita sociale e la sua travolgente simpatia.”
 
“Professoressa…” sibila di rimando De Matteis, alzandosi in piedi.
 
“Ha ragione, non le faccio perdere altro tempo, dottore,” ribatte Camilla, alzandosi in piedi di rimando, “le auguro buona giornata. Ah, e le conviene temperare quella matita, mi sembra che sia mezzo centimetro più lunga delle altre.”
 
Lui sposta lo sguardo per osservare la matita da lei indicata e lei approfitta del momento di distrazione per raggiungere la porta ed uscire, chiudendola dietro di sé in maniera fin troppo vigorosa.
 
Fa pochi passi e sente un rumore fragoroso, il rumore di una pioggia di matite che si infrangono contro una parete e poi sul pavimento.
 
Normalmente questo le provocherebbe forse una certa soddisfazione, ma oggi è uno di quei giorni in cui ha voglia di tutto tranne che di esultare. Con gambe pesanti come un macigno, si avvia verso casa di sua madre, temendo cosa ci troverà o non ci troverà.
 
***************************************************************************************
 
“Gaetano, ma dove sono finiti tutti? E perché stai facendo la valigia? Non partiamo domani?”
 
“Ciao Livietta. Tua mamma doveva fare una commissione in questura, niente di grave, tranquilla, tua nonna e Amedeo andavano a pranzo con degli amici e non sono ancora tornati. E io sto facendo la valigia perché ho il treno tra due ore,” spiega con tono apparentemente calmo, anche se ad ogni minuto che passa, ad ogni minuto che si avvicina l’orario della partenza, si sente sempre peggio.
 
“Il treno? Che cosa significa?”
 
“Significa che… ci sono un po’ di problemi a Torino ed è meglio che rientri subito perché lunedì mattina prestissimo devo essere in questura e devo essere sveglio e attivo. E siccome tu e tua madre per vostra fortuna siete in ferie ancora per un bel po’… credo che rientrerete con più calma nei prossimi giorni.”
 
“Ma la mamma è d’accordo con questa cosa? Non me ne aveva parlato…”
 
“È stata una mia decisione dell’ultimo momento, Livietta e comunque tua mamma lo sa e-“
 
“Lo sa o è d’accordo?” lo blocca lei, fulminandolo con un’occhiata che gli ricorda per l’ennesima volta quanto sia intelligente e perspicace.
 
“Livietta…”
 
“Gaetano, per favore, non cominciare anche tu a riempirmi di palle. Che succede? Avete litigato nei giorni scorsi, lo so, vi ho anche sentito discutere stamattina quando uscivo dal bagno… dimmi come vanno le cose veramente.”
 
“Sono stati giorni un po’ tesi per me e tua madre… sì… credo che abbiamo entrambi molto su cui riflettere. E forse qualche giorno di distacco ci farà bene,” ammette Gaetano, sapendo che sarebbe inutile mentire.
 
“Non dirmi che sei anche tu un sostenitore di quell’idiozia chiamata pausa di riflessione, Gaetano!” esclama Livietta, che di pause di riflessione ne aveva avute fin sopra i capelli con i suoi genitori, “i problemi si affrontano insieme, non si risolvono certo facendosi ognuno i cavoli propri o mettendo chilometri di distanza.”
 
“Livietta, non è sempre così semplice…”
 
“Ah, no? Secondo me invece lo è: o si sta insieme o non si sta insieme, punto. E comunque quali sono queste cose su cui riflettere? È ancora per via di Marco? Perché se è così, ti garantisco che a mia madre Marco non interessa: non l’ha mai amato un decimo di quanto ama te, Gaetano.”
 
“No, non è solo per Marco, Livietta e-“
 
“Allora è per via del caso di Ilenia, vero? Come l’altra volta a Torino. Mia madre si è cacciata di nuovo nei guai? O è perché crede che Ilenia sia innocente e tu no e lei vuole ancora proseguire a indagare mentre tu non sei d’accordo?” gli domanda a bruciapelo e Gaetano non si stupisce affatto che abbia colto il cuore del problema.
 
“In parte è anche per questo… però… è più complicato di così Livietta e credo che siano cose di cui dobbiamo discutere io e tua madre, ok?”
 
“Appunto, dovete discuterne, non mollare tutto così!” esclama di nuovo, bloccandosi poi un attimo come se fosse stata colta da un dubbio, “non vi siete lasciati, vero? Non… non la vuoi lasciare?”
 
“Non ci siamo lasciati, no, e credimi che non vorrei che succedesse, ma non dipende solo da me e, ti ripeto, sono cose che devo discutere insieme a tua madre, Livietta e ti prego di capirmi in questo.”
 
“Gaetano, per favore, io… non farlo… lo so che tu la ami e che lei ti ama e ho visto quanto siete felici insieme. E ti garantisco che mia madre senza di te… non so se e quando si riprenderebbe. Tu non hai idea di quanto sei importante per lei… Mia madre fa la forte e ha la testa dura come il granito, ma ha bisogno di te,” lo prega con tono improvvisamente spaventato, ricordando il crollo psicologico che aveva avuto la mamma durante la crisi tra lei e Gaetano per via dell’aggressione e del furto dei diamanti, “e… e poi… anche io sentirei la mancanza tua e dell’impiastro… certo, non mi dispiacerebbe non dover rivedere più la tua ex moglie, ma…”
 
“Livietta…” sussurra Gaetano con un sorriso commosso, sentendo un groppo in gola tremendo e cedendo all’impulso di abbracciarla, sentendola ricambiare la stretta con una forza straordinaria, considerato quanto appare minuta e fragile, “ricordati che comunque vadano le cose tra me e tua madre, io ti voglio bene davvero e te ne vorrò sempre. Sei una ragazza eccezionale, Livietta, e devi essere orgogliosa di te stessa: in questi mesi mi hai insegnato tante di quelle cose che non ti immagini nemmeno. E comunque tempo un paio d’anni e tu Eva te la mangi a colazione, se non lo fai già adesso.”
 
“Per la carità, poi mi verrebbe l’ulcera gastrica con tutto quell’acido,” ribatte Livietta con una mezza risata e gli occhi lucidi, facendolo ridere di rimando, “però… se mi parli così mi sembra quasi un addio, Gaetano e io non-“
 
“Gaetano! Livietta?!”
 
La voce la blocca prima che possa finire la frase, si voltano e vedono Camilla sull’uscio che li osserva stupita, avendoli trovati così, ancora mezzi abbracciati.
 
“Vi lascio parlare…” proclama Livietta, sciogliendo la presa e guardandoli entrambi con un’occhiata penetrante prima di aggiungere, “per favore, non fate sciocchezze…”
 
“Che sta succedendo?” gli domanda dopo un attimo di silenzio durante il quale si sono studiati a vicenda senza riuscire ad aprire bocca.
 
“Livietta mi ha visto fare la valigia e voleva convincermi a rimanere…” spiega, indicando il bagaglio ancora aperto sul letto.
 
“Mi vuoi spiegare cos’è questa idea del treno? Hai preso e te ne sei andato come una furia, lasciandomi lì come una cretina! È una ripicca per ieri sera?”
 
“No, Camilla, semplicemente avevo bisogno anche io di stare un po’ da solo e poi mi sembrava evidente che avessimo programmi molto diversi per questa giornata e anche per le prossime giornate, quindi ho agito di conseguenza, dandoti modo di fare ciò che desideravi fare.”
 
“Ciò che desideravo fare? Ciò che desideravo fare era tornare a casa con te, in tutti i sensi, Gaetano, come avevamo progettato dall’inizio, non di certo questo!” ribatte lei, non potendosi trattenere dall’alzare la voce.
 
“Ah, sì? Beh, considerato che sei stata in giro fino ad adesso forse non avevi e non hai tutta questa urgenza di tornare a casa, non ti pare?” le domanda con tono amaro e deluso, trafiggendola con quei suoi occhi azzurri.
 
“Fosse stato per me sarei tornata a casa di corsa, sono stata in giro fino ad adesso perché sei stato TU a dirmi di andare in questura a consegnare quella lettera! E dopo che avevi insistito così tanto su quanto fosse importante farla avere a De Matteis volevo dimostrarti che non avevo e non ho intenzione di coprire Ilenia o di nascondere delle prove! Una volta che gliel’ho consegnata sono corsa subito qui. Ma ultimamente sembra che qualsiasi cosa faccio sbaglio, Gaetano!” ribatte tagliente e altrettanto amareggiata.
 
“Quindi vorresti dirmi che con questo per te l’investigazione su Ilenia si è chiusa? Che ti sei convinta anche tu che sia colpevole e che sei disposta a lasciare le cose in mano a De Matteis e alla sua squadra e a tornare a Torino senza rimpianti?” le domanda non staccando per un attimo gli occhi dai suoi.
 
L’esitazione, la titubanza che legge in quelle iridi scure sono come due macigni che gli si posano sul petto e sullo stomaco.
 
“Lo immaginavo…” mormora, passandosi una mano sugli occhi e scuotendo il capo, “è meglio che finisca questa valigia e vada in stazione.”
 
“Gaetano!” esclama sorpresa, bloccandogli il braccio con cui stava per afferrare una camicia e costringendolo di nuovo a guardarla, “ma ti rendi conto che stai facendo tutto da solo? Non mi hai dato nemmeno il tempo di risponderti!”
 
“Perché non ce n’è bisogno, Camilla. Mi basta vedere la tua espressione per capire tutto quello che c’è da capire… Tu vuoi ancora indagare su questa storia. E puoi farlo solo qui, mentre io devo tornare a Torino. Quindi prendo il treno e ti lascio la macchina: tu e Livietta tornerete quando sarai pronta a farlo. Questa è l’unica cosa sensata che posso fare.”
 
“Decidere anche per me? Sarebbe questa la cosa sensata da fare? Mi hai detto più volte che forse saremmo arrivati al punto in cui tu mi avresti chiesto di fermarmi e di riflettere su cosa ti avrei risposto. Ma non me l’hai neanche chiesto!”
 
“Non te l’ho chiesto per due motivi, Camilla. Prima di tutto perché, te lo ripeto, mi è bastata la tua reazione dopo la notizia del ritrovamento del cadavere del Vecchio e la tua espressione di poco fa per capire qual è la tua vera risposta e ti conosco e so che non cambierai idea e continuerai a sperare che Ilenia non sia colpevole. Che vuoi continuare questa investigazione. E non voglio porti di fronte ad un ultimatum e costringerti a fare qualcosa che non senti e di cui probabilmente ti pentiresti. Non voglio portarti a Torino a forza sentendo che sei rosa dai sensi di colpa e che vorresti essere da tutt’altra parte… Non voglio questo. Quello che volevo è che fossi tu per prima a capire da sola che il momento di fermarsi era arrivato e che l’avevamo pure abbondantemente superato, ma non è successo e non mi resta che prenderne atto.”
 
“E perché sarebbe arrivato il momento di fermarsi? Perché domani è l’ultimo giorno di ferie e devi rientrare al lavoro lunedì? O forse perché in cuor tuo sai benissimo qual è la tua risposta alla mia di domanda di ieri sera, sai che non potrai mai fidarti del tutto di me, ma preferisci scaricare su di me e su queste indagini il motivo per cui mi stai piantando in asso?” domanda pungente, sarcastica ma non riuscendo a nascondere il dolore e il tremore nella voce, “abbiamo affrontato insieme casi ben peggiori e più pericolosi di questo, casi più disperati, in cui il colpevole sembrava scontato fin dall’inizio ma abbiamo sempre indagato fino in fondo, non ci siamo fermati quando c’erano ancora diversi punti da chiarire, quando oltretutto la principale indiziata e che tu ritieni colpevole è ancora latitante!”
 
“Ma c’era una fondamentale differenza: erano miei casi, MIEI casi, lo capisci! E no, non intendo dire che venivo pagato per indagare, ma che la responsabilità era MIA se tu ti immischiavi in quei casi, ma allo stesso tempo avevo i mezzi e le possibilità di proteggerti se necessario, di tutelarti e soprattutto di indagare secondo le regole. Avevo la possibilità di tenere sotto controllo i rischi, di calcolarli e di prevenirli, di avere i rinforzi a mia disposizione subito, senza sotterfugi. Qui invece ci stiamo occupando di cose da cui ci è stato ordinato, intimato di tenerci fuori, Camilla, ad ogni secondo di questa indagine io ho rischiato e sto rischiando il lavoro e la faccia e stiamo rischiando entrambi la galera oltre che la pelle! Te lo ricordi questo? E nonostante tutto, finché c’era una concreta possibilità che Ilenia potesse essere innocente, che la nostra indagine potesse servire a qualcosa, ho accettato di correrli questi rischi, di giocarmi tutto. Ma adesso non ha senso, Camilla, lo capisci? Il gioco non vale più la candela.”
 
“Gaetano-“
 
“Se al posto di Ilenia ci fossi tu o Tommy o Livietta e forse Francesca allora sarei disposto a rischiare ancora, a rischiare fino alla fine, fino a che c’è uno  0,1% di possibilità di riuscita, o anche meno, darei la mia vita per voi. Per voi. Perché bisogna avere delle priorità nella vita e io so quali sono le mie priorità, ce le ho ben chiare in testa!” esclama, prendendola per le spalle e guardandola dritto negli occhi, “mentre tu… non so se non hai delle priorità o se tra le tue priorità semplicemente non rientro anche io, ma-“
 
“Certo che rientri tra le mie priorità, Gaetano, sei in cima alle mie priorità, insieme a Livietta e a Tommy!” obietta lei, addolorata dal fatto che lui ne dubiti.
 
“Ah, sì? Ti ricordi quando ti dicevo che i fatti contraddicono le parole? Beh, magari sarò anche l’uomo che ami di più al mondo, sarò pure in cima alla tua lista di priorità, ma hai uno strano modo di dimostrarlo! Perché il dato di fatto è che, io, il mio lavoro, la mia libertà e quindi il mio futuro e quello di Tommy veniamo dopo quello di Ilenia, di quella che è praticamente un’estranea, che al 99% è un’assassina e che ci ha oltretutto raccontato un sacco di palle, Camilla.”
 
“Non è vero, dannazione! Capisci che per ora – grazie al cielo – voi state bene, noi stiamo bene, Gaetano, che non abbiamo problemi gravi, ma Ilenia invece sì? È per questo che ora sento che in questo momento devo concentrarmi su di lei, ma questo non c’entra nulla con quello che provo per te e per Tommy! Se dovessi scegliere tra la libertà e il futuro di Ilenia e il tuo o quello di Tommy, sceglierei te, il vostro, il nostro futuro, a occhi chiusi e senza rimpianti!”
 
“Davvero? A me sembra invece proprio il contrario, dato che continui a metterli in pericolo con questa indagine. O vale solo in caso di emergenza, Camilla? Dobbiamo aspettare di beccarci una denuncia, dobbiamo arrivare in tribunale, sfiorare la catastrofe perché tu ci scelga ad occhi chiusi e senza rimpianti?” domanda amaro e sarcastico, “o forse la nostra felicità conta meno per te della possibilità di ammettere che per una volta hai avuto torto, di accettare la sconfitta, di ammettere che ti sei sbagliata, che ci siamo sbagliati sul conto di Ilenia? Di ammettere che la ragazza che pensavi di conoscere, che hai visto crescere, a cui hai voluto bene non è la persona che credevi? Pensi che per me sia stato facile accettare di avere affidato mio figlio, di aver lasciato mio figlio da solo per ore e ore con una delle assassine più efferate che abbia mai conosciuto nella mia carriera? Però ci sto facendo i conti, Camilla, anche se fa male, anche se mi fa paura, non mi sto rifiutando di guardare in faccia la realtà!”
 
“Allora è questo il problema, Gaetano? Tu mi incolpi per averti presentato Ilenia? Per averla proposta come babysitter di Tommy? Lo sai che mi farei ammazzare piuttosto che permettere che gli capiti qualcosa!” grida, ferita e indignata.
 
“NO! Non sto dicendo questo Camilla, maledizione, ma-“
 
“Ma è quello che sembra! E comunque non ha più importanza, perché se è questo quello che pensi di me, se tu pensi davvero che sia una pazza spericolata, egoista e menefreghista, mi chiedo cosa ci fai ancora qui, perché perdi ancora tempo a parlarmi! E soprattutto mi chiedo che cosa ci sto a fare io qui a parlarti!” lo interrompe aspra, tagliente, in quello che è quasi un sibilo, avendo ormai perso del tutto il controllo, sentendosi fragile, vulnerabile e completamente a pezzi, come se le stesse crollando il mondo addosso, come se ogni sua certezza vacillasse, mentre cerca disperatamente di raccogliere almeno quel briciolo di dignità che le è rimasta, decisa a non implorare, a non pregare, a non spiegare, non questa volta, non più.
 
L’aveva già fatto con Renzo, tante, troppe volte e si era ripromessa che non l’avrebbe più fatto, che non si sarebbe più accanita a salvare qualcosa che non può essere salvato. E se lui non crede in lei, in loro, se non ha più fiducia in lei, non ha senso continuare.
 
“Maledizione, Camilla, il problema non è che sei egoista, è che sei troppo generosa! È soprattutto a te stessa che non pensi, è al tuo futuro che non pensi, presa come sei a tentare di salvare quello degli altri! Ma c’è un limite oltre il quale l’eroismo e la generosità diventano a tutti gli effetti egoismo, Camilla, soprattutto se non sei sola al mondo ma hai una famiglia e delle persone che ti amano e che non sopporterebbero se ti succedesse qualcosa, che dipendono da te. E spero che tu te ne possa rendere conto in qualche modo prima che sia troppo tardi, visto che io non sono riuscito a fartelo capire! In ogni caso non ti preoccupare: non ti farò perdere altro tempo prezioso: tolgo il disturbo!” esclama, altrettanto brusco, ferito a morte da quella sua ostinazione, da quel suo anteporre i bisogni di chiunque sia in difficoltà non solo a lui, ma soprattutto a se stessa, alla sua stessa felicità, alla sua stessa sicurezza.
 
Proprio perché la ama, non può starle accanto sapendo che finirà presto per autodistruggersi. Non può esserle complice e spera che allontanarsi servirà a farla ragionare, a farle ritrovare il senso del limite tra generosità e martirio.
 
Sbatte gli ultimi vestiti in valigia con rabbia, odiando quegli indumenti, odiando se stesso, odiando questa maledetta vacanza, questa maledetta città, odiando Ilenia Misoglio e tutto quello che la riguarda.
 
“Si vede che Roma non ci porta proprio fortuna, eh, Camilla?” mormora infine, quasi tra sé e sé, sollevando la valigia ormai pronta, guardandola negli occhi con un’amarezza e un dolore che scuote entrambi.
 
Perché questa doveva essere non solo la prima vacanza insieme, ma un modo di suggellare il loro amore, di renderlo più forte, più ufficiale, di essere ancora di più un’unica famiglia, di recuperare almeno in parte il tempo perduto. E invece questa prima vacanza insieme sarà anche l’ultima.
 
“Già…” mormora lei, asciutta, anche se dentro si sente morire ad ogni passo che Gaetano compie verso la  porta. Il cuore che le grida di fermarlo e il cervello, l’orgoglio che le frenano la lingua e le gambe, paralizzate in una rigidità innaturale.
 
“Ti auguro di trovare ciò che stai cercando, Camilla e… comunque vadano le cose mi auguro di rivederti presto, sana e salva. Ringrazia tua madre da parte mia per l’ospitalità e anche Amedeo. Buona… buona fortuna, Camilla,” pronuncia a fatica, la voce che si spezza in più punti, le parole che faticano ad uscire mentre la guarda e gli sembra tutto così surreale, mentre le sue difese gli impongono di non pensare, di non pensare a come sarà la sua vita d’ora in poi, senza di lei, perché altrimenti non ce la farebbe mai a varcare quella soglia, non ce la farebbe mai a lasciarla, sapendo perfettamente che con lei sta perdendo anche una gran parte di sé, che sta perdendo l’unica donna che abbia mai amato e sa benissimo che non ci sarà un’altra per lui, non come Camilla, non dopo Camilla.
 
Camilla vorrebbe rispondere ma si sente ancora paralizzata, la lingua incollata al palato, riesce solo a guardarlo, mentre una guerra la lacera dall’interno, un dolore straziante in gola, nel petto, che sembra volerla fare a brandelli, mentre la testa sembra fatta di cotone, tutto le sembra muoversi al rallentatore, sembra così irreale, onirico, assurdo ed inconcepibile, come se la sua mente si rifiutasse di comprendere quello che sta accadendo, le conseguenze di quello che sta accadendo, come se il suo cervello fosse scollegato dal resto del corpo, anestetizzato. Perché il suo cervello sa benissimo che con Gaetano se ne sta andando per sempre anche la sua felicità, quella vera, che dopo aver vissuto davvero, anche se per brevi istanti, tornare alla sopravvivenza sarà mille volte più difficile, che non amerà mai nessun altro quanto ama lui.
 
Occhi azzurri incontrano occhi castani in un lunghissimo sguardo, in cui ognuno implora l’altro di capire, di capire davvero, di non farlo, di non arrendersi, di non mollare.
 
I pugni che si stringono fino a che le nocche fanno male, Gaetano abbassa lo sguardo: un respiro per prendere la forza, per buttarsi dalla scogliera. Senza guardare più nulla si volta, apre la porta e la richiude dietro le spalle, prima di cambiare idea.
 
Inizia a camminare: uno, due, tre, quattro passi in rapida sequenza, prima che gli manchi la forza, prima che gli manchi il coraggio. Livietta gli si para davanti in corridoio, gli occhi lucidi ed enormi, probabilmente ha sentito tutto e anche se non avesse sentito, vedendo la valigia avrebbe comunque capito.
 
“Gaetano, per favore, non farlo, ripensaci!”
 
“Livietta, scusami, scusami davvero ma… devo andare… non posso proprio rimanere, lo capisci? Ci vediamo presto a Torino,” la rassicura, la voce ormai irriconoscibile, trattenendo a stento le lacrime.
 
“Se te ne vai per quanto mi riguarda puoi anche non farti più vedere!” sibila tagliente e rabbiosa come non la vedeva da tempo.
 
“Capisco… è giusto… lo capisco,” riesce a rispondere a fatica, sentendo il suo cuore già ridotto in pezzi frantumarsi ancora di più.
 
Non sa se sia per la disperazione che sente nella voce o che gli legge negli occhi ma Livietta lo guarda ancora per un secondo e la maschera di rabbia cede lasciando il posto al dolore. Gli picchia i pugni sul petto e poi se la ritrova stretta in un abbraccio breve ma fortissimo, prima di tirare su col naso e farsi da parte per lasciarlo passare, la guerra con le lacrime ormai persa per entrambi.
 
E se possibile questo lo fa sentire ancora più uno schifo, ma si fa forza, afferra di nuovo la valigia e quasi corre fuori senza voltarsi indietro, perché sa che se no non sarebbe mai in grado di andarsene.
 
Quando sente la porta di ingresso sbattere e poi il silenzio, Camilla si ritrova seduta per terra, le lacrime che scendono senza riuscire a fermarle, allagandole il viso e il collo, le braccia allacciate intorno alle ginocchia per cercare di farsi forza, di contenere i tremori, i singhiozzi che la scuotono fin nelle ossa, fin nelle viscere, mentre si culla sul pavimento.
 
Cosa sto facendo? Cosa ho fatto? – è l’ultimo pensiero che le rimbomba nella mente, prima di lasciarsi travolgere dalle lacrime, dall’oblio del dolore, del dolore puro, quello che ti riempie e che ti svuota di qualsiasi altra cosa.
 
Camilla lo accoglie come un vecchio amico e si lascia trascinare a fondo senza opporre resistenza, perché l’oblio è mille volte meglio della consapevolezza. Per quella ci sarà tempo, tanto, troppo tempo.
 
 
Note dell’autrice: Ci ho messo un po’ più tempo del previsto perché il finale è stato una vera tortura da scrivere… le scene tranquille e allegre sono molto più semplici da mettere su “carta” dei litigi e delle scene tristi. Come si è visto i nostri due protagonisti testoni come muli sono arrivati ad un punto di rottura, pur amandosi alla follia, ma le incomprensioni e i motivi di discussione si sono sommati e accavallati e ognuno dei due è rimasto arroccato sulle sue posizioni, anche perché ognuno dei due ha la sua parte di ragione. Riusciranno a ritrovarsi? E cosa ne sarà delle indagini? Dov’è Ilenia? È lei la colpevole? Ad alcune di queste domande troverete risposta nel prossimo capitolo, in cui ci sarà una nuova esplosione, di livelli epocali, credo che si possa già intuire da questo capitolo di che cosa si tratta e travolgerà parecchie persone, quasi tutti in realtà ;).
Come sempre vi ringrazio per il tempo che dedicate a leggere la mia storia, i vostri commenti mi aiutano tantissimo a motivarmi e a tararmi nella scrittura, quindi non vedo l’ora di sapere che ne pensate, anche perché questo è un capitolo cruciale e complesso e... sono curiosa di conoscere le vostre impressioni, se vi ha convinto o meno.
Grazie mille ancora e ci vediamo tra una settimana circa per il prossimo capitolo ;)!

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** In amore e in guerra... ***


Nota: Lo so che sono in ritardo sulla tabella di marcia ma spero che il lungo capitolo compensi l’attesa ;). Vi lascio alla lettura e vi do appuntamento alle note a fine capitolo.



 
Capitolo 39: “In amore e in guerra…”


 
“Camilla, si può sapere che è successo? Livietta mi ha detto che Gaetano ha deciso di partire col treno e se ne è andato?”
 
“Mamma… per favore…” la prega Camilla con un sospiro, rimpiangendo la sua decisione di cercare di calmarsi, ricacciare indietro a forza le lacrime, lavarsi il viso ed uscire dalla stanza che aveva preso quasi d’istinto quando aveva sentito rientrare sua madre ed Amedeo.
 
Se l’aveva fatto era stato proprio per evitare prediche e domande di questo tipo, per evitare l’insopportabile preoccupazione di sua madre, anche se il suo unico desiderio sarebbe stato quello di chiudersi in camera e di rimanerci almeno fino al mattino dopo, ma non si poteva. Anche perché c’era prima di tutto Livietta a cui pensare.
 
Ma Livietta si era eclissata in camera sua e Andreina l’aveva subito intercettata.
 
“Niente ‘per favore’ e non provarci nemmeno a raccontarmi le solite storie, tipo che doveva rientrare al lavoro o cose del genere. È per via di Ilenia, della discussione di stamattina?”
 
“In parte sì mamma, ma non ne voglio parlare e poi… ultimamente tra me e Gaetano sono venuti a galla diversi problemi e… per quanto lo amo, non so se… temo che non ci sia futuro tra noi,” ammette con voce amara, carica di tristezza.
 
“E quali sarebbero questi problemi? Che tu vuoi indagare ancora sul caso di Ilenia e lui ha paura e vuole che la smetti? E per questo vale davvero la pena di perdere l’uomo che ami?”
 
“No, mamma, non si tratta solo di Ilenia, ci sono anche altri problemi, problemi seri, in realtà un problema serio e la sua presa di posizione per questa storia di Ilenia ne è una conseguenza. Ma ti prego, non voglio parlarne, non ora,” ribatte Camilla, punta sul vivo, sentendosi ancora ovattata, come in una bolla, tra le lacrime e poi la corsa per mettere in piedi questa inutile maschera a beneficio di sua madre.
 
Maschera che rischiava di incrinarsi sempre di più ad ogni parola dell’altra donna e lei non poteva permetterselo, non ora, doveva arrivare almeno alla solitudine della sera, della notte, prima di poter fare a meno di questa specie di anestesia protettiva in cui il suo corpo l’aveva avvolta.
 
“E se non ora quando? Camilla, per la carità di dio, quale sarebbe questo problema insormontabile? Quale sarebbe questo problema per cui hai deciso di gettare la spugna così, senza nemmeno combattere, proprio tu che, come dimostrato dal caso di Ilenia, non ti arrendi mai, nemmeno quando non c’è più niente da fare? Dio solo sa quanto hai perdonato a Renzo e quanto ti sei incaponita sul vostro matrimonio! E ora dopo pochi mesi con Gaetano alla prima difficoltà molli tutto?” esclama Andreina, incredula da questo atteggiamento della figlia, così passivo e rassegnato, non da lei, “non ti ho mai vista così innamorata di qualcuno, così felice con qualcuno. Mi spieghi che senso ha? Cosa può essere cambiato in questa settimana che siete stati qui a Roma? Quando siete arrivati qui eravate il ritratto della felicità!”
 
“Appunto mamma,  proprio perché amo Gaetano da morire non voglio, non posso permettermi di ripetere con lui gli stessi errori commessi in passato, lo capisci? Non… non posso permettermi di portare avanti di nuovo un rapporto in cui sono la sola a credere veramente. Non posso permettermi di legarmi ancora di più a lui, di andare avanti sapendo che non c’è futuro tra noi.”
 
“Ma chi l’ha detto che non c’è futuro tra di voi? Chi l’ha detto? Gaetano?” domanda Andreina, sempre più preoccupata dalla rassegnazione che sente nel tono della figlia.
 
“Mamma… Gaetano non si fida di me, lo capisci? Non si fida di me! E se non c’è la fiducia non si va da nessuna parte e lo sai anche tu,” spiega infine, esasperata dal pressing della madre.
 
“Questa è una grandissima stupidaggine, Camilla: anzi, mi è sempre sembrato che Gaetano si fidasse e si fidi molto di più della tua intelligenza e delle tue intuizioni che delle sue, altrimenti non ti avrebbe permesso di intrometterti in tutti i suoi casi in questi anni, e se questa volta invece non è d’accordo con te sulle indagini su Ilenia e sulla tua convinzione che sia innocente, questo non significa che non si fidi di te in generale,” ribatte Andreina, stupita dal tono assoluto con cui Camilla aveva pronunciato quelle parole.
 
“Il problema non è il caso di Ilenia in sé, anche se il fatto che ultimamente Gaetano mi tratti come se fossi una pazza spericolata non è che un’ulteriore conferma della sua mancanza di fiducia nei miei confronti. Ma il problema principale è che Gaetano magari si fida di me o si fidava di me come persona, come investigatrice dilettante, tutto quello che vuoi, ma non si fida di quello che provo per lui, del fatto che io lo amo e-“
 
“E questa mi sembra un’altra idea assurda che non so come ti sei messa in testa: Camilla, quell’uomo ti ha inseguita per dieci anni senza arrendersi! Quindi o è un masochista o mi sembra evidente che sia sempre stato convinto che tu ricambiassi i suoi sentimenti, anche se non potevi o non volevi ammetterlo…” le fa notare Andreina con un sospiro e un sopracciglio alzato.
 
“Gaetano ha sempre saputo che non mi era indifferente, mamma: non essendo uno stupido non ci avrà messo molto a capirlo dato che probabilmente se ne sarebbe accorto pure un cieco. E sicuramente ha sempre saputo che sono attratta da lui e che tengo a lui ma… non è convinto che lo ami davvero, che lo ami quanto lui mi ama o quantomeno quanto ho amato Renzo o quanto lui pensa ami ancora Renzo… Mamma, quando Gaetano ha saputo quello che è successo con Marco ha reagito malissimo e mi ha detto… mi ha detto di avere paura che se e quando Renzo dovesse tornare alla carica, chiedermi di riprovarci con lui, io acconsentirò e lo pianterò in asso da un momento all’altro. Che forse adesso sto con lui solamente per una ripicca nei confronti di Renzo e Carmen. Capisci adesso qual è il problema, maledizione?” esclama, alzando la voce e diventando sempre più un fiume in piena mano a mano che perde la pazienza e il controllo.
 
“Capisco il problema e sinceramente capisco anche le preoccupazioni di Gaetano, Camilla, vedi-“
 
“Cioè pensi anche tu che se adesso Renzo dovesse suonare alla porta io mi getterei tra le sua braccia? Due minuti fa hai detto tu stessa che amo Gaetano e ora-“
 
“Camilla, vuoi farmi finire di parlare? Capisco le preoccupazioni di Gaetano perché sono le stesse che ho avuto io da quando mi hai detto di esserti lasciata con Renzo, Camilla. Con tutti i tiramolla che avete fatto, con la vostra storia passata è ovvio che avevo il timore che ci ricascassi di nuovo, non so se per quello che provi per Renzo, se per sensi di colpa, se per autolesionismo o comunque tu lo voglia chiamare. Ma poi devo ammettere che vedendoti in questi giorni con Gaetano mi sono rassicurata sul fatto che quello che hai con Gaetano è molto diverso da quello che avevi con Marco e anche con Renzo e-“
 
“E te ne sei accorta pure tu, quindi, ma Gaetano, che è il diretto interessato, quello che dovrebbe per primo sentire quanto lo amo, no, non se ne rende conto, mamma e-“
 
“E io ti conosco da una vita, Camilla, letteralmente, e per questo posso parlare con cognizione di causa e inoltre in questi casi le cose si vedono con molta più lucidità dall’esterno. Gaetano ti conosce da dieci anni, è vero, ma state insieme da pochi mesi, anzi, poche settimane, Camilla, è ovvio che possa avere delle paure, dei dubbi, specialmente dopo che ti ha dovuta inseguire appunto per un decennio, avendo vissuto sulla propria pelle quanto tu fossi attaccata al tuo rapporto con Renzo. Mi sembra naturale che possa avere paura di perderti, che non sia facile per lui confrontarsi con il fantasma di Renzo, con quello che è stato comunque l’uomo più importante della tua vita, il padre di tua figlia, con cui sei stata per vent’anni. Prova a metterti nei suoi panni, Camilla, come ti sentiresti al suo posto?”
 
“Anche io mi sono dovuta confrontare e mi confronto con i rapporti precedenti di Gaetano, mamma, con Eva innanzitutto e poi-“
 
“E tu vorresti paragonarmi un rapporto di pochi mesi, che è evidente che è iniziato male e finito peggio, con vent’anni di matrimonio? Camilla, c’è più storia pregressa tra te e Gaetano che tra lui e la svedese e lo sapete entrambi, su!” commenta Andreina, scuotendo il capo e alzando un sopracciglio.
 
“Ma non c’è solo la svedese, mamma, ci sono anche le decine e decine di donne che Gaetano ha fatto passare in questi anni e che impensierirebbero qualunque donna dotata di un minimo di cervello e buonsenso. Ma io ho deciso di fidarmi di lui, di quello che lui prova per me, nel momento stesso in cui ho iniziato una storia con lui, anzi, in caso contrario, non avrei proprio iniziato una storia con lui, lo capisci?”
 
“Camilla, l’hai detto tu stessa: hai deciso di fidarti di quello che lui prova per te. E come mai hai deciso di fidarti? Cosa ti ha fatto capire che potevi fidarti?”
 
“Non lo so… forse il modo in cui si è sempre comportato con me da quando ci conosciamo, il modo in cui mi ha sempre guardata e poi… soprattutto in quest’ultimo anno da quando ci siamo rivisti a Torino… mi ha dimostrato in mille modi quanto mi amasse e quanto volesse stare con me, e soprattutto che… che finalmente era davvero pronto ad una relazione stabile e seria,” risponde mentre, senza nemmeno rendersene conto un sorriso le increspa le labbra al ricordo, “sai, il fatto che da quando… da quando abbiamo ripreso a frequentarci e da quando ha cominciato ad occuparsi di Tommy lui ad un certo punto abbia smesso di vedere altre donne, anche se non c’era niente tra noi, mi ha fatto capire che davvero voleva solo e soltanto me e anche quanto ci tenesse alla stabilità e alla serenità di Tommy. E poi anche il modo in cui si è comportato con me prima che iniziassimo la nostra storia, il modo in cui mi ha rispettata e protetta in un momento in cui mi sentivo molto fragile, mi ha fatto capire che teneva più alla mia felicità che alla sua. E quando siamo diventati una coppia a tutti gli effetti… con Renzo è stato un signore, mamma, un vero signore e il modo in cui si è comportato con Livietta… né io né Renzo riuscivamo più a farci capire da lei, a raggiungerla e invece lui c’è riuscito, si è conquistato la sua fiducia e le è stato vicino quando lei ne aveva più bisogno. E credo che Livietta abbia sentito quanto era ed è sincero, che lo faceva perché le vuole bene, senza secondi fini e adesso… hai visto quanto si adorano, no?”
 
“Sì, ho visto,” conferma l’anziana, in un sussurro quasi commosso.
 
È un attimo, il tempo di un secondo e il sorriso svanisce dalle labbra di Camilla, le labbra contratte in una smorfia di dolore, mentre chiude gli occhi e abbassa lo sguardo per evitare di cedere di nuovo alle lacrime: la dannata consapevolezza infine la investe, la investe come un pugno alla bocca dello stomaco e sa che tutto quello non è altro che un ricordo, un ricordo che le brucia l’anima, perché tutto quel calore, quell’amore, quella gioia non le appartengono più, perché ha perso tutto.
 
“Camilla…” sussurra di nuovo Andreina, appoggiandole una mano sulla spalla, senza demordere nemmeno quando la figlia si volta per nasconderle il viso, “Camilla, non è troppo tardi, sei ancora in tempo per rimediare.”
 
“Mamma, per favore, quale parola della frase ‘Gaetano non si fida di me’ non ti è chiara? Lo so che lo amo, lo so benissimo, dannazione, e so che mi ama anche lui, ma l’amore da solo non basta, non superati i vent’anni, non se si vuole una relazione seria e lunga, non quando si hanno figli e delle responsabilità!” esclama esasperata in quello che è quasi un urlo, odiando sua madre come raramente prima d’ora per la sua maledetta insistenza, per costringerla ad affrontare tutto questo, tutto insieme, ora che non si sente pronta per farlo. Per costringerla ad affrontarlo davanti a lei, sapendo quanto odi essere vulnerabile al suo cospetto, al cospetto di colei che è sempre stata la sua detrattrice più inflessibile.
 
“Camilla, guarda che ho capito benissimo: il mio cervello e le mie orecchie funzionano ancora perfettamente nonostante i tuoi tentativi di assordarmi! Ma, di nuovo, l’hai detto tu stessa: la fiducia non è una cosa che appare dal nulla o che scompare nel nulla senza motivo, è una cosa che si costruisce e che si mantiene nel tempo, con la conoscenza, con le esperienze vissute insieme. Hai deciso di fidarti di quello che Gaetano provava e prova per te perché in questi anni, in questi mesi, ti ha dimostrato con i fatti, più che con le parole, quanto ci teneva e ci tiene a te. Non pensi che è di questo che ha bisogno Gaetano? Che non è che non si fidi di te ma forse voglia semplicemente essere rassicurato, ricevere delle conferme da te?”
 
“E tu pensi che non l’abbia fatto? Mamma, da quando io e Gaetano stiamo insieme non ho fatto altro che dimostrargli in ogni modo, con le parole e con i fatti, quanto lo amo, quanto lui è importante per me, e che lo è sempre stato, sempre, perfino dieci anni fa. Ma lui sembra… sembra non essersene nemmeno accorto, sembra non averlo percepito, nonostante tutto quello che abbiamo vissuto insieme anche… anche pochi giorni fa proprio qui a Roma e proprio per questo i suoi dubbi sono stati come una doccia gelata per me. Perché se ha ancora tutti questi dubbi adesso, quando siamo ancora nella fase da Luna di Miele, dopo che abbiamo passato insieme delle settimane che, nonostante tutti i problemi che abbiamo dovuto affrontare, sono state assolutamente meravigliose, perfette al di là di ogni mia più rosea aspettativa, cosa succederà andando avanti con il tempo? Quando ci saranno gravi problemi da affrontare, quando subentrerà la routine, le incomprensioni che capitano a tutte le coppie o se semplicemente io e Renzo dovessimo recuperare un rapporto più civile e meno teso che nelle ultime settimane?”
 
“E invece secondo me le cose con il tempo non possono che migliorare, Camilla: è di tempo che avete bisogno. Anche se gli hai dato tutte queste dimostrazioni da quando state insieme, sono passate poche settimane, Camilla, solo poche settimane, che, per quanto meravigliose, probabilmente non bastano per cancellare del tutto le insicurezze e i dubbi nati in questi dieci anni di rifiuti da parte tua, anche se avevi i tuoi buoni motivi. Insomma, tu ci hai messo dieci anni per fidarti del tutto dei suoi sentimenti, no? E lui non ne ha mai fatto mistero, anzi, ancora un po’ baciava la terra su cui camminavi. Lui invece deve fare i conti con dieci anni passati nel ruolo dell’innamorato respinto, dieci anni in cui hai sempre preferito Renzo a lui anche se, ripeto, avevi i tuoi buoni motivi. Non pensi che dovresti concedergli e concedervi un po’ più di tempo, Camilla, per consolidare questo rapporto, per rassicurarlo con i fatti, mano a mano che passano i giorni, le settimane e i mesi che quello che provi per lui non è una cosa passeggera dovuta appunto alla fase da Luna di Miele?”
 
Camilla rimane per un attimo spiazzata, mentre le parole di sua madre le entrano in circolo come un veleno o forse come una medicina, perché hanno un senso, perché hanno insinuato in lei il tarlo del dubbio.
 
“E poi, comunque Camilla, se posso permettermi e poi non parlo più, tu dici che hai fatto di tutto per dimostrargli quanto lui è importante per te, però in questa settimana mi sembra che Gaetano sia passato in secondo piano, tutti noi siamo passati in secondo piano rispetto a questa indagine, ma nel suo caso… era la vostra prima vacanza insieme. E per quanto capisco il tuo attaccamento a Ilenia e il tuo senso del dovere e di protezione nei suoi confronti… cerca di capire anche Gaetano. Ti ha assecondata in tutto, nonostante le minacce di quel maleducato del fratello di Marco e i possibili rischi per il suo lavoro, molto più di quanto avrebbe fatto credo qualsiasi altro uomo al suo posto, forse anche perché ovviamente gli piace indagare insieme a te ma… c’è un limite, Camilla e non pensi che Gaetano avesse in mente qualcos’altro per questa vacanza e che abbia bisogno adesso di sentire che è lui la tua priorità assoluta, a parte Livietta?”
 
Di nuovo Camilla è senza parole, perché quello che le ha detto sua madre rispecchia quello che le ha rinfacciato Gaetano con quel tono così carico di amarezza: “non so se non hai delle priorità o se tra le tue priorità semplicemente non rientro anche io”. E Camilla si rende conto che sua madre ha ragione, che, forse per gli anni di conoscenza pregressa con Gaetano, per la loro passione comune per le indagini, per il modo così… naturale con cui era avvenuto tutto tra loro in queste settimane, tanto da farla sentire come se stessero insieme da sempre, si era dimenticata che non stavano davvero insieme da una vita e aveva dato per scontate troppe cose che non erano affatto scontate, a partire dall’aiuto, dal sostegno e dalla pazienza dimostrata da Gaetano durante queste sue indagini parallele a cui non era affatto tenuto a partecipare, anzi, a cui, per il ruolo che ricopriva, non avrebbe dovuto affatto partecipare. E non aveva tenuto conto delle esigenze e delle aspettative del Gaetano compagno, del Gaetano uomo, che erano ben diverse da quelle del Gaetano poliziotto, da sempre suo “complice in indagini criminali”.
 
Perché il fatto che per lei fosse scontato, fosse ovvio l’amore che prova per lui, il fatto che lui fosse al centro del suo “cerchio magico”, come lo definiva Livietta da bimba, non significava che dovesse necessariamente essere altrettanto scontato per lui dopo nemmeno due mesi di relazione, né che fosse lecito per lei aspettarselo o pretenderlo. E dopo quella magica notte nel loft probabilmente si era adagiata sugli allori e non era più riuscita a trasmetterglielo, a trasmettergli quanto la sua presenza al suo fianco fosse fondamentale per lei e che il suo desiderio di aiutare Ilenia non veniva affatto prima di lui, prima di loro due, prima del loro rapporto e, anzi, gli aveva lanciato il segnale diametralmente opposto e la presenza di Marco aveva fatto il resto...
 
E alla consapevolezza dei suoi errori si unisce la speranza, la speranza di potervi porre rimedio. E la speranza può fare bene tanto quanto può farti male, specie quando, come ora, sente che è ormai troppo tardi, che il treno è letteralmente partito.
 
Anzi no, pensa tra sé e sé, azzardandosi per la prima volta a guardare l’orologio sulla parete della cucina.
 
“A che ora parte il suo treno, Camilla? O è già partito?” domanda sua madre, avendo colto perfettamente l’occhiata, per quanto breve, avendo come sempre quella maledetta e benedetta capacità di leggerle dentro.
 
“Tra quaranta minuti mamma, alle 19…“
 
“E allora mi spieghi che cosa aspetti? Va’ da lui: non è troppo tardi!” la esorta guardandola negli occhi e stringendo la mano ancora appoggiata sulla sua spalla.
 
“Mamma, tu non l’hai visto, non hai visto quanto era deciso, categorico: non accetterà mai di rimanere qui e-“
 
“E allora tu non chiederglielo, Camilla,” risponde Andreina con un mezzo sorriso e un sopracciglio alzato.
 
“Vuoi dire che…?” domanda, incredula, capendo immediatamente cosa vuole dire sua madre e comprendendo altrettanto immediatamente che è l’unica possibilità che ha di fare capire a Gaetano davvero, con i fatti e non con le parole, qual è la sua priorità.
 
Ma c’è anche un’altra priorità a cui pensare: l’unica persona al mondo importante quanto e più di Gaetano.
 
“E Livietta?”
 
“Livietta può passare ancora qualche giorno qui se serve: gli amici non le mancano e lo sai quanto sono felice di avere la mia nipotina per casa, dato che la vedo così raramente. E sono sicura che lei sarà più che felice se questo significa che tu e Gaetano fate pace. Dai, cosa aspetti? Se non ti sbrighi, col traffico di Roma, il treno parte!”
 
Camilla esita per un solo secondo al pensiero di fare questa pazzia, sapendo benissimo a che cosa sta rinunciando, ma sapendo altrettanto bene quanto c’è in gioco e non serve nemmeno soppesare i pro e i contro, perché non c’è paragone: il suo cuore ha già deciso. Con la sua coscienza dovrà fare i conti dopo, ma, come le aveva detto una volta Gaetano, preferiva di gran lunga essere in conflitto con la sua coscienza che con lui.
 
Corre verso la stanza di Livietta e, come previsto, la trova chiusa a chiave. Bussa rapidamente e forte per farsi sentire, sperando che la figlia non si sia trincerata dietro le sue cuffiette con la musica a palla.
 
“Livietta, Livietta, volevo dirti che raggiungo Gaetano in stazione e potrei-“
 
Non riesce a finire la frase che la porta si spalanca ed emerge Livietta con gli occhi ancora arrossati e uno sguardo deciso.
 
“Non ti azzardare a tornare fino a che non avete fatto pace, ok?” le intima, aggiungendo poi con tono sarcastico ma affettuoso, “anche perché piuttosto che sorbirmi di nuovo uova al tegamino per i prossimi mesi, chiedo asilo politico alla nonna.”
 
“Livietta…” sussurra Camilla con un sorriso commosso, abbracciandola forte per qualche secondo, fino a che l’adolescente scioglie l’abbraccio.
 
“Che fai ancora qui? Sbrigati, mamma!”
 
Camilla sorride di nuovo, afferra la borsetta, per il resto non c’è tempo, e corre verso la porta di ingresso, scende le scale facendo i gradini a due a due, sale in macchina e mette in moto.
 
Percorre il primo tratto di strada premendo sull’acceleratore, ai limiti della prudenza e del codice della strada, ma poi arriva il traffico della Tiburtina. Più volte è tentata di mollare la macchina e andare in metro, ma il tempo stringe.
 
Prova a telefonare al numero di Gaetano ma lo trova occupato. Maledicendosi per la sua idiozia e soprattutto per non essersi decisa in tempo, parcheggia nel primo spazio libero e si fa l’ultimo pezzo a piedi, o meglio di corsa, con i polmoni che bruciano e i muscoli che protestano.
 
Uno sguardo rapido al tabellone che conferma che il treno è in partenza: sono ormai le 19. Va direttamente al binario: si beccherà una multa dal controllore se necessario, non le interessa nulla arrivati a questo punto.
 
Con un ultimo sprint degno di un velocista arriva finalmente al binario… giusto in tempo per vedere il frecciarossa allontanarsi inesorabilmente fino a scomparire.
 
Il fiato le viene a mancare del tutto, mentre sente ogni singola giuntura protestare e farle sentire tutto il peso di ognuno dei suoi cinquant’anni. Esausta, crolla sulla panchina più vicina, la voglia di piangere ritorna prepotente ma la uccide sul nascere: deve esserci un’altra soluzione. Quello era l’ultimo treno della giornata, quindi… potrebbe forse andare in auto? Ma non ha mai guidato per così tanti chilometri da sola, poi di notte… Non è possibile e lo sa anche lei.
 
Non le resta che aspettare il giorno dopo per raggiungerlo e cercare di spiegarsi, sperando che non sia troppo tardi. Sa benissimo che vederlo adesso, parlargli adesso, sarebbe stata tutta un’altra cosa, non fosse altro perché avrebbero avuto quattro ore di viaggio da fare insieme, in cui lui non avrebbe potuto evitare di ascoltarla.
 
Con mano ancora tremante estrae il cellulare dalla borsa, compone di nuovo il suo numero ma questa volta è staccato e viene dirottata sulla segreteria telefonica. Ha sempre odiato le segreterie telefoniche: il bip, l’ansia di dover dire tutto in pochi secondi, senza nessun interlocutore dall’altra parte. Chiude senza lasciare il messaggio.
 
Esita ancora per un attimo sul da farsi, sta per ritirare il telefono in borsa quando le squilla e le vibra tra le mani, cogliendola di sorpresa a tal punto che sta per farlo cadere.
 
“Gaetano!” risponde senza nemmeno guardare il numero sul display.
 
“Mi dispiace deluderla, professoressa, ma non sono il suo principe azzurro: ha sbagliato vicequestore,” risponde la voce dall’altro capo della cornetta, beffarda come sempre.
 
“Dottor De Matteis?” domanda, non sapendo se ridere o se piangere, incredula del fatto che la chiami a quest’ora, dopo che si erano salutati – e in che modo – poche ore prima.
 
“La sua perspicacia è sempre sorprendente, professoressa, ma bando ai convenevoli: la chiamo perché deve venire qui in questura, subito,” ribatte, perentorio quanto sarcastico.
 
“Dottor De Matteis, ci siamo visti poche ore fa, è tardi e ora non posso proprio venire da lei e in realtà domani dovrei-“
 
“Professoressa, forse non ci siamo capiti, questo non è un invito o un suggerimento: DEVE venire qui subito,” la interrompe alzando la voce, con un tono marziale e freddo, gelido, ancora più del solito.
 
“Dottor De Matteis, se è per quello che è successo prima nel suo ufficio, le-“
 
“Professoressa, quale parola della frase – deve venire in questura – non le è chiara? Ha due opzioni: o si presenta da me spontaneamente entro un’ora o la faccio venire a prelevare da una volante. Le è chiaro adesso?”
 
“Chiarissimo,” risponde Camilla, spiazzata e preoccupata, perché il tono dell’uomo è serissimo e non sta affatto scherzando, né bluffando.
 
“Bene, la aspetto!”
 
Ci mancava solo questa! – pensa mentre si avvia verso la macchina.
 
In auto prova ancora qualche volta a chiamare il numero di Gaetano, inutilmente, dato che il telefono è sempre staccato.
 
Arriva in questura e viene intercettata da Grassetti che la guarda con un’aria che sembra quasi imbarazzata, mentre la conduce verso l’ufficio di De Matteis. Stavolta niente anticamera: non sa se esserne sollevata o inquietata.
 
Si spalanca la porta e il cuore le fa un tuffo nel petto, finendole prima nello stomaco e poi in gola.
 
“Gaetano!” esclama, vedendolo seduto su una delle due sedie imbottite poste simmetricamente di fronte alla scrivania di De Matteis, i battiti che accelerano all’impazzata, mentre viene avvolta da un senso di gioia e di sollievo talmente potente da farle sentire le gambe e le braccia come se fossero fatte di gelatina.
 
Il suo primo impulso è correre da lui e abbracciarlo: non esiste altro in questo momento, né De Matteis, né Grassetti, né le circostanze. Ma, compiuti i primi due passi, il suo cervello registra l’espressione grave sul volto di Gaetano e si pone infine la fatidica domanda: cosa ci fa lui lì? Improvvisamente i suoi occhi, prima concentrati solo su di lui, notano altri dettagli: De Matteis, in piedi dietro la sua scrivania, l’atteggiamento solenne del giudice che sta per emettere una sentenza di condanna capitale, Mancini, seduto sui divanetti d’angolo, l’espressione soddisfatta del gatto che ha appena mangiato il topo.
 
“Che succede?” domanda, guardando Gaetano e poi De Matteis, mentre un peso le piomba sullo stomaco e il cuore le batte ancora all’impazzata, ma per tutt’altro motivo: sente in bocca un gusto metallico che le dice che la risposta non le piacerà.
 
“Si accomodi, pure, professoressa, come vede le ho riservato un posto accanto al suo principe azzurro: ne avremo per un po’,” proclama De Matteis con il solito sarcasmo, ma la voce è ancora più dura del solito, quasi esasperata.
 
Lancia di nuovo un’occhiata a Gaetano mentre si siede vicino a lui e l’espressione rassegnata sul suo viso le fa temere il peggio.
 
De Matteis fa un cenno verso Mancini, che si avvicina con un cellulare e lo usa per accendere lo schermo sulla parete in fondo all’ufficio. Si vedono al bar, in compagnia di Marchese e di Sammy e soprattutto sentono le loro voci, mentre discutevano gli sviluppi del caso Scortichini. Poi Mancini manda avanti il filmato e si vedono di nuovo in compagnia del punkabbestia, mentre parlano con lui. La qualità video non è un granché, paiono riprese fatte con un cellulare, ma l’audio è nitidissimo, quasi come se Mancini fosse stato accanto a loro mentre faceva queste registrazioni. Come avevano fatto a non notarlo?
 
“Sa, professoressa, cominciavo a stupirmi, quasi a preoccuparmi per non averla avuta tra i piedi in questi giorni, per il fatto che mi avesse dato retta quando le ho intimato di tenersi fuori dal caso Scortichini. Mi sono anche detto che evidentemente lei e Berardi avevate di meglio da fare durante questa Luna di Miele che mettervi ad indagare,” esordisce De Matteis, quando Mancini mette in pausa il video, sempre più sprezzante, con un sorrisino derisorio che non gli raggiunge però gli occhi, mentre Camilla nota la mascella di Gaetano contrarsi e il modo quasi spasmodico con cui afferra i braccioli della sua sedia.
 
“Ma invece, come sempre, il suo comportamento incosciente ed inqualificabile supera le mie peggiori previsioni. Perché non solo lei e Berardi vi siete immischiati in questa indagine, ma avete istigato un mio sottoposto a violare il segreto investigativo e avete perfino coinvolto la moglie di un altro mio sottoposto, ottenendo e divulgando informazioni riservate, introducendovi in scene del crimine e rischiando di comprometterle e contaminarle!” urla, sbattendo i palmi delle mani sulla scrivania fino a farla tremare e squadrandoli entrambi con uno sguardo raggelante, “ma se tutto questo è già gravissimo da parte sua, professoressa Baudino, è a dir poco inconcepibile che una condotta simile venga messa in atto da parte di un funzionario di polizia! Berardi, non so se la sua sia incoscienza, sprezzo delle regole, delirio di onnipotenza, o se in presenza della Baudino lei non sia in grado di ragionare col cervello e col buon senso e si lasci invece guidare da altre parti anatomiche ma-“
 
“Adesso basta: non le permetto di trattarci in questo modo!” esclama Gaetano, perdendo infine la pazienza e alzandosi dalla sedia per affrontare De Matteis faccia a faccia.
 
“E invece a lei è tutto permesso no, Berardi? Coprire di ridicolo noi e l’intero corpo di polizia, trattandoci come se fossimo dei poveri deficienti, incapaci di cavarcela senza il contributo di una professoressa di lettere? Il fatto che lei non sia in grado di muovere un passo senza la Baudino non significa che siamo tutti nella sua stessa situazione, per fortuna!” grida De Matteis, sporgendosi ancora di più oltre alla scrivania, fino ad arrivare a pochi centimetri dal viso di Gaetano, “e poi cosa vorrebbe fare, eh? Siamo arrivati alle minacce? Continui così Berardi, si scavi pure ulteriormente la fossa: quando i nostri superiori avranno notizia di quello che è successo qui vedremo che fine farà la sua carriera da miracolato!”
 
“Gaetano!” grida Camilla non appena lo vede muoversi in avanti, alzandosi in piedi e frapponendosi tra il corpo dell’uomo e la scrivania di De Matteis, abbracciandolo in vita per bloccarlo ed evitare che ceda alle provocazioni e commetta qualche sciocchezza.
 
Si guardano negli occhi e Gaetano immediatamente si calma: sentire il calore e il contatto di lei, sensazioni che fino ad un’ora fa non pensava avrebbe mai più potuto provare ha come sempre un effetto devastante su di lui.
 
Tanti anni prima le aveva confessato che lei gli conferiva quella lucidità che gli era indispensabile, nel lavoro e nella vita, anche se poi a volte gliela toglieva completamente, come nessun’altra persona al mondo era in grado di fare. Ed è tuttora così, esattamente come allora, anzi, probabilmente ancora di più.
 
Un altro sguardo, un cenno di intesa e poi Camilla rompe il contatto visivo, voltandosi per affrontare De Matteis.
 
“Adesso basta, dottor De Matteis,” sibila Camilla, decisa e fiera, fulminandolo con uno sguardo ferale, “lei non ha alcun diritto di trattare Gaetano in questo modo, anche perché lui non ha alcuna colpa. La responsabilità di quello che è successo è solo ed esclusivamente mia: è stata mia l’idea e l’iniziativa di condurre queste indagini nonostante lei mi avesse intimato di non farlo. Gaetano ha provato in tutti i modi a farmi desistere, ma io ho voluto proseguire.”
 
“Camilla-“ cerca di interromperla Gaetano, ma lei continua imperterrita, sapendo qual è la cosa giusta da fare.
 
“Gaetano non era d’accordo fin dal principio, e se ha partecipato a questo incontro e a parte delle mie indagini è stato per tenermi d’occhio e per evitare che mi cacciassi nei guai e per assicurarsi proprio che non ci fosse nemmeno il minimo rischio di contaminare le prove. Avete sentito con le vostre orecchie la sua insistenza affinché vi mostrassi la lettera di Ilenia e inoltre, anche se non ne è stata mostrata la registrazione, dato che l’ispettore Mancini si è premurato di seguirci e di riprenderci, avrà probabilmente anche visto e ripreso cos’è successo dopo il nostro colloquio con il punkabbestia e saprà quindi che Gaetano ha espresso chiaramente la sua intenzione di chiudere con queste indagini e, a seguito del mio rifiuto di lasciar perdere, ha deciso di… di lasciarmi e di tornare da solo a Torino.”
 
“Camilla-“ prova di nuovo a fermarla Gaetano, prendendola per l’avambraccio per portarla a girarsi verso di lui, ma lei si scosta.
 
“Gaetano, per favore, non serve che continui a cercare di proteggermi. Se qui c’è qualcuno che ha sbagliato sono io ed è giusto che mi prenda le mie responsabilità, mentre non è giusto che paghi tu per colpa mia,” ribatte Camilla, lanciandogli un’occhiata per implorarlo di non interromperla e di lasciarla fare.
 
“E lei quindi vorrebbe farmi credere che proprio oggi, guarda caso la coincidenza, avrebbe avuto termine l’idillio amoroso tra lei e Berardi e che lui avrebbe preso le distanze da lei? A maggior ragione dopo questa scenetta commovente?” domanda De Matteis incredulo, con un sopracciglio alzato, mentre Gaetano sembra come paralizzato, sconvolto.
 
“È stato proprio lei a sottolineare l’assenza di Gaetano quando le ho fatto visita oggi, dottor De Matteis e a chiedermi se c’erano problemi in paradiso. E forse non l’ha notato, ma ho evitato di risponderle direttamente, distraendola volutamente con una provocazione, dato che non mi andava di parlarne,” replica Camilla, sentendosi male ad ogni parola che pronuncia, non solo perché ammetterlo ad alta voce rende mille volte più reale, più definitivo il fatto che tra lei e Gaetano sia finita, ma perché conosce perfettamente le conseguenze di quello che sta dicendo, sa che sta mettendo una gigantesca pietra tombale sopra la possibilità di riconciliarsi con Gaetano, sa che, anche volendo, non potrà più farlo, che l’unica possibilità per Gaetano di evitare gravi conseguenze è di prendere le distanze da lei, o meglio che lei prenda le distanze da lui, dato che lui non lo farebbe mai, ma sa anche che è giusto così: lei è incensurata e non rischia poi molto, anche perché non era assolutamente tenuta a rispettare il segreto di indagine e non ha commesso alcun reato. Chi rischia invece sono Marchese e Gaetano e non può permettere che lui si rovini la vita e la carriera per colpa sua.
 
“E se vuole può controllare ma sul frecciarossa per Torino delle 19 c’era un biglietto, uno solo, prenotato oggi a nome di Gaetano. Immagino che quando lei l’ha rintracciato intimandogli di presentarsi qui, come ha fatto poi con me, lui fosse già sul treno, pronto per partire, e anche questo non le sarà difficile verificarlo e-“
 
“E a me sinceramente della sua vita sentimentale con Berardi importa ben poco, professoressa, per quanto, se quello che mi dice è vero, mi congratulo con lui per aver finalmente visto la luce,” la ferma De Matteis con il solito sarcasmo, “però fatto sta che fino ad oggi l’ha aiutata in queste indagini e-“
 
“Le indagini le ho condotte io per conto mio e su mia iniziativa personale. Gaetano ha deciso di accompagnarmi all’incontro con i punkabbestia perché temeva per la mia incolumità e perché conosceva gli amici di Black, visto che si è occupato delle indagini sul suo omicidio e i punkabbestia si sono infatti fidati di lui. Ma non ha fatto nulla per intromettersi nelle indagini ufficiali o intralciarle, anzi, come emerge dalle registrazioni ha insistito per avere la presenza dell’agente Marchese, ufficialmente incaricato di queste indagini, al colloquio e ha cercato in ogni modo di dissuadere me e Sammy, la moglie dell’ispettore Mancini, dal parteciparvi. Inoltre ha dato precise istruzioni ai punkabbestia di contattare direttamente Marchese e non lui, se avessero avuto novità da riferire sul caso e-“
 
“E quindi secondo lei questo giustificherebbe il silenzio di Berardi, e quindi la sua complicità, alle sue indagini, o il fatto di avere ottenuto informazioni riservate dall’agente Marchese e di averle condivise con lei e con la moglie dell’ispettore Mancini?” la interrompe di nuovo De Matteis, con un sopracciglio alzato e l’aria di chi non crede ad una sola parola di quanto gli viene detto, “oltretutto da questo filmato mi pare altrettanto evidente che Berardi conosce praticamente ogni singolo dettaglio del caso Scortichini e quindi ha fatto ben di più di partecipare a questo incontro con i punkabbestia!”
 
“Camilla, basta,” interviene infine Gaetano, posandole una mano sulla spalla per spingerla a voltarsi verso di lui e ad arretrare di un passo, per poi continuare, guardandola negli occhi con determinazione, “sei tu che non devi continuare a cercare di proteggermi. Quello che ho fatto l’ho fatto per mia scelta e soprattutto perché ritenevo e ritengo fosse la cosa giusta da fare, nell’interesse di tutte le persone coinvolte in questo caso e della promessa che ho fatto quando sono entrato in polizia, cioè quella di fare tutto quello che era in mio potere per cercare la verità e per salvaguardare la giustizia.”
 
“Gaetano,” cerca di protestare, di fargli capire con lo sguardo di non farlo, di lasciare parlare lei, di permetterle di prendersi la colpa, ma lui scuote il capo e si frappone tra lei e la scrivania, e quindi tra lei e De Matteis.
 
“Berardi, certo che a lei la faccia tosta non manca: secondo lei ignorare tutte le regole e le procedure salvaguarderebbe la giustizia?” domanda De Matteis, incredulo, con tono e sguardo di sfida.
 
“Non ho ignorato tutte le regole e le procedure, dottor De Matteis, ho semplicemente collaborato con l’agente Marchese invece che con lei direttamente, come sarebbe stato logico e consuetudine fare e ho dovuto farlo di nascosto, ma perché è lei col suo atteggiamento che mi ha costretto a farlo. Che mi ha costretto ad usare dei sotterfugi per fare qualcosa che avrei potuto, anzi, dovuto fare alla luce del sole, se lei avesse davvero avuto a cuore il buon esito di queste indagini e la ricerca della verità, invece del suo orgoglio e dei suoi risentimenti personali nei confronti di Camilla e-“
 
“Non le permetto di-“
 
“Ha parlato fino adesso, ora lasci parlare me, dottore,” sibila Gaetano, fulminando l’altro uomo con uno sguardo tale per cui De Matteis esita per un secondo, arretrando di un passo dietro la scrivania, “la colpa di queste indagini clandestine è soltanto sua, dottor De Matteis. Lei parla di regole e procedure, benissimo, vogliamo parlare di qual è la consuetudine quando si ha a che fare con un caso di omicidio legato ad un altro precedente caso? Si cerca di ottenere ogni informazione sul precedente caso da chi se ne è occupato e, se possibile, si chiede la sua collaborazione, perché sicuramente è a conoscenza di informazioni che potrebbero essere risolutive, perché potrebbe aiutarci a vedere e a interpretare aspetti del nuovo caso sotto una luce diversa. A volte, se il caso precedente è irrisolto, si uniscono i due casi. E cosa si fa se ad occuparsi del caso precedente è stata addirittura la stessa squadra omicidi che lei ora dirige, quando era diretta dal suo predecessore, che oltretutto si trova in città al momento, disponibile a collaborare, e che dirige la squadra omicidi della città di residenza della famiglia di una delle principali indiziate? Le dico cosa avrei fatto io al suo posto: avrei colto l’occasione al volo per instaurare una cooperazione, per aiutarsi a vicenda, ottenere il maggior numero di informazioni possibile, scambiarsi le idee e collaborare alla ricerca della verità.”
 
De Matteis sembra ancora esitante, chiaramente sorpreso e spiazzato dall’atteggiamento di Gaetano.
 
“E lei invece che cosa ha fatto dottor De Matteis? È stato aggressivo fin dal primo istante, insultandomi, deridendomi e minacciandomi di rovinarmi la carriera se solo avessi osato mettere il naso nelle sue indagini, minacciando ripercussioni su Camilla e la sua famiglia, mettendo fin da subito in chiaro che a lei della ricerca della verità non gliene fregava un bel niente, a lei l’unica cosa che interessava e che interessa è questa specie di rivalità su chi sia il migliore poliziotto tra me e lei e soprattutto le vicende personali pregresse tra lei, suo fratello e Camilla. A questo poi si è aggiunto l’ispettore Mancini, con il suo continuo mobbing e atteggiamento da bullo nei confronti dell’agente Marchese, atteggiamento che lei non solo non ha evidentemente mai fatto nulla per frenare, come sarebbe di nuovo suo dovere fare, ma che ha invece tollerato e continua a tollerare, come se fosse lecito e normale e-“
 
“Io non faccio mobbing e non le permetto di darmi del bullo!” lo interrompe Mancini, che fino ad allora si era tenuto in disparte, alzando la voce, “e se sono duro con l’agente Marchese è perché non solo non ha alcun talento per l’investigazione, ma manca anche di disciplina e a questo punto direi di spirito di corpo e di onestà, visto che non si è fatto alcuno scrupolo a violare le regole e divulgare informazioni riservate e-“
 
“Ed è difficile dare il meglio di sé, anzi, è difficile anche solo lavorare senza commettere passi falsi se si ha qualcuno che ci sta costantemente col fiato sul collo, ispettore, pronto a cogliere, sottolineare e sfruttare ogni nostro minimo errore. È difficile provare spirito di corpo quando i primi a non averlo sono i propri superiori, quando si è maltrattati costantemente per ragioni che nulla hanno a che vedere con il proprio mestiere e che tutto hanno a che vedere con la propria vita privata, a maggior ragione quando al limite dovrebbe essere l’agente Marchese ad avere diritto di provare risentimento nei suoi confronti, Mancini, e non viceversa. E quando, lo ripeto, chi dovrebbe vigilare e tutelare i propri sottoposti non lo fa e tollera il crearsi di situazioni di questo tipo. E, soprattutto in questo caso, a tutto questo si è aggiunto il fatto che entrambi, per via di nuovo di risentimenti personali, avevate già deciso senza uno straccio di prova in mano chi fosse il colpevole, azzeccandoci col senno di poi, per carità, ma non è così che un poliziotto dovrebbe operare. Tanto che avete spinto l’agente Marchese a bypassarvi, per riuscire a compiere il suo dovere. L’agente Marchese ha fatto quello che avrebbe dovuto fare lei, De Matteis: ha scambiato con me informazioni sul caso e-“
 
“Anche io le ho chiesto le informazioni che mi servivano, Berardi!” ribatte De Matteis in quello che è quasi  un urlo, “e lei e la professoressa siete stati come minimo reticenti. Quello che avete riferito a Marchese potevate, anzi, dovevate riferirlo a me e-“
 
“E ci ho provato, De Matteis, ma lei me l’ha reso impossibile! Innanzitutto lei mi ha chiesto alcune informazioni, De Matteis, ma il problema è che non aveva il quadro completo dei due casi e quindi non poteva sapere quali delle svariate informazioni in mio possesso sul caso di Black e su Ilenia Misoglio avessero effettivamente una rilevanza per il nuovo caso, come non potevo saperlo io, non avendo la sfera di cristallo. L’unico modo per capirlo era mettere insieme le informazioni, tutte le informazioni, in modo sistematico, scambiandocele, ma come ho provato ad aprire bocca o a suggerire qualcosa mi è stato intimato di tenermene fuori, mi è stato precluso l’accesso a qualsiasi dettaglio, anche minimo, su questo caso. E i risultati si vedono, dottor De Matteis, visto che praticamente tutto quello che sapete sul caso Scortichini, a partire dalla vostra prova regina, i famosi pantaloni, fino al ritrovamento del cascinale e del cadavere di Marcio e presumibilmente del Vecchio, lo sapete grazie alla nostra collaborazione con l’agente Marchese. Fosse stato per lei e per l’ispettore Mancini non avreste probabilmente ancora nemmeno uno straccio di prova in mano!”
 
“E quindi secondo lei io dovrei ringraziarla e magari premiare l’agente Marchese per la sua impeccabile condotta? Secondo lei, lo ripeto,  questo giustifica violare il segreto di indagine e riferire informazioni riservate non solo a lei ma anche a una professoressa di lettere e alla moglie dell’ispettore Mancini, entrambe legate alla principale sospettata, per non dire alla colpevole e-“
 
“E se sapete, se avete adesso praticamente la certezza che Ilenia Misoglio è colpevole è proprio grazie alle nostre indagini, a questa divulgazione di informazioni, dottor De Matteis. Questo a riprova che nessuno di noi si è fatto influenzare dai legami personali con Ilenia Misoglio, a riprova della nostra correttezza e buona fede, come lo è anche il fatto che nessun dettaglio sul caso Scortichini è trapelato sui mezzi di informazione, se non quelli che voi stessi avete deciso di lasciar trapelare. Per quanto riguarda la moglie dell’ispettore Mancini, penso che sia evidente che, essendo una praticante avvocato, nonché la moglie di uno degli agenti incaricati del caso, aveva e ha tutto l’interesse a mantenere il massimo riserbo sulla sua partecipazione a queste investigazioni e su quanto da lei appreso nel corso di esse, per tutelare non solo se stessa e la sua carriera ma anche la carriera di suo marito…”
 
Il suono gutturale che emerge dalla gola di Mancini a quelle parole, come l’inizio di una risata amara e la sua espressione mentre scuote il capo, fanno intuire sia a Gaetano che a Camilla che la vita matrimoniale di Sammy e di Mancini naviga in pessime acque: è evidente quanto Mancini si senta tradito e quanto sia carico di risentimento e sfiducia nei confronti della moglie e, conoscendo Sammy, entrambi sanno che non prenderà affatto bene il modo in cui Mancini li ha spiati e il fatto che sia stato proprio lui a denunciarli a De Matteis. Mentre entrambi si chiedono dove sia Sammy e se sappia già,  quasi istintivamente si cercano con lo sguardo, perché sono colti dallo stesso pensiero, la loro mente corre alla sera della rimpatriata di classe, a due coppie che ballavano felici e innamorate.
 
Sembrano scene di una vita precedente, ma è passata appena una settimana, esattamente una settimana.
 
Pochi attimi, sguardi che celano un mondo di significati, di domande, di dubbi, di dolore. Pochi centimetri e un muro invisibile a dividerli.
 
Senza lasciare lo sguardo di Camilla, Gaetano riprende a parlare.
 
“E in quanto a Camilla, dottor De Matteis, ho saputo da suo fratello che ha… collaborato ad alcuni dei suoi casi in passato e-“
 
“E mio fratello si è forse dimenticato di dirle che non ero assolutamente d’accordo, che ho cercato in ogni modo di evitare che la Baudino si immischiasse nei miei casi e che mi sono ritrovato mio malgrado costretto a tollerare a cose fatte il suo intervento inopportuno e-“
 
“Inopportuno ma risolutivo, immagino, come immagino che non una singola informazione riservata su quei casi sia trapelata sui mezzi di stampa, che nessuna scena del crimine sia stata contaminata, né nessuna prova sia stata sottratta,” obietta Gaetano deciso, intuendo immediatamente, dallo sguardo dell’altro uomo, di avere colto nel segno, per poi aggiungere, alternando lo sguardo tra De Matteis e Camilla, “dottor De Matteis, nonostante i… trascorsi tra lei e Camilla e suo fratello a livello personale, non può non ammettere l’onestà di Camilla, la sua discrezione e riservatezza, e soprattutto non può non ammettere che Camilla ha un vero e proprio talento per l’investigazione. Anzi, non so lei, ma personalmente credo di poter affermare che Camilla è in assoluto l’investigatrice più capace e più brillante che abbia mai conosciuto nella mia carriera!”
 
Camilla lo guarda, sorpresa da queste parole, che sembrano contrastare con l’atteggiamento di sfiducia degli ultimi giorni e delle ultime ore, in cui si era sentita trattare come una specie di mina vagante, una pazza spericolata, un pericolo per sé e per gli altri. Le sembra di ritrovare il suo Gaetano, l’uomo che praticamente da subito aveva avuto fiducia in lei, nelle sue capacità, che, nonostante le sue “minacce” e i suoi avvertimenti di tenersi lontana dai guai, le aveva sempre mostrato stima, ammirazione, per non dire adorazione. All’investigatrice e anche, e soprattutto, alla donna.
 
“Ne saranno felici i suoi colleghi, i suoi superiori e tutte le persone con cui ha lavorato, Berardi!” commenta De Matteis, sempre più sarcastico, aggiungendo con un sopracciglio alzato, “e comunque dopo questa specie di glorificazione, mi riesce difficile credere alle affermazioni della sua onestissima professoressa sulla fine della vostra relazione o su come lei fosse contrario al fatto che ficcasse il naso in queste indagini.”
 
“Noto che ha evitato di darmi una risposta diretta, dottor De Matteis,” replica Gaetano, imitando quasi perfettamente l’espressione dell’altro uomo, anche se poi la sua espressione e il suo tono si tingono di un’amarezza che non sfugge a nessuno dei presenti, “è vero, io e Camilla ci siamo… ci siamo lasciati e non volevo che proseguisse con queste indagini, l’ho pregata di tornare con me a Torino, di lasciare perdere, inutilmente, ma i problemi che purtroppo esistono tra me e Camilla non incidono sulla mia capacità di valutare le sue indiscutibili capacità e la sua altrettanto indiscutibile intelligenza. Perché, a differenza sua, De Matteis, non lascio che i miei problemi personali incidano sulla mia lucidità e obiettività nello svolgimento del mio lavoro.”
 
“Ah, no? E allora perché avrebbe mollato l’investigatrice onestissima, intelligente e brillante per tornarsene a Torino e perché era contrario alla sua partecipazione a queste indagini dato che, a sentire lei qualche minuto fa, dovremmo nominare la Baudino a capo della polizia già che ci siamo? Mi sembra schizofrenico, Berardi. Schizofrenico o bugiardo,” gli fa notare De Matteis con tono aspro, mostrando chiaramente quanto non abbia gradito l’ennesima frecciatina dell’altro uomo.
 
“Se fin dall’inizio ero preoccupato che Camilla partecipasse a queste indagini, era sia per via del suo atteggiamento, dottore, perché temevo che succedesse quello che sta succedendo adesso e non volevo che Camilla avesse dei problemi, sia, perché andando avanti ha continuato a moltiplicarsi il numero delle vittime e ad azzerarsi la probabilità che Ilenia Misoglio potesse essere innocente. La mia priorità assoluta era ed è la sicurezza di Camilla e delle persone a lei e a me care, che non capiti loro qualcosa di male. E il fatto che sono convinto che Camilla sia il più grande talento investigativo che conosco, non significa che non mi renda conto che non è un poliziotto, che non ha alcun addestramento né alcuna competenza per gestire situazioni di pericolo, dalle quali dovrebbe tenersi alla larga e dalle quali ho sempre cercato con ogni mezzo di tenerla alla larga!”
 
“Esatto, Berardi, finalmente lo ammette anche lei: la Baudino non è un poliziotto ma una professoressa senza arte né parte e proprio per questo dovrebbe tenersi alla larga dalle situazioni di pericolo, che includono le indagini per omicidio!” controbatte De Matteis, alzando di nuovo la voce, “ed è ironico che, per quanto lei si atteggi da paladino e principe azzurro, sia stato proprio lei a spingerla in prima linea, mentre io, che sarei l’orco cattivo, ho sempre cercato di tenerla lontana dai guai, molto più di quanto non abbia mai fatto lei!”
 
Camilla osserva attonita i due uomini che si fronteggiano in questo duello verbale: le mani di entrambi appoggiate ai due bordi della scrivania, che ormai funge quasi da barriera tra loro, i busti protesi l’uno verso l’altro, i volti a pochi centimetri, gli sguardi degni di due leoni che stanno per affrontarsi nella battaglia della vita, per stabilire chi è il più forte, chi guiderà il branco.
 
Nota che Gaetano sembra accusare il colpo ed indietreggiare di un passo sotto l’ultima stoccata di De Matteis, ma poi si riproietta in avanti, con rinnovata decisione.
 
Tollerando le sue indagini, non facendo nulla di concreto per fermarla, di fatto, ma lasciandola agire di nascosto, senza il suo appoggio? È così che l’avrebbe tenuta lontano dai guai? Perché non chiede a suo fratello di quando Camilla è stata presa in ostaggio con una pistola puntata alla tempia mentre indagavano insieme su uno dei suoi casi, dottor De Matteis?” domanda durissimo, mentre sia lui che Camilla notano l’espressione di stupore sul volto di De Matteis, misto a qualcosa che potrebbe anche sembrare preoccupazione, “la verità è che a lei i risultati che portava la professoressa senza arte né parte probabilmente facevano comodo, De Matteis, ma non lo ammetterebbe mai nemmeno sotto tortura. Ma poi è successo quello che è successo con suo fratello e siamo passati alle minacce e ai veti, forse perché c’ero anche io presente e allora è scattata la difesa del territorio. Perché lei non tollera che qualcuno possa rubarle la scena, De Matteis, che qualcuno possa essere più abile di lei o semplicemente arrivare alla soluzione prima di lei. Mentre io non ho problemi ad ammetterlo, non ho problemi ad accettare un aiuto, se serve, soprattutto se ad offrirmelo è la mente investigativa più brillante che abbia mai conosciuto. Quando mi sono reso conto dell’incredibile talento di Camilla e della sua cocciutaggine nell’aiutare le persone a cui tiene quando sono in gravi difficoltà, ho cercato sempre di proteggerla ma guidandola, mettendole dei paletti, collaborando con lei in modo che potesse aiutare gli altri e coltivare il suo talento senza correre rischi inutili. E in questo modo ho, abbiamo aiutato decine di persone, in molti casi abbiamo salvato loro la vita, dottor De Matteis. E non me ne frega niente se ad avere avuto l’intuizione risolutiva è stata una professoressa di lettere e non io o uno dei miei sottoposti, De Matteis, quello che conta per me è che quando mi guardo allo specchio so di avere la coscienza a posto, so di avere fatto tutto il possibile, so di non avere messo la forma prima della sostanza, la mia carriera prima del mio giuramento di servire e proteggere gli altri.”
 
“Molto nobile, Berardi, complimenti: peccato che sembrino frasi di un Robin Hood, di un giustiziere più che di un vicequestore di polizia. Spero che le vorrà ripetere di fronte al questore, così magari perderà questa sua strafottenza e questa sua aura di superiorità e santità di cui si ammanta sempre!” sibila De Matteis, ormai furioso e tanto vicino a Gaetano da alitarsi in faccia.
 
“Non vedo l’ora di parlare con il questore, De Matteis, sono proprio curioso di sapere cosa ne pensa del suo menefreghismo nei confronti del mobbing di un suo sottoposto, delle sue intimidazioni ad un’anziana per costringerla a permetterle di ispezionare la sua casa senza un decreto del giudice, delle sue ripetute minacce di rovinarmi la carriera e la vita, del suo intimarmi di spegnere il cervello per quanto riguarda il caso Scortichini e venire quindi meno ai miei doveri di cittadino e di poliziotto o del fatto che, per tutti i motivi precedentemente elencati, di fatto, voi non siate riusciti a cavare un ragno dal buco nel caso Scortichini e che non avreste nulla in mano senza l’intervento e la collaborazione della professoressa senza arte né parte, della praticante avvocato, dell’agente Marchese e del sottoscritto. Fossi nel questore, io due domande me le farei, se si tratta di un caso isolato o se la vostra impeccabile gestione dei vostri sottoposti e dei potenziali testimoni abbia influito negativamente su altre inchieste!”
 
È un secondo: Camilla riconosce l’espressione sul viso di De Matteis, la stessa che aveva quando il padre di Ilenia le aveva quasi spaccato il polso. Ma non può mettersi in mezzo, per via della scrivania. Abbraccia Gaetano alla vita, da dietro, e lo tira verso di sé. Colto di sorpresa, Gaetano non può evitate di arretrare di un paio di passi, proprio mentre De Matteis si proietta in avanti e, trovando solo l’aria da afferrare, si sbilancia, evitando per un soffio di spalmarsi sulla superficie della scrivania.
 
Uno scambio di sguardi omicidi tra Camilla, Gaetano e De Matteis, che si sta rimettendo in piedi, la tensione che si taglia con un coltello.
 
Proprio in quel momento si sente il rintocco delle nocche sul legno: qualcuno bussa alla porta.
 
“Avanti!” quasi urla De Matteis, che si sta ancora ricomponendo.
 
Entrano, con l’aria un po’ intimorita, Sammy e Marchese, accompagnati da Grassetti. Camilla nota lo sguardo killer che Mancini lancia verso Marchese, mentre Sammy, vedendoli tutti riuniti nella stessa stanza, non riesce a celare il panico che si impossessa di lei.
 
“Che… che succede?”
 
“Finalmente sei arrivata, amore,” sibila Mancini, pronunciando la parola amore come se gli desse il voltastomaco, “e proprio nello stesso momento di Marchese: che straordinaria coincidenza!”
 
“Cosa? Amore, io-“
 
“Forse è il caso che lei e sua moglie discutiate un attimo in privato, Mancini,” interviene De Matteis, con l’aria di chi vuole evitare di assistere a quella che ha tutta l’aria di essere un litigio esplosivo, “potete andare nel suo ufficio. Marchese, tu invece rimani qui: dobbiamo parlare, urgentemente!”
 
“S-sì, dottore,” balbetta Marchese, sudando freddo, mentre Mancini si avvicina a lui e a Sammy con aria di chi potrebbe uccidere, prende la moglie per un braccio e inizia a trascinarla verso la porta.
 
“Pietro, ma sei impazzito? Piano!” protesta Sammy, cercando di liberarsi dalla presa del marito.
 
“La lasci! Non vede che le fa male?” si intromette Marchese, sbarrando la strada a Mancini con una decisione ed un coraggio che sorprende tutti i presenti, dato il modo in cui aveva sempre tollerato e subito le prepotenze del superiore.
 
“Levati di mezzo Marchese: non pensi di esserti già intromesso abbastanza tra me e mia moglie?” sibila Mancini, come una pentola a pressione pronta ad esplodere, “perché Sammy, fino a prova contraria, è ancora mia moglie, anche se forse ve ne siete scordati entrambi!”
 
“Ma che cosa stai dicendo, Pietro? Sei davvero impazzito?!” domanda Sammy, ferita, non capendoci più niente.
 
“A come te e il tuo amichetto qui vi siete divertiti a prendermi per scemo!” urla di rimando, rivolgendosi poi di nuovo a Marchese, “scommetto che non vedevi l’ora, eh, Marchese, di trovare l’occasione di intrometterti tra noi e ce l’hai fatta, complimenti, sarai soddisfatto, eh?”
 
“Basta, Mancini: questa è una questura, lei è in servizio, Marchese è comunque un suo collega e i vostri problemi personali, se volete, potete risolverli in separata sede! Vada a parlare con sua moglie che poi vi aspetto entrambi. Marchese, come ho già detto, tu rimani qui,” intima De Matteis, fermo, osservandoli mentre escono dall’ufficio, per poi aggiungere, dopo un attimo di esitazione, come se stesse decidendo il da farsi, “e in quanto a voi due, credo che ci siamo detti tutto quello che c’era da dirci e che a questo punto parleremo di fronte al questore, visto che lei, Berardi, sembra non vederne l’ora. Vi chiamerò non appena il questore ci concederà udienza, naturalmente gli anticiperò quanto accaduto. Ora potete andare, ma ovviamente non lasciate la città. Credo che i suoi piani per Torino saltino, Berardi, e che dovrà farsi sostituire almeno per qualche altro giorno… sempre che, quando avremo finito col questore, avrà ancora qualcosa ad aspettarla a Torino. Ma non si preoccupi: tra stazioni in paesini sperduti sempre sguarnite e la piaga del traffico cittadino, sicuramente non faticherà a trovare un’occupazione alternativa.”
 
“La ringrazio per i consigli, dottor De Matteis, ma potrebbe ritrovarsi lei a doverli seguire. E, considerato l’ordine compulsivo sulla sua scrivania, mi piacerebbe proprio vederla anche solo provare a dirigere il traffico all’ora di punta in centro città.”
 
“Gaetano, per favore, andiamo,” interviene Camilla, prendendolo per un braccio, dato che sia lui che De Matteis stavano di nuovo chiudendo le distanze oltre i due bordi di quella scrivania che sembrava ormai quasi una trincea.
 
Si scambiano uno sguardo e Gaetano sospira e annuisce, avviandosi verso la porta con lei, ancora a braccetto.
 
Camilla apre e richiude con decisione la porta dietro di loro, prima che De Matteis possa ribattere, sapendo che altrimenti i due uomini potrebbero andare avanti all’infinito: a confronto, gli scontri tra lei e De Matteis sembravano quasi schermaglie amichevoli.
 
“Grassetti, si accerti che la Baudino e Berardi trovino l’uscita e poi vada pure a casa, che domani mi serve in forze.”
 
“Sì, dottore,” annuisce, scambiando per un attimo uno sguardo con Marchese, sapendo benissimo che tira una brutta aria per lui.
 
“Grassetti!” intima De Matteis, alzando di voce.
 
“Sì, dottore, vado subito, mi scusi,” si affretta a replicare, sparendo oltre la porta in men che non si dica.
 
“Marchese… immagino che tu sappia di cosa dobbiamo parlare, no?” esordisce De Matteis, non appena rimangono soli nell’ufficio.
 
“Dottore io…” esita Marchese, sentendosi sprofondare di fronte allo sguardo di De Matteis, duro e glaciale, ma è soprattutto la delusione che emerge dal tono e dagli occhi del superiore a farlo sentire uno schifo.
 
“Niente dottore, Marchese, lascia perdere con le formalità, dato che non hai avuto alcuno scrupolo, né alcun riguardo o cortesia nei miei confronti, quando mi hai pugnalato alle spalle e ti sei divertito a farmi fare la figura del cretino. Sei la più grande delusione della mia carriera Marchese: ho cercato di insegnarti il mestiere, ti ho dato fiducia, nonostante un inizio non proprio brillante, nonostante mi sembrasse a volte che non avessi passione per questo lavoro, che fosse un ripiego per te. E in questi giorni, mi sono prodigato in complimenti, ti ho dato carta bianca, ti ho perfino proposto per una promozione, per poi scoprire che le tue brillanti intuizioni non erano affatto tue, ma erano della Baudino o di Berardi! Che eri solo un pappagallo ammaestrato, una serpe in seno! Che non hai avuto un briciolo di rimorso, di coscienza, niente! Eppure avrei dovuto capirlo che non potevi essere migliorato tanto, Marchese: sono stato un idiota e ne prendo atto, ma è un errore che non ripeterò.”
 
“Mi dispiace… io… quando lei mi ha proposto la promozione mi sono sentito uno schifo, mi sono sentito in colpa, dottore, ma ormai… non potevo certo tornare indietro o dirle che quelle intuizioni non erano mie e-“
 
“Certo che potevi, che avresti potuto! Avresti potuto avere fiducia in me, per una volta, e avere le palle di prenderti le tue responsabilità, come l’uomo che dovresti essere!” urla De Matteis, furioso come Marchese non l’ha mai visto, “ma del resto di cosa mi stupisco, visto che non hai mai nemmeno avuto le palle di reagire al trattamento di Mancini, di farti rispettare o anche solo di venire da me per discuterne. Hai preferito andare a lamentarti da Berardi e dalla Baudino, no? A fare la parte della vittima, mentre io ero il mostro insensibile. E hai coinvolto pure la moglie di Mancini, probabilmente per una stupida rivalsa, no? Beh, spero che ti sia divertito e che ne sia valsa la pena, Marchese, perché spero che ti renda conto che con questo ti sei giocato definitivamente le poche speranze che avevi di fare carriera, se non direttamente il posto.”
 
“Dottore, lo capisco e sono pronto a prendermi le mie responsabilità, ma mi lasci spiegare, per favore, io-“
 
“Non c’è niente da spiegare Marchese: sono pieno di lavoro fino al collo, ho una squadra da portare avanti, una pluriomicida in fuga da ritrovare e ho già perso fin troppo tempo con te, soprattutto dato che per qualche giorno avrò una persona in meno, anche se forse a questo punto è un vantaggio. Sei sospeso dal servizio Marchese: mi devi riconsegnare pistola e distintivo. Avrai un colloquio con il questore che deciderà il da farsi e poi al 99% verrai sottoposto ad un procedimento disciplinare. Considerato il tuo grado, credo che il licenziamento sia praticamente certo.”
 
“Dottore-“
 
“Pistola e distintivo, Marchese, non farmelo ripetere,” taglia corto De Matteis, gelido e irremovibile.
 
Con mano tremante Marchese appoggia prima la pistola e poi il distintivo sulla scrivania: si sente come se gli fosse venuto addosso un tir, la testa gli gira, ma non vuole crollare, non di fronte a De Matteis.
 
“Puoi andare e mi auguro di vederti il meno possibile, Marchese,” sibila De Matteis, sedendosi alla scrivania e aprendo uno dei fascicoli.
 
“Dottore, comunque vadano le cose, mi dispiace davvero,” ribadisce Marchese, perché è la verità, perché non avrebbe mai voluto deludere De Matteis in questo modo, perché non avrebbe voluto ingannarlo.
 
“Marchese, o ti levi subito di torno o chiamo uno dei tuoi ex colleghi per farti accompagnare fuori,” intima De Matteis, senza sollevare lo sguardo dalle carte.
 
“D’accordo, d’accordo.”
 
Capendo che non può fare altro, Marchese esce rapidamente, chiudendo la porta dietro di sé. Ha fatto appena un paio di passi quando sente il rumore di vetro che si infrange sul pavimento. Ma, di nuovo, sa che non può fare altro che continuare a camminare e avviarsi all’uscita, forse per l’ultima volta indossando questa divisa.
 
***************************************************************************************
 
“Pietro, piano, piano, per favore, mi fai cadere… ho  i tacchi… Pietro, mi fai male, lasciami!” grida e lui le molla bruscamente il braccio, per poi allontanarsi per andare a chiudere la porta del suo ufficio.
 
“Ti ho fatto male? Non è nulla di paragonabile al male che tu hai fatto a me! Cosa pensi che ho provato quando ho scoperto che ti sentivi e che ti vedevi di nascosto con Marchese, eh? Che vi chiamavate a tutte le ore, che… dio mio! Sai cosa ho provato ad immaginarvi a letto insieme, a sentire ogni tua bugia, sapendo benissimo da chi correvi non appena potevi, non appena io non c’ero?” le domanda alzando sempre più la voce, sputandole addosso tutto il dolore, la rabbia che ha provato in questi giorni.
 
“Che cosa? Tu pensi che io abbia una relazione con Marchese? Ma sei impazzito? Non c’è nulla tra me e Marchese: l’ho lasciato per te, perché non lo amavo più, perché amavo e perché amo te! Ma come puoi pensare che…?”
 
“Come posso pensare che mi tradisci? Come posso pensarlo? Considerato che mi hai riempito di palle per giorni senza il minimo rimorso? Considerato che per l’appunto avevi già tradito Marchese e proprio con me, quindi non sei nuova a questi giochetti? Considerato che te la ridevi con il tuo amichetto e i tuoi amichetti alle mie spalle e-“
 
“Quando abbiamo iniziato la nostra relazione e mi sono resa conto di amarti ho lasciato Marchese praticamente subito e lo sai, non ho tenuto il piede in due scarpe! Se ho aspettato qualche giorno in più era perché lui era in accademia e non potevo comunque vederlo spesso e volevo cercare il modo giusto per chiudere una relazione durata anni! Al limite quello che ci ha messo mesi e mesi a lasciare la sua fidanzata sei stato proprio tu! Io ho rivoluzionato la mia vita per te, ho lottato contro tutto e tutti per noi due, per il nostro matrimonio e soprattutto non ti ho mai tradito, mai!” protesta indignata, bloccandosi quando all’improvviso quello che lui ha detto assume un altro significato, e dall’indignazione passa alla rabbia, “quindi tu mi hai… tu mi hai spiata, mi hai seguita… è per questo che siamo stati convocati tutti qui oggi, vero? Tu ci hai denunciato!”
 
“Sì, vi ho denunciato e ho fatto bene, visto che il tuo amichetto per farsi bello nei tuoi confronti e per avere una scusa per ronzarti intorno è arrivato a coinvolgerti in questa indagine, oltre che a raccontare tutte le nostre scoperte a quell’irresponsabile di Berardi e a quella pazza incosciente della tua prof., che ti ha messa già in pericolo dieci anni fa e vedo che continua a farlo anche adesso!”
 
“La prof. non è una pazza incosciente, è la persona più generosa e più buona che abbia mai conosciuto, mi ha aiutata più di chiunque altro abbia mai fatto per me! E il vicequestore Berardi è un signore, oltre ad essere un bravissimo poliziotto, forse il poliziotto migliore che abbia mai conosciuto e-“
 
“E io allora cosa sarei eh? Un pazzo, un bullo, come pensa il tuo bravissimo poliziotto? È questo che pensi di me? È per questo che mi hai pugnalato alle spalle in questo modo? Coprendomi di ridicolo, mettendoti ad indagare per conto tuo e proprio con Marchese, dannazione! Forse non ci sarai andata a letto, ma mi hai tradito non solo come marito e come uomo, ma anche come poliziotto, perché è evidente che come poliziotto per te non valgo niente se, invece di fidarti di me, di parlare con me, hai deciso di metterti a giocare all’investigatrice privata!”
 
“Come uomo e come marito ti ho sempre amato e rispettato, perché ho conosciuto un uomo dolce, innamorato, premuroso, gentile, ironico, meraviglioso. Ma sul tuo lavoro… è come se fossi il dottor Jekyll e mister Hyde… ti trasformi completamente, diventi… questa specie di generale di ferro. E ti ho giustificato in ogni modo, ho chiuso gli occhi sul tuo comportamento nei confronti di Marchese, perché… mi arrivavano le voci sai, su come lo trattavi, e poi ho visto anche coi miei occhi il tuo atteggiamento nei suoi confronti, ma mi dicevo che eri solo un po’ geloso e che… che eri severo con lui perché è il tuo carattere e perché ci tieni al tuo lavoro. Ma la verità è che il modo in cui lo tratti non è giusto, non è giustificabile, soprattutto dato che al limite dovrebbe essere lui ad avercela con noi e non viceversa, che lui non ti ha fatto niente e che comunque non hai il diritto di trattare nessuno dei tuoi sottoposti così. Io non vorrei mai averti come capo, Pietro, non vorrei mai dover lavorare con te, è questa la verità.”
 
“È stato Marchese a metterti queste idee in testa? O la Baudino e Berardi? Sono loro che cercano di metterti contro di me e-“
 
“Ma ti senti? No, nessuno ha cercato di mettermi contro di te! Non sono una specie di cretina suggestionabile, so pensare con la mia testa. Ed era da tanto che questa tua… metamorfosi quando indossi la divisa mi dava da pensare ma… cercavo di ignorare il problema perché so che non sei così, non con me. Ma poi c’è stata la cena di classe e lì per la prima volta mi sono sentita anche io sotto l’esame del generale di ferro, oltre a tutti i miei amici presenti. Tu hai iniziato da subito a non sopportare la prof. per via di quello che ti ho raccontato di dieci anni fa e poi sembravi addirittura risentito con Ilenia perché si era sentita male e perché le ero stata accanto. Tanto che, quando è finita sotto inchiesta sembravi quasi goderci, sembrava che non vedessi l’ora di condannarla, invece di essere almeno dispiaciuto, sapendo che era una mia amica. O forse è perché era amica anche di Marchese, non lo so ma… Ho capito che Ilenia non avrebbe mai avuto una possibilità con te, che avresti fatto di tutto per arrestarla e che non mi avresti mai ascoltata, se ti avessi chiesto di indagare in altre direzioni.”
 
“Se non sopportavo e non sopporto la Misoglio è perché quella santa della tua amica, oltre ad essere un’assassina, è stata a dir poco strafottente con me quando l’ho interrogata e-“
 
“E immagino come l’avrai interrogata! Guarda che li conosco i tuoi metodi, Pietro, me ne hanno parlato, so perché ti chiamano da sempre il Mastino o il Nazista e so che ti vanti addirittura di quanta gente riesci a fare piangere durante i tuoi interrogatori, prima di farli confessare,” ribatte Sammy, durissima, fulminandolo, mentre lui rimane zitto per qualche secondo, chiaramente colpito.
 
“Te l’ha detto Marchese anche questo? E tu gli credi?”
 
“Non me l’ha detto Marchese. Tu dimentichi sempre che sto facendo il praticantato da avvocato penalista, Pietro, che non sono una ragazzina stupida, sono anche io nel settore e le voci girano e ti garantisco che l’ho sentito da più fonti affidabili e lo so non da qualche giorno, ma da mesi. Ma sai quanti colleghi e soprattutto quante colleghe quando rivelo chi è mio marito mi guardano con commiserazione, con compatimento, come se avessi sposato un orco? E quanti dei tuoi colleghi anche? La tua fama ti precede, Pietro, ma io ho sempre fatto finta di niente perché mi sembrava incredibile che l’uomo che ho conosciuto io, l’uomo che ho sposato sia lo stesso che loro descrivono. Ma… anche adesso… tu non solo mi hai spiata per giorni, ti sei addirittura finto malato per controllarmi, non è vero? E io come una cretina che mi preoccupavo per te! E invece di fare quello che avrebbe fatto qualunque marito, di venirmi ad affrontare, di parlarne con me, sei corso a denunciarmi come una delinquente qualunque, ti sei nascosto dietro la tua divisa per colpirmi, per colpire Marchese. Perché è questo che fai tu: ti nascondi dietro la tua divisa per colpire gli altri.”
 
“Io non mi nascondo dietro la mia divisa, io rispetto la mia divisa, al contrario del tuo Marchese e se sono duro è perché ho a che fare con dei criminali, non con gentiluomini e li tratto come devo trattarli per riuscire ad arrivare alla verità e ad ottenere i risultati! E se non ti ho affrontato direttamente, se ho agito alle tue spalle è perché tu hai fatto lo stesso con me. Invece di dirmi in faccia quello che pensavi del caso di Ilenia hai preferito sputtanarmi con Berardi, con Marchese e con la Baudino e-“
 
“Io non volevo sputtanarti con nessuno, questa inchiesta parallela doveva rimanere segreta e nessuno doveva venirne a conoscenza. Ufficialmente il caso l’avreste risolto voi! Io non volevo certo crearti problemi sul lavoro, sei tu che stai rendendo la cosa pubblica! E comunque il tuo comportamento non è normale, voglio dire, perfino De Matteis, DE MATTEIS, ti ha invitato a chiarirti in privato con me prima di parlare con lui. Ma ti rendi conto che c’è arrivato lui e non ci sei arrivato tu?!” grida, mentre una rabbia che non aveva mai provato prima le monta dentro ad ogni parola che pronuncia.
 
“Ti rendi conto che sei tu che mi hai pugnalato alle spalle nel modo peggiore possibile, che hai dimostrato che non hai alcun riguardo, alcuna stima e alcuna considerazione, alcuna fiducia nei miei confronti, come uomo e come poliziotto e ora vuoi rigirare la frittata e ti comporti come se fossi la vittima? Se io mi nascondo dietro la divisa, tu sei davvero un avvocato perfetto: hai una faccia tosta da manuale!”
 
“Io non sto rigirando nessuna frittata, perché con il tuo comportamento mi stai dimostrando che forse non ho sbagliato ad agire alle tue spalle, che non avevo alternativa! E che invece forse se mi sono sbagliata su qualcosa è sul tuo conto, Pietro, che forse tutte le persone che hanno cercato di mettermi in guardia su di te avevano ragione e che sono stata una stupida! Perché la verità è che tu sei un insicuro, Pietro, ecco cosa sei: un insicuro che usa il suo ruolo per sfogare le sue insicurezze sugli altri, su chi è sotto di lui. Sei tu che evidentemente non ti fidi di me, che di nuovo, sei insicuro su noi due: tu che mi tratti come una bambina immatura e manipolabile, tu che non sopporti che abbia delle amicizie, che esca se non ci sei anche tu, sei tu che hai iniziato a spiarmi e che invece di affrontarmi con le tue paure e i tuoi sospetti hai preferito denunciarmi, DENUNCIARMI!!” urla ancora più forte, “io non so più chi sei, Pietro, non so se sei l’uomo di cui mi sono innamorata, che ho sposato o… questo… questo… che non posso nemmeno definire un uomo. E non so se riuscirò mai più a fidarmi di te!”
 
“Il sentimento è assolutamente reciproco, Sammy: non ti riconosco più e di sicuro non riuscirò mai più a fidarmi di te, dopo quello che sei stata capace di fare e… dopo quello che sei riuscita a sputarmi addosso per giustificarti! E se ti tratto come una bimba immatura è perché è quello che sei: un’immatura che scarica le sue responsabilità e i suoi errori sugli altri! Ma adesso sarai costretta a prendertele le tue responsabilità, davanti alla legge!” grida lui di rimando, ormai fuori di sé, aggiungendo, quando la vede aprire la porta come una furia, “dove vai?!”
 
“Da De Matteis, no? A prendermi le mie responsabilità! Non è quello che volevi?!” sbotta lei, voltandosi per sibilargli, “spero che un giorno ti prenderai anche tu le tue e che crescerai, prima che sia troppo tardi. Perché se io a ventisette anni sono immatura, tu che ne hai più di quaranta, cosa sei, eh?”
 
E si avvia a passo deciso verso l’ufficio di De Matteis, nonostante i tacchi alti e le lacrime che le appannano la vista e le rigano il viso che cerca furiosamente di asciugare, mentre Pietro rimane bloccato a guardarla, un dolore al petto che sembra dividerlo in due, la testa che gli scoppia e una rabbia che lo consuma fin nelle viscere.
 
***************************************************************************************
 
Nel frattempo Camilla e Gaetano si avviano verso l’uscita dell’edificio, ancora a braccetto, senza nemmeno rendersene conto: forse per forza dell’abitudine o forse perché entrambi presi dai loro pensieri, fino a quando vengono intercettati dall’agente che aveva preso in custodia la valigia di Gaetano.
 
Con un certo imbarazzo sciolgono il contatto mentre Gaetano recupera il trolley ed escono dalla questura in un silenzio carico di tensione, avviandosi verso la macchina di Gaetano, che Camilla aveva parcheggiato un po’ distante.
 
“Allora…” esordisce Gaetano, ritrovando la voce e guardandola come a volerle leggere dentro, sembrando indeciso sul da farsi.
 
“Visto che resterai per forza di cose ancora per qualche giorno qui a Roma… mi chiedevo se…” inizia Camilla, aggiungendo, dopo un attimo di esitazione, mentre quegli occhi azzurri sembrano quasi illuminarsi, “insomma, questa è la tua auto ed è più giusto che la usi tu.”
 
Lo sguardo di Gaetano ritorna a farsi plumbeo ma Camilla non lo nota, perché ha aperto la borsetta per cercarci le chiavi della macchina, che ritrova ed estrae con una certa fatica. La verità è che avrebbe voluto proporgli di tornare insieme da sua madre, anzi di tornare insieme, in tutti i sensi, ma dopo quello che è successo in quell’ufficio sente di non poterlo fare, che non è la cosa giusta da fare, anche se lo vorrebbe da morire.
 
“Tienila tu, Camilla. Io per qualche giorno posso girare con la metro o in taxi: per ora ho ancora un lavoro e posso permettermelo,” ribatte Gaetano tra l’amaro e l’ironico, non muovendo un muscolo per raccogliere le chiavi che lei gli sta porgendo.
 
“E invece no, Gaetano, non puoi permettertelo e lo sai!” replica lei, decisa, porgendogli ancora le chiavi e aggiungendo in un sussurro, di fronte al suo sguardo confuso e sorpreso, “non di girare in taxi ma di lasciarmi la tua macchina. Tu devi prendere le distanze da me, Gaetano: è l’unica soluzione se non vuoi davvero perdere il lavoro!”
 
“E lasciarti prendere tutta la colpa? Camilla, non se ne parla nemmeno!” ribatte categorico, fulminandola con un’occhiata che pare incenerirla ed alzando la voce.
 
“Ma io non rischio praticamente niente, Gaetano: non sono una poliziotta e sono incensurata. Non è come nel caso dei diamanti, che c’era il riciclaggio e il favoreggiamento personale: qui di cosa mi possono accusare? Di intralcio alle indagini? Nella peggiore delle ipotesi mi faccio qualche mese di servizi sociali e lo sai. Quelli che rischiano il posto siete tu e Marchese e-“
 
“E tu pensi che una condanna penale sia una passeggiata? Che sia uno scherzo? Sai cosa vuol dire avere un precedente per il tuo lavoro di insegnante? Per l’affidamento di Livietta, se decidi di proseguire con l’iter di separazione da Renzo?”
 
“Certo che proseguirò con l’iter di separazione da Renzo, Gaetano!” sbotta Camilla, cominciando a perdere la pazienza, “ma qui non si tratta di te e di me, maledizione! Si tratta del tuo lavoro, della tua vita e non posso permetterti di gettarli via per qualcosa in cui comunque ti ho trascinato io. Lo vuoi capire che è l’unica cosa sensata da fare, soprattutto dato che, di fatto, avevi già deciso tu stesso di prendere le distanze da me, letteralmente, dato che mi hai lasciato per tornartene a Torino?”
 
“Ti ho lasciato per tornarmene a Torino proprio per cercare di farti ragionare, Camilla, per cercare di farti aprire gli occhi, di farti riflettere, perché ti fermassi in tempo, per evitarti che succedesse quello che poi è successo. Se stamattina mi avessi ascoltato quando ti ho detto che era arrivato il momento di fermarci probabilmente non saremmo in questa situazione!”

“E avevi ragione e mi dispiace, maledizione, mi dispiace da morire e questo è l’unico modo che ho per rimediare, Gaetano! L’unico modo che ho per evitarti di pagare per colpa mia: permettimi di farlo, per favore, permettimi di-“
 
“Di fare la martire? No, Camilla, ma capisci cosa ti dico quando ti parlo? Che se mi sono allontanato da te è stato per proteggerti, che è l’unica condizione per la quale ho accettato e accetterei di prendere le distanze da te e-“
 
“E quindi tu puoi prendere le distanze da me per proteggermi e io invece no?”
 
“Non è la stessa cosa: io tornandomene a Torino non rischiavo la galera o un processo. E poi è assolutamente inutile arrivati a questo punto, Camilla: da quella registrazione si capisce chiaramente che sono a conoscenza di tutta l’investigazione e che sono stato al cascinale dove è stato ritrovato Marcio e al questore non gliene fregherà niente del perché l’ho fatto, se è stata tutta un’idea tua. Cosa gli vorresti dire? Che mi hai plagiato? Ipnotizzato? Che accecato dall’amore non ero in grado di dirti di no? Non credo che questo migliorerà di molto la mia posizione ai suoi occhi…”
 
“No, ma che volevi proteggermi, che essendo il mio compagno non potevi certo denunciarmi e mi hai assecondata per paura che mi succedesse qualcosa, ma che ad un certo punto non te la sei più sentita di coprirmi, mi hai posto un ultimatum e, dato che io ho voluto proseguire comunque, ti sei allontanato da me, che è poi in gran parte la verità. E che… che quello che è successo qui non si ripeterà più… perché… perché ti terrai a distanza da me, perché tra noi è… è finita. Il questore non potrà non tenerne conto, Gaetano,” cerca di farlo ragionare lei, anche se ogni parola che pronuncia le brucia in gola e le pesa come un macigno, anche se tenere le distanze da lui è l’ultima cosa che vorrebbe, anche se la sola idea che sia finita per sempre la uccide.
 
“Se quello che vuoi è un modo per assicurarti che io ti stia lontano e che non provi a riavvicinarmi a te basta che lo dici chiaramente, Camilla, considerato quanto sembrava che non vedessi l’ora di annunciare a De Matteis e al mondo intero che ci siamo lasciati,” ribatte lui, duro, sentendosi ferito a morte da quest’insistenza di lei, dal modo in cui riesce a pronunciare le parole è finita, mentre lui non ci riesce, ancora no.
 
Perché la verità è che lui su quel treno aveva provato a salirci, ma, una volta arrivato al posto a lui assegnato, non era riuscito a rimanerci seduto per più di due secondi, prima di sentirsi soffocare, prima di sentirsi morire alla sola idea che non ci sarebbe stato più un futuro per loro, alla sola idea di dover rinunciare per sempre a lei e soprattutto prima di sentirsi male alla sola idea di lasciarla lì da sola a Roma con la sua cocciutaggine, un’assassina a piede libero e lui a centinaia di chilometri di distanza. Gli era improvvisamente sembrata così idiota quella presa di posizione, così inconcepibile ed era sceso dal treno quasi senza rendersene conto, prendendo di nuovo un taxi, deciso a farsi ascoltare da lei e, se non ci fosse riuscito, a rimanerle accanto finché fosse stato necessario, non arrendendosi fino a che non l’avesse riportata con lui a Torino sana e salva, a qualsiasi costo.
 
Era a pochi isolati dalla casa di Andreina quando il cellulare aveva squillato, quando era arrivata la convocazione di De Matteis. Non poteva chiamare a casa di Andreina, non dopo quello che era successo e poi non voleva fare preoccupare l’anziana. Aveva cercato Camilla sul cellulare ma risultava occupato e a quel punto era corso in questura, sperando di riuscire a trattare lui con De Matteis, sperando di riuscire a gestire la situazione da solo. Ma era stato chiaro fin da subito che De Matteis gli aveva teso un’imboscata in piena regola con Mancini e non gli era rimasto altro da fare che guardare quel maledetto nastro e attendere l’arrivo di Camilla.
 
“Se ti rispondo che è così, farai come ti chiedo e prenderai le distanze da me?” gli domanda dopo un attimo di esitazione, trattenendo a forza il primo impulso di negare con veemenza, di fargli capire che è l’esatto contrario di ciò che vorrebbe.
 
“Quando tutto questo sarà risolto, se vorrai sparirò dalla tua vita, sono anche disposto a cambiare appartamento, se serve, ma fino ad allora dovrai sopportarmi ancora per un po’, Camilla, perché non ho intenzione di lasciarti andare da sola al massacro. So cosa sto facendo e so come devo agire e-“
 
“E si è visto, infatti! A te aggredire in quel modo De Matteis – quasi fisicamente, se non ti avessi fermato – sembra il modo migliore di agire? E le battute su Mancini?”
 
“Volevo evitare, se possibile, di andare di fronte al questore, Camilla, far capire a De Matteis e Mancini che non conveniva a nessuno di noi, ma-“
 
“Ma mi sembra che non abbia funzionato e l’unico risultato che hai ottenuto è che ora avranno ancora di più il dente avvelenato nei tuoi confronti e anche nei confronti di Marchese. Praticamente hai ammesso che ci ha passato informazioni dall’inizio e soprattutto che tutte le sue intuizioni gliele abbiamo suggerite noi: lo hai messo ancora di più nei guai!”
 
“Marchese era già nei guai fino al collo dopo quella registrazione, Camilla, anzi, tra tutti noi è quello nella posizione peggiore, dato che è stato lui a violare il segreto di indagine e non noi, ma lui lo sapeva benissimo quando si è messo in testa di fare questa indagine parallela. Guarda che è soprattutto nell’interesse di Marchese che risulti che lui le informazioni non le ha passate a te o a Sammy ma a me, che sono stato io a chiedergliele, dato che sono comunque un collega e un suo superiore, anche se non diretto, verso cui poteva comunque sentirsi in soggezione e-“
 
“E quindi vuoi prendere tu le colpe? Dire che hai estorto a Marchese le informazioni?”
 
“No, voglio far capire al questore perché Marchese ha agito così, perché ho agito così, cioè per via delle minacce, del mobbing e del comportamento irragionevole di De Matteis e Mancini, che stavano compromettendo le indagini e che non ci hanno lasciato altra scelta che bypassarli e agire alle loro spalle. L’unica difesa possibile adesso Camilla è l’attacco, far capire al questore come i metodi di De Matteis e Mancini influiscano negativamente sul loro operato e su quello dei loro sottoposti, su come stiano abusando del loro potere. Ho ancora amici qui a Roma, in varie posizioni, e voglio sfruttare il tempo che mi resta per raccogliere dati, informazioni, trovare dei testimoni.”
 
“Come ad esempio chi? Tutti i testimoni che abbiamo sono o coinvolti esattamente come noi o sono miei parenti, Gaetano…” gli fa notare Camilla con un sospiro.
 
“Ad esempio… ad esempio Grassetti, lei c’era a casa di tua madre quando De Matteis ha iniziato con le minacce e c’era anche oggi e-“
 
“E Grassetti non accetterà mai di testimoniare contro De Matteis, Gaetano, te lo puoi proprio scordare.”
 
“Perché è il suo superiore?”
 
“No, perché ha un debole, una cotta per lui da sempre e dubito le sia passata, visto come lo guarda…” gli rivela Camilla con un altro sospiro.
 
“Quando si dice avere gusto in fatto di uomini…” commenta Gaetano strappandole un mezzo sorriso, “ma la cotta è ricambiata?”
 
“Se intendi denunciarlo per… relazioni improprie con una sottoposta, no, scordati anche questo: credo che De Matteis non la veda nemmeno, sinceramente a volte dubito che sia interessato a qualcuno che non sia se stesso…”
 
“Beh, allora una speranza comunque c’è… Camilla, sai come diceva Shakespeare: non c’è rancore all’inferno pari a quello di una donna respinta e-“
 
“Veramente lo diceva Congreve, e poi direi che, dati i casi di cronaca, sarebbe meglio dire che non c’è rancore pari a quello di un uomo respinto,” puntualizza lei, pensando a tutti i femminicidi che riempivano le pagine dei giornali.
 
Gaetano si ritrova suo malgrado a sorridere e ad alzare gli occhi al cielo: la prof. è sempre la prof. e quando Camilla fa così lui non può evitare di provare un desiderio lancinante di toglierle quell’espressione da maestrina a suon di baci. Ma non può più farlo e questa, in fondo, non è una novità nella loro decennale relazione. Forse è destino che sia questa la normalità tra loro, solo questa.
 
“Comunque, parlando seriamente, fossi in te non farei troppo affidamento su Grassetti, anzi, potrebbe essere molto pericoloso anche solo chiederle di testimoniare a tuo favore. Pensaci.”
 
“D’accordo, ci penserò ma… Camilla, questa volta te lo chiedo io, in nome… di quello che c’è stato tra di noi, di quello che hai provato per me e di quello che provo ancora per te e del… del bene che voglio a Livietta: fidati di me e lasciami fare,” le chiede guardandola negli occhi, notando con un sussulto come sembrino illuminarsi per un attimo, prima di riempirsi di lacrime.
 
“D’accordo, io mi fido di te, però… Gaetano, se non riesci a trovare abbastanza elementi, voglio che sia tu a fidarti di me e a lasciare che mi prenda io la colpa. Non ha senso che ti rovini la vita,” lo prega, trattenendo a stento il pianto e prendendogli le mani nelle sue, “per favore, Gaetano.”
 
”No, Camilla, questo non me lo puoi chiedere: io non ti lascio a prenderti la colpa anche per me, quindi scordatelo e… in ogni caso, se non trovo altro, ho un asso nella manica,” le spiega dopo un attimo di esitazione, stringendole più forte le mani prima di lasciarle andare e di estrarre il cellulare dalla tasca, “ho registrato tutte le loro minacce e gli insulti di oggi e, se necessario, ho intenzione di far capire al questore di che pasta è fatto De Matteis.”
 
“Ma anche tu non ci sei andato giù leggero, Gaetano e non so se-“
 
“Chi ha iniziato è stato De Matteis, Camilla e il questore lo conosco, non è uno stupido e capirà che stavo reagendo alle sue provocazioni. E comunque non ti permetterò di immolarti per me, toglitelo dalla testa, perché non cambierò mai idea,” proclama con tono definitivo e Camilla sa che non riuscirà mai a convincerlo del contrario.
 
“Sei più testardo di un mulo, lo sai?”
 
“Da che pulpito viene la predica…” ribatte lui con un sopracciglio alzato, facendola di nuovo sorridere, mentre due lacrime infine le solcano le guance. Adora vederla sorridere e deve stringere le mani a pugno per soffocare l’impulso di allungarle e asciugare quelle gocce salate.
 
“Almeno mi permetterai di aiutarti in questa… ricerca di informazioni?”
 
“No, Camilla: prima di tutto se agisco da solo ho più probabilità che qualcuno dei miei ex colleghi si apra con me e poi… indagare su dei poliziotti… questo sì che potrebbe farti passare grossi guai giudiziari e col questore e non voglio rischiare,” rifiuta sempre più categorico.
 
“Ma allora non posso fare niente per aiutarti?”
 
“C’è una sola cosa che puoi fare…” risponde lui, aggiungendo, dopo un attimo di esitazione, “tenerti lontana dai guai e dalle indagini: non peggiorare ulteriormente la tua posizione.”
 
Avrebbe voluto dirle “starmi vicino”, come qualche mese prima, quando era stato accusato dell’omicidio di Serena, ma non può più farlo: non vuole che lei si riavvicini a lui per pietà, per generosità, non vuole essere lui l’ennesimo dei “casi umani” a cui lei si dedica. Le aveva detto una volta che non voleva che lei stesse con lui per nessun motivo che non fosse l’amore e lo pensa ancora.
 
Camilla si limita ad annuire, anche se avrebbe preferito tutt’altro tipo di risposta. Ad esempio un “starmi vicino”, come le aveva chiesto qualche mese prima, durante il caso di Serena. Era assurdo che l’avesse sentito più vicino allora di adesso, dopo tutto quello che c’era stato tra di loro e che, era inutile raccontarsi palle, c’è ancora tra di loro, almeno da parte di lei.
 
“Cosa pensi di fare adesso? Hai già… prenotato un albergo?” gli domanda e, mentre lui la osserva in silenzio per qualche istante, la tentazione di proporgli di tornare con lei a casa di sua madre si fa sempre più forte, visto che lui non pare intenzionato a permetterle di “prendere le distanze”, forse c’è ancora speranza, forse è ancora in tempo per chiarirsi con lui e non ha alcun senso stare lontani.
 
“No, credo che andrò da mia sorella,” risponde prima che lei trovi il coraggio di parlare, guardandola di nuovo negli occhi.
 
“Francesca sarà contenta di averti come ospite e anche Nino,” abbozza lei, dicendosi che forse, razionalmente, questa è la soluzione migliore, che prima è meglio che risolvano questa situazione, che non vuole che lui si senta in un certo senso obbligato a tornare con lei per via dell’emergenza e delle circostanze, del senso di protezione che ha nei suoi confronti.
 
“Le chiavi però te le lascio, Gaetano, e non voglio sentire scuse: se devi fare le tue ricerche a maggior ragione è più giusto così,” ribadisce, estraendo le chiavi di tasca e porgendogliele di nuovo e questa volta lui accetta, senza parole.
 
La scossa elettrica che li percorre quando le loro mani si sfiorano è innegabile, ma entrambi cercano di ignorarla.
 
“Allora… se hai bisogno… se hai bisogno basta che mi chiami. Salutami Francesca,” lo saluta, soffocando a fatica l’impulso di abbracciarlo. Le sembra di essere tornata indietro di qualche mese: negli anni era diventata una maestra a spegnere sul nascere e a domare i suoi impulsi, i suoi desideri nei confronti di Gaetano. Ma ora è mille volte più difficile, dopo essersi abituata a poterli finalmente assecondare a non dover più fingere con lui.
 
“Lo stesso vale per te, Camilla: per qualsiasi cosa sai dove trovarmi,” risponde Gaetano, faticando ad ogni secondo che passa a mantenere questa facciata di formale cordialità.
 
Lei annuisce e si volta, incamminandosi verso la fila di taxi poco distante.
 
Gaetano esita per un attimo e poi apre la portiera e si butta sul sedile, quasi sgommando per allontanarsi il più velocemente possibile da lì, prima di cedere alla tentazione di offrirle un passaggio. Perché averla accanto a lui, a pochi centimetri dal suo viso… non pensa che riuscirebbe a trattenersi oltre.
 
Camilla lo guarda allontanarsi con un groppo in gola: aveva sperato fino all’ultimo che la fermasse, che le offrisse un passaggio. Sentendosi stupida e ridicola si infila nel taxi più vicino, fornisce al taxista l’indirizzo di casa, afferra dalla borsa l’immancabile libro e se lo piazza davanti al viso, sperando che l’uomo, un cinquantenne corpulento e gentile dal forte accento romano, non si accorga delle lacrime che le sfuggono dagli occhi e le inondano le guance e che ormai non riesce più a trattenere.
 
***************************************************************************************
 
“Fratellone, che ci fai qui?”
 
“Francesca… scusami, lo so che non ti ho dato alcun preavviso, però… mi chiedevo se potessi ospitarmi per qualche giorno… o almeno per stanotte, poi se vuoi mi cerco un albergo e-“
 
“Ehi, frena, frena: Gaetano, certo che posso ospitarti, non devi neanche chiedermelo, dopo tutto quello che hai fatto per me e poi sono anni che cerco inutilmente di convincerti a venire a stare qui da me per qualche giorno! Ma… che è successo? Non dovevi tornare a Torino domani?” domanda Francesca, stupita e spiazzata, guardando lui e la sua valigia.
 
“C’è stato un… un problema imprevisto con… con il lavoro e dovrò fermarmi ancora per qualche tempo qui a Roma,” le spiega Gaetano, rimanendo sul vago, sia perché sono sul pianerottolo, sia perché non è sicuro che sia il caso di raccontare proprio tutto a Francesca. Meno persone sanno quello che sta succedendo e meglio è.
 
“E Camilla? È dovuta tornare comunque a Torino?” gli chiede, sempre più confusa.
 
“No… Camilla è ancora qui a Roma ma… oggi ci siamo… ci siamo lasciati e quindi non posso certo rimanere a casa di sua madre,” ammette con uno sforzo quasi sovraumano, chiedendosi perché sia venuto qui invece che andare in albergo, dove nessuno gli avrebbe chiesto niente.
 
“Cosa?! Ma come è possibile?! Qualche giorno fa eravate il ritratto della felicità e… cosa è successo?” gli domanda, incredula e ora decisamente preoccupata, sapendo benissimo quanto suo fratello ami Camilla, quanto lei significhi per lui e cosa era successo quando lei se ne era andata a Barcellona: nonostante non stessero nemmeno insieme suo fratello l’aveva presa malissimo, era diventato l’ombra di se stesso.
 
“Per favore, Francesca, posso entrare?” domanda, la voce che si spezza, “scusami ma ora non mi va di parlarne e-“
 
Senza preavviso, si ritrova stretto in un abbraccio a morsa, che ricambia in maniera quasi disperata e che gli ricorda perché il suo istinto l’ha portato qui invece che in un hotel qualsiasi.
 
“Scusami tu, fratellone, non serve che mi dici niente, ok?” gli sussurra in un orecchio, stringendolo ancora più forte, “puoi restare qui tutto il tempo che vuoi: mi casa es tu casa.”
 
La ex mina vagante, come sempre, riesce a strappargli un sorriso a tradimento, prendendogli poi la valigia, nonostante le sue proteste – tanto è solo un trolley – e conducendolo verso la stanza degli ospiti.
 
***************************************************************************************
 
“Camilla, sei tornata finalmente: cominciavo a preoccuparmi!”
 
“Ciao mamma…” la saluta, posando le chiavi sul mobile dell’ingresso e posando la borsa come se pesasse un quintale.
 
“Camilla… hai un aspetto terribile…” commenta Andreina, notando i segni di un pianto prolungato e la stanchezza che emana da ogni singolo movimento.
 
“Mamma, finalmente!” esclama Livietta, uscendo dalla sua stanza, ma la sua espressione si rabbuia quando nota che è sola: mano a mano che le ore passavano e che il cellulare di sua madre e di Gaetano risultavano staccati, si era detta che dovevano essere insieme a “chiarirsi”. E anche se l’idea di sua madre con un uomo era qualcosa a cui preferiva decisamente non pensare, in questo caso sperava sinceramente di avere ragione.
 
“E Gaetano dov’è? Non dirmi che è partito lo stesso!”
 
“No, Gaetano non è partito ma è a casa di Francesca…” spiega con un sospiro, sentendo la testa che le scoppia.
 
“Perché? Ma quindi rimane qui a Roma?” domanda Andreina, confusa, aggiungendo, un po’ ferita, “se è in imbarazzo a tornare qui per quello che è successo oggi, non deve preoccuparsi a meno che… se pensa che sono stata troppo invadente e preferisce stare altrove…“
 
“Mamma, tu questa volta non c’entri niente. Gaetano resta a Roma perché… perché non ha altra scelta, ma non siamo tornati insieme. In realtà Gaetano in questo momento ha ben altri  problemi a cui pensare, che riconciliarsi con me.”
 
“Che vuoi dire? Quali problemi?”
 
“De Matteis… il fratello di Marco-“
 
“Sì, lo ricordo benissimo, quel cafone, non me lo scorderò più fin che vivo!” la interrompe Andreina, infervorandosi come sempre quando pensa a quel poliziotto.
 
“Ecco, credo che non se lo scorderà mai più nemmeno Gaetano. Mamma, De Matteis è venuto a sapere delle nostre indagini e ci vuole denunciare al questore. Siamo stati nel suo ufficio fino a poco fa. Gaetano, anche volendo, non può lasciare Roma e nemmeno io posso, fino a che non saremo a colloquio con il questore e non deciderà il da farsi. Io sinceramente non credo di rischiare un granché, ma Gaetano rischia il posto e anche Marchese, mentre Sammy… diciamo che questa storia non inciderà certo positivamente sul suo curriculum da aspirante avvocato penalista,” spiega, la preoccupazione e il senso di colpa evidenti nel tono di voce, “ed è tutta colpa mia!”
 
“Camilla, senti, che tu e la tua passione per le indagini prima o poi ti avrebbero cacciata nei guai sono anni che te lo dico e pure Gaetano era preoccupato, a ragione, ma tu sei testarda come un mulo!” commenta Andreina con un sospiro, avvicinandosi però alla figlia e posandole una mano sulla spalla, “ma Gaetano, Marchese e Sammy sono tutti più che maggiorenni, Camilla, e ognuno di loro, per vari motivi, ha deciso di partecipare a queste indagini. Tu non hai mica puntato una pistola alla tempia di nessuno, anzi, mi sembra che sia Sammy che Marchese fossero quasi più convinti di te e probabilmente avrebbero indagato lo stesso, con o senza la tua presenza e la tua approvazione.”
 
“Ma Gaetano no, mamma, lui si sarebbe già fermato, lo so, se è andato avanti è stato solo per me e… se dovesse avere problemi sul lavoro non me lo perdonerei mai!” proclama, mentre di nuovo le lacrime minacciano di scendere, “lui aveva ragione quando parlava di priorità e io… sono stata una stupida: ho sbagliato tutto!”
 
“Camilla,” sospira Andreina, trasformando il tocco sulla spalla in quello che è a tutti gli effetti quasi un mezzo abbraccio: un contatto monumentale per loro, “ascoltami, ti ricordi quando eri ragazzina e giocavi a scacchi con tuo padre? E, nonostante tu sia sempre stata intelligente, brillante, non vincevi mai. Ti ricordi cosa ti diceva papà?”
 
“Che non vincevo perché… perché non riuscivo a sacrificare qualche pedina?” ricorda Camilla con un mezzo sorriso nostalgico, mentre le tornano alla mente momenti sereni che aveva praticamente rimosso.
 
“Esatto! Tu sei sempre stata così: tu vuoi salvare tutti, Camilla, cambiare il mondo, ma non è possibile, non sempre. A volte bisogna fare delle scelte, capire cosa è più importante per noi, se salvare un pedone e per questo perdere tutto o proteggere la regina e il re.”
 
“Mamma…” sospira Camilla, commossa, sapendo che la madre ha ragione e capendo finalmente del tutto cosa voleva dirle Gaetano oggi, anzi, in questi ultimi giorni. Peccato che probabilmente sia troppo tardi.
 
***************************************************************************************
 
“Ehi, ehi, che irruenza: chi è che vuoi fare fuori?!”
 
“Molto spiritoso… fratellone…” riesce a dire tra un pugno e l’altro, colpendo il sacco con veemenza, come se non ci fosse un domani.
 
“Paolo è da mezz’ora che ti sento tirare pugni senza un attimo di pausa. Non pensi di esserti allenato abbastanza?” gli domanda, avvicinandosi per tenergli fermo il sacco.
 
“No!” si limita a rispondere l’altro, continuando a picchiare furiosamente.
 
“Ehi, fermati, fermo!” quasi urla Marco, afferrandogli il braccio destro ed evitando per un soffio un pugno, anche se involontario, guardando il rivolo rosso che corre lungo il braccio del fratello da sotto il guantone, “ma stai sanguinando!”
 
“Cosa?!” domanda Paolo, sorpreso, guardandosi il braccio e notando che il fratello ha ragione. Si slaccia il guantone ed entrambi vedono un taglio sul palmo che si è riaperto e che sanguina copiosamente, vista l’abbondanza di capillari.
 
“Cosa hai fatto alla mano?”
 
“Ma niente, è solo un graffio: mi sono tagliato per raccogliere un coccio di vetro, una sciocchezza,” minimizza Paolo, maledicendosi per avuto la brillante idea di sfogare la sua rabbia lanciando la bottiglia d’acqua sul pavimento del suo ufficio.
 
“Ma immagino che non sia per questa sciocchezza che stai cercando di pestare a morte il sacco, senza nemmeno renderti conto che sei ferito. Che è successo?” gli domanda preoccupato, prendendolo per il braccio e trascinandolo con sé in bagno, dove afferra il necessario per medicargli la ferita.
 
“Niente! Niente!”
 
“Questo non è niente, Paolo. Quindi o mi dici cosa è successo subito o continuerò a chiedertelo fino a che non mi risponderai. A te la scelta.”
 
“È per la tua amata professoressa e quel… quel coglione di Berardi,” impreca, per poi urlare quando Marco gli passa con troppo vigore il batuffolo col disinfettante sulla ferita, “e stai attento, maledizione!”
 
Marco dal canto suo è preoccupato: suo fratello ha sempre detestato il “turpiloquio”, come lo definiva lui durante i predicozzi fatti a Tom quando suo figlio si lasciava scappare qualche parolaccia, ottenendo come unico risultato quello di far sganasciare Tom dalle risate alla sola parola turpiloquio. Già Paolo mal tollerava parole come “casino” o “figo”, per dare del coglione a qualcuno doveva essere davvero fuori di sé.
 
“Cos’è successo con Camilla e con Berardi?” domanda, quasi temendo la risposta.
 
“È successo che non solo si sono intromessi nelle mie indagini, per l’ennesima volta, ma hanno coinvolto pure l’agente Marchese, che non ha esitato a violare il segreto di indagine e a farmi fare la figura del cretino, preferendo fidarsi di Berardi e della Baudino piuttosto che di me, e anche la moglie dell’ispettore Mancini, che è completamente fuori di sé… ma almeno mi ha fatto aprire gli occhi su questo fatto gravissimo, su quale serpe avevo in seno. E così ho dovuto sospendere Marchese, che sarà licenziato… così almeno magari la Baudino imparerà finalmente la lezione, soprattutto dato che pure il suo principe azzurro ora rischia il posto. È l’unica cosa positiva di questa storia: non vedo l’ora di vedere la faccia di Berardi quando si ritroverà col culo per terra, lui che fa tanto il superiore, il maestro di vita!”
 
Marco è completamente sconvolto di fronte al fiume di parole che esce dalla bocca di suo fratello, tanto che per un secondo si chiede se non sia ubriaco, ma poi coglie parole come licenziato, “culo per terra” – altro “turpiloquio” – e alla preoccupazione per lo stato psicofisico di suo fratello si aggiungono altri tipi di preoccupazione.
 
“Frena, fratello, frena. Mi stai dicendo che… per questa storia, tu pensi sul serio di far licenziare Marchese? E che vuoi far licenziare anche Berardi?”
 
“Marchese ha violato il segreto di indagine, che è gravissimo, e Berardi l’ha istigato a farlo, hanno violato scene del crimine, coinvolgendo dei civili… cose inconcepibili per un poliziotto, a maggior ragione per un funzionario come Berardi. Il questore adesso è in ferie per il weekend ma appena torna… ti garantisco che cadranno delle teste!”
 
“Suvvia Paolo, ma non puoi dire sul serio! Marchese ha sempre passato informazioni a Camilla e lo sapevi anche tu, dai, e Camilla ti ha aiutato in diverse indagini, e sapevi anche questo, ma facevi lo gnorri e non ti sei mai sognato di denunciarla. Non è niente di più, né niente di meno di quello che è già successo altre volte, cosa cambia adesso? Perché una reazione del genere, così… spropositata? Se è perché Camilla mi ha lasciato, non-“
 
“Anche se fosse? E comunque è anche per la presenza di Berardi, che le altre volte non c’era di mezzo e il suo comportamento è gravissimo e ingiustificabile!”
 
“Cos’è? Una gara a chi è il vicequestore che ‘ce l’ha più lungo’? Paolo, per favore, non puoi pensare di rovinare la carriera e la vita ad almeno due persone per una cosa del genere! Oltretutto mi sembra che ti abbiano aiutato, no? Che se sai quello che sai su questo caso è anche merito di questa inchiesta parallela, no?”
 
“E tu che ne sai? E comunque, sì, mi sembra proprio il caso: è un fatto inaudito ed è una questione di principio. Berardi e Marchese hanno dimostrato di non avere alcun rispetto per la divisa che portano!”
 
“Beh, allora non mi lasci altra scelta. Immagino che, visto che è una questione di principio, non ti dispiacerà se questa vicenda lascerà probabilmente una macchia anche sul tuo curriculum o sulla reputazione della nostra famiglia.”

“Ma che stai dicendo? Cosa c’entro io? Io non ho fatto niente di male!”
 
“Dipende dai punti di vista, immagino, ma comunque, se denunci Berardi, Camilla, Marchese e Sammy devi aggiungere altri due nomi alla lista degli indagati: me e Tom. O almeno me, perché Tom è in partenza per gli Stati Uniti e magari eviterei di coinvolgerlo, ma io sono più che pronto ad autodenunciarmi.”
 
“Ma sei impazzito, cosa stai dicendo?”
 
“Sto dicendo che anche io e Tom abbiamo contribuito a queste indagini, Paolo.”
 
“La Baudino e Berardi hanno avuto la faccia tosta di coinvolgere anche voi?! Non ci posso credere, dopo quello che lei ti ha fatto!” esclama, incredulo e ancora più infervorato.
 
“Ti garantisco che Berardi non voleva che ci mettessimo in mezzo, anzi, e Camilla non ha certo insistito, in realtà è tutto partito da un’idea dei ragazzi e da Tom. Sai, a quanto pare tuo nipote ha parecchi amici tra i punkabbestia e… credo che tu ti sia già fatto un’idea.”
 
“Tom ha amici tra i punkabbestia? Ti ho detto che devi stargli di più dietro, maledizione, tu sei sempre così permissivo!” sbotta, passandosi la mano sana tra i capelli, “ma quindi è stata solo una specie di… diciamo di testimonianza… non mi sembra che abbiate partecipato alle indagini.”
 
“Tom non più di tanto, ma io… mi conosci, se c’è l’azione non resisto! Diciamo che sono stato in un certo cascinale, dove è stato ritrovato un certo cadavere. Poi il giro della casa l’hanno fatto i due poliziotti, mi hanno fatto rimanere fuori perché non contaminassi eventuali prove, ma direi che già la stalla con il cadavere di Marcio è qualificabile come una scena del crimine, no? E immagino che non ci farai una gran figura di fronte al questore quando saprà che non solo uno dei tuoi agenti e la moglie di un tuo ispettore, ma anche tuo fratello ha deciso di… diciamo di dare un contributo alle tue indagini.”
 
“Cioè, tu, mio fratello, mi pugnaleresti così alle spalle?! PER LA BAUDINO?! Io non ci posso credere!” quasi urla Paolo, ferito, sentendosi doppiamente tradito, dopo l’inganno di Marchese, “dopo tutto quello che ti ha fatto tu stai ancora a pendere dalle sue labbra?! Magari a sperare di tornare nelle sue grazie?! Io non so come abbia fatto a stregarti così, visto che di donne più giovani e più belle della Baudino e con un carattere decisamente migliore è pieno il mondo!”
 
“Paolo, io non lo sto facendo solo per Camilla, ma per tutte le persone coinvolte in questa storia! Anche se spero sinceramente che non arriviamo a tanto e che questo ti faccia riflettere sul fatto che stai reagendo di pancia, in modo completamente sproporzionato rispetto a quanto è realmente successo, e anche rispetto a come tu stesso hai agito in passato! Paolo, stai usando la tua posizione, il tuo potere, per una vendetta personale verso Camilla e verso Berardi, che tra parentesi non capisco cosa ti abbia fatto per meritare un risentimento del genere: a malapena lo conosci! E questo è molto più grave e molto più indegno della divisa che porti di quello che possono aver fatto Berardi o Marchese!”
 
“Marco, io non-“
 
“Paolo, per favore, riflettici: tu hai sempre avuto le tue manie, il tuo amore per l’ordine, la disciplina, ma… ma tu non sei così, io ti conosco e non sei così. Tu sei una persona buona, Paolo, e non posso credere che arriveresti a tanto, che arriveresti a rovinare delle persone per una rivalità, per un rancore. Il questore grazie al cielo è in vacanza e sei ancora in tempo a fermarti. Ma se non lo farai… vorrà dire che dovrai portarmi le arance al gabbio. A te la scelta.”
 
***************************************************************************************
 
“Arrivo, arrivo!” grida in direzione della porta, visto che qualcuno sta suonando disperatamente il campanello. È quasi mezzanotte e sua madre sta dormendo, mentre Livietta si è chiusa di nuovo in camera sua con le cuffiette e la musica a palla.
 
È chiaro che è arrabbiata per l’assenza di Gaetano e, anche se non ha detto niente, Camilla sente che sua figlia la incolpa per quello che è successo. E, sinceramente, non può darle del tutto torto.
 
“Sammy?!” domanda, sorpresa e un po’ delusa quando vede la ragazza, realizzando improvvisamente che una piccola parte di lei aveva sperato che ci fosse un certo vicequestore dagli occhi azzurri dietro a quella porta.
 
“Prof.! Lo so che è tardissimo e che… che sono piombata qui all’improvviso ma… non posso tornare a casa, se mi presento da i miei si scatenerebbe il finimondo, le amiche single che ho sono tutte fuori per il weekend e non so dove andare. Posso stare qui per stanotte? Domani mi trovo un’altra sistemazione ma…” quasi balbetta, l’aspetto stravolto di chi ha pianto per ore.
 
“Ma certo, vieni, entra,” risponde, intenerita e preoccupata, facendole strada, anche se in fondo non è casa sua, ma è certa che sua madre non se ne avrà a male: in fondo è un’emergenza.
 
“Non dirmi che tuo marito ti ha cacciata di casa,” osa infine dire, guardandola negli occhi.
 
“No, anche se non mi stupirebbe, ma sono io che non voglio tornarci. Pietro è… è… prof., ha presente quando pensa di conoscere una persona, di conoscerla davvero fino in fondo e poi si rivela tutto l’opposto?” le chiede, il tono amarissimo e deluso.
 
“Sì, ho ben presente, purtroppo…” sospira, ripensando a quando aveva scoperto di Renzo e di Carmen, dello sconcerto e della delusione, dell’incredulità, “dai, vieni con me.”
 
Le fa strada verso la camera che aveva condiviso con Gaetano. Sa benissimo che Livietta non è dell’umore adatto per avere una compagna di stanza e Sammy ha già abbastanza problemi, senza doversi ritrovare a gestire un’adolescente sul piede di guerra.
 
“Se mi dai un minuto, divido i letti e li rifaccio. Spero non ti dispiaccia di dover condividere la stanza con me,” spiega Camilla, avvicinandosi a quelle lenzuola ed imponendosi di toglierle dal letto, compiendo ogni gesto in maniera quasi meccanica.
 
Se non fosse arrivata Sammy probabilmente avrebbe ceduto alla tentazione di dormire ancora in quelle lenzuola che mantenevano il profumo di lui, ma forse era meglio così. Era inutile farsi ancora più del male.
 
“Ma e… il dottor Berardi? Dove dorme?” domanda Sammy, stupita, guardandosi in giro e notando ovviamente la sua assenza.
 
“Gaetano dorme da sua sorella Francesca… ci siamo lasciati, Sammy,” chiarisce, non riuscendo a nascondere il dolore e l’amarezza dal tono di voce.
 
“Cosa?! Ma perché?! È per via… della denuncia di mio… di Pietro? Non mi dica che Gaetano se l’è presa con lei!” esclama con l’aria di chi, in caso di una risposta affermativa, potrebbe andare a strozzare Gaetano con le proprie mani, oltre ad un certo ispettore.
 
“No, Sammy, anzi, se non fosse per la denuncia di tuo marito, a quest’ora Gaetano sarebbe a Torino. Ci eravamo lasciati prima che scoppiasse tutto questo casino, per vari problemi e incomprensioni, che riguardano solo in parte queste indagini.”
 
“Quindi… è lui che si è rivelato diverso da quello che era?” domanda Sammy, ricordando il modo in cui la prof. le aveva risposto alla domanda di poco fa.
 
“No, in realtà… no. Forse sono io che mi sono rivelata diversa da quello che lui si aspettava, o almeno, così crede lui…” riflette Camilla, accorgendosi che non aveva pensato nemmeno per un solo secondo a Gaetano quando Sammy le aveva posto quella domanda. Perché Gaetano, anche in quel pomeriggio, le aveva dimostrato di essere esattamente come lei aveva sempre pensato, l’uomo che aveva sempre amato e che ama tanto da farle male.
 
“Lui voleva che lei rinunciasse alle indagini e tornasse a Torino con lui, vero? L’abbiamo notato sia io che Marchese che oggi tirava una brutta aria tra voi,” deduce Sammy, ricordando il modo in cui Gaetano se n’era andato come una furia e le battute che lei aveva poi scambiato con Marchese, anche se sembrava una vita fa.
 
“Sì, anche… che dire? Se gli avessi dato retta in tempo, forse non ci troveremmo in questa situazione…”
 
“Se ci troviamo in questa situazione è colpa di Pietro e al limite mia: avrei dovuto aprire gli occhi su di lui tempo fa, prof….”
 
“Sammy, ora tu sei ferita e delusa, però… non ti sembra di essere un po’ troppo categorica? Ho visto quanto sei innamorata di tuo marito e… forse è meglio se ci dormi un po’ sopra, non credi?”
 
“No, non penso. L’uomo di cui mi ero innamorata forse non esiste, forse è solo una maschera, una recita o... la personalità buona di un uomo dalla doppia personalità. E poi non credo riuscirò a chiudere occhio, sa?”
 
“A chi lo dici…” sospira Camilla, cominciando a dividere i letti, ringraziando il cielo di essere al primo piano, altrimenti chi li sentiva i vicini di sotto.
 
“Certo che… siamo messe proprio male, prof.!” commenta Sammy con un sorriso amaro, mentre la aiuta a spostare l’altro letto, “sembriamo uscite da uno di quei telefilm americani, sa, quelli con le amiche con tutte le sfighe possibili in amore che si confidano a vicenda?”
 
“Ci manca il boccione gigante di gelato, però,” ribatte Camilla, estraendo le lenzuola dall’armadio.
 
“Già…” annuisce Sammy con un altro mezzo sorriso amaro, prendendo dalla prof. un set di biancheria per iniziare a fare uno dei due letti “e un film strappalacrime su cui consumare chili di fazzoletti di carta.”
 
Camilla si limita ad annuire, intenta a rifare l’altro letto.
 
“Prof.?”
 
La voce la porta ad alzare lo sguardo e vede Sammy che le si avvicina, il suo letto ancora mezzo sfatto.
 
“Che cosa c’è?”
 
“Grazie,” risponde la ragazza semplicemente, e, prima che Camilla possa reagire, si ritrova stretta in un abbraccio, “non so come fa, ma riesce sempre a tirarmi un po’ su di morale, anche nei momenti peggiori.”
 
“Sammy…” mormora Camilla, di nuovo intenerita, del resto lo scricciolo di fronte a lei aveva sempre innescato i suoi istinti materni, ed evidentemente succede anche ora che Sammy è cresciuta.
 
E, mentre la stringe a sé, si rende conto che, quasi per magia, anche lei sta lievemente meglio. Forse quei telefilm in fondo non hanno tutti i torti.
 
***************************************************************************************
 
Una mano guantata e tremante infila una grossa busta in una buca delle lettere.
 
Maledice i chilometri extra che ha dovuto fare per precauzione, per non fare capire da dove è stata spedita.
 
Si sente debole, la gola che fa un male cane e questa maledetta tosse che arriva a tradimento da ieri e che toglie il fiato. Ma del resto gli ultimi giorni erano stati infernali, una corsa contro il tempo per coprire le sue tracce, per sparire nel nulla.
 
La sua vendetta però non è completa, perché manca un obiettivo, anzi, l’obiettivo principale.
 
Ma ora l’amo è gettato e non resta che aspettare. Perché conosce bene il suo pesce e sa che non potrà resistere al richiamo, non potrà evitare di finire nella rete e magari di trascinare anche gli altri pesci con sé.
 
E poi, finalmente, giustizia sarà fatta.
 


 
Nota dell’autrice: Ed eccoci alla fine di questo luuungo capitolo. La bomba è esplosa e ha coinvolto più o meno tutti. I nostri protagonisti sono due testoni, vittime dei non detti e dei malintesi, Mancini e Sammy sono più che ai ferri corti, Mancini è quasi impazzito, De Matteis non è messo molto meglio e in mezzo a tutta questa guerra, il killer rischia di approfittarne per colpire ancora. Il prossimo capitolo sarà molto più d’azione e, arrivati alla resa dei conti, alcuni personaggi potrebbero rivelare lati inattesi, o forse nascosti, positivi o negativi.
 
Come sempre vi ringrazio per la pazienza, per i vostri commenti che mi motivano tantissimo e per avermi letta e seguita fin qui e se vi va vi do appuntamento al prossimo capitolo ;)!

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Old friends ***


Nota dell’autrice: lo so che vi ho fatto aspettare tantissimo ma spero che questo capitolo taglia XXXL vi compensi per l’attesa. Diciamo che i personaggi ad un certo punto si sono messi di testa loro e gli hanno fatto prendere una piega leggermente diversa da quanto inizialmente previsto, rendendolo più lungo del previsto, anche da scrivere. Non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento alle note a fine capitolo.


 
Capitolo 40: “Old friends”


 
“Buongiorno, Valentina è in casa?”
 
Ancora un po’ assonnata e abbagliata dalla luce solare, impiega qualche secondo per mettere a fuoco lo sconosciuto alla porta, poi spalanca gli occhi, sorpresa di fronte a quell’uomo sorridente e dallo sguardo gentile e che, soprattutto, nonostante abbia evidentemente qualche anno in più di lei, rientra tranquillamente nella top-ten degli uomini più attraenti che abbia mai conosciuto, tra il fisico sportivo, sottolineato dai jeans e dalla t-shirt, e quegli occhi azzurri che potrebbero essere usati come un’arma impropria.
 
Altri cinque o sei secondi trascorrono prima che lo sguardo interrogativo dell’uomo le permetta finalmente di rendersi conto di quanto tempo ha passato a fissarlo come una perfetta idiota.
 
“Ah, Valentina… sì, credo di sì, un secondo…” bofonchia arrossendo, indietreggiando impacciata, “intanto se ti vuoi accomodare… stavo preparandomi un caffè, ne vuoi un po’?”
 
“No, grazie, ho già fatto colazione e non vorrei disturbare,” replica con un altro sorriso che quasi la fa sciogliere, per poi aggiungere, mentre i suoi occhi si soffermano sulla t-shirt da uomo che lei usa come camicia da notte e sui biscotti sul tavolo, “se… se Valentina sta ancora dormendo posso passare più tardi… purtroppo ho il vizio di essere troppo mattiniero e di dimenticarmi che è pur sempre domenica mattina.”
 
“No, no, figurati, sono io che mi sveglio tardi,” minimizza, notando con un certo imbarazzo che sono quasi le undici del mattino, “ma Valentina di solito è meno pigra di me, aspetta che la chiamo. Vale? VALE?! VALEE?!”
 
“Gaia, ho sentito, ho sentito!” li raggiunge un urlo spazientito, “che hai da urlare così tanto?! Ero sotto la-“
 
Si blocca repentinamente, appena voltato l’angolo, e non servono grandi poteri deduttivi per capire che la parola mancante alla frase era “doccia”. Un asciugamano avvolto intorno al corpo, a coprire il minimo indispensabile e uno intorno ai capelli, entrambi bianchi, mentre tutto il resto si tinge repentinamente di rosso-fucsia.
 
“Dottor Berardi? Ch- che ci fa qui?” domanda quasi balbettando quando ritrova la parola, cercando di coprirsi il più possibile con le braccia.
 
“Avevo bisogno di parlarle… ma… non immaginavo… mi dispiace di essere capitato in un momento poco opportuno,” ribatte Gaetano, sembrando lievemente a disagio, ma mai imbarazzato quanto la ragazza.
 
“No, cioè sì, cioè… si figuri e-“
 
“Se vuole… posso aspettarla qui fuori? Magari facciamo due passi e... se non ha altri impegni, chiaro,” interviene per toglierla di nuovo dall’impaccio, notando quanto la ragazza, presa dal panico, fatichi a formare anche solo una frase di senso compiuto.
 
“Sì… ok, mi preparo e torno,” acconsente, mentre Gaetano con un cenno di saluto a lei e a Gaia si avvia da solo verso la porta d’ingresso del piccolo appartamento, per poi scomparire chiudendola dietro di sé.
 
“Gaia, ma sei matta?! Non potevi avvisarmi che c’era qui gente prima di chiamarmi?! E il vicequestore, oltretutto! Che figura!!!” sbotta, ancora rossa come un peperone, avviandosi verso la sua camera per cambiarsi.
 
“Scusa, ma ero mezza addormentata e non avevo idea che fossi sotto la doccia e poi-“ inizia a giustificarsi, bloccandosi improvvisamente quando inizia a connettere i puntini, “vicequestore?! Ma certo! Figo, occhi azzurri… non dirmi che è lui il tuo capo! Ma me lo avevi descritto come una specie di cerbero precisino e invece è così gentile, alla mano… poi si presenta qui in jeans e maglietta, chiedendo di Valentina, io pensavo fosse un tuo amico, gli ho pure dato del tu… No, aspetta, aspetta: perché il tuo capo viene qui di domenica mattina, in jeans e maglietta… non è che mi sono persa qualcosa in questa storia? Perché se sì, dobbiamo festeggiare: finalmente ce l’hai fatta e-“
 
 
“Gaia, Gaia, mi fai parlare?!” riesce infine ad intervenire, arginando il fiume di parole dell’amica, “il dottor Berardi non è il mio capo, grazie a dio! Oddio, se mi avesse visto così De Matteis sarei morta di vergogna e mi toccherebbe chiedere il trasferimento in un paesino sperduto nelle alpi!”
 
“Cioè, fammi capire: quindi i vicequestori sono tutti dei fighi da paura occhiazzurri? Perché se sì ho sbagliato tutto nella vita! Altro che fare l’art director sottopagata per le pubblicità: il mio direttore creativo e i partner dell’agenzia in cui lavoro sembrano dei pupazzi di Viareggio!” commenta con una risata, facendola, nonostante tutto, sorridere.
 
Gaia è così: un uragano, un fiume in piena, estroversa, solare, ironica, divertente, spensierata, creativa, proprio come il lavoro che svolge. Proprio tutto il contrario di lei: un po’ timida, introversa, ligia al dovere e alla disciplina inculcatale nell’addestramento ma che in fondo hanno sempre fatto parte di lei, che l’hanno fatta sempre sentire bene, tranquilla, a suo agio, perché avere qualcuno che ti dice cosa fare e come farlo è rassicurante, in fondo.
 
Gaia è il tipo da tuffi dalla scogliera, da rivoluzionare la propria vita in due minuti, dal sopravvivere benissimo ad un lavoro precario, mille cambi di agenzie, periodi di superlavoro e periodi di magra. Lei è il tipo da chilometri macinati nella piscina olimpionica, di fedeltà al giuramento e al suo lavoro, spesso ingrato e con una paga da fame, alla squadra di cui fa parte, al suo capo, mai suo quanto avrebbe voluto e che probabilmente mai lo sarà.
 
Gaia è il tipo da innamorarsi in due minuti, prendere una tranvata nei denti, farsi forza e riprendersi pochi giorni dopo: nuovo giro, nuovo amore, chiodo-scaccia-chiodo. Lei è… una povera sfigata che da anni ormai si strugge dietro un uomo impossibile, in tutti i sensi, nonostante i pretendenti non le manchino di certo.
 
Forse è per questo che, paradossalmente, la coabitazione con Gaia funziona ormai da anni: si compensano a vicenda.
 
Cercando di ricacciare indietro l’imbarazzo, si cambia più in fretta che può, raccogliendo i capelli ancora umidi ed indossando la maglietta bianca e i pantaloni neri più formali del suo guardaroba, anche se… anche se Berardi si era presentato lì in modo più che informale.
 
Ma che cosa ci fa qui? Cosa vuole da me? – queste sono le domande che le passano per la testa mentre esce dalla camera e con un rapido saluto a Gaia, prima che l’amica la intercetti di nuovo con la sua logorrea, si infila nel portone di casa.
 
Berardi è già in cortile, appoggiato al muro, intento a conversare amabilmente e pazientemente con la terribile signora del quarto piano. Sospira, immaginando già il terzo grado a cui l’anziana starà sottoponendo Berardi e anche i pettegolezzi che presto gireranno per il condominio sulla visita di un uomo di domenica mattina. Avvicinandosi si stupisce di notare che l’anziana sorride, anzi, ride proprio, mentre di solito il suo concetto di buonumore è il non avere un’espressione schifata, mentre Berardi fa due coccole al suo pincher: sovrappeso fino quasi a scoppiare, viziato all’inverosimile e con un abbaiare insistente e acutissimo che ti fa venire voglia di cavarti i timpani per non sentirlo. Ma eccolo lì, disteso col pancione in su a farsi accarezzare come il più docile dei cagnolini.
 
La differenza tra Berardi e De Matteis la colpisce di nuovo: saranno pure entrambi “fighi da paura occhiazzurri”, come diceva Gaia, ma non potrebbero essere più diversi, come il giorno e la notte. Berardi è il giorno: solare, dal sorriso luminoso, i modi gentili. L’aria da principe azzurro, come lo chiamava De Matteis in modo dispregiativo, ce l’aveva tutta, anche se sapeva benissimo, da voci di corridoio, che l’ex vicequestore aveva un debole, ricambiato, per le belle donne. De Matteis invece è la notte: lunatico, ombroso, con tanti punti oscuri e imperscrutabili e proprio per questo, almeno ai suoi occhi, misterioso ed affascinante. Di donne nella sua vita nemmeno l’ombra, tanto che, dopo la prima volta che il fratello si era presentato in caserma, complice anche il cognome diverso, erano circolati parecchi pettegolezzi sull’orientamento sessuale del vicequestore, andati a morire quando l’equivoco e l’identità del signor Visconti erano stati chiariti. Ma lei ormai dopo anni di osservazione si era convinta che De Matteis più che etero o gay fosse praticamente asessuale, asettico e parecchio misantropo, in generale.
 
“Valentina, ciao!” la saluta lui quando la vede arrivare e lei non può fare a meno di sorprendersi e arrossire leggermente all’uso del suo nome di battesimo. Si chiede se De Matteis se lo ricordi il suo nome di battesimo, dato che la designa sempre con il cognome, quel cognome che tanto aveva detestato a scuola, visto che l’aveva esposta a mille prese in giro. Ma era stato anche un incentivo a fare sport, a tenersi sempre in forma.
 
“Ah, signorina, suo cugino è davvero simpatico, peccato che passi di qui così raramente! Vi lascio che è ora di dare il pranzo al mio Otto,” commenta l’anziana, salutandoli prima di incamminarsi a passo incespicante verso la tromba delle scale.
 
“Mio cugino?!” domanda sorpresa, guardandolo negli occhi.
 
“Mi scusi se mi sono permesso ma… ho pensato che fosse la cosa migliore da dire per evitarle pettegolezzi e magari problemi… che ne so… con il suo fidanzato ad esempio. Conosco il genere della signora,” le spiega con un altro di quei sorrisi brillanti che lei non può evitare di ricambiare.
 
“No, no, anzi, grazie. Solo che mi sa che adesso la signora Roncati continuerà a chiedermi di lei, anzi, di mio cugino: non so come ha fatto ma l’ha conquistata,” ribatte con una mezza risata, stupita da tanta premura, sentendosi più a suo agio.
 
“Ho i miei metodi… Allora, facciamo questi due passi?” domanda lui, sempre sorridendo, “ho visto che c’è un parco qui vicino.”
 
“Sì, ci vado spesso a correre la mattina. D’accordo,” concede, avviandosi insieme a lui verso il parco, “ma posso chiederle perché è qui? Cioè come mi ha trovata innanzitutto?”
 
“Beh, in fondo sono ancora un poliziotto, no?” ribatte con tono ironico e autoironico, facendola arrossire.
 
“Oddio, sì, mi scusi dottore, ha ragione, ma-“
 
“Per favore, niente dottore: non siamo in servizio e in ogni caso non sono il suo capo. Mi chiami solo Gaetano,” la invita con un altro sorriso gentile quando arrivano al parco, avviandosi su uno dei vialetti in terra battuta e ghiaino.
 
“D’accordo, e allora… lei mi chiami Valentina, anzi, in fondo, l’ha già fatto, no?” replica ricambiando il sorriso, sentendo sempre il viso un po’ troppo caldo, anche se l’atteggiamento di lui, cordiale ma non troppo… umano è probabilmente l’aggettivo giusto, la sta mettendo sempre più a suo agio.
 
“Già… è che… presentarmi alla sua coinquilina chiedendo dell’agente Grassetti… mi dà l’idea di un’ispezione o un interrogatorio e non amo le formalità inutili e francamente un po’ ridicole,” commenta, mentre lei non può fare a meno di pensare a De Matteis e Mancini, il rigore stampato a fuoco in ogni singola cellula del loro corpo. Mancini addirittura pretendeva che si mettessero sull’attenti se lo salutavano per strada, in borghese. Le era capitato solo una volta, per fortuna,  ma ricordava ancora perfettamente gli sguardi stupiti dei passanti e i commenti di Gaia, che era con lei a prendersi un aperitivo quella sera.
 
“Ma quindi lei… chiama i suoi sottoposti per nome? Dà loro del tu e si fa dare del tu?” non può fare a meno di domandare, incuriosita, quando lui si siede su una panchina, sedendosi accanto a lui. Aveva sentito molte voci, soprattutto dall’ispettore Torre, su quanto fosse amichevole e alla mano il “vecchio capo”.
 
“Dipende… di solito do loro del tu ma li chiamo per cognome, mentre loro mi danno del lei e mi chiamano dottore. In alcuni casi quando ero più giovane ho anche avuto sottoposti che mi davano del tu e mi chiamavano per nome, ma i miei superiori non gradivano ed è successo che qualcuno si prendesse troppa confidenza,” spiega, ricordando perfettamente quanto successo con la Cremonesi: probabilmente sarà stato anche per il carattere marziale di lei, ma arrivati ad un certo punto sembrava quasi che fosse diventata lei il capo e non lui.
 
“Da allora ho imparato la lezione ed evito, ma… Torre, che credo lei conosca, è l’amico più caro che ho, praticamente è di famiglia, nonostante io lo chiami per cognome, lui mi chiami dottore, anzi, dottò, e mi dia del voi, quindi… l’importante non sono queste convenzioni ma il rapporto che si instaura con i propri sottoposti. Si può decidere di farsi rispettare con il pugno di ferro e con l’intimidazione o, più semplicemente, agendo in modo da meritarsi il loro rispetto. E se si dà il massimo, allora si può pretendere anche il massimo e ho notato che le persone ti seguono comunque, anzi, lavorano molto meglio e i risultati si vedono, oltre al fatto che l’ambiente di lavoro è molto più piacevole.”
 
“L’ispettore Torre ci parlava spesso di lei, teneva pure una sua foto sulla scrivania. Diceva sempre che lei era il migliore capo che avesse mai avuto e ci raccontava di alcuni vostri casi insieme, delle sue intuizioni o di come era entrato in azione... lo faceva sempre di nascosto da De Matteis, ovviamente. Ma comunque per me e per Marchese lei era diventato quasi una figura mitologica, a furia di sentire parlare di lei e delle sue gesta,” ricorda Valentina con un sorriso e questa volta è il turno di Gaetano di arrossire lievemente.
 
“Torre è sempre stato troppo di parte quando si tratta di me, troppo poco obiettivo. Mi scuso da parte sua per avervi annoiato con le mie gesta, che non sono sicuramente straordinarie. Ho sempre e solo cercato di fare il mio lavoro al meglio delle mie possibilità, come tanti altri colleghi, Torre incluso.”
 
“E invece forse l’ispettore Torre aveva ragione su di lei… Quello che ha detto poco fa su come trattare i sottoposti… è esattamente quello che ci descriveva Torre, che infatti ha sempre faticato ad adattarsi a De Matteis. Io… io ho praticamente avuto solo De Matteis come capo e non mi sono mai trovata poi così male con lui, però… ammetto che ogni tanto ho un po’ invidiato Torre e i vostri ex colleghi. Dai suoi racconti sembravate una squadra davvero unita, doveva essere bello lavorare così.”
 
“Beh, Torre, la Ferrari e Piccolo… sono stati probabilmente la squadra migliore che abbia mai avuto, sicuramente almeno dal punto di vista dei rapporti umani: eravamo quasi una famiglia oramai. Però in questo mestiere ci si trasferisce spesso e ogni volta si riparte da zero e ogni squadra è un mondo a sé…”
 
Lei si limita a sorridere di nuovo ed annuire, per poi farsi più seria: si sente molto più a suo agio, è vero, ma questo non elimina i suoi dubbi o la stranezza della situazione.
 
“Cosa ci fa qui, Gaetano? Perché è venuto a cercarmi di domenica mattina?”
 
“Davvero non lo immagina?”
 
“Immagino che c’entri qualcosa con quello che è successo ieri, giusto?” domanda, mentre lui si limita ad annuire, “quello che non capisco è… perché è venuto proprio da me, cosa spera di ottenere.”
 
“Un aiuto per evitare una terribile ingiustizia a diverse persone, me incluso,” spiega, guardandola negli occhi.
 
“Beh, allora temo che stia cercando la persona sbagliata. Non perché non voglia aiutarla o… aiutare Marchese o la professoressa, ma… io non conto nulla, non ho alcun potere, sono l’ultima ruota del carro, forse solo dopo Marchese e Lorenzi. Anzi… dopo Lorenzi, considerato che Marchese ormai è fuori dai giochi,” risponde, la confusione e il dispiacere evidenti nel tono di voce.
 
"E su questo si sbaglia invece: lei ha il potere di aiutarmi, di aiutarci e di cambiare le cose. I gradi non c’entrano nulla in questo caso. Anzi, siete proprio lei e i suoi colleghi quelli che potete fare la differenza, sia singolarmente, che in gruppo. Soprattutto lei, Valentina: è forse la persona al mondo che più mi può aiutare in questo momento.”
 
“Io? E come? L’unico modo per aiutarvi sarebbe far cambiare idea a De Matteis e a Mancini, fare in modo che non vi denuncino. Ma, ammesso che esista una persona che ha questo potere, non sono di certo io: purtroppo nessuno dei due mi dà mai retta,” sospira in modo fin troppo amaro. Perché è difficile per lei ammettere ad alta voce quanto poco o nulla lei conti per l’uomo di cui è innamorata: sia come donna che come poliziotto.
 
“Ed è proprio questo il punto, Valentina!” esclama, guardandola di nuovo negli occhi, mentre lei lo osserva confusa.
 
“Che per De Matteis e Mancini conto meno del due di picche?”
 
“Che non solo lei, ma anche i suoi colleghi, insomma, che tutti coloro che non sono De Matteis e Mancini contano meno del due di picche nella vostra squadra, che definirla squadra è quindi un eufemismo. E non sto solo parlando della normale deferenza data dai gradi o dal fatto che sono vostri superiori, ma del modo in cui l’ispettore Mancini abusa della sua posizione per ritorsioni personali e del modo in cui De Matteis quantomeno tollera tutto questo, per non dire che lo avalla e ci aggiunge pure il suo carico da undici.”
 
“Lei vuole dire che…?” domanda, ancora più sbigottita, spalancando gli occhi e irrigidendosi visibilmente sullo schienale della panchina, “si rende conto di cosa mi sta chiedendo?!”
 
“Me ne rendo conto benissimo, Valentina, mi creda… Potrei provare a girarci intorno, a divagare, a cercare di impietosirla ma non voglio insultare la sua intelligenza e quindi sarò schietto con lei. So benissimo che nulla le impedisce di mandarmi a quel paese e di riferire questa conversazione a De Matteis o ad altri colleghi o superiori, ma arrivati a questo punto, non solo non ho nulla da nascondere o da perdere, ma soprattutto credo fortemente che quello che le sto chiedendo non è solo qualcosa a mio vantaggio, ma che sia la cosa giusta da fare per tutte le persone coinvolte, compresi lei e i suoi colleghi che, d’accordo, non rischierete il posto, ma che vi trovate a lavorare in un ambiente ostile, di paura, che non solo non vi gratifica e non vi aiuta a crescere come poliziotti, ma che soprattutto rischia seriamente di compromettere questa ed altre indagini. So perfettamente che con quello che le chiedo di fare potrebbe rischiare grane con più di un superiore, che probabilmente è più sicuro fare quello che lei e i suoi colleghi avete fatto finora, che Marchese stesso faceva fino a poco tempo fa: stringere i denti e andare avanti, sperando magari in un trasferimento vostro o di Mancini o di De Matteis ma-“
 
“Posso essere d’accordo su Mancini e sul fatto che il modo in cui ha sempre trattato Marchese non sia corretto e che pure a noi… non è che ci abbia mai trattati molto meglio, però De Matteis non è come lui. Certo non è… non è sicuramente come lei: per lui noi siamo solo dei sottoposti e ci tratta come tali e tiene le distanze, il protocollo, è rigido, però… con noi non ha mai fatto mobbing o nonnismo e non ha mai approfittato del suo ruolo,” obietta quasi con veemenza, non riuscendo ad evitare, nonostante tutto, di difendere quell’uomo che ama da tanto, troppo tempo.
 
“Però non ha mai fatto nulla per fermare Mancini, anzi, mi sembra, se mi perdona il modo di dire, che siano come culo e camicia. E se chi ha il potere di intervenire per evitare o per bloccare il compiersi di un reato chiude gli occhi e si gira dall’altra parte o, peggio, lo approva tacitamente, è colpevole tanto quanto chi lo mette in pratica materialmente, dato che, di fatto, lo incoraggia a farlo, visto che può contare sull’impunità. Ed è di pessimo esempio per voi: quanti vessati una volta che fanno carriera finiscono per reazione per vessare gli altri? E quanti invece, magari persone abili, intelligenti e di talento, finiscono per non fare la carriera che meriterebbero o per rinunciare, perdendosi?”
 
Valentina non parla, si limita a guardarlo, perché le sue parole le risuonano dentro, perché risvegliano frustrazioni, dubbi sopiti e messi a tacere ormai sempre più spesso.
 
“Valentina, le voglio domandare una cosa… è libera di non rispondermi, se non vuole: quello che mi interessa è che trovi una risposta per se stessa. Rispetto a quando ha iniziato a lavorare con De Matteis o anche con Mancini, come si è evoluta la sua passione per questo mestiere? Sono sicuro che deve averne avuta molta per decidere di entrare in polizia… so quanto è dura, soprattutto per voi donne: siete in minoranza, è un ambiente ancora molto maschile e a volte maschilista e non è di sicuro un lavoro con cui si può aspirare a diventare ricchi o ad avere fama o successo. Anzi, è un mestiere pericoloso e spesso ingrato, quindi chi sceglie di farlo o ha passione, o non ha molte alternative ed è un ripiego temporaneo, o è uno di quei fanatici che purtroppo aspirano al – chiamiamolo potere – che danno una pistola ed un distintivo. Nel suo caso, è evidente che lei appartiene alla prima categoria, ma mi chiedo… l’amore per questo mestiere è ancora quello di anni fa? O meglio, secondo lei essere capitata proprio nella squadra in cui è, a parità di difficoltà oggettive che questo lavoro ti mette davanti e al disincanto che ne consegue, rispetto ai primi tempi in cui si pensa di poter salvare il mondo, come ha inciso sulla sua visione di questo mestiere? Sulla sua opinione sulle sue abilità, sulla sua possibilità o sulla sua voglia di fare carriera? Si sente più sicura di se stessa come investigatrice adesso rispetto a quando è entrata in polizia o è forse il contrario?”
 
Valentina di nuovo non riesce a rispondere ma sa benissimo qual è la risposta. La verità è che no, non si sente poi molto più sicura o più abile o più in grado di condurre un’investigazione in maniera indipendente di quanto lo fosse cinque anni prima, quando aveva iniziato a lavorare con De Matteis. Essere costantemente sotto controllo, con pochissimo spazio di manovra e di iniziativa all’inizio era stato utile e rassicurante, ma, a lungo andare, non aiutava certo a crescere, di questo ne era consapevole. Inoltre, se inizialmente De Matteis ogni tanto lasciava trapelare sprazzi di umanità e concedeva loro un po’ più di fiducia e di libertà, la situazione era peggiorata con l’arrivo di Mancini, che praticamente li riduceva, nella maggior parte dei casi, a meri esecutori di ordini, di analisi, di rilievi, mentre lui e solo lui conduceva l’investigazione insieme a De Matteis. L’iniziativa personale non era di sicuro incentivata anzi, spesso era mal tollerata, soprattutto se arrivava da Marchese. E quando ogni errore viene praticamente trattato con derisione, è difficile “buttarsi” e provare a contribuire con idee ed ipotesi proprie.
 
In quanto alla sua passione per questo mestiere… la frustrazione che provava sul lavoro nei confronti di De Matteis andava di pari passo con quella per il suo amore non ricambiato, tanto che a volte le due cose sembravano quasi rimescolarsi e non riusciva più a capire dove terminasse l’una e iniziasse l’altra. Spesso si ritrovava a pensare che i sentimenti che prova per il vicequestore fossero nati non in conseguenza, ma nonostante il trattamento che lui riservava a lei e ai suoi colleghi. E, se in alcuni casi lo aveva ammirato davvero per il suo comportamento, per il suo essere così integerrimo e sempre pronto a mettersi in prima linea, quando la situazione lo richiedeva, in altri era arrivata quasi ad odiarlo per la sua totale mancanza di tatto o di considerazione nei confronti di tutti i suoi sottoposti, lei compresa. A volte le sembrava che fossero interscambiabili ai suoi occhi, come soldatini di piombo senza un’identità propria, le sembrava che a De Matteis non importasse affatto conoscerli, capirli, sapere chi erano dietro la divisa, ma che anche se ci fossero state altre persone al loro posto, se anche domani fossero stati tutti trasferiti… per lui sarebbe stato esattamente lo stesso, che se ne sarebbe a malapena accorto.
 
Di nuovo i loro sguardi si incrociano e Gaetano non ha bisogno di chiedere nulla, ha già compreso perfettamente la risposta, ma anche l’esitazione e il conflitto interiore della ragazza.
 
“Senta, a parte… a parte voi, Marchese, Mancini e De Matteis e i vostri rapporti lavorativi e interpersonali… lei c’era a casa della signora Andreina, della madre di Camilla e c’era anche ieri nell’ufficio di De Matteis, quindi sa perfettamente quanto me che il motivo per cui De Matteis ha così il dente avvelenato con Camilla e forse anche con me non ha nulla a che fare con questo caso, con le indagini o con l’etica professionale…”
 
Valentina annuisce e sospira: sa benissimo per quale motivo De Matteis ce l’ha a morte con “la Baudino”, anche se non è del tutto sicura che questo spieghi del tutto anche perché sia così incattivito nei confronti di Gaetano.
 
“Le sembra davvero giusto che… che per questi motivi personali io rischi la carriera e Marchese il posto? E che Camilla e Sammy rischino di passare guai giudiziari?” le domanda poi, guardandola di nuovo negli occhi.
 
“No ma… se faccio… se faccio quello che mi sta chiedendo, anche se non avessi problemi io, anche se non rischiassi ritorsioni… saranno Mancini e De Matteis ad avere problemi e… non sono sicura che nemmeno questo sia giusto, soprattutto nel caso di De Matteis,” ribatte, sentendosi divisa in due tra quello che prova per De Matteis, come superiore e come uomo, e quest’ingiustizia che forse lei potrebbe evitare.
 
“Già, è vero… sta a lei valutare chi… chi ha sbagliato di più… quale sarebbe l’ingiustizia più grande. Non le chiedo di rispondermi adesso, ma di pensarci: se sono venuto a disturbarla stamattina è proprio perché voglio che lei abbia tutto il tempo di pensarci e di valutare i pro e contro. In ogni caso, so che non è una scelta facile e la capirò qualsiasi cosa deciderà di fare,” le dice con un sorriso gentile e amaro al tempo stesso, poggiandole una mano sull’avambraccio in una stretta rapida e amichevole, priva di malizia, ma che le fa avvampare di nuovo il viso, prima di alzarsi in piedi e di porgerle un biglietto, “ora la lascio tornare al suo giorno libero: le ho già fatto perdere troppo tempo. Qui c’è il mio numero, se avrà qualcosa da comunicarmi.”
 
Accetta il biglietto da visita con mano lievemente tremante e le guance ancora infuocate. Un ultimo sorriso cortese, un augurio di buona domenica e lui si incammina lungo i vialetti del parco, probabilmente avendo intuito quanto lei abbia bisogno di un po’ di solitudine e tranquillità per riflettere.
 
Mentre lo guarda allontanarsi, non può fare a meno di pensare che Berardi in un’ora è riuscito a comprenderla e a conoscerla meglio di De Matteis in cinque anni. Perché lei potrebbe essergli utile, certo, ma quelle domande sul suo lavoro, sulla sua passione, sulle sue sicurezze e sui suoi dubbi sono cose che avrebbe dovuto domandarle De Matteis, di cui avrebbe potuto e dovuto discutere con lui. Cose su cui, ne è sicura, Berardi si confronta regolarmente con i suoi sottoposti, senza bisogno di alcuna emergenza, ma perché per lui è questo che vuol dire essere il caposquadra.
 
E se De Matteis è un’incognita, un enigma che continua e probabilmente continuerà sempre ad affascinarla, con i suoi punti oscuri e le sue ombre, deve ammettere però che essere per una volta esposti al calore del sole alla luce che irradia è così gradevole, elettrizzante e allo stesso tempo stranamente rassicurante, nonostante le circostanze, nonostante quello che le ha chiesto di fare.
 
Se fino a poche ore fa qualcuno le avesse detto che lei sarebbe mai arrivata anche solo a considerare l’ipotesi di “tradire” De Matteis, di fare qualcosa che potesse in qualche modo danneggiarlo, gli avrebbe riso in faccia. E ora invece, seduta su quella panchina, i raggi del sole che le scaldano la pelle, si sorprende a pensarci seriamente, a valutare, combattuta come non avrebbe mai creduto di poter essere.
 
Forse finalmente capisce Torre, disposto a trasferirsi a centinaia di chilometri pur di seguire “Il Dottore”: Gaetano Berardi è il genere di comandante capace di farsi amare e rispettare a tal punto dai suoi “uomini” da renderli disposti a seguirlo anche fino all’inferno, senza nemmeno doverlo chiedere.
 
***************************************************************************************
 
“Apri Marchese! Apri!!!!”
 
“Ispettore? Che ci fa qui?!” domanda, aprendo la porta spaventato dalle urla che l’hanno bruscamente risvegliato dopo una notte in gran parte insonne.
 
“Mia moglie è qui, vero?! Fammi passare!” grida, spintonandolo e facendosi strada a forza nel piccolo appartamento.
 
“Sammy? Sammy non è qui! Ispettore, ispettore!!!” urla a sua volta, correndogli dietro mentre l’altro uomo si fa largo tra le stanze, ispezionando il salone/cucina, la camera da letto ed infine il bagno, come se fosse a casa sua.
 
“Dov’è??!! Cos’è, se ne è già andata? Dimmi dov’è!!” grida, fuori di sé, afferrandolo per la maglietta.
 
“Sammy non è qui, non è mai stata qui e non ho idea di dove sia!” urla di rimando, afferrando i polsi dell’uomo, cercando di fargli mollare la presa, “e ora mi lasci, per favore!”
 
“Sammy non ha passato la notte a casa e ho provato già dai suoi genitori e dalle sue amiche e nessuno l’ha vista né l’ha sentita. È ovvio che rimani solo tu, Marchese, quindi ti consiglio di raccontarmi la verità!!”
 
“Questa è la verità! E visto come l’ha trattata non mi stupisco che Sammy non sia tornata a casa, né che probabilmente o i suoi genitori o qualche sua amica la stia coprendo, dato che evidentemente non le vuole parlare e ne ha tutte le ragioni. E ora mi lasci e se ne vada: questa è casa mia, lei non è più il mio superiore e non ha alcun diritto di irrompere qui in questo modo e di trattarmi così!”
 
“Perché se no cosa fai, eh? Vorresti minacciarmi, picchiarmi?”
 
“No, semplicemente chiamare polizia o carabinieri, se preferisce, e denunciarla per violazione di domicilio,” ribatte Marchese, deciso.
 
“Ma certo, dovevo aspettarmelo: tu sei troppo vigliacco per affrontarmi faccia a faccia,” lo deride Mancini, non mollando la presa.
 
“Ah sì? Mi faccia capire: quindi se ricorro io a una denuncia, questo mi rende un vigliacco, ma se ci ricorre lei, allora è un atto eroico e di assoluta integrità morale?” ribatte con un sopracciglio alzato e uno sguardo duro e determinato.
 
Mancini spalanca gli occhi, chiaramente colpito e spiazzato. Continuano a fissarsi per qualche secondo, Marchese non chiude gli occhi e non cede di un millimetro, fino a che sente le dita sulla maglietta allentarsi.
 
“Non finisce qui, Marchese,” proclama prima di voltarsi, di avviarsi a passo deciso verso l’ingresso e di uscire sbattendo la porta.
 
E che non lo so? – pensa con un sospiro, prima di cercare il cellulare e di comporre il numero di Sammy.
 
Ma, come prevedibile, il numero risulta non raggiungibile – del resto, in caso contrario, Mancini non sarebbe arrivato a casa sua in quel modo.
 
Spera solo che, dovunque si trovi, stia bene e che non abbia compiuto qualche sciocchezza.
 
***************************************************************************************
 
“Mi dispiace tantissimo: tolgo subito il disturbo, davvero, non-“
 
“Ma non dirlo nemmeno per scherzo: questa, fino a prova contraria, è casa mia, e sottolineo mia e solo mia, e sono liberissima di scegliere chi ospitare o meno!” ribatte l’anziana con un tono che non ammette repliche.
 
“Mamma, però ho deciso io di far rimanere Sammy a dormire qui e Amedeo-“
 
“E hai fatto bene! E se Amedeo non è in grado di capire perché l’hai fatto, perché non potessi di certo sbattere la porta in faccia ad una ragazza che di punto in bianco si è trovata senza più una casa in cui poter tornare, beh forse provare cosa vuol dire gli farà solo bene. A parte che tanto ha la sua casa in campagna in cui rifugiarsi, quindi non corre questo rischio!”
 
Camilla guarda sua madre e poi Sammy e Livietta, che mangia i biscotti della colazione seduta al bancone della cucina.
 
Amedeo, quando si era trovato Sammy a colazione e quando, dopo le sue spiegazioni, sua madre l’aveva rassicurata che “poteva rimanere lì tutto il tempo che serviva”, aveva assunto un’espressione solenne e aveva chiesto ad Andreina di andare un secondo con lui in camera loro.
 
Accortezza abbastanza inutile, dato che il litigio che ne era seguito era stato così forte che sicuramente anche Rosetta al pianterreno l’aveva sentito. Amedeo essenzialmente era sbottato dopo giorni e giorni di evidente malumore e aveva detto a sua madre che questa casa non era un albergo e che se aveva deciso di seguire l’esempio della figlia nel fare la buona samaritana verso tutti – visti oltretutto i risultati – poteva farlo senza di lui come intralcio. Che già avevano avuto in casa una pluriomicida e che si era stancato di essere considerato meno di zero, di venire sempre all’ultimo posto nella scala delle priorità di Andreina. Che se lei davvero “metteva la famiglia al primo posto” come sosteneva, evidentemente lui non ne faceva più parte.
 
Se ne era andato sbattendo la porta, proclamando che “se cambi idea – ma tanto non la cambierai – sai dove trovarmi!” e Camilla dubitava che l’avrebbero rivisto a breve, a meno che sua madre non si fosse decisa a fare il primo passo.
 
“Signora Andreina, io la ringrazio, però non è proprio il caso che litighi con suo marito per me. Per stasera posso trovare tranquillamente un’altra sistemazione, davvero,” risponde Sammy, evidentemente in imbarazzo e sentendosi tremendamente in colpa.
 
“Mamma, Sammy ha ragione: ti ricordi il discorso che abbiamo fatto ieri sulle priorità? Non puoi giocarti il matrimonio per questo e… in effetti negli ultimi anni e soprattutto quest’anno Amedeo è stato davvero paziente e disponibile. Prima con la mia separazione, siete tornati a vivere qui, mi avete dato sempre una mano con Livietta e poi quest’anno sei stata così tanti mesi a Torino ed è successo tutto quello che è successo. Dovevamo rimanere ospiti qui una settimana e di nuovo è successo il finimondo: in fondo Amedeo lo capisco, mamma. Io e Livietta possiamo trovarci un albergo per questi giorni, così voi avrete modo di confrontarvi e di chiarirvi in santa pace e-“
 
“Non se ne parla nemmeno, Camilla: tu sei un momento difficile e non permetterei mai a niente o a nessuno di impedirmi di starti vicino. La mia priorità assoluta siete tu e Livietta e questo Amedeo l’ha sempre saputo, fino da quando ci siamo conosciuti, ha sempre saputo che se avessi dovuto scegliere tra voi e lui avrei scelto voi. Ti ricordi anche cosa ti ho detto ieri su Renzo? Beh, probabilmente Amedeo ha purtroppo lo stesso problema: ha avuto settimane per aprirsi con me, per dirmi come stavano le cose, per farmi capire cosa non andava, per sfogarsi ma… ha preferito dare in escandescenze quando c’eravate qui anche voi e poi oggi con voi e con Sammy e questo non lo accetto!”
 
“Mamma, non è così semplice: non ti sembra di essere troppo dura con Amedeo? Qui non si tratta di voltare le spalle a me o a Livietta, ma di pensare anche un po’ ad Amedeo e al vostro matrimonio. Non puoi buttare via dieci anni di relazione così, d’impulso… puoi starmi accanto anche se rimango in un albergo qui vicino e-“
 
“No, Camilla, non hai capito: se tu vuoi andartene da qui per motivi tuoi, perché non vuoi più quella vecchia rompiscatole di tua madre tra i piedi sei liberissima di farlo. Ma se lo fai per me ed Amedeo, scordatelo! Se Amedeo non riesce a capire che questo era l’ultimo dei momenti in cui prendere questa posizione e caricarmi e caricarti di altri problemi… con tutto quello che sta succedendo! Ora dobbiamo solo pensare a te e a Gaetano e ad evitare che passiate dei guai per colpa di quel… di quel… del fratello di Marco!”, proclama con tono che non ammette la minima obiezione, evitando epiteti su De Matteis probabilmente solo per la presenza di Livietta.

“Guarda che anche Sammy e Marchese rischiano di passare dei grossi guai, anzi, io sono quella che rischia meno, dato che il mio lavoro non ha niente a che fare con giustizia, tribunali o quant’altro,” le fa notare Camilla con un sospiro, decisa ad ignorare il tentativo di deviare il discorso della madre, aggiungendo, “e comunque Amedeo-“
 
“Mamma,” le interrompe all’improvviso la voce di Livietta. Camilla alza lo sguardo e incontra quegli occhi azzurri che la guardano con un’espressione strana ma terribilmente determinata.
 
“Mamma, tu hai parlato di te, di Gaetano, di Marchese, di Sammy. Ma quindi Marco e Tom sono esonerati dall’inquisizione perché parenti di De Matteis o forse De Matteis non lo sa che vi hanno aiutato anche loro?”
 
“Non lo so… non ci ho pensato ma… conoscendo De Matteis credo che non lo sapesse, sai, se no, sarebbe stato ancora più furibondo e me l’avrebbe di certo sbattuto in faccia. Da quello che ho intuito, prima di ieri non avevano scoperto nulla sulle nostre indagini e quindi probabilmente non sanno che altre persone ci hanno aiutato,” risponde, spiazzata dall’uscita della figlia, sia perché inattesa, sia perché la porta a riflettere su qualcosa che, nella concitazione delle ultime ore, le era completamente sfuggita.

“E allora devi andare da Marco e pregargli di parlare con suo fratello, mamma, a convincerlo a non denunciarvi,” proclama Livietta, decisa, come se stesse pronunciando un’ovvietà.
 
“Da Marco?” domanda Camilla sbalordita, perché in effetti non aveva pensato a questa ipotesi, a questa soluzione, ma rendendosi immediatamente conto che non potrebbe funzionare, “Livietta, anche se convincessi Marco a intercedere per noi con De Matteis… De Matteis non lo ascolterebbe mai, non rinuncerebbe mai.”
 
“Sì che rinuncerebbe, se sapesse che c’è coinvolto anche suo fratello e suo nipote,” ribatte Livietta, sempre più determinata, “non fosse altro per pararsi lui il-“
 
“Livietta!” la interrompe Camilla, sempre più sbigottita dal tono e dalla decisione della figlia, “capisco che Marco non ti stia mai stato simpatico, ma cosa mi proponi di fare? Di denunciarlo io a suo fratello? O di chiedergli di autodenunciarsi? Non posso farlo, è fuori discussione! Non solo perché non è giusto e non è corretto, ma anche perché oltretutto, dopo tutto quello che è successo tra me e lui, non credo di essere nella posizione di chiedergli proprio alcunché, ci mancherebbe altro!”
 
“Beh, sai cosa diceva la nonna a proposito del pedone da sacrificare e delle priorità? Chi conta di più per te? Marco o Gaetano?”
 
“Gaetano, ovviamente, ma questo non c’entra con-“
 
“Certo che c’entra. Mamma, qui le chiacchiere stanno a zero: c’è un solo modo per evitare tutto questo ed è che De Matteis non vi denunci al questore. E se c’è una persona che può convincere De Matteis, o con le buone o con le cattive, è Marco. E se c’è una persona che può convincere Marco a convincere suo fratello sei proprio tu. Ho visto come ti guardava e come si comportava con te quella sera al casale e, nonostante tutto quello che è successo, sono sicura che tiene ancora molto a te, mamma, e che non potrebbe dirti di no.”
 
“Livietta…” sussurra, sconvolta da questo lato quasi machiavellico di sua figlia, ma allo stesso tempo non potendo negare che non ha tutti i torti, anzi. Non sul fatto di chiedere a Marco di autodenunciarsi, quello non lo farebbe mai, però è vero che probabilmente le uniche persone al mondo a cui De Matteis tiene sul serio, a parte se stesso, sono Marco e Tom, soprattutto Marco.
 
E vale la pena di fare un tentativo, anche perché è l’unica cosa che può fare in questo momento per aiutare Gaetano. Senza quasi rendersene conto afferra il cellulare e si mette alla ricerca del numero di Marco: l’aveva eliminato dalla rubrica tempo addietro, ma magari c’è ancora qualche suo messaggio sepolto negli archivi della SIM o del telefono. Se no dovrà chiamare alla Fattoria ma, tra Gaspare e la possibile presenza di De Matteis, spera di poterlo evitare.
 
***************************************************************************************
 
“Lo sai che sei un po’ fuori età per le olimpiadi, sì?”
 
“Spiritoso!” gli fa il verso, prendendo al volo l’asciugamano che gli lancia e cercando di scrollarsi di dosso il grosso dell’acqua clorata, prima di farsi forza ed entrare sotto il getto della doccetta gelata a bordo piscina, aggiungendo, cercando di non battere i denti, “guarda che un po’ di moto farebbe bene anche a te!”
 
“Un po’ di moto: non la maratona di New York tra i vigneti, seguita dall’attraversata del Canale della Manica, fortunatamente in una piscina meno gelida, per non parlare del torneo di boxe di ieri sera. Se vai avanti così rischi di farti male sul serio, Paolo, o di prenderti un accidente,” gli fa notare con un sospiro, passandogli anche un accappatoio quando termina la breve doccia.
 
“Sì, mamma,” ribatte sarcastico, accettando però l’accappatoio e sedendosi su uno dei lettini lì vicino, mentre il fratello fa lo stesso, “e comunque è un po’ ipocrita da parte tua preoccuparti adesso per la mia salute, dopo le tue minacce di ieri sera.”
 
“Guarda che le minacce di ieri sera le ho fatte anche pensando alla tua salute mentale, perché so benissimo che, se dovessi andare fino in fondo con questa storia della denuncia, dopo il senso di rivalsa iniziale, finiresti solo per essere roso dai sensi di colpa…”
 
“Ma che ne sai, eh?! E perché mai dovrei sentirmi in colpa? Perché faccio il mio dovere e denuncio un reato compiuto oltretutto proprio da dei colleghi?” sbotta, fulminandolo con un’occhiata glaciale.
 
“Perché ti conosco Paolo, da quando sei nato, e so che se usassi il tuo ruolo per quella che è a tutti gli effetti una ritorsione personale, se rovinassi la vita di almeno due persone per questo, non riusciresti più ad indossare la tua divisa. Forse non oggi e non domani, ma tra qualche mese o tra qualche anno, sì,” ribadisce, guardandolo negli occhi e poggiandogli una mano sulla spalla, come quando erano ragazzi, “e in ogni caso io non cambio idea, quindi vorrei una risposta da te, su cosa hai deciso di fare.”
 
“Ci sto pensando, Marco,” risponde con un sospiro e Marco sa benissimo che quelle tre parole, dette da suo fratello, valgono già molto. Se ci sta pensando vuol dire che non è ancora sicuro al cento per cento.
 
“Hai già chiamato il questore?”
 
“No, lo dovrei fare domani…”
 
“Allora hai tempo fino a stasera per riflettere. Magari da fermo, eh? Che di moto per schiarirti le idee ne hai già fatto a sufficienza,” gli intima in un tono tra l’ironico e il preoccupato.
 
Proprio in quel momento squilla il suo telefono. Lo recupera dalla tasca e il nome sul display gli butta il cuore nello stomaco: Camilla.
 
“Problemi?” chiede Paolo, vedendo il fratello quasi sbiancare.
 
“Un… un cliente importante a cui non riesco e non posso mai dire di no,” ribatte dopo un attimo di esitazione, alzandosi in piedi, e facendo segno verso l’edificio, “ti dispiace se…?”
 
“Per la carità… ti lascio più che volentieri al tuo scocciatore. Io vado a farmi una doccia vera,” proclama, allontanandosi verso l’ingresso laterale del casale, i passi fatti con le ciabatte di plastica che risuonano rumorosamente sulla pavimentazione in sasso.
 
“Pronto?”
 
“Marco, ciao, sono Camilla, scusa se ti disturbo ma-“
 
“No, non mi disturbi affatto… è successo qualcosa?” le domanda, notando il tono esitante e a disagio di lei.
 
“Sì, è successo qualcosa, sì, e… avrei bisogno di parlarti…”
 
“Ok… se vuoi possiamo trovarci al nostro vecchio bar? Quello vicino alla questura?”
 
“No, ecco… mi imbarazza chiedertelo però… preferirei evitare le zone intorno alla questura. In realtà preferirei se tuo fratello non sapesse che ci incontriamo oggi, Marco,” ammette con un sospiro e Marco ha un’indiretta conferma del motivo di questa telefonata.
 
“D’accordo, senti, hai già mangiato?”
 
“No, veramente no, ma-“
 
“Allora c’è un wine bar molto carino che credo possa fare al caso nostro. Devo passarci a fare delle consegne e… non è il genere di posto che frequenta mio fratello. Ti mando l’indirizzo e ci vediamo lì tra un’ora, se ti va?”
 
***************************************************************************************
 
“Dove sei stata stanotte??!! Sono ore che ti chiamo!!!”
 
Fa quasi un salto dallo spavento, lasciando cadere i pantaloni che aveva appena estratto dall’armadio per metterli in valigia.
 
Maledizione! – era stata ad osservare l’edificio e la strada per un po’ prima di entrare, aveva anche avuto conferma da quella pettegola della portiera che Pietro era uscito abbastanza presto e non era più tornato. Si era convinta che fosse al lavoro e invece… eccolo qui. E dire che le sarebbero bastati ancora pochi minuti per finire la valigia… certo, solo con il minimo indispensabile per qualche giorno, ma era sempre meglio che essere completamente senza nulla.
 
“Credo che dove sono stata non ti riguardi e che, dopo quello che è successo ieri, non sono tenuta né a risponderti, né a darti conto dei miei spostamenti,” risponde, dura, lasciando chiaramente trasparire quanto sia furiosa con lui.
 
“Fino a prova contraria sei ancora mia moglie e sei tenuta eccome a dirmi dove sei e con chi sei. Eri con Marchese, eh? DIMMI LA VERITÀ, DANNAZIONE!”
 
“Dopo come mi hai trattata ieri non hai il diritto di chiedermi niente, Pietro, NIENTE! E anche se fossi stata con dieci uomini, SAREBBERO SOLO AFFARI MIEI!” urla di rimando, chiudendo la valigia con un colpo secco. Quello che ha preso ha preso: ora vuole solo uscire di lì.
 
“Cos’è quella?? Cosa pensi di fare, eh??” le domanda non appena la vede sollevare il trolley dal letto e metterlo sul pavimento.
 
“Questa è una valigia e quello che penso di fare è andarmene il più  lontano possibile da questa casa e da te, soprattutto!” ribatte, sarcastica e amara, cercando di farsi strada intorno al letto, ma lui le blocca il passaggio, “lasciami passare, Pietro!”
 
“Ah, sì? Ti ripeto che sei ancora mia moglie, Sammy, e forse ti sei scordata dell’articolo 143 del codice civile e dell’articolo 570 del codice penale!”
 
“La violazione dei doveri coniugali? L’abbandono del tetto coniugale?” domanda, incredula, dopo un attimo di pausa, per poi aggiungere con quello che è quasi un sibilo, “ti sei forse dimenticato che si è esentati dal rispettarli, se esistono fondati motivi che hanno fatto venire meno la fiducia nei confronti dell’altro coniuge, cioè in questo caso tu. E non solo i miei motivi sono più che fondati, ma soprattutto, se pensi che sputarmi addosso norme di legge e che lo spauracchio di ulteriori denunce mi farà rimanere qui un secondo di più, non solo non hai capito niente di quello che ti ho detto ieri, ma soprattutto non hai capito niente di me! E ora fammi passare se non vuoi beccartela tu una denuncia, visto che a quanto pare ragioni solo così!”
 
Pietro sembra accusare il colpo e Sammy approfitta dell’attimo di esitazione per girargli intorno e avviarsi verso l’ingresso.
 
***************************************************************************************
 
“Camilla!”
 
Sente la sua voce e si volta, vedendolo arrivare verso di lei sorridente. Si lascia trascinare nel classico saluto – stretta di mano e due baci sulle guance – prima di seguirlo dentro il locale.
 
“Alla faccia del wine bar carino: se mi avessi avvertito che era così, mi sarei vestita diversamente,” gli fa notare con un sopracciglio alzato, guardandosi intorno in quello che sembra una specie di ritrovo della Roma-bene: tutta gente firmata da capo a piedi. Lei, coi suoi pantaloni capri e una maglietta, sembra la piccola fiammiferaia. Le occhiate di un paio di signore agli altri tavoli la fanno sentire ancora più fuori luogo.
 
“Guarda che stai benissimo così e poi… nemmeno io mi sono messo elegante,” ribatte con un sorriso ed un’occhiata di apprezzamento che la fa sentire in imbarazzo.
 
“Perché? Tu ti sei mai messo elegante in vita tua?” domanda ironica, per sdrammatizzare.
 
“Potrei stupirti: tu non hai idea di cosa significhi essere figlio di un generale dell’esercito!” ribatte con un sorriso.
 
“In effetti non ho idea di cosa significhi essere figlio del generale De Matteis, ma ho idea di cosa significhi essere figlia del generale Baudino,” replica, non potendo celare un velo di sarcasmo all’ennesima conferma di quanto poco lui effettivamente sappia di lei.
 
“Cioè, vuoi dirmi che tuo padre-“
 
“Era un generale dell’esercito, sì. Sicuramente di famiglia molto meno ricca ed influente del tuo, ma sempre generale era,” conferma con un sorriso più gentile, vedendolo con quell’espressione imbarazzata.
 
“E la mia figuraccia anche per oggi l’ho fatta…” sospira, prima di fare un cenno al cameriere, evidentemente ansioso di cambiare argomento.
 
“I signori desiderano?” domanda il ragazzo, gettando un’occhiata dubbiosa al loro abbigliamento, come a chiedersi e a chiedere loro se possano permettersi il conto del locale.
 
“Sono Visconti, delle Cantine Visconti. Avrei del vino da scaricare e un tavolo prenotato per due a mio nome…”
 
“Dottor Visconti, ma certo: se mi dà le sue chiavi, le scarichiamo il vino e, se intanto vuol seguirmi, abbiamo riservato a lei e alla sua signora il nostro tavolo migliore,” proclama il ragazzo mutando espressione, con un sorriso ed un tono ossequioso che la diverte e la infastidisce in egual misura.
 
“È proprio vero che quando uno è un VIP  può permettersi qualunque abbigliamento,” commenta lei con un mezzo sorriso dopo che si sono accomodati.
 
“Eh, basta concedere buoni sconti sulle forniture e sei subito un VIP,” ribatte, per poi aggiungere, avvicinandosi a lei quasi come a volerle rivelare un segreto, “e se poi sei abbastanza temerario o abbastanza folle da ignorare il rincaro medio del 200% sui costi e diventare pure cliente allora non possono proprio lasciarsi scappare un pollo così.”
 
“Senti, il locale l’hai scelto tu e il conto lo paghi tu, vero? Date le premesse…” ribatte con una risata, anche se c’è un fondo di reale preoccupazione.
 
“Ci mancherebbe altro! E comunque tu volevi un posto a cui mio fratello non si avvicinasse nemmeno per sbaglio, no?”
 
“Ah, beh, su questo non posso proprio darti torto, a meno che sia qualcun altro a pagargli il conto,” ammette con un’altra mezza risata, ricordando benissimo quanto fosse tirchio De Matteis.
 
In un’atmosfera più rilassata e tranquilla, attendono l’arrivo del cameriere a cui Marco fa le ordinazioni.
 
“Sai, Camilla, la tua chiamata mi ha sorpreso e la tua compagnia è sempre piacevole, ma immagino che tu non mi abbia cercato né per la compagnia, né per il vino,” proclama infine Marco, dopo un paio di sorsi di un ottimo spumante rosé dall’aria molto costosa e qualche assaggio di salumi e formaggi locali.
 
“No… cioè… in realtà….”
 
“Camilla, ieri sera mio fratello mi ha raccontato tutto ed era completamente fuori di sé. Raramente l’ho visto così furioso,” ammette, vedendola in difficoltà e decidendo di rompere il ghiaccio.
 
“Cosa?? Ma quindi sai tutto?? Perché non me l’hai detto subito quando ti ho telefonato?!” gli domanda, sorpresa e lievemente irritata.
 
“Primo perché tu non me l’hai chiesto e poi perché quello che mi chiedo è… perché mi hai cercato e qual è il mio ruolo in tutto questo. Se cerchi informazioni sul nemico o…”
 
“Beh… no, non solo… sono in imbarazzo, Marco, ma… vedi…” quasi balbetta, facendosi forza con un’altra sorsata di vino, “vedi… odio dovertelo chiedere e non lo farei se non ci fosse di mezzo la vita di diverse persone a cui tengo molto, però… l’unico modo per evitare il peggio è che… è che tuo fratello rinunci all’idea della denuncia e… l’unica persona a cui dà retta sei tu, Marco. E lo so che è tuo fratello e che… che non sono nella posizione di chiederti favori, però… se riuscissi a farlo ragionare, a fargli cambiare idea, io…”
 
“E tu credi che non ci abbia già provato?” la interrompe con un sospiro, “Camilla, gli ho già detto chiaro e tondo che o rinuncia ai suoi propositi o mi autodenuncerò anche io al questore, con le ovvie conseguenze, non solo per me ma anche per lui…”
 
“Che cosa??” sussurra, sbalordita, spalancando gli occhi, sentendosi in colpa, “tu faresti davvero questo per me? Dopo tutto quello che è successo tra noi?”
 
“Sai che tu e mio fratello ogni tanto vi assomigliate? È la stessa identica domanda che mi ha fatto lui ieri sera,” risponde con un sorriso agrodolce, prima di posarle una mano sull’avambraccio e stringere leggermente, “Camilla, proprio per tutto quello che c’è stato tra noi, non permetterei mai che ti accada qualcosa, mai.”
 
Al senso di colpa di nuovo si sostituisce il disagio ed un altro tipo di senso di colpa, verso Gaetano, anche se purtroppo non stanno più insieme e anche se in fondo non sta facendo niente di male.
 
“In realtà sono quella che rischia di meno, sai?” risponde, sfilando delicatamente il braccio dalla sua presa con la scusa di afferrare di nuovo il calice di vino e berne un altro sorso, “Marchese rischia il posto e Gaetano come minimo la carriera… anche per Sammy con il suo praticantato… non è un bell’episodio da avere sul curriculum.”
 
“Già… a proposito di Gaetano, devo ammettere che mi sono stupito vedendoti arrivare da sola: geloso come mi è sembrato, non pensavo ti permettesse di incontrarmi senza di lui…” confessa con un altro sorriso agrodolce, avendo colto perfettamente il disagio di lei, prima di aggiungere, dopo essere stato colto da un dubbio terribile, “a meno che… non è che pensava che parlandomi da sola, avresti avuto più possibilità di convincermi?”
 
“Si vede che non lo conosci affatto: Gaetano preferirebbe finire direttamente in galera, piuttosto che chiedermi di fare la carina con te o con chiunque altro per aiutarlo, come stai insinuando,” sibila, non potendo trattenere l'indignazione, “e non solo perché sono io: non chiederebbe mai a nessuno di sacrificarsi al posto suo, non manipolerebbe mai qualcuno in quel modo, non è assolutamente quel tipo d’uomo!”
 
“Scusami, Camilla, non volevo offenderlo o offenderti… è che… è vero, non lo conosco bene e mi preoccupo per te, tutto qui. Si sente quanto lo ami… e per amore si farebbe di tutto,” ammette con amarezza, prima di aggiungere, guardandola negli occhi, “lui non sa nemmeno che sei qui, vero? Sei venuta di nascosto?”
 
“No, Gaetano non sa che sono qui con te, ma non è stato necessario nascondergli nulla. Vedo che tuo fratello non ti ha detto proprio tutto, Marco… io e Gaetano ci siamo lasciati, purtroppo… e non lo vedo da ieri.”
 
“Cosa??” sussurra, completamente spiazzato da questa notizia, per poi aggiungere, e questa volta è il suo turno di non trattenere l’indignazione, “ma è per la denuncia di mio fratello? Non dirmi che ti incolpa per questo!”
 
“No, Marco, anzi, io ci ho pure provato a prendermi la colpa con tuo fratello, anche perché è colpa mia, sono io che l’ho trascinato in questa storia, ma Gaetano non me l’ha permesso, non me l’avrebbe mai permesso,” gli spiega, l’amore e l’ammirazione che prova per Gaetano talmente evidenti nel tono di voce che Marco sente una fitta al petto, “e credo che i motivi per cui ci siamo lasciati riguardino solo me e lui, ma, se proprio lo vuoi sapere, è soprattutto per colpa mia e della mia testardaggine, quindi…”
 
“Quindi quello che provi per lui non è cambiato, e si vede e si sente,” conclude con un altro sospiro, “e, a parte la minaccia della denuncia, gli ultimi due giorni non devono essere stati facili per te, per nulla.”
 
“No, infatti, non lo sono stati, ma non lo sono stati per nessuno, nemmeno per Gaetano,” ribatte, sentendo un’altra fitta al petto al pensiero della situazione in cui l’ha messo.
 
“Beh, certo…” esordisce lui, per poi cambiare completamente espressione, quando gli occupanti di un tavolo in mezzo alla sala si alzano, liberando la visuale sull’altro lato del locale, aggiungendo, con tono sarcastico, “certo che sa come… tirarsi su di morale il tuo Gaetano. E pure in fretta.”
 
“Eh?” domanda, senza capire, per poi voltarsi, colta da un orribile presentimento, nella direzione in cui Marco sta guardando.
 
E lo vede, seduto ad un tavolinetto quasi opposto al loro, ancora più elegante del solito e, soprattutto, accompagnato da una mora mozzafiato. Tra i trenta e i quarant’anni, i capelli corvini in un carré corto, che riesce ad essere sbarazzino ed elegante al tempo stesso, sottolineandone i lineamenti perfetti, gli occhi scuri e grandi da cerbiatta e le labbra carnose. Elegante e di classe, con quella camicia bianca e i pantaloni neri dal taglio maschile, che sottolineano, per contrasto, la femminilità prorompente e naturale delle sue forme da pin-up. Insomma, tutto il contrario di lei e, soprattutto, il tipo di donna che, pur essendo bellissima, non appartiene affatto al genere della “venere del Botticelli”, ma alla stessa categoria di Sonia e di Eva. La categoria più pericolosa.
 
Lui le sta dicendo qualcosa e lei scoppia in una risata argentina e sincera, prima di replicare e farlo ridere di gusto.
 
È proprio vero che una risata ci seppellirà – pensa Camilla, avvertendo una pugnalata al cuore e una colata d’acido nello stomaco.
 
“Mi dispiace, Camilla… però… dai, probabilmente è solo un’amica…” proclama Marco, ridestandola dalla nube verde e tossica da cui si sente avvolta.
 
“In effetti sono molto amichevoli, su questo non c’è dubbio. Invece dubito sinceramente che ti dispiaccia, soprattutto se me lo dici con quel tono e con quell’espressione, ma non te ne faccio una colpa. Probabilmente sarebbe davvero troppo pretendere il contrario,” sospira con un sopracciglio alzato, risultando forse più tagliente di quanto avrebbe voluto.
 
“Touché… e comunque chi ci perde è lui.”
 
“Ma certo: ci ha proprio perso nel cambio, è così evidente!” proclama sarcastica, scuotendo il capo, “guarda che ti cresce il naso: sono due ore che la fissi senza toglierle gli occhi di dosso.”
 
“Sì, ma è solo perché mi è familiare e sto cercando di capire dove l’ho già vista…” protesta, continuando però a fissare la sconosciuta.
 
“Sì… cos’è: ci siamo già visti da qualche parte? La scusa più vecchia del mondo… certo che voi uomini potreste pure essere un po’ più originali ogni tanto,” ribatte con una mezza risata amara.
 
“No, Camilla, dico sul serio: l’ho già vista… ma dove… dove… ma certo!” esclama, colto da un’illuminazione, “è un commissario! Non ricordo in quale commissariato lavori, ma l’ho vista l’anno scorso ad una partita di beneficienza a cui mi è toccato andare per tifare per mio fratello. Poliziotti contro carabinieri, non ti dico che noia, dato che detesto il calcio!”
 
“Cioè, tuo fratello gioca a calcio?” domanda, sorpresa da questa notizia quasi più che dal fatto che la stangona sia un commissario.
 
“Sì, in difesa: sai, sul marcare stretto fino allo sfinimento in pochi battono mio fratello”, ribatte con una risata, “lei invece stava in porta ed era pure molto brava, anche se qualcuno tra il pubblico commentava che usasse armi improprie, dato che, vedendola in pantaloncini, gli avversarsi si distraevano. Fatto sta però che non sono riusciti a farle un solo goal.”
 
“Immagino…” sospira, sentendo il peso sullo stomaco farsi sempre più opprimente: bellissima, intelligente, realizzata professionalmente e anche un’atleta.
 
Praticamente la donna perfetta, la versione femminile di Gaetano…. Una donna davvero alla sua altezza, al contrario di lei.
 
Nel frattempo dall’altra parte del locale…
 
“… E ti ricordi l’istruttore di tiro? Era un vero fanatico: ho ancora le sue urla nelle orecchie… Berardi, la postura!
 
“Almeno a te non ha praticamente intimato di farti ridurre il seno, altrimenti non saresti mai riuscito a sparare come si deve e a passare il corso,” ricorda con una mezza risata amara.
 
“No, in effetti no, non ho mai ricevuto di questi consigli,” ribatte con un sorriso, “beh, tu però fortunatamente non hai ceduto e hai passato eccome il corso, e a pieni voti. Eri forse la più brava tiratrice tra noi.”
 
“Dopo di te, Gaetano, non fare il modesto, dai! Anzi, se non mi avessi aiutata tu nel tuo tempo libero non credo l’avrei nemmeno passato l’esame, visto quanto mi era d’aiuto l’istruttore…”
 
“Ehi, è stato un piacere, e poi tu mi hai dato una mano in altri corsi… e inoltre… in effetti voi donne ce l’avevate ancora più dura di noi uomini. Tu soprattutto: attiravi tutti i marpioni.”
 
“Già… ti ricordi dell’istruttore di guida? Che con la scusa di dirmi quando dovevo cambiare marcia continuava a toccarmi la gamba? Gliel’avrei staccata quella mano, se avessi potuto! Ma poi tu hai avuto l’idea geniale di farmi cospargere i pantaloni di peperoncino in polvere… bianco ed invisibile, tenendo sotto la calzamaglia impermeabile per evitare che mi arrivasse sulla pelle. Sono morta di caldo ma ne è valsa la pena… quanto è stato assente per ‘indisposizione’? Una settimana? E poi ha chiesto il trasferimento.”
 
“Ah, non lo invidio: quel peperoncino era potente. Non sarà riuscito a sedersi per giorni!” ricorda con un’altra risata: l’aveva seguito per accertarsi che lo stratagemma avesse funzionato e lui e altri due ragazzi l’avevano dovuto soccorrere in bagno e non era stato un bello spettacolo, “chissà se la lezione almeno gli sarà servita…”
 
“Non lo so se sia servita a lui, ma di sicuro è servita a me! Ma… sai, Gaetano, credo di non averti mai ringraziato e… probabilmente non riuscirò mai a ringraziarti abbastanza,” ammette lei con un sorriso, appoggiando la mano destra sulla sua e stringendo lievemente.
 
“Per la storia del peperoncino e per due lezioni extra di tiro?” domanda, sorpreso e lievemente in imbarazzo.
 
“Non solo, ma perché sei stato uno dei pochi al corso che non ci ha mai provato con me: non mi hai nemmeno mai fatto battute, nulla. E soprattutto sei stato l’unico che mi ha sempre trattata alla pari, come avresti trattato un collega maschio,” spiega, stringendogli di più la mano per poi lasciarla, “ma quando avevo bisogno mi hai sempre guardato le spalle e mi hai aiutata, senza farmelo pesare, senza chiedermi niente in cambio. Hai reso l’addestramento mille volte più sopportabile e mi hai aiutata a superare i momenti in cui ero tentata di mandare tutto a quel paese e mollare. Ti devo moltissimo.”
 
“Figurati… come avrei dovuto trattarti, scusa? Tu eri e sei una collega e come abilità non solo mi sei pari, ma probabilmente mi superi anche. E poi, sinceramente, era anche una questione di sopravvivenza: avevo visto come te la cavavi nel corpo a corpo e volevo evitarmi di finire in ospedale,” risponde, per sdrammatizzare, facendola ridere, “però… a parte qualche istruttore e questi episodi… è stato un bel periodo, no?”
 
“Sì… è vero… un gran bel periodo anche se… dio mio, era una vita fa, praticamente…”
 
“Ci pensi che ormai siamo più vecchi noi della maggior parte degli istruttori che avevamo allora?”
 
“Vecchio ci sarai! Nessuno mi dà l’età che ho e vecchia non mi ci sento proprio!” esclama, trascinandolo in un’altra risata.
 
“Per la carità, anzi: stai benissimo e non sei cambiata di una virgola, Claudia, in tutti i sensi.”
 
“Neanche tu sei cambiato, per fortuna,” gli sorride, prima di bere un altro sorso di vino e farsi più seria, “sai… mi ha sorpresa molto la tua chiamata… quanti anni saranno che non ci vediamo? Sette? Otto?”
 
“Già… anche di più… era ancora prima del mio trasferimento a Praga…”
 
“E… diciamo che immagino che tu non ti sia rifatto vivo dopo tutto questo tempo per ricordare i bei tempi andati del nostro addestramento. O sbaglio?” gli domanda con un sopracciglio alzato.
 
“No, non sbagli… diciamo che… mi sono andato a cacciare in un bel casino e… forse tu mi potresti aiutare. Credimi che mi imbarazza venire qui a chiederti un favore dopo secoli che non ci vediamo ma-“
 
“Non dirlo nemmeno per scherzo, Gaetano! Guarda che sono ancora in debito con te e… se posso aiutarti lo faccio più che volentieri,” risponde, evidentemente preoccupata, “anche perché per chiedermi un aiuto, testone ed orgoglioso come sei… questo casino deve essere bello grosso. Che cosa hai combinato?”
 
“Tu hai lavorato con l’ispettore Pietro Mancini, vero?” le domanda, chiedendo conferma a ciò che ha già scoperto dalle sue ricerche forsennate delle ultime ore.
 
“Il Mastino? Purtroppo sì,” sospira, cambiando nuovamente tono, aggiungendo poi con un’espressione quasi disgustata, “era un mio sottoposto fino all’anno scorso. Ce l’ho avuto in squadra per tre anni, anche se dire che facesse squadra... era stato un istruttore prima di tornare operativo e… diciamo che se si comportava con i suoi allievi come si comportava quando era sotto di me… altro che peperoncino! Riuscivo a malapena a sopportarlo io ed ero un suo superiore! È stata forse la seconda volta nella mia carriera che ho fatto festa quando uno dei miei uomini si è trasferito.”
 
“Ma è successo qualcosa in particolare? Cioè ci sono stati episodi spiacevoli? Come si comportava con te?”
 
“Mah… con me in realtà era fin troppo ossequioso: sai… è uno di quelli che fa il bullo con chi gli sta sotto, ma poi con i superiori è un agnellino. Però lo capivo che non mi rispettava davvero… non dico che fosse maschilista, anzi, con le colleghe donne di solito era più gentile che con gli uomini e non l’ho mai beccato a provarci con nessuna. Da questo punto di vista è sempre stato correttissimo. Però… mi dava l’idea che essere sotto ad una donna forte, che gli teneva testa, non gli andasse giù. Non è raro, eh, mi capita spesso.”
 
“E a parte questo? È successo qualcos’altro?”
 
“È successo che trattava gli agenti giovani quasi come fossero degli zerbini. Con un paio di suoi ex allievi in particolare era assurdo. Da un giorno all’altro mi sono ritrovata dall’avere una bella atmosfera in squadra ad avere il regime del terrore. Io ovviamente, mi conosci, gli ho detto che se voleva fare full metal jacket, aveva sbagliato carriera e che se lo avessi nuovamente pescato a trattare male gli agenti gli avrei fatto un richiamo scritto. Si è dato una calmata per un po’ e sembrava andare tutto bene, fino a quando non ho assistito per caso ad un interrogatorio che stava conducendo lui. Io dovevo essere in tribunale, ma mi avevano spostato l’udienza. Stava cercando di far confessare un presunto omicida: un ragazzo con evidente ritardo mentale che, a detta di molti testimoni, aveva una vera e propria ossessione per la vittima. Guarda, mi viene ancora rabbia se ci ripenso: lui che urlava nelle orecchie di quel poveretto mostrandogli le immagini peggiori della ragazza uccisa e l’altro che piangeva e quasi aveva le convulsioni. Per la carità, Gaetano, anche io ho calcato un po’ la mano in qualche interrogatorio, lo sai anche tu che a volte è necessario, ma dipende da chi hai di fronte e in quel caso era assolutamente inutile, oltre che crudele.”
 
“E tu che hai fatto?”
 
“Sono stata stupida, impulsiva. Avrei dovuto filmare la scena, documentarla, ma il mio primo istinto è stato di fermarlo. L’ho bloccato, gli ho fatto una lavata di capo e… e gli ho detto che o chiedeva il trasferimento e se ne andava al primo posto vacante disponibile, o l’avrei denunciato. Lo so, lo so che avrei dovuto e potuto fare di più, che forse è stata una soluzione vigliacca, però… lo sai quanto è difficile denunciare un collega, no? Soprattutto senza prove in mano, se non la mia parola contro la sua. E anche fargli dei richiami… sarebbe stato l’inizio di un lunghissimo procedimento, un mal di testa infinito. E non ero in un periodo facile, avevo già mille grane e… volevo solo liberarmi dell’ennesima grana nella maniera più rapida possibile. Dopo pochi mesi si è trasferito e sono stata più che felice di non doverci più avere a che fare.”
 
“Già… è finito a lavorare nella mia ex squadra, che adesso è guidata dal vicequestore De Matteis. Per caso conosci anche lui?”
 
“De Matteis? Di sfuggita… giochiamo insieme a calcio nelle partite di beneficienza, ma non è che ci si veda spesso. Ci si allena per quelle due o tre settimane una volta all’anno e finisce lì. E poi siamo in tanti e lui è molto riservato: parla pochissimo. Anzi, direi che è proprio timido, più che riservato: ho provato ad attaccarci bottone un paio di volte e mi sembrava davvero imbarazzato, faceva quasi tenerezza,” ricorda con un sorriso, mentre Gaetano la guarda con un’espressione talmente meravigliata da risultare comica.
 
De Matteis timido? Che faceva “tenerezza”?
 
“Che c’è?” gli domanda, non potendo evitare di scoppiare a ridere.
 
“No è che… siamo sicuri che stiamo parlando dello stesso De Matteis? Quello che conosco io fa tutto tranne che tenerezza e non mi sembra affatto timido. Riservato sì, ma… ti garantisco che è un osso duro e sa farsi valere. È molto deciso, per non dire che è proprio strafottente.”
 
“Mah non lo so… quello che posso dirti è che poi in campo si trasforma: come marca gli avversari lui, nessuno. Non li molla un attimo: nell’ultima partita che abbiamo disputato, contro i carabinieri, ha esasperato talmente tanto un attaccante della squadra avversaria, un maresciallo, che ho temuto per un attimo una rissa o che il maresciallo lo aspettasse fuori e gliela facesse pagare. Se si mette in testa una cosa non molla, questo sì,” ammette con un sorriso, per poi tornare più seria ed intimargli, con uno sguardo che pare scavargli dentro, “ma perché ti interessa tanto di De Matteis e di Mancini? Mi spieghi che cos’è successo? E stavolta non ci provare a fare il furbo e a divagare, Berardi, se davvero vuoi che ti aiuti!”
 
Nel frattempo, dall’altra parte del locale…
 
“Camilla, vuoi che andiamo da un’altra parte?”
 
La voce di Marco la fa quasi sobbalzare: era stata così impegnata ad osservare e studiare ogni singola mossa, ogni singolo gesto tra Gaetano e la sua accompagnatrice, che si era praticamente scordata del resto del mondo intorno a sé.
 
Il modo spontaneo e sincero in cui ridevano insieme, la complicità che si respirava tra loro, la naturalezza con cui lei gli aveva preso la mano – e lui non si era affatto sottratto – erano come coltellate al cuore che la stavano lentamente uccidendo.
 
Come poteva sperare di competere con una donna così? Soprattutto dopo tutto quello che aveva combinato, dopo che, per dare retta a lei, Gaetano stava rischiando tutto.
 
Però… certo che lui si era ripreso davvero in fretta: se l’era immaginato distrutto, angosciato, come lei del resto, che aveva passato una notte praticamente insonne. E invece era lì che rideva e scherzava, come se niente fosse, dopo nemmeno ventiquattrore dalle minacce di De Matteis e, soprattutto, dopo nemmeno ventiquattrore che si erano lasciati.
 
E al dolore immenso e alla paura, si somma adesso la rabbia. La rabbia al pensiero di contare così poco per lui, dopo tutto quello che aveva fatto per conquistarla, dopo averle fatto credere di essere l’unica donna per lui, l’unica che avesse mai amato, che senza di lei non sarebbe riuscito a vivere, né ad essere felice.
 
E invece… invece evidentemente era lei quella che ci era rimasta sotto, che si sentiva come se le fosse passato sopra un treno, come se niente avesse più senso, mentre lui…
 
“Camilla?”
 
Il suo nome ripetuto, la porta finalmente a girarsi verso Marco, che la guarda preoccupato.
 
“No, Marco… non fa niente… anzi, certe cose è meglio vederle, che ignorarle. Comunque… mi hai detto che hai parlato con tuo fratello, giusto? Cosa pensi che farà? Rinuncerà o…” domanda, cambiando argomento e rifiutandosi di cedere e di mostrare quanto stia male.
 
“Non lo so, Camilla. Ma mi ha detto che ci stava pensando e quindi non è convinto, non al cento per cento. Credo che potrebbe cambiare idea ma… non posso garantirtelo. Mio fratello non è facile da capire, per niente…”
 
“Ah, su questo sono perfettamente d’accordo con te,” esclama con amarezza, bevendo un altro sorso di vino, “spero che si convinca, Marco, perché… non voglio nemmeno considerare l’altra ipotesi. Se Gaetano e Marchese dovessero davvero perdere il lavoro per colpa mia… non me lo perdonerei mai, mai.”
 
“Nonostante tutto…?” le domanda, indicando in direzione dell’altro tavolo.
 
“Ma che c’entra, scusa? Non è che se… che se non sta con me o se… se non mi ama…” mormora, quelle parole che bruciano come acido nella gola e sulla lingua, “gli auguro di finire sotto un ponte. E la colpa di quello che è successo rimane mia e la responsabilità mia.”
 
“Camilla…” sussurra con sguardo preoccupato e commosso, allungando di nuovo una mano a coprire la sua, stringendola forte. Perché la capisce benissimo, perché è esattamente quello che prova lui, pensandola nei guai.
 
“COSA?! MA SEI IMPAZZITO?! Come ti è saltato in mente di fare una cosa del genere?!”
 
Sentendo quello che è quasi un urlo e che squarcia l’atmosfera tranquilla del locale, si voltano verso il tavolo di Gaetano, perché ad alzare la voce è stata proprio la sua accompagnatrice, che lo guarda incredula, prima di sospirare, appoggiare la fronte su una mano e scuotere il capo, sconsolata. Gaetano si passa una mano tra i capelli, in un gesto che esprime chiaramente imbarazzo.
 
Istintivamente, Gaetano si guarda intorno, notando le occhiatacce che gli lanciano alcuni degli occupanti degli altri tavoli e facendo un cenno di scuse, fino a che, proseguendo nella sua carrellata, il cuore gli si ferma nel petto, quando il suo sguardo incontra due occhi nocciola che si fissano nei suoi. Pochi istanti e si sente ribollire il sangue nelle vene quando vede chi è il suo accompagnatore e, soprattutto, quando nota il modo in cui si stanno tenendo per mano.
 
Camilla ricambia lo sguardo con un’occhiata dura, tagliente, serrando le labbra fino a ridurle a fessura.
 
“Conosci le persone a quel tavolo?” domanda Claudia, interrompendo la battaglia di sguardi.
 
“Sì, lui è… è il fratello di De Matteis e lei è… è Camilla…”
 
“La tua compagna? Quella con cui hai avuto la brillante idea di metterti a indagare su un caso di De Matteis e di Mancini?” domanda, sorpresa, studiando l’altra donna, aggiungendo poi, con tono innervosito, “che ci fanno qui insieme? Non mi hai appena detto che avevano avuto una storia loro due, che lei l’aveva lasciato e che per questo De Matteis ce l’ha a morte con lei? Gaetano, mi spieghi cosa sta succedendo? Se volevi farmeli incontrare potevi parlare chiaramente ed evitare tutta questa sceneggiata!”
 
“No, no, non sapevo… non sapevo che si sarebbero incontrati o che fossero qui, come del resto Camilla non sapeva che ti avrei incontrata e-“
 
“E lo vedo! Se gli sguardi potessero uccidere saremmo morti tutti e due!” ribatte, avendo notato benissimo l’occhiata assassina che Camilla stava lanciando a Gaetano e anche a lei, “ti rendi conto di cosa starà pensando, Gaetano?”
 
“Sì, probabilmente sta pensando quello che sto pensando pure io,” sibila lui, continuando a fissare Marco e Camilla, che si tengono ancora per mano.
 
“Camilla, cosa fai?!” domanda Marco, sorpreso, vedendola alzarsi dalla sedia. Cerca di trattenerla, ma lei si libera dalla sua presa, “vuoi andare via?”
 
“No, o meglio, tra un attimo. Prima credo sia il caso di fare un saluto, no? È buona educazione, quando si vede qualcuno che si conosce,” risponde con tono apparentemente calmo, avviandosi a passo tranquillo verso il tavolo dal lato opposto del locale.
 
Marco, dal canto suo, si affretta a lasciare un paio di banconote sul tavolo – un importo più che sufficiente a pagare il conto – e a seguirla, maledicendosi per avere scelto proprio questo posto.
 
“Sta venendo qui!” sibila Claudia, sempre più preoccupata, vedendo l’altra donna avvicinarsi, “senti, Gaetano, lo sai che per te farei quasi tutto, ma non voglio mettermi in mezzo a questa cosa, è-“
 
“Ciao, Gaetano,” li raggiunge la voce di Camilla, apparentemente serena e tranquilla, sul volto quel sorriso tirato che Gaetano riconosce benissimo e che ha visto di recente, durante l’episodio con Ricci, “che sorpresa trovarti qui: non mi presenti la tua amica?”
 
“Beh, anche io devo ammettere che sono molto sorpreso di trovarti qui, Camilla, anche se il tuo amico non ha bisogno di presentazioni,” ribatte con un tono praticamente identico, “comunque lei è Claudia Milani, è il vicequestore a capo del commissariato del Tuscolano X, oltre che un’amica di vecchia data. Abbiamo fatto l’addestramento insieme.”
 
“Sì, si notava che siete molto… affiatati…” replica con un altro sorriso che non le raggiunge gli occhi, per poi aggiungere, porgendo la mano all’altra donna, “piacere, sono Camilla Baudino, insegno lettere e sono… beh, si può dire che sono anche io un’amica di vecchia data di Gaetano.”
 
Claudia e Gaetano si guardano, entrambi sorpresi dalle parole di Camilla, mentre Gaetano si sente come se avesse ricevuto uno schiaffo. Amica di vecchia data. Amica, amico… quante volte negli anni lui e Camilla si erano ripetuti frasi come “se no gli amici a che servono?” o “in fondo siamo amici, no?”, quasi per autoconvincersi, ma con un tono e uno sguardo che lasciavano trasparire quanto nessuno dei due credesse veramente a quella definizione, così incredibilmente inadeguata per descrivere il loro rapporto.
 
E se lo era già prima che succedesse tutto quello che è successo tra loro, ora… Camilla non è e non sarebbe mai stata solo un’amica di vecchia data per lui, fossero anche passati cent’anni. E l’idea che lei possa definirsi così, che possa pronunciare quelle parole con tanta nonchalance, gli fa male fin nel profondo dell’anima.
 
“Il piacere è mio, però… mi era sembrato di capire che lei e Gaetano… insomma… che aveste una relazione,” risponde Claudia, sempre più confusa, ricambiando la stretta decisa dell’altra donna.
 
“Gaetano le ha parlato di me?” domanda Camilla, spiazzata, mentre la maschera dipinta sul volto le si spezza e guarda Gaetano negli occhi.
 
“Sì, prima che tu ci interrompessi, le stavo parlando proprio di te e di tutto quello che è successo negli ultimi giorni, ma non avevo ancora fatto in tempo a spiegarle che ci siamo lasciati ieri,” chiarisce Gaetano con tono gelido e duro.
 
“Capisco… beh, allora mi scuso per l’interruzione e tolgo il disturbo, così avrete modo di… recuperare il tempo perduto,” proclama con tono ancora più gentile, allargando il sorriso, “Claudia, è stato un piacere conoscerla. Gaetano, a questo punto, immagino che ci vedremo in questura. Passate una buona domenica! Marco, andiamo?”
 
E, senza aspettare risposta, si avvia verso l’uscita del locale.
 
“Gaetano, oh, Gaetano, mi senti?”
 
“Eh?” le domanda, voltandosi verso di lei, sentendosi pungolare sul braccio.
 
“Mi spieghi che ci stai a fare ancora qui? Non puoi lasciarla andare via così: vai a chiarirti con lei!” lo esorta Claudia con un sospiro, indicando Camilla e Marco che stanno per uscire.
 
“A me sembra che sia in ottima compagnia e che non ci sia proprio nulla da chiarire: è stata chiarissima. Io per lei sono ormai solo un amico di vecchia data: più chiaro di così!” ribatte Gaetano, sentendosi ancora profondamente ferito.
 
“Gaetano, credimi, io se vedo un mio amico di vecchia data con un’altra donna, non reagisco così e credo sia lo stesso per chiunque, compresa la tua Camilla, che mi sa che è proprio come te: una testona orgogliosa! Non lo capisci che la sua è soltanto una reazione all’averti visto qui con me dopo ventiquattrore che vi siete lasciati?”
 
“E io cosa dovrei dire di lei che sta mano nella mano con il suo ex, eh?” ribatte, duro e amaro.
 
“Magari stava anche mano nella mano con lui, ma guardava solo te, le importava solo di te! E, se come mi sembra evidente, lei per te non è né un’amica di vecchia data, né una ex, dato che non ci sei nemmeno riuscito a dirmi che vi eravate lasciati, vai e parlale, prima che sia troppo tardi!”
 
“No, non se ne parla nemmeno e poi… devo ancora spiegarti cos’è successo con De Matteis e con Mancini e-“
 
“E ti ho già detto che per te farei quasi qualsiasi cosa, Gaetano, ma che non voglio mettermi in mezzo a questa storia tra te e Camilla. Quindi, se vuoi che ti aiuti, ora tu prendi, ti alzi, vai da lei e ti chiarisci e poi dopo parliamo di De Matteis e di Mancini fin che vuoi.”
 
“Ma non posso mica lasciarti qui così!”
 
“Devi! E poi mica mi abbandoni in mezzo al deserto: se non l’avessi notato, qui cibo e bevande non mancano. Certo, ti troverai con un conto un po’ salato al tuo ritorno, ma…” ironizza, facendogli l’occhiolino, prima di assumere un tono marziale e intimargli, “muoviti, Berardi, è un ordine!”
 
“Grazie, Claudia, sei un’amica!” risponde, grato, stringendole lievemente la spalla prima di uscire di corsa dal locale, sperando di fare in tempo a fermarla.
 
Intanto, poco distante…
 
“Camilla, sei proprio sicura di non volere un passaggio?”
 
“No, Marco, davvero, scusami ma ho bisogno di starmene un po’ da sola…” risponde con un sorriso stanco.
 
“Ok, comunque… se hai bisogno di qualcosa…”
 
“Lo so, grazie… mi faresti solo sapere se… se tuo fratello ha deciso qualcosa?”
 
“Tranquilla, appena ho notizie ti avviso, ok?” la rassicura, salutandola poi con i canonici due baci sulle guance, entrando nella sua vecchissima e fedelissima automobile che, dopo qualche tentativo, finalmente si avvia e si allontana barcollante lungo la strada.
 
“Camilla!”
 
Quella voce, la sua voce, le fa accelerare il battito.
 
“Gaetano, che ci fai qui? E la tua amica?” domanda, non potendo contenere il sarcasmo e l’amarezza.
 
“E Marco? Perché non sei andata via con lui?” le chiede di rimando, guardandola negli occhi.
 
“Già forse avrei dovuto…” commenta lei con un sospiro, “ma non ero dell’umore adatto, a differenza tua, che evidentemente oggi sei di ottimo umore. Devo dire che hai delle capacità di ripresa sorprendenti, Gaetano, non c’è che dire: come cadi, cadi sempre in piedi.”
 
“Cosa, cosa?! Non sono io quella che mi ha definito come un vecchio amico, dopo nemmeno ventiquattr’ore che ci siamo lasciati!” sbotta furente, quel commento come un artiglio che gli squarcia il petto.
 
“Non ho mai detto che tu fossi un mio vecchio amico, Gaetano. Ho detto che sono io che evidentemente sono solo una tua vecchia amica, perché, come avrei dovuto definirmi, scusa? Visto che, dopo nemmeno ventiquattr’ore che ci siamo lasciati, ti trovo a ridere e a scherzare e a fare lo scemo con un’altra come se niente fosse! È evidente quanto devo essere stata importante per te, no!”
 
“Cosa?! Tu sei stata e sei importante per me, dannazione! Sei la donna più importante della mia vita!” grida esasperato, prendendola per le spalle per costringerla a guardarlo negli occhi, “Camilla, tu hai un’idea di cosa sono stati per me questi ultimi giorni e queste ultime ore? Hai idea di cosa ho passato da quando ci siamo… ci siamo lasciati ieri, eh? Di cosa ho provato all’idea di avere perso tutto? E non sto parlando del mio lavoro, ma di te, DI TE, maledizione! Hai un’idea di che bella nottata ho passato?”
 
“E tu hai un’idea di che bella nottata ho passato io, Gaetano? Non solo all’idea di averti perso, ma all’idea che probabilmente ti ho rovinato la vita? Hai un’idea di quanto mi sono sentita in colpa, di quanto ero preoccupata per te? E hai un’idea di cosa ho provato a vederti lì con quella stangona, così affiatati, complici, sereni… e proprio si vedeva come soffrivi, povero Gaetano, mamma mia, chissà che sofferenza interiore avevi, mentre ti sganasciavi dal ridere con quella, a tal punto che tra un po’ vi si slogava la mandibola! Dio mio, hai un’idea di quanto mi sono sentita cretina, eh?!” urla di rimando, fuori di sé, “e non solo ridevi e scherzavi di gusto, ma lo facevi mentre le spiegavi di quello che è successo negli ultimi giorni! Mi chiedo che cosa tu le abbia raccontato per farla ridere così, perché io non ci trovo nulla di divertente, Gaetano, niente!”
 
“Non ridevo con lei di quello che è successo negli ultimi giorni, Camilla io-“
 
“Ma se me l’ha detto proprio lei che stavate parlando di quello! Non negarlo!”
 
“Non lo nego affatto, ma gliene ho parlato DOPO. Quando ridevamo e scherzavamo è perché stavamo ricordando gli episodi più assurdi del nostro addestramento: sono anni che non ci vediamo e ripensavamo ai tempi andati… E scusami tanto se, dopo tutta la tensione, la preoccupazione di queste ore mi sono lasciato andare a qualche istante di leggerezza!”
 
“No, per la carità: lasciarti andare a qualche istante di leggerezza è la tua specialità, no, Gaetano?”
 
“Che vuoi dire?”
 
“Quello che ho detto: di istanti di leggerezza nella tua vita ne hai collezionati parecchi, no, Gaetano? Se adesso si dice così…”
 
“Cioè tu pensi che… che io ci stessi provando con Claudia? Che voglia portarmela a letto? O avere una relazione con lei?” domanda, sconvolto, guardandola come se fosse impazzita.
 
“Ma no, certo che no! Perché mai dovrei pensarlo, eh? Vediamo: tu e una donna in un bar, che vi bevete un aperitivo, ridete, fate battute, affiatati e complici e poi vi prendete anche per mano. Ma cosa mi ricorderà mai questa scena, eh?”
 
“Tu… tu non puoi paragonarmi noi due con me e Claudia! Lei è ed è sempre stata solo una collega e un’amica, mentre, visto che siamo in argomento, che mi dici di te e di Marco, che è un tuo ex, seduti in un bar mano nella mano?”
 
“Io e Marco non eravamo seduti mano nella mano e-“
 
“L’ho visto coi miei occhi: almeno non negare l’evidenza!”
 
“Non nego l’evidenza, Gaetano! Forse Marco mi avrà preso la mano per consolarmi e-“
 
“E tu ti sei lasciata consolare!”
 
“Maledizione, Gaetano, ricominciamo?! Ti ho già spiegato a chiare lettere che Marco non mi interessa, che non sono innamorata di lui, che non sono mai stata innamorata di lui. Tu pensi sul serio che solo perché ci siamo lasciati io correrei a gettarmi tra le sue braccia? Stare con lui è un errore che ho già fatto una volta e che non ripeterò: ma pensi davvero che abbia così poco amor proprio, eh?” sbotta frustrata, fulminandolo con lo sguardo, “sai perché mi sono vista con Marco oggi? Perché volevo convincerlo ad intercedere per noi con suo fratello, a fare ragionare De Matteis e a farlo desistere dalla sua idea di denunciarci!”
 
“Che cosa?! Camilla, ti ho pregata di tenerti lontana dai guai, di lasciare fare a me e tu-“
 
“E io infatti mi sono tenuta lontana dai guai, ma questa era l’unica cosa che potevo fare per te, maledizione, lo vuoi capire?! E non potevo certo non fare almeno questo tentativo!”
 
“Preferirei finire in galera, piuttosto che farti elemosinare pietà per me da Marco e da De Matteis e tu questo lo sai, Camilla!” sbotta, sorprendendosi quando le labbra di lei si contraggono in quello che sembra un moto di riso soffocato sul nascere, “che c’è?”
 
“C’è che lo so, Gaetano, lo so benissimo,” risponde, ricordando quello che aveva detto lei stessa a Marco pochi minuti prima, “però qui non si tratta di elemosinare pietà e in ogni caso non ho dovuto nemmeno chiedere, perché ci aveva già pensato Marco. Ha detto a suo fratello che, se non ritirerà la denuncia, lui si autodenuncerà, facendogli fare una figura terribile, oltretutto.”
 
“Cosa?” sussurra, stupito e anche innervosito da quest’ennesima conferma di quanto Marco tenga evidentemente ancora a Camilla.
 
“Già… e poi qualcuno doveva pure fare qualcosa, dato che tu mi sembravi… parecchio impegnato a distrarti dai problemi con il tuo istante di leggerezza,” proclama sarcastica, fulminandolo con lo sguardo.
 
“Guarda che se mi sono visto con Claudia è proprio per fare qualcosa per tirarci fuori dai guai!” ribatte Gaetano, irritato dal tono di lei, “ti avevo detto che avrei cercato di parlare con i miei amici in polizia, no? Per cercare qualche prova contro De Matteis o Mancini…”
 
“E guarda caso, tu, con tutti i poliziotti della capitale, hai scelto di incontrarti proprio con una che sembra una diva di Hollywood, per quanto è bella…. Come si dice? È un duro lavoro ma qualcuno deve pur farlo?”
 
“Senti, Camilla, se mi sono incontrato proprio con Claudia è per due motivi: primo perché è una delle poche conoscenze che ho in polizia che sta ancora qui a Roma, di cui mi posso fidare, con cui ho una conoscenza abbastanza approfondita da poterle chiedere un favore e che soprattutto mi deve più di un favore e-“
 
“Immagino quanto approfondita,” lo interrompe tagliente con uno sguardo che lo fa imbestialire.
 
“E poi, se mi fai parlare,” soffia, prendendola di nuovo per le spalle per bloccarla, “Claudia Milani non è solo un’amica, ma è soprattutto l’ultimo vicequestore ad avere avuto Mancini in squadra prima di De Matteis. Lo capisci adesso perché dovevo incontrare proprio lei?”
 
“Cosa?”
 
“Già! E a quanto pare ha informazioni che potrebbero esserci non solo d’aiuto, ma che potrebbero ribaltare la situazione a nostro favore, se solo riesco a convincerla a testimoniare davanti al questore. Che era quello che stavo cercando di fare poco fa, prima di mollarla come una cretina a quel tavolo per venire qui a chiarirmi con te!”
 
“Gaetano…”
 
“Gaetano niente! Camilla, ma per chi mi hai preso, eh? Tu pensi che con tutto quello che ci sta succedendo, con tutto quello che c’è in ballo, col questore che incombe sulle nostre teste come una spada di Damocle e da cui probabilmente ci toccherà andare in udienza già domani, io mi metta a perdere tempo a fare il cretino a flirtare con altre? Forse sei tu che non solo pensi che io abbia poco amor proprio, ma che sia proprio un idiota!” sbotta, lasciando trapelare nella voce quanto i suoi dubbi l’abbiano ferito, “e poi ero io quello che non si fidava di te, no?”
 
“Oddio, Gaetano, hai ragione… hai ragione, scusami, scusami! Sono io che sono un’idiota!” esclama, mentre la nube verde della gelosia si dissipa per lasciare spazio alle spire striscianti del senso di colpa, abbassa gli occhi imbarazzata, prima di sollevarli e incrociarli di nuovo con quelli di lui, che la guardano con un’espressione indefinibile, “è che… non so cosa mi è preso… ma quando ti ho visto lì con lei, così affiatati, così complici e poi lei così… così bella, così perfetta, io…”
 
“Camilla…” sussurra intenerito e sollevato – in fondo se lei è così gelosa è perché evidentemente ci tiene ancora a lui. Senza quasi accorgersene, solleva le dita della mano destra fino a sfiorarle la guancia. Il cuore gli accelera lievemente nel petto quando lei inclina il capo per incrementare il contatto, appoggiandosi alla sua mano.
 
“Gaetano…” mormora, ricambiando il gesto con mano tremante, tracciandogli la tempia, lo zigomo e la mandibola, facendolo rabbrividire e chiudere gli occhi.
 
“Camilla, che stiamo facendo?” le domanda quando li riapre, osservandola, come per leggerle dentro.
 
Si guardano per lunghi istanti che paiono infiniti, il respiro nel respiro dell’altro, gravitando sempre più vicino, senza rendersene conto.
 
Non saprebbero dire chi si sia mosso per primo, ma improvvisamente le loro labbra si scontrano in un bacio famelico e disperato, le mani sul viso, poi tra i capelli… stretti, sempre più stretti, il mondo ridotto alle labbra, alle mani, ai respiri, ai battiti, alla sensazione di tornare finalmente a respirare, a vivere, mano a mano che manca il fiato, che i polmoni bruciano, che le loro labbra continuano a duellare, ad accarezzarsi a mordersi, a fondersi.
 
È Camilla la prima a staccarsi, a doversi staccare, a dover tornare bruscamente alla realtà, perché la realtà è che il suo corpo reclama disperatamente ossigeno anche se, per il suo cuore, questo significa privarsi dell’unico vero ossigeno di cui ha bisogno.
 
Si guardano, sconvolti, ansanti, i capelli fuori posto, i visi paonazzi, le mani sulle spalle dell’altro, non si sa se per tenere le distanze ed evitare di cedere di nuovo alla tentazione o se per evitare che l’altro si allontani.
                                  
“Gaetano… cosa stiamo facendo?” gli sussurra, ancora senza fiato, tra una boccata d’aria e l’altra, facendo eco alla sua domanda di pochi minuti prima.
 
“Non lo so, Camilla, non lo so,” ammette, accarezzandole i capelli e stringendola a sé, il cervello che ancora si rifiuta di connettere, inondato dalle sensazioni, dall’ebbrezza di quel bacio, di averla di nuovo tra le braccia, di sentirla stringersi a lui, rifugiarsi in lui, di sentire il calore della sua guancia contro il cuore che gli batte all’impazzata, di sentirla di nuovo sua.
 
Lei solleva gli occhi dal suo petto e lo guarda in quel modo così confuso, così dolce e così vulnerabile… lo stesso modo in cui lo aveva guardato prima di lasciarsi andare al loro primo bacio e poi quando le aveva confessato che si trasferiva a Praga, quell’ultimo sguardo, che aveva portato impresso a fuoco nella mente e nel cuore durante i due anni successivi di separazione. E quando aveva cercato i suoi occhi dopo lo squillo provvidenziale di quel cellulare, in quei pochi istanti in cui doveva decidere se rimanere e sposare Roberta o correre a rispondere “all’emergenza”. Gli era bastato vedere quello sguardo sul viso di lei, per capire che non avrebbe mai potuto farlo. E a Torino quell’espressione gli era divenuta sempre più familiare, ogni volta che si era avvicinato un po’ di più a lei, ogni volta che aveva preso il coraggio a piene mani e aveva tentato di baciarla e lei… lei esitava sempre un po’ di più prima di fermalo, guardandolo in quel modo come se lo pregasse, ma come se non lo sapesse nemmeno lei che cosa lo pregasse di fare – se di tirarsi indietro o di annullare le distanze e baciarla.
 
Ed è proprio questo che fa, d’istinto, annulla di nuovo le distanze, accarezzando ed assaporando, questa volta dolcemente e lentamente, quelle labbra ancora rigonfie per l’impeto dei suoi baci. Per qualche istante è nuovamente in paradiso, sentendola sciogliersi nelle sue braccia e ricambiare con una tenerezza che gli provoca un dolore sordo e piacevole al petto.
 
“Gaetano… no… no!”
 
Quelle poche sillabe, sussurrate e poi quasi gridate, le mani che improvvisamente spingono sulle sue spalle per allontanarlo e tenerlo a distanza di sicurezza, sono come uno schiaffo e una doccia gelata, un pugno allo sterno.
 
“Perché no?! Camilla, non ci sto capendo più niente!” sbotta, guardandola negli occhi, non nascondendo la delusione e la frustrazione che prova.
 
“Nemmeno io ci sto capendo più niente, Gaetano. Ed è proprio questo il problema!” spiega, guardandolo ancora in quel modo così vulnerabile, così fragile e disorientato, che lo porta a placarsi all'istante.
 
“Gaetano ti rendi conto di quante cose sono successe negli ultimi due giorni? Troppe! Noi che ci… che ci lasciamo… De Matteis, Mancini… tu che rischi di perdere il lavoro e poi adesso, questo. Prima litighiamo furiosamente, poi ci baciamo… Ti ricordi quando mi hai detto che non volevi essere un momento di debolezza e di confusione per me?  Bene, nemmeno io voglio esserlo per te e-“
 
“Camilla tu non sei e non sarai mai un momento di debolezza! Lo vuoi capire che ti amo?” proclama, prendendole di nuovo il viso tra le mani e guardandola per farle capire quanto è sincero.
 
“Anche io ti amo, da morire, ma… se tu hai deciso di lasciarmi e di prendere quel treno è perché c’erano dei problemi tra noi. Problemi che non si cancellano per un’emergenza o perché ti desidero o perché non sopporto l’idea di vederti con un’altra. Problemi che, proprio per… per rispetto a quello che provo per te e a quello che voglio per noi due, per il nostro futuro, meritano di essere affrontati insieme e risolti con calma, con lucidità e consapevolezza e-“
 
“E allora affrontiamoli e risolviamoli, Camilla! Andiamo in un posto tranquillo e parliamone,” le propone, accarezzandole di nuovo il viso, fino a che lei gli blocca le mani con le sue.
 
“No, non adesso, Gaetano. Non capisci che non è il momento?”
 
“Perché? Perché mi hai visto con Claudia?”
 
“Sì, perché sei qui con Claudia, ma non per i motivi che pensi tu. Gaetano, tu prima avevi ragione in pieno: tu in questo momento ti stai giocando la vita e la carriera e hai probabilmente meno di ventiquattro ore di tempo per trovare un modo di difenderti davanti al questore. Non puoi permetterti di perdere tempo a flirtare con qualcuna, compresa me,” spiega, squadrandolo con uno sguardo eloquente.
 
“Tu non sei qualcuna Camilla e-“
 
“Non è questo il punto, Gaetano. Te l’ho già detto una volta: io non vado da nessuna parte. Anche perché ora, grazie a De Matteis, anche volendo, né io, né te possiamo andare da nessuna parte,” chiarisce facendolo sorridere, per poi aggiungere, stringendogli più forte le mani che trattiene ancora tra le sue, “Gaetano, abbiamo tutto il tempo del mondo per… per parlare, per chiarirci, se tu lo desideri. Ma hai poche ore per scagionarti e le devi usare al massimo, fino all’ultimo minuto, e ti ho già fatto perdere fin troppo tempo. Quindi ora tu torni in quel carinissimo e carissimo wine bar, prima che questa Claudia ti mandi davvero a quel paese e fai tutto il possibile per convincerla ad aiutarti, ok?”
 
“Agli ordini, professoressa,” ribatte con un altro sorriso, sospirando e scuotendo il capo: la adora quando fa così, “vuoi… vuoi venire anche tu a parlare con lei?”
 
“No, Gaetano. Anche su un’altra cosa avevi ragione tu: è molto più probabile che si apra e che accetti di aiutarti se le parli da solo e non accompagnato da una perfetta sconosciuta che oltretutto le ha quasi fatto una scenata di gelosia. Anzi, se permetti rientrerei un attimo con te prima di andare, ma solamente per scusarmi con lei.”
 
“Camilla…” sussurra, stupito, conoscendola benissimo e sapendo quanto Camilla, pur essendo indubbiamente una persona cortese e garbata, sia anche orgogliosa. E capisce che lo sta facendo solo per lui, perché è preoccupata per lui e che possa perdere il lavoro.
 
“Gaetano, un’ultima cosa: anche se a volte mi comporto come un’idiota, io mi fido di te, moltissimo! E sono sicura che riuscirai a trovare un modo di risolvere questa situazione. Tu De Matteis e Mancini te li mangi a colazione,” lo incoraggia, poggiandogli una mano sulla spalla, in quel modo che l’ha sempre rassicurato, che gli ha sempre dato una forza indescrivibile, il coraggio che gli serviva e che gli serve ora per affrontare tutto quello che deve affrontare.
 
“Grazie,” sussurra, ricambiando il gesto, trattenendosi a forza dall’abbracciarla perché non riuscirebbe più a staccarsi, “grazie davvero.”
 
Un ultimo sguardo e si avviano verso l’ingresso del locale, dove lei si avvicina rapidamente al tavolo ancora occupato da Claudia, che li guarda arrivare con malcelata apprensione.
 
“Ah, bene, siete tornati… professoressa si unisce a noi?” domanda Claudia, alzandosi dalla sedia.
 
“No, no, io adesso vado però… volevo scusarmi con lei per l’interruzione, per il mio atteggiamento di prima e anche per averla in un certo senso costretta a rimanere qui da sola ad aspettare. Purtroppo la gelosia è un difetto che non sono ancora riuscita ad eliminare e mi dispiace che ne abbia fatto le spese lei,” proclama con un sorriso ed aria sinceramente dispiaciuta, per non dire quasi dimessa.
 
“Ma si figuri: guardi che capisco benissimo! Anzi, è stata molto più diplomatica di quanto sarei stata io al suo posto, mi creda. Se la gelosia fosse un reato, starei già in galera da una vita!” esclama, ricambiando il sorriso.
 
“Bene, allora… vi lascio alla vostra rimpatriata. Claudia, grazie ancora della comprensione. Gaetano, se ci sono novità mi avvisi?”
 
“Certo, anche tu, mi raccomando,” risponde con un’occhiata che la fa sorridere e che è una raccomandazione non verbale di tenersi lontana dai guai.
 
“Contaci. Beh, allora buon proseguimento!”
 
Lui e Claudia la osservano in silenzio fino a che esce dal locale.
 
“E bravo Gaetano!” commenta con un sorriso, bevendo un sorso di vino.
 
“Che vuoi dire?”
 
“Che evidentemente, dato come è cambiato l’umore della tua Camilla, sei riuscito a trovare le parole giuste al momento giusto… e non solo le parole…” lo punzecchia con un sopracciglio alzato, scoppiando a ridere davanti alla sua espressione imbarazzata.
 
“Vuoi dire che ci hai visti?”
 
“E dai, su, lo sai che noi sbirri siamo curiosi per natura, altrimenti non faremmo questo mestiere, no? Anche se, ti dirò, quasi non potevo credere ai miei occhi: Gaetano Berardi innamorato! La tua Camilla ha fatto un bel miracolo, non c’è che dire!”
 
“Claudia…”
 
“È vero! Hai cambiato più ragazze tu durante l’addestramento di tutti i nostri colleghi messi insieme! E pure dopo, almeno fino a quando non ci siamo persi di vista, non ti sei fatto mancare niente, eh!”
 
“Eddai, su, non ero così terribile!” si difende, anche se sa che Claudia ha ragione.
 
“No, anzi, eri – e sei – una bravissima persona, l’importante era non avere la malaugurata idea di innamorarsi di te. Compiango ancora le povere sfortunate!”
 
“Forse non hai tutti i torti… ma non è colpa mia se ho sempre fatto fatica ad innamorarmi! Però, se ti può consolare, le sofferenze che ho inflitto, anche se involontariamente, alle povere sfortunate, credo di averle scontate con gli interessi dopo.”
 
“Con Camilla?”
 
“Sì… ma non per colpa sua. E comunque è una storia lunga e non vorrei annoiarti. E poi-“
 
“E poi non sono affari miei, più che giusto,” lo interrompe con un sorriso.
 
“No, non è per quello è che… è che ho bisogno assolutamente di spiegarti di De Matteis e di Mancini e-“
 
“Gaetano, ascoltami, è evidente quanto tu sia innamorato di Camilla e capisco anche il perché: si vede che è una donna intelligente, con le palle e che ci tiene talmente tanto a te che è perfino venuta a scusarsi con me, anche se non era necessario. Praticamente la donna perfetta, se non fosse però per questa sua pericolosissima passione per le indagini!” commenta con uno sguardo eloquente, “Gaetano, per quanto tu la ami, come hai… come hai potuto lasciarti trascinare in questa follia?! Ti rendi conto della gravità di quello che avete combinato tu, Camilla e questo altro agente?”
 
“Claudia, Camilla non è una sprovveduta e se le ho permesso di indagare e se l’ho aiutata non è solo perché la amo, ma perché sentivo che era la cosa giusta da fare. De Matteis e Mancini non avevano né la lucidità, né l’imparzialità necessarie per fare il loro dovere. Non cercavano la verità ma una vendetta personale, ognuno per i suoi fini. Conosci Mancini e lo sai che ho ragione, lo sai di cosa è capace! E se Marchese si è ribellato è perché non aveva altra scelta e io l’ho aiutato a fare quello che si doveva fare, quello che De Matteis e Mancini non erano in grado di fare. E per quanto riguarda Camilla, è la persona più onesta che conosca, oltre che un’investigatrice eccezionale: tu non hai un’idea di quante persone ho potuto aiutare negli anni grazie a lei, di quanti casi ho potuto risolvere con il suo aiuto.”
 
“Cosa?? Cioè mi stai dicendo che questa… che questa non è la prima volta che permetti a Camilla di fare la detective? L’hai lasciata… le hai permesso di partecipare ai TUOI casi??” gli domanda, sconvolta ed incredula, alzando di nuovo la voce.
 
“Sì, ma non per i motivi che pensi tu. Claudia, Camilla è… ha un talento per le indagini straordinario, rarissimo e non sto esagerando.”
 
“In che senso?”
 
“Nel senso che… lei riesce a vedere connessioni che agli altri sfuggono, ha un istinto quasi infallibile nel valutare le persone, le situazioni, le dinamiche. Ha un grande spirito di osservazione, un’incredibile capacità di elaborare gli elementi in suo possesso, di porsi le domande giuste e di darsi le risposte corrette. Questo è… è il venticinquesimo caso a cui collaboriamo insieme e-“
 
“Il venticinquesimo??!!” esclama, guardandolo come se fosse pazzo e mettendosi le mani tra i capelli, “Gaetano, ti-“
 
“E sai quanti di questi casi sono rimasti irrisolti?” la interrompe, sostenendo il suo sguardo, “nessuno, Claudia, nessuno. Grazie a Camilla ho sempre trovato il colpevole, sempre. Ti rendi conto di quante persone hanno avuto giustizia grazie a lei?”
 
Claudia rimane per un attimo in silenzio, osservandolo, studiandolo.
 
“Claudia, se domani ti si presentasse un caso che non riesci a risolvere e se sapessi che c’è una persona, che non è un collega, ma che ti può aiutare, che riuscirà ad arrivare alla verità, tu cosa faresti?” le domanda, studiandola di rimando, “se ti fossi trovata nella mia situazione di questi giorni, cosa avresti fatto tu? Ti saresti fatta intimidire da De Matteis e da Mancini o avresti comunque cercato la verità, costi quel che costi?”
 
“Gaetano…”
 
“Io ti conosco, Claudia, anche se sono anni che non ci vediamo, ti conosco profondamente e so che avresti fatto la stessa cosa che ho fatto io. O sbaglio?”
 
“No… no… forse non sbagli, Gaetano,” ammette, chiudendo per un attimo gli occhi per poi riaprirli e trafiggerlo con un’occhiata quasi disperata, “però, porca miseria, ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo di fare? Anche se non mi hai ancora chiesto niente, lo so perché siamo qui oggi, lo so cosa vuoi che io faccia… ma ti rendi conto di cosa rischio se rivelo quello che so? Se rivelo che invece di denunciare le irregolarità di Mancini ho preferito… ho preferito mollare la patata bollente ad altri?”
 
“Lo so benissimo e so che non ho diritto di chiedertelo, ma… non lo farei se non fossi non solo disperato, ma soprattutto convinto che sia la cosa giusta da fare. Vuoi davvero dargliela vinta?”
 
“No… no! E mi sento in colpa, Gaetano, perché non posso fare a meno di pensare che… se avessi avuto più coraggio, forse tu ora non ti troveresti in questa situazione ma… non è facile, lo capisci?”
 
“Lo capisco, ma tu non sei mai stata una che sceglie la via più facile, Claudia.”
 
“Forse… forse sono cambiata in questi anni, non ci hai pensato?” gli domanda, guardandolo di nuovo negli occhi, quasi sfidandolo.
 
“No, non credo. E me ne hai dato conferma oggi. Sei rimasta qui ad aspettarmi, anche quando avresti potuto cogliere la palla al balzo ed andartene, dato che avevi capito benissimo cosa ti stavo per chiedere,” le fa notare, guardandola a sua volta, posandole una mano sull’avambraccio e stringendo lievemente.
 
“Neanche tu sei cambiato Berardi… per fortuna o purtroppo…” sospira scuotendo il capo con un sorriso agrodolce, “hai sempre l’irritante abitudine di avere ragione e di essere il mio grillo parlante.”
 
“Quindi…”
 
“Quindi ti aiuterò, Gaetano… forse me ne pentirò ma ti aiuterò,” conferma, posando la mano sulla sua in un patto solenne, “che dici? Ci sarà un ponte abbastanza grande per ospitarci tutti?”
 
***************************************************************************************
 
“Ci sono novità?”
 
“No, dottore, credo che fino a domani sia tutto bloccato. Il medico legale non ha ancora fatto l’autopsia, gli uffici del comune di Spinaceto riaprono domani e quindi dobbiamo aspettare per vedere se hanno trovato i documenti del signor Giuliani…”
 
“Capisco… d’accordo Lorenzi, grazie lo stesso. E per quanto riguarda Mancini? È rientrato?”
 
“Sì, un’ora fa. Glielo chiamo?”
 
“Sì, sì, grazie, Lorenzi. E tu vai pure a casa, ci vediamo domani.”
 
“Grazie dottore, a domani!”
 
Il ragazzo si mette sull’attenti ed esce dalla porta. Come si richiude, sospira, si toglie gli occhiali e si sfrega gli occhi.
 
Si sente esausto: suo fratello aveva ragione, ha esagerato con lo sport. E ora che la rabbia si è calmata, sente ogni singola giuntura e ogni singolo muscolo che protestano.
 
E poi come si fa a lavorare così? Con un uomo in meno, Lorenzi che è bravino, sì, ma è inesperto, Mancini che sembra impazzito per questa storia vera o presunta tra sua moglie e Marchese e poi Grassetti, l’unica che ancora si salva, che giustamente si gode almeno un giorno libero dopo una settimana di superlavoro.
 
Una pluriassassina a piede libero e neanche uno straccio di indizio su come ritrovarla.
 
E poi quell’idiota di Berardi e la Baudino… La Baudino, sempre lei, la sua nemesi, il suo tormento: ma perché, perché, con tutte le donne sulla faccia della Terra, suo fratello doveva innamorarsi proprio di lei? Innamorarsi a tal punto da volerla proteggere ancora, dopo tutto quello che era successo. A tal punto da dargli questo maledetto aut aut che però, lo deve ammettere, l’ha costretto a riflettere.
 
Due tocchi sul legno della porta.
 
“Dottore, mi ha fatto chiamare?” domanda con quel tono solerte che oggi gli da particolarmente sui nervi.
 
“Sì, Mancini. Venga, si sieda.”
 
“Se riguarda il caso Scortichini, purtroppo non ci sono novità, dottore e-“
 
“Lo so, Mancini… e quello che le volevo dirle riguarda il caso Scortichini solo indirettamente. Vorrei parlarle di quello che è successo ieri, con l’agente Marchese, il vicequestore Berardi, la professoressa Baudino e ovviamente sua moglie.”
 
“Ah… quindi ha rintracciato il questore? Ha fissato un appuntamento con lui?”
 
“No, ancora no ed è proprio di questo che volevo parlarle Mancini. Penso di essere stato troppo precipitoso ieri e troppo severo. Marchese e Berardi hanno sbagliato nei modi, è vero, ma… in fondo credo stessero semplicemente cercando di… di aiutare la giustizia, anche se non approvo ovviamente il fatto che mi abbiano scavalcato. Però… credo che sia sufficiente un richiamo per Marchese ed un blocco della sua eventuale promozione, senza coinvolgere il questore ed ingigantire questa storia più di quanto sia necessario. Mi sembra la cosa migliore per tutti, per la reputazione di questa squadra e-“
 
“Cosa? Dottore, sta scherzando, vero?” lo interrompe Mancini, non potendo evitare di alzare la voce.
 
De Matteis non sa se essere più sorpreso dell’interruzione o del tono dell’ispettore, di solito sempre così ossequioso.
 
“Non è mia abitudine scherzare, Mancini e-“
 
“Lei non può farlo, non può tirarsi indietro adesso!” lo interrompe di nuovo, alzando ancora di più la voce, “Marchese e Berardi hanno violato tutte le procedure, Marchese ha violato il segreto di indagine… hanno commesso dei reati! E lei non può adesso insabbiare tutto e risolvere con un richiamo e far finire tutto a tarallucci e vino!”
 
“Non si tratta di insabbiare nulla, ma di usare il buonsenso, Mancini. Vale davvero la pena di rovinare la vita di tante persone per questa infrazione? In fondo le scoperte di Berardi, della Baudino e di Marchese ci sono state utili e non hanno compromesso le indagini. E poi c’è coinvolta anche sua moglie, rischia anche lei grossi problemi sul lavoro e-“
 
“E se Sammy avrà problemi sul lavoro è perché se li è cercati! Io non ci posso credere dottore, non posso credere a questo suo voltafaccia: Ieri era convinto quanto me e ora mi sta dicendo che devo dimenticarmi tutto? Ma stiamo scherzando?!” urla, ormai fuori di sé, per poi aggiungere, sprezzante, “Io lo so cosa le ha fatto cambiare idea, o meglio chi. È per via di suo fratello e della Baudino vero? Lo so che avevano una relazione!”
 
“Non le permetto di parlarmi con questo tono, Mancini o di fare certe insinuazioni, chiaro?!” urla di rimando, furioso, “capisco che sia un periodo difficile per lei, che sia deluso da sua moglie, però sono convinto che se proseguiamo su questa strada sarà lei il primo a pentirsene tra qualche tempo!”
 
“No, dottore, non provi a dire che lo sta facendo per me, perché non me ne pentirò mai! Marchese, Berardi, la Baudino e Sammy hanno sbagliato, hanno infranto la legge, Marchese e Berardi hanno infranto il loro giuramento e hanno violato i loro doveri e non c’è nulla che giustifichi un simile comportamento! Sono due cani sciolti, due mine vaganti, indegni della divisa che portano e per questo vanno allontanati! E se lei ora vuole davvero tirarsi indietro, vorrà dire che dal questore ci andrò io, personalmente, e gli spiegherò perché lei, pur essendo a conoscenza della situazione ha preferito chiudere un occhio, eh? Per fare contento il suo caro fratello, per i suoi legami personali con una delle persone coinvolte!”
 
“Lei mi sta minacciando, Mancini?!” sibila, gli occhi a fessura, mentre digrigna i denti, “si rende conto che sono il suo diretto superiore?”
 
“Beh, non lo sarà ancora per molto, se vado dal questore e gli rivelo cosa sta succedendo qui, dottore,” ribatte l’altro, durissimo, gelido e tagliente, “e si ricordi che ho fatto io le registrazioni ai nostri congiurati e ne ho ancora una copia. Basta che le porto dal questore e il gioco è fatto. E se non lo chiama entro domani, lo farò io.”
 
Lanciandogli un’ultima occhiata, si volta ed esce sbattendo la porta, senza nemmeno attendere di essere congedato.
 
Continua a fissare la porta a vetri sconvolto, incredulo e con un pensiero fisso che gli rimbomba nella mente: Berardi aveva ragione su Mancini.
 
E doverlo ammettere brucia forse anche di più del trattamento che ha appena ricevuto dall’ispettore o dalla consapevolezza che, qualunque cosa farà, l’immagine e la reputazione che ha faticosamente costruito negli anni sta per essere macchiata, forse irrimediabilmente.
 
***************************************************************************************
 
“Gaetano, finalmente! Ci sono novità?”
 
“Sì, Camilla: Claudia ha accettato di aiutarci, per fortuna. Ma con le altre persone con cui ho parlato per ora è stato un buco nell’acqua, anche se… anche se aspetto ancora una risposta…”
 
“Da chi?”
 
“Preferisco poi parlartene di persona, sai se dovesse rifiutare…”
 
“Ok, capisco,” concorda, capendo perché Gaetano non voglia fare nomi al telefono, “ma quindi, quindi ci manca...”
 
“Esatto… quindi mi chiedevo, tu hai novità?”
 
“No, niente, non ho sentito niente, né in un senso, né nell’altro…”
 
“Beh, era prevedibile in fondo, io non ci spererei molto. Hai visto com’era agguerrito ieri, no? Ce l’ha a morte con noi,” sospira, sapendo benissimo che ci vorrebbe un miracolo perché Marco riesca a convincere il fratello a desistere dalla denuncia.
 
“Dai, c’è ancora domani, almeno qualche ora…” sospira di rimando, anche se sa quanto siano flebili le speranze. Claudia può testimoniare solo contro Mancini e rimane ovviamente De Matteis, l’osso più duro.
 
Un lungo silenzio al telefono, tante parole, tante frasi che si vorrebbero dire ma che rimangono congelate in gola, nel dubbio di quanto dire, di come dirlo, di chi deve fare la prima mossa.
 
“Tu come stai?” gli chiede infine, sentendo dal respiro dall’altro capo della cornetta che non ha messo giù.
 
“Meglio, Camilla, da qualche ora decisamente meglio,” ammette e lei riesce a percepire che sta sorridendo, “e tu?”
 
“Anche io, molto meglio… anche se…” esita, mordendosi la lingua. Stava per dirgli: anche se starei ancora meglio se tu fossi qui con me. Ma, come gli ha detto qualche ora fa, non è il momento adatto per fare una pazzia: ci sono troppe cose in ballo, Gaetano deve concentrarsi solo su domani.
 
E poi… e poi non potrebbe sopportare altri tira e molla tra lei e Gaetano. Vuole essere sicura che anche lui sia convinto e consapevole tanto quanto lo è lei, non solo di quello che prova lui, ma anche di quello che prova lei. Che non ci siano più malintesi ed incomprensioni.

E lasciarsi andare ad una notte di passione ora sarebbe bellissimo ma troppo pericoloso e lei vuole molto di più per loro di un’ultima notte di passione.
 
“Anche se?” la incalza, con tono incuriosito e speranzoso.
 
“Anche se… non è facile ovviamente, per nessuno. Forse è meglio che adesso andiamo a riposarci, Gaetano, domani sarà una giornata molto pesante…”
 
“D’accordo,” sospira, un pizzico di delusione che trapela dal tono di voce, “a domani allora.”
 
“A domani…” sussurra, esitando se pronunciare quelle due parole, così brevi eppure così importanti, così grandi: ti amo.
 
Ma, prima che possa decidersi, decide lui per lei e sente il clic che indica la fine della conversazione.
 
