H&H- Hetalia Halloween

di Ceci Princessofbooks
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pumpkin - dell'importanza di una zucca ***
Capitolo 2: *** Mask - della dolcezza di un inganno ***
Capitolo 3: *** Ghost - della paura di ricordare ***
Capitolo 4: *** Fear - del coraggio di essere se stessi ***
Capitolo 5: *** Scary Tale - del dono di una sera ***
Capitolo 6: *** Holiday - dell'ostinazione di una speranza ***
Capitolo 7: *** Gift - della grammatica di un profumo ***



Capitolo 1
*** Pumpkin - dell'importanza di una zucca ***


Pumpkin – dell'importanza di una zucca

 

Alfred è un bambino dai capelli di sole e gli occhi della sfumatura ricca delle nocciole, avvolto nella pesante camicia da notte. Il freddo violetto di Ottobre preme contro i vetri, ma la casa sa di fuoco e cera e pane; e poi c'è Arthur, e niente sa scacciare il buio come il suo abbraccio silenzioso. Ora è seduto sulla sua poltrona di pelle, di fronte al camino, la lingua catturata tra le labbra come ogni volta che deve concentrarsi. Sulle sue ginocchia, una grande cosa arancione.

-Ciao, piccola aquila- il suo sorriso è quello speciale che riserva solo alle rive della sua terra. E a lui. Allunga la mano, scompigliandoli la frangia.

-Cosa stai facendo?- chiede Alfred, sporgendosi oltre la sua coscia; e caccia un urlo terrorizzato. Sulle gambe di Arthur c'è un volto orribile, la bocca un ghigno deforme, gli occhi cavi e senz'anima, scavati in una mostruosa carne d'arancio. Nascondersi contro il petto accanto a lui è naturale come respirare.

-Calmati, Al. Va tutto bene. È solo una zucca di Halloween.-

Alfred solleva gli occhi, ma non lascia la presa. -Halloween?-

Arthur annuisce e posa l'orrenda sfera sorridente sul tavolo, issandoselo un attimo dopo sulle ginocchia. Il bambino lascia scorrere la mano sul tweed spesso dei pantaloni, sulla curva ossuta e tiepida che l'ha accolto tante volte. - É una festa che abbiamo in Inghilterra. È molto antica, sai? La festeggiava già mio nonno, quando si costruivano enorme templi di pietra ed erba e gli uomini pregavano sotto le querce.-

-E che cosa si fa ad Halloween?-

-Oh, una cosa molto strana e molto importante: ci travestiamo e fingiamo di essere dei mostri.-

Il volto di Alfred è ancora incerto, ma guizza della curiosità un po' avventata con cui stana i coyote nelle loro tane. -Mostri? Come quelli delle storie?-.

-Proprio quelli.-

Lui riflette un attimo. -E non vi fanno paura?-

Il sorriso di Arthur diventa più profondo, e brilla come una lacrima. -No, non ci fanno paura. Ci ricordano quanto è bello essere umani, e che la cosa migliore per affrontare la paura è stringerci insieme contro tutte le grandi forze che ci turbinano intorno e che non capiamo.-

Il piccolo risponde al sorriso, e la zucca improvvisamente non è più così spaventosa. -Mi piace questa festa.-

Nei secoli che seguiranno, Alfred non dimenticherà mai di festeggiare Halloween.

 

Piccola cosa in onore di una delle mie feste preferite: una spiegazione “all'Hetalia” dell'affezione statunitense per Halloween...il riferimento al nonno di Arthur è, ovviamente, al mondo celtico (l'albero genealogico è tutta una mia invenzione.). Spero vi sia piaciuta, e alla prossima.

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Capitolo 2
*** Mask - della dolcezza di un inganno ***


Mask – della dolcezza di un inganno

 

Parigi, 1951

La casa di Francis è un globo di luci e di voci; drappi di velluto nero e arancio festonano le alte finestre della villa, pallide di freddo e d'Ottobre. I tavoli velati di stoffa violetta rigurgitano di torri di cialde e vassoi di mele caramellate. L'aria ha l'inconfondibile odore delle feste: sudore e spumante e profumo troppo forte. Ludwig scivola con grazia tra gli invitati, il pavimento di lucido legno di quercia tremolante di riflessi d'oro. Tutto gli ricorda la giostra dei cavalli su cui giocava da bambino, i cavalli ornati di stucchi scintillanti, la danza degli specchi al tintinnio della musica.

