Sand's memories: childhood

di Ita rb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Koryu ***
Capitolo 2: *** Gojyo ***
Capitolo 3: *** Gono ***
Capitolo 4: *** Goku ***
Capitolo 5: *** Ken'yu ***



Capitolo 1
*** Koryu ***


Note: Salve a tutti! Sono qui a inaugurare una nuova raccolta, questa volta dedicata alle tinte slice of life che tanto mi piacciono. Forse ci sarà solo un retrogusto amarognolo, ma le intenzioni di base sono diverse questa volta; ho provato a fare qualcosa di diverso, senza concentrarmi sui tormenti, bensì sui dettagli incontrastati della vita di ogni essere vivente. L’infanzia è il tema di base di questo progetto, perciò spero vi piaccia!
Xoxo
 

Ita rb

K O R Y U

 

Languore d'inverno:
nel mondo di un solo colore
il suono del vento.1

 
Quell’albero era alto e rigoglioso, come molti, eppure sembrava che fosse il suo preferito.
La prima volta che si era accorto di quanto fosse bello il suo tronco nodoso, non aveva potuto fare a meno di posare il palmo contro la superficie bitorzoluta, giurando di sentire la linfa scorrere oltre la corteccia bruna. Non ne aveva fatto parola con nessuno, continuando a osservarlo dal basso, mentre le fronde rigogliose venivano mosse leggermente dal vento, lasciando che le foglioline verdi frusciassero contro le altre in una sorta d’abbraccio senza confine.
Gli sembrò tanto audace la sua essenza, che quasi provò l’impulso di voler essere come lui: solitario, nel bel mezzo di un giardino colmo di suoi simili, eppure diverso. Le radici s’irradiavano al di là della terra e brulicavano dal basso, nutrendosi dell’acqua che gli versava lentamente con l’innaffiatoio; ma non solo, si muovevano e crescevano tanto quanto la chioma anche nelle giornate uggiose. Era impervio, resistente, e non si lasciava piegare neppure dai forti venti invernali; per questo, quel ragazzino dall’aria decisa, aveva preteso da se stesso la medesima fermezza – e ci era riuscito con un semplicità tale da essere quasi impossibile: le sue palpebre si socchiudevano di rado e mai osavano abbassarsi nonostante i mormorii sul suo conto.
Iniziò a credere che, probabilmente, quel bocciolo avesse germogliato al pari del suo maestro in un tempo che non poteva ricordare; per questo, quando lo vide posato con le spalle contro il busto dell’esemplare, non mancò di associarlo ancora una volta a lui, constatando che non avrebbe potuto trovare posto migliore per sposarsi con la natura.
Era una pianta grezza, quella, curata dalle mani di molti, anno dopo anno – e da queste aveva imparato a ergersi al di sopra di ogni cosa, sembrando irrimediabilmente estranea al contesto in cui abitava; ma allo stesso modo ne era la protagonista indiscussa.
Mentre la nube leggera s’innalzava verso il cielo chiaro dell’autunno, vezzeggiando appena attorno all’asticella della pipa del monaco, le foglie secche scricchiolavano in terra, lungo il viale che Koryu stava spazzando – il suo sguardo era lontano, concentrato in quell’incrocio di realtà e fantasia, nel connubio d’insegnamento terreno e morale che sempre avrebbe saputo sfiorarlo.
Si avvicinò, lentamente, frapponendosi tra il venerabile Komyo e il silenzio che mangiava ogni angolo dell’infinito; allorché comprese che quel profilo deciso non potesse appartenere a nessun essere umano che non fosse lui – non si era sbagliato, dunque, perché entrambi quegli esseri erano tanto distanti, quanto vicini, e brillavano in ogni stagione, irradiando una luce intensa dal profondo del loro essere.
«Doveste fumare in un luogo più appartato, maestro», disse. In quel momento tutto seppe annullarsi nelle profondità del sorriso paterno che gli venne regalato con naturalezza dal mentore; avrebbe voluto aggiungere altro, ma le parole non fecero che volare nell’aria, così come quel complesso monumentale di gracchiante natura essiccata che aveva radunato in un angolo – turbinando lontano, poté solo seguirle con lo spirito.

