Regalo di Compleanno

di TheGreedyFox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



Questa storia fa parte della serie "You Take My Heart by Surprise".



Questa è, in assoluto, la prima fan fiction che abbia mai scritto. Il tema del compleanno non è scelto a caso, infatti questa storia è nata come regalo per la mia cara amica Penny (anche lei totalmente persa per quei due meravigliosi personaggi che sono Merlin e Arthur!), che mi ha poi convinto a pubblicarla e vi ha messo del suo diventando la mia beta e realizzando il fantastico banner che vedete sotto. Grazie Penny, il tuo aiuto è come sempre impagabile!
Vista l’occasione per cui mi era stata richiesta, ho pensato che sarebbe stato carino raccontare una storia che parlasse di vecchi amici e regali inaspettati e questo è il risultato! 
Spero che troverete divertente leggere questa fan fiction quanto lo è stato per me scriverla, e se vorrete farmi sapere che ne pensate, mi farete solo felice!
Quindi bando alle ciance! Eccovi quello che sarà il primo di cinque capitoli. La storia è praticamente già scritta, devo solo darle qualche ritocchino qua e là, quindi dovrei riuscire ad aggiornare con discreta regolarità, almeno una volta a settimana. 
Enjoy!
Sofy

“Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della BBC; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro”.





Regalo di Compleanno

 

Aveva trovato il biglietto aereo solo il giorno prima.
Nascosto senza neanche troppa cura in un cassetto, riposto in una semplice busta bianca, così sottile da permettergli di leggere a chiare lettere il suo nome e la data che avrebbe cambiato tutto di loro due.
Non aveva bisogno di aprirla per sapere cos’era, Merlin sapeva già che quello era il suo regalo, il regalo che aveva atteso per tutta una vita, quello su cui aveva fantasticato fin da bambino e che aveva diligentemente nominato ogni anno nelle sue lettere a Santa Claus.
Era il sogno per cui da adolescente aveva iniziato a lavorare alla tavola calda di Al ma che aveva dovuto accantonare presto e a malincuore, per risparmiare i soldi per il college.Certo, se un cliente di quando in quando gli elargiva una mancia più generosa del solito, una piccola parte di quei soldi finiva immancabilmente nel fondo per il suo sogno segreto, in una lucida scatola rossa custodita gelosamente accanto al suo letto, ma la somma che riusciva a riporvi, era sempre così irrisoria che il guardarla non serviva che a far sembrare quel sogno ancora più irrealizzabile.
Quindi, quello che Arthur gli stava per donare l’indomani, poteva ben definirsi il regalo dei regali, quello che più di tutti Merlin aveva sognato, aspettato, desiderato.
Solo che ora Merlin non lo voleva più. Non come prima.
Perché ormai da tanto tempo, il suo sogno segreto era un altro.
Ma questo Arthur non avrebbe mai dovuto saperlo.

La sua festa a sorpresa, quella che Arthur aveva organizzato per lui, bisbigliando con i loro amici alle sue spalle per tutta la settimana nel vano intento di riuscire a fargliela sotto il naso, era programmata per l’indomani sera. 
La data di partenza sul biglietto era fissata per il giorno successivo.
Merlin cercò di immaginarsi quel giorno.
La felicità che avrebbe dovuto fingere, le lacrime che non era sicuro di riuscire a trattenere, le parole che sapeva non avrebbe pronunciato.
Arthur gli stava dando l’opportunità di partire pensando con tutto il cuore di farlo felice e lui gliel’avrebbe lasciato credere.
Perché Arthur era un buon amico. Il migliore.
E se Merlin si era innamorato di lui, davvero non poteva fargliene una colpa.
Forse era il destino di Arthur quello di regalargli sia gioia che dolore nel giorno del suo compleanno.
Del resto era sempre stato così tra loro, fin dall’inizio.



1° Compleanno

Merlin compie cinque anni, è la sua festa e lui non conosce nessuno.
Lui e la sua mamma si sono trasferiti a Londra da poco, in una piccola casa in periferia.
Hunith, sua madre, ha trovato lavoro in una tavola calda, deve prendere almeno tre autobus per raggiungerla ma lei dice che il posto le piace e che è contenta così.
Al, il proprietario, è una brava persona e la tratta bene. Non le affida turni troppo pesanti e la paga a sufficienza per permettere a lei e Merlin di saldare l’affitto e tirare avanti con dignità.
È stato proprio Al a contattare Hunith dopo la morte di Balinor e ad offrirle quel lavoro. Al è stato un caro amico del padre di Merlin ed ogni volta che Merlin lo incontra, non fa che ripetergli quanto lui glielo ricordi.
Per questo Merlin ce l’ha un po’ con lui.
Merlin non vuole pensare a suo padre.
Perché quando lo fa gli viene sempre voglia di piangere.
In questo sua madre è più brava di lui. Anche lei pensa sempre al papà di Merlin, eppure riesce comunque a sorridere e a ricordare i momenti felici passati insieme. Hunith non ha paura di sentirsi triste e Merlin vorrebbe essere coraggioso come la sua mamma ma non ci riesce.
Suo padre gli manca troppo, lui era il suo amico speciale.. qui a Londra Merlin non ha nessun amico.
Lo zio Gaius non c’è.
E nemmeno Will.
La nuova scuola non gli piace, gli altri bambini si tengono lontani da lui e Merlin non capisce perché.
In cuor suo sa di essere diverso da loro, che i loro vestiti sono più belli e i loro zainetti niente affatto logori ma Merlin ama il suo zainetto rosso, è l’ultima cosa che suo padre gli ha regalato, quello che gli aveva detto l’avrebbe accompagnato intorno al mondo, e quindi non importa se quegli stupidi dei suoi compagni ridono di lui, dei suoi vestiti, del suo zainetto e delle sue orecchie.
Merlin sa di essere migliore di loro, più intelligente, perché in quella scuola non accettano bambini che abitano nel suo quartiere, a meno che non siano molto, molto speciali. E suo papà glielo diceva sempre: “Merlin, tu sei un bambino molto, molto speciale”.
Ciò non toglie che sia strano per Merlin vedere tutti i suoi compagni correre per il cortile della scuola e gridare e divertirsi e mangiare la torta che la sua mamma ha preparato per lui, senza invitarlo ad unirsi a loro, come se non fosse il suo compleanno, come se lui non fosse neanche lì.
Vorrebbe tanto avere vicino Will.
Will avrebbe giocato con lui, Will avrebbe riso più forte degli altri bambini, avrebbe architettato degli scherzi fantastici, avrebbe rubato il suo pezzo di torta e gli avrebbe detto “tanti auguri” col suo sorriso sdentato, sporco di panna e cioccolato.
Merlin scrolla forte la testa, perché pensare a Will è un po’ come pensare al suo papà, gli fa venire voglia di piangere e lui sa che se lo vedessero piangere, i suoi compagni lo prenderebbero in giro più di prima.
Una lacrima traditrice però gli scappa comunque e lui abbassa il viso velocemente, in piccola parte sicuro e grato del fatto che nessuno stia facendo attenzione a lui.
Merlin però si sbaglia. Perché un bambino più alto degli altri, un bambino che Merlin non ha mai visto prima, biondo, con dei luminosi occhi azzurri, gli si è avvicinato senza che lui se ne accorgesse ed ora è fermo davanti a lui e lo guarda senza dire una parola, come se Merlin fosse uno strano insetto e lui stesse cercando di capire a che specie appartiene.
- Perché piangi? – gli chiede il bambino. Non è una domanda gentile. Nella sua voce non c’è simpatia, solo una nota curiosa, come se non riuscisse bene a spiegarsi l’intera situazione.
Merlin sente le orecchie andare in fiamme, gli succede sempre quando pensa che qualcuno stia per prenderlo in giro. Chiude la bocca ostinatamente e tiene gli occhi fissi al suolo, perché di tanto in tanto, se li ignora abbastanza a lungo, succede che gli altri bambini lo lasciano in pace, perché se lui non reagisce, prenderlo in giro non è poi così divertente.
Quel bambino però deve pensarla diversamente.
- Allora, perché piangi? – Il suo tono è spazientito, come se non fosse abituato a sentirsi ignorato.
- Non sto piangendo. – Gli risponde Merlin, cercando un modo per allontanarsi da lui.
- Sì che stai piangendo. – Ora il bambino sembra veramente offeso, come se Merlin gli avesse dato dello stupido, o peggio, del bugiardo.
- No, non è vero. –
- Sì che è vero. –
- No che non è vero e poi, anche se fosse, a te cosa importa? – Merlin glielo urla quasi contro, sbattendo un piede per terra. È la prima volta che si lascia andare così. Non è una brutta sensazione.
Il bambino biondo neanche si scompone.
- Non è il tuo compleanno oggi? Non dovresti piangere il giorno del tuo compleanno. – Lo dice come se fosse la cosa più ovvia al mondo. Un fatto noto a tutti, a parte Merlin a quanto pare.
Merlin non sa che cosa dire. All’improvviso non si sente più così speciale e intelligente, a dirla tutta si sente un po’ ridicolo ed alza lo sguardo sul viso dell’altro, l’atteggiamento battagliero scomparso, riscoprendosi improvvisamente timido.
- Quanti anni compi? – Gli chiede imperterrito il bambino.
- Cinque – Gli dice piano Merlin, non sapendo bene come comportarsi né dove l’altro voglia andare a parare.
- Anch’io ho cinque anni. Li ho compiuti il mese scorso, quindi sono più vecchio di te. – Gli risponde l’altro con un gran sorriso furbo, tutto orgoglioso. - Ti va di andare sulle altalene? – E senza aspettare risposta, afferra il polso di Merlin e inizia a correre portandoselo dietro.
Merlin si lascia guidare, è così strano correre di nuovo con qualcuno, così strano sentire di nuovo qualcuno che ride con lui. È anche bello però.
- Vediamo chi arriva più in alto – lo sfida il ragazzino biondo e così dicendo lascia andare la sua mano e si getta sull’altalena, iniziando a dondolarsi come se per lui quella fosse l’unica cosa importante al mondo, l’unica che conti davvero.
Merlin non è mai andato su un’altalena ma non lo ammetterebbe neanche sotto tortura, neanche se quel bambino conoscesse la “tecnica segreta del solletico di Will”, che in quegli anni è riuscita ad estorcergli ogni suo segreto e più di un gelato.
Non vuole che quello strano bambino lo giudichi un moccioso, non vuole che lo pensi un codardo incapace, perché lui sembra essere così coraggioso, e si lancia contro il cielo come se non ci fosse nulla di cui aver paura e non ci fosse sensazione più bella al mondo.
Quindi Merlin prova a mimare le sue mosse, a darsi più spinta di quanta sia saggio osare ed ecco che la sua altalena vola più in alto della sua gemella, per un attimo gli sembra davvero di toccare le nuvole e si lascia scappare un verso stupito e felice... poi qualcosa va storto, una spinta troppo potente gli fa perdere la presa sulle catene dell’altalena ed ecco che Merlin si ritrova a volare davvero, per un lungo meraviglioso attimo, prima di franare rovinosamente a terra.
Il dolore al polso è lancinante, e gli sembra impossibile che sia lo stesso polso che poco prima il ragazzino stringeva con tanta sicurezza.
Intorno a lui scoppia il pandemonio. Le maestre e gli altri bambini iniziano a strillare, chi di preoccupazione chi di divertimento. Gli sembra di sentire l’altro bambino scendere dall’altalena, strusciando con i piedi sul terreno, ed una vocetta stridula e determinata che grida: - Arthur, che hai combinato? –
Intanto Merlin avverte un paio di braccia che lo girano delicatamente e lui capisce che si tratta di una delle sue maestre, quella che ha quel buon odore di sapone che gli ricorda tanto la sua mamma. In mezzo alla confusione, Merlin vede una bambina bellissima, con lunghi capelli neri e grandi occhi verdi, con indosso un vestito bianco ed un nastro tra i capelli. Sembra uno di quelle fate di cui gli raccontava sempre il suo papà. La fata sta agitando un dito verso il bambino di poco prima, che però la ascolta solo a metà, mentre tiene lo sguardo fisso su di lui.
Merlin si morde un labbro. La mano gli fa un male cane e ora vorrebbe davvero mettersi a piangere, sbattere i piedi a terra e chiamare la mamma, però il bambino continua a guardarlo, come se fosse orgoglioso di lui, come se lo considerasse una specie di eroe, e quindi Merlin si sforza di non piangere, di essere coraggioso, perché vuole che lui continui a guardarlo così.
La maestra lo prende in braccio gentilmente e comincia a portarlo via, quando l’altro bambino corre verso di lui e gli grida: - Ehi tu, come ti chiami? –
E lui, sorridendogli nonostante il dolore, il primo vero sorriso della giornata, gli grida di rimando: - Merlin, mi chiamo Merlin! –
- Cerca di guarire in fretta Merlin! Io sono Arthur! Quando torni voglio la rivincita! – E così dicendo, rimane a guardarlo accanto alla bambina, un braccio alzato in segno di saluto.
Merlin nasconde il viso nell’incavo del collo della maestra e sorride.

Quella sera, nel suo letto, Merlin non riesce a dormire. Il gesso che gli tiene fermo il braccio gli impedisce di girarsi a pancia in giù. Costretto a guardare il soffitto, Merlin ripercorre la giornata appena vissuta, pensando di non aver mai avuto un compleanno più strano.
La giornata è iniziata in modo orribile ed è finita peggio.
Però forse ha trovato un amico.
A quel pensiero Merlin si addormenta nel buio, contento.

 

8° Compleanno

Merlin compie dodici anni e lui ed Arthur sono stipati nella sua limousine. Arthur è venuto a prelevarlo quella mattina, dicendogli di preparare l’occorrente per star via per due interi giorni, e che la sua mamma è già stata informata di tutto, e che lei e suo padre sono d’accordo. Quindi Merlin non deve far altro che seguire le istruzioni di Arthur e prepararsi ad una bella sorpresa.
Ad Arthur piacciono davvero molto le sorprese.
In realtà Merlin sa benissimo dove stanno andando.
Lo sa da più di un mese, da poco dopo che Arthur ha nominato per la prima volta la grande casa sul lago che la sua famiglia possiede e Merlin a quell’accenno si è acceso come un albero di Natale, facendogli mille domande e ripetendogli quanto fosse fortunato a possedere una casa in un posto così bello e a poterci andare quando ne aveva voglia: a parte il suo paese natale, di cui ricorda molto poco, Merlin non è mai stato neanche fuori Londra...
Quello era stato anche il giorno in cui Merlin aveva confidato ad Arthur il suo desiderio più grande.
Merlin da grande vorrebbe tanto viaggiare. Vedere il mondo. Perché quello era ciò che faceva il suo papà, viaggiava e poi scriveva libri su quei viaggi e Merlin da grande vuole diventare come lui.
Da allora Arthur aveva voluto sapere sempre di più su quel suo sogno, forse perché lui non ce l’aveva un sogno così, chiedendogli dove gli sarebbe piaciuto andare e quando credeva di poter partire. Merlin gli aveva confidato di star mettendo da parte i soldi necessari per un viaggio intorno al mondo, e che tutti i regali dei suoi compleanni finivano in quel suo piccolo fondo, e questo era un segreto che non aveva condiviso con nessuno, nemmeno con Will. Però sapeva che gli sarebbe occorso molto tempo prima di racimolare la somma necessaria. Non gli aveva detto però delle lettere a Santa Claus. Non ne aveva visto il motivo. Ormai erano storia antica e comunque erano un dettaglio troppo imbarazzante da confidare ad un amico, persino ad un amico come Arthur.
Poi un pomeriggio, mentre stavano tornando insieme da scuola, Arthur si era messo a parlare dell’approssimarsi del compleanno di Merlin. Tra i due, Arthur era decisamente il più eccitato quando si trattava dei festeggiamenti per l’amico, mentre Merlin cercava sempre di ridimensionare l’evento, perché aveva imparato a temere l’entusiasmo di Arthur... perché Arthur aveva la fastidiosa abitudine di voler fare sempre di testa sua, coinvolgendolo nelle imprese più assurde e soprattutto di non accettare mai un no come risposta... Quindi Merlin, più per autodifesa che altro, cercava sempre di sviare il discorso o di richiamare la sua attenzione su qualcos’altro...
Quel giorno aveva scelto di chiedergli nuovamente di parlargli della casa sul lago. Non sapeva bene perché ma Merlin non si stancava mai di sentir parlare di quel luogo.
Era stato allora che Arthur si era fermato di botto, battendosi con veemenza una mano sulla fronte, come se avesse trovato la risposta ad un enigma incredibilmente complicato, e negli occhi gli era nata quella particolare scintilla che Merlin aveva imparato a riconoscere, e che di solito significava guai.
Da quel momento, Arthur non aveva smesso di sorridere.
E non aveva più chiesto a Merlin cosa volesse per regalo, come se l’argomento fosse archiviato e non avesse più bisogno di esser sollevato.
Per Merlin, che lo conosceva bene, era stato praticamente come vedere l’idea nascergli in testa.
Nel mese successivo Arthur era stato quasi insopportabile.
Ogni volta che vedeva Merlin iniziava a ridere sotto i baffi, sentendosi particolarmente furbo, come se fosse depositario di un segreto che potesse cambiare le sorti del mondo. Non faceva altro che tormentare Merlin contando i giorni che mancavano al suo compleanno, dicendogli che quell’anno avrebbe dovuto aspettarsi grandi cose e vantandosi che mai, neanche in mille anni, Merlin sarebbe riuscito a scoprire cosa aveva ideato per lui.
Merlin aveva avuto la conferma dei suoi sospetti quando Arthur aveva iniziato a complottare con sua madre.
Più di una volta li aveva sentiti borbottare divertiti in cucina, ignari che il loro segreto era stato da tempo scoperto. Però sembravano così felici... e Merlin li amava entrambi talmente tanto... non voleva rovinar loro il divertimento.
Era rimasto zitto fingendo ignoranza.
Inoltre quello di Arthur era davvero un bel regalo. Forse non era il suo agognato viaggio intorno al mondo... ma Merlin non vedeva comunque l’ora che arrivasse il gran giorno!

* * *

Merlin scende dalla macchina con gli occhi bendati.
Arthur sa diventare molto melodrammatico quando cerca di fare le cose in grande.
Quando finalmente gli permette di togliersi la benda dagli occhi (in realtà è la cravatta dell’uniforme della scuola) il sorriso raggiante di Arthur è forse il regalo più bello che Merlin possa desiderare.
Alla fine, la loro amicizia è l’unica cosa che conti davvero per lui.
- Arthur, è stupendo! Non me lo sarei mai aspettato! – esclama di fronte ad un panorama da togliere il fiato.
Arthur lo guarda felice.
- Ormai dovresti saperlo Merlin, nessuno riesce a sorprenderti meglio di me! –
- Lo so Arthur, lo so... –

È sera e i due ragazzi sono stesi in una piccola radura poco distante dalla casa sul lago, a guardare le stelle.
Sono stati due giorni fantastici, hanno nuotato, pescato, riso e rincorso fino a non poterne più, fino a non sentire più le gambe e le braccia, ed ora vogliono solo godersi gli ultimi momenti di libertà prima di tornare a casa l’indomani.
Arthur ha portato Merlin nel suo posto speciale, lì dove andava sempre con sua madre.
È quello il suo vero regalo.
Nessun altro conosce l’importanza di quel luogo, neanche suo padre o sua sorella Morgana.
La mamma di Arthur non c’è più, proprio come il papà di Merlin, e questa è una cosa che li ha uniti fin dall’inizio.
Arthur mostra meno di Merlin di sentire la mancanza di ciò che ha perduto ma Merlin sa che non per questo sta meno male. Arthur é solo molto geloso dei suoi ricordi.
Per questo Merlin è davvero commosso dal suo gesto.
E pensa per la prima volta al dolore di Arthur un po’ come se fosse anche il suo. È una sensazione strana... come se ora dovesse preoccuparsi per tutti e due.
Come se loro due fossero una cosa sola.
- Grazie di avermi portato qui Arthur – Glielo dice a mezza voce, perché lì in quel momento, il silenzio è così assoluto che altrimenti gli sembrerebbe di gridare.
- Se vuoi possiamo tornare anche l’anno prossimo. Potrebbe diventare una specie di tradizione. Come un nostro patto segreto. – gli dice Arthur, e Merlin capisce dal suo sguardo che è già convinto di aver avuto l’idea del secolo.
- Sei proprio fissato con i segreti tu!... – Gli da un piccolo buffetto sul braccio. - Comunque sì, mi piacerebbe. Torniamo anche l’anno prossimo. Io e te. –
Arthur gli sorride in risposta, arricciando il naso.
- Io e te. Andata. –

 

13° Compleanno

Merlin compie diciassette anni e si sente irrimediabilmente triste.
E’ la prima volta da quando avevano dodici anni che lui e Arthur non sono andati a festeggiare alla casa sul lago. Il primo anno da quando si sono conosciuti in cui Arthur non ha organizzato nulla per il suo compleanno, non gli ha comprato un regalo e non l’ha nemmeno chiamato per fargli gli auguri.
Negli ultimi giorni Merlin aveva sentito che qualcosa non andava, che Arthur era pensieroso, distratto, quasi lontano. Merlin aveva letto i segni ma non era riuscito a decifrarli.
Quando Arthur aveva annullato il loro viaggio, Merlin aveva semplicemente pensato che l’amico avesse architettato per lui qualcosa di nuovo, di tenero e di geniale.
Di veramente geniale.
Merlin si era detto disposto persino ad ammetterlo, visto che per una volta quell’imbranato era riuscito chissà come a non farsi scoprire.
Ora invece sa di essersi sbagliato e si ritrova più vecchio di un anno, solo, in una casa vuota, perché ha convinto sua madre ad uscire con le sue amiche, sicuro che alla fine Arthur si sarebbe presentato alla sua porta, con quel suo stupido, tronfio sorriso stampato in viso, per trascinarlo chissà dove a fare solo Dio sa cosa.
Non ha neanche nessuno da poter chiamare. Ha già parlato con lo zio Gaius per un’ora buona nel pomeriggio e quel matto di Will gli ha telefonato alle sei del mattino solo per il gusto di essere il primo a fargli gli auguri.
- Quel tuo Arthur sarà anche l’uomo delle grandi sorprese ma si sveglierebbe mai a quest’ora solo per dirti “Buon Compleanno”? No! Quindi chi è il tuo migliore amico? Dimmi, chi è il tuo migliore amico? Io! Non dimenticarlo! Ora torno a dormire. Auguri. – E aveva messo giù il telefono, senza lasciargli il tempo di dire una sola parola.
William è fatto così.
Lui e Arthur non si sopportano e Will è incredibilmente competitivo nei suoi confronti.
Non che si sbagli su Arthur.
Arthur non é un tipo mattiniero.
Morgana, la sorella di Arthur, é passata a fargli gli auguri prima di cena, portandogli la camicia più bella che Merlin abbia mai potuto desiderare. Morgana ha un gusto impeccabile e si diverte ad agghindare Merlin come se fosse il suo bambolotto.
- Indossala quando vuoi fare colpo su una ragazza – gli aveva detto facendogli l’occhiolino e poi lo aveva baciato su una guancia, avvolgendolo nel suo buon profumo.
Non aveva detto una parola su Arthur e Merlin non gli aveva chiesto niente. Era ancora convinto che Arthur stesse preparando la sua grande sorpresa e non voleva costringere Morgana a rovinargli il suo primo, vero successo.
Ora si sentiva molto stupido per quell’occasione sprecata.
Morgana sapeva sempre dov’era Arthur.
Se c’era qualcuno che potesse essere al corrente di cosa quel somaro stesse combinando, quella era lei.
Quindi, non avendo che se stesso da biasimare, Merlin ora è solo, triste ed anche un po’ preoccupato.
Non è proprio da Arthur scordarsi di lui.
Proprio no.
Merlin passa gli ultimi minuti del suo compleanno in salotto, seduto nella poltrona di velluto verde accanto alla finestra, intento ad osservare l’orologio sulla mensola del camino che compie gli ultimi giri di quella lunga giornata.
All’improvviso, sente provenire da fuori un gran fracasso: il rumore di un clacson combinato con una brusca frenata. Il tempo di guardare fuori dalla finestra e vede Arthur scendere con un salto dalla sua bella auto sportiva.
Merlin ha una vera passione per quell’auto.
Arthur l’ha ricevuta come regalo di compleanno solo il mese precedente ma lui e Merlin hanno girato insieme quasi tutte le concessionarie dei dintorni per trovarla.
L’auto perfetta.
Arthur aveva mosso mari e monti per convincere suo padre a regalargliela e non era stato facile, perché il padre di Arthur era sì molto ricco ma anche molto severo. Però Arthur non gli aveva dato tregua, perché come diceva sempre: “Diciassette anni si compiono solo una volta”.
Merlin gli aveva fatto notare come un’affermazione del genere fosse valida per ogni età, perché nessun compleanno torna mai due volte, ma Arthur non era il tipo da lasciarsi turbare dai dettagli.
Lui sapeva di essere nel giusto e tanto bastava.
Quell’auto era stata una novità per Merlin, l’unica cosa che avesse mai veramente invidiato ad Arthur.
Se n’era innamorato in un momento, con i suoi interni bianchi e quella lucida carrozzeria azzurro cielo. Proprio come gli occhi di Arthur.
- Arthur, è lei – gli aveva detto con un gran sorriso.
Arthur aveva osservato prima la macchina, poi lui, e solo guardandolo in viso, Merlin aveva capito che la scelta era fatta.