Quando ero più ingenuo. Quando non sapevo quanto la giostra del mondo possa far male, ed ero più felice.

È un gesto automatico, necessario, voltare gli occhi a cercarlo. Come il meccanismo di una giostra.

Incredibile. Non è cambiato per nulla.

Non lo vede da anni, da un pomeriggio di pioggia e silenzi in cui lui l'ha guardato dall'altro lato del banco di un tribunale.

Non lo vede da quando il suo sguardo per la prima volta ha evitato il suo.

Non lo vede da quando è stato sconfitto, due volte.

E la seconda è stata mille volte peggio.

Sa che non dovrebbe, ma sa anche di non poter impedirselo: perché questa notte urla di fantasmi, e non allungare una mano in cerca di una stretta è impossibile.

Ludwig si dirige verso l'angolo della sala, e non rallenta.

 

Quando Feliciano alza lo sguardo dalla coppa di punch che non reggerà mai, vede solo bianco. È bianco il mantello, è bianca la piuma sul cappello, è bianca la maschera che cancella il volto dietro uno sguardo senza bocca. Ma sotto il bianco è facile, troppo facile, scorgere l'oro.

Feliciano si rende conto di non respirare solo quando la sagoma è di fronte a lui. Deglutisce, ma il sapore di cenere non se ne va.

-C-chi sei?- chiede, perché questa è la notte degli inganni e delle fantasie, e bisogna recitare fino in fondo.

-Semplicemente uno spettro. Che vorrebbe augurarti buon Halloween.- Le braccia dello sconosciuto si spalancano, invitandolo.

E allora Feliciano agisce come sempre ha fatto: si getta avanti, senza paura di cadere e senza rimpianto.

Questa è la notte delle maschere, e delle magie: e allora si può anche dimenticare il tempo, e la crepa atroce del perdono. Sul petto dell'uomo in bianco, sussurra il suo augurio: -Buon Halloween.-

Ma per quanto il buio possa nascondere, non potrebbe mai confondere con un'altra quella stretta.

 

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Capitolo 3
*** Ghost - della paura di ricordare ***


Ghost – della paura di ricordare

 

I fantasmi non gridano, ma sussurrano.

Arthur l'ha imparato da bambino, quando per la prima volta i suoi occhi, le sue ossa, hanno catturato il mondo segreto nascosto sotto quello di carne e sangue: frammenti, manciate di riflessi, ma abbastanza per chiedersi come mai gli altri bambini non lo vedessero, e da intuire la verità.

Tu sei fatto di terra e di nebbia, Arthur, come tutta la nostra famiglia, gli aveva detto il nonno, il torques che splendeva d'argento sulla gola rugosa, perciò puoi scorgere le creature che gli uomini hanno imparato a dimenticare, o di cui pretendon di ridere. Una parte di te appartiene alla stessa sostanza dei folletti e degli elfi, e ti lascia socchiudere la soglia tra noi e loro.

Ma allora perché vedo anche gli spiriti di chi se ne è andato?

Perché la morte è solo un'altra soglia.

All'inizio, non era stato difficile da sopportare: i morti erano una presenza schiva, un'ombra che più che incombere proteggeva, e che poteva arginare con un semplice atto di volontà. Ma poi erano passati gli anni, e i secoli, e gli spettri avevano cominciato ad avere sguardi che riconosceva e a parlargli di storie che aveva visto morire. Alleati che aveva guardato svanire urlando il suo nome; compagni che gli erano caduti accanto senza il conforto di una mano tesa; amici che aveva calpestato per andare avanti.

Perché è questo ciò che fa: Arthur cammina. Arthur si aggrappa ad ogni passo del suo sentiero, respirando polvere e piscio, spaccandosi le nocche contro i cocci; a costo di qualunque umiliazione, e qualunque colpa. Ha conquistato, commerciato, innalzato città rigurgitanti di stoffe e di idee, offerto alle mani e alle menti del suo popolo oceani e terre e altri soli; ma intanto i fantasmi crescevano, e ricordavano.

Lo fanno anche ora, mentre lui è in piedi al limitare del campo base, il vento d'Ottobre frammischiato di buio e ghiaccio. Li vede chiaramente: pallidi sussulti di luce, scampoli di garza impigliati in una danza senza fine. Hanno bocche marce, bisbigliano senza rumore il loro invito.