 

 
1 Haiku di Basho.

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Capitolo 2
*** Gojyo ***


Note: Hi! Che dire, finalmente mi sono dedicata al capitolo sull’infanzia di Gojyo che, a mio dire, si tratta di un qualcosa di eccessivamente fluffoso e angst. Spero che vi piaccia, dopo tutto, anche se non è prettamente in linea con i ricordi allegri che avevo intenzione di proporre nella raccolta; ma, in fondo, Jien rappresenta per lui un barlume di vita, oltre la chiazza scura della sua infanzia. Spero, perciò, che sia tangibile nelle mie righe.
Xoxo

Ita rb

G O J Y O

In questo mondo
contempliamo i fiori;
sotto, l'inferno.1


I petali scarlatti sapevano avere un fascino particolare su di lui: si concentravano in un grumo vivido che sapeva di vita, oltre la forma semplice che dettava linee convergenti nel suo fulcro; spronandosi verso l’esterno, verso l’alto, pareva che quasi sorridessero al loro proprietario, quelle lingue rosse che guizzavano allegre e sensuali.
Ballonzolando tra le sue dita infantili, le camelie parevano ardere di un affetto senza eguali, accompagnate dall’ennesima speranza, quel frammento sempre uguale che, giorno dopo giorno, si riproponeva dentro di lui con un’innata voglia di vivere.
Le aveva viste, splendenti, in quel grumo vermiglio a qualche passo da casa sua – e ogni volta, soffermandosi dinanzi a questo, non poteva fare a meno di domandarsi se potesse risultare bello come loro; per lo meno agli occhi di sua madre, di quella donna che tanto adorava, avrebbe voluto apparire come una camelia.
Le sue mani, però, erano tanto dure, quanto quelle parole che, spesso, fluivano via dalle labbra secche e amareggiate. Lo detestava e non era affatto un mistero per lui, poiché lo ripeteva sempre, fino alla nausea, quando gli tirava i capelli con disgusto come se volesse strapparli – quelle dita non sarebbero mai state in grado di carezzare le sue guance, se non per torcerle con intenzione, senza affetto, ma solo rabbia; così, l’unico briciolo di colore in quell’inusuale infanzia tinta di rosso era suo fratello Jien.
Guardandolo da lontano riusciva solo a sorridere, poiché percepiva la sua presenza rassicurante e quel controllo dolce che aveva tutto attorno a sé. Avrebbe fatto di tutto per proteggerlo, ne era sicuro, perché ogni volta, abbassando il capo e premendo le mani contro le sue piccole orecchie, Gojyo singhiozzava sommessamente, cercando di non sovrastare il cigolio del letto che proveniva dalla stanza adiacente – lui non voleva distruggere l’impegno dell’altro, voleva essere buono.
«Perché?» aveva chiesto un giorno, osservando la sua espressione sofferente, al di là dello spazio che, consumato dai passi, si lasciava dietro ogni più vivida immagine; articolato in complessi catastrofici, laddove l’ombra di un padre deceduto era incarnata dalle membra adolescenziali di Jien, Gojyo riuscì solo a sussurrare quello, lasciando che un piccolo suono frusciasse nell’aria fino a tergerne l’udito con solerzia.
Shh…
Oltre una porta che velava con gemiti il silenzio di demotivanti verità, il mezzosangue poteva solo sentirsi diverso, auspicando nella venuta di un giorno in cui poter alzare il viso con orgoglio, paragonandosi alla figura maggiore con altrettanta maestria.
Sarebbe stato forte, sì, la camelia più bella che avesse mai visto, in quel piccolo ammasso di fiori dietro casa.


