Idrofobia

di Cam17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Trauma ***
Capitolo 3: *** Seduta psicologica ***
Capitolo 4: *** Un piccolo passo in avanti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Mi sedetti sulla comoda poltrona rossa dello studio. Di fronte a me c’era il mio psicologo, il dottor Langella. Era un tipo sulla quarantina, alto circa 1,80 metri, capelli castani corti, occhi azzurri sempre leggermente coperti da occhiali per la vista. Era un tipo molto elegante. Non penso si vestisse così solo a lavoro. Certo l’immagine conta quando si tratta di rassicurare delle persone, di capirle e di aiutarle a superare i propri problemi. Non credo che un individuo tutto sporco possa aiutarvi a prendere confidenza.

Ad ogni modo erano ormai due anni che venivo in seduta da lui. Avevo un problema alquanto serio con l’acqua: mi faceva terribilmente paura. Era stato un trauma a trasformarmi così. Per molti può risultare divertente… magari stupido, ma voglio dirlo lo stesso: non facevo più il bagno nella vasca da tre anni. Da quando ebbi il mio trauma facevo solo e soltanto la doccia. Quel giorno però ero venuto in seduta con una bella notizia.

<< Ciao Sara. Come stai? >>.

<< Bene dottore >>. Risposi con imbarazzo.

E’ vero che andavo da lui da anni, ma il suo sorriso dolce e stranamente ingenuo mi faceva arrossire.

<< Dottore volevo dirle che finalmente ho usato la vasca da bagno invece della doccia >>.

Il dottore annuì: << Perfetto. Come puoi vedere l’acqua non è tua nemica >>.

Le mie labbra si strinsero, abbassai il capo: << Lo so, ma nonostante ne sia cosciente… non posso fare a meno di tremare ancora. E poi… non sono riuscita a mettere la testa sott’acqua >>.

Il dottore sorrise: << Ti capisco. Stai tranquilla e ricorda che anche un piccolissimo progresso è pur sempre un progresso. Sii felice di aver fatto questa cosa, perché significa che stai cercando un cambiamento a questa situazione >>.

Un progresso è sempre un progresso. Riusciva a trovare l’ottimismo in ogni cosa. Penso sia normale per uno psicologo. Che bella cosa non essere trattati come degli idioti perché si è terrorizzati dall’acqua. Io spesso mi trattavo da stupida, ma lui mi ha sempre detto che non esiste essere umano che non abbia paura di qualcosa. Questo mi ha tirato molto su, anche se faccio fatica ad immaginare il dottore che si spaventa di qualcosa.

Forse così non è molto chiaro. Forse, per il bene della vostra comprensione, devo fare un breve passo indietro, tre anni indietro. Giustamente se c’è stato un trauma, vorrete sapere cosa è successo, dico bene? Sarò felice di raccontarvi il mio incubo peggiore.

 

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Capitolo 2
*** Trauma ***


Ero in macchina con papà quel giorno. Eravamo stati in pizzeria e stavamo portando a casa tanta buona roba da mangiare. Adoravo la pizza: è tutt’ora il mio cibo preferito.

Stavamo passando lungo il porto di Torre Annunziata. Il porto era deserto nonostante fosse pomeriggio. Papà mi disse che un tempo quella zona era piena di pescatori, ma ultimamente in molti erano falliti.

Papà diceva: << Il sud Italia sta morendo >>.

Nelle sue parole percepivo sempre una grande malinconia. Chissà cosa significa vedere un luogo spogliarsi della sia vitalità. Io purtroppo non posso proprio capirlo.

Ricordo ancora le sirene della polizia quel giorno. Si facevano sempre più forti. Mi girai, vedendo che stavano inseguendo una X5, una BMW enorme. Correva a forte velocità. Ci tamponò, facendoci finire fuori strada. La macchina cadde in acqua ed iniziò ad affondare.

<< Papà! >>. Ero in preda al terrore.                    

Lui tentò di togliermi la cintura di sicurezza, ma l’acqua aveva bloccato il gancio. Prese il suo coltellino svizzero ed iniziò a tagliare, mentre l’acqua mi era già arrivata all’altezza del collo.

<< Forza tesoro, esci! >>. Mi disse subito dopo avermi liberata.