Arthur corre trafelato verso l’ingresso della casa di Merlin. Ha indosso una maglietta rossa e una camicia bianca sbottonata, che nella fretta gli svolazza da tutte le parti. Ha i capelli orrendamente scompigliati e un po’ bagnati di sudore, e seguendolo con gli occhi Merlin scorda la sua irritazione e si mette a ridere.
Un Arthur stralunato è sempre uno spettacolo molto divertente da guardare.
Arthur entra in casa senza neanche bussare e si precipita verso Merlin quasi gridando:
- Sono in tempo? Sono in tempo? –
- Hai appena trenta secondi per farmi gli auguri e farti perdonare, somaro! – e l’ondata di sollievo che Merlin prova nel vederlo lì è quasi troppo intensa da sopportare.
Arthur corre verso di lui e lo avvolge in uno dei suoi abbracci da orso che riescono quasi sempre a sollevarlo da terra.
Arthur è di poco più basso di Merlin ma molto, molto più forte.
Lo lascia andare dopo neanche un secondo e gli afferra svelto un polso tirandoselo dietro.
È un’abitudine che Arthur non ha mai perso, fin da quando erano ragazzini.
Arthur trascina Merlin in strada e fermandosi vicino alla sua auto allarga entrambe le braccia e urla:
- Ta Dan! – E lo fa con tanta enfasi che a Merlin sembra quasi di doversi aspettare da un momento all’altro squilli di trombe e fuochi artificiali.
Non succede nulla però.
Davanti a lui c’è solo Arthur, con le braccia ancora alzate ed un sorriso enorme.
Merlin non capisce.
- Beh, non dici nulla? Cos’è? Ti ho lasciato senza parole? –
- Arthur, non ti seguo... –
- Ma la macchina, sciocco! Che mi dici della macchina? – È eccitato come un bambino.
Merlin lo guarda capendo sempre meno, poi d’improvviso si lascia scappare un piccolo verso strozzato.
Non può essere...
- Questo è il mio regalo... – Non è una domanda la sua, è un affermazione. Anche se il suo tono è incredulo e quasi timoroso, perché sarebbe davvero troppo... persino per Arthur...
- Certo! Ti piace? È usata. Proprio come volevi tu! Sapevo bene che non avresti mai accettato un’auto nuova di zecca e quindi... –
Merlin lo guarda come se fosse uscito di senno. O lo stesse prendendo in giro.
Arthur ignora quello sguardo e continua imperterrito:
- Scusami se ho fatto così tardi ma te la stavo per portare questa mattina quando mio padre mi ha intercettato: stava aspettando non so quali clienti e ha voluto assolutamente che andassi con lui a riceverli, e sai, ormai non posso più dirgli di no... perché vedi, mi sono impegnato a fare come dice lui... –
Merlin lo interrompe senza tante cerimonie.
- Arthur, è stata usata... da te!–
- Sì, infatti. –
- Per un mese! –
- Precisamente. – Ed è così serio mentre lo dice, che Merlin sente qualcosa che gli preme sul cuore, come una stretta sconosciuta, che gli fa quasi male.
- Arthur, non scherzare. Sai che non posso accettarla... –
A quel punto Arthur gli mette le mani sulle spalle, stringendole in una morsa amichevole, costringendolo a guardarlo in viso.
- Merlin, amico, tu DEVI accettarla. Non capisci? L’ho scelta per te! Anzi, sei stato proprio tu a sceglierla per te stesso a voler essere precisi, anche se allora non lo sapevi. Avessi visto la faccia che avevi quando l’hai vista per la prima volta! Ho capito in un secondo che avevi perso la testa! È sempre stata tua, credimi, l’ho sempre pensata per te, fin dall’inizio... E poi lo sai, l’azzurro non è il mio colore. –
E così dicendo Arthur si gratta il naso, quasi infastidito, come se quello fosse un dettaglio che Merlin avrebbe dovuto ricordare.
Poi gli sorride di nuovo e continua con un tono più delicato, quasi di scusa:
- Certo, non sarà questa che ti porterà nel tuo giro intorno al mondo... però almeno non dovrò vederti perdere l’autobus tutte le mattine! – E la voce di Arthur è così dolce e trionfante ed il suo sguardo così sicuro, felice, che Merlin capisce di non poter far altro che accettare.
Perché rovinare la felicità di Arthur per lui equivale a distruggere le vetrate di una cattedrale.
Un gesto imperdonabile.
- E tu come farai? – Si azzarda a chiedere.
- Ho convinto mio padre che questa non la volevo più e ha acconsentito a lasciarmene comprare un’altra. Una stupenda Porche rossa... Arriva lunedì. All’inizio lui mi ha dato dell’irresponsabile superficiale, lo sai com’è fatto, ma alla fine ha ceduto... a patto che lavori per lui tutte le estati da qui fino alla laurea, naturalmente. –
Merlin non crede alle sue orecchie. Sa quanto Arthur odi avvicinarsi allo studio di suo padre.
- Ma Arthur... sai cosa succede quando tu e tuo padre passate troppo tempo nella stessa stanza... non ti darà tregua, non ti lascerà neanche respirare! Tu adori passare l’estate a poltrire... e quel viaggio al Nord che dicevi di voler fare? –
Merlin si allontana da lui allargando le braccia, cominciando a camminare su e giù, come quando ha per le mani un problema che non riesce a risolvere, la generosità di Arthur che gli brucia la gola come un liquore troppo forte.
- Sciocchezze! – Gli risponde lui con una scrollata di spalle, come se il piegarsi alla volontà di suo padre non fosse ciò che ha evitato di fare da tutta una vita. - Sopravvivrò. Questo è molto più importante. Tu sei molto più importante. –

Merlin si ferma paralizzato sul posto, perché per un momento le parole di Arthur gli hanno risucchiato l’aria dai polmoni. Come se Arthur gli avesse tirato un pugno nello stomaco, proprio come quando erano ragazzini e giocavano alla lotta per scherzo, e Arthur non riusciva a calibrare la sua forza e poi passava il resto della giornata cercando di farsi perdonare da un Merlin contuso e dolorante.
Solo che questo colpo Merlin sa già che non potrà perdonarglielo.
Mai.
Perché all’improvviso sente di doverlo abbracciare, di doverlo abbracciare davvero.
Un abbraccio autentico e non una di quelle strette goffe e mortali in cui Arthur è solito avvolgerlo.
Merlin sente di averne bisogno, perché davanti a lui c’è il suo Arthur, ed è meraviglioso, e lui in quel momento gli vuole così bene che non sa proprio come altro fare per farglielo capire.
E quindi ecco che Merlin si muove davvero, si avvicina ad Arthur intrecciandogli le braccia al collo, i corti capelli biondi della sua nuca tra le mani.
È qualcosa che Merlin non ha mai fatto prima, perché a dirla tutta è sempre stato Arthur quello affettuoso, quello delle pacche sulle spalle, i baci a schiocco sulle guance e le strette di mano. Però ora Arthur è lì tra le sue braccia ed è stato Merlin a far sì che fosse così, ed è una sensazione troppo bella e troppo giusta, e Merlin pensa di essere impazzito, perché una sensazione così non la si lascia durare, non le si permette di mettere radici ma ci se ne allontana correndo, senza voltarsi indietro, finché se ne ha la forza e si è ancora in tempo.
Ma Merlin non lo fa. Merlin stringe il tessuto della camicia di Arthur e poggia il mento sulla sua spalla e gli dice solo: - Grazie – e rimane lì, a respirare con lui, chiudendo gli occhi, senza sapere bene perché.
Arthur non si ritrae.
A Merlin sembra di sentirlo sorridere e gli viene voglia di stringerlo più forte.
Osa farlo sul serio, solo per un momento, poi però lo lascia andare, perché sente il cellulare di Arthur vibrargli in tasca e a Merlin basta quella piccola vibrazione per perdere coraggio.
- Chi ti chiama a quest’ora? – Gli chiede allontanandosi, ancora scosso, un po’ sovrappensiero.
- Oh, è Gwen – Gli dice Arthur, arrossendo un po’.
- Gwen? – E quel nome così piccolo riesce chissà come a strozzarglisi in gola.
- Sì, Gwen, l’amica di Morgana. Ti ricordi? Ti avevo parlato di lei... –
Sì, Merlin ricorda.
Ed ecco che Arthur gli sorride, allontanandosi, e accenna col capo verso il cellulare, con un gesto di scusa.
Merlin lo guarda rispondere e Arthur ormai si è allontanato tanto che lui non riesce più a distinguere le sue parole.
Merlin lo sente solo ridere, e lo vede gettare indietro la testa e alzare un sopracciglio sorpreso e poi passarsi una mano sul collo, come quando qualcosa lo imbarazza un po’.
Merlin vorrebbe davvero riuscire a voltarsi.
O poterlo guardare senza sentirsi improvvisamente solo.
Vorrebbe non desiderare di strappargli quel cellulare dalle mani e poter tornare a pochi minuti prima, quando Arthur era il suo miglior amico ed era solo suo, e non qualcuno che una Gwen qualunque potesse portargli via.
I passi di Arthur lo distolgono dai suoi pensieri. Merlin lo vede tornargli accanto con quel suo fare canzonatorio dipinto in volto.
- Allora che aspetti? – Merlin lo guarda assente. Vorrebbe sorridergli ma non ce la fa.
- Merlin, mi senti? Ma che hai? Ti ho scioccato così tanto? Forza, salta su. Portami a fare un giro. –
Ma Merlin non ha voglia di fare nessun giro. Vuole solo rintanarsi nel suo letto, con il lenzuolo tirato sulla testa.
Forse allora respirare gli farebbe meno male.
- Arthur, sai che non potremmo senza un adulto... – è la sua debole protesta.
- Paura? –
Arthur sa essere davvero sleale quando vuole... sa bene che dicendo così lo mette con le spalle al muro.
- Certo che no! – Gli risponde Merlin alzando il mento.
- E allora che aspetti? –
E così dicendo Arthur lo prende per un braccio e lo accompagna accanto al posto di guida. Gli apre la portiera e gli da una piccola spinta col ginocchio, per fargli perdere l’equilibrio e farlo cadere sul sedile. Poi gira intorno alla decappottabile quasi correndo, ridendo ad alta voce, tamburellando le mani sul cofano, vergognosamente felice, ed ora Merlin non è più sicuro che sia solo la perfetta riuscita di quella sorpresa ad accendere il suo umore così.
Ora Arthur potrebbe avere altri motivi per sorridere.
Ed è davvero un peccato che Merlin non riesca a sorriderne a sua volta.

Siedono in macchina l’uno accanto all’altro e Merlin per un po’ dimentica tutti i suoi guai.
La notte scorre davanti a loro veloce, i capelli di Arthur fanno a botte col vento e Merlin li vede svolazzare impazziti intorno al suo viso mentre lui, euforico, alza il volume della radio e inizia a cantare a squarciagola, facendo cenno a Merlin di unirsi a lui.
E allora Merlin canta, e non importa se non è intonato, se non conosce la canzone e sbaglia tutte le parole.
Perché Arthur è accanto a lui e lo guarda come allora, come il giorno dell’altalena, il giorno in cui per la prima volta Arthur l’ha sfidato e Merlin non si è tirato indietro.
E allora per un secondo Merlin riesce a non pensare a Gwen, riesce a non avere paura, e a non impazzire davanti alla scoperta di un sentimento che forse sarebbe stato meglio lasciare sotto la sabbia per sempre.
Perché quando Arthur lo guarda così, Merlin crede di essere capace di tutto.
Anche di volare.

- Sai Merlin, credo che lei mi piaccia. –
La musica è cessata da un po’, però il loro piccolo viaggio continua ancora.
Merlin pensava che Arthur si fosse addormentato, il bel profilo gettato all’indietro sul poggiatesta del sedile. Invece é sveglio. E a quanto pare sta pensando a Gwen.
Merlin stringe più forte le mani sul volante.
- Beh Arthur, non sarebbe la prima volta... – E già si pente di quel suo tono amaro.
Arthur sembra non prendersela a male. L’idea che Merlin possa volerlo ferire non gli sfiora la mente neanche per un secondo.
- No... Intendo... che mi piaccia sul serio... – La sua voce stranamente bassa, niente più che un mormorio.
Eppure Merlin la sente così forte che continua a rimbombargli dentro a lungo, invadente, inopportuna.
Arthur non aggiunge altro, non ce n’è bisogno e Merlin non se lo aspetta.
Vede l’amico girare il volto verso il paesaggio buio, forse un po’ imbarazzato, in ansia, indifeso.
Merlin sa che sta aspettando che lui dica qualcosa.
E quindi Merlin lo accontenta. Stacca una mano dal volante e la poggia affettuosa sulla sua spalla, stringendogliela dolcemente.
- Arthur, amico, sono felice per te. –
E quando Arthur si illumina a quella specie di benedizione, Merlin sa di non aver mentito.
Perché una parte di lui, quella che ha giocato con Arthur all’asilo, quella che si è arrampicata con lui sugli alberi, che ha fatto l’alba in sua compagnia e ha diviso con lui la sua prima sbornia, è veramente felice per lui. Lo è davvero.
E se gli occhi ora gli bruciano così è solo perché la capote dell’auto è abbassata e Merlin sta correndo un po’ troppo forte ed il vento gli sferza il viso, facendolo lacrimare.
E per quanto riguarda quel dolore sordo che gli urla nel cuore...
Beh, per quello Merlin non ha scuse.
Però non importa, perché Arthur non può sentirlo, e quindi va bene così.

 


Eccoci arrivati alla fine di questo lungo, primo capitolo.
Il nostro caro Merlin ha appena scoperto qualcosa di importante, mentre quel somaro di Arthur sembra del tutto intenzionato a sguazzare nella sua comoda, beata inconsapevolezza, e non ha di meglio da fare che andare ad innamorarsi di una certa ragazza dai riccioli scuri proprio quando il suo migliore amico inizia a guardarlo con occhi diversi. Insomma Arthur! Non si fa! Non sta bene!
Comunque non preoccupatevi!
Personalmente non amo le storie in cui Gwen diventa una presenza troppo ingombrante tra i nostri due beniamini, probabilmente perché mi è sempre piaciuta e non voglio essere costretta ad odiarla per essere diventata il terzo incomodo... quindi se siete fan dei triangoli amorosi travagliati e pieni di incomprensioni... non aspettatevene uno in questa fan fiction!
Questa è principalmente una storia su Merlin e Arthur, sulla loro amicizia, su quello che significano l’uno per l’altro, e su come a volte l’amore ci metta un po’ a trovare la sua strada.
Qualche piccola nota prima di chiudere:
- Non conosco bene il sistema scolastico inglese, ho cercato di documentarmi e ciò che leggete nella fan fiction è il risultato delle mie ricerche. Se doveste notare qualche madornale discrepanza con la realtà fatemelo sapere!
- Stessa storia per quanto riguarda la patente di guida. Da quello che ho capito i ragazzi prendono la patente a diciassette anni ma nei tre mesi precedenti in cui sono provvisti di licenza provvisoria, possono guidare solo se accompagnati da qualcuno che abbia più di 21 anni e che abbia la patente da almeno tre anni. Ecco spiegata la preoccupazione di Merlin riguardo all’andarsene in giro loro due da soli senza la presenza di un adulto: perché nonostante Arthur avesse già la patente, avendo solo diciassette anni non poteva essere il “secondo” di Merlin.
Ahi ahi ahi Merlin! Non lasciarti coinvolgere da quel ribelle di Arthur! Le regole sono regole, non importa quanto brillino i suoi occhi quando ti propone di infrangerle!
Ma che parlo a fare... è una partita persa in partenza!
- Ultima nota: questa è una AU e mi sono presa la libertà di cambiare un po’ il rapporto tra i due ragazzi rispetto a quello che siamo soliti vedere nel telefilm. In fondo qui sono amici praticamente da sempre, si conoscono da bambini e sono stati l’uno il sostegno dell’altro per tanto tempo. Ecco perché ho voluto che Arthur fosse un po’ più “aperto” nel manifestare il suo affetto per Merlin e non abbia bisogno di abbaiargli costantemente contro per fargli capire che tiene a lui. Forse questo atteggiamento potrà risultare leggermente “out of character” ma non troppo secondo me, perché l’Arthur originale, nonostante il caratteraccio, è sempre stato in grado di esprimere i suoi sentimenti quando contava davvero. Anche la sua fissazione per i compleanni e le sorprese è una mia interpretazione delle volte in cui abbiamo visto il principe cercare di sorprendere qualcuno a cui tiene (vedi la cena a casa di Gwen nella seconda stagione, i vari picnic nel bosco e la proposta di matrimonio alla futura regina). Insomma, giocherà anche a fare il duro, ma in fondo il nostro Arthur è un tenerone! Spero che non abbiate trovato il suo comportamento troppo distante dall’idea che avete di lui.
A questo punto credo di aver detto tutto e... o mio Dio! Le note sono quasi più lunghe della fan fiction! Fermatemi!
Non sapevo che si potesse diventare così logorroici quando si pubblica qualcosa scritto di propria mano!
Assoluta ammirazione per chi riesce a chiudere un capitolo solo con un “Alla prossima!”.
Chiunque voi siate, vi stimo tantissimo!
Per chiudere, (veramente stavolta, promesso!) grazie a tutti coloro che sono arrivati a leggere fin qui, spero di essere riuscita a regalarvi qualche emozione e qualche risata!

See you soon!

 

Ed ora qualche piccola anticipazione!

Merlin riprende a correggere il suo lavoro e stavolta è talmente concentrato che nulla riesce a distoglierlo dallo schermo del computer.
Neanche i passi che si fermano davanti alla sua porta e di certo non il cigolio della maniglia che si abbassa.
Non sente neanche la bassa risata che vibra alle sue spalle.
- Quando Gwaine me l’ha detto, non ci volevo credere... –
Le parole però gli arrivano forti e chiare e Merlin stavolta non può non udirle.
In un secondo salta letteralmente sulla sedia e si gira di scatto, in direzione della voce.
Non ha certo bisogno di voltarsi per sapere chi è, ciononostante si volta comunque, un riflesso incondizionato.
La voce di Arthur ha sempre quell’effetto su di lui.
Il suo amico è lì, appoggiato allo stipite della porta, con le braccia intrecciate sul petto ed un sorriso divertito sul volto...

* * *

Merlin avanza di un passo verso di lui, cercando di farlo ragionare ma Arthur svelto gli poggia le dita sulle labbra, zittendo ogni suo tentativo di replicare.
- Senti Merlin – ed il suo tono è quasi stanco mentre gli parla...

* * *

Merlin guarda Arthur negli occhi.
Quegli occhi così azzurri che a volte osservarli gli fa quasi male.
Si chiede se Arthur abbia la minima idea di cosa gli stia chiedendo.
Se sappia con quanta forza Merlin abbia cercato di combattere quel sentimento.
La risposta naturalmente è no.
Perché se Arthur sapesse lo lascerebbe andare.
Perché Arthur non lo condannerebbe mai volontariamente ad un dolore costante, ingiusto e senza cura.
Merlin si chiede se non dovrebbe dirglielo, allora, quello che prova...

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



Questa storia fa parte della serie "You Take My Heart by Surprise".



Eccoci arrivati al secondo capitolo di questa storia.
Avevamo lasciato il nostro Merlin alla guida della sua nuova auto, alle prese con i suoi nuovi sentimenti per Arthur, mentre Arthur cercava di fare i conti con i suoi nuovi sentimenti per Gwen.
Quando si dice tempismo...
Alla nostra storia però (ormai lo sappiamo), piace saltellare a suo piacimento, quindi ecco che ritroviamo i nostri cari Merlin e Arthur con un paio di anni in più.
La scuola è finita, sono entrambi cresciuti, ma la loro amicizia è ancora salda. Alcune cose sono cambiate, altre sono rimaste le stesse, i ragazzi però sembrano essere riusciti a trovare un loro equilibrio mentre affrontano la sfida del college.
Questo finché, con l’approssimarsi del compleanno di Merlin, un certo asino biondo con la fissa delle sorprese, non rimescolerà di nuovo le carte in tavola...

Voglio ringraziare davvero chiunque abbia deciso di impiegare un po’ del proprio tempo leggendo questa mia storia, le carinissime Misfatto, AsfodeloSpirito17662 e hiromi_chan per averla recensita, e tutti coloro che l’hanno inserita tra le storie seguite o preferite.
È molto più di quanto mi sarei aspettata e non so dirvi quanto mi abbia fatto piacere.
Vi abbraccio di cuore!
Enjoy!

Sofy

“Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della BBC; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro”.