1 Haiku di Issa.

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Capitolo 3
*** Gono ***


Note: Salve a tutti! Sono qui per proporre il terzo capitolo di questa raccolta, dedicandolo a un personaggio cui sono particolarmente affezionata nella sua accezione infantile: Gono.
L'ho sempre reputato un bambino davvero grazioso e bellissimo, colmo non solo di una dolcezza infinita nei confronti del mondo, ma soprattutto di sua sorella Kanan.
Spero davvero che vi piaccia!
Xoxo

Ita rb

G O N O

Senza nome,
l'erbaccia cresce in fretta
lungo il fiume.1


Quella sensazione era strana, quasi disarmonica, e ogni suo respiro pareva fargli male nel petto, mentre guardava dinanzi a sé, sentendo la stretta della mano altrui nella propria – questa pareva afferrarlo saldamente, intenzionata a condurlo lontano, eppure lui non aveva voglia di lasciarsi andare tanto, meno che mai di dimenticare quanto dolce fosse il palmo di sua sorella nel suo; ma era tardi per dire la sua, perché sebbene avesse cercato con tutto se stesso di restare al suo fianco, aggrappandosi alla stoffa chiara del suo abito color sabbia, questa era comunque scivolata via, sospinta da una stretta altrettanto forte e sicura di sé.
Erano sempre assieme, quando correvano per i prati, giocando assieme e componendo a volte delle ghirlande con i fiori di campo. Kanan avrebbe tanto voluto essere brava quanto lui, ma aveva una pazienza più limitata e arricciando le labbra si fissava con lo sguardo sulla corolla chiara, attendendo che fosse questa a suggerirle cosa fare; allora avvicinava le piccole dita al volto dell’altro e v’incastonava con vittoria il reperto tra le ciocche scure e l’orecchio. Era soddisfatta del suo piccolo lavoro, così come del fatto che a lui stessero bene quei punti di luce, perché sembrava esattamente sorto dalla natura circostante, mentre lo fissava dritto negli occhi smeraldini.
Le risate leggere parevano quasi soffuse nelle sue orecchie ormai lontane e i brividi inconsistenti che lo attanagliavano nel profondo potevano solo scuoterlo fintanto che muoveva a fatica i passi nella stessa direzione di sua madre.
Avrebbe voluto restare lì, al suo fianco, continuando a comporre ghirlande per poi posarle sul suo piccolo capo, incoronandola a regina per sempre, ancora una volta, fino alla fine dei tempi; ma qualcosa era andato storto e che fosse o meno colpa sua non importava: le cose non sarebbero cambiate.
Quando di notte avrebbe visto la luna sorgere in cielo e il sole calare nella parte opposta, lui non avrebbe più dormito nella sua stessa stanza, non avrebbe visto il nasino all’insù volto verso il soffitto e non si sarebbe addormentato, tendendole la mano e sfiorando le piccole dita assorte di Kanan: tutto era finito ancor prima che avesse potuto accorgersene e in cuor suo sapeva che la colpa risiedeva nei sentimenti di due persone forse diverse, le stesse figure scure che lo allontanavano l’una dall’altro, costringendoli a vivere separati per egoismo.
«Saremo sempre insieme?»
Aveva chiesto un giorno la sua vocina candida, mentre nell’aria si sollevava un debole vento che portava via le spie dai soffioni grandi sulla rive del fiume che stavano costeggiando; allora Gono aveva annuito convinto, mentre le posava una ghirlanda sulla sommità del capo, sorridendole dolcemente: «Sì, staremo sempre insieme», disse, vedendola arrossire appena, sollevando entrambe le braccia per reggere il capolavoro sulla propria testa, rispondendo con un sorriso lieve a quelle parole rassicuranti alle quali credeva ciecamente.

Eppure, le sue mani sporche di sangue non avrebbero più potuto stringere a sé nessuno.