La porta non si apriva. Lui tentò di tagliare anche la sua cintura, ma l’acqua ci aveva già inghiottiti.

Sentivo un nodo in gola, mentre l’acqua iniziò ad entrare forsennatamente dentro di me.

Il nodo in gola era provocato dalle mie corde vocali. Esse, in caso di annegamento, si contraggono per impedire alla laringe di aprirsi, così l’acqua non entra nei polmoni. Purtroppo però essa entra inevitabilmente nello stomaco, riempiendolo tutto. E se il corpo non riceve più ossigeno, le cellule cerebrali muoiono, creando gravissimi danni al cervello. Dopo ciò c’è la morte.

Ricordo solo che la portiera fu aperta e che un uomo mi prese. Tutto divenne buio poco dopo. Mi risvegliai mentre mi veniva fatta la respirazione bocca a bocca. Sputai un sacco d’acqua.

Il poliziotto che mi aveva salvata sorrise: << E’ viva! >>.

Vicino a me c’erano anche alcuni pescatori. Avevano le facce sorridenti e sembravano molto simpatici. Ero tutta intontita: non capivo niente di ciò che mi succedeva attorno. Sentivo solo delle voci.

<< Forza non fermarti! >>.

Girai il volto sulla sinistra. Quella voce era di un altro poliziotto. Lui ed un altro ancora stavano vicini a papà. Stavano tentando di rianimarlo.

<< Avanti respira! >>.

<< Forza! Uno, due, tre, quattro… >>.

Iniziai a piangere: << Papà! >>.

Il poliziotto mi tenne a terra: << Ti prego non muoverti >>. I suoi occhi erano tristissimi << Ti prego… resta giù >>.

Papà non si risvegliò più. Quello fu l’ultimo giorno che visse. Non potrò mai dimenticare quello che successe, non potrò mai smettere di odiare il criminale che ci spinse in mare. Fu catturato poco dopo da un’altra volante. Era stato accusato di un precedente omicidio e di quello di mio padre. Prese l’ergastolo. Giurai su tutto ciò in cui credo che, se fosse mai uscito, lo avrei ammazzato io.

Sono passati tre anni d’inferno. Tre anni da quando vado da uno psicologo, tre anni da quando visito tutti i giorni il cimitero per vedere il volto di mio padre lì, su quella lastra di marmo, tre anni da quando ho paura dell’acqua. L’acqua è pericolosa, l’acqua è mortale. Ed ogni volta che mi avvicinavo al mare, ecco che mi veniva paura, paura che volesse uccidere anche me. Erano appunto tre anni che non mettevo più piede su una spiaggia. Mai, pensavo, ce l’avrei rimesso.

 

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Capitolo 3
*** Seduta psicologica ***


<< Tutti noi abbiamo paura, cara Sara. Questo te l’ho già detto. Purtroppo essa diventa molto potente dopo un trauma, perché quell’evento la rafforza. Tu, sfortunatamente, hai avuto un’esperienza molto brutta >>.

Io annuii: << Dottore come posso sconfiggere la paura? >>.

Il Dottore sorrise: << Non puoi >>.

Fu una frase che mi raggelò; allora ero destinata ad essere sempre spaventata? Ero destinata a non poter superare questo limite? Iniziai a pensare di si, cioè iniziai a pensarlo più del solito.

<< Semplicemente >>. Continuò lui << bisogna imparare a conviverci. Se ci convivi, la paura non avrà più effetto su di te >>.

Il mio sguardo fu come illuminato: << Come ci convivo? Fino ad ora non ci sono ancora riuscita >>.

<< So che può sembrare strano, ma tre anni non sono sufficienti per risolvere il problema. Il tuo trauma si è allacciato a piccoli sgradevoli eventi che hanno condizionato la tua vita. Magari da soli significavano poco o niente, ma da quando è successo quell’incidente, l’acqua ti terrorizza >>.

<< Ho già raccontato di quando mia nonna fece bere il cane dal bicchiere… fu disgustoso >>.

<< Beh tieni conto che una delle prime pazienti di Freud era idrofoba proprio per aver visto la madre che abbeverava il cane da un bicchiere. Era rimasta tanto disgustata da rimanere traumatizzata >>.