“Sbaglio o i toni tra voi si sono molto ammorbiditi?” la sorprende una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare.
 
“Sammy! Tra un po’ mi facevi venire un infarto!” esclama, il cuore che le rimbomba nel petto, “e comunque, sì, diciamo che le cose tra me e Gaetano vanno un po’ meglio ma… ne abbiamo ancora di strada da fare.”
 
“Sono sicura che ce la farete: si vede quanto vi amate e quanto vi rispettate, soprattutto,” proclama con un sorriso malinconico.
 
“Sammy…” sussurra Camilla, poggiandole una mano sulla spalla, capendo benissimo lo stato d’animo della ragazza, dopo tutto quello che era successo tra lei e il marito.
 
“Guardi che faccio il tifo per voi due prof. e… non è che se le cose vanno male a me, mi auguro che vadano male anche agli altri. Anzi, almeno questo mi ridà un po’ di speranza sui rapporti di coppia e sul genere maschile,” ironizza con un altro sorriso, un po’ più deciso, “e per quanto riguarda il questore… il dottor Berardi ha un piano, vero?”
 
“Sì… sì ma… è complicato e… non sono sicura che ti piacerà.”
 
“Cioè?”
 
“Sta cercando materiale su De Matteis e anche su… su tuo marito…” ammette, trattenendo il fiato, ma sapendo che tanto Sammy lo scoprirebbe tra poco e meglio che lo sappia da lei.
 
“Capisco… e a che punto è?”
 
“In realtà… ha trovato qualcosa proprio su tuo marito, ma non su De Matteis.”
 
“Eh, lo immagino. Da quanto ne so Pietro non ci è mai andato molto per il sottile, mentre De Matteis non sarà un mostro di simpatia ma non ha di certo la sua reputazione…” sospira, aggiungendo poi, dopo un attimo di riflessione, “prof. capisco che il tempo stringe, ma… io un po’ di conoscenze le ho in procura… è chiaro, sono solo una praticante e non ho grande influenza, però… se il dottor Berardi è d’accordo magari posso provare a dargli una mano in questa ricerca.”
 
“Sammy... non so se sia il caso: c’è di mezzo anche tuo marito e-“
 
“E se Pietro avrà problemi sul lavoro è perché se li è cercati prof.. E dopo quello che è successo nelle ultime ore non merita alcuna comprensione da parte mia!” proclama con una decisione ed una luce negli occhi che quasi spaventa Camilla.
 
Forse è proprio vero che non c’è furia al mondo peggiore di quella di una donna ferita.
 
***************************************************************************************
 
“Pronto?”
 
“Parlo con Marchese?”
 
“Sì, ma… chi parla?”
 
“Sono Sisma, l’amico di Marcio e… e di Black… Ti ricordi, no?”
 
“Certo, certo che mi ricordo!” esclama Marchese, sentendosi improvvisamente più sveglio, anche se si chiede perché il punkabbestia lo cerchi di domenica sera, “è successo qualcosa?”
 
“Si tratta di Ginger… ha avuto un mezzo tracollo, ma adesso dice che vuole collaborare, che vuole fare di tutto per ritrovare chi ha ucciso Marcio. Per questo ti ho chiamato: è molto agitata, ansiosa e… prima ci vediamo e meglio è.”
 
“Capisco, però… vedi, il fatto è che non mi occupo più io di queste indagini. Vi conviene presentarvi in questura e chiedere del dottor De Matteis: il caso è suo,” spiega, mentre lo assale di nuovo il mal di testa che gli aveva fatto compagnia per tutto il giorno.
 
“No, non se ne parla: noi alla questura non ci avviciniamo, chiaro?!”
 
“Capisco, ma io non posso più occuparmi del caso. Se mi lasciate un recapito vi faccio contattare dal dottor De Matteis e-“
 
“No, assolutamente no! Noi questo De Matteis non lo conosciamo e non lo vogliamo conoscere. Siamo disposti a parlare solo o con te, o col commissario con la professoressa!” esclama, in un tono che gli fa capire che non cambierà idea.
 
 
La verità è che col ritrovamento del cadavere del Vecchio, la testimonianza dei punkabbestia serve a ben poco, dato che ora bisogna ritrovare Ilenia e loro su Ilenia non hanno alcuna informazione. Ma non può certo essere lui a dire loro che il Vecchio è morto: è già abbastanza nei guai così.
 
“D’accordo… ho capito. Senti… se mi lasci un recapito vedo cosa posso fare, ok?”
 
“Così lo passi ai tuoi colleghi e mi ritrovo gli sbirri alle calcagna? Guarda che siete stati voi a cercarci, a insistere, e ora ti fai pure pregare? La verità è che della morte di un punkabbestia non ve ne frega niente, vero?! Lo sapevo che non ci si poteva fidare! Ma vai al diavolo, va!”
 
“No, non è così, aspetta, è che-“ prova a chiarire Marchese, ma l’altro gli chiude la comunicazione in faccia. Il numero che ha usato è anonimo e ora non ha più accesso ai mezzi necessari per rintracciarlo.
 
Ah, se avessi fatto il commercialista, come voleva mio padre! – pensa con un sospiro, prima di avviarsi sotto la doccia.
 
***************************************************************************************
 
“Mi scusi, mi scusi!”
 
“Sì?”
 
“Senta, lei è la ragazza che sta dalla signora Andreina, no? L’amica della professoressa…”
 
“Sì, esatto,” conferma con il fiatone, continuando a correre sul posto. Era uscita all’alba per fare jogging e scaricare un po’ la tensione, ma si sentiva ancora un fascio di nervi.
 
“Allora posso darla a lei la posta, vero? Ci sono un pacco e una busta grande che non entrano nella buca delle lettere e tra poco devo uscire,” proclama Rosetta, mollandole le carte nelle  mani senza nemmeno attendere una risposta per poi rientrare nel suo gabbiotto.
 
Sale le scale, apre la porta con le chiavi che le aveva dato la signora Andreina e, sentendo dei rumori, si avvia verso la cucina.
 
“Ah, Sammy, sei tornata. Sei andata a correre?” domanda Camilla, che, seduta al tavolo con la madre, si sta versando una tazza di caffè.
 
“Sì, non l’ho svegliata, vero?”
 
“No, no, tranquilla. Non ho chiuso occhio ma non è certo colpa tua…”
 
“Ma quella è la mia posta?” domanda Andreina, sorpresa.
 
“Sì, me l’ha data la portinaia per lei. Tenga,” risponde, appoggiando le buste e il pacchetto sul tavolo, “io vado a fare una doccia.”
 
“Camilla, questa è per te,” proclama Andreina, porgendole la grossa busta gialla.
 
“Per me?” domanda Camilla, sorpresa, prendendola e verificando che è indirizzata alla “professoressa Camilla Baudino.”
 
“Prof. ma non è che…” esclama Sammy, bloccandosi sui suoi passi, guardando la busta come se dovesse contenere tutti i segreti dell’universo.

Camilla capisce che hanno avuto la stessa idea.
 
“Mamma, mi porteresti dei guanti?” domanda, osservando ancora la busta, mentre sente la mano tremare.
 
Con le mani coperte di lattice e l’aiuto di un taglierino, apre la busta.
 
Un foglio A4, scritto a computer e un cellulare vecchio modello ma piccolo e sottile.


 
Prof.,
 
la prego: sono disperata e ho bisogno del suo aiuto per tirarmi fuori dai guai!
 
Qualcuno mi ha voluto incastrare e finalmente ho le prove che potrebbero scagionarmi, o meglio, so dove trovarle, ma non posso certo andare dalla polizia e lei è l’unica persona di cui mi fido.
 
Se mi crede, tenga acceso questo cellulare: le comunicherò presto la data, l’ora e il posto in cui potrà trovarmi.
 
La prego: se mi ha voluto almeno un po’ di bene, non avvisi la polizia, nemmeno il suo compagno. Lo so che è convinto come gli altri che io sia colpevole e io mi fido solo di lei, prof., e parlerò solo con lei.
 
Se mi denuncerà alla polizia o non si presenterà da sola, capirò che anche lei mi ha già condannata, come tutti gli altri.
 
A presto, spero.
 
Ilenia
 



 
“E adesso che facciamo? Cosa vuole fare, prof.?” le domanda Sammy, che ha letto tutto sporgendosi sopra la sua spalla.
 
“Non lo so, forse-“
 
Lo squillo del suo cellulare la interrompe prima che possa finire la frase. È un numero anonimo.
 
“Pronto?”
 
“Professoressa Baudino? Sono De Matteis.”
 
“Dottor De Matteis, a cosa devo il piacere di questa chiamata?” domanda sarcastica, “ha già fissato un appuntamento col questore, immagino?”
 
“No, in realtà… la chiamavo perché ho bisogno di parlarle urgentemente,” risponde con un tono che sembra stranamente esitante.
 
“Parlarmi? Quindi devo venire in questura? A che ora?”
 
“No, non in questura: ho bisogno di parlarle in privato. In realtà sono già sotto a casa sua. Potrebbe raggiungermi?”
 
“Cioè… lei è qui sotto… e io la devo raggiungere?” domanda, incredula e per nulla allettata dalla prospettiva, “tra quanto?”
 
“Appena possibile, dato che poi dovrei rientrare in ufficio.”
 
“Posso rifiutarmi?” chiede, innervosita, sentendosi a disagio.
 
“Certo che può, ma, mi creda, non le conviene.”
 
“È una minaccia dottor De Matteis?”
 
“No, è solo la verità. Senta, se può farla sentire più a suo agio può… può chiamare Berardi e possiamo raggiungerlo dove desidera. Però preferirei parlarle da solo visto che… io e Berardi non andiamo molto d’accordo, se così si può dire…”
 
“E invece io e lei andremmo d’accordo, dottor De Matteis?” ironizza, anche per prendere tempo e ragionare su cosa sia meglio fare.
 
“No, ma… se ci sforziamo possiamo essere civili, no? In fondo lo siamo stati per un lungo periodo…”
 
“Già… e va bene, mi dia cinque minuti e sono da lei…”
 
“Grazie, non se ne pentirà.”
 
Ne dubito – pensa, chiudendo la chiamata.
 
“Devo andare…” annuncia, alzandosi dalla sedia e prendendo la borsa.
 
“E questa lettera prof.? E il cellulare?”
 
“Questi li tengo io,” decide, infilandoli nuovamente nella busta, sempre con mano guantata, e infilando il tutto in una tasca interna della borsa, per poi gettare i guanti e avviarsi verso la porta, “non so a che ora tornerò, vi terrò aggiornate.”
 
Prima di scendere le scale, apre di nuovo la borsa, prende il cellulare e lo imposta in modalità registratore. Lo mette nella tasca di fronte della borsa e prova a parlare normalmente. Riprende il telefono, stoppa la registrazione e la riascolta. Soddisfatta, riavvia il registratore, lo rimette nella tasca di fronte e si avvia verso questo appuntamento inatteso.
 
Si sguarda intorno cercando la macchina grigia ed immacolata di De Matteis, ma non la vede.
 
“Camilla, sono qui!”
 
Si volta verso la voce e non sa che cosa la sconvolga di più: se l’uso del suo nome di battesimo, se il tono amichevole e assolutamente non “da De Matteis” con cui sono state pronunciate quelle parole, o se il suo abbigliamento: jeans, polo, scarpe da ginnastica e occhiali da sole. Quasi non lo riconosce tanto è diverso: sembra almeno dieci anni più giovane.
 
Lo raggiunge accanto all’auto – evidentemente a noleggio – trattenendo l’impulso di darsi un pizzicotto per accertarsi di non stare facendo un sogno bizzarro, frutto di troppe notti insonni, o di non essere finita in una specie di dimensione parallela.
 
“Che sta aspettando? Si sbrighi, salga in macchina!” le sibila quando è a portata di orecchio, prima di aprire la portiera e mettersi alla guida.
 
No, non è un sogno, è un incubo – pensa Camilla, infilandosi nel posto del passeggero e allacciandosi le cinture di sicurezza, appena in tempo per evitare di spalmarsi contro il cruscotto, quando De Matteis parte con una sgommata degna di un film d’azione americano.
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice: Ed eccoci arrivati alla fine di questo luuuuuungo capitolo che è stato un po’ meno d’azione del previsto ma… diciamo che c’erano un po’ di ossi duri da convincere, il nostro Gaetano ha dovuto dare sfoggio di tutta la sua dialettica e capacità di persuasione e inoltre Camilla e Gaetano hanno deciso di fare di testa loro… non riuscivano a starsi lontani, non del tutto, e non potevo non assecondarli ;). La parte puramente d’azione arriverà nel prossimo capitolo, che sarà risolutivo sotto molti aspetti e che non dovrebbe più tardare come questo, dato che ho finito il periodo dei viaggi di lavoro, almeno per un po’.
Per tenervi più aggiornati su a che punto sono con la scrittura, ho deciso che da ora in poi sul mio profilo autore (che al momento è in bianco), posterò regolarmente notizie su a che punto sono nella scrittura e sulla data indicativa in cui penso di poter pubblicare.
Nel prossimo capitolo scopriremo cosa succederà con De Matteis e con Mancini e se si finirà di fronte al questore, cosa accadrà in seguito alla lettera che Camilla ha ricevuto e ci aspettano momenti davvero esplosivi e drammatici, in cui la vera natura di molte persone sarà finalmente rivelata, mentre il finale di questo caso si avvicina sempre di più. Siamo davvero ad un passo ;). Come sempre vi ringrazio tantissimo per i vostri commenti che mi motivano da morire, non vedo l’ora di sapere cosa pensate di questo capitolo e mi scuso ancora tantissimo per la lunga attesa. A presto!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Odi et amo ***


Nota dell’autrice: lo so, lo so, questo non è un ritardo mostruoso, è molto peggio, ma è anche il capitolo più lungo che abbia mai scritto e anche probabilmente il più difficile che abbia mai scritto. Certe scene sono state peggio di un parto, tra scriverle e fare in modo che si incastrassero tra loro. Spero che il capitolo taglia XXXXXXXXXXXXXXXXXXL possa compensare l’attesa. Nella mia mente dovrebbe essere come i fuochi di ferragosto: partire più lento e chiudere col botto ;). Vi lascio alla lettura e vi do appuntamento alle note di fine capitolo.

 
 
Capitolo 41: “Odi et amo”



 
“Mi può spiegare cosa succede? Dove mi sta portando?”
 
“Un attimo di pazienza e le spiegherò tutto, stia tranquilla. E poi le ricordo che sono un vicequestore di polizia, non un delinquente e inoltre, se mai dovessi immaginare di commettere un crimine nei suoi riguardi, mi creda, professoressa Baudino, che il rapimento sarebbe proprio l’ultimo in fondo alla lista, dato che poi mi toccherebbe pure sopportarla,” ribatte con sarcasmo, lanciandole un'occhiata di sbieco che però lei riesce solo a intuire, data la presenza degli occhiali da sole a specchio.
 
“E questo dovrebbe rassicurarmi, dottor De Matteis?” gli domanda con altrettanto sarcasmo, per poi aggiungere con un sopracciglio alzato, “e poi… che fine ha fatto Camilla?”
 
“Mi sta dicendo che vuole che la chiami per nome?” le chiede sorpreso, voltandosi di nuovo verso di lei.
 
“No, le sto dicendo che mi chiedo il motivo di tutta questa sceneggiata: l’abbigliamento, l’auto, gli occhiali da sole, venirmi a prendere sotto casa salutandomi come se fossimo grandi amici… cos’è tutto questo mistero?”
 
“Pensavo che i misteri le piacessero, professoressa, anzi che fossero il suo hobby preferito…”
 
“Dipende, dottor De Matteis, alcuni misteri mi inquietano o mi danno sui nervi e basta,” replica tagliente, fulminandolo con un’altra occhiata, “e la avverto che sta mettendo a dura prova la mia pazienza!”
 
“Lei mette a dura prova la mia pazienza da quando la conosco professoressa, quindi lo consideri come un ricambiare il favore da parte mia,” ribatte con un sorrisetto che le fa venire voglia di prenderlo a schiaffi.
 
“Beh, la cosa è assolutamente reciproca, dottor De Matteis. E comunque meno male che saremmo stati civili, no?”
 
“Ho detto che se ci sforziamo possiamo essere civili. Prima persona plurale, professoressa.”
 
“Benissimo, peccato che sia stato lei ad avere iniziato con le battute e le frecciatine, quindi sia civile prima di tutto lei con me e io lo sarò con lei. E sinceramente credo me lo debba, considerato che è stato lei a trascinarmi fuori da casa senza il minimo preavviso per solo sa il cielo quale motivo!” intima con un’occhiata ancora più dura delle precedenti.
 
“D’accordo, mi sforzerò di contare fino a dieci e tenere a freno la lingua e lei cerchi di fare lo stesso. Anche perché comunque siamo arrivati,” annuncia, parcheggiando nel primo posto disponibile.
 
“Arrivati dove?” domanda, guardando fuori dal finestrino e vedendo solo una serie di tetti di villette, tutte circondate da alte mura e imponenti cancelli. Tutte d’epoca, con più di un secolo alle spalle, alcune ben tenute, altre in decadenza, tutte che parlano di un’antica nobiltà o della vecchia alta borghesia romana.
 
“Venga, forza,” la sollecita, scendendo dalla macchina e, quando lei non accenna a muoversi, aprendole la portiera e ripetendo con decisione, “forza, mi segua: meno stiamo in strada e meglio è.”
 
“Dottor De Matteis, la avverto che mi sta inquietando,” risponde Camilla, lanciandogli un ultimo sguardo dubbioso, prima di decidersi a scendere, “si può sapere dove siamo arrivati? Qui non c’è nientEEEE.”
 
Non può fare a meno di urlare e di fare una smorfia di dolore quando lui, spazientito, le prende il polso, intenzionato a condurla via di lì e in fretta.
 
“Le ho fatto male?” domanda sorpreso, mollando la presa come se si fosse scottato, “mi scusi, non era mia intenzione… ho stretto troppo forte?”
 
“No, no, non è colpa sua,” lo rassicura, stupita dal tono che sembra davvero preoccupato e dispiaciuto, spostando il bracciale etnico di cuoio e perline che le copriva non solo il polso, ma anche il segno livido lasciato dalle dita del padre di Ilenia.
 
“Me ne ero dimenticato… mi dispiace…”  proclama con un tono di voce così basso che è quasi un sussurro, evidentemente in imbarazzo.
 
“Non importa… anzi, se non fosse stato per lei i segni sarebbero ben peggiori…” ammette Camilla con un sospiro, lasciando trasparire la confusione che prova, non solo per il comportamento di De Matteis in quella circostanza, ma anche per quest’improvvisata a dir poco bizzarra e surreale, “però adesso mi può spiegare che succede?”
 
“Tra un attimo… Venga con me e le chiarirò ogni cosa,” le chiede con tono neutro ma che, alle orecchie di Camilla, suona come incredibilmente gentile, rispetto ai modi bruschi a cui lui l’ha abituata.
 
Solleva una mano, la tiene un attimo in aria, come incerto sul da farsi e poi gliela posa sulla spalla destra, sempre in quel modo lento ed esitante, come se lei fosse una belva feroce pronta ad attaccarlo alla gola al minimo movimento brusco.
 
Senza nemmeno guardarla, in un’atmosfera di imbarazzo e incertezza, la conduce rapidamente fino al cancello di una delle villette nei paraggi. Estrae un mazzo di chiavi vecchio e voluminoso ed apre il cancello, che scricchiola vistosamente sui cardini.
 
Non appena hanno varcato la soglia, richiude rapidamente a chiave la cancellata, sotto lo sguardo sempre più dubbioso e allarmato di Camilla.
 
“Cosa sarebbe questo posto?” gli domanda, guardandosi intorno: una villetta d’epoca – probabilmente fine Ottocento – che sembra uscita da un romanzo gotico vittoriano, forse anche perché necessita urgentemente di un restauro completo. Il giardino che la circonda è in evidente stato di disarmo: non ci sono troppe erbacce e grazie al cielo l’erba non è terribilmente alta ma solo un po’ “incolta”, però le due vecchie fontane sono vuote e piene di foglie marce o secche, gli alberi sono soffocati dall’edera, le siepi irregolari come una bocca parzialmente sdentata e il dondolo, il tavolino e le sedie in ferro battuto sono scrostati e mostrano segni di ruggine.
 
Si respira un’aria di opprimente decadenza, tanto che le sembra quasi di essere entrata in una storia della Deledda o di Verga o – peggio – di Poe.
 
“Questa è una delle nostre proprietà qui a Roma, una delle più vecchie e meno frequentate…”
 
“E si vede!” commenta con sarcasmo, alternando lo sguardo tra De Matteis e le vecchie finestre appannate dal tempo, “ma perché mi ha portato qui?”
 
“Perché ho bisogno di parlarle e...” esita, con l’aria di chi ha appena ingoiato un rospo.
 
“E?”

“E devo… devo chiederle un favore,” sospira pronunciando quelle parole come se gli costassero una fatica immane. Perché così è.
 
“Un favore? A me?! Dopo tutto quello che è successo non solo da quando ci siamo conosciuti, ma anche e soprattutto negli ultimi giorni?!” domanda, incredula, guardandolo come se fosse impazzito, aggiungendo poi con sarcasmo, “e comunque non vedo il nesso tra il favore e… diciamo la location. Se lei pensa che portarmi in questa specie di villino da film dell’orrore, dopo avermi fatto uscire da casa di corsa e avermi derisa per metà del tragitto in macchina, mi renda più bendisposta a concederle un favore rispetto al solito, deve decisamente rivedere i suoi metodi persuasivi, dottor De Matteis.”
 
“E lei pensa che per me sia facile dover ammettere che… che ho bisogno del suo aiuto, professoressa? Mi creda quando le dico che è una delle ultime cose che avrei mai voluto fare al mondo, ma proprio delle ultime: preferirei quasi venire a vivere nel villino da film dell’orrore, come lo definisce lei, senza riscaldamento, luce e gas e senza nemmeno una precedente opera di disinfestazione e disinfezione,” ribatte, altrettanto tagliente, indicando il giardino intorno a sé, “se l’ho portata qui è perché praticamente nessuno sa di questa proprietà, a nessuno verrebbe in mente di cercarci qui e-“
 
“E questa spiegazione dovrebbe rassicurarmi?” gli domanda con un sopracciglio alzato, non potendo evitare di pensare che, in fondo, De Matteis alcune delle caratteristiche del serial killer ce le ha eccome: tra la compulsività, l’ossessività e la sua vita da misantropo.
 
“E, come stavo cercando di dirle, vorrei che nessuno venisse a conoscenza di questo incontro o della nostra conversazione, professoressa… ecco il motivo della location… della macchina a noleggio e del mio abbigliamento di oggi,” spiega con un sospiro, avvicinandosi al tavolino, estraendo una delle sedie e accomondandocisi, anche se dopo un attimo di esitazione, dato che non sono esattamente invitanti.
 
“Se con nessuno intende Gaetano, mi dispiace ma non posso farle questa promessa, dottor De Matteis,” risponde Camilla, rimanendo in piedi, fissandolo con le braccia incrociate.
 
“No, il problema non è Berardi: anche se l’idea che lui sappia quello che sto per dirle non mi entusiasma, la conosco professoressa e so che non c’è speranza di riferirle qualcosa senza che il suo principe azzurro, anzi ex principe azzurro, ne venga informato,” ribatte amaro, facendole segno di sedersi, “non voglio che nessuno della mia squadra scopra di questo incontro, professoressa, in particolare… in particolare Mancini. È lui il problema.”
 
“L’ispettore Mancini?! Dottor De Matteis, ammetto che mi sono persa… non era il suo grande alleato? Il suo pupillo? Il suo braccio destro?” domanda, completamente spiazzata, continuando a restare ferma dov’è.
 
“Professoressa, per favore, si sieda. Ammetto che le sedie non sono il massimo della pulizia, ma non la uccideranno di certo. E nemmeno io, se è solo per questo, ho alcuna intenzione, né alcun interesse a farle qualcosa di male,” la esorta con un altro sospiro, indicando nuovamente la seggiola accanto alla sua.
 
“Lo so benissimo che lei non rappresenta un pericolo per la mia incolumità fisica, sicuramente meno di queste sedie,” replica con ironia, cedendo infine alla richiesta, per poi aggiungere con un tono molto più serio e amaro, “ma il male non è soltanto quello fisico, dottor De Matteis, e lei sta facendo del male a me e alle persone a me più care. E sembra che ci goda proprio all’idea di rovinare la vita all’uomo che amo, a Marchese e… e a me, ovviamente.”
 
“Senta, professoressa, a parte il fatto che quello che sta capitando a lei, a Berardi e a Marchese è soltanto e unicamente colpa vostra e che se c’è qualcuno che sta rovinando la vita al suo principe azzurro è proprio lei con questa sua mania per le indagini. O forse è lui che la sta rovinando a lei, permettendole quello che le ha sempre permesso,” sbotta, prima di riuscire a trattenersi, notando come il viso di lei passi dal dolore, al senso di colpa, all’indignazione.
 
“Gaetano non mi sta rovinando la vita! LUI non mi farebbe mai del male, non volontariamente, LUI,” esplode in un misto tra un grido e un sibilo, “e non le permetto di-“
 
“D’accordo, professoressa, d’accordo, mi scusi, ho esagerato,” la blocca, spiazzandola completamente, non sa se più per quelle due parole – mi scusi – così strane pronunciate da lui o se per quella mano posata sulla sua per trattenerla, ma solo per qualche istante, prima di ritrarla bruscamente, in modo quasi impacciato.
 
Non può fare a meno di fare il paragone con Gaetano, con il modo assolutamente tranquillo e spontaneo con cui le aveva appoggiato una mano sulla spalla praticamente pochi secondi dopo che si erano conosciuti, come se fosse la cosa più naturale del mondo… e le era sembrata davvero la cosa più naturale del mondo. Mentre De Matteis pare nutrire un’avversione mista a terrore per qualsiasi forma di contatto fisico, di contatto umano – fatta forse eccezione per il fratello.
 
“Le garantisco che mi impegnerò per tenere a freno la lingua, come le ho già detto, ma non l’ho portata qui per perdere tempo e per farle perdere tempo ad insultarci a vicenda, ma perché… perché anche se odio doverlo ammettere purtroppo lei e Berardi avevate ragione su Mancini…” confessa come se ogni singola parola faticasse ad uscirgli dalla gola, e in effetti così è.
 
“Cosa?” sussurra Camilla a bocca aperta, di nuovo sbalordita: De Matteis che ammette di avere avuto torto su qualcosa? E, soprattutto, che ammette che lei e Gaetano invece avevano ragione? Per un attimo si chiede di nuovo se non stia sognando e trattiene l’impulso di darsi un pizzicotto per convincersi del contrario.
 
“Sì, ha sentito bene, professoressa: avevate ragione. Mancini è un elemento pericoloso e… e capisco, adesso finalmente capisco quello che ha spinto Marchese ad agire come ha agito, alle mie spalle, anche se non mi fa piacere e anche se rimango convinto che abbia sbagliato, che avrebbe dovuto confidarsi con me, perché le garantisco, professoressa, che se l’avesse fatto l’avrei ascoltato e l’avrei aiutato. Ma, in ogni caso, Mancini va rimosso e ho bisogno del vostro aiuto per farlo: immagino… immagino che Berardi stia cercando elementi contro Mancini e forse anche contro di me per il colloquio con il questore. E se è così ho bisogno di sapere cosa avete scoperto, perché voglio darvi una mano, voglio-“
 
“Dottor De Matteis, mi scusi, lei mi vuole far credere che vuole denunciare Mancini di fronte al questore? E magari invece desistere dalla denuncia nei nostri confronti?” gli domanda con un sopracciglio alzato e tono diffidente.
 
“Sì, esatto, io-“
 
“Ma pensa che io sia nata ieri, eh? Pensa sul serio che io scoprirei così le nostre carte, in modo da consentirle magari di smontare la nostra difesa punto per punto col questore?” chiede con tono sempre più sarcastico e incredulo, alzandosi in piedi e scuotendo il capo, “ma per chi mi ha presa? Pensa davvero che basti questa pagliacciata e portarmi qui per confondermi le idee e farmi credere a questa… miracolosa conversione sulla via di Damasco? Capisco che lei non abbia molta stima di me, dottor De Matteis, ma non sono ingenua e manipolabile fino a questo punto!”
 
“Lo so benissimo che lei non è ingenua professoressa e che non è manipolabile, anzi è cocciuta come un mulo!” ribatte esasperato, rimettendosi a sua volta in piedi e posandole questa volta una mano sulla spalla per trattenerla e impedirle di alzarsi, ignorando l’occhiata raggelante che lei gli lancia.
 
“Mi lasci andare!” sibila, divincolandosi fino a che lui molla la presa.
 
“Professoressa, le garantisco che non è mia intenzione trattenerla con la forza o costringerla ad ascoltarmi, anzi, mi creda che questa situazione è… penosa e imbarazzante per me tanto quanto lo è per lei. Le chiedo solo di lasciarmi spiegare, tutto qui, poi è libera di mandarmi a quel paese ed andarsene. Lo so che negli ultimi giorni ci siamo fatti la guerra ancora più del solito, che sono volate parole grosse, non solo da parte mia, e che tra me e lei non corre buon sangue, per non dire di peggio e che io e Berardi non ci sopportiamo proprio, ma, anche se rimango dell’idea che questa sua passione per le indagini sia pericolosa per lei e per gli altri e anche se continuo a non essere d’accordo con il fatto che Berardi l’abbia sempre assecondata e continui ad assecondarla… mi sono reso conto dei motivi per cui avete agito in questo modo, per cui Berardi si è intromesso nelle mie indagini di nascosto e per cui Marchese ha agito alle mie spalle e mi sono reso conto che in fondo stiamo dalla stessa parte, professoressa.”
 
Lei si limita a guardarlo con un sopracciglio alzato, sorpresa da tanta decisione, da tanta veemenza, dato che le uniche occasioni in cui ha visto De Matteis scaldarsi tanto per qualcosa era proprio per insultare lei o Gaetano.
 
“Senta, le chiedo solo qualche minuto del suo tempo, prima inizio a spiegare prima finisco e poi, ripeto, è ovviamente libera di fare quello che meglio crede. Che cos’ha da perdere?”
 
“Non lo so ancora cos’ho da perdere se le do retta, dottor De Matteis, forse nulla, forse tutto, ma… d’accordo, sentiamo, sono proprio curiosa di sapere cosa sarebbe successo nelle ultime ore per provocare un simile cambiamento. Però, se vuole che l’ascolti, dovrà prima fare a meno di questi,” annuncia, sfilandogli gli occhiali da sole a specchio dal naso senza attendere il suo consenso, per poi aggiungere, di fronte al suo sguardo sorpreso, “quando si parla con qualcuno è buona educazione guardarsi negli occhi e non siamo ad una partita di poker, in mezzo alla neve o su una spiaggia assolata.”
 
“D’accordo, d’accordo, come vuole,” concede, strappandole gli occhiali dalle mani quasi come se lei potesse contaminarglieli ed infilandoseli in tasca per poi sedersi nuovamente mentre lei fa lo stesso.
 
“Allora?” lo incita, vedendolo esitare: tanto era deciso prima, tanto è titubante adesso, quasi come se la barriera, la protezione fornitagli dagli occhiali lo aiutasse a parlare.
 
“Allora, nelle ultime ore è successo che ho avuto prova in prima persona che, purtroppo per me e per tutta la polizia di stato, Berardi aveva ragione su Mancini quando lo definiva un bullo. Mancini è un bullo che si fa forte con i deboli e debole con i forti,  ma che non esita un secondo a pugnalarti alle spalle quando gli sei d’intralcio o non gli servi più. E… anche se… anche se detesto doverlo ammettere, sono stato superficiale nel gestirlo, lo devo riconoscere,” proclama in quello che è quasi un sussurro ma che rimbomba nella testa di Camilla quasi più di un urlo, perché sa benissimo quanto debbano essere costate a De Matteis quelle parole.
 
De Matteis, l’uomo che non chiede mai scusa, che non ammette mai di avere torto, l’uomo arrogante che non ha fatto altro che attaccar briga con lei e con le persone che ama di più da quando l’ha rincontrato, l’uomo che stava o sta per distruggere loro la vita, ora è qui davanti a lei con il capo cosparso di cenere, a fare mea culpa. È una situazione talmente inconcepibile da risultare quasi onirica e allo stesso tempo c’è qualcosa nel modo in cui De Matteis pronuncia quelle parole, negli occhi bassi e che ogni tanto si sollevano a incrociare i suoi, che le fa percepire in maniera netta ed istintiva che lui è sincero, ancora prima che inizi realmente a spiegarsi.
 
“Ho preso sottogamba gli atteggiamenti autoritari di Mancini, il suo amore per la disciplina. Sa, anche io… anche io sono dell’idea che la disciplina sia fondamentale nel nostro mestiere, che il rispetto dei ruoli e delle regole sia fondamentale. Non sono un amicone come Berardi o come Torre, non penso che possa venire nulla di buono dal diventare i migliori amici dei propri sottoposti, credo invece che sia necessario mantenere le distanze, soprattutto coi più giovani, abituarli a quanto è duro questo mestiere e che se… se non reggono, se non hanno la stoffa, è meglio che se ne accorgano subito, finché sono in tempo a fare qualcos’altro. E ho sempre interpretato così il comportamento di Mancini, come un modo di fare forse un po’ vecchio stampo, come il mio, ma nulla di più. Notavo l’atteggiamento particolarmente duro che aveva con Marchese ma… diciamo che gli inizi di Marchese in polizia non sono stati certo dei più brillanti. Parliamoci chiaro, professoressa: lo sa meglio di me che Marchese non è certo un genio dell’investigazione, che non ha particolari doti né di osservazione, né intellettive, né fisiche. È un bravo ragazzo, per la carità, ma come ce ne sono tanti. E molto spesso ho avuto la sensazione che questo lavoro fosse un ripiego per lui, che non avesse passione per questo mestiere e sapevo che Mancini lo aveva avuto come allievo e pensavo che forse anche lui percepisse questo da Marchese, che lo volesse spronare o… diciamo spingerlo a cambiare lavoro, se non era questa la strada giusta per lui.”
 
“Sì, ma tra spronare e maltrattare c’è una bella differenza, dottor De Matteis ed essere vessati continuamente sul lavoro metterebbe a dura prova anche la persona più appassionata del mondo,” gli fa notare Camilla con un sopracciglio alzato.
 
“Lo so, ma… quando c’ero anche io Mancini non è mai arrivato alla… alla vessazione, era severo ma nulla di più. E le garantisco che non sapevo nulla di questa specie di soap opera tra Mancini e Marchese, che la moglie di Mancini fosse la ex di Marchese, l’ho scoperto solo pochi giorni fa. E le assicuro che se Marchese si fosse confidato con me non gli avrei certo negato il mio aiuto, avrei indagato su Mancini e avrei preso i necessari provvedimenti.”
 
“Ma lei pensa che per Marchese fosse facile venirle a parlare, sapendo oltretutto che lei era in ottimi rapporti con Mancini? Le lascio immaginare quanti casi di bullismo ho dovuto affrontare nella mia carriera e se avessi dovuto aspettare che la vittima denunciasse, ne avrei scoperti forse uno o due. È chi è in una posizione superiore che deve mantenere gli occhi aperti, dottor De Matteis, sempre, e imparare a riconoscere i segnali.”
 
“Lo so, lo so, ma… maledizione, professoressa, cosa vuole che le dica, eh? Questo è il mio primo ruolo di comando, il primo in cui ho la massima discrezionalità di operato da quando sono stato nominato vicequestore, ed è il primo caso di questo tipo con cui ho a che fare: prima c’era sempre qualcuno sopra di me che se ne occupava. A lei non è mai capitato di sbagliare? Di non accorgersi? Di ignorare i segnali? Specialmente durante i suoi primi anni di insegnamento?” le domanda guardandola negli occhi e Camilla è colpita dalla vulnerabilità, dall’umanità che per la prima volta scorge in lui, in questa inattesa ammissione di inesperienza.
 
Sarà il contesto o l’abbigliamento, ma improvvisamente De Matteis dimostra l’età che ha e anche se non è certo più un ragazzino, anche se alla sua età Gaetano, Camilla lo ricorda bene, sembrava un veterano al suo confronto, ciò non toglie nulla alla verità di quelle parole. Gliel’aveva detto anche Torre, descrivendole “il nuovo capo”, la prima volta che conobbe De Matteis: era il suo primo incarico davvero importante, aveva poca esperienza. E anche se era passato qualche anno, sempre poca rimaneva, pochi i sottoposti passati sotto di lui, poche le problematiche personali da gestire.
 
“Certo che ho sbagliato e certo che mi sono sfuggiti dei casi e che mi continuano e mi continueranno sicuramente a sfuggire, solo che ovviamente non lo potrò mai sapere con certezza,” ammette Camilla con tono più conciliante, per poi aggiungere, per stemperare l’imbarazzo, “d’accordo, senta… posso sapere cosa le ha fatto aprire gli occhi su Mancini?”
 
“Ieri l’ho convocato nel mio ufficio per annunciargli che… che ci avevo riflettuto e avevo deciso di non procedere con la denuncia al questore per tutta questa storia. Che avevo intenzione di prendere un provvedimento disciplinare nei confronti di Marchese e ritirare la mia raccomandazione per una sua promozione ma nulla di più,” inizia a spiegare, mentre Camilla spalanca la bocca, nuovamente stupita.
 
Sapeva che De Matteis teneva molto a suo fratello ma non pensava davvero che si sarebbe lasciato convincere da Marco, visto come sembrava agguerrito nei loro confronti.
 
“La vedo sorpresa, professoressa, vuole sapere il motivo per cui ho cambiato idea?”
 
“No… sì… cioè… devo ammettere che ultimamente mi è molto difficile capirla, dottor De Matteis, non che mi sia mai stato facile…”
 
“Potrei dire lo stesso di lei, professoressa e non solo di lei. Perché fatico anche a capire mio fratello sinceramente: se ci fossi stato io al suo posto, ce l’avrei a morte con lei, professoressa, le starei il più alla larga possibile e non vorrei mai più vederla nemmeno in fotografia. Ma mio fratello non è come me, per sua fortuna e per sfortuna di lui e… come ha saputo delle mie intenzioni di denunciarvi è arrivato a minacciarmi di autodenunciare il suo coinvolgimento in questa storia al questore, rischiando grane legali, rovinando la sua reputazione  e anche la mia. Perché le lascio immaginare cosa penserà il questore di me sapendo che perfino mio fratello non mi ritiene in grado di svolgere il mio lavoro senza – chiamiamoli contributi esterni,” commenta amaro, mentre lei abbassa lo sguardo, “ma non la vedo affatto sorpresa, professoressa. Lo sapeva già, non è vero?”
 
“Suo fratello me l’aveva detto, sì,” ammette, preparandosi ad un’esplosione, considerato che lui le aveva intimato di stare lontana da Marco.
 
“Ovviamente: mio fratello non poteva evitare di correre a farsi bello di fronte a lei,” sospira De Matteis con un tono fatalista che la spiazza nuovamente.
 
“Non è andata così, dottor De Matteis… ma comunque le garantisco che so bene di non meritarmi affatto queste… premure da parte di suo fratello. E devo ammettere che invece la sua decisione mi ha davvero sorpreso: non pensavo cambiasse idea in ogni caso… nemmeno per suo fratello.”
 
“Non ho cambiato idea solo per il bene di mio fratello o per cercare di salvarmi la faccia, professoressa. La verità è che… l’altro giorno ero furioso e ho agito… ammetto di avere agito d’istinto e in modo sproporzionato rispetto a ciò che era realmente successo e l’ultimatum di mio fratello mi ha dato modo di riflettere. E per quanto, le ripeto, non sono d’accordo con quello che avete fatto, devo riconoscere che in fondo non  è poi molto diverso da quello che è già successo qualche anno fa. E se ho chiuso un occhio sulle sue intromissioni in passato, sarebbe stato… diciamo ipocrita da parte mia denunciarla adesso, professoressa, nonostante a mio avviso il coinvolgimento di Berardi abbia aggravato la situazione, ma non a tal punto da dover andare davanti al questore a chiedere la testa sua e di Marchese. E la reazione di Mancini mi ha confermato di avere preso la decisione migliore e che, anzi, Marchese aveva effettivamente tutte le attenuanti. E che, probabilmente, anche voi avevate avuto delle attenuanti, sia per il comportamento di Mancini, sia per il mio. Lo so che il mio atteggiamento nei confronti suoi e di Berardi non è stato dei migliori da quando ci siamo rivisti, professoressa, ma diciamo che, considerati gli attriti pregressi fra di noi, il modo in cui è andata a finire la storia con mio fratello e… il fatto che il suo nuovo compagno fosse proprio Berardi e ciò che questo comportava per le mie indagini – cioè praticamente la certezza matematica di intromissioni da parte vostra –,  credo che anche io abbia avuto le mie attenuanti, no?”
 
“Non è stato dei migliori?!” domanda, scoppiando in una risata sarcastica, “dottor De Matteis, io le posso anche riconoscere tutte le attenuanti per quanto mi riguarda: è vero, non siamo mai andati d’accordo, è vero, mi sono comportata malissimo con suo fratello, tutto giustissimo. Ma mia madre e Gaetano cosa c’entravano? Lei ha iniziato ad insultarli a maltrattarli e a minacciarli praticamente fin da subito. Vogliamo dire che mia madre non ha un carattere facile? Ok, diciamolo pure, ma lei le era piombato in casa e non ha avuto alcun riguardo nel trovarsi di fronte una donna ultrasettantenne e non di certo Al Capone. E vogliamo parlare di Gaetano che invece è una delle persone più gentili ed educate che io conosca? E no, non lo dico perché sono di parte ma perché è la verità: del resto è stato proprio lei a definirlo, anche se in maniera derisoria, un principe azzurro, no?”
 
“Berardi sarà pure gentile ed educato e principesco con il resto del mondo ma decisamente non lo è stato con me e-“
 
“E se non lo è stato è perché è stato lei per primo a fare battute e frecciatine per nulla velate, a mettere in dubbio la sua intelligenza, la sua abilità di fare il suo lavoro e soprattutto perché ha iniziato ad insultarmi davanti a lui. E che cosa doveva fare Gaetano secondo lei? Darle un premio? Se domani le si presentasse uno sconosciuto in casa e iniziasse ad insultare lei e suo fratello, lei come lo tratterebbe? Lo accoglierebbe a braccia aperte?”
 
“D’accordo, ha ragione, ho esagerato e ho… diciamo che ho proiettato anche su Berardi e su sua madre i problemi che ci sono sempre stati tra noi due e quello che è successo tra lei e mio fratello e… e  me ne scuso,” pronuncia a fatica, dopo un secondo di pausa ma guardandola negli occhi.
 
“D’accordo… diciamo che… diciamo che accetto le sue scuse,” proclama a sua volta dopo un attimo di silenzio, lasciando cadere il discorso perché, per qualche strana ragione, discutere di lei e di Marco con suo fratello è per lei molto più difficile ed imbarazzante che farlo con Marco stesso. E confrontarsi apertamente sul rapporto che c’è tra loro, su quel rapporto che fin dall’inizio è stato conflittuale, complicatissimo e snervante è come rompere un tabù, come toccare un nervo scoperto. La verità è che non si sente in grado di farlo, sente di non avere gli strumenti per capire fino in fondo le origini di tutta questa ostilità tra di loro e soprattutto di non avere gli strumenti per capire De Matteis e che probabilmente mai li avrà.
 
“Come ha reagito Mancini a questo suo... ripensamento?” domanda poi per cambiare argomento e tornare al motivo per cui si trovano lì.
 
“Si è trasformato completamente: fino a due minuti prima era un agnellino ossequioso e improvvisamente ha iniziato a minacciarmi e ad insultarmi con un tono strafottente. Si rende conto? Mi ha minacciato, professoressa, ha osato minacciarmi che se non fossi andato io dal questore ci sarebbe andato lui con la copia del filmato e che avrebbe denunciato anche me per complicità. Mancini sa che lei è stata sul  punto di diventare mia cognata, professoressa e… beh, le lascio immaginare che scenario dipingerà al questore…”
 
“Già…” annuisce Camilla, in fondo per nulla sorpresa nello scoprire questo nuovo e per nulla edificante lato di Mancini, “e quindi lei vuole denunciare a sua volta Mancini al questore? Ma questo non gli impedirebbe di attuare le sue minacce: lei ci andrebbe di mezzo comunque e anche noi.”
 
“Lo so professoressa, lo so, ma gli farebbe perdere di credibilità, fornirebbe delle attenuanti a voi e a me e soprattutto… voglio fermarlo, professoressa, devo fermarlo prima che provochi altri danni altrove! Se per salvarmi la faccia consentissi a Mancini di passarla liscia, se cedessi al suo ricatto, io non… non potrei più fare questo mestiere,” spiega mantenendo lo sguardo nel suo senza esitazioni, “lo so che lei non ha una grande opinione di me come poliziotto, professoressa, anzi, che non ha proprio una grande opinione di me in generale, ma se ho deciso di entrare in polizia è perché ci credo, altrimenti avrei potuto vivere di rendita e darmi alla bella vita come mio fratello, con tutto il rispetto per lui e per il suo – chiamiamolo spirito imprenditoriale.”
 
“Se posso essere del tutto sincera con lei, ho sempre pensato che ciò che l’aveva spinta ad entrare in polizia fossero soprattutto il suo amore per l’ordine, la disciplina e per… diciamo per il comando, dottor De Matteis,” ammette Camilla, stupita dalle parole di lui e dalla piega che ha preso questa discussione tra di loro, ma non in modo spiacevole.
 
“Professoressa, le garantisco che quando sei uno dei due eredi di una delle famiglie più vecchie e ricche di Roma, esistono mille modi infinitamente meno faticosi, meno complicati e soprattutto infinitamente più prestigiosi e più remunerativi per provare l’ebbrezza del comando e del potere che entrare in polizia, anche se diventi il capo della squadra omicidi della capitale.”
 
La verità di quelle parole la colpisce: non aveva mai provato a mettersi nei panni di De Matteis ma, ora che lo fa, si rende conto che ha ragione. Ben pochi con il background e le ricchezze di De Matteis avrebbero fatto la sua scelta di vita.
 
“Devo riconoscere che non ha tutti i torti, dottor De Matteis,” ammette infine, guardandolo negli occhi.
 
“Quindi mi crede? E mi aiuterà?” le domanda, sostenendo il suo sguardo.
 
“Sì… forse me ne pentirò ma le credo, ma solo fino a prova contraria. E la aiuterò se lei ci aiuterà a sua volta, dottor De Matteis. Ma a una condizione: se dobbiamo elaborare una strategia, un piano di azione, voglio prima che ci siano anche Gaetano e Marchese presenti. Questa… questa storia riguarda soprattutto loro e il loro futuro e non posso decidere da sola, senza la loro approvazione,” risponde, con un tono che gli fa chiaramente capire che è una conditio sine qua non.
 
“E lei pensa sul serio che sia una buona idea? Trovarsi tutti insieme in una stanza? Ha visto anche lei che io e Berardi fatichiamo a stare anche solo un minuto senza alzare i toni, soprattutto se c’è lei presente,” le fa notare De Matteis con un sospiro.
 
“Beh, credo che non ci sia alternativa e comunque Gaetano e Marchese sono due persone ragionevoli e intelligenti e… basta che lei si spieghi e si scusi con loro come ha fatto con me e sono sicura che capiranno. In fondo anche noi due di solito non abbiamo un rapporto esattamente idilliaco, dottor De Matteis, eppure stiamo parlando ormai da parecchi minuti tranquillamente…” risponde con un mezzo sorriso e un sopracciglio alzato.
 
“Già… in effetti è strano…” concorda, scuotendo il capo.
 
“Per non dire quasi inquietante, forse anche più della location,” ribatte ironica, guardandosi intorno.
 
“Sì… e… e devo ammettere che in fondo non è poi così male,” commenta, aggiungendo poi con un certo imbarazzo, avendo notando la sorpresa negli occhi di lei, “riuscire a parlarci civilmente, intendo.”
 
“Ah, ecco, meno male che l’ha precisato, altrimenti avrei potuto cominciare a montarmi la testa dopo un simile complimento,” replica con sarcasmo, anche se il mezzo sorriso diventa quasi un sorriso intero, “e comunque concordo, dottor De Matteis: in fondo non è poi così male. E ora, se non le spiace vado a telefonare agli altri congiurati per convocarli in questo… rigoglioso giardino.”
 
E, senza attendere risposta, si allontana per interrompere la registrazione, ripristinare la connettività del cellulare, che aveva messo in modalità “aereo” proprio per evitare che squillasse mentre stava registrando. Compone a memoria il numero di Gaetano, preparandosi mentalmente a quello che la aspetta e sperando di non doversi pentire della sua decisione.
 
***************************************************************************************
 
“Buongiorno, commissario! Ma che bella sorpresa: cosa ci fa qui? Credevo fosse tornato a Torino!”
 
“Buongiorno Rosetta,” risponde Gaetano con un sospiro: l’ultima cosa di cui aveva bisogno stamattina era trovarsi di fronte quella pettegola della portiera a sbarrargli la strada.
 
“Sa se Camilla è in casa?” le domanda poi, ignorando del tutto la sua domanda, avendo ormai imparato a conoscere la donna e sapendo benissimo che sarebbe stata solo la prima di molte.
 
“Ma perché lo chiede a me? Non può chiamarla al telefono o, meglio suonare direttamente il campanello?” chiede la donna di rimando con un tono fintamente innocente ma uno sguardo che gli lascia intuire che la portiera ha ben chiaro in mente perché lui preferisce di gran lunga non doverlo suonare quel campanello.
 
Il problema in realtà non è solo Andreina, anche se l’idea di affrontare un terzo grado dalla “Lady di Ferro” non gli fa fare esattamente i salti di gioia, ricordando benissimo come l’anziana tratta Renzo. No, quello che gli fa più paura e che gli farebbe più male sarebbe leggere di nuovo la delusione, o peggio, l’odio negli occhi azzurri di Livietta.
 
“Ho provato a chiamare Camilla ma ha il cellulare staccato e a casa della signora Andreina non risponde nessuno, quindi mi sono preoccupato,” chiarisce con un sospiro, capendo che fornirle almeno qualche innocua spiegazione è l’unico modo per convincerla a collaborare o almeno a levarsi di torno, “per favore Rosetta, mi può dire se ha visto Camilla questa mattina?”
 
“Guardi che io mi faccio i fatti miei, non sto di certo a spiare gli inquilini,” ribatte lei con tono indignato, sollevando gli occhi al cielo, per poi guardarlo in un modo che gli fa intuire che in realtà Rosetta non solo sa benissimo dov’è Camilla, ma che muore dalla voglia di dirglielo.
 
“Ma so anche che è una portiera solerte e precisa, Rosetta,” la incita con tono più conciliante.
 
“E va bene! Sì, ora che ci penso ho visto la professoressa Baudino. Sa, stavo uscendo anche io per fare un po’ di spesa e non ho proprio potuto fare a meno di notarla,” commenta con un mezzo sorriso che non gli piace per nulla.
 
“Come mai? Le è sembrata strana? Andava di fretta? Ha notato qualcosa di insolito?”
 
“Non direi proprio qualcosa… ma qualcuno di insolito sì. E, beh, in effetti sembravano avere una certa fretta,” proclama con sorriso e tono sarcastico.
 
“Qualcuno di insolito? Chi?”
 
“Ah, non lo conosco, purtroppo per me, anche se mi piacerebbe. Perché era un bel pezzo di figliolo, anzi, direi proprio un gran figo, se mi consente l’espressione,” commenta con un’aria tra il divertito e il malizioso.
 
“Ma un ragazzo, quindi? Giovane?” chiede, stupito, domandandosi per un attimo se non possa trattarsi di un agente in borghese o magari di Marchese. Anche se, a suo avviso, il povero Marchese non è esattamente quello che si potrebbe definire un gran figo.
 
“No, beh, non un ragazzo, un uomo: non vecchio ma già brizzolato, ma quel brizzolato che fa fascino e poi con un gran bel fisico, alto, sportivo, occhiali da sole. Un po’ tipo Richard Gere ai tempi d’oro,” spiega con un tono ed uno sguardo sognante che gli provocano una sensazione di costrizione nel petto che cerca di soffocare sul nascere.
 
“Ma Camilla com’era? Cioè, a parte la fretta, le sembrava tranquilla, normale o era invece a disagio?”
 
“Guardi, a me sembrava che fosse perfettamente a suo agio, anzi che stesse molto meglio di me e di lei messi insieme!” commenta con una risata che lo fa decisamente innervosire.
 
“Ma quindi erano in rapporti… diciamo amichevoli?” chiede con tutta la nonchalance di cui è capace.
 
“Direi molto amichevoli. Doveva vedere come l’ha salutata lui, quasi si sbracciava! Se posso parlare chiaro ed essere del tutto sincera, commissario, diciamo che, se non sapessi che è impossibile, dato che lei e la professoressa siete felicemente fidanzati, beh, avrei proprio detto che si trattava di un appuntamento galante in piena regola. Magari di una bella gita fuori porta, sa, con questo clima estivo,” insinua con un sorriso mellifluo e una faccia da schiaffi, assestandogli l’ennesima stoccata al cuore.
 
E adesso chi è questo Richard Gere dei poveri? E, soprattutto, che vuole da Camilla? Non bastava già baffetto d’oro bohèmien?
 
Una colata d’acido gli invade lo stomaco mentre sente che il demone della gelosia inizia ad agitarsi e a protestare ma, di nuovo, la sua parte razionale interviene per cercare di tranquillizzarlo. In fondo lui e Camilla si erano lasciati da due giorni e ieri c’era già stato un piccolo ma importante riavvicinamento. E l’aveva sentita la sera prima e poi... Camilla non era tipo da avventure in generale e soprattutto non era di certo così irresponsabile da andare alla ricerca di avventure proprio con tutto quello che incombeva sulle loro teste.
 
“Dottor Berardi!” una voce alle sue spalle interrompe infine la lotta interiore tra il demone della gelosia e la voce della razionalità.
 
“Sammy? Cosa ci fai qui?” domanda stupito, vedendola uscire dal portoncino d’ingresso del condominio vestita di tutto punto, probabilmente per andare in studio o in tribunale.
 
“La professoressa non gliel’ha detto? Dopo quello che è successo con mio… con Pietro, lei e sua madre mi hanno offerto asilo qui per qualche giorno, fino a che non trovo una nuova sistemazione,” chiarisce con un sorriso che contrasta con il tono malinconico, “e lei invece? Cosa ci fa qui? Se è venuto a cercare la prof., non è in casa.”
 
“È che ho provato a chiamarla ma ha il telefono staccato, qui non risponde nessuno e mi sono preoccupato.”
 
“Eh, sì, è che Livietta e la signora Andreina sono uscite a fare un paio di commissioni ed io ero sotto la doccia e poi con il phon acceso e devo non aver sentito il telefono.”
 
“E Amedeo?” non può fare a meno di chiedere: deformazione professionale.
 
“Beh, vede…” esita, incamminandosi con lui in modo da allontanarsi il più possibile dall’udito finissimo di Rosetta, “Il signor Amedeo ha preso e se ne è andato ieri e non so se e quando tornerà. Ma forse è meglio che ne parli direttamente con la prof.”
 
“Che situazione…” sospira, immaginando come questo sia l’ennesimo problema da affrontare per Camilla, in un periodo già complicatissimo, “va beh… senti, sai dov’è Camilla? E soprattutto con chi è? A detta della portiera è uscita di corsa con una specie di sosia di Richard Gere…”
 
“Sosia di Richard Gere? Mi sa che Rosetta ha fatto colazione con un caffè molto, ma molto corretto, perché, a quello che so, la prof. è dovuta uscire all’improvviso perché ha ricevuto una telefonata da De Matteis che aveva bisogno di parlarle. E per qualche motivo è venuto a prenderla qui invece che convocarla in questura.”
 
“De Matteis? Sei sicura?” domanda, non sapendo se sentirsi più sollevato o più inquietato alla scoperta di chi sia questo fantomatico accompagnatore e avendo la conferma che evidentemente Rosetta sapeva benissimo che c’erano problemi tra lui e Camilla e aveva deciso di divertirsi un po’ a sue spese, ricamandoci sopra a questa storia dell’appuntamento.
 
“Sì, certo, sono sicura, l’ho sentito con le mie orecchie,” conferma Sammy con un sorriso.
 
Proprio in quel momento squilla il telefono: Camilla.
 
“Pronto, Camilla! Dove sei? Sarà un’ora che provo a chiamarti, cominciavo a preoccuparmi… Cosa? Sei con De Matteis? E dove? Cosa?? Vuoi che venga lì? Ma stai bene, ci sono problemi?” domanda preoccupato, mentre Sammy lo guarda altrettanto preoccupata, “De Matteis mi deve parlare? Ah, deve parlare con me e con Marchese? Ma che sta succedendo, Camilla? No, no, non ho altri impegni, d’accordo, dammi l’indirizzo e arrivo subito. Aspetta un secondo che prendo qualcosa da scrivere. Sammy hai un foglio di carta, per caso? Sì, Camilla, c’è qui anche Sammy e-“
 
“Io le do il foglio di carta se lei mi passa la prof., non so il motivo di questa riunione ma voglio esserci anche io, penso sia un mio diritto dato che c’è anche la mia vita di mezzo!” proclama Sammy incrociando le braccia sul petto.
 
“Sammy, non so se sia una buona idea… hai presente com’è De Matteis e non credo sia una visita di cortesia…” protesta Gaetano, sentendo che questa giornata sta decisamente prendendo una brutta piega e intuendo subito dall’occhiataccia che gli lancia Sammy e dal modo in cui non indietreggia di un millimetro, anzi, si proietta in avanti con il busto, che le speranze di farla desistere sono minime..
 
Che cosa vorrà adesso De Matteis? L’ora della verità davanti al questore si avvicina ed il peggio è che lui non ha ancora uno straccio di elemento contro l’altro vicequestore, salvo qualche statistica che dimostra chiaramente un peggioramento nelle performance della squadra omicidi da quando c’è lui al comando e, soprattutto, da quando è arrivato anche Mancini. Ma non è molto, anzi è poco più di niente.
 
***************************************************************************************
 
“… E quindi Mancini deve essere fermato, ma mi serve il vostro aiuto per farlo e spero che accettiate di collaborare con me…” conclude De Matteis dopo una lunga arringa accolta soltanto dal più assoluto silenzio e da occhiate che sarebbe riduttivo definire sospettose.
 
Gaetano, Sammy e Marchese si guardano con l’aria di chi ha appena ascoltato lo scemo del villaggio raccontare di essere stato rapito dagli alieni o di chi è appena stato fermato da un piazzista fastidioso che sta tendando di sbolognare un set di vetuste enciclopedie, pagabili in duecento comode rate.
 
Subito dopo rivolgono lo sguardo a Camilla ed è evidente la domanda non espressa: lei sul serio ci crede a quanto ha appena detto De Matteis? Perché ha accettato di farli andare lì a perdere tempo?
 
“E secondo lei, dottor De Matteis, noi dovremmo crederle e accettare di collaborare con lei dopo tutte le gentilezze che ci ha fatto negli ultimi giorni? Dopo il modo in cui ci ha trattato?” rompe infine il silenzio Gaetano, con un tono più che tagliente, “per la carità, sono più che d’accordo con lei sul fatto che Mancini vada fermato e che sia fuori controllo ormai, ma… chi ci dice che questa non sia solo un suo modo per raccogliere informazioni per distruggere ogni possibilità di difesa da parte nostra o, peggio, una trappola da parte sua per spingerci a commettere azioni compromettenti nei confronti di Mancini e poi riferirle al questore?”
 
“Il fatto che anche io commetterei azioni compromettenti, dottor Berardi, il fatto che sono venuto proprio da voi ad ammettere di avere avuto torto e a scusarmi e le garantisco che avrei preferito quasi qualsiasi altro scenario a questo e soprattutto il fatto che non solo non avete niente da perdere e tutto da guadagnare, vista la situazione in cui vi trovate, anzi, in cui ci troviamo, ma che abbiamo lo stesso obiettivo,” risponde con un tono deciso ma non arrogante che sorprende i presenti ma che Marchese ricorda di avere sentito in un’altra occasione: quando quel ragazzo aveva preso come ostaggi la prof., Mazzeo e alcuni studenti a scuola e De Matteis, dopo aver chiesto chi di loro fosse disponibile ad andare in prima linea, aveva deciso di andarci lui stesso.

Era stato uno dei rari momenti in cui Marchese si era sentito orgoglioso di fare parte della stessa squadra di De Matteis, uno dei rari momenti in cui aveva davvero ammirato il vicequestore. Momenti che poi venivano regolarmente sepolti sotto il caratteraccio, la freddezza e la presunzione di De Matteis.
 
“Dottor Berardi, io e lei la vediamo diversamente su quasi tutto, abbiamo idee diametralmente opposte su cosa voglia dire comandare una squadra, probabilmente non solo non saremo mai amici ma diciamo pure che continueremo a non sopportarci, ma ora, per una volta, vogliamo esattamente la stessa cosa: evitare che Mancini faccia altri danni e soprattutto evitare di rovinare la vita e la carriera di diverse persone, noi due compresi. Credo che questo venga prima di tutto, sia per me che per lei,” ribadisce De Matteis, guardando l’altro uomo negli occhi.
 
“Sicuramente viene prima di tutto, dottor De Matteis, ma qui non si tratta per l’appunto solo della mia carriera, ma anche della carriera di Marchese e di tutti gli uomini che adesso e in futuro si troveranno sotto al suo comando. Che si aspettano di essere guidati da lei, che vedono in lei un esempio da seguire, un modello a cui aspirare e che si fidano di lei, devono fidarsi di lei nel momento in cui dà loro ordini da cui possono letteralmente dipendere la loro vita e la loro incolumità. E non credo bastino due scuse tardive, fatte solo perché l’agnello si è rivelato essere un lupo di fronte a lei. Se Mancini non avesse perso il controllo e non l’avesse ricattata, lei sarebbe ancora convinto di essere dalla parte della ragione. Che cosa succederà ai suoi uomini quando arriverà il prossimo Mancini in una squadra guidata da lei? E arriverà, glielo garantisco per esperienza.”
 
De Matteis incassa il colpo e rimane per un attimo spiazzato, in silenzio.
 
“Le assicuro che questa vicenda mi ha fatto aprire gli occhi, Berardi, e che starò molto più attento in futuro e farò di tutto perché una situazione del genere non si ripeta. Io non sono come lei, Berardi e non lo sarò mai, ho un carattere diverso dal suo e non sarò mai amico dei miei uomini. Sarei ipocrita e finto se mi sforzassi e fingessi di esserlo. Ma questo non significa che desidero che i miei uomini siano maltrattati o che subiscano soprusi sul lavoro. Ammetto di avere sbagliato, a lei non è mai successo? Soprattutto nei suoi primi incarichi? Non le è mai capitato di non gestire correttamente delle persone?” domanda, facendo eco al quesito che aveva posto anche a Camilla poco tempo prima.
 
“È capitato, sì, l’importante è riconoscerlo e cercare di imparare dai propri errori…” ammette Gaetano, ripensando al suo primo incarico nella omicidi di Roma.
 
“E voglio scusarmi anche e soprattutto con te, Marchese: ho sbagliato con Mancini e con te, come tu del resto hai sbagliato a non confidarti con me, perché ti avrei aiutato, se me ne avessi dato l’opportunità. Ma spero che possiamo voltare pagina da oggi e aprire un nuovo capitolo in cui cercheremo di ricostruire quella fiducia che evidentemente è andata persa da parte di entrambi.”
 
“Per me va bene dottore, se lei me ne darà l’opportunità le dimostrerò che la fiducia che aveva avuto in me era stata ben riposta, che posso essere un ottimo poliziotto e che questo mestiere mi piace davvero, che è il mestiere che ho scelto e che voglio fare,” risponde Marchese, ricordando le parole di De Matteis del giorno prima, quel dubitare della sua passione, della sua motivazione.
 
Era vero, in certi momenti Marchese si era ritrovato a chiedersi se avesse fatto la scelta giusta, aveva provato ad inseguire altri sogni, come quello di diventare uno scrittore, ma la prospettiva di perdere tutto gli aveva fatto capire quanto tenesse realmente al suo ruolo in polizia, a quanto non fosse solo un modo per tirare alla fine del mese, ma molto, ma molto di più.
 
“Camilla, tu che ne pensi?” chiede poi Gaetano, guardandola negli occhi e Camilla sa benissimo che cosa le sta chiedendo: possiamo fidarci?
 
“Io gli credo Gaetano, se non gli avessi creduto non vi avrei fatto venire qui. Penso che per una volta siamo tutti dalla stessa parte e che sarebbe stupido a questo punto continuare a farci la guerra tra noi,” risponde sinceramente, ricambiando lo sguardo, “piuttosto mi chiedo cosa ne pensi tu, Sammy: Mancini è pur sempre tuo marito e, anche se penso sia giusto che tu sia qui oggi e che tu sappia che cosa pensiamo di fare, mi chiedo se forse non sia meglio che tu eviti… insomma che eviti di essere coinvolta direttamente in tutto questo.”
 
“Prof., io SONO già coinvolta in tutto questo ed è proprio Pietro che ha fatto sì che fossi coinvolta quando ha deciso di denunciarci tutti per una stupida rappresaglia nei miei confronti. Lui non ha avuto alcun riguardo verso di me, alcun rimorso e quindi non vedo perché dovrei avere sensi di colpa nel fare ciò che in ogni caso riterrei giusto fare se al posto di Pietro ci fosse qualcun altro. Quindi non fatevi problemi per me, anzi, contate su di me per qualsiasi cosa.”
 
È evidente a tutti dal tono e dallo sguardo di Sammy che la ragazza non cambierà idea.
 
“Va bene, dottor De Matteis, visto che siamo tutti d’accordo a questo punto direi che non ci resta che elaborare un piano. Però la avverto: se tradirà la nostra fiducia per cercare di nuovo di fare del male a uno di noi o alle persone a noi care, le garantisco che se ne pentirà amaramente,” intima Gaetano, fissandolo come a voler scrutare ogni minima esitazione, ogni minimo segnale di paura.
 
“Più che giusto, Berardi, ma le garantisco che non ce ne sarà bisogno,” replica De Matteis, deciso e tranquillo come era stato fin dall’inizio di quel chiarimento tra loro.
 
“Bene, allora non perdiamo altro tempo,” interviene Camilla, tirando le fila del discorso, “da dove partiamo?
 
“Direi che dovremmo avere due obiettivi: trovare più prove possibili del comportamento scorretto di Mancini da portare di fronte al questore e nel frattempo cercare di difenderci dalle accuse che Mancini ci rivolgerà mostrando il famoso filmato,” ribatte Gaetano, mentre De Matteis annuisce.
 
“Beh, scusatemi, se adesso il dottor De Matteis è d’accordo con noi, forse la cosa più semplice da fare per risolvere questa situazione sarebbe dire al questore che lui stesso ci ha autorizzati ad indagare, no?” domanda Sammy, prendendo posto su una delle scomodissime sedie mentre gli altri fanno lo stesso.
 
“No, ci ho già pensato anche io dottoressa, ma purtroppo non è possibile,” risponde De Matteis con un sospiro, “vede, dal filmato risulta chiaramente che io non ne sapevo nulla di tutto questo e poi in ogni caso io avrei potuto autorizzare Marchese a parlare con il dottor Berardi ma né io né loro potevano essere in alcun modo autorizzati a coinvolgere lei e la professoressa, soprattutto non a rivelarvi ogni singolo dettaglio del caso Scortichini. E, sempre da questa registrazione, è evidente che ne sapete quasi di più voi che la polizia.”
 
“Direi che forse allora è il caso di partire proprio da questo filmato vedendolo per intero e capire cosa possiamo fare. Ne ha una copia, dottor De Matteis?”
 
“Sì, professoressa e mi sembra una buona idea anche se, lo vedrà anche lei, temo che questo filmato sia una prova schiacciante ed inconfutabile…” proclama De Matteis estraendo il cellulare dalla tasca e facendo partire il video.
 
Nel silenzio più assoluto assistono a tutta la ripresa: dal loro incontro al bar fino al colloquio con i punkabbestia.
 
“Decisamente non vedo appigli: è tutto nero su bianco. L’unica cosa che possiamo fare è cercare di spiegare al questore perché abbiamo agito in questo modo e se il dottor De Matteis ci appoggia, questo potrebbe aiutarci, anche se non so di quanto,” commenta Gaetano, alternando lo sguardo tra Marchese, Camilla e Sammy.
 
“Io vi appoggerò e confermerò di fronte al questore che ho compreso i motivi che vi hanno spinto ad intraprendere queste indagini parallele, ma questo dipende da quante prove troviamo contro Mancini e quindi torniamo sempre a questo punto, che è il punto chiave…”
 
“Mi scusi, dottor De Matteis, ma mi sembra che ci stiamo dimenticando un’altra possibilità: e se Pietro non avesse alcun filmato da mostrare al questore?” interviene di nuovo Sammy, prendendoli in contropiede.
 
“Lei intende suggerire di cercare di eliminare questo filmato? Ma conoscendo Mancini ne avrà fatto chissà quante copie… poi lei lo conosce meglio di me. Non credo sia possibile…”
 
“Lo so che Pietro è molto… prudente, per non dire paranoico, dottor De Matteis, ma anche se avesse fatto delle copie extra, non sono di certo infinite. Basterebbe eliminarle tutte, o almeno provarci. Dobbiamo fare almeno un tentativo: a quel punto sarebbe la sua  parola contro la nostra e il questore potrebbe pensare che sia una giustificazione inventata per salvarsi la faccia, se noi abbiamo invece prove concrete a suo carico, che, come dice lei, dobbiamo trovare in ogni caso e che rimangono il punto chiave della questione.”
 
Tutti si guardano, sorpresi dalla veemenza di Sammy: è proprio vero che il confine tra il più grande amore e l’odio più profondo è molto sottile.
 
“Sammy, sei-“
 
“Si, prof., sono sicura!” la interrompe Sammy, intuendo perfettamente cosa stesse per chiederle, “sentite, io ho accesso praticamente a tutto ciò a cui ha accesso Pietro. Se mi dite dove cercare posso aiutarvi.”
 
“Prima di prendere in considerazione questa ipotesi, c’è una domanda fondamentale: in quanti sanno di questo filmato?” interviene Gaetano, non molto convinto della fattibilità di questo piano.
 
“Noi, Mancini e Grassetti...” risponde De Matteis, ringraziando il cielo di non avere coinvolto anche Lorenzi o altri agenti.
 
“E non credo che Grassetti rappresenti un problema, dottor De Matteis. Se davvero riusciremo ad eliminare le copie di questo filmato penso che lei ci reggerebbe il gioco e che non voglia di certo che Marchese o lei abbiate problemi,” commenta Camilla con un mezzo sorriso, mentre Gaetano ripensa al colloquio con la ragazza e al fatto che da allora non avesse più avuto sue notizie.
 
“Sì, probabilmente ha ragione… Grassetti mi ha sempre mostrato una certa stima e una certa lealtà,” concorda De Matteis mentre Marchese nasconde un mezzo sorriso di fronte all’ennesima prova che De Matteis non ha alcuna idea dei motivi che si nascondono dietro a tanta stima e tanta lealtà.
 
“Quindi, tornando al problema principale, se Mancini è davvero paranoico avrà fatto copie sparse in diversi luoghi: computer di casa, magari il computer dell’ufficio, cellulare, tablet se ne ha, hard disk esterni, chiavette USB…” ipotizza Gaetano, mentre De Matteis e Marchese annuiscono.
 
“Beh, io ho ancora le chiavi di casa e quindi posso entrarci liberamente. L’importante è che qualcuno tenga impegnato Pietro in modo che non mi faccia un’improvvisata…” chiarisce Sammy, lanciando un’occhiata eloquente a De Matteis.
 
“Sicuramente posso trovare diversi modi di tenerlo impegnato sul lavoro, ma, ammesso che lei riesca a trovare e ad accedere a tutti i dispositivi dove esiste copia di questo filmato, non è così semplice eliminare un file senza lasciarne traccia e senza che sia in qualche modo recuperabile. E se ci fosse prova di manomissione da parte nostra, saremmo doppiamente nei guai,” spiega De Matteis, e questa volta è il turno di Gaetano e di Marchese di annuire.
 
“Io potrei riuscire a farlo… ad accedere a file protetti e ad eliminarli definitivamente senza lasciare traccia, ma mi serve tempo,” interviene Marchese che è, a tutti gli effetti, l’esperto di computer della squadra.
 
“Potresti accompagnare la dottoressa a casa di Mancini allora,” propone De Matteis, conoscendo bene le capacità di Marchese in ambito informatico, “mentre io posso cercare di prolungare la permanenza di Mancini in questura il più a lungo possibile e avvisarvi del suo rientro.”
 
“No, non è possibile: il nostro portiere è un pettegolo di prim’ordine e se mi vedesse con un uomo correrebbe a riferirlo a Pietro non appena rientra a casa!” chiarisce Sammy, aggiungendo poi, dopo un attimo di riflessione, “però il computer di Pietro è un portatile e hard disk esterni, chiavette e cose così si possono trasportare. Potrei mettere tutto in un borsone e portare il tutto da te, Marchese. Il portiere sa che io e Pietro… che ci siamo lasciati, mi ha già visto andare via con una valigia e non si insospettirà di certo se porto via altre cose.”
 
“Potrebbe funzionare, sì, ma devi assicurarti di cercare in ogni singolo angolo della casa e anche questo richiede del tempo… e ne abbiamo poco in ogni caso…” le fa notare Gaetano, non molto convinto.
 
“Posso aiutarla io: credo che la mia presenza non desterebbe particolari sospetti,” propone Camilla, aggiungendo poi con un sorriso, per sdrammatizzare, “e dopo un trasloco e anni passati a riordinare la stanza di un’adolescente, ti garantisco che potrei ritrovare quasi qualsiasi cosa.”
 
“E poi il nostro appartamento è piccolo e Pietro è un maniaco dell’ordine: non sarà difficile far passare tutta la casa…”
 
“Però potrebbero esserci anche nascondigli fuori casa. La macchina per esempio…”
 
“Quello non è un problema, dottor De Matteis: a casa c’è un paio di chiavi di riserva, posso procurarmele e recuperare qualsiasi cosa ci sia nell’auto di Pietro.”
 
“Cassette di sicurezza? Seconde case? La casa dei genitori, magari?” domanda Gaetano, elencando i nascondigli più usuali.
 
“Non abbiamo cassette di sicurezza a quanto ne so, di sicuro non abbiamo seconde case e la famiglia di Pietro vive a Gubbio e dubito sinceramente che Pietro abbia avuto occasione in questi due giorni di andarci…”
 
“No, infatti, sabato prima vi ha seguiti e poi è rimasto in questura e ieri ha lavorato praticamente tutto il giorno al mio fianco,” conferma De Matteis, aggiungendo poi, dopo un attimo di riflessione, “rimangono il cellulare o i cellulari di Mancini, se ne ha più di uno, l’armadietto personale e il computer dell’ufficio. A quelli posso pensare io.”
 
“E io posso aiutare Marchese nel lavoro di accesso e pulizia dei dispositivi. Ormai me ne intendo abbastanza,” si offre Gaetano, che a questo punto ha ben poco altro da fare: a parte Claudia non ha trovato nessuno disposto a testimoniare contro De Matteis o contro Mancini e ormai ha esaurito la lista delle opzioni.
 
“Bene, rimane quindi il problema principale: trovare delle prove contro Mancini. Lei ha elementi in mano, Berardi?” chiede De Matteis dopo un attimo di silenzio.
 
“Ho delle statistiche e una testimonianza diretta…”
 
“Di chi? E cosa riguarda?”
 
“Preferisco per correttezza nei confronti di questa persona non fare il suo nome, dottor De Matteis, finché non si presenterà a testimoniare davanti al questore. Comunque si tratta di un episodio accaduto qualche tempo fa, diciamo che Mancini ha calcato un po’ troppo la mano durante un interrogatorio…”
 
“Ma ci sono prove? O solo una testimonianza?”
 
“No, purtroppo è solo una testimonianza, ma di una persona conosciuta e rispettata dal questore stesso, quindi credo che avrà comunque un certo peso.”
 
“Il fatto che Pietro ci vada giù pesante negli interrogatori è risaputo, ho sentito parecchi commenti tra colleghi, soprattutto quando pensavano che io non ascoltassi,” conferma Sammy, aggiungendo poi decisa, “lo so che non c’è molto tempo, ma se volete posso provare a contattare qualcuno e cercare di convincerli a testimoniare.”
 
“Forse non sarà necessario: ho un’idea migliore, più rapida e più efficace. Dato che devo tenere impegnato Mancini, potrei lasciargli condurre un interrogatorio e filmarlo. Ho proprio il candidato ideale per far perdere le staffe a Mancini,” rivela De Matteis con un tono e con uno sguardo che incuriosiscono e spaventano Camilla.
 
“Non si preoccupi professoressa, le garantisco che, alla persona che ho in mente, passare un po’ di tempo in compagnia di Mancini non potrà fare che bene,” aggiunge, avendo interpretato correttamente lo sguardo preoccupato di lei.
 
“E lei non ha altri elementi contro Mancini, De Matteis, a parte la sua testimonianza, ovviamente?”
 
“No, Berardi, purtroppo no. Mancini non ha mai esagerato di fronte a me e non avevo motivo di sorvegliarlo o di registrare il suo operato…”
 
“Beh, qualcos’altro ci sarebbe… o meglio, ci sarebbe nel caso in cui non riusciamo ad eliminare tutte le copie di quel filmato. Pietro si era fatto mettere in malattia per seguirmi e spiarmi, perché pensava che lo tradissi con Marchese. Me l’ha confermato lui stesso. Insomma, non mi sembra una condotta ineccepibile, non le pare, dottor De Matteis?” domanda Sammy dopo un attimo di riflessione.
 
“No, in effetti un comportamento del genere è passibile di sanzioni. Certo non è gravissimo ma-“
 
“Ma magari utilizzare le attrezzature della polizia per fini personali potrebbe essere ancora più grave, dottor De Matteis?” lo interrompe Camilla, colta da un’intuizione.

“Ovviamente sì, professoressa Baudino, ma che cosa vuol dire?”
 
“Voglio dire che quel filmato è strano: il video è pessimo, sembra fatto con un cellulare e anche da una certa distanza. Ma l’audio è perfetto, come se Mancini fosse stato accanto a noi mentre parlavamo. Il che, soprattutto nel caso del colloquio con i punkabbestia è impossibile: l’avremmo sicuramente notato.”
 
“Sì, è vero, ha ragione, in effetti è strano,” conferma Marchese, facendo ripartire la registrazione, “una qualità audio simile mi sembra al di fuori della portata di un cellulare, se non a distanza molto ravvicinata. Comunque possiamo verificarlo: ho lo stesso modello di cellulare di Mancini. Se voi parlate normalmente io vi registro a diverse distanze e verifichiamo subito.”
 
“Ottima idea Marchese,” approva De Matteis, pensando che forse il ragazzo almeno un poco è davvero migliorato negli anni.
 
Marchese registra per qualche minuto a varie distanze e angolazioni e poi si siede nuovamente con gli altri per ascoltare il risultato.
 
“Come volevasi dimostrare: per ottenere una simile qualità audio bisogna essere praticamente accanto a chi sta parlando. Com’è possibile?” commenta Gaetano quando hanno terminato la registrazione.
 
“Per cercare di scoprirlo posso provare ad analizzare il filmato, se me ne lascia una copia dottor De Matteis. Ho l’attrezzatura necessaria a casa e posso farlo intanto che Sammy recupera tutti i dispositivi di Mancini.”
 
“D’accordo Marchese… mi sembra che abbiamo un piano di azione,” proclama De Matteis, passando il cellulare al ragazzo, per poi spostare lo sguardo su Gaetano e su Camilla, “per ogni novità ci teniamo aggiornati?”
 
“Sì… e speriamo che siano buone novità…” conferma Gaetano, alzandosi in piedi, seguito a ruota dagli altri.
 
Di sfortune in questi giorni ne avevano già avute a sufficienza.
 
***************************************************************************************
 
“Prof. ha trovato qualcosa?”
 
“No, evidentemente tuo marito non è così tanto paranoico da nascondere dispositivi in cucina,” risponde Camilla, chiudendo l’ultima anta con mano guantata, “tu? Hai trovato qualcosa?”
 
“Sì, tra lo studio e la camera da letto in tutto per ora ho il computer, cinque hard disk, dieci chiavette USB, pacchi di dvd apparentemente vergini, altri di dvd registrati. Insomma, praticamente ho svuotato quasi tutti i cassetti e gli armadietti,” rivela lei, mostrando il borsone stracolmo, “temo che il dottor Berardi e Marchese ne avranno di lavoro da fare.”
 
Il suono di un messaggio in arrivo interrompe la conversazione.
 
“È il tuo?” chiede Camilla, non riconoscendo la suoneria.
 
“No, non è il mio,” risponde Sammy, controllando per sicurezza.
 
“Neanche il mio,” conferma Camilla, estraendo a sua volta il telefono dalla borsa e verificando che non ci sono nuovi messaggi, fino a che sente un’improvvisa costrizione nel petto, “oddio… vuoi vedere che…”
 
Con mano ancora guantata, sfila la busta dalla borsa e prende il cellulare al suo interno. Come volevasi dimostrare: un nuovo messaggio. Una frase: poche parole, niente preamboli, né saluti, né firme.
 
Alle 15 al ristorante dove è iniziata tutta questa storia
 
“Prof., lei pensa che il ristorante sia… insomma quello del mio compleanno?”
 
La voce di Sammy a pochi centimetri dal suo orecchio la ridesta dai suoi pensieri e si accorge finalmente che la ragazza si era avvicinata per leggere il messaggio.
 
“Non so Sammy… può darsi,” risponde, anche se in realtà ne è assolutamente certa. Ricorda ancora quel giorno come se fosse ieri: il pranzo, la festa, la telecamera in regalo, lo Scortichini che puntava Debbie senza alcun pudore, con la bava alla bocca, la manifestazione, il furto della telecamera e poi il caos totale.
 
“Cosa pensa di fare, prof.?”
 
“Non lo so Sammy… credimi, vorrei aiutare Ilenia e non sono convinta che sia davvero lei la colpevole, nonostante tutto, ma mia madre aveva ragione quando parlava di priorità e ora la priorità è tirarci tutti quanti fuori dai guai ed evitare che diverse persone abbiano la vita rovinata per questa storia. E poi… e poi ho promesso a Gaetano che non avrei fatto pazzie e che prima di prendere iniziative ne avrei parlato con lui. E dopo tutto quello che è successo penso non solo di doverglielo, ma soprattutto che abbia ragione e che non posso più permettermi di agire di testa mia, vista la piega che ha preso questo caso,” ammette dopo qualche attimo di riflessione e di silenzio.
 
“Ma prof.! Si rende conto che è l’unico indizio che abbiamo per aiutare Ilenia? Forse l’ultima opportunità che abbiamo di ritrovarla e poi... e poi, prof., lei pensa davvero che Ilenia potrebbe fare del male a me o a lei? Anche se avesse davvero… anche se si fosse veramente vendicata dello Scortichini, cosa che fatico ancora a credere, perché mai dovrebbe avercela con me o con lei?” protesta Sammy, guardandola in quel modo come se la stesse pugnalando alle spalle.
 
“Lo so Sammy… ma… senti, adesso terminiamo queste ricerche, portiamo tutto a Marchese e a Gaetano e ti prometto che gliene parlerò e decideremo il da farsi, ok?” abbozza per guadagnare tempo per riflettere.
 
“Ok,” concede Sammy con un sospiro e con l’aria di chi non è molto convinta, “allora lei fa il salotto e io il ripostiglio?”
 
Camilla annuisce e nel silenzio più completo si rimettono al lavoro.
 
***************************************************************************************
 
“Pronto? Buongiorno, signor questore, sono De Matteis… Sì, abbastanza bene, grazie… No, non si tratta del caso Scortichini, non ci sono particolari novità, sa con il weekend è tutto rallentato, ma spero di avere aggiornamenti entro stasera… No, no, si tratta di un’altra questione, una questione piuttosto delicata, in cui il caso Scortichini c’entra solo indirettamente e avrei bisogno di parlarle di persona. Avrebbe tempo per riceverci domani?”
 
Il sorriso compiaciuto che scorge sul volto di Mancini, seduto di fronte a lui nel suo ufficio, gli fa ribollire il sangue nelle vene e gli provoca una voglia quasi inarrestabile di strozzarlo con il filo del telefono.
 
“È disponibile in serata? Dopo le 17? Sì, va benissimo… No, non posso anticiparle nulla: come le ho detto si tratta di una questione molto delicata. No, non saremmo solo noi due, vorrei convocare davanti a lei anche l’ispettore Mancini, l’agente Marchese e il dottor Berardi… Sì, esatto, Berardi: è qui a Roma per… diciamo per una vacanza e nei giorni scorsi ho avuto modo di averci a che fare per quanto riguarda il caso Scortichini… sì, so che se ne era occupato lui, infatti e… comunque le spiegherò tutto di persona…. Va bene, grazie signor questore, grazie mille, a domani.”
 
“Soddisfatto?” domanda non appena poggia la cornetta e chiude la comunicazione in quella che è a tutti gli effetti una domanda retorica.
 
“Molto e dovrebbe esserlo anche lei dottor De Matteis: domani finalmente giustizia sarà fatta e presto il corpo di polizia si libererà di due elementi pericolosi. Mi sembra che ci siano ottimi motivi per essere soddisfatti,” replica Mancini con un mezzo sorrisetto, anche se il fatto che De Matteis abbia accettato di fare quella telefonata sembra avergli un po’ ammorbidito il tono di voce.
 
“In ogni caso, credo che ora sia meglio che torniamo a concentrarci sul caso Scortichini. Ilenia Misoglio è ancora a piede libero e non abbiamo alcun indizio su dove sia, nonostante tutti i controlli e i posti di blocco. A questo punto credo che potrebbe avere degli aiuti da qualcuno e quindi che sarebbe utile risentire il padre della Misoglio. Se ne occupa lei di convocarlo e interrogarlo?”
 
“Certo, dottore, immediatamente,” risponde Mancini, recuperando in un lampo la deferenza e l’ossequiosità che l’avevano sempre contraddistinto.
 
***************************************************************************************
 
“Dottoressa, ma quindi ci lascia definitivamente?”
 
Sammy e Camilla sono al portone d’ingresso e sono state, come previsto, intercettate dal portiere con il borsone in mano. Avevano passato il piccolo appartamento palmo a palmo e prelevato qualsiasi cosa su cui potesse essere salvato un filmato.
 
“Credo proprio di sì, signor Roberto, anche se dovrò fare ancora un po’ di viaggi per recuperare tutte le mie cose. Sa, noi donne abbiamo molti vestiti,” risponde la ragazza con un sorriso amaro e non le serve affatto recitare.
 
“Mi dispiace molto dottoressa: lei e l’ispettore eravate una così bella coppia. Non c’è proprio speranza che vi riconciliate?” domanda di nuovo, evidentemente a caccia di informazioni.
 
“Temo proprio di no, signor Roberto… la ringrazio per l’interessamento ma adesso devo proprio andare: tra poco devo tornare al lavoro,” taglia corto Sammy, avviandosi verso l’uscita.
 
“Capisco, i miei ossequi ancora a lei e anche a lei signora,” le saluta il portiere, prima di rientrare nel suo ufficio.
 
“Potrebbe fidanzarsi con Rosetta…” commenta Camilla con un sorriso, mentre si avviano alla macchina.
 
“Già…” sospira Sammy mentre caricano la roba in auto.
 
“Allora adesso ci manca l’automobile di tuo marito e poi possiamo andare da Marchese…”
 
“Prof. a questo proposito, se non le dispiace, preferirei accompagnarla prima da Marchese, così comincia a dargli il materiale da analizzare mentre vado io da sola a ispezionare la macchina. Sia perché da sola darei meno nell’occhio sia perché, se non trovassi niente, almeno potrei andare direttamente in tribunale. Purtroppo il mio capo nel primo pomeriggio ha un’udienza a cui devo assistere per forza…”
 
“D’accordo… però, se trovassi qualsiasi cosa, ci avvisi subito, ok?”
 
“Certo, prof. e anche voi, mi raccomando!” le intima la ragazza con un sorriso prima di avviare il motore.
 
***************************************************************************************
 
“Ma quanta roba aveva Mancini? Alla faccia della paranoia…”
 
“Lo so, Gaetano, noi abbiamo preso tutto perché non potevamo sapere cosa servisse o no, ma penso che la maggioranza dei dvd ad esempio siano vuoti. Dobbiamo verificare,” spiega Camilla, dopo che lei e Gaetano, sempre con i guanti, avevano finito di scaricare tutta la roba.
 
“E avete fatto bene, ma qui ci vorrà una vita e abbiamo solo poche ore, Camilla…”
 
“Lo sai che io e la tecnologia non andiamo molto d’accordo, ma se mi dite cosa devo fare vi posso dare una mano. Quantomeno penso che controllare se i dvd siano vuoti o meno e verificare quali file ci siano su quelli scritti possa essere  alla mia portata…”
 
“Sì, mi sembra una buona idea, prof.. Mentre io e lei, dottore, possiamo dedicarci a computer e hard disk esterni,” concorda Marchese, cominciando a dividere il contenuto della borsa tra loro tre.
 
“Nel frattempo voi avete scoperto qualcosa su quel filmato?” domanda Camilla, ritirando il borsone.
 
“Sì, prof., abbiamo risolto il mistero: audio e video non corrispondono perché il video è un montaggio. Audio e video sono stati ripresi separatamente e poi uniti in fase di editing,” spiega Marchese, avvicinandosi al suo computer dove il video fa ancora bella mostra di sé.
 
“Come una specie di doppiaggio?” chiede Camilla, raggiungendo a sua volta Marchese che ha fatto ripartire il filmato per spiegarle la differenza.
 
“Esatto, prof.: Mancini ha tolto l’audio, evidentemente di pessima qualità, del filmato fatto con il cellulare e ha aggiunto un’altra traccia audio, catturata in maniera differente.”
 
“Quindi può aver davvero usato qualche attrezzatura della polizia?”
 
“Considerati i cambi di location, la cosa più probabile è che abbia piazzato una cimice, un microfono, tra le cose di Sammy,” spiega Gaetano, unendosi a loro mentre il filmato continua ad andare avanti.
 
“Ehi, aspettate, aspettate: non avete sentito un disturbo nell’audio, come un fruscio?” li interrompe Camilla, colta da un’intuizione.
 
“Sì, hai ragione, l’ho sentito anche io, come quando si tocca un microfono,” conferma Gaetano, come sempre ammirato dalla straordinaria capacità di Camilla di cogliere particolari che agli altri sfuggono, “Marchese, puoi fare tornare indietro il filmato di poco, diciamo un minuto?”
 
“Sì, ecco…”
 
Con il fiato sospeso rimangono in ascolto fino a che si sente chiaramente il fruscio.
 
“Sammy ha spostato di poco il cellulare per fare posto alla ciotola delle patatine ed è in questo momento che si sente il ronzio!”
 
“È vero: ma quindi questo significa che c’è una cimice nel telefono di Sammy?”
 
“No, Camilla, credo che il cellulare di Sammy sia la cimice. Mancini deve averci installato un programma spia: ce ne sono di vari tipi, da quelli che ti fanno rintracciare la posizione di un telefono a quelli che ti consentono di ascoltare conversazioni, telefonate, messaggi e registrarle da remoto. Sono più o meno legali se installati sul proprio cellulare, ad esempio per proteggersi in caso di furto o di smarrimento, ma è ovviamente illegale farlo sul telefono degli altri senza il loro consenso. È una pratica che si sta diffondendo rapidamente tra mariti e mogli gelosi o che sospettano un tradimento.”
 
“Ma allora, se è così, Mancini potrebbe aver registrato tutta la nostra conversazione di poco fa e avere già scoperto il nostro piano,” fa notare Camilla, capendo subito, dagli sguardi preoccupati di Gaetano e di Marchese che è una possibilità concreta.
 
“Sì, ma non è detto che registri tutto o che, anche in quel caso, abbia già ascoltato la registrazione. In ogni caso, la cosa più probabile è che Mancini abbia accesso alle registrazioni o dal suo portatile o da telefono. Dobbiamo avvertire De Matteis di controllare anche questo e ovviamente avvisare subito Sammy di staccare la batteria dal cellulare e di portarmelo qui,” conferma Marchese, con l’aria di chi ha appena inghiottito un rospo.
 
***************************************************************************************
 
“Grassetti, Grassetti, proprio lei cercavo, può venire qui?”
 
“Mi dica, dottore,” risponde stupita la ragazza, vedendo il dottore piazzato di fronte al vetro a specchio di una delle sale degli interrogatori. Lancia un’occhiata e nota che è occupata da Mancini e dal padre della Misoglio: si prospetta una lotta tra titani, o tra mostri di simpatia, per usare un eufemismo.
 
“Senta Grassetti, avrei bisogno che lei mi registrasse questo interrogatorio, con discrezione però. Mancini non deve saperne nulla, ci siamo intesi?”
 
“Sì, dottore, ma posso chiederle il perché? Non mi sembra una procedura usuale,” gli fa notare, stupita da tanto mistero.
 
“Sta mettendo in dubbio i miei ordini Grassetti?”
 
“No, certo che no, dottore, ma…”
 
“E allora faccia come le ho chiesto e mi avvisi quando ha pronto il filmato,” taglia corto, incominciando già ad avviarsi verso lo spogliatoio: deve setacciare il cellulare, il computer e l’armadietto di Mancini e non ha molto tempo.
 
“Ai suoi ordini… dottore…” sussurra Grassetti con un velo di sarcasmo, anche se vorrebbe urlargli dietro un paio di paroline irripetibili e che probabilmente le costerebbero il posto. Ma perché doveva andarsi ad innamorare proprio di un tipo così… così… insopportabile, per non dire proprio stronzo.
 
Il cellulare di De Matteis squilla, facendolo fermare sui suoi passi: Berardi. Cosa sarà successo adesso?
 
***************************************************************************************
 
“Sì, esatto, mi faccia sapere appena ha finito, noi stiamo cercando di accedere al computer e la terremo aggiornata. A più tardi.”
 
“Cosa dice De Matteis? Qui devo aspettare che il programma per individuare la password di Windows finisca l’analisi, potrebbe volerci ancora un po’. Per fortuna Mancini non è stato paranoico a tal punto da usare l’impronta digitale per proteggere l’accesso al computer, se no sarebbe stato un bel mal di testa,” annuncia Marchese, che nel frattempo sta anche analizzando il primo degli hard disk esterni.
 
“De Matteis ci farà sapere ma è ovviamente preoccupato da cosa succede se non riusciamo ad eliminare un’eventuale registrazione di quello che ci siamo detti oggi. Anche se, guardando al rovescio della medaglia, se davvero esiste un programma spia sul cellulare di Sammy, questa è un’altra prova che abbiamo contro Mancini,” spiega Gaetano con un sospiro, mentre inizia a collegare un altro degli hard disk al vecchio computer di Marchese. Per fortuna non l’aveva buttato ed era ancora funzionante.
 
“Niente, Sammy ha il cellulare staccato e non riesco a contattarla. Magari è già andata in tribunale,” annuncia Camilla, sempre più preoccupata, “voi ricordate il nome dello studio presso il quale fa il praticantato Sammy?”
 
“No, mi dispiace, prof. ma non ne ho idea,” ammette Marchese con un sospiro, “sa, io e Sammy è da poco che siamo tornati in rapporti civili.”
 
“Forse conviene che vada direttamente in tribunale allora: magari qualcuno mi sa dare un’indicazione su dove si trova Sammy.”
 
“Potresti provare prima alla sezione penale e poi se va male nelle due sedi ordinarie… però potresti impiegarci molto tempo Camilla, tempo che non abbiamo. E ci sei più utile qui. Alla fine ora come ora non credo che Sammy possa fare altro di compromettente, se è impegnata in tribunale, e la cosa importante è eliminare la registrazione, se esiste, cosa che possiamo fare o dal computer di Mancini o dal suo cellulare. E magari anche inibire il software spia dal cellulare di Sammy, senza cancellarlo però, se ci serve come prova.”
 
“E quindi cosa proponi di fare?”
 
“Forse conviene che telefoni in tribunale per chiedere se possono avvertirla di chiamarti quando la vedono. E poi avvisare anche a casa di tua madre, nel caso tornasse prima lì.”
 
“Però c’è anche un altro problema: qui abbiamo due computer, a parte quello di Mancini, e servono a me e a lei, dottore. Se la prof. ci dà una mano, ci servirebbe un altro computer…”
 
“Beh, Marchese, se non ne hai un altro a disposizione potrei chiedere a Livietta se mi presta il suo. Così faccio un salto a casa e li allerto di avvisarmi se Sammy dovesse farsi viva.”
 
“Sì, probabilmente è la soluzione migliore. Però, Camilla, Livietta non deve sapere niente di questa storia, ok? Sai com’è fatta e... l’abbiamo già coinvolta abbastanza,” chiarisce Gaetano, preoccupato che la ragazza, curiosa di natura, proprio come la madre, decida di mettersi in mezzo.
 
“Lo so, stai tranquillo,” lo rassicura con un sorriso, toccata dal fatto che Gaetano si preoccupi prima di tutto del benessere di sua figlia, “allora chiamo un taxi...”
 
“No, prendi la mia macchina, Camilla. Tanto io devo stare qui con Marchese e se ci sono problemi posso usare la sua auto, giusto Marchese?”
 
“Certo, dottore.”
 
“Ok, allora grazie,” risponde con un altro sorriso, allungando la mano per afferrare le chiavi che lui ha appena estratto dalla tasca, mentre una nuova scossa elettrica la trapassa da parte a parte quando le loro dita si sfiorano e i loro sguardi, automaticamente, si incrociano. E non può evitare di chiedersi come sia possibile che un contatto così minimo le faccia ancora questo effetto, anche dopo tutto quello che c’è stato tra di loro.
 
“Gaetano… lo so che siete molto impegnati ma… mi accompagneresti un minuto alla macchina?” osa infine chiedergli dopo che erano rimasti ad osservarsi in silenzio per pochi interminabili istanti.
 
“Certo,” annuisce, piacevolmente stupito da questa richiesta, non potendo evitare di sorriderle a sua volta: la verità è che è da quando si erano salutati il giorno prima che non ha fatto altro che pensare a lei, a quei due baci e non ha desiderato altro che poterla rivedere, poter rimanere ancora da solo con lei, “andiamo allora?”
 
Le posa una mano sulla spalla e lei non si sottrae, lasciandosi condurre fino alla porta di ingresso senza bisogno di altre parole.
 
“Non preoccupatevi per me, me la caverò, fate pure con comodo!” proclama sarcastico Marchese all’appartamento vuoto, dopo aver sentito la porta richiudersi, provando una certa benevola invidia nei confronti dei due piccioncini.
 
Tanto ha di che tenersi impegnato in quella che si prospetta essere una lunga attesa.
 
Camilla e Gaetano intanto sono giunti nel più religioso silenzio fino all’auto di lui. Si guardano per qualche secondo, chiaramente esitanti su chi debba fare la prima mossa.
 
“Cami-“
 
“Gaeta-“
 
Pronunciano praticamente all’unisono, scoppiando in un accenno di riso nervoso.
 
“Prima tu…” propone Gaetano, sorridendo ancora.
 
“No tu…” risponde lei, ricambiando il sorriso.
 
“Sei tu che mi hai chiesto di accompagnarti alla macchina, professoressa, quindi presumo che avessi qualcosa da dirmi…” le fa notare con tono ironico, anche se gentile, mentre lei abbassa la testa, evidentemente imbarazzata.
 
“Sì… hai ragione… è che… è complicato, Gaetano,” ammette lei mordendosi il labbro in quel modo infantile e sensuale allo stesso tempo che l’ha sempre fatto impazzire.
 
“Camilla…” sussurra intenerito, allungando una mano per sollevarle il mento e portarla a guardarlo negli occhi, “lo sai che puoi dirmi tutto, vero?”
 
Lei si limita ancora a guardarlo negli occhi per qualche istante, continuando a torturarsi il labbro.
 
“Sì, lo so ma è che… ho paura che non la prenderai bene,” riesce infine a pronunciare, mentre lui, che era ad un passo dall’annullare le distanze tra loro e catturare quel povero labbro tormentato tra le sue labbra, si blocca bruscamente.
 
“È successo qualcosa, Camilla?” le domanda preoccupato, capendo di aver completamente frainteso la situazione e temendo improvvisamente la risposta.
 
Senza volerlo, come in un lampo gli tornano alla mente le parole di Rosetta e, gli tocca ammetterlo, la portinaia non aveva tutti i torti: De Matteis, quando non si veste come un lord inglese dell’ottocento, è oggettivamente un bell’uomo, per non dire proprio “un gran figo”, come l’aveva definito Rosetta.
 
“Sì… mi è arrivata una lettera stamattina a casa di mia madre. Una lettera di Ilenia in cui chiede di incontrarmi da sola. Con la lettera c’era anche un telefono vecchio modello, su cui mi è arrivato un messaggio che dice che ci dobbiamo trovare alle 15 in un ristorante. Credo si tratti del ristorante dove ci fu la famosa manifestazione dei punkabbestia…”
 
“E cosa aspettavi a dirmelo??” sbotta esasperato, mentre il moto di assurda gelosia scompare, lasciando il posto a ben altro genere di preoccupazioni e il mal di testa che lo perseguita da quella mattina, per non dire da giorni, gli peggiora ulteriormente, “e soprattutto cosa aspettavi a dirlo a De Matteis? Perché avresti dovuto dare lettera e telefono a De Matteis non appena vi siete incontrati stamattina! Ti rendi conto che questa potrebbe essere l’unica occasione che abbiamo per prendere Ilenia? E che ormai manca un’ora all’appuntamento?”
 
“Volevo parlarne prima con te, Gaetano, come ti avevo promesso di fare e-“
 
“E hai avuto mille occasioni per farlo, da quando ci siamo trovati in quella specie di giardino degli orrori della famiglia di De Matteis!”
 
“Lo so, ma con tutto quello che è successo me ne sono dimenticata!”
 
“Ma come te ne sei dimenticata?!” domanda lui, incredulo.
 
“Sì, me ne sono dimenticata: tra la sorpresa di trovarmi De Matteis sotto casa, le sue rivelazioni, poi siete arrivati voi, il piano… tutto quanto… mi è completamente passato di mente e me ne sono ricordata soltanto quando questo dannato telefono si è messo a squillare mentre io e Sammy eravamo a casa sua e di Mancini!”
 
“Quindi anche Sammy sa di questo appuntamento?”
 
“Sì, ma le ho detto chiaramente che prima di fare qualsiasi cosa ne avrei parlato con te,” chiarisce Camilla, prendendogli le mani tra le sue come in una promessa solenne, “Gaetano, dopo tutto quello che è successo in questi giorni e dopo tutto quello che ci è successo con quei diamanti, non farei mai nulla che possa mettere in pericolo me o te o le persone che amiamo e non farei mai nulla che possa danneggiarti, danneggiarci. Sei tu la mia priorità.”
 
“Camilla…” sussurra, toccato da quella parole e dalla sincerità che legge nei suoi occhi; tira un respiro profondo per tranquillizzarsi e le stringe più forte le mani, “anche tu sei la mia priorità assoluta, Camilla, tu, Tommy, Livietta e, anche se non ci crederai, pure tua madre. Quindi ti prego, ti prego, adesso porta subito tutto a De Matteis e lascia che sia lui ad occuparsene, ok? Anche se ormai manca poco all’appuntamento e non so cosa potranno fare, però… lascia che sia lui ad occuparsene.”
 
“Tranquillo, vado subito in questura, prima ancora di passare da casa e così magari mi faccio aggiornare da De Matteis su cosa ha scoperto e su quanto tempo abbiamo prima che Mancini torni a casa,” lo rassicura, stringendogli un’ultima volta le mani prima di lasciargliele e di salire in macchina.
 
“Camilla… sii prudente,” si raccomanda ancora, abbassandosi per guardarla attraverso il finestrino.
 
“Anche tu…” gli risponde con un sorriso, prima di decidersi a mettere in moto e a partire, guardandolo nello specchietto retrovisore fino a che diventa un puntolino indistinto.
 
***************************************************************************************
 
“Le ripeto per l’ennesima volta che non so dove sia finita quella disgraziata di mia figlia e che, se lo fossi venuto a scoprire, sareste stati i primi a saperlo!”
 
“Veda di moderare i toni, signor Misoglio,” sibila Mancini, frustrato da questo interrogatorio che per ora non ha dato alcun esito.
 
Era già partito male, con Misoglio che si è presentato in ritardo, poi l’uomo era stato a dir poco reticente, rispondendo a monosillabi e negando fino allo sfinimento.
 
E tutti questi proclami di Misoglio contro la figlia, come a volersene lavare le mani, non lo convincevano. Quale padre potrebbe essere tanto indifferente di fronte a quello che era successo a Mauro e a Ilenia Misoglio? Al fatto di avere una figlia latitante, accusata di omicidio plurimo, accusata di avere voluto vendicare la morte di suo fratello?
 
Il modo in cui Misoglio batteva il piede contro il pavimento, quasi come a tenere il tempo, il modo in cui continuava a muoversi sulla sedia, quasi come se fosse seduto su degli spilli, il modo in cui l’aveva beccato a lanciare occhiate all’orologio, come se non vedesse l’ora che l’interrogatorio finisse… sembrava inquieto, ansioso, eppure non cedeva di un millimetro.
 
Forse era ora di cambiare tattica.
 
“Quella disgraziata di sua figlia, come la chiama lei, non è solo una disgraziata, ma è un’assassina senza scrupoli, signor Misoglio. E se lei si ostina a coprirla a non dirci quello che sa, questo è quello che potrebbe succedere a lei o a qualcun altro!” urla, sbattendogli sul tavolo di fronte alla faccia una ad una le foto peggiori dello Scortichini e di Marcio, “è questo che vuole??”
 
“Immagino che questo sia quello che resta del disgraziato che ha ucciso quel vagabondo di mio figlio,” commenta Misoglio, osservando con nonchalance la prima foto, per poi bloccarsi ed apparire sorpreso quando vede la seconda foto.
 
“E… e chi era questo ragazzo? Mia figlia ne ha fatto fuori anche un altro? Non pensavo arrivasse a tanto,” commenta infine, continuando ad osservare la foto.
 
“Era un punkabbestia, il migliore amico di suo figlio,” spiega infine Mancini, completamente spiazzato dalla reazione di Misoglio: freddo, cinico, distaccato, non sembra fare una piega di fronte alle immagini dei due cadaveri.
 
“Quindi un criminale e un barbone, direi che il mondo non ha perso nulla,” commenta Misoglio, sprezzante, spingendo le foto verso Mancini.
 
“Ma potrebbero esserci altre vittime: pensiamo che Ilenia abbia fatto fuori il punkabbestia perché era suo complice, per coprire le sue tracce! La prossima vittima potrebbe essere lei, se la sta aiutando!”
 
“Beh, questo non mi stupirebbe: mia figlia mi odia a morte e se davvero è impazzita completamente come sua madre, potrei essere davvero il prossimo nella sua lista,” ammette Misoglio con un sospiro.
 
“E allora ci aiuti, ci dica dov’è, prima che sia troppo tardi!”
 
“Lo farei, se potessi, ma io non so niente, come glielo devo far capire?! N I E N T E. Parlo arabo?!” sbotta di nuovo Misoglio, alzandosi in piedi, esasperato, “per favore: sono giorni che non sto bene, ho la febbre e un terribile mal di testa. Voglio solo tornarmene a casa mia!”
 
“Si sieda, signor Misoglio: qui le domande le faccio io e lei non può alzarsi o andarsene fino a che non lo decido io, è chiaro?! Quindi se davvero vuole tornare a casa sua, le conviene decidersi a collaborare!” intima Mancini, ormai ad un passo di perdere del tutto la pazienza, “sua figlia è sparita da giorni senza lasciare traccia, è evidente che qualcuno la sta aiutando e mi vorrebbe far credere che lei non c’entra niente? Quando è l’unico parente che le è rimasto qui a Roma?”
 
“Se qualcuno la sta aiutando non sono di certo io! Le dico io a chi deve chiedere, a quella maledetta professoressa, come diavolo si chiama?”
 
“La Baudino?” domanda Mancini, sorpreso.
 
“Sì, esatto, la Baudino. Lei ha sempre coperto ogni cretinata che faceva mia figlia, anzi, la incitava, l’ha perfino convinta a scappare di casa. Se c’è qualcuno su cui dovreste indagare è lei e-“
 
“E la ringrazio per il suggerimento, signor Misoglio, ma sappiamo perfettamente come fare il nostro lavoro e chi controllare e qui stiamo parlando di lei e non della Baudino. E, glielo ripeto, da qui non usciamo finché non mi dice quello che sa!”
 
“Ma non so niente, NIENTE! Possiamo anche rimanere qui finché vuole, ma continuo a non saperne niente e sta solo perdendo tempo!” ribadisce Misoglio, prendendosi la testa fra le mani
 
“Allora perché non mi descrive i suoi movimenti negli ultimi giorni?”
 
“I miei movimenti? Sono stato nel mio laboratorio e a casa mia, come al solito…”
 
“Laboratorio?”
 
“Sì, faccio il falegname. Sono ormai in pensione ma ogni tanto arrotondo ancora con dei lavoretti.”
 
“E c’è qualcuno che può confermare?”
 
“No, vivo da solo in tre stanze sopra al mio laboratorio che sta alla periferia di Roma. Avevo un appartamento una volta ma l’ho venduto… vivendo da solo non mi serviva ed era un costo inutile.”
 
“E non è mai uscito?”
 
“Ma sì, credo di sì… sarò andato al supermercato, come al solito, dal panettiere e poi sono andato in farmacia perché, come le dicevo, è da qualche giorno che non sto bene.”
 
“E non mi sa dire quando di preciso?”
 
“Forse ho ancora qualche scontrino a casa, se no, no. Quando si è anziani e si è soli le giornate diventano tutte uguali e non mi metto a segnare su un’agenda i miei spostamenti: non pensavo di certo di avere bisogno di un alibi!”
 
“Le sue giornate saranno anche tutte uguali in circostanze normali, signor Misoglio, ma sua figlia accusata di omicidio e poi latitante… ammetterà anche lei che le circostanze di queste ultime giornate non sono state esattamente normali, signor Misoglio! E quindi credo che lei ricordi benissimo quello che ha fatto in questi ultimi giorni, in questi ultimi giorni: non un anno fa, ma pochi giorni fa, se solo facesse un minimo sforzo di memoria. Ma lei non lo vuole fare questo sforzo, non è vero, signor Misoglio?”
 
“Ma anche se lo facessi, mi dice che differenza le farebbe sapere a che ora sono andato dal pizzicagnolo o dal farmacista? Non vedo mia figlia da otto anni e non ho la più pallida idea di dove sia, maledizione!! Lo vuole capire che mia figlia mi odia?! Che è più probabile che chieda aiuto al primo che passa per strada piuttosto che a me?!
 
“Ed è proprio per questo che sua figlia potrebbe essere venuta da lei, Misoglio, contando proprio su questo tanto sbandierato odio tra voi due per farla franca! E magari per convincerla ad aiutarla, facendo leva sui suoi sensi di colpa o sulla sua solitudine. Deve essere brutta la solitudine, non è vero, signor Misoglio? Arrivare alla sua età, ritrovarsi vecchio e accorgersi di essere solo, solo come un cane, peggio di un cane!” gli sputa addosso Mancini con un sorriso sprezzante, per poi continuare avvicinandosi sempre di più, fino a soffiargli praticamente in faccia, “com’è accorgersi di essersi fatto terra bruciata intorno, signor Misoglio? Accorgersi di non avere più nessuno? Che le persone a lei più vicine la considerano con odio, con disprezzo. Prima suo figlio che ha preferito vivere sotto i ponti piuttosto che stare sotto il suo stesso tetto, poi sua moglie e sua figlia che se ne sono andate e si sono fatte una nuova vita a Torino, senza volerne più sapere nulla di lei. Sua figlia si è pure laureata, si è realizzata, tutto senza di lei, forse proprio perché era lontano da lei, perché non c’era più un violento ubriacone ad inquinarle la vita. Ed ora ecco che spunta l’occasione, l’occasione perfetta per recuperare, per ritornare nelle grazie di sua figlia, per non essere più solo un povero vecchio patetico, un fallito, un-“
 
Un rantolo strozzato è l’unico suono che esce dalla gola di Mancini perché Misoglio di scatto si alza in piedi e lo afferra per il collo, mozzandogli il respiro.
 
“Maledetto! Maledetto, stia zitto! Zitto!! Lei non sa niente, niente, NIENTE, ha capito? Niente!!” urla Misoglio, completamente fuori di sé, non accennando a mollare la presa, nonostante Mancini cerchi disperatamente di liberarsi.
 
“Signor Misoglio, si fermi, SI FERMI!” urla De Matteis, che aveva assistito all’ultimo pezzo dell’interrogatorio da dietro al vetro con Grassetti, facendo irruzione nella stanza e afferrando Misoglio alle spalle, cercando di allontanarlo da Mancini, colpendolo alle spalle e alle braccia per fargli mollare la presa, ma nulla: l’uomo ha una forza straordinaria nelle braccia e nelle mani che sembra amplificata dalla rabbia furiosa da cui è ormai dominato.
 
De Matteis allunga la mano verso la fondina, deciso ad usare il calcio della pistola per stordire Misoglio ma si accorge con un sussulto di averla lasciata nel suo ufficio. Mancini è ormai cianotico e, preso dalla disperazione, afferra la prima cosa che gli capita a tiro: il bicchiere di plastica ancora pieno d’acqua che Misoglio aveva rifiutato all’inizio dell’interrogatorio e glielo getta in faccia.
 
Non appena il liquido gli bagna il viso, Misoglio molla bruscamente la presa e si sbilancia all’indietro, finendo per cadere a terra, tossendo come se l’acqua gli fosse andata di traverso, portandosi le mani alla gola, gli occhi rossi e fuori dalle orbite, mentre cerca disperatamente di respirare.
 
“Sta bene, Mancini?” chiede De Matteis mentre l’ispettore tira dei forti respiri e annuisce, cominciando a riprendere colore, nonostante la tinta bluastra.
 
Lo stesso non si può dire per Misoglio che continua a rantolare e ad ansimare, scosso da tremori, il viso ormai paonazzo.
 
“Signor Misoglio, signor Misoglio, cerchi di respirare!” lo esorta De Matteis, inginocchiandosi accanto all’uomo e dandogli due colpi alla schiena. Prova poi ad allungare la mano per slacciargli il colletto della camicia, ma l’uomo si sottrae alla presa.

“No, mi lasci, lasciatemi, lasciatemi stare!” urla, guardandolo come terrorizzato, mentre gli occhi gli si riempiono di lacrime e i tremori si fanno sempre più forti, “andatevene, andatevene via!”
 
“Signor Misoglio si calmi: qui nessuno vuole farle del male. Cerchi di respirare e si calmi, per favore,” lo rassicura De Matteis, riuscendo infine a passargli un braccio intorno alle spalle per trattenerlo e a slacciargli il colletto con la mano libera.
 
“Ma quest’uomo scotta, ha la febbre alta!” nota immediatamente, sentendo la pelle del collo dell’uomo bruciargli sotto le dita e lanciando un’occhiata eloquente a Mancini.
 
“Ho provato… a dirlo… al suo agente… sono giorni… che ho… la febbre,” boccheggia Misoglio, mentre ogni respiro sembra costargli una fatica immane, anche se ha smesso di tremare e sembra essersi un po’ tranquillizzato.
 
“Ma è andato a farsi visitare da un medico?” domanda De Matteis, leggermente sollevato dal fatto che l’uomo non sembri in immediato pericolo di vita.
 
“No, no, ma… è la mia solita… la mia solita asma… ho la bronchite cronica che ogni tanto si… si acutizza… sa, tanti anni passati… passati a respirare la polvere di legno e…”

“Ok, non parli e non si sforzi,” lo esorta, guardandosi intorno e vedendo Grassetti e Lorenzi che sono entrati nella stanza e assistono alla scena con espressioni tra il sorpreso e l’inorridito.
 
“Senta, adesso la aiutiamo a tirarsi in piedi e poi uno dei miei agenti la accompagnerà al pronto soccorso a farsi visitare,” propone De Matteis ma immediatamente Misoglio riprende ad agitarsi.
 
“No, l’ospedale no, per favore!”
 
“D’accordo, stia tranquillo, allora la faccio accompagnare dal suo medico, che ne dice?” suggerisce con tono più calmo e conciliante possibile, preoccupato che l’uomo possa avere un’altra crisi.
 
“No, no, sto già meglio e voglio solo andarmene a casa mia, prendere le mie medicine e starmene a letto. Per favore,” implora con un tono che sembra agli antipodi rispetto all’uomo aggressivo e dalla forza quasi sovrumana che aveva quasi strangolato Mancini. Misoglio dimostra improvvisamente ben più dei suoi anni.
 
“Va bene… Lorenzi, mi dai una mano e poi accompagni il signor Misoglio a casa?” domanda, mentre l’agente annuisce e si avvicina aiutandolo a sollevare l’uomo che è quasi a peso morto.
 
“Adesso l’agente Lorenzi la riporterà a casa, va bene? Vuole qualcosa nel frattempo? Magari un bicchier d’acqua?” offre, indicando la bottiglietta di plastica ancora piena per metà sul tavolo.
 
“No, no, l’acqua no!” protesta in quello che è quasi un urlo, ricominciando ad agitarsi.
 
“D’accordo, niente acqua, tranquillo signor Misoglio. Riesce a camminare?” gli chiede e, quando l’uomo annuisce, lo affida a Lorenzi che lo porta a fatica fuori dalla stanza.
 
“Ma quindi lo lascia andare così?! Ma è impazzito?!” esclama Mancini, con la voce ancora roca, continuando a massaggiarsi il collo, “ma si rende conto che ha cercato di uccidermi?! E lei lo lascia andare, lo fa addirittura accompagnare?! Bisognava arrestarlo!”
 
“Mancini, moderi i toni e si ricordi che sono un suo superiore!” sibila De Matteis, furioso per il tono di Mancini e per il fatto che si permetta di parargli così di fronte anche a Grassetti, “mi dispiace per quello che le è successo e se vuole la accompagno personalmente al pronto soccorso a farsi visitare ma, prima di tutto, se il Misoglio sa qualcosa, cosa di cui a questo punto dubito sinceramente, ci è più utile fuori che dentro. E, in secondo luogo, come le è saltato in mente di accanirsi in questo modo su un vecchio malato?! Si rende conto di cosa poteva succedere a lei, a me e a tutta la nostra squadra se fosse successo qualcosa di grave o, peggio, di irreparabile al signor Misoglio mentre era sotto interrogatorio?”
 
“Vecchio malato? Vecchio malato?! Quello è l’Incredibile Hulk, altro che vecchio malato!”
 
“Mancini, forse non mi ha capito: il signor Misoglio sarà anche l’Incredibile Hulk, ma se gli fosse successo qualcosa, per tutta l’opinione pubblica sarebbe stato un povero vecchio malato cronico e noi gli aguzzini che si sono accaniti su un povero vecchio malato cronico. Mi capisce Mancini? E cosa pensa che ne sarebbe stato della nostra carriera?”
 
“Sì, sì, ha ragione dottore,” ammette Mancini con un sospiro, massaggiandosi ancora il collo.
 
“Bene. Vuole andare a farsi visitare?”
 
“No, non è necessario dottore.”
 
“Benissimo. Allora cominci ad avviarsi in macchina: andiamo insieme dal medico legale a prendere i risultati dell’autopsia del cadavere che ipotizziamo essere del signor Giuliani.”
 
“Sì, dottore,” annuisce Mancini, recuperando il tono ossequioso e uscendo dalla stanza degli interrogatori.
 
“Grassetti, mi serve il filmato,” ordina alla ragazza, non appena è sicuro che Mancini sia lontano.
 
“Sì, dottore,” sospira, raggiungendo insieme a lui l’apparecchiatura per le riprese, “quante copie gliene servono?”
 
“Solo una e, mi raccomando, non una parola con Mancini o con nessun altro, ok?”
 
“Sì, dottore,” annuisce, facendo come le ha chiesto ed estraendo un dvd con il filmato, per poi aggiungere, dopo un attimo di esitazione, “dottore, mi scusi, ma se mi posso permettere-“
 
“Grassetti, per favore, sono di fretta, ho appuntamento tra poco col medico legale e Mancini mi aspetta in macchina,” la interrompe De Matteis, non volendo lasciare Mancini da solo per troppo tempo: non vuole certo che l’ispettore si accorga che un certo filmato è misteriosamente scomparso dal suo cellulare.
 
“D’accordo dottore, mi scusi,” replica la ragazza a bassa voce porgendogli il disco.
 
“Perfetto. Grassetti, adesso vada al municipio Roma IX, sotto cui ricade la zona di Spinaceto, e dica a Lorenzi di raggiungerla lì quando ha finito con il signor Misoglio. Bisogna sollecitare gli impiegati, dia loro una mano nelle ricerche se necessario. Voglio qualsiasi documento, foto, qualsiasi cosa riguardi il signor Giuliani, ok?”
 
“D’accordo, dottore, posso andare?” gli domanda, sempre a bassa voce, guardandolo però negli occhi.
 
“Certo, può andare…” conferma De Matteis, avviandosi a sua volta a passo spedito verso l’ingresso.
 
Grassetti lo osserva allontanarsi ancora per qualche istante, scuotendo il capo. Avrebbe voluto chiedergli se aveva filmato l’interrogatorio di proposito, temendo che la situazione sarebbe degenerata, e perché non aveva fermato Mancini, quando era evidente che stava portando il signor Misoglio all’esasperazione inutilmente.
 
Ma De Matteis come sempre non l’aveva nemmeno considerata. Lei è solo uno dei suoi tanti soldatini, che deve limitarsi ad eseguire gli ordini senza fiatare.
 
Ma lei non è fatta di piombo e Mancini in quella sala degli interrogatori era riuscito a fare qualcosa che mai avrebbe ritenuto possibile: era riuscito a farle provare pietà e compassione persino per una feccia umana come il signor Misoglio.
 
Quasi meccanicamente estrae il cellulare dalla tasca, cerca un numero salvato in rubrica e si decide infine a comporlo dopo aver esitato per quasi due giorni.
 
“Dottor Berardi? Sono Grassetti, ho bisogno di parlarle: ho deciso di aiutarla.”
 
***************************************************************************************
 
“Cercavo il dottor De Matteis…”
 
“Ha un appuntamento?” le domanda con voce annoiata la giovane agente alla reception.
 
“No, però è una cosa urgente e lui mi conosce. Sono la professoressa Baudino, può dirgli che lo sto cercando?”
 
“Aspetti un istante…” risponde la ragazza, prendendo la cornetta e componendo un numero interno.
 
“Mi dispiace, ma a quanto pare il dottore è uscito da poco e non so tra quanto tornerà. Se vuole può aspettarlo in sala d’attesa, ma potrebbe volerci un po’.”
 
“Non si preoccupi, vorrà dire che lo chiamerò sul cellulare, la ringrazio.”
 
Si allontana con un sospiro e compone il numero: niente, non raggiungibile. Ma cosa avranno tutti quanti oggi con questi maledetti cellulari? Gli manda un sms, chiedendogli di richiamarla appena possibile. Lo sta inviando quando sente il suo stomaco brontolare e si rende conto che è dalla colazione che non mette nulla sotto ai denti.
 
Decide di fare un salto al bar vicino alla questura per ingannare l’attesa e di provare di nuovo a chiamare a casa di sua madre per sapere se Sammy è tornata, ma non risponde ancora nessuno. Mentre attende la sua ordinazione inizia quindi a fare questo benedetto giro di telefonate tra i tribunali, ma anche lì viene rimbalzata da vari “non so” e “non possiamo fornirle queste informazioni.”
 
L’occhio le cade sull’orologio: ormai mancano cinque minuti alle 15 e non faranno mai in tempo ad arrivare all’appuntamento. Sa che l’unica opportunità che avevano di ritrovare Ilenia le sta sfuggendo tra le dita e non sa se sentirsi più triste o più sollevata.
 
Presa da un impulso, afferra un tovagliolino di carta per prendere la busta dalla borsa senza lasciare impronte, decisa a controllare di nuovo il cellulare, sperando che magari Ilenia le invii un altro messaggio o che ci sia qualche numero in rubrica da chiamare o a cui mandare un messaggio.
 
Ma, come estrae la busta, sente un tuffo al cuore, mentre il suo istinto le dice che qualcosa non va: la busta è troppo leggera.
 
Con mano tremante la apre e conferma la sua intuizione: del cellulare non c’è più traccia.
 
Apre la borsa e ne controlla di nuovo il contenuto, lo rovescia perfino sul tavolo, incurante degli sguardi degli altri avventori ma niente, il cellulare non c’è.
 
Sammy! – si maledice, dandosi dell’idiota, capendo che la ragazza deve averle preso il cellulare a casa di Mancini, mentre era impegnata nelle ricerche.
 
Altro che tribunale: come aveva fatto a non capirlo?!
 
Con il cuore in gola compone di nuovo il numero di Sammy: è ancora staccato, maledizione, maledizione!
 
“Sammy, se senti questo messaggio chiamami immediatamente, per favore! Chiamami e non fare sciocchezze!” è il messaggio che le lascia in segreteria e poi le invia per sms, pregando che la ragazza lo senta o lo legga in qualche modo.
 
Quasi automaticamente compone poi il numero di Gaetano, mentre l’occhio le cade di nuovo sulla lettera che ha estratto dalla busta. Uno, due, tre, quattro squilli che le sembrano interminabili.
 
“Camilla, che succede ci sono novità?” le chiede una voce familiare e preoccupata al telefono che però la fa sentire immediatamente più leggera.
 
“Grazie al cielo, Gaetano! Sì, sì, ci sono novità: Sammy mi ha preso il cellulare, quello che mi ha mandato Ilenia, e deve essere andata all’appuntamento al posto mio, Gaetano!” spiega tutto d’un fiato, mentre lo sguardo continua a scorrere sulle righe di quella lettera maledetta.
 
“COSA?? Ma hai avvertito De Matteis?”
 
“De Matteis non è in questura e ha il cellulare staccato e non ho idea di come trovarlo…” risponde, mentre sente il cuore galopparle nel petto e un gusto metallico in bocca, quello del suo istinto che le dice che Sammy è in un enorme pericolo, ma perché, perché tutta quest’ansia?
 
Pensa davvero che Ilenia le farebbe del male, che sia un’assassina?
 
Ed è in quel momento, mentre Gaetano pronuncia parole che lei non sente, non distingue più, che la risposta le si presenta letteralmente davanti agli occhi, scritta nero su bianco.
 
“Non è Ilenia, Gaetano, non è Ilenia!” grida nella cornetta, interrompendo quel miscuglio indistinto di parole che non riusciva a decifrare.
 
“Cosa? Cosa stai dicendo Camilla?” le domanda, stupito e spaventato dal tono di lei.
 
“Non è Ilenia, Gaetano, questa lettera non l’ha scritta Ilenia!” chiarisce, chiedendosi come abbia fatto a non notarlo prima.
 
Il tono, il lei, il modo di indirizzarsi a lei e a Gaetano come “il suo compagno”: è tutto troppo diverso dalla lettera precedente, in cui dava loro del tu e li chiamava per nome con familiarità e con affetto. E poi la lettera precedente era scritta a mano mentre questa al computer, nonostante fosse una fuggitiva e procurarsi un computer su cui scrivere non fosse certo facile per lei. Perché?
 
Perché a scriverla non è stata Ilenia e chiunque fosse stato, non poteva riprodurne la scrittura.
 
Con il cuore che le rimbomba nelle orecchie si affretta a spiegare tutto a Gaetano.
 
“Sei sicura?” è la sua domanda, che giunge dopo un attimo di silenzio.
 
“Sì, sì, sono sicura, Sammy è in pericolo!”
 
“Su questo sono d’accordo con te, anche se si trattasse di Ilenia… quando era questo appuntamento, Camilla, che ore sono?”
 
“Sono le 15.10,” realizza Camilla con un sussulto, guardando l’orologio, “e l’appuntamento era alle 15. Che facciamo Gaetano? Maledizione, dobbiamo fare qualcosa!”
 
“Senti, ti ricordi il nome di questo dannato ristorante? Ci andiamo io e Marchese, di corsa: è chiaro che l’incolumità di Sammy ha la priorità su tutto. Tu intanto prova ancora a rintracciare De Matteis, ok, e avvertilo non appena lo trovi, spiegagli cosa sta succedendo e che ci raggiunga,” risponde Gaetano con quel tono deciso e rassicurante che lei gli ha sentito usare ogni volta che si prospettava un’emergenza, prima di entrare in azione.
 
“Gaetano, mi sembra che il nome del ristorante fosse ‘Biondo Tevere’… era sul Tevere appunto, sull'Ostiense, dopo l’EUR, zona di Vitinia, ma è fuori Roma e praticamente dalla parte opposta della città rispetto a dove siete voi. Ci mettereste troppo tempo ad arrivarci, io sono molto più vicina e-“
 
“Eh, no, Camilla, non se ne parla: tu quel ristorante non lo devi vedere nemmeno col binocolo! Sia che sia come dici tu e non si tratti di Ilenia, sia che si tratti di lei, l’obiettivo di questa lettera e di questo messaggio sei tu, è te che vogliono, e devi starne alla larga! Non ti è bastata la storia dei diamanti?” intima Gaetano, con un tono tra l’implorante e l’arrabbiato che la fa sentire tremendamente in colpa.
 
“Lo so, lo so, hai ragione e stai tranquillo: se non sono andata a quell’appuntamento e te ne ho parlato è proprio perché non volevo correre rischi inutili e non ho intenzione di correrli adesso. Che cosa ne dici se io provo a cercare il numero del ristorante e a chiamare e chiedere informazioni mentre tu e Marchese cominciate ad avviarvi? Se è successo qualcosa qualcuno l’avrà notato, no?” gli propone cercando di tranquillizzarlo e di fargli capire quanto è sincera.
 
“D’accordo, chiamami appena hai notizie. Anzi, chiamami anche se non hai notizie, ok?” la prega di nuovo mentre dai rumori di sottofondo, Camilla capisce che lui e Marchese sono già in strada.
 
“Ok, anche tu…” gli risponde per poi aggiungere, dopo un attimo di pausa, “e stai attento, per favore.”
 
“Tranquilla, professoressa, non ti libererai facilmente di me,” ribatte in un modo affettuoso e ironico che le fa male al cuore prima di interrompere la comunicazione.
 
***************************************************************************************
 
“Cosa abbiamo qui?”
 
“La vittima è di sesso maschile, caucasico, dallo stato di ossa, tendini e legamenti e dalla curvatura dello scheletro sicuramente oltre i 70 anni di età. Il cadavere è in avanzato stato di decomposizione, nonostante il sacchetto di plastica in cui era richiuso debba avere ritardato il processo. Non mi è facile quindi stabilire una data di morte precisa, ma certamente risale a più di sei mesi fa e onestamente ipotizzerei anche oltre l’anno. Da quello che vedo sembrava in buona salute per la sua età: aveva ancora praticamente tutti i suoi denti, anche se un po’ consumati, e, da quello che rimane degli organi, non emergono segni di particolari patologie, solo una vecchia frattura a due costole. La causa della morte è un colpo netto inferto alla base del cranio, come si vede da questa frattura. La morte deve essere stata praticamente istantanea. Dal tipo di frattura, il colpo sembra essere stato inferto con un oggetto affilato e utilizzato di taglio, con un’angolazione dal basso verso l’alto e con una certa forza.”
 
“Quindi l’assassino potrebbe essere più basso della vittima?” domanda De Matteis, ricordando benissimo che Ilenia Misoglio è decisamente bassa di statura, tra un metro e cinquanta e un metro e sessanta, mentre Marcio era oltre il metro e ottanta.
 
“Sì, potrebbe essere, come potrebbe essere che, per qualche motivo, la vittima si trovasse in posizione rialzata rispetto all’assassino. Come già detto, lo scheletro della vittima è incurvato per via dell’età ma in posizione eretta risultava comunque alto circa un metro e settantacinque.”
 
“E l’oggetto usato? Qualche indicazione?”
 
“Dato il tipo di frattura, il colpo potrebbe essere stato inferto con una pala, un’ascia…”

“Quindi dobbiamo fare analizzare gli attrezzi rinvenuti nel cascinale,” conclude De Matteis, mentre Mancini annuisce e continua ad annotare, “c’è altro?”
 
“No, direi di no, dottore.”
 
“Immagino che le impronte della vittima non siano più identificabili, giusto?”
 
“No, purtroppo la decomposizione era troppo avanzata. Ma abbiamo provveduto a prelevare il DNA della vittima e verrà inserito nel sistema.”
 
“Perfetto, grazie mille, dottore,” si congeda De Matteis, uscendo dai sotterranei dove si trovava l’obitorio e tornando in strada. Il suo cellulare inizia a squillare, segnalando parecchie chiamate perse e un messaggio: purtroppo nella “cripta” i telefoni non prendono. Sta per aprirlo quando arriva una telefonata.
 
“Pronto? Grassetti? Mi dica…” risponde, mentre sale in macchina, Mancini al posto di guida.
 
“Sono in municipio, dottore, gli impiegati mi hanno appena consegnato copia degli ultimi documenti del signor Giuliani: una carta d’identità risalente a vent’anni fa. C’è anche la foto tessera… qui vicino c’è un laboratorio di stampa fotografica, vado a farmene fare un duplicato?”
 
“Sì, Grassetti, buona idea, anzi, ne faccia anche più di uno, diciamo pure una decina. Altri documenti?”
 
“Nulla che ci possa essere utile, dottore.”
 
“Grassetti, che altezza è indicata sulla carta di identità?”
 
“Un metro e ottanta, dottore…”

“La nostra vittima non identificata arriva al metro e settantacinque ma è incurvata per l’età. Una perdita di cinque centimetri in vent’anni credo possa essere fisiologica, considerata anche la tendenza ad arrotondare l’altezza per eccesso sui documenti,” ragiona ad alta voce, tenendosi alla portiera mentre Mancini prende una curva in modo un po’ troppo sportivo, “segni particolari?”
 
“No, apparentemente nessuno.”
 
“Senta, Grassetti, visto che è in zona, provi a contattare l’ex medico di base del signor Giuliani e a fargli visita. Si informi se il signor Giuliani avesse subito una frattura alle costole in passato e se avesse ancora tutti i suoi denti. Anche se, data l’assenza di visite dentistiche, presumo sia così. E gli chieda se ha tra i suoi archivi qualche informazione aggiuntiva sul signor Giuliani, che magari non ha passato al medico che l’ha sostituito. È improbabile ma conviene fare un tentativo.”
 
“D’accordo dottore, c’è altro?”
 
“No, non c’è altro, mi tenga informato,” conclude affrettandosi a chiudere la chiamata prima di venire assordato dai continui trilli che gli annunciano ulteriori messaggi in arrivo.
 
Una sfilza di chiamate perse – Baudino e Berardi – e un messaggio della Baudino in cui lo prega di richiamarla subito. Qualcosa di fantascientifico fino a poche ore prima, ma immagina che non si tratti di una chiamata di cortesia.
 
Prova a richiamarla, lanciando un’occhiata in tralice a Mancini e preparandosi a parlare in codice ma la professoressa ha il telefono occupato.
 
Non che la cosa lo stupisca: nulla è mai semplice o senza complicazioni quando c’è di mezzo Camilla Baudino.
 
***************************************************************************************
 
“Allora, com’era? Zero, sei, tre, sei, sette, sette, sei, sette!”
 
“Ristorante Biondo Tevere,” le risponde una voce familiare dopo qualche istante, confermandole che il numero è giusto e che se lo ricorda ancora dopo oltre otto anni. E soprattutto, che si ricorda ancora a memoria dopo oltre otto anni il vecchio numero di Gaetano a Roma. Non sa se sia più romantico, più patetico o più inquietante.
 
“Buongiorno, mi scusi se la disturbo ma avrei bisogni di un’informazione…”
 
“Se deve prenotare, la cena parte dalle ore 19.30,” spiega meccanicamente l’uomo.
 
“No, no, non devo prenotare. È che verso le 15 dovrebbe essere passata di lì una ragazza, Sammy Lo Bue, capelli mossi, biondo scuro, occhi castani, sul metro e sessanta, quasi metro e settanta con i tacchi, aveva una giacca leggera e una gonna grigio chiaro, camicia bianca. L’ha vista? Perché la sto cercando e ho bisogno di parlarle urgentemente.”
 
“Sì, sì, certo che l’ho vista ma è anche già andata via…”
 
“È già andata via? Ma era da sola o con qualcuno?”
 
“Ma perché le interessa? Chi è lei, mi scusi?” domanda con tono improvvisamente sospettoso.
 
“Sono un’amica di Sammy e sono preoccupata per lei perché so che aveva appuntamento con una persona poco raccomandabile e temo sia in pericolo. Ha il cellulare staccato e non riesco a raggiungerla. La prego, mi deve aiutare, è una questione di vita o di morte: tra poco arriveranno da lei due poliziotti e le chiariranno meglio la situazione e le faranno ulteriori domande ma ogni minuto è prezioso.”
 
“Quindi lei è della polizia?” chiede, passando dal sospettoso al tono spaventato di chi prevede grane.
 
“Diciamo che… diciamo che collaboro con la polizia. Per favore, mi dica con chi era Sammy e cosa ha fatto nel suo ristorante. Non l’avrei disturbata se non fosse davvero importante.”
 
“D’accordo, d’accordo, ma credo che stiate prendendo un granchio perché non è successo niente di che. La ragazza era da sola e non ha incontrato nessuno. È venuta qui, la cucina era già chiusa quindi non c’era nessun altro in giro, e mi ha chiesto se avessi ritrovato una giacca di jeans, dicendo di essere convinta di averla persa nel mio ristorante. Me l’ha descritta e in effetti ieri avevo ritrovato proprio una giacca simile nel guardaroba. Le dirò, mi è sembrato un po’ strano perché la giacca sembrava un vecchio modello e adatta ad un’adolescente e non certo a una tipa elegante come la sua amica, oltretutto sembrava un XL mentre la sua amica avrà una XS. Comunque, visto che mi aveva dato la descrizione e che il suo viso mi sembrava famigliare, gliel’ho restituita.”
 
“E poi Sammy cos’ha fatto con la giacca?”
 
“Ma niente: ha guardato nelle tasche, ha estratto un foglietto, l’ha letto e se ne è andata esattamente com’è venuta. Fine, tutto regolare.”
 
“Un foglietto? E lei non è che mi saprebbe dire cosa c’era scritto su questo foglietto, vero?” domanda Camilla con tono di chi conosce già la risposta.
 
“Signora… sa… io tutelo la privacy dei miei clienti e-“
 
“Sì, ma mettendomi nei suoi panni, signor Peppone, se io trovassi una giacca nel mio locale, da persona scrupolosa come sono sicura che è lei, mi metterei a cercare nelle tasche per controllare se magari ci sono dei documenti o indicazioni su come rintracciarne il proprietario. E magari che non ci siano oggetti di valore o oggetti pericolosi… con i tempi che corrono…”
 
“Sì, è vero, ha ragione… sa, qualche anno fa ho avuto un mal di testa tremendo per via di uno scambio di due loden tra due clienti e da allora controllo sempre ogni oggetto smarrito. Nelle tasche c’era solo un biglietto del luna park, sembrava per una casa stregata, un tunnel dell’orrore, qualcosa del genere. E c’era un appunto scarabocchiato a penna, un orario, ma sinceramente non mi ricordo che orario fosse di preciso.”
 
“E si ricorda qual era il luna park?” gli domanda mentre il cuore ricomincia a batterle all’impazzata, dopo che le parole dell’uomo l’avevano per un attimo tranquillizzata. Non è ancora finita.
 
“No, mi dispiace, ma quando ho visto che non era niente di valore, di pericoloso o di utile a rintracciare il proprietario, ho rimesso il biglietto a posto e non sono stato a leggerlo con attenzione…”

“Capisco, la ringrazio molto, mi è stato comunque utilissimo,” lo saluta, chiudendo rapidamente la chiamata.
 
Sta per comporre il numero di Gaetano quando le arriva un sms.
 
Ho letto il suo messaggio. Sono in auto con Mancini, se ha bisogno mi richiami. PDM
 
PDM? – in altre circostanze la formalità di De Matteis le avrebbe strappato un sorriso. In altre circostanze ma non ora.
 
Segue il suo istinto e compone un numero a lei ben più familiare.
 
“Camilla, ci sono novità?”
 
“Gaetano, sì, ci sono novità. Sammy ha ritirato una giacca di jeans da quel ristorante, dev’essere stata un’istruzione arrivatale per sms. Nella giacca a quanto pare c’era un biglietto di un tunnel dell’orrore, una casa stregata, con un orario. Insomma, Sammy e l’autore della lettera hanno appuntamento in un Luna Park.”
 
“In un Luna Park? Camilla, ti rendi conto di quanti Luna Park e giostre itineranti ci sono in giro adesso tra Roma e i dintorni? Siamo in piena estate!” le ricorda con un tono concitato che le fa capire ancora di più quanto la situazione sia disperata.
 
“Lo so, Gaetano, lo so. Quantomeno possiamo escludere il Rainbow: lì c’è il biglietto di ingresso e non per le singole attrazioni…. Come possiamo fare a trovarla? Non so, si può rintracciarle in qualche modo il telefono?”
 
“Non se è spento, Camilla, ma… cosa dici Marchese? Giusto, hai ragione, è un’ottima idea! Camilla, ti metto in vivavoce.”
 
“Prof., sono Marchese, se, come pensiamo, Sammy ha un programma spia sul cellulare, il suo telefono potrebbe risultare solo apparentemente spento, ma in realtà essere in standby e quindi essere rintracciabile sia dalla centrale, sia anche e soprattutto da Mancini, se ha il controllo del cellulare di Sammy da remoto. Non solo, ma potrebbe anche essere in grado di sentire cosa Sammy sta facendo!”
 
“Ma allora bisogna avvertire subito De Matteis che è in macchina con Mancini. Mi ha appena mandato un sms ma non l’ho ancora richiamato. Potete farlo voi? Io ho solo un telefono e non posso stare al telefono con lui e con voi in contemporanea.”
 
“Certo prof., posso chiamarlo subito. Ma se Mancini si rifiuta di collaborare perché non vuole ammettere del software spia che si fa?”
 
“In quel caso, Marchese, giuro che, a costo di finire in galera, lo spedisco a cantare nelle voci bianche,” replica Camilla con un tono che fa rabbrividire i due uomini.
 
***************************************************************************************
 
“Che cosa?? Ho capito, ho capito, resti in linea Berardi.”
 
“Berardi? Perché la chiama al cellulare? Ha ricevuto la convocazione dal questore?” domanda Mancini sorpreso, lanciandogli un’occhiata prima di svoltare ad un incrocio.
 
“No, Mancini, si tratta di un’emergenza e riguarda sua moglie.”
 
“Sammy? Cos’è successo a Sammy?”
 
“A quanto pare la professoressa Baudino ha ricevuto un… diciamo un invito da parte della Misoglio a recarsi ad un appuntamento. È venuta in questura per riferircelo ma non ci ha trovati. In compenso sua moglie, che era con lei, ha deciso di fare di testa sua, le ha sottratto il telefono tramite il quale la Baudino doveva ricevere indicazioni su luogo e ora dell’appuntamento e ci è andata da sola. Per farla breve, la Baudino e Berardi hanno scoperto che sua moglie si sta recando in un luna park ma non hanno idea di quale sia di preciso e il tempo stringe. Hanno provato in tutti i modi a contattare sua moglie ma ha il cellulare staccato.”
 
“Che cosa?” sussurra, mentre il viso perde ogni colore e le mani gli tremano sul volante al punto tale che accosta e ferma la macchina.
 
“Non è tutto, secondo la Baudino, l’autore della lettera non sarebbe la Misoglio ma qualcun altro. Ora, non so se la Baudino abbia ragione o meno ma credo di poter affermare con certezza che sua moglie sta per incontrarsi con un o una pluriomicida e non abbiamo alcun modo di rintracciarla.”
 
“Maledizione, maledizione, lo sapevo, lo sapevo che Sammy non doveva frequentare quella pazza incosciente! Ci ha portato solo guai! Maledizione!” urla, tirando un pugno sul volante per la rabbia e la disperazione.
 
“Mancini, se non fosse per quella pazza incosciente, non sapremmo nemmeno che sua moglie si trova in pericolo e non avremmo alcun indizio su dove cercarla!” replica De Matteis con tono deciso e tagliente, “e ora non è il momento di perdere tempo a farci la guerra tra noi ma dobbiamo concentrarci solo su come fare a ritrovare sua moglie prima che sia troppo tardi. Chiaro?!”
 
“Sì, sì, ha ragione, dobbiamo trovarla, dobbiamo trovarla,” ripete quasi come in un mantra, chiaramente in panico, per poi fermarsi di botto ed esclamare, “ma certo! Posso scoprire dove si trova!”
 
“E come, se ha il cellulare spento?” gli domanda De Matteis, anche se intuisce già la risposta, vedendo Mancini estrarre il suo telefono dalla tasca e iniziare a smanettare come un forsennato.
 
“Ecco, è in zona EUR, sulla Via Ostiense,  sta andando in direzione del centro città!” proclama, mostrando a De Matteis un puntolino rosso che si muove su una mappa. Basta uno sguardo di De Matteis, non servono parole.
 
“Lo so, lo so che non si potrebbe dottore, ma… sospettavo che mia moglie mi tradisse con Marchese e-“
 
“E così ha deciso di spiarla… senta, Mancini, adesso la priorità è raggiungere sua moglie, ma spero si renda conto delle conseguenze di quello che ha fatto,” sibila De Matteis, scuotendo il capo, “e mi dica, non è che ha modo di chiamarla, anche se lei pensa di avere il cellulare spento?”
 
“No, no, ma posso sentire cosa succede intorno a lei, se è a portata di microfono,” ammette con il tono di chi sa benissimo di starsi scavando la fossa da solo ma a cui allo stesso tempo non importa più.
 
“E allora provi a collegarsi e io intanto riferisco a Berardi e Marchese,” ordina, prima di riprendere la cornetta in mano, “Berardi, la metto in vivavoce, sono con l’ispettore Mancini che mi ha appena riferito che sua moglie si trova sulla Ostiense, sta tornando verso il centro città. Possiamo tenere d’occhio i suoi spostamenti e ci avviciniamo alla zona.”
 
“Sì, dottore, se ci da indicazioni precise la raggiungiamo: anche io sono in auto con l’agente Marchese e ho al telefono anche Camilla, la professoressa Baudino, che è a sua volta in vivavoce e ci sta ascoltando. Mi conferma che Sammy è sull’Ostiense?”
 
“Sammy è appena uscita dalla Ostiense,” proclama Mancini, seguendo il percorso sul cellulare mentre avvia il motore, “è su Viale Egeo…”
 
“Da quelle parti non c’è un vecchio luna park ormai chiuso da anni?” domanda Camilla, ricordando benissimo alcune cene di fine anno con gli studenti, un paio di visite con Livietta piccolissima, prima che lo chiudessero, e perfino qualche uscita con Renzo ai tempi del loro fidanzamento, quando la voglia di trascorrere qualche ora da soli in santa pace senza l’occhio vigile del generale Baudino e della generalessa Andreina erano riusciti a vincere perfino l’avversione di Renzo verso i luna park e i luoghi troppo affollati in genere. Ed era uno dei posti preferiti dai suoi compagni di scuola ai tempi del liceo quando volevano marinare la scuola, ma lei era sempre stata una studentessa troppo coscienziosa per farlo, almeno fino a un paio di anni fa.
 
“Sì, è vero, ha ragione, e credo si stia dirigendo proprio lì,” conferma De Matteis, che ha preso il cellulare a Mancini prima di provocare un incidente, guardando il puntolino che si muove sulla mappa e ricordando con orrore quando suo fratello lo aveva costretto ad accompagnarlo in mezzo a quella specie di bolgia umana per fare colpo su una ragazza con il classico metodo del fratellino tenero.
 
Ma il fratellone aveva fatto male i conti, perché lui si era rivelato tutt’altro che un fratellino tenero e la malcapitata se l’era svignata a metà appuntamento. Poi suo fratello gliel’aveva fatta pagare per settimane a casa, ma almeno non aveva più insistito per trascinarlo in un posto simile e non l’aveva più usato come esca per povere fanciulle indifese.
 
“Noi siamo ancora lontani, ci metteremo quaranta minuti almeno ad arrivare,” annuncia Gaetano, già impegnato con Marchese a circumnavigare gli ingorghi di traffico.
 
“Noi ci metteremo mezz’ora, credo, forse meno, se siamo fortunati,” risponde De Matteis, attivando la sirena, mentre Mancini pigia ancora di più sull’acceleratore.
 
“Io sono più vicina, un quarto d’ora e dovrei essere lì,” dice Camilla, calcolando mentalmente le distanze, mollando sul tavolino del bar l’importo necessario per pagare il panino che non ha toccato e dirigendosi alla macchina.
 
“NON SE NE PARLA NEMMENO!” urlano praticamente all’unisono Gaetano e De Matteis, tanto che deve allontanare la cornetta dall’orecchio prima di venire assordata.
 
“Camilla, per favore, stai lontana da quel luna park,” intima Gaetano con quel tono che ormai riconosce benissimo e che è un misto tra una minaccia e una preghiera.
 
“Berardi ha ragione, professoressa: si azzardi anche solo ad avvicinarsi a quel posto e giuro che l’arresto personalmente e non sto scherzando,” aggiunge a sua vola De Matteis, con un tono che invece è una minaccia e basta.
 
“D’accordo, d’accordo, ho capito!” li rassicura, esasperata, “ascoltate, vi prometto che non ho alcuna intenzione di entrare in quel luna park, ma sono la persona più vicina e magari riesco ad intercettare Sammy prima che ci entri. E se non ci riesco vi aspetto fuori, chiusa in macchina e al minimo pericolo avvio il motore e riparto. Ma almeno vi faccio sapere se noto qualcosa di strano, ok?”
 
“Beh, sì, così mi sembra ragionevole,” concede De Matteis con un sospiro, sperando di non doversene pentire.
 
“Camilla…” le sussurra Gaetano, avendo tolto per un attimo il vivavoce dal telefono di Marchese in modo che De Matteis e Mancini non sentano, “d’accordo, voglio fidarmi di te, ma ti prego in nome di tutto quello che c’è stato e che spero ci potrà ancora essere tra noi, in nome di tutte le persone che amiamo: non fare pazzie e non mi deludere.”
 
“Non lo farò, stai tranquillo, Gaetano. E anche tu non ti libererai tanto facilmente di me!”
 
***************************************************************************************
 
“Camilla, ci sono novità?”
 
“Sì, e non sono buone: sono qui fuori dal luna park e c’è la macchina di Sammy ma è vuota. Sammy deve già essere entrata,” annuncia, guardando fuori dal finestrino.
 
Aveva dovuto fare un giro intorno al perimetro del parco fino ad arrivare sul retro. La macchina di Sammy era parcheggiata a poca distanza da un cumulo di materiali da costruzione. Nonostante la pila di materiali non sembrasse molto stabile, a occhio e croce poteva essere scalata abbastanza agevolmente, e rappresentava probabilmente l’unico accesso per scavalcare l’alta recinzione del parco.
 
“Rimani lì, ok? Noi ci metteremo ancora almeno venti minuti. De Matteis, voi a che punto siete? Camilla mi dice che Sammy è già entrata nel parco.”
 
“Dieci minuti e dovremmo essere lì. Comunque ho attivato il microfono del telefono della moglie di Mancini e per ora non si sente nulla di sospetto, solo rumori di passi e di respiri. Credo che stia semplicemente camminando,” li rassicura De Matteis, più preoccupato di arrivarci vivo al luna park, dato come sta guidando l’ispettore.
 
Camilla si tranquillizza e rimane in linea come promesso ancora per qualche minuto, osservando l’alta recinzione, finché i suoi occhi e le sue narici percepiscono qualcosa che le fa finire il cuore nello stomaco.

Fumo, fumo nero e denso che si innalza oltre la recinzione e si disperde nell’aria.
 
“C’è fumo, sta bruciando qualcosa!” li avverte, aprendo il finestrino per annusare meglio: l’odore acre di legno e plastica bruciata.
 
Ed è a quel punto che si sente una richiesta d’aiuto da una voce in lontananza che le è familiare ed estranea al tempo stesso, distorta e trasfigurata dal panico.
 
“Aiuto! Aiuto! Qualcuno mi sente?? Ilenia? Ilenia ci sei?? Sono bloccata qui dentro, aiuto!!”
 
D’istinto esce dall’auto ma la voce invece che aumentare di intensità si affievolisce ulteriormente. Si rende conto allora che proviene dal suo cellulare, o meglio, dal cellulare di Marchese, collegato in viva voce con quello di De Matteis che regge ancora in mano il telefono di Mancini che sta registrando dal microfono del cellulare di Sammy.
 
Una specie di macabro gioco del telefono senza fili.
 
“Maledizione, c’è un incendio? Cosa vede, professoressa?!”
 
“Sì, dottor De Matteis, c’è del fumo, sicuramente è un incendio,” conferma Camilla, guardando quella nube nera con il cuore che batte all’impazzata.
 
“Aiuto!!! AIUTATEMI, vi prego!!! ILENIA!!! QUALCUNO!!!! SONO BLOCCATA, AIUTATEMI, NON RESPIRO!” la raggiunge di nuovo l’eco di un urlo confuso e distorto dalla statica ma ancora più inequivocabilmente disperato, seguito da colpi di tosse.
 
“Dio mio, fate qualcosa! Professoressa, deve fare qualcosa, se vuole davvero bene a Sammy, faccia qualcosa!” urla a sua volta Mancini, fuori di sé.
 
“Camilla!”
 
“Professoressa Baudino!”
 
La raggiungono anche le urla di Gaetano e di De Matteis che si mischiano a quelle di Sammy, ma il suo cuore e la sua coscienza hanno già deciso.
 
“Gaetano, perdonami, ma non posso… non posso stare qui ad ascoltarla morire senza fare niente, io vado, voi chiamate i pompieri e un’ambulanza,” annuncia nella cornetta, scendendo dall’auto ed avvicinandosi alla recinzione, prima di aggiungere, incurante del fatto che gli altri sentano, “se dovesse capitarmi qualcosa, ricordati che ti amo, ti amo tantissimo. E stai vicino a Livietta e a mia madre e dai un bacio a Tommy.”
 
“Camilla, Camilla! Maledizione, Camilla,” urla, ma lei ha rimesso il telefono in tasca, anche se mantiene attiva la comunicazione.
 
Camilla si avvicina all’alta recinzione arrugginita e inizia la scalata. Cerca di fare più rapidamente che può ma deve arrendersi all’evidenza che deve procedere lentamente, se non vuole rompersi l’osso del collo. Quando finalmente scavalca e poi si lascia cadere a terra il più dolcemente possibile, le sue ginocchia e le sue giunture le ricordano con un terribile scricchiolio che ha quasi cinquant’anni e non ha più il fisico per certe cose.
 
Si rialza in piedi e inizia a correre verso il fumo, ignorando i menischi che pungono e i palmi delle mani mezzi sbucciati nello sforzo di attutire l’impatto con il suolo.
 
Ed è proprio la casa stregata a tre piani che sta bruciando.
 
“Sammy, Sammy! Mi senti?!” urla, avvicinandosi all’ingresso, “Sammy???”
 
“Prof.?? Prof.?? Sono qui, sono qui!!!” la raggiunge un urlo rauco e, alzando lo sguardo, vede il viso della ragazza sporgersi da una piccola finestrella al terzo piano con il vetro rotto, attraverso cui Sammy sta cercando di respirare aria pulita.
 
Ma è troppo piccola per essere usata come via di fuga e in ogni caso difficilmente Sammy sopravvivrebbe ad una caduta da quell’altezza.
 
“Prof., sono bloccata: la porta non si apre, deve esserci caduto qualcosa davanti! Prof., la prego mi aiuti!” grida, evidentemente ad un passo da un attacco di panico.
 
“Sammy, respira, respira e stai tranquilla! Io adesso entro ma stanno arrivando anche i rinforzi ok? Gaetano, Marchese, De Matteis e tuo marito, l’ambulanza e i pompieri, stanno venendo qui! Come faccio a raggiungerti?”
 
“Le scale prof.! Al terzo piano e vada a sinistra, c’è un solo corridoio, sono nella stanza in fondo!” urla tra i colpi di tosse, la voce che va e viene.
 
“Arrivo, resisti!” grida, entrando dall’ingresso ormai fatiscente.
 
Il fumo è spesso e acre e le toglie il fiato e capisce che così non potrà mai arrivare viva al terzo piano.
 
Esce di corsa per respirare aria pura ed estrae dalla borsa il fazzoletto di stoffa e la bottiglietta d’acqua che porta sempre con sé. Imbeve il cotone e poi se lo piazza davanti a naso e bocca come una mascherina.
 
Prende un bel respiro e rientra, accovacciandosi e camminando a testa bassa, dato che il fumo va verso l’alto, cercando di distinguere qualcosa. Vede le scale di fronte a sé, ma stanno già bruciando e sembrano pericolanti.
 
Pregando chiunque la stia ascoltando di darle la forza, sale i primi gradini quando sente dei rumori alle sue spalle e due braccia la afferrano per la vita, riportandola a terra e trattenendola con la forza.
 
“Mi lasci, mi lasci!” urla tra i colpi di tosse, incurante del fumo, ma lo sconosciuto è troppo forte, le tappa la bocca con una mano e inizia a trascinarla all’indietro verso la porta.
 
Sentendo di stare lottando per la sua vita e con la forza della disperazione, morde la mano fino a che lo sconosciuto lascia la presa urlando dal dolore. Cerca di proiettarsi in avanti ma lui con la mano ancora sana la trattiene per la vita e la stringe a sé ancora più forte.
 
“Maledizione, sono De Matteis, si calmi, sono De Matteis!” le urla nell’orecchio, portandola a voltare il viso e ad incontrare quegli occhi azzurri e il viso contorto in una smorfia di dolore.
 
Paralizzata da un misto di sollievo, panico e imbarazzo gli permette di trascinarla ancora per i pochi passi che la conducono all’uscita.
 
“Dov’è Sammy??” grida un’altra voce e riesce finalmente ad individuare Mancini.
 
“Terzo piano, a sinistra, ultima stanza in fondo al corridoio,” spiega tra un colpo di tosse e l’altro, mentre l’ispettore, con una mascherina sul volto presa chissà dove, si precipita dentro l’edificio.
 
“Lei stia qui, ok? Stia qui e non si muova, aspetti Berardi e Marchese! Io entro con l’ispettore,” le intima, dopo essere arrivati ad una distanza di sicurezza dall’edificio, comprimendo con la destra la ferita sanguinante alla mano sinistra.
 
“Mi dispiace per il morso… ma non immaginavo…. come avete fatto ad arrivare così in fretta?” domanda imbarazzata, sbalordita da tanta rapidità.
 
“Abbiamo sfondato la cancellata di ingresso e-“
 
Un boato improvviso, il rumore di un crollo, taglia a metà la sua frase. E poi li raggiungono le urla di Sammy e anche di Mancini.
 
“Sammy, Sammy!” grida Camilla, cercando di nuovo di avvicinarsi a quella maledetta casa stregata, ma De Matteis la trattiene per un braccio e le si para davanti.
 
“Vado io a vedere, lei stia qui. Qualsiasi cosa succeda, stia qui e non si muova. Dovesse crollare il mondo non si muova, ok?” le intima, guardandola negli occhi in un modo che non saprebbe definire ma che le fa morire in gola ogni obiezione.
 
“Sì,” sussurra, rimanendo a fissarlo come un’ebete mentre si volta e si incammina di nuovo verso l’edificio in fiamme.
 
Un paio di passi fatti maledicendo il bruciore alla mano, gli incisivi della Baudino e quell’idiota di Mancini per averla spinta a correre verso morte quasi certa.
 
E poi un puntolino rosso, colore che mai come oggi ha simboleggiato per lui sventura e, di nuovo, morte.
 
Un puntolino rosso che rimbalza sul legno dell’edificio in fiamme di fronte a lui e corre poi a zig zag lungo il terreno, tremolando come la fiamma di una candela, avvicinandosi a lui e oltrepassandolo fino a scomparire. A scomparire dietro alle spalle della Baudino.
 
È una questione di pochi secondi, forse frazioni di secondo, il tempo di fare un passo, spiccare un salto, lanciarsi addosso a lei, sentire il suo urlo di sorpresa nell’orecchio e poi il boato e poi il tonfo e poi un altro urlo straziante e ignoto ma che scopre provenire dalla sua stessa gola.
 
“Dottor De Matteis, dottor De Matteis, che succede? Sta bene?” grida Camilla, spaventata da quel grido disumano nelle orecchie, ritrovandosi spalmata a terra a pancia in su, lui sopra di lei a peso morto. Sente qualcosa  sotto la testa che identifica come il braccio sinistro di lui e capisce che le ha attutito la caduta, evitandole probabilmente un bel trauma cranico.
 
“Dottor De Matteis? Sta bene?” domanda di nuovo, fino a che non lo vede aprire gli occhi e fissarli nei suoi, mentre la mano destra di lui si sposta dal suo fianco e sembra armeggiare con qualcosa.
 
“Shhh, stia zitta e non si muova, ok?” le sussurra in un orecchio con voce di chi fa fatica ad emettere qualsiasi sillaba.
 
Camilla vede un bagliore e volta il capo ed è allora che nota la pistola nella mano destra di lui.
 
Un altro sparo e la mano di lui che si solleva e altri due spari e un urlo ancora più lancinante del primo, mentre la pistola scintilla nell’aria e cade a qualche passo da loro.
 
E poi il fiato di lui sul collo e una strana sensazione di calore e di bagnato sul petto e sul braccio sinistro. Bloccata in quella posizione non riesce a vedere cosa sia ma ne distingue l’odore pungente e metallico, persino in mezzo a quello opprimente del fumo: sangue.
 
“Ma lei è ferito, si sposti, la prego, si sposti!” lo implora, sentendo ancora, uno, due, tre, poi quattro spari, cercando inutilmente di spingerlo via, mentre lui non si muove di un millimetro e rimane lì sopra di lei a farle da scudo umano, bloccandola con il suo peso, “per favore, mi lasci andare, chiunque sia che ci sta sparando vuole me e non-“
 
La frase le muore in gola quando sente qualcosa bloccarle le labbra. Un tocco lieve e brevissimo, poco più di qualche frazione di secondo, familiare e completamente alieno al tempo stesso, che termina tanto rapidamente quanto è iniziato, non dandole il tempo né di pensare, né di sottrarsi, né di reagire.
 
Occhi azzurri che scrutano nei suoi e lei che rimane così, con occhi e bocca spalancati, ammutolita e completamente scioccata.
 
“Finalmente capisco mio fratello: aveva scoperto l’unica arma segreta per… per farla… stare zitta,” esala a fatica in un tono che cerca di essere ironico, per poi aggiungere, guardandola di nuovo negli occhi in quel modo indefinibile, “e comunque… non mi muovo da qui… chiaro?”
 
Lei non riesce ancora a parlare, il cervello e la bocca cercano frasi ma non riescono a formarle, mentre una voce nella sua mente continua a chiedersi il perché di quel gesto ed un’altra voce continua a domandarsi se non sia già svenuta o se non abbia davvero subito un trauma cranico e tutto questo sia solo una bizzarra allucinazione.
 
Altri due spari la riportano alla realtà e poi passi… passi in lontananza ma che si avvicinano inesorabilmente.
 
Uno sguardo tra loro ed entrambi si voltano verso la pistola ma è così maledettamente lontana. Camilla lo sente provare a muovere il braccio destro ma capisce dal mugugno di dolore e dal modo in cui si accascia su di lei che non può farlo. Con sommo sforzo estrae il suo braccio sinistro da sotto il corpo di lui, e lo allunga più che può, fino a sentire tra le dita il calcio della pistola e fino a riuscire infine ad afferrarla.
 
“Maledizione! Io non posso sparare, non sento più le mani… ha mai… sparato?”
 
“No… no…” sussurra, spaventata a morte da quell’ammissione.
 
“La sicura è tolta, basta… basta premere il grilletto. Dobbiamo stare fermi, in silenzio… come se fossimo morti…  Si avvicinerà a controllare e io… lo prenderò di sorpresa… le darò un’occasione e lei deve sparare, sparare al petto, due volte, senza esitazioni e poi alzarsi e correre… correre senza fermarsi… capito?” le sussurra all’orecchio, il respiro sempre più affannoso e più flebile, “ha cinque colpi… li usi bene.”
 
“E lei?” gli domanda, guardandolo negli occhi, capendo benissimo qual è la risposta, “no, io non-“
 
“Pensa a tua figlia, a Berardi... spara, corri e… mettiti in salvo,” le ordina e non sa se sia più sconvolta dall’uso del tu, da quello che è successo prima o da quello che le ha appena detto.
 
Livietta… Gaetano… De Matteis ha ragione: non può morire così, non adesso.
 
Ma può davvero lasciarlo indietro? Potrà vivere con la sua coscienza dopo?
 
I passi si fanno sempre più vicini, col cuore in gola Camilla afferra la pistola e la nasconde sotto al corpo di lui, preparandosi mentalmente a quello che deve fare.
 
Sente la terra vibrare sotto il suo corpo ad ogni passo come se fosse quello di mammut, un respiro, due respiri, ormai distingue i passi, non una ma due persone – e i piani vanno a farsi benedire –  ma tiene gli occhi socchiusi, pronta a scattare, pronta a giocarsi il tutto per tutto.
 
“Camilla, Camilla, dottor De Matteis!”
 
È come se tornasse a respirare, spalanca gli occhi e vede due scarpe, due gambe, il mondo a testa in giù e poi quel viso preoccupato che aveva temuto di non rivedere mai più.
 
“Gaetano!” esclama, sollevata, mentre sente il corpo di De Matteis sbilanciarsi sul suo per poi lasciarsi cadere alla sua destra, finendo a pancia in su.
 
“Camilla, Camilla, sei ferita?” le domanda, sbiancando, notando la maglietta all’altezza della spalla sinistra e il braccio sinistro completamente bagnati di sangue, precipitandosi accanto a lei.
 
“No, no, non è il mio sangue,” spiega, aggrappandosi alle sue spalle mentre lui la prende delicatamente tra le braccia per aiutarla a mettersi seduta. E Gaetano torna a respirare e finalmente nota il foro all’altezza della spalla destra di De Matteis e la ferita al braccio che sanguinano copiosamente.
 
“Dobbiamo spostarvi da qui: c’era qualcuno appostato sul tetto del labirinto degli specchi. L’abbiamo messo in fuga, non so se l’abbiamo ferito, ma è meglio che ci mettiamo al riparo,” spiega Gaetano e Camilla si sente sollevare e poi i suoi piedi finalmente toccano terra.
 
“Uomo o donna?”
 
“Non lo so Camilla, non siamo riusciti a vedere.”
 
Gaetano con l’aiuto di Marchese trasporta De Matteis sotto ad una tettoia bassa lì vicino.
 
“L’ambulanza sta arrivando e anche i pompieri,” li rassicura, dando una rapida occhiata alle ferite di De Matteis, “qui bisogna bloccare subito l’emorragia.”
 
“Dove sono Sammy e Mancini?” interviene Marchese, riportandoli alla dura realtà.
 
“Sono lì dentro,” spiega Camilla, indicando l’edificio in fiamme che sembra pronto a crollare da un momento all’altro, “prima c’è stato un boato, come di un crollo ma poi ci hanno sparato addosso e-“
 
“Andate a vedere,” li esorta De Matteis, alternando lo sguardo tra Berardi e Marchese, “non preoccupatevi per me. Io rimango qui con la professoressa.”
 
“Camilla… sei…” le chiede Gaetano guardandola negli occhi, non riuscendo nemmeno a finire la frase ma sa benissimo che lei ha capito perfettamente.
 
“Stai tranquillo, me la caverò, anzi, ce la caveremo,” lo rassicura con un sorriso, prendendogli la mano destra e stringendola nella sua, ignorando il dolore.
 
Lui annuisce e fa per alzarsi, ma lei lo trattiene ancora e si sbilancia in avanti, posandogli un bacio troppo breve e troppo intenso, quasi lancinante, sulle labbra.
 
“Stai attento, ti prego, e torna da me,” implora, accarezzandogli il viso con l’altra mano, sapendo benissimo che non ha alcun diritto di chiederglielo dopo quello che era appena successo, dopo che era entrata in quell’edificio con la consapevolezza che avrebbe potuto non uscirne viva, ma la verità è che la prospettiva della morte la spaventa molto meno della prospettiva di perdere Gaetano per sempre.
 
La risposta è un altro rapido bacio e le mani che si stringono convulsamente alle sue prima di lasciarla andare.
 
Un ultimo sguardo e Gaetano e Marchese si avviano di corsa verso la casa in fiamme.
 
Camilla prende un respiro e con mani tremanti stacca la tracolla dalla borsa.
 
“Forse le farà male ma è necessario…” sussurra, decidendosi infine a guardare di nuovo De Matteis che la osserva con occhi socchiusi, il colorito ormai cadaverico.
 
Facendo appello alle conoscenze apprese al corso di primo soccorso a scuola gli solleva il braccio e usa la sottile tracolla come laccio emostatico. Unisce poi le mani a pugno e spinge sulla ferita alla spalla, applicandoci tutto il suo peso per cercare di fermare il flusso di sangue anche se teme che sia tardi: in realtà non è passato molto tempo dallo sparo, anche se tutto le è sembrato dilatato dal panico e dall’adrenalina, ma De Matteis ha già perso molto sangue.
 
“Le faccio male?” gli domanda preoccupata, rompendo di nuovo il silenzio anche se ci sono mille altre cose che vorrebbe e che dovrebbe dirgli e chiedergli ma che non osa nemmeno pronunciare. Innanzitutto un grazie e un perché.
 
“No… non sento… non sento niente…” ammette e Camilla sa che non è certo un buon segno.
 
 “Si faccia forza, andrà tutto bene, i soccorsi stanno arrivando,” gli ricorda, cercando di infondergli una sicurezza che non sente.
 
“Non sei mai stata brava a… a mentire,” sussurra con un sorriso tirato, guardandola negli occhi ed usando di nuovo il tu e Camilla non sa perché ma la cosa la preoccupa quasi più del colorito cinereo o del fatto che sembri non provare dolore.
 
“Shh, non si deve sforzare a parlare, deve conservare le forze…” lo esorta, aggrappandosi al lei, a quel residuo di formalità, di… di normalità tra loro. Come se passare al tu fosse un’ammissione indiretta anche da parte sua che la situazione è grave, anzi è disperata.
 
“Non cambia niente se… se parlo o no… e comunque… questa è una frase da film e di solito… porta male,” articola, scosso da un misto tra un colpo di tosse e una risata strangolata.
 
“E allora cosa dovrei dire?”
 
“Non lo so… se mi insultassi, se mi trattassi male come fai di solito… forse mi spaventerebbe meno…” ammette guardandola nuovamente negli occhi.
 
“Certo che lei pretende sempre da me cose che non posso o che non voglio fare,” replica con un sorriso commosso, cercando di sdrammatizzare con l’ironia ma notando come lo sguardo di lui si faccia ancora più serio.
 
“Lo so… si vede che è… il mio destino con te… fino alla fine… Camilla…” sibila ricambiando il sorriso, in quello che è ormai un rantolo strozzato.
 
Un colpo di tosse e poi il silenzio.
 
***************************************************************************************
 
“Usciamo, è inutile stare qui!”
 
Marchese annuisce seguendo Gaetano fino all’entrata, dove entrambi respirano a pieni polmoni l’aria fresca.
 
Erano stati dentro pochi secondi, il tempo necessario per realizzare che la scala interna era crollata e, soprattutto, per sentire Mancini invocare aiuto con la voce rauca di chi non ha quasi più voce.
 
“Che facciamo? Non possiamo lasciarli lì dentro!” esclama Marchese mentre il panico si impossessa di lui al solo pensiero di Sammy in mezzo alle fiamme e al fumo.  A Sammy che forse è già…
 
No, non può, non deve pensarci.
 
“Lo so,  Marchese, ma la scala è crollata, l’hai visto anche tu, come ci arriviamo al terzo piano? Dobbiamo aspettare il camion dei pompieri,” risponde Gaetano, maledicendo mentalmente il traffico romano e il ritardo nei soccorsi.
 
“Forse no! C’è una scala di sicurezza sul retro!” grida Marchese, colto da un’illuminazione, ringraziando i tanti pomeriggi passati al luna park con Sammy e con… e con Ilenia, fino a conoscerlo quasi come le sue tasche.
 
Girano di corsa intorno alla casa e in effetti trovano una scala di emergenza in metallo e che sembra ancora in buono stato. E, soprattutto, un estintore nuovo di zecca, seminascosto tra il fogliame dei cespugli incolti lì vicino. Che ci fa lì?
 
Ma non è il tempo di farsi domande: Gaetano afferra l’estintore e lui e Marchese salgono le scale di corsa.
 
L’uscita d’emergenza per fortuna non è chiusa a chiave e non fa resistenza. Un ultimo respiro, i fazzoletti bagnati su bocca e naso e sono dentro, procedendo a carponi lungo il pavimento, Gaetano davanti e Marchese dietro.
 
“Mancini!” urla Gaetano dopo aver superato il primo corridoio, trovandosi di fronte ad un bivio e sperando in una risposta.
 
“Sono qui! Sono qui!” risponde tra i colpi di tosse.
 
Seguendo la voce, procedono verso destra, lungo un altro corridoio ed infine lo trovano abbracciato a Sammy, che sembra svenuta, distesi vicino ad una finestrella da cui cercando disperatamente di respirare aria, in un pezzo di corridoio che corre tra una porta evidentemente appena liberata da un cumulo di pesanti detriti e quello che resta della tromba scale ormai crollate, ma soprattutto, tra due lingue di fiamme che stanno per raggiungerli.
 
Probabilmente Mancini era riuscito a oltrepassare le fiamme da solo ma, forse anche per lo sforzo fatto nel liberare Sammy, non ce la faceva a farlo con lei in braccio.
 
“Aiutateci! Sono inciampato e credo di essermi rotto un piede!” urla Mancini, tossendo disperatamente.
 
“Marchese, stai indietro!” urla, togliendo la sicura all’estintore e pregando che sia funzionante e che sia sufficiente, ringraziando il cielo quando sente il suono della polvere che viene sparata contro la base delle fiamme, estinguendole ed aprendo un varco.
 
Si precipitano verso Sammy e Mancini.
 
Marchese prende in braccio Sammy, mentre Gaetano cerca di sollevare Mancini, che gli sembra pesare più di un carico di piombo.
 
Fanno pochi passi quando sentono un rumore di scricchiolii che precedono il fragoroso boato di un altro crollo da qualche parte nella casa.
 
“Qua tra poco crolla tutto, dobbiamo muoverci!” urla Marchese, iniziando a tossire perché, trasportando Sammy, deve camminare in posizione quasi eretta.
 
“Portate via Sammy, non pensate a me, portate via Sammy: sono troppo pesante!” grida Mancini, dopo un altro paio di passi fatti a ritmo di Lumaca.
 
“Ma…” cerca di obiettare Gaetano, ma l’uomo si libera della sua presa e si lascia di nuovo cadere sul pavimento.
 
“Portate via Sammy, per favore!” li implora, uno sguardo di pura disperazione sul volto.
 
Marchese e Gaetano si guardano e annuiscono, capendo che non c’è altro da fare.
 
“Torniamo tra poco!” urla Gaetano, lanciandogli un’ultima occhiata, prima di aiutare Marchese a sorreggere Sammy.
 
In due riescono ben presto a percorrere i corridoi e a guadagnare l’uscita e l’aria pura.
 
Scendono le scale di sicurezza e depositano Sammy, ancora esanime, a distanza di sicurezza dalla casa.
 
“Com’è?” chiede Gaetano, mentre Marchese si precipita ad auscultare battito e respiro.
 
“Respira a fatica ma respira e c’è battito!” esclama Marchese con le lacrime agli occhi, che tracciano solchi grigiastri lungo il viso sporco di fuliggine.
 
Il tempo di un sospiro di sollievo e poi si guardano.
 
“Dobbiamo rientrare Marchese, non possiamo lasciarlo dentro!” proclama Gaetano alzandosi in piedi, mentre Marchese fa lo stesso.
 
“Lei ha un figlio piccolo, rimanga qui, vado io!” risponde il ragazzo, sapendo benissimo che la casa è ad un passo dal collassare.
 
“Non se ne parla: non riusciresti mai a portarlo da solo, Marchese, non ci riuscivo nemmeno io,” gli fa notare, prima di dargli una pacca sulla spalla e pronunciare un commosso, “grazie.”
 
Un altro sguardo d’intesa e sono già sulla scala.
 
***************************************************************************************
 
“Dottor De Matteis, Dottor De Matteis,” urla, senza ottenere alcuna risposta.
 
Si china su di lui per controllargli i parametri vitali: niente respiro e niente battito.
 
Merda!
 
Un momento di panico e poi l’istinto prende il sopravvento. Con un ginocchio gli comprime la ferita, liberandosi le mani che grondano sangue. Se le asciuga meglio che può sulla maglia, gli mette il capo in posizione di sicurezza e poi posa le labbra sulle sue, insufflandogli aria nei polmoni. Le mani in posizione, inizia il massaggio in maniera quasi meccanica: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, poi un altro respiro.
 
Va avanti così, quasi come un automa, col pilota automatico inserito per non saprebbe dire quanto tempo: secondi o minuti.
 
E poi il rumore di un altro crollo, uno sguardo lanciato verso la casa, da cui non si vede uscire ancora nessuno, ma non sente grida e la casa è ancora in piedi.
 
Riprende il massaggio e la respirazione, imponendosi di concentrarsi solo su quello, di lasciare il mondo fuori.
 
Il boato e lo spostamento d’aria e il fumo nero la travolgono all’improvviso, mentre con le orecchie che fischiano e il cuore che sembra fermarsi osserva in slow-motion la casa accartocciarsi su se stessa come se fosse fatta di carta, sollevando polvere e fumo che la raggiungono fino ad accecarla.
 
“GAETANOOOO!”
 
Un ululato primordiale e straziante a cui pochi secondi dopo rispondono, come membri di un branco, le sirene meccaniche che annunciano che finalmente i soccorsi stanno arrivando.
 
Ma Camilla ormai non vede e non sente più nulla.
 
 
 
Nota dell’autrice: E per i coraggiosi arrivati alla fine di questo capitolo lunghissimo, spero davvero che sia valso l’attesa. Lo so che vi ho lasciati in un punto tremendo, ma se avessi proseguito non avrei mai pubblicato in tempi umani. Sono curiosa di sapere cosa ne pensate di questo capitolo e del comportamento dei vari personaggi, in positivo e negativo, cosa vi ha convinto di più e cosa di meno. Lo so che Camilla e Gaetano hanno avuto poco spazio “insieme” e che lo spazio è stato invece in gran parte occupato dall’esplorazione di altri rapporti e personaggi “complicati” e dall’azione, ma era così che me l’ero immaginato quando avevo messo giù i punti chiave di questo giallo. E a proposito del giallo, il prossimo al 99,9% è il capitolo conclusivo di queste vacanze romane con delitto, in cui finalmente scopriremo chi è l’assassino, quante vittime avrà collezionato nel corso della sua “carriera” e in cui si chiariranno parecchi punti oscuri lasciati da questo e dai capitoli precedenti ma in cui ci saranno ancora diversi colpi di scena.
Mi rendo conto mentre scrivo queste righe che ormai è più di un anno che pubblico questa storia, non ho mai scritto una storia così lunga e per così tanto tempo e vi ringrazio ancora tantissimo per aver voluto condividere questo viaggio con me. Se vi va, come sempre, vi do appuntamento al prossimo capitolo ;).

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** The Aftermath ***


Nota dell’autrice: Mi scuso tantissimo per il ritardo, in teoria il capitolo avrebbe già dovuto uscire qualche giorno fa. Poi ci si sono messi impegni e casini sul lavoro, uno dietro l’altro, per cui arrivavo a casa la sera esausta e non riuscivo a rileggere un bel niente. Stamattina finalmente ce l’ho fatta a finire e ringrazio di avere aspettato a pubblicare perché ho trovato parecchi strafalcioni: scrivere quando si ha sonno fa brutti scherzi xD. E ho anche cercato di editare un po’ il capitolo, che è molto lungo ma… c’erano da analizzare le conseguenze di quanto successo al luna park anche nella evoluzione dei rapporti tra un po’ di personaggi. E c’è finalmente un momento che tutte voi stavate aspettando e che spero non deluda le attese ;). Anche questo capitolo, come il precedente dovrebbe essere un po’ come i fuochi d’artificio a ferragosto, partire più lento e poi esplodere, ma… da un altro punto di vista ;). Non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento alle note di fine capitolo.
 


Capitolo 42: “The aftermath”
 


“GAETANOOOOO!!!!”
 
Urla fino a che sente scarnificarsi la gola, fino a  che il fumo le entra nelle narici e le toglie il fiato residuo, piegandola in due in un attacco di tosse. Le orecchie fischiano e rimbombano, non sente e non vede niente, un solo pensiero, un solo pensiero fisso: andare da lui, trovarlo, tirarlo fuori da lì. Non può, non può, non può finire così, non può essere – no, non deve nemmeno pensarlo!
 
Si ritrova in piedi, cerca di fare un passo ma inciampa nel corpo dell’uomo sotto di lei, dell’uomo che le ha appena salvato la vita e a cui lei fino a pochi secondi prima stava cercando in ogni modo di salvare la vita. Ma ora c’è un solo pensiero – Gaetano, Gaetano, Gaetano – che sovrasta e zittisce ogni altra cosa, persino la sua coscienza che, in una frazione di secondo, le chiede se davvero può farlo, se può abbandonare un uomo che sta morendo e per cui lei è l’ultima speranza. E la risposta arriva in un’altra frazione di secondo, bruciandole fin nel profondo dell’anima come le fiamme dell’inferno in cui sta per gettarsi.
 
“Camilla!! Camilla!!!”
 
Si chiede se stia impazzendo, se sia definitivamente impazzita, se questo sia l’ennesimo meccanismo di difesa del suo cervello che le fa sentire quello che lei ha bisogno disperatamente di sentire.
 
“CAMILLA!!! CAMILLA, STAI BENE??”

Di nuovo quella voce, la sua voce e poi la coltre nera si dirada leggermente, spandendosi nell’aria, fino a farle intravedere due figure nere che procedono lentamente, una quasi accucciata. Gli occhi che bruciano e lacrimano furiosamente, non sa se per il fumo o se per… per tutto il resto. Li sfrega col dorso della mano e finalmente riesce a mettere a fuoco: non è un’allucinazione, è davvero…
 
“GAETANOO!!!” grida tra i colpi di tosse, sentendo il mondo ruotare su se stesso intorno a lei, la testa leggera, i polmoni che bruciano e collassano per poi tornare finalmente a respirare.
 
Gaetano, con Mancini caricato in spalla e Marchese con Sammy in braccio, entrambi completamente privi di sensi, si avvicinano faticosamente a lei, neri di fuliggine ma vivi.
 
Si sente svuotare come un palloncino e quasi si accascia a terra. Ed è in quel momento che lo sente di nuovo, quel corpo e finalmente torna a vederlo, a vedere De Matteis esanime sotto di lei. Un conato di vomito la scuote mentre prende completamente consapevolezza di cosa stava per fare, mentre si rende del tutto conto che lei per salvare Gaetano sarebbe stata disposta a qualsiasi cosa, che sarebbe disposta a qualsiasi cosa, non solo a farsi ammazzare, ma perfino ad uccidere. Era una sensazione che aveva provato solo una volta nella vita, quando Livietta e Bobo erano nelle mani di quell’uomo e, mentre gli era saltata addosso con tutta la forza della disperazione, aveva capito che, se fosse stato necessario, pur di salvare sua figlia gli avrebbe sparato, senza esitazioni.
 
Al sollievo si unisce il senso di colpa che la schiaccia come un macigno, mentre di nuovo cerca di comprimergli la ferita che sanguina lentamente, vista l’assenza di battito, mentre riprende massaggio e respirazione sperando, pregando che non sia troppo tardi. In fondo si è interrotta solo per poco tempo, un minuto, massimo due. Ma in situazioni come questa, pochi secondi fanno la differenza tra la vita e la morte.
 
“Camilla! Come sta?” domanda Gaetano, arrivando finalmente accanto a lei, stendendo Mancini in posizione di sicurezza, mentre Marchese fa lo stesso con Sammy.
 
“Ha perso conoscenza, non respira e non c’è battito. Ha perso troppo sangue!” spiega rapidamente continuando a praticare il massaggio, prima di chinarsi nuovamente per soffiargli aria nei polmoni, “Sammy e Mancini?”
 
“Sono incoscienti ma respirano e hanno battito, anche se debole. Per ora, almeno,” risponde Gaetano, sapendo benissimo che la situazione potrebbe precipitare e che hanno bisogno di cure mediche immediate, “sento le sirene, stanno arrivando le ambulanze, dobbiamo indirizzarle qui, subito! Marchese, vai ai cancelli e fai strada!”
 
“Sì, dottore!” urla Marchese, scattando in piedi e ributtandosi nella foschia grigia che ancora permea l’aria.
 
“Ti do una mano: tu comprimigli la ferita e pensa alla respirazione, io gli faccio il massaggio, ok?” propone Gaetano, guardandola negli occhi quando risale dopo l’ennesimo soffio d’aria.
 
Camilla annuisce e in pochi istanti fanno come deciso, in un sincronismo perfetto e automatico come se non avessero fatto altro in tutta la loro vita.
 
“Maledizione De Matteis, forza, non può mollare così!” impreca Gaetano continuando il massaggio, mentre Camilla gli tasta il collo e gli conferma scuotendo il capo che non c’è ancora né battito né respiro, “forza!”
 
“Dottor De Matteis… per favore… so che può farcela… pensi a suo fratello… questa non è la fine… non è la fine!” lo esorta Camilla tra un respiro e l’altro, ricordando le sue ultime parole.
 
Le sirene si fanno più vicine, mentre loro continuano nel loro tentativo disperato di rianimazione, sapendo benissimo che mano a mano che trascorrono i secondi le possibilità che De Matteis riprenda conoscenza si riducono sempre di più.
 
“Sono qui!” urla Marchese, mentre sentono i passi frenetici degli operatori del 118.
 
“Qual è la situazione?” chiede il primo medico che è corso davanti ai barellieri.
 
“Due colpi d’arma da fuoco, uno alla spalla destra e uno al braccio destro. Ha perso molto sangue e non respira e non c’è battito, da… da quanto, Camilla?” domanda Gaetano, continuando il massaggio.
 
“Quasi dieci minuti, credo,” risponde, riemergendo dopo l’ennesimo respiro.
 
“Era presente quando ha perso conoscenza? Quanto tempo è trascorso prima dell’inizio di massaggio e respirazione?”
 
“Ero presente e ho iniziato immediatamente, ma ho interrotto per… un minuto quando è crollata la casa e c’è stato il fumo e…” cerca di spiegare tra un fiato e l’altro.
 
“E loro?”
 
“Intossicazione da fumo, respiro e polso debole, lui ha un piede rotto, credo,” riassume Marchese.
 
“Ci pensiamo noi, spostatevi!” ordina il medico, per poi fare cenno ai due rianimatori, “serve il defibrillatore!”
 
Gaetano e Camilla scattano in piedi per liberare lo spazio il più in fretta possibile. Le gambe di gelatina e la testa leggera, non sa se per lo sforzo di respirare o per… per tutto il resto, Camilla non si accorge del gradino all’uscita della tettoia e sente mancare la terra sotto i piedi, le braccia che fendono l’aria preparandosi ad una rovinosa caduta che non arriva, perché due braccia forti la afferrano per la vita da dietro.
 
“Ehi, professoressa, tutto bene?” le sussurra preoccupato, tirandola a sé e sentendola accasciarsi contro il suo petto.
 
Camilla non riesce a rispondere, si limita ad inclinare il capo fino ad appoggiare l’orecchio al suo petto, a sentire il battito che galoppa sotto al suo viso, come a cercare di convincersi che questo miracolo è reale, che lui è davvero lì con lei.
 
“Duecento! Carica! Libera!” urla l’addetto al defibrillatore, mentre la scarica di corrente elettrica trapassa il corpo inerte di De Matteis da parte a parte provocandogli uno spasmo involontario.
 
Stanno così, aggrappati l’uno all’altra per non saprebbe dire quanto tempo, assistendo a quella scena, mentre altri operatori, dopo aver preso i parametri vitali di Sammy e Mancini, li caricano su due barelle e li attaccano all’ossigeno per aiutarli a respirare. Il camion dei pompieri si ferma poco distante e sentono in lontananza la sirena di una terza ambulanza, chiamata come rinforzo.
 
“Trecento! Carica! Libera!” urla di nuovo il rianimatore.
 
“Forza, dobbiamo caricarlo sull’ambulanza! C’è battito?” domanda il primo medico, aiutando uno dei rianimatori a caricare De Matteis su una barella, mentre l’altro aspetta il verdetto dell’elettrocardiogramma dell’apparecchio defibrillatore.
 
“È ripartito! C’è battito!” grida il rianimatore, mentre anche Camilla, Gaetano e Marchese riescono a sentire i bip meccanici e lenti del cuore di De Matteis.
 
“Ce l’abbiamo fatta, professoressa, ce l’hai fatta!” proclama Gaetano commosso ed orgoglioso, stringendola ancora più forte a sé, sentendola tirare un forte respiro.
 
Camilla si sente come se tutta la tensione accumulata nel suo corpo le fluisse verso il basso e si scaricasse a terra dai piedi. Ma, in una frazione di secondo, una contrazione allo stomaco, ed un altro tipo di tensione rompe gli argini e sgorga verso l’alto.
 
“Camilla!” esclama Gaetano, riconoscendo immediatamente il rumore del conato e riuscendo a malapena ad aiutarla a piegare il busto e a sorreggerle il capo mentre il suo stomaco vuoto vomita acido, terrore, angoscia, senso di colpa e tutto quello che nell’emergenza aveva inghiottito e messo via.
 
“Camilla, cosa ti senti?” le domande preoccupato, sostenendola e sentendo i conati e i tremori che la scuotono percorrergli il corpo.
 
“Signora, come si sente? Ha inalato fumo? È ferita? Ha picchiato la testa?” domanda uno dei medici, avvicinandosi a loro.
 
“No! No! È solo… tensione,” riesce a dire tra i conati e lo stomaco ormai prosciugato che continua a collassare e contrarsi, “sto bene… pensate a loro!”
 
Il medico le lancia un’ultima occhiata prima di unirsi di nuovo agli altri che stanno caricando De Matteis, Sammy e Mancini sulle ambulanze.
 
“Camilla, sei sicura di sentirti bene?” le domanda ancora in ansia, mentre i conati cambiano suono e gradatamente si trasformano in singhiozzi, “Camilla, forse dovresti farti visita-“
 
La parola gli muore in gola quando i singhiozzi aumentano di intensità e avverte le gocce insinuarsi tra le dita che le reggono il capo.
 
“Camilla…” sussurra con un tonfo allo stomaco, sollevandole delicatamente il busto e voltandola verso di sé per confermare ciò che aveva intuito, ossia che ciò che la scrolla e la fa tremare come una foglia è un pianto violentissimo e convulso. Non ha mai visto Camilla così, mai, nemmeno quella notte a casa di Madame, nemmeno quando aveva lasciato Renzo e Livietta aveva iniziato la sua guerra fredda, nemmeno quando Renzo aveva insinuato quelle… quelle cose inconcepibili sui lui e Livietta.
 
“Camilla…” sussurra di nuovo, stringendola forte a sé e sentendola affondare il viso nel suo petto, “cosa c’è? Cos’hai? Mi uccide vederti così!”
 
Camilla scuote il capo e singhiozza ancora più forte a quelle due parole “mi uccide”.
 
“Camilla,” ripete, sollevandole il capo per spingerla a guardarlo, incontrando quegli occhi rosso fuoco, rosso vivo, le guance bagnate e decorate da strisciate di rosso ruggine e nerofumo, quasi come i segni di un guerriero, tracciati involontariamente dalle dita insanguinate di lei e dalla fuliggine da cui lui è coperto, “ti prego, calmati, dimmi qualcosa, io-“
 
“Credevo che fossi morto!” grida, la voce roca, ferale, mai così forte e così fragile allo stesso tempo, prima di scoppiare di nuovo in singhiozzi, incapace di pronunciare un’altra sillaba.
 
“Camilla…” mormora, stringendosela di nuovo al petto, accarezzandole e baciandole i capelli, “amore mio, ti prego, calmati: sono qui, sono qui con te e non vado da nessuna parte! Te l’avevo detto che non ti saresti liberata così facilmente di me, professoressa.”
 
La sente annuire sul suo collo e continua ad accarezzarla, quasi a cullarla, mentre tira qualche forte respiro e pare gradatamente calmarsi.
 
“Noi siamo pronti per andare: qualcuno vuole salire sull’ambulanza?”
 
La voce del medico li riporta alla realtà.
 
“Io vorrei andare con Sammy se… se non servo qui…” proclama Marchese, che aveva assistito a quella scena in disparte, rivolgendosi a Gaetano quasi a chiedergli il permesso.
 
“Vai pure, Marchese: aspetto io i tuoi colleghi,” lo rassicura Gaetano con un sorriso, “hai fatto un ottimo lavoro oggi, Marchese. Devi essere fiero di te stesso: diventerai un grande poliziotto! Hai il sangue freddo, il cervello e il cuore necessari per diventarlo.”
 
“Grazie, dottore,” mormora Marchese, commosso e grato prima di avviarsi verso l’ambulanza.
 
“Se posso… forse… credo sia giusto che io vada con De Matteis,” pronuncia Camilla a fatica, guardando Gaetano negli occhi. La verità è che non vorrebbe mai più staccarsi da lui, mai più, ma De Matteis le ha salvato la vita e ora sta lottando tra la vita e la morte e non merita di farlo da solo.
 
“Sì, se vuole può salire, ma dobbiamo muoverci,” risponde il medico con tono urgente.
 
“Ti raggiungo appena posso,” la rassicura Gaetano annuendo con un sorriso e tentando di posarle un bacio sulle labbra ma lei cerca di ritrarsi.
 
“Gaetano, no, sono disgustosa!” protesta, sapendo benissimo di avere appena smesso di vomitare e piangere e di essere in condizioni assolutamente inavvicinabili.
 
“Ehi, non devi dirlo nemmeno per scherzo, hai capito? Mai più,” sussurra accarezzandole il viso, prima di unire le loro labbra e di abbracciarla forte per un’ultima volta, sentendo la stretta di lei diventare come quella di una morsa, per poi lasciarla andare, dopo un ultimo sguardo, verso l’ambulanza.
 
Un altro tuffo al cuore quanto lo sportello si chiude dietro di lei e osserva l’ambulanza ripartire a sirene spiegate, che presto si uniscono ad altre sirene, questa volta in avvicinamento. Una pantera della polizia lanciata praticamente a tutta birra frena con una sgommata e si ferma poco distante.
 
Grassetti? – pensa, sorpreso, nel riconoscere chi sia l’autista spericolato, vedendo la poliziotta smontare di corsa dalla macchina e correre verso di lui a rapide falcate con quell’altro agente di cui dimentica sempre il nome. Lorenzi, forse? Praticamente quasi tutto quello che resta della squadra di De Matteis.
 
“Dottor Berardi, che succede?!” domanda Grassetti, visibilmente agitata, vedendolo lì da solo, il viso e i vestiti del colore tipico degli spazzacamini.
 
“C’è stato un incendio e una sparatoria. Bisogna cordonare l’area tutto intorno al Luna Park, sorvegliare il lavoro dei pompieri fino a che non avranno finito e cominciare ad analizzare le scene del crimine,” spiega, chiedendosi se Grassetti abbia già saputo o meno di De Matteis: se Camilla ha ragione sulla natura dei sentimenti della ragazza per il vicequestore…
 
“Ma come mai ci dà lei gli ordini? Dov’è il dottor De Matteis? E Mancini?” chiede stupita, avendo risposto alla loro chiamata di richiesta di rinforzi.
 
“Non sono ordini, stavo solo cercando di spiegarle la situazione. Però prima di farlo, se mi permette, vorrei chiederle se gli agenti della scientifica sono già stati allertati. Perché altrimenti conviene farlo il prima possibile: questo parco è grosso e c’è più di una scena da analizzare, di cui una è mezza carbonizzata e sotto le macerie… Magari può occuparsene… Lorenzi, giusto? Intanto la aggiorno su quanto successo…” propone, decidendo di fidarsi dell’intuito di Camilla e sapendo che è meglio che Grassetti sia sola quando dovrà dirle che cosa è successo a De Matteis. Sente di doverle almeno questa premura, anche se non può fare nulla per alleviare l’impatto che la notizia avrà.
 
“No, non sono stati chiamati e, sì, ha ragione, è una buona idea. Lorenzi, puoi farlo tu?”
 
“Certo, Grassetti, subito,” annuisce il ragazzo, allontanandosi di fretta con la solerzia tipica di chi è nuovo del mestiere e ansioso di provare il suo valore.
 
“Voleva parlarmi da sola, dottore?” gli chiede, dandogli la conferma che Grassetti è tutto tranne che una sprovveduta.
 
“Sì… Grassetti… Valentina, mi dispiace, vorrei non doverle dare io questa notizia, anzi, vorrei proprio che non fosse successo quello che è successo ma-“
 
“È successo qualcosa di grave al dottor De Matteis?” domanda d’un fiato, il tono di chi non vorrebbe davvero ricevere una risposta alla sua domanda, perché già nel suo cuore sa che non ne verrà niente di buono.
 
“Purtroppo sì. Come le ho detto, c’è stata una sparatoria e De Matteis è stato ferito. Due colpi: spalla e braccio destro. Lo stanno trasportando d’urgenza in ospedale e credo che sarà operato immediatamente.”
 
“Quali sono… insomma è in pericolo… di vita?” chiede, la voce che si spezza in due punti.
 
“Sì… ha perso molto sangue e aveva perso conoscenza. Ora c’è battito e respira ma… credo che la situazione sia critica… mi dispiace davvero,” conclude, notando come la ragazza si volti per sfuggire al suo sguardo, ma riesce a percepire dal modo in cui sussulta che sta piangendo.
 
Esita per un attimo, prima di estrarre il pacchetto di fazzoletti di carta che tiene sempre in tasca – quello di stoffa è andato – e di porgerglielo con la mano destra, mentre le sfiora una spalla con la sinistra.
 
La mano di Grassetti scatta ad afferrare i fazzoletti mentre lei ancora non si volta e si limita a scartarne rapidamente uno e portarselo al viso.
 
“Lo so che forse non mi crederà, Valentina, ma mi dispiace davvero per quello che è successo a De Matteis, nonostante tutto quello che è successo in questi giorni e quello che… le avevo chiesto di fare. E immagino che la telefonata che mi ha fatto oggi, se possibile, la farà stare ancora peggio… ma non si deve sentire in colpa,” spiega col tono più tranquillo che possiede, mentre la ragazza si volta bruscamente, fulminandolo con due occhi arrossati e umidi e pieni di gelo.
 
“Lei non capisce, lei non sa niente!” sbotta Grassetti, col tono di chi è sull’orlo di crollare.
 
“E invece la capisco benissimo, capisco perfettamente quello che prova, perché è la stessa cosa che ho provato poco fa, quando ho creduto che Camilla fosse gravemente ferita,” risponde, senza riuscire a contenere l’emozione nella voce, ricordando tutto quel sangue e il terrore che si era impossessato di lui per quei pochi interminabili istanti. E la mano ghiacciata che aveva sentito sul cuore, mista a sollievo, quando, praticamente pochi attimi dopo essere usciti da quella dannata casa stregata, aveva avvertito lo spostamento d’aria e il boato del crollo, alla sola idea che era stato davvero ad un passo dal non rivederla mai più, mai più.
 
Grassetti si blocca, guardandolo per la prima volta a viso aperto, non cercando più di nascondere le lacrime, sembrando improvvisamente infinitamente più fragile e, se possibile, ancora più triste.
 
“È così evidente?” gli domanda, e non serve elaborare oltre, sanno entrambi a cosa si riferisce, cioè ai suoi sentimenti per De Matteis.
 
“Un po’…” ammette Gaetano con un sorriso gentile mentre lei scuote il capo.
 
“Deve pensare che sono patetica, non è vero? La classica stupida che si innamora del suo capo che non la guarda nemmeno, oltre ad avere un caratteraccio, e che continua, nonostante tutto questo, ad inseguire un amore impossibile per anni,” proclama, cercando di asciugarsi meglio che può le lacrime che continuano a scorrere a tradimento.
 
“No… non lo penso affatto. Mi creda, Valentina, sugli amori impossibili inseguiti per anni sono un esperto, quindi darei del patetico a me stesso. E poi per quanto riguarda il carattere di De Matteis, diciamo che oggi ho avuto modo di conoscerlo meglio e devo ammettere che è una brava persona e un bravo poliziotto e mi dispiace di averle chiesto… quello che le ho chiesto. Aveva ragione lei a difenderlo quando ci siamo incontrati ieri.”
 
“Che vuol dire?”
 
“Che ha tutti i suoi difetti e un caratteraccio, questo sì, ma è una persona intelligente, che sa ammettere i suoi errori, è onesto e non si lascia corrompere e nell’emergenza è… è davvero coraggioso. Vede… è rimasto ferito per cercare di… di proteggere Camilla da un cecchino che l’aveva sotto tiro e l’ha protetta col suo corpo, si è preso i proiettili al posto suo. Non tutti l’avrebbero fatto: lo sa anche lei che in casi come questo non c’entra l’addestramento o il mestiere che facciamo. È una questione di cuore e di… di carattere, appunto.”
 
“Sì… il coraggio… il coraggio nelle emergenze a De Matteis non è mai mancato. Sono stati i momenti più spaventosi e allo stesso tempo i momenti migliori di questi anni di lavoro con lui. Non posso… non posso pensare che sia-“ non riesce a terminare la frase, chiudendo gli occhi per cancellare l’immagine di De Matteis privo di vita.
 
“E infatti non deve pensarci, ok?” si raccomanda, appoggiandole di nuovo una mano sulla spalla fino a che lei solleva il capo e lo guarda negli occhi, “non è finita fino a quando non è finita e pensare al peggio non serve a niente.”
 
“Sì… sì,” annuisce lei mentre le lacrime continuano a scorrere.
 
“Mi ascolti, lo so che probabilmente l’unica cosa che vorrebbe fare adesso è correre in ospedale da lui ma… qui c’è un’emergenza da gestire. Mi creda che, se potessi, lo farei io,  ma questo non è il mio caso, io non dovrei nemmeno essere qui, se non al massimo in qualità di testimone o di vittima. De Matteis e Mancini sono… diciamo che sono fuori gioco per il momento: Mancini sicuramente ha un’intossicazione da fumo e probabilmente ha pure un piede rotto. Marchese è sospeso ed è in ospedale e dovrà farsi visitare e forse anche io, con tutto il fumo che ci siamo respirati. A questo punto lei è la più alta in grado della squadra, Grassetti e deve prendere in mano lei la situazione.”
 
“Io? Ma io non… come faccio? Non saprei da dove cominciare io…”
 
“Ma certo che lo sa, certo che lo sa! Comunque, si tratta come le ho già detto di coordinare il lavoro con i pompieri e analizzare le scene del crimine. Ci sarebbe da setacciare tutto il parco, ma, date le dimensioni e le risorse a disposizione, le consiglierei di partire dal labirinto degli specchi, soprattutto il tetto, su cui si era appostato il cecchino. Abbiamo risposto al fuoco e potremmo averlo ferito, quindi cerchi eventuali tracce di sangue. Poi ovviamente c’è la casa stregata o… quel che ne resta, se resta qualcosa. E dovrebbe chiamare il questore: visto quello che è successo a De Matteis e Mancini, bisogna assolutamente avvertirlo. Sono sicuro che sono tutte cose che è perfettamente in grado di fare, quasi a occhi chiusi.”
 
“Io non…”
 
“Sono certo che se ci fosse qui De Matteis concorderebbe con me e che è quello che vorrebbe anche lui da lei,” dice per incoraggiarla, mentre lei si asciuga le ultime lacrime.
 
“Forse ha ragione e poi… e poi meglio qui che in ospedale dove non posso fare niente. Almeno mi aiuterà a non pensare… a distrarmi,” ammette la ragazza con un sospiro.
 
“Esatto. Io vado in ospedale e le prometto che se ci sarà una qualsiasi novità sulle condizioni di De Matteis la avvertirò subito, sarà la prima a saperlo, ok?”
 
Valentina si limita di nuovo ad annuire, tirando un forte respiro e ricomponendosi.
 
“Ce la farà Grassetti, contiamo tutti su di lei!” proclama, facendole il saluto militare e un occhiolino e facendola sorridere.
 
“Grazie per… per avermi voluto parlare da sola, per la fiducia e per… per tutto,” sussurra commossa, ricambiando il saluto, prima di aggiungere, con un tono determinato: “le giuro che farò tutto il possibile per trovare chi ha sparato, dottore, non mollerò fino a che non ci riuscirò.”
 
Un ultimo sguardo e si volta per raggiungere Lorenzi, il passo deciso e fiero.
 
Gaetano ha la sensazione di aver appena visto una farfalla rompere le barriere della crisalide in cui era imprigionata e spiccare il volo.

 
***************************************************************************************
 
“Mmmm…”
 
“Sammy? Sammy…”
 
“Pietro… Pietro…” mormora prima di aprire gli occhi e trovarsi davanti allo sguardo preoccupato di Marchese.
 
“Marchese? Che ci fai in camera mia?” domanda, sorpresa, prima di guardarsi intorno e di riconoscere le pareti e gli arredi sterili ed impersonali di una stanza d’ospedale, prima di toccarsi il viso e sentire la mascherina dell’ossigeno.
 
In un lampo ritorna alla casa stregata, all’incendio, al fumo, intrappolata in quella stanza e poi…
 
“Pietro!” esclama, drizzandosi a sedere, sentendo una mano gelata stringerle il cuore, strappandosi la dannata mascherina dal volto, “dov’è Pietro?! Gli è successo qualcosa, non è vero? Marchese dimmi la verità!”
 
“No, no, tranquilla, Sammy, tranquilla,” la rassicura, sedendosi accanto a lei sul letto e posandole una mano sulla schiena, “Mancini è in un’altra stanza. Come te ha respirato molto fumo ed ha perso conoscenza ma non è in pericolo di vita. È ancora incosciente, credo e, come te, deve rimanere attaccato all’ossigeno.”
 
Sammy si tranquillizza un attimo, permettendo a Marchese di rimetterle la mascherina.
 
“Ma cos’è successo? Come… come siamo usciti di lì? Ricordo che Pietro cercava di liberarmi, di aprire la porta, ma poi… devo aver perso conoscenza…”
 
“Mancini è riuscito a liberarti, ma è caduto e si è rotto un piede mentre ti portava verso l’uscita. Siete rimasti bloccati, eravate circondati dalle fiamme... Io e il dottor Berardi vi abbiamo trovati e siamo riusciti a portarvi fuori… Mancini… Mancini era disposto a tutto pur di salvarti, Sammy: faticavamo a trasportarvi entrambi e lui si è rifiutato di muoversi di lì fino a che io e Berardi non ti avessimo prima portata in salvo. Era disposto a sacrificarsi per te, Sammy, questo glielo devo riconoscere.”
 
Per quanto Marchese non avesse esattamente stima di Mancini, per quanto detestasse lui e i suoi metodi da bullo, per quanto l’avesse odiato quando aveva scoperto di lui e di Sammy, per quanto negli ultimi giorni la sua opinione sull’ispettore era, se possibile, ancora peggiorata, Marchese deve ammettere che, anche se forse a modo suo, Mancini tiene davvero a Sammy.
 
E deve anche ammettere che, nonostante tutto quello che era successo, nonostante il risentimento che Sammy provava nei confronti del marito, nonostante fosse fino a poche ore fa disposta ad aiutarli a denunciarlo e a trovare prove contro di lui, è evidente, dal modo in cui si è preoccupata per lui, dal modo quasi disperato in cui l’aveva cercato e aveva chiesto sue notizie, che anche Sammy è ancora innamorata di suo marito.
 
Sammy si volta a guardarlo negli occhi, sorpresa da quelle parole e dalle emozioni che suscitano nel suo cuore, agrodolci quasi quanto il tono di Marchese.
 
Continuano a fissarsi per qualche istante, capendosi senza bisogno di parole.
 
“Grazie per avermi… per averci salvati Marchese, grazie,” proclama infine lei, cedendo all’istinto e abbracciandolo, vincendo la paura di un rifiuto e sentendolo esitare un attimo prima di ricambiare il gesto, con la naturalezza e l’innocenza che entrambi avevano un tempo, che i loro gesti d’affetto avevano un tempo, nonostante fossero fidanzati. Ma del resto erano diventati grandi insieme, erano cresciuti insieme e l’affetto, il bene, più che la passione o l’attrazione erano stati i sentimenti che avevano da sempre contraddistinto il rapporto tra lei e Marchese. E, in fondo, arrivati ad un certo punto, era stato proprio questo il problema tra loro.
 
“Non serve che mi ringrazi, Sammy, lo sai,” sussurra, accarezzandole i capelli.
 
“Sei… sei forse la persona migliore che conosco, Marchese e ti voglio bene, davvero, anche se forse non ci crederai,” confessa, sapendo di non meritare ancora il suo affetto dopo il modo in cui era finita la loro storia, dopo il modo in cui lei aveva chiuso gli occhi di fronte alle prepotenze di Pietro.
 
“Ti voglio bene anche io, Sammy e ci credo, ti credo. L’affetto… il bene è forse l’unica cosa che non è mai mancata tra di noi. E non è colpa tua se… se pur essendo tantissimo, non era… non era abbastanza. Avevamo poco più di vent’anni ma spesso sembravamo una coppia sposata da una vita, ed è anche colpa mia, che ho dato tante cose per scontate… ma tu c’eri sempre stata, sempre. E ho capito in questi giorni che la cosa peggiore, quello che mi ha fatto più soffrire, è stato il non averti più nella mia vita d’improvviso ma che è… è questo quello che mi mancava tra noi, Sammy, questo,” spiega, sembrando leggerle nel pensiero e stringendola più forte, “poter parlare di qualsiasi cosa con qualcuno che mi conoscesse davvero nel profondo e che mi volesse bene per quello che sono. Per certi versi tu eri la mia migliore amica, una sorella, più che la mia fidanzata e… perdendoti, così all’improvviso, ho perso tutto…”
 
“Lo so, mi dispiace. E anche tu eri il mio migliore amico, anche se invece io mi rendo conto solo adesso di quanto tutto questo mi sia mancato. E… avrei davvero voluto che fosse abbastanza, te lo giuro, Marchese e… una parte di me dopo tutto quello che è successo lo vorrebbe ancora, sarebbe così… semplice. Perché io con te mi sento a casa, al sicuro, sto bene con te, ma non sarebbe giusto nei tuoi confronti, nei miei confronti perché-“
 
“Perché mi vuoi bene ma non mi ami… lo so. Quando una cosa si rompe non si torna indietro, non si ricompone. E… sai, Sammy, credo che se ci fossimo sposati non saremmo stati felici e… tu l’hai capito prima di me. Avremmo fatto la fine di tanti fidanzatini del liceo che si sposano e dopo un anno o due si separano o, peggio, avremmo tirato avanti e saremmo arrivati ad odiarci. È la vita e non è colpa di nessuno. Ci ho messo anni a capirlo ma sono felice di averlo capito, anche se fa male. Ma mi sento più leggero, come se mi fossi tolto un peso.”
 
“Tu sei troppo buono con me, Marchese, sei sempre stato troppo buono con me ma… anche io mi sento più leggera, come se mi fossi tolta un peso dal cuore, anche se non me lo merito,” ammette, commossa, rifugiandosi ancora di più in quell’abbraccio che sa di casa.
 
Il suono di due dita che bussano alla porta e un colpo di tosse li riportano alla realtà e si staccano con un sorriso e un certo imbarazzo nel vedere una dottoressa che li osserva con un mezzo sorrisino.
 
“Vedo che si è svegliata, signora. Mi dispiace disturbare lei e suo marito ma vorrei visitarla per accertarmi che l’ossigenazione sia sufficiente e che non ci siano altre conseguenze dovute all’intossicazione,” spiega il medico, avvicinandosi.
 
“Sì, ma, in realtà mio marito è Pietro Mancini, l’ispettore di polizia. Marchese mi ha detto che è ricoverato anche lui qui: come sta?” domanda, ritornando alla realtà, mentre la preoccupazione e il senso di colpa nei confronti del marito, nonostante tutto quello che era successo tra loro, o forse proprio per quello, ritornano prepotentemente alla carica, come un macigno sul cuore e sullo stomaco.
 
“Suo marito è ancora privo di conoscenza, ha una frattura al quinto metatarso del piede sinistro, lievemente scomposta che abbiamo già messo in trazione. Dovrebbe riallinearsi in tre – quattro giorni e poi lo dovremo ingessare. Ha inoltre un’intossicazione da fumo più forte della sua, ma non grave. Penso che sarà sufficiente l’ossigenazione, come per lei, non dovrebbe essere necessario intubarlo o arrivare alla ventilazione artificiale,” la rassicura l’altra donna, dopo l’iniziale momento di sorpresa.
 
“Posso vederlo?”
 
“Sì, ma solo dopo la visita, se è tutto a posto...”
 
“Allora io esco. Se hai bisogno di qualsiasi cosa sono qui fuori, ok?” proclama Marchese con un sorriso, per toglierla e togliersi dall’imbarazzo.
 
Sammy annuisce ricambiando il sorriso e lo osserva fino a quando, con un ultimo sguardo, chiude la porta dietro di sé.
 
“Quel ragazzo è davvero un angelo: non l’ha lasciata un attimo fin da quando è arrivata qui con l’ambulanza,” commenta la dottoressa con un’occhiata e un tono che non nascondono del tutto la curiosità.
 
“Lo so… lo so…” sussurra, quasi tra sé e sé, provando un’infinita tenerezza ed un’infinita malinconia insieme e chiedendosi, per l’ennesima volta, perché non si possa scegliere chi amare.

 
***************************************************************************************
 
“Gaetano! Cos’ha detto il dottore? Come stai?”
 
“Tranquilla, professoressa, tutto a posto: sono più affumicato fuori che dentro, per fortuna,” risponde con un sorriso, indicando gli abiti ancora anneriti, “non ho neanche bisogno dell’ossigeno. Sono come nuovo, vestiti a parte.”
 
Camilla non riesce nemmeno a rispondere, travolta dal sollievo, si limita ad abbracciarlo forte – forte, mentre lui ricambia con un’intensità tale che si ritrova sollevata a qualche centimetro da terra, completamente avvolta da quelle braccia e da quel corpo che la fanno sentire in pace con il mondo. E non vorrebbe essere da nessun’altra parte.
 
“Camilla!”
 
Una voce familiare li riporta alla realtà. I piedi di nuovo ben piantati a terra, in tutti i sensi, Camilla volta il capo, trovandosi davanti a Marco e Tom che stanno arrivando di corsa, la preoccupazione evidente sui volti d’entrambi.
 
“Cos’è successo a Paolo? Come sta?” domanda Marco, raggiungendoli.
 
 “Vedi, lui-“
 
“Oddio, che hai fatto? Sei ferita?” la interrompe Marco prima che possa spiegare, la preoccupazione che diventa quasi terrore quando lei scioglie del tutto l’abbraccio e si gira, mostrando la maglietta completamente macchiata di sangue, soprattutto sulla spalla e sul petto, oltre ad impronte strisciate di mani e dita. Si era almeno lavata il viso e le braccia, spaventandosi da sola quando si era vista riflessa nello specchio, ma per i vestiti non c’era ovviamente nulla da fare.
 
“No… no… non sono ferita…” spiega, tirando un forte respiro, non riuscendo a trovare la forza o le parole per spiegare o per elaborare, il nodo in gola troppo grande.
 
“È… è il suo sangue, vero?” le domanda, intuendo senza bisogno di altre parole e Camilla annuisce, vedendolo portarsi le mani alla bocca e quasi barcollare.
 
“Tuo fratello mi ha salvata, Marco, si è preso due proiettili al posto mio. Alla spalla destra e al braccio destro. Ora è sotto i ferri per cercare di rimuoverli… aveva… aveva perso molto sangue ma… non ne so molto di più. Non abbiamo avuto più notizie da quando è stato portato in sala operatoria… Mi dispiace tantissimo,” sussurra, sentendosi divorare dal senso di colpa.
 
“Sono… sono felice che stai bene, Camilla,” risponde Marco a fatica, la voce roca, ma capisce guardandolo negli occhi quanto sia sincero, “il… il mio fratellino ha la pellaccia dura… anche quando eravamo piccoli… gli dicevo sempre che la gramigna non… non muore mai…”
 
La voce che gli si spezza in più punti e che contrasta con il sorriso che si sforza di mantenere, gli occhi che si fanno lucidi e le lacrime che non riesce più a trattenere. Un altro sguardo tra loro e Camilla lo abbraccia d’istinto, senza quasi pensarci, sentendolo aggrapparsi a lei in maniera disperata. Gli dà due pacche sulla schiena e poi gliela accarezza in maniera energica, dall’alto verso il basso, come faceva spesso con Livietta per consolarla.
 
“Io… io e Paolo siamo spesso come cane e gatto ma… ma gli voglio bene e… non… non so cosa farei se…”
 
“Lo so e lo sa anche lui, Marco. E anche lui ti vuole bene… credo che tu sia la persona a cui tiene di più in assoluto…”
 
Rimangono abbracciati ancora per un po’, fino  a che lo sente tranquillizzarsi, il respiro più regolare, la stretta che si allenta gradatamente fino a lasciarla andare.
 
“Grazie…” sussurra, commosso, sfregandosi il viso per asciugare le ultime lacrime.
 
Camilla scuote il capo con un sorriso altrettanto commosso, prima di avvertire l’inequivocabile formicolio alla base del collo e di voltarsi, col cuore in gola, verso il punto esatto alle sue spalle da dove lui la sta osservando. In ansia, ricordando benissimo cos’era successo l’ultima volta che li aveva visti abbracciati, cerca ed incontra i suoi occhi azzurri che la scrutano con un’espressione indefinibile ma, apparentemente, tranquilla. Non vi scorge traccia di rimprovero o di risentimento, solo… malinconia.
 
Il rumore di una porta che si apre interrompe il momento e li porta a girarsi verso le doppie porte che danno accesso alle sale operatorie, da cui emerge un dottore con ancora indosso il camice. È lo stesso che li aveva soccorsi con l’ambulanza.
 
“Lei è qui con De Matteis Paolo, giusto?” domanda, riconoscendo Camilla.
 
“Sì, esatto, come sta?”
 
“È una parente?” le domanda, in ossequio all’onnipresente legge sulla privacy.
 
“Sono il fratello, Marco Visconti De Matteis. Come sta Paolo?” interviene Marco, per poi aggiungere, guardandosi intorno, “non ho obiezioni a che anche loro siano informati.”
 
“Abbiamo estratto la pallottola dal braccio. Il proiettile che è entrato dalla spalla destra fortunatamente non ha leso organi vitali ma si è fermato accanto al polmone, senza perforarlo. Rimuoverlo richiederà una certa cautela. In condizioni normali, sarebbe già sicuramente un’operazione delicata, con un elevato livello di rischio. Il problema è che oltretutto suo fratello ha perso molto sangue, gli abbiamo già fatto una trasfusione, una sacca, e abbiamo cercato di ossigenarlo il più possibile, visto che aveva già perso conoscenza ed aveva avuto un arresto cardiaco prima che fosse raggiunto dall’ambulanza. Per fortuna gli sono stati praticati subito massaggio cardiaco e respirazione dalla signora qui presente e poi siamo riusciti a rianimarlo e a stabilizzarlo e non ha avuto ulteriori arresti.”
 
“Camilla…” sussurra commosso, grato e ammirato, capendo benissimo perché la donna nel racconto dello svolgimento dei fatti aveva omesso questo piccolo particolare.
 
“Ma purtroppo il polso è molto debole e non può assolutamente permettersi di perdere altro sangue. Per questo non possiamo procedere oltre fino a che non avrà ricevuto almeno un’ulteriore sacca di trasfusione, anche se l’ideale sarebbero due. Il problema è che suo fratello è di gruppo B-, molto raro e abbiamo usato per lui l’ultima sacca che avevamo. Stiamo contattando le banche del sangue di Roma per cercare di procurarcene dell’altro, ma, visto che lei è qui e che è un parente prossimo… per caso è compatibile?”
 
“No, purtroppo no: sono A+, io e mio fratello siamo agli antipodi quasi in tutto,” risponde Marco, amaro.
 
“Beh, allora proseguiremo le ricerche e-“
 
“Forse non è necessario. Io sono 0-, sono donatore universale. Sono stato appena visitato e… dovrei essere in buone condizioni per poter donare.”

 
***************************************************************************************
 
“Sammy… Sammy…”
 
“Pietro, sono qui, sono qui, svegliati…” lo rassicura, vedendolo agitarsi nel letto e sentendolo chiamarla in modo quasi disperato, la voce distorta dalla maschera dell’ossigeno. Lei era stata più fortunata: la dottoressa dopo averla visitata le aveva dato il via libera senza appiopparle nemmeno, come aveva temuto all’inizio, l’apparecchio per l’ossigeno portatile.
 
Pietro sorride e sembra rilassarsi quando sente una mano stringere la sua. Apre gli occhi e, dopo qualche secondo di disorientamento, mette a fuoco il viso della moglie che lo guarda preoccupata.
 
“Sammy… dove siamo? Come stai?” le chiede, in ansia, cercando di mettersi a sedere ma non riuscendoci.
 
“Fermo, non devi muoverti e fare sforzi. Siamo in ospedale e-“
 
“Come stai?” ripete, chiaramente agitato.
 
“Io sto bene, ho solo avuto un’intossicazione da fumo, leggera, è tutto risolto. Anche tu sei rimasto intossicato in maniera un po’ più forte e hai un piede rotto. Te l’hanno messo in trazione, per questo devi muoverti il meno possibile e con cautela. Dovrebbe essere questione di pochi giorni, non ti preoccupare, poi ti ingesseranno e potrai muoverti più liberamente,” lo rassicura, stringendogli di nuovo la mano, “Marchese mi ha detto… mi ha detto che ti sei fatto male mentre cercavi di portarmi fuori e che… che ti sei rifiutato di farti soccorrere finché io non fossi stata in salvo. Ti devo la vita, Pietro...”
 
“Il tuo Marchese è come sempre troppo buono Sammy. Devi ringraziare lui e Berardi e non me: sono inciampato come un idiota e se non ci fossero stati loro saresti morta. Gran bel salvataggio il mio!” commenta con una risata amara per poi aggiungere, guardandola in un modo serio e triste insieme, “anzi, sono anche rientrati per salvarmi, nonostante stesse crollando tutto… io poi sono svenuto e non ricordo bene ma… ho capito perché ti sei innamorata di Marchese, sai? Lui è un uomo molto migliore di me. Io al posto suo non credo che sarei mai rientrato in quella casa, di sicuro non per tentare di salvare qualcuno che mi aveva trattato come io l’ho sempre trattato.”
 
“Lo so Pietro, lo so che Marchese è… è un angelo, è una persona migliore sia di te che di me. Ma purtroppo o per fortuna l’amore non funziona così, non si sceglie chi si ama. E quello che non capisco come tu possa non capire, è che non avrei mai fatto tutto quello che ho fatto, non avrei mai lasciato Marchese, non avrei iniziato una storia con te e non ti avrei addirittura sposato contro  il parere di tutti, se non fossi stata innamorata di te. E non avrei mai potuto innamorarmi di te se fossi stata ancora innamorata di Marchese. Marchese è stato… il mio primo amore, siamo cresciuti insieme… era un amore bello, puro, adolescenziale ma piano piano è finito, si è trasformato in un grande affetto e basta. E l’ho capito quando ti ho conosciuto, perché non avevo e non ho mai provato per nessuno quello che ho provato e che, maledizione a me, provo ancora per te, Pietro! Mai.”
 
“Sammy…” sussurra lui, riuscendo finalmente a comprendere quanto lei sia sincera, a scorgere la verità nelle sue parole e dandosi dell’idiota per le sue insicurezze, per aver dubitato di lei, per il comportamento folle degli ultimi giorni. Per quella rabbia che l’aveva consumato fino a desiderare di distruggerla, di ferirla quanto lei aveva ferito lui. Ma in quella casa aveva capito tante cose: quando Sammy era stata davvero in pericolo nulla aveva avuto più senso. La rabbia, l’orgoglio, il desiderio di vendetta… erano evaporati, spariti, di fronte alla necessità di salvarla, di accertarsi che almeno lei stesse bene, a qualunque costo.
 
Prova ad allungare la mano libera per accarezzarle il viso, come aveva fatto così tante volte durante la loro relazione e il loro matrimonio ma lei la intercetta prima, appoggiandola sul lenzuolo, accanto all’altra.
 
“Però, Pietro, se tornare con Marchese sarebbe un errore madornale, sarebbe solo farci del male a vicenda, a lungo andare, perché non lo amo più, allo stesso tempo a volte l’amore da solo non basta. Perché, Pietro, la verità è che io mi sto chiedendo di chi mi sono innamorata, se tu sei davvero l’uomo per cui ho perso la testa, quell’uomo dolce, tenero, divertente, premuroso, che voleva solo  la mia felicità, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per farmi stare bene, per strapparmi un sorriso, quell’uomo che rivedo adesso e che ho ritrovato in quella casa quando mi facevi coraggio e cercavi di tranquillizzarmi mentre tentavi di liberarmi, mentre… mentre eri pronto a morire insieme a me… o se… se sei quella specie di dittatore psicotico, nevrotico, schizofrenico che mi ha seguita, spiata, denunciata. Quell’uomo crudele e sadico che si diverte a maltrattare chi è sotto di lui, a interrogare i sospetti fino a farli crollare psicologicamente, che sembra trarre piacere dalle sofferenze altrui.”
 
“Sammy…” sussurra sentendosi sempre più uno schifo mano a mano che la voce di lei si alza e si incrina, le lacrime di dolore e di rabbia a solcarle il viso.
 
“E fino a che ho questo dubbio, fino a che non so chi sei davvero, non posso… non posso più pensare di poter condividere la mia vita con te, lo capisci? Ti starò vicino ora che stai male, come ti ho promesso il giorno del nostro matrimonio ma… voglio che tu capisca che questo non cambia le cose tra noi.”

 
***************************************************************************************
 
“Gaetano! Tutto bene?”
 
“Sì, ho fatto quello che potevo, ora temo che non resti che aspettare…” risponde, avvicinandosi a lei e a Marco, seduti sulle solite, scomodissime, seggiole.
 
“Grazie mille, davvero… non so come ringraziarla,” esclama Marco, grato e commosso, “so benissimo che tra lei e mio fratello non scorre esattamente buon sangue… oddio sembra quasi una battuta adesso…”
 
“Già…” commenta Gaetano, scoppiando insieme a Marco in una mezza risata amara, “e comunque non serve che mi ringrazi: era il minimo che potessi fare ed è quello che avrebbe fatto chiunque al mio posto.”
 
“Non credo, sa? Non credo che l’avrebbe fatto chiunque…”
 
Senza altre parole si siedono e attendono, attendono e attendono per minuti che si sommano ad altri minuti e che sembrano sempre più interminabili.
 
“Volete che vada a prendervi un caffè?” si offre infine Gaetano, notando la stanchezza sui volti di Camilla e di Marco.
 
Marco sta per rispondere quando un rumore di passi, quasi una carica di bufali, alle loro spalle li interrompe.
 
“Fratellone!”
 
“Zio!”
 
“Francesca?! Nino?! Che ci fate qui?! Francesca, ti avevo detto che stavo bene e che non era necessario che venissi!” esclama con un sorriso esasperato, accogliendo lo tsunami biondo che gli si butta tra le braccia.
 
“Sì, ma io ti conosco fratellone e so che tu minimizzi sempre tutto per non fare preoccupare gli altri. Mi hai detto che avresti passato la notte in ospedale e ho visto al tg quello che è successo: l’incendio, la sparatoria e mi sono preoccupata!” spiega, sciogliendo l’abbraccio per guardarlo negli occhi.
 
“Ma come vedi per fortuna sto bene, sorellina. Non so se dovrei ringraziarti per l’affetto e la preoccupazione o offendermi per la tua mancanza di fiducia in me,” scherza, dandole un lieve pizzicotto sulla guancia come quando erano ragazzi, per poi tornare più serio quando nota un’assenza, “e Jerry? Dov’è?
 
“Papà è rimasto a casa, dormiva già…” spiega Nino, salutando lo zio con una pacca sulla spalla.
 
E poi gli sguardi di Francesca e di Nino si voltano verso Marco e, soprattutto, verso Camilla, che hanno assistito a quella scena in silenzio.
 
“Francesca…” la saluta Camilla, imbarazzata, sapendo che Gaetano è ospite della sorella e temendo che Francesca sia risentita con lei.
 
“Camilla…” saluta di rimando Francesca prima di sgranare gli occhi e portarsi le mani alla bocca quando la vede così sporca di sangue e di chiederle, con sincera preoccupazione, “oddio, Camilla, ma che è successo?! Stai bene?!”
 
“Sì, sì, tranquilla, è che-“
 
“Tom!”
 
“Nino!”
 
I saluti tra i due ragazzi la interrompono prima che possa rispondere.
 
“Nino, questo ragazzo è un tuo amico?” domanda Francesca, sorpresa, guardando quel ragazzo che le sembra improvvisamente familiare. La verità è che, per via delle condizioni di salute di Jerry, esce ben poco la sera e conosce a malapena gli amici di Nino, sicuramente molto meno di quanto dovrebbe. Ma, per sua fortuna, Nino è sempre stato tranquillo e non le ha mai dato motivo di preoccuparsi.
 
“Sì, lui è Tom, il batterista della nostra band…”
 
“Quello che sta per trasferirsi a studiare in America?” domanda Francesca, facendo finalmente il collegamento.
 
“Esatto, Tom lei è Francesca, mia madre…”
 
A quelle due parole – mia madre – Francesca prova come sempre un piacevole senso di costrizione al petto ed un grandissimo senso di orgoglio.
 
“Ah quindi lei è la sorella di tuo zio Gaetano, giusto?” chiede conferma il ragazzo, prima di allungare una mano con un sorriso, “piacere, signora.”
 
“Io invece sono Marco, il papà di questo mascalzone,” si presenta Marco con un sorriso ancora più ampio di quello di Tom, nonostante le circostanze, porgendole a sua volta la mano in una stretta decisa.
 
“Ah, lei è il produttore di vini? Quello che ha quelle cantine sui colli? So che ha ospitato spesso mio figlio, grazie davvero,” proclama Francesca, ricambiando la stretta e il sorriso.
 
“Si figuri: Nino è simpaticissimo, oltre che un bravo ragazzo, e chiunque sopporti mio figlio e la sua batteria ha tutta la mia stima personale,” commenta Marco con un altro sorriso, affidandosi come sempre al suo umorismo.
 
Ma Camilla, che ormai lo conosce bene, riconosce la nota tirata della voce, segno che, come spesso accade, Marco si rifugia dietro alle sue battute e alla cordialità per nascondere la sua sofferenza e la sua preoccupazione.
 
“Ma cosa ci fate voi qui? È per via della storia del Luna Park?” domanda poi Francesca, guardando ancora verso Camilla, che sembra uscita da un film horror e verso suo fratello che sembra essersi rotolato nella cenere, mentre Marco e Tom appaiono illesi.
 
“Sì è che… mio fratello è un vicequestore, come suo fratello e lui…” cerca di spiegare, ma si ritrova a deglutire per sciogliere il groppo in gola: la maschera non regge più.
 
“Mi ha difesa da un cecchino e… si è preso due pallottole destinate a me,” conclude Camilla, commossa, e Francesca capisce finalmente il motivo di tutto quel sangue.
 
Nino poggia una mano sulla spalla di Tom mentre Francesca osserva quello sconosciuto così gentile senza riuscire a pronunciare una sola parola. Perché lei era ed è ormai un’esperta mondiale della nobile arte di nascondere i problemi più gravi dietro ad una facciata di… leggerezza e a volte persino di allegria. E capisce benissimo di avere di fronte a sé un altro massimo esponente della categoria.
 
Di nuovo una porta che si apre ed un rumore di passi, lo stesso medico di prima.
 
“Come va?” domanda Marco in apprensione, notando lo sguardo preoccupato del medico.
 
“Purtroppo non possiamo procedere con l’intervento. La sacca donata dal signor Berardi non è stata sufficiente per raggiungere un livello tale da consentirci di operare, anche se quantomeno è servita per stabilizzare un po’ di più i parametri vitali di suo fratello. Ma la lesione interna continua ovviamente a sanguinare e quindi più tempo passa e più suo fratello si indebolisce e più l’intervento si fa rischioso. E non possiamo nemmeno pensare di lasciare lì il proiettile: è troppo vicino al polmone e potrebbe spostarsi e perforarlo, soprattutto se suo fratello riprendesse conoscenza… basterebbe anche un attacco di tosse…. Gli serve quindi urgentemente un’altra trasfusione e purtroppo nessuna delle banche del sangue di Roma può permettersi un prestito, come vi ho detto il B- è il gruppo per cui è in assoluto più difficile trovare un donatore compatibile. Stiamo contattando anche tutte le banche del sangue delle città più vicine e speriamo di avere risultati a breve.”
 
“Forse posso… forse posso aiutarvi io: sono anche io 0- come mio fratello. Di solito non dono perché… ho… ho paura degli aghi ma dovrei essere idonea a farlo,” interviene Francesca, sorprendendo tutti i presenti, soprattutto Marco che la guarda non riuscendo più a trattenere le lacrime.
 
“Grazie… grazie mille… io… io non ho parole, grazie,” sussurra commosso da tutta questa solidarietà, sia da parte di Gaetano che da parte di Francesca che è, in fondo, una perfetta sconosciuta.
 
“Ma si figuri, non serve che mi ringrazi: è quello che farebbe chiunque…” risponde Francesca, replicando involontariamente quanto detto da Gaetano poco prima, mettendogli una mano sulla spalla prima di trascinarlo in un abbraccio spontaneo dei suoi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, dandogli un paio di pacche sulle spalle, per poi staccarsi e aggiungere con un sorriso, “e poi suo fratello ha salvato la vita a Camilla e quindi ha salvato indirettamente anche quella del mio fratellone e la mia, glielo assicuro, evitandomi una crisi familiare senza precedenti. Quindi ha tutta la mia eterna gratitudine!”
 
Gaetano e Camilla arrossiscono visibilmente, guardandosi in imbarazzo, mentre Nino e Tom si scambiano un’occhiata eloquente.
 
“Che c’è? Ho detto qualcosa che non va?” domanda Francesca, che ignora assolutamente tutti i precedenti tra Marco e Camilla.
 
“No, no, però forse ora è meglio che andiamo a fare questa donazione. Ti accompagno, visto che so cosa ti succede quando vedi un ago,” risponde Gaetano, prendendo sotto braccio la sorella e seguendo il medico. Camilla presume che, oltre fornire il suo supporto morale, Gaetano ne approfitterà anche per spiegare a Francesca tutti i retroscena con Marco e De Matteis, onde evitare altri imbarazzi.
 
Marco continua a seguire con lo sguardo Francesca fino a che lei e Gaetano scompaiono dietro un angolo del corridoio, ancora sbalordito e senza parole.
 
“È… è… ma è sempre così?” chiede a Camilla con tono ammirato.
 
“Sì, è sempre così. È un ciclone ed è impossibile non volerle bene,” conferma Camilla con un sorriso.
 
“Dici che c’è speranza che con la trasfusione un po’ del carattere del donatore o dei donatori passi al ricevente?” le domanda ricambiando il sorriso, facendo di nuovo ricorso al suo fidato humour.

 
***************************************************************************************
 
“Sammy mi ha detto che voleva parlarmi…”
 
Marchese cerca di mantenere un tono asciutto e neutro, distaccato, ma la verità è che vedere la sua nemesi su quel letto di ospedale, il piede immobilizzato e il colorito cinereo – in tutti i sensi – gli fa un certo effetto. Improvvisamente il terribile mastino sembra solo un vecchio cane sdentato, sembra incredibilmente umano e debole, rispetto all’immagine che aveva sempre avuto di lui, rispetto al timore che aveva sempre nutrito nei confronti dell’ispettore.
 
“Sì, Marchese. Volevo… volevo ringraziarti per aver rischiato la tua vita per salvarmi: pochi al tuo posto l’avrebbero fatto dopo tutti i… precedenti tra noi e-“
 
“Dovrebbe ringraziare anche il dottor Berardi, perché ha rischiato la sua vita esattamente tanto quanto me e anche a lui non ha dato esattamente dei buoni motivi per farsi amare, ispettore,” replica Marchese, asciutto e lievemente sarcastico.
 
“Lo so e lo ringrazierò personalmente, Marchese e mi scuserò con lui. Ma a te sento… sento di dovere molte più scuse, Marchese: quello che ho fatto a Berardi è un’inezia, comparato a quello che ho fatto a te.”
 
“Faccia come vuole riguardo al dottor Berardi, ma per quanto riguarda me, ispettore, se posso proprio essere sincero, delle sue scuse non me ne faccio niente. Non so quali siano i motivi di questo pentimento, se l’aver visto la morte in faccia, se l’aver capito di essersi comportato come un idiota con Sammy e il voler cercare di recuperare, se sia sincero o se sia tutta una strategia, e sinceramente ho cose più importanti da fare che stare qui a domandarmelo. Se davvero è sincero e se davvero vuole rimediare, dimostri con i fatti che è pentito di ciò che ha fatto, sia per quanto riguarda il suo lavoro, sia per quanto riguarda la sua vita privata con Sammy, che merita di stare con un uomo vero, che la ami, la rispetti e la renda felice e non con una specie di bullo di mezza età che sfoga su di lei le sue frustrazioni. E ora, se non aveva altro da dirmi, visto che mi sembra che lei e Sammy stiate bene, andrei ad informarmi su come sta il dottor De Matteis.”
 
Mancini è completamente ammutolito, apre la bocca un paio di volte ma non riesce ad emettere suono.
 
Marchese gli lancia un’ultima occhiata ed esce, senza voltarsi indietro.

 
***************************************************************************************
 
“Camilla!”
 
“Mamma!”
 
Le voci la interrompono prima che possa rispondere: questo ospedale ormai è peggio di un porto di mare.
 
“Mamma, Livietta!” le saluta, prima di aggiungere con tono di rimprovero, rivolta alla madre, “mamma, ma ti sei messa in macchina a quest’ora? Ti avevo detto di non venire, che non era necessario!”
 
“Come potevi pensare che rimanessimo a casa dopo aver visto quella specie di apocalisse al tg? Abbiamo preso un taxi e…. O PER L’AMOR DI DIO, CAMILLA! Che ti è successo?!” esclama Andreina non appena vede lo stato dei suoi vestiti, portandosi una mano al petto con l’aria di chi sta per svenire.
 
“Mamma, mamma, stai calma, non mi è successo niente, sto bene, non mi sono fatta niente, tranne questi terribili graffi alle mani,” la rassicura con ironia, mostrandole i palmi leggermente sbucciati, mettendole poi una mano sulla spalla e facendola sedere.
 
“Stai bene davvero?” domanda di nuovo Andreina, il cuore ancora in gola.
 
“Sì, sto bene davvero, davvero, davvero,” ribadisce con un sorriso.
 
“Ma allora perché sei ancora qui? Chi è che sta male?”
 
“Sammy ha avuto una lieve intossicazione da fumo, a quanto pare niente di grave, c’è Marchese con lei. Idem il marito di Sammy e-“
 
“Buono quello!” commenta a mezza voce sua madre facendole alzare gli occhi al cielo.
 
“E poi… si tratta del dottor De Matteis che-“
 
“Quello-“
 
“Mamma!” la interrompe con tono ed occhiata fulminanti, prima che possa aggiungere uno dei suoi soliti epiteti contro il vicequestore, spiegando per l’ennesima volta quella sera, sentendosi ormai come un disco rotto, “il dottor De Matteis è in sala operatoria perché mi ha difesa da un cecchino che ci aveva sotto tiro, mi ha fatto da scudo umano e si è preso due proiettili al posto mio. Gli devo la vita, mamma.”
 
“Quindi è il sangue è…?” domanda Livietta, mentre Andreina è ammutolita, comprendendo perfettamente, dall’estensione delle macchie, quale sia la gravità della situazione e il pericolo scampato dalla figlia.
 
“Marco, Tom… Nino?!” chiede poi Livietta, notando finalmente gli altri presenti.
 
“Livietta, signora Andreina,” le saluta Marco, avvicinandosi alla ragazza e all’anziana.
 
“Signor Visconti… mi… mi dispiace per suo fratello,” proclama Andreina, con sguardo basso e tono indubitabilmente sincero.
 
“Anche a me…” conferma Livietta, prima di guardare di nuovo verso Nino, “ma tu cosa ci fai qui?”
 
“Vedi, io-“
 
“Dov’è Gaetano? Mamma, gli è successo qualcosa?!” chiede Livietta spaventata, facendo l’ovvio collegamento.
 
“No, il mio fratellone ha la pellaccia dura, oltre che la testa dura,” li raggiunge la voce di Francesca che torna, sorridente anche se pallida come un cencio, accompagnata proprio da Gaetano che la sorregge temendo che si possa sentire male, per poi aggiungere, vedendo i loro volti preoccupati, “tranquilli, ho solo donato del sangue ma è che… sono una fifona.”
 
“Gaetano, per fortuna, cominciavamo a temere che fosse morto,” commenta Andreina con sarcasmo, riferendosi evidentemente non solo ai fatti della serata ma alla sua assenza degli ultimi giorni dopo la mancata partenza per Torino.
 
“Signora Andreina…” abbozza in imbarazzo, non sapendo che cos’altro dire, temendo di essere diventato una specie di Renzo 2.0 agli occhi della donna.
 
“Ci è andato vicino mamma, per soccorrere prima me e De Matteis e poi Sammy e suo marito. E la colpa di quello che è successo negli ultimi giorni è soprattutto mia e della mia testardaggine,” interviene Camilla, mettendosi letteralmente in mezzo, per poi avvicinarsi a Gaetano e passargli un braccio intorno alle spalle, guardandolo negli occhi mentre lui ricambia commosso, passandole a sua volta un braccio intorno alla vita.
 
Sposta poi con decisione lo sguardo verso la madre che non apre più bocca, limitandosi ad osservarli in un  modo indefinibile.
 
“Sembri lo spazzacamino di Mary Poppins!” è invece il commento ironico di Livietta che si avvicina ad entrambi, appoggiando una mano sulla spalla della mamma e l’altra su quella di Gaetano, trascinandoli in un abbraccio di gruppo, “sono felice che stiate bene, tutti e due.”
 
“Livietta…” mormorano entrambi, commossi e sorpresi.
 
“E comunque… anche io ti voglio bene, qualsiasi cosa succeda tra te e la mamma… a te e all’impiastro,” sussurra poi nell’orecchio di Gaetano, provocando una fitta al cuore e un magone incredibile sia a lui, sia a Camilla che ha sentito tutto e che stringe i due tesori della sua vita ancora più forte, sentendosi tremare le vene e i polsi al solo pensiero di avere rischiato di non vederli mai più.
 
***************************************************************************************
 
“I pompieri mi confermano che l’incendio è domato ma, prima che le macerie raggiungano una temperatura tale da essere mosse, ci vorranno ancora parecchie ore, probabilmente non prima di domani a mezzogiorno almeno. Dobbiamo decidere come procedere. Lei ha qualche indicazione?” domanda il responsabile della scientifica, squadrandola da capo a piedi con un certo scetticismo.
 
“Voglio che setacciate tutta la zona intorno a questa casa e intorno al labirinto per impronte, tracce, qualsiasi cosa. Meglio concentrarsi però prima sul labirinto, in particolare il tetto: qui c’è stato troppo via vai di gente e le prove, ammesso che ci siano, potrebbero essere ormai compromesse. Bisogna capire quale possa essere stata la via d’ingresso e quella di fuga del malvivente. Il dottor Berardi mi ha detto che potrebbe essere stato ferito, quindi se ci fossero delle tracce di sangue potrebbero aiutarci nella ricostruzione. Fate passare tutta la recinzione: a prima vista il malvivente dovrebbe avere scavalcato per entrare, ma un fucile di precisione non è così agevole da trasportare, nemmeno smontato. Per uscire avrebbe potuto usare l’ingresso principale, dato che i colleghi l’hanno sfondato, ma rischiava di essere notato…. Quindi…”
 
“Quindi perimetro e area intorno alla casa stregata e al labirinto. D’accordo,” annuisce l’uomo con aria più seria e convinta.
 
“Dove mettiamo i fari, dottoressa?” domanda uno dei giovani agenti mandati come rinforzo dalla questura insieme agli esperti della scientifica. Ormai, con l’incendio spento, era buio pesto.
 
“Non sono una dottoressa, ma comunque servono ad illuminare il tetto del labirinto degli specchi. Per evitare di inquinare la scena, posizionateli sui tetti delle attrazioni accanto: credo che quello del tiro a segno e quello dell’autoscontro possano andare bene. Prima però aspettate che gli agenti della scientifica vi diano il via libera e che abbiano finito di controllare la presenza di tracce visibili intorno alla casa. E verificate anche che i tetti reggano prima di caricarli con i fari e prima di salirci. Abbiamo avuto abbastanza feriti per stasera.”
 
Gli agenti si mettono sull’attenti e corrono ad eseguire gli ordini.
 
“Agente Grassetti?” domanda una voce alle sue spalle facendola involontariamente sobbalzare. SI volta ed incontra lo sguardo stupito di un uomo sulla sessantina.
 
“Signor questore, buonasera,” lo saluta, mettendosi sull’attenti, prima di aggiungere con tono amaro, “anche se non è affatto una buona serata.”
 
“È lei che mi ha fatto chiamare, giusto?” domanda il questore che è stato raggiunto dalla telefonata mentre stava attendendo il volo che l’avrebbe riportato a Roma dopo una breve vacanza in Sardegna.
 
“Sì, esatto.”
 
“Da quello che ho capito, il dottor De Matteis e l’ispettore Mancini sono entrambi feriti e all’ospedale. Voglio che mi racconti tutto, passo a passo, chiaro?”
 
“In realtà io non ero presente, dottore, e i testimoni sono tutti in ospedale, so solo quanto mi è stato riferito quando abbiamo ricevuto la chiamata di emergenza dal dottor De Matteis e alcuni dettagli fornitimi dal dottor Berardi,” spiega, decidendo di togliersi subito dente e dolore.
 
“Berardi? Gaetano Berardi? Cosa ci faceva qui?”
 
“Sì, esatto. Stava… stava collaborando con il dottor De Matteis in questa indagine, per il caso Scortichini, credo… sa si era occupato del caso Misoglio anni fa… E, a quanto ho capito, è intervenuto per aiutarci a soccorrere la moglie dell’ispettore Mancini, che era intrappolata nella casa stregata in fiamme. Comunque ora le racconto meglio tutto quello che so dal principio…”

 
***************************************************************************************
 
“Dottore, come sta?”
 
“Siamo riusciti a portare a termine l’intervento e a rimuovere il proiettile. Il signor De Matteis sta ancora terminando l’ultima sacca di trasfusione ma le sue condizioni sembrano migliorare gradualmente e i suoi parametri si stanno lentamente stabilizzando. Respira autonomamente e ha battito. Dovremo valutare con più calma un’eventuale ulteriore trasfusione ma potrebbe anche riuscire a reintegrare il resto del sangue perso autonomamente, dipenderà dal decorso postoperatorio. Non possiamo ancora sciogliere la prognosi, le prime 24 ore sono decisive per scongiurare possibili complicazioni, verrà tenuto in osservazione e chiaramente dovremo valutare al risveglio le possibili conseguenze a livello neurologico. Ma, considerate le tempistiche della rianimazione, praticamente immediata, che dovrebbe aver mantenuto l’ossigenazione dei tessuti, credo che, salvo imprevisti, possiamo avere un cauto ottimismo.”
 
Marco esala il respiro che aveva fino ad allora trattenuto insieme alle lacrime, questa volta di sollievo. Sente una mano sulla spalla e si volta verso Camilla, commossa quanto lui.
 
“Grazie, grazie mille… se non fosse stato per te-“
 
“Tuo fratello non sarebbe nemmeno rimasto ferito,” commenta Camilla con amarezza.
 
“Piantala, Camilla, non voglio nemmeno sentirlo,” la rimprovera con affetto, prima di rivolgersi verso Gaetano e Francesca, “e grazie anche a voi per tutto… siete stati… incredibili e… non vi sarò mai grato abbastanza.”
 
“Si figuri! Non deve ringraziare noi ma la genetica: almeno i nostri genitori qualcosa di buono l’hanno fatto. Oltretutto il gruppo sanguigno è praticamente l’unica cosa che io e il mio fratellone abbiamo in comune, a parte gli occhioni azzurri,” ribatte Francesca con un sorriso gentile, facendogli l’occhiolino.
 
“Io e mio fratello invece abbiamo in comune solo gli occhi azzurri,” replica Marco ricambiando il sorriso prima di aggiungere, più serio, “grazie davvero.”
 
“Comunque stiamo portando suo fratello in terapia intensiva per tenerlo sotto osservazione mentre si risveglia dall’anestesia. Se al risveglio i parametri rimarranno stabili lo porteremo in reparto e vi verremo a chiamare quando sarà possibile fargli visita. Però un parente, massimo due,” raccomanda il medico alla folla riunita di fronte a lui.

 
***************************************************************************************
 
“E quindi presumibilmente il dottor De Matteis è rimasto gravemente ferito mentre cercava di proteggere la compagna del dottor Berardi da un cecchino? Invece l’ispettore Mancini è rimasto intossicato e ferito mentre cercava di aiutare la moglie intrappolata tra le fiamme?”
 
“Esatto.”
 
“E Berardi ha salvato l’ispettore Mancini e consorte?”
 
“Sì… insieme a… all’agente Marchese,” ammette Grassetti, temendo la reazione del questore.
 
“Ah, Marchese, sì, ultimamente ho sentito molto parlare di lui da De Matteis,” commenta il questore con un tono indefinibile che preoccupa Grassetti.
 
“Sì, lo so, in tal proposito, se posso permettermi-“
 
“Signor questore, dottoressa, mi scusi se vi disturbo, ma, dottoressa, abbiamo finito di piazzare i fari. Quali sono i nuovi ordini?” li interrompe un altro dei giovani agenti, mettendosi sull’attenti e rivolgendosi principalmente a Grassetti.
 
“Non sono una dottoressa,” ribadisce Grassetti, vedendo che il questore rimane in silenzio, “gli agenti della scientifica non hanno più bisogno di voi?”
 
“No, signora.”
 
“D’accordo. Allora, visto che gli agenti della scientifica si stanno occupando del perimetro, voglio che voi cominciate a setacciare il parco. Siete in quattro, quindi formate due coppie: due di voi partano dall’angolo a sudest e due di voi da quello a nordovest e procedete da nord a sud e da sud a nord, passando tra le attrazioni con le torce, fino a quando vi incontrerete. Qualsiasi cosa sospetta troviate, impronte, tracce, qualsiasi cosa, la fotografate e chiamate uno degli agenti della scientifica. Non toccate nulla. Terminata questa perlustrazione, ne inizierete una seconda in orizzontale, da ovest a est e viceversa. Chiaro?”
 
“Chiarissimo, con permesso,” risponde l’agente, correndo a chiamare gli altri per riferire gli ordini.
 
“Come le stavo dicendo, ho sentito molto parlare da De Matteis del suo collega Marchese prima di partire per le ferie: caldeggiava una sua promozione e me ne ha detto meraviglie. Sicuramente meritate, a giudicare dal gesto eroico di oggi,” commenta il questore mentre Grassetti rimane di sasso.
 
“Cosa?” domanda, sbigottita.
 
“Da come mi ha parlato, credevo che ne fosse a conoscenza,” risponde il questore col tono di chi teme di avere detto troppo.
 
“Ah, sì, cioè, sapevo della promozione ma… il dottor De Matteis non… diciamo che con noi di solito non si lascia andare a molti complimenti,” cerca di improvvisare, comprendendo che De Matteis, forse per via dell’assenza del questore, non gli aveva ancora parlato della sospensione di Marchese e il questore non l’aveva approvata. Quindi, di fatto, Marchese ufficialmente non è affatto sospeso.
 
E di sicuro non sarebbe stata lei a far sapere il contrario al questore.
 
“Il dottor De Matteis è severo ed esigente, è vero… però direi che i suoi metodi funzionano perché, a quanto vedo, non sarebbe solo l’agente Marchese a meritare una promozione. Mi sembra che se la stia cavando egregiamente, nonostante l’emergenza, dottoressa,” la elogia il questore con un sorriso, facendola arrossire.
 
“La ringrazio signor questore…” abbozza, in imbarazzo.
 
“Spero quindi che non se ne abbia a male e non la  prenda come una mancanza di fiducia nei suoi confronti, ma vorrei chiamare il dottor Berardi e chiedergli se può venire a darle una mano, con anche l’agente Marchese, naturalmente, se, come spero, la loro visita ha avuto esito favorevole. Lei capisce, Berardi è stato ed è ancora un’istituzione qui a Roma, ne ho sentito sempre meraviglie ed è una persona di grande esperienza, poi probabilmente conoscerà alla perfezione i dettagli di questo caso, se ha collaborato con il dottor De Matteis, e sinceramente sarei più tranquillo se sapessi che c’è lui a supervisionare il tutto in sua assenza.”
 
“Certo, signor questore, lo capisco perfettamente e da quel poco che ho potuto conoscere il dottor Berardi è un poliziotto eccezionale,” conferma Grassetti con un sorriso, sentendosi incredibilmente sollevata, “anche perché l’unica cosa che conta adesso è trovare prima possibile chi ha… chi ha ferito il dottor De Matteis e l’ispettore Mancini.”
 
“Esattamente, Grassetti: quello che è successo stasera è un fatto di estrema gravità, un attacco vero e proprio al corpo di polizia. Questo caso ha preso priorità assoluta su tutto: voglio che Ilenia Misoglio venga ritrovata il prima possibile, anzi, che si faccia anche l’impossibile per trovarla!”

 
***************************************************************************************
 
“Sì, capisco perfettamente signor questore. Arriviamo immediatamente, non si preoccupi.”
 
“Era il questore,” spiega Gaetano con un sospiro a Camilla, “il questore di Roma.”
 
“E cosa voleva da te?” domanda sorpresa ed in apprensione.
 
“Una mano per coordinare le indagini e le ricerche mentre De Matteis è… indisposto, anche se non so a che titolo… A quanto pare Grassetti gli ha detto che collaboravo con De Matteis,” spiega con un mezzo sorriso, grato alla ragazza anche se teme che scoppierà l’apocalisse quando il questore, inevitabilmente, parlerà con De Matteis e Mancini, “non vorrei lasciarti qui così ma…”
 
“Stai tranquillo, lo so, il dovere ti chiama. E poi… bisogna trovare questo... non posso nemmeno definirlo pazzo perché mi sembra terribilmente lucido e… diabolico, se mi passi il termine. E bisogna trovare Ilenia, assolutamente.”
 
“Camilla, il pazzo lucido e diabolico può essere proprio Ilenia o qualcuno assoldato da Ilenia,” le ricorda, posandole un dito sulle labbra per bloccare le sue proteste e aggiungendo, “non è che non mi fidi della tua intuizione, professoressa, ma il tono di quella lettera non prova niente e lo sai e poi… arrivati a questo punto sinceramente non voglio escludere alcuna ipotesi. E chiunque sia stato, ti giuro che lo troverò, Camilla, fosse l’ultima cosa che faccio.”
 
Quelle ultime parole la colpiscono come un macigno, perché la prospettiva della morte è ancora troppo, troppo vicina. L’ha praticamente vista in faccia, ne ha sentito l’odore nelle narici. Si morde la lingua prima di dirgli che per lei l’unica cosa che conta davvero è che lui stia bene. Sa benissimo e ha sempre saputo quali sono i rischi del mestiere di Gaetano e non vuole farlo sentire in colpa o farlo preoccupare.
 
“Stai solo attento, ti prego,” si raccomanda, accarezzandogli il viso prima di allontanarsi di un paio di passi da lui.
 
“Marchese, devi venire anche tu, il questore vuole anche te!”
 
“Me? Ma se sono sospeso…” commenta il ragazzo, stupito.
 
“Apparentemente non lo sei, Marchese, non ufficialmente, vieni, ti spiego tutto in macchina,” lo esorta Gaetano, prima di congedarsi dai presenti.
 
“Grazie ancora, Gaetano,” proclama Marco con sincera gratitudine, rivolgendosi poi agli altri, “a questo punto è inutile che stiate tutti qui, rimango io con mio fratello tanto, avete sentito, le visite sono limitate.”
 
“Ma papà, voglio restare anche io con te!” protesta Tom, evidentemente impensierito all’idea di lasciare il padre da solo.
 
“No, non serve, tranquillo, vai a riposarti che tra pochi giorni ti aspetta un viaggio intercontinentale e un trasloco intercontinentale!”
 
“Appunto, mi abituo già al fuso orario nuovo,” commenta il ragazzo con un sorriso da schiaffi, “e poi sei tu che non mi vuoi mai fare guidare fino alla Fattoria di notte da solo, no?”
 
“Qualunque cosa dirò potrà essere usata contro di me? È così che funziona con te, giovanotto?” domanda Marco esasperato, scuotendo il capo, ma non potendo evitare di sorridere con affetto e gratitudine di fronte alla preoccupazione del figlio, “prendi un taxi allora, pago io.”
 
“Ma ci metterei un’ora ad andare e soprattutto una a tornare qui se… se dovesse succedere qualcosa e-”
 
“Se volete posso ospitare io Tom, tanto lui e Nino sono amici, possono dividere la stanza e non è un problema fare un letto in più,” si offre Francesca, sorprendendo di nuovo Marco, “e così domattina Tom può venire qui con più facilità.”
 
“Per me va bene,” conferma Tom con un sorriso, “grazie mille, signora.”
 
“Io non vorrei disturbarla, davvero…”
 
“Ma si figuri, Marco, quale disturbo! Ricambio almeno in parte tutte le volte che Nino è stato ospite da voi…”
 
“Grazie mille, Francesca, lei è davvero un angelo,” esclama Marco, nuovamente commosso.
 
“Si vede che non mi conosce: non si lasci ingannare dai capelli biondi e dagli occhi azzurri!” ribatte con un sorriso, “andiamo ragazzi?”
 
 “Camilla, andremmo anche io e Livietta, vieni con noi?” interviene Andreina, con quel tono che più che una domanda è un ordine a tutti gli effetti.
 
“Beh, io-“
 
“Vai, Camilla, è inutile che tu stia qui,” la esorta Marco con uno sguardo che non ammette repliche.

“Siete con… De Matteis Paolo?” li interrompe una voce sconosciuta: un altro medico.
 
“Sì, sono il fratello.”
 
“Suo fratello si è risvegliato, l’abbiamo visitato rapidamente e i suoi parametri erano stabili e sembrava rispondere agli stimoli a cui lo abbiamo sottoposto. È  ancora intontito dall’anestesia, per cui si è riaddormentato ed è importante che riposi e recuperi le forze. Dato che i parametri vitali sono stabili e che per ora non sembrano esserci danni neurologici apparenti, abbiamo portato suo fratello in reparto e quindi può essere visitato ma da una persona alla volta, massimo due. Come ho detto, è importante che si riposi e-”
 
“Sì, certo, non si preoccupi, vengo solo io, loro-“
 
“No, in tal proposito, in realtà ci sarebbe un problema: per caso qualcuna tra voi si chiama Camilla?” lo interrompe il dottore, alternando lo sguardo tra Camilla, Francesca, Andreina e Livietta.
 
“Sono io… ma perché le serve saperlo?” domanda sorpresa.
 
“Lei è la moglie del signor De Matteis?”
 
“No… no… sono… una conoscente…” risponde, sempre più sbigottita, “perché?”
 
“Vede, come ho già detto il signor De Matteis sta riposando ed è ancora sotto i postumi dell’anestesia… diciamo che è come se avesse preso dei sonniferi ed è un sonno… pesante, se capisce cosa intendo, non del tutto naturale: anche quando si sveglierà nuovamente potrebbe ancora essere intontito, confuso. Come dicevo, è importante che si riposi per recuperare, ma c’è un problema: è da quando era in terapia intensiva che ha iniziato a chiamare il suo nome e lo fa con sempre maggiore frequenza e adesso comincia ad agitarsi. Quindi mi chiedevo se lei… insomma… se potesse venire a visitarlo. Magari sentendo la sua voce si tranquillizzerà e sarebbe importante per il suo cuore… se non si calma e se i parametri dovessero andare di nuovo fuori dal range di tolleranza, dovremo riportarlo in terapia intensiva,” spiega il medico, mentre tutti guardano Camilla come se le fosse cresciuta un’altra testa, soprattutto Marco ed Andreina che conoscono benissimo i rapporti idilliaci tra lei e De Matteis.
 
“Oddio… solitamente credo che il dottor De Matteis sia molto più tranquillo quando non deve sentire il suono della mia voce ma… era con me quando ha perso conoscenza e c’era appena stata una sparatoria. Magari teme ancora che io sia in pericolo, che anche lui sia in pericolo,” ipotizza, guardando sua madre e Marco, più meravigliata di loro, “comunque, certo che posso fargli visita, non c’è problema.”

 
***************************************************************************************
 
“Grazie mille, Camilla, davvero!”
 
“Smettila di ringraziarmi, Marco, se no mi farai sentire ancora più in colpa. Tuo fratello mi ha salvato la vita e fargli sentire la mia melodiosa voce è il minimo che posso fare, sperando che non peggiori la situazione. Magari si sveglierà subito per implorarmi di tacere,” ironizza, cercando di sdrammatizzare.
 
Andreina e Livietta se ne sono andate, dopo numerose insistenze, lasciandole però in eredità un cambio pulito che, finalmente, non la fa più sembrare uscita da un film di Tarantino. I vecchi vestiti sono già stati imbustati, nel caso potessero servire come elementi probatori, e sono custoditi nella sua borsa.
 
Tirano entrambi un profondo respiro ed entrano nella stanza a lui riservata: fredda come tutte le stanze di ospedale, con il loro odore nauseabondo di disinfettante. Ed eccolo lì, supino sul letto, il bip meccanico dei macchinari che controllano costantemente la presenza e la frequenza di battito e respiro, collegato a tubicini di cui preferiscono entrambi ignorare la funzione, il braccio destro immobilizzato, la pelle pallida quasi quanto il lenzuolo, nonostante le multiple trasfusioni.
 
Camilla sente Marco inspirare forte, gli lancia un’occhiata e le sembra improvvisamente più vecchio di almeno dieci anni. Gli posa un braccio sulle spalle, cercando di fargli forza con la sua presenza.
 
“Ca…mi…lla…”
 
Il suono li coglie, nonostante tutto, di sorpresa. È una voce roca, gutturale, aspra, probabilmente conseguenza di anestesia, perdita di fluidi e intubazione che però gli è stata fortunatamente già rimossa, al suo posto solo una maschera per l’ossigeno.
 
Lancia uno sguardo a Marco prima di avvicinarsi al letto.
 
“Dottor De Matteis, sono qui, stia tranquillo,” cerca di rassicurarlo, adottando involontariamente il tono materno che utilizzava con Livietta quando aveva gli incubi notturni.
 
“Ca…milla?” domanda di nuovo aprendo lievemente gli occhi, lo sguardo vitreo e appannato di chi non è realmente sveglio, mentre le pupille si muovono come per cercarla nella stanza.
 
“Sì, sì, sono io, sono qui e va tutto bene. Sto bene e lei sta bene, non c’è più alcun pericolo, siamo al sicuro. Deve stare tranquillo e riposarsi, ok?” ribadisce, posandogli la mano destra sull’avambraccio sinistro, appena sopra la leggera fasciatura che, si rende conto con un moto di imbarazzo, serve a coprire il segno lasciato dai suoi denti.
 
È una questione di un attimo: De Matteis ruota la mano e le afferra prima il polso e poi la mano in una stretta quasi disperata. I lineamenti si distendono, gli occhi gli si richiudono ed un bip più lento e regolare scandisce il tempo nella stanza.

 
***************************************************************************************
 
“Quindi a suo avviso quando sarà possibile interrogare la moglie dell’ispettore Mancini e… la sua compagna?”
 
“Penso domani,” risponde Gaetano, dopo aver terminato di fornire il bollettino medico e il riassunto di tutti gli eventi della giornata, almeno quelli riferibili al questore.
 
“E potrò anche far visita a De Matteis e Mancini?”
 
“Sì, penso di sì, per allora dovrebbero essere entrambi coscienti. E in tal proposito, signor questore, io la ringrazio per la fiducia e ovviamente farò tutto ciò che serve e rimarrò qui ad aiutare i ragazzi, ma sinceramente prima di mettermi a coordinare questo caso, vorrei che lei chiedesse un parere al dottor De Matteis, dato che dovrebbe essere questione di poche ore e che mi sembra che Grassetti se la stia cavando egregiamente.”
 
“Concordo con lei sul lavoro dell’agente Grassetti e sicuramente chiederò un parere al dottor De Matteis anche se, visto che stavate già collaborando, non vedo perché dovrebbe avere obiezioni. Ma mi sembra evidente che De Matteis e Mancini rimarranno in ospedale per ancora qualche giorno e non posso lasciare un caso di questa rilevanza e complessità ed un’intera squadra omicidi in mano a degli agenti, per quanto preparati.”
 
“Capisco perfettamente...”

“Benissimo. Mi tenga aggiornato su ogni scoperta e… se ci fossero… cambiamenti nello stato di salute di De Matteis da qui a domattina, mi chiami pure in qualsiasi momento,” conclude il questore e Gaetano sa benissimo che non si sta certo riferendo a possibili miglioramenti.

 
***************************************************************************************
 
“No… Camilla…”
 
“Shhh… tranquillo, sono qui,” lo rassicura, prendendogli di nuovo la mano.
 
“Sinceramente a questo punto comincio a temere che ci siano sul serio dei danni neurologici, nonostante le rassicurazioni del medico,” ironizza Marco, scambiando con lei un’occhiata eloquente, completamente sconcertato dal comportamento del fratello.
 
“Eddai!” lo rimprovera Camilla, anche se pure lei non sa più cosa pensare.
 
È ormai notte fonda e sono ancora entrambi al capezzale di De Matteis dopo l’ennesimo, inutile tentativo da parte di Camilla di lasciargli la mano. Ogni volta che prova a farlo, De Matteis o glielo impedisce stringendola peggio di una tenaglia o, tempo qualche secondo, ed inizia a chiamarla e ad agitarsi.
 
Tanto che la situazione comincia a ricordarle i primi mesi di vita di Livietta e le notti insonni passate al suo fianco quando regolarmente e matematicamente, ogni volta che provava a rimetterla nel suo lettino e sollevava anche l’ultimo dito, la figlia riprendeva a piangere peggio di una sirena.
 
“Seriamente… l’ultima volta che l’ho visto comportarsi così è stato con nostra madre e aveva cinque anni,” ribadisce Marco, sembrando leggerle nel pensiero.
 
“Beh, insomma… probabilmente lo choc, il senso del dovere, l’anestesia, penserà che siamo ancora in quel Luna Park sotto tiro del cecchino,” risponde, cercando una spiegazione razionale.
 
“Mah… sarà… “ sospira Marco, ben poco convinto, “sinceramente se non conoscessi te e soprattutto mio fratello e i vostri rapporti tutt’altro che idilliaci, comincerei a pensare che tra voi due ci sia del tenero.”
 
“Eh?!” esclama, mentre la sua mente ritorna, inevitabilmente, a quel… a quel… bacio improvviso ed assolutamente inspiegabile. Ma non può essere… no, sarebbe assurdo anche solo pensarlo.
 
“Magari sarà un effetto collaterale della trasfusione con il sangue del tuo Gaetano…”
 
“Come no… e comunque Marco, guarda che se siamo qui è per cercare di tranquillizzare tuo fratello ed è già agitato a sufficienza, senza che ti ci metta pure tu a suggerire al suo subconscio scenari da incubo. Se invece è un tentativo da parte tua per spingerlo a svegliarsi per mandarti a quel paese, mi sa che non funziona…” ribatte con altrettanta ironia, per mascherare l’imbarazzo, “e comunque sappi che, anche se con te non mi sono comportata in maniera proprio esemplare e anche se la nostra storia è finita in un modo degno della peggiore soap opera, gli intrecci alla beautiful con fratelli, parenti o amici del mio attuale compagno o dei miei ex me li sono sempre risparmiati.”
 
“Ah, per noi invece sono praticamente una tradizione di famiglia,” rivela, mantenendo il tono leggero della conversazione, affrettandosi però ad aggiungere, prima che la mandibola di Camilla caschi sul pavimento dallo choc, “no, non tra me e mio fratello, figurati, non abbiamo gli stessi gusti praticamente in niente e Paolo fa una vita quasi monacale ma sai… famiglia nobile, facoltosa, matrimoni quasi tutti combinati… nel corso dei secoli di casi ce ne sono stati parecchi. Quasi tutti nel ramo Visconti, ad essere sincero.”
 
“Chissà perché la cosa non mi stupisce…” commenta con un sospiro, prima di riaccomodarsi sulla seggiola e prepararsi ad un’ulteriore lunga veglia.

 
***************************************************************************************
 
“Avete trovato qualcosa?”
 
“Niente di realmente utile,” ammette con un sospiro il responsabile della scientifica, massaggiandosi il collo dopo essere rimasto accovacciato troppo a lungo, confermando quanto aveva già temuto ad una prima occhiata dopo essere salito sul tetto, “alcuni bossoli del fucile di precisione e tre proiettili, presumibilmente riconducibili alle vostre pistole. Niente sangue, niente impronte digitali. Il cecchino deve avere usato questo muretto che regge l’insegna come base d’appoggio per il fucile e come copertura, come testimoniato da questi segni lasciati dal metallo del fucile strisciando contro il muretto. Si deve essere inginocchiato qui, a giudicare dalla polvere smossa. A quell’ora, con il sole a picco, il tetto doveva essere incandescente e questo, unito all’assenza di fibre e di impronte riconoscibili di piedi, mi fa pensare che indossasse una tuta tecnica.”
 