Vieni da noi, Arthur. C'è un posto per te. C'è da tanto tempo.

No. Io non sono ancora morto.

Davvero, Arthur? Sei nato in un tempo che ormai quasi nessuno ricorda, e hai seppellito molti che hanno vissuto la metà delle tue albe. Davvero, Arthur?

Smettetela, io sono vivo. La mia terra è prospera, la mia gente non teme più il freddo e la fame.

Quante volte un popolo è morto senza saperlo?

Quando una mano si posa sulla sua spalla, Arthur sussulta come un naufrago strappato all'oceano. Gli spiriti si estinguono come fiamme, ma il loro odore, quell'impasto di resina e incenso e materia che imputridisce, è aggrovigliato alla lingua.

-Ehi, Art. Sempre il solito compagnone: non ti sei fatto vedere per tutta la serata. Ti sei perso anche la mia imitazione di Ludwig.-

La voce di Alfred è quella di sempre, inopportuna e appassionata come uno squillo di tromba. Sprigiona forza, e speranza.

Vita.

Arthur si volta verso di lui, lentamente.

-Ah, okay. Sei in uno dei tuoi momenti così, ho capito. Sparisco prima che tu possa picchiarmi...-

-No.- la richiesta affiora d'improvviso, spezzata, come un gesto avventato, come le preghiere più vere. -No, non andare.-

Perché sei tutto ciò che io non sono più, e perché con i tuoi occhi so di nuovo amare ciò che deve venire, e non ciò che è solo polvere.

Alfred aggrotta le sopracciglia. -Come?-

Lui si avvicina, avvinghiandosi ai risvolti del suo giubbotto di pelle. -Ho detto, non andare.-

Poi lo bacia e come sempre, si chiede che cosa loro due siano.

Amici.

Compagni.

Amanti.

Per la prima volta, trova una risposta.

Non siamo fantasmi, e questo basta.

 

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Capitolo 4
*** Fear - del coraggio di essere se stessi ***


Fear – del coraggio di essere se stessi

 

Quando Ludwig entra nel catastrofico disordine dell'appartamento di Feliciano, c'è solo fumo.

Scivolare nei gesti dell'istinto, l'istinto che anni di disciplina e di cenere gli hanno cucito sulla pelle, è quasi troppo facile: prima ancora di respirare, è già rotolato in ginocchio in un angolo cieco, il braccio alzato a proteggersi dal fumo e la fondina della pistola slacciata. Scruta la stanza offuscata con occhi di ghiaccio, ma il cuore gli sta sfondando il petto. No, no, non Feliciano. Portami via tutto, ma non Feliciano.

Deglutisce, ma la paura resta impigliata nella gola. -Feliciano!- chiama -Feliciano!-.

Nessuna risposta.

Le ipotesi si affastellano come falene impazzite, troppo confuse, troppo vivide. Un bombardamento. Un attacco. Un rapimento.

-Feliciano!- grida, e sembra quasi una preghiera.

No, no, non lui. Non l'unica cosa nuova e fresca che abbia da tanto tempo.

La voce arriva improvvisa, una nota goffa e flautata che non può non riconoscere.

-Oh, nooo! Non è giusto!-.

Ludwig esita un istante, stordito dal sollievo; poi si alza meccanicamente, e si getta tra le volute oleose verso la stretta porta della cucina. Ormai è quasi un riflesso abbassare la sua considerevole figura per non cozzare con l'architrave. -Ma cos...-

Feliciano è di fronte a lui, i ciuffi ramati ancora più scarmigliati del solito, un numero impressionante di sbaffi di farina e fuliggine sul volto e gli occhi tondi pieni di tutto lo scoramento del mondo. Serrato tra i guantoni da forno, un grumo fumante accocolato in una teglia.

Ludwig batte le palpebre, lentamente. -Cosa accidenti hai fatto, Feliciano?-

Lui arriccia le labbra, lanciando uno sguardo truce alla bolla che sta esplodendo con un risucchio repellente nella poltiglia tra le sue mani. -Ho fatto...ho cercato di fare i biscotti di Halloween.-

-I biscotti di Halloween?-

-Bè. Arthur mi ha dato la ricetta, e volevo farti una sorpresa. Ma credo che qualcosa sia andato terribilmente storto.-

-Già, ho anch'io quest'impressione.- Ludwig avanza, e come sempre si stupisce di quanto minuto sia il suo compagno; di come tanta vita e tanto testardo entusiasmo possa concretarsi in uno stampo così piccolo.