Regalo di Compleanno


15° Compleanno

Merlin compie diciannove anni ma al momento il suo compleanno non è propriamente in cima ai suoi pensieri.
Non ha ancora terminato di correggere il saggio per il professor Matthews e la scadenza è fissata per l’indomani, quindi Merlin ha spento il cellulare e si è barricato in camera, con il preciso intento di evitare distrazioni. Il campus è ormai praticamente deserto, Merlin è uno dei pochi che non è ancora tornato a casa per le vacanze, persino il suo compagno di stanza è ormai via da ben quattro giorni ma per Merlin è un bene, perché ha l’alloggio tutto per sé e questo è un lusso di cui non riesce spesso a godere.
Merlin continua a leggere e rileggere il suo lavoro. Non sa perché ma non ne è soddisfatto.
Il professor Matthews è un osso duro e Merlin non è esattamente sicuro che il vecchio docente abbia una buona opinione di lui.
Merlin ha sempre l’impressione che lo stia soppesando, valutando, come se le sue capacità, i suoi risultati e la sua stessa persona non lo convincessero fino in fondo.
Ed anche se non lo ammette, la cosa lo innervosisce molto.
Per questo sa di non poter sbagliare.
Le parole del saggio continuano a scorrergli davanti agli occhi, così familiari che ormai sarebbe in grado di ripeterle a memoria.
Non per la prima volta da quando ha iniziato l’università, Merlin sente la mancanza di suo padre.
A volte gli piacerebbe che lui fosse lì ad incoraggiarlo, a dirgli che sta facendo bene e che è orgoglioso di lui.
Non che sua madre non lo faccia già abbastanza per tutti e due... Ma lei è sempre lì... E quelle parole può dirgliele ogni giorno. Da suo padre invece quelle parole lui non potrà più ascoltarle, ed è tremendamente ingiusto, e Merlin ci pensa continuamente.... Perché è nella natura umana desiderare ciò che non si potrà mai avere.
A quel pensiero lo sguardo gli cade, veloce e colpevole, sulla cornice poggiata a pochi centimetri dalla sua mano. Sulla foto che Morgana ha scattato a lui ed Arthur la sera della festa di diploma.
Dalla foto, Arthur lo guarda divertito, come se ridesse dei suoi sforzi di levarselo dal cuore.
Merlin abbassa la cornice quasi per protesta, rivolgendo il volto sorridente di Arthur verso il legno della scrivania. Non è il momento giusto per pensare a lui.
Non è mai il momento giusto per pensare ad Arthur.
Merlin riprende a correggere il suo lavoro e stavolta è talmente concentrato che nulla riesce a distoglierlo dallo schermo del computer.
Neanche i passi che si fermano davanti alla sua porta e di certo non il cigolio della maniglia che si abbassa.
Non sente neanche la bassa risata che vibra alle sue spalle.
- Quando Gwaine me l’ha detto, non ci volevo credere... –
Le parole però gli arrivano forti e chiare, e Merlin stavolta non può non udirle.
In un secondo salta letteralmente sulla sedia e si gira di scatto, in direzione della voce.
Non ha certo bisogno di voltarsi per sapere chi è, ciononostante si volta comunque, un riflesso incondizionato.
La voce di Arthur ha sempre quell’effetto su di lui.
Il suo amico è lì, appoggiato allo stipite della porta, con le braccia intrecciate sul petto ed un sorriso divertito sul volto.
Nel vederlo Merlin abbassa gli occhi un secondo, in un gesto così fugace da sembrare un miraggio, perché la vista di Arthur gli dà sempre un senso di vuoto allo stomaco, e più tempo intercorre tra una visita e l’altra e più ha bisogno di un momento per riabituarsi a lui, soprattutto se gli compare davanti all’improvviso, come ora.
Il rendersene conto, non rende affatto le cose più facili.
A dirla tutta, lo fa sentire molto stupido.
Arthur entra sicuro nella stanza, riempiendola con la sua sola presenza.
Allarga le braccia, guardandosi intorno incredulo, poi si avvicina a Merlin, le mani sui fianchi, come se si preparasse a sgridare un bambino molto, molto indisciplinato.
- Merlin, amico... che stai facendo? –
- Se hai parlato con Gwaine, come tu stesso hai detto, sai benissimo cosa sto facendo... –
- Oh sì, so tutto del tuo saggio. Ma comunque continuo a non spiegarmi la situazione. Quindi ripeto: Merlin - che - stai - facendo? –
Merlin odia quando Arthur si mette a scandire le parole.
Anche perché di solito è più difficile ignorarlo quando assume quel tono autoritario.
Meglio tentare una ritirata.
Con una piccola spinta, Merlin fa ruotare veloce la sedia verso il computer, tornando a dare le spalle a quel sorriso sfrontato, e inizia a battere sulla tastiera come se fosse terribilmente impegnato.
- Arthur, non ho tempo di giocare con te ora. Devo finire di correggere questo benedetto lavoro, sono in incredibile ritardo, e Matthews mi farà saltare il collo domani, se non consegno in tempo. –
Poggiando una mano sullo schienale della sedia di Merlin, Arthur si piega lentamente sulle ginocchia, e lo costringe piano a girarsi verso di lui, il viso quasi alla sua stessa altezza, gli occhi fissi nei suoi.
- Merlin – gli dice condiscendente, come se temesse che l’amico non fosse totalmente in sé - tu sei lo studente più brillante di tutta la facoltà. I professori baciano il suolo dove cammini e Matthews di certo non fa eccezione. –
Merlin si fa scappare uno sbuffo sarcastico, accompagnato da una scrollata di spalle.
Arthur però non si lascia scoraggiare.
- E questo tuo saggio. – Aggiunge, allungando un braccio oltre le spalle di Merlin e abbassando lo schermo del portatile con un gesto fluido della mano – Sarà perfetto, proprio come tutti gli altri. Lo so io. Lo sai tu. E domani lo saprà anche Matthews. L’unica cosa che devi fare ora, è cambiarti quella maglietta vecchia di tre giorni, uscire da questa stanza, e seguire il tuo migliore amico in quello che sarà il compleanno più incredibile di tutta la tua vita. –
Merlin sapeva che era lì che Arthur sarebbe andato a parare. Stava aspettando quelle parole da quando l’aveva visto comparire. Ma non si sarebbe arreso senza combattere.
- Hai detto così anche l’anno scorso... – Lo diverte sempre rammentargli la sua più grande disfatta.
- Se l’anno scorso è andata come andata, non è stata colpa mia. –
- Devo ricordarti l’incidente delle barche? –
- Quella non è stata una mia idea! È stata Gwen che... –
Ma Arthur non finisce la frase. L’argomento Gwen è sempre motivo di leggero imbarazzo tra loro, perché Arthur non gli ha mai parlato fino in fondo del perché sia finita tra loro e Merlin non si è mostrato particolarmente curioso di sapere.
Gwen del resto è ancora amica di entrambi, anche se il fatto che ora studi all’estero non permette a nessuno dei due di vederla quanto vorrebbero.
- Arthur, davvero, oggi non posso venire con te. –
Glielo dice col suo tono più serio, e per un meraviglioso, triste secondo, Merlin è quasi sicuro di averlo convinto.
Poi vede la mascella di Arthur contrarsi ed i suoi occhi diventare più scuri.
E allora capisce di aver perso.
Quando Arthur ha quella luce negli occhi, c’è davvero poco che lui possa fare.
- Merlin Thaddeus Emrys, io non ti permetterò di restartene chiuso da solo in una stanza, a studiare, nel giorno del tuo compleanno. Tu ora ti vesti e vieni con me. Hai cinque minuti. –
Così dicendo Arthur si alza ed esce dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Cinque minuti più tardi, Merlin si sta ancora cambiando ed ha le braccia alzate sopra la testa, i gomiti incastrati nel tessuto della maglietta pulita, quando Arthur riapre la porta di scatto.
Merlin fa appena in tempo a girarsi e a far sbucare dalla t-shirt la sua zazzera arruffata che Arthur, tutto soddisfatto nel vederlo così obbediente, gli dice con un gran sorriso: - Sbrigati imbranato! Ho una sorpresa per te... –

Merlin e Arthur sfrecciano per le vie assolate di Londra. La decappottabile di Merlin brilla ancora come il giorno in cui Arthur gliel’ha regalata. Merlin tratta quella macchina come se fosse il suo bene più prezioso.
Le ha anche dato un nome, anche se questo Arthur non lo sa.
Passata l’iniziale irritazione, ora Merlin è felice che Arthur l’abbia costretto ad uscire. Effettivamente stava perdendo un po’ il senso della realtà chiuso tra quelle quattro mura, e più ci pensa, più si convince che Arthur ha ragione: il saggio, in fondo, va già bene così com’è e Matthews in realtà è solo un professore un po’ esigente, non di certo un drago di cui aver paura.
- Allora, dov’è Gwaine oggi? – Chiede Merlin ad Arthur mentre lui continua a dargli indicazioni senza però spiegargli dove stanno andando.
- Conosci Gwaine... Mi ha detto di non aspettarlo alzato. Ci sarà sicuramente di mezzo una ragazza... – Gli dice Arthur sorridendo.
Poi, girandosi verso di lui con una strana smorfia, lo sguardo seccato, continua: - E comunque cos’è questa novità? Com’è che ora Gwaine ti fa da segretario? Stamattina mi stava quasi prendendo un colpo quando ho cercato di contattarti senza ottenere risposta! Stavo per chiamare tua madre quando Gwaine ha finalmente deciso di fare la sua comparsa in cucina e mettermi al corrente della tua trovata geniale. “Se cerchi di chiamare Merlin, lascia stare. È rimasto al campus. Ha detto che oggi non c’è per nessuno. Sta andando in crisi per un saggio e deve studiare”. Non potevo credere alle mie orecchie! Decidi di sparire dalla faccia della terra e non avvisi me ma il mio coinquilino? Proprio nel giorno del tuo compleanno poi...–
- Guarda che Gwaine è anche un mio amico. –
- Sai che non è questo che intendo... –
- Arthur... Ma stai mettendo il broncio? – Merlin si lascia scappare una risatina. In realtà vorrebbe lasciar cadere l’argomento.
- No! Ma quale broncio? Dico solo che è stato strano... E per niente gentile da parte tua... Non mi è piaciuto sentirmi ignorato così... Insomma, se decidi di sparire dalla faccia della terra e qualcuno deve sapere dove sei, quello sono io, no? –

La domanda di Arthur rimane nell’aria. Merlin dà all’amico un piccolo colpo col gomito e gli sorride rassicurante. Come per dirgli che ha ragione, e chiedergli scusa, e fargli credere che va tutto bene, perché loro due sono inseparabili e sarà per sempre così.
Peccato che sia tutta una bugia.
Beh, non una vera bugia, più che altro... Una mezza verità.
Perché Arthur è ancora il suo migliore amico e questa cosa non cambierà mai.
È solo il cuore di Merlin che è cambiato, che ha tradito entrambi e quindi ecco la bugia, la realtà di cui Arthur non può sapere e che condiziona Merlin in un modo che l’amico non si può spiegare.
Sono bastati due anni per cambiare tutto.
Due anni in cui Merlin ha prima combattuto e poi accettato l’inevitabilità di quel sentimento.
Merlin è innamorato di Arthur.
E desiderare che non sia così non basta a cambiare le cose.
Arthur non ha idea di ciò che prova Merlin.
Arthur non conosce le cicatrici che in quegli anni gli ha lasciato sul cuore.
Così come non potrà mai immaginare cos’ha significato per lui vivergli accanto nel periodo precedente il diploma, condividere con lui ogni giorno mentre la sua storia con Gwen diventava sempre più forte, sempre più ingombrante. Quello era stato di certo l’anno peggiore.
A Merlin era sembrato quasi di non aver più aria da respirare.

Il suo precedente compleanno l’avevano passato tutti insieme alla casa sul lago.
A dir la verità, inizialmente Arthur si era detto intenzionato a partire come sempre solo loro due, ma Merlin si era opposto, dicendo che non gli sembrava giusto tenere fuori gli amici dai loro festeggiamenti.
- Più siamo meglio è! – Aveva detto sorridendo ad un Arthur non del tutto convinto.
Era la loro tradizione, il loro segreto, e per un attimo Merlin aveva creduto che ad Arthur dispiacesse davvero dover condividere con altri quel loro viaggio speciale.
Merlin però sapeva che il weekend era l’unica occasione che Arthur aveva di vedere Gwen, perché durante la settimana lei aiutava suo padre al ristorante e a Merlin non sembrava giusto approfittare dell’occasione per averlo solo per sé.
Non avrebbe avuto senso e non avrebbe cambiato nulla.
No, meglio estirpare di netto qualunque fantasia potesse nascergli in testa.
Erano partiti tutti e sei, Arthur, Gwen, Morgana, Elyan, Leon e lui, tutto il loro gruppetto.
Merlin si era divertito, aveva sempre amato la casa sul lago, però insieme a tutti gli altri non era più stata la stessa cosa.
Solo un aspetto era rimasto immutato: Arthur non aveva portato nessuno di loro alla radura, neanche Gwen, e di questo Merlin era stato felice.
Perché voleva dire che c’era almeno un pezzetto di Arthur che apparteneva ancora soltanto a lui.

L’ultimo anno di liceo era stato duro per Merlin ma anche prezioso. Loro sei, sempre insieme, erano stati leggendari. I migliori amici che Merlin potesse desiderare.
Poi, con la fine della scuola, tutto era cambiato.
Alla fine dell’estate Arthur e Gwen si erano lasciati.
Non era stata una rottura brusca la loro, le cose avevano iniziato a logorarsi pian piano.
Merlin aveva notato che gli occhi di Gwen non brillavano più quando Arthur le sorrideva, anche se non capiva come potesse essere possibile, ed Arthur passava sempre più weekend di nuovo a casa di Merlin, preferendo restare con lui, ad ascoltare musica sul suo divano, piuttosto che uscire con la sua ragazza.
Dire che la fine della loro storia l’avesse sorpreso, sarebbe stata una bugia.
Eppure era stato strano, per Merlin, pensare ad un Arthur di nuovo libero, non più intoccabile, proibito.
Perché naturalmente Arthur lo era, doveva esserlo, il fatto che non stesse più con Gwen non cambiava nulla e lui sarebbe stato un folle a pensare diversamente.
Era stato allora che Merlin aveva iniziato ad aver paura.
La presenza di Gwen tra loro era sempre stata come una cintura di sicurezza intorno al suo povero cuore ferito.
Ora, senza i sentimenti di lei di cui tener conto, stare vicino ad Arthur era diventato quasi insostenibile.
Ecco perché, quando lui e Merlin erano entrati all’università, Merlin si era detto che le cose sarebbero dovute cambiare.
Lui e Arthur non sarebbero potuti più essere un indivisibile duo.
Merlin avrebbe trovato altri amici, si sarebbe innamorato di qualcuno che potesse ricambiarlo e si sarebbe lasciato alle spalle quel dolore.
Così Arthur sarebbe rimasto il suo miglior amico per sempre.
Per lo stesso motivo aveva rifiutato l’offerta di Arthur di vivere con lui.
Merlin aveva sempre saputo che non sarebbe rimasto a casa dopo il diploma.
Sua madre gliel’aveva proposto ma Merlin era sempre stato a conoscenza del desiderio di lei di tornare, prima o poi, ad abitare nel paese della propria infanzia, lì dove si era innamorata del papà di Merlin ed erano stati felici insieme. Se era rimasta a Londra per tanto tempo, era stato solo per permettere a Merlin di studiare.
Ora che Merlin era entrato al college, avrebbe potuto realizzare il suo desiderio. Avrebbe venduto la casa e sarebbe andata a vivere con lo zio Gaius.
Gli sarebbe mancata ogni giorno ma era giusto così.
Quando Arthur aveva saputo dei suoi piani, naturalmente lo aveva tormentato perché affittasse con lui un appartamento in centro.
Merlin era stato irremovibile.
Arthur aveva messo il muso per tre lunghissime settimane.
Merlin non si era lasciato incantare.
Ed aveva fatto bene.
Era andato a vivere al campus, si era fatto dei nuovi amici e aveva scoperto nuovi interessi. Inoltre aveva diviso l’alloggio con un ragazzo che si era rivelato una vera manna dal cielo, perché era serio e studioso come lui.
Arthur invece era finito con Gwaine.
Al mondo c’era dunque un po’ di giustizia.
Ora lui e Arthur uscivano ancora con una certa regolarità e si sentivano quasi tutti i giorni.
Merlin però era riuscito a ritagliarsi un suo universo in cui Arthur non poteva entrare.
Finalmente riusciva a respirare di nuovo.
E non sarebbe tornato indietro per nulla al mondo.

* * *

Merlin e Arthur sono arrivati a destinazione.
Arthur fa accostare Merlin davanti ad un piccolo, delizioso café e Merlin si chiede se, per quell’anno, Arthur non abbia deciso di giocare sul sicuro e non stia per offrirgli un’enorme torta decorata, con tanto di candeline e tutto il resto. Non la trova una cattiva idea, gli stava appunto venendo fame...
Arthur invece scende dalla macchina e si dirige verso le vetrate di un ingresso accanto alla pasticceria.
Merlin lo segue sospettoso.
A quanto pare non sono lì per la colazione.
Arthur spinge Merlin verso l’ascensore, premendo il tasto per il quinto piano, l’ultimo.
Per qualche motivo, Arthur ora sembra nervoso, Merlin fa per chiedergli qualcosa ma poi ci ripensa e rimane in silenzio.
Quando arrivano in cima, Arthur è tornato del suo solito, irritante buonumore.
Prende un paio di chiavi dalla tasca dei pantaloni e fa entrare Merlin in un appartamento situato in fondo ad un lungo corridoio scuro, un appartamento talmente bello che a Merlin sembra uscito direttamente dalle pagine di un giornale.
- Allora, che te ne pare? La vista è fantastica, la cucina è dotata di un frigo che sembra una portaerei e una delle camere ha persino un bagno privato! – Gli dice Arthur, mentre con gesti decisi scosta le tende dalle finestre, per permettere alla luce di entrare.
- Arthur, è bellissimo. Ma, cos’è? –
- Il mio nuovo appartamento. –
- Perché, cos’ha quello vecchio che non va? – Ed il suo tono ora è quasi arrabbiato.
Merlin è terribilmente critico con Arthur quando crede che stia sperperando il suo denaro. Perché Arthur sarà anche più ricco di quanto Merlin possa forse immaginare ma a Merlin non piace lo stesso che si comporti come uno sconsiderato.
C’è da dire che Arthur si comporta sempre bene, per la maggior parte del tempo.
- Non ha niente che non va. Fosse solo per me non penserei di andarmene. Però devo tener conto anche del mio coinquilino. Lui è di gusti difficili. –
- Gwaine? –
Merlin quasi stenta a credere a ciò che sente.
Gli sembra un po’ ingiusto da parte di Arthur dire così, perché di Gwaine si può dire tutto, ma veramente tutto... Tranne che sia difficile.
È la persona più alla mano e con meno pretese che Merlin abbia mai conosciuto.
- No, certo che no! Non sto parlando di lui. –
- E di chi stai parlando allora? – gli chiede Merlin, un po’ sorpreso e preoccupato ma ancora distante dal capire.
- Ma di te, no? Sciocco che non sei altro! Perché ti avrei portato qui altrimenti? E proprio oggi? –
- Arthur... io non vivo con te. – E Merlin si sente quasi stupido a doverlo sottolineare.
- No, adesso no... ma dall’anno prossimo... – E così dicendo apre le braccia e fa un mezzo giro indicando tutta la stanza, un sorriso esultante in volto.
- Ok, temo davvero di non capire. – Merlin si porta una mano alla fronte, come se quel gesto potesse aiutarlo a mantenersi lucido - Arthur, ne abbiamo già parlato l’anno scorso. Pensavo che fosse tutto chiaro su questo punto. Io non posso permettermi di vivere con te. –
In più di un senso...” Aggiunge tra sé.
- Questo era l’anno scorso. Da quest’anno potrai farlo, perché oggi io mi trasformo nella tua fata madrina e ti regalo tre interi anni d’affitto in questo appartamento da favola, in cui potrai trascorrere la tua vita universitaria insieme al migliore amico che potresti mai desiderare. Ci divertiremo un mondo, vedrai! –
Merlin teme per un attimo di aver iniziato a boccheggiare.
Quello stupido non può essere serio. Non può giocargli un tiro del genere!
- Arthur, io davvero non ne vedo il bisogno. Io mi trovo benissimo al campus e so che anche tu sei felice della tua sistemazione. Cos’ha Gwaine che non va? –
- Gwaine non ha niente che non va! Solo che non è te! –
Ok, quello era un colpo basso. Merlin però ha ancora frecce nel suo arco.
- Arthur, hai idea di quanto costi affittare un posto del genere? Come pensi che mi sentirei sapendomi così in obbligo con te? E non tirare fuori la storia della macchina! Quello è stato un caso isolato e che non si sarebbe dovuto ripetere! Avevamo fissato un budget per i regali. Ricordi? Io per il tuo compleanno ti ho preso un gioco per la Playstation! –
- Cosa significa obbligo? Da quando tra me e te c’è bisogno di sentirsi in obbligo? Quel che è tuo è mio e quel che è mio è tuo. È sempre stato così tra noi ed io adoro il gioco che mi hai regalato! Stammi bene a sentire, Merlin, nessuno meglio di me sa con quanta fatica tu abbia lavorato in questi anni per ottenere la borsa di studio e poterti permettere la retta del college. Lo so perché mi ero offerto di pensarci io e tu mi hai evitato per un mese, solo per averlo proposto! So bene quanto sei orgoglioso e so che per te è importante riuscire a cavartela solamente con le tue forze, però Merlin, davvero, lasciami fare questa cosa per te. Vieni a vivere con me. –
- Arthur, tu non capisci... Non posso. –
- Perché non puoi? Per Lance? Ti dispiace abbandonare il tuo compagno di stanza al suo destino? Troverà un coinquilino anche migliore di te! Non sei poi questa gran cosa, sai? Solo io ho la pazienza di sopportare i tuoi borbottii e le tue stranezze! E so che il vecchio appartamento era troppo distante dal tuo lavoro, e che questa era una delle tue obiezioni al nostro vivere insieme lì. Ecco perché ho scelto questo quartiere. Siamo vicinissimi al ristorante di Al, non te ne sei accorto? Questa casa è perfetta per te! Per noi. –
Arthur sembra un avvocato che cerchi di convincere una giuria. Merlin ha sempre saputo che lavorare con suo padre l’avrebbe reso pericoloso.
Merlin avanza di un passo verso di lui, cercando di farlo ragionare ma Arthur, svelto, gli poggia le dita sulle labbra, zittendo ogni suo tentativo di replicare.
- Senti Merlin. – Ed il suo tono è quasi stanco mentre gli parla – Per un anno abbiamo fatto come volevi tu. Io ho sempre pensato che non sarebbe stata una buona idea vivere separati ma tu mi avevi assicurato che non sarebbe cambiato niente, che saremmo stati sempre noi due e che tutto sarebbe stato esattamente come quando vivevamo entrambi con le nostre famiglie. Beh, non è stato così! Non ti ho quasi mai visto quest’anno, preso com’eri tra lo studio e Lance e il club di astronomia e solo Dio sa che altro! E sai che c’è? Non mi è piaciuto! Qui non si tratta dei soldi dell’affitto o di Lance o di Gwaine. A me piace Lance e voglio bene a Gwaine. Io adoro Gwaine! Sono sicuro che non riuscirò a scrollarmelo di dosso finché non saremo entrambi vecchi e canuti e non saremo più in grado di aprire una lattina di birra con una sola mano senza farne cadere una buona metà. Solo che io non voglio vivere con Gwaine. Io voglio vivere con te. Mi sei mancato amico. –
Merlin guarda Arthur negli occhi.
Quegli occhi così azzurri che a volte osservarli gli fa quasi male.
Si chiede se Arthur abbia la minima idea di cosa gli stia chiedendo. Se sappia con quanta forza Merlin abbia cercato di combattere quel sentimento.
La risposta naturalmente è no.
Perché se Arthur sapesse lo lascerebbe andare.
Perché Arthur non lo condannerebbe mai volontariamente ad un dolore costante, ingiusto e senza cura.
Merlin si chiede se non dovrebbe dirglielo, allora, quello che prova.
Se non dovrebbe dirglielo ora, mentre Arthur gli stringe le mani e lo guarda fiducioso, ignaro di tutto, aspettando una sua risposta.
Così finalmente finirebbe ogni cosa.
Finirebbero le bugie, le scuse, i silenzi, gli sguardi nascosti.
Resterebbero solo lui e Arthur, e quell’amicizia che Merlin ha cercato in tutti i modi di salvare.
E a quel punto sarebbe Arthur ad avere l’ultima parola.

Arthur gli scuote dolcemente le braccia, come per spingerlo piano a prendere una decisione, come se capisse che una sola parola sbagliata potrebbe far scappare Merlin alla velocità della luce.
Merlin sa che deve parlare ora. Che il suo tempo sta per scadere.
Perché Arthur non accetterà mai un no come risposta.
Quindi o Merlin confessa o accetta la sua proposta.
Ed è scorretto che ne esca sconfitto in entrambe le situazioni.
E allora Merlin prende un lungo respiro e cerca di racimolare il coraggio.
Sa che bastano due parole. Due parole soltanto.
Ma invece è solo un commento codardo e un po’ sagace, quello che gli esce dalla bocca.
- Quindi, se ho capito bene, in pratica stai facendo un regalo a te stesso! La mia insostituibile presenza al modico prezzo di trentasei mensilità d’affitto! –
Arthur disperde il suo sarcasmo con un solo gesto della mano, gli prende le spalle stringendole forte e gli sorride, quel suo solito sorriso da ragazzino che in tanti anni non è mai cambiato.
- Questo sarebbe un sì? –
Merlin abbassa le spalle, rassegnato. Chi aveva cercato di prendere in giro? Sapeva fin dall’inizio che sarebbe finita così.
- Però la camera col bagno personale è mia! – gli dice con un moto d’orgoglio.
Perché Arthur l’avrà anche avuta vinta ma lui merita l’onore delle armi.
Arthur gli scompiglia forte i capelli e gli dà un piccolo pugno sul braccio, troppo contento per protestare.
La sua risata, per Merlin, è una capriola al cuore.

- Tutto quello che vuoi amico. Tutto quello che vuoi. –


 

Avete presente quando siete a dieta da un po’ di tempo, e siete stati bravissimi fino a quel momento, e poi qualcuno vi trascina in una pasticceria (sì, proprio quella sotto al palazzo di Merlin ed Arthur!) e vi serve su un piatto d’argento una scusa perfetta per fare uno strappo alla regola?
E dentro di voi sapete benissimo che potreste tirarvi indietro, che potreste dire di no, perché quando c’è la volontà, una scappatoia per rifiutare la si trova sempre... eppure non lo fate... perché, e che diamine, si vive una sola volta?!
Beh, diciamo che il nostro Merlin ora è esattamente in quella situazione.
In cuor suo, si rende perfettamente conto di quanto, l’andare a vivere con Arthur, sia una pessima idea, eppure lo desidera talmente tanto che all’ultimo non riesce a tirarsi indietro.
Anzi, già il fatto di aver resistito per un intero anno è da considerarsi una vittoria...
Si sarà anche messo nel sacco da solo, ma come biasimarlo? ; )

Questo è un capitolo quasi di passaggio, che ha più che altro la funzione di mostrare come Merlin abbia attivamente cercato di combattere ciò che prova, perché per lui l’amicizia con Arthur conta più di tutto, ma che vuole anche sottolineare che, a volte, ci si deve arrendere al fatto che il valzer lo si balla in due, e che quando si cambia atteggiamento, gli amici di solito se ne accorgono e agiscono di conseguenza.
Quindi si possono mettere in atto le più disparate strategie per mandare le cose in un certo modo, però il più delle volte, la vita e le persone, finiscono inevitabilmente per sorprenderci e rimettere tutto in discussione.

Spero che la storia fin qui vi sia piaciuta e che vi abbia fatto passare qualche bel momento.
Non ho note particolari questa volta, vi rinnovo solo la richiesta di avvertirmi se avessi scritto qualche incredibile castroneria su dettagli come la durata dell’università inglese e cose così. Qualunque commento è bene accetto!
Vi bacio tutti indistintamente!
See you soon!