“Insomma, un lavoro degno di un professionista.”
 
“Sicuramente chiunque sia stato aveva pianificato il tutto e l’uso stesso del fucile presuppone un certo grado di preparazione, come lei ben sa: è voluminoso, difficile da ricaricare ed ha un forte rinculo. Però, anche se la balistica non è la mia specialità, e vorrei quindi magari sentire il parere di un collega più esperto, io esiterei a parlare di un professionista. O meglio, dipende da cosa lei intende con professionista.”
 
“Cioè?”
 
“E cioè, l’agente che ha analizzato la zona dove è stato ferito il dottor De Matteis ha trovato quattro proiettili del fucile, che dobbiamo sommare ai due con cui è stato ferito il dottor De Matteis. Sei colpi sono tanti con un fucile del genere, presumibilmente bolt-action, tra il tempo per ricaricare e quello per prendere bene la mira. E non so cosa ne pensi lei, ma un professionista, anche se il dottor De Matteis era steso a terra, non avrebbe mancato quattro volte, soprattutto non con un raggio simile, guardi,” spiega, mostrandogli sullo schermo del suo tablet la foto della zona, “i marker gialli numerati indicano i punti d’impatto, ben visibili sull’asfalto, quelli arancio invece dove sono stati trovati i proiettili, spostati durante le operazioni di emergenza. Se lei si concentra sui marker gialli, noterà che hanno un raggio molto ampio e irregolare. Come se il cecchino dopo i primi colpi, più precisi, avesse ad un certo punto perso la testa e avesse iniziato a sparare troppo rapidamente, senza quindi poter prendere bene la mira, forse anche con mano tremante. Un professionista non l’avrebbe fatto: si sarebbe riposizionato sul tetto e avrebbe sparato uno, massimo due colpi, ma accurati. Il dottor De Matteis è stato molto fortunato.”
 
“Sì… ha ragione. Anche a noi ha sparato tre volte, credo, e non ci ha presi, però eravamo in movimento e non eravamo un bersaglio facile. Ma De Matteis era immobile e quindi… in effetti è strano.”
 
“Sì, i novellini stanno finendo di rastrellare l’area e stanno cercando i proiettili rimanenti, così potremo avere un quadro più completo.”
 
“I tetti limitrofi?” chiede Grassetti che si sta appuntando ogni virgola, in piedi accanto a lui.
 
“Niente,  nessun segno, solo polvere. Credo che sia sceso dal tetto e poi sia scappato via terra, uscendo dal cancello principale, probabilmente approfittando del fatto che i rinforzi non erano ancora arrivati e che dovevate badare ai feriti e all’incendio…”
 
“Con un fucile di precisione in mano o in una valigetta? Vestito con una tuta da cecchino?” interviene di nuovo Grassetti, evidentemente scettica.
 
“Bella osservazione Grassetti, però in effetti prima che arrivassero i rinforzi, abbiamo fatto in tempo ad entrare nella casa stregata, portare fuori Sammy e Mancini e… ci saranno voluti almeno dieci minuti. Tutto il tempo necessario per riporre il fucile, cambiarsi per dare meno nell’occhio e darsela a gambe. Potrebbe anche aver nascosto il fucile e la tuta qui da qualche parte: questo parco è immenso e credo che il nostro cecchino lo conoscesse molto bene.”
 
“Però se si fosse cambiato qui o, a maggior ragione, se avesse lasciato qui gli strumenti del mestiere, potrebbe aver lasciato qualche traccia.”
 
“Esattamente Grassetti, però bisognerebbe setacciare anche l’interno di tutte le attrazioni e questo richiede risorse che al momento non abbiamo a disposizione. Se non rinveniamo elementi utili ovviamente lo faremo, ma ora dobbiamo dare la precedenza a recinzione e casa stregata. Raggiungiamo Marchese e speriamo che abbia buone notizie da darci.”

 
***************************************************************************************
 
“Marco… Marco…”
 
“Mmmm… Camilla?” bofonchia, aprendo gli occhi ma vedendo solo le sue ginocchia, prima di cercare di alzare lo sguardo e sentire un dolore lancinante al collo: maledetta cervicale.
 
“Che ore sono?”
 
“Sono le quattro del mattino ormai. Vai a riposarti un po’, ma in un letto vero, prima che ti venga anche il colpo di frusta.”
 
“Ma… non posso allontanarmi… io…”
 
“No, sono io che non posso letteralmente allontanarmi, come vedi,” ribatte, facendo segno alla mano di De Matteis che tiene ancora la sua, “è inutile che stiamo qui tutti e due: non appena si sveglia, ti telefono, ok?”
 
“Ma… ma… mi dispiace darti così tanto disturbo,” prova a protestare, ma conosce benissimo quello sguardo e sa che non c’è obiezione che tenga.
 
“Se non fosse stato per tuo fratello ora starei sì riposando, ma l’eterno riposo. Quindi credo che passare una notte insonne sia il minimo che possa fare per sdebitarmi… forza, a letto, march!”
 
“Hai un’idea di quante volte ho sognato di sentirti dire queste quattro parole?” le domanda con una faccia da schiaffi, per stemperare la commozione e allontanare le terribili immagini che la prima frase aveva creato nella sua testa, per poi aggiungere, facendole l’occhiolino, “e comunque se volevi che vi lasciassi soli, bastava dirlo…”
 
“Vai!” esclama, trattenendo a stento una risata e scuotendo il capo esasperata: Marco non cambierà mai.
 
Suo fratello invece… non sa davvero più cosa pensare.

 
***************************************************************************************
 
“Ci sono novità?”
 
“No, dottore. Molte impronte digitali sulla cancellata esterna, nella zona dove sono impilati quei materiali da costruzione. Quasi tutte parziali e in parte cancellate. Sinceramente, anche se fossero identificabili, dubito possano appartenere alla persona che stiamo cercando, considerato che sembra non dimenticarsi mai i guanti. Niente sul resto della recinzione o sulla cancellata sfondata. C’è inoltre un piccolo cancellino laterale, probabilmente usato in passato come uscita di emergenza per i visitatori ma è chiuso a chiave. Anche lì c’è qualche impronta ma dubito possa esserci utile.”
 
“Gli agenti hanno trovato qualcosa nel loro rastrellamento?”
 
“No, almeno in apparenza no, tranne alcuni proiettili, sia del fucile di precisione sia di pistola. Lei capisce che un parco di queste dimensioni, abbandonato oltretutto e spesso frequentato da barboni e vandali, è pieno di rifiuti assortiti e di impronte e tracce lasciate dalle persone più svariate. Per la carità, fosse capitato quando era ancora in funzione sarebbe stato ancora più complicato ricavarne qualcosa di utile ma anche così…”
 
“Capisco, la ringrazio. A questo punto penso che finché le macerie della casa stregata non si saranno raffreddate, sia inutile stare qui. Grazie a lei e ai suoi uomini per aver fatto le ore piccole con così poco preavviso. Potete andare a riposarvi.”
 
“Si figuri: dopo quello che è successo vogliamo tutti trovare il colpevole il prima possibile. E grazie a lei, dottor Berardi: è un piacere collaborare con lei,” proclama il responsabile della scientifica prima di chiamare a raccolta i suoi sottoposti e allontanarsi.
 
“Grassetti, Marchese, andate anche voi a riposarvi un po’…”
 
“Io veramente… vorrei andare all’ospedale,” rivela Grassetti, in lieve imbarazzo, “lei cosa pensa di fare dottore?”
 
“Credo che verrò anche io all’ospedale,” decide, sia perché vuole accertarsi delle condizioni di De Matteis, sia perché conosce la sua professoressa e sa che, con ogni probabilità, non si è mossa da lì.
 
“Dottore, se mi permette vorrei rimanere qui: i ragazzi sono tutti principianti e ormai è quasi giorno e voglio dare un’altra occhiata in giro, non che si siano lasciati sfuggire qualche dettaglio per via del buio o dell’inesperienza.”
 
“Marchese, la cosa ti fa onore, ma sarai esausto e non credo sia il caso che ti sforzi in questo modo. Riposa qualche ora e poi puoi tornare qui.”
 
“No, dottore, sul serio, non sono stanco, ho troppa adrenalina in corpo e poi sono già stato fermo fin troppo e… non so cosa sarà della mia carriera tra qualche giorno e… meglio che mi renda utile finché posso…” lo rassicura, semiserio, anche se con una lieve traccia di apprensione.
 
“Dopo quello che hai fatto oggi, Marchese, io credo che la tua carriera non potrà che avere evoluzioni positive. Comunque va bene, fai come ritieni più opportuno ma al primo segno di stanchezza torni a casa, ok? In taxi!”

 
***************************************************************************************
 
Apre gli occhi, avvertendo uno strano calore e una strana sensazione alla mano sinistra, come… solletico?
 
Una luce bianca e fredda lo acceca. Sbatte un paio di volte le palpebre, fino a che il mondo torna a fuoco, ma il mondo sopra la sua testa è tutto bianco.
 
Volta il capo, in cerca della sua mano e in mezzo al bianco vede finalmente una macchia più scura. Una cascata di ricci, ricci castani, riposano su quello che riconosce essere il lenzuolo del letto in cui è disteso, accanto ad una mano sottile e lattea, ancora stretta nella sua.
 
Confuso, cerca di muovere la mano destra ma non ci riesce.
 
Chiedendosi se sia tutto un sogno bizzarro, lascia andare quella mano sconosciuta, sollevando poi la sua mano sinistra. Tremando come una foglia, a fatica, riesce infine a scostare quella massa soffice, quanto basta per rivelare un viso placidamente addormentato.
 
Camilla?!
 
No, è impossibile, deve essere un sogno – è il primo pensiero, mentre i suoi occhi si guardano di nuovo intorno alla ricerca di una spiegazione.
 
Il braccio destro immobilizzato, bloccato al petto. La mano sinistra bendata, i macchinari di cui riesce finalmente a sentire il suono.
 
Un ospedale… il fuoco… il cecchino… i proiettili… Camilla.
 
Il cuore in gola, la guarda di nuovo: non sembra ferita. Sta bene, è salva, è viva. Ed è vivo anche lui, miracolosamente è vivo anche lui.
 
Senza nemmeno rendersene conto, cedendo ad un impulso irrefrenabile, allunga le dita fino a sfiorarle la guancia destra, tracciando linee invisibili e tremanti su quella pelle morbida. La sente e poi la vede sorridere, un sorriso ampio, dolce, luminoso e quasi infantile, così diverso dai sorrisi sarcastici e sprezzanti a cui l’ha abituato, ma anche da quelli che condivideva con suo fratello quando sembravano felici insieme. Un’espressione di cui non l’avrebbe mai ritenuta capace, non lei, sempre così forte, combattiva e fiera.
 
Non può evitare di sorridere di rimando – e perché dovrebbe evitarlo? – mentre continua ad accarezzarle lo zigomo e la guancia in maniera quasi automatica.
 
“Gaetano…”
 
Si blocca bruscamente, il cuore nello stomaco, il sorriso congelato sul volto che gradatamente svanisce, mentre ritorna alla realtà. Berardi… ovvio.
 
“Gaetano…” mormora ancora Camilla, sorridendo e allungando la mano per cercare il suo viso sul cuscino accanto al suo, ma trovando solo un braccio nudo che non è… non è il suo. È troppo… sottile.
 
Apre gli occhi, confusa, gli occhi assonnati e appannati fissano quella mano e quel braccio sconosciuti, un camice e infine…
 
“De Matteis?” chiede, stupita, ricordando improvvisamente tutto, alternando lo sguardo tra quella mano ancora appoggiata sul suo viso, che lui non accenna a muovere nemmeno di un millimetro, e quegli occhi che sembrano studiarla placidamente, senza battere ciglio, come se fosse la situazione più normale del mondo.
 
Lo vede muovere la bocca e provare a dire qualcosa ma dalla sua gola esce solo un suono strozzato.
 
“Non riesce a parlare?” gli domanda, preoccupata, dandosi dell’idiota per non avere capito prima, rimettendosi a sedere e sciogliendo quel contatto di cui finalmente riesce a darsi una spiegazione: De Matteis non aveva avuto altro modo per attirare la sua attenzione e svegliarla.
 
“Non si preoccupi, le chiamo subito un infermiere,” lo rassicura, allungando la mano verso il telecomando con tutti i pulsanti, tra cui la chiamata, ma la mano di lui di nuovo la blocca. De Matteis scuote il capo e indica la bottiglia d’acqua ancora intatta sul comodino.
 
“Ha sete? Però forse è meglio che prima la veda un infermiere,” ripete, ma lui scuote nuovamente il capo.
 
“D’accordo,” acconsente, non volendo che si agiti, alzandosi dalla seggiola per raggiungere il comodino e versare l’acqua in un bicchiere di plastica.
 
Cerca di porgerglielo ma la mano di De Matteis trema troppo e, soprattutto, lui è troppo reclinato per poter bere senza soffocare.
 
“È proprio sicuro di non volere che chiami un infermiere?” gli chiede per un’ultima volta e lui per tutta risposta, testardo come sempre, tenta di mettersi a sedere da solo.
 
“Fermo, fermo, ma è matto? Vuole che si riaprano i punti?” esclama, mollando il bicchiere sul comodino e poggiando le mani sul braccio e sulla spalla sinistra di lui, impedendogli di alzarsi, “aspetti un attimo che la aiuto, ok?”
 
Sperando di non fare danni, aziona con il telecomando il meccanismo del letto per sollevargli leggermente il busto. Poi si siede accanto a lui, prendendogli la mano sana e posandosela sulla spalla destra, prima di passargli a fatica un braccio intorno alla schiena, facendo attenzione a non toccare la spalla ferita. Nonostante tutti gli accorgimenti, sente il bip meccanico dell’elettrocardiogramma accelerare in maniera quasi esponenziale.
 
“Stia tranquillo, devo solo risistemarle i cuscini. Si regga a me, così la sollevo, ok? L’ho già fatto altre volte, non si preoccupi,” lo rassicura, sentendolo aggrapparsi a lei e riuscendo finalmente a compiere l’operazione senza troppo sforzo e, soprattutto, senza danni.
 
“Piano, sorsi piccoli,” si raccomanda, appoggiandogli il bicchiere alle labbra e aiutandolo a bere, per poi riporre il bicchiere vuoto sul comodino, “tutto bene?”
 
“Adesso sì… grazie…” mormora a fatica, dopo vari tentativi di schiarirsi la voce, posandole la mano sul braccio per trattenerla prima che possa alzarsi. E il sollievo che invade Camilla alla conferma che De Matteis riesce a parlare e che davvero, apparentemente, non ci sono danni neurologici permanenti, è più forte dello stupore per quel gesto.
 
“Si figuri… sono… sono io che devo ringraziarla, che avrei… avrei già dovuto ringraziarla,” ammette, facendo finalmente quello che il giorno prima non aveva avuto il coraggio di fare, “le devo la vita, dottor De Matteis e-“
 
“Paolo,” la interrompe, deciso, nonostante la voce roca.
 
“Come?” non può fare a meno di chiedere, colta completamente di sorpresa.
 
“Paolo: è il mio nome,” ribatte con un sorriso che la coglie, se possibile, ancora più di sorpresa.
 
“Lo so… lo so… ma… perché?” osa infine chiedere, guardandolo negli occhi, non riferendosi solo a questa richiesta inattesa ma a tutto quello che è successo negli ultimi due giorni.
 
“Perché ci conosciamo da anni, siamo quasi diventati cognati e abbiamo visto la morte in faccia insieme… non ti basta?”
 
“A me sì, è a te che non è mai bastato, nemmeno quando… quando stavo con tuo fratello,” protesta con un sopracciglio alzato, “e comunque non è solo questo che intendevo, e lo sai.”
 
“Allora ci riesci a darmi del tu, anche se solo per contraddirmi,” replica con una mezza risata che la lascia a bocca aperta, e che suona così… così strana – e non solo per il timbro ancora arrochito della sua voce – per poi aggiungere, più serio, “e comunque ho fatto solo il  mio dovere, Camilla.”
 
“No, non è vero: hai fatto molto di più e sai anche questo,” gli fa notare, guardandolo di nuovo negli occhi.
 
“Diciamo che… ho sempre desiderato avere una buona scusa per metterti al tappeto,” ironizza, capendo però dallo sguardo di Camilla, che non si sposta né si abbassa di un millimetro, che lei pretende una risposta seria e onesta.
 
“Mettiamola così,” esordisce con un sospiro, il tono improvvisamente grave e triste, “so che avresti fatto lo stesso per me, se non te lo avessi impedito. Per me e per chiunque altro, purtroppo.”
 
“Purtroppo?”
 
“Sì, purtroppo. Tu… tu daresti la vita anche per un estraneo, Camilla, se lo vedessi in pericolo. A volte… a volte sembra che non ti rendi conto di quello che fai passare a chi ti vuole bene e si preoccupa per te.”
 
“Ma cos’è? Un’epidemia?” sbotta, esasperata, “prima Gaetano e adesso lei… cioè tu, insomma, mi sembra di sentire il mio ex marito! Io non voglio far soffrire nessuno ma ho una coscienza e non posso ignorarla!”
 
Non sempre almeno – la punzecchia proprio la vocina della sua coscienza, mentre il senso di colpa si impadronisce di lei al ricordo di cos’era stata quasi capace di fare, quando aveva creduto che Gaetano fosse rimasto intrappolato dentro quella casa in fiamme.
 
“Lo capisco ma… maledizione, non è per niente facile tenerti lontana dai guai! Almeno in questo non invidio per nulla Berardi,” commenta con un sospiro, abbassando lo sguardo.
 
“Non ho bisogno di qualcuno che mi tenga lontana dai guai e-“ protesta veementemente, prima di bloccarsi quando si rende del tutto conto di cosa lui ha detto, e di domandargli, stupita, “come, almeno in questo?”
 
“Sì, invidio Berardi,” conferma con una mezza risata amara, che suona ancora più strana della precedente, “non dirmi che la cosa ti sorprende.”
 
“Certo che mi sorprende… ho sempre creduto che… che avessi una pessima opinione di Gaetano, per non dire che lo disprezzassi. E che non lo sopportassi…”
 
“Si può invidiare anche una persona che si disprezza ma… non disprezzo Berardi. Sarebbe molto più semplice se potessi disprezzarlo. Anche se non approvo certi suoi metodi, avendolo visto in azione non posso fare a meno di dover riconoscere che è una brava persona e… sa il fatto suo,” ammette con un altro sospiro, appoggiando di più il capo sui cuscini e chiudendo gli occhi per qualche istante, prima di riaprirli e di guardarla in un modo così triste e così… vulnerabile che le provoca una fitta al petto, insieme, di nuovo, a quella sensazione che c’è qualcosa di… di stonato.
 
“Camilla… hai un’idea di cosa significhi essere ‘quello che è venuto dopo’ il leggendario vicequestore Berardi? Il più giovane commissario ad aver mai diretto la squadra omicidi di Roma, quello con la media più alta di arresti, che vantava perfino due anni nell’Interpol, eccetera, eccetera, eccetera? Dover subire continuamente un paragone del genere durante il primo incarico importante della propria carriera? Rendersi conto che tutti lo amavano, lo rispettavano e lo rimpiangevano, mentre io… io ero considerato un povero incompetente senza esperienza e che aveva fatto carriera troppo in fretta per via del suo cognome? Anche se lui era più giovane di me quando era stato nominato per la prima volta alla omicidi e anche se pure Berardi non è che fosse figlio di due poveracci, ma avevano ragione: io non avevo abbastanza esperienza mentre Berardi evidentemente o ce l’aveva o aveva più talento di me…”
 
Di nuovo quel tono così amaro e… senza filtri. Camilla realizza in un lampo che cosa c’è che non va, qual è la nota stonata: De Matteis normalmente non confiderebbe mai a nessuno queste cose, meno che mai a lei. La mente le ritorna a quella notte quando lei e Marco l’avevano trovato ubriaco di gin. Ora non è ubriaco, non biascica le parole, non è euforico, ma è esattamente come quella sera: senza filtri. Si dà di nuovo dell’idiota, mentre all’imbarazzo si unisce il senso di colpa e la sgradevole sensazione di… di starsi approfittando di lui, di un suo momento di debolezza. Di avere già sentito fin troppo.
 
“Dottor De Matteis, è sicuro di stare bene?” gli chiede, ritornando al lei quasi senza rendersene conto, “senta, ora le chiamo gli infermieri e si fa visitare. Credo che sia ancora sotto i postumi dell’anestetico e non-“
 
“Camilla,” la interrompe con tono deciso quanto esasperato, afferrandole la mano per impedirle di alzarsi, “ti assicuro che non sono mai stato meglio: certo, non muovo il braccio ma non sento dolore e anzi, mi sento… leggero, libero e-“
 
“E questo significa che ha ancora i postumi dell’anestetico e che non è pienamente lucido e… consapevole e credo che-“
 
“No, no, anzi, credimi, è… è come se il velo che mi ero messo davanti agli occhi si fosse spostato, come se tutti i muri che mi ero costruito per non vedere e accettare la realtà fossero caduti e finalmente vedo tutto chiaramente e non mi sono mai sentito così lucido e consapevole come in questo momento,” dichiara stringendole la mano e guardandola negli occhi con un’intensità quasi febbrile che la spaventa.
 
“Dottor De Matteis… Paolo, per favore, ascoltami,” lo implora, ricambiando la stretta e lo sguardo, sperando di riuscire a farsi capire, “un conto è prendere consapevolezza di certe cose, un conto è invece condividerle con gli altri e soprattutto con chi si sceglie di condividerle. E se ti lascio parlare adesso, appena sarai tornato completamente in te ti odierai per avermele raccontate e soprattutto mi odierai ancora di più per non averti impedito di parlarmene.”
 
“No, Camilla, lasciami parlare, ho bisogno di parlare, di tirare fuori tutto quello che ho covato in questi anni e che mi stava opprimendo, che mi stava soffocando, che mi ha fatto diventare questa specie di… di caricatura: un povero nevrotico rompicoglioni odiato e deriso da tutti e-”
 
“No, non-“
 
“Non provare a negarlo perché è così, lo so che è così!”  la interrompe con un tono risoluto che non ammette repliche, per poi aggiungere in un modo quasi… quasi disperato, “ma io non sono così, tutti pensano che io non senta niente, che sia freddo ed insensibile, che non mi importi nulla degli altri ma non è così.”
 
Camilla si sente sempre di più come quel passante che si ritrova sulla scena di un incidente nei secondi prima che accada e che, pur rendendosi conto di cosa sta per succedere, non può fare nulla per impedirlo. Può solo cercare di soccorrere i feriti dopo che è già avvenuto.
 
“Paolo, lo so che non è così e se… se mai l’avessi dubitato non lo penso, non più. Hai il tuo carattere, se… se non sei sotto effetto dell’alcol o dell’anestesia sei riservato e schivo, ombroso. Ami l’ordine e la disciplina e sei un po’… vecchio stampo… ma ognuno è fatto a modo suo e questa non è una colpa,” cerca di rassicurarlo e lui per tutta risposta scuote il capo, un mezzo sorriso malinconico sulle labbra.
 
“Ti ringrazio, Camilla:  lo so che se dici questo è solo per gratitudine perché ti ho salvato la vita, o forse per pietà perché sono in questo letto di ospedale. Ma non è solo una questione di carattere. Quando sono arrivato alla omicidi qui a Roma ho capito subito che il mio arrivo non era affatto gradito, prima di tutto perché non ero Berardi, e poi perché quasi tutti i miei sottoposti pensavano di avere più esperienza di me e forse non avevano tutti i torti. Ogni volta che c’era un’operazione pericolosa, lo capivo che non si fidavano di me, che mi guardavano come a chiedersi se fossi in grado di affrontarla, se fossi in grado di guidarli. Piccolo e la Ferrari hanno chiesto quasi subito il trasferimento, Torre è rimasto ma lo capivo bene che non mi sopportava e non mi stimava. Poi sono arrivati gli agenti giovani,  tra cui Grassetti e Marchese. Volevo che almeno loro mi rispettassero e allora ho cercato di essere ancora più severo, più autoritario, forse ho perfino cercato di sembrare più vecchio di quello che ero e che sono, ma nulla di tutto questo mi ha mai reso più autorevole.”
 
Paolo è ormai un fiume in piena, un fiume salato, amaro, triste, rabbioso ma consapevole, di quella consapevolezza che si acquisisce solo quando i freni inibitori se ne vanno. Quando si smette di raccontare palle non solo agli altri, ma soprattutto a se stessi. Camilla conosce quella sensazione e sa che non c’è modo di contenerlo, di arginarlo, che ormai può solo ascoltare, capire, condividere e dimostrargli che, per qualsiasi motivo abbia scelto proprio lei per questa specie di confessione solenne, anche se probabilmente è solo per caso, perché si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, lei non gli darà alcun motivo per pentirsene. Giura a se stessa che, qualsiasi cosa lui le dirà, non ne farà mai parola con nessuno.
 
“Tranne forse Grassetti, tutti andavano dietro a Torre e alle sue lamentele, anche se non me lo dicevano in faccia. Mi temevano, è vero, ma di sicuro non ho mai ottenuto il loro rispetto e la loro fiducia, la loro stima. Tutte quelle cose che invece Berardi era riuscito a conquistarsi, tanto che Torre ne decantava le gesta ad anni di distanza, quando pensava che non lo sentissi, giusto perché pure le nuove leve non potessero non sapere quanto fosse incredibilmente… figo e quanto io non fossi alla sua altezza. E poi sei arrivata pure tu, la leggendaria professoressa, la vestale di Berardi-“
 
“La vestale??”
 
“Sì, l’amica, per così dire, di Berardi, nonché la sua migliore consulente, a sentire i racconti di Torre e le voci che giravano. La donna di cui tutti in questura sapevano anche se tutti fingevano di non sapere. Ma per me eri solo l’ennesima eredità di un passato ingombrante , che non riuscivo a far dimenticare. E quando ti ho incontrata, ho capito subito dal modo in cui mi guardavi, dal tono sarcastico e ostile con cui mi parlavi, come se fossi un povero imbecille, che eri delusa di dover avere a che fare con me e che anche per te non ero e non sarei mai stato all’altezza di Berardi.”
 
“Se ero ostile e sarcastica e irritata e ti trattavo come un imbecille è innanzitutto perché tu per primo hai iniziato con quei toni, dopo avermi fatto fare un’anticamera di un’ora!” protesta d’istinto, prima di fermarsi un attimo e rendersi conto che, dopo tutto quello che le ha detto e tutto quello che è successo nelle ultime ore, merita che anche lei sia sincera con lui, “e comunque, per onestà intellettuale, devo ammettere che se siamo partiti col piede sbagliato, probabilmente è anche perché quel giorno ero di umore nero e, sì, ero delusa di dover avere a che fare con te, ma non per te o per la tua abilità o meno nelle indagini, visto che non ti conoscevo nemmeno, ma perché non eri Gaetano, perché avevo appena scoperto di avere perso per sempre l’uomo di cui ero innamorata da anni. Sarei rimasta delusa da chiunque avessi trovato al suo posto, fosse stato anche il più brillante investigatore del pianeta, non c’era nulla di personale in questo.”
 
“Forse all’inizio no, ma anche andando avanti le cose tra noi non sono migliorate. Tu continuavi a considerarmi un incompetente, non all’altezza di Berardi, non alla tua altezza e il peggio è che una parte di me doveva ammettere che avevi ragione,” confessa con un tono, se possibile, ancora più amaro e più malinconico, “che, anche se non avevo idea di come fosse in realtà Berardi e potevo quindi illudermi che le lodi e il rimpianto nei suoi confronti derivassero semplicemente dal fatto che faceva l’amicone con i suoi agenti, con te questo non mi era possibile. Tu avevi e hai un talento investigativo che io non avevo e non ho, riuscivi a fare tutto quello che io non riuscivo a fare, senza una sola ora di addestramento e ti ho ammirata quanto detestata per questo. E poi hai deciso di consolarti per la mancanza di Berardi e con chi? Proprio con mio fratello! Quando ho capito che Marco si era davvero innamorato di te, proprio di te, tra tutte le sue conquiste mordi e fuggi, ho cercato in ogni modo di essere più civile, di adattarmi all’idea che saresti diventata mia cognata ma-”
 
“Ma poi ho lasciato Marco in quel modo orribile e… umiliante e quindi, comprensibilmente, se prima già non mi sopportarvi, dopo hai proprio iniziato ad odiarmi…”
 
“Odiarti?” chiede, non riuscendo a trattenere un altro moto di riso amaro, “vuoi la verità, Camilla? Certo, quando ho visto quanto Marco soffrisse per quello che era successo, quanto faticasse a riprendersi dalla botta, anche se faceva come sempre il buffone e il farfallone per mascherarlo, avrei davvero voluto strozzarti. Ma la verità è che quando Marco mi ha annunciato che vi eravate lasciati e che non saresti quindi diventata mia cognata, l’unica cosa che ho provato è stato un incredibile sollievo.”
 
“Beh, certo, in fondo lo capisco: forse non c’è nulla di peggio di quando una persona a cui vogliamo bene, soprattutto un parente stretto, si innamora di qualcuno che non sopportiamo e che non riteniamo adatto a lui,” riflette, vedendolo però scuotere di nuovo il capo.
 
“Era quello che mi dicevo anche io e ho sempre cercato di convincermene, ma non è così semplice, magari fosse stato così semplice! Perché invece c’è qualcosa di peggio, di molto, molto peggio, Camilla,” confessa, guardandola ancora negli occhi in quel modo così intenso e disilluso, col tono di chi sta pronunciando una verità ovvia e scontata che lei però non riesce a comprendere.
 
“Cioè?”
 
“Davvero non lo immagini? Con il tuo intuito? Dopo tutto quello che è successo ieri? O forse non lo vuoi capire, come del resto non lo volevo capire nemmeno io…”
 
Camilla non sa cosa dire, è completamente confusa, si limita a ricambiare quello sguardo, cercando di leggerlo, di leggergli dentro ma con lui è sempre così dannatamente difficile.
 
Lo vede esitare un attimo, stringendo le labbra, pensieroso, prima di allungare la mano sinistra, ancora tremante, afferrando la sua mano destra e stringendogliela forte. Incrocia i suoi occhi azzurri, sempre più sconcertata da questo, ennesimo, gesto inspiegabile, così non da lui.
 
Ma so davvero chi è lui? – è l’ultimo pensiero coerente che le passa per la testa, perché lui, usando la mano di lei per farsi leva, si solleva leggermente e poi la attira verso di sé.
 
In un attimo Camilla si ritrova con quelle labbra premute sulle sue in un bacio delicato, innocente, che dura poco più di un battito di ciglia. Colta di sorpresa, nonostante tutto, rimane paralizzata, rigida, immobile, fino a che lo sente staccarsi e allontanarsi leggermente.
 
“Hai capito adesso?” le sussurra a pochi centimetri dal viso, la voce di cartavetra, guardandola negli occhi.
 
Camilla è sotto choc, completamente sotto choc, tanto che non riesce né ad annuire – certo che ha capito, ha capito eccome – né a respirare, un turbinio di pensieri in testa, mentre tutto è finalmente chiaro e… incomprensibile ed inconcepibile allo stesso tempo.
 
Sente un calore sulla guancia, dita che le sfiorano la pelle, come quando si è svegliata e in un lampo si risveglia dalla catatonia, vedendo di nuovo il viso di lui farsi ancora più vicino, troppo vicino. D’istinto volta il viso e le labbra di lui si scontrano con la sua guancia.
 
Puntando le mani sul materasso si spinge indietro, a distanza di sicurezza, recidendo ogni contatto tra loro. Continuano a fissarsi, lei ancora sconvolta, lui improvvisamente triste, per istanti interminabili.
 
“Mi dispiace, scusami io… lo so che non avrei dovuto ma… se non ci avessi almeno provato finché l’anestetico me ne dava il coraggio… l’avrei rimpianto per sempre…” mormora con un sorriso malinconico, poggiando il capo sul cuscino e chiudendo gli occhi.
 
“No… cioè… non… non serve che ti scusi ma io-“
 
“Ma ami Berardi, giusto?” le domanda, con il tono di chi sa già la risposta, guardandola ancora negli occhi.
 
“Cosa ci fate qui?! Non è orario di visita e al massimo può rimanere qui un solo parente!”
 
La voce severa e irritata che proviene dal corridoio li porta a voltarsi verso la porta.
 
Gaetano, Marco e Grassetti sono lì in piedi, come tre statue di sale, appena prima della cornice della porta e sembrano non riuscire nemmeno ad udire le rimostranze del medico, osservandoli con la stessa espressione scioccata che, Camilla ne è sicura, ha ancora anche lei sul viso.
 
Il cuore le finisce dritto nello stomaco mentre cerca gli occhi di Gaetano, provando a leggere la sua reazione, ma lui alterna lo sguardo tra lei e De Matteis, un’espressione indefinibile sul volto, un’espressione che non gli ha mai visto e che la spaventa.
 
“Ah, si è svegliato, signor De Matteis?” domanda il medico, sorpreso, mettendosi letteralmente in mezzo, prima di rivolgersi a Camilla con tono contrariato, “ma perché non ha chiamato qualcuno?”
 
“È colpa mia: Camilla ci ha provato, ma io…“
 
“Ma poi ci ha provato anche lei,” sussurra Gaetano, tra sé e sé, guadagnandosi un’occhiata da Grassetti e Marco che, essendo vicini, hanno sentito tutto.
 
“D’accordo, d’accordo. Comunque, a prima vista mi sembra che stia bene, ma ora è meglio che la visiti,” proclama il medico, prima di guardarsi intorno, “se poteste uscire…”
 
“Sì, certo, scusate torno… torno più tardi!” esclama rapidamente Grassetti, imbarazzata e sotto choc, con l’aria di chi ha appena ricevuto una tegola gigante in testa, prima di eclissarsi ancora più rapidamente, tanto che la sentono allontanarsi di corsa.
 
“Vado anche io,” dichiara Gaetano, asciutto, guardandola un’ultima volta negli occhi prima di girare i tacchi e andarsene.
 
“Aspetta, Gaetano!” lo chiama Camilla, il cuore in gola e un gusto metallico in bocca, riuscendo finalmente a muovere i piedi, ad alzarsi e a lanciarsi all’inseguimento, dopo un’ultima occhiata ai due fratelli, pregando che non sia troppo tardi.
 
“Gaetano, aspetta!” lo chiama di nuovo, vedendolo procedere a passo spedito lungo il corridoio.
 
“Gaetano!” ripete, senza nemmeno rendersi conto di stare ormai correndo, tanto che quasi gli va a sbattere contro quando lui, infine, si ferma, le mani strette a pugno, prima di sospirare e di voltarsi verso di lei, il volto completamente impassibile.
 
“Camilla, siamo in un ospedale,” le ricorda, la voce neutra, prima di deglutire e passarsi una mano sugli occhi, sembrando improvvisamente stanchissimo.
 
“Lo so ma… dobbiamo parlare… dobbiamo assolutamente parlare,” lo implora, incontrando quegli occhi azzurri, arrossati e  appannati con i suoi.
 
“Adesso? Qui in mezzo? Sono due giorni che cerco di parlarti Camilla, ma tu mi hai detto che volevi che mi concentrassi sull’emergenza e l’ho fatto, che riflettessi e ho riflettuto ma… a questo punto forse è meglio se rifletti un po’ anche tu prima che… che affrontiamo questa conversazione. Non credi?” le domanda, il tono neutro, pacato, tranquillo, niente rabbia o risentimento o… gelosia, solo una nota triste e malinconica.
 
E questo le fa tremendamente paura, più che se stesse urlando, perché le ricorda i momenti che avevano preceduto ogni loro peggiore litigio. Ma c’è anche qualcosa di diverso che non sa spiegare, non sa definire ma che non la tranquillizza affatto, tutto il contrario.
 
“Sì, adesso: non possiamo più aspettare e ti avverto che non mollerò fino a che non mi avrai ascoltata,” risponde, decisa, nonostante il cuore che le batte all’impazzata e le mani che le tremano, “ma non qui, vieni.”
 
Lo prende per un braccio, sorprendendosi quando lui non si ritrae e si lascia anzi guidare docilmente, come rassegnato. Si guarda intorno lungo il corridoio fino a che trova una stanza vuota, che chiaramente al momento non ospita alcun paziente, prima di chiudere la porta dietro di loro.
 
Rimangono in piedi a fissarsi per qualche istante, poi Camilla si siede sul materasso nudo di uno dei due letti, in attesa di essere rifatti per un nuovo occupante o forse tristi testimoni dei tanti tagli alla sanità.
 
Gaetano prova a sedersi sull’altro letto, vicino ma così distante, ma Camilla, per tutta risposta, si alza e si siede accanto a lui, strappandogli, nonostante tutto, un mezzo sorriso.
 
“Non posso proprio sfuggirti, professoressa,” sospira, scuotendo il capo prima di guardarla negli occhi.
 
“Vuoi sfuggirmi?” gli domanda, seria, fissandolo di rimando, il cuore in gola in attesa della risposta.
 
“Non lo so… dipende da cosa vuoi tu, Camilla,” risponde, altrettanto serio, di nuovo quel tono pacato quanto sicuro, deciso.
 
“In che senso?” gli domanda, confusa.
 
“Che forse sei tu che vorresti sfuggirmi, Camilla…”
 
“Se volessi sfuggirti non ti avrei portato qui. Anzi, io voglio confrontarmi con te, chiarirmi con te, spiegarti cosa è successo, quello che hai visto tra me e De Matteis e-“
 
“Non credo ci sia molto da spiegare, Camilla. Ho assistito con i miei occhi a quel bacio, anzi a quei due baci e… mi sembra evidente che De Matteis sia innamorato di te. E, non so perché, ma la cosa non mi stupisce quanto forse dovrebbe. Te l’avevo anche detto quando l’ho conosciuto, anche se tu non volevi credermi… ricordo perfettamente il modo in cui ti ha guardata in quel vestito da sera e… e lo capisco, perché eri bellissima, ancora più bella del solito. Capisco tante cose, finalmente,” proclama, sempre con quel tono malinconico e tranquillo.
 
“Gaetano, prima di tutto tu… tu sei convinto che quasi ogni uomo possa interessarsi a me, anche se, beh, sì, in questo caso ci hai azzeccato. E poi parlare di innamoramento qui mi sembra francamente eccessivo: in fondo io e De Matteis ci conosciamo appena. Anzi, evidentemente lo conosco ancora meno di quanto pensassi…”
 
“Camilla, qui non c’entra niente la gelosia e comunque non è vero, e lo sai, né che non conosci De Matteis, né che non sia innamorato di te. Camilla, uno come De Matteis non… non fa un gesto del genere… non si mette a nudo in quel modo per una donna che gli piace e basta, anestetico o non anestetico. Anzi, per quel poco che lo conosco io, mi sembra evidente che per lui non esistono vie di mezzo nei rapporti con le persone: o tutto o niente,” le fa notare con il tono di chi sta pronunciando un’ovvietà e Camilla deve ammettere che non ha tutti i torti.
 
“E poi comunque il punto non è cosa prova De Matteis e cosa hanno significato per lui quei baci, o, meglio, lo è fino ad un certo punto. Camilla, il punto per me è cosa provi tu per lui, che cosa quei baci hanno significato per te,” rivela, guardandola di nuovo negli occhi come se volesse scrutarle fin nel profondo dell’anima.
 
“Che cosa? Gaetano, se hai assistito con i tuoi occhi a tutta la scena, avrai notato che è stato lui a baciarmi, non io. E che io mi sono sottratta! Al secondo bacio, d’accordo, non al primo, ma solo perché mi ha colto di sorpresa e non-“
 
“Camilla… Camilla,” la interrompe, bloccandole le mani che muove vorticosamente nella concitazione della spiegazione, “Camilla, non sto recriminando e non ti sto incolpando né di quei baci, né di nulla. Ho visto che ti sei sottratta e che hai respinto De Matteis, certo che l’ho visto. Però io non ti stavo chiedendo questo, ti sto solo dicendo che vorrei capire quello che hai provato e perché l’hai respinto, anzi, vorrei che prima di tutto lo capissi tu.”
 
“Cosa vuoi dire?” gli domanda, completamente spiazzata sia dalle sue parole, sia da quel tono ancora così tranquillo e allo stesso tempo agrodolce.
 
“Voglio dire che anche se hai respinto De Matteis ho visto come... come gli parlavi, con dolcezza, con preoccupazione, anche il modo in cui l’hai respinto, cercando di non ferirlo di… di attutirgli il colpo e, come sai, sui tuoi rifiuti sono un vero esperto, Camilla,” commenta, con un pizzico di ironia, per poi aggiungere però, nuovamente serissimo, “quello che voglio dire è che si percepiva chiaramente che ci tieni a lui, Camilla.”
 
“Certo che ci tengo a lui: gli sono grata, Gaetano, mi ha salvato la vita!”
 
“Non è solo questo, non è solo gratitudine… si vedeva che… che nonostante tutto eri a tuo agio con lui, almeno fino al momento in cui ti ha baciata e-“
 
 “Scusami, ma allora, da quanto… da quanto eravate lì?” gli domanda, sempre più in imbarazzo.
 
“Da poco in realtà, da quando De Matteis stava decantando le tue doti investigative. Eravamo stupiti ma stavamo per bussare, quando ha iniziato a parlare di te e di Marco e a quel punto Marco si è bloccato e ci siamo bloccati tutti. È stato come… quando assisti ad un incidente senza poter fare niente per impedirlo e anzi, continua a ingigantirsi,” ammette, mentre Camilla si sorprende per l’ennesima volta di quanto i loro pensieri siano simili. Ma teme di non riuscire a farglielo capire. Allo stesso tempo però, si sente sollevata dal fatto che Gaetano non abbia sentito la parte che lo riguardava, sapendo quanto sarebbe stato umiliante per De Matteis e imbarazzante per lui.
 
“Comunque… c’era un’intesa tra voi, Camilla che riconosco e che tu hai solo con le persone di cui ti fidi completamente.”
 
“Mi fido di lui, sì, è vero, perché, ti ripeto, mi ha salvato la vita e perché in questi due giorni ci sono stati vari episodi che mi hanno fatto vedere De Matteis sotto una luce diversa. Insomma, me l’hanno fatto rivalutare. E quando si affronta un’esperienza del genere insieme è chiaro che si crea un legame, Gaetano, ma-“
 
“Quello che mi chiedo è quanto sia forte questo legame, Camilla. Ne sei attratta? Ti piace? Ti prego di rispondermi sinceramente. Solo questo,” la prega, senza distogliere gli occhi dai suoi, una traccia di vulnerabilità nella voce.
 
“È un bell’uomo, oggettivamente ma… finisce lì. Non mi attrae né di più, né di meno di quanto mi potrebbe attrarre un qualsiasi altro uomo di bell’aspetto che vedo per strada,” spiega, ricambiando lo sguardo, completamente sincera.
 
“Fiducia, gratitudine, stima, attrazione: non è poco,” le fa notare con un sospiro e di nuovo quella… quella tranquillità che la spaventa, “in fondo, abbiamo cominciato così noi due no?”
 
“E invece è poco, Gaetano, è pochissimo se paragonato alla fiducia, alla gratitudine, alla stima e all’attrazione che ho per te. Ed è nulla se paragonato all’amore immenso che provo per te! Perché non riesco a fartelo capire!?” esclama, arrabbiata con se stessa più che con lui, non potendo evitare di alzare la voce, sentendo il viso caldo e gli occhi che le bruciano mentre continua a guardarlo, senza abbassare lo sguardo, un terribile dolore al petto, “ma tu hai un’idea di cosa ho provato quando ho pensato che fossi morto, eh?! Che non ti avrei più rivisto?!Maledizione, Gaetano!”
 
Si trattiene a forza dal dire quello che stava per dire, dal confessare quello che stava per confessare, non solo perché se ne vergogna ma perché non sarebbe giusto scaricare questo fardello di sensi di colpa su Gaetano, non con il lavoro che fa e che continuerà a fare. Non può certo dirgli che stava per abbandonare De Matteis per correre da lui. Che se De Matteis fosse morto le sarebbe dispiaciuto, certo, e si sarebbe sentita terribilmente in colpa, ne avrebbe sofferto ma sarebbe sopravvissuta. Ma se fosse morto Gaetano… la verità è che non sa se si sarebbe mai ripresa.
 
“Camilla…” lo sente sussurrare preoccupato, ritrovandosi avvolta nel suo abbraccio, rendendosi conto solo in quel momento di avere il viso pieno di lacrime, “Camilla, amore mio, ti prego, non piangere. Non volevo farti piangere e… sono un idiota e ti capisco se… se sei arrabbiata con me ma ti garantisco che ti credo, che… che mi fido di te e di quello che provi per me. E che se ti ho fatto queste domande non era per rinfacciarti qualcosa o per farti una scenata di gelosia, non era questa la mia intenzione. Volevo solo capire con te quello che era successo tra te e De Matteis in questi due giorni, capirlo insieme, io e te.”
 
“Gaetano…” mormora, sentendo di poter tornare a respirare, asciugandosi gli occhi per guardarlo di nuovo negli occhi, comprendendo immediatamente quanto è sincero.
 
“Camilla, credimi, non ho più alcun dubbio su di te, né su quello che provi per me e mi scuso se ho dubitato in passato, con Marco e con il questore. E avevi ragione a rimproverarmi e a risentirti per la mia stupida ed inutile gelosia, perché… perché so bene, per esperienza diretta, quanto tu sia leale e fedele e che non mi tradiresti mai, mai. Anzi, che sei talmente leale e fedele che probabilmente preferiresti sacrificare te stessa e la tua felicità piuttosto che tradire la mia fiducia, che farmi soffrire. E io non voglio questo: io ho paura di perderti, è vero, ho una paura tremenda di perderti, ma non vorrei mai, mai che tu ti sentissi obbligata a stare con me per un motivo diverso dall’amore. Voglio essere sicuro che tu ti senta sempre libera di essere sincera con me e soprattutto con te stessa, professoressa, se un giorno quello che provi per me dovesse cambiare. Quando ti ho vista con De Matteis in quella stanza, per un attimo ho rivisto me e te, anzi, me e te e Renzo e-“
 
“Non è la stessa cosa, Gaetano, non-“
 
“Camilla, non sto dicendo che lo sia, ti prego, lasciami spiegare,” la blocca posandole un dito sulle labbra, “Camilla, quello che voglio dire è che quando vi ho visti insieme, per un attimo mi sono messo nei panni di De Matteis. Mi sembrava di rivedere noi due quando finalmente ti ho confessato per la prima volta quello che provavo e provo per te. Ma, subito dopo, mi sono messo forse per la prima volta nei panni di Renzo e, anche se può sembrarti assurdo, ho capito che, con la mia stupida gelosia, stavo facendo esattamente come lui. Quando io e Renzo ci siamo… chiariti nel mio appartamento, gli ho rinfacciato di non volere la tua felicità, di preferire che foste entrambi infelici, tu e lui, piuttosto che tu potessi essere felice con qualcun altro. E ho capito solo poco fa, che se tu davvero dovessi innamorarti di un altro, per qualsiasi motivo dovesse accadere, per colpa mia, tua o di nessuno dei due, non sarebbe facendo l’idiota, arrabbiandomi con te o con lui che cambierei le cose, che potrei riavere il tuo amore, che potrei essere di nuovo felice con te.”
 
“Gaetano…” sussurra commossa, capendo finalmente tutto: il suo tono così tranquillo, pacato e triste. Non sa se sia possibile, ma sente di amarlo ancora di più, il cuore che le duole in quella maniera dolce che solo lui suscita in lei, tanto intensamente che sembra scoppiarle nel petto.
 
“E ho riflettuto su tutto quello che è successo in questi giorni… Camilla, quello che avete passato tu e De Matteis insieme, come hai detto giustamente tu, può creare un fortissimo legame tra due persone. Lui c’è stato per te mentre io non c’ero. Vi siete avvicinati moltissimo mentre io e te abbiamo avuto un sacco di problemi. E vedendovi in quella stanza e per come si è comportato con te, ho capito che De Matteis è davvero innamorato di te e che è una brava persona, che è qualcuno che potrebbe meritare il tuo amore, che potrebbe renderti felice. E visto che… che io e te non stiamo… non stiamo più insieme, che tu non sei più impegnata con me, non potevo… non avrei più potuto vivere con la mia coscienza se non ti avessi dato almeno la possibilità di riflettere e di capire che cosa davvero provavi e provi per De Matteis, e, se avessi capito di sentire qualcosa per lui, di fare un passo indietro su noi due, Camilla.”
 
“Gaetano, tu sei l’uomo… sei l’uomo più straordinario… più… più meraviglioso che io conosca. Ma mi dispiace dirti che questa volta mi tocca proprio contraddirti su due cose,” proclama tra le lacrime che sembrano sgorgare a tradimento e che contrastano col sorriso che non riesce più a contenere, sollevando una mano per accarezzargli il viso, guardandolo negli occhi, così carichi di preoccupazione, di preoccupazione per lei, per il suo bene, per la sua felicità.
 
“Questa volta?” le domanda ironico, facendola ridere, mentre ricambia la carezza, asciugandole una ad una le lacrime, “su cosa ho torto questa volta professoressa?”
 
“Sul fatto che non sono… che non sono più impegnata con te. E sul fatto che potrei essere felice con De Matteis. Il secondo fatto è in parte diretta conseguenza del primo, ma non solo,” gli spiega con un altro sorriso.
 
“Quindi vuoi dirmi che… che stiamo di nuovo insieme?” le chiede, con un tono speranzoso e un sorriso che le ricorda da morire Tommy e che la fa sciogliere.
 
“Non lo so… immagino che debba essere anche tu a dirmelo, dottor Berardi,” risponde, facendogli l’occhiolino, “ma il punto non è questo. Il punto è che, sia che io e te siamo ufficialmente una coppia o meno, io sono impegnata con te qui, e qui.”
 
Gaetano sorride ancora di più, vedendola posarsi una mano sulla testa e una sul cuore.
 
“E sono impegnata con te da tanto, tanto tempo, da ben prima che stessimo insieme, da quando ufficialmente ero impegnata con Renzo. E quello che ho finalmente capito in questi mesi con te, Gaetano, anche se forse una parte di me l’ha sempre saputo, è che quando si ama davvero nessuno può prendere il posto che occupa la persona amata nel proprio cuore. Potrà prendere altri spazi più piccoli, potrà esserci affetto, stima, gratitudine, tutto quello che vuoi, ma quel posto è intoccabile: la persona che ami è inchiodata lì e non la puoi schiodare nemmeno se lo vuoi, è come un segno indelebile. E anche se avevo un bellissimo rapporto con Renzo, anche se gli volevo un bene dell’anima, quando sei entrato tu nella mia vita hai ben presto sbalzato Renzo da quel posto che avrebbe dovuto essere solo suo di diritto. Tu ti sei preso quel posto, Gaetano, nonostante abbia lottato in ogni modo per evitarlo e non ti sei più mosso da lì, nonostante i miei rifiuti, i trasferimenti, gli anni passati, Renzo, Marco… Tanto che quando ti ho rivisto a Torino, dopo un breve e inutile tentativo di evitarti, tutto è ripreso come se non ci fossimo mai salutati, perché per il mio cuore era così: tu eri sempre rimasto lì, non eri andato da nessuna parte. Sei qui e non c’è posto per nessun altro.”
 
“Camilla, tu lo sai che per me è esattamente lo stesso, che tu sei l’unica donna che abbia occupato quel posto nel mio cuore. E non credo che qualcuno potrà mai schiodarti da lì, fino a che non smetterà di battere,” confessa, emozionato, dandosi però di nuovo dell’idiota quando la vede irrigidirsi non appena finisce di pronunciare le ultime parole.
 
“Scusa Camilla io-”
 
“No, non è colpa tua però… potresti evitare le metafore sulla morte per qualche giorno almeno? Credo di essere particolarmente sensibile sull’argomento e che lo sarò ancora per un po’,” ammette, sentendosi trascinare in un abbraccio fortissimo, che le toglie il fiato.
 
Si gode quella pace e quel calore per un po’, il viso nascosto nel suo petto, fregandosene della cenere e del fatto che, probabilmente, sembrerà di nuovo uno spazzacamino. Parendo, come sempre, leggerle nel pensiero, lui le solleva il mento e le sorride, cercando di pulirle le guance con le dita, avvicinandosi sempre più pericolosamente alle labbra, fino a sfiorarle languidamente in un modo che le fa mancare il fiato.
 
“Gaetano, aspetta,” lo blocca, prima che la situazione, sfugga loro di mano, “c’è un’ultima cosa che voglio spiegarti e-“
 
“Camilla, ti prego, basta, non serve,” la rassicura, cercando di avvicinarsi a lei, ma lei di nuovo poggia le mani sul suo petto per bloccarlo.
 
“E invece ho bisogno di spiegarti, ho bisogno di farlo, fino in fondo, non solo perché te lo devo o perché lo meriti, ma perché ne ho bisogno io, per me stessa e per noi due. Tu hai passato anni a dimostrarmi in ogni modo quello che provavi per me, non arrendendoti mai di fronte al muro che mi ero costruita per via delle mie paure e dei miei sensi di colpa. E nonostante tutto ciò, anche se lo so benissimo che mi ami, anche se mi fido ciecamente di te, quando ti ho visto con Claudia anche io ho dubitato, anche io sono stata gelosa, molto gelosa. E tu mi hai spiegato cosa stesse accadendo, mi hai rassicurata su quello che provavi per me e per Claudia e anche io ora voglio spazzare via ogni possibile dubbio, perché mi rendo conto che ciò che hai visto in quella stanza tra me e De Matteis destabilizzerebbe chiunque, Gaetano, avrebbe destabilizzato anche me al tuo posto.”
 
“Camilla…”
 
“Tu hai detto che… che De Matteis potrebbe rendermi felice. Ma tu davvero pensi che De Matteis e io nella vita di tutti i giorni potremmo mai essere felici insieme? Non è così, non sarei mai felice con lui,  Gaetano, anche se non ti avessi mai conosciuto, anche se quando tornai a Roma da single io e De Matteis non fossimo partiti col piede sbagliato e avessi per qualsiasi motivo deciso di iniziare una relazione con lui invece che con suo fratello, credo che le cose sarebbero finite mille volte peggio del disastro tra me e Marco. Non solo non sarei mai arrivata ad amarlo, ma, passata la breve fase degli opposti che si attraggono, avremmo finito per odiarci. Perché  io e De Matteis insieme siamo una combinazione quasi più esplosiva di te ed Eva, Gaetano: non andiamo d’accordo praticamente su niente. Una convivenza tra noi, ma anche solo una relazione duratura, sarebbe stata un incubo per entrambi, saremmo arrivati a distruggerci, a farci del male a vicenda, anche senza volerlo.”
 
Gaetano ammutolisce, comprendendo quanto lei abbia ragione, ma del resto la sua professoressa ha praticamente sempre ragione.
 
“E c’è un’altra cosa. A volte… a volte ho l’impressione che una parte di te abbia paura che io mi sia innamorata di te per... come posso dire? Per il fascino della divisa. Perché con te ho vissuto situazioni estreme di pericolo che, come ho detto io stessa, possono sicuramente creare un forte legame tra due persone. Ma non è così: per me l’amore non è una specie gara a chi mi salva più volte la vita o a chi è il migliore poliziotto, non funziona così. A parte che so benissimo che se fossi arrivato prima tu di De Matteis avresti fatto lo stesso o anche di più, so benissimo che tu daresti la vita per proteggermi Gaetano e non ne ho mai dubitato.  E, certo, il modo in cui svolgi il tuo lavoro, la tua passione, la tua intelligenza la tua onestà sono tutte cose che hanno contribuito a far crescere sempre di più la stima e la fiducia immense che provo per te e che è ovviamente hanno contribuito a fare in modo che non potessi non innamorarmi di te, ma c’è molto di più di questo, molto di più. Gaetano: nella vita, nell’amore e nei rapporti di coppia, si spera, non ci sono solo le emergenze e le situazioni tra la vita e la morte, ma c’è la normalità, la vita vera di tutti i giorni.”
 
Gaetano di nuovo non riesce a parlare, chiedendosi per l’ennesima volta come lei… come lei riesca a leggergli dentro in questo modo. A intuire i suoi stati d’animo e le sue paure più nascoste prima che riesca ad intuirle lui stesso. Perché non ci aveva mai pensato, non consciamente, ma è vero: una parte di lui, almeno prima che diventassero una coppia, durante tutto il lunghissimo corteggiamento, per tutti quegli anni in cui l’aveva inseguita senza successo, aveva temuto di rappresentare per lei solo un… un brivido, un momento di evasione dalla routine quotidiana. Che lei avesse trasferito su di lui, avesse incarnato in lui, in un certo senso, la sua passione per le indagini, per i misteri. Da quando l’aveva rivista a Torino e si erano avvicinati sempre di più, non solo loro due ma anche lei e Tommy, dopo… dopo la casa di Madame e, soprattutto, dopo che avevano fatto l’amore per la prima volta, tutti i suoi dubbi sembravano essersi sciolti come neve al sole. Ma forse una parte di lui, un piccolo demone in un angolo nascosto del suo cervello e del suo cuore continuava ad avere paura, ad avere paura di non essere alla sua altezza, che lei un giorno si sarebbe risvegliata e si sarebbe accorta che lui era solo chiacchiere e distintivo, che si sarebbe accorta che era stato tutto solo un enorme fuoco di paglia. Un demone che si era risvegliato quando avevano rincontrato Marco, quando gli aveva spiegato come erano andate le cose tra lei, Marco e Renzo. E le sue insicurezze in campo affettivo che, lo sa bene, hanno radici profonde, fin dalla sua infanzia, avevano fatto il resto, alimentando la sua assurda gelosia che, di nuovo, aveva ruggito quando l’aveva vista con De Matteis anche se, finalmente, l’amore per Camilla, il desiderio di vederla felice avevano prevalso ed erano riusciti a fargli capire quanto fosse stupida ed inutile.
 
“Gaetano,” sussurra, prendendogli la mano e distogliendolo dai suoi pensieri, portandolo a guardarla negli occhi, quegli occhi così intensi, così aperti, attraverso i quali riesce finalmente a leggere tutto, tutto, senza ombre, senza alcun dubbio, senza alcun punto oscuro. Ma non perché Camilla sia cambiata, comprende con un sussulto, ma perché lui è cambiato, perché ha messo definitivamente a tacere quel demone, perché ha smesso finalmente di dubitare di se stesso, prima ancora che di lei.
 
E Camilla sembra nuovamente capire perché gli regala forse il sorriso più bello che lui abbia mai visto sul suo viso.
 
“Gaetano, quello che mi ha fatto innamorare di te è stato proprio il fatto che con te sto bene sempre, sempre, potrei stare con te per giorni in una stanza vuota e non sentire il bisogno di nient’altro. E non parlo solo di fare l’amore. Con te sto bene anche solo quando parliamo o quando mi sei vicino, con te mi sento sempre a casa, serena, protetta, in pace col mondo, dovunque siamo. Ed è stato sempre così, Gaetano, praticamente fin da subito: agli inizi noi parlavamo solo di indagini, è vero, una volta mi hai perfino fatto una battuta in proposito chiedendomi se non potessimo provare a parlare di altro, anche se era un modo velato per chiedermi di uscire a cena con te e… diciamo non solo a cena. Te lo ricordi?”
 
“Come potrei dimenticarlo?” mormora, scuotendo il capo e sorridendole di rimando, sentendo il cuore scoppiargli nel petto, “tu mi hai risposto che non amavi il caos, che era poi un modo velato per dirmi che avevi paura di quello che sarebbe successo se fossi uscita a cena con me e non solo a cena. Non solo delle conseguenze di una relazione extraconiugale, ma che forse avevi paura di innamorarti di me…”
 
“Già e tu, che sei sempre stato più saggio di me, avevi cercato di farmi capire con quella metafora non troppo velata di pioggia, temporali e colpi di fulmine che da quello che provavamo e che proviamo non si poteva e non si può scappare. Mi ci sono voluti anni per accettarlo ma, come ti ho già detto, ci avevi azzeccato in pieno. Perché la verità è che l’importante non era di cosa parlassimo, Gaetano, se di indagini, di meteorologia, di anagrammi o dei massimi sistemi, ma il come ci parlavamo, quello che mi trasmettevi con la tua presenza, con la tua vicinanza, con i tuoi gesti. Io non mi sono innamorata di te solo perché eri e sei un bravo poliziotto o perché mi hai salvato più volte la vita, ma perché in un certo senso salvi la mia vita ogni giorno da quando ti conosco, perché quando ci sei tu con me vivo davvero invece che limitarmi a sopravvivere. E sarebbe stato così anche se tu non avessi fatto il mestiere che fai, se tu fossi stato… che ne so, un mio collega, uno di quelli che fanno innamorare tutte le alunne come pere cotte, o un collega di Renzo, anche se devo dire che come architetto non ti ci vedo proprio.”
 
“Per la carità!” esclama con una risata commossa, “vista la mia abilità coi numeri, sarei già finito in galera per avere mandato al creatore qualcuno nel crollo di una delle mie solidissime creazioni.”
 
“O se fossi stato un vicino di casa, l’impiegato in banca o in posta, il bidello, lo spazzino o il presidente del consiglio: per qualsiasi motivo ti avessi trovato sul mio cammino, conoscendoti non avrei potuto fare a meno di innamorarmi di te,” spiega con una punta di ironia, prima di aggiungere, serissima, “a parte gli scherzi, Gaetano, quello che provo per te non cambierebbe di una virgola anche se, per qualsiasi motivo, tu non potessi più fare questo mestiere. E sarà così anche quando, come mi auguro che accada, invecchieremo insieme ed inevitabilmente il massimo dell’azione per noi sarà passare da una stanza all’altra di casa nostra, cucinare, leggere un libro o cambiare i canali su un telecomando. Ma sono sicura che solo parlandoti, guardandoti, avendoti accanto, tu mi sapresti trasmettere tutto quello di cui ho bisogno per essere felice esattamente di ciò che ho e spero di poter fare anche io lo stesso per te.”
 
“Camilla, tu… tu lo fai già adesso, lo fai da sempre. Tu sei… tu sei la mia casa, Camilla, la mia vera famiglia, da così tanto tempo. E forse te l’ho già detto ma non mi stancherò mai di ripetertelo: tu mi hai fatto capire cosa voglia dire amare, cosa voglia dire vivere davvero, Camilla. Prima di conoscerti ero un uomo solo, che aveva paura di innamorarsi, di soffrire e-
 
“E non avevi tutti i torti ad averne paura, visto quanto ti ho fatto soffrire Gaetano, per tanti anni e me ne vergogno e-
 
“No, Camilla, non avevo ragione e anche se non mi avessi mai ricambiato, ti sarei sempre stato grato, Camilla perché hai riempito, hai reso reale, una vita vuota e piena di nulla, piena di vacuità di cui mi circondavo per tenermi impegnato, per distrarmi, per non sentire e non ammettere nemmeno con me stesso quanto fossi solo. E per merito tuo ora sono padre, Camilla, padre davvero e non solo per… per DNA. Mi hai salvato dal più grande rimpianto che avrei mai potuto avere in vita mia. E poi c’è Livietta che... che è straordinaria e più la vedo crescere e più ritrovo in lei così tanto della tua forza, della tua intelligenza e soprattutto del tuo grande cuore, Camilla,” confessa, lasciandole una mano per asciugarle le lacrime che le vede di nuovo sgorgare dagli occhi, “e poi c’è tua madre che è… altrettanto straordinaria  e anche in lei rivedo diverse cose di te, Camilla: non solo la tua intelligenza ma… quell’istinto di protezione verso le persone che ama, che la rende assolutamente formidabile e… parecchio temibile, a dir la verità.”
 
“Ah, non parlarmene!” esclama con una mezza risata, prima di farsi di nuovo seria e aggiungere, “mi dispiace per come si è comportata prima, Gaetano, ma non credo che ce l’abbia realmente con te e-“
 
“Camilla, non importa, anzi, tua madre ha ragione ad avercela con me perché mi sono comportato come un idiota in questi giorni, con la mia stupida gelosia, le mie paranoie, i miei dubbi, le mie insicurezze e ti giuro che mi dispiace e mi scuso ancora con te. E ti garantisco che ho capito… ho finalmente capito e non succederà più. Mi impegnerò per meritarmi ogni giorno la tua fiducia, Camilla, e per riconquistare la fiducia di tua madre, se me ne darete la possibilità.”
 
“Gaetano, non serve che ti scusi perché… avevi i tuoi buoni motivi per sentirti insicuro su noi due, per colpa della mia incoerenza e i miei tira e molla di questi anni e di tutto il dolore e tutta l’insicurezza che ti hanno, che ti ho provocato, anche se tu cerchi di non farmelo pesare, e che non potevo e non posso pretendere di cancellare magicamente in due mesi dalla tua mente e dal tuo cuore,” ammette, abbassando lo sguardo, sentendosi ancora terribilmente in colpa, sentendo fino in fondo il peso di tutti i suoi sbagli di questi anni e anche di questi ultimi giorni, “anzi, sono io che mi devo scusare con te perché in questo ultimo periodo ho dato per scontate troppe cose, ti ho trascurato durante la nostra prima vacanza insieme, ho dato per scontato il tuo amore, il tuo appoggio, il tuo essere così generoso nell’accettare di aiutarmi e nel mettere a rischio perfino la tua carriera per assecondarmi. E soprattutto mi devo scusare con te per averti nuovamente deluso ieri-“
 
“Camilla tu non mi hai affatto deluso ieri, assolutamente, cosa stai dicendo?” le domanda, incredulo, sollevandole il mento per costringerla di nuovo a guardarlo negli occhi.
 
“Ti avevo… ti avevo promesso di stare lontana dai guai e invece non ho mantenuto la promessa: sono corsa da Sammy, pur sapendo che avrei potuto morire e-“
 
“E se non l’avessi fatto, ti saresti odiata per tutta la vita Camilla, mi avresti odiato e io non voglio questo, non ho mai voluto questo. Camilla, io l’ho sempre saputo che tu sei una donna leale, coraggiosa, altruista, che non può fregarsene e stare a guardare mentre qualcuno sta morendo di fronte ai suoi occhi, che non può sentire qualcuno implorare aiuto senza fare niente. Ed è uno dei motivi per cui mi sono innamorato di te e per cui ti ammiro tanto, anche se non è l’unico. Camilla, io non voglio certo che tu cambi, anche perché sarebbe ipocrita da parte mia chiedertelo, visto che anche io sono fatto così.”
 
“Gaetano…” sussurra, sentendo il peso del senso di colpa che la stava schiacciando fin da quando aveva scoperto che Sammy era corsa a quell’appuntamento al posto suo, fin da quando era uscita da quell’auto e aveva scavalcato quella cancellata, farsi più leggero.
 
“Camilla, quello che volevo da te, quello che mi hai promesso, è che non ti saresti andata a cacciare volutamente nei guai se non era più che necessario, se non ti fossi trovata in un’emergenza che non potevi evitare. Ed è esattamente quello che hai fatto, Camilla, avvertendomi della lettera, fidandoti di me e intervenendo solo quando non c’era altra alternativa. Non solo, ma il modo in cui hai affrontato l’emergenza, il modo in cui hai agito ieri è stato… semplicemente straordinario ed è andato ben oltre ogni mia più rosea aspettativa o speranza! Hai valutato i rischi, hai mantenuto il sangue freddo e il controllo anche in mezzo ad una sparatoria, vedendo la morte in faccia, sei riuscita a soccorrere De Matteis e a salvargli la vita. Sei stata bravissima, Camilla, non so come tu abbia fatto, da dove prendi questa… questa forza incredibile che hai, ma hai agito molto meglio di quanto avrebbero fatto molti agenti addestrati, credimi.”
 
“E oltretutto, in tutto questo, sei riuscita di nuovo a trasmettermi quel coraggio, quella sicurezza, quella serenità che mi servivano per entrare in quella casa e fare quello che dovevo fare e soprattutto per lasciarti lì fuori, sapendo benissimo entrambi che… che avremmo potuto non rivederci più,” ammette, la voce che si spezza, mentre sente le guance farsi umide quanto quelle di lei, riflettendosi in quegli occhi che lo guardano con così tanto amore da togliergli il fiato, ma si fa forza e, con la voce roca, riprende a parlare, “e, anche se non credevo fosse possibile, sei riuscito a rendermi ancora più orgoglioso di te di quanto fossi già e mi hai dimostrato per l’ennesima volta quanto sono incredibilmente fortunato ad avere la stima e l’amore di una donna assolutamente fuori dal comune come sei tu.”
 
Camilla si lascia sfuggire un singhiozzo e poi gli getta le braccia al collo e lo abbraccia più forte che può, sentendolo ricambiare con una forza tale che si ritrova seduta in braccio a lui, completamente avvolta da quella pace che solo lui le può trasmettere.
 
“Gaetano, sono io che sono fortunata ad averti accanto… fortunata è dire poco e… orgogliosa e… ti amo, ti amo da morire,” sussurra dopo qualche minuto di silenzio e di… di pace, staccandosi lievemente da lui per guardarlo negli occhi, prima di rendersi conto di cosa ha detto, notare l’angolo della bocca di lui sollevarsi lievemente e alla fine scoppiare con lui in una risata liberatoria.
 
“Non avevi detto niente metafore sulla morte, professoressa?” la punzecchia con affetto, guadagnandosi un colpo sulla spalla.
 
“Sei tremendo, lo sai?” ribatte con un sorriso, scompigliandogli i capelli, prima di abbracciarlo nuovamente, questa volta con meno disperazione e più dolcezza.
 
“La sai tu una cosa, professoressa? Non so come sia possibile ma… ti sento ancora più vicina adesso di quanto già ti avessi sentita in quel loft e… come posso spiegarti? Sento che… che siamo cresciuti in questi giorni, insieme. Il nostro rapporto è… è cresciuto. Capisci cosa voglio dire?” le domanda, la voce tremante, sentendola annuire sul suo petto.
 
“Lo capisco benissimo, Gaetano,” ammette lei, la voce altrettanto tremante e roca, sollevandosi un’altra volta per guardarlo negli occhi, “e anche per me è lo stesso e… e anche se questi giorni sono stati tremendi e anche se ci aspettano ancora giorni difficili, lo so, anche se ho fatto tanti errori… non rimpiango niente se… se è servito ad arrivare a… a questo.”
 
Lui le sorride e la abbraccia nuovamente, con tutta la tenerezza di cui è capace. Ben presto però, sentirla così vicina, su di lui, sentire la sua pelle, il profumo della sua pelle, risveglia in lui un desiderio lancinante, acuito dai giorni di lontananza forzata.
 
“Camilla…” le sussurra, staccandosi lievemente da lei, “quindi, riassumendo: abbiamo chiarito che tu mi ami tanto quanto ti amo io, cioè moltissimo, e che ne siamo entrambi consapevoli. Giusto?”
 
“Mi sembra evidente,” risponde lei, stupita dal tono di lui, apparentemente serio ma… giocoso allo stesso tempo, chiedendosi dove voglia andare a parare.
 
“Benissimo. E abbiamo anche chiarito che io ho la massima fiducia in te, tanto quanto tu ce l’hai in me. Confermi?”
 
“Anche questo mi sembra evidente…” ribatte con un sorriso, sempre più incuriosita.
 
“E inoltre mi impegno solennemente a non farti più stupide scenate di gelosia e-“
 
“Quindi vuoi dirmi che non sarai più geloso?” gli domanda con un tono indefinibile.
 
“Beh, insomma, non sto dicendo che se vedrò qualcuno che ci prova con te farò i salti di gioia, Camilla, non sono un santo. È ovvio che mi darà fastidio ma mi controllerò, mi fiderò di ciò che provi per me e del fatto che… saprai gestire la situazione. E interverrò solo se… se la… la controparte dovesse crearti problemi, insomma, se tu dovessi avere bisogno del mio aiuto per… gestire la situazione,” spiega, aggiungendo poi, facendosi più serio, “in quel caso però non garantisco di riuscire a controllarmi.”
 
“In quel caso, credimi, sarò io  per prima a non riuscire a controllarmi. E lo stesso ovviamente vale per te e le tue ammiratrici, caro il mio pinguino,” ribatte con un tono d’avvertimento, facendogli l’occhiolino e vedendolo sorridere, esasperato.
 
“Bene… quindi, visto che mi sembra che abbiamo chiarito tutto quello che c’era da chiarire e anche di più… non credi che sia arrivato il momento di fare pace?” le domanda, giocoso, guardandola negli occhi.
 
“A me sembra che abbiamo già fatto pace, Gaetano. O no?” gli domanda di rimando, lanciandogli un’occhiata interrogativa.
 
“Intendo dire… fare pace come si deve,” chiarisce, non trattenendo più il sorriso, mentre lei scuote il capo divertita ed esasperata.
 
“Mmmm… dottor Berardi… temo di non capire. Perché non mi chiarisce meglio che cosa ha in mente?” gli domanda con un altro sorriso, il tono che si fa sempre più roco, avvicinandosi di più a lui, quasi inconsciamente, mordendosi il labbro.
 
“Con molto piacere, professoressa,” ribatte prima di catturare quelle labbra con le sue.
 
Per qualche secondo è un bacio dolce, tenero, intenso, che esprime il sollievo che entrambi provano, la gioia immensa nell’essersi finalmente ritrovati. Ma ben presto diventa sempre più famelico, sempre più urgente, le mani che cercano il contatto, la pelle, sotto i vestiti, azzerando le distanze tra i loro corpi che si muovono l’uno contro l’altro, la temperatura che sale rapidamente fino a farsi incandescente.
 
“Gaetano, aspetta!” lo implora Camilla, percependo chiaramente che la situazione sta per sfuggire dal loro controllo, staccandosi da lui con uno sforzo sovrumano, alzandosi in piedi a fatica, le gambe che sembrano di gelatina.
 
“Credimi, lo voglio anche io, più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma non… non qui, non in un ospedale,” si affretta a chiarire, vedendo lo sguardo di lui farsi cupo e preoccupato, ferito da quel rifiuto.
 
“Hai ragione…” ammette con un sospiro, cercando di recuperare il controllo, per poi aggiungere con un sorriso, alzandosi in piedi, “anche se pensavo che certe situazioni ti piacessero, Jessica.”
 
“Ehi, Ivano… ma non avevi appena detto che eravamo cresciuti noi due?” ironizza, per poi guardarlo da capo a piedi e sussurrargli, maliziosa, “a meno che non ti riferissi solo a certe… parti anatomiche.”
 
“Camilla!” esclama, esasperato, “guarda che così non mi aiuti affatto.”
 
Si guardano per qualche istante, indecisi sul da farsi: sia l’appartamento di Francesca che quello di Andreina sono, ovviamente, off-limits. Poi l’espressione di Gaetano si illumina.
 
“Senti, professoressa, visto che prima di qualche ora non potrò tornare sulla… scena del crimine e visto che ho assoluto bisogno di un po’ di riposo, e anche tu, pensavo… Hai mai notato quanti alberghi deliziosi ci sono qui nei dintorni?” le chiede con voce ironica e carica di desiderio insieme, prendendola sottobraccio e cominciando a condurla verso la porta.
 
Lei, per tutta risposta, si aggrappa al suo braccio, gli stampa un bacio sulla guancia, prima di sussurrargli nell’orecchio, con lo stesso medesimo tono, “Gaetano, ti ho mai detto che a me gli alberghi piacciono moltissimo? Ci vivrei in albergo!”
 
***************************************************************************************
 
Silenzio.
 
Finalmente silenzio: i motori delle auto si sono ormai allontanati, uno a uno, niente più sirene, niente più rumore di acqua che scorre, niente più puzza di fumo.

Silenzio e pace.
 
È arrivato il momento: o ora o mai più.
 
***************************************************************************************
 
Osserva ancora una volta le macerie, il calore che si disperde nell’aria ancora non troppo soffocante tipica delle mattine d’estate, in quei rari momenti di pace prima che la calura torni come una cappa opprimente.
 
Bisognerà aspettare, non è ancora il momento.
 
Continua poi il suo giro di perlustrazione in questa specie di film di Tim Burton in legno e rifiuti e ruggine e vernici scrostate. È quasi un addio all’infanzia, all’adolescenza, l’ennesimo segno che ormai è diventato grande e che tutto passa, che niente dura in eterno, che quello che una volta era un luogo sereno e spensierato ora è una discarica a cielo aperto, un luogo per barboni, vandali e… e assassini. Che quello che una volta era un ragazzo sereno e spensierato ora è un uomo pieno di pensieri, di preoccupazioni e di responsabilità. Meno innocente, più consapevole, non sa se pesi più il piatto di ciò che ha perso o di ciò che ha guadagnato.
 
Ma ora c’è un pensiero fisso: trovare chi è stato, trovare Ilenia. Sperando che le due cose non coincidano.
 
Guardandosi intorno alla ricerca di ogni minimo dettaglio, qualcosa gli fa voltare bruscamente il capo verso sinistra, verso una riproduzione di un castello medievale che, se già in origine era abbastanza squallida, ora, così in rovina, è proprio triste.
 
All’inizio non capisce cosa abbia attirato la sua attenzione e poi la vede: un’ombra che si muove dietro le finestre a bifora.
 
Sa benissimo che non può trattarsi di uno dei ragazzi: due sono rimasti a guardia del perimetro e uno della casa incendiata. Potrebbe chiamarli ma non può permettersi di perdere l’effetto sorpresa: le bifore sono senza vetri e dall’interno possono chiaramente sentirlo se non sta attento.
 
Con il cuore che gli rimbomba nelle orecchie e quello strano mix di eccitazione e paura che ha sempre provato prima di entrare in azione, estrae la pistola dalla fondina, togliendo la sicura. Sa che qui non si scherza, che il suo avversario è più che capace di uccidere. Se si arriverà allo scontro, dovrà sparare senza esitazione.
 
L’ombra sembra procedere in direzione dell’ingresso del castello. Si acquatta contro il muro, tenendosi basso, sotto le bifore, preparandosi a saltargli addosso non appena uscirà, cogliendolo di sorpresa.
 
Rimane in attesa, paziente, evidentemente chi è dentro il castello sta controllando fuori, non è uno sprovveduto. E poi è questione di qualche secondo: una figura infagottata e nera sbuca fuori all’improvviso, in apparenza disarmata: nelle mani non luccica nulla.
 
Marchese si getta in un placcaggio quasi da professionista, afferrando l’avversario per le gambe, facendolo inciampare e crollare a terra. Cerca di rialzarsi ma lui è più rapido, schiacciandolo sotto di sé e bloccandolo senza troppa fatica: è più basso di lui e non particolarmente forte. Gli gira le mani dietro la schiena, ammanettandolo con una delle reggette in plastica che ormai porta sempre con sé in tasca, in caso di un arresto imprevisto “in borghese”, ringraziando per una volta Mancini e le sue paranoie da film poliziesco a stelle e strisce. Stringe la plastica intorno ai polsi, provocando un urlo di dolore.
 
Un urlo femminile.
 
Il gelo nel cuore, tenendola bloccata con le gambe sulle sue, rialza il busto quel tanto che basta per voltarla. Con mano tremante scosta il cappuccio nero e incontra capelli corvini, un caschetto corto, sbarazzino, che non gli è familiare ma che copre un viso e due occhi assolutamente inconfondibili.
 
Ilenia.
 
 

Nota dell’autrice: Ed eccoci alla fine del giallo, tutto risolto, no? Ilenia è stata presa, Camilla e Gaetano hanno finalmente fatto pace e… Ovviamente sto scherzando: il capitolo conclusivo di questo caso sarà il prossimo e sarà giallo-giallo e pieno di azione. Come avrete potuto notare questo è stato invece un capitolo più introspettivo e soprattutto medical/rosa, in cui si sono analizzate le conseguenze di quanto successo negli ultimi giorni sui rapporti tra i personaggi. E vedere la morte in faccia ha aperto gli occhi a diverse persone, come sempre accade in questi casi. Lo so che il capitolo è lunghissimo,  ho cercato di condensare il più possibile certe scene ma diciamo che c’erano parecchie cose da affrontare e alcuni semi da gettare ;).
Spero che la riconciliazione tra Gaetano e Camilla non abbia deluso le vostre aspettative, se così non fosse fatemelo sapere, come sempre i vostri pareri mi aiutano tantissimo a tararmi nella scrittura e a capire dove faccio meglio e dove devo correggere, tagliare ecc… Speravo di pubblicare già qualche giorno fa, in coincidenza con la… ripresa delle riprese di PAP ma non è stato possibile. Comunque finalmente ci siamo e quindi spero che potremo presto vedere questa benedetta e attesissima sesta serie ;).
Come sempre vi ringrazio per avermi seguita fin qui e, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Blood and water ***


Nota dell’autrice: come sempre sono in un ritardo mostruoso ma, a mia discolpa, posso dire che il capitolo è mostruosamente lungo xD. Avrebbe anche potuto intitolarsi 48 ore. 48 ore in cui succede davvero di tutto, dai momenti più tranquilli e piacevoli, per poi arrivare, in un tour de force investigativo, fin nella tana dell’assassino. Non vi faccio perdere altro tempo, ci vediamo alle note finali ;)!



 
Capitolo 43: “Blood and water”



 
“I suoi valori sono stabili e, considerato quello che le è successo, direi che si sta riprendendo nel migliore dei modi. Per quanto mi riguarda, possiamo sciogliere la prognosi, anche se la situazione rimane delicata e dovrà stare sotto costante monitoraggio per qualche giorno, muoversi il meno possibile ed evitare ogni possibile fonte di stress, qualsiasi cosa che possa affaticare il cuore, chiaro?”
 
“Insomma, proprio tutto quello che hai fatto fino a poco fa…” commenta Marco, sarcastico, lanciando un’occhiata al fratello che abbassa gli occhi, imbarazzato.
 
“Sì, dottore, la ringrazio,” annuisce Paolo, ignorando la frecciata del fratello.
 
“Non deve ringraziare me, non solo: è stato davvero molto fortunato, sa, signor De Matteis? Innanzitutto perché è stato soccorso immediatamente dalla signora che c’era qui prima, non appena è andato in arresto cardiocircolatorio, ma soprattutto perché, nonostante il suo gruppo sanguigno sia così raro, ha trovato non uno ma ben due donatori universali disposti a donarle sangue…”
 
“Donatori universali? Chi-“
 
“Gaetano e sua sorella Francesca,” chiarisce Marco, con un altro sguardo eloquente, mentre il fratello è sempre più sorpreso, oltre che a disagio.
 
“È stato ad un passo dal non farcela ed è ancora molto debole, quindi non abusi della sua buona sorte, chiaro?”
 
“Sì, dottore, non si preoccupi…”
 
Il dottore annuisce ed esce dalla stanza. Non appena rimangono soli, i loro sguardi si incrociano: imbarazzo, sorpresa, apprensione, un vago sentore di tradimento e troppi perché che aleggiano nell’aria.
 
“Da quanto tempo sei innamorato di Camilla?” chiede Marco, asciutto, andando diritto al punto.
 
“Innamorato? Non esageriamo, Marco… tu sei sempre troppo sentimentale. Diciamo che…” esita, deglutendo il nodo in gola prima di sforzarsi di ammettere, abbassando gli occhi, “diciamo che non mi è indifferente, ecco.”
 
“Ah, guarda, su questo non c’era alcun dubbio: a te indifferente Camilla non è proprio mai stata,” commenta, di nuovo sarcastico, “e dimmi, quante donne non ti sono state indifferenti quanto Camilla negli ultimi anni? E di quante invece ti saresti innamorato?”
 
“Guarda che non sono fatto di legno e non sono cieco: di donne che mi piacciono ne incontro praticamente ogni settimana!”
 
“Che ti piacciono esteticamente, magari, non che non ti sono indifferenti, Paolo,” ribatte con un sospiro, “ma vuoi venire a raccontare palle a me, Paolo? Che ti conosco da quando sei nato? Che condivido la stessa casa con te da anni e quindi so benissimo quante donne non frequenti? Non dovevi essere più sincero e aperto per via dell’anestesia? O vale solo con Camilla? O non sarà che l’anestesia a te fa tutt’altro tipo di effetto?”
 
“Marco!” esclama, esasperato, “cosa vuoi che ti dica, eh? Vuoi sapere cosa penso di Camilla? Camilla è una donna snervante, impicciona, invadente, testarda come un mulo, che vuole sempre avere l’ultima parola su tutto e che ha un talento straordinario di attirare i guai peggio del miele con le mosche. Ma allo stesso tempo ha un talento investigativo fuori dal comune, è brillante, interessante, affascinante e soprattutto ha lo straordinario potere di… di farti desiderare di essere tormentato da lei, di discutere con lei… di farti sentire la sua mancanza quando non ce l’hai tra i piedi. Soddisfatto?“
 
“E tu non saresti innamorato di lei? Non ti ho mai sentito parlare così di qualcuno!” gli fa notare, prima di scuotere il capo e di aggiungere, il tono più tranquillo, guardandolo negli occhi, “da quant’è che ti tieni questa cosa dentro Paolo? Per favore, dimmelo.”
 
“Non… non lo so… in realtà me ne sono reso conto anche io solo ieri quando… quando ho pensato che stessimo per morire insieme. E c’era come… come una voce dentro di me, una parte di me che mi diceva che se questa doveva essere la fine per me, ero… ero sereno all’idea di morire per lei, per salvarle la vita e… di andarmene tra le sue braccia, con lei che per una volta non mi guardava come se fossi una specie di… di scarafaggio fastidioso ma con… con affetto e gratitudine,” ammette, quasi come se stesse parlando con se stesso, prima di guardare di nuovo il fratello e aggiungere, “oddio, sono patetico, non è vero? Ma perché non riesco a stare zitto? Non voglio più fare un’anestesia in tutta la mia vita!”
 
“Paolo, non sei patetico, sei umano, anche se ti sforzi da sempre di nasconderlo, visto che ti sei convinto che le due cose coincidano,” risponde Marco, sedendosi accanto al fratello, “comunque non hai ancora risposto alla mia domanda.”
 
“Perché non ce l’ho una risposta, Marco: non lo so. Credo che sia stata una cosa graduale, mano a mano che si è… si è messa in mezzo ai miei casi e ho potuto conoscerla. Ti ripeto, non me ne sono reso conto nemmeno io, ero convinto di non sopportarla e che questo fosse il motivo per cui… per cui la pensavo sempre più spesso, oltre al fatto che me la ritrovavo sempre più sovente tra i piedi anche a casa, visto che tu e lei uscivate insieme.  Poi mi sono convinto che mi ero ammorbidito con lei per riguardo nei tuoi confronti e perché… perché, per quanto mi costasse ammetterlo, si era in un certo senso conquistata il mio rispetto, per quanto non mi fosse simpatica. E poi quando avete deciso di fare sul serio, mi sono convinto che se ero contrario era per il tuo bene, e che se ero sollevato quando vi siete lasciati era perché non era la donna adatta a te, cosa che era in parte vera. E che se ero risentito con lei quando l’ho rivista era per il modo in cui ti aveva fatto soffrire, cosa che era sempre in parte vera e-“
 
“E che ce l’avevi a morte con Gaetano fino a volerlo spedire a dirigere il traffico su Saturno, ad ammazzare il sacco da boxe e ad attraversare il canale della Manica a nuoto, perché aveva osato intromettersi nelle tue indagini, o forse per solidarietà nei miei confronti, e non perché aveva o ha una relazione con Camilla,” intuisce Marco, cominciando a comprendere molte cose, “insomma, una rimozione da manuale di psicologia.”
 
“Marco, però ti giuro che, se le cose tra te e Camilla non fossero andate come sono andate, se voi aveste proseguito nella vostra relazione, anche se mi fossi mai reso conto di quello che… di quello che provo, non avrei mai e poi mai provato a mettermi in mezzo tra voi due,” gli garantisce, posandogli la mano sana sul braccio e guardandolo negli occhi.
 
“Lo so, Paolo, ti credo: del resto ci sarà pure un motivo dietro a questa rimozione, no? È evidente che hai lottato con tutte le tue forze contro quello che provi e non ti invidio per niente, sai? Anzi, mi dispiace che ti sei dovuto tenere tutto quanto dentro,” lo rassicura con un sorriso, dandogli una lieve pacca sulla spalla sana, per poi aggiungere, ironico, “e da un lato tutto questo mi rassicura che siamo davvero fratelli. Finalmente abbiamo qualcosa in comune io e te, ed evidentemente sei anche tu un po’ Visconti, mio caro: alla tradizione di famiglia non si sfugge! Come il nonno e il prozio con la nonna.”
 
“Marco…” sospira Paolo, non riuscendo però a trattenere un sorriso.
 
“E comunque, alla fine, siamo rimasti sia io che te con un pugno di mosche in mano. Non so nemmeno a chi sia andata peggio dal punto di vista della pubblica umiliazione: se a me o a te. Almeno io ero per strada, sì, ma non mi conosceva praticamente nessuno,” commenta con una mezza risata.
 
“Grazie, Marco, mi sei sempre di grande aiuto e conforto. Non so come farò… tra Berardi che mi vorrà morto e Grassetti che… temo di essermi appena giocato tutta la poca credibilità che avevo. Non so come farò ancora a guardarla in faccia.”
 
“Beh, potresti evitare di farlo e concentrarti invece su altro… è molto carina, se non l’avessi notato!”
 
“Marco, per favore! Ma sei matto? Prima di tutto è una persona, non un oggetto. Inoltre è una mia sottoposta, giovane per giunta, e io non mi approfitterei mai del mio ruolo così, oltre al fatto che rischierei il posto e una bella denuncia per molestie. E poi comunque non sono come te e non credo a chiodo-scaccia-chiodo,” protesta veementemente prima di diventare più serio e domandargli, guardandolo di nuovo negli occhi, “tu ci sei riuscito, Marco?”
 
“A fare che?” gli chiede di rimando, anche se teme di conoscere la risposta.
 
“A dimenticare Camilla…”
 
“Non è una donna semplice da dimenticare. Camilla è… è fuori dal comune, ce ne sono poche come lei, purtroppo o per fortuna,” ammette a fatica, per poi aggiungere, dopo un attimo di riflessione, “diciamo che me ne sono fatto una ragione in questi due anni, anche prima di rincontrarla non è che la pensassi più cosi spesso o ne sentissi così tanto la mancanza ma… ogni tanto ci pensavo e ci penso. Però in questi giorni ho capito che… che non ero l’uomo adatto per lei e forse lei davvero non era la donna per me, come mi hai sempre detto, Paolo. E, se posso essere sincero, Paolo, credo che lo stesso valga per te, e non solo perché Camilla ama Berardi.”
 
“Forse… forse hai ragione, non lo so, non so nemmeno se esista una donna adatta a me. In fondo sono abituato a stare solo e sto bene anche da solo. Magari è questo il mio destino…” mormora, esprimendo infine, anche se a voce bassa, quello che pensava e che pensa da ormai tanti anni, da quando tutti i suoi coetanei avevano iniziato ad accasarsi e lui era invece rimasto solo ma senza particolari rimpianti. Solo un senso di… inevitabilità, visto il suo carattere, la sua poca tolleranza nei confronti della stupidità, della mediocrità di gran parte del prossimo e la sua assoluta incapacità di dissimulare il disinteresse quando qualcosa o qualcuno lo annoiava.

Preferiva stare solo piuttosto che pensare di trascorrere la propria vita accanto ad una persona la cui compagnia fosse per lui un peso, un qualcosa da sopportare, una convenzione da rispettare. E di poche persone aveva davvero stima, pochissime lo coinvolgevano davvero, nel bene o nel male, costringendolo a gettare la maschera di indifferenza che si era costruito. Mai nessuna quanto Camilla.
 
Ma c’era di più, molto di più e l’aveva capito solo in queste ultime ore. Non era il resto del mondo a non essere alla sua altezza, come lui aveva cercato sempre di raccontarsi, il problema non era la mediocrità del prossimo, non solo, la verità è che lui aveva e ha paura. Paura di essere lui quello non all’altezza degli altri, di non essere degno di essere amato, paura di… di essere vulnerabile, di perdere il controllo, di aprirsi e di essere rifiutato e ferito.
 
Ed è proprio quello che è successo, anche se non è colpa di Camilla, sa di essersela cercata, sapendo già in cuor suo quanto Camilla amasse Berardi. Ma un istinto irrefrenabile lo aveva spinto a fare quello che non aveva mai avuto il coraggio di fare, a sbatterci la testa e rischiare, piuttosto che rimpiangere in silenzio le sue omissioni, come sempre.
 
La verità è che non sa come si sente, sarà per l’anestesia ma è tutto così… surreale da sembrare un sogno, quasi come se non fosse successo a lui, se non stesse succedendo a lui. Teme solo il momento in cui tornerà del tutto alla realtà.
 
“Paolo, ehi, Paolo stai bene?” lo risveglia la voce di Marco, che lo guarda preoccupato.
 
“Sì… sì… sono solo un po’… un po’ stanco e scombussolato e-“
 
“E melodrammatico! E che cos’è tutto questo fatalismo? Sai che ti dico, Paolino? Che non so come e quando riusciremo del tutto a dimenticare Camilla, ma da adesso possiamo provarci insieme, darci una mano a vicenda, che ne dici?” gli propone con un sorriso, mettendogli una mano sulla spalla.
 
“Se il tuo piano comprende uscite per locali squallidi e scorribande in giro per il mondo con donne che ti fanno venire voglia di perdere l’udito, no grazie,” ribatte Paolo con un’occhiata eloquente, conoscendo il fratello.
 
“Pensavo più a un bel pranzo a base di pesce, una volta che sarai uscito da qui, che ne dici? E poi potremmo fare davvero un viaggio ma in un posto a tua scelta, alle tue condizioni. E sai benissimo che questa è un’offerta irripetibile!” esclama con un sorriso, citando le parole del fratello quando Camilla l’aveva appena lasciato e il mondo gli era crollato addosso.
 
“Quindi stavolta niente giornaliste e niente scocciatrici in generale?” domanda Paolo, non potendo però evitare di ricambiare il sorriso.
 
“No, mi annoierò fino a che lo vorrai,  sia al ristorante sia in vacanza, in uno di quei posti da eremita che piacciono a te. Anzi, magari fingerò pure di divertirmi,” concede Marco, ironico, con un sospiro.
 
“Ah, e per inciso, stavolta offri tu e pretendo almeno porzione doppia di tutto, dato che a me era toccato pagare anche per la tua giornalista!”
 
“Oh, meno male, finalmente riconosco mio fratello: cominciavo a preoccuparmi!”
 
***************************************************************************************
 
“Come hai… come hai potuto farlo?”
 
Quella domanda gli affiora dalle labbra senza poterla più arginare, carica di rabbia, di dolore e di incredulità. Perché fino all’ultimo aveva sperato, aveva davvero sperato che la soluzione più ovvia non fosse quella giusta.
 
La trattiene ancora sotto di lui, seduto sulle gambe di lei per bloccarle, una mano a terra, l’altra premuta sulla spalla per impedirle di sollevare il busto e quindi, di fatto, per immobilizzarla completamente: con le mani legate dietro la schiena qualsiasi movimento le è ormai impossibile. È lacerato da due impulsi contrastanti: quello di tenerla più saldamente che può, per accertarsi che non possa fuggire, che non possa farla franca, non un’altra volta, e quello di allontanarsi il più possibile da lei, di tenerla a distanza, di recidere ogni contatto.
 
Perché averla così vicina gli riporta alla mente l’ultima volta che l’aveva tenuta tra le braccia, quello che aveva provato e viene invaso da un profondo senso di nausea e di tradimento.
 
“Io non ho fatto niente, non ho ucciso lo Scortichini, Marchese, mi devi credere,” protesta con voce talmente roca da essere quasi irriconoscibile, non cercando più di divincolarsi dalla sua presa, guardandolo dritto negli occhi.
 
E quegli occhi castani, grandi e apparentemente così innocenti sono l’unica cosa di Ilenia che ancora gli è familiare perché con quel nuovo taglio e quel nuovo colore, nonostante i capelli siano scombinati, spettinati, nonostante le pesanti occhiaie e il colorito pallido, la pelle quasi trasparente, è ancora più bella e ancora più… diversa dall’Ilenia con cui era cresciuto. Non sa perché questo accentui il dolore che gli pulsa nel petto, ma è così.
 
“Lo Scortichini?? Tu pensi che stia parlando dello Scortichini??” esclama, con una risata amara, “la sai una cosa, Ilenia? Lo Scortichini… avrei anche potuto capire perché tu l’abbia ucciso. Non avrei mai potuto condividere quello che avevi fatto, ma avrei potuto comprendere. Ma è… è tutto il resto che non capisco. Mi dici ad esempio che ti aveva fatto di male Marcio, eh? Magari sarà stato fuori di testa, ti avrà creato problemi, non lo so ma… lui si era fidato di te, era amico di tuo fratello e-“
 
“COSA? Mi stai dicendo che Marcio è morto?!” domanda, alzando la voce che sembra fatta di cartavetra.
 
“Ma certo che è morto e lo sai benissimo, Ilenia. Ma pensi davvero che sia così ingenuo, eh? Che abbasserò la guardia e magari riuscirai a farmi fare la stessa fine che hai fatto fare a lui e al Vecchio e-“
 
“Il Vecchio? E chi sarebbe?” lo interrompe Ilenia, guardandolo come se fosse impazzito.
 
“Un povero disgraziato che voleva troppo bene a Marcio e forse anche a te, ecco chi era. A meno che mi vuoi far credere che sia stato proprio Marcio ad ucciderlo ma poco cambia. Perché quello che proprio non riesco… che non riesco nemmeno a concepire è come tu abbia potuto…” si interrompe, la voce che gli si spezza per la rabbia e il male al cuore, per poi sputare fuori in quello che è un urlo, “dio mio, Ilenia! Che male ti possono avere mai fatto Sammy e la prof., eh, me lo spieghi? Perché, perché loro?”
 
Ilenia non parla più, rimane muta gli occhi e la bocca spalancati.
 
“La prof.?? Sammy? Oddio, Marchese, cos’è successo? Sono… sono??” sussurra emettendo un suono strozzato, una specie di rantolo.
 
“No, sono vive, per tua sfortuna e per nostra fortuna sono vive: la tua trappola ha fallito, Ilenia,” rivela, mentre l’espressione di lei muta da un apparente sollievo ad un apparente stupore.
 
“La mia trappola? Ma che cosa stai dicendo?”
 
“Piantala di fare la commedia, Ilenia! Le hai attirate qui, anzi, hai attirato qui la prof. facendo leva sulla sua generosità. Ma per fortuna la prof. ha usato anche la testa, mentre Sammy è corsa qui, perché… perché ti voleva bene e… si sarebbe gettata nel fuoco per te e tu… tu…” le corde vocali lo tradiscono un’altra volta, mentre sente lacrime di rabbia bruciargli negli occhi.
 
“Ma quindi… l’incendio… la sparatoria… oh mio dio…” mormora, spalancando la bocca e chiudendo gli occhi, “Marchese… io… tu non capisci, sono io… sono io che sono finita in trappola e-“
 
“Certo, perché non sei riuscita a fuggire in tempo! E hai ancora la faccia tosta di negare!” grida, senza riuscire più a trattenersi, “incolpi la prof. e il commissario perché lo Scortichini non è stato condannato? È così?! E Sammy cos’era? Un danno collaterale? Perché, maledizione?!”
 
“NO! Ma sei matto??!!! Non farei mai del male a Sammy o alla prof., MAI!” urla di rimando, dimenandosi, prima di emettere un altro rantolo soffocato e scoppiare in un attacco di tosse che sembra toglierle il fiato e scuoterla a tal punto da farla soffocare.
 
Marchese esita un attimo, temendo un altro trucco della ragazza, che sia tutta una strategia per coglierlo di sorpresa e portarlo ad abbassare la guardia. Ma quando la vede boccheggiare, gli occhi iniettati di sangue e pieni di lacrime, si solleva dalle sue gambe, tirandola su a forza fino a farla sedere, dandole dei colpi sulla schiena per aiutarla a respirare.
 
“Ma scotti!” esclama, non riuscendo, nonostante tutto, a non provare un moto istintivo di preoccupazione che si mischia alla rabbia, al dolore, alla nausea e al tradimento, soprattutto quando nota le goccioline vermiglie che cadono come pioggia sul terreno.
 
Come se tutto il sangue versato negli ultimi giorni non fosse ancora abbastanza.
 
***************************************************************************************
 
“Ma sei matto?! Ti costerà una fortuna, anzi, ci costerà una fortuna, perché, se insisti con questa follia, voglio assolutamente fare a metà!”
 
Gaetano si arresta per un secondo, un brivido lungo la schiena nel sentire sul collo e sull’orecchio il fiato caldo di lei. Le parole di protesta sussurrate, quasi sibilate all’orecchio e l’espressione esasperata, il sopracciglio alzato, non fanno nulla per alleviare la tensione carica di elettricità statica che li attraversa, impregnando l’aria fin dalla loro “risoluzione di pace”, attesa, agognata e arrivata proprio nel momento più insperato, dopo avere, per la seconda volta in poche ore, temuto per un attimo di averla persa per sempre. Prima alla morte e poi ad una vita diversa, con un altro uomo al suo fianco.
 
Il loro amore di nuovo aveva resistito, superando tutte le difficoltà e le incomprensioni degli ultimi giorni, anzi, ne era uscito rafforzato, diventando più maturo, più consapevole. Ma, allo stesso tempo, la vicinanza di Camilla, il suo profumo, il suo calore, un suo sguardo, un suo sorriso, anche solo il pensiero di lei, avevano e hanno, come sempre, il potere di farlo tornare adolescente, anzi, peggio che adolescente: perché nemmeno gli ormoni in subbuglio dei suoi sedici anni avevano mai avuto su di lui l’effetto devastante che ha Camilla e solo Camilla. Questa capacità di fargli perdere completamente la testa, la ragione, il controllo e di far sì che, inspiegabilmente, questo non  lo spaventi affatto, anzi, di fargli desiderare di perdere il controllo insieme a lei, di perdersi in lei, di lasciare le redini in mano alla sua imprevedibile professoressa, curioso di scoprire dove lo condurrà.
 
Questa volta Camilla aveva tirato le redini, arrestato con un’impennata i “cavalli” ormai pronti a lanciarsi in una corsa imbizzarrita. Era stata, come spesso accadeva, il suo Grillo Parlante, evitando oltretutto ad entrambi conseguenze a dir poco imbarazzanti.
 
Ma, subito dopo, gli aveva ceduto il timone, lasciandosi guidare da lui senza fare domande, con un sorriso ed un’occhiata carichi di promesse. Il breve viaggio in auto era trascorso in silenzio, pochi sguardi, la mano di lei che aveva sfiorato la sua appoggiata sul cambio per qualche istante, giusto il tempo per una nuova scossa elettrica, ancora più forte delle precedenti, occhi negli occhi, l’aria nell’abitacolo satura, spessa, densa, come prima di un temporale estivo. Camilla aveva ritirato la mano, schiacciandosi quasi inconsciamente verso la portiera, la fronte appoggiata al vetro, guardando il panorama che scorreva rapidamente intorno a loro, mentre lui aveva tentato di concentrarsi solo sulla strada, le mani incollate al volante per cercare di evitare di commettere una pazzia prima di arrivare a destinazione.
 
Quando aveva finalmente accostato, erano scesi dall’auto con una velocità degna di un’azione di polizia, guardandosi per un istante prima di scoppiare a ridere come due ragazzini. Lui l’aveva presa per mano e lei si era di nuovo lasciata guidare – sempre di corsa – verso la loro meta. Ma, arrivati di fronte alla porta girevole e alla facciata di uno degli hotel cinque stelle lusso più celebri – e, di conseguenza, più cari – di Roma, Camilla aveva puntato i piedi, letteralmente, bloccandolo sui suoi passi.
 
“Per quanto riguarda il fare a metà, mi conosci, professoressa, e lo sai benissimo che da quell’orecchio non ci sento,” replica con un sorriso, facendole l’occhiolino e vedendola, per tutta risposta, alzare gli occhi al cielo e scuotere il capo, un’espressione esasperata dipinta sul viso, “e, per il resto, sei tu la mia fortuna, Camilla, l’unica che conti per me e meriti solo il meglio e-“
 
“E per me il meglio è stare con te, insieme, io e te,” lo interrompe dolcemente, continuando a guardarlo fisso negli occhi, allungando la mano per accarezzargli il viso, per poi aggiungere, indicando con l’altra mano l’entrata dell’hotel, “non mi serve altro, non serve… questo.”
 
“Lo so, Camilla, lo so. Lo so che preferisci i biscotti o una lasagna mezzi bruciati, ma fatti col cuore, ad un ristorante a tre forchette. E che preferisci una serata sul divano con un bicchiere di vermouth e una notte passata a casa, nel tuo o nel mio letto, nel nostro letto, a far l’amore, a ridere e a parlare piuttosto che un hotel a cinque stelle,” le sussurra, ricambiando il gesto, sentendo i muscoli contrarsi sotto le sue dita, mentre lei si morde il labbro, prima di lasciarsi andare ad un sorriso raggiante, gli occhi che si scuriscono e brillano commossi, “ma siamo lontani da casa e… essere qui con te oggi, sani e salvi e… insieme… è quasi un miracolo e credo che vada festeggiato come si deve. Permettimi di coccolarti un po’, professoressa: abbiamo poche ore libere a disposizione e poi… saranno probabilmente altri giorni di fuoco e non so quando avremo di nuovo un po’ di tempo per noi due.”
 
“Gaetano…” mormora, stampandogli un rapido bacio, prima di trascinarlo in un abbraccio fortissimo, che lui ricambia, praticamente sollevandola da terra, mentre lei gli soffia nell’orecchio, con quel tono affettuosamente esasperato che lo ha sempre fatto impazzire, “come devo fare con te? Me lo spieghi?”
 
“Per cominciare potresti entrare con me in questa hall, professoressa, e poi sono sicuro che, con la tua immaginazione e il tuo intuito, non avrai bisogno di alcuna spiegazione,” replica ironico, guadagnandosi un colpo al costato, per poi sentirsi afferrare per il bavero e ritrovarsi di nuovo quelle labbra morbide sulle sue in un altro bacio, seguito da un lieve morso al labbro inferiore.
 
“Andiamo, Berardi: facciamo questa pazzia, prima che cambi idea,” sussurra, prendendolo per mano e avviandosi verso l’entrata, senza dargli nemmeno il tempo di riprendersi del tutto. Stanno per entrare nella porta girevole, sotto gli occhi incuriositi del portiere, quando lei si arresta bruscamente.
 
“Hai già cambiato idea?” mormora semiserio, guardandola confuso, stupito e divertito.
 
“No… è che… possiamo davvero entrare qui dentro conciati così? Già io non sono esattamente elegante ma tu… sei peggio di Bruce Willis verso la fine di un Die Hard qualsiasi. Sembra che tu abbia fatto la guerra,” gli fa notare, indicando la maglietta e i jeans affumicati, che spiccano chiaramente anche sotto la giacca sportiva recuperata dal bagagliaio dell’auto e quindi pulita. Del resto era troppo presto e i negozi di abbigliamento erano ancora tutti chiusi, anche se avrebbero riaperto da lì a poco.
 
“Non ti preoccupare e lascia fare a me, professoressa,” la rassicura con un sorriso, varcando insieme a lei la soglia e conducendola a passo sicuro, né troppo lento, né troppo rapido, verso il bancone della reception.
 
“Posso aiutarvi?” domanda il concierge, un uomo sulla sessantina, l’aria solenne da maestro di cerimonie, lanciando loro un’occhiata dubbiosa.
 
“Sì, vorremmo una camera,” replica Gaetano con un sorriso gentile ma non esagerato e un tono neutro.
 
“Una doppia standard? Per quanto tempo? Avete bagagli?” chiede l’uomo con un tono che indica che conosce chiaramente la risposta a quelle domande, squadrandoli di nuovo da capo a piedi.
 
“Sì, per una notte, anzi, diciamo più probabilmente per qualche ora. Niente bagagli,” conferma Gaetano, estraendo il portafoglio e aprendolo per prendere i documenti, mostrando indirettamente il distintivo, per poi aggiungere, con nonchalance, “capisco che non sia una richiesta usuale, soprattutto non a quest’ora, ma-“
 
“Si figuri,” replica l’uomo, apparendo immediatamente più disteso, “del resto, credo che il suo lavoro, dottore, proprio come il mio, insegni che le circostanze usuali praticamente non esistono.”
 
Gaetano sta per rispondere quando la giovane receptionist che stava registrando la sua carta d’identità, lo squadra di nuovo prima di domandargli: “lei era nell’incendio al vecchio Luna Park? L’ho vista in televisione.”
 
“Sì, purtroppo sì,” conferma Gaetano, per poi indicare i suoi vestiti, “infatti, le assicuro che di solito non vado in giro con gli abiti anneriti di fumo, ma-”
 
“Ma i negozi qui fuori non sono ancora aperti,” interviene il concierge con un sorriso comprensivo, “se vuole abbiamo un negozio interno molto fornito, sarebbe chiuso ma ovviamente posso fare un’eccezione. Potrei farle portare una camicia e un paio di pantaloni nuovi. Cotone?”
 
“Grazie, va benissimo. La mia taglia è-“
 
“Non si preoccupi, dopo quasi quarant’anni di servizio, ormai potrei intuire la taglia di una persona, uomo o donna, da metri di distanza,” lo interrompe il concierge, scrivendo un paio di appunti a penna su un post-it e porgendolo alla receptionist, “Elena, per favore, consegnalo alle ragazze del negozio e portami qui quello che c’è indicato. Intanto registro la sua signora. Immagino che sarete entrambi stanchi dopo la nottata e… non vorrete essere più disturbati, giusto?”
 
“Perfetto, la ringrazio,” conferma Gaetano, mentre Camilla arrossisce lievemente alle implicazioni della frase dell’uomo, che, con quegli occhi grigi quasi quanto i capelli, sembra in grado di scrutare fin nei più reconditi meandri dell’animo umano.
 
Consegna la carta di identità con una certa apprensione, sa benissimo che c’è quella scritta – stato civile: coniugata – che la mette un po’ a disagio, nonostante tutto. Ma l’uomo o non la nota o fa finta di nulla, terminando di sbrigare le formalità, mentre Elena ritorna con una shopper in mano, porgendola a Gaetano.
 
“Suite numero 5, sesto piano,” proclama poi il concierge, appoggiando una scheda magnetica sul bancone.
 
“No, mi scusi, ma ci deve essere stato un malinteso: vorremmo una camera standard, non la suite,” chiarisce Camilla, dopo aver scambiato uno sguardo preoccupato con Gaetano: va bene la follia, ma non vuole certo che Gaetano debba accendere un mutuo.
 
“Lo so ma… l’upgrade lo offre la casa. In fondo si tratta solo di poche ore,” replica l’uomo con un sorriso gentile.

“Guardi, la ringrazio molto ma non posso assolutamente accettare. La prego, mi dia una stanza normale,” ribatte Gaetano con tono altrettanto gentile ma fermo, spingendo la tessera verso l’altro uomo.
 
“Mi permetto di insistere: non è un problema per noi, molte delle suite sono libere e-“
 
“No, guardi, non ci siamo capiti: o mi dà una stanza normale o mi costringe a pagare per una suite e quindi, di fatto, a cambiare hotel. A lei la scelta. E ovviamente, in ogni caso, mi dica anche quanto vi devo per questi,” reitera Gaetano, una nota più dura nella voce.
 
“Se tutti i nostri pubblici ufficiali fossero come lei, questa sarebbe una città migliore e vivremmo in un paese migliore, dottor Berardi,” replica l’uomo con un sorriso ancora più ampio e tono ammirato, prima di aggiungere, “ma è lei che mi fraintende, mi creda. Il suo distintivo non c’entra nulla con la mia offerta. Diciamo che è una semplice cortesia verso il figlio di quella che è stata una delle nostre migliori clienti, con l’augurio che la vostra famiglia possa tornare a frequentare il nostro hotel anche in futuro.”
 
“Mia madre?” chiede Gaetano, spiazzato, avvertendo il solito dolore sordo nel petto che accompagna quelle due parole.
 
“Sì. Donna Eleonora soggiornava spesso qui da noi, molti anni fa. Non mi stupisce che lei non se ne ricordi, perché l’ultima volta che lei e sua madre siete stati nostri ospiti, lei non arrivava nemmeno all’altezza del bancone,” rivela il concierge, per poi aggiungere, una nota malinconica nella voce, “sua madre era una vera Signora, una delle ultime. Di classe, elegante e soprattutto sempre cortese e… umana con tutti noi dello staff, anche con me che ero un semplice portiere, diciamo pure un facchino, come tanti altri.”
 
“Di mio padre posso immaginare che non abbia invece un ricordo altrettanto positivo,” replica Gaetano con un velo di amarezza, conoscendo benissimo il carattere e i modi di Vittorio Gaetano Berardi, soprattutto quando aveva a che fare con qualcuno che reputava a lui inferiore.
 
“Diciamo che non ho avuto il piacere di frequentarlo per il tempo necessario per poter avere un ricordo di lui,” risponde il concierge in modo diplomatico, per poi aggiungere, in un evidente tentativo di cambiare il discorso che non sfugge affatto a Gaetano, “però, immagino che lei e la sua signora siate stanchi e non voglio trattenervi. La prego di accettare, dottor Berardi, anche perché, pur pagando il prezzo della camera standard, in proporzione, è praticamente come se pagaste il prezzo di una suite, visto che la occuperete per poche ore. E poi le garantisco che non ho mai fatto nulla in vita mia per cui debba avere bisogno di corrompere un funzionario di polizia e, arrivato alla mia veneranda età, dubito di cambiare abitudini.”
 
“D’accordo, d’accordo, accetto, anche perché non voglio certo offenderla,” sospira Gaetano, non riuscendo a trattenere un sorriso, e proseguendo con tono ironico, “però, in quanto al ritornare ad essere clienti abituali, temo di doverle dare una delusione e penso che possa intuirne il motivo: dubito che avrà molti poliziotti tra la sua clientela.”
 
“In effetti no, ma non importa. La signorilità non ha nulla a che vedere con il denaro e chi fa il mio lavoro lo sa bene. Lei ha preso molto da sua madre, dottor Berardi e lei e la sua signora sarete sempre ospiti più che graditi qui, magari in circostanze più tranquille,” proclama il concierge, con un altro sorriso, “ora vogliate scusarmi, ma mi chiamano dal ristorante. Vi auguro un buon soggiorno e, per qualsiasi necessità, non esitate a chiamarmi.”
 
Con un ultimo sguardo all’uomo, Gaetano e Camilla si avviano verso l’ascensore.
 
“Che uomo… sembra uscito da un film d’altri tempi,” commenta Camilla sottovoce, per rompere il ghiaccio, avendo notato quanto Gaetano si sia fatto silenzioso e pensieroso.
 
“Già…” sospira, entrando con lei in ascensore, “sai… è assurdo ma… non mi ricordo assolutamente di essere stato qui con lei. Però tra tutti gli hotel a cinque stelle che ci sono qui in zona, ho scelto proprio questo…”
 
“Beh, a volte ci sono cose che non ricordiamo consciamente ma che ci lasciano… un’impronta, no?” sussurra Camilla, accarezzandogli il viso, incrociando quegli occhi improvvisamente malinconici con i suoi, indecisa se e quanto chiedere. Ma, oltre alla malinconia, c’è tanta stanchezza in quelle iridi azzurre: sono entrambi esausti fisicamente ed emotivamente ed intuisce che non è il momento adatto per affrontare un argomento così… viscerale e complesso per Gaetano. Del resto, ci deve essere un motivo, se lui non le ha ancora mai parlato dei suoi genitori e della sua infanzia, mentre non aveva esitato a mettersi a nudo con lei su molti altri aspetti e momenti bui e difficili della sua vita.
 
“Il mio vicequestore incorruttibile: hai un’idea di quanto sono orgogliosa di te?” gli domanda invece, non appena le porte dell’ascensore si richiudono, abbracciandoselo più forte che può e ritrovandosi, di nuovo, sollevata in aria.
 
“Tranne che per un’unica eccezione, professoressa: tu sei sempre stata bravissima a corrompermi,” le mormora all’orecchio dopo qualche istante, soffiando sulla pelle delicata appena sotto al lobo e posandovi un paio di baci, facendola ridere e tremare per il solletico e non solo…
 
“Anche tu sei sempre stato bravissimo a corrompermi e a tentarmi, dottor Berardi,” mormora di rimando, prima di ricambiare il favore mordicchiandogli il lobo in un modo che quasi fa perdere ad entrambi l’equilibrio: Gaetano riesce per fortuna ad appoggiare la schiena alla parete dell’ascensore e ad evitare una rovinosa caduta.
 
Si guardano e scoppiano di nuovo a ridere come due adolescenti, dissolvendo del tutto quella cappa malinconica e opprimente. Ed è il turno di Gaetano di accarezzarle dolcemente il viso, commosso e grato alla sua professoressa per il modo in cui sembra sempre leggergli dentro e capire di cosa realmente ha bisogno.
 
“Adoro corromperti e tentarti, professoressa… e adoro quanto alla fine cedi e ti lasci corrompere e tentare,” confessa, sfiorandole con le dita le labbra ancora dischiuse in un sorriso, prima di baciarla delicatamente, sulle palpebre e sulla punta del naso, per poi catturare quelle labbra con le sue.
 
“Adoriamo… esattamente… le stesse cose…” ammette lei tra un bacio e l’altro, accarezzandogli i capelli e il collo, fino a che ogni pensiero razionale svanisce, ritrovandosi compressa contro la parete, avvolta dal peso e dal profumo di lui, appesa alle sue spalle per non scivolare: le ginocchia di gelatina, completamente persa in quel bacio.
 
“Ehm… ehm…”
 
La voce sconosciuta li fa sobbalzare, interrompendo bruscamente quel contatto ormai fin troppo passionale, visto il contesto.
 
“On your honeymoon?” domanda un signore rubizzo sulla sessantina con forte accento americano, probabilmente texano, guardandoli con aria divertita.
 
“Sorry!” esclamano all’unisono, raccogliendo il sacchetto abbandonato a terra e avviandosi verso la porta, i volti paonazzi.
 
“No problem! Have fun, while it lasts!” ribatte l’uomo con una risata, prima di premere il pulsante per richiudere le porte e sparire dalla loro vista.
 
“La mia Jessica…” sussurra Gaetano con una faccia da schiaffi, dopo qualche secondo trascorso a guardarsi imbarazzati, guadagnandosi un pizzicotto nel fianco, passandole un braccio intorno alle spalle e cominciando ad avviarsi con lei verso la suite.
 
“Piantala, Ivano, se non vuoi fare una brutta fine,” lo minaccia scherzosamente Camilla, stringendosi però di più a lui e nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, per poi posarvi un paio di baci ben poco casti, facendolo tremare.

“Camilla… Camilla… se continui così… alla suite non ci arriviamo e… finisce che ci arrestano davvero per atti osceni in luogo pubblico,” riesce a mormorare tra un bacio e l’altro, sorpreso ed incantato dall’iniziativa di lei, ma allo stesso tempo temendo la foschia che gli annebbia la vista e i sensi e che si fa sempre più spessa.
 
“Guarda che siamo già arrivati,” gli sussurra all’orecchio prima di scoppiare in una mezza risata, mentre lui, imbarazzato, apre gli occhi e constata che è vero, “riesci ad aprire la porta, dottor Berardi o lo faccio io?”
 
Divertito ed esasperato, con una certa fatica, striscia infine la chiave magnetica e, in qualche modo, riescono ad aprire la porta e a richiudersela dietro alle spalle, per poi perdere il controllo e ritrovarsi nuovamente avvinti in un bacio che non lascia il tempo né di ragionare, né di respirare.
 
Camilla, la schiena incollata alla porta, la testa leggera, con mano tremante riesce infine a trovare a tastoni l’interruttore principale della suite, inondando la stanza di luce.
 
“Gaetano… Gaetano…” sussurra, cercando di sottrarsi per un attimo ai suoi baci, prima di perdere del tutto il senno, sollevandogli il mento con le mani e guardandolo negli occhi per fermarlo, “vuoi davvero rimanere sulla porta, con un’intera suite a nostra disposizione?”

“Hai ragione, professoressa,” ammette, staccandosi lievemente da lei con sommo sforzo, per poi abbracciarla da dietro e iniziare ad avanzare con lei verso il salone principale, sussurrandole maliziosamente all’orecchio, continuando a tormentarle il collo di baci, “abbiamo molte stanze da inaugurare. Da dove iniziamo?”
 
“Bagno,” pronunciano praticamente in contemporanea, dopo essersi guardati per un secondo, avvertendo entrambi la necessità di lavare via il sangue, il fumo e le tragedie delle ultime ore.
 
Incespicando, tra baci, carezze e risa soffocate da altri baci, circumnavigano il mobilio opulento, fino ad arrivare alla meta.
 
“Ma questa è una piscina, non una vasca!” sospira Gaetano, lanciando un’occhiata all’enorme jacuzzi e poi a Camilla.
 
“Non temere, dottor Berardi, ho un paio di idee per ingannare il tempo mentre la vasca si riempie,” proclama con un sorriso felino, sembrando leggergli nel pensiero, dopo aver aperto al massimo i rubinetti.
 
“Ah, sì?” mormora, ricambiando il sorriso, stringendola di nuovo a sé.
 
“Sì,” conferma, togliendogli lentamente la giacca.
 
“Adoro le tue idee, professoressa, te l’ho mai detto?” esala con voce roca, prima di ricambiare il favore, sfilandole languidamente la tunica e iniziando a tracciare scie di baci su ogni centimetro di pelle esposta.
 
Camilla a sua volta riesce a liberarlo dalla maglia nerofumo. Si fermano un secondo, negli occhi, negli sguardi è vivida la drammatica consapevolezza di quanto poteva accadere, fino a che Camilla getta l’indumento a terra e, con esso, ogni pensiero negativo. Riprendono a baciarsi in maniera quasi disperata, decisi a lasciar fuori tutto il resto del mondo.
 
I vestiti spariscono, uno dopo l’altro, mentre l’aria si fa densa, calda, carica di vapore, di respiri e di elettricità. Camilla è appena riuscita a vincere la battaglia contro la chiusura dei jeans di Gaetano, che li calcia via con un mugugno soddisfatto, che riverbera sulle labbra di lei, ancora incollate alle sue, quando un suono metallico e freddo, così estraneo alla melodia di sospiri, gemiti e sussurri, si fa pian piano largo tra le piastrelle e gli specchi appannati del bagno.

“Telefono…” esala Camilla, staccandosi per prendere aria, “il tuo…”
 
“Lascialo squillare…” mormora cercando di baciarla di nuovo, deviando poi sul collo quando lei volta il viso.
 
“No, può essere importante… un’emergenza… lo sai,” riesce a pronunciare, bloccandogli il viso e portandolo a guardarla negli occhi, “Gaetano, devi rispondere, lo sai.”
 
“Sì, hai ragione,” sbuffa, benedicendo e maledicendo insieme il buonsenso di Camilla, per poi aggiungere, facendola ridere, “se mi trovo davanti quel genio che ha inventato i cellulari…”
 
“Pronto!” esclama nel ricevitore, cercando di regolarizzare il respiro, di non far sentire il fiatone e di non lasciare trasparire l’irritazione.
 
“Ah, signor questore, sì, buongiorno. Come? No… si figuri, non mi disturba… stavo… stavo per andare a dormire,” abbozza, lanciando un’occhiata a Camilla che trattiene a fatica una risata, “è successo qualcosa? Come? Lei è da De Matteis e vuole che vi raggiunga? Adesso?”
 
“Vai, vai!” sussurra Camilla, decisa, sapendo che, con tutto quello che c’è in ballo, Gaetano non può certo dire di no al questore.
 
“Ok, d’accordo, sarò lì tra poco… a dopo.”
 
“Il questore vuole che torni all’ospedale per parlare con lui e De Matteis. A quanto pare dopo ha degli impegni improrogabili e non si poteva rimandare… Però mi ha assicurato che sarà una cosa breve e poi avrò tempo di… riposarmi,” spiega, mentre la voce assume un tono ironico e malizioso sull’ultima parola, “puoi perdo-“
 
“Shh, non serve che ti scusi di niente. È il tuo lavoro e lo so come funziona. Vuoi che ti accompagni?” lo rassicura, posandogli un dito sulle labbra.
 
“No, meglio di no. Senti… perché non rimani ad aspettarmi qui? Ti rilassi… magari ti fai un bel bagno, ordini una buona colazione, ti riposi un po’ e… vedrai che sarò subito di ritorno,” assicura con voce ancora arrochita, “e ti prometto che riprendiamo esattamente da qui.”
 
“Mi dispiace, ma io invece non posso promettertelo perché… mentre sarai via, nell’attesa… potrebbero venirmi molte altre idee…”
 
“Ah, sì? E di che tipo?” le chiede, non potendo evitare di sorridere, una fitta al cuore che accompagna quelle dettate dal desiderio, che si ammorbidisce e diventa più lancinante allo stesso tempo.
 
“Torna presto e lo scoprirai…” proclama facendogli l’occhiolino e posandogli un ultimo rapido bacio sulle labbra, prima di raccogliere i suoi vestiti e avviarsi verso la porta, “ti lascio il bagno, così puoi prepararti. Nel frattempo vado al bar dell’hotel a fare colazione, onde evitare tentazioni.”
 
“Sei troppo saggia per me, professoressa, te l’ho mai detto?” sussurra, raggiungendola in due rapide falcate, accarezzandole delicatamente il viso, “non so se amo di più la tua saggezza o i tuoi attimi di follia.”
 
“Potrei dire esattamente lo stesso di te, dottor Berardi.”
 
Un sorriso, un ultimo bacio dolce e languido, un’ultima occhiata e Camilla trova finalmente la forza di uscire dal bagno, richiudendo la porta dietro di sé, affrettandosi a rivestirsi e uscire dalla suite, prima di cambiare idea.
 
Si torna alla realtà.
 
***************************************************************************************
 
“Quindi, dopo aver discusso insieme il da farsi, il dottor De Matteis mi ha confermato che, visto che per qualche giorno almeno sarà bloccato qui e non potrà occuparsi direttamente delle indagini, vorrebbe che le supervisionasse lei, Berardi.”
 
Gaetano lancia uno sguardo a De Matteis per accertarsi che questa decisione sia davvero sua e non sia in realtà un’imposizione del questore. De Matteis ricambia, incontrando i suoi occhi per la prima volta da quando era entrato nella stanza.
 
“Sì, mi sembra la soluzione migliore. Io devo stare a riposo, sono limitato nei movimenti e dovrò fare riabilitazione, insomma, non ho le energie fisiche e mentali necessarie per occuparmi di un caso di questa gravità come merita. E lei Berardi, conosce tutti i dettagli del caso Scortichini, oltre a conoscere tutti i dettagli del caso di Mauro Misoglio e la Misoglio stessa. Penso che sia la scelta più logica e naturale e che nessuno più di lei sia in grado di occuparsene e di affiancare Grassetti, Marchese e Lorenzi. Il questore mi ha detto che li ha già supervisionati nelle scorse ore e che lavorate molto bene in squadra.”
 
Gaetano si sorprende nel non sorprendersi del fatto che De Matteis abbia taciuto al questore della sospensione di Marchese, che quindi, di fatto, è come se non fosse mai avvenuta. Non sa quando e come sia avvenuto, ma ha iniziato a fidarsi di De Matteis, nonostante tutto quello che era successo tra loro da un punto di vista professionale, e anche personale, da quando si erano conosciuti. O forse proprio per questo.
 
“In realtà il grosso del lavoro di supervisione l’ha fatto l’agente Grassetti mentre l’agente Marchese e io eravamo qui in ospedale. E se l’è cavata davvero egregiamente,” interviene Gaetano, alternando lo sguardo tra il questore e De Matteis, “come del resto l’agente Marchese. Ha una squadra di ottimi elementi, De Matteis, quindi non è difficile lavorare bene con loro. E sono onorato che abbiate pensato a me e ovviamente, come voi, voglio fare qualsiasi cosa per ritrovare e fermare il colpevole o i colpevoli e chiudere questo caso prima che succedano altre tragedie, ma… le ferie che avevo sono già terminate e sarei dovuto rientrare ieri e… conoscete entrambi il carico di lavoro di una squadra omicidi meglio di me. Devo sentire il questore di Torino e capire se posso restare, insomma, non è certo una procedura usuale.”
 
“No, non lo è, ma non lo è nemmeno la situazione, visto che siamo in un’emergenza. E, prima di farle questa proposta ufficialmente, ho già contattato personalmente il mio collega di Torino per chiedergli se avesse qualche obiezione in proposito, onde evitare incidenti diplomatici e… beh… i telegiornali li ha visti anche lui ed era molto preoccupato. Quindi, ovviamente, si metta d’accordo con lui personalmente ma, da come mi ha parlato, sono sicuro che non abbia obiezioni per questo… per questo prestito. Anche perché mi auguro che lei, dottor De Matteis, si riprenda presto e che si possa arrivare a chiudere questo caso nel più breve tempo possibile. A questo punto, dopo questa escalation di violenza… abbiamo il fiato sul collo da parte dell’opinione pubblica e dobbiamo fermare Ilenia Misoglio ed eventuali complici, prima che si diffonda il panico o che ci siano altre vittime.”
 
“Capisco,” annuisce Gaetano, trattenendo un sospiro: non che non desiderasse occuparsi del caso, anzi, dopo quello che era successo è diventata ancora di più una questione personale, ma è evidente che, come sempre, il consenso suo e di De Matteis erano mere formalità. La macchina politica si era già messa in moto e i piani alti avevano già deliberato.
 
“Ora immagino che avrà bisogno di qualche ora di riposo, Berardi, si vede che è esausto, del resto non si è fermato un attimo da più di 24 ore a questa parte. Ma questa sera voglio indire una conferenza stampa e voglio che ci sia anche lei al mio fianco, insieme al PM, per chiarire che, nonostante l’attacco diretto al corpo di polizia e il ferimento del dottor De Matteis, le indagini proseguono senza indugi. Se le fosse possibile, dottor De Matteis, vorrei anche avere un breve comunicato da parte sua da leggere pubblicamente, per chiarire la sua situazione di salute e che continuerà comunque ad interessarsi al caso insieme al dottor Berardi.”
 
“Certo, signor questore,” rispondono, quasi meccanicamente, dopo essersi lanciati un’occhiata breve quanto significativa.
 
“Perfetto, allora vi lascio, ho diverse riunioni urgenti,” si congeda, dopo aver ottenuto quello che voleva, per poi esitare, una volta giunto sulla porta, “ah, scusate, quasi dimenticavo. Lei De Matteis mi aveva detto che volevate venire a colloquio da me, anche con l’ispettore Mancini e l’agente Marchese. Di che si trattava?”
 
“Niente che non si possa rinviare, signor questore, soprattutto dopo gli eventi delle ultime ore,” ribatte De Matteis, dopo un attimo di esitazione, “diciamo che riguardava in parte l’intervento del dottor Berardi nelle indagini e in parte l’ispettore Mancini e… i suoi rapporti con l’agente Marchese.”
 
“Per via della moglie di Mancini, immagino,” replica il questore, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, guadagnandosi un’occhiata stupita da entrambi gli uomini, “suvvia, De Matteis, i pettegolezzi della questura li conosco alla perfezione e il fatto che Mancini si sia sposato con la ex dell’agente Marchese, e che ne sia molto geloso, è una delle ragioni più frequenti di gossip. Tra l’altro, a proposito di Mancini, so che indubbiamente è un ottimo elemento, dedito al suo lavoro, ma… ho sentito alcune voci contrastanti sul suo conto. Immagino che lei già vigili sul suo operato, dottor De Matteis, poi ora siete entrambi infortunati, però… non vorrei che nel suo… fervore, per così dire, Mancini un giorno andasse troppo oltre e la cosa diventasse di pubblico dominio. Lei sa benissimo che quando un poliziotto sbaglia e commette delle irregolarità, la notizia ha mille volte più risonanza e impatto sull’opinione pubblica di quando un poliziotto invece fa bene il suo lavoro e magari perde pure la vita in servizio. Quindi ci parli e… lo tenga d’occhio.”
 
“Sì… certo, signor questore,” pronuncia a fatica De Matteis, sentendosi improvvisamente come il marito pluricornuto che, scoperta l’infedeltà della moglie, si rende conto che tutti sapevano e se ne erano resi conto tranne lui. Come aveva potuto essere così cieco?
 
“Benissimo. E, sempre a proposito di Mancini, salutatemelo voi, se avrete occasione. Io passerò a trovarlo nei prossimi giorni, oggi purtroppo non ce la faccio. Bene, buona giornata, ci sentiamo più tardi per il comunicato stampa.”
 
E, senza attendere risposta, il questore volta i tacchi e se ne va, richiudendo la porta dietro di sé.
 
“Speriamo che questa visita a Mancini ritardi il più possibile… non so cosa potrebbe riferirgli e… abbiamo cose più urgenti a cui pensare…”
 
“Non credo: anche il questore ha cose più urgenti a cui pensare, che fare visita a Mancini. Politica, pubbliche relazioni e politica… sono queste le sue preoccupazioni principali. Certe cose non cambiano mai,” sospira Gaetano, osservando De Matteis che ha ancora più l’aria di qualcuno appena travolto da un tram in corsa.
 
“Già… ma forse dovrei preoccuparmene un po’ di più anche io, almeno delle pubbliche relazioni. Sia lei che il questore sembrate conoscere i miei uomini molto meglio di quanto li conosca io,” sospira di rimando De Matteis, amaro.
 
“Nemmeno io sopporto la politica e le pubbliche relazioni, De Matteis, ma quelle con i nostri uomini non sono pubbliche relazioni, sono un aspetto fondamentale del nostro lavoro. Noi dobbiamo organizzare le persone e i mezzi necessari per portare a termine con successo le indagini e i compiti a noi richiesti. E per organizzare bene le persone, per gestirle bene, per poter fare in modo che diano il meglio, dobbiamo necessariamente conoscerle.”
 
“E io non conosco i miei uomini e quindi non sono in grado di gestirli, è questo che sta dicendo?” domanda, guardandolo di nuovo negli occhi.
 
“No, non proprio. Sia Grassetti che Marchese sono stati ineccepibili durante tutta questa emergenza, De Matteis: li ha istruiti bene, questo devo riconoscerglielo.”
 
“Ma hanno dato il meglio solo quando c’era lei a dirigerli… il questore mi ha descritto come si è comportata Grassetti, con quale sicurezza e decisione e… con me non è mai stata così,” ammette De Matteis, sempre più disilluso, con un’onestà che quasi spaventa Gaetano.
 
“Perché non le ha mai dato occasione di camminare con le sue gambe. Ma non sono stato io a insegnare a Grassetti come dirigere un’indagine di polizia, o a fare capire a Marchese come ci si comporta in una situazione di emergenza quando ci sono persone da salvare. L’hanno imparato da lei, De Matteis, vedendo come lavora, seguendo il suo esempio: quello che le manca, forse, è solo capire quando è arrivato il momento di delegare e quanto i suoi uomini possano cavarsela anche da soli. Comprendere le loro reali capacità e farle capire anche a loro, senza che si montino la testa, ma senza nemmeno proteggerli troppo. Non è una cosa facile, De Matteis, si impara con gli anni e non sempre ci si riesce, almeno io non sempre ci riesco.”
 
“La sa una cosa, Berardi? Quando il questore ci ha lasciato soli mi aspettavo… non so bene cosa mi aspettavo da lei, dopo quanto è successo prima, considerato quanto mi sembra geloso e protettivo nei confronti di Camilla ma non… non questo… con lei che addirittura mi incoraggia e giustifica i miei errori,” commenta De Matteis con una mezza risata amara, “devo sembrarle proprio messo male, su questo letto di ospedale, ancora mezzo intontito dall’anestesia. Le faccio pena, non è vero?”
 
“No, anche perché mi sembra che l’anestesia più che intontirla, le tolga tutti i freni inibitori, De Matteis,” ribatte Gaetano con un velo di sarcasmo, “ma sinceramente quasi la preferisco così, escludendo la parte in cui ci prova con la donna che amo e i momenti di autocommiserazione. E comunque le sono e le sarò per sempre grato per aver salvato la vita a Camilla e, già solo per questo, non ce l’ho con lei, anche perché sarebbe un po’ ipocrita da parte mia avercela con lei, visto che mi sono trovato nella sua stessa identica situazione. Ci sono passato anche io, De Matteis, e so come si deve sentire in questo momento e ricordo benissimo quanto non sia piacevole.”
 
“Già… ma almeno lei ha avuto e avrà un finale diverso dal mio, Berardi. È un uomo davvero fortunato e spero che se renda conto.”
 
“Lo so,” ammette semplicemente Gaetano, per poi aggiungere, dopo un attimo di riflessione, “non è per questo che ha accettato la proposta del questore, vero? Per senso di colpa nei miei confronti? Perché, se è così, non era necessario.”
 
“No. A parte che non avevo molta scelta ma, comunque, sono convinto davvero che sia la scelta migliore. Lei è un ottimo poliziotto Berardi, oltre che un’ottima persona, mi tocca ammetterlo. E ringrazio lei e sua sorella per la trasfusione, soprattutto considerati… i rapporti pregressi tra noi.”
 
“Si figuri. So che, al mio posto, avrebbe fatto lo stesso, De Matteis,” minimizza Gaetano, sorprendendosi nuovamente nel constatare che non è una frase fatta, ma che ne è realmente convinto.
 
De Matteis sta per rispondere quando, di nuovo, il suono del cellulare di Gaetano rompe il silenzio e la tranquillità dell’ospedale. Lo estrae e guarda il display: Marchese.
 
“Pronto, Marchese, che succede? Dove sei? Cosa? Al pronto soccorso? Ma… cosa??!! Arrivo subito!”
 
***************************************************************************************
 
Si sveglia di soprassalto, il cuore in gola, la sensazione di avere avuto un sonno turbolento ma di non ricordare esattamente il perché. Tasta il materasso ma lui non c’è e poi si guarda intorno, spaesata, in quella stanza enorme e lussuosa e finalmente ricorda tutto.
 
“Gaetano!” prova a chiamare, sapendo già che non risponderà nessuno, anche se non può evitare un moto di delusione quando il silenzio della stanza conferma le sue supposizioni.
 
Afferra il cellulare sul comodino che segna le 15 e un paio di chiamate perse. Sua madre, nulla da lui. Nemmeno un messaggio.
 
Si mette a sedere, le lenzuola di seta che le accarezzano la pelle nuda, sentendosi improvvisamente ridicola, una specie di Maja Desnuda di mezza età, in un letto freddo e troppo grande, in una stanza, in un mondo che non le appartiene.
 
Aveva atteso e atteso e atteso, prima di decidersi ad aspettarlo a letto, vestita solo del profumo del bagnoschiuma e dello shampoo – per lei niente Chanel n° 5 – e, ben presto, aveva ceduto al sonno.
 
Prova a comporre il suo numero ma il cellulare è – ma guarda un po’ che sorpresa – staccato.
 
Un senso di oppressione al petto, mentre la sua fantasia, alimentata dagli eventi drammatici delle ultime ore, si popola di immagini ancora più drammatiche.
 
Senza nemmeno pensarci, esce dal letto, afferra il telecomando del maxischermo che occupa una parete della stanza e accende il televisore, aspettandosi scene apocalittiche. Ovviamente incontra invece solo l’ennesima replica di una serie anni ottanta che popola, come ogni estate, il palinsesto delle reti generaliste.
 
Gira su uno dei canali all-news che ultimamente sembrano spuntare come funghi e, dopo qualche secondo di attesa, dopo notizie di politica estera, vede scorrere sul sottopancia scarlatto la scritta: “Incendio al Luna Park: fermata Ilenia Misoglio.”
 
Non sa se sia più forte il sollievo, nel comprendere che non è successo nulla a Gaetano o il senso di nausea e di smarrimento.
 
Non è possibile, non è possibile – continua a ripetersi come un mantra, tornando verso il letto per riprendere in mano il cellulare e cercare qualche notizia su internet. Non è mai stata brava con la tecnologia ma… di necessità virtù.
 
“…E ora per l’incendio al vecchio Luna Park di Roma ci colleghiamo con la nostra inviata al policlinico. Ci sono novità? È confermato quindi il collegamento con il caso Scortichini e l’arresto della Misoglio?”
 
La voce la fa bloccare sui suoi passi, si volta e alza il volume, osservando la giornalista, ferma davanti all’ospedale.
 
“No, qui nessuna novità. Ci è stato solo confermato che Ilenia Misoglio è stata trasportata qui di urgenza questa mattina, sembrerebbe per problemi respiratori. Ricordiamo che qui al policlinico sono anche ricoverati il dottor De Matteis, l’ispettore Mancini e la dottoressa Lo Bue, feriti durante gli eventi al Luna Park. Il questore ha annunciato una conferenza stampa per stasera alle 20. Nel frattempo abbiamo provato ad intercettare il dottor Berardi, che però non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Il vicequestore Berardi è a capo della omicidi di Torino e, vi ricorderete, si era occupato del caso dell’omicidio del punkabbestia del Pincio, il fratello della Misoglio, caso in cui lo Scortichini era il principale indiziato, poi prosciolto in appello per mancanza di prove. È evidente il collegamento tra i due casi e si pensa che la Misoglio abbia ucciso lo Scortichini per vendicare il fratello. La presenza del dottor Berardi al Luna Park e qui in ospedale fa presupporre quindi una collaborazione con il dottor De Matteis e, da voci di corridoio, sembrerebbe che l’indagine sia ora affidata a lui, visto che la prognosi del dottor De Matteis non è stata ancora sciolta e che il tutto verrà confermato durante conferenza stampa di stasera. Ma, a questo punto, il caso potrebbe già essere risolto.”
 
Camilla osserva le immagini che scorrono: un paio di riprese di Gaetano che entra in ospedale, circondato dai giornalisti, riprese del Luna Park, foto di Ilenia, dello Scortichini e immagini di repertorio del caso di Black.
 
Spegne: ha sentito e visto abbastanza.
 
***************************************************************************************
 
“È sicura di non volersi fermare anche stanotte? Può fare checkout domattina…”
 
“La ringrazio ma ho degli impegni familiari da rispettare e… il mio compagno ha molti impegni sul lavoro, improrogabili…”
 
“Sì, ho visto i telegiornali, ma il dottor Berardi prima o poi dovrà pur riposarsi e rilassarsi e anche lei. Tenga la chiave, se non tornate nel frattempo, le faccio il checkout domattina. I dati della carta di credito del dottor Berardi li ho già e non paghereste comunque un euro in più.”
 
“No, davvero, la ringrazio molto ma conosco Gaetano e… conosco anche me stessa e avremo altro per la testa, non riusciremmo comunque a rilassarci, senza nulla togliere al vostro hotel che è bellissimo. Mi dica quanto le devo, così saldo il conto.”
 
“Il conto è già a carico della carta del dottor Berardi e, anche se non posso dire di conoscerlo quanto lo conosce lei, per quel poco che ho visto, credo che verrebbe a protestare personalmente, se sapesse che le ho permesso di pagare al posto suo,” commenta il concierge con un sorriso.
 
“Touché…” ammette, sorridendogli di rimando, mentre l’uomo compie le operazioni necessarie per il checkout, consegnandole le ricevute. Compila poi a mano un cartoncino, lo firma e glielo consegna.
 
“Ma questo è-“
 
 “Visto che non avete potuto usufruire dei nostri servizi e che vogliamo che i nostri ospiti abbiano sempre un buon ricordo della permanenza qui da noi, vi invitiamo a tornare a trovarci,” spiega, indicando il buono che dà diritto ad una notte gratis in hotel per due persone.
 
“Non posso accettare… Gaetano non lo vorrebbe,” rifiuta gentilmente ma con fermezza, posando di nuovo il buono sul bancone.
 
“Suvvia, professoressa Baudino, non mi dica che crede anche lei che voglia corromperla? Magari per corrompere indirettamente il dottor Berardi?” le domanda, incrociando quegli occhi così grigi e calmi con i suoi, senza scomporsi minimamente.
 
“No… non lo penso affatto. Penso che la madre di Gaetano debba essere stata una cliente indimenticabile ed eccezionale, una donna indimenticabile ed eccezionale, per spingerla ad avere tanta premura e forse anche a rimetterci dei soldi per due perfetti sconosciuti,” ribatte, ricambiando lo sguardo con altrettanta tranquillità.
 
“Lo era... e lei è una donna molto intelligente, professoressa Baudino,” risponde semplicemente, posandole di nuovo il cartoncino in mano.
 
“Signor Defranceschi,” la interrompe una voce maschile prima che possa ribattere, uno degli altri portieri,  che si avvicina loro quasi di corsa, “mi scusi se la disturbo ma c’è un problema con i clienti della suite presidenziale e richiedono urgentemente la sua presenza.”
 
“Devo andare… mi auguro di leggere buone notizie in cronaca e di avervi presto di nuovo come nostri ospiti, con permesso.”
 
Camilla lo osserva allontanarsi, indecisa per un attimo sul da farsi, poi, quasi d’istinto, afferra quel cartoncino, lo mette in borsa ed esce alla ricerca di un taxi.
 
***************************************************************************************
 
“Come sta, dottore?”
 
“Dalle lastre è evidente che si tratta di un episodio di polmonite, non è TBC e non dovrebbe essere contagiosa. Probabilmente sono le conseguenze di un forte colpo di freddo trascurato, leggo che è già stata ricoverata di recente per una congestione. La paziente deve rimanere in osservazione, fare un’adeguata terapia per evitare ulteriori complicazioni, che potrebbero essere anche mortali. Non trattandosi di broncopolmonite e data l’età e lo stato fisico generale della paziente, se rimarrà sotto controllo la probabilità di guarigione completa e senza conseguenze a lungo termine è molto alta.”
 
“È possibile interrogare la paziente? Lei conosce la gravità della situazione…”
 
“Sì, dottor Berardi, però le chiedo di procedere con cautela e di essere breve: la paziente non deve agitarsi o stancarsi troppo, altrimenti le chiederò di sospendere immediatamente. Chiaro?”
 
“Sì, dottore. La ringrazio,” annuisce Gaetano, rivolgendosi poi verso Grassetti, lì accanto insieme a Marchese, “ha la telecamera pronta? Voglio che sia tutto registrato e che sia chiaro che tutto è avvenuto secondo le regole.”
 
“Sì, dottore,” conferma Grassetti sapendo che, memore di quanto successo con lo Scortichini, il vicequestore non vuole rischiare.
 
Un cenno del capo ed entrano nella stanza, Ilenia è distesa a letto, bianca come un cencio, il pallore ancora più sottolineato dal nero corvino dei capelli.
 
“Ilenia Misoglio, lei è formalmente indagata per l’omicidio di Scortichini Fernando, di De Montis Marco, detto Marcio, il tentato omicidio di Baudino Camilla, De Matteis Paolo e Lo Bue Samantha, più il ferimento di Mancini Pietro. Ha il diritto di rimanere in silenzio, tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei. Ha diritto ad un avvocato e se non può permetterselo, gliene verrà assegnato uno d’ufficio. Le è chiaro?”
 
“Sì…” sussurra semplicemente Ilenia, sollevando gli occhi per guardarlo per la prima volta da quando è entrato nella stanza.
 
“Richiede la presenza di un avvocato? Il quadro indiziario a suo carico è a dir poco schiacciante e a questo punto se collabora può almeno sperare in una riduzione della pena.”
 
“Non posso permettermi un avvocato che non sia d’ufficio e… ridurre la pena? Con la sfilza di reati che mi ha appena contestato, a che servirebbe?” commenta Ilenia, sarcastica, la voce come cartavetra, “ma voglio collaborare perché non sono stata io e questo significa che c’è un assassino spietato a piede libero, mentre voi concentrate tutta l’attenzione su di me. La prof. e Sammy sono al sicuro? Non potete lasciarle da sole, potrebbero essere ancora in pericolo!”
 
“Le domande qui le faccio io, signorina Misoglio e lei ha davvero un’incredibile faccia tosta a nominare la professoressa Baudino e la dottoressa Lo Bue e fingere ancora preoccupazione per loro,” ribatte Gaetano, gelido, provando una rabbia, un odio quasi viscerale per quella ragazza che si era insinuata nelle loro vite, che si era approfittata della bontà di Camilla, del suo grande cuore per poi pugnalarla alle spalle, come raramente l’aveva mai provato per qualcuno in vita sua, “quindi le consiglio di piantarla con la commedia. L’agente Marchese l’ha colta in flagrante sulla scena del crimine, scena del crimine in cui proprio lei aveva attirato in trappola la Baudino e, per uno sfortunato errore, la Lo Bue. Ha ancora il coraggio di negare? O vuol forse dirmi che passava lì per caso e che si sia trattata di una miracolosa coincidenza?”
 
“No, certo che no, perché non sono stata io ad attirarle in trappola, io non avrei mai e poi mai fatto del male né a Sammy, né alla prof.! Sono io stessa ad essere stata attirata in trappola e-“
 
“Per favore, Misoglio, non facciamo la commedia, o collabora o-“
 
“Come faccio a collaborare se lei non mi fa spiegare? Se non mi lascia nemmeno darle la mia versione dei fatti?” protesta Ilenia, con un colpo di tosse, mentre Gaetano sente un profondo mal di testa assalirlo, “lo capisco che voi ora mi odiate, al posto vostro lo farei anche io, e che non riusciate a credermi ma ascoltatemi, vi chiedo solo questo.”
 
“Lei non è in posizione di chiederci nulla, Misoglio, ma d’accordo, la ascolto, come si sarebbero svolti i fatti? Magari perché non ci spiega dall’inizio cosa ha fatto durante la sua latitanza?” le domanda, non riuscendo di nuovo a trattenere il sarcasmo e la durezza nella voce, decidendo però di lasciarla parlare, sperando di coglierla in qualche contraddizione.
 
“D’accordo... Giovedì sera, dopo essere sfuggita all’arresto, sono andata da una parrucchiera per rendermi il più irriconoscibile possibile. Poi sono andata in una discoteca e ho fatto conoscenza con alcuni ragazzi, studenti universitari, stavano festeggiando la fine degli esami. Abbiamo fatto l’alba e, facendo conversazione su come passassero le vacanze, ho chiesto ad alcune ragazze se conoscessero qualcuno che magari tornava a casa per l’estate e che aveva un appartamento libero da subaffittare, o che avesse bisogno di ripetizioni, che andavo in università a Milano e volevo farmi una lunga vacanza romana low-cost. Una di loro mi ha detto che lei sarebbe ripartita il giorno dopo per tornare in Calabria, mentre le sue coinquiline erano già in vacanza. Mi ha portata nel suo appartamento, era poco più di un buco. Una volta che l’ho pagata in anticipo, non so se per i soldi o perché mi avesse preso in simpatia, praticamente non ha fatto domande, non mi ha nemmeno chiesto i documenti, mi ha lasciato le chiavi ed è partita per le vacanze.”
 
“Nome della ragazza e indirizzo dell’appartamento?” domanda Gaetano, dovendo ammettere che Ilenia come latitante aveva avuto una certa prontezza di spirito ed intraprendenza, dimostrando ancora una volta quanto fosse intelligente e quindi pericolosa.
 
“No, senta, io posso raccontarle tutto quello che riguarda me, ma non voglio mettere nei guai anche questa ragazza per una leggerezza. Lo so che è un affitto in nero, ma sicuramente anche quella ragazza è senza contratto e-“
 
“E quindi al massimo il problema ricadrà sul padrone o la padrona di casa, mentre insegneremo alla ragazza in questione ad essere più prudente. Nome e indirizzo.”
 
“D’accordo… d’accordo. Katia Carnevali, l’appartamento è in zona Torre Maura, l’indirizzo esatto è segnato nell’agenda che avevo con me in borsa, sotto il nome K.C.”
 
“D’accordo, verificheremo, e poi?”
 
“E poi, una volta avuto l’appartamento, ho continuato a cercare di contattare Marcio, sapendo che era l’unico modo per scagionarmi. Ho provato a chiamarlo diverse volte da telefoni pubblici, ma il telefono era sempre spento. Allora ho deciso di provare a contattarlo tramite il profilo facebook con cui mi aveva cercata. Sono andata in università, a Tor Vergata e sono riuscita a collegarmi da uno dei computer pubblici, visto che uno degli studenti non aveva fatto il logout. Il profilo di Marcio è Mark Rotten-“
 
“Originale,” commenta Gaetano con un sospiro, sentendo il mal di testa aumentargli.
 
“Sì, io mi sono fatta un profilo a nome Lena Black, lo so, altrettanto originale, e gli ho mandato un messaggio pregandolo di ricontattarmi al più presto possibile, che lo cercavo da quando non si era presentato all’appuntamento e avevo bisogno di parlargli.”
 
“E poi?”
 
“E poi ho messo annunci per dare ripetizioni e ho cercato di fare lavoretti in nero: sabato mattina sono andata a scaricare casse al mercato e anche domenica. Mi sono procurata per vie traverse da un compagno di lavoro un tablet usato e un po’ scassato ma con cui potevo connettermi a internet, sfruttando il wi-fi nelle zone pubbliche e così domenica, mentre pranzavo in un McDonalds, ho visto che Marcio sabato sera aveva pubblicato un nuovo messaggio in bacheca. Me lo sono segnato sull’agenda oltre che sul tablet. Era una specie di messaggio in codice con uno scioglilingua.”
 
“Sì, dottore in effetti abbiamo trovato un messaggio simile nell’agenda, eccolo,” conferma Marchese, porgendo uno dei fogli degli appunti per l’interrogatorio a Gaetano.
 
A chi mi cerca dico… chi cerca trova, sempre… al solito posto… sotto la panca la capra campa, sopra la panca la capra crepa,” legge Gaetano, incredulo, per poi aggiungere, “e che dovrebbe significare?”
 
“Non ne ero sicura nemmeno io, ma poi ho pensato alla panchina del Pincio dove ci eravamo incontrati e dove mi aveva già dato appuntamento e buca una volta. Lo scioglilingua è sbagliato, di solito è sopra la panca la capra campa,” spiega Ilenia, anche se parlare sembra costarle sempre più fatica, “avevo un po’ paura a presentarmi all’appuntamento, ma in fondo non avevo nulla da perdere arrivati a questo punto. Sono andata e ho aspettato e aspettato ma non arrivava nessuno. Allora mi è venuta un’idea e ho guardato sotto la panchina e c’era un pacchetto ben nascosto, con dentro un telefono. Era uno smartphone di quelli economici, lo stesso che avevo con me quando Marchese mi ha fermato. Quando l’ho acceso ho trovato una nota in evidenza che mi dava appuntamento per le 11 di lunedì, quindi del giorno dopo, al castello medievale del vecchio Luna Park.”
 
“E quindi lei si sarebbe presentata a questo appuntamento…”
 
“Sì, mi sono presentata a questo appuntamento, col senno di poi è stata una follia ma era l’ultima possibilità che avevo per provare la mia innocenza. Ho percorso tutto il castello fino a che sono arrivata nell’ultima grande sala, che è una specie di labirinto, e mi sono accorta che l’uscita era sbarrata. Ho provato allora a tornare indietro ma la porta da cui ero entrata non si apriva più, era completamente bloccata. Ero in trappola, quella sala non ha nemmeno finestre, ero al buio, avevo solo la luce del cellulare e di una torcia elettrica.”
 
“E quindi lei sarebbe rimasta intrappolata nel castello da dopo le 11 fino a quando l’ha ritrovata l’agente Marchese? Ma a quanto mi ha riferito Marchese lei è uscita da quel castello sulle sue gambe, Misoglio. O si è miracolosamente liberata?” domanda Gaetano con il tono di chi evidentemente non crede ad una sola parola.
 
“Sì, sono rimasta intrappolata, ero in panico, non sono claustrofobica ma mi mancava l’aria, ero al buio e faceva freddo, già non stavo bene… Ho provato in ogni modo a sfondare la porta, avrete visto che ho lividi sulle spalle e sulle braccia. Ho urlato e urlato e urlato ma nessuno mi sentiva. Allora dopo un’ora mi sono rassegnata e ho deciso di chiamare i soccorsi, meglio farsi arrestare che morire così, ma il telefono non funzionava più, non riuscivo nemmeno più ad accenderlo. Ho ancora urlato fino a perdere la voce e poi mi sono arresa, pensavo davvero che sarei morta lì. Poi ho cominciato a sentire rumori, urla, spari e odore di fumo. Mi sono spaventata e ho provato di nuovo ad urlare ma non avevo più voce, ho tentato ancora di sfondare la porta e questa volta, non so come, ma era aperta.”
 
“Così, come per magia?”
 
“Lo so che sembra incredibile, dottore, ma è così. Mi sono affacciata e ho visto le ambulanze, le volanti e l’incendio e, anche se non avevo idea di cosa fosse successo, ho capito che se mi aveste presa, avreste subito pensato che ero io la colpevole di tutto, come poi è successo. Ho aspettato fino a quando non ho sentito più rumori, non c’era più fumo evidente, mi sembrava che tutti se ne fossero andati e ho provato a scappare e… il resto lo sapete.”
 
Gaetano si guarda con Marchese e poi si limita a sollevare le mani e a fare un applauso lento, due tre battiti di mani, l’amarezza evidente sul volto.
 
“Complimenti per la fantasia, devo dire che avrebbe potuto fare la scrittrice o la sceneggiatrice, ma peccato che la sua storia, oltre ad essere incredibile, faccia acqua da tutte le parti. Vogliamo parlare del fucile di precisione usato nella sparatoria, rinvenuto proprio nel castello medievale e in cui lei era rimasta intrappolata? O di come la porta si sia miracolosamente sbloccata da sola? Per non parlare del fatto che questo famoso telefono che lei avrebbe ritrovato sotto la panchina, peggio che in un film di spionaggio, sia proprio quello da cui sono partiti i due messaggi verso il cellulare fatto recapitare alla professoressa Baudino e che doveva servire ad attirarla in trappola, dandole appuntamento al Biondo Tevere. E quando sono stati inviati questi messaggi? Ma guarda un po’, proprio nell’orario in cui lei sostiene che il telefono abbia smesso di funzionare e in cui lei, teoricamente, era intrappolata nel castello. Cellulare peraltro perfettamente funzionante, ancora carico e su cui non abbiamo rinvenuto alcuna traccia di note riguardanti appuntamenti al Luna Park. Come me le spiega queste incongruenze, Misoglio?”
 
“Non lo so, io le giuro che quel cellulare non funzionava, sembrava rotto. E non so niente né di questo altro cellulare, né di questo Biondo Tevere. Cos’è?”
 
“Lo sa benissimo cos’è il Biondo Tevere, visto che è il ristorante di fronte a cui ci fu la famosa manifestazione dei punkabbestia contro lo Scortichini!”
 
“Ah, era quel ristorante? Ma sono passati otto anni, non me ne ricordo il nome! E comunque le ripeto che non ho fatto male a nessuno, a nessuno. Né allo Scortichini, né a maggior ragione alla prof. o a Sammy! Lo so che non mi credete, ma le cose sono andate esattamente come vi ho detto poco fa e come vi ho scritto in quella lettera che vi avevo mandato, lo giuro!” esclama, tossendo vistosamente, mentre il medico fuori dà un cenno di impazienza, ma Gaetano lo blocca con un cenno della mano.
 
“Ah, sì? Quindi lei nega ancora di essersi recata e avvicinata al capanno dello Scortichini?”
 
“Certo, non sapevo neppure dove abitasse adesso!”
 
“E allora come spiega il ritrovamento di un brandello della tasca dei pantaloni di cotone bianchi da lei indossati il giorno dell’omicidio dello Scortichini proprio sulla ringhiera dello Scortichini?”
 
Ilenia ammutolisce e lo guarda come se fosse impazzito.
 
“Cosa?? Ma io… io non ne so niente, non mi sono mai avvicinata a quel posto, mai!”
 
“E allora quel frammento come ci è arrivato lì, volando?”
 
“No! Qualcuno deve averlo messo lì, qualcuno che ha voluto incastrarmi!”
 
“Sempre con questa storia. Chi poteva volerla incastrare Misoglio? Visto che oltretutto i suoi complici sono tutti morti! Compreso Marcio che, quando l’avrebbe attirata in trappola, scrivendole lo scioglilingua su facebook, era già morto da giorni!”
 
“Lo so, me l’ha detto Marchese, ma deve essere stato qualcun altro. Forse il proprietario di quel cascinale dove mi ha portato Marcio e che era evidentemente suo complice!”
 
“Peccato che anche il proprietario del cascinale sia morto da chissà quanto tempo, Misoglio e lo sa benissimo. Motivo per cui lei è l’unica che può avere ucciso lo Scortichini, Marcio e aver organizzato la trappola del Luna Park. A meno che ora non spuntino nuovi complici di cui non ci ha parlato.”
 
“No, io… io non ne so niente, niente! Ho detto tutto quello che so!”
 
“Marchese, fai entrare la dottoressa Lo Bue?” domanda Gaetano, mentre Marchese fa quanto viene chiesto.
 
“Sammy!” esclama Ilenia, vedendo entrare la ragazza, con un’espressione rabbiosa sul volto, gli occhi pieni di lacrime.
 
“Come hai potuto? Come hai potuto farlo?! Che cosa ti avevamo fatto di male io e la prof., eh? Cosa?!” grida, furiosa, asciugandosi le lacrime.
 
“Sammy, ma cosa dici? Io non ti ho fatto niente, niente!”
 
“Ah, no? Piantala di raccontare palle! Ho riconosciuto la giacca di jeans: era la tua Ilenia, me la ricordo benissimo, era una delle tue preferite quando andavamo a scuola! C’erano pure dentro le tue iniziali cucite da tua madre!” esclama Sammy, scuotendo il capo, la voce che le trema, “perché? Perché? Maledizione, perché?”
 
“Giacca di jeans? Quale giacca di jeans? Io non lo so, non lo so, non ti ho fatto niente, non ho fatto niente! Morirei piuttosto che fare del male a te o alla prof., io-“ grida disperata, portandosi bruscamente la mano al collo e iniziando a tossire violentemente, mentre il lenzuolo si macchia di sangue.
 
“Ilenia!” esclamano quasi in contemporanea, Gaetano si avvicina al letto, ma il medico irrompe nella sala e raggiunge Ilenia, più rapido di lui.
 
“Uscite! Fuori tutti! Mi dispiace ma questo interrogatorio si chiude qui!” intima il medico, premendo il pulsante per chiamare gli infermieri.
 
Con un cenno del capo, Gaetano fa cenno a tutti di uscire, notando l’apprensione nei visi di Sammy e Marchese e non riuscendo, nonostante tutto, a non provare una fitta di preoccupazione che si mischia all’odio e alla rabbia. Perché deve essere tutto così complicato?
 
Ha appena fatto un paio di passi fuori dalla stanza quando quasi si scontra con un’altra persona.

“Mi scus-“ pronuncia prima di alzare gli occhi, “Camilla?! Che ci fai qui?”
 
“Non tornavi, avevi il telefono staccato ed ero preoccupata, così ho visto i tg… ed eccomi qui,” spiega con un sospiro, incrociando lo sguardo con il suo, “dio mio, Gaetano, hai una cera terribile, e anche voi. Sammy, perché piangi? Ma che succede? Mi hanno detto che Ilenia è qui ma-“
 
“Sì, Ilenia è qui, Camilla. Non ti ho avvertito perché non volevo disturbarti mentre riposavi e poi siamo stati impegnatissimi, abbiamo appena finito di interrogarla e-“
 
“E io piango perché è stata Ilenia, prof.! Non ci sono dubbi, purtroppo… scusate…” esclama Sammy tra le lacrime, prima di allontanarsi a passo rapido in direzione del bagno.
 
“Come? Posso vederla, Gaetano? Voglio guardarla negli occhi e parlarle e-“
 
“No, non è possibile, primo perché si è sentita male, ha la polmonite. E poi perché non posso autorizzarti a vederla e lo sai, questo caso non sarebbe neanche mio. E comunque è inutile, perché le prove sono schiaccianti, Camilla e-“
 
“Cosa? Polmonite? E quella è una telecamera? Avete fatto una registrazione?” chiede Camilla, vedendo Grassetti con la videocamera in mano.
 
“Sì, Camilla, ma-“
 
“Gaetano, allora permettimi perlomeno di vedere quella registrazione. Ti prego, almeno questo me lo devi,” lo implora guardandolo negli occhi, con quello sguardo a cui lui non ha mai saputo resistere, “non per quello che c’è tra noi ma perché… per tutto quello che ho passato con Ilenia, per il bene che le ho voluto e che le voglio.”
 
“D’accordo, Camilla, ma non qui,” le risponde con tono malinconico, accarezzandole una guancia, prima di prenderla per mano e di fare un cenno ai ragazzi, “forza, si torna in questura.”
 
***************************************************************************************
 
“Sei convinta adesso?" le chiede, prima di intuire con uno sguardo la risposta, “non dirmi che le credi, Camilla.”
 
“Cosa ti devo dire, Gaetano? A me è sembrata sincera, nonostante tutto…”
 
“Nonostante tutte le contraddizioni in cui è caduta?”
 
“Appunto, Gaetano, se fosse stata lei davvero, sarebbe stata la prima a conoscere tutti quei dettagli incriminanti: il fucile, il telefono, i pantaloni strappati, la giacca di jeans… Non pensi che avrebbe potuto inventarsi una storia un po’ più credibile e meno convoluta ed evitare di cadere in tutte queste contraddizioni?”
 
“Evidentemente no, anche perché le prove erano talmente schiaccianti che nemmeno un Nobel per la letteratura sarebbe riuscito a costruirci intorno una storia credibile, Camilla!”
 
“Appunto, le prove sono troppo schiaccianti e sono… troppe. È tutto troppo, troppo.”
 
“Che vuoi dire?”
 
“Il fatto che si sia tenuta e portata dietro al Luna Park il telefono con cui aveva contattato me e Sammy, ad esempio, ma senza poi mandare altri messaggi, se pensiamo che quello che ci ha raccontato fosse una palla e che quindi si sia recata in quel Luna Park per l’appuntamento con me al pomeriggio e non la mattina come da lei detto. E che anche dopo non abbia almeno tentato di gettarlo da qualche parte, di distruggerlo, di nasconderlo. Il fatto che abbia lasciato lì il fucile di precisione, proprio nell’attrazione in cui si era, secondo te, nascosta e che soprattutto non abbia nemmeno provato a scappare subito, pur avendo tutto il tempo per farlo mentre eravamo tutti quanti impegnati con l’incendio e i soccorsi. Ti sembra logico rimanere lì ed aspettare, nello stesso posto in cui aveva nascosto il fucile, con il cellulare addosso e il rischio altissimo di essere scoperta?”
 
“Forse pensava di avere più tempo, pensava che saresti venuta sola, non che ci sarebbe stata la polizia, Camilla, ed è rimasta in trappola.”
 
“No, se fossi stata sola, sarei morta in quell’incendio, nessuno poteva scampare da quella trappola da solo, salvo un miracolo, e chiunque ha progettato il tutto lo sapeva. Il fucile era un piano di backup, o forse una scelta consapevole… Magari chi ha organizzato la trappola ha tenuto conto del fatto che non sarei stata sola, Gaetano, che sarei venuta con te o che ci sarebbe stata la polizia. E comunque, una volta visto De Matteis, Mancini, te e Marchese, doveva sapere che i rinforzi sarebbero arrivati di lì a poco e che doveva fuggire subito. Ma poi… il fucile di precisione? Mi spieghi come Ilenia potrebbe essere in grado di usare un’arma del genere?”
 
“Magari ha avuto un buon maestro. Grassetti?” domanda, facendo un cenno alla ragazza che, insieme a Marchese, ha seguito quello scambio di battute senza fiatare.
 
“Sì, dottore. Vede, professoressa, sono arrivati i riscontri che attendevamo da giorni sulla vita di Marco de Montis, detto Marcio. Sul suo passato. È stato una recluta volontaria nell’esercito e ha frequentato il corso per diventare tiratore scelto…”
 
“Che cosa? Un antimilitarista convinto come Marcio nell’esercito?” domanda Camilla, incredula.
 
“Sì, ma poi ha deciso per il congedo, a quanto pare di sua volontà, prima di completare il corso e prima di diventare effettivo. Non si conoscono bene i motivi ma, da quello che c’è agli atti, emerge che, poco tempo prima di chiedere il congedo, abbia testimoniato di fronte al tribunale militare in un caso di presunto nonnismo finito male, ma da cui poi gli imputati erano stati tutti prosciolti. Non so se i due fatti siano correlati ma ha comunque deciso, più o meno spontaneamente, di lasciare l’esercito.”
 
“Ed è diventato un antimilitarista convinto… capisco…” sospira Camilla, chiedendosi se fosse semplicemente rimasto deluso in un suo ideale o se sia stato invece spinto a lasciare, “ma Ilenia quante volte può mai averlo visto Marcio, abitando a Torino? Non basteranno poche ore per imparare ad usare un fucile di precisione, no?”
 
“No, ma Marcio potrebbe averla raggiunta a Torino più volte, Camilla, per quanto ne sappiamo. Anche i suoi amici ci hanno riferito che spariva spesso, no? E comunque chi ha sparato, secondo i rapporti balistici, non era certo un vero esperto, diciamo che era in grado di reggere e sparare col fucile ma con una precisione di molto al di sotto degli standard di un vero tiratore scelto.”
 
“Ma poi siamo sicuri che Ilenia riesca anche solo a maneggiarlo un fucile del genere? Non è esile, è vero, ma è piccola di statura. Il fucile è praticamente più alto di lei!”
 
“Arriva a malapena al metro e sessanta, questo sì, Camilla, e certo è un po’ complicato, ma nelle guerre purtroppo ci sono anche bambini soldato che fanno i cecchini. Con un po’ di allenamento è possibile e il fucile in questione è uno dei modelli più leggeri e maneggevoli in circolazione e più comodi da ricaricare, proprio per questo tra i più adatti a un principiante, anche se non è tra i modelli più precisi ma… è possibile. E poi Ilenia è piena di lividi alle spalle e alle braccia, che lei sostiene essersi procurata nel tentativo di fuga, ma che in realtà potrebbero essere stati causati dal rinculo del fucile.”
 
“Va bene, anche ipotizzando che Ilenia possa potenzialmente usare un fucile di precisione… insomma, Gaetano, ammeterai che tutta questa storia ha avuto un’evoluzione strana, no?” gli domanda, guardandolo negli occhi, mentre lui sembra di nuovo confuso.
 
“Che vuoi dire professoressa?”
 
“Che lo Scortichini è stato ucciso in un modo indiretto, senza che l’assassino dovesse sporcarsi le mani e soprattutto in modo che sembrasse un incidente. Poi siamo passati a Marcio, freddato da un solo colpo di pistola: già una morte più violenta ma comunque istantanea, il corpo nascosto in modo che difficilmente sarebbe stato ritrovato, se Ginger non fosse stata in quel cascinale dove non sarebbe mai dovuta andare. E poi adesso l’incendio, la sparatoria, insomma, scene degne di un film d’azione di Hollywood e che richiedono non solo un grande stomaco ma una grandissima violenza, per di più il tutto pianificato nel minimo dettaglio o quasi. Almeno fino al momento di far scattare la trappola, perché dopo l’assassino, in questo caso Ilenia, inanella una serie di errori clamorosi, sembra perdere completamente la testa e si fa arrestare. Ti sembra normale?”
 
“Molti assassini hanno un’escalation di violenza, mano a mano che uccidono e la fanno franca si sentono più sicuri e-“
 
“Ma di solito sono serial killer nel senso tradizionale del termine, no? Che hanno un loro modus operandi che si evolve nel tempo, non che passa da un piano machiavellico ma indiretto a… a Rambo. E poi i crimini sono più violenti, più… forti… quando l’assassino ha molto risentimento nei confronti della vittima, giusto?”
 
“Sì, ma…”
 
“E quindi da qui cosa deduciamo? Che Ilenia doveva odiare più me che lo Scortichini? Perché ero io l’obiettivo primario di questo attacco, o no?”
 
“Sì, tu e magari anche io,” ammette, la voce che gli si spezza in un paio di punti mentre un brivido gli corre di nuovo lungo la schiena al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere, “Camilla, io ci ho pensato e magari… magari Ilenia in realtà ha covato un profondo risentimento nei nostri confronti per non essere riusciti a prendere lo Scortichini, per i miei errori e magari voleva colpirci entrambi, magari pensava che sarei venuto anche io con te e-“
 
“Ma non ha senso che sia più risentita con noi che con lo Scortichini o con suo padre! E poi nelle fiamme ci è rimasta intrappolata Sammy… Invece di aspettare e non fare scattare la trappola, l’assassino l’ha fatta scattare lo stesso, perché? Perché Ilenia avrebbe mai dovuto odiare Sammy?”
 
“Non lo so, magari non aveva alternative a quel punto se non voleva essere scoperta. Sammy aveva trovato la vecchia giacca di jeans che serviva a farti, a farvi credere che fosse davvero Ilenia che vi contattava, ma che sarebbe poi probabilmente dovuta rimanere distrutta tra le fiamme. Resasi conto che era Sammy, l’ha intrappolata, ha appiccato il fuoco ed è corsa a sorvegliare la scena pensando magari che io e te saremmo arrivati dopo.”
 
“Ma perché non scappare subito? Perché prendersi questo rischio? No, mi correggo, perché mettere in piedi tutto un piano del genere? Gaetano, i delitti precedenti saranno stati machiavellici, ma erano… efficienti e soprattutto in luoghi isolati, dove nessuno avrebbe potuto intercettare il colpevole. Se Ilenia mi voleva morta a tal punto, avrebbe potuto organizzarmi un agguato in qualunque altro momento, con il famoso fucile di precisione, che ne so, quando uscivo da casa di mia madre! Anche al Luna Park, avrebbe potuto direttamente spararmi, invece che organizzare una cosa complicata come l’incendio, rischiando oltretutto di rimanerci intrappolata. Non c’era alcuna motivazione razionale per farlo, nemmeno che ne so… un depistaggio, dato che nessuno avrebbe comunque potuto credere che si trattasse di un incidente. Quindi perché prima l’incendio e poi la sparatoria, peggio che in un film di Tarantino? Non sono mica Rasputin e non ho nove vite come i gatti, perché una cosa così complicata e plateale?”
 
“Camilla…” sospira lui anche se deve ammettere che non ha tutti i torti.
 
“Se avesse voluto, anche dopo l’incendio fallito, l’agguato con il fucile di precisione avrebbe ancora potuto organizzarmelo in un altro momento, non rimanere a fare il cecchino in un posto del genere in cui era evidente che stavano per arrivare i rinforzi. Gaetano, lo sai benissimo anche tu che non avevamo nulla in mano su Ilenia, nulla, su dove si trovasse. Certo, avevamo gravi indizi di colpevolezza che la riguardavano ma… avrebbe potuto continuare la sua latitanza tranquillamente se non fosse stato per tutto questo. È come se lei avesse voluto organizzare un enorme show per urlare al mondo ‘sì, sono stata io, sono colpevole!’ e farsi arrestare. Mi spieghi che senso ha?”
 
“Non ha senso comunque, nemmeno se veramente non fosse stata Ilenia, Camilla, chiunque fosse l’assassino, l’evoluzione nel modus operandi è stata… folle, concordo con te,” interviene, prendendola dolcemente per le spalle, portandola a guardarlo negli occhi, “Camilla, è evidente che Ilenia ha avuto un tracollo psicologico, che ha generato questa escalation e le ha tolto la lucidità necessaria per fare questi ragionamenti, giustissimi, che ora stai facendo tu.”
 
“E invece può avere senso eccome, Gaetano, può avere senso se a qualcuno la latitanza di Ilenia non fosse stata bene, se qualcuno avesse voluto incastrarla, come lei ci va ripetendo da sempre. Se qualcuno avesse voluto che Ilenia fosse catturata e che fosse certo a tutti, oltre ogni ragionevole dubbio, che Ilenia fosse colpevole.”
 
“Ah, sì? E quel frammento dei pantaloni di Ilenia sulla ringhiera dello Scortichini come me la spieghi? A meno che tu non voglia ipotizzare adesso che lo Scortichini lo abbia ucciso lei con un suo complice e che poi questi agguati siano stati fatti invece da qualcun altro, magari proprio il suo complice, per addossare tutta la colpa su Ilenia. Peccato però che tutte le persone coinvolte in questa storia, cioè Marcio e il Vecchio, non siano più tra noi. Io capisco il tuo affetto per Ilenia e che non vuoi credere che possa aver tentato di ucciderti, Camilla, ma spesso la strada più semplice e più ovvia è quella giusta, senza andare ad immaginare trame degne di un film di James Bond.”
 
“Tranne nel caso in cui qualcuno cerchi di incastrarti, Gaetano, in quel caso la soluzione più semplice e ovvia è sbagliata!” ribatte, decisa, quel fuoco negli occhi e quell’espressione che lui adora e che gli fa venire da sempre voglia di soffocarla di baci.
 
“Ma non ti arrendi mai, tu?” le chiede, non potendo però trattenere un sorriso.
 
“Da quanti anni mi conosci, Gaetano?” gli domanda, sorridendogli di rimando, per poi aggiungere, più seria, “Gaetano, ascoltami… c’è qualcosa che non mi torna proprio in questa storia e… io Ilenia l’ho vista sincera. Sarò stupida ma l’ho vista sincera.”
 
“Camilla, lo sai che mi fido di te e del tuo intuito, anche più che del mio, ma ho paura che questa volta tu sia troppo coinvolta,” le sussurra, altrettanto serio, accarezzandole di nuovo una guancia.
 
“Lo so… ti chiedo… ti chiedo solo di rivedere insieme tutte le prove, anche quelle raccolte negli ultimi giorni e… e se non troveremo niente di concreto che possa scagionare Ilenia o corroborare almeno un minimo la sua versione dei fatti, ti prometto che accetterò qualsiasi decisione prenderai.”
 
“Ehm, ehm..”
 
Il colpo di tosse li ridesta dal mondo a due in cui erano avvolti, vedendo di nuovo Grassetti e Marchese che li guardano tra il divertito, l’ammirato e il lievemente imbarazzato.
 
“Se posso permettermi, dottore, lo so che forse penserà che lo dico perché conosco Ilenia da una vita, ma devo ammettere che anche a me è sembrata sincera. Ero furioso con lei quando l’ho presa, mi sono sentito crollare la terra sotto ai piedi, mi sono sentito tradito ma… c’è qualcosa nel modo in cui mi parlava, mi guardava, quando le ho detto che la professoressa e Sammy erano rimaste coinvolte nell’incendio e nella sparatoria… non lo so… sembrava davvero disperata all’idea che potessero essere morte,” ammette Marchese con una certa fatica, “e anche prima all’ospedale… non lo so…”
 
“D’accordo, ascoltatemi, analizziamo insieme di nuovo tutte le prove, senza pregiudizi, in un senso o nell’altro. Però vi avverto che abbiamo poco tempo: il questore ha fissato la conferenza stampa per stasera e di sicuro vorrà annunciare al mondo che la colpevole è stata catturata, per placare l’opinione pubblica e… ormai lo sapete tutti come funziona, no?” chiede, non facendo nulla per nascondere l’insofferenza che gli provocano queste questioni politiche e di immagine.
 
“E allora che stiamo aspettando?” gli domanda Camilla con un sorriso.
 
“Le prove del caso Scortichini, De Montis eccetera eccetera sono tutte in quella cartella sulla scrivania del dottor De Matteis,” chiarisce Grassetti, incrociando gli occhi di Gaetano e poi quelli di Camilla.
 
La verità è che dopo la tranvata sui denti di poche ore prima, aveva solo cercato di buttarsi sul lavoro e non pensare a nulla. Non era più tornata a trovare De Matteis, non ce l’avrebbe fatta, non ora. Ma non può fare a meno di guardare la professoressa con occhi nuovi: questa donna completamente diversa da lei, praticamente il suo estremo opposto, che era riuscita dove lei aveva fallito, senza nemmeno volerlo. Non riesce a provare risentimento o rivalità verso di lei perché non era e non è una rivale. E non solo perché è evidente che la professoressa non è affatto interessata a De Matteis: non sa se ha mai incontrato una coppia più unita di lei e Berardi. È incredibile la stima, l’affetto, l’ammirazione, l’amore che traspaiono in ogni gesto tra loro, in ogni parola, anche quando discutono e dibattono come fino a pochi secondi prima. C’è un affiatamento tra loro, un’intesa, una fiducia che invidia profondamente e che spera un giorno di poter avere anche lei con qualcuno.
 
Ma la professoressa non è una sua rivale per un altro motivo: la professoressa è una donna, decisa, sicura di sé, che sa farsi valere, rispettare, è una donna, semplicemente. Mentre Grassetti sente di essere ancora una ragazza, di avere bisogno di crescere ancora un po’ e non solo anagraficamente. Di avere il coraggio di volare da sola, di capire chi è e cosa vuole davvero dalla vita. Sa di non poter essere al suo livello, non ancora e si chiede se potrà mai diventarlo qui, accanto a De Matteis.
 
Senza parole, Gaetano si siede dietro la scrivania di quello che una volta era stato il suo ufficio, anche se l’arredamento è profondamente cambiato, riflettendo in pieno il puntiglio ossessivo di De Matteis. Fa cenno ai ragazzi di avvicinare le sedie e, con Camilla alla sua destra, Marchese accanto a lei e Grassetti alla sua sinistra, inizia a scartabellare tra le carte.
 
“Questi sono i risultati dell’autopsia dell’uomo che si presume essere Giuliani?” chiede, mentre consulta rapidamente il testo, “quindi l’assassino era più basso della vittima… il che purtroppo ci riporta di nuovo a Ilenia che non è certo un gigante. E queste foto?”

“Sì, dottore, esatto,” conferma Grassetti, “e le foto provengono dalla vecchia carta d’identità del signor Giuliani, risalente a vent’anni fa. Ieri il dottor De Matteis mi aveva ordinato di contattare l’ex medico di base di Giuliani per chiedere conferma se avesse subito fratture alle costole, compatibili con quelle del cadavere ritrovato, o se, al contrario, avesse subito altri traumi non risultanti dall’autopsia, per poter confermare o escludere il riconoscimento. Ne ho però avuto il tempo solo poche ore fa e il medico, il dottor Righetti, mi ha confermato di avere mantenuto un archivio con cartelle cliniche di vecchi pazienti deceduti o che non visitava da anni e che  proprio per questo non ha passato al suo successore. Mi ha assicurato che verificherà se ha qualcosa sul signor Giuliani e mi ricontatterà.”
 
“Bene, ma avendo una foto forse non è necessario. Sisma e Ginger, i due punkabbestia amici di Marcio, hanno incontrato di persona il Vecchio in più occasioni. Bisogna rintracciarli e mostrare loro la foto.”
 
“Posso farlo io, dottore, ormai mi conoscono e dovrebbero fidarsi di me, sempre se riesco a reperirli,” propone Marchese, temendo già un lungo giro dell’oca in zona Porta Pia.
 
“Grazie mille, Marchese, mi sembra la soluzione migliore,” conferma Gaetano con un sorriso, prima di affidargli le foto, “però poi voglio che tu vada a riposarti, ok? Non hai dormito niente e sei in piedi da quasi 48 ore. Fatti accompagnare da Lorenzi, non voglio che guidi.”
 
“Sì, dottore,” annuisce il ragazzo con un sorriso, guardandosi bene dal far notare al vicequestore che anche lui è nella stessa situazione.
 
“E questo che cos’è?” domanda Camilla, indicando un dvd, dopo che Marchese era uscito.
 
“È… l’interrogatorio al signor Fausto Misoglio… il dottor De Matteis ha voluto che lo registrassi,” spiega Grassetti, mentre Camilla e Gaetano si scambiano uno sguardo, sapendo benissimo perché De Matteis le aveva dato quell’ordine.
 
“Che facciamo, lo guardiamo?” domanda Gaetano a Camilla, “non so arrivati a questo punto quanto possa esserci utile e il tempo stringe.”
 
“Se volete potete guardare solo gli ultimi quindici minuti… lì avviene qualcosa di… va beh, giudicherete voi. Il resto del tempo è solo Misoglio che continua a negare di sapere dove sia sua figlia e ad insultare lei, la moglie e il figlio morto e Mancini,” spiega Grassetti, con un tono ed uno sguardo che sembrano nauseati.
 
Incuriositi, inseriscono il dvd nel lettore e lo accendono sul maxischermo. Un silenzio tombale cala sull’ufficio e, quando il video infine termina, si guardano, ripugnati da quanto hanno appena visto.
 
“Non so se mi disgusti di più il padre di Ilenia o Mancini… e non pensavo sarebbe mai potuto succedere,” ammette Camilla con un sospiro, esprimendo ad alta voce i pensieri di tutti.
 
Gaetano sta per replicare quando squilla il cellulare di Grassetti, lui le fa cenno di rispondere.
 
“Sì, sì, sono l’agente Grassetti. Come? L’ha trovata? Fantastico! E c’erano le lastre? Sì, sì, perfetto, mando uno dei ragazzi da lei a prenderle. Perfetto, grazie ancora, ci è stato utilissimo.”
 
“Che succede?”
 
“Era il dottor Righetti. Ha ritrovato la cartella clinica di Giuliani e le lastre, che confermano che, ormai dieci anni fa, il signor Giuliani si è fratturato due costole, proprio quelle indicate nell’autopsia del cadavere non identificato, durante un incidente mentre tagliava legna nel bosco. Mando uno dei ragazzi a ritirare la copia delle lastre per il confronto, ma a questo punto direi che al 99% il cadavere appartiene al signor Giuliani.”
 
“Concordo con lei, Grassetti,” annuisce Gaetano, prima di rivolgersi a Camilla con uno sguardo che lei riconosce benissimo, quello delle cattive notizie.
 
“Camilla, mi dispiace ma… arrivati a questo punto direi che non ci sono più dubbi. Ci manca la conferma definitiva dei punkabbestia, non appena Marchese li rintraccia, ma è chiaro che il cadavere è del Vecchio e che l’ultimo possibile indiziato e complice di Marcio e Ilenia riposava sottoterra da ormai più di sei mesi,” proclama, leggendo direttamente dall’autopsia.
 
Un attimo di silenzio, poi il suo sguardo si solleva bruscamente dal foglio. Occhi azzurri incontrano occhi nocciola, la medesima espressione, mentre le labbra di entrambi si dischiudono, nello stesso identico stupore, nella stessa identica consapevolezza.
 
Oh merda…
 
“Sei mesi sono…”
 
“…troppi,” finisce la frase per lui Camilla, mentre Grassetti li guarda chiedendosi se non siano impazziti o se si sia persa qualche passaggio.
 
“Hai ancora una copia del video fatto da Mancini?” chiede Camilla, mentre Gaetano annuisce ed estrae il cellulare. Per fortuna, con tutto quello che era successo, non avevano ancora deciso se disfarsi o meno delle copie residue, che avevano usato per analizzare il video.
 
“Ti ricordi cosa avevano detto i punkabbestia? Non l’avevano visto un mese fa?”
 
“Sì, Camilla, anche io ricordo così,” conferma, facendo andare in avanti il video per cercare il punto  preciso.
 
“Il video… quello con cui Mancini voleva incastrarvi? Per cui De Matteis voleva denunciarvi?” domanda Grassetti, stupita, connettendo finalmente i pezzi. Non l’aveva mai visto quel video, certo sapeva a grandi linee di cosa si trattava ma non l’aveva mai visto di persona.
 
Gaetano annuisce un’altra volta, facendo finalmente partire il filmato al punto esatto.
 
“Nel frattempo… ci servirebbero altre notizie sul Vecchio, qualsiasi cosa che ci possa aiutare ad identificarlo. Qualche particolare fisico o di comportamento che saltava all’occhio… quando l’hai visto per l’ultima volta, se sai chi potessero essere amici o conoscenti… qualsiasi cosa.”
 
“Mah, professoressa… io il Vecchio come vi ho detto l’ho conosciuto poco. Non sapevo nemmeno il suo nome, né il cognome. Un giorno Marcio si è presentato con lui e ci ha detto che il Vecchio era un suo amico, lo chiamava così e abbiamo iniziato anche noi a chiamarlo così. Il Vecchio l’avrò visto un quattro, cinque volte al massimo, quando ci portava il cibo per i cani. Ricordo che aveva un furgoncino, un Fiorino vecchissimo e che sembrava tenuto insieme per miracolo. Cose particolari… era molto stempiato, calvo dietro, occhi azzurri… e… forse… forse sì, aveva un neo sopra il sopracciglio destro. Robusto, forte per la sua età, ma abbastanza basso, più basso di voi… alto, sì… alto più o meno come lei,” proclama, indicando Sammy, “l’ho visto l’ultima volta… sarà stato un mese fa, non so nulla di amici o conoscenti, penso fosse una specie di eremita. Quello che posso dire è che… anche se era gentile con noi e molto amico di Marcio… non so perché ma non mi ha mai convinto del tutto, ma probabilmente era solo una sensazione.”
 
“Un mese fa… è assolutamente impossibile confondersi tra un mese fa e sei mesi fa,” fa notare Camilla, e Gaetano e Grassetti non possono che concordare, per poi alzare ancora di più la voce, presa dalla frenesia della scoperta, “e non è tutto, ci sono altre incongruenze. Ad esempio l’altezza. Qui sull’autopsia si dice che Giuliani era alto 1.75, giusto? E dalla carta d’identità emerge che era 1.80, quindi 1.75 già incurvato dall’età. Ma Sisma nella registrazione conferma che il Vecchio era più basso di me e io sono proprio 1.75. Che è alto come Sammy, che coi tacchi non arriva al metro e settanta.”
 
“Non solo, ma il signor Giuliani non aveva affatto un neo sopra al sopracciglio destro. Almeno, dalla foto tessera non si vede,” indica Gaetano, lo stesso identico tono di voce di Camilla.
 
“E il vecchio Fiorino? L’unico documento di Giuliani era una carta d’identità di vent’anni fa. Non aveva la patente, forse guidava mezzi agricoli ma non possedeva alcun veicolo,” interviene Grassetti, guadagnandosi un’occhiata di approvazione da Gaetano.
 
“Quindi il cadavere non identificato appartiene al signor Giuliani ma il signor Giuliani non è il Vecchio,” sintetizza Camilla, sentendosi con lo stomaco in subbuglio e la testa a mille, “e quindi chi era o chi è il Vecchio? E dove si trova? E chi ha ucciso il signor Giuliani e perché?”
 
“Non lo so, Camilla, ma a questo punto non ci resta che aspettare che Marchese trovi i punkabbestia e dovremo interrogarli e farci dire di più da loro…”
 
***************************************************************************************
 
“Marchese, sei riuscito a trovarli?”
 
“No, purtroppo, ancora no. Ho girato tutte le zone in cui stavano di solito, ci sono altri punkabbestia ma non loro. E ovviamente sono stati molto reticenti, anche se sono in borghese. Non si fidano e non vorrei scatenare una rissa…”
 
Gaetano e Camilla si guardano e, per l’ennesima volta quel giorno, sanno di stare pensando la stessa cosa e purtroppo non è un pensiero piacevole.
 
“Marchese, ascoltami, Sisma e Ginger sono ormai due testimoni chiave, sono gli unici forse che hanno visto questo Vecchio e che saprebbero identificarlo. Se davvero quest’uomo è vivo e se c’entra qualcosa con gli omicidi… Sisma e Ginger potrebbero essere in grave pericolo. Dobbiamo assolutamente trovarli! Inventati qualcosa, devi cercare di far capire ai punkabbestia che conosci Ginger e Sisma, che sei un amico e che devi trovarli per aiutarli, per proteggerli e per avvertirli. Chiaro?”
 
“Sì, dottore, è chiarissimo. Farò tutto quello che è possibile, la richiamerò appena ho notizie.”
 
Fa appena in tempo a mettere giù il cellulare, quando squilla il telefono fisso dell’ufficio di De Matteis.
 
“Pronto? Chi parla? Il direttore dell’ospedale veterinario? Un attimo che la metto in vivavoce, così anche i miei uomini possono sentirla, siamo in riunione proprio sul caso Scortichini,” spiega Gaetano, pigiando il pulsante del vivavoce mentre Camilla gli lancia un’occhiata ironica, divertita dal fatto di essere considerata uno dei suoi uomini. Anche perché nell’ufficio ci sono solo lei e Grassetti.
 
“Avresti preferito che dicessi le mie donne, professoressa?” le sussurra all’orecchio in modo da non farsi sentire da Grassetti e dal medico, guadagnandosi un calcio lieve ma ben assestato negli stinchi.
 
“Dunque, dottor Berardi, mi sente? Sì, le dicevo, mi hanno detto che si sta occupando lei del caso Scortichini e volevo aggiornarla. Presso la nostra struttura sono ricoverati in osservazione i cani da combattimento prelevati dal capanno di Scortichini Fernando e anche quelli rinvenuti nel cascinale del signor Giuliani Cesare, per tutti i dovuti accertamenti legali e medici, prima di iniziare un percorso di riabilitazione e reinserimento. Oggi però uno dei cani del signor Scortichini è deceduto e l’autopsia ha confermato che si tratta di Rabbia. Era da un paio di giorni che manifestava dei sintomi che lo facevano sospettare, ma la Rabbia è così rara in Italia che abbiamo voluto esserne sicuri prima di avvisarvi.”
 
“Rabbia? Ma com’è possibile? I cani non vengono vaccinati?”
 
“Non è detto, dottore, qui in Italia il vaccino non è obbligatorio. Certo, forse per un cane che combatte, con tutti i cani che vengono importati dall’Est dove la Rabbia è diffusa, sarebbe consigliabile ma… questi cani sono letteralmente carne da macello, morto uno ne arriva un altro. Chiaramente può essere pericoloso per chi li detiene, ma sono già delle bombe ad orologeria,” spiega il medico con un sospiro, per poi aggiungere, “il cane in questione aveva ferite di un combattimento recente. Probabilmente ha contratto il virus in quell’occasione, dai morsi di un altro cane infetto, questa è l’ipotesi per me più probabile.”
 
“Però questo ha ripercussioni sulle indagini? Il cane che ha aggredito lo Scortichini non aveva la Rabbia, giusto?”
 
“No, dottore, non era contagiato. Il cane che è deceduto per Rabbia è stato ritrovato ancora chiuso in gabbia, nella gabbia proprio di fianco a quella del cane che ha aggredito lo Scortichini.”
 
“Cosa?” domanda di nuovo Gaetano, cogliendo appieno l’ironia della situazione, “quindi l’assassino forse si è preso tutto questo disturbo per niente. Gli sarebbe bastato attendere e magari il cane rabbioso avrebbe aggredito e ucciso lo Scortichini spontaneamente. O, se avesse scelto il cane rabbioso per l’attacco, probabilmente, trovandolo positivo alla Rabbia, non sarebbero nemmeno state avviate le indagini.”
 
“Sì, dottore… non solo, ma non sarebbe nemmeno servita un’aggressione completa. Per contrarre la Rabbia basta un morso e, se non viene curata immediatamente, e gli uomini come lo Scortichini non sono assidui frequentatori degli ospedali, è letale. È una delle morti più orribili che si possano fare, non la augurerei nemmeno ad un cane, se mi permette la battuta.”
 
“Ma un occhio esperto, quello di un veterinario, ad esempio –  lei lo sa che la principale sospettata, la dottoressa Misoglio, è una veterinaria – si sarebbe potuto accorgere che il cane aveva la Rabbia? Insomma, se l’assassino fosse stato un veterinario, doveva accorgersene?”
 
“Non è detto. La Rabbia ha diverse manifestazioni, può emergere come forte aggressività o come docilità, a cui poi spesso segue la paresi progressiva. Il cane in questione sembrava molto docile e intontito, ma non ci abbiamo  più di tanto fatto caso perché, come tutti gli altri cani dello Scortichini, era stato imbottito di fluoxetina, che può avere quell’effetto. E sbalzi d’umore, aggressività, sono tipici di un cane da combattimento, quindi difficilmente anche un occhio esperto, vedendolo solo per pochi istanti, se ne sarebbe accorto. Noi stessi non ce ne siamo accorti fino a quando ha iniziato a manifestare la paralisi.”
 
“Capisco dottore. E gli altri cani?”
 
“Beh, gli altri cani sono in osservazione ma, fino a che non emergono sintomi evidenti, non possiamo accertarci se siano stati infettati o meno, perché l’unico esame sicuro al cento per cento viene effettuato analizzando il cervello dell’animale e deve quindi avvenire, ovviamente, post mortem.”
 
“Capisco. Quindi comunque questo episodio non dovrebbe avere ricadute sul caso da un punto di vista investigativo?”
 
“Immagino di no, dottor Berardi, ma questo lo saprà meglio lei di me. Ho però ritenuto opportuno avvertirla.”
 
“Certo, ha fatto benissimo, molte grazie dottore, arrivederci.”
 
Guarda Camilla e sta per aprire bocca quando di nuovo il telefono squilla, questa volta è il cellulare.
 
“Questo posto è peggio di un centralino! E tu sei più richiesto di un VIP o di un top manager: tra un po’ dovrò prendere un appuntamento per parlarti,” commenta Camilla ironica, facendo sorridere Grassetti.
 
“Pronto? Marchese? Ci sono novità? Aspetta che ti metto in viva voce, ci sono qui anche Camilla e Grassetti.”
 
“Pronto, sì, allora ho di nuovo parlato con tutti i punkabbestia che stavano a Porta Pia. Per fare capire loro che conoscevo Ginger, Sisma e Marcio, gli ho raccontato tutto ciò che sapevo su di loro, su come si erano conosciuti Ginger e Marcio e poi di Marcio e di Black. Ma non riuscivo a convincerli. Alla fine per fortuna è arrivato uno dei ragazzi che ci aveva visto parlare con Sisma sabato e che mi ha riconosciuto, gli ho spiegato la situazione e che potevano essere in pericolo, sapeva anche lui della morte di Marcio e sono riuscito a convincerlo a parlare.”
 
“Bravo Marchese! E quindi li hai trovati?”
 
“No, dottore, anzi, il punkabbestia, Zanna, mi ha detto che oggi non si sono visti in giro. A quanto pare li ha visti l’ultima volta ieri sera, sono andati via insieme dopo essersi fermati con loro per un paio d’ore. Zanna mi ha detto che Ginger è da un po’ di giorni che… insomma… dava di matto, era fuori di sé e Sisma se ne stava occupando. Non sanno dirmi dove siano andati: a quanto dice lui, Sisma, Ginger e Marcio facevano gruppo tra loro, raramente condividevano i rifugi per la notte con gli altri, avevano i loro posti quando volevano starsene per conto loro e lui sostiene di non avere idea di quali siano.”
 
“Questa cosa non mi piace per niente, che siano spariti da un giorno intero… dobbiamo trovarli assolutamente. Ho un brutto presentimento,” interviene Camilla, lanciando un’occhiata a Gaetano e intuendo, senza bisogno di parole, che anche lui è dello stesso avviso.
 
“Marchese, tu non avevi lasciato un recapito a Sisma? Non-“
 
“Giusto! Che stupido, come ho fatto a non pensarci prima?!” esclama Marchese, la voce talmente alta che si distorce negli altoparlanti del telefono, “sì, dottore, gli avevo lasciato un recapito e Sisma mi ha chiamato domenica sera, cioè di notte, in realtà. Diceva che Ginger voleva parlare, collaborare, ma ero già sospeso e non potevo fare nulla, nemmeno richiamarlo perché era un numero anonimo. Poi con tutto quello che è successo tra ieri e oggi me ne sono scordato ma ora… potete vedere qual è il numero e rintracciarlo, no? Vi autorizzo a controllare le chiamate in arrivo sul mio cellulare.”
 
“Bravo Marchese e non ti preoccupare, lo so che sei stanco, lo siamo tutti. A questo punto puoi andare a casa a riposarti e-.”
 
“No, dottore, sto bene e voglio aspettare prima il risultato su quel numero. La prego, c’è Lorenzi con me e… possiamo andare a mangiarci qualcosa e berci un caffè forte,” lo implora Marchese, sentendosi terribilmente in colpa verso i due punkabbestia per essersi… per essersi dimenticato di loro, preso da tutti i suoi problemi.
 
“D’accordo Marchese, d’accordo, ma se non troviamo niente di concreto voglio che vai a casa a riposare immediatamente, chiaro? Abbiamo altri agenti che possono occuparsi delle ricerche e non sei utile a nessuno se ti senti male.”
 
“Grazie, dottore. Lo so, non si preoccupi, non farò follie,” risponde Marchese, prima di mettere giù.
 
“Grassetti, mi serve-“
 
“La verifica su quel numero? Corro,” risponde Grassetti, sollevandosi rapidamente dalla sedia e avviandosi verso la porta, facendolo sorridere, compiaciuto da tanta efficienza.
 
“Ormai non serve nemmeno che io parli. Lei e Marchese potrebbero fare quasi tutto da soli,” commenta Gaetano, una volta che Grassetti è uscita dall’ufficio, massaggiandosi le tempie per cercare di alleviare il mal di testa.
 
“Già… non l’ho mai vista così solerte ed efficiente e piena di iniziativa nemmeno con De Matteis. Tra un po’ ti legge nel pensiero… potrei quasi iniziare ad essere gelosa dei tuoi uomini e delle tue donne,” commenta ironica, con quel tono e quello sguardo che Gaetano ormai riconosce benissimo e che Camilla indossa quando finge di essere arrabbiata ma sta solo giocando.
 
“Guarda che se c’è un vicequestore per cui Grassetti spasima non sono certo io…” le fa notare Gaetano con un mezzo sorriso.
 
“Ma magari dopo la scena di stamattina potrebbe aver deciso di cambiare obiettivo,” ribatte Camilla, sorprendendosi di come riesca a scherzare sull’episodio del bacio, senza temere più la reazione di Gaetano.
 
“Beh, allora avrebbe un problema molto serio, professoressa…” replica in un sussurro, sporgendosi oltre il bracciolo della sedia e avvicinandosi di più a lei.
 
“E quale sarebbe?”
 
“Che vorrebbe dire che si innamora sempre di uomini che sono già perdutamente innamorati di te, Camilla,” mormora, prima di azzerare la distanza in un bacio dolce e delicato, per poi appoggiare la fronte alla sua.
 
“A parte gli scherzi, Gaetano, sei davvero bravissimo con i tuoi uomini lo sai?” gli domanda, allontanandosi lievemente da lui per guardarlo negli occhi, “ti sei conquistato la fiducia di Grassetti e di Marchese in pochissimo tempo e soprattutto… non so, anche con Grassetti, si vede che si sente sicura con te, a suo agio. Riesci a farle vincere la sua timidezza, le sue paure, a tirare fuori il meglio di lei, tutto il suo potenziale e lo stesso fai con Marchese.”
 
“Camilla…” sussurra, commosso, sorridendole.
 
“Beh, e in effetti lo stesso fai anche con me, Gaetano. Tu hai sempre tirato fuori il meglio di me… quindi forse sono davvero anche io uno dei tuoi uomini,” ironizza, ricambiando il sorriso e ritrovandosi stretta in un forte abbraccio.
 
“Anche tu hai sempre tirato fuori il meglio di me, da quando ti conosco, professoressa, quindi sono anche io uno dei tuoi uomini?” le domanda con lo stesso medesimo tono, accarezzandole i capelli.
 
“No, tu sei il mio unico uomo. Non ho bisogno di nessun altro,” gli sussurra sulle labbra, prima di baciarlo dolcemente un’altra volta.
 
“La sai una cosa, Camilla?” mormora non appena si staccano, “non so come ma il mal di testa mi è passato.”
 
“E se no a cosa serve la tua donna, Berardi?” gli domanda ironica, ma lo sguardo di Gaetano al sentire quelle due parole, la tua donna, si fa talmente intenso e cupo che i loro volti si avvicinano di nuovo, senza nemmeno rendersene conto.
 
Il suono di passi e una porta che si apre, li portano ad allontanarsi bruscamente e a voltarsi verso la soglia.
 
“Signor questore? Buonasera!” saluta Gaetano, alzandosi rapidamente in piedi mentre Camilla fa lo stesso, “mi scusi, le avrei riservato un’accoglienza diversa ma non l’hanno annunciata.”
 
“Non si preoccupi Berardi, so che siete tutti impegnati con il caso Scortichini,” replica il questore, prima di rivolgere uno sguardo eloquente a Camilla.
 
“Signor questore, le presento la professoressa Camilla Baudino, la mia compagna, nonché la ex professoressa della Misoglio che, come le ho spiegato, è rimasta coinvolta nella sparatoria con il dottor De Matteis,” spiega Gaetano, facendo le presentazioni.
 
“Sì, ho sentito molto parlare di lei, professoressa Baudino, finalmente la conosco. È quasi una leggenda da queste parti,” ribatte il questore con nonchalance, porgendo una mano a Camilla.
 
“Una leggenda?” chiede Camilla, confusa, stringendo la mano del questore.
 
“Sì. La Sherlock Holmes, o forse sarebbe meglio dire la Jessica Fletcher romana. Diciamo che le voci corrono, professoressa Baudino, e anche se non ero questore qui a Roma all’epoca della sua collaborazione con il dottor Berardi, ho sentito parlare della sua collaborazione con il dottor De Matteis,” spiega il questore lanciando un’altra occhiata eloquente prima a Camilla e Gaetano e poi ai fogli sparsi sulla scrivania, “immagino che steste facendo una riunione investigativa?”
 
Camilla e Gaetano si scambiano uno sguardo: ma allora il loro era proprio il segreto di pulcinella.
 
“Signor questore, lo so che la presenza di Camilla non è esattamente da protocollo, ma non solo mi fido ciecamente di lei, sia come persona, sia per quanto riguarda le sue doti investigative e la sua riservatezza, ma… sono emersi alcuni elementi che ci portano a supporre che il cosiddetto Vecchio, quello che viveva in quel cascinale dove è stato ritrovato il cadavere di Marcio, in realtà non sia affatto il signor Giuliani. E, considerato che Camilla era il principale obiettivo dell’agguato al Luna Park, preferisco che stia qui in questura con me, piuttosto che saperla in giro per Roma da sola,” spiega Gaetano, mentre Camilla lo guarda stupita.
 
“Come? Un complice ancora in libertà? Mi spieghi tutto, Berardi, abbiamo ancora mezzora prima della conferenza stampa,” chiede il questore, accomodandosi su una delle sedie, “e per quanto riguarda la professoressa, conto sul fatto che questa collaborazione sia discreta quanto le precedenti. Altrimenti io ovviamente me ne laverò le mani, Berardi.”
 
“Ovviamente, signor questore,” annuisce Gaetano, pensando con un sospiro interiore che tutto il mondo è paese.
 
***************************************************************************************
 
“E quindi l’agente Marchese e l’agente Grassetti stanno cercando i due punkabbestia, che a questo punto sono i due testimoni chiave per quanto riguarda l’identificazione di questo Vecchio?”
 
“Esatto signor questore,” conferma Gaetano, dopo aver terminato la lunga spiegazione, “e proprio per questo le chiederei di attendere nel procedere all’arresto formale della Misoglio e per la richiesta di rinvio a giudizio, almeno fino a che avremo chiarito questo punto.”
 
“Beh, sicuramente sono risvolti interessanti e mi complimento con lei per l’accuratezza, Berardi. Ma le prove contro la Misoglio sono schiaccianti e al limite questo Vecchio potrebbe quindi essere solo un complice ancora in libertà. Non ha senso attendere oltre per quanto riguarda la posizione della Misoglio. Avremo poi tempo dopo di catturare eventuali complici,” replica il questore con tono fermo e deciso.
 
“Signor questore, io capisco perfettamente la sua posizione, ma ora la cosa prioritaria è ritrovare i due punkabbestia, prima che ci siano altre vittime. Annunciare stasera in conferenza stampa che il caso è chiuso sarebbe prematuro, se emergessero poi ulteriori elementi. E anche lasciare aperta l’ipotesi di altri complici, proclamando quindi pubblicamente che stiamo indagando anche in altre direzioni, potrebbe da un lato innervosire questi eventuali altri complici e portarli ad uscire allo scoperto, ma, data la situazione e l’evolversi degli eventi nelle ultime ore, rischieremmo di causare altre morti.”
 
“E quindi lei cosa suggerirebbe, Berardi?” domanda il questore con un sopracciglio alzato.
 
“Di attendere, signor questore. Di annunciare la cattura della Misoglio in conferenza stampa, i forti sospetti a suo carico, che è piantonata eccetera eccetera, ma che stiamo ancora approfondendo e facendo tutti gli accertamenti e i rilievi. Insomma, di tenersi sul generico e, come ho già detto, di mantenerla in stato di fermo, senza convertirlo ancora in arresto. La prego, si fidi di me,” lo esorta, guardandolo dritto negli occhi, senza indugi.
 
“Di lei o della sua compagna?” domanda il questore, lanciando un’altra occhiata a Camilla che aveva assistito a tutta la conversazione in disparte e in perfetto silenzio.
 
“Di entrambi,” replica Gaetano, senza scomporsi, “anche perché, come abbiamo già chiarito, mi assumo io la piena responsabilità per Camilla e per il suo operato.”
 
“Signor questore, le garantisco che non è mia intenzione creare problemi. E che, per quanto sia legata a Ilenia, sono rimasta anche io quasi uccisa in quell’agguato e quindi l’unico interesse che ho è quello di arrivare alla verità, qualunque essa sia,” interviene Camilla, con altrettanta tranquillità e decisione.
 
“D’accordo Berardi,” sospira il questore, dopo un attimo di silenzio, “ma le concedo, vi concedo 48 ore, anzi, meno di 48 ore, il tempo che resta prima di dover convertire il fermo in arresto. E comunque la voglio con me alla conferenza stampa, quindi è meglio che ora ci avviamo.”
 
“Sì, signor questore. La ringrazio, vedrà che non se ne pentirà.”
 
***************************************************************************************
 
“Sai che sei proprio telegenico? Avresti dovuto fare l’attore!”
 
“Piantala di scherzare, professoressa, sai che odio queste cose… soprattutto quando ci sono problemi molto più urgenti da risolvere,” sospira Gaetano, di ritorno dalla lunga, noiosa e, a suo avviso, inutile, conferenza stampa, accettando e ricambiando però, più che di buon grado, il bacio del bentornato.
 
“Lo so e ti capisco, ma sei stato bravissimo. Tanto che le domande alla fine le hanno fatte quasi tutte a te, soprattutto un paio di giornaliste in prima fila non ti davano tregua,” gli fa notare con un mezzo sorriso e quel tono fintamente geloso che lo fa impazzire, “hai rubato tutta la scena al povero questore, tuo e suo malgrado.”
 
“Beh, meglio, vorrà dire che non mi coinvolgerà in altre conferenze stampa,” ribatte, ricambiando il sorriso, “anche perché ti garantisco che, anche se non fossi già più che impegnato con una certa professoressa, con le giornaliste, anzi, con una giornalista, ho già dato e non ho un buon ricordo della categoria.”
 
“Non ti sembra di essere un po’ ingiusto nei confronti della categoria adesso? Roberta era… fuori dal comune,” gli fa notare con un sopracciglio alzato, “e comunque, nonostante il suo caratteraccio, sinceramente non aveva tutti i torti ad avercela con te e con me, non ci siamo proprio comportati benissimo con lei.”
 
Gaetano sta per rispondere quando si sente bussare alla porta ed entra trafelata Grassetti.
 
“Scusate se vi disturbo, ma ci sono novità…”
 
“Ha trovato il telefono da cui il punkabbestia ha chiamato Marchese?”
 
“Sì, un cellulare, intestato ad un cingalese… insomma un paravento, come al solito,” sospira Grassetti, prima di porgere a Gaetano un foglietto con il numero.
 
“E avete provato a rintracciarlo?”
 
“Non ancora, sono venuta da lei appena ho trovato il numero. Non so… se voleva provare magari a chiamarlo intanto che procedo con le verifiche sulle celle telefoniche, visto che conosce il punkabbestia di persona.”
 
“D’accordo, Grassetti, grazie mille. Lo so che sarà esausta anche lei,” proclama, notando con preoccupazione le pesanti occhiaie della ragazza e il colorito cinereo.
 
“Non si preoccupi, dottore, posso reggere ancora per un po’,” risponde la ragazza con un sorriso grato, prima di congedarsi rapidamente e tornare al lavoro.
 
Con uno sguardo a Camilla, Gaetano afferra il cellulare e prova a comporre il numero del punkabbestia: meglio chiamarlo direttamente e non da un numero riservato come quelli della questura.
 
Riprova un paio di volte, ma ovviamente è sempre staccato.
 
Oggi sembra che nulla giri per il verso giusto.
 
***************************************************************************************
 
“I panini del bar accanto alla questura sono ancora peggio di quanto ricordassi,” sospira Gaetano, appallottolando il tovagliolino e lanciandolo con un tiro da maestro dentro il cestino della carta, sotto la scrivania, “scusami professoressa, ma-“
 
“Ehi, non importa, lo so che non puoi allontanarti da qui con tutto quello che c’è in ballo,” lo rassicura Camilla, per poi aggiungere, con un mezzo sorriso, “dì la verità che ti mancano Torre e i suoi spuntini in servizio.”
 
“Ah, beh, di sicuro la cucina di Torre, anche fatta su un fornelletto da campo, è meglio di questa roba di plastica,” ammette, prima di guardarsi intorno con aria malinconica, “sai mi sembra surreale essere qui, dietro questa scrivania che non è più mia, in questo ufficio che è stato il mio per tanti anni, senza Torre, Piccolo, Ferrari… è cambiato tutto.”
 
“Beh, direi che l’hai già fatto un po’ tuo però…” commenta con ironia, lanciando un’occhiata in giro, “se De Matteis vedesse come hai stravolto l’ordine perfetto della sua scrivania, rischierebbe un infarto.”
 
Gaetano apre la bocca per replicare quando l’inconfondibile suoneria del suo cellulare infrange per l’ennesima volta il silenzio dell’ufficio.
 
“È il numero di Sisma!” proclama Gaetano, incredulo, affrettandosi a rispondere, “pronto, Sisma?”
 
“No, non sono Sisma. Chi parla?” risponde una voce femminile, che gli suona familiare.

“Ginger, sei tu?”
 
“No, non sono nemmeno Ginger, sono una loro amica… ho visto una chiamata da questo numero e… chi li cerca?” ribatte la voce dopo un attimo di esitazione, mentre Gaetano sente un tuffo al cuore e alla bocca dello stomaco, quando finalmente fa il collegamento.
 
“Claudia? Claudia Milani?” domanda, incredulo, mentre scambia un’occhiata eloquente con Camilla.
 
“Berardi? Ecco perché il numero mi sembrava familiare!”
 
Merda…
 
***************************************************************************************
 
“Claudia!”
 
“Gaetano, grazie per essere venuto subito! Ti ho visto in televisione e so che sei parecchio impegnato con tutto quello che è successo col caso Scortichini,” lo saluta con un sorriso e una pacca sulla spalla, prima di notare una persona dietro di lui, “Camilla? È un piacere rivederla, anche se le circostanze continuano a non essere delle migliori.”
 
“Anche per me,” ammette Camilla, stringendo la mano all’altra donna. Se Claudia si chieda che cosa Camilla ci faccia lì e perché abbia accompagnato Gaetano all’ospedale in quella che è, a tutti gli effetti, una visita di lavoro, non lo dà assolutamente a vedere.
 
“Dove sono?”
 
“Qui, Gaetano,” indica Claudia, facendo un cenno ad un’infermiera, che solleva le veneziane che normalmente oscurano una grande finestra che dà sulla sala di rianimazione, in particolare quella dell’ossigenoterapia iperbarica.
 
“Sono loro,” conferma Gaetano, riconoscendo perfettamente Sisma e Ginger, nonostante la mascherina, il colorito rosso ciliegia e l’assenza di tutti i piercing che di solito decorano i  loro visi, “come li avete trovati?”
 
“Erano nella portineria di uno stabile abbandonato nella zona industriale che sta vicino al Grande Raccordo Anulare, sul tratto Appio Tuscolano Ciampino. Una guardia giurata che sorveglia alcuni stabili lì in zona ha sentito un cane abbaiare disperatamente verso l’una della scorsa notte. È andato a verificare e li ha trovati intossicati da monossido di carbonio, proveniente da un fornelletto a gas, aperto al massimo senza fiamma. La porta era spalancata, si pensa che il cane l’abbia aperta e abbia cercato di portare fuori i padroni e, non riuscendoci, abbia cercato aiuto…”
 
“Capisco… e in che condizioni sono?”

“I dottori dicono che sono molto gravi, sono in coma e non sanno se si risveglieranno e se ci saranno danni neurologici permanenti. Soprattutto la ragazza, essendo più minuta e un’incallita fumatrice, è rimasta intossicata ancora più gravemente e in maniera più rapida. Comunque la prognosi di entrambi è molto critica, Gaetano… Se vuoi ti chiamo il medico di turno che di sicuro ti potrà spiegare tutto meglio di me.”
 
“No, non fa nulla, Claudia… prima di tutto perché ne capisco quanto te di medicina e poi perché mi interessa di più la parte investigativa al momento. In questi casi di solito prima si valuta l’ipotesi del suicidio, immagino, o dell’incidente, anche se visto l’orario e il fatto che il gas fosse completamente aperto, la seconda ipotesi mi sembra improbabile.”
 
“Sì, infatti, l’ipotesi primaria è stata fin da subito quella del suicidio. Ma c’è un particolare strano, per cui il caso è stato portato alla mia attenzione. A parte il cane che ha, di fatto, salvato la vita ai suoi padroni, ce n’era un altro che invece dormiva profondamente. Sono state ritrovate delle polpette rigurgitate, probabilmente dal cane che era ancora sveglio, e che, fatte analizzare, erano evidentemente imbottite di benzodiazepine. Insomma, un potente sonnifero e tranquillante. Ora, potrebbero essere stati i punkabbestia a voler narcotizzare i cani per evitare che impedissero, come è avvenuto, il tentativo di suicidio o che si agitassero ma… non lo so mi sembra strano. Oltretutto nella portineria e sui ragazzi non sono stati ritrovati medicinali, sonniferi, nemmeno droghe.”
 
“E quindi la cosa ti ha insospettito…”
 
“Sì, anche perché manca un messaggio d’addio… e poi i punkabbestia di solito se decidono di suicidarsi, usano altri metodi. Quindi ho chiesto ai ragazzi di tenere d’occhio il numero di telefono e di avvertirmi se qualcuno lo chiamava, visto che la rubrica era piena soltanto di nomi in codice e… diciamo che abbiamo casi più urgenti al momento e non potevamo certo contattarli tutti a breve. E stasera, quando sono tornata da un’altra scena del crimine, mi hanno avvertita che c’erano state delle telefonate… il resto lo sai.”
 
“Sisma e Ginger potrebbero essere due testimoni chiave nel caso Scortichini, Claudia. E sinceramente credo proprio che si tratti di un tentativo di omicidio. Ginger aveva appena perso il suo compagno, è vero, e non era molto stabile, ma Sisma invece non mi sembra assolutamente il tipo di persona da fare gesti inconsulti…”
 
“E poi domenica sera Sisma aveva contattato Marchese dicendo che Ginger voleva collaborare e aiutare a dare giustizia a Marcio e la sera dopo decidono di suicidarsi? Non ha senso!” interviene Camilla, senza riuscire a trattenersi, guadagnandosi un’occhiata stupita da parte di Claudia, “scusate.”
 
“Non si preoccupi professoressa, Gaetano mi ha parlato a lungo di lei e del suo incredibile talento investigativo,” commenta Claudia con un mezzo sorriso e uno sguardo eloquente che imbarazzano sia Gaetano, sia Camilla.
 
“Senti, Claudia… io penso che i due casi potrebbero essere collegati e, se per te va bene, proporrò al questore di unirli,” suggerisce Gaetano, tentando di cambiare discorso.
 
“Sì, certo, non c’è problema, anzi, ho fin troppi casi per le mani, e poi collaborare con te è sempre un piacere…”
 
“Scusate se mi intrometto ancora ma… Claudia, lei quando ha detto che sono stati ritrovati i due punkabbestia? La notte scorsa all’una?”
 
“Sì, esatto, professoressa. Perché me lo chiede?”
 
“Lo so cosa stai pensando Camilla: a quell’ora Ilenia era sicuramente bloccata nel castello medievale, visto che c’erano stuoli di poliziotti e pompieri che giravano per il Luna Park. Quindi, se non è stato un suicidio ma un tentativo di omicidio, di sicuro non può essere stata Ilenia a commetterlo e quindi…”
 
“E quindi si ritorna sempre al Vecchio…”
 
***************************************************************************************
 
“Esatto, signor questore, sì, la terrò aggiornata, buonanotte!”
 
“È ora anche per te della buonanotte, dottor Berardi: i tuoi uomini sono già a letto da un pezzo e dovresti seguire il loro esempio,” intima Camilla, con l’aria di chi non ammette un no come risposta.
 
Marchese, Grassetti e Lorenzi erano già stati spediti a farsi una bella dormita, dopo che la telefonata di Claudia aveva chiarito che non c’era molto altro da fare, se non andare in ospedale.
 
“D’accordo, professoressa, agli ordini!” ribatte con un sorriso stanco, massaggiandosi gli occhi.
 
“Come facciamo? Torno da mia madre e tu torni da Francesca? Forse è la soluzione meno complicata per stanotte,” propone, anche se non avrebbe voglia di separarsi da lui, ma sa benissimo che ripresentarsi insieme a casa di sua madre comporterebbe come minimo un interrogatorio della generalessa Baudino. E Gaetano è già abbastanza stremato così.
 
“No, Camilla, non se ne parla. Guarda che quello che ho detto al questore lo penso sul serio, non era solo una scusa per giustificare la tua presenza qui. Ora che abbiamo quasi la certezza che ci sia o un complice di Ilenia o l’assassino ancora in libertà non posso permetterti di rischiare e-“
 
“E se non torno a casa nemmeno stanotte mia madre mi uccide, ci uccide,” gli ricorda Camilla con uno sguardo eloquente.
 
“Camilla, è anche per la sicurezza di tua madre e di Livietta che sono preoccupato, pensaci,” la implora, guardandola in quel modo che le ricorda Tommy e che la fa sempre sciogliere.
 
“E allora dove proponi di dormire? Immagino che anche per Francesca valga lo stesso discorso… in hotel?”
 
“No, qui in questura. C’è una stanza riservata a chi fa il turno di notte. Non è un hotel a cinque stelle, lo so e il letto non è grandissimo ma ci possiamo stare in due e-“
 
“Gaetano, ascoltami, a me non interessa nulla dell’hotel a cinque stelle, a me basta che stiamo insieme e lo sai. Ma non posso rimanere per sempre chiusa in questura, come non posso nemmeno rimanere per sempre sorvegliata a vista, per quanto l’idea di passare ogni minuto al tuo fianco non mi dispiaccia affatto,” cerca di farlo ragionare con un sorriso, accarezzandogli il viso.
 
“Camilla, lo so, lo so che sei una donna indipendente e non voglio certo privarti della tua autonomia… in circostanze normali non te lo chiederei mai. Voglio dire, da quanto ci conosciamo io e te? Non ti ho quasi mai fatta sorvegliare, anche quando ti cacciavi in guai tremendi ma… qui abbiamo a che fare forse con l’assassino peggiore su cui abbiamo mai indagato insieme. Ha già fatto troppe vittime, è sempre più violento, sempre più fuori controllo…”
 
“Quindi non pensi più che sia stata Ilenia, altrimenti non ti agiteresti così,” deduce Camilla, provando una fitta al cuore nel sentire il suo tono così preoccupato, quasi disperato.
 
“No…” ammette, rendendosene conto consciamente lui stesso mentre pronuncia quella parola, “o meglio, penso ancora che forse abbia avuto qualcosa a che fare con l’omicidio dello Scortichini, ma non con quello di Marcio e nemmeno con tutta la vicenda del Luna Park. Sarò pazzo ma ho più di seri dubbi in proposito. E poi lo sai che mi fido del tuo sesto senso sulle persone.”
 
“Però se l’attacco al Luna Park, così plateale, fosse stato solo un modo per far catturare Ilenia e dimostrare a tutto il mondo che è colpevole, forse non sono in pericolo, non più, dato che l’assassino ha raggiunto il suo scopo,” gli fa notare, continuando a sfiorargli una guancia, mentre lui ricambia il gesto, “anche perché, Gaetano, capisco i punkabbestia, che sono testimoni oculari, ma io cosa posso sapere di questo Vecchio? Non l’ho mai visto. Perché dovrebbe volermi morta?”
 
“Non lo so… ma se conosceva tutti i particolari necessari per scrivere quella lettera a nome di Ilenia, sapeva di noi due e del tuo rapporto con Ilenia e del tuo… intervento nel caso di Black. Forse lo è venuto a sapere da Marcio o forse ci teneva d’occhio, come teneva d’occhio Ilenia, e si è accorto che stavamo indagando anche su questo caso, anche su di lui? Magari abbiamo scoperto qualcosa di importante, o che lui ritiene importante e non ce ne siamo ancora resi conto.”
 
“Forse… o forse semplicemente mi ha scelta perché ero la persona più vicina ad Ilenia e a te, alla polizia… e  poteva quindi immaginare che avrei cercato di aiutare Ilenia, come già fatto in passato, e che, attaccando me, la cavalleria sarebbe accorsa subito alla sua messinscena, no?”
 
“Non lo so, Camilla, e adesso ho la testa che mi scoppia e non riesco più a ragionare. Ma quello che so per certo è che non posso permettermi di sbagliare e di prendere la situazione sottogamba, Camilla, non con te. Non posso rischiare di perderti, Camilla,” sussurra, la voce roca, gli occhi di entrambi che si fanno umidi, prima di trovarsi stretti in un abbraccio fortissimo.
 
“D’accordo, dottor Berardi, si fa come dici tu, almeno per stasera,” acconsente, scompigliandogli i capelli e stampandogli un altro rapido bacio sulle labbra, prima di alzarsi e afferrare il cellulare, pronta ad affrontare le rimostranze di sua madre.
 
Ma non potrebbe mai lasciarlo solo, non stanotte.
 
***************************************************************************************
 
È sveglia ormai da un po’, del resto lei il giorno prima aveva dormito fin troppo, ma rimane lì immobile ad osservarlo, addormentato placidamente tra le sue braccia, come un bambino. Anche la sera prima, Gaetano si era assopito praticamente subito una volta che aveva toccato il cuscino e il materasso, poco dopo averla abbracciata e averle dato il bacio della buonanotte, vinto dalla troppa stanchezza accumulata. Lei era rimasta così a contemplarlo, per un’ora, forse due, a sentire il battito del suo cuore, il suo respiro, e a convincersi che era tutto vero, che lui era lì con lei, che stavano bene entrambi, che erano di nuovo insieme.
 
Piano piano lo sente muoversi e poi quegli occhi azzurri, assonati e confusi incontrano i suoi.
 
“Amore…” sussurra sorridendole, prima di catturare le sue labbra in un bacio del buongiorno da togliere il fiato.
 
“Buongiorno anche a te, dormiglione,” ribatte con il fiato corto, non appena ha di nuovo dell’ossigeno nei polmoni e nel cervello, cercando di mettersi a sedere, ma lui la blocca.
 
“Dove pensi di andare, professoressa?”
 
“È tardi, dottor Berardi, ed è ora di rimettersi al lavoro,” proclama con tono giocosamente marziale, tentando nuovamente di svincolarsi dalla sua presa, ma lui per tutta risposta, inizia a baciarle il collo.
 
“Gaetano, per favore, non qui! Ti rendi conto di dove siamo?” gli domanda, trattenendo a stento una risata quando lui le soffia in un orecchio, “eddai!”
 
“E se ti dicessi che tanti anni fa ho fatto parecchi sogni, parecchie fantasie, su noi due in questa stanza, in questo letto?” le sussurra, continuando a tormentarle il collo di baci, sentendola rabbrividire.
 
“C’è un posto su cui non hai fatto fantasie su noi due?” gli domanda ironica, bloccandogli il viso e sollevandoglielo perché la guardi negli occhi, cercando disperatamente di non lasciarsi trascinare nell’oblio, anche se lui glielo rende così dannatamente difficile.
 
“E tu allora? Celle, manette… eccetera eccetera…” le ricorda con un’espressione da schiaffi.
 
“Touché. Ma quelle erano fantasie, e questa è la realtà. E la realtà è che siamo circondati da investigatori dall’udito fine e che soprattutto non tarderebbero a fare due più due se lasciassimo in giro… prove compromettenti. Vuoi che Marchese o Grassetti o Lorenzi conoscano nei dettagli le nostre abitudini sessuali?” gli fa notare con un sopracciglio alzato e il tono da prof..
 
“Perché hai sempre la stramaledettissima abitudine di avere ragione?” sospira, posandole un bacio decisamente più casto sulla fronte, prima di arrendersi e lasciarla andare.
 
Camilla ne approfitta e si alza, prima che cambi idea, facendo un paio di passi e voltandosi quando sente un suono che pare un rantolo strozzato.
 
“Ma allora lo fai apposta! Come faccio a resisterti se mi sfili davanti così?” si lamenta Gaetano, lanciandole un’occhiata frustrata che è pura lava.
 
“Ah, beh, certo, non c’è nulla di più sexy delle magliette della polizia,” commenta Camilla, sarcastica, indicando la t-shirt oversize che Gaetano le aveva procurato per la notte.
 
“Se la indossi in questo modo…” mormora con un sopracciglio alzato, non smettendole di guardarle le gambe.
 
Camilla abbassa lo sguardo e finalmente si accorge che nel letto la maglietta si è spostata lasciandole scoperta una spalla ed è salita a tal punto che a malapena le copre l’inguine. Si affretta a coprirsi e, proprio in quel momento, sentono bussare alla porta.
 
“Chi è?” domanda Gaetano, sorpreso.
 
“Sono Marchese, vi ho portato la colazione. Posso entrare?”
 
“Sì, Marchese, vieni pure, ci stavamo alzando,” risponde Camilla tranquillamente, lanciando un’occhiata eloquente a Gaetano della serie – vedi che avevo ragione?
 
***************************************************************************************
 
“Ci sono novità?”
 
“Sì, dottore. Il medico legale ha visionato le lastre prelevate dal dottor Righetti e la struttura ossea del torace e i segni delle fratture coincidono perfettamente. Il cadavere ritrovato al cascinale appartiene senza ombra di dubbio al signor Giuliani,” spiega Grassetti, porgendogli la cartellina con il referto, prima di sedersi accanto a Marchese e Camilla.
 
“Marchese?”
 
“No, nient’altro, dottore.”
 
“D’accordo. Allora, dobbiamo concentrarci sul Vecchio, sul signor Giuliani e su Marcio, sulle loro vite, sul loro passato, tutto. Grassetti, voglio che torni a Spinaceto e chieda informazioni su Giuliani. Parta dai bar, i negozi, le farmacie e i negozi che vendono attrezzi, sementi, eccetera per la campagna, i negozi che vendono cibo per animali. Voglio capire quando l’hanno visto l’ultima volta, chi frequentasse, lo sappiamo che era un eremita, ma se magari avesse qualche conoscente, un amico. Qualsiasi cosa.”
 
“Perfetto, dottore, mi muovo subito.”
 
“Marchese, voglio che tu ti coordini con la scientifica per quanto riguarda la scena del  Luna Park. Ormai avranno avuto il tempo di ispezionare la casa stregata e il castello in maniera più accurata. E  poi voglio che tu vada di nuovo dai punkabbestia che conoscevano Ginger e Sisma, magari questo Zanna o… Lupo. Cerca di capire se qualcuno di loro avesse conosciuto questo Vecchio e se Ginger e Sisma avessero raccontato loro qualcosa di particolare negli ultimi giorni… Non dire però loro cosa è successo a Ginger e Sisma: meno persone sanno che sono ancora vivi e dove si trovano e meglio è, considerato quello che è successo. È un bene che, con l’incendio e la sparatoria, la notizia di due punkabbestia intossicati da monossido di carbonio non sia nemmeno uscita sui media.”
 
“Sì, dottore.”
 
“Mentre, Camilla, io e te andiamo da Ilenia,” annuncia, guadagnandosi occhiate stupite da tutti i presenti, “a questo punto voglio capire se ricorda qualcosa di più di Marcio, di quello che si sono detti, della casa del Vecchio e di tutte le incongruenze che ancora ci sono. E, visto come sono andate le cose ieri, se ci sei tu magari si tranquillizzerà e si aprirà di più.”
 
“Grazie…” sussurra lei con un sorriso commosso, sapendo bene cosa questo significhi e quanto Gaetano stia rischiando per permetterle questo incontro Ilenia.
 
***************************************************************************************
 
“Prof.?!”
 
“Ciao, Ilenia,” la saluta semplicemente, guardandola negli occhi, quegli occhi così espressivi e malinconici e che ora sembrano brillare di una luce febbrile, circondati da occhiaie violacee.
 
“Prof., le giuro che non sono stata io e mi dispiace… mi dispiace così tanto che per colpa mia lei-” esclama, prima di scoppiare in altro attacco di tosse.

“Ehi, ehi, tranquilla, non ti devi agitare,” la rassicura Camilla, avvicinandosi a lei e dandogli un paio di colpi sulle spalle per aiutarla a respirare.
 
Ilenia solleva lo sguardo, sorpresa, e di nuovo incontra i suoi occhi.
 
“Lei mi crede…” sussurra, il tono roco ma sollevato, mentre gli occhi le si riempiono di lacrime, “lei mi crede, nonostante tutto…”
 
Camilla si limita a sorriderle: a lei e a Ilenia era sempre bastato uno sguardo per capirsi. In un secondo se la ritrova stretta tra le braccia, che piange sul suo petto come una bambina. Non può non pensare che l’ultima volta che l’aveva fatto era stato quando le aveva dovuto dire che suo fratello era morto.
 
Mentre le accarezza i capelli e le spalle, lancia un’occhiata a Gaetano, che le osserva in disparte e in religioso silenzio.
 
Anche a loro non è mai servito altro per capirsi.
 
***************************************************************************************
 
“E quindi non ricordi altro?”
 
“No, prof., mi dispiace, tutto quello che sapevo e che ricordavo ve l’ho scritto in quella lettera. Con Marcio abbiamo parlato sempre di mio fratello e di come incontrarci, non mi aveva mai parlato di questo Vecchio prima di portarmi in quel cascinale. E di quel posto ricordo solo i due cani e… e quella stanza. Ero troppo sconvolta, prof..”
 
“Tre cani… il Vecchio aveva tre cani,” fa notare Gaetano, stupito da quell’ennesima contraddizione, apparentemente inutile: che motivo poteva avere Ilenia di mentire sul numero dei cani del Vecchio?
 
“No, i cani erano solo due. Ne sono sicura, o meglio, io ne ho visti due,” ribadisce Ilenia, sembrando altrettanto sorpresa.
 
“Già, l’avevi anche scritto sulla lettera che ci hai inviato,” ricorda improvvisamente Camilla, chiedendosi come avesse fatto a non accorgersi prima.
 
“Beh… è strano però non credo abbia grande rilevanza. Magari uno dei cani era tenuto momentaneamente da un’altra parte, magari era molto aggressivo o troppo intontito di farmaci per fartelo vedere,” ragiona Gaetano con un sospiro, massaggiandosi le tempie, “piuttosto, ci sono due elementi inspiegabili, Ilenia e che sono quelli che aggravano al momento più di tutti la tua posizione, insieme al fucile di precisione e al fatto che ti trovassi in quel Luna Park. Come la spieghi la giacca di jeans?”
 
“Non lo so… ci ho pensato a lungo da ieri e… a volte ho passato di nascosto a mio fratello alcuni dei miei vestiti, quando non li usavo più o non mi andavano più bene. Ero più bassa di lui ma ero molto… robusta e vestivo sempre oversize e in modo abbastanza maschile, quindi alcune cose mie gli andavano bene, tipo le maglie o le giacche. Mia mamma forse se ne accorgeva ma non diceva niente. Però sinceramente non ricordo se gli avevo regalato quella giacca di jeans, è passato troppo tempo…”
 
“Boh… forse… certo è un po’ strano, dopo dieci anni, soprattutto che poi possa essere passata di mano e finita al Vecchio,” commenta Gaetano, ricordando oltretutto che la giacca di jeans sembrava ben conservata, con cura.
 
“Magari Marcio l’ha tenuta per ricordo… forse era uno dei… feticci di quella specie di stanza dell’orrore con l’altare a Black, no?” suggerisce Camilla, per poi aggiungere, dopo un attimo di riflessione, “Ilenia, tu mi giuri che davvero non ti sei avvicinata al capanno dello Scortichini?”
 
“No, prof. glielo giuro, non ho mai tentato di rintracciarlo, non avrei saputo nemmeno come arrivarci,” conferma Ilenia, guardandola di nuovo negli occhi.
 
“E allora come può un pezzo dei tuoi pantaloni essere finito su quella ringhiera? A questo punto qualcuno deve avertelo strappato dai pantaloni di proposito e averlo portato lì,” deduce Camilla, a corto di idee.
 
“Non può essere stato Marcio? Non lo so… credo che me ne sarei accorta però… magari ero così sconvolta…”
 
“No, Ilenia, non può essere stato lui. Se crediamo alla tua versione dei fatti secondo cui tu e lui eravate insieme quando è stato ucciso lo Scortichini, nessuno si è recato in quel capanno dopo l’assassino e prima che arrivassero i soccorsi e la polizia,” sospira Gaetano, per poi aggiungere, con il tono più schietto che possiede, “Ilenia, se sai qualcosa sull’omicidio dello Scortichini oltre quello che ci hai detto è nel tuo interesse dircelo, se magari ti fossi fatta trascinare e… se avessi collaborato o se avessi taciuto od omesso. È meglio essere accusati di concorso o favoreggiamento in un omicidio che di omicidio plurimo con una sfilza di aggravanti.”
 
“Lo capisco, ma io non ne so davvero niente. Lo so che è difficile da credere ma la prima volta in cui io e Marcio abbiamo parlato di qualcosa che riguardasse la veterinaria, è stato quando ho visitato i cani del Vecchio.”
 
“Va bene… allora deve per forza essere successo quando eri da sola, prima di incontrare Marcio. Hai acquistato dei vestiti, no? Quando ti sei cambiata hai notato se erano già strappati?”
 
“No, dottore, non ci ho fatto caso… se lo erano non l’ho notato. Me ne sono accorta solo alla tenuta di Allegra, quando li ho piegati per riporli nell’armadio. E allora li ho buttati via… non so, forse era un tentativo di liberarmi dei ricordi della giornata…”
 
“Magari hai lasciato i vestiti incustoditi nei camerini?”
 
“No, prof.. Avevo tutti i miei averi di un certo valore nella tracolla, quindi non mi sono mai allontanata dai camerini, sono stata molto attenta. E poi erano tutti negozi di moda femminile, credo che se un uomo si fosse aggirato per i camerini l’avrei notato subito e l’avrebbero notato anche le commesse.”
 
“D’accordo… però… strappare una tasca a dei pantaloni richiede una certa forza, certo il cotone non è resistente come il jeans, ma ne è proprio venuto via un pezzo. E lo strappo provoca anche un rumore… Se li avevi indosso è quasi impossibile che non ti sia accorta di niente, no? Dovrai ricordarti di qualcosa,” ipotizza Camilla, cercando di visualizzare la scena.
 
“Beh, in realtà non è detto, Camilla. Ti garantisco che ci sono degli esperti di scippi e borseggi che riescono a tagliare le tasche senza farsi accorgere, come se niente fosse, specialmente nei luoghi affollati…”
 
“Ma certo!” esclama Ilenia, prima di iniziare di nuovo a tossire.
 
“Ti sei ricordata qualcosa?” le domanda Camilla, dopo che la ragazza si è calmata con qualche sorso d’acqua.
 
“Sì… quando ero sul tram, mentre stavo andando al cimitero per fare visita a mio fratello, ad una fermata sono stata spinta violentemente, per poco non cadevo contro i signori seduti davanti a me. Mi sono subito preoccupata della borsa, ma per fortuna c’era tutto e non ho nemmeno pensato alle tasche, perché non metto mai niente nelle tasche posteriori dei pantaloni, proprio per evitare problemi ma…”
 
“Quando è successo e dove? Ti ricordi la fermata precisa?”
 
“Sì, mi sembra che fosse la seconda fermata… ero salita a quella vicino a casa della signora Andreina… i nomi precisi non li ricordo ma la linea era diretta per il cimitero. E saranno state le undici e un quarto… undici e mezza.”
 
“Grazie Ilenia, a questo punto, credo che possiamo lasciarti riposare. Camilla?”
 
“Cerca di stare tranquilla e pensa solo a guarire, ok? Noi faremo tutto il possibile per scoprire la verità,” la rassicura Camilla, congedandosi da lei con un ultimo abbraccio.
 
“Grazie, prof., e grazie anche a lei dottore, per avermi dato una possibilità,” li saluta con un sorriso, che ricorda ad entrambi la vecchia Ilenia, quella che avevano conosciuto da ragazzina.
 
“Sto solo cercando la verità, Ilenia, che poi è il mio lavoro,” minimizza Gaetano, prima di avviarsi all’uscita e tornare in corridoio.
 
“Camilla…” esordisce dopo un attimo di silenzio, esitante, “credo che dovrei andare ad aggiornare De Matteis sugli ultimi sviluppi… penso di doverglielo. Tu cosa vuoi fare?”
 
“Penso che sia meglio che io non ti accompagni… sarebbe imbarazzante stare tutti e tre nella stessa stanza e… e De Matteis deve stare tranquillo,” ammette Camilla, che, in cuor suo, non si sente pronta a rivedere De Matteis, anche se sa che prima o poi dovrà capitare e dovrà affrontare quello che è successo il giorno prima, “io intanto posso andare a trovare Sammy, credo che sia ancora qui con Mancini. Mi avvisi quando hai finito?”
 
“Agli ordini professoressa,” annuisce, facendole il saluto militare e dandole un lieve bacio sulle labbra, per poi allontanarsi da lei, sotto l’occhiata divertita del piantone.
 
***************************************************************************************
 
“Claudia, dimmi, ci sono novità?”
 
“Sì, Gaetano, e… beh… non so se siano buone o cattive notizie,” risponde la voce della donna, con un tono lievemente metallico dato dagli altoparlanti dell’impianto vivavoce dell’auto.
 
“Spara…”
 
“Sono arrivati i risultati delle analisi sanguigne più approfondite che i medici hanno deciso di eseguire, una volta che si è iniziato a sospettare che avrebbe potuto non trattarsi di un suicidio, e degli esami tossicologici, per vedere se avessero assunto droghe o farmaci. Hanno scoperto che, oltre al monossido di carbonio, avevano anche inalato un gas narcotizzante di quelli più usati nelle rapine, che ha oltretutto peggiorato il loro quadro clinico. Ne sono rimaste evidenti tracce nel sangue, anche perché il loro metabolismo, come potrai immaginare, è completamente alterato. Il monossido di carbonio intontisce già rapidamente, inalare narcotici prima non è affatto usuale in casi di suicidio. E non è il genere di sostanza che si possa usare per scopi… ricreativi… insomma, per sballarsi.”
 
“A questo  punto non ci sono dubbi: è un tentato omicidio, mascherato da suicidio,” sospira Gaetano, sfregandosi gli occhi.
 
“Sì, direi che mi sembra l’ipotesi più probabile. Qualcuno ha narcotizzato prima i cani e poi i padroni, in modo da poter agire indisturbato. Se uno dei due cani non avesse avuto una reazione avversa ai narcotici… probabilmente nessuno se ne sarebbe mai accorto,” ammette Claudia, ricambiando il sospiro, “e tu, ci sono novità?”
 
“No, nessuna novità concreta, purtroppo, se non la certezza matematica che questo Vecchio manca all’appello e non si trova. Il questore ti ha contattata per unire i due casi?”
 
“Sì, ti volevo parlare anche di questo… il questore mi ha fatto una lunga telefonata e mi ha fatto capire che, se non ci saranno sviluppi immediati, vorrebbe lasciar trapelare la notizia che Ginger e Sisma sono vivi e stanno bene, per cercare di fare compiere un atto inconsulto a questo Vecchio o chiunque altro sia il complice della Misoglio ancora a piede libero. Voleva tastare il terreno… insomma, se sarei disposta a coordinare l’operazione. Ho cercato di prendere tempo e-“
 
“E hai fatto bene: ci ho pensato anche io, ma per me deve rimanere solo un’ultima spiaggia. Viste le condizioni di Ginger e Sisma, e vista la pericolosità della persona con cui abbiamo a che fare e che non si tratta di un Luna Park abbandonato, ma di un ospedale pieno di civili innocenti e malati… vorrei evitare una situazione a rischio sequestro o una strage…”
 
“Lo so, ma ti avverto, mi sembrava parecchio deciso e… il questore è una brava persona, Gaetano, di solito è ragionevole, ma temo abbia il fiato sul collo da più di una persona in alto per chiudere in fretta questo caso, prima che possa scatenarsi una psicosi e che si possa… rovinare l’immagine della città, anche per il turismo…. Insomma, sai meglio di me come funziona, no?”
 
***************************************************************************************
 
“Maledizione!”
 
“Intuisco dal tuo tono di voce e dal modo in cui hai quasi infranto la cornetta contro alla scrivania che la telefonata con il questore non sia andata bene…” deduce Camilla, che è appena rientrata nell’ufficio di De Matteis dopo una lunga e concitata telefonata con sua madre.
 
“No, Camilla… è troppo impaziente e… e poi gli ho dovuto riferire della nostra visita ad Ilenia, ho cercato di fargli capire che la tua presenza serviva per farla aprire, per farla parlare ma… diciamo che teme che io mi stia facendo condizionare dai nostri rapporti pregressi con Ilenia e da te. Per lui Ilenia è la colpevole e… da un lato lo capisco visto che le prove sono tutte contro di lei… e se non troviamo altre prove più che schiaccianti del contrario non sarà facile fargli cambiare idea. E temo che possa togliermi la fiducia e il caso quanto prima, o meglio, che possa chiudere il caso e finirla lì.”
 
“Mi dispiace, Gaetano, ti creo sempre problemi,” ammette, sedendosi all’angolo della scrivania e posandogli una mano sulla spalla.
 
“Ehi, non è colpa tua, professoressa,” la rassicura, afferrandole l’altra mano e portandola a sedersi sulle sue ginocchia, “anzi, mi hai evitato anche questa volta di prendere una cantonata pazzesca, per quanto riguarda il povero signor Giuliani e a questo punto credo anche per quanto riguarda Ilenia.”
 
“Beh, ho solo ricambiato il favore, visto che, se non mi avessi fatta ragionare, sarei probabilmente morta come una stupida in quella casa in fiamme…” ammette Camilla, anche se a fatica, guardandolo negli occhi, “e poi sono sicura che, riguardando le prove, ti saresti accorto anche da solo che qualcosa non quadrava, anzi, te ne sei accorto da solo.”
 
“Come io sono sicuro che, anche se non ti avessi fatta ragionare, alla fine non saresti andata a quell’appuntamento da sola, Camilla. Del resto sei stata tu per prima ad essere in apprensione, quando hai scoperto che ci era andata Sammy, no?”
 
“Gaetano…” sussurra, toccata da questa ennesima ammissione e prova di fiducia, di stima e di amore, non resistendo e posandogli un bacio sulle labbra che vorrebbe essere rapido, ma il cuore e le bocche di entrambi sono di diversa opinione.
 
Il rumore di una porta che si apre li interrompe.
 
“Scusate… avrei dovuto bussare…” proclama Marchese, un’espressione imbarazzata e divertita sul volto, mentre Camilla si precipita ad alzarsi in piedi, “ma… diciamo che con il dottor De Matteis almeno questo problema non l’ho mai avuto.”
 
Gli occhi di Camilla e quelli di Gaetano si incrociano e stanno pensando entrambi la stessa cosa: ah, se Marchese sapesse!
 
Ma, del resto, lui era rimasto al Luna Park ed era quindi stato praticamente l’unico a perdersi la scena del bacio e tutto il maremoto che ne era conseguito.
 
“Avevi notizie da darmi, Marchese?” taglia poi corto Gaetano, schiarendosi la gola e recuperando un tono professionale.
 
“Sì, dottore, per quanto riguarda il Luna Park, le ricerche si sono concluse con un quasi nulla di fatto. I pompieri confermano che il fuoco è doloso, sono state trovate tracce di un accelerante, comune benzina, su svariati tessuti e su alcune tavole di legno. Ma… come immaginerete, dato che è tutto crollato,  è difficile capire da dove siano partite le fiamme, anche se, vista la rapidità di propagazione, ipotizzano che ci fossero più punti di innesco, forse su più piani. A loro avviso però è praticamente impossibile distinguere eventuali congegni di innesco dai meccanismi già presenti nell’attrazione. Ci stanno ancora lavorando, ma servirebbe davvero un colpo di fortuna.”
 
“Capisco. I pompieri hanno per caso rinvenuto quello che resta dell’estintore che avevamo trovato vicino all’uscita posteriore? Sembrava nuovo… c’erano materiali da costruzione in giro, magari potrebbero essere stati gli operai ma, in caso contrario, si aprono ben altri scenari e, se si riuscisse a ritrovarlo e se il numero di matricola fosse ancora leggibile… ”
 
“I pompieri non mi hanno riferito nulla in proposito, ma mi informerò sicuramente, dottore.”
 
“E per quanto riguarda i punkabbestia?”
 
“No, nessuno conosce o ammette di conoscere il Vecchio. Mi hanno promesso che faranno correre la voce e mi faranno sapere ma, sinceramente, temo che non ne caveremo un ragno dal buco.”
 
Il telefono dell’ufficio inizia a squillare.
 
“Cavolo… ormai cominciavo a sentire la mancanza di questo suono melodioso,” ironizza Camilla, mentre Gaetano afferra la cornetta.
 
“Sì, il direttore dell’ospedale veterinario? Sì, me lo passi,” annuisce Gaetano, premendo di nuovo il tasto del vivavoce, “pronto, dottore, buongiorno sono Berardi. Ammetto che la sua chiamata mi sorprende: ci sono altre novità?”
 
“Sì, dottor Berardi, purtroppo sì. Stamani uno dei cani prelevati dal cascinale del signor Giuliani Cesare, ha iniziato a manifestare evidenti sintomi di Rabbia… si sta avviando all’ultimo stadio della malattia. Ovviamente dovremo attendere il decesso e l’autopsia per averne la certezza assoluta, ma penso si possa affermare che, al 99% delle probabilità, si tratta di Rabbia.”
 
“Che cosa? Uno dei cani del Vecchio… cioè… uno dei cani trovati al cascinale? Non dello Scortichini?”
 
“Esatto. Anche in questo caso non l’avevamo notato subito perché, come i cani dello Scortichini, anche quelli del Signor Giuliani presentavano evidenza di un uso farmaci.  Per essere precisi, due cani erano sotto effetto di fluoxetina, mentre questo cane in particolare aveva ancora tracce nel sangue di un forte dosaggio di benzodiazepine, un tranquillante che dà prima torpore e poi forti fenomeni di astinenza, che potevano motivare quindi il comportamento docile e poi via via più aggressivo dell’animale.”
 
“Benzodiazepine? E potrebbero avere anche un effetto soporifero?” chiede Gaetano, facendo il collegamento con quanto successo ai cani di Sisma e Ginger.
 
“Sì, anche se questo tipo di benzodiazepina è più usata come tranquillante che come sonnifero, ma a quei dosaggi la linea di demarcazione non è di certo netta.”
 
“Per quanto riguarda invece la Rabbia… ma com’è possibile? Non è che i cani sono stati a contatto tra loro?”
 
“No, dottor Berardi, assolutamente no. I cani sono rimasti tutti in isolamento e non hanno avuto contatti tra loro, come da protocollo. E poi sono stati portati qui da noi venerdì sera, siamo a mercoledì e la Rabbia non si manifesta in un tempo così breve, non all’ultimo stadio, quindi il cane non può essere stato contagiato qui.”
 
“Dottore, le garantisco che non era mia intenzione mettere in dubbio la sua professionalità ma… mi chiedo come sia possibile…”
 
“Non lo so… l’ipotesi peggiore e più plausibile è quella di un’epidemia che si sta diffondendo tramite le lotte clandestine, magari partendo da un singolo cane ammalato, e quindi per ora contenuta in un ambito preciso. Però, a parte le implicazioni sanitarie pesantissime che spero di non dover contemplare, ci sono alcuni elementi che mi portano a dubitarne. Il cane in questione, al contrario dell’altro, non aveva lesioni recenti da lotta, solo un morso su una zampa ed un ematoma nella zona della nuca, come se fosse stato colpito con oggetto smussato, che non ha lasciato ferite evidenti. E la Rabbia si manifesta sicuramente in un tempo inferiore a quello che ci impiega un cane a guarire da delle ferite di combattimento. L’altra ipotesi è che possa averlo contratto da un animale selvatico ma qui in Lazio la Rabbia non è endemica e non dovrebbe essere affatto diffusa in natura, anzi, non dovrebbe proprio essere presente.”
 
“Capisco dottore, la ringrazio molto e mi tenga assolutamente informato se ci fossero altri aggiornamenti.”
 
“Ci mancava solo la possibile emergenza sanitaria…” commenta Marchese con un sospiro.
 
“No, scusate ma… prima di pensare ad un’epidemia… ci deve essere un collegamento e non può essere una coincidenza…” interviene Camilla, cercando un nesso che le sfugge.
 
“E forse so di cosa si tratta. Marchese, hai qui i risultati della scientifica sulla Panda bianca in cui è stato ritrovato Marcio? Quella usata dall’assassino per andare dallo Scortichini?”
 
“Certo, dottore, dovrebbero essere in quel fascicolo… eccoli,” proclama il ragazzo, estraendo una cartellina.
 
“Per caso c’erano dei peli di cane nel bagagliaio?” domanda, trattenendo il fiato.
 
“Sì, sì, peli neri, non umani ma identificati come di razza canina. Ma come faceva a saperlo?” gli domanda stupito, mentre Gaetano sorride.
 
“Perché oggi Ilenia ci ha confermato che quando lei e Marcio sono andati al cascinale, mentre il Vecchio, a quanto supponiamo ora, doveva ancora tornare dalla sua… visita allo Scortichini, i cani erano solo due e non tre.”
 
“Anche questo cane non era del Vecchio, ma dello Scortichini!” intuisce Camilla con un sorriso ancora più ampio e uno sguardo orgoglioso.
 
“Quindi il Vecchio prima di uccidere lo Scortichini, insomma, mentre metteva in moto il suo piano, ha preso uno dei cani dello Scortichini e se l’è portato al cascinale. Ma perché? Oltretutto rischiando di fare insospettire lo Scortichini, se avesse notato che un cane mancava?” domanda Marchese, ancora confuso.
 
“Ma lo Scortichini non avrebbe potuto  notare la mancanza di un cane, o meglio, avrebbe potuto, se avesse prestato attenzione, ma dubito che conoscesse così a fondo tutti i suoi cani per accorgersene.”
 
“Che vuol dire, dottore? Ammetto che mi sono perso…”
 
“Quello che Gaetano sta cercando di dire, Marchese, è che i cani del Vecchio erano tre, ma il Vecchio dopo aver preso l’auto, probabilmente consegnatagli da Marcio, prima di andare dallo Scortichini è tornato al suo cascinale – che del resto non dista tantissimo dal capanno dello Scortichini ed era di strada, quindi come tempi ci stiamo – ha preso uno dei suoi cani, l’ha caricato sulla Panda bianca e se l’è portato dallo Scortichini. E l’ha sostituito con uno dei cani dello Scortichini, quello che stava di fianco all’altro cane rabbioso che è morto ieri, e che quindi probabilmente era stato da lui contagiato. Magari aveva sporto la zampa oltre la sbarra e l’altro cane l’aveva morso…”
 
“Ma perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere?” domanda Marchese, prima di intuire da solo la risposta, “così il cane del Vecchio, non conoscendo lo Scortichini ed essendo dopato, l’avrebbe aggredito con ancora maggiore probabilità?”
 
“Esattamente Marchese. Non mi stupirei se poi avesse anche lasciato la gabbia socchiusa, per accertarsi che proprio quel cane si sarebbe liberato.”
 
“Ma era rischiosissimo, prof.… cioè… tirare fuori dalla gabbia uno dei cani dello Scortichini, era un rischio enorme anche per il Vecchio.”
 
“Non se il cane era sedato, Marchese. E questo spiegherebbe perché questo secondo cane misteriosamente contagiato da Rabbia, sia l’unico a non essere stato imbottito di fluoxetina ma solo di benzodiazepine, quindi con le famose polpette al sonnifero di cui a quanto pare il Vecchio è un vero esperto. A differenza degli altri due cani del Vecchio, che erano delle vere e proprie cavie e degli altri cani dello Scortichini, imbottiti tutti di fluoxetina in modo che almeno uno avrebbe aggredito a morte lo Scortichini, anche se fosse sfuggito al cane sostituito. Mentre questo cane non era né una cavia, né parte della trappola, doveva solo essere intontito e basta, in modo da poterlo trasportare senza pericoli,” chiarisce Gaetano, mentre il mal di testa pulsante si fa ancora più forte.
 
“Sì, il ragionamento fila ma… tutto questo che ripercussione ha sulle indagini?” domanda Marchese, riportando tutti alla realtà.
 
“Nessuna temo, a parte confermare ancora di più che il tutto non è stato affatto un incidente, e che qualcuno si è davvero introdotto dallo Scortichini. Ma il problema è che l’unica persona che può essere collocata sulla scena del crimine è proprio Ilenia, per via di quei pantaloni,” ammette Gaetano con un sospiro, “quindi non è nulla che ci serva per capire chi sia il Vecchio o per incriminarlo e abbiamo sempre meno tempo per scoprirlo.”
 
“Maledizione!” sibila Marchese a denti stretti, “che possiamo fare?”
 
“Per intanto, Marchese, ho due nuovi compiti per te: primo, far sì che la scientifica si metta in contatto con l’ospedale veterinario, per un confronto tra il DNA dei peli ritrovati sulla panda e il DNA del cane che ha aggredito lo Scortichini e del cane che al momento è infettato di Rabbia, per confermare che sia avvenuta la sostituzione. E poi, cosa molto più importante, voglio che verifichi le telecamere di queste due fermate del tram, dalle 11 alle 12 di sabato dell’altra settimana, insomma, il giorno in cui lo Scortichini è stato ucciso,” spiega, indicandole sulla mappa, “un uomo dovrebbe essere salito dopo Ilenia in questa fermata, quella vicino a casa della signora Andreina e poi sceso dopo due fermate. Verifica se riesci ad individuare qualcuno che ha fatto solo quelle due fermate e se ci sono volti familiari.”
 
“Sì, dottore, subito,” annuisce, segnandosi i dati e congedandosi rapidamente.
 
“Che ne dici? Hai fame, professoressa? Io ho la testa che mi scoppia e-“ inizia, prima che l’ennesimo squillo del cellulare lo interrompa.
 
“Sì, Grassetti?” risponde, poggiando il capo sulla fronte e mettendo di nuovo il vivavoce.
 
“Dottore, sono a Spinaceto. Per ora ho girato le due farmacie e due i bar principali, quelli con più avventori anziani. In un bar un paio di signori sull’ottantina si ricordavano di Giuliani ma dicono di averlo visto per l’ultima volta almeno un paio di anni fa. Tutti confermano che era un eremita ormai da moltissimi anni, che non aveva amici e che le uniche persone con cui aveva contatti erano quei pochi a cui vendeva la legna e prodotto agricoli in surplus e i suoi pochi fornitori di materiale per l’agricoltura, che praticamente mangiava e beveva solo cibo autoprodotto e rarissime volte veniva in paese a fare qualche provvista, soprattutto di vestiti e medicine, ma in farmacia non lo vedono da secoli. Ho poi controllato presso i negozi di articoli per l’agricoltura e cibo per animali, ma anche lì zero assoluto: nessuno l’ha più visto da un sacco di tempo… posso controllare ancora se vuole, ma-“
 
“No, Grassetti, non serve: in quel cascinale non c’erano abbastanza animali, né un orto che potessero consentire a qualcuno di vivere di solo cibo autoprodotto. È evidente che il signor Giuliani è morto da un pezzo, probabilmente anche da due anni… e a questo punto o il Vecchio ha trovato il cascinale abbandonato e se l’è preso o-“
 
“O potrebbe averlo ucciso lui per impadronirsene?” deduce Grassetti, un tremore nella voce.
 
“Sì, e in quel caso deve averlo conosciuto in qualche modo, magari averlo osservato per un po’ e aver capito che nessuno si sarebbe mai accorto della scomparsa del signor Giuliani, non per molto, moltissimo tempo…” sospira, rendendosi conto che risalire a chi avesse frequentato Giuliani prima di morire, ad anni di distanza, è peggio di cercare un ago in un pagliaio e richiede risorse e tempo che al momento non hanno, “senta, Grassetti, rientri pure, a questo punto è necessario coordinarci e ho un lavoro più urgente da farle sbrigare insieme a Marchese.”
 
“Ok, dottore, tre quarti d’ora, un’ora al massimo sarò lì,” conferma, prima di mettere chiudere la comunicazione.
 
“Eppure a me sembra che ci sia qualcosa che mi sfugge, Gaetano… non so… e se-“
 
“Scusa, Camilla, ma ho davvero la testa che mi scoppia, non ce la faccio più. Pausa pranzo? Ordiniamo qui?” la implora, guardandola con un’espressione sofferente che la intenerisce.
 
“Vada per la pausa pranzo, ma non qui dentro: hai bisogno d’aria, dottor Berardi. Perché non andiamo al parco qui vicino e ci prendiamo un panino per strada?”
 
“Camilla… non sono sicuro che sia una buona idea… e se-“
 
“Gaetano, siamo già usciti per andare all’ospedale e non è successo niente e va bene che questo Vecchio sarà folle, ma mettersi a fare una sparatoria accanto alla questura… e poi sono con te e quindi sono sicura che non mi succederà niente,” lo rassicura, accarezzandogli il viso con il suo migliore sorriso.
 
“D’accordo, adulatrice, diciamo che fingo di crederci, ma solo perché ho troppo mal di testa per discutere con te, professoressa.”
 
***************************************************************************************
 
“Che c’è? Sono sporca in faccia?”
 
“No, la tua faccia sta, come sempre, benissimo,” replica, prima di sorridere insieme a lei, ricordando uno dei primi momenti in cui Gaetano si era avvicinato un po’ troppo a lei, in tutti i sensi, rispetto a quanto avrebbe dovuto fare un semplice amico.
 
“E allora perché mi guardi così?” gli domanda, addentando di nuovo con gusto il panino che hanno appena comprato dallo zozzone lì vicino.
 
“Perché adoro come mangi: sei l’unica donna post-adolescente che conosco, a parte mia sorella, che si avventa in questo modo sul cibo spazzatura, con così tanto piacere, come se fossi una bambina,” ammette con un altro sorriso, accarezzandole la guancia.
 
“Vedi dottor Berardi, devo farti due scioccanti rivelazioni: la prima è che le donne che tu frequentavi di solito erano quasi tutte o ex modelle o comunque delle bellezze da copertina che, per mantenersi tali, quasi certamente si ammazzavano di dieta e palestra. E, in secondo luogo, magari anche loro una volta ogni tanto si saranno concesse e si concederanno qualche trasgressione, come noi comuni mortali ma, sempre come la maggior parte di noi comuni mortali, probabilmente preferivano non strafogarsi proprio di fronte a te, cioè all’uomo a cui erano interessate, ma o con le amiche o nella privacy di casa loro, magari dopo che le avevi appena mollate scaduto il periodo di prova, con tanto di film strappalacrime di sottofondo. Francesca, essendo tua sorella, non conta, ovviamente.”
 
“Scaduto il periodo di prova?” domanda con un sopracciglio alzato, anche se la vocina della sua coscienza gli ricorda che Camilla non ha tutti i torti, per poi aggiungere, ironico, “e allora da questo dovrei dedurre che tu non sei interessata a me?”
 
“No, dovresti dedurre che so che ormai mi conosci più che bene e mi hai vista al mio peggio… se non sei scappato fino adesso, dubito che lo farai per un hotdog pieno di salsa,” ribatte, mentre, nemmeno a farlo apposta, uno sbaffo di ketchup le macchia l’angolo della bocca.
 
“Scappare? Semmai il contrario,” sussurra, pulendole le labbra con un bacio, per poi riprendere a mangiare in un piacevole silenzio, accoccolati l’uno all’altra.
 
“Sai che è stata proprio una buona idea quella del parco?” proclama Gaetano dopo aver terminato entrambi l’ultimo morso del panino, “mi sento molto più rilassa-“
 
BANG! BANG!
 
È un attimo: il suono di due scoppi e Gaetano si getta su di lei, schiacciandola contro la panchina per metterla al riparo e farle da scudo, la mano che vola alla fondina nascosta sotto alla giacca leggera, gli occhi che scannerizzano rapidamente lo spazio intorno a loro. Dopo pochi secondi si sgonfia visibilmente, esalando un sospiro di sollievo e si rialza, tirandola su con sé.
 
“Ma che ti prende?!” domanda, spaventata e scombussolata, guardandosi intorno, portandosi una mano alla bocca e trattenendo a stento una risata quando vede che cosa ha provocato quei botti, “petardi?! E meno male che eri rilassato!”
 
“Oddio che figura…” mormora Gaetano, volendo sprofondare, mentre tre ragazzetti lì vicino li guardano come se fossero due pazzi. Non si capacita di come abbia potuto pensare che fossero degli spari: era addestrato a distinguere perfettamente il rumore di uno sparo, spesso riusciva anche ad intuire il tipo di arma usata e la direzione da cui provenivano i proiettili solo dal suono.
 
“Gaetano, ascoltami, io capisco che tu sia preoccupato, ma non puoi rimanere con i nervi a fior di pelle tutto il tempo…” sussurra, accarezzandogli una guancia e sollevandogli il viso per costringerlo a guardarla negli occhi, altrettanto preoccupata ma per lui, vedendolo così in tensione.
 
“Lo so… hai ragione… ci manca solo che mi metto ad arrestare quei bimbi laggiù per detenzione di pistole ad acqua,” sospira autoironico, tranquillizzandosi e tranquillizzandola un po’, per poi aggiungere, cercando di alleggerire l’atmosfera e di cambiare argomento, “tra l’altro lo sai che Tommy sono mesi che me ne chiede una? Prima ho temporeggiato perché faceva freddo… ora che è estate vorrei regalargliene una per quando torna da Los Angeles ma…”
 
“Ma?”
 
“Diciamo che, conoscendo Tommy, ho paura di trovarmi casa allagata ogni due per tre e… ti immagini la reazione di Eva se Tommy dovesse allagare il suo appartamento con qualcosa che io gli ho regalato?”
 
“Sì… non fatico a immaginarla, ma potresti sempre regalargliela quando dovrà rimanere con te per qualche giorno. Così avrai tempo per spiegargli e insegnargli come e dove usarla e inonderà al limite casa tua e non quella di Eva…”
 
“Messa così, è proprio una prospettiva allettante…”
 
“Gaetano, guarda che Tommy ti ascolta moltissimo, più di quanto immagini, apprende tutto quello che gli insegni come una spugna e sono più che sicura che sarà così anche in questo caso,” lo rassicura accarezzandogli la schiena.
 
“Anzi, ti dirò, capisco che gli allagamenti non siano piacevoli da asciugare, ma la passione di Tommy per l’acqua ti garantisco che è una vera benedizione: almeno quando devi lavarlo non hai alcun problema, mentre invece di solito con i bambini di quell’età è un’impresa. E anche con molti adolescenti a dire la verità: sapessi quanti studenti ho avuto negli anni che sembravano avere il terrore, anzi il rigetto per l’acqua e il sapone e rischiavano di fare morire intossicati me e i loro compagni!” commenta sarcastica, facendolo ridere, “a proposito di acqua, ce n’è ancora un po’? Quel panino mi ha fatto venire una sete…”
 
“Sì, certo, ne ho presa una bottiglietta in più,” conferma lui, aprendola e porgendogliela con fare apparentemente cavalleresco, prima di premerla di proposito un po’ più forte del dovuto, schizzandole leggermente viso e maglietta.
 
“Scemo! Ecco da chi ha preso Tommy!” esclama lei, asciugandosi gli occhi con aria fintamente risentita, per poi afferrare la bottiglietta e portarsela alle labbra, trattenendo un sorriso.
 
“Non avrai paura anche tu di un po’ d’acqua, professoressa?” le domanda ironico, vedendo le labbra di lei tendersi tra un sorso e l’altro, fino a che, improvvisamente, gli occhi le si spalancano e la sua espressione divertita muta bruscamente.
 
Cough! Cough! Cough!
 
“Ehi, ehi, respira, respira,” esclama Gaetano, dandole un paio di pacche sulle spalle, mentre lei continua a tossire e soffocare, l’acqua che le è andata completamente di traverso, per poi aggiungere, quando lei sembra calmarsi lievemente, “va bene che una risata ci seppellirà, ma non vorrei averti sulla coscienza.”
 
“No, Gaetano, non capisci…” rantola, dando ancora un paio di colpi di tosse cercando di prendere il fiato, “come ho fatto a non pensarci prima?!”
 
“Eh? Temo di essermi perso, Camilla…” risponde, confuso.
 
“Vieni, vieni con me… dobbiamo tornare in questura… subito…” ansima, afferrandolo per una mano e cercando di trascinarlo in piedi.
 
“Ma perché? Che è successo?”
 
“Vieni!” intima con un tono e un’espressione che gli fanno capire che è meglio non contraddirla, gettando rapidamente i rifiuti nel cestino lì vicino e poi lanciandosi in una corsa forsennata verso la questura.
 
Con uno scatto degno di due velocisti sono al portone di ingresso, lasciandosi alle spalle i due agenti alla porta che li guardano sbigottiti. Scartando altri agenti, arrivano all’ufficio di De Matteis, Camilla spalanca la porta a vetri con una tale violenza che per poco non si infrange e si precipita verso la scrivania, aprendo le cartelline e iniziando a rovistare freneticamente.
 
“Dottore, prof. è successo qualcosa?!” li raggiungono le voci preoccupate di Marchese e di Grassetti, che piombano nell’ufficio, temendo un’emergenza.
 
“Non lo so, è Camilla che-“
 
“Marchese, tu che sei rapido su queste cose, mi cerchi quali sono i sintomi della Rabbia?” lo interrompe Camilla, continuando a frugare tra le carte.
 
“I sintomi della Rabbia? Forse conviene chiamare il direttore dell’ospedale veterinario e chiederlo a lui…” propone Gaetano, con il tono di chi non ci sta capendo nulla.
 
“No, non sui cani, ma sull’uomo. Ci sarà qualcosa su internet no?” chiede Camilla, scartando le prime due cartelline e avventandosi sulla terza.
 