Feliciano si volta, scaraventando la teglia sul pianale del gas con uno schianto di metallo e plastica. -Uffa, non è giusto! Io volevo prepararti i biscotti così quando saresti tornato li avremmo mangiati insieme sul divano e avremmo acceso la stufa e ci saremmo raccontati storie di paura e...-

Lui continua il suo monologo con l'innocente accanimento che gli appartiene, ma Ludwig non lo ascolta più; si perde a guardarlo, e a stupirsi di quanta parte del suo cuore possieda quell'assurda e calda creatura.

Feliciano, che corre lungo la sua strada ridendo, non importano i graffi o le ginocchia sbucciate.

Feliciano, che è il primo sacerdote della vita e della sua bellezza.

Feliciano, che sa amare senza paura e senza orgoglio.

Quando vede che la piena di parole si è ritirata, Ludwig si avvicina ancora e gli sfiora la spalla, indugiandovi solo un istante. -Ma tutto quello che hai detto possiamo ancora farlo. Soltanto, che ne dici se al posto dei biscotti ordiniamo una pizza?-

Il trillo di gioia di Feliciano lo fa sorridere come null'altro al mondo.

 

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Capitolo 5
*** Scary Tale - del dono di una sera ***


Scary Tale – del dono di una sera

 

-Bè? Come sto?-.

Alfred è in piedi in mezzo al salotto, un sorriso ebete sul volto e un groviglio di bende, o meglio, di carta igienica, avviluppato intorno. Ha le mani puntellate contro i fianchi e le gambe divaricate, come un conquistatore reduce da qualche sfolgorante vittoria.

Vittoria al campionato di idiozia, certamente.

Il pensiero maligno ha come contrappunto un immediato sternuto, che minaccia di proiettare Arthur fuori dal divano su cui è accocolato. Il raffreddore l'ha colto alle spalle e l'ha seppellito in una nube di fazzoletti e ossa liquide; d'altronde è Ottobre, e il freddo morde con zanne scarlatte. Sicuramente, la sosta sotto la pioggia prima di entrare al cinema non ha aiutato.

E indovina a chi si deve l'iniziativa?

Gli scocca uno sguardo acidulo. -Sembri il cesto della biancheria sporca.-

Alfred si produce nella sua migliore espressione da cucciolo ferito. -Ma-ma come? Ci ho messo tutto il pomeriggio a costruire questo costume!-.

-Sono solo la voce della verità.-

Un altro sternuto.

La fronte dell'altro rimane aggrottata per dieci secondi esatti, prima di schiarirsi nel suo sorriso da bambino sornione. Il viso di Alfred è come il sole; anche dietro la pioggia, c'è sempre luce. -Ah, tanto non ti ascolto quando diventti urticante come un'ortica. E adesso sbrigati; quest'anno voglio andare a fare dolcetto o scherzetto, e non accetto compromessi.-

-Non sei vagamente troppo cresciuto per queste cose? E poi è “dolcetto o scherzetto” è un'abitudine pacchiana che non c'entra nulla con le nobili origini di questa festa.-

-E dai, Art. Certe volte sei partecipe come uno dei tuoi dolmen.-

Arthur tenta di ribattere, ma un grappolo di sternuti minaccia di strozzarlo. Quando si riprende, ansima come un mezzo affogato.

Alfred è al suo fianco prima che riesca a riacquistare il suo cipiglio beffardo. -Ehi, Art. Va tutto bene?-

-Sì- annaspa, seppellendo il volto nell'ennesimo fazzoletto ricamato. -Solo che, a prescindere dalla mia partecipazione, credo che una scampagnata in una notte gelata non sarebbe esattamente un toccasana. Io leggerò un po'.Vai tu, mi racconterai tutto dopo.-

-Oh.- Accovacciato accanto al bracciolo, Alfred si abbraccia le ginocchia, le labbra arricciate in un broncio pensoso. Gli occhi hanno il colore del cielo, senza sospetti, senza esitazioni. -Allora resto con te.-

Inarca un sopracciglio. -Come?-

-Resto con te. Avanti, fammi spazio. - Con la sua consueta, spensierata goffaggine si issa sul divano.

