Beyond The Twilight

di Ginevra89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1- New World Beginning ***
Capitolo 2: *** The place within ***
Capitolo 3: *** Run Away ***
Capitolo 4: *** Lost in War ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1- New World Beginning ***


Rachel non era mai stata una persona particolarmente tranquilla

Piccola nota dell’autrice

Ciao a tutti, sono Ginevra(ma va’… ndTutti), [forse] conosciuta anche come Lycia Potter. Questa storia l’ho scritta un po’ di tempo fa. A dire il vero avevo scritto solo una traccia  e un’ipotesi di qualche capitolo, poi avevo lasciato stare. L’ho ripresa in mano e ho deciso di pubblicarla. Spero davvero che vi piaccia!!

Di solito la fantascienza non è il mio genere, ma ho voluto provare. E’ stata la mia prima fanfic originale, a parte APOCALYPSE; ma questa è venuta prima. Spero davvero che vi piaccia!! Lasciatemi una recensione, anche piccola piccola, e voglio che siate davvero cattivi(se fa proprio schifo però ditemelo con delicatezza, il mio cuore potrebbe non reggere ^_^). Dunque, se avete delle critiche, criticatemi, criticatemi, criticatemi!!! E’ l’unico modo per migliorarsi. Detto questo…tranquilli fra poco vi lascio alla storia…allora, il primo capitolo(scusate gli eventuali errori, se mi sono sfuggiti!) spiega poco e niente, cioè, getta le basi per la storia, ma è una mia scelta, perché preferisco spiegare man mano, andando avanti. Spero davvero che il mio stile di scrittura non sia pesante, mi piacerebbe che risultasse gradevole e scorrevole. Io scrivo seguendo delle idee e delle emozioni, e vorrei che quello che provo arrivasse anche a voi, pur attraverso uno schermo. Può darsi che non sia così, spero vivamente di sì, ma in caso non lo fosse, cercherò di migliorare(ecco perché le critiche sono importanti!) Un’altra cosa, i personaggi. Ho cercato di caratterizzarli al meglio. Generalmente li creo dopo aver fatto una scaletta di storia, e le idee per caratterizzare un determinato personaggio mi vengono nei momenti più diversi della giornata, per esempio, guardando un film, o una foto, o leggendo un libro, o grazie ad una parola, o nella lezione di filosofia…molto probabilmente voi starete dicendo “e a me che me frega..” (‘^_^) tutto questo per dire che spero di averli caratterizzati bene. Odio creare delle Mary-Sue, anche se effettivamente dal primo capitolo non è che si capisca subito un personaggio e le sue sfaccettature(anzi alcuni personaggi non li capirete per un bel po’, eh eh..), ma un impatto iniziale si dovrebbe cominciare ad averlo.

Detto questo, vorrei dire che qualunque cosa, fatto, luogo o persona citata non è per niente casuale. :PPP Scherzavo, è puramente casuale, mi serve solo per dare spessore o per specificare qualcosa.

Ultimissima cosa, anche se in ogni capitolo dovrete sorbirmi:P, devo assolutamente fare i complimenti a tutti gli scrittori del sito, ma in particolare a: Noesis, L_Fy, Mucchilla_Cinghillo(scritto giusto) LadyofDarkness e Luna Malfoy per le stupende fanfic che scrivono! *.*

Siete grandi!! Appena ho due minuti passo a farvi una recensione, promesso! Di solito le mie sono chilometriche quindi preparatevi! ^_^

Detto questo vi lascio alla storia, spero vi piaccia e mi raccomando, RECENSITE RECENSITE RECENSITE!!!

 

 

Beyond The Twilight

 

Alla vigilia dell’anno 2046, i ghiacciai dei circoli polari avevano cominciato a sciogliersi.

Alla vigilia dell’anno 2100, il mondo cominciava a cambiare la sua fisionomia.

Alla vigilia dell’anno 2470, la parte abitabile del mondo era quella dell’emisfero boreale. L’emisfero australe era un’enorme distesa di ghiaccio e deserto. Il caldo torrido si alternava al freddo glaciale. In quella parte del mondo non c’era vita.

Alla vigilia dell’anno 2879, tutta la popolazione mondiale si era trasferita nella parte abitabile del mondo. I mari non esistevano più. Solo un’oceano, l’unico esistente, lambiva le coste dell’una e dell’altra parte della Terra.

Si raccontava che guardandolo di sera, nei primi anni della sua formazione, si poteva vedere il tramonto.

Per questo era stato chiamato Twilight.

La parte abitabile del mondo si estendeva per vari dei vecchi Stati, passando per l’America, l’Europa e la Russia. Il clima era temperato. Non si conosceva la neve. Quando nevicava era prudente starsene al riparo in casa, visto che spesso piovevano cristalli di ghiaccio taglienti. Il cielo era per miracolo ancora azzurro, ma di un azzurro sbiadito, quasi tendente al grigio.

Alla vigilia dell’anno 3000, quasi tutto il Mondo Abitabile era stato civilizzato in immense città. La più grande era circa il quintuplo di New York. Questa città fu chiamata Born, per simboleggiare la nascita di una nuova era. Il Governo non aveva revocato il permesso di fare esperimenti chimici e nucleari nei laboratori di altissimo livello. Esperimenti i cui fumi tossici si disperdevano nell’aria. Il buco nell’ozono non c’era più, visto che non esisteva più l’ozono. Per fortuna, un misterioso mandante fornì ai laboratori del Governo una formula di Ozono creata in laboratorio, e almeno questo problema fu risolto. Il Presidente mandò i suoi uomini più fidati a capeggiare le altre città.

Alla vigilia dell’anno 3005, un giornalista di nome James Elvergard  scrisse un articolo secondo cui il Presidente e alcuni laboratori stavano creando la formula per la vita eterna e stavano testando la medesima su delle cavie umane, a insaputa delle stesse.

Non si sentì più parlare di lui. Qualche mese dopo, su un giornale apparve una sua presunta pubblicazione in cui diceva di essersi ritirato e di vivere una vita tranquilla con la sua famiglia. Nessuno riuscì a trovare prove che dimostrassero il contrario, e così la questione declinò.

La città di Born, piena come tutte le altre di grattacieli, ma anche di case singole, fu divise in Sette Sobborghi, un po’ come immensi quartieri. Dato che un Sobborgo era grande più o meno come un’ampia città del passato, di rado le persone di un Sobborgo si spostavano ad un altro.

Alla vigilia dell’anno 3010, i Ribelli, gruppi di persone che non volevano sottostare al Governo, presero possesso di un’area collocata tra il Quarto ed il Quinto quartiere, un’area molto vasta che viste le continue guerre di quartiere, fu nominata War. L’accesso a War era segnato da dodici piccoli bar, senza più nessun arredamento o insegna, adattati in modo da diventare delle porte ad arco. Oltrepassate quelle porte, il Governo non rispondeva più della tua incolumità. A War non c’erano regole.

Nessuno ci si era mai nemmeno avvicinato.

Alla vigilia dell’anno 2015, fu fondata un’associazione segreta, la H.O.P.E.. Lo scopo di questa associazione era di combattere il governo senza dover causare guerre. Morti di massa ce n’erano già state troppe, questo era il motto del Capo. Tutte le persone esperte in qualunque tipo di combattimento, infiltrazione, computer, tutte le persone utili insomma, furono invitate ad arruolarsi. Lo fecero quasi tutti. Il Governo pretendeva davvero di capeggiare un po’ troppo. La situazione tra Ribelli e Governo era peggiorata. Il Governo era venuto a conoscenza dell’Associazione. Tutti i corpi di polizia furono invitati a cominciare le indagini.

Anche l’Associazione e i Ribelli erano contro, nonostante stessero, in un certo senso, dalla stessa parte.

Alla vigilia dell’anno 3025, la Lotta era iniziata.

 

*********

 

 

 

 

Rachel non era mai stata una persona particolarmente tranquilla. Né, particolarmente ottimista. D’altro canto per come la vedeva lei, non c’erano particolari motivi per essere ottimisti, in un mondo come quello. Insomma, perché pensare positivo, quando ogni attimo di vita ti riportava alla dura realtà? Era insensato. E purtroppo, di quei tempi, non c’era tempo per perdersi in riflessioni ottimiste. Bisognava vivere, e per vivere, bisognava lottare. Sempre. Comunque. E soprattutto non fermarsi, mai. Equivaleva a perdere. Per questo correva a perdifiato per il lungo corridoio della Base. Era stata chiamata, dal Capo, e quindi doveva essere qualcosa di importante. Il Capo aveva specificato di presentarsi APP, Al Più Presto. Non che ce ne fosse un particolare bisogno, comunque. Nessuna persona con il cervello a posto quel minimo che bastava, si sarebbe sognato di far aspettare il Capo un secondo di troppo…sarebbe stato molto sconveniente.

Posò la mano sulla piastra di metallo e gel e aspettò pazientemente che lo scanner della retina effettuasse il suo dovere. Il computer cominciò a sputare fuori i suoi dati.

 

Nome: Rachel Corr

Età: 17 anni

Altezza: 170 cm

Peso: 57 kg

Occhi: azzurri

Capelli: castani

Provenienza: Kastel, Terzo Sobborgo, 24° distretto

N° di matricola: 1299

Categoria: Infiltratrice

 

-Il soggetto è stato riconosciuto idoneo. Buona giornata.- recitò la macchina, con tono monocorde.

 

-Altrettanto- rispose, prima di dirigersi, con un sospiro appena accennato, verso l’ufficio.

Una cosa era certa: chi aveva progettato quell’edificio, non andava tanto per il sottile.

L’ufficio del Capo era ciclopico, arredato di tutto punto. Si vociferava che gli arredi, di inestimabile valore, giungessero direttamente dalle case di grandi politici internazionali, quali, tanto per citarne uno, George Bush. Traffici illegali, ovviamente. Doveva essere un tipo simpatico,  chi aveva progettato quel posto. La massiccia porta laccata color panna le stava davanti. Era computerizzata, ovviamente, come tutte del resto, ma aveva anche un’apertura all’antica. Se mai ci fosse stato un’assalto, bisognava poter essere sicuri di squagliarsela. Rachel prese un bel respiro e bussò tre volte con il palmo della mano e tre volte con le nocche. Il riconoscimento. –Entra pure, Rachele!- sentì la voce provenire ovattata da dietro il portone. Trattenendosi a stento dall’alzare gli occhi al cielo, entrò.

L’ufficio era una sala a forma di trapezio isoscele. I muri erano tinti di un bianco splendente, che sembrava quello di qualunque altro edificio, ovviamente di gente benestante, ma in realtà, sotto la superficie di metalpura(un particolare incrocio di pittura e metallo, resistentissimo) erano nascosti faretti superabbaglianti che avrebbero steso anche un elefante nel giro di pochi secondi. Un’ulteriore precauzione, oltre alle 12 telecamere e i 27 allarmi installati solo in quella stanza. Senza contare i milioni di dispositivi all’avanguardia come quelli, disseminati per tutto l’edificio. D’altro canto, nell’ufficio del Capo erano nascosti tutti i loro piani, che se scoperti, avrebbero potuto causare “La seconda caduta delle Torri Gemelle”, per dirla con Zach. I due lati obliqui del trapezio erano coperti per metà da due librerie gemelle, in rarissimo legno di ciliegio. Dietro allo strato di libri, protetta da sguardi indiscreti, la bellezza di tutta la loro attrezzatura. La scrivania del Capo stava sulla base minore del trapezio, davanti a un pannello ultramoderno per le proiezioni, dove in genere venivano spiegate le missioni. Era dello stesso tono di bianco panna della porta, rettangolare e coperta da un lato esterno dalle carte della giornata accuratamente impilate, e dai tre schermi al plasma del computer della stanza. L’altro lato presentava un telefono, una TV in plasmetallo ultraleggera e ad altissima definizione, e un aggeggio particolarissimo, una specie di cono a spirale, color blu mare. Nessuno sapeva a cosa servisse. Rachel sospettava che si trattasse di un rilevatore di chiamate. Ma il Capo era una persona di cui ci si poteva fidare, e quindi lei si fidava. Per terra, delle minuscole righe sul pavimento indicavano le sedie e i divanetti nascosti in un vano appena sotto il pavimento, che potevano essere estratti con un semplice movimento della leva. Ed erano anche molto comodi.

Entrò. La luce delle finestre, sulle due porzioni dei lati obliqui non coperte dalla libreria, inondava a fiotti la stanza. Il Capo la aspettava, seduto sulla sua poltrona di pelle nera.

Era una persona piuttosto bizzarra.

Tanto per cominciare, nessuno sapeva quanti anni avesse. Aveva l’aspetto di un trentenne, ma di sicuro aveva già superato la trentina da un bel po’. Rachel gli dava del cinquantenne, ma non avrebbe saputo dirlo con certezza.

Il suo aspetto giovanile, era in contrasto con i suoi modi di fare da Lord. Era di origini inglesi, ma i suoi nonni erano italiani. Per questo, aveva la mania di chiamare tutti con il nome tradotto in italiano. Lei era Rachele.

Il Capo in realtà si chiamava Seth. Aveva gli occhi di un colore che oscillava fra il castano e il grigio, ed in certi giorni prevaleva l’uno, e in altri giorni prevaleva l’altro.

I capelli erano neri e tagliati corti, ma non troppo. E, cosa piuttosto inusuale, era sempre coperto da testa a piedi. Anche nelle estati più torride, dal collo in giù era sempre coperto. Anche le mani erano coperte da un paio di guanti neri. Parlava sempre con voce estremamente gentile, e aveva modi di fare tipicamente inglesi. Per questo era stato soprannominato Lord dai suoi sottoposti, ovviamente non in sua presenza. Ma Rachel era sicura che lui lo sapesse.