“Sì, certo, ci sono molti risultati. Le leggo il primo… la patologia si sviluppa in tre fasi. Fase prodromica: dopo il morso si possono rilevare sintomi aspecifici, quali febbre, cefalea, mialgia. L'unico sintomo specifico, che si presenta nel 60% dei casi, è una parestesia nella sede del morso. Fase di latenza o "rabbia furiosa". Tipica di questa fase è l'idrofobia, un laringospasmo doloroso in seguito al tentativo di far bere il paziente (negli animali tale sintomo non si verifica). L'ultima fase è quella terminale, quando cioè il virus ha colonizzato i tessuti del sistema nervoso centrale e in cui si hanno sintomi neurologici. La sintomatologia prevalente (75% dei casi) è di tipo furioso (forma furiosa), con aggressività, irascibilità, perdita di senso dell'orientamento, allucinazioni, iperestesia, meningismo, lacrimazione, aumento della salivazione, priapismo, eiaculazione spontanea, Babinsky positivo, paralisi delle corde vocali e idrofobia. Nel restante 25% dei casi si ha una sintomatologia di tipo paralitico (forma paralitica).”
 
“Qualcosa che sia scritto in termini più comprensibili per noi umani?” domanda Grassetti, ironica.
 
“Boh, proviamo a vedere ad un altro link. Qui si dice: la rabbia di solito inizia con un breve periodo di depressione, irrequietezza, malessere generale e febbre. L'irrequietezza aumenta fino a un eccitamento incontrollabile con salivazione eccessiva e spasmi dolorosi dei muscoli laringei e faringei. Tali spasmi, che sono provocati dall'irritabilità riflessa dei centri della deglutizione e della respirazione, sono scatenati facilmente (per esempio da una lieve brezza o da un tentativo di bere acqua). In definitiva, il paziente non può bere, sebbene abbia molta sete (di qui il termine "idrofobia"). E-”
 
“Va benissimo, Marchese, può bastare così,” proclama Camilla, estraendo un dvd da un’altra cartellina, inserendolo nel lettore e armeggiando con il telecomando, fino a portare il filmato al punto desiderato e a farlo partire.
 
“Ma questo è…” esclama Gaetano, mentre sullo schermo scorrono le immagini della fine dell’interrogatorio di Fausto Misoglio.
 
Il momento dell’aggressione, Mancini cianotico e De Matteis che getta in faccia a Misoglio il bicchiere d’acqua che c’era sul tavolo. Misoglio che cade a terra, tossendo furiosamente, cercando disperatamente di respirare.
 
“Vedete la reazione all’acqua? È completamente esagerata, sembra quasi che De Matteis gli abbia gettato dell’acido in faccia. E poi i sintomi che elenca: febbre, mal di testa… e dopo rifiuta di nuovo l’acqua, con veemenza. Come se ne avesse paura…” spiega Camilla, mentre Gaetano, Marchese e Grassetti la guardano sconvolti.
 
“Camilla… non starai dicendo che…? In effetti la reazione è anormale e lui è parecchio agitato, venerdì con te è stato aggressivo, violento però... il padre di Ilenia è sempre stato un uomo violento ed essere convocati dalla polizia di solito suscita nervosismo. E poi quante persone hanno mal di testa e febbre? Magari gli è andata l’acqua di traverso e il fatto che poi abbia rifiutato di bere non vuol dire niente… può essere che fosse solo ansioso di andarsene di lì, che sia un caso isolato,” ragiona Gaetano, non volendo correre a conclusioni affrettate, anche se...
 
“No, non è un caso isolato, la professoressa ha ragione. Quel bicchiere era lì, pieno, perché il signor Misoglio aveva già rifiutato di bere all’inizio dell’interrogatorio. E anche quando è stato convocato venerdì, aveva avuto un violento attacco di tosse, sembrava gli fosse andata di traverso la saliva,  e si era lamentato di non stare bene. Quando il dottor De Matteis ha provato ad offrirgli dell’acqua si è scansato dal bicchiere, quasi come se gli stesse porgendo qualcosa di pericoloso,” interviene Grassetti, ricordando perfettamente quei momenti, visto il disgusto che aveva provato per il signor Misoglio.
 
“E questo spiegherebbe anche la giacca di jeans… Ilenia è scappata di casa in tutta fretta con sua madre… non avrà avuto il tempo e il modo di prendere tutti i vestiti, no?” fa notare Marchese, la voce ancora tinta di incredulità, mentre Gaetano afferra il telecomando dalle mani di Camilla e comincia a trafficare.
 
“Che stai facendo?” gli chiede Camilla, per poi spalancare la bocca quando lui sceglie un fotogramma in cui Misoglio è di fronte e zooma sul suo viso.
 
“La statura c’è, Misoglio non arriva al metro e settanta, la corporatura pure, è decisamente stempiato, per non dire calvo, ha gli occhi azzurri e…”
 
“Il neo sopra al sopracciglio destro…” sussurra Camilla, guardando meglio l’area che Gaetano sta indicando con il dito, mentre un brivido la scuote da capo a piedi, il gelo nella schiena e nel cuore, insieme al desiderio fortissimo di vomitare.
 
E nemmeno l’abbraccio di Gaetano questa volta riesce a scaldarla.
 
Si guardano come quattro statue di sale, l’incredulità  che mano a mano lascia il posto al disgusto, al dolore e alla rabbia.
 
***************************************************************************************
 
Maledizione, rispondi! – impreca tra sé e sé, dopo l’ennesima, inutile chiamata al questore. Niente, il telefono era sempre occupato.
 
“Cosa facciamo dottore? Entriamo in azione o aspettiamo?” domanda Marchese, seduto accanto a lui sull’auto civetta, Grassetti e Lorenzi su un’altra macchina parcheggiata al lato opposto della strada, altre due auto della polizia – e quindi altri quattro agenti – appostati sul retro.
 
Per ora non si era visto nessun movimento dallo stabile di Misoglio, ma sa benissimo che non possono rimanere tutti parcheggiati lì a lungo, prima che mangi la foglia. E ci sono parecchie altre case abitate lì attorno, non possono permettersi di dargli tempo e modo di reagire.
 
“Andiamo, non possiamo più aspettare,” decide, sapendo che è l’unica cosa sensata da fare e al diavolo il questore. Del resto, è un’emergenza.
 
Scende con calma dall’auto, seguito da Marchese, fanno qualche passo intorno alla casa con la maggiore nonchalance possibile, fino a raggiungere l’ingresso anteriore.
 
“Voi aspettate all’ingresso dietro,” sussurra nel microfono agli agenti appostati sul retro, mentre, con un cenno, Lorenzi e Grassetti si affiancano a loro ai due lati della porta.
 
“Suoniamo o forziamo?” domanda Marchese, in evidente apprensione.
 
“Suoniamo prima, magari può pensare che siamo qui per un altro interrogatorio,” ragiona, sperando di riuscire a prenderlo di sorpresa, senza il rischio di altri spargimenti di sangue.
 
Preme il campanello, una, due, tre volte, ma non risponde nessuno.
 
“Forziamo?”
 
“Sì, Grassetti,” conferma, facendosi porgere gli attrezzi del mestiere. Un paio di movimenti di polso precisi e la serratura scatta. Per essere un pluriomicida evidentemente meticoloso al limite del paranoico, Misoglio non sembra curarsi granché di avere porte blindate.
 
Pistola in pugno, Marchese si proietta nella cornice della porta, seguito da Gaetano. Un cenno di intesa, Marchese inizia ad incamminarsi, uno, due passi e poi un luccichio e Gaetano si lancia su Marchese, afferrandolo per le spalle e tirandolo indietro di peso.
 
“Che succede?” domanda Marchese, il tono di chi ha quasi avuto un infarto.
 
“Fermi tutti!” intima Gaetano, con un tono che né Grassetti né Marchese gli hanno mai sentito usare. Mette una mano in tasca, da cui estrae una piccola torcia elettrica, proiettandone il fascio di luce sul pavimento.
 
Fili di nylon trasparenti brillano di fronte ai loro occhi, attraversando il corridoio da lato a lato all’altezza del ginocchio, della coscia e a metà polpaccio proprio a due passi da loro. Gaetano li segue con la torcia: sono collegati a due canaline che corrono lungo il muro e da lì a due scatole elettriche poste vicino al pavimento. Da una delle due scatole elettriche parte un’altra canalina che corre fino alla porta.
 
Non sa se si tratti di un allarme o di esplosivo o di altro, sa che probabilmente ci deve essere un modo per disattivare il tutto, che Misoglio deve avere un modo per disattivare il tutto, ma, dopo quello che è successo al Luna Park, non può rischiare. Non con così tante case e così tanti civili nei dintorni. E non se la sente nemmeno di tentare di aprire l’uscita sul retro.
 
“Usciamo!” dà l’ordine, avendo cura di riavvicinare la porta senza chiuderla del tutto, “rimanete contro il muro, mentre chiamo i rinforzi.”
 
Non sa se Misoglio sia barricato dentro lo stabile o meno ma, di sicuro, questo è un lavoro per gli artificieri e per i reparti speciali.
 
***************************************************************************************
 
Guarda l’orologio per la terza volta nell’ultimo minuto.
 
Questa è forse la parte del lavoro di Gaetano a cui non si abituerà mai: saperlo fuori, in azione, in una situazione in cui la minima distrazione può significare-
 
No, non deve pensarci!
 
Sono quasi due ore che è via… certo c’era quasi un’ora d’auto, anche di più a seconda del traffico, ma…
 
Decisa a pensare ad altro, afferra il telecomando del televisore ma, dopo pochi istanti, il suo inconscio la tradisce, portandola sul canale delle news.
 
Nessuna breaking news, sembra tutto tranquillo, nota con un sospiro di sollievo. Vorrebbe chiamarlo ma non può di certo permettersi di distrarlo.
 
“E in cronaca... una notizia battuta dalle agenzie due ore fa: un ragazzo e una ragazza tra i venticinque e i quarant’anni di età sono stati ricoverati per intossicazione da monossido di carbonio, privi di documenti. Si valuta l’ipotesi del suicidio: i due ragazzi, presumibilmente appartenenti all’ambiente dei punkabbestia, sono stati ritrovati in una portineria di uno stabile abbandonato nella zona industriale tra la Appia e Ciampino. Sono ancora in coma, ma i medici rassicurano che le loro condizioni sono stabili e a breve potrebbero risvegliarsi. Queste sono le loro foto… si invita chiunque avesse notizie sulla loro identità a contattare immediatamente-“
 
Camilla solleva lo sguardo, pietrificata: i volti esanimi di Ginger e Sisma, tinti di quell’innaturale colorito ciliegia, ma perfettamente riconoscibili, campeggiano a tutto schermo, come bersagli di un tirassegno.
 



 
Nota dell’autrice: Ed eccoci qui, alla fine del capitolo più lungo che abbia mai scritto in vita mia. Finalmente l’assassino è stato svelato ma… non è ancora finita! Prima bisogna catturarlo ;). Nel prossimo capitolo ci attendono quindi un po’ d’azione, tutti i dettagli su come l’assassino abbia agito e perché  (anche se gli elementi per ricostruirlo sono tutti presenti in questo capitolo) e… le conseguenze di quanto è successo per tutti i nostri personaggi. Si chiuderanno delle porte e se ne apriranno delle altre, prima che i nostri protagonisti dicano di nuovo arrivederci alla capitale. E tra due capitoli si torna a Torino ;).
Spero che questa prima risoluzione del giallo non abbia deluso le vostre aspettative, dopo tanta attesa, è la cosa più complessa in cui mi sono mai cimentata da un punto di vista di scrittura e spero che “fili tutto”. Immagino che alcuni avessero già intuito chi era l’assassino, mentre altri ancora no e sono davvero curiosa di sapere che cosa ne pensate, come sempre anche i pareri negativi mi sono utilissimi per capire in cosa sbaglio e in cosa invece c’ho azzeccato ;).
Un plauso speciale va a 1575 che è stata la prima a scrivermi in una recensione chi fosse l’assassino, azzeccandoci in pieno e che ha anche notato l’idrofobia del padre di Ilenia. Complimenti per le doti investigative ;)!
Infine vorrei ringraziare ancora di cuore tutte voi per avermi seguita fin qui in questa lunga avventura e, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Behind Blue Eyes - prima parte ***


Capitolo 44: “Behind blue eyes – prima parte”
 


Nota dell’autrice: Lo so, lo so, sono imperdonabile ma tra il viaggio di lavoro, la lunghezza assurda del capitolo e i malanni di stagione (mi sono beccata un’influenza con i fiocchi) non ce l’ho fatta prima. Vista la lunghezza infinita del capitolo, posto oggi la prima parte più investigativa e d’azione (che è già lunghissima), ma che avrà anche ehm-ehm dei momenti più “intimi” ;) . La seconda, piena di romanticismo arriverà tra tre – quattro giorni, giusto il tempo di rileggere, editare e finire le ultime due scene. Non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento alle note a fine capitolo.


 
“Maledizione, rispondi!”
 
Il cuore come uno yo-yo tra gola e stomaco, è così che si sente, mentre prova per la quinta volta a comporre il numero, ma è sempre dannatamente occupato.
 
La coscienza che alterna momenti di sollievo nel sapere che probabilmente Lui non è in pericolo, non è in mezzo all’azione, con l’angoscia nel rendersi conto della tragedia che potrebbe consumarsi di lì a breve, per colpa dell’orgoglio, dell’immagine, della politica e delle pubbliche relazioni.
 
E sa che Lui non se lo perdonerebbe mai, mai, sebbene non sarebbe in ogni caso colpa sua.
 
Ma potrebbero farla diventare colpa sua – le ricorda una vocina, la vocina dell’istinto, che conosce benissimo l’attitudine allo scaricabarile di chi è al comando. Ed è stato Lui a metterci la faccia durante la conferenza stampa, Lui, non il questore, quello al centro dell’attenzione.
 
Forse è stato proprio questo che il questore non gli ha perdonato, più dell’aver voluto dare fiducia ad Ilenia e… e a lei, inutile girarci intorno. Perché è ancora e sempre lei il più grande rischio per la sua carriera, un segreto di pulcinella che però potrebbe diventare scottante se finisse nelle mani sbagliate, alle orecchie sbagliate.
 
E se il questore non ha avuto problemi a passargli sopra peggio di un caterpillar già una volta, perché dovrebbe porsi problemi in futuro?
 
Lo squillo del telefono la fa trasalire, spaventandola e tranquillizzandola nello stesso istante.

“Gaetano, finalmente!!”
 
“No, non sono Gaetano, anche se, visto il numero di volte in cui mi hai chiamato così per sbaglio, forse dovrei fare un salto all’anagrafe e cambiare definitivamente nome,” ribatte una voce sarcastica e amara, quanto inconfondibile, dall’altra parte della cornetta, “magari avrei qualche speranza in più che tu mi dia retta o di riuscire a parlare con te.”
 
“Renzo?!” domanda, spiazzata, allontanando lievemente il cellulare dall’orecchio, mentre il display conferma l’evidenza.
 
Non si aspettava proprio questa chiamata, non solo perché lo sapeva nuovamente a Londra con Carmen, impegnati nei loro progetti, ma, soprattutto, perché non le aveva mai fatto una telefonata da quando erano arrivati a Roma: aveva solo mandato un paio di messaggi a Livietta. Se per la presenza di Gaetano, di Andreina o se per esprimere il suo dissenso verso questa vacanza e quello che rappresentava e rappresenta, non avrebbe saputo dirlo.
 
“Sai, ricordo ancora la prima volta in cui mi hai chiamato Gaetano, tanti anni fa: eravamo al cellulare e ti avevo telefonato io, proprio come ora,” prosegue con un tono sempre più amaro e basso, mentre anche lei non può fare a meno di ricordare quell’episodio, “tu avevi avuto la faccia tosta di sostenere che potessi avere capito male, essermi confuso e… e ho fatto finta di niente e non ho fatto domande, come sempre. Avrei dovuto capirlo che era solo l’inizio, no, Camilla? L’inizio della fine, di una lunga, inutile agonia.”
 
“Renzo, per favore, ascolta, se mi hai chiamata per litigare e discutere, mi dispiace ma non è il momento: devo assolutamente chiamare Gaetano e mi serve la linea libera, è una questione della massima urgenza, di vita o di morte,” replica cercando di mantenere il tono della voce paziente ma di tagliare corto, “ti richiamerò io appena-“
 
“Eh no, Camilla, stavolta no. Ho sempre fatto finta di niente, non ho mai fatto domande, ma adesso basta, stavolta no. Qual è questa questione della massima urgenza, eh, Camilla? C’entra forse con un incendio in un Luna Park che sta terrorizzando la capitale e che campeggia su tutte le prime pagine dei giornali, insieme alla faccia del mio eroico quasi omonimo e a quella di una certa Ilenia Misoglio?” la blocca, il tono di voce che continua ad aumentare, mentre dall’amarezza emerge la rabbia.
 
“Renzo, senti, non-“
 
“No, Renzo non sente più, Renzo ha già sentito abbastanza Camilla. Torno da Londra poche ore fa e scopro dai giornali e dalla televisione che la ragazza che hai accettato di ospitare da tua madre durante questa tua vacanza romantica in famiglia con il poliziotto è una serial killer, catturata dopo una rocambolesca fuga e dopo incendi, sparatorie, peggio di un film d’azione americano! E tu, ovviamente, non ti sei nemmeno degnata di avvertirmi di cosa stava accadendo in questi giorni, perché sai, io se voglio andare a prendere un gelato con mia figlia devo chiederti il permesso in carta bollata, mentre tu non ritieni opportuno informarmi di una cosa da niente come il fatto che la ragazza che probabilmente ha condiviso la stanza e ore, pomeriggi interi, con mia figlia, abbia ucciso e ferito un numero di persone che non voglio nemmeno stare a calcolare!!”
 
“Renzo, conosci benissimo il motivo per cui i rapporti tra noi ultimamente sono stati tesi e perché sono stata cauta, riguardo al fatto che passassi del tempo da solo con nostra figlia e-“
 
“Allora almeno te lo ricordi ancora che è nostra figlia? Perché da come ti sei comportata in questi giorni mi è venuto il dubbio che forse te lo fossi scordato che Livietta ce l’ha un padre, che non si chiama Gaetano ma Renzo e che magari aveva diritto di essere informato di quello che stava succedendo!”
 
“Renzo, se non ti ho avvisato prima è innanzitutto perché sono stati giorni a dir poco concitati, come potrai immaginare, ma soprattutto perché Livietta non c’entra nulla in questa storia e-“
 
“Come fa a non c’entrare nulla quando le hai messo in casa, a lei e a tua madre, una serial killer, Camilla?! Quando sua madre, cioè tu, va in giro ad indagare e a ficcare il naso in faccende pericolose, come se questo fosse il suo pane quotidiano, come se fosse una cosa normale!! O vuoi dirmi che non c’eri anche tu in quel Luna Park, Camilla? Non negarlo perché non ci credo!” grida, furioso come raramente l’ha sentito.
 
“Sì, ero in quel Luna Park ma non per i motivi che pensi tu, Renzo, e comunque Livietta era al sicuro a casa con mia madre e non si è nemmeno avvicinata lontanamente a nulla e a nessuno di pericoloso e-“
 
“Quindi una serial killer non sarebbe pericolosa?”
 
“Ilenia non è una serial killer, non ha ucciso nessuno e non ha alcuna colpa!! Gaetano sta tentando di arrestare il vero colpevole proprio adesso, Renzo e-“
 
“E quindi vuoi dirmi che il colpevole è ancora a piede libero? Ancora meglio! E in che modo garantiresti l’incolumità di mia figlia? O la tua? Visto che evidentemente sei invischiata in questa storia fino al collo e-“
 
“E infatti sai dove sono? In questura, mentre nostra figlia è a casa con mia madre, lontana da me e da chiunque possa essere invischiato in questa storia, non solo fino al collo, ma persino alla lontana. Mi farei ammazzare, torturare piuttosto che permettere che capiti qualcosa di male a Livietta e lo stesso vale per Gaetano, anche se so che tu non ci credi e lo ritieni capace di qualsiasi nefandezza!!” urla, senza riuscire più a contenere l’indignazione e la collera nel tono di voce, per il fatto che lui possa anche solo pensare che lei o Gaetano metterebbero mai in pericolo Livietta, “ma adesso ho bisogno del telefono, Renzo, come ti ho già detto è una questione di vita o di morte e le tue recriminazioni e questa discussione dovranno aspettare!”
 
“Ma a cosa ti serve il telefono se Lui è impegnato in un arresto? O devi avere la notizia in anteprima?” le domanda, nuovamente sarcastico.
 
“Mi serve perché probabilmente Gaetano sta cercando il colpevole nel posto sbagliato, Renzo, e se non riesco ad avvertirlo in tempo è possibile che succeda una tragedia, lo vuoi capire? Non a Livietta, o a me, o a qualcuno che conosci personalmente, d’accordo, ma soltanto a decine di persone che non c’entrano niente: decine di malati e un buon numero di poliziotti.”
 
“Cosa?! Ma cosa stai dicendo? Cosa c’entrano i malati?” domanda, stupito e confuso, con il tono di chi non ci sta capendo più niente.
 
“Renzo, ti prego, lo so che ultimamente non hai una grande opinione di me, ma quando in un’indagine c’eri coinvolto tu o Carmen o nostra figlia mi hai praticamente implorato di indagare, di occuparmene – non che non l’avrei fatto comunque – , quindi so che, da qualche parte nel tuo intimo, sai che sono in grado di farlo e che… che spesso ci azzecco. Ti chiedo di fidarti di me un’ultima volta e di lasciare libero questo maledetto telefono. Tra poche ore questa storia sarà finita e tra pochi giorni sarò di nuovo a Torino e abbiamo mesi, anni davanti a noi per discutere e litigare su ogni singolo dettaglio di questa separazione, del nostro rapporto e di tutte le mie colpe e di tutte le tue colpe, ma non adesso. Per favore, lascia libero il telefono.”
 
“Ok, ok, va bene, non voglio certo avere decine di persone sulla coscienza, Camilla, meno che meno te o… o Lui, per quanto possa odiarlo,” ammette con voce stranamente più calma, mentre è di nuovo l’amarezza a farla da padrone, “ma tu dovevi informarmi di quello che stava succedendo, Camilla, dovevi farlo, quindi sappi che non finisce qui. E se questa storia non sarà finita sul serio entro poche ore, Camilla, io vengo lì a riprendermi mia figlia e a riportarla a Torino con me, è chiaro? A costo di affrontare te, tua madre e… e il poliziotto superpiù, tutti insieme.”
 
“Chiarissimo…” sospira, percependo chiaramente dalla voce di Renzo che è serio, serissimo, come raramente l’ha mai sentito prima d’ora.
 
Il clic di chiusura della comunicazione non le provoca quel sollievo che si sarebbe aspettata. Perché questa è stata allo stesso tempo la conversazione migliore e peggiore che ha avuto con Renzo da quando… da quando aveva osato dire quelle cose… inconcepibili su Gaetano e su Livietta.
 
Era sempre arrabbiato, ostile, sarcastico ma c’era una consapevolezza diversa nel suo tono: non era più l’uomo pieno di livore che l’aveva attaccata alla gola quella mattina al ritorno da Londra, né l’uomo disperato e che non sembrava avere più nulla da perdere che si erano trovati di fronte a San Remo. C’era qualcosa del vecchio Renzo, sia quello dei tanti litigi durante il loro matrimonio, sia quello degli ancora più numerosi contrasti durante la loro prima separazione. Ma allo stesso tempo c’è qualcosa di diverso, una decisione, una fermezza che Renzo di solito non aveva, non lui, sempre così timoroso e conciliante, che sfuggiva ai problemi e alle discussioni invece di affrontarli, affrontarle, affrontarla.
 
Anche durante la prima separazione era stata quasi sempre lei a cercare il confronto, lo scontro, anche perché era stata lei ad avere molto di più da recriminare, mentre Renzo… Renzo era caduto in piedi, era sereno: in fondo era stato lui a porre la parola fine sul loro matrimonio e aveva Carmen al suo fianco, pronta a sostenerlo.
 
No, c’era qualcosa di diverso in questa telefonata, in questo Renzo, che la lascia spiazzata.
 
Ma ora non ha tempo per pensarci – un problema alla volta, Camilla – si ricorda, riprendendo in mano il telefono e riprovando per l’ennesima volta a comporre quel numero talmente familiare che potrebbe digitarlo ad occhi chiusi.
 
***************************************************************************************
 
“Che cosa???!!”
 
“Sì, Gaetano, mi dispiace, ho cercato di avvertirti prima, ma avevi il telefono sempre occupato…”
 
“Certo, perché stavo cercando disperatamente di contattare il questore ma lui evidentemente era preso da ben altri impegni…” risponde sarcastico, un senso di nausea nello stomaco che sovrasta la rabbia che gli brucia nel petto, “come ha potuto? Anzi, come avete potuto? Visto che evidentemente ci sei di mezzo anche tu! Ti rendi conto che avete appena armato una bomba, anzi, peggio di una bomba?”
 
“Gaetano, lo so, ma ti giuro che ci ho provato in ogni modo a convincerlo a desistere ma non ci sono riuscita. Ginger è morta, Gaetano, e Sisma è più di là che di qua. Il questore non vuole rischiare che muoia anche lui e che magari ci sia una fuga di notizie in tal proposito, prima di poter far scattare la trappola. E se il questore mi dà un ordine diretto, io non posso rifiutarmi di obbedire, lo capisci questo, vero?”
 
“No, che non lo capisco! E sì, che potevi, Claudia, sì che potevi rifiutarti, se sai benissimo che quello che stai facendo potrebbe portare ad una strage! E-“
 
“Ci stiamo preparando, Gaetano, non siamo degli sprovveduti, maledizione!” grida Claudia nella cornetta, ormai visibilmente alterata e irritata.
 
“Tu non hai la minima idea di chi sia la persona con cui abbiamo a che fare, Claudia, e di cosa sia capace, non ne hai la minima idea!”
 
“E tu sì?”
 
“Sì, io sì! Si tratta del padre di Ilenia Misoglio, Claudia, ti basta questo?”
 
“Il padre della Misoglio? Ma... quindi ha fatto tutto questo per vendicare il figlio ucciso dallo Scortichini? Ma perché lasciare che la figlia si prendesse la colpa?” domanda, stupita da questa nuova rivelazione.
 
“Ecco appunto… tu non hai idea la benché minima idea di chi sia Fausto Misoglio, Claudia. Io sì, purtroppo. E l’amore paterno qui non c’entra niente, anzi, tutt’altro: c’entra solo la sete di vendetta. E sono davanti a casa sua, dove ho appena cercato di fare irruzione, e ho evitato per un soffio a me e ai miei uomini – agli uomini della squadra di De Matteis – e probabilmente a mezzo isolato, di saltare in aria.”
 
“Saltare in aria?!”
 
“Quella casa a mio avviso è una bomba, una polveriera, ho già chiamato gli artificieri e i reparti speciali. Ma a questo punto credo che Misoglio non sia in casa: sta venendo lì. Ed è un uomo pericoloso, violento, consumato dall’odio, dalla vendetta. Un uomo che, evidentemente, si è costruito negli anni un arsenale e che sa come usarlo. Un uomo che, oltretutto, non ha più nulla da perdere, Claudia.”
 
“Quindi sa che lo state – che lo stiamo cercando?”
 
“No, forse ancora no, altrimenti non starebbe cercando di coprire le sue tracce. Ma è malato, Claudia, ha la Rabbia e-“
 
“La Rabbia? Quella dei cani?!”
 
“Sì, l’ha presa dai cani dello Scortichini… è una lunga storia, ma è probabile che ormai se ne sia reso conto anche lui, ed è una malattia letale, se non presa in tempo e… e che comunque altera la mente, le inibizioni, rende più violenti ed instabili. E su un uomo del genere, che è già violento e instabile di suo, sai cosa significa?”
 
“Dio mio…” è il sussurro strozzato che lo raggiunge, flebile e metallico e sa che Claudia finalmente ha capito.
 
“Vi raggiungo lì appena posso, ok? Lascio qui un paio dei ragazzi e arrivo coi rinforzi e-“
 
“No, non può vedere nessuno in divisa: siamo tutti in incognito. Descrivimelo,” è la risposta concitata di Claudia, mentre la sente trafficare con qualcosa, “o riesci a mandarmi una sua foto?”
 
“Non ne ho con me e non è schedato, dovrei tornare in questura. Però è basso per essere un uomo, sotto al metro e settanta, robusto, forte, occhi azzurri, stempiato, calvo dietro, un neo sopra il sopracciglio destro e-“ cerca di spiegare, ma viene interrotto da grida agitate dall’altro capo della cornetta, “Claudia, che succede?”
 
“Devo mettere giù, amore, c’è un’urgenza con un paziente, ti richiamo io…” lo raggiunge la voce di Claudia, apparentemente tranquilla, ma è una tranquillità finta, esattamente come le parole che ha appena pronunciato.
 
“Claudia? È lì con te?” esala, una colata d’acido nello stomaco: cazzo, cazzo, cazzo!
 
“Sì, ti amo anche io, un bacio,” è la risposta flebile quasi quanto un sussurro, prima che la comunicazione venga bruscamente interrotta.
 
Rimane per qualche secondo a fissare il cellulare, indeciso sul da farsi, fino a che, improvvisamente, riprende a squillare.
 
“Claudia??!!”
 
“Mi dispiace deluderti ma sono solo Camilla,” proclama ironica dall’altro capo del telefono e, per una volta, nemmeno la Sua voce lo rasserena, “sono due ore che provo a chiamarti, è-“
 
“Camilla, scusami ma non è il momento: c’è un’emergenza, Misoglio-“
 
“Misoglio sa tutto, Gaetano, sa tutto di Ginger e Sisma! C’è stata una soffiata e sono su tutti i tg: lo sa dove sono e probabilmente sta andando all’ospedale!” lo interrompe Camilla, angosciata.
 
“Non probabilmente, Camilla: è già all’ospedale e Claudia è con lui,” spiega, mentre intorno a lui vede i volti di Marchese e di Grassetti passare dalla sorpresa alla preoccupazione: sa che, pur avendo sentito solo pezzi della sua conversazione con Claudia, ora hanno capito tutto.
 
“Che cosa??!! Gaetano, cosa pensi di fare?? Quell’uomo è… è una bomba pronta ad esplodere: se si sente braccato e scoperto… non ha più niente da perdere!” esclama, sembrando come sempre leggergli nel pensiero.
 
“Lo so, Camilla, lo so. Devo andare all’ospedale: è l’unica cosa da fare a questo punto. Tu invece, qualsiasi cosa succeda, promettimi che non ti muovi da lì,” la prega, conoscendola troppo bene e temendo un suo intervento.
 
“Gaetano…”
 
“Promettimelo!”
 
“Sì, tranquillo, te lo prometto,” lo rassicura con un sospiro.
 
“Camilla, giuro che se fai anche solo un passo fuori dalla questura ti faccio arrestare e stavolta non scherzo,” le intima, con un tono che conferma le parole appena pronunciate.
 
“Gaetano, stai tranquillo, te lo giuro, non mi muoverò di qui. Però tu promettimi che starai attento e che mi terrai informata, ok?” lo implora con una voce talmente carica di preoccupazione, che gli causa un piacevole dolore nel petto.
 
“Certo che ti tengo informata e ti ho già detto che non riuscirai a liberarti tanto facilmente di me, professoressa.”
 
“Ti amo,” sussurra lei semplicemente, ma quelle due parole per lui, per loro significano tutto.
 
“Ti amo anche io, Camilla, sempre.”
 
E, prima che il nodo in gola gli impedisca di respirare, chiude la comunicazione.
 
***************************************************************************************
 
“Berardi!”
 
“Ah, signor questore, vedo che si è finalmente liberato da i suoi innumerevoli impegni: è tutto il pomeriggio che provo a chiamarla,” sibila Gaetano, troppo indignato e preoccupato per poter dare peso all’etichetta, per tenere su una facciata, non ora.
 
“Sì, ho visto le sue chiamate, Berardi, e per questo le sto telefonando, ma sa, sono state ore frenetiche, sono-“
 
“Mi faccia indovinare… è all’ospedale dove sono ricoverati Ginger e Sisma? Anzi, no, mi scusi, solo Sisma, visto che Ginger è morta, anche se ufficialmente dovrebbero essere entrambi ormai quasi il ritratto della salute,” proclama sarcastico, mentre cerca allo stesso tempo di dribblare l’ennesimo ingorgo di traffico. Le sirene spiegate aiutano ma solo in parte.
 
“Lo sa già?” domanda con un tono di voce sorpreso, prima di aggiungere, dopo un attimo di pausa, “ha sentito la Milani?”
 
“Sì, ho sentito Claudia, giusto il tempo per capire che era nei guai fino al collo. E infatti sto venendo lì, spero di farcela in una decina di minuti. Com’è la situazione? Se si è deciso a chiamarmi, immagino che non si sia ancora… risolta, né in un senso, né nell’altro,” proclama con un sospiro, temendo di conoscere già la risposta.
 
“C’è un uomo armato, vestito da infermiere, stiamo cercando di identificarlo… a quanto dice uno degli agenti che era sotto copertura, si è avvicinato alla stanza dove abbiamo fatto credere si trovassero i due punkabbestia ma… in qualche modo ha mangiato la foglia, probabilmente si è accorto che alcuni dei medici non erano veri medici e si è allontanato senza entrare nella stanza, tanto che all’inizio pensavano ad un falso allarme. Ma poi è entrato nello spogliatoio degli infermieri e ha preso la Milani che, a quanto mi riferiscono, si era allontanata per cambiarsi e fare una telefonata, ed un’infermiera come ostaggio e si è barricato con loro nel reparto di terapia iperbarica, nella stanza in cui c’è la camera iperbarica più grande.“
 
“Claudia era al telefono con me: mi aveva chiamato per avvertirmi… del vostro, anzi, del suo cambio di piani, signor questore,” sibila, non facendo di nuovo nulla per nascondere quello che pensa del questore e delle sue idee.
 
“Dottor Berardi, lei mi capisce, non potevo rischiare di perdere l’occasione per far scattare la trappola, poteva essere la nostra unica occasione di trovare e catturare il complice della Misoglio e-“
 
“E l’avete trovato, congratulazioni! Peccato che sia stato lui a catturare qualcuno e non viceversa,” commenta sarcastico e duro, “ed ora rischiamo una tragedia, che era esattamente quello che volevo evitare ed il motivo per cui l’avevo scongiurata di aspettare prima di fare mosse azzardate!”
 
“E quale sarebbe stata l’alternativa, allora? Aspettare che lei, anzi, forse sarebbe meglio dire che la sua compagna, avesse un’intuizione geniale per risolvere questo caso? E che magari riuscisse a dimostrare pure che la Misoglio è innocente?”
 
“Sì, perché la mia compagna l’intuizione geniale ce l’ha avuta sul serio e, come volevasi dimostrare, Ilenia Misoglio è innocente!”
 
“Che cosa?! Vuole dirmi che lei sa chi è l’uomo che ha preso in ostaggio la Milani?”
 
“Sì, si tratta di Fausto Misoglio, il padre della Misoglio e-“
 
“E quindi un suo complice: avranno progettato tutto per vendicare Mauro Misoglio, insieme,” lo interrompe il questore, ignorando completamente quanto da lui detto poco prima.
 
“No, affatto, signor questore, ma adesso non ho tempo di spiegarle il movente di Fausto Misoglio. Sappia solo che è armato, pericoloso e che io e gli uomini di De Matteis siamo appena stati a casa sua, dove mi sono permesso di lasciare Grassetti, Lorenzi e un paio di altri agenti in attesa degli artificieri e di una squadra dei reparti speciali.”
 
“Che cosa??!! Ma è impazzito??!! Chi l’ha autorizzata a prendere un’iniziativa del genere??!!” tuona il questore, chiaramente furioso.
 
“Nessuno, ma mi è sembrato di intuire che non disdegni le iniziative personali, anche se fatte senza consultare prima le altre persone che si stanno occupando di un caso,” ribatte, gelido.
 
“Lei non può permettersi di parlarmi così, Berardi, ha capito?! Posso comprendere che sia risentito ma-“
 
“No, lei non può comprendere, signor questore e mi permetto eccome, mi permetterei ancora di più se lei non fosse un superiore, per quanto non diretto. Se succede qualcosa a Claudia, a quell’infermiera o a chiunque altro in quell’ospedale, la riterrò l’unico responsabile!” esclama, decidendo di scoprire le carte, furioso come raramente si è sentito prima d’ora, per poi aggiungere, serissimo, “e per quanto riguarda l’iniziativa personale, ci ho provato ad avvertirla e l’avrei fatto se fosse stato reperibile, ma immagino che in ogni caso non voglia nemmeno lei rischiare di far saltare in aria mezza frazione di Selcetta.”
 
“Saltare in aria?!” domanda, facendo eco alla domanda stupita posta da Claudia prima che succedesse tutto quello che è successo.
 
“Sì, saltare in aria. Fausto Misoglio è un ex falegname che però evidentemente ha anche grandi conoscenze di elettronica ed è a suo agio con esplosivi, inneschi eccetera, eccetera. Non mi stupirei se ne avesse portati con sé anche in ospedale. Ho evitato per un soffio di far scattare i sensori di una trappola posta all’ingresso di casa sua.”
 
“Maledizione…” sussurra il questore che sembra avere infine compreso tutte le implicazioni delle sue decisioni di quel pomeriggio.
 
“Senta, dopo che è stata sequestrata non ci sono altri aggiornamenti su Claudia? Se è ancora in ostaggio o se…” chiede, decidendo di concentrarsi sull’emergenza ma lasciando la frase a metà, perché non riesce nemmeno a contemplare l’altra ipotesi, “visto che ignoravate ancora l’identità di Misoglio, immagino che non vi abbia contattato per fare richieste.”
 
“No, non ne ha fatte e non sappiamo niente di più di quanto le ho detto. E, prima di contattarlo noi, volevamo essere sicuri di avere qui i rinforzi pronti e di evacuare almeno i reparti vicini alla terapia iperbarica,” spiega con voce stanca, prima di aggiungere, dopo un attimo di esitazione, “quel reparto è in sé una bomba, potenzialmente, per via dell’ossigeno, che è un comburente…”
 
“E basta una scintilla per trasformare una camera iperbarica in una trappola mortale…” conclude Gaetano, che ricorda benissimo casi di cronaca riguardanti incidenti mortali durante terapie di questo tipo.
 
“I dottori mi hanno rassicurato che la camera che c’è nella stanza dove si è barricato Misoglio, il rischio di incendio è molto ridotto, che ci sono standard di sicurezza molto più alti, perché l’aria non è più satura di ossigeno, che arriva al paziente solo attraverso le maschere, ma purtroppo basta manomettere i tubi o le maschere stesse. Certo, non è così immediato farlo e avviare i macchinari ma non è impossibile, specie se, come mi sta dicendo, il Misoglio non è uno sprovveduto ed è a suo agio con l’elettronica. E poi, lì vicino c’è il deposito delle bombole dell’ossigeno per l’ossigenoterapia mobile e anche nelle camere del reparto di pneumologia ci sono le tubazioni che portano ossigeno. Abbiamo messo degli agenti armati a guardia del deposito, ma finché non evacuiamo i pazienti, non possiamo interrompere il flusso nei condotti alla sorgente. E comunque ci vorrà tempo per svuotarli completamente dall’ossigeno.”
 
“E come sta procedendo l’evacuazione?”
 
“Abbiamo avviato il protocollo, ma molti pazienti non possono essere spostati nell’immediato: devono essere trasferiti in ambulanza ad altri ospedali, sono intubati e collegati a respiratori artificiali o comunque hanno bisogno dell’ossigeno… ci vorrà tempo per completare tutte le operazioni e c’è anche il problema dei posti letto disponibili, che scarseggiano. Stiamo facendo tutto il possibile ma potremmo non riuscire a trasferire tutti i pazienti. Nel frattempo abbiamo allertato i reparti speciali, che dovrebbero arrivare a breve. L’unica cosa che possiamo fare a questo punto è cercare di guadagnare tempo con il sequestratore…”
 
“Il tempo potrebbe essere l’unica cosa che non abbiamo…” sospira Gaetano, circumnavigando un altro ingorgo e maledicendo il traffico della capitale, sentendo il solito mal di testa che ormai lo accompagna da qualche giorno farsi ancora più presente e pulsante, “non potevate pensarci prima di organizzare questa trappola, proprio in un reparto del genere, oltretutto?! Magari prenderle prima queste precauzioni, invece che correre ai ripari dopo.”
 
“Pensavamo di poterlo contenere con facilità e comunque credevamo di avere più tempo, non che accorresse in ospedale dopo un paio d’ore da quando è uscita la notizia. Insomma, che prima di tentare una mossa del genere avrebbe pianificato il tutto, come ha pianificato tutto il resto, anche l’omicidio e il tentato omicidio dei punkabbestia…” ammette il questore e di nuovo Gaetano avverte una nota di cedimento nella voce, che fino a pochi minuti prima era così altezzosa.
 
“Signor questore, Fausto Misoglio ha contratto la Rabbia da uno dei cani dello Scortichini. È un uomo violento e pericoloso già normalmente, e ora la malattia potrebbe averlo reso ancora più instabile e disperato…” spiega, decidendo di non girare ulteriormente il dito nella piaga. Del resto, ormai, a che servirebbe?
 
“La Rabbia? Ma è sicuro?” domanda il questore, stupito, con il tono di chi sta per avere un infarto.
 
“Purtroppo sì… sinceramente non so se e quanto possa esserci spazio per una trattativa con lui e più tempo passa e più il rischio di un colpo di testa aumenta. Specialmente se ha capito chi è Claudia…”
 
“A questo riguardo c’è un particolare che mi fa essere un minimo ottimista, o forse sarebbe meglio dire meno pessimista: la Milani era già vestita da infermiera e non aveva armi addosso. Abbiamo ritrovato la sua pistola ancora nascosta nel suo borsone. È una donna relativamente giovane e molto bella, non il classico prototipo del commissario di polizia. Credo quindi che il sequestratore non si sia reso ancora conto di chi si tratta e che continui a ritenerla soltanto un’infermiera come un’altra.”
 
“Capisco…” mormora Gaetano, comprendendo del tutto le parole usate da Claudia prima di chiudere la telefonata, del resto la collega aveva sempre avuto la capacità di pensare rapidamente durante le situazioni di pericolo, “ma Claudia non aveva addosso un microfono, qualcosa per tenersi in contatto con voi?”
 
“Sì, ha un auricolare di quelli invisibili, senza fili e un microfono nascosto nell’uniforme. Da quello che siamo riusciti a intuire ascoltando il microfono, lei e l’infermiera sono state immobilizzate, legate, probabilmente dentro la camera iperbarica, e poi c’è stato rumore di oggetti trascinati, come se sequestratore stesse sbarrando la porta. Adesso è da un po’ che c’è silenzio, non sentiamo voci ma il microfono è attivo…” spiega il questore, aggiungendo con evidente apprensione, “mentre per quanto riguarda il suo auricolare… mentre il sequestratore sembrava impegnato, abbiamo provato a parlarle, a fornirle anche istruzioni in codice, insomma, le classiche cose tipo – se mi senti, dai due colpi di tosse – ma Claudia non ha mai dato alcun segnale.”

“Quindi, o Claudia non può rispondere perché non vi sente e l’auricolare non funziona, oppure…”
 
Di nuovo non serve che finisca la frase, perché sia lui che il questore sanno benissimo qual è l’altra possibilità.
 
A volte il silenzio fa più rumore di mille parole.
 
***************************************************************************************
 
“Tutto tace… i poliziotti ci staranno preparando un bel comitato di accoglienza. Ma non temete: sono solo dei poveri idioti che non riescono nemmeno a nascondere bene le pistole sotto i camici!”
 
Claudia sente un brivido correrle lungo la schiena. Non sa se per lo sguardo di quell’uomo: così ferale e gelido allo stesso tempo, gli occhi azzurri e lucidi che brillano in modo inquietante. O forse per quella risata sguaiata, seguita da forti colpi di tosse, con cui ha pronunciato le prime parole dopo lunghissimi minuti di silenzio, riempiti solo dal rumore di macchinari e mobili spostati in fretta e furia per creare una barriera, dopo averle immobilizzate su due delle seggiole della grande camera iperbarica che campeggia al centro della stanza da lui scelta come prigione. Sedute una di fronte all’altra, il busto bloccato contro lo schienale, i piedi fissati al tubo che corre sotto le file di sedie, le braccia a quello sopra le loro teste, da cui penzolano le maschere di plastica. Sente le spalle e il collo bruciare, mentre le braccia… le braccia non le sente più e basta.
 
Si chiede cosa stiano facendo i ragazzi là fuori, si chiede se sia riuscita ad attivare il microfono che ha addosso – nascosto in una delle tasche interne del camice da infermiera – se funzioni ancora, se riescano a sentire o meno quello che capita intorno a lei.
 
Non sa sinceramente cosa sperare: da un lato, se il microfono fosse acceso, forse questo potrebbe dare indicazioni preziose durante il blitz che, con tutta probabilità, prima o poi scatterà. Dall’altro lato però… sa benissimo cosa accadrebbe se Misoglio decidesse di chiudere la camera ed azionarla. Ha letto tutti gli avvertimenti che tappezzano la stanza e sa che l’elettricità statica generata da un apparecchio del genere potrebbe essere più che sufficiente a far partire una scintilla e a trasformare la camera in un forno, una trappola mortale. Che è poi lo stesso motivo per cui, anche mentre Misoglio sbarrava la porta della stanza, non ha osato forzare troppo i lacci a mani e piedi: non può permettersi di danneggiare le tubazioni e le apparecchiature della camera.
 
Come non sa se benedire o maledire il fatto che, quando Misoglio l’ha intercettata, lei non avesse una pistola su di sé. Si era appena cambiata nel completo da infermiera, dopo aver aiutato il questore a posizionare gli altri ragazzi per tutto il reparto e dopo aver terminato di evacuare i pazienti dalle camere iperbariche, riportandoli in pneumologia – reparto o terapia intensiva –  mentre Sisma era stato, per sicurezza, temporaneamente trasferito nella terapia intensiva di cardiologia, intubato e attaccato all’ossigeno, nonostante le proteste dei suoi medici curanti. Aveva poi chiamato per l’ennesima volta Gaetano, per avvertirlo, ma Misoglio era arrivato troppo presto. Non si era ancora nemmeno infilata l’auricolare invisibile e, sotto tiro, mentre Misoglio le sequestrava il cellulare e si concentrava per un attimo sull’altra infermiera, aveva avuto giusto il tempo di tentare di attivare il microfono tramite il pulsante cucito all’interno di uno dei polsini.
 
La verità è che avevano fatto tutto troppo in fretta: avrebbero dovuto aspettare ad essere pronti al cento per cento prima di far scattare la trappola, ma il questore non aveva voluto sentire ragioni, pressato, lo sa bene, da persone ben più in alto di lui. Avevano fatto una cazzata, una cazzata che ora rischiano di pagare con la vita non solo lei, ma un sacco di persone innocenti, deboli, malate, che non hanno colpa di tutto questo.
 
Guarda di nuovo Misoglio che si è buttato – per non dire accasciato – due seggiole a sinistra di Oksana, questo il nome della giovane e sfortunata infermiera che condivide la sua stessa sorte, una smorfia di dolore che gli increspa il volto, mentre stringe il braccio destro poco sotto la spalla in un modo che, se si trattasse del sinistro, le farebbe quasi pensare – o sperare – in un infarto in corso. Cerca per l’ennesima volta di valutare se, a parte le due pistole con cui le ha tenute sotto tiro, abbia altre armi – o peggio – nascoste sotto i vestiti. Ma il camice è largo e non è per nulla semplice intuire cosa si celi lì sotto. Aveva provato ad appoggiarsi a lui mentre le trascinava lungo il corridoio, fingendo uno svenimento, sperando di riuscire a fargli perdere l’equilibrio, di dare ad Oksana l’occasione di scappare ed ai ragazzi quella di bloccarlo. Ma lui per tutta risposta l’aveva buttata a terra con una gomitata, tenendola sotto tiro, mentre puntava una pistola alla testa dell’infermiera, intimandole di alzarsi in fretta e ai ragazzi di allontanarsi, minacciando di gambizzarla.
 
Per fortuna era riuscita ad attutire il colpo con le mani, anche se i lividi su gambe e braccia e i palmi abrasi testimoniavano la caduta. Aveva dovuto rialzarsi rapidamente ed arrendersi all’evidenza che non c’era modo per lei di evitare questo sequestro, che non poteva permettersi altre iniziative, se non voleva rischiare la vita sua e, soprattutto, la vita dell’infermiera. Misoglio non è uno sprovveduto, ha sangue freddo, anzi, una crudele freddezza che lo rende terribilmente pericoloso. Ma allo stesso tempo è evidentemente abbastanza disperato da essere corso all’ospedale ad eliminare Ginger e Sisma senza aver avuto il tempo materiale di pianificare con cura le sue mosse, spinto dall’impulso del momento o forse… forse dal fatto di non avere più nulla da perdere, se Gaetano ha ragione. Ma, se sa di essere, con tutta probabilità, un morto che cammina, perché tutta questa ostinazione di eliminare Ginger e Sisma e di coprire le sue tracce? Che differenza può fare la prospettiva di essere incriminato quando sai di essere ad un passo dalla tomba?
 
Ed un pensiero la fulmina: si chiede se la zona del braccio che sta afferrando in modo così spasmodico sia quella vicina al morso. Perché deve esserci stato un morso.
 
Le palpebre si spalancano e quegli occhi lucidi e taglienti si fissano nei suoi, quasi come se avesse percepito il suo sguardo e i suoi pensieri. E non c’è nulla di benevolo nella sua espressione.
 
“Che hai da guardare?” sibila, afferrando la pistola dal grembo e tornando a puntargliela contro.
 
“No, niente… è che… mi è sembrato di notare che avesse dolore alla spalla…” abbozza, dato che dire parte della verità è sempre la miglior bugia, affrettandosi ad aggiungere, notando il suo sguardo farsi ancora più torvo, “deformazione professionale…”
 
“Non sto avendo un infarto, se è ciò che speri,” proclama sardonico, prima di aggiungere con un sorriso inquietante, “e se stai invece pensando di fare la parte della brava infermiera, magari di convincermi a slegarti per permetterti di curare le mie ferite… non sono un idiota.”
 
“Non ho mai pensato questo e-“
 
“Ah no? E allora il tuo svenimento nel corridoio? Devi ringraziare la presenza dei poliziotti e il fatto che avere due ostaggi è meglio di averne uno soltanto, o saresti già morta, chiaro?” soffia, alzandosi e avvicinandosi in due rapide falcate, fino a torreggiare su di lei, il viso a pochi centimetri dal suo, l’alito pesante e quasi marcio che le causa un conato che trattiene a stento, “e se ci tieni a rimanere in vita, ti consiglio di non farti venire altre idee per tentare di fregarmi.”
 
“Non stavo cercando di fregarla: mi sono spaventata e ho avuto un mancamento… non avevo mai avuto una pistola puntata addosso…” risponde, cercando di sembrare sincera quanto spaurita, “e, se lei è ferito, il giuramento di Ippocrate che ho fatto quando sono diventata infermiera, mi impone di aiutarla e di curarla, per quanto mi è possibile.”
 
“I giuramenti sono fatti per essere rotti, sono solo parole vuote che non significano niente,” ribatte, tagliente ma con una punta di amarezza, lasciando involontariamente trapelare forse la prima flebile traccia di umanità, “nessuno fa niente per niente: fai questo lavoro perché ti pagano per farlo.”
 
“Ho scelto questo mestiere perché mi piace farlo, perché mi piace aiutare gli altri e-“
 
“E un conto è aiutare gli altri, un conto è farlo rischiando la propria vita. Se te ne darò la possibilità, so che farai qualsiasi cosa per salvarti la pelle, anche uccidere, anche uccidermi, come farebbe chiunque altro al tuo posto. Tutti noi usiamo gli altri: l’amore, l’amicizia, la famiglia… sono tutte palle. Sopportiamo gli altri fino a che ci danno qualcosa in cambio, fino a che ci fa comodo,” la interrompe, nuovamente gelido tanto quanto cinico, per poi soffiarle sulle labbra, “o sei forse una masochista? Mia moglie era così, lei amava soffrire, stare male, recitare la parte della martire, avere sempre qualcosa di cui lamentarsi, per avere la scusa buona per non fare mai nulla.”
 
“Perché ne parla al passato? È morta?” domanda Claudia, decidendo di farlo parlare e di vedere dove questo la condurrà. Nonostante il cinismo è comunque un contatto, un’apertura, anche se minima, e deve sfruttarla.
 
“No, ma è come se lo fosse. Se ne è andata anni fa, mi ha abbandonato, lei e mia figlia mi hanno abbandonato, dopo tutto quello che ho fatto per lei, per loro. Mi hanno rovinato la vita… e per cosa, per cosa?!” esclama, rialzandosi e camminando per la stanza, come se stesse parlando da solo più che con lei, prima di tornare a fissarla in quel modo febbrile ed inquietante, e di scoppiare in una risata metallica, seguita da un paio di altri colpi di tosse, “lo so cosa stai cercando di fare, ma non funziona…”
 
“Che cosa?” gli chiede, fingendo di non capire.
 
“Cercare di farmi parlare, aprire, magari di psicanalizzarmi, anche se non sei una psicologa o una psichiatra ma solo un’infermiera. Non mi metterò qui a fare una confessione cuore a cuore. Non me ne frega niente di parlare con te, con voi,” le sputa addosso sprezzante, prima di sedersi nuovamente, questa volta accanto a lei.
 
“È stato lei a tirare in ballo la sua ex moglie, io mi stavo solo accertando se stesse bene e mi ero offerta di aiutarla in caso contrario. Sarò solo un’infermiera ma so curare molte ferite, quelle fisiche. Per quanto riguarda le ferite della psiche o dell’anima o come vuole definirle, ne ho viste tante in questi anni, ma non mi sognerei mai di mettermi a psicoanalizzare qualcuno. Soprattutto non qualcuno che mi ha prima puntato una pistola addosso e poi mi ha legata e imprigionata e che può farmi fuori in qualsiasi momento,” replica, decidendo di cambiare tattica, capendo che essere troppo… troppo buona e dolce non la porterà da nessuna parte, non con un uomo del genere.
 
“No, non sei affatto un’idiota come la mia ex moglie. Anche perché non le somigli per niente, non hai la faccia appesa da martire, per non parlare del resto…” commenta, squadrandola da capo a piedi, indugiando sul seno e sulle gambe in un modo che le fa correre un brivido lungo la schiena: si rende conto ancora di più di essere completamente indifesa e di quanto lui sia vicino, troppo vicino, “tu gli uomini sei abituata a rigirarteli come vuoi, non è vero?”
 
“Non so come fosse la sua ex moglie ma io ho di meglio da fare che passare il mio tempo a raggirare o rigirare gli uomini, anche perché sono felicemente fidanzata,” replica d’istinto, senza dover nemmeno sforzarsi di recitare, “e mi dispiace che sua moglie e sua figlia l’abbiano abbandonata, ma a me sembra che in quanto a vittimismo anche lei non scherzi. Se sua moglie era davvero come la descrive, avrebbe dovuto ringraziare il cielo di essere nuovamente libero e cercare di rifarsi una vita!”
 
Il silenzio cala nella stanza, Misoglio la fulmina con un’occhiata omicida, sollevando una mano tremante e chiusa a pugno a due centimetri dal suo viso. Claudia sente il cuore rimbombarle nel petto, rendendosi conto di avere forse esagerato con la provocazione e aspettando uno schiaffo o un pugno che non arrivano.
 
Improvvisamente, la mano si apre e dita spesse, forti e piene di calli la afferrano per la mandibola e tirano, costringendola ad allungare il collo, mentre lame calde e pulsanti le trafiggono la nuca e le spalle e si sente quasi soffocare.
 
“Bene, bene, abbiamo gettato la maschera. Dimmi, nascondi spesso il tuo caratterino e la tua lingua lunga per interpretare la parte dell’infermierina innocente, ingenua e compassionevole?” le sibila in un orecchio, mantenendo la presa ma abbassando la mano, dandole modo di respirare nuovamente.
 
“Non recito nessuna parte e sono un’infermiera, una brava infermiera che cerca di fare il suo lavoro al meglio, senza mai risparmiarsi!” ribatte infine, trattenendo una smorfia di dolore.
 
“Lo immagino… in altre circostanze mi piacerebbe molto farmi curare da te,” le soffia sulle labbra, l’espressione che passa dalla furia ad un’evidente eccitazione.
 
Claudia trattiene a stento un conato di vomito e la voglia di sputargli in faccia mentre sente l’altra mano posarsi su un ginocchio velato solo dai collant e risalire di qualche centimetro: la situazione le è sfuggita completamente di mano.
 
Non si è sbagliata quando ha pensato che contraddirlo avrebbe fatto più presa su di lui che essere accondiscendente, ma ha funzionato troppo.
 
Misoglio è indubbiamente un sadico, un sadico che prova piacere a provocare sofferenze agli altri, a soggiogare gli altri. Ed è anche in parte un masochista, che si crogiola nelle sue disgrazie e che, soprattutto si attacca ancora di più alla preda quando questa reagisce, si ribella, lo sfida, in una specie di gioco di sottomissione.
 
“Non mi tocchi: non sono quel genere di infermiera, né di donna!” intima in modo deciso ma senza alzare i toni, serrando ancora più forte le gambe.
 
“Voi donne siete tutte fatte della stessa pasta, tutte uguali! Lo vuoi sapere perché non mi sono rifatto una vita? Un uomo della mia età, non bello, non ricco? Sai che genere di donne trovano gli uomini come me? Al massimo qualche badante, di solito dell’Est, ma con la crisi magari si trova anche qualche italiana, per cui i miei pochi soldi e la mia casa sono meglio che niente,” proclama sprezzante, non accennando a rimuovere la mano, anzi percorrendo altri centimetri di coscia, alternando lo sguardo tra lei e la giovane Oksana che, dal nome, sicuramente viene o dalla Russia o da uno dei paesi limitrofi, “ma se voglio una puttana, vado in strada e me ne trovo una che non finge di essere quello che non è!”
 
Claudia avrebbe mille risposte sulla punta della lingua, dal fargli notare che anche se bello e ricco nessuna donna non opportunista o senza gravi problemi di autostima e amor proprio si sarebbe mai interessata a lui, al fatto che per ogni “puttana” o “opportunista” di solito c’è un “cliente” consenziente e consapevole dall’altra parte. Ma non può permetterselo, la verità è che una parte di lei è paralizzata dalla consapevolezza di quello che potrebbe succedere e che l’atterrisce ancora di più della prospettiva della morte. Cerca di tirare un respiro e di scacciare in un angolo le paure: lei è addestrata per situazioni di questo tipo, deve essere razionale, non deve lasciarsi prendere dal panico. Lei può farcela, può sopravvivere, è più forte di questo, è più forte di lui.
 
Prima che possa aprire bocca, il suono di un telefono cellulare squarcia il silenzio della stanza. Claudia riconosce la suoneria ancora prima che Misoglio sposti finalmente quella maledetta mano per estrarre da una tasca il cellulare che le appartiene e che le ha requisito. Ringrazia il cielo di avere sempre avuto l’abitudine di salvare i contatti solo per nome, con al massimo il cognome puntato, e di non tenere mai in memoria alcun messaggio riferibile ad indagini in corso o al suo lavoro. Una precauzione martellatale nella testa dal suo primo capo fino alla nausea, in caso il suo cellulare fosse andato “smarrito” o fosse stato rubato, per evitare mal di testa enormi a sé stessa, ai colleghi e possibili pericoli per amici, parenti e semplici conoscenti. Misoglio non le aveva nemmeno controllato il cellulare, ad onore del vero, ma almeno non avrebbe trovato nulla che potesse immediatamente identificarla come un vicequestore di polizia.
 
Misoglio chiude la comunicazione ma il telefono riprende quasi subito a squillare, ancora prima che possa riporlo in tasca.
 
“Chi è questo Gaetano che non capisce che non hai voglia di parlargli?” le domanda sarcastico, mostrandole il display dello smartphone.
 
“È il mio fidanzato…  ero al telefono con lui quando lei ci ha… ci ha prese in ostaggio,” replica, continuando con la bugia inventata su due piedi per avvertire Gaetano di cosa stava accadendo, “gli avevo detto che l’avrei richiamato e magari non sentendomi si è preoccupato, forse è già uscita la notizia di… tutto questo.”
 
“Benissimo… bisognerà rassicurarlo, no?” le chiede Misoglio con un tono ancora più sardonico, prima di sfiorare il display e accettare la chiamata, mettendo il viva voce, “pronto?”
 
“Pronto? Cercavo Claudia ma forse ho sbagliato numero…” replica dall’altra parte della cornetta una voce lontana, distorta e metallica, come quando c’è poco campo.
 
“No, non hai sbagliato numero, caro Gaetano. Claudia è qui con me,” ribatte con tono derisorio, “ma ha le mani… impegnate e non può rispondere al telefono.”
 
“Chi è lei? Un collega?”
 
“No, sono… un amico. Io e Claudia ci stavamo divertendo un po’, non è vero?”
 
“Gaeta-” prova a rispondere Claudia, ma il nome di lui si perde in un mugugno disperato perché Misoglio le tappa la bocca con una mano.
 
“Che sta succedendo lì?” domanda la voce dall’altro capo della cornetta, tra gli sfrigolii di elettricità statica.
 
“Che cosa vuoi che stia succedendo? Perché non usi la tua immaginazione, Gaetano?” replica Misoglio, scoppiando in una risata beffarda.
 
“Senta, non so chi è lei e a che gioco sta giocando, ma mi faccia parlare con Claudia!”
 
“Non posso: io e Claudia siamo troppo impegnati in questo gioco, non è vero, Claudia?” continua a provocarlo in modo canzonatorio e malizioso, “invece so chi sei tu, Gaetano: uno che non guarda spesso i telegiornali, non è vero?”
 
“Cosa sta dicendo? Mi faccia parlare con Claudia, maledizione!!”
 
“Senti, qui le regole del gioco le detto io, non tu. Ti consiglio, se ci tieni alla tua Claudia, di cambiare tono, anzi di stare proprio zitto e di dare un’occhiata alle ultime notizie…” intima minaccioso, essendosi evidentemente stufato di giocare con lui, buttando giù la comunicazione.
 
***************************************************************************************
 
“Ha buttato giù, maledizione!”
 
“Non può richiamare, Berardi, lo sa anche lei, non possiamo permetterci di innervosirlo di più,” lo blocca il questore, posandogli una mano sul braccio che regge il cellulare.
 
“Innervosirlo?! Ma ha capito cosa stava per fare a Claudia? La situazione sta precipitando!” ribatte Gaetano, ancora scosso e schifato da quello che ha sentito.
 
“Noi abbiamo fatto quello che potevamo, l’abbiamo distratto e magari abbiamo dato alla dottoressa Milani una scappatoia. Non possiamo fare altro!”
 
“Potremmo cercare di contattarlo per capire cosa vuole e-“
 
“Lo sa anche lei che non possiamo farlo, che se lo contattiamo noi e iniziamo le trattative non avremo molto tempo per dargli ciò che vuole, qualsiasi cosa sia. E stiamo ancora evacuando l’ospedale e fino ad allora non possiamo interrompere il flusso d’ossigeno e la Milani e l’infermiera sono sedute in una bomba pronta ad esplodere. Dobbiamo aspettare che ci contatti lui, ascoltare ed aspettare, lo sa anche lei Berardi che è l’unica cosa sensata da fare!”
 
“Quindi dobbiamo aspettare ed ascoltare mentre quel… mentre Misoglio… non riesco nemmeno a dirlo!” sbotta Gaetano, il cuore e lo stomaco che bruciano… in tanti anni di carriera non ha mai provato nulla di così viscerale come la rabbia e l’odio che prova per quel sadico, lurido maiale che risponde al nome di Fausto Misoglio.
 
“Capisco quello che prova, Berardi, ma la priorità ora è tenere la Milani e l’infermiera in vita. Da qualsiasi esperienza, anche la più traumatica, ci si può ancora riprendere, ma alla morte non c’è rimedio,” ribatte il questore, con un tono che fa imbestialire ancora di più Gaetano.
 
“Eh, certo, facile a parlare quando le esperienze traumatiche capitano agli altri e non a lei, signor questore!” sibila Gaetano, sentendo l’odio e la rabbia nei confronti di Misoglio mischiarsi a quelli nei confronti di chi aveva innescato questo disastro.
 
“Davvero sveglio il tuo Gaetano… si vede che l’hai scelto per l’intelligenza,” la voce di Misoglio, sprezzante, esce dagli altoparlanti collegati al microfono di Claudia, “toglimi una curiosità, che lavoro fa? Operaio, netturbino, falegname, immagino?”
 
“No, certo che no… tu sei una che può puntare in alto, anche se ormai stai diventando vecchia. Ma ancora per qualche anno puoi avere qualsiasi pollo da spennare, no?” prosegue imperterrito, di fronte al silenzio apparente di Claudia, evidentemente proseguendo le sue fini argomentazioni su come le donne sarebbero tutte paragonabili a delle prostitute.
 
“Gaetano non è un pollo da spennare e non è uno stupido! Anzi, è un vero genio!” sentono infine Claudia pronunciare, per poi aggiungere, dopo un attimo di esitazione, “Gaetano è un medico e-“
 
“Ma certo il medico e l’infermiera: un classico! Ti sei sistemata bene, eh?! Ed è davvero un genio, visto che non sa nemmeno cosa sta succedendo nel suo ospedale…”
 
“Gaetano non lavora qui… ma al centro malattie infettive e tropicali. È uno dei maggiori esperti in diagnostica in Italia, ha girato mezzo mondo e c’è gente che viene da tutta Italia per farsi visitare da lui!”
 
“Claudia…” sussurra Gaetano, capendo dove la donna stia andando a parare, ammirato e preoccupato al tempo stesso.
 
“Cercatemi i nomi dei medici del centro malattie infettive e tropicali, presto!” ordina Gaetano a Marchese, seduto in un angolo del furgone della polizia da cui stanno coordinando l’operazione, mentre lui invece compone di nuovo il numero di Claudia.
 
“Ma che fa, Berardi? È impazzito?” sbotta il questore, cercando di bloccarlo.
 
“Stia zitto e ascolti!” taglia corto Gaetano, svicolandosi dalla presa del questore.
 
Sentono la suoneria del telefono di Claudia risuonare, distorta dalle casse.
 
“Come volevasi dimostrare: è di nuovo il tuo pollo… non deve proprio tenerci alla tua sopravvivenza…” commenta Misoglio, prendendo di nuovo la chiamata, mentre Gaetano sente, sia negli altoparlanti, sia nel ricevitore del telefonino, “Gaetano, sei sordo o non capisci l’italiano?”
 
“Ho visto le notizie… lei ha preso in ostaggio Claudia,” pronuncia deciso, avendo già nuovamente attivato il distorsore vocale che dovrebbe impedire a Misoglio di riconoscere la sua voce.
 
“Che intuito! Sai, io e Claudia stavamo giusto parlando di te… a quanto dice lei sei un vero genio, ma a me sembri solo un povero idiota,” replica Misoglio sprezzante, “toglimi una curiosità, Gaetano, che lavoro fai?”
 
“Non vedo questo cosa c’entri… mi dica cosa vuole per liberare Claudia: se è per i soldi, non sono un problema!” ribatte Gaetano, sperando di riuscire ad essere credibile nella recita.

“Lo immaginavo… una come la tua Claudia non si accontenta certo degli spicci e vale un bel po’ di soldi. Ma se vuoi avere una minima speranza di rivederla tutta intera, ti consiglio innanzitutto di rispondere alle mie domande. Non devi nemmeno fare lo sforzo di pensare, solo di rispondere…”
 
Gaetano afferra il tablet che Marchese gli sta porgendo. L’elenco dei medici… lo scorre rapidamente, mentre risponde per prendere tempo.
 
“D’accordo, d’accordo… sono un medico, per quanto le possa interessare…”
 
“Che tipo di medico? Chirurgo plastico?” domanda sempre più derisorio e beffardo.
 
“Mi occupo di diagnostica… i miei pazienti sono persone con malattie strane, rare o apparentemente inspiegabili. Io li visito, cerco di capire che cosa abbiano e spesso ci azzecco. Soddisfatto?”
 
“Dipende… dunque, Gaetano, questo è quello che devi fare: apri bene le orecchie e non farti venire brillanti idee. Ora tu metti giù questo telefono e invece di continuare a disturbarmi e a farmi innervosire, chiami la polizia e spieghi loro chi sei e che hai parlato con me e-“
 
“Ma io non so nemmeno chi sia lei e-“
 
“A te non deve importare chi sono io, gli sbirri o lo sanno o lo scopriranno presto. Chiedi dell’eroico vicequestore Berardi, si chiama Gaetano come te, anche se mi sembra un po’ più sveglio di te, non di molto in realtà. E dici a loro di chiamarmi al numero della tua Claudia, che comincio ad offendermi per questa mancanza di considerazione e che se mi annoio, potrei sempre decidere di far partire i fuochi d’artificio per divertirmi un po’. Poi alzi le chiappe e vieni qui in ospedale e… vedremo quanto ci tieni alla tua bella.”
 
“Venire lì? Perché?”
 
“Usa la tua immaginazione, dottore… a proposito, ce l’hai un cognome?”
 
Gaetano conosce il motivo di quella domanda: ormai ha fatto scorrere tutto l’elenco, e, come temeva, non c’è nessuno che si chiami Gaetano. Ma ha già scelto il nominativo di uno dei diagnosti e fatto una rapida ricerca su google: nessuna foto, grazie al cielo.
 
“La Torre, dottor Gaetano Andrea La Torre. Ha bisogno di altre informazioni?” domanda sarcastico, inserendo il vero nome del medico come secondo nome. Non è detto che Misoglio controlli, ma non si sa mai, visto quanto è paranoico.
 
“No, ma ti consiglio di evitare quel tono. E non chiamare più. Sarò io a chiamarti. E dì agli sbirri che aspetto una chiamata entro un’ora… altrimenti qui l’atmosfera si farà… incandescente…”
 
“Si  può sapere che le ha preso?!” chiede il questore, furioso.
 
“Ho colto al volo l’assist che ci ha offerto Claudia, prima che fosse troppo tardi… ora dobbiamo-“
 
“Ora dobbiamo richiamare quel pazzo entro un’ora! Le ho detto che bisognava prendere tempo e lei invece-“
 
“Ed è quello che sto facendo: sto prendendo tempo e sto organizzando un modo per tirare fuori Claudia e l’altro ostaggio di lì! Non potevamo aspettare in eterno e lo sa anche lei… cosa sperava? Che Misoglio non si facesse vivo fino a notte inoltrata? Che Claudia si sacrificasse e lo… lo tenesse impegnato fino ad allora?” lo interrompe a sua volta, altrettanto furioso, “ora abbiamo un piano, signor questore, un piano per depistare Misoglio, prendere tempo, infiltrare uno dei nostri uomini lì dentro e neutralizzarlo. Ma mi servono informazioni per metterlo in atto con successo e ho meno di un’ora per ottenerle. Ho gestito decine di sequestri come questo e grazie a dio non ci sono mai state vittime: mi lasci lavorare!”
 
“Berardi…” sussurra il questore, tirando un respiro prima di annuire, “va bene: ma la responsabilità sarà solo sua se qualcosa dovesse andare storto!”
 
Gaetano si limita a scuotere il capo, incredulo e ancora più disgustato dall’enorme faccia tosta del questore. Ma non ha tempo di ribattere: è ora di entrare in azione.
 
***************************************************************************************
 
“Sì, ho capito tutto, credo… dottor La Torre, non so come ringraziarla: è un’idea geniale. E mi scuso per averla coinvolta in questa messinscena, ma, se tutto va in porto, grazie al suo contributo salveremo la vita di ben più di una persona ed eviteremo la distruzione di interi reparti di questo ospedale.”
 
“No, si figuri, dottor Berardi, anzi, mi ritengo onorato che abbia scelto proprio me per questo ruolo,” replica il dottore, con il tono gentile ed appassionato che ha mantenuto praticamente per tutta la conversazione, da quando gli aveva riferito di essersi fatto passare per lui con un sequestratore, “devo ammettere che è la prima volta che mi capita una cosa del genere, di usare le mie conoscenze in questo modo ma… la mia missione come la sua è proprio quella di salvare quante più vite possibile, quindi può contare su di me…. Venti minuti al massimo e sarò lì: è davvero sicuro di non volere che intervenga io di persona?”
 
“Sì, dottore, è molto generoso da parte sua, ma sarebbe troppo pericoloso e non posso permetterlo. Allora la aspetto e se qualcuno dovesse cercarla…”
 
“Stia tranquillo, ho già dato precise istruzioni alla mia segretaria e al centralino di riferire che non sono qui e di dare il suo numero di telefono a chiunque dovesse cercarmi oggi pomeriggio. E anche i miei colleghi e il primario sono già stati allertati mentre studiavamo la soluzione al problema che lei ci ha posto. Nessuno qui farà saltare la sua copertura: abbiamo a che fare quasi ogni giorno con malattie che potrebbero causare delle vere e proprie psicosi tra la popolazione e siamo abituati a tenere il massimo riserbo. A tra poco!”
 
“A tra poco!” conferma, chiudendo la chiamata e tirando finalmente il fiato. Afferra i fogli su cui ha scarabocchiato gli appunti presi durante questa telefonata e sente quel fermento, quell’adrenalina in circolo che scatta quando sa esattamente cosa deve fare e come farlo e si prepara ad andare in prima linea.
 
“Marchese, contattami il primario di pneumologia: lo so che sarà impegnato con l’evacuazione, ma ho bisogno del suo aiuto. Signor questore, lei conosce gli uomini della Milani?” domanda, rivolgendosi per la prima volta dopo più di mezz’ora all’uomo che ha assistito in disparte a tutta la scena e che ora lo osserva tra lo sconcertato e l’ammirato.
 
“No, ammetto di no, ma può chiedere al vice della Milani, l’ispettore De Santis. Glielo chiamo,” replica il questore, aprendo la porta del van e facendo un paio di cenni ad un uomo lì vicino, ancora travestito da infermiere.

“Mi cercava signor questore?” chiede l’ispettore, un uomo sulla quarantina, alto, magrolino e dai folti capelli ricci, salutando formalmente entrambi i superiori.
 
“Sì, il dottor Berardi aveva bisogno di qualche informazione sui tuoi colleghi,” spiega il questore, facendosi nuovamente da parte.
 
“Mi serve qualcuno che sia in grado di interpretare un medico. Deve essere di sesso maschile, capace di recitare una parte che gli spiegherò e di seguire precisamente le istruzioni e, soprattutto, capace di fare un’iniezione. Non un’endovena, una semplice iniezione. C’è qualcuno che corrisponde a queste caratteristiche?”
 
“Beh, io ho fatto il volontario del 118 quando ero più giovane, sono in grado di fare un’iniezione e in quanto a recitare… non è la prima volta che mi capita di interpretare un ruolo durante una missione. Se mi spiega che cosa devo fare…” risponde l’ispettore, senza un attimo di esitazione.
 
“Quindi ha già fatto delle irruzioni? Nel corpo a corpo come se la cava? Non avremo armi a disposizione,” gli ricorda Gaetano, un po’ dubbioso, dato che l’ispettore sembra molto esile e sa quanto sia forte e robusto Misoglio.
 
“Pratico arti marziali da una vita, lo so che sembro mingherlino ma so difendermi,” ribatte l’ispettore, punto nell’orgoglio.
 
“Non sarebbe meglio attendere i reparti speciali e chiedere a uno dei loro agenti? Intanto può ricontattare Misoglio per prendere tempo, visto che non manca molto allo scadere dell’ora…” si intromette il questore, sembrando altrettanto dubbioso.
 
“Non lo so quanto tempo abbiamo e gli uomini dei reparti speciali hanno praticamente tutti “Rambo” scritto in fronte. Lui di aspetto è più credibile e meno sospetto, e poi conosce bene la Milani, sicuramente ha più intesa con lei di quanta potrebbe averne un perfetto sconosciuto. Io non posso interpretare questa parte: Misoglio mi riconoscerebbe. E lo stesso vale per Marchese, che è anche troppo giovane per il ruolo,” controbatte Gaetano, dopo aver soppesato i pro e i contro.
 
“Intesa?”
 
“Sì, forse ho dimenticato di dirle che lei, oltre ad essere un brillante medico diagnostico, è anche il fidanzato dell’infermiera Claudia Milani,” spiega Gaetano, notando immediatamente le guance dell’uomo farsi quasi paonazze.
 
Claudia ha fatto un’altra vittima, tanto per cambiare.
 
***************************************************************************************
 
“Cinque minuti ancora e poi una di voi due farà una brutta fine e mi sa che tocca proprio a te, mia cara Claudia. Evidentemente il tuo fidanzato non ci tiene poi così tanto alla tua incolumità…”
 
“Magari ha avuto  problemi a farsi credere dalla polizia… sono sicura che chiameranno!” risponde Claudia ad alta voce, mandando un chiaro messaggio ai colleghi che, ora lo sa, la possono sentire.
 
Quando Gaetano aveva richiamato quasi subito e Misoglio gli aveva chiesto che lavoro facesse, per un attimo aveva visto la morte in faccia, sicura che la sua bugia sarebbe stata smascherata.
 
E invece, come sempre accadeva dai tempi dell’addestramento, lei e Gaetano si erano capiti al volo, ed era sicura che lui stesse pianificando le prossime mosse e, soprattutto, cercando qualcuno che potesse interpretare la parte del suo fidanzato.
 
Ma adesso teme che stiano tirando troppo la corda e prega con tutte le sue forze che quel dannato telefono squilli.
 
La sua suoneria la fa quasi sobbalzare e sa già che, se uscirà viva di lì, le toccherà cambiarla: ormai ne odia il suono.
 
“Pronto? Con chi ho il piacere di parlare?” domanda Misoglio, sarcastico, vedendo sul display un numero a lui sconosciuto e attivando nuovamente il vivavoce.
 
“Sono Berardi, mi hanno riferito che mi voleva parlare…” risponde la voce familiare ed inconfondibile dall’altro capo del telefono.
 
“Alla buon’ora, pensavo che il dottorino se la fosse fatta sotto. Del resto si chiama come lei, ma mi chiedo se lei sia leggermente più sveglio, Berardi…” commenta sprezzante, prima di aggiungere con tono canzonatorio, “almeno lei sa chi sono o devo fare le presentazioni?”
 
“No, signor Misoglio, non è necessario. Riconosco la sua voce e in ogni caso le registrazioni delle telecamere dell’ospedale non lasciano dubbi,” ribatte Gaetano e Claudia capisce che non vuole scoprire del tutto le sue carte e far capire a Misoglio esattamente quanto sa.
 
“Benissimo. Allora non perdiamo altro tempo, lei sa meglio di me come funziona. Basta un mio gesto e qui salta tutto in aria… o posso bruciare vive gli ostaggi, anche una alla volta… un po’ mi dispiacerebbe, ci stiamo divertendo molto insieme,” proclama Misoglio, scoppiando in una mezza risata seguita dall’immancabile attacco di tosse.
 
“Che cosa vuole Misoglio?” taglia corto Gaetano, dopo che l’uomo ha smesso di tossire.
 
“Molte cose… ma, per cominciare, voglio il dottorino, voglio che venga qui a trovare me e la sua bella e che si porti dietro il necessario per… diciamo per visitare un paziente. Ma niente oggetti taglienti, appuntiti, niente che possa essere usato come un’arma, altrimenti mi costringerete a testarli su una delle mie due infermiere personali… o forse su tutte e due…”
 
“Quindi vuole che il dottor La Torre venga lì da solo a farle da terzo ostaggio?” domanda Gaetano, con tono apparentemente incredulo, “e lei cosa mi offre in cambio, Misoglio?”
 
“Qualche altra ora di vita di queste due bellezze e comunque no, non da solo. Voglio vedere mia figlia, Berardi,” chiarisce Misoglio con tono improvvisamente serio e deciso.
 
“Ilenia?!” chiede Gaetano e questa volta, Claudia lo capisce, è davvero spiazzato.
 
“Non ho altre figlie, Berardi. Per fortuna o purtroppo …”
 
“Signor Misoglio, sua figlia ha la polmonite, la sua situazione è molto grave e ha bisogno di riposo assoluto. È ricoverata al policlinico, lo saprà anche lei. Non può muoversi da lì,” ribatte Gaetano, altrettanto deciso.
 
“Dovrà muoversi da lì e venire qui, se non vuole avere almeno altre due morti sulla coscienza… anche se ne ha già tante altre. E poi questo è un ospedale, siamo perfino accanto alla pneumologia… può avere tutto l’ossigeno che le serve,” commenta sarcastico e gelido e Gaetano capisce che non cambierà idea. Che è per questo che ha preso quegli ostaggi, solo per questo.
 
“Quindi lei vorrebbe che io le spedissi lì dentro altri due ostaggi, tra cui sua figlia che è gravemente malata?”
 
“Ma non sarebbero da soli, oh no, perché voglio anche lei, Berardi,” aggiunge Misoglio in quello che suona quasi come un sibilo, “ovviamente disarmato e senza microfoni e altri trucchetti del mestiere, a meno che non vuole diventare un carboncino insieme agli altri ostaggi.”
 
Claudia sente il silenzio dall’altra parte della cornetta, sa che Gaetano, come lei, sta riflettendo su cosa abbia in mente Misoglio. Niente di buono, ne è sicura.
 
“Che c’è, commissario? Non dirmi che hai paura… in ogni caso o vieni tu o non se ne fa niente… a meno che al tuo posto vuoi mandarmi qui la tua… amichetta, se preferisci. Tanto lo so che è lei che porta i pantaloni tra voi due,” sputa Misoglio, tra l’irritato e il derisorio.
 
“Camilla?!” pronuncia Gaetano e anche senza vederlo, Claudia percepisce che sta trattenendo a stento la rabbia, “senta Misoglio, è ovvio che verrò io, ma prima voglio qualcosa in cambio da lei…”
 
“Voglio qui voi tre entro un’ora o sapete che succede…”
 
“Eh, no, Misoglio, così non va. Le vite di sua figlia e del dottor La Torre per me valgono esattamente quanto quelle dei due ostaggi che ha già in mano. Facciamo così… ora io sento i medici di sua figlia e sua figlia e vedo cosa posso fare. Intanto posso mandarle il dottor La Torre che è qui con me e mi ha confermato di essere disposto a… a raggiungerla. Ma in cambio voglio una delle due infermiere o si può scordare che io consideri anche solo l’ipotesi di farle incontrare sua figlia.”
 
“Va bene… ora le mando fuori miss Russia e mi tengo qui la fidanzatina del dottore. Se ci tiene a lei, farà meglio a raggiungerci molto presto, altrimenti avrà un bel puzzle da mille pezzi da ricomporre!”
 
***************************************************************************************
 
“Ha sentito? Le avevo detto che era complice di sua figlia, vuole fuggire con lei!” lo assale il questore, non appena Misoglio butta giù il telefono.
 
“No, signor questore, non ha proprio capito. A lei Misoglio sembra un uomo interessato alla fuga? Quando si è accorto che c’erano i poliziotti in ospedale, invece di andarsene prima che lo notassero, è corso a prendere degli ostaggi e a barricarsi in quella che è a tutti gli effetti una trappola senza uscita, non solo per gli ostaggi, ma probabilmente anche per lui. Se avesse voluto liberare sua figlia, il blitz avrebbe potuto farlo al policlinico dov’è sotto sorveglianza e aiutarla a fuggire. No, lui voleva scaricare la colpa su sua figlia, coprire le sue tracce. E non ha fatto alcuna richiesta per la fuga: auto, elicotteri, anche solo una bicicletta. Niente…” ribatte Gaetano, serissimo, componendo intanto un numero a lui molto familiare, “comunque se non mi crede, chiediamo un altro parere.”
 
“Chi chiama? Uno dei nostri psichiatri?” chiede il questore, stupito.
 
“No, qualcuno che conosce Misoglio padre e figlia molto meglio di me e di lei, e del cui parere mi fido ciecamente, visto che ci azzecca praticamente sempre…”
 
“Gaetano? Grazie a dio! Come stai, che succede lì? Siete su tutti i tg!” lo saluta la voce di Camilla, infondendogli immediatamente un senso di pace.
 
“Tutto bene per ora, Camilla, ascoltami, ti ho messo in vivavoce, c’è anche il questore con me e voglio un tuo parere…”
 
“Berardi, per favore, le sembra il momento?!” sbotta il questore, a dir poco irritato.
 
“Mi sembra che il questore invece non lo voglia un mio parere, Gaetano,” replica Camilla dall’altra parte del telefono con tono neutro e cauto.
 
“Ma io sì. Camilla, Misoglio in cambio della liberazione degli ostaggi vuole, tra le altre cose, che porti da lui Ilenia. Che ne pensi?” le domanda, anche se in cuor suo conosce già la risposta.
 
“Misoglio ha capito di essere gravemente malato, vero?” chiede di rimando Camilla, in quella che suona come un’affermazione.
 
“Sì, diciamo che ha chiesto anche la visita di un medico – o meglio, di quello che lui ritiene essere un luminare della diagnostica, quindi sa che c’è qualcosa che non va. E se è stato morso, immagino che sospetti che si tratti di Rabbia…”
 
“Non so chi sia questo medico, ma è importante che non confermi la diagnosi a Misoglio, che si inventi qualcosa: Misoglio non deve avere la certezza che sta morendo,” replica Camilla, la voce carica di preoccupazione, confermando la sua idea, prima di chiedere, esitante, “ha chiesto altro?”
 
“Sì… vuole che vada anche io da lui, con Ilenia,” ammette, dopo lunghi attimi di silenzio, interrotti solo dal respiro dall’altra parte della cornetta. Sa che è come se stesse dando una pugnalata al cuore di Camilla, ma non può mentirle, non servirebbe a niente mentirle ora.
 
“Nient’altro?” sussurra infine Camilla e Gaetano sente nettamente il tremore nella voce.
 
“No, nient’altro,” conferma, sapendo benissimo quello che sta pensando.
 
“Se tu e Ilenia vi consegnate a lui, non ne uscirete vivi, Gaetano, ne sono sicura. Misoglio farà di tutto per far sì che tu e Ilenia… maledizione!” esclama, mentre la voce le si spezza in più punti, prima di aggiungere, in un tono basso e roco che quasi lo spaventa, “anche se riuscirete a convincerlo che non sta morendo, magari tenterà di fuggire invece di… invece di suicidarsi anche lui, come credo avesse in mente quando ha deciso su due piedi di tentare questo sequestro. Ma voi… lui vuole distruggere Ilenia, Gaetano, è quello che ha tentato di fare fin dall’inizio. O forse di distruggere la sua ex moglie, non lo so. E poi… e poi ce l’ha anche con me, per il ruolo che secondo lui ho avuto nella fuga di sua figlia e di sua moglie. E sa benissimo cosa tu significhi per me, Gaetano.”
 
“È quello che penso anche io, Camilla,” ammette Gaetano, e sono forse le parole più difficili che abbia mai pronunciato, “ma ho un piano, un buon piano e credo possa funzionare.”
 
“Lo sai che non ti chiederei mai di… di rinunciare Gaetano. E mi fido di te,” pronuncia a fatica con un tono che vorrebbe essere deciso ma Gaetano sente benissimo che sta trattenendo le lacrime, “fai quello che sai fare e… chiamami appena… appena sarà tutto finito, ok?”
 
“Ok, ricordati cosa ti ho detto, professoressa. Sempre.”
 
Sempre,” sussurra lei di rimando, prima di chiudere la telefonata.
 
“Se queste sono davvero le intenzioni di Misoglio, non posso permettere a lei e alla Misoglio di andare lì dentro,” pronuncia il questore, sembrando sinceramente scosso.
 
“Sono convinto che Camilla abbia ragione, signor questore, ma lo sappiamo tutti e due che non c’è altra scelta e che lei non mi ordinerà mai di fermarmi,” ribatte, senza più rancore, solo un senso di inevitabilità, “non può permetterselo, non possiamo permettercelo.”
 
***************************************************************************************
 
“Amore, tutto bene?!”
 
“Gaetano! Sei stato gentile a raggiungerci! Certo, devo proprio dire che non l’hai scelto per l’avvenenza, vero Claudia?” ribatte Misoglio, canzonandolo, “e nemmeno per la voce melodiosa, che era quasi meglio distorta dal telefono.”
 
“Io sto bene, tranquillo,” rassicura Claudia con un sorriso amorevole, affrettandosi a svicolare da questo argomento pericoloso, guardando negli occhi De Santis, vestito da medico, con camice e tanto di valigetta in mano. È ridicolo e surreale allo stesso tempo e prega che l’ispettore sappia quello che sta facendo, che Gaetano sappia cosa sta facendo.
 
“Come siete teneri! Molla la valigetta! Al muro, appoggia le mani sul tubo lì sopra,” intima, spingendolo con la pistola premuta nella schiena. Continuando a tenerlo sotto tiro lo perquisisce e lo tasta, cercando qualsiasi rigonfiamento sospetto.
 
“Bene, svuota la valigetta su quella sedia e non tentare nessuna mossa, se ci tieni al prezioso cervello della tua Claudia. Perché immagino che sia quello che ti attrae di lei, no?” gli ordina sarcastico, puntandole l’altra pistola alla tempia.
 
De Santis non commenta, si limita a fare quanto chiesto. Claudia intravede guanti in lattice, il misuratore di pressione, una torcia, un martelletto per misurare i riflessi, disinfettante, i bastoncini di legno per abbassare la lingua, un termometro e quel congegno per guardare nell’orecchio di cui ignora il nome.
 
“Bene, bene, ora siediti lì, dal lato opposto alla tua amata, così ti immobilizzo. E ti consiglio di non farti venire strane idee, se non vuoi un proiettile nello stomaco. Mi dicono che sia una morte orribile,” sibila Misoglio, indicando una delle seggiole.
 
“Ma come faccio a visitarla legato come un salame?” domanda De Santis, stupito.
 
“E infatti non mi visiterai tu. Mi faccio visitare da lei, tu le dai le istruzioni e lei le esegue…” spiega Misoglio con un sorriso beffardo e provocatorio, spingendolo verso la sedia.
 
“Claudia è una bravissima infermiera ma non è un medico. Certe cose devo sentirle e vederle di persona per capire di cosa si tratta e non posso farlo dall’altra parte della stanza. Se vuole il mio consulto, deve permettermi di visitarla personalmente,” ribatte De Santis, deciso, dopo un attimo di esitazione, seguendo alla lettera le indicazioni che gli vengono fornite in cuffia da Berardi e dal vero dottor La Torre.
 
Ringrazia il cielo che le cuffie sono praticamente invisibili, il ripetitore nascosto nello stetoscopio che tiene al collo e di non avere avuto bisogno di microfoni: quello addosso a Claudia è più che sufficiente.
 
“D’accordo, allora visitami!” concede dopo qualche attimo di riflessione, continuando a tenergli la pistola premuta nello stomaco, sedendosi accanto a lui e agli strumenti del mestiere.
 
“Non posso visitarla da vestito: deve togliersi il camice e la maglia,” obietta di nuovo De Santis, ricordando le istruzioni e lanciando un’occhiata verso Claudia, per poi aggiungere, con tono di chi sarebbe a disagio in caso contrario, “i pantaloni li tenga pure su.”
 
“Ma no, meglio essere accurati…” ribatte Misoglio con un sorrisino malizioso e De Santis ringrazia il cielo che la psicologia inversa funzioni sempre.
 
Tenendolo sotto tiro, lo lega per i polsi alla tubazione superiore. Soddisfatto, si piazza accanto a Claudia e inizia a spogliarsi, in un evidente tentativo di innervosire il “fidanzato”.
 
Sia De Santis che Claudia non gli levano gli occhi di dosso, anche se lui finge occhiate risentite e lei imbarazzate. Non studiano il corpo di Misoglio, non ancora, ma i vestiti. Dal modo in cui il camice cade a terra e dal suono che fa non sembra avere niente di consistente in tasca. Anche i pantaloni e la maglia sembrano “puliti”: c’è solo un coltello infilato nelle scarpe e uno alla cintura, oltre alle due pistole.
 
Niente esplosivo, del resto Misoglio non aveva avuto il tempo materiale di prepararlo questo blitz. E poi per uccidere un paziente in stato semi-comatoso, non serve certo un granché, non servono armi: le pistole e i coltelli erano già i suoi piani di back-up.
 
Non possono fare a meno di notare il fisico, indubbiamente ancora possente per la sua età, e la fasciatura che copre la spalla e la parte superiore del braccio destro, in cui è filtrato un po’ di sangue ormai rappreso. Il colore della pelle vicino alla fasciatura è scuro e ha un aspetto ben poco salutare.
 
“Che dici, bellezza? Scommetto che ho un fisico migliore io di quel mucchio d’ossa del tuo dottorino,” provoca con una mezza risata, avvicinandosi fin troppo a Claudia.
 
“Senta, vuole farsi visitare o no?” lo interrompe De Santis, spazientito.
 
“Ti consiglio di non usare quel tono con me, dottore,” sibila Misoglio, afferrando di nuovo il mento di Claudia, “altrimenti potrei farla io una visita approfondita alla tua fidanzata, che ne dici?”
 
“È evidente che vuole che guardi quella ferita e già da qui, anche se è fasciata, le posso dire che non ha un bell’aspetto. Le conviene lasciarmi fare il mio lavoro, glielo dico nel suo interesse, nell’interesse della sua salute,” replica in maniera più pacata e Misoglio, dopo attimi infiniti di silenzio, lascia andare Claudia e si avvicina a lui, slegandolo, e sedendosi accanto a lui, mentre nuovamente gli tiene lo stomaco sotto tiro.
 
“Forza, allora, visitami!” intima Misoglio, con aria spazientita.
 
De Santis si infila i guanti e, per prima cosa, rimuove la fasciatura. Pur non essendo un esperto, riconosce benissimo i segni di un morso e di una lacerazione: si vede la carne e in certi punti perfino l’osso. La ferita è in condizioni terribili, suppurata, la pelle livida e rigonfia: è evidente che ci sia un’infezione in corso e, nonostante negli anni di ferite ne abbia viste parecchie e anche di morti violente, trattiene a stento un conato di vomito.
 
“Ferita da morso con lacerazione, recente ma non troppo, direi che ha almeno una settimana… infetta…” comincia a pronunciare, dando indicazioni a Berardi e al dottore che, a loro volta, gli forniscono istruzioni.
 
Prosegue così la visita, descrivendo ciò che vede, mentre il dottore gli suggerisce termini tecnici e cosa cercare. Quando gli apre la bocca, per un attimo ha un momento di esitazione: sa che la saliva è infetta e Misoglio ha un’ipersalivazione nonostante, come sospettavano, a causa del laringospasmo e dell’idrofobia, abbia anche tutti i segni di una forte disidratazione.
 
Quando gli proietta la luce della torcia negli occhi, Misoglio la scaraventa lontano e per un attimo De Santis teme che, per una reazione riflessa, prema il grilletto.
 
“De Santis, i sintomi ci sono tutti: ipersensibilità alla luce, al tocco, battito accelerato, pressione bassa, disidratazione, laringospasmo, idrofobia, problemi respiratori, febbre, la parestesi nella zona del morso, spasmi muscolari, oltre all’infezione in corso. Non ci sono dubbi: è Rabbia e in stadio avanzato. Il morso è avvenuto in una zona vicino alla testa e quindi la malattia si è sviluppata rapidamente. Ormai per il Misoglio non c’è più niente da fare: l’unica terapia possibile è sintomatica, ma ha pochi giorni di vita, direi tre, massimo quattro,” gli conferma il dottor La Torre nell’auricolare, “probabilmente presto comincerà la paresi dei muscoli... fino alla morte per apnea.”
 
De Santis tira un profondo respiro, sa cosa deve dire e spera di risultare credibile.
 
“C’è un’importante infezione in corso, signor Misoglio. Avrebbe dovuto farsi visitare da un medico giorni fa e-“
 
“E se non sei completamente idiota, capirai perché non potevo farmi visitare da un medico. Ho disinfettato e ho preso antibiotici ma-“
 
“Ma non è stato sufficiente: la ferita non era ben pulita e non è stata medicata correttamente…” spiega De Santis pazientemente, ripetendo le parole di La Torre.
 
“Senti, andiamo dritto al punto: qual è la diagnosi? Non è solo un’infezione, vero dottore?” chiede Misoglio e per la prima volta sia De Santis che Claudia percepiscono un tremore nella sua voce, mentre attende la sentenza.
 
“Lei teme che si tratti di Rabbia, immagino, signor Misoglio, visto che si tratta di un morso?” domanda De Santis, con nonchalance.
 
“Complimenti per l’intuito, dottore. Allora? Quanto mi resta da vivere?” chiede di rimando, con un tono spavaldo che però suona vuoto.
 
“Lei sa dove è il cane che l’ha morso?”
 
“Immagino che sia in quarantena con gli altri cani sequestrati al capanno dello Scortichini, se non è già morto…” replica Misoglio, prima di aggiungere, ironico, “hai sentito la notizia al tg o devo anche spiegarti cosa è successo e perché ci troviamo qui?”
 
“Ho sentito parlare dell’omicidio di questo Scortichini e il dottor Berardi mi ha spiegato a grandi linee chi è lei e… perché siamo qui,” conferma De Santis con un sospiro, “mi ascolti, se quei cani sono in quarantena all’ospedale veterinario, le garantisco che se anche uno solo di loro avesse la Rabbia, lo avrei saputo, visto che sarebbero stati allertati tutti gli ospedali e in particolare il nostro. E visto che, mi corregga se sbaglio, è ormai passata ben più di una settimana da quando è stato morso, i cani, se infetti, ormai avrebbero già dovuto manifestare almeno i primi sintomi. Se non l’hanno fatto, non sono infetti e quindi lei non ha la Rabbia. Se vuole può chiedere conferma al dottor Berardi o-“
 
“No! Questa cosa non deve uscire di qui!” si oppone fermamente e sia De Santis, sia Claudia notano come Misoglio, insieme alla speranza, sembri aver recuperato colore in viso e decisione. Se si trattasse di qualcun altro, si sentirebbero in colpa all’idea di ingannarlo in questo modo, ma non c’è alternativa.
 
“Ma allora che cos’ho? Perché mi sono documentato e i sintomi della Rabbia mi sembra ci siano tutti…”
 
“Signor Misoglio, sa quanti casi di rabbia isterica arrivano ai pronto soccorsi in un anno? Non è vera Rabbia, semplicemente le persone che vengono morse da animali selvatici spesso cercano i sintomi, magari su internet e si autosuggestionano, e poi i sintomi compaiono sul serio: è una reazione psicosomatica.”
 
“Quindi mi stai dicendo che è tutta suggestione? Che a parte l’infezione non ho nulla?”
 
“L’infezione che ha non è da poco, signor Misoglio e comunque nel suo caso, visti i sintomi e la sua reazione agli stimoli… io credo che forse qualcosa di più ci sia, ma non è certo Rabbia. Mi dica: quando ha fatto per l’ultima volta l’antitetanica? Più o meno di dieci anni fa?” chiede De Santis, di nuovo ripetendo come un pappagallo i suggerimenti del medico.
 
“L’antitetanica? Mah… saranno… 15 anni?”
 
“Lei lo sa che i richiami vanno fatti ogni dieci anni? Se non ho capito male lei è un falegname e il suo mestiere è molto a rischio da questo punto di vista…”
 
“Sì, ma sono in pensione anche se in realtà lavoro ancora e… non sono più obbligato a farla, non mi hanno mandato avvisi e me ne sono dimenticato,” ammette Misoglio e De Santis tira un sospiro di sollievo: come avevano previsto.
 
“Il tetano ha parecchi sintomi in comune con la Rabbia: gli spasmi muscolari, la difficoltà a deglutire, a respirare, la paralisi progressiva… potrebbe averlo contratto con il morso o nei mesi scorsi durante il suo lavoro. Non ne sono certo al cento per cento, ma le consiglierei di fare la profilassi contro il tetano, antibiotici specifici e devo iniettarle il siero: prima lo facciamo e meglio è. E poi dovrei inciderle la ferita e pulirla accuratamente e-”
 
“No, te lo puoi scordare di avere in mano un bisturi o di farmi un’anestesia!” lo interrompe Misoglio con tono irremovibile.
 
“Ma una ferita del genere non guarirà mai da sola se non viene pulita prima!” obietta De Santis, trattenendo il respiro e sperando che funzioni.
 
“Tu non ti preoccupare: dammi i nomi degli antibiotici e di questo siero, così me li faccio portare. Mi fai questa puntura e basta, chiaro?!”
 
***************************************************************************************
 
“Sì, signor Misoglio, ho capito. Le farò avere quello che chiede e-“
 
“No! Me li porti qui tu, insieme a mia figlia!”
 
“Sua figlia sta venendo qui in ambulanza, ma ci vorrà ancora del tempo: ha l’ossigeno portatile non può muoversi liberamente…” spiega Gaetano, cercando di prendere tempo, “intanto posso mandarle i medicinali e-“
 
“No, posso aspettare, me li porti tu insieme a mia figlia! Ma vi voglio qui entro mezz’ora o questi due innamorati moriranno insieme! E non cambierò idea!”
 
Gaetano lancia uno sguardo verso La Torre, che gli fa segno che si può fare. Sa che sta rischiando molto ma sa anche che non c’è altra alternativa. Del resto anche se Misoglio, come crede, ha intenzione di farli fuori tutti, dovrà comunque farsi curare dal “medico” prima di ucciderli e fuggire.
 
“D’accordo, Misoglio, si fa come vuole lei…”
 
***************************************************************************************
 
“Entrate, forza!”
 
“Signor Misoglio, lo vede anche lei che sua figlia non si regge in piedi,” tenta di farlo ragionare Gaetano, sostenendo Ilenia tra le braccia, che si appoggia alla sua spalla, mentre l’uomo li tiene sotto tiro.
 
Si sente ancora in colpa per averla coinvolta, anche se la ragazza ha accettato praticamente subito, volendo evitare una tragedia e, probabilmente, sentendosi anche lei in colpa per tutto quello che era successo, anche se è la persona che ha già sofferto più di tutti.
 
Gli occhi di Ilenia si alzano ad incontrare quelli del padre e l’odio, il disgusto che vi legge è assolutamente ricambiato. Forse è l’unica cosa che padre e figlia hanno in comune.
 
“Mia figlia è nata stanca… non è una novità,” commenta velenoso, per poi indicare una seggiola della camera iperbarica, “mettila lì.”
 
Ilenia si accascia sulla sedia, la bombola dell’ossigeno in mano e la mascherina sul volto.
 
“Legala come gli altri!” intima, puntandogli la pistola nella schiena.
 
“In quella posizione sua figlia non riuscirà a respirare, se ne rende conto?” chiede Gaetano, che sa benissimo come sia difficile inalare aria con le braccia sollevate in quel modo, anche quando si è perfettamente sani.
 
“D’accordo, allora legala alla sedia e basta, ma niente scherzi,” acconsente e Gaetano esegue gli ordini, prendendo le corde improvvisate che Misoglio gli indica, fatte con lenzuola arrotolate.
 
“Bene, i farmaci sono in quella borsa, immagino…” deduce, indicando il piccolo contenitore che Gaetano ha appoggiato a terra, “aprilo e rovescia il contenuto su quella sedia.”
 
“E adesso spogliati, completamente: non voglio sorprese e se scopro che hai tentato di fregarmi… sai cosa succede non è vero?” intima Misoglio, che nel frattempo si è invece rivestito, con un sorriso sprezzante.
 
Gaetano ribolle di rabbia ma fa come richiesto: sa che manca poco, così poco. Getta gli indumenti a terra, uno dopo l’altro. Prevedendo una perquisizione, non ha nascosto nulla dentro o sotto gli abiti.
 
“Bene, bene… ora capisco perché la tua puttanella ha mollato il marito per te. Invece tu… almeno potevi scegliertela più giovane!” proclama Misoglio, sequestrandogli i vestiti, il sorriso talmente tirato che sembra quello del Joker.
 
“Non le permetto di parlare di Camilla in questo modo!” sibila Gaetano, quasi spellandosi i palmi delle mani per trattenersi dalla tentazione di saltargli addosso.
 
“Sei tu quello che non è nella posizione di parlarmi in questo modo, visto che sei letteralmente in mutande. Se ci tieni alla vita tua e degli altri, sta zitto e slega il dottorino, che mi sa che sta diventando geloso,” ordina, puntandogli di nuovo la pistola alla schiena, ed estraendo anche l’altra pistola per tenere sotto tiro De Santis.
 
“Caro il mio dottore, penso proprio che la tua Claudia non ti è molto fedele, considerato come guarda il nostro poliziotto. Avete anche lo stesso nome… almeno quando sarà a letto con te, non ti accorgerai se starà pensando a lui,” commenta, prima di esplodere in altri colpi di tosse.
 
“Signor Misoglio, ma lei ha proprio un chiodo fisso…” interviene Claudia, esasperata di fronte alla milionesima provocazione a sfondo sessuale con inclusa battuta su come tutte le esponenti del genere femminile siano delle troie. Lancia un’occhiata alla figlia di Misoglio, che osserva la scena senza aprire bocca, un’espressione tra lo schifato e il rassegnato sul volto, e si chiede che razza di inferno debba essere stata la sua infanzia.
 
“Zitta tu! Dottore, lega il commissario a quella sedia, bello stretto, prima che mi tocchi insegnare alla tua Claudia come ci si comporta con un vero uomo!”
 
De Santis esegue gli ordini e si lascia poi condurre da Misoglio fino alle medicine portate da Berardi.
 
“Prepara l’iniezione, le pastiglie me le prendo anche da solo…”
 
De Santis apre la confezione e prende una delle tre fiale, poi, con cautela, riempie la siringa, cercando di sembrare il più disinvolto possibile. Si gira con la siringa in mano verso Misoglio ma lui lo blocca, la pistola alla bocca dello stomaco.
 
“Ah, ah. Non a me. Iniettala alla tua bella,” sibila, spingendolo verso Claudia.
 
“Cosa? Ma perché?”
 
“Perché non sono un idiota. La nostra Claudia non avrà problemi a farsi un’antitetanica, no?”
 
“Il siero non è come un vaccino, è molto più forte. Di solito non si somministra se non serve ma… ok, va bene,” annuisce De Santis, voltandosi verso Claudia e facendole l’occhiolino, “amore, non hai nessuna allergia a farmaci e non hai mai avuto reazioni avverse a vaccino o sieri, giusto?”
 
“No, tranquillo,” lo rassicura Claudia con quello che spera sembri il sorriso dolce e intenerito di una fidanzata.
 
“Forza, Romeo, diamoci una mossa! O dovrebbe fermarsi, Berardi? Perché se la nostra infermiera si sente male, si addormenta o altro…”
 
“È un siero per il trattamento del tetano, signor Misoglio, non è un veleno. Può iniettarlo tranquillamente, dottore,” conferma Gaetano con un sospiro.
 
De Santis fa l’iniezione, cercando di trattenere il timore nella mano.
 
“Bene, attendiamo qualche minuto e se la nostra Claudia non manifesta strani effetti, puoi iniettarmi una delle altre due fiale,” concede Misoglio, legando di nuovo De Santis per poi mettersi a sedere vicino ad Ilenia.
 
“Intanto che aspettiamo… mi chiedo se mia figlia mi farà la gentile concessione di farmi sentire la sua voce. Non saluti il tuo amato papà?” domanda sarcastico, sollevandole il mento e tenendola sotto tiro.
 
“Di solito mi preferivi quando stavo zitta… e ho troppo poco fiato per sprecarlo con te,” risponde a fatica Ilenia, il respiro pesante.
 
“Ma tu non mi hai mai dato retta e non sei mai stata zitta. È inutile che mi guardi in quel modo schifato. Lo so che pensi che sono un mostro, che mi odi, che pensi che ho rovinato la vita a te, a tua madre e a tuo fratello e-“
 
“Ed è la verità! Tu ci hai condannato ad una vita d’inferno, mi hai impedito di avere un’infanzia, mi hai tolto mio fratello: è per colpa tua che è finito in mezzo ad una strada e che ha fatto la fine che ha fatto!” esclama prima di erompere in colpi di tosse.
 
“Io? Quella che dovresti odiare è tua madre! È lei che mi portava all’esasperazione: è sempre stata pazza, debole, non ha mai avuto voglia di fare nulla. E vi ha cresciuto deboli come lei, vi riempiva di vizi, non pretendeva niente da voi: non facevate nulla dalla mattina alla sera, andavate male a scuola e lei se ne fregava!”
 
“Lo so che anche mamma ha le sue colpe, ma lei era depressa per causa tua: tu le hai tolto l’autostima, la voglia di vivere e l’hai tolta anche a noi!”
 
“Tutte palle e lo sai anche tu! Dimmi, cosa ha fatto tua madre dopo che ve ne siete andate? Mi avete rovinato la vita e per cosa, eh per che cosa?!” grida Misoglio, fuori di sé, stringendole ancora più forte il mento, “dimmi, cosa ha fatto tua madre? Dimmelo!”
 
Ilenia, cerca di ritrarsi, evidentemente spaventata e facendo fatica a respirare.
 
“Non mi rispondi?! Perché non ce l’hai una risposta, vero? Tua madre non ha fatto niente, niente!! È andata avanti come una parassita, imbottita di psicofarmaci, sfruttando te e tua zia, dimostrando una volta per tutte che non era colpa mia se non era felice, anzi lei vuole essere infelice! Lei è ed era una buona a nulla, un peso, una zavorra, ma il mostro ero io, io, solo io. Sono stato io a pagare, solo come un cane, non avevo nessuno su cui appoggiarmi io, nessuno su cui scaricare i miei problemi!” grida, prima di scoppiare in un attacco violento di tosse che lo costringe a lasciarla andare e a sedersi per riprendere fiato.
 
“Ma a tutto il resto del mondo va bene così, tutti la giustificano, tu odi me, me e non lei… quando eri a casa con me non avevi mai voglia di fare niente: non studiavi, non ti impegnavi, ti strafogavi dalla mattina alla sera come un maiale! Mai un grazie per me, che ero l’unico che faceva qualcosa, che si impegnava per portare a casa la pagnotta, che sudava e respirava la polvere in quel maledetto laboratorio. E poi te ne vai a Torino con tua madre e improvvisamente inizi a studiare, a lavorare, a darti da fare, addirittura a mantenerla! Diventi la dottoressa Ilenia Misoglio, la figlia perfetta! Per lei, solo per lei!”
 
Ilenia si limita a guardare suo padre, il volto pieno di disprezzo quanto di tristezza, mentre lui, di nuovo, esplode in un altro accesso di tosse.
 
Gaetano lancia un’occhiata a Claudia e sa che entrambi stanno pensando la stessa cosa. Il motivo per cui Misoglio non si è rifatto una vita è che un sadico come lui, maniaco del controllo, ha trasformato la fuga della moglie in una specie di ossessione. Il fatto che la sua vittima, le sue vittime fossero sfuggite al suo controllo deve essere stato un colpo quasi mortale per il suo ego malato. E soggiogarle di nuovo è diventato a quel punto il suo unico scopo di vita: farle pagare, soffrire, tornare di nuovo ad avere il controllo, ad essere lui quello che poteva ridere per ultimo, quello che poteva distruggerle.
 
E probabilmente nemmeno la prospettiva di attirare qualche altra povera donna disperata in trappola, qualche altra donna debole, condizionabile e che forse non avrebbe avuto altra scelta che sottomettersi a lui, aveva potuto distrarlo. Nulla aveva avuto importanza rispetto allo smacco, all’ossessione, alla vendetta.
 
“Non l’ho fatto per lei, non solo, l’ho fatto per me, per avere la minima speranza di una vita migliore! E non avrei potuto abbandonarla a sé stessa perché io, grazie al cielo, non sono come te. So cos’è la pietà, so capire i problemi degli altri. Mamma è malata, anche e soprattutto per colpa tua e sì, ha bisogno di cure costanti e forse non ne uscirà mai!” pronuncia Ilenia, il tono duro, triste, amaro, “forse avrei potuto avere un po’ di comprensione anche nei tuoi confronti se avessi mai ammesso di avere un problema, di essere anche tu malato, se avessi almeno provato a farti curare. Ma tu ci stavi e ci stai benissimo nella tua malattia, o forse sei proprio nato così, non lo so.”
 
“Io non sono pazzo, anche se voi ci avete provato a farmi diventare matto!” grida, paonazzo in volto, piegandosi in due, scosso dalla tosse.
 
“Signor Misoglio, non le fa bene agitarsi in questo modo, cerchi di calmarsi. Rischia di peggiorare la sua condizione,” interviene De Santis, con tono da perfetto medico, “mi sembra che Claudia stia benissimo e sono passati alcuni minuti, mi permetta di farle questa iniezione.”
 
“D’accordo… d’accordo,” acconsente Misoglio, tirando il fiato e guardando Claudia che non sembra avere alcun problema apparente.
 
Slega De Santis, che prova a prendere una fiala, ma lui lo ferma e gli porge l’altra, paranoico fino in fondo. De Santis sospira, riempie la siringa inietta il liquido vicino alla ferita.
 
“Ora vorrei misurarle temperatura e pressione, adesso e tra cinque minuti, e tenerla sotto osservazione per verificare che non ci siano eventuali reazioni avverse…” spiega De Santis con nonchalance.
 
“Ora ti lego di nuovo e temperatura e pressione me le misuro da solo, grazie,” ribatte Misoglio, immobilizzandolo nuovamente ad una sedia.
 
Mentre i rumori del termometro e del misuratore di pressione riempiono la stanza, trascorrono minuti interminabili.
 
“Bene, bene, sembra tutto a posto, e bravo il mio dottorino!” esclama Misoglio con una risata, mentre De Santis e Gaetano si lanciano un’occhiata preoccupata.
 
“Quindi temperatura e pressione sono stabili? Non sente alcuna reazione avversa?” chiede De Santis, ad alta voce, lanciando un messaggio in codice al dottor La Torre, visto che ormai avrebbe già dovuto vedersi qualche effetto. E ora che fanno se non funziona?
 
“No. Quanti giorni ci vorranno per guarire del tetano e non avere più sintomi?”
 
“I sintomi potrebbero peggiorare per qualche giorno mentre il suo corpo combatte la malattia e poi dovrebbero migliorare, ma solo se si lascia curare quella ferita, se no le sue difese immunitarie non riusciranno mai a reagire e rischia di morire di shock settico, se non di tetano,” spiega De Santis, seguendo le indicazioni del medico che lo rassicura anche che è questione di minuti: deve solo tenerlo impegnato e farlo parlare.
 
“Lo farò ma sa… dubito che questo sia l’ambiente ideale per la mia convalescenza. Signori… è stato un piacere condividere queste ore con voi ma ora devo proprio scappare, in senso letterale,” proclama, sollevandosi dalla sedia ed estraendo uno dei coltelli dalla cintura dei pantaloni.
 
Si avvicina a passo rapido verso Gaetano, brandisce la lama e, tenendolo sotto tiro con la pistola nella mano sinistra, gliela punta alla gola.
 
Gaetano contrae la mascella e deglutisce, aspettando la mossa di Misoglio, sa di avere pochi secondi per reagire e non può permettersi un errore.
 
“Tranquillo commissario, non intendo tagliarti la gola, oh no, sarebbe uno spreco inutile e sarebbe troppo facile… il coltello mi serve per queste,” proclama, tagliando il tubo di plastica della maschera di ossigeno sopra la sua testa, prima di conficcare il coltello con incredibile forza direttamente nella tubazione superiore ed estrarlo nuovamente.
 
“Che sta facendo?” chiede Gaetano, conoscendo benissimo la risposta. Sta manomettendo le sicurezze della camera. Vuole attivarla e farli bruciare vivi o forse provocare un’esplosione.

“Penso che tu lo sappia, commissario. Vedi, ormai grazie a te e alla tua amata e alle vostre trovate… mi avete costretto a giocare a carte scoperte. Sapete chi sono, tutti sanno chi sono e, se ora fuggo da qui, tutti mi daranno la caccia. Ma nessuno dà la caccia ad un morto. Quindi ora registrerò un bel messaggio di addio da mandare ai tuoi colleghi in cui spiegherò loro come, riunito alla mia amata figlia, braccati dalle forze dell’ordine, in un gesto disperato ho scelto di morire insieme a lei. Che ve ne pare?”
 
“Lei non vuole davvero suicidarsi Misoglio, non è vero?” domanda Claudia, anche se è più un’affermazione.
 
“No, certo che no. Ma diciamo che saranno tutti troppo presi dall’incendio e dall’esplosione, dall’evacuazione per fare caso a me. E anche dopo, quando le acque si saranno calmate, vi garantisco che nessuno riuscirà mai a capire che manca un morto alla conta,” spiega con un ghigno, prima di avvicinarsi a lei e posarle di nuovo una mano sulla coscia, “certo, mi dispiace un po’ sacrificare tutto questo ben di dio, mi sarebbe piaciuto divertirmi un po’ con te ma… nella vita non sempre si può avere tutto quello che si vuole.”
 
“Perché? Perché tutto questo? Il tuo obiettivo sono sempre stata io, non è vero? Era me che volevi uccidere. Non potevi farmi fuori subito invece che mettere su tutto questo piano assurdo? Lo Scortichini, Marcio… perché?” domanda Ilenia all’improvviso, interrompendolo: ha anche lei l’auricolare da cui il dottor La Torre continua a rassicurarli che non può essere che questione di minuti. Sa che devono guadagnare tempo, che deve spingerlo a parlare e poi c’è una parte di lei teme e desidera conoscere quella risposta quasi in egual misura.
 
“Ucciderti? Io non ho mai voluto ucciderti, no… dopo la morte non c’è più niente, il nulla, il vuoto, non si soffre, non si sente niente. Avrei soltanto fatto del male a tua madre ma non a te… a che serviva ucciderti? No, io volevo fare capire a te e a tua madre che cosa ho provato io in questi anni. Cosa ho provato ad essere abbandonato da tutti, tutti che mi consideravano un mostro, quello che aveva fatto scappare tutta la famiglia, un pazzo, un violento!” sbotta Misoglio, infervorandosi di nuovo ed avvicinandosi a lei, “avresti marcito in galera, odiata da tutte le persone a cui avevi voluto bene, mentre tutti ti consideravano un’assassina. Tu e tua madre avreste provato sulla vostra pelle cosa significa perdere tutto e tutti avrebbero capito finalmente che avevo ragione su di te, su di voi.”
 
Il silenzio cala nella stanza, Gaetano e Claudia si guardano sconvolti, nonostante gli anni di carriera, nonostante avessero già potuto vedere con i loro occhi in che abissi può precipitare la mente umana. Ma Misoglio… Misoglio era senza dubbio il peggior sadico con cui avessero mai avuto a che fare. E a Gaetano tutto questo fa doppiamente male perché riapre ferite mai chiuse anche se… anche se, in confronto a Misoglio, le violenze psicologiche di suo padre sembravano talmente piccole ed insignificanti.
 
“E tu ne avresti goduto, non è vero? Tu ti sei sempre nutrito della nostra sofferenza… mi fai schifo!” urla Ilenia, non riuscendo più a trattenersi e a trattenere le lacrime di rabbia, prima di scoppiare in un attacco di tosse ancora più violento.
 
“Soffochi? Forse è meglio togliere questa mascherina, tanto a te non servirà più!” proclama beffardo, strappandole la maschera dal viso e lasciandola cadere per terra “ma questo ossigeno avrà un uso migliore. Mi renderà le cose ancora più semplici!”
 
“Perché hai coinvolto Marcio? Doveva servire a contattarmi? A farmi venire qui per cadere nella tua trappola?” domanda con un filo di voce, sollevando di nuovo gli occhi per guardarlo.
 
“Sì… Marcio era il complice perfetto, sapevo che ti saresti fidata di lui, che saresti stata curiosa di sapere di più su tuo fratello…. Lui mi ha aiutato a preparare tutto: era un povero idiota, ma sapeva fare alcune cose che io non ero in grado di fare-”
 
“Come rubare l’automobile per il delitto, ad esempio? O insegnarle ad usare un fucile di precisione?” interviene Gaetano, cercando di mantenerlo distratto e, soprattutto, di cogliere l’occasione per scagionare definitivamente Ilenia da qualunque sospetto, visto che i colleghi nel van stanno registrando tutto.
 
“Hai fatto i compiti a casa, vedo. Sì, esatto, mi è stato molto utile, devo ammetterlo…“
 
“Ma come hai fatto a conquistare la sua fiducia? Lui sapeva chi eri: è per quello che voleva che mi incontrassi con te la sera del delitto. Sapeva che eri mio padre, il padre di… di Black. E credo che Mauro gli avesse parlato di te, di com’eri violento…”
 
“Mia piccola, ingenua Ilenia. Marcio era un povero idiota sentimentale, legato alla memoria di quel vagabondo di tuo fratello. Me lo sono fatto amico poco alla volta, offrendo cibo per i suoi cani, aiutandolo a sistemare una di quelle catapecchie che usava come rifugio. E poi gli ho spiegato chi ero, che dopo la morte di mio figlio non avevo avuto pace, che mi ero pentito di quello che era successo e ora vivevo per espiare le mie colpe. Insomma… gli ho raccontato una bella storiella commovente e lui piano piano ci è cascato con tutte le scarpe. Mi sono conquistato la sua fiducia: ero diventato un padre per lui, il padre che non aveva mai avuto, visto che era cresciuto in un orfanotrofio,” spiega con una mezza risata sprezzante.
 
“Da quanto tempo è che andava avanti?”
 
“Da più di un anno… quasi due… era da quando lo Scortichini era uscito di galera che avevo questa idea in testa e mi sono preso tutto il tempo per realizzarla. Come si dice? La vendetta è un piatto che va servito freddo!”
 
“Due anni… quando ha ucciso il povero signor Giuliani e si è preso la sua casa e in parte la sua identità…” intuisce Gaetano, facendo due conti.
 
“E bravo il nostro poliziotto… ma sono idee tue o della tua professoressa?”
 
“Mie, della mia professoressa e di tutti gli altri poliziotti che hanno lavorato a questo caso. Come ha contattato il signor Giuliani? Le forniva il legname per il suo laboratorio?”
 
“Sì, esatto. Lui mi dava il legno e io gli sistemavo quel rudere di casa quando c’erano problemi. Sono stato da lui un po’ di giorni di fila una volta, per riparargli il fienile, e ho notato che non lo visitava mai nessuno. Sapevo che nessuno si sarebbe accorto della sua assenza, non in tempi brevi. E allora… ho colto l’occasione, l’ho sepolto e ho aspettato. Quando dopo qualche mese nessuno ha denunciato la sua scomparsa, ho iniziato ad usare la casa. Avevo bisogno di un posto per incontrarmi con Marcio: i miei vicini sono gente troppo curiosa e non volevo fare sapere a Marcio dove abitavo. Lo volevo lontano da casa mia.”
 
“E ha convinto Marcio a tenere la bocca chiusa su chi lei fosse con tutti, anche con Ginger e Sisma.”
 
“Sì, gli ho detto che per non rischiare di farci scoprire e di avere problemi con la polizia non doveva dire a nessuno di me e del nostro piano. Che doveva essere il nostro segreto, che mi fidavo solo di lui.”
 
“Ma come hai fatto a convincerlo ad aiutarti? A convincerlo persino ad uccidere lo Scortichini? Marcio non mi sembrava un violento!” interviene di nuovo Ilenia, continuando a farlo parlare, a fare leva sul suo ego malato che, ne è sicura, non vedeva l’ora di sbatterle in faccia il suo piano perfetto per incastrarla, tutto il suo odio, tutta la sua crudeltà.
 
“Marcio odiava lo Scortichini e non credeva più nella giustizia dopo che era stato assolto e dopo quello che gli era successo… Lui una volta voleva fare il soldato, il cecchino… insomma è sempre stato un povero idiota, pronto a farsi ammazzare per un ideale. Ma poi un ragazzo è morto durante uno stupido scherzo organizzato da alcuni sottufficiali, tra cui il figlio di un colonnello. Lui ha testimoniato ma sono stati tutti assolti e gli hanno fatto terra bruciata intorno. E così da soldatino modello è diventato un punkabbestia,” esclama con una mezza risata, “non ci è voluto molto a convincerlo che uccidere lo Scortichini era l’unico modo per avere giustizia, per vendicare tuo fratello e per lanciare un messaggio a tutti quelli come lui, di cosa succede quando si maltrattano gli animali.”
 
“Ma anche voi maltrattavate i cani! Li avete usati come cavie, come armi in un omicidio, li imbottivate di farmaci!”
 
“No, Ilenia. Noi stavamo curando quei cani dopo una vita di combattimenti clandestini. E stavamo aiutando i cani dello Scortichini a vendicarsi di quello che avevano subito. O questo è quello che credeva Marcio… Marcio non ha mai capito a cosa servivano in realtà quei farmaci: per lui servivano solo a curare i nostri cani, a farli stare meglio, più tranquilli… gli effetti collaterali, diciamo, li testavo quando lui non c’era.”
 
“E il giorno del delitto, dopo che le aveva procurato la macchina, ha fatto in modo che Marcio si incontrasse con Ilenia, per far sì che Ilenia non avesse un alibi per le ore del delitto. Per questo l’ha fatta contattare da lui mesi prima, per lavorarsela,” si inserisce Gaetano, senza dargli un attimo di tregua.
 
“Gli ho detto che volevo riconciliarmi con mia figlia ma che lei mi odiava e non me ne dava la possibilità. L’ho pregato di convincerla a venire e che avremmo fatto scattare il piano quando lei era qui a Roma, in suo onore: gli ho detto che sapevo che anche lei voleva farla pagare allo Scortichini quanto noi. Insomma… le solite storielle. L’ho convinto a incontrarla e a tenerla lì a parlare il più a lungo possibile, per cercare di conquistarsi la sua fiducia e creare le basi per poi convincerla piano piano a incontrarmi e a riavvicinarsi a me, per farle capire che ero cambiato, che tenevo alla memoria di mio figlio e a lei.  Gli ho raccomandato però di non parlarle di me, non ancora, o del nostro piano, e che nessuno doveva sapere che loro due si erano incontrati, che non volevo che qualcuno potesse collegare lui e me ad Ilenia, che sarebbe stato pericoloso in caso di indagine. Quindi le ho consigliato di incontrarla lì al Pincio, in una zona dove le telecamere erano rotte, in un posto affollato, dove nessuno avrebbe fatto caso a loro.”
 
“E Marcio non si è insospettito del fatto che questo incontro avvenisse proprio nelle ore in cui lei metteva in atto il piano per uccidere lo Scortichini?” domanda Gaetano, incredulo.
 
“No, perché lui sapeva che il piano doveva scattare più tardi, mentre la mia piccola Ilenia aveva un alibi di ferro, circondata da tutti i suoi ex compagni di classe, compresi dei poliziotti. Quella sera tardi ci sarebbe stato un combattimento clandestino, come tutti i sabati sera. Misoglio sarebbe andato a tirare fuori i cani, al solito orario, e a quel punto l’avremmo immobilizzato e spinto in una delle gabbie con uno dei nostri cani, il più aggressivo e incontrollabile, visto che l’avevamo preso da poco –  e che l’avevo imbottito di farmaci, ovviamente, ma questo Marcio non lo sapeva. Volevamo essere sicuri che avrebbe aggredito subito lo Scortichini ma non noi. Io quel pomeriggio in teoria dovevo soltanto sostituire uno dei cani dello Scortichini con il nostro, mentre lo Scortichini era via a fare le sue solite commissioni. Lo Scortichini non era uno stupido e sapeva contare e… si sarebbe accorto subito che c’era qualcosa di strano e questo non potevo permetterlo. A questo non ci eravate arrivati, non è vero commissario?” domanda beffardo, mentre Gaetano tace, perché non avrebbero mai potuto scoprirlo se i cani non avessero avuto la Rabbia e non vuole insospettire Misoglio.
 
“Ma non ha senso: tutta la storia del piano in mio onore… era chiaro che già solo la mia presenza a Roma mi avrebbe reso la principale sospettata, anche se avevo un alibi... avrei sempre potuto essere la mandante o una complice. Se davvero non avessi voluto coinvolgermi, avresti fatto tutto mentre io ero a Torino. Come ha fatto Marcio a crederti?”
 
“Mia piccola ingenua Ilenia, lui ormai pendeva dalle mie labbra, credeva a tutto quello che gli raccontavo. A volte basta così poco per conquistarsi la fiducia delle persone… basta coltivare le loro ossessioni… e poi lo sai che il valium dà più dipendenza di una droga? E quando uno non è completamente lucido, anche le idee più stupide sembrano sensate se sai come presentarle.”
 
“Che cosa? Mi sta dicendo che lo imbottiva di valium?” domanda Gaetano, sentendo un freddo fin nelle ossa che non ha niente a che vedere col fatto di essere praticamente nudo e che continua ad aumentare ad ogni parola di Misoglio. Si rende conto di non avere mai visto l’autopsia di Marcio, non di persona e non si stupirebbe di scoprire che non erano stati fatti i test tossicologici, probabilmente ritenuti superflui data l’evidentissima causa di morte.
 
“Sì… gli mettevo le gocce nel cibo o nelle bottiglie di birra aperte… così se non mi vedeva per qualche giorno diventava ansioso, irrequieto, stava male, mentre con me, solo con me stava bene…” spiega, con una lucidità che non può nemmeno essere definita folle. No, Misoglio non è un pazzo ed è per questo che fa ancora più paura.
 
“Gli hai fatto il lavaggio del cervello… Lo hai fatto anche con mamma, vero? Era dipendente da quella roba… ora capisco tante cose…” sussurra Ilenia, la voce che trema.
 
“No, tua madre ha iniziato a prendere quella roba per conto suo, consigliata dal medico. Diciamo che… col tempo ho capito tutti i vantaggi che avevano quelle gocce…” risponde con un ghigno beffardo.
 
“Lei… lei ha fatto scattare proprio quel piano ma prima del previsto, quando lo Scortichini stava andando a dar da mangiare ai cani e Marcio era ancora con Ilenia,” intuisce Gaetano, avendo improvvisamene un’illuminazione, “quindi non ha lasciato agire solo i cani. È intervenuto direttamente, non è vero?”
 
“Certo che sono intervenuto direttamente: ho imbottito di farmaci tutti i cani dello Scortichini per farvi sospettare di Ilenia, per farvi pensare ad un omicidio compiuto da una persona debole, con poca forza fisica, che non poteva sperare di cavarsela in uno scontro fisico con lo Scortichini e che aveva quindi bisogno di un piano così complicato. Una persona che non voleva sporcarsi le mani. E i farmaci ovviamente servivano anche per aumentare ancora di più l’aggressività del cane che avevo scelto. Ma non potevo rischiare di fallire: era la mia unica occasione e non potevo sprecarla sperando nel caso, nella fortuna. L’ho colto alle spalle mentre era distratto e aveva le ciotole in mano e l’ho buttato nella gabbia dove avevo messo il mio cane. Il cane l’ha aggredito subito e io… mi sono goduto la scena a distanza di sicurezza: dovevate vedere come cercava di scappare,” esclama con una risata, come se stesse parlando di uno spettacolo divertente e non di guardare un uomo mentre viene sbranato vivo.
 
“E poi è tornato al cascinale, dove aveva appuntamento con Marcio, ma Marcio non ha seguito il suo piano alla lettera: ha portato Ilenia con sé, e questo lei non l’aveva previsto, vero?” domanda Gaetano, sentendo il desiderio fortissimo di vomitare, intuendo, dall’espressione dei presenti, che non è l’unico.
 
“No, quell’idiota era troppo entusiasta, troppo impaziente. Era convinto di farmi un favore, che mia figlia parlandomi e sapendo che avremmo vendicato il fratello mi avrebbe subito perdonato e che saremmo stati tutti una grande famiglia felice…”
 
“Sì… mi ha detto che eravamo come fratelli…” sussurra Ilenia, provando sincera pena per quel ragazzo sfortunato. Suo padre aveva analizzato e sfruttato ogni sua debolezza, ogni sua paura, ogni suo desiderio, “poi tu l’hai chiamato e lui mi ha portata via di lì.”
 
“Stavo tornando in macchina e vi ho visti, ti ho vista in lontananza, per fortuna. Mi sono allontanato di nuovo e l’ho chiamato, gli ho detto che non ero  pronto ad incontrati, non subito, che doveva essere una cosa graduale, che avevo bisogno di tempo per parlarti, per spiegarmi, tempo che non avevamo, dato che dovevamo tornare presto dallo Scortichini. L’ho pregato di portarti in paese e non dirti niente.”
 
“Lei ha progettato di ucciderlo fin da subito, non è vero? Al ritorno dall’appuntamento con Ilenia, prima che potesse accorgersi che lei aveva già ucciso lo Scortichini, senza aspettarlo… Marcio era troppo pericoloso e non poteva certo rischiare che raccontasse tutto a sua figlia,” si inserisce Gaetano, chiedendosi quanto tempo ci voglia ancora e cominciando a temere di dover usare il piano di emergenza.
 
“Sì, l’avrei fatto sparire e nessuno avrebbe più saputo nulla di lui: nessuno si preoccupa se scompare un punkabbestia.”
 
“Ma Marcio era ancora vivo giorni dopo, visto che mi ha telefonato per darmi appuntamento e ho riconosciuto la sua voce,” ricorda Ilenia, trattenendo il fiato prima di fare la domanda, sperando almeno per un secondo che suo padre avesse, da qualche parte, ancora un briciolo di pietà, di coscienza, di rimorso, magari che si fosse affezionato a Marcio, in fondo in fondo, a modo suo, visto che sembrava essere diventato il figlio ubbidiente ed adorante che non aveva mai avuto, “perché hai aspettato ad ucciderlo?”
 
“Perché avevo ancora bisogno di lui… avevo uno dei cani dello Scortichini sulla macchina, quello che avevo sedato e poi sostituito con il mio. Quando finalmente sono potuto tornare al cascinale ed è tornato anche Marcio abbiamo scaricato il cane ma, per colpa di quell’idiota e della sua idea, era passato troppo tempo e il cane si era risvegliato, non era più addormentato come credevo e… mi è saltato addosso, alla gola. Ho cercato di difendermi ma non riuscivo a levarmelo di dosso. Per fortuna Marcio gli ha dato una botta in testa e mi ha salvato la vita… ironico, non credete?”
 
“E quindi, ferito e debilitato non poteva ucciderlo: Marcio era la sua unica speranza, giusto? Quella ferita deve aver sanguinato molto…” intuisce Gaetano, confermando la sua ipotesi.
 
“Già… il piano per lui ormai era saltato, ovviamente, era stato rinviato, quindi di quello almeno non dovevo preoccuparmi. Mi ha procurato le medicine, mi ha medicato, mi ha curato. Ero troppo debole, stavo malissimo e non potevo andare in ospedale. Gli ho detto che non potevamo rischiare di attirare l’attenzione su di noi, sui cani, o non avremmo più potuto far scattare il piano quando sarei stato meglio. Lui mi ha fatto da infermiere, stava lì con me al cascinale, ma usciva per comprare cibo e medicine e per vedere i suoi amici. E ovviamente ha sentito già il giorno dopo la notizia che lo Scortichini era morto.”
 
“E non si è insospettito? Avrà capito che lei aveva fatto scattare il piano prima del previsto…”
 
“No, sono riuscito a convincerlo che doveva essersi trattato di un incidente, che forse il nostro cane aveva reagito lo stesso e lo aveva aggredito, senza bisogno del nostro intervento.”
 
“E lui di nuovo le ha creduto?”
 
“Sì, per un paio di giorni è andato tutto bene ma poi ha scoperto che la polizia stava indagando e che sospettava di mia figlia, della sua sorellina. Me l’ha detto, voleva addirittura andare dalla polizia per fornirti un alibi e ho cercato di calmarlo, di dirgli che dovevamo aspettare, che voi non potevate avere nulla in mano per pensare che non era un incidente, che bisognava avere pazienza, che non sarebbe successo niente a Ilenia, che l’alibi che poteva fornirle non valeva niente, anzi, avrebbe peggiorato le cose. Lui allora ha insistito per raccontarle tutto… ho cercato di convincerlo che avevo bisogno di parlarle prima, di spiegarle io com’erano andate le cose, ma che stavo troppo male per incontrarla. Sembrava essersi calmato ma…  deve aver cominciato a sospettare qualcosa, ad avere dubbi. Era agitato, essendo bloccato a letto non avevo più potuto dargli il valium, era in astinenza ma probabilmente era più lucido di prima...“
 
“E poi cos’è successo?”
 
“Ho deciso di tenerlo d’occhio e ho sentito che ti faceva quella telefonata, che ti dava appuntamento, che voleva raccontarti tutto. Ho capito che non c’era più tempo: doveva sparire.”
 
“Ma lui mi ha chiamato anche il giorno dopo, poco prima dell’appuntamento, per confermarmi che ci saremmo visti anche se poi non si è presentato,” ricorda Ilenia, sempre più confusa.
 
“Perché tuo padre voleva che tutti pensassero che avevate avuto questo appuntamento e che lo avevi ucciso tu.”
 
“Sì… ho fatto finta di niente e la mattina dopo gli ho detto che ci avevo pensato, che aveva ragione lui, che non potevo aspettare oltre, che volevo spiegarti tutto e poi costituirmi, prendermi tutta la colpa, anche se era stato davvero un incidente, per proteggere te e lui. Che così ti avrei fatto capire quanto tenevo a te e avrei pagato per quello che avevo fatto a tuo fratello…”
 
“E lui ci ha creduto di nuovo?” domanda Ilenia, incredula.
 
“Aveva bisogno di credermi, perché mi voleva bene, non voleva perdere il suo nuovo padre…” spiega Misoglio, gelido, non tradendo alcun sentimento, alcun rimorso, solo disprezzo, “mi ha detto che avrebbe preso appuntamento con te e poi mi ha confermato che ci saremmo incontrati quel pomeriggio.”
 
“Gli ha lasciato fare la telefonata, vi siete messi in macchina e l’ha ucciso…” deduce Gaetano non riuscendo più nemmeno a definire quello che pensa, quello che sente nei confronti di questo che non si può definire un uomo, “poi ha fatto sparire qualsiasi cosa che ci potesse ricondurre a lei e ha lasciato lì i cani a morire. E ha lasciato quella stanza piena di foto di suo figlio e dello Scortichini e i medicinali per i cani, perché prima o poi, se mai qualcuno avesse trovato il cadavere di Marcio, avrebbero pensato che fosse un’altra vittima di sua figlia.”
 
“Vedo che cominci a capire, poliziotto… sei più sveglio di quanto pensassi… peccato che non ti servirà a molto…”
 
“Quel frammento dei miei pantaloni… sei stato tu a strapparmelo e a metterlo su quella ringhiera. È stato su quel tram, vero?”
 
“Allora non sei proprio del tutto scema… sì, certo: dovevo far capire a chi indagava che non si trattava solo di un incidente e… spingerli nella direzione giusta.”
 
“Ma se i poliziotti non si fossero accorti di nulla? Se fosse davvero sembrato a tutti un incidente? Cosa avrebbe fatto a quel punto?” chiede Gaetano, esprimendo il dubbio che lo aveva assalito fin dall’inizio.
 
“In quel caso avrei dato ai tuoi colleghi idioti un’altra spinta… facendo ritrovare il cadavere di Marcio ad esempio. A quel punto anche un cretino avrebbe fatto due più due…”
 
“Ma poi, quando stava per essere arrestata, Ilenia è scappata, si è resa latitante e lei questo non lo voleva, vero Misoglio? Voleva che pagasse, che fosse catturata e voleva ovviamente allontanare ogni sospetto da sé stesso. Ed è allora che ha pianificato un modo di farla uscire allo scoperto e di farla sembrare la più pericolosa della assassine. Ma perché il Luna Park? Perché un piano così complicato?”
 
“Perché era un posto che conoscevo bene: ci avevo lavorato in nero, durante uno dei tentativi inutili di risistemarlo per riaprirlo al pubblico. Mi ero fatto di nascosto una chiave del cancello laterale, sapevo come muovermi. E ho imparato un sacco di cose sui congegni, sui meccanismi, studiando quelli delle giostre: mi sono sempre piaciute le trappole. È un luogo isolato ed era un posto in cui quella perdigiorno di mia figlia andava spesso con i suoi amichetti quando non aveva voglia di studiare…” spiega per poi aggiungere con un ghigno, l’odio dipinto sul volto e nella voce, “il luogo perfetto per attirare la tua professoressa con la sua maledetta curiosità. Ero sicuro che si sarebbe precipitata, con il suo spirito da ficcanaso, da crocerossina. Erano anni che volevo fargliela pagare a quella stronza per aver convinto mia moglie e mia figlia ad abbandonarmi. Volevo che morisse lentamente in quell’incendio, come un topo in trappola… ma è stata furba o fortunata e quella ragazzina si è messa in mezzo…”
 
Gaetano sente le mani che prudono e respira profondamente. Non ha mai desiderato tanto fare del male a qualcuno come in questo momento. Ma lui non è così, lui è migliore di Misoglio, lui non vuole la vendetta ma solo giustizia. E la avrà, ne è sicuro.
 
“E quando se ne è reso conto era ormai troppo tardi… lei aveva fissato l’appuntamento al ristorante per verificare chi si sarebbe presentato, ma a quell’ora aveva appena finito l’interrogatorio con l’ispettore Mancini e stava tornando a casa accompagnato da Lorenzi. Quando l’hanno convocata per l’interrogatorio, ormai non aveva altra scelta che fare scattare la trappola, visto che aveva già chiuso sua figlia nel castello e forse aveva anche già mandato il messaggio a Camilla. Deve essere andato in panico…”
 
“No, avevo predisposto tutto… la trappola doveva scattare in automatico: quando si entrava nell’ultima stanza c’era un sensore che faceva richiudere la porta, bloccandola, e che faceva partire l’innesco. E poi avevo il fucile di precisione come assicurazione, se qualcosa andava storto: lo sapevo che probabilmente saresti arrivato anche tu e magari qualche altro sbirro. Il problema era che dovevo liberare quella stupida di mia figlia al momento giusto, poco prima dell’arrivo dei soccorsi: non volevo rischiare un’altra fuga,” spiega, fermandosi un attimo per prendere fiato e asciugare un rivolo di sudore che gli imperla la fronte, “quando sono arrivato al Luna Park e sono salito sul tetto del labirinto degli specchi per controllare la situazione, ormai la casa era già in fiamme. Ho visto arrivare la tua amichetta e ho capito che le cose non erano andate secondo i piani, ma poi l’ho vista buttarsi nell’incendio e ho creduto che sarebbe morta cercando inutilmente di salvare lo stupido o la stupida che era rimasta intrappolata al posto suo.”
 
“E quando invece ha visto che sono arrivati i rinforzi e ha capito che Camilla non sarebbe rientrata in quella casa, le ha sparato. Ma De Matteis le ha fatto scudo con il suo corpo…” pronuncia Gaetano a fatica, perché il solo pensiero di quello che poteva capitare ancora lo tormenta.
 
“Già... erano così teneri insieme, come in uno di quegli orribili film romantici. Quindi non devi preoccuparti di lasciarla da sola: credo che avrà chi la consolerà per la tua morte e anche molto presto,” sibila tagliente e beffardo, prima di aggiungere con un ghigno diabolico, “certo… potrei sempre farle visita tra un po’ di tempo, quando mi sarò ripreso. La tua professoressa ha l’abitudine di ficcare il naso dove non deve… una delle sue prossime indagini potrebbe finire male e chi mai sospetterebbe di un povero defunto?”
 
Gaetano digrigna i denti fino a sentire dolore alla mandibola, vorrebbe spaccargli la faccia, ma si trova a chiedersi se Misoglio non godrebbe perfino di quello, nella sua mente completamente deviata e allo stesso tempo inconcepibilmente lucida.
 
“È inutile che fai quella faccia e che ti scaldi, tra poco l’atmosfera sarà rovente…” proclama con un altro ghigno, asciugandosi nuovamente il sudore, prima di allontanarsi leggermente da lui e da sua figlia. Gaetano capisce che sta per andarsene e non c’è più tempo: è evidente che il piano non ha funzionato. Non resta che l’ultima spiaggia.
 
“Bene, mi sono divertito abbastanza a parlare con voi, ora è arrivato il momento di salutar… vi,” pronuncia, balbettando sull’ultima sillaba, mentre lo vedono portarsi le mani al basso ventre e traballare, il viso che da paonazzo diventa in pochi secondi bianco come un cencio.
 
Incespica per un paio di passi verso il fondo della camera, dove ci sono i medicinali, rischiando di cadere. È un attimo: Gaetano si libera delle corde e si proietta addosso a Misoglio con tutto il suo peso, afferrandolo da dietro per il collo e spingendolo contro la parete. Gli prende il polso destro e gli picchia la mano chiusa a pugno contro il duro metallo della camera, una, due, tre volte, fino a portarlo a mollare la presa sulla pistola, che cade a terra.
 
Misoglio lancia un urlo terribile mentre lui cerca di immobilizzarlo, tirandogli il braccio destro dietro la schiena. Sembra che ce l’abbia fatta ma in pochi secondi, con una forza quasi sovrumana, Misoglio si rianima e usa il braccio sinistro per spingersi via dalla parete, facendogli perdere l’equilibrio.
 
Gaetano afferra Misoglio per il retro della camicia, per non cadere, trascinandolo invece con sé sul pavimento, riuscendo per un soffio ad evitare di picchiare la testa, il corpo pesante di Misoglio che si abbatte in parte sul suo, togliendogli il fiato.
 
Cerca di nuovo di bloccarlo, ma Misoglio gli tira una gomitata nelle costole e si gira sopra di lui, tentando di afferrarlo per il collo. Gaetano gli blocca i polsi, e prova a spingerlo via con le gambe, ma l’uomo si dimena e combatte con una forza incredibile, alimentata dalla disperazione, la bocca spalancata a mostrare i denti, mentre cerca di avvicinarsi per mordergli il collo. Gaetano prova a spingerlo via, ma sente i muscoli deboli, per via dei troppi minuti passati con le braccia tese in aria, tenendo ferma la corda, perché Misoglio non si accorgesse che i nodi fatti da De Santis erano finti, come quelli con cui lui aveva “legato” Ilenia.
 
D’improvviso, un rimbombo, come un gong, risuona nella stanza, Misoglio urla di dolore e si porta le mani alla testa e Gaetano riesce finalmente a spingerlo a lato, facendolo cadere supino al pavimento. Alza gli occhi e vede Ilenia, la bombola dell’ossigeno, con cui ha colpito il padre alla testa, ancora in mano. Percepisce con la coda dell’occhio un movimento: nonostante tutto, Misoglio tenta ancora di rialzarsi ma Claudia, appena liberata da Ilenia, gli è davanti e gli tira un calcio dove non batte il sole.
 
L’urlo di Misoglio è straziante: piegato in due dal dolore, si contorce in posizione fetale e, dopo pochi secondi, non si muove più, il capo che ciondola.
 
Gaetano è subito su di lui: non vuole correre altri rischi, ma Misoglio è completamente esanime.
 
“Voi state bene?” domanda a Ilenia, che sta liberando anche De Santis, e a Claudia, che barcolla visibilmente.
 
“Io sì, adesso sì…” lo rassicura la ragazza, nonostante la voce tremante che tradisce le lacrime.
 
“Io non sento più le braccia ma tra poco starò bene,” lo tranquillizza Claudia con un sorriso tirato.
 
“Grazie mille, a tutte e due, davvero!” esclama Gaetano, con un tono pieno di gratitudine e rispetto per queste due donne che gli hanno dimostrato, per l’ennesima volta, che, se esiste un sesso debole, non è di certo quello femminile.
 
“Figurati: tirargli quel calcio è stata una delle soddisfazioni più grandi di tutta mia carriera,” proclama Claudia, l’orgoglio che si mischia ancora al disgusto.
 
“Dottor La Torre,  potete intervenire: Misoglio è privo di conoscenza, ha il polso molto debole, la pressione deve essere bassissima, come aveva previsto, il diuretico ha fatto effetto… in tutti i sensi,” annuncia,  notando la pozza maleodorante che si spande sul pavimento, “anche se cominciavo a pensare che non avrebbe funzionato.”
 
“Era matematico che, dato il suo stato di disidratazione e la pressione già bassa, tipici della Rabbia a questo stadio, la perdita di liquidi provocata dal diuretico avrebbe fatto crollare ulteriormente la pressione, causando uno shock ipovolemico e quindi la perdita dei sensi,” risponde il dottore, mentre Gaetano sente rumore di passi, “un’endovena avrebbe agito molto più rapidamente, ma non può essere fatta da una persona non qualificata e lei ha insistito per non coinvolgere un medico ma per inviare un poliziotto. Ed evidentemente Misoglio ha una resistenza a questo tipo di farmaco più elevata della media: non siamo tutti uguali.”
 
“Un diuretico?!” domanda Claudia, con una smorfia, stringendo le gambe, “ve possino! Dove sarà il bagno?!”
 
“E non fatemi ridere!” intima poi, vedendo le espressioni di Gaetano e di De Santis, prima di scoppiare insieme a loro in una risata liberatoria e di correre fuori dalla camera a passo più rapido possibile.
 
“Maledizione! C’è pure la barricata da togliere!” la sentono gridare, esasperata.
 
“Vada ad aiutarla, De Santis e la segua, per cortesia… No, non dentro al bagno, anche perché, altrimenti, ha già visto che come minimo finisce a cantare nelle voci bianche,” chiarisce, notando il viso dell’uomo diventare di nuovo paonazzo, “stia fuori dalla porta e si accerti che non si senta male: io attendo l’equipe medica.”
 
Balbettando un paio di frasi incomprensibili, De Santis parte all’inseguimento di Claudia.
 
Lo sguardo di Gaetano si posa di nuovo su Ilenia, che sta ancora osservando suo padre, come ipnotizzata, con un’espressione che nessun aggettivo potrebbe mai definire, gli occhi pieni di lacrime, la mascella serrata.
 
Come se sentisse di essere osservata, Ilenia solleva gli occhi e incrocia i suoi, prima di guardarsi intorno e notare che la camera è vuota, a parte loro.
 
“Grazie…” sussurra, cedendo infine al pianto, i singhiozzi che la scuotono e Gaetano capisce immediatamente quante cose ci siano comprese in questo grazie, senza bisogno di parole.
 
“No, grazie a te… e scusami per… per tutto…” le sussurra di rimando e dal modo in cui Ilenia gli si butta tra le braccia e lo stringe forte, sa che anche lei ha capito quanto sia grande quel tutto.
 
“Andiamocene da qui,” mormora non appena vede arrivare i medici che attorniano immediatamente il corpo esanime di Misoglio, sentendola annuire e quasi accasciarsi su di lui, esausta.
 
Raramente si è sentito così stremato e sa che la stanchezza fisica non c’entra niente.
 
***************************************************************************************
 
È notte ormai, ma il piazzale davanti all’ospedale è illuminato a giorno: tra i fari dei furgoncini delle varie reti televisive, le sirene della polizia, i flash che lo accecano mentre tenta di uscire insieme a Claudia e a De Santis.
 
“Dottor Berardi, una dichiarazione! Come si è risolto il sequestro? Mi conferma che non ci sono state vittime? Si dice che il sequestratore sia l’incendiario del Luna Park, corre voce che si tratti di Fausto Misoglio, il padre della Misoglio, finora la principale sospettata dell’incendio e del delitto Scortichini. Padre e figlia erano complici per vendicare Mauro Misoglio?”
 
“Vi confermo che il sequestro si è risolto nei migliori dei modi e non ci sono state vittime, compreso il sequestratore, Fausto Misoglio, che è stato arrestato. E abbiamo avuto conferma di ciò che sospettavamo dai riscontri e dagli elementi di prova emersi durante gli ultimi giorni di indagine, ossia che Ilenia Misoglio non è affatto colpevole né dell’omicidio Scortichini, né dell’incendio del Luna Park, ma è stata volutamente incastrata da Fausto Misoglio, suo padre, l’ideatore ed esecutore materiale di tutti questi eventi delittuosi, che ci ha reso una piena confessione,” dichiara, fregandosene delle convenzioni che forse gli imporrebbero di trincerarsi dietro ad un no comment: non potrebbe sopportare che Ilenia venisse ancora additata come un’assassina, nemmeno per un secondo di più.
 
“Poiché la fase di indagini non si è ancora formalmente chiusa, non posso fornire ulteriori dettagli, vorrei però ringraziare per il grandissimo lavoro di squadra il dottor De Matteis e tutti gli uomini della sua squadra omicidi, la dottoressa Milani, l’ispettore De Santis e tutta la loro squadra, tutto lo staff di questo ospedale e di tutti gli altri ospedali di Roma per la prontezza con cui hanno risposto a quest’emergenza, in particolare il dottor La Torre ed il suo team per la preziosa consulenza. È tutto, grazie!”
 
Cerca di svicolare prima che vengano fatte altre domande, non può dire della Rabbia, almeno non ora: sa che si scatenerebbe il panico tra la popolazione. Che forse si scatenerà il panico, che presto gireranno voci sul trasferimento di Misoglio al centro per le malattie infettive e che quando, come è inevitabile, morirà, potrebbe venire tutto a galla. Ma non sarà lui a doversene preoccupare, a dover decidere quanto e cosa dire e, almeno di questo, è incredibilmente grato.
 
“Un attimo! Dottor Berardi, e i punkabbestia ricoverati in questo ospedale? Si dice che fossero loro gli obiettivi di Misoglio e oggi i loro volti erano su tutti i TG, con indicazioni di contattare la questura in caso si avessero notizie sulla loro identità. Ignoravate il collegamento con il caso Scortichini o è stata una trappola da voi ideata per far uscire allo scoperto il Misoglio?” domanda una voce decisamente familiare, “perché in quel caso… il rischio altissimo per i pazienti e il personale, l’evacuazione, una città praticamente paralizzata… mi chiedo, ne è valsa la pena?”
 
Gaetano, ancora accecato dai flash, mette finalmente a fuoco una chioma bionda e due occhi scuri che lo trafiggono, un sopracciglio alzato ed un mezzo sorriso serpentino stampato sul volto.
 
Roberta.
 
Dal brusio di voci, le implicazioni di questa domanda sono chiare a tutti e si sente completamente esausto, svuotato, per trovarsi di nuovo a combattere un’altra battaglia. Ma non può tirarsi indietro proprio ora.
 
“Beh, veramente-“
 
“Veramente l’idea di questa trappola è stata mia: il dottor Berardi e la dottoressa Milani non erano d’accordo ma ho avuto l’ultima parola e di questo mi assumo ogni responsabilità,” lo interrompe un’altra voce familiare e Gaetano vede il questore allontanarsi dal furgone della polizia e farsi largo tra la folla di giornalisti, scortato da alcuni agenti.
 
“Le persone nella mia posizione si trovano ogni giorno a fare delle scelte difficilissime, a volte tra due mali minori. Dopo gli eventi del Luna Park, sospettando che ci fosse ancora un complice in libertà, se non – come poi abbiamo potuto confermare – il vero assassino, temevo un’ulteriore escalation di violenza. La mia idea era quella di anticipare le mosse di questa persona o di queste persone per prevenirla o contenerla in un ambiente controllato. E l’urgenza è stata una cattiva consigliera. Ho commesso un imperdonabile errore di valutazione e porgo pubblicamente le mie scuse per questo a tutte le persone che ne sono rimaste coinvolte e i miei ringraziamenti vanno al dottor Berardi e alla dottoressa Milani per come hanno gestito la situazione, rimediando ai miei sbagli a rischio stesso della vita, intervenendo in prima linea. Nonostante, ve lo garantisco, fossi in buona fede e mosso dalle migliori intenzioni, come ho già detto, sono pronto a prendermi le mie responsabilità per quanto successo e vi annuncio che ho intenzione di rassegnare le mie dimissioni.”
 
Gaetano e Claudia si guardano, sgomenti e scioccati da questo Mea Culpa del questore quasi quanto da tutto quello che era successo in quella lunghissima giornata.
 
Gaetano poi incrocia gli occhi di Roberta, mentre i flash nuovamente esplodono ed un boato di domande rimbomba nell’aria calda d’estate. Lo sguardo di lei è talmente glaciale che sembra quasi abbassare la temperatura, prima che sussurri all’orecchio un paio di indicazioni al fotografo a lei vicino, giri i tacchi e si allontani tra la folla.
 
“Vi prego, vi prego: domani  indirò una conferenza stampa e avrò modo di rispondere alle vostre domande. Per stasera non rilasceremo altre dichiarazioni: è stata una lunga giornata per tutti. Vi ringrazio!” si congeda il questore, prima di fare loro un cenno e avviarsi a fatica verso il furgone da cui è stata coordinata tutta l’operazione.
 
Dolorante, stremato, entra nell’abitacolo dall’aria stantia e opprimente, ma mai quanto la folla, tira un respiro, si massaggia il collo, solleva gli occhi e la vede: in piedi davanti ai sedili laterali, vestita con una tuta della polizia, pallida come non l’ha mai vista, le borse sotto gli occhi gonfi, l’espressione tirata e stanca che improvvisamente si illumina e si apre in un sorriso commosso e sollevato, mentre gli occhi le si fanno lucidi.
 
Gli sembra un miraggio, un’oasi nel deserto.
 
“Camilla?” sussurra, ritrovandosi in un secondo avvolto in un abbraccio fortissimo e disperato, che gli scalda il cuore e le ossa, sciogliendo tutto il gelo in cui si era sentito intrappolato nelle ultime ore.
 
La stringe a sé più che può, godendosi il suo profumo, i suoi capelli ricci sul collo, le sue mani sottili che gli accarezzano la schiena con quella dolcezza, quell’amore che non aveva mai conosciuto prima di conoscere lei, e che sono l’unica cosa di cui ha bisogno. Si sente vivo, vivo come non si è mai sentito prima ed incredibilmente fortunato.
 
“Ti amo… sono così orgogliosa di te, non hai idea quanto,” la sua voce, il suo fiato all’orecchio e la battaglia con le lacrime è ormai definitivamente persa.
 
“Ti amo anche io… e… avevi ragione tu, Camilla, su tutto. Sei… sei incredibile, non so come fai ma… sei la persona che ammiro di più in assoluto, la persona più straordinaria che conosco e non devi dimenticarlo mai, ok?” mormora di rimando, sentendola singhiozzare e stringersi ancora di più a lui.
 
“Temevo ti saresti arrabbiato a vedermi qui: lo so che ti avevo promesso che sarei rimasta in questura, ma non ce la facevo più a stare lì senza sapere niente,” ammette, staccandosi lievemente da lui per guardarlo negli occhi lucidi come i suoi, un’espressione ancora timorosa sul volto.
 
“Camilla, come potrei essere arrabbiato con te? Io volevo solo che tu rimanessi lontana dai guai e l’hai fatto solo che… non mi aspettavo di vederti… qui dentro…” chiarisce, stupito dalla sua presenza lì insieme a Marchese, Grassetti e al questore.
 
“Sono venuta qui, tra la folla, ma nessuno sapeva niente. Allora ho chiamato Marchese per chiedere tue notizie e il questore, saputo che ero qui fuori, mi ha fatta venire qui, così che potessi… seguire quello che stava accadendo,” spiega, la voce che le trema leggermente.
 
Gaetano solleva di nuovo gli occhi verso il questore, stupito dal suo comportamento e non sa se essergli grato o se spaccargli la faccia.
 
“Quanto hai sentito?” le domanda, preoccupato, non potendo immaginare nemmeno lo stato d’animo di Camilla durante tutti quei minuti col fiato sospeso, senza potere fare niente, e ricordando benissimo le minacce di Misoglio, le sue parole disgustose, quello che aveva detto di lei.
 
In realtà ogni singola parola di Misoglio l’aveva sconvolto come non gli capitava da molto tempo: entrare in quella mente sadica e… perversa era stato come fare un viaggio all’inferno e non se lo scorderà mai finché vive. Un viaggio che avrebbe preferito che Camilla non facesse mai.
 
“Ho sentito abbastanza… non ti preoccupare, lo so cosa stai pensando ma… credo che avessi bisogno di sentire, di capire anche se è… inconcepibile ma purtroppo è la realtà. E poi… volevo esserti accanto in qualche modo, qualsiasi cosa fosse successa, volevo esserci fino in fondo e questo era l’unico modo che avevo per farlo,” spiega, causandogli quel dolore piacevole al petto che associa solo a lei, “e mi sento così fortunata ad avere te, mia figlia, mia madre… a non aver mai dovuto vivere un solo giorno della vita di Ilenia e della sua famiglia. Mi hanno detto che le hanno dato dei tranquillanti per farla riposare ma che sta bene, è vero?”
 
“Sì… non volevano che si affaticasse oltre, per via della polmonite. Ora sta dormendo, domani potrai farle visita,” la rassicura, sembrando leggerle nel pensiero.
 
“Scusatemi, non vorrei interrompervi ma… tra poco avrò un appuntamento e non posso mancare,” annuncia il questore e Gaetano capisce benissimo dalla sua espressione che non sarà affatto un appuntamento piacevole, specialmente dopo le dichiarazioni da lui rese, “volevo ancora scusarmi con entrambi: ho già cercato di farlo con la professoressa, ma so che le scuse non bastano.”
 
“Perché l’ha fatto?” domanda Gaetano e il questore capisce immediatamente a cosa si sta riferendo.
 
“Ascoltare Misoglio è stato come uno schiaffo in pieno volto, è stato un brusco risveglio, che mi ha fatto aprire gli occhi su tante cose e rivalutare le mie scelte e il mio comportamento, non solo in questi ultimi giorni. Sono stato orgoglioso, stupido e superficiale: vi ho sottovalutato, ho sottovalutato il pericolo e Misoglio. Non so come, ma ad un certo punto della mia carriera credo di aver perso di vista le cose veramente importanti ed i motivi per cui sono entrato in polizia tanti anni fa. Se fosse successo qualcosa in quell’ospedale non me lo sarei mai perdonato: lei e la Milani mi avete salvato da una vita di rimorsi e non avrei potuto permettere che prendeste la colpa al posto mio. Forse un po’ di stop mi farà bene, mi aiuterà a riflettere,” ammette l’uomo con tono stanco ma che Camilla e Gaetano percepiscono come sincero.
 
“Per quanto mi riguarda… oggi ho provato un desiderio irrefrenabile di spaccarle la faccia, sono sincero signor questore, ma tutti facciamo degli errori. Ma solo in pochi sono in grado di ammetterlo e di metterci la faccia, rischiando tutto, come ha fatto lei. Spero che non abbia conseguenze troppo gravi e lo dico sinceramente,” replica Gaetano porgendogli la mano in segno di pace.
 
“Grazie, Berardi. Ho capito perché tutti dicevano meraviglie di lei… di lei e della professoressa. È stato un piacere conoscervi,” si congeda, stringendo la mano di Gaetano e poi quella di Camilla ed avviandosi all’uscita.
 
“Grassetti, come sono andate le cose a casa di Misoglio?” domanda Gaetano dopo un attimo di pausa, immaginando che, se la ragazza è lì, la situazione dovrebbe forse essersi risolta.
 
“Abbiamo dovuto fare evacuare l’isolato tutto intorno: gli artificieri hanno confermato che quella che abbiamo evitato per un soffio era una bomba e ne hanno trovate altre di trappole del genere, innescate da un sensore, oltre ad un vero arsenale di armi ed esplosivi, nascosto nello scantinato. Misoglio doveva avere un bel fegato a vivere in un posto del genere, che era una polveriera pronta ad esplodere, o forse non viveva sempre lì…”
 
“Sì, lo credo anche io. Come si è preso la casa di Giuliani potrebbe averne diciamo… occupate altre nel corso degli anni. Domani voglio che torniate lì tutti e due e che ricontrolliate tutto, palmo a palmo: se c’è un altro arsenale nascosto da qualche parte dobbiamo individuarlo. Credo che un paranoico come Misoglio avesse pronto più di un piano di back-up in caso di fuga,” spiega, rivolgendosi a lei e a Marchese, entrambi dall’aria sfinita, “grazie ragazzi: in questi giorni avete fatto un lavoro incredibile, dico davvero. Ora però andiamo a riposare, ok?”
 
“Vado anche io… Gaetano, non potrò mai ringraziarti abbastanza: ti devo la vita,” proclama Claudia, avvicinandosi a lui con un sorriso, prima di aggiungere, rivolta a Camilla, “anzi, in realtà la devo a tutti e due: Gaetano mi ha detto che l’intuizione sul fatto che Misoglio fosse ferito e malato di Rabbia è stata sua, professoressa, e non so come ne saremmo usciti, se non l’avessimo saputo. Gaetano non esagerava quando mi parlava delle sue capacità, professoressa.”
 
“Sono sicura che Gaetano avrebbe trovato un altro modo di risolvere la situazione,” risponde Camilla con un sorriso, guardandolo orgogliosa, “ma la ringrazio. E da quello che  ho sentito mentre era prigioniera di Misoglio, anche lei non scherza affatto: ho capito perché Gaetano ha tanta stima di lei. E mi dispiace che siamo partite col piede sbagliato.”
 
“Si figuri, le ho già detto che  la capisco perfettamente, però me lo tratti bene, ok? Anche perché, mi creda, da quello che ho visto e sentito, non ha proprio niente da temere, né da me, né da nessun’altra,” la rassicura, prima di rivolgersi di nuovo a Gaetano con un ironico, “ci sentiamo domani, un po’ sul tardi immagino? Anzi, chiamami tu, che non vorrei disturbare il… meritato riposo.”
 
Gaetano e Camilla scambiano uno sguardo imbarazzato, mentre lei rivolge la sua attenzione all’ispettore De Santis, che se ne sta ancora impalato in un angolo del furgone, osservandola come ipnotizzato. Riconoscono entrambi quell’espressione e sanno che il povero De Santis difficilmente si riprenderà mai da questa operazione sotto copertura.
 
“De Santis, forza, andiamo. Sono in macchina con lei, se lo è già dimenticato? Spero che con la sua vera fidanzata sia un po’ più premuroso e soprattutto che non le faccia mai un’iniezione, se non vuole ritrovarsi single. Mi rimarrà il livido per un mese!”
 
L’ispettore la insegue quasi di corsa fuori dalla porta.
 
Si guardano senza parlare per qualche secondo, esausti ma con un sorriso sulle labbra, gli occhi che ritornano a farsi lucidi.
 
“Andiamo a casa?” chiede Camilla e, di nuovo, non c’è bisogno di altre parole.
 
“Sono già a casa,” lo sente sussurrare, protetta nel suo abbraccio, appoggiata al suo petto, mentre la porta via dal mare di gente, di flash, di voci.
 
Ma l’unica cosa che sente è il battito ritmico e forte del suo cuore nell’orecchio. È davvero a casa.
 
***************************************************************************************
 
Sono ormai le due di notte: infila la chiave nella toppa, la gira per poi abbassare lentamente la maniglia con una delicatezza degna di un neurochirurgo. Le sembra di essere tornata adolescente, quando rientrava oltre il coprifuoco e sperava – invano – di non essere intercettata dalla generalessa Baudino. Il generale, di solito, non si palesava ma, invariabilmente, la mattina dopo si ritrovava ad essere svegliata alle 7 per fare “una bella corsa al parco”. Suo padre odiava correre e odiava alzarsi presto nei weekend quasi più di lei, quindi il messaggio era chiarissimo. Poi però si fermavano a mangiare i bomboloni alla crema e facevano un salto in libreria. Lui comprava un libro per sé e uno per lei per “passare bene il tempo” durante i giorni di punizione che sua madre le aveva appioppato. Non c’era uno solo di quei libri che non avesse amato, che non avesse letto e riletto più volte. Li conservava ancora gelosamente in uno scaffale a loro dedicato nella sua libreria, sopravvissuti ai mille traslochi.
 
Con cautela spinge la porta ed entra nell’ingresso buio ma, improvvisamente, la luce si accende e, nel giro di due secondi, si ritrova avvolta in un abbraccio a morsa.
 
“Livietta!” esclama, stupita, accarezzandole i capelli, ormai non più abituata a simili slanci da parte della ragazza, che la riportano indietro nel tempo, a quando era bambina, prima che l’adolescenza portasse con sé la tipica ritrosia alle manifestazioni pubbliche di affetto nei confronti dei genitori.
 
Solleva gli occhi e vede sua madre, in vestaglia, appoggiata alla porta che dà in salotto.
 
“Cominciavamo a darti per dispersa e a pensare che non saresti tornata nemmeno stanotte,” commenta Andreina, con un tono che invece le fa fare un ulteriore salto indietro, di nuovo ai tempi della sua di adolescenza.
 
“Ho visto Gaetano in tv… è tutto finito, vero mamma?” le domanda Livietta, preoccupata, quegli occhi azzurri che sembrano scrutare i suoi alla ricerca di ogni minima bugia.
 
“Sì, è tutto finito. Ma sono state ore concitate, siamo tornati non appena possibile…” la rassicura con un sorriso, scompigliandole di nuovo i capelli
 
“Siamo?” chiedono in contemporanea nonna e nipote, mentre gettano un’altra occhiata verso la porta d’ingresso, dove, dal pianerottolo buio, emerge una figura maschile con un borsone della polizia in mano.
 
“Gaetano!” esclama Livietta con un sorriso, sorpresa e felice, trascinando anche lui in un abbraccio, per poi lanciare un’occhiata al borsone e aggiungere, fulminandolo con un’occhiata che è un misto tra un avvertimento e una preghiera, “sei tornato per restare, vero?”
 
“Nel borsone ci sono i vestiti che indossava ieri tua madre e un cambio per me, per la notte… la mia valigia è a casa di mia sorella e non potevo buttarla giù dal letto alle due di notte, ma-“
 
“Mentre buttare giù noi dal letto non è un problema?” si inserisce Andreina con un sopracciglio alzato.
 
“No, certo che no, ma Camilla voleva tornare a casa,” spiega Gaetano, alternando lo sguardo tra nonna e nipote, “e, Livietta, io sarei felicissimo di poter restare, ma… dopo tutto quello che è successo in questi giorni, capisco che probabilmente non sono un ospite gradito.”
 
“Sicuramente ha un bel coraggio a presentarsi qui alle due di notte dopo essersene andato all’improvviso senza nemmeno salutare,” commenta Andreina, sarcastica, le braccia conserte ed un’espressione imperturbabile.
 
“Signora Andreina, per favore, mi ascolti,” la prega, mollando il borsone per terra ed avvicinandosi a lei, “lei ha tutte le ragioni ad avercela con me. Se esistesse un decalogo delle cose che un aspirante futuro genero dovrebbe evitare di fare quando è ospite della madre della sua compagna, probabilmente io sono riuscito ad inanellarle tutte. Si, ha ragione, lo so che me ne sono andato senza salutare, anche se davvero avrei voluto farlo, ma non ne ho avuto il tempo. Lo so che ho lasciato sua figlia per andare a prendere quel maledetto treno, che mi sono comportato come un perfetto idiota per colpa della mia gelosia e che in questi giorni ho praticamente sequestrato sua figlia in questura, per via delle indagini, ma l’ho fatto per tenere lei e Livietta al sicuro e lontane da questa storia, anche se forse non mi crederà. Posso solo dirle che qui con voi mi sono sentito anche io a casa, lei mi ha fatto sentire a casa, mi ha dato la sua fiducia, mi ha fatto sentire accolto in famiglia e mi dispiace di averla delusa, di aver distrutto tutto.”
 
“Senta, Gaetano, mettiamo una cosa in chiaro, io- “ prova di nuovo ad intervenire Andreina, ma lui ormai è un fiume in piena.
 
“Lo so, lo so che non bastano due scuse e che le parole valgono poco, che quello che contano sono i fatti. E io voglio dimostrarle coi fatti quanto amo sua figlia e che non vorrei mai farla soffrire, che non avrei mai voluto farla soffrire. Vorrei provare a riconquistarmi poco a poco quella fiducia che lei riponeva in me. Se mi darà anche solo una possibilità, le garantisco che non avrà mai modo di pentirsene e-“
 
“E in ogni caso, capisco che questa sia casa tua, mamma, ma se Gaetano non può restare io vado con lui. Non ho alcuna intenzione di lasciarlo da solo stanotte, dopo tutto quello che è successo,” mette in chiaro Camilla, decisa, mettendo di nuovo una mano sulla spalla di Gaetano, come aveva già fatto in ospedale.
 
“E io vengo con voi,” si inserisce Livietta, altrettanto decisa,  imitando il gesto della madre e schierandosi, letteralmente, con Gaetano, “nonna, per favore: lo sai anche tu che pure mamma ha avuto la sua parte di colpe e-“
 
“E MI FATE PARLARE??!!” urla Andreina, zittendoli e, probabilmente, svegliando tutti i vicini.
 
“Mamma, calmati, per favore, il tuo cuore-“
 
“Io mi calmo se mi fate parlare!” sbotta, per poi aggiungere, dopo aver tirato un sospiro, “stavo dicendo, prima che mi interrompeste che Gaetano ha avuto un gran coraggio a presentarsi qui stasera ma non lo stavo dicendo in modo negativo. Lei Gaetano ha coraggio, ha avuto il coraggio di affrontarmi stasera, nonostante, ne sono sicura, sarà stato distrutto; ha avuto il coraggio di dire di no a mia figlia, di andare a prendere quel treno e di rischiare di perderla per sempre, pur di farla ragionare ed evitare una tragedia. Certo, c’è stata anche la gelosia e, da questo punto di vista, spero si sia reso conto di quanto sia assurda, visto che so che mia figlia la ama moltissimo e non ha alcun motivo di dubitare di lei. Ma per il resto, mi ha dimostrato di tenere di più al bene di mia figlia e di mia nipote che al suo e sono convinta che se mia figlia non è morta intrappolata in quella casa stregata al Luna Park, lo devo soprattutto a lei. Quindi per me qui lei è il benvenuto, ma a due, anzi, a tre condizioni irrevocabili.”
 
“Tutto quello che vuole,” le assicura con un sorriso, sentendo come se un macigno gli fosse stato tolto dal petto.
 
“La prima è che si impegni sempre a rendere felice mia figlia e mia nipote come sta facendo e che continui a prendersi cura di loro. La seconda è che, visto come è andata questa vacanza, lei mi prometta che me le riporterà qui presto e che sarà di nuovo anche lei mio ospite. La terza è che la smetta di chiamarmi signora e si decida a chiamarmi solo Andreina, che se no mi fa sentire terribilmente vecchia. Affare fatto?” domanda l’anziana con piglio quasi militare tendendogli la mano.
 
“Ma certo, affare fatto,” acconsente, sentendosi quasi stritolare la mano in una stretta incredibilmente forte, specialmente una donna così anziana e così minuta.
 
“Ma se prova a far soffrire mia figlia… lei sa cosa succede, non è vero?” la sente sibilargli nell’orecchio, prima di lanciargli un’ultima occhiata e girargli intorno per abbracciare Camilla.
 
 Non riesce a trattenere un sorriso: le donne di casa Baudino sono davvero tutte uguali.
 
Per fortuna.
 
***************************************************************************************
 
“Non mi sembra vero… di essere di nuovo qui con te, insieme…”
 
Solleva gli occhi e la guarda: di ritorno dal bagno e da una doccia, i capelli ancora umidi e una di quelle sue camicie da notte blu che lo fanno impazzire.
 
“Nemmeno a me…” ammette lui con un sorriso, attirandola a sé in un altro abbraccio e rabbrividendo quando sente i suoi capelli profumati, la seta e la sua pelle morbida sfiorargli il collo e il torso nudo.
 
È lei a sciogliere per prima l’abbraccio, allontanandosi da lui di un passo e sollevando una mano fino a sfiorare il contorno degli ematomi lasciati dalla lotta con Misoglio .
 
“Ti fanno tanto male?” chiede, preoccupata, sentendolo trattenere un lamento.
 
“Un po’…” ammette, anche se in realtà, queste carezze stanno anche provocando tutt’altro tipo di effetto. Ma sa che Camilla sarà esausta quasi quanto lui e che casa di Andreina è off-limits per certe cose, visto che Camilla è in imbarazzo all’idea che sua madre possa sentire qualcosa.
 
Non riesce quindi a contenere un gemito quando, improvvisamente, sente due labbra morbide e umide sfiorargli il petto all’altezza del cuore, per poi tracciare scie di baci vicino a tutte le aree più livide, nel punto dove la pelle non duole ma è invece ancora più sensibile del solito. Non ha mai provato niente di simile e il suo corpo risponde con un’intensità tale che sente la testa girargli leggermente, mentre tutto il sangue confluisce verso altre zone.
 
“Camilla… cosa stai facendo?”
 
“Sto cercando di alleviare il tuo dolore: non lo sai che certe… attività rilasciano endorfine… e sono meglio di un antidolorifico?” lo provoca, soffiandogli sulla pelle mentre continua a baciarlo.
 
“Camilla…” rantola dopo poco, prendendole delicatamente il viso e sollevandoglielo per guardarla negli occhi che brillano divertiti, “Camilla, così mi fai impazzire e… se vai avanti così… non so se riuscirò a trattenermi ancora per molto.”
 
“E allora non trattenerti…” sussurra lei con un sorriso malizioso, prendendolo per la nuca e trascinandolo in un bacio che gli toglie il fiato e la ragione.
 
“Camilla… tua madre…” prova a protestare, debolmente, anche se non riesce a trattenersi dall’accarezzarla attraverso la seta della camicia da notte, sentendola premersi contro di lui, “potrebbe sentirci… e…”
 
“Solo se si mette ad origliare ed in quel caso sono problemi suoi. Ho bisogno di te e non voglio perdermi più niente, non voglio perdere più nemmeno un minuto facendomi paranoie su mia madre. Abbiamo già perso dieci anni per colpa delle mie paranoie e il tempo è così prezioso, l’ho capito ancora di più in questi giorni,” ammette, guardandolo negli occhi in un modo che lo fa tremare, mentre sente la gola e gli occhi bruciare.
 
Baciandola con tutta la passione di cui lei lo rende capace, la solleva in braccio, sentendo la sua esclamazione di sorpresa e una risata riverberargli sulle labbra, perdendosi con lei in quello che è finalmente di nuovo il loro letto.
 
C’è qualcosa di diverso nell’aria carica di elettricità, mentre le mani tremanti sfilano gli ultimi indumenti che li separano e poi esplorano, si intrecciano, amano. C’è un significato diverso in ogni bacio, in ogni carezza, in ogni movimento… come se ogni gesto fosse una preghiera, un ringraziamento, una dichiarazione d’amore.
 
Si amano senza fretta, come se avessero tutto il tempo del mondo e come se non ci fosse un domani, come se entrambi volessero far durare questo momento per sempre, farlo bastare per sempre, qualsiasi cosa succeda, come se volessero racchiudere tutto quello che provano, tutto l’infinito in un istante.
 
Le mani sulle bocche a trattenere quello che non può essere trattenuto, a custodire gelosamente quell’universo segreto che esiste solo per loro.
 
“Sempre,” la sente sussurrare, mentre le sfiora i polpastrelli con le labbra, avvolto dal suo corpo morbido e da una sensazione di completezza e di pace talmente potente che non riuscirebbe mai a descrivere a parole.
 
“Sempre,” promette, incrociando i suoi occhi scuri, prima di baciarle delicatamente la fronte e le labbra,.
 
La sente stringersi ancora più a lui e posargli un ultimo bacio all’altezza del cuore, il respiro che si fa più lento e cadenzato, cullandolo come una ninna nanna in un sonno profondo e senza sogni.
 
 
 


Note dell’autrice: E finalmente ce l’ho fatta! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbia ripagato almeno un poco l’attesa infinita. Che ne pensate delle motivazioni di Misoglio e del suo piano? Erano come ve li aspettavate? Lo so che la confessione del “cattivo” è un po’ un cliché ma in Provaci Ancora Prof. praticamente tutti confessano, sempre xD. L’ho quindi voluta inserire come un ultimo “sfregio” di Misoglio, un ultimo canto di vittoria da parte sua, uno sfogo del suo ego, provocata dai “buoni” per questione di sopravvivenza. Come sempre, i vostri pareri sono preziosissimi per tararmi sulla scrittura, quindi fatemi sapere in assoluta libertà cosa vi ha convinto e cosa no. Cosa ci attende nel prossimo capitolo? Chiarimenti e parecchio romanticismo… Dico solo alcune parole chiave: Camilla e De Matteis, Grassetti e De Matteis, Marchese, Ilenia, Sammy e Mancini e… i nostri Gaetano e Camilla dovranno pur festeggiare la fine di questo caso come si deve e godersi un po’ di tranquillità, no?
Se vi va, vi do quindi appuntamento tra pochi giorni per la seconda parte del capitolo, ringraziandovi come sempre per avermi seguita fin qui!

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** Behind Blue Eyes - seconda e ultima parte ***


Capitolo 45: “Behind Blue Eyes – seconda e ultima parte”
 
 

Note… una melodia, prima delicata e poi sempre più intensa si insinua nel rifugio caldo e accogliente che la ripara, riportandola lentamente a riva da quel mare profondo e sereno in cui galleggiava.
 
Le pupille che lottano contro la luce mentre le orecchie e il cervello captano il “vincerò” che risuona potente nell’aria.
 
Puccini, Turandot, Nessun dorma. Il messaggio è chiarissimo nel contenuto e nel mittente.
 
Solleva il capo per sbirciare la sveglia sul comodino. Sono quasi le 11 e sua madre di solito è in piedi per le sette, cascasse il mondo: è sempre stata mattiniera, a differenza sua e di suo padre, e con l’età, come è naturale che sia, questa tendenza è ancora peggiorata.
 
Lo sguardo poi cade, in maniera quasi naturale, sul viso a pochi centimetri dal suo. Gaetano dorme ancora placidamente, con quell’espressione da bambino che si perderebbe per ore ad osservare, intenerita ed orgogliosa di essere lei e solo lei la depositaria di questa vulnerabilità, questa fiducia, questo abbandono.
 
“Gaetano… Gaetano,” ripete, con tono sempre più forte, ma niente sembra riuscire a scalfire il suo sonno.
 
A fatica sposta lievemente quelle braccia tra le quali si sente al sicuro, protetta, e gli posa una mano sul viso, cercando di svegliarlo.
 
“Amore…” lo chiama, accarezzandogli la guancia, “amore, lo so che sarai stanchissimo, ma è ora di alzarsi, dormiglione.”
 
Lui mugugna e borbotta qualcosa che suona come “cinque minuti”.
 
Camilla non può evitare di sorridere, ma sa che è ora di passare alle maniere forti.
 
Gli soffia nell’orecchio, sentendolo rabbrividire e cercare di ritrarsi, ma lei non gli dà tregua, tracciando una scia di baci prima lungo tutta la mandibola per poi risalire sulla guancia, sopra la linea del lieve strato di barba morbida, ed infine espirare un refolo d’aria delicato e persistente ad un centimetro dalle sue labbra. Lo vede sorridere, gli occhi che si aprono a fessura, ancora assonnati, per poi fissarsi nei suoi.
 
Il sorriso si fa malizioso e nel giro di un secondo si ritrova con quelle labbra sulle sue, a soffocare il gridolino di sorpresa quando il mondo si capovolge, la schiena che sprofonda nel materasso, quel corpo forte che preme dolcemente sul suo, travolta da un bacio che le fa esplodere il cuore nel petto.
 
“Buongiorno,” le sussurra sulle labbra, guardandola in quel modo che la fa sentire la donna più bella e desiderata del pianeta, un sorriso dolce che gli illumina il viso.
 
“Buongiorno a te,” mormora languidamente, sollevando una mano per accarezzargli di nuovo la guancia.
 
“Se il buongiorno si vede dal mattino, sarà una giornata non solo buona ma meravigliosa,” proclama, sfiorandole il naso con il suo per poi posarci un altro lieve bacio, “vorrei svegliarmi esattamente così tutte le mattine: i tuoi baci sono più efficaci e soprattutto più piacevoli di qualsiasi sveglia.”
 
“Sì, si sente che ti sei proprio… risvegliato, in tutti i sensi,” lo stuzzica, con un tono ironico e sensuale insieme, muovendosi lievemente contro di lui, che trattiene a stento un lamento strozzato.
 
“Non hai idea quanto…” sussurra con voce arrochita, lambendole le labbra senza approfondire il contatto: una tortura deliziosa quasi quanto essere coperta dal suo corpo nudo, i muscoli che si tendono e si rilassano accarezzandole la pelle.
 
“Allora dimostramelo…” lo provoca, mordicchiandogli delicatamente il labbro inferiore.
 
Lo sente sorridere e poi la sua bocca la avvolge in un duello dolcissimo che le toglie il fiato e la ragione, facendole dimenticare tutto il resto del mondo.
 
Almeno fino a che le note marziali della cavalcata delle valchirie, sparate a tutto volume, non la ridestano bruscamente.
 
“Gaetano… Gaetano…” lo chiama, prendendogli il viso prima che le sue labbra sul collo la facciano di nuovo precipitare nella nebbia, e sollevandoglielo fino a guardarlo negli occhi, “non possiamo, dobbiamo alzarci, mia madre-”
 
“Eddai, professoressa, non avevi deciso, e cito testualmente, di non farti più paranoie su tua madre? E poi con questa musica a tutto volume, non sentirà niente,” la rassicura, tentandola di nuovo con un bacio, accarezzandola languidamente.
 
“No, no… anzi, questa musica è un messaggio, non capisci?” protesta, bloccandogli le mani, “è molto tardi e se non ci alziamo subito… vuoi davvero avere a che fare con una valchiria? Anzi, un’erinni? Mia madre odia i ritardi e… ormai la conosci, no? Sai come è fatta…”
 
“D’accordo, mi arrendo: non voglio rischiare di tirare la corda con tua madre,” capitola con un sorriso, dandole un ultimo lieve bacio sulle labbra prima di separarsi a fatica da lei e rimettersi a sedere, “so quanto lei è importante per te e per Livietta e-“
 
“Sì, ma anche tu sei importante, Gaetano: sei la persona più importante della mia vita insieme a Livietta e questo non cambierà mai, qualsiasi cosa possa pensare o non pensare mia madre di te, di me e di noi due. Se non voglio fare tardi è solo per risparmiarti mia madre di cattivo umore, che è una cosa che non auguro nemmeno al mio peggior nemico. Ma non voglio che tu ti senta sempre sotto esame con lei, in obbligo di dimostrarle chissà cosa e di subire quando dà sfogo al suo caratteraccio, ok?”
 
“Tua madre è una donna forte, molto forte e severa, esigente, ma ti vuole molto bene Camilla e vuole proteggerti perché si preoccupa per te e non vuole vederti soffrire e la capisco. Vi assomigliate molto, forse più di quanto pensi, anche se lei è autoritaria, intransigente e ha a volte una durezza che invece, per mia fortuna, non ti appartiene affatto, ma... credo che tu sia molto fortunata ad avere una madre così e lo so che lo sai anche tu,” proclama con un altro sorriso, accarezzandole una guancia, prima di diventare più serio e aggiungere, guardandola dritto negli occhi, “però nemmeno io voglio che tu ti senta sempre sotto esame con lei, Camilla, con la sensazione di non essere mai abbastanza per lei, perché in realtà non è così. Siete entrambe due donne formidabili, con la D maiuscola, tu a modo tuo, lei a modo suo, con le vostre differenze, e tua madre lo sa. Sono convinto che sia molto orgogliosa di te, proprio come tu lo sei di lei, anche se forse non riuscirete mai a dirvelo. Ne so qualcosa io con mia sorella: i rapporti familiari sono così complicati.”
 
“Gaetano…” sussurra commossa, abbracciandolo, chiedendosi per l’ennesima volta come lui faccia a leggerle dentro così, senza sforzo, come sia riuscito a capire i delicati equilibri del rapporto ingarbugliatissimo e viscerale tra lei e sua madre in così poco tempo. Certo, si erano incontrati per la prima volta dieci anni fa, ma Andreina e Gaetano non si erano mai realmente frequentati in maniera approfondita, se non in questi ultimi giorni.
 
Ma questo è uno di quei misteri che non sente affatto il bisogno di svelare, di spiegare, che vuole solo viversi, fino in fondo, ora che finalmente ha trovato il coraggio di farlo, senza più riserva alcuna.

 
***************************************************************************************
 
“Alla buon’ora! Ormai questa più che una colazione è un pranzo.”
 
“Buongiorno anche a te, mamma,” risponde Camilla, ironica, appoggiandole una mano sulla spalla e dandole un bacio sulla guancia, un sorriso luminoso sul volto, per poi salutare nello stesso modo Livietta, seduta lì accanto, stupendosi quando non riceve le solite proteste, accompagnate da occhi azzurri sollevati fino al soffitto, ma sente invece una mano stringersi sulla sua per qualche secondo, prima di lasciarla andare.
 
“Buongiorno a tutti! Sig- Andreina, mi scuso per il ritardo ma è colpa mia. Dovevo avere parecchio sonno arretrato: ho dormito come un sasso e non ne volevo proprio sapere di svegliarmi stamattina,” ammette Gaetano con un sorriso altrettanto brillante, “mi dispiace di avervi fatto aspettare.”
 
“Infatti… non serviva che ci aspettaste, mamma, davvero,” fa notare Camilla, sedendosi all’altro capo della tavola, di fronte alla madre, mentre Gaetano prende posto di fianco a lei e di fronte a Livietta.
 
“E poi nonna, non lo sai che il brunch va di moda? E con tutta la roba che hai cucinato, di sicuro non avrò più fame fino a stasera, nemmeno se avessimo mangiato due ore fa!” si inserisce Livietta, dando inaspettatamente manforte alla madre ed indicando la tavola che tra torta, pancake, macedonia, cereali e pane tostato con marmellate varie, sembra il buffet di un albergo.
 
“Certo che dovevo aspettarvi, visto che l’ho cucinata apposta per voi tutta questa roba. Ho immaginato che tu e Gaetano avreste avuto bisogno di recuperare le molte energie perdute. Soprattutto Gaetano,” commenta con un’occhiata eloquente, un sopracciglio alzato. Per poco Gaetano non si strozza con il sorso di caffelatte che sta deglutendo.
 
“Grazie mamma, in effetti hai ragione: Gaetano e io ieri sera non abbiamo cenato e sono giorni che non mangiamo come si deve. E poi lui ieri ha pure fatto la lotta libera,” ribatte Camilla con un altro sorriso sereno ed imperturbabile, ignorando volutamente i possibili sottotesti, dopo aver dato un paio di colpi sulla schiena di Gaetano per aiutarlo a respirare.
 
“Che si fa oggi? Gaetano, tu devi ancora lavorare?” si inserisce Livietta per cambiare discorso, un’espressione tra il divertito e l’imbarazzato sul volto.
 
“Sì… sì, devo chiudere le ultime questioni in sospeso… ma prima volevo andare in ospedale. Vuoi venire anche tu Camilla?” le chiede con nonchalance, dopo aver lanciato un’occhiata grata alla ragazza.
 
“Sì, certo.”
 
“Posso venire anche io a salutare Ilenia?”
 
“Appoggio la mozione di mia nipote: mi piacerebbe portarle anche un po’ di torta, così si consola dal cibo tremendo dell’ospedale,” si inserisce Andreina, dando manforte a Livietta.
 
“Purtroppo temo non sia possibile. I medici hanno raccomandato che Ilenia non deve stancarsi fisicamente e psicologicamente e… dopo ieri credo che abbia bisogno di un po’ di tempo in tranquillità, vedendo meno persone possibile. Però possiamo portarle la torta e magari, se volete scriverle una lettera, un biglietto, sono sicuro che le faranno molto piacere,” obietta Gaetano, sapendo che è la cosa giusta da fare, anche se gli dispiace dire loro di no.
 
“D’accordo, mi fido del suo parere…” acconsente Andreina, senza protestare, cosa che stupisce molto Camilla.
 
“Allora io esco con Nino e i suoi amici… se a te va bene, mamma. Mi hanno chiamata prima per chiedere se andavo con loro in piscina.”
 
“Per me non c’è problema: vai e divertiti,” conferma Camilla, desiderando che sua figlia si goda al massimo questi ultimi giorni prima del ritorno a casa. Spera in cuor suo che riuscirà a farsi un gruppo di amici anche a Torino, o che faccia pace con Greg, ma sa che la situazione su quel fronte è complicata.
 
“Ah, e Francesca mi ha detto di dirti di chiamarla, Gaetano, le ho spiegato che stavate ancora riposando…”
 
“Sì… devo andare da lei a recuperare le mie cose e-“
 
“E mi ha anche chiesto se vogliamo cenare da lei stasera, tutti e quattro. Per me e la nonna andrebbe bene, voi che ne dite?”
 
“Possiamo forse rifiutare un simile invito?” domanda Camilla con un sorriso, dopo aver scambiato un’occhiata complice con Gaetano: se iniziano a complottare alle loro spalle, vuol dire davvero che stanno cominciando a diventare una famiglia.
 
Se da un lato l’idea di cosa possano combinare la generalessa e la mina vagante insieme un po’ la spaventa, dall’altro lato ciò le scalda il cuore e la riempie di una strana felicità che non riesce a spiegare. E, osservando l’espressione soddisfatta di Gaetano e sentendo il modo in cui le stringe la mano, intuisce che anche per lui è esattamente lo stesso.

 
***************************************************************************************
 
“Ringrazi Livietta e la signora Andreina da parte mia e dica loro che non vedo l’ora di rivederle, non appena mi dimetteranno da qui, ok?”
 
Ripone con mano tremante la lettera sul comodino, mentre afferra uno dei fazzoletti che Camilla le passa, asciugando gli occhi pieni di lacrime prima di soffiarsi il naso.
 
“Non posso crederci che sua madre mi voglia ancora a casa sua, prof., dopo tutti i problemi che le ho dato. E… nessuno aveva mai fatto tanto per me… io… io non so cosa dire: non ce l’avrei mai fatta senza di voi, mai,” proclama, prima di scoppiare di nuovo a piangere, ritrovandosi stretta in quell’abbraccio materno e rassicurante, quell’abbraccio che le era sempre mancato, che aveva inutilmente cercato e sognato per tutta la vita: la sensazione di potersi affidare a qualcuno senza timore di essere ferita, di essere al sicuro, protetta. Un lusso che lei non aveva mai potuto permettersi, un’innocenza che le era stata strappata via immediatamente, insieme a quell’infanzia che non aveva mai realmente avuto.
 
“Sì, che ce l’avresti fatta, Ilenia: tu sei una ragazza, anzi, no, una donna dalla forza incredibile. L’ho sempre saputo ma ieri ho capito realmente fino a che punto: io non so se sarei riuscita a sopravvivere, a trovare la forza di ribellarmi, di andare avanti, di diventare quello che sei diventata, se fossi stata al tuo posto,” proclama decisa, prima di lasciarla andare e di asciugarle le lacrime con un altro fazzoletto.
 
“È che… a volte mi chiedo perché… perché esistono persone come… come mio padre, anche se mi fa schifo chiamarlo così. E la verità è che ho paura… paura di diventare come mia madre, o peggio… come lui. Io ho il loro sangue, i loro geni e… lei dice che sono forte, ma a volte mi sento così fragile, come se potessi crollare da un momento all’altro, come se fossi appesa ad un filo…” confessa, guardandola negli occhi, liberandosi di un peso che da sempre la opprime.
 
“Ilenia,” sussurra, accarezzandole il viso ancora umido di lacrime, “un uomo molto saggio un giorno mi ha detto che anche le persone più forti possono essere fragili di tanto in tanto. Anche io ho avuto momenti in cui mi sono sentita così fragile, vulnerabile, da aver paura anche solo di uscire di casa, momenti in cui ho pensato che non mi sarei mai più fidata di nessuno e non ho mai sofferto un decimo di quello che hai sofferto tu. La forza non sta nel non cadere o vacillare mai, ma nell’avere sempre la capacità di rialzarsi. E tu ce l’hai Ilenia, hai superato le cose peggiori e ti sei rialzata. Guardati: sei una ragazza bella, intelligente, realizzata professionalmente e soprattutto sei buona, davvero buona, nonostante tutto quello che ti è capitato. Devi essere orgogliosa di te stessa.”
 
“Orgogliosa? E di cosa? Sì, prof., mi sono laureata, è vero, ho o forse avevo un lavoro che mi piace e di questo sono fiera, ma per il resto… la verità è che lo studio e poi il lavoro mi sono serviti per non pensare, per riempire la mia vita, ma io mi sento così sola! Non riesco a fidarmi degli uomini, prof., non ci riesco! Non riesco ad avere una relazione stabile… ho paura del matrimonio, dei figli, anche se i bambini mi piacciono ma… ho paura di quello che potrei diventare. Di quello che i miei figli potrebbero diventare. E dopo ieri… non so se riuscirò a fidarmi ancora delle persone… sento che sarò sempre sola…”
 
“Ilenia, tu non sei da sola e non sarai mai sola. Hai un sacco di persone che ti vogliono bene, perché la verità, anche se forse non te ne rendi conto, è che è impossibile non volerti bene. Pensa a mia mamma, a Livietta, a Gaetano, a Tommy: sei entrata nei loro cuori così in fretta-“
 
“Lo so… siete come una famiglia per me, però… lo sa cosa intendo, no? Non è la stessa cosa…”
 
“No, non lo è, ma prima di tutto sono sicura che non diventerai mai come tua madre o tuo padre, mai. Mi basta averti vista con Tommy per sapere che saresti una madre eccezionale, Ilenia. E poi tu sai valutare le persone: ti sei fidata di Marcio, è vero, ma alla fine lui non aveva cattive intenzioni, era una vittima quasi quanto te e in ogni caso hai subito capito che c’era qualcosa che non andava. Ma soprattutto, tu non ti sei mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno, nemmeno da tuo padre. Hai avuto il coraggio di andartene da casa a diciott’anni, di cambiare tutta la tua vita. Sono sicura che qualsiasi cosa succeda, non permetterai mai a nessuno di approfittarsi di te, di fare del male a te e alle persone a cui vuoi bene. E se ti ho aiutata, se ti ho creduta fin da subito è perché so che tu non saresti mai capace di fare del male a qualcuno, che preferiresti morire tu stessa piuttosto. Quindi tu non hai nulla né di tuo padre, né di tua madre. Tu sei tu, Ilenia e DEVI essere orgogliosa di te stessa, sempre, comunque tu scelga di passare la tua vita: single, in coppia, in città, in una giungla, sono sicura che saprai cavartela benissimo. Ma se davvero desideri una famiglia e dei figli nel tuo futuro, non c’è niente che te lo impedisca, niente. E se ti facessi bloccare dalla paura di qualcosa che non esiste, allora sì che sarebbe come darla vinta a tuo padre, hai capito?”
 
“Prof.…” sussurra, commossa, abbracciandola di nuovo forte-forte, “grazie! Non so come fa… ma lei riesce sempre a tirarmi su di morale e a… a spingermi a credere in me stessa. A farmi vedere le cose da un altro punto di vista.”
 
“Beh, ne sono felice, perché anche tu mi aiuti sempre a vedere le cose da un altro punto di vista, Ilenia, credimi. Mi hai insegnato tantissimo,” mormora di rimando, ricambiando l’abbraccio.
 
“Prof.?” la chiama ancora, esitante, portandola a sciogliere l’abbraccio per guardarla negli occhi.
 
“Mio padre… ha la Rabbia e… e sta morendo. Ha pochi giorni di vita, lo so… e… la verità è che non so cosa provo e non so cosa fare,” ammette con un filo di voce.
 
“Non lo so, Ilenia, non ce l’ho una risposta, perché l’unica persona che può avercela sei tu. Io penso che tu debba fare esattamente quello che ti senti, senza sentirti in obbligo né in un senso, né nell’altro. Non posso nemmeno immaginare quello che provi nei confronti di tuo padre e non ho la presunzione di essere in grado di riuscirci. Devi decidere tu, in piena libertà, e so che farai la cosa migliore, anche se il tempo stringe e questo non ti aiuta,” la rassicura, accarezzandole i capelli, per poi aggiungere, quando la vede cercare di trattenere uno sbadiglio, “sei stanca? Forse è meglio che ora ti lasci riposare.”
 
“Un po’… e poi… il dottor Berardi la starà aspettando,” risponde con un sorriso stanco ma grato: Gaetano era uscito prima con la scusa di una telefonata urgente, ma sanno benissimo entrambe che l’ha fatto per lasciarle sole, per far sì che Ilenia potesse parlarle liberamente.
 
“Ha trovato veramente un uomo meraviglioso, lo sa? Non mi dimenticherò mai quello che ha fatto per me ieri: prima, durante e soprattutto dopo… tutto quello che è successo con mio padre. È stato… perfetto: mi ha trattata con una sensibilità, un’attenzione… mi ha capita davvero, fino in fondo, senza parole. Proprio come fa sempre lei, prof.: siete veramente fatti l’uno per l’altra!”
 
“Sono molto fortunata, lo so,” ammette Camilla, commossa ed orgogliosa.
 
“Anche lui lo è… e anche Tommy e Livietta lo sono ad avervi come genitori. Penso sul serio tutto quello che le ho scritto in quella lettera, prof., parola per parola.”
 
“In quella lettera mi davi del tu e mi chiamavi Camilla, però-“ le ricorda, facendole l’occhiolino, “quindi se continui a chiamarmi prof. mi offendo: ormai sei di famiglia e lo sai.”
 
“Va bene… Camilla, ci proverò,” promette Ilenia con un altro sorriso stanco, prima di sbadigliare di nuovo, gli occhi che si chiudono e il respiro che si fa lento: del resto era ancora sotto l’effetto dei tranquillanti, anche se in dose ridotta rispetto al giorno precedente.
 
Camilla le risistema la mascherina sul viso, le posa un bacio sulla fronte, intenerendosi quando la vede sorridere nel sonno ed esce, richiudendo con delicatezza la porta dietro di sé.
 
“Come sta?” le chiede subito Gaetano, la preoccupazione visibile e sincera nei suoi occhi azzurri.
 
“Relativamente bene… per quanto possa stare bene…” risponde, prima di sollevare una mano ad accarezzargli il viso, “ed è soprattutto grazie a te. Ilenia mi ha detto che sei stato meraviglioso con lei in questi giorni e non posso che darle ragione. Anche perché tu sei sempre meraviglioso.”
 
“Camilla… siete troppo buone con me, sia tu, sia Ilenia: fosse stato solo per me, quel… quel bastardo di Misoglio l’avrebbe avuta vinta. Ci sono cascato con tutte le scarpe e se non fosse stato per te e le tue intuizioni… non voglio nemmeno pensarci. Se penso che stavo per prendere quel treno e lasciarti qui con lui a piede libero… dire che sono stato un idiota è farmi un complimento!” ammette, posando la mano sulla sua e bloccandola.
 
“No, tu avevi le tue ragioni, Gaetano e capisco perché l’hai fatto. E sono stata stupida anche io a dare retta al mio orgoglio e a lasciarti andare via… Quando sono arrivata su quel binario e ho visto che il treno era già partito, mi sono sentita morire. Con il senno di poi, mi sa che mi tocca ringraziare Mancini per essersi impicciato e De Matteis che ti ha convocato in questura,” ammette, il cuore che le fa ancora male al solo ricordo.
 
“Che c’entra la convocazione in questura?”
 
“Beh, almeno non sei potuto partire, no?”
 
“Camilla, guarda che quando De Matteis mi ha telefonato ero in taxi a due isolati da casa di tua madre. Su quel treno ci sarò rimasto cinque minuti, prima di darmi del cretino e tornare indietro,” chiarisce, per poi bloccarsi, un’espressione di stupore sul viso, e domandarle, “che vuol dire: quando sei arrivata su quel binario? Vuoi dirmi che mi sei venuta a cercare?”
 
“Sì, ma sono stata un’idiota: ho aspettato troppo prima di trovare il coraggio di correrti dietro e… il treno era già partito. Ero pronta a partire con te quella sera, Gaetano, a tornare a Torino insieme…”
 
“Ma perché non me l’hai mai detto?” le domanda, confuso.
 
“E tu? Perché non me l’hai mai detto?” gli fa eco, un sopracciglio alzato.
 
“Perché non appena sei arrivata nell’ufficio di De Matteis hai cominciato a gridare ai quattro venti che ci eravamo lasciati, ad insistere che dovevo prendere le distanze da te e… per un attimo ho pensato che in realtà tu volessi davvero chiudere con me per sempre. E… e poi sono successe tante cose e… alla fine non ha più avuto importanza,” ammette, spostando la mano da quella di Camilla per sfiorarle lo zigomo con il pollice, “e tu?”
 
“Perché prima ho pensato che tenere le distanze da te fosse l’unico modo per tirarti fuori dai guai, poi sono successe troppe cose e poi… alla fine abbiamo chiarito tutti i nostri problemi, ci siamo ritrovati, ancora più uniti di prima e… non aveva più importanza, come dici tu,” riconosce, un sorriso luminoso sul volto,  accarezzandogli una guancia.
 
“Ma allo stesso tempo ce l’ha… per me è importante… anche se in fondo è solo una conferma di ciò che già sappiamo, no?” le domanda e il sorriso di lei, se possibile, brilla ancora di più, proprio come i suoi occhi castani.
 
“Anche per me… certo che siamo proprio uguali noi due. Testoni allo stesso modo,” ribatte, stringendolo in un abbraccio fortissimo e sentendolo ricambiare con la stessa intensità.
 
“Camilla… senti… io dovrei andare a parlare con De Matteis, aggiornarlo su quanto è successo e pianificare insieme cosa accadrà da qui in poi, visto che io devo tornare a Torino tra pochi giorni al massimo e lui avrà ancora un po’ di convalescenza da fare. Tu cosa vuoi fare? Vuoi venire con me?” le domanda, dopo un minuto di silenzio e di pace, sciogliendo l’abbraccio per guardarla negli occhi.
 
“Io… credo che sarebbe imbarazzante stare tutti e tre insieme nella stessa stanza e poi credo che di certe cose di lavoro è più giusto che ne discutiate solo voi due. Però… però, se a te non dà fastidio, vorrei fargli un saluto e magari parlargli per qualche minuto… da soli,” ammette, mordendosi il labbro ed affrettandosi ad aggiungere, notando la sua espressione sorpresa, “solo se per te non è un problema, ovviamente, Gaetano. Lo so che ti chiedo molto ma… credo che per De Matteis quello che mi ha confessato in quella stanza sia stato qualcosa di... monumentale. Una delle poche volte nella vita in cui si è reso così vulnerabile con qualcuno. E io sono scappata via per inseguirti, e non mi pento assolutamente di averlo fatto, e lo rifarei altre mille volte ma… vorrei parlare di quello che è successo con lui, come due adulti e… chiuderla come si deve. Dare il giusto valore e la giusta dignità a quello che è successo, a questa ammissione. Sento di doverglielo, Gaetano, puoi capirmi? Se non puoi farlo, ti capisco, quindi ti prego di dirmelo sinceramente e-“
 
“Ehi, ehi,” la interrompe, posandole l’indice sulle labbra, visto che sta parlando in maniera sempre più rapida e concitata, “Camilla… stai tranquilla. Ti ho promesso che mi sarei fidato di te, di quello che provi per me, e… capisco quello che deve star passando De Matteis, fin troppo bene e… capisco quello che intendi quando dici che per lui deve essere stato qualcosa di monumentale. Però ti voglio chiedere una cosa, e non è una recriminazione ma è una mia sincera curiosità: quando è successo tra me e te e tu sei scappata via… lo sapevi che anche per me quello che ti avevo confessato era a dir poco monumentale, che era qualcosa che non avevo mai detto a nessun’altra prima di te. Qualcosa che non avevo mai provato per nessun’altra prima di te. Ma con me non hai mai voluto chiarire… sei sparita per mesi e ne abbiamo a malapena parlato quando ci siamo rivisti, anche perché… beh, era imbarazzante parlarne. Perché, Camilla?”
 
“Perché non potevo chiarirmi con te Gaetano. Non davvero, non senza doverti mentire su quello che provavo e… non mi sentivo abbastanza forte per farlo, per affrontarti e guardarti negli occhi e dirti una bugia. E soprattutto non mi sentivo abbastanza forte per dirti addio e prendere una decisione definitiva. Sapevo che probabilmente non ce l’avrei fatta e che avrei dovuto ammettere che stavo mentendo a me stessa oltre che a te… e non ero pronta a farlo. Con De Matteis è diverso perché con lui non devo fare altro che raccontare la pura e semplice verità, lo capisci?”
 
“Sì… lo capisco e ti credo, Camilla. Mi fido di te, quindi, se vuoi parlare con De Matteis a tu per tu, per me va bene…” la rassicura con un sorriso, prima di aggiungere, facendole l’occhiolino, “diciamo che Otello l’ho mandato in pensione, o almeno ci sto provando, come ti avevo promesso.”
 
“Che c’è? Ho detto qualcosa che non va?” le chiede, notando lo sguardo di lei mutare in un’espressione indefinibile tra lo stupito, il divertito e il malinconico.
 
“No, no… è che… mi è tornata in mente una cosa che è successa tanti anni fa, proprio lo stesso giorno della tua dichiarazione d’amore e della… della mia fuga,” spiega, un mezzo sorriso agrodolce sul viso.
 
“E cioè?” domanda, incuriosito.
 
“Quando tu mi chiamasti per invitarmi in questura, rispose Renzo, non so se te lo ricordi. Renzo era geloso di te già da un po’ di tempo: ci aveva visti insieme e aveva iniziato a sospettare che ci fosse qualcosa tra di noi. E quel giorno, quando gli dissi che mi avevi convocata in questura, lui mi rispose qualcosa del tipo: Otello ha deciso di fidarsi,” ricorda, sospirando e scuotendo il capo, “e poi… non so se per la mia espressione o per il mio silenzio, improvvisamente si fermò e mi chiese se facesse davvero bene Otello a fidarsi…”
 
“E faceva bene?” sussurra, spiazzato da questa rivelazione.
 
“Non lo so… da un lato forse sì: voglio dire, ti ho respinto quel giorno e se l’ho fatto è stato anche per non tradire questa ulteriore promessa che avevo fatto a Renzo. Però allo stesso tempo… forse non faceva affatto bene a fidarsi e lo sapevamo entrambi. Credo che avesse capito benissimo che provavo qualcosa per te e anche io nel profondo lo sapevo…” ammette, ricordando, come se fosse ieri, la confusione e il senso di colpa che lottavano con i suoi desideri, con quello che il cuore le diceva di fare.
 
“Camilla, non è che stai cercando di dirmi qualcosa? Questa volta Otello fa bene a fidarsi, vero?” non può evitare di chiedere, il cuore in gola ed uno strano sapore in bocca.
 
“No, no! Cioè sì, cioè… non sto cercando di dirti niente, non quello che pensi tu, almeno e… certo che fai bene a fidarti, Gaetano, non c’è assolutamente niente di cui tu ti debba preoccupare,” lo rassicura, dandosi della cretina e prendendogli le mani nelle sue, “è che mi sono stupita da sola di quanto sia diversa la situazione adesso rispetto ad allora, ed è tutto così chiaro con il senno di poi. Quell’ansia, quella paura e quel desiderio fortissimo che avevo di incontrarti… di… di baciarti. Il modo in cui farfugliai una risposta quando Renzo mi fece quella domanda sulla fiducia. Mi chiedo come ho fatto a mentire a me stessa per così tanto tempo, ad ignorare tutti i segnali. Mentre ora, mi sento così tranquilla, è tutto così chiaro e semplice, per quanto possa essere imbarazzante dover rivedere De Matteis ma… non provo né paura, né ansia… niente. Questa è la normalità, questo è quello che avrei dovuto sentire anche allora nei tuoi confronti, se davvero non fossi stata innamorata di te e… me ne rendo completamente conto solo adesso.”
 
Il cuore continua a martellargli nel petto, ma è un battito completamente diverso. Queste confessioni di Camilla, così spontanee e inattese, ogni volta che lei decide di condividere con lui uno di questi angoli nascosti del suo cuore e della sua anima, sono per lui qualcosa di indescrivibile, qualcosa a cui sa che non si abituerà mai del tutto. Non può evitare di sorridere come un idiota e di cedere all’impulso irrefrenabile di posarle un rapido bacio sulle labbra, ignorando i medici e gli infermieri che passano per il corridoio. L’abbraccia di lato, sentendola stringersi a lui ed insieme, senza parole, si avviano verso il reparto di chirurgia.

 
***************************************************************************************
 
“Scusate, torno dopo…”
 
“No, no, aspetta! Avevamo quasi finito e poi… e poi stavamo parlando proprio di te,” esclama, con un tono che la porta a bloccarsi sui suoi passi quasi quanto le parole appena pronunciate.
 
“Di me?” domanda, stupita, alternando lo sguardo tra lui e la dottoressa – la psicologa assegnata loro dall’ospedale con cui anche lei aveva già fatto qualche seduta, per cercare di valutare l’entità del trauma causato dall’essere rimasti intrappolati in quell’incendio e predisporre eventualmente un piano di terapia per affrontarlo e superarlo.
 
Da quel giorno al Luna Park, incubi terribili avevano tormentato i suoi sonni ma la notte precedente, da quando aveva avuto la conferma che Ilenia è innocente, aveva riposato un po’ meglio del solito. Il che confermava in un certo senso la prima impressione della dottoressa: più che l’evento in sé, ciò che l’aveva traumatizzata maggiormente era stato il fatto che ad attentare alla sua vita fosse stata una persona di cui si fidava ciecamente e a cui voleva molto bene. Trauma che, sempre secondo la dottoressa, si sommava a quello che lei sentiva come un tradimento del marito: all’aver scoperto che il marito la seguiva, la spiava e che l’aveva addirittura denunciata.
 
Una questione di fiducia, insomma, in sé stessa e negli altri. E la fiducia è tutto nella vita, lo sa benissimo: è la cosa più difficile da costruire e basta così poco a distruggerla per sempre.
 
“Sì, di lei, del vostro rapporto e di quello che è successo nell’ultimo periodo e del perché è successo. Come immagino sappiate, io sono vincolata dal segreto professionale e non posso condividere con uno di voi le confessioni dell’altro ma… mi sentirei sinceramente di consigliarvi un periodo di terapia di coppia, insieme ad un percorso di terapia personale ed individuale per provare a superare l’evento traumatico dell’incendio. Ma ovviamente siete liberi di scegliere se accettare o meno e con quale terapeuta proseguire questo percorso. Le sedute obbligatorie sono terminate con oggi, come sapete. Vi lascerei confrontare e discutere insieme il da farsi. Con permesso,” proclama la dottoressa, congedandosi da loro con un sorriso.
 
“Perché non ti accomodi? La dottoressa ha ragione: ho bisogno di parlarti di tante cose…”
 
“Quindi mi stai dicendo che vorresti sul serio tentare con la terapia di coppia? Che cosa le stavi raccontando di me, eh? Di quanto sono immatura? Irresponsabile? Di come ti avrei tradito indagando sul caso Scortichini e cercando di scagionare Ilenia, che in effetti era innocente? O di come ti avrei tradito con Marchese?” gli domanda, non potendo evitare di provare rabbia nei confronti di quell’uomo che, purtroppo, ama ancora, troppo, “pensi che con la terapia di coppia si risolverà tutto magicamente? Che torneremo ad essere quelli di prima? Non è così, non si può tornare indietro perché… non so più chi sei, ma so di sicuro che non sei l’uomo che credevo, l’uomo di cui mi sono innamorata, non sei solo quello almeno e non posso più ignorare quella parte di te che ho sempre cercato di non vedere, la parte di te che, sinceramente, mi disgusta.”
 
“Sammy…” sussurra, sentendosi peggio che se lei gli avesse tirato uno schiaffo.
 
“Ho parlato un po’ con la dottoressa di noi due, di quello che ci è successo… di come mai stavamo per morire insieme in quella stanza, di come siamo arrivati lì. Del perché a volte nei miei incubi di queste notti eri tu che applicavi l’incendio, che mi guardavi morire bruciata viva…” confessa con un filo di voce e, di nuovo, Pietro sente una coltellata trapassargli il petto.
 
“E sai cosa mi ha detto la dottoressa del nostro rapporto? Che è un rapporto sbilanciato, che io mi sento inferiore a te per un sacco di motivi: per l’età, per il fatto che tu hai una carriera avviata mentre io sono solo all’inizio ed economicamente dipendo da te… e con il senno di poi sono tutte insicurezze che tu alimenti, non so se volontariamente o inconsciamente. Tu che mi fai pesare quanto sono immatura o bambina, anche se questo la dice lunga su di te e sul fatto che mi hai voluta e scelta, tu che mi hai proposto di sposarti quasi subito, sapendo che dovevo finire gli studi, sapendo che questo mi avrebbe portata a dipendere da te. E io ho accettato, quindi ne sono anche io responsabile, per la carità ma… ho capito solo adesso quanto tutto questo mi pesi. È sempre stato come se dovessi provare a te, a me stessa, ai nostri parenti, al mondo, che sono abbastanza per te: abbastanza matura, abbastanza donna, che sono degna di essere tua moglie. Ho cominciato a truccarmi in maniera differente, per sembrare più grande, più vecchia, ho smesso di frequentare la maggior parte dei miei amici, perché erano troppo giovani per te e ti annoiavi con loro. Non posso dire che tu mi abbia imposto i tuoi amici, visto che praticamente non ne hai, ma siamo rimasti io e te contro il mondo. E se questo mi legava di più a te da un lato, dall’altro mi ha privata di tante altre cose, cose di cui ho bisogno e di cui mi sono resa conto ricominciando a frequentare Marchese, Ilenia, la prof. e non c’entra niente il tradimento. Mi sono resa conto che ormai mi ritrovavo sempre a recitare un ruolo, ad autolimitarmi quando non eravamo soli e a volte anche quando lo eravamo. Capisci cosa voglio dire?”
 
“Sì…” ammette, abbassando lo sguardo, per poi rialzarlo quando la sente avvicinarsi a lui a passo lento, notando l’assenza del ticchettio dei soliti tacchi altissimi. La vede prendere posto sulla sedia, un’espressione serissima sul viso.
 
“Mi dispiace Sammy, io… è colpa mia, lo so, ma… sai cosa mi ha detto la dottoressa? Che anche io mi sento inferiore a te: tu sei bellissima, hai tutta la vita davanti e non è vero che non sei realizzata, anzi…. Tu sei laureata e io no, tu sei molto più intelligente di me, molto più interessante di me, molto più forte di me e… non mi sono mai sentito alla tua altezza. Anche io mi sono sempre sentito sotto esame: dei tuoi genitori, dei tuoi amici…. Sentivo di dover provare a tutti che non ero una specie di vecchio maniaco che voleva approfittarsi di te, ma che ti amavo davvero, che ti meritavo, anche se io per primo ho sempre sentito di non meritarti. Anzi, ho sempre pensato che un giorno ti saresti accorta di esserti sbagliata su di me, di avere preso una fregatura scegliendomi… forse ho accelerato le cose con il matrimonio sperando di legarti a me, è vero, e se facevo quei commenti sulla tua immaturità era per gelosia verso i tuoi amici, perché avevo paura di perderti. Forse cercavo di farti sentire inferiore per mascherare questo senso di inferiorità che IO sentivo nei tuoi confronti, per far sì che non ti accorgessi di tutti i buoni motivi che avevi di lasciarmi e cercarti qualcuno migliore di me, qualcuno davvero alla tua altezza. E lo so che sono stato uno stronzo, ma ti giuro che non l’ho mai fatto consciamente… non me ne sono mai nemmeno reso conto,” ammette a fatica, mentre Sammy si porta una mano alla bocca, a dir poco turbata da questa rivelazione.
 
“È di questo che stavate parlando con la dottoressa?” chiede con voce roca, dopo un lungo attimo di silenzio, trascorso a guardarsi negli occhi.
 
“Sì, ma non solo. Le ho parlato della mia gelosia nei confronti di Marchese, del mio comportamento nei suoi confronti e in servizio… le ho parlato del Mastino, Sammy, di questa parte di me che ti disgusta, che non comprendi e che probabilmente non ho mai compreso nemmeno io,” spiega, la gola di cartavetra, ogni parola che pesa come un macigno. Ma la cosa che conta di più per lui è Sammy, e se ha anche solo una remota possibilità di non perderla, è disposto ad affrontare qualsiasi cosa, anche quello che gli fa più paura.
 
“Ma la dottoressa non è la psicologa della polizia… non è lei che ti deve dare l’idoneità per tornare in servizio, o no?” domanda, confusa, non capendo come e perché lui e la dottoressa siano giunti a discutere di quell’argomento.
 
“No, non lo è e appunto per quello gliene ho parlato. Tutto quello che è successo mi ha fatto riflettere, Sammy, anche se forse non mi crederai, e sono giunto a una decisione. Ma avevo bisogno di parlarne con qualcuno che non c’entrasse con la polizia, che non mi avrebbe fatto sentire sotto esame…” spiega con un sospiro, prima di farsi forza e aggiungere, “anche perché non avrò bisogno di sottopormi ai test per l’idoneità, non a breve almeno.”
 
“Che vuoi dire? Non puoi tornare in servizio senza l’idoneità fisica e psicologica: è la prassi… è vero che hai la gamba rotta ma il test psicologico dovrai farlo se vuoi anche solo tornare dietro ad una scrivania,” obietta Sammy, sapendo benissimo come funziona in caso di infortuni e ferimenti di questa importanza, visto che durante il praticantato si era occupata, tra le altre cose, del caso di un poliziotto sospeso dal servizio per una diagnosi di inidoneità psicologica, dopo essere rimasto gravemente ferito negli scontri a seguito di una manifestazione sportiva ed avere ucciso uno degli ultrà.
 
“Ma io non voglio tornare dietro ad una scrivania e non voglio tornare in servizio, non-“
 
“Cosa?! Ma se il lavoro è tutta la tua vita!” lo interrompe, a dir poco scioccata.
 
“No, Sammy, TU sei la mia vita, TU e non il mio lavoro, anche se forse non mi credi e non sono riuscito a dimostratelo e-“
 
“E io non ti ho mai chiesto di rinunciare al tuo lavoro, Pietro, quindi-“
 
“Lo so, lo so che non me l’hai chiesto, ma ho capito che è l’unica cosa sensata che posso fare, per te, per me stesso, per i miei colleghi, per tutti. Io volevo dimettermi e lasciare definitivamente la polizia, ma la dottoressa mi ha convinto a chiedere l’aspettativa. Con il mio infortunio non potranno non concedermela. Ho bisogno di tempo per capire da cosa è nato il Mastino, Sammy, da dove deriva tutta questa… tutta questa rabbia che ho dentro e che sfogo sui colleghi, sui sospettati…. E ho bisogno di tempo per cercare di provare a ricostruire il rapporto con te, per cercare di salvare il nostro matrimonio, se me ne darai la possibilità. Ma lo so che non potrò avere speranza con te, se non riesco a… ad uccidere il Mastino.”
 
“Pietro…” sussurra, toccata e sconvolta, sentendolo e vedendolo sincero, nonostante sia ancora furiosa con lui per tutto quello che è successo.
 
“La dottoressa dice che sono ad un buon punto di partenza, che forse abbiamo individuato la radice dei miei problemi. Secondo lei tutto parte da questo senso di inferiorità che sento non solo nei tuoi confronti ma… nei confronti di tutti. Da tutte queste insicurezze che mi porto dietro…”
 
“Insicurezze? Ma se sei la persona più sicura che conosco… sei sempre così convinto di te stesso, delle tue opinioni, di aver ragione e-“
 
“Ed è tutta una finzione, Sammy… mi sforzo di apparire forte e convinto e sicuro di me stesso ma non lo sono, non lo sono mai stato. È il mio modo di mascherare quanto mi sento debole e quanto… quanto odio sentirmi debole,” ammette con un filo di voce, sentendo gli occhi bruciare, “ti devo… ti devo raccontare una cosa. È una cosa che sanno solo i miei genitori e… e ora anche la dottoressa. Avrei dovuto parlartene prima, ma non ne ho mai avuto il coraggio. Credo che… credo che i miei problemi risalgono fin dai tempi della scuola, riguardando indietro.”
 
“I tempi della scuola? Vuoi dirmi che facevi il bullo con i tuoi compagni?” gli chiede, temendo la risposta.
 
“No, no, per niente. Anzi: ero una delle vittime preferite di tutti i bulli del circondario,” chiarisce, passandosi una mano sugli occhi.
 
“Tu? Ma non mi avevi detto di essere stato uno dei ragazzi più popolari della scuola? Che eri rappresentante di classe, che vincevi un sacco di gare sportive e tutte le ragazze ti correvano dietro?” gli domanda, confusa e stupita, ricordando quello che le aveva raccontato quando avevano parlato dei tempi delle superiori, lei a ragioneria e lui in un istituto tecnico. Erano venuti in argomento proprio poche settimane prima, quando si era prospettata la rimpatriata di classe e lui le aveva chiesto, per non dire quasi imposto, di accompagnarla.
 
Lui, per tutta risposta, afferra con un certo sforzo, essendo ancora mezzo immobilizzato, una cartellina marrone sul comodino e gliela passa, facendo cenno di aprirla.
 
Sammy, incuriosita, fa come chiesto e trova un paio di vecchie foto di classe, più una foto a figura intera di un ragazzino che sembra un pulcino bagnato: alto ma magrissimo, dinoccolato, occhialoni spessi sul naso, i capelli tirati indietro con il gel e schiacciati sulla testa. Dai colori sbiaditi, ingialliti dal tempo e dall’abbigliamento degli altri ragazzi nelle foto di classe in cui, di nuovo, ritrova lo stesso ragazzino, è evidente che le foto risalgono alla fine degli anni ‘80, inizio anni ‘90 e lo stile del ragazzino contrasta in maniera nettissima rispetto a quello di tutti i suoi compagni di classe.
 
“Di chi sono queste foto?” chiede, ancora più confusa, se possibile.
 
“Me le ha portate mia madre ieri sera. Gliele ho chieste dopo aver parlato con la dottoressa, volevo mostrargliele e mostrartele per farti capire…” sospira, guardandola negli occhi.
 
Sammy osserva meglio le foto e spalanca la bocca: ma certo! Quegli occhi tra il marrone e il verde, inconfondibili…
 
“Sei tu?!” sussurra, sbalordita, perché, a parte gli occhi, l’uomo davanti a lei e il ragazzino della foto non hanno praticamente niente in comune, tanto da essere irriconoscibili.
 
“Sì… sono io. Dai, dì pure quello che pensi: te lo si legge in faccia. Ero proprio uno… uno sfigato come si dice adesso, no?” proclama, sprezzante, come se non stesse parlando di se stesso ma di un’altra persona.
 
“No… cioè… diciamo che non ti curavi molto e… e lo stile era un po’ fuori moda, ecco,” prova ad abbozzare, non riuscendo a non provare un moto di tenerezza per il ragazzino della foto, “sembravi un po’ un secchione, ma-“
 
“Ma non ero un secchione: è quello il peggio! Non sono mai stato molto bravo a scuola, mai, anche se studiavo e mi ci impegnavo. I libri non hanno mai fatto per me e… mi hai visto, no? Anche se cerchi di usare parole gentili, ero un disastro, non ero buono a niente. Non ero bello, non ero sportivo, non ero nemmeno intelligente. E attiravo tutti i bulletti ad un chilometro di distanza. Mi facevano di tutto… un giorno sono pure finito in ospedale con un timpano perforato ed un’ulcera gastrica, provocata dallo stress e dalle botte allo stomaco. A diciassette anni. Non ho mai voluto denunciarli, mi sono inventato palle con i miei genitori, ma loro hanno capito e mi hanno cambiato scuola, visto che non volevo più andarci. Ho perso un anno per questa storia… mentre quegli idioti sono stati tutti promossi,” racconta con una risata amara e disillusa, che è letteralmente come un pugno allo stomaco per Sammy.
 
Non riesce nemmeno a parlare, alternando lo sguardo tra quella foto e l’uomo davanti a lei che si rende ancora di più conto di non conoscere.
 
“Quella è stata l’ultima goccia. Quell’estate ho iniziato a fare sport, a fare palestra, poi pesi, boxe. Piano piano ho messo su muscoli e… il mio corpo finalmente si è adattato alla crescita troppo rapida che avevo avuto, si è assestato. Ho iniziato a portare le lenti a contatto e poi ho fatto il laser, appena ho potuto, per eliminare gli occhiali, anche se non era un’operazione molto comune all’epoca e i miei non erano d’accordo. Ma me lo sono pagato con lavori vari: facevo il buttafuori, pensa un po’, io un buttafuori,” ricorda, scuotendo il capo, “una sera ho beccato uno dei bulletti che mi aveva dato il tormento per anni. Aveva scatenato una rissa per via di una ragazza. L’ho fermato e l’ho fatto arrestare e lì ho capito che lavoro volevo fare, che volevo entrare in polizia.”
 
“Quindi sei entrato in polizia per vendicarti di chi ti aveva maltrattato?” intuisce lei, ancora incredula.
 
“All’inizio no, non proprio. Anzi, pensavo di aiutare i deboli, difenderli, evitare che ad altri capitasse quello che era successo a me. Ero molto serio, severo, mi sono buttato anima e corpo nell’accademia e poi sul lavoro ma non ero… non ero il Mastino, non così. Forse ti ricordi quando… quando ho fermato te e la tua professoressa… ero rigido ma non ero… non ero ingiusto, non ho mai superato il limite. Ci sono andato vicino, ma non l’ho mai superato,” rammenta, guardandola negli occhi.
 
“Quando hai iniziato a superarlo? È stato per via di Marchese? Per me?” domanda, anche se non è sicura di voler conoscere la risposta.
 
“No… non del tutto almeno. Non ti sei mai chiesta perché facevo l’istruttore quando ci siamo conosciuti?”
 
Sammy scuote il capo: con il senno di poi, in effetti, Pietro è relativamente giovane e sembra amare troppo l’azione, la prima linea, per avere scelto di fare l’istruttore. E quando si erano messi insieme, dopo poco aveva deciso di far domanda per tornare operativo. Ma non si era mai chiesta il perché di questa carriera un po’ atipica.
 
“L’anno dopo quello in cui ci siamo conosciuti a quel posto di blocco, ho fatto il concorso per diventare ispettore. Ci ho sputato sangue, Sammy, dico sul serio. Come ti ho già detto, i libri non sono mai stati il mio forte e studiare per la teoria è stata una tortura. Nottate, su nottate, su nottate. E poi allenamenti su allenamenti… e il tutto lavorando di giorno. Ma ce l’ho fatta: sono diventato ispettore, il grado più alto che posso ambire ad avere, non essendo laureato. Ero così felice, così fiero di me stesso e poi… e poi tutto è andato a puttane nel giro di un giorno.”
 
“Che vuoi dire?”
 
“Siamo intervenuti per sventare una rapina ad una banca. Io guidavo una squadra con altri due agenti, di cui uno fresco di accademia. C’è stata una sparatoria e… sono stato ferito gravemente ad una gamba. La stessa che ho rotto ora, vicino al ginocchio: ho reciso un tendine e ho avuto grossi danni ai muscoli. Non riuscivo più a piegare bene la gamba e quindi non riuscivo a camminare bene, figuriamoci a correre. Ero zoppo. Avevo trentatré anni, appena promosso ad ispettore ed ero zoppo, finito. E lo sai qual è il peggio? Sai chi era stato a ferirmi?”
 
Sammy scuote di nuovo il capo, sconvolta, non capendoci più niente, ma sentendo il dolore che emerge, che impregna ogni parola come se fosse palpabile, come se lo stesse respirando, come se le stesse entrando in ogni poro della pelle, fino alle ossa.
 
“Uno dei miei colleghi, ecco chi era stato! La perizia balistica l’ha confermato. Il proiettile veniva dalla pistola del novellino, quello fresco di accademia… se l’era fatta sotto, era andato in panico e… era inciampato mentre correva da una copertura all’altra. E gli è partito un colpo. Devo ringraziare il cielo che mi ero appena alzato per sparare, che non ero accucciato o… probabilmente sarei morto. Lui ha perso il posto, grazie al cielo, ma io… io ho perso tutto. Qualcuno deve avere avuto pietà di me o forse deve avere temuto che chiedessi i danni per quello che mi era capitato e… invece che mettermi dietro una scrivania da qualche parte, mi hanno fatto fare l’istruttore. Una materia teorica, ovviamente, dovevo solo stare dietro ad una cattedra e spiegare.”
 
“Ed è allora che hai iniziato a farla pagare ai tuoi studenti, vero?” intuisce, mentre tutto sembra improvvisamente così chiaro.
 
“Sì… all’inizio dovevo essere severo per farmi rispettare. Lo sentivo come mi chiamavano, sai? Lo zoppo, dottor House… è stata durissima, era come tornare ai tempi della scuola. E poi mi sono promesso che non avrei mai più permesso ad un idiota come quello che mi aveva ferito di passare il mio corso ed entrare in polizia. Che se qualcuno non aveva la stoffa, che se qualcuno non era abbastanza forte per sopportare la pressione, se se la faceva sotto… era meglio se lasciava perdere e andava a fare un altro mestiere, fino a che era in tempo. Ma con il tempo credo di… credo che la cosa mi sia sfuggita di mano e… c’era e c’è come una… una rabbia dentro di me che cresceva e cresceva e che sfogavo in questo modo. E poi… e poi ho conosciuto te.”
 
“Ma quando ti ho conosciuto non eri zoppo, camminavi benissimo e… e non sembravi affatto la persona che descrivi… io non capisco come sia possibile…”
 
“No, non zoppicavo più. Nel tempo ero guarito, le terapie avevano fatto effetto, ma avevo paura di tornare in servizio, mi mancava il coraggio. Ma poi ho conosciuto te e… sei stata la cosa più bella che mi sia mai capitata nella vita, Sammy. Una boccata di aria fresca. Tu amavi me, Pietro, non conoscevi il poliziotto Mancini, con te potevo essere sincero, non avevo bisogno di… di recitare. O così credevo perché mi sono reso conto che anche con te sentivo il bisogno di… di mostrarmi forte, di nasconderti le mie debolezze, le mie paure, i miei fallimenti. Volevo essere alla tua altezza, all’altezza di quell’amore, di quella fiducia che mi davi. Del modo in cui mi guardavi, come una specie di grande eroe invincibile e forte. Ho fatto domanda di tornare in servizio e… e non è andata bene… ho esagerato e ho avuto problemi, ho dovuto chiedere il trasferimento e sono finito alla omicidi: ero nel posto giusto al momento giusto. Mi sentivo così orgoglioso di essere arrivato lì, ma già il primo giorno di lavoro ho visto Marchese. L’ho riconosciuto subito, sai? E… non so spiegarti il perché ma ho provato una rabbia, una gelosia nei suoi confronti…. Sapevo che ti aveva… che ti aveva avuta… che era stato il tuo primo, grande amore. E anche se l’avevi lasciato per me, il solo pensiero di lui e te insieme, mi tormentava. Non lo so, credo di avere sempre avuto paura che un giorno tu ti saresti stancata di me e ti saresti messa con qualcuno più giovane, della tua età. E la presenza di Marchese ha fatto uscire il peggio di me, se possibile. E il resto lo sai.”
 
“Pietro…” sospira, sentendo un macigno sul cuore e sullo stomaco. Perché capisce, capisce tutto adesso, ma sa che non è così semplice, che non è affatto semplice.
 
“La dottoressa mi ha detto che… che parlarne e accettare di… di avere un problema è il primo passo per uscirne ma… che non sarà facile. Mi ha detto che devo affrontare queste insicurezze, questi risentimenti e portarli allo scoperto e… cercare di risolverli, cercare di… cercare di liberarmi di questa rabbia che mi porto dentro da troppo tempo. Ma potrebbe volerci molto tempo e… ed è per quello che voglio l’aspettativa. Non posso tornare a fare questo mestiere se… se non supero questi problemi,” ammette, sembrando leggerle nel pensiero, prima di aggiungere, “e… non posso tornare con te, o meglio, chiederti di tornare con me… se… se non li supero, lo so. Ma ho bisogno di te, Sammy, ho bisogno di sapere che… che almeno tu credi in me. Io voglio cambiare per te, essere un uomo migliore, te lo giuro. Ti prego, dammi una possibilità… ho bisogno di sapere che… che tu ci sarai, che mi aspetterai. Lo so che non ho alcun diritto di chiedertelo ma… io non voglio perderti. Io non posso perderti: sei tutto quello che ho.”
 
Rimane a guardarlo per un tempo infinito, occhi negli occhi. Sa di trovarsi letteralmente ad un bivio della sua vita. Un bivio ancora più pesante, più importante, più potenzialmente devastante nelle conseguenze di quando ha deciso di lasciare Marchese, di quando ha deciso di sposarsi con Pietro, di quando ha deciso di aiutare la prof. e Marchese nelle indagini su Ilenia. Questo è IL bivio e sa che da quello che deciderà, dipenderà la sua felicità futura, tutto.
 
“Pietro… tu non… tu non devi diventare un uomo migliore per me, non devi risolvere i tuoi problemi per me, ma per te stesso, lo capisci? Quando ci siamo sposati io ti ho promesso che ti sarei stata vicina nella buona e nella cattiva sorte, è vero, ma… ma non sono un medico e soprattutto non sono il tuo medico, non sono… non sono la tua psicologa. L’amore non cura problemi di questo genere, non è una terapia o una formula magica, anzi, di solito incasina tutto e rende tutto più complicato, come ha dimostrato tutta questa storia con Marchese.”
 
“Che vuoi dire?” domanda con voce tremante, gli occhi pieni di lacrime e le sembra improvvisamente così fragile, fragile come non l’aveva mai visto.
 
“Non voglio raccontarti una palla, Pietro. Forse ti sembrerò stronza o egoista, ma… io voglio dei figli nel mio futuro, una famiglia e… se non risolvi i tuoi problemi, io non posso pensare di coinvolgere delle creature innocenti, soprattutto non dopo che ho sentito tutto quello che ho sentito sul padre di Ilenia. E no, non sto dicendo che sei come lui,” si affretta a precisare, vedendolo piangere apertamente, “ma… non serve arrivare a quei livelli per… per rovinare la vita a dei bambini che dipendono solo da te e da me. Non posso costruire qualcosa se le fondamenta non sono stabili, lo capisci? Chiamami stronza, egoista, ma… è quello che sento e non ci posso fare niente.”
 
“Mi stai dicendo che è finita?” riesce a chiederle tra le lacrime, sentendo come una pugnalata dritta al cuore.
 
“Ti sto dicendo che… che non posso prometterti niente, Pietro. Come tu non puoi promettermi che starai bene, io… io sono felice se tu inizi la terapia e cercherò di… di sostenerti e… e se vuoi fare la terapia di coppia, per me va bene, ma… c’è un limite, Pietro. C’è un limite oltre al quale dovrò dire basta e… e non lo so neanche io qual è, fino a che punto posso arrivare, ma non voglio arrivare a distruggermi anche io. È tutto quello che posso dirti…” ammette, non resistendo all’impulso di accarezzargli una guancia e asciugargli le lacrime.
 
“Mi dispiace di non essere l’uomo che credevi, Sammy, di non essere l’uomo coraggioso, forte e… maturo che meritavi e che meriti,” mormora tra le lacrime, prima di iniziare a singhiozzare trovandosi, non sa bene come, stretto tra le sue braccia sottili. Ricorda quante volte avevano scherzato insieme sul fatto che lei, così minuta, non riuscisse a cingerlo completamente in un abbraccio. Ma la verità è che quelle mani che gli circondano il collo, quella spalla che gli fa da cuscino, gli trasmettono una forza indescrivibile, tutta la forza che lui non ha mai avuto.
 
“Pietro…” sussurra, dopo un attimo, sollevandogli il capo per guardarlo negli occhi, “guarda che mi hai dimostrato molto più coraggio e più forza oggi, aprendoti con me, che… che da quando ti conosco. Ma io non mi sono innamorata di te perché eri forte o coraggioso o invincibile. Mi sono innamorata di te perché sotto la scorza da macho eri dolce, tenero, perché mi facevi ridere e mi facevi stare bene. E so che quell’uomo esiste, è qui dentro, da qualche parte, devi solo smettere di considerarlo una debolezza, di nasconderlo. So che ce la puoi fare, Pietro, so che ce la puoi fare, ma devi crederci, devi lottare: dipende solo da te.”

 
***************************************************************************************
 
“Allora è davvero finita…”
 
“Sì, è davvero finita. I suoi ragazzi stanno facendo gli ultimi rilievi… stiamo cercando eventuali altri covi di Misoglio e raccogliendo le ultime prove, anche se, con una confessione del genere, sono forse superflue, ma preferisco essere accurato e non lasciare il minimo spazio a sorprese in fase processuale. Anche se Misoglio non sarà mai giudicato da un tribunale, non in vita, ma… non voglio rischiare problemi per Ilenia o per nessun altro coinvolto in questa storia.”
 
“La Rabbia… forse esiste sul serio il Karma o una giustizia cosmica. Funziona raramente, ma ogni tanto funziona…”
 
“Mi sorprende, dottor De Matteis: questa mi sembra più una frase che potrebbe pronunciare suo fratello, piuttosto che lei,” ammette Gaetano, con un pizzico di ironia, sorpreso dal tono riflessivo e malinconico dell’altro uomo.
 
“Sarà l’ospedale o saranno i farmaci… comunque ho capito che ho più cose in comune con mio fratello di quanto pensassi,” commenta, sarcastico e autoironico, per poi scuotere il capo e aggiungere, “immagino che tornerà a breve a Torino.”
 
“Sì, è questione di due o tre giorni al massimo… lunedì mattina il questore di Torino mi rivuole in ufficio. Mi aspettano un bel po’ di arretrati e di mal di testa, del resto lei sa meglio di me come funziona.”
 
“Già. Non so come ringraziarla, Berardi. Ha fatto un lavoro incredibile e… immagino cosa ha passato negli ultimi giorni e… mi sento in colpa per averle mollato la patata bollente e i miei di mal di testa,” ammette con tono che sembra sinceramente ammirato.
 
“Dottor De Matteis, non è stata colpa sua e lo rifarei altre mille volte. E il lavoro incredibile l’hanno fatto anche tutti i suoi uomini: è stato un lavoro di squadra. Sono solo felice di sapere che Misoglio non potrà più fare del male a nessuno.”
 
“Già… e alla fine Camilla aveva ragione, come sempre: la Misoglio era innocente,” ammette con un sospiro, come se temesse quasi di fare quel nome, per poi prendere un respiro e aggiungere, guardando l’altro uomo negli occhi, “spero… spero che Camilla stia bene… e che… insomma… che questa storia non abbia avuto conseguenze per lei, per voi. So di avervi dato molti problemi, in tutti i sensi e… e mi dispiace.”
 
“A volte i problemi rendono più forti ed è quello che è successo a me e a Camilla. Per il resto… penso che sia meglio che ne parli con lei direttamente, piuttosto che con me…” proclama, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla porta, per poi aprirla, mettendo a tacere il demone della gelosia che ogni volta cerca di ruggirgli nel petto.
 
Un cenno del capo, un’occhiata d’intesa e Camilla, che aspettava pazientemente in corridoio, entra nella stanza.
 
“Bene, la saluto, dottor De Matteis. Camilla, fammi sapere quando hai finito, io vado a far visita a Mancini e a tastare il terreno, sperando che non ci causi altri problemi,” proclama, facendole l’occhiolino, uscendo dalla porta e chiudendola dietro di sé, sotto lo sguardo a dir poco scioccato di De Matteis.
 
“Che ci fa lei qui?” le domanda, come se avesse visto un fantasma.
 
“Che accoglienza! E sbaglio o ci davamo del tu noi due?” gli chiede di rimando, utilizzando l’arma migliore per vincere l’imbarazzo che, è inutile negarlo, prova: quella dell’ironia.
 
“D’accordo, allora, che ci fai qui?” chiede di nuovo, ancora sconvolto, dandosi un pizzicotto ad una gamba con la mano buona per accertarsi di non stare sognando o allucinando, “e… perché Berardi ci ha lasciati soli? Se è una strategia per capire se ho intenzione di… di replicare la scena dell’altro giorno, e cogliermi in flagrante, potete stare tranquilli: ero sotto effetto di farmaci, ero confuso, non ero lucido, non capivo cosa stavo facendo e dicendo e-“
 
“Gaetano si fida di me e sa che non ha nulla di cui preoccuparsi e… credo che si fidi anche di te. Che, per quanto possa sembrarti assurdo, abbia cominciato a fidarsi di te proprio dopo averti… diciamo conosciuto sotto l’effetto di quei farmaci. Perché forse non sarai stato lucido, ma eri sincero, diretto, schietto, onesto,” lo interrompe, non potendo evitare che un po’ di esasperazione si mischi all’imbarazzo, “e spero che non insulterai la mia intelligenza e la tua facendo dietrofront adesso e dando la colpa di quello che è successo ai farmaci, perché lo sappiamo tutti e due che non è così. E non sto parlando solo del bacio, ma di tutto quello che mi hai… che mi hai confidato prima di baciarmi.”
 
“Ma che cosa ti aspetti da me, eh? Che mi butti in ginocchio e ti proclami amore eterno per ricevere di nuovo un altro due di picche? Non sono masochista fino a questo punto!” sbotta, senza potersi contenere, sentendosi vulnerabile, fragile di fronte a lei e odiandosi per questo, per questa debolezza. Odiandola per il modo in cui sembra voler girare il dito nella piaga, non permettendogli di lasciar correre, minimizzare.
 
“Nemmeno io sono masochista e non ho intenzione di stare qui a farmi maltrattare da te! Ho fatto male a venire,” sibila, durissima, alzandosi in piedi e dandosi dell’idiota per essersi messa in una situazione del genere, per essersi preoccupata per lui, “buona-“
 
“Aspetta! Aspetta, ti prego,” la blocca, proiettandosi in avanti per afferrarle il polso con la mano sana, non potendo evitare un’esclamazione di dolore quando una lama incandescente gli trapassa la ferita alla spalla.
 
“Ma sei matto?! Vuoi che ti si riaprano i punti?!” esclama, preoccupata, notando la smorfia di dolore e il colorito di lui che si fa cinereo, spingendolo delicatamente verso i cuscini, “ti chiamo un infermiere?”
 
“No… no… va tutto bene, va tutto bene, davvero,” la rassicura, sforzandosi di aprire gli occhi per incrociare lo sguardo di lei, “mi dispiace, scusami, non… non volevo… è che… mi hai preso di sorpresa e… lo sai come sono fatto.”
 
“Sinceramente no… non è mica facile capirti, per niente,” ammette con un sospiro, tornando a prendere posto sulla sedia.
 
“È che non credevo che ti avrei mai più incontrata. Dopo quello che è successo, pensavo che non mi avresti più voluto vedere nemmeno in fotografia, che… che fossi furiosa con me. Forse addirittura che mi odiassi,” confessa, non riuscendo stavolta a nascondere la vulnerabilità nel tono di voce, l’imbarazzo che prova, il dolore che prova, non solo fisico.
 
“Odiarti? Per un bacio?” gli domanda, incredula, soprattutto quando si rende conto che lui non sta esagerando ma lo pensa sul serio.
 
“Sì, per averti baciata con la forza, per… per averti creato problemi con Berardi, dopo tutto quello che era successo nei giorni precedenti, dopo che avevo anche minacciato di denunciarvi, di farlo licenziare e-“
 
“E dopo che mi hai salvato la vita, tra le altre cose. È vero, mi hai baciata, mi hai presa di sorpresa ed è stato… imbarazzante per tanti motivi, ma è stato un bacio leggero, gentile. Non mi hai mica violentata! E mi hai dato il tempo di tirarmi indietro prima di riprovarci, come poi ho fatto,” lo rassicura, intenerita: non le sembra di stare parlando con un uomo di quarant’anni, anzi, le sembra di essere quasi tornata indietro ai primi timidi ed impacciati approcci dei compagni del liceo, “e poi… se non ti ho mai odiato dopo tutti i nostri litigi, i nostri scontri, tutte le volte che mi hai più o meno velatamente mandata a quel paese, tutte le tue critiche nei miei confronti… pensi davvero che inizierei a farlo dopo che, ripeto, mi hai salvato la vita, dopo che ti sei confidato con me, anche se sotto effetto dei farmaci? Dopo che hai ammesso in qualche modo di… di tenere a me? Non mi hai fatto nulla di male, anzi, in fondo mi hai fatto un grandissimo complimento.”
 
“Un complimento non gradito però… che sapevo non essere gradito e… la verità è che mi vergogno del mio comportamento e-“
 
“E fai male, perché non hai nulla di cui vergognarti! Tenere a qualcuno, riuscire a provare empatia, a volere bene, ad amare gli altri, non vuol dire essere deboli, anzi, ci vuole coraggio per mettersi in gioco e… per fare tutto quello che tu hai fatto negli ultimi giorni, prima durante e dopo quella sparatoria,” lo incoraggia, posando una mano sull’avambraccio sano e stringendo lievemente, non stupendosi affatto quando lui lo ritrae bruscamente, come se si fosse scottato, teso come una corda di violino.
 
“Il limite tra il coraggio e la follia è molto sottile, Camilla. Ma del resto sto parlando con una delle massime esperte in materia,” ironizza, con quel tono di sfottimento che lei conosce fin troppo bene e che la riporta per un attimo a quella che è sempre stata la normalità tra loro. Allo stesso tempo però c’è qualcosa di diverso: non sa se sia autosuggestione, ma le sembra di cogliere una nota affettuosa nel modo in cui la prende in giro, in quel mezzo sogghigno, nel modo in cui la guarda.
 
“Ammettere i propri sentimenti potrà richiedere forse un minimo di… di incoscienza, ma non è una follia, anzi, l’amore, in tutte le sue forme, è una cosa bellissima, è ciò che ci rende persone, che ci rende vivi, che ci rende umani. La follia vera è l’esatto contrario: è essere incapaci di provare sentimenti per gli altri e me ne sono resa ancora di più conto dopo essere… diciamo entrata nella mente di un sociopatico come Misoglio.”
 
“Ti ringrazio del paragone, ma sapere di essere meglio di Misoglio ai tuoi occhi non mi è proprio di grande consolazione,” ribatte, non potendo evitare il sarcasmo, per poi aggiungere, amaro e disilluso, “e non c’è niente di bello nell’amore se ad amare è uno solo, anzi, fa molto male.”
 
“Cosa c’è?” le chiede dopo qualche attimo di silenzio, stupito dal fatto che lei non abbia come al solito la risposta pronta in tasca.
 
“Niente è che… oggi è una giornata di déjà-vu. Gaetano mi disse praticamente la stessa frase che mi hai appena detto tu, tanti anni fa,” spiega con un mezzo sorriso, scuotendo il capo, colpita non solo dalla coincidenza, ma anche e soprattutto da quell’ammissione indiretta, che rende tutto più reale.
 
“Ma, nel vostro caso, anche allora… non era uno solo ad amare, vero?” domanda, con il tono di chi conosce benissimo la risposta.
 
“No… col senno di poi no. Ma poco cambiava per lui, e anche per me, visto che continuavo a respingerlo.”
 
“Ma lo amavi e lo ami ancora, mentre per me… che cosa senti? Gratitudine, pietà? Ma di sicuro non amore. Lo so che per te Berardi è l’uomo perfetto, mentre io non sono alla sua altezza e non lo sarò mai ai tuoi occhi e… da quello che ho visto in questi giorni, non posso neanche darti torto: perfino io non mi preferirei a Berardi e-“
 
“E sbagli: sbagli a sottovalutarti, a continuare con questi paragoni con Gaetano, che sei tu il primo ad alimentare, a continuare con questo vittimismo!” sbotta, guardandolo negli occhi, per fargli capire quanto è seria, “tu non sei Gaetano Berardi, tu sei Paolo De Matteis, con i tuoi pregi e i tuoi difetti, come Gaetano ha i suoi pregi e i suoi difetti. La perfezione assoluta non esiste e sarebbe pure tremendamente noiosa. Su una cosa sola ti do ragione: Gaetano è l’uomo perfetto per me, per me, Camilla Baudino, perché siamo compatibili, siamo simili, pur con le nostre imperfezioni e le nostre differenze che però non sono mai… insormontabili e che quindi non sono un problema, anzi, ci compensiamo a vicenda. Ma non è una costante assoluta, non è un dato di fatto, una legge universale: ci saranno sicuramente un sacco di donne che preferirebbero mille volte te a Gaetano e-“
 
“Ah sì, e dove sarebbero?” la interrompe con una mezza risata amara, prima di indicare la porta e proclamare, “c’è proprio la fila lì fuori!”
 
“Basterebbe che ti guardassi un po’ intorno e ti accorgeresti che esistono eccome,” sospira Camilla, pensando alla povera Grassetti, che sono anni che si strugge per De Matteis e che ha appena scoperto nel peggiore dei modi possibili di non essere affatto ricambiata.
 
“Qui intorno vedo solo te, Camilla, ed è proprio questo il problema. Non me ne faccio niente di queste ipotetiche altre donne, visto che l’unica che mi interessa… non è interessata a me,” ammette a fatica, guardandola negli occhi in un modo che le fa male e la fa sentire tremendamente in colpa anche se, lo sa bene, non è colpa di nessuno.
 
“Mi dispiace, ma-“
 
“No, non devi scusarti: non è colpa tua. Non si sceglie chi si ama, l’ho capito in questi giorni. E credimi, se avessi potuto scegliere di chi innamorarmi, non avrei mai scelto te, senza offesa,” sdrammatizza, sorprendendosi quando la sente ridere.
 
“Lo so… e avresti fatto bene, perché… non so cosa ci vedi in me ma, credimi, non sono la donna adatta a te, Paolo,” risponde, nuovamente serissima, guardandolo negli occhi.
 
“Non sei tu, sono io? Da te mi aspettavo qualcosa di più originale,” ironizza, di nuovo sarcastico, “e lo sai benissimo cosa vedo in te, Camilla, che poi è probabilmente la stessa che vede Berardi e che vedeva o vede mio fratello…”
 
“Guarda che sono seria: sì, posso intuire cosa… cosa vedi in me, ma… io e te siamo troppo diversi, siamo ai poli opposti su tutto, non andiamo d’accordo su niente. Per me è bianco e per te è nero: abbiamo concezioni dell’ordine completamente diverse, abitudini diverse, gusti diversi, opinioni diverse e siamo entrambi testardi da morire. Non riusciamo a stare cinque minuti senza discutere animatamente, anche oggi è successo. Posso capire che ti piaccia… che ti piaccia il fatto che io ti tenga testa, che magari lo trovi divertente, stimolante, ma cosa sarebbe dover discutere ogni giorno, ogni ora, di ogni singolo particolare su cui non siamo d’accordo? Davvero rischieremmo di finire alla neuro, o io, o te o entrambi. Lo sai anche tu che… che non potrebbe funzionare.”
 
“E quindi, vedi che anche tu alla fine concordi con me che amare è una follia?” la schernisce, ma con una nota amara nella voce che non passa inosservata.
 
“Forse amare me, per te è una follia, perché non sono la donna giusta per te, ma la vera follia sarebbe se facessi di tutta l’erba un fascio, Paolo, e se davvero ci tieni a me, ti prego con tutto il cuore di non farlo,” lo implora, trafiggendolo con un’occhiata che gli fa male al cuore, per poi aggiungere, con quel sorrisetto che da sempre lo snerva e lo affascina in egual modo, “anche perché se no mi costringeresti ad anni di analisi per superare il trauma derivante dai sensi di colpa e ti avverto che, in quel caso, ti invierei le parcelle. E se non ricordo male viaggiamo sul centinaio di euro a seduta, a cui poi probabilmente dovresti pure aggiungere le parcelle di un buon cardiologo, conoscendoti.”
 
“Camilla…” sorride, commosso, comprendendo finalmente del tutto il motivo della sua visita. Le prende la mano, sorprendendosi quando lei non si ritrae e ricambia anzi la stretta, sussurrando semplicemente, “grazie.”
 
Basta uno sguardo per sapere che lei ha capito e che non servono altre parole.
 
“Forse è meglio che tu vada adesso… Berardi ti starà aspettando e… credo di avere bisogno di un po’ di tempo, da solo…” proclama, lasciandole la mano con uno sforzo quasi sovraumano, perché la verità è che vorrebbe rimanere così per sempre. Ma lei no, ed è quello il problema e la sua presenza, la sua… la sua dolcezza, la sua preoccupazione, avere conferma di che donna straordinaria sia, non lo aiutano di certo a metterci una pietra sopra.
 
“D’accordo… ma cerca di non farne passare troppo di tempo, da solo,” pronuncia con un’occhiata che, di nuovo, vale più di mille parole e che indica chiaramente che ha colto perfettamente tutti i sottotesti, alzandosi in piedi, “ah, e in tal proposito, se mi posso permettere un consiglio…. Noi donne apprezziamo un po’ di mistero, è vero, ma… diciamo che la maggioranza delle donne se incontra un uomo che continua a criticarle e a cercare ogni pretesto per litigare furiosamente, difficilmente interpreta tutto questo come una dichiarazione d’amore. Anzi, se ne incontri una così, ti consiglio di scappare e anche di corsa. Quindi… la prossima volta, forse un approccio un pochino più diretto, non guasterebbe.”
 
Si limita ad annuire e sorridere, un nodo in gola che gli impedisce di parlare.
 
Lei, di nuovo, sembra capire. Gli sorride di rimando, uno di quei sorrisi aperti e sinceri che le illuminano il viso e che fino ad un paio di giorni prima non avrebbe mai pensato di vedere, non rivolto a lui.
 
Un tocco morbido sulla guancia, così rapido che per un attimo pensa di averlo immaginato. Un bacio di addio.
 
La osserva fino a che la vede sparire dietro la porta, il sorriso congelato sulle labbra, il cuore in gola.
 
Non sa quanti minuti siano passati quando una goccia gli cade sul braccio, facendolo sussultare, mentre si rende conto di avere le guance bagnate di lacrime. Ma, sinceramente, non gli importa.

 
***************************************************************************************
 
“Grazie mille, è tutto buonissimo!”
 
“Che detto da mia madre è un gran complimento, Francesca, fidati: devi esserne lusingata,” commenta Camilla con un sorriso, terminando l’ultimo carciofo alla giudia e dovendo ammettere che sua madre ha ragione. La mina vagante è davvero un’ottima cuoca, a differenza del fratello, e Camilla si chiede da chi abbia preso questo talento inatteso.
 
“Figuratevi… ho fatto due cose così, al volo,” minimizza Francesca con un sorriso.
 
“Cioè i suoi cavalli di battaglia: ha cucinato tutto il pomeriggio!” la punzecchia Nino, guadagnandosi un affettuoso e lieve scappellotto sulla nuca.
 
“Grazie davvero, Francesca, ma non dovevi disturbarti tanto!”
 
“Figurati, fratellone. E poi dovevo tenere alto il buon nome della famiglia e dimostrare che andare a cena da un Berardi non è necessariamente sinonimo di lavanda gastrica,” ironizza, evitando per un soffio un pizzicotto sul fianco dal fratellone.
 
In tutto questo, Jerry assiste silenzioso a capotavola, sbocconcellando i suoi carciofi, un’aria sofferente nel volto e nel colorito che non passa inosservata a nessuno degli ospiti.
 
“Se mi passate i piatti, servo il dolce e-“
 
“No, aspetta, ti do una mano,” si offre Camilla, alzandosi in piedi e iniziando a raccogliere piatti e posate insieme alla padrona di casa, fino a che il suono del campanello non le interrompe.
 
“Aspettavate qualcuno?” domanda Gaetano, incuriosito, dato che sono ormai le nove di sera. Non è tardissimo, visto che, per via di Jerry, a casa di Francesca si mangia presto, ma non è nemmeno un orario molto comune per le visite.
 
“No, no… vado a vedere,” proclama Francesca, avviandosi verso la porta.
 
“Scusami se ti disturbo ma… stavo facendo alcune consegne e… ho pensato di portarti questo, per ringraziarti per quello che hai fatto per mio fratello e per tutta l’ospitalità che hai dato a questo mascalzone qui!” sentono una voce familiare provenire dall’ingresso.
 
“Grazie mille, ma non serviva, non dovevate disturbarvi!” replica la voce di Francesca.
 
“Ma che disturbo… e poi il mascalzone voleva vedere il suo amico… come si dice? Gli ultimi bagordi in terra italiana, prima dei bagordi universitari oltreoceano,” scherza la voce maschile, facendo ridere Francesca.
 
“Grazie, davvero…”
 
“Beh, io allora andrei…”
 
“Ma no, stavamo mangiando il dolce, e ne ho fatto un po’ di  più. Venite, venite, non state sulla porta…”
 
“Non vorremmo dare disturbo e poi…”
 
“Ma che disturbo! Venite, anzi, questo vino è proprio perfetto per l’occasione!” proclama Francesca, svoltando l’angolo e raggiungendo il resto dei commensali, seguita a ruota da Tom e Marco che, vedendoli tutti riuniti intorno al tavolo, appare immediatamente imbarazzato.
 
“Marco, che piacere rivederla!” proclama Andreina con un sorriso, come sempre gentilissima nei confronti del mancato genero, per cui aveva subito nutrito una forte simpatia, ricambiata.
 
“Signora Andreina, anche per me è sempre un piacere. Camilla, Gaetano, Nino, Livietta… Jerry,” saluta, ricambiando il sorriso ma passandosi una mano tra capelli in un modo che tradisce disagio.
 
“Marco,” proclamano all’unisono Camilla e Gaetano, scambiandosi poi un’occhiata di intesa. Gaetano sente Camilla stringergli la mano sotto la tovaglia e ricambia, sorridendole.
 
“Sono felice di vedervi qui, tutti insieme, dico sul serio. Lo so che sono stati giorni molto complicati…” dichiara Marco con un sorriso ed un tono che sembrano sinceri, guardando dritto negli occhi Camilla e poi Gaetano.
 
“Sì, ma per te ancora di più. Ti vedo stanco, Marco, ma… abbiamo visto tuo fratello oggi e… e penso che si riprenderà molto presto: è un uomo forte e combattivo. Come te, del resto,” replica Camilla, ricambiando lo sguardo, mentre i sottotesti non sfuggono né a Marco, né a Gaetano.
 
“Già… io e mio fratello abbiamo scoperto di avere molte più cose in comune di quanto credessimo… e comunque devo ringraziarvi ancora per tutto quello che avete fatto per lui. Se è vivo è solo merito vostro e non lo dimenticherò mai,” dichiara Marco, commosso, alternando lo sguardo tra Camilla, Gaetano e Francesca.
 
“Posso dire lo stesso di tuo fratello, Marco,” risponde Camilla con un sorriso altrettanto commosso.
 
“E no, eh! Questa sera si festeggia, niente commozione, niente lacrime e niente musi lunghi. Ma so cosa ci vuole: la mia arma segreta, la meringata al cioccolato!” si inserisce Francesca, con il suo solito entusiasmo contagioso, facendo accomodare Marco e Tom ed avviandosi in cucina.
 
Svariate fette di meringata e svariati bicchieri di passito più tardi, l’atmosfera sembra essersi definitivamente rilassata: i ragazzi che discutono di una mega festa in spiaggia per la sera successiva, mentre Marco e Francesca tengono banco, raccontando al resto dei commensali le esperienze più assurde avute nei posti più strani, durante i loro anni ruggenti da giramondo.
 
Gaetano nota, con una punta di sollievo, che in un’ipotetica gara su chi ha avuto la gioventù più spericolata, perfino la mina vagante deve arrendersi di fronte allo spirito avventuroso di Marco.
 
“A proposito di viaggi, magari un po’ meno movimentati, almeno spero, il nostro artista qui avrebbe una proposta, vero Tom?” domanda Marco ad alta voce, portando suo figlio a guardarlo e ad interrompere la discussione sulla logistica degli spostamenti per la festa ad Ostia, che era stata seguita con un orecchio vigile anche da Camilla e da Gaetano.
 
“Sì… ecco… tra una settimana partirò per New York e… insomma, qui le scuole sono chiuse ancora per un po’ di settimane e anche i miei corsi non inizieranno prima di settembre inoltrato. Quindi pensavamo con i ragazzi della band di organizzare qualcosa per il mese prossimo, fare un po’ di vita newyorkese, stare un po’ insieme, poi so che qualcuno di loro vorrebbe tentare di entrare alla Juilliard l’anno prossimo. E ci terrei davvero tanto che Nino venisse con me e… e sei invitata anche tu, Livietta, ovviamente: ormai fai parte del gruppo,” proclama, con un tono da perfetto boyscout che preoccupa Camilla e Gaetano quasi di più che se avesse usato i suoi soliti modi diretti e senza peli sulla lingua.
 
Gaetano non può trattenere una smorfia di dolore mentre Camilla gli stritola la mano.
 
“Per me se Nino vuole andare non ci sono problemi, anzi: è da un sacco di tempo che non va in America e poi New York è New York. Ricordo ancora la prima volta che ci sono andata, a diciannove anni!” proclama Francesca entusiasta, mentre Gaetano pensa che anche lui non se lo scorderà mai il primo viaggio a New York di sua sorella, dovesse campare cent’anni.
 
Era praticamente scappata di casa con un aspirante attore squattrinato, che in teoria lavorava a Broadway ma che in realtà si faceva mantenere dai suoi facoltosi amanti. Sua sorella l’aveva scoperto nel modo peggiore: trovandolo a letto con un altro uomo e un’altra donna. Ricorda ancora la sua chiamata in lacrime alle quattro del mattino ora italiana, pregandolo di inviarle i soldi per il volo di ritorno, dato che il tizio in questione si era fregato pure quelli. Ovviamente era andato a riprenderla di persona.
 
Ma, evidentemente, agli occhi di sua sorella quella ormai doveva sembrare solo una grande avventura, anche perché, lo sa bene, le era capitato anche di molto peggio.
 
“Che ne pensi, Jerry?!” chiede Francesca al marito, che si limita ad annuire, un’aria tra lo stanco e il rassegnato.
 
“Mamma, posso?!” domanda Livietta, chiaramente elettrizzata dalla prospettiva.
 
“Livietta… non lo so… dobbiamo parlarne con tuo padre, lo sai,” abbozza Camilla, cercando di prendere tempo, per nulla entusiasta all’idea di sua figlia da sola con amici, quasi tutti maschi, oltreoceano. E se già è preoccupata lei, sa che a Renzo come minimo verrà un infarto.
 
“Ma tu che ne pensi?” le domanda Livietta, trafiggendola con un’occhiata eloquente.
 
“Non lo so… ci devo pensare,” temporeggia nuovamente, incrociando lo sguardo di Gaetano che sembra essere del suo stesso parere.
 
“Che, nel linguaggio dei genitori, significa no,” le fa notare la ragazza, incrociando le braccia e sbuffando, ritornando in un secondo la Livietta adolescente che, da quando si è separata da Renzo, sembrava essere quasi completamente svanita.
 
E non sa perché, ma non può evitare di esserne felice, anche se Livietta dovesse tenerle il muso per qualche giorno.

 
***************************************************************************************
 
“A cosa devo tutto questo?” le sussurra sulle labbra, senza fiato, imprigionato contro la porta della loro stanza da letto dalle curve morbide di Camilla, che aderiscono al suo corpo in un modo che lo fa impazzire di desiderio, ma mai quanto lo sguardo giocoso nei suoi occhi castani.
 
“Al fatto che ti amo e che sei stato meraviglioso oggi, Otello,” sussurra, accarezzandogli il viso e mordicchiandogli lievemente il labbro, “grazie per tutto l’amore e… tutta la fiducia e tutto il sostegno che mi dai.”
 
Quando era uscita dalla stanza di De Matteis si era quasi aspettata di trovarlo lì, fuori dalla porta, e invece… invece era davvero da Mancini. Si era allontanato, aveva avuto completa e totale fiducia in lei, fino in fondo. E anche con Marco si era comportato da vero gentleman, senza alcuna tensione, alcun rancore.
 
“Sono il tuo amore, la tua fiducia e il tuo sostegno che mi rendono un uomo migliore, Camilla, da sempre…”
 
Un sorriso commosso, un bacio travolgente, i vestiti che svaniscono. Si perdono e si ritrovano tra le lenzuola di cotone.
 
***************************************************************************************
 
“Ciao Ilenia…”
 
Quelle due parole pronunciate quasi all’unisono, come ai vecchi tempi, quando facevano praticamente tutto insieme. Quegli occhi scuri si posano su di loro, mentre trattengono il fiato aspettando la sentenza, la giusta punizione.
 
“Sammy, Marchese! Sono così felice di vedervi!” esclama invece con un sorriso luminoso, nonostante la maschera d’ossigeno e le evidenti difficoltà a respirare, “che c’è? Perché fate quella faccia? Sono messa così male?”
 
“No, no... è che… l’ultima volta che ci siamo viste ti ho detto cose terribili, Ilenia. Ti ho incolpata di quello che era successo a me e a Pietro… ho dubitato di te. Pensavo… pensavo ce l’avessi a morte con me e a ragione,” ammette Sammy, completamente spiazzata ed imbarazzata.
 
“Anche io, Ilenia… insomma… mi dispiace per… per l’arresto, per tutto…” mormora Marchese, non potendo evitare di arrossire, ripensando a tutto quello che le aveva sputato addosso quando l’aveva fermata e… messa al tappeto.
 
“Avevate appena visto la morte in faccia e… Sammy, tu avevi appena rischiato di perdere tuo marito e… Marchese, tu stavi facendo il tuo lavoro e poi… e poi lo so che tutto era contro di me. Non oso immaginare cosa abbiate pensato, quanto vi siate sentiti traditi e… e dopo tutto quello che avevate rischiato per me, per aiutarmi,” sussurra Ilenia, non potendo trattenere le lacrime: è dal sequestro, dall’arresto di suo padre che si ritrova a scoppiare a piangere per un nonnulla. Spera che sia un effetto temporaneo del cortisone e dei tranquillanti che le hanno dato e non una situazione definitiva.
 
“Ilenia…” sussurrano, preoccupati, avvicinandosi a lei.
 
“Scusate, sono un disastro è che… Gaetano e la prof. mi hanno spiegato tutto quello che avete fatto per cercare di tirarmi fuori dai guai. Che tu ti sei quasi fatto sospendere e tu sei andata perfino contro tuo marito e ti stavi giocando il matrimonio. Nonostante non ci vedessimo da otto anni, nonostante tutte le prove fossero contro di me. Io… come potrei avercela con voi? Siete gli amici migliori che avrei mai potuto desiderare di avere e mi dispiace che per colpa di mio padre… siate stati coinvolti in tutto questo,” pronuncia, con voce tremante, prima di essere avvolta dalle braccia di Sammy, piangendo insieme a lei come quando erano ragazze e Sammy la ascoltava, la consolava e la coccolava dopo l’ennesimo sopruso, l’ennesima violenza di suo padre.
 
Come allora, Marchese è lì, al loro fianco, una presenza discreta, silenziosa, ma costante.
 
Questa volta però Ilenia solleva il viso, lo guarda e gli porge la mano. Si ritrovano in un abbraccio di gruppo che sa di amicizia, di amore, di fratellanza, quella vera.
 
Perché non è vero che la famiglia è solo quella che ti capita: è anche quella che ti scegli. E loro si sono scelti, tanti anni prima, tra banchi smangiati, pareti coperte di scritte irripetibili e termosifoni perennemente malfunzionanti di quella scuola a cui devono così tanto e a cui sono legati alcuni dei ricordi più belli della loro vita.
 
Ed è un legame che, ora lo sanno, resisterà per sempre.

 
***************************************************************************************
 
“Posso?!”
 