Anche l'altro sopracciglio si solleva. -Ma...ma tu ci tenevi tanto.-

-Sì, ma ci tengo di più a passare questa sera insieme. Dopotutto, è la nostra festa, no?-.

D'improvviso, tutti le stoccate sarcastiche che gli sono affiorate alla mente sembrano insensate, e inutili: perchè l'amarezza protegge il cuore, ma non lo riempie. -Davvero?- chiede, e imputare il tremolio della voce al raffreddore è una scusa penosa.

Alfred annuisce con energia. -Certo. In fondo potremmo sempre organizzare una festa in maschera per sfoggiare questo fantastico costume. Piuttosto, cosa stai leggendo?- chiede, avvolgendolo con il braccio; accocolarsi sul suo grembo è un riflesso istintivo.

-Dracula. -risponde Arthur, assente -mi sembrava adatto alla giornata.-

-Wow. Sembra forte.-

Arthur lo guarda. Forse è anche questo l'amore: preferire stringersi all'altro nel freddo, piuttosto che sedersi di fronte ad un fuoco solitario.

Ha rinunciato alla sua serata, e l'ha fatto per me.

Per un momento, si chiede quanto Alfred sarebbe capace di sacrificare per lui, di quanto si priverebbe per la sua felicità.

Dentro di sé, decide che non vorrà mai scoprirlo.

-Allora? Me ne leggi un pezzetto? Ma facendo le voci, se no mi addormento.-

Arthur ruota gli occhi, ma non si sottrae neppure un poco alla stretta.

-D'accordo, ma se cominci a russare ti butto giù dal divano.- si schiarisce la gola, e comincia, mentre il buio preme e grida. Fuori. - 3 maggio, Bistrita. Lasciata Monaco alle 20,35 dei primo maggio, giunto a Vienna il mattino dopo presto; saremmo dovuti arrivare alle 6,46, ma il treno aveva un'ora di ritardo...-

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Capitolo 6
*** Holiday - dell'ostinazione di una speranza ***


Holiday – dell'ostinazione di una speranza

 

Londra è ferita, e sanguina.

Asole nere squarciano i tetti, e i vetri, lì dove sono cadute le bombe, si sono fusi come stalattiti sui muri mozzati; l'insegna di un droghiere è sepolta tra i calcinacci, la vetrina sventrata dal fuoco. La guerra è appena finita, ma è quando l'eccitazione e la rabbia si estinguono che le ferite cominciano a fare davvero male: un posto vuoto a tavola, una risata che non riempirà più una casa, un completo appeso nell'armadio ancora impregnato dell'odore di chi l'ha portato. Piccole crepe che rallentano appena il passo, che pungono ogni volta che batte il sangue.

Arthur le vede negli occhi dei passanti, delle donne che sbattono i panni fuori dalle case, mentre passeggia lungo le strade; zoppica ancora un poco, come la sua gente, e le ossa gli tremano di febbre.

Ma mi riprenderò. Come si riprenderanno loro.

Alfred è al suo fianco, un braccio intrecciato al suo, per sostenerlo senza che se ne accorga. Da quando, dopo la vittoria, gli si è afflosciato tra le braccia, non l'ha perso di vista un istante.

E, per una volta, non è una sensazione così spiacevole.

Arthur si gira, il passo acciaccato e testardo, e sorride. Tra le finestre infrante, sulle porte mangiate dalle esplosioni, cento piccole sfere arancio, luci d'ambra che danzano dietro ghigni intagliati.

È autunno. È pace. È la sera di Halloween.

-Hai proprio un grande popolo, Art.- dice Alfred, stringendogli il gomito sopra il cappotto.

-Già- risponde, e non gli importa che veda i suoi occhi lucidi. -Hai proprio ragione.-

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Capitolo 7
*** Gift - della grammatica di un profumo ***


Gift – della grammatica di un profumo

 

Ludwig ha sempre amato l'odore della casa di Feliciano: quell'impasto di zucchero e borotalco e frittura che gli invade le narici e gli riempie il petto, specialmente dopo una giornata di allenamenti e marcie nel fango grigio della campagna. Specialmente dopo aver indossato per tante ore la maschera bianca e rigida che, soprattutto da quando ha imparato di nuovo a sorridere, punge e tira sulla pelle.