Una persona affascinante, in definitiva.

-Mi ha mandata a chiamare?- chiese con voce tranquilla.

-Effettivamente sì. Ma prego, siediti- rispose l’altro, premendo un pulsante sul monitor.

Rachel lasciò che le sue ginocchia cedessero per adagiarsi elegantemente sulla sedia che era spuntata senza alcun rumore. La forza dell’abitudine….

-Allora, Rachele…come avrai già capito, ho bisogno del tuo talento, ancora una volta.-

Rachel annuì, cercando di non far trapelare la sua impazienza.

Sorprendentemente, invece di spiegarle come al solito la missione, Seth(o meglio, il Capo) le porse un fascicolo di plastica nera.

-Questa è una questione molto delicata, Rachele. Se non vorrai accettare la missione, basterà che tu me lo dica. Io capirò.-

-P..perfetto…-

La verità era che l’aveva lasciata spiazzata.

-Perfetto. Non leggere qui il fascicolo. Va a casa, stacca tutte le cose elettroniche e poi leggi. Non posso rischiare che queste informazioni trapelino. Dopo che avrai letto il fascicolo, ti do due ore di tempo per decidere. Qualunque sia la tua scelta, riportami al più presto quel fascicolo. Tutto chiaro?-

-Cristallino.-

-Perfetto. Puoi andare. E, Rachele?-

La ragazza, che stava già sulla porta, si voltò appena.

-Sì?-

-Sei sempre stata un’ottimo agente.-

-Grazie, Signore.-

 

Rachel camminò spedita lungo il corridoio, il fascicolo ben stretto in mano, cercando di essere il più naturale possibile. Attirare l’attenzione era la cosa peggiore che avrebbe potuto fare.

-Ehi, Chele!!!-

Zach. Lo sapeva senza bisogno di voltarsi. Nessuno usava quel nomignolo, a parte lui.

Il ragazzo le si affiancò.

-Come butta?-

-Come al solito, grazie.-

-Hm, bene…a me alla grande, ho appena scoperto che ho fatto colpo sulla biondina, quella del Quinto Distretto, che abbiamo salvato l’altra volta…ricordi?

-Hm hm….-

-Bene, stavo dicendo, l’altro giorno faccio per andare al bar, quello all’angolo, no? E ad un certo punto, a sorpresa, spunta fuori lei. Cominciamo a parlare, e… Ehi, ma che hai lì in mano?-

Si era accorto del fascicolo.

-Fogli.- rispose Rachel con finta voce annoiata.

-Hm…fa un po’ vedere!!- esclamò l’altro facendo per afferrarlo.

-Sono i risultati della mia visita di controllo, e visto che ci sono cose personali..- inventò prontamente la ragazza.

-Ah, capisco.- replicò Zach, ritirando la mano –Spero che ti siano andati bene. Prendi un caffè?-

-Vorrei, ma sono molto stanca e mi piacerebbe farmi una dormita di almeno un paio d’ore. Ti spiace?-

-Figurati! Ci si becca in giro! Bella, Chele!- disse allegro l’altro.

-Ciao, Zach.-

Zach, alias Zacharyas Jendey. Un nome, una garanzia. Era un diciottenne, di altezza media, ma di una forza incalcolabile, anche se a vederlo appariva tutt’altro che pericoloso. Aveva un fisico asciutto, e vestiva sempre con jeans larghissimi e maglie pazzesche, come gli antichi rapper. Aveva i capelli castani, corti, con un ciuffo rosso fuoco che gli ricadeva sempre sulla fronte. Gli occhi erano castani chiari, illuminati da una luce ironica e un po’ strafottente. Non stava mai zitto, e soprattutto non era mai triste, o serio. Parlava con espressioni gergali del secolo precedente, e se ne infischiava altamente dell’effetto ovviamente strambo che faceva alla gente. Attirava parecchie ragazze, anche se puntualmente non se ne accorgeva mai. Era patito degli sport, e quando non era impegnato in allenamenti o missioni lo si trovava sempre al centro sportivo della Base. Un tipo attivo, senza alcun dubbio. Sfortunatamente il mese precedente si era preso una cotta per una biondina slavata dai grandi occhioni con le ciglia lunghissime(probabilmente frutto di un intervento di chirurgia genetica); l’avevano salvata nel corso di una missione nel Quinto Distretto. Bah. Personalmente tipe come quella non le erano mai piaciute. Dopo il salvataggio, si era sempre fatta portare in braccio, con la scusa di essersi slogata una caviglia. La classica gatta morta. Com’è che si chiamava? Ah, già. Nevra. Ma ora basta pensare alla biondina. Dopotutto, se Zach voleva farsi il lavaggio del cervello per quella tipa, non erano affari suoi.

 

Il suo appartamento si trovava al 360 di Atlantide Street. A pochissima distanza dalla base, per poter essere presente per qualunque evenienza, ma abbastanza lontano da non destare sospetti. Dopotutto, lavorava per un’organizzazione segreta. Teoricamente e tecnicamente parlando, lei era una disoccupata come tanti.

Praticamente parlando, lei era una dei migliori agenti del Paese. Salutò distrattamente l’agente di sicurezza all’ingresso, e si fece dare le chiavi di casa da Maeve, alla portineria. Maeve doveva avere all’incirca la sua età. Era sempre molto cortese. –Eccoti le chiavi, Rachel! Buona giornata!-

-Altrettanto a te…- rispose, avviandosi con ponderata impazienza verso casa sua.

 

Rachel aveva la fortuna di abitare in un complesso residenziale del secolo precedente. Era a forma di trapezio, con il lato che dava sulla strada occupato dalla portineria. La parte interna era occupata da un cortiletto. Cortiletto. Gli appartamenti, sui tre lati rimanenti, avevano i due muri portanti in comune. Era un luogo grazioso, ci si viveva bene.

Lei aveva l’appartamento all’angolo sinistro. Era, come gli altri, tinteggiato di bianco, con le imposte verdi, benché in parecchi punti il colore fosse corroso dal tempo e dalle intemperie. Rachel mise la chiave nella toppa, posò la mano sullo schermo a cristalli liquidi e digitò il semplice codice di entrata. Era un antifurto a detta di molti sicuro, ma lei, che si intendeva di quel tipo di aggeggi, sapeva che era facilmente manomissibile da una persona che ci sapeva fare.

Una volta dentro, staccò tutte le apparecchiature come le aveva detto Seth, e poi, finalmente, si sdraiò sul divano e si mise a leggere.

 

-Eccoti le chiavi, Rachel! Buona giornata!-

-Altrettanto a te…-

Da dietro il bancone della portineria, Maeve Greyland osservò la ragazza, Rachel, scomparire dietro l’angolo, diretta a casa sua. Poi sospirò. Sembrava simpatica. Sempre assorta nei suoi pensieri e un po’ chiusa in sé stessa, forse, ma simpatica.

Purtroppo però, nel suo lavoro, non poteva farsi contagiare dalle simpatie.

Un’unghia smaltata di rosa premette il pulsante rosso abilmente nascosto sotto il bancone, accanto a quello d’allarme.

-Agente Greyland alla centrale, Signore. Credo sia il momento adatto per attaccare. Il soggetto pare stanco, non potrà controbattere facilmente.-

-Ti mando subito una volante con i nostri migliori, Maeve. Ottimo lavoro.-

-Grazie, signor Capitano.-

Si tolse distrattamente una ciocca di capelli ramati dagli occhi color nocciola, portandola dietro l’orecchio. Poi caricò il suo Uzi con pallottole al sonnifero, potentissime, l’ultima invenzione dei laboratori della polizia. Ma nonostante stesse cercando di autoconvincersi che stava facendo la cosa giusta, sperava ardentemente di non dover usare l’arma contro quella ragazza dal viso dolce.

 

Pochi minuti più tardi.

 

Maeve bussò alla porta di Rachel, con l’aria più naturale possibile. Dietro di lei, i migliori agenti delle Forze Speciali della polizia. –Sì?- la voce di Rachel era ovattata, stanca.

-Scusa Rachel, sono Maeve… devo farti firmare quelle carte per il cambiamento dei tubi accanto al tuo appartamento, sai, per non avere grane, te ne avevo parlato, no? Beh, ho qui i signori della società e se potresti farmi una firmetta…-

-Arrivo subito…-

Rachel aprì la porta e si ritrovò puntate contro nove pistole. Un’espressione di assoluto stupore e incredulità le si dipinse sul viso.

-Rachel Hartwood, ti dichiaro in arresto per complotto ai danni del Paese. Qualunque cosa dirai potrà essere usata contro di te, perciò ti consiglio di restare in silenzio.- recitò Maeve evitando di guardarla negli occhi. –Da quanto mi tenete sotto controllo?- chiese Rachel con voce spezzata. Sembrava fare molta fatica a mantenere la calma.

-Quattro mesi- rispose una ragazza dai capelli neri, che sul tesserino aveva appuntato il nome di Karen.

-         E quindi tu sei una poliziotta in borghese. Hai mentito per tutto questo tempo?- replicò la ragazza, con voce leggermente tremante, rivolta a Maeve.

-         -Sì. Sono una brava attrice…- rispose l’altra, guardando finalmente negli occhi Rachel.

-         Oh, anch’io..- rispose quella, un sorrisetto diabolico in contrasto con il bel viso,  e chiuse di colpo la porta. Portandosi dietro Maeve.

 

Rachel chiuse il fascicolo di botto. Quello che aveva letto l’aveva lasciata stordita. Aveva decisamente bisogno di pensare. Ma, il suo orologio segnalava un’informazione importante. La piccola telecamera che aveva piazzato di nascosto all’ingresso aveva dato i suoi frutti. Allora quella Maeve era davvero un’agente in borghese. E tra non molto sarebbe arrivata a catturarla. Inspirò profondamente. Doveva essere ben pronta per la sua parte. Quando andò ad aprire, dopo aver sentito la scusa della portinaia, trovò nove pistole, anzi, Uzi, caricate a sonniferi probabilmente, puntate contro. Si dipinse sul viso un’espressione incredula e scioccata.

-Rachel Hartwood, ti dichiaro in arresto per complotto ai danni del Paese. Qualunque cosa dirai potrà essere usata contro di te, perciò ti consiglio di restare in silenzio.- recitò Maeve. E non la guardava negli occhi. Cosa parecchio fastidiosa. –Da quanto mi tenete sotto controllo?- chiese, cercando di far trasparire dalla sua voce un’ipotetica ansia.

-Quattro mesi- rispose una ragazza di quelle vicino alla porta.

-         E quindi tu sei una poliziotta in borghese. Hai mentito per tutto questo tempo?- replicò lei, facendo tremare la voce quel tanto che bastava.

-Sì. Sono una brava attrice…- rispose l’altra, guardandola negli occhi. Alleluia!!

-Oh, anch’io…- rispose Rachel, lasciando che sulle labbra le si dipingesse un sorrisetto diabolicamente divertito, che rispecchiava pienamente lo stato d’animo in cui si trovava.

Poi, con un balzo felino, agguantò Maeve e la tirò nel suo appartamento, chiudendo poi la porta; e il tutto, in meno di tre secondi.

 

Maeve Greyland non si era mai ritenuta una persona stupida. Però, quando la porta le si chiuse in faccia e comprese di essere nella tana del nemico(o meglio, della nemica) si diede mentalmente dell’imbecille.

Il problema era che Rachel si era mossa in modo dannatamente veloce.

Maledizione.

Dopo il primo attimo di stordimento, si rese conto della pericolosità della situazione e si voltò verso quella ragazza, che stava cominciando a detestare. E le era pure sembrata simpatica!! Le puntò la pistola contro.

“A terra” disse, concentrandosi per far apparire il tono della sua voce privo di alcuna emozione. “Metti le mani dietro la testa, grazie.” Era piuttosto compiaciuta di sé stessa. Un vero agente, come suo padre.

La sua soddisfazione scomparve quando si accorse di avere una pistola puntata alla tempia, e seguendo il braccio che reggeva l’arma, arrivò a Rachel, notando il mezzo ghigno dipinto sul suo viso.

“Prego?” chiese la ragazza con tono delicato e cortese.

Piccola serpe.

“Butta la pistola e parliamone civilmente, d’accordo?” chiese Maeve, facendo scattare la sicura “o ti prometto che ti ritrovi a nanna prima di avere il tempo di premere quel grilletto.”

“Beh, se la metti così…d’accordo.” Replicò la ragazza con un viso impassibile, gettando la sua arma a terra. Dopo essersi assicurata di averla bloccata. Non sarebbe stata la prima a bucarsi il fondoschiena(maledetti modi di dire di Zach…stava cominciando ad usarli sempre più spesso) buttando a terra un’arma.

A Maeve sembrò di sentire una leggera pressione sull’Uzi, ma quando abbassò impercettibilmente lo sguardo, quel tanto che bastava, lo trovò a posto.

Troppa tensione.

“D’accordo allora. Rachel, io so che tu lavori per un’associazione, gilda, organizzazione, chiamala come ti pare, che è contro il governo, e purtroppo devo informarti che sei nei guai fino al collo. I traditori non sono ben accetti. Se ti consegni spontaneamente, potrei anche cercare di farti ridurre la condanna al minimo.” Ok, era una bugia, ma se Rachel si fosse consegnata spontaneamente avrebbe passato meglio gli anni futuri in carcere. La gente era più gentile con chi la faceva lavorare di meno.