1 Haiku di Buson.

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Capitolo 4
*** Goku ***


Note: Salve a tutti, cari visitatori e non (?) del fandom! Che dire, inizialmente avevo pensato di concludere questa raccolta con i quattro personaggi principali, ma poi ho voluto estenderla anche ad altri characters, perciò la flash di Goku non sarà dunque l’ultima e spero che vi piaccia *blushes*
Grazie mille a chi mi segue, seppur in silenzio – sappiate che vi adoro tutti (?) ~
Xoxo

Ita rb

G O K U

In questo mondo
contempliamo i fiori;
sotto l'inferno.1


Spesso si chiedeva quante altre ore sarebbero trascorse, sebbene non conoscesse neppure il significato del tempo; sembrava che la sua vita fosse iniziata senza un motivo logico, eppure, i suoi occhi dorati si ferivano con la luce del sole, la stessa che tentava di afferrare, allungando le sue piccole dita. Improvvisamente, sul mondo era sorta una stella che molti avrebbero chiamato errore, eresia, addirittura abominio; ma lui non era nulla del genere, sapeva solo di essere reale, come la roccia sotto di sé e il pizzicore fresco dell’erba sulla sua pelle, quando distendeva i muscoli e si lasciava andare, steso completamente, ad ammirare la forma spumosa delle nubi nel cielo. Erano invitanti, tanto da fargli venire voglia di assaggiarle, e il borbottio che nello stomaco si ripercuoteva incessante gli faceva chiedere a se stesso cosa avrebbe potuto fare per evitare di sentirsi così male di fronte a un paesaggio tanto bello.
Le parole erano nate da sole, semplicemente, mentre lasciava che il suo sguardo si perdesse contro le fronde degli alberi, mentre annusava il profumo di un fiore che, tra le sue dita, sembrava risplendere di un rosa pallido e acceso al contempo.
Aveva sete e l’acqua del torrente vicino era riuscita a sanare quel vuoto, carezzando la sua lingua come se fosse vita fluida – e dopo tutto aveva più che ragione, poiché da questa nasceva ogni cosa, perfino i giunchi che rimirava curiosamente senza avere il coraggio di sfiorare con il palmo aperto e bagnato.
«Chi è là?» Chiese una voce tonante, allora lui inclinò appena il capo, sentendo quel suono e ripetendolo al pari di un canto: Chi è là? «Chi sei?» Domandò ancora quell’uomo, mostrandosi tra i rami basi di bambù che si trovavano alla sua destra; perciò, voltandosi, il piccolo Goku schiuse le labbra senza poter pronunciare alcuna parola che già non conoscesse.
«Chi è là?»
Le sue parole fecero eco a quelle che aveva udito poco prima e quel tale sembrò accigliarsi, mentre lo fissava in volto con aria dubbiosa, rimirando il candore dei suoi occhi brillanti che sembravano affini all’oro fuso. «Creatura eretica…» sibilò poi, arricciando il naso e storcendo la bocca in un’espressione quasi surreale, tanto che il piccolo, mentre sentiva il suo cuore balzare nel petto all’impazzata, si chiese quanto avesse ragione l’altro «… abominio!»
Non sapeva cosa significassero quei suoni, così come non aveva idea del motivo che l’aveva portato a indietreggiare, spaventato, di fronte a lui; eppure erano così simili che quasi provò l’impulso di avvicinarlo, perciò allungò una mano verso di lui, vedendolo fuggire spaventato, dopo che dalla sua cinta cadde un piccolo fagotto che, non appena giunto in terra, si aprì per rivelare un pezzo di pane nascosto tra le pieghe chiare. Avrebbe voluto ridarlo al suo proprietario, ma se tanto buoni erano i petali del fiore che aveva mangiato poco prima, allora doveva esserlo anche quello.
«Abominio », disse appena, soppesando quel suono e sentendosi struggere nell’anima come se fosse stato disprezzato in qualche modo dallo sconosciuto.