Sofy

 

Vi lascio con qualche piccola anticipazione...

... sotto quel cielo così familiare, d’un tratto quell’amore taciuto, nascosto, sembra esplodergli sotto la pelle, e forse sarà l’aria della notte o il peso dei settecento giorni in cui hanno vissuto insieme... ma mentre è steso accanto ad Arthur, ad un braccio di distanza da lui, senza riuscire a tollerarlo, e soffrendo la sua vicinanza come se potesse davvero fargli male, Merlin si rende finalmente conto che quell’amore non andrà più via, che gli resterà impresso addosso per sempre, come un macchia indelebile, come un ricordo...

* * *

Merlin cerca il suo viso, quei capelli biondi che la notte non osa spegnere.
Non guarda altro, non pensa ad altro, perché adesso basterebbe davvero un soffio di vento per farlo arretrare.
O invece no.
Forse si sbaglia.
Perché gli ci sono voluti quattro anni per arrivare a tanto da quel viso.
E allora no, non basterebbe il vento, come non basta la paura, come non basta la ragione.
E comunque, si dice, arrivati a quel punto, servirebbe coraggio anche per tirarsi indietro.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***



Questa storia fa parte della serie "You Take My Heart by Surprise".



Eccoci arrivati al giro di boa!
Questa settimana ho temuto davvero di non riuscire a postare ma alla fine ce l'ho fatta!

Per prima cosa voglio ringraziare nuovamente tutti voi che state seguendo la storia, la mia fantastica beta e AsfodeloSpirito17662, hiromi_chan, Misfatto, Inessa e chibisaru81 per aver recensito... grazie di cuore ragazze, le vostre parole mi accendono sempre un teporino nel cuore... che con questo tempo uggioso poi è una meraviglia!

Non vi nascondo che è con una certa apprensione (ehm... vogliamo chiamarla ansia? Ok, chiamiamola ansia... è giusto chiamare le cose con il loro nome! XD) che mi accingo a pubblicare questo capitolo.
Perché questo è stato il capitolo per me più difficile da scrivere.
Quello che, fino alla fine, non ero neanche sicura di voler scrivere.
E quello che ho inevitabilmente finito per amare di più.
La domanda del giorno è semplice: per quanto tempo, un amore così intenso come quello che prova Merlin, può restarsene buono buono in un angolo a guardare, senza protestare, senza chiedere nulla per sé?
Io me lo sono chiesto, ed ho provato ad immaginare cosa significhi essere così vicini ad una persona, ogni giorno, ogni ora, cercando disperatamente di far finta che sia tutto normale, mentre invece si vive costantemente con una tempesta nel cuore...
Secondo me, alla lunga, tutto quel vento e quella pioggia finiscono inevitabilmente per annebbiare un po’ la vista e confondere il cervello, finendo per far commettere una sciocchezza o due, dalle quali però (una volta rinsaviti) si può finire per imparare qualcosa, forse proprio ciò che si aveva bisogno di scoprire.
Ritroveremo i nostri ragazzi dopo un altro paio d’anni e scopriremo come è andata la loro convivenza...
Ora vi lascio alla lettura del capitolo.
Ci si ritrova nelle note!!!
Enjoy!

Sofy

“Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della BBC; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro”.




Regalo di Compleanno

 

17° Compleanno

Merlin compie ventun anni e, per la prima volta in vita sua, si sente completamente al sicuro.
Perché non deve temere che Arthur stia per travolgerlo con una delle sue trovate.
Nessuna festa quest’anno. Nessun regalo sopra le righe. Nessuna sorpresa “alla Arthur”.
Perché Merlin quest’anno ha espresso il desiderio di riprendere dopo tanto la loro tradizione, ed ha fatto giurare ad Arthur di attenersi alle regole, senza trovate geniali o complotti dell’ultimo minuto.
Un weekend insieme, solo loro due, nella casa sul lago che è stata il rifugio della loro giovinezza.
Merlin non è troppo sicuro del perché abbia voluto tornarvi.
Forse perché di lì ad un anno avranno entrambi finito l’università e Merlin non sa con esattezza cosa ne sarà di loro. Non sa neanche se vivranno più insieme, perché ci sono buone probabilità che, appena dopo la laurea, Arthur venga mandato da suo padre a fare pratica nello studio di New York, mentre Merlin resterà a Londra a cercarsi un lavoro, un lavoro che gli consenta finalmente di guadagnare abbastanza da poter un giorno partire anche lui.
Ed allora non ci sarà più tempo per la casa sul lago, o per i compleanni di Merlin.
Lui e Arthur si ritroveranno per la prima volta lontani.
Ed anche se Merlin cerca di non pensarci, la sola idea rischia di farlo impazzire.
Ecco dunque spiegato quel viaggio.
È il suo modo per lasciarlo andare.
Per essere pronto a dirgli addio quando arriverà davvero il momento.

Lui e Arthur sono arrivati alla casa sul lago il giorno precedente e durante quei due giorni tutto è stato esattamente come una volta.
Come prima di Gwen e l’università e il loro vivere insieme.
Come quando avevano dodici anni e Merlin poteva guardare Arthur negli occhi senza sentirsi tremendamente in colpa.
Per quel weekend hanno entrambi accettato di lasciare le loro vite in stand-by: Arthur ha spento il cellulare, rischiando di incorrere nell’ira di suo padre, e Merlin ha lasciato a casa il suo ultimo saggio, scritto solo per metà, la cui data di consegna è pericolosamente vicina.
Però Merlin non ci pensa.
Perché questa per lui e Arthur sarà l’ultima volta, e allora cosa può esserci di più importante?

Hanno passato le mattine a poltrire ed i pomeriggi a pescare, e per l’ultima sera hanno allestito un piccolo barbecue in cui hanno arrostito il pesce che sono riusciti di giorno a catturare.
Beh... Che Arthur è riuscito a catturare. Merlin non è mai stato bravo con la canna da pesca.
Poi, quasi di comune accordo, si sono incamminati verso la radura, passeggiando l’uno accanto all’altro, le mani in tasca, spintonandosi piano, con i gomiti, quando nel camminare finivano per sfiorarsi.
Come due ragazzini.
Arrivati alla radura si sono seduti vicini, le braccia strette intorno alle ginocchia, il rumore del lago a lambire il silenzio, quel silenzio che tra loro non ha mai avuto bisogno di perché.
Il volto di Arthur ora è sereno, sereno come solo su quelle sponde può diventare.
Merlin sa che vi sono insenature molto più belle nascoste tra le pieghe del lago, però la mamma di Arthur ha amato quel luogo, e quindi questo basta a renderlo speciale.
Merlin sa anche che di tanto in tanto Arthur torna alla radura da solo.
Di solito quando si sente particolarmente insicuro o ha bisogno di pensare.
Perché Arthur ha sempre creduto che se avesse ascoltato con molta attenzione, in qualche modo sua madre sarebbe sempre arrivata a consigliarlo, e che una decisione presa su quelle sponde non avrebbe potuto rivelarsi sbagliata.
Merlin ora vorrebbe che questo valesse anche per lui.
Che la mamma di Arthur avesse un consiglio da dargli, in modo da non dover più affrontare ogni scelta da solo.
Perché Merlin non ha mai parlato con nessuno di ciò che prova.
Ed ora, sotto quel cielo così familiare, d’un tratto quell’amore taciuto, nascosto, sembra esplodergli sotto la pelle, e forse sarà l’aria della notte o il peso dei settecento giorni in cui hanno vissuto insieme... Ma mentre è steso accanto ad Arthur, ad un braccio di distanza da lui, senza riuscire a tollerarlo e soffrendo la sua vicinanza come se potesse davvero fargli male, Merlin si rende finalmente conto che quell’amore non andrà più via, che gli resterà impresso addosso per sempre, come un macchia indelebile, come un ricordo, anche quando Arthur sarà dall’altra parte del mare e lui non potrà più vederlo ridere.
- Sei silenzioso stasera. –
La voce di Arthur gli arriva addosso leggera, come un’increspatura del lago.
- Allora, è questo il compleanno che desideravi? –
Strano.
Vivendo con Arthur da due anni, Merlin ha ormai imparato con una discreta abilità a non lasciarsi sorprendere e a mascherare ciò che prova. È stata un’arte necessaria da apprendere, indispensabile, per non farsi cogliere ad osservarlo come un ebete sui cereali del mattino, quando Arthur ha quell’aria un po’ assonnata che gli sta così bene, o per fingere indifferenza quella volta su mille in cui Merlin decide di cucinare ed Arthur si diverte a sbirciare sopra la sua spalla, curioso, per vedere che sta combinando, rischiando di fargli bruciare tutto... Perché Arthur ha sempre un odore così buono, e Merlin vorrebbe ogni volta solo voltarsi e baciarlo, e scordarsi della cena, e del fuoco acceso, e della ragione.
Ecco perché lo stupisce scoprirsi con un groppo in gola mentre cerca di rispondergli un semplice sì.
- Certo che era quello che volevo! È stata una mia idea, no? –
- Però non sembra sai? Dovresti vederti! Hai la stessa faccia di quel giorno all’asilo, quando tutti ti avevano messo in disparte, ricordi? E tu stavi bene attento ad evitare lo sguardo di chiunque, perché non volevi che ti vedessero piangere. Non eri molto bravo però, si vedeva lontano un miglio che eri infelice. Tuttavia è stato un bene che sia andata così: se non avessi pianto, quel giorno, forse noi due non ci saremmo conosciuti... Ci hai mai pensato? –
- Ho sempre saputo che avrei pagato care quelle lacrime! – Gli risponde Merlin, sorridendo, lo sguardo ancora rivolto alla notte.
Arthur però non si lascia distrarre.
- Allora forza, sputa il rospo, perché sei così triste? Qui non siamo all’asilo e non c’è un branco di saputelli che ce l’ha con te, qui ci sono solo io, eppure non riesci a guardare neanche me. –
Come possa un somaro come Arthur essere così perspicace, Merlin non se lo spiega. Buon per lui comunque, forse diverrà davvero un buon avvocato.
Merlin decide di rispondergli. E di rispondergli la verità. Beh, una parte...
- È che stavo pensando che questa potrebbe essere l’ultima volta. Noi due, questa casa, la nostra tradizione... In futuro potrebbe essere difficile riuscire a tornare qui insieme... Mr. “Sto per diventare un importante avvocato di New York”. –
- Oh, senti chi parla Mr. “Non vedo l’ora di partire per il mio viaggio intorno al mondo!”... –
- Touché... – Gli dice Merlin, la voce dolce, un po’ colpevole. Non ha mai pensato che Arthur potesse sentirsi ferito dal suo desiderio di partire. Ecco perché si sente in dovere di precisare: - Il mio viaggio al momento non è altro che un sogno... Sei tu quello che partirà... –
E avrebbe tanto voluto non suonare così amareggiato dicendolo.
- Sicuro di non poter chiedere a tuo padre di lasciarti fare il praticantato qui? Chi si occuperà di te a New York? Ho paura che già dopo una settimana tornerai piangendo alla mia porta... –
Non è la prima volta che scherzano così tra loro, perché quando parlano di New York, Merlin non può fare a meno di profetizzare rovina e sventure... E di chiedergli di restare.
- Una settimana? Non durerò tre giorni senza di te! – Gli risponde Arthur, e poi, facendosi improvvisamente serio aggiunge: - Io non voglio andarmene... Se potessi resterei. –
Ed il discorso si chiude sempre così, con un Arthur sinceramente dispiaciuto ed un Merlin che si sente una carogna nel fargli pesare quella grande opportunità.
Perché naturalmente Arthur DEVE partire. Così che New York possa innamorarsi di lui.
- Potresti venire con me... – Questa è nuova. - Potresti farmi da assistente! – E l’idea, chissà perché, sembra divertirlo un mondo...
- E passare tutto il giorno a correre su e giù per farti le commissioni, ventiquattro ore su ventiquattro sempre a tua disposizione? No grazie... – Ed è terribile che invece quell’idea non gli dispiaccia affatto. Dice sul serio? Vorrebbe davvero che lo seguisse a New York?
- Perché... Non lo fai già? –
Il sorriso di Arthur è anche troppo compiaciuto. Ebbene sì, può capitare che Merlin prenda i suoi messaggi, porti a lavare la sua macchina e ritiri le sue camice in tintoria... Ma è solo perché Arthur è sempre così impegnato, tra l’università e suo padre, mentre lui è già abbastanza avanti negli esami, e non c’è niente di male a dare una mano e ad essere gentile, dato che vivono insieme.
Arthur dovrebbe dire grazie, e non certo gongolare!
- Comunque penso che potresti aver ragione sai... Riguardo questo weekend. Potrebbe essere davvero l’ultima volta, almeno per un po’... – aggiunge Arthur piano.
Ed è come se il pensiero l’avesse colto solo allora, ed in realtà è più che normale, perché non è assolutamente da Arthur preoccuparsi di quello che deve ancora venire.
Quindi Merlin lo vede aggrottare la fronte, come se quell’idea proprio non gli piacesse, e piegare la bocca in quella sua smorfia strana di quando deve mandar giù qualcosa che sa di non poter evitare, una smorfia buffa ma allo stesso tempo stoica, che risale a quando erano piccoli e la tata di Arthur lo costringeva a mangiare le verdure.
A Merlin è sempre piaciuta quell’espressione.
Perché è una delle cose che rendono Arthur... Arthur.
- Se così deve essere... Cerchiamo di far durare quest’ultimo viaggio il più a lungo possibile! Che ne dici? – Arthur è davvero incredibile. Mai che si lasci scoraggiare da nulla.
- Arthur... Noi partiamo domani. –
- Ma adesso siamo ancora qui no? – Gli risponde lui con un gran sorriso.
Disarmato come al solito dalle sue parole, Merlin lo guarda, lo guarda e basta, perché quando Arthur gli sorride così è davvero difficile fare altro. Guarda i suoi occhi luminosi, il suo sorriso che non vuole saperne mai di spegnersi, e sente d’amarlo come mai prima.
- Sì Arthur, adesso siamo ancora qui. –

* * *

Qualche ora più tardi, Merlin si ritrova con le mani fermamente serrate intorno a dei ciuffi d’erba e gli occhi fissi alle stelle, a desiderare con tutto se stesso di essere ovunque a parte lì.
Lui e Arthur sono restati vicino alla riva a parlare per un’eternità, tanto che la notte si è fatta più scura e l’umidità si è chinata sulla loro pelle fino a sfiorarla, facendoli rabbrividire col suo respiro.
Merlin è rimasto a lungo fermo, paralizzato persino nei pensieri, a contare i respiri di Arthur che si è addormentato mentre gli parlava, un braccio piegato sullo stomaco, l’altro steso verso Merlin, il palmo della mano rivolto in su, ad una spanna dal suo viso.
A Merlin sembra quasi di percepirne il calore, anche da quella distanza.
Una strana inquietudine gli è scesa sul cuore.
Le parole di Arthur, quelle con cui gli aveva confermato che quella, almeno per un po’, sarebbe stata veramente la fine di tutto, erano cadute come neve ad attutirgli il cuore, zittendolo, spaventandolo, facendolo sentire solo.
Si era aspettato che lui negasse, che gli dicesse che tornare da New York sarebbe stato uno scherzo, che tempo per loro ce ne sarebbe sempre stato... Invece Arthur si era detto d’accordo con lui.
Non aveva protestato, non aveva ribattuto... E già questa di per sé era una novità.
Sarebbe veramente cambiato tutto.
Lo sapeva da tempo ma pensarlo non gli aveva mai fatto così male.
Non come il sentirlo dalle sue labbra.
Guarda le dita della mano di Arthur abbandonate sul terreno freddo, il braccio forte e affusolato, il profilo troppo bello che punta al cielo, sfidando la notte come una lama.
È ridicolo.
In tutti quegli anni, è convissuto con la sensazione che Arthur vivesse ad una distanza che lui non avrebbe mai potuto colmare, che pur dividendo lo stesso appartamento, la loro vicinanza fosse solo illusoria, che Arthur non fosse mai veramente con lui, troppo distante per poterlo avere, sentire, toccare.
Invece in quel momento, guardando quel braccio steso verso di lui, per la prima volta si rende conto che non è così, che Arthur è lì, a meno di un metro, vicino come forse non sarà mai più, e Merlin non sa bene perché questo pensiero lo spaventi tanto, perché gli sembri così subdolo e pericoloso, né sa spiegarsi l’improvviso bisogno che prova di alzarsi di scatto e fuggire, mille miglia lontano, o perché anche solo pensare di staccare gli occhi dal suo viso gli risulti così difficile da sfiancargli il cuore.
Merlin è così stanco di combattere quell’amore.
Negli ultimi anni gli sembra di non aver fatto altro.
E a volte, si dice, quando fai qualcosa per tanto tempo, finisci per perderne di vista la vera ragione, il motivo che all’inizio ti ha spinto in quella direzione.
E allora arriva una notte come quella, in cui quella ragione non la vedi neanche più.
Ci sei solo tu con accanto quello che vuoi, e nient’altro che possa fermarti.
Si volta di nuovo verso Arthur, come attirato, e all’improvviso è come se avesse freddo, ma sono i suoi stessi pensieri a farlo tremare. Perché non sembrano appartenergli. Perché lui non è così.
Eppure...
Solo una volta, si dice.
Anche se è folle.
Una volta soltanto.
Anche se è un errore.
Per non tornare a casa con niente in mano. Per non vivere tutta la vita chiedendosi “E se...?”.
Perché quelle labbra che non saranno mai sue lo chiamano e gli fanno paura.
Perché è come se fossero sporche del suo nome.
Perché così addormentate sono troppo belle, e lui non ha la forza di allontanarsene.
E perché Merlin vuole baciarle, da sempre.
Sempre.
Sempre...

Trovare il coraggio di muoversi però, è davvero tutta un’altra storia.
Merlin si mette a sedere e già gli sembra incredibile di essere arrivato fin lì.
Tutto ciò che tocca, tutto ciò che vede, persino ciò che pensa si trasforma in rumore, riecheggia nell’aria come il suono di una campana.
Fa rumore l’erba sotto la sua mano, il fruscio dei jeans contro il terreno, gli alberi, il suo respiro, il cielo, tutto... Perfino i sogni di Arthur, nascosti dalle palpebre chiuse.
Merlin cerca il suo viso, quei capelli biondi che la notte non osa spegnere.
Non guarda altro, non pensa ad altro, perché adesso basterebbe davvero un soffio di vento per farlo arretrare.
O invece no.
Forse si sbaglia.
Perché gli ci sono voluti quattro anni per arrivare a tanto da quel viso.
E allora no, non basterebbe il vento, come non basta la paura, come non basta la ragione.
E comunque, si dice, arrivati a quel punto, servirebbe coraggio anche per tirarsi indietro.

Poggia una mano accanto al viso di Arthur. Il terreno gli punge il palmo e Merlin pensa che, quando si chinerà su di lui, quel pietrisco affilato farà ancora più male, ma anche il dolore è poca cosa, perché Arthur è lì che dorme, e Merlin non l’ha mai guardato così a lungo e da vicino, come se potesse farlo, apertamente, senza scuse.
Solo perché vuole. Solo perché ne ha bisogno.
Ed è così tremendamente ingiusto... Perché nessuno potrà mai amare Arthur quanto lui. E nessuno lo capirà allo stesso modo. E nessuno se ne prenderà cura come lui non smetterà mai di fare.
E questo Arthur dovrebbe capirlo.
Dovrebbe capirlo accidenti a lui...
Dovrebbe vedere.
Invece quell’idiota continua a vivergli dolorosamente accanto, allegramente al buio, e a sorridergli con quelle labbra per cui prima o poi, Merlin lo sa, perderà la ragione.
Ed allora meglio prenderle adesso si dice, prima che lo facciano impazzire, come una piccola vendetta di cui Arthur non soffrirà mai.
Il respiro di lui lo sorprende a metà strada.
Merlin non si era neanche accorto di essersi mosso davvero.
Il suo volto ora è talmente vicino che può vederne le piccole rughe agli angoli della bocca e la pallida cicatrice rimastagli sulla guancia dopo un litigio con Morgana, lì dove le sue unghie da gatta non avevano voluto sentir ragioni.
Merlin conosce quella cicatrice, perché era lì quando Arthur se l’è procurata, è stato lui a metterle sopra un cerotto e poi ad impedire ad Arthur di tormentarsi la ferita non ancora chiusa, così che non restasse troppo il segno.
Ed Arthur aveva smesso di farlo, anche se bruciava da morire, solo perché gliel’aveva detto lui. Perché si fidava delle sue parole.
A quel pensiero Merlin si ferma a mezz’aria con un tuffo al cuore, esitante.
In colpa.
Per un attimo gli occhi di Arthur, inconsapevoli, fiduciosi, fanno capolino nei suoi pensieri.
Cosa direbbe Arthur, se si svegliasse ora?
Se quelle palpebre che tremano appena si spalancassero a due centimetri da lui?
Sarebbe sorpreso? Confuso?
Lo spintonerebbe forte, facendogli male... Gridandogli contro... Abbandonandolo lì?
Oppure lo guarderebbe e basta?
Ferito. Deluso.
Come sarebbe allora affrontare quegli occhi?
Non avere dove nascondersi?
Non poter più mentire?
E allora Merlin prega che Arthur si svegli, perché forse sarebbe meglio che lo scoprisse così.
In flagrante, atterrito, disperato, onesto, innamorato...
Così lo vedrebbe per ciò che è davvero.
Arthur finalmente saprebbe, e dovrebbe accettarlo così com’è. Oppure no.
Arthur però non si sveglia.
Come se avesse deciso di non capire, di chiudere forte gli occhi per non dover poi rinunciare a lui.
E allora al diavolo Arthur.
Al diavolo tutto.
E al diavolo anche lui.
Merlin impreca a mezza voce tra i denti, bruciando in un respiro l’aria tra loro, e con un solo gesto avvicina la bocca a quella di Arthur, coprendola con la propria come per nasconderla, proteggerla da tutto tranne che da sé.
Arthur nel sonno sussulta appena, e per un morbido secondo tutto sembra giusto e in pace e perfetto.
Perché all’improvviso Arthur non è più solo un profumo ma un sapore, ed il rosso di quelle labbra è vivo e così sfacciatamente caldo e salato e suo...
Allora gli sembra di stare per cadere, di esser condannato a precipitare ad occhi chiusi in quella sensazione, senza sperare di salvarsi, perché già sa che quel bacio sarà la sua fine, perché gli si aggrapperà al cuore, lo trascinerà con sé nel vuoto e finirà per fargli male.
Però questo non lo ferma, non è abbastanza, perché Arthur è seta contro di lui, perché quelle labbra che ha visto ridere, cantare e mentire, ora vorrebbe solo schiuderle piano, assaggiare il respiro di Arthur fino a non distinguerlo più dal suo, farlo sussultare sussurrando il suo nome e poi zittirgli la voce sfregandola tra i polpastrelli... Mordergli il cuore fino a segnarlo, come suo, per sempre.
Poi, in un attimo, l’incanto scompare.
Le labbra di Arthur rimangono addormentate contro di lui, le mani ancora a terra, i pensieri lontani.
La ragione torna da Merlin trasportata dal vento freddo del lago, in un solo brivido gli corre lungo la schiena, togliendo a quel momento il suo calore.
Tutto all’improvviso gli sembra solo molto stupido, doloroso, umiliante.
Arthur non è lì.
Il suo cuore non è lì.
Merlin è solo, a trattenere tra le labbra l’eco amaro di un gesto insensato e vuoto. Un senso di vergogna a ridergli in faccia.
Muoversi ora è più una necessità che altro.
Aprire gli occhi, alzare il viso, distogliere lo sguardo, sforzarsi di respirare... Qualunque cosa pur di scrollarsi quella follia di dosso, quel minuto che sembra intenzionato a cambiare tutto di loro due.
Merlin rotola veloce su un fianco, tornando a guardare il cielo, allontanandosi da quel corpo da cui ora vorrebbe solo scappare.
Non sbatte neanche le palpebre, perché spera che forse, se resta perfettamente immobile, quel brutto sogno non lo vedrà, passerà oltre, ed allora sarà come se non fosse accaduto nulla, e quel dolore indistinto, diffuso, sottile... Che gli sta piovendo addosso come una tempesta, passerà presto... Perché ciò che sente, così lacerante da strappargli il cuore, non è il suo bisogno di Arthur che grida, non è la sua pelle che prega per toccarlo ancora o i suoi occhi che bruciano d’imbarazzo e d’amore.
Quel gesto non significa niente, non cambierà niente, ed anche quel groppo in gola, se lo ignora abbastanza a lungo, se ne andrà, non riuscirà a toccarlo. Come quegli stupidi bambini all’asilo.
Merlin allora serra forte gli occhi, premendo la guancia sull’erba fredda e sente qualcosa rimandargli indietro il respiro.
È la mano di Arthur, ancora abbandonata ad un passo dal suo viso.
Come se davvero il tempo avesse avuto pietà di lui.
Come se fossero davvero tornati ad un minuto fa.
Perso, senza più nessun orgoglio, Merlin poggia piano la nuca in quel palmo aperto, come avrebbe dovuto fare prima, quando aveva sentito imperante il bisogno di toccarlo... Le dita di Arthur tra i suoi capelli neri.
Sembra quasi che Arthur lo stia confortando e Merlin, grato, si promette che quello è il solo contatto che si permetterà mai più.
Quello che Arthur gli regala così spesso.
Il solo che avrebbe dovuto conoscere.
Solo allora Merlin piange, per la prima volta, chiudendo piano gli occhi al calore di una carezza che l’altro non ricorderà.
Le sue lacrime cadono lente sul polso di Arthur ma non se ne cura.
Lascia che sia l’aria della notte ad asciugarle, silenziosa, soffiando su quell’amore come su una candela.