“Ma certo, Grassetti, venga, non stia sulla porta,” la incoraggia, notando il suo sguardo timido ed esitante, ancora più del solito, rigida sull’attenti, quasi paralizzata nella cornice della porta.
 
Del resto anche lui non può evitare di arrossire leggermente, ricordando benissimo cos’era successo l’ultima volta che si erano visti: l’aveva colto in flagrante durante quel bacio a cui, purtroppo, aveva assistito praticamente mezzo mondo.
 
Ma Grassetti, a differenza di suo fratello e di Berardi, non è solo una donna ma è, prima di tutto, uno dei suoi uomini e per questo si sente doppiamente a disagio. Mano a mano che erano passati i giorni e non era più tornata a visitarlo, aveva cominciato a temere di avere perso completamente la faccia con lei. E questo gli farebbe male, visto che Grassetti è sempre stata l’unica della sua squadra a dimostrargli un po’ di stima, di fiducia, forse perfino di ammirazione.
 
“Si accomodi… mi fa piacere vederla Grassetti. Sono stato aggiornato da Berardi e so che siete stati molto impegnati, sia lei, sia Marchese, e che ve la siete cavata egregiamente. Anche il questore mi ha detto meraviglie di lei: che è riuscita a dirigere e farsi rispettare da un’intera squadra di agenti e a coordinare le operazioni in un’emergenza come se non avesse mai fatto altro nella vita,” si complimenta sinceramente, indicando la seggiola posta vicina al letto e vedendola diventare rossa come un peperone.
 
“Ho… ho solo fatto il mio dovere, dottore, come lei mi ha insegnato…” balbetta, evitando per un soffio di inciampare mentre si siede, colta di sorpresa da tutte queste lodi, così non da De Matteis.
 
“No, non sia modesta: ha fatto molto di più, Grassetti, molto di più di quello che mi sarei mai aspettato da lei in questo momento della sua carriera. In effetti temo che lei e Marchese ve la caviate fin troppo bene senza di me, e che non sentiate affatto la mia mancanza,” ironizza, esprimendo però ad alta voce una paura reale: quella di sfigurare di fronte alla leadership e al carisma di Berardi.
 
“No, no, assolutamente, anzi, lei mi manca moltissimo,” lo rassicura, prima di farfugliare, dopo un attimo di pausa, bordeaux dalla punta dei piedi alla radice dei capelli, “cioè ci manca moltissimo, dottore, a tutti.”
 
“La ringrazio Grassetti, anche se ne dubito,” sospira, divertito dal suo evidente imbarazzo, prima di aggiungere, cambiando argomento, “Berardi mi ha detto che entro domenica intende ripartire per Torino. Io qui ne avrò ancora per qualche giorno ma conto di tornare al lavoro non appena mi dimetteranno, anche se mi toccherà stare dietro ad una scrivania per un po’. Mancini mi ha fatto sapere che intende prendersi un’aspettativa e… e sinceramente credo che gli farà bene e che ne ha bisogno. Pensa di riuscire a tenere il forte ancora per qualche giorno insieme a Marchese o è necessario che chieda al questore di nominare un altro sostituto?”
 
“Se… se è solo per qualche giorno, per me non c’è problema, dottore e credo nemmeno per Marchese,” replica con un tono tranquillo e deciso che contrasta con la pelle ancora purpurea, e questa volta è lui ad essere spiazzato. La Grassetti che conosceva lui fino a qualche giorno fa non avrebbe risposto così a questa domanda.
 
“Allora ho ragione a pensare che ve la caviate benissimo anche senza di me,” ironizza nuovamente con un sorriso.
 
“No, anzi… devo ancora crescere molto, dottore, devo farne molta di strada per cavarmela veramente da sola,” ammette Grassetti, improvvisamente seria, prendendo fiato prima di aggiungere quelle parole che si è ripetuta nella testa da quando ha trovato la forza e il coraggio di venirlo a trovare, “e ho riflettuto molto in questi giorni, dottore, sul mio futuro… sulla carriera che ho fatto finora e su quello che mi piacerebbe diventare e ho preso una decisione. E ci tenevo che fosse il primo a saperlo, da me, prima che lo sapesse da altri.”
 
“Sapere cosa?” domanda, spiazzato dal tono e dallo sguardo grave di lei, fisso sulle mani appoggiate in grembo.
 
“Ho intenzione di chiedere il trasferimento, dottore,” pronuncia tutto di un fiato, cercando di sciogliere il nodo in gola.
 
“Che cosa?” sussurra, sentendosi peggio che se gli avessero appena tirato uno schiaffo o un pugno allo stomaco.
 
“Sì, credo che sia arrivato il momento e-“
 
“Vuole andare anche lei a Torino da Berardi? È così?” le domanda, non potendo evitare di alzare la voce, sentendosi tradito come raramente gli era capitato nella vita.
 
“Eh?! No, no, ma come le viene in mente! Il dottor Berardi non c’entra niente: voglio solo fare nuove esperienze e… ho bisogno di… di crescere,” cerca di spiegare, stupita e addolorata dalla sua reazione.
 
“E pensa di non poterlo fare con me? Anche se davvero non c’entra Berardi, sono io il problema, Grassetti, non è vero? Lei pensa che io non sia in grado di insegnarle, di guidarla, che non sono un bravo leader, non all’altezza di uno come Berardi e-“
 
“No, no, dottore, lei mi ha insegnato tantissimo, davvero, le devo tutto, è stato il mio maestro, ma… ho bisogno di… di camminare da sola, di farcela con le mie forze e-“
 
“E quindi pensa che io non le do abbastanza autonomia? Che sono un tiranno, un despota, che non la valorizzo, che…” si interrompe, notando gli occhi di lei, lucidi e quasi spaventati, e rendendosi conto di stare gridando. Non sa perché gli faccia così male questa decisione di Grassetti: lo sa che è una cosa normale, che sono molti anni che è nella sua squadra e che capita molto sovente che i poliziotti si trasferiscano ma non riesce a non prenderla sul personale, a non sentirla come un fallimento, come una prova delle sue inadeguatezze.
 
“Mi scusi, Grassetti… non… la verità è che se lo pensa ha ragione,” riconosce, con un tono più tranquillo ma terribilmente amaro, guardandola negli occhi, “lo so che ho sbagliato molto, con lei, con Marchese, con Mancini e-“
 
“No, dottore, no, lei non… non è colpa sua. Sono io che… che ho bisogno di cambiare ambiente, di confrontarmi con altri colleghi e-“
 
“Si è trovata male con qualcuno? Mancini maltrattava anche lei?” le domanda, preoccupato, temendo in cuor suo la risposta.
 
“No, no, assolutamente. Dottore… è… la verità è che se mi allontano è soprattutto per motivi miei personali che non hanno niente a che fare con il lavoro e-“
 
“Grassetti, per favore, non mi racconti palle, non lei,” la implora e Grassetti si blocca sulla sedia, stupita da quella parola, così non da De Matteis, con i suoi modi da Lord Inglese, e dalla vulnerabilità che legge nel suo sguardo, “se ho sbagliato… ho bisogno di saperlo, ho bisogno della verità, ne ho bisogno per… per cercare di capire, di migliorare, di essere all’altezza del compito che ho e delle responsabilità che ho. Per non sbagliare di nuovo e non arrivare di nuovo a… ad un disastro come questo. Mi dica tutto quello che pensa, mi critichi, mi insulti anche, le prometto che… che non ci saranno conseguenze, che non uscirà di qui, ma ho bisogno di sapere la verità.”
 
“Dottore…” sussurra, commossa, sentendosi uno schifo e non sapendo come uscirne, “la verità, è che… è realmente un problema mio personale e… non posso confidarmi con lei. Non ora. Se davvero per lei è cosi importante saperlo, glielo dirò appena prima del mio trasferimento, l’ultimo giorno di lavoro e-“
 
“Grassetti, se mi dice così è ovvio che c’entro qualcosa e che non è un problema personale ma lavorativo! Lo so che non sono stato forse il comandante che lei e Marchese vi meritavate, che quando mi hanno nominato non avevo abbastanza esperienza, che ho sbagliato molto con voi, che ho un brutto carattere ma… ma non sono un tiranno o un despota e qualsiasi cosa mi dirà le prometto che non avrà conseguenze, glielo giuro. E credo che dopo tutti questi anni e tutto quello che abbiamo passato insieme, potrebbe fidarsi almeno un po’ della mia parola, no?”
 
Grassetti si morde il labbro: non può dirgli di no, maledizione, non se glielo chiede guardandola in quel modo. Ma perché, con tutti gli uomini sulla faccia della Terra, doveva proprio innamorarsi di lui?
 
“D’accordo… io… io… la verità è che…” balbetta, cercando disperatamente di trovare le parole, ma trovandosi con la gola secca come cartavetra.
 
Lo guarda, il battito che le martella nelle orecchie e, per una volta, butta al vento la timidezza, le paranoie, le paure, spegne il cervello e si lascia andare a quella follia che il cuore le suggerisce.
 
Si proietta in avanti, prima di cambiare idea, sfiorando quelle labbra che avevano popolato i suoi sogni negli ultimi anni. Le accarezza per un istante con le sue, il cuore che le scoppia nel petto, nella consapevolezza che queste sensazioni sono irripetibili, che questo è un bacio d’addio.
 
Si lascia andare sulla sedia, attendendo un attimo prima di alzare gli occhi e incontrare i suoi, spalancati, così come quella bocca, di cui sente ancora il sapore.
 
“Che… che significa?” balbetta stupidamente De Matteis, prima che il cervello si rimetta in moto e si riprenda dallo shock, realizzando la stupidaggine appena pronunciata.
 
“Da… da quanto?” le chiede ancora incredulo, guardandola negli occhi che sembrano brillare ancora più intensamente tra il fucsia acceso che le colora il viso.
 
“Non lo so… quasi da quando l’ho conosciuta,” ammette, mordendosi di nuovo il labbro.
 
“Io non… non me ne sono mai reso conto,” mormora, quasi come se stesse parlando a se stesso, più che a lei.
 
“Lo so e non… non serve che… che parli, che mi spieghi niente. Lo so che lei non è interessato a me e che… non potrà mai ricambiarmi. L’ho sempre saputo, una parte di me l’ha sempre saputo ma non ho mai voluto vedere la realtà finché me la sono trovata letteralmente davanti pochi giorni fa,” chiarisce, abbassando lo sguardo, perché rivede ancora quella scena e le fa male come allora, “la professoressa Baudino è… è esattamente l’opposto di me, non ci assomigliamo praticamente in nulla, né fisicamente, né caratterialmente. Non potremmo essere più diverse.”
 
“Non so cosa dire, io, mi dispiace, non-“
 
“Non serve che si scusi… non è… non è colpa di nessuno e… voglio rassicurarla, prima che me lo chieda, che lei non è mai stato ambiguo nei miei confronti, non si è mai approfittato del suo ruolo, non mi ha mai dato false speranze. Non ha nessuna colpa, ho fatto tutto da sola,” si affretta a precisare, osando infine alzare lo sguardo e incontrare quegli azzurri che la guardano con una preoccupazione ed una… una empatia, una comprensione che non avrebbe mai pensato di sentire da parte di De Matteis, sempre così rigido e distante, “però ora capisce, vero? Capisce perché… perché ho bisogno di… di questo trasferimento? Credo che nessuno possa capirmi meglio di lei in questo momento.”
 
Non sa cosa la sorprende di più, se la mano che afferra la sua o il grazie che gli sente pronunciare mentre gliela stringe forte per qualche istante.
 
Una stoccata al cuore mentre si rende conto di due cose: che è questo il vero De Matteis, quello che non ha mai conosciuto, e che l’uomo che si nasconde dietro la maschera è ancora meglio del mistero di cui si è invaghita, come un’adolescente che perde la testa per la celebrità del momento.
 
E non sa se il dolore agrodolce nel petto sia dolore, o tenerezza, o amore, ma, mentre si fa forza e gli lascia la mano, dopo un’ultima stretta spasmodica, ha una sola, incrollabile certezza: è arrivato il momento di crescere.

 
***************************************************************************************
 
“Ma sei sicuro che ci sia un ristorante da queste parti? Era pieno di locali carini dove eravamo prima, qui è tutto buio…”
 
Era ormai un quarto d’ora che camminavano, dopo aver lasciato Livietta, Nino, Tom e gli altri alla famosa festa sulla spiaggia ed essersi allontanati di corsa da quella musica e da quella bolgia infernale per cercarsi un angolino tranquillo solo per loro.
 
Sua madre era in campagna, da Amedeo, per parlare. Una cena chiarificatrice l’aveva definita Andreina, con un tono ed uno sguardo malinconici che non lasciavano presagire nulla di buono.
 
“Professoressa… cos’è non ti fidi?” la punzecchia Gaetano, distogliendola dai suoi pensieri, stringendola ancora di più a sé, per poi abbassare il capo fino a sfiorare il suo e sussurrarle sulle labbra, “e poi non lo sai che l’oscurità ha molti lati positivi?”
 
La sente sorridergli sulle labbra prima di lasciarsi andare ad un bacio dolce ed appassionato, il profumo di salsedine nelle narici, protetti da quell’angolo buio tra due caseggiati in riva al mare.
 
Si incamminano, ancora abbracciati, sul lungomare, per poi abbandonare le scarpe e proseguire sulla sabbia fredda e umida.
 
“Mi spieghi dove stiamo andando?” gli chiede, incuriosita, ormai certa che tutto questo peregrinare abbia una meta precisa.
 
“Un po’ di pazienza e lo scoprirai…” sussurra, continuando a condurla dolcemente, senza fretta.
 
Il rumore di musica, bonghi e tamburi li raggiunge e aumenta di volume, sempre più forte.
 
Intravede infine in lontananza una struttura illuminata, che riconosce come una tenda berbera.
 
Ancora in silenzio percorrono gli ultimi metri che li separano dall’ingresso della tenda. Gaetano annuncia il suo nome e vengono fatti accomodare. Dentro è un tripudio di percussioni, suoni, aromi di spezie, tappeti e tavolini bassi, al centro dei quali campeggiano enormi piatti da cui i commensali attingono il cibo con le mani.
 
Un ristorante africano.
 
A dir poco sorpresa da questa scelta, anche se l’abbigliamento di Gaetano, completamente vestito di lino bianco , è decisamente casual – come il suo prendisole a righe bianche e blu del resto – si lascia guidare ad un tavolo d’angolo, un po’ appartato e ancora libero.
 
“Ti ho stupita, dì la verità!” la provoca, facendole l’occhiolino.
 
“Sì, come sempre, del resto,” ammette con un sorriso, “non mi aspettavo un posto così… pittoresco.”
 
“Non in negativo, spero,” le domanda tra le righe, in lieve apprensione.
 
“No, no, anzi. La cucina africana mi piace, per quel poco che l’ho assaggiata e… mi piace l’atmosfera che si respira qui. È quasi… onirica,” commenta, guardandosi incontro e respirando l’aria carica di aromi.
 
“Bene, perché volevo un posto unico, per festeggiare un anniversario molto speciale,” proclama con un sorriso, stringendole la mano.
 
“Anniversario?” domanda, spalancando gli occhi e andando in panico, mentre si fa due conti, “ma oggi non è il nostro anniversario… anzi, scusami, ma dovremmo forse metterci d’accordo su quale sia il nostro anniversario? La sera a casa di Madame? Il giorno in cui ci siamo baciati in ospedale? Quando ho… quando ho lasciato Renzo definitivamente? Ma in ogni caso le date non coincidono.”
 
“In effetti hai ragione: ne abbiamo fin troppi di anniversari da ricordare e… per me sono tutti importanti allo stesso modo. Del resto la nostra storia in un certo senso è iniziata tanti anni fa, no?”
 
“Già…” sussurra lei con un sorriso, intrecciando le loro dita.
 
“Quindi, se vuoi ne scegliamo uno ma… perché scegliere? Così abbiamo più occasioni da festeggiare,” le sussurra, malizioso, facendole l’occhiolino e stampandole un bacio veloce ma da togliere il fiato.
 
“Mmm… mozione approvata incondizionatamente,” acconsente, mordicchiandogli il labbro prima di separarsi da lui.
 
“Ehm… ehm… scusate, se volete torno dopo,” commenta una voce maschile.
 
Camilla si volta verso il cameriere che li guarda tra il divertito e l’imbarazzato e che ha un’aria decisamente familiare.
 
“Dingo!” esclama dopo qualche secondo, spalancando la bocca per la sorpresa, “Pietro Morucci! Classe quinta B, liceo Leonardo Da Vinci, anno scolastico ’95-’96! Saranno… saranno dieci anni che non ci vediamo, ma non sei cambiato per niente.”
 
“Grazie prof.! Invece lei la vedo parecchio cambiata, ma in meglio,” commenta con un mezzo sorriso sornione, guadagnandosi uno scappellotto sul braccio.
 
“Ma che ci fai qui? Fai il cameriere adesso?” gli domanda, spiazzata, ricordandolo come il leader carismatico di un centro sociale.
 
“Anche… ma in realtà… questa baracca è mia, anzi, mia e di mia moglie,” rivela, passandosi una mano tra i capelli.
 
“No! Ti sei convertito alla monogamia nuziale e pure al bieco capitalismo?!” lo punzecchia ironica, facendolo ridere.
 
“Mi dichiaro colpevole del primo capo di imputazione ma non del secondo: ho fondato una cooperativa e… qui ci lavorano un sacco di persone che hanno bisogno di una seconda possibilità. Rifugiati, ex tossicodipendenti, abbiamo pure qualche ex carcerato. Certo non è facile, ma cerchiamo di selezionarli bene, cooperiamo con varie comunità di recupero e di reinserimento, e… per ora non abbiamo mai avuto problemi, o meglio, i pochi problemi che abbiamo avuto siamo sempre riusciti a gestirli, vero commissario?”
 
“Tu lo sapevi?! Ma certo, che stupida! Ovviamente non è una coincidenza!” esclama, guardando Gaetano e scuotendo il capo, incredula.
 
“Amore! Ma come, sono arrivati i nostri ospiti d’onore e non mi avvisi?!” proclama una voce femminile e Camilla si volta, se possibile, ancora più sconvolta.
 
“Marta?!” chiede, riconoscendo nella bellissima donna di fronte a lei quello scricciolo dalle profonde occhiaie scure, gli artigli affilati di un leone e le calze perennemente squarciate che era riuscita a strappare ad un volo senza ritorno tanti anni fa.
 
Il suo primo caso, il loro primo caso, intuisce, incrociando gli occhi azzurri di Gaetano, incredula. Ma non era luglio… questo lo ricorda bene, faceva ancora freddo.
 
“Ma quindi è lei… è lei tua moglie? Siete sposati?” domanda poi a Dingo, facendo il collegamento mentale.
 
“Sì, da cinque anni ormai,” conferma sorridente l’uomo, abbracciando la moglie, orgoglioso.
 
“E io sono pulita, completamente, da dieci anni,” aggiunge Marta, semplicemente, lo sguardo fiero, deciso e limpido.
 
“Mamma, mamma!”
 
Due bambini corrono verso il tavolo, accompagnati da un’altra donna bellissima, nera come l’ebano, coperta da un turbante e da lunghe vesti coloratissime.
 
“E avete due figli?” chiede Camilla, come un disco rotto, ormai piacevolmente scioccata, sentendosi trasportata in un mondo parallelo.
 
“Sì: questo terremoto è Nicola e ha nove anni. E questo uragano è Milla e ne ha 4,” conferma Marta con un sorriso, abbracciando i figli, nonostante le proteste del bimbo che cerca di svicolare.
 
Nicola…
 
Nove anni…
 
Camilla guarda meglio quel bimbo dagli occhi azzurri e i capelli chiari, riconoscendo alcuni tratti di quel ragazzo sfortunato, il volto ancora fanciullesco, che aveva visto per pochi secondi, massacrato dalle botte, in un lago di sangue, mischiati ad altri lineamenti che invece ha decisamente ereditato dalla madre.
 
“Milla…” sussurra poi, il cervello che riconosce quel nome, quel nome che sente spesso sulle labbra di Tommy.
 
Le servirebbe un vermut, doppio, per sciogliere il groppo in gola, ma peggiorerebbe ancora di più il bruciore agli occhi.
 
“Le devo tutto quello che ho, letteralmente,” sussurra Marta di rimando, con un sorriso, capendosi senza parole.
 
“Sei un’amica della mia mamma?” chiede la bimba, incuriosita, avvicinandosi e tirandole la lunga gonna, in quel gesto che Camilla riconosce benissimo, da Livietta e, adesso, da Tommy.
 
“Sì,” annuisce con un sorriso, la voce roca, abbassandosi per prenderla in braccio e scarmigliando i suoi capelli neri e riccissimi, mentre la bambina, nell’età dei perché, la sottopone ad un serratissimo fuoco di fila di domande.
 
“Ogni riccio un capriccio, e ficcanaso, proprio come l’originale,” le sussurra Gaetano in un orecchio, facendole l’occhiolino e guadagnandosi una gomitata tra le costole e un bacio sulla guancia.
 
Non sa come sia possibile, ma sente di non averlo mai amato tanto quanto lo ama ora. E sa, nel profondo del suo cuore, che anche domani potrà dire esattamente lo stesso.

 
***************************************************************************************
 
“A questi venticinque casi insieme e… no, forse non è il caso di augurarcene altri venticinque, visto che staremmo di fatto augurando la morte almeno ad altre venticinque persone,” proclama, sollevando il  bicchiere di limonata – niente alcolici in questo ristorante, sia per motivi culturali e religiosi, che per evitare tentazioni agli ex alcolisti ed ex tossicodipendenti che ci lavorano – e facendola ridere di gusto.
 
“Ti ho già detto quanto ti amo, stasera?” gli domanda, dopo un sorso di limonata, accarezzandogli il viso.
 
“E ti ho già detto che non mi stancherò mai e poi mai di sentirtelo dire?” le chiede di rimando, sfiorando il naso con il suo e baciando quelle labbra che sanno di limone.
 
“Come hai saputo di… di questo posto? Di Pietro e di Marta?” gli chiede dopo qualche attimo di silenzio, trascorso ad assaporare qualche altro boccone di questo cibo delizioso dai nomi inintelligibili.
 
“Ho cercato di tenere d’occhio Marta, con discrezione, per quanto è possibile cerco sempre di farlo quando… quando capitano casi come il suo. E quando hanno deciso di mettere in piedi questo posto, ho suggerito loro alcuni contatti con le comunità della zona e con i responsabili dei programmi di reinserimento al lavoro delle carceri. Ma era da qualche anno che li avevo persi di vista, da quando mi ero trasferito. Non sapevo di… di Milla, né che alla fine si fossero sposati, anche se sapevo che Pietro di fatto è sempre stato un po’ come un padre per Nicola,” spiega con un sorriso, “pensando al nostro venticinquesimo caso mi è venuto spontaneo contattarli per chiedere se fossero ancora in attività e… ho avuto anche io una bella sorpresa, che non potevo certo non condividere con te.”
 
“Grazie…” sussurra, commossa, stringendogli la mano.
 
Finiscono le ultime manciate di cibo in religioso silenzio, mentre intorno a loro la musica si alza di volume e alcune coppie agli altri tavoli si alzano a ballare, cercando di seguire i passi dei danzatori africani che animano il centro della tenda, di fronte ai percussionisti.
 
“Scommetto che ad una certa erede femminile di Tony Manero andrebbe un ballo…” la provoca, sperando in cuor suo di avere ragione, perché il modo in cui si trasforma e si scatena sulla pista da ballo è una delle cose di lei che ama di più in assoluto.
 
“Non so se sono capace…” cerca di obiettare, osservando preoccupata i movimenti energici, ritmici, esplosivi e allo stesso tempo sinuosi dei danzatori, lasciandosi però trascinare in piedi e condurre nel centro della pista senza troppe proteste.

 
***************************************************************************************
 
“E meno male che non eri capace! Ancora un po’ e ti ingaggiavano per entrare nella compagnia! Ti hanno perfino regalato il turbante!” esclama orgoglioso, sentendola rifugiarsi nel suo collo, mentre camminano lentamente, a braccetto, sulla battigia.
 
“Che ti posso dire…? Mi piace ballare, mi dà la carica!” risponde con un sorriso, sollevando gli occhi per spiare il profilo del suo viso.
 
“L’ho notato: sono quasi le cinque del mattino! Hai fatto la predica a Livietta perché voleva fare l’alba, ma tra un po’ toccherà a lei aspettare noi,” le fa notare, ricambiando il sorriso e guadagnandosi un pizzicotto nel costato, “non so dove la trovi tutta questa energia, questo fiato: mi hai distrutto! Non sento più i piedi… meno male che almeno l’acqua è fredda e mi dà un po’ di sollievo. Mi sa che sto diventando troppo vecchio per queste cose.”
 
“Guarda che sono più vecchia io di te, dottor Berardi, quindi questa scusa non vale. Non sarà che ballare con le ventenni ti ringalluzziva di più che guardare una povera cinquantenne dimenarsi come una tarantolata?” lo punzecchia sarcastica, facendogli l’occhiolino.
 
“Guarda che la cinquantenne dà piste a dieci ventenni messe insieme. E non parlo solo del ballo,” le sussurra all’orecchio, sentendo le sue labbra sfiorargli il collo.
 
“D’accordo… diciamo che ci credo. Certo, è un peccato se sei davvero così stanco, senza energie, senza forze…” commenta con quel tono giocoso e quel sorrisetto furbetto che lo fanno impazzire.
 
“Che cosa hai in mente, professoressa?” le domanda, vedendola mordersi il labbro, mentre un brivido gli corre lungo la schiena.
 
“Sbaglio o abbiamo… un’alba in sospeso noi due? Senza corse in ospedale questa volta e, soprattutto, senza pubblico,” proclama con voce roca e sensuale.
 
“Mi stai proponendo di essere tuo complice nel reato di oltraggio al pudore, professoressa?” la stuzzica, mentre il suo corpo reagisce in maniera inequivocabile di fronte a questa prospettiva.
 
“Beh, se non sei d’accordo, puoi sempre mettermi agli arresti,” ribatte con un sorriso malizioso, prima si svincolarsi dal suo abbraccio, sciogliersi il turbante, lasciandolo cadere sulla sabbia, e iniziare ad abbassare le spalline del prendisole.
 
“Puoi contarci!” promette, seguendo il suo esempio, liberandosi della camicia e dei pantaloni, rincorrendola, afferrandola per la vita e gettandosi insieme a lei tra le onde.

 
***************************************************************************************
 
“È davvero bellissimo… vorrei stare qui per sempre…” commenta, ammirando il sole all’orizzonte tingere il cielo di mille colori, una tavolozza che toglie il fiato e che nessun artista potrà mai sperare di replicare.
 
“Tu sei bellissima… e anche io vorrei rimanere sempre esattamente così,” ammette, sentendosi in paradiso, il dolce peso di lei in grembo e sul torace, circondato da quelle braccia e quelle gambe morbide e affusolate, avvoltolati nella coperta e nell’asciugamano che aveva recuperato dopo una corsa forsennata andata e ritorno dal bagagliaio della sua auto, “ma non vorrei che ti prendessi un accidente: avevamo detto niente corse in ospedale.”
 
La sente sorridergli sul collo, prima di annuire. Tenendola in braccio si solleva in piedi, posandola poi delicatamente a terra. Si rivestono il più rapidamente possibile, la pelle ancora lievemente umida, i capelli di lei raccolti nuovamente nel turbante, ormai completamente bagnato.
 
Si guardano per qualche secondo e scoppiano a ridere: sembrano usciti da uno di quei film sui naufraghi.
 
“Oddio… ti rendi conto che dobbiamo andare a prendere Nino e… e soprattutto Livietta?” domanda Gaetano, imbarazzato, sapendo benissimo che l’adolescente è più che sveglia e non tarderà a capire cosa è successo, “ti rendi conto di cosa penserà?”
 
“Penserà che sua madre è un po’ pazza, forse, ma molto felice,” gli risponde con un sorriso, divertita e toccata dal fatto che Gaetano si preoccupi così tanto dell’approvazione di Livietta, “e soprattutto capirà che non sono nata ieri e che se mi si presenterà mai così a casa, anche io saprò esattamente cos’è successo, così come può immaginarselo lei.”
 
“Sei tremenda, lo sai?” le chiede, ammirato, posandole un bacio delicato sulle labbra.

“Lo so, ed è anche per questo che mi ami.”

 
***************************************************************************************
 
“Come? Sì… sì… quando? E come sta? Capisco… per favore, mi tenga informato se ci saranno altri sviluppi, in un senso o nell’altro. D’accordo, grazie mille dottore!”
 
“Gaetano, è successo qualcosa?” domanda Camilla, preoccupata, cercando il suo sguardo non appena chiude la comunicazione.
 
“Sì, Sisma è fuori pericolo ma... è ancora in stato di semi incoscienza e il dottore dice che ci vorrà un po’ di tempo per poter valutare l’entità dei danni neurologici. Ma è già un miracolo che sia vivo: non pensavano che ce l’avrebbe fatta…”
 
“Hai sentito, papà? Anche lui ti ha fregato… siamo più forti di quello che pensavi, più forti di te,” sussurra, rivolta a quell’uomo che somiglia vagamente a Fausto Misoglio, al padre padrone che aveva reso la sua realtà peggiore di qualsiasi incubo fin da quando aveva cominciato a capire, a ricordare.
 
Ma quelle membra rigide, paralizzate in una posizione impossibile, come rami di un albero, quella mano che sembra cercare di artigliare l’aria, quell’aria che sfugge, che manca a quella bocca spalancata, il petto che si alza e si abbassa tra gli spasmi, tra i tentativi disperati di un corpo prigioniero di se stesso, che non vuole arrendersi, che vuole ancora respirare… non sembrano affatto le stesse mani che l’avevano umiliata, riempita di botte, la stessa bocca che le aveva sputato addosso ogni genere di marciume.
 
Solo gli occhi rimangono, quegli occhi azzurri, freddi, che la guardano ora con disperazione, implorando sollievo, implorando pietà, l’unica pietà che si può concedere a chi ormai non ha più speranza.
 
“Tu mi avresti lasciata qui a soffrire, vero papà? Mi avresti guardata contorcermi di dolore, fino all’ultimo spasimo, come mi avresti vista bruciare in quella camera… e ne avresti goduto. E ora proprio tu mi chiedi pietà? Dimmi, perché dovrei averne?” sibila, tra gli sguardi preoccupati di Camilla e di Gaetano, che la osservano afferrare il bordo del letto di suo padre fino a che le nocche diventano bianche.
 
“Sei fortunato che io non sono come te e non sarò mai come te, papà. Non so cosa ti attende dopo, ma se c’è un inferno, se c’è un castigo per tutto quello che hai fatto, non lo avrai da me, se non quello di sapere che proseguirò la mia vita e sarò felice, papà, felice e non dovrò avere alcun peso sulla coscienza. Non per causa tua,” sussurra, facendo cenno al medico che è lì vicino, pronto con l’iniezione che lo farà addormentare e spegnere serenamente, “addio papà.”
 
In pochi secondi il liquido gli entra nelle vene e la luce abbandona per sempre quegli occhi di ghiaccio che avevano riempito le sue notti insonni.
 
Aggrappata a Camilla, stretta al suo petto, lo osserva come ipnotizzata per un tempo infinito, tra le lacrime che le appannano la vista, fino a che, con un ultimo terribile rantolo, smette completamente di muoversi. L’unico suono nella stanza è quello dell’elettrocardiogramma ormai piatto.
 
La rabbia l’ha ucciso.
 
 


Nota dell’autrice: E finalmente ce l’ho fatta a chiudere queste “vacanze romane”. Dal prossimo capitolo si ritorna in Piemonte e… ne vedremo delle belle, perché un certo architetto tornerà in scena e... vi lascio immaginare che succederà ;). Spero che questa prima trama gialla abbia ripagato le attese e anche questo piccolo epilogo di “pace”, prima di aprire una nuova fase della storia, ma come sempre, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate: i vostri commenti mi motivano tantissimo e anche le critiche e i pareri negativi mi sono davvero, davvero utilissimi per capire su cosa soffermarmi di più, cosa cambiare, cosa evitare in futuro.
Vi anticipo già che, se il tempo me lo consentirà, ho in mente un altro paio di trame gialle nel futuro, anche se credo più brevi di questa e… forse anche un’altra capatina nella capitale, prima o poi ;).
Nel frattempo le riprese di PAP sono ricominciate, ci aspetta tra pochi mesi la sesta stagione e non vedo l’ora di scoprire quali sorprese ci riservano i nostri personaggi, spero in un bel po’ di (belle) novità.
Vi ringrazio come sempre per la pazienza, l’attenzione e per avermi seguita fin qui e, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** Padre davvero ***


Capitolo 46: “Padre davvero”

 

Nota dell’autrice: mi scuso tantissimo per il ritardo nella pubblicazione, che speravo di fare prima di Pasqua ma, come sempre, gli impegni familiari e lavorativi ci mettono lo zampino ed alcune parti delicate di questo capitolo hanno necessitato di diverse riletture e modifiche. Non vi faccio perdere altro tempo, e vi do appuntamento alle note a fine capitolo!


 
“Finalmente siete tornate: ancora un giorno e sarei venuto a Roma! Livietta dov’è?”
 
“Buongiorno anche a te, Renzo. Sì, il viaggio è andato bene, noi stiamo bene, grazie per averlo chiesto. Livietta è sotto la doccia. E noto che il concetto di fare una telefonata per avvertire ti è ancora sconosciuto,” ribatte, non riuscendo a trattenere il sarcasmo di fronte all’irruenza – per non dire invadenza – dell’ex marito che, senza attendere il permesso di entrare, si è già piazzato in salotto alle nove del mattino di lunedì.
 
Aveva appena finito di prepararsi e stava preparando la colazione quando era suonato il campanello. Erano rientrati la sera prima dopo quasi un’intera giornata passata in auto in mezzo al traffico e avrebbe preferito dormire qualche ora in più e rilassarsi un attimo prima di affrontare tutto quello che c’è da affrontare con Renzo.
 
Capendo benissimo dall’atteggiamento bellicoso di Renzo che le probabilità di farlo senza alzare i toni sono pari a zero, tira un sospiro, lo supera – ancora fermo come una statua di sale tra i due divani e apre la porta di quella che una volta era la loro stanza da letto. Luogo che, negli ultimi mesi, associa a momenti indimenticabili ed indelebili, ma purtroppo non sempre positivi. Perché ricorda cos’è successo l’ultima volta che lei e Renzo sono stati da soli in quella stanza e al solo pensiero le ritorna ancora un senso di nausea.
 
Ma è la stanza più distante dalle altre, quella più isolata, meglio insonorizzata – progettata per essere un perfetto rifugio, un nido d’amore. L’ironia beffarda la colpisce ma la ricaccia indietro insieme alla nausea e a quel senso di volere essere ovunque tranne lì. Non da sola con lui. Ma tutelare Livietta è come sempre la cosa più importante, e, anche se l’acqua che scorre e poi il phon dovrebbero attutire i rumori, vuole fare tutto il possibile per evitare di coinvolgerla in quella che si prospetta come l’ennesima lite con Renzo.
 
Renzo appare sorpreso, rimanendo per qualche istante immobile nella sua posizione, poi sembra capire e, sempre con sguardo deciso, la raggiunge, richiudendo la porta dietro di sé.
 
“Più o meno quanto lo è a te, Camilla, considerato che per avere notizie su mia figlia e… sulla madre di mia figlia – se sono vive, stanno bene o sono state coinvolte in qualche delitto – ormai devo guardare il TG,” replica infine Renzo, altrettanto sarcastico e amaro.
 
“Non è vero e lo sai, visto che Livietta ti ha chiamato per rassicurarti dopo che Ilenia è stata scagionata e il sequestro dell’ospedale si è risolto per il meglio. E, come avrai potuto notare, tua figlia non ha condiviso la stanza con una serial killer, anzi, tutt’altro: Ilenia è una ragazza eccezionale, che è riuscita a non arrendersi mai e a costruirsi un futuro migliore con le sue mani, nonostante abbia passato le cose peggiori e ne abbia viste di cotte e di crude. È una persona buona, con la testa sulle spalle, matura e intelligente e sinceramente credo che sia un ottimo esempio per Livietta, non di certo una cattiva influenza.”
 
“Forse Ilenia sarà un ottimo esempio per Livietta, ma che esempio è sua madre che passa le sue giornate tra delitti, omicidi, stragi, incendi e va a cercarsi ogni singolo guaio che riesce a trovare in un raggio di settecento chilometri? Soprattutto adesso che non ci sono più io a metterti un freno, ma hai invece accanto il poliziotto superpiù che non vede l’ora di andarsi a cacciare nei casini peggiori insieme a te. In tutti i sensi!”
 
“Guarda che Gaetano si preoccupa per la mia incolumità e per quella di nostra figlia tanto quanto te e quanto me, se non di più! Mi ha tenuta sotto scorta per giorni in questura-“
 
“Sì, immagino come ti avrà messa agli arresti, no? Del resto ha sempre sognato di farti da guardia del corpo! Di nuovo, in tutti i sensi,” sibila beffardo, scuotendo il capo, “e nostra figlia e tua madre? Ha tenuto sotto scorta anche loro?”
 
“No, ma ha messo una macchina con due agenti di fronte a casa di mia madre, per accertarsi che non succedesse niente,” spiega con un sospiro. L’aveva scoperto quasi per caso quando erano passati in questura per sistemare le ultime incombenze, subito dopo essersi congedati da De Matteis e da Mancini e Sammy: uno dei due agenti era andato a fare rapporto e Gaetano aveva abbozzato con un certo imbarazzo.

Sapeva benissimo perché non le avesse detto niente di questa premura, di questa precauzione, per non farla spaventare ed evitare le sue proteste o le proteste di Livietta e di sua madre. Si era resa conto solo in quell’istante quanto Gaetano avesse realmente temuto per la sua incolumità e per quella della sua, della loro famiglia. E, visti i progetti di vendetta di Misoglio, la sua ossessione nei suoi confronti oltre che nei confronti di Ilenia, aveva dovuto ammettere che Gaetano tutti i torti non ce li aveva a preoccuparsi, anzi, esattamente il contrario.
 
“Ah, benissimo, allora è tutto a posto! Quello che resta di quella che una volta era la mia famiglia che vive sotto scorta peggio dei pentiti di mafia. Tra un po’ vi daranno anche i nomi finti e vi spediranno in qualche luogo segreto o ho ancora speranza di trovarvi a questo indirizzo in futuro?”
 
“Renzo, per favore! Non viviamo sotto scorta e lo sai. È stata un’emergenza che è finita e-“
 
“Un’emergenza che dura da dieci anni, Camilla! Dieci anni! A fasi alterne d’accordo: ci sono periodi in cui ti vai ad impelagare in un crimine dopo l’altro, peggio della protagonista di una serie televisiva, e poi periodi di relativa calma. Finora. Ma adesso che stai con Mister Il Pericolo è il mio Mestiere voglio vedere in quanti casi e casini ti andrai ad immischiare e in cui coinvolgerai, direttamente o indirettamente, mia figlia!”
 
“Nostra figlia! E Gaetano non vuole certo coinvolgermi in tutti i suoi casi, anzi: ma che credi? Che a lui faccia piacere pensare che io possa correre pericoli? O che a me faccia piacere sapere che rischia la vita ogni giorno quando va al lavoro? Ma io mi fido di lui e lui si fida di me e delle mie capacità e cerca sempre, SEMPRE, di farmi riflettere sui pericoli potenziali, su qual è il limite da non superare, ma si fida, di nuovo, del fatto che anche io ne sono consapevole, che non lo supererò, che desidero vivere serenamente ancora per tanti anni e non ho alcuna intenzione di sfidare la morte. E se ha un problema con me e se pensa che sto sbagliando, me lo dice in faccia, non attacca in maniera indiretta o passiva-aggressiva come qualcun altro!”
 
“E quindi la colpa come sempre è mia, giusto?! Sei davvero una maestra nel rigirare la frittata, Camilla, non c’è che dire! Se ho sempre sopportato, e sopportato e sopportato è perché volevo cercare di salvare il nostro matrimonio, perché non volevo perderti. Ma se vuoi che ti dica in faccia quello che penso, ti accontento subito! Penso che mi hai preso in giro per dieci anni, Camilla! Ricordo ancora quando sei tornata a casa tardissimo per la prima volta da quando è nata Livietta e mi hai detto di aver vomitato sulle scarpe di cuoio inglese di un commissario di polizia. Non avrei mai pensato che da… da saremmo arrivati a questo, ma da quel momento sono cominciati i ritardi, le scuse, il trovare tempo per tutti tranne che per noi due, con te che giocavi a fare la poliziotta e il poliziotto che… che si divertiva a giocare con te. Prima di quella maledetta sera avevamo un rapporto bellissimo, praticamente perfetto, fatto di complicità, fiducia, amore, stavamo… stavamo davvero bene insieme, Camilla, ci divertivamo insieme, te lo ricordi? Eravamo sereni, felici, mi sentivo così fortunato ad averti: tu eri tutto per me, dopo Livietta, e sentivo che anche per te era lo stesso. Quella sera, me lo ricordo ancora, ti dissi che di fronte alla prospettiva della morte dovevamo cercare di vivere al meglio ogni singolo giorno e tu mi rispondesti che con me accanto vivevi benissimo, te lo ricordi?”
 
“Certo che me lo ricordo,” ammette in un sussurro, per poi aggiungere, un velo di commozione e di malinconia nella voce, “e ti garantisco che lo pensavo veramente.”
 
Non le sembravano passati solo dieci anni, a volte le sembrava quasi impossibile che una volta loro due erano stati davvero così. C’era un abisso tra quel Renzo, il Renzo che l’aveva aspettata a casa, le aveva preparato una tisana e l’aveva guardata in quella maniera così dolce, serena, piena d’amore, appoggiando il viso al manico dello scopettone che aveva appena usato per pulire uno dei disastri di Potti, con il Renzo livoroso, vendicativo, rabbioso delle ultime settimane. Ma anche con il Renzo depresso, ansioso, irritabile degli ultimi mesi, degli ultimi anni, da quando erano tornati insieme e da molto, molto prima. Sembravano due persone diverse, due uomini diversi. Ma forse anche lei all’epoca era una donna diversa.
 
“Lo so… perché quella sera quando me l’hai detto ci ho creduto Camilla, senza fatica: lo vedevo che eri sincera, lo sentivo che eri sincera. Forse è stata l’ultima volta… non solo che sei stata completamente sincera con me, ma anche l’ultima volta in cui ho potuto davvero credere e pensare che ti bastavo io per essere felice, che ero tutto quello che desideravi, che il nostro matrimonio era tutto quello che desideravi, che non ti stavi semplicemente accontentando, che non ero un premio di consolazione, che non stavi con me solo per senso del dovere, per nostra figlia, per abitudine, per affetto, mentre avresti voluto essere da tutt’altra parte, con qualcun altro. Hai perso la testa per un altro uomo e hai distrutto tutto Camilla, piano piano, giorno dopo giorno, del nostro rapporto, di quello che eravamo non è rimasto più niente, siamo diventati l’ombra di noi stessi e-“
 
“E ho le mie colpe, è vero, le ho sempre ammesse, se di colpa si può parlare in questi casi, Renzo, ma se siamo diventati l’ombra di noi stessi non è stata solo colpa mia. Vogliamo parlare di una certa insegnante di danza? Della tua crisi di mezza età e il lavoro prima di tutto? Di Barcellona? Di Carmen?”
 
“Certo, Carmen, Carmen, Carmen, come mi hai sempre fatto notare e pesare, in mille modi! Ho sbagliato anche io, ma mi ci hai portato tu, Camilla. Pamela, Carmen, il lavoro… non capisci che sono state tutte conseguenze del tuo comportamento? Che avevo bisogno di sentirmi apprezzato almeno in qualche ambito? Di sentire che almeno per qualcuno ero io la priorità assoluta, di sentirmi desiderato, amato, di avere qualcuno che mi mettesse davvero al centro della sua vita e per cui non fossi solo un ripiego?!”
 
“Ma quando hai conosciuto Carmen io ti avevo messo al centro della mia vita, Renzo, letteralmente! Non lavoravo nemmeno più, passavo tutto il tempo a casa con te e con Livietta: avevo scelto te, avevo lasciato tutto per te, per salvare il nostro matrimonio. Ho lottato con tutte le mie forze per tenere insieme la nostra famiglia, sempre, ma mai come in quel momento e questo non ti è bastato comunque, anzi, per tutta ricompensa tu mi hai pugnalata alle spalle proprio nel momento in cui ero più fragile! In cui dipendevo completamente da te! Tu non hai un’idea del male che mi hai fatto prima, durante e dopo Barcellona. Mi hai quasi distrutta Renzo, hai distrutto completamente la mia autostima, e non sei mai nemmeno riuscito a capirlo, a capirmi!”
 
“Io ho distrutto la tua autostima? E tu hai un’idea di dov’è finita la mia di autostima dopo mesi, anni a vederti correre dietro al poliziotto super più? A sentire di non essere abbastanza avventuroso, abbastanza figo, abbastanza interessante per te? A vedere l’espressione felice che avevi in volto e il modo in cui ridevi quando ricevevi un suo messaggio o una sua chiamata e pensavi che io non ti vedessi e non ti sentissi? E il modo in cui diventavi tesa come una corda di violino con un’espressione quasi colpevole se ti accorgevi della mia presenza o se eravamo tutti e tre insieme? Per non parlare del modo in cui lo guardavi, Camilla, e dovermi rendere conto che con me non eri più così, se lo eri mai stata. Spesso mi sentivo io il terzo incomodo, invece che il contrario.”
 
“Ma all’epoca avevo troncato tutti i contatti con Gaetano: non lo vedevo, non lo sentivo… mi avevi tutta per te! Ma la verità è che non mi volevi: passavi più tempo fuori casa che a casa e… e col senno di poi capisco il perché. Quindi non puoi dare la colpa a me, non di tutto Renzo!”
 
“Ma come facevo a volerti?! A voler passare tutto il tempo a casa quando avevo a che fare con una specie di zombie? C’eri con me fisicamente, forse, ma con la testa e… e con il cuore eri rimasta a Roma e lo capivo sai, eccome se lo capivo. Avevi una malinconia addosso, come facevo a trovare piacevole trascorrere del tempo con te, me lo spieghi? E continuavi a farmi pesare la tua scelta, il tuo grande sacrificio. Magari non a parole ma nei comportamenti sì, altro che passivo-aggressivo! Carmen invece era solare, allegra, leggera, condivideva le mie passioni e mi rendeva sereno e mi faceva sentire importante e-“
 
“E posso anche capirlo, Renzo. Ma quello che non capisco è perché poi l’hai lasciata e sei tornato da me a chiedermi di riprovarci…. Anzi, lo capisco fin troppo bene. La verità è che se Livietta fosse stata più grande, se il vostro nuovo lavoro non fosse stato a New York ma… che ne so… a Londra, in un posto raggiungibile in un’ora o due di volo… tu non saresti mai tornato da me, vero?”
 
“Non lo so, Camilla, non lo so… so solo che quello che invece non capisco è perché tu abbia accettato di tornare con me, per poi lasciarmi come un cretino dopo un paio d’anni!”
 
“Per gli stessi motivi per cui credo tu mi abbia chiesto di ritornare insieme: per Livietta, per nostalgia di quello che c’era stato, dell’amore che c’era stato, perché io ti ho amato moltissimo Renzo, per tanti, tanti anni, mentre ho capito ancora di più in queste ultime settimane che non ho mai davvero amato Marco. E poi… sensi di colpa e dubbi… avrò fatto la scelta giusta? Questo matrimonio è davvero finito? Posso davvero negarmi, negargli, negare a nostra figlia una seconda possibilità? E se prima c’erano dubbi, direi che con questo secondo tentativo li abbiamo chiariti tutti. Perché non c’è più alcun dubbio che il nostro matrimonio sia davvero finito Renzo, che non possiamo, che non riusciamo più a stare insieme, non nel vero senso della parola e mi sembra evidente che lo sai anche tu, anche se forse non lo vuoi accettare e non lo vuoi ammettere, ma è così. E quindi non capisco sinceramente tutto questo… questo odio, questo livore nei miei confronti, questa rabbia, quando ho fatto semplicemente quello che tu hai già fatto in passato, forse in un momento di maggiore lucidità e consapevolezza rispetto a quanta ne hai ora e a quanta ne avessi io all’epoca. Scrivere la parola fine su questo matrimonio era l’unica cosa sensata da fare per tutti e due e per Livietta.”
 
“Ma certo! Tu l’hai fatto per me e per Livietta, no? Sei come sempre una Santa, mossa dall’altruismo: mi hai lasciato per farmi un favore, non per poter avere campo libero con il tuo amante! Forse dovrei pure ringraziarti, secondo te? Certo che hai di nuovo un’incredibile faccia tosta! Ma del resto la capacità di rigirare le frittate è di famiglia, no? Per tua madre quando io ti ho lasciato per Carmen ero un mostro, mentre tu che mi hai lasciato per il poliziotto sei un’eroina coraggiosa!”
 
“Renzo, per favore, ascoltami non-“
 
“No, adesso mi ascolti tu. Oltre alla faccia tosta, tu hai sempre avuto questa insopportabile aria da martire, di vittima sacrificale! Come se dovessi esserti grato per questi anni in cui mi hai concesso il grande onore di rimanere al mio fianco, seppur tra mille sacrifici. Ma secondo te per me sono stati piacevoli questi anni con una donna che voleva essere da tutt’altra parte? Secondo te è stato piacevole starti accanto, Camilla? Sopportare i tuoi ritardi, le tue dimenticanze, le tue indagini, tua madre e i suoi insulti e la tua frequentazione con un uomo che evidentemente non era affatto un amico e per cui tu non eri affatto un’amica? Il costante dubbio che un altro uomo a parte me ti toccasse, ti baciasse, facesse l’amore con te, mentre con me eri sempre più fredda e distante e quando ti avvicinavi di solito era per cercare di tenermi buono, di farmi dimenticare e sopportare una delle tue tante mattane. E hai la faccia tosta di dirmi che non capisci perché sono arrabbiato con te? Mi hai preso in giro per dieci anni, Camilla, mi hai portato via dieci anni con le tue indecisioni e per che cosa, eh?! Per trovarmi solo come un cane a quasi sessant’anni! Forse se proprio dovevi fare questo gesto eroico di lasciarmi avresti potuto farlo prima, invece che raccontarmi palle per anni, quando ancora potevo forse rifarmi una vita!”
 
“Renzo, tu non hai ottant’anni e non ne hai nemmeno sessanta: certo che puoi rifarti una vita, se lo vuoi! Ma continuare con tutto questo livore, questo vittimismo di sicuro non ti aiuterà e lo so perché ci sono passata quando TU mi hai lasciata e pensavo di essere una donna finita, avevo paura che non mi avrebbe voluta più nessuno ero… ero accecata dai rimpianti e dal dolore. E alla fine ho capito che l’unico modo per elaborare il lutto della fine del nostro matrimonio – perché, che tu ci creda o meno, è stato il più grande lutto della mia vita, più ancora della morte di mio padre – l’unico modo era perdonarti, perdonarmi, smettere di provare rabbia, risentimento e… lasciarti andare, andare avanti.”
 
“Ti ringrazio per le pillole di saggezza, Camilla, peccato che tu abbia deciso di condividerle con me proprio ora, no? Sempre in maniera disinteressata. Perché il fatto che io ti perdoni, che ci passi sopra e passi oltre farebbe comodo anche e soprattutto, se non soltanto, a te e a lui!” esclama con una mezza risata amara, guardandola negli occhi prima di sibilare, “mi dispiace ma non ci riesco, non ce la faccio a perdonarti, non dopo tutto quello che è successo. Dopo che sei tornata con me, illudendomi che mi amassi ancora, promettendomi che sarebbe stato per sempre, per poi riempirmi di corna non appena hai rivisto il tuo amato poliziotto!”
 
“Non ti ho riempito di corna, Renzo! Ti ripeto per l’ennesima volta che non ti ho mai tradito, mai! Che ti ho lasciato prima di iniziare una relazione con Gaetano, ma se è questo che vuoi credere-“
 
“Ma per favore, Camilla, per favore! Lo so cosa ho visto quando sono tornato per la prima volta da Londra! Stavate insieme da due settimane, in teoria, ma non vi comportavate affatto come una coppia che sta insieme da due settimane: c’era un’intesa che si ha solo dopo mesi di relazione, Camilla, e non sono nato ieri!” sbotta, scuotendo il capo, le labbra ridotte a fessura, la mascella contratta, “passavi tutti i pomeriggi o quasi a casa sua, mentre io ero al lavoro, e a volte andavi da lui perfino dopo cena! Di solito c’era Tommy, è vero, ma spesso eravate soli. E vuoi farmi davvero credere che non sia mai successo niente, Camilla?
 
“Sì, perché è la verità! È ovvio che sono stata tentata di cedere, Renzo, molte volte, di lasciarmi andare a quello che sentivo e che sento, ma non l’ho mai fatto per rispetto. Rispetto non solo nei confronti tuoi o di nostra figlia, ma anche nei confronti di me stessa e di Gaetano, che non meritava e non ha mai meritato di trovarsi nel ruolo dell’amante clandestino. Ho provato cosa vuol dire stare dall’altra parte, Renzo, scoprire di essere stata tradita, più di una volta, ed è una sensazione che non auguro e non ho mai augurato a nessuno, nemmeno a te, e che ho sempre quindi cercato di risparmiarti, anche se, evidentemente, non ci sono riuscita.”
 
“Ma certo: torniamo sui miei tradimenti, sulle mie mancanze, no? Santa Camilla! No, che non ci sei riuscita, perché, anche se davvero tu non fossi andata a letto con il nostro amato vicino prima di darmi il benservito, di fatto sono dieci anni che mi tradisci con lui nella tua testa e nel tuo cuore. E se permetti questo è molto peggio di qualsiasi cosa abbia mai fatto io! Almeno quando ho pensato di essermi innamorato di Carmen non ci ho messo anni a decidermi, non ti ho fatto patire la lenta agonia che tu hai fatto subire a me!”
 
“No, certo! Mi hai solo mollata come una cretina, da un giorno all’altro, senza un lavoro, a centinaia di chilometri da casa, in un paese che non era il mio e di cui sapevo malissimo la lingua e in cui non avrei mai potuto trovarlo un lavoro! Avrò sbagliato anche io, d’accordo, ma se l’ho fatto è perché ho sempre cercato di non fare soffrire nessuno. Prima perché conoscevo Gaetano da poco e speravo ancora che quello che provavo per lui fosse solo un’attrazione, una cosa passeggera, che mi sarebbe passata. Poi perché ti ho visto così fragile, quasi depresso e… non me la sono sentita di abbandonarti, Renzo, di lasciarti partire per Barcellona da solo, sapendo che questo avrebbe significato la fine del nostro matrimonio e privare nostra figlia, che all’epoca era una bambina, di un padre. E quando sei tornato da me ho capito di non amare Marco e mi sono illusa che avremmo potuto tornare ad essere quelli di prima, come ti ho già detto. E anche quando il nostro secondo tentativo non ha ingranato, con te a Torino e io a Roma, mi sono detta che non potevo certo mollare così, dopo poco, che dovevo davvero darti un’altra possibilità, che mi ero impegnata e volevo mantenere quella promessa. E quando abbiamo ripreso davvero la convivenza a Torino e ho rincontrato Gaetano, di nuovo ho cercato di resistere: non volevo deludere nostra figlia, non volevo deluderti, non volevo farvi soffrire. E mi sono poi resa conto che invece stavo facendo soffrire tutti, prima di tutto me stessa, che eravamo tutti infelici insieme. A quel punto ho capito che l’unica cosa sensata da fare per noi era prendere strade diverse Renzo, lasciarci liberi a vicenda di cercare quella felicità che insieme non riuscivamo più a darci. E mi sembra che concordi con me, quindi, ripeto, non capisco il motivo di tutto questo risentimento, Renzo!”
 
“Certo, non capisci. Sono anni che non mi capisci, Camilla, o forse non mi hai mai capito davvero. Che non capisci quanto il tuo comportamento mi abbia fatto soffrire. Tu pensi davvero che questi anni in cui mi hai, di fatto, preso per il culo si cancellino così? Chiedendomi scusa? Lasciandomi libero di cercare la mia felicità, solo come un cane, mentre tu ti godi il tuo idillio con il poliziotto?” domanda sarcastico, non riuscendo ad evitare di alzare la voce, “non solo sei leggermente fuori tempo massimo, Camilla, ma soprattutto… soprattutto è il come hai gestito fin qui questa separazione la cosa che mi fa più arrabbiare e che mi ha deluso di più. Perché, nonostante tutto, quando ci siamo lasciati ero triste, malinconico, deluso, sì, ma ho cercato di capirti, perché, è vero, non potevamo più continuare in quel modo, Camilla. Ho cercato di convincermi che fosse la cosa giusta da fare, di ingoiare il dolore, il rancore, i risentimenti, la rabbia, di cercare davvero di lasciarti libera di essere felice e di farmi da parte, di tenere dentro quello che provavo, di mantenere un rapporto civile con te per nostra figlia e in nome di tutto quello che c’è stato tra noi. Di cercare di mantenere quell’affetto e quel… quel rispetto che speravo esserci sempre stato, anche se di fatto sono dieci anni che non mi rispetti, Camilla. Mi sono fatto da parte, sono andato a Londra per cercare di leccarmi le ferite e di riuscire a trovare la forza di affrontare questa separazione nel migliore dei modi ma… quando sono tornato ho ricevuto l’ennesimo schiaffo, l’ennesima mancanza di rispetto da parte tua e del tuo amato poliziotto!”
 
“Davvero? Perché io avrei detto esattamente il contrario, Renzo…” sibila, riferendosi alle cose orribili che era riuscito ad insinuare su Gaetano e su Livietta.
 
“Sì, davvero! Non hai nemmeno avuto la decenza e il buon gusto di aspettare almeno qualche settimana, se non qualche mese, non dico prima di iniziare – o proseguire – la tua liaison con il poliziotto super più, ma quantomeno prima di sbatterla in faccia a me – nella maniera più plateale possibile – e di coinvolgere nostra figlia! Io con Carmen ho aspettato mesi prima di rendere pubblica la nostra relazione, prima di portarla nella vita di nostra figlia e-“
 
“E Livietta aveva un’età diversa, Renzo, mentre ora è grande e più che sveglia e capisce tutto al volo, forse meglio di te e di me. E poi conosce Gaetano da anni: Gaetano era già nella sua vita e abita di fronte a noi! Se le avessi tenuto nascosta la mia relazione con Gaetano avrei solo ottenuto l’effetto di farla arrabbiare di più, di deluderla di più quando, inevitabilmente, l’avrebbe scoperto. E quando ci siamo lasciati ha passato le prime settimane a non volermi vedere, né parlare. Era arrabbiata con noi fin dal nostro trasferimento a Torino e quando ci siamo separati era furiosa con entrambi e non volevo certo rischiare di perderla per una stupida bugia che non serviva a nessuno a quel punto: né a me, né a te, né a lei. Anzi, se non te ne fossi reso conto, mi sono di fatto presa tutta la responsabilità di questa separazione, ammettendo con lei di amare Gaetano e di aver iniziato una storia con lui e-“
 
“Per favore, Camilla, non dire assurdità! Mi sembra evidente che nostra figlia ritiene che sia io il colpevole di questa separazione, visto che ce l’ha a morte con me e si rifiuta di parlarmi! E comunque un conto sarebbe stato semplicemente raccontare a nostra figlia della tua relazione con il tuo Gaetano, un conto è iniziare, come hai fatto tu, una convivenza con lui e suo figlio dopo pochi giorni, facendomi fare la figura del cornuto e-“
 
“Ma ti senti?! Lo capisci che quello che stai dicendo non ha senso e ti contraddici nel giro di due frasi?! Se, come dici, ti avessi fatto la figura del cornuto con nostra figlia, vorrebbe anche dire che mi sarei altroché presa la colpa della nostra separazione! E probabilmente, tra parentesi, nostra figlia non rivolgerebbe ancora la parola né a me né a Gaetano.”
 
“Non se hai rivelato a nostra figlia la famosa storia della fattura e quello che tu pensi che significhi, anche se, te lo ribadisco, tra me e Carmen a Parigi non c’è stato niente. Non se Livietta pensa che io per primo abbia di nuovo distrutto il nostro matrimonio e che Gaetano sia il principe azzurro che ti ha aiutata e consolata, in tutti i sensi, dopo che quel mostro di tuo marito – come mi ha sempre dipinto tua madre – ti ha di nuovo tradita!”
 
“Non avrei mai fatto una cosa del genere, Renzo! Non ti ho dipinto come il colpevole traditore nemmeno dopo la nostra prima separazione, dopo che sei uscito allo scoperto con Carmen e sì, ho rimesso insieme i pezzi e ho trovato fatture, ricevute ed un sacco di altre cose interessanti che mi hanno provato senza ombra di dubbio da quanto tempo andasse avanti tra di voi, prima che tu mi piantassi in asso!” ribatte, alzando a sua volta i toni, sentendosi profondamente offesa da questa accusa, “anzi, ti ho sempre difeso da mia madre, sia con lei sia di fronte a nostra figlia e le ho spiegato chiaramente che non doveva dare retta alla nonna e che tu avevi lasciato me e non lei. Che non doveva odiare Carmen per partito preso e che non era colpa di nessuno se non ci amavamo più e se poi tu avevi scoperto di amare Carmen. Ho sempre tutelato il rapporto tra te e Livietta, Renzo, per il bene di nostra figlia, sempre, e mi fa male, davvero male che tu insinui questo di me.”
 
“Non ho mai avuto nulla da ridire sul tuo comportamento dopo la nostra prima separazione, Camilla. Anche se vivevamo in due stati diversi, sono riuscito a mantenere un bel rapporto con Livietta, superata la prima fase in cui non mi voleva vedere ed era delusa da me. E hai permesso che costruisse un bel rapporto anche con Carmen e di questo ti sono sempre stato grato. Non mi hai mai impedito di passare tempo con nostra figlia e di… di essere presente nella sua vita. Quello su cui ho da ridire è il tuo comportamento di adesso, Camilla, ed è proprio il confronto con quello che è successo dopo la nostra prima separazione che mi spaventa e mi fa doppiamente male!”
 
“Il mio comportamento?!”
 
“Sì, il tuo comportamento! Nostra figlia sembra detestarmi, mentre, guarda caso, adora te e il tuo amante, e, anche se continui a negarlo ci deve essere un motivo e-“
 
“E il motivo è che nostra figlia cerca lo scontro con te perché vuole capire veramente quanto tu ci tieni a lei, vuole sentirsi rassicurata e poi vuole un confronto con te, lo capisci? Ha fatto lo stesso anche con me, te lo garantisco, e con Gaetano non è stata certo sempre gentile da quando l’ha rivisto qui a Torino, anzi, a volte l’ha praticamente insultato. Ma noi, ti ripeto, le abbiamo parlato e ci siamo chiariti, mentre tu sei sparito subito dopo la separazione e non ti sei fatto sentire per settimane e anche dopo… a volte ci sei, a volte sei latitante… è per questo che Livietta ce l’ha con te!”
 
“Ma tu assecondi questo suo atteggiamento, Camilla! Io sono sparito per quelle due prime settimane, è vero, ma poi se sono stato via è stato solo per lavoro e sei tu invece che ti sei portata Livietta a Roma per una settimana che sono poi diventate due. Che le riempi la vita di impegni improrogabili che non mi riguardano e che mi impediscono di passare con lei il tempo che mi spetterebbe di diritto: e le gite, e il corso di difesa personale, tutto sotto consiglio del tuo amato! Devo sempre cercarti io, cercarvi io. Non mi permetti di rimanere da solo con lei se non con il contagocce e chiedendoti mille permessi. Una ragazza che è vostra ospite viene arrestata e accusata di omicidio, tu rimani coinvolta in un incendio ed in una sparatoria e lo vengo a scoprire dal telegiornale! Mi sembra quasi che tu voglia cancellarmi dalla vita di nostra figlia, dimenticarti che esisto, che Livietta ce l’ha un padre, che è Livietta Ferrero e non Livietta Baudino o Livietta Berardi! E che cosa è cambiato rispetto alla nostra prima separazione, eh? Durante la quale, come hai detto tu stessa, avresti avuto al limite tutti i motivi per essere risentita con me? Che cosa o chi c’è di diverso rispetto ad allora? Chi mai ci sarà dietro questo cambiamento?!”
 
“Queste insinuazioni sono esattamente il motivo per cui sono risentita con te, Renzo, anche se non dovrei stupirmene dopo quello che sei riuscito a dirmi, proprio in questa stanza, e lo sai benissimo a cosa mi riferisco, e mi rifiuto di ripeterlo ad alta voce,” sibila Camilla, ormai decisamente alterata, “sentirmi sputare in faccia tutto quel veleno è stato molto, ma molto peggio di scoprire di te e di Carmen! È stata come una pugnalata: non mi sono mai sentita così violata, così offesa, così… tradita e così delusa in vita mia. Scoprire che avevi perso la testa per un’altra e di essere stata, io sì, una cornuta per mesi non è stato certo piacevole, anzi, ma… ma col tempo sono potuta anche arrivare a comprenderlo, ad accettarlo: in fondo succede a tante coppie. Ma quello che sei arrivato ad insinuare, no, quello è assolutamente inconcepibile!”
 
“D’accordo… ho esagerato quel giorno e ti chiedo scusa, anche se rimango dell’idea che quell’uomo ha e abbia sempre avuto un’influenza pessima su di te, Camilla! Tira fuori il lato peggiore di te e-“
 
“No, Renzo, Gaetano tira fuori il lato migliore di me. Quel lato di cui tu hai sempre avuto paura, perché non sei mai riuscito a comprenderlo: il mio lato più indipendente, più libero, più intraprendente, più altruista e forse anche più avventuroso ma non per questo peggiore del mio lato più dolce, familiare, casalingo e che per te è sempre stato più rassicurante, perché è quello che abbiamo in comune. Ed è per questo che il nostro rapporto non ha funzionato, Renzo, mentre il rapporto tra me e Gaetano invece funziona. Quell’intesa che tu dici di aver visto quando ci hai fatto quell’improvvisata mattutina al tuo ritorno da Londra deriva proprio da questo: dal fatto che io e lui siamo così simili, così compatibili su tante cose, oltre a conoscerci da una vita, tanto che sì, spesso mi sembra impossibile che stiamo insieme solo da pochi mesi, anche se è così. Mi dispiace che per te sia difficile da accettare, capisco che possa fare male, ma è la verità, ed è il motivo per cui sono convinta oggi più di due mesi fa di avere fatto la scelta giusta, Renzo, e spero che prima o poi lo comprenderai anche tu.”
 
“Tu hai completamente perso la testa per quell’uomo, Camilla, fin dal primo momento! Non sei razionale o oggettiva o lucida per quello che lo riguarda, ma va bene, che ti posso dire…? Ti sei convinta che la vostra sia la storia d’amore del millennio e che vent’anni di matrimonio con me non possano reggere il confronto con due mesi con il grande amore della tua vita? D’accordo! Sei davvero convinta di mettere la tua vita e il tuo cuore nelle mani di un uomo che ha abbandonato sua moglie e un figlio appena nato per tornare a giocare al playboy a quarant’anni suonati? Di un uomo che ha già abbandonato una donna all’altare? Un uomo la cui relazione sentimentale più lunga è stata probabilmente più breve di questo nostro secondo tentativo e che ha cambiato più donne che io calzini o camicie?! Perfetto, anche se spero che tu non te ne debba mai pentire! Vuoi divertirti a giocare alla detective con lui e mettere in pericolo la tua vita? Va bene: è la tua vita, Camilla, e sei liberissima di fare tutto quello che vuoi! Ma hai una figlia, abbiamo una figlia che, come ti ho già detto una volta non vorrei rimanesse orfana troppo presto!”
 
“Renzo, per favore, non dire assurdità! Non-“
 
“Non sto dicendo assurdità! Sono serissimo, Camilla. Perché anche se non stiamo più insieme, quello che riguarda mia figlia mi riguarda eccome, in prima persona, perché io e te saremo per sempre i genitori di Livietta, che ti piaccia o no, io e te! E quindi tu puoi fare quello che vuoi soltanto fino a che questo non incide negativamente sulla vita di mia figlia! Fino a che non la coinvolgi nella tua vita indipendente, libera e avventurosa – sull’altruista avrei parecchio da ridire – e non la metti in pericolo e soprattutto fino a che non mi impedisci di farle da padre, visto che, di nuovo, Livietta ancora non è orfana, grazie a dio e ho tutto il sacrosanto diritto di vederla e stare con lei, che a te e al tuo Gaetano piaccia o meno!”
 
“Renzo, non voglio certo impedirti di vedere tua figlia, e lo sai, ma-“
 
“No, niente ma, niente più scuse, Camilla! Non vorrai impedirmi di vederla, ma di fatto è quello che succede: posso contare sulle dita di una mano i giorni che ho trascorso con mia figlia negli ultimi due mesi e non lo posso più accettare o tollerare! Quindi, visto che a breve andremo dagli avvocati per definire questa separazione, ti avviso fin da ora che voglio chiedere l’affido condiviso: che Livietta stia una settimana con te e una con me, fifty-fifty. E voglio portarla a Londra con me per un paio di settimane, visto che è in vacanza e che ha già passato due settimane a Roma con te e-“
 
“E quindi quello che voglio io non conta niente?! Ma che pensi, che sono un pacco postale?!”
 
Il suono della porta che si spalanca e la voce di Livietta, il tono a dir poco furioso, li interrompe, risvegliandoli bruscamente dalla foga del litigio in cui erano ormai completamente immersi, avendo perso per un attimo la cognizione del tempo trascorso e della situazione.
 
“Livietta, no, ma certo che no, ma cosa dici? Io-“
 
“E invece a me sembra proprio di sì, papà! Non ho cinque anni come Tommy, grazie a dio! Posso decidere io da sola con la mia testa con chi stare e quando. E se sono arrabbiata con te non è certo per colpa né di mamma, né di Gaetano, né della separazione ma proprio di… di questo, non lo capisci?” esclama, fulminandolo con uno sguardo eloquente.
 
“Questo? Questo cosa?”
 
“Ecco appunto, non capisci! E il peggio è che mi sembra che non ci provi nemmeno a capirmi! A capire che non sono più una bambina, né un oggetto da spartire con mamma e da sballottare a destra e a sinistra, e che se hai un problema con me, ne devi discutere con me e non prendertela con mamma o con Gaetano o con la nonna! Che non mi hanno fatto niente di male, anzi: a Roma sono stata benissimo, papà, mi sono fatta dei nuovi amici e la mamma e Gaetano hanno fatto di tutto per tenermi lontana dalle indagini e da qualsiasi pericolo”
 
“Livietta, io ero solo preoccupato per te, mi fa piacere ovviamente se ti sei trovata bene a Roma, ma-“ prova ad intervenire Renzo, ma ormai Livietta è un fiume in piena.
 
“E se invece il problema ce l’hai con mamma e con Gaetano, te lo risolvi con loro, e mi lasci fuori dalle vostre ripicche! A me non me ne frega niente di sapere chi ha tradito chi per primo, se è colpa tua o di mamma o di entrambi, o di Gaetano o di Carmen: io voglio solo vivere in pace, essere lasciata in pace! E da quando tu e mamma vi siete lasciati, finalmente si respira un clima diverso in questa casa, senza continue liti, discussioni, musi lunghi e soprattutto senza nessuno che tenta di riempirmi di bugie inutili su una famiglia perfetta che ormai non esiste più da anni. Perché se c’è qualcuno che tira fuori il peggio di mamma non è certo Gaetano e io non ne potevo e non ne posso più delle vostre liti: credo di essermene già sorbite fin troppe! Quindi se proprio volete scannarvi e sputarvi addosso tutti i vostri risentimenti, fatelo, io me ne vado in piscina con Lucrezia e spero quando torno di trovare una casa ancora tutta intera e tranquilla e silenziosa, come è stata in questi ultimi due mesi, e soprattutto di avere ancora due genitori tutti interi, visto che, nonostante tutti i vostri casini, nemmeno io ci tengo a rimanere orfana.”
 
E, con un’ultima occhiata che li trafigge da parte a parte, Livietta gira i tacchi, sbattendo la porta dietro di sé.
 
“Livietta, Livietta, aspetta! Livietta!!” la chiama Renzo dopo qualche secondo di stupore, tentando di lanciarsi all’inseguimento della figlia, venendo però bloccato da Camilla che lo trattiene per un braccio.
 
“Renzo, aspetta! Non capisci che è inutile parlare adesso? Nostra figlia ha ragione e-“
 
Ma Renzo si svincola dalla presa e in poche falcate è all’ingresso. A Camilla non resta che correre dietro a lui e alla figlia, sperando di evitare un’altra scenata. L’ascensore è già occupato quindi si precipita sulle scale, facendo i gradini a due a due.
 
Arriva in giardino praticamente senza fiato e trova Renzo in piedi vicino al cancello di ingresso: di Livietta non c’è già più traccia.
 
Incrocia gli occhi di Renzo, che sembra completamente perso, spaesato, come un pesce fuor d’acqua. Il rancore, la rabbia nel suo sguardo hanno lasciato il posto alla tristezza e alla malinconia. Sembra improvvisamente più vecchio di dieci anni.
 
“Possiamo parlarne civilmente? Per il bene di nostra figlia?” gli domanda, dopo un attimo di esitazione, sentendo che è la cosa giusta da fare, che Livietta ha tutte le ragioni di essere arrabbiata con loro. E sua figlia è, come sempre, la sua priorità assoluta.
 
Renzo annuisce, l’aria stanca di chi sta per crollare. Uno sguardo che Camilla riconosce troppo bene: le ricorda se stessa a Barcellona, prima di prendere la decisione di fare armi e bagagli e tornare a Roma da sua madre con Livietta, ancora bambina, e che sembrava arrabbiata con il mondo. Con suo padre per averle lasciate e con lei per non essere riuscita a fermarlo. E quando Gaetano se ne era andato dopo la loro prima furiosa lite, per via di quei diamanti, con Livietta ancora in guerra aperta con lei. I due momenti nella sua vita quando aveva sentito davvero di aver perso tutto, quando aveva temuto di non farcela, di non riuscire a sopportare il peso di tutti i suoi fallimenti.
 
E alla rabbia, all’indignazione e alla stanchezza che lei stessa sente, dopo essersi sfogata con lui, dopo essersi sentita di nuovo lanciare addosso quelle accuse assurde, si uniscono, inevitabilmente, l’empatia mista ad i sensi di colpa.
 
Perché sebbene non abbia di certo fatto nulla per fomentare Livietta contro suo padre, d’altro canto, fatta eccezione per quel weekend a Milano con lui e con Carmen, si rende conto di non aver nemmeno alzato un dito per cercare di aiutare Livietta a riavvicinarsi a lui, per mediare e smussare gli spigoli come avrebbe sicuramente fatto in circostanze normali. Come aveva fatto durante la loro prima separazione.
 
La verità è che la rabbia che ancora prova nei confronti di Renzo l’aveva spinta a desiderare di vederlo il meno possibile. Le ritirate strategiche di Renzo a Londra, la guerra fredda che Livietta aveva proseguito nei confronti del padre, il suo farsi negare a lui, il fatto che preferisse passare il tempo con lei e con Gaetano invece che con Renzo, in fondo, le avevano fatto comodo, evitandole altri incontri e scontri con Renzo.
 
E i suoi problemi personali con Renzo non dovevano incidere sul rapporto di Renzo con Livietta, doveva riuscire a tenere separate le due cose, come aveva sempre cercato di fare, come era giusto fare.
 
I giorni in cui Livietta aveva visto suo padre in questi due mesi davvero si contavano sulle dita di una mano e non è giusto, non è giusto non solo nei confronti di Renzo, ma anche e soprattutto di Livietta. Sa bene che, con il carattere di Renzo e la testardaggine di Livietta, proseguendo così ben difficilmente padre e figlia faranno mai pace.
 
Si avvia in silenzio verso la panchina, seguita da Renzo, sotto lo sguardo incuriosito dell’immancabile portiere, che aveva assistito a tutta la scena.
 
“Renzo, lo capisci che attaccare me e Gaetano non ti servirà a ricostruire il tuo rapporto con Livietta? E che né io né Gaetano siamo il nemico da questo punto di vista? Se Livietta è arrabbiata con te, e forse da adesso anche con me, non è per la nostra separazione, e per i nostri problemi, non solo, ma per come lei sente che ci comportiamo con lei, come figlia.”
 
“Ma io non capisco che cosa le ho fatto di male, Camilla, per meritare di essere trattato in questo modo! Sono andato a Londra quando ci siamo separati, è vero, ma per due settimane, mica per una vita e poi ho provato in ogni modo a cercare un contatto con lei e-“
 
“E nel novanta percento dei casi hai finito per litigare con me o con Gaetano o polemizzare anche con lei. Forse lei si aspetta qualcosa di diverso da questi incontri, Renzo, di riuscire a confrontarsi con te e-“
 
“Ma come faccio a confrontarmi con lei se ogni volta prende e se ne va o mi tratta peggio di un cane? Io non so più cosa fare, Camilla, e la verità è che tu e Gaetano non mi aiutate affatto. Noi due dovremmo fare fronte comune sul fatto che Livietta passi del tempo anche con me, ma tu a fatica mi fai una telefonata e mi rispondi quando ti chiamo, figuriamoci come mi appoggi con mia figlia. Direi che forse ho i miei motivi per essere risentito con te, Camilla, no? A parte la nostra separazione e la tua storia con il nostro carissimo Gaetano…” proclama, triste  e sarcastico trafiggendola con una di quelle occhiate che le ricordano così tanto quelle di Livietta.
 
“Come io ho tutti i motivi per essere risentita con te, Renzo, soprattutto visto che ogni volta che ci vediamo scoppia la terza guerra mondiale…” sospira Camilla, sostenendo il suo sguardo, “e comunque posso provare ad aiutarti con Livietta, ma non posso costringerla a passare del tempo con te, Renzo. Deve essere lei a volerlo: ha sedici anni e non è più una bambina e forzandola peggioreremmo solo la situazione. Dobbiamo rispettare innanzitutto la sua volontà.”
 
“Eh, certo, per te è comodo rispettare la sua volontà, visto che non è con te che è in guerra aperta,” ribatte Renzo, la voce che si fa nuovamente più dura, “e mi sembrava che fossi tu la prima sostenitrice dell’importanza del rapporto padre-figlio e la paladina del diritto dei padri, anche i più latitanti, ad avere una seconda e forse pure una terza possibilità.”
 
“Ecco, Renzo, è questo il problema, maledizione! Ma la vuoi piantare con queste frecciatine su Gaetano?! Con questi modi aggressivi?! Ho aiutato Gaetano a ricostruire un rapporto con Tommy, è vero, e Gaetano ha avuto molte colpe come padre, è vero, e credo si porterà dietro per sempre il rimpianto degli anni di vita di Tommy che si è praticamente perso. Ma non è stata solo colpa sua e avrei voluto vedere te con una moglie come Eva ed un figlio piccolo che fine avresti fatto!” sbotta, non riuscendo a trattenersi, sentendo di stare nuovamente perdendo la pazienza.
 
“Non so che fine avrei fatto con una moglie come Eva, ma so che fine ho fatto con te…” replica con una mezza risata amara, “e credimi, sapere che il loro matrimonio è stato peggio del nostro, non mi è di grande consolazione.”
 
“Stop, stop, stop! Fermiamoci qui prima di ricominciare una discussione infinita: stavamo parlando di nostra figlia, non di me e te e Gaetano!” lo interrompe, fulminandolo con lo sguardo da prof., e provando un certo sollievo nel constatare che fa ancora effetto, “come ti ha detto Livietta stessa, c’è una differenza fondamentale tra lei e Tommy: undici anni! Renzo, Livietta non ha cinque anni ma sedici. Tommy dipende completamente dai suoi genitori, nel bene e nel male. Livietta no: ha una sua testa, una sua indipendenza, possiamo imporle alcune cose, d’accordo, ma i sentimenti non si forzano, Renzo, a nessuna età, né a cinque, né a maggior ragione a sedici anni. Non ci sono scorciatoie o formule magiche: se vuoi ricostruire il rapporto con tua figlia devi impegnarti e… e ascoltarla, e capirla, e avere pazienza. Lo ripeto, io posso aiutarti, posso mediare, ma tu devi cambiare atteggiamento con lei e anche con me, se non vuoi che Livietta continui a scappare a gambe levate. Se non l’avessi capito, come ci sente discutere, lei prende e se ne va o si chiude in camera sua e non la biasimo.”
 
“D’accordo… d’accordo… per me Livietta è la cosa più importante, Camilla, e… se l’unico modo di recuperare un rapporto con lei è… una tregua con te, va bene,” sospira, togliendosi gli occhiali e passandosi una mano sugli occhi, “in fondo non è la nostra prima separazione e… è inutile continuare a discutere all’infinito delle stesse cose su cui non la vedremo mai allo stesso modo.”
 
“Concordo perfettamente. Ma la tregua non deve essere solo con me, Renzo, ma anche con Gaetano-“
 
“No, Camilla, mi spiace ma non puoi chiedermi questo,” la interrompe subito, deciso e nuovamente amaro, “tu sei pur sempre la madre di mia figlia e siamo stati insieme vent’anni. Dio solo sa quanto ti ho amata, Camilla. Nel tempo forse tutta questa… questa amarezza, questa rabbia mi passerà e riuscirò a riguardare a quegli anni in modo diverso e a ricostruire un rapporto con te, diciamo il rapporto che avevamo durante la nostra prima separazione. Ma LUI… io e Gaetano non siamo mai stati amici, Camilla e mai lo saremo. Lui ha fatto di tutto per distruggermi la vita, Camilla, e io su questo non posso passarci sopra e-”
 
“Ma ero io che avevo un impegno con te, Renzo, non Gaetano. Se c’è qualcuno che ha sbagliato nei tuoi confronti sono io e non lui, e lo sai.”
 
“Sì, ma… è anche questo suo atteggiamento da superuomo che mi dà sui nervi, Camilla, questo suo guardare tutti dall’alto in basso, quando poi la sua vita privata è sempre stata tutt’altro che esemplare. Lo so che tu… che tu lo ami e per te è l’incarnazione della perfezione, il divino sceso in terra,” esclama ironicamente, scuotendo il capo, per poi aggiungere, serissimo, “ma io lo vedo per com’è veramente e non è il tipo d’uomo di cui sarei mai amico, anche se non si fosse innamorato di te e l’avessi conosciuto in un altro modo. Non è il genere d’uomo che stimo, Camilla, mi dispiace ma è così, e soprattutto non è il genere d’uomo che vorrei nella vita di mia figlia.”
 
“Beh, mi dispiace per te, ma invece Gaetano è proprio il tipo d’uomo che voglio nella mia vita e in quella di nostra figlia, e soprattutto che Livietta stessa vuole nella sua vita. E farà parte della sua vita, della nostra vita, che a te piaccia o meno, anche perché Gaetano avrà pure i suoi difetti, come tutti, ma sono sicurissima che la sua presenza non danneggerà, né disturberà né metterà mai in pericolo nostra figlia, anzi, tutto il contrario. E sono sicura che il tempo mi darà ragione, Renzo,” proclama decisa, cercando di contenere il tono di voce, ottenendo per tutta risposta un altro sogghigno sarcastico.
 
“Che c’è?”
 
“C’è che è quello che mi ha detto anche il tuo Gaetano quando mi ha teso quella specie di agguato a casa sua: che il tempo vi darà ragione, gli darà ragione, darà ragione a questa vostra grandissima storia d’amore e alle sue buone intenzioni,” commenta con un tono che le fa chiaramente capire quanto lui invece non creda affatto né alle loro parole, né alle buone intenzioni di Gaetano.
 
“Forse se te lo diciamo in due è perché è davvero così, Renzo e- e no, fammi finire di parlare, poi parli tu,” lo blocca, prima che si inserisca con l’ennesima battutina, “ascoltami, Renzo, Gaetano è un poliziotto, non è un mafioso, un serial killer, un ubriacone, un violento… insomma, ti ripeto, non è un pericolo per Livietta e non lo sarà mai. Quindi, scusami se te lo dico, ma questo pregiudizio che hai nei suoi confronti non ha nulla di oggettivo, per quello che riguarda nostra figlia, e si riduce a questo punto ad una tua antipatia nei suoi confronti. Non ti è simpatico? Non sareste mai amici? D’accordo, nessuno te lo chiede o lo pretende, Renzo! Ma allora anche Carmen, se proprio lo vuoi sapere, non era il genere di donna con cui di solito faccio amicizia e non mi è mai stata granché simpatica. Anche se l’ho rivalutata con gli anni, forse perché è diventata più matura e ha trovato un modo più… fine e discreto di essere sensuale. Pure io non impazzivo all’idea che mia figlia la prendesse come esempio e di trovarmi Livietta a tredici anni con il reggiseno imbottito, magari pure leopardato, truccata come una vamp. E anche lei, esattamente come Gaetano con te, si può dire che abbia in un certo senso contribuito a distruggermi la vita. Ma è solo un’apparenza, una scusa comoda, perché il nostro matrimonio non l’ha distrutto né lei, né Gaetano, ma l’abbiamo distrutto noi due, Renzo, con le nostre mani. Però ho accettato la sua presenza e ho sempre cercato di far capire a Livietta che Carmen non era una sua rivale. E quando hanno costruito un bel rapporto e probabilmente, anzi, sicuramente Livietta preferiva passare il suo tempo con Carmen, che era più giovane, più figa e più interessante di quella brontolona di sua madre, che trascorreva il tempo chiusa in casa con le uova al tegamino… beh, me ne sono fatta una ragione, e ho capito, Renzo. Come tu dovresti capire perché Livietta ultimamente preferisca stare con Gaetano e con me piuttosto che con te e magari cercare di rendere più piacevole il tempo che passate insieme, invece che trascinarla ogni volta o nella terza guerra mondiale o ad una specie veglia funebre.”
 
Renzo apre la bocca come per replicare ma non esce nessun suono, ci riprova un altro paio di volte ma niente. Camilla sa che significa: il messaggio è passato.
 
“Riflettici, ok? E fammi sapere cosa hai deciso…” sospira, alzandosi in piedi ed avviandosi in silenzio verso il portone della sua scala, lasciandolo lì, immerso nei suoi pensieri.
 
***************************************************************************************
 
“Livietta, meno male! Tutto bene?!”
 
“A parte che mi hai fatto quasi prendere un infarto, sì, tutto bene. Va beh che Lucrezia è un po’ svampita ma non è certo pericolosa e sono andata in piscina, mica alla guerra!” proclama Livietta con tono stupito, portandosi ancora una mano al cuore dopo il mezzo salto fatto quando ha aperto la porta di casa e si è trovata di fronte la madre.
 
“No, è che… quello che è successo stamattina… mi dispiace davvero Livietta, scusami io-“
 
“Mamma, per favore… vi ho sentiti e so benissimo come stanno le cose-“
 
“Quanto hai sentito?” domanda Camilla, preoccupata, ringraziando il cielo che né lei né Renzo hanno fatto riferimento esplicito a quelle accuse inconcepibili di Renzo riguardo al rapporto tra Gaetano e Livietta.
 
“Abbastanza… insomma, appena sono uscita dal bagno dopo aver fatto la doccia. La vostra camera da letto non è un bunker insonorizzato e se speravi che dopo la doccia mi sarei lavata i capelli, hai fatto male i conti, visto che dovevo andare in piscina, quindi…”
 
Camilla scuote il capo incredula: Livietta ha capito tutto, come sempre. E si chiede quanto abbia sentito in questi anni, anche e soprattutto dopo la prima separazione da Renzo.
 
“Mamma… lo so che papà è furioso con te perché l’hai lasciato e ti sei messa con Gaetano e fa ben poco per nasconderlo – forse solo se ci sono io – e che quindi anche tu sei arrabbiata con lui per questo e per via di Carmen. E insomma, alla fine non è una novità, ci sono passata con la prima separazione quando discutevate su quasi qualsiasi cosa, anche se tu non mi sembravi arrabbiata con papà tanto quanto lui lo è con te: lui si sta comportando più come nonna si comportava con lui e con Carmen. Però sono grande e posso capire e preferisco la verità piuttosto che vedervi fingere di andare d’amore e d’accordo in mia presenza.”
 
“Quindi non sei arrabbiata con me?”
 
“No. Sono arrabbiata con papà perché… perché non mi capisce. Anche adesso, tu sei qui e lui dov’è?” chiede Livietta, rivolgendosi alla casa vuota, “e chissà tra quanti giorni si farà rivedere, forse. Se ci tenesse davvero così tanto a me, a fare pace con me, mi avrebbe aspettata. O tornerebbe qui domattina e si comporterebbe in maniera diversa con te e con me. Ma non lo farà.”
 
“Livietta, guarda che ti è corso dietro, tra un po’ davvero gli veniva un infarto. Lo sai com’è fatto tuo padre, no? Quando sente di avere subito un rifiuto si rinchiude in se sé stesso e ci mette un po’ di giorni a recuperare e ritrovare il coraggio per affrontarmi, per affrontarti. E non ama i conflitti, le discussioni, lo sai, no? Spesso anche io ho provato la tattica che stai usando tu con lui e non ha mai funzionato: più io lo provocavo, più lui si ritirava e alla fine mi toccava andare a stanarlo in studio. E poi sta passando un momento difficile e-“
 
“E tu ancora lo giustifichi?! Mi sembra che con te però adesso ci riesce a discutere e ad entrare in conflitto, fin troppo! Non posso credere che sia arrivato ad accusare te e Gaetano di mettermi contro di lui!”
 
“Non lo giustifico, Livietta, ma… siccome lo conosco in parte posso capirlo. Con me adesso e dopo la nostra prima separazione riesce a litigare perché… perché sente di non avere più nulla da perdere, in un certo senso. Mentre con te… tuo padre ha paura di perderti, Livietta, teme che lo odi e che non ti importi più niente di lui. E lo so che non è vero, ma per lui in questo momento ogni tuo rifiuto è come un macigno. E il fatto che invece con me e con Gaetano vai d’accordo… per lui è come se volessi bene a me e a Gaetano e a lui no. Come se Gaetano in un certo senso stesse prendendo il suo posto, non solo al mio fianco ma… anche nella tua vita…”
 
“Ma è assurdo: Gaetano non è e non sarà mai come un padre per me e non vuole neanche esserlo, grazie a dio! Mi ci manca solo un altro padre apprensivo e paranoico che mi tratta come una bambina di cinque anni!” proclama Livietta con un tono che, nonostante tutto la fa sorridere.
 
“Lo so, Livietta, lo so. Ma tuo padre non riesce a capirlo ora: credo che se tu e lui andaste nuovamente d’accordo, lui non si farebbe più tutte queste paranoie su… su me, su Gaetano e su te…” spiega, anche se le ultime parole riesce a pronunciarle solo a fatica, perché le riportano alla mente ben altre paranoie di Renzo, di cui spera Livietta resterà per sempre all’oscuro.
 
“Mi stai chiedendo di fare pace con papà per… per evitare altri problemi a te e a Gaetano?” le domanda con un tono indefinibile, trafiggendola con quegli occhi azzurri che le sembrano più grandi del solito, forse perché sono fin troppo lucidi.
 
“No, Livietta. Io e Gaetano siamo più che grandi e ce la caviamo da soli, anzi, non voglio che tu pensi che se abbiamo problemi con tuo padre sia per colpa tua, perché ce l’avrebbe con noi in ogni caso, ok?” la rassicura, posandole una mano sulla spalla e stupendosi quando la figlia non solo non si ritrae, ma anzi le butta le braccia al collo e la stringe in un abbraccio fortissimo.
 
Le accarezza la schiena ed i capelli morbidi che odorano ancora di shampoo e di cloro e poi la conduce con sé sul divano, sedendosi con lei, ancora abbracciate come non avveniva da tanto, troppo tempo.
 
“Livietta, ti sto solo chiedendo di considerare la possibilità di fare pace con tuo padre per te stessa. Lo so che gli vuoi un bene dell’anima anche se adesso sei arrabbiata con lui, anzi, forse sei arrabbiata con lui proprio per questo. Ma su una cosa Renzo ha ragione: anche se apprensivo e paranoico, tu hai bisogno di un padre, Livietta, e-“
 
“Sì, di un padre. Non di un tiranno che mi tratta come se fossi un pacco postale o di un bimbo vendicativo che fa i dispetti, mamma!”
 
“Livietta, lo so. Ma tuo padre è in un periodo difficile e… e sta poco bene. E purtroppo, come ben sai, noi genitori siamo esseri umani, e possiamo sbagliare come, se non peggio di tutti gli altri esseri umani. So benissimo che dopo la separazione da Renzo non sono stata la madre che avresti meritato, Livietta, per tanto tempo. Che sembravo a volte più una nonna che una mamma: sempre chiusa in casa, ti costringevo a mangiare cibo tristissimo… ma stavo male e poi mi sono ripresa, ma ci è voluto tempo. Ma avevo te, Livietta, e tua nonna. Anche tuo padre ha bisogno di tempo e probabilmente ha bisogno di te, ancora più di quanto tu in questo momento abbia bisogno di lui. E non voglio farti sentire in colpa o dirti che devi perdonarlo per forza, ma che, se ci riesci, forse devi portare un po’ di pazienza con lui, Livietta, per un po’ di tempo e… magari fare tu la prima mossa verso di lui.”
 
“Mamma… è che… non so se ci riesco… ho ancora tanta rabbia verso di lui, per tanti motivi e-“
 
“E magari allora prova a spiegarglieli, no? A spiegargli perché sei arrabbiata con lui, cosa c’è secondo te che non va nel vostro rapporto, cosa vorresti da lui, un po’ come già hai fatto oggi e, credimi, tuo padre ha recepito il messaggio e penso che tu l’abbia fatto riflettere, Livietta,” la rassicura, stringendola ancora più forte ed accarezzandole una guancia, per portarla a guardarla negli occhi, “lo so che a volte vorremmo che le persone capissero, senza bisogno di parole, senza bisogno di dover spiegare quello che ci sembra così ovvio. Ma non sempre lo è e con il muro contro muro non si ottiene niente: l’unica soluzione è parlarsi, confrontarsi. L’ho capito a mie spese dopo tanti anni.”
 
“Mamma, ma è proprio questo il problema… è che… forse nemmeno io capisco del tutto perché sono così arrabbiata con papà. In parte lo so ma… da quando vi siete lasciati e poi lui è andato a Londra… non so bene cosa sia scattato ma è come se tante cose che tenevo dentro da tanto tempo siano uscite fuori tutte insieme…” ammette con voce tremante, due lacrime che le scorrono lungo le guance ed un’espressione che per Camilla è come una pugnalata in pieno petto. Ritrova la Livietta bambina dopo la loro prima separazione, tutta la fragilità che la Livietta di oggi aveva nascosto dietro la rabbia, la guerra fredda, le proteste adolescenziali.
 
“E tu spiegagli quello che riesci a spiegare e poi digli quello che hai detto a me. L’importante è che capisca che se sei arrabbiata con lui è perché a lui ci tieni, sono sicura che piano-piano tutto il resto verrà da sé e potrete risolverlo insieme.”
 
“Non lo so, mamma… vorrei crederti, ma… non è facile e lo sai: basta vedere te con nonna,” proclama con un’occhiata che le fa capire, una volta di più, quanto Livietta sia cresciuta.
 
“No, non è facile. Ma non è impossibile,” la incoraggia, ricambiando l’occhiata e sentendo di nuovo quel dolore al petto quando la vede annuire, prima di rifugiarsi nel suo abbraccio.
 
***************************************************************************************
 
“Sì?”
 
Solleva gli occhi dal libro che stava leggendo e guarda stupita verso la porta della stanza da letto: Livietta la osserva incerta, sullo stipite, la mano ancora sulla maniglia, vestita con la t-shirt oversize che usa come camicia da notte.
 
“Cosa c’è? Non stai bene? E perché hai bussato?” le domanda, sorpresa e preoccupata dall’insicurezza che percepisce dal linguaggio del corpo della figlia, e dall’orario, visto che è quasi mezzanotte.
 
“Non si sa mai… considerati gli sguardi che vi lanciavate stasera dalla finestra… metti che Gaetano avesse deciso di farti una visita notturna, di nascosto… non voglio rimanere traumatizzata a vita!” scherza, facendola sorridere e arrossire.
 
Gli aveva mandato un messaggio dopo lo sfogo di Livietta, dicendogli che aveva bisogno di passare un po’ di tempo da sola con la figlia e che quindi la loro ormai tradizionale cena post-lavoro doveva essere rinviata all’indomani. Gaetano era stato, come sempre, più che comprensivo e dolcissimo: alle diciannove, poco prima dell’orario in cui di solito si metteva ai fornelli, il campanello aveva suonato e si era trovata davanti il ragazzo delle consegne del ristorante giapponese di fiducia di Gaetano – che ormai era diventato anche il loro. E se le fosse rimasto qualche dubbio sul fatto che lui le conosce fin troppo bene, e che ha una memoria di ferro, era stato completamente spazzato via quando aveva aperto le confezioni e si era trovata davanti una selezione perfetta e precisa di tutte le varietà di sushi che lei e Livietta avevano apprezzato di più in quelle due occasioni in cui avevano preso il takeaway tutti insieme.
 
L’aveva poi visto rientrare tardi – sicuramente dopo una giornata di fuoco in questura, a tentare di recuperare il lavoro accumulato durante la loro permanenza a Roma – mentre lei e Livietta stavano sparecchiando e ritirando piatti e bicchieri nella lavastoviglie, anche lui con sacchetti del giapponese in mano, pronto ad una perfetta cena da scapolo.
 
Lei e Livietta si erano scambiate uno sguardo, avevano preso la lavagnetta magnetica della cucina, ci avevano scritto un “GRAZIE!” gigante e, reggendola, si erano piazzate davanti alla finestra.
 
Gaetano aveva sorriso, fatto un lieve inchino, stile maggiordomo, ed aveva armeggiato con il cellulare. Il telefono di Camilla aveva segnalato un messaggio in arrivo e non aveva potuto fare a meno di ridere insieme a Livietta di fronte alla frase: “almeno con il sushi non rischio altri incendi ;)”.
 
Si era persa per un attimo in quegli occhi azzurri e brillanti e, quando Livietta si era voltata per riporre la lavagna, gli aveva mandato un bacio e aveva enunciato un “ti amo” muto, che lui aveva ricambiato con un occhiolino ed un altro bacio. E, nonostante si rendesse conto che la scena era da “tempo delle mele”, come l’avrebbe definita Livietta, e sebbene fosse perfettamente cosciente del fatto che per lei quel tempo era passato da un pezzo, sinceramente non le importava. Voleva godersi e viversi completamente questi momenti con Gaetano, fino in fondo.
 
“Guarda che Gaetano non mi fa visite notturne di nascosto. Se vogliamo vederci, lo facciamo alla luce del sole, in tutti i sensi,” ribatte, altrettanto ironica, non potendo nascondere il sorriso ebete che le si è stampato in faccia al solo pensiero di lui.
 
“Non troppo alla luce del sole, grazie!” replica Livietta, non perdendo un colpo e guadagnandosi, per tutta risposta, un lancio di cuscino, che afferra al volo prima che la colpisca in viso.
 
“A parte gli scherzi, Livietta, tutto bene?” chiede Camilla, decisamente più seria e preoccupata, vedendola rimanere ancora lì sulla porta, con quell’aria esitante.
 
“Sì, ma… mi chiedevo… lo so che sono grande, ma… potrei dormire qui con te stanotte? Come ai vecchi tempi…” chiede, abbassando lo sguardo, come imbarazzata per questa richiesta, cogliendola di nuovo completamente di sorpresa.
 
Erano secoli che lei e Livietta non dormivano nel lettone insieme, anche se negli ultimi anni a Roma erano state più le volte che erano da sole in casa, di quelle in cui c’era anche Renzo.
 
“Beh… il cuscino già ce l’hai, no?” risponde con un sorriso, facendo un cenno verso la parte vuota del letto.
 
In pochi passi Livietta la raggiunge e si mette sotto le lenzuola, per poi abbracciarsi a lei come quando era bambina e correva a rifugiarsi nel lettone tra lei e Renzo dopo aver avuto un incubo.
 
Se la coccola un po’, sapendo che forse sarà una delle ultime volte in cui sua figlia le concederà di farlo, ricordando benissimo i tempi della sua adolescenza, in cui un giorno si sentiva una donna pronta a spaccare il mondo ed il giorno dopo si scopriva indifesa come una bambina. Sua figlia avanza rapidamente ed inesorabilmente sul cammino che presto la porterà ad essere un’adulta, a tutti gli effetti.
 
E se da un lato non vede l’ora di assistere al giorno in cui Livietta spiccherà davvero il volo e si allontanerà dal nido, di scoprire la donna che diventerà, dall’altro sa che, quando arriverà quel giorno, custodirà per sempre questi momenti irripetibili e bellissimi nel suo cuore.
 
***************************************************************************************
 
“Ehi, tutto bene?!”
 
Livietta solleva gli occhi verso l’istruttore, che la guarda preoccupato, mentre è ancora mezza accartocciata sul materasso imbottito della palestra dopo essere stata, per l’ennesima volta, immobilizzata e messa al tappeto.
 
“Sì… sì… tutto ok… oggi non è proprio giornata: mi sa che io e mia madre abbiamo perso un po’ troppe lezioni e siamo rimaste indietro,” commenta con un sospiro, afferrando la mano che lui le porge e lasciandosi trascinare in piedi.
 
Se alle prime lezioni di difesa lei e sua madre erano state indubbiamente le prime della classe, dopo due settimane di latitanza le altre partecipanti avevano ormai bagnato loro il naso. Non si raccapezzava più tra nomi di prese, parate, schivate, mentre alle altre ormai sembrava venire tutto più naturale. E, a giudicare dal numero di volte in cui sua madre era finita stesa a pancia in aria, non era la sola. Del resto erano ormai nella seconda e ultima metà del corso e loro ne avevano saltato più di un terzo.
 
“Sì… eravate a Roma con il dottor Berardi, giusto? Ho sentito che è scoppiato il finimondo…”
 
“Già… dovevamo rimanere una settimana e sono diventate due… ma si è tutto risolto, per fortuna,” conferma Livietta, mantenendosi sul vago, dato che sa che la collaborazione di sua madre con Gaetano è un argomento delicato e, si può dire, praticamente un segreto, per quanto un po’ di pulcinella, “solo che adesso qui non ci capisco più niente e non so come fare a recuperare… al limite il corso si può ripetere?”
 
“Puoi aspettarmi solo un secondo?” le domanda con il solito sorriso gentile, prima di rivolgersi al resto delle allieve con un, “beh, per oggi abbiamo finito. Ci vediamo, come sempre, giovedì. Grazie a tutte!”
 
Segue il solito applauso e la fila di signore che circondano i due maestri e rivolgono loro le domande più disparate.
 
“Come va, mamma?” domanda Livietta, vedendo la madre avvicinarsi tenendosi un fianco.
 
“Insomma… non so se sia più a pezzi la mia schiena o la mia autostima,” ironizza Camilla, facendola sorridere.
 
“Nel mio caso la schiena è a posto, l’autostima… non molto…”
 
“Vedi? I vantaggi di avere sedici anni!”
 
“E farsi superare da donne che hanno il triplo e passa dei miei anni?” sospira Livietta, afferrando il suo asciugamano.
 
“Bene, grazie per aver dato il colpo di grazia alla mia autostima! Almeno abbi pietà della mia schiena…” scherza Camilla, strappandole una mezza risata, “andiamo?”
 
“Veramente l’istruttore mi ha chiesto di aspettarlo per parlare di come recuperare almeno un po’ di quello che ci siamo perse e magari salvare la faccia…”
 
“E allora aspettiamo…” sospira Camilla, guardando l’orologio e sperando di fare in tempo a tornare a casa per accogliere Gaetano al ritorno dal lavoro.
 
Dopo che era stato così dolce e comprensivo, con la sorpresa del sushi a domicilio, la sola idea di lasciarlo, per la seconda sera di fila, tornare in una casa vuota a mangiarsi cibo precotto o surgelato o takeaway, la faceva sentire terribilmente in colpa e le causava uno strano senso di… di vuoto. E poi aveva bisogno di vederlo, di passare un po’ di tempo con lui, di sentirlo ridere o appassionarsi o infiammarsi mentre raccontava loro la sua giornata, come era ormai diventata praticamente un’abitudine già prima della loro permanenza a Roma.
 
E se la notte precedente la presenza di Livietta, rimanere abbracciata con lei fino a tardi a parlare e a coccolarsi un po’, come non accadeva da tanto, troppo tempo, aveva colmato il vuoto della sua assenza, sa già che la attende una nottata difficile, in un letto vuoto e freddo, senza di lui. Tante volte è stata tentata di gettare al vento la cautela, il buon senso e la prudenza, prendere coraggio a piene mani e chiedergli di ritornare a convivere, questa volta stabilmente. Ma sa che è troppo presto, che ci sono troppe cose in ballo da sistemare, soprattutto per via di Renzo ed Eva e che… devono fare ancora un po’ di strada insieme come coppia, anche se si conoscono da una vita, come dimostrato da quello che era successo a Roma. Non può rischiare di bruciare le tappe e per questo di compromettere il loro rapporto e il loro futuro, non può permettersi di sbagliare, non con Gaetano.
 
“Mamma, se vuoi cominciare ad avviarti e preparare per cena non c’è problema: da qui posso tornare facilmente con i mezzi,” propone Livietta, sembrando, come accade spesso ultimamente, leggerle nel pensiero.
 
“Ma no dai, non c’è problema,” la rassicura, con un sorriso grato, prima di aggiungere in un sussurro inudibile, “spero solo che le groupies qui lo lascino andare prima di domattina.”
 
Scambiandosi uno sguardo complice attendono fino a che l’istruttore riesce a svicolarsi dalle ultime due signore e a raggiungerle.
 
“Le chiederei come è andata la lezione ma, dal modo in cui si tocca la schiena, temo di conoscere la risposta,” esordisce, rivolgendosi a Camilla con uno sguardo dispiaciuto e che sembra anche un po’ intimorito.
 
“Sì, ma non è colpa sua: è colpa nostra che abbiamo saltato troppe lezioni. Non si preoccupi, non farò rapporto al dottor Berardi,” lo rassicura con un sorriso e tono ironico, facendolo sorridere.
 
“Non è neanche colpa vostra, però: ho sentito cosa è successo a Roma e… eravate impegnati in qualcosa di ben più importante – e complicato – di qualche lezione di difesa personale…” risponde con nonchalance ma un brillio divertito in quegli occhi azzurro-verdi.
 
“Eravamo?” chiede Camilla, avendo colto perfettamente i sottotesti.
 
“Sono amico dell’agente Cesari, che lavora alla omicidi con il dottor Berardi e… le voci corrono, professoressa,” chiarisce con un sorriso, mentre Camilla si chiede se esista qualcuno nel corpo di polizia di Torino che ancora non sa di lei, “in effetti mi chiedo se non sia io che dovrei imparare qualcosa da lei, piuttosto che il contrario.”
 
“Di sicuro, come ha potuto vedere, sulla difesa personale ho molto da imparare e le voci hanno, per loro stessa natura, il potere di ingigantirsi passando di bocca in bocca,” replica Camilla con un’occhiata eloquente.
 
“Lo so, stia tranquilla,” la rassicura con un altro sorriso aperto e gentile e che sembra, come i precedenti, sincero. Capisce perché sia stato scelto per insegnare a questo corso: è indubbio che sappia destreggiarsi bene con le esponenti del gentil sesso, risultando cortese e rassicurante ma non inappropriato.
 
“Per quanto riguarda le lezioni che abbiamo saltato… cosa possiamo fare?” si inserisce Livietta, cambiando argomento, “al limite si può ripetere tutto il corso?”
 
“In realtà non sarebbe possibile… sapete, abbiamo sempre file d’attesa per partecipare. Certo, viste le circostanze, forse sarà possibile fare un’eccezione, ma non dipende da me e-“
 
“E date le nostre circostanze e il mio rapporto personale con il dottor Berardi, preferirei evitare qualsiasi eccezione,” si inserisce Camilla, non volendo assolutamente che si possa dire che, per via di Gaetano, lei o Livietta abbiano avuto un trattamento particolare o favori particolari da quelli che sono, comunque, pubblici ufficiali.
 
“Allora potrebbe magari aiutarci lei a recuperare un po’? Magari non so… con una lezione extra?”
 
“Anche questo non si potrebbe fare, Livia. Noi istruttori non possiamo dare lezioni private alle allieve di questo corso, è la regola: anche perché siamo sempre sommersi da richieste e… se dovessimo creare un precedente poi dovremmo dire di sì a tutte e… non vivremmo più…” commenta con un mezzo sorriso tra l’ironico e l’esasperato che le fa scoppiare a ridere, per poi aggiungere, visibilmente in imbarazzo, “mi dispiace che ci andiate di mezzo voi, che siete indubbiamente tra le allieve più… diligenti e tranquille che abbia mai avuto, ma… come lei, professoressa, visti i vostri rapporti con il dottor Berardi, vorrei evitare il crearsi di voci spiacevoli… anche perché sono in ballo per una promozione e non vorrei mai che qualcuno potesse pensare che…”
 
“Stia tranquillo, capisco perfettamente e, mi creda, condivido in pieno,” lo rassicura Camilla, favorevolmente colpita dall’atteggiamento dell’uomo.
 
“Mi dispiace davvero. Però… posso darvi il piano delle lezioni che avete saltato e… insomma, credo che abbiate a vostra disposizione un istruttore di eccezione, sicuramente molto più esperto di me. Magari può darvi una mano a lui a recuperare quello che avete perso che, in fondo, non è così tanto. Siete entrambe portate, sono sicuro che non ci metterete molto a rimettervi in pari,” le incoraggia con un altro sorriso, “avete un foglio su cui segnare?”
 
**************************************************************************************
 
“Che ci fai qui?”
 
“Grazie per l’accoglienza, sono commosso!” esclama, fintamente offeso, facendola sorridere, prima di sentirsi afferrare per la camicia e venire trascinato in un rapidissimo e castissimo bacio di saluto, che comunque lo sorprende, data la presenza di Livietta.
 
“Lo sai cosa intendo… pensavo che ci saremmo visti a casa, non… qui fuori,” risponde, ancora sorpresa, essendoselo trovato davanti all’uscita della palestra.
 
“Sì, lo so ma… diciamo che mi è venuta un’idea e ho deciso di farvi un’improvvisata. Ma stavolta ho pensato che forse era meglio non entrare e rimanere in incognito,” chiarisce, memore dell’imbarazzo dell’ultima volta, quando aveva pure dovuto tenere un discorso.
 
“Tranquillo: le fan più assatanate se ne sono già andate,” commenta Livietta con un sorriso sarcastico.
 
“Bene… e allora, visto che è tardi e che sicuramente sarete stanche e non avrete voglia di mettervi ai fornelli… mi chiedevo: vi piacciono ancora pizza e patatine, vero?” domanda, ricordando quanto Livietta ne fosse ghiotta da ragazzina – e anche Camilla, a dire il vero.
 
“Moltissimo!” rispondono madre e figlia all’unisono, senza volerlo.
 
“Bene, allora c’è un posticino che mi ha raccomandato Torre in persona, gestito da un signore di Caserta e, a quanto dice Torre, la pizza è buona quasi quanto quella di Napoli. Che ne dite?”
 
“Dico che se lo raccomanda Torre sicuramente sarà buonissimo, ma a patto che lasci pagare me stavolta, visto che tu ci hai già offerto il sushi, che è pure molto più caro,” intima Camilla, con aria di chi non ammette una risposta negativa.
 
“Camilla, lo sai che da quel lato non ci sento e-“
 
“E invece ci devi sentire stavolta, altrimenti niente pizza e avrai due povere fanciulle indifese ed affamate sulla coscienza…”
 
“Affamate d’accordo, sull’indifese avrei qualche obiezione…” le fa notare Gaetano, guadagnandosi un buffetto sul braccio, “ecco, appunto!”
 
“A proposito dell’indifese… avremmo un grandissimo favore da chiederti, quindi, per non ferire il tuo orgoglio maschile, potremmo fare uno scambio: il favore in cambio della pizza e di qualche cena casalinga, che ne dici?” si inserisce Livietta con un tono ed un’espressione monella ed irresistibile che ha decisamente ereditato dalla madre.
 
“Va bene, va bene, mi arrendo!” concede, alzando le mani in segno di resa, prima di avviarsi con loro verso le macchine parcheggiate lì vicino.
 
***************************************************************************************
 
“AH!”
 
“Oddio, scusami, ti ho fatto male?!” domanda, preoccupata, rialzandosi dopo averlo messo a terra per la quinta volta di fila, solo che questa volta erano finiti al tappeto insieme e cadendo gli aveva dato una gomitata – ovviamente involontaria – nelle costole.
 
“No, no, scusami tu, è che-“
 
“Ti scuso se la smetti di scusarti per nulla, Gaetano,” sbotta, esasperata quanto dispiaciuta, mentre, insieme a sua madre, lo aiuta a rialzarsi.
 
“Ti fa tanto male?” chiede Camilla, impensierita, sollevandogli la maglia per guardare la zona colpita e vedendo la pelle arrossata.
 
“No, no, mi verrà solo un livido, tranquilla, non mi sono rotto niente,” la rassicura, non potendo evitare però una leggera smorfia di dolore quando le dita di Camilla sfiorano il principio di ematoma.
 
“Senti, Gaetano, scusami tu adesso, ma mi pare evidente che così non può funzionare,” sospira Livietta, afferrando l’asciugamano dalla panchina lì vicino.
 
“In che senso?!”
 
“Secondo te?! Ti ho messo a terra tutte le volte! Ora, i casi sono due: o sono improvvisamente diventata una campionessa mondiale di arti marziali, o c’è qualcosa che non va, perché voglio sperare che tu nel corpo a corpo non sia davvero così. In caso contrario, per la tua incolumità e quella di mia madre, faresti decisamente meglio a cambiare mestiere,” gli fa notare, con tono ironico e ancora preoccupato.
 
“Livietta!”
 
“Mamma, è inutile che mi fulmini con quell’occhiata: è la verità! Lo so benissimo che Gaetano è più che capace nel suo lavoro – e nel corpo a corpo – e che se prendessimo la prima persona a caso ad entrare in palestra e gli chiedessimo di farle o fargli una lezione i risultati non sarebbero questi,” esclama Livietta, per poi aggiungere con un altro sospiro, guardando negli occhi Gaetano, “non riesci praticamente a toccarmi, figuriamoci ad afferrarmi: sembra che hai il terrore non solo di farmi male, ma di spezzarmi in due. Non so se per la presenza di mamma, o proprio perché si tratta di me, ma… come faccio ad imparare qualcosa in questo modo?”
 
“Sì, scusami, hai ragione,” ammette Gaetano, sospirando di rimando, per poi affrettarsi ad aggiungere, vedendo la sua occhiata, “ok, ok, non lo dico più.”
 
“Sentite, perché non vi esercitate un po’ voi due adesso? Almeno magari Gaetano si rilassa un po’,” suggerisce Livietta, prendendo la bottiglietta d’acqua e sedendosi sulla panchina.
 
“Sei sicuro di voler proseguire? Se hai male al fianco…”
 
“No, no, Camilla, tranquilla! O non sarà che hai paura, professoressa?” la punzecchia per rassicurarla e sdrammatizzare la situazione.
 
“Di te?” gli chiede con sguardo di sfida, girandogli intorno un paio di volte, senza lasciare i suoi occhi per poi sussurrargli in un orecchio, “non più.”
 
Gaetano non riesce a trattenere il sorriso, capendo benissimo a cosa lei si riferisca: a tutte le sue retromarce e i suoi tentativi di fuga negli anni. Fuga da lui, da quello che sentivano e che sentono entrambi.
 
“D’accordo… allora… partiamo dal primo esercizio, quello in cui tento di bloccarti da dietro, pronta?” le domanda, più serio, mettendosi in posizione.
 
Lei annuisce e si sente afferrare per i gomiti con una presa talmente delicata che in cinque secondi è libera a tre passi da lui.
 
“Gaetano… senti, Livietta ha ragione: così non può funzionare!” esclama con un sospiro, scuotendo il capo.

“Lo so, hai ragione, è che… è che ho paura di farti male, di farvi male, di non riuscire a dosare le forze e… mi blocco. Non ci riesco a lottare con te,” ammette con un tono ed uno sguardo che la inteneriscono e le fanno bene e male al cuore allo stesso tempo.
 
“Ehi,” gli sorride, avvicinandosi a lui e prendendogli il viso tra le mani per guardarlo negli occhi, “guarda che sia io che Livietta sappiamo che non ci faresti mai del male, Gaetano, e che anzi, se siamo qui oggi è proprio perché stai facendo di tutto per fare sì che nessuno possa mai farci del male.”
 
“Camilla…” mormora di rimando, commosso dall’amore e dall’orgoglio che legge in quegli occhi scuri.
 
“E poi non è vero che non ci riesci a lottare con me… in certi ambiti ci riesci eccome, anzi, sei bravissimo ad imprigionarmi tra le tue braccia. E non mi hai mai fatto male, tutt’altro,” gli sussurra in un orecchio con tono malizioso e giocoso, in modo che Livietta non possa sentire, “fai finta che siamo soli io e te, a casa, e che è un… gioco tra di noi. Perché in fondo lo è, no?”
 
Gaetano sorride e scuote il capo nuovamente, provando un improvviso desiderio di baciarla fino a toglierle quel sorrisetto dalle labbra e farle mancare il fiato. Sentendosi incredibilmente più rilassato, le fa cenno di mettersi di nuovo in posizione.
 
E questa volta le mani sulle sue braccia sono sicure, decise, e si sente trascinare indietro con forza. Camilla non impedisce il movimento e anzi, si butta indietro con tutto il suo peso, finendo contro il petto di Gaetano e sbilanciandolo, come previsto dall’esercizio. Ne approfitta per liberare un braccio e dargli un lieve colpo al fianco, girarsi su se stessa fino ad essergli perpendicolare e passare una gamba dietro il suo ginocchio destro, tirando per sbilanciarlo del tutto e atterrarlo.
 
È una questione di attimi e si ritrova spalmata sopra di lui sul materasso. I loro sguardi si incrociano e scoppiano a ridere.
 
“La prossima volta devi liberare entrambe le braccia prima di cercare di atterrarmi, professoressa!” la canzona, dandole un pizzicotto sul fianco.
 
“Ehi!” esclama, schiaffeggiandogli lievemente la mano prima di lanciarsi in un contrattacco a base di solletico.
 
“Ma allora… vuoi la… guerra…?” riesce a chiederle tra le risate, afferrandola per la vita e buttandola sul materasso, intrappolandola sotto di lui e partendo con la controffensiva, non dandole un attimo di tregua, sentendola ridere e contorcersi contro di lui, mentre cerca inutilmente di liberarsi.
 
“Non vale! Basta! Basta! Mi arrendo!” grida tra le risate e le mani sui suoi fianchi si fermano immediatamente, occhi azzurri e vicini, così maledettamente vicini, che la guardano con quell’espressione da schiaffi, le labbra, altrettanto vicine, pericolosamente vicine, aperte in un sorriso trionfante.
 
In pochi secondi l’aria sembra mutare radicalmente, così come il viso di Gaetano, gli occhi che si scuriscono prima di socchiudersi. L’ultima cosa che vede, prima di cedere alla forza della corrente magnetica che la trascina verso di lui, sono le sue labbra, ancora socchiuse.
 
“Ehm! Ehm!”
 
La voce li fa sobbalzare e spalancare di nuovo gli occhi di scatto. Camilla indirizza lo sguardo verso quella voce e vede, a testa in giù, per via della posizione in cui si trova, Livietta vicino alla porta, con un’aria che imbarazzata è dire poco.
 
“Vado a prendere un’altra bottiglietta d’acqua… voi continuate pure a… ad allenarvi,” commenta, sarcastica, trafiggendoli con un’ultima occhiata prima di sparire dietro la porta.
 
“Oddio, che imbarazzo!” pronuncia Gaetano a pochi centimetri dal suo orecchio, praticamente accasciandosi su di lei.
 
“Mi sa che mi hai presa troppo alla lettera quando ti ho detto di fare finta che fossimo soli a casa,” commenta Camilla, ironica, le guance che bruciano e la voglia straripante di sprofondare nel materasso.
 
“Io? Ma se sei tu che mi hai provocato per prima, professoressa!” le fa notare con un sorriso, sollevandosi nuovamente per guardarla negli occhi.
 
“Io?” domanda lei di rimando, con fare innocente, sbattendo esageratamente le ciglia.
 
“Tu, tu,” conferma, dandole un altro pizzicotto sul fianco.
 
“Guarda che il solletico non era assolutamente una provocazione,” replica, con aria da ingenua, prima di premersi contro di lui e sussurrargli in un orecchio, “questa è una provocazione.”
 
Colto di sorpresa – il sangue non sta fluendo verso il suo cervello ma in direzione diametralmente opposta – si ritrova nuovamente pancia all’aria, mentre Camilla si libera dalla sua presa e si rimette in piedi con aria trionfale.
 
“Visto? Alla fine ci sono riuscita ad atterrarti!” lo punzecchia, facendogli l’occhiolino.
 
“Ma così non vale! È una mossa non regolamentare e spero non ti venga in mente di usarla su un eventuale aggressore – o sull’istruttore!” esclama, divertito ed esasperato, mettendosi a sedere.
 
“Chissà…” proclama lei con un sorrisetto malizioso.
 
“Camilla!”
 
Non saprebbe dire che cosa l’abbia raggiunta per prima: se il suo nome, pronunciato in una specie di ruggito, le sue mani o le sue labbra. Si ritrova nuovamente sprofondata nel materasso plasticoso della palestra, perdendosi in un bacio che dissolve ogni consapevolezza, se non quella di essere completamente, perfettamente ed assurdamente felice.
 
***************************************************************************************
 
“Livia?! …Scusami ti ho spaventata?”
 
“No, no, è che… non l’ho sentita arrivare, mi ha preso di sorpresa,” ammette, portandosi una mano sul cuore che le galoppa nel petto, per poi aggiungere con un sorriso, “mi faccia indovinare: essere silenziosi fa parte dell’addestramento?”
 
“Non proprio… sono solo un istruttore di polizia, non un ninja. Ma può fare comodo, ogni tanto,” ammette, abbagliandola con uno di quei sorrisi ampi e luminosi che hanno steso metà delle signore del corso.
 
“Ad esempio per sfuggire dalle folle di ammiratrici troppo insistenti?” scherza, guadagnandosi una risata che sembra spontanea e sincera tanto quanto il sorriso precedente. Si chiede, per l’ennesima volta, se lo siano realmente.
 
“Ad esempio…” conferma, scuotendo il capo e sorridendo ancora, “e tu? Sei qui per allenarti?”
 
“Sì, sì… sono qui con mia madre e Gaetano, insomma, il dottor Berardi. E lei? Non pensavo che questa fosse una palestra ufficiale della polizia…” commenta Livietta, guardandosi intorno nella piccola palestra, specializzata, a giudicare dal cartello all’ingresso, in boxe, kick boxing, cross-fit e varie arti marziali.
 
“No, infatti non lo è. Però è una delle migliori della zona e tanti colleghi la frequentano. Non ho mai visto il dottor Berardi da queste parti in realtà, ma mi sa che con i ritmi della omicidi non avrà molto tempo per frequentare palestre…”

“No, infatti. Penso che si alleni soprattutto a casa, o almeno credo…” conferma, avendolo visto dalla finestra esercitarsi quasi religiosamente con i pesi praticamente ogni mattina. E da quando Tommy se ne era andato a Los Angeles, l’aveva incrociato un paio di volte alle sette del mattino mentre tornava da una corsa. Probabilmente lo faceva con una certa regolarità ma a quell’ora lei d’estate di solito stava ancora a letto.
 
“Lui e tua madre dove sono? Visto che sono qui, farei loro un saluto…” propone, guardandosi intorno.
 
“Sono in una delle sale, ma sinceramente non glielo consiglio: hanno preso la definizione corpo a corpo un po’ troppo alla lettera…” commenta, affrettandosi ad aggiungere, di fronte al suo sguardo sconcertato, “niente di scandaloso, eh, assolutamente… però… quando mia madre e Ga- e il dottor Berardi sono insieme... diciamo che a volte entrano in un mondo tutto loro.”
 
“Ed in quei momenti il resto del mondo è di troppo?” deduce l’uomo con un altro sorriso, sembrando riprendersi dal momento di imbarazzo e stupore.
 
“Sì… non lo fanno consapevolmente ma sì…” ammette, ricambiando il sorriso.
 
“Capisco… e immagino che, anche se non c’è nulla di scandaloso, per te sia parecchio imbarazzante,” intuisce, guardandola per un attimo negli occhi, prima di aggiungere, con tono comprensivo, “mi sembra di capire che questo allenamento non sia stato un gran successo, vero?”
 
“No, per niente,” conferma con un sospiro, “è che… il problema non è solo… l’imbarazzo… è che… Gaetano non ci riesce proprio a combattere con me. Credo che abbia paura di farmi male e della reazione di mia madre.”
 
“Beh, posso capirlo: per quello che ho sentito in giro e per quel poco che l’ho conosciuta, anche se non è una maestra di arti marziali, tua madre è una donna davvero formidabile e… se posso essere sincero, diciamo che mi mette un po’ in soggezione,” ammette con uno sguardo imbarazzato ma che, di nuovo, sembra sincero.
 
“Mia madre? A lei?” domanda, incredula, visto che l’uomo di stazza è il doppio di sua madre, come minimo.
 
“Sì, a me,” confessa, per poi aggiungere, dopo un attimo di esitazione, “e devo anche ammettere che adesso mi sento un po’ in colpa nei tuoi confronti, insomma, per non averti potuto fare qualche lezione di recupero.”
 
“Non fa niente… lo capisco che le regole sono regole e che non vuole problemi…”
 
“Beh, però… in fondo se trovo per caso una ragazza che conosco in palestra e le chiedo di darmi una mano ad allenarmi, non sto facendo niente di male, no?” le chiede all’improvviso, con il tono di chi ha appena avuto un’intuizione, fulminandola con quei suoi occhi chiari.
 
“Vuole dire che…”
 
“Credi che tua madre e il dottor Berardi si accorgeranno se ti attardi un attimo?” le domanda con un sorriso complice che le provoca una strana sensazione, come gioia e imbarazzo insieme.
 
“Credo che non si accorgerebbero nemmeno se crollasse la palestra,” scherza Livietta, guadagnandosi un’altra risata argentina che acuisce ancora di più quella sensazione indefinibile ma per nulla spiacevole.
 
***************************************************************************************
 
“Brava! Vedi che ce l’hai fatta?!”
 
Senza fiato, il cuore che le rimbomba nelle orecchie, lo vede rialzarsi dal materasso dopo essere riuscita finalmente, al terzo tentativo, ad evitare una presa davvero complicata, tanto che non era sul programma del corso, e metterlo al tappeto.
 
“Sì… non ci credo ancora, ma grazie!” annuisce con un sorriso, sentendosi soddisfatta di se stessa come raramente le era capitato, soprattutto di fronte allo sguardo orgoglioso e quasi ammirato dell’istruttore.
 
“Sei veramente molto portata per le arti marziali, Livia. Hai degli ottimi riflessi, e grandi capacità di concentrazione e di reazione. Ovviamente devi allenarti se vuoi migliorare sul serio, ma hai talento e il talento è un qualcosa che non si insegna, purtroppo,” proclama l’istruttore con un altro sorriso, prima di guardare l’orologio e quasi sbiancare, “mi sa che adesso però è meglio che tu vada, prima che si accorgano della tua assenza e mi denuncino per rapimento.”
 
“Se mia madre si fosse accorta della mia assenza, mi avrebbe già chiamata…” lo rassicura Livietta, seguendo il suo sguardo e notando che erano passati venti minuti da quanto avevano iniziato ad allenarsi, quasi mezz’ora da quando aveva salutato sua madre e Gaetano. Mette la mano in tasca si rende conto di non avere il cellulare con sé: l’aveva lasciato nell’altra sala.
 
“Oddio devo andare sul serio!” esclama, preoccupata, “ancora grazie mille, davvero! Adesso non mi manca più da recuperare un terzo del corso ma solo boh… un quarto?”
 
“Già… mi dispiace di non potere fare di più e di non poterti fare altre lezioni, dico davvero. Sei una delle allieve migliori che abbia mai avuto, Livia: è un piacere lavorare con te,” dichiara con un tono ed uno sguardo ammirati che, di nuovo, le causano quel senso di rimescolamento allo stomaco.
 
“Anche per me… cioè… lei è davvero bravo a spiegare e… a motivarmi,” abbozza, in imbarazzo, abbassando lo sguardo per qualche istante mentre un’idea le passa per la mente. Un’idea assurda ma che, allo stesso tempo, la tenta da morire.
 
“Senta…” esordisce, prendendo un respiro e buttandosi, prima di cambiare idea, “non voglio che si senta in obbligo perché… per via di Gaetano o… insomma… se non le va mi dica di no e lo capirò assolutamente, però… il problema principale delle lezioni extra è dato dal fatto che potrebbe sembrare un tentativo di… diciamo di corrompere un superiore, no? O che Gaetano l’abbia costretta ad avere un occhio di riguardo nei confronti miei e di mia madre.”
 
“Sì, esatto…” conferma, guardandola come se non capisse dove vuole andare a parare.
 
“Però… se… se come oggi… ci trovassimo e nessuno ne sapesse nulla, nemmeno mia madre o Gaetano… il problema non si pone, no? Cioè se lei fa un favore a me ma Gaetano non lo sa, non è corruzione… io mica sono in polizia…”
 
“No, ma rimane sempre la regola che dice che non potrei fare lezioni private alle mie allieve…” le fa notare, con uno sguardo dubbioso che distrugge ogni sua speranza.
 
“Capisco, non-“
 
“Però in fondo si tratterebbe solo di una, massimo due lezioni, non sarebbe una cosa abituale. E se, ovviamente, non mi paghi e quindi non percepisco alcun compenso…” riflette, quasi tra sé e sé.
 
“Vuole dire che…?” domanda Livietta, sentendo nuovamente il cuore rimbombarle nel petto come una grancassa.
 
“Che se vuoi, ci troviamo sempre qui… mmm dunque… fammi pensare… venerdì sera alle diciotto potrebbe andarti bene? Sempre se non hai lezione con il dottor Berardi e tua madre, altrimenti-“
 
“No, no, venerdì va benissimo e mi assicurerò che Gaetano e mia madre abbiano altri impegni lontano da qui,” risponde, ancora incredula, “grazie, grazie mille, davvero!”
 
“Figurati, a me fa piacere e poi, a quanto ne so, con la vita avventurosa che fanno tua madre e il dottor Berardi… non vorrei averti sulla coscienza,” sdrammatizza, facendola ridere, per poi aggiungere più serio, “e aspetta a ringraziarmi: guarda che sono molto esigente, e, soprattutto se insegno a qualcuno che ha un buon potenziale, pretendo molto.”
 
“Non chiedo di meglio!”
 
**************************************************************************************
 
“Livietta! Ma dov’eri finita? Sono dieci minuti buoni che ti cerchiamo! Non avevi neanche il cellulare!”
 
Volta l’angolo e si trova davanti sua madre e Gaetano, visibilmente preoccupati.
 
“Scusate ma… ho fatto un giro, sono rimasta a vedere alcune persone che si allenavano e non mi sono accorta del tempo che passava. E poi, sinceramente, pensavo che non avreste sentito molto la mia mancanza, anzi, forse che non vi sareste nemmeno resi conto della mia assenza,” li punzecchia volutamente, vedendoli diventare rossi come due pomodori maturi ed iniziare a balbettare scuse.
 
“Va beh, andiamo a casa? Stavolta mi sono premunita e ho preparato insalata di riso per tutti,” proclama Camilla, in un palese tentativo di cambiare discorso, raccolto immediatamente da Gaetano, che comincia a chiederle delucidazioni sulla ricetta – come se fosse una pietanza da chef e non consistesse nel prendere qualche sottolio, sottaceto, prosciutto e un po’ di formaggio e mescolare il tutto al riso bollito.
 
Livietta sorride soddisfatta tra sé e sé: missione compiuta!
 
***************************************************************************************
 
“Complimenti, era davvero tutto buonissimo! Il bunet soprattutto: nuova ricetta?”
 
“Veramente il dolce l’ha preparato Gaetano, la ricetta è della Lucianona, una sua collega. Lei e Torre gli stanno praticamente facendo un corso di cucina,” spiega Camilla, con un sorriso orgoglioso.
 
Erano seduti tutti intorno al tavolo della sala da pranzo di quella che fino a poco tempo prima era la loro casa: Renzo, Livietta e Gaetano.
 
Quando Renzo l’aveva chiamata dicendole che accettava la sua proposta di una tregua, in cambio di un aiuto con Livietta, Camilla aveva deciso di organizzare questa cena. Renzo non era ovviamente stato entusiasta all’idea che ci fosse anche il “poliziotto superpiù”, ma Camilla aveva insistito che, se si doveva davvero voltare pagina, Renzo doveva riuscire ad essere almeno civile con Gaetano.
 
E alla fine l’aveva spuntata, anche se tutta la cena era stata pervasa da una sottile tensione nell’aria, mascherata sotto un velo di inappuntabile cortesia.
 
“Beh, Gaetano, allora complimenti: devo ammettere che ci sono stati evidenti miglioramenti, visto che non sa di bruciato e anzi, è commestibile,” ribatte Renzo con un tono ed un sorriso che non sfigurerebbero alla tavola della regina Elisabetta e che contrastano con l’evidente frecciata ben poco velata al rivale. Ad onor del vero, la prima della serata.
 
“Si fa quel che si può… del resto ormai non sono più da solo e non posso infliggere a mio figlio o a Camilla e a Livietta i miei… esperimenti in cucina. O ordinare sempre take-away,” replica Gaetano, altrettanto serafico, rimarcando però sottilmente il suo nuovo ruolo nella vita di Camilla.
 
“Beh, certo, anche perché cucinavo molto spesso io e davo una mano nelle faccende domestiche, quindi sicuramente Camilla ora sarà molto più impegnata con la casa,” commenta Renzo, rivolgendo a Camilla uno sguardo eloquente.
 
“Ma no… tra il fatto che c’è una persona in meno, anzi due, considerato che mia madre è tornata a Roma, che c’è Livietta che mi dà una mano e anche Gaetano a volte mi aiuta con la cucina… e poi è estate e quindi ho molto più tempo libero…”
 
“Già, è vero, almeno sei in ferie dal tuo primo lavoro. Peccato che, come si dice? Il crimine non dorme mai, no? Quindi il tuo secondo lavoro non ti concede certo un po’ tregua,” dichiara Renzo, sempre con un tono cortese.
 
“Dipende… in realtà spero proprio che mi conceda una tregua per un bel po’, così da potermi occupare a tempo pieno della casa e della famiglia, visto che c’è già Gaetano che se la cava più che egregiamente e che è impegnatissimo su quel fronte,” proclama Camilla, prima di aggiungere con un altro sorriso, “una seconda porzione di dolce?”
 
“No, no, per la carità: non vorrei appesantirmi troppo…”
 
“Se vuoi c’è ancora il tuo boccione di bicarbonato nella credenza. Credo che si senta trascurato e senta la tua mancanza, papà, visto che né io né la mamma abbiamo problemi di digestione,” si inserisce Livietta, che, a differenza degli altri commensali, non fa nulla per celare il sarcasmo nel tono di voce.
 
“In realtà devo dire che anche i miei problemi di digestione è da un po’ di tempo che sono migliorati… sai ora sono da solo e quindi posso mangiare ad orari più regolari, cibo sempre appena pronto e non magari riscaldato… e posso andare a dormire un po’ più tardi, tanto non ho nessuno che mi sveglia in piena notte perché, che ne so, sta facendo un incubo o parla nel sonno,” commenta Renzo lanciando un’altra occhiata a Camilla e la frecciatina sui suoi sogni e, soprattutto, sul protagonista dei suoi sogni, almeno per lei, non è affatto velata.
 
“Davvero? Devo dire che anche io dormo molto meglio, sai? Faccio sonni molto meno disturbati, sogno di meno, penso di dormire molto più profondamente. Anche perché tu quando non digerivi russavi e probabilmente spesso rimanevo nella prima fase del sonno, quella più leggera…” ribatte Camilla, senza perdere un colpo, con una grandissima nonchalance.
 
“Quindi mi sembra di capire che la… permanenza a Londra non sia poi così male e che ti sei ambientato bene, Renzo,” si inserisce Gaetano, non potendo evitare un lieve senso di costrizione al petto pensando a Renzo e Camilla a letto insieme, pur avendo colto tutti i sottotesti, per nulla amorevoli, del botta e risposta tra i due ex.
 
“Come si dice? Ho dovuto fare di necessità virtù… però dipende: certo, Londra è molto bella, e l’essere single, come sicuramente tu ben sai Gaetano, ha i suoi vantaggi,” replica Renzo con un altro sorriso cortese, lanciando l’ennesima stoccata, “ma ha anche i suoi svantaggi e… ad essere sinceri, visitare Londra da solo mi mette un po’ di tristezza.”
 
“Beh, ma non sei da solo, papà: c’è anche Carmen con te, no? Il suo Jack l’ha raggiunta o è ancora latitante?” chiede Livietta, per poi aggiungere, con un mezzo sorrisetto, “altrimenti comincio a pensare che questo Jack sta meglio da solo, e che pure Carmen non ne sente poi molto la mancanza.”
 
“No, Jack non l’ha ancora raggiunta: deve trovare un lavoro a Londra prima di licenziarsi dallo studio di New York,” chiarisce Renzo mentre Camilla nota come il tono del marito cambi quasi impercettibilmente quando nomina l’americano, “e anche Carmen non è sempre con me, anzi: abbiamo vari progetti da seguire e spesso io sono in Italia e lei è a Londra o viceversa. Però tra due settimane saremo entrambi a Londra perché abbiamo alcuni appuntamenti con i committenti e il direttore dei lavori del progetto vicino ad Hyde Park. Ci offrono un soggiorno in un hotel di lusso con vista sul parco: è una zona bellissima. Ti andrebbe di venire con noi? Potremmo stare in stanza insieme io e te e poi… a parte un paio di appuntamenti, il resto degli impegni possiamo dividerceli, così quando sono impegnato io Carmen è libera e viceversa. Non so… ci sono ancora i saldi, potreste andare a fare un po’ di shopping… che ne dici? Potremmo partire sabato prossimo, la mattina, e tornare il weekend successivo.”
 
“E la mamma è d’accordo?” domanda Livietta, lanciando un’occhiata alla madre.
 
“Sì, ne ho già parlato con tuo padre e… se a te va di andare, per me non c’è problema,” conferma Camilla, ricordando ancora le lunghe trattative telefoniche con Renzo.
 
“Tua madre mi ha detto che il corso di difesa finisce settimana prossima, quindi sarai libera da impegni, no?” rincara Renzo, con un tono tra lo speranzoso e l’implorante, “San Remo magari era un po’ triste, ma Londra è bellissima, è una città giovane, e vedrai che ti divertirai.”
 
“Sì, sono libera da impegni… il problema è che so già come vanno a finire questi viaggi di lavoro: o mi molli a Carmen, o sto chiusa in albergo – perché in giro da sola non mi lasci andare – o mi tocca partecipare a cene noiosissime, e quando sei libero da impegni di lavoro sei stanchissimo,” sospira Livietta, non sembrando per nulla entusiasta, “e poi Londra sarà anche una città giovane, ma se uno ci va con gli amici, non con te, che come vedi un pub ti viene l’emicrania, in discoteca neanche a parlarne e poi mi dai il coprifuoco a mezzanotte. A meno che, di nuovo, non mi sbologni a Carmen, come al solito.”
 
“Ma pensavo che con Carmen ti divertissi, no? A fare le vostre… cose da donne. E poi, insomma, per il pub e la discoteca… appunto puoi andarci con i tuoi amici in un altro momento. Si tratta solo di una settimana e ho voglia, ho bisogno di stare un po’ con te, Livietta. Sono due mesi che praticamente non ci vediamo,” insiste, in un modo che più che implorante sembra ormai quasi disperato.
 
Camilla e Gaetano si scambiano uno sguardo: nonostante tutte le frecciatine e i problemi con Renzo, sono genitori entrambi e non possono evitare di immedesimarsi nel suo desiderio, anzi nella sua necessità di passare un po’ di tempo con la sua unica figlia.
 
“Guarda che Londra è davvero bellissima, Livietta, anche di giorno: tra musei, monumenti, parchi, negozi… non ci si annoia mai. E poi non ci sei mai stata, non siamo mai riuscite a visitarla insieme. E quando ci sono andata in gita scolastica, ti garantisco che mi è piaciuta perfino con sessanta studenti scalmanati al seguito,” si inserisce Camilla con il tono più convincente che possiede, “e, come dice tuo padre, gli amici li vedrai un’altra volta, no? Anche perché tanto ormai sono quasi tutti in vacanza.”
 
“Ecco appunto… senti papà, d’accordo, posso venire a Londra con te-“ esordisce, mentre le labbra di Renzo si aprono in un sorriso a cinquanta denti, e Camilla non può fare a meno di notare che è probabilmente il primo vero sorriso che vede sul volto dell’ex marito da quando si sono separati.
 
“Grazie, Livietta, vedrai che ti divertirai e-“
 
“Aspetta. Dicevo, posso venire a Londra con te, ma ad una condizione,” prosegue Livietta, decisa.
 
“E cioè?” domanda Renzo, il sorriso che gli si congela sulle labbra.
 
“E cioè che mi dai il permesso per andare a New York con i miei amici dopo che torniamo da Londra,” chiarisce Livietta con il suo sorriso più irresistibile.
 
“A New York?! Cos’è questa storia di New York? E come mai non ne sapevo niente?!” domanda Renzo, alzando la voce e fulminando Camilla con lo sguardo.
 
“Non ne sai niente perché nemmeno io le ho ancora detto di sì, Renzo, e volevo valutare un po’ meglio anche io prima di parlartene. Anche perché immaginavo già quale sarebbe stata la tua risposta,” chiarisce Camilla, lanciando a sua volta un’occhiata alla figlia della serie: dopo facciamo i conti.
 
“E immaginavi bene: non se ne parla nemmeno, Livietta! È troppo rischioso, da sola alla tua età e-“
 
“Ma papà! D’accordo New York non è dietro l’angolo, ma Carmen ci vive e non è mica morta. Insomma, non voglio mica andare nel Bronx, ma stare nei quartieri più tranquilli!” ribatte Livietta, sbuffando e recuperando di nuovo quel fare tipicamente adolescenziale che negli ultimi due mesi sembrava avere un po’ perso.

“E ci mancherebbe altro!” esclama Renzo, sembrando rabbrividire alla sola idea, “e poi che c’entra? Carmen non vive da sola e ha più del doppio dei tuoi anni!”
 
“Sì, ma neanche io ci andrei da sola, sarei con i miei amici-“
 
“E chi sarebbero i tuoi amici? Greg? O quella specie di sosia ancora più svampita di Betty Boop?” chiede Renzo, sarcastico, “beh, perché allora stiamo in una botte di ferro! Per la carità, Greg è un bravo ragazzo, ma non mi sembra proprio uno che possa intimidire i malintenzionati.”
 
“No, papà, non si tratta di Greg visto che abbiamo litigato e non ci vediamo ormai da quasi due mesi,” replica Livietta, altrettanto sarcastica, “si tratta dei miei amici di Roma.”
 
“Amici di Roma? Ma non avevi tagliato i ponti con Ricky, Giusy e tutto il gruppo di amici-con-la-y?” le chiede, riferendosi ironicamente al fatto che tutti in quel gruppo, pur avendo nomi italianissimi, li abbreviavano con una y finale.
 
“Sì, e infatti non si tratta nemmeno degli amici-con-la-y, a cui, per come mi hanno trattata, auguro di andare sì a New York, ma a nuoto. Si tratta di Nino, Tom, e dei loro amici… insomma, sono ragazzi che in parte già conosci, papà,” chiarisce Livietta, tornando su toni più pacati, cercando di convincerlo.
 
“Nino? Tom? E chi sono questi?” domanda Renzo, confuso.
 
“Nino, il nipote di Gaetano! Il figlio del marito di Francesca, te lo ricordi, no? Andavamo anche a judo insieme…” gli rammenta Livietta con un sorriso.
 
“Ah, sì, Nino. Sì, per la carità, me lo ricordo, peccato che quando l’ho conosciuto avesse tipo dieci anni e immagino sarà un po’ cambiato da allora!” ribatte, prima di aggiungere, notando l’occhiata di Gaetano e Camilla, “per la carità, Gaetano, non voglio dubitare dell’educazione che immagino gli avrà dato tua sorella. Ma, permettimi di dire che… se ha ereditato la sua… esuberanza…”
 
“Francesca sarà stata una mina vagante da ragazza… e anche un po’ dopo, non lo nego, ma ormai sono anni che ha messo la testa a posto e si occupa benissimo della sua famiglia,” replica Gaetano, trattenendosi dall’alzare la voce per difendere la sorella, ma non riuscendo a nascondere di essere infastidito, per poi proseguire, con un sorriso, “noi Berardi magari ci mettiamo un po’ a… a mettere radici, ma quando lo facciamo siamo molto affidabili e ci teniamo all’incolumità dei nostri figli e degli amici dei nostri figli, esattamente quanto, se non di più, di tutte le altre persone a questo mondo.”
 
“E Nino è un ragazzo tranquillo e molto coscienzioso e responsabile, questo posso garantirtelo, Renzo,” interviene Camilla, toccando il ginocchio di Gaetano sotto la tovaglia per tranquillizzarlo.
 
“Va bene, va bene, per la carità! E chi sarebbe questo Tom, invece?” chiede Renzo con un sospiro, accettando di cambiare argomento prima che la discussione degeneri.
 
“Tom è il figlio di Marco. Te lo ricordi, no? Il batterista… l’avevi conosciuto ad uno dei miei compleanni…” spiega Livietta con un altro sorrisetto.
 
“Marco? … Marco – Marco?!” esclama Renzo, lanciando a Camilla uno sguardo a dir poco sbigottito.
 
“Sì, Marco Visconti,” conferma Camilla, non potendo evitare di sorridere di fronte all’espressione dell’ex marito.
 
“Cioè… tu a Roma ti sei rivista con Marco?” chiede, guardandola con occhi ancora spalancati, per poi rivolgersi a Gaetano, “vi siete visti con Marco? Ma lui sa chi è?”
 
“Sì, Renzo, Gaetano è perfettamente a conoscenza di tutto quello che è successo con Marco. E, sì, ci siamo rivisti, sia perché suo figlio è amico di Nino, sia perché suo fratello si è occupato delle indagini su Ilenia,” chiarisce Camilla con un sospiro.
 
“Beh, complimenti, che bella vacanza! Tra la mia ex suocera, il produttore di vini e il nevrotico ossessivo-compulsivo… per non parlare delle indagini e dell’incendio, devo dire che ti invidio davvero molto, Gaetano!” commenta Renzo, beffardo.
 
“Non è stata una vacanza tranquilla, questo è vero, ma Andreina è stata molto ospitale e, per il resto… ci sono stati molti momenti bellissimi, che hanno abbondantemente compensato quelli… un po’ meno piacevoli,” proclama Gaetano con un sorriso, stringendo la mano di Camilla, ancora appoggiata sul suo ginocchio.
 
“Per la carità: contento te!” esclama Renzo, scuotendo il capo, “e comunque, Livietta, per quanto riguarda Tom… lui invece l’ho conosciuto che era già abbastanza grande e mi ricordo benissimo che non era affatto tranquillo, coscienzioso o responsabile. Anzi: passava il suo tempo a suonare in strada, peggio di un barbone!”
 
“Il barbone ha ottenuto una borsa di studio, con merito, nella scuola d’arte più prestigiosa di New York. E anche se fa un po’ l’alternativo è un bravo ragazzo,” si inframmezza nuovamente Camilla.
 
“Non lo metto in dubbio, ma tu quindi lasceresti andare nostra figlia da sola a sedici anni a New York con questi due bravi ragazzi? Mi stai dicendo questo?!” le domanda, incredulo, guardandola come se fosse impazzita.
 
“Non sto dicendo questo, Renzo: come ti ho già detto ci stavo ancora pensando. Ma se ho dubbi per New York, non è certo per via di Nino e di Tom, ecco,” chiarisce, temendo già quale sarà la domanda successiva del marito.
 
“Capisco. E chi sarebbero questi altri amici?”
 
“Gli altri componenti della band di Nino e Tom: Eric, Nick, Lucas…”
 
“Quindi dopo il gruppo con la y, il gruppo dei nomi alla tu vuo’ fa’ l’americano…” commenta Renzo, con tono derisorio.
 
“No, non è che vogliono fare gli americani: sono americani, almeno per metà. Frequentano la scuola americana a Roma,” ribatte Livietta, irritata dall’ironia del padre, “e comunque-“
 
“E comunque sono tutti maschi o c’è almeno una ragazza?” la interrompe Renzo, arrivando dritto al punto.
 
“Probabilmente Lucas si porta la ragazza, gli altri non hanno una storia al momento,” ammette Livietta, mentre Camilla trattiene il fiato e si prepara alla reazione di Renzo.
 
“Quindi, fammi capire, tu vorresti andare da sola in un altro continente con cinque maschi adolescenti, forse neanche maggiorenni, di cui quattro single e tu sei l’unica ragazza disponibile?!” chiede Renzo, il volume della voce che aumenta ad ogni parola, “scordatelo! E mi stupisce che tua madre debba anche solo pensarci prima di darti una risposta definitiva!”
 
“Ma papà…!” protesta Livietta, visibilmente delusa dal tono del padre, prima di aggiungere, indignata, “insomma, non sono mica dei maniaci! E io non sono certo una che corre con quattro ragazzi diversi contemporaneamente! Ma per chi mi hai presa?”
 
“Ma per la carità, ci mancherebbe solo quello! Ma ne basta anche uno solo, Livietta, uno solo: basta un ragazzo sbagliato, un momento di leggerezza per rovinarsi per sempre la vita! E mi dispiace se farò la padre dell’orco o del padre antiquato e rompipalle, ma non ti lascio andare da sola in mezzo ad un branco di adolescenti in calore a migliaia di chilometri di distanza da casa, in una città che non conosci e dove, se ti succede qualcosa, non hai nessuno a cui chiedere aiuto! E non cambio idea!” proclama con un tono solenne e irremovibile che Camilla raramente gli ha sentito usare.
 
“Ma…”
 
“Livietta… tuo padre non ha tutti i torti. Non solo per gli amici maschi ma perché… insomma, forse è un po’ presto, no? In fondo New York non scappa ed un viaggio del genere… potrai farlo quando sarai maggiorenne, magari anche con delle amiche. Ci saranno sicuramente altre occasioni,” interviene Camilla, dispiaciuta all’idea di dover deludere la figlia ma sapendo che è la cosa giusta da fare, anche per calmare gli animi.
 
“Oh, meno male che ancora si ragiona in questa casa!” esclama Renzo, visibilmente sollevato.
 
“Ma mamma! Insomma… d’accordo, non sono maggiorenne, ma penso di averti dimostrato in questi mesi che di me ti puoi fidare, che… che non sono una stupida e me la so cavare, che mi so difendere da sola!” si lamenta Livietta, trafiggendola con uno sguardo che sa di tradimento e che le fa mal al cuore. Camilla capisce che sua figlia fino all’ultimo aveva sperato almeno di avere il suo supporto, conoscendo Renzo e sapendo sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, convincerlo.
 
“Te la sai cavare? Ti sai difendere da sola? Ma ci siamo già scordati tutto il casino di Bobo?! Sei quasi rimasta implicata in un omicidio, Livietta, in un omicidio, perché ti sei fidata del primo bellimbusto che ti ha fatto due complimenti e che ti ha solo usata! E sinceramente è uno spavento che mi è bastato e avanzato da qui all’eternità!” la interrompe Renzo, alzando la voce.
 
“Ancora con Bobo?! Sì, è vero, ho sbagliato, papà, e non lo nego: sono stata una stupida, ma ho imparato la lezione! Sono molto cambiata negli ultimi mesi, e non solo per quello che è successo con Bobo, sono cresciuta… mamma, dì qualcosa anche tu,” protesta, rivolgendosi a Camilla con due occhioni azzurri che sembrano sull’orlo delle lacrime e che, di nuovo, le fanno male.
 
“Livietta, lo so che sei molto maturata in questi mesi, e lo so che sei una ragazza intelligente e responsabile… ma… dall’altro capisco anche le preoccupazioni di tuo padre. Insomma, non sei mai stata in vacanza da sola, se non nei viaggi di studio organizzati dalla scuola. E forse… sarebbe meglio andare un po’ per gradi, no?”
 
“Ma un sacco dei miei compagni ormai vanno in vacanza da soli con gli amici!” obietta, per poi rivolgersi, quasi come se fosse un ultimo appello, l’ultima possibilità, all’unica persona  presente che ancora non ha aperto bocca, “Gaetano, tu che ne pensi? Sei anche tu d’accordo con loro?”
 
“Beh, a dire la verità, io-“
 
“Sinceramente non me ne frega niente di quello che pensa o non pensa Gaetano, Livietta, visto che sono io tuo padre e non lui. E io e tua madre siamo gli unici che possiamo avere voce in capitolo su una decisione di questo tipo, e se diciamo di no è no!” si mette di traverso Renzo, interrompendo bruscamente Gaetano.
 
“Renzo, scusami se mi permetto, ma credo che non ci siamo capiti. Io non-“ prova ad intervenire di nuovo Gaetano, cercando di chiarire a Renzo che concorda con lui e con Camilla sul fatto che il viaggio a New York non sia probabilmente una grande idea.
 
“No, che non ci siamo capiti e no che non ti permetto di intrometterti! Il fatto che tu e mia moglie abbiate una storia non ti dà alcun diritto di sindacare sull’educazione di Livietta, di dare pareri non richiesti e magari di cercare di influenzare le decisioni di Camilla, chiaro?” sibila Renzo, durissimo, fulminando l’altro uomo con lo sguardo.
 
“No, c’è un malinteso, io non-“
 
“Quindi Gaetano non ha diritto di intromettersi sulla mia educazione e di influenzare le scelte di mamma? Come mai invece Carmen questo diritto ce l’aveva? Perché io mi ricordo che si intrometteva eccome e altroché se ti influenzava – in meglio, visto che quando stavi con lei eri un padre decisamente meno talebano e paranoico!” sbotta Livietta, rivolgendo al padre un’occhiata che fa impallidire quella che Renzo ha appena indirizzato a Gaetano.
 
“Carmen a volte mi dava dei consigli ma poi mi lasciava decidere liberamente! E comunque non puoi paragonare la presenza di Carmen a quella di… di Gaetano: sono due situazioni completamente diverse, Livietta!” ribatte Renzo, sembrando per un attimo colto in contropiede.
 
“Ah sì?” domanda Livietta con un sopracciglio alzato, per poi aggiungere, in tono sarcastico, “già, è vero, hai ragione, sono due situazioni completamente diverse, visto che, quando era Carmen a mettersi in mezzo, io ero molto più piccola ed influenzabile di adesso. E non posso certo paragonare Carmen a Gaetano: Gaetano non ha mai fatto finta di essere il mio migliore amico e di non vedere l’ora di trascorrere tutto il tempo con me, per poi rinfacciare la mia presenza a mamma alle mie spalle, facendomi sentire di troppo, una palla al piede, un terzo incomodo. Gaetano non dice cose che non pensa, non finge di essere quello che non è, e soprattutto le cose me le dice in faccia, nel bene e nel male!”
 
“Livietta, adesso sei ingiusta: Carmen ti vuole bene, e lo sai, e non puoi attaccarti ancora ad una frase detta in un momento di nervosismo anni e anni fa! E comunque, la differenza è che quando Carmen ha iniziato ad essere più presente nella tua vita,  vi conoscevate ormai da anni e io e lei avevamo un rapporto consolidato! E poi Carmen è una donna e può capire sicuramente meglio le tue esigenze di quanto possa farlo un uomo che non ha alcuna esperienza a rapportarsi con una ragazza giovane come te, non come figura paterna, almeno,” ribatte Renzo, mentre Camilla stritola la mano di Gaetano per trattenersi dallo strozzare Renzo, comprendendo benissimo la sua ennesima frecciatina su lui e Livietta.
 
“Forse Carmen avrà detto quella frase in un momento di nervosismo, papà, ma pensava ogni parola, e sono sicura che le pensa ancora. Perché, se non te ne fossi accorto, nemmeno Carmen mi sembra abbia una grande esperienza a crescere dei figli e nemmeno questo grande istinto materno, visto che di figli non ne ha e secondo me non vuole nemmeno averne,” rimpalla Livietta, durissima, senza perdere un colpo, “e anche Gaetano lo conosco da una vita, da molto prima di Carmen, e pure mamma lo conosce da una vita e sinceramente il loro rapporto mi sembra ben più consolidato di quello che c’era tra te e Carmen, considerato come è finita tra di voi! E soprattutto Gaetano mi conosce davvero e mi capisce, molto meglio di Carmen, di te e forse pure di mamma.”
 
“Livietta, ti ringrazio, ma non serve, davvero, io-” cerca di intervenire Gaetano, imbarazzato da questa difesa a spada tratta, lanciando un’occhiata preoccupata verso Camilla e poi verso Renzo, che ha un colorito rossastro decisamente poco salutare.
 
“Sì, che serve, Gaetano, perché sto solo dicendo la verità: tu sei probabilmente l’unica persona che mi vede per come sono realmente adesso,” lo interrompe Livietta, prima di rivolgersi nuovamente al padre, con un’occhiata carica di… di tristezza e di rabbia, “adesso, papà, adesso, mentre tu continui a vedermi e a trattarmi come se fossi la Livietta di dieci anni fa, come se fossi ancora la bambina che hai lasciato quando sono tornata a Roma con mamma da Barcellona. Non ho più undici anni, papà, sono cresciuta e tu non vuoi accettarlo o non te ne sei ancora reso conto!”
 
“Livietta, ma cosa dici? Non è vero, io-“
 
“E invece è vero, papà! Io sono cambiata, ho esigenze diverse, desideri diversi, gusti diversi e tu… tu fai finta di non capirlo o non riesci a capirlo, non lo so,” ribadisce Livietta, con la voce tremante di chi sta per mettersi a piangere, “quello che so è che magari te ne saresti accorto, se avessi passato un po’ più di tempo con me, quando ne avevo bisogno, davvero con me, ascoltandomi, invece che lasciare fare a mamma o a Carmen, trattandomi come se fossi una specie di aliena che parla una lingua incomprensibile! Se ti fossi dedicato un po’ più a me, invece che concentrare tutte le tue attenzioni prima sul tuo lavoro, poi su Carmen e poi di nuovo sul tuo lavoro!”
 
“Come puoi dirmi questo?” sussurra Renzo, sconvolto, gli occhi lucidi, sembrando sull’orlo non solo del pianto, ma di un malore, “tu sei la cosa più importante della mia vita, Livietta, da sempre. Non c’è nulla più importante di te e non ho mai messo il lavoro o Carmen prima di te, mai!”
 
“E invece sì, papà,” grida Livietta, le lacrime che ormai le scorrono sulle guance, alzandosi in piedi con tanta violenza da buttare la sedia per terra, “ad un certo punto il lavoro è venuto prima di me! Ma ti rendi conto che da quando avevo undici anni ho passato molto più tempo senza di te che con te?! Prima perché eri depresso e troppo preso dal lavoro, con il tuo grande amico Passarelli, e poi siamo finiti in Spagna e non stavi mai a casa, stavi sempre al lavoro, con Carmen. E poi hai lasciato mamma e vi siete separati e quando noi siamo tornate a Roma tu sei rimasto a Barcellona con lei e hai aspettato due anni, due anni per pensare di trasferirti in Italia, dove c’era tua figlia!”
 
“Guarda che anche per me è stato un sacrificio terribile starti lontano, Livietta, ma non potevo fare altrimenti: il mio lavoro era a Barcellona e… tua madre aveva voluto tornare in Italia, perché non poteva lavorare in Spagna e anche tu non ti trovavi bene a Barcellona e dicevi che ti mancava l’Italia e… che cosa potevo fare?”
 
“Mamma non poteva lavorare in Spagna, è vero, ma tu avresti potuto fare benissimo l’architetto anche a Roma, se ti fossi adattato a fare progetti normali, che ne so, arredamento di interni, case private, o se avessi continuato a lavorare al ministero, come quando ero piccola. E invece no, non ti bastava più! Volevi solo i mega progetti, no, papà? Quelli prestigiosi! La verità è che a te e a Carmen faceva più comodo stare a Barcellona, no? Per godervi la vita da fidanzatini, senza una bambina sempre tra i piedi! E quando ti stufavi e avevi voglia di vedermi, prendevi l’aereo e mi venivi a trovare!”
 
“Non è vero! Io avrei sempre voluto stare con te, Livietta, e io e Carmen non abbiamo mai voluto fare i fidanzatini!” esclama Renzo, scuotendo il capo, la voce che gli trema come una foglia, “abbiamo fatto di tutto per vincere un progetto a Roma! Ci abbiamo messo due anni, è vero, però-“
 
“Per favore, papà, basta con le palle!” lo interrompe Livietta, durissima, “forse ci credi davvero a quello che dici, ma la verità è che quando sei tornato a Roma e dovevi dividere il tuo tempo tra lei e me, il tuo bel rapporto con Carmen ha cominciato a scricchiolare, non è vero? E tanto volevi stare con me che dove siete andati a cercarlo il progetto successivo? A New York! Nella città pericolosa a migliaia di chilometri di distanza!”
 
“Livietta, noi partecipavamo a tanti concorsi e abbiamo vinto quello. Ma io non sono partito, non sono partito, non sono riuscito a lasciarti, lo capisci?! Ho mollato tutto perché mi sentivo morire all’idea di vederti solo qualche volta l’anno!” grida Renzo, disperato, non riuscendo più a trattenere le lacrime.
 
“E allora sei tornato in ginocchio da mamma, no? A fare tutta quella sceneggiata, che l’amavi ancora! Magari per ripicca nei confronti di Marco, che, come me, non hai mai sopportato! E poi cos’hai fatto, visto che non potevi starmi lontano? Hai trovato un lavoro a Torino e ci vedevamo giusto qualche weekend e tu eri sempre stanchissimo! E di nuovo sono passati ancora quasi due anni prima che potessimo stare tutti insieme!”
 
“Perché tua madre non riusciva ad avere il trasferimento, Livietta. E il mio mestiere è complicato: se non vinci i progetti fai la fame. E a Roma ho trovato tutte le porte chiuse, mentre a Torino avevo dei contatti. Che cosa dovevo fare, eh? Non potevo mica farmi mantenere da tua madre insieme a te! E certo che ero stanco, Livietta, ma io ho fatto tutto per te, per darti una vita migliore, un futuro migliore!”
 
“La vita migliore me la davi già quando lavoravi al ministero e forse non guadagnavi tanti soldi e non avevamo i mobili di design, ma stavamo tutti insieme e avevi tempo e voglia di stare con me, te lo ricordi?!” chiede Livietta, amarissima, “io non me ne faccio niente dei tuoi soldi, volevo solo stare insieme a te, non lo capisci?!”
 
“Livietta…” sussurra Renzo, mentre un singhiozzo gli sfugge dalle labbra, “anche io volevo solo stare con te… davvero… è quello che ho sempre voluto, sempre.”
 
“Non è vero! Anche quest’anno che eravamo tutti insieme qui a Torino tu non eri quasi mai a casa. Certo, mamma a volte era anche peggio, ma pure tu… stavi sempre in studio e poi hai anche richiamato Carmen e passavi quasi tutto il tempo con lei! Si vedeva che qui a casa non stavi bene: quando è successa la storia di Bobo, praticamente non vedevi l’ora di volare con Carmen a Parigi!” esclama, alzando la voce, prima di aggiungere, in un tono che è poco più di un sussurro, “quanti weekend abbiamo passato insieme da quando siamo qui a Torino? Quanto tempo hai passato con me se non per controllarmi quando uscivo con gli amici?”
 
“Io avrei voluto passare più tempo con te, Livietta, ma sei anche tu che non ci sei mai, che hai sempre di meglio da fare, che vuoi uscire con i tuoi amici, che non hai voglia di stare con me, che non mi volevi e non mi vuoi tra i piedi e-“
 
“Certo che voglio uscire con i miei amici, papà: ho sedici anni, non sei! Io non potevo e non posso rimanere qui a tua disposizione ogni volta che ti torna la voglia di fare il padre presente!” urla, spingendosi via dal tavolo, “e se non ho voglia di passare il tempo con te, magari chiediti il perché, no, papà? Magari avrei più voglia di stare con te se quando siamo insieme facessimo qualcosa di divertente, qualcosa che mi piace, invece che attività per bambini delle elementari o per vecchi, per poi mollarmi con Carmen quando non sai più cosa inventarti!”
 
“Livietta, io sono sicura che tuo padre non intendeva-“
 
“No, mamma, non continuare a difenderlo, a giustificarlo! Lo sai cosa penso, papà? A volte mi sembra che tu… che tu mi volevi bene e mi hai voluto bene davvero solo fino a che ero una bambina piccola, dolce, fino a che pendevo dalle tue labbra, fino a che eri il mio eroe, il mio papà perfetto e non avrei mai potuto contraddirti, perché… perché ero una bambina e non avevo una mia personalità, delle mie idee, che magari non sono uguali alle tue. Mentre ora sembra che hai… che hai paura a parlare con me, ad affrontarmi e non accetti che sono cresciuta, che gli anni sono passati e che il tempo perso non ritorna indietro. Perché la Livietta piccola e dolce e ingenua con i codini a cui volevi tanto bene non esiste più e non esisterà mai più, perché non avrò mai più dieci anni! E se non riesci a vedermi, ad accettarmi per come sono ora… io… io…”
 
La voce le si spezza e abbassa il capo, nascondendo il viso dietro ai capelli, cercando inutilmente di contenere il pianto. Barcolla indietro per un attimo e poi corre verso il corridoio. Dopo pochi secondi sentono la porta d’ingresso chiudersi con un boato.
 
Camilla e Gaetano si guardano, completamente sconvolti, la mano di lei ancora stretta a morsa in quella di lui, le lacrime che le appannano la vista. Camilla lancia un’occhiata a Renzo, che si è afflosciato sulla sua sedia e piange silenziosamente con il viso nascosto tra le mani, sembrando essersi completamente scordato della loro presenza.
 
Incrocia di nuovo gli occhi azzurri di Gaetano, nei quali legge una comprensione che non avrebbe mai osato sperare. Un cenno di intesa, senza bisogno di parole, un’ultima stretta di mano, una carezza al viso, e Camilla segue l’istinto e il cuore. Si alza in piedi e gira intorno al tavolo, appoggiando una mano sulla spalla di Renzo. Lui sobbalza come se quel contatto bruciasse e poi alza il capo e la guarda, gli occhi arrossati, una disperazione nel viso talmente profonda e viscerale che è peggio di un pugno allo stomaco.
 
Senza quasi sapere come se lo ritrova tra le braccia, aggrappato a lei in una stretta disperata, come non era quasi mai successo in vent’anni di matrimonio. Era lei quella emotiva, quella che ogni tanto crollava e si faceva sopraffare dal dolore, che aveva bisogno di essere consolata. C’erano stati pochi momenti in cui Renzo si era mostrato così fragile davanti a lei: quando Renzo soffriva, si chiudeva a riccio e non permetteva a nessuno di avvicinarsi. Se si sfogava con qualcuno, lo faceva trasformando il dolore in rabbia.
 
Con la coda dell’occhio vede Gaetano alzarsi ed avviarsi verso il corridoio. I loro occhi si sfiorano per un altro brevissimo istante e poi con un cenno del capo, Gaetano scompare oltre la soglia. Il clic della porta d’ingresso questa volta è delicato, quasi impercettibile, ma Camilla lo sente rimbombare nel petto e risuonarle nelle orecchie come la più bella e profonda delle dichiarazioni d’amore.
 
***************************************************************************************
 
“È quasi mezzanotte…. Che facciamo se non torna?!”
 
“Camilla, ascoltami, devi stare tranquilla, ok?” la rassicura, accarezzandole i capelli, “Livietta sa davvero cavarsela da sola e-“
 
“Ma non l’ho mai vista così sconvolta! Nemmeno quando io e Renzo ci siamo lasciati per la seconda volta, nemmeno per Bobo,” ammette, non riuscendo più a contenere la preoccupazione, stringendosi di più a lui.
 
Renzo se ne era andato due ore prima: era distrutto, svuotato, uno zombie. Camilla gli aveva proposto di fermarsi per la notte, vedendolo così sconvolto e temendo che potesse fare un incidente, ma Renzo sembrava avere un disperato bisogno di starsene per un po’ da solo con i suoi pensieri e il suo dolore. E conoscendolo, aveva capito che era meglio non insistere. Alla fine avevano trovato un compromesso e Renzo, dopo aver bevuto qualche goccia del suo solito calmante – per fortuna non aveva buttato neanche quello – con una camomilla doppia, era andato a dormire nell’appartamento al primo piano, di cui aveva ancora le chiavi, dato che Carmen non si era decisa a disdire il contratto di affitto.
 
Gaetano era tornato poco dopo: aveva cercato nei locali lì vicino, nel parco dove spesso Livietta andava a passeggiare, ma della ragazza non c’era alcuna traccia. Dato l’orario, probabilmente aveva preso un taxi ed era andata in qualche locale chissà dove. Il cellulare risultava spento e non raggiungibile. Camilla, dal canto suo, aveva già fatto l’immancabile giro di telefonate tra le poche amiche di Livietta che sapeva essere ancora in città, cioè Lucrezia e Cristina, ma loro, apparentemente, non ne sapevano nulla.
 
“Sì, ma tua figlia è una ragazza intelligente, Camilla, con la testa sulle spalle, equilibrata, e anche se è sconvolta, sono sicuro che non farebbe mai una pazzia: probabilmente vuole solo starsene un po’ da sola,” cerca di tranquillizzarla, accarezzandole il viso, “ascoltami, io esco di nuovo a cercarla, ok? Ti ricordi il nome di qualche locale, anche non proprio vicino, dove Livietta è stata con le sue amiche, o con Greg… o con Bobo? Anzi, aspetta che cerchiamo sulle pagine gialle e sull’elenco del telefono e mi dici quali nomi ti sembrano familiari.”
 
Camilla annuisce e indica a Gaetano cinque nominativi, a cui aggiunge altri tre nomi che non sono in elenco ma che ricorda a memoria.
 
“E poi… e poi c’era un altro locale… gliel’aveva consigliato Savino… come si chiamava?”
 
“Giusto, Savino! Lui sicuramente se ne intende di locali che vanno di moda tra i giovani adesso! Quasi quasi prima di andare provo a vedere se è in casa… anzi…” indugia, facendo silenzio e tendendo le orecchie, “sì, è in casa ed è sveglio, a giudicare dal rumore di passi qui sopra.”
 
Savino alla fine era rimasto ad abitare a casa di Madame Mille Lire, insieme alla sua fidanzata, mentre la signora Lovera ed il suo redivivo Henry Gustave erano partiti per una lunghissima “Luna di Miele” intorno al mondo.
 
“Ok, allora andiamo?” domanda Camilla, alzandosi dal divano.
 
“No, Camilla, tu è meglio che rimani qui, perché è probabile che Livietta rientri mentre io sono fuori a cercarla,” la rassicura, portandola di nuovo a sedersi, “per qualsiasi cosa mi chiami, ok?”
 
“Ok… anche tu, chiamami se hai una qualsiasi novità!”
 
Gaetano annuisce, le accarezza il viso e le posa un bacio sulle labbra, un bacio in cui spera di trasmetterle tutta quella sicurezza e quella tranquillità che nemmeno lui possiede. Un rapido abbraccio ed esce dall’appartamento, pregando e sperando di poterci ritornare al più presto con Livietta.
 
***************************************************************************************
 
Respira l’aria frizzante del cortile, che, nonostante lo smog di Torino, sa di rugiada e di notte d’estate. Savino gli è stato davvero utilissimo, dandogli un elenco di nomi ed indirizzi che mai e poi mai sarebbe riuscito a ricostruire da solo ed offrendosi di prendersi metà della lista, dividendosi i locali da visitare, in modo da fare prima.
 
Se si fosse trattato di cercare chiunque altro, Gaetano avrebbe probabilmente rifiutato di coinvolgerlo e disturbarlo ad un orario del genere, oltretutto a metà settimana, sapendo che il ragazzo la mattina dopo avrebbe dovuto alzarsi presto. Ma quando ci sono di mezzo Livietta e Camilla, il timore di essere inopportuno e di disturbare vanno a farsi benedire.
 
È ormai alla macchina quando, estraendo le chiavi dell’automobile dalla giacca, si blocca sui suoi passi, rendendosi conto improvvisamente di una cosa, che gli era sfuggita quando aveva fatto il primo giro di ricognizione, forse perché ancora molto scosso dal confronto tra padre e figlia e da quell’abbraccio tra Camilla e Renzo. Non era gelosia, questa volta, era qualcosa di diverso, di più profondo… non solo perché, per un momento aveva rivisto i vecchi Camilla e Renzo, un segno tangibile di quel legame profondissimo che, nonostante tutto, evidentemente ancora li unisce, soprattutto nel momento del bisogno. Del resto lo sapeva, l’ha sempre saputo: vent’anni di matrimonio sono praticamente una vita intera e poi Renzo e Camilla hanno e avranno per sempre in comune la persona più importante della loro vita, cioè Livietta. Ed è un ambito, una parte della vita di Camilla che lui può condividere, in cui può entrare, ma non del tutto, perché non è e non sarà mai il padre di Livietta.
 
Ma ora che anche lui è padre, davvero padre, può capire, anche se forse non completamente, perché lui ed Eva non avevano mai avuto quel legame: lei era stata ed è madre, come lui è padre, ma non erano mai stati davvero genitori, non insieme. Non c’era praticamente mai stata condivisione, ma solo conflitto tra di loro per quanto riguardava Tommy. E, mentre sentiva Livietta rinfacciare al padre tutte le sue assenze, le sue mancanze… si era immaginato per un momento al posto di Renzo, con Tommy adolescente al posto di Livietta, che gli sbatteva in faccia gli anni in cui non c’era stato, il non avergli mai saputo dare una famiglia unita, l’averlo costretto fin dall’infanzia a crescere con due genitori sul piede di guerra o che si ignoravano, sballottato da una tata all’altra. E… aveva provato un senso di malessere lancinante ed indefinibile al tempo stesso, misto ad un senso di gratitudine nei confronti di Camilla perché, forse, è ancora in tempo per evitarlo, per essere un padre migliore per Tommy.
 
Adesso, qualche ora dopo, quel senso opprimente di malessere è svanito, sostituito dalla preoccupazione per Livietta e, allo stesso tempo, da quella lucidità, quella razionalità che, grazie al cielo, emergono ogni volta che sente che sta per entrare in azione, come un meccanismo ben oliato da anni ed anni di servizio. Ed è quell’istinto che l’ha fatto fermare, con le chiavi della macchina ancora in una mano, quell’istinto che gli dice che c’è qualcosa che non va. Con la mano libera continua a tastare le tasche, confermando che sono completamente vuote. Mancano le chiavi del suo appartamento! Fa mente locale, pensando se può averle lasciate da Camilla, ma no, sa di non averle mai tolte di tasca. Apre la macchina e controlla sui tappetini e sull’asfalto, visto che parcheggia sempre nel solito posto, ma delle chiavi non c’è traccia.
 
Con il cuore che gli martella nel petto, si avvia verso l’ingresso del suo lato della palazzina e corre su per le scale, facendo i gradini a due a due. Arriva davanti alla porta, quasi senza fiato, prova a girare la maniglia, che cede immediatamente, confermando la sua intuizione.
 
Con circospezione entra nella casa, completamente buia, ed inizia ad ispezionare le stanze, una ad una, cercando di essere più silenzioso che può. E poi nota un’altra cosa fuori posto: la porta della stanza di Tommy è aperta, mentre lui la tiene sempre chiusa, forse perché vedere quel letto vuoto gli provoca una malinconia che non accenna ad andarsene.
 
Si avvicina, ancora più cautamente, pronto ad ogni evenienza, fino a che i suoi occhi si adattano al buio e si rende finalmente conto che quel letto non è affatto vuoto.
 
Tutta l’aria, che non si era nemmeno accorto di stare trattenendo, esce dai polmoni, mentre sente la tensione evaporare, provocandogli quasi un capogiro.
 
Appoggia una mano alla parete e non può evitare di sorridere intenerito, vedendo Livietta stesa sul letto di Tommy, in posizione fetale, abbracciata ad uno dei peluche che suo figlio non era riuscito a far entrare nella valigia per Los Angeles, i segni di un pianto prolungato ancora evidenti sulle guance, scie che brillano sotto la luce della luna.
 
“Livietta, Livietta, svegliati,” la chiama sempre più forte, sedendosi sul letto e toccandole una spalla, quando la ragazza non risponde e continua a dormire.
 
“Mmm…” mugugna, cercando di scacciarlo con una mano, prima di aprire gli occhi e poi spalancarli, evidentemente confusa.
 
“Gaetano? Ma che… dove sono?” chiede, guardandosi intorno, prima di vedere l’orologio sul comodino, bloccarsi e richiudere gli occhi, nascondendoli dietro una mano.
 
“Livietta…”
 
“Scusami, io… volevo solo starmene un po’ da sola e ho pensato… ho pensato che qui papà non mi sarebbe mai venuto a cercare… ti ho preso le chiavi e… volevo tornare dopo poco, non appena vedevo che papà se ne era andato ma… devo essermi addormentata,” balbetta, mettendosi a sedere e togliendo la mano per guardarlo di nuovo negli occhi, quasi in panico, “oddio, la mamma sarà preoccupatissima, e… e papà…”
 
“Ehi, ehi, stai tranquilla,” la rassicura, estraendo il cellulare dalla tasca, “adesso avverto tua madre che ti ho trovata, o meglio, che tu hai trovato me, magari se vuoi ti dai una rinfrescata in bagno e poi ti riaccompagno di là, ok?”
 
“No, no, aspetta! Dov’è papà? È ancora a casa o…?” lo blocca, trattenendogli la mano prima che possa comporre il numero.
 
“Tuo padre è rimasto a dormire nell’appartamento di Carmen. Era davvero sconvolto, Livietta e-“
 
“Lo so, ma per favore, non chiamarlo, non dirgli niente: non sono pronta a vederlo, io-“
 
“Livietta…” la interrompe, toccandole la spalla per rassicurarla, vedendo che è di nuovo sull’orlo del pianto, “stai tranquilla, ok? Non voglio di sicuro obbligarti a fare qualcosa che non ti senti di fare, però devo almeno avvertire tua madre che sei tutta intera e che non ti è successo niente. E ad avvertire tuo padre ci penserà lei, ok?”
 
“Va bene… però…. Io non… non… non è che posso restare qui stanotte?” gli chiede all’improvviso, guardandolo con quei due occhioni azzurri e pieni di lacrime, in un modo che rende difficilissimo, per non dire quasi impossibile, negarle qualcosa, “non… non me la sento di vedere nessuno… ho bisogno di stare da sola ancora per un po’. E così anche tu e mamma potete starvene un po’ da soli…”
 
“Cioè, praticamente mi stai sfrattando da casa mia?” le domanda con un sopracciglio alzato e tono divertito, strappandole un lieve sorriso, per poi proseguire, più serio, “Livietta, ascoltami… tu sei sempre la benvenuta qui e casa mia è casa tua, però… sono sicuro che tua madre preferirebbe mille volte averti a casa con lei stanotte che starsene da sola con me, e lo stesso vale per me.”
 
“Lo so ma… puoi parlarle tu, per favore? E starle vicino? Domani… domani le parlerò io ma… adesso non ce la faccio davvero,” lo implora, trafiggendolo di nuovo con quello sguardo che è un’arma impropria.
 
Annuisce senza quasi rendersene conto, ritrovandosi stritolato in un abbraccio incredibilmente forte, sebbene la senta tremare, scossa dai singhiozzi che non riesce più a trattenere. E mentre le accarezza i capelli e cerca di consolarla e tranquillizzarla meglio che può, non può fare a meno di chiedersi se abbia preso la decisione giusta.
 
***************************************************************************************
 
“Quindi sta bene, sei sicuro?”
 
“Sì, cioè… sta bene per quanto possa stare bene, date le circostanze. Ma è tutta intera, sana e salva: ha solo percorso il cortile e fatto due scale e poi non si è mai mossa da casa mia…”
 
“Ma perché non vuole tornare a casa? È arrabbiata con me?” gli chiede, con uno sguardo che è un misto di sollievo e di angoscia.
 
“No, no, non è arrabbiata con te, per niente. Davvero,” la rassicura, vedendola lanciargli uno sguardo dubbioso, “sul serio, Camilla, a che cosa servirebbe mentirti su una cosa del genere? Tanto domani lo scopriresti da sola, no?”
 
“Quindi domani torna a casa?” gli domanda, decisamente più sollevata.
 
“Ma certo! Ma che pensavi? Che rimanesse sempre a casa mia? Non che non la ospiterei volentieri, e lo sai, se fosse davvero necessario… che ne so… se tu dovessi andare via per qualche tempo o avessi dei problemi, ma… Livietta ha bisogno di te, Camilla. Deve solo… metabolizzare un po’ quello che è successo, da sola, assorbire la botta prima di poterne parlare con te. Non so se e quanto pensi realmente tutto… tutto quello che ha detto a Renzo, ma non credo che si aspettasse nemmeno lei di… di fare uscire… tutto questo davanti a lui…”
 
“Già… non mi ero resa conto di quanta… di quanta rabbia e quanto risentimento Livietta si fosse tenuta dentro dalla nostra prima separazione. È che… quando era piccolina era una cocca di papà: ho sempre saputo che, sì, mi voleva bene, ma con suo padre… c’era un legame davvero speciale, fortissimo. Ma ad un certo punto… è come se si fosse incrinato qualcosa, soprattutto da quando Livietta è diventata adolescente, e credo che ne abbiano entrambi sofferto molto. Non è del tutto colpa di Renzo, i rapporti tra genitori e figli cambiano crescendo, ma probabilmente Livietta non gliel’ha mai perdonato…” commenta Camilla, sentendo di nuovo un groppo in gola, “e Livietta protesta a volte per le cose più… più futili, ma quando sta male davvero si chiude a riccio, vuole stare da sola, non vedere nessuno e maschera il dolore dietro la rabbia. Per tanti versi lei e Renzo sono molto più simili di quanto pensano…”
 
“Beh, magari questo può essere un nuovo inizio per loro, no? Adesso giocano a carte scoperte e… sicuramente riusciranno a capirsi di più…” la incoraggia, posandole le mani sulle spalle per portarla a guardarlo negli occhi.
 
“Non lo so, Gaetano… vorrei crederti ma… non sarà per niente facile…” sospira Camilla, lasciandosi andare sul suo petto.
 
“Una donna molto saggia qualche tempo fa mi disse che essere genitori non è mai facile, ma può essere molto bello, che bisogna sempre darsi una seconda possibilità. E aveva ragione,” le sussurra all’orecchio, vedendola alzare il capo e regalargli un sorriso bellissimo, seguito da un bacio lieve ma di una dolcezza disarmante.
 
“Grazie…” gli mormora sulle labbra, commossa, “Gaetano, non so come farei senza di te, davvero! Sei un angelo con me e anche con mia figlia. E anche Livietta lo sa e… è incredibile quanto si sia affezionata a te: non è un caso che sia venuta a rifugiarsi a casa tua – e no, la conosco, e quindi non mi bevo la storia che l’abbia fatto solo per evitare Renzo.”
 
“Camilla, non serve che mi ringrazi: prima di tutto perché anche io voglio molto bene a Livietta e… beh quello che provo per te… insomma, lo sai… quindi lo faccio più che volentieri e non mi pesa affatto. E poi… non è nemmeno un centesimo di tutto quello che tu hai fatto per me e per Tommy,” le sussurra di rimando, accarezzandole il viso, “ed in quanto al fare a meno di me… ti ho già detto che non ti libererai facilmente di me, professoressa. Io ci sarò sempre al tuo fianco, fino a che tu lo vorrai.”
 
Un altro bacio intenso e dolce e poi Camilla lo guarda di nuovo in quel modo, pieno di amore e di orgoglio, che lo fa sentire l’uomo più fortunato del mondo.
 
“Rimani con me stanotte?” gli chiede, in quella che è quasi una preghiera, facendolo sorridere intenerito.
 
“Considerato che Livietta vuole starsene per conto suo e quindi non posso rientrare a casa… beh… o mi trovo un albergo, o rimango qui o chiedo ospitalità a Renzo. Tu che ne dici?” le domanda di rimando, ironico, guadagnandosi un colpo sulla spalla e uno di quei sorrisi sinceri e bellissimi che solo Camilla sa regalargli.
 
In silenzio si avviano verso la camera da letto e si coricano, ancora vestiti, sopra il lenzuolo, come per un tacito accordo, senza bisogno di parole o di spiegazioni. Sanno entrambi che questa sarà una notte di attesa.
 
“Cerca di dormire almeno un attimo,” sussurra, baciandole una tempia, prima di accoglierla tra le sue braccia.
 
“Puoi stringermi forte per un po’?” gli domanda con voce tremante, rifugiandosi nell’incavo del suo collo.
 
“Lo sai che non c’è bisogno di chiederlo…” mormora, sollevandosela sul petto per poterla avvolgere completamente.
 
Rimangono così, stretti-stretti, in silenzio, per un tempo infinito, fino a quando, cullati dal respiro dell’altro, cedono infine al sonno.
 


 
 
Nota dell’autrice: E ce l’ho fatta, finalmente! Alcune parti di questo capitolo, soprattutto le discussioni tra padre e figlia sono state davvero complicate da scrivere, molto più del previsto. In questo capitolo sono stati gettati parecchi semi per sviluppi futuri tra i personaggi. Come dice Gaetano nel capitolo, da qui Renzo e Livietta potranno e dovranno ripartire per ricostruire il loro rapporto in modo più maturo e consapevole ma… non sarà facile. Nel prossimo capitolo ci attendono alcuni momenti di pace seguiti da altri momenti ad alta tensione e ad una e vera e propria esplosione, che potrebbe avere conseguenze davvero gravi. Alcuni indizi per capire di cosa si tratta li avete già da questo capitolo e… scoppierà un bel casino!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, che non sia risultato noioso e abbia ripagato un poco l’attesa. Tra non molto ci sarà un nuovo giallo, ma prima ci saranno ancora diciamo due o tre capitoli più “familiari”, con dei salti temporali.
Vi ringrazio come sempre tantissimo per avermi letta e seguita fin qui, per i vostri pareri e commenti e, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo ;)!
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** Playing with Fire - prima parte ***


Capitolo 47: “Playing with Fire – prima parte”
 

Nota: Speravo di riuscire a pubblicare prima ma… eventi inattesi mi hanno costretta ad accelerare i tempi di un trasloco che era nell’aria ormai da mesi e che mi ha portato e mi porterà via tempo ancora per alcune settimane. Mi scuso ancora con voi per i tempi di pubblicazione che, lo so, non sono dei più celeri, ma purtroppo da qualche mese a questa parte non riesco a fare altrimenti… non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento alle note a fine capitolo ;).
 

 
Un suono improvviso la sveglia di soprassalto. Cerca di mettersi a sedere ma qualcosa glielo impedisce. O meglio qualcuno.
 
Solleva il viso e non può evitare di sorridere quando lo vede, ancora mezzo addormentato, gli occhi che si aprono lentamente, mentre mugugna qualcosa di inintelligibile, le sue braccia che ancora la cingono con forza e sembrano non voler lasciarla andare.
 
“Mmm… Camilla…” bofonchia, prima di aprire del tutto gli occhi e guardarla realmente, “che… che ore sono?”
 
“Sono le… le otto??!!” esclama, leggendo i numeri sul display, per poi guardarlo, mortificata, “e oggi è venerdì! Oddio, scusa, non ho pensato di mettere la sveglia! È che… non credevo di… di riuscire a dormire, figuriamoci di rimanere addormentata.”
 
“Ehi, tranquilla: la colpa al limite è mia. Anzi, sono felice che ti sei riposata almeno un po’,” la rassicura, abbassando il capo per darle un rapido bacio del buongiorno, per poi aggiungere, con un mezzo sorrisetto, “e per quanto riguarda il lavoro… ho fatto gli straordinari questa settimana, quindi direi che posso entrare un po’ più tardi. Nessuno mi farà rapporto, non ti preoccupare.”
 
“Spiritoso!” ribatte lei, mordicchiandogli lievemente il labbro inferiore, prima di sussurrargli sulle labbra, “e comunque, se sono riuscita a dormire è tutto merito tuo: sei la cura contro l’insonnia più efficace che ci sia.”
 
“Non so se prenderlo come un complimento o come un insulto…” replica Gaetano, con un sopracciglio alzato, fingendosi offeso.
 
“Dimenticavo di dire che sei anche la causa più frequente, e soprattutto più piacevole, di insonnia per me,” lo provoca, rubandogli un altro rapido bacio, prima di sollevare ancora di più il capo per guardarlo dritto negli occhi ed ammettere, più seria, “la sai una cosa? Quando sono tra le tue braccia… riesci sempre a darmi, a trasmettermi esattamente quello di cui ho bisogno in quel momento. Non so come fai, ma è così.”
 
“Camilla…” mormora, sentendo nuovamente quel dolore piacevole nel petto, stringendola più forte e giocando con le sue labbra, con la sua bocca, in maniera dolce, languida e profonda.
 
Un altro rumore, come di stoviglie, ed entrambi interrompono quel contatto, in maniera quasi brusca, per guardarsi negli occhi.
 
“Livietta…” pronunciano all’unisono, prima di precipitarsi fuori dal letto e avviarsi rapidamente verso la cucina.
 
“Livietta!”
 
La ragazza fa quasi un salto, presa di sorpresa, il pentolino del latte che le sfugge di mano cadendo fragorosamente a terra.
 
“Mamma!” esclama voltandosi, una mano sul cuore, “ma che è?! Vi siete messi tutti d’accordo per farmi venire un infarto in questi giorni?!”
 
“No, scusami, scusami, è che… abbiamo sentito rumori e… da quanto sei rientrata?”
 
“Cinque minuti? Il tempo di cercare di preparare la colazione… che disastro! Sembro uscita da una stalla!” si lamenta, guardando la pozza di latte sul pavimento, accompagnata da schizzi sugli armadietti bassi della cucina, sul forno e sui suoi pantaloni, per poi osservare meglio Camilla e Gaetano e lasciarsi sfuggire un mezzo sorriso, “certo che pure voi state conciati male! Ma avete dormito vestiti?!”
 
“Senti chi parla, signorina!” la punzecchia Camilla, avvicinandosi e toccandole la maglietta, spiegazzata esattamente quanto i loro abiti, per poi pizzicarle il naso tra due dita e vederla sorridere per un secondo prima di ritrovarsi stretta in un abbraccio che sa di pace, di amore puro, ma anche di un’innegabile malinconia.
 
“Ma hai comprato i cornetti?” le chiede poi, quando infine si staccano e nota il sacchetto aperto sul bancone, vicino al cartone del latte e ad un vassoio con su tre tazze e una zuccheriera.
 
“Volevo portarvi la colazione a letto per… per farmi perdonare almeno un po’ per quello che è successo ieri sera. Mi dispiace mamma: so che vi ho fatto spaventare e… vedendovi combinati così mi sento ancora più in colpa,” ammette con un sospiro, “anche se, se vi può consolare, nemmeno io ho dormito molto.”
 
“No, che non mi consola, Livietta, tutt’altro,” risponde Camilla, passandole un braccio intorno alle spalle, “anche perché noi in realtà poi siamo rimasti addormentati…”
 
“Meglio così… e meglio anche che vi siete alzati voi da soli, che altrimenti mi toccava bussare per due ore pregando di non trovarvi in… situazioni imbarazzanti,” ironizza, guadagnandosi un pizzicotto sul braccio, “ahi! Ma adesso mi tocca invece andare a comprare di nuovo il latte!”
 
“Non ti preoccupare, Livietta, ne ho un brik pieno a casa,” interviene Gaetano con un sorriso, aggiungendo, di fronte al loro sguardo stupito, “ehi, va beh che vivo da solo adesso, ma non ho il deserto dei Tartari in frigo. Non più almeno. E poi… ne avevo comprate un paio di confezioni in più per precauzione, metti che bruciavo il bunet.”
 
“Ah, ecco, mi sembrava strano,” scherza Camilla, notando però come il volto di Livietta si rabbui leggermente nel sentire nominare, anche se indirettamente, la cena di ieri sera.
 
“Va beh… vado, mi faccio una doccia, mi cambio e torno, ok? Così voi avete… un po’ di tempo per sistemarvi e fare le vostre cose e-“
 
“E pulire la cucina,” commenta Camilla facendogli però un occhiolino e rivolgendogli uno sguardo grato, avendo capito perfettamente la mossa di Gaetano per lasciarle da sole a parlare.
 
Gaetano annuisce e fa per voltarsi, quando sente la voce di Camilla che lo richiama con un, “ehi, non stai dimenticando qualcosa?”
 
Non fa in tempo a reagire, perché si ritrova con due labbra sulle sue in un bacio rapido ma dolcissimo che, nuovamente, lo sorprende. Non è abituato al fatto che Camilla si lasci andare a dimostrazioni pubbliche d’affetto, per quanto caste, di fronte a Livietta, ma è già la seconda volta che succede in un paio di giorni. Come se Camilla fosse finalmente a suo agio, forse perché sente che Livietta è a suo agio, con lui, con loro, come se fosse normale, naturale, anche se non scontato, mai scontato, non dopo tutto quello che ha passato, che hanno passato per arrivare fin qui. Non dopo tutto quello che dovranno ancora affrontare.
 
Le sorride, stringendole lievemente il braccio prima di lasciarla andare e girare un’altra volta sui tacchi. Fa giusto un passo perché, di nuovo, una voce femminile lo fa bloccare sui suoi passi, con un “ehi, non stai dimenticando qualcosa?”, pronunciato scimmiottando quasi perfettamente la voce di Camilla.
 
Si volta verso Livietta, guardandola sbigottito, non capendo dove voglia andare a parare, lanciando un’occhiata anche a Camilla che sembra sbalordita quanto lui.
 
“Non starai dimenticando queste?” gli domanda, con voce questa volta normale, Livietta, facendo penzolare le chiavi di casa di Gaetano tra due dita e aggiungendo con una mezza risata, “o volevi scassinare o sfondare la porta?”
 
Riesce ad afferrarle al volo appena prima che lo colpiscano sul petto.
 
“Non sai che i poliziotti in queste cose sono quasi meglio dei ladri?” commenta Camilla, alzando un angolo della bocca e guardandolo in quel modo che lo fa impazzire, mentre lui coglie perfettamente il riferimento al primo scambio di battute in assoluto che avevano avuto. Ricorda benissimo che aveva solo desiderato di riuscire a farla stare zitta almeno per un secondo, non aveva ancora capito – ma l’avrebbe fatto presto – come avrebbe voluto riuscire a farla stare zitta.
 
“Siamo spiritose stamattina, eh?” le canzona, prima di alzare le mani in segno di resa, “ho capito, mi conviene arrendermi e andarmene, visto che sono in minoranza.”
 
Un ultimo sorriso e si avvia verso la porta di ingresso, chiudendola dietro di sé.
 
“Pavimento e poi doccia?” propone Camilla, mentre Livietta si limita ad annuire.
 
Puliscono la cucina in un silenzio quasi perfetto, mentre il clima tra loro ritorna decisamente più serio e più triste.
 
“Livietta, ascolta…” esordisce Camilla, trovando finalmente il coraggio di parlare, ma la figlia la interrompe subito.
 
“Mamma, lo so quello che vuoi dirmi…” sospira Livietta, smettendo di asciugare il mobile e guardandola negli occhi, “che papà è nell’appartamento qui sotto e che dovrei andarci a parlare ma-“
 
“Come fai a saperlo?”
 
“Se intendi di papà, me l’ha detto Gaetano ieri sera. Se intendi come faccio a sapere quello che avresti voluto dirmi… ti conosco, mamma!” replica Livietta con un mezzo sorriso agrodolce, “ma non mi sento pronta per… per affrontarlo, non stamattina. E poi… vorrei che fosse lui a venire da me, lo capisci? Sarà stupido ma… io gli ho detto quello che gli dovevo dire… forse avrò esagerato ma… ma ora tocca a lui, se davvero vuole chiarire con me… deve avere almeno il coraggio di affrontarmi, di affrontare il problema.”
 
“Livietta, è che-“
 
“Secondo te pretendo troppo, mamma?!” la interrompe trafiggendola con un’occhiata tra il polemico e il malinconico.
 
“No… però… forse pretendi troppo da tuo padre per come… per come sta in questo momento, Livietta: ieri sera era davvero distrutto. Non lo dico per farti sentire in colpa ma perché è la verità. Non so se tuo padre riesce ad affrontarti in questo momento, già non è nel suo carattere affrontare i problemi di petto e meno che mai adesso,” le spiega, poggiandole una mano sulla spalla, “voglio solo che tu sappia che ti ha ascoltata ieri sera, Livietta, e secondo me ha capito quello che volevi dirgli. Come ti ho ascoltata e ti ho capita anch’io, ma… qualunque cosa succeda, vorrei che anche tu capissi una cosa.”
 
“Che cosa?” domanda Livietta, non spostando di un millimetro lo sguardo dai suoi occhi.
 
“Tuo padre con… con Passarelli e poi Barcellona, Carmen… tuo padre si è allontanato da me, non da te e-“
 
“Mamma, per favore, basta con queste scuse, queste frasi da manuale: tuo padre ha lasciato me e non te, saremo sempre una famiglia, anche se non siamo più una coppia, tutte palle e lo sai,” sbotta Livietta, scostandosi dal suo tocco.
 
“Lo so, lo so, che suona come una frase fatta ma è così, Livietta. Era… la convivenza con me che tuo padre evidentemente non sopportava più, Livietta, non te e-“
 
“E anche se fosse, a me che me ne frega, mamma, visto che il risultato finale non cambia? Papà avrà voluto allontanarsi da te, ma si è allontanato anche da me, quindi...”
 
“Quindi ha sbagliato, ma succede, Livietta. Siamo esseri umani e facciamo errori, tutti i giorni. Però… quando stava con Carmen, soprattutto poi quando è venuto a Roma, avevate un bel rapporto, no? A lui faceva piacere passare il suo tempo con te e a te con lui, non-“
 
“Peccato che non facesse piacere a Carmen, mamma! Non così spesso, almeno,” le fa notare, sarcastica.
 
“Ma tuo padre comunque ti avrebbe sempre tenuta con sé, se avesse potuto. E tra Carmen e te, Livietta, tuo padre ha scelto te e sceglierà sempre te!”
 
“In teoria, forse, ma in pratica non è così, mamma, e lo sai anche tu, visto quello che è successo anche qui a Torino. Vorrei solo che almeno fosse onesto e lo ammettesse…”
 
“Il problema di nuovo ero io e non tu, Livietta. Probabilmente né io né tuo padre riuscivamo ad accettare che… non riuscivamo più a stare bene insieme, che stavamo meglio separati. Che eravamo due genitori migliori da separati. E abbiamo preso al volo ogni scusa possibile per non stare insieme nella stessa casa troppo a lungo, per… per rimandare il momento in cui avremo dovuto guardare in faccia la realtà. Lo so che ci sei andata di mezzo tu, Livietta, e mi dispiace, ma è stata anche colpa mia, non solo di tuo padre.”
 
“Ma tu ci sei sempre stata, mamma, sempre. Quando sei stata lasciata, quando hai lasciato tu, quando lavoravi, quando non lavoravi, tu c’eri, mamma, sei sempre stata con me!”
 
“Perché… perché vivevi con me, Livietta, perché, per mia immensa fortuna, sei sempre stata affidata a me in maniera prevalente e-“
 
“Non è solo questo, mamma, e lo sai. Tu non avresti mai accettato di andare a lavorare a centinaia di chilometri di distanza da me, piuttosto avresti rinunciato al tuo lavoro e-“
 
“È vero, l’avrei fatto, l’ho fatto. Ma sono stata davvero male a Barcellona, Livietta. Non perché non ti volessi bene, o non mi bastassi tu, ma perché… ognuno di noi ha bisogno di… di diverse cose nella vita, Livietta. Anche tu, pure se io e tuo padre fossimo sempre qui a tua disposizione, a casa, felici, sereni, disposti a fare tutto quello che vuoi, vorresti passare tutto il tempo con noi?” le domanda, poggiandole di nuovo la mano sulla spalla.
 
“Beh… no…. Ho i miei amici, la mia vita, non ho più cinque anni e-“
 
“Ed è giusto, Livietta, è sano! È sano che tu abbia altri interessi, abbia una vita, a parte noi, che noi siamo parte della tua vita ma non tutta la tua vita. E non perché ci vuoi meno bene di quando avevi cinque anni, ma perché hai esigenze diverse, bisogni diversi. E lo stesso vale per chiunque, superati forse i primissimi anni dell’infanzia. Se dovessi scegliere tra te e il mondo, Livietta, sceglierei sempre te, ma ciò non toglie che… che ho bisogno anche del mondo, che abbiamo bisogno anche del mondo, di altre persone, di altri interessi, per essere persone soddisfatte, equilibrate, serene. E quando sono serena, sono anche una madre migliore per te, Livietta, me ne sono resa conto ancora di più in questi ultimi due mesi. Credo che… che nonostante tutto il nostro rapporto sia migliorato, no?”
 
“Sì, è vero… perché… perché ti vedo che sei contenta, che… che non sei più finta, che non reciti davanti a me. Che hai voglia e le energie di stare con me, e soprattutto che sei davvero con me, al cento per cento, anche con la testa, che non stai da un’altra parte con i pensieri. È anche per questo che… che sono grata a Gaetano, mamma, perché ti rende felice e… e ha migliorato l’atmosfera in casa,” concede Livietta con un sospiro, abbassando lo sguardo.
 
“Livietta, lo so che da quando siamo arrivati a Torino, fino a… fino a due mesi fa, anche io ho passato più tempo fuori casa che in casa. Più tempo a casa di Gaetano che qui, forse più tempo con Tommy che con te,” ammette, anche se a fatica, sollevandole il mento per guardarla negli occhi, “e non l’ho fatto certo perché… perché due mesi fa ti volessi meno bene che adesso, o perché voglia più bene a Tommy che a te o a Gaetano che a te. Tu sei e sarai sempre la persona più importante della mia vita, Livietta, la cosa più bella che abbia mai fatto in vita mia. Però… se passavo tanto tempo con loro non era solo perché Gaetano aveva bisogno di una mano con Tommy, come mi dicevo, ma perché… perché Gaetano mi dava quello che… che ormai io e tuo padre non riuscivamo più a darci a vicenda e-“
 
“Mamma, i dettagli no, per favore!” la interrompe Livietta con un mezzo sorriso commosso e un tono fintamente scandalizzato.
 
“Non intendo quello, Livietta!” ribatte con una mezza risata, dandole un buffetto sul braccio, “intendo il… supporto emotivo, il parlarsi, il condividere, il consolarsi – di nuovo, non in quel senso – il farsi forza a vicenda, il… il riuscire a dirsi in faccia tutto quello che le altre persone non riusciranno mai a dirti, nel bene e nel male. Io e tuo padre non ci riuscivamo più, da tanti anni, Livietta, forse ci riuscivamo di più quando eravamo separati di quando stavamo insieme. E quando me ne sono resa conto… è stato allora che ho capito che il matrimonio tra me e tuo padre era davvero finito. E anche tuo padre, come me, aveva bisogno di tutto questo, e l’ha cercato e trovato in Carmen, nel loro lavoro.”
 
“Peccato che il suo lavoro e Carmen escludano me, mamma-“
 
“Non è detto… forse non si adattavano tanto alle esigenze che avevi quando eri più piccola, ma ora secondo me tu e tuo padre potreste trovare un punto di incontro, no? Lui ha bisogno di te e vorrebbe passare più tempo con te, te lo sta dicendo in ogni modo, forse dovresti dargliene la possibilità e-“
 
“Ed è troppo comodo, mamma, non credi? Che ora che si sente solo gli torna la voglia di stare con me! Dov’era negli scorsi mesi, negli scorsi anni, eh? Quando avevo io bisogno di lui e mi dovevo accontentare di vederlo a volte tre o quattro giorni al mese, se andava bene!” esclama Livietta, alzando la voce, triste e rabbiosa.
 
“Livietta, lo so, ti ripeto, tuo padre ha sbagliato, come del resto anche io ho sbagliato. E il passato non si cancella, non si cambia, ormai è lì, è andata così, che ci piaccia o no. Ma possiamo imparare dai nostri errori, voltare pagina e fare qualcosa per cambiare in meglio, Livietta, per essere genitori migliori per te, da adesso in poi. E tu hai ancora bisogno di tuo padre, Livietta, tanto quanto lui ha bisogno di te, e se tu per rabbia, per ripicca, per orgoglio, non gli dai la possibilità di avvicinarsi a te, se lo allontani definitivamente, non sarà solo lui a perderci, ma anche e soprattutto tu,” le ricorda, accarezzandole i capelli, “riflettici, ok?”
 
***************************************************************************************
 
“Hola?!”
 
“Carmen?”
 
“Renzo?! Por dios, estás loco? Aquì son las dos de la mañana!” esclama la voce rauca ed impastata dal sonno, in Spagnolo, come, lo sa bene, succede sempre quando è mezza addormentata, per poi aggiungere, in un sussurro preoccupato, “te pasa algo?”
 
“Lo so che lì a New York è notte fonda ma… ho bisogno di parlare con qualcuno o impazzisco e…”
 
“Che succede? Non stai bene? Livietta? Camilla?” domanda la donna, che ormai lo conosce fin troppo bene.
 
“Who the hell is calling you at these hours?!” sbotta una voce maschile, un po’ attutita ma decisamente assonnata ed arrabbiata.
 
“Renzo… he’s-“
 
 “The Italian again?! What the hell does he want now?! It’s-”
 
“Honey, please, it’s an emergency… go back to sleep, I’ll be back in a minute, ok?” la sente rassicurarlo nel suo inglese con la tipica pronuncia spagnola. Rumore di passi ed una porta che si chiude.
 
“Allora? Non farmi preoccupare, che è successo?”
 
“Scusami, lo so che ti creo sempre problemi, ma-“
 
“Renzo, che è successo?!” taglia corto, l’ansia evidente nel tono di voce.
 
“Ho litigato con Livietta e-“
 
“Renzo, tu litighi con Livietta un giorno sì e quello dopo pure! E mi chiami alle due di notte per questo?!” esclama, con tono incredulo e a dir poco alterato, “non potevi aspettare qualche ora?!”
 
“No, Carmen, non è come le altre volte… mia figlia mi odia a morte e… non so più cosa fare…” ammette, sentendo le lacrime pungergli gli occhi e tentare nuovamente di uscire, “scusami, ho sbagliato a chiamare, io-“
 
“No, aspetta, aspetta,” lo interrompe, prima che ceda all’impulso di riagganciare, “scusami tu. Lo so che non mi avresti telefonato a quest’ora se non era importante. Dai, raccontami tutto…”
 
***************************************************************************************
 
“Buonissimi, grazie Livietta! E grazie Camilla per il cappuccino: fare colazione qui è meglio che al bar!”
 
“Adulatore! Diciamo che fingo di crederci…” ribatte Camilla con un sorriso, toccandogli il ginocchio sotto all’isola della cucina.
 
“No, mamma, Gaetano ha ragione: sei bravissima a fare il cappuccino. Peccato che la maggior parte delle mattine rimani addormentata e quindi al massimo ci dobbiamo accontentare di latte e cereali. Quindi, Gaetano, non illuderti: di solito mia madre prima delle otto del mattino o di un caffè doppio non connette,” la punzecchia Livietta, guadagnandosi un pizzicotto sull’avambraccio.
 
“Ah, se è per quello nemmeno io: se potessi mi sveglierei tardissimo e andrei a dormire tardissimo. Sono un po’ nottambulo…”
 
“Ma se ti ho visto tornare da correre alle sette del mattino!” gli fa notare Livietta con un sorriso, per poi aggiungere, ironica, facendo loro l’occhiolino, “anche se la tua solidarietà nei confronti di mamma è quasi commovente.”
 
“Infatti ho detto, se potessi. Ma non posso: devo allenarmi e la sera quando torno dal lavoro preferisco di gran lunga dedicarmi ad altro e-“
 
“Diciamo pure ad un’altra,” lo punzecchia nuovamente Livietta, ridendo quando sua madre le dà un altro pizzicotto, questa volta alle costole.
 
“Siamo davvero spiritose stamattina… sono contento,” commenta Gaetano, sorridendo di fronte al modo affettuoso in cui madre e figlia si prendono in giro, sapendo che significa che il loro rapporto, almeno, non è stato intaccato da quello che è successo negli ultimi giorni, anzi sembra ancora più sereno e forte di prima.
 
“A proposito di lavoro… mi sento in colpa: non ti staremo facendo fare troppo tardi?” domanda Camilla, guardando l’orologio che ormai segna quasi le nove.
 
“No, tranquilla, Camilla: ho già parlato con Torre e andrò subito dopo pranzo, mi sono preso la mattinata libera. Questo significa però che tornerò un po’ più tardi stasera e non so se ci sarò per cena.”
 
“In realtà nemmeno io ci sono per cena: vado con Cristina e Lucrezia al pub a vedere Savino suonare. Ti ricordi, no, mamma? E prima andiamo a farci un aperitivo,” si inserisce Livietta con nonchalance: sarebbe sì andata a sentire Savino suonare, ma quella dell’aperitivo era una scusa per uscire prima ed andare all’allenamento extra con l’istruttore.
 
Al nominare Savino, Camilla e Gaetano si lanciano un’occhiata: sanno che dovranno ringraziare il ragazzo per l’aiuto loro dato. Gaetano l’aveva bloccato appena in tempo prima che partisse alla ricerca di Livietta nei locali di mezzo torinese.
 
“E ti ho già detto che vengo a prendervi al pub, prima che-“

“Che a papà venga un infarto lo so, lo so,” sbuffa Livietta, aggiungendo poi con un sorriso, “ma perché non venite anche voi a sentire Savino? Tanto inizia alle undici passate, tu mamma puoi aspettare Gaetano fino a che rientra dal lavoro, mangiate qualcosa da qualche altra parte se volete e poi ci raggiungete.”
 
“E a te sul serio non dà fastidio?” domanda Camilla, stupita da questa iniziativa della figlia.
 
“No, però a patto che vi mettete su un tavolo lontano dal nostro… più che altro almeno Lucrezia si tiene a distanza da Gaetano,” commenta con un sorrisetto sarcastico. La verità è che vuole essere sicura che sua madre dalle diciotto in poi rimanga a casa ad aspettare Gaetano e le raggiunga solo più tardi. E che entrambi si tengano alla larga da una certa palestra. Si sente un po’ in colpa, ma non vuole mettere nei guai l’istruttore.
 
“L’importante è che Lucrezia – e tutte voi – vi teniate lontane dall’alcol,” ribatte Camilla con un’occhiata eloquente, che fa capire sia a Livietta, sia a Gaetano, quanto è seria, “io un’altra scena come quella della discoteca non la voglio ripetere e non la voglio nemmeno infliggere a Gaetano – o alle sue scarpe.”
 
“Messaggio ricevuto, mamma,” sospira Livietta con un sorriso.
 
“Bene, tu Gaetano allora che fai adesso? Ti fermi con noi anche a pranzo?”
 
“No, grazie, Camilla. Magari il pranzo lo faccio con un panino al volo, così vado un po’ prima in ufficio e torno un po’ prima di quanto pensassi. Almeno non ti faccio aspettare troppo stasera… e adesso-“
 
“A proposito di correre ed allenarsi, perché non ci andiamo a fare una corsa insieme e ci alleniamo un po’? Se non ti scoccia… visto che hai la mattinata libera…” si inframmezza Livietta, aggiungendo, vedendo l’occhiata della madre, “mamma, no, non vado a parlare con papà stamattina, mi dispiace ma non ci riesco, è troppo presto.”
 
“D’accordo, d’accordo…” abbozza Camilla con un sospiro, sapendo che la cosa a Renzo non piacerà ma non potendo forzare Livietta.
 
“Allora… che facciamo? Ci cambiamo in qualcosa di più comodo e ci troviamo tutti giù tra… dieci minuti?” propone Gaetano rivolto soprattutto a Camilla.
 
“Andate pure solo voi due, io per stavolta passo. Forse è meglio se questi allenamenti li facciamo… separatamente,” ammette Camilla con un sorriso imbarazzato, per poi aggiungere, ricambiando lo sguardo di Gaetano, “e così sistemo un paio di cose e preparo qualcosa per te da portarti via e mangiare in ufficio e il pranzo per noi.”
 
“Grazie, però… adesso sei tu che mi fai sentire in colpa! E così mi vizi, professoressa,” replica Gaetano, chiedendosi se Camilla voglia lasciarlo da solo con Livietta perché le parli o se vuole stare da sola per andare a parlare con Renzo. O forse entrambe le cose.
 
“Goditela, finché dura, Gaetano, dammi retta! Prima che ritorni alla fettina della professoressa o, peggio, alle uova al tegamino,” commenta Livietta, ridendo quando si prende l’ennesimo pizzicotto dalla madre.
 
“Guarda, Livietta, rispetto a quello che mangio di solito, non potrei in ogni caso lamentarmi,” ammette Gaetano, non potendo evitare un’esclamazione di sorpresa mista a dolore quando Camilla gli assesta una lieve gomitata nel fianco.
 
“Quindi mi stai dicendo che la mia cucina ti piace solo perché è meglio del cibo carbonizzato?” gli domanda con un sopracciglio alzato ed aria fintamente offesa.
 
“No, la tua cucina mi piace perché cucini bene, sia quando fai piatti elaborati, sia quando cucini per tutti i giorni. Ma mi piace soprattutto perché lo fai con il cuore e… è la prima volta da anni che… che qualcuno impiega parte del suo tempo, delle sue energie per… per farmi stare bene, Camilla. Che qualcuno si preoccupa così per me… non solo che io mangi ma… che io stia bene, in tutti i sensi. E soprattutto è la prima volta in assoluto che mi sento così… coccolato da qualcuno e che mi sento accolto in una famiglia che non sia quella di mia sorella. Quindi anche se fosse tutto carbonizzato… sarei comunque grato e proverei ad assaggiarlo, come del resto tu hai provato ad assaggiare i miei terribili biscotti,” proclama, stupendosi delle sue stesse parole mano a mano che escono dalla sua bocca, ma non potendo evitarlo, per poi cercare di sdrammatizzare, vedendo lo sguardo commosso di Camilla, “poi ovviamente ti manderei il conto del medico e della lavanda gastrica.”

“Scemo…” sussurra, profondamente toccata, cedendo all’impulso di buttargli le braccia al collo e stringerlo più forte che può.
 
“Va beh, voi due ormai siete irrecuperabili! Mi sa che è meglio se vado a correre da sola!” commenta Livietta sarcastica, ma con gli occhi che sembrano un po’ lucidi, mentre loro sciolgono l’abbraccio e la guardano, imbarazzati.
 
“No, no, adesso vado… vado a cambiarmi e ci vediamo giù tra cinque minuti, ok? Noi ci vediamo dopo,” risponde Gaetano, rosso come un peperone, scambiandosi un ultimo sguardo con Camilla e sparendo nel corridoio d’ingresso e poi oltre la porta.
 
“Che c’è?” chiede Camilla a Livietta, vedendo che la figlia non si muove per andarsi a cambiare e anzi, continua a fissarla.
 
“C’è che a volte mi piacerebbe sapere come ti vede lui, mamma. Vederti per un attimo come ti vede lui. E mi chiedo se troverò mai qualcuno che… che mi guarda come lui guarda te, che mi vede come lui vede te,” ammette Livietta, aggiungendo poi con un sorriso, “ovviamente da sobrio e senza l’aiuto di… strane sostanze. Se no è facile!”
 
“Ah, ah,” ribatte Camilla, fingendo una risata risentita, per poi sollevarle il viso con il mento e guardarla negli occhi, “Livietta, non so come Gaetano mi veda esattamente e me lo chiedo spesso anche io. Di sicuro molto meglio di come sono in realtà. Ma tu… tu sei bellissima e buona e intelligente, quindi ti basterà trovare qualcuno che ti veda esattamente come sei e che sappia apprezzare l’immensa fortuna che è averti accanto. E succederà prima o poi, devi solo avere un po’ di pazienza e di prudenza. Anche perché hai tutta la vita davanti.”
 
Livietta annuisce con un sorriso, per poi abbracciarla nuovamente ed avviarsi con lei verso la sua stanza.
 
***************************************************************************************
 
“Capisci? Io non so più cosa fare!” sbotta prima di aggiungere, sentendo solo silenzio dall’altra parte della cornetta, “Carmen ci sei?”
 
“Sì, Renzo, ci sono, come sempre…” sospira Carmen dall’altra parte della linea.
 
“Scusami, lo so che forse non avrei dovuto raccontarti quello che ha detto Livietta su di te e… su noi due quando stavamo insieme, ma non so con chi parlarne e-“
 
“Con lei magari?” lo interrompe Carmen, con un tono vagamente sarcastico.
 
“Sei arrabbiata?”
 
“Con chi? Con te per avermi svegliata alle due di notte? Ancora non lo so. Con Livietta per avere detto la verità? No,” risponde con un altro sospiro.
 
“La verità? Ma-“
 
“La verità, Renzo, la verità. Figli non ne ho e non so se voglio averne, non mi sono mai mancati. Livietta mi è sempre stata simpatica, le voglio bene, non ho nulla contro i bambini, anzi, mi piacciono, ma mi piace anche il mio lavoro, la mia indipendenza, poter pensare che se domani ho un progetto dall’altra parte del mondo che mi interessa, posso trasferirmi senza problemi. Questo non mi rende la mamma ideale, la moglie o la compagna ideale, un sacco di uomini mi hanno mollata o io ho mollato loro quando mi sono stancata di dovermi giustificare per essere quella che sono e fare quello che mi rende felice. Le uniche relazioni che hanno funzionato per più tempo, sono state quelle con te, perché lavoravamo insieme, e con Jack, perché anche lui ama la sua indipendenza, anche se a volte penso che non mi sopporta più.”
 
“Carmen, io-“
 
“Almeno io so chi sono e guardo in faccia la realtà: non sono una santa ma non sono nemmeno il demonio. E forse dovresti farlo anche tu, Renzo, per una volta!”
 
“Cosa, ma che vuoi dire?” domanda lui, non capendoci più niente, stupito e imbarazzato dalla piega che ha preso questa telefonata.
 
“Che non sei il marito e il padre perfetto, tutto casa e famiglia, che ti sei sempre messo in testa di essere, Renzo. Che vuoi bene a tua figlia, sì, ma non vivi solo per lei. Che ti piace anche il tuo lavoro, i progetti, il successo, viaggiare. Che quando stavi con me a Barcellona, senza Camilla e vedendo poco Livietta, non stavi male. Che quando eravamo a Roma tutti insieme, ti piaceva anche passare del tempo solo con me, senza Livietta, e a volte la lasciavi volentieri a Camilla. Che ti piaceva passare del tempo con lei, ovviamente, e avevi voglia di vederla, ma avevi bisogno anche di altro. Che se ti fossi raccontato meno palle nell’ultimo anno, se avessi accettato il fatto che non sopportavi più la convivenza con tua moglie e il suo rapporto con Gaetano, forse avresti passato più tempo con Livietta e meno a lamentarti con me. Che è quello che dovresti fare anche adesso, Renzo: mettere giù questo telefono, andare da tua figlia e dirle che le vuoi bene e passare del tempo con lei, senza farti tante paranoie e-“
 
“E la fai facile tu, ma Livietta non mi ascolta, non vuole passare del tempo con me, lei-“
 
“Se non volesse passare del tempo con te, Renzo, non si sarebbe lamentata del fatto che le sei mancato in questi anni, in questi mesi, no? Vai da lei e stai con lei, anche in silenzio, fino a che non ti ascolta. Proponile di fare qualcosa che piace a lei e stai con lei fino a che non si stufa e vuole andarsene dai suoi amici o dal suo fidanzatino o da-“
 
“Gaetano!”
 
“Eh?! Che c’entra Gaetano?”
 
“Livietta è… è in cortile con Gaetano stanno… stanno andando a correre! Maledizione! Devo andare, Carmen, io-“
 
“No, ferma, ferma… fermati, maldita sea, Renzo!” quasi urla quando lo sente incamminarsi, bloccandolo sui suoi passi, “Livietta è andata a correre con Gaetano, e allora?! Che vuoi fare? Correre dietro a loro che corrono? Estás loco?! Le parlerai quando torna, no? Senza metterla in imbarazzo in mezzo ad una strada o ad un parco o dove diavolo stanno andando!”
 
“Non capisci… è che… Livietta passa troppo tempo con… con quello lì! O non hai capito che tutte le cose che mi ha detto su di te e su di me le ha dette per difendere lui e-“
 
“Livietta quelle cose le ha dette per colpire te, Renzo, non per difendere Gaetano, che mi sembra che si difende benissimo da solo. E anche se Livietta passa del tempo con Gaetano, che problema c’è? Non dirmi che sei geloso! Gaetano non è suo padre e non prenderà mai il tuo posto, Renzo.”
 
“Appunto!”
 
“Appunto?”
 
“Appunto che non è suo padre, Carmen!”
 
“E quindi qual è il proble-?” domanda la donna, stupita, prima di interrompersi, “no, no, no, tu non penserai… quello che penso che tu pensi, Renzo? Estás loco de verdad?!”
 
“No, non sono loco, Carmen. Sto benissimo e… non mi piace che Livietta passi tutto questo tempo da sola con un uomo che le gira intorno mezzo nudo e che è un playboy che ha avuto storie con un sacco di donne di poco più grandi di mia figlia, io-“
 
“Mah… io di donne di Gaetano ho solo conosciuto Eva che mi sembra bella adulta e-“
 
“E tutte le altre sue donne? La Venere del Botticelli? Alba? Dai, te le ricorderai anche tu, no?”
 
“Non so di che donne parli, Renzo: io da quando sono tornata a Torino e ho conosciuto Gaetano l’ho visto solo con Eva e con tua - con Camilla,” gli fa notare Carmen, correggendosi in tempo prima di dire tua moglie.
 
“Ah, sì, è vero… forse l’ultima vittima, Alba, è stata poco prima che arrivassi tu a Torino e-“
 
“E io non sono venuta a Torino due settimane o due mesi fa, Renzo. Mi sembra evidente che è un sacco di tempo che l’unica donna che interessa a Gaetano è Camilla, e ti garantisco che, per come li ho visti, anche se gli passa vicino la donna più bella del mondo, non gliene frega niente. Non mi sembra proprio un playboy, e soprattutto non mi sembra il tipo che corre dietro alle ragazzine dell’età di Livietta, anzi, il contrario.”
 
“Perché Camilla è più grande di lui?”
 
“Anche, ma… Renzo, gli uomini che vanno dietro alle adolescenti lo fanno non solo perché sono belle e giovani, ma anche perché possono avere un… potere su di loro. Perché, me lo ricordo bene, purtroppo, a quell’età anche se ci si sente grandi… non si ha esperienza, si fa più fatica a riconoscere le… le fregature e si ama in quel modo… senza riserve, senza barriere, senza protezioni,” sospira Carmen, prima di aggiungere, come se stesse dicendo un’ovvietà, “mentre… che cos’hanno in comune Eva e Camilla, Renzo? Che sono due donne forti, indipendenti, con un carattere così! Cioè l’opposto delle ragazzine. E poi Livietta non sarà mai una donna per Gaetano, nemmeno tra dieci anni o vent’anni, come non lo sarà mai per me. È come una nipotina che ho visto crescere, Renzo, e lo stesso sicuramente è per lui.”
 
“Ma non-“
 
“E conosco tua figlia e so che non farebbe mai una cosa del genere a Camilla. E, in ogni caso, sicuramente nemmeno lei vede Gaetano come un uomo. Non siamo mica in una telenovela o in Beautiful!”
 
“Carmen, maledizione, sono serio! Perché non capisci? Il problema-“
 
“Renzo, lo sai qual è il vero problema? Sia per te che per tua figlia?” lo interrompe Carmen con un altro sospiro, il tono di voce evidentemente irritato.
 
“Il vero problema?” ripete, non capendo di nuovo dove la donna voglia andare a parare.
 
“Il fatto che a volte sembra che vedi Livietta come se fosse tua moglie o la tua fidanzata e-“
 
“Ma sei impazzita?! Io-“
 
“Non in senso letterale, ovviamente, Renzo! Ma se Livietta ha un ragazzo o un fidanzato, tu sei geloso e ti metti in competizione con lui. E anche Livietta fa così se tu hai un’altra donna. Ricordo com’era con me all’inizio. Camilla ti ha lasciato e si è messa con Gaetano, è vero, e… Gaetano in un certo senso ti ha portato via Camilla, ma non ti porterà mai via Livietta, a meno che tu non continui a comportarti come un idiota. Non te la porterebbe via nemmeno se fossimo davvero in una telenovela e Gaetano e tua figlia avessero una relazione e-“
 
“Non dirlo nemmeno per scherzo, Carmen! La sola idea-“
 
“Quello che voglio dire è che nessun fidanzato di tua figlia prenderà mai il tuo posto, Renzo. Che nessun altro uomo prenderà mai il tuo  posto. Come nessuna donna prenderà mai il posto di tua figlia nella tua vita. L’unico che può rovinare il tuo rapporto con Livietta sei tu Renzo, e lo stesso vale per lei. Non c’entra né Gaetano, né Camilla, né nessun altro, soprattutto visto che Livietta è grande ormai e ragiona con la sua testa,” ribadisce Carmen, con tono deciso, per poi aggiungere, in modo quasi duro, “quindi, te lo ripeto, tu adesso ti calmi, ti sistemi e aspetti che tua figlia sia di nuovo a casa e la vai a trovare, senza stare in agguato quando torna dalla corsa con Gaetano, però. Quando è a casa tranquilla vai e le parli e se ti respinge ritorni domani e dopodomani e insisti, la ascolti, senza fare scenate. E le fai capire con i fatti che tieni a lei, Renzo, che è più importante lei del tuo orgoglio ferito da Camilla e da Gaetano. E che questo non cambia anche se hai un tuo lavoro che ti piace, se non stai sempre a Torino ma viaggi, se avrai di nuovo un’altra donna e-”
 
Il rumore del campanello lo fa sobbalzare.
 
“Scusami, Carmen, ma suonano alla porta. Aspettavi visite?” le domanda Renzo, visto che, in fondo, si trova a casa di lei.
 
“Almeno non hai perso del tutto il tuo senso dell’umorismo,” ribatte Carmen, con tono che sembra più morbido, forse sollevato, “ti lascio andare, così io torno a letto prima che Jack mi butti fuori di casa.”
 
“Grazie, Carmen, davvero e… scusami: non so come fai a sopportarmi,” ammette Renzo, sapendo che, soprattutto nell’ultimo periodo, ha approfittato fin troppo di lei. Ma non può farne a meno.
 
“Io ti scuso se non fai più l’idiota e torni ad essere il Renzo che ho sempre conosciuto e am-… e ammirato,” replica Carmen, aggiungendo, dopo un attimo di silenzio, “e soprattutto se non mi chiami più alle tre di notte a meno che qualcuno sta per morire o è già morto.”
 
“Messaggio ricevuto,” concede Renzo, dovendo ammettere che, come sempre, si sente più sereno e rilassato dopo aver parlato con lei, “un beso.”
 
“Un beso,” la sente mormorare, nel loro solito saluto, prima di chiudere la comunicazione.
 
“Arrivo, arrivo!” grida, sentendo di nuovo il campanello, correndo verso la porta, vestito ancora con gli abiti della sera prima, aprendola e trovandosi davanti Camilla con un vassoio in mano.
 
“Ti ho portato la colazione,” annuncia, superandolo e facendosi strada verso la cucina, “dubito che Carmen abbia ancora qualcosa in dispensa.”
 
“Grazie…” mormora, sorpreso dal gesto di lei, che gli riporta alla mente i tempi della loro prima pausa di riflessione, quando lui dormiva nell’appartamento di Andreina, convertito in studio.
 
La osserva in silenzio mentre gli versa il caffè dalla moka, nero come piace a lui, e glielo porge insieme ad un cornetto.
 
“Addirittura il cornetto? Mamma mia… dovevo proprio essere messo male ieri sera, se ti sei data tutto questo disturbo per me, abbandonando il latte e i cereali,” commenta, ironico, ma non sarcastico, sentendo uno strano senso piacevole al petto di fronte a questa premura di Camilla.
 
La verità è che non era più abituato alle premure di Camilla… da secoli, da ben prima che lo piantasse in asso per il poliziotto-super-più. Da prima ancora di Torino. Forse l’ultima volta in cui era stata davvero premurosa con lui, in cui l’aveva messo al centro della sua vita era stata, ironicamente, quando Carmen era stata accusata di omicidio.
 
“Che c’è?” le domanda, vedendola trattenere un mezzo sorriso.
 
“C’è che la lamentela su latte e cereali me l’ha appena fatta anche Livietta. Vi somigliate, Renzo, e non solo fisicamente, anche se non te ne rendi conto. E comunque devi ringraziare lei per i cornetti, visto che è lei che è andata a comprarli,” chiarisce, accomodandosi sullo sgabello accanto al suo.
 
“Non per me, immagino,” commenta, non riuscendo a trattenere il dolore e l’amarezza.
 
“Renzo… lo sai che-“
 
“L’ho vista, sai?” la interrompe, prima che possa dargli qualche giustificazione.
 
“L’hai vista…?” domanda Camilla, guardandolo preoccupata.
 
“L’ho vista andare a correre… con Gaetano,” specifica, bevendo un sorso di caffè quasi a voler scacciare l’amaro di bocca con altro amaro.
 
“Sì,” conferma Camilla, guardandolo fisso negli occhi, quasi volesse sfidarlo a fare qualche commento in proposito, “sarei dovuta andare con loro, ma ho preferito rimanere qui, in modo che Livietta potesse sfogarsi, sfogare la rabbia, sia con lo sport che con Gaetano, e in modo che io potessi venire a parlare con te, senza Livietta presente.”
 
“Quindi Gaetano è il pungiball di Livietta? O il suo analista? Non sapevo avesse una laurea in psicologia,” commenta Renzo, non riuscendo a trattenere il sarcasmo.
 
“Gaetano la ascolta e la capisce, Renzo, meglio di quanto riusciamo a fare noi due, probabilmente perché siamo i suoi genitori e, se non te ne fossi accorto, il rapporto con i genitori durante l’adolescenza – e pure dopo in realtà – è parecchio complicato. Livietta con lui sta bene, si fida di lui, si confida e si sfoga e soprattutto lo ascolta, Renzo. E sinceramente, anche se tu non sarai d’accordo con me, preferisco che Livietta ascolti i consigli di Gaetano, piuttosto che delle sue amiche, per quanto non siano delle cattive ragazze, anzi,” ribadisce Camilla, guardandolo di nuovo negli occhi per studiare la sua reazione.
 
“Fossi in Gaetano sarei lusingato e commosso dal fatto che tu mi ritenga un’influenza più positiva e matura di Betty Boop,” ironizza, strappandole un mezzo sorriso che lo sorprende, per poi aggiungere, più serio, “ma, anche se lo so che non sarai mai d’accordo con me, a me il fatto che il poliziotto-super-più abbia tutta questa influenza su nostra figlia… non-mi-piace. E perché sorridi?”
 
“Perché mi sembra di sentire Eva per quanto riguarda Tommy…. Renzo… te lo ripeto per l’ennesima volta, Livietta non è ancora una donna, ok, ed è sicuramente influenzabile, come tutte le ragazze della sua età, ma relativamente, perché non è una bambina e ha le sue idee ben chiare. E se ascolta Gaetano è perché i suoi consigli funzionano, perché le dice la verità, e lei lo percepisce: non è che se Gaetano le consiglia di buttarsi da una rupe lei lo fa.”
 
“Ci mancherebbe altro!”
 
“E, se lo vuoi sapere, li ho… ascoltati, Renzo, li ho osservati, una volta che Livietta si stava confidando con lui, anche se involontariamente, e Gaetano ha consigliato a Livietta esattamente quello che le avrei consigliato io, se avessi potuto farlo. Forse non quello che le consiglieresti tu, visto che, fosse per te, dovrebbe rimanere murata in casa fino ai trent’anni,” ironizza, lanciandogli un’altra occhiata.
 
“Quindi mi stai dicendo… che per rientrare nelle grazie di mia figlia devo sperare che il poliziotto-super-più interceda per me? O, peggio, pregarlo di farlo?” le chiede, ricambiando l’occhiata, non riuscendo di nuovo a nascondere l’amarezza.
 
“No, Renzo, anche perché Gaetano lo sta sicuramente già facendo, l’ha già fatto, anche se tu, di nuovo non ci crederai,” ribatte Camilla con un sospiro, per poi aggiungere, trapassandolo da parte a parte con uno di quegli sguardi di fronte ai quali si è sempre sentito nudo, “lo so che tu non lo sopporti, per tanti motivi, alcuni sicuramente comprensibili ma… Gaetano non è il nemico, Renzo, non per quanto riguarda nostra figlia. Lui le vuole bene, vuole il suo bene e sa che Livietta ha bisogno di un padre. Insomma, dovrai ammettere anche tu che… come si è comportato ieri sera… dopo tutto quello che è successo…”
 
“È stato lui a trovare Livietta o è tornata da sola?” le domanda, dovendo riconoscere che sì, il poliziotto-super-più la sera precedente aveva dimostrato, per una volta, un po’ di tatto e riguardo nei suoi confronti e di preoccupazione nei confronti di Livietta.
 
Non è ancora convinto di quanto tutto questo sia genuino e quanto uno show per impressionare Camilla, ma il fatto resta che, mentre lui era distrutto e non riusciva a connettere, figuriamoci a muoversi, mentre Camilla si era presa cura di lui in un modo che non avrebbe mai osato sperare, almeno qualcuno si era occupato di Livietta. Ma il fatto che si trattasse proprio di Gaetano mentre lui, di nuovo, sentiva di aver fallito, di aver deluso sua figlia, di non essere stato in grado di esserci, non lo rendeva di certo felice.
 
“Renzo…” sospira di nuovo Camilla, prendendo un respiro profondo e preparandosi mentalmente al peggio, “senti, io te lo dico prima che tu lo scopra da altri e ti immagini chissà che cosa: Livietta ieri sera… è andata a rifugiarsi a casa di Gaetano, gli ha preso le chiavi… Gaetano l’ha trovata proprio perché si è accorto che le chiavi mancavano, prima di uscire di nuovo a cercarla insieme a Savino.”
 
“A casa di Gaetano?” chiede Renzo, incredulo, sentendo una sensazione indefinibile nel petto, un misto di incredulità, rabbia, gelosia e preoccupazione.
 
“Sì, ed è rimasta lì stanotte: voleva stare da sola, non vedere nessuno e-“
 
“Nessuno tranne il nostro Gaetano! Ti sembra normale che abbia passato la notte con lui?!” grida, non riuscendo di nuovo a trattenersi, il dolore al petto e la preoccupazione che si fanno assordanti.
 
“Gaetano ha passato la notte con me, a casa mia, Renzo! Livietta voleva starsene da sola e né io né Gaetano volevamo forzarla. Stamattina è tornata a casa per colazione e ha ridato le chiavi a Gaetano. Ma anche se Gaetano fosse rimasto a casa sua con Livietta che dormiva nella stanza di Tommy, non ci sarebbe stato proprio niente di male,” chiarisce Camilla, decisa, fulminandolo con lo sguardo.
 
“Ah, beh, certo… e tu e Gaetano ovviamente non potevate perdere l’occasione di consolarvi a vicenda, passando la notte insieme,” ribatte sarcastico, dovendo però riconoscere, anche se non lo ammetterebbe mai ad alta voce, che prova un certo sollievo all’idea che il poliziotto-super-più e Livietta non abbiano passato la notte nello stesso appartamento da soli.
 
“Gaetano mi ha consolata, sì, ma non come pensi tu, Renzo! Ha cercato di tranquillizzarmi e di aiutarmi a riposare almeno un po’. E sono sinceramente stufa di queste tue continue allusioni, battutine, di come continui a trattare Gaetano come se fosse una specie di… di stallone da monta. Mi dispiace se questo ti ferisce, ma la relazione tra me e Gaetano è basata su tantissime cose, di cui quello a cui tu continui ad alludere è solo una componente, Renzo, e non è nemmeno la componente primaria, visto che il nostro rapporto è stato platonico per dieci anni, che tu ci creda o no. Non avrei mai… mai messo in discussione noi due, il nostro rapporto per… per un’attrazione, per un’infatuazione, e lo sai anche tu,” replica Camilla, decisamente irritata ed indignata.
 
“Sì, purtroppo lo so… lo so che tu lo ami, Camilla,” ammette Renzo con un sospiro, “quello di cui dubito non è ciò che provi tu, ma ciò che prova lui, che è ben diverso.”
 
“E tu pensi che un uomo come Gaetano che… che potrebbe avere quasi qualsiasi donna volesse, avrebbe resistito a tutto quello che ci è piovuto addosso nelle ultime settimane, tra te e le tue accuse, Eva, vivere a casa di mia madre, Ilenia, Marco e De Matteis e poi quello che è successo ieri sera, se non mi amasse e se non volesse bene a Livietta? Se avesse voluto solo quello che pensi tu, c’erano decine e decine di donne più disponibili, più giovani, più belle e meno incasinate di me tra cui scegliere!”
 
“Ma tu eri la Turris Eburnea, Camilla, la grande sfida, l’unica che gli aveva resistito! Quello che mi preoccupa, per te e per Livietta, è cosa succederà quando smetterete di essere una novità, il giocattolo nuovo, quando Gaetano si stuferà di giocare alla famiglia felice e vorrà tornare alla sua vita da scapolo, così come ha fatto con Roberta e con Eva e Tommy… quando ti accorgerai che hai buttato via dieci anni della tua vita, il nostro matrimonio, per un’illusione di un qualcosa che non esiste.”
 
“Ti ringrazio per la tua… preoccupazione, Renzo, anche se dubito che sia sincera. Secondo me tu speri che il mio rapporto con Gaetano vada a rotoli per poter essere lì a dirmi – te l’avevo detto. Ma in ogni caso non hai nulla di cui preoccuparti perché quello che tu dici non succederà mai.”
 
“Camilla, per favore-“
 
“Non sto dicendo che il rapporto con Gaetano durerà per sempre, non ho la sfera di cristallo per poterlo prevedere, Renzo, ma di sicuro se mai finirà tra noi due, non sarà per i motivi che dici. Non sono un gioco o una sfida per Gaetano, non lo sono mai stata e non lo sarò mai. E Gaetano non è il tipo d’uomo che tu descrivi e non mi farebbe mai del male, non volontariamente. Mi fido di lui e di quello che prova per me, Renzo, e, te l’ho già detto e te lo ripeto, il tempo mi darà ragione, ci darà ragione,” ribadisce, senza esitazione, con un tono ed uno sguardo categorico che gli fanno di nuovo male al cuore. Perché gli fanno capire, una volta per tutte, che Camilla non cambierà idea, che Camilla davvero si fida del poliziotto-super-più, senza alcun dubbio, che davvero lo ama, senza alcuna riserva.
 
Renzo, per l’ennesima volta, si trova a chiedersi se sia mai stata così con lui, almeno nei momenti d’oro del loro rapporto. La verità è che spesso i suoi ricordi, i ricordi dei loro momenti felici, sembrano sfuggirgli tra le dita. Spesso si trova a chiedersi se siano veri, autentici , o una proiezione dei suoi desideri, di quello che lui provava allora. Sapeva che lei l’aveva amato per lungo tempo, ne era sicuro, ne è sicuro, ma tante volte si chiede se l’avesse mai amato con la stessa intensità con cui lui ha amato lei. Fino a qualche anno prima non aveva mai avuto dubbi sulla risposta, ora… ora non è più sicuro di niente.
 
“Ecco, lo vedi? Ero venuta a parlarti di nostra figlia e siamo di nuovo finiti su me e Gaetano… Renzo… ci eravamo promessi una tregua noi due, no?” gli ricorda, ridestandolo dai suoi pensieri, “e perché la tregua funzioni, ti avverto che… che non tollererò più questi commenti, queste battutine, questo tuo continuo ridicolizzare Gaetano e quello che provo per lui e quello che lui prova per me. So che non cambierai idea ma non la cambierò neanche io, quindi è inutile continuare a perdere tempo ripetendo sempre le stesse cose. E soprattutto gradirei non dover più discutere con te della mia vita intima con Gaetano, che è, per l’appunto, intima e riguarda solo noi due.”
 
“Guarda che la tua vita intima con il poliziotto nemmeno voglio immaginarla, figuriamoci discuterne,” ribatte Renzo, chiudendo gli occhi per ricacciare dalla mente tante, troppe immagini suggerite dalla sua fantasia e che gli bruciano nello stomaco come acido; un attimo di pausa e riapre gli occhi, incrociando di nuovo quelli di Camilla, “comunque su una cosa sono d’accordo con te: Livietta è l’unica cosa che conta adesso e… la verità è che non so più cosa fare, Camilla. L’hai sentita, no, ieri sera? Io-“
 
La voce gli si spezza, mentre le parole dure, arrabbiate, disperate di Livietta lo investono ancora. Una mano sulla spalla lo scuote quasi quanto la sera prima. Lo sguardo di Camilla non è più duro e freddo come il ghiaccio, ma vi legge di nuovo quel calore, quella preoccupazione, rivede di nuovo la vecchia Camilla, quella di cui si è innamorato, che ha amato per tanti anni, la donna accanto alla quale ha combattuto mille battaglie, la donna contro cui ha combattuto mille battaglie forse senza mai vincerne una. E una volta… una volta l’amava anche per questo.
 
Una volta.
 
Non sa quando l’amore si sia tramutato in risentimento, in rabbia, in insofferenza… ma deve riconoscere che è avvenuto ben prima che lei mettesse fine al loro matrimonio. O ben prima che lui, per primo, mettesse fine al loro matrimonio. Forse quando l’ammirazione che ha sempre provato per Camilla è stata sopraffatta dalla frustrazione, dal senso di inadeguatezza, d’impotenza, di non essere mai abbastanza per lei. Forse quando ha percepito per la prima volta che lei, che la loro famiglia, non erano abbastanza nemmeno per lui, non più. Forse quando si è sentito per la prima volta in trappola nel loro matrimonio, quando si è sentito per la prima volta soffocare.
 
O forse quando si è reso conto di esserci ricascato, di essersi messo di nuovo in trappola da solo. Di aver buttato via una vita finalmente serena, un nuovo equilibrio costruito a fatica, ma che incredibilmente funzionava per… per un’illusione, per l’illusione di qualcosa che non sarebbe mai più tornata. Per una vita accanto ad una donna che voleva essere da tutt’altra parte. E forse anche lui voleva essere da tutt’altra parte.
 
E questa notte insonne, nonostante i tranquillanti, a rigirarsi nel letto di Carmen, invece che chiarire i dubbi, gliene aveva portati di nuovi. Perché quell’equilibrio con Carmen, con Camilla e con Livietta, in realtà non aveva mai funzionato, non per Livietta, almeno. Perché forse dietro al risentimento, alla rabbia, all’insofferenza verso Camilla, deve ammetterlo, c’è ancora amore. Come è amore anche quello che aveva avvertito in quell’abbraccio, nel modo in cui si era presa cura di lui, in cui c’era stata: si era sentito di nuovo importante, amato, anche se solo per pochi preziosissimi istanti.
 
Ed è proprio questo amore a portarlo quasi ad odiarla, questo amore che non vuole sapere di morire, che negli anni si è trasformato, è cambiato ma ha resistito a quasi qualsiasi cosa, che continua a farlo bruciare di gelosia, che continua a fargli male ogni volta che ripensa a com’erano, quando erano felici insieme, quando aveva tutto, quando si sentiva veramente in pace. Questo amore che è forte, profondo, testardo, ma non forte, profondo e testardo abbastanza per consentirgli di stare ancora bene con lei, insieme a lei.
 
Sente di non riuscire a starle lontano, ma, allo stesso tempo, deve riconoscere di non riuscire più a starle vicino. Non sopporta la sua assenza quasi quanto non sopporta la sua presenza. E non sa se odi più lei o se stesso per questo.
 
“Renzo, a che pensi?” gli domanda, guardandolo preoccupata, distogliendolo dai suoi pensieri.
 
“Che non so più cosa fare, Camilla, davvero, non… non capisco più niente e ho paura di non avere mai capito niente,” ammette con un filo di voce, faticando a sostenere il suo sguardo.
 
“Io penso che Livietta ieri sera sia stata chiarissima, Renzo. E non c’è niente altro da capire,” risponde Camilla, non potendo sapere che lo smarrimento a cui lui si riferisce non derivi soltanto dal rapporto con la figlia, “ora sei tu che devi agire, Renzo, che devi farle capire che le vuoi bene e tieni a lei. Che vuoi stare con lei, farti ascoltare da lei e non ti arrenderai finché non ci riuscirai. Che lei è la cosa più importante per te, più della… della tua faida con me e Gaetano, più dell’orgoglio e-… perché sorridi?”
 
“Perché è la stessa cosa che mi ha detto Carmen pochi minuti fa,” confessa, scuotendo il capo.
 
“Pochi minuti fa?!” domanda, incredula, “ma non è a New York?! Lì saranno le…”
 
“Neanche le quattro del mattino, sì…” conferma con un sospiro, mettendosi una mano sugli occhi.
 
“Non avrei mai pensato che sarei arrivata a dirlo, ma quella donna, almeno con te, è una santa: io ti avrei già mandato a quel paese molto tempo fa, fossi stata al suo posto,” replica Camilla, ricambiando il sospiro.
 
“Lo so… e avrebbe ragione a farlo,” concede Renzo, giocando con i fondi di caffè nella tazza.
 
“Comunque, se te lo diciamo sia io che Carmen… un fondo di verità ci sarà, no? Quindi tu oggi vieni a casa… a casa mia subito dopo pranzo, in modo che non sembri che ci siamo messi d’accordo – no, Gaetano non c’è, è al lavoro,” specifica, notando la sua espressione, “e cerchi di parlarle. E, se non ci riesci, ritorni anche domani e dopodomani… rimani qui in questo appartamento, se necessario, fino a che non ti ascolta.”
 
“E se non… e se non volesse mai ascoltarmi? Se non volesse mai perdonarmi?” le chiede, dubbioso, esprimendo la paura che lo tormenta dalla sera precedente.
 
“Certo che lo vuole, Renzo, altrimenti non ti avrebbe detto tutto quello che ti ha detto ieri sera. Ha solo bisogno di… di sentirsi coccolata da te, corteggiata, di sentire che per lei sei disposto a lottare. Che sei disposto a mettere tutto il resto da parte per un po’ e… e concentrarti solo su di lei,” spiega, con quel tono deciso che Camilla usa quando sta dicendo una cosa di cui è realmente convinta. Con quel tono di cui Renzo, nonostante tutto, si fida ancora.
 
“Forse… forse era quello di cui avrei avuto bisogno anche io, Camilla, di cui avremmo avuto bisogno noi due, il nostro matrimonio… ma ormai è troppo tardi,” non riesce ad evitare di commentare, quasi tra sé e sé.
 
“Forse… ma la verità è che… per lottare bisogna essere in due a farlo, a crederci, e noi non ci siamo riusciti, non nello stesso momento, non prima che… che qualcosa si spezzasse irrimediabilmente. È troppo tardi per salvare il nostro matrimonio, Renzo, ma non è troppo tardi per provare a salvare quello che resta tra me e te… per ricostruire un rapporto diverso… per cercare di essere una famiglia per Livietta-“
 
“Anche se non siamo più una coppia,” conclude Renzo, ripetendo con amarezza la frase che lui tante volte le aveva detto dopo la loro prima separazione, che tante volte avevano ripetuto insieme davanti a Livietta.
 
Non aveva mai capito, non fino ad ora, quanto avesse chiesto a Camilla, quanto dovesse essere stato difficile e doloroso per lei cercare di includere non solo lui ma anche Carmen nella sua vita, nella vita di Livietta. Accettare di metterci una pietra sopra e andare avanti. O almeno fingere di averlo fatto, per il bene di tutti.
 
“Non so, Camilla, vorrei farlo ma…  ma non è facile. Ci vorrà tempo, credo, lo sai,” ammette, non riuscendo a mentire, a promettere qualcosa che non sa se e quando riuscirà a fare.
 
Camilla si limita ad annuire, per poi alzarsi in piedi, raccogliere i resti della colazione e avviarsi verso la porta.
 
“Ti aspetto,” pronuncia, prima di uscire, lanciandogli un’occhiata che gli fa capire che non si riferisce solo alla sua visita pomeridiana.
 
E, per la prima volta da quando si sono nuovamente lasciati, spera veramente di essere capace di raggiungerla presto.
 
***************************************************************************************
 
“Ehi, ehi, calma!” la stoppa Gaetano, prendendola per i polsi e bloccandola mentre è intenta a massacrare di colpi il sacco leggero da arti marziali, “a parte che così finisci per ammazzare il potenziale aggressore e per finirci tu in galera, ma soprattutto, se eserciti troppa forza e ti sbilanci, senza avere il perfetto controllo dei movimenti, rischi di farti male sul serio!”
 
Ringrazia il cielo che dopo la corsa, visto che Livietta sembrava ancora bella carica e “arrabbiata”, aveva deciso di evitare le simulazioni corpo a corpo, sapendo che, con Livietta in quello stato mentale e bisognosa di sfogarsi, il rischio di farsi male o di farle male – o entrambe le cose – era decisamente troppo elevato. E aveva avuto ragione.
 
“Scusa… hai ragione è che… avevo bisogno di sfogarmi… lo sai, no?” ammette Livietta, rilassando i muscoli e sgonfiandosi visibilmente.
 
“Lo so,” sospira, lasciandole i polsi, “lo so che sfogarsi è importante, che può servire a sgombrarci la mente, a farci riflettere sulle cose con più calma e a mente fredda, a distrarci. E lo sport fa pure bene alla salute, al contrario di altri… metodi per distrarsi, ma, come per tutte le cose non bisogna esagerare, Livietta e poi… se c’è una cosa che ho imparato negli anni è che distogliere la mente dai problemi non basta. Ad un certo punto bisogna affrontare quello che ci fa stare male.”
 
“Gaetano, per favore, non ti ci mettere anche tu: non voglio parlarne!” esclama Livietta, irrigidendosi di nuovo e facendo un passo indietro.
 
“Non ti sto dicendo di parlarne con me, ma con tuo padre e-“
 
“Credo di avere già parlato abbastanza ieri sera,” ribatte, un’espressione decisa e dura sul viso ma che, Gaetano lo percepisce benissimo, serve solo a tentare di mascherare il dolore.
 
“E allora forse è giunto il momento di smettere di parlare e di ascoltare quello che ha da dirti, no? O di dargli almeno una possibilità di… di fare qualcosa per te, con te, insieme. Di… non dico di farsi perdonare, ma di provare a darti quello di cui hai bisogno, Livietta, da oggi.”
 
“E secondo te questo cancella i… i sette anni in cui è stato più assente che presente?” chiede Livietta, con uno sguardo che lo trapassa da parte a parte, facendolo sentire una feccia umana. Perché è lo stesso sguardo fragile e deluso che aveva visto sul volto di Tommy quando Eva gliel’aveva affidato.
 
“No… ma può evitare che… che sette anni diventino una vita intera, Livietta. Una vita intera di… di recriminazioni, di rimpianti…” ammette, prendendo un asciugamano e lanciandogliene un altro, prima di andarsi a sedere sulla panca della palestra, vedendola raggiungerlo dopo un attimo di esitazione.
 
“Livietta, ascoltami… la verità è che… forse sono la persona meno adatta per parlare di questo argomento. Ho rinunciato a fare il padre per più di tre anni, Livietta, rinunciato completamente e… lo so che niente riporterà indietro quegli anni, né a me, né a Tommy. Che se un giorno dovesse avercela a morte con me per questo, avrà tutte le ragioni e-“
 
“Ma se Tommy ti adora! E poi sei bravissimo con lui, davvero,” lo interrompe, appoggiandogli una mano sull’avambraccio.
 
“Adesso, forse… Livietta, la verità è che… è che sono stato fortunato. Fortunato che Eva ha deciso di lasciarmelo, costringendomi a guardare in faccia la realtà ed affrontare quello che non volevo affrontare; fortunato che Tommy ha cinque anni e… a cinque anni è più facile perdonare che a sedici; e soprattutto fortunato che tua madre è tornata nella mia vita proprio al momento giusto e non solo mi ha insegnato l’ABC di come si fa a fare il genitore, ma soprattutto mi ha fatto capire che potevo farcela, che potevo, dovevo darmi un’altra possibilità come padre. Che dovevo smetterla di pensare al passato, a rimanere… paralizzato di fronte ai miei sbagli e cercare di rimediare, di guardare avanti,” cerca di spiegarsi a fatica, posando la mano libera su quella di lei e stringendola forte.
 
“Paralizzato?” gli domanda lei, stupita, notando con quale sforzo lui abbia pronunciato quella parola.
 
“Sì, paralizzato. Livietta… se riguardo indietro, sai perché mi sono perso quei tre anni? Sai dove sono finiti? All’inizio… all’inizio volevo solo… volevo solo liberarmi di Eva, di un rapporto che era… dire che era opprimente sarebbe fargli un complimento. Un rapporto in cui ormai sapevamo solo farci male a vicenda, anche se in modi diversi. E mi sono allontanato da lei, da ogni cosa che me la ricordasse, da ogni minima possibilità di una riconciliazione con lei, per cercare di… di ricostruirmi una vita, un’autostima, un equilibrio. E… rimuovendo Eva, il nostro matrimonio, dalla mia vita, ho rimosso anche Tommy, senza volerlo. La verità è che… non mi sentivo in grado di fare il padre e poi… anche quando ho recuperato un po’ di fiducia in me stesso, come uomo, ero pieno di sensi di colpa nei confronti di Tommy, per tutto: per il rapporto con sua madre, per la famiglia che non ero mai riuscito a dargli, per non esserci stato…. Tante volte ero tentato di andare da lui, ma ogni volta che lo vedevo, sentivo che lui, giustamente, era deluso da me… non è che mi odiasse ma… pensava il peggio di me, non voleva stare con me. E quindi rimandavo sempre di più, per paura, per vigliaccheria, perché… perché la realtà mi faceva troppo male, Livietta. Se non ci fosse stata tua madre a… a spronarmi, a sostenermi a darmi fiducia… non so se ce l’avrei mai fatta. Probabilmente avrei rinunciato in partenza.”
 
“Perché mi stai dicendo tutto questo?”
 
“Perché… non pensi che anche tuo padre sia pieno di sensi di colpa per quello che è successo in questi ultimi anni? Per la prima separazione, per Carmen… che abbia paura di affrontarti, di affrontare la tua delusione, i tuoi risentimenti… che per questo non riesce a fare la prima mossa con te, oltre che per il suo carattere? Che magari è per questo che… cerca di rimuovere gli anni passati dopo Barcellona, il fatto che tu sia cresciuta? Cosa che già è difficile da accettare, da capire… ricordo lo shock che ho avuto io con mia sorella quando mi sono reso conto che non era più una bambina. Ed era mia sorella, non mia figlia.”
 
“È strano sai? Sentirti difendere mio padre…” commenta con un mezzo sorriso, “mi devo preoccupare?”
 
“Hai ragione è strano… Livietta, la verità è che io e tuo padre non ci siamo mai potuti sopportare, ci siamo sempre tollerati a fatica, per ovvi motivi e… diciamo che da quando sto con tua madre in alcuni momenti ho potuto capire tuo padre e il suo risentimento nei miei confronti. Voglio dire… quando sai che qualcuno ci prova con la tua compagna, con la donna che ami… non fa piacere a nessuno,” ammette, anche se a fatica, guardandola negli occhi.
 
“No, a meno che non vuoi liberarti di lei…” ribatte Livietta sempre con quel sorrisetto canzonatorio, facendolo sorridere.
 
“Già… e poi sono successe alcune cose tra me e tuo padre che... che mi hanno dato motivo di avercela con lui. Ma, anche se non la pensiamo allo stesso modo su molte cose, anche se non sono d’accordo sui suoi atteggiamenti nei confronti di Camilla e a volte anche con te… se c’è una cosa di cui non ho mai dubitato è che tuo padre ti vuole bene, Livietta. A differenza mia con Tommy, lui per te c’è sempre stato… a modo suo, magari, forse non come avresti voluto, non quanto avresti voluto, ma c’è stato. E se sbaglia e… ed esagera è perché ha paura che ti capiti qualcosa, ha paura di perderti.”
 
“Lo so… ma… insomma… quel poco tempo che abbiamo passato insieme nell’ultimo anno, invece che… che fare qualcosa insieme, mi sembrava di essere sotto interrogatorio, con lui che si faceva paranoie su tutto quello che facevo, su con chi uscivo, su chi vedevo. È assurdo ma l’unico momento in cui l’ho sentito davvero vicino, in cui è stato… comprensivo con me è stato proprio mentre stavo combinando tutto quel casino con Bobo e lui credeva a tutte le palle che ho raccontato per coprire quel… quel… quello stronzo, mentre mamma non mi dava tregua e neanche tu. Ma avevate ragione voi a preoccuparvi in quel caso. E dopo è diventato ancora più paranoico su ogni piccola cosa, ogni uscita, fosse per lui dovrei stare sempre chiusa in casa. Hai visto anche come ha reagito alla storia di New York, no? Nemmeno gli avessi chiesto di andare in Siria!”
 
“Livietta… se vuoi sapere la verità, se tuo padre mi avesse permesso di parlare ieri sera, ti avrei detto che nemmeno io sono proprio entusiasta all’idea che tu partecipi a quel viaggio…” ammette Gaetano con un sospiro, preparandosi all’esplosione di Livietta.
 
“Che cosa?” domanda lei, a bocca, spalancata, guardandolo come se l’avesse pugnalata e facendolo sentire di nuovo uno schifo, “ma come?! Ma… c’è Nino, tuo nipote! Vuoi dirmi che non ti fidi di lui?”
 
“Livietta, io mi fido di Nino e di te e posso pure fidarmi dei suoi… dei vostri amici. Ma i maschi dai sedici ai diciott’anni… soprattutto se single… diciamo che non sono proprio i compagni di viaggio ideali per una ragazza, credimi, parlo per esperienza, visto che mi ricordo com’ero alla loro età.”
 
“Sì, ma tu eri un playboy stronzo, no? L’hai ammesso tu stesso,” gli ricorda lei, ironica, “non vuol dire tutti i maschi sono così!”
 
“Sì… io ero forse peggio della media, Livietta ma… i ragazzi a quell’età vogliono divertirsi, soprattutto se sono da soli, senza i genitori in un altro continente, in una città come New York. Insomma… non dico che ci proveranno con te per forza ma… immagino che in ogni caso vorranno girare per locali, magari locali che ti potrebbero mettere a disagio… divertirsi, conoscere altre ragazze. E tu a quel punto che fai? Poi immagino che non avranno tanti soldi a disposizione, magari vorranno vivere tutti insieme in un appartamento e… insomma, hai un’idea di che cosa significa dividere una casa, un bagno con cinque maschi adolescenti?”
 
“Non sono schizzinosa e me la so cavare!”
 
“Lo so che non sei una… una principessina viziata, Livietta, ma… è davvero così che vuoi fare il tuo primo viaggio a New York?”
 
“Se fossi con le mie amiche ci sarebbe il problema che siamo tutte ragazze povere ed indifese e che magari loro vanno a cercarsi i ragazzi e chissà chi trovano e ci cacciamo nei guai. Così invece sono già con dei ragazzi e per quanto mi riguarda… lo sai che a me piacciono le storie serie, le avventure non mi interessano e… dopo quello che è successo con Ricky, non credo più nelle storie a distanza: se già non ha funzionato con 700 chilometri… di sicuro non mi vado a cercare un fidanzato a 7000 chilometri da casa!”
 
“Lo so, Livietta, lo so, ma… come ti ho già detto… pure se stai incollata ai ragazzi come se fossero tuoi bodyguard, ammesso che nessuno di loro ci provi con te – cosa che, realisticamente, non escluderei a priori –  e quindi ti tocca affrontare il successivo imbarazzo di dire di no, c’è il problema che certi incontri anche se non li cerchi possono capitarti. E… come dice tuo padre, e per una volta devo dargli ragione, basta un momento di disattenzione, di leggerezza, per rovinarsi la vita.”
 
“Sai qual è la verità? Che neanche tu ti fidi di me! Che anche tu pensi che… che come mi sono fatta fregare da Bobo, mi farò fregare di nuovo, non è vero?! Che… che sono una stupida, un’ingenua!” esclama Livietta, alzando la voce e fulminandolo con due occhi sull’orlo delle lacrime che lo fanno sentire piccolo-piccolo.
 
“No, no!” protesta Gaetano, posandole una mano sulla spalla per impedirle di alzarsi, “Livietta, tu non sei affatto stupida, anzi, tu e tua madre e pure tua nonna fate a gara in quanto ad intelligenza. E per la tua età sei davvero matura, sei cresciuta tantissimo in questi mesi. Capisco che tu voglia la tua indipendenza, ma… purtroppo non per colpa tua ma per colpa della stupidità del genere maschile, per una ragazza in viaggio ci sono rischi aggiuntivi rispetto a quelli che ha un ragazzo nella stessa situazione. Se stiamo facendo queste lezioni e il corso di difesa è proprio per… per consentirti di affrontarli al meglio ed evitarli e quindi di essere sempre più indipendente e meno condizionata nelle scelte che farai. Qual era la prima lezione del corso, Livietta? Cosa bisogna sapere e saper fare per evitare le situazioni di pericolo?”
 
“Cogliere i segnali, il linguaggio del corpo, i toni della voce… conoscere bene l’ambiente in cui ci si muove e… come allontanarsi in caso di necessità, avere qualcuno da contattare in caso di emergenza…” elenca Livietta, non cercando più di svicolare dalla sua presa, anzi, guardandolo di nuovo negli occhi, con aria di chi ha capito.
 
“Ora, è ovvio che quando si viaggia non si può mai conoscere così bene l’ambiente in cui ci si muove e non si hanno grandi contatti, quindi queste due cose già bisogna quasi escluderle a priori. Per questo è meglio andare dove si conosce qualcuno del posto e, se questo non è possibile, bisogna essere molto più cauti in quello che si fa, ci sono tanti accorgimenti da adottare, e se vuoi ne parleremo, ma comunque… ci vuole maggior cautela. Ora, non dubito dell’affidabilità di Nino e forse anche di Tom, ma… entrambi non conoscono New York e se sono in giro a divertirsi… ripeto, o stai incollata a loro-“
 
“A reggere il moccolo,” si inserisce lei con un sospiro, capendo dove vuole andare a parare.
 
“Esatto. E poi tu sei una bellissima ragazza, Livietta e-“
 
“Davvero lo pensi?” gli chiede con un mezzo sorriso imbarazzato.
 
“Ma certo! Insomma, mi sembra evidente, come mi sembra evidente che attiri l’attenzione dei maschi, persino di ragazzi più grandi di te e molto popolari come… come era Bobo. E in discoteca, nei locali… ne ho frequentati tanti e so benissimo che basta che una ragazza stia da sola per un minuto per trovarsi circondata da mosconi che le chiedono di ballare. E se avessi bisogno di aiuto, hai presente quanto tempo ci metteresti a fare capire a Nino, Tom e gli altri dove sei e come raggiungerti? O a capire dove stanno loro e come raggiungerli? E se provi a chiamare la polizia… com’è il tuo inglese?”
 
“Insomma… a scuola ho buoni voti ma… è scolastico,” ammette Livietta con un altro sospiro.
 
“Esatto. E il linguaggio del corpo varia da paese a paese, idem i toni… è molto più difficile intuire le intenzioni di una persona che non parla la tua stessa lingua, Livietta, e soprattutto che può parlare con altri in un linguaggio che tu fatichi a comprendere, di cui non cogli sicuramente le sfumature o lo slang. E se devi chiamare la polizia… è un casino. I taxi a New York… per la carità, ci ho provato e c’è di tutto. La metro… dipende dagli orari, dopo una certa ora è un suicidio prenderla. Devi conoscere i quartieri in cui andare e non andare… insomma… devi sapere un sacco di cose. Che si apprendono viaggiando, crescendo, facendo esperienza e tu non sei mai stata in giro da sola, per conto tuo. Capisci perché tuo padre si preoccupa e anche io mi preoccupo? Perché tua madre dice che forse è meglio andare un po’ per gradi?”
 
“Forse sì…” riconosce con l’ennesimo sospirone, guardandolo negli occhi e lui sa che ha davvero capito, fino in fondo.
 
“Dai, che ne dici se adesso torniamo a casa? Così facciamo in tempo a farci un’altra doccia e cambiarci prima di pranzo e, nel mio caso, prima di andare al lavoro.”
 
Livietta si limita ad annuire, mentre lui le stringe un’ultima volta più forte la spalla e fa per alzarsi, ma questa volta è Livietta a bloccarlo, coprendogli la mano, ancora sulla spalla, con la sua.
 
“Gaetano… grazie…” pronuncia Livietta dopo un attimo di esitazione, sorridendogli, “e scusami per prima… e per stanotte… a volte non so come fai a sopportarmi.”
 
“Non serve che mi ringrazi, né che ti scusi: ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque altro al mio posto,” minimizza, orgoglioso per questo riconoscimento di Livietta, ma anche un po’ imbarazzato.
 
“Non credo, sai? E anche se… se una parte di me avrebbe voluto che i miei genitori rimanessero insieme per sempre… visto che non è più possibile, sono felice che mamma abbia scelto te e non chiunque altro,” risponde Livietta, stringendogli la mano, “tu sei sempre sincero e diretto con me, mi dici quello che pensi, e se non sei d’accordo con me, mi spieghi il perché, senza trattarmi come una bambina o come una stupida che non può capire. Mi piace parlare con te e… e Tommy è fortunato ad averti come papà… sempre se non fai altre cazzate, ovviamente.”
 
“Anche tu in quanto ad essere sincera e diretta non scherzi, signorina,” commenta Gaetano, sorridendo commosso, “e anche a me piace parlare con te: lo so che te l’ho già detto, ma mi insegni sempre un sacco di cose, Livietta.”
 
Un sorriso, uno sguardo d’intesa e si avviano verso l’uscita della palestra, immersi in un piacevole silenzio.
 
***************************************************************************************
 
“Ho pensato che magari non avevate mangiato il dolce e… ho portato un po’ di gelato. Stracciatella e cioccolato, i tuoi gusti preferiti, Livietta.”
 
“Primo: ho già mangiato quello che restava del bunet di ieri sera,” ribatte Livietta, con il tono di chi sta volutamente lanciando una frecciatina, “e poi, te lo ripeto, non ho più dieci anni e non basta più un gelato a farmi stare buona, a comprarmi.”
 
“Livietta...” sospira Renzo, con tono ed aria esausti, “lo so e non voglio comprarti, voglio solo avere un’occasione per parlare con te e chiarire-“
 
“Io ho chiarito tutto quello che c’era da chiarire ieri sera, papà, e non ho più voglia di parlare, quindi se vuoi scusarmi-“ afferma, provando ad allontanarsi verso camera sua, ma Renzo la interrompe e le sbarra la strada.
 
“E allora se non vuoi parlare ascoltami, ascoltami e basta, io devo spiegarti che-“
 
“Ascoltare che cosa? Le solite frasi fatte, di circostanza? Tipo che tu hai lasciato mamma e non me, che il problema era lei e non io?”
 
“Livietta, lo so che sembrano frasi di circostanza ma è la verità e… e… tu hai ragione: ho sbagliato a gestire il rapporto con te in questi ultimi anni, lo so. Lo so che è come se… se ci fossimo persi, arrivati ad un certo punto, ma voglio rimediare, voglio cambiare in meglio, essere un padre migliore per te. Ma non posso farlo se continui a mandarmi via o ad andartene, se non mi ascolti, se ti rifiuti di stare con me!”
 
“Papà… di promesse ne ho avute fin troppe in questi anni, e non me ne faccio niente, non sono mai servite a niente! Vuoi essere un padre migliore? Vuoi cambiare in meglio? Benissimo: dimostramelo! Perché quello che contano sono i fatti, papà: le parole stanno a zero!”
 
“Io sono più che disposto a dimostrartelo con i fatti, Livietta, che ho davvero capito e soprattutto che ti voglio bene, che sei la persona più importante della mia vita, che farei qualsiasi cosa per te! Dimmi cosa posso fare, qualsiasi cosa e la farò, qualsiasi cosa, Livietta!”
 
“E a che serve? Per avere uno zombie che sta con me per forza mentre vorrebbe stare da tutt’altra parte? Non voglio uno schiavo o un cagnolino che obbedisce a comando, voglio un padre che sa e che soprattutto vuole fare il padre!” ribatte Livietta, ormai arrivata praticamente ad un centimetro da lui, cercando di superarlo ma non riuscendoci, dato che lui si è piazzato sulla soglia della porta della stanza di lei, “fammi passare!”
 
“No!” sbotta Renzo, alzando la voce, con un tono ed uno sguardo decisi che stupiscono sia Camilla che Livietta, “adesso tu mi stai a sentire! Come faccio a fare il padre se qualsiasi cosa che dico o faccio non va mai bene?! O sono asfissiante o sono assente, se parlo ti rompo le palle, se sto zitto me ne frego. Se ti porto a fare qualcosa che piace a me sono un tiranno, se ti chiedo cosa vorresti fare tu insieme a me sono uno zombie o un cagnolino! Mi sembra che se c’è una persona qui che ha le idee confuse non sono io, Livietta, o quantomeno sto in buona compagnia!”
 
“Papà…”
 
“Ti sto dicendo che voglio passare del tempo con te e non mi interessa come o dove, qualsiasi cosa facciamo per me l’importante è che ci siamo io e te, che stiamo insieme. Qualsiasi cosa, Livietta: non mi annoierò e non vorrò stare da tutt’altra parte se ci sei tu. E non mi arrenderò fino a che non mi darai la possibilità di dimostrartelo, sappilo!” ribadisce, perentorio, come raramente l’hanno visto.
 
“Papà…” ripete Livietta, evidentemente sorpresa, piacevolmente sorpresa.
 
“Quindi… se non è oggi, sarà domani o dopo, io continuerò a venire qui fino a che non mi concederai un po’ di tempo. E se vuoi che proponga qualcosa io, d’accordo: hai impegni per oggi pomeriggio o per stasera?”
 