“Sì, certo, e come fai, ti porti a letto il giudice?” replicò Rachel senza pensare. Poi si morse la lingua. Non era un comportamento da usare in quelle circostanze. Se la tipa, già abbastanza agitata, fosse andata fuori di testa, le avesse sparato, lei poteva tranquillamente dire ciao ciao alla sua vita. E non era una cosa che voleva fare, per ora. Quindi meglio essere controllati.

“Oh, no, pensavo di lasciare il compito a te” rimbeccò Maeve, con un sorrisetto.

Bella battuta, Capelli Rossi.

“D’accordo, confesso e mi arrendo. Ma cava dal mezzo quella dannata pistola!” esclamò Rachel con voce da isterica, notando preoccupata che i colleghi della rossa si stavano dando da fare con la porta.

Maeve rispose.

Cosa disse, però, Rachel non lo seppe mai. Un boato assordante coprì le parole della poliziotta. Non durò più di due secondi, poi tutto tornò come prima. A parte i vetri della finestra che dava sulla strada per il Bar. Frantumati. Le altre finestre, più lontane, avevano retto.

Quasi subito, un lungo e acuto fischio riempì l’aria.

Le due giovani si lanciarono un’occhiata. “Dalla finestra. E recupera il tuo caricatore”disse porgendole l’aggeggio che le aveva sottratto di nascosto qualche minuto prima “ti sarà difficile sparare senza questo…” ma non c’era traccia di sarcasmo nella sua voce. Il viso era impassibile, sembrava concentrata al massimo.

Dunque è così quando è in missione…

La ragazza non parlò, si limitò ad annuire e a seguire Rachel per la strada del Bar.

Sapevano entrambe cosa significava quel suono.

Era in corso un’attacco dei Ribelli.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** The place within ***


Capitolo 2- The Place within

 

Grigio.

La parola esatta per descrivere la situazione era quello.

Grigio, ovunque. Una nebbia densa, quasi stritolante.

Claustrofobico, pensò distrattamente Rachel, mentre cercava di vederci qualcosa attraverso quella coltre di fumo.

Ecco cos’era in grado di produrre una di quelle maledette bombe modificate.

Dietro di sé, sentì Maeve cominciare a tossire.

“Filtra l’aria…” le disse semplicemente, annoiata. Non le era mai piaciuto fare la mammina.

La ragazza la fissò per un attimo, poi tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e seguì il consiglio.

“Tu non ne hai bisogno…” constatò.

“Ci sono abituata. E ora andiamo.”

Maeve sospirò, poi si apprestò a seguire Rachel nel posto più pericoloso del Mondo Abitabile.

E non potè evitare di darsi mentalmente dell’imbecille.

 

Se Zach fosse stato lì, probabilmente si sarebbe messo a dire “che figata!” per ogni dettaglio che caratterizzava quei luoghi…i posti da bimbi cattivi, sosteneva, erano sempre stati il suo genere. Rachel, invece, camminava lenta e guardinga. Dietro di sé, poteva quasi percepire la tensione di Maeve. Del resto non poteva darle torto. Non ci sarebbe voluto molto a beccarsi una pallottola in testa.

Ed era una cosa che entrambe avrebbero volentieri evitato.

Giunsero in una piazza quadrata circondata da edifici appartenenti con tutta probabilità a un centro affari del secolo precedente. Su un lato erano accatastati alcuni bidoni di latta. Doveva essere il quartier generale di una delle bande meno pericolose. Com’era che si chiamavano? Das, Dos..Disused, qualcosa del genere. Paccottiglia.

Si diressero verso la strada che si addentrava ancor più all’interno.

A pensarci bene, era quasi paradossale, che due ragazze appartenenti a fazioni opposte si stessero avventurando in un posto dove avrebbero dovuto fidarsi l’una dell’altra per riuscire a cavarsela.

Ma sia nella H.O.P.E. che nelle squadre speciali di polizia, una delle principali regole era: se c’è un attacco dei Ribelli, e tu sei vicino, corri sul posto. Puoi sempre servire.

Il fumo si stava diradando, lasciando il posto ad una leggera foschia che rendeva la visibilità maggiore, ma non per questo diminuiva la pericolosità del luogo.

Le sembrò di sentire qualcosa, in lontananza. Un rumore indistinto, eppure così familiare. Il suo cervello elaborò la risposta in un millesimo di secondo. La sicura di un’arma. Tolta.

Si buttò a terra giusto un attimo prima che una scarica di pallottole diametro 2 cm fendesse l’aria, esattamente dove, un momento fa, si trovava la sua testa.

Merda.

“Dietro ai bidoni!!” fece appena in tempo ad urlare a Maeve, prima che una nuova raffica di proiettili le sovrastasse la voce.

Scattò, rapida e agile come un gatto, estraendo un caricatore dalla tasca dei jeans.

Poi cominciò a sparare, ma da dove si trovava non aveva una buona visuale. Sprecò sei pallottole prima di riuscire a colpire il tiratore al braccio. E quello per un po’ non avrebbe dato problemi.

Ma per uno che scendeva, altri spuntavano allo scoperto. Quasi come birilli…e lei aveva sempre odiato il bowling.

Maeve sembrava persa nei suoi sogni, immobile. Comoda la vita.

Sentì qualcosa sfregiarle il piede. L’avevano presa di striscio. E questo non andava bene.

Erano le mie scarpe preferite.

Due colpi precisi, e i cecchini più vicini a lei furono a posto.

Ne mancavano quattro.

Contò rapidamente i caricatori che aveva rimasto. Due.

Non poteva permettersi di sprecare altri colpi, o sarebbe rimasta senza armi, e da sola, visto che Maeve non dava segni di vita.

Puntò il killer più lontano, che sembrava anche quello con la mira migliore.

BLAM!

Mancato.

“Non disturbarti ad aiutarmi, stai pure ferma, senza farti problemi…”

Maeve parve riscuotersi.

“Uh?”

“No, dico, se vuoi che ci uccidano dillo così almeno non spreco un caricatore per niente e glielo lascio integro, no?”

“Scusa…” mormorò a occhi bassi.

Rialzò lo sguardo appena in tempo per vedere un ragazzo che puntava l’arma contro Rachel. La ragazza dagli occhi azzurri era impegnata a sparare nella direzione opposta. L’avrebbe presa in pieno.

“RACHEL!!” gridò.

Vide il proiettile partire. Vide la ragazza abbassarsi, e sfruttò quel momento per sferrare un colpo a sua volta.

E segnò. Il ragazzo cadde a terra esanime.

Rachel non perse tempo in ringraziamenti. Si occupò di uno dei due killer rimasti, e Maeve si concentrò sull’altro. Erano tosti. Di un livello molto più avanzato dei Disused. Maledizione. Avrebbe dovuto immaginarlo. Le notizie viaggiano veloci a War. La voce della loro visita doveva essersi sparsa, e le bande importanti, i “pezzi grossi”, avevano ben pensato di mandare qualcuno a dar loro il benvenuto.

“Ok, in questi bidoni dovrebbe esserci benzina, no?? Quando te lo dico io, dai un calcio più forte che puoi in direzione del tetto e poi spara. Se riusciamo a farli saltare in aria, possiamo allontanarci in fretta e senza fare troppo casino.”

“Casino? Hai detto casino? Ma come, e io che pensavo che fossi una ragazza tutta brava e controllata…mi crolla un mito Rachel!!”

“Ti diverti molto a fare sarcasmo in momenti come questi?” chiese l’altra, mentre entrambe colpivano i bidoni dietro a cui si erano riparate. Erano quasi completamente scoperte.

“Perché, che male fa?” chiese mentre puntavano all’unisono le pistole.

BLAM!

CLICK.

BOOOOOOOOOOOOOOOOOOMMM!!!

Click?

Scarica.

Oh merda.

“Per esempio ti toglie la concentrazione per capire che la tua pistola è scarica?” fece Rachel sarcastica, colpendo il secondo bidone e scattando verso la loro via di fuga.

Maeve le stava dietro.

Svoltarono l’angolo coperte dal fumo dell’esplosione e si infilarono sotto una tettoia. Era coperte, e momentaneamente al sicuro.

“Grazie”

“…”

“Beh, se non sbaglio anch’io ti ho salvato la vita, no?”

L’occhiata di Rachel la congelò all’istante.

“Ti aspetti davvero un ringraziamento?”

Sospirò. “No. Direi di no.”

“Perfetto. E la prossima volta fai attenzione alla pistola, perché se ti si scarica finiamo male tutte e due. Ah, attenta perché è l’unico caricatore che hai.”

“D’accordo…”

Si incamminarono lentamente, prestando attenzione ad essere silenziose.

“E comunque, Rossa?”

“Sì?”

“Bella mira.”

Maeve sorrise.

 

Il Capo ricadde pesantemente sullo schienale della poltrona, levandosi i guanti e la giacca.

Si sentiva quasi….stanco. La posta in gioco era molto alta.

Il tintinnio insistente del suo telefono al plasma lo annunciò che c’era una chiamata importante in arrivo.

Si ricompose quel minimo che bastava e rispose. Ho bisogno di una lunga dormita.

“Sì?”

“Seth, sei in linea? Novità forti e non piacevoli in arrivo. Le nostre fonti rivelano che c’è stato un attacco dei Ribelli dalle parti di casa di una tua cadetta, tale Rachel. Poco prima sempre nel suo complesso residenziale, si era presentata una squadra delle Forze Speciali della polizia.”

La sua attenzione salì ai livelli massimi. 

“E?”

“Beh, sembra che Rachel e un membro della squadra speciale siano entrate in War.”

“Non c’è modo di contattarla?”

“No.”

“Come hanno fatto a scoprirla?”

“Penso che la tenessero d’occhio da parecchio, Seth…”

“Capisco.”

“Ma lei era preparata a riceverli, da quanto mi risulta. Comunque ti mando il rapporto completo di tutto via fax, e, Seth, le avevi dato il fascicolo?” La preoccupazione trapelava dalla voce.

“Prepara una squadra speciale. Mi serve che si spaccino per agenti della polizia e vadano a casa di Rachel a recuperare…i documenti e l’attrezzatura finché lei non torna. Non possiamo permetterci che scoprano i nostri progetti.” Evitò di rispondere l’altro “E, un’ultima cosa…”

“Sì?”

“Trovami Zaccaria…e mandamelo qui il prima possibile.”

“Non è un problema.”

Zach alzò lo sguardo. Una ragazza della H.O.P.E. era davanti a lui, in attesa.

Neanche un maledetto caffè…

…oggi non è proprio giornata.

“Sì?” cercò di usare il tono più gentile possibile, e di non far trapelare il suo nervosismo. L’aveva già vista quella ragazza. Ma dove? Il suo cartellino diceva che si chiamava Grisham. Sheila Grisham. Carina, mora, occhi chiarissimi…non sembrava di quelle parti.

Conoscenza interessante.

“Potresti seguirmi un attimo dal Capo, per favore?” stava chiedendo intanto quella.

Si accorse di essersi perso nei suoi pensieri e si riscuotè improvvisamente.

“Ma certo, se me lo chiedi tu, dolcezza” sorrise seguendola.

La ragazza sorrise a sua volta. “Nn mi si incanta con certi trucchetti..dai, vieni”. Uuuh, la classica Io-Sono-Una-Tosta. Uscirono dal bar.

Certo, se non ti interesso, tesoro, come mai ora ancheggi così?

E con un mezzo ghigno sadico sulle labbra, si apprestò a seguirla.

L’ambiente mutava. I grandi palazzi disabitati, sede di corse clandestine, spacci, risse all’ultimo sangue fra bande, si stavano diradando, lasciando il posto a vecchie case disabitate, probabilmente magazzini d’armi, e, infine, a quello che Maeve temeva di più in assoluto.

“Benvenuti a The Forgotten” mormorò Rachel a mezza voce. Si fermò un attimo appoggiandosi ad un vecchio lampione mezzo per terra, per raccogliere le idee.

Maeve intanto guardava il paesaggio. Non pensava, solo…osservava.

Non sapeva dire che cosa la spaventasse tanto di quel posto temuto da tutti.

Il territorio di nessuno.

Molto tempo prima, le prime bande che occuparono War presero subito dei “pezzi” del posto, dei quartieri. Li scelsero separati tra loro in modo da non calpestarsi i piedi a vicenda nei loro affari. Ma ovviamente ci furono disaccordi molto accesi, soprattutto riguardo a quel luogo, che tutti volevano perché era una vecchia fabbrica di armi nucleari in disuso. Dopo numerose guerriglie, si giunse a un accordo: nessuno avrebbe avuto quel luogo, e nessuno ci sarebbe dovuto entrare, mai, altrimenti i precari equilibri di “pace e rispetto” fra le bande sarebbero stati spezzati. Doveva diventare qualcosa di dimenticato, e fu chiamato The Forgotten. Il territorio fu raso al suolo, e ogni banda mise qualche cecchino di vedetta in modo da controllare che il Patto non fosse violato.  E le cose non erano cambiate.

Non potevi attraversare The Forgotten, perché saresti stato ucciso. Nessuno poteva passare di là.

E se morivi, potevi stare pur certo che nessuno sarebbe venuto a togliere di mezzo il tuo cadavere.

Quanta gente era morta in quel posto dimenticato da Dio, senza poter ricevere una degna sepoltura?

Improvvisamente le venne da vomitare.

“Rachel, io non posso farlo.”

Rachel uscì dalla sua breve meditazione con la stessa rapidità con cui vi era caduta.