* * *

Seduto in macchina accanto ad Arthur sulla via del ritorno, Merlin guarda il profilo del lago sapendo che non tornerà mai più.
Ciò che temeva solo due giorni prima ora gli sembra più che mai una benedizione.
Un altro anno e Arthur se ne andrà a New York.
E Merlin non farà nulla per trattenerlo.
Non sarà triste, non farà storie, non farà battute, per Natale gli regalerà persino un set di valigie, così che il messaggio arrivi forte e chiaro.
Arthur non capirà, e forse gli sembrerà strano che lui non gli chieda più di restare, ma ormai a Merlin non importa più che Arthur capisca.
Vuole solo che se ne vada.
Vivere insieme era stato un errore, quel viaggio era stato un errore.
Perché avevano solo fatto sì che Merlin dimenticasse la cosa più importante.
Arthur era il suo migliore amico. Lo sarebbe sempre stato.
E non sarebbe mai stato altro.
Almeno quel bacio era servito a qualcosa, come uno schiaffo in pieno viso, di cui avrebbe portato i segni.
Lui voleva salvarla quell’amicizia.
A qualunque costo.
Tornati a casa, avrebbe preso ciò che provava per Arthur e l’avrebbe chiuso nella scatola rossa accanto al suo letto, stipato con l’altro suo sogno. L’avrebbe lasciato lì, senz’aria e senza luce, fin quando non fosse stato in grado di sollevare il coperchio e non trovar più traccia di quell’amore.
Poteva farlo.
Doveva farlo.
Anche se guardando il profilo sorridente di Arthur acceso contro il tramonto, dirsene sicuri era davvero scommettere contro il destino.
Merlin alza gli occhi al cielo guardando le nuvole che corrono via senza neanche salutare.
Arthur, come al solito, guida troppo veloce.
Merlin allunga lo sguardo al contachilometri, cercando di non farsi scoprire, ma Arthur lo conosce troppo bene ed è già lì, pronto a ridere di lui.
- Non dire una parola! Tu hai perso ogni diritto di commentare quando mi hai detto di esser troppo stanco per guidare! Oggi sono io al comando! –
- Sì, ma ciò non toglie che io vorrei tornare a casa tutto intero! –
Arthur gli sorride fingendosi scandalizzato, poi il suo sguardo si addolcisce, tingendosi dell’affetto per lui.
- Merlin, sinceramente, pensi che lascerei mai che ti accadesse qualcosa di male? –
Merlin lì per lì non gli risponde, poi, intenerito, mormora qualcosa che somiglia tanto a un no, e finge di mettersi a dormire, pensando che nessuno che sia già così bello dovrebbe essere anche così dannatamente adorabile.
Perché la sua sola esistenza fa saltare inevitabilmente tutti gli schemi.
E allora non è affatto una sfida leale.
Scoraggiato, incrocia le braccia sul petto, stringendosele forte al corpo.
Sarebbe stato un anno difficile.



 

Ok, il nostro Merlin ha sbagliato storia e per un attimo ha creduto di essere ne “La Bella Addormentata”. Del resto Arthur era sia bello che addormentato, quindi come dargli torto? Poteva capitare a tutti!
Purtroppo per lui però, quel bacio non gli ha fatto guadagnare il suo principe ed un regno, gli ha solo procurato un brusco risveglio, uno di quelli che di solito vengono seguiti da un mal di testa da guinness dei primati.
Merlin all’inizio del capitolo di sente forte, si sente tranquillo, e pensa di riuscire a gestire tutto: il suo amore a senso unico per Arthur, la loro convivenza, il fatto che tra meno di un anno lo perderà... Merlin si sente al sicuro, e non ha tutti i torti, perché in fin dei conti il suo cuore è stato messo alla prova tante volte, eppure è sempre riuscito a tirare avanti, se n’è sempre fatto una ragione, destreggiandosi anche con un certo stile.
Ma continuare a soffrire stoicamente in silenzio come nella miglior tradizione romantica, non è da considerarsi un piano a lungo termine perché, per forza di cose, la pazienza prima o poi arriva al suo limite, il dolore trova una sua valvola di sfogo, e alla fine viene tutto fuori all’improvviso, senza che la razionalità abbia molta voce in capitolo.
In questo caso si è trattato di un bacio rubato (a proposito, amici a casa, non imitate Merlin, non si fa! Non è bello!) a cui Merlin ha ceduto sull’onda del momento, vittima di alcune circostanze (il lago, le parole di Arthur, il ritrovarselo lì addormentato, la paura di perderlo, la consapevolezza di doverlo lasciar andare...), però poteva essere qualunque altra cosa: un bacio dato quasi con rabbia durante un litigio, una dichiarazione onesta e improvvisa mentre guardavano la tv sul divano, una scenata di gelosia che da parte di un amico non avrebbe veramente avuto senso... La verità è che Merlin avrebbe potuto tradirsi in mille modi diversi.
La sua convivenza con Arthur era un disastro annunciato fin dall’inizio ed ora lo sa anche lui, perché la via di mezzo spesso è una buona soluzione, ma quando si tratta d’amore, non è mai una buona scelta.
Detto questo, spero che le mie note finali non vi abbiano troppo annoiato e che il capitolo, tragedie a parte, vi sia piaciuto!
Vi abbraccio ancora tutti per l’affetto che avete dimostrato per questa storia! Grazie di cuore!
See you soon!

Sofy

Ed ecco le solite anticipazioni!

 

Quindi deve dirglielo adesso.
Deve allungare il braccio e fermarlo dall’aprire la porta.
Deve far sì che resti ad ascoltarlo.
Il biglietto aereo, quello che ha rubato dal comodino di Arthur quella mattina, brucia come una torcia nella tasca interna della sua giacca.
Merlin vi poggia sopra una mano, come per darsi coraggio, come a dirsi che se fosse andata davvero male, avrebbe sempre avuto un posto dove fuggire.
Poi prende un gran sospiro e si costringe a guardare Arthur negli occhi.

* * *

Il messaggio non sarebbe potuto essere più chiaro.
Era una grande freccia a neon che diceva “Non Interessato” puntata al cuore di Merlin per farlo scoppiare.
Puff.
Ed ora lui parlava di un anno difficile...
Non c’erano speranze, Arthur era un somaro fatto e finito e non aveva mai capito niente.
Non avrebbe mai capito niente.
L’unico modo affinché capisse era...


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***



Questa storia fa parte della serie "You Take My Heart by Surprise".



Okkkkeeeiii... il nostro viaggio attraverso i vari compleanni di Merlin è finito... si torna al presente (e quindi abbandoniamo anche il fastidioso corsivo a cui vi ho costretto finora... yuppie! Quando ho iniziato a postare mi era sembrata un’idea carina, ma già arrivata al secondo capitolo volevo prendere il corsivo e gettarlo dalla finestra... ma ormai il dado era tratto!)! Siamo ormai giunti al tanto sospirato giorno della festa a sorpresa (a sorpresa per modo di dire... Merlin sa tutto! xD).
Nell’ultimo capitolo avevamo lasciato un Merlin determinato a dare un taglio a tutte le sue fantasie romantiche. L’idea era quella di vivere come ad occhi chiusi accanto ad Arthur per l’ultimo anno di università, alla fine del quale avrebbe messo il suo asino preferito su un aereo verso New York, con la speranza di tornare a considerarlo solo un amico una volta per tutte.
Una scelta a suo avviso saggia e quasi obbligata, dettata da ciò che era accaduto quella notte sul lago, quando si era reso conto di quanto quel suo amore senza speranza l’avesse portato ad un passo dal rovinare tutto....
Ora l’anno è passato, il suo compleanno è di nuovo alle porte e Merlin ha appena scoperto che i suoi buoni propositi non potranno esser messi in atto, perché pare proprio che sarà Arthur a metterlo su un aereo... nel tentativo di realizzare quello che da sempre è il sogno di Merlin: un lungo viaggio intorno al mondo.
Solo che noi sappiamo bene che ormai il sogno di Merlin è un altro...
Povero Arthur... anche con tutta la buona volontà non ne fa mai una giusta!!! xD

Voglio ringraziare ancora e di cuore tutte le persone che stanno seguendo questa storia e specialmente hiromi_chan, AsfodeloSpirito17662, misfatto, chibisaru81, bimbaluna 81, _Serendipity_ e Redhaired per averla commentata. Grazie di cuore ragazze! Il vostro affetto per questa storia mi ha stupito e le vostre parole mi hanno strappato non so più quanti sorrisi...
Voglio inoltre ringraziare la mia amica Foxy per essere una fantastica beta e una problem solver come ce ne sono poche! Senza il suo incoraggiamento, i suoi consigli, la sua pazienza e i suoi fantastici banner, questa storia non sarebbe nemmeno qui!
Ora vi lascio al capitolo.
Enjoy!

Sofy
 

“Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della BBC; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro”.
 



Regalo di Compleanno

 

18° Compleanno

Merlin esce dall’ascensore guardando la sagoma di Arthur che si allontana nel corridoio scuro.
Il cuore gli batte a mille ed il colletto stretto della camicia certo non aiuta.
Tutta colpa di Arthur naturalmente, che quel pomeriggio aveva insistito perché indossasse il suo miglior completo. E fa niente se per convincerlo aveva scelto una scusa di una tale banalità da risultare quasi tenera e che la diceva lunga sulla fiducia che riponeva nell’ingenuità di Merlin... Merlin ha finto comunque di credere alle sue baggianate perché sapeva bene il perché di quel suo volerlo tirare a lucido.
Quella era la sera del suo compleanno. La sera della festa a sorpresa. La sera della resa dei conti.
Merlin litiga col primo bottone della camicia mentre cerca di seguire Arthur nel buio. È un brutto vizio di Arthur quello di non accendere mai la luce per le scale quando rientrano a casa, forse perché si è abituato al fatto che Merlin lo faccia per lui.
O forse in realtà Arthur è davvero un essere soprannaturale (come Merlin ha sempre sospettato), ed oltre ad essere sfacciatamente bello in quel suo completo scuro, riesce anche a vedere al buio. Beh, purtroppo per lui, Merlin invece è un essere tristemente normale, quindi si avvicina all’interruttore e illumina a giorno il loro lungo corridoio, rifiutandosi categoricamente di fare ciò che si prefigge da ormai due giorni senza poter neanche guardare Arthur in faccia.
Arthur è già davanti la porta. Merlin sta quasi per raggiungerlo quando lo sente rispondere frettolosamente al telefono, quasi bisbigliando, e Merlin è pronto a scommettere che di qualunque cosa si tratti, riguarda la grande sorpresa. Si ferma a metà strada, in ascolto, sperando che Arthur non se ne accorga e, per sua fortuna, quell’asino è infatti troppo preso dalla conversazione per notare alcunché. Merlin lo vede girarsi velocemente, fino a dargli le spalle, e portare una mano vicino alla bocca per schermare di più la sua voce. Merlin trattiene inconsciamente il fiato. Arthur sembra arrabbiato, anche se cerca di nasconderlo. Le parole “Come non l’hai trovato?” gli arrivano chiare all’orecchio, nonostante Arthur avesse cercato di non ringhiarle troppo forte. Di sicuro doveva esserci Gwaine dall’altra parte dell’apparecchio, Arthur non usa quel tono con nessuno se non con lui, cosa che Gwaine, bontà sua, trova chissà perché esilarante...
Stanno parlando del biglietto”, si dice Merlin colpevole, e si chiede se Arthur a quel punto non si stia già facendo delle domande... Perché Arthur è sì un asino, ma non è di certo stupido...
Arthur chiude piano la telefonata e si gira verso di lui, aspettandolo pazientemente sulla porta... I suoi occhi, ancora vagamente arrabbiati, sono così azzurri da sembrare davvero di un altro mondo, e Merlin si sente sciogliere sotto quello sguardo.
Forse accendere la luce era stato un grosso errore.
Forse, tutto sommato, era meglio il buio.
Merlin si avvicina piano al suo amico di sempre chiedendosi se in futuro sarà ancora in grado di guardarlo così. Solo immaginare di no è abbastanza da farlo sentire male.
Eppure deve andare avanti.
Perché ci ha riflettuto per ben due giorni per arrivare alla conclusione che non avrebbe passato l’ultima sua sera a Londra con Arthur, circondato da amici benintenzionati e sorridenti che gli avrebbero augurato “Buon compleanno” e “Buon viaggio” (Arthur doveva aver già messo tutti a parte della grande notizia) senza avere la minima idea di quello che gli si agitava nel cuore, del dolore che sembrava penetrargli a forza nelle ossa, né del sentimento che da quella sera non sarebbe più stato soltanto suo.
Sì perché alla fine Merlin ha deciso di dire tutto ad Arthur, di confessargli ciò che da cinque anni gli pesa sulla coscienza e sul cuore. Perché si è reso conto che l’onestà è ormai l’unica cosa che può ancora salvare la loro amicizia. L’unica carta che gli è rimasta in mano.
Perché se per miracolo Arthur avesse potuto accettare quell’amore come una delle altre stranezze di Merlin... Come il suo essere maldestro o il suo borbottare... Allora forse... Col tempo...
Amici. Solo amici.
Finalmente. Di nuovo. Come una volta.
Quindi deve dirglielo adesso.
Deve allungare il braccio e fermarlo dall’aprire la porta.
Deve far sì che resti ad ascoltarlo.
Il biglietto aereo, quello che ha rubato dal comodino di Arthur quella mattina, brucia come una torcia nella tasca interna della sua giacca.
Merlin vi poggia sopra una mano, come per darsi coraggio, come a dirsi che se fosse andata davvero male, avrebbe sempre avuto un posto dove fuggire.
Poi prende un gran sospiro e si costringe a guardare Arthur negli occhi.

Merlin non aveva programmato di dirglielo sul loro pianerottolo.
La sua idea originale era stata di trovare il momento adatto durante il corso della giornata e di fare la grande rivelazione ad Arthur a casa loro, circondati dalle loro cose, sul loro divano... Poi però prima Lance l’aveva invitato fuori a colazione per poi costringerlo ad accompagnarlo in un tour de force per le librerie della città alla ricerca di un libro che alla fine non avevano trovato e di cui Merlin non aveva neanche afferrato bene il nome. Poi Arthur aveva insistito perché andassero insieme a pranzo, fingendo che quell’invito fosse tutto ciò che aveva architettato per quell’anno e, nel pomeriggio, l’aveva praticamente obbligato a seguirlo nell’imponente studio di Morgana perché, a suo dire, sua sorella voleva assolutamente vedere il festeggiato visto che “aveva un regalo da dargli” (nient’altro che banali pretesti per farlo allontanare dall’appartamento per tutto il giorno... Tsz... Dilettanti...) e lui aveva accettato.
Si era illuso di avere comunque tempo, di riuscire a dirglielo in macchina, mentre Arthur li portava verso la loro destinazione, o più tardi, mentre passeggiavano insieme per il centro nell’attesa che Arthur decidesse che si era fatta l’ora “giusta” per tornare a casa, o sulla via del ritorno, quando Arthur si era mostrato all’improvviso così impaziente di rientrare...
Ma era stata una giornata così bella... Come non ne passavano da tanto tempo, e Arthur gli era sembrato così eccitato, entusiasta e di buonumore... Quindi Merlin non aveva saputo far altro che rimandare e rimandare, un’altra risata, un’altra battuta, un altro sguardo, un altro sorriso... Fino all’ultimo momento utile, cioè adesso, davanti alla loro porta d’ingresso, con tutti i loro amici che aspettavano nascosti, in silenzio, dentro l’appartamento buio.
Merlin prova ad immaginarseli, tutti eleganti, divertiti, emozionati, desiderosi di rendere indimenticabile una sorpresa per la quale Arthur, ne era sicuro, si era fatto in quattro.
Non erano lì solo per lui si dice, erano lì per tutti e due.
Perché voler bene a lui e voler bene ad Arthur era un po’ la stessa cosa, non si poteva far entrare nella propria vita l’uno senza accettare anche l’altro, l’aveva capito perfino Will, anche se era stato quello che aveva opposto più resistenza di tutti.
Chissà cosa avrebbero pensato tutti quanti, quando non li avrebbero visti entrare insieme, quando Arthur si sarebbe presentato nell’appartamento da solo, leggermente sotto shock, senza una spiegazione.
Lance e Gwaine sarebbero saltati su gridando lo stesso “Buon compleanno”, senza accorgersi di niente, sorridendo come due idioti, parlando contemporaneamente e facendo più confusione che altro.
Gwen avrebbe guardato Arthur preoccupata e la mano le sarebbe corsa al cellulare, perché avrebbe voluto accertarsi che anche Merlin stesse bene, Morgana sarebbe andata dritta da Arthur agitando un dito verso di lui, cercando di ottenere risposte, proprio come quando erano bambini, e Will si sarebbe di sicuro scagliato contro Arthur, accusandolo di chissà cosa, probabilmente la prima sciocchezza che gli fosse passata per la testa.
Tempo prima, quando ormai era palese che avesse finito gli argomenti contro Arthur, Merlin aveva chiesto a Will cosa, insomma, non lo convincesse dell’amico, e Will aveva risposto: - Merlin, non lo so... È così ricco... E biondo! – E poi l’aveva guardato come se quello bastasse a chiarire tutto, come se fosse una spiegazione più che accettabile.
Sì... William avrebbe decisamente fatto passare ad Arthur un brutto quarto d’ora.
Ma forse Arthur non se ne sarebbe neanche accorto, perché Merlin gli avrebbe dato abbastanza da pensare da bastargli per una vita intera.
Il mondo di Arthur era tranquillo, semplice, luminoso, e lui stava per travolgerlo come una tempesta di sabbia.
Voleva davvero farlo?
Voleva davvero fare questo ad Arthur?
No, non voleva. Ma sapeva che non poteva neanche tornare indietro: l’aveva fatto troppe volte e non era mai stata una buona idea. Se fosse salito su quell’aereo senza dirgli una parola, la sua non sarebbe stata altro che una fuga. E Merlin non era mai stato il tipo da voltarsi e scappare.
Arthur intanto continua ad osservarlo in silenzio, un sorriso divertito e impaziente sulle labbra.
Merlin sa che la mente di Arthur non è lì con lui, gli basta guardarlo in volto per capirlo: la mente di Arthur è già oltre quella porta, è già con i loro amici ad aspettare lo scatto della serratura, pronta a gridargli “Sorpresa!” con tutti loro... È in cucina ad accendere le candeline per la sua torta... È al centro del salone a tenere un piccolo discorso per celebrare la sua amicizia con Merlin e a dire quanto gli dispiacerà l’indomani vederlo partire... È lì ad alzare il calice alla sua salute dicendogli “Buon compleanno amico”... A stringerlo in un abbraccio che è più quello di un fratello.
E Merlin sapendolo si odia un po’.
Perché se le cose fossero state diverse, sarebbe stata una festa indimenticabile.
Perché gli dispiace rovinare ad Arthur quel momento.
E perché un’amicizia così non capita a chiunque, eppure lui, con la sua stoltezza, sta forse per buttarla via.
Merlin sente di non poter davvero aspettare oltre.
Un altro minuto e Arthur aprirà quella porta, e lui, nonostante i buoni propositi, finirà per darsela a gambe.