“Io… io oggi non posso, dico davvero papà,” precisa, vedendo la sua espressione scettica, “devo andare a… a fare un aperitivo con le mie amiche e poi andiamo a sentire Savino suonare.”
 
“Ah, bene… e andate da sole? Chi-“
 
“Mamma e Gaetano ci raggiungono al pub dove suona Savino e mi riportano a casa loro, non ti preoccupare,” lo interrompe Livietta con un sospiro, alzando gli occhi al cielo.
 
“Beh… e allora potrei venire anche io, no? In fondo conosco Savino e sono proprio curioso di sentirlo suonare,” propone Renzo, guadagnandosi due occhiate sbigottite da madre e figlia.
 
“Ma se non l’hai mai potuto vedere! Lo chiamavi Il tatuato!” esclama Livietta, sarcastica.
 
“E… e va beh, diciamo che tutto sommato mi sembra un bravo ragazzo, visto come si è occupato della sciroccata qui sopra-“
 
“Renzo!” lo apostrofa Camilla.
 
“E dai, Camilla, su! La signora Lovera prima di ricontrare il grande amore della sua vita – pure lei – non è che avesse proprio tutte le rotelle a posto, lo devi ammettere. E comunque, diciamo anche che visto che fa sempre il grande conoscitore di musica rock sono proprio curioso di sentirlo suonare. Ma che pensi, che il rock l’avete inventato voi adesso? Io negli anni settanta sono stato ad un sacco di concerti, facevo pure il deejay in una radio!”
 
“Tu un deejay?” domanda Livietta, sempre più incredula, trattenendo una risata, “ma se tolleri solo la musica classica! Quanti ascoltatori aveva la tua radio? Tre?”
 
“I miei gusti si sono un po’ evoluti negli anni ma comunque il rock anni settanta mi piace ancora, e lo ascolterei pure, se non avessimo perso tutti i miei vecchi dischi durante uno dei nostri traslochi, non ricordo nemmeno più quale!” fa notare Renzo, lanciando un’occhiata e una frecciata a Camilla, “o forse hanno fatto la fine del ritratto del bisnonno Vincenzo, prima che lo salvassi da morte certa.”
 
“I tuoi dischi facevano la polvere anche prima, Renzo, e comunque-“
 
“E comunque visto che ci sono anche mamma e Gaetano al pub vorrei evitare figure da sotterrarsi, se andate d’amore e d’accordo come ieri sera, che più che una cena sembrava una gara di tiro con l’arco, con tutte le frecciate che vi siete lanciati. E poi lo so come sei fatto ed io e le mie amiche vogliamo starcene almeno un po’ tranquille, non con un gendarme che ci spia per tutta la sera e ci tiene il fiato sul collo!”
 
“Ti garantisco che io e tua madre siamo arrivati ad un… ad un compromesso ed a una tregua, anche con il po- con Gaetano,” assicura Renzo, interrompendosi in tempo prima di designare il rivale con il solito nomignolo, “quindi sarò più che civile e starò in disparte e vedrai che non disturberò né te né le tue amiche. Insomma, voglio dimostrarti che non sono il residuato bellico che pensi, e che se verrai con me, che ne so, magari a Londra, possiamo anche andare in giro per locali, se vuoi.”
 
“Ok, chi sei tu e cosa hai fatto a mio padre?” chiede Livietta, con un sopracciglio alzato, “e comunque tu vorresti sul serio passare tutta una serata ad un tavolo con mamma e con Gaetano?! Ma sei sicuro di sentirti bene?”
 
“Ah, ah. Certo che sto bene. Diglielo anche tu Camilla, non ti dispiace se vengo con voi, vero?” domanda Renzo, con uno sguardo ed un tono imploranti.
 
Se le circostanze fossero diverse, Camilla preferirebbe probabilmente passare un’intera giornata con il suo adorato collega Pellegrini che infliggere una simile uscita a tre non tanto a se stessa, quanto al povero Gaetano. Ma sa che non può rifiutarsi e spera che Gaetano mantenga la sua santità ancora per una sera, prima di sbroccare e di mandarla, legittimamente, a quel paese.
 
Ha tempo fino a sera per studiare un modo per farsi perdonare.
 
***************************************************************************************
 
“Ehi, che c’è? Tutto bene?”
 
“Sì…”
 
“Dalla tua espressione non si direbbe: ti sei fatta male?” le chiede, preoccupato, avendo evidentemente notato il modo in cui digrigna i denti, “o non ti senti bene? Stasera… mi sembri strana… stanca, affaticata e hai i riflessi più lenti del solito.”
 
“Mi fa… mi fa un po’ male la spalla,” ammette con un sospiro, “e, sì, lo so, ha ragione, è che… è che stamattina ho fatto un allenamento con… con il dottor Berardi e forse ho esagerato un po’. Mi dispiace, lei è stato così gentile e le sto facendo perdere tempo ma-”
 
“Stop, stop, stop. Siediti qui: mettiti a cavalcioni sulla panca,” la interrompe, con tono di chi non ammette repliche e a Livietta non resta altro che fare come chiede.
 
“Indicami dove ti fa male,” la esorta la sua voce poco dietro al suo orecchio, mentre sente la panca muoversi sotto il peso dell’istruttore, che si siede a cavalcioni alle sue spalle: non sa se sia la sua voce, o la sua vicinanza, o il suo calore che riesce a percepire in maniera nettissima, come non le era mai capitato prima, ma Livietta trattiene a stento un brivido e si ritrova con la pelle d’oca.
 
Le guance in fiamme, prega che l’istruttore non se ne accorga: speranza forse vana, dato che è in canottiera e ha le braccia scoperte.
 
“Ehi, stai tranquilla, rilassa i muscoli, non rimanere così tesa: non voglio farti male, indicami solo dove senti dolore,” ribadisce con un tono gentile, mentre Livietta cerca disperatamente di fare come dice, di lasciare andare i muscoli, anche se si sente tesa come una corda di violino, sollevando la mano sinistra, tremante, e toccando il punto preciso in mezzo alla spalla destra.
 
“Ok, mi sa che ho capito, ma devo fare una verifica, posso?” le chiede, prendendole la mano e sollevandogliela per poi lasciarla andare.
 
Livietta la lascia ricadere in grembo, come se pesasse un quintale, sentendo uno strano formicolio sulla pelle dove le sue dita l’hanno afferrata.
 
“Ah!” esclama, non potendosi trattenere, come non può trattenere il brivido che le corre lungo tutta la spina dorsale, quando sente quelle dita sulla spalla, bruciarle sulla pelle nuda accanto alla spallina della canottiera.
 
“Ti ho fatto male?” le domanda, di nuovo con quel tono preoccupato.
 
“Un po’…” mente, mentre sente il cuore a mille, rimbombarle nelle orecchie.
 
“Ti fa male qui? E qui?” continua a domandarle, premendo lievemente in vari punti della spalla, mentre Livietta stringe i denti, ma non certo per il dolore, e si limita ad annuire o scuotere il capo.
 
Sente il viso bollente ed un fuoco propagarsi dalla spalla, da ogni punto che lui tocca, scatenando un incendio ed un’esplosione di sensazioni che non aveva mai provato prima e che la imbarazzano e la spaventano.
 
“Stai tranquilla: sembra solo una contrattura. Probabilmente hai esagerato un po’ e hai sforzato troppo. Se mi dai due minuti ti rimetto quasi a nuovo: potrebbe farti di nuovo un po’ male ma poi andrà meglio, vedrai,” la rassicura e Livietta trattiene a stento un’esclamazione quando sente di nuovo quelle dita muoversi sulla sua pelle in un vero e proprio massaggio.
 
“No, non… non serve, davvero,” protesta, spingendosi in avanti sulla panca e sottraendosi al suo tocco e, soprattutto, a quello che le provoca e che non sa per quanto riuscirà a mascherare. E non può tradirsi: non vuole fare la figura della ragazzina sbavante e patetica, quasi quanto le signore over cinquanta che lo tampinano dopo ogni lezione.
 
“Guarda che bastano davvero pochi minuti: se ti tieni la contrattura rischia di infiammarsi sempre di più e di peggiorare. Invece se ti manipolo adesso vedrai che per domani starai di nuovo bene, se non fai altri sforzi per un paio di giorni, però.”
 
“È che… è che lei è già stato così gentile e non voglio… non voglio approfittare, dico davvero. Posso andare dal fisioterapista: mamma e Gaetano ne conoscono uno bravissimo che l’ha rimesso a nuovo dopo che si era preso una botta tremenda al collo e-“
 
“Ma è venerdì sera e sicuramente non potrà vederti prima di lunedì. E per me non è un disturbo: fa parte del mestiere e sapessi quante volte mi capita e mi è già capitato di dover risolvere situazioni simili…” minimizza con uno di quei sorrisi gentili che però, questa volta, le provoca uno strano rimescolamento allo stomaco.
 
“Fossi in lei non lo farei troppo sapere in giro o alla prossima lezione si troverà come minimo con dieci contratture da sistemare,” scherza Livietta per alleggerire l’atmosfera e mascherare come può l’imbarazzo anche se, lo sa, le sue guance devono essere rosse come un pomodoro.
 
“Beh, allora conto sulla tua discrezione,” ironizza dopo una mezza risata, facendole l’occhiolino mentre Livietta sente il suo cuore saltare un battito e correre, se possibile, ancora più all’impazzata, per poi aggiungere, più serio, “però se la cosa ti mette a disagio o in imbarazzo non-“
 
“No, no!” nega Livietta, scuotendo il capo, “sono già stata dal fisioterapista in passato… ho avuto un brutto incidente quando mi sono messa in testa di fare danza acrobatica, prima di capire che non faceva proprio per me.”
 
“Fammi indovinare: c’entrava un ragazzo?” le domanda con un sorriso.
 
“Sì… lo so che è patetico ma... avevo quattordici anni e-“
 
“No, che non è patetico, anzi, se ti può consolare… io di anni ne avevo ventuno ed ero già in polizia… conosco una ragazza bellissima, più grande di me ed istruttrice di danza. Alla fine per cercare di conquistarla ho finto di volermi iscrivere ad un suo corso e…”
 
“Non è andata bene?”
 
“No: non solo le ho massacrato i piedi ma… tra i muscoli e l’addestramento ero flessibile e sciolto come un armadio a sei ante. E il peggio è che c’erano perfino un paio di signori che avranno avuto come minimo sessant’anni e che erano bravissimi, mentre io non riuscivo a infilare due passi uno dietro l’altro,” ammette, passandosi una mano tra i capelli
 
“Da sotterrarsi… e com’è finita con l’istruttrice?” chiede Livietta con una risata.
 
“In realtà credo che si sia intenerita per la mia imbranataggine e abbiamo avuto una breve relazione… ma dopo un po’ si è trasferita per lavoro e… ci siamo persi di vista…” racconta, aggiungendo poi con un altro sorriso dei suoi, “bene, devo dire mi sembri più rilassata. Che ne dici se facciamo questo massaggio così ti lascio andare? Immagino che dovrai uscire stasera.”
 
“Sì, in effetti sì… sia che mi sento più rilassata, sia che devo uscire,” riconosce Livietta, ricambiando il sorriso.
 
“Niente più danza acrobatica?”
 
“No, no, per carità! Vado a sentire un… un mio amico suonare… è il bassista di un gruppo di hard rock abbastanza famoso qui a Torino: i Vagrants.”
 
“I Vagrants?!” domanda lui con uno strano tono ed una strana espressione.
 
“Che c’è? Non ti piacciono?” chiede di rimando, prima di bloccarsi, rendendosi conto di essere passata al tu, quasi senza accorgersene e affrettarsi ad aggiungere, “cioè… non… non le piacciono?”
 
“Il tu va benissimo, se no mi fai sentire vecchio. Al corso però dammi del lei, che altrimenti-“
 
“Rischio il linciaggio dalle altre signore? Oltre a metterti nei guai, ovviamente…” ironizza, facendolo di nuovo sorridere.
 
“Qualcosa del genere sì… allora, spalla? Prima che ti faccio fare tardi al concerto…” propone di nuovo e a Livietta non resta che annuire: gli dà nuovamente le spalle, trattenendo il respiro.
 
“No, devi respirare normalmente, rilassata,” la esorta la sua voce nell’orecchio e Livietta fa quasi un salto quando sente la sua mano coprirle lo stomaco, che l’istruttore ritrae immediatamente con un, “scusa, non volevo spaventarti. Vorrei insegnarti un paio di esercizi di respirazione. Sono davvero utili non solo per le contratture ma anche nei… nei periodi di tensione e di stress, in generale.”
 
Livietta volta il capo e lo guarda e capisce che ha capito, senza bisogno di parole, come e perché si è procurata quella contrattura. Non può evitare di sorridergli e di annuire, sforzandosi di rimanere calma quando lui le poggia di nuovo la mano sulla pancia.
 
“Devi inspirare lentamente, spingendo sulla mia mano, a mano a mano che incameri aria, ok? Fino a quando ti senti… piena e poi espirare sempre lentamente. Ok?” la istruisce e Livietta annuendo cerca di fare come dice.
 
Segue le sue correzioni, precisazioni ed istruzioni, continuando a respirare in maniera lenta e profonda, chiedendosi se lui riesca a sentire i battiti del suo cuore che sembrano rimbombarle dentro come se il suo corpo fosse una grancassa e che l’esercizio riesce a rallentare solo in minima parte.
 
“Ok, così va meglio. Continua a respirare in questo modo mentre mi occupo della tua spalla, ok?”
 
E in pochi secondi le sue mani le scostano la spallina destra e riprendono il massaggio. Livietta si sente avvampare, mentre cerca di continuare a respirare, anche se sembra che l’aria non sia mai abbastanza, e viene travolta di nuovo da quelle sensazioni nuove e che sembra non riuscire a contenere, ad arginare.
 
“Non devi combattermi: cerca di rilassarti, di lasciarti andare, di assecondare i miei movimenti, altrimenti rischi che ti faccio male,” le spiega e Livietta decide di provare a fare come dice – anche se non è sicuramente quello che intendeva – di non combattere più quello che sta sentendo ma di viverselo, di lasciarsi andare.
 
Non sa quanto tempo sia passato, prima di sentire la sua voce nell’orecchio mormorare “ho finito” e di rischiare per un attimo di cadere all’indietro quando le sue mani le lasciano la spalla, rendendosi conto solo in quel momento, con grande imbarazzo, di essersi abbandonata a tal punto che era ormai lui a sorreggerla.
 
“Tutto bene? Ti gira la testa?” le domanda, mentre lei si volta a guardarlo, “può capitare dopo un massaggio nella zona del collo…”
 
“Forse un po’… però mi sento molto meglio, grazie,” risponde, non riconoscendo quasi la sua stessa voce da quanto è roca. La verità è che la testa le gira eccome, ma non certo per il massaggio anche se, miracolosamente, il dolore alla spalla le è passato, sostituito da una sensazione generale di benessere che non aveva mai provato prima e, allo stesso tempo, come da un’ansia lieve, sottile, come un senso di attesa.
 
“Come sei arrivata qui?”
 
“Coi mezzi… non potevo farmi accompagnare…”
 
“Dove devi andare? A casa?”
 
“No, vado a casa di una mia amica… così mi cambio e andiamo al pub dove suona il mio amico,” chiarisce Livietta, che si è già messa d’accordo con Lucrezia per cambiarsi a casa sua, visto che la madre di lei è nuovamente latitante, “vive vicino alla fermata del tram quindi-“
 
“No, no, non se ne parla: ti accompagno io. Oltre al giramento di testa potresti anche avere un po’ di nausea e non è il caso che tu prenda un mezzo pubblico da sola,” proclama, alzandosi in piedi e prendendole il borsone.
 
“No, davvero non serve, se no mi fai sentire in colpa. Ti ho fatto perdere un sacco di tempo per niente e-“
 
“L’unico tempo che mi faresti perdere stasera è quello passato qui adesso a discutere, perché ti accompagno, non voglio sentire storie, altrimenti sarei un pessimo insegnante di difesa personale!” ribatte con tono perentorio, avviandosi verso l’uscita della palestra, prima di voltarsi verso di lei e domandarle, “riesci a camminare o-“
 
“No, cioè sì,” si affretta a precisare Livietta, alzandosi in piedi fin troppo bruscamente e sentendo il mondo girare vorticosamente, fino a che una mano le afferra il braccio, stabilizzandola.
 
“Scusami, io-“
 
“Dai, andiamo, con calma però,” la interrompe con uno sguardo deciso e gentile al tempo stesso.
 
Livietta si sente di nuovo avvampare mentre la conduce fuori dalla palestra praticamente a braccetto.
 
“Meno male che stasera non sono venuto in moto,” commenta una volta arrivati vicino all’auto: dall’aspetto nuovo di zecca, tenuta con cura e dalla linea sportiva ma di una marca che Livietta sa non essere delle più care. Del resto i poliziotti non navigano certo nell’oro.
 
“Vai anche in moto?” gli chiede, incuriosita, salendo dalla parte del passeggero, mentre lui si mette al volante. Lo spazio dell’abitacolo le sembra fin troppo stretto.
 
“Sì… tu ci sai andare?” le domanda, mettendo in moto.
 
“Di solito vado in motorino ma non guido io… non ce l’ho, mio padre non ha mai voluto, dice che è pericoloso…”
 
“Tuo padre non ha tutti i torti… anche se la moto è diversa dal motorino, è più potente e per certi versi più rischiosa, ma è anche più stabile e… la sensazione di libertà che ti dà, soprattutto se non guidi in città ma su una strada più tranquilla è indescrivibile…”
 
“Sei proprio appassionato!” commenta Livietta con un sorriso, provando di nuovo quello strano rimescolamento allo stomaco quando vede quegli occhi azzuro-verdi brillare, “io in realtà ci sono-“

“Sì?” le chiede, incuriosito, probabilmente avendo notato come si sia interrotta bruscamente e l’espressione accigliata che ha in viso.
 
“Ci sono andata in moto qualche volta, non guidavo io ma… diciamo che non ho un buon ricordo di quel periodo,” ammette Livietta con un sospiro, ripensando a Bobo e al modo in cui l’aveva presa in giro.
 
“Della moto o del guidatore?” le domanda con un’occhiata eloquente, prima di aggiungere imbarazzato, “scusa, lo so che sono un ficcanaso ma… deformazione professionale.”
 
“Me lo dice sempre anche Gaetano…” commenta Livietta con un mezzo sorriso, per poi aggiungere, più seria, “e comunque della moto in sé ho bei ricordi… molto meno di chi la guidava…”
 
“Non dirmi che è lo stesso del ballo acrobatico?!” ironizza, strappandole un altro sorriso.

“No… diciamo che in quel caso ad essere pericoloso era solo il ballo… mentre… il guidatore era molto più pericoloso della moto, purtroppo…” ammette, stupendosi quando le parole le escono di bocca, di come le venga facile e naturale confidarsi con lui.
 
“Mi dispiace… non volevo farti diventare triste. Si vede che è un nervo ancora scoperto… è successo da poco?” le chiede e il sincero interesse, anzi, quella traccia di preoccupazione che legge sul viso di lui le provocano di nuovo quella strana sensazione allo stomaco.
 
“Sì, da qualche mese… anche se per certi versi sembra una vita fa…”
 
“Non è che… non è che è per questo che ti sei iscritta al corso di difesa?” domanda con un tono ed un’espressione che sembrano più che preoccupati, quasi arrabbiati.
 
“No, no! A Gaetano è venuta l’idea perché… una sera era presente quando io e alcune mie amiche siamo state tampinate in discoteca da un gruppetto di ragazzi e… ed è dovuto intervenire, se no sarebbe finita male. Ma non mi è successo niente quella sera e nemmeno prima, cioè neanche… neanche con Bobo, quello della moto, lui non è mai… non mi ha mai fatto del male, non fisicamente almeno.”
 
“La violenza psicologica spesso è quasi più pericolosa di quella fisica… o devo pensare che le mie lezioni siano così noiose che non le hai ascoltate?” le chiede con tono ironico, anche se continua a guardarla preoccupato.
 
“No… anzi sei molto interessante- cioè, il modo in cui spieghi e insegni è molto interessante,” ribatte Livietta, correggendosi e sentendosi di nuovo avvampare quando si rende conto di come le sue parole potrebbero essere interpretate da lui, “e comunque… non si è trattato proprio di violenze psicologiche, cioè… forse sì, in un certo senso, ma… hai presente quando ti fidi completamente di una persona, la ami e ti convinci che anche per l’altro o l’altra sia lo stesso? Io per lui avrei fatto qualsiasi cosa, sono andata contro al mondo intero, avrei rinunciato a tutto, come una stupida e poi ho scoperto che… non era vero niente, che mi aveva solo… solo usata, manipolata, che era stata tutta una bugia e io ci ero cascata perché… probabilmente perché volevo cascarci, volevo crederci. E mi sono ripromessa che non capiterà mai più e… forse in effetti hai ragione, forse mi è venuta voglia di fare il corso di difesa anche per questo… oddio scusa, ti starai annoiando a morte, io che parlo e parlo e-“
 
“Ma figurati, anzi, a me piace ascoltarti e parlare con te, Livia: credo che potrei parlare con te per ore senza annoiarmi,” proclama lui con un sorriso gentile e Livietta sente il cuore farle un balzo nel petto, “ed in quanto al resto… non so se posso capire del tutto cosa si prova… non credo di essermi mai innamorato veramente in vita mia-“
 
“Nemmeno della ballerina?” gli domanda, sorpresa da questa ammissione, chiedendosi tra sé e sé se sia una specie di prerequisito per entrare in polizia, visto che pure Gaetano era così prima di conoscere sua madre.
 
“Mi piaceva molto, sì, ma… no, non sono mai arrivato ad amarla, altrimenti sarei stato molto peggio quando si è trasferita. Mi è spiaciuto, ovviamente, ma… è finita lì...” conferma, prima di aggiungere, alternando lo sguardo tra Livietta e la strada, “ma in quanto a questo… Bobo… penso che doveva essere proprio un idiota e chi ci ha perso è sicuramente lui, Livia.”
 
“Sull’idiota concordo… per il resto… tu sei sempre così… gentile, non so se ormai è anche questa una specie di deformazione professionale per te ma… le frasi fatte non servono a niente. Bobo ci ha perso sì, ma perché era un idiota che si è rovinato la vita da solo, non certo perché non si è innamorato di me. Altrimenti pure tu dovresti averci perso per non esserti innamorato della ballerina e di tutte le altre…” ribatte Livietta, fulminandolo con un’occhiata eloquente.
 
“Forse ci ho perso… chi lo sa… arrivato alla soglia dei trenta, la domanda uno se la pone…” ammette, con un tono che sembra sincero e che la sorprende, “e comunque, sì, è vero, sono stato scelto per fare l’istruttore al corso perché i miei superiori pensano che… che me la cavo bene con le signore e ovviamente non posso essere scortese o brusco con le allieve, ma… anche se a volte non posso dire tutto quello che penso realmente, quello che dico lo penso, sempre. E mi piace parlare con te perché sei schietta, diretta, oltre ad essere divertente e non mi capita spesso di riuscire a rapportarmi in questo modo con una ragazza, come… come se fossi con un mio amico.”
 
“Ah,” non riesce a trattenersi dall’esclamare Livietta, dandosi della stupida per la fitta di delusione allo stomaco, dato che è ovvio che lui non potrà mai interessarsi a lei, e che cerca di mascherare ricorrendo di nuovo all’umorismo, “mi stai dando del maschiaccio?”
 
“No, no, per niente, anzi… la prima volta che mi hai messo al tappeto quasi non potevo crederci proprio perché hai questo aspetto così… dolce e minuto, quasi delicato ma… hai una forza di carattere, sei così decisa, sicura di te. Infatti fatico ad immaginarti mentre ti fai manipolare da qualcuno e anzi, dopo questo corso, non invidio il prossimo che proverà a fare il cretino con te: come minimo me lo distruggi!” ribatte facendole di nuovo l’occhiolino e facendola sorridere, “quello che volevo dire è che… tu sei naturale, spontanea, mentre di solito le ragazze e anche le signore con me è come se si mettessero costantemente in posa… manca solo il ciak si gira, capisci?”
 
“Beh, forse hai incontrato e scelto sempre donne e ragazze sbagliate, allora; o forse a parte il tuo aspetto è anche il tuo atteggiamento un po’… un po’ ruffiano, anche se in senso buono, che le fa comportare così, non ci hai mai pensato?”
 
“Mi stai dando del marpione?” le domanda con un mezzo sorriso ma una nota di reale preoccupazione nella voce.
 
“No, no… non sei mai inappropriato ma… forse alcune signore non ci sono abituate e si sentono lusingate, corteggiate…”
 
“Mentre a te non capita perché sei molto corteggiata?” la punzecchia con un altro di quei mezzi sorrisetti che le fanno sentire un nodo alla bocca dello stomaco.
 
“Ecco, lo vedi come fai?!” ribatte, fintamente esasperata, “no, ci sono abituata perché sono abituata alle fregature e dopo Bobo quando uno è gentile e sorridente con me di solito più che pensare che gli piaccio, mi viene da chiedermi appunto dove sta la fregatura…”
 
“E qui dove starebbe la fregatura?” controbatte non perdendo un colpo e sembrando sempre più divertito.
 
“Non lo so… forse devo ancora scoprirlo… diciamo che lo so che fai così perché fa parte del tuo lavoro. Anche se oggi con me sei stato davvero gentile e disponibile, quindi magari sei proprio così di carattere, non lo so...”
 
“Guarda che ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque al mio posto… magari sei tu che hai conosciuto sempre ragazzi sbagliati,” ironizza, rinviando al mittente la sua battuta di prima con un sorriso.
 
“Touché… e comunque no, non credo e lo sai anche tu,” ribatte Livietta prima di notare improvvisamente che hanno non solo raggiunto ma anche superato la casa della madre di Lucrezia, “aspetta, frena, la casa della mia amica è già passata… scusa. Se mi fai scendere qui vado a piedi… sono neanche cento metri, non ti preoccupare.”
 
“Ok, d’accordo. Allora per la prossima lezione… ti va bene lunedì sera sempre alle 18? Così recuperiamo quello che ci siamo persi stasera. Stavolta però rimani a riposo fino ad allora, ok? E, se ti facesse ancora male la spalla, avvisami che rimandiamo.”
 
“Sì… cioè per me va benissimo anche se… mi fai sentire sempre più in colpa. Però… come faccio ad avvertirti? Fino a martedì non abbiamo lezione e-“
 
“Mi passi il tuo cellulare?” le chiede con un sorriso e Livietta, incredula, infila una mano in tasca e glielo porge, ringraziando il cielo che non sia più rosa glitterato ma bianco e decisamente più sobrio.
 
“Ecco fatto… basta che mi mandi un messaggio,” proclama con un altro sorriso, restituendoglielo.
 
“Sì… ok… grazie…” sussurra Livietta, sentendo il cuore rimbombarle nelle orecchie, scendendo rapidamente dall’auto prima di cedere all’impulso folle di dargli un bacio sulla guancia.
 
Il battito a mille, osserva l’auto allontanarsi, mentre legge il nome sul display – Lorenzo – e un sorriso le si allarga sul volto, senza poterlo evitare.
 
***************************************************************************************
 
“Che casino! E questa sarebbe musica?!”
 
“Renzo, per favore! Non eri tu il grande appassionato di rock?” gli fa notare Camilla, sarcastica, sollevando gli occhi al soffitto del pub.
 
“Appunto, di rock, non di questo… rumore infernale!”
 
“È quello che dicevano tutti del rock quando è uscito, lo sai vero? Si stava meglio quando si stava peggio, non ci sono più le mezze stagioni, i giovani d’oggi, eccetera, eccetera… vuol dire che stai diventando vecchio-“
 
“Perché tu invece stai diventando giovane, no? Sei regredita all’adolescenza ormai! E vuoi dirmi che questa… questa accozzaglia di suoni ti piace?”
 
“Non è così male, Renzo: certo il volume è un po’ alto ma… comunque la preferisco a sentirmi i tuoi rimbrotti e le tue lamentele! Sei tu che hai insistito per accompagnarci e se dobbiamo passare tutta la serata a sentirti brontolare e a sorbirci le tue frecciatine, io e Gaetano ci cerchiamo un altro tavolo, è chiaro?!” intima Camilla, già stufa dell’atteggiamento da orso dell’ex marito dopo la seconda canzone. Ma del resto lo conosce fin troppo bene e sa che i luoghi affollati e rumorosi tirano fuori il peggio di lui.
 
“Perché tu pensi che a me faccia piacere condividere il tavolo con voi due e reggere il moccolo? Ma lo faccio per Livietta e-“
 
“Appunto! Come lo stiamo facendo io e Gaetano. Quindi anche se la musica ti infastidisce quasi più della compagnia, continuare a lamentarti non servirà a risolvere la situazione, anzi peggiorerà solo l’umore di tutti!” ribadisce, per poi voltare il capo quando, istintivamente, lo sente arrivare alle sue spalle, anche in mezzo alla bolgia: si era alzato per andare a fare e a prendere le ordinazioni di persona, visto che il locale era pieno zeppo e delle cameriere non si vedeva l’ombra. In realtà era evidentemente una scusa per cercare di rendere un po’ meno opprimente l’atmosfera pesante che si era respirata fin da quando Renzo li aveva raggiunti con la sua auto, dato che, con Livietta e le sue amiche, al ritorno altrimenti sarebbero stati in sei in una sola macchina.
 
Quello che vede le fa temere una doccia inattesa: Gaetano regge un grosso boccale in una mano e due drink con l’altra.
 
“Un long island per me, un negroni per te ed una birra scura per Renzo,” proclama, servendo il tutto perfettamente, senza versare una sola goccia.
 
“Ma come…?”
 
“Come cuoco sono un disastro, ma ho fatto il cameriere per mantenermi e mettere un po’ di soldi da parte mentre aspettavo di fare il concorso per entrare all’Istituto Superiore della Polizia e a volte anche durante il periodo di addestramento,” chiarisce, rimettendosi a sedere, per poi domandarle con un sorriso, “che c’è? La cosa ti stupisce?”
 
Camilla assaggia il primo sorso di negroni, dovendo ammettere che sì, la cosa in fondo un po’ la stupisce: dal tenore di vita di Francesca, anche quando praticamente non lavorava, e da quello di Gaetano che, pur non navigando nell’oro, le è sempre sembrato superiore alla media dei funzionari di polizia e, infine, dai commenti di quel concierge a Roma, aveva avuto l’impressione che Gaetano fosse di famiglia quantomeno benestante, che potesse permettersi di mantenerlo agli studi.
 
“Buono!” si limita a commentare con un sorriso, riferendosi al drink, mentre anche Gaetano annuisce indicando il suo. Senza parole, come è ormai consuetudine, si scambiano i bicchieri per assaggiare quello dell’altro: quando ordinano take-away o mangiano fuori si dividono praticamente sempre le portate, anche perché a nessuno dei due piacciono i locali cosiddetti di classe, dove questa abitudine sarebbe a dir poco malvista.
 
“Come siete romantici! Volete anche la coppa gelato con i due cucchiaini per imboccarvi a vicenda?” commenta Renzo, sarcastico, senza riuscire a trattenersi o a nascondere l’amarezza. Perché una volta al posto di Gaetano c’era lui… anzi no, visto che lui e Camilla avevano sempre avuto gusti abbastanza diversi in fatto di cibo e di bere e, se a casa alla fine avevano trovato dei piatti di compromesso graditi ad entrambi, dei cavalli di battaglia, al ristorante molto spesso quello che ordinava l’uno non piaceva all’altra e viceversa.
 
“Non è colpa di nessuno se a me non piace la birra scura e tu odi i cocktail, Renzo,” ribatte Camilla, sembrando leggergli nel pensiero, “almeno la birra ti piace?”
 
“Non è eccezionale, ma sicuramente è meglio di quei miscugli colorati,” replica Renzo che, da vero purista, non ama i mix di alcolici. Non adora nemmeno la birra in realtà, ma ha scelto il meno peggio sul menù del pub.
 
“Va beh, vado un attimo in bagno,” proclama dopo poco, cercando evidentemente di togliersi da quella situazione per qualche altro minuto, lanciando un’occhiata verso Livietta e le sue amiche, che saltano e si scatenano praticamente sotto al palco.
 
“Meno male che almeno lei è contenta…” sospira Renzo, scambiando con Camilla uno sguardo sinceramente sollevato nel vedere la figlia divertirsi in modo spensierato dopo tutto quello che era successo.
 
Si alza dalla piccola seggiola di legno, fa per voltarsi ma sbatte contro qualcosa e cerca disperatamente di mantenere l’equilibrio mentre quel qualcosa, anzi, qualcuno, gli precipita addosso, aggrappandosi a lui per non cadere. Per fortuna, all’ultimo secondo, trova con le mani il tavolino alle sue spalle e ci si appoggia, riuscendo a non precipitare rovinosamente a terra. Abbassa lo sguardo e dalla chioma lunghissima e corvina, si rende conto che è una donna quella che gli è appena volata addosso.
 
“Tutto bene?” domanda preoccupato, cercando di spingersi in piedi, mentre lei, per tutta risposta, gli preme contro le spalle e si rialza da sola, facendolo quasi cadere.
 
“Stavo meglio prima! Perché non guardi dove vai?!” sbotta la ragazza – i capelli a cortina davanti al viso e al busto – riesce solo a distinguere un paio di gambe chilometriche, sottolineate da una minigonna che più che corta è quasi inesistente, prima che lei aggiunga, guardando verso terra, “dov’è finito il mio cellulare?! Maledizione!”
 
“È qui,” risponde Renzo, abbassandosi per afferrarlo da terra, pochi centimetri più a destra di uno dei piedi della ragazza, evitando per un soffio di ritrovarsi con la mano inchiodata da un tacco dodici a spillo, ritraendola bruscamente e salvando arto e cellulare.
 
“Ah… grazie,” risponde la ragazza, con un tono più malleabile, prendendo il cellulare che lui le porge con la mano destra, mentre con la sinistra butta indietro la lunghissima chioma.
 
“La Venere del Botticelli!” commenta Renzo a bassa voce, tra sé e sé, riconoscendo immediatamente la ragazza che aveva ammirato dalla finestra di fronte per il breve periodo in cui era stata la fiamma del momento del poliziotto-super-più. Poi un giorno, poco dopo l’arrivo del piccoletto, era sparita.
 
Lei lo guarda sorpresa e Renzo per un attimo teme che abbia udito la frase, rendendosi conto in un istante della posizione ridicola in cui si trova: inginocchiato di fronte a lei come se fosse in penitenza, o un cavalier servente di altri tempi, e soprattutto con la faccia a pochi centimetri da quella che più che una gonna è un cinturone. Imbarazzatissimo, cerca di tirarsi in piedi, lottando contro le giunture che protestano.
 
“Ma io… io l’ho già vista da qualche parte…” proclama la ragazza, evidentemente sorpresa, per poi alzare gli occhi e serrare lievemente la mascella, mentre un lampo di riconoscimento le balena nello sguardo, “Gaetano?!”
 
“Barbara…” la saluta, lanciando un’occhiata a Camilla che, ovviamente, da come la guarda, se la ricorda eccome.
 
“Ma certo! Lei è quel signore così gentile, quello che mi ha aiutato a portare il sushi. Mi scusi se sono stata un po’ brusca, ma stasera mi vanno tutte storte. E mi ha anche salvato il cellulare, grazie!” proclama con un sorriso, guardando Renzo.
 
Il sushi?” chiede Camilla, lanciando un’occhiata a Renzo con un sopracciglio alzato, perché questa del sushi è la prima volta che la sente ed evidentemente Renzo non si era accontentato di ammirare La Venere da lontano.
 
“E lei è la moglie, vero?” domanda Barbara, notando finalmente anche Camilla, “l’ho vista un paio di volte… voi eravate nell’appartamento di fronte a quello di Gaetano. Piacere, io sono Barbara.”
 
“Camilla…” risponde con un mezzo sorriso tirato che Gaetano riconosce perfettamente e che lo fa sorridere, porgendole un braccio teso e rigido peggio che ad una parata militare e stringendole la mano.
 
“Cos’è? Una riunione di condominio al pub? E dire che i miei vicini invece sono così noiosi!” commenta, rivolgendosi a Gaetano con fare interrogativo, “ma tu sei qui da solo? O aspetti qualcuno?”
 
“No, non aspetto nessuno, veramente io-“
 
“Beh, allora non ti dispiacerà se ti faccio un po’ di compagnia…” si autoinvita, senza lasciargli finire la frase e la spiegazione, piazzandosi sulla quarta e ultima seggiola del tavolino circolare rimasta libera, quella fra Renzo e Gaetano e di fronte a Camilla, e appoggiandosi con le mani alla spalla di Gaetano, con fare cospiratorio e decisamente confidenziale, per non dire intimo, “mi sa che stasera mi danno buca e nemmeno tu ti meriti di passare una serata a reggere il moccolo, anche se sei stato un po’ cattivo con me, ma… certo che mi perdi colpi, Berardi!”
 
“No, non hai capito, io non sono da solo, sono con lei,” chiarisce, scostandosi e prendendo la mano di Camilla, stretta a morsa al bordo del tavolino, nella sua, accarezzandole il palmo con il pollice, per rassicurarla, avendo visto lo sguardo quasi omicida che stava rivolgendo all’altra donna.
 
“Cosa?” chiede Barbara incredula, indietreggiando quasi bruscamente da lui, alternando lo sguardo tra Gaetano, Camilla e Renzo come se fosse disgustata, iniziando ad alzarsi in piedi, “no, cioè, l’ho sempre saputo che… che non ti facevi mancare niente ma… questo è troppo strano anche per me…”
 
“No, no, ma che hai capito?!” la blocca Gaetano, sentendosi avvampare e notando dalle espressioni scioccate di Camilla e Renzo e dai loro visi improvvisamente bordeaux che non è l’unico, “io e Camilla stiamo insieme, lei-“
 
“Io e Renzo, mio marito, ci siamo lasciati da qualche mese,” chiarisce Camilla, vedendolo in difficoltà.
 
“Ah…” esclama Barbara, evidentemente sollevata, sembrando rilassarsi sulla seggiola, prima di lanciare loro di nuovo un’occhiata e scoppiare a ridere, “oddio, scusate, che figura! È che… non pensavo…”
 
“…Ma quindi è lei che regge il moccolo?” chiede poi, rivolgendosi a Renzo, mentre loro sono ancora impietriti per l’imbarazzo, “o aspetta qualcuna? Spero per lei di sì…”
 
“No, è che… è che-“
 
“È che abbiamo accompagnato nostra figlia a vedere il concerto – mia e di Renzo,” si inserisce di nuovo Camilla con un sospiro, “è una storia lunga e-“
 
“Capisco… forse… va beh, allora che ne dice se mi unisco a lei? Almeno ricambio il favore del sushi e… mi sa che a questo tavolo non c’è pericolo di annoiarsi…” commenta con una mezza risata, stavolta rivolta a Renzo, che è di una tinta aragosta e sembra non sapere cosa dire, per poi aggiungere, senza aspettare risposta, “come si fa ad avere qualcosa da bere in questo posto?”
 
“Vado io… è inutile aspettare il cameriere,” si offre Renzo, alzandosi in piedi, sembrando ancora ansioso e a disagio.
 
“Allora vengo con lei, anzi, posso darti del tu?” replica Barbara con un sorriso, mettendosi in piedi a sua volta e prendendolo per un braccio, trascinandolo in direzione del bar prima che possa replicare.
 
Gaetano e Camilla si scambiano un’occhiata incredula, imbarazzata e un po’ preoccupata.
 
“Ma fa sempre così?”
 
“Se ti riferisci a Barbara, sì… diciamo che era parecchio imprevedibile e… leggera-“
 
“L’ho notato!” si inserisce Camilla, sarcastica.
 
“Non in quel senso… cioè anche un po’ in quel senso…” balbetta, di fronte alla sua occhiata, rendendosi conto, dal modo in cui le si corruga sempre di più la fronte, che sta solo peggiorando la situazione, “insomma… a volte mi si presentava a casa senza avvisarmi, a volte invece faceva ritardi di due ore… quando è arrivato Tommy io… avevo degli orari da rispettare e non potevo più uscire come e quando mi pareva e… e Tommy non la sopportava e lei sembrava allergica ai bimbi, quindi-“
 
“Quindi l’hai piantata in asso… ma devo dire che mi sembrava ben disposta a perdonarti, anche se sei stato cattivo con lei,” ribatte, scimmiottando la voce dell’altra donna.
 
“Non dirmi che sei gelosa, professoressa,” la rimbecca, non riuscendo a nascondere un sorriso compiaciuto, per poi aggiungere, serio, guardandola dritto negli occhi, “non ci eravamo promessi di fidarci l’uno dell’altra?”
 
“E infatti io di te mi fido, ma lei è meglio che tenga le mani al loro posto!” intima Camilla con un mezzo sorriso, fulminandolo poi con un’occhiata ed un eloquente, “e anche tu!”
 
“Ne sei proprio sicura?” le chiede, specificando, alla sua occhiata confusa, “sei proprio sicura di volere che io tenga le mani a posto?”
 
“Gaetano!” esclama, colta di sorpresa, sentendosi sollevare e ritrovandosi seduta in braccio a lui, non riuscendo a trattenere una risata, “e dai! E se ci vede qualcuno?”
 
“La fila al bar è molto lunga e tua figlia mi sembra concentrata sulla band, quindi-“
 
“Quindi sono proprio sicura di volere che tu tenga le mani al loro posto,” ribadisce lei, seria, per poi sorridere e bloccargliele, quando lo sente lasciare immediatamente la presa, guidandole di nuovo sui suoi fianchi e chiarire, di fronte allo sguardo turbato e confuso di lui, “perché questo è il loro posto.”
 
Il sorriso che gli illumina il viso è forse il più bello che lei abbia mai visto e quelle mani si fanno un’altra volta sicure, intrappolandola contro di lui. Travolta da un bacio, tutto il resto del mondo si sfuma fino a scomparire.
 
***************************************************************************************
 
“Sei sicuro di non volerne uno anche tu?”
 
“No, grazie, io ho ancora la mia bir- ra,” balbetta, di fronte alla scena che gli si para davanti non appena volta lo sguardo verso il loro tavolino. Una scena che è come un pugno allo sterno e che avrebbe decisamente preferito non vedere.
 
Camilla e il poliziotto avvinghiati, che si baciano come due adolescenti. Anzi no, gli adolescenti non si baciano così. Non sa nemmeno se lui e Camilla si fossero mai baciati così, con tutta questa passione, con tutto questo… amore, neanche agli inizi della loro relazione.
 
È la prima volta che… che li vede davvero. Finora in sua presenza si erano limitati a pochi, casti e rapidi baci di saluto sulle labbra. Ha sempre saputo che sarebbe successo prima o poi, ma questo non alleggerisce di certo il colpo. Si sorprende però nel constatare che il dolore che sente al petto, per quanto forte, è meno lancinante di quello che ha provato quando li ha sorpresi a convivere, di quella prima colazione, di… di ogni volta che vede Gaetano con Livietta, di quando li vede, come la sera prima, comportarsi tutti e tre come una vera famiglia. Perché la verità è che se il rapporto tra Camilla e Gaetano si riducesse a questo, a quello che sta vedendo ora, avrebbe forse potuto comprenderlo e sopportarlo: una sbandata per un uomo più giovane e più… più figo dopo vent’anni di matrimonio… purtroppo può capitare. Ma sa che, almeno per lei, non è così, c’è molto di più di questo.
 
“E pensare che mi lamentavo della mia serata, del mio ragazzo che è in ritardo di un’ora e mezza e ha pure il cellulare staccato, ma in confronto a te, mi sa che mi posso consolare!” commenta Barbara al suo orecchio e Renzo si volta, trovandosela a pochi centimetri dal viso, che gli porge di nuovo il drink che ha appena ordinato, un margarita, “sei davvero sicuro di non volerne un po’?”
 
Lui cerca di negare con il capo ma si ritrova il bicchiere alle labbra, e lei lo inclina, praticamente costringendolo ad assaggiarne un goccio, se non vuole sporcarsi tutto.
 
“Allora?” gli domanda con un sorriso e Renzo deve ammettere che non è poi così male: l’acido del cocktail gli toglie almeno per un po’ quel senso di amaro dalla bocca.
 
“Un altro!” fa segno lei al barista, prima che possa rispondere, sembrando leggergli nel pensiero.
 
***************************************************************************************
 
“Certo che pure tuo padre non si fa mancare niente, eh, Livi?! Chi è quella stangona?!” commenta Lucrezia con una risata indicando il tavolo dove Gaetano e Camilla, Renzo e una ragazza mora stanno bevendo i loro drink.
 
La ragazza ride e scherza con Renzo che ha quell’espressione tra l’imbarazzato, l’impacciato e il compiaciuto che Livietta riconosce bene: l’aveva vista per la prima volta quando suo padre la veniva a prendere a scuola di danza ed incontrava la sua insegnante Pamela. All’epoca non aveva del tutto capito che significasse, adesso, purtroppo, lo capisce fin troppo.
 
“Non lo so… anche se… mi sembra di averla già vista da qualche parte…” commenta Livietta, non sapendo cosa pensare, francamente sorpresa all’idea che suo padre che, nonostante tutto, è parecchio timido, possa aver tentato l’acchiappo con una perfetta sconosciuta in un pub.
 
In realtà sembra che sia stata più lei ad acchiappare lui, ma, considerata l’avvenenza della tipa in questione, una specie di Barbie mora semisiliconata, il fatto che abbia puntato proprio suo padre in un locale pieno di ragazzi decisamente più giovani e aitanti le sembra davvero strano.
 
Di sicuro però, vedendo il modo in cui la tizia si aggrappa al braccio e alla spalla di suo padre e ride come se avesse appena respirato il gas del Joker o se suo padre fosse il più irresistibile dei comici, Livietta prova una fitta immediata ed istintiva di antipatia verso di lei, di chiunque si tratti.
 
Serrando la mandibola, decide di contravvenire alla regola aurea, da lei stessa imposta, di evitare ogni contatto tra lei e gli accompagnatori, e di andare di persona a verificare chi è la bambolona e che vuole da suo padre. Ha fatto appena un passo quando una voce familiare alle sue spalle la blocca.
 
“Livia!”
 
Incredula si volta e si ritrova davanti all’istruttore, anzi, a Lorenzo, e, se vestito con la tuta d’ordinanza è già un gran bel vedere, con i jeans e la camicia che indossa ora è a dir poco da togliere il fiato.
 
“Che… che ci fai qui?” balbetta, sbalordita, mentre la speranza assurda e… inebriante che possa essere lì per lei le fa andare il cuore a mille.
 
“Il chitarrista è un mio amico,” spiega, indicando il ragazzo vicino a Savino che suona a testa bassa, concentrato sulla musica, come se non gli importasse nulla del mondo intorno a lui. Livietta non se ne intende ma gli sembra bravo, come del resto tutti gli altri componenti della band. In confronto al gruppo di Nino e dei suoi amici, si vede e si sente che hanno un po’ più di anni e di esperienza alle spalle.
 
“Chi è questo gran figo e dove l’hai tenuto nascosto finora?” domanda Lucrezia, senza smentirsi mai, inserendosi nella conversazione e piazzandosi di fronte a Lorenzo, ignorando l’occhiataccia di Cristina.
 
“Lu, per favore!” sbotta Livietta, sentendosi avvampare, imbarazzata, mentre l’istruttore invece sembra sorridere divertito e forse un po’ compiaciuto.
 
“Ma è la verità: nemmeno tu ti fai mancare niente! Prima Bobo e poi lui… si vede che è di famiglia: beati voi!” commenta Lucrezia con un’altra risata, mentre il cuore di Livietta le finisce alla bocca dello stomaco quando realizza un dettaglio fondamentale.
 
“Ci sono qui anche mia madre e… e Gaetano,” ammette, rivolgendosi a Lorenzo, imbarazzata ma più preoccupata di non metterlo nei guai, anche se sa già che farà la figura della ragazzina che si deve far scortare dalle guardie del corpo.
 
“Dove sono?” le domanda, con sguardo sorpreso ma grato per l’avvertimento, seguendo la direzione da lei indicata, ed esclamando, sorpreso, “Barbara?!”
 
***************************************************************************************
 
“Davvero giocavi a calcetto?!”
 
“Sì, me la cavavo anche abbastanza bene… poi ho smesso… sai, le ginocchia…”
 
“Ti capisco: a me il calcio piace da morire ma… non ho mai giocato, se non ai tempi della scuola. Ho sempre avuto paura di farmi male…”
 
“Beh, certo, sarebbe stato un delitto rovinarti le gambe – cioè, volevo dire, le ginocchia,” si corregge, sentendosi nuovamente avvampare, mentre Barbara ride di gusto.
 
“Il campione mondiale di calcetto…” sussurra Camilla sarcastica, scambiando uno sguardo eloquente con Gaetano, “anche se mi stupisce di più che la Venere del Botticelli se ne intenda e sia pure appassionata di calcio. È mezz’ora che vanno avanti a parlarne, e pure con termini tecnici, mentre io faccio fatica a capire cos’è un fuorigioco. Che c’è? Perché ridi? Se è per la mia scarsa competenza in materia calcistica-”
 
“No, no, anzi, il calcio non mi ha mai entusiasmato e conosco le regole perché le ho imparate a scuola,” replica Gaetano con un altro sorriso, mentre Camilla si rende conto che, in anni di conoscenza, in effetti non l’aveva mai sentito parlare di partite, stadi – un’altra cosa che hanno in comune – “è che… mi ero dimenticato che l’avevi soprannominata così.”
 
“Renzo l’aveva soprannominata così… cioè in realtà io… ma dopo che lui l’aveva definita come un’opera d’arte quando l’avevo beccato ad ammirarla dalla finestra con la bava alla bocca, mentre girava in babydoll trasparente per casa tua…” gli chiarisce, sempre a bassa voce in modo che Renzo e Barbara non possano sentirla, trafiggendolo con un’occhiata eloquente.
 
“E allora ha poco gusto in fatto di opere d’arte, perché io preferivo decisamente ammirare la Venere in camicia da notte blu della finestra di fronte, che lui aveva la fortuna di avere accanto. E ogni tanto fatico ancora a credere che adesso questa incredibile fortuna sia toccata a me… abbia scelto me,” le sussurra di rimando con uno sguardo ed un sorriso che la fanno sciogliere.

Frena a fatica l’istinto di abbracciarlo, di baciarlo, limitandosi a prendergli le mani da sotto al tavolo e stringergliele fortissimo, mormorando, “sono io che sono incredibilmente fortunata, Gaetano: che tu abbia scelto me e che… che tu abbia evidenti problemi di vista, sia da vicino che da lontano, almeno per quanto mi riguarda.”

Gaetano apre bocca per risponderle quando la voce di Renzo, decisamente entusiasta, come raramente lui e Camilla l’avevano mai sentito, li distrae nuovamente e li porta a girarsi verso l’altra… coppia al tavolo.
 
“Veramente sei andata in Brasile a vedere la coppa del Mondo??!!” chiede a Barbara, guardandola con un misto di stupore, invidia ed ammirazione.
 
“Una mia amica è fidanzata con un difensore della Nazionale e quindi sono riuscita a convincerla ad accompagnarla… sai, i giocatori sono in ritiro e lei si annoiava. Purtroppo l’Italia è stata eliminata quasi subito e sono rientrata anche io, però è stata una bella esperienza: calcio, sole, mare, la combinazione perfetta! E tu? Quando sei andato allo stadio per l’ultima volta?”
 
“Io? Mah… qualche anno fa, con Livietta, mia figlia,” ammette, con una certa malinconia, rivolgendo istintivamente lo sguardo verso il punto dove si trovano Livietta e le sue amiche e facendo quasi un balzo sulla sedia, quando la vede intenta a parlare con un bellimbusto alto e moro, “e chi è quello?! Avrà trent’anni!! Ma non si vergogna a provarci con delle ragazzine??!!”
 
Camilla e Gaetano si voltano rapidamente, temendo una ripetizione di quanto successo l’ultima volta in discoteca, lanciandosi un’occhiata preoccupata, che si tramuta in un sospiro di sollievo quando riconoscono l’istruttore.
 
“Adesso vado e gliene dico-”
 
“No, aspetta, aspetta, quello è-“
 
“LORENZO!” esclama Barbara, osservando l’istruttore con uno sguardo che potrebbe incenerire chiunque.
 
L’uomo sembra quasi sentirla in mezzo alla folla e incrocia i loro sguardi, per poi rivolgersi con un ultimo cenno a Livietta e le sue amiche ed avanzare nella loro direzione.
 
“Buonasera, scusate io-“
 
“Finalmente!! Son più di due ore che ti aspetto: pensavo non venissi più! E per di più hai il telefono spento!” sbotta Barbara, alzandosi dalla seggiola e piazzandoglisi davanti con aria minacciosa.
 
“Scusami, hai ragione è che… ho avuto un imprevisto e… il telefono mi si è scaricato e non me ne sono accorto…” si giustifica lui con tono arrendevole, anche se non sembra poi così dispiaciuto, non quanto le circostanze richiederebbero.
 
“Sì, certo, come no!! La verità è che mi racconti sempre un sacco di palle e io come una scema fingo pure di crederci!” ribatte Barbara, ancora furente, guardandolo torva, con le braccia incrociate.
 
“Dottor Berardi, professoressa, buonasera,” saluta poi l’uomo, sembrando quasi più in imbarazzo nei loro confronti che nei confronti della sua ragazza.
 
“Ma voi vi conoscete?” domanda Barbara, la sorpresa che vince per un attimo sull’irritazione, “ah, giusto, è vero che siete tutti e due in polizia!”
 
“È l’istruttore del corso di difesa personale…” chiarisce Camilla, rivolgendosi a Renzo che continua a studiare il nuovo arrivato come se fosse un esemplare particolarmente schifoso di scarafaggio.
 
“Lorenzo Ferri, piacere,” si presenta l’istruttore, porgendo educatamente la mano a Renzo.
 
“Renzo Ferrero, sono il padre di Livietta,” sibila Renzo di rimando, squadrandolo in un modo che pare volergli fare la radiografia prima di ricambiare con una stretta di mano ancora più rigida di quella che Camilla aveva dato a Barbara.
 
“Livietta?!” domanda l’uomo, evidentemente divertito, per poi chiarire, di fronte all’occhiataccia di Renzo, “no… mi scusi, è che… capisco che sua figlia per lei sia ancora una bambina, ma… mi ha steso al tappeto alla prima lezione, quindi il diminutivo mi fa un po’ sorridere.”
 
Renzo, stupito dalla rivelazione, sta per replicare, quando l’uomo si rivolge a Barbara e con un sorriso decisamente più gentile le chiede, “dai, come posso farmi perdonare per il ritardo? Posso offrirti qualcosa? Anche se vedo che hai già bevuto con loro, a quanti drink sei?”
 
“E me lo chiami ritardo?! E comunque ho bevuto solo un margarita, quindi esigo almeno un altro cocktail, doppio! E anche qualcosa da mangiare, che sto morendo di fame!” ribatte, prendendolo per mano, prima di lanciare un ultimo sguardo agli occupanti del tavolo, soprattutto a Renzo, “allora noi andiamo, grazie per avermi fatto compagnia mentre aspettavo questo cattivone qui. Mi sono divertita!”
 
E, rivolgendo loro un ultimo sorriso a trentadue denti, si volta, trascinando via l’istruttore con sé.
 
“Sedotto e abbandonato…” commenta Camilla con un’occhiata eloquente a Renzo, che continua a guardare in direzione della Venere e dell’istruttore, che si sono messi in fila per il bar.
 
“Già… per un poliziotto palestrato, dall’ego ipertrofico quasi quanto i suoi muscoli… la storia della mia vita…” rimbecca Renzo, sarcastico e duro.

“Renzo!” lo fulmina Camilla, indignata, “non ti permetto di-“
 
“Vado in bagno, ho bevuto fin troppo di questa schifezza,” ribatte Renzo, sbattendo il bicchiere praticamente vuoto di margarita sul tavolo, alzandosi e cominciando ad allontanarsi.
 
“Fermati, non fa niente,” la trattiene Gaetano, prima che possa seguirlo, “insomma… sono stati due giorni complicati e questo… questo deve essere stato il colpo di grazia. Meglio se va in bagno a calmarsi un po’.”
 
“Forse hai ragione…” sospira Camilla, passandogli il braccio intorno alla vita e sentendolo ricambiare, trovandosi stretta al suo petto, per poi aggiungere, guardandolo negli occhi, “e forse su una cosa ha ragione anche Renzo.”
 
“E cioè?” le domanda lui, spiazzato, non capendo dove voglia andare a parare, visto che le parole ben poco gentili di Renzo contrastano con il sorriso di lei ed il modo in cui lo sta guardando e che lo fa sentire come l’uomo più amato e più felice del mondo.
 
“Che hai i muscoli ipertrofici… soprattutto uno,” chiarisce, posando la mano destra sulla camicia di cotone, esattamente all’altezza del cuore, che sente immediatamente accelerare sotto le sue dita, “il cuore è un muscolo, no?”
 
“E tu sei sempre una prof., anche nelle dichiarazioni d’amore,” ribatte con un sorriso commosso e divertito, stringendola ancora più forte, prima di cedere nuovamente all’impulso di baciarla.
 
***************************************************************************************
 
“Il tuo amico c’ha già la ragazza…”
 
“Evidentemente…” commenta Livietta, non riuscendo a staccare gli occhi di dosso da lui e dalla stangona che attendono il loro turno in fila al bar, a braccetto. Se già non le stava simpatica a pelle, ora sente di provare un sentimento di fastidio, per non dire d’odio, assolutamente irrazionale ed irrefrenabile.
 
“E tuo padre invece si è preso un bel due di picche…” prosegue Lucrezia con una risata, ignorando l’ennesima occhiataccia di Cristina.
 
“Evidentemente…” ripete Livietta, sorprendendosi nel pensare che avrebbe mille volte preferito che la stangona continuasse a provarci con suo padre, piuttosto che vederla incollata in quel modo a lui.
 
Sa di non potere competere con una ragazza, anzi, con una donna del genere, e, se già prima le sue speranze con lui erano praticamente inesistenti, ora a maggior ragione sa che la sua è destinata a rimanere una cotta non corrisposta e che deve farsi passare in fretta.
 
“E comunque non è un mio amico e non mi interessa: per quanto mi riguarda può avere tutte le ragazze che vuole,” proclama ad alta voce, decisa, non sa se cercando di convincere più se stessa o più Lucrezia, per poi sforzarsi di dare le spalle al bar e concentrarsi sul palco, “dai, pensiamo a divertirci: io sono venuta qui per sentire il concerto, non per spettegolare!”
 
***************************************************************************************
 
“Bene, vi siete divertite?”
 
“Moltissimo, il concerto è stato fighissimo! Aveva ragione Livietta: siete davvero bravi!” commenta Lucrezia entusiasta, ad un Savino sudato, esausto, ma sorridente.
 
“Grazie, troppo buona! E mi stupisce che voi abbiate resistito fino alla fine!” scherza, rivolgendosi invece a Gaetano, Camilla e Renzo che, insieme alle ragazze, si sono avvicinati al palco per i saluti.
 
“Non è proprio il genere che ascolto di solito ma ve la cavate alla grande,” lo rassicura Gaetano, dandogli una pacca sulla spalla, mentre Camilla sorride ed annuisce.
 
“Sì… complimenti, bravi tutti, ma… si sarebbe fatta ‘na certa, come si diceva a Roma, ed io sarei un po’ stanco: non ho più vent’anni, purtroppo. Quindi, se non vi dispiace, io andrei…” si inserisce Renzo, sembrando anche più esausto di Savino: del resto, Camilla e Gaetano lo sanno bene, ha probabilmente passato la notte precedente insonne o quasi.
 
Al ritorno dal bagno era stato più che civile, praticamente invisibile, trincerandosi dietro una barriera di mutismo e sorseggiando il suo bicchiere di acqua tonica – basta alcol, in previsione della guida – con una concentrazione tale che sembrava che il liquido trasparente dovesse svelargli tutti i misteri dell’umanità. Loro erano rimasti altrettanto in silenzio, cercando di non turbare il fragilissimo equilibrio su cui, lo sapevano, si basava quella tregua, evitando il più possibile ogni contatto fisico e concentrandosi sulla musica e sulla band.
 
“Le ragazze le possiamo riaccompagnare noi, non ti preoccupare, però… però non mi piace lasciarti guidare da solo a quest’ora, visto che sei stanco, oltretutto,” risponde Camilla, lanciando un’occhiata eloquente a Livietta.
 
“Se vuoi ti accompagno io, papà,” si offre Livietta con un sospiro, in cuor suo stupita dalla resistenza stoica del padre durante questa serata, anche se ancora un po’ irritata con lui per l’intermezzo con la stangona a cui però non vuole più pensare, perché altrimenti le viene in mente ben altro.
 
“Davvero?” chiede Renzo, incredulo, non riuscendo a trattenere un sorriso ampio e brillante che colpisce profondamente sia Livietta, sia Camilla.
 
“Sì. Ragazze, non vi dispiace, vero?” domanda Livietta, rivolgendosi alle sue amiche.
 
“No, non ti preoccupare, Livi, ci sentiamo domani,” conferma Cristina, abbracciandola, seguita a ruota da Lucrezia.
 
“Dai andiamo,” incita Gaetano, estraendo le chiavi della macchina dalla tasca dei pantaloni, “ciao Savino, ciao ragazzi, ancora complimenti!”
 
Hanno appena fatto qualche passo e stanno per arrivare all’ingresso del locale, quando la porta dei bagni si spalanca e per poco Gaetano, che guida la fila, non si becca una portata in faccia.
 
“E shhhtai attento!” esclama una voce familiare, mentre si ritrova ad aggrapparsi al muro per evitare di cadere, visto che un peso gli è precipitato tra le braccia.
 
“Barbara?” domanda Gaetano, sorpreso, abbassando lo sguardo e riconoscendo la chioma e l’abbigliamento – se così si può chiamarlo – della ragazza.
 
“Ancora tu! Mi devi lassshare in pace! Mi dovete lassshare in pace, hai capito?! Ssshei uno ssshtronzo! Ssshiete tutti sssshtronzi!” grida, cercando di spingerlo via e barcollando all’indietro, finendo addosso a Renzo che la afferra appena in tempo per un braccio prima che caschi a terra.
 
Barbara alza gli occhi, lo guarda ed esplode in una risata decisamente ubriaca, prima di gettargli le braccia al collo ed abbracciarlo, proclamando, “tu invece ssshei gentile!”
 
“Ci mancava pure stavolta l’ubriaca persa!” commenta Livietta, alzando gli occhi al cielo, mentre Lucrezia osserva Barbara e sembra parecchio in imbarazzo, probabilmente ripensando a quando era lei ad essere conciata in quel modo.
 
“Ma quanto hai bevuto?” chiede Renzo, imbarazzatissimo, cercando di reggerla in piedi, mentre incontra lo sguardo di Camilla, un sopracciglio alzato quasi fino all’attaccatura dei capelli, “dov’è… coso… il tuo fidanzato?”
 
“Quello ssshtronzo non è il mio fidanzato! Mi ha mollata! E io gli… gli ho detto di anda- andare al diavolo!” proclama, agitandosi ancora di più.
 
“Ehi, ehi, stai calma!” protesta Renzo, non sapendo più cosa fare, guardando Camilla e Gaetano in cerca di aiuto.
 
“Barbara, ascoltami, come sei venuta qui? In auto o in taxi?” chiede Gaetano, prendendo in mano le redini della situazione e cercando di avvicinarsi a lei per togliere Renzo di impaccio.
 
“Non ti… non ti avvi-cinare!” grida Barbara, guardandolo con uno sguardo così carico di risentimento che Gaetano si blocca sui suoi passi.

“Ascoltami, sei venuta in auto o in taxi?” ripete Renzo, cercando di farla ragionare.
 
“In… in taxxxsi… devo prendere un taxxxsi…” biascica, quasi tra sé e sé.
 
“Non possiamo farle prendere un taxi in queste condizioni…” proclama Camilla con un sospiro, pronunciando ad alta voce quello che tutti avevano pensato.
 
Camilla, Renzo e Gaetano si guardano per un attimo, come indecisi sul da farsi.
 
“La accompagno io la signorina,” propone infine Renzo, lanciando un’occhiata a Livietta, “insomma, mi sembra evidente che con il nostro poliziotto qui non voglia avere niente a che fare e lasciare Camilla da sola in macchina con lei… mi sembra fuori discussione. Se mi dai l’indirizzo… immagino che tu sappia dove abita, no?”
 
“Sì, aspetta un attimo che controllo il nome della via,” conferma Gaetano, estraendo il cellulare e cercando su google maps e google earth e mostrando i risultati a Renzo, che sta ancora sorreggendo Barbara.
 
“A te non dispiace Livietta? Passiamo prima ad accompagnare la signorina e poi-“
 
“No, papà, non se ne parla: io con la sciroccata ubriaca, che magari vomita pure, in auto non ci salgo!” ribatte Livietta, a braccia conserte, fulminandolo con un’occhiataccia.
 
“Mi dispiace ma… che cosa posso fare? Non è colpa mia,” risponde Renzo, chiaramente deluso e ferito da questa nuova chiusura della figlia.
 
“Tuo padre ha ragione, Livietta…” le fa notare Camilla, lanciandole a sua volta un’occhiata eloquente, “e credo che pure lui stanco com’è preferirebbe andare a casa con te che dover fare da autista alla signorina, ubriaca persa.”
 
“Sì, sì, lo so...” ammette Livietta con un sospiro, avendo perfettamente colto la frecciata della madre, riferita a tutto quello che era successo negli ultimi giorni, e dovendo riconoscere che suo padre sembra veramente esausto, “però, papà… non ti dispiace se io torno con le mie amiche e mamma e Gaetano? Noi ci vediamo domani, se ti va.”
 
“Va bene, Livietta, lo capisco. E certo che mi va!” risponde Renzo con un sorriso, guardando Camilla con gratitudine.
 
“Vuoi che ti accompagni io?” si offre Camilla, sorprendendolo nuovamente, in positivo, “sei davvero stanco e non mi piace che guidi da solo. Gaetano non-”
 
“No, figurati, per me va bene, tanto ho Livietta in macchina e non corro il rischio di addormentarmi,” la rassicura Gaetano con un sorriso, guadagnandosi una mezza gomitata dalla ragazza.
 
“Camilla, ti ringrazio ma non è necessario, davvero. Il tragitto da casa della signorina al mio residence è breve. E se proprio mi sentissi troppo stanco per guidare, chiamo un taxi, non ti preoccupare.”
 
“D’accordo… mi raccomando, non fare stupidaggini,” gli intima Camilla, preoccupata, prima che con un’ultima occhiata, si avviino verso le rispettive auto.
 
***************************************************************************************
 
“Maledizione… dove sono le chiavi?”
 
Sarà un minuto che fruga nella borsa di lei, piccola ma con cinquemila scomparti e farlo con come minimo una cinquantina di chili appoggiati addosso praticamente a peso morto non è per niente facile. Spera che non gli ritorni il colpo della strega.
 
Quando alla fine afferra il metallo, gli sembra quasi un miraggio, prima di rendersi conto di quanto sia difficile centrare la toppa in queste condizioni. Infine, dopo una lunga lotta, riesce ad avere la meglio sulla malefica serratura e ad entrare, richiudendo la porta dietro di loro.
 
“Dov’è… dov’è la camera da letto?” le domanda, sentendosi sempre più in imbarazzo e allo stesso tempo ansioso di togliersi da quella situazione.
 
“Ecco, lo – lo ssshapevo! Tutti uguali voi uo-uomini! Volete sssholo portar- portarmi a letto!” grida Barbara, cercando di divincolarsi, mentre Renzo sente il viso diventare infuocato.
 
“No, no, stai tranquilla, voglio solo… voglio solo metterti a letto, da sola, non voglio… andare a letto con te!”
 
“Per-ché? Non ti piassho?” gli domanda, guardandolo con gli occhioni spalancati in un’espressione che potrebbe quasi sembrare delusa, se non fosse persa tra i fumi dell’alcol.
 
“Non vado a letto con donne ubriache,” risponde Renzo, non potendo credere di stare avendo questa conversazione, “dimmi, dov’è la tua stanza?”
 
“Ah, ggiusto! Tu non ssshei ssshtronzo, no, tu ssshei gentile!” ride sguaiatamente, prima di allungare un braccio verso una porta e fare segno, “di là.”
 
A fatica Renzo la trascina verso la stanza indicata, tirando un sospiro di sollievo quando vede il letto matrimoniale. Con cautela si siede insieme a lei, cercando di aiutarla a stendersi e riuscendo infine in qualche modo a piazzarla in mezzo al letto, con la testa sul cuscino.
 
“Ok, allora io andrei, cerca di non bere più così, che è pericoloso,” si raccomanda, tentando di alzarsi dal letto ma ritrovandosi bloccato da due braccia che si stringono a morsa intorno al suo collo.
 
“Non andare via… non lassharmi da sola anche tu, ti prego,” lo implora, guardandolo di nuovo con quell’espressione delusa e stranamente vulnerabile.
 
“D’accordo, ascoltami, non vado via ma… ma mi metto su quella poltrona lì, ok?” le parole gli escono di bocca prima di potersene pentire, “se hai bisogno basta che mi chiami, va bene?”
 
“Lo ssshapevo che… che ssshei gentile,” gli sorride, posandogli un bacio sulla guancia prima di mollare la presa e lasciarlo andare.
 
Renzo, domandandosi se questo non sia una specie di Karma per le rare volte in cui si è fatto soccorrere ubriaco da Camilla o da Carmen, ne approfitta per svincolarsi subito e piazzarsi sulla poltrona, sperando che Barbara prenda presto sonno, così da potersene tornare a casa, al suo letto, che gli sembra quasi un miraggio in questo momento.
 
***************************************************************************************
 
“Buonanotte, mamma, buonanotte, Gaetano, e grazie…”
 
Con un sorriso grato, Livietta si avvicina a sua madre, salutandola con un bacio sulla guancia che la sorprende, visto che non ci è più abituata, per poi lasciarla a dir poco di stucco quando si avvicina anche a Gaetano e fa esattamente lo stesso, come se fosse la cosa più naturale del mondo, prima di voltarsi ed entrare in bagno, richiudendo la porta dietro di sé.
 
Camilla lancia un’occhiata a Gaetano, che si tocca la guancia, visibilmente scosso, sbalordito e sconcertato quanto lei.
 
“Non ti ci abituare, non lo fa quasi mai,” lo avvisa, vincendo il nodo in gola e quella strana sensazione di commozione mista ad incredulità che l’ha presa allo stomaco.
 
“No… è solo che… mi chiedo a cosa devo l’onore…” ammette lui, la voce che esce a fatica quasi quanto quella di lei.
 
“Forse anche Livietta si è accorta di quanto tu sia stato… meraviglioso e diciamo pure santo, in questi due giorni,” ipotizza Camilla con un sorriso, allacciandogli le braccia intorno al collo per abbracciarlo.
 
Anche Livietta?” ripete con un sorriso, ritrovandosi, per tutta risposta, con le spalle al muro, le labbra incollate a quelle di lei, in un bacio famelico e dolce al tempo stesso.
 
“Camilla… Camilla,” prova a bloccarla, riavendosi per un attimo quando sente le labbra di lei sul collo, scendere sempre più giù, ogni curva del corpo di lei che aderisce perfettamente al suo, facendolo diventare matto, “Camilla, se continui così… a casa mia non ci arrivo stanotte.”
 
“Bene, perché è proprio quello che voglio,” gli sussurra, prima di mordergli il lobo dell’orecchio e proseguire il suo assalto.
 
“E le nostre regole?” le domanda, ricordando benissimo come avessero stabilito che, onde evitare confusioni – e tentazioni – fosse meglio evitare di passare la notte insieme quando non erano da soli, altrimenti si sarebbero praticamente trovati a convivere, di fatto, e avevano deciso di aspettare un po’ di tempo, anche per far sì che si calmassero le acque con Renzo e con Eva.
 
“Ogni regola ha le sue eccezioni: Tommy non c’è… Livietta non credo si scandalizzerà vedendoti qui domattina… e ogni tanto potrò pur invitare il mio meraviglioso compagno a trascorrere la notte da me, o no?” risponde, allentando un attimo la presa per guardarlo negli occhi, aggiungendo, seria, “sempre se lui ne ha voglia, è ovvio. Se non ti va o sei troppo stanco, io-“
 
Le parole vengono soffocate dalle labbra di lui, che la accarezzano morbidamente, languidamente. Senza sapere come, Camilla si ritrova sollevata in aria, tra le sue braccia, le gambe allacciate intorno alla sua vita, mentre la guida verso la camera da letto, staccandosi solo un secondo per respirare e sussurrarle, sulle labbra, dischiuse in un sorriso, “tu che ne dici, professoressa?”
 
***************************************************************************************
 
“Ehi… sveglia… sveglia, dormiglione.”
 
“Ca… Camilla…” bofonchia, sbattendo le palpebre, fino a intravedere due occhi scuri che lo fissano nella semioscurità e fare un balzo quando si rende conto che non sono affatto gli occhi di Camilla.
 
“No, non sono la tua ex moglie, mi dispiace. Deluso?” gli domanda con un sorriso ed un tono sornione.
 
“No… cioè, ma che… che è successo?” chiede, andando per un attimo in panico e tentando di alzarsi, notando all’istante due cose: che la cervicale lo sta uccidendo e che, soprattutto, si deve essere addormentato quasi subito, esausto com’era, su quella maledetta poltroncina.
 
E ora si è risvegliato con la Venere del Botticelli – e la sua scollatura – praticamente a pochi centimetri dal suo viso, appollaiata su uno dei braccioli della poltrona, le gambe chilometriche elegantemente accavallate in una posa da vamp.
 
“È successo che sei rimasto addormentato… non posso crederci che hai passato quasi tutta la notte su questa poltrona per vegliarmi: nessuno aveva mai fatto una cosa simile per me,” sussurra con un sorriso ed un’espressione intenerita, e Renzo di nuovo fa praticamente un salto quando sente qualcosa toccargli il viso, realizzando in un attimo di incredulità che sono le dita di lei che gli accarezzano lentamente la guancia destra, “non sei solo gentile ma sei davvero dolcissimo.”
 
“Io… io… come quasi tutta la notte? Che ore sono?” chiede, ritraendosi da quel contatto dopo un attimo di silenzio imbarazzato e guardandosi intorno nella stanza alla ricerca di un orologio.
 
“Sono le cinque del mattino, ma-“
 
“Allora mi sa che è meglio che vada, tu adesso stai bene, no?” le domanda, cercando di alzarsi in piedi.
 
“Ah, ah, non così in fretta…” lo blocca, spingendolo con le mani sul petto, bloccandolo allo schienale, per poi accoccolarsi sulle sue gambe, con una mossa rapida e felina, “sei rimasto qui fino adesso… non vorrai mica andartene proprio sul più bello? E poi anche se sto meglio, sento di avere ancora molto bisogno di cure…”
 
Renzo sente il colletto della camicia e i pantaloni farsi decisamente troppo stretti, il viso in fiamme, mentre il suo corpo reagisce inequivocabilmente e violentemente a quel contatto, soprattutto dopo ben più di due mesi di astinenza forzata. Il cuore a mille, la lingua di cartavetra, mentre in un angolo della sua mente si chiede se stia ancora sognando e se non si risveglierà a breve, solo, nel letto del suo residence. E non sa se sia più una speranza o un timore.
 
La vede avvicinarsi sempre di più e, con un notevole sforzo di autocontrollo, la afferra per le braccia, trattenendola a distanza di sicurezza – si fa per dire, visto che è ancora a cavalcioni su di lui.
 
“Che c’è? Ti piace giocare?” gli domanda con un sorrisetto che è quasi un ghigno, tentando di divincolarsi.
 
“No, no, ma… non… insomma, sei ubriaca, non è giusto…” balbetta, cercando disperatamente le parole, visto che il suo cervello non sta proprio ricevendo tutto il sangue e l’ossigeno necessari per funzionare adeguatamente.
 
“Sono lucidissima…” sussurra, baciandogli le nocche della mano destra, portandolo a ritrarla istintivamente e quindi a liberare la mano sinistra di lei, “se fossi ancora ubriaca secondo te sarei potuta rimanere seduta in quel modo sul bracciolo della poltrona?”
 
“No…” mormora lui di rimando, pensando che in effetti lei non ha tutti i torti, “ma… magari avrai mal di testa, insomma… non ti sentirai bene, dopo una sbronza del genere…”
 
“Niente mal di testa e… so esattamente di cosa ho bisogno per sentirmi meglio,” mormora languidamente, provando di nuovo ad avvicinarsi a lui. Renzo scosta il viso all’ultimo secondo, facendo in modo che il bacio che lei stava per stampargli sulle labbra, gli si imprima invece, come un marchio infuocato, sulla guancia.
 
“Per favore, no, non posso,” la implora, afferrandole nuovamente i gomiti e spingendola indietro.
 
“Perché? Mi è sembrato di capire che non sei impegnato e… non dirmi che non ti piaccio… l’ho visto come mi guardi sai? Come mi guardavi, anche la sera del sushi,” lo punzecchia, facendogli l’occhiolino, per poi aggiungere, con voce roca e provocante, “e poi… lo sento che ti piaccio.”
 
“No, cioè, sì, tu sei… sei una bellissima ragazza, però… non… non ci sono abituato, cioè, certo che ci sono abituato ma non così, io… io non sono così,” cerca di spiegare, non sapendo se si sente più in imbarazzo o più idiota.
 
“No, certo, scommetto che tu sei il tipo da cene romantiche, passeggiate mano nella mano e un lento corteggiamento… ma nemmeno io vado a letto con il primo che capita e-“
 
“No, no, non intendevo – non intendevo insinuare, che…! Cioè, scusami, io-“ balbetta, desiderando solo sotterrarsi e venendo rassicurato da una risata argentina che gli fa tirare un sospiro di sollievo.
 
“Non ti preoccupare: io non mi faccio tanti problemi. È vero, non cerco l’amore per la vita e… se uno mi piace non mi faccio problemi ad andarci a letto. E tu mi piaci davvero moltissimo e-“
 
“Sì, ti piaccio talmente tanto che mi hai mollato in cinque secondi a metà serata per tornare tra le braccia del tuo fidanzato,” sottolinea Renzo, cercando di raccogliere gli ultimi barlumi di lucidità.
 
“Quello stronzo non è più il mio ragazzo… e sono stufa degli stronzi. Non è che chiedo tanto, solo di non essere presa in giro…. O è pretendere troppo?” domanda, quasi tra sé e sé più che a lui, con quell’espressione nuovamente così vulnerabile, ben diversa dai modi da panterona sfoggiati finora.
 
“No, anzi, è pretendere troppo poco. Forse dovresti pretendere di più!” ribatte Renzo con un sorriso gentile, guardandola negli occhi.
 
“Chi ti dice che non è proprio quello che sto facendo?” gli sussurra, ricambiando il sorriso e lo sguardo, senza battere ciglio, “e forse dovresti pretendere di più anche tu, lo sai?”
 
“Come?” chiede lui, confuso, non capendoci più niente.
 
“Vuoi davvero passare il resto della tua vita a sognare, rimpiangere e a reggere il moccolo alla tua ex moglie mentre lei se la spassa con un altro? Che tra parentesi tua moglie è una pazza completa, ad aver mollato uno come te per un cretino come Gaetano,” proclama decisa, sembrando così… sincera, prima di sorridergli di nuovo e ricominciare lentamente ad avvicinarsi a lui.
 
E questa volta Renzo non riesce, forse non vuole più resistere, le braccia molli come gelatina, il cuore in gola, e poi un tocco umido sulle labbra che è paradiso ed inferno insieme.
 
Non c’è bene o male, giusto o sbagliato, niente pensieri, solo istinto: la stringe a sé e la sente ridere sulle sue labbra mentre sfiora finalmente quella pelle morbida, un brivido che lo trapassa da parte a parte quando le dita sottili di lei si insinuano oltre la cintura sfilandogli lentamente la camicia.
 
Intrappolato in quella scomoda poltrona, si sente finalmente vivo per la prima volta dopo tanti, troppi mesi.
 
 

 
Nota dell’autrice: Ed è “esplosa” la prima parte della bomba, che però è una miccetta rispetto alla vera esplosione che speravo già di poter includere in questo capitolo e che ci sarà invece nel prossimo, causa lunghezza imprevista di alcune scene in fase di stesura (purtroppo ogni tanto i personaggi fanno un po’ di testa loro ;)). La buona notizia è che ho già scritto un pezzo del prossimo capitolo, anche se non quello iniziale ma la parte intermedia, a cui speravo di riuscire ad arrivare a collegarmi, ma… sarebbe venuta una cosa infinita. Perciò il prossimo aggiornamento, trasloco permettendo, dovrebbe arrivare in tempi più brevi ;).
Sono curiosissima di sapere cosa ne pensate degli sviluppi di questo capitolo, diciamo che padre e figlia si stanno andando a cacciare in due situazioni decisamente, decisamente, decisamente complicate, come dice il titolo, stanno giocando con il fuoco e rischiano di provocare un incendio che non coinvolgerà solo loro. Gli sviluppi di questo e del prossimo capitolo soprattutto sono molto, molto delicati e quindi spero di riuscire a gestirli come si deve e che il tutto possa risultare realistico ed in personaggio e le vostre opinioni e le vostre critiche mi sono davvero utilissime per capire se ci sto azzeccando o meno ;).
Vi ringrazio ancora per la vostra pazienza e per avermi letta e seguita fin qui e, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo!
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** Playing with Fire - seconda parte ***


Capitolo 48: “Playing with fire – seconda parte”


 
Nota dell’autrice: mi scuso per il ritardo ma il capitolo è venuto mooolto più lungo del previsto. Lo so che i miei capitoli sono sempre lunghi, ma in confronto a questo sono brevi xD. È un po’ come una maratona: parte più lento ma verso metà c’è una bella accelerata per arrivare, al galoppo, all’esplosione finale ;). Non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento alle note di fine capitolo.


 
“Mmm… Potti… shh… sta buono!”
 
Nasconde la testa nel cuscino per cercare di attutire il rumore martellante dell’abbaiare del cane prima che lo svegli del tutto. Sente Camilla muoversi e stiracchiarsi tra le sue braccia, i capelli che gli solleticano il collo e il petto anche se… c’è qualcosa di strano.
 
“Chi è Potti?”
 
Apre gli occhi di scatto e cerca di mettersi a sedere, ma il peso sul petto e sullo stomaco glielo impedisce. Abbassa lo sguardo e incontra due occhi scuri da cerbiatta e un mare di capelli nerissimi.
 
La Venere del Botticelli.
 
Barbara.
 
Che cosa ho fatto? – è il primo pensiero, che gli trapana la mente come un martello pneumatico, peggio dei latrati che sembrano perforare le pareti, ma che evidentemente non appartengono affatto a…
 
“Po-Potti è il mio cane… anzi, no, in realtà è il cane di mia moglie,” balbetta, rispondendo alla domanda mentre il suo cervello cerca disperatamente di connettere, di capire cos’è successo.
 
Certo che lo so cos’è successo – si ammonisce tra sé e sé, come se la pelle nuda e vellutata a contatto con la sua, i vestiti buttati ovunque e, soprattutto, i ricordi della sera prima, che mano a mano ritornano vivi e nitidi davanti ai suoi occhi, non fossero prova più che sufficiente di quello che aveva fatto, che avevano fatto.
 
Quello che si chiede è perché l’ha fatto, perché sia successo, perché a quasi sessant’anni abbia fatto quello che non aveva mai fatto prima, nemmeno da ragazzino.
 
“Non ci riesci proprio a non nominarla e a non pensare a lei, eh?” gli domanda con una certa… rassegnazione nel tono di voce, ma senza rabbia o irritazione, anzi, con dolcezza, e a Renzo, anche se non sa bene perché, torna in mente il suo primo e unico disastroso appuntamento con Pamela. Solo che Barbara, a differenza di Pamela, ritorna subito a sorridere e aggiunge, indicando il muro, “comunque è solo il cane del vicino… è un cucciolo e… non sono ancora riusciti a fargli capire che non è un orologio sveglia e nemmeno un gallo e ci sveglia tutte le mattine più o meno a quest’ora.”
 
“Beh… almeno se uno avesse la sveglia rotta… è una garanzia… certo, magari nel weekend non è il massimo,” abbozza Renzo, in imbarazzo, prima di aggiungere, dopo aver preso un bel respiro per farsi forza, “scusami è che… è che… non è da molto che sono tornato… single e… non sono abituato a svegliarmi accanto a qualcuna che non sia-“
 
“Tua moglie,” completa la frase con un sospiro, per poi aggiungere, guardandolo negli occhi, stranamente seria, “questa è la prima volta che succede da quando vi siete lasciati, vero?”
 
“Sì… cioè, no, in realtà una volta mi sono preso una bella sbronza, proprio come te ieri sera e… e una mia… un’amica mi ha assistito mentre stavo male ma… è la prima volta che-“
 
“Che vai a letto con qualcuna che non sia tua moglie – e non solo per dormire,” deduce, pronunciando le parole come se stesse dicendo un’ovvietà.
 
“Si – si nota così tanto?” balbetta Renzo, sentendosi confuso e disorientato e, soprattutto, terribilmente in imbarazzo.
 
“Un po’… sei così imbarazzato e anche stanotte… all’inizio eri così timido ed esitante: sembrava quasi che fosse la tua prima volta in assoluto,” ammette con un sorriso, sollevando la mano per tracciargli la mandibola con le dita, facendolo trasalire.
 
“Scusami, mi – mi dispiace, io-“ tartaglia, arrossendo per la vergogna, non potendo evitare di sentire la sua autostima, il suo orgoglio già a dir poco barcollanti, dopo tutte le botte subite negli ultimi mesi, finire sotto la suola delle scarpe di fronte alla spietata consapevolezza di essere indubbiamente uscito per l’ennesima volta sconfitto dall’inevitabile paragone con il poliziotto-super-più e la sua Ars Amatoria. Non serve che la Venere lo dica espressamente, è così palese che-
 
“Guarda che non hai proprio niente di cui scusarti, anzi! Nessuno mi aveva mai trattata con così tanta dolcezza, e non solo a letto,” lo interrompe, distogliendolo dai suoi pensieri e sorprendendolo con un bacio delicato, quasi una carezza a fior di labbra, così diverso dai modi da fatalona sfoggiati la notte precedente, per poi aggiungere, con un sorrisetto ed uno sguardo invece decisamente maliziosi, “e poi… tu sei come un diesel, ci metti un po’ a carburare, ma quando ti accendi… diventi così passionale e focoso! Non pensavo fossi così e sono stata benissimo stanotte.”
 
“Su- sul serio?” farfuglia, incredulo, ma il sorriso e lo sguardo di lei sembrano così sinceri e lo fanno sentire così bene… come se i cocci, i frammenti del suo orgoglio ferito e sanguinante si ricomponessero, almeno per un istante.
 
Perché a quel senso momentaneo di benessere, subentra presto un’altra fitta pulsante, carica di sensi di colpa.
 
“Sì, certo. L’avrai visto e sentito anche tu quante volte sono stata bene, no?” gli sussurra con un altro sorriso malizioso ed un occhiolino, facendolo diventare bordeaux.
 
“No, cioè… sì… non lo so, io… la verità è che… è la prima volta in assoluto che mi capita di-“
 
“Di andare a letto con una che conosci appena?” gli chiede in quella che, di nuovo, sembra un’affermazione più che una domanda.
 
“Sì… e immagino che… che anche questo si noti molto, vero?” deduce, nello stesso identico tono.
 
“Sì,” conferma lei, semplicemente, per poi guardarlo negli occhi e domandargli a bruciapelo, un’espressione consapevolmente rassegnata sul viso, “pentito?”
 
“Io… non lo so, è che-“
 
“Non raccontarmi palle, per favore. Non ne posso più di uomini che mi riempiono di palle. È meglio se sei brutale ma sincero,” lo interrompe subito, prima che possa rispondere.
 
“Vuoi la verità?” le chiede con un sospiro, per poi aggiungere, quando lei annuisce, convinta, “la verità è che… sono confuso. Sono stato bene con te stanotte ma… la verità è che mi sento in colpa.”
 
“Ti senti in colpa per essere venuto a letto con me o perché ti è piaciuto?” gli chiede con un sopracciglio alzato.
 
“Forse… forse per entrambe le cose,” ammette, sentendosi il peggiore degli uomini, sia per quello che ha fatto, sia per quello che sta dicendo.
 
“E perché? Ci si dovrebbe sentire in colpa solo se si fa qualcosa di male. E tu non hai fatto proprio niente di male: non sei più impegnato, non hai tradito nessuno e non hai fatto del male a nessuno e-“
 
“Forse ne ho fatto a te, ne sto facendo a te e-“
 
“A me?” gli domanda con un mezzo sorriso ed un’espressione incredula, “sei davvero tenero, lo sai?”
 
“Tenero?” le chiede, altrettanto incredulo.
 
“Sì, tenero. Non mi hai mica sedotta e abbandonata, anzi, sono io che… che ci ho provato con te e pure di brutto e… la verità è che lo sapevo, l’ho sempre saputo che forse sarebbe stato solo per stanotte, che stamattina avresti reagito così ma… comunque andrà a finire, non mi pento di niente, ne è valsa la pena,” risponde, con un altro sorriso incredibilmente dolce, che di nuovo porta Renzo a chiedersi dove sia finita la panterona della sera prima, per poi sospirare e trafiggerlo con un’occhiata vulnerabile e decisa insieme, “l’unico modo in cui potresti farmi del male è… se non sei sincero con me adesso su… su che cosa succede ora.”
 
“Cosa succede ora? Intendi… tra me e te?” domanda, prima di darsi dell’idiota da solo e aggiungere, imbarazzato, “scusa, domanda stupida. È che… non lo so… non… per l’appunto non mi è mai capitato e… cosa succede di solito in questi casi?”
 
“Non lo so… non c’è una regola fissa, anzi, direi proprio che non ci sono regole,” risponde, continuando a guardarlo negli occhi, per poi chiarire, dopo un attimo di esitazione, “potremmo… potremmo dirci che è stato bello ma finisce qui e chi si è visto si è visto, oppure potremmo… potremmo continuare a vederci così, senza impegno, quando… quando ne abbiamo voglia, o potremmo perfino decidere di recuperare tutte le cenette a lume di candela e le passeggiate romantiche mano nella mano che abbiamo saltato e… iniziare una… una storia vera. Devi dirmelo tu: tu cosa vuoi? Cosa vuoi davvero?” gli chiede, continuando a guardarlo negli occhi.
 
“Io?” domanda di rimando, completamente spiazzato da lei, dalla situazione, da questa conversazione, è tutto così diverso da quello a cui è abituato, lei è così diversa dalle altre donne con cui ha avuto una storia, forse perché, in effetti, non c’è stata nessuna storia.
 
“Sì, tu. Vedi altri qui?” conferma con un sorriso divertito.
 
“No… è che… è che non sono più abituato a-“
 
“Ad andare a letto con qualcuna che non sia tua moglie, l’ho capito,” sbuffa, scuotendo il capo con un mezzo sorriso esasperato.
 
“No, cioè, anche, ma veramente, intendevo dire che… non sono più abituato che qualcuno mi chieda… cosa voglio fare io. Ultimamente sono sempre stati gli altri a decidere per me…” ammette Renzo, quasi più tra sé e sé che con lei.
 
“Come tua moglie quando… ti ha lasciato per Gaetano?” intuisce Barbara, colpendo nel segno.
 
“Anche…” mormora Renzo, la gratitudine e la sorpresa che si mischiano all’imbarazzo e al disagio per la situazione e la piega che ha preso la conversazione.
 
“Lei può avere deciso che… che il vostro matrimonio era finito. Ma dall’altro lato ti ha lasciato libero di scegliere che cosa vuoi fare, non ci hai pensato? È uno dei vantaggi di essere single: puoi decidere tu cosa vuoi fare della tua vita, sei indipendente, quindi te lo chiedo di nuovo: che cosa vuoi fare? A me basta che sei sincero, non mi offendo.”
 
“Io sinceramente… non ne ho idea… e poi… non dipende solo da me… insomma, per fare certe cose bisogna essere in due e… tu cosa vorresti fare?” rimpalla, ricambiando l’occhiata penetrante di lei.
 
“Eh no, mi dispiace ma io ho già fatto molto più che il primo passo e non deciderò anche io per te… forse l’ho già fatto ieri sera e… sono stufa di fregature, quindi… non voglio di sicuro costringerti ad avere una storia con me. Adesso tocca a te decidere,” chiarisce, continuando a fissarlo in quel modo serio, deciso, così distante dalla seduttrice un po’ svampita della sera prima.
 
“Non vuoi costringermi ad avere una storia con te? Quindi tu… tu la vorresti una storia con me?” evince, sempre più stupito e confuso da tutto quello che è successo nelle ultime dodici ore, da lei, da se stesso.
 
“Diciamo che… sono stata benissimo con te e… mi piacerebbe rivederti e… e provare a… a frequentarci. Non ho mai conosciuto nessuno come te, sei molto diverso dagli uomini che… che frequento di solito, in meglio,” proclama con un sorriso ed uno sguardo che lo fanno sentire desiderato, voluto, affascinante, attraente e… gli sembra di essere ringiovanito di non sa quanti anni.
 
Ma, di nuovo, allo stesso tempo, avverte una fitta di quel senso di colpa sottile e strisciante che non lo lascia andare e che ha, stranamente, il volto e la voce di sua figlia.
 
“Anche io sono stato bene con te e anche… anche tu sei molto diversa dalle donne che frequento di solito… anche se poi non è che ne abbia frequentate così tante in questi ultimi anni…” farfuglia, cercando disperatamente le parole per spiegarsi senza ferirla, perché non se lo merita affatto.
 
“Già… perché eri devoto e fedele a tua moglie, giusto?” gli domanda con tono ed un mezzo sorriso rassegnati e che sembrano anche inaspettatamente inteneriti.
 
“Sì, cioè… non sono sempre stato un santo… insomma… è complicato, però… io sono uno che nella vita ha avuto poche relazioni, sempre abbastanza lunghe e stabili e… tu sei bellissima e mi piaci molto ma… non mi aspettavo che succedesse… quello che è successo e… visto che vuoi la verità… la verità è che non so se sono… se sono pronto a provare ad avere un’altra storia. Come avrai capito… la… la botta è ancora calda e-“
 
“Sì, ho capito, tranquillo, non-“
 
“No, no, cioè, non voglio che tu pensi che sia stata una… una – dio mio come odio questo termine! – una botta e via, perché… con te stanotte sono stato bene e… mi hai fatto sentire vivo per la prima volta da tanto, da troppo tempo, però sono in un periodo difficile della mia vita e… ho un rapporto con mia figlia da ricostruire e una separazione a dir poco incasinata e… non so cosa fare, sono confuso e non voglio prenderti in giro e-“
 
“Ehi, shhh, tranquillo, ti ho detto che ho capito,” lo rassicura, dopo averlo zittito posandogli un dito sulle labbra, “come ti ho già detto sono… sono stata io a provarci con te e… lo sapevo che poteva finire così. Mi è già capitato e forse mi capiterà ancora e preferisco la tua sincerità ad uno di quegli squallidi – ti richiamerò – che si dicono giusto per scappare via senza troppo imbarazzo. E anche questo te l’ho già detto e te lo ripeto: non mi pento di niente e… ti ringrazio per questa notte, anche se… anche se probabilmente non ti rivedrò più.”
 
Renzo cerca di rispondere ma ogni suono gli muore in gola quando le labbra di lei sulle sue lo sorprendono quasi quanto la sera prima, una scossa elettrica che lo attraversa da parte a parte, il suo corpo che, di nuovo, lo tradisce, non può evitare di stringerla a sé e di ricambiare quel bacio dolce e appassionato che ha il sapore di un bacio di addio.
 
“Facciamo così…” gli sussurra sulle labbra, col fiatone, quando infine si staccano, “io adesso vado a farmi una doccia. Se vuoi raggiungermi sei il benvenuto, altrimenti… dove li ho messi? Ah, eccoli.”
 
Renzo, ancora scosso e scombussolato, la osserva frugare nella borsetta raccolta dal pavimento dove era stata buttata la sera prima e afferra in maniera quasi automatica il cartoncino che lei gli porge.
 
Barbara Olivieri – organizzatrice di eventi
 
“Questo è il mio numero… se… ti va di rivedermi e di… insomma… di vedere come potrebbe andare tra di noi, giorno dopo giorno, senza… senza promesse, che tanto non servono a niente, e sono solo una fregatura,” chiarisce con un mezzo sorriso amaro, quasi cinico, “se… se non ti sento entro un paio di giorni… insomma, saprò comunque qual è la tua risposta, quindi non devi chiamarmi per forza, non ti preoccupare.”
 
Lo travolge con un altro bacio, ancora più dolce del precedente ma molto più breve: si stacca quasi bruscamente da lui e, con un ultimo sorriso, si alza in piedi, scostando le lenzuola dal suo corpo nudo e scultoreo e si avvia verso il bagno, così, senza imbarazzi, senza pudore, con naturalezza, come se fosse la cosa più normale del mondo.
 
Renzo rimane come paralizzato ad osservarla, il cuore a mille, mentre il suo corpo, ancora in subbuglio dopo quei baci, reagisce in maniera prepotente e lancinante di fronte a quel panorama, gridandogli, insieme al suo istinto e a parte del suo cervello di seguirla, di raggiungerla, di non lasciarsela sfuggire, di perdersi di nuovo in lei fino a non sentire altro che quel benessere, quella leggerezza, quell’oblio così seducente ed inebriante, dopo la pesantezza e il senso di soffocamento, di fallimento degli ultimi mesi, forse degli ultimi anni.
 
Ma un’altra parte della sua mente, gli dice di fermarsi a riflettere su che cosa sta facendo, che lui non è mai stato tipo da storie leggere, ha sempre messo il cuore prima dell’istinto e dell’attrazione, ha amato profondamente ogni donna con cui è stato e poi… e poi c’è Livietta e deve pensare solo a lei, non può permettersi distrazioni, per quanto piacevoli. E sa benissimo che iniziare una storia con Barbara ora non gli farebbe certo guadagnare punti con sua figlia, anzi.
 
Ma dall’altro lato si sente in colpa anche verso Barbara, dopo quello che c’è stato, dopo quello che gli ha detto, che gli ha dato, senza chiedere niente in cambio, dopo quello che gli ha fatto provare. Lui non è tipo da storie di una notte, da chi si è visto si è visto, altro giro altra corsa. E se si è lasciato sedurre da lei, non è solo per la sua bellezza ma… perché almeno per un istante si è sentito capito, voluto, apprezzato come uomo, in tutti i sensi. C’era stata passione ma anche tenerezza, dolcezza, affetto… non era stata una notte d’amore nel senso tradizionale del termine, nel modo in cui lui era abituato a concepirla, a definirla, ma c’era stato amore, in qualche forma, verso se stesso e verso di lei… verso quella fragilità che aveva rivisto e riconosciuto in lei, come se fosse davanti ad uno specchio.
 
Si sente scisso a metà, una parte che lotta contro l’altra, mentre non sa più che cosa sia giusto e sbagliato, cosa sia bene o male, ha solo una grandissima confusione in testa. Si alza mille volte e mille volte si rimette a sedere.
 
Alla fine fa l’unica cosa che sente di essere in grado di fare: in fretta, prima di cambiare idea, raccoglie e si infila i vestiti, pantaloni, camicia, scarpe, giacca, chiudendoli e sistemandoli alla bell’e meglio. Quasi in automatico afferra il cartoncino bianco sul lenzuolo, se lo ficca in tasca e sparisce oltre la porta, senza voltarsi indietro.
 
***************************************************************************************
 
“Mmm… Potti… shhh… sta buono! Così rovini la porta e sveglierai tutto il vicinato!”
 
Prende in braccio il batuffolo di pelo, che continua ad agitarsi e ad abbaiare di fronte alla porta chiusa della stanza di sua madre, forse perché deve uscire a fare i suoi bisogni, o forse perché è abituato ad avere campo libero per casa e a darle la sveglia la mattina.
 
Prova a girare la maniglia, ma la trova chiusa a chiave. Sta per bussare quando sente il rumore inconfondibile della chiave che gira nella toppa e vede la porta aprirsi.
 
“Mamma, perché hai chiuso a chia-“
 
La domanda le muore in gola quando vede uscire sua madre in camicia da notte e Gaetano con addosso i vestiti della sera prima, evidentemente infilati in fretta e furia.
 
“Gaetano… non pensavo fossi rimasto qui stanotte,” lo saluta con un sopracciglio alzato, per poi rivolgersi alla madre ed aggiungere con tono grato e ironico, “mamma, ti ringrazio dal profondo del cuore per aver chiuso la porta a chiave ed avermi evitato scene traumatizzanti, anche se Potti invece non ha apprezzato.”
 
“Spiritosa!” ribatte Camilla, cercando di mascherare l’imbarazzo, venendo distratta però ben presto dal cagnolino che continua ad abbaiare, il muso puntato verso Gaetano.
 
“Mi sa che nemmeno Potti si aspettava che ci fosse… un intruso,” ironizza lui, ancora imbarazzato, mentre Camilla si fa passare il cane dalla figlia e lo prende in braccio, cercando di tranquillizzarlo.
 
“Prima di tutto non voglio mai più sentire quella parola, nemmeno per scherzo: tu qui non sei e non sarai mai un intruso,” precisa Camilla, guardandolo negli occhi prima di sporgersi per posargli un bacio sulla guancia. Per tutta risposta, Potti inizia ad abbaiare ancora più furiosamente.
 
“Mi sa che qualcuno è geloso…” commenta Livietta con un sorriso, “era abituato ad essere lui il maschio più importante della casa e ora… viene spodestato dal trono e dal lettone per due notti di fila. Che probabilmente diventeranno tre, visto che stasera non ci sono: mi sa che devi metterti l’anima in pace, Potti.”
 
“Ma no… Potti si è solo agitato perché sorpreso di vedere Gaetano, vero Potti? Anzi, Potti vuole molto bene a Gaetano, giusto Potti?” gli domanda, continuando ad accarezzarlo, ma Potti seguita ad abbaiare senza un attimo di sosta, puntando sempre verso Gaetano.
 
“Mi sa che mi stai confondendo con Tommy e-“
 
Non appena Gaetano nomina suo figlio, Potti abbaia fortissimo un paio di volte, e poi comincia a guaire in un modo quasi disperato.
 
Camilla e Gaetano si guardano, deglutendo all’unisono il nodo in gola, intuendo che anche l’altro ha capito, senza bisogno di parole, come spesso accade durante le loro indagini.
 
Perché questa è la prima volta da quando è partito Tommy che dormono insieme con Livietta presente a casa e quindi la prima volta in cui chiudono la porta a chiave, come facevano praticamente sempre durante il loro periodo di convivenza a quattro, per evitare che Tommy o Livietta potessero sorprenderli in un momento imbarazzante. A Roma la porta era rimasta chiusa un paio di volte negli ultimi giorni di “vacanza”, dopo che si erano finalmente ritrovati, ma probabilmente Potti non associava Roma, l’appartamento di Andreina, con Tommy.
 
Torino e l’appartamento di Camilla, la stanza di Camilla invece sì.
 
“Tommy non c’è, ma torna presto. Manca tanto anche a me, sai?” proclama Gaetano, accarezzando la testa di Potti che dopo poco smette di guaire e lo guarda negli occhi, sembrando capire. E la cosa non lo sorprende affatto: Potti ha già dimostrato fin troppe volte di avere un’intelligenza decisamente fuori dal comune e a volte quasi umana – forse merito del rapporto simbiotico con Camilla.
 
“Vuoi prenderlo in braccio tu per un po’? Mentre preparo colazione…” propone Camilla e questa volta Gaetano si sorprende e molto, visto che è la prima volta in assoluto che succede: l’aveva tenuto un paio di volte al guinzaglio, di solito quando Livietta o Camilla avevano le mani impegnate o dovevano entrare in un negozio, durante una delle passeggiate mattutine o serali, ma niente di più di questo, “solo se ti va, ovvio…”
 
“Sì, certo che mi va… ma non so se va a lui,” risponde Gaetano con un sorriso ancora leggermente commosso.
 
“C’è solo un modo per scoprirlo… Potti, ti va di stare un po’ con Gaetano mentre preparo la pappa anche per te?” gli chiede con un sorriso e Potti alla parola pappa, sembra ringalluzzirsi e abbaia nuovamente, ma questa volta scodinzolando.
 
Piano piano, con delicatezza, lo passa tra le braccia di Gaetano, mostrandogli come tenerlo. Potti si agita per qualche attimo, protestando con un paio di latrati, ma poi inizia ad annusare la camicia di Gaetano e si tranquillizza tra le sue braccia, lasciandosi coccolare.
 
Si guardano ed, un'altra volta, sanno di stare pensando la stessa cosa: evidentemente Potti ha sentito il profumo di Camilla su quella camicia, mischiato indelebilmente a quello di Gaetano dopo la notte precedente.
 
“Bene, allora se fai un attimo il bravo con Gaetano, vado a preparare la pappa, ok?” ribadisce, accarezzandolo dietro alle orecchie, prima di dare un altro bacio sulla guancia a Gaetano e voltarsi per avviarsi a preparare la colazione.
 
“Non è che… non è che c’è un altro o un’altra mini impiastro in arrivo, vero?”
 
La domanda a bruciapelo di Livietta li coglie completamente di sorpresa e Gaetano, dallo shock, per poco non lascia cadere Potti. Recuperando appena in tempo la presa, lo stringe a sé ancora più saldamente, forse troppo, visto che Potti protesta sonoramente con un paio di latrati da cavare l’udito, prima di tornare a tranquillizzarsi.
 
“No, no, cioè… credo di… no, vero?” balbetta Gaetano dopo qualche istante di silenzio tombale, rivolgendosi a Camilla, che sembra scioccata quanto lui.
 
“Ma certo che no! E lo sai,” replica Camilla con un’occhiata eloquente, “prima di tutto perché prendo la pillola, e lo sai anche tu, Livietta, visto che di questi argomenti abbiamo parlato abbondantemente qualche tempo fa.”
 
“Non farmici pensare, ti prego,” replica la ragazza, ricordando ancora con imbarazzo tutto il discorso fattole dalla madre sui metodi anticoncezionali quando si era fidanzata con Ricky. Non sapeva cosa fosse stato peggio… se parlare di certe cose con sua madre, quando oltretutto, sinceramente, l’idea di andare a letto con Ricky non le era mai nemmeno passata per la testa e anzi, un po’ la spaventava, o il dover discutere, anche se indirettamente, dell’intimità tra i suoi genitori.
 
“E poi, scusami Gaetano, ma da investigatore quale sei… secondo te ieri sera mi sarei bevuta due cocktail, oltre al vino a cena, se avessi anche solo il minimo dubbio di poter essere incinta? A parte che alla mia età probabilmente è più facile vincere alla lotteria,” commenta con un mezzo sorriso autoironico ma che tradisce una certa malinconia.
 
E Gaetano deve ammettere che non sa se si sente più sollevato o più… deluso, lo sapeva ovviamente che non era possibile, e razionalmente è forse meglio così, ma per un attimo quell’immagine mentale di Camilla con un bimbo o una bimba in braccio, di lui con un bimbo o una bimba in braccio, coi capelli ricci e quei bellissimi occhioni scuri… era stata come un breve tuffo in un sogno ad occhi aperti. Un sogno che, lo sa benissimo, probabilmente non si realizzerà mai. Non può quindi evitare di ricambiare lo sguardo malinconico di lei, sapendo di nuovo che stanno pensando esattamente la stessa cosa.
 
“Si può sapere come ti è venuta in mente una cosa del genere, signorina?” chiede Camilla alla figlia, con tono ironico, spezzando l’atmosfera tesa e carica di emozione.
 
“Beh… ultimamente siete ancora più da diabete del solito e poi… e poi tutto il quadretto tra voi e Potti, vi mancavano giusto i pannolini e il biberon… mi è venuto il dubbio che magari stavate facendo le prove e-“
 
Il suono del campanello la interrompe prima che possa finire la frase. Si guardano stupiti per un attimo ed infine Camilla si schioda dalla posizione in cui era rimasta paralizzata dopo la domanda di Livietta e va ad aprire la porta d’ingresso.
 
“Renzo?” domanda stupita, sia per l’orario – sono le nove e mezza del mattino di sabato – sia per il sacchetto di carta che regge in mano.
 
“Cornetti? Ho visto che ormai sono una tradizione in questa casa e c’è un bar vicino al mio residence che li fa niente male,” annuncia, come se fosse la cosa più naturale del mondo, per poi aggiungere, quando Camilla rimane ancora bloccata sulla porta, “posso entrare?”
 
“Ah, sì, sì, certo,” conferma Camilla, facendosi da parte e lasciandolo passare.
 
Renzo entra con un sorriso che gli muore sulle labbra non appena vede il poliziotto-super-più con Potti in braccio. Sa benissimo che Camilla è molto gelosa e protettiva nei confronti del suo cane – sentimento pienamente ricambiato – e che difficilmente permette una cosa del genere a… a chi non è di famiglia.
 
E questo è un gesto che anche lui stesso non ha quasi mai fatto: non che non fosse molto affezionato a Potti ma… non era mai stato affettuoso in quel modo con lui, non l’aveva mai umanizzato come faceva Camilla.
 
“Renzo… buongiorno…”
 
“Se il buongiorno si vede dal mattino…” mormora Renzo, tra sé e sé, prima di rispondere ad alta voce, con tono fintamente gentile, “Gaetano, che sorpresa trovarti qui! E che eleganza di primo mattino… noto che questo completo ti piace proprio tanto, visto che è lo stesso di ieri. Però mi sa che hai fatto un po’ di macello con i bottoni…”
 
Gaetano abbassa lo sguardo e nota per la prima volta che, in effetti, nella fretta di rivestirsi per aprire la porta a Potti, aveva infilato il secondo bottone nella terza asola e la camicia, di conseguenza, pendeva sul lato destro.
 
Guarda poi negli occhi Renzo, che è invece perfetto ed impeccabile in un completo appena indossato e perfettamente stirato, fresco di rasatura e di doccia, a giudicare dal profumo di bagnoschiuma e shampoo che lo circonda, e si sente inevitabilmente a disagio. Continua a coccolare Potti, facendosi quasi inconsciamente scudo con il cane.
 
“Gaetano si è fermato qui a dormire, sì, non credo ci sia bisogno di fare tutto questo sarcasmo, Renzo,” interviene Camilla, togliendo le castagne dal fuoco a Gaetano, “tu, piuttosto, sono felice di vedere che sei tutto intero e mi sembri anche riposato. Com’è andata poi con la Venere? Tutto bene?”
 
“Con – con la Venere?” balbetta Renzo e Gaetano nota immediatamente come deglutisce e cambia radicalmente espressione, sembrando a disagio.
 
“Sì, insomma, ti ha dato problemi? Sei riuscito a riportarla a casa sana e salva, senza conseguenze spiacevoli per te o per la tua macchina o per lei?” gli domanda con quella che sembra essere sincera preoccupazione, senza sottotesti.
 
Del resto, Renzo lo sa bene, Camilla non penserebbe mai che lui possa aver approfittato di una donna ubriaca – ed, in effetti, non l’ha fatto – come, probabilmente, non lo ritiene nemmeno capace di andare a letto con una quasi sconosciuta.
 
“Nessuna conseguenza per la macchina e… sì, quando l’ho lasciata sembrava… sembrava stare bene, considerate le circostanze,” abbozza e, in fondo, sta solo dicendo la verità, anche se sta omettendo almeno il novanta percento di quanto è successo.
 
“Sì, cioè che si è tirata più nera dei suoi capelli tinti,” ribatte Livietta, sarcastica, quasi dura, per poi aggiungere, con tono neutro, rivolta prima a Renzo e poi a Gaetano, “ma poi sei riuscito a capire perché si è conciata in quel modo? O lo faceva spesso?”
 
“No, io in realtà non l’ho mai vista ubriaca… cioè le piaceva bere ma in dosi normali,” replica Gaetano, guadagnandosi un’occhiata di Camilla, l’occhiata un pochino gelosa ma fintamente indifferente che adora da impazzire.
 
“Da… da quello che ho capito è stata mollata su due piedi dal fidanzato, dopo che l’aveva fatta aspettare per più di due ore, oltretutto. Un vero gentiluomo, insomma, il vostro istruttore, non c’è che dire,” commenta Renzo, beffardo quasi quanto la figlia.
 
“Beh, non sarà stato un gentiluomo ma posso pure capirlo: quella è la regina delle gattemorte, per non dire di peggio. In una sola sera ha puntato te, Gaetano, oltre che lui… sarà anche bella, ma non so quale uomo potrebbe essere così idiota da volerci avere una storia. Presenti esclusi, ovvio,” proclama Livietta, che si era fatta raccontare da Camilla e da Gaetano durante il viaggio di ritorno esattamente chi fosse Barbara e perché si era piazzata al loro tavolo. Era sicura di averla già vista e aveva finalmente capito dove. Quello che non riesce proprio a capire è perché uno come Lorenzo o uno come Gaetano potessero aver perso anche solo cinque minuti appresso ad una così, che definire leggera e vuota è farle un complimento, per quanto oggettivamente bellissima.
 
Alle parole della figlia, a Renzo va di traverso la saliva ed inizia a tossire furiosamente.
 
“Ehi, respira, respira,” lo incoraggia Camilla, dandogli un paio di pacche sulla schiena.
 
“Scusate, mi è andato di traverso,” bofonchia, guardando la figlia con apprensione, temendo che abbia capito tutto, temendo la sua disapprovazione, il suo disgusto. Ma Livietta, accertatosi che suo padre è tornato a respirare, rivolge nuovamente la sua attenzione a Gaetano.
 
“Non ti sei offeso, vero?” gli domanda Livietta, avendo realizzato di avere forse esagerato un po’, dandogli praticamente dell’idiota nella foga, ma il solo pensiero di… di quella, le provoca un’irritazione che non sa spiegare. O meglio, che sa spiegare fin troppo bene, purtroppo.
 
“No, figurati, anzi hai ragione. Cioè, in realtà Barbara ieri ha dato più del peggio di sé e di solito non era così… esagerata, ma… diciamo che il mio buongusto in campo femminile si è praticamente tutto concentrato su tua madre. Le altre donne che ho avuto, soprattutto quelle che ho avuto dopo la mia separazione, non sono minimamente paragonabili a lei, ma neanche da lontano,” replica Gaetano, guardando Camilla dritto negli occhi e godendosi il modo in cui sembrano illuminarsi, lo sguardo di una bambina la mattina di Natale. Uno dei tanti sguardi che l’hanno fatto innamorare perdutamente di lei.
 
Renzo, da un lato, si sente incredibilmente sollevato nel realizzare che, ovviamente, sua figlia non si riferiva a lui ma a Gaetano, quando parlava di presenti esclusi. Dall’altro lato però non può evitare di provare una fitta di indignazione e di fastidio nel sentirli parlare così di Barbara, come se fosse una specie di… di mignotta e pure lobotomizzata. Avverte uno strano senso di protezione nei suoi confronti che gli ruggisce nel petto e freme per salirgli dalla gola.
 
“Scusami, Gaetano, ma non hai mai pensato che magari lei potrebbe dire esattamente lo stesso di te? Che se si comporta così è perché ha sempre avuto a che fare con uomini che l’hanno trattata come l’avrai trattata tu, oltre a quel gran cavaliere del tuo collega? Se si è quasi distrutta il fegato ieri sera e l’ho dovuta trascinare a casa, un motivo ci sarà, no?” sbotta, senza riuscire a trattenersi, “e pure voi due… cos’è? L’uomo che cambia una donna a sera è un gran figo, mentre la donna è una poco di buono? Anni di femminismo buttati al vento! O secondo voi le conversioni miracolose da Casanova a perfetto padre di famiglia valgono solo per gli uomini, uno in particolare?”
 
“Renzo!” esplode Camilla, più che stufa dell’ennesima frecciata rivolta a Gaetano.
 
“No, Camilla, non ti preoccupare, anzi, Renzo non ha tutti i torti: io non sono stato un santo in questi anni e il modo in cui mi sono comportato è biasimabile esattamente quanto quello di Barbara e di tante altre donne che ho frequentato. Ma proprio per questo credo che né io ho fatto del male a loro, né loro hanno fatto del male a me. Ci siamo usati a vicenda, anche se non è bello da dire, ma è la verità,” ammette Gaetano, guardandola negli occhi come per rassicurarla che va tutto bene.
 
“No, scusami, ma il fatto che tu non sia stato un santo non riabilita lei, anzi, al limite vi metterebbe sullo stesso piano, ma non è così, perché c’è un’enorme differenza, per non dire un abisso. Innanzitutto non ti ho mai visto comportati come lei ieri sera, nemmeno quando eri nei tuoi – chiamiamoli periodi d’oro – da playboy. E poi, soprattutto, tu oltre all’aspetto fisico hai anche molto altro, dei contenuti da un punto di vista intellettuale ed umano, e hai dimostrato con i fatti che quando ti innamori sai essere una persona diversa, anzi, sai essere la persona che sei sempre stato e che non… non potevi essere e non solo per colpa tua, forse per colpa di nessuno,” replica Camilla, ricambiando lo sguardo e sentendosi di nuovo in colpa per tutti gli anni in cui gli ha fatto del male, in cui ha fatto del male a se stessa, a Renzo, a Livietta, accanendosi a portare avanti qualcosa che non poteva più essere salvato, “mentre di questa Barbara non ho visto molto e quindi non posso più di tanto giudicare, a parte la pessima impressione di ieri sera, ma parecchie delle tue donne che ho conosciuto qui a Torino erano sicuramente furbe ma… in quanto ad intelligenza, lasciamo stare, e l’unica condizione in cui potevano accettare di fingere una conversione miracolosa in perfette madri di famiglia, era per trovare un pollo da sposare e poi spennare con gli alimenti, per loro stessa ammissione. Per questo non accetto che tu ti metta sul loro stesso piano o che qualcun altro lo faccia.”
 
“Appunto, tu non conosci quella ragazza e non puoi giudicarla, anche perché forse prima di ergersi a modelli di virtù, bisognerebbe… com’è che era? Non guardare la pagliuzza nell’occhio del vicino se non vedi la trave nel tuo occhio?” si inserisce Renzo, non riuscendo di nuovo a trattenersi, “oppure, di nuovo, se tu o Gaetano seguite il vostro – chiamiamolo cuore – fregandovene di tutto e di tutti, allora tutto è lecito e concesso e comprensibile, mentre se lo fanno gli altri no?”
 
“Renzo…” sibila Camilla, incredula e a dir poco furiosa per la piega che ha preso questa conversazione, di fronte a Livietta oltretutto, “guarda che potrei dire esattamente lo stesso di te, e non vado oltre, ma lo sai a cosa mi riferisco. Quindi o ti comporti in maniera civile e rispettosa nei confronti miei e soprattutto di Gaetano, o quella è la porta e non sto scherzando.”
 
“Non serve: me ne vado io. Mi dispiace di avere fatto quel commento e di avere scatenato tutto questo… ma sembra che non vedete l’ora di trovare l’occasione per scannarvi! Ed ero così contenta di ieri, del fatto che per una volta eravate riusciti a stare tutti insieme ed essere civili!” esclama Livietta, sentendosi uno schifo, sentendosi anche in colpa, volendo solo andarsene da lì prima di scoppiare a piangere.
 
“No, no, ti prego, aspetta! Tu non c’entri, Livietta, scusami,” la blocca Renzo, rendendosi conto di avere nuovamente esagerato, spinto sia dal risentimento nei confronti di Gaetano e Camilla, che fatica ancora a soffocare, sia da questo senso quasi inspiegabile di protezione nei confronti di Barbara, “scusatemi, non ero venuto qui per… per litigare e… mi dispiace, ma-”
 
“Livietta, io e tuo padre abbiamo… abbiamo ancora parecchie cose da risolvere e anche a me dispiace che… che ci rimani in mezzo tu, ma, come dice lui, i problemi che abbiamo non riguardano te e non è colpa tua. Ti vogliamo bene entrambi e…”
 
“Non è solo il fatto dello scannarvi, non lo capisci? Forse da un lato è meglio che vi scannate piuttosto che fare finta di andare d’amore e d’accordo ma… è che vorrei che… lo so che non è facile, ma vorrei che queste cose da risolvere le risolveste una volta per tutte e che trovaste un modo di andare d’accordo. Dopo la prima separazione ad un certo punto c’eravate riusciti, no? O era tutta una finta anche allora?” domanda, fulminandoli con un’occhiata così vulnerabile che provoca ad entrambi un dolore allo stomaco e al cuore.
 
“Non era una finta… cioè… a volte non era facile andare d’accordo, ma personalmente credo che in generale andassimo più d’accordo allora di quando siamo tornati insieme,” risponde Camilla, avvicinandosi alla figlia e mettendole una mano sulla spalla, “però devo ammettere che non è stato per niente semplice per me… agli inizi soprattutto… abituarmi a… ad una nuova vita, senza tuo padre… e capisco che non sia facile per lui adesso. Ci vuole un po’ di tempo, ma ci stiamo lavorando. Non è vero, Renzo?”
 
“Sì… anche se, come dici tu, non è facile. E mi dispiace, Livietta, se questo ti fa soffrire, perché io e tua madre non andiamo d’accordo su un sacco di cose, è vero, ma su una cosa so di sicuro che concordiamo entrambi, cioè sul fatto che ti vogliamo molto bene, tutti e due, e non vorremmo mai farti star male, anche se… anche se spesso purtroppo non ci riusciamo,” risponde Renzo, replicando il gesto di Camilla e mettendo a sua volta la mano destra sull’altra spalla di Livietta, “puoi perdonarmi?”
 
Livietta lo guarda negli occhi per qualche secondo, sorpresa da questo gesto del padre, dal fatto che… che non sia scappato, ma che anzi, l’abbia fermata, le abbia parlato, si sia scusato con lei, ammettendo di aver sbagliato. Insomma, che l’abbia affrontata, che abbia affrontato la verità, per una volta, senza rinchiudersi nei suoi silenzi o andarsene o mettere su una maschera, una recita, come faceva sempre più spesso negli ultimi anni.
 
Padre e figlia continuano a guardarsi, come se cercassero non solo di studiare, di capire l’altro, ma soprattutto di far capire all’altro tutto quello che provano, che tengono dentro e che hanno tenuto dentro in questi anni, tutto quello che non riescono a dire, ad esprimere con le parole.
 
Senza rendersene quasi conto, si trovano stretti in un abbraccio, le lacrime che sfuggono senza poterle trattenere.
 
Camilla e Gaetano rimangono a guardarli per qualche istante, tra il commosso, il sollevato e l’imbarazzato, soprattutto Gaetano, che si sente di nuovo quasi un intruso, di troppo, di fronte ad una scena così intima.
 
“Senti… vado a… vado a cambiarmi, ci sentiamo dopo, ok?” sussurra, avvicinandosi a Camilla per restituirle Potti, che tiene ancora in braccio.
 
“Sei… sei meraviglioso, lo sai?” sussurra Camilla di rimando, toccata e colpita per l’ennesima volta dall’incredibile sensibilità di Gaetano, da come sappia essere straordinariamente comprensivo, senza mai recriminare o pretendere qualcosa in cambio. Non sa cosa abbia fatto di buono nella vita per meritarsi un uomo come lui e spera di poter ricambiare in qualche modo tutto quello che sta facendo per lei e per sua figlia.
 
“Mai quanto te,” mormora, cercando di metterle Potti tra le braccia.
 
Wof! Wof! Wof!
 
È proprio l’abbaiare del cane che ridesta Renzo e Livietta dall’abbraccio. Asciugandosi rapidamente gli occhi, guardano verso Gaetano che, dopo aver lasciato Potti a Camilla, si sta avviando verso la porta.
 
“Dove vai?” gli domanda Livietta, con tono e sguardo dispiaciuti e che sembrano quasi… in apprensione.
 
“A casa… mi faccio una doccia, mi cambio… mi rendo un po’ più presentabile insomma. Ci vediamo dopo…” risponde con un sorriso ed un tono rassicurante, per farle capire che va tutto bene, avendo notato il modo in cui lo guarda, come se temesse di averlo offeso.
 
Si volta ma, prima che possa fare un solo metro, un’altra voce lo sorprende e lo porta a bloccarsi e ritornare sui suoi passi.
 
“Non… non serve che tu te ne vada… c’è un cornetto in più… l’avevo preso nel dubbio che ci fossi anche tu a colazione…” offre Renzo con un tono neutro e apparente nonchalance, anche se le pause tradiscono lo sforzo compiuto nel pronunciare questo invito.
 
Aveva comprato quella brioche extra in un impulso, per essere precisi mentre veniva assalito da un’altra fitta di sensi di colpa dopo aver aperto il portafogli ed essersi trovato di fronte ad una foto di Livietta bambina, immortalata in occasione di uno dei tanti saggi di danza, che faceva capolino dalla finestrella trasparente. In quel momento si era sentito un verme: lui che aveva sempre criticato Gaetano e la sua vita da libertino, Camilla e la sua passione per “la polizia” e alla prima occasione aveva fatto di peggio. Si era chiesto cosa avrebbe pensato Livietta di lui, se l’avesse saputo, e gli occhioni innocenti di sua figlia, cristallizzati per sempre in quella foto, sembravano seguirlo e scrutargli dentro.
 
Gaetano guarda negli occhi il rivale di una vita e capisce che più che un croissant, gli sta presentando un calumet della pace, per quanto temporaneo, e che probabilmente questa è la cosa più vicina a delle scuse che avrà mai dall’architetto. Ma, anche se nulla giustifica le sue insinuazioni pesantissime degli ultimi mesi, considerati i pregressi tra loro, e dopo quello che è successo a Roma con Marco e, soprattutto, con De Matteis, in fondo in fondo riesce a comprendere il risentimento di Renzo nei suoi confronti e i motivi per cui Renzo pensa e probabilmente penserà sempre il peggio di lui.
 
“Beh, d’accordo… allora di fronte al cornetto… la doccia può aspettare,” risponde con tono neutro e cauto, notando l’occhiata incredula e felice che si scambiano Livietta e Camilla e che poi rivolgono a lui e a Renzo.
 
La colazione procede nel quasi più completo silenzio: Gaetano che prepara il caffè, mentre Camilla monta la schiuma di latte e Renzo e Livietta preparano il tavolo, visto che l’isola non basta per tutti. Consumano cappuccino e brioche scambiando qualche battuta di circostanza, in un’apparente tranquillità.
 
“Ascoltami, Livietta… sono passato anche per chiederti… insomma, ti andrebbe di fare qualcosa con me oggi? Magari andiamo a cena e poi al cinema o…” propone Renzo, dopo un attimo di esitazione, non appena ha terminato la sua colazione.
 
“Papà… veramente stasera vado in discoteca con Cristina e Lucrezia – prima che me lo chiedi, ci accompagna la mamma di Cristina e rimane con noi e poi stiamo a dormire da lei…”
 
“E allora domani hai impegni?” rilancia, non arrendendosi.
 
“Veramente sì… c’è un festival a piazza San Carlo, un festival di musica rock e c’è una band che Lucrezia adora e-“
 
“Ma non è possibile! Ma dovete proprio uscire tutte le sere?” sbotta, chiaramente frustrato da tutti questi muri ed impedimenti.
 
“Lo so, ma è che… è che lunedì Cristina e sua madre partono per le vacanze e… e poi Lucrezia rimarrà da sola, soprattutto se magari poi vengo a Londra con te settimana prossima…” spiega Livietta e sul volto di Renzo si dipinge nuovamente un sorriso.
 
“Vuoi dirmi che… che verrai con me?” le domanda, una sensazione di felicità che sembra volergli scoppiare nel petto.
 
“Voglio dire che ci sto pensando, papà,” chiarisce Livietta, sembrando però colpita dall’evidente gioia del padre all’idea di averla con sé.
 
“D’accordo. E allora mentre ci pensi… domani sera con chi vai a questo festival? Non andate da sole, vero?” chiede, lanciando un’occhiata a Camilla.

“No, la mamma di Cristina deve preparare le valige e riposarsi in previsione del viaggio, visto che dovrà guidare, quindi pensavamo di accompagnarle io e Gaetano…”
 
“Allora… ti dispiacerebbe se le accompagnassi io? Potrei andarle a prendere a casa di Cristina, poi riporto Cristina e Lucrezia a casa e… e Livietta potrebbe dormire da me. E lunedì mattina te la riporto sana e salva, che ne dite?” domanda Renzo, con un’aria speranzosa che intenerisce entrambe.
 
“Per me va bene… anche a Gaetano immagino non dispiacerà riposarsi visto che lunedì deve alzarsi presto…” suppone Camilla, lanciando uno sguardo d’intesa a Gaetano che annuisce, “tu Livietta che ne pensi?”
 
“Per me… per me potrebbe andare bene, però… papà la musica è hard rock alternativo… ieri sera non mi sembravi proprio entusiasta, a giudicare dalle tue espressioni e da quanto velocemente sei voluto tornare a casa, anche se devo riconoscere che almeno hai resistito. E la musica di domani sera sarà ancora più… più dura e più rumorosa. Sei sicuro di voler venire? Anche perché non voglio fare figuracce con le mie amiche e vorranno rimanere fino alla fine e-“
 
“Ehi, non ti preoccupare, te l’ho già detto: a me basta che siamo insieme e… ti prometto che non mi lamenterò e rimarremo quanto vorrai, tanto lunedì mattina possiamo dormire un po’ di più…” la rassicura con lo sguardo più convincente ed irresistibile che possiede, quello che Camilla conosce bene e che Livietta ha ereditato dal padre, lo sguardo che mille volte l’ha fregata durante i loro anni di matrimonio.
 
“Va bene… d’accordo… allora vada per il concerto,” concede Livietta, prima di bere l’ultimo sorso di cappuccino, alzarsi da tavola e annunciare, “adesso però vado a cambiarmi… volevo andare a fare una corsetta. Voi venite o-?”
 
“Io in realtà dovrei fare la spesa e delle commissioni, così faccio fare anche il giretto mattutino a Potti…”
 
“Potremmo andare a correre insieme, se vuoi: ho giusto bisogno di un po’ di movimento,” si inserisce Renzo con aria apparentemente tranquilla, non volendo affatto che la figlia e il poliziotto trascorrano di nuovo la mattinata insieme da soli.
 
“Papà, per favore, ma se saranno… quanti anni saranno che non corri?”
 
“Almeno otto anni,” precisa Camilla, ricordando benissimo la passione temporanea di Renzo per il jogging, nata, guarda caso, proprio nel periodo in cui si era anche appassionato di danze latinoamericane, “e ricordo che la tua schiena e le tue ginocchia non ne avevano affatto giovato, anzi.”
 
“Sì, ma-“
 
“E poi vorresti correre così? Con i mocassini, i pantaloni eleganti e la camicia?” gli fa nuovamente notare Livietta, con un sopracciglio alzato.
 
“Livietta, in realtà… mi dispiace doverti dare buca ma anche io dovrei fare un po’ di spesa e devo anche fare un salto in questura per terminare un lavoro noiosissimo che purtroppo ieri sera non ho fatto in tempo a finire, o avrei dovuto far aspettare troppo tua madre. Perché non fate un allenamento insieme voi due, qualcosa di più leggero e senza carico, magari, tipo il nuoto? E poi galleggiare un po’, senza nuotare, ti farebbe bene: ieri ti ho vista parecchio contratta, anche se stamattina mi sembra che vada meglio…” si inserisce Gaetano con un sorriso gentile e aria dispiaciuta.
 
“Sì… in effetti è vero… sia che ero contratta e sia che… va meglio stamattina. Ma come fai a saperlo?” gli domanda, sorpresa, toccandosi inconsciamente la spalla che Lorenzo le aveva massaggiato.
 
“Lo vedo dalla postura… ho l’occhio abbastanza allenato, sia per via dello sport e degli allenamenti, sia per lavoro… essere in grado di leggere e comprendere il linguaggio del corpo è fondamentale, e, come potrai immaginare, capire se una persona è tesa o meno mentre ti parla o risponde alle tue domande… può essere molto utile.”
 
“Certo, immagino quanta gente rilassata ti sarai trovato davanti durante gli interrogatori. A parte Camilla, magari, visto che è una delle poche persone al mondo per cui una convocazione in questura è come un invito a nozze,” ironizza Renzo, sarcastico, per nulla felice di sapere che il poliziotto studia sua figlia con tanta attenzione, “va beh, allora, Livietta, ti andrebbe di andare in piscina? Io dovrei solo passare da casa a cambiarmi ma-“
 
“D’accordo, va bene… vada per la piscina,” sospira Livietta, volendo solo tagliare corto ed evitare una nuova discussione tra suo padre e Gaetano, “ce n’è una qui vicino davvero molto bella… perché non vai a cambiarti e mi passi a prendere, che ne dici? Io intanto mi preparo e preparo anche il borsone per stasera, così poi mi porti direttamente a casa di Cristina, altrimenti rischio di fare tardi.”
 
“Va bene… dopo la piscina ci mangiamo un boccone insieme e ti porto dalle tue amiche… Camilla, per te va bene?” le domanda, di nuovo con quello sguardo quasi implorante.
 
“Certo, nessun problema. Dammi solo conferma quando la lasci da Cristina e quando la vai a riprendere domani… e anche domani sera, quando tornate dal concerto. E tu Livietta per favore, mi mandi un messaggio quando tornate dalla discoteca e sei di nuovo a casa di Cristina, a qualsiasi orario, ok?” risponde, poggiando di nuovo una mano sulla spalla della figlia e guardandola negli occhi.
 
“Ok, ok, promesso, sei sicura che non ti disturbo? Faremo molto tardi, magari ti sveglio e-“
 
“Tu non disturbi mai,” la rassicura Camilla, abbracciandola, per poi sussurrarle nell’orecchio, “divertiti con papà, ok? E ricordati quello che ci siamo dette.”
 
“Certo che non la disturba, tanto mica dormiranno stanotte…” mormora Renzo, tra sé e sé, immaginando già come i due piccioncini sfrutteranno il weekend di libera uscita.
 
“Hai detto qualcosa, Renzo?” domanda Camilla, avendolo sentito farfugliare.
 
“Che penso sia meglio che io vada: prima vado e prima torno. A tra poco, Livietta, ti faccio uno squillo quando sono qui sotto. Camilla, Gaetano,” li saluta con un cenno del capo, avviandosi verso la porta e richiudendola dietro di sé.
 
“Allora vado a prepararmi anch’io…” proclama Livietta, ritirandosi nella sua stanza.
 
“Insomma… a quanto pare per questo weekend siamo solo io e te…” sussurra Gaetano, avvicinandosi a Camilla e fulminandola con un’occhiata che le fa correre un brivido lungo la schiena.
 
“Già…” conferma lei con un sorriso, allacciandogli le braccia intorno al collo mentre lui le cinge la vita, “ti ringrazio, Gaetano.”
 
“Di già? Sulla fiducia? Mi sento lusingato,” la provoca, beccandosi un pizzicotto sul collo.
 
“Quanto sei scemo! E presuntuoso!” sorride, accarezzando il naso di lui con il suo, per poi ritrarre lievemente il capo per guardarlo negli occhi e sussurrare, “grazie per… per la storia della spesa e del lavoro urgente da finire in questura. Lo so che l’hai fatto per… per non esacerbare la situazione con Renzo e non metterti in competizione con lui in un’attività in cui sicuramente non avrebbe brillato e retto il confronto con te, non essendo allenato. Oltre che per dargli modo di passare finalmente del tempo da solo con Livietta. Lo apprezzo davvero tanto, credimi.”
 
“In realtà è vero che devo fare la spesa, se no avrete tutti i motivi di deridere il mio frigo. Ammetto che gli impegni in questura sono rinviabili e… la verità è che non mi va di dire di no a Livietta o di… di dirle una bugia, ma… credo che nel profondo, anche se non lo ammetterebbe mai, preferisca anche lei passare qualche ora in piscina con suo padre, piuttosto che fare una corsa con me,” risponde, ricambiando lo sguardo ed accarezzandole il viso.
 
“Credo che in realtà l’abbia capito anche lei, sai? E se ha lasciato correre, in tutti i sensi, un motivo c’è,” ribatte Camilla, appoggiandosi alla sua mano e godendosi quel contatto.
 
“Lo so che a voi donne di casa Baudino non sfugge niente, che sapete essere molto pericolose, e che devo quindi essere grato di essere ancora tutto intero,” ironizza, facendola sorridere, “quindi, visto che le cose tra Renzo e Livietta sembrano andare leggermente meglio e che noi due saremo soli soletti… idee, programmi per il weekend?”
 
“Molte idee e molti programmi…” mormora, mordendosi il labbro, con aria sensuale, per poi proseguire, ironica, “la prima delle quali è andare a fare la spesa. Anche a me serve sul serio: ho il frigo praticamente vuoto.”
 
“Allora, visto che tu devi fare la spesa e io devo fare la spesa… potremmo andarci insieme, cosi facciamo in fretta e poi-“
 
“Frena, frena… devo fare la spesa è vero, ma… non puoi venire con me,” precisa, con un tono enigmatico.
 
“E perché no?” chiede lui, confuso e stupito.

“Prima di tutto perché so che insisteresti fino allo sfinimento per pagare tu il conto, e non è giusto,” precisa, bloccandolo prima che possa protestare, posandogli l’indice sulle labbra, “e poi… diciamo che ho alcune… commissioni da sbrigare. Da sola.”
 
“Ah, sì? Cos’è tutto questo mistero? Mi devo preoccupare?” le domanda, dopo averle baciato il polpastrello, guardandola negli occhi.
 
“Forse…” replica con un mezzo sorriso e gli occhi che le brillano.
 
“Che cosa hai in mente stavolta, professoressa?” le domanda, non potendo evitare di sorridere di rimando.
 
“Se vieni qui stasera… diciamo verso le diciotto... lo scoprirai… forse,” sussurra, con un tono di voce carico di promesse che Gaetano ormai ricollega ai momenti più belli e più folli della sua vita.
 
“Alle diciotto? E che cosa farò fino ad allora? Solo, abbandonato…” si lamenta, prendendosi un altro pizzicotto, questa volta sulla guancia.
 
“Povero… sono sicura che troverai qualcosa da fare nel frattempo, oltre che la spesa…”
 
“Oh, sì, credo che mi verranno molte idee…” promette, con voce roca, afferrando la mano che gli stava pizzicando la guancia nella sua e baciandole il palmo, “e la prima è che… stasera vorrei invitarti a cena. E mi chiedo se questa idea sia compatibile con le tue.”
 
“Le ultime volte hai sempre organizzato tu, quindi stavolta tocca a me. Magari le tue idee le riserviamo per domani, che ne dici? Per oggi… sei nelle mie mani, dottor Berardi,” proclama, con tono altrettanto roco.
 
“È l’unico posto in cui vorrei essere,” mormora Gaetano, prima di ridurre l’ultimo centimetro di distanza tra le loro labbra e suggellare la promessa con un bacio rovente.
 
***************************************************************************************
 
La porta si apre e il fiato gli si mozza in gola: Camilla lo scruta, appoggiata allo stipite della porta, con indosso solo un babydoll cortissimo e trasparente.
 
Non l’aveva mai vista così… così sensuale, provocante, sicura di sé. Si sente afferrare per la camicia e le permette di condurlo dentro al corridoio, lasciandosi guidare, irretire, conquistare da questa sirena in pizzo nero.
 
Senza sapere come, si ritrova in camera da letto e, con una spinta, finisce seduto sul materasso. Nel giro di un secondo, Camilla è a cavalcioni su di lui e gli sembra di impazzire: sente di non averla mai desiderata tanto come in questo momento.
 
Le mani di lei gli accarezzano la nuca, un brivido ed una scossa elettrica che lo trapassano da parte a parte, la vede avvicinarsi lentamente, lentamente, le labbra ad un millimetro dalle sue, e gli sussurra…
 
Gaetano…
 
È come se un coltello gli trapassasse il cuore, la scosta da sé, bruscamente, e il suo sguardo incontra lo specchio, lo specchio sul comò.
 
Gli occhi che lo guardano di rimando sono azzurri, sì, ma… il viso che si tinge di un sorriso beffardo, mentre vede e sente Camilla baciargli il collo non è il suo, è… è…
 
“Gaetano!”
 
Apre gli occhi di scatto e si ritrova seduto nel letto, il viso e la schiena madide di sudore. È sicuro di aver gridato quel nome, quel nome che ha maledetto mille volte negli ultimi mesi, negli ultimi anni.
 
Si volta verso l’armadio, verso l’anta a specchio, cercando la sua immagine, quasi febbrilmente, e si ritrova: gli occhi azzurri – i suoi questa volta – i capelli bianchi e due occhiaie profonde…
 
Tornato dalla piscina con Livietta – non avevano parlato granché, ma almeno sua figlia non sembrava essersi annoiata ed era rimasta anche a pranzo con lui senza protestare, anche se più che un pranzo era stata una merenda, visto che erano le già tre del pomeriggio – si era sentito improvvisamente esausto, come se tutta la tensione accumulata fosse evaporata e avesse iniziato a sentire gli effetti di due notti quasi insonni.
 
Si era coricato a letto ma… questo era il risultato: risvegliato da un incubo orribile dopo appena un’ora di sonno. Si sentiva più stanco di prima e, soprattutto, si sentiva furioso con se stesso per… per non riuscire a non pensare a lei, a loro, a come si staranno sicuramente godendo la serata in quel momento. Perché, anche nei suoi sogni, Camilla gli preferiva sempre lui, il dannato poliziotto-super-più.
 
Non può evitare di chiedersi, per l’ennesima volta, quante volte avesse stretto Camilla tra le braccia, mentre lei in realtà pensava a lui, quante volte avesse fatto l’amore con una donna che immaginava un altro, desiderava un altro, che era già di un altro, anche se, formalmente, avrebbe dovuto essere sua.
 
Scuote il capo, cercando di scacciare questi pensieri che gli corrodono il cuore e l’anima. Si alza, intenzionato ad andare in bagno a lavarsi il viso, ma una macchia bianca sul comodino attira la sua attenzione, accanto alle poche monete recuperate dalle tasche dei pantaloni indossati la sera prima e che aveva messo subito a lavare, non appena rientrato a casa, come se fossero le prove di un peccato infamante.
 
Lo afferra e lo guarda, rigirandoselo tra le dita, continuando a chiedersi – perché no?.
 
La voce che gli sussurra all’orecchio ha il tono suadente di Barbara.
 
E la verità è che, per quanto si sforzi, non ce l’ha una risposta.
 
***************************************************************************************
 
La porta si apre e il fiato gli si mozza in gola: Camilla lo scruta, appoggiata allo stipite della porta, con indosso… quasi non riesce a credere ai suoi occhi e li chiude e riapre un paio di volte, per accertarsi di non stare sognando.
 
“Che c’è?” gli domanda con il sorriso di chi ha capito benissimo che cosa c’è, prima di fare una giravolta su se stessa e domandargli, provocatoriamente, “non ti piaccio? Perché altrimenti vado subito a cambiarmi e-”
 
“Dove pensi di andare?!” la agguanta per un braccio, facendola sorridere divertita, per poi ammirarla di nuovo, dalla testa ai piedi, cercando disperatamente le parole, “sei… sei…”
 
“Sono?” lo incoraggia, vedendolo in evidente difficoltà.
 
“Sei… un po’ geisha,” ironizza, perché la verità è che qualsiasi aggettivo sarebbe riduttivo per descrivere quanto è dannatamente, incredibilmente bella e sensuale con quell’abito di seta rossa in stile cinese, attillato, i bottoncini che dal colletto le tracciano in obliquo la linea del seno, per poi scendere lungo il fianco destro e, soprattutto, i due lunghi spacchi laterali che, quando si muove un po’ di più, lasciano scoperte le gambe fino a metà coscia.
 
“Prima di tutto, questo è un abito cinese, mentre le geishe sono giapponesi… anche perché di negozi cinesi è piena Torino, mentre trovare un kimono qui… non è facile,” precisa, un angolo della bocca e un sopracciglio sollevato, avendo riconosciuto benissimo la battuta, fatta ormai dieci anni orsono in una galleria d’arte, quando ancora cercava di illudersi di non provare niente per lui e si ostinava a non voler capire perché l’idea di lui e della sua amica Bettina insieme le provocasse acidità di stomaco, “e poi, comunque… non lo sai che l’abito non fa il monaco?””
 
“Eccola la mia prof.!” sorride, divertito e compiaciuto che anche lei, come lui, si ricordi praticamente tutto dei loro primi incontri, quando ancora cercava di illudersi di non provare nulla per lei, quando ancora si ripeteva che, se la pensava continuamente e la desiderava anche quando stava con un’altra, era solo perché non poteva averla, “e comunque dipende da chi lo indossa!”
 
“E quindi io ti sembro una geisha?” gli chiede, con uno sguardo pericoloso, che preannuncia guai. Deliziosi guai.
 
“No… tu sei una donna forte, indipendente, sei un’amazzone, una guerriera, ma… la verità è che… sei talmente forte ed indipendente che puoi fare qualsiasi cosa, essere qualsiasi cosa, anche una geisha, ma solo quando, come, dove e con chi lo scegli e lo decidi tu,” risponde, guardandola negli occhi, improvvisamente serio.
 
“Risposta esatta, dottor Berardi!” proclama con un sorriso quasi felino, per poi sussurrargli all’orecchio, “meriti una ricompensa…”
 
“Per questa risposta?”
 
“No, per tutto… per tutto quello che hai fatto in queste settimane, in questi giorni e per tutto quello che so che farai. Ti ho sempre ammirato, Gaetano, fin da quando ci siamo conosciuti, per la tua intelligenza, ma soprattutto per la tua grande umanità, nonostante il lavoro che fai e che… renderebbe cinico chiunque. E negli anni ho capito sempre di più che uomo meraviglioso e… e fuori dal comune sei, ma in questi mesi, da quando stiamo insieme e ho potuto conoscerti ancora meglio, ho scoperto ancora di più il tuo lato più intimo, più dolce e sei… sei molto ma molto di più di quanto avrei mai osato sperare, Gaetano,” ammette, accarezzandogli una guancia e godendosi il modo in cui lui sembra rintanarsi nel suo tocco, “amo la tua sensibilità, la tua generosità, la tua pazienza e il modo in cui non mi fai mai pesare niente di quello che fai. Non so se riuscirò mai ad esprimerti quanto tutto questo significhi per me, a ripagarti almeno in parte, a ricompensarti per… per tutto quello che mi dai, ma… ci posso provare e-“
 
“Tu non mi devi alcuna ricompensa, Camilla: io lo faccio volentieri, perché ti amo e voglio bene a Livietta e vedervi felici, rendervi felici, mi rende felice. E poi… quello che mi dai, quello che mi date è molto più grande di qualsiasi cosa potrei mai darvi io…” confessa, ricambiando il gesto.
 
“Potrei dire esattamente la stessa cosa di te. E... non è che ti devo una ricompensa, è che voglio ricompensarti, Gaetano, perché anche per me… renderti felice mi rende felice. È una cosa che fino a qualche mese fa non avrei mai sperato e pensato di poter fare, anche se lo desideravo così tanto. Tu non hai idea di… di quanto mi facesse male doverti tenere a distanza, rifiutarti, vederti stare male. Mi sentivo… mi sentivo uno schifo e… ho cercato di starti vicino come potevo, di aiutarti come potevo, ma non era mai abbastanza, non solo per te, ma nemmeno per me e-“
 
“Camilla…” mormora, abbracciandola più forte che può, accarezzandole i capelli e la seta che le copre la schiena. Dopo qualche istante, allenta lievemente la stretta per guardarla negli occhi, “come mi disse una donna incredibilmente saggia ed intelligente, non serve che tu faccia niente di speciale, niente di più di quello che già fai, perché tu… tu mi rendi già felice, come non avrei mai pensato di poter essere. Ho scoperto con te cosa sia la felicità, quella vera e… e poi tu sei incredibilmente sexy, sei la donna più sensuale che abbia mai conosciuto, in qualunque modo tu sia vestita o non vestita e-“
 
“Allora si vede proprio che questo abito non ti piace… d’accordo vado a cambiarmi,” proclama con un mezzo sorriso, che contrasta con gli occhi lucidi.
 
“Dove vai?!” la blocca di nuovo con un sorriso, stringendola a sé, “puoi levarti quel vestito solo ad una condizione: che sia io a togliertelo.”
 
“Ah, sì?” chiede, divertita, per poi aggiungere, maliziosa, “sei fortunato, sai? Perché, anche se di solito non sono una geisha, per le prossime trentasei ore ho deciso che farò un’eccezione, solo per te. Quindi, fino a lunedì mattina… ogni tuo desiderio è un ordine.”
 
“Camilla…” sussurra, un mix di emozioni nel petto tra cui prevalgono la commozione ed un desiderio quasi lancinante, “te lo ripeto, lo sai che non è necessario, vero?”
 
“Lo so… ma… diciamo che esaudire i tuoi desideri non è un dovere, ma è anche e soprattutto un piacere,” sussurra di rimando, in un modo incredibilmente seducente, “allora, dottor Berardi, qual è il suo primo desiderio?”
 
“Lo sai benissimo cosa desidero, chi desidero,” le soffia nell’orecchio, sentendola tremare tra le sue braccia, “e non so perché… ma credo che tu abbia già qualcosa in mente.”
 
“Ah, sì?” domanda di nuovo, scostandosi giusto il necessario per guardarlo negli occhi, “e come fai a dirlo?”
 
“Perché tu hai sempre qualcosa in mente, professoressa,” ribatte, posandole un bacio sulla punta del naso.
 
“Hai ragione: soprattutto un certo funzionario di polizia… sono dieci anni che ce l’ho in mente e mai come nell’ultimo periodo…” sussurra, afferrando le mani di lui, ancora poggiate sui suoi fianchi e iniziando ad indietreggiare lungo il corridoio.
 
“Ah, sì?” chiede lui, facendole eco.
 
“Sì. E siccome ce l’ho sempre in mente e lo osservo molto attentamente… diciamo che mi è sembrato anche lui un po’ stanco, un po’ affaticato, un po’ contratto dopo questa lunga settimana. Così mi sono ricordata una promessa che gli avevo fatto e non ho ancora avuto modo di mantenere… e ho deciso di rimediare…” proclama, appoggiando le loro mani unite sugli occhi di lui.
 
“Camilla, dove mi stai portando?!” chiede, non riuscendo a trattenere un sorriso, mentre avanza alla cieca, guidato solo da lei.
 
“Puoi aprire gli occhi e scoprirlo…” gli mormora nell’orecchio, lasciando cadere le loro mani.
 
Gaetano apre gli occhi e rimane a bocca aperta: sono in camera da letto, la loro camera da letto – ormai è questo per lui – ma sembra trasformata nella sala massaggi di una SPA: il letto è coperto da asciugamani color porpora, sul comodino campeggiano boccette di oli da massaggio, le tapparelle sono abbassate, l’unica luce della stanza è quella soffusa emanata da alcune candele profumate.
 
“Ma è… è…” balbetta, senza parole, incredulo ed emozionato, agguantandola per la vita e stringendola a sé.
 
“Ti avevo promesso che… una fisioterapista molto pericolosa si sarebbe occupata di te, una volta che il tuo collo si fosse un po’ sistemato, no?” gli ricorda con un sorriso, accarezzandogli proprio la pelle sottile e sensibilissima del collo e della nuca, “e poi… e poi la nostra vacanza a Roma è stata tutto tranne che una vacanza, anche se il finale è stato bellissimo e… non mi dimenticherò mai quello che abbiamo vissuto insieme, e rifarei tutto. Ma tu… non ti sei riposato un attimo e poi anche tornato qui ti sono toccati gli straordinari, non hai avuto un momento di tregua e… volevo regalarti trentasei ore di vacanza e di… di benessere.”
 
“Sei tu il mio benessere, sempre: sei… sei…” farfuglia, perché le parole non bastano, non servono, non esistono, la travolge in un bacio dolcissimo, implacabile e struggente, staccandosi solo quando l’assenza di ossigeno si fa insopportabile, per sussurrarle sulle labbra, “amore mio…”
 
Rimangono così, fronte a fronte, in un silenzio carico di emozione, giusto il tempo per riprendersi da quel bacio. Camilla pian piano ritorna a sentire la forza nelle gambe, che le tremano peggio che se fossero fatte di gelatina.
 
“Ne deduco che l’idea del massaggio è approvata?” scherza, con voce roca, mentre lui, per tutta risposta, annuisce, ancora senza fiato, ma con un sorriso sornione sulla labbra. Camilla si stacca da lui a fatica, fa tre passi indietro e proclama, con tono fintamente professionale, squadrandolo da capo a piedi, “allora si spogli, dottor Berardi.”
 
***************************************************************************************
 
“Arrivo!! Chi è?! …Tu?!”
 
“Ciao…” la saluta timidamente, aggiungendo, quando la vede nascondersi dietro la porta, “ti… ti disturbo?”
 
“No… è che… non mi aspettavo di vederti stasera, cioè non mi aspettavo proprio di rivederti dopo stamattina,” ammette, con tono che sembra davvero molto sorpreso, continuando a farsi scudo con l’anta in legno.
 
“Ho capito… scusami, non volevo disturbarti e… buona serata,” risponde, mortificato, dandosi dell’idiota, pensando che probabilmente non è sola: del resto una ragazza come lei di sicuro non rimane da sola di sabato sera.
 
“No, aspetta!” una mano lo afferra per il gomito non appena ha fatto due passi. Si volta e la vede per la prima volta: un paio di shorts e una canotta dal taglio sportivo, ciabatte infradito, i capelli legati in una coda alta, il viso senza un filo di trucco.
 
“È che non aspettavo nessuno stasera e… non pensavo di uscire e… sono un po’ conciata,” si giustifica, imbarazzata ed evidentemente a disagio, abbassando lo sguardo.
 
“Guarda che stai benissimo, forse sei ancora più bella cosi,” ammette Renzo e non è una bugia o una frase fatta per farla sentire meglio, “del resto, giovane e bella come sei non hai bisogno del trucco o di abiti appariscenti. Anzi, così sembri ancora più giovane e… e io sembro ancora più vecchio. Forse il cerone servirebbe sì, ma a me…”
 
“Guarda che anche tu stai benissimo, vestito così, tutto elegante, e non sei affatto vecchio,” risponde Barbara, passando in rassegna la giacca, la camicia e i pantaloni del suo miglior completo tra quelli estivi, guardandolo in un modo che lo fa sentire davvero affascinante e desiderabile, desiderato, “e per quanto mi riguarda… sei sempre troppo gentile tu, anche se, non so perché, ma sembri sempre sincero.”
 
“Perché sono sincero. E poi che sei bellissima è un dato di fatto e lo sai anche tu,” ribatte, provando un moto di tenerezza e compiacimento quando la vede arrossire.
 
“Senti… come mai sei venuto qui, vestito così? Che cos’avevi in mente?” gli domanda con un sorriso decisamente più simile a quelli da panterona provocante della sera prima, cambiando discorso.
 
“Volevo… volevo invitarti a cena. Lo so, lo so che avrei dovuto chiamarti prima, ma… insomma, è che-“
 
“Temevi di cambiare idea? O non ne avevi il coraggio?” gli chiede, con sguardo nuovamente intenerito, dimostrandogli che, anche se si conoscono solo da poche ore, Barbara comincia a capirlo fin troppo bene.
 
“Sì… qualcosa del genere…” confessa, toccandosi i capelli, imbarazzato.
 
“D’accordo… se hai solo un attimo di pazienza vado a cambiarmi e a sistemarmi un po’ e-“
 
“No, aspetta, aspetta. Ho un’idea migliore: tu rimani esattamente così come sei, che sei perfetta, e io torno subito,” proclama con un sorriso, facendo due passi per avviarsi verso la macchina ma poi tornare indietro, colto da un dubbio, “ascoltami, so che ti piace il sushi ma, a parte quello, il pesce in generale ti piace? E i frutti di mare? C’è qualcosa che invece non puoi mangiare o non sopporti?”
 
“Il pesce mi piace e anche i frutti di mare… non mi piacciono cose strane tipo… trippa, fegato, insomma, hai capito, no? E… in generale preferisco i cibi leggeri, ci tengo alla linea, anche se a volte faccio delle eccezioni,” spiega, prima di chiedergli, confusa, “che cos’hai in mente? Vuoi ordinare al take-away?”
 
“Dammi un… venti minuti e lo scoprirai,” chiarisce Renzo, con un altro sorriso, prima di avviarsi nuovamente alla macchina, lasciandola lì sulla porta, ancora incredula e scombussolata, con uno sguardo interrogativo sul viso.
 
***************************************************************************************
 
“Mi sembra che tu non ti stia rilassando un granché…”
 
La voce nell’orecchio, il lieve fiato sul collo sono sufficienti a farlo tremare dalla testa ai piedi. Dopo minuti interminabili di massaggio, la tortura più dolce che avesse mai provato – ancora più di rimanere legato insieme a lei nell’armadio senza potersi liberare – è ormai al punto di ebollizione: sente un fuoco propagarsi dalla schiena, le braccia, le spalle, i fianchi –  insomma, ogni centimetro di pelle che lei tocca – e raggiungere ogni fibra del suo corpo, come se fosse un incendio inarrestabile.
 
Un incendio che si alimenta e si intensifica ad ogni secondo che passa. Le dita sinuose che seguono con un’inattesa maestria le linee dei suoi muscoli, sciogliendo nodi, tensioni e creando al contempo una tensione ben diversa, carica di elettricità statica, come un temporale pronto a scoppiare in ogni momento. L’olio profumato di agrumi – riconosce lime, limone, arancia – e una traccia d’uva, come un cocktail estivo, con cui Camilla traccia scie invisibili sul suo corpo, alimentando ed imprigionando il calore, bruciando in modo piacevole sulla sua pelle, come quando si sta vicino ad un caminetto acceso o si mangia un cibo deliziosamente piccante. E poi sentirla a cavalcioni su di lui: le gambe nude che gli cingono i fianchi, coperti solo da un asciugamano – come da migliore tradizione dei massaggi – e la seta del vestito che gli solletica le gambe.
 
“Lo sai benissimo perché non posso rilassarmi, Camilla,” esala, con voce arrochita, voltando il capo per guardarla, cogliendo, anche se di sbieco, il sorriso di lei. Quel sorriso soddisfatto, felino, che gli ha sempre provocato un desiderio lancinante di cancellare dalle labbra di lei con le sue. E oggi non fa eccezione, anzi.
 
“Ah, beh, certo, hai ragione: manca ancora metà del massaggio, la zona frontale,” ribatte, il sorriso che si amplia, una luce negli occhi quasi ferale, prima di sollevarsi sulle ginocchia e ordinare, “si metta a pancia in su, dottor Berardi.”
 
Gaetano obbedisce, ricambiando il sorriso, il sorriso del gatto che gioca con il topo, non facendo nulla per evitare che, nel movimento, l’asciugamano si sposti e cada sul pavimento.
 
Momenti interminabili a fissarsi in perfetto silenzio, con gli occhi che brillano, le guance arrossate, il respiro corto. Gaetano allunga le mani per afferrarle la vita ma lei le intercetta e le intrappola nelle sue.
 
“Ah. Ah. Non ho ancora finito, dottor Berardi: in effetti… mi sembra ancora molto contratto, molto ma molto rigido,” dichiara con voce ironica e sensuale, prima di mordersi il labbro e aggiungere, in un sussurro basso, “ma non si preoccupi, so esattamente come risolvere il suo problema.”
 
“Ah, sì?” soffia con voce strozzata, mordendosi a sua volta il labbro per trattenere un sorriso, il sangue che gli rimbomba nelle orecchie, il calore che è ormai quasi insopportabile.
 
“Sì,” conferma, lasciandogli le mani in modo da avere campo libero per appoggiare i palmi sul petto, appena sotto il collo, tracciando con i pollici la linea tra i pettorali, per poi scendere lentamente, languidamente oltre lo sterno, lungo gli addominali, sempre più giù.
 
***************************************************************************************
 
“Ma cosa sono tutti questi sacchetti? Ci sarà cibo per una settimana!”
 
Lo osserva entrare, carico di buste della spesa piene, due per lato.
 
“Dov’è la cucina?” le domanda con un sorriso, “e comunque no, è tutto per stasera… è voluminoso da crudo e poi ci sono cose da pulire… vedrai.”
 
“Vuoi dirmi che… che hai preso cose da cucinare?” gli chiede, sorpresa, aggiungendo, preoccupata, “io però ai fornelli non sono proprio un granché. So giusto cucinare le cose di base, per sopravvivenza.”
 
“Non ti preoccupare: ovviamente cucino io, ci mancherebbe,” la rassicura con un sorriso, per poi indicare di nuovo le buste e domandare, “dov’è la cucina? Sai com’è… sono un po’ pesanti…”
 
Barbara, sempre più incredula, gli fa strada fino alla cucina abitabile che funge anche da sala da pranzo.
 
“La cucina è piccola e non… non ho molte cose… ho qualche pentola, un paio di teglie, un mixer e poco altro…”
 
“Non ti preoccupare: basteranno. Adesso ti spiego cosa mi serve, così dopo puoi rilassarti e fare quello che preferisci nell’attesa…”
 
Barbara, guardandolo come se fosse un alieno venuto da un altro pianeta, segue le sue indicazioni ed estrae dai cassetti le pentole e le teglie necessarie. Si piazza poi su uno degli sgabelli dell’isola della cucina e rimane ad osservarlo, come ipnotizzata, mentre pulisce le verdure, alcuni molluschi in conchiglia e dei crostacei.
 
“Che c’è?” le domanda, sentendo lo sguardo di lei fisso su di lui.
 
“Niente… non posso fare molto per aiutarti perché non ci capisco niente, ma… posso restare a guardarti?” gli chiede di rimando con uno sguardo che gli sembra per un attimo quello di Livietta bambina quando fissava Camilla o Carmen mentre si truccavano, probabilmente immaginando il momento in cui avrebbe potuto farlo anche lei.
 
“Certo. Anzi, ti andrebbe di provare a pulirne qualcuno? Se ti metti i guanti ti faccio vedere come si fa. Non è forse molto piacevole ma è facile,” offre, sorprendendosi, nonostante tutto, quando la vede sorridere, scendere dallo sgabello e raggiungerlo, come se le avesse proposto l’attività più appassionante del mondo e non di pulire due gamberoni e una capasanta.
 
***************************************************************************************
 
“A che pensi?”
 
Il lieve soffio caldo sul collo lo fa sobbalzare: è come se il suo corpo, i suoi nervi, i suoi sensi, fossero andati in overdose e stessero cercando di riprendersi. Ogni centimetro del suo corpo è ancora sensibilissimo a qualsiasi stimolo, anche il più delicato, reagendo con un’intensità sconvolgente.
 
“Al fatto che… sei incredibile… è stato incredibile, non… non avevo mai provato niente del genere in vita mia,” mormora a fatica, con voce cavernosa, sollevando leggermente il capo per guardarla negli occhi, sentendola muoversi leggermente su di lui per fare lo stesso, scatenando altre scosse elettriche ed altri fuochi d’artificio. Lo sguardo appagato e compiaciuto, il sorriso lievemente malizioso, le guance arrossate, la bocca ancora turgida per effetto dei baci...
 
“Sei così assurdamente bella…” non può trattenersi dall’esprimere ad alta voce quello che sta pensando, “lo so che te lo dico spesso, ma… diventi davvero sempre più bella ad ogni giorno che passa, sei sempre più luminosa, più… più consapevole della tua bellezza e-“
 
“E questo è per merito tuo, Gaetano, perché tu mi fai sentire bella e soprattutto mi rendi felice, felice e appagata come non credo di essere mai stata. E sicura di me: con te mi sento libera di essere quello che sono e che non ho mai osato essere, di essere me stessa fino in fondo, senza… senza imbarazzi, senza dovermi vergognare di quello che desidero, di quello che provo,” confessa, posandogli un bacio sul petto, all’altezza del cuore.
 
“Camilla…” esala, i battiti che accelerano nuovamente, il cuore e il petto che sembrano scoppiare non solo di piacere, di desiderio, ma anche e soprattutto di tenerezza, di… amore, non c’è altro modo di definirlo. Le solleva il viso per guardarla di nuovo negli occhi, “tu non devi vergognarti di niente, anzi, devi essere orgogliosa di te stessa: non solo della tua forza e della tua intelligenza, del tuo cuore, ma anche della tua passionalità, della tua sensualità. Tu sei una forza della natura, sei appassionata e passionale e generosa in tutto ciò che fai e che vivi e non c’è niente di male in questo. Non so come fai ma… quando abbiamo fatto l’amore per la prima volta, è stata un’esperienza sconvolgente, che non riuscirò mai a definire a parole, ma ricordo di aver pensato che non poteva esistere niente di meglio, niente di più forte, niente di più grande. Che non era fisicamente e mentalmente possibile sentirsi meglio di così, provare un piacere superiore a quello. E invece ogni volta che facciamo l’amore, continui a sorprendermi, e… oggi è stato… mi hai quasi fatto diventare matto, letteralmente… sto ancora diventando matto… sento ancora le tue dita, le tue mani dappertutto e-“
 
“Gaetano!” lo interrompe, diventando paonazza, il rossore che si diffonde dal volto al collo, al décolleté, anche mentre un sorriso le sfugge dalle labbra e non riesce a trattenersi dal riappropriarsi di quelle labbra che la fanno sempre sentire incredibilmente bene, da quando le parlano a quando la accarezzano, la amano.
 
“Lo sai che posso dire anche io esattamente lo stesso di te, vero? Non mi sono mai sentita tanto amata da qualcuno… in tutti i sensi,” gli sussurra quando si stacca per prendere aria, accarezzandogli la fronte e i capelli madidi di sudore, esattamente quanto i suoi, “è come se fossi nella mia testa, se potessi sentire, capire, leggere e soddisfare ogni mio desiderio, ogni mia necessità, senza bisogno di parlare.”
 
“Anche io posso dire esattamente lo stesso di te e poi… come ha detto qualcuno di molto saggio proprio poco tempo fa, soddisfare i tuoi desideri è anche e soprattutto un enorme piacere per me,” la provoca, solleticandole il collo con il naso e con le labbra, sentendola ridere e contorcersi tra le sue braccia mentre, di nuovo, si sente pervaso da continue microscosse elettriche, “e adesso… è il mio turno, professoressa.”
 
“Uh, uh,” scuote il capo, sollevandosi a sedere, a cavalcioni sulla sua vita, per sfuggire ai suoi assalti, “questo weekend è solo per te, te l’ho già detto e-“
 
“Appunto. Mi hai detto che ogni mio desiderio sarebbe stato un ordine, no?” le domanda, afferrandola per la vita e ributtandola delicatamente sul materasso, per poi intrappolarla sotto di lui, mentre lei non riesce a trattenere un gridolino per la sorpresa, ribadendo, guardandola negli occhi che brillano divertiti, “questo è quello che desidero. Vuoi rimangiarti la parola data, professoressa?”
 
“Non ci penso nemmeno…” riesce ad articolare con voce strozzata, prima di arrendersi, abbandonandosi a lui, lasciandosi andare, lasciandosi amare.
 
***************************************************************************************
 
“Ce l’ho fatta!” proclama felice ed orgogliosa, brandendo la capa santa aperta e pulita come se fosse un trofeo. C’è qualcosa di quasi infantile in lei, nel suo entusiasmo contagioso, nel suo essere senza filtri, senza mezze misure, senza pudore, in tutto. E, non sa come sia possibile, ma questo la rende non solo straordinariamente provocante, ma anche straordinariamente innocente, di quell’innocenza data dall’inconsapevolezza. Come Eva prima di mangiare la mela, sembra non avere la conoscenza, la cognizione del bene e del male.
 
“Brava! Hai visto che non era difficile?” la incoraggia sorridente, prendendole la conchiglia dalle mani per iniziare la preparazione vera e propria. Preparazione che aveva lasciato per ultima, visto che Barbara aveva fatto parecchia fatica con le capesante ed aveva invece avuto decisamente più fortuna con i gamberoni.
 
“Che profumino…” commenta lei, alzando il coperchio della padella dove si stanno aprendo le vongole veraci per il sugo degli spaghetti, “sei davvero bravissimo! E poi non ho mai avuto uno chef a domicilio: nessuno aveva mai cucinato per me.”
 
“Non mi stupisce, visto chi frequentavi, a meno che non volessi rischiare un’intossicazione alimentare,” ironizza sarcastico, non potendo evitare di pensare alla polizia.
 
“Ti va se ti offro qualcosa da bere?” chiede lei, non raccogliendo – forse volutamente? – la provocazione e cambiando discorso.
 
“Il vino che ho preso deve raffreddarsi ancora un po’, non sarà sicuramente alla temperatura giusta. Mi va bene anche un bicchier d’acqua…”
 
“Ho in mente qualcosa di meglio dell’acqua. Lo so che tu sei un gourmet e ti piacciono solo i vini e le birre migliori, ma… mi sembra che il cocktail di ieri sera non ti sia poi dispiaciuto. Ti va un margarita? Non so cucinare ma con i drink me la cavo bene…”
 
***************************************************************************************
 
“Margarita?” domanda sorpreso, riconoscendo l’inconfondibile aroma di lime, alcol e sale.
 
“Ti ho mai detto che nominare il nome di un’altra donna, soprattutto qui e in questo contesto, può nuocere molto gravemente alla salute?” gli chiede con tono fintamente minaccioso e un’occhiataccia, mordendosi il labbro per trattenersi dal ridere.
 
“Ah, ah, molto spiritosa!” ribatte, pizzicandole i fianchi e baciandole la fronte dopo averla sentita sussultare tra le sue braccia. Sono distesi languidamente sul letto a farsi le coccole e a riprendersi dopo il secondo round, “c’è odore di margarita qui. Non sei tu, sono-“
 
“Le candele,” chiarisce lei, aggiungendo, con un sorrisetto, “te ne sei accorto solo adesso?”
 
“Diciamo che prima ero distratto da… altri stimoli sensoriali…” le sussurra all’orecchio, con quel tono ironico e sexy che le ha sempre fatto perdere la ragione, da ben prima che stessero insieme.
 
“Ah, sì? Beh… sai, le candele al vermouth ancora non le producono e… questo profumo dicono che sia rilassante ma anche… energizzante,” ribatte Camilla, con un sopracciglio alzato e tono altrettanto suggestivo.
 
“Dovrei dedurne che mi serviranno molte energie, professoressa?” la provoca, sentendo il desiderio risvegliarsi in lui. Nemmeno a vent’anni gli era mai successo, ma con lei… sembra non bastargli mai e, se potesse, passerebbe non giorni ma settimane intere a fare l’amore.
 
“Deduci be-“ cerca di pronunciare ma un rumore improvviso li distrae: un guaito che da sommesso si fa più forte, seguito da un paio di latrati e da unghie che sfregano la porta.
 
“Mi sa che qualcuno è di nuovo geloso e richiama la tua attenzione,” scherza, mentre Camilla rifugia il viso nel suo petto per un secondo, prima di mettersi a sedere.
 
“È l’ora della cena di Potti… mi sa che anche il suo stomaco ha bisogno di energie,” ironizza, facendo per scendere dal letto, quando un altro rumore, un ruggito questa volta, la ferma.
 
Si guardano per un secondo e scoppiano a ridere.
 
“Mi sa che anche il tuo stomaco reclama energie,” lo canzona, pungendogli gli addominali con l’indice e il medio – o almeno provandoci, data la muscolatura, “ci penso io.”
 
“No, aspetta. Ordiniamo qualcosa: non mi va che tu ti metta a cucinare e-“ si blocca, riconoscendo lo sguardo di lei, “hai già cucinato, vero?”
 
“Deduzione brillante, dottor Berardi, quindi-“
 
“Allora vengo con te. Posso almeno apparecchiare tavola o-?”
 
“Non serve. Rimani esattamente dove sei. Ho pensato a tutto… se no che geisha sarei?” lo stuzzica con un mezzo sorriso felino, alzandosi in piedi, aprendo l’armadio ed estraendone una vestaglia corta di seta rossa e nera, perfettamente in tinta con il vestito di prima, che, anche chiusa, le copre le gambe solo fino a metà coscia.
 
“È proprio vero che l’abito non fa il monaco,” commenta Gaetano divertito, tra sé e sé, dopo che lei ha preso Potti in braccio, offrendogli uno spettacolo da mozzare il fiato e si è avviata verso la cucina: Camilla riesce a dominare e ad essere una generalessa anche nei panni di una geisha.
 
Per fortuna.
 
***************************************************************************************
 
“Questi tortini con i fiori di zucca e i gamberoni sono pazzeschi! Se il catering con cui collaboro avesse un cuoco bravo come te, come minimo avrei il doppio degli ingaggi!”
 
“Adesso sei tu che sei troppo buona… ma ti ringrazio,” si schermisce, imbarazzato e compiaciuto, per poi sollevare il bicchiere, quasi vuoto, e proclamare, “e comunque anche tu non scherzi: questo margarita non è niente male. Potresti quasi riuscire a convertirmi ai cocktail, lo sai?”
 
“Se vuoi posso preparartene un altro,” offre con un sorriso luminoso, sembrando altrettanto compiaciuta.
 
“Meglio di no: c’è anche il vino e… poco alcol stasera! Per me e per te,” sottolinea, con un’occhiata eloquente, indicando nuovamente il bicchiere, “invece sono curioso, dove hai imparato a farli così? Anche il modo in cui muovevi lo shaker, sembravi una vera professionista.”
 
Il fatto che fosse anche incredibilmente sexy mentre shakerava i liquori, il ghiaccio e il lime, invece, preferisce tenerlo per sé.
 
“Perché lo sono stata… ho lavorato un paio d’anni come barista nei locali, nelle discoteche, a matrimoni e feste per pagarmi gli studi. Prima facevo anche la hostess a fiere, eventi, e per un periodo ho fatto la cubista, ma poi ho preferito passare a fare la barista e la PR. Guadagnavo meno ma… era tutta un’altra vita. E girando per locali e lavorando con organizzatori di eventi e varie aziende di catering, mi sono fatta un sacco di contatti che mi sono poi serviti per iniziare la mia attività, oltre ai soldi per avviarla.”
 
“Che cosa studiavi?” le domanda, sorpreso.
 
“Danza… da piccola facevo classica ma per gli istruttori ero troppo formosa e non avevo belle linee e-”
 
“Dovevano essere dei matti!” commenta Renzo, facendola sorridere.
 
“Beh, per i parametri della danza classica purtroppo è vero. Quindi ho iniziato a fare contemporanea, moderna… ho fatto anche un po’ di recitazione e canto, speravo magari di trovare lavoro in un musical, altrimenti i teatri qui ormai in Italia non se li fila quasi più nessuno. E nel musical non conta così tanto rispettare certi canoni di perfezione. È per quello che ho iniziato a lavorare come cubista… mi sono detta – ti piace ballare, prendi due piccioni con una fava. Ma il mondo reale non è come flashdance, purtroppo,” spiega con un sospiro, bevendo l’ultimo sorso del suo drink.
 
“Hai… hai avuto problemi?” le chiede, provando di nuovo quello strano istinto di protezione nei confronti di lei, soprattutto quando nota il suo viso rabbuiarsi.
 
“Ero più giovane e più ingenua e… mettiamola così: avrai capito anche tu che non sono una santa e, come ti ho già detto, se qualcuno mi piace non mi faccio tutti questi problemi ad andarci a letto. Non capisco perché voi uomini lo potete fare e noi donne invece no, o che male c’è, soprattutto se sono libera e vado con uomini non impegnati. Ma anche se so di piacere e questo mi piace, anche se non mi faccio troppi problemi con gli uomini, è solo alle mie condizioni, con chi scelgo io. Non trovarmi circondata da bavosi ubriachi che si sentono autorizzati a toccarmi il culo, o peggio, per non parlare di alcuni proprietari che, siccome ti davano cento euro a serata, con tutto quello che gli facevamo guadagnare oltretutto – tutti gli incassi dei bavosi ubriachi – si sentivano autorizzati a fare proposte di ogni tipo. Mi sono sempre rifiutata e ho chiuso con quei locali e poi con quel lavoro. Almeno dietro al bar avevo un bancone in mezzo e c’era sempre un buttafuori a tener d’occhio, non che si fregassero gli alcolici.”
 
“E la danza? Hai chiuso anche con quella? O balli ancora?” le chiede, curioso, mentre non può evitare di notare che le ballerine amanti di sushi, evidentemente, sono una categoria che gli piace parecchio.
 
“Alla mia età? Sono vecchia anche per la danza, ormai e-“
 
“Tu vecchia? E io cosa sarei invece? Decrepito?” le domanda, incredulo.
 
“Nel mondo della danza se non sei qualcuno a vent’anni è già tardi, a più di venticinque… sono fuori tempo massimo per poterlo fare come lavoro. Continuo a ballare per hobby ma… ad un certo punto bisogna guardare in faccia la realtà, e la realtà è che non avevo abbastanza talento per vivere di danza. E fare la ballerina di quinta fila o il tappabuchi per pochi euro al mese e fare la fame, dover fare mille lavori extra per sbarcare il lunario, senza nemmeno la gloria? No grazie!” afferma, decisa, per poi domandargli, notando lo sguardo stupito di lui, “che c’è?”
 
“C’è che… non ti facevo così...” ammette, sorpreso da questa donna che sembra sfuggire ad ogni canone, ad ogni definizione, ad ogni regola, ma che eppure ha delle regole, degli standard, un codice morale tutto suo ma che esiste ed è pure ben definito nella sua testa. Che è leggera, sì, ma non è vuota, che sembra spensierata ma non è realmente senza pensieri.
 
“Così come?” gli chiede, studiandolo con occhi socchiusi, e Renzo sa di dover soppesare bene le parole, per non offenderla.
 
“Pragmatica e decisa, su quello che vuoi e che non vuoi,” pronuncia infine, aggiungendo, dopo un attimo di riflessione, “anche un po’ cinica, a volte.”
 
“Per forza: nella vita ho preso un sacco di fregature. E, sì, so quello che voglio e di solito riesco sempre ad ottenerlo. Il problema è che non riesco mai a… a tenermi a lungo ciò che voglio. Soprattutto con gli uomini: tutti mi vogliono, ci provano con me e poi dopo poco mi mollano o mi riempiono di corna. Eppure dovrei essere il sogno di ogni uomo: non pretendo amore eterno, promesse di matrimonio o di fidanzamento, se sto con un uomo non sto a farmi desiderare nemmeno ce l’avessi d’oro, non pretendo chiamate continue, messaggi e continue attenzioni, chiedo solo sincerità. Non so dove sbaglio…”
 
“Secondo me se sbagli è a non pretendere di più, te l’ho già detto ieri sera. Posso essere sincero?” le chiede, prendendo un respiro, ma di nuovo quel senso di protezione che sente nei confronti di Barbara lo spinge ad esserlo.
 
“Ti ho già detto che devi essere sincero…”
 
“La verità è che… spesso noi uomini pensiamo che se una donna ci si… concede con così tanta facilità, come l’ha fatto con noi, lo farà con un altro. E quindi… gli uomini che vogliono una relazione seria o comunque duratura, magari si spaventano ed evitano, temono fregature, anche perché sei così bella e sanno benissimo che sarai molto corteggiata dagli uomini. Quindi ti rimangono quelli a cui l’idea che tu possa piantarli in asso dopo poco non crea problemi, anzi, perché anche loro sono così,” spiega, temendo una sua reazione arrabbiata e sorprendendosi di nuovo quando lei sembra solo continuare a studiarlo, come incuriosita, spingendolo a continuare a spiegare, “vedi ad esempio il nostro Gaetano, escludendo per ora mia moglie, che però, a quanto dice – e devo dire che le credo pure – gli ha dato due di picche per quasi dieci anni, istigando il suo senso di competizione da macho e il suo ego ipertrofico. Quindi mia moglie, almeno per ora, è diventata la donna della sua vita, il grande amore della sua vita, almeno finché dura. E probabilmente durerà un po’ di più delle altre poverette che hanno avuto la sfortuna di credere alla miracolosa redenzione del playboy impenitente. Capisci come funziona?”
 
“Forse… di sicuro capisco che non puoi evitare di pensare e parlare di tua moglie e di Gaetano. Ma almeno sei sincero e hai il coraggio di dirmi in faccia quello che tutti pensano,” commenta con un sospiro e un mezzo sorriso esasperato, per poi aggiungere, seria, “a me invece di Gaetano non interessa niente. Mi interessi tu: sembri completamente diverso dagli altri uomini che ho frequentato ma… mi chiedo se sei anche tu qui stasera perché… perché pensi che scaricandomi non ne soffrirò, che mi troverò subito un rimpiazzo e che… insomma… non posso evitarmi di chiedermi se ti rivedrò quando finirà questa serata.”
 
“Vuoi la verità? Ovviamente anche io non posso non chiedermi tra quanto ti stancherai di me. Ho probabilmente più del doppio dei tuoi anni, non sono un… un fusto, insomma, non sono il genere di uomo che ti attrae di solito. Ma non sono qui per questo, perché spero che ti stancherai di me. Non lo so esattamente perché sono qui stasera, ma non so nemmeno perché non dovrei essere qui stasera. Non cerco altre donne, di questo puoi stare tranquilla, non pensavo di volere nemmeno una donna, una relazione… è un periodo che non so cosa farò oggi, cosa riuscirò a fare oggi, figuriamoci domani. E non lo sopporto: ho sempre programmato la mia vita, fatto progetti e… non mi è rimasto niente. Tu sei stata una… una bella sorpresa e… mi piace passare del tempo con te. Mi fai sentire bene e in questo periodo per me è tantissimo…”
 
“D’accordo, a me basta. Anche a me piace passare del tempo con te. E anche tu mi fai sentire bene,” proclama, accorciando le distanze tra loro per accarezzargli il viso. Renzo si rende conto, con stupore, che è il primo contatto in assoluto tra loro quella sera. Tanto era stata espansiva durante la loro notte insieme e al risveglio, tanto sembrava ora quasi trattenuta, intimidita.
 
“Ti ho detto che forse dovresti iniziare a pretendere di più…” mormora, ricambiando il gesto, accarezzando quella pelle morbida e liscia, soda, senza trucco, senza rughe, prova lampante di quanto siano enormemente diversi, di due mondi diversi, due generazioni diverse e distanti.
 
“E io ti ho già detto che è quello che sto facendo,” sussurra di rimando, sedendoglisi in grembo e baciandolo.

Lo stesso gesto della sera prima. Ma se la sera prima era una mossa sensuale, spregiudicata, ora è invece un contatto dolce, tenero, quasi… romantico, che gli fa bene e male al cuore e gli ingarbuglia ancora di più i pensieri.
 
Ma non è una sensazione spiacevole, tutt’altro.
 
***************************************************************************************
 
“Certo che hai davvero pensato proprio a tutto, fin nei minimi dettagli… e in un solo giorno!”
 
Sono seduti sul lettone, sopra al lenzuolo, con indosso solo quella vestaglietta leggera ed un paio di boxer aderenti. Il minimo indispensabile per riuscire a mangiare resistendo alla tentazione di saltarsi addosso.
 
Sul vassoio campeggiano i pochi resti del tagliere di salumi e formaggi con crackers, finger food freddi a dir poco deliziosi e bocconcini di frutta estiva. Tutto cibo perfetto per essere consumato anche a letto, imboccandosi a vicenda, in qualsiasi momento, senza dover riscaldare, senza dover aspettare, senza rischio di fare disastri. Un’idea a dir poco geniale, degna della sua professoressa-detective preferita. Entrambi hanno un bicchiere in mano, in cui Camilla ha appena versato un’altra generosa dose di vermouth.
 
Il paradiso insomma, il loro paradiso.
 
“Lo sai che quando mi metto in testa una cosa e ho una… giusta motivazione… sono inarrestabile ed implacabile. E riesco perfino ad abbandonare il mio amato caos e diventare una persona organizzata,” si schernisce Camilla, facendogli l’occhiolino.
 
“Il tuo amato caos? Mi sembrava di ricordare – e cito testuali parole – che a te il caos non piace. O non piaceva,” la canzona affettuosamente, anche se sulle ultime tre parole, il tono si fa decisamente più sensuale.
 
“Se ti riferisci al caos in generale… mi tocca ammettere che sono sempre stata parecchio caotica e disordinata di natura, purtroppo o per fortuna, anche se dicono che il disordine sia sinonimo di creatività. Ma negli anni ho imparato a controllarmi e a darmi una regolata, perché non mi piace vivere in una casa in cui sembra sempre essere appena scoppiata una bomba,” confessa, autoironica, per poi aggiungere, più seria, “e se invece intendi un caos in particolare… un bellissimo caos con gli occhi azzurri, i capelli biondi, un sorriso incredibile ed un’espressione da schiaffi… devo confessare che mi è sempre piaciuto, sempre, anche se non potevo e volevo ammetterlo. Quindi sì… confesso di aver mentito, dottor Berardi.”
 
“Lo sa che per questo verrà severamente punita, professoressa Baudino?” proclama con tono fintamente marziale ed inflessibile, appoggiando quasi inconsciamente il bicchiere di vermouth sul comodino.
 
“Ci conto, dottor Berardi,” sussurra, mordendosi il labbro, ritraendosi però prima che possa afferrarle il bicchiere dalle mani, “ma prima di emettere la sentenza, ho ancora una cosa da confessare…”
 
“Cioè?” le domanda, stupito, chiedendosi dove vorrà andare a parare questa volta.
 
“Cioè che quando finalmente ho smesso di combattere e mi sono arresa al caos… mi ha sconvolto la vita, sì, come avevo sempre pensato, temuto e forse un po’ sperato, ma allo stesso tempo, incredibilmente l’ha rimessa in ordine. È come se ogni tassello del puzzle fosse andato a posto, Gaetano… certo abbiamo ancora parecchi problemi da risolvere ma… ma non riguardano me come persona, come mi sento. E non riguardano nemmeno noi due. Perché mi sento in pace, in equilibrio, come non credo di essere mai stata.”
 
In un impulso irrefrenabile, la attira a sé e la abbraccia più stretto che può. Qualche secondo, il tempo necessario perché i suoi recettori nervosi, decisamente sovrasollecitati nelle ultime ore, registrino un senso di bagnato e di freddo che gli corre lungo la spina dorsale. Volta il capo, stupito, e si rende conto solo in quell’istante che, nella foga, non aveva tenuto conto del bicchiere di vermouth che lei teneva ancora in mano. Vermouth che è ormai colato a cascata sulla sua schiena, arrivando fino al lenzuolo.
 
Mortificato, cerca lo sguardo di Camilla, che ricambia con occhi stranamente brillanti, mordendosi il labbro. Altri due secondi e scoppiano a ridere in contemporanea, senza potersi trattenere.
 
“Sei davvero il caos!” lo canzona Camilla, tra una risata e l’altra, appoggiando il bicchiere ormai vuoto sul comodino, “capisco sempre di più da chi ha preso Tommy…”
 
“Beh… visto che non c’erano le candele al vermouth… ho inventato le lenzuola al vermouth. Il caos è creatività, l’hai detto tu stessa,” ironizza, per poi guardarla con uno sguardo contrito degno di suo figlio e domandarle, serio, “mi perdoni?”
 
“Non lo so… dipende…” replica con un sorrisetto enigmatico.
 
“Da che cosa?”
 
“Da qual è la mia punizione, dottor Berardi,”
 
“Dopo le sue ultime confessioni, professoressa, credo che la condanna per lei sia ormai segnata: l’ergastolo,” sentenzia, severo ed irremovibile, come un giudice.
 
“L’ergastolo?”
 
“Sì… una vita intera nel caos, con cucine ad alto rischio di incendio, allagamenti in bagno, lenzuola al vermouth, cani gelosi ed affamati che tentano di sfondare le porte in assetto antisommossa…” prospetta, prendendosi in giro, per poi prenderle il mento tra due dita e affermare, più serio, “ovviamente può sempre presentare appello, se le sembra una condanna iniqua.”
 
“Non ci penso neanche!” proclama decisa, cingendolo con le braccia ed accarezzandogli la schiena ancora umida di vermouth, “anzi, voglio sperare che la sentenza sia immediatamente esecutiva.”
 
“È già passata in giudicato,” mormora, prima di attirarla a sé e sconvolgerla con un altro bacio, cappottando insieme sulle lenzuola intrise di vermouth, senza sentire né il bagnato, né il freddo, immersi nel calore del loro mondo.
 
***************************************************************************************
 
“Ma non hai mai pensato di fare lo chef? Anche questa pasta era buonissima, cotta alla perfezione. Per lavoro di ristoranti ne giro tanti, quindi so cosa dico,” si complimenta, dopo l’ultima forchettata di spaghetti con le vongole.
 
“Ti ringrazio,” sorride, compiaciuto, arrossendo leggermente, “e sì, in realtà da giovane ci avevo pensato ma… adesso c’è la moda degli chef, ma ai tempi fare il cuoco era considerato un mestiere per poveri. E poi i cuochi viaggiano, fanno orari impossibili e… io praticamente avevo solo mia madre, mia madre aveva solo me e non volevo abbandonarla per andare a lavorare chissà dove. E lei era orgogliosa e voleva che studiassi, mi laureassi. Stavamo a Civitavecchia, lei mi ha convinto a prendere un appartamento a Roma, per studiare ed essere indipendente. Sono rimasto impressionato dalle bellezze, dai capolavori e… mi piaceva la matematica, i numeri, ma anche la creatività e l’arte… all’inizio volevo fare economia, spinto da mamma, e mi sono anche iscritto. Ma poi quando ho preso il mio appartamento insieme ad altri ragazzi e ci è toccato arredarlo al millimetro, ho capito che mi piaceva, ho fatto tutto io e mi sono proprio appassionato. E ho capito che fare l’architetto era un giusto compromesso tra i numeri e la creatività.”
 
“Si sente che sei intelligente… che hai cultura… che hai studiato… parli così bene,” pronuncia dopo un attimo di esitazione, come se non fosse quello che voleva realmente dirgli.
 
“Che c’è?” le chiede, guardandola negli occhi.
 
“Anche tu hai perso tuo padre quando eri giovane?” domanda dopo un altro attimo di pausa, sembrando colpita, “il mio è morto quando avevo dodici anni… un aneurisma. E il bello è che sembrava il ritratto della salute, sportivo e invece… era nato con una bomba ad orologeria nel cervello. Se ne è andato così… da un momento all’altro.”
 
“Mi dispiace…” sussurra Renzo, colpito, e sempre più sorpreso da quello che scopre di questa donna, sentendosi quasi in colpa quando chiarisce, “mio padre era vivo, è ancora vivo, ma era come se non ci fosse. Riempiva mia madre di corna, non era un padre, non voleva e non sapeva fare il padre. È per questo che detesto e disprezzo gli uomini come lui  e come-“
 
“Come Gaetano?” intuisce lei, dimostrando di nuovo di non essere affatto stupida.
 
“Sì… e mi sono giurato che non sarei mai stato come mio padre, che sarei stato un padre perfetto e un marito perfetto e-“
 
“Beh, direi che ci sei riuscito, no? Ami ancora tua moglie dopo tutti questi anni… non è colpa tua se lei si è fatta conquistare da Gaetano…” lo interrompe Barbara, parlando di lui con un tono ammirato che gli fa male, perché sa di non meritarlo.
 
“Non… non è così semplice. Non sono stato un santo e ho sbagliato tanto, forse in tutto… è una storia lunga ma… non so se ho voglia di parlarne stasera. Ti dispiace se-“
 
“Se non parliamo di tua moglie e Gaetano? Secondo te?” gli chiede, ironica e retorica, facendolo sorridere di nuovo.
 
“Perché non mi parli di te adesso, invece? Organizzi eventi, giusto? Feste…”
 
“Feste, inaugurazioni, eventi culturali, eventi aziendali, sfilate, concerti. Di solito cerco di evitare i matrimoni, visto che li detesto e sembra di stare in una gabbia di pazze isteriche, tra le spose e le madri degli sposi soprattutto. Certo, sono anche tra gli eventi più redditizi e se sei nel giro giusto ogni anno hai un business garantito… ma ultimamente sto riuscendo a selezionare clientela e lavori che mi piacciono…”
 
“Guarda, io non faccio testo visto che, se posso essere sincero, odio praticamente tutti gli eventi mondani e tutte le feste,” ammette Renzo, prima di aggiungere, “senza offesa.”
 
“No, figurati. Poi, organizzandole, le vivo come un lavoro, non posso divertirmi. A me la mondanità invece piace e partecipo volentieri ad eventi non organizzati da me, se sono belli o particolari o interessanti ma… è quasi tutta una commedia. Di gente che si diverte davvero ce n’è poca… è quasi come stare a teatro e recitare a soggetto. Forse mi diverto anche per questo, ora che ci penso: mi sembra di tornare sul palcoscenico, anche se quelli veri li ho dovuti abbandonare,” commenta, tra l’ironico e il malinconico.
 
“A me invece mette tristezza… vedere tutta questa gente che finge, recita, mente a se stessa e agli altri. Ho sempre odiato la vita di società e ho sempre preferito una serata casalinga ad andarmi ad infilare in uno di quei baracconi mondani. E lo sai qual è stata la beffa peggiore? Quando mi sono reso conto che… che la recita si era spostata dentro le mura di casa, che non avevo quindi più una casa, un rifugio, ma… che stavo sempre su un palcoscenico e che avevo cominciato anche io a mentire a me stesso e agli altri. Alle persone a cui tenevo di più. Ironico, no?” pronuncia, di nuovo quasi come se stesse parlando più a se stesso che a lei. Il dolore e il sollievo nel prendere coscienza completamente di ciò che erano stati gli ultimi anni di agonia del suo rapporto con Camilla sono tanto forti quanto indefinibili e inscindibili. Solleva infine lo sguardo, quando nota che il silenzio si sta prolungando sempre di più, che dall’altra parte non c’è alcuna reazione, e legge nello sguardo di lei un’amarezza e una disillusione che lo colpiscono.
 
“Scusami… continuo a tornare su… su Camilla e… sono uno stupido, scusami,” balbetta, imbarazzato, chiedendosi come mai lei non l’abbia ancora invitato ad andarsene. La mente gli torna di nuovo a quell’appuntamento con Pamela, quando lei gli aveva intimato di ritornarsene dalla moglie, dopo che lui l’aveva nominata una volta di troppo.
 
“No… non è per quello, non solo… è che… hai ragione tu: a me piace stare su un palcoscenico ma… quando ti accorgi che tutta la tua vita è una recita, un baraccone, come lo chiami tu, che non c’è niente di vero, di sincero, che… che non puoi mai smettere di recitare e che… che nessuno smette mai di recitare con te, nessuno ti vede davvero per come sei… ma ti giudica e basta per il ruolo che interpreti anche quando fino a cinque minuti prima si divertiva a starci sul carrozzone insieme a te… non è più divertente, nemmeno per me,” ammette, sembrando anche lei riflettere ad alta voce, più che parlare con lui.
 
“C’entra con quello che è successo ieri sera?” non può evitare di chiedere, vedendola incupirsi, se possibile, ancora di più.
 
“Sì,” conferma con un sospiro ciò che era già evidente, “ma non… non mi va di parlarne. Ti dispiace?”
 
“Se non parliamo di quel galantuomo del tuo ex? Secondo te?” le chiede, facendo il verso alla domanda che lei gli aveva posto poco prima, provando una strana sensazione piacevole quando la vede sorridere di rimando e rilassarsi, “anzi, per toglierci l’amaro di bocca… che ne dici se passiamo al dessert?”
 
***************************************************************************************
 
“Dio, quanto sei bella…” sussurra, tracciandole le labbra con il pollice e sentendola dischiuderle in un sorriso, per poi baciargli e mordicchiargli lievemente il polpastrello.
 
Sono distesi l’uno accanto all’altra a riprendere un attimo le forze ed il fiato dopo tanta passione, tanto amore.
 
La vede sollevarsi leggermente su un gomito e sono di nuovo labbra contro labbra, in un bacio leggero e morbido. Si lascia poi cadere sul materasso, trascinandola con sé in un abbraccio, sentendola rifugiarsi nel suo petto, mentre le accarezza la schiena ed i capelli.
 
“Mmmm… sai di vermouth,” la sente mormorare nell’incavo del suo collo, prima di posargli un bacio sulla clavicola.
 
“Se ti fa questo effetto, mi sa che abbandono il mio solito profumo e mi rovescio addosso un goccio di vermouth ogni mattina,” scherza, avvertendo le labbra di lei sul collo tendersi in un altro sorriso.

“Sì, mi immagino già i titoli dei giornali: vicequestore sospeso dal servizio per sospetto alcolismo!” ribatte, guadagnandosi un pizzicotto sul fianco che la fa sobbalzare e lanciare un gridolino di protesta.
 
Gaetano sorride e sta per lanciarsi in un vero e proprio attacco a base di solletico, quando il suono del cellulare di Camilla li interrompe, segnalando l’arrivo di un messaggio e di uno squillo.
 
“Deve essere Livietta…” deduce Camilla, mettendosi a sedere su di lui e sporgendosi per afferrare il cellulare dal comodino.
 
Siamo arrivate in disco. Tutto bene ma qui c’è casino quindi non chiamarmi che non sento. Ti avviso quando siamo a casa di Cri. Baci,” legge ad alta voce, aggiungendo, ironica, “addirittura baci? Si vede che oggi è di buonumore, anche se è telegrafica come sempre.”
 
“Chissà da chi avrà preso, eh? Ricordo ancora i tuoi sms, professoressa, che sembravano davvero dei telegrammi, talmente erano sintetici e spesso quasi marziali,” la punzecchia, mentre lei si sporge nuovamente per riporre il cellulare sul comodino, “mentre da quando stiamo insieme... non solo usi più parole, ma soprattutto usi tutt’altro tipo di parole… si vede che anche tu sei di buonumore?”
 
“Chissà…” pronuncia, appoggiando la mano sinistra sul suo petto per tendersi in avanti e accarezzargli la guancia con la mano destra, facendogli l’occhiolino.
 
Gaetano sorride e sta per ricambiare il gesto, quando sente qualcosa tra le labbra, qualcosa di lievemente freddo e dal sapore metallico. Abbassa lo sguardo, lasciando per un attimo gli occhi di Camilla e capisce che si tratta del ciondolo della collanina che lei indossa. Lo solleva tra due dita, notandolo realmente per la prima volta: è a forma di chiave, una piccola chiave dorata.
 
“È… è nuovo?” non può evitare di chiedere, sollevando nuovamente lo sguardo verso di lei, che sembra studiarlo intensamente.
 
“Lo noti solo adesso?” replica con un sorrisetto enigmatico.
 
“Prima ero… concentrato su altro. E comunque non si risponde ad una domanda con un’altra domanda,” ribatte, deciso ad avere una risposta, anche se in realtà gli sembra di averlo già visto prima in qualche occasione, ma non ricorda quando. Camilla non porta quasi mai collane.
 
“Non proprio… diciamo che ce l’ho da un po’, ma non l’ho mai indossato,” risponde lei, rimanendo sempre sul vago.
 
“L’hai… l’hai comprato tu?” non riesce a trattenersi dall’indagare.
 
“Non proprio…” ripete, senza aggiungere altri dettagli.
 
“È… è un regalo?” domanda avvertendo quel lieve senso di oppressione al petto che ormai riconosce benissimo.
 
“Non dirmi che sei geloso…” pronuncia Camilla, sempre con quel sorrisetto, sembrando leggergli nel pensiero e nel cuore e dimostrando di conoscere la risposta.
 
“Beh… regalare un ciondolo a forma di chiave… può… può avere un certo significato, no? Una certa importanza…” le fa notare, cercando di capire chi possa aver fatto un regalo del genere a Camilla e perché lei l’abbia indossato proprio oggi.
 
“E infatti ce l’ha,” conferma, con il tono di chi sta pronunciando un’ovvietà, mentre il sorriso le si fa sempre più ampio.
 
“Eh?” chiede, confuso, non capendoci più niente, nemmeno quando la vede sollevare le braccia dietro al collo – rimanendo per qualche istante in una posa da mozzare il fiato – aprire la catenina, sfilare il ciondolo, lasciandoglielo cadere sul petto.
 
“È per te…” chiarisce con un altro sorriso, quando vede che lui non reagisce e continua a fissarla come stordito.
 
“Per me? Una collana?” le chiede, sorpreso, non solo perché la foggia è decisamente femminile, ma soprattutto perché lui non indossa gioielli.
 
“Non è una collana, è-“
 
“Un ciondolo, sì, ma è lo stesso…” ribatte, prendendolo di nuovo tra due dita e studiandolo meglio. Improvvisamente, viene colpito da un’intuizione, “non è… non è un ciondolo, vero? Non ha… non ha l’occhiello.”
 
“Brillante deduzione, dottor Berardi,” conferma, continuando a sorridere e facendogli l’occhiolino.
 
“E… e l’ho già vista da qualche parte, ma… ma dove? E che significa?” le chiede, ormai decisamente incuriosito ed intrigato.
 
“Il poliziotto sei tu…” lo provoca, quell’espressione soddisfatta e felina che lo fa impazzire.
 
Chiude gli occhi, cercando mentalmente il ricordo, l’immagine giusta, senza trovarla. Li riapre e si guarda intorno, cercando un qualsiasi appiglio visivo ed è a quel punto che gli occhi gli cadono sull’armadio e lì si bloccano.
 
L’armadio… quei due bastardi che li avevano legati e rinchiusi… chiusi a chiave nell’armadio. E la metà di sinistra del guardaroba, proprio quella in cui erano stati imprigionati, non ha alcuna chiave nella toppa, mentre quella di destra…
 
Guarda Camilla e, dal modo in cui gli sorride e si solleva dal suo grembo, mettendosi a sedere accanto a lui, capisce di aver capito e sa che cosa deve fare.
 
Si mette a sua volta a sedere e scende dal letto, chiedendosi che cosa si sia inventata questa volta la sua imprevedibile professoressa. Infila la chiavetta nella toppa, la gira e apre le ante, non sapendo bene che cosa aspettarsi.
 
Quello che trova è un armadio completamente vuoto, tranne che sul fondo, dove scorge una scatola di scarpe, una bustina di plastica e pochi vestiti ordinatamente piegati ed impilati.
 
Vestiti da uomo.
 
Si inginocchia e li prende in mano per studiarli, uno a uno. Una camicia bianca a maniche lunghe, una maglietta bianca, un paio di jeans, un paio di pantaloni da tuta ed un paio di pantaloncini sportivi, entrambi grigio scuro. Tutti nuovi di zecca, tutti della taglia che indossa abitualmente.
 
E, in fondo alla pila, un maglione grigio che invece non è nuovo e che riconosce benissimo. Il maglione che aveva indosso la sera in cui tutto era cambiato tra di loro, il maglione che le aveva prestato per scaldarsi nella fredda casa di Madame e che lei non gli aveva mai più restituito.
 
Riesce a percepire chiaramente il profumo inconfondibile di Camilla che impregna ancora il maglione, segno che quel maglione è stato indossato da lei, forse anche recentemente.
 
Sentendosi come un bambino la mattina di natale, apre la scatola delle scarpe e ci trova un paio di ciabatte infradito nere, anche queste della sua misura.
 
Nel necessaire, invece, solo uno spazzolino nuovo ed un bigliettino bianco con scritto, nella grafia inconfondibile di Camilla, “portami al mio posto e troverai il resto…
 
Solleva lo sguardo verso Camilla che lo osserva, lì in piedi, completamente nuda, come lui del resto, con un’aria tra il compiaciuto e il timoroso. Ha in testa mille domande, mille pensieri e il cuore in tumulto ma, quasi in automatico, decide di seguire ancora una volta l’indizio.
 
Si incammina verso il bagno, sentendo i passi delicati di lei che seguono i suoi. Aperta la porta, si guarda intorno e nota per la prima volta qualcosa che spunta dal portaspazzolini, accanto al dentifricio e allo spazzolino di Camilla. Un altro bigliettino con solo tre parole: “armadietto di sinistra”.
 
Non potendo trattenere un sorriso, apre l’anta indicata dal biglietto e si ritrova di fronte ad un rasoio classico, schiuma da barba, rasoio elettrico, bagnoschiuma, shampoo. Se non fosse tutto nuovo, penserebbe che Camilla abbia fatto un raid nel suo bagno, perché è tutto esattamente uguale a ciò che usa abitualmente. Ma del resto dovrebbe saperlo che la memoria di Camilla è assolutamente incredibile ed infallibile.
 
Si volta ed incrocia gli occhi scuri di lei, che lo osservano di rimando. Per qualche secondo nessuno apre bocca: continuano a studiarsi nel più totale silenzio, come a voler leggere nei pensieri dell’altro.
 
“Che… che significa tutto questo, Camilla?” ha finalmente il coraggio di domandarle, il cuore in gola, non osando pensare a niente, per non rischiare di illudersi, “ti prego, non chiedermi di dedurlo, perché ho bisogno di sentirtelo dire.”
 
“Significa che… se vuoi, questo è il tuo armadietto e… quello è il tuo armadio. Così… quando ti fermi qui per la notte non devi più tornare a casa a cambiarti, a prepararti. Ti ho preso un po’ di cose per… per cominciare, spero di averci azzeccato, ma… ovviamente puoi portare qui quello che preferisci. Lo spazio è tuo… solo se ti va, ovvio,” gli spiega con un tono di voce quasi timido, timoroso, che lo intenerisce profondamente.
 
Per un attimo una parte di lui aveva sperato che questo fosse il suo modo di chiedergli di convivere stabilmente, ma sa benissimo che è troppo presto e che sarebbe da irresponsabili farlo, con tutto quello che sta accadendo con Renzo e con Eva.
 
Ma ora sa, è sicuro, che è solo questione di tempo, che lei lo desidera tanto quanto lo desidera lui e che questo è un primo, piccolo, ma importantissimo passo in quella direzione.
 
E il fatto che lei abbia organizzato tutto questo, che abbia progettato tutto questo, fin nei minimi particolari, il modo in cui lo guarda, attendendo la sua risposta, mordendosi nervosamente il labbro, nuda, in tutti i sensi, di fronte a lui, gli fa scoppiare il petto di dolcezza, di amore, di gratitudine, di orgoglio e di desiderio.
 
In un attimo la raggiunge e se la carica in braccio, soffocando il suo grido di sorpresa con un bacio, si siede, con lei ancora avvinghiata a lui sul bordo della vasca e, a tentoni, apre l’acqua, continuando a baciarla, fino a che è proprio lei a staccarsi.
 
“Devo prenderlo come un sì?” gli sussurra sulle labbra, mentre lui annuisce sorridendo, per poi lanciare uno sguardo al rubinetto aperto, ritrovandolo sul livello più freddo possibile, sospirare e sporgersi per regolarlo, punzecchiandolo con un, “va beh che forse abbiamo bisogno entrambi di una doccia fredda, anzi, gelida, ma non voglio rischiare una polmonite.”
 
“Vuoi dirmi che non basto io a scaldarti, professoressa?” la provoca di rimando, immergendo le dita nell’acqua gelata accumulatasi sul fondo della vasca per qualche secondo, prima di appoggiarle sulla caviglia sinistra di lei e cominciare a tracciare righe invisibili lungo il polpaccio, risalendo sempre di più, sentendola rabbrividire e ricoprirsi di pelle d’oca.
 
“Dovrai impegnarti davvero molto per riuscire a scaldarmi adesso, lo sai?” pronuncia lei con voce roca, quasi senza fiato, non appena si riprende un attimo dall’esplosione di sensazioni, come se avesse ghiaccio bollente sulla pelle.
 
“Non chiedo di meglio, professoressa.”
 
***************************************************************************************
 
“Dopo queste pesche ripiene, credo che dovrò fare ginnastica per due giorni di fila. Ma ne è valsa la pena: non ho mai mangiato una cena così buona in vita mia!” proclama con un sorriso, allungandosi verso di lui per accarezzargli il viso e stampargli un bacio sulle labbra, un bacio che sa di pesca, cioccolato ed amaretto, e sussurrargli, “grazie mille.”
 
“Fi- figurati… sono contento che qualcuno apprezzi la mia cucina…” minimizza, imbarazzato e compiaciuto.
 
“Non so come qualcuno potrebbe non apprezzare la tua cucina, come potrebbe non apprezzarti: sei bravissimo e non solo ai fornelli. Nessuno aveva mai fatto una cosa simile per me, mai,” dichiara con tono addolcito e toccato, aggiungendo poi con un sorriso ed un’occhiata eloquente, “quindi fingerò di non aver colto il possibile riferimento alla tua ex che, te lo ripeto, è una pazza completa ad essersi lasciata scappare un uomo come te.”
 
“Scusami,” mormora, passandosi una mano tra i capelli, rendendosi conto dell’ennesima gaffe commessa, “e ti ringrazio, ma credo che tu mi veda molto meglio di come sono in realtà. In tutti i sensi.”
 
“No, ti garantisco che ho undici decimi, vista perfetta,” ribatte con un sorriso, posandogli un altro bacio sull’angolo della bocca.
 
“A-ah… ok… bene, che ne dici se ti aiuto a ritirare qui e poi-“
 
“Non mi serve una mano per ritirare: c’è la lavastoviglie e posso farlo domani mattina. Sai in cosa potresti aiutarmi invece?”
 
“N-no,” deglutisce, sentendosi avvampare quando la vede farsi sempre più vicina, lo sguardo da pantera che è ritornato a tingerle il volto.
 
“A smaltire le calorie… nell’unico modo più piacevole ancora di come le abbiamo accumulate,” ironizza, prima di sedersi sulle sue ginocchia e travolgerlo in un bacio appassionato e famelico.
 
“A- aspetta,” la blocca, sbilanciato sulla sedia, sul punto quasi di cadere.
 
“Ancora?! Ti piace davvero giocare allora…” lo punzecchia, mordicchiandogli il labbro, prima di tentare di nuovo di baciarlo, ma lui si scosta.
 
“Che c’è?” gli domanda con un sospiro, più seria, spingendosi indietro fino a lasciarsi cadere sulla sedia che aveva occupato per tutta la cena, lasciandogli lo spazio per ricomporsi, la femme fatale che lascia il posto alla ragazza, alla donna che ha incominciato a conoscere ed intravedere stasera, “ti giuro che non ti capisco: prima vieni qui, organizzi tutto questo, mi corteggi e poi-“
 
“Ecco, appunto. Non… non voglio che… che pensi che ho fatto tutto questo solo per portarti a letto perché non è così. Lo so che… che è già successo, ma non deve succedere per forza di nuovo anche stasera, se-“
 
“Shhh,” lo zittisce, tappandogli le labbra con un dito, “lo so che non l’hai fatto per portarmi a letto, anche perché non serviva. E non è che deve succedere per forza, io voglio farlo perché mi piaci, perché mi piace come mi fai sentire e non solo a letto: con te sto benissimo. Ma solo se lo vuoi anche tu, quindi stasera non insisto: sei tu che devi fare la prossima mossa adesso. Decidi tu se andare o restare.”
 
Renzo la guarda per un attimo: seduta su quella sedia, i capelli leggermente scarmigliati, che cercano di sfuggire dall’elastico della coda, il viso pulito, le labbra lievemente gonfie per il loro bacio. È così bella, così stranamente angelica e tentatrice insieme.
 
Non aveva molto meditato su cosa sarebbe successo prima di cedere all’impulso di andare da lei ed invitarla a cena fuori, ma in un angolo della mente si immaginava di riaccompagnarla a casa, darle il bacio della buonanotte ed andare via, magari farle recapitare un mazzo di fiori la mattina dopo ed invitarla di nuovo fuori per conoscerla meglio. Fare le cose con calma dopo quell’inizio in cui avevano bruciato tutte le tappe.
 
Il vecchio Renzo avrebbe fatto così, ha sempre fatto così. Perfino con Carmen, anche se la loro relazione era nata nella clandestinità, avevano avuto alcune uscite non propriamente di lavoro, non propriamente private, sul filo del rasoio tra qualcosa di lecito tra due colleghi entrambi sposati e qualcosa che andava oltre al consentito, prima di cedere e baciarsi per la prima volta. Prima di lasciarsi andare alla passione, mettendo a tacere i sensi di colpa.
 
Già i sensi di colpa… perché allora con Carmen stavano entrambi facendo qualcosa di male e lo sapevano, stavano tradendo la fiducia di qualcuno, comunque si volevano vedere le cose.
 
Ma ora… che c’è di male? – si chiede quella vocina insistente nella sua testa. Si chiede ancora perché no. Perché dovrebbe seguire degli schemi e tornare in un appartamento vuoto e freddo quando la serata è andata così bene, quando con lei sta così bene.
 
D’istinto, si alza in piedi. La osserva per un attimo guardarlo, ancora seduta, un’espressione delusa che le si dipinge sul volto, provocandogli un’altra ondata di tenerezza e di orgoglio.
 
Le porge la mano, semplicemente, il palmo rivolto verso l’alto e quando lei, confusa ed incuriosita, ricambia il gesto appoggiandovi la sua, la tira in piedi e la attira a sé, baciandola.
 
Senza bisogno di altre parole, sentendola sorridere sulle sue labbra, aggrappati l’uno all’altra, si muovono a tentoni verso la camera da letto.
 
***************************************************************************************
 
“Mmm… che succede? Chi ti manda messaggi a quest’ora?”
 
“Sei gelosa?” le domanda con un sorriso, compiaciuto non solo dalla reazione di lei, ma anche dal messaggio, sebbene lo abbia svegliato alle cinque del mattino.
 
Sebbene siano le cinque del mattino e non gli piace che Livietta faccia l’alba. Ma quelle poche parole – siamo a casa di Cri e andiamo a dormire. Buonanotte o buongiorno – gli sembrano quasi un miraggio, gli sembra un sogno che abbia pensato a scrivere anche a lui, oltre che a Camilla.
 
“Se lo fossi?” gli chiede di rimando, con il tono di chi non vuole sbilanciarsi ma che gli fa capire che sì, è indiscutibilmente gelosa.
 
Sta per risponderle quando arriva un altro messaggio e non può evitare di sorridere ancora leggendolo, anche se non è certo dei più dolci o affettuosi, ma non gli importa, perché gli sembra di essere tornato ai tempi prima della seconda separazione  – ps. papà, lo so che sei mattiniero ma non ti azzardare a venire qui prima di mezzogiorno, che vogliamo dormire. Ci vediamo dopo pranzo, ok? Anzi, riposati anche tu che almeno stasera al concerto non inizi a brontolare alle dieci, come al tuo solito ;)…
 
“Senti, te l’ho detto: non voglio promesse d’amore eterno ma la sincerità sì. Quindi se hai qualche altra corteggiatrice che ti ronza intorno, visto che ti scrive nel cuore della notte, e che evidentemente ti interessa, visto come sorridi quando leggi i suoi messaggini, basta che me lo dici e-“
 
“È mia figlia,” chiarisce, mostrandole il display, continuando a sorridere orgoglioso, “è appena tornata dalla discoteca con le sue amiche e mi ha mandato un messaggio per avvisarmi.”
 
“Ah, è la ragazza che c’era anche l’altra sera al pub, giusto? È molto carina, anche perché ti assomiglia moltissimo,” risponde con tono e sguardo addolciti e tranquillizzati, indicando la foto del profilo di Livietta, per poi aggiungere, con tono decisamente curioso, “andate ad un concerto stasera?”
 
“Sì… ad una specie di festival rock a piazza San Carlo… un’amica di mia figlia a quanto pare è fan sfegatata di una delle band,” conferma, trattenendo un sospiro perché, se l’idea di passare un po’ di tempo solo con Livietta è un sogno che si realizza, l’idea di andare in mezzo a quel casino con Betty Boop e i suoi urletti, oltretutto…
 
“Ah, sì, ho capito… e non è che a questa amica e magari pure a tua figlia, piacerebbe conoscerla la band e vedere il concerto dal backstage, invece che in mezzo alla folla?” gli chiede con un mezzo sorrisetto.
 
“Magari! E sinceramente evitarmi il bagno di folla non mi dispiacerebbe per niente ma… davvero si può?” le domanda, capendo dal modo compiaciuto in cui gli sorride, che ha un asso nella manica.
 
“Diciamo che l’evento lo organizza la società di un collega che mi deve più di un favore… quindi… posso fargli un paio di telefonate, chiaramente non adesso se no mi manda a stendere, e… credo non ci siano problemi. Se mi dai il tuo numero ti avviso quando ho fatto e come fare per ritirare i pass e-”
 
Un bacio dolce e delicato la zittisce prima che possa finire la frase. La tenerezza lascia ben presto di nuovo spazio alla passione e si ritrovano sotto le lenzuola, il telefono dimenticato ed abbandonato in un angolo del letto.
 
***************************************************************************************
 
“Papà, ma dove stai andando?! La fila parte di là!”
 
“E infatti noi non dobbiamo fare la fila,” replica, voltandosi per guardare negli occhi Livietta, che lo osserva tra il dubbioso, l’incredulo e l’esasperato.
 
“Sì, e cosa vorresti fare? Sfondare le transenne?” gli chiede, sarcastica, avendo visto benissimo lo spiegamento di security che c’è, anche perché l’evento è ad ingresso libero e quindi devono gestire una folla molto numerosa.
 
“Fidati per una volta del tuo vecchio e vedrai,” ribatte, con un’ironia ed un buonumore che sorprendono tantissimo Livietta.
 
Era così da quando era venuto a prendere lei e le sue amiche. Aveva sopportato anche la musica a palla che Lucrezia aveva insistito per mettere in auto per “prepararsi al concerto”, le battute di Lucrezia, tutto, senza protestare, senza brontolare, anzi, con un’aria serena e tranquilla sul volto.
 
Erano secoli che non lo vedeva così tranquillo, scherzoso, forse da quando stava ancora con Carmen.
 
Non potendo fare altro, lo segue, scambiandosi un paio di occhiate con le sue amiche, Lucrezia che si porta un dito alla tempia, come a dire “tuo padre è impazzito”.
 
Si ritrovano davanti ad un avamposto della security, con la scritta “accesso al backstage – solo autorizzati” e tre energumeni vestiti di nero, più grossi di un armadio a quattro ante.
 
“Renzo Ferrero più tre,” pronuncia con nonchalance, come se fosse la cosa più normale del mondo, e Livietta osserva incredula mentre uno degli energumeni – il più grosso – controlla una lista di nomi e annuisce, passando a suo padre quattro pass da appendere al collo.
 
A bocca spalancata, si ritrovano, senza quasi sapere come, dietro al palco, Lucrezia che lancia un gridolino ad ultrasuoni alla vista, in lontananza, del cantante della sua band preferita.
 
“Ma… ma come hai fatto?” gli domanda, incredula, dandosi un pizzicotto, convinta di essere finita dentro un sogno a dir poco bizzarro.
 
“Diciamo che quando si hanno i contatti giusti…” replica con tono misterioso ma soddisfatto, facendole l’occhiolino.
 
L’occhiolino? – pensa, sempre più sbalordita, dato che erano secoli che suo padre non era così giocoso con lei, così spensierato e leggero, e non quella specie di palla al piede che era diventato negli ultimi tempi, al cui confronto sua nonna sembrava una ventenne.
 
“I contatti giusti? Nell’ambiente dei concerti rock? Chi sei tu e cosa hai fatto a mio padre?” gli chiede, per la seconda volta in poche ore, ma gli sembra davvero surreale.
 
“Guarda che il tuo vecchio non è vecchio quanto pensi. Ho ancora i miei assi nella manica,” ribatte – ed eccolo di nuovo l’occhiolino – per poi aggiungere, indicando Lucrezia che sembra non stare più nella pelle, “che ne dici adesso di andare a chiedere gli autografi alla band, prima che la tua amica si surriscaldi ed esploda qui?”
 
Scuotendo il capo, si avvicinano al cantante, affiancato da due ragazzi dello staff della band.
 
“Do you need something, gorgeous?” chiede, con accento americano, squadrando Lucrezia che gli si para davanti.
 
“I – I”, balbetta, emozionata e rossa dalla punta dei capelli alle dita dei piedi, come Livietta non l’ha mai vista.
 
“Well, we…” prova a dire Livietta, ma quando il cantante punta su di lei quegli occhi azzurro ghiaccio, che lo rendono quasi simile ad un lupo, si blocca, dimenticando le nozioni di inglese imparate a scuola.
 
“The girls would like to have an autograph,” si inserisce Renzo all’improvviso, di nuovo con nonchalance, sfoderando invece un accento british quasi invidiabile, frutto probabilmente di tutti i viaggi di lavoro e dei recenti soggiorni a Londra.
 
“Sure… are these all your daughters?” gli chiede il cantante con un sorriso, facendo un cenno ad uno dei due ragazzi accanto a lui, che gli consegna alcune cartoline prestampate della band.
 
“No, you see…”
 
“Wow, you da man!” ribatte il cantante, ridendo e dandogli una pacca sul braccio, mentre Renzo arrossisce e prova una voglia matta di strozzarlo per permettersi di guardare tre sedicenni in quel modo – tra cui sua figlia – e per poter anche solo pensare che lui sia una specie di vecchio satiro bavoso che se la intende con tutte e tre.
 
She is my daughter. Those are her friends,” chiarisce, con un tono ed uno sguardo che portano mister Capellone Con Gli Occhi Azzurri a deglutire e smettere bruscamente di ridere.
 
“Sorry, man. No hard feelings, ok? You have a beautiful daughter: keep her close! It is full of bad boys here,” consiglia, facendo loro l’occhiolino, mascherando l’imbarazzo con l’ironia, mentre Renzo pensa che, dipendesse da lui, non perderebbe mai d’occhio Livietta, nemmeno per un istante, e di sicuro non la porterebbe in un posto come questo.
 
Peccato che, così facendo, le sue speranze di recuperare un rapporto con lei sarebbero pari a zero.
 
“My daughter can take care of herself: she is taking self-defense classes and is very good at them, from what I hear. She threw her instructor to the ground the other day, and I would say he is twice your size,” ribatte con nonchalance, sull’istinto del momento, vedendolo deglutire di nuovo, prima di scoppiare a ridere nervosamente e firmare l’autografo per Livietta, dopo essersi fatto fare lo spelling del nome.
 
“Non posso credere che gliel’hai detto davvero,” sussurra Livietta, incredula ed orgogliosa al sentire quelle parole da suo padre: mia figlia se la sa cavare da sola. Mentre la dipingeva come una specie di Hulk in gonnella, oltretutto.
 
Lo sa che l’ha fatto solo per destabilizzare il cantante, dopo quelle battute su lei e sulle sue amiche ma… è tantissimo che non sentiva suo padre parlare di lei con orgoglio. Ed è tantissimo che non lo vedeva usare il suo umorismo, il suo sarcasmo, in questo modo e non per continuare soltanto ad infilare una lamentela dietro l’altra.
 
“Here you are,” proclama il cantante, porgendole l’autografo con aria quasi cauta, che la fa sorridere.
 
Sotto la foto la scritta – To Livia, who kicks ass – please spare mine ;) xoxo – ed una specie di scarabocchio per firma.
 
“Grazie,” sussurra a suo padre, scambiando con lui uno sguardo complice, mentre le sue amiche sono distratte dai loro autografi.
 
***************************************************************************************
 
“Grazie papà: mi sono divertita tantissimo!”
 
Renzo sente il cuore esplodergli nel petto ed un senso di incredulità e di sollievo quando si ritrova stretto nell’abbraccio della figlia.
 
Un abbraccio molto diverso da quello del giorno prima: quello era pieno di disperazione, di dolore, ora invece sente affetto, amore, gratitudine, pace.
 
“Ehi, figurati… non… non ho fatto niente di che… mi è andata bene che avevo le conoscenze giuste,” minimizza, orgoglioso ed imbarazzato, sentendosi assurdamente felice, sentendo che il mondo sta cominciando finalmente a girare per il verso giusto e, allo stesso tempo, temendo di svegliarsi e che sia tutto solo un sogno.
 
“Non per… per i pass, per il backstage, ma per tutto il resto, per come ti sei comportato. Sembrava quasi che… che ti divertissi,” risponde Livietta, ancora meravigliata dall’atteggiamento che il padre aveva tenuto per tutta la sera.
 
Non si era lamentato una sola volta, non aveva mai nemmeno avuto un’aria scocciata o assente, era restato con loro ad ascoltare tutto il concerto di buon grado, tanto che alla fine era stata proprio lei stessa a dire che era ora di andare. E quando Lucrezia aveva proposto di fermarsi a prendere un bombolone caldo, prima di tornare a casa – evidentemente volendo rimandare il più possibile il momento dei saluti, visto che poi probabilmente non si sarebbero viste per un bel po’ – non aveva sbuffato come al suo solito, ma anzi se ne era mangiato uno anche lui, e per ora non era ancora corso a buttarsi sul boccione di bicarbonato.
 
“Perché quando ci sei tu mi diverto, Livietta. Te l’ho detto: a me basta che stiamo insieme,” risponde con un sorriso soddisfatto, dovendo anche ammettere, tra sé e sé, che in fondo la musica non era poi così male, potendola ascoltare senza essere stretti in mezzo ad una fiumana di gente od in mezzo ad un locale buio e fumoso. E, soprattutto, senza poliziotti-super-più ed ex mogli tra i piedi, avvinghiati come polipi l’uno all’altra.
 
“Questa è la tua stanza…” annuncia, aprendo la porta e mostrandole il divano letto a due posti, già aperto e rifatto di fresco. Erano secoli che desiderava che lei passasse almeno una notte qui e finalmente il momento tanto atteso è arrivato, “lo so che non è molto grande, ma questo residence è una soluzione temporanea e poi-“
 
“Non ti preoccupare: la stanza va benissimo, però…”
 
“Però?” le chiede, in apprensione, temendo di aver sbagliato qualcosa.
 
“Perché non dormiamo insieme, come ai vecchi tempi?” gli propone, lasciandolo a dir poco di stucco.
 
“Su- sul serio ti va?” balbetta, visto che sono anni che non succede, da quando stava ancora con Carmen a Roma, una volta che Livietta era andata a trovarlo e Carmen era dovuta tornare a Barcellona per un paio di giorni.
 
“A Londra hai detto che dovremo dividere una stanza, no? Quindi meglio farci l’abitudine…” ironizza e, quando Renzo realizza del tutto quello che ha appena detto, sente gli occhi pungergli dall’emozione.
 
“Vuoi dirmi che… che verrai a Londra con me?” chiede conferma, cercando di contenere la commozione.
 
“Se ti comporti sempre come stasera… anzi, diciamo almeno come una via di mezzo tra stasera e il tuo solito, sì,” conferma, ritrovandosi stretta in un abbraccio e sollevata in aria.
 
“Papà… la tua schiena!” esclama, non potendo evitare di ridere.
 
“Sai che mi frega della schiena?” proclama di rimando, sentendosi forte, invincibile e allo stesso tempo incredibilmente leggero, facendola ruotare una volta, prima di posarla nuovamente a terra ed esclamare un “ahi” quando si rimette in piedi.
 
“Ecco, lo sapevo!” sospira Livietta, vedendo il modo in cui si tiene la schiena e il modo in cui è mezzo curvato in avanti, chinandosi verso di lui e domandandogli, preoccupata, “ti sei fatto male?”
 
Per tutta risposta, riceve un pizzicotto con due dita sul naso e suo padre si rimette in piedi e si avvia, come se niente fosse, verso la sua stanza da letto.
 
“Papà!” esclama, divertita ed esasperata, afferrando il cuscino ed inseguendolo, decisa a vendicarsi.
 
Sta per colpirlo con una cuscinata alle spalle, quando sente un telefono squillare e vede suo padre estrarre il cellulare dalla tasca.
 
“Chi è che ti manda messaggi a quest’ora?” gli domanda, sorpresa e, deve ammetterlo, leggermente infastidita.
 
Suo padre quasi fa un salto e si gira verso di lei, probabilmente non essendosi accorto che è alle sue spalle.
 
“È… è Carmen… è a New York e ogni tanto si dimentica del fuso orario,” risponde, inventandosi la prima scusa che gli viene in mente, ed affrettandosi a chiudere il messaggio di Barbara, un semplice – com’è andato il concerto? Baci – seguito però da una sfilza di disegnini di labbra rosse da vamp corrugate in un bacio. Anche perché la foto del suo profilo – lei di tre quarti con un sorriso da gatta – è assolutamente inconfondibile e sa che Livietta la riconoscerebbe sicuramente.
 
E non è pronto per dire a Livietta di Barbara, non ora, soprattutto dopo quello che aveva detto il giorno di prima su di lei. Sa che non approverebbe mai.
 
“Carmen? Non è che – non è che avete di nuovo una relazione?” gli chiede, sorpresa, per via dell’orario e del buonumore improvviso – e forse un po’ sospetto – di suo padre, oltre che per il modo in cui balbetta e il fatto che non le ha mostrato il messaggio. Magari Carmen non è affatto a New York anche se, nella stanza da letto, non c’è alcuna traccia del passaggio di una donna.
 
“No, no, io e Carmen non abbiamo una relazione. Lei è felice a New York con il suo Jack,” ribadisce, deciso, e in fondo non sta dicendo una bugia.
 
Livietta annuisce, soddisfatta dalla risposta, sentendo che è sincero, avviandosi quasi automaticamente verso il lato destro del letto, dato che sa che suo padre occupa sempre il sinistro.
 
***************************************************************************************
 
“Vedo che la spalla va meglio, e non solo la spalla: oggi mi sembri di buonumore e piena di energie! E molto concentrata, visto il numero di volte che mi hai messo al tappeto!”
 
Sorride, imbarazzata e compiaciuta, mentre lui si sta, per l’appunto, rialzando dopo che lei ha eseguito correttamente il quarto esercizio di fila, buttandolo a terra, come previsto.
 
“Sì… devo dire che la spalla va meglio, grazie a te, e… il weekend è andato bene, quindi sono di buonumore,” conferma con un altro sorriso. Deve ammettere che si è divertita con suo padre sia ieri sera che stamattina.
 
Avevano fatto il bagno nella piscina del residence prima che la riportasse a casa nel primo pomeriggio, giusto in tempo per fare un rapido resoconto alla madre e annunciarle che sarebbe andata a Londra con il padre, e poi uscire di nuovo con la scusa di andare a fare una corsa e un po’ di allenamento al percorso fitness del parco.
 
Sua madre sembrava aver preso bene la notizia del viaggio in Inghilterra, forse anche perché aveva gli occhi che brillavano in un modo talmente intenso da essere quasi abbaglianti ed un mezzo sorriso ebete perennemente sul volto, che le facevano capire che il weekend con Gaetano doveva esserle andato molto bene. Come se non fossero bastate, come conferma dell’evidenza, il mazzo gigante di rose rosse che strabordava dal vaso a centrotavola o l’aroma delle candele profumate che aveva ritrovato in bagno, quasi del tutto consumate, e che impregnava ancora tutto l’appartamento, o, soprattutto, lo spazzolino in più ed il rasoio che aveva notato vicino al lavello nel bagno della madre, quando ci era andata per riempire la lavatrice con i panni sporchi degli ultimi due giorni.
 
Non aveva ancora tirato fuori l’argomento con sua madre, non ce n’era stato il tempo, ma l’idea che Gaetano – e l’impiastro – possano venire a vivere stabilmente con loro non è spiacevole, anzi, anche se teme la reazione di suo padre, proprio ora che le cose sembrano cominciare ad aggiustarsi.
 
“Fammi indovinare… c’entra un ragazzo?” le chiede con nonchalance, afferrando l’asciugamano e lanciandoglielo, per poi prenderne uno anche lui, segnalando un time-out.
 
“C’entra un uomo,” risponde Livietta con un mezzo sorriso, vedendolo bloccarsi, chiaramente sorpreso, una strana espressione sul volto che non riesce a definire, prima di chiarirgli, ampliando il sorriso, “mio padre.”
 
“Ah!” esclama Lorenzo, sembrando stranamente… sollevato?
 
“L’ho incontrato tuo padre, l’altra sera al pub…” esordisce, esitante, come se non sapesse bene cosa dire, “è un tipo molto…”
 
“Molto?” lo incita, immaginando e temendo come abbia potuto comportarsi suo padre con Lorenzo, vista la pessima opinione che sembrava avere di lui, per via di quello che era successo con quella sciroccata della sua ex.
 
“Diciamo… un po’ severo…? Senza offesa, eh, ma mi ha squadrato come se fossi un serial killer. Potremmo assumerlo in polizia per intimorire i sospettati,” ironizza, facendole l’occhiolino per sdrammatizzare, e a Livietta, di nuovo, sembra mancare un battito.
 
“Sì… lo so è che… l’altra sera non l’hai preso in un bel momento. I miei si sono separati da poco e… credo che non fosse proprio felice di uscire con mia madre e con Gaetano. E poi… beh, diciamo che stava parlando con… con la tua ragazza e… lei gli aveva detto che ti stava aspettando da ore, quindi…” chiarisce Livietta, vincendo il senso di disagio, guardandolo negli occhi e prendendo fiato, per trovare il coraggio di aggiungere, “anzi, forse dovrei dire… ex ragazza? Quindi non ti chiedo come è andato il tuo di weekend.”
 
“Come…?” mormora, guardandola meravigliato, colto alla sprovvista.
 
“Come faccio a saperlo? Ce la siamo ritrovata, ubriaca persa, a fine serata. Mio padre l’ha dovuta accompagnare, anzi, sarebbe meglio dire trascinare a casa. E lei gli ha detto di essere stata mollata dal suo ragazzo… per quanto potesse parlare, tra i fumi dell’alcol,” spiega, trafiggendolo con un’occhiata eloquente, vedendolo impallidire per un secondo e poi diventare rosso.
 
“Pen- penserai che sono uno stronzo, vero?” le chiede con un tono che le suona quasi preoccupato, apprensivo, come se una sua risposta affermativa gli dispiacerebbe davvero.
 
“Diciamo che, vista la tipa in questione, ti potrei dare qualche attenuante, forse. Ma te la sei scelta tu, quindi…” ribatte, non potendosi trattenere, osservandolo deglutire e fare una strana espressione, rendendosi conto di aver forse esagerato e tentando di correggere il tiro aggiungendo, “scusa, ora penserai che sono io una stronza, ma-“
 
“No, sei sincera e… in realtà è proprio questo che ho cercato di fare sabato: essere sincero. Ma sono stato anche un po’ stronzo, io. Non pensavo che… che si sarebbe ridotta in quel modo però, non l’ho mai vista bere così tanto… le ho anche detto che l’avrei riaccompagnata a casa ma non ha voluto e-“
 
“Beh, su quello la capisco: dopo essere stata mollata… che ti aspettavi?” gli chiede con un sopracciglio alzato: uomini, “avresti anche potuto aspettare, riportarla a casa e poi mollarla, no? Soprattutto dato che ti aveva aspettato per tutto quel tempo, anche se intrattenendosi con mio padre.”
 
“Sì, hai ragione…” ammette con un mezzo sorriso amaro, “la verità è che… sono stato molto tentato di annullare la serata e darle buca: non avevo proprio voglia di vederla, ma quando sono arrivato a casa dopo averti riaccompagnata era troppo tardi per farlo e quindi alla fine sono uscito lo stesso. E non lo so cosa mi è preso… non so se puoi capirmi, ma… forse mi sono reso conto che alla soglia dei trent’anni non posso… che non posso e non voglio più perdere tempo a fare cose che non mi interessano con persone che non mi interessano davvero.”
 
“Beh, io non ho trent’anni, anzi, non ne ho nemmeno venti ma… in effetti non capisco perché uno dovrebbe passare il suo tempo libero a fare cose che non vuole fare? A parte magari agli eventi di famiglia, che quelli toccano sempre, purtroppo o per fortuna,” ironizza, strappandogli un sorriso.
 
“E… come stava Barbara? Cioè… è arrivata a casa sana e salva, immagino?” le chiede, cambiando argomento.
 
“Sì… sana e salva. Non sarà stata proprio bene, immagino, sia per la sbronza che per il resto…”
 
“Meno male che c’era tuo padre! Certo che, se già mi guardava come se fossi un pluriomicida, non oso immaginare che bella opinione avrà di me adesso…” sospira, massaggiandosi gli occhi.
 
“Tanto con mio padre sarebbe stata comunque una causa persa: sia perché non ha molto in simpatia i poliziotti, soprattutto quelli muscolosi e con gli occhi azzurri,” scherza, facendolo sorridere di nuovo, “e poi... non ha mai avuto molto in simpatia i ragazzi che frequento, in generale-“
 
“Ah, quindi noi ci frequentiamo?” le domanda, alzando un sopracciglio e mordendosi leggermente il labbro, guardandola con un’espressione da schiaffi.
 
“N-no, cioè,” balbetta, sentendo il viso avvampare e il sangue rimbombarle nelle orecchie. Prende un respiro e prova ad abbozzare, “cioè… volevo dire… che se sapesse che ci vediamo per… per queste lezioni extra… chissà che film si farebbe…”
 
“Del tipo?” incalza, sembrando sempre più divertito.
 
“Ma no è che… è che lui pensa che ogni individuo di sesso maschile che mi si avvicina a meno di un metro di distanza sia una specie di potenziale maniaco o comunque che ci proverà con me. Lo so che è assurdo ma… diciamo che è molto protettivo e… fatica ad accettare che non sono più una bambina anche se… anche se sta migliorando ultimamente.”
 
“Sì, l’ho notato, visto che ti chiama Livietta,” risponde e Livietta, se possibile, sente il viso diventare ancora più bollente, pervasa dall’improvviso desiderio di sprofondare nel pavimento e poi di uccidere suo padre.
 
“Sì… è che… quando ero piccola i miei hanno iniziato a chiamarmi così e-“
 
“Lo trovo un nomignolo molto carino e molto dolce, anche se non molto adatto ad una capace di mettermi al tappeto quattro volte in un quarto d’ora,” ribatte con un sorriso, facendole di nuovo l’occhiolino e Livietta ringrazia paradossalmente il cielo di essere già rossa e di non poterlo quindi diventare più di così, “anzi, a proposito, sarà meglio che adesso riprendiamo, perché altrimenti rischiamo di rimanere qui a parlare fino alla chiusura della palestra.”
 
“S-sì,” balbetta, tirando un sospiro di sollievo quando lo vede rialzarsi e avviarsi di nuovo verso il centro del materasso: salvata in corner.
 
***************************************************************************************
 
“Basta, mi arrendo: mi hai distrutto! Ma quante energie hai oggi?”
 
Sorride, afferrando al volo l’asciugamano, asciugandosi rapidamente ed infilandosi la t-shirt sopra alla canotta usata in allenamento. Prende poi lo zaino dalla panca, avviandosi con lui verso l’uscita della palestra. Guarda l’ora: è già tardi, sono rimasti quasi un’ora e mezza ad allenarsi. Però avevano recuperato praticamente tutto il programma da lei perso e questo, se da un lato la rende orgogliosa e soddisfatta di se stessa, dall’altro le provoca anche un senso di malinconia.
 
Perché sa che questa è la loro ultima lezione privata e che ha ancora due lezioni del corso e poi… e poi molto probabilmente non lo vedrà mai più.
 
“Come non detto… come mai adesso sembri giù di corda? Problemi?” le chiede, avendo sicuramente notato la sua espressione.
 
“No, comincio solo a sentire un po’ di stanchezza: se tu sei distrutto figurati io,” mente, sorridendogli in un modo che spera sia convincente, “ci siamo allenati quasi il doppio del previsto.”
 
“Beh, ma ne è valsa la pena, no? Sei davvero molto portata, Livia! Hai mai pensato di riprendere seriamente a fare arti marziali? O di fare un corso di difesa più approfondito?” le chiede, sorridendole di rimando.
 
“No… non lo so… e poi… mi sa che sarà difficile trovare un altro istruttore bravo come te,” ammette, cercando di non arrossire di nuovo come una stupida.
 
“Non credo, sai: ci sono un sacco di istruttori più bravi di me, anche solo in questa palestra. Invece io sono convinto che difficilmente troverò un’altra allieva al tuo livello: sei la migliore in assoluto che mi sia capitata al corso della polizia, finora,” proclama, e questa volta Livietta non può evitare di diventare color pomodoro.
 
“Ah, beh, grazie: l’età media è dai cinquanta in su. Sai te che sforzo!” minimizza Livietta, guadagnandosi una mezza risata.
 
“No, non credere: mi sono capitate anche allieve giovani, sai?” la rassicura, prima di aggiungere, dopo un attimo di riflessione, “anzi… se ti va potremmo vederci ancora un’ultima volta qui, magari mercoledì. Così ti presento ad uno dei migliori istruttori qui dentro e ti facciamo fare un test di livello e vedrai che ho ragione. Poi deciderai tu se vuoi proseguire o meno, ovviamente. Che ne dici?”
 
“Magari!” esclama lei, sorpresa, sentendo quella cappa opprimente che l’aveva circondata negli ultimi minuti sparire improvvisamente. Perché avrà ancora un’ultima occasione per stare con lui, anche se sa benissimo che purtroppo due ore non saranno mai abbastanza, ma sono sempre meglio di niente.
 
E poi dovrà darsi da fare per toglierselo il più rapidamente possibile dalla testa, ma fino ad allora può ancora sognare e-
 
“Terra chiama Livia: mi ascolti?” la raggiunge la sua voce, ridestandola bruscamente dai suoi pensieri.
 
“Scusa, scusa, ero… ero sovrappensiero… per me mercoledì va bene, ok,” bofonchia, mortificata.
 
“Ok, ma ti stavo chiedendo come sei venuta qui. Con i mezzi?” precisa con un’espressione divertita.
 
“Sì, sì, esatto… anzi, devo scappare o mi tocca aspettare mezz’ora in più. Allora a domani e-“
 
“E se invece ti accompagnassi io?” le domanda, sempre con quel sorriso e quell’espressione così… così gentile, così aperta, che le fa andare il cuore a mille.
 
“No, dai, non serve, cioè, casa mia non è proprio dietro l’angolo: sta quasi in centro e-“
 
“Appunto! Almeno farai prima…”
 
“Con il traffico di quest’ora? Non credo e non voglio costringerti a fare code e poi-“
 
“Niente code per chi usa questa,” controbatte, indicandole una bellissima moto, talmente lucida e pulita da sembrare nuova di zecca, “allora? Guarda che non accetto un no come risposta, anche perché mi piacerebbe che tu avessi delle moto – e di chi le guida – un ricordo un po’ meno spiacevole.”
 
Livietta si porta una mano alle labbra, incredula, sentendo come una morsa al cuore e allo stomaco, al pensiero che… che se ne sia ricordato. Che si sia ricordato di quello che gli aveva detto e che… e che voglia fare questo per lei, insieme a lei.
 
“Grazie…” sussurra, accettando il casco che lui le porge e che ha appena estratto dallo scomparto sotto il sedile della moto, senza provare nemmeno a protestare.
 
“Ti conviene metterti la giacca della tuta: in moto si sente l’aria, anche in città,” le consiglia, prima di infilarsi a sua volta un giubbetto in pelle ed il casco, e inforcare la moto, “dai, che aspetti? Salta su.”
 
Livietta, che ha appena finito di chiudere il casco, annuisce e si siede dietro di lui, facendo di tutto per non toccarlo, tastando sotto il sedile e guardandosi indietro per cercare una maniglia posteriore, non trovandola.
 
“Guarda che ti devi reggere a me, se non vuoi fare un volo: non ho mai installato le maniglie dietro perché le trovo troppo pericolose in caso di frenata brusca o accelerata improvvisa,” chiarisce, voltandosi. Riesce ad intravedere solo i suoi occhi azzurri sotto il casco, ma è più che sufficiente per vederlo fare un altro occhiolino, “e anche se tuo padre non ha una grande opinione di me, non sono davvero un maniaco o un serial killer.”
 
“S- scusa,” balbetta, prendendo coraggio, alzando le braccia ed aggrappandosi a lui per la vita, prima di ripensarci. Impresa tutt’altro che facile, vista la sua mole: riesce a malapena a toccare le punte delle sue dita e si ritrova completamente appoggiata a lui. Abbassa il capo, per nascondere il volto paonazzo e sente il motore ruggire sotto di lei, prima che la moto si avvii.
 
“Tutto bene?” lo sente domandarle dopo un po’, le parole che gli rimbombano nella cassa toracica, insieme alle vibrazioni della moto. Livietta non saprebbe onestamente che rispondere, anche se potesse essere sincera con lui: non sa se si trovi in paradiso o all’inferno.
 
“Sì, sì,” mente infine, continuando a tenere il capo basso.
 
“Sicura? Non stare sempre a capo chino… lo so che ti devi abituare alla velocità ma… cerca di guardati un po’ in giro: è questo il bello della moto, è… è come volare. Lo so che non possiamo andare molto veloci e che ci sono parecchie manovre da fare e… la campagna è meglio della città, ma stasera non c’è tempo di fare deviazioni o tua madre ti darà per dispersa,” grida quando si fermano ad un semaforo e Livietta solleva il capo, sorpresa, incontrando i suoi occhi azzurri, dato che è voltato verso di lei.
 
Stasera – quella parola le rimbomba nelle orecchie e nella mente. Lo sa che è stupido e che sicuramente lui non intendeva nient’altro ma… ma a lei suona quasi come un invito, come a dire che ci sarà un’altra occasione, un’altra sera.
 
Piantala Livietta, sei patetica! – si ammonisce, rendendosi conto da sola che non le fa bene illudersi così, ingigantire ogni parola, leggerci significati che non esistono, se non nei suoi sogni.
 
La moto riparte e questa volta cerca di guardarsi intorno, rimanendo aggrappata a lui, godendosi ogni minuto, ogni istante, sapendo che non ci sarà più un’altra opportunità di stargli così vicino, di toccarlo, di sentire il suo calore ed il suo profumo. E non le importa se anche questo è patetico: per il ritorno alla realtà ci sarà tempo, molto tempo, purtroppo.
 
E, molto più in fretta di quanto vorrebbe, riconosce l’incrocio del suo isolato e sa che è arrivata l’ora di scendere. Che non può arrivare sotto casa con lui in moto, di fronte a quel pettegolo del portiere oltretutto.
 
“Fermati, per favore, io scendo qui,” urla, dandogli una lieve pacca sullo stomaco che sembra fatto di acciaio, per quanto è tonico.
 
Dopo pochi secondi la moto rallenta e si ferma e lui si volta di nuovo verso di lei.
 
“Abito a pochi metri da qui ma… non è il caso che qualcuno ti veda,” chiarisce, cercando di smontare dalla moto, con gambe tremanti.
 
“Non so perché… ma ho l’impressione che tu non ti sia molto divertita. Tutto bene? Hai la nausea?” le chiede, togliendosi il casco e guardandola preoccupato. Livietta non sa come sia possibile ma le sembra ancora più bello con i capelli bagnati e tutti spettinati, mezzi incollati alla testa.
 
“No, no, tranquillo…” lo rassicura, togliendosi a sua volta il casco e restituendoglielo, “forse hai ragione tu: mi devo… mi devo un po’ abituare alla moto. Di solito vado al massimo in motorino e… è tutta un’altra cosa.”
 
“In questo caso… che ne dici se la prossima volta ci troviamo un po’ prima? Tipo verso le sedici… così, finito l’allenamento, ti porto a fare un giro serio, in un posto un po’ più bello e un po’ meno grigio e trafficato di questo. Ti prometto che ti riporto a casa in tempo per cena,” propone, guardandola con un’espressione indefinibile ma che le sembra in apprensione, affrettandosi a precisare, quando non la sente rispondere, “se non ti va, non c’è problema, io-“
 
“No, no, cioè sì, cioè, certo che mi va,” balbetta, il cuore che ormai pare volerle uscire dal petto, e adesso sì che le gira la testa, eccome se gira, “però… non vorrei disturbarti e-“
 
“Se non mi facesse piacere, non te l’avrei proposto,” ribatte lui, semplicemente, con un altro sorriso.
 
“Ah, giusto. Mi ero dimenticata che ormai hai trent’anni e non vuoi più perdere tempo a fare cose che non ti interessano,” replica, ironica, scimmiottandolo per cercare di smascherare l’imbarazzo.
 
Con persone che non mi interessano,” completa la frase, guardandola dritto negli occhi e Livietta, tra i battiti e il capogiro, teme per un secondo di svenire come una di quelle decerebrate che popolano i romanzi rosa.
 
“Va beh… allora… ci vediamo domani a lezione,” farfuglia, dopo un attimo di silenzio imbarazzato, decidendo di cambiare discorso perché… perché non sa come rispondere ad una frase del genere. Fa per voltarsi, ma la sua voce la richiama.
 
“Aspetta! Fammi uno squillo, così ho il tuo numero e ti avviso se il mio collega non fosse disponibile per le sedici di mercoledì e al limite rinviamo, ok?” suggerisce e Livietta ormai sente il mare in tempesta nelle orecchie, da quanto il cuore le martella nel petto.
 
“Sì, va bene, ti faccio uno squillo quando arrivo a casa. Però se non è mercoledì…  venerdì parto per Londra e starò via per due settimane, quindi…” chiarisce, sapendo benissimo che o sarà mercoledì o probabilmente non ci sarà un’altra occasione.
 
“A Londra? Beata te: potessi andarci io in vacanza per due settimane! Vai con le tue amiche?” le domanda con tono casual, come se stesse facendo semplicemente conversazione.
 
“No, ci vado con un uomo,” precisa, vedendolo di nuovo fare quella faccia strana che le sembra tra lo sconcertato e – il turbato? – anche se forse è solo una sua impressione, la proiezione dei suoi desideri.
 
“E tuo padre è d’accordo? O non lo sa?” le chiede dopo un attimo di silenzio, il tono che le fa dubitare che forse suo padre non è l’unico che avrebbe qualcosa da obiettare.
 
“Certo che è d’accordo, visto che l’uomo è lui,” chiarisce e Lorenzo cambia nuovamente espressione, e questa volta Livietta è quasi sicura che quello che legge nei suoi occhi sia sollievo.
 
“Quindi niente maniaci e niente serial killer?” ironizza con un mezzo sorriso.
 
“E niente poliziotti,” precisa, facendogli l’occhiolino, prima di voltarsi ed avviarsi con studiata indifferenza verso casa.
 
In fondo, se lui può dispensare occhiolini e battutine come se niente fosse, perché non posso farlo io? E poi almeno non passo tutto il tempo a balbettare ed arrossire come una stupida! – si giustifica Livietta tra sé e sé, anche se una parte di lei non sa nemmeno da dove le sia venuto l’impulso e l’audacia di fare una cosa del genere.
 
Fatti cinque passi, si volta indietro, non sentendo rumori, e lo vede ancora lì, fermo, imbambolato ad osservarla, tra l’incredulo e l’inebetito. Quando incrocia il suo sguardo, si affretta a rimettere il casco e a cercare di riavviare la moto.
 
Si gira e riprende a camminare verso casa, un sorriso soddisfatto sul volto.
 
Arriva al cancello, saluta quasi automaticamente il portiere che è sempre di vedetta, quando una voce la blocca.
 
“Livietta, aspetta!”
 
“Gaetano!” esclama, spaventata, non dall’improvvisata, ma da quello che potrebbe comportare.
 
Lo osserva compiere i pochi passi che li dividono, vestito di tutto punto: sicuramente è appena arrivato dalla questura.
 
“Tutto bene?” le chiede, con tono lievemente preoccupato.
 
“Eh?”
 
“Hai una faccia… sembra che hai visto un fantasma…” spiega e Livietta, internamente, tira un sospiro di sollievo: non ha visto niente, per fortuna.
 
“Sì, sì, sono solo un po’ stanca: sono andata ad allenarmi al parco. E mi hai preso di sorpresa.”
 
“Eh, lo vedo: sei tutta scarmigliata e sudata e sei rossa come un peperone, sembri uscita dalla centrifuga! Cioè mi fa piacere vederti così appassionata, ma non è che stai esagerando di nuovo con gli allenamenti, vero?” le chiede e Livietta ringrazia il cielo che gli effetti del giro in moto con casco più l’imbarazzo totale siano facilmente confondibili con quelli dell’esercizio fisico intenso.
 
“No, no, tranquillo… è solo che… ho le ultime due lezioni e poi sarò a Londra e quindi… voglio rimettermi in pari e tenermi in forma,” chiarisce e, in fondo, sta dicendo la verità.
 
“Allora hai deciso di partire con tuo padre?” le chiede, incamminandosi con lei verso l’ascensore, “ne sono contento e immagino quanto sarà contento lui.”
 
“Sì, mio padre non sta nella pelle. E mi sa anche tu e mamma, perché avrete la casa tutta per voi per due settimane!” lo punzecchia, affrettandosi ad aggiungere, quando lo vede impallidire e poi arrossire e cercare di giustificarsi, “e dai, guarda che scherzo! Dopo tutto quello che hai sopportato nelle scorse settimane, lo so che non ti dispiace avermi tra i piedi.”
 
“Anzi, lo sai che mi piace molto averti tra i piedi, vero?” le chiede, con ancora una leggera apprensione sul volto.
 
“E tu lo sai che la cosa è reciproca, vero?” gli domanda di rimando, vedendolo sorridere ed annuire, “per fortuna, perché mi sa che ti avrò tra i piedi ancora più spesso in futuro…”
 
“Eh?” le domanda, sembrando di nuovo confuso.
 
“Ho visto lo spazzolino e il rasoio nel bagno di mamma… quindi, a meno che a mia madre stia crescendo la barba…”
 
“Certo che non ti sfugge niente, signorina… chissà da chi hai preso…” commenta, scuotendo il capo con un sorriso, “comunque, se questo è un modo indiretto per chiedermi se io e tua madre vogliamo convivere stabilmente… non abbiamo deciso niente e non credo sarà nell’immediato. Abbiamo un po’ di cose da sistemare prima. Semplicemente ha voluto risparmiarmi la corsa a casa e la processione in cortile quelle volte che mi fermo a dormire qui.”
 
“Immagino che tra le cose da sistemare ci siano mio padre e la tua ex moglie che non farebbero i salti di gioia,” sospira Livietta, bloccandolo quando scendono dall’ascensore, prima di arrivare alla porta, “se invece c’entriamo anche io e Tommy… non posso parlare per l’impiastro, anche se credo che sarebbe felicissimo, ma per me non c’è alcun problema, anzi, a volte mi chiedo perché fate questa processione avanti e indietro tutte le sere. E poi siamo stati bene tutti insieme, quando c’è stato l’incendio a casa tua, no?”
 
“Mi stai dicendo che avrei la tua benedizione?” le domanda, con un tono improvvisamente rauco, che tradisce l’emozione.
 
“Sì, a patto che tu continui a rendere felice mia madre e l’impiastro,” risponde, serissima, avvertendo a sua volta uno strano nodo in gola.
 
“Promesso,” garantisce, la mano sul cuore in un giuramento solenne ed un sorriso sul volto.
 
Si guardano per un attimo e, senza quasi rendersene conto, si trovano stretti in un abbraccio commosso, come a suggellare un patto tra loro.
 
“Livietta? Gaetano?” sentono la voce di Camilla chiamarli, sorpresa è dire poco.
 
“Mamma…”
 
“Camilla…” mormora, sciogliendo l’abbraccio.
 
“Potti si è messo a grattare la porta e fare un casino terribile, pensavo avesse bisogno di… fare un bisogno e invece evidentemente vi ha sentito arrivare. Che succede?” chiede, meravigliata dalla scena che si è trovata davanti, anche se non è la prima volta che li vede o li sorprende abbracciati.
 
“Niente… io vado a lavarmi e cambiarmi. E tu, mi raccomando!” pronuncia Livietta, rivolta a Gaetano, prima di superare la madre e sparire in camera sua.
 
“Allora?” gli domanda, sinceramente incuriosita e anche un po’ preoccupata, “è successo qualcosa? Livietta ha qualche problema?”
 
“No, no, anzi… se hai due minuti ti spiego tutto…” la rassicura, anche se una parte di lui non vorrebbe, perché teme che Camilla possa sentirsi in un certo senso pressata ad accelerare i tempi di una possibile convivenza. E lui non vuole forzarla o metterle fretta.
 
“Considerato quanto Livietta ci impiega di solito in bagno… abbiamo tutto il tempo che vuoi,” scherza, una punta di apprensione ancora nella voce, prima di richiudere la porta dietro di lui ed avviarsi verso la cucina.
 
***************************************************************************************
 
“Allora è andata bene? Tua figlia si è divertita?”
 
“Moltissimo! Ed è andata benissimo. È un periodo un po’ complicato con mia figlia e credo che… credo di aver guadagnato molti punti, ed è anche merito tuo. Quindi grazie mille,” la rassicura con un sorriso.
 
Sono in un ristorante giapponese a mangiare sushi e sashimi e bere un buon bianco frizzante.
 
“Figurati. È che… siccome hai aspettato fino ad oggi pomeriggio per rispondere al mio messaggio… mi è venuto il dubbio che magari c’erano stati dei problemi…” chiarisce Barbara, con un tono ed uno sguardo che sottintendono un interrogativo.
 
“Hai ragione, scusami, è che… ero con mia figlia e… mi ha subito chiesto chi mi scriveva a quell’ora e ho dovuto inventare una scusa. Non voglio che fraintendi,” si affretta a specificare, leggendo sul volto di lei un’espressione che tradisce delusione, “però… per un po’ preferirei che non sapesse di… di noi due.”
 
“Ti vergogni di me?” gli chiede, guardandolo dritto negli occhi, “perché tua figlia mi ha vista ubriaca e-“
 
“No, no, non è questo,” nega, anche se, deve ammettere a se stesso, Barbara non ha del tutto torto. Non sul fatto che si vergogni di lei, ma sul fatto che Renzo sa benissimo che Livietta ha dei grossi pregiudizi su di lei e quindi in parte gli tocca mentire quando afferma, “non è per te, non c’entri tu. È che… è che io e sua madre ci siamo lasciati da poco, è un periodo complicato con Livietta e con Camilla e… insomma, vorrei sistemare un po’ le cose prima di… di pensare di fare presentazioni. E poi è da così poco che abbiamo una relazione e-“
 
“Quindi abbiamo una relazione?” domanda con un sorriso, apparendo decisamente sollevata e soddisfatta.
 
“Beh, sì, direi di sì… tu come la definiresti?” le chiede di rimando, ricevendo, per tutta risposta, un bacio dolce sulle labbra che è lui stesso a dover interrompere, anche se a malincuore: fare certe cose in pubblico l’ha sempre imbarazzato.
 
“E per questo weekend hai programmi con tua figlia o sei libero?” esordisce, dopo un attimo di silenzio, trascorso a mangiare sushi e lanciarsi occhiate, “perché io avrei in mente di-“
 
“Questo weekend non ci sono e nemmeno il prossimo e forse nemmeno quello dopo ancora,” ammette, notando immediatamente come Barbara si scurisca in volto, “vado a Londra con mia figlia per due settimane, partiamo venerdì. È stata durissima convincerla e… se ci sono riuscito è anche grazie alla tua idea del backstage.”
 
“Ah, una vacanza quindi? E… sarete solo voi due?” gli chiede con apparente nonchalance, anche se lo squadra in un modo strano, come per cogliere ogni possibile menzogna.
 
“No, in realtà è un viaggio di lavoro e… ne approfitto per fare anche un po’ di vacanza con lei. Saremo noi due e… e l’architetto che collabora con me,” precisa, esitando un attimo prima di dare una definizione a Carmen. Non sa bene perché abbia deciso di rimanere proprio sul neutro architetto, ma sente che non sarebbe una buona idea parlare a Barbara di Carmen in questo momento.
 
“Beato te… mi piacerebbe una vacanza a Londra. Ci ho vissuto per un periodo, sai? E ho ancora parecchi amici lì, ma è quasi un anno che non ci vado…” risponde con un tono neutro, non sembrando completamente delusa, ma neanche realmente entusiasta all’idea di non vederlo per due settimane. E questo da un lato gli fa ovviamente piacere, dall’altro però… non è così entusiasta all’idea di dover di nuovo dare giustificazioni a qualcuno sui suoi viaggi di lavoro.
 
“Beh, magari ci sarà un’altra occasione, no?” concede, rimanendo sul vago, perché l’idea che Barbara e Carmen si incontrino non lo fa proprio impazzire.
 
“Magari…” conferma lei con un sorriso più luminoso, stampandogli un altro bacio sulle labbra.
 
***************************************************************************************
 
“Benissimo dai! Un paio di esercizi e abbiamo finito. Ce la fai ancora per un quarto d’ora?”
 
“Certo,” conferma con un sorriso, asciugandosi la fronte con il dorso della mano.
 
Sono in palestra, l’amico di Lorenzo, un istruttore sulla cinquantina, dai capelli brizzolati, muscoloso ma non gonfio e robusto come il classico palestrato, prende appunti mentre loro eseguono gli esercizi.
 
“Questo è uno degli esercizi più complicati, anche per via della componente psicologica, quindi se ti senti a disagio in qualsiasi momento me lo devi dire, ok?” le chiede, guardandola dritto negli occhi.
 
“Cioè?”
 
“Cioè come liberarsi da un… da un tentativo di aggressione, quando sei già immobilizzata a terra,” chiarisce, sembrando lui stesso in difficoltà.
 
“Stiamo… stiamo parlando di un’aggressione… insomma… di uno che tenta di…”
 
“Si tratta anche di tecniche antistupro, sì, ma servono in caso di aggressione fisica in generale,”  si inserisce l’altro istruttore, con un tono decisamente più sicuro e professionale, “è per questo che, come dice Lorenzo, c’è una componente psicologica di cui tenere conto quando le si insegna: è una posizione in cui è probabile che l’allieva non si senta a proprio agio.”
 
“Capisco…” annuisce Livietta, sentendosi sì a disagio ma forse non per i motivi che pensano loro, “d’accordo, proviamo.”
 
Seguendo le istruzioni si mette a terra, supina, e dopo poco Lorenzo si piazza in ginocchio accanto a lei, immobilizzandole le braccia, spiegandole come liberarsi usando le gambe e i piedi per spingere via il busto dell’aggressore e farlo cadere a terra, lasciando anche l’apertura per un colpo alle parti basse e per darle il tempo di scappare.
 
Arriva poi il momento dell’esercizio più delicato: quello in cui l’aggressore si è già piazzato in mezzo alle gambe dell’aggredita.
 
Col cuore in gola, Livietta, supina, le gambe sollevate e piegate, allarga le ginocchia, vedendo e sentendo Lorenzo mettersi in posizione. Si scambiano un’occhiata e Livietta si sente avvampare, non tanto per il disagio – non ha certo paura di lui – ma perché averlo così vicino, in quel modo poi, le provoca tutta una serie di reazioni, simili a quelle che ha provato il giorno del massaggio e che la turbano profondamente, anche se non sono sensazioni spiacevoli.
 
“Tutto bene?” le domanda, preoccupato, aggiungendo, anche dopo che la vede annuire, “in qualsiasi momento basta un tuo cenno e ci fermiamo, ok? Non devi aver paura di dirmelo se ti senti a disagio, ok?”
 
Livietta annuisce di nuovo e gli sorride, cercando di rassicurarlo.
 
Quando lo sente afferrarle la gamba per mimare il movimento da eseguire e l’angolazione giusta, il cuore comincia a galopparle nel petto.
 
Situazione che non migliora di certo, anzi, quando Lorenzo la blocca di nuovo per le braccia, piegandosi su di lei. Livietta, cerca di stringere i denti e vincere il battiti a mille, di concentrarsi, nonostante il viso di lui sia così maledettamente vicino. Come le ha mostrato, piega verso l’esterno la gamba sinistra e con il piede cerca di spingergli il bacino verso destra per sbilanciarlo e farlo cadere prono alla sua sinistra.
 
Ma, forse per l’agitazione, finisce per spingere in avanti e, nel giro di un paio di secondi, si ritrova con il corpo di lui completamente spalmato sopra di lei, il collo di lui nell’incavo del suo, la lieve barba che le solletica la guancia sinistra: solo per pura fortuna non si erano dati una testata colossale.
 
“Ti… ti sei fatta male?” lo sente bofonchiare, allarmato, nel suo orecchio, mentre lo sente muoversi leggermente sopra di lei, probabilmente per cercare di sollevarsi. E ogni movimento sembra alimentare quella sensazione di fuoco, di combustione che la pervade fin nelle viscere.
 
“No, anzi, scusami, io-“ prova a dire, voltando istintivamente il viso verso il suo, bloccandosi bruscamente quando si ritrova con due occhi azzurri e, soprattutto, due labbra carnose a due centimetri dalle sue.
 
Occhi negli occhi, come paralizzati, si guardano per istanti che sembrano scorrere in slow-motion. All'improvviso, Livietta avverte come una corrente magnetica che la spinge verso di lui, a sollevare il viso e raggiungere, toccare quelle labbra che la ipnotizzano quasi quanto quegli occhi celesti, che sembrano fissarsi alternativamente nei suoi e sulla sua bocca.
 
Il cervello che non connette più, pronta a fare una pazzia, chiude gli occhi e-
 
“Ehm, ehm!”
 
Il suono li fa sobbalzare e rompe quella specie di trance ipnotica. Con una spinta, Lorenzo rotola alla sua sinistra, lasciandola libera di rialzarsi. Il cuore in gola, la tremarella nelle gambe, lancia un’occhiata all’altro istruttore che li guarda con un’aria tra il severo e l’imbarazzato.
 
“A meno che non sia una tecnica per far abbassare la guardia all’aggressore, direi che non ci siamo: devi respingere l’assalitore, non incoraggiarlo,” ironizza l’uomo, mentre Livietta sente tutto il sangue andarle alla testa, che le inizia a girare a tal punto da darle la nausea.
 
“Giuseppe!” lo ammonisce Lorenzo, bordeaux tanto quanto lei, lanciandogli un’occhiataccia.
 
“No, non fa niente… è che…” balbetta, non sapendo bene cosa dire.
 
“E dai, che la nostra Livia qui è una tipa tosta! Quindi non fare il marpione, che se la alleno per qualche mese, come minimo ti concia per le feste e ti spedisce a cantare con i soprani al Regio,” lo sfotte amichevolmente, prima di assumere un tono nuovamente professionale ed intimare, più serio, “dai forza, rimettetevi in posizione, che abbiamo quasi finito e alle sei ho un altro appuntamento.”
 
“Tutto ok? Sei sicura che vuoi continuare?” le domanda Lorenzo, sembrando quasi più in imbarazzo di lei.
 
“Sì, certo, tranquillo,” lo rassicura, anche se in realtà si sente tutto tranne che tranquilla.
 
***************************************************************************************
 
“Ti… ti va ancora il giro in moto o sei… o sei troppo stanca?”
 
La domanda la coglie di sorpresa: sono appena usciti dalla palestra e Livietta stava per aprire lo zaino ed estrarre il giubbino in pelle che si era portata dietro per l’occasione.
 
“Sì, cioè… non sono troppo stanca, se invece… insomma… se non va a te, non fa niente, io…” farfuglia, temendo che, dopo quello che è successo, Lorenzo si sia reso conto di piacerle e voglia quindi smarcarsi.
 
“No, no, cioè certo che mi va,” balbetta anche lui, rassicurandola e sembrando, di nuovo, imbarazzato anche più di lei, “è che… dopo quello che è successo e le battute di quel cretino di Giuseppe… non voglio che ti senti a disagio, ecco.”
 
“No, figurati, e poi… cioè, in fondo non è successo niente, sono… incidenti che capitano, no?” minimizza, non sa se per rassicurare lui o se stessa, sapendo che è l’unico modo per evitare di fare la figura della stupida ingenua, “e il tuo amico mi ha detto delle belle cose su… sulle mie capacità e su dove posso arrivare con l’autodifesa e le arti marziali. E poi… non è che un aggressore mi metterà a mio agio, quindi forse è meglio se imparo a non imbarazzarmi per… per così poco e a mantenere il sangue freddo.”
 
“Forse sì… non so perché ma ho la sensazione di avere appena creato un mostro,” scherza, sembrando stranamente sollevato e – deluso? – al tempo stesso.
 
“Quindi sarei un mostro?” gli chiede, incrociando le braccia e fingendosi offesa, raccogliendo il tentativo di stemperare la tensione con l’ironia.
 
“No, per niente, anzi, tutto il contrario. Soprattutto quando arrossisci,” ribatte, facendole l’occhiolino, e Livietta si ritrova in un secondo con le guance bollenti, “ecco, proprio come adesso.”
 
“Te possino! Ti diverti a prendermi in giro, eh?” sbotta, esasperata, maledicendosi per la sua debolezza.
 
“Guarda che sono serissimo,” ribadisce, fulminandola con un’altra occhiata che le provoca un brivido lungo la schiena ed un desiderio folle di levargli quel sorrisetto con un bacio.
 
Scuote il capo, come per scacciarlo e ritornare a pensare razionalmente, concentrandosi sull’aprire lo zaino e prendere il giubbetto in pelle.
 
Gli lancia un’occhiata di soppiatto e lo trova ancora intento ad osservarla. Dopo qualche istante però, Lorenzo si volta ed inizia ad estrarre i caschi dallo scomparto sotto il sedile. Sta per porgergliene uno quando una voce li arresta.
 
“Livietta?!”
 
Oh merda…!
 
“Gaetano!” esclama, il cuore in gola, voltandosi e trovandoselo a pochi metri, che li squadra in un modo tra l’incredulo, il preoccupato e l’arrabbiato, che non promette niente di buono.
 
“Do- dottor Berardi…” balbetta Lorenzo, l’aria di chi sta vedendo la morte in faccia.
 
“Che – che ci fai qui?” farfuglia Livietta, cercando di prendere tempo perché il suo cervello è in tilt.
 
“Che ci faccio io qui? Che ci fate voi qui, insieme?!” chiede, rivolgendosi soprattutto verso l’altro uomo ed il tono conferma l’occhiata: una specie di misto tra incredulità e rabbia trattenuta. Per un secondo le sembra di avere di fronte suo padre, una volta che l’aveva beccata a baciarsi con Ricky sotto casa a Roma.
 
“Noi – noi…”
 
“E comunque ero venuto qui per informarmi su un corso per te, avendoti vista così… appassionata. Ma vedo che qualcuno mi ha preceduto, contravvenendo il regolamento, oltretutto,” pronuncia, squadrando l’altro uomo da capo a piedi, avendo evidentemente notato l’abbigliamento sportivo di entrambi e l’aria di chi ha appena terminato un lungo allenamento.
 
“È colpa mia, Gaetano, lui non… non c’entra niente!” si affretta a precisare Livietta, mollando lo zaino e piazzandosi tra Gaetano e l’istruttore, “gli ho chiesto io di farmi delle lezioni di recupero… visto che ne avevamo saltate tante mentre eravamo a Roma e... e ti garantisco che non mi ha chiesto un euro.“
 
“E ci mancava pure altro! E comunque le lezioni di recupero potevi farle con me, anzi, ne abbiamo anche fatte,” ribatte Gaetano, con un’occhiata eloquente.

“Sì, ma, insomma… tu hai sempre paura di farmi male e…”
 
“E lui invece no?” domanda, rivolgendosi di nuovo solamente all’altro uomo, un tono ed uno sguardo che raggelerebbero chiunque. Livietta non l’ha mai visto così e si chiede se è così che diventa quando ha di fronte un sospettato da far confessare, “e comunque non penso che tu l’abbia costretto, no?”
 