“Come sarebbe a dire non puoi farlo? Tu devi farlo, ormai non ti puoi tirare indietro.”

“Senti, tu sarai anche una senzadio, ma io sono religiosa e se voglio morire voglio almeno che qualcuno venga a recuperare il mio corpo, voglio almeno essere sepolta, maledizione!!!” esplose la rossa.

Lo sguardo dell’altra si raggelò tanto da parere nero, invece che azzurro.

“Senti tesoro, non so con chi credi di avere a che fare, ma non sputare sentenze su di me. Tu non mi conosci e non avrai mai modo di conoscermi perché una volta uscite di qui io tornerò alla mia vita e tu alla tua, e tanti saluti. Non provare mai più a dire una cosa del genere o ti prometto che ti farò pentire di essere nata, e dovresti conoscermi quel poco che basta per sapere che le mie promesse le mantengo, non ti pare?” sibilò.

Poi cambiò radicalmente, diventò di nuovo distante, controllata.

“Ho fatto un minimo di calcoli e se siamo veloci e ci copriamo le spalle a vicenda potremo arrivare dall’altra parte vive e intere. D’altronde, passando per l’altra via ci avrebbero ammazzato in meno di tre secondi, e comunque avremmo perso un sacco di tempo, quindi questa è l’unica soluzione possibile.”

“Dobbiamo proprio farlo?”

“Tranquilla Rossa, non posso permettere che ti uccidano, una pistola è sempre meglio di due e voglio strangolarti personalmente.” La prese in giro, e non bonariamente, ma meno malignamente di quanto in realtà avesse voluto. Probabilmente il suo istinto di sopravvivenza le aveva suggerito che era meglio ingraziarsi la tipa per avere più possibilità di sopravvivenza. Se i rinforzi si fossero sbrigati, in ogni caso, sarebbe stato meglio per tutti.

“Ma la regola dice di cercare di salvare i civili o gli innocenti che ci sono, e non di andare per forza a controllare la situazione, anche perché in due saremmo comunque in svantaggio.”

“Stanno arrivando i rinforzi, e anche dalla tua parte credo. E poi non so tu ma io ho un conto in sospeso con questi bastardi…” Un lampo, talmente veloce che pensò di non averlo visto realmente. Ma qualcosa era passato sul viso di Rachel, qualcosa che non la faceva più sembrare così fredda e controllata, la faceva invece apparire fragile, e umana. Ma il tempo di un battere di ciglia, e la ragazza era ancora lì, la stessa espressione sul viso, la stessa voce logica, la stessa aria distaccata.

Poi si avviò, non permettendole di replicare. Sospirò per l’ennesima volta. In fondo, che scelta aveva? Avevano sprecato già troppo tempo, e se fosse tornata indietro da sola si sarebbe fatta ammazzare.

Non poteva che seguire la castana, sperando di cavarsela, e con una domanda fissa in testa, sempre più in rilievo:

Chi sei davvero?…Che cosa nascondi Rachel? 

 

Nevra.

Non sapeva perché, passando in quel corridoio, aveva visto passare una ragazza bionda e l’aveva subito collegata a lei. O forse lo sapeva il perché, ma rifiutava di ammetterlo…la verità era che qualche volta le capitava di pensarla.

Ok, forse un po’ più spesso di qualche volta…

La verità è che andava matto per le ragazze, certo, ma soprattutto per quelle dolci e bionde.

Anche le castane, o meglio alcune castane…

Come una certa Occhi Azzurri che odiava il soprannome che le aveva affibbiato e spesso faceva finta di odiare anche lui. Ma adorava quella ragazza. In un modo strano si erano conosciuti, in un modo strano erano legati…Erano rivali, ma erano amici. Perché Rachel sapeva che Zach c’era sempre, e probabilmente le scocciava parecchio, ma quando non c’era…beh, forse stava meglio. O perlomeno era quello che diceva sempre. Ma faceva capire che in realtà gli mancava. Erano come fratelli.

Zach adorava Rachel e la prendeva com’era, una fredda e distaccata ragazza che in fondo, molto in fondo, aveva anche dei sentimenti. Ma li teneva solo per sé.

Erano arrivati all’ufficio. Sperava solo che non fosse successo niente di strano.

Si congedò da Sheila con un baciamano, e la ragazza sorrise e gli mollò un coppetto.

“Già prendiamo confidenza, bellezza…meno male che ti vuoi mostrare distaccata!!”

Lei lo guardò con aria sprezzante, ma si vedeva benissimo che le veniva da ridere. Poi voltò sui tacchi e se ne andò.

Zach diventò improvvisamente serio, si voltò verso il portone, bussò come da manuale ed entrò dopo essere stato invitato.

Ascoltò il Capo, e man mano che quello parlava, sentiva lo stomaco chiudersi.

Si prospettavano casini.

 

Il tempo sembrava essersi fermato. Aveva messo prima un piede, poi l’altro, e poi era ufficialmente entrata in The Forgotten. Se giusto qualche settimana prima qualcuno le avesse detto che sarebbe finita ad attraversare il punto più pericoloso e temuto del posto che odiava di più al mondo, in compagnia della ragazza che doveva catturare e che aveva fatto saltare la sua copertura, e diretta verso il covo delle bande più pericolose, alias verso l’ignoto, probabilmente l’avrebbe preso allegramente a calci in culo fino al manicomio più vicino. Proprio imprevedibile la vita.

Rachel aspettò che si posizionasse dietro di lei, poi, schiena contro schiena, procedettero rapide. I loro passi veloci sembravano quasi ovattati, immersi in quell’atmosfera di calma surreale.

Non un suono.

Tutto era immobile.

Forse le sentinelle erano davvero state richiamate dal caos della bomba e se ne erano andate. Maeve sperò con tutto il cuore che fosse così.

Continuarono ad avanzare, gli occhi ben aperti, le orecchie ritte, pronte a percepire qualunque suono estraneo.

Continuavano a percorrere The Forgotten.

Erano arrivate quasi a metà quando si scatenò l’inferno.

 

Il piano era semplice. Travestirsi da poliziotto, entrare in casa, requisire i documenti e l’attrezzatura.

Zach camminava nella sua divisa con l’aria più fiera possibile, tronfio come i pezzi importanti della gerarchia. O almeno ci provava.

Era abbastanza speranzoso.

Quando però arrivò davanti al complesso residenziale di Rachel, e vide le 20 volanti della polizia, cominciò a preoccuparsi.

Individuò subito quello che doveva essere il capo, un uomo sulla cinquantina, non troppo alto e dal piglio severo e pignolo.

“Agente Gregory Aliard, sono venuto qui per perquisire l’appartamento come avevate detto.”

“Ah Gregory, ben arrivato…so che sei un buon agente della scientifica, tuo padre mi ha parlato molto di te, ti sei laureato con pieni voti no? Beh te l’avevo detto che quel professore era molto…comprensivo. D’altronde, è mio cugino…” fece con aria complice.

Schifosi venduti.

“Comunque” aggiunse vedendo che gli altri agenti si avvicinavano “mi auguro che tu abbia studiato, perché dovrai controllare l’appartamento da cima a fondo. La serratura è ancora chiusa, tutto è stato lasciato com’era in tua attesa. Prego, va’ pure.”

Che Aliard avesse studiato non era un suo problema. Esisteva davvero un Gregory Aliard, peccato che ora si stesse facendo un viaggetto nel mondo dei sogni, ma questo, ovviamente, il sergente non poteva saperlo.

Doveva agire in fretta.

Sicuramente, da raccomandato qual era, il signor Aliard non si era preso la briga di imparare come forzare una porta al plasma, anche perché pochi ce la facevano, quindi utilizzò il metodo che probabilmente il vero Gregory avrebbe adottato: prese due armadi a quattro ante con la divisa, e dopo due poderose spallate la porta chiusa non fu più un problema.

Con la scusa della privacy per la concentrazione o qualcosa del genere, riuscì a far allontanare gli altri verso il Bar. Controllò per sicurezza. Una goccia di sudore gli scivolò giù dai capelli, biondi per l’occasione, per la pelle abbronzata, fino agli occhi azzurri. Biondo e occhi azzurri, pelle ambrata…doveva abitare dalle parti del mare questo Aliard. Un riccastro.

Gli ultimi agenti si diressero a controllare le zone circostanti per vedere di localizzare Rachel e la loro amichetta, la tipa della reception. L’aveva vista qualche volta, di sfuggita.

Bene, era solo.

Ripulì la stanza delle prove e degli oggetti in fretta, assicurandosi di aver fatto tutto secondo le regole. Controllò l’appartamento tre volte. Tutto nella norma.

A posto.

Sperava solo di riportare quei gingilli alla proprietaria il più presto possibile.

Raccolse tutto, lo ficcò nella ventiquattrore e si apprestò ad uscire.

E questo cos’è? Si disse accorgendosi di un fascicolo sconosciuto fra gli appunti.

Probabilmente non ci dovrei guardare, ma…

No, non ci devo guardare. Sono o non sono un agente della H.O.P.E.?

Gli venne da ridere.

La tentazione di sbirciare era forte.

 

Se ne andò senza troppi problemi. Era filato tutto liscio.

Arrivò alla Base cinque minuti dopo.

Era entrato in un pub sperduto e maleodorante sulla settantacinquesima, appena accanto alla linea di vecchie abitazioni che segnavano il confine con War. Nessuno lo aveva visto entrare nei bagni a cambiarsi, nessuno lo aveva visto uscire. Il barista sembrava troppo occupato a preparare qualche busta di polvere bianca, probabilmente qualche droga aggiustata con detersivi o roba del genere, per badare a lui.

Arrivò alla base inosservato, come quando se n’era andato.

La ventiquattrore era stata sostituita da uno zaino in tessuto antiproiettile, “aggiustato” con borchie e catene sopra in modo da sembrare lo zaino di un rapper. Il suo zaino preferito.

Sheila lo fece passare per andare dal Capo. Doveva essere una delle segretarie più importanti, una di quelle della fascia interna, con un ruolo importante quasi quanto quello suo e di Rachel, perché non l’aveva mai vista. I lavoratori della fascia interna non li vedevano mai, ma erano loro che affibbiavano le missioni e tenevano aggiornati i database, malgrado fossero perfettamente in grado di farlo anche le varie spie che lavoravano alla H.O.P.E., ma il Capo aveva preferito dividere tutti in settori, per rendere il lavoro più funzionale. Magari proprio Sheila si era preoccupata di trovare le informazioni su Gregory Aliard, mandare una squadra a sparargli una pallottola al sonnifero comune e a sistemare i dettagli;e di fornire a Zach gli strumenti necessari per diventare come lui. Era bravo a imitare le persone nel corso delle missioni. Anche Rachel lo era.

Ecco.

Cercava di distrarsi, ma il suo pensiero tornava sempre inevitabilmente a lei. Rachel. Chissà come stava. Era preoccupato per lei, sperava che il Capo avesse sue notizie.

Intanto, era nuovamente arrivato alla porta laccata bianca. Bussò per farsi riconoscere, e gli parve di sentire un “avanti”, quindi entrò.

“Missione compiuta, Capo.”

Aspettò che il Capo gli dicesse qualcosa, ma la sedia era voltata contro il muro.

Dopo le sue parole, si girò.

Ma sulla sedia non c’era il Capo.

C’era suo padre.

 

*******************************************

RAGAZZI!!! BUON NATALE ANCHE SE IN RITARDO!!!! ^_______^

Beh, che posso dire…ecco il secondo capitolo!! Eh eh eh eh…piaciuto il colpo di scena? (No, eh?) E vabbè, raga’, io ci ho provato, migliorerò!! (Spero.. ^-^)

Allora, che ne pensate? Cominciano a mescolarsi le carte in tavola, e quindi a crearsi i primi casini!! Chissà come staranno Rachel e Maeve….se la caveranno o finiranno peggio di una groviera? E che ci fa il padre di Zachary sulla sedia di Seth?

Ok lo confesso ha preso il posto del Capo perché lui era venuto a festeggiare con me :DDDDDDDDDDD Va bene basta!!

Fatemi sapere che ne pensate mi raccomando…

E ora passiamo ai ringraziamenti:

 

Ame: grazie!!!!! ^____________^ Mi hai fatto davvero molto piacere con la tua recensione, non so perché il carattere è venuto così grande, io ne avevo selezionato uno più piccolo O___O Mah, avrò incasinato tutto come al solito ‘^_^

Comunque grazie mille, continua a seguirmi!! 1 bacione

 

Mucchilla_Cinghillo: grazie, mi hai lasciato una recensione lunghissima, non me la sono presa e mi hanno fatto piacere sia i complimenti che le critiche!! ^________^

Ho cercato di correggermi, spero che così l’insieme risulti più leggero, che te ne pare?

Sì, la tua storia l’ho letta, e mi piace anche molto!!

Se devo essere sincera, l’ispirazione l’ho presa dalle Charlie’s Angels :DDDD Mi è piaciuto molto il film e mi hanno sempre attratto le organizzazioni di spionaggio, e dopo aver letto un libro di fantascienza, diciamo che ho voluto provare a sfidarmi e così è nata la storia!! Anche perché ho bisogno di esprimermi e spero di riuscire a farlo attraverso la carta. Se ti sembra che abbia preso qualcosa dalla tua storia mi dispiace, non era mia intenzione!! Il fatto è che dopo aver letto qualcosa, mi rimane nella mente, e magari quando vado ad ampliare una storia, mi vengono in mente quelle idee in forma diversa…non so se mi sono spiegata, è un po’ complicato ^_^. Per quanto riguarda il carattere, io ne avevo selezionato uno molto più piccolo, ma poi è venuto fuori spropositato!! O_______O Boh…

Uhm, forse effettivamente sono stata un po’ pesante, spero di aver alleggerito in questo capitolo, anche se sono un po’ pignola e forse per questo tendo a specificare tutto ^__^. Per quanto riguarda la forma colloquiale, d’oh, a me non sembrava…forse rileggendo però ho trovato i punti che tu citi…in questo capitolo mi sembra di aver eliminato questi errori, tu che ne pensi?