La sua mano sul tessuto della manica di Arthur è più leggera di un sospiro.
Arthur la guarda sorpreso, come se la delicatezza di Merlin fosse qualcosa di buffo, che non gli si addice.
Merlin si dice che ricorderà quell’espressione per sempre, quindi socchiude gli occhi un momento, per fissarsela bene nella memoria.
Poi si schiarisce la gola.
- Arthur aspetta... –
- Aspetta cosa? –
- Non aprire la porta. –
- Perché? – Gli chiede lui, divertito, l’irritazione di poco prima dissolta, la mano già sulla maniglia.
- Perché ho qualcosa da dirti. –
- Qui? – Arthur accenna con lo sguardo al corridoio e sembra davvero che voglia mettersi a ridere.
- Sì, qui. – Merlin stenta persino a riconoscere la propria voce.
- Merlin, siamo ad un passo da casa. Letteralmente. Andiamo, non essere assurdo. Entriamo, lasciami fare una doccia, mangiamo qualcosa e poi potrai dirmi ciò che vorrai. – Arthur gli sorride e lo prende per un gomito, spingendolo sicuro verso l’ingresso. Che pessimo attore...
Merlin si libera con uno strattone.
- Non posso farlo dentro! – Ecco, proprio quello che gli ci vuole, che l’agitazione inizi a parlare per lui.
Arthur lo guarda stupito.
- Non posso farlo dentro – Gli dice Merlin, la voce ora più dolce – Perché so bene cosa mi aspetta oltre quella porta. –
- Lo sai? – Il tono di Arthur è più incredulo che mai.
- Sì, Arthur, e ti ringrazio. Ti ringrazio davvero. Non solo per stasera ma per tutte le magnifiche sorprese di questi anni. Non hai davvero idea di quanto abbiano significato per me. Ma stasera io non festeggerò con te e tutti gli altri. So che ti sarà costato tanto organizzare questa festa a sorpresa, che avrai fatto i salti mortali per far arrivare... Chi c’è? Mia madre? Will? Non dirmi che hai trascinato qui anche Gwen... Sarebbe proprio da te... Comunque, grazie. Però ti prego, non costringermi ad entrare. Resta qui con me per un minuto invece. Ho davvero qualcosa da dirti. –
Gli occhi di Arthur si accendono di una luce strana, come se stesse pensando in fretta, arrivando quasi a cambiare colore.
Come se si sentisse preso in castagna e volesse a tutti i costi impedire a Merlin di rovinare tutto.
- Festa a sorpresa? Non so di cosa tu stia parlando. – Gli dice spalancando i suoi begli occhi e cercando di suonare sorpreso. - Ti giuro, Merlin, che non c’è nessuna festa... Non ho organizzato proprio niente...–
Ma Arthur non è mai stato bravo a mentire, non è nella sua natura, ed ora sembra più imbarazzato che mai, davvero troppo imbarazzato per sembrare credibile, perfino per lui.
Merlin allora comincia a temere che ci sia qualcosa di più ad attenderlo nell’appartamento, che il termine “festa” non si adatti affatto a ciò che Arthur ha architettato, che stupido... Come al solito lo ha sottovalutato, con tutta probabilità dietro quella porta lo sta aspettando una vero e proprio ricevimento.
Peggio di così, non potrebbe proprio andare.
Merlin decide di ignorare il suo misero tentativo di negare l’evidenza, ora non ha il tempo di arrabbiarsi con lui per quello, ha un cuore da spezzare e un’amicizia da cambiare per sempre, fermarsi a bisticciare con Arthur per la sua testardaggine non è in agenda quel giorno.
Prova quindi a procedere con il suo discorso.
- Arthur... – Ecco, fin lì tutto bene, peccato che da quel punto in poi non abbia idea di come continuare. Anche quella mattina, davanti allo specchio, continuava a bloccarsi proprio lì. – Arthur io... – È che non era proprio riuscito a decidere cosa dirgli... E alla fine aveva deciso di confidare nella sua capacità d’improvvisazione... Grande errore naturalmente.
Come si fa a dire alla persona che ti conosce meglio al mondo che per tutto quel tempo non ha capito nulla di te? Conoscendo Arthur, c’erano buone possibilità che una volta sentita la sua confessione scoppiasse a ridergli in faccia, prendendola per uno scherzo.
Merlin aveva considerato quell’eventualità, però sperava davvero che non accadesse.
Sarebbe stato troppo umiliante convincerlo del contrario.
Arthur gli poggia una mano sul braccio, stringendogli piano la manica della giacca.
- Merlin, amico, siamo tutti e due stanchi, tu molto più di me a quanto pare... Quello di cui hai bisogno ora è farti una bella dormita. È inutile restare qui sul pianerottolo... Non riesci neanche a parlare! Forza, vieni a casa con me. –
A quelle parole Merlin drizza le orecchie, che improvvisamente diventano di un bel rosso acceso.
Arthur aveva quel tono.
Il tono che usava sempre quando voleva spingere qualcuno a fare qualcosa contro la sua volontà. Era un tono così ragionevole, così autentico... Ci cascavano tutti, e a Merlin, il più delle volte, non dispiaceva far finta di cascarci anche lui e dargliela vinta... Ma che stesse cercando di usarlo proprio allora, proprio in quel momento, per un attimo lo manda su tutte le furie.
Accidenti a lui e alla sua malnata festa!
- No! Allora non mi ascolti! Ho qualcosa da dirti e devo dirtela adesso, adesso, somaro! –
- È per New York? È per quello che sei così strano? – Arthur adesso sembra quasi irritato - So che è stata una decisione improvvisa, che credevi che sarebbe andata diversamente e che forse avevi fatto altri piani, ma se solo entrassi in casa con me per un secondo sono sicuro che sistemeremmo tutto. –
- Quale parte del “Non voglio entrare in quella stramaledetta casa” non riesci a capire? –
Ecco, aveva perso le staffe, ed ora sua madre e Morgana sarebbero uscite nel corridoio credendoli litigare, e lui ed Arthur sarebbero stati incredibilmente fortunati se non li avessero presi entrambi per un orecchio e scossi fino a quando non avessero recuperato la ragione.
Mentre Merlin adocchia preoccupato la porta, Arthur ne approfitta per mettergli le mani sulle spalle, stringendole appena, come suo solito, e cerca il suo sguardo con quella che Merlin chiama la sua “aria da coach”... Arthur per qualche anno aveva allenato una squadra di ragazzini delle elementari e da allora non si era più scrollato quell’aria paternalista, di chi è più vecchio, più saggio e la sa più lunga di te... A volte Merlin si chiedeva se non fosse il caso di fargli notare che lui era solo un mese più giovane di lui...
- Merlin, so che sei stanco, so di averti trascinato a destra e sinistra e che è stato un giorno lungo e difficile, dannazione, è stato tutto un anno difficile ma se solo... –
- Difficile? DIFFICILE? Arthur, tu non hai davvero idea di quanto sia stato difficile... – Non gli aveva mai parlato in un tono così amaro. Mai. Ma dov’era finita la confessione onesta e matura che si era immaginato nella testa così tante volte? Non avrebbe mai creduto di potersi arrabbiare tanto con Arthur.
Eppure era vero, era arrabbiato con lui. Profondamente, irrazionalmente arrabbiato con lui.
Perché solo un anno prima aveva pensato che vederlo partire su un aereo sarebbe stata una liberazione ma poi lui, come suo solito, aveva cambiato tutto, aveva preso quel suo povero cuore e la sua patetica determinazione e ne aveva fatto quel che voleva, di nuovo, come sempre.
Quell’anno non era stato difficile... Era stato un’esplosione nucleare. E Merlin ne stava uscendo distrutto, consumato, a pezzi... E pensare che fino a Capodanno...
Era stato assurdo certo.
Era stato da pazzi.
E naturalmente si era risolto tutto in un’altra delusione...
Eppure fino a Capodanno Merlin aveva quasi creduto che...
Il solo ricordare quei mesi gli fa così male da fargli desiderare di sparire e quindi scrolla le spalle, scappando dalla stretta di Arthur, arretrando di un passo, fuggendo dalle sue mani e da lui.
Aveva veramente creduto che Arthur potesse ricambiarlo?
Sì, l’aveva fatto.
Perché fino a Capodanno la sua vita con Arthur era stata perfetta. Così bella che Merlin aveva dimenticato ogni suo buon proposito, persino quella notte disperata sulle sponde del lago, e aveva sperato che Arthur restasse con lui per sempre.
Perché per sei mesi lui gli aveva fatto vivere la vita che aveva sempre sognato.
Arthur era stato così... Presente. Non avrebbe saputo descriverlo in altro modo.
Tra loro non era cambiato niente eppure era cambiato tutto.
Arthur, che restava sempre fuori fino a tardi, tra l’università ed il lavoro con suo padre, in quei mesi era rientrato presto a casa più spesso che mai, e Merlin aveva praticamente perso il conto delle serate che avevano trascorso insieme, sdraiati sul divano a guardare la TV, oppure a ridere davanti ad una birra, in un pub con Gwaine e Lance, o a passeggiare per le vie del centro fino a tarda notte, solo loro due, a chiacchierare.
Arthur, che non era mai stato un tipo mattiniero, aveva improvvisamente preso l’abitudine di alzarsi presto e quindi era capitato sempre più spesso che facessero colazione insieme, dividendo il giornale e litigando per le sorprese dei cereali. Durante i weekend era sembrato che Arthur non chiedesse nulla di meglio che andarsene in giro per Londra con lui, ora per una mostra, un cinema, o anche solo una corsa in macchina... E poi c’erano state le telefonate durante la giornata e i messaggi senza senso mandati senza un vero motivo, solo per il gusto di farlo...
Ogni minuto di ogni giorno era stato come se Arthur fosse con lui.
Merlin si era sentito cercato, voluto, amato.
Ed era stato meraviglioso.
Per Natale, Arthur aveva persino proposto che passassero le feste insieme a casa della madre di Merlin, visto che Morgana sarebbe stata via col suo ragazzo e Arthur non aveva nessuna intenzione di restarsene il giorno di Natale, chiuso in ufficio, ad intrattenere dei clienti stranieri con suo padre.
Merlin si era sentito svanire dalla felicità.
Era stato come se quelle vacanze fossero uscite da un quadro, in assoluto le più belle che avesse mai vissuto, e al loro ritorno a Londra, durante la mega festa di Capodanno organizzata da Gwaine, Merlin era stato ad un passo dal confessare ogni cosa perché, dal modo in cui Arthur l’aveva guardato alla mezzanotte, aveva davvero pensato che se gli avesse detto quello che provava, lui gli avrebbe detto di sì.
Quella sera poi le cose non erano andate come aveva sperato, perché tra l’agitazione e l’alcool aveva finito per vomitare anche l’anima, ed Arthur aveva dovuto passare la notte a fargli da balia... Però il mattino seguente lui era stato così... E gli aveva sorriso in un modo... Che le speranze di Merlin erano raddoppiate, triplicate, tanto che Merlin si era detto di aver bisogno di un cuore più grande per potercele stipare tutte.
Ma ora sapeva che era stata solo la paura del distacco a far agire quell’asino così.
Due giorni dopo Arthur aveva prenotato un posto su un aereo per New York ed era sparito per cinque mesi. Cinque. Mesi.
Era tornato solo brevemente per gli ultimi esami e per laurearsi.
Si erano sentiti, certo, ma non più di un paio di volte alla settimana, e solo per pochi minuti, quando Arthur rientrava stanchissimo dopo una giornata di lavoro e non aveva tempo per nulla se non una doccia e dormire. Gli era sembrato così impegnato, lontano... Merlin aveva iniziato a capire cos’avrebbe significato averlo dall’altra parte dell’oceano.
Era stato un periodo freddo e spaventoso quanto un’eclissi. Merlin aveva sempre saputo che quel giorno sarebbe arrivato, in quegli anni l’aveva temuto, aspettato, odiato, desiderato... Non sapeva però che avrebbe fatto tanto male. Non così. Non così tanto.
Poi di punto in bianco, Arthur era tornato a casa.
E c’era stata quella telefonata.
Merlin aveva sentito le urla di Arthur raggiungerlo violente attraverso le pareti della sua stanza chiusa, ed i suoi passi consumare il parquet sul pavimento. Era rimasto ad ascoltare solo per pochi minuti, fin quando non aveva deciso di infilare la porta di casa ed uscire.
Ad Arthur non sarebbe piaciuto che sentisse lui e suo padre litigare così.
Quando era tornato a casa aveva trovato un Arthur incredibilmente calmo, come spossato, seduto sul divano con la testa appoggiata allo schienale, gli occhi chiusi, un bicchiere di whisky in mano poggiato in bilico su un ginocchio.
Arthur non beveva mai da solo, e assolutamente mai del whisky (infatti doveva aver aperto la bottiglia che Merlin gli aveva regalato per scherzo quando Arthur ad una festa si era mascherato da James Bond) e quello era bastato per mettere Merlin in allarme.
Si era seduto veloce accanto a lui e appena Arthur aveva sentito la pelle del divano piegarsi sotto il suo peso, aveva aperto gli occhi e guardato dritto davanti a sé.
- Non vado più a New York. Resto a Londra. – Aveva detto al soffitto.
E per quanto Merlin non riuscisse a respirare e stesse soffocando dal bisogno di saperne di più, di chiedergli di più, gli aveva risposto soltanto: - Ok. – Ed aveva poggiato una mano sulla sua, per fargli sapere che andava bene, che sarebbe andato tutto bene.
Arthur non aveva mosso un muscolo ma Merlin aveva sentito il suo respiro rallentare, come se quel tocco avesse avuto il potere di calmarlo, soffiargli via i pensieri dalla fronte.
Non gli aveva chiesto altro, sicuro che Arthur gli avrebbe raccontato tutto non appena si fosse sentito pronto, e nonostante la preoccupazione per lui, Merlin per un certo periodo era stato di nuovo felice, ed aveva creduto che le cose sarebbero tornate alla normalità.
Aveva quasi sperato di poter riprendere da dove avevano lasciato a Natale.
Poi aveva trovato il suo regalo.
Ed aveva avuto la prova di non aver capito niente.
Sapeva di essere tremendamente ingiusto, che Arthur aveva solo voluto farlo felice... Proprio come aveva cercato di fare in tutta la sua vita.
Però non riusciva proprio ad accettarlo... Ma come? Arthur infine restava a Londra eppure decideva di mandarlo mille miglia lontano da lui?
Il messaggio non sarebbe potuto essere più chiaro.
Era una grande freccia a neon che diceva “Non Interessato” puntata al cuore di Merlin per farlo scoppiare.
Puff.
Ed ora lui parlava di un anno difficile...
Non c’erano speranze, Arthur era un somaro fatto e finito e non aveva mai capito niente.
Non avrebbe mai capito niente.
L’unico modo affinché capisse era...

- Io ti amo. –
Gliel’ha detto così, di getto. Le braccia strette intorno al corpo, come se avesse freddo, come se dovesse proteggersi.
La luce forte del corridoio gli ferisce gli occhi, facendolo sentire d’un tratto così scoperto, debole e spaventato...
Aveva sempre pensato che dire finalmente quelle parole gli avrebbe dato coraggio, invece si scopre ad arretrare di un altro passo mentre il silenzio impietoso di Arthur inizia a scavargli un buco nel cuore.
Non un suono è uscito da quella bocca.
Non un verso.
Non un respiro.
- Io ti amo. – Lo ripete allora, più forte, per rilanciare contro quel silenzio, come una sfida, una di quelle sfide che Arthur ama tanto e che non fa che lanciargli.
Forse, per una volta, uno dei due si sarebbe tirato indietro... E non sarebbe stato lui.
– Ti amo, Arthur... Ma già parlare d’amore è troppo poco per farti capire. Il fatto è... Che ci sei sempre stato solo tu. Non l’ho scelto io, non è qualcosa che ho cercato. –
Quel pensiero, dopo tanti anni, lo fa ancora arrabbiare.
- È qualcosa che ho sofferto, negato, combattuto... Oh... Avresti dovuto vedermi Arthur, mi sono battuto come un leone... Se solo mi avessi visto, saresti stato fiero di me... Ho tentato con tutto me stesso di oppormi a ciò che provavo... Ho tentato così a lungo... Ma a che pro? Alla fine tornavo sempre da te. Ero come stregato. Tu mi avevi stregato. Con i tuoi occhi azzurri e il tuo dannato sorriso e quel tuo buon cuore... Non ho potuto fare a meno di innamorarmi di te. Come un vero sciocco... – 
E mentre dichiara il suo amore ad Arthur se lo chiede ancora una volta, quasi per esserne sicuro... Avrebbe potuto evitarlo? Avrebbe potuto essere più forte? La risposta è no. Come sempre.
- Oh... Anche tu hai le tue colpe, non credere! – Ed ora insofferenza e ironia è come se facessero a gara nella sua voce. - Chi ti ha chiesto di starmi sempre vicino? Chi ti ha chiesto di volermi così bene? Chi ti ha chiesto di sorprendermi, di completarmi, di essere lì per me ogni maledetta volta in cui avevo bisogno di te? Non potevi essere più ordinario, noioso, meno perfetto... Per me, meno speciale? E togliti quel sorriso dalla faccia! Non pensarci neanche a sorridere... Non è certo il momento di gongolare! –
Quella era stata una frase un po’ azzardata. Non aveva modo di sapere che Arthur stesse effettivamente sorridendo, impegnato com’era a dichiararsi al pavimento... Però conoscendo Arthur poteva anche essere che tutte quelle lodi gli stessero dando al cervello... Magari di tutto quel suo discorso quell’idiota non stava registrando null’altro che i suoi complimenti per lui. Stupido Arthur!
– Non avrei mai voluto dirtelo, credimi. Questo era un segreto che mi sarei portato davvero nella tomba... Poi tu te ne esci con questo! –
E così dicendo tira fuori dalla tasca della giacca il biglietto aereo, ancora infilato nella sua busta bianca, lo agita davanti al naso di Arthur in un gesto d’accusa, come se fosse il suo asso nella manica, la prova tangibile delle sue malefatte.
E finalmente riesce a guardarlo negli occhi.
Arthur è a due passi da lui, con un’espressione che non gli ha mai visto prima. Le sue labbra sono un'unica linea rossa, stretta e perfetta, e i suoi occhi sono fissi nei suoi, così intensi...
Merlin capisce di avere per una volta tutta la sua incondizionata attenzione, come se Arthur stesse impiegando tutte le sue energie per restare concentrato e ritardare lo shock, perché gli avrebbe impedito di sentire la fine della storia.
Perché sente di dovergli almeno quello.
Perché non c’è nessuno leale come Arthur e lui l’ama anche per questo.
I suoi occhi comunque gli fanno anche paura. Merlin se ne sente come invadere, come se potessero frugargli nel cuore, anche se ormai non c’è più nulla che gli debba nascondere.
Quegli occhi gli fanno perdere un po’ di coraggio, e dentro è come se qualcosa di lui si spezzasse un po’... Si era ripromesso di non piangere ma qualcosa gli dice che non potrà mantenere quella promessa ancora per molto.
La sua voce sta già diventando buffa, come quella di un cartone animato.
- L’ho trovato nel tuo cassetto l’altro ieri mattina... Diamine Arthur, sei sempre così sbadato! Se vuoi mantenere un segreto con qualcuno e quel qualcuno è il tuo coinquilino, devi fare un po’ più d’attenzione, soprattutto se quel qualcuno mette a posto il tuo bucato! Questo è solo l’inizio, vero? È solo il primo di molti altri. Perché vuoi essere la mia dannata fata madrina fino in fondo e permettermi di realizzare ciò che sogno da tutta una vita. Perché tu sei fatto così! Perché non puoi mai lasciarmi stare! Però hai fatto male i tuoi calcoli... Perché sai... Ciò che sogno ormai ogni notte, da così tanti anni, non è più questo viaggio ma sei tu... Sei tu... E quindi per una volta, anche se ti dispiace, non puoi darmi quello che voglio... Non puoi farmi felice... Non è così... Arthur? –
E si sforza di sorridergli, un sorriso calmo e coraggioso, ma è una bugia e mentre ci prova già sente quel misero tentativo cadere, dissolversi, e si asciuga con la manica della giacca gli occhi umidi di frustrazione, sentendosi nient’altro che un bambino capriccioso, viziato e petulante.
Cosa gli sta chiedendo esattamente?
Se potrà mai amarlo?
Vuole ferirlo, farlo sentire in colpa?
È per quello che ha aspettato per ben cinque anni?
No.
Assolutamente.
- Io non voglio niente da te. – Si affretta a spiegare. - Tutto quello che sto cercando di dirti, con un terribile tempismo ed un’ancor più terribile scelta di parole, è che qualcosa tra noi deve cambiare, Arthur. Perché ci ho provato, ma ormai non riesco più a starti accanto come prima. Perché tu sei come un temporale, arrivi quando ti pare e mi cogli sempre alla sprovvista, ed io non riesco a proteggermi... Perché m’incanti... Perché sei così bello da guardare... Perché è emozionante vederti vivere, e perché per un attimo porti acqua e vento anche nella mia di vita. Poi però te ne vai, te ne vai sempre, ed è così difficile e fa così male... Fa talmente male... –
All’improvviso, guardarlo ancora in viso diventa impossibile.
Merlin si gira di lato, appoggiando le spalle al muro, come se fosse stanco, e non capisse neanche più cosa ci fa lì.
- Nonostante ciò che provo, ho cercato davvero di essere lo stesso un buon amico per te. La tua amicizia per me vale più di tutto. Più del mio amor proprio, più del mio orgoglio, e sicuramente più di questa folle attrazione che provo per te. È l’unica cosa che abbia mai cercato di difendere. L’unica cosa che non ho permesso al mio dolore di toccare. Perché pensavo che quest’ossessione mi sarebbe passata, come un raffreddore... Qualcosa che prima o poi avrei dovuto prendere per poter poi vivere accanto a te, finalmente immune, per sempre. Solo che non è andata così. Non ancora. Per questo voglio andarmene. Anche se fino a cinque minuti fa ero arrabbiato a morte con te perché mi stavi mandando via. A quanto pare, come al solito hai anticipato i miei desideri... Hai sentito a pelle cosa fosse meglio per me... Non è straordinario, Arthur? –
Prova ad alzare gli occhi che però non arrivano al viso di lui, si fermano al muro davanti a sé.
- Forse quest’anno separati servirà. Forse finalmente scoprirò che non sei poi questa gran cosa... E forse, senza le tue scempiaggini ad annebbiarmi il cervello, tornerò quello di una volta. Qualcuno che può guardarti negli occhi senza arrossire. Sapessi quanto mi sento ridicolo quando succede... –
La sua voce si spegne in un mormorio incerto, come se fino a quel momento avesse bruciato come una candela ed ora fosse rimasta senza ossigeno.
Arthur continua a restare in silenzio e arrivati a quel punto Merlin vuole davvero solo andarsene via di lì.
- Io, ora... Me ne devo andare. – Maledizione! Gli tremano le mani, gli tremano le ginocchia, gli tremano persino i pensieri. - Lo capisci da te. E anche tu avrai bisogno di tempo per... Non so... riprenderti... Probabilmente... O ricominciare a respirare... –
Gli scappa una mezza risata. Stava davvero tentando di fare dell’umorismo?
- Sei sicuro di star bene piuttosto? Non è che ti ho causato qualche danno permanente ed ora inizierai a parlare al contrario o a camminare a testa in giù, vero? –
Sta blaterando a briglia sciolta ormai, se ne rende conto anche lui, ma diavolo, lui potrebbe anche dir qualcosa, almeno un’esclamazione... Qualunque cosa sarebbe meglio di quel silenzio...
Forse la sua rivelazione gli ha davvero fritto il cervello... Suo padre l’avrebbe di sicuro citato per danni...
Si azzarda a lanciargli un’occhiata di sbieco, giusto per capire cosa aspettarsi.
Arthur ha le braccia incrociate sul petto e continua a guardarlo, a scrutare il suo viso senza dire una parola.
Merlin si sente quasi deluso. Forse non l’ha presa male.
Forse se l’aspettava! Forse l’ha sempre saputo... Per tutti quegli anni...
E aveva deciso di non dire niente ed ora lui ha rovinato tutto...
Il solo pensiero gli fa accapponare la pelle...
Oppure più semplicemente non gli importa. Pensandoci bene sarebbe proprio da Arthur liquidare il tutto con una scrollata di spalle. Sorridergli e dirgli che è tutto ok.
E forse Merlin dovrebbe sentirsi sollevato, però lo ferisce la sua indifferenza.
- Allora, non hai proprio niente da dirmi? Davvero vuoi farmi credere che non ti ho sconvolto, neanche un po’? –
- Sconvolto... No, non direi... – Gli risponde Arthur, molto lentamente, scandendo bene le parole.
Finalmente...” Sospira Merlin nella sua testa. Certo, la sua voce sembra provenire da qualche caverna profonda e buia dove probabilmente Arthur è andato a nascondersi, ma almeno gli sta parlando...
- Sorpreso... Sì. Ciò che hai detto è stato sicuramente... Illuminante. –
Illuminante? Aveva davvero detto illuminante? Lui gli apriva il suo cuore e tutto quello che lui sentiva era una lampadina che gli si accendeva in testa? Ma brutto, arrogante, pomposo...
- Ed è chiaro che dovremo riparlarne. Ci sono... Cose da dire. Ma non ora. E mi dispiace dirtelo, ma non puoi neanche andartene. –
Tipico! Gli faceva capire di avere un “piccolo” ascendente su di lui e subito quell’asino si sentiva in diritto di mettersi a dare ordini... Ma gliel’avrebbe fatta vedere lui... Certo che se ne sarebbe andato. L’avrebbe lasciato lì con un palmo di naso!
Gli occhi di Arthur però lo fermano. O meglio, il fatto che i suoi occhi non lo stiano guardando.
Arthur non evita mai lo sguardo di nessuno. Men che meno il suo.
- Merlin... Non so come dirtelo... Di certo non mi aspettavo che tu... pensavo stessi facendo i capricci... Sei sempre così restio a festeggiare come si deve! Altrimenti non avrei mai... Di certo io non... Insomma... La verità è che prima ti ho mentito. –
Ok, ora lo sta spaventando, sembra davvero agitato... E si sta passando una mano sul collo... Brutto segno... Quello è un gesto che Arthur compie solo in due casi, se è imbarazzato o se si sta sentendo in colpa.
Che aveva combinato adesso?
- In effetti ci sono più di cento persone in attesa dietro questa porta. Persone che conosciamo, amici, parenti, ex compagni di scuola... Che hanno fatto di tutto, davvero di tutto Merlin, ti assicuro, per essere qui presenti per salutarti. Persone che ti vogliono bene e che se non hanno sentito tutta la nostra conversazione... Cosa che credo... Visto che Will non si è ancora precipitato fuori come una furia per picchiarmi... Si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto e cosa diavolo ci impedisca di entrare... –
Merlin lo vede abbassare un attimo gli occhi per poi riportarli svelto su di lui, colpevole, come se avesse altro da confessare ma esitasse a farlo. Mordersi nervoso un labbro prima di dargli il colpo finale:
- Prima al telefono era Gwaine... Mi aveva chiamato perché... C’è stato un contrattempo col tuo regalo... Non riuscivano a trovarlo... Cosa che non mi spiegavo... Comunque sanno che siamo qui, gli ho detto di tenersi pronti... Ci stanno praticamente aspettando. –
Arthur è l’immagine della mortificazione e Merlin, nonostante la voglia di strozzarlo, sente quasi il bisogno di scostargli i capelli dagli occhi e rassicurarlo. Stupido fino all’ultimo...
Poi lo vede prendere un gran sospiro e stringere risoluto la mascella prima di continuare:
- Quindi, anche se le cose sono andate diversamente da come avresti voluto... E da come io mi aspettavo... Non possiamo deluderli tutti. Questo non è davvero il momento giusto per parlare di... Per parlare di noi. –
E sembra quasi che quel pronome gli si fermi in gola.
- So di chiederti molto, ma ora ho davvero bisogno che tu entri con me, anche solo per poco, almeno per salutare Gwen e tua madre, che sono venute fin qui apposta per te, e non far irritare inutilmente Morgana... Basterà anche una mezz’ora e poi ti lascerò andare. Non esagererò lì dentro, lo giuro, non ti darò neanche il regalo, tanto sanno già tutti quanti di che si tratta. Entri, sorridi, ringrazi, mangi la torta e te ne vai. Parleremo poi. Te lo prometto. Io... Non avevo capito. Non avevo capito nulla. Perché sono un somaro, come mi dici sempre tu. –
Gli sorride appena, quasi vergognandosi.
- Scusami. Puoi farlo, Merlin? –
Merlin per un secondo non sa che rispondergli.
- Per me. – Gli dice Arthur, inclinando la testa e guardandolo con quei suoi occhi blu, per cui qualcuno dovrebbe davvero trovare un antidoto.
Oh sì... Arthur sarebbe diventato di sicuro un buon avvocato. Perché non aveva paura di nulla. Perché nulla lo fermava. Perché otteneva sempre ciò che voleva, senza neanche doversi sforzare. E perché, accidenti a lui, sapeva sempre qual era la cosa giusta da dire.
Merlin piega il capo sconfitto e si lascia scappare un sospiro d’assenso.
La sua dichiarazione era stata archiviata, sacrificata in nome di un bene più grande.
Precede Arthur attraverso l’ingresso buio, troppo sconcertato perfino per parlare.
Le loro ombre si stagliano per un momento nello spicchio di luce davanti a loro, quella forte e salda di Arthur che sembra abbracciare quella sottile e stanca di Merlin, e l’ironia di quella visione ferisce Merlin forse più di ogni altra cosa.
Poi Arthur chiude la porta, ed il buio scende sulle loro espressioni, ed anche se sa che non durerà che un momento, Merlin lo ringrazia silenziosamente, per nascondere affettuoso il suo dolore.