1 Haiku di Issa.

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Capitolo 5
*** Ken'yu ***


Note: Salve a tutti!
Avevo in mente di protrarre questa raccolta ancora per molto, ma alla fin fine non sono riuscita a cavare un ragno dal buco con altri characters e ho deciso di postare l’ultimo capitolo che, tra l’altro, ho scritto anticipatamente con l’idea di voler chiudere la raccolta proprio con lui.
Quella di cui parlerò in questo capitolo è la storia personalissima che ho voluto dare a Kan’yu, perciò è probabile che non abbia molto a che vedere con quella pensata dalla Minekura, ma lo scoprirò solo andando avanti e sperando che come per Hazel gli dedichi un piccolo spazio nelle sue opere.
Si collega, ad ogni modo, alla serie in cui l’ho inserita, con particolari riferimenti a Kaze no Uta che è ancora in pubblicazione e che ho già terminato di scrivere da un pezzo.
Spero davvero che vi piaccia *blushes*
Xoxo

Ita rb

K E N ' Y U
 

Essere se stessi è una virtù dei bambini,
dei matti
e dei solitari.1
 
Le pagine dei libri che aveva di fronte a sé sapevano di mistero, una sensazione che aveva imparato a conoscere sin dai primi anni di vita, quando, osservando la figura dei suoi genitori, aveva compreso quanto fosse lontano il loro mondo dal suo; eppure nessuno di questi si era mai preoccupato di stargli troppo accanto – tanto da fargli provare la sensazione di essere completamente solo.
Ogni cosa valeva più di lui, perfino la luminescenza che proveniva dallo schermo del computer acceso in salone, dove sistematicamente s’intervallavano gli adulti, parlottando tra loro di cose strane e inverosimili, davvero sconosciute ai suoi occhi.
Sfiorando la carta increspata delle pergamene che si trovavano nello studio del padre, Ken’yu aveva compreso quale fosse realmente il suo cruccio più grande, vale a dire quello di non riuscire a decifrare cosa vi fosse scritto – e se per lo stesso motivo i suoi genitori si sentivano turbati tanto quanto lui, allora avrebbe fatto di tutto pur di aiutarli.
L’impegno, la sagacia e la retorica sarebbero diventati padroni del suo stesso essere fino ad annichilirlo, tanto che lui avrebbe racchiuso in se stesso tutte le tre essenze sopracitate.
«Mamma, puoi leggermi una storia?» Domandò un giorno, arrivando di fronte a lei con lo sguardo basso, mentre sentiva il tocco leggero e frenetico delle sue dita sui tasti del computer; allora aveva compreso che non fosse stata in grado di udirlo neppure volendo, perché semplicemente lo reputava una perdita di tempo.
Doveva crescere, imparando da solo quale fossero le lettere più giuste e la pronuncia delle stesse, ma se i calcoli e l’alfabeto non bastavano ad attirare la loro attenzione, allora in che modo sarebbe riuscito a coglierla completamente? Non faceva che chiederselo, giorno e notte, fintanto che le sue palpebre restavano aperte, mentre fissava il soffitto della sua stanza silenziosa nella quale echeggiavano le urla altrui – spesso dovute a diverbi d’opinione che si protraevano fino alle prime luci dell’alba.
«Mamma, posso leggerti una storia?»
Quella vocina fievole sembrava perdersi nella stanza, mentre le sue mani serravano lo stesso libro che un anno prima aveva richiesto l’attenzione della donna seduta al computer. «Perché non la leggi a tuo padre?»
La sua risposta arrivò secca alle orecchie del piccolo, mentre sentiva gli occhi bruciare terribilmente a causa delle stesse lacrime che reprimeva ogni volta, tirando su col naso e inducendosi al silenzio per non sembrare sgarbato.
Aveva fame, ma sapeva che nessuno avrebbe cucinato con lui quel giorno, perché a mala pena avrebbe avuto la fortuna di mangiare un piatto già pronto comprato al discount dall’uomo appena entrato che, dopo essersi diretto verso il suo studio, non lo degnò neppure di un’occhiata, troppo intento in ciò che avrebbe dovuto fare una volta lì.
«Non ho tempo», spiegò lo studioso, quando la figura del bambino raggiunse l’uscio socchiuso sul quale ebbe posato il capo, curiosando a stento oltre quell’abisso che tanto avrebbe desiderato sondare.
Bambini, matti e solitari.
 

1 Citazione di Michelangelo da Pisa.

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