Beh dai, invece di mettere la presentazione lunga all’inizio, l’ho posticipata e l’ho messa alla fine!! ^______^ Dai, scherzo…comunque continua a seguirmi e fammi sapere che ne pensi, eh!!! Ci conto!!!

Un bacione

 

Dai ragazzi…commentate please!! ^________^

Ci tengo a sapere che ne pensate!!!!

 

Bacioni e ancora auguri!!!

 

Ginevra

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Run Away ***


Capitolo 3- Forget me

Capitolo 3- Run Away

 

A volte sperava che tutto finisse, che improvvisamente potesse svegliarsi e scoprire che quella non era la realtà. E invece lo era.

Con il tempo, ci si era abituato. Aveva imparato a conviverci, perché non avrebbe potuto fare altrimenti.

Reclinò la testa all’indietro. Troppi avvenimenti. Chissà dov’era Rachele…sperava solo che i rinforzi riuscissero a entrare in War al più presto. Rachel era brava, sì, ma non sarebbe resistita da sola contro i Kobs. E nei Kobs c’era anche…

Un trillo metallico lo fece emergere dall’abisso del suoi pensieri.

Il videotelefono.

Comunicazione importante.

Si schiarì la voce.

“Sì?”

“Che hai fatto ai capelli?” chiese l’interlocutore, con malcelato divertimento.

“ Sei terribile.”

“Che ci vuoi fare, mica sono un gentiluomo come te…”

“Già…” replicò con un mezzo sorriso.

Poi, ricordandosi della situazione, tornò improvvisamente serio.

“Novità?”

“A dire il vero sì. Sembra che una certa Maeve Greyland abbia indagato sulla nostra organizzazione…”

“ Hai detto…Greyland?”

“ Esattamente. Perché?”

“ Nulla, va’ avanti.”

“Beh, lei è una degli agenti più giovani, ma a quanto mi risulta ha fatto un’ottima ricerca…”

“ E…?”

…E’ stata lei a scoprire Rachel, da quello che mi è pervenuto…”

“ E…?”

“…E dopo l’attacco dei ribelli lei e la nostra si sono… dirette insieme sul luogo.”

“Vuoi dire che Rachel è entrata in War con quella ragazza?” chiese, divertito all’idea di Rachele che doveva contare su qualcuno che non fosse sé stessa per riuscire a cavarsela. Qualcuno che detestava, poi.

“Proprio.”

“ E…?”

“ Stai diventando monotono, Seth.”

“Che ci vuoi fare…è la mia vocale preferita.”

“ Buona questa. Comunque, sta di fatto che se mandiamo dei rinforzi, questa Greyland avrà le prove necessarie ad inchiodarci, Seth…”

“ Frena un attimo. Non mi stai dicendo di sacrificare un mio agente per pararci il…fondoschiena, mi auguro…?” chiese con voce gentile…ma chi stava parlando con lui sapeva che in realtà era molto, molto irritato.

“ Non mi fa piacere dovertelo dire, Seth…”

“Ma ovviamente ci sarà un’altra soluzione.”

La voce rise.

“ Esatto. Mi sa che cominciamo a conoscerci troppo bene, noi due…”

“ Sì, può essere. Dimmi tutto…”

“ Beh, pensavo di usare qualche stratagemma, o uno degli schemi che avevamo preparato per situazioni come queste…”

….

“Seth?”

“Sì. Allora, devi farmi un favore importante, puoi?”

“ Spara.”

“Allora, chiama gli agenti di cui ti darò i nominativi. Loro sono i migliori, digli di vestirsi come i rapper del millennio scorso, su quel genere insomma, armali come si deve e falli entrare in War. Loro soccorreranno Rachel. Dì al resto delle truppe di tenersi pronti per mettere in pratica lo schema a diamante, alias il numero 629/C.”

“ Perfetto.”

“Ah, un’altra cosa…”
” Sì?”

“ Puoi fare una ricerca per me?”

“ Certo.”

“ Grazie…”

“ Il programma è pronto…cosa devo cercare?”

“ Cerca Greyland. Nel Sesto Sobborgo.”

“ Sarà fatto.”

 

Se gliel’avessero chiesto, non avrebbe saputo dire esattamente da dove era arrivato il primo proiettile. Aveva semplicemente visto qualcosa di metallico passarle a un centimetro dal viso e prima ancora che avesse il tempo di rendersene conto, ne vide altri milioni sfrecciare da tutte le parti. Gli spari erano infiniti e le loro eco assordanti, creavano un rimbombo che faceva pensare all’apocalisse. Probabilmente tutto quel casino si sarebbe sentito anche dall’altra parte dell’oceano, se mai ci fosse stato qualcuno.

Si gettò a terra d’impeto, sparando, mentre Maeve si lasciava cadere al suolo cercando di non venire colpita.

“Maledizione!! Te l’avevo detto che saremmo morte, te l’avevo detto che non avremo nemmeno una degna sepoltura, te l’avevo detto!!” le sembrò di udire le grida della Rossa.

“…”

Evitò di sprecare fiato…tanto, se avesse parlato, non si sarebbe comunque sentito.

Improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, l’idea.

Si voltò, momentaneamente riparata, e gridò nell’orecchio di Maeve: “Quegli idioti usano armi elettriche, no??”

Da un secolo a quella parte, le bande, soprattutto quelle più temute di War, avevano adottato armi ad elettricità, incanalata in modo particolare. Questo comportava numerosi vantaggi: oltre al fatto di avere un’arma dieci volte più leggera, i proiettili venivano praticamente…generati dalla nuova energia, grazie a un proiettile madre installato nella parte inferiore dell’arma, che faceva da “calco”.

I miracoli della tecnologia…In questo modo si poteva disporre di una quantità illimitata di energia. Mortale.

Per chi la usava.

Infatti, i Corpi Speciali, come la H.O.P.E. per esempio, avevano da subito trovato una soluzione: il cortocircuito. Bastava gettare dell’acqua su qualcosa di elettrico, e la scarica generata era tale da stendere chiunque avesse un’arma elettrica nel giro di parecchie miglia. Era rischioso perché si poteva colpire un innocente, ma le armi della polizia avevano misure di sicurezza maggiori di quelle che usavano le bande, e in ogni caso il gioco valeva la candela.

Ma solo gli agenti scelti erano al corrente di queste nozioni.

Maeve era uno di quelli.

Quindi lo sapeva.

E visto che era una ragazza molto intelligente, capì in un nanosecondo.

“Sì!!!” esclamò, aggrappandosi a quel barlume di speranza.

Tirò fuori dalla tasca lo sfollagente elettrico, in versione mini(non più grande di un accendino), e ripiegabile.

“ Perfetto…”

Rachel afferrò l’oggetto, vi versò sopra dell’acqua e lo tirò lontano.

“Luce sia…” bisbigliò, con un mezzo sorriso per niente angelico.

E luce fu.

 

“Missione compiuta, Capo.”

Aspettò che il Capo gli dicesse qualcosa, ma la sedia era voltata contro il muro.

Dopo le sue parole, si girò.

Ma sulla sedia non c’era il Capo.

C’era suo padre.

 

Rimase in silenzio. Anche perché se avesse aperto la bocca non sarebbe comunque riuscito a parlare.

Si sentiva la testa improvvisamente vuota.

Suo padre.

Sulla sedia del Capo.

Il lieve sorriso che stava sulle sue labbra era completamente sparito quando l’aveva guardato con un po’ di attenzione.

Stava in silenzio, osservandolo sconvolto, aspettando probabilmente una spiegazione, o delle scuse.

Per quel che gli riguardava, poteva aspettare in eterno.

Che schifo di giornata.

Prima Rachel, poi suo padre…

….

….aveva voglia di spararsi.

Non passò più di un minuto, ma gli sembrò un’eternità…

E poi suo padre cominciò a parlare.

E in quel momento ebbe la certezza che avrebbe preferito di gran lunga vederlo tacere.

 

Si accucciarono cercando di occupare il minimo spazio possibile, a testa china. Un fragore assordante. Maeve fu la prima ad alzare lo sguardo. Osservò i tetti dei palazzi vicini, dove uomini e ragazzi giacevano a terra, esanimi.

Era una sporca assassina…aveva ucciso degli uomini e…

“Non sono morti.” Fece Rachel con voce assolutamente tranquilla.

“E no, non leggo nel pensiero.” Continuò, notando l’occhiata stranita della Rossa. “Soltanto, anche a me è venuta la stessa impressione quando ho visto usare questo trucchetto, ma per quanto possa sembrare, sono ancora vivi, soltanto…storditi.”

“ Allora ci conviene allontanarci…”

“Direi proprio di sì.”

Erano salve. Incredibilmente erano riuscite a cavarsela.

“Andiamo…”

Annuì, seguendo la castana.

Rachel non aveva nemmeno fatto tre passi, quando sentì Maeve crollare a terra, con un gemito di dolore.

Si voltò fulminea.

Vide subito ciò che era successo.

La ragazza si teneva la caviglia sinistra. Che era stata colpita da un proiettile.

“ Maledizione…” mormorò a voce non troppo bassa, estraendo la pistola e guardandosi intorno. Nessuno.

Merda.

Per istinto, si voltò verso l’entrata del quartiere delle bande importanti.

Il fumo avvolgeva ancora il posto, impedendo di vedere qualcosa della strada.

Ma riuscì comunque a distinguere delle ombre stagliarsi a meno di sei metri da lei.

“ Mai dare per scontato di essere in salvo…”

Dal fumo emerse lentamente un ragazzo.

Sulla ventina, probabilmente. Alto, occhi verdi.

“ Spiacente, madamoiselles, ma temo che siate mie prigioniere…” esordì con tono sarcastico.

Erano in trappola.

 

Il dolore era forte. Sperò che il proiettile non fosse rimasto nella ferita.

Improvvisamente, dal fumo spuntò un ragazzo.

Un Ribelle, senza alcun dubbio.

Vide con la coda dell’occhio Rachel che cercava di tirare fuori la pistola senza farsi notare, con movimenti minimi.

“ No no no…” la fermò il ragazzo scotendo la testa, mentre uno dei Ribelli la minacciava con un mitra. Non elettrico.

Il ragazzo era furbo, ma anche Rachel lo era.

Sapeva che di lì a poco avrebbe lanciato una bomba, probabilmente a impulsi sonori. Ma l’avrebbe sprecata, e se voleva sopravvivere in War quegli affari le sarebbero serviti.

No, non poteva permetterglielo.

Maledizione, che male alla caviglia.

Ehi, e se invece…?

Sì, era una buona soluzione, rischiosa, ma efficace.

“ Ehi, Rachel…” esordì, facendo trasparire molto dolore fisico dalla voce. Non dovette nemmeno sforzarsi troppo.

L’altra si voltò, esaminando preoccupata la ferita.

“ Non ce la faccio più, Rachel…” mormorò mentre due grosse lacrime le solcavano le guance.

“ Cerca di resistere…” esordì quella, preoccupata.

“ No, credo proprio che sparerò…”

“ Che mi sparerò…” corresse uno dei Ribelli, credendosi divertente.

Gli occhi di Maeve si accesero di un bagliore quasi…sadico.

“ Oh no, intendevo proprio sparerò…” rispose.

Poi sollevò la pistola, e cominciò a svuotarne il caricatore. Fu talmente veloce che colse i nemici di sorpresa, anche perché fino a tre secondi prima sembrava sull’orlo di uno svenimento e dava l’impressione di non sapere nemmeno cosa fosse, una pistola.

“ Vai!!!” gridò a Rachel.

“ Tornerò Rossa…promesso.” Poi corse via, più veloce che poteva.

Non aveva più scelta ormai. Non dipendeva più solo da lei. In qualità di unica testimone di quanto era successo, sapevo che se l’avessero uccisa, Maeve non sarebbe più uscita di là.

La possibilità di aiutare i civili rimasti coinvolti era già svanita parecchio prima, visto che di civili non c’era nemmeno l’ombra.

Ora era svanita anche la possibilità di catturare almeno uno dei ribelli.

Doveva uscire da War.

E doveva farlo in fretta.

 

 

“ Che diavolo hai fatto ai capelli??” chiese l’uomo, facendo volutamente trasparire disappunto dalla sua voce.

“ E i vestiti???” aggiunse, notando l’abbigliamento del figlio.

Zach optò per la politica del silenzio e non proferì parola.

L’uomo sorrise, sprezzante e lievemente disgustato.

“ Mi fai schifo, Zacharyas. Cosa direbbe tua madre vedendoti così?”

“…”

“ Non rispondi, eh? Moccioso vigliacco…sai cosa farebbe??” la sua voce andava in crescendo “ SI RIVOLTEREBBE NELLA TOMBA, IDIOTA!!!!” finì per urlare.

Ok, niente politica per me.

Non riesco a controllarmi.