Oggi però c'è un'altra nota, sotto il profumo che ormai è diventato quello di casa. Aprendo la porta, Ludwig spera disperatamente che non si tratti di un nuovo esperimento culinario.

Potrei non sopravvivere and un altro gulash rielaborato.

-Feliciano!- chiama mentre si sfila gli anfibi nell'ingresso -Sono tornato. Ci sei?-

Niente. Avanza, lasciando i guanti di pelle sulla cassapanca contro il muro. La cucina è un pozzo di buio tenero, un'unica candela che oscilla come una lucciola sul tavolo. Accanto, un piatto di ceramica, uno di quelli dell'unico servizio che Feliciano non ha rotto e conserva gelosamente dai tempi della sua infanzia.

Inarcando un sopracciglio, Ludwig si avvicina, la fragranza misteriosa che diventa più intensa. E finalmente scopre da dove proviene.

Castagne?

Perché Feliciano ha lasciato un piatto di castagne in cucina?

È strano addirittura per lui.

Guarda i frutti tondi e lucidi, perplesso; in quel momento, lo stomaco gorgoglia abbastanza da imporporargli il volto. D'altronde, è da ore che non mangia nulla.

Bè, se le ha lasciate qui vuol dire che posso approfittarne, no?

Lentamente, come un bambino nel pieno di una marachella, allunga una mano, sollevando una piccola bacca scura. Sorride, ricordando quando le cercava nel morbido arazzo delle foglie cadute, nei boschi pieni di tempo e di pioggia dietro la villa in cui è cresciuto.

Quando il mondo era più giovane, e anch'io.

Stringendo la lingua tra i denti, comincia a spaccare il guscio.

Ed è in quel momento che una tempesta rossa e blu gli precipita addosso.

-Nooo!-

Nemmeno i sensi acuminati di Ludwig hanno tempo di prepararsi: prima di rendersene conto è a terra, i polsi serrati da piccole mani calde, un turbine di capelli e stoffa che si agita sopra di lui. Gli occhi però, della stessa sfumatura delle castagne, sono inconfondibili.

-Feliciano- dice, invocando tutta la compostezza nordica che lo contraddistingue -che diamine stai facendo?-.

Per tutta risposta l'altro, seduto a cavalcioni su di lui, indica il piatto sul tavolo. -Le castagne. Non sono per noi. Sono per loro.-

Ludwig inarca un sopracciglio. -Loro chi?-

Feliciano rotola sul pavimento, rimettendosi in piedi con la sua agilità dinoccolata da scoiattolo. -Loro che sono dall'altra parte. Gli spiriti. I fantasmi.-

Ludwig si rialza faticosamente, chiedendosi quanti lividi gli lascerà il pavimento di piastrelle.

-E da quando i fantasmi mangiano castagne?-.

Feliciano, come sempre, non esita neppure un istante. -Da sempre. È una tradizione della mia terra, sai?- continua, recuperando il frutto caduto e rimettendolo accuratamente, no, amorosamente, sulla pila sopra il tavolo. - La sera prima di Ognissanti, gli spettri possono tornare dai loro familiari, e quindi si lascia un piatto di castagne per loro, qui, accanto al fuoco. Per ricordare che non sono da soli, e non li abbiamo dimenticati.-

C'è qualcosa, nella voce di Feliciano: una nota stridente, che non gli appartiene. Odore di cenere, sotto quello di buono e pulito che si porta addosso.

Ludwig si avvicina piano, e lascia scivolare una mano sulla sua schiena; il suo corpo non si tende, neanche un momento, e si adatta alla sua stretta come creta. Come se fosse stato plasmato per la sua mano.

-Ti manca, vero?-

-Tanto. Soprattutto in questi giorni.-

Rimangono così, fissando il piatto, i riflessi liquidi della candela.

Poi Ludwig si schiarisce la gola.-Lo sai, sono sicuro che a tuo nonno piaceranno tantissimo le castagne.-

Feliciano solleva lo sguardo, e la cenere è solo un retrogusto sulla lingua. -Credi davvero?-

Sorride. -Certo.-

Nella luce della fiamma, le loro ombre si fondono in una.

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