 

Quando si ama qualcuno da così tanto tempo, sognare il momento in cui finalmente si confessa quell’amore è forse il passatempo più inflazionato per i poveri sventurati che soccombono a tale sentimento...
Si sognano tante cose... le parole che si useranno, gli occhi della persona amata al momento della rivelazione, la sua reazione... e... anche se non lo si ammette nemmeno con se stessi... un inevitabile, dolcissimo lieto fine.
Però diciamocelo, quante volte le cose vanno proprio come ci si aspettava?
In questo capitolo mi sono divertita a mettere Merlin davanti alla peggior situazione possibile.
Il nostro caro ragazzo ha rimandato l’inevitabile fin quando ha potuto, per ritrovarsi a dichiarare il suo amore ad Arthur nell’ultimo momento utile, in un corridoio, impossibilitato a rientrare in casa, mentre il suo principe azzurro sembra averne combinata una delle sue e reagisce alle sue parole con una faccia di bronzo del tutto degna di quell’asino che è...
Povero Merlin! Eppure credo che se la sia cavata bene tutto considerato... Già il non aver strozzato Arthur è un bel risultato secondo me!!!
Ragazze, che dirvi... siamo praticamente alla fine. Il prossimo sarà l’ultimo capitolo e così sapremo in che modo i nostri ragazzi finiranno per vivere felici e contenti... Ho scritto “in che modo” e non “se”... perché chi voglio prendere in giro? Come ho detto mille volte, il lieto fine è assicurato! xD
Quindi niente paura, tra una settimana caleremo il sipario sui nostri due innamorati...
Nell’attesa, qualche piccola anticipazione!

 

Arthur si sistema i bordi della giacca e scrolla le spalle, recuperando in un momento la sua solita faccia da schiaffi, come se l’avesse appena tirata fuori dal taschino, inamidata e perfetta.

* * *

Per un intero secondo... No, per molto meno a dir la verità, la mente di Merlin prova a proteggerlo da quel commento, come se il suo significato fosse a portata di mano ma lui per qualche motivo non riuscisse ad afferrarlo. È una sensazione frustrante e spiacevole, perché anche se per poco, lui sembra essere l’unico nella stanza a non afferrare qualcosa di importante... Di fondamentale... Ma non è nulla di paragonabile a quando la comprensione lo colpisce in pieno viso.

* * *

- Mi hai stanato ovunque mi nascondessi, mi hai sconfitto ogni volta in cui credevo di poter combattere. Tu non sapevi nulla certo... Ma quanto si può essere stupidi? Davvero? Quanto si può essere ciechi? Tu sei il mio migliore amico... Chi altri mai avrebbe dovuto capire cosa mi accadeva se non tu? –

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***



Questa storia fa parte della serie "You Take My Heart by Surprise".



Ed eccoci arrivati all’ultimo capitolo!
Quando ho iniziato a pubblicare questa storia sembrava così lontano... ed invece eccolo qui, che sgomita perché mi decida a editarlo così da mettere davvero la parola fine a questa mia prima fan fiction su Merlin!
Prima di lasciarvi alla lettura, voglio però dirvi grazie.
A tutti. Indistintamente.
Grazie per aver letto questa storia, grazie per il tempo che le avete dedicato, per averla seguita, settimana dopo settimana, grazie per i commenti, le critiche e per le (tante, veramente tante) risate.
È stato davvero tutto bellissimo ed io mi sono divertita molto più di quanto avrei creduto.
Un grazie particolare va alla mia beta, che è davvero un’amica con i controfiocchi, e poi a hiromi_chan, AsfodeloSpirito17662, chibisaru81, misfatto, Inessa, Redhaired, bimbaluna81 e _Serendipity_ per aver recensito la storia. È stato emozionante leggere di volta in volta le vostre opinioni, siete state davvero fantastiche e divertenti e mi avete reso incredibilmente felice.

Ok, ora la smetto con i sentimentalismi e vi lascio al capitolo! xD
Solo una cosa... se durante la lettura, ad un certo punto, vi venisse una voglia inarrestabile di strozzare Arthur... non siate troppo dure con lui! Perché che sia un asino senza speranza lo sappiamo (insomma, parliamo pur sempre di un tizio che ha portato Merlin in giro per concessionarie per fargli scegliere la sua auto facendogli credere che la stesse acquistando per sé e poi l’ha perfino guidata per un mese perché potesse dirsi un’auto usata... lo stesso tizio che ha affittato un appartamento da dividere con lui senza neanche consultarlo... insomma... è chiaro che non ci sta tanto con la testa! xD) però è anche un asino dannatamente adorabile e tiene a Merlin sopra ogni altra cosa... quindi non è umano tenergli il muso troppo a lungo! xD
Io almeno non ci riesco! (E vi giuro che questa mia debolezza non ha nulla a che fare con quei suoi capelli dannatamente biondi e quegli occhi incredibilmente blu. Assolutamente no!)
Enjoy!

Sofy

 

“Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della BBC; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro”.
 



Regalo di Compleanno

 

18° Compleanno

Per un secondo, il silenzio nella stanza è perfetto.
Merlin sente tutti i muscoli tendersi nell’attesa delle grida di gioia, della luce e del rumore, dei sorrisi e dei saluti, delle strette di mano, degli abbracci... Ma nulla accade, nessun suono arriva a spezzare la sua tensione, come se lui fosse lì, fermo sul nastro di partenza, pronto a scattare, e qualche giudice distratto non si decidesse a dare il via.
Cosa aspettano?
Merlin sente di non poterne più, di non aver più la forza di continuare, non vuole essere lì, non vuole festeggiare... Vuole solo che quel giorno finisca e invece si ritrova confuso, in quella stanza che sembra vuota, ad aspettare che qualcuno faccia cessare il buio.
Invece il buio non cessa, anzi sembra avvicinarsi. Merlin lo sente passargli accanto sfiorandogli la mano e girargli intorno, piano, come se danzasse, fino a fermarsi esattamente davanti a lui, in direzione del suo viso.
Lo sente respirare a due centimetri da lui, come per riprendere fiato.
Mormorare il suo nome senza un vero motivo...
Poi la realtà smette di avere un senso.
Il buio lo spinge con dolcezza contro la porta e gli accarezza le guance con le mani. Gli sfiora con i pollici gli angoli della bocca, quasi cercandola, in un tocco lentissimo ne modella il tepore.
Merlin sente le proprie labbra schiudersi, arrendevoli e sorprese, e davanti alla sua reazione il buio ride, una risata bassa e roca... Un suono ultraterreno, sconosciuto.
Intossicante.
Il buio ancora non parla, non spiega, pretende e basta.
Si appoggia sicuro contro di lui, come se lo conoscesse, come se gli appartenesse.
Gli tiene fermo il viso in una morsa riverente e leggera, quasi una supplica.
E infine lo bacia.
Ed il buio è alto quanto Arthur ed è caldo come lui ed ha il suo odore.
Merlin glielo respira tra i capelli, vi affonda il viso mentre lui scende piano a baciargli il mento e Merlin a quell’intrusione sente il sangue impazzire, e tutto quello che riesce a pensare è che Arthur lo noterà, sentirà i battiti corrergli senza freno sotto la pelle, e allora riderà ancora, e a quel punto Merlin perderà davvero la ragione, perché quella risata di poco prima era stata come un’esplosione, e lui può ancora sentirne i detriti che gli cadono addosso, come mille piccoli baci, sulle guance, sugli zigomi, le palpebre, tra i respiri.
Perché quelle non sono le labbra di Arthur.
E tutto quello non può stare accadendo realmente.
Non può.
E basta.
Arthur però sembra non essere dello stesso avviso.
- Tu sei... In assoluto... Il festeggiato più testardo... Più indisciplinato... E più ficcanaso... Che sia mai esistito, lo sai Merlin? –
E quella non può assolutamente essere la voce di Arthur, perché Arthur non gli parlerebbe mai così, e la sua voce non si spezzerebbe, non si interromperebbe per baciargli sorridendo la punta del naso, né per aprirgli piano il colletto della camicia, scostarlo impaziente con quelle sue dita un po’ ruvide, fresche, e morderlo piano, ancora e ancora, come se dovesse scoprire il suo sapore eppure già sentisse di non averne abbastanza.
- Una vera spina nel fianco... Così curioso Merlin, così intelligente... Eppure ancora una volta sono riuscito a sorprenderti... Non è vero? –
Merlin sente le labbra di Arthur ad un passo dal proprio orecchio, il sarcasmo nella voce che fa bruciare il suo respiro, e le ginocchia quasi gli cedono mentre lui gli si accosta piano e gli sussurra divertito: - Sorpresa... –
E poi Arthur è di nuovo ovunque, sulle sue labbra, tra i suoi capelli, e Merlin si sente accarezzare, stringere, deridere, sfiorare, e sembra impossibile, e sembra vero, e sembra Arthur, e sembrano loro due.
Così diversi eppure gli stessi.
E allora è giusto aggrapparsi alle sue spalle, e cercare la sua bocca, ancora e ancora, perché è morbida e meravigliosa, ed è come la ricordava, come l’aveva seppellita nel proprio cuore, giusto un anno prima.
Già allora quelle labbra gli avevano tolto il sonno, solo restando addormentate contro le sue.
Ora invece quelle labbra gli cambiano il respiro e gli torturano il cuore, e dicono il suo nome, come un canto, e si allontanano per un secondo per poi tornare di nuovo, più calde, sorridenti, ipnotizzanti, su di lui, e Merlin si dice che non gli basterà mai, che ora che sa cosa vuol dire esser baciati da Arthur non sarà più in grado di lasciarlo andare, che non gli importa se Arthur è impazzito, se sta cercando di rendergli meno amaro il distacco o se si sta prendendo gioco di lui.
Arthur in quel momento è suo.
Perché si è avvicinato troppo per credere di potersi salvare da lui.
Ma sembra davvero che Arthur non voglia andare da nessuna parte.
Merlin lo sente far correre veloce le mani sul tessuto leggero della sua camicia, stringergli con poco riguardo i lembi della giacca, e sembra proprio un gioco di prestigio, perché dopo due secondi la sua giacca non è più lì, Merlin la sente cadere a terra con un tonfo leggero, che riecheggia nell'oscurità, rendendo tutto tremendamente reale.
Merlin apre gli occhi, che non si era neanche accorto di tenere chiusi, l’idea che stia accadendo davvero lo colpisce così forte da farlo vacillare e cerca smarrito il viso di Arthur nell’oscurità. Gli mette le mani ai lati delle tempie, stringendosi piano ai suoi capelli, senza guidarlo, senza resistere, seguendo i suoi movimenti come se assecondasse una corrente, accontentandosi di sapere che Arthur è lì con lui, come uno scoglio da non lasciar andare.
Si lascia baciare, anche se sente di non avere più fiato, si lascia spingere contro quel legno chiaro, anche se di momento in momento gli sembra di dissolvercisi un po’, come se il calore di Arthur potesse incastonarlo per sempre in quella porta, rubandogli la libertà e persino il suo nome.
Perché cosa importa?
Cosa importa se non respira o non può muoversi? Arthur può fare di lui quello che vuole.
Potrebbe anche prenderlo lì per poi metterlo su un aereo domani. Ne sarebbe comunque valsa la pena.
Ma già mentre lo pensa sente una stretta gelida al cuore, nonostante Arthur stia armeggiando con la sua camicia e le sue labbra stiano risalendo veloci al suo viso, agli zigomi, la fronte, le palpebre, tutto...
- Arthur... – È quasi comico che stia cercando di parlare.
Arthur non si lascia distrarre, compie di nuovo quel trucco ed anche la camicia di Merlin cade a terra in un fruscio leggero.
Merlin si ripromette di farsi spiegare un giorno come fa.
Arthur appoggia la guancia alla sua, sfregandogli col naso i corti capelli sulla tempia. Gli prende entrambe le mani, che ora ciondolano inanimate lungo i fianchi, come se il contatto con l’aria della notte avesse tolto loro ogni energia, e risale con i pollici verso l’interno dei polsi, sfregando dolcemente, e Merlin allora scorda quello che voleva dire e alza il volto al cielo, come per cercare aiuto, mentre Arthur gli carezza le braccia e la curva delle spalle, per poi chiudergli le mani intorno alla gola, in un gesto così calcolato e lento da soffocargli il cuore.
Allora Merlin socchiude di nuovo gli occhi, per costringersi a ragionare, per recuperare la voce e provare di nuovo a chiamarlo, a interrompere quel contatto che aspetta solo da tutta la vita.
Un gioco da ragazzi.
- Arthur... – E quel nome, sulle sue labbra ancora calde dei suoi baci, sembra quasi uno scherzo.
- Shhhh... – Gli fa lui, sfiorandogli quelle stesse labbra con le dita – Non parlare. Non pensare a niente ora Merlin... – E a Merlin sembra quasi di sentirlo sorridere nel buio, e all’improvviso gli sembra tutto molto ingiusto. Che Arthur possa sorridere sereno mentre mette a soqquadro il suo mondo è davvero qualcosa che non dovrebbe lasciar accadere.
Gli mette le mani sulle spalle cercando di spingerlo via mentre Arthur si protende svelto verso di lui per rubargli un altro bacio.
Le sue labbra, manco a dirlo, sono sleali quanto lui.
Indugiano tra i suoi respiri per indurlo a cedere, per far sì che sia lui a cercarle ancora. Scherzano con la sua bocca, restando lontane di un niente, quel tanto che basta a non lasciarsi sfiorare, eppure è come se non attendessero che lei, come se non chiedessero altro che esser stanate, inseguite, catturate.
Come se fosse tutto uno stupendo gioco.
A quel pensiero, dentro Merlin qualcosa si ribella e tutto il desiderio di quel momento si trasforma in rabbia ed allora riesce davvero a reagire, a spingere lontano Arthur, così forte da farlo arretrare, e a correre con la mano all’interruttore della luce, per mettere fine a quella farsa.
- Si può sapere che ti salta in testa? – Gridargli contro, ora, è quasi un bisogno.
È così furioso con lui... Così arrabbiato...
Arthur è lì a tre passi, che lo guarda stralunato. Come se non si aspettasse affatto quella reazione.
Ha il respiro affrettato e gli zigomi accesi, le sue spalle che si alzano e si abbassano catturano gli occhi di Merlin come un magnete... Le labbra rosse come mai prima, i capelli sparati tutti da un lato lì dove gliel’ha strattonati troppe volte. I suoi occhi sono come persi, allucinati, così grandi e azzurri...
È bello da morire... Ma quella sua bellezza finisce quasi per irritare Merlin di più, perché lui sta già iniziando a non sentirsi più se stesso, incapace di tornare nella sua pelle e nei suoi pensieri, come se Arthur baciandolo avesse cambiato ogni cosa e, accidenti a lui, non ne aveva il diritto.
- Si può sapere che diavolo credevi di fare? –
Vuole sgridarlo, vuole ferirlo, vuole sconvolgerlo, prenderlo a pugni e baciarlo ancora.
E ancora.
E ancora.
Senza dover poi più smettere.
Ma non può fare nulla di tutto questo.
Perché due secondi gli bastano per capire che qualcosa non va, a cominciare da come la sua voce risuona nella stanza... Amplificata, potente, come se nulla arrivasse a fermarla.
Ed anche i colori sono sbagliati... È tutto troppo chiaro lì dentro.
Merlin finalmente stacca gli occhi da quelli di Arthur e riesce a guardarsi intorno.
Lo shock è talmente forte da farlo arretrare, aggrappare alla maniglia della porta come se fosse l’ultimo scampolo di lucidità esistente al mondo.
- Arthur... Dove sono i nostri mobili? – La sua voce ha perso ogni nota battagliera, come se quel ladro dispettoso l’avesse rubata insieme alla loro mobilia.
La verità è che a quel punto Merlin ha deciso semplicemente di smettere di pensare.
Arthur si sistema i bordi della giacca e scrolla le spalle, recuperando in un momento la sua solita faccia da schiaffi, come se l’avesse appena tirata fuori dal taschino, inamidata e perfetta.
- Venduti, prestati, parte della tua roba l’abbiamo divisa tra casa di tua madre e di Morgana, mentre Gwaine è stato così carino da prendere un po’ della mia... Non molta a dir la verità... Tu sei stato più fortunato... –
- Io non capisco... –
- Oh lo so che non capisci Merlin... – Gli dice Arthur avvicinandosi sorridente, quasi come se la sfuriata di poco prima non fosse mai avvenuta. Allunga una mano verso la sua nuca e lo avvicina a sé per un bacio leggero, a fior di labbra, al quale Merlin risponde automaticamente, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se non fosse mai stato arrabbiato con lui e non ci fosse mai stato un tempo in cui loro due non si comportavano così. – È anche per questo che ti voglio così bene. –
E detto questo Arthur lo abbraccia stretto, stringendogli forte le braccia intorno al collo, sorridendo come uno stupido.
Merlin lo lascia fare, rimane inerme tra le sue braccia, il cuore che batte come un tamburo.
- Ho una brutta notizia da darti... – Gli dice Arthur parlandogli tra i capelli - Mio padre mi ha praticamente tagliato i fondi quando gli ho detto che me ne andavo... Quindi quando torneremo, dovremo trovare un altro posto dove stare... Ed anche se non si tratterà di una catapecchia, posso dire con una certa sicurezza che dovrai dire addio al tuo bagno privato... Pensi di poter sopravvivere comunque? –
- Certo che sì, per chi mi hai preso? – Gli risponde lui di getto, quasi senza pensare - Quando siamo venuti ad abitare qui ho insistito solo perché... – Poi però ferma la sua arringa un secondo, perché il suo cervello ha finalmente registrato la parte iniziale dell’annuncio di Arthur. Lo allontana di nuovo da sé, più che altro per poterlo guardare in viso, tenendogli le mani sulle spalle.
- Che vuol dire che hai detto a tuo padre che te ne andavi? E cosa intendi con quando torneremo? –
- Voglio dire... – E così dicendo Arthur si allontana da lui e si china a raccogliere la busta bianca che Merlin aveva lasciato cadere a terra durante il suo primo, dolcissimo assalto. - Che se ti fossi preso la briga di controllare meglio, ti saresti risparmiato tutta questa agitazione... Ma forse è stato meglio così... –
Si ferma un attimo a guardarlo, come se non l’avesse mai fatto veramente e lo vedesse ora per la prima volta.
- Nessuno mi si era dichiarato in questo modo... E non lo dimenticherò mai. –
Il sorriso che gli rivolge è davvero da togliere il fiato.
- Ciò non toglie – Continua voltandogli le spalle, dirigendosi verso il camino - Che con la tua dannata curiosità hai quasi rischiato di rovinare tutto! Ed io che mi ero così dato da fare... – e così dicendo prende una busta bianca, gemella di quella che ha già in mano, da sopra la mensola del caminetto, poggiata lì dove un tempo c’era stata una foto di loro due... Arthur con un rapido gesto rivela il contenuto di entrambi gli involucri e... Impossibile... I biglietti aerei da uno diventano due...
In un momento, il ricordo di quel giorno assale Merlin... Lui che apre il cassetto di Arthur buttandoci alla meno peggio i suoi calzini, la sua mano che tocca qualcosa... il suo biglietto, il depliant dell’agenzia di viaggi... Possibile che lì ci fosse anche il biglietto di Arthur e lui, già troppo sconvolto, non se ne fosse accorto? Davvero se avesse continuato a cercare si sarebbe risparmiato tutta quella pena?
Probabilmente, se non fosse stato così felice, si sarebbe sentito tremendamente stupido.
Invece rimane lì, a guardare ora i biglietti, ora lui, ed anche se non ha ancora inquadrato a dovere la situazione e ci sarebbero tantissime cose da chiedere, non può fare a meno di sentire qualcosa scioglierglisi in gola, quel nodo di dolore che gli si era stretto all’animo cinque anni prima.
- Io parto con te. Ti è più chiaro così? – Gli dice Arthur, allacciandogli le braccia al collo e sorridendogli da tanto vicino da abbagliarlo per mezzo secondo.
Quando infine lo bacia, socchiudendo gli occhi, Merlin rimane a guardarlo, incapace di fare altrettanto... Il colore dorato della sua pelle, le lunghe ciglia bionde... È quasi surreale: ogni cosa di lui è nuova, vista da così vicino.
“Non mi abituerò mai” pensa Merlin tra sé, poi chiude gli occhi anche lui, come per contraddirsi, e si stringe di più ad Arthur, perché già cercare le sue labbra gli viene naturale.
Dopo minuti che sembrano ore, Arthur si scioglie piano dal bacio, un’espressione contrariata e buffa sulla faccia.
- Ti sei visto con qualcuno mentre io non c’ero? – Gli dice, d’un tratto sospettoso.
- Certo che no! Arthur, che vai a pensare? –
- Perché baci molto meglio dell’anno scorso... – Il tono divertito, arrogante...
Per un intero secondo... No, per molto meno a dir la verità, la mente di Merlin prova a proteggerlo da quel commento, come se il suo significato fosse a portata di mano ma lui per qualche motivo non riuscisse ad afferrarlo. È una sensazione frustrante e spiacevole, perché anche se per poco, lui sembra essere l’unico nella stanza a non afferrare qualcosa di importante... Di fondamentale... Ma non è nulla di paragonabile a quando la comprensione lo colpisce in pieno viso.
Merlin si scioglie dall’abbraccio di Arthur.
È stato un riflesso spontaneo ma che sembra aver consumato ogni sua energia.
Resta fermo davanti a lui, senza ricordare come si fa a parlare, senza riuscire a formulare un pensiero coerente, finché guardando attentamente i suoi occhi non vi trova ciò che sospettava già.
- Il lago... – Gli dice in un sospiro - Tu eri là! No, voglio dire... Certo che eri là... Eravamo lì insieme... Ma eri sveglio! E hai visto tutto... Hai sentito... Tutto... –
Ed è come se il suo corpo diventasse di pietra, come se Arthur avesse avuto il potere di congelarlo sul posto. Merlin rimane lì, ad occhi bassi, capace solo di mormorare, perché ormai anche il suono della propria voce gli sembra qualcosa di inopportuno, da dover nascondere.
- Non avresti dovuto vedermi così. Non avrei mai voluto che mi vedessi così... –
Sembra quasi parlare a se stesso.
Parole che non ha mai pronunciato ad alta voce ma che gli bruciano in gola da sempre, ed ora che ha iniziato a lasciarle andare, fermarsi gli sembra impossibile.
- Quello è stato un momento solo mio, che apparteneva a me. –
Pone l’accento sull’ultima parola, come se Arthur l’avesse privato di qualcosa.
- Non era fatto perché tu lo vedessi... So cosa avrai pensato, è quello che avrebbe pensato chiunque... Che quel bacio non era altro che un patetico tentativo di rubare qualcosa che non mi apparteneva, che non era per me... Ma non è così... Non è questo che è stato... –
Il dolore nella sua voce è come un’altra presenza nella stanza. Arthur fa per avvicinarsi tendendo una mano verso di lui ma Merlin si ritrae ancora, un passo indietro nella stanza e dentro se stesso, fino a tornare alle ferite di quel giorno.
- Tu non potrai mai capire, Arthur. Cinque anni. Cinque. Anni. Cinque anni di sguardi rubati senza poi riuscire a guardarti negli occhi, cinque anni a sfuggire anche al più innocente dei gesti... Io ti volevo così tanto e tu eri ovunque! Ovunque! Non mi lasciavi mai in pace! Più io scappavo e più tu eri con me, più cercavo di allontanarmi e più tu mi chiedevi di starti vicino. Ogni anno una richiesta, ogni anno una ferita. La macchina e la casa sul lago e Gwen e il nostro vivere insieme... Mi hai stanato ovunque mi nascondessi, mi hai sconfitto ogni volta in cui credevo di poter combattere. Tu non sapevi nulla, certo... Ma quanto si può essere stupidi? Davvero? Quanto si può essere ciechi? Tu sei il mio migliore amico... Chi altri mai avrebbe dovuto capire cosa mi accadeva se non tu? E quella notte sul lago è stata la rabbia a vincermi, la rabbia, il desiderio e questo senso di vuoto con cui devo vivere sempre, costantemente, solo perché tu non sei con me. E credimi, è stato un momento che ho pagato caro. Più caro di quanto tu possa immaginare. Volevo solo sapere cosa si provava a non dover chiedere permesso, a non dover chiedere scusa, ed anche se ho sbagliato, non credere di poter capire cos’è stato, perché tu non puoi saperlo. Tu non puoi saperlo Arthur. –
Aveva iniziato mormorando ma la sua voce aveva preso coraggio via via che la sua mente correva, mentre tornava a quegli anni in cui quell’amore gli aveva tolto ogni speranza, una ad una, come i petali di una margherita.
Poi, col fiato rotto ed un peso enorme in meno sul cuore, torna a guardare Arthur che si è tenuto distante, non ha più cercato di avvicinarsi, restando invece ad ascoltare, come se la sua rabbia non l’avesse sorpreso, solo addolorato.
- Volevo farti uno scherzo. – Ammette Arthur alla fine, allargando un po’ le braccia e poi lasciandole ricadere lungo i fianchi, dispiaciuto, impotente davanti a ciò a cui ormai non può porre rimedio, forse pentendosi di aver parlato troppo. Merlin scommette che, se potesse, Arthur rimetterebbe volentieri indietro le lancette dell’orologio, e gli dispiace per lui, perché ciò che accade una volta non si può cambiare, lo sanno tutti e due, la morte dei rispettivi genitori ha insegnato loro proprio questo.
- Quella notte, sul lago, mentre me ne stavo fermo ad occhi chiusi, accanto a te, non chiedevo altro che riposare un po’ la mente, godermi quel momento con te e provare a non pensare a quello che mi avevi detto... Che l’anno successivo non saremmo potuti tornare lì insieme, perché le nostre vite ci avrebbero portati l’uno lontano dall’altro... Vedi, quello era un particolare a cui io non avevo ancora pensato. Ero così abituato al fatto di averti con me che ormai lo davo per scontato. Una vita senza Merlin... Sembrava solo una storia ridicola, qualcosa che stava per accadere a qualcun altro... E invece stava per accadere a me. A noi. E mi infastidiva. Non riuscivo proprio a scrollarmi quel senso di fastidio dalla testa. Non ero mai stato bene senza te in giro, come durante il primo anno di università... Mi ero sentito.. Non so... Come se non fossi mai davvero a casa mia. Se in America mi fossi sentito così, cos’avrei fatto? All’improvviso ho avuto paura. Non scherzavo sai, quando ti ho proposto di venire con me... Cioè, all’inizio sì... Ma poi mi sono detto “Perché no? Se Merlin volesse seguirmi sarebbe davvero fantastico”. Certo, tu avevi rovinato tutto il mio entusiasmo con la tua solita lingua lunga... Ma non mi sembrava di chiederti chissà cosa, tanto avresti dovuto comunque trovarti un lavoro a Londra... E partire per New York non sarebbe forse stato come farlo per il tuo famoso viaggio... Ma sarebbe stato un inizio... In tutta onestà sapevo che se avessi insistito un po’, tu saresti venuto con me... Insomma... Di solito era così... Mi assecondavi sempre, alla fine. –
Sul viso gli spunta un piccolo sorriso timido, che non riesce a nascondere.
- Insomma, ero lì, ad occhi chiusi, perso nei miei pensieri, quando ho sentito che ti muovevi, che ti stavi avvicinando a me, piano, come se non volessi farti scoprire. Ho creduto che volessi farmi qualche scherzo ed allora sono rimasto zitto ed immobile, fingendomi ancora addormentato, per poter essere io a sorprenderti, a farti prendere il miglior spavento della tua vita... –
Arthur ha lo sguardo lontano e parla mentre sorride, come se si divertisse nel rievocare quei momenti. È così assurdo che lo stesso ricordo susciti in loro emozioni tanto diverse...
Merlin continua a guardare il suo volto, finché Arthur non sposta gli occhi su di lui, e all’improvviso sono così azzurri ed onesti che il dolore di poco prima è come se arretrasse davanti a loro, sempre più debole, fino a sparire, come se non avesse più un buon motivo per restare.
Ciò che resta è solo curiosità, e il desiderio di sentirlo parlare ancora.
- Però tu sei rimasto su di me così a lungo... Sentivo il tuo sguardo che mi fissava, il tuo respiro accelerato, quasi spaventato, ed anche se non potevo vederti o toccarti, era come se percepissi la tua agitazione. Eri teso come una corda Merlin ed io non ne capivo il motivo. Non capivo il perché di tutto quel trambusto solo per una semplice burla, solo per riuscire a farmi paura. Poi ho sentito il tuo respiro avvicinarsi, centimetro dopo centimetro, ed allora ho capito. Non solo ciò che stavi per fare ma ho capito il perché di ogni singola stranezza di quegli ultimi anni, e perché accanto a te mi ero sempre sentito così amato. La risposta era semplice ed era sempre stata lì a portata di mano... Ed era che tu mi amavi. Mi amavi davvero. Più di chiunque altro, più di tutto, ed io non avevo mai capito niente. Avrei voluto prendermi a pugni ma non potevo, perché ormai tu eri lì, ad un respiro da me, e non potevo neanche permettermi il lusso di sorprendermi e trasalire, perché sapevo che se tu avessi capito che ero sveglio, la nostra amicizia sarebbe finita in quel momento e per sempre. Perché tu non saresti mai più stato in grado di guardarmi in faccia, anche se ti avessi detto che era ok, e non avresti mai potuto perdonarti, neanche se ti avessi chiesto io di farlo. Così sono rimasto fermo ad aspettare le tue labbra e ti giuro che nessun secondo della mia vita è mai durato tanto a lungo. Perché, ora lo capisco, anch’io volevo sapere. Se non sono saltato su come una molla impedendoti di baciarmi, non è stato solo per generosità, per risparmiarti un dolore, ma perché, visto che avevo capito, allora io volevo sapere. Volevo sapere come sarebbe stato. Volevo avere il tuo coraggio. Era come se tu mi stessi coinvolgendo in una delle nostre sfide... Una sfida a cui non avevo mai pensato ma dalla quale non volevo tirarmi indietro. Poi tu finalmente mi hai baciato ed è stato... Come spiegartelo... Diverso da come credevo. È stato bello, e dolce, e tuo. Eri tu Merlin. Eri davvero tu. Era quasi normale. Come se l’avessi già fatto mille volte e non ci fosse alcun motivo per non farlo ancora. Perché eravamo noi. Come lo eravamo sempre stati. Come lo saremmo stati sempre. Stavo quasi per dirtelo, stavo quasi per svegliarmi, quando tu ti sei allontanato sconvolto da me, come se quel bacio ti avesse bruciato dentro. Sei rotolato su un fianco ed io non ti ho sentito più. Sapevo che eri lì accanto ma non potevo toccarti e non potevo aprire gli occhi, sentivo solo il tuo respiro strozzato e non sapevo che fare. Mi sono azzardato a muovere piano una mano, a cercare di arrivare il più vicino possibile al tuo viso, solo perché sentissi che andava tutto bene, che io non andavo da nessuna parte. Poi tu hai poggiato la testa nel mio palmo, come se cercassi conforto, e sono stato così felice che tu non scappassi, che mi volessi ancora... Poi però ho sentito le tue lacrime sul mio polso, ho sentito che cercavi di soffocare i singhiozzi per non svegliarmi, proprio tu, che a causa di quel tuo dannato orgoglio, fin da piccolo non hai mai pianto senza una buona ragione... E mi si è spezzato il cuore. Ed ho capito che, anche se in quel momento ciò che più volevo era dirti di non preoccuparti, che quel bacio l’avevo sentito anch’io, che ero stato con te fino all’ultimo...E che... Avrei voluto provarci ancora... Non era quello di cui avevi bisogno. Ciò di cui avevi bisogno era che per una volta non fossi impulsivo, che non fossi avventato, che non mi buttassi a capofitto in qualcosa che non ero sicuro di poter portare a termine. Perché se ciò che avevo intuito era giusto, tu ci avevi protetti così a lungo e con tanto impegno, che io non potevo arrivare e rovinare tutto con la mia solita irruenza. Tu meritavi più di questo. –
- Ma allora... –
- Allora ho condotto un esperimento. Lo so, la parola non mi fa molto onore, ma io dovevo capire, dovevo sapere se potevo amarti quanto mi amavi tu, che non era stata solo l’impressione di un momento. Che ti volevo bene già lo sapevo ma amarti, desiderarti... Non potevo capirlo in pochi secondi. Quindi ecco spiegato il nostro folle anno. Lo so che ti ho confuso e forse mi odierai per questo, però in coscienza credo d’aver fatto davvero tutto quello che potevo, Merlin, per evitare di ferire entrambi. E per salvare la nostra amicizia nel caso le cose non fossero andate bene. Per mesi ho provato a vivere con te come se fossimo una vera coppia. Tu non dovevi saperne niente, quindi non potevo tentare di baciarti in qualche angolo buio dell’appartamento, e ti giuro che qualche volta ci sono andato pericolosamente vicino, ma per il resto ho cercato di viverti accanto come si deve, e non come quello stupido che ero stato fino ad allora. Volevo dividere le mie giornate con te, sentirti parlare, tornare a casa da te dopo il lavoro, farti ridere e, col tempo, vedere se riuscivo a farti un po’ innamorare... Di me... Ancora di più, se possibile. Che ti amavo l’ho capito il mattino dopo capodanno. Avevi passato la notte a vomitare e quando mi sono alzato ti ho trovato seduto al tavolo, le braccia stese davanti a te, il capo buttato in avanti alla meno peggio, semi addormentato e distrutto. Sembravi uno zombie di cattivo umore, eppure quando sono entrato in cucina hai alzato il viso e mi hai sorriso, il tuo solito sorriso scemo, che ti arriva da un orecchio all’altro, di quando non sei totalmente in te. Avevi indosso quell’orribile maglietta militare che non sono mai riuscito a farti buttare, e la tua pelle aveva una tonalità verdognola davvero impressionante per qualcuno che, a meno che tu non mi abbia nascosto qualcosa, chiaramente non è un extraterrestre... Per non parlare delle occhiaie... Eppure io volevo baciarti lo stesso. Anche allora, anche così. Perché eri Merlin, ed eri straordinario, ed eri mio. Per questo sono fuggito a New York: perché se ti fossi restato accanto anche un solo giorno avrei finito per confessare tutto e dichiararmi come uno stupido, invece volevo esser sicuro al 100% di non poter più immaginare una vita senza di te. Rendermi conto di cosa significasse non averti nella mia vita, non poterti chiamare ad ogni momento per pranzare insieme o andarcene in giro sulla tua auto, solo perché ci andava di farlo. Solo così sarebbe stato vero, reale. In tutti quegli anni, tu mi avevi donato il tuo amore così generosamente che avevo finito per darlo per scontato, e quello era un errore che volevo assicurarmi di non ripetere mai. Inoltre era qualcosa che dovevo a mio padre. Ad essere sincero, ora capisco di aver anche avuto paura. Paura del cambiamento. Paura di perdere noi. Perché tu sei il miglior amico che ho. Il miglior amico che avrò mai. Ed una piccola parte di me temeva che innamorandomi di te, non sarebbe più stata la stessa cosa. Sono partito senza voltarmi indietro, ho cercato di chiamarti il minimo indispensabile, ed è stato un inferno. Un vero inferno Merlin. Tornavo a casa la sera e tutto quello che desideravo era sentire la tua voce familiare che mi faceva ridere, raccontarti la mia giornata sapendo che dopo mi sarei sentito meglio, e mi ritrovavo col telefono in mano, senza un buon motivo per non cercarti. Ma non era solo quello. Anche un amico può mancarti così. Mi mancava il modo in cui chiamavi il mio nome. Mi mancavano i tuoi occhi, e come si abbassavano appena quando mi guardavi credendo che non me ne accorgessi. Mi mancava il tuo girare per la cucina la mattina, con addosso solo i pantaloni del pigiama e quei tuoi occhiali da imbranato, e il metterti a sbirciare il giornale oltre la mia spalla, borbottando e commentando le notizie ad alta voce, impedendomi di leggere in pace. Mi mancavano le tue orecchie che sbucavano da sotto i capelli, mi mancava il tuo odore. Mi mancava tutto di te. Tutto. Sono tornato a casa e mi sono detto che non ti avrei lasciato mai più. Ho detto tutto a mio padre, almeno a grandi linee... Penso che il più l’abbia capito da solo. Forse in futuro potrebbe arrivare a perdonarmi la storia con te ma di sicuro per ora non riesce a perdonarmi New York, ed il fatto che lo stia piantando in asso per partire con te. La parola “diseredare” è uscita almeno un paio di volte dalla sua bocca. Lo sai com’è fatto. Diamogli tempo e si calmerà e se così non fosse... M'inventerò qualcos'altro... Sono un tipo dalle mille risorse, lo sai. L’importante è che ora siamo insieme. –
E quasi per sottolineare la cosa, Arthur gli si avvicina di nuovo, intrecciandogli le braccia intorno alla vita, cercando il suo sguardo e appoggiando la fronte alla sua.
Merlin si sforza di rispondergli qualcosa...
Volevo vedere se riuscivo a farti un po’ innamorare... di me... ancora di più.”
Però la sua voce, le sue parole, sono ancora così...
Che ti amavo l’ho capito...”
È che non sembra quasi vero...
Eppure io volevo baciarti lo stesso.”
E se le labbra di Arthur non lo distraessero tanto...
Eri Merlin, ed eri straordinario, ed eri mio.”
Se solo il suo cuore lo ascoltasse un minuto...
Mi sono detto che non ti avrei lasciato mai più.”
Allora forse riuscirebbe a chiedergli se...
Ora siamo insieme.”