“ Ah sì?? Beh, la vuoi sapere tu una cosa, gran figlio di scrofa? I capelli li ho tagliati, perché il caschetto che mi costringevi a portare è ridicolo e da checca. I vestiti che ho sono mille volte meglio dei tuoi, anche se costano di meno e non ci ha lavorato un branco di stilisti idioti. E mia madre mi voleva bene e mi accettava per quello che sono, non cercava di plasmarmi a suo piacimento!!!”

“ Ma guardati, Zacharyas!! Guardati, ascoltati!! Che linguaggio usi, per il cielo?!?!”

“ Che c’è, devo mettermi a parlare in latino?” chiese, con un sorriso pieno d’ira.

Il padre appoggiò la testa su una mano, sorreggendola. Sembrava che il peso di quelle scoperte gli gravasse sulle spalle.

“ Per il cielo…io pensavo che fossi diverso. Pensavo che l’educazione che ti ho impartito fosse servita a farti diventare una persona rispettabile. E invece guarda cosa sei diventato. Fec…oh, per il cielo.”

“ Che c’è, paparino adorato? Feccia, volevi dire, no? Cos’è, un linguaggio troppo rozzo e volgare per un uomo di classe come te??”

“ Ma cosa ti è successo, Zacharyas? Cosa sei diventato??”

“ Quello che sono sempre stato, papà, e…”

“Padre.” Lo interruppe l’altro gelidamente. “Salvaguardiamo almeno il rispetto verso i genitori, per il cielo…”

“ Quello che sono sempre stato, padre, e posso assicurarti che là fuori ci sono persone che mi apprezzano, per quanto possa suonarti stupido o sbagliato. Non ho bisogno della tua considerazione.”

L’uomo lo guardò, apertamente disgustato.

Lo stesso sguardo che ha Rachel quando vede un ragno.

“ Ma chi diavolo sei?? TU NON SEI MIO FIGLIO!!!”

“ No, hai ragione. Ho smesso di esserlo quasi sette anni fa, quando me ne sono andato, nel caso non ti fosse chiaro. Anche se in realtà non lo sono mai stato. Cosa c’è, non lo avevi capito? Il fatto che avessi messo quasi tutto il Mondo Abitabile tra me e te non era un indizio sufficiente?”

“ Non prendermi in giro, Zacharyas…”

“ Sennò che fai, mi dai la scomunica?”

“ D’accordo, Zacharyas. Sei libero di rovinarti la vita quanto ti pare, per quel che mi riguarda. Dopotutto, se non hai il senno necessario per capire che ora come ora è tutto sbagliato in te, io non ci posso fare niente. Vengo solo per portarti delle notizie. Speravo che avresti potuto ripensare alla tua decisione e magari tornare a casa per aiutarmi a dirigere un certo progetto, ma…” lo squadrò da capo a piedi “ non credo sia il caso. Ma santo cielo, Zachary, figlio mio, dov’è finita la tua educazione?  Ho fatto un viaggio molto lungo per venire qui per te e tu ripaghi in questo modo…”

“ Ti sei dimenticato di aggiungere viaggio completo di tutti i comfort, e davvero sei venuto qui per me? Zacharyas Jendey, tuo figlio? Perdona lo scetticismo, ma non credo affatto.”

“ Il tuo atteggiamento mi ferisce, Zachary…”

“ No, sarà una pistola a ferirti, se non te ne vai entro tre secondi. Già il fatto che tu sia venuto qui mi fa venire da vomitare. Mi ricordo quella volta che ho provato ad entrare nel tuo ufficio. Più che l’episodio, mi ricordo i ceffoni…”

“ Era una riunione importante e per colpa tua l’affare è saltato…sai quanto ho dovuto penare per…”

“ Non me ne importa niente.” Sibilò Zach, la voce vibrante di sentimenti oscuri, gli occhi che parevano neri, da quanto erano cupi.

Poi, improvvisamente, tornò normale. “Allora, vuoi dirmi il motivo per cui sei qui, quello vero stavolta se non ti spiace, così perdiamo meno tempo e siamo felici e contenti tutti e due?”

“ Come ti avevo già accennato, devo darti delle informazioni, Zachary.” Gli porse una ventiquattrore in pelle nera.

Simile a quella che ho usato poco fa, forse è un segno del destino, magari sono un uomo d’ufficio…   Ma sicuramente questa è di qualità più elevata. Tipico di mio padre, del resto.

L’uomo, dal canto suo, osservò il Rolex d’epoca e proferì: “Per il cielo, è tardissimo, Zacharyas. Temo di dover andare adesso, ma alloggerò in città per un paio di giorni. Se hai bisogno di…consigli- fece incerto osservandolo per l’ennesima volta- o ripensi alla nostra chiacchierata e vuoi scusarti…o semplicemente parlarmi” aggiunse dopo aver visto l’occhiata assassina che il figlio gli lanciava “ il mio indirizzo è questo.” Concluse, porgendogli un biglietto bianco a scritte oro, perfettamente squadrato. “ Il numero e l’indirizzo di casa invece presumo tu le conosca già, in ogni caso ti lascio anche il mio numero d’ufficio…” fece, porgendogli un altro biglietto, identico al precedente.

Sempre stato così, suo padre. Abitudinario e metodicamente noioso.

“Poi si alzò dalla sedia. Bei trofei ha il tuo capo, comunque, li stavo guardando prima che arrivassi tu”.

Ecco perché era girato contro il muro…

…eppure mi sembra più plausibile che si fosse girato apposta, giusto per fare più scena.

Sempre così teatrale, suo padre…

Lo seguì con lo sguardo fino allo stipite della porta.

“Ah” aggiunse quello, voltandosi “ Come sicuramente saprai una Guerra vera e propria si sta scatenando, Zachary.” Lo fissò dritto negli occhi.

“ Scegli bene il tuo ruolo, e soprattutto…Cerca di non stare dalla parte sbagliata.” Detto questo, girò sui tacchi e se ne andò.

Zach crollò a sedere su una sedia che era spuntata dal pavimento.

Sospirò.

Sempre così teatrale…

…e comunque quel soprannome l’ho sempre odiato.

 

Camminava rapida e guardinga, cercando di rendersi invisibile, ma senza esagerare. Doveva passare inosservata, ma non troppo, altrimenti sarebbe parso sospetto.

Voltò a destra.

Una volta.

Due.

Poi a sinistra.

Le sembrava incredibile. Era riuscita ad attraversare The Forgotten, ce l’aveva fatta davvero, e quando era a un passo dalla meta, vedeva tutte le sue speranze andare in fumo.

Sperava solo di andarsene velocemente e viva, altrimenti anche per Maeve non ci sarebbe stato nulla da fare. Le sarebbe dispiaciuto…forse si sarebbe quasi…sentita in colpa? Naa, non era ancora arrivata a quel punto. Ma provava una specie di simpatia per quella ragazza dai capelli rossi. Forse perché le ricordava tanto lei stessa…prima.

Continuò ad avanzare, imponendosi di restare calma e controllata…e riuscendoci piuttosto bene. Non un’emozione traspariva dal suo volto. A guardarla, sarebbe potuta sembrare di marmo: fredda e priva di espressione.

Ecco, ci siamo: in fondo al viottolo che stava attraversando si vedeva il bar. Osservò con aria quasi indifferente i graffi che si era procurata passando per la scorciatoia, una discarica a busiva di rifiuti tossici con tonnellate di filo spinato malmesso e tagliente. Dannatamente tagliente.

Si avvicinava sempre di più alla salvezza.

Procedette all’indietro, controllando la strada in modo che nessuno le arrivasse alle spalle.

Nessuno.

Quando arrivò al bar, finalmente si voltò e fece uno scatto per cominciare a correre…doveva assolutamente avvertire la H.O.P.E.

Qualcosa la fermò.

La canna di un mitra MCZ345, per la precisione.

Sgranò gli occhi, atterrita.

Non ci credo…non voglio crederci…

“ Vai da qualche parte, dolcezza?”

 

Un’ora prima

 

Seth chiuse la comunicazione, reclinando il capo sulla sedia girevole.

Giornata pesante.

Ne aveva vissute parecchie, ultimamente.

Devo mangiare una pizza.

Improvvisamente il suo sguardo cadde su una foto sulla scrivania. Lui da militare.

Poteva ancora riconoscersi. Non che dovesse fare un grande sforzo, in ogni caso.

Ricordava perfettamente i bei tempi, quando era ancora un ragazzo definito da molti carino, a cui piacevano le ragazze, ma come compagne di scherzi, perché il suo cuore era già occupato…un ragazzo che rideva, scherzava, e che era convinto che il mondo fosse bello, conservasse ancora qualcosa di puro…

Un utile idiota.

Come facevo ad essere così ingenuo?…

…è passato davvero tanto tempo. Forse troppo.

Il trillo insistente del videotelefono lo riportò prepotentemente alla realtà.

Qualcuno aveva bisogno di lui.

Chiunque fosse, doveva avere parecchia fretta.

“Sì?”

“Signor Werthdore, cercavo proprio lei…”

Sì, decisamente un’eternità.

“Mi dica…”

Si prospettava una lunga chiacchierata.

 

Mezz’ora prima

 

Sheila passava rapidamente accanto alla porta d’entrata all’area riservata.

Aveva una pila di pratiche da consegnare e girava praticamente come una trottola dall’inizio della giornata, quindi fu ben lieta di potersi fermare davanti ad una giovane donna bionda, che aspettava elegante e composta che qualcuno la facesse passare.

“Mi dica signorina- fece, osservando la pratica in cima alla pila…a chi andava consegnata? Ah già, a Smithson…- posso aiutarl..?” Si bloccò quando vide chi le stava di fronte.

“Ah, buongiorno!” sorrise “Era qui anche prima se non sbaglio, no?”

“Già…” fece la ragazza, sbattendo le lunghe ciglia.

“La faccio entrare…” evitò accuratamente di chiederle cosa ci facesse là, prima. Non erano affari suoi. La discrezione era molto apprezzata in quel lavoro, e lei lo sapeva. E per principio non era mai stata una ragazza troppo curiosa…

…oh, beh, prima o poi gliel’avrebbe detto comunque.

 

Seth aveva appena finito di parlare al videotelefono.

Chiuse lo schermo e si girò verso la macchinetta del caffè.

Mia salvatrice… pensò, mentre premeva il tasto del decaffeinato.

O qualcosa di simile, visto che circa da mezzo millennio non esisteva più il caffè come tale. In laboratorio era stata ricreata una sostanza con la maggior somiglianza possibile. Una schifezza, ma quando ti ci abituavi sembrava persino buona.

Sentì bussare.

Seppe chi era senza nemmeno bisogno di voltarsi.

“Ciao, biondina…”

“Ciao, bel tenebroso…”

Sorrisero entrambi.

“Prego” fece lui, indicandole una sedia.

Lei si mise a sedere, per una volta senza dover fingere di essere perfetta.

E lui pure.

“E’ stata una giornata pesante, no?”

“ Peggio di te, il che è tutto dire…” si permise di scherzare.

“Scemo!!” lo riprese lei ridendo. Ma in fondo era contenta…di solito Seth era sempre così controllato e gentile…non scherzava spesso, negli ultimi tempi.

Una volta invece…

Ma era inutile perdersi nel passato.

“ Devo farmi una pizza” gli disse seria.

Il volto di Seth si distese in un sorriso ammiccante.

“Margherita?”

**************************************************

Holà, ragazzi!!!!!!!!!!!!!!!!! Come state??? ^_____________^

Devo innanzitutto farvi i miei migliori auguri: BUON ANNO NUOVO, E SPERO CHE SIA PER TUTTI VOI FELICE E MIGLIORE DI TUTTI QUELLI CHE AVETE PASSATO!!!! Col cuore!!

Beh, passiamo al capitolo….avete capito chi è la misteriosa ragazza con Seth? Io sì!!!! :DDDDDDDDDD Ok, lo so, sono andata, aspettate un attimino e poi mi consegno spontaneamente alla neuro!! ‘^_^

Spero vi piaccia, mi auguro che non risultino pesanti alcune parti (come la descrizione della nuova energia elettrica, per intenderci) ma le reputavo necessarie per spiegare bene l’idea che è venuta a Chele!!! (Come mi hai chiamato…? NdRachel) Ah ehm...

Allora, comunque…(Me che cerca di sviare il discorso) :DDDD

A me il pezzo iniziale non convinceva molto, ma mi serve assolutamente perché sennò mi si blocca la storia…mah…voi che ne pensate? Mucchilla? L_Fy?

E anche chi legge, se piace ma anche se proprio fa schifo-non la sopporta-pensa che sia un’idiozia-crede che farei meglio a ritirarmi, potrebbe lasciarmi un commentinoinoinoino?? Non mi offendo!!! Ma posso assicurare che per uno scrittore i commenti sono importantissimi, per migliorarsi e per sapere anche cosa pensa la gente di quello che crei!!

Beh, fatemi sapere!!
E ora i ringraziamenti:

 

L_Fy: Mi fa piacere che sei curiosa, vuol dire che ti interessa! ^____________^ Beh, ti dico solo, continua a leggere :DDD non anticipo niente, sono belle le sorprese, dai…:DD

E tu, in ogni caso, devi continuare il sequel di The Runners, altrimenti ti butto in The Forgotten!!!! >_________<

Ocio!! (ß--- Accidenti ai dialetti ‘^_^)

Eh eh, dai che scherzo(forse…:DDD) però aspetto con impazienza!!

Anche a me piace molto Seth, mi piacciono i misteriosi&affascinanti *ç* come un po’ Lex di Smallville :DD Ma Seth è Seth!! :DD

Beh, Zach è un “idiota”, in senso buono…di quelli che ci provano con tutte e hanno sempre la battuta pronta…sarà che mi ricorda un mio amico, ma io lo adoro ^_^

Beh, aggiorna presto e continua a seguirmi!!!