“No, certo che no, dottor Berardi, anzi, è tutta colpa mia,” interviene Lorenzo, deciso, sembrando aver riacquistato la parola, “lo so che è contro il regolamento e me ne assumo ogni responsabilità ma… Livia è molto portata, ci siamo trovati un giorno per caso in palestra e… ho accettato di farle un paio di lezioni extra. E visto che si è molto appassionata, come dice lei, oggi le ho fatto fare una verifica con l’istruttore più anziano per valutare la possibilità di seguire un corso con lui a settembre.”
 
“A parte il regolamento della polizia, Ferri, Livia Ferrero ha sedici anni ed è quindi minorenne. Immagino che lei sappia perfettamente che per farle fare qualsiasi attività sportiva, oltre al certificato medico, è necessaria la firma o quantomeno il consenso dei suoi genitori, non è vero?” incalza, per nulla ammorbidito, “quindi, anche ipotizzando di chiudere un occhio sul regolamento – e va bene, forse ci poteva anche stare per un paio di ripetizioni – il minimo che lei avrebbe non potuto, ma dovuto fare, era parlarne con sua madre, dato che, oltretutto, vi vedete due volte la settimana al corso. Mentre invece ha fatto tutto di nascosto. Ora, mi viene da chiedermi il motivo di tutto questo mistero…”
 
“È stata… è stata una mia idea, Gaetano! Lui aveva paura che… che se tu l’avessi saputo o se qualcun altro l’avesse saputo, avresti pensato che… che mi faceva questo favore per… per corromperti o per-“
 
“Livia, no, la responsabilità è mia e sono io che ho sbagliato. Dottor Berardi, lo so che… che non avrei dovuto ma… sono in ballo per una promozione e non volevo che lei pensasse che… ero in cerca di appoggi, ecco,” si inserisce di nuovo Lorenzo, guardando il superiore negli occhi, rispettoso ma risoluto.
 
“Sinceramente, Ferri, avrei preferito di gran lunga quell’ipotesi, a quella che sto formulando adesso,” ribatte, fulminandolo con un’altra occhiata, prima di aggiungere, sarcastico, “vedo ad esempio che stavate per fare un giro in moto. Cos’è, oltre ai corsi di autodifesa si diletta anche a dare corsi di educazione stradale?”
 
“No, no, però-“
 
“Si è solo offerto di accompagnarmi a casa per non farmi prendere i mezzi! Gaetano, maledizione, non ha fatto niente di male!” sbotta Livietta, cominciando ad irritarsi, frapponendosi di nuovo fisicamente fra i due uomini.
 
“D’accordo… diciamo che gliela do per buona, agente,” sospira Gaetano, con un tono ed uno sguardo che fanno dubitare a Livietta che sia realmente finita lì, “la ringrazio della sua premura, ma il passaggio non serve più, visto che io e Livia abitiamo nello stesso stabile. Andiamo?”
 
“Non se ne parla, io non vengo proprio da nessuna parte!” esclama Livietta, non riuscendo a trattenersi, mortificata e non più solo irritata ma proprio arrabbiata, fulminando Gaetano con un’occhiataccia che incenerirebbe chiunque, “non sono un pacco postale e tu non sei mio padre e non puoi costringermi a venire con te! Piuttosto vado a piedi! O vuoi arrestarmi per aver istigato un agente a violare il tuo prezioso regolamento e per aver osato fare due ore di sport senza la firma in carta bollata dei miei genitori?!”
 
Capisce subito dal modo in cui Gaetano la guarda, come se gli avesse dato uno schiaffo, di avere esagerato. Rimangono così a guardarsi, senza parlare, per qualche lunghissimo istante.
 
“Sì, hai ragione, non sono tuo padre, per tua fortuna, perché tuo padre avrebbe reagito molto, ma molto peggio. E anche tua madre, credimi,” pronuncia Gaetano, sembrando sinceramente ferito e dispiaciuto, “non con te, ma con lui, perché non ce l’ho con te Livietta e lo so benissimo che tu non hai fatto niente di male, se escludiamo un paio di bugie ed omissioni a tua madre e pure a me, ovviamente. Ma per la carità, a sedici anni ci può stare, no? Mentre a trent’anni, da un istruttore di polizia, oltretutto, mi aspetterei un comportamento diverso.”
 
“Dottor Berardi, io-“ prova ad intervenire Lorenzo ma Livietta lo interrompe.
 
“Maledizione, Gaetano, non sono una bambina e lo sai anche tu! O tutti quei discorsi sul fatto che sono matura per la mia età erano tanto per riempirti la bocca?!” chiede, altrettanto ferita, arrabbiata e delusa, ma non sa se con lui o con se stessa.
 
“No, lo pensavo sul serio e lo so che non sei una bambina, quindi non voglio certo costringerti a venire con me, o a fare qualcosa che non vuoi fare. Hai ragione, sei grande, sei indipendente, sei matura, quindi, vuoi andare in moto con lui? Benissimo, vai in moto con lui. Ma con la stessa identica maturità ed indipendenza, stasera, quando torni a casa, racconti a tua madre come hai passato il pomeriggio e la serata. Perché essere maturi, essere adulti, significa prendersi le responsabilità delle proprie scelte e delle proprie decisioni. E non si può essere maturi e adulti solo quando fa comodo a noi, purtroppo,” ribadisce Gaetano, categorico, per poi aggiungere, con un tono decisamente più dolce e preoccupato, “sii prudente, ok? In tutti i sensi.”
 
Senza altre parole, si volta e si avvia verso la macchina, dopo aver lanciato un’ultima occhiata eloquente ad entrambi.
 
Livietta incrocia per un attimo lo sguardo di Lorenzo e sa benissimo cosa deve fare.
 
“Gaetano, Gaetano, aspetta!” lo chiama, correndogli dietro e raggiungendolo quando è ormai alla macchina.
 
“Scusami, hai ragione, ho esagerato…” ammette, sentendosi sinceramente uno schifo, “però… è che… non ti avevo mai visto così e… mi è sembrato… mi è sembrato di ritrovarmi di fronte a mio padre e…”
 
“E di padre ce ne hai già uno e ti basta e avanza, giusto?” le chiede, guardandola in modo malinconico ma non sembra arrabbiato, solo davvero impensierito, “ti garantisco che lo so che non sono tuo padre e non voglio prendermi un ruolo che non è il mio, ma non puoi impedirmi di preoccuparmi per te, perché ti voglio bene.”
 
“Lo so, e te ne voglio anche io,” risponde, ricambiando lo sguardo, “vengo con te, però… possiamo parlare per favore?”
 
“D’accordo,” acconsente, salendo al posto di guida, mentre Livietta si avvia verso il posto del passeggero.
 
Mette in moto e si allontana rapidamente da lì, fermandosi dopo un paio di isolati, quasi per un tacito accordo.
 
“Allora? Che cosa volevi dirmi?” le domanda, voltandosi verso di lei.
 
“Che… che mi dispiace, però… lo so che ho sbagliato a fare le cose di nascosto, ma non volevo mettere L – l’istruttore nei guai,” si corregge, prima di usare il suo nome di battesimo, “perché lo sapevo che stava violando il regolamento, ma, ti prego, non voglio che finisca nei guai: l’ha fatto davvero solo per farmi un favore, è stato così gentile e ti garantisco che non ha fatto niente di male e-“
 
“Livietta, non lo capisci che non me ne frega niente del regolamento?!” la interrompe, guardandola esasperato, scuotendo il capo, “certo, non è che mi faccia piacere, ma lo sai benissimo anche tu che pure io non è che segua il regolamento alla lettera. E se me ne avessi parlato, ovviamente avrei voluto discutere con Ferri e mettere in chiaro un paio di cose con lui, ma sarebbe finita lì. Il punto non è che ti ha fatto un favore e ti ha dato lezioni, ma che ha accettato di farlo di nascosto. E questo mi preoccupa, ma non è la cosa che mi preoccupa di più, e lo sai.”
 
“Che vuoi dire?” gli domanda, anche se teme di conoscere la risposta.
 
“Livietta, per favore, non sono nato ieri e… ho visto con quanta confidenza vi parlavate, scherzavate. Ho visto come lo guardavi e-“ si interrompe, prima di aggiungere – e come ti guardava – sapendo che farlo sarebbe una pessima idea.
 
“E?” gli chiede, il cuore in gola, avendo avuto la conferma che Gaetano ha capito tutto.
 
“E… è evidente che ti piace e molto. Vuoi forse negarlo?” le domanda, correggendosi in corner.
 
“No…” sussurra, chiudendo gli occhi, per poi riaprirli e guardarlo negli occhi, “è vero, mi piace, cioè… è bellissimo, atletico, a chi non piacerebbe, però-“
 
“Livietta, non intendo dire che ti piace solo fisicamente. Dimentichi che ti ho vista ai tempi di Bobo?” le ricorda, con un sospiro, “provi qualcosa per lui.”
 
“Si: è bello, è gentile e… parlandogli queste due volte che abbiamo fatto lezione… ho scoperto che è simpatico e interessante e… sì, mi piace. Però lo so che… che è una cosa impossibile, che lui è tanto più grande di me, che ha un sacco di corteggiatrici e che… che di sicuro non si interesserà mai a me,” ammette, anche se le fa male.
 
“Livietta, non è questo il punto. Perché, se si interessasse a te-“
 
“No, ti garantisco che è sempre stato correttissimo con me, cioè non ha mai fatto niente di male, non ci ha mai provato, se è questo che intendi,” lo interrompe, e in fondo è la verità. È vero, c’era stata qualche battutina, ma lui era gentile con tutte e… tra fare due battutine e provarci o essere davvero interessati c’è un abisso e lo sa anche lei. E per due battute Lorenzo non merita di finire nei guai.
 
“Livietta, ascoltami, d’accordo, posso crederci e posso credere che lui abbia sempre avuto le migliori intenzioni. Ma non è questo il punto. Il punto è che… lo so che sei una ragazza intelligente e matura per la tua età, Livietta, e che quindi i sedicenni ti possono sembrare magari noiosi o immaturi – e indubbiamente molti lo sono – però, per quanto tu sia matura per la tua età, non hai la maturità di una trentenne o di un trentenne. Non perché sei stupida ma… perché non hai ancora avuto modo di fare esperienza.”
 
“Cioè di prendermi ancora più fregature di quelle che ho già preso? Credo che quelle che ho avuto mi bastano e avanzano ancora per almeno altri quattordici anni,” protesta, vedendolo sorridere.
 
“Livietta… un trentenne ha esigenze ed aspettative molto diverse da una sedicenne e non sto solo parlando di-“
 
“Di sesso?” gli chiede, non riuscendo a trattenere un mezzo sorriso quando lo vede arrossire ed imbarazzarsi.
 
“Sì, cioè… un trentenne di solito sta per… sta pensando a farsi una famiglia e-“
 
“Vuoi dirmi che tu a trent’anni pensavi a una famiglia?” lo punzecchia, anche se purtroppo ha capito benissimo quello che vuole dire.
 
“No, ma l’hai detto tu pochi giorni fa che non tutti sono playboy stronzi come me, no?” la punzecchia di rimando, per poi aggiungere, più serio, “quello che voglio dire è che, in generale, a trent’anni si ha un lavoro, si comincia ad avere una stabilità e a fare progetti, a volersi sistemare. Tu… tu hai tutto un mondo davanti a te da scoprire. E, se bruci le tappe, potresti farti molto male e pentirtene amaramente un giorno.”
 
“D’accordo, ho capito,” concede con un altro sospiro, “certo che… i sedicenni non vanno bene perché pensano solo a una cosa, i trentenni non vanno bene perché pensano al matrimonio. Io con chi dovrei uscire?”
 
“Un ventenne?” scherza, facendola sorridere.
 
“Gaetano, ti garantisco che ho capito, però… senti, non è colpa di… di Ferri se mi sono presa questa cotta e-“
 
“Su questo avrei da ridire ma-“
 
“E non è successo e non succederà mai niente tra di noi. Questa era la nostra ultima lezione di recupero, domani il corso finirà e non lo rivedrò mai più. Quindi ti prego: non voglio che lui abbia problemi perché io mi sono presa una cotta!” lo implora, prendendogli le mani tra le sue, “e soprattutto… ti prego, lo so che ti chiedo tanto ma… lo sai anche tu cosa succederebbe se mio padre lo venisse a sapere. Ne farebbe una tragedia, si immaginerebbe chissà che cosa, come minimo andrebbe a fare una scenata a lui e… e non mi lascerebbe più respirare. E dobbiamo stare via insieme due settimane e… le cose tra me e lui cominciano adesso ad andare un po’ meglio e… per favore, Gaetano, può rimanere tra noi?”
 
“Livietta, posso capire con tuo padre, ma non puoi chiedermi di mentire a tua madre e-“
 
“Non è una bugia, è solo un’omissione e-“
 
“E di fronte alla legge è la stessa cosa,” ribatte, pensando che Livietta ha proprio preso tanto da sua madre, per fortuna o purtroppo.
 
“Lo so ma… hai già tenuto un segreto per me, no?”
 
“Sì, ma-“
 
“Gaetano, per favore, perché fare preoccupare mamma per una cosa che non è mai successa e che non succederà mai? Insomma, non hai mai avuto un amore impossibile? – scusami, domanda stupida,” ammette, facendolo sorridere, “mi sono presa una cotta e mi passerà, non è un dramma, no?”
 
“D’accordo… va bene, mi hai convinto,” acconsente, dopo qualche attimo di silenzio, ritrovandosi immediatamente con due braccia buttate al collo.
 
“Grazie, Gaetano! Sei il migliore!” proclama Livietta, stringendolo a sé, incredibilmente sollevata.
 
“Non farmene pentire, ok?” le chiede, staccandosi per guardarla dritto negli occhi, sperando davvero di aver fatto la scelta giusta.
 
***************************************************************************************
 
“Dottor Berardi? Come mai qui? Il corso non è ancora cominciato e-“
 
“E infatti cercavo  lei, ha un minuto?” gli chiede, con il tono di chi non ammette un rifiuto, iniziando ad incamminarsi verso una sala vuota della palestra senza attendere risposta e richiudendo la porta dietro a lui e all’altro uomo.
 
“Senta, lo so cosa mi deve dire e lo so che ho sbagliato e se vuole farmi rapporto la capisco, ma-“
 
“No, non credo che lei sappia cosa voglio dirle, Ferri,” lo interrompe Gaetano, facendogli cenno di sedersi su una panca, mentre lui rimane, volutamente in piedi, “certo, il fatto che lei contravvenga il regolamento con tanta leggerezza, con un minore, oltretutto, non le fa di certo onore e le garantisco che può scordarsi appoggi o aiuti da parte mia. E sul farle rapporto, sto valutando, in effetti, non fosse altro che la mia principale preoccupazione in questo momento è Livia e non voglio creare un polverone, a meno che lei non me lo renda necessario, Ferri.”
 
“Che… che cosa vuol dire?” balbetta, sorpreso.
 
“Che sinceramente, le lezioni extra sono l’ultimo dei miei pensieri, Ferri. Ho fatto qualche ricerca su di lei e… che piace alle donne me ne ero già accorto venendo a prendere la mia compagna e sua figlia al corso. E ho scoperto che le donne le piacciono parecchio: si dice che abbia una sfilza di ex lunga come l’elenco del telefono – per la carità, non la giudico, perché anche io non sono sempre stato un santo – anche se, a quanto pare, con le allieve del suo corso finora ha sempre rigato dritto, o è sempre stato bravo a tenere tutto nascosto.”
 
“Dottor Berardi, le garantisco che non ho mai approfittato del mio ruolo e non capisco cosa voglia insinuare,” protesta, alzandosi in piedi, indignato, “io-“
 
“Ma mi prende per un idiota?! Ho visto benissimo il modo in cui guardava Livia, Ferri,” lo interrompe, durissimo, “che non solo è una sua allieva, ma ha sedici anni. Sedici anni. E le lezioni, e il giro in moto… da manuale!”
 
“Livia è una bella ragazza, sì, e… e mi piace passare del tempo con lei, mi diverto con lei perché è molto intelligente, è spiritosa, è interessante e potrei parlare con lei per ore. C’è qualcosa di male in questo?” gli chiede, tenendogli testa, faccia a faccia.
 
“No, se finisce qui e non va oltre… ma non so perché, ma dubito che non sarebbe andato oltre, Ferri. Ripeto, ho visto come la guardava. E sì, Livia è matura per la sua età, forse non dimostra l’età che ha e… ha preso il carattere di sua madre, quindi può immaginare che posso capire benissimo perché… possa essere attratto da lei. Ma, anche se è matura per la sua età, ha sedici anni e lo sa benissimo anche lei che parte avvantaggiato, Ferri, che non è un confronto ad armi pari il vostro, se mi consente l’espressione. O le piace il vincere facile?”
 
“Vincere facile? Ma è sicuro di conoscerla sul serio? Guardi che non ho mai incontrato nessuna che mi ha tenuto testa quanto lei!” protesta, affrettandosi ad aggiungere, quando lo vede scurirsi in volto, “non mi fraintenda, non ci ho mai provato con lei e non… non mi approfitterei mai di lei o del mio ruolo e non… non le farei mai del male, glielo giuro. Ci tengo davvero a lei. Però… Livia si sa difendere da sola e pure molto bene, senza neanche bisogno delle lezioni di difesa.”
 
“Legga questo,” lo invita, porgendogli una cartellina marrone.
 
“Che cos’è?” domanda, in evidente apprensione.
 
“Legga e lo scoprirà…”
 
Gaetano lo osserva sospirare ed annuire. Lo studia mentre lui, a sua volta, studia i documenti che gli ha portato. Vede sorpresa, indignazione, rabbia, molta rabbia, a giudicare dal modo in cui stringe i pugni e quasi accartoccia la cartellina.
 
Ha avuto la sua risposta, ancora prima di sentirlo sussurrare, “che bastardo!”
 
“Questo… questo… questo è il famoso Bobo, vero?” gli domanda, alzando gli occhi ed incontrando il suo sguardo.
 
“Livia gliene ha parlato?” domanda, sorpreso, avendo un’ulteriore conferma del fatto che i due non si siano limitati a fare lezione.
 
“Sì… me ne ha accennato… mi ha detto che… che questo… meglio che non lo definisco, si era approfittato di lei e del fatto che ne fosse innamorata. Ma non pensavo che… che fosse qualcosa di così grave,” ammette, il tono tra lo scosso e l’indignato, l’aria di chi vorrebbe accartocciare non solo la cartellina, ma anche Bobo in carne ed ossa.
 
“Capisce perché gliel’ho fatta leggere, vero?” gli domanda Gaetano, più ammorbidito.
 
“Sì, ho capito, ma le ripeto che non le farei mai del male, piuttosto mi farei ammazzare,” ribadisce, con un tono che Gaetano riconosce come sincero.
 
“Le credo, Ferri. Ma Livia sta uscendo da un periodo molto difficile e si è appena ripresa da questa storia. È convinta di attirare tutte le fregature e… non prenderebbe l’ennesima storia finita male come… come la prenderebbe la maggior parte delle ragazze della sua età o delle donne in generale. Capisce cosa intendo?”
 
“Sì,” annuisce, l’aria di chi ha davvero capito, fino in fondo.
 
“Bene, la ringrazio per avermi ascoltato, Ferri. E voglio fidarmi di lei,” proclama, guardandolo un’ultima volta dritto negli occhi, riprendendosi la cartellina ed uscendo dalla sala, senza guardarsi indietro.
 
***************************************************************************************
 
“E con questo si chiude il nostro corso: spero vi sia stato utile e che magari per molte di voi sia solo il primo passo e decidiate di approfondire le tematiche qui trattate con corsi più specifici ed approfonditi. Vi ringrazio per la vostra grande attenzione e partecipazione: è stato un piacere lavorare con voi. Grazie!”
 
L’applauso è scrosciante e Livietta attende pazientemente che il codazzo di signore si smaltisca.
 
“Andiamo? O vuoi salutare l’istruttore?” le chiede sua madre con aria tranquilla, da cui Livietta ha l’ennesima conferma che Gaetano ha mantenuto la promessa.
 
“Veramente vorrei chiedere un ultimo chiarimento all’istruttore… ti dispiace se…? Magari puoi avviare la macchina intanto e uscire dal parcheggio, io arrivo subito,” la rassicura con un sorriso.
 
“D’accordo, allora ti aspetto fuori. Salutalo e ringrazialo anche da parte mia, ok?” le chiede, avviandosi fuori dalla palestra.
 
Ancora attimi, attimi interminabili e, finalmente, l’ultima delle irriducibili si allontana.
 
“Mi scusi!” lo chiama, sforzandosi di dargli del lei, vedendolo girarsi, sorpreso.
 
“Livia…”
 
“Volevo ringraziarla anche da parte di mia madre per il corso: ci è piaciuto molto, anche se abbiamo perso un po’ di lezioni,” proclama ad alta voce, visto che accanto a lui c’è il suo collega, che saluta con un sorriso.
 
Un secondo e vede l’assistente allontanarsi e girarsi dall’altra parte. Prende coraggio e sussurra, “mi dispiace tanto… non volevo crearti problemi e…”
 
“Tranquilla, non ce ne sono stati e non credo che ce ne saranno: il dottor Berardi è un uomo intelligente e corretto. E poi la colpa è stata soprattutto mia,” le sussurra di rimando, rassicurandola con un sorriso, guardandola in un modo strano – forse malinconico? – prima di aggiungere, dopo un attimo di pausa, “è stato davvero un piacere farti lezione, Livia, e spero che continuerai a studiare difesa e arti marziali perché hai grandissime potenzialità. Buona fortuna, ti auguro il meglio, te lo meriti.”
 
Livietta annuisce, sentendo un nodo alla gola, sapendo benissimo che questo è un addio – e del resto è l’unica cosa logica da fare, è la cosa migliore per tutti, non c’è alternativa. Lo vede porgerle la mano e la stringe, prima di prendere coraggio, sporgersi in avanti e salutarlo con i canonici due baci sulla guancia, anche se vorrebbe tanto potergli dare tutt’altro genere di bacio d’addio.
 
Le loro mani si stringono fortissimo per qualche secondo e poi lascia la presa, si volta e si avvia verso l’uscita, cercando di soffocare la voglia di piangere, anche perché c’è sua madre che la aspetta e farebbe domande, troppe domande, se la vedesse triste.
 
Il sogno è finito, è ora di tornare con i piedi per terra.
 
***************************************************************************************
 
“Livietta, posso entrare?”
 
“Certo mamma, vieni, sempre se riesci ad entrare…” ironizza, visto che sta preparando il bagaglio per la partenza dell’indomani e la sua camera sembra un campo di battaglia. Due settimane sono un periodo abbastanza lungo e sta faticando non poco a stipare tutto il necessario in una valigia, per quanto grande.
 
“Vuoi una mano?” si offre sua madre e lei annuisce, non sollevando lo sguardo e continuando a lavorare imperterrita, cercando di distrarsi e di non pensare.
 
“Livietta… Livietta!” sente all’improvviso, una mano sulla spalla che la scuote dai suoi pensieri, “sei sicura che vada tutto bene?”
 
“Eh?” domanda, facendo la finta tonta, maledicendo la perspicacia di sua madre.
 
“Mi sembri giù di corda… già da ieri eri un po’ strana, ma stasera ti vedo proprio triste. È per via del viaggio? Sono sicura che ti divertirai con tuo padre e spero che tu parta con lui, ma… se hai cambiato idea e non vuoi andare non sei obbligata a farlo,” la rassicura, posandole le mani sulle spalle e guardandola negli occhi.
 
“No, no, cioè… ho voglia di stare con papà e di vedere Londra, è che… mi mancheranno le mie amiche e mi mancherai tu,” ammette e in fondo non è una bugia, anche se non certo è tutta la verità, nemmeno alla lontana.
 
“Vieni qui,” mormora sua madre e Livietta si ritrova stretta in un abbraccio fortissimo che le fa bene e le fa male allo stesso tempo, perché deve fare uno sforzo quasi sovrumano per non scoppiare a piangere come un’idiota, “lo sai che in qualsiasi momento, per qualsiasi cosa, basta che mi chiami e puoi tornare qui o ti raggiungo, ok?”
 
Livietta si limita ad annuire e a godersi l’abbraccio.
 
“Ascoltami,” le sussurra dopo un po’ Camilla, staccandosi leggermente da lei, sedendosi ai piedi del letto e facendole segno di fare altrettanto, “c’è una cosa di cui volevo parlarti… Gaetano mi ha detto che… che hai notato i… i cambiamenti in bagno.”
 
“Mamma, guarda che non c’è problema: come ho già detto a Gaetano, io sono contenta per voi se decidete di convivere. Anche domani,” la rassicura con un sorriso, stringendole una mano.
 
“Lo so ma… vorrei che tu capissi che… qualsiasi decisione importante che ci sarà, ne parlerò prima con te, ok? Che sia la convivenza, o… la possibilità di… di un altro impiastro, come dici tu, o qualsiasi altra decisione. Tu sei la persona più importante della mia vita, Livietta, e questa è casa tua e non ci sono segreti, ok?” proclama, accarezzandole una guancia e Livietta, anche se non lo ammetterà mai con sua madre, deve riconoscere che prova un profondo senso di sollievo, “e in tal proposito… volevo dirti che, visto che sarai via per due settimane, ho intenzione di chiedere a Gaetano di rimanere qui con me, fino a che non torni. È un problema per te?”
 
“Mamma, in che lingua te lo devo dire? No, enne o, non c’è nessun problema!” ribadisce, prima di aggiungere, con tono canzonatorio, “però ti sono grata per l’avvertimento, così ti chiamerò in anticipo prima di rientrare a casa, che non vorrei trovarmi di fronte a scene traumatizzanti!”
 
Un pizzico sul fianco e, senza quasi sapere come, si trovano riverse sul letto, sopra i vestiti sparsi, impegnate in una gara di solletico senza esclusione di colpi, come ai vecchi tempi.
 
E, finalmente, Livietta non deve trattenere più le lacrime.
 
***************************************************************************************
 
“I signori gradiscono ancora qualcosa da bere, prima che serviamo il dolce? Posso consigliare un ottimo passito di Pantelleria, Ben Ryé, Donnafugata e-“
 
“No grazie!” “Sì, grazie” pronunciano quasi in contemporanea.
 
“Capisco, vi lascio un attimo per decidere,” dichiara il cameriere con un sorriso, prima di voltarsi ed avviarsi verso un altro tavolo.
 
“Dai, professoressa, non si può gustare il dolce senza il vino adatto!” proclama con il suo miglior sorriso, cercando di convincerla.
 
“Sì, che si può, soprattutto in un posto dove il conto è come minimo a due zeri e il vino non ne parliamo!” ribatte lei a bassa voce, con l’aria di chi non ammette repliche, sapendo benissimo che Gaetano non le lascerà mai pagare il conto.
 
“Eddai… per una volta che veniamo in un ristorante un po’ più caro… te l’ho già detto: permettimi di coccolarti almeno ogni tanto, professoressa,” controbatte, stringendole la mano, appoggiata sopra la tovaglia, nella sua ed accarezzandole il palmo con il pollice.
 
“Per quanto mi riguarda puoi coccolarmi ogni volta che vuoi, ma nella nostra camera da letto, gratis,” controreplica in un sussurro, sporgendosi in avanti per fare in modo che lui la senta anche con i rumori di fondo della sala.
 
“Nostra?” le chiede con un sorriso, mordendosi il labro e vedendola arrossire.
 
“Sì, beh… cioè… è che in realtà… ho una proposta da farti,” ammette, prendendo fiato, prima di esordire, “come sai Livietta è partita oggi e sarò sola soletta a casa per due settimane quindi-“
 
“Vuoi venire a stare da me?” pronunciano in perfetto unisono. Si guardano per un secondo e scoppiano a ridere.
 
“Beh, direi che la proposta è approvata, ci tocca solo decidere in quale appartamento…” deduce Camilla, riflettendo un attimo, prima di far notare, “certo… nel mio ci sono già alcune cose tue.”
 
“Guarda che nel mio se vuoi puoi avere un bagno intero tutto per te e prenderti pure tutto il mio armadio,” rilancia Gaetano con un sorriso, come se stessero giocando a poker, prima di sussurrarle, maliziosamente, “anche se non credo ti serviranno tanti vestiti.”
 
“Neanche a te, se è solo per questo, ma io ho anche un cane da trasferire. Come la mettiamo?” gli chiede, con lo stesso medesimo tono.
 
“Ah giusto, c’è Potti-Otello a cui pensare. Non vorrei che si ingelosisse troppo, hai ragione,” scherza, facendole l’occhiolino, prima di aggiungere, più serio, “per me va benissimo se stiamo a casa tua, ma, in ogni caso, vorrei che accettassi questo.”
 
Camilla osserva, stupita, mentre estrae dalla tasca e posa sul tavolo un astuccio di velluto blu scuro. Un astuccio da gioielleria.
 
“Ma… co – cos’è?” balbetta, curiosa quanto dubbiosa, toccando la superficie morbida, quasi con reverenza.
 
“C’è un solo modo per scoprirlo, no?” la incita, con un altro occhiolino.
 
Con mani tremanti, Camilla apre l’astuccio e spalanca la bocca incredula, quando ci trova una catenina d’oro bianco con tre piccoli ciondoli a forma di chiave, della stessa identica foggia di quella dell’armadio. Solo che non sono d’ottone dorato, ma una di oro bianco, una di oro giallo e una di oro rosa.
 
“Rosa per l’amore, giallo per la fedeltà, bianco per l’amicizia. O così sostiene il gioielliere,” chiarisce Gaetano, ripetendole quello che si ricorda dalle nozioni sul linguaggio dei fiori e dei gioielli e delle pietre insegnatogli da sua madre, che a queste cose aveva sempre tenuto molto, anche se poi, in realtà, praticamente indossava quasi sempre la stessa collana e gli stessi anelli.
 
“È… è bellissima ma… ma sei matto? Chissà quanto ti sarà costata!” pronuncia, commossa, guardandolo negli occhi.
 
“Camilla, se pronunci ancora parole come prezzo, costo, soldi, giuro che mi offendo!” ribatte, serio, allungando una mano per accarezzarle il viso, “e poi non ti ho mai regalato niente, nemmeno un gioiello e quando ti ho visto quella chiavetta addosso, ho capito che dovevo assolutamente rimediare.”
 
“Non mi hai mai regalato niente?” gli domanda, non potendo credere alle sue orecchie, “guarda che se lo dici ancora sono io ad offendermi! Gaetano: nessuno mi ha mai fatto tanti regali quanti me ne hai fatti tu da quando stiamo insieme! Non mi avrai regalato gioielli o oggetti materiali, d’accordo, ma mi hai riempita di attenzioni, mi hai coccolata e viziata in ogni modo. Mi hai regalato il tuo tempo, il tuo impegno, la tua pazienza, il tuo amore, tutto quello che mi serve ad essere felice e che i soldi non possono comprare. La collana è bellissima e il significato è bellissimo, ma non serviva, ok?”
 
“Ok,” concede, commosso come e più di lei, indicando il gioiello e dicendole, “posso aiutarti a metterlo?”
 
Camilla annuisce ed estrae dall’astuccio il cuscino che tiene la catenina saldamente bloccata, per sganciarla e quasi la lascia cadere quando vede che sotto il cuscino ci sono tre chiavi vere, infilate in un portachiavi d’argento con incisa la lettera C.
 
“Ma che…”
 
“Sono le chiavi di casa mia… ne ho fatta una copia per te e… insomma, mi sembra assurdo che devi continuare a suonare e a bussare ogni volta che mi vieni a trovare e… perché mi guardi in quel modo?” le chiede, notando come il viso di lei passi dall’emozionato, per non dire scosso, ad un sorrisetto stranamente divertito.
 
“Perché anche io ho qualcosa per te,” rivela, abbandonando per un attimo chiavi e collana, per estrarre dalla borsa una scatoletta di cartone, chiusa con un nastro.
 
Avendo un presentimento e non potendo crederci, prende in mano la scatolina, si libera come meglio riesce del nastro e la apre, trovandosi di fronte ad un astuccio di pelle nera. Un portachiavi. Lo apre e trova tre chiavi, praticamente identiche alle sue.
 
“Non ci credo…” sussurra, guardandola negli occhi, che brillano di una luce quasi abbagliante, “sono le…”
 
“Le mie chiavi di casa,” conferma, la voce roca per la commozione, prima di ritrovarsi trascinata in un bacio che le fa dimenticare tutto: la collana, le chiavi, l’ennesima prova della loro straordinaria intesa, ai limiti della telepatia, il ristorante e perfino i colpi di tosse di altri avventori facilmente scandalizzabili.
 
Il mondo potrebbe crollarle addosso e non se ne accorgerebbe.
 
***************************************************************************************
 
“Allora, ti è piaciuto!”
 
“Tantissimo: ho sempre sognato di vedere il Fantasma dell’Opera dal vivo. Grazie papà!” esclama Livietta, felice ed esaltata per lo spettacolo a dir poco pazzesco a cui ha appena assistito, abbracciando il padre, mentre Carmen, che li ha accompagnati, li osserva leggermente in disparte.
 
Renzo fa mente locale di ringraziare Camilla per la dritta, visto che ignorava questa passione della figlia, nata a seguito di ripetute visioni con la nonna del DVD del film del 2004. Certo che solo Andreina poteva fare vedere ad una bimba un film del genere, ma a quanto pare Livietta non solo non ne era rimasta traumatizzata, ma anzi, tutto il contrario.
 
“E adesso possiamo andare in un locale a mangiare, se vuoi. Mi hanno consigliato un posto bellissimo che a quanto pare è di gran moda tra i giovani londinesi: è ristorante ma fanno cocktail e c’è musica dal vivo per ballare,” propone Renzo, prendendola a braccetto.
 
“Sì, però, Renzo, se è un locale in faranno selezione. E, se chiedono i documenti, Livietta non può entrare perché bisogna avere diciott’anni,” interviene Carmen, avendo girato parecchi locali durante le sue permanenze solitarie a Londra.
 
“Non gliel’hai consigliato tu?” chiede Livietta, stupita, sapendo bene che, mentre Carmen ama la movida, suo padre è un super pantofolaio.
 
“No, credo di no…” ammette Carmen, stupita quanto lei.
 
“Vi ringrazio per la fiducia: guardate che anche io ho le mie fonti e le mie conoscenze. Non ho mica cento anni!” protesta Renzo, facendo questa volta mente locale di ringraziare Barbara, che gli ha suggerito un locale gestito da un suo amico, “e ho già prenotato e siamo in lista, quindi vedrete che ci faranno passare!”
 
Livietta e Carmen si scambiano uno sguardo stupito come a dire “quello che sta parlando è davvero Renzo?” ma, con una scrollata di spalle, si rassegnano a seguirlo fino al taxi.
 
***************************************************************************************
 
“Ti piace?”
 
“Sì, è tutto buonissimo!” grida Livietta, gustandosi soddisfatta la sua metà d’hamburger, il migliore che abbia mai mangiato, dopo aver fatto metà di un’aragosta con suo padre, visto che si erano divisi le ordinazioni.
 
Carmen invece, come sempre più salutista, si era presa un’insalatona.
 
Il locale è veramente particolarissimo: è un misto tra il set di un film western e un locale americano anni ’40 alla The Great Gatsby. A quanto pare gli arredi sono stati curati da un vero scenografo che lavora sui set hollywoodiani.
 
“C’è uno chef stellato e i cocktail dovrebbero essere tra i migliori della città. Però solo uno, intesi?” si raccomanda con la figlia, che in teoria non potrebbe nemmeno bere, per legge.
 
“Sì, papà,” annuisce, sapendo che è già un miracolo che gliene abbia concesso uno.
 
“Qui è pieno di VIP…” constata Carmen, guardandosi in giro e riconoscendo parecchie celebrità londinesi, tra calciatori, attori, cantanti, protagonisti di reality show, mentre fa mentalmente il conto di quanto costerà a Renzo questa serata, visto che anche il conto è stellato, “e abbiamo uno dei tavoli migliori e ci stanno pure servendo in fretta rispetto ad altri tavoli. Ma come hai fatto? Sei amico della regina e non me l’hai mai detto?”
 
“Ma quello… quello è il principe Harry?” esclama Livietta, sbigottita, vedendo un ragazzo dai capelli e dai lineamenti inconfondibili, scortato da un paio di energumeni e circondato da uno stuolo di ragazzetti e ragazzette che più che vestite sono svestite, che sparisce oltre una porta, che conduce probabilmente al privé più esclusivo, “non è che conosci sul serio la regina, vero?”
 
“No, ma… ognuno ha le sue armi segrete…” ribatte, rimanendo misterioso e sul vago, anche se non può evitare di chiedersi in che genere di rapporti possa essere Barbara con il proprietario del locale per avere un trattamento simile in un posto così esclusivo.
 
Quasi come se l’avesse invocato con il pensiero, un uomo sulla trentacinquina, alto, biondo, elegantemente vestito e, deve ammetterlo, molto piacente, si avvicina al loro tavolo.
 
“You must be Renzo, right?” gli chiede, rivolgendosi a lui in un accento londinese posh, che, lo sa bene, significa soldi, molti soldi.
 
“Yes, and you are?”
 
“Nick, the owner of the place,” spiega il tipo con un mezzo sorriso ed aria fiera, sicura di sé, porgendogli la mano, “any friend of Barbara is a friend of mine: we go way back!”
 
Renzo ricambia la stretta e abbozza un sorriso, mentre quel nome, pronunciato dalle labbra dell’inglesino, gli fa gelare il sangue nelle vene. Spera e prega che Livietta non colleghi.
 
Si lancia quindi in una serie di ringraziamenti ed elogi al locale, al cibo e al bere degno del peggior leccapiedi, tutto pur di cambiare argomento ed evitare che quel nome venga menzionato di nuovo.
 
“Well, I don’t want to take up too much of your time. You have been very kind. Great place!” lo ringrazia, infine, cercando di smarcarsi.
 
“No, you have been too kind. Tell you what? If you are staying here in the City for a while, come again, and I’ll let you in the backroom. I am sure the ladies will love it,” gli risponde, facendogli l’occhiolino e Renzo ha l’impressione che, qualsiasi cosa ci sia in questo benedetto privé, magari piacerà anche a Livietta, ma di sicuro non piacerà a lui.
 
Perché sa benissimo cosa vogliono questi ragazzotti famosi e pieni di soldi: le famose ss. Sesso e soldi, soldi e sesso. E sua figlia è meglio che stia alla larga da ogni s il più a lungo possibile.
 
“Say hi to Barbara for me, ok? Maybe the next time you can come together!” si commiata, allontanandosi dal tavolo con l’aria di un re che passa in rassegna i poveri mortali che popolano il suo regno.
 
“Chi è questa Barbara?” chiedono all’unisono Livietta e Carmen, guardandolo con un’aria degna di un interrogatorio, di cui Camilla e il poliziotto-super-più sarebbero molto orgogliosi.
 
“Ehm… non Barbara, Barberi. L’architetto, te lo ricordi no? Quello che ha fatto quell’edificio pazzesco vicino alla ruota panoramica, che abbiamo incontrato il mese scorso…” improvvisa, sparando la prima cosa che gli viene in mente, ringraziando il cielo per il nome del collega, “sai come pronunciano questi inglesi, no? La i diventa ai eccetera eccetera…”
 
“Ah, sì, ma… non pensavo che Barberi girasse per night, c’ha quasi sessant’anni pure lui, a occhio e croce,” risponde Carmen, non molto convinta, prima di aggiungere, dopo un attimo di riflessione, “non è che è gay? Per come ne ha parlato questo Nick…”
 
“Non credo… da quello che ho capito gli ha dato una mano a progettare non so che locale insomma, sono amici, ecco. Insomma, poi non è che mi faccio gli affari degli altri…” replica Renzo, imbarazzato, mentre Livietta lo osserva divertito.
 
“Beh, se ti ha fatto un favore simile – oltretutto non mi sembravate così amici – guarda che… potrebbe essere. E poi la prossima volta potete venire qui insieme,” lo punzecchia Carmen con tono fintamente romantico e suggestivo, citando le parole di Nick, facendolo arrossire, e scoppiando poi a ridere insieme a Livietta.
 
“Ma la piantate di fare comunella voi due e di prendermi in giro?!” sbotta fintamente offeso, anche se internamente tira un sospiro di sollievo: l’ha scampata per un soffio.
 
“Papà, ti vibra il cellulare!” grida ad un certo punto Livitta, indicando il telefono che ha appoggiato sul tavolo con la vibrazione, perché altrimenti, in mezzo al casino della musica live, chi lo sente?
 
Renzo lo afferra quasi automaticamente e vede il segnale di un messaggio in arrivo su whatsapp. Lo apre, senza troppo pensarci, e legge il nome di Barbara: parli del diavolo…
 
Come va al locale? Ti stai divertendo con tua figlia?
 
Le risponde affermativamente, ringraziandola per la dritta e quasi subito gli arriva un secondo messaggio.
 
Mi raccomando di non divertirti troppo ;). E stai lontano dalle ragazze ubriache ;). Ma nel caso fossi tentato di aiutare qualche altra fanciulla indifesa…
 
Gli scappa un lieve sorriso all’ovvia battutina, che gli si congela sul viso quando al messaggio segue una foto.
 
Un autoscatto di Barbara in un mini babydoll ipertrasparente che gli lancia un bacio con uno sguardo a dir poco provocante.
 
Per poco il telefono non gli cade di mano.
 
“Papà, tutto bene? Chi ti scrive a quest’ora?” domanda Livietta e Renzo si affretta a chiudere l’immagine, pregando che non si siano accorte di niente e che soprattutto non si accorgano del fatto che ha le guance in fiamme.
 
“L- l’architetto Barberi, appunto. Voleva sapere come stava andando al locale…” improvvisa, chiedendosi quando è diventato così bravo a raccontare frottole e sentendosi in colpa, come se fosse tornato ai tempi in cui tradiva Camilla con Carmen e doveva fare tutto di nascosto.
 
Ecco quando aveva imparato a mentire così bene, ma odiava farlo: quei mesi di doppia vita l’avevano completamente distrutto, tanto che era stato molto, ma molto sollevato quando aveva messo fine al rapporto con Camilla e alla clandestinità.
 
“Che ti dicevo? Il tuo amico è gay!” lo punzecchia di nuovo Carmen, dandosi una gomitata con Livietta.
 
“Sì, va beh, se avete finito di mangiare e di chiacchierare, perché non andiamo a ballare?” propone Renzo, ansioso di cambiare di nuovo argomento e di togliersi di lì, trovando la prima distrazione plausibile.
 
Si alza e, sotto gli sguardi increduli di Carmen e Livietta si avvia verso la pista da ballo.
 
***************************************************************************************
 
“Si può sapere che cos’hai?”
 
“In che senso?” le chiede, sorpreso da questo interrogativo: Livietta sta ballando in mezzo alla pista e Renzo nota, con sollievo, come si tenga lontano dai bellimbusti e si sia invece unita ad un gruppo di ragazze che ballano da sole.
 
Lui e Carmen hanno deciso di fare una pausa per salvaguardare piedi e polmoni e sono andati a prendersi un drink al bar, pur tenendo costantemente d’occhio Livietta.
 
“Nel senso che… sembri un’altra persona: sei venuto volentieri a teatro, poi pure il locale figo, ti sei messo anche a ballare… ordini i cocktail che hai sempre considerato una schifezza colorata. Non è da te,” chiarisce Carmen che, in anni di relazione, era riuscita a farlo uscire solo molto raramente e in cambio di promesse di un’ottima ricompensa a fine serata. E per una soirée a teatro a cui lui non voleva assolutamente partecipare, se lo ricorda bene, avevano fatto una litigata pazzesca.
 
“Niente… sto solo cercando di recuperare un po’ il rapporto con mia figlia e poi… e poi sto cercando di cambiare, in meglio, di diventare un nuovo Renzo,” spiega, sorseggiando il suo margarita. Deve ammettere che ormai ci ha fatto l’abitudine, anche se continua a preferire quello di Barbara.
 
“Un nuovo Renzo?” gli chiede, guardandolo preoccupata, “se con il vecchio Renzo intendi il brontolone depresso che ho trovato a Torino, posso capire. Ma se invece intendi il vecchio Renzo che ho conosciuto a Barcellona, a Roma, insomma... tu quando non passi la vita a compiangerti… non c’era niente che non andava con quel Renzo, anche se era un po’ un pantofolaio. E sono sicura che anche Livietta la pensa allo stesso modo.”
 
“Se lo dici tu…” sospira Renzo, non sembrando per nulla convinto, prima di bere quello che rimane del suo drink e farle segno di tornare in pista.
 
***************************************************************************************
 
“Sì, mi sto divertendo tantissimo. Papà mi ha portato in un sacco di posti pazzeschi, poi ti racconto quando torno.”
 
Renzo, soddisfatto, origlia, anche se sa che non si dovrebbe, la conversazione che Livietta sta avendo al cellulare con Camilla.
 
È in bagno, ha appena finito la doccia e stava per rientrare nella camera da letto che condivide con la figlia, quando, sentendola parlare, si è bloccato ad ascoltare.
 
“Sì, tranquilla, mamma, va tutto bene, sì. Un bacio e salutami Gaetano: fate i bravi,” la sente raccomandarsi e non può evitare la fitta dolorosa al petto che prova nel sentirle pronunciare quel nome, nel sentirla scherzare con tanta naturalezza, con tanta nonchalance su… su un argomento del genere.
 
Ma è meno forte di qualche tempo fa, di qualche giorno fa, mitigata dal fatto che finalmente tra lui e Livietta le cose sembrano cominciare a girare per il verso giusto.
 
Quando capisce che ha chiuso la conversazione, fa passare un paio di minuti e rientra in stanza, trovandola a sua volta pronta per la doccia.
 
“Ci metterò una mezzoretta: devo lavarmi i capelli,” spiega, avviandosi con l’accappatoio e un cambio pulito verso il bagno.
 
“Tranquilla: io intanto sbrigo alcune cose di lavoro e poi scendiamo a colazione insieme,” replica con un sorriso, vedendola sparire dietro la porta del bagno.
 
Si riveste e si prepara con calma e poi, una volta soddisfatto del risultato, cerca il suo portatile per mandare un paio di mail urgenti di lavoro.
 
Dopo cinque minuti di ricerca per tutta la stanza si rende conto, dandosi del cretino, di averlo lasciato nella macchina a noleggio di Carmen.
 
Che quella mattina è fuori con due dei committenti.
 
Sa benissimo che, tra disegni e grafici, non se la caverà mai con il cellulare.
 
Ed è in quel momento che il portatile di Livietta, posizionato sulla piccola scrivania della stanza, lo attira come le Sirene attirarono Ulisse.
 
Lo sa che non si potrebbe ma, in fondo, come gli disse una volta Camilla, se Livietta non lo sa…
 
Prima di cambiare idea, si siede alla scrivania e lo riattiva dalla modalità di stand-by in cui Livietta lo aveva messo.
 
Per fortuna ancora niente password: Livietta evidentemente si fida del fatto che rispetteranno la sua privacy.
 
Un po’ si sente in colpa, ma è un emergenza…
 
Cerca nella borsa la chiavetta con i file che gli servono ma si rende conto, dandosi del cretino per la seconda volta, che file e chiavetta sono insieme al computer nell’auto di Carmen.
 
Sta per desistere quando, ricordandosi della pignoleria tecnologica di Carmen, gli viene in mente di contattarla e chiedere se per caso abbia fatto il backup dei progetti in cloud.
 
Qualche minuto e Carmen risponde di sì, con tutte le indicazioni di dove li ha messi.
 
Sentendosi sollevato, apre il browser e cerca “google dri”, il browser non solo gli suggerisce in automatico “google drive” ma lo rimanda già a degli indirizzi completi, ci clicca su e, dopo un attimo di spaesamento, si rende conto di essere entrato in automatico con l’account di Livietta, non solo, ma di essere entrato in un file specifico, un file di word, forse l’ultimo che Livietta ha usato.
 
Sta per cliccare il mouse per uscire quando le parole “Gaetano” e “confessargli ciò che provo”, che il suo cervello ha captato in mezzo al foglio scritto fitto-fitto, lo bloccano, come se fosse paralizzato.
 
La salivazione azzerata, un dolore al petto che lo porta a chiedersi se gli stia per venire un infarto, un ronzio nella testa e nelle orecchie, legge quello che non avrebbe mai voluto leggere. Ma è tutto lì, nero su bianco.
 
Gaetano ha capito tutto, si è accorto di come lo guardavo… e ho dovuto confessargli ciò che provo. A lui ovviamente stava per venire un colpo e voleva dire tutto a mamma ma per fortuna sono riuscita a convincerlo a mantenere il segreto, perché a mamma e soprattutto a papà verrebbe un infarto se sapessero.
 
Mi ha detto che devo togliermelo dalla testa, che è troppo grande per me e lo so che ha ragione, lo so che il mio è un amore impossibile, che lui non si interesserà mai a me… ma… ma che ci posso fare se mi piace da morire? Gli ho promesso che la mia è una cotta e mi passerà in fretta, ma la verità è che non so se passerà.
 
Speravo che il viaggio a Londra mi aiutasse e papà sta facendo davvero di tutto per farmi divertire, ho visto un sacco di bei ragazzi, ma quando provano ad avvicinarsi li evito tutti – e non solo perché c’è sempre papà che li guarda come se volesse ucciderli (almeno alcune cose non cambiano mai per fortuna, se no penserei che un alieno ha rapito papà!).
 
Il fatto è che mi manca da morire lui: vorrei vederlo, parlargli, chiamarlo, ma non posso. Continuo a sognarlo, a sognare-
 
Un rumore improvviso dal bagno lo fa sobbalzare: la porta si sta riaprendo.
 
Con velocità fulminea, spinto da non sa quale istinto, fa uno screenshot della pagina e la chiude di corsa. Non fa però in tempo ad alzarsi dalla sedia o richiudere il computer: Livietta è già tornata nella stanza.
 
“Ho dimenticato il phon e-“ pronuncia, uscendo avvolta solo da due asciugamani – uno intorno al corpo e uno intorno alla testa – e bloccandosi quando lo vede seduto alla scrivania.
 
“Papà, che ci fai con il mio computer?!” sbotta, evidentemente arrabbiata – e forse un po’ preoccupata? – guardandolo come la madre guarda il bimbo con le mani nella marmellata.
 
Per un attimo Renzo rimane in silenzio, indeciso su cosa dire e non dire. Se esplodere o…
 
“Scusami, avevo bisogno di spedire delle mail di lavoro,” riesce a pronunciare, non sa come, con tono neutro, “ho dimenticato il portatile nel bagagliaio dell’auto di Carmen e… se non le mando entro stamattina rischio di perdere un progetto importante. Posso?”
 
“D’accordo, ma due minuti. E non sbirciare le mie cose,” gli intima, prendendo il phon e non rientrando in bagno, ma attaccandolo alla presa vicino al letto.
 
Sapendo di essere sorvegliato a vista, Renzo entra nelle mail, scrive giusto un paio di righe in cui assicura che risponderà nel pomeriggio e poi invia a se stesso un messaggio con in allegato una certa fotografia…
 
 
Nota dell’autrice: Se siete arrivate vive fino in fondo, come avete visto il capitolo non è lunghissimo, di più molto di più, è veramente iperextralarge, ma volevo assolutamente arrivare a questo punto. Renzo ha scoperto tutto – o pensa di avere scoperto tutto – e… come reagirà secondo voi?
Vi anticipo che nel prossimo capitolo vedremo fuoco e fiamme e ci saranno un po’ di scossoni. Ho cercato di mantenere i personaggi il più in personaggio possibile, pur dando loro una costante evoluzione e spero di riuscire a farlo senza stravolgerli completamente.
Lo so che forse lo sviluppo finale per alcuni potrebbe risultare un po’ forzato e da “commedia degli equivoci”, però ho visto anche nella realtà, tra coppie in fase di separazione/divorzio, malintesi e “film mentali” che il più fervido sceneggiatore di soap opera non riuscirebbe a concepire e, dal mio punto di vista, credo che padre e figlia (e Camilla e Gaetano) abbiano bisogno di questa prova del fuoco, per superare alcune paure e pregiudizi (irrazionali), che fanno vedere mostri dove non ci sono, altre paure (molto più concrete e realistiche) e trovare il modo di capire come costruire un nuovo equilibrio far funzionare davvero una famiglia allargata.
Non so cosa ne pensate voi e se potrete concordare o meno… il vostro parere mi è come sempre fondamentale e quindi, qualsiasi cosa non vi convinca, ditemelo davvero in assoluta libertà: le critiche sono utilissime per migliorare.
Vi ringrazio come sempre per avermi letta fin qui e vi do appuntamento, se vi va, al prossimo capitolo ;)!
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** Playing with Fire - terza parte ***


Nota: scusate per il megaritardo ma questo capitolo ha richiesto un sacco di pause di riflessione nella scrittura e nella rilettura e nell’editing soprattutto. Diciamo che è un capitolo duale, una prima parte più leggera e una seconda parte che è bella tosta e carica, per poi arrivare all’esplosione finale. Non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento a fine capitolo ;)
 


Capitolo 49: Playing with fire – terza parte


 
Una sensazione strana come… un tremore… ma non è un terremoto, è…
 
Apre gli occhi e istintivamente solleva la mano, cercando di metterla a fuoco con occhi assonnati.
 
L’orologio nuovo.
 
La sveglia a vibrazione ha funzionato – constata tra sé e sé, soddisfatto, voltando il collo verso il comodino e allungando di nuovo la mano, questa volta per afferrare il cellulare e disattivare la sveglia acustica prima che suoni.
 
Fin qui è stato facile, ora viene la parte difficile – pensa, non riuscendo a trattenere un sorriso mentre osserva l’ultimo “ostacolo”. Il più difficile da aggirare e anche il più incantevole – e piacevole.
 
Camilla dorme profondamente abbracciata a lui, come una bambina, con un’espressione così serena e limpida sul viso, che gli provoca ogni volta quella sensazione gradevole di costrizione al petto e un senso di pace e di orgoglio che non saprebbe mai quantificare né definire a parole. La stessa sensazione che ha provato la prima mattina che si è risvegliato con Tommy stretto forte a lui nel lettone, dopo il loro nuovo inizio tutt’altro che incoraggiante a Torino, quando ha capito che Tommy, nonostante tutto, stava cominciando a fidarsi di lui.
 
La sensazione di avere qualcosa di preziosissimo, di inestimabile tra le braccia da proteggere ad ogni costo. La cui felicità viene molto prima della propria e a cui la propria felicità è indissolubilmente legata. Qualcuno da amare più di se stesso, senza averne paura, semplicemente perché è inevitabile, è così e basta: non può non amare Camilla, così come non può non amare Tommy. Ci ha provato, eccome se ci ha provato, con entrambi, a ingannarsi, a dirsi che poteva vivere benissimo senza di lei prima e senza… senza suo figlio poi, forse perché questo amore così profondo, questa vulnerabilità così profonda gli faceva paura, gli faceva male. Forse perché sentiva di non essere abbastanza, di non poter essere abbastanza, né come compagno, né come padre. Che non avrebbe mai meritato una donna come Camilla, né un miracolo come Tommy.
 
Ricorda come fosse ieri quando aveva ammesso con Camilla quanto gli riuscisse difficile innamorarsi. Ed era vero: non si era mai innamorato, mai, forse non ci aveva neppure realmente provato, nemmeno con Camilla. Era avvenuto tutto naturalmente, senza che se ne accorgesse, piano piano, incontro dopo incontro. Non l’aveva cercato, anche se non aveva nemmeno cercato di evitarlo. Semplicemente era successo e basta, conoscendola, scoprendola, forse riconoscendo il lei una parte di sé e, allo stesso tempo, trovando in lei quello che gli era sempre mancato.
 
Ma lei l’aveva guardato, con quello sguardo che sembrava leggergli nell’anima, quello sguardo consapevole, sicuro, quasi di sfida e, con un mezzo sorriso, aveva pronunciato quelle parole: secondo me tu hai paura di innamorarti.
 
Ed era vero. Forse perché, da sempre, aveva ricollegato l’amore ad una gabbia, ad una prigione, ad una follia, un’illusione che porta solo sofferenze e debolezza, dipendenza, quasi come se fosse una droga.
 
Ed era ironico che si fosse innamorato proprio della donna di cui avrebbe dovuto avere più paura in assoluto di innamorarsi. Perché gli era stato fin da subito chiaro che, comunque fosse finita, con Camilla non sarebbe finita bene per lui, che il suo era un amore impossibile, destinato a non essere mai ricambiato fino in fondo.
 
Ricorda ancora come fosse ieri quando Camilla aveva, per la prima volta, fatto da babysitter a Tommy. Quando era tornato a casa e aveva visto Tommy che finiva di mangiare quell’orribile pizza alla marmellata di lamponi, fingendo indifferenza verso Camilla, una parte di lui aveva sentito che in realtà lei l’aveva già conquistato, anche se Tommy cercava di non darlo a vedere.
 
Proprio come lui.
 
E si era sentito in colpa che, a soli quattro anni, suo figlio sentisse il bisogno di mascherare così i suoi sentimenti: il dolore per la partenza della madre, il fatto di essere stato bene con Camilla. L’unico sentimento che riusciva ad esprimere era la totale sfiducia nei suoi confronti come padre. Sembrava a volte quasi cinico, come se non avesse quattro anni ma quaranta, anche se poi in altri momenti aveva quel candore, quella schiettezza che solo a quattro anni si può avere.
 
Ma solo sui sentimenti negativi, non su quelli positivi. Riusciva ad ammettere candidamente di non fidarsi di lui, di non essere felice di stare con lui, di pensare che presto sarebbe sparito di nuovo senza lasciare traccia. Non riusciva invece ad ammettere che questo l’avrebbe fatto soffrire, che stava soffrendo per l’assenza di Eva, che aveva voglia di passare del tempo anche con Camilla e non solo con il suo cane.
 
Insomma, suo figlio stava diventando come lui. E per colpa sua.
 
In quel momento gli sembrava quasi impossibile che le cose potessero cambiare. Sapeva che recuperare un rapporto con Tommy sarebbe stato difficilissimo e pensava di non esserne capace.
 
Non ho proprio la vocazione del padre! – aveva confessato a Camilla, esprimendo per la prima volta la sua paura più grande, la sua insicurezza più grande, il suo più grande senso di colpa.
 
E lei l’aveva guardato di nuovo con quello sguardo deciso, consapevole, convinto e gli aveva risposto: ma cosa ne sai?! Io invece penso che andrai benissimo!
 
Dieci parole, pronunciate di getto, come se stesse dicendo un’ovvietà.
 
Le parole che aveva avuto disperatamente bisogno di sentirsi dire da quando era nato Tommy e che nessuno gli aveva mai detto, anzi, tutto il contrario, visto che Eva aveva continuato a ripetergli in ogni modo, con le parole e con le azioni, come lui non fosse in grado di fare il padre.
 
E dette da Camilla, dalla donna, anzi dalla persona che lo conosceva meglio in assoluto, che lo capiva meglio, che aveva praticamente sempre avuto ragione su di lui – e non solo su di lui – avevano avuto un valore immenso.
 
Ci aveva creduto e aveva cominciato anche a credere in se stesso, al fatto che davvero potesse avere una seconda possibilità e che, questa volta, non avrebbe fallito.
 
Era passato meno di un anno, undici mesi appena, eppure sembrava una vita fa, perché in questi undici mesi tutto era cambiato, lui era cambiato, come il giorno e la notte.
 
Un anno fa pensava realmente che non l’avrebbe mai più rivista. Camilla era solo un’immagine sbiadita dal tempo, una fantasia impossibile a cui ogni tanto tornava, perché ancora qualche volta gli capitava di sognarla e in quei momenti finalmente riusciva di nuovo a sentire la sua voce, a vedere il suo sorriso, a vivere dettagli che ormai, quando pensava a lei, sembravano sfuggirgli sempre di più tra le dita, farsi sempre più sfumati.
 
A volta sembrava quasi che tutto quello che c’era stato tra loro fosse anch’esso frutto della sua immaginazione, una proiezione dei suoi desideri, un abbaglio, un’illusione a senso unico. Perché sì, c’era stato un bacio, indiscutibilmente ricambiato, ma per il resto erano stati quasi sempre sguardi, frasi non dette o dette a metà, che in apparenza significavano una cosa e in realtà nascondevano qualcosa di più.
 
Forse.
 
Aveva cominciato a chiedersi se da parte di lei non fosse stata davvero solo una grande amicizia e basta, unita magari ad una certa attrazione fisica, complice l’adrenalina, un modo per sfuggire alla quotidianità. Forse se non l’aveva mai respinto più esplicitamente era stato solo per non ferirlo, per non perderlo come amico ma poi, quando era finita con Roberta e si era resa conto che lui la amava ancora e che voleva una famiglia, una storia vera, se ne era andata, era svanita dalla sera alla mattina.
 
Gli sembrava impossibile che ci fosse stato un periodo in cui si vedevano anche tre volte al giorno, tutti i giorni, in cui sembravano non riuscire a stare lontani, in cui, allo sguardo di un passante, sarebbero sembrati già una coppia, anzi, una famiglia.
 
E poi se l’era trovata di fronte, una mattina di settembre come tante, davanti alla questura, a centinaia di chilometri da dove credeva che fosse e da dove si erano conosciuti. All’inizio non l’aveva nemmeno notata consciamente, solo un angolo del suo cervello aveva registrato quella presenza, ma l’aveva catalogata come l’ennesimo miraggio. Qualche secondo per rendersi conto che il miraggio non era cristallizzato nel tempo con la pettinatura e l’aspetto che aveva l’ultima volta che si erano visti, senza sapere – almeno lui – che sarebbe stata l’ultima volta.
 
Si era girato, ancora incredulo, convinto di stare allucinando, che non avrebbe trovato niente se non l’aria o, al massimo, un’altra donna mora e riccia, a lei solo vagamente somigliante, e se l’era invece ritrovata davanti.
 
Erano bastati pochi secondi non solo per capire che non stava sognando, ma che non si era sognato proprio nulla. Era anche lei impietrita, paralizzata come lui e lo sguardo di lei, ne era certo, rifletteva il suo. Il modo in cui aveva pronunciato il suo nome, per poi ammutolire, proprio lei che aveva sempre avuto la battuta più che pronta.
 
Non era la reazione che si ha quando si ritrova un vecchio amico, per quanto caro, perché quello non era l’incontro tra due vecchi amici. Loro non erano mai stati solo amici, e, se le volte precedenti in cui si erano ritrovati erano riusciti tutto sommato a dissimularlo, a fingere il contrario, questa volta no, non era stato possibile.
 
Ed erano bastate poche frasi, uno scambio di battute durante un interrogatorio, sotto lo sguardo incredulo e poi divertito di Cesari, per confermare definitivamente non solo la passione e il talento immutato di Camilla per le indagini ma, soprattutto, che le indagini non erano mai state l’unica passione che avevano condiviso e che condividevano e condividono ancora.
 
Quando lei si era intromessa per difendere Naima e ricordargli che ciascuno soffre a modo suo, lui aveva colto la palla al balzo per ribattere – e forse, un poco, per recriminare – che le perdite sono dolorose anche quando si fa finta di niente.
 
E lei non ne era rimasta sorpresa, aveva capito e non aveva negato, l’aveva solo guardato in modo triste, malinconico e quasi… commosso e aveva risposto, semplicemente, infatti. Una parola, una sola, per fargli capire che non era stato il solo a soffrire questo distacco improvviso e lacerante. Che anche dopo anni senza vedersi né sentirsi, bastava ancora una parola, uno sguardo per capirsi. Che quello che c’era stato tra di loro, che in fondo non era niente, eppure era tutto, non se l’era inventato e anzi, c’era ancora, e probabilmente ci sarebbe stato sempre, in qualche forma, anche perché il fato sembrava continuare a metterla sempre sulla sua strada.
 
Quanto fosse beffardo il fato l’aveva compreso del tutto invece la mattina dopo, mentre faceva il suo solito allenamento con i pesi e, di nuovo, aveva per un attimo pensato di stare allucinando, di avere visto il volto di lei attraverso il vetro della finestra di fronte. Erano bastati pochi secondi per capire che, anche stavolta, non si trattava di un miraggio: era proprio lei che lo spiava nascosta dietro la cornice della finestra, con in braccio Potti, quasi come fosse una bambina che giocava a nascondino dopo aver appena combinato una marachella.
 
E, a confermargli il fatto che non si era immaginato proprio nulla, era arrivato, paradossalmente, un rifiuto. Non che fosse il primo, certo, ma aveva un valore ben diverso dagli altri. Quando aveva raccolto il coraggio a piene mani ed era andato da lei a scuola per parlarle, tastare il terreno e… fissare delle regole – come se le regole fossero mai servite a qualcosa con lei – e le aveva proposto un vermouth, lei, che fino a quel momento gli aveva sorriso, anche se in maniera esitante, come se fosse compiaciuta e turbata dalla sua improvvisata, aveva cambiato espressione, aveva pronunciato un non posso – un’altra costante tra loro – ed era risalita in macchina.
 
E, anche se gli aveva fatto male, era allo stesso tempo la prima ammissione da parte di Camilla che forse c’era qualcosa di non appropriato, di non opportuno nelle loro uscite, nei loro incontri al bar. I suoi rifiuti, seguiti di solito da fughe epocali, avevano sempre riguardato solo i suoi pochi approcci più espliciti, mai qualcosa di apparentemente innocente come un’uscita al bar tra due amici.
 
A riprova del fatto che loro amici non lo erano mai stati e non lo sarebbero stati mai: erano anche quello, certo, ma non solo.
 
E anche se, in un certo senso, a volte sembrava che avessero ripreso esattamente da dove si erano lasciati, era come se, nel periodo in cui erano stati separati, qualcosa fosse cambiato in Camilla. Non che la cosa lo sorprendesse, visto che nella vita di Camilla era successo di tutto – come nella sua del resto.
 
Non sapeva se fosse dovuto alla lunga separazione tra Camilla e Renzo, al fatto che lei avesse avuto un altro uomo – sebbene la sola idea lo facesse diventare matto di gelosia e si fosse tormentato all’infinito sul non esserci stato, sull’avere gettato la spugna proprio nell’unico momento in cui avrebbe avuto una possibilità concreta con lei – ma Camilla sembrava essere diventata più consapevole di quello che c’era tra loro, o forse meno abile a mascherarlo. Era come se finalmente una parte di lei avesse iniziato ad accettare la realtà e l’ineluttabilità di quel legame che esisteva e basta, nonostante tutti gli sforzi fatti per cancellarlo, per spezzarlo. Non ne era più terrorizzata come prima. Certo, percepiva i suoi sensi di colpa, c’erano ancora tutti, dal primo all’ultimo, così come continuava a beccarsi i suoi non posso, ma era come se una parte di lei avesse smesso di lottare, di combattere, di negare.
 
Ne aveva avuto conferma quando, complice l’imboscata dei suoi colleghi e la paura che molto probabilmente di lì a poco avrebbe finito i suoi giorni marcendo in prigione, che non l’avrebbe rivista mai più, aveva deciso di giocarsi il tutto per tutto, colto l’occasione al volo e l’aveva baciata con la scusa di mimetizzarsi insieme a lei, seduti su una panchina.
 
E lei aveva risposto al bacio, anche se per pochi istanti: non era stato un bacio passionale come il loro primo bacio e si era quasi subito scostata, spingendolo via, ma poi era rimasta lì, accanto lui, a guardarlo, ancora a pochi centimetri dalle sue labbra, sembrando stupita, confusa, ma non arrabbiata, non spaventata. Aveva allora seguito l’istinto e riprovato a baciarla, questa volta senza alcun alibi, e lei aveva aspettato l’ultimo secondo, aveva atteso che le loro labbra si sfiorassero, prima di balbettare un “no” che sembrava decisamente poco convinto.
 
Praticamente un remake del loro primo quasi bacio in quel loft, solo che questa volta non c’erano state fughe a perdifiato: Camilla non era corsa via, era rimasta lì, vicino a lui, a guardarlo. E, pochi minuti dopo, davanti a casa di Jessica, se la ragazza non li avesse interrotti, non si sarebbe tirata di nuovo indietro, avrebbe risposto al suo bacio, ne era sicuro.
 
Quando l’emergenza era finita e Camilla aveva ristabilito le distanze – e le regole – lui aveva deciso di rispettare la sua decisione e aveva fatto un passo indietro negli approcci con lei ma… non era cambiato niente: lui e Camilla continuavano a vedersi come e più di prima. Aveva quindi di nuovo preso coraggio e aveva ricominciato con gli avvicinamenti ed ogni volta lei sembrava avere sempre meno voglia di respingerlo, e, soprattutto, due minuti dopo era di nuovo a suo agio con lui, come se tutto ciò fosse normale, inevitabile. In alcuni momenti gli sembrava quasi che Camilla sperasse che decidesse lui per tutti e due, che la prendesse di sorpresa, non lasciandole il tempo di pensare, di scostarsi. Ma non l’avrebbe mai fatto: la voleva da morire, certo, la amava e la ama da morire, ma proprio per quello non poteva sopportare l’idea di averla accanto se lei non provava quello che provava lui, se non lo desiderava tanto quanto la desiderava lui.
 
Di una cosa era diventato ormai sicuro: aveva capito che qualcosa era davvero cambiato in Camilla, che Camilla questa volta non scappava, non andava da nessuna parte, non più. Che sarebbe rimasta per sempre nella sua vita, non come avrebbe voluto lui, certo, probabilmente non sarebbero mai stati una coppia vera, una famiglia vera, non formalmente ma… concretamente una parte di lui sentiva già allora che Camilla era sua. Stavano crescendo Tommy insieme, a tutti gli effetti, passavano insieme quasi ogni momento libero e il titolo di Renzo di marito di Camilla sembrava sempre più una formalità.
 
Una formalità che pesava un macigno, certo, perché era da Renzo che tornava tutte le notti, solo Renzo poteva toccarla, baciarla, fare l’amore con lei, ma lui aveva tutto il resto. A volte, ironicamente, sembrava quasi che Renzo fosse l’amante e lui il marito di vecchia data, non fosse stato per la passione che ribolliva sottopelle e rischiava di esplodere ad ogni contatto tra loro, ad ogni avvicinamento.
 
Non poteva fare a meno di chiedersi che senso avesse tutto questo, violentarsi in questo modo, mano a mano che diventava sempre più evidente che Camilla con Renzo non era affatto felice come aveva proclamato durante il loro primo aperitivo torinese, quando le aveva domandato perché fosse tornata con lui. E, soprattutto, che nemmeno Renzo era felice con lei.
 
Ma una parte di lui aveva ormai accettato che sarebbe stato per sempre così, che era questo il loro destino, essere una coppia – non coppia. Che non sarebbe mai iniziata davvero tra loro, ma che per questo non sarebbe nemmeno mai finita.
 
Fino all’ultimo, fino a quando non l’aveva baciato in quel corridoio di ospedale… anzi, fino a quando aveva pronunciato “l’ho fatto…” con lo sguardo perso nel vuoto in cortile, annunciandogli di aver lasciato Renzo… anzi, forse fino a quando Livietta aveva iniziato ad accettarlo, ad accettare la loro storia e aveva posto fine alla sua guerra fredda con Camilla… anzi, forse addirittura fino al loro chiarimento a Roma, quando, dopo averla quasi persa per sempre, aveva finalmente iniziato a superare le sue paure, quella parte di lui aveva continuato a dubitare, a credere che tutto questo fosse solo un sogno bellissimo, un miraggio bellissimo, ma che il risveglio fosse dietro l’angolo, in agguato.
 
Perché fino a tre mesi fa svegliarsi con lei tra le braccia era davvero solo un sogno, un sogno da cui si ridestava abbracciato ad un cuscino, in un letto vuoto. Come lo era vivere la quotidianità, questa parola che tutte le coppie temono, che anche lui aveva sempre temuto, come se fosse la fine dei giochi, la tomba dell’amore, della passione. Mentre ora si rende conto che è proprio la quotidianità la cosa più preziosa, più straordinaria del loro rapporto, quella che gli era sempre mancata, quello che si era sempre perso e a cui ora fatica sempre di più a rinunciare.
 
Ritrovarla la sera quando torna dal lavoro, raccontarle la sua giornata, condividere con lei le soddisfazioni e i dubbi, i problemi, non solo investigativi, ma anche legati al suo ruolo di comandante, di guida dei suoi uomini.
 
Tanto che ormai si ritrova quasi tutti i giorni a correre trafelato a casa per la pausa pranzo, per rivederla e trascorrere con lei anche solo qualche minuto. Non importa se per questo deve mangiare di corsa o perdere un sacco di tempo nel traffico: trangugiare un piatto di pasta insieme a lei lo rilassa di più di qualsiasi pranzo al bar e al ristorante e, perfino, dei piatti deliziosi di Torre e della Lucianona.
 
E, sempre a proposito di correre, aveva già da qualche giorno ripreso ad andare a correre la sera, sentendosi in colpa a svegliarla troppo presto la mattina, con lei che gli faceva sempre trovare la colazione pronta al ritorno. Prima di cena o andavano a correre insieme e, doveva ammetterlo, Camilla aveva fiato da vendere e migliorava ogni giorno di più, oppure lui correva e lei lo seguiva in bicicletta, Potti nel cestello che abbaiava soddisfatto. Se per il posto d’onore o perché ci godesse a vederlo faticare, non avrebbe saputo dirlo.
 
E poi… guardare un film la sera o uscire a fare due passi con Potti e a prendersi un gelato. Oppure trovarsi per un semplice aperitivo dopo lavoro, seguito di solito da un breve giro in centro, e dopo a letto presto – e non certo per dormire.
 
Le notti erano state meravigliose, tutte: non solo nel weekend ma anche in settimana, nonostante dovesse alzarsi alle sette il mattino dopo, non erano mai riusciti ad addormentarsi prima dell’una, a volte anche delle due di notte. Sa che non reggeranno per sempre questo ritmo ma, almeno per ora, non riesce a farne a meno.
 
E la mattina, anche se avrebbe voluto dormire ancora un po’, non si sentiva e non si sente stanco come avrebbe dovuto e come dovrebbe: gli basta svegliarsi stretto a lei in un abbraccio, guardarla dormire con quell’espressione angelica, quasi infantile, un mezzo sorriso sulle labbra, la catenina d’oro che le ha regalato – e che praticamente non ha mai più tolto – che brilla nell’incavo tra i suoi seni, per sentirsi troppo felice e rilassato per avvertire la stanchezza.
 
Si era ritrovato quasi automaticamente a cercare un modo per evitare di disturbarla, per lasciarla dormire il più a lungo possibile, almeno lei che, per sua fortuna, può farlo.
 
L’orologio a vibrazione aveva funzionato, ora deve solo riuscire a sciogliere quell’abbraccio e uscire dal letto senza svegliarla. Piano piano, con la maggior delicatezza possibile, le solleva prima un braccio, appoggiandoglielo in grembo, e poi lentamente, a forza di braccia, si solleva e si spinge indietro, per sfilarsi dalla sua presa. Soddisfatto, le lancia un ultimo sguardo e tenta di mettersi a sedere, quando, improvvisamente, si ritrova con due braccia strette intorno al collo.
 
“Dove pensi di andare?” gli domanda con voce roca, aprendo lievemente gli occhi, ancora gonfi e un po’ appannati dal sonno.
 
“Camilla…” sospira con un sorriso, scuotendo il capo, avendo l’ennesima riprova che pensare di fare qualsiasi cosa senza che lei se ne accorga è un’impresa quasi impossibile, prima di aggiungere, accarezzandole il viso, in un sussurro, “non volevo svegliarti…. Torna a dormire, almeno tu che puoi.”
 
“Non posso tornare a dormire senza questo,” mormora, prima di attirarlo a sé in un lunghissimo e dolcissimo bacio del buongiorno. Quando si staccano, il fiato corto e un sorriso sulle labbra, gli intima, in un tono di finto rimprovero e con un’occhiata eloquente e decisamente più sveglia, “guai a te se ci riprovi a sgattaiolare via senza salutarmi!”
 
“È che… mi sento in colpa a buttarti giù dal letto alle sette ogni mattina! Lo so quanto ti piace dormire e… ti tengo già sveglia fino a tardi… ti ho fatto pure venire le borse sotto gli occhi e-“
 
“Innanzitutto le borse, anzi, le valige sotto gli occhi le ho sempre avute, solo che di solito le copro con il trucco. Inoltre non mi sono mai lamentata del fatto che mi tieni sveglia fino a tardi, non solo per come mi tieni sveglia, ma… che c’avrei da lamentarmi che poi sto qui tutto il giorno a non fare niente?” gli domanda e a Gaetano sfugge un sorriso per via della lievissima inflessione romanesca, segno che Camilla è ancora mezza addormentata e, soprattutto, parecchio infervorata, “al limite dovrei essere io a sentirmi in colpa per tutte le ore di sonno che ti faccio perdere, visto che tu invece devi lavorare e rimanere concentrato e attivo. E poi… parli delle mie borse, ma ti sei visto le tue? E non le puoi nemmeno coprire col trucco, tu.”
 
“In effetti le ha notate pure Torre ieri. Mi ha detto: ‘dottò vi vedo un poco sbattuto!’” ricorda, imitando la voce di Torre, notando con soddisfazione come Camilla non riesca a trattenere una mezza risata, seguita da un paio di colpi di tosse, “si è perfino offerto di farmi uno zabaione…”
 
“Immagino il motivo… anche se ti garantisco che non ne hai bisogno, anzi, se no altro che valigie sotto gli occhi: mi fai fare la notte in bianco, come minimo!” proclama con tono ironico e malizioso, tracciandogli il pettorale sinistro con il dito, “non che avrei da lamentarmi, visto che io posso dormire di giorno. Tu invece… mi sa che il questore non sarebbe felice di ritrovarsi con un vicequestore che sembra uscito da ‘La Notte dei Morti Viventi’.”
 
“Possiamo evitare di nominare il questore in questa stanza, anzi, in generale, in queste circostanze?” le domanda, altrettanto ironico, guadagnandosi un pizzicotto.
 
“Il mio gelosone…” sussurra con un sorriso, posandogli un bacio sulle labbra, prima di aggiungere, più seria, con uno sguardo eloquente, “a proposito di… queste circostanze… quindi tu e Torre parlate di-“
 
“No, no, assolutamente no! E non solo perché la prospettiva che poi Torre possa ricambiare con storie su di lui e la Lucianona mi farebbe morire di imbarazzo e mi costringerebbe o a chiedere il trasferimento, o a privarmi di uno degli elementi migliori della mia squadra, perché non riuscirei più a guardarli in faccia…” nega, deciso, facendola sorridere di nuovo, prima di guardarla negli occhi, e chiarire, serissimo, “Camilla, quello che succede in questa stanza, anzi… in queste circostanze, tra me e te, rimane solo tra me e te. Non ne ho mai parlato e non ne parlerei mai né con Torre, né con nessun altro. Il fatto è che… lo sai com’è fatto Torre, no? E-”
 
“E Torre è un poliziotto e sono le borse sotto gli occhi a parlare per te,” deduce Camilla, stampandogli un bacio sulle labbra, “ti amo, lo sai? E adoro quando diventi così protettivo non solo nei miei confronti ma nei confronti di… di noi due.”
 
“Anch’io adoro quando tiri fuori gli artigli… la mia leonessa!” sussurra, accarezzandole i capelli e baciandola, una, due, tre volte, costringendosi a staccarsi quando sente l’onnipresente Potti latrare alla porta, commentando, incredulo, “è davvero Otello!”
 
“No, è che sono quasi le sette e mezza ed è… il momento del bisogno,” spiega, ironica, mentre Gaetano guarda l’orologio e nota che, tra l’ammirarla dormire e lo scambio di battute e di effusioni successivo, era già passata mezzora e rischia di fare tardi al lavoro.
 
“Oddio, devo andare, io-“
 
“Se vuoi farti la doccia e sistemarti, io porto giù Potti e ti preparo la colazione e-“
 
“Non se ne parla nemmeno: tu e le tue valige adesso vi fate un altro riposino! A Potti ci penso io e anche a tutto il resto,” la rassicura, spingendola delicatamente sulle spalle per portarla di nuovo a stendersi sul cuscino.
 
“Ma ormai sono sveglia! E tu rischi di fare tardi e-“
 
“Sì, ma solo se rimango ancora qui a discutere,” ribatte, guardandola con la sua espressione più convincente, “vuoi farmi fare tardi, professoressa?”
 
“Non mi tentare, Berardi…” proclama con un sospiro e tono malizioso, facendogli l’occhiolino, per poi controbattere, decisa, “Gaetano, seriamente, non è giusto: sono in vacanza, non ho nulla da fare tutto il giorno, almeno rendermi utile a casa è il minimo che posso fare e-“
 
“Appunto, sei in vacanza. E in vacanza ci si riposa. E in quanto al renderti utile, mi prepari già la cena e molto spesso il pranzo, oltre al fatto che le pulizie le fai quasi sempre tu. Non è giusto: non sono venuto qui per farmi servire e riverire da te, Camilla. Le trentasei ore da geisha sono finite da un pezzo,” le ricorda, accarezzando quasi inconsciamente uno dei ciondoli a forma di chiave, “quindi non solo stamattina, ma anche da domani mattina in poi, dopo il bacio del buongiorno, se non hai altri impegni torni a dormire e lasci fare a me, ok? La colazione me la potrai preparare da settembre, quando riprendi con la scuola e-“
 
Si blocca, avendo notato lo sguardo sorpreso di lei, rendendosi conto immediatamente del lapsus freudiano.
 
“Cioè voglio dire… quando decideremo di convivere stabilmente, ti autorizzo a prepararmi la colazione solo durante l’anno scolastico, ok?” abbozza, correggendo il tiro, notando come l’espressione sorpresa e commossa di lei non cambi di una virgola.
 
“Ok…” concorda, dandogli un ultimo bacio prima di lasciarlo andare.
 
“Allora ci vediamo a pranzo e-“
 
“No, Gaetano, scusami ma… ho delle commissioni da fare e… pensavo di stare fuori a pranzo. Ti dispiace molto se…?” gli domanda, bloccandolo quando ha appena messo i piedi sul pavimento, ancora seduto sul bordo del letto.
 
“No… a patto che stasera mi garantisci una doppia porzione di coccole, per compensare,” ribatte con aria da schiaffi, facendole l’occhiolino.
 
“Contaci!” assicura con un sorriso, posandogli un ultimo bacio sulla spalla, prima di stendersi nuovamente e cercare di godersi appieno le ore di riposo in più.
 
***************************************************************************************
 
“Professoressa! Che ci fate qua?!”
 
“Buongiorno Torre, grazie per l’accoglienza!” scherza, di fronte allo sguardo sorpreso e, ora, decisamente imbarazzato e quasi mortificato di Torre.
 
“No, cioè, per la carità, non intendevo… voi qui siete la padrona ormai: è casa vostra questa e lo sapete e-“
 
“Lo so, Torre, tranquillo, stavo solo scherzando,” lo rassicura con un sorriso, ricordandosi mentalmente di evitare questo tipo di battute in futuro visto che Torre, quando si parla del Dottore e quindi, indirettamente, di lei è talmente tanto rispettoso da diventare quasi ipersensibile.
 
“No, è che… sarà… saranno più di due mesi che non vi si vede qui… dal caso Migliasso,” chiarisce e Camilla deve ammettere che, in effetti, è vero: soprattutto dopo tutto quello che era successo con il questore aveva quasi inconsciamente deciso di non andare in questura se non era davvero necessario, almeno per un po’. E poi… e poi non aveva più bisogno di andare in questura per vedere Gaetano – non che ne avesse bisogno prima, avendolo ad un tiro di schioppo ma, quando stava ancora con Renzo, la questura aveva il vantaggio di essere al di fuori della portata di sguardi curiosi e disapprovanti, soprattutto uno.
 
Ma c’è anche qualcosa di più, deve confessarlo: l’idea di venire qui in questura con il borsone termico in mano, con dentro l’insalata di pasta preferita da Gaetano e il semifreddo al caffè che gli piace tanto, ha per lei una valenza che non riuscirebbe mai a spiegare a parole, così come non riuscirebbe mai a definire quella sensazione di felicità, anzi, di euforia, mista ad orgoglio ed emozione che sente nel petto. È qualcosa che non avrebbe mai pensato di poter fare un giorno: essere lì senza alcuna scusa, senza alcun pretesto, senza alcun alibi. Essere lì non come una testimone, una consulente – oltretutto assolutamente non titolata e non autorizzata – anche solo come un’amica. È come gridare al mondo, al mondo di Gaetano e quindi al loro mondo che lei è la compagna di Gaetano Berardi e quindi può andare a trovarlo semplicemente per portargli il pranzo, così, senza bisogno di nessun altro motivo.
 
E si sente finalmente pronta a farlo, alla faccia del questore e dei suoi avvertimenti, dei pettegolezzi che sicuramente ci sono e ci saranno, del fatto che lei è ancora, legalmente, una donna sposata e nemmeno separata: perché nulla di tutto questo ha alcuna importanza, rispetto a rendere felice Gaetano, vederlo sorridere anche solo per un secondo, poter passare qualche minuto con lui in tranquillità, senza costringerlo a perdere un’ora nel traffico.
 
“Beh, e si lamenta, Torre? Mi sembra una buona cosa: meno omicidi, no?” scherza di nuovo, con un altro sorriso.
 
“Eh, magari! Come si dice? Il crimine non va mai in vacanza! Che poi, a proposito di vacanze, voi e il dottore gli omicidi ve li siete ritrovati lo stesso, ma in trasferta a Roma,” ribatte Torre, aggiungendo, con sguardo quasi nostalgico, “ah… la capitale… quanti ricordi, eh?! Mi sarebbe piaciuto esserci insieme a voi per aiutarvi, anche se… almeno non mi è toccato rivedere il dottor De Matteis!”
 
“Il dottor De Matteis si è quasi fatto ammazzare per salvarmi la vita, Torre,” replica, non riuscendo a trattenersi: lo sa che tra De Matteis e Torre non è mai corso buon sangue ma, dopo quello che è successo, dopo quello che De Matteis le aveva confidato sotto effetto dell’anestesia – non solo di essere innamorato di lei, ma tutto il resto – non riesce a non provare un certo senso di protezione nei confronti dell’altro vicequestore.
 
“Lo so, professoressa, non intendevo dire che… mannaggia a me, oggi non ne dico una giusta!” esclama, di nuovo a disagio, “è che… lo so che non è una cattiva persona e che è coraggioso, ma… insomma lo sapete anche voi com’è fatto, no? Non è facile andarci d’accordo e poi…”
 
“E poi non è il Dottore,” conclude Camilla, con un sorriso comprensivo, perché lo sa benissimo anche lei che tra i due vicequestori, tra i due uomini non c’è e non c’è mai stato minimamente paragone, e non solo per Torre.
 
“A proposito del Dottore, c’è?” gli domanda, cambiando discorso per stemperare ogni residuo imbarazzo.
 
“Sì, sta nel suo ufficio, è-“
 
“Professoressa!” li interrompe la voce inconfondibile della Lucianona, comparendo davanti a loro con uno dei suoi immancabili tupperware tra le mani, contenente chissà quali delizie.
 
“Buongiorno! A proposito, ho saputo di… insomma, congratulazioni!” proclama, indicando prima la donna e poi Torre e riferendosi alla loro storia d’amore.
 
“Grazie… eh, e congratulazioni anche a lei e al dottore!” ribatte la donna con un sorriso e Camilla non se ne stupisce: se Torre sa di loro, lo sa anche la Lucianona. E poi dubita che ormai qualcuno in questura non ne sia a conoscenza.
 
“Grazie, e lui-“
 
“Ma è qui per il nuovo caso? È da tanto che non ci veniva a trovare! Sentivamo la mancanza sia sua che di Tommy: quel bambino è un tesoro!” afferma, senza lasciarle finire la frase, per poi aggiungere, con un sorriso, “anzi, già che è qui, vuole favorire? Ho preparato il mio vitel tonné, ricetta di famiglia e-“
 
“Guardi, la ringrazio, sono sicura che sarà buonissimo, come sempre, è solo che… in realtà io sarei qui per fare una sorpresa a… al Dottore e… gli ho portato qualcosa da mangiare,” chiarisce, affrettandosi a specificare, per non offenderli, “lo so che voi cucinate molto meglio di me e che non gli fareste mai saltare il pranzo, ma è che-“
 
“È che noi non siamo la prof.,” ride Torre, facendo eco alle parole di Camilla di poco prima, “e sono sicuro che al Dottore fa molto più piacere un uovo al tegamino cucinato da voi, che un banchetto di nozze preparato da noi. Dovreste vedere come si sfionda fuori dalla porta a mezzogiorno per correre da voi!”
 
Camilla sorride, non provando nemmeno a fargli notare che si dice fionda e non sfionda: Torre è Torre.
 
“E poi sono sicuro che ve la cavate benissimo in cucina! Devo ancora trovare qualcosa in cui ve la cavate male!”
 
“Torre, lei è sempre troppo buono ma le garantisco che in cucina non sono proprio un granché, purtroppo. Anzi, se vi va di testare e sinceramente non ve lo consiglio, perché non venite a cena da noi una di queste sere? Anche stasera se vi va,” propone, seguendo l’impulso del momento: in fondo lei e Gaetano non hanno amici a Torino e Torre è di famiglia. Non si erano visti per fin troppo tempo e poi… non avevano mai festeggiato come si deve le bellissime novità nella loro vita privata.
 
“Ne sarei onorato, professoressa, però… insomma, non vorremmo disturbare…” risponde con il sorriso e lo sguardo di chi ha appena ricevuto un grandissimo regalo e che quasi la fanno commuovere.
 
“Ma che disturbo! Dopo che avete pure dato lezioni di cucina a Gaetano! E non oso immaginare come fosse conciata la cucina dopo!” ribatte, facendolo ridere.
 
“Per noi va bene, professoressa, anche stasera, ma… possiamo almeno portare qualcosa?” chiede la Lucianona, sembrando altrettanto felice ed onorata dell’invito.
 
“Per una sera lasciate fare a me… le provviste d’emergenza tenetele per casa che potrebbero servirvi,” ironizza, aggiungendo, prima di sentirsi di nuovo le loro proteste, “adesso però andrei da Gaetano: non vorrei che ordinasse qualcosa fuori… sono venuta un po’ presto apposta.”
 
“Certo, certo, fate come se foste a casa vostra. A stasera, allora,” la saluta Torre, ancora evidentemente emozionato, allontanandosi con la Lucianona e il loro pranzo.
 
Con un sorriso sulle labbra, si avvicina piano alla porta in legno, chiusa, e la spalanca senza bussare, come è ormai abituata a fare.
 
“Gaetano, sorpresa! Ti ho portato il-“
 
Le parole le si troncano in gola quando nota che non è solo, ma c’è un’altra persona con lui: una donna. Sono entrambi in piedi di fronte alla scrivania, dandole le spalle, chini su delle carte, evidentemente intenti a studiarle. Al suono della sua voce, Gaetano si volta sorpreso e, al vederla, le rivolge un sorriso luminoso, che però svanisce quasi subito, lasciando spazio ad una certa… preoccupazione?
 
Quando anche la donna rivolge lo sguardo alla porta, Camilla capisce il perché.
 
Ricci.
 
“Camilla!” esclama Gaetano, colto alla sprovvista dal suo arrivo, alternando lo sguardo tra lei e il medico legale, l’aria cauta di chi teme un’esplosione, “non… non mi aspettavo di vederti. È… è successo qualcosa?”
 
“Pro – professoressa,” balbetta Ricci, l’espressione di chi sta vedendo la morte in faccia.
 
“Buongiorno dottoressa,” replica Camilla, tranquilla, trattenendo un sorriso soddisfatto, per poi rivolgersi a Gaetano, mostrandogli la borsa termica, “lo so che non mi aspettavi, volevo farti una sorpresa e… e portarti il pranzo. Non hai già mangiato, vero?”
 
“No, no… stamattina è stato un delirio: c’è stato un sospetto omicidio – suicidio in zona della Mole e poi è stato ritrovato un cadavere al Valentino ieri sera. Ricci mi stava mostrando i risultati dell’autopsia,” chiarisce, indicando le carte sparse sul piano di legno.
 
“Scusate, non volevo interrompere… è che ho il brutto vizio di non bussare, e non credo riuscirò mai a perderlo,” proclama Camilla, solo una lievissima nota di avvertimento nella voce, guardando l’altra donna, prima di aggiungere, conciliante, “posso aspettare fuori.”
 
“No, no, non serve io… avevamo quasi finito, in realtà. Stavo spiegando a Berardi che, anche se la vittima è un tossico, la causa di morte non è propriamente overdose ma-“
 
“Soffocamento?” domanda Camilla, che nel frattempo ha appoggiato la borsa su una delle sedie e si è avvicinata per esaminare le foto, “è soffocato col suo vomito…”
 
“E lei come fa a saperlo? Si intende di medicina legale?” chiede Ricci, stupita, non avendo mai visto Camilla in azione.
 
“No… semplicemente ricordo una foto con un cadavere dall’aspetto praticamente identico a questo, in una cartellina a casa di Gaetano. Era… poco dopo la cena di gala della polizia,” precisa con tono tranquillo, anche se il riferimento non sfugge a nessuno dei presenti, “era sulla scrivania del tuo studio, ti ricordi, no, Gaetano? L’avevamo vista mentre ti aiutavo a… riordinare.”
 
Gaetano non può evitare di arrossire e si morde il labbro per trattenere un sorriso di fronte alla nonchalance e, allo stesso tempo, alla sfacciataggine di Camilla. Perché ricorda benissimo quell’episodio, avvenuto durante il loro primo weekend da soli, senza figli: Tommy era appena partito per l’America e Livietta era a Milano con Renzo. Camilla l’aveva sì aiutato a riordinare, peccato che fossero entrambi nudi e che il motivo del disordine fosse il fatto che una certa professoressa aveva gettato tutto ciò che c’era sulla scrivania a terra, nel bel mezzo del loro gioco commissario – professoressa reticente, poco prima di fare l’amore, proprio su quella scrivania.
 
E dopo lei si era messa a risistemare e riordinare le carte con studiata lentezza e cura, ma aveva creduto che fosse solo un modo per farlo impazzire di nuovo – e lo era. Non pensava che Camilla avesse realmente prestato attenzione al contenuto dei fascicoli e che le fossero rimasti così impressi, oltre ai dettagli di ben altro genere che lui ricordava della giornata.
 
“Già… l’altro morto al Valentino… il motivo per cui sono arrivata in ritardo alla… alla famosa cena!” esclama Ricci, che ha, ovviamente, colto solo minima parte dei sottotesti di Camilla.
 
“Purtroppo è molto comune… più tra gli alcolizzati che tra i tossici in realtà. Si beve, ci si stordisce, si vomita senza nemmeno rendersene conto e si soffoca. Questi casi sembrano tutti uguali…” sospira Gaetano, prima di spalancare gli occhi, quando nota un particolare. Si volta verso Camilla e vede riflessa nel suo volto la sua stessa identica espressione.
 
“La panchina è la stessa!” pronunciano all’unisono, indicando una scritta che si dipana su due doghe della panchina e che doveva aver colpito entrambi per via dell’omicidio perpetrato nei confronti della lingua italiana.
 
GENNI MUORIREI X AVERTI
NON POSSO FARE ALMENO DI TE!
 
“Sì… ora che mi ci fate pensare… è vero,” conferma Ricci, facendo mente locale, “oddio, al buio il parco e le panchine sembrano tutte uguali però… sì, il posto era lo stesso.”
 
“Beh… strana coincidenza… due tossici che muoiono nello stesso modo proprio sulla stessa panchina,” commenta Gaetano, tra sé e sé, esaminando di nuovo le carte.
 
“Berardi, dai, non vorrai dire che…? Ma no, su! Voglio dire, quella probabilmente è zona di spaccio e… l’hai detto tu: sai quanti ne muoiono così?”
 
“Di alcolizzati parecchi… di tossici… o hanno anche bevuto o preso farmaci o… insomma, il medico sei tu, Ricci, no?” le chiede, cercando tra le foto e i dati dell’autopsia.
 
“E infatti il nostro amico qui aveva un tasso alcolemico nel sangue di 3,5 e a 4 si va in coma etilico. E anche nel vomito c’era alcol… di fianco alla panchina è stata trovata una bottiglia di vodka praticamente vuota. Dagli esami tossicologici emerge chiaramente che era un eroinomane ed era sotto effetto di eroina anche quando è morto. Non una dose letale ma abbastanza alta da stordire, insieme a quella dose d’alcol, un uomo di due volte il suo peso. Era supino, ha vomitato ed è soffocato… da manuale.”
 
“Ma… il fegato di quest’uomo non è da alcolista, è relativamente normale…. Ha le braccia piene di buchi ma… non ha i valori sballati e gli organi tipici di un alcolista cronico. Anche perché gli alcolisti eroinomani di solito hanno pochissimi soldi e quindi non comprano superalcolici che sono costosi ma roba da poco… vino in brik o birra del discount…” le fa notare Gaetano, indicando le righe dove si parla di fegato e organi interni nella norma, tranne il cuore, ingrossato.
 
“Magari non era alcolizzato e quella è stata la prima volta che ha esagerato così e l’ha pagata… succede fin troppo spesso e lo sai, quando si combinano sostanze. Poi il poliziotto sei tu, per la carità, ma non hai già abbastanza casi per le mani per andartene a cercare di nuovi, sulla base di cosa, di una coincidenza?”
 
“Le coincidenze nel nostro mestiere non esistono quasi mai e lo sai,” controbatte, sforzandosi di ricordare dettagli di quell’altro caso, anzi no, di quell’altro decesso, perché era stato un caso chiuso ancora prima di aprirlo.
 
Quasi mai, ma esistono, anche nella vita di tutti i giorni,” obietta Ricci con una scrollata di spalle.
 
Camilla e Gaetano si scambiano uno sguardo eloquente, sapendo di stare pensando esattamente la stessa cosa: le coincidenze esistono eccome, per fortuna.
 
“Va beh… d’accordo… senti, facciamo così: riesci a procurarmi il file dell’altro morto al Valentino? Non essendoci stato un caso vero e proprio, non ce l’ho negli archivi ma tu di sicuro hai ancora i risultati dell’autopsia e dei rilievi…”
 
“L’autopsia ce l’ho… per i rilievi ti conviene chiedere a Riva: sono stati i suoi uomini a farli e… sicuramente hanno ancora il tutto in archivio,” risponde Ricci con un sospiro, “ma ti avviso: secondo me perdi tempo e non troverai niente.”
 
“Diciamo che preferisco perdere cinque minuti in più per uno scrupolo piuttosto che tenermi questa idea in testa,” ribatte Gaetano, conoscendosi e sapendo che, se non avesse verificato, gli sarebbe rimasto il tarlo.
 
“D’accordo, allora… ti farò avere quei risultati. E adesso vi lascio al vostro pranzo. Professoressa, è stato un piacere rivederla. Berardi,” li saluta, eclissandosi rapidamente oltre la porta, sembrando ancora in lieve imbarazzo per la situazione, una volta che l’argomento investigativo era stato esaurito.
 
Gaetano appoggia la cartellina sulla scrivania e poi si gira per incontrare lo sguardo di Camilla, non potendo evitare di essere leggermente in apprensione.
 
“Che c’è?” gli chiede Camilla, avendo, come sempre, notato il suo stato d’animo.
 
“No, è che…”
 
“Guarda che va tutto bene. Se ti aspettavi una scenata di gelosia degna di Potti – Otello, mi dispiace deluderti, caro il mio pinguino,” ribatte, ironica, dandogli un pizzicotto sulla guancia, come si fa con i bimbi, prima di stampargli un rapido bacio sulle labbra e precisare, con tono serio, “se non ricordo male la biondona di poco fa è un medico legale che collabora con la questura, no? E quindi è normale che collabori con il vicequestore. A patto che si tenga a distanza di sicurezza!”
 
“Camilla…” sospira, scuotendo il capo, sollevato e come sempre incantato e spiazzato dal carattere di lei, abbracciandola più forte, prima di aggiungere con un sorriso, “su quello puoi stare tranquilla e non solo perché per me esisti solo tu, e lo sai, ma anche perché… hai visto come ti guardava quando sei entrata? A quella cena devi averla terrorizzata! Quando ti ha chiesto se te ne intendevi di medicina legale, penso si stesse domandando se qualcuno avrebbe mai più ritrovato il suo cadavere.”
 
“Ma piantala!” ride, dandogli un colpo sul braccio. Ritorna improvvisamente seria, si morde il labbro e gli sussurra, gli occhi semichiusi, “anche perché, nel caso, quello con cui me la prenderei di più, e pure di brutto, sarebbe un certo pinguino, e non me ne frega niente se è una specie protetta.”
 
Gaetano deglutisce, il pomo d’Adamo che si abbassa e si alza, ma poi Camilla scoppia di nuovo a ridere e lo trascina in un bacio di saluto che dire che lo lascia in subbuglio è dire poco.
 
“Allora era questa la tua… commissione, professoressa?” le chiede, cambiando argomento e mettendo una distanza di sicurezza tra loro, per quanto minima, onde evitare di saltarle addosso, afferrando la borsa termica dalla sedia e aprendola, “l’insalata di pasta? E pure il semifreddo? Camilla, non dovevi, chissà-“
 
“Permetti anche a me di coccolarti un po’, dottor Berardi, visto che, almeno fino a quando non ricomincia l’anno scolastico, ho tempo per farlo,” lo zittisce Camilla, facendo riferimento al suo lapsus del mattino, posandogli un altro rapido bacio sulle labbra, “anzi, che ne dici se, fino a che non torna Livietta, da oggi in poi vengo io qui a mezzogiorno e pranziamo insieme?”
 
“Ma non voglio darti troppo disturbo e-“
 
“Devo comunque cucinare anche per me… e poi… almeno faccio due passi, esco di casa, faccio due commissioni. Non è un disturbo, davvero,” lo rassicura, accarezzandogli il viso.
 
“Ho qualche speranza di farti cambiare idea?” le domanda con un sorriso, conoscendo benissimo quel tono e quello sguardo di Camilla.
 
“Direi di no…” ammette, ricambiando il sorriso.
 
“Hai un’idea di quanto ti amo?” pronuncia, abbracciandola forte.
 
“Credo proprio di sì, visto che me lo stai dimostrando in ogni modo… e tu?” gli chiede di rimando, ricambiando la stretta e guardandolo negli occhi.
 
“Sì, e posso dire esattamente lo stesso di te, professoressa,” sussurra, cedendo infine alla tentazione di baciarla teneramente, profondamente, senza fretta.
 
Il suono di una porta che si apre, passi e un’esclamazione di sorpresa li portano a staccarsi immediatamente.
 
“Conti!” esclama Gaetano, colto alla sprovvista ed imbarazzato, vedendo la giovane agente bloccata con la bocca aperta.
 
“Do- dottore, mi scusi, non pensavo che… insomma… avrei dovuto bussare, ma…” balbetta, le guance che le si tingono gradatamente di rosso.
 
“No, figurati, anzi, non potevi certo sapere… in effetti non me la aspettavo nemmeno io questa visita: Camilla mi ha fatto una sorpresa,” la tranquillizza con tono gentile, rivolgendo un sorriso orgoglioso alla sua professoressa, prima di chiedere alla giovane agente, “avevi bisogno di qualcosa? Non c’è un’emergenza, vero?”
 
“No, no, dottore, nessuna emergenza. Volevo dirle che io e… e Cesari stiamo per andare a mangiare e ricordarle che oggi pomeriggio siamo in permesso…”
 
“Ah, sì, sì, certo, beh in realtà stavamo per andare in pausa pranzo pure noi. Divertitevi!”
 
“Ne dubito, dottore,” replica la ragazza con un sospiro, prima di girare i tacchi e andarsene.
 
“Prima cena ufficiale con i futuri suoceri…” chiarisce, avendo correttamente interpretato l’occhiata interrogativa di Camilla.
 
“Genitori di lui o di lei?”
 
“Di lui…”
 
“Povera Conti allora: la madre di lui di solito è LA suocera per eccellenza, quella da temere,” commenta Camilla con una mezza risata.
 
“Ti garantisco che in molti casi anche la madre di lei non scherza,” replica Gaetano, beccandosi un buffetto sul braccio.
 
“Touché,” ammette, sorridendo e alzando le mani in segno di resa, “in effetti credo che il mio sia un caso atipico… certo, la madre di Renzo è morta prima che ci sposassimo e non ho avuto modo di conoscerla granché, ma era una donne mite, timida, dolce. Pur avendo praticamente solo Renzo, visto che suo padre non c’era quasi mai, non era morbosa come diventano tante madri in casi come quello. Credo che… che fosse davvero felice che Renzo si potesse fare una famiglia. Quindi mia madre è sempre stata LA suocera in casa e credo che lo sarebbe stata anche se la madre di Renzo fosse ancora viva.”
 
“Ah, non ne dubito! Non è per niente facile essere più toste di tua madre…” ribadisce, facendola sorridere e scuotere il capo, divertita ed esasperata.
 
“No, non lo è. Sai, anche quando adorava Renzo e andava d’accordo più con lui che con me, è sempre stata molto, troppo presente, diciamo pure invadente. Certo, mi ha dato un aiuto enorme con Livietta, ma… per Renzo, devo ammetterlo, deve essere stata durissima e il fatto di abitare nello stesso palazzo… non ha aiutato a mettere dei paletti. E anche se questo forse mi rende una figlia degenere, sebbene mia madre mi manchi molto e vorrei poterla vedere più spesso, ammetto che l’idea che adesso ci siano tanti chilometri di distanza… un po’ mi rassicura per quanto riguarda noi due e il nostro rapporto. Che la sua invadenza non ti darà una ragione di più per stancarti di me e della mia vita familiare incasinata e mandarmi a quel paese.”
 
“Se parliamo di vita familiare incasinata, direi che anche io non scherzo, Camilla e quindi anche tu avresti già potuto mandarmici mille volte e non l’hai mai fatto, così come non lo farei mai io, e lo sai. E poi, comunque, anche se tua madre fosse più vicina a noi, secondo me sarebbe tutto diverso, perché tu sei diversa, Camilla: sei più matura-“
 
“Sì, diciamo pure vecchia-“
 
“Intendevo saggia e consapevole, anche se ancora molto testarda,” sorride, picchiettandole lievemente la fronte con l’indice, strappandole un altro sorriso esasperato, “basta vedere quello che è successo a Roma, Camilla. Hai preso una posizione con tua madre e ti sei fatta rispettare da lei, mi hai difeso, ci hai difeso e hai deciso di viverti quello che restava della nostra vacanza senza farti influenzare da lei. Sono sicuro che sarebbe così anche se lei tornasse a Torino. E in ogni caso ci penserei anche io a metterli dei paletti, anche perché secondo me è tua madre stessa che si aspetta questo da me, da noi, quasi per metterci alla prova.”
 
“Che c’è?” le domanda, quando Camilla non risponde e anzi lo osserva con un’espressione indecifrabile.
 
“C’è che mi chiedo come tu faccia a capire mia figlia e mia madre probabilmente meglio di quanto le capisca io. Davvero, non so come fai, ogni volta mi stupisci, in positivo,” proclama, la voce arrochita, sfiorandogli la guancia sinistra con un dito.
 
“Sarà che ho anni di pratica nel cercare di capire la Baudino più complicata di tutte. Deliziosamente complicata,” precisa, vedendola di nuovo sorridere, soprattutto quando le mordicchia lievemente la punta del dito con cui gli sta accarezzando il labbro inferiore, “e non credo che riuscirò mai a capirti al cento per cento, professoressa, dovessero passare cent’anni.”
 
“E invece mi capisci e mi conosci fin troppo bene, dottor Berardi,” mormora, sentendo il desiderio di sfiorare quelle labbra con ben altro che le dita farsi sempre più forte.
 
Sta per cedere, al diavolo eventuali scocciatori, quando l’occhiata di lui la blocca. È un’occhiata strana, diversa dalle solite occhiate in queste circostanze. Non c’è solo desiderio, ma aspettativa… non di qualcosa di fisico… è la stessa occhiata che le riserva quando, durante le indagini, dopo averle svelato un indizio attende le sue deduzioni, le sue conclusioni, le sue domande.
 
“Che c’è? Perché mi guardi così?” gli chiede, dando voce al suo dubbio.
 
“Così come?”
 
“Lo sai come,” esclama con uno sguardo eloquente, “vuoi dirmi qualcosa? Chiedermi qualcosa? O devo chiederti qualcosa io?”
 
“No… è che… non lo so… parlando di suoceri e suocere… curiosa come sei… mi aspettavo che mi domandassi qualcosa sulla tua di suocera. E non sto ovviamente parlando della madre di Renzo,” chiarisce Gaetano, pronunciando le parole quasi a fatica, a parte la battuta finale.
 
“Sono curiosa, è vero, ma… spero di non essere invadente quanto mia madre e… insomma, Gaetano, parliamoci chiaro: tu mi conosci meglio di chiunque altro e anche io credo di conoscerti molto bene. Ma tu sai praticamente tutto di me, o quasi, mentre io… so molte cose su di te e ne scopro di nuove ogni giorno ma… della tua famiglia di origine conosco solo Francesca, oltretutto perché un giorno è piombata nella mia vita e sei stato costretto a presentarmela. Della tua famiglia di origine so poco o niente: tu non ne parli mai e si vede che è un argomento delicatissimo per te, forse ancora più – se permetti il paragone – di quanto lo sia suo padre per Renzo. I tuoi genitori non c’erano al tuo matrimonio con Roberta e, da quello che mi hai raccontato, nemmeno al tuo matrimonio con Eva. Quindi non ti ho chiesto nulla di mia suocera perché… perché penso che non la conoscerò mai di persona. Le ipotesi sono due: o è come il padre di Renzo, ma non credo, visto che ricordo benissimo che tenevi una sua foto sulla scrivania, in cui sembravate andare molto d’accordo – anche se di tuo padre invece non c’era traccia in quella foto – oppure, ipotesi che mi sembra più probabile, purtroppo è… nello stesso posto in cui sono anche la madre di Renzo e mio padre.”
 
“Colpito e affondato due volte, professoressa,” ammette,  la voce che gli trema leggermente, nonostante tutto, perché sa che Camilla ha capito benissimo non solo di sua madre, ma anche del rapporto tutt’altro che idilliaco con suo padre, “in realtà anche mio padre è nello stesso posto… ma spero per mia madre, per tuo padre e per la madre di Renzo e pure per tutti gli altri che ci stanno… che mio padre sia in un angolo il più lontano possibile da tutti loro.”
 
Occhi negli occhi, si scambiano un lieve sorriso malinconico, mentre Camilla ritorna ad accarezzargli il viso.
 
“Che c’è?” gli domanda nuovamente, ritrovando la stessa espressione di attesa.

“Non mi chiedi altro?” rimpalla, sentendosi combattuto tra il desiderio che lei chieda, che lei sappia, che lo porti a confidarsi e quella parte di lui che invece ha sempre voluto tenere sepolto tutto quello che riguarda i suoi genitori, soprattutto suo padre, in un angolo nascosto della sua mente a cui non tornare mai più.
 
“È un argomento che vuoi o puoi affrontare nel tempo che resta della pausa pranzo?” pronuncia semplicemente, non lasciando i suoi occhi, e Gaetano scuote il capo: ha bisogno di tempo e di tranquillità.
 
Questo è un argomento da affrontare a casa da soli, magari dopo un paio di vermouth o, ancora meglio, abbracciato a lei, a letto, dopo aver fatto l’amore. In quei momenti si sente sempre in grado non solo di parlare di qualsiasi cosa, ma di affrontarla e di superarla, insieme. Sono i momenti in cui sente che il mondo fuori non fa più paura, finché sono insieme, uniti, fino a che ha Camilla al suo fianco.
 
“No,” conferma, altrettanto semplicemente, “ma voglio parlartene, presto. Sento che è arrivato il momento di farlo. Non voglio che ci siano segreti o misteri tra noi. Domani è venerdì… se ti va domani sera partiamo e stiamo via per il weekend e… ti porto in un posto. Che ne dici?”
 
“Non sono sicura di capire il nesso tra le due cose ma… certo che mi va, se va a te. Sei tu che lunedì devi tornare al lavoro, non io… basta che mi dici cosa mettere in valigia.”
 
“D’accordo… ma non pensare di riuscire a dedurre la nostra destinazione così facilmente, professoressa,” la punzecchia, facendole l’occhiolino, “e adesso che ne dici se mangiamo? Ho una fame!”
 
“A chi lo dici… ah, a proposito di mangiare… stasera ho invitato a cena Torre e la Lucianona. Mi sembrava carino, con tutto quello che hanno fatto per noi, tra le provviste, il corso di cucina e poi… che c’è? Perché mi guardi così? Lo so che l’ho fatto senza consultarti ma-”
 
Le labbra sulle sue soffocano il resto della frase, prima di trovarsi stretta in uno di quegli abbracci che la sollevano da terra.
 
“Sai che a volte mi sembra ancora incredibile? Invitare a cena i miei amici – diciamo pure i nostri amici, nel caso di Torre – tu che mi porti il pranzo al lavoro… come una coppia… normale,” le sussurra all’orecchio e Camilla si stringe ancora di più a lui, accarezzandogli la nuca, sentendo un nodo in gola.
 
“Normale? Tra me e te... c’è ben poco di normale,” ironizza quando ritrova la voce, sollevando il capo per guardarlo negli occhi e fargli l’occhiolino, vedendolo sorridere esasperato, prima di aggiungere, più seria, “lo sai… anche per me è lo stesso. Non hai idea di quello che significa per me essere qui a portarti il pranzo, perfino farci beccare in flagrante come poco fa da uno dei tuoi agenti… non immagini quanto ho sempre invidiato Roberta, che poteva venirti a trovare senza bisogno di alcuna scusa. E ora invece finalmente sono io la compagna ufficiale del vicequestore Berardi.”
 
“Se ti piacciono le interruzioni bastava dirlo, professoressa. E io che davo ordine a Torre e agli agenti di non disturbare quando c’eri tu… e solo tu… già a Roma…” scherza a sua volta per stemperare la commozione, “anzi, che ne dici se diamo loro qualcosa da interrompere?”
 
E, sentendola ridere sulle sue labbra, la travolge con un altro bacio: il pranzo, tutto sommato, può attendere.
 
***************************************************************************************
 
“Complimenti, professoressa, è tutto delizioso!”
 
“Lo so che non è al vostro livello… ma vi ringrazio per la gentilezza,” abbozza Camilla con un sorriso.
 
“Ma che scherzate?! La pasta con i carciofi era fenomenale, era dai tempi di Roma che non ne mangiavo una uguale, anzi, non so se ne ho mai mangiata una così buona!” proclama Torre, entusiasta, e Camilla deve ammettere che in effetti tra bis e tris l’ispettore e consorte se la sono spazzolata tutta.
 
“Ricetta di famiglia, di mia madre per essere precisi. È sempre stata lei la cuoca di casa…” si schermisce, compiaciuta però dai complimenti, anche se sa che probabilmente Torre, devoto com’è nei confronti di Gaetano, avrebbe trovato qualcosa di buono pure in una suola di scarpe.
 
“Ma anche la mousse al cioccolato con quel tocco di arancia… mi dovete dare la ricetta!” si inserisce la Lucianona e, anche in questo caso, dell’abbondante dose di mousse, sufficiente per sei persone – e loro erano in quattro – non era rimasta traccia.
 
“Merito del cioccolato fondente di Torino. Credo che qui ci siano le migliori cioccolaterie d’Italia…” minimizza, prima di alzarsi in piedi per sparecchiare, “caffè?”
 
“A quello, se permetti, ci penso io, che ormai so come piace a Torre,” propone Gaetano con un sorriso, cominciando a raccogliere i piatti, “e anche a sparecchiare, visto che tu hai cucinato.”
 
“Per nostra fortuna!” commenta Torre, facendoli ridere, “scusatemi, dottò, voi lo sapete quanto vi stimo, ma dobbiamo fare ancora un po’ di lezioni. Posso darvi una mano con il caffè?”
 
“Ma certo Torre, e figurati, lo so che in cucina sono ancora un disastro,” ammette con autoironia, avviandosi con i piatti in mano a preparare il famoso caffè alla napoletana.
 
Camilla rimane sola con la Lucianona, cercando un argomento di cui parlare. Non è facile, visto che di fatto si conoscono molto poco.
 
“Bellissima casa, davvero complimenti! Sembra quasi uscita da una rivista: i mobili sono perfetti. Ce lo avessi io un gusto così!” esclama la Lucianona, evidentemente cercando, proprio come lei, di fare conversazione.
 
“La ringrazio ma… l’arredamento l’ha scelto praticamente quasi tutto Renzo, il mio ex marito. Sa, lui è un architetto…” spiega, non potendo evitare di pensare che, fosse stato per lei, parecchie cose dell’arredamento sarebbero state diverse.
 
Lei aveva gusti più semplici, essenziali, mentre Renzo, pur essendo raffinato e avendo sicuramente buon gusto, aveva un senso estetico a volte fin troppo… da architetto, appunto, da rivista.
 
“Ah, mi scusi, mi spiace, io-“ balbetta l’altra donna, imbarazzata.
 
“No, ma si figuri! Mica è morto: ci siamo solo separati e so che Renzo è sicuramente molto bravo nel suo lavoro, e non ho alcun problema a riconoscerlo, anzi…”
 
“E sua figlia dov’è? Fuori con le amiche? Mi sarebbe piaciuto rivederla…” chiede, cambiando discorso.
 
“È a Londra con Renzo… lui è lì per lavoro e lei si fa una vacanza, così passano un po’ di tempo insieme,” chiarisce Camilla, non potendo trattenere il sorriso quando l’agente sembra sempre più a disagio, come se si stesse mentalmente sgridando per continuare a tornare, anche se involontariamente, in argomento del suo ex marito.
 
“E quindi si fa anche lei un po’ una vacanza?” deduce, cercando di tornare in un territorio dove di sicuro non ci siano ex mariti in ballo.
 
“Sì, in un certo senso, anche se mi manca molto mia figlia, però… Gaetano in questo mi aiuta tantissimo a non patire troppo la lontananza e-“
 
“E lei fa lo stesso per lui con Tommy: il dottore adora così tanto quel bambino! Ha visto le foto sulla sua scrivania?” le chiede con un sorriso materno ed intenerito.
 
“Sì, le ho viste oggi…” conferma, avvertendo di nuovo quel nodo in gola.
 
Si era quasi strozzata con l’insalata di pasta quando aveva visto incorniciata, in mezzo ad altre immagini del bambino – tra cui una tenerissima, travestito da sceriffo – al posto d’onore, la foto che era stata scattata a Gardaland a lei, Gaetano, Livietta e Tommy. Erano così belli insieme… sembravano davvero una famiglia.
 
E, subito accanto, in una cornice d’argento alta, che spiccava sulle altre, c’era una foto di lei e Gaetano, lui che le cingeva la vita, mentre lei gli toccava il risvolto della giacca e, soprattutto, si guardavano negli occhi in un modo che le faceva bene al cuore e la riempiva di orgoglio. Lo sguardo di lui lo riconosceva perfettamente, quello sguardo che la faceva sentire la donna più attraente e amata del globo terracqueo. Ma finalmente poteva scoprire come lei lo guardava e, come immaginava, la sua espressione rifletteva perfettamente quella di lui. E, non sapeva se fosse per quello, per il fatto che nessuno dei due fosse in posa, ma ritratti a loro insaputa, o per i vestiti da gala, ma non solo lui era così dannatamente bello, ancora più del solito, ma Camilla riusciva miracolosamente, per la prima volta, a vedersi davvero bella anche lei. Proprio lei che aveva sempre detestato la sua immagine fotografata, che non si piaceva mai.
 
Non si era nemmeno accorta che quella foto fosse stata scattata, ma aveva subito riconosciuto l’abbigliamento: erano alla serata della sfilata di Francesca. Probabilmente era stata Francesca stessa la fotografa e Gaetano doveva averle richiesto una copia della foto.
 
Gaetano aveva ovviamente notato che le foto avevano attirato la sua attenzione e le aveva domandato, quasi in ansia, se le andasse bene che lui tenesse una foto di loro due e una di loro due con i loro figli sulla scrivania. Le aveva perfino chiesto scusa per non averle chiesto il permesso, dicendole che tanto ormai, dopo il viaggio a Roma, tutti sapevano di loro in commissariato e che guardare quelle foto lo rasserenava e lo aiutava trovare la calma mentale e l’ispirazione necessaria quando era stanco e a corto di idee. Camilla, intenerita e ancora commossa, per tutta risposta l’aveva baciato con una passione tale che per poco non avevano rischiato di andare troppo oltre. L’aveva bloccato appena in tempo prima che la stendesse sulla scrivania, rischiando oltretutto di rovesciare insalata di pasta su tutti gli incartamenti.
 
Da lì si erano ripromessi, saggiamente, di evitare di rimanere chiusi in ufficio nei giorni successivi, ma di andare a mangiare al parco lì vicino, visto che in pubblico riuscivano a contenere meglio i bollenti spiriti. L’idea che, con quella foto, tutti sapessero che Gaetano era ed è felicemente impegnato, non le dispiaceva affatto, anzi, considerate tutte le donne – Ricci in primis – che ronzavano intorno alla questura – e al vicequestore.
 
Ma c’era un limite a quanto voleva che tutti sapessero di loro. E un conto era un bacio, un conto era essere beccati in situazioni ben più compromettenti.
 
“… ed è bellissima in quella foto, ha un vestito stupendo: ce l’avessi io un fisico come il suo! Dov’eravate, a una festa? Se non sono indiscreta, professoressa… professoressa?”
 
La domanda della Lucianona la risveglia finalmente dai suoi pensieri.
 
“Di che confabulano le signore?” arriva la voce di Gaetano a salvarla in corner, portando il vassoio con moka e tazzine, seguito da Torre.
 
“Mi stava chiedendo della foto di noi due che tieni sulla scrivania. È stata scattata a Roma, alla sfilata di sua sorella Francesca. L’abito l’ha disegnato lei, quindi è a lei che vanno i complimenti. Riesce a rendere elegante persino me e non è facile,” scherza, un po’ in imbarazzo per tutte le gentilezze dell’altra donna anche se deve dire che sembra sincera, come Torre quando fa i suoi complimenti, del resto.
 
“Voi siete sempre troppo modesta, professoressa. Ve l’ho detto già anni fa che avreste dovuto fare l’attrice perché siete fotogenica… e in quella foto, se la mia Luciana permette, devo dire che siete bellissima, sembrate una diva del cinema di una volta, quello in bianco e nero e-“
 
“Sì, magari muto, così non sentono la mia voce e acquisto punti,” commenta, facendo sorridere Gaetano, che la conosce ormai troppo bene.
 
“No, veramente. Diteglielo anche voi dottore!”
 
“Glielo dico, Torre, glielo dico in continuazione che è bellissima. Ma ha la testa dura e non vuole convincersi, che ci devo fare?!”
 
“Perché voi siete di parte. Tu perché… beh… perché mi ami. Torre perché… è Torre, lei perché è la fidanzata di Torre e-“
 
“Ma mica lo diciamo solo noi! Sapeste in quanti hanno commentato quella foto, facendo i complimenti al dottore-“
 
“In effetti il dottore è bellissimo in quella foto,” continua a scherzare Camilla, facendo finta di non capire.
 
“I complimenti su di voi, non su di lui! Perfino il questore ha detto che siete bellissima come… come… quell’attrice… com’è che si chiamava? Sidney Crawford?”
 
Cindy Crawford? Ed è una modella, non un’attrice e comunque il questore ha seri problemi di vista, dato che non abbiamo niente in comune… magari fosse!”
 
Joan Crawford, Torre, Joan Crawford,” chiarisce Gaetano con un sospiro, non riuscendo del tutto a nascondere l’irritazione al ricordo del modo in cui il questore, come se fosse la cosa più naturale del mondo, senza alcuna paura di essere indiscreto, aveva afferrato la cornice ed aveva osservato con cura la foto – con uno sguardo che gli faceva ribollire il sangue nelle vene – prima di complimentare l’avvenenza, l’eleganza e la classe di Camilla e di paragonarla alla famosa attrice.
 
Per un secondo si era quasi pentito di aver deciso di mettere quella foto sulla scrivania: Camilla quella sera era più bella che mai, sembrava quasi brillare di luce propria e sapeva benissimo di non essere stato l’unico a notarlo o a pensarla così. Già diversi colleghi, uomini e donne, avevano chiesto lumi sulla foto, incuriositi, sia perché da quando si era trasferito a Torino non aveva mai tenuto alcuna foto di una delle sue “fidanzate” sulla scrivania – la prima foto personale era stata una di Tommy – sia perché rimanevano colpiti dalla bellezza e dal fascino particolarissimi di Camilla, fatti di contrasti, che trucco e vestito mettevano ancora più in evidenza.
 
E il questore non aveva bisogno di ulteriori incentivi per rimanere ancora più stregato da Camilla di quanto già non fosse.
 
Però, allo stesso tempo, Camilla in quella foto era abbracciata a lui, a lui e a nessun altro. Ed era lui che guardava in quel modo che gli provocava un dolore piacevole al petto e un senso infinito di orgoglio. Tutti gli altri dovevano accontentarsi di ammirarla e basta, lui poteva viverla davvero, in tre dimensioni, senza filtri. Questa consapevolezza, quello sguardo di Camilla, ogni volta riuscivano a placare in lui il demone della gelosia che gli ruggiva dentro, come la prima volta che aveva visto quella foto. Ed aveva funzionato anche con il questore.
 
Non avrebbe mai ringraziato abbastanza Francesca per avergliela regalata proprio nel momento più buio che lui e Camilla avessero mai vissuto da quando era iniziata la loro storia, cioè quando si erano lasciati per via delle incomprensioni seguite al caso Misoglio, con lui che tra le indagini, Marco e il fantasma di Renzo aveva davvero creduto per un attimo che Camilla non lo amasse, che fosse stata tutta un’illusione, un fuoco di paglia che si era bruciato in un istante.
 
L’aveva scattata uno dei fotografi con cui collaborava abitualmente, essendo rimasto colpito da questa ospite con indosso un abito che era stato visto anche in passerella proprio quella sera. Francesca gli aveva raccontato che il fotografo aveva proposto di usarla nella campagna pubblicitaria e le aveva chiesto se potesse dargli i nomi degli ospiti per chiedere loro il consenso. Francesca gli aveva spiegato che il modello oltre ad essere suo fratello era un vicequestore e quindi la cosa era fuori discussione, ma si era fatta lasciare una copia del file e gliel’aveva messa sotto il naso di domenica sera, quando era tornato, ancora in subbuglio, dopo una giornata campale di indagini su De Matteis e Mancini e, soprattutto, dopo quel bacio disperato con Camilla, dopo la discussione per via della reciproca gelosia nei confronti di Claudia e di Marco.
 
Non so cosa sia successo, fratellone, ma una donna non ti guarda così se non ti ama, e molto. Proprio come tu ami lei – aveva proclamato Francesca, quando lui aveva trovato la foto appoggiata sul bicchiere, di fronte al piatto tenuto in caldo da Francesca, visto che era rientrato tardi. Lui aveva ironicamente commentato che se voleva mettere il dito nella piaga, ci stava riuscendo benissimo, però era come se in lui la scintilla della speranza provocata da quel bacio si fosse intensificata e gli avesse dato forza e coraggio per affrontare quello che aveva davanti e per cercare di recuperare il suo rapporto con Camilla, senza farsi condizionare più dalle sue paranoie.
 
“Joan Crawford? Da vecchia o da giovane? Perché sai com’è, c’è una certa differenza,” ironizza Camilla, ricordando come l’attrice, tra problemi di alcolismo e con il suo look e i truccatori, fosse divenuta una specie di caricatura di sé stessa, con quelle sopracciglia spessissime ed arcuate degne di Crudelia Demon o della strega di Biancaneve e l’aria da arpia. E si diceva che lo fosse veramente, a giudicare dai racconti di una delle sue figlie adottive in quello che era stato il primo e forse il più famoso libro biografico di denuncia e di sfogo scritto da un parente di una celebrità.
 
“Da giovane, Camilla, ovviamente, da giovane, lo sai benissimo…”
 
Camilla non può evitare un sorriso compiaciuto nel sentire il tono così evidentemente geloso. Non si stupisce affatto che Gaetano non le abbia menzionato questo episodio con il questore quando avevano commentato insieme le foto durante la pausa pranzo.
 
“Bene, allora visto che sono una diva di Hollywood e non posso sporcarmi e rovinarmi le mani, i piatti li lavi tu stasera?” gli domanda con tono scherzoso, facendogli l’occhiolino.
 
“Ai suoi ordini, mia regina!” ribatte Gaetano con tono volutamente pomposo, esibendosi appunto in un baciamano da manuale, prima di versarle e servirle il caffè, nero e senza zucchero come piace a lei.
 
“Perché tu non sei mai così galante?” sentono la Lucianona lamentarsi con Torre, che alza gli occhi al cielo.
 
“Perché io cucino pure e senza lasciarti la cucina nello stato in cui te la lascerebbe il dottore,” ribatte Torre, prima di voltarsi verso Gaetano e aggiungere, in un tono di giustificazione, “mi scusi dottò, però, sa com’è con le donne… dai loro una mano e-“
 
“Ma magari fosse che gli uomini ti danno una mano, che la maggior parte si fa servire e riverire, altro che le dive di Hollywood. Non è vero professoressa?” rilancia la Lucianona, in modo cospiratorio.
 
“Già… però direi che noi non ci possiamo lamentare. Siamo fortunate,” ribatte Camilla con un sorriso, cercando di chiudere il cerchio e lo scambio di frecciatine, “anche perché un caffè come questo è da premio Oscar.”
 
“Ah, vedi? Il dottore sarà galante e gentile, ma pure la professoressa lo è, e soprattutto sa dare il giusto valore alle premure e all’impegno del suo fidanzato,” rimpalla invece Torre, lanciando alla fidanzata un’occhiata eloquente.
 
“Che ne dite di inaugurare il limoncello fatto in casa e il liquore al gianduiotto che ci avete portato?” si inserisce Camilla, alzandosi in piedi, prima che i due fidanzati ricomincino con i loro battibecchi affettuosi, per quanto divertenti. Capisce finalmente come si deve sentire Livietta quando lei e Gaetano iniziano a punzecchiarsi.
 
Peccato che non avesse tenuto in conto che i due avrebbero iniziato una disputa quasi infinita su quale dei due liquori assaggiare per primo e quale tenere per ultimo per “lavarsi la bocca”, risolta infine da Gaetano con la proposta di alternare tra l’uno e l’altro per decidere quale fosse la combinazione migliore. Anche da queste piccole cose si vedeva la sua diplomazia e la sua abilità nel mettere insieme tante teste diverse e Camilla non può, come sempre, evitare di ammirarlo per questo.
 
“Propongo un brindisi, anzi due,” proclama infine Gaetano, sollevando i due bicchierini da liquore, uno nella mano destra e uno nella mano sinistra, “all’amicizia e all’amore!”
 
“E alla fortuna incredibile che è trovarli entrambi nella stessa persona…” aggiunge Camilla, sollevando a sua volta i suoi bicchieri, incrociando lo sguardo di Gaetano, mentre Torre e la Lucianona fanno lo stesso.
 
“Che ha le tue stesse passioni e che ti capisce senza bisogno di tante parole,” si inserisce Torre, scambiandosi un sorriso complice con la compagna.
 
“E che anche se fa un po’ il brontolone, alla fine ti ama e ti accetta così come sei, con tutti i tuoi difetti…” conclude la Lucianona, facendo l’occhiolino a Torre.
 
Bevono un sorso e un sorso, quasi per un tacito accordo non scritto, in perfetto unisono.
 
“Posso farlo anche io un altro brindisi?” pronuncia Torre, l’emozione palpabile nella voce, rivolgendosi questa volta all’altra coppia, “al comandante migliore che abbia mai avuto e che è riuscito a farmi sentire a casa pure nella gelida Torino…”
 
“Gelida?” gli domanda la compagna, alzando un sopracciglio.
 
“Beh, prima che la mia Luciana mi facisse scoprire il calore e la bellezza di questa città e dei torinesi, di una in particolare che tiene il fuoco dentro, pure più di una napoletana,” precisa, facendola sorridere e arrossire come un peperone, compiaciuta ed imbarazzata.
 
“Ecco, che ti dicevo stamattina? Credo di averne già saputo di più di quanto avrei mai voluto saperne…” sussurra Gaetano in un orecchio a Camilla, che si morde il labbro per trattenere una risata, prima di dare il via ad un nuovo round di brindisi.
 
***************************************************************************************
 
“Grazie mille ancora della serata, la prossima volta però sarete nostri ospiti, eh, ci contiamo!”
 
“Con vero piacere!” ribatte Camilla, salutando sia Torre che la Lucianona con i classici due baci sulla guancia.
 
“Grazie ancora dottò, è stato un onore,” si congeda Torre, visibilmente emozionato, prima di venire trascinato, dopo un attimo di esitazione da entrambe le parti, in uno dei loro abbracci con pacca sulle spalle.
 
“Tienitela stretta, mi raccomando, non fartela scappare, che è quella giusta,” sussurra Gaetano a Torre, senza farsi sentire dalla di lui fidanzata.
 
“Lo stesso vale per voi, dottò. Ma che ve lo dico a fare, se già lo sapete?” mormora di rimando l’ispettore, prima di sciogliere l’abbraccio.
 
“Ci mancavano solo le frasi d’amore sussurrate: molto spesso mi chiedo se Pasquale ami più me o il dottore! Credo il dottore,” sospira la Lucianona con Camilla, facendola ridere.
 
“Ma che vai dicendo!” esclama Torre, imbarazzato, avendo sentito tutto, prendendola per un braccio e avviandosi con lei verso la porta, “scusatela… ogni tanto tiene delle uscite… dottò, professoressa, grazie ancora!”
 
“Grazie a voi, buona notte!” augurano all’unisono Camilla e Gaetano, chiudendo la porta dietro ai due poliziotti prima di guardarsi e scoppiare a ridere.
 
“Sono una proprio bella coppia, dai: certo, sembrano spesso come Sandra e Raimondo, ma si vede che si amano moltissimo,” proclama Camilla, aggiungendo, ancora con un sorriso, “non pensavo che esistesse qualcuno che riuscisse a punzecchiarsi più di noi due e invece…”
 
“Ma noi ci punzecchiamo in modo diverso… professoressa…”
 
“Che vuoi dire?”
 
“Che con me sei tremenda e magari mi fai le battutine e le frecciatine ironiche, ma in privato, quando ci siamo solo noi due. Al massimo ogni tanto quando c’è Livietta, insomma, quando siamo in famiglia. Mentre non lo fai mai né con estranei, né con Tommy presente e anche con Torre e la Lucianona… non hai mai raccolto nessuna battuta, nemmeno quando avevano ragione da vendere, come sulla mia cucina…”
 
“Beh, perché Tommy è tuo figlio e Torre e la sua fidanzata, anche se Torre è come un fratello per te, sono comunque tuoi sottoposti, quindi non mi permetterei mai di sminuirti, anche se scherzosamente, di fronte a loro. Mentre Livietta non solo è di famiglia ma… abbiamo lo stesso umorismo, Gaetano, è grande e mi conosce e sa bene che quando scherzo con qualcuno in quel modo vuol dire che, se mi sento di farlo, è proprio perché c’è una grandissima stima reciproca e una grandissima confidenza.”
 
“Camilla…” pronuncia, sempre più orgoglioso di avere accanto una donna così straordinaria.
 
“E comunque secondo me per Torre e la Lucianona è lo stesso. Voglio dire, non ce li vedo a battibeccare così di fronte a dei perfetti estranei. Ma tu sei di famiglia per Torre e quindi anche per lei e… insomma… Torre, anche se ti ammira, anzi, diciamo pure che ti idolatra, è abituato anche a scherzare con te. Tu lo punzecchi spesso per i suoi difetti e a volte anche lui si permette di farlo con te, ma senza mai mancarti di rispetto sul serio. E quindi anche la Lucianona si sente a suo agio a riprenderlo di fronte a te, sempre in maniera scherzosa. Ci hai mai pensato?”
 
“Mi sa che hai ragione… avresti potuto fare la psicologa, lo sai?”
 
“Di sicuro avrei guadagnato molto meglio che a fare la prof.! Ma sarei impazzita: non riesco a distaccarmi dai problemi e dalle sofferenze degli altri, e lo sai,” sospira, guardandolo negli occhi.
 
“Già… lo so fin troppo bene…” conferma, accarezzandole il viso e posandole un bacio sulla fronte.
 
“Comunque è stata davvero una bella serata... mi sono divertita molto!”
 
“Anche io… e ti ringrazio per l’idea e per la cena. Non solo perché era tutto buonissimo ma perché ci voleva proprio un’occasione per festeggiare insieme a Torre: credo sia praticamente la prima volta che sia io che lui siamo felicemente fidanzati e nello stesso momento!”
 
“Ma come?! Ricordo benissimo quando tu stavi con Roberta e lui con… com’è che si chiamava l’integralista salutista?” domanda Camilla con un tono sarcastico.

“Giulietta? Ma ho detto felicemente, professoressa e… mettiamola così: è la prima volta che siamo entrambi fidanzati con due donne che ci amano, che amiamo e che soprattutto sono sane di mente e non due arpie, anche se non è bello da dire.”
 
“Allora non mi consideri un’arpia? Anche se sono la nuova Joan Crawford?” scherza Camilla, indurendo volutamente l’espressione e i lineamenti fino ad assumere una posa da cattiva.
 
“A parte che l’ha detto il questore e non io, anche se in effetti un po’ di somiglianza c’è, ma quando era una donna bellissima che faceva girare la testa a mezza Hollywood, e interpretava sempre donne forti, di carattere, proprio come te. E tu sei una testona, è vero, ma sei anche la donna più buona e di cuore che io conosca, altro che arpia!” ribatte, pizzicandole i fianchi fino a farla ridere.
 
“Lo so che te l’ho già detto oggi, ma hai un’idea di quanto ti amo, dottor Berardi?” gli chiede, più seria, guardandolo negli occhi.
 
“E tu hai un’idea di quanto ti amo io, professoressa?”
 
“Mmm… vediamo… mi ameresti anche se avessi le sopracciglia di Joan Crawford… matura?” ironizza, continuando a squadrarlo, la bocca corrucciata per trattenere un sorriso.
 
“Sì… e proprio perché ti amerei lo stesso moltissimo, e ci terrei quindi alla tua vita sociale e scolastica, ti consiglierei vivamente di cambiare estetista!”
 
“Quanto sei scemo!” esclama, provando a dargli un colpo sulle braccia, ma lui le blocca le mani e, senza sapere come, si trova aggrappata a lui, avvolta dal suo corpo e dal suo bacio, premuti contro la parete del corridoio.
 
Sorridendogli sulle labbra, continuando a baciarlo, a tentoni, inizia a trascinarlo verso la camera da letto.
 
“Non dovevo lavare i piatti?” chiede Gaetano, con faccia da schiaffi, tra un bacio e l’altro.
 
“I piatti possono aspettare domattina. Questo no…” proclama Camilla, prendendolo per il collo della camicia e baciandolo in un modo che lo scombussola a tal punto che deve reggersi allo schienale del divano prima di perdere l’equilibrio insieme a lei.
 
“Mi piacciono molto le tue priorità, professoressa…” sussurra, decidendo che anche il letto – che sembra fin troppo lontano, anche se è solo a pochi passi – può attendere, prendendola in braccio e gettandosi insieme a lei sul sofà, facendola ridere.
 
“Anche a me, soprattutto dato che tu sei in cima alle mie priorità…” mormora con voce arrochita, mettendosi a cavalcioni su di lui.
 
“Mi hai tolto le parole di bocca…” sorride, accarezzandole il viso.
 
“E sono solo all’inizio!” promette, soffocando la risata di lui con le sue labbra.
 
***************************************************************************************
 
“Ecco, fatto, tutto pronto!”
 
Sorride soddisfatta: sono le undici del mattino ed ha appena finito di preparare il pranzo per lei e per Gaetano. Deve solo metterlo nella borsa termica.
 
Tramezzini con mousse di tonno e per dolce una fetta di cheesecake al limone. L’ideale per un picnic al parco.
 
Ormai grazie ad internet e ad un po’ di inventiva ha scoperto un sacco di ricette rapide, facili, ma buonissime, che conciliavano bene la sua poca voglia di stare ore ai fornelli, soprattutto d’estate, con la voglia di preparare qualcosa di meglio della fettina della professoressa o delle uova al tegamino.
 
L’abbaiare di Potti, che punta deciso con il naso verso il bancone su cui sono appoggiati i tramezzini la fa sorridere.
 
“Non sono per te, Potti. Tu hai la tua pappa. Adesso li mettiamo nella borsa termica, mi preparo e poi portiamo il pranzo a Gaetano e mangiamo tutti insieme, che ne dici?” gli domanda e il cane, per tutta risposta, abbaia forte e scodinzola.
 
Camilla si abbassa per accarezzarlo, ma Potti improvvisamente le sfugge e corre verso la porta, latrando e guaendo.
 
“Potti, Potti, dove vai?! Non è ancora ora di uscire, non posso uscire conciata così!” lo chiama, ma Potti rimane fisso davanti alla porta, continuando ad abbaiare.
 
“Non dirmi che sei veramente geloso di Gaetano, e-“
 
Il suono del campanello la interrompe prima che possa finire la frase. Non è il campanello del cancello, è proprio quello dell’appartamento.
 
“Ah… hai sentito che abbiamo visite… e bravo Potti,” intuisce Camilla, abbassandosi per fargli un grattino dietro le orecchie, prima di sollevarsi di nuovo per aprire la porta, chiedendosi chi possa essere, visto che non aspettava nessuno, “chi è?”
 
“Sono io… apri,” arriva una voce a lei assolutamente familiare ma con un tono stranissimo quasi… robotico… che aveva sentito solo in pochissime occasioni: quando era morta la madre di lui, quando aveva perso quel dannato concorso, quando Roberta l’aveva accusata di avere una tresca con Gaetano e quando erano stati indagati per omicidio lui, Carmen e Livietta. Un tono che non lascia presagire nulla di buono e che le provoca un tuffo al cuore.
 
“Renzo?!” chiede, stupita, precipitandosi ad aprire la porta, trovandolo lì, davanti a lei. Nessuna valigia, solo la sua solita ventiquattrore e, soprattutto nessuna traccia di Livietta.
 
“Che ci fai qui?! Non dovevate tornare tra… tra una settimana? Livietta dov’è?!” gli chiede, preoccupata, notando, nonostante gli occhiali da sole, il modo in cui l’uomo serra le labbra e contrae la mascella, quasi come se si stesse sforzando di trattenere o la rabbia o il pianto e che le conferma quanto già intuito dalla voce.
 
“Dobbiamo parlare… mi fai entrare?” risponde sempre con quel tono neutro, monocorde, senza chiarire nessuno dei suoi dubbi.
 
“Sì, ma… è successo qualcosa? Renzo, dov’è Livietta?” ribadisce, sempre più turbata, soprattutto quando Renzo si avvia verso il salone senza rispondere.
 
“Credo che sia meglio che ci sediamo, Camilla…” la invita, accomodandosi sul divano senza attendere risposta.
 
“È successo qualcosa a Livietta?! Maledizione, Renzo, rispondimi!!” grida, ormai in preda all’angoscia, anzi, al terrore.
 
“Sì, purtroppo sì,” conferma Renzo e Camilla si lascia cadere sul divano, la testa che le gira, mentre nella sua testa si tracciano gli scenari peggiori. Un incidente, un malintenzionato, un-
 
“È in ospedale?! È… è…” non riesce nemmeno a pronunciare quella parola, non la vuole pronunciare, “dannazione, Renzo, dov’è?!”
 
“È a Londra, a quest’ora credo sia a fare shopping con Carmen…” risponde Renzo e Camilla trattiene a stento l’impulso di tirargli uno schiaffo e allo stesso tempo di buttarsi distesa sul divano e tirare un sospiro di sollievo.
 
“Ma sei impazzito?!! Mi hai fatto quasi prendere un infarto!!! Credevo le fosse successo qualcosa di grave, di… di irreparabile!!! Cos’è uno dei tuoi giochetti alla – qualunque cosa succeda, vi ho voluto bene?!” grida, la rabbia che prevale sul sollievo stritolando il cuscino del divano per evitare di strozzare Renzo.
 
“No, purtroppo non è affatto un giochetto… credimi che vorrei che… che quello che… non riesco nemmeno a dirlo, che quello che le è successo non le fosse mai successo. E sì, è qualcosa di grave, anzi di gravissimo! Livietta non è in ospedale e non sta male fisicamente, per ora, ma potrebbe accadere presto qualcosa di irreparabile se non interveniamo, Camilla!” esclama Renzo, in un modo assolutamente disperato e che le suona come terribilmente sincero, nonostante tutto. C’è un’angoscia nel suo tono, nel suo sguardo, che ritornano a gelarle il sangue.
 
“Dannazione, Renzo, mi vuoi spiegare che succede? Lo so che tu pensi che mi piacciano i misteri e gli enigmi, ma in questo caso o parli chiaro o giuro che non rispondo di me!” intima, alzando la voce, fino a che Renzo, tira un sospiro, si china verso la sua ventiquattrore, che aveva posato sul tappeto, la apre e ne estrae il suo tablet. Ci smanetta per qualche secondo e glielo porge, con aria grave e solenne.
 
“Ecco… leggi tu stessa… e trai le tue conclusioni e le tue deduzioni,” sospira, in un misto tra un sibilo di rabbia e rassegnazione.
 
Camilla, sconcertata e preoccupata, non capendo più dove voglia andare a parare Renzo o perché sia lì, prende in mano il dispositivo e vede un testo.
 
 
Gaetano ha capito tutto, si è accorto di come lo guardavo… e ho dovuto confessargli ciò che provo. A lui ovviamente stava per venire un colpo e voleva dire tutto a mamma ma per fortuna sono riuscita a convincerlo a mantenere il segreto, perché a mamma e soprattutto a papà verrebbe un infarto se sapessero.
 
Mi ha detto che devo togliermelo dalla testa, che è troppo grande per me e lo so che ha ragione, lo so che il mio è un amore impossibile, che lui non si interesserà mai a me… ma… ma che ci posso fare se mi piace da morire? Gli ho promesso che la mia è una cotta e mi passerà in fretta, ma la verità è che non so se passerà.
 
Speravo che il viaggio a Londra mi aiutasse e papà sta facendo davvero di tutto per farmi divertire, ho visto un sacco di bei ragazzi, ma quando provano ad avvicinarsi li evito tutti – e non solo perché c’è sempre papà che li guarda come se volesse ucciderli (almeno alcune cose non cambiano mai per fortuna, se no penserei che un alieno ha rapito papà!).
 
Il fatto è che mi manca da morire lui: vorrei vederlo, parlargli, chiamarlo, ma non posso. Continuo a sognarlo, a sognare il suo sorriso, i suoi occhi azzurri che ridono, la sua voce. Sono sogni così maledettamente reali che a volte vorrei solo poter tornare a dormire per sognarlo ancora. Stanotte ho sognato la nostra ultima lezione… quando mi ha insegnato quella mossa di difesa antistupro e per sbaglio me lo sono trovato steso sopra di me. Ho sentito di nuovo quel calore, quel fuoco dentro che provo solo con lui, potevo sentire il suo profumo, il suo respiro sul collo, era tutto così reale… e c’erano di nuovo le sue labbra così vicine alle mie. E almeno nel sogno avevo coraggio, avevo coraggio e lo baciavo. Non ho mai provato niente del genere prima, un desiderio così forte e intenso di fare l’amore con qualcuno, più forte della paura, nemmeno quando credevo di essere innamorata di quel cretino di Bobo. E quando mi sono svegliata mi sono sentita morire all’idea che fosse stato solo un sogno, volevo solo-
 
Prova a far scorrere la pagina, rendendosi conto che la mano le trema peggio che se avesse il morbo di Parkinson. Ma non c’è nient’altro da leggere: è solo un’immagine, un’immagine di una schermata.
 
Rimane per un attimo quasi come paralizzata, il tablet che le trema tra le mani, mentre sente una rabbia ed un’indignazione montarle dentro, fino a che il petto e la gola bruciano e non può più trattenersi.
 
“Non avrei mai pensato che saremmo arrivati a questo punto…” mormora con voce talmente roca che sembra uscita dall’oltretomba, alzando gli occhi per incontrare quelli di Renzo, desiderando solo urlare e vomitare e lanciare il tablet in cortile fino a vederlo infrangersi in mille pezzi.
 
“Lo so, Camilla, mi dispiace… io invece purtroppo me lo sentivo e credimi che speravo di sbagliarmi… non avrei mai voluto arrivare al punto di dirti: ‘te l’avevo detto!’, ma… ecco che cosa succede ad esserti presa un playboy palestrato che gira in boxer per casa sotto al naso di nostra figlia!! Se metti la paglia vicino al fuoco, si scatena un incendio e questa è la dimostrazione!”
 
“No, certo che no, Renzo,” sibila, esplodendo in una mezza risata sarcastica ed amara, “io non pensavo che… che saresti arrivato al punto di… di inventarti una cosa del genere, di metterti a scrivere una… una spazzatura del genere, e di prenderti la briga di farti un volo Londra – Torino per venire qui a sbattermela in faccia, sperando che io sia così scema da crederti… da credere a questa… a quest’immondizia! E questa è sì la dimostrazione, ma di che razza di… non posso nemmeno chiamarti uomo… di… di serpente ho avuto accanto per vent’anni! Mi fai schifo!!”
 
“Che cosa?” sussurra Renzo, incredulo e sconvolto di fronte alla reazione durissima di Camilla, che è paonazza in viso e lo guarda con un’espressione omicida, carica di disgusto, di disprezzo. Ma diretta a lui e non a quel… quel porco del poliziotto-super-più. Si aspettava di tutto ma non questo.
 
“Hai sentito benissimo, quindi ti consiglio vivamente di uscire da quella porta e in fretta, prima che faccia qualcosa di cui ci pentiremmo entrambi!” intima Camilla, trattenendo sempre più a fatica l’istinto di tirargli uno schiaffo, o peggio, “pensavo… pensavo che stessi ritornando in te… che… che… l’avresti piantata di cercare di gettare fango, anzi, diciamo pure merda, su Gaetano e soprattutto su nostra figlia, ma evidentemente mi sbagliavo!”
 
“Chi getta merda non sono io, Camilla, maledizione! E non vado da nessuna parte fino a che non mi avrai ascoltato!! Vuoi schiaffeggiarmi? Fallo! Ma questo non cambierà la realtà delle cose e non me ne andrò da qui fino a che non capirai con che razza di… lui sì che non posso chiamarlo uomo perché non è un uomo… ma neanche un serpente, con che razza di verme, di invertebrato ti sei messa!” sbotta, deciso, non potendo evitare di alzare la voce.
 
È un attimo: il viso di lei si trasfigura in una maschera di furia, di odio e Renzo fa appena in tempo a bloccarle i polsi prima di beccarsi un ceffone da rivoltare la testa a trecentosessanta gradi.
 
“Lasciami! Lasciami, maledizione!! Lasciami!!!” grida, furente, dimenandosi per cercare di liberarsi dalla sua presa.
 
“Camilla, calmati, calmati e ascoltami, per favore!” la implora, cercando di farsi ascoltare, facendo uno sforzo sovrumano per trattenerla, prima che gli salti addosso o lo sbatta fuori: non può andarsene senza che lei sappia quello che sta succedendo.
 
“Mollami, mi stai facendo male, mollami!!!” gli grida in faccia, dibattendosi e divincolandosi con una disperazione ed una forza inattese.
 
Renzo sente che sta per cedere, che non ha la potenza muscolare necessaria per trattenerla ancora a lungo. Proprio in quel momento un ringhio ed un dolore lancinante alla caviglia lo portano d’istinto a guardare verso il basso, verso il piede e ad allentare la presa.
 
Potti… Potti l’ha… morso?
 
Ancora sotto choc, incredulo che Potti, il suo Potti, che ha visto cucciolo, che ha visto crescere ed invecchiare – che l’ha visto invecchiare – possa avergli fatto quella ferita alla caviglia che inizia a sanguinare, non si rende nemmeno conto che i polsi di lei gli si sfilano dalle mani. Si ritrova, con una mossa da manuale, messo letteralmente al tappeto, anzi, sul tappeto.
 
Le vertebre e le costole che protestano, nonostante sia caduto, tutto sommato, sul morbido, sente un peso sul petto togliergli il fiato rimasto, solleva lo sguardo e si trova Potti, con posa degna di un leone o di un lupo, che gli è salito sullo sterno e ancora abbaia e ringhia, come in segno di avvertimento.
 
E, in piedi sopra di loro, Camilla, che si massaggia i polsi, fissandolo con uno sguardo che definire carico d’odio e di ribrezzo sarebbe fargli un complimento.
 
“Non ci provare mai più, mai più, hai capito?! Se mi metti ancora una sola mano addosso ti denuncio e non sto scherzando!!” sibila, gelida, non potendo credere a quello che è appena successo e grata che le lezioni di difesa siano servite davvero a qualcosa. Ma non sa come il suo rapporto con Renzo potrà salvarsi da questo, come… come potranno mantenere ancora almeno quei rapporti civili che aveva sperato potessero mantenere, per il bene di Livietta.
 
Livietta… deve andare a recuperarla a Londra… non può più lasciarla da sola con lui e-
 
“Camilla, per favore! Io non ti metterei mai le mani addosso, non ti farei mai del male, maledizione! E-“
 
“Non mi faresti mai del male?! Ah, no?! E questi allora cosa sarebbero, eh? Farmi del bene?!” esplode, mostrandogli i polsi, i segni delle dita ancora rossi sulla pelle e che, ne è sicura, si trasformeranno in lividi.
 
“Mi dispiace io… io non volevo farti male… anzi, è proprio perché non voglio che tu… che tu ti faccia del male, perché voglio il tuo bene e quello di Livietta che ho bisogno che mi ascolti. Se vuoi rimango così, disteso sul tappeto, con Potti a ringhiarmi addosso ma, ti prego, mi devi ascoltare!” supplica, le mani giunte in segno di preghiera, guardandola negli occhi, mentre Potti continua a puntarlo come se fosse un pericoloso aggressore.
 
“Ascoltare che cosa? Eh? Il tuo veleno? Questa specie di… di soap opera perversa che ti sei inventato nella speranza di infangare Gaetano e-“
 
“Camilla, maledizione, ma ti senti?! Ti senti?! Siamo arrivati davvero al punto che dubiti di me, dell’uomo che ti conosce da un quarto di secolo, che conosci da un quarto di secolo, con cui hai fatto una figlia per… per credere ad una specie di Casanova dei giorni nostri, con cui hai una relazione da… quanto? Tre mesi?”
 
“Sì, Renzo, siamo arrivati a questo punto, visto che tu, di motivi per dubitare – e molto – della tua parola me ne hai dati a pacchi, in tutti i sensi, mentre Gaetano con me è sempre stato sincero e-“
 
“Camilla, per favore! Stiamo parlando dello stesso uomo che ha mollato una donna sull’altare, che ha mollato una donna con un neonato dopo pochi mesi di matrimonio, che correva dietro alle tue sottane – per modo di dire – non solo mentre tu eri felicemente sposata, ma mentre pure lui era impegnato e-“
 
“E non è la stessa cosa, Renzo. Perché Gaetano di quelle donne non era innamorato, mentre di me non solo è innamorato ma mi ama e ci posso mettere la mano sul fuoco, sia su questo che su di lui! Mentre su di te… è da quando sei tornato la prima volta da Londra che… che non ti è andato giù il fatto che io fossi felice con Gaetano e hai deciso di fargliela pagare con questa… con questa… dio mio! Con questa… non riesco nemmeno a dirlo!”
 
“E tu invece pensi che per me sia facile dirlo, che sia facile anche solo pensarlo? Dannazione, Camilla!” grida, ancora a terra, Potti che, sentendolo urlare, abbaia più forte e sembra pronto ad attaccare di nuovo.
 
Camilla, in un momento di lucidità, nonostante vorrebbe solo fare male a Renzo quanto lui gliene sta facendo, si china a prendere in braccio il cane, prima che Potti, nel suo istinto di protezione, faccia qualcosa di cui poi tutti si pentirebbero dopo. Se lo tiene in braccio, anche mentre il cane continua ad abbaiare e a divincolarsi, quasi usandolo come scudo nei confronti di Renzo che, tirando un sospiro di sollievo, si mette a sedere sul tappeto.
 
“Camilla, ascoltami, io lo so che devi essere sotto choc, non posso nemmeno immaginare quanto… quanto l’idea che… che Gaetano possa avere fatto una cosa del genere sia per te inconcepibile, inaccettabile, quanto ti devi sentire tradita e… e schifata… e che quindi preferisci non accettarlo, preferisci scaricare la tua rabbia su di me. Ma è la verità, Camilla, la pura e semplice verità. Lo so, ho sbagliato ad accusarlo all’epoca, a sparare a zero in quel modo, ma… è che me lo sentivo, Camilla, me lo sentivo! E lo so che… che è come la favola di quel bambino che grida ‘al lupo!’ e poi quando il lupo, in tutti i sensi, arriva sul serio, nessuno gli crede più. Ma io ti giuro, ti giuro su quello che ho di più caro, che è nostra figlia, che non mi sono inventato niente! Ma tu pensi che per me sia… sia stato facile o piacevole leggere… leggere dei sogni erotici di nostra figlia sul poliziotto-super-più e-“
 
“Non dirlo nemmeno per scherzo!” urla, la voce, la gola di cartavetra, allontanandosi di un passo da lui, che è ancora seduto sul tappeto, mentre Potti riprende ad abbaiare.
 
“Non posso, Camilla, perché non è uno scherzo, è la verità. Tu non immagini che cosa ho provato quando ho letto… quando mi sono ritrovato a visualizzare quelle scene, me le sono pure sognate la notte e-“
 
“Renzo!” intima, in un ringhio più forte di quello di Potti. Perché per colpa sua, ora quelle immagini sono stampate indelebilmente nella sua mente. Gaetano e Livietta stesi a terra, uno sopra l’altra, che si guardano, Livietta che lo bacia e lui-
 
No, non vuole, non deve pensarci!
 
“Camilla, lo sai che… che per me Livietta è sempre una bambina. Ma pensi davvero che mi sarei mai voluto immaginare una… una scena del genere? Che non sia inconcepibile per me tanto quanto lo è per te?!” esclama, il dolore, la ripugnanza che la sola idea di Livietta e il maledetto poliziotto insieme gli provoca, evidenti ne tono di voce, “credi che… proprio adesso che stavo ritrovando un rapporto con Livietta, con te… che eravamo arrivati ad una tregua, io… io avrei corso il rischio di venire qui e… iniziare una guerra con lei e… e con te, se non fosse necessario? A meno che non avessi alternative per proteggerla, per proteggervi?”
 
“Renzo…” sussurra, un brivido che le corre lungo la schiena, quando si rende conto, dal tono di voce di lui e soprattutto, dal modo in cui la guarda, che Renzo è serio, serissimo, che Renzo crede davvero ad ogni parola che dice, che non le sta mentendo, non consciamente almeno. Non è… non è l’uomo ferito che l’aveva attaccata alla gola due mesi prima… è arrabbiato, deluso, spaventato, schifato, ma lucido, convinto di ciò che afferma.
 
“Camilla…” sussurra di rimando, prendendo coraggio ed alzandosi in piedi, cercando di avvicinarsi lentamente a lei, come il domatore si avvicina alla fiera pronta a saltargli alla giugulare, lentamente, anche se lei inizia, per tutta risposta ad indietreggiare, “Camilla, guarda quella schermata. Vedrai che… che viene dall’account di gmail di Livietta. Lo riconoscerai visto che… che manda le mail anche a te e-“
 
“E quello può essere anche un fotomontaggio per quanto mi riguarda! Perché solo una foto di una schermata e non l’account o il documento originale, eh? E come avresti fatto a… ad avere accesso a… a quella cosa?!” gli domanda, il tono sospettoso ed incredulo.
 
“Per caso… volevo mandare delle mail di lavoro e recuperare dei file dal mio drive. Il mio computer ce l’aveva Carmen, Livietta aveva lasciato il suo sulla scrivania. E come mi hai detto tu una volta… se non se ne accorge, in fondo, che c’è di male e quindi l’ho usato e-“
 
“Intendevo se le prendevi in prestito il computer per fare qualcosa per te, non per spiare nostra figlia e-“
 
“E infatti non volevo spiare! Stavo solo cercando di scaricare i file dal cloud ma… Livietta aveva l’account con l’accesso automatico, si vede, e… e cliccando sul primo link a drive mi sono ritrovato su quella schermata… insomma… in quel file… credo che fosse il suo diario. Ne ho letto solo quel pezzo che hai visto, anzi, pure meno, perché dopo poco Livietta è rientrata in stanza. Ho fatto in tempo a fare uno screenshot e ad inviarmelo per email. Ci ho riprovato quando… quando Livietta era fuori con Carmen a… ad accedere al suo portatile… ma ha messo una password al suo utente di Windows. Evidentemente aveva la coda di paglia e si è presa paura che potessi leggere qualcosa… e quindi ho solo quello, ma-“
 
“E io dovrei credere ad una storia simile?” gli domanda, un sopracciglio alzato, una parte di lei che, purtroppo, comincia a credergli, o meglio, a credere al fatto che veramente quel documento non se lo sia inventato lui. Ma non può essere, non può essere come pensa Renzo, ci deve essere una spiegazione, un malinteso...
 
“Sì. Se non mi credi… indaga, maledizione, Camilla, indaga! È la tua specialità, no?”
 
“Non sono un’hacker, Renzo! Che pretendi? Che mi metta a cercare la password della mail di Livietta?” domanda, incredula, scuotendo il capo, “d’accordo, con il computer, internet e i cellulari me la cavo meglio di qualche anno fa ma… relativamente, non sono certo un’esperta! E poi la privacy e la fiducia sono due cose sacre, Renzo e-”
 
“Lo so, Camilla, ma, come tu mi insegni con le tue… indagini, la privacy è sacra fino a che rispettarla non mette in pericolo qualcuno, no?! E comunque, Camilla, certo che non pretendo che tu… ti trasformi in una hacker di Anonymous! Vieni a Londra con me e… e chiedilo a Livietta stessa! Parliamone con lei e… non potrà negare, perché… perché è la verità, purtroppo,” ribadisce, provando di nuovo ad avvicinarsi a lei, notando che Camilla non è più ostile come prima e, di conseguenza, anche Potti sembra essersi rilassato.
 
“Quindi tu non ne hai ancora parlato con lei? Non le hai ancora detto niente?” domanda, tirando un sospiro di sollievo, anche se, in fondo se l’aspettava: Livietta, altrimenti, l’avrebbe sicuramente chiamata e sarebbe scoppiata una vera e propria bomba, tra l’invasione della privacy e quello che Renzo pensa di aver scoperto.
 
“No, non sa nemmeno che sono qui a Torino oggi… le ho solo detto che avevo dei lavori da sbrigare. Volevo parlarne prima con te, parlarne con te per fare fronte comune. Perché su una cosa di questa gravità non possiamo essere separati, Camilla, dobbiamo essere d’accordo e agire insieme, prima che sia troppo tardi!” la esorta, accorciando ancora le distanze e allungando una mano tremante fino ad accarezzare la testa di Potti che, dopo un primo ringhio, sembra tranquillizzarsi e lasciarsi accarezzare, leccandogli la mano, quasi come a scusarsi di averlo ferito.
 
Fosse così facile anche con le donne, soprattutto una! Ma sente che Camilla comincia a capire, a credergli e questa è l’unica cosa che conta in questo momento.
 
“Renzo, sono d’accordo sul fatto che è un argomento delicatissimo e che dobbiamo concordare su cosa fare e… da un lato sono sollevata che tu sia venuto a parlarne con me prima di… di scatenare un polverone con Livietta, ma-“
 
“Bene, e allora vieni con me, stasera stessa. Io ho il volo di ritorno alle diciotto. Parliamo con Livietta e… vediamo di risolvere questa situazione insieme, in qualche modo. Potete… potete rimanere a Londra fino a che non devi riprendere la scuola e… e nel frattempo possiamo… possiamo cercare un appartamento per voi due e-“
 
“Cosa? Frena, frena! Rimanere a Londra? Un appartamento a Londra?” domanda, sbigottita e confusa, non capendo dove voglia andare a parare, o forse capendolo e non volendo capire.
 
“No, un appartamento qui a Torino. Lo so che tu non puoi certo insegnare a Londra e… poi non sei in tempo a chiedere il trasferimento per quest’anno e… e anche io ho ancora lo studio qui anche se… anche se forse per te non è così importante, ma… voglio dire… così almeno, anche se devi rimanere a Torino, tu e Livietta non dovrete vedervi davanti tutti i giorni… il poliziotto, insomma, e-“
 
“Stop, stop, stop!” lo blocca, dopo averlo lasciato parlare con occhi e bocca spalancati, non potendo credere a quello che sta sentendo: è evidente che Renzo ha pensato e rimuginato su questa storia parecchio prima di parlarne con lei.
 
Ed è ovvio che si aspetti che lei… che lei lasci Gaetano. Che non voglia più vederlo nemmeno in fotografia.
 
E probabilmente così sarebbe se lui… se Livietta davvero si fosse innamorata di lui e, soprattutto, se lui glielo avesse nascosto. Perché.. come potrebbe fidarsi ancora di lui? Come potrebbe vivere serena con lui e Livietta a pochi metri l’uno dall’altro?
 
Ma lei… lei non può crederci… non può… a meno che… a meno che non abbia mai capito niente né di sua figlia, né di Gaetano.
 
L’immagine mentale di lui sopra di lei, di nuovo torna a farla barcollare ma la scaccia, la scaccia e si concentra sulla realtà, perché è solo una fantasia, anzi, un incubo, solo questo può essere.
 
“Renzo, ascoltami,” pronuncia a fatica, un senso di nausea ancora nella bocca, “io posso… posso anche venire con te a Londra e… e discutere insieme con calma e sangue freddo con Livietta di questo… scritto e di quello che significa, ma… prima devo parlarne con Gaetano, affrontare con lui il discorso, capire che significa e ascoltare le sue spiegazioni e-“
 
“Beh, sì, capisco che tu voglia mandarlo a quel paese e lasciarlo di persona, prima di partire e-“ si blocca, realizzando quello che lei ha appena detto, “come sarebbe a dire ‘capire che significa? ascoltare le sue spiegazioni’?? Che vuoi che significhi, Camilla? Che c’è da spiegare?! È tutto lì, nero su bianco!”
 
“No, Renzo, non lo è… io… d’accordo, diciamo che ti credo quando dici di avere trovato questa pagina del diario di Livietta e che non è una tua invenzione, ma… sono sicura che non significa quello che pensi tu, quello che può sembrare a prima vista-“
 
Può sembrare a prima vista?” domanda, incredulo, alzando la voce, come se avesse di fronte una pazza, “Camilla, come puoi, come puoi negare l’evidenza?! Capisco che per te sia… sia difficile da accettare, che hai bisogno di tempo per elaborare la botta, ma-“
 
“Non nego l’evidenza! Sto dicendo che sono sicura che… che non è come sembra, che c’è un malinteso! Renzo, ma tu pensi davvero che… che nostra figlia mi farebbe mai una cosa del genere? Che sarebbe riuscita a nascondermi una cosa del genere senza che… senza che mi rendessi conto che c’era qualcosa che non andava? Qualcosa di molto grave? Che Gaetano mi nasconderebbe mai una cosa del genere? Che avrebbe potuto fare finta di niente, come se niente fosse, che io non me ne sarei accorta se… non voglio nemmeno dirlo! Non è possibile, Renzo, non è possibile, non è nella loro natura… è... non sono loro!”
 
“Camilla, ascoltami,” pronuncia, paziente, con il tono che si rivolge di solito ad una bambina che non riesce a capire un concetto difficile, “lo so che è dura da accettare, lo so che… che il mondo ti sta crollando addosso, lo so. Però… Livietta, anche se… anche se fatico ad ammetterlo, sta diventando grande, non è una bambina, è quasi una donna e… e Gaetano è un uomo e, come ti dico da mesi, non è suo padre, non è un parente, sì, l’ha conosciuto da bambina ma non l’ha visto per anni. E il poliziotto-super-più, anche se mi costa ammetterlo è… è un ‘gran figo’, uno che fa girare la testa a quasi tutte le donne che incontra. Prendi una sedicenne in preda agli ormoni, aggiungici uno come il caro Gaetano che le sfila davanti giorno e notte… ed ecco che succede…”
 
“No, Renzo, non-“
 
“Ascoltami, non dico che Gaetano l’abbia provocata volutamente, è chiaro da quello che scrive Livietta che… che grazie al cielo lui l’ha respinta e… che non voleva di certo che lei si prendesse una cotta o – peggio – si innamorasse di lui. Ma è successo e a quel punto lui… lui si sarà spaventato, avrà capito di aver esagerato nel suo essere gentile per ingraziarsela e farsi bello ai tuoi occhi e che la cosa gli è sfuggita di mano. E ha volutamente fatto in modo che fosse Livietta stessa a pregarlo di non dirti niente, per… per cercare di salvarsi la faccia, anzi, se mi perdoni il francesismo, diciamo pure per pararsi il culo. Perché sapeva benissimo che, se tu l’avessi saputo, l’avresti lasciato, Camilla, e lui questo non lo vuole, almeno ancora per un po’, e se per questo Livietta deve soffrire o farsi venire chissà quali traumi psicologici irreparabili, chi se ne frega! Perché, anche se non lo vuoi accettare, Gaetano Berardi pensa solo ed unicamente al bene di Gaetano Berardi, è un egoista, anzi un narcisista, Camilla, un narcisista patologico e-“
 
“Basta! Gaetano non è un egoista, è la persona più generosa ed altruista che io conosca e… e non farebbe mai una cosa simile!! Se anche Livietta gli avesse mai confessato di provare… o mio dio… di provare qualcosa per lui, lui o me ne avrebbe parlato o, anzi, sarebbe… sarebbe sparito, si sarebbe fatto lui stesso da parte per non… per non rovinare il rapporto tra me e mia figlia. Ne sono sicura, Renzo!” afferma, decisa, guardandolo negli occhi e pregando che capisca, che si fidi di lei, del suo istinto, per una volta, che le permetta di gestire la situazione.
 
“Proprio come si è fatto da parte per non rovinare la nostra famiglia, no, Camilla?” domanda, sarcastico, scuotendo il capo, “Camilla, stai parlando dello stesso uomo che non si è fatto il minimo scrupolo a corteggiare una donna sposata, con una figlia di otto anni da crescere! Ma tu pensi davvero che al nostro poliziotto sia mai fregato qualcosa del benessere di Livietta? Di quello che era meglio per lei?!”
 
“Sì, Renzo, sì. Gaetano… Gaetano mi ha sempre rispettata, è sempre stato un gentiluomo con me, anche se non ci crederai. Sì, mi ha corteggiata, ma ha sempre lasciato che fossi io a decidere e quando… quando ho deciso di tagliare i ponti con lui, tutte le volte che ho provato a farlo, ha sempre rispettato la mia scelta e non mi ha più cercato. Non è… non è il mostro che dipingi: si ammazzerebbe piuttosto che fare del male a me o a Livietta, ne sono sicura!!” conferma, risoluta e perentoria, scacciando dalla mente quelle immagini che continuano ad avvelenarle il cervello e il cuore, “ci deve essere una spiegazione, Renzo. Sono sicura che è un malinteso!”
 
“E quale sarebbe la spiegazione, eh?! Che nostra figlia sta partecipando ad un concorso di scrittura creativa e ha deciso di cimentarsi in un romanzo degno delle Liaisons Dangereuses?! O che, ma guarda un po’ che caso, esiste un altro Gaetano, dagli occhi azzurri che le dà lezioni di difesa personale?!” sbotta Renzo, sarcastico, non potendo credere a quello che sta sentendo, fino a che punto arrivi la rimozione di Camilla pur di non accettare la realtà.
 
“Ma certo! Ma certo!” esclama Camilla d’improvviso, afferrando di nuovo il tablet e ritornando sulla pagina incriminata, leggendola ad alta voce per confermare la sua intuizione, “ascolta: Gaetano ha capito tutto, si è accorto di come lo guardavo… e ho dovuto confessargli ciò che provo. A lui ovviamente stava per venire un colpo e voleva dire tutto a mamma ma per fortuna sono riuscita a convincerlo a mantenere il segreto, perché a mamma e soprattutto a papà verrebbe un infarto se sapessero. Mi ha detto che devo togliermelo dalla testa, che è troppo grande per me e lo so che ha ragione, lo so che il mio è un amore impossibile, che lui non si interesserà mai a me…
 
“Camilla… lo so cosa dice quel maledetto diario! L’avrò letto un centinaio di volte e-“
 
“E non hai capito niente! Tu hai detto che… che questo era l’inizio di una pagina, no? Ma non è detto che sia l’inizio del diario di quel giorno. ‘Si è accorto di come lo guardavo’… lo può riferirsi a Gaetano, certo, ma potrebbe essere riferito anche a qualcun altro, ad un altro uomo o ragazzo e-“
 
“Per favore, Camilla, non posso credere che tu ti metta a fare l’analisi logica in un momento come questo e-“
 
A mamma e soprattutto a papà verrebbe un infarto se sapessero. D’accordo che Livietta ti conosce e sa come sei fatto ma… non credi che in questo caso l’infarto dovrebbe venire a me ancora più che a te?!” gli domanda, vedendo una luce, una flebile luce di speranza in questo tunnel in cui si sente precipitata, in questa specie di casa degli orrori, dove niente ha senso, dove tutto… dove tutto è un incubo a testa in giù.
 
“Sì, forse sì, ma Livietta sa che… che cosa penso di Gaetano e quindi-“
 
“E poi: ‘mi ha detto che devo togliermelo dalla testa, che è troppo grande per me…’. Troppo grande per me? Sì, è vero ma… tu al posto di Gaetano, se avessi avuto il sospetto che Livietta si fosse invaghita di te… se davvero Gaetano fosse l’egoista che dici tu… saresti andato da lei ad affrontarla invece di sperare di esserti sbagliato? Non solo, ma come prima obiezione le avresti detto: “sono troppo grande per te!”. E non qualcosa tipo “sono il compagno di tua madre!”?. Non ha senso lo capisci?!”
 
“Camilla… ma che dici? Questo non è un… non è un enigma, un mistero da investigare, non c’è niente da capire e non posso credere che tu ti stia attaccando le virgole… il nostro caro Gaetano sarà andato in panico e avrà sparato le prime cose che gli saranno venute in mente!”
 
“Appunto! A te in un momento del genere verrebbe in mente la differenza d’età?! Non solo a te o a Gaetano ma a chiunque? Non lo capisci che è l’ultimo dei problemi in questo caso?! Mentre non lo sarebbe se… se non si trattasse di Gaetano ma di un altro uomo più grande di lei-”
 
“Che si chiama Gaetano, che ha gli occhi azzurri e che le insegna difesa personale?!” ribadisce, tra il sarcastico e l’esasperato.
 
“No! Che non si chiama Gaetano ma che ha gli occhi azzurri e le insegna difesa personale,” ribadisce Camilla, chiarendo, quando Renzo la guarda come se fosse impazzita, “l’istruttore, Renzo! È un bell’uomo, ha gli occhi azzurri e insegna difesa personale. E che piace alle signore non c’è dubbio e credo non sia così improbabile pensare che possa piacere anche a nostra figlia!”
 
“Quel… quel… quel gentiluomo che ha mollato Barbara ubriaca in un pub?!” sbotta Renzo, scuotendo il capo e passandosi una mano sugli occhi: il solo ricordo di quell’idiota gli fa ribollire il sangue nelle vene. L’idea che Livietta possa essersi invaghita di lui, poi, non ne parliamo. Anche se… anche se deve ammettere che una parte di lui preferirebbe mille volte quest’ipotesi piuttosto che quella che si sia invaghita del poliziotto-super-più.
 
Barbara?” domanda Camilla, alzando un sopracciglio, stupita dal tono, dal modo con cui Renzo ha pronunciato il nome della Venere del Botticelli.
 
“Sì, insomma, la Venere del Botticelli, che mi è toccato trascinare a casa ubriaca persa,” corregge il tiro, non volendo certo che Camilla sospetti qualcosa, prima di tirare un profondo respiro e domandarle, guardandola negli occhi, “quindi… quindi tu mi vuoi dire che durante la vostra ultima lezione… quel… quel… insomma… l’istruttore è caduto sopra a Livietta come lei scrive qui?”
 
Camilla apre la bocca per parlare e la richiude, ammutolita. No, non è successo niente del genere e lo sa bene. Si sente come un palloncino pieno d’aria che si svuota di botto, cadendo a terra, sgonfio e vuoto.
 
“No… no, in effetti no…” ammette, massaggiandosi la fronte con una mano, mentre Potti, che regge con l’altro braccio, le lecca una guancia, come per farle forza.
 
“Camilla… per favore… cerca di… di guardare in faccia alla realtà! Lo so che non lo puoi accettare ma… è la verità… e lo sai anche tu che c’è una sola soluzione. Un’unica cosa da fare e-“
 
“Renzo… non… non è che non voglio guardare in faccia la realtà è che… è che non ha senso, lo capisci, non è possibile! Non è possibile, per come conosco nostra figlia da quando è nata, per come conosco Gaetano… se fosse successo qualcosa del genere tra loro me ne sarei accorta, non… non è possibile,” ripete, sentendosi come un disco rotto ma è l’unica certezza che ha in mezzo a questo delirio.
 
“Ripeterti una cosa in continuazione non la renderà vera. E continuare a negare la realtà non la renderà meno reale… non serve a niente, Camilla, l’ho imparato in questi mesi. Ti prego,” la implora, chiudendo l’ultimo passo di distanza tra loro e posandole le mani sulle spalle, “ti prego, ragiona! Vieni via con me e… e cerchiamo di ricostruire quello che resta di quella che una volta era la nostra famiglia. Non dico che dobbiamo tornare insieme per forza se non lo vuoi ma… dobbiamo pensare solo a Livietta adesso.”
 
“E verrò a Londra, e parlerò con Livietta, certo, ma… ma prima devo chiarirmi con Gaetano, Renzo,” risponde, facendo un passo indietro per sciogliere il contatto tra loro, “voglio sentire dalle sue labbra che cosa significa… tutto questo, voglio-“
 
“Per fare cosa, eh? Per farti intortare un’altra volta da lui?! Non c’è niente da capire, niente! L’unica cosa che dovresti fare è sbattergli in faccia questo… questo schifo e dirgli di andare all’inferno e di stare lontano da nostra figlia! Vorrei farlo io ma… ma se lo vedo ora… giuro che non rispondo di me!” esclama Renzo, la tentazione di andare da lui, dal poliziotto, e spaccargli la faccia è straripante e, se avesse scoperto quello che ha scoperto quando stava a Torino e non mentre era bloccato a Londra, molto probabilmente l’avrebbe fatto.
 
Ma ha avuto tempo di riflettere, di ragionare, e sa che quel bastardo ha un sacco di amici in posti che contano in polizia e non vuole, non può passare dalla parte del torto, non questa volta. Gaetano Berardi pagherà, eccome se pagherà, ma con qualcosa che gli farà molto ma molto più male di un suo cazzotto.
 
“E infatti sono sollevata che tu… che tu sia venuto da me invece di… invece di tentare un’altra rissa con Gaetano, anche perché come minimo ci saresti finito tu in ospedale,” sospira Camilla, la testa e il cuore che le scoppiano, sentendo che i punti di sutura, che tengono insieme la maschera di tranquillità e ragionevolezza che ha retto finora, stanno per cedere di fronte al desiderio di chiudersi in camera sua e crollare e piangere ed urlare, “ma Gaetano è il mio compagno e… dopo tutto quello che c’è stato tra di noi devo dargli una possibilità di spiegarsi, di… darmi la sua versione dei fatti. Glielo devo, Renzo!”
 
“Glielo devi? Glielo devi?!” esplode, non potendo evitare di alzare di nuovo la voce, “quando ero io a volerti dare una spiegazione hai… hai preferito condannarmi senza possibilità di appello per una fattura, per una fattura, Camilla! Io ci ho provato in ogni modo a spiegarmi con te e tu… e tu non mi hai voluto ascoltare dopo vent’anni di matrimonio! Qui hai la prova, nero su bianco di che razza di individuo ti sei portata in casa e dopo ben tre mesi di relazione, questo non ti sembra sufficiente per sbatterlo fuori non solo da questa casa – che tra parentesi sarebbe pure casa nostra – ma dalla tua vita? Dalla vita di tua figlia? Di nostra figlia!”
 
“Renzo, se parliamo di seconde, terze e anche quarte possibilità penso che tu non ti possa proprio lamentare e che sia stata fin troppo generosa con te, anche dopo che mi hai riempita di palle e lo sai!” sbotta, non riuscendo a sua volta ad evitare di alzare i toni, “e dopo non tre mesi di relazione ma dopo dieci anni di conoscenza in cui non mi ha mai mentito, non mi ha mai fatto del male e non mi ha mai dimostrato, nemmeno lontanamente, di essere una persona che possa fare quello… quello che sembra da quel maledetto diario… penso che almeno la possibilità di confrontarci faccia a faccia gliela devo, Renzo, e soprattutto la devo anche a me stessa e a Livietta!”
 
“L’unica cosa che devi, che dobbiamo a nostra figlia è proteggerla, tutelarla, ad ogni costo!” grida, deciso, perentorio, guardandola negli occhi come se fosse una pazza.
 
“E tu pensi che non lo sappia?! Che non sia quello che voglio anche io?!” ribatte, nello stesso medesimo tono.
 
“No! Io non posso credere a quello che sto ascoltando, Camilla! Tu sei…  sei talmente innamorata di questo… di questo… che sei accecata, anzi, ti accechi volontariamente pur di non guardare in faccia la realtà e non rinunciare a lui, alla tua… alla tua dose quotidiana. È come una droga per te!” grida Renzo, indignato, turbato e scioccato dal modo in cui Camilla si ostina a negare l’evidenza, “e il peggio… e il peggio è che pur di non rinunciare a lui sei disposta a continuare a mettere in pericolo nostra figlia! Per te conta di più lui e la vostra tresca che il benessere di Livietta-AH!”
 
Non può evitare un grido di dolore quando la mano di lei lo colpisce con una forza tale da fargli voltare il capo, gli occhiali che volano a terra. Scioccato, si tocca la guancia: riesce a sentire ciascuna delle cinque dita di Camilla stampate a fuoco, dallo zigomo alla mandibola.
 
“Non ti permettere mai più di dire una cosa simile! Mai più!” grida, indignata, Potti che abbaia come un ossesso in braccio a lei, mentre osserva Renzo che, spaventato, indietreggia di un passo e, guardandola di nuovo come se fosse una belva pericolosa, si abbassa a raccogliere gli occhiali, “io non metterei mai in pericolo Livietta, piuttosto mi farei ammazzare!! E se fosse davvero come dici tu, non solo caccerei Gaetano a pedate dalla mia vita e da quella di nostra figlia, ma lo spedirei a cantare in un coro di voci bianche! Ma prima di condannare una persona senza appello, non una persona qualsiasi ma una persona che conosco da una vita e che non mi ha mai dato motivo di dubitare di lui in passato, credo di dovergli dare almeno la possibilità di spiegarsi, la si concede perfino ai peggiori criminali ed assassini! Sarà un confronto duro, Renzo, te lo garantisco, ma… maledizione, credo che il mio istinto sulle persone funzioni, abbia sempre funzionato e... fidati di me: Gaetano non è quel genere di uomo, avrà i suoi difetti, non sarà perfetto ma non è quel genere di uomo. E Livietta non… nostra figlia non farebbe mai qualcosa del genere, piuttosto si sarebbe tenuta alla larga da Gaetano, l’avrebbe evitato in ogni modo pur di non ferirmi!”
 
“Camilla… ti ricordo che nostra figlia è la stessa che stava per fuggire di casa con un omicida! Ha sedici anni e ragiona con gli ormoni impazziti, come tutte le ragazze di sedici anni!” ribatte Renzo, massaggiandosi la guancia, per poi aggiungere, con un tono perentorio, duro e gelido che non gli ha mai sentito prima, “a cinquant’anni invece bisognerebbe ragionare con il cervello ma evidentemente non è così e tu ne sei la dimostrazione! Quindi no, anche se in generale il tuo istinto sulle persone potrà anche funzionare, non mi fido del tuo istinto quando si tratta del poliziotto, perché quando si tratta di lui tu non ci capisci più niente Camilla, non ci hai mai capito niente e diventi peggio di una sedicenne! E io non posso permettermi di rischiare sulla pelle di mia figlia! Come ti ho già  detto, devo proteggerla e tutelarla, ad ogni costo ed è quello che farò, con il tuo aiuto o meno, con le buone o con le cattive!”
 
“Che… che vuoi dire?” gli domanda, sempre più sconvolta e turbata, la mano che le fa male ma mai quanto il cuore, la testa che le scoppia, sentendo come se fosse in un frullatore da cui non riesce ad uscire.
 
“Che voglio, pretendo ed esigo che Gaetano Berardi non veda mai più nostra figlia, nemmeno con il binocolo! Quindi, Livietta rimane a Londra con me fino a che tu non avrai tagliato i ponti con lui e non avrai trovato un altro appartamento in cui stare. Questo possiamo venderlo o affittarlo nel frattempo, non mi interessa, ti darò tutti i soldi che ti servono ma non voglio che nostra figlia abiti più in questo palazzo!” intima, categorico, gli  occhi piantati nei suoi, senza nemmeno battere ciglio.
 
“Voglio? Pretendo? Esigo? Renzo, tu non sei il mio signore e padrone, questa è anche casa mia, al cinquanta percento e non puoi costringermi né a cambiare casa, né a tagliare i ponti con Gaetano. Dopo aver capito qual è la verità, deciderò io cosa è giusto per me e per nostra figlia!”
 
“Giustissimo, per la carità, tu decidi pure cosa ti sembra giusto per te. Vuoi chiudere gli occhi e mettere la testa sotto la sabbia? Fallo pure! Vuoi continuare a vivere qui e a viverti la tua tresca con il poliziotto? Fallo, ma senza mia figlia! Perché qui Livietta non ci mette più piede, fosse l’ultima cosa che faccio!”
 
“Ma che stai dicendo?! Cosa vorresti fare? Costringerla a stare con te a Londra?! Livietta è grande e decide da sola cosa fare e con chi stare e-”
 
“È grande ma è ancora minorenne Camilla, ricordatelo bene. E se tu vuoi… vuoi proseguire con questa follia, se vuoi distruggerti la vita… beh, libera di farlo, ma io prenderò tutti i provvedimenti per tutelare nostra figlia, anche di fronte alla legge, se necessario!”
 
“Renzo… che cosa stai dicendo?” sussurra, temendo la risposta, conoscendola nel suo intimo, perché non l’ha mai visto così… ha una luce quasi febbrile nello sguardo che la spaventa, perché sa che Renzo ha già deciso e non tornerà indietro.
 
“Che o tagli i ponti per sempre con il poliziotto e cambi casa e vita o mi costringerai a chiedere la separazione con addebito e l’affido esclusivo di Livietta. Credo che con quello che ho scoperto, con le prove che ho in mano, qualsiasi giudice mi darà ragione,” proclama, il tono solenne e piatto di chi non cambierà mai idea.
 
“Cosa?” sussurra, sentendo il mondo crollarle sotto i piedi, gli occhi, lo stomaco, la gola che bruciano e un senso di nausea talmente forte che la testa le gira e le sembra di essere su una barca con il mare mosso. Fa appena in tempo a crollare sul divano e a lasciare andare Potti, prima di rovinare a terra insieme a lui.
 
“Mi dispiace, Camilla, non vorrei arrivare a tanto, ma ci arriverò se non mi lasci alternative,” ribadisce Renzo, mentre Potti comincia ad abbaiargli alle caviglie, per poi correre da Camilla e rifare esattamente lo stesso, prima di mettersi in mezzo a loro e iniziare a guaire.
 
È come se anche il cagnolino sentisse, esattamente come loro, che una barriera invisibile è stata infranta, forse l’ultima, l’ultima di tante barriere di tanti limiti che entrambi non credevano avrebbero mai oltrepassato, nemmeno alla lontana, quando si erano promessi di amarsi per tutta la vita.
 
Il dado è tratto e da qui non si torna indietro, lo sanno entrambi, è come se l’ultima traccia rimasta dei vecchi Renzo e Camilla, dell’amore, della fiducia, della complicità che li aveva legati per venticinque anni, per una vita intera, fosse stata spazzata via da un tornado.
 
“Io non… io non ci posso credere. Dopo tutto quello che… che ho ingoiato… dopo che… dopo che non ti ho nemmeno chiesto l’addebito dopo la prima separazione, anzi, ho accettato un accordo per evitare di finire in tribunale a litigare e… e mettere Livietta di mezzo… tu… tu non puoi… maledizione, Renzo, non puoi fare una cosa del genere!” grida, la voce che si incrina e sparisce in più punti, trattenendo a stento le lacrime e la voglia di vomitare, “se anche… se anche davvero Livietta fosse pazzamente… pazzamente innamorata di Gaetano, non è una cosa da sbattere in piazza, da fare diventare un caso di stato, in tutti i sensi. Lo sai che i giornali ci andrebbero a nozze con una storia del genere, soprattutto visto che Gaetano è un vicequestore! E lo sai come dipingerebbero nostra figlia, eh?! Come una specie di… di Lolita, di mangiauomini! Dobbiamo pensare a Livietta, a tutelarla, a proteggerla e-“
 
“Ed è quello che sto facendo Camilla, è quello che voglio fare, insieme a te, se me ne darai la possibilità! Ma se così non fosse… preferisco ritrovarmi Livietta sulla copertina di un giornale, anche nei panni della mangiauomini, piuttosto che ritrovarmela a letto con il poliziotto-“
 
“Renzo, per favore!” urla, completamente sconvolta, soffocando un altro conato di vomito di fronte alle immagini che si alternano nella sua mente come in una specie di caleidoscopio rivoltante.
 
“Sono io che lo dico a te, Camilla, per favore, per favore, ragiona! Io adesso torno in aeroporto, a prendere l’aereo della sera. Spero… spero di vederti arrivare… se non oggi domani o dopodomani e spero di… di poter combattere questa battaglia insieme a te e non contro di te. Se vuoi tempo per… per ragionare, per decidere, per chiudere questa… questa chiamiamola storia con il poliziotto te lo lascio, ma non è un tempo infinito, Camilla. Perché, in ogni caso, Livietta non tornerà a casa tra una settimana e… dovrò spiegarle il perché. Spero di poterlo fare insieme a te,” pronuncia, prima di lanciarle un’ultima occhiata, un misto tra un’implorazione, un estremo appello ed un avvertimento, raccoglie la valigetta da terra e sparisce oltre il corridoio, inseguito da Potti.
 
Pochi secondi, la porta d’ingresso che sbatte e si lascia andare sul divano, le lacrime che la accecano, i singhiozzi che la soffocano, abbracciata a Potti, che le è saltato in grembo e le si è accoccolato sul petto, come ad un’ancora di salvezza.
 
***************************************************************************************
 
Bagnato e freddo, sente solo bagnato e freddo, anche se è estate e fuori ci sono più di trenta gradi.
 
Le lacrime ormai le ha esaurite, consumate, gli occhi che le bruciano, le guance che tirano e prudono e pizzicano da morire.
 
Potti invece continua a leccarle il collo, come a cercare di consolarla, anzi, di svegliarla, come faceva sempre tutte le mattine quando dormiva… quando dormiva sola.
 
Strizza ancora più forte le palpebre per cancellare l’immagine di Gaetano abbracciato a lei, accoccolato a lei, che le dà il bacio del buongiorno, che…
 
Lo sguardo le cade sul tavolo da pranzo lì vicino, sul vaso di cristallo con quella rosa rossa a gambo lungo che le aveva fatto trovare quella mattina al risveglio sulla penisola della cucina, insieme al cornetto per la colazione e al caffè già pressato nella moka, pronta da accendere.
 
Di nuovo serra gli occhi perché… perché quelle immagini bellissime, dolcissime sono peggio di uno schiaffo, perché non può credere che un uomo in grado di farla sentire adorata, venerata più di una regina, di una dea, con mille attenzioni, mille piccole ma enormi dimostrazioni d’amore, d’amore puro, sia lo stesso uomo descritto in quel maledetto diario. Non può credere che lui, Gaetano, il suo Gaetano, l’uomo più… più tenero, più buono, più meraviglioso che abbia mai conosciuto, possa essere stato capace di… di comportarsi come si è comportato non solo da quando sono insieme, ma anche e soprattutto nell’ultima settimana, di essere più dolce che mai, più premuroso che mai, più innamorato che mai, dopo che… dopo che, se deve credere a quelle righe, Livietta gli aveva confessato di…
 
Non può nemmeno pensarlo!
 
Può davvero un uomo, anche il più grande bastardo, il più grande attore, fingere in questo modo? Fare finta di niente e continuare come se nulla fosse dopo una rivelazione del genere?! Mentirle, nasconderle la verità su una cosa così grave e così sconvolgente?
 
Non può essere… non può crederci. Perché se così fosse, se davvero così fosse, vorrebbe dire che non ha mai capito niente, che non capisce niente, che non sa niente, che non può più fidarsi non solo di nessun altro, ma neanche e soprattutto di se stessa.
 
Ripensa a quelle parole che ha letto talmente tante volte da conoscerle a memoria, da averle marcate a fuoco nel cervello, lancia un’altra occhiata al tablet sul tavolino e poi scuote il capo e richiude gli occhi.
 
L’immagine di loro due insieme, lui sopra di lei, Livietta che lo bacia, li porta a riaprirli di scatto e a lanciare un urlo di rabbia, un basta verso se stessa, verso il suo cervello che continua a tornare su quell’immagine, a torturarla, a tormentarla.
 
Potti, spaventato, guaisce e si ritrae leggermente dal suo collo, guardandola negli occhi e Camilla butta il capo indietro, spingendolo nel cuscino del divano, guardando il soffitto come se dovesse rivelarle i segreti dell’universo.
 
E li rivede, li rivede abbracciati davanti alla porta di casa… e non era la prima volta che li sorprendeva così… era successo anche a Roma, prima che lui se ne andasse per prendere quel maledetto treno e anche qui  a casa a Torino, quando li aveva osservati mentre Livietta si confidava con lui.
 
Ma le erano sembrati abbracci così innocenti, così dolci, come… come gli abbracci che Livietta riservava a lei e a suo padre quando era più piccola, non ci aveva visto nessuna malizia, e poi Livietta lo abbracciava spesso anche quando lei era presente, a dimostrazione che non c’era niente da nascondere.
 
Non stai dimenticando qualcosa? – la voce di Livietta, in una quasi perfetta imitazione della sua, dopo che lei aveva fermato Gaetano per dargli un bacio. E in quell’occasione Livietta aveva riso e gli aveva lanciato le chiavi, come se fosse solo una presa in giro del loro modo di fare da diabete – come diceva Livietta – ma… ma poi quando erano tornati insieme dal pub quella sera… Livietta l’aveva baciato sulla guancia, subito dopo aver baciato lei.
 
Un bacio innocente, si era detta. Si era anche commossa, come Gaetano del resto. Era come se Livietta l’avesse… l’avesse accolto in famiglia, come se fosse quasi una figura paterna, un parente, uno di casa.
 
Ma… e se invece in realtà quegli abbracci, quei baci avessero avuto tutto un altro significato, almeno per Livietta? Se non avesse saputo, voluto vederne il reale significato perché… perché la realtà le avrebbe fatto troppo male?
 
Scuote il capo, ricordando quanto Livietta era sembrata triste e delusa quando lei e Gaetano avevano litigato e si erano lasciati a Roma. Quanto fosse felice per lei, per loro, quando erano tornati insieme, come praticamente l’aveva incitata a passare queste due settimane da sola con lui, come le aveva ribadito che per lei non c’era nessun problema se loro due convivevano, anche se avessero deciso di convivere stabilmente.
 
E se… e se Livietta… se Livietta invece in realtà desiderasse… desiderasse che Gaetano venisse a vivere con loro per… per poter passare più tempo con lui? Per avere più occasioni per avvicinarsi a lui per…
 
Scuote di nuovo il capo per scacciare quella voce, quella voce subdola che le sussurra nell’orecchio e che ha lo stesso tono di Renzo.
 
Non è possibile: sua figlia non le farebbe mai una cosa del genere. La conosce, lo sa, non… non la pugnalerebbe mai alle spalle in questo modo.
 
Ma Livietta passava un sacco di tempo con Gaetano, sembrava cercare occasioni su occasioni per stare con lui, anche da sola. Ad esempio questa passione improvvisa per lo sport e per l’autodifesa… quante volte erano andati ad allenarsi solo lui e Livietta. E lei non ci aveva mai visto nulla di male, anzi, a volte era stata proprio lei stessa a spingerli ad andare ad allenarsi da soli e ne era stata felice perché Livietta da quegli allenamenti tornava sempre più serena, più tranquilla, come se si fosse liberata da un peso, dalla rabbia.
 
Le torna in mente quella sera quando Livietta era scappata dopo la lite a cena con Renzo e… e si era rifugiata a casa di Gaetano, si era sfogata solo con lui, confidata solo con lui e aveva perfino passato la notte lì.
 
Ma Gaetano era tornato da lei, non era rimasto con Livietta, anzi, a quanto aveva detto, era stata Livietta stessa a chiedergli di venire a casa loro e passare la notte con sua madre, mentre lei rimaneva da sola nell’appartamento di lui a riflettere.
 
Mi chiedo se troverò mai qualcuno che… che mi guarda come lui guarda te, che mi vede come lui vede te! –  la vede e la sente pronunciare, come se fosse qui, davanti a lei, quel tono di… di invidia benevola, che l’aveva fatta sentire così fortunata ed orgogliosa della sua relazione con Gaetano e del fatto che sua figlia avesse ricominciato a vederla, a vederli come un modello, a desiderare qualcosa di simile per se stessa. E se l’era augurato davvero, che sua figlia potesse trovare un ragazzo meraviglioso come Gaetano, un ragazzo che… che rendesse Livietta felice quanto Gaetano la rendeva felice.
 
E se invece… e se invece quello che Livietta desiderava, quel qualcuno non fosse qualcun altro ma… ma Gaetano stesso? Se vedendola così felice e soprattutto vedendolo così… così dolce… così buono, così… così perfetto, così gentile e comprensivo anche con lei… se Livietta non avesse potuto fare a meno di innamorarsene, proprio come… come lei non aveva potuto non innamorarsene tanti anni prima?
 
Livietta è così simile a te! – le ricorda la voce di Gaetano. Glielo ripeteva spesso, che Livietta crescendo sembrava somigliarle ogni giorno di più, almeno caratterialmente. E allora… e allora era tanto strano immaginare che… che potesse avere i suoi stessi gusti in fatto di uomini? Che potesse magari essersi innamorata di Gaetano senza volerlo, senza accorgersene, come era successo a lei.
 
Non si sceglie chi si ama… quante volte se l’era ripetuto ed era vero, è vero. Certo ci si può allontanare, si può cercare di evitare l’altra persona, di dimenticarla ma… anche lei non avrebbe mai dovuto innamorarsi di Gaetano, non avrebbe mai dovuto farlo. Eppure era successo, nonostante tutti i suoi sensi di colpa e i suoi tentativi di fuga da quello che sentiva e che sente. E lei aveva quarant’anni, non sedici…
 
Magari Livietta non voleva… non voleva che capitasse… in fondo non era stata lei a confessarlo a Gaetano, non di sua iniziativa almeno. Magari avrebbe voluto tenerlo nascosto, come un segreto inconfessabile ma lui l’aveva notato perché… perché è pur sempre un investigatore di professione e Livietta a quel punto non era riuscita mentire e aveva dovuto ammettere quello che provava.
 
Ma poteva averlo notato lui e non lei, sua madre? È vero che Gaetano sembrava capirla anche meglio di lei, che magari quando stavano da soli ad allenarsi erano più vicini, c’era un maggiore contatto fisico – di nuovo quell’immagine di loro due a terra le causa un attacco di nausea – e Livietta non era riuscita più a dissimulare.
 
E magari… magari avevano deciso di tacere perché… perché non volevano farle male, perché sapevano che in ogni caso il rapporto sia tra lei e Livietta che tra lei e Gaetano sarebbe stato compromesso, forse per sempre e… non volevano perderla.
 
Ma poteva davvero non essersi resa conto di niente? Non essersi accorta che le due persone che amava e ama più al mondo le stessero mentendo… le stessero nascondendo un segreto così grande?
 
Certo, non aveva mai pensato che Renzo un giorno l’avrebbe tradita, ad esempio, e quando aveva avuto la conferma definitiva dei suoi sospetti il mondo le era crollato addosso ma… per l’appunto c’erano stati dei segnali che l’avevano messa in guardia. Con Renzo i rapporti non erano idilliaci da anni ma, nonostante tutto, nonostante le cose già non andassero bene per nulla, quando aveva iniziato la sua liaison con Carmen aveva notato che c’era qualcosa di… di storto… che lui le stava nascondendo qualcosa.
 
E non poteva pensare che Gaetano e Livietta invece fossero improvvisamente diventati così bravi a mentire, a dissimulare. Quando Livietta le nascondeva qualcosa prima o dopo se ne accorgeva sempre, sempre, magari non sapeva subito cosa c’era che non andava ma… sapeva che c’era qualcosa che non andava.
 
E Gaetano… Gaetano non riusciva mai a tenerle nascosto qualcosa a lungo… di solito le bastava uno sguardo per capirlo, non tanto per capire se mentiva, perché, a parte qualche piccola e stupida bugia, di solito non le mentiva, ma anche solo se stava omettendo qualcosa, che riguardasse le indagini o la sua vita privata, la loro vita privata.
 
Avrebbe dovuto cogliere qualche stranezza e-
 
Le torna improvvisamente in mente, come un flash, la sera dell’antivigilia della partenza di Livietta per Londra. Livietta era uscita per allenarsi un po’, così aveva detto, e poi era rientrata con Gaetano, anche se non erano usciti insieme. Gaetano aveva detto di averla trovata che correva e averle dato un passaggio e del resto lui era ancora impeccabile in giacca e cravatta. Quindi quella sera non si erano allenati insieme, di questo ne era sicura, non poteva essere successo quello che… quello che quel maledetto diario suggeriva. Almeno non quella sera.
 
Ma quella sera erano stati strani tutti e due… anche se non ci aveva più di tanto fatto caso. Livietta sembrava triste, malinconica, e lo era diventata ancora di più la sera successiva, quando si erano abbracciate e poi avevano fatto una battaglia di solletico sul letto di lei, tra i vestiti pronti per essere messi in valigia.
 
Pensava fosse solo per via della partenza, che forse aveva un po’ di timore a rimanere per tanti giorni con suo padre, dopo così tanto tempo a frequentarsi a malapena. Livietta le aveva detto che avrebbe sentito la mancanza sua e delle sue amiche e lei ovviamente le aveva creduto.
 
Gaetano invece sembrava serio, come incupito, come se avesse qualcosa che continuava a frullargli in testa, che continuava a rimuginare. Quando era scesa insieme a lui con la scusa di portare Potti a fare i suoi bisogni, in modo da poterlo salutare e dargli il bacio della buona notte con calma, gli aveva chiesto perché fosse così pensieroso, se fosse successo qualcosa. E lui aveva detto che c’era stato un problema sul lavoro con uno degli agenti, che aveva scoperto che aveva commesso un’irregolarità, anche se non grave di per sé, ma che temeva che potesse essere indice del fatto che questo agente si approfittava del suo ruolo per fini personali. E non sapeva cosa fare, se scatenare un polverone e probabilmente rovinargli la carriera, con il rischio di coinvolgere altre persone innocenti in un procedimento lunghissimo o chiudere un occhio per questa volta.
 
Camilla lo aveva rassicurato dicendogli che era convinta che avrebbe saputo valutare al meglio la situazione e l’agente e arrivare alla soluzione più giusta ed equa per tutti.

Si chiedeva adesso se fosse una specie di messaggio in codice, cifrato, se l’agente in realtà fosse Livietta e lui le stesse domandando, in un modo molto contorto, se confessare o meno. La sera dopo l’aveva visto più tranquillo e lui le aveva confermato che aveva risolto tutto per il meglio. Ma magari era solo sollevato per la partenza di Livietta, perché sperava che a Londra avrebbe incontrato qualcuno e si sarebbe fatta passare “la cotta” per lui.
 
Ma… Livietta al telefono le era sembrata tranquilla, aveva anche scherzato su lei e Gaetano raccomandando di “fare i bravi” in un modo così naturale e spontaneo. Non sembrava affatto che stesse parlando di un uomo di cui poteva essere anche solo attratta, per non dire innamorata.
 
E Gaetano… Gaetano era stato ancora più meraviglioso del solito, era stato attento, dolce, premuroso, avevano passato insieme praticamente ogni momento in cui lui non doveva lavorare.
 
E se fosse stato il senso di colpa a portarlo ad agire così? A compensare, ad essere ancora più… più galante, più affettuoso, più amorevole del solito? Se avesse voluto sfruttare ogni momento con lei perché… perché temeva che sarebbero stati gli ultimi?
 
Ma non era così, facevano  progetti per il futuro… lui sembrava sereno, in pace… come avrebbe potuto fingere così bene? Anche quando Livietta telefonava o avevano parlato di lei, sembrava così tranquillo, a suo agio, come se non avesse nulla da nascondere…
 
La testa le scoppia, si sente divisa in due, scissa in due e non sa più cosa pensare, cosa credere.
 
“Camilla!”
 
Serra ancora di più gli occhi, perché in mezzo al delirio di pensieri, di paure, in mezzo allo choc… inizia pure ad allucinare, tanto che le sembra di sentire il suono della sua voce e-
 
“Camilla! Camilla, ci sei?! Camilla, se ci sei rispondi!”
 
Spalanca gli occhi di scatto, quando oltre alla voce sente passi concitati che si fanno sempre più vicini e lui è lì, sopra di lei, un’espressione angosciata sul volto, che si riflette anche nel tono di voce, nel modo disperato con cui la chiama.
 
Gaetano frena bruscamente la sua corsa accanto al divano, non appena i loro occhi si incontrano e la vede lì distesa, più bianca del divano, il colorito cinereo, gli occhi rosso fuoco di chi ha pianto, le labbra morse e tormentate a sangue, Potti accoccolato su di lei come a vegliare, a proteggerla.
 
“Camilla!” esclama, la confusione e l’apprensione per averla trovata in quello stato che smorzano in parte l’incredibile sollievo che prova nell’averla trovata, nel sapere finalmente che è viva e che sta bene.
 
“Che… che ci fai qua? Che ore… che ore sono? È già ora… di cena?” balbetta Camilla, sfregandosi gli occhi, come per accertarsi che non sia un’allucinazione, che lui è davvero lì.
 
“Sono le tre, Camilla! Ti ho aspettata e aspettata e aspettata: avevamo appuntamento per pranzo, non ti ricordi? Non ti ho vista arrivare e ho cominciato a preoccuparmi e… ho provato a cercarti al telefono di casa, sul cellulare e non mi hai mai risposto, suonavano a vuoto e mi sono spaventato. Pensavo ti fosse successo qualcosa, che avessi avuto un incidente!” chiarisce, avvicinandosi ancora di più a lei, appoggiandole una mano sul ginocchio per spostarle le gambe e sedersi vicino a lei, mettendosele in grembo. Si blocca immediatamente quando lei scatta bruscamente e le ritrae, come se la sua mano scottasse, accovacciandosi in posizione fetale.
 
Camilla si aggrappa a se stessa, perché, al contatto della mano di lui, ha visualizzato di nuovo quella scena e le viene da vomitare, mentre la testa le gira. Ha paura, ha paura anche solo a vederlo, a guardarlo negli occhi, ha paura di cosa potrebbe leggerci. Certo che aveva sentito il telefono suonare, i telefoni suonare, ma… ma non si era sentita in grado nemmeno di alzarsi dal divano, figuriamoci di rispondere, di fare conversazione, si sentiva come paralizzata e… e non è sicura nemmeno di poterlo affrontare ora, di riuscire a guardarlo negli occhi che sembrano osservarla, studiarla con tanto amore, tanta preoccupazione e… e magari scoprire che è stata tutta una bugia, la peggiore delle bugie.
 
“Camilla, che cos’hai? Non stai bene?” le domanda, sempre più preoccupato, per non dire angosciato, perché Camilla sembra… sembra pietrificata, assente, robotica, in stato di choc… come quando l’aveva rivista la mattina dopo aver lasciato Renzo, anzi, peggio, molto peggio.
 
“Camilla… Camilla, amore, ti prego, parlami, dimmi qualcosa. Mi spaventi così. Che cosa ti senti?” le chiede, sedendosi ai suoi piedi e provando a poggiarle una mano sul braccio, ma lei lo scaccia con una forza quasi esagerata, violenta, come se… come se avesse paura di lui.
 
Rimane con le braccia rigide, semipiegate davanti al busto, i pugni contratti, come in posizione… in posizione di difesa, di parata, o forse di attacco, gli occhi chiusi, l’aria di chi sta trattenendo il pianto o un urlo o entrambi.
 
Ed è a quel punto che lui li nota, come un pugno nello stomaco, che nota quei segni sui suoi polsi, segni di dita che stanno per diventare veri e propri lividi.
 
Choc, catatonia, paura del contatto… i sintomi tipici dopo un aggressione, dopo un evento violento e traumatico. Gaetano sente una paura, una paura folle, mista a una rabbia cieca che monta e rischia di esplodere.
 
“Camilla, che ti è successo? Cosa hai fatto ai polsi? Qualcuno ti ha fatto del male, ti ha aggredita? Ti prego, rispondimi,” la esorta, non provando più a toccarla, prendendo in braccio Potti che, a causa dei movimenti bruschi di Camilla, era saltato giù dal divano, sul tappeto, e che guaisce, alternando lo sguardo tra entrambi, sembrando in ansia quanto lui.
 
Camilla deglutisce: sente i guaiti di Potti e la voce spaventata, ansiosa di Gaetano, sente quanto è in pena per lei e si sforza di aprire gli occhi e di guardarlo, di affrontare la realtà anche se ne è terrorizzata. Incontra quel blu, quel blu calmo e rassicurante, anche se adesso la sua espressione è contorta dalla paura, dalla rabbia, ma quegli occhi la guardano con lo stesso amore, la stessa dolcezza, la stessa cura di sempre, anzi, forse ancora di più. Non sono gli occhi di un bugiardo, di un uomo capace di mentirle su qualcosa di così grave, come quel maledetto…
 
Quasi inconsciamente, Camilla getta un’occhiata al tablet, che giace ancora sul tavolino da caffè. Gaetano segue lo sguardo di lei e lo vede, vede la custodia in pelle nera con inciso il logo della FerreRocasE, lo studio di Renzo e di Carmen.
 
Renzo…
 
“Renzo è stato qui? È stato lui a… a farti questo?!” le chiede, l’indignazione e la rabbia che prendono il sopravvento sulla preoccupazione, mentre non può evitare di cercare di nuovo di prenderle il braccio, per vedere più da vicino quei lividi, “ti ha toccata? Ti ha aggredita?”
 
“No!” nega, sottraendosi di nuovo al suo contatto e ritraendo il braccio, “cioè… Renzo… mi ha afferrato i polsi ma… voleva solo evitare che… che gli tirassi uno schiaffo o che lo sbattessi fuori di casa. Ma poi gliel’ho tirato lo stesso… l’ho anche buttato per terra… Potti l’ha pure morso…”
 
“Cosa?” chiede, sbigottito e non solo da queste rivelazioni, mentre lancia un’occhiata sconvolta a Potti che ricambia, apparentemente tranquillo – il cagnolino dolce e mansueto che non avrebbe mai ritenuto capace di far male ad una mosca, figuriamoci di mordere qualcuno, Renzo poi. Ma è ancora più sconvolto dal modo in cui Camilla le sta pronunciando. Un tono monocorde, robotico che riconosce e non gli piace per niente.
 
“Perché gli hai tirato uno schiaffo, Camilla? È successo qualcosa? Renzo ha fatto qualcosa?” chiede, non capendoci più niente, finché nota un dettaglio fondamentale, anzi, un’assenza fondamentale, “ma perché Renzo era qui? Non doveva essere a Londra? Livietta dov’è? Le è successo qualcosa?”
 
Camilla, al sentire pronunciare il nome della figlia si irrigidisce visibilmente, chiude gli occhi e Gaetano sente il cuore andargli nello stomaco a questa conferma indiretta.
 
“È successo qualcosa a Livietta, vero? Camilla, per favore, parla, così mi uccidi, che cos’è successo?!” la implora, provando a prenderle le mani, ma lei serra i pugni e se li porta davanti agli occhi.
 
“Dimmelo tu, Gaetano. Le è successo qualcosa?” trova finalmente il coraggio di chiedere, levando le mani dagli occhi e guardandolo, dritto in viso, per cogliere ogni espressione, ogni movimento, ogni esitazione.
 
“Io? Camilla, sei sicura di sentirti bene? Come faccio a saperlo… Livietta è a Londra e non la vedo e non la sento da prima di te,” le ricorda, sempre più preoccupato, non capendo cosa stia dicendo Camilla e temendo che sia nel pallone a tal punto da non ricordarsi dov’è la figlia.
 
“Non a Londra, Gaetano, qui a Torino, prima di partire. C’è forse qualcosa che mi devi dire?” gli domanda, risoluta, anche se si sta quasi scarnificando i palmi delle mani con le unghie, continuando a fissarlo, senza battere ciglio.
 
“Qualcosa che ti devo dire?” ripete, non capendo dove Camilla voglia andare a parare perché a Livietta di sicuro non è successo nulla di grave a Torino… non che lui sappia almeno….
 
Un dubbio improvviso lo coglie, mentre Camilla si volta bruscamente e afferra il tablet dal tavolino. Che sia… che sia per via della storia di Ferri?
 
“Che significa questo?” sibila Camilla, lasciandogli cadere il tablet sulle gambe, come se pesasse un macigno o fosse incandescente.
 
Gaetano, sempre più turbato e sconcertato, la guarda e poi guarda il tablet e vede un testo scritto.
 
Gaetano ha capito tutto, si è accorto di come lo guardavo… e ho dovuto confessargli ciò che provo. A lui ovviamente stava per venire un colpo e voleva dire tutto a mamma ma per fortuna sono riuscita a convincerlo a mantenere il segreto, perché a mamma e soprattutto a papà verrebbe un infarto se sapessero.
 
Lo scorre fino in fondo con lo sguardo, sentendosi quasi un guardone a leggere una cosa così intima, evidentemente un pezzo del diario di Livietta, contenente delle fantasie su Ferri che, seppur normalissime per una ragazza di sedici anni, avrebbe decisamente preferito non conoscere così nel dettaglio. In fondo per lui Livietta è come una nipotina e nel leggere quelle righe comincia sempre più a capire l’iperprotettività di Renzo, perché la sola idea di Livietta e Ferri in quella posizione o peggio… mentre fanno l’amore… non è qualcosa che avrebbe mai voluto immaginarsi.
 
“A Renzo sarà venuto davvero un infarto!” proclama ad alta voce, ma quasi tra sé e sé, capendo finalmente tutto, sollevando lo sguardo dal tablet per guardare negli occhi Camilla che lo osserva, seduta rigida come un palo, le mani strette a pugno, lo sguardo di chi sembra stia… trattenendo il respiro, anche se di questo invece non capisce assolutamente ancora il perché, “Renzo… Renzo si è messo a giocare a 007, ha letto il diario di Livietta ed è successo il finimondo, immagino… avrà rinchiuso Livietta in albergo sorvegliata a vista ed è corso qui da te a sfogarsi, giusto?”
 
Camilla non risponde, continua a guardarlo, sempre come se stesse trattenendo il fiato e forse anche il pianto o la rabbia.
 
“Mi dispiace, Camilla, non volevo che… che lo scoprisse in questo modo e che tu lo scoprissi in questo modo, io-“
 
“Mi stai dicendo… che quello… che quello che c’è scritto lì è… è vero?” sussurra, sentendo un dolore al petto talmente lancinante che davvero le viene il dubbio che le stia per venire un infarto, ma non le importa: la bocca amara, la testa che le scoppia, gli occhi che bruciano mentre le ritorna la voglia di piangere e urlare fino a non avere voce.
 
“Beh, sì, purtroppo sì, ma…”
 
Un rumore spaventoso, un misto tra un singhiozzo trattenuto ma esploso comunque ed un conato di vomito. Gaetano, atterrito, la vede portarsi le mani alla bocca, saltare giù dal divano e correre fino al lavandino della cucina – non sarebbe mai riuscita ad arrivare in tempo in bagno.
 
I conati che la scuotono fin nelle viscere, che sembrano essere finite sotto sopra, come tutto il suo mondo, Camilla vomita bile, aggrappata al bancone della cucina per non cadere a terra.
 
“Camilla!” la chiama Gaetano, correndole dietro, angosciato dal suo comportamento: l’aveva vista così solo una volta, non appena era passato il pericolo dopo aver creduto che lui fosse morto.
 
Ma allora era comprensibile, ora invece non capisce… certo la passione di Livietta per Ferri era preoccupante ma non… non in questo modo. Non si aspettava una reazione del genere nemmeno da Renzo, figuriamoci da lei.
 
“Camilla…” ripete, provando ad afferrarla per le spalle per sostenerla, per sorreggerle il capo, ma Camilla lo spinge via, sbilanciandosi rischiando quasi di precipitare a terra insieme a lui.
 
“NON… MI… TOCCARE!” grida tra i conati, fuori di sé, prima di doversi arrendere ai tremori che la scuotono e di abbassare la testa per vomitare altra bile.
 
Gaetano rimane paralizzato con la mano a mezz’aria, incredulo, sconvolto, scioccato da… dal tono e soprattutto dallo sguardo di lei. L’aveva guardato con odio, con disprezzo, come se fosse l’essere più rivoltante che fosse mai esistito.
 
Aveva visto quello sguardo solo due volte, ma per fortuna non era rivolto a lui ma a Misoglio e… e a Renzo dopo che aveva osato affermare quelle cose inconcepibili su lui e su-
 
Un colpo al cuore, netto, secco, il sangue che sembra corrergli tutto verso i piedi, si aggrappa a sua volta al bancone.
 
Non è possibile… non è possibile…
 
Lancia un’ultima occhiata a Camilla, accertandosi che non sembri in procinto di svenire e che possa rimanere per un attimo senza la sua supervisione, si volta e si lancia verso il tavolino, afferra quel maledetto tablet e rilegge.
 
Gaetano ha capito tutto, si è accorto di come lo guardavo… e ho dovuto confessargli ciò che provo. A lui ovviamente stava per venire un colpo e voleva dire tutto a mamma ma per fortuna sono riuscita a convincerlo a mantenere il segreto, perché a mamma e soprattutto a papà verrebbe un infarto se sapessero.
 
O mio dio…
 
Tenta di fare scorrere il testo indietro e avanti ma c’è solo quello, c’è solo quello. È un’immagine, un brano di diario.
 
Con le gambe molli e vacillanti, come se stesse camminando sulla melassa, si avvicina di nuovo a Camilla, sentendo come se una pugnalata l’avesse trafitto da parte a parte, un nodo in gola. Ora capisce, capisce tutto e non ci può credere, non può credere che lei davvero pensi che…
 
“Camilla… Camilla ascoltami… tu… tu non penserai che… cioè… non penserai mica che… che l’uomo per cui Livietta ha perso la testa, di cui parla qui… non penserai che si tratti di me, vero?” pronuncia con voce roca mentre alla paura, al terrore gelido che sente fin nelle ossa di cosa questo potrebbe significare per lei, per loro, per Livietta, si alternano l’incredulità e l’indignazione.
 
Camilla, dopo un ultimo conato solleva lo sguardo dal lavandino. Il viso completamente bagnato di lacrime, la pelle di un colorito verdognolo, gli occhi talmente iniettati di sangue, spalancati, atterriti da sembrare spiritata.
 
E Gaetano ha la sua risposta.
 
“Camilla… come puoi… come puoi anche solo dubitare una cosa del genere?!” esclama, mentre il pugnale nel petto sembra ruotare una, due, tre volte, conficcandosi sempre più a fondo, “dopo tutto quello che c’è stato di noi, dopo che ci conosciamo da una vita, dopo che conosci tua figlia letteralmente da una vita! Come puoi pensare che… che ti faremmo mai una cosa del genere? Che lei… che lei potrebbe mai e che io… che io… avrei potuto nasconderti una cosa del genere?! Ma che uomo pensi che sia, eh?!”
 
Camilla sente di poter tornare a respirare, come se il mondo avesse ripreso a girare nel verso giusto, come se finalmente tutto potesse cominciare di nuovo ad avere un senso. Lo sente, lo vede che è sincero, non le serve nemmeno sapere di chi parli quel maledetto diario, per avere conferma che è un malinteso, come ha sempre pensato e sperato.
 
“E infatti non lo credevo, non ci potevo credere! Ho… ho aggredito Renzo per difenderti, Gaetano, maledizione!” urla e anche Gaetano non ha bisogno di altre conferme per capire che, grazie al cielo, lei gli crede, che è sconvolta, distrutta, ma terribilmente sincera, “ti ho anche chiesto che significava, volevo… volevo sentire la tua versione, ti ho chiesto conferma due volte e tu.. tu mi hai detto che era tutto vero che-“
 
“Sì, perché è vero quello che c’è scritto lì, ma non credevo che… che tu potessi averlo interpretato come… pensavo che sapessi tutto… che Renzo sapesse tutto, che avesse parlato con Livietta, che-”
 
“No, Renzo non ha parlato con Livietta, ha letto quel pezzo, solo quel pezzo del suo diario e… e puoi immaginare cosa ha capito… e si è precipitato qui a… a dirmi che…” si interrompe perché un altro conato di riflesso la scuote, anche se non esce più nulla, nemmeno la bile.
 
Gaetano, preoccupato, si avvicina a lei, passandole un braccio intorno alla vita per sorreggerla e tira un sospiro di sollievo quando Camilla non si scosta più ma anzi si appoggia a lui, abbandonandosi tra le sue braccia, permettendogli di aiutarla, mentre lei, tremando ancora come una foglia – probabilmente per via di tutta la tensione accumulata e dello choc – apre l’acqua per cercare di sciacquarsi il viso e lavare via almeno i segni più evidenti delle lacrime e del vomito.
 
Mentre la tiene stretta tra le sue braccia, Gaetano mette insieme gli ultimi pezzi del puzzle e capisce finalmente tutto: lo schiaffo a Renzo, lo stato dei polsi di Camilla, Renzo a terra, morso perfino da Potti. Immagina come Camilla debba aver reagito alle accuse di Renzo, come aveva reagito già l’altra volta che Renzo aveva insinuato quelle cose inconcepibili ma… ma ripassando il testo deve ammettere che… che leggendo solo quello chiunque avrebbe capito che…
 
“Solo quel pezzo? Ma certo… che coincidenza sfortunata!” sibila quasi tra sé e sé, colto da una rivelazione.
 
“Che vuoi dire?” chiede Camilla, avendo sentito tutto, voltandosi tra le sue braccia e sollevando il viso, ancora fradicio, per guardarlo.
 
“Che probabilmente il carissimo Renzo ha letto ben più di quello che dice di aver letto e ha… estrapolato proprio il pezzo migliore o magari l’ha pure modificato per farti pensare che parlasse di me, Camilla,” soffia, porgendole l’asciugamano e desiderando solo strozzare l’architetto per tutto quello che ha fatto passare a Camilla e per quello che ha rischiato di fare passare a lui.
 
“No, Gaetano, no, questo te lo garantisco!” afferma, convinta al cento per cento, sicura di sé, “anche io l’ho pensato, all’inizio ho pensato addirittura che… che si fosse inventato tutto per… per infangarti ma… era davvero sconvolto, sconvolto come non l’avevo mai visto. Mi ha detto che è capitato su quella pagina per caso mentre… mentre usava il computer di Livietta e che poi Livietta è rientrata in stanza e lui è riuscito a leggere solo quello e a scattare una foto a quella schermata e nient’altro, perché poi Livietta si è insospettita e ha messo la password al computer. Diceva la verità, Gaetano, era convinto di quello che credeva di avere scoperto, ne sono sicura, purtroppo!”
 
Perché, Camilla lo sa benissimo, il fatto che lei creda a Gaetano, che lei sappia che è stato tutto un malinteso, non significa che sarà così semplice anche con Renzo, affatto. Renzo è determinato come non l’ha mai visto prima, determinato ad andare fino in fondo con i suoi propositi e se non lo fermano in tempo, se non riescono a spiegargli, a fargli capire cos’è successo, a fargli comprendere che Gaetano non è e non sarà mai una minaccia per Livietta… sa benissimo che quello che resta della loro famiglia, del rapporto tra loro e con Livietta sarà distrutto per sempre, se non riescono a bloccarlo e a chiarirsi con lui prima che sia troppo tardi.
 
E il primo passo è capire esattamente cosa è successo realmente a Livietta e che significa quello che c’è scritto su quel maledetto diario. Si scosta dall’abbraccio di Gaetano, sentendosi abbastanza forte e abbastanza stabile per riuscire di nuovo a camminare.
 
Gaetano la osserva, preoccupato, ma lei gli fa un cenno come a dire che va tutto bene, anche se la sua espressione è serissima, grave, solenne.
 
“Dobbiamo parlare, Gaetano, molto seriamente,” afferma, sedendosi di nuovo sul divano, mentre Potti, che era rimasto ad osservarli in disparte, si piazza vicino ai suoi piedi.
 
“Va bene,” annuisce, seguendola e accomodandosi accanto a lei, aggiungendo con un sospiro, guardandola negli occhi, “immagino tu voglia sapere di chi stava parlando Livietta nel suo diario… chi è l’uomo per cui si è presa una cotta o… di cui, considerato… quello che ha scritto… a questo punto temo che sia proprio innamorata.”
 
“Per cominciare, sì,” conferma, ricambiando lo sguardo.
 
“Si tratta di… di Ferri, l’istr-“
 
“L’istruttore di difesa, lo sapevo, lo sapevo!” esclama Camilla, non sapendo se essere più sollevata o più preoccupata.
 
Perché Ferri non è Gaetano, certo, grazie al cielo, è un poliziotto e non un serial killer o un tipo alla bello e dannato stile Bobo, e oltretutto è bellissimo e corteggiatissimo non solo dalle signore over anta del corso, ma da ragazze, anzi, da donne altrettanto bellissime, per quanto leggere, come quella Barbara, disposta perfino a spappolarsi il fegato per lui. Non che Livietta non sia bellissima, lo è, Camilla lo sa bene, ma è ancora una ragazzina e le probabilità che uno come Ferri, abituato ad avere a sua disposizione donne che sembrano uscite da un concorso per aspiranti veline e soubrette, molto più grandi, più formose e più… disinvolte di sua figlia, si accorga proprio di Livietta sono veramente basse.
 
È ed è destinata a rimanere una di quelle cotte impossibili ed innocue per un uomo più grande, di solito un insegnante appunto, che capitano a quasi tutte a quell’età.
 
Ma sa già che Renzo, anche se riusciranno a chiarire il malinteso, non la vedrà così, perché Ferri è un uomo di trent’anni che probabilmente gli ricorda fin troppo Gaetano, tra il fisico, gli occhi azzurri, il successo con le donne, e che oltretutto Renzo disprezza per via della vicenda con la Venere del Botticelli e considera una specie di satiro.
 
“Come, lo sapevi?” la voce stupita di Gaetano interrompe i suoi pensieri e le sue paure, riportandola alla realtà presente.
 
“Cioè non è che lo sapessi con certezza ma… lo sospettavo. Uomo più grande, occhi azzurri, lezioni di difesa… ho anche provato a dirlo a Renzo che poteva essere lui ma-“ si blocca, ricordando un dettaglio fondamentale, che non torna, non torna affatto.
 
“Ma?”
 
“Ma… in quel diario si dice che… che durante l’ultima lezione, lui le avrebbe insegnato una mossa antistupro e sarebbero finiti a terra, con lui… sopra di lei,” pronuncia a fatica, perché l’immagine mentale di Livietta con Ferri, per quanto sicuramente infinitamente meno sconvolgente di quella di sua figlia e Gaetano, non è certo ciò che una madre vorrebbe visualizzare in dettaglio. Scuote il capo e guarda Gaetano dritto negli occhi, prima di domandare quello che a questo punto teme di domandare, “ma… a quella lezione c’ero anche io e non è mai successo niente di simile…”
 
Gaetano annuisce, sospira e si passa una mano tra i capelli, chiaro sintomo di disagio.
 
“C’è qualcos’altro, non è vero? Qualcos’altro che io non so di questa storia?” chiede, anche se è più un’affermazione, sentendo che la risposta non le piacerà.
 
“Sì, Camilla… Livietta non… non si riferiva alle lezioni ufficiali, diciamo,” chiarisce con un altro sospiro.
 
“Vuoi dirmi che-“
 
“Ti ricordi mercoledì scorso, quando io e Livietta… siamo tornati insieme, lei da un allenamento e io dal lavoro?” le chiede e Camilla annuisce: certo che se lo ricorda, era proprio la serata in cui li aveva visti così strani, lei triste e malinconica e lui preoccupato.
 
“Mi hai detto che… che vi eravate trovati per caso per strada, mentre lei stava correndo…” gli ricorda con un’occhiata eloquente, intuendo benissimo che le cose non erano andate così, affatto.
 
“Sì, lo so, ma… ma non era vero, Camilla. O meglio, era vero solo in parte,” ammette, prendendo un respiro prima di spiegare, guardandola negli occhi, “ci eravamo incontrati per caso sì ma… ero andato nella palestra dove eravamo stati anche insieme, ti ricordi? Visto che Livietta si era così appassionata alla difesa personale e alle arti marziali, ero andato per chiedere informazioni per un corso a settembre... ma arrivato lì mi sono trovato di fronte Livietta, anzi, Livietta e Ferri.”
 
“Si… si stavano allenando, insieme?” domanda Camilla, la conferma che Gaetano le abbia mentito, le abbia nascosto qualcosa che la colpisce come uno schiaffo, dopo tutto quello che è successo nelle ultime ore.
 
“No… si erano… si erano già allenati… penso sia… sia quando è successo… l’incidente di cui Livietta scrive nel suo diario. Quando li ho visti io erano nel parcheggio, parlavano, scherzavano, ridevano e… e stavano per andare via in moto insieme.”
 
“Che cosa?!” esclama, incredula, lo schiaffo che diventa un pugno nello stomaco perché… perché questo cambia, cambia tutto. Altro che cotta impossibile ed innocua!
 
“Sì… io chiaramente mi sono preoccupato e mi sono anche arrabbiato... e li ho affrontati, o meglio, ho affrontato soprattutto lui. Mi hanno spiegato che… che si erano messi d’accordo per fare delle lezioni extra di difesa personale, per recuperare quelle che Livietta aveva perso e-“
 
“E pure di educazione stradale?! Di nascosto?!” sbotta Camilla, guardandolo negli occhi, furiosa, non potendo credere a quello che sta sentendo, a quello che significa quello che sta sentendo.
 
“Lo so… Camilla, è la stessa cosa che ho detto io a loro, praticamente parola per parola. E… e Livietta mi ha detto di essere stata lei a… a chiederglielo e a decidere di fare tutto di nascosto per… per non creargli problemi visto il regolamento e… e lui ha detto invece che la colpa era sua e che non voleva che si sapesse che dava lezioni private a Livietta perché nessuno pensasse che volesse farmi indirettamente un favore, insomma… che fosse un tentativo di corruzione. Io gli ho detto chiaramente che questo era molto ma molto peggio e che non sarebbe finita lì e poi… insomma… ho fatto in modo che Livietta tornasse a casa a con me. Le ho parlato e le ho detto chiaro e tondo che… che avevo visto come lo guardava, come gli parlava, che avevo capito che le piaceva e molto e che doveva toglierselo dalla testa, che lui è troppo grande per lei e che alla sua età una storia con un uomo di trent’anni… insomma, che poteva farsi molto male. Lei ha cominciato a dirmi che lo sapeva, che lui non aveva mai fatto nulla di male e che comunque non si sarebbe mai interessato a lei e-“
 
“E tu le hai creduto?!” gli domanda, con un sopracciglio alzato.
 
“Sì e no… cioè… sul fatto che tra loro non sia successo niente di… di… di concreto, sì, le ho creduto e quel diario in un certo modo lo conferma, no?” risponde e Camilla deve ammettere che è vero, “però… sul fatto che lui non sia interessato a lei… diciamo che ho visto come la guardava, come le parlava e… e ho capito subito che Livietta non gli era affatto indifferente come lei crede. Ma ovviamente questo a lei non l’ho detto perché non volevo certo incoraggiarla a provarci con lui.”
 
“Gaetano,” sibila, sul viso un’espressione di rabbia trattenuta ma che sta per esplodere che le ha visto poche altre volte nella vita, che non promette niente di buono, “mi stai dicendo che… che mia figlia di sedici anni si vedeva di nascosto con un uomo che ha il doppio dei suoi anni, che le piace da morire, anzi, diciamo pure di cui è innamorata e a cui mia figlia piace parecchio, anche se probabilmente lui invece non ne è innamorato ma posso immaginare a cosa sia interessato, e tu lo sapevi e non mi hai detto niente?!”
 
L’ultima domanda viene pronunciata in quello che è praticamente un urlo, l’espressione da leonessa che protegge i suoi cuccioli che Gaetano le ha visto usare ogni volta che Livietta era in pericolo, ma mai, mai rivolta a lui. Capisce immediatamente di avere sbagliato tutto, di avere fatto una cazzata, una cazzata epocale.
 
“Lo so, lo so, hai ragione, hai ragione, ho sbagliato, ho sbagliato a non parlartene e ti chiedo scusa, Camilla. Ti giuro che volevo farlo, anzi, che ho cercato di convincere Livietta stessa a parlartene, come… come c’è scritto anche su quel maledetto diario,” assicura, sollevando le mani in segno di resa, sperando che lei capisca quanto è sincero.
 
“Ma non l’hai fatto…” sibila di nuovo Camilla, serrando le labbra e la mascella, non sembrando per nulla addolcita.
 
“No, perché… Livietta mi ha implorato di non dirti niente… non voleva che ti preoccupassi e soprattutto che… che lo venisse a sapere suo padre e… insomma… sapeva che avrebbe fatto fuoco e fiamme e-“
 
“Ma io non sono Renzo! E non sono mai stata irragionevole riguardo a mia figlia, mai! E tu avevi il dovere di dirmelo!”
 
“Lo so… ma… mi ha garantito che era l’ultima lezione e che… dopo l’ultima lezione ufficiale non l’avrebbe mai più rivisto. Che era solo una cotta e le sarebbe passata, come capita a tante adolescenti e che non era il caso di farti preoccupare e scatenare un polverone per qualcosa che non era mai successo e non sarebbe mai successo e-“
 
“E tu le hai creduto?!” esclama, alzando le mani e gli occhi al cielo e scuotendo il capo.
 
“Mi è sembrata sincera Camilla e… e comunque mi sono ripromesso di verificare ma… ma non volevo tradire la sua fiducia e-“
 
“Tradire la sua fiducia?!” sbotta, incredula, non potendo evitare di alzare di nuovo la voce, “e la mia fiducia allora? Gaetano tu sei il mio compagno, non sei il migliore amico di Livietta e dovresti essere leale prima di tutto con me!”
 
“Lo so e lo sono, Camilla, ma… maledizione, mi è sempre sembrato che… che tu ti fidassi del mio giudizio riguardo alle… alle confidenze di Livietta… anche se non te le riportavo ogni volta, anzi che… che tu fossi contenta che si confidasse con me invece che… che con le sue amiche. E avevo paura che se… che se Livietta avesse capito che te ne avevo parlato, visto che sembra accorgersi praticamente di qualsiasi cosa facciamo… insomma… che avrebbe smesso di confidarsi con me e che se fosse successo qualcos’altro con… con Ferri o con chiunque altro non me l’avrebbe mai detto e-“
 
“Esattamente come ti aveva detto delle lezioni con Ferri o di essersi presa una cotta per lui, no?!” gli fa notare, scuotendo il capo, sospirando e massaggiandosi le tempie, prima di guardarlo negli occhi e domandargli, “Gaetano, ma tu pensi sul serio che Livietta ti avrebbe mai detto qualcosa di questa storia se tu non l’avessi beccata con… con le mani nella marmellata? Che ti direbbe qualcosa se dovesse rivedere Ferri o… o se dovesse succedere qualcosa con lui, visto che sa benissimo che né tu, né io, né suo padre approveremmo? È un’adolescente, Gaetano, un’adolescente! E anche se non concordo con Renzo quando pensa che dovrebbe essere murata in casa e guardata a vista, io con gli adolescenti ci lavoro, li conosco e so che quando si innamorano o… o comunque quando perdono la testa per qualcuno, perdono la testa appunto, spesso non ragionano e… e soprattutto non si arrendono così facilmente e arrivano a fare delle… delle follie, delle stupidate colossali! Vedi la storia di Bobo! E poi c’è pure la controparte, cioè Ferri. Se è stato capace di darsi appuntamento con Livietta di nascosto in quel modo, se come dici tu Livietta gli piace – e immagino che intenzioni possa avere con una sedicenne – anche se Livietta fosse sincera e convinta di riuscire a mantenere la sua promessa, se lui invece la cercasse ancora? Se insistesse? Se la… se la seducesse? È un trentenne, Gaetano e con… chiamiamola l’esperienza che ha, come minimo Livietta se la mangia in un boccone!”

“Lo so, Camilla, lo so, pensi che non ci abbia pensato e che sia ingenuo a tal punto?! È ovvio che chi mi preoccupava di più è sempre stato Ferri e ti garantisco che non l’ho presa sottogamba, anzi. Ho fatto indagini su di lui, ho un dossier su di lui nella scrivania del mio studio degno dei servizi segreti! So vita, morte e miracoli su di lui, su cosa fa, su dove vive, su chi frequenta di solito, sui suoi studi, sulla sua carriera… conosco più cose su di lui che sui miei agenti e ti garantisco che anche sui miei agenti sono più che scrupoloso. E ho scoperto che sì, piace molto alle donne e le donne gli piacciono ma… ma non è mai venuto fuori niente riguardo alle sue allieve, anzi, tutte le persone con cui ho parlato mi hanno parlato benissimo di lui, me l’hanno dipinto come un’ottima persona prima che un ottimo agente, buono, generoso, senza nessun’ombra nella sua vita o nel sul curriculum, affidabile, che non ha mai dato segni di aggressività o instabilità e soprattutto che è sempre stato molto professionale e onesto e-“
 
“E grazie, ci credo, bella forza: se fa le cose di nascosto! Alla faccia del professionale e dell’onesto!”
 
“Lo so, è quello che temevo anche io, che fosse… che fosse un viscido e un furbo della peggior specie, che la sua reputazione fosse solo una facciata e dopo le ricerche sono andato ad affrontarlo di persona, prima della vostra ultima lezione. L’ho minacciato di denunciarlo per quello che aveva fatto e l’ho volutamente provocato riguardo alle sue intenzioni con Livietta, sul fatto che volesse approfittarsi di lei e che aveva il coltello dalla parte del manico con una sedicenne e… e non so come spiegartelo, Camilla, ma ha parlato di lei con un… non solo con affetto, ma con rispetto, quasi ammirazione. Gli ho mostrato il… il dossier su Bobo per fargli capire perché… perché Livietta non potesse permettersi un’altra batosta del genere, che qualcuno si prendesse ancora gioco di lei e… e l’ho visto veramente indignato nei confronti di Bobo, credo che se non fosse in galera, sarebbe andato a cercarlo per dargli una lezione. Ti garantisco che… che Ferri tiene molto a Livietta, sul serio, tiene al suo bene, al fatto che stia bene e sono sicuro che si sia fatto e si farà da parte e non la cercherà più.”
 
Camilla non risponde, si limita a guardarlo, ancora delusa, delusa da questa bugia, da quello che significa, da quello che comporta e comporterà.
 
“Camilla, per favore, mi conosci, lo sai che non… che non farei mai niente che possa mettere in pericolo Livietta, che puoi fidarti di me e del mio istinto sulle persone e-“
 
“E infatti io mi sono fidata di te e ti ho lasciato praticamente carta bianca con Livietta! E, ti ripeto, non pretendevo che tu venissi a parlarmi di ogni singola cosa che lei ti confidava, ma pensavo che se fosse successo qualcosa di grave o di preoccupante, come in questo caso, ovviamente tu me l’avresti riferito. Ti ho già detto una volta che non pretendo che tu mi racconti ogni singola cosa che ti succede Gaetano, l’ordinaria amministrazione, diciamo, ma che se scopri o se succede qualcosa che può avere ripercussioni gravi su di me o sulla nostra famiglia, esigo che tu me lo dica, perché ho il diritto di saperlo!”
 
“Lo so, ho sbagliato, ma ti garantisco che sono stato più che scrupoloso, come e più che se Livietta fosse stata mia figlia e-“
 
“Ma Livietta non è tua figlia!” esclama Camilla e Gaetano si sente come se gli avesse tirato uno schiaffo, anche se sa che è vero, “e anche se probabilmente avrai anche avuto ragione, anche se il tuo istinto sicuramente non si sarà sbagliato, non avevi il diritto di decidere tu anche per me! Dovevi parlarmene e dovevamo valutare insieme, Gaetano, insieme. E poi probabilmente avrei concordato con te, ma non è questo il punto! Il punto è che sono io la madre di Livietta ed ero la sola – insieme a Renzo, con cui sicuramente parlerei di più, se fosse ragionevole quando si tratta di nostra figlia – ma comunque ero la sola ad avere il diritto e il dovere di decidere il da farsi. E siccome per l’appunto Renzo è irrazionale quando si tratta della vita sentimentale di Livietta e siccome sono l’unica che può e quindi deve prendersi la responsabilità di decidere in casi come questo, vorrei, anzi, ho bisogno di sapere che il mio compagno mi aiuta, mi sostiene nel mio ruolo di madre, che posso fidarmi ciecamente di lui, che è al mio fianco in tutto, e non che invece mi mette i bastoni tra le ruote, minando oltretutto la mia autorità nei confronti di mia figlia!”
 
“Minando la tua autorità? Camilla, io non ho mai fatto e non farei mai niente del genere, io-“
 
“E far passare il messaggio a Livietta che è lecito e normale nascondermi una cosa del genere, con la tua complicità oltretutto? Secondo te che cos’è, eh? Livietta mi ha sempre parlato delle sue vicende sentimentali prima… prima della separazione e di tutto quello che è successo, e vorrei che capisse e sapesse che può farlo anche adesso, perché io la sosterrò e non la giudicherò ma la aiuterò a trovare la strada giusta e ci sarò a sorreggerla se cadrà e si farà male. E che essere adulti significa avere il coraggio di prendersi la responsabilità delle proprie scelte, delle proprie azioni, di dire la verità sempre, anche quando sappiamo che non piacerà agli altri o che sarà scomoda, non di nascondersi. Era quello che speravo avesse capito vedendo… vedendoci insieme, vedendo quello che abbiamo superato per stare insieme, quello che stavamo affrontando per stare insieme, ora che finalmente avevo trovato il coraggio di essere sincera io per prima su tutto, ma… evidentemente non l’hai capito neanche tu, Gaetano, e come può capirlo Livietta se tu per primo le mostri che è lecito, che è normale mentire alle persone che diciamo di amare?”
 
Per Gaetano è come un pugno allo stomaco… sentire il tono di Camilla, vedere il suo sguardo, così carico di delusione e di… di tradimento. Sa di avere sbagliato, sa che ha ragione ad essere furiosa e ha paura, ha paura di aver compromesso, forse irrimediabilmente, la fiducia che Camilla aveva nei suoi confronti.
 
“Camilla, mi dispiace, hai ragione, hai ragione ho sbagliato, ma ti amo da morire e voglio un bene dell’anima a Livietta e non… non volevo mentirti, e sì, lo so che tra omissione e bugia non c’è differenza, ma… mi dispiace, ti giuro che ho capito e che non succederà mai più! Camilla, ti prego, devi credermi, io ho il massimo rispetto di te come… come madre oltre che come compagna e non avevo la benché minima intenzione non solo di mettere in pericolo Livietta, ma nemmeno di… di minare il tuo ruolo o crearti problemi con Livietta o-“
 
“Lo so, ma l’hai fatto lo stesso, Gaetano. E le scuse non servono, non bastano, perché ormai la frittata è fatta!” proclama, guardandolo negli occhi, delusa ed arrabbiata, non sa se più con lui o con se stessa e soprattutto spaventata, “tu non ti rendi conto delle conseguenze di quello che è successo! Per… per colpa di questa storia io rischio di perdere mia figlia e-”
 
“Camilla, non ti sembra di stare esagerando? Lo so che sei spaventata dal fatto che a Livietta piaccia un uomo tanto più grande di lei, ma non è successo niente e sono sicuro che non succederà niente di male. Possiamo parlarle, spiegarle, non è capitato nulla di irreparabile e-“
 
“E invece sì. O se non è capitato sta per capitare! Non sto parlando dell’istruttore, Gaetano, sto parlando di me, di Renzo e di Livietta e che, comunque vadano le cose, mia figlia rischia di non avere più due genitori!”
 
“Ma che stai dicendo? Che vuoi dire?” le chiede, confuso e turbato da questa affermazione e dal tono disperato di Camilla.
 
“Che Renzo era fuori di sé dalla rabbia e dalla preoccupazione e mi ha dato un ultimatum, Gaetano. O ti lascio, vado con lui e Livietta a Londra e cambio casa e non ti vedo più o… o chiederà la separazione con addebito e l’affido esclusivo di Livietta. Mi ha minacciato di… di portare davanti al giudice quel pezzo di diario e-“
 
“Che cosa?” sussurra, sentendo il sangue gelarsi nelle vene, comprendendo ancora di più perché Camilla fosse così sconvolta, mentre l’indignazione sale e monta, “ma come ha potuto?! Dopo tutto quello che ti ha fatto passare con Carmen… dopo tutti questi anni di matrimonio non può farlo, non può-“
 
“E invece può, purtroppo, e lo sai benissimo, visto che, di fatto, a questo giro, sono io che ho una relazione con un altro uomo e… e sinceramente, Gaetano, da un lato lo capisco: prova a metterti nei suoi panni, se tu credessi che… che il nuovo compagno di Eva fosse un pericolo per Tommy, non faresti lo stesso? Se tu fossi stato al posto di Renzo e avessi… avessi letto quel pezzo di diario, non avresti reagito così?”
 
“No, perché sarei andato a parlare con mia figlia che, a differenza di Tommy, non ha cinque anni e può esprimersi, le avrei chiesto che significa e avrei chiarito l’equivoco prima di scatenare questa tragedia greca! Mentre Renzo, come al suo solito, ha scelto la strada più facile e invece di affrontare sua figlia o al limite me, ha preferito pensare subito al peggio e venire a sputare veleno con te e a lanciare ultimatum!” esclama, deciso, prima di aggiungere, più calmo, cercando di tranquillizzarla, “comunque sia è stato solo un malinteso, Camilla e una volta che verrà chiarito Renzo non potrà non-“
 
“Renzo non potrà cosa?! Ma tu pensi davvero che sia così semplice, Gaetano?! Io lo conosco, non l’ho mai visto così… così furioso, così deciso e secondo te sarà semplice farsi ascoltare da lui, riuscire a fargli credere che è stato tutto un equivoco? E anche se ci riuscissimo, sai cosa succede se parla con Livietta prima che ci chiariamo con lui? Livietta non lo perdonerà mai per aver pensato… quello che ha pensato di lei e di te, mai. E proprio per questo ringrazio il cielo che sia venuto da me prima di scatenare il finimondo con lei e soprattutto che non si sia messo a fare rissa con te, ci mancava solo quello!”
 
“Ma Camilla, se non le ha ancora parlato, se ti ha lanciato questo ultimatum evidentemente… evidentemente voleva che ne parlaste insieme a Livietta e aspetterà. Siamo ancora in tempo per… per chiarire, per fermarlo. È tornato a Londra o è ancora a Torino? Possiamo andare a parlargli e-“
 
“E ti ripeto, pensi che sarà facile convincerlo che è stato un malinteso? E anche una volta che riusciamo a spiegarci e scoprirà che no, Livietta non si è innamorata di te, ma di un uomo di trent’anni che lui considera una dongiovanni della peggior specie e che nostra figlia si è vista con lui di nascosto e tu lo sapevi e li hai coperti… cosa pensi che succederà, eh? Che ti farà i complimenti? Se io, io che ti amo e ti conosco e mi sono sempre fidata di te sono furiosa con te per questo, come pensi reagirà Renzo?” sbotta, amara, sarcastica dura, trafiggendolo con un’occhiata che è come una pugnalata, “te lo dico io come reagirà: non farà mai un passo indietro, anzi, tirerà dritto per la sua strada, perché si convincerà ancora di più che tu sei un pericolo per Livietta, una pessima influenza su di lei e… e finiremo in tribunale e-“
 
“E se anche fosse, Renzo non ha alcuna speranza di vincerla una causa del genere, Camilla. Né quella dell’addebito, visto che lui per primo ti ha tradito con Carmen e l’ha anche richiamata a lavorare con sé, tutte cose che distruggono la fiducia coniugale, sia quella sull’affido di Livietta. Perché anche se lui dovesse portare quel pezzo di diario come prova, ovviamente il giudice vorrà verificare il documento originale e da lì cosa emerge? Sì, che non ti ho parlato di una cotta di Livietta ma che non l’ho certo istigata ad avere una relazione con uomo di trent’anni, anzi, ho pure cercato di farla desistere. E forse non sarò perfetto, e avrò sicuramente sbagliato, ma non per questo qualcuno ti toglierebbe l’affido di Livietta, ma nemmeno lontanamente, perché non è certo colpa né mia né tua se a Livietta piace qualcuno che Renzo non approva!”
 
“Gaetano, possibile che non capisci? Che non capisci che, comunque vadano le cose, che io vinca o perda quella dannata causa, se finiamo in tribunale il rapporto che abbiamo con Livietta non tornerà mai quello di prima e Livietta non ce lo perdonerà mai, soprattutto visto che in un processo del genere ci toccherà mettere in piazza non solo i nostri affari, ma soprattutto i suoi! Si sentirà violata nella sua intimità, Gaetano e sai cosa vuol dire una cosa del genere a sedici anni? Soprattutto se capita per colpa dei tuoi genitori e-”
 
“Per colpa di Renzo se mai e-“
 
“E per lei non farà differenza, Gaetano! Perché penserà che è colpa di entrambi per essere arrivati a quel punto, che avremmo dovuto e potuto evitarlo!” esclama, passandosi di nuovo una mano sugli occhi, “e il problema è che non so come fare per evitarlo, per calmare Renzo. L’unica speranza che avevo di… di farlo ragionare, sarebbe stata se… se l’avesse saputo da me di Ferri o quantomeno se quando mi ha mostrato quel maledetto diario, io gli avessi potuto dimostrare che sapevo e che… che avevo preso le dovute contromisure. E invece-“
 
“Invece cosa? Vuoi dire che è colpa mia? Che se tu e Renzo finirete in causa è colpa mia?!” domanda, non potendo credere a quello che sta sentendo, non potendo evitare di alzare la voce e di guardarla questa volta lui come se l’avesse tradito, pugnalato, “d’accordo, ho sbagliato a non parlarti di Ferri, ho sbagliato e ti chiedo perdono e ti giuro che non succederà più e me ne prendo la responsabilità ma… ma se Renzo ha deciso di spiare Livietta – per caso o non per caso – e poi di saltare alle conclusioni e venire qui chiedendoti la mia testa e poi, anche dopo le nostre spiegazioni, deciderà di essere irragionevole e di arrivare a trascinarti in tribunale per una cosa del genere, facendola pagare non solo a te, ma soprattutto a sua figlia, la colpa è solo ed esclusivamente di Renzo, non di certo mia!”
 
“Gaetano-“
 
“No, Gaetano niente! Ti rendi conto che Renzo aspettava solo questo, era lì in agguato, in attesa del mio primo errore, che non vedeva l’ora di farmela pagare e di poterti dire: ‘te l’avevo detto?’. Che probabilmente pure se su quel diario Livietta non avesse fatto il mio nome ma avesse solo parlato di un uomo con gli occhi azzurri o più grande di età, Renzo avrebbe pensato subito a me? Che già mi accusava senza il minimo straccio di elemento in mano solo perché Livietta e io andiamo d’accordo?”
 
“E appunto per questo dovevamo stare doppiamente attenti, Gaetano, tutti e due… per dimostrargli che si sbagliava, che si sbaglia, non prestando il fianco alle sue paure e alle sue accuse e invece-“
 
“E invece ho fatto un errore, lo so, ho sbagliato, Camilla, lo riconosco e capisco che tu sia arrabbiata per la storia di Ferri e, ti ripeto, mi prendo ogni responsabilità anche di fronte a Renzo, ma del mio errore, non delle paranoie e degli sbagli di Renzo! Che cosa pretendevi da me, da noi due? La perfezione? Che non facessi mai alcun passo falso, che fossi sempre impeccabile? Lo vorrei anche io, vorrei davvero esserlo, Camilla, vorrei essere il compagno perfetto e non deluderti mai ma sono umano e… non mi sono mai trovato in una situazione di questo tipo, a… a essere il compagno di una donna con una figlia adolescente. E ce la sto mettendo tutta, ti prometto che sto facendo e farò del mio meglio per fare il meno errori possibili, per imparare dai miei sbagli e non ripeterli, ma… purtroppo probabilmente ne farò ancora, anche se in buona fede, e ho bisogno di sapere che potremo affrontarli insieme, che potrai anche arrabbiarti e potremo discutere, litigare ma che non… che non presterai tu il fianco a Renzo nei suoi tentativi di dividerci, condannandomi senza appello ad ogni mossa sbagliata!”
 
“Io non ti sto condannando senza appello, Gaetano. Ma sono arrabbiata e delusa perché… perché scoprire che mi hai mentito, che mi hai nascosto una cosa così… così grave mi fa male, molto male e poi sono spaventata per quello che succederà con Renzo, lo capisci?!” esclama, guardandolo negli occhi, pregandolo di comprendere, sentendosi come se le fosse passato sopra un treno. E lo sguardo ferito di lui, quello sguardo da cane bastonato, il tono di chi si sente tradito non la aiutano di certo, anzi, le fanno ancora più male.
 
“Sì, lo capisco e, ti ripeto, hai ragione, ma non puoi mescolare le due cose e dare a me la colpa di tutto. Sembra che con Renzo tu non sia arrabbiata, anzi sei perfino comprensiva dopo tutto quello che ha detto, quasi… quasi rassegnata, perché Renzo è così, Renzo è irrazionale e irragionevole quando si tratta di Livietta, quindi Renzo può sbagliare, anzi, quasi ti aspetti che sbagli ma io no! Se vuoi sfogarti io sono qui, ma non posso prendermi tutta la colpa di tutto,” ribatte, nello stesso identico tono di lei, un misto tra delusione, amarezza e desiderio, bisogno che lei capisca.
 
“Io non pretendo che tu sia perfetto, Gaetano, che non sbagli mai, ma che tu sia sincero con me sì. Se pretendo di più da te che da Renzo è perché Renzo mi ha già delusa in molte, in troppe occasioni, anche e soprattutto dal punto di vista della sincerità. Dopo quello che ho passato con lui e Carmen ho bisogno di sapere che l’uomo che ho accanto è sincero, leale ed onesto, che posso contare su di lui per sapere la verità, anche quando è scomoda o può fare male o può fare paura. Ce lo eravamo promessi, te lo ricordi? E se me lo aspetto e se sono rimasta così delusa è proprio perché ho sempre pensato che fossi la persona più sincera, onesta e leale che abbia mai conosciuto, mi sono sempre fidata di te e-“
 
“Davvero? Peccato che sia bastato un pezzo di un diario per farti dubitare non solo del fatto che avessi potuto mentirti, ma proprio su una cosa… inconcepibile e gravissima come il fatto che tua figlia potesse essersi presa una cotta per me. Per farti dubitare anche di tua figlia: bella fiducia!” sbotta, perché quel dubbio di Camilla gli brucia ancora dentro come una lama incandescente.
 
“Non ho dubitato di te, ti ho sempre difeso a spada tratta, Gaetano, anche oggi e mi è bastata una tua parola per crederti, una tua parola, senza nemmeno che tu mi dovessi spiegare nulla! Se non mi fossi fidata di te, non avrei mai iniziato una relazione con te, non ti avrei mai portato nella vita di mia figlia! E ti garantisco che se in quel diario ci fosse stato il nome di chiunque altro invece che il tuo, mi sarei comportata molto ma molto diversamente e a quest’ora l’uomo in questione si ritroverebbe a dover declinare il suo nome al femminile e cambiare genere all’anagrafe!”
 
“Non avresti dovuto avere bisogno nemmeno di una parola, Camilla, perché non avresti dovuto avere il minimo dubbio su una cosa del genere! Perché se fosse mai successa una cosa del genere, probabilmente sarei stato io per primo a farmi da parte e a… ad allontanarmi per non compromettere il rapporto tra te e tua figlia, perché lo so e l’ho sempre saputo quanto Livietta è importante per te e che senza di lei non puoi essere felice e che Livietta viene e verrà sempre prima di me, ed è giusto così e-“
 
“Ed è quello che ho detto a Renzo oggi, parola per parola. Non che Livietta venga prima di te, ma che tu mi ami a tal punto che per proteggermi e tutelare il rapporto con mia figlia saresti stato capace di allontanarti e magari prenderti pure le colpe di tutto, farmi pensare che eri uno stronzo, piuttosto che distruggere il rapporto tra me e Livietta e-“
 
“Mi fa piacere che tu con Renzo mi abbia difeso a spada tratta, Camilla, peccato che invece quando eravamo soli io e te, ti siano venuti i dubbi su tutto, quindi questo significa che li avevi anche quando mi difendevi da Renzo. E a quel punto mi viene spontaneo chiedermi chi stavi difendendo: se me o te stessa e il tuo orgoglio, Camilla, il tuo orgoglio nei confronti di Renzo! Forse per cercare di mascherare il potere… l’influenza che ha ancora su di te,” esprime, guardandola negli occhi, il dubbio che lo sta tormentando.
 
“Orgoglio? Potere? Influenza? Ma che stai dicendo?!” gli domanda, incredula e confusa.
 
“Il fatto che non vuoi ammettere con lui e forse neanche con te stessa che l’opinione di Renzo, quello che Renzo pensa e crede, per te ha ancora un peso e non solo perché è il padre di Livietta o per l’affidamento di Livietta ma perché… perché nonostante tutto quello che è successo, nonostante tu ti aspetti che lui sbagli e sia irrazionale e irragionevole, lo giustifichi appunto e soprattutto le sue parole, le sue opinioni ti influenzano ancora, hanno il potere di destabilizzarti e di metterti la pulce nell’orecchio. Se tu avessi scoperto della storia di Ferri, che ti avevo nascosto questa cosa, in un altro modo, non da Renzo, se non fosse c’entrato Renzo, ti saresti arrabbiata, lo so, e avresti avuto ragione ad arrabbiarti, ma non… non avresti reagito in questo modo!”
 
“È perché mi è arrivato addosso tutto insieme, Gaetano, non per Renzo, non lo capisci? È perché proprio nel momento in cui avevo più bisogno di avere conferme del fatto che posso contare su di te, conferme della tua sincerità, della tua lealtà nei miei confronti, scopro che mi hai nascosto una cosa e non di poco conto. E la mazzata è stata doppia, ovviamente!” esclama, trafiggendolo con un’altra occhiata eloquente, prima di prendersi la testa tra le mani.
 
“E qui torniamo sempre allo stesso punto, cioè che ho sbagliato, è vero, ma tu… tu non dovresti avere bisogno di conferme per sapere che puoi contare su di me e che, anche se ogni tanto sbaglio, non lo faccio in cattiva fede, che ti sono leale, sempre e non ti mentirei mai per farti del male, non ti farei mai del male!” ribatte, allungando le mani per prendere quelle di lei, scoprendole di nuovo gli occhi e il viso, “Camilla, tu a Roma mi hai detto che senza la fiducia non si va da nessuna parte ed è vero. E io ho paura che… che una parte di te stia sempre lì a temere la fregatura, a temere che ti deluderò… forse come ti ha deluso Renzo o peggio, non lo so. E il problema è che Renzo forse lo percepisce, anche solo inconsciamente, e… e continua ad attaccarmi, a cercare di minare la fiducia che hai in me, a cercare di metterti contro di me, a cercare di farci lasciare, come dimostra il suo ultimatum di oggi.”
 
“Ma se ti ho difeso sempre, SEMPRE, praticamente ho tagliato i ponti con Renzo per settimane dopo quello che aveva detto su di te e Livietta e sono ancora furiosa con lui per questo ma-“
 
“Ma gli permetti lo stesso di condizionarti, Camilla, di farti male, di farci male. E ho paura, Camilla, ho paura perché… perché se tu non hai la massima fiducia in me e io in te se non… se non facciamo fronte comune ci distruggeremo,” pronuncia, stringendole le mani e guardandola negli occhi, “non solo perché se non siamo uniti, se non ti fidi di me al cento per cento, sarà davvero impossibile riuscire a convincere Renzo che non sono un pericolo per tua figlia e che mettere su un processo sarebbe inutile, che non concluderebbe niente, che avrebbe solo da perderci. Ma anche e soprattutto perché, nel caso in cui comunque non riuscissimo a convincerlo, se davvero si finisse a processo… so cosa succede in questi casi e sicuramente… sicuramente Renzo e i suoi avvocati tireranno fuori il peggio su di me, dal mio passato da… da playboy, mi dipingeranno come l’uomo peggiore del mondo. E anche se, ti ripeto, credo che Renzo non abbia speranza di vincerla una causa, io ho paura che… che tu non solo arriverai a dubitare sempre di più di me, ma soprattutto che arriverai a… a covare risentimento, odio nei miei confronti, ad incolparmi per questa situazione, per… per il fatto che, se non fossi stato presente nella tua vita, se non avessi fatto questo sbaglio con la storia di Ferri, non ci saresti arrivata in tribunale e non avresti mai rischiato di perdere tua figlia. Che arriverai a pentirti di quello che c’è stato tra noi. E io non voglio questo, non potrei sopportarlo, Camilla e se dobbiamo arrivare a questo, se non sei davvero sicura di me, pronta a combattere con me, per me, per noi due, per un futuro insieme, come ti ho già detto, preferisco farmi da parte e… lasciarti libera di cedere al ricatto di Renzo. Almeno non andremo inutilmente al massacro, tu, io e anche Livietta per poi perderti lo stesso e nel modo peggiore.”
 
Silenzio, il silenzio più totale e gelido. Camilla lo guarda a bocca aperta, incredula, un nodo in gola e nello stomaco, se prima era sotto un treno ora… ora non riesce nemmeno più a definire cosa sente, un misto di dolore, rabbia, senso di colpa ed incredulità.
 
Sta per aprire bocca, per ribattere, quando squilla il cellulare. Il cellulare di Gaetano. Una suoneria che è ormai familiare ad entrambi, visto che li ha interrotti un’infinità di volte.
 
Torre.
 
“Devo rispondere…” sospira, estraendo il telefono dalla tasca, “Torre, sì, no, tranquillo, è qui con me, sì, sì, no non ha avuto un incidente, fisicamente sta bene. Che cosa? Il questore? Ora? Ma io non-. Ho capito, ho capito, sì, arrivo, a tra poco.”
 
“Il questore mi vuole parlare per l’omicidio-suicidio, a quanto pare… e non posso rifiutarmi. Devo andare… del resto… forse è meglio così… abbiamo parecchio su cui riflettere, no?” chiarisce, il tono e lo sguardo carichi di stanchezza e di una pacatezza che la spaventa.
 
Camilla non riesce a parlare, è sfiancata, distrutta, non sa spiegare nemmeno a se stessa cosa prova, figuriamoci spiegarlo a lui.
 
Gaetano serra la mandibola e le labbra, annuisce, non sa se a lei o a se stesso, si alza dal divano e, dopo averle lanciato un’ultima occhiata, si avvia fuori dalla porta.
 
***************************************************************************************
 
Sono ormai passate le diciannove e Gaetano non è ancora tornato.
 
Dopo aver guardato quel maledetto orologio per una ventina di volte, Camilla non ce la fa più, non ce la fa più a stare su quel divano abbracciata a Potti. Ha riflettuto, eccome se ha riflettuto, ora non è più tempo di riflettere o di piangere o di commiserarsi, deve agire.
 
Si alza, decisa a prendere la situazione in mano, il toro per le corna. Deve farsi ascoltare e non si arrenderà fino a che non l’avrà fatto. Va in camera sua per fare quello che aveva in mente di fare quella mattina, prima che scoppiasse il finimondo: cambiarsi e uscire di casa.
 
Indossa i vestiti che aveva già preparato per la giornata e vede la valigia, anzi, le valige già pronte: avrebbero dovuto partire insieme quella sera, chissà per dove… Gaetano non glielo aveva mai detto.
 
Certo che le vacanze e i viaggi non portano proprio bene… spera che quella valigia non gli serva per altri motivi – è il suo unico pensiero, prima di finire di prepararsi a tempo di record, afferrare la borsa e uscire di casa.
 
***************************************************************************************
 
“Camilla?! Camilla?! Potti, dov’è Camilla?”
 
Il cane gli risponde nell’unico modo in cui può farlo: abbaiando e dando zampate alla porta.
 
“È uscita, vero?” sospira, passandosi una mano sugli occhi prima di guardare l’orologio, “sono le otto passate, ma dove può essere?!”
 
Potti, per tutta risposta, abbaia e corre verso la cucina, continuando ad abbaiare in direzione del bancone sopra al quale Camilla tiene la scatola dei croccantini, prendendo la ciotola lì vicino in bocca e guardandolo scodinzolando.
 
“Poté più la fame della gelosia…” commenta tra sé e sé, sorriderebbe se non fosse preoccupato: per uscire dimenticandosi di dare da mangiare a Potti, Camilla doveva davvero essere sconvolta, nel pallone.
 
“Ecco qui,” proclama, chinandosi per versarli nella ciotola, su cui Potti si lancia con appetito, “contento te… questa roba ha un odore terribile. Sa di… pesce marcio?!”
 
Si guarda intorno perché i croccantini di Potti puzzano, è vero, ma non in questo modo. Il fatto che ormai riconosca l’odore dei croccantini di Potti o che inizi anche lui a parlargli come se potesse dargli risposta di solito lo farebbe, di nuovo, sorridere o preoccupare. Ora gli causa solo un nodo alla gola.
 
Gli bastano pochi secondi per riconoscere la fonte dell’odore: ci sono due contenitori di plastica ancora sul bancone, vicino ad una borsa frigo aperta. Apre uno dei due contenitori e il tanfo aumenta in maniera esponenziale: tramezzini di tonno, rimasti probabilmente tutto il giorno fuori dal frigo. E lo stesso vale per una povera cheesecake al limone che ha decisamente visto momenti migliori.
 
Il pranzo che Camilla avrebbe dovuto portargli.
 
E poi era arrivato Renzo…
 
Un altro nodo in gola, svuota i contenitori nell’immondizia, chiudendo il sacchetto per portarlo nel cassonetto prima che appesti tutta la casa. Ma se per il mangiare non c’è più niente da fare, non vuole e non può pensare che il loro rapporto possa fare la stessa fine. Non vuole e non può gettarlo via, gettarli via né per colpa di Renzo, ma soprattutto non per colpa sua.
 
Dopo aver riempito la ciotola dell’acqua di Potti, ormai a secco, prima che il cagnolino si strozzi con il mangiare, prova a chiamare Camilla, ma il telefono non è raggiungibile.
 
“Abbiamo parecchio su cui riflettere… abbiamo parecchio su cui riflettere?! Lo so Potti, non guardarmi così, hai ragione: sono un idiota, un cretino! Sarei dovuto rimanere qui con Camilla per parlare, per chiarirmi con lei, anche solo per starle vicino, con tutto quello che le è successo oggi, e mandare a quel paese il questore e il suo tempismo!”
 
Potti abbaia tre volte, sembrando quasi annuire. Se sul fatto che lui sia un idiota o se sul mandare a quel paese il questore o entrambe le cose non avrebbe saputo dirlo.
 
***************************************************************************************
 
“Basta, sono stufa di stare qui fuori, peggio di una stalker: adesso entro,” decide d’impulso, scendendo dall’auto, prima di cambiare idea.
 
Sa di essere in condizioni pietose, dopo quasi mezzora passata nell’auto rovente aspettando di vederlo uscire. L’auto di Gaetano è parcheggiata vicino alla sua, quindi deve essere ancora lì dentro, ma non voleva entrare e rischiare di interrompere un meeting con il questore: ci mancava solo quello per completare la giornata e irritare ancora di più Gaetano.
 
Ma, dopo mezz’ora di attesa, non vuole certo passare la notte a fare la sauna lì fuori.
 
“Professoressa, che ci fate qui? State bene? Oggi ci avete fatto prendere un bello spavento!”
 
“Torre!” lo saluta, grata del fatto che l’ispettore sia uscito proprio in quel momento, “sì, sto… sto bene… cercavo Gaetano, so che aveva un incontro con il questore ma ho bisogno di parlargli. Sa se ne avrà ancora per molto?”
 
“Non lo so, professoressa, il dottore non c’è…”
 
“Ma c’è qui la sua macchina,” gli fa notare, indicandola.
 
“Sì, ma… è che andato via con l’auto di servizio del questore, dovevano andare su una scena del crimine vicino alla Mole… poi non li ho più visti, non so se a questo punto torneranno o no… perché non provate a chiamarlo sul cellulare? Tanto anche se sta con il questore… voi non lo disturbate mai, lo sapete…”
 
Camilla si limita ad annuire: altro che non disturbare mai, se Torre sapesse…
 
“D’accordo, Torre, grazie, buona serata!”
 
“Anche a voi, e grazie ancora per la cena di ieri sera. E per le ricette!”
 
Camilla di nuovo riesce solo ad annuire: se pensa a com’erano sereni e spensierati la sera prima. Sembrava una vita fa…
 
Sapendo che non c’è alternativa, estrae il cellulare di tasca, decisa a chiamarlo, e si rende conto solo in quel momento che è spento… batteria esaurita. Per fortuna ha il caricabatteria in auto.
 
Quando finalmente riesce ad accenderlo, viene sommersa da messaggi di chiamate perse: Gaetano.
 
Incredibilmente sollevata dal fatto che lui l’abbia cercata, si affretta a richiamarlo.
 
“Camilla, finalmente, dove sei? Cominciavo a preoccuparmi!” risponde dopo uno squillo, l’ansia evidente dal tono di voce.
 