- Arthur, tu mi ami?Vuole sentirglielo dire, di nuovo, e per bene stavolta. Nessuna possibilità di equivoco.
- Certo che ti amo sciocco, se no perché starei per seguirti in capo al mondo, solo per starti vicino? –
Merlin sente un’ondata di sollievo corrergli lungo tutta la spina dorsale e poi su, fino al cervello, fino all’ultimo testardo neurone che ancora non vuole ammettere che stia accadendo davvero.
Stringe le braccia intorno al collo di Arthur, come quel giorno di cinque anni prima, in cui aveva capito che per lui nessuno avrebbe mai contato più di quel ragazzo troppo bello, prepotente, coraggioso, con l’argento vivo addosso. Chiude gli occhi, concentrandosi unicamente sul suo respiro, sul modo in cui lui gli sorride tra i capelli, pensando che da quel giorno in poi non avrà più bisogno di scuse per poterlo guardare in viso.
Allora è questa la felicità.” Lascia che quel pensiero si trastulli con i suoi battiti per un po’.
Poi stringe di più i pugni sul tessuto della sua giacca, improvvisamente grato.
- Possiamo restare a Londra se vuoi. Lo sai questo vero? Io non ho bisogno di questo viaggio. Io non ho più bisogno di niente. Fosse per me, potremmo restare per sempre chiusi qui dentro e non chiederei nulla di più... –
- Eh no! Non ci provare! Ti ho detto che devi dire addio al tuo bell’appartamento! Non ce lo possiamo più permettere! Avevi ragione tu sai? Costa un occhio della testa affittare un appartamento in questa zona! E poi io voglio partire. Voglio partire con te. È tutta la vita che sogno di regalarti questo viaggio, è tutta la vita che aspetto, che risparmio, che programmo, da quando ho capito quanto lo desideravi e perché. Pian piano, il tuo coraggioso, bellissimo sogno, è diventato anche il mio. Ho sempre saputo che sarebbe stato oggi, sapevo di dovermi sbrigare, di avere una data di scadenza, che solo una volta finita l’università avresti potuto permetterti di lasciare tutto per un anno. E quell’anno volevo essere io a donartelo. Dovevo essere io. Allora non sapevo perché fosse così importante per me. O perché desiderassi così tanto che il tuo compleanno fosse sempre un giorno così speciale. Sapevo solo che lo meritavi e che se il mondo non poteva darti ciò che volevi allora l’avrei fatto io. Perché qualcuno doveva pur ricordarti quanto fossi speciale... Sei una tale causa persa Merlin, che a volte tendi a dimenticarlo... –
Merlin non risponde nulla. Non può. Neanche volendo. Si stringe solo più forte ad Arthur, come se avesse paura che qualcuno volesse strapparglielo via.
Arthur gli carezza la schiena con una mano e persino la sua voce sembra sorridere quando gli chiede, quasi bisbigliando:
- Perché piangi?
- Non sto piangendo. – Però già il modo in cui tira su col naso lo tradisce...
Che stupido Arthur... Tutto quel trambusto per una lacrimuccia...
- Sì che stai piangendo. – Arthur ride piano. Gli passa una mano tra i capelli scompigliandoglieli appena, quasi per spingerlo a confessare.
- No, non è vero. –
- Sì che è vero. – Arthur cerca di sembrare offeso ma i suoi occhi brillano come non mai. Merlin li cerca alzando sorpreso il viso, ed è come se il suo cuore si sciogliesse, perché osservando il sorriso di Arthur capisce che sta ricordando anche lui. Quindi gli sorride, asciugandosi veloce gli occhi, proprio come quando era solo un bambino, il volto acceso di felicità.
- No che non è vero e poi, anche se fosse, a te cosa importa? – E quasi non riesce ad aspettare la risposta di Arthur prima di scoppiare a ridere.
- Non è il tuo compleanno oggi? – Arthur inclina un po’ la testa di lato, come se la situazione gli sfuggisse, proprio come aveva fatto allora. - Non dovresti piangere il giorno del tuo compleanno... –
- Se piango è colpa tua sciocco! Chi ti ha chiesto di rendermi così felice? –
Arthur sussulta sorpreso, raggiante, e lo guarda come se non avesse smesso di amarlo un solo giorno fin da quando si erano incontrati in quel cortile, e forse, in un certo senso, è proprio così.
Allora Merlin lo bacia di nuovo pensando che, come al solito, Arthur non aveva capito niente, che in tutti quegli anni era stato inutile, da parte sua, darsi tanto da fare per farlo contento. Avrebbe anche potuto non fare nulla e restargli semplicemente accanto, perché ciò che aveva reso speciali tutti quei compleanni, non erano stati i regali, le feste o le sorprese, ma il semplice fatto che Arthur fosse con lui.
E sarebbe sempre stato così.

- Allora il Gran Canyon? Ho scelto bene? –
- Il Gran Canyon è perfetto. –
Sono entrambi seduti sul pavimento, uno accanto all’altro, Arthur con la schiena poggiata al muro, Merlin spostato un po’ di lato, la camicia di nuovo buttata sulle spalle, la schiena contro la spalla di Arthur, la testa che sfiora leggermente la sua.
Merlin si guarda intorno, sorridendo con aria incredula.
- Ancora non capisco come hai fatto a far svuotare questo appartamento in un solo giorno... –
Gli piace davvero il modo in cui le loro voci risuonano nell’appartamento vuoto. Specialmente quella di Arthur. Sembra scivolargli addosso come caramello.
- Oh beh... Mi conosci... Quando mi metto in testa qualcosa... E comunque sono stato aiutato. Ho ingaggiato ben due squadre di energumeni che hanno portato via la tua marea di libri come se fossero foglie secche in un giardino... In più hanno voluto dare una mano tutti, anche Will è venuto in città apposta. Dice che sei matto a voler passare un intero anno solo con me, e di chiamarlo se dovessi tornare in te nel bel mezzo dell’Europa e avessi bisogno di qualcuno da cui farti venire a prendere... Ah...E si è preso la tua collezione di fumetti. Ha detto che tanto prima o poi ti avrebbe convito a regalargliela. Così ha accorciato i tempi... –
- E tu gliel’hai lasciata? – Merlin si gira guardandolo con occhi sbalorditi e gli da un piccolo pugno sul braccio.
Arthur se lo massaggia facendo mille smorfie, iniziando a protestare.
- Merlin... Avevo altre cose per la mente... E poi dove andiamo non ti servirà... È stato un buon modo per ringraziarlo! Lo sai che non mi può vedere... Così ho guadagnato qualche punto... –
- Arthur tu dovresti essere dalla mia parte! Avresti dovuto batterti per le mie cose! –
- Beh, se è per questo Gwaine si è preso il televisore. Ha detto che è quello che si è dato da fare più di tutti quindi meritava un bel regalo. Comunque era un modello già un po’ sorpassato, quando torneremo ne prenderemo uno nuovo... –
Arthur è sempre Arthur. Senza nessun pensiero al mondo.
- Ecco che sua altezza torna a farsi vivo... Mi avevi quasi convinto sai? Con tutti quei discorsi sul non potersi permettere l’appartamento... Quando torneremo, caro il mio principe, tu dovrai rivedere un bel po’ il tuo stile di vita! Se davvero tuo padre... – E Merlin abbassa il mento, spegnendosi come una lampadina, non riuscendo ad ignorare che ciò che Arthur sta passando è tutta colpa sua.
Arthur gli mette un dito sotto il labbro inferiore, costringendolo a guardarlo negli occhi.
- Mio padre alla fine si abituerà, vedrai, e si ricorderà che tutto ciò che ha sempre voluto è lasciare lo studio a me. Ma se così non fosse, vedrai che gli altri studi di Londra faranno a gara per assumermi. Sono o non sono l’avvocato più brillante che tu conosca? E poi tu scriverai del nostro viaggio e diventerai famoso...Quindi di che ti preoccupi? Sorridi... Forse non potremo permetterci un appartamento così da subito... Però possiamo essere di certo così magnanimi da lasciare a Gwaine il nostro vecchio televisore, soprattutto dopo la lavata di capo che si è beccato al telefono quando mi ha chiamato per dirmi che era tutto pronto ma che non era riuscito a trovare il tuo biglietto... Che avrebbe dovuto essere il punto focale della sorpresa... Cioè... A parte me naturalmente... Povero Gwaine... L’ho trattato male per colpa tua... –
Merlin lo guarda a lungo, in silenzio, come se un pensiero si fosse finalmente fatto strada fino a lui, la questione Gwaine già abbandonata, gli occhi stretti come due fessure, sospettosi.
- Arthur, quindi tu eri già certo di noi due quando sei tornato da New York? –
- Certo. –
- Ed avevi già deciso di partire con me quando hai litigato con tuo padre. –
- Assolutamente. –
- Stiamo parlando di un mese fa... –
- Giorno più giorno meno sì... –
- E tu sei stato per tutto un mese senza dirmelo? – Merlin sembra quasi scandalizzato.
Arthur lo guarda spiazzato, come se non capisse il nocciolo del problema, fino a rispondergli candidamente:
- Beh... Ma è stata una bella sorpresa, no? –
E allora, davanti a quel tono stupito e quegli occhi spalancati, Merlin si mette a ridere.
E lo abbraccia stretto.
E lo bacia di nuovo.
Perché lui è Arthur ed è fatto così.
E Merlin se lo sarebbe tenuto stretto, perché ad un dono meraviglioso come quel suo asino, solo un folle avrebbe detto no.
E Merlin di certo non era un folle.
Non lo era affatto. 




 

E partiron... ehm... volevo dire... e vissero tutti felici e contenti... xD
È proprio così che volevo immaginarmeli, Merlin e Arthur: felici e contenti.
E liberi.
Liberi di viaggiare, di scegliere, di tornare a casa, di inseguire sogni, di prendersi del tempo, di correre incontro al futuro, di scoprire giorno dopo giorno il proprio posto nel mondo... Insieme.
Mi piace pensare che Arthur continuerà a cercare di sorprendere Merlin ogni giorno, perché il suo amore è sempre stato così, imprevedibile, vulcanico, travolgente, fantasioso, divertente, e Merlin continuerà a prendersi cura di Arthur con i suoi gesti discreti, con la sua infinita pazienza e la sua incapacità di negargli qualunque cosa nei limiti del ragionevole.
Spero che questo finale che ho scelto per loro vi sia piaciuto, e che leggere questa mia storia vi abbia regalato dei bei momenti, come tante altre storie hanno fatto con me. Andando a stringere, alla fine della fiera, è l’unica cosa che conti!
Spero di riuscire a tornare presto con qualche altra idea, perché scrivere fan fiction sul Merthur è come mangiare le ciliegie, una tira l’altra, e prima che tu te ne accorga hai sviluppato un serio problema di dipendenza! Aiuto! xD
Ora vi saluto (oh mamma, i saluti non sono il mio forte... mi commuovo!) e vi abbraccio dal profondo del cuore!
Grazie ancora di tutto e baci! (Di Arthur, mica i miei? xD)
Smack! Smack! <3

Sofy


Continua a seguire le avventure di Merlin e Arthur nella storia "Regalo di Natale (Carols by Candlelight)".



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