Un bacione!!

 

Mucchilla_Cinghillo: Ehilà!! Di niente per la recensioni, te ne meriti tante, sei brava!! Beh, sono dell’idea che una critica fa piacere come un complimento( ok no, forse di più il complimento ‘^_^) ma aiutano a crescere e migliorarsi, no? ^_^

Anch’io sono contenta di aver abolito(almeno in parte) quei piccoli “difetti” di narrazione che magari rendevano l’insieme più pesante e meno scorrevole da leggere. Grazie per avermelo fatto notare! ^-^ Wow, Zach piace a quanto vedo!! Non ditelo troppo in giro, che si monta la testa!! ( Io piaccio? A delle ragazze? A chi a chi? Presentamele dai!! NdZach. Oh ma che bel biglietto, chissà di chi è il numero…oh, sembra del padre di qualcuno… NdGinevra. Ah-ehm….ragazze aiuto!! ç.ç NdZach. E smettila!! NdGinevra)

Maeve saluta e ringrazia, e dice che se riesce ad uscire viva da War passa a salutare! ^_^

Rachel invece se l’è un po’ presa perché nessuno le ha fatto i complimenti…chi glielo spiega che se non cambia carattere si farà terra bruciata intorno?? (No, se non la smetti tu si farà terra bruciata attorno a te, perché ti metto al rogo!! NdRachel) Come volevasi dimostrare…

Vabbè, ti saluto, e aggiorna presto Zero Assoluto o vale anche per te la minaccia di L-Fy….muahahahahhahahahah…ahi! (Le arriva una scarpa in testa da qualcuno non identificato. Ehi! NdRagazzaMisteriosa. Ops!! Volevo dire: Le arriva una scarpa in testa dalla Ragazza Misteriosa di fine capitolo ^_^ NdGinevra).

Ok basta, dovete perdonarmi ma io e una mia amica un po’ di tempo fa avevamo scritto una breve storia(3 capitoli, o giù di lì) e alla fine di ogni capitolo facevamo dialogare i personaggi…dev’essermi rimasta l’abitudine :DDD

Beh, ora vi lascio…

Una sola cosa: sicuramente avrete sentito della tragedia in Tailandia, no? Beh, penso che queste cose debbano farci riflettere su quello che abbiamo, che è davvero tanto. Felicità non è avere ciò che si desidera, ma desiderare ciò che si ha, come diceva Oscar Wilde. Spero davvero che non abbiate parenti o conoscenti in vacanza là.

Beh, ora vi saluto davvero:

Ciao a tutti, un bacione!!!

Ginevra

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Lost in War ***


Capitolo 4- Lost in War

 

si voltò e fece uno scatto per cominciare a correre…doveva assolutamente avvertire la H.O.P.E.

Qualcosa la fermò.

La canna di un mitra MCZ345, per la precisione.

Sgranò gli occhi, atterrita.

Non ci credo…non voglio crederci…

“ Vai da qualche parte, dolcezza?”

 

“Sì, all’inferno, e temo che tu mi ci accompagnerai se non mi togli quell’affare dalla schiena…” rispose lei, cercando di restare indifferente.

E senti qua come mi trema la voce!!…

…sto diventando troppo sentimentale.

“Shhht….” Rispose la voce dietro di lei, aumentando la pressione del mitra contro la sua schiena.

“No, a dire il vero non avevo molta voglia di stare zitta…preferivo mettermi a gridare…chissà, qualcuno di qualche banda tua rivale potrebbe sentirmi, e allora ci divertiremmo un po’….”

Per tutta risposta, una mano le tappò la bocca talmente forte da toglierle il respiro. Letteralmente.

Si sentì trascinare all’indietro, ma non oppose resistenza.

Aveva appena scorto due idioti armati fino ai denti e probabilmente anche fatti duri, a giudicare dalla faccia. E venivano nella sua direzione.

Sembrava che il suo misterioso amico, volesse pararle i fondelli.

Beh, se mi porta al sicuro ok…se cerca di ammazzarmi, lo stendo…

Impugnò la sua arma senza quasi muovere un muscolo.

Soffoco!!!

Le stava venendo a mancare l’aria, con quel tipo che la stringeva troppo, troppo forte. Sgranò gli occhi. Ok venire ammazzata, ma morire soffocata per una mano che ti tappa la bocca, proprio no!! Sentiva il cuore pulsarle nelle orecchie. Resisto. Non è ancora arrivato il momento di fare un saluto al tipo dei piani bassi.

I due avanzavano. Improvvisamente, sentì un’ombra calare sopra di lei e si accorse di essere al riparo di una specie di portico, più precisamente dietro una vecchia, grande colonna.

“Ora taci” mormorò il trascinatore a mezza voce, liberandole la bocca.

Silenziosamente, prese il respiro più profondo della sua vita.

 

Per l’ennesima volta in quella giornata, Maeve si diede mentalmente dell’imbecille. Ok, aveva fatto l’eroina, aveva salvato Rachel, colto di sorpresa tutti e fatto la sua bella entrata ad effetto.

….E adesso? Non poteva nemmeno scappare, con la caviglia messa in quel modo. E aveva svuotato tutto il caricatore.

Non c’è che dire.

Sono un genio….

…Da baraccone.

Alzò lentamente lo sguardo, per incontrare due occhi verdissimi che la osservavano sarcastici.

Il tipo si chinò a meno di un metro da lei, giocherellando distrattamente con il mega-mitra.

“Povera piccola…ti sei fatta la bua?”

Maeve avrebbe volentieri mandato la sua educazione a farsi friggere pur di poter fare qualcosa del tipo sputargli in faccia. Purtroppo però era a corto di saliva. E in ogni caso non ci si vedeva, a sputare in faccia alla gente.

“Rispondi…” l’avvertì qualcuno dal mezzo del gruppo, di soli ragazzi.

Non poteva nemmeno contare su un po’ di solidarietà femminile, a quanto sembrava.

Resse lo sguardo del suo interlocutore.

“Esattamente.”

“Uhm…” fece l’altro “E fa tanto male se premo….qui?” chiese, spingendo con forza sulla ferita che stava diventando bluastra.

Maeve non riuscì a reprimere un gemito di dolore.

Il ragazzo si alzò, voltandosi verso il gruppo.

“Portatela dentro, e chiamate Grace.”

“Ma…” cominciò un tipo dalla cresta esagerata.

Un’occhiata di Mister Occhi Verdi troncò le sue proteste sul nascere.

“ E poi, riunitevi in mensa.”

Si voltò nuovamente verso di lei, accarezzandole una ciocca di capelli.

Maeve lo guardò male.

“Non ti preoccupare piccolina, che ora passa tutto…” non ebbe modo di notare il suo lieve cenno del capo verso un punto indefinito dietro di lei: qualcosa la colpì alla testa, forte, troppo forte.

Maeve svenne.

 

 

 

Zach alzò il bavero del giubbotto di pelle nera.

Dietro di lui, Owen, Christa e Simon costituivano il resto della Squadra Sette, mandata in perlustrazione a War. Lui avrebbe preferito essere da solo, ma sapeva di non potersela cavare in War.

Perciò aveva accettato. Quei tre sembravano abbastanza simpatici oltretutto, anche se non si era mai vista una squadra più squilibrata di quella.

Lui, un diciottenne ribelle e con un ciuffo tinto di rosso-arancione, dal fisico asciutto e non troppo alto.

Owen, un tipo mingherlino e piuttosto basso, con i capelli neri e gli occhi color acero, dalla provenienza non identificata. Aveva qualcosa di ambiguo quel ragazzo. Doveva sapere molte più cose di quante non facesse credere di sapere in realtà. Zach aveva il forte sospetto che avesse qualche parente in War. Ma era un ragazzo generalmente mite. Stranamente, era un allenatore di judo al quartier generale.

Christa, il tecnico di bordo, era intelligente e molto intuitiva…Una mezza indiana dall’aria eterea, che contrastava terribilmente con i suoi vestiti da vera neopunk. Aveva le gambe più belle che avesse mai visto, e gli occhi più azzurri che conoscesse. I capelli erano di un colore a metà tra il blu e il viola. Il tutto le dava un aspetto sicuramente inusuale. Ma era molto corteggiata, alla H.O.P.E.

Ed infine Simon, che il millennio precedente avrebbe fatto impazzire milioni di ragazze, col suo fisico da palestrato, i capelli biondi e gli occhi scuri. Paradossalmente, non faceva quasi mai sport. Era lo studioso migliore che conoscesse, e stava quasi tutto il giorno seduto su una sedia. Il suo fisico formidabile lo doveva ad un allenamento militare durissimo e a misteriose missioni su cui nessuno aveva mai voluto e potuto accertarsi.

Proprio una bella squadra.

Varcarono la soglia del bar.

Erano in War.

“Buona fortuna…” esclamò sarcasticamente.

Rachel è in debito con me di un bacio come minimo…

Naaa, facciamo un caffè. Ci tengo ai connotati, senza questo bel faccino non potrei più rimorchiare.

“Accidenti…” sentì Simon esclamare dietro di lui.

“Hanno fatto un bel casino qui…” aggiunse Christa.

“E penso anche di sapere chi è stato…” mormorò lui a mezza voce, rendendosi conto delle condizioni dell’ambiente attorno a lui. Solo Owen era stranamente silenzioso e si guardava intorno, sembrava quasi…preoccupato.

“Ehi, Owie, tutto ok?”

Il ragazzo parve riscuotersi.

“Uhm? Oh, sì, certo…” rispose con una tranquillità un po’ troppo ostentata per i suoi gusti.

Ciononostante, decise di lasciar perdere la questione per il momento.

Aveva decisamente cose molto più importanti a cui pensare.

 

I due idioti si erano fermati, sbirciando dietro alle colonne. Il tipo dietro di lei la spostò in modo che gli sguardi delle sentinelle non arrivassero a scorgerli. Ma evitò accuratamente di girarla verso di sé, come realizzò Rachel.

I due finalmente se ne andarono.

Sentì il tipo dietro di sé che si spostava leggermente per assicurarsi che le sentinelle se ne fossero realmente andate.

Eccolo.

Il momento che stava aspettando.

Il tipo lo percepì con un secondo di ritardo.

Con la rapidità di un’anaconda, si voltò puntandogli la pistola alla gola, e sparò senza troppe cerimonie.

Clic.

Ci fu un attimo di stupore assoluto, in cui si fissarono stravolti.

Scarica.

Oh merda, merda, merda, merda, merda….

Rachel si trovò davanti gli occhi più viola ma soprattutto più arrabbiati che avesse mai visto in tutti i suoi diciassette anni di vita.

“Mossa sbagliata, mocciosa” sibilò il ragazzo, e la stese.

 

Era tutto completamente nero. Buio. Poi cominciò ad intravedere una luce, e poi una sagoma. Era dunque giunto il momento della resa dei conti?

Sì, ma non nel senso che intendeva lei.

Aprì gli occhi di scatto, per trovarsene un paio viola che la fissavano, facendola leggermente rabbrividire.

Ma riprese il controllo di sé stessa con la stessa rapidità con cui l’aveva perduto. Non abbassò lo sguardo, anzi, rimase immobile come una statua di cera.

Si guardarono negli occhi per un tempo relativamente breve, ma a lei sembrarono secoli.

“Sei finita nella fossa dei leoni, dolcezza” enunciò infine il ragazzo dagli occhi viola. Poi si diresse alla porta, voltandosi un’ultima volta nero dagli occhi verdi “Non è molto gentile con gli estranei.”

E con un mezzo sorrisetto diabolico, se ne andò.

Rachel si voltò verso il felino, e rimasero qualche istante a fissarsi negli occhi. L’animale inclinò la testa da un lato, quasi a sfotterla.

“Al diavolo” biascicò Rachel, rivolta a nessuno in particolare.

 

 

Maeve si osservava la caviglia perfettamente medicata, con aria assente. L’avevano addormentata con un blando sedativo e poi curata. Ma perché? Non aveva senso spendere soldi nelle sue cure. Reclinò la testa sul cuscino, socchiudendo gli occhi. Se le fosse andata bene e fosse stata graziata, sarebbe rimasta comunque un ostaggio. E Maeve sapeva bene che le bande di War si divertivano a vedere i loro ostaggi soffrire. Rabbrividì. Dannazione a Rachel. Lo sapevo, non avrei dovuto darle retta. Se sopravvivo la ammazzo, parola mia. E pure io che mi metto in testa di fare l’eroina…che idiota!!

I suoi pensieri furono interrotti bruscamente dall’entrata di una ragazza. Era carina, piuttosto alta, longilinea. I corti capelli scuri le ricadevano morbidamente sul collo in tante ciocche scomposte, alcune trattenute da due mollettone gialle, sulla parte sinistra della nuca. La frangetta, asimmetrica, le copriva in parte gli occhi.

La si sarebbe potuta definire tranquillamente un tipo interessante. La ragazza si diresse verso di lei, le lanciò un mezzo sorriso e le controllò rapidamente la fasciatura e la ferita. Poi scrisse qualcosa su un taccuino e fece per andarsene. Maeve tirò su la testa, guardandola interrogativamente.

L’altra si fermò, guardandola sorpresa.

Poi sorrise: “Oh, pensavo dormissi!” fece con tono di scuse. Poi allungò una mano perfettamente curata nella sua direzione. “Dottoressa Springard.” Maeve gliela strinse, titubante. “Maeve. Non sapevo ci fossero dottori da queste parti. E tantomeno dottoresse.”