“Sono… sono davanti alla questura… non tornavi e… e ho deciso di venire io a cercarti… temevo che non rientrassi a casa o che… che rientrassi tardi, visto come ci eravamo salutati… ti ho aspettato per un po’ ma non uscivi e… e poi Torre mi ha detto che eri via con il questore. Sei ancora con lui?”
 
“No, Camilla, sono a casa già da quasi mezzora ormai…” replica, decisamente sollevato e rincuorato, non solo di averla trovata e che non le sia successo niente, ma dal fatto che lei sia andata a cercarlo. Sa quanto Camilla sia orgogliosa e che difficilmente fa la prima mossa. E invece era uscita, sfidando stanchezza, afa e il traffico del venerdì sera per andare da lui.
 
Lo sa che non è tutto ok, che ne hanno di cose da discutere e da superare ma almeno… almeno è un inizio, un inizio più che incoraggiante.
 
“Ma la tua macchina è ancora qui!” ribatte, mordendosi la lingua: anche se non può vederlo né sentirlo è sicuro che lui stia sorridendo dall’altra parte del telefono all’ennesima prova della sua ficcanasaggine.
 
“Lo so, Camilla, ma il questore non mi mollava più, era già tardissimo, eravamo già in centro e con il traffico del venerdì sera… ho preferito farmi lasciare sotto casa… non volevo farti aspettare un’altra ora, come minimo. Non volevo che pensassi… quello che poi hai pensato, Camilla,” chiarisce e Camilla torna a respirare, non potendo evitare anche lei di sorridere e di provare un incredibile sollievo: lo sa che ne hanno di cose da chiarire e da affrontare ma è un ottimo segno, che la fa ben sperare, “mi dispiace che… che ti ci sia trovata tu in mezzo al traffico per niente…”
 
“Non fa niente… è anche colpa mia… avrei dovuto chiamarti. Torno subito… non ci metterò tanto, il traffico dovrebbe essersi smaltito.”
 
“Sei sicura di riuscire ancora a guidare dopo la giornata che hai avuto?” le domanda, sentendosi nuovamente in colpa, “se vuoi prendo un taxi e ti raggiungo.”
 
“No, Gaetano, se no perdiamo ancora più tempo e… voglio solo tornare a casa. Tu non ti muovere da lì, ok?”
 
“Agli ordini, professoressa.”
 
***************************************************************************************
 
Il rumore della porta che si apre, Potti che balza giù dal divano – si era accoccolato vicino a lui, se per sorvegliarlo o per tenergli compagnia non avrebbe saputo dirlo – e zampetta verso il corridoio di ingresso.
 
Si alza e si volta, sentendola salutare e vezzeggiare come al suo solito il vero re della casa. Pochi passi, volta l’angolo e i loro sguardi si incrociano.
 
Nonostante le valige sotto gli occhi che ormai sono dei bauli e l’aria un po’ stropicciata, gli occhi di Camilla sono vivi, vividi, il suo sguardo non è più appannato e perso come quando l’aveva trovata sul divano, né arrabbiato e deluso come dopo il loro chiarimento.
 
Qualche secondo di silenzio, mentre si studiano a vicenda, il dispiacere e il senso di colpa che legge nello sguardo di lei che, ne è sicuro, riflette il suo.
 
“Mi dispiace, ho esagerato,” pronunciano in perfetto unisono, prima di spalancare gli occhi, mordersi il labbro e trattenere un sorriso.
 
“È che-“ esordiscono di nuovo, in contemporanea, per poi aggiungere, sempre in totale sincronia, “prima tu-“
 
Gaetano non riesce più a non sorridere, anche se lievemente, fa un passo verso di lei e le posa un dito sulle labbra, “inizio io?”
 
Camilla annuisce, ricambiando il sorriso.
 
“Avevi… avevi ragione tu ad essere arrabbiata e delusa per quello che è successo con Livietta e Ferri e-“
 
“Lo so,” ribatte lei con sguardo deciso ma un mezzo sorriso sulle labbra.
 
“Lo sai?” domanda, scuotendo il capo, non potendo evitare di sorridere di nuovo: la adora quando fa così.
 
“Sì, e non ti nascondo che… che sono ancora un po’ arrabbiata per questo e… credo che la delusione mi resterà ancora per un po’, ma… ho esagerato e avevi ragione tu ad arrabbiarti per… per aver dubitato, anche se solo per un secondo di te e di Livietta… e soprattutto per quello che ho detto su Renzo e sul processo. Non è colpa tua se Renzo ed io finiremo in tribunale e-“
 
“Lo so,” le fa eco, con lo stesso identico tono e sguardo che aveva usato lei e Camilla a sua volta scuote il capo e gli dà un buffetto sul braccio, “ma Camilla… lo capisco che… che eri appunto arrabbiata e ferita e delusa e in panico e ti era appena passato sopra un treno e… non avrei dovuto andarmene e lasciarti così o prendermela così tanto ma… ma lasciarti sfogare e starti vicino. Mi dispiace.”
 
“No, e invece avevi ragione, Gaetano, non avevo nessun diritto di sfogarmi in quel modo. E ti garantisco che non ti incolpo e non ti incolperò mai di quello che è successo e potrà succedere con Renzo e che mi fido di te. Con Livietta sei stato meraviglioso in questo periodo, non so come avrei fatto se non ci fossi stato tu, a volte ho approfittato fin troppo della tua pazienza e... forse non ti ho lasciato solo carta bianca ma… la verità è che tu mi hai dato una mano con lei ma io no… ti ho lasciato forse fin troppo solo, ad arrangiarti e ad autogestirti con lei, proprio perché mi fido di te e del tuo giudizio e so che le vuoi bene. Ma… gestire un’adolescente non è facile per niente, non so se io stessa ne sono del tutto capace… ho fatto un sacco di errori con Livietta negli anni e… avrei dovuto confrontarmi di più con te, parlarti di più. È che tu mi capisci quasi sempre senza… senza bisogno di parole ma… a volte parlare è importante.”
 
“Camilla, ti ringrazio ma… la verità è che potevo anche capirlo da solo che non era una buona idea non parlarti di Ferri, che avevi il diritto di saperlo e di decidere tu. Anche io mi sarei arrabbiato al posto tuo e hai ragione tu: dobbiamo essere e mostrarci uniti e fare fronte comune con Livietta e-“
 
“E a questo proposito, dobbiamo essere e mostrarci uniti e fare fronte comune anche con Renzo. E ti garantisco che l’idea di cedere al suo ultimatum non mi è mai passata per la testa. Non solo perché a te non ci rinuncio, Gaetano, non ho nessuna intenzione di rinunciare a noi due, ma anche perché voglio che Renzo capisca che… che non può obbligarmi a fare quello che lui ritiene sia giusto, anche se dal suo punto di vista pensa di avere ragione. Che le cose si risolvono discutendone civilmente e vedendo il punto di vista degli altri e non lanciando ultimatum o finendo in tribunale. E che Livietta ormai è grande e… e non è spiandola o portando in tribunale me o te che, purtroppo, le impedirà di sbagliare o di farsi male, anzi, rischia solo di ottenere l’effetto opposto. Non c’è modo migliore di far innamorare perdutamente un’adolescente di una persona, che impedirle di frequentarla…”
 
“Lo so, purtroppo,” sospira, ripensando a Francesca e a tutti i grandi amori della sua vita adolescenziale, che di solito erano proprio i ragazzi che sapeva benissimo che loro padre avrebbe disapprovato di più.
 
“E io lo so che… che ci attendono tempi difficili Gaetano, difficilissimi. Come dici tu, se davvero dovessimo finire in tribunale… sarei messa in discussione non solo io come madre ma anche tu e… con il tuo lavoro e tutto il resto… lo so che rischi di avere enormi problemi. E voglio sapere se… se sei davvero disposto ad affrontare tutto questo insieme a me, perché ho bisogno di averti al mio fianco, ne ho bisogno più che mai ma… anche io non potrei sopportare se arrivassi a pentirti di stare con me, di essere rimasto con me, se pensassi che ti ho rovinato la vita e-“
 
“Per te sarei disposto a finire sotto un ponte o in galera, anche domani Camilla e non penserei mai che tu mi abbia rovinato la vita, mai. Non sarà colpa tua se… se finiremo in tribunale e neanche io rinuncio a te, a noi due. Io ci sono, fino in fondo, anche se non sarà facile, ma se io e te siamo uniti e ci mettiamo in testa di fare qualcosa, non ci ferma nessuno e possiamo affrontare qualsiasi cosa, di questo sono convinto, Camilla,” proclama, deciso, posando le mani sulle spalle di lei e guardandola negli occhi.
 
Un secondo e si trova stretto in un abbraccio fortissimo, uno di quegli abbracci che lo fanno sentire a casa, in pace col mondo e con se stesso, che valgono più di mille parole e di mille baci. Non aveva mai capito fino in fondo la bellezza, l’importanza di un abbraccio prima di Camilla e di Tommy: di quanto ne avesse bisogno per stare bene e quanto fosse bello riuscire a fare stare bene qualcun altro.
 
“Adesso dobbiamo pensare solo a Livietta e cercare di risolvere questa cosa tra noi e Renzo, se possibile. Renzo è ancora qui? È nel suo residence?” le chiede, staccandosi leggermente da lei per guardarla negli occhi, anche se vorrebbe rimanere così per sempre.
 
“No… aveva il volo alle sei, insomma alle diciotto… a quest’ora sarà già a Londra… non voleva che Livietta notasse la sua assenza, visto che non le ha detto di essere tornato in Italia,” chiarisce con un sospiro, prima di appoggiare la sua fronte a quella di Gaetano, quasi per farsi forza.
 
“Allora dobbiamo andare a Londra, Camilla… non so se stasera ci sono ancora voli, magari prendiamo il primo volo disponibile domattina, così ti riposi anche un po’, sarai distrutta…” propone, accarezzandole una guancia.
 
“E tu no?! Ho solo… ho solo paura di come reagirà Renzo vedendoti…” commenta con un altro sospiro, appoggiandosi alla sua mano, “che… che farà qualche sciocchezza prima di permetterci di spiegargli come stanno realmente le cose con Livietta. Dire che sia furioso con te è fargli un complimento. Se non fosse un non violento di natura, credo che ti ammazzerebbe.”
 
“Lo so, Camilla, ma ti prometto che cercherò di stare calmo, di lasciarlo sfogare e di non cadere in nessuna provocazione e non provocarlo. Però se non vado a metterci la faccia e a prendermi le mie responsabilità di quanto è successo con Ferri… sarà ancora peggio…”
 
“Hai ragione, purtroppo. Ascoltami, per me va bene partire domattina, basta trovare un volo… le valige sono anche già pronte,” commenta con un mezzo sorriso malinconico e sarcastico, per poi aggiungere, più seria, “mi dispiace per la nostra vacanza per… per tutto… ti sconvolgo sempre i piani e la vita con i miei problemi…”
 
“I nostri problemi e in quanto a sconvolgermi la vita… lo fai da dieci anni, ma in meglio, professoressa,” la rassicura, guadagnandosi un bacio dolcissimo che lo fa sciogliere, prima di avviarsi abbracciato a lei verso lo studio, dove tiene il suo portatile, per prenotare i biglietti.
 
***************************************************************************************
 
“Renzo… Renzo, mi ascolti?”
 
“Scusami, ero sovrappensiero, dicevi?” le chiede, ridestandosi dai suoi pensieri, che ormai da giorni hanno solo due protagonisti, in una specie di incubo ad occhi aperti senza fine.
 
“Dicevo… non sapevo che il futuro si potesse leggere anche nella poltiglia galleggiante di cornflakes,” commenta Carmen, sarcastica, indicando la pappetta collosa e dall’aspetto disgustoso che Renzo ha nella ciotola, a furia di mescolare i cereali come se potessero, appunto, rivelargli le verità del mondo, “sono tre giorni che non mangi quasi niente… che c’hai? Non stai bene?”
 
“No… è la mia digestione… dopo tanti giorni a mangiare in albergo o ristoranti…” ribatte, inventandosi la scusa più plausibile che gli viene in mente. La verità è che l’immagine di sua figlia e del poliziotto, di quello che sua figlia sogna sul poliziotto, gli blocca lo stomaco e l’appetito.
 
“Però era da un po’ che non avevi problemi di stomaco, anche se stiamo più fuori che… che a casa,” commenta Carmen, che lo conosce bene e non ne è per nulla convinta. Era da Torino, da prima della separazione da Camilla che non lo vedeva così.
 
Anzi, forse l’ultima volta che l’aveva visto così era stata in quei maledetti ultimi giorni prima del trasferimento da Roma a New York. Aveva capito già allora che c’era qualcosa di grave che non andava, anche se aveva scelto di fare finta di niente e fino all’ultimo aveva sperato di sbagliarsi, ritrovandosi a prendere un aereo da sola, senza più un socio e soprattutto senza più un compagno.
 
Deve essere successo qualcosa di serio anche stavolta, qualcosa che lo tormenta. Anche il giorno prima, l’aveva lasciata da sola a fare shopping con Livietta ed era sparito per tutto il giorno, dicendo che doveva andare urgentemente in banca e da un consulente per valutare la possibilità di un finanziamento agevolato per aprire uno studio vero e proprio a Londra.
 
Della parte finanziaria e contabile se ne era sempre occupato Renzo, era una delle cose che Carmen aveva faticato di più ad abituarsi a gestire da sola quando si erano lasciati, quindi il fatto che avesse fissato questi appuntamenti non l’aveva stupita, anzi era stata felice di questa iniziativa, di questo passo avanti. Ne avevano parlato spesso di un distaccamento londinese di cui avrebbe potuto occuparsi lei, magari con Jack, visto che la distanza non aiutava di certo il loro rapporto e sapeva che o si ricongiungevano in tempi brevi, o probabilmente non ci sarebbe più stato un rapporto da ricongiungere. Ma la sera quando aveva provato a parlargli Renzo era stato vago e si era ritirato in camera prestissimo dicendo di essere stanco.
 
“Scusate… visto che non ho più fame, ritorno in stanza a finire di prepararmi…” proclama Renzo, posando il tovagliolo sul tavolo ed alzandosi in piedi.
 
“In effetti bisogna prepararsi con cura per passare una giornata chiusi in hotel…” ironizza Livietta, sarcastica, non riuscendo a nascondere la delusione nel tono di voce.
 
Se i primi giorni di vacanza a Londra erano stati davvero al di sopra di ogni sua aspettativa, con suo padre che si era fatto in quattro per stare con lei e farla divertire – tanto che le era finalmente sembrato di ritrovare il suo papà, quello tenero, dolce e divertente che aveva adorato da piccola e che tanto le mancava e le manca – era come se ad un certo punto suo padre avesse di nuovo avuto un brusco cambio di personalità.
 
Negli ultimi tre giorni era più il tempo che aveva passato altrove che con lei e quando erano insieme era sempre serio, di cattivo umore o malinconico e non riesce a capire il perché. Si chiede se gli siano bastati così pochi giorni per stufarsi di lei, non può evitare di domandarsi se sia un peso per lui averla con sé e non può evitare di starci male per questo.
 
Ma la cosa più strana è che, quando non passava il tempo a fissare il vuoto, immerso nei suoi pensieri, l’aveva beccato alcune volte a studiarla di nascosto, a fissarla con uno sguardo strano come… come si osserverebbe un’aliena.
 
“Lo sai com’è fatto il mio lavoro… mi devo anche occupare delle scartoffie e della burocrazia e rispondere alle mail, negli ultimi giorni ho accumulato parecchio arretrato. Sono sicuro che tu e Carmen vi divertirete al British Museum e stasera andiamo a vedere Les Misérables,” replica, sforzandosi di sembrare tranquillo e sereno, anche se si sente lui il più miserabile dei miserabili. Ma aveva già comprato i biglietti prima che succedesse tutto quello che è successo.
 
Deve rimanere in hotel nella speranza che Camilla lo chiami e lo raggiunga o quantomeno lo chiami. Non vuole arrivare davvero ad una battaglia legale con lei e prega e spera che Camilla ragioni e che non debba ricorrere a misure così drastiche e irrimediabili per proteggere Livietta dal poliziotto e da se stessa.
 
Ignorando il modo plateale in cui Livietta sbuffa, gira sui tacchi e si avvia verso la reception e verso gli ascensori.
 
Sta per premere il pulsante per prenotare la salita, quando una voce inconfondibile alle sue spalle lo frena.
 
“I am looking for Renzo Ferrero. Yes F E R R E R O. He is… he is my husband. He is staying here with our daughter.”
 
È come se il peso sul cuore e sullo stomaco sparisse all’improvviso, lasciando il posto ad un incredibile sollievo, al fatto che lei sia qui e poi… quelle due parole: my husband, mio marito, che aveva pensato di non sentire più, non rivolte a lui.
 
Un sorriso sulle labbra, si volta e il sorriso sparisce, trasformato in una smorfia di sdegno e di incredulità quando, dietro a Camilla, quasi come una guardia del corpo o un cane da guardia – un bastardo da guardia – riconosce l’inconfondibile corporatura ipertrofica del poliziotto-super-più.
 
“Camilla!” la chiama, non riuscendo a trattenere la rabbia nel tono di voce, a questa ulteriore conferma che Camilla è completamente andata, impazzita, che non ci sarà alcun modo di risolvere questa cosa civilmente, tra persone ragionevoli, perché Camilla quando si tratta del maledetto poliziotto non ragiona e basta.
 
“Renzo…” lo saluta, intuendo immediatamente, dal modo in cui serra la mascella e stringe i pugni che, se non fossero in un luogo pubblico, sarebbe probabilmente già saltato addosso a Gaetano.
 
“Che cosa ci fa lui qui?! Come hai potuto farmi questo? Come hai potuto mettermelo davanti, Camilla, come?! Dopo quello che questo… che questo… ha fatto con nostra figlia… vuoi che arriviamo alla rissa, è questo che vuoi?” sibila facendo leva su tutto il suo self control per trattenersi il più possibile dal gridare –  anche se le persone alla reception si girano comunque per guardarli – e per evitare di spaccare la faccia al dottor Berardi.
 
“No, Renzo, anzi, tutto il contrario. Se ho portato con me Gaetano è perché le cose non stanno come credi tu, è stato tuto un malinteso e dobbiamo parlarti e spiegarti che cosa è successo prima che-“
 
“Mamma? Mamma!!” li interrompe la voce di Livietta.
 
Camilla volta il capo e la vede: è insieme a Carmen, in fondo ad un corridoio che corre perpendicolare alla zona della reception dove si trovano loro.
 
Livietta sorride, felice ed incredula per questa sorpresa, correndo ad abbracciare la madre.
 
Camilla si ritrova con due braccia buttate al collo, stretta in un abbraccio a morsa che ricambia, lanciando un’occhiata implorante a Renzo, sperando che capisca il messaggio e la preghiera non verbale di non dire niente, di parlarne dopo.
 
“Che bello! Non mi aspettavo di vederti e… Gaetano ci sei anche tu?” chiede, non riuscendo a contenere la gioia e la commozione per questa improvvisata. Ora finalmente capisce lo stato d’animo di suo padre e la sua stranezza… non doveva essere stato facile per lui invitare non solo la mamma ma anche Gaetano a raggiungerli per il weekend, ma nonostante tutto l’aveva fatto, l’aveva fatto per lei e non potrebbe essere più felice ed orgogliosa di suo padre di così.
 
Si stacca da sua madre e si avvicina a Gaetano per abbracciarlo. Fa per sollevare il braccio, ma si sente afferrare per un gomito e trascinare indietro.
 
Volta il capo e vede suo padre, un’espressione assolutamente furibonda che non gli ha mai visto sul viso, nemmeno durante i peggiori litigi tra lui e mamma, che urla, rivolto a Gaetano, con odio, con disprezzo, “non ti azzardare a toccarla, hai capito?! Devi starle lontano!! Non pensi di avere già fatto abbastanza danni, eh?!”
 
“Papà, ma che dici? Che fai? Sei impazzito?!” esclama Livietta, sbigottita, cercando di liberarsi dalla presa, ma suo padre non la molla.
 
“Impazzito?? Impazzito? Forse sei tu che sei impazzita, signorina! E sai benissimo di che cosa sto parlando, non negarlo!” ribatte Renzo, guardandola con uno sguardo carico di delusione, di amarezza, come se lei lo avesse pugnalato.
 
“Ma che stai dicendo? Io non ci capisco più niente!” esclama Livietta, a dir poco confusa e ferita dall’atteggiamento del padre.
 
“Renzo, per favore, non è come credi, possiamo parlare due minuti in privato?” prova ad inserirsi Camilla, cercando disperatamente di evitare il disastro.
 
“Non è come credo?! Ma come fai ancora a negare l’evidenza! Ti ho portato le prove, nero su bianco e-“
 
“Le prove? Ma di cosa state parlando? Lasciami, papà, lasciami!” grida Livietta, riuscendo finalmente a svicolare dalla sua stretta.
 
“Di cosa stiamo parlando? Del fatto che tu hai perso la testa, in tutti i sensi, per questo grande uomo qui! E che il grande uomo invece di avere almeno la decenza di vergognarsi e di sparire dalle nostre vite, ha ancora  la faccia tosta di presentarsi qui!”
 
“EH?!” domanda, sconcertata e sconvolta, sperando di avere capito male, “papà ma che stai dicendo? Stai scherzando vero?!”
 
“Vorrei stare scherzando, vorrei davvero stare scherzando ma lo sai benissimo anche tu che non è così. Non negarlo, almeno, non negarlo! Lo so che non è colpa tua che… che hai sedici anni e che la colpa è soprattutto di questo fenomeno qui, ma-“
 
“Renzo, per favore-” tenta di nuovo disperatamente di intervenire Camilla.
 
“Ma sei fuori completamente? Ma che ti sei fumato??!! Mamma non… non crederai sul serio che io-“ pronuncia, in panico e sotto choc, alternando lo sguardo tra suo padre, sua madre e Gaetano.
 
“Non mi sono fumato niente, io, purtroppo! Vorrei tanto che fosse un’allucinazione ma non lo è, Livietta e vorrei almeno che tu la smettessi di negare l’evidenza e di mentire! Vogliamo parlare di: Gaetano ha capito tutto, si è accorto di come lo guardavo… e ho dovuto confessargli ciò che provo. A lui ovviamente stava per venire un colpo e voleva dire tutto a mamma ma per fortuna sono riuscita a convincerlo a mantenere il segreto, perché a mamma e soprattutto a papà verrebbe un infarto se sapessero,” recita a memoria, visto che ormai ogni parola gli è stampata nella mente e nel cuore, come un marchio a fuoco indelebile.
 
“Che cosa?” sussurra Livietta, incredula, sentendosi tradita, tradita e ferita ed umiliata come mai prima d’ora, “hai… hai letto il mio diario?”
 
“Sì, purtroppo sì, visto che non avrei mai voluto leggere di te che sogni di… di baciare… questo… questo qui!” sbotta, trattenendosi disperatamente dall’usare termini ben poco eleganti o da spaccare la faccia al poliziotto che rimane in silenzio in disparte, passandosi una mano sugli occhi, come se fosse contrito, lui e la sua grandissima faccia tosta!
 
“Io non ci posso credere… non ci posso credere… non solo ti sei messo a leggere il mio diario e mi hai spiata, ma hai letto pure male e… è evidente quello che pensi di me, quanto mi vuoi bene, quanta fiducia hai in me! Prima mi trattavi da bambina deficiente, mentre adesso… adesso pensi addirittura che sono una specie di… di zoccola!” esplode, gli occhi che le pungono, trattenendo la voglia di piangere.
 
“Non dico questo, Livietta, sto dicendo che hai sedici anni e ti... ti innamori o credi di innamorarti facilmente, la colpa non è tua, ma è sua,” replica Renzo, indicando Gaetano.
 
“E quindi sono una deficiente, una deficiente manipolabile e zoccola… fantastico!” esclama Livietta, scuotendo il capo, prima di rivolgersi a sua madre, pregando che almeno lei non ci creda, “non farei mai una cosa simile a mamma, mai! Mi sono presa una cotta, è vero ma per L- l’istruttore di difesa! E Gaetano l’ha scoperto e… e mi sono confidata con lui! Gaetano per me è come… come uno zio… e meno male che almeno posso contare su di lui, visto che non ho più un padre!”
 
“Livietta, che stai dicendo, io-“
 
“Sto dicendo che sono stufa! Stufa! Sembrava andare tutto così bene, mi sembrava di avere ritrovato mio padre, stavo pensando proprio due minuti fa a quanto ero orgogliosa di te, perché… perché credevo che avevi invitato mamma e Gaetano per farmi una sorpresa. Che per una volta avevi pensato più a me che a te! Ma tu… tu devi sempre rovinare tutto, sempre! Ma questa non te la perdono, questa è l’ultima, l’ultima che mi fai! Con me hai chiuso!” urla, non riuscendo più a trattenere le lacrime, voltandosi e scappando fuori dall’hotel.
 
Le lacrime che le appannano la vista, cerca di farsi largo tra la folla di londinesi e turisti che nemmeno la notano, grazie al cielo nelle grandi città a nessuno frega qualcosa se piangi, se il mondo ti è appena crollato addosso un’altra volta.
 
Un’auto nera con un cartello giallo: un taxi.
 
Ci si fionda dentro, ancora in lacrime. L’autista, un indiano sikh, la guarda appena, imperturbabile, chiedendole dove vuole andare in un inglese dal terribile accento.
 
“Just go, please!” risponde, desiderando solo allontanarsi il più possibile da lì.
 
L’autista non si scompone minimamente a questa richiesta, forse abituato a cose ben più strane e, con un’accelerata brusca, si immette nel traffico della City.
 
 
 


Nota dell’autrice: ho deciso di chiudere qui e di lasciarvi con questo cliffhanger… come vedete la bomba è scoppiata del tutto e nessuno ne è rimasto indenne. È stato un capitolo difficilissimo da scrivere perché i temi sono terribilmente delicati, secondo me ognuno dei personaggi ha le sue ragioni per agire come agisce: Renzo perché ha paura per l’incolumità della figlia dopo quello che ha letto e che per lui non lascia spazio ad interpretazioni, Camilla a cui praticamente passa sopra un treno, ritrovandosi per un istante catapultatasi in un incubo e con la prospettiva di rischiare di perdere tutto ciò che ama di più nel modo peggiore, Gaetano che si sente crollare la terra sotto i piedi, temendo di perdere la fiducia di Camilla e Livietta che si sente ferita, tradita e offesa e che, come sempre in questi casi, sceglie la via della fuga per allontanarsi da ciò che la fa stare così male. Dato che il tema non è delicato, di più, spero di essere riuscita a mantenere tutti abbastanza in personaggio e aver rappresentato correttamente il punto di vista di tutti, non era facile per niente, quindi… non lo so, spero che il capitolo non abbia deluso le aspettative e la lunga attesa.
 
Nel prossimo capitolo dalla demolizione con il caterpillar si passerà finalmente anche ad un po’ di ricostruzione. Ci attendono la ricerca di Livietta, l’incontro/scontro tra Camilla, Renzo e Livietta e tra Renzo e Gaetano, vedremo se e come i nostri personaggi riusciranno ad affrontare e superare anche questa prova. E poi ci saranno altri ritorni molto attesi che porteranno con loro un altro tsunami… per la serie, non si può stare mai tranquilli!
 
Come sempre vi ringrazio tantissimo per avermi letta e seguita fin qui, per i vostri commenti e pareri e per condividere con me questa avventura e, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo!
 
Ormai manca pochissimo all’attesissima sesta serie ;)!

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** Playing with Fire - quarta e ultima parte ***


Nota dell’autrice: scusatemi ancora per il ritardo ma tra trasloco, problemi di ispirazione e lunghezza mostruosa del capitolo non ce l’ho fatta a finire prima e l’editing mi ha portato via un sacco di tempo. Non posso credere di essere arrivata al cinquantesimo capitolo di questa storia che tra poco compirà due anni e… che dire… questo capitolo chiude anche una fase della storia. Come vedrete è diviso in tre parti, una prima più di tensione/investigazione, una seconda di tensione ma psicologica, di confronti e scontri e una terza più… movimentata… spero non deluda la lunga attesa e… non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento a fine capitolo ;).


 
Capitolo 50: “Playing with fire – quarta ed ultima parte”



 
“Livietta!” grida Renzo, rincorrendola, seguito a ruota da Camilla, Gaetano e Carmen, che era rimasta fino a quel momento pietrificata, assistendo alla scena in disparte.
 
Arrivati fuori, si guardano intorno, urlando il nome della ragazza, ma non la vedono. Del resto a quell’ora di sabato, d’estate, i marciapiedi intorno al parco e il parco sono pieni di londinesi e di turisti.
 
“Dividiamoci: voi controllate per strada, noi cerchiamo nel parco!” propone Camilla a Renzo e Carmen, allargando le braccia per indicare le due direzioni della lunghissima strada che costeggia il parco, non attendendo nemmeno una risposta e infilandosi a rotta di collo, seguita da Gaetano, nello stretto valico d’ingresso, che conduce a quel verde sterminato.
 
Con un cenno del capo, senza bisogno di altre parole, si precipitano lei a destra e lui a sinistra lungo il sentiero, a perdifiato, chiamando il nome di Livietta, incuranti degli sguardi incuriositi dei passanti e di chi come loro, sta correndo, ma per sport e non per un’emergenza.
 
Sanno benissimo che il parco è enorme e che, se non la trovano subito, sarà praticamente impossibile rintracciarla, peggio che cercare un ago in un pagliaio. Camilla corre fino a non avere più fiato, trovandosi infine costretta a fermarsi su una panchina, prima di rischiare uno svenimento. Gaetano corre più forte che può, facendo slalom tra turisti e londinesi, arrivando ad una biforcazione del sentiero e prendendo la destra, sperando che Livietta abbia seguito d’istinto la direzione che, secondo svariati studi psicologici, la maggior parte delle persone sceglie in un momento di emergenza. Così come, alla triforcazione successiva, prosegue dritto, sperando di non sbagliarsi. Ma, arrivato all’ennesima biforcazione e non avendola trovata, pur avendo corso con un ritmo degno di un centometrista, capisce che o ha scelto la strada sbagliata o Livietta non è proprio passata da quel lato parco, altrimenti l’avrebbe raggiunta: l’ha vista correre e, per quanto Livietta sia in forma, sa di essere più veloce di lei e poi… si erano lanciati all’inseguimento praticamente subito.
 
In un ultimo tentativo, taglia per le aiuole alberate e prova a scorgerla nei sentieri lì vicini e oltre il laghetto, ma di lei nessuna traccia.
 
Il cellulare: Camilla.
 
“L’hai trovata?” le chiede, il fiato in gola, avendo spinto ben oltre la sua normale velocità di allenamento.
 
“No! Speravo l’avessi trovata tu…” proclama con un mezzo rantolo angosciato: si sente che è senza fiato, come confermano i respiri erratici e rumorosi che sibilano attraverso l’altoparlante del telefono.
 
“No, mi dispiace, Camilla ma… a questo punto o confidiamo in una botta di fortuna o è inutile cercarla nel parco: è immenso. E poi… comincio a dubitare che ci sia entrata nel parco. Troviamoci all’ingresso e decidiamo insieme il da farsi, ok?”
 
“Ok,” conferma, in un altro sibilo.
 
“Camilla, fai con calma, non voglio che ti senti male e ormai correre non serve a niente, lo sai, vero?” le domanda, preoccupato che le venga un collasso, con questo caldo poi, “ascolta, vuoi che ti vengo incontro? Se mi dici dove sei-“
 
“No, davvero, non ce n’è bisogno. Non ti preoccupare, sto bene. Riprendo un po’ di fiato e ti raggiungo all’ingresso, ok?” lo rassicura, tra un respiro e l’altro, prima di chiudere la comunicazione.
 
Gaetano è il primo ad arrivare: la vede in lontananza, arrancare a passo lento, il viso ancora paonazzo. Le fa un cenno e sta per muoversi per raggiungerla, quando una voce lo blocca.
 
“Gaetano!”
 
“Carmen!” risponde, voltandosi e trovandosi di fronte la spagnola, il viso color peperone, i capelli incollati alla fronte per il sudore della corsa. Non gli serve domandarle nulla, per capire dall’espressione della donna che non ha trovato alcuna traccia di Livietta.
 
“Nada?” gli chiede lei, appoggiandosi alla recinzione per riprendere fiato.
 
“No,” conferma, sentendo i passi di Camilla alle sue spalle farsi sempre più vicini, fino a raggiungerlo, “Renzo?”
 
“Non so… non l’ho più visto… forse la sta ancora cercando… ah, eccolo lì!” indica Carmen e Renzo in effetti è a una ventina di metri da loro, che annaspa reggendosi alla ringhiera, mentre ogni passo sembra costargli uno sforzo immane.
 
È evidente che nemmeno lui ha avuto fortuna e che Livietta è riuscita a fuggire.
 
“E adesso che si fa?” domanda Carmen, esprimendo ad alta voce quello che tutti stavano pensando, avviandosi per andare incontro a Renzo, “anche se non l’avete trovata il parco è grande, ci sono tanti sentieri. Potremmo dividerci e-“
 
“No, credo sarebbe inutile: visto in che stato stava, si sarà voluta allontanare di qui il più possibile, quindi… anche se fosse nel parco, non credo ci resterà a lungo. Ma sono d’accordo con te, Gaetano, secondo me non ci è nemmeno entrata, o l’avremmo almeno intravista. Avrà preso un taxi, qui intorno ne passano tantissimi,” risponde Camilla, che ormai di fughe di Livietta se ne intende, indicando i caratteristici veicoli neri che affollano la strada, “provo a chiamarla, magari risponde.”
 
“Niente, ovviamente è staccato… maledizione!” esclama, chiudendo la comunicazione prima che la signorina termini di annunciare in perfetto inglese britannico che il numero chiamato non è raggiungibile.
 
È preoccupata, molto preoccupata, un’ansia che le stringe lo stomaco come una morsa, mentre i battiti del cuore non accennano a rallentare, e la corsa non c’entra niente: conosce bene sua figlia e non l’ha mai vista così furiosa e ferita. Nemmeno quando aveva avuto quel tremendo litigio con Renzo a cena, in cui si era sfogata con lui e poi era corsa a rifugiarsi a casa di Gaetano. Nemmeno dopo la loro seconda separazione. Nemmeno quando quel cretino di Ricky l’aveva lasciata e lei aveva cercato di scappare a Roma, per poi scoprire che lui la tradiva con la sua amica Giusy.
 
“Ni-niente?” rantola Renzo, giunto infine di fronte a Camilla, il volto a chiazze paonazze, l’aria di chi sta per svenire.
 
“No. Camilla pensa che ha preso un taxi e credo che abbia ragione. Ha provato a chiamarla ma ha già staccato il cellulare,” lo aggiorna Carmen, posandogli un braccio intorno alla schiena per cercare di sorreggerlo, ma lui si scansa, passandosi una mano tra i capelli, mentre con l’altra ancora si tiene alla ringhiera.
 
“E ora? Londra è… è immensa! Potrebbe essere… ovunque!” pronuncia Renzo, espirando forte e tormentandosi gli occhi.
 
“Magari è solo andata a fare due passi per sfogarsi e torna da sola…” prova a rincuorarlo Carmen, anche se il tono non è molto convinto.
 
“No, non l’ho mai vista così, mai e… qui non ci torna di sicuro…” replica Camilla, scuotendo il capo prima di sibilare, il tono che passa dal preoccupato al glaciale, rivolgendosi a Renzo, “non finché ci sei anche tu, almeno!”
 
“Camilla, per favore, io-“
 
“No, per favore niente! Maledizione Renzo, ti ho pregato, ti ho implorato di stare zitto, di lasciarmi spiegare, ma tu niente, sei partito in quarta e ci sei andato giù come un bulldozer, come al tuo solito!!” esclama, in quello che è quasi un grido, fregandosene dei possibili passanti, troppo infuriata per trattenersi, “prega che la troviamo prima che le capiti qualcosa, Renzo, o ti giuro che non rispondo di me!”
 
“E certo, è sempre colpa mia, no, Camilla?! Tu mi conosci e lo sai quanto ero e sono furioso con questo… con questo qui, ho fatto uno sforzo immane per non andare a cercarlo ieri a Torino, perché sapevo che se me lo trovavo davanti altro che non rispondere di me e tu che fai?! Vieni qui e me lo piazzi davanti, così!”
 
“Se ho portato con me Gaetano è perché, visto quello di cui l’hai accusato, pensavo fosse giusto, anzi, necessario che venisse di persona a chiarire questo malinteso con te. Che ne parlaste direttamente e-“
 
“Ma sapendo quanto ero infuriato, avresti potuto, che ne so, degnarti di chiarire prima tu con me, di spiegarmi e magari dopo farmelo incontrare! Non così, a tradimento! Sembra che ci godi a farmi impazzire, Camilla, a farmi uscire di testa, soprattutto davanti a nostra figlia, a farmi fare la figura del cattivo, dello stronzo, del pazzo e-“
 
“Ci godo?! Ci godo?! Secondo te io ci godo che ogni volta che sembra che le cose si stiano sistemando, con te, con nostra figlia, che sembra andare tutto bene, tu ne combini una delle tue e mi tocca pregare che stavolta Livietta non ci mandi a quel paese sul serio o che non si cacci in qualche guaio irreparabile, andare a cercarla e poi provare a rimettere insieme i pezzi?! Io non ne posso più Renzo, non ne posso più!!! Vorrei solo un po’ di serenità, o almeno di pace, vorrei non dover vivere con il pensiero costante che da un momento all’altro mi ritroverò di nuovo in guerra con te, a fare da paciere con nostra figlia o a fare da crocerossina e magari pure a consolarti quando ti rendi conto di avere fatto l’ennesima cazzata e torni a pregarmi di aiutarti a recuperare con le tue lacrime da coccodrillo!”
 
“Camilla-“ prova a bloccarla Gaetano, rendendosi conto dal tono furibondo, dal modo in cui si protende verso Renzo, dalle parole usate che sta per perdere il controllo, ma Camilla lo scrolla via.
 
“Vuoi la serenità? Vuoi la pace? Che Livietta non si cacci in guai irreparabili? E allora non dovevi metterti con un pazzo incosciente che scopre che nostra figlia si è innamorata di un dongiovanni che ha come minimo il doppio dei suoi anni e non ci dice niente!!! Ma sì, no?! Tanto tutto è permesso, tutto è lecito! E poi tocca sempre a me fare la figura del mostro perché cerco invece di difenderla, di proteggerla, di tenerla sotto controllo! Dovresti ringraziarmi, invece che darmi la colpa di quello che succede per colpa della tua irresponsabilità e-“
 
“Renzo, por favor, basta, non-“ prova a fermarlo Carmen, prendendolo per un gomito, temendo un’escalation, dagli sguardi assassini che i due coniugi si lanciano e dal fatto che ormai sono a due centimetri l’uno dall’altra. Ma Renzo si sottrae, tirando il braccio in avanti.
 
La mia irresponsabilità??!! Non ti permettere mai più di insinuare che io metterei in pericolo Livietta, quando sei proprio tu con i tuoi atteggiamenti da medioevo a incitarla a mentirci e a nascondere le cose e-“
 
Con la complicità del tuo amante!” grida Renzo, ormai fuori di sé.
 
“Gaetano non è il mio amante e non-“
 
“BASTA!”
 
Il grido, pronunciato all’unisono da Carmen e Gaetano che, in una sincronia tanto perfetta quanto involontaria, afferrano Camilla e Renzo costringendoli a fare un passo indietro, mette fine almeno per un secondo alla litigata.
 
“Basta, por dios! Non è il momento!” urla Carmen, frapponendosi fisicamente tra i due ex, sapendo benissimo che non sarebbe una buona idea che lo facesse Gaetano, visto che Renzo sarebbe più che capace di colpirlo, mentre Camilla non oserebbe mai alzarle le mani, “scannarvi non vi aiuterà a trovare Livietta!”
 
“Carmen ha ragione: dobbiamo pensare solo a lei, a rintracciarla il prima possibile!” la spalleggia Gaetano, sentendo Camilla afflosciarsi improvvisamente tra le sue braccia e smetterla di resistere, di dibattersi.
 
E anche Renzo sembra accusare il colpo, appoggiandosi di nuovo alla ringhiera, come se non avesse più forze, coprendosi gli occhi con l’altra mano.
 
“Avete ragione… sono… sono un’idiota, siamo due idioti ma… ma come facciamo a rintracciarla, maledizione?! Londra è una città enorme, sterminata! È peggio che cercare un ago in un pagliaio!” esclama Camilla, l’angoscia evidente nel tono di voce, voltandosi verso Gaetano e trafiggendolo con un’occhiata disperata che gli fa male da morire e che lo spaventa ancora più di quanto già fosse, anche se non può darlo a vedere.
 
“Camilla, devi cercare di restare calma e non farti prendere dal panico. Respira piano, brava, così,” la incoraggia, seguendo per qualche istante i movimenti del suo torace, mentre prova ad inspirare ed espirare con calma e lentezza. Quando è sicuro che riesce a reggersi in piedi da sola e che si è lievemente tranquillizzata, solleva le mani dalle braccia di lei per incorniciarle il viso e chiederle, guardandola negli occhi, “Camilla, ti ricordi cosa mi dici sempre, cosa mi hai sempre detto ogni volta che mi sembrava che un problema, che un’indagine non avesse soluzione?”
 
“Fa- fai quello che sai fare?” mormora, sentendo, quasi come per magia, la morsa nello stomaco allentarsi e ritrovando finalmente il fiato.
 
“Esatto. Facciamo quello che sappiamo fare e ritroviamola insieme, ok?” la esorta, il peso sul cuore che si fa più lieve quando la vede annuire e sorridere, anche se flebilmente.
 
Come per un tacito accordo, si voltano verso Renzo e Carmen che li osservano.
 
“E come pensate di fare? Con la magia o i superpoteri?” domanda l’architetto con un sopracciglio alzato e uno sguardo tra l’abbattuto, l’incredulo e il sarcastico, “come hai detto tu stessa poco fa è come cercare un ago in un pagliaio e-“
 
“Non è facile, d’accordo, ma non è impossibile,” rassicura Gaetano, chiarendo, di fronte all’espressione scettica di Renzo, “basta andare con ordine e mettere insieme le informazioni: Livietta non è un ago, è una ragazza intelligente e con un certo istinto di sopravvivenza, a giudicare anche dalle sue fughe precedenti e-“
 
“Tipo quella con Bobo?” gli fa notare Renzo, il sopracciglio che ha ormai raggiunto la cima della fronte, anche se il tono non è più battagliero ma sembra esausto e scoraggiato.
 
“Renzo, por dios, non ricominciamo, vale?” lo interrompe Carmen, mettendogli le mani sulle spalle, “Gaetano è un poliziotto e da quello che ho visto il suo lavoro lo sa fare bene. E Camilla… se non sto a marcire in una galera è solo grazie a lei. Sono sicura che se c’è qualcuno che può trovare Livietta sono loro e-“
 
“E non io…” sospira Renzo, amaro, sapendo che Carmen ha ragione e odiandosi per questo, per essere così inutile, impotente, inerme, per non poter competere con… con loro… con questo maledettissimo talento che gli ha portato via Camilla, ma che ora è la sua unica speranza.
 
“Renzo, non-“
 
“No, Carmen, hai… hai ragione. D’accordo… fate… fate quello che sapete fare,” li prega, prima di mettersi di nuovo la testa tra le mani.
 
“Allora… partiamo da… dalle domande di rito in questi casi. Che cosa aveva Livietta con sé? Soldi? Cellulare? Carte di credito anche se immagino non intestate a lei?” domanda Gaetano, assumendo, anche se inconsciamente, il tono professionale.
 
“Aveva… aveva il suo solito portadocumenti da viaggio… quelli antiborseggio, che si possono tenere al collo, sotto i vestiti. Se lo portava dietro anche per fare colazione, perché le avevo raccomandato di non lasciare mai i documenti incustoditi in camera,” ricorda Renzo, sforzandosi di fare mente locale, “e aveva anche il cellulare, sì, ce l’aveva sul tavolo della colazione e-“
 
“E quando ci siamo alzate da tavola l’ha rimesso in tasca,” conferma Carmen, gli occhi chiusi mentre cerca di visualizzare ogni dettaglio.
 
“Nel portadocumenti aveva anche soldi? Carte?”
 
“Niente carte… tanto era sempre con me o con Carmen per le spese grosse ma… ma le avevo lasciato delle sterline per… per le piccole spese o in caso di emergenza.”
 
“Quante sterline, Renzo?” domanda Gaetano, sapendo che le risorse per la fuga possono incidere e di molto sul tipo di fuga.
 
“Mah… tra le cento e le duecento… dipende da quante ne ha spese, non credo molte… ripeto, è sempre stata con me o con Carmen, raramente ha dovuto pagare lei.”
 
“Beh… questo restringe di molto il campo. Con i costi di Londra con poco più di cento sterline… praticamente è difficile tirare a campare un giorno, massimo due, pure mangiando al fast food… gli alloggi sono carissimi e… e Livietta non mi sembra il tipo da mettersi a dormire per strada, per quanto disperata o arrabbiata possa essere, salvo sia proprio questione di sopravvivenza,” ragiona Gaetano, vedendo, dal modo in cui Camilla annuisce, che è d’accordo con lui.
 
“Sì… e poi… affittare una macchina non può visto che è minorenne e non ha la patente… in taxi con quei soldi non può di certo andare lontano… o prende un autobus o un treno ma… per andare dove? Non conosce nessuno qui in Inghilterra…” riflette Camilla, mordendosi il labbro, mentre cerca di concentrarsi.
 
“Beh, ma… non aveva fatto una vacanza studio a… a Brighton?” le fa notare Renzo, ricordando benissimo quanto era stato in ansia per quel viaggio e che aveva acconsentito proprio perché non si trattava di Londra ma di un posto più tranquillo e adatto a una ragazza di 14 anni.
 
“Sì, ma sono passati due anni e… a parte che secondo me in quella vacanza, come al solito, sono stati più tra compagni italiani e con gli altri studenti internazionali che con qualcuno di inglese, ma poi… cioè anche se fosse rimasta in contatto con qualcuno… per presentarti da una persona dopo due anni a chiedere ospitalità… ci deve essere un rapporto stretto, no? E non ci ha mai parlato di nessuno, personalmente non l’ho mai vista chattare con nessun inglese e… se avesse avuto amici così stretti a Brighton o comunque in Inghilterra magari ti avrebbe chiesto di andarli a trovare un giorno, no? Anche perché Brighton è anche un bel posto… turistico… e-“
 
“E di sicuro non a buon mercato, e non alla portata delle sue finanze, soprattutto ad agosto,” conclude Gaetano, trovandosi di nuovo d’accordo con Camilla, “ha conosciuto qualcuno qui in questi giorni per caso? Qualche ragazzo? Qualche ragazza? Anche se da quello… da quello che c’era scritto su quel pezzo di diario non si direbbe.”
 
“No, è sempre rimasta o con me o con Renzo. In discoteca ha ballato con delle ragazze ma non l’ho vista scambiarsi numeri di telefono, poi… è stata una cosa di un momento… no, devo dire che se ne è stata parecchio per conto suo, fin troppo per la sua età… del resto avendo noi tra i piedi…” sospira Carmen, che più volte si era chiesta, soprattutto negli ultimi giorni, con Renzo musone e lunatico – e ora finalmente capiva il perché – se Livietta si stesse divertendo almeno un po’ o se avrebbe preferito stare da qualunque altra parte invece che lì con loro, “se vuoi ti dico dove siamo stati… ma a parte qualche locale erano quasi tutti i classici posti da turisti…”
 
“Capisco... quindi diciamo pure che Livietta non conosce bene la città, non conosce nessuno… analizziamo le sue fughe precedenti per capire il suo… modus operandi, per così dire… a parte la fuga con Bobo, che lì voleva solo raggiungerlo e… diciamo che la situazione era molto diversa, abbiamo…”
 
“Beh, la fuga verso Roma, quando voleva raggiungere Ricky ma poi ha scoperto che se la faceva con la sua migliore amica e Greg l’ha aiutata a tornare dalla stazione, ubriaca persa…” ricorda Camilla, anche se al solo pensiero le risale l’ansia, “e poi la fuga dopo la cena a casa mia… che poi in realtà di fuga aveva poco, visto che si è rifugiata a casa tua.”
 
“Quindi cosa ne deduciamo? Cosa hanno in comune?” la sollecita Gaetano, per vedere se ha la sua stessa idea.
 
“Mah non lo so… forse che non è andata in giro per locali o… o in posti sconosciuti. Nel primo caso è rimasta in stazione ad ubriacarsi… nel secondo caso… voleva solo allontanarsi ma per andare in un posto tranquillo, dove si sentisse al sicuro… un posto dove Renzo non avrebbe mai pensato di cercarla… per stare da sola… riflettere…” ragiona ad alta voce, concentrata nel visualizzare, nel collegare, senza notare l’espressione di Renzo quando sottolinea che se Livietta scappa è per evitare lui.
 
“E quindi forse anche stavolta, che mi sembra un caso più simile alla fuga verso casa mia, che alle altre fughe per raggiungere qualche ragazzo… probabilmente vuole appunto allontanarsi, non… non vedere Renzo e… forse neanche noi – dipende da con chi è arrabbiata – e starsene in pace ma… non vuole sparire sul serio, no? A parte la fuga con Bobo, negli altri casi Livietta non voleva sparire nel nulla…” commenta Gaetano, elaborando ulteriormente il pensiero di Camilla.
 
“Già… quindi un posto dove non penseremmo di cercarla – va beh, qui a Londra per quello ha l’imbarazzo della scelta – però anche un posto tranquillo, sicuro, familiare… ma… non so se Livietta abbia un posto del genere a Londra. Non la conosce abbastanza e-“
 
Camilla si blocca bruscamente, sollevando gli occhi di scatto e incrociando quelli di Gaetano. Capisce all’istante che hanno avuto la stessa intuizione.
 
“Livietta può espatriare da sola immagino?” le chiede Gaetano, a ulteriore conferma che, sì, stanno come sempre pensando la stessa cosa.
 
“Sì… sì… almeno nei territori dell’Unione Europea e-“
 
“E con le compagnie aeree low-cost, costa molto meno tornare in Italia in aereo che passare un giorno o una notte a Londra…” conclude per lei la frase, avvalorando ad alta voce la sua ipotesi.
 
“Dobbiamo andare in aeroporto, di corsa!” proclama Camilla, voltandosi istintivamente verso Renzo e Carmen che, a quanto ne sa, sono automuniti. Quasi si blocca quando li vede lì, in disparte, in silenzio, ad osservare lei e Gaetano con un’espressione tra lo stupito, il confuso e, soprattutto nel caso di Carmen, l’impressionato.
 
“Avete una macchina? Non c’è tempo da perdere, se ha preso un taxi potrebbe già essere in aeroporto,” ribadisce Gaetano, notando a sua volta come i due architetti sembrino in trance.
 
“Ma… ma siete davvero sicuri che sia andata in aeroporto? Come fate a dirlo?” pronuncia infine Renzo, cauto.
 
“È un’ipotesi, Renzo, ovviamente non possiamo essere sicuri al cento per cento, ma… hai idee migliori? Ti prego, fidati di me, di noi per una volta!” replica Camilla, decisa, guardandolo negli occhi, sperando che capisca e che non faccia altre opposizioni, altre polemiche.
 
Renzo si limita ad annuire, trattenendo in gola il desiderio di rinfacciarle che lui di lei si è sempre fidato, anche troppo.
 
Ma se, per quanto riguarda il loro matrimonio, probabilmente ha fatto male a fidarsi, per quanto riguarda il talento di Camilla per le indagini sa che, anche se non lo ammetterà mai, ogni volta che l’ha vista in azione non si è praticamente mai sbagliata.
 
Prega che sia così anche stavolta.
 
***************************************************************************************
 
“We are looking for a girl: Livia Ferrero. It’s likely that she booked a flight to Turin and-“
 
“I am sorry, sir, but the passengers’ list and identities are confidential information that I am not authorized to divulge to-“
 
“I know, I know,” rassicura Gaetano, con il tono più neutro, pacato ma anche autorevole che possiede, estraendo il distintivo e mostrandolo all’addetta al check-in.
 
Il volo per Torino è in partenza tra meno di un’ora ed è l’unico della giornata. Certo, Livietta potrebbe sempre prendere un volo per Malpensa e fare l’ultimo pezzo in treno, ma se ha pochi soldi, questa è l’opzione più economica. Deve avere questa informazione, subito.
 
“Poli-zia?” pronuncia la ragazza, incerta.
 
“Yes, I am with the Italian police, I used to work with the Interpol, see?” le fa presente, sfoderando anche il vecchio tesserino di quando era a Praga, “I know this is confidential information, but this girl is underage, she is sixteen and these are her parents and she is running away. If she gets to Italy and disappears, you understand that we could hold you and your company responsible for obstructing the investigation on-“
 
“One moment, please!” ribatte la ragazza, chiaramente preoccupata di fronte alla prospettiva di grane per se stessa o per la compagnia aerea. Lo sfoggio di autorità evidentemente ha funzionato, ma se la ragazza chiede il parere ai superiori… Gaetano spera che acconsentano.
 
“Ok, I just need to make a copy of your documents and also their documents,” richiede la ragazza, dopo aver parlato al telefono con qualcuno più in alto e Gaetano le lascia il distintivo. Sa di non stare seguendo esattamente delle procedure ortodosse, ma ritrovare Livietta conta più di tutto. Ad eventuali grane con la polizia britannica ci penserà dopo.
 
La ragazza fotocopia il tesserino e le carte di identità di Renzo e Camilla e poi consulta finalmente il suo database.
 
Dopo un’interminabile round di spelling del nome e del cognome di Livietta, la ragazza scuote il capo.
 
“No, she is not on the flight to Turin, I am sorry,” pronuncia e Gaetano sente il cuore finirgli nello stomaco, ma ha ancora un asso nella manica
 
“Can you check also the flights to Milan? Please?”
 
“Ok, ok,” sospira la ragazza, facendo un altro rapido controllo, per poi di nuovo pronunciare quelle nefaste parole, “no, she is not on any flight to Milan either. I am sorry.”
 
Gaetano volta lo sguardo verso Camilla e non servono parole per capire l’impatto della notizia: è pallidissima e morde il labbro per mascherare l’angoscia.
 
Dietro di lei, Renzo sembra quasi incurvarsi, mentre Carmen di nuovo gli posa una mano sulla spalla.
 
“E adesso?! Eppure ero… ero sicura, maledizione! Dove può essere finita?” si chiede Camilla, gettando le mani in aria, mentre le persone dietro di loro rumoreggiano di togliersi da lì e liberare la fila, “insomma… luogo tranquillo… sicuro… pensavo volesse solo tornare a casa e-“
 
“Ma certo!” esclamano, guardandosi di nuovo negli occhi: come avevano fatto a non pensarci prima!
 
“Rome. The flights to Rome, please!” implora Gaetano, rivolgendosi di nuovo all’addetta.
 
“Sir, there are other people in line and this is highly irregu-“
 
“I know, I know. It’s the last one, I promise. But her other relatives are all in Rome. Please, I beg you, I wouldn’t insist, if it were not important, please!” insiste, sfoderando il suo sguardo più convincente e sperando che funzioni.
 
“Ok…” sospira la ragazza, facendo quest’ultima verifica sui voli per Roma. Come il sole dopo una tempesta, vedono il suo volto illuminarsi, “yes! Livia Ferrero. She is on the next flight to Rome but… it is boarding now. She may be already on board and-“
 
“Please, we need to stop her, please! I can buy a ticket if you want, any ticket, to get past security and-“
 
“No, no, you wouldn’t make it in time. I will check with the managers and we will try to stop her. I cannot promise you anything but…” risponde la ragazza, rifacendo di nuovo un giro di chiamate ai suoi superiori in un tono concitato e rapidissimo, “please, wait there. They are trying to intercept her and they will bring her here.”
 
“Cioè… praticamente la bloccano e ce la portano qui? Speriamo in bene… se si vede circondata da dei figuri che la fermano… conosco Livietta e…” pronuncia Camilla, mentre, non potendo fare altrimenti,  lasciano libera la fila, guadagnandosi qualche commento ben poco british dai signori alle loro spalle.
 
“Camilla, lo so, ma dobbiamo pregare che la fermino, è l’unica soluzione. Siamo già stati molto fortunati che abbiano accettato: queste compagnie low-cost si vantano della puntualità ed è rarissimo che ritardino una partenza o fermino un volo. Anche perché se non la blocchiamo qui, dobbiamo mandare qualcuno ad intercettarla a Roma…”

“Tipo mia madre? Oddio… forse sono meglio gli addetti alla security…” sospira Camilla, sapendo già la tragedia che si scatenerebbe coinvolgendo Andreina, tra Livietta, lei e soprattutto Renzo. E hanno già abbastanza problemi senza che sua madre ci aggiunga il suo carico da undici, vista l’opinione che Andreina ha di Renzo e la sua totale incapacità di essere un minimo diplomatica.
 
“Di sicuro…” sentono sospirare Renzo in quello che è poco più di un sussurro.
 
Si voltano verso di lui e Carmen, che si sono seduti su due delle seggiole libere dietro di loro. Camilla incontra lo sguardo di Renzo che sembra ancora mezzo sconvolto e scombussolato, ma decisamente sollevato, come se fosse appena successo un miracolo.
 
E forse è davvero un miracolo, con tutto quello che poteva capitare, anche se Camilla non si sente e non si sentirà sicura fino a che non avrà Livietta di nuovo tra le sue braccia.
 
“Grazie,” pronuncia Renzo sinceramente, dopo attimi infiniti di silenzio, continuando a guardarla negli occhi.
 
“Non devi ringraziare me, ma Gaetano. Se non fosse stato per le sue intuizioni, per avermi aiutata a ragionare e… per il suo distintivo e il suo savoir-faire… non saremmo mai riusciti né ad arrivare qui, né a convincere quella ragazza a darci le informazioni che ci servivano,” replica Camilla, mantenendo a sua volta il contatto visivo.
 
“E va bene… siete una squadra fortissimi! Congratulazioni e complimenti! È questo che volevi sentirti dire?” non riesce a trattenersi dal chiederle, sarcastico.
 
Perché la verità è che, Renzo non può più negarlo a se stesso, lo sono davvero: l’intesa che c’è tra loro, che c’è sempre stata tra loro e che, da quando sono… una coppia, è perfino aumentata, è sempre stata qualcosa di inspiegabile, di innegabile, di incredibile e di… di dannatamente invidiabile.
 
E non solo sulle indagini: che stiano preparando la colazione, discutendo o indagando, c’è tra loro questa stramaledetta complicità. Si capiscono al volo, pensano le stesse cose, dicono le stesse cose, quasi come se fossero una persona sola.
 
È come se entrassero in un mondo solo loro, un mondo di cui, Renzo lo sa, lui non ha mai fatto e non farà mai parte, e non solo perché lui nelle investigazioni è una frana e non ha e non avrà mai il dono di Camilla e… e del poliziotto.
 
Il punto è che lui e Camilla non avevano mai avuto nulla di paragonabile, non erano mai stati così, nemmeno nei momenti migliori del loro matrimonio, nemmeno dopo dieci anni insieme. Erano stati complici, certo, amici ma… lui non riusciva a capirla come il dannato poliziotto riusciva a fare, c’erano dei lati di Camilla che non solo non capiva ma che lo infastidivano, lo turbavano. E c’erano lati di lui che Camilla non aveva mai capito, mai compreso, che la infastidivano e la turbavano… come le sue ambizioni sul lavoro, la sua passione per i progetti importanti, il suo desiderio di fare carriera, che lei non aveva mai condiviso, questo lo sa bene.
 
Mentre con il poliziotto… era come se tutti i lati di Camilla che a lui come marito, come padre, come uomo facevano più paura… era come se fosse proprio di quelli che al poliziotto piacevano di più.
 
Era ed è come… come se fossero fatti l’uno per l’altra. Quanto l’aveva odiata quella frase, quanto la odia ancora… ma è vera. Ma lui aveva sperato, aveva sperato fino all’ultimo che quello che c’era tra lui e Camilla, la loro vita insieme, una vita insieme, fosse più forte, che sarebbe sempre stato più forte anche se… anche se loro invece non erano fatti l’uno per l’altra.
 
Non erano incompatibili, certo, ma non erano nemmeno davvero compatibili, non lo erano mai stati e con gli anni, passato l’innamoramento e l’amore folle dei primi tempi, era diventato sempre più evidente, ma non per questo meno doloroso o più semplice da accettare. Non sa se riuscirà mai ad accettarlo del tutto, ad accettare che quello che ha vissuto con lei non tornerà mai più, che non torneranno mai più quel Renzo e quella Camilla innamorati, sereni, quando gli bastava un sorriso di lei per sentirsi in pace con il mondo, quando non gli serviva altro per essere felice. E, soprattutto, quando sapeva con certezza che anche per lei era lo stesso e quando poteva davvero credere che sarebbe stato così per sempre.
 
Un povero illuso, ecco cos’era.
 
“No, Renzo, bastava appunto un grazie e magari anche uno scusami. Ma immagino che sarebbe pretendere troppo, no?” gli domanda Camilla, pungente, ridestandolo dai suoi pensieri.
 
Sta per ribattere quando due uomini della security dell’aeroporto si piazzano davanti a loro, intimando, in tono abbastanza sbrigativo, di seguirli.
 
Camilla lancia un’occhiata a Gaetano che annuisce: del resto non hanno molte altre alternative. Spera solo che non siano nei guai.
 
Li conducono verso la zona degli arrivi, da dove escono i passeggeri appena scesi dagli aerei, subito dopo l’area bagagli, e chiedono di nuovo loro i documenti, per comprovare che sono effettivamente i genitori di Livietta e un agente di polizia.
 
Hanno appena finito di sbrigare le formalità, quando sentono degli schiamazzi e riconoscono immediatamente la voce di Livietta. E non ci vuole un grande intuito per capire che è fuori di sé.
 
“What are you doing?! I didn’t do anything! Let me go! Let me go!” grida la ragazza, tra lo spaventato, l’arrabbiato e il disperato, scortata da quattro addetti alla sicurezza, di cui due grossi come armadi che la tengono per impedirle di divincolarsi.
 
“Livietta!” chiama Camilla, maledicendosi per non aver insistito per raggiungere di persona Livietta e maledicendo questi quattro idioti per trattare una sedicenne come la peggior criminale, pure se Livietta avesse fatto resistenza.
 
“Mamma!” urla e alla paura, alla rabbia e alla disperazione, si sommano sollievo e incredulità, “mamma!”
 
“Let her go, please!” implora Gaetano, rivolto sia agli energumeni che ancora trattengono Livietta, sia ai due che li avevano scortati fin lì.
 
Grazie al cielo questi ultimi fanno un cenno agli altri quattro e i due armadi mollano la presa su Livietta, che si fionda tra le braccia di Camilla, lasciandosi andare alle lacrime.
 
“Mi dispiace… mi dispiace… hai avuto tanta paura?” sussurra Camilla alla figlia, che scuote il capo sul suo petto, “mi dispiace ma… non ci hanno permesso di raggiungerti e… non avevamo scelta… mi dispiace.”
 
Livietta scuote di nuovo il capo e poi lo solleva, guardando la madre, gli occhi e il viso di entrambe che sembrano due pozze d’acqua.
 
“Scusami mamma… è che… volevo andare da nonna e… ti avrei chiamata dopo ma… non ce la facevo più… non ce la faccio più e-“ si blocca bruscamente quando infine vede Renzo e Carmen in piedi pochi passi dietro di loro, “che ci fa lui qui?!”
 
“Livietta, io-“ prova ad intervenire Renzo, ma Livietta, come un fiume in piena non lo lascia parlare.
 
“Non lo voglio vedere, mamma, per favore! Non… non ce la faccio!” esclama Livietta, la voce carica di una disperazione e di una rabbia che è peggio di un colpo al cuore.
 
“Livietta, ascoltami, tuo padre era… era davvero molto preoccupato per te, come tutti noi e-“
 
“Perché? Pensava che fossi scappata per correre da Lorenzo? O con un altro uomo? O con più di uno? O magari che volessi andare a Roma da Marco, vista l’opinione che ha di me…” sbotta sarcastica, non riuscendo a trattenere la collera.
 
“No, no, maledizione, Livietta, no! Avevo paura che ti succedesse qualcosa! Lo capisco che sei arrabbiata con me, ma non puoi prendere e scappare ogni volta e farci prendere un infarto!” esclama Renzo, provando ad avvicinarsi alla figlia e all’ex moglie.
 
“Senti chi parla! Chissà da chi avrò preso sulle fughe, no?!” proclama, sarcastica, prima di rivolgersi di nuovo alla madre e di implorarla, “ti prego, non lo voglio vedere! Non voglio stare qui! Riportami a casa, ti prego!”
 
“Livietta, per favore, non-“ tenta di nuovo di inserirsi Renzo, ma uno degli uomini della security, di fronte a quella scena, dopo aver parlottato con i colleghi, si rivolge a Camilla, interrompendolo.
 
“Is everything ok, madam?”
 
“Yes, yes, just one second,” risponde Camilla, capendo che, se si mettono a fare una piazzata qui, rischiano pure grane con la security e magari pure che avvisino la polizia. E non vuole casini, né per sé, né per Livietta, né per Gaetano che con la storia del distintivo ha già rischiato abbastanza.
 
“Livietta, per favore, andiamocene di qui, adesso, ok? Ti prometto che se non vuoi stare qui ti riporto a casa, ma… hai anche le valigie in albergo e pure io e Gaetano… e qui tra un po’ ci arrestano tutti se andiamo avanti così. Andiamo in albergo, ci sistemiamo, ci calmiamo un attimo e poi se vuoi torniamo a Torino, ok?” cerca di tranquillizzarla, prendendole il viso tra le mani e guardandola negli occhi.
 
“Ok…” sospira Livietta, annuendo, sapendo che è l’unica cosa da fare e non volendo certo creare problemi a sua madre e a Gaetano.
 
“Ok, everything is ok. We are bringing her back to the hotel with us. Thank you again, sirs,” si rivolge camilla agli addetti della security con un sorriso educato – nonostante vorrebbe menarli per il trattamento riservato alla figlia – mentre anche Livietta annuisce e si sforza di sorridere e far capire che va tutto bene.
 
Dopo qualche altra domanda e raccomandazione a Livietta, gli addetti alla security finalmente li lasciano andare. Si avviano all’auto il più rapidamente possibile, prima di rischiare altri intoppi.
 
“Non voglio sedermi vicino a lui!” intima Livietta, indicando il padre, visto che Renzo stava cercando di prendere posto sul sedile posteriore insieme a lei e a Camilla.
 
“Renzo, per favore puoi-“ domanda Camilla, non volendo esasperare ulteriormente gli animi e Renzo con un sospiro e l’aria di chi si sforza di deglutire un macigno e di trattenere le lacrime, si siede sul sedile anteriore dal lato del passeggero, lasciando che sia Gaetano a prendere posto accanto a Livietta.
 
Silenzio.
 
I primi chilometri trascorrono in un silenzio quasi surreale, la tensione che sembra riempire ogni singolo pertugio dell’auto, mentre Carmen, ormai abituata alla guida a sinistra, cerca di navigare nel traffico congestionato di un sabato d’agosto, tra turisti e londinesi.
 
“Livietta, ti prego, ascoltami, lo so che ho esagerato e… e ho sbagliato ma… prova a capirmi, per favore, io-“ osa infine pronunciare Renzo, rompendo gli indugi e voltandosi verso il sedile posteriore, ma sua figlia lo fulmina con lo sguardo, troncandolo bruscamente.
 
“Sono stufa di capirti, stufa!!! Dovresti essere tu a capire me e non il contrario! Io non ce la faccio più e non ti voglio parlare, non ti voglio ascoltare!!”
 
“Livietta, lo capisco che sei arrabbiata con tuo padre, credimi che lo sono anche io, ma su una cosa ha ragione: non puoi scappare tutte le volte che… che c’è un problema. È pericoloso, molto pericoloso e… i problemi non si affrontano fuggendo ma affrontandoli insieme come-“
 
“Come avete sempre fatto voi, no, mamma?!” la interrompe Livietta, pungente e amara, “soprattutto LUI, ma anche tu. Per quanto sei scappata da un problema? Dieci anni? Quante città abbiamo cambiato? Quante pause di riflessione vi siete fatti? Tutto per affrontare il problema, no?”
 
Camilla, colpita dalla verità di questa affermazione come uno schiaffo in pieno viso, non può fare altro che incassare in silenzio, dovendo ammettere che Livietta, in fondo, non ha torto: tra l’esempio suo e di Renzo, non le hanno certo insegnato ad affrontare i problemi di petto.
 
“Io non posso pensare che tu abbia creduto che io… che io avrei fatto una cosa così a mamma! Che tu pensi questo di me!” prosegue Livietta, imperterrita e indignata, rivolta questa volta al padre, per poi voltarsi di nuovo verso la madre e aggiungere, ferita e incredula, “e che tu nonostante tutto lo difendi ancora, dopo quello che ha insinuato non solo su Gaetano, ma su di me!”
 
“Io non lo sto difendendo, Livietta: tuo padre ha sbagliato e ho cercato in tutti i modi di farglielo capire e sono molto arrabbiata con lui! Ma cerca di capire anche me, Livietta, anche noi, tutti noi. Ci siamo spaventati e-“
 
“Lo so, ma io non ce la faccio più! Non sopporto più le vostre liti e soprattutto non sopporto più  il modo in cui mi tratta LUI, come se fossi una deficiente, un pericolo pubblico o… una zoccola!”
 
“Non dirlo neanche per scherzo, Livietta, io non l’ho mai pensato e-“
 
“Ah, no? Mi hai solo accusata di farmela con l’uomo di mia madre, ah, ma già, giusto, non sono una zoccola, è che mi innamoro facilmente. E quindi sono una facile, in poche parole!” sibila Livietta, il tono più che amaro, più che duro, affilato come un rasoio, tagliente come quelle accuse che l’hanno ferita a morte.
 
“Non sei una facile, ma vuoi negare che ti innamori facilmente? E sempre di mascalzoni, oltretutto?!” sbotta Renzo, non riuscendo più a trattenersi, furioso con lei che non riesce a capire e con se stesso, per non riuscire a farle capire, “e prima Ricky, che ti tradiva con la tua migliore amica, e poi Bobo che era un assassino e adesso pure l’istruttore che ha il doppio dei tuoi anni e che non solo probabilmente cambia una ragazza a sera e ne ha mollata una ubriaca in un pub, alla faccia della difesa personale, ma che-“
 
Renzo interrompe di botto la sua tirata, rimanendo per qualche istante fermo, a bocca aperta, mentre il suo cervello fa un collegamento che fino a quel momento gli era sfuggito.
 
“Aspettate un momento!” esclama, alternando lo sguardo tra i tre occupanti del sedile posteriore, ma concentrandosi soprattutto su Camilla, gli occhi che gli si stringono a fessura, insieme ai pugni, “tutta la storia della lezione di difesa… della mossa… della mossa antistupro… tu mi hai detto che non è mai successa. Che l’istruttore non è caduto sopra Livietta durante la vostra ultima lezione!”
 
“E infatti… e infatti non è successo durante la nostra ultima lezione,” ammette Camilla con un sospiro, sapendo che il momento della verità è arrivato e preparandosi all’esplosione, “l’istruttore ha… ha dato a Livietta delle… delle lezioni private per… per recuperare quelle che aveva perso quando eravamo a Roma e-“
 
“E tu lo sapevi?! No, certo che non lo sapevi! Ma… ma LUI sì, non è vero?!” domanda in quella che è più un’affermazione, puntando il dito verso Gaetano.
 
“L’ho scoperto per caso… li ho visti insieme davanti alla palestra che frequento anche io ogni tanto, ci ero andato per informarmi per un corso per Livietta a settembre e-“ prova a spiegare Gaetano, ma l’urlo di Renzo rimbomba nell’abitacolo, zittendolo.
 
“TU LO SAPEVI?! Sapevi che mia figlia minorenne si vedeva di nascosto con un uomo che ha il doppio dei suoi anni e li hai coperti??!!” grida, fuori di sé, l’aria di chi, non ci fossero i sedili di mezzo, avrebbe già afferrato per il collo l’altro uomo.
 
“Gli ho chiesto io di non dire niente… avevo paura che tu reagissi… così. Non è successo niente di male: ci siamo solo allenati, mi ha solo fatto un favore e-“ prova a difendersi e difenderlo Livietta, ma Renzo ovviamente è troppo furioso per sentire ragioni.
 
“Un favore? Un trentenne che esce di nascosto con una sua allieva minorenne lo chiami favore???!!! Ma siamo impazziti??!! E questo fenomeno qui vi ha pure coperto, ma del resto tra simili ci si aiuta, no, Gaetano?!” sibila, l’espressione e il tono che trasudano disprezzo.
 
“Renzo, per favore!” esclama Camilla, non sopportando che Renzo si rivolga in quel modo a Gaetano, che parli di lui come se fosse uno scimmione.
 
Simili?!” pronuncia invece Livietta, con un sopracciglio alzato.
 
“Volete negarlo? Vuoi negarlo?!” sbotta Renzo, puntando di nuovo il dito verso Gaetano, “poliziotto, alto, palestrato, occhi azzurri, irresponsabile, playboy da strapazzo… devo continuare?!”
 
“E quindi? Cosa stai insinuando adesso, eh?!” urla Livietta, indignata, “che siccome non posso avere l’uomo di mia madre me ne sono cercata una copia?! Lorenzo non è Gaetano e-“
 
Lorenzo?!” sibila Renzo, sillabando il nome come se fosse un veleno.
 
“Sì, Lorenzo, è il suo nome! E comunque pure se mi piacesse un uomo simile a Gaetano, che male c’è? Se ho gusti simili a quelli di mamma, che male c’è?” chiede Livietta, con sguardo e tono di sfida.
 
“E allora lo ammetti! Che male c’è? Che male c’è?! C’è che prima almeno non ti sognavi di correre dietro a un uomo che quasi potrebbe essere tuo padre e-“
 
“Sì, se mi avesse avuta a tredici anni e-“
 
“E comunque questa è la conseguenza del pessimo esempio che le state dando, dei modelli che le state dando!” esplode Renzo, fulminando Gaetano e anche Camilla con lo sguardo.
 
“Esempio?! Modelli?! Ma che stai dicendo, Renzo?!” sbotta Camilla, non potendo credere a quello che sta sentendo.
 
“Sì, esempio, modelli! Che tutto è lecito, tutto è giustificabile, basta dire che si tratta di un grande amore, no? Mentire, fare le cose di nascosto… che male c’è, no? E, soprattutto, che un trentenne dall’ego ancora più ipertrofico della muscolatura, che tratta le donne come fazzolettini di carta usa e getta, non è un soggetto da cui tenersi alla larga e da evitare come la peste, non è una fregatura garantita e un pericolo, ma anzi è l’uomo ideale. Perché tanto con me sarà diverso, io lo cambierò! Bell’insegnamento, complimenti!”
 
“Renzo, adesso basta!” urla Camilla, esasperata, “anche io sono preoccupata di questa cosa e sono arrabbiata con Livietta per aver fatto le cose di nascosto e con Gaetano per non avermene parlato, ma questo non ti da il diritto di-“
 
“Di sputare sentenze come fa di solito e sparare a zero su tutti?!” la interrompe Livietta, il tono carico di risentimento e… quasi di disprezzo, fulminando il padre con un’occhiata che farebbe impallidire chiunque, “ma ti senti? Ti senti?! Ti rendi conto almeno di cosa stai dicendo?! Se c’è qualcuno che mi ha insegnato a fare le cose di nascosto e che tutto è lecito e giustificabile in nome di un grande amore, per poi gettare via il grande amore come un fazzoletto usato, non sono stati certamente solo mamma e Gaetano! E tu cosa hai fatto allora, eh?! Ci siamo già dimenticati di Barcellona?! Di quello che avete combinato tu e Carmen?!”
 
“Livietta, io-“ prova ad intervenire Carmen, imbarazzata, anche se fino a quel momento era rimasta in silenzio cercando di concentrarsi sulla strada.
 
“Non ce l’ho con te, Carmen, ma con lui!” la rassicura Livietta, prima di rivolgersi nuovamente al padre, “tu spari sentenze su tutti, ma perché non provi per una volta a farti un esame di coscienza, eh?! Anche perché se dai la colpa del fatto che… che mi sono presa una cotta per Lorenzo a Gaetano e a mamma, allora seguendo lo stesso ragionamento, Ricky e Bobo sono colpa tua e di mamma, no? In quel caso ho preso esempio da te, ho seguito i tuoi insegnamenti, no?”
 
“Livietta, che c’entra? Ricky e Bobo non mi assomigliano per niente e invece-“
 
“E invece forse sì, ti assomigliano eccome, lo sai? Non fisicamente, magari, ma proprio come te avevano una doppia faccia. Facevano finta di essere quello che non erano, si fingevano innamorati persi, buoni belli e bravi e poi tenevano il piede in due scarpe, come Ricky, tradendomi con la mia migliore amica, o come Bobo, per tenermi buona e avere un alibi. E la sai una cosa? Se devo proprio scegliere, preferisco mille volte un ragazzo che mi dice chiaro e tondo che non vuole una storia seria o che mi molla dopo due settimane o un mese, piuttosto che uno che non ha il coraggio di lasciarmi e continua a prendermi in giro e a farmi perdere tempo per niente, a tenere il piede in due scarpe senza decidersi, proprio come te!”
 
“Quella al limite è tua madre!” sbotta Renzo, ferito a morte, non potendo credere a quello che sta sentendo, “io non-“
 
“Tu non cosa?! È vero, anche mamma vi ha tenuti in ballo per dieci anni, e un sacco di volte mi sono chiesta perché tu e Gaetano non l’avete mandata a quel paese molti anni fa, ma tu pensi di avere fatto di meglio? Se mamma era indecisa e non sapeva cosa voleva o non aveva il coraggio di prenderselo, tu sei ancora peggio! Almeno mamma ha sempre cercato di tenere in piedi questo maledetto matrimonio e poi quando ha deciso, ha deciso, ti ha lasciato e ha iniziato una storia con Gaetano. Tu invece che hai fatto? Prima l’hai tradita con Carmen, e almeno lì hai avuto il coraggio di prenderti le tue responsabilità e di lasciarla, ma dopo?! Hai mollato Carmen come un fazzoletto usato in cinque minuti! Carmen si è ritrovata a trasferirsi in un altro continente da sola e a mandare avanti il vostro lavoro, da sola, perché tu hai piantato tutto e te ne sei fregato. Poi sei tornato con mamma e ci hai di nuovo lasciate per andare a Torino. Poi arriviamo a Torino e siamo tutti insieme finalmente e tu richiami Carmen. E io fossi stata in Carmen ti avrei mandata a quel paese, altro che tornare! E fossi stata in mamma pure, vista la faccia tosta che hai avuto a chiederle di rimettersi praticamente in casa la tua ex amante! Ma ti rendi conto di che esempio mi hai dato tu?! Di che esempio mi avete dato voi?! Che per tenere insieme la famiglia è meglio vivere una vita di bugie, mandare giù tutto? Diventare degli zerbini? O che è normale continuare a cambiare idea e a fare marce indietro e in avanti e indietro e in avanti…? Ti rendi conto che non sai nemmeno tu cosa vuoi e cambi idea ogni cinque minuti?”
 
“Livietta, io-“
 
“Io cosa?! La verità è che a te non te ne frega niente né di me, né di mamma, né di Carmen: pensi solo a te stesso, a quello che senti tu! Tu vuoi solo quello che non puoi avere e quando ce l’hai te ne freghi! Quando stavi con mamma volevi Carmen, quando stavi con Carmen stavi ancora appresso a mamma, quando stavi di nuovo con mamma rivolevi Carmen, e adesso che potresti passare tutto il tempo che ti pare con Carmen invece torni a correre dietro a mamma e a farle le scenate di gelosia! Ed è lo stesso con me: quando mi avevi in casa con te ti ricordavi che esistevo solo per controllarmi, spiarmi, farmi sentire in colpa per essere cresciuta! Te ne vai, sparisci, poi ricompari e siccome non viviamo più insieme ti torna la voglia di fare il padre. Nonostante tutte le discussioni e tutto quello che hai combinato negli ultimi mesi decido di partire con te, di darti un’altra possibilità, sembra finalmente andare tutto bene, con te che finalmente ti comporti come un padre e non come un secondino o un bimbo viziato che fa i capricci, ma ovviamente non può durare, no?! Perché tu invece che esserne felice, che magari, che ne so… parlare con me della mia vita, dei miei interessi, chiedermi se mi piace qualcuno, insomma cercare di conoscermi, ti metti di nuovo a spiarmi di nascosto! Scopri che secondo te mi sono presa una cotta per Gaetano e invece di affrontarmi e di parlarne con me, corri a parlarne con mamma, perché ieri quando sei sparito era per andare da lei, non negarlo perché non sono scema! Dimostrandomi che più che per me, eri solo preoccupato di prenderti la tua rivincita e correre da lei a dirle te l’avevo detto, Gaetano è uno stronzo e Livietta se la fa con tutti! Scommetto che non vedevi l’ora, no? Che ne eri quasi felice!”
 
“Ma che cosa dici?!” esclama Renzo, la voce che gli si spezza, trattenendo a fatica le lacrime, “ma come fai a non capire??!! Per me è stato un incubo, un incubo terribile, in tutti i sensi! Non riuscivo a dormire, non riuscivo a mangiare, ero terrorizzato all’idea di te e LUI, all’idea di quello che poteva succederti!”
 
“E allora avresti dovuto parlarmene, dirmelo in faccia, invece che fare finta che andava tutto bene e ignorarmi e trattarmi come un’estranea, un’aliena! Ma tu pensi che sono stata bene io in questi giorni, con te che improvvisamente non mi consideravi più, che eri freddo, distante assente? Mi sono chiesta in continuazione cosa era successo, in cosa avevo sbagliato, se ti eri stufato di me!” grida Livietta, il labbro e le mani che le tremano, gli occhi grandi e lucidi, “e invece, come al solito, hai preferito fare la commedia e riempirmi di palle, piuttosto che tirarle fuori le palle e affrontarmi, almeno per una volta in vita tua!”
 
“Livietta! Tu non puoi parlarmi così! Sono tuo padre e mi devi comunque rispetto e-“
 
“Come tu ne devi a tuo padre, eh?! Io non ti devo niente! E poi parli di rispetto? Proprio tu che non hai avuto alcun rispetto nei miei confronti, nei confronti della mia privacy?”
 
“La privacy? Tu sei mia figlia, sei minorenne e ho il diritto e il dovere di sapere quello che ti succede, maledizione, Livietta!” esplode, esasperato, scuotendo il capo e picchiando un pugno sul cruscotto dietro di lui, non sapendo più cosa fare, come farsi ascoltare, come farle capire.
 
“E come? Spiandomi?! Tu pensi che così sai qualcosa di me? Di quello che mi succede? Di chi sono? Di quello che sento? La verità è che tu non sai niente di me, non mi conosci per niente, se sei arrivato a pensare quello che hai pensato! E magari le cose te le direi anche, te le avrei anche dette, se non dovessi ogni volta temere le tue reazioni, perché la verità è che a te qualsiasi ragazzo che si avvicina a me non è mai piaciuto e non piacerà mai! E poi ti stupisci che ti nascondo le cose! E la fiducia e il rispetto bisogna conquistarsele!”
 
“Come ha fatto LUI?!” urla Renzo, puntando di nuovo il dito contro Gaetano, “facendo l’amicone? Coprendoti e aiutandoti a nasconderci che ti vedevi con un trentenne?! E chissenefrega delle conseguenze?! Bella forza! Complimenti!”
 
“No, maledizione! Ma che pensi?! Che Gaetano ha fatto i complimenti a me e a L- all’istruttore e ci ha detto: ‘bravi, continuate così!’?” gli chiede, battendo le mani in un applauso sardonico, “no! Non l’avevo mai visto così arrabbiato, gli ho pure detto che mi sembrava quasi te! Ma mi ha ascoltato, ne abbiamo parlato e mi ha spiegato perché secondo lui dovevo togliermi Lorenzo dalla testa, perché una relazione con un trentenne sarebbe pericolosa, perché dovevo stare attenta e perché era preoccupato. E siccome l’istruttore non ci ha mai provato con me e non è successo niente-“
 
“E vedersi di nascosto con te lo chiami niente?!”
 
“Per delle lezioni, maledizione! Comunque Gaetano ha capito che avevo capito, che ci siamo capiti e ha deciso di fidarsi di me e-“
 
“E ha fatto male, molto male, da quello che ho letto in quel diario!” esplode Renzo, amaro, non potendo evitare che quelle immagini, l’immagine di Livietta e di quel cretino che si baciano che… che si toccano, gli invadano di nuovo la mente, “e soprattutto non aveva il diritto di nascondere questa cosa a tua madre e a me!”
 
“E una volta che ve lo diceva cosa pensavi di fare, sentiamo? Andare a linciare uno che non ha fatto niente e che non si interesserà mai a me perché mi sono presa una cotta per lui? Ma sì, tanto non mi hai già umiliata abbastanza, no?! E comunque se tu non ti fidi di me, sai che c’è? Che io non mi fido di te! Che sono stufa di provare a fidarmi di te e rimanere delusa ogni volta! Che non me ne faccio niente di un padre come te, che invece di aiutarmi, di starmi vicino, di farmi sentire meglio, è solo capace di ferirmi, di umiliarmi, di farmi sentire una merda!”
 
“Livietta, io non…“ sussurra Renzo, atterrito dal tono di lei, dallo sguardo di lei, disperato quanto duro, freddo, glaciale, come quello di un animale ferito troppe volte e che non permetterà più a nessuno di avvicinarsi.
 
Riconosce quello sguardo e sente una mano gelida stringergli il cuore.
 
Proprio in quel momento, l’auto frena quasi bruscamente e Renzo realizza con sgomento che sono già arrivati davanti all’hotel. E che è tardi, è troppo tardi.
 
“Mamma, fammi scendere, per favore, fammi scendere!” implora Livietta, un paio di rivoli che le solcano le guance, le lacrime che non riesce più a trattenere.
 
Camilla sa di non avere scelta: apre la portiera e fa come chiesto, Livietta che si fionda giù dal sedile e corre verso l’entrata dell’hotel.
 
“Livietta!” grida Renzo, precipitandosi fuori dall’auto, inseguendola e scansando Camilla, che tenta inutilmente di bloccarlo.
 
Il cuore in gola, riesce quasi a raggiungerla, quando la vede sparire dietro una porta con un simbolo inconfondibile: la toilette delle donne.
 
Spompato, esausto, fisicamente e mentalmente si appoggia alla parete, ignorando le occhiate dei passanti e le voci di Camilla, Gaetano e Carmen, che lo stanno raggiungendo.
 
È troppo tardi, se lo sente, è troppo tardi.
 
***************************************************************************************
 
“Dov’è?!”
 
“Mi dispiace, Renzo, ma si è chiusa in bagno come ha sentito che eri tu… continua a dire che non vuole vederti e non credo proprio che cambierà idea,” risponde Camilla, rimanendo sulla soglia della porta e non lasciandolo entrare.
 
Dopo aver convinto Renzo a lasciare un attimo in pace Livietta e tornare in camera, Camilla aveva passato più di mezzora a parlare, a cercare di tranquillizzarla.
 
Livietta voleva tornare a casa subito, ma Camilla le aveva fatto notare che non c’erano altri voli per Torino in giornata ed era infine riuscita a convincerla a ritornare insieme a lei e a Gaetano con il volo del mattino dopo.
 
Ma Livietta si era rifiutata di rientrare nella stanza che divideva con il padre. Per fortuna, Camilla e Gaetano erano riusciti a trovare due stanze libere nello stesso hotel – anche se erano costate loro un occhio della testa, vista la posizione e il numero delle stelle del lussuoso albergo – e quindi Camilla e Livietta avrebbero dormito in una stanza, Gaetano nell’altra.

Camilla era dovuta andare nella stanza di Renzo a fare i bagagli di Livietta. Renzo l’aveva implorata di aiutarlo a parlare con la figlia, disperato come non l’aveva mai visto, anche più di dopo quella litigata a cena, dopo la fuga di Livietta a casa di Gaetano. E, nonostante tutto, nonostante tutto quello che era successo il giorno prima, l’ultimatum e nonostante fosse ancora furiosa con lui, non si era sentita di dirgli di no. Conoscendo Livietta, sapeva e sa benissimo che con il tempo la frattura tra lei e il padre non può e non potrà fare altro che peggiorare, e Camilla non aveva e non ha mai voluto che si arrivasse a questo punto, che Livietta escludesse Renzo dalla sua vita.
 
Gli aveva chiesto un po’ di tempo, per provare a calmarla ancora un po’ e a convincerla a concedergli un chiarimento.
 
Ma ogni suo tentativo si era infranto contro un muro di gomma: Livietta era furiosa e non aveva fatto minimamente marcia indietro, non si era ammorbidita nemmeno un po’.
 
“Ma, Camilla, io-“
 
“Lo so, Renzo, però… ti garantisco che ci ho provato in ogni modo, ma non posso obbligarla e non posso insistere oltre, altrimenti finirei solo per esasperarla e… non voglio rischiare che scappi di nuovo o faccia qualche altra sciocchezza. Non serve a niente che tu le parli adesso, fino a che sta così. Devi darle tempo, Renzo,” lo prega, sperando che capisca e che non si impunti, visto che rischierebbe solo di far precipitare la situazione.
 
Perché, per quanto sia convinta che Livietta abbia bisogno di un padre, di suo padre, tanto quanto Renzo ha bisogno di lei, ora l’unica cosa che conta per Camilla è la sicurezza di Livietta, il suo benessere e non può metterlo in pericolo, per niente al mondo.
 
“Ma non c’è tempo, Camilla, non c’è tempo e lo sai anche tu! Lo so che lo sai anche tu!” esclama Renzo, disperato, trattenendo a fatica le lacrime, “se… se non riesco a parlarle prima che ve ne andiate se… se ve ne andate, io… io lo so che Livietta si sta allontanando per sempre da me e… che non riuscirò mai più a recuperare, a farmi ascoltare. L’ho visto come… come mi guarda sai? Come mi ha parlato e… ed è lo stesso modo in cui io guardo mio padre, in cui io parlo a mio padre. ‘Non me ne faccio niente di un padre come te!’ – gliel’ho detto anche io, lo sai? Tanti anni fa… prima di cacciarlo di casa, di… di pregarlo di non tornare più, di lasciare in pace me e mia madre. E… e da lì non si torna indietro, Camilla, da qui non si torna indietro e… ho paura che… che…”
 
Non riesce nemmeno a finire la frase, il groppo in gola che gli impedisce di parlare, di articolare anche solo una sillaba in più. Scuote il capo, trattenendo a fatica l’istinto di dare un pugno o una testata al muro.
 
I loro occhi si incrociano un’ultima volta e Renzo, tirando un forte sospiro, si volta e sparisce oltre le porte dell’ascensore.
 
***************************************************************************************
 
Il trillo del cellulare squarcia la tranquillità della penombra e delle luci soffuse del locale, praticamente deserto. L’unico rumore è quello della lieve musica di sottofondo : una collezione di struggenti blues, la colonna sonora perfetta per chiunque si trovi a bere alle undici di sabato sera al bar dell’hotel, invece che da qualche parte a divertirsi in una città che sembra non dormire mai.
 
E anche Renzo non sa se e quando riuscirà più a dormire. Scambia un altro sguardo con il barista che si sta prodigando ad asciugare un bicchiere già asciutto da tempo, guardandolo con un’aria di compatimento.
 
Afferra il telefono, pregando, sperando in un miracolo: che sia Camilla o magari… o magari che sia addirittura Livietta.
 
Barbara
 
Il nome bianco sul display nero gli causa una fitta di irritazione e di senso di colpa in egual misura.
 
La ignora e lascia squillare a vuoto, come aveva già fatto con le chiamate dei giorni precedenti. Come aveva ignorato i messaggi che gli aveva lasciato su whatsapp e tutti gli sms da… da quando aveva letto quel maledetto pezzo di diario.
 
Per evitare che provi a richiamarlo, si affretta a spegnere il telefono.
 
Sa che si sta comportando come uno stronzo, come il peggiore degli stronzi, ma non ci riesce, non ci riesce a parlarle, ad ascoltarla, ad ascoltare quella sua voce sempre così dolce e allegra e piena di vita, a darle le attenzioni che lei vuole e merita, a scherzare con lei, a giocare con lei mentre il suo mondo sta cadendo in pezzi.
 
Quegli attimi sereni, spensierati passati insieme a casa di lei, a letto, le loro cene… sembrano cose successe ad un altro uomo, in un’altra vita, anche se è passata poco più di una settimana.
 
Ritira il cellulare in tasca, per toglierselo dagli occhi, per togliersela dagli occhi e beve un’altra sorsata di scotch. Almeno quello è di eccellente qualità, come tutto in questo bar: questa si preannuncia come la sbornia più costosa di tutta la sua vita.
 
Ma che gliene frega dei soldi quando non gli rimane più niente?
 
Un’ultima boccata e ritrova di nuovo l’unico amico che gli è rimasto, l’unica certezza che gli è rimasta: il fondo del bicchiere.
 
“One more, please!” domanda al barista, alzando il dito della mano destra.
 
Ed è in quel momento che un pugno si abbatte sul bancone alla sua destra, facendolo sobbalzare.
 
“No more, please! He’s had enough!” intima la proprietaria del pugno con un tono che porta il barman a posare bruscamente la bottiglia che aveva già preso in mano: Carmen.
 
“Carmen, per piacere, non-“
 
“No, niente Carmen, Renzo! Che vuoi fare? Come si dice? Tirarti nero? Io non voglio passare un’altra notte a curarti mentre vomiti o a impedirti di fare qualche idiozia! Non è bevendo che si risolvono i problemi!” esclama Carmen, decisa, posandogli una mano sulla spalla e girandolo sullo sgabello fino a costringerlo a guardarla negli occhi.
 
“Come… come hai fatto a trovarmi?” le chiede, stanco, sfinito, esausto, non avendo voglia di combattere, di combatterla.
 
“Aspettavo che rientrassi in camera ma… non tornavi e mi sono preoccupata. Alla reception mi hanno detto che eri qui. Ma non cambiare discorso! Lo sai che non ottieni niente così, se non di spaccarti il fegato e rischiare di fare di nuovo la figura dell’idiota?”
 
“Lo so… lo so, Carmen, ma… non so cosa fare, lo capisci? Non so più cosa fare!” ammette, lasciando finalmente andare il dolore, mentre gli occhi gli bruciano e sente il viso bagnato, “non ho alcun modo di farmi ascoltare da Livietta, non mi vuole parlare non ascolta… non ascolta nessuno, nemmeno Camilla! Sto perdendo mia figlia e non posso fare niente, non c’è nessuno che può fare niente, maledizione!”
 
Questa volta è lui a picchiare il pugno sul tavolo, fregandosene delle lacrime che gli cadono sulla camicia e non riesce più a trattenere.
 
Guarda Carmen, lì, fissa, immobile davanti a lui, che lo osserva con un’espressione indefinibile.
 
Non sa cosa si aspettava, forse che lei lo abbracciasse, lo consolasse, lo rassicurasse come aveva fatto in mille altre occasioni, ma lei rimane lì, in piedi a fissarlo, sembrando persa nei suoi pensieri.
 
“Forse c’è qualcuno che può fare qualcosa, che può aiutarti, Renzo, qualcuno che Livietta di sicuro ascolta e ascolterà. Ma fossi in lui non so se ti aiuterei, dopo tutto quello che hai combinato, Renzo…” pronuncia infine Carmen, posando anche l’altra mano sulla spalla dell’uomo e chinandosi lievemente verso di lui, trafiggendolo con un’occhiata che sembra scrutargli fin nel profondo dell’anima.
 
“Non starai dicendo che…” mormora, incredulo, guardandola come se fosse impazzita.
 
“Cosa conta di più per te, Renzo? Il tuo orgoglio o tua figlia?” gli chiede, stringendogli le spalle, prima di lasciarle andare e rimettersi in piedi, “pensaci e, se decidi di andarci a parlare, ti consiglio di smaltire l’alcol prima: ci manca solo che ci fai di nuovo rissa o ti metti a insultarlo come al tuo solito. Non puoi più permetterti di sbagliare, Renzo.”
 
Ancora a bocca aperta, sbigottito, la osserva voltarsi e allontanarsi, senza guardarsi indietro.
 
Rimane per qualche istante così, paralizzato, mille idee in testa, il cuore che gli rimbomba nel petto.
 
Senza quasi accorgersene, in maniera automatica, si alza e a passi lenti ed incerti percorre la distanza che lo separa dalla reception. Si guarda intorno per un secondo e poi segue l’istinto ed esce, sentendo l’aria frizzante della notte londinese schiaffeggiargli il viso.
 
Comincia a camminare, senza una direzione precisa, senza meta, i suoi passi che lo conducono fino all’ingresso principale del parco, che è ancora aperto, visto che da lì corre un’ampia strada che taglia il parco in verticale, percorribile anche in auto.
 
Non c’è in giro anima viva: del resto ormai gli spettacoli alla Royal Albert Hall, che si trova oltre la parte opposta del parco, sono finiti per quella sera e… questo è un quartiere tranquillo, i locali notturni sono altrove.
 
Ignorando ogni possibile pericolo o precauzione – tanto che cos’ha da perdere? – inizia ad incamminarsi lungo la strada, respirando l’aria fresca, cercando di schiarirsi le idee.
 
Arriva infine al ponte che dà sul lago del parco, si appoggia alla balaustra in pietra, sotto al lampione e si ferma per un attimo, chiudendo gli occhi.
 
Seguendo un impulso irrefrenabile, infila la mano in tasca ed estrae il portafoglio. Lo apre e la vede: quella foto bellissima di lui, Camilla e Livietta, la sua preferita.
 
Era stata scattata il giorno del settimo compleanno di Livietta, l’ultimo compleanno davvero sereno, l’ultimo in cui erano stati davvero una famiglia.
 
Certo, l’anno successivo si era prodigato per regalarle una festa indimenticabile, si era pure messo a gonfiare palloncini e a intrattenere Livietta e i suoi amichetti.
 
Ma, se in apparenza andava tutto bene, in realtà non era così: c’era già Pamela, che lo aveva scombussolato e tentato come mai gli era successo prima, fino a fargli quasi perdere la ragione e poi… e poi c’era LUI, il dannato poliziotto-super-più.
 
In quella foto invece… erano ancora solo loro, loro tre e basta. Non c’erano poliziotti, indagini, insegnanti di ballo, colleghe di lavoro o produttori di vino.
 
Si vedeva dai loro sorrisi che erano felici, veramente felici, che nessuno di loro avrebbe voluto essere da nessun’altra parte.
 
Erano passati dieci anni… una vita… una vita buttata via cercando inutilmente di ritornare .
 
Fa scorrere le altre foto che tiene nel portafoglio, praticamente tutte solo di Livietta che guardava dritto in camera, verso di lui – perché era lui il fotografo – e gli sorrideva in quel modo adorante pieno di amore, di fiducia incondizionati.
 
Come vorrebbe che lo guardasse di nuovo così, anche solo per un minuto, sentire di non averla mai delusa, mai tradita, sentire di essere il padre che avrebbe sempre voluto essere, il padre che forse per un periodo è stato ma che ormai non è più da troppo tempo.
 
Si rende conto in un istante che quelle foto hanno tutte una cosa in comune: sono state tutte scattate prima di Barcellona. Quando si era separato da Camilla la prima volta, una foto di lui, Carmen e Livietta aveva sostituito quella di lui, Livietta e Camilla nel suo settimo compleanno. Ma quella foto non l’aveva mai buttata, l’aveva conservata gelosamente insieme ad altri ricordi del loro matrimonio, compresa la fede nuziale che ancora indossa, anche se non sa il perché.
 
Camilla invece no, lei la sua fede l’aveva buttata in un momento di rabbia – così gli aveva spiegato almeno – e… anche quando erano tornati insieme non avevano comprato delle nuove fedi, lui aveva rimesso la sua vecchia fede, a ricordo della prima promessa, Camilla invece era rimasta con l’anulare sinistro spoglio.
 
Col senno di poi, era un segno, un piccolo segno come tanti altri, ma tutto è più facile col senno di poi.
 
E, quando era tornato con Camilla, ovviamente la foto di lui, Carmen e Livietta a Barcellona era sparita ma non ne aveva messa una nuova, non aveva aggiunto alcuna immagine nuova, né di Camilla, né di Livietta, né di loro tre insieme.
 
Forse perché sapeva che non avrebbe mai retto il confronto con quella di dieci anni prima, che avrebbe solo mostrato la terribile, innegabile verità che lui si ostinava a non vedere. Che non avrebbe più letto l’amore, la felicità nello sguardo di Camilla. E soprattutto che Livietta, lo sapeva e lo sa bene, non l’avrebbe mai più guardato in quel modo, con quello sguardo che a lui tanto mancava e tanto manca.
 
Lo sai cosa penso, papà? A volte mi sembra che tu… che tu mi volevi bene e mi hai voluto bene davvero solo fino a che ero una bambina piccola, dolce, fino a che pendevo dalle tue labbra, fino a che eri il mio eroe, il mio papà perfetto e non avrei mai potuto contraddirti, perché… perché ero una bambina e non avevo una mia personalità, delle mie idee, che magari non sono uguali alle tue. Mentre ora sembra che hai… che hai paura a parlare con me, ad affrontarmi e non accetti che sono cresciuta, che gli anni sono passati e che il tempo perso non ritorna indietro. Perché la Livietta piccola e dolce e ingenua con i codini a cui volevi tanto bene non esiste più e non esisterà mai più, perché non avrò mai più dieci anni! E se non riesci a vedermi, ad accettarmi per come sono ora… io… io…
 
Quelle parole cariche di rabbia, di disperazione, che Livietta gli aveva sbattuto in faccia durante quella maledetta cena, gli ritornano alla mente, colpendolo al cuore come una stilettata, esattamente come allora.
 
Livietta aveva ragione… non sul fatto che lui non le volesse più bene come quando era piccola ma che… che per paura che lei non gli volesse più bene, non lo amasse più come allora, per paura di affrontare la realtà… non l’aveva affrontata. Si era allontanato, aveva preferito far finta di nulla, far finta di non vedere che Livietta cresceva, far finta che… che tutto fosse rimasto esattamente come allora.
 
Non aveva più cercato di conoscerla, di capirla, di parlarle non perché se ne fregasse di lei, ma perché… perché aveva paura di quello che avrebbe potuto sentire. Di capire di averla persa per sempre, che stava per perderla per sempre, che non era e non sarebbe mai più stato l’uomo più importante della sua vita, la persona più importante della sua vita.
 
E, se da un lato sapeva che questo era normale, che… che Livietta prima o poi avrebbe dovuto trovare la sua strada, farsi la sua vita… allo stesso tempo gli ricordava di tutto il tempo perduto, buttato via a compiangersi, a inseguire Camilla e poi la sua carriera e poi Carmen, tutto il tempo in cui Livietta cresceva e lui non c’era. Tutti gli attimi, i mesi, gli anni preziosi e irripetibili che erano passati e non sarebbero mai più tornati mentre lui… mentre lui era altrove.
 
Mentre lui cercava di sopravvivere, certo, di non affondare, di… di trovare almeno un poco di quella felicità che gli era sfuggita dalle dita e che non riusciva più a riacciuffare ma… ma questo lo aveva allontanato dalla persona più importante al mondo per lui, perché… perché dove c’era Livietta c’era anche Camilla e… Camilla era come una ferita aperta per lui, sia quando non stavano più insieme, sia quando erano tornati insieme. Una ferita che non è sicuro si rimarginerà un giorno.
 
Ma le cose devono cambiare. Livietta non… non può più pagare per la sua vigliaccheria, per la sua rabbia, per il suo orgoglio ferito.
 
Cosa conta di più per te, Renzo? Il tuo orgoglio o tua figlia? – sente le parole di Carmen, sussurrargli nelle orecchie.
 
E ora sa cosa deve fare.
 
***************************************************************************************
 
TOC TOC TOC
 
Rintocchi, rintocchi di nocche sul legno lo svegliano di soprassalto, portandolo a toccare il materasso accanto a sé, cercandola e non trovandola, e a guardarsi intorno in confusione.
 
Le luci che filtrano dalla finestra gli consentono infine di mettere a fuoco quella stanza opulenta quanto sconosciuta: è in hotel a Londra.
 
Il bussare si fa sempre più intenso, quasi disperato, ma nessuno chiama alla porta.
 
Guarda l’orologio: è l’una di notte passata.
 
Il cuore gli va nello stomaco: Camilla, Livietta, un’emergenza… corre verso la porta e la apre senza pensarci, senza alcuna precauzione.
 
Renzo.
 
Sbatte le palpebre tre o quattro volte per assicurarsi di aver visto bene e trattiene a stento l’impulso di darsi un pizzicotto per accertarsi di non stare sognando.
 
“Renzo, che ci fai qui?” gli chiede, incredulo e preoccupato, notando lo sguardo dell’architetto che sembra allo stesso tempo determinato e… ansioso, quasi disperato, gli occhi grandi e lucidissimi, il viso a chiazze paonazze, “ma ti senti bene? Hai bevuto?”
 
“Sì, ho bevuto ma… due ore fa, non sono ubriaco. Ho… ho bisogno di parlarti, Gaetano,” pronuncia a fatica, non per l’alcol ma perché quelle parole gli costano e gli bruciano come acido in gola. Ma sa che non c’è alternativa.
 
“Non sono qui per… per litigare o per fare rissa. Solo per parlare,” ribadisce, con il tono più deciso che riesce a produrre, dato l’orario e… e la situazione, guardando il rivale di una vita dritto negli occhi, “posso entrare?”
 
Gaetano si limita per qualche istante ad osservare l’altro uomo, cercando di leggerlo, di capire le sue intenzioni.
 
“Solo un secondo che… che mi metto qualcosa…” pronuncia infine, indicando i boxer con cui è andato a dormire, trovando la prima scusa per chiudere la porta almeno per qualche istante.
 
Rapidamente, indossa la camicia e i pantaloni che aveva gettato sulla sedia la sera prima e, soprattutto, afferra il cellulare. Attiva la registrazione e se lo mette in tasca: non vuole rischiare altre accuse assurde e che questo sia magari tutto un piano di Renzo per incastrarlo.

Riapre poi la porta e lo invita ad entrare, sempre guardingo. Si stupisce quando Renzo annuisce e si avvia verso una delle due poltroncine della stanza, disposte intorno ad un tavolino da tè, senza aprire bocca e soprattutto senza fare alcuna battuta sarcastica sul suo abbigliamento – considerato che non perdeva occasione per rinfacciargli di girare mezzo nudo.
 
“Gaetano… ascoltami…” esordisce Renzo, cercando di ritrovare le parole del discorso che si era preparato ma che ora gli sfuggono di mente, per poi incontrare gli occhi del poliziotto, faccia a faccia, e sospirare, “lo so e… lo sappiamo tutti e due che… tra noi non corre e non è mai corso buon sangue. Diciamo pure che non ci sopportiamo e… e forse non riusciremo mai davvero a sopportarci e di sicuro non diventeremo mai amici e-“
 
“Se mi hai svegliato a quest’ora per pronunciare queste ovvietà, direi che-“
 
“Ti prego, fammi parlare o… non so se riesco a ricominciare se mi interrompi…” chiede Renzo, bloccandolo prima di cedere alla tentazione di alzare di nuovo i toni, “quello che volevo dire è che… anche se… anche se so benissimo che non… che non siamo amici e che… con tutto quello che è successo in questi mesi, in queste settimane, se già prima non ci potevamo vedere ora… probabilmente mi odi e che quindi… sei l’ultima persona a cui vorrei e potrei mai chiedere un favore… io…”
 
“Un favore?” non può fare a meno di ripetere Gaetano, chiedendosi di nuovo se sia finito in un sogno bizzarro.
 
“Sì… un favore. Gaetano... per me l’unica cosa che conta davvero è Livietta… lo so che ho sbagliato tanto con lei ma… ma è l’unica cosa che mi è rimasta, la amo più della mia vita e… posso vivere senza Camilla, l’ho fatto per tanti anni, in fondo, ma non… non posso vivere senza Livietta e… e ho bisogno del tuo aiuto,” ammette, riuscendo infine ad espellere le ultime parole dalla gola.
 
Gaetano non sa cosa dire… è completamente sbigottito, si limita a guardarlo, chiedendosi se Renzo non sia impazzito del tutto.
 
“Lo so… lo so che ti sembra assurdo ma… ma Livietta si rifiuta di vedermi, di parlarmi, di ascoltarmi. Non ascolta né me, né Camilla, non vuole sentire ragioni. Ma so che… che, anche se mi costa ammetterlo, c’è una persona che mia figlia ascolta e di cui si fida… forse anche di più di… di quanto ascolti Camilla. E questa persona sei tu, Gaetano,” pronuncia quelle sillabe che gli pesano come un macigno, ma che sono purtroppo la verità, “quindi… ti prego… ti prego intercedi con mia figlia… convincila a… a non partire domani… a darmi un’ultima possibilità. Se… se Livietta se ne va domani, la perdo per sempre, me lo sento!”
 
“Renzo… io… io non so cosa dire…” mormora Gaetano, scuotendo il capo, a dir poco sbalordito e sconcertato: mai si sarebbe immaginato una cosa del genere quando ha visto Renzo davanti alla porta, mai.
 
“Ti prego, Gaetano, lo so che… che non sono nella posizione di chiederti niente e… e credimi che preferirei mangiarmi degli scorpioni vivi piuttosto che… doverti implorare di qualcosa ma… ma mia figlia conta più di tutto, più del mio orgoglio, più dei problemi tra me e te! Sei padre anche tu, anche tu hai… hai sbagliato e hai avuto una possibilità e ora… e ora ne ho bisogno io… ti prego, cerca di capirmi, sono disposto a chiedertelo anche in ginocchio se necessario!” esclama, alzandosi dalla sedia e cercando sul serio di inginocchiarsi, ma Gaetano lo blocca, trattenendolo per una spalla e portandolo a rimettersi a sedere.
 
“Renzo, per favore, no che non è necessario,” ribadisce, sciogliendo immediatamente il contatto e risedendosi a sua volta, chiarendo, guardando l’architetto negli occhi, “non voglio certo che tu… che tu ti umili, non voglio questo. Ma… sinceramente non… non so se Livietta mi ascolterebbe, anche se le chiedessi una cosa simile e poi… e poi per quanto posso capire che hai bisogno di tua figlia, che… che non vuoi perderla, io… io devo pensare solo al bene di Livietta e di Camilla adesso. E proprio perché si fidano di me, perché Livietta straordinariamente si fida di me, non posso in coscienza implorarla, convincerla a fare qualcosa di cui poi finirà per pentirsi. E di cui tu stesso finirai per pentirti, Renzo.”
 
“Che cosa? Che vuoi dire?” chiede Renzo, preso in contropiede, “come potrei pentirmi di… di avere un’altra possibilità con mia figlia?”
 
“E invece finirai per pentirtene se… se convinco Livietta a concedertela e tu… per via della rabbia, del risentimento, della sfiducia che hai nei miei confronti e nei confronti di Camilla, te la bruci di nuovo e, scusa il francesismo, mandi tutto a puttane un’altra volta,” spiega Gaetano notando, con un certo sollievo, che Renzo sembra colpito dalle sue parole, a giudicare da come abbassa la testa e si passa una mano sugli occhi, “Renzo, io posso capire che tu ce l’abbia con me, che pensi il peggio di me – entro certi limiti, perché direi che sei andato oltre ai limiti comprensibili e accettabili, perfino per la nostra situazione – ma… tu non puoi un giorno venire con il ramoscello d’ulivo da me o da Camilla a fare proclami di pace e il giorno dopo accusarmi delle cose peggiori o minacciare Camilla di toglierle vostra figlia! E siccome un risentimento del genere non sparisce magicamente dalla mattina alla sera… io credo che nel profondo tu… tu mi odi ancora… e che soprattutto sei ancora convinto di ciò che hai detto: che… che io sono un pericolo per Livietta. E allora prima di fare l’ennesimo disastro, forse è meglio che… che davvero tenti in qualche modo di rimettere insieme i pezzi della tua vita, Renzo, anche se non è facile, e ti garantisco che lo so che non è per niente facile ritrovarsi soli. Ma devi riuscire a smaltire la rabbia, il risentimento, anche a farti aiutare, se è necessario, prima di riprovarci con tua figlia. Perché ogni volta è peggio e la corda a furia di tirarla si spezza, se non si è già spezzata, Renzo.”
 
Renzo si morde il labbro e si tormenta per qualche istante ancora gli occhi, prima di riaprirli, azzurro che incontra azzurro.
 
Una parte di lui lo sa che il poliziotto ha ragione, lo sa che… che non può continuare così e lo odia e si odia per questo. Ma sa anche che… che non c’è più tempo.
 
“Ed è proprio perché forse si è già spezzata che… che non ho tempo, Gaetano, non ho tempo di… di rimettere insieme i pezzi della mia vita – ammesso che riesca a farlo senza Livietta – e poi di tornare da mia figlia. Perché mia figlia non… non ci sarà più, non per me, non mi permetterà più di rientrare nella sua vita, lo so,” cerca di fargli capire, buttando al vento ogni residua traccia di orgoglio e decidendo di essere onesto, di… di dirgli quello che non avrebbe mai voluto dire a nessuno, meno che mai al dannato poliziotto, “Gaetano… io ho visto come Livietta mi guardava oggi… ho riconosciuto quello sguardo, quelle parole che mi ha detto. Le ho dette anche io, tanti anni fa, a mio padre, prima di… prima di tagliare per sempre i ponti con lui. E so per… per esperienza che da lì non si torna indietro, che se non recupero ora, se la lascio andare, Livietta non mi darà mai più una possibilità, che con il tempo sarà sempre peggio, lo capisci questo?”
 
“Renzo, io-“ prova ad intervenire Gaetano, ma Renzo ormai è come un fiume in piena.
 
“È vero, sono ancora arrabbiato con te… furioso con te! Non solo per… per tutto quello che è successo tra di noi in passato o perché… perché mi hai nascosto, ci hai nascosto questa storia dell’istruttore, cosa che – Camilla può dire quello che vuole – ma per me è gravissima! Però non è solo questo, Gaetano, non è solo questo! Io non mi sono mai fidato degli uomini come te o come… come quel Lorenzo e non c’entra niente Camilla, non c’entra niente Livietta, io gli uomini come te non li ho mai potuti sopportare per… per via di mio padre,” ammette, tormentandosi le mani e scuotendo il capo.
 
“Cosa… cosa c’entra tuo padre?” chiede Gaetano, sempre più confuso e turbato, non capendoci più niente.
 
“Mio padre era… era un donnaiolo, un playboy, un tombeur-de-femmes. Aveva questo… questo maledetto fascino… le donne cadevano ai suoi piedi e lui… lui le lasciava cadere, le raccoglieva e poi le gettava via di nuovo, quando si era stancato,” racconta, mentre gli tornano alla mente tanti, troppi ricordi orribili, “non c’era… non c’era praticamente mai a casa… faceva l’agente di commercio e… e viaggiava, per lavoro, diceva lui. Lavoro un corno, anzi, forse sì, ma al plurale! Riempiva mia madre di corna, l’ha sempre riempita di corna e tornava da lei solo quando… quando gli faceva comodo… quando aveva voglia di un pasto caldo, delle sue pantofole e di giocare… di giocare alla famiglia felice. Non so perché.. perché si sia sposato… credo che... che sia solo perché mia madre era rimasta incinta di me e… i loro genitori li hanno costretti. Erano entrambi molto giovani… erano altri tempi…. Mia madre non me l’ha mai detto ovviamente ma… ma l’ho capito negli anni. Come ho capito tante altre cose: la prima volta che l’ho beccato con un’altra avevo dieci anni. Si baciavano nell’auto di mio padre, parcheggiata poco lontano da casa… era sera e… ed ero sceso a buttare i rifiuti. Era… era la cameriera del bar vicino casa e mio padre non… non si preoccupava nemmeno più di… di nascondere le sue tresche o di andarsele almeno a cercare lontano da casa. Mia madre non diceva mai niente… lo difendeva sempre e… e lo perdonava ogni volta, se lo riprendeva in casa e ingoiava, ingoiava, ingoiava e deperiva, deperiva sempre di più. È morta… è morta che aveva cinquantacinque anni… era più giovane di me adesso!” esclama, non riuscendo a contenere il tono di voce, mentre ricorda in che stato si era ridotta, peggio di una larva, “non… non si era più curata di sé e si era lasciata andare. Chissà da quanti anni… da quanti anni stava male ma non era mai voluta andare a farsi visitare, non aveva mai detto niente… fino a che… fino a che non si reggeva quasi in piedi e le hanno trovato un tumore al polmone al terzo stadio. Ormai era troppo tardi… non c’era nulla da fare… era piena di… di metastasi.”
 
Gaetano è nuovamente ammutolito: sapeva qualcosa del padre di Renzo e del fatto che si detestassero, ma… ma non avrebbe mai immaginato tutto questo. Tante cose cominciano ad essergli chiare, mentre lo sguardo di Renzo, così carico di tormento, di… di odio, di angoscia, il suo tono di voce lo colpiscono come non avrebbe mai ritenuto possibile. Forse perché… perché gli suonano fin troppo familiari.
 
“Hai un’idea di cosa significa vivere con… con il senso di colpa che… che se non fosse stato per me, che se non fossi nato io, mia madre… mia madre avrebbe avuto una vita diversa?” gli domanda il tono sempre più disperato, “io sì! Ed è per questo che… che non ho mai potuto sopportare gli… gli uomini come mio padre… per questo che… quando ho saputo quello che è successo a Tommy io… ti ho disprezzato ancora di più e… ed è per questo che non mi sono mai fidato di te, delle tue promesse, che ho sempre avuto il terrore che tu potessi… che un uomo come te potesse entrare nella vita di Camilla e di nostra figlia. Ed è per questo che sono sempre stato così… così protettivo con Livietta, forse ho esagerato ma… ma ho il terrore che possa succedere anche a lei che… che incontri l’uomo sbagliato e che… basta un momento per rovinarsi la vita per sempre e… io non voglio che Livietta possa mai fare la fine di mia madre!”
 
“Queste cose hai mai provato a dirle a Livietta?” osa chiedere Gaetano, visto che Renzo sembra aver fatto un attimo di pausa.
 
“A Livietta?! E quando?! E come?! Livietta… Livietta non mi ascolta, sono anni che non mi ascolta e… quando mi ascoltava era troppo piccola per capire… e… la verità è che… è colpa mia se non mi ascolta, se non sono più… più in grado di parlarle,” riconosce Renzo, anche se gli costa una fatica tremenda, ma… è inutile raccontarsi palle, ormai, “sai… sai cosa mi fa più male? Che quando è morta mia madre… ho deciso… ho promesso a lei e a me stesso che non sarei mai stato come mio padre. Ero già fidanzato con Camilla e ho promesso che se ci fossimo sposati e se avessimo avuto dei figli, per loro ci sarei stato sempre, sempre. Che sarei stato il marito e il padre perfetto, quello che mio padre non era mai stato, che avrei dato loro tutto quello che era mancato a me e a mia madre. E invece… e invece mi ritrovo adesso a 56 anni, a rendermi conto che ho sbagliato tutto! Sono stato assente per troppi anni… ho passato troppo poco tempo con mia figlia e lei... lei si è sentita abbandonata da me e mi odia e mi disprezza proprio come… come io disprezzavo mio padre. Sono diventato come mio padre, Gaetano e senza nemmeno rendermene conto! Certo, non ho avuto duecento donne ma due ma… ho fatto questo tira e molla assurdo e… e non servono duecento donne per… per rovinare la vita a una bambina, basta molto meno. Non solo, ora scopro pure che… che per colpa mia e delle mie assenze mia figlia cerca riferimenti in altri uomini molto più grandi di lei e per di più simili a mio padre come quell’idiota dell’istruttore o-”
 
“O come me?” domanda Gaetano, con un sopracciglio alzato, essendosi ormai fatto un’idea precisa della situazione.
 
“Già… e sai cosa mi sembra incredibile, Gaetano? Che io… io non ho mai pensato che tu saresti mai stato capace di fare il padre… almeno in quello mi sono sempre sentito superiore a te, migliore di te. Penso solo a qualche mese fa… neanche un anno fa… io avevo una famiglia, una figlia, una moglie… tu avevi le tue donne, certo ma… tuo figlio non ti poteva vedere e tu sembravi fregartene di lui. E ora… io non ho più una moglie, mia figlia mi odia e tu invece… tuo figlio ti adora come se fossi un supereroe, Camilla è innamorata persa di te - e non fare quella faccia sorpresa, purtroppo lo so che è così, di quello che prova lei per te purtroppo non ho dubbi, forse una parte di me l’ha sempre saputo, è su di te che… che di dubbi ne ho ancora e parecchi,” precisa, vedendo l’espressione sbigottita di Gaetano, di fronte a questa ammissione che, di nuovo, pesa a Renzo come un macigno, ma ha deciso di smetterla di mettere la testa sotto la sabbia, “ma… ma se sapevo che Camilla aveva perso la testa per te, se quando… se quando mi ha detto che era finita tra noi, una parte di me sapeva di doversi rassegnare… non avrei mai immaginato che… che mia figlia si legasse così tanto a te. Che tu saresti riuscito dove io ho fallito: a conquistarla, a conquistarti la sua fiducia. Tanto che mi ritrovo qui ad implorarti di aiutarmi a riavvicinarmi a lei. Ma la verità è che ho paura, ho paura di come tu la userai questa fiducia, Gaetano, perché… perché già quello che è successo con quel… con quel cretino dell’istruttore dimostra che tu non hai idea di cosa significa gestire una ragazza di sedici anni. Forse io sono troppo severo ma tu-“
 
“Renzo, Renzo, ascoltami. Lo so che ho sbagliato a non parlare con Camilla di… di quello che Livietta mi aveva confidato sull’istruttore ma… ma se non l’ho fatto è perché ho chiesto informazioni su di lui, ho parlato con lui e… e ho capito che non è un pericolo per Livietta, ne sono sicuro. E sono convinto che non la cercherà più,” afferma, deciso, anche se ritiene decisamente più prudente tenere per sé il fatto che sia convinto che all’istruttore Livietta piacesse, e molto. Del resto Camilla lo sa e tanto basta: Renzo farebbe fuoco e fiamme e non vuole certo che corra ad aggredire Ferri o ad insultarlo. Livietta non li perdonerebbe mai.
 
“E ti garantisco che anche io non farei mai del male a Livietta, non… non sono un pericolo per tua figlia, Renzo. Non sarò perfetto, non sarò un santo, farò degli errori ma… io le voglio bene, le voglio bene da anni e mi ammazzerei piuttosto che farle del male. Lo so che non mi credi, ma è così. Io non voglio prendere il tuo posto, anche perché Livietta non mi vede e non mi vedrà mai come un padre e lei è la prima a non voler scegliere, Renzo, lei vorrebbe poterci avere tutti e due nella sua vita, possibilmente senza che passiamo il tempo a scannarci. E visto che tu sei qui a chiedermi un’altra possibilità, te lo chiedo anche io, Renzo, di darmi almeno una possibilità con lei, di dimostrarti che non hai nulla da temere da me!”
 
“La fai facile tu… tu che fai il permissivo, l’amicone, il poliziotto buono! Io sarò esagerato dal lato opposto ma… io ho il terrore della… della leggerezza che dimostri con mia figlia, di queste tue certezze incrollabili! Ma che ne sai davvero tu di quello che… che un trentenne sciupafemmine potrebbe volere da mia figlia? Come fai a dire che non è un pericolo, che tiene a lei? Perché ci hai parlato una volta e hai preso due informazioni e allora, siccome hai questo intuito prodigioso, sei sicuro di non sbagliarti?” chiede Renzo, la sua voce di nuovo dura e amara, “ti vorrei solo far notare che se il tuo istinto sulle persone fosse così infallibile, forse non avresti bisogno della… chiamiamola consulenza di mia moglie sulle indagini, no?”
 
“Renzo, ascoltami, io-“
 
“La verità è che… che magari tu terrai anche a Livietta, le vorrai bene a modo tuo ma… ma tu hai… hai tuo figlio, hai Camilla, mentre per me… per me Livietta è l’unica persona che mi è rimasta al mondo, l’unica famiglia che ho! Ma tu hai la minima idea di cosa si prova, eh? Cosa si prova a temere ogni giorno di perderla? Di temere ogni giorno, ogni notte che potrebbe capitarle qualcosa di male, che potrebbe uscire una mattina o una sera e non tornare più o che… che comunque le capiti qualcosa di irreparabile, che la rovini per sempre? Puoi capire quello che ho provato con tutta la storia di Bobo, eh? Il terrore, il terrore di non vederla più, gli incubi che ho avuto per settimane, che ancora mi tornano qualche notte, in cui mi annunciano che Livietta è morta o… o che Livietta è sparita e non si trova più? Hai la minima idea di cosa si prova, eh, Gaetano? Di cosa si prova ad amare una persona più di se stessi e sapere che… che non puoi impedirle di farsi male?”
 
“Sì, sì che ce l’ho un’idea Renzo, eccome se ce l’ho! Forse ti dimentichi che io-“
 
“Camilla non conta, Gaetano!” esclama Renzo, sarcastico, “ok, si caccia sempre nei guai ma-“
 
“Non stavo parlando di Camilla, anche se ogni tanto mi fa preoccupare ma… ma lo so che è una donna intelligente, con la testa sulle spalle e del cui giudizio mi posso fidare, stavo parlando di-“
 
“E non conta neanche Tommy: ti garantisco che a cinque anni è facile controllarli… a sedici invece-“
 
“Renzo, mi fai parlare?!” sbotta Gaetano, esasperato, “forse ti dimentichi che… che io per anni ho avuto solo mia sorella. E la sai una cosa, Renzo? Tu non sei l’unico ad avere avuto problemi con tuo padre, ad avere una madre succube che… che si è lasciata andare. E non serve nemmeno un’altra donna, nemmeno una, per creare i problemi ai figli. Anzi, a volte un padre presente può fare anche più danni di uno assente, se è presente nel modo sbagliato. I miei sono morti entrambi che sia io che mia sorella eravamo ancora relativamente giovani, soprattutto Francesca e… mi sono ritrovato per anni a farle da madre e da padre, anche prima che morissero in realtà. E lo sai cosa vuol dire, Renzo, per un ragazzo di vent’anni vivere con il terrore ogni volta che… ricevevo una chiamata da casa, o da Francesca o da un numero sconosciuto? Cosa significa passare anni e anni e anni successivi ad avere paura se non la sentivo per qualche settimana? A temere da un momento all’altro che sarebbe arrivato qualcuno ad avvertirmi che… che si era cacciata in qualche guaio più grande di lei, che era morta o in fin di vita? Sai, dopo che sono morti i miei genitori, quante volte ho temuto di morire in qualche missione e di cosa ne sarebbe stato di Francesca? Che sarebbe finita a fare la barbona o… o peggio a vendersi o… o a suicidarsi. Perché Livietta è una ragazza vivace, sì, e ha fatto degli errori, ma ha un grande istinto di sopravvivenza, Renzo, un grande amore per la vita, per se stessa, per le persone che ama mentre… mentre Francesca… si era persa e, come diceva quella canzone di De André, per un periodo ho davvero temuto che… che non sapesse più tornare, che non avrebbe mai più ritrovato la sua strada.”
 
Renzo rimane per un attimo a bocca aperta, non sapendo cosa dire, sembrando sconcertato quanto Gaetano lo era stato qualche attimo prima.
 
“E se mia sorella si… si era persa era soprattutto colpa di… di mio padre e anche di mia madre… ma… ma anche di alcune esperienze che l’hanno segnata e che io non sono riuscito ad impedire, perché… perché non c’ero, perché stavo anche io crescendo, stavo studiando e non potevo essere presente in ogni momento della vita di mia sorella. E dopo quello che ho passato con Francesca, non vorrei mai, mai che Livietta facesse le stesse esperienze di mia sorella ma… ma non credo che le farà e secondo me non dai abbastanza credito non solo a lei ma all’educazione che le avete dato tu e Camilla. E poi… e poi se c’è una cosa che ho imparato dall’esperienza con Francesca è che col muro-contro-muro, con la severità, con la durezza si fa solo peggio. Io… io ero arrivato a fare peggio di te con Livietta, ero diventato quasi un gendarme con mia sorella e… e mi ero allontanato da lei emotivamente… ero diventato più… più duro, più rigido, più freddo forse perché… perché avevo paura di quello che le sarebbe potuto succedere e… e una parte di me stava forse cercando di staccarsi da lei di… di soffrire meno se lei… se lei… se lei fosse morta.”
 
I due uomini si guardano per qualche istante, entrambi increduli dalla piega che ha preso questa conversazione. Gaetano stringe le maniglie della poltroncina fino quasi a sentirle cedere perché queste sono cose che solo Camilla fino ad ora sapeva – e non perché gliele avesse dette, ma perché… perché conosceva lui e Francesca, perché, come sempre, aveva intuito tutto senza bisogno di parlarne. E non avrebbe mai immaginato di confidarle a qualcuno un giorno, meno che mai a Renzo.
 
“E invece… stavo sbagliando tutto… stavo facendo solo peggio con  la mia severità, la mia intransigenza, avevo spinto mia sorella a pensare che non le volessi bene, a credere di non poter parlare con me, di non potersi confidare con me, a pensare che… che non l’avrei capita, che l’avrei giudicata e basta. E l’ho capito… per capirlo sono dovuto arrivare a trovarmela su un letto di ospedale e… se non fosse stato per Camilla che l’aveva trovata e aveva chiamato l’ambulanza… sarebbe morta… si sarebbe uccisa con i sonniferi e l’alcol…”
 
“È stato… è stato quando Camilla ci ha portato a casa il suo cane?” intuisce Renzo, che all’epoca aveva soltanto saputo che Francesca era in ospedale – che era sorella del poliziotto l’aveva scoperto solo successivamente, perché Camilla, guarda caso, aveva omesso quel piccolo dettaglio. Ma evidentemente non era il solo piccolo dettaglio che aveva omesso, visto che Renzo non aveva idea che Francesca fosse stata ricoverata per una cosa del genere.
 
“Sì, esatto… e lì ho capito che… che dovevo cambiare… dovevo cambiare il mio rapporto con lei radicalmente. Che, certo bisogna… saper mettere dei paletti… criticare anche quando serve o saper dire dei no, nel caso dei figli ma… che bisogna anche saper spiegare il perché non siamo d’accordo su una cosa, perché ci spaventa o ci preoccupa. Saper ascoltare, saper fare capire alla persona che amiamo che… che comunque vada, qualunque cosa farà, potrà contare su di noi, perché la amiamo e la ameremo sempre e non la giudicheremo,” spiega Gaetano, per poi fare un sospiro e aggiungere, guardando di nuovo Renzo negli occhi, “Renzo, io non sono il nemico. Forse non sono e non sarò mai un amico ma non sono il nemico e non farei mai del male a Livietta, mai, non solo perché tengo a lei da morire, ma perché so benissimo che Camilla senza Livietta non potrebbe mai essere felice e io voglio solo che sia felice, che siano felici, anche se tu non mi credi. Ma io non sono un mostro! D’accordo, non sono stato un santo, diciamo pure che in certi periodi della mia vita posso essere stato uno stronzo, ma… ma se per anni sia io che Francesca abbiamo avuto problemi con… con i legami, con le relazioni sentimentali, se per anni non siamo mai riusciti a innamorarci… forse un motivo c’è, no? E… e purtroppo non ho avuto la fortuna immensa che hai avuto tu – anche se forse adesso non la pensi così – la fortuna di incontrare una donna come Camilla al momento giusto, presto, in tempo per formare una famiglia. E quando l’ho incontrata era già impegnata con te. E sicuramente non sarà stato nobile da parte mia corteggiarla… mettermi in un certo senso tra di voi… ma io la amo da sempre e… e credo che questo non mi rende un mostro, Renzo. Come tu quando hai lasciato Camilla per Carmen non sei stato un mostro… siamo solo umani, Renzo. Purtroppo e per fortuna.”
 
Silenzio… un lungo ed interminabile silenzio. Occhi azzurri incontrano altri occhi azzurri, cercando di leggere i pensieri dell’altro, oltre alla sorpresa e a un po’ di imbarazzo.
 
“Forse… forse questa è la prima volta che… che parliamo davvero noi due,” commenta infine Renzo con un sospiro: il confronto a casa di Gaetano che era quasi finito in rissa non poteva certo essere classificato come un dialogo.
 
“Sì, forse sì,” conferma Gaetano, ricambiando il sospiro.
 
“Ammetto che… che forse non… non ho mai provato a mettermi nei tuoi panni, Gaetano – anche se tu più che mettertici te li togli,” ironizza Renzo, per sdrammatizzare, ma Gaetano non può fare a meno di notare che il tono del rivale sembra molto più tranquillo e non sarcastico o beffardo, “forse ti ho sempre visto come questo… stereotipo ambulante e… non ho mai cercato di capirti, di conoscerti… anche perché cercavo solo di evitare che lo facesse Camilla.”
 
“E… e lo posso capire,” ammette Gaetano a sua volta.
 
“E anche se… se non potremo mai essere amici… forse… forse possiamo arrivare davvero ad una tregua per… per Livietta, per Camilla, per me e per te. Anche perché tanto continuando a darti addosso… non risolvo niente, anzi, peggioro solo le cose…” sospira nuovamente, scuotendo il capo.
 
“A me una tregua piacerebbe, Renzo, ma una vera tregua. Non che cambi idea tra due giorni un’altra volta,” ribatte Gaetano, trattenendosi dal commentare con un – l’hai capito solo adesso?
 
“D’accordo, ti… ti prometto che non ti causerò altri problemi e non… non cercherò più di ostacolare la storia tra te e Camilla o… o il fatto che Livietta passi del tempo con te. A meno che tu non me ne dia un motivo, Gaetano: falle soffrire e giuro che me la paghi!” esclama Renzo, deciso, quasi scarnificandosi i palmi con le unghie mentre pronuncia quelle parole che non avrebbe mai voluto pronunciare perché… perché suonano come una resa. Ma, Renzo, lo sa bene, ormai la partita è già persa e… non ha senso continuare a combattere.
 
“Non lo farò, te lo garantisco, Renzo,” assicura, ricambiando l’occhiata dell’altro uomo.
 
“Mi aiuterai con Livietta?” domanda quindi Renzo, l’urgenza quasi disperata evidente nel tono di voce.
 
“Sì. Ma non per te, Renzo, non solo, ma anche e soprattutto per Livietta e per Camilla. Ma a due condizioni: prima di tutto tu mi devi promettere che non la deluderai di nuovo, che non le deluderai di nuovo. Altrimenti sarai tu a pagarmela!” intima, il tono deciso e convinto di chi non sta scherzando.
 
“Te lo prometto. Se Livietta mi darà una possibilità non… non la butterò via. E farò tutto quello che posso per non deluderla mai più,” garantisce Renzo, per poi chiedergli, un velo di apprensione nella voce, “quale sarebbe la seconda condizione?”
 
“Che Camilla sia d’accordo, Renzo. Che sia d’accordo che… che Livietta rimanga qui con te e con Carmen. È la madre di Livietta e la mia compagna e… e non voglio scavalcarla. Lo capisci, vero?” chiede, fissandolo negli occhi, mettendolo alla prova. Dopo quello che è successo con Camilla non vuole più rischiare di fare qualcosa di questa… di questa portata… qualcosa che riguardi Livietta senza consultarla prima: non vuole che pensi ancora che lui possa minare il suo ruolo, la sua autorità materna.
 
“Mi… mi sembra ragionevole…” ammette Renzo con un sospiro, sperando,  pregando che… che Camilla non si metta di traverso. Oggi aveva promesso di aiutarlo con Livietta e le aveva creduto quando gli aveva detto di averlo fatto ma non esserci riuscita: sa che Camilla non gli mentirebbe su una cosa del genere. Però una parte di lui teme che, anche se Camilla non vuole togliergli sua figlia, dall’altro canto non si fidi a lasciarla ancora sola con lui.
 
Con un sospiro, si alza in piedi e porge una mano tremante verso il rivale di una vita.
 
Una stretta rapida, rigida e solenne.
 
Renzo si volta e, in pochi istanti, sparisce oltre la porta.
 
***************************************************************************************
 
“Amore!”
 
Un sorriso dolce e viene trascinato dentro la stanza e in un bacio del buon giorno languido e profondo.
 
“Mmm… buongiorno…” le sussurra sulle labbra quando si staccano, posandole un altro rapido bacio, prima di dedurre, dato che sa benissimo che Camilla non lo bacerebbe in questo modo con la figlia presente, “Livietta non c’è?”
 
“Livietta è in bagno…”
 
“Allora… avresti due minuti?” le chiede, esitante, preparandosi mentalmente a quello che sta per fare, che sta per chiederle, sperando che Camilla sia d’accordo e temendolo quasi allo stesso modo.
 
“Anche più di due minuti, dottor Berardi… Livietta è appena entrata nella doccia e, come sai, come minimo ci mette un quarto d’ora, se va bene,” replica con un altro mezzo sorriso, prima di mormorare, lanciandogli un’occhiata eloquente, “dipende però a cosa ti servono i due minuti, perché Livietta non è sorda e… io ti conosco fin troppo bene quando ti vengono certe idee!”
 
“No… no, Camilla, ti… ti devo parlare un minuto. Potresti venire in camera mia? Solo per parlare, davvero,” ribadisce mentre Camilla solleva un sopracciglio e lo squadra con scetticismo.
 
“Solo per parlare? Non so se esserne rassicurata o se mi devo offendere o preoccupare…” commenta Camilla con un sospiro, prima di annuire, “d’accordo. Lascio solo un biglietto a Livietta.”
 
Dopo aver scritto il post-it, Camilla esce, ancora in camicia da notte, dalla stanza ed entra rapidamente in quella di Gaetano, che si trova di fronte alla sua.
 
“Allora? Che succede?” gli domanda, decisamente meno giocosa e più seria di prima.
 
“Succede che… stanotte Renzo è venuto in camera mia e-“
 
“Oddio! Stai bene, sì?!” esclama, ora decisamente preoccupata, osservandolo per accertarsi che sia tutto intero, “e Renzo? Sta bene? Ti ha dato problemi? Avete… avete litigato? Che è successo, Gaetano?!”
 
“No, no… io sto bene, come vedi e anche Renzo sta… fisicamente sta bene… non abbiamo litigato e… e Renzo non è venuto da me per far rissa, Camilla. È venuto per parlarmi e… incredibilmente siamo riusciti ad avere un confronto… civile,” chiarisce, mentre Camilla spalanca gli occhi in un’espressione stupita, probabilmente molto simile alla sua quando si era trovato davanti Renzo poche ore prima.
 
“Di… di che cosa voleva parlarti Renzo?” gli domanda, ancora incredula, anche se deve ammettere di sentirsi sollevata all’idea di non avere l’ennesimo casino da risolvere, come se non bastassero tutti quelli ancora irrisolti.
 
“È… è venuto a… a pregarmi di intercedere per lui con Livietta e di convincerla a non partire oggi.  A rimanere qui con lui e con Carmen,” spiega e la bocca di Camilla si spalanca anche più degli occhi, chiaramente colta completamente di sorpresa, “lui pensa che… che se glielo chiedo io, Livietta possa cambiare idea forse perché… perché Livietta sa quanto poco io e suo padre ci siamo sempre tollerati… per usare un eufemismo.”
 
“In effetti… in effetti potrebbe funzionare,” ammette Camilla, ancora sbigottita, scuotendo il capo, “Renzo l’ha pensata giusta, stavolta. Certo, ha una bella faccia tosta a chiederti una cosa simile dopo tutto quello che ha combinato, dopo quello di cui ti ha accusato! Ma, conoscendolo, gli deve essere costato non poco venire da te a… a chiederti aiuto. Doveva proprio essere disperato!”
 
“Sì… pensa che… si è quasi messo in ginocchio… all’inizio ero scettico e… ho capito che si stava sforzando, che… che stava cercando di recitare un discorsetto che si era preparato… che non aveva affatto cambiato idea su di me… che se lo faceva era perché sentiva di non avere alternative. Però poi abbiamo discusso, abbiamo parlato, ho cercato di fargli tirare fuori quello che pensava sul serio e… e forse per la prima volta da quando lo conosco… credo che ci siamo davvero capiti, Camilla, forse non su tutto, per carità ma… almeno mi ha ascoltato sul serio e ha guardato almeno per un attimo oltre tutti i pregiudizi che ha sempre avuto su di me. E… e mi ha promesso una tregua… ci siamo promessi una tregua, una vera tregua: mi ha giurato che non causerà altri problemi né a me, né a te, che... non ci ostacolerà più e… accetterà anche il fatto che Livietta passi del tempo con me… insomma… che la pianterà di farci la guerra.”
 
“E tu gli credi?” domanda Camilla, un sopracciglio alzato.
 
“Sì,” ammette con un sospiro, “sì, Camilla… ero scettico anche io, molto scettico ma… c’era qualcosa di diverso ieri… io credo che Renzo abbia finalmente capito che con questa guerra non risolve niente e anzi, ha solo da perderci e che… che io non sono realmente una minaccia, né per te, né per Livietta.”
 
“E… e quindi… ne devo dedurre che hai accettato di intercedere per lui con mia figlia?” chiede di nuovo, guardandolo negli occhi con un’espressione indefinibile e Gaetano non riesce a capire se ne sia sollevata o preoccupata. E forse non lo sa nemmeno lui.
 
“Gli ho detto che l’avrei fatto ma… ma solo a due condizioni,” precisa Gaetano, mordendosi il labbro, con un sospiro.
 
“E cioè?”
 
“E cioè che… che non avrebbe più deluso Livietta, che non… non avrebbe bruciato anche questa occasione facendo l’idiota e… e poi, soprattutto, che prima ne avrei parlato con te, come sto facendo, e che tu fossi d’accordo che Livietta rimanesse ancora qui con lui. Insomma, Camilla, dopo quello che è successo… lo capisco se l’idea non ti entusiasma e… e dopo quello che è successo ho imparato la lezione e non… non voglio certo scavalcarti e proporre qualcosa a Livietta che tu non approvi.”
 
Per tutta risposta, Camilla gli sorride commossa per poi posare le labbra sulle sue in un bacio dolce e delicato.
 
“Ti amo, lo sai?” mormora, accarezzandogli una guancia.
 
“Lo so,” annuisce, ricambiando il gesto, assaporando di nuovo la sensazione meravigliosa di sfiorare quella pelle morbida e delicata, che si tinge di rosa al contatto delle sue dita. Diventando poi di nuovo più serio, osa infine chiedere, “devo quindi dedurne che approvi?”
 
“Il tuo comportamento sicuramente, dottor Berardi, promosso a pieni voti!” scherza, facendogli l’occhiolino, prima di tirare un sospiro e chiarire, ora anche lei serissima, “per quanto riguarda Renzo… diciamo che… che sono ancora un po’ sconcertata e… e confusa da tutto. Ultimamente sembra quasi bipolare o schizofrenico con… con questi cambi improvvisi di idea e… di atteggiamento. E mi fido di te quando dici che ti sembrava sincero Gaetano, non fraintendermi, però…”
 
“Però hai paura che, anche se Renzo è convinto di quello che… che promette, poi non riesca a mantenerlo e succedano altri disastri?” intuisce, dovendo ammettere che Camilla tutti i torti non ce li ha ad essere preoccupata, anzi.
 
“Sì… sì, esatto. Sai come si dice… le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni e… e sinceramente, anche se non voglio certo escludere Renzo dalla vita di Livietta, anzi, vorrei che… che si chiarissero che… che riuscissero davvero a ritrovare un rapporto, e anche se so che… che portandoci via Livietta adesso… testona com’è… difficilmente darà a Renzo un’altra occasione, non in tempi brevi, però… però non so se posso fidarmi a lasciarla qui da sola con lui. Anche se c’è pure Carmen, ma…” confessa, riuscendo finalmente ad esprimere ad alta voce le sue paure.
 
“Lo so… e lo capisco, Camilla,” sospira, sapendo che lei ha ragione, ma sentendo anche che… che questo è un treno che non passerà più, per nessuno di loro. Che se non riescono a sistemare le cose adesso, a cogliere questo spiraglio, probabilmente per Camilla e Livietta si prospettano anni di… di faida con Renzo, anni davvero difficili. E, di conseguenza, anche per lui.
 
E l’idea che prima o dopo Renzo decida di provare il tutto per tutto e di… di provare in un certo senso a costringere sua figlia a frequentarlo, mettendo un tribunale di mezzo, non lo fa star tranquillo: sa cosa succede in questi casi e con i tempi della giustizia italiana…. E, almeno economicamente, Renzo può di sicuro permettersi una lunga battaglia legale più di quanto possa farlo Camilla con il suo stipendio da insegnante e sa che Camilla, orgogliosa com’è, difficilmente gli permetterebbe di aiutarla con le spese e con le parcelle.
 
“E se… e se rimanessi anche tu qui con lei, con loro?” propone d’impulso, le parole che gli escono di bocca prima che possa trattenerle.
 
“Che cosa?” sussurra Camilla, sembrando ancora più scioccata di quando le aveva riferito del colloquio con Renzo.
 
“Sì… solo… solo se te la senti, Camilla, è ovvio e-”
 
“E a te non darebbe fastidio?” lo interrompe Camilla, un’espressione indefinibile sul viso.
 
“Beh, diciamo che… che ovviamente l’idea non mi entusiasma… ma c’è Carmen con voi e… da come l’ho visto ieri sera non credo che Renzo farebbe… farebbe altre follie, ecco…. E, da un lato, se potessi rimarrei qui anche io con voi, ma… ma il questore mi sta addosso con questa storia dell’omicidio-suicidio della Mole e… e poi forse è meglio così… forse avete bisogno di un po’ di tempo solo tra voi tre, senza me di mezzo, per… per ricostruire un rapporto diverso e almeno civile. Ma, ripeto, solo se te la senti, Camilla, io-“
 
“No, non è… non è questo è che…” cerca di spiegarsi, sembrando stupita, colpita e… e forse anche…
 
“È che ti stupisce che non mi dia fastidio lasciarti qui con Renzo, visto che… visto che sono sempre stato geloso di lui, visto… visto quello che ti ho detto anche due giorni fa su… sull’influenza che… che a volte temo che lui potrebbe ancora avere su di te?” intuisce, riuscendo finalmente a decifrare le emozioni contrastanti sul viso della sua professoressa.
 
“Sì… non me l’aspettavo e… mi chiedo a cosa devo questo cambiamento,” ammette Camilla, non sapendo in cuor suo se esserne più sollevata o più turbata.
 
“Al fatto che so di potermi fidare di te, Camilla, di quello che c’è tra noi. Soprattutto dopo tutto quello che è successo negli ultimi giorni, ho capito ancora di più quanto mi ami, quanto ti fidi di me, anche se a volte faccio degli errori, ma tu mi ami per quello che sono e ti fidi di quello che provo per te e anche per tua figlia. E anche io mi fido di te, di quello che c’è tra noi, che è qualcosa di… di straordinario e, anche se ho una paura folle di perderlo, di perderti, lo so che non è un’illusione, che non è un fuoco di paglia, che è qualcosa che c’è da sempre e che sta crescendo sempre di più. E sono sicuro che non… che non lo getteresti via per ritornare da Renzo, anche se magari lui ci… ci dovesse riprovare e nonostante l’abbia sempre temuto, perché so che è stato il più grande amore della tua vita e vent’anni di storia non si cancellano certo in due minuti. Ma so anche che… che tra voi non funziona più da tanti anni, che sono anni che non eri felice con lui e che lo sai anche tu che non potrai più essere felice con lui. E l’hai capito e accettato o non avresti mai iniziato una storia con me. E poi… se dovessi vivere con il terrore che ti basti passare qualche giorno con Renzo per… per tornare da lui, beh, non vivrei più, non vivremmo più! E a quel punto sarebbe comunque meglio scoprirlo adesso che tra qualche mese o qualche anno. Ma sono sicuro che non succederà e che, anche se deciderai di rimanere qui con Livietta, tra una settimana tornerai a Torino da me. Non è questo che mi preoccupa di più, sinceramente, sono molto più preoccupato che Renzo non ti dia problemi di ben altro genere, rimettendosi a fare scenate o a farti la guerra ma… ma anche su questo dopo avergli parlato ieri sera, penso di poter essere ragionevolmente tranquillo.”
 
“Gaetano…” sussurra, gli occhi lucidi, il cuore che galoppa nel petto. Lo stringe a sé, più forte che può, ritrovandosi sollevata in aria, rabbrividendo quando sente le sue mani, il calore del suo corpo attraverso la sottile camicia da notte in seta.
 
“Ti amo, ti amo, ti amo…” mormora, ricoprendogli le guance di baci, per poi guardarlo dritto negli occhi e promettergli, “certo che tornerò da te, sempre. Non so cosa ho fatto per meritarmi un uomo come te, Gaetano, ma dovrei essere completamente pazza per pensare anche solo di rinunciare a te. Sei tu il più grande amore della mia vita e non ti libererai facilmente di me, dottor Berardi!”
 
Un sorriso, gocce di rugiada tra le dita e un bacio lunghissimo a suggellare una promessa che non è nemmeno una promessa.
 
Perché per entrambi promettere di ritrovarsi è come promettere di respirare o di mangiare, o di bere: è inevitabile ed entrambi hanno smesso di lottare contro l’inevitabile, di essere in guerra contro se stessi e contro il loro cuore.
 
E non hanno alcuna intenzione di ricominciare.
 
***************************************************************************************
 
“Gaetano? Se cerchi mamma non è qui… ero in bagno e… non so dove sia finita.”
 
“Tua mamma è… è in camera mia che si sta facendo la doccia, tanto io l’ho già fatta e così… guadagniamo tempo e-“
 
“Meno male, perché non vedo l’ora di andarmene da qui!” proclama Livietta, decisa ed evidentemente ancora furiosa, “io pochi minuti e sono pronta: facciamo colazione e andiamo e-“
 
“Sì, a questo proposito… veramente… veramente avrei bisogno di parlarti,” chiarisce Gaetano, guardando oltre la ragazza, ancora appoggiata allo stipite della porta, i capelli umidi e una spazzola in mano, “posso entrare?”
 
“Parlarmi di cosa? Comunque… sì… sì, certo, entra. Basta che non ci veda… qualcuno, che come minimo correrebbe da mamma ad accusarci di esserci appartati in camera!” ribatte Livietta, sarcastica, dura ed amara, facendolo passare e chiudendo la porta dietro di lui.
 
“In realtà… è proprio di questo che ti volevo parlare…” sospira Gaetano, preparandosi mentalmente a sganciare la bomba e sperando di non stare per giocarsi per sempre tutta la fiducia che, miracolosamente, Livietta ha riposto in lui.
 
“Di appartarsi in camera?” domanda, sempre più sarcastica, un sopracciglio alzato, per poi aggiungere, con un sospiro, seria ma tagliente come un rasoio, “o di… di quel cretino che una volta chiamavo padre?”
 
“Livietta… ascoltami… lo so che sei furiosa con lui e ti capisco, credimi che ti capisco benissimo, ma… ma ho parlato con tuo padre. Stanotte è venuto a trovarmi in camera e-“
 
“E che ha combinato stavolta?! Gaetano, mi dispiace, io non so come mai non ci hai ancora mandati tutti a quel paese – anzi, lo so, è perché ami mamma da morire – ma… mi dispiace,” si scusa Livietta, imbarazzata quanto triste ed arrabbiata, per poi domandargli, trattenendo il fiato, “allora, che ha combinato? Ha provato di nuovo a fare rissa con te? Cos’è stato capace di insinuare stavolta?”
 
“No, non ha fatto rissa con me e… non è neanche venuto per litigare. In realtà abbiamo parlato in maniera incredibilmente civile – lo so, anche io ne ero sorpreso quanto te, ma è così,” chiarisce, vedendo l’espressione incredula di Livietta.
 
“E… e di cosa avete parlato civilmente? Di me? Di mamma?” chiede, confusa.
 
“Di entrambe le cose ma soprattutto di te. Vedi, tuo padre è venuto da me per… per implorarmi di convincerti a non partire oggi, di rimanere qui con lui e-“
 
“COSA?! Certo che… sono anni che penso che mio padre ha una faccia tosta incredibile ma… ma stavolta ha battuto ogni record!” esclama Livietta, con una mezza risata sarcastica, scuotendo il capo, “non so come ha potuto avere il coraggio di chiederti una cosa del genere dopo quello di cui ti ha accusato, di cui ci ha accusati!”
 
“Livietta, lo so, anche io… anche io ero incredulo e sconcertato e diffidente, però… però poi ci siamo parlati sul serio, insomma, credo che ci siamo capiti per la prima volta da quando ci conosciamo e-“
 
“E quindi tu sei davvero venuto qui a chiedermi di restare qui con… con LUI dopo tutto quello che ha detto su di te? Dopo tutto quello che ha detto su di me? Io non ci posso credere, ma sei fuori?!” sbotta Livietta, lo sguardo carico di delusione di chi ha appena ricevuto una coltellata.
 
“No, no Livietta, ascoltami, io-“
 
“Io non ci posso credere, tu non puoi chiedermi una cosa del genere, non puoi! Non posso credere che tu ti fidi di lui! E perché? Perché stavolta è stato civile e non ha dato di matto?! Non puoi fidarti delle sue parole, non ci posso credere! Ma ti rendi conto che… che cambia umore e idea ogni cinque minuti? Un giorno è un agnellino, poi sclera, poi ritorna il giorno dopo con le lacrime da coccodrillo, poi dà fuori di nuovo! Io sono stufa, stufa! E tu mi chiedi di rimanere qui a subire ancora tutto questo?!”
 
“No, Livietta, no, ascoltami, ascoltami!” la prega, posandole le mani sulle spalle per costringerla a guardarlo negli occhi, “tu ti fidi di me?”
 
Livietta rimane per un attimo in silenzio, sembrando incerta, guardando quegli occhi azzurri che la fissano di rimando, senza esitare.
 
“Sì,” ammette infine con un sospiro, “lo sai che mi fido di te, Gaetano, ma-“
 
“E allora sai anche che non ti chiederei mai di fare qualcosa se… se pensassi che... che è qualcosa di cui tu ti pentiresti, che potrebbe farti male o crearti problemi. Io ti voglio bene e non voglio certo convincerti a metterti in una situazione in cui starai male, non ci penso neanche,” ribadisce, deciso, continuando a guardarla negli occhi per farle capire che è sincero.
 
“Ma allora… perché?” gli domanda, ancora incredula, confusa, turbata.
 
“Ascoltami, le tue paure le capisco, le capisco benissimo. Sono le stesse cose che ho detto anche io a Renzo, le stesse cose che gli ho detto quando è venuto a implorarmi di intercedere con te. Perché, anche se immaginavo quanto gli sarà costato e te lo lascio immaginare, Livietta, orgoglioso com’è tuo padre, non volevo che fossero appunto le solite lacrime di coccodrillo. Che venisse da me col capo cosparso di cenere e poi tra due giorni riprendesse a farmi, a farci la guerra. Ho provato anche io cosa vuol dire continuare a illudersi, a sperare in un miracolo con i propri genitori, a sperare che… qualcosa cambiasse che… ‘questa volta sarà diverso’… e lo so cosa si prova quando si scopre che invece non cambia e non cambierà mai niente.”
 
“Quindi tu pensi sul serio che… che stavolta è diverso?” chiede Livietta e Gaetano non sa se il tono sia più pieno di dubbio o di… di speranza.
 
“Diciamo che… che qualcosa di diverso c’è stato e… e credo che tuo padre si sia reso conto che andando avanti così non avrebbe risolto niente e anzi, avrebbe finito per perderti. Che deve essere un padre migliore per te e che… che io non sono un pericolo per te e per tua madre. Che non saremo mai amici ma possiamo provare a comportarci come persone civili, ecco…”
 
“Ma io pensavo che questo l’avesse già capito prima di partire per Londra, Gaetano, mi sembrava davvero cambiato… sembrava che fosse ritornato come ai tempi d’oro, quando ero ancora piccola e… e quando stava con Carmen,” ammette, anche se a fatica, “anche qui a Londra i primi giorni era… era perfetto, dolcissimo e… e mai avrei pensato che… che potesse pensare che… che io e te…”
 
La voce le si spezza perché quelle accuse sono ancora come uno schiaffo in pieno viso, peggio di uno schiaffo.
 
“Livietta, mi dispiace, io-“
 
“È per questo che… che non so se posso fidarmi, Gaetano. Io mi fido di te e del tuo giudizio però… però tu non conosci mio padre quanto lo conosco io. Sa essere così convincente a volte… quando vuole davvero qualcosa… però poi… però poi arriva sempre la fregatura, sempre,” afferma, gli occhi lucidi e l’aria di chi sta per piangere.
 
Gaetano è per un attimo combattuto su cosa fare. Si chiede se stia facendo la cosa giusta o se non stia invece commettendo il più grosso sbaglio della sua vita. Può davvero prendersi la responsabilità di garantire a Livietta che stavolta sarà diverso quando, lo sa benissimo, l’animo umano non è mai così semplice e… e Renzo è un uomo che sta passando un periodo nero della sua vita e… nei periodi neri le persone raramente danno il meglio di sé o possono mantenere le promesse che fanno, per quanto lo vorrebbero.
 
Ed è di nuovo l’istinto a decidere per lui, l’istinto che gli ha quasi sempre suggerito la cosa migliore da fare, sia con Livietta, sia con Camilla e spera che non sbagli stavolta.
 
“Livietta… credo che… credo che ci sia qualcosa che tu dovresti sentire,” pronuncia, vincendo l’esitazione, il timore di quello che Livietta potrebbe pensare di lui quando le rivelerà quello che le sta per rivelare.
 
“Sentire? Cosa vuoi dirmi ancora? C’è qualcos’altro che io non so?” gli domanda, sembrando sempre più preoccupata.
 
“Ci sono tante cose che… che penso tuo padre dovrebbe dirti, che dovresti sapere ma che… che lui non riesce a dirti. E… e hai ragione, non posso prometterti che stavolta sarà diverso, non posso deciderlo io per te. Come hai detto giustamente, tu conosci tuo padre molto meglio di quanto lo conosca io e… credo che debba decidere tu, giudicare tu,” afferma, deciso, prima di estrarre il cellulare dalla tasca e chiarire, di fronte allo sguardo confuso di Livietta, “lo so che… che forse non ci faccio una gran figura e… che forse penserai male di me, ma… ieri sera quando tuo padre mi si è presentato in camera… ho registrato di nascosto la nostra conversazione, per sicurezza. Sai, non volevo che-“
 
“Che facesse di nuovo il matto e poi ti accusasse di averlo aggredito?” intuisce Livietta, con un sospiro, trafiggendolo con un’occhiata eloquente.
 
“Sì, qualcosa del genere, sì. Pensavo di… di tenere la registrazione per qualche giorno, sai, per sicurezza, e poi… e poi cancellarla, visto che non era successo niente di che. Però… però ci sono delle cose che penso dovresti sentire, che dovresti conoscere. Lo so che tuo padre forse non mi perdonerà mai per questo ma penso che… penso che arrivati a questo punto lui con te non abbia più niente da perdere… e penso che tu hai bisogno di sapere per decidere con consapevolezza, per prendere le decisione più giusta per te… e… e so che questo è l’unico modo, perché probabilmente altrimenti tuo padre non avrà un’altra occasione per spiegartele, per parlartene.”
 
“Cioè, fammi capire: io sono furiosa con mio padre per… per avermi spiata e tu… e tu mi stai proponendo in un certo senso di… di spiarlo?” esclama, un sopracciglio alzato, lanciandogli un’occhiata degna di quelle di Camilla.
 
“Lo so, Livietta e, ripeto, lo so che probabilmente penserai male di me ma… ma in questo caso credo che, anche se, ripeto di nuovo, probabilmente Renzo non lo vorrebbe e non me lo perdonerà, alla fine preferisca anche lui questo all’alternativa, che è perderti, Livietta,” ribadisce, sapendo di stare facendo forse non la cosa più giusta, ma di sicuro la migliore possibile in questo momento.
 
“Quindi il fine giustifica i mezzi?” gli domanda, sempre con quel sopracciglio arcuato e quell’espressione che gli ricorda tanto la sua professoressa.
 
“No, non sempre, ma in questo caso sì,” afferma, determinato e convinto, sostenendo lo sguardo della ragazza.
 
“Certo che tu e mia madre siete proprio fatti l’uno per l’altra: quando siete convinti di una cosa non vi arrendete mai!” proclama Livietta con un mezzo sorriso e un tono affettuoso, scuotendo il capo, “d’accordo, dai, sentiamo!”
 
Si siedono sulle due poltroncine, identiche a quelle su cui lui e Renzo si erano seduti nel cuore della notte, e Gaetano fa partire la registrazione.
 
Livietta rimane ad ascoltare, in silenzio. L’audio è abbastanza buono e si riescono a cogliere tutte le sfumature del tono di voce anche se, Gaetano lo sa bene, le espressioni, i gesti, fanno tantissimo e quelli purtroppo non ha potuto registrarli e Livietta dovrà solo immaginarli.
 
Ma spera che basti.
 
“Si… si stava sul serio mettendo in ginocchio?” gli chiede, incredula, avendo sentito il rumore delle poltrone che si muovevano.
 
“Sì, sul serio,” conferma Gaetano, permettendole poi di ascoltare in silenzio il resto della registrazione.
 
“Cosa vuol dire: minacciare Camilla di toglierle vostra figlia?” sibila Livietta, guardandolo con occhi spalancati e Gaetano sa benissimo che questo è il punto critico di questa conversazione, quello che avrebbe voluto che Livietta non ascoltasse ma… non poteva evitarlo, se voleva che potesse sentire il resto.
 
Si affretta a stoppare la riproduzione audio, prima che Livietta si perda le parti che davvero contano e cerca di chiarire, “tuo padre era furioso quando ha letto quel pezzo di diario e… e insomma, pensava che ti fossi innamorata di me e quindi chiaramente voleva che… che tua madre mi lasciasse in modo che tu non mi dovessi vedere tutti i giorni. E-“
 
“E ha minacciato altrimenti di andare in tribunale per… per chiedere l’affido esclusivo, non è vero?” deduce Livietta, incredula, addolorata, come se avesse ricevuto un altro pugno allo stomaco.
 
“Sì, esatto. Però… da un lato lo capisco, Livietta. Cioè, non fraintendermi, tuo padre ha sbagliato ma… era terrorizzato per te, per la tua incolumità e… e fino a stanotte non avevo capito quanto fossero profonde e radicate queste sue paure. Ascolta il resto, ti prego e poi… poi se vuoi ne parliamo meglio, ok?” propone con lo sguardo e il tono più convincenti che possiede.
 
“Va bene… anche se Gaetano… sinceramente finora non ho ascoltato nulla che può farmi cambiare idea, anzi, dopo questo semmai tutto il contrario!” ribatte la ragazza, decisa e dura, “tante belle parole su quanto mi vuole bene, certo ma… ma quello che contano sono i fatti Gaetano e… e sono anni che le parole di mio padre dicono una cosa e i fatti dicono un’altra.”
 
Gaetano non risponde, si limita a far ripartire l’audio e aspettare.
 
Anche Livietta rimane in silenzio, gli occhi e la bocca che si spalancano e si fanno sempre più lucidi mentre sente Renzo raccontare di suo padre, di sua madre, delle sue paure su Livietta e sugli uomini come suo padre.
 
“Hai chiesto informazioni su Lorenzo? E gli hai parlato?” domanda poi, trafiggendolo con un’occhiata curiosa e penetrante.
 
Gaetano di nuovo stoppa il nastro.
 
“Beh, certo, Livietta… anche se mi fido di te e della tua parola, volevo… volevo accertarmi che Ferri non fosse un pericolo per te, che fosse una brava persona. Perché un conto è fidarsi di te, un conto è fidarsi di lui, che per me era comunque uno sconosciuto. E sì, ci siamo chiariti, tutto qui. Ovviamente non gli ho detto nulla di quello che tu mi hai confidato, Livietta, di quello che provi per lui, ma… insomma… credo che si rendesse conto benissimo anche lui perché la vostra frequentazione mi preoccupava, no?
 
“Sì…” ammette Livietta, annuendo, “In effetti… quando ci siamo salutati il giorno della nostra ultima lezione, mi ha detto che… che sei un uomo intelligente e corretto e… adesso capisco esattamente a cosa si riferiva. E comunque te l’avevo detto di non preoccuparti e che… che lui non voleva di certo… quello da me.”
 
“Proseguiamo ad ascoltare, ok? Anche perché se no tra un po’ il volo parte e ti tocca rimanere qui per forza,” ironizza, glissando sull’affermazione di Livietta perché sa che per risponderle dovrebbe mentire, visto che dubita seriamente che Ferri non fosse interessato a Livietta, almeno un po’.
 
Di nuovo in perfetto silenzio, Gaetano fa ripartire la registrazione.
 
Gli occhi lucidi di Livietta si fanno sempre più grandi e acquosi, fino a che non riesce più ad impedire a due lacrime di rigarle le guance, quando sente quanto suo padre avesse avuto paura per lei ai tempi di Bobo, quanto abbia ancora paura per lei.
 
Un nodo in gola che le impedisce di parlare, ascolta Gaetano raccontare di Francesca, la mano davanti alla bocca come a trattenere un singhiozzo.
 
Gaetano chiude gli occhi e stringe i pugni: non avrebbe mai voluto rivelare questi segreti così dolorosi per lui non ad una, ma a due persone oggi ma… ma sa che non può fare altrimenti e si fida di Livietta e della sua discrezione.
 
Con uno scatto la registrazione finisce.
 
Gaetano riapre gli occhi e incontra quelli di Livietta e rimangono ad osservarsi ancora per qualche istante, senza parole.
 
“Mi… mi dispiace per tua… per tua sorella, non… non avrei mai immaginato, conoscendola adesso. Sapevo che… che la chiami la Mina Vagante ma… non pensavo che…” mormora Livietta, la voce roca.
 
“Lo so… lo sapete solo tu, tuo padre, tua madre e… ed io e Francesca, naturalmente, e-“
 
“Tranquillo, non… non lo dirò mai a nessuno e… insomma… non dirò mai niente a Nino,” lo rassicura, allungandosi per stringergli una mano, in segno di promessa e forse anche di conforto.
 
“Grazie…” le sussurra di rimando, ricambiando la stretta in maniera quasi convulsa.
 
“E… e non pensavo che… ma perché mio padre non mi ha mai detto niente?! Di mio nonno… di… di nonna… di… di Bobo… non credevo che avesse avuto così tanta paura, che… che avesse sofferto così tanto!” ammette Livietta, schiarendosi la voce e asciugandosi le lacrime.
 
“Perché a volte la cosa di cui abbiamo più paura è avere paura, Livietta, essere vulnerabili e farlo vedere agli altri, soprattutto a chi amiamo di più, a chi ci rende vulnerabili. E forse… forse tuo padre non voleva farti sentire in colpa, non ci hai pensato? Anche se poi ti ci ha fatto sentire lo stesso, lo so ma… credo che non volesse questo,” prova a ipotizzare e, per tutta risposta, si trova stretto in un abbraccio fortissimo.
 
“Grazie,” gli sussurra all’orecchio, dandogli un paio di pacche sulle spalle prima di lasciarlo andare e rimettersi a sedere, questa volta sul tavolino.
 
“Tieni,” le offre, porgendole il pacchetto di fazzolettini di carta che tiene sempre in tasca – deformazione professionale.
 
“Grazie…” ripete, afferrandone uno, asciugandosi gli occhi e soffiandosi il naso.
 
“Avevi ragione sai… quando dicevi che… che c’era qualcosa di diverso,” proclama poi Livietta, con voce ancora tremante, guardandolo negli occhi, “e… e capisco ora la sparizione di mamma. Ne hai già parlato con lei, immagino, da quello che hai detto a papà… e sapeva che saresti venuto a parlarmi.”
 
“Sì, le ho spiegato cosa mi aveva chiesto Renzo e che volevo parlarti ma… ma non le ho fatto sentire la registrazione perché… perché non è stato necessario…” chiarisce, non potendo fare a meno di notare che è la prima volta dopo la sceneggiata alla reception che sente Livietta chiamare suo padre papà.
 
E sicuramente non è un caso.
 
“Lei si fida del tuo giudizio, lo so, Gaetano e fa bene a fidarsi,” riconosce Livietta, asciugando le ultime lacrime.
 
“Ma…?” le chiede, riconoscendo quel tono di voce e sapendo che Livietta non ha detto tutto.
 
“Ma, anche se ti ringrazio per avermi… per avermi fatto sentire quello che ha detto papà e avermi fatto capire tante cose di lui che… che non avevo mai capito, gli parlerò e gli darò un’altra possibilità ma… non so se ce la faccio a rimanere qui da sola con lui e Carmen,” ammette con un sospiro, guardandolo negli occhi.
 
“Lo capisco, Livietta ma… se rimanesse anche tua madre con voi?” le chiede, trattenendo il fiato in attesa della risposta.
 
“Mamma?!” chiede Livietta, spalancando di nuovo gli occhi, meravigliata, “ma… ma te l’ha proposto lei?”
 
“Diciamo che ne abbiamo già parlato e so che anche tua madre sarebbe più tranquilla così, solo se lo vuoi anche tu, chiaro.”
 
“Quindi gliel’hai proposto tu,” deduce Livietta, sempre più strabiliata, conoscendo ormai bene Gaetano e i suoi tentativi di glissare quando c’è qualcosa che lo mette in imbarazzo, vedendolo arrossire e avendo quindi conferma delle sue supposizioni, “io… io non ci posso credere che… che hai fatto questo per me!”
 
Nel giro di un secondo, Gaetano si ritrova avvolto da un altro abbraccio, un peso lievissimo sulle ginocchia dato che, nella foga, Livietta gli è praticamente finita in braccio.
 
“Lo sai che se adesso entra tuo padre e ci vede così, finisco sul fondo del Tamigi?” ironizza, non appena lei molla leggermente la presa, facendola ridere e guadagnandosi una gomitata nel fianco.
 
“Quanto sei scemo!” esclama Livietta, con tono affettuoso, per poi sollevarsi dalle ginocchia di lui, rimettersi a sedere sul tavolino e chiedergli, nuovamente serissima, “sul serio non ti darebbe fastidio?”
 
“Finire nel Tamigi? Beh, diciamo che, d’accordo che fa caldo, ma-“
 
“Eddai, lo sai cosa voglio dire! Non ti dà fastidio che mamma rimanga qui da sola con me e soprattutto con papà?” gli chiede, scrutandolo come per cogliere ogni minima esitazione.
 
“Anche io mi fido di tua madre e del suo giudizio,” replica, semplicemente e tranquillamente.
 
“E anche tu fai bene a fidarti, perché non hai nulla di cui preoccuparti: mamma ti ama da morire,” lo rassicura, prima di picchiarsi le ginocchia in un modo che a Gaetano ricorda di nuovo straordinariamente Camilla, alzarsi in piedi e proclamare, “mi sa che mi devo mettere al lavoro: ho una, anzi due valige da disfare!”
 
***************************************************************************************
 
“Livietta! Camilla!”
 
Renzo si appoggia allo stipite della porta della sua camera, sorpreso di trovarsele davanti, la vista ancora appannata dopo una notte praticamente insonne.
 
Mettendo meglio a fuoco, si avvede della presenza di Gaetano dietro di loro, con un trolley in mano.
 
“Stiamo andando in aeroporto,” pronuncia Livietta e Renzo sente il suo cuore spezzarsi in mille pezzi, “accompagniamo Gaetano.”
 
“Livietta, io-“ esclama, disperato, bloccandosi di colpo quando il suo cervello registra la seconda frase, “che… che vuol dire: accompagniamo Gaetano?”
 
“Che Gaetano deve rientrare a Torino per lavoro. Io e mamma restiamo,” precisa Livietta, notando come lo sguardo del padre viri dall’angoscia, all’incredulità, alla gioia, “ma alla prima che combini ce ne torniamo di corsa a casa e non mi vedi più: questa è l’ultima possibilità, chiaro?! Ne hai già avute fin troppe e non ne posso più!”
 
“Grazie,” sussurra Renzo, ancora attonito, riavendosi solo quando li vede voltarsi e cominciare ad allontanarsi, “aspettate! Gaetano, aspetta!”
 
Gaetano si gira verso l’architetto, stupito, non sapendo cosa aspettarsi.
 
“Grazie,” pronuncia Renzo, guardando l’altro uomo negli occhi, “non so come… come tu abbia fatto, ma grazie. E… credo… credo… di… di doverti delle scuse. Ti ho… credo di averti sempre giudicato male e… di essermi sbagliato sul tuo conto. Non so se al posto tuo… sarei stato capace di… di fare… questo.”
 
“Non farmi pentire di averlo fatto, Renzo. Perché altrimenti sarai tu a pentirtene, ci siamo capiti?” mormora Gaetano, deciso, prima di allungare una mano e stringere di nuovo quella dell’architetto.
 
Si guardano negli occhi in una specie di avvertimento e di promessa insieme e poi Gaetano si volta e raggiunge Camilla e Livietta, che li guardano stupite e sollevate, vicino all’ascensore.
 
***************************************************************************************
 
“Mi sa che devo andare… iniziano a imbarcare…”
 
Sono di fronte all’entrata della security, Livietta l’aveva già salutato ed era rimasta in auto con Carmen, che si era gentilmente offerta di accompagnarli all’aeroporto. Probabilmente per dare loro modo di rimanere ancora per qualche minuto da soli e per evitarsi scene imbarazzanti.
 
Il labbro di lei che trema leggermente, l’espressione di chi sta trattenendo la commozione. Allunga una mano per accarezzarle il viso e si ritrova con un dolcissimo peso tra le braccia e attaccato al collo.
 
“Mi mancherai tantissimo…” tre parole sussurrate all’orecchio ma che significano il mondo per lui. Quelle parole che mille volte avrebbe voluto dirle, mille volte avrebbe voluto sentirle dire, ma che non avevano mai avuto il coraggio di pronunciare.
 
“Anche tu…” mormora di rimando, sforzandosi di contenere le lacrime, perché se no, lo sa, piangerebbe anche lei e non riuscirebbe più a salutarla: del resto è la prima volta da quando stanno insieme che passeranno così tanti giorni senza potersi vedere, nemmeno dalla finestra.
 
“Vedrai che una settimana passerà in fretta,” la rassicura, staccandosi lievemente da lei e sorridendole, per poi prometterle, “e poi ti chiamerò tutti i giorni, ti inonderò di messaggi… alla fine mi pregherai di smetterla o mi denuncerai per stalking.”
 
“Scemo!” esclama con una mezza risata commossa, colpendogli il braccio, “e anche io ti chiamerò e ti manderò un sacco di messaggi, quindi mi sa che ci saranno due denunce da fare.”
 
“Va bene, dirò ai colleghi di tenersi liberi tra una settimana,” ironizza, accarezzandole il viso.
 
“Grazie,” mormora lei con un sorriso.
 
“Perché ti faccio saltare la coda per la denuncia?” scherza, beccandosi un altro buffetto.
 
“No, lo sai il perché,” risponde semplicemente, con un sorriso, prima di aggiungere, malinconica, “mi dispiace tanto, Gaetano, queste dovevano essere due settimane tutte per noi e invece…”
 
“Non dirlo neanche per scherzo, professoressa,” ribatte, tracciandole lo zigomo, “anzi, facciamo una cosa: ti prometto che comincio a programmare delle meravigliose ferie per noi due e per Livietta, se vuole venire con noi, non appena avrò chiuso questo caso della Mole. Che ne dici?”
 
“Ci conto!” esclama con un sorriso, prima di assumere quell’aria da monella che lo fa impazzire e aggiungere, “quindi vedi di chiuderlo in fretta, Berardi, o mi costringerai a diventare tua complice in indagini criminali un’altra volta, perché tra non molto ricomincia la scuola e poi addio ferie.”
 
Un bacio da togliere il fiato, le mani che si stringono come se non volessero mai lasciarsi andare e poi Gaetano, con un ultimo sguardo, sparisce oltre il varco della security.
 
***************************************************************************************
 
“E questa è la famosissima Stele di Rosetta, grazie alla quale è stato possibile decifrare i geroglifici.”
 
“Esatto,” conferma Camilla, indicando la stele, “infatti vedi che lo stesso testo qui è scritto tre volte in-“
 
“In geroglifico, in demotico e in greco,” la interrompe Renzo, affrettandosi a precisare, “e quindi sono riusciti a confrontare il testo in greco con quello in geroglifici e a trovare le corrispondenze.”
 
“Il primo a trovare una chiave per interpretare il testo in geroglifici è stato il fisico Thomas Young: aveva capito che alcuni dei geroglifici indicavano il suono del nome di un re, Tolomeo, e che il nome del re veniva indicato anche nel testo in demotico e-“
 
“E quindi Champollion, un professore francese, trovò gli stessi caratteri su un obelisco, dov’erano scritti in greco e in geroglifici i nomi di Tolomeo e Cleopatra,” si inframmezza di nuovo Renzo, “capì quali erano i simboli fonetici del nome Cleopatra e da lì-“
 
“E da lì iniziò a decifrare altri nomi stranieri sulla stele di Rosetta e inizio a costruirsi un alfabeto fonetico,” prosegue Camilla, “poi iniziò a decifrare nomi propri egizi e tutto il resto ma-“
 
“Ma morì e un suo assistente nascose le sue carte, furono ritrovate solo alla sua morte e da lì gli studi poterono riprendere e la traduzione completa finalmente fu fatta nel-“
 
“E basta!” sbotta Livietta, mettendoli bruscamente a tacere e guadagnandosi delle tremende occhiatacce dagli altri visitatori, che però ignora, sfogandosi, imperterrita, “è da quando siamo entrati qui che fate così: sembra una gara a chi ne sa di più di storia e di storia dell’arte! Non ne posso più!”
 
Camilla e Renzo, ammutoliti, si guardano e poi guardano la figlia, dovendo riconoscere, con un sospiro imbarazzato, che non ha tutti i torti.
 
“Scusami Livietta, è che-“
 
“È che la storia e la storia dell’arte sono tra i pochi argomenti che appassionano sia me che tua madre e-“
 
“E io e tuo padre ci siamo fatti prendere un po’ la mano, mi sa, e-“
 
“E state continuando ancora a farlo,” sospira Livietta, scuotendo il capo, “mi sembra di essere tornata a quando ero piccola ed eravate in competizione su chi cucinava meglio, chi guidava meglio, chi parcheggiava meglio…”
 
“Hai ragione, hai ragione ma… credo che… sia un po’ imbarazzante come situazione per me e per tuo padre e… e probabilmente stavamo solo cercando di riempire il silenzio ed evitare che ti annoiassi ma…”
 
“Ma abbiamo esagerato…” conclude Renzo, beccandosi un’altra occhiata eloquente della figlia, “ok, ok, scusa, hai ragione.”
 
“Che ne dici se da adesso in poi ci fai tu le domande, se hai qualche curiosità, e noi altrimenti stiamo in silenzio?” propone Camilla, per tagliare la testa al toro.
 
“Sì… e poi vi do pure i turni per rispondere, come nei quiz,” ironizza Livietta, pregando e sperando che la vacanza non sia tutta così.
 
Se il buongiorno si vede dal mattino…
 
***************************************************************************************
 
“Siete diventati anche voi di cera? Devo avvertire quelli del museo di fare spazio per due statue in più?”
 
“Eh?” chiede Camilla, confusa di fronte al tono sarcastico della figlia.
 
Sono al famosissimo museo delle cere Madame Tussauds: visto che questa domenica londinese è molto piovosa, si sono dedicati al giro dei musei principali.
 
Una sfacchinata.
 
Ma, se al British sua madre e suo padre l’avevano esasperata non stando zitti un attimo, in uno sfoggio di conoscenze degno di Hermione, l’amica so-tutto-io di Harry Potter, da quando li aveva ripresi e, soprattutto, da quando erano arrivati a questo museo, niente. Il silenzio più totale.
 
“Da quando siamo entrati non vi ho ancora sentito pronunciare una sola parola! Non si potrebbe avere una via di mezzo tra… tra prima e adesso?” domanda Livietta, un sopracciglio alzato.
 
“È che… hai ragione, siamo un disastro, eh?” ammette Camilla con un sospiro, rendendosi conto che non è per niente facile per lei e Renzo comportarsi in maniera naturale e amichevole e… familiare dopo tutto quello che era successo.
 
È ancora arrabbiata e risentita con Renzo, anche se non vuole darlo a vedere. E immagina che tutto il rancore di Renzo nei suoi confronti per aver scelto Gaetano non possa certo essere sparito dalla sera alla mattina.
 
“Un po’…” conferma Livietta, trafiggendoli con un’occhiata.
 
“E poi… dei reperti del British potevamo raccontarti la storia… l’origine… cosa possiamo dirti delle statue di cera? Che sono somiglianti? Che sono sinceramente un po’ inquietanti?!” domanda Renzo, in quella che è più un’affermazione, per poi aggiungere, ironico, “su quelle sui personaggi storici facciamo la fine del British; quelle sulle star… non me ne intendo di gossip; quelle sui personaggi dei film… la maggior parte non li ho visti, dato che sono quasi tutti film recenti; quelle sugli assassini e criminali famosi… magari quelle le lascio a tua madre, che è lei l’appassionata del genere.”
 
“Ah, ah, molto spiritoso!” ribatte Camilla, scuotendo il capo.
 
“Anzi, guarda chi c’è qui! Dovresti farti una foto con lui, visto che sei la sua degna erede!” afferma con un mezzo sorrisetto, indicando una statua che riproduce fedelmente Robert Downey Jr. nel suo costume di scena da Sherlock Holmes.
 
“Ah. Ah!” ripete, ancora più lentamente, prima di adocchiare meglio la statua e ribattere, “no, grazie, anche perché prima di tutto Holmes, doti investigative a parte, aveva i suoi grossi problemi e poi, se devo proprio scegliere, preferisco di gran lunga l’Holmes interpretato da Jeremy Brett, che almeno è fedele a quello dei libri. Quello di Downey Jr. è talmente diverso che è praticamente un altro personaggio.”
 
“Strano… avrei detto il contrario, visto che l’Holmes di Downey Jr. è molto più simile a… qualcuno di nostra conoscenza di quello di Brett e di Doyle,” rimbecca Renzo, visto che, a parte la dipendenza da cocaina e morfina, l’Holmes originale faceva una vita quasi monacale, mentre quello di Downey Jr. era un donnaiolo.
 
“Non direi proprio, considerato che l’Holmes di Downey Jr. è un borioso egocentrico e inaffidabile che mi verrebbe voglia di prendere a schiaffi, mentre qualcuno di nostra conoscenza è un vero gentiluomo. O non starei qui adesso, Renzo, ma con lui. E faccio sempre in tempo a non restarci, dato che Torino è a un’ora e mezza di volo,” sibila Camilla, pronunciando l’ultima parte della frase in quello che è quasi un sussurro.
 
“Insomma, basta! Non ricomincerete a litigare!” sbotta Livietta, pentendosi amaramente di essersi lamentata del silenzio.
 
“Scusate, scusate, avete ragione!” ammette Renzo, sollevando le mani in segno di resa, “avete ragione… è che… forza dell’abitudine, immagino. Però, sì, ammetto che qualcuno di nostra conoscenza si è comportato da galantuomo con me e… è un’abitudine, anzi, un brutto vizio che devo perdere e che prometto che perderò. D’accordo?”
 
Camilla e Livietta si scambiano uno sguardo, tanto stupito per il mea culpa e l’ammissione, quanto dubbioso sul fatto che Renzo possa effettivamente mantenere questo proposito.
 
Il lupo perde il pelo…
 
***************************************************************************************
 
“Ma sul serio ti piace quella roba? Non è… viscida?”
 
Renzo solleva lo sguardo dal piatto pieno di escargot e incrocia gli occhi di Livietta, che ha un’espressione a dir poco schifata.
 
Sono in uno dei migliori ristoranti francesi di Londra, giusto per variare un po’, lui, Livietta, Camilla e Carmen. Per ora la cena era trascorsa nel mutismo quasi totale, non fosse stato per pochi tentativi di Carmen di fare conversazione.
 
“Beh… alla fine se mangi i crostacei e i frutti di mare… non cambia molto,” chiarisce Renzo, prima di offrire, “vuoi assaggiarne uno? Non sono viscidi, anzi, l’unico problema è che se vengono cotti troppo diventano gommosi. Ma questi sono cotti alla perfezione. Sanno del condimento… burro aromatizzato all’aglio.”
 
“No, grazie, te li lascio volentieri,” ribatte Livietta, per nulla convinta, continuando ad assaporare la sua bouillabaisse.
 
“Come vuoi…” sospira Renzo, cercando di pulire un’altra lumaca, che però, a differenza delle altre, oppone resistenza.
 
SPLAT
 
Rimangono per qualche attimo in un silenzio incredulo: l’escargot, volando dal piatto di Renzo, si è tuffata in quello di Livietta, schizzandola con il brodo della zuppa di pesce.
 
Renzo, in apprensione e mortificato, cerca gli occhi della figlia, temendo un’esplosione. Si guardano per qualche altro istante e poi, senza poterlo evitare, scoppiano a ridere.
 
“Scusami… scusami! Non volevo, ti giuro che non mi era mai successo,” riesce a pronunciare Renzo, tra le risate.
 
“Si vede che era destino che la dovessi assaggiare…” ribatte Livietta, guardando la lumaca per qualche istante, prima di prendere coraggio, terminare di estrarla dalla conchiglia – tanto oramai si era quasi staccata – e portarsela in bocca, sotto lo sguardo stupito del padre.
 
“Sa… sa di burro all’aglio e zuppa di pesce…” proclama, scuotendo il capo prima di emettere il verdetto finale, “in effetti non fa schifo ma non ha un gusto suo… a questo punto meglio i frutti di mare. Però adesso come lo pulisco questo disastro?”
 
Come se l’avesse chiamato, un cameriere solerte, avendo probabilmente notato il disastro, si avvicina con uno smacchiatore a secco.
 
“Tranquilla, vedrai che con questo risolviamo,” assicura Camilla, prendendo in mano il flacone e iniziando a spruzzare sulle macchioline più evidenti.
 
Non avrebbero saputo dire come o perché, ma l’incidente è come se avesse sciolto il muro di imbarazzo e, risolta l’emergenza macchie, il resto della cena trascorre in maniera relativamente tranquilla, conversando del più e del meno.
 
***************************************************************************************
 
“Forza, papà! Se andiamo avanti così, tra un po’ finisce il noleggio e abbiamo percorso tre metri!”
 
Renzo sbuffa, il sudore che gli scende a rivoli dalla fronte e sulla schiena, la camicia ormai bagnata.
 
Sono quasi in mezzo al lago di Hyde Park, vicino al nolo delle barche e, Renzo deve ammetterlo, il lago sembrava molto più piccolo visto da fuori. Come la barca sembrava molto più facile da guidare e da spostare.
 
“Livietta, siamo in tre e la barca pesa, non è facile muoverla a braccia!” ribatte col fiatone, provando di nuovo a remare.
 
“Stai dicendo che io e Livietta siamo pesanti, Renzo?” gli fa notare Camilla, con un sopracciglio alzato.
 
Carmen non era con loro: si era offerta di andare lei al posto di Renzo agli appuntamenti della giornata. E, siccome finalmente il tempo era bello e non era prevista pioggia, avevano deciso di visitare per bene il parco che, finora, avevano visto praticamente solo dall’esterno.
 
Renzo si era offerto di noleggiare la barca, ma ora se ne sta pentendo amaramente.
 
“Fisicamente o mentalmente? Perché vorrei vedere voi a remare, non è facile come sembra!” sbotta Renzo, esausto, promettendosi di iscriversi in palestra a settembre e sapendo già che, con il lavoro che fa, sempre in viaggio, difficilmente manterrà il proposito.
 
Odia sentirsi così: vecchio e fuori forma.
 
“E allora fai provare me: spostati che ti do il cambio!” si offre Camilla, allungando le braccia per prendergli i remi.
 
“Ma no, non ci penso neanche: non è giusto che ti debba mettere a remare tu!” si rifiuta categoricamente Renzo, tenendo ben saldi i remi.
 
“E perché?! Perché sono una donna?” gli chiede, trafiggendolo con un’occhiataccia, “ma perché voi uomini dovete avere sempre questo maledetto orgoglio maschile?!”
 
“E allora perché tu devi sempre fare la superdonna? La supereroina? Quella che sa fare tutto e lo sa fare meglio?! E se c’era qualcuno che faceva sempre l’uomo e portava i pantaloni in casa nel nostro matrimonio, purtroppo non ero certo io,” ammette Renzo, amaro, ricambiando lo sguardo con uno altrettanto eloquente.
 
“E meno male che lo ammetti pure, che toccava a me fare l’uomo e non certo perché mi facesse piacere, ma perché non avevo scelta! E se c’è qualcuno competitivo e che mi ha sempre criticato su qualsiasi cosa e non perdeva occasione per sottolineare che – questo io lo faccio meglio! – non ero di certo io!”
 
“Basta! Devo mettermi a remare io o mi tocca buttarmi nel lago e tornare a nuoto? Perché non vi sopporto più! Era da ieri che non litigavate, stavo già gridando al miracolo, ma ovviamente, figuriamoci!”
 
Renzo e Camilla si lanciano un’occhiata e poi abbassano lo sguardo, mortificati.
 
“Hai ragione, scusaci, Livietta, è che-“
 
“È che scannarti con mamma è un’altra abitudine, anzi, un vizio che devi perdere?” gli chiede, sarcastica, riferendosi alle sue parole del giorno prima su Gaetano.
 
“In un certo senso… tuo padre e io abbiamo un po’ di… di cose in sospeso Livietta, c’è stata tanta tensione tra noi e non è facile andare d’amore e d’accordo tutto di botto...”
 
“Lo so mamma, lo so… e che sarebbe finto ed ipocrita se andaste d’amore e d’accordo, però… almeno civili, ecco…” sospira Livietta, guardando i genitori negli occhi.
 
“Senti… e se… per tagliare la testa al toro… io prendo un remo, tu l’altro e proviamo a remare insieme?” propone Camilla a Renzo, dopo un attimo di riflessione.
 
“Sì… e così andiamo a zigzag o in tondo! Bisogna remare nello stesso modo e nello stesso momento o la barca va storta, ho già visto prima…” ribatte Renzo, non sembrando per nulla convinto.
 
“Beh, magari Livietta ci dà il tempo per andare a ritmo come-“
 
“Come sulle galere?” chiede Renzo, incredulo, chiedendosi se Camilla sia seria o lo stia prendendo in giro, non potendo però trattenere un mezzo sorriso di fronte a lei e alle sue idee folli: certe cose non cambieranno mai!
 
“Perché no?! Magari se riusciamo ad andare a tempo e far andare dritta questa barca senza scannarci, riusciamo a passare il resto di questa vacanza senza darci addosso… e con l’esercizio fisico ci si sfoga,” ribatte Camilla con nonchalance e Renzo di nuovo non riesce a capire se dica sul serio o meno.
 
“E che cos’è? Una specie di terapia di coppia – anzi, di ex coppia – alternativa? Sei diventata anche psicologa adesso dopo la laurea in criminologia honoris causa?” ironizza, scuotendo il capo.
 
“E dai, Renzo, su! Rilassati, un po’: che ti costa provarci?! Pure se giriamo in tondo o andiamo storti, che problema c’è? Non stiamo mica facendo una gara! E poi, guardati in giro: non è che siamo circondati da canottieri professionisti, anzi,” gli fa notare, indicando altri barcaioli della domenica, anzi, del lunedì, che arrancano con i remi, “dai, fammi spazio!”
 
Renzo sente la barca ondeggiare e la vede alzarsi in piedi: temendo che la barca si ribalti e finiscano tutti a mollo, o che Camilla venga sbalzata fuori, le afferra le braccia, per tenerla in equilibrio, e si sposta leggermente sull’asse centrale su cui è seduto, continuando a sorreggerla fino a che la sente scivolare seduta accanto a lui.
 
In due lo spazio è strettissimo e si trovano letteralmente fianco a fianco: il braccio destro di Renzo che tocca il sinistro di Camilla.
 
È la prima volta da quando si sono lasciati che ce l’ha così vicina, escludendo quell’abbraccio disperato a casa di lei dopo la fuga di Livietta, e Renzo sente uno strano formicolio al braccio e la fronte e il viso caldi. Teme di essere diventato rosso e spera che Livietta non lo noti, visto che era già accaldato e sudato per via dello sforzo fatto.
 
Del resto è inutile negarlo: è ancora attratto da Camilla e forse lo sarà sempre almeno un po’. E poi, anche se gli costa ammetterlo, anche solo con se stesso, da quando sta con il poliziotto – anzi, con Gaetano, deve abituarsi a chiamarlo per nome – Camilla sembra quasi ringiovanita e sembra diventare più bella ogni volta che la vede. E non è solo perché indossa abiti che la valorizzano di più ma… è come se avesse una luce negli occhi, nel viso, quella luce, quella spensieratezza, quella follia che l’avevano fatto innamorare, tanti anni fa.
 
Ma quella luce non è più per lui e Renzo sta cominciando ad accettare che non sarà mai più per lui, anche se gli fa male da morire.
 
“Allora, iniziamo?” domanda Camilla, con un tono e un sorriso tranquilli, non sembrando minimamente turbata dalla sua vicinanza, lei, “Livietta, dacci il tempo, dai!”
 
“Come volete… meno male che siamo in mezzo al lago e non ci conosce nessuno!” commenta Livietta, incredula, ma del resto ha sempre saputo di avere due genitori un po’ matti, “allora, uno, due, uno, due…”
 
“Ehi, piano, piano, mica dobbiamo fare una regata! Rallenta il ritmo!” protesta Renzo, temendo un infarto.
 
“Va bene, va bene…” sospira Livietta, battendo il tempo ad un ritmo adatto giusto per una marcia funebre.
 
Dopo qualche minuto trascorso a girare in tondo o a procedere come un serpente, guadagnandosi le occhiate divertite di altri canottieri, ce la fanno finalmente a sincronizzare le vogate e ad andare diritto.
 
Quando infine riescono a percorrere il lago fino al ponte e tornare indietro, è quasi ora di cena e si ritrovano a pagare una cifra di noleggio a dir poco esorbitante.
 
“Quasi la barca ce la potevamo comprare!” ironizza Renzo, sfinito, spompato, ma sentendosi stranamente felice e sereno come erano secoli che non succedeva.
 
E vedere il sorriso di Livietta e di Camilla, sentirle parlare e parlargli tranquillamente, senza la cappa opprimente degli ultimi giorni, degli ultimi mesi, non ha davvero prezzo.
 
***************************************************************************************
 
“Uff… il cellulare… dov’è un tovagliolo quando serve?”
 
“Tieni,” offre Carmen, passando a Livietta il pacchetto di fazzoletti che aveva prudentemente tirato fuori dalla borsa.
 
Sono in un ristorante medievale accanto alla Torre di Londra. Avevano passato tutto il pomeriggio a visitare l’imponente edificio, ammirando i corvi, i gioielli della corona e girandosi tutte le varie sale, memoria di epoche decisamente più buie in cui la Torre era usata come prigione.
 
Erano stati raggiunti per cena da Carmen, a cui Renzo sa che dovrà fare un monumento, visto che si sta sobbarcando quasi tutto il lavoro anche per lui, per permettergli di stare il più possibile con sua figlia e con Camilla.
 
Spesso si chiede come sia possibile che non l’abbia ancora mandato a quel paese, perché lui al posto di Carmen ci si sarebbe mandato da molto, molto tempo.
 
La cena è trascorsa abbastanza tranquillamente, il cibo medievale non era affatto male – avevano evitato i piatti con gli ingredienti più strani – ed era stato divertente e liberatorio mangiare come si usava all’epoca, prendendo il cibo con le mani da un piatto di portata centrale e servendoselo su un grosso pane non lievitato che fungeva da piatto.
 
Ma il telefono di Livietta era squillato proprio sul più bello e le sue mani necessitavano decisamente di una pulita prima di poter rispondere.
 
“Pronto? Ciao Nino!” grida, quando finalmente riesce ad accettare la chiamata, “sì, scusami ma qui c’è rumore… siamo al ristorante. No, in realtà sono a Londra…”
 
Renzo lancia un’occhiata alla figlia e poi a Camilla: ha capito benissimo che si tratta del nipote del poliziotto – di Gaetano.
 
“Sì, sono a Londra con i miei genitori e con… con una collega di papà,” chiarisce, non sapendo bene come definire Carmen, “ah, mi hai chiamato per New York? Partite sabato? Purtroppo… purtroppo io non posso venire, mi dispiace. Sì, sono sicura. Magari sarà per un’altra volta… sì. Salutami Tom e fagli un in bocca al lupo da parte mia e saluta gli altri. Ah e salutami anche i tuoi. Sì, lo spero anche io… ci sentiamo presto!”
 
Livietta chiude la comunicazione, l’aria improvvisamente più mogia. Sapeva benissimo da settimane che New York se la doveva scordare ma… non può evitare di essere ancora un po’ delusa.
 
“Cos’è questa storia di New York?” chiede Carmen, dopo che sul tavolo erano calati lunghi attimi di silenzio.
 
“Il nipote di Gaetano, Nino, va a New York con gli altri ragazzi della band con cui suona, perché… il loro batterista, Tom, non so se te lo ricordi… il figlio di Marco è-“
 
“Marco… quel Marco?” domanda Carmen, sorpresa è dire poco.
 
“Sì, quel Marco,” conferma Camilla, “ci siamo rivisti a Roma quando c’era anche Gaetano e… va beh, è una storia lunga. Comunque vanno tutti a New York per due settimane, vanno a stare da Tom che ha vinto una borsa di studio per la Juilliard e quindi si è appena trasferito lì.”
 
“E doveva andare anche Livietta?” deduce Carmen, a giudicare dallo sguardo mogio della ragazza.
 
“Mi avevano invitato, sì, ma… ma papà e mamma non sono d’accordo. Papà dice che è pericoloso e-“
 
“No, non è che sono io che dico che è pericoloso, Livietta: è oggettivamente pericoloso per una sedicenne essere in giro da sola con cinque adolescenti maschi in una città sconosciuta a migliaia di chilometri di distanza da casa. O no?” chiede, rivolto a Carmen, in quella che è più un’affermazione che una domanda.
 
“Beh… sì… in effetti… capisco che vi siete preoccupati… ma se… se Livietta non dormisse nello stesso appartamento dei cinque ragazzi adolescenti ma a casa di una collega di suo padre che non è più adolescente da un pezzo, purtroppo e per fortuna?” propone Carmen, di getto, sull’onda del momento.
 
“Carmen, stai dicendo sul serio?” domanda Livietta, sbigottita, sentendosi per un attimo in colpa per averla definita come una collega di papà e chiedendosi se Carmen, oltre all’offerta, non stesse lanciando una frecciata velata a lei e forse anche a Renzo.
 
Perché in effetti collega di papà è una definizione che racchiude forse l’un percento dei rapporti tra Renzo e Carmen e della loro storia pregressa.
 
“Sì, direi di sì. Che c’è? Perché mi guardate con quella faccia? Se non siete d’accordo, ok, non mi offendo, ma spero di essere considerata almeno un poco più affidabile di cinque adolescenti, anche se non di molto,” ironizza Carmen, ricambiando l’occhiata sbigottita di Renzo e Camilla.
 
“No… è che… certo che mi fido di te, Carmen,” si affretta a chiarire Renzo, lanciando un’occhiata a Camilla, “è solo che… io non so cosa dire… mi hai e ci hai già sopportato in queste due settimane qui a Londra. Ti ho sbolognato un sacco di meeting e… e tu invece di mandarmi a quel paese, ti offri ancora di portarti Livietta a New York? Poi tu non vivi con Jack oltretutto?”
 
“Cos’è papà? Hai paura pure che ci provi con il fidanzato di Carmen? O che lui ci provi con me?” domanda Livietta, con un sopracciglio alzato, il tono ironico ma ancora evidentemente amaro.
 
È chiaro che l’accusa di Renzo è una ferita che difficilmente si rimarginerà a breve.
 
“Ma no, no!” esclama Renzo, rivolgendosi poi a Carmen, guardandola negli occhi, serio, “ma insomma, Carmen, tu sei già sempre via per lavoro e tu e Jack non vi vedete quasi mai. Se torni a New York e ti porti pure un’ospite a casa… Jack non ti manderà a quel paese?”
 
“Se non mi ci ha mandata finora…” ribatte Carmen, sapendo che tanto ormai cambia ben poco, “e poi Livietta di giorno sarà con i suoi amici… è solo per la notte… la sera e la notte, se stai più tranquillo. Non è un gran disturbo.”
 
La verità, anche se Carmen fatica ad ammetterlo, è che preferirebbe avere ospite quasi chiunque che ritrovarsi da sola con Jack a spiegare troppe cose che non sa spiegare, a fare promesse in cui non sa se né lei, né lui credono ancora, a capire se ha ancora senso stare insieme ad una persona senza vedersi mai.
 
“Non lo so… cioè… tu che ne dici, Camilla?” domanda Renzo, rivolgendosi all’ex moglie.
 
“Beh, sicuramente la presenza di Carmen sarebbe rassicurante, ma Livietta starebbe comunque in giro tante ore da sola con i suoi amici… non lo so, Renzo, poi il più contrario e preoccupato eri tu quindi… forse lo dovrei chiedere a te,” risponde Camilla con un sospiro, non sapendo onestamente cosa prova di fronte a questa proposta, come del resto non ha mai capito bene cosa prova nei confronti della spagnola.
 
“Se vuole può venire anche Renzo… almeno conosci finalmente Jack: sono mesi che mi chiede di incontrarti,” aggiunge Carmen, lasciando Renzo sempre di più di stucco.
 
“Sì, e che cosa facciamo? Tutti insieme appassionatamente in un appartamento di New York? E poi dubito che a Jack farebbe piacere… avermi in casa…” le fa notare Renzo, che di conoscere questo fantomatico Jack sinceramente non ha proprio alcuna voglia.
 
“Il grattacielo dove abitiamo l’ho progettato io, se serve non faccio fatica a trovarti un appartamento per due settimane a un prezzo di favore,” afferma Carmen, scrollando le spalle, “tu che dici, Livietta? A te andrebbe avere me o me e tuo padre per i piedi ancora per un po’?”
 
Livietta è ammutolita, guarda sua madre e non sa cosa dire.
 
“Mah… visto che l’alternativa è rinunciare a New York… però non lo so… ci devo pensare…. Non è per te, Carmen, tu sei gentilissima, è che… insomma… i ragazzi staranno tra loro, mentre io con la scorta… ci devo pensare…” risponde, cercando di prendere tempo.
 
“E anche noi ci dobbiamo pensare, Carmen,” concorda Camilla, lanciando uno sguardo di intesa con Renzo, “però, grazie, insomma, lo apprezzo molto. Dubito che lo apprezzerà il tuo fidanzato, però, quindi… forse è il caso che ci pensi bene anche tu.”
 
L’occhiata che si scambiano le due donne è eloquente e dice molto di più delle parole pronunciate. Carmen riesce quasi a leggere il dubbio, la domanda negli occhi della sua ex rivale in amore.
 
Ma la verità è che nemmeno Carmen stessa conosce la risposta a questa domanda.
 
***************************************************************************************
 
“Scusate, devo rispondere: andate pure avanti, ci vediamo al locale!”
 
Renzo si volta verso Camilla che, cellulare in mano, si è fermata e si è appoggiata al parapetto del Tower Bridge, intenta a chiacchierare con l’interlocutore all’altro capo del telefono.

Non ci vuole molto a capire di chi si tratti, visto che lo chiama amore: Gaetano.
 
“Sentite, voi due proseguite, io la aspetto: non mi va di lasciarla qui da sola, ormai è buio,” propone Renzo, raggiungendo Livietta e Carmen, che si sono fermate qualche passo più avanti.
 
Stavano andando insieme ad un locale notturno dall’altro lato del ponte, uno dei preferiti di Carmen: un club di danze latinoamericane con atmosfera, appunto, latina e sudamericana.
 
Dopo la torre di Londra e la cena medievale, Renzo è assolutamente esausto e non avrebbe voglia di proseguire oltre la serata, ma Livietta si era entusiasmata quando Carmen le aveva parlato del locale e quindi… toccava abbozzare.
 
Avevano deciso di andare a piedi, in modo da godersi la vista dal ponte e sarebbero poi tornati in taxi: niente guida dopo i cocktail e il ballo.
 
“Renzo, questa non è una zona pericolosa, non c’è tanta gente in giro, è vero, perché siamo nella City ma, è una zona molto tranquilla. Però se preferisci rimanere con Camilla, ok, va bene. Così io e Livietta cominciamo ad entrare e cambiarci, visto che Camilla non mi sembrava dell’idea,” risponde Carmen, che si era portata dietro un borsone con il cambio di vestiti per las chicas, in modo da cambiarsi direttamente nel bagno del locale e non girare per Londra vestite come bailarinas di salsa e merengue.
 
Ma se Livietta era divertita all’idea di ritornare a indossare quei costumi – e del resto aveva fatto danze latinoamericane per qualche anno – Camilla non sembrava intenzionata ad essere della partita riguardo al cambio di look.
 
Renzo annuisce e le saluta, voltandosi di nuovo verso Camilla e avvicinandosi leggermente a lei, ancora impegnata nella sua telefonata.
 
Camilla non sembra nemmeno accorgersi di lui, immersa com’è nel suo mondo – nel loro mondo, suo e… e di Gaetano.
 
Renzo si ferma a qualche passo di distanza, appoggiandosi anche lui al parapetto, abbastanza lontano per non sembrare intento ad origliare, ma, essendo controvento, riesce comunque a sentire praticamente tutto.
 
“Sì, oggi siamo stati alla Torre, poi in un ristorante medievale – no, non era male, parecchio speziato. Sì, adesso andiamo in un locale di salsa e merengue che conosce Carmen e – eddai, Berardi, non mi fare il geloso! Anche se, come dici tu, ho la febbre del sabato sera, lo sai che c’è un solo uomo a cui permetto di curarmi – o di beccarsi il contagio,” la sente ridere in un modo così cristallino, quasi infantile, mentre non può fare a meno di spiare la sua espressione, il volto che le si illumina come accade solo… solo quando parla con lui.
 
Ha sempre fatto così, anche quando stavano ancora insieme: non ha mai sopportato lo scintillio che le si accendeva negli occhi quando il poliziotto chiamava o mandava un messaggio.
 
“Ci conto, Berardi! Preparati perché quando torno ti tengo in piedi fino all’alba – certo, per ballare, che ti credi?! Guarda che sono una brava ragazza io! E non osare fare battute sulla mia età anagrafica o quando torno me la paghi. Come ci conti?!” la sente domandargli con un’altra risata, mentre Renzo non sa se gli faccia più male o più bene sentire tutto questo.
 
Perché è sicuramente da pazzi masochisti, ma forse ha bisogno di sapere, di sbatterci la testa per mettersi definitivamente il cuore in pace sul fatto che il suo matrimonio è finito per sempre.
 
Perché con lui Camilla non è mai stata così… così giocosa e passionale e disinibita e… e quasi bambina al tempo stesso, nemmeno i primi tempi del loro rapporto, nemmeno quando le cose tra loro andavano ancora bene, anche a letto.
 
Cerca di togliersi dalla mente le immagini mentali che questa conversazione gli produce e spera solo che la telefonata si concluda presto e non si vada a finire in scenari infiniti alla “mi ami, ma quanto mi ami? No metti giù tu, no tu!” degni di Livietta quando occupava per ore il telefono con quell’idiota di Ricky.
 
“Mi manchi lo sai? Tantissimo…” la ascolta pronunciare, con un tono serio e malinconico che è l’ennesima coltellata, “sì, qui è tutto bellissimo e sto vedendo posti stupendi ma… vorrei che ci fossi anche tu qui con me. Certo che mi piacerebbe tornarci con te, magari tra un po’… sarebbe bellissimo. Ci rifaremo in vacanza?! Ma hai già un’idea…? Una sorpresa? Non mi puoi dare qualche indizio? Eddai, lo sai che sono curiosa!! Va bene, va bene, ho capito. Il caso della Mole come va? L’hai risolto o devo intervenire io e fare venire un colpo al questore? No, non in quel senso, gelosone! Mmm… beh, quando ci sono troppi indizi… o la soluzione più semplice è la più giusta o c’è qualcosa di strano. Perché allora invece di partire da cosa c’è, non ti concentri su cosa manca? No, non sono una veggente, si dice intuito femminile… ma ti squilla il cellulare? Ah, è Eva? Certo che calcolare il fuso orario, troppo sforzo! No, rispondi, rispondi, dai, non ti preoccupare. Sì, noi ci sentiamo domani. Un bacio! Anche io, da morire, baci!”
 
Con un sorriso ancora sulle labbra, Camilla mette giù il telefono, lo ritira in tasca e si volta per incamminarsi verso questo fantomatico locale – a lei salsa e merengue stavano sul gozzo da quel dì, e l’idea di essere circondate da coppiette che si strusciano mentre lei è a centinaia di chilometri di distanza da lui non la entusiasma affatto – quando, alzando gli occhi, si trova davanti Renzo.
 
“Che ci fai qui? Vi avevo detto di avviarvi!” esclama, non potendo trattenere l’imbarazzo e il fastidio nella voce.
 
“Lo so, ma non ti volevo abbandonare da sola per strada a quest’ora. Anche se lo so che sei abituata ad imprese ben più rischiose,” ribatte, mantenendo un tono tranquillo, anche se coglie benissimo l’irritazione di Camilla.
 
“Quanto hai sentito?” gli chiede, guardandolo negli occhi.
 
“Mah… che ti devo dire… non molto…” abbozza, non potendo evitare di abbassare lo sguardo.
 
“Sei sempre stato un pessimo bugiardo!” sospira Camilla, scuotendo il capo, “e vedo che non perdi il brutto vizio di spiare ed origliare e-“
 
“Non stavo origliando, non ho potuto fare a meno di sentire!”
 
“Sì, che avresti potuto fare a meno, se avessi fatto come ti ho chiesto o se ti fossi fermato qualche metro più in là,” sbotta Camilla, aggiungendo, seria, “e queste sono cose private tra me e Gaetano, che riguardano solo me e Gaetano, non mi piace sbattere in piazza i fatti nostri!”
 
“Va bene, ma se ne parli in un luogo pubblico, non sono più private e scusa se mi preoccupo per te, visto che, quando tu e… e Gaetano siete nel vostro mondo, potrebbe arrivare una banda di malintenzionati e portarti via pure le scarpe o peggio e nemmeno te ne accorgeresti!” ribatte Renzo, altrettanto serio, “e poi… cose private… non è che adesso ne so di più di prima. Tu lo ami, lui ti ama, pucci-pucci, Eva rompe le scatole… sai te che novità!”
 
“Pucci-pucci?” chiede Camilla, incredula di fronte al tono di Renzo, sarcastico sì ma anche… rassegnato.
 
“Sì, e poi sinceramente dopo che mi sono dovuto sorbire voi due che limonavate come ragazzini in un pub, sentire due pucci-pucci al telefono non mi cambia molto la vita,” aggiunge, amaro, tirando un altro sospiro.
 
“Ci… ci hai visti?” chiede Camilla, imbarazzata, capendo perfettamente che si riferisce a quando erano andati a sentire suonare la band di Savino e poi Renzo aveva dovuto riaccompagnare La Venere a casa.
 
“Eh, beh… non è che sono cieco, se vi baciate quando ci sono anche io, è chiaro che vi vedo!” sbotta Renzo, prima di sospirare di nuovo e concedere, più calmo, “e comunque immagino che… che se dobbiamo fare questa… questa benedetta – come si dice? – famiglia allargata, mi ci devo abituare. Basta che non vi allargate troppo che c’è un limite! Che c’è?”
 
“No, niente è che… non mi aspettavo di sentire questo discorso da te… visto come reagisci di solito… mi aspettavo una reazione diversa… che ne so qualche battuta sarcastica…” chiarisce Camilla, presa in contropiede.
 
“Ah, se ci tieni ne ho mille da fare, ma poi non la finiremmo più e-“
 
“No, per la carità, non ci tengo! È solo che… che a volte non ti capisco, Renzo,” ammette Camilla, aggiungendo, quasi tra sé e sé, “e a volte mi chiedo se… se sei masochista.”
 
“A volte me lo chiedo anche io, Camilla,” ribatte, con l’ennesimo sospiro – quasi potrebbero ribattezzare il ponte – voltandosi poi verso di lei e proponendo, per tagliare corto, “andiamo? Vorrei arrivare in questo benedetto locale e magari trovare uno sgabello o un divanetto, che ho la schiena che mi sta uccidendo dopo tutta la giornata in piedi!”
 
“Beh, ma allora dovresti approfittarne per un po’ di merengue. Non era un toccasana per la schiena?” gli chiede Camilla, sarcastica, mentre ricominciano a camminare, “o così almeno sosteneva – com’è che si chiamava? Pensando-a-te?”
 
“Cosa c’entra adesso Pamela?!” le domanda Renzo, colto di sorpresa.
 
“Ah, ma allora finalmente lo ammetti che Pensando-a-te e Pamela erano la stessa persona! Dopo otto anni, ma meglio tardi che mai!” esclama Camilla, lanciandogli un’occhiata eloquente.
 
“Sì, è stata Pamela a mandarmi quella cartolina, va bene, ma tra noi non c’è stato niente di che e-“
 
Niente di che? Quindi qualcosa c’è stato,” desume Camilla, scuotendo il capo, il tono rassegnato.
 
“E va bene, c’è stato un bacio, un solo bacio! E…. No, no, aspetta un momento! Scusa, ma io mi devo giustificare con te per una cosa successa otto anni fa, quando tu ormai ti fai la tua vita con il tuo Gaetano?” sbotta, bloccandosi e puntando l’indice verso di lei.
 
“Ti vorrei far solo notare che otto anni fa io non mi facevo la mia vita con il mio Gaetano, io, ma ero, fino a prova contraria, tua moglie! Quindi da tre mesi e passa a questa parte, per carità, sei liberissimo di farti la tua vita e non mi devi alcuna giustificazione, ma su otto anni fa, il discorso cambia!” esclama, ricambiando il gesto di Renzo, per poi sospirare e assumere di nuovo un tono rassegnato, “e comunque sai che c’è, Renzo? Non fa niente, non importa più e non fa alcuna differenza, grazie al cielo! Ma mi porta solo a chiedermi quanto sia stata masochista io a rimanere con te per questi otto anni, facendo finta di non vedere e non capire, visto che, lo ripeto, sei sempre stato un pessimo bugiardo. Ti rendi conto di quanto tempo abbiamo perso, raccontandoci palle, Renzo? Quando è evidente che il nostro matrimonio è finito tanti anni fa? Ben prima di Barcellona e di Carmen?!”
 
“Forse hai ragione… ma posso dire lo stesso di me con te e il tuo Gaetano, visto che era evidente che eri innamorata persa di lui e lo sei sempre stata. Quindi… che posso dire?! Eravamo una bella coppia di masochisti! Almeno qualcosa in comune ce l’avevamo dopo tutto, a parte la storia, la storia dell’arte, Livietta e divertirci come due cretini a nominare le coppie celebri!”
 
“Già…” sussurra Camilla, mentre alla  mente le ritornano quei momenti, i momenti più belli del loro matrimonio, quando ancora giocavano insieme, scherzavano insieme, si divertivano insieme.
 
Prima di Gaetano, è inutile negarlo.
 
“Sai, forse è quando abbiamo smesso di divertirci come due cretini che il nostro matrimonio è davvero finito. Poi ci abbiamo provato a continuare a fingere di farli i cretini ma… a quel punto eravamo soltanto cretini davvero,” ammette Camilla, non sa se più a se stessa o a lui.
 
Renzo non risponde, si limita ad annuire, ed in un silenzio carico di malinconia, di consapevolezza, ma stranamente confortevole, proseguono la loro camminata.
 
***************************************************************************************
 
“Camilla, sei sicura che non vuoi ballare? Non è da te!”
 
“No, grazie, Renzo. Se vuoi vai tu, io passo,” risponde Camilla, sorseggiando il suo drink, seduta allo sgabello del bar.
 
“Ma dai, se ballo io puoi ballare pure tu, no?” le chiede, provando a prenderla per mano, ma lei la ritrae.
 
“A parte che abbiamo accertato che tu sul merengue hai molta più esperienza di me, Renzo, e che in vent’anni di matrimonio avremo ballato insieme quante volte? Dieci a voler esagerare? Ma comunque non mi sembra proprio il caso,” afferma, decisa, lanciandogli un’occhiata eloquente.
 
“Perché?” le chiede, sorpreso.
 
“Lo sai benissimo il perché, Renzo…” ribadisce, un sopracciglio alzato.
 
“Perché c’è un solo uomo a cui permetti di curare la tua febbre del sabato sera?” domanda, sarcastico.
 
“Certo che hai proprio ascoltato con attenzione, e che memoria! Potevi farmi una trascrizione, già che c’eravamo!” commenta con un sospiro, “e comunque, sì, sono impegnata con Gaetano e certi balli non voglio farli con altri che non siano lui. Non solo perché proprio non mi va, ma perché… non è rispettoso. Un conto è in discoteca, forse, ma i latini… non è proprio il caso, soprattutto non con te.”
 
“E perché? Visto che ormai il nostro matrimonio per te è morto e sepolto e per me non provi più nulla, non dovrebbe esserci alcun problema, no? Anzi, meglio che con uno sconosciuto,” ribatte Renzo, con un tono di sfida.
 
“Perché non vorrei che qualcuno potesse pensare che ci stiamo preparando all’ennesimo tira-e-molla, Renzo, visto che non è affatto così. E non sto parlando solo di Livietta o di Gaetano, se lo venisse a sapere – e lo verrebbe a sapere perché glielo direi,” controreplica Camilla, bevendosi un altro sorso di mojito.
 
“Stai parlando di me?” le domanda, stupito.
 
“No, perché spero che nel tuo caso non ci sia nemmeno bisogno di precisare che così non è. Sto parlando di qualcuno che magari aspetta solo che tu le chieda di ballare, Renzo, invece che perdere tempo qui con me,” risponde Camilla con un’occhiata eloquente.
 
“Ma che stai dicendo? Non ti capisco…” ammette, confuso.
 
“O forse non vuoi capire… lasciamo perdere…” sospira Camilla, prima di indicargli la pista, dove Livietta e Carmen stanno ballando insieme, “dai, vai con loro!”
 
“Il merengue non si può ballare in tre,” le fa notare Renzo, sempre più spiazzato.
 
“Almeno quello!” sospira Camilla con un’altra occhiata eloquente, prima di prenderlo per una spalla e spingerlo leggermente verso la pista, “forza, vai!”
 
Ancora confuso, con la sensazione di essersi perso qualcosa ma di non sapere esattamente cosa, Renzo si avvia a raggiungere le due bailarinas.
 
***************************************************************************************
 
“Por favor, señorita, un baile!”
 
“No soy una señorita y tengo novio,” risponde Camilla, esasperata, sfoderando la sua scarsa e molto arrugginita conoscenza di spagnolo per cercare di respingere il quarantenne insistente allo sfinimento che la sta tampinando da quasi un’ora, chiedendole di ballare e tornando alla carica ogni dieci minuti, nonostante i suoi rifiuti.
 
I capelli tinti di nero pece e tirati indietro in una coda, nonostante la calvizie incipiente, la camicia mezza aperta su un fisico che non lo consentirebbe più, sembra quasi uno stereotipo ambulante dell’ex lumacone da balera o da discoteca che, a dispetto dell’età che avanza, continua imperterrito ad esercitare.
 
Il fatto che forse qualcuno potrebbe definire anche Gaetano in questo modo non le sfugge affatto ma, a parte che Gaetano si è ormai ritirato dall’attività, almeno è sempre stato affascinante, elegante, di classe e soprattutto dignitoso. E la forma fisica non c’entra niente.
 
“Hablas español?” domanda, entusiasta, e Camilla teme di aver appena commesso un terribile errore tattico.
 
“No, no hablo ni español, ni nada. Quiero estar sola, entiende?” ribadisce, sperando di non doverlo ripetere in tutte le poche lingue da lei conosciute.
 
“Una mujer tan hermosa no puede estar sola en un lugar como este!” prosegue imperterrito e Camilla sarebbe quasi lusingata di essere definita hermosa, non fosse che il tipo in questione sembra già aver bevuto qualche bicchiere.
 
“Camilla, tutto bene?”
 
La voce di Carmen alle sue spalle le sembra improvvisamente il suono più melodioso che esista: Renzo è impegnato a ballare insieme a Livietta da qualche parte ed erano così carini insieme – Renzo è molto meno imbranato di quanto pensasse, si vede che qualche lezione l’aveva presa – che non aveva voluto disturbarli. E aveva perso di vista la spagnola da un po’.
 
“Sì,” risponde, cercando di spiegare oltre, ma il tipo riprende imperterrito.
 
“Muy linda tu amiga tambien!” esclama con un sorriso, facendo per presentarsi a Carmen.
 
Camilla ha un’idea drastica, ma è l’unica soluzione.
 
“No es mi amiga, es mi novia, entiende?” afferma con nonchalance, per poi rivolgersi a Carmen con un sorriso e con uno sguardo che spera risulti sognante, “mi amor! Por fin llegaste! Vamos a bailar?”
 
Ignorando l’occhiata scioccata di Carmen, molla il drink – il secondo della serata – la prende per mano e si avvia con lei alla pista da ballo, lasciando lì l’uomo – Pedro, Pablo, non ricorda – a guardarle con bocca aperta e occhi spalancati.
 
“Scusami, ma non me ne liberavo più! Quindi puoi essere la mia fidanzata fino a che non schioda?” sussurra a Carmen, che la guarda ancora sconvolta, prima di mordersi il labbro e trattenere a stento una risata.
 
“Non ci posso credere, Camilla! Anche se… sei… sei… sei sempre stata loca, ma in senso buono,” afferma Carmen, soffocando le risate.
 
“Ah, grazie! E vorrei vedere te con un tipo così appiccicoso: non sapevo più che inventarmi!” risponde, mettendosi a ballare con Carmen come se fosse la cosa più naturale del mondo, guadagnandosi diverse occhiate curiose dai presenti.
 
“In effetti è una soluzione un po’ drastica ma efficace: mi sa che te la copio! E devo farti i complimenti per lo spagnolo! Non pensavo lo sapessi ancora così bene, anzi che lo avessi mai imparato così bene. Quando eri a Barcellona non lo parlavi quasi mai,” afferma poi, sinceramente sorpresa.
 
“No hablaba mucho, pero entendía muy bien, Carmen,” risponde Camilla con un’occhiata che vale più di mille parole, “e entiendo molto bene pure adesso.”
 
“Che… che vuoi dire?” le domanda, spiazzata, come praticamente sempre quando si tratta di Camilla.
 
“Carmen, quando una donna preferisce ospitare la figlia del suo… collega… nonché suo ex, e magari pure il suo collega – ed ex – piuttosto che passare qualche giorno da sola con il suo novio che non vede quasi mai… o è una santa, o è una pazza, o c’è qualcosa che non va,” chiarisce Camilla, capendo immediatamente dallo sguardo di Carmen che ha colpito nel segno, “senti… non sono affari miei, ok? Però… hai visto anche tu cosa succede quando due persone che stanno insieme cercano in ogni modo di… di non stare insieme, no? Di solito non va a finire bene ed è anche assolutamente inutile. Te l’ho già detto, ma te lo ripeto: pensaci.”
 
***************************************************************************************
 
“Tieni…”
 
Camilla afferra la confezione di plastica morbida che le è appena caduta in mano. Intuendo a tastoni che cos’è, estrae con un mezzo sorriso un fazzoletto di carta e si asciuga gli occhi.
 
Les Misérables le fanno sempre questo effetto, che si tratti del libro, del film o del musical, soprattutto la morte di Fantine e adesso, sul finale, la morte di Valjean.
 
“Grazie,” sussurra a Renzo, seduto accanto a lei, “mi stupisci, pensavo dormissi…”
 
“Ah, ah,” sussurra di rimando, per tutta risposta, riprendendosi il pacchetto di fazzoletti che lei gli porge.
 
Guardano in silenzio gli ultimi istanti dello spettacolo e infine si alzano per applaudire.
 
Le luci si accendono e sono pronti ad uscire.
 
“Valeva davvero la pena di vederlo: grazie papà!” sorride Livietta, felice che il padre abbia ricomprato i biglietti.
 
“Figurati… del resto era colpa mia se ce lo eravamo persi settimana scorsa,” risponde Renzo, mettendosi una mano tra i capelli, sentendosi ancora in colpa per tutto quello che era successo.
 
“Già…” sospira Livietta: le accuse del padre ancora bruciano però… però sta facendo di tutto per cercare di recuperare e Livietta spera davvero che questa sia la volta buona.
 
La cosa che la fa essere più ottimista, rispetto alle altre volte, è che sono giorni che non vede i suoi litigare o discutere. Si punzecchiano sempre ogni tanto, ma lo fanno in modo più tranquillo e… quasi affettuoso.
 
Il punto di volta sembra essere stato la serata delle danze latinoamericane. Non sa se sia successo qualcosa sul Tower Bridge, visto che sua madre e suo padre erano rimasti da soli per un po’, ma da lì qualcosa era cambiato, era come se l’aria tra di loro si fosse un po’ ripulita, se la tensione fosse scesa, tornando a livelli più normali e salutari.
 
E anche per lei e suo padre qualcosa era cambiato quella sera. Deve ammettere che era stato divertente ballare con lui, anche se all’inizio ne era stata imbarazzata, a farsi vedere con il suo “vecchio”. Ma alla fine aveva deciso che lì nessuno la conosceva ed era tutta gente che non avrebbe mai più rivisto e allora… perché no? Meglio suo padre dei lumaconi che affollavano il locale.
 
All’inizio era imbranato e peggio di un ciocco di legno, ma poi si era sciolto e anche lei si era ricordata gli insegnamenti delle sue lezioni. Certo, se le danze latinoamericane erano, in teoria, le danze sensuali per eccellenza, loro ne avevano fatto una versione quasi comica ma… era andata bene così e aveva ritrovato il lato di suo padre che preferisce e ha sempre preferito: quello giocoso, quello che non si prende troppo sul serio.
 
E poi avevano avuto la scusa per rimanere abbracciati per un po’, cosa che non accadeva da tanto, troppo tempo.
 
Alla fine, dopo averne discusso con mamma e papà, aveva deciso di accettare la proposta di Carmen e sarebbe partita con lei e suo padre per New York. Nino si era dimostrato molto comprensivo e spera che lo siano anche gli altri ragazzi e non la facciano sentire troppo a disagio e non la escludano.
 
Ma del resto, New York vale ben qualche compromesso.
 
Non è più in apprensione come prima riguardo alla presenza di suo padre e poi Carmen le ha promesso che la aiuterà a tenerlo impegnato, in modo che non la metta in imbarazzo con i ragazzi.
 
Carmen è la persona che Livietta fatica a capire più di tutti: non capisce se il problema per Carmen sia Jack o suo padre o entrambi. Ma le sembra evidente che Carmen tra Jack e suo padre ha scelto e sceglierà sempre suo padre e già solo questo fatto la fa dubitare molto del futuro di questa relazione.
 
Almeno staranno in un appartamento per conto loro, altrimenti sarebbe stato troppo imbarazzante.
 
Quindi non è preoccupata per New York, in realtà, quanto per il rientro a Torino. Spera che la tregua tra suo padre, sua madre e lei regga anche quando ritorneranno alla realtà e, soprattutto, quando suo padre dovrà avere di nuovo a che fare con Gaetano.
 
Ma solo il tempo potrà dirlo….
 
“Allora, pronti per la discoteca?” chiede Carmen, destandola dai suoi pensieri.
 
“Sì, non vedo l’ora!” esclama Livietta, entusiasta: stanno per andare nella discoteca più grande e più famosa di Londra e ne ha sentito meraviglie.
 
“Guardate… se non vi dispiace io… io passerei,” annuncia Camilla, che si sente sfinita e soprattutto per nulla entusiasta all’idea di passare un’altra serata seduta al bar o schiacciata contro al muro dell’affollatissimo locale.
 
“Ma come mamma?! Tu adori la discoteca!” esclama Livietta, sorpresa, per poi fare un attimo di pausa, sembrare capire e domandarle, con tono suggestivo, “o adori la discoteca solo se c’è anche Gaetano?”
 
“Diciamo che la discoteca mi piace, Livietta, ma sono distrutta e… visto che con te ci sono anche Carmen e tuo padre, mi sembra che non ha senso che ti scortiamo in tre. Ti dispiace molto se torno in albergo? Tanto ci vediamo quando rientri e domattina ci salutiamo con calma,” propone con un sorriso: Renzo, Carmen e Livietta avevano deciso di non rientrare a Torino ma di andare direttamente a New York da Londra.
 
Del resto avevano già bagagli sufficienti per due settimane e il clima di New York non è poi molto diverso da quello di Londra: a New York li attende un bel bucato certo, ma l’avrebbero dovuto fare pure a Torino.
 
“No, va bene,  mamma, se non te la senti ti capisco,” la rassicura Livietta, ricambiando il sorriso e sorprendendola con un abbraccio, anche se rapido.
 
“Ma come torni in albergo?” domanda Renzo, preoccupato, visto che Carmen ha deciso anche stavolta di girare in taxi.
 
“In taxi… o a piedi, in fondo siamo vicini all’albergo… e questa è una zona tranquilla…”
 
“No, non se ne parla, non da sola. Ti accompagno io e poi vi raggiungo, va bene?” chiede a Carmen e Livietta che si guardano, sospirano ed annuiscono.
 
“Renzo, davvero, non è necessario: ho quasi cinquant’anni e me la so cavare, tranquillo!”
 
“Lo so che te la cavi, ma non sto tranquillo così. Dai, ti accompagno, tanto è questione di pochi minuti e poi per entrare in quel locale ci sono code infinite. Ci vediamo davanti al club, ok?” ribadisce e Carmen e Livietta, di nuovo, conoscendo Renzo, assentono.
 
“Va bene, va bene, ho capito! Allora a domani, non fate troppo tardi,” si raccomanda Camilla, facendo l’occhiolino a Livietta e Carmen che, dopo un altro rapido saluto, si avvicinano al primo taxi disponibile e ci salgono, sparendo ben presto nel traffico.
 
“Ci facciamo due passi? O ti fanno male i piedi?” domanda Renzo, adocchiando le scarpe con il tacco che Camilla non aveva potuto evitare di indossare insieme ad un abito lungo comprato per l’occasione, per rispettare il dress code del teatro.
 
Del resto, si era portata un trolley piccolo con ben pochi vestiti e a metà settimana lei, Livietta e Carmen avevano dovuto fare un giro di shopping per procurarle il necessario per il resto della permanenza.
 
“Tranquillo: i tacchi sono larghi e le scarpe tutto sommato comode. Vada per i due passi,” lo rassicura Camilla, che aveva bandito anni prima le scarpe scomode e i tacchi vertiginosi. Tanto, per sua fortuna, è già alta.
 
Il primo tratto della camminata trascorre nel più assoluto silenzio, fino a quando arrivano vicino al parco.
 
“L’ho attraversato qualche sera fa ma… credo sia meglio girarci intorno, c’è più gente,” suggerisce Renzo, decidendo di seguire gli altri spettatori che, come loro, stanno andando in quella direzione.
 
“Hai visto? Non sarei stata comunque da sola… ti stai facendo una camminata per niente,” gli fa notare Camilla, non riuscendo però a trattenere un sorriso: conosce Renzo e le sue paure ormai fin troppo bene.
 
“Non è per niente!” ribatte, deciso, per poi voltarsi e guardarla negli occhi, “anche perché… volevo avere l’occasione per… per parlarti e salutarti con calma prima della partenza. E per ringraziarti di… di avere permesso a Livietta di venire a New York con me e con Carmen, nonostante tutto quello che è successo.”
 
“L’ho fatto perché Livietta ci teneva così tanto a quel viaggio e… e perché in effetti vi siete visti davvero poco ultimamente, Renzo e… avete bisogno di recuperare. E poi questa settimana ti sei comportato bene, sia con Livietta che con me: sono giorni che non litighiamo e non discutiamo, mi sembra quasi incredibile!”
 
“Già…” mormora Renzo, respirando per un attimo l’aria della sera, prima di prendere coraggio e confessare, “lo sai… mi ero quasi dimenticato quanto fosse… bello e anche divertente passare del tempo con te, serenamente, senza scannarci. Avere voglia di passare del tempo con te, di stare insieme. Da quanto tempo è che non riuscivamo a parlare così noi due? Forse da… da poco dopo che siamo tornati insieme?”
 
“Secondo me da prima… da quando io stavo con Marco e tu con Carmen, Renzo,” ammette, dopo un momento di riflessione, “credo che… che andiamo più d’accordo quando non dobbiamo convivere, Renzo, o vederci tutti i giorni. Forse il segreto sta nel prendersi a piccole dosi.”
 
“Come un veleno?” chiede, sarcastico, facendola ridere.
 
“Qualcosa del genere, sì…”
 
“Mi è mancata molto la tua risata, sai, Camilla? Sono secoli che non la sentivo più… non con me, almeno…”
 
“È un po’ difficile ridere quando ci si scanna, Renzo, o quando la controparte non fa altro che lamentarsi e brontolare,” gli fa notare con un sospiro.
 
“Forse hai ragione…” sospira di rimando, prima di pensare un attimo a quello che si sono detti e considerare, “tu hai detto che… che andiamo più d’accordo se non ci vediamo tutti i giorni. Però questa settimana ci siamo visti tutti i giorni.”
 
“Sì, ma in vacanza e… in albergo, ognuno nella sua stanza. Non è come convivere ventiquattro ore su ventiquattro Renzo, e una vacanza a Londra non è la vita reale.”
 
“No, non lo è… certo che è ironico: da quanti anni è che ci ripromettevamo di fare un viaggio a Londra noi due? E alla fine… in qualche modo ce l’abbiamo fatta, anche se non avrei mai immaginato… così…”
 
“Già… ma forse è stato meglio così, forse era questo il momento giusto e l’occasione giusta.”
 
“Forse…” concede Renzo, notando con disappunto che si intravede in lontananza l’insegna dell’hotel. Non ha per nulla voglia di lasciare questa… questa pace, in tutti i sensi, per finire nel casino di una discoteca.
 
Ma sa che è meglio così, perché passare troppo tempo solo con Camilla, con questa Camilla, è fin troppo pericoloso per lui. Ma non per lei, ed è questo il problema.
 
“Renzo, ascoltami,” rompe di nuovo il silenzio Camilla, sembrando leggergli nel pensiero, “io spero che… che questa tregua, anzi, diciamo pure questa serenità tra noi e con Livietta continui anche non solo a New York ma… quando torneremo alla vita reale a Torino. E soprattutto quando-“
 
“Quando dovrò di nuovo avere a che fare con… Gaetano?” chiede, riuscendo a trattenersi dall’usare qualche nomignolo e a chiamarlo per nome: l’allenamento mentale ha funzionato.
 
“Esatto,” conferma Camilla, guardandolo negli occhi, “pensi di farcela?”
 
“Tranquilla, Camilla… ho capito… ho capito che tu ami Gaetano e… e vuoi stare con lui e non cambierai idea e… lo devo accettare. E poi io e Gaetano ci siamo capiti e… e non vi ostacolerò… nemmeno per quanto riguarda la separazione,” dichiara, anche se gli costa moltissimo ma… lo sa che non c’è alternativa e non vuole certo passare anni a litigare con Camilla su ogni dettaglio burocratico e a riempire di soldi gli avvocati.
 
“Quindi possiamo fare la consensuale anche questa volta?” chiede conferma Camilla, provando un incredibile sollievo misto ad incredulità.
 
“Sì. Prima che scoppiasse… tutto il casino avevo già passato al mio commercialista l’elenco del mio patrimonio e del nostro patrimonio comune per… per valutare una divisione. In fondo le cose principali ce le eravamo già spartite durante la prima separazione… rimane il conto cointestato che però non è che avesse su molto e la casa… e poi il mantenimento di Livietta, ovviamente, ma anche lì credo che possiamo trovare un accordo senza problemi, no? Quando torniamo da New York ne discutiamo e cerchiamo di trovare una soluzione che vada bene a tutti.”
 
“Per me va bene,” acconsente Camilla con un sorriso, sentendosi quasi alla fine del tunnel e non potendo crederci, temendo di risvegliarsi e che sia tutto un sogno.
 
E, oltre che alla fine del tunnel, sono arrivati anche alla fine della passeggiata, perché sono di fronte alle porte dell’hotel.
 
“Grazie, Renzo per la camminata e… per tutto il resto,” proclama, continuando a sorridere, “ti augurerei di passare una bella serata ma so quanto ami le discoteche e quindi…”
 
“Già… e comunque, figurati, sono io che devo ringraziarti per… per avermi permesso di avere questa possibilità con nostra figlia e con te. Tu non hai idea di quanto ha significato per me e… ti prometto che non la butterò via. Io adesso vado, tu… riposati… ci vediamo domattina per i saluti,” si raccomanda, rimanendo un attimo bloccato con le mani a mezz’aria, incerto su come salutarla.
 
Rimane quasi di stucco quando avverte due mani sulle sue spalle e si sente trascinare nei canonici due baci sulle guance.
 
Un saluto normale, innocente, lo sa, ma è da secoli che per lui e Camilla anche un semplice guancia a guancia sembrava una cosa fuori dal mondo.
 
“A domani!” gli sorride ancora Camilla, prima di voltarsi e rientrare in albergo.
 
Ancora scombussolato, un sorriso sulle labbra, si gira e si guarda intorno per cercare un taxi e… per un attimo teme di stare allucinando o che tutto questo sia solo un sogno.
 
Sbatte due volte le palpebre ma LEI è ancora lì e… anzi no… sta correndo via.
 
“Barbara? Barbara! Aspetta!” grida e finalmente i suoi piedi si schiodano dalla paralisi e parte all’inseguimento della visione che, per sua fortuna, non è solo fasciata in un vestitino nero, ma indossa soprattutto un paio di tacchi vertiginosi.
 
E, per quanto sia incredibilmente veloce su quei trampoli, non gli ci vuole molto a raggiungerla e ad agguantarla per un braccio.
 
“Lasciami, lasciami!” grida, divincolandosi con una disperazione nella voce, nell’espressione e nella forza con cui cerca di sottrarsi dalla sua presa, che lo spingono a lasciarla andare prima che si faccia male.
 
In un secondo si rende conto dell’errore commesso, quando la vede perdere l’equilibrio: riesce ad afferrarla per la vita appena in tempo e, stringendola a sé, ad evitare miracolosamente di spalmarsi con lei sul marciapiede.
 
“Toglimi le mani di dosso!” sibila, lanciandogli un’occhiata raggelante da sotto la cortina di capelli corvini.
 
“Ok, ok, ma… riesci a stare in piedi, ti sei fatta male?” le chiede, preoccupato e lei, per tutta risposta, lo spinge via con una forza tale che si deve reggere alla ringhiera lì vicino per evitare nuovamente di finire a terra.
 
“Adesso ti preoccupi per me, eh? Adesso?! Piantala di fare la commedia, Renzo, di fare quello buono, dolce, premuroso: tutte palle!” urla, chiaramente fuori di sé, “e io che pensavo che tu fossi diverso dagli altri! E in effetti lo sei, ma perché sei peggio, peggio! Non hai nemmeno avuto le palle di dirmi che… che stai ritornando con tua moglie! Bastava dirmelo, maledizione! Credi che non l’avessi capito che sei ancora innamorato di lei, eh? Certo che l’avevo capito, visto che me la nominavi ogni cinque minuti! Bastava che… che prendevi quel maledetto telefono e mi dicevi: Barbara, voglio riprovarci con mia moglie, mi dispiace ma è finita! O anche solo un messaggio, se non volevi sprecarti! E invece sei sparito, dalla sera alla mattina! Sei un grandissimo stronzo, ecco che cosa sei! Uno stronzo senza palle!”
 
“Barbara, hai ragione, hai ragione e lo so che mi sono comportato da stronzo, hai tutte le ragioni per insultarmi ma non è come pensi-“
 
“Che frase originale! Non l’avevo mai sentita!” ribatte, tagliente e gelida.
 
“Lo so, lo so che è una frase terribile, che odio con tutte le mie forze, ma è la verità. Io e Camilla non stiamo tornando insieme: l’ho riaccompagnata in albergo e stavo per prendere un taxi per raggiungere mia figlia e… una mia collega in discoteca. E se ci siamo salutati così è perché… domattina Camilla parte e ritorna a Torino tra le braccia del suo Gaetano.”
 
“E tu? Non dovevi rientrare a Torino pure tu questo weekend? O mi sono persa qualcosa? O qualcuna? Perché fatto sta, che anche se non stai tornando con tua moglie, sei sparito!” sibila, non sembrando per nulla ammorbidita.
 
“No, non c’è… non c’è nessun’altra e-“
 
“E allora se ti sei stancato di me, se hai cambiato idea su noi due, bastava dirlo! Bastava una telefonata, pure uno squallidissimo messaggio, ma almeno un – è finita! – penso di meritarmelo, no? O è pretendere troppo?!” sbotta, gli occhi che diventano lucidi, l’espressione che passa dalla furia al tradimento, l’aria di chi ha appena ricevuto una pugnalata.
 
“No, non è pretendere troppo, anzi, te l’ho detto che devi pretendere di più, Barbara, e tu meriti… meriti molto di più di uno stronzo come me, però-“
 
“Ah, beh, certo: non ti merito, un altro classico!” sbotta, sarcastica e affilata, scuotendo la testa e mordendosi il labbro, l’aria di chi sta ancora trattenendo le lacrime.
 
“No, no… maledizione, hai ragione, non ho giustificazioni ma… ma… non è per te, Barbara, tu sei fantastica, è un problema mio, sono io che in questo momento-“
 
Non sei tu, sono io?!” esclama con una mezza risata amara, “fai più bella figura a dire che non ti piaccio abbastanza e che non te ne frega niente di me e-“
 
“No, non è così, ti prego, fammi spiegare! Non per me: se mi odi e non mi vuoi più vedere neanche in fotografia, ti capisco benissimo, ma perché ti meriti una spiegazione e di capire che… che… maledizione, come faccio a spiegartelo?! Settimana scorsa quando… quando ho smesso di rispondere ai tuoi messaggi ho… ho scoperto o… credevo di avere scoperto una… una cosa sconvolgente su mia figlia. Ero preoccupatissimo, pensavo… pensavo che fosse in grave pericolo e… e non avevo la testa per nient’altro! Non pretendo che tu mi capisca, ma non ce la facevo a risponderti a… a flirtare a scherzare con te. Mi sentivo a pezzi, ero terrorizzato! Quando mia figlia ha scoperto quello che… che pensavo di aver scoperto, si è offesa a morte con me, abbiamo litigato come non ci era mai successo e mi ha detto che non mi voleva più vedere, che per lei non ero più suo padre!”
 
Barbara rimane per un attimo ammutolita: è evidentemente sorpresa e il suo sguardo sembra addolcirsi leggermente.
 
“Per fortuna alla fine mi ha concesso un’ultima possibilità ma… ma non voleva più rimanere qui da sola con me e quindi… è rimasta anche Camilla con noi e in questa settimana… abbiamo cercato di ricostruire un rapporto civile e… credo che ci stiamo riuscendo, che siamo sulla buona strada. Però io… ero concentrato solo su questo, sono concentrato solo su questo. Mia figlia è la persona più importante della mia vita, è l’unica famiglia che mi è rimasta e non posso perderla. E ora la mia priorità assoluta è lei, lo capisci?” le domanda, il cuore in gola, guardandola negli occhi per cercare di farle capire quanto è sincero.
 
“Sì, credo di sì,” annuisce Barbara, dopo aver deglutito un nodo gigantesco, non riuscendo a trattenere più due lacrime che le scendono a tradimento sulle guance, “come ti ho detto, ho perso mio papà che… che avevo dodici anni e… lo capisco che tua figlia ha bisogno di te e tu di lei, ma-”
 
“Lo so che questo non mi giustifica, Barbara e che… rimango uno stronzo però… tu mi piaci moltissimo e con te sono stato benissimo ma… in questo momento devo pensare solo a mia figlia e a ricostruire un rapporto con lei e… non ho la testa per nient’altro. E non hai idea di quanto mi odio, perché ci sei andata di mezzo tu ma… forse questo era il momento sbagliato per iniziare una… una storia, era troppo presto e da un lato lo sapevo, ma tu sei così bella, così… così dolce, così piena di vita! Mi hai fatto sentire bene in un periodo nero e… ed è colpa mia, mi dispiace.”
 
“No… tu… tu me l’avevi detto dei problemi con tua figlia che… che forse non eri pronto per una storia e… e in fondo ci eravamo promessi di non farci promesse, no? Di vivercela giorno per giorno e… a me bastava solo che… che tu mi dicessi: stop, basta, fermiamoci,” gli spiega, la voce piena di malinconia.
 
“Lo so… ma… lo so che è da vigliacchi ma non ci riesco, io non ci riuscivo a dirti: finiamola qui! Perché non era quello che volevo e poi-“
 
“Non è nel tuo carattere, vero? Chiudere le situazioni?” intuisce e Renzo si chiede per l’ennesima volta come possa capirlo così bene, conoscerlo così bene senza conoscerlo.
 
“In realtà… in realtà alcune situazioni le ho chiuse ma… sì… diciamo che fatico a chiudere definitivamente… è… è un mio difetto,” riconosce Renzo, passandosi una mano sugli occhi.
 
“E quindi devo farlo io? Devo essere io a dirti: è finita?” gli chiede Barbara, prendendogli il polso per scoprirgli il viso e portarlo a guardarla negli occhi.
 
“È quello che mi merito,” accetta Renzo, capendo benissimo di aver fatto troppi casini per poter pretendere qualsiasi altra cosa da lei.
 
“Su questo non c’è dubbio, ma è quello che vuoi?” gli domanda, lasciandolo di nuovo di stucco. Ma del resto Barbara ha sempre avuto questa incredibile capacità di spiazzarlo e di essere imprevedibile.
 
“Quello che voglio?” ripete, cercando di capirla, di capirsi.
 
“Sì, tu cosa vuoi, Renzo? Vuoi che sia finita o no?” ribadisce, decisa, continuando a fissarlo.
 
“No. Non… non lo so… il fatto è che… sono confuso da morire: la mia vita è come se fosse sulle montagne russe e non so cosa sarò in grado di fare, Barbara, proprio di testa. E… e come ti ho detto, adesso sono concentrato solo su mia figlia e…”
 
“E quindi cosa pensi di fare adesso? Perché mi hai detto che non torni in Italia,” gli chiede con un’altra occhiata eloquente.
 
“Vado… vado per due settimane con mia figlia a New York. Lei ci teneva tanto a questa vacanza con i suoi amici e… abbiamo bisogno di stare ancora un po’ insieme e… e recuperare il nostro rapporto…”
 
“E immagino che io ovviamente non sarei gradita a New York,” intuisce Barbara, con un sospiro.
 
“Non è… non è questo… è che… prima di tutto ho bisogno di tempo con mia figlia da soli. E poi… siamo in una situazione davvero delicata e… non credo che mia figlia la prenderebbe bene se sapesse che ho un’altra relazione, non adesso,” confessa, sentendosi uno schifo ma sapendo che non può permettersi che Livietta sappia di Barbara, considerato l’opinione che ha di lei. Non capirebbe mai, non ora.
 
“E col tempo secondo te le cose cambierebbero? Secondo te tua figlia la prenderebbe bene?” gli chiede con un tono ed uno sguardo indefinibili.
 
“Diciamo che… so che non la prenderebbe bene comunque, all’inizio, però… almeno non credo che… che mi escluderebbe dalla sua vita, ecco. Ora Livietta ha bisogno di… di sapere che è lei la mia priorità, si è sentita trascurata per troppo tempo e-“
 
“E io invece?! Cosa dovrei fare?! Tornare a Torino e aspettarti come Penelope per altre due settimane e sperare che dopo avrai la testa per stare con me o avrai tempo per me tra le tue priorità?” gli domanda, tagliente, un sopracciglio alzato.
 
“Hai ragione e… ti capisco e non ti chiedo di aspettarmi. Non voglio prenderti in giro, Barbara, e so che ti ho già chiesto fin troppo. Io… vorrei poterti rivedere quando… quando ritornerò a Torino però lo capisco se tu invece non… non ne vorrai più sapere niente di me. Mi dispiace, tu hai fatto tantissimo per me e… mi dispiace davvero, non volevo trascinarti in tutto questo, credimi,” proclama, mettendole le mani sulle spalle e guardandola di nuovo negli occhi, sorprendendosi quando lei non lo scrolla via ma ricambia anzi lo sguardo e il gesto.
 
“Chiamami quando torni a Torino e... vedremo che cosa mi sentirò di fare io e cosa ti sentirai di fare tu,” risponde dopo un attimo di silenzio e di riflessione, “e diciamo che… se non mi chiami entro tre settimane da oggi, non chiamare più, tanto non ti risponderei.”
 
“E… e se ti chiamassi anche mentre sono a New York?” le chiede, sorprendendola e sorprendendosi mentre le parole gli escono di bocca.
 
“Non hai paura che tua figlia ci scopra?” gli domanda con un altro sguardo eloquente, “o com’è? Mi chiami tu quando lei non c’è, ma io non ti posso chiamare? Mi sembra di essere l’amante di un uomo sposato ed è un ruolo in cui non ho mai voluto trovarmi!”
 
“Scusami… hai ragione, io-“
 
“Prova a chiamarmi e… scoprirai che succede,” lo interrompe, posandogli un dito sulle labbra, “ma, Renzo, io l’amante clandestina a vita non la faccio, chiaro? Quindi pensaci bene a cosa vuoi, prima di chiamare. Ti chiedo solo questo.”
 
Il cuore gli si ferma per un secondo nel petto quando sente un tocco morbido e caldo e umido sulle sue labbra, tanto rapido quanto dolce.
 
Sta ancora cercando di riprendersi da questo bacio inatteso, quando cinque dita gli si stampano sulla guancia sinistra, con un colpo secco e doloroso.
 
“Questo è per la sparizione,” precisa Barbara, trafiggendolo con un’occhiata tagliente, mentre lui solleva la mano a coprirsi la guancia, completamente sconvolto.
 
Rimane fermo in quella posizione, il cervello e il cuore in tumulto, anche quando il taxi nero, su cui è salita senza fretta, è già un puntino lontano nella notte.
 
***************************************************************************************
 
“Mmm… ti stai già preparando per il nuovo fuso orario?”
 
“Mamma! Non pensavo fossi ancora sveglia!” esclama Livietta, colta di sorpresa, una mano sul cuore, mentre Camilla accende la luce del comodino, “o ti ho svegliata io?”
 
Sono quasi le cinque del mattino.
 
“Ti ho sentita mentre eri in bagno, ma ho già dormito parecchie ore, non ti preoccupare. Comunque mi stupisce la resistenza di tuo padre, in realtà. Soprattutto dato che domani vi attende un volo intercontinentale,” le fa notare Camilla, sollevando il lenzuolo alla sua sinistra, visto che Livietta si è già cambiata per la notte. O per il giorno, considerato l’orario.
 
“Ha stupito anche me… in realtà è una settimana che mi sta stupendo, che mi state stupendo. In positivo. Spero… spero solo che duri,” ammette Livietta, accogliendo l’invito della madre e stendendosi accanto a lei.
 
“Lo spero anche io, Livietta. Ti garantisco che farò tutto il possibile per farlo durare. E sono felice che… che tu stai recuperando un rapporto con tuo padre. Lui ti vuole un bene dell’anima, tanto quanto gliene vuoi tu,” pronuncia, guardandola negli occhi e accarezzandole i capelli, trovandosi stretta in un forte abbraccio.
 
Era stato bello e quasi surreale passare questa settimana insieme, dormire di  nuovo insieme nel lettone, come tanti anni prima. Abbracciarsi e farsi le coccole prima di dormire, come quando Livietta era piccola.
 
Sa benissimo che probabilmente non avranno più momenti così lei e sua figlia, che tra poco Livietta non andrà più in vacanza – forzata o meno – con lei o con suo padre e che si staccherà sempre di più da loro  per farsi una sua vita.
 
“Ti voglio bene,” sussurra Livietta, sciogliendo un attimo l’abbraccio per guardare sua madre negli occhi, “mi dispiace solo che non sei venuta stasera: ti saresti divertita, era un posto pazzesco!”
 
“Livietta, lo so ma io-“
 
“Tranquilla lo capisco se… se ti senti a disagio ad andare a ballare senza Gaetano o… o con papà?” intuisce, capendo dallo sguardo di sua madre che ha colto nel segno. Del resto aveva notato benissimo che la sera dei balli latini sua madre aveva fatto tappezzeria, a parte un breve ballo con Carmen.
 
Scherzi del destino.
 
“Diciamo che… forse è un po’ presto perché io e tuo padre ci… ci facciamo un ballo insieme, Livietta,” replica con un sospiro, accarezzandole di nuovo i capelli.
 
“Perché sei ancora arrabbiata con lui o perché hai paura che possa farsi strane idee e tornare alla carica?” le chiede, uno sguardo indagatore e allo stesso consapevole sul viso che le sembra incredibilmente familiare.
 
“Diciamo che... per il bene di tutti noi, compreso tuo padre, non voglio rischiare di ricadere in vecchi schemi e… rompere questa tregua. E poi… che ti devo dire… non mi va di ballare con qualcuno che non sia Gaetano, a prescindere da tuo padre, salvo forse… che ne so… un caro amico che conosco da tempo o, chiaramente, un’amica. Mi darebbe fastidio, anche se non dovesse dare fastidio a Gaetano e non mi sentirei a mio agio.”
 
Livietta non risponde, non può rispondere, perché la verità è che capisce benissimo sua madre: è la stessa sensazione di fastidio che ha provato ogni volta che qualche ragazzo si avvicinava a lei per chiederle di ballare in queste due settimane e una certa persona le tornava sempre in mente.
 
Lo sa che è stupido, che Lorenzo non è il suo ragazzo e non lo sarà mai, che non gli deve alcuna fedeltà – e lui neanche la vorrebbe – ma… è come se la sua mente e il suo cuore fossero occupati e non volessero lasciare spazio ad altro.
 
“Che c’è?” le domanda Camilla, notando lo sguardo malinconico della figlia.
 
“Niente… è che… ti ringrazio per… per avermi dato la possibilità di… di New York e sono felice di andarci ma… mi mancherai e mi mancheranno queste nostre chiacchierate prima di dormire. Mi ci stavo abituando…” confessa Livietta e, in fondo, sta dicendo la verità, anche se non tutta la verità. Ma non vuole far preoccupare sua madre: ci sono già stati abbastanza casini così e tanto non rivedrà mai più Lorenzo, quindi il problema non si pone.
 
“Attenta che ti potrei prendere in parola!” la avverte Camilla con un sorriso, stringendola in un altro abbraccio fortissimo.
 
“Dubito che tu mi voglia veramente tra i piedi tutte le notti… mi sa che hai di meglio da fare!” ironizza Livietta, ritrovandosi a doversi difendere da un assalto di solletico da farla piegare in due dal ridere.
 
E, si sa, la migliore difesa è l’attacco.
 
***************************************************************************************
 
“Chi sono?”
 
Il cuore le rimbomba nel petto e quasi le manca un battito, lo spavento e la sorpresa che si sciolgono immediatamente quando il suo corpo e il suo udito riconoscono quelle mani sui suoi occhi e quella voce nel suo orecchio.
 
“Amore!” esclama, non riuscendo a trattenere un sorriso, voltandosi ed incrociando quegli occhi azzurri che brillano e quell’espressione da schiaffi che le è mancata così tanto.
 
Ed è assolutamente inevitabile cedere all’impulso irrefrenabile di buttargli le braccia al collo e levargliela con un bacio talmente lungo e profondo da far tremare le ginocchia e venire il fiatone perfino ad un maratoneta.
 
“Mmm… ti direi che se la mia assenza ti fa questo effetto, dovremmo stare lontani più spesso, ma mentirei perché mi mancheresti troppo, professoressa,” ammette Gaetano, con un sorriso talmente brillante da sembrarle quello di un bambino, gli occhi lucidi e l’aria imbambolata, i capelli arruffati.
 
“Hai un’idea di quanto mi sei mancato tu?” mormora, un groppo in gola, abbracciandoselo fortissimo e venendo sollevata in aria in quel modo che, sì, inutile negarlo, le era mancato da morire, come tutto di lui, di loro.
 
Wof! Wof!
 
Il suono improvviso la fa sobbalzare e sciogliere leggermente l’abbraccio. Lei e Gaetano si guardano per un istante e scoppiano a ridere.
 
“Il mio Otello!” esclama Camilla, avendo riconosciuto perfettamente l’abbaiare di Potti, guardandosi intorno e chiedendo, non vedendolo, confusa, “dov’è?”
 
“Qui,” indica Gaetano, voltandosi verso un carrello portabagagli con su due enormi trolley e, in cima, un trasportino per cani nuovo di zecca.
 
Gaetano si avvicina, lo apre e il musetto di Potti-Otello fa capolino, abbaiando furiosamente. Come vede Camilla, le si lancia in braccio con un guaito che scioglierebbe un iceberg.
 
“Potti…” sussurra, commossa, abbracciandosi il cagnolino che scodinzola e guaisce e latra in maniera quasi convulsa: non era quasi mai successo che stessero lontani per una settimana intera, anche perché di solito se lo portava sempre dietro pure in vacanza.
 
“Hai fatto il bravo con Gaetano o l’hai fatto disperare?” chiede, rivolgendo un’occhiata eloquente anche a Gaetano che li osserva tra il divertito e il toccato.
 
“Tranquilla: passati i primi giorni in cui probabilmente pensava ti avessi rapita, siamo andati d’accordo, vero Potti?” domanda, allungando una mano per accarezzare la testa del cagnolino.
 
Camilla rimane di stucco quando Potti, per tutta risposta, gli lecca la mano e poi gli si butta tra le braccia, lasciandosi coccolare.
 
“Traditore…” mormora, divertita e commossa, riprendendo ad accarezzare Potti, che sembra per un attimo indeciso su quali coccole scegliere, per poi decidere di godersele entrambe, come un vero re, “non l’ho mai visto fare così con qualcuno che non sono io, nemmeno con Livietta. Solidarietà maschile?”
 
“Eravamo due poveri uomini soli ed abbandonati, ci siamo fatti compagnia,” scherza Gaetano, ma c’è un fondo di verità: non ammetterebbe mai con Camilla, nemmeno sotto tortura, quante serate ha passato a coccolarsi Potti sul divano, mentre cercava di non sentire la mancanza della sua professoressa. E, per qualche ragione, la vicinanza del cagnolino lo aiutava ad alleviare il senso di distacco.
 
“Basta che non avete fatto troppa baldoria, tra uomini soli,” ribatte Camilla con un’occhiata penetrante, posandogli però un bacio sulla guancia.
 
“Aspetta un momento,” pronuncia poi, quando le ritornano in mente  due dettagli fondamentali che non le tornano affatto, cioè i due enormi trolley – e anche il trasportino, in realtà, “che significano?”
 
“Significano che… qualcuno mi ha detto di pianificare una bella vacanza e l’ho fatto. Spero che il programma ti piaccia perché… avrei già prenotato tutto e il nostro volo sarebbe in partenza tra…” esita, guardando l’orologio per avere conferma, “due ore circa.”
 
Il nostro volo?” ripete, a dir poco sbalordita.
 
“Sì… visto che tra poco ricominci la scuola e… e il tempo non è dalla nostra parte, per goderci al meglio la vacanza sarebbe meglio partire oggi. Quindi ho già organizzato tutto: voli, hotel, ti ho preparato la valigia con l’abbigliamento adatto e… beh, ovviamente anche Potti viene con noi, ho scelto strutture dove accettano i cani. Ci portiamo dietro anche la tua valigia di Londra e… troviamo un lavasecco o una lavatrice a gettoni…”
 
Camilla è ammutolita e incredula di fronte a tanto impegno e tanta organizzazione.
 
“E… e quale sarebbe la destinazione?” gli domanda, non appena riesce a sciogliere il nodo in gola.
 
“Le Baleari: soprattutto Maiorca e Minorca. Prima Maiorca: sole, spiaggia, cultura, un paio di discoteche, che una certa professoressa con la febbre del sabato sera ha una promessa da mantenere…” le ricorda, facendole l’occhiolino e aggiungendo, suggestivo, “e poi andiamo a Minorca. Escursioni nella natura, magari anche a cavallo, se ti va, acqua cristallina e… qualche bella spiaggetta solitaria, solo per noi due.”
 
“Che ne pensi?” le domanda, preoccupato, vedendola lì, muta a mordersi il labbro, un’espressione indefinibile sul volto, “se… se partiamo oggi possiamo stare via una settimana e mezza abbondante e rientri in tempo per i tuoi impegni di settembre e prima che Livietta torni da New York. Ma se non ti va, non c’è problema, io-“
 
Il bacio che lo travolge è più eloquente di qualsiasi risposta, si aggrappa a lei e a Potti, che cerca di divincolarsi in mezzo a loro, protestando sonoramente.
 
“Mi sa che devi chiederlo ad Otello, se gli va,” scherza Camilla, staccandosi leggermente da lui, le farfalle nello stomaco, la sensazione di stare fluttuando in aria e un sorriso a trentadue denti che non può e non vuole contenere.
 
“Gli ho mostrato le foto di qualche bella cagnolina delle Baleari e mi è sembrato entusiasta. Non so se sia stato maggiore l’entusiasmo sulle cagnoline o sui piatti tipici in realtà,” ribatte, facendola ridere e scuotere il capo, “e poi, male che vada, mi sono procurato i contatti di un paio di dog sitter con ottime recensioni.”
 
Alla parola dog sitter, Potti riprende ad abbaiare in un modo talmente acuto da fracassargli i timpani.
 
“Ma non gli sfugge proprio niente!” esclama Gaetano, alzando gli occhi al cielo in un’espressione fintamente esasperata, per poi sussurrarle, con faccia da schiaffi, “chissà da chi ha preso…”
 
“Chissà…” sussurra di rimando Camilla, stampandogli un altro breve bacio sulle labbra, per poi domandargli, colta da una curiosità improvvisa, “ma… e il caso della Mole? Deduco che l’ha risolto brillantemente, dottor Berardi?”
 
“Deduci bene, anche se devo ammettere che il suggerimento di una certa professoressa mi ha aiutato molto,” confessa, facendole l’occhiolino, prendendo meglio in braccio Potti per rinfilarlo nel trasportino, nonostante le sue proteste, visto che devono avviarsi verso il check-in se non vogliono rischiare di fare tardi, “tu mi hai detto – e dai, Potti, fai il bravo! – insomma, tu mi hai detto di concentrarmi sulle assenze e l’ho fatto. E, nonostante il posto fosse pieno di sangue, impronte, lettera di addio e confessione, prescrizioni di tranquillanti con cui l’omicida si era tolto la vita e chi più ne ha più ne metta… uno dei due bagni era pulitissimo, immacolato, non c’era una traccia che fosse una. E il cassetto delle posate, da cui è stato preso il coltello da cucina, aveva su una megastrisciata di sangue con l’impronta del marito – il presunto omicida – e pure il coltello usato per accoltellare la moglie ovviamente aveva le sue impronte ma, per il resto, sul cassetto delle posate nemmeno mezza impronta e idem per tutti gli altri coltelli. Molto strano, non credi?”
 
“Beh, sì… perché ripulire il bagno in quel modo se tanto dopo ti vuoi suicidare e lasciare una lettera di addio? E… a meno che non usassero i guanti per lavare e asciugare le posate e non fossero dei maniaci della pulizia…”
 
“Esatto. Quindi abbiamo fatto degli approfondimenti e abbiamo scoperto che il figlio della coppia era pieno di debiti: si è giocato mezzo patrimonio di famiglia ai casinò. Non abitava più con loro da anni, ma abbiamo trovato le sue impronte sul flacone della candeggina, che evidentemente si era dimenticato di ripulire, e dentro un paio di guanti gialli di gomma che stavano sotto il lavello della cucina. Probabilmente non ha pensato che li avremmo controllati, visto che il presunto killer era completamente macchiato di sangue. Il vero assassino aveva indossato alcuni dei vestiti del padre per compiere l’omicidio e poi glieli aveva infilati addosso prima che subentrasse il rigor mortis. C’era un’altra impronta digitale del figlio sul cinturino di metallo dell’orologio del padre, a conferma di questa ipotesi, oltre al fatto che stranamente il padre aveva le mani fin troppo sporche di sangue, come se se le fosse sporcate apposta, ma il viso senza nemmeno una macchiolina. Poi l’assassino si era lavato, aveva ripulito tutto ed era uscito, per poi fingere di ritrovare i genitori morti il giorno dopo. L’abbiamo messo sotto pressione ed è crollato e ha confessato che… aveva deciso di… accelerare i tempi dell’eredità.”
 
“Beh, io ti avrò anche dato un suggerimento, ma le deduzioni sono tutte tue e non avrei mai saputo fare di meglio, in così poco tempo, poi! Ottimo lavoro, dottor Berardi, stavolta si è superato!” proclama Camilla con un sorriso orgoglioso e un tono fintamente marziale, per poi prenderlo per il colletto della polo e trascinarlo in un bacio dolce e profondo, anche se fin troppo breve, ma del resto sono in un luogo pubblico.
 
“La sai una cosa?” proclama Gaetano, la voce roca, quando riprende fiato, “è esattamente quello che mi ha detto anche il questore. Lui però non mi ha baciato, per fortuna!”
 
“Quanto sei scemo!” esclama, scoppiando a ridere e dandogli un pizzicotto nel fianco.
 
“Però, siccome era di buonumore, non ha avuto problemi a concedermi le ferie… anzi, mi ha detto che se la prospettiva delle vacanze mi rende così efficiente, me le concederà più spesso… anche se ne dubito,” sospira, afferrando il carrello portabagagli e cominciando a spingerlo verso la fila per il check-in.
 
“Invece io ci conto, Gaetano, a costo di andare a ricordare di persona al questore la sua promessa,” ribatte, non potendo evitare un mezzo sorriso compiaciuto quando nota l’espressione gelosa di lui, “anche perché le prossime ferie le organizzo io e le pago io. Ah e, per inciso, i ristoranti e tutto ciò che non hai già prepagato… facciamo alla romana, intesi?”
 
“Non se ne parla neanche, Camilla!” nega, risoluto, smettendo di spingere il carrello per un attimo, per guardarla negli occhi.
 
“E invece sì che se ne parla, Gaetano!” rimbecca lei, altrettanto risoluta.
 
“E invece no!” ribadisce, non indietreggiando di un millimetro, anzi avvicinandosi lievemente a lei, con sguardo di sfida.
 
“E invece sì!” rimpalla, con lo stesso medesimo tono di lui, protendendosi inconsciamente in avanti.
 
“E invece no!”
 
“E invece sì!”
 
“E invece no!”
 
“E invece sì!”
 
“E invece no!”
 
“E invece-“
 
Il sì le muore sulle labbra di Gaetano, che si scontrano con le sue in duello appassionato e infuocato che fa girare la testa ad entrambi e li porta ad aggrapparsi al carrello dei bagagli.
 
“E state attenti, porca miseria! Peggio di due adolescenti!”
 
La voce maschile e a dir poco alterata li porta a staccarsi bruscamente e a voltarsi verso un cinquantenne rubizzo a cui erano quasi andati addosso con il carrello dei bagagli, di cui avevano preso il controllo.
 
“Oddio, ci scusi!” proclamano all’unisono, mortificati, ma il signore, dopo aver lanciato un paio di insulti, se ne va per la sua strada.
 
“Hai visto che figure mi fai fare?” domanda Camilla, non riuscendo però a trattenere un mezzo sorriso.
 
“Io?” le chiede di rimando, con tono innocente.
 
“Tu, tu. E comunque la prossima vacanza la pago io e si fa alla romana!” ribadisce, con tono di chi non cambierà mai idea, anche se ha un certo scintillio negli occhi.
 
“E io ti ripeto che non se ne parla,” riafferma, cercando di mantenere un’espressione decisa e severa anche se un sorriso minaccia di tradirlo in ogni momento.
 
“E allora vorrà dire che le prossime ferie le farò con il questore!” proclama con aria serissima, le braccia incrociate, lanciandogli un’ultima occhiata eloquente, prima di dargli le spalle e cercare di allontanarsi da lui.
 
“Camilla!” lo sente ruggire quando ha fatto appena un paio di passi, le braccia che le si allacciano intorno alla vita e la sollevano di peso, facendola scoppiare a ridere, prima di trovarsi zittita da un altro bacio che non concede tregua, né respiro.
 
“Che cosa devo fare con te, me lo spieghi?” le sussurra infine sulle labbra, un sorriso e il tono divertiti ed esasperati, tenendola ancora stretta a sé.
 
“Esattamente quello che stai facendo, dottor Berardi,” mormora di rimando, accarezzandogli il viso, prima di abbracciarselo ancora più forte.
 
E così, sorridenti, mezzi abbracciati, mano nella mano, si avviano insieme verso la loro prima vera vacanza romantica a due.
 
Ma la verità è che si sentono già in paradiso.
 
 
 
 
Nota dell’autrice: E finalmente siamo arrivati alla fine di questo cinquantesimo capitolo e di questa fase della storia. Dopo la tempesta è arrivata un po’ di quiete per i nostri piccioncini che stanno per godersi una meritata vacanza solo per loro due, Potti-Otello permettendo. Il prossimo capitolo inizierà dopo un salto temporale e conterrà dei salti temporali. Ci saranno alcuni ritorni (prima di tutto una certa svedese e un certo adorabile impiastro) e poi… un altro giallo attende i nostri protagonisti e non solo loro con alcune rivelazioni e colpi di scena. E in mezzo a tutto questo i nostri cominceranno a maturare alcune scelte importanti per il loro futuro.
Spero di riuscire a pubblicare prima della prima puntata della nuova attesissima serie di PAP, ma, se così non fosse, vi auguro e ci auguro che questa serie ci consenta di vedere su schermo tutto quello che abbiamo potuto solo sognare e soprattutto che il sogno non si spezzi sul finale ;). Io in ogni caso proseguirò a scrivere questa mia personale versione della sesta serie di PAP (perché come finale della quinta è un po’ enorme xD) per portare a termine questo lungo percorso fatto insieme a voi e ai nostri personaggi e per portare a compimento la loro evoluzione così come la avevo immaginata, fino al tanto agognato lieto fine.
Vi ringrazio come sempre per avermi letta fin qui, per i vostri bellissimi commenti e se vi va vi do appuntamento al prossimo capitolo, sperando di continuare a meritare il vostro tempo e la vostra attenzione.
Grazie e a presto!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2242104