I medici erano merce rara, ormai. Per trovarne qualcuno dovevi recarti in uno degli ospedali migliori del quartiere, e si facevano pagare un sacco. Ma i medici davvero bravi stavano solo nei centri più belli e specializzati. Ce n’erano pochi e si trovavano tutti nei sobborghi ricchi: Golden e Kastel(la parte ovest). Quindi la sorpresa di Maeve era del tutto motivata.

L’altra sorrise nuovamente. “ Mi chiamo Graciel Amanda, ma visto che lo trovo un nome da corvo preferisco semplicemente Grace. E, in realtà, non sono una dottoressa, ma una biologa marina.”

Maeve sgranò gli occhi. “Davvero?”

La ragazza annuì. “Già. E’ davvero interessante, sai? E’ uno studio meticoloso ed utile. Oltretutto, con il Twilight così di recente formazione, così inesplorato…ci sarebbe una nuova storia da scrivere, capisci? Chissà. Pensa, sarebbe solo la prima tappa. Il mare verrebbe scansionato anche da studiosi, come gli archeologi. Pensa a cosa si potrebbe scoprire. Perché, effettivamente, cosa sappiamo noi della storia dell’ultimo millennio? Nulla. Insomma, siamo informate su rivolte varie, guerre e mutamento della superficie terrestre, ma lo siamo in maniera irrisoria. Ci sarebbero un sacco di altre vitali informazioni da scoprire, lo sento. Sarebbe mitico!!”

Caspita che parlantina! Doveva però ammettere che era rimasta affascinata.

Una fitta di dolore alla gamba destra la riportò alla realtà.

Odiandosi per quello che stava dicendo, chiese: “Ma, senti…non per essere scortese, ma visto che sei una biologa marina e non una dottoressa…”

L’altra afferrò al volo, ma non sembrò offendersi, anzi stirò le labbra in un sorriso rilassato.

“ Se ti curerò bene? Tranquilla. Sono biologa, sì, ma ho fatto parecchi studi di medicina perché volevo essere pronta per qualsiasi evenienza, visto che avevo intenzione di fare parecchie spedizioni nel Twilight. Ma non me ne danno il permesso.” Il suo viso aveva assunto un’espressione triste.

“Mi dispiace. E come mai?”

L’altra rialzò lo sguardo, senza traccia apparente di sentimenti. Il suo viso aveva una sfumatura molto professionale. “Beh, passiamo alle cose serie, ora. Dunque, qui” e le mostrò il taccuino “Ho segnato tutte, e dico tutte, le cose che devi fare per poter guarire in fretta quella caviglia. Le medicine che ti ho dato devi prenderle per tre giorni, alle otto, alle dodici e alle sedici, d’accordo? Ma tanto che te lo dico a fare, io mi chiedo, te l’ho già scritto…Beh, te lo lascio.” E si voltò nuovamente in direzione della porta.

“Aspetta!” la bloccò di nuovo Maeve, lanciando uno sguardo veloce al foglietto “Dove la trovo, tutta questa roba?”

L’altra la guardò sorpresa. “Non dirmi che non hai mai acquistato delle medicine. Non sei mai stata malata?” fece con tono impaziente.

“Certo che sì” replicò Maeve “Ma la metà delle spese la pagava la mia assicurazione sanitaria, e l’altra metà me la compravo da sola, ma chissà perché, mi sembra che queste non siano esattamente il tipo di medicinali che vendono in una normale farmacia.”
L’altra fece una smorfia. “No, infatti sono ancora in via sperimentale. Avrebbero potuto diffonderle già da dieci anni, è scientificamente provato che curano meglio e più in fretta, ma purtroppo l’azienda contrapposta a quella che diffonde quel tipo di farmaci dispone di un capitale più alto. E, puoi starne certa, lo usa.”

La Rossa annuì comprensiva. “Capisco. E quindi devo comprarle in nero…”

“Esatto. Sai dov’è il mercanteggio dei farmaci, vero?”

Le bande delle estreme periferie di War avevano visto che rispetto a quelle della parte interna erano molto più deboli, meno forniti e quindi finivano inevitabilmente per soccombere. Ragion per cui avevano deciso di buttarsi nel contrabbando. Ogni banda spacciava qualcosa. I più importanti erano medicinali, armi, e informazioni. Potevi trovare davvero qualunque cosa. Nel settore informazioni, in particolare, un assassino acuto poteva comprare la vita della sua vittima a poco prezzo. Nessuno sfuggiva al settore informazioni.

Maeve non era mai stata in nessuno dei settori di contrabbando.

“ A dire il vero…no.”

L’altra la guardò con un’espressione mezza scioccata.

“Vuoi dire che non hai mai preso un pr…??”

Stavolta fu il turno della Rossa di svicolare la domanda.

“Potresti darmi indicazioni?”

“Certo…ti farò accompagnare” sorrise l’altra, poi se ne andò, lasciando Maeve con una domanda sulla punta della lingua: da chi?

La sua curiosità fu presto soddisfatta. In camera sua si presentò un tizio dai capelli incredibili. Onestamente, non avrebbe saputo dire di che colore fossero nemmeno dopo averli fissati dieci minuti. La prima parola che le venne in mente fu “arcobaleno”. Un arcobaleno che comprendeva tutti i colori esistenti sulla terra. Allucinogeno.

Il tipo le regalò un sorriso a 127 denti.

“Andiamo, dolcezza?”

Maeve sospirò. Sarebbe stato un lungo, lungo, lungo giorno.

 

La Rossa si era cambiata con dei vestiti che le aveva portato la dottoressa Grace Springard, dei semplici jeans azzurri e un maglioncino color miele, e aveva raccolto i capelli in una coda. Già questo aveva contribuito a farla sentire più ordinata, dopo l’attraversata di War, in cui piuttosto che i vestiti che indossava, le erano rimasti stracci.

Fece per avviarsi all’uscita. Vide il tipo Multicolore che la stava aspettando, ma di fianco a lui c’era un altro ragazzo, dagli occhi verdi. Il pupo che maneggiava il mitra come se fosse un giocattolo.

Maeve represse con forza una smorfia di disapprovazione. Odiava gli idioti. Le ricordavano un momento non troppo felice della sua vita.

Il suddetto ragazzo la squadrò per qualche attimo.

“Sembra che siamo di nuovo in forze, piccolina….dai, come on, che non ho molto tempo…”

Maeve si morse forte la lingua per non dirgli che di sicuro non era lei, che voleva rubargli il suo tempo prezioso.

Si avviarono per le vie di War, in silenzio.

Mentre passavano accanto alla piazza in cui Rachel e la Rossa avevano fatto saltare i bidoni di benzina, Occhi Verdi sbottò inaspettatamente: “Certo che ne avete fatto del casino, eh?”

Lei lo guardò freddamente. “Così pare…”

Oh, wow, sono una degna discepola di Rachele.

Eh, Rachele…se mi sente chiamarla così mi ammazza.

Chissà se è riuscita ad uscire e a trovare gli aiuti.

Guardò i due che la scortavano tenendola quasi per mano.

Speriamo di sì.                                                                 

Voleva solo andarsene di lì.

 

Arrivarono allo spaccio in meno di un’ora. Avevano camminato a ritmo serrato e Maeve cominciava a sentire di nuovo male alla caviglia.

Si guardò attorno. Si trovavano in un piazzale più o meno rettangolare. I pavimenti dovevano essere stati mosaici molto belli, tanto tempo prima. Adesso, rovinati e privi della maggior parte di piastrelle, incutevano una certa tristezza. Sembrava la prova vivente del mondo che si sgretolava.

Sto diventando melodrammatica.

…Lo sapevo. Mio padre mi ha fatto leggere troppo Shakespeare.

 

 

“Wow, che figata!!” esclamò Zach scorgendo un disegno gigantesco, che si estendeva per centinaia di metri.

“Ehi, ma non è un graffit?” chiese Christa, interessata “E’ la prima volta che ne vedo uno…dal vero, perlomeno…”

I graffit erano una sorta di enormi murales, che nel passato, a War, erano stati usati per delimitare gli spazi di confine tra un Distretto e l’altro.

Questo in particolare recava degli strani segni ornati da una moltitudine di foglie e fronzoli che facevano sembrare la scritta immersa in una foresta, una cosa veramente notevole.

“Chissà che c’è scritto…” mormorò la ragazza, osservando quello spettacolo inusuale.

“ E’ cirillico” rispose prontamente Simon significa “L’occhio che vede Benvenuti nella foresta”

Owen lo guardò storto. “ Bella traduzione, peccato che manchi di senso compiuto…”

Simon lo squadrò con aria di sufficienza. Odiava essere ripreso, specialmente da quel piccoletto, con cui non aveva mai avuto un buon rapporto.

“Peccato – e se avessi studiato cirillico lo sapresti- che su quel muro c’è scritto esattamente quello che ho detto.”

Owen si erse in tutto il suo metro e sessanta di altezza. “Scommettiamo che ti sbagli, secchione?”

“Scommettiamo che ti faccio a pezzi, scarafaggio?”

Zach stava per intervenire, ma inaspettatamente la quieta Christa lo battè sul tempo.

“Oh, finitela…ci sarà una traduzione da qualche parte, no??”
Simon si voltò verso di lei “Purtroppo no. Insomma, a nessuno è mai importato molto di quello che c’era scritto: si capiva benissimo in che Distretto si era capitati semplicemente guardando il disegno, questo per esempio è GreenHearth, e immagino l’abbiate capito anche voi.”

“E allora, sottospecie di topo da biblioteca?”

“ E allora, sorcio, nessuno prestava attenzione alle scritte. E poi, ammettiamolo: se non foste abituati a decifrare file crittati, davvero avreste capito che si trattava di una scritta e non di un abbellimento della figura, notando anche come sono messe le lettere?”

“ Sì, io però non credo che nessuno l’abbia mai capito…almeno qualcuno deve averci provato, no?”

“Già, ma probabilmente hanno lasciato perdere, immagino. Anzi, aspetta…deve esserci stato un tipo che ha pubblicato un articolo proprio su questo, tempo fa…l’ho trovato perché cercavo notizie su questo posto per conto di Rachel e…non so chi altro…era un tale…Jon…Jan…come si chiamava? Ah, giusto: James Elvergard!!”

Christa era perplessa. “Ma non è quello che è sparito nel nulla?”
A Zach invece non tornava qualcosa. “Cercavi notizie su War per conto di Rachel???”

“ Sì, in effetti, era proprio lui…” Simon, fronte aggrottata, aveva la tipica espressione che assumeva mentre stava pensando intensamente.

“ Ti ricordi per caso la data dell’articolo, Simon?”

“A che servivano a Rachel delle notizie su War..?”

“ Certo. 24 dicembre 3004.”

“Esattamente una settimana prima che venisse pubblicato il famoso articolo dei test su cavie umane, quindi…”

“Insomma, lei odia questo posto..”

“ E’ corretto.”

“ Noi non sappiamo il giorno esatto in cui è sparito, giusto?”

“ E quindi non avrebbe motivo di interessarsene..”

“ Giusto. E’ apparso un articolo qualche mese dopo la sua sparizione, ma nessuno sa con esattezza quando ciò sia avvenuto.”

“ Queste scritte in cirillico ci sono anche sugli altri graffiti, che tu sappia, Simon?”

“ E’ bello sentirsi ascoltati..”

“ Non lo so. Penso di sì, a rigor di logica…ma dove diavolo vuoi arrivare, Christa?”

“ Al fatto che forse le cose non si sono svolte come tutti credono, Simon. E se la mia teoria è giusta, forse so cos’è successo a Rachel.”

 

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Ehilà belli!!! Come vi butta?

….

Mi sono immedesimata nello spirito di War, scusate :DDD

Tornando seri….buona Pasqua, tantissimi auguri, anche se in ritardo!!

Allora, cosa ne pensate di questo capitolo? Devo ammettere che io mi sono divertita troppo a scriverlo, soprattutto l’ultima parte!!! ^_____^

Passo ai ringraziamenti:

 

L_Fy: Eh, povero Zach…suo padre comunque si è offeso parecchio, ma dato che è un uomo di classe(così dice) si limiterà a scorticarti. Lascialo perdere ^-^

Rachel ricorda che essere chiamata Rachele le fa saltare fuori gli istinti omicidi nascosti, e che quindi è meglio essere prudenti, e per il fatto di Maeve, dice che sono cause di forza maggiore!!

Seth, dopo la tua domanda, ha chiamato un’avvocato e si è rinchiuso nello studio insieme a una quattro stagioni lunga tutto il tavolo…speriamo che non vada in overdose di pizza…

Beh, se vuoi andare a The Forgotten, posso farti un buon prezzo…o sennò ci vieni con me in vacanza-studio quest’estate :DD

Tu te pigli il tipo con gli occhi verdi e io quello con gli occhi viola, né?

Ok, la smetto ^__________^

A parte gli scherzi, grazie mille dei complimenti, continuerò il prima possibile!!

 

Mucchilla_Cinghillo: Ma ciao!! ^-^ Nessuno ha capito chi è? E io che credevo di essere stata scontata!! Beh, meglio ^_^

Aspetta e lo scoprirai!!

Detto fatto, il pattugliamento c’è…forse però non è esattamente come te lo aspettavi :D

Però mi fa troppo morire ‘sta squadra…prevedo scintille, come disse Nerone prima di incendiare Roma.

Spero che ti piaccia il nuovo capitolo!!

 

Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando!!

 

Un bacione

Ginevra

 

 

 

 

 

 

 

 

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