La cosa mi faceva un po’ ridere. Il dottore mi fece un cenno come per dire “E’ comprensibile”.

Non fu quello l’unico evento spiacevole che riguardava il mio rapporto con l’acqua.

Avevo otto anni ed ero a mare con i miei e mio fratello. Mio fratello è più grande di me di due anni. Eravamo in mare e, in un momento di assoluta stupidità, mi prese e mi fece cadere con la testa sott’acqua. Ritornai a galla tutta spaventata. Avevo ingoiato dell’acqua. La sputai piangendo. Mio padre corse subito in mio soccorso, mentre mio fratello se la rideva. Mi prese in braccio e mi portò a riva. Avevo gli occhi chiusi, lui mi asciugò la faccia. Aprii gli occhi dopo qualche secondo. Vidi mio padre sorridere: << Non è niente, è solo un po’ d’acqua >>.

<< Papà ho avuto tanta paura >>.

Lui mi accarezzò: << L’acqua non è tua nemica, Sara >>.

Che ironia, me lo disse anche lui quel giorno: “l’acqua non è tua nemica”. Fu un evento di poco conto, almeno in sé, ma aveva preso forza col trauma dell’incidente.

<< La colpa è di quel disgraziato che vi ha spinto in mare >>. Replicava più e più volte il dottore << Ciononostante non devi pensare a lui. Resterà in galera fino alla fine dei suoi giorni, quindi pensa solo a stare bene >>.

<< Io… lo so, ma è complicato non odiarlo. Mi… mi dispiace >>.

<< No, non dispiacerti. Sai che non ti chiedo di non odiarlo, perché è impossibile, ma sgombra la tua mente dalla negatività. Cerca il benessere, cara Sara, il benessere >>.

<< Io lo farò, dottore >>.

La seduta finì in fretta. Il tempo di terapia passa in un lampo. Magari fosse così anche con la scuola.

Mi madre mi aspettava giù, in macchina, sorridente: << Allora com’è andata? >>.

<< Bene >>. Dissi ugualmente sorridente.

Quando vai dallo psicologo ti svuoti di tutte quelle angosce che ti tormentano. Era un vero toccasana, quella terapia.

 

                                

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Un piccolo passo in avanti ***


Fuori pioveva. Ero veramente stufa di tutto questo: stare sempre in tensione per colpa dell’acqua, sempre spaventata. Era più forte di me, o forse ero io a lasciare che io fossi più debole della paura.

Ero insicura sul fatto di poter veramente superare il mio problema. Potevo veramente farcela? Solo il tempo avrebbe dato una risposta concreta. Fatto sta che ho trovato un angelo che mi sta guidando verso l’uscita, verso la salvezza. Spesso siamo convinti che le nostre paure siano impossibili da eliminare, ma è solo il terribile pensiero di chi soffre, di chi è tremendamente abbattuto. La pioggia picchiava forte sul tetto di casa. Stavo seduta in cucina a leggere Zafòn. Era il mio scrittore preferito: sapeva unire l’avventura, il mistero, l’amore in maniera impressionante. Ma la pioggia continuava a picchiare ed io decisi di mettere il segnalibro e di chiudere.

Aprii la porta che dava al giardino. Pioveva molto. I lampi zigzagavano tra le nuvole, mentre i rimbombi dei tuoi facevano tremare le mie ossa. Faceva freddo e l’acqua aveva inzuppato il terreno. Feci un bel respiro, poi un altro, poi un altro ancora. Mi mossi lentamente in avanti, fino a finire sotto la pioggia. Chiusi gli occhi e continuai a respirare con molta intensità. Ci restai un quarto d’ora sotto la pioggia. Finii per ammalarmi.

Probabilmente in molti penserete che ero uscita fuori di testa, ma la verità è che quella sera mi sentii terribilmente strana. Mi ero sentita come chiamata dalla natura, chiamata dalla stessa acqua. Ed ero uscita serena tra la pioggia, vogliosa di farmi bagnare, vogliosa di sentire il suo tocco.

E poco importa se rimasi a letto tre giorni. Ero comunque felice. Mi sentivo potente, capace di scegliere l’esito del mio futuro.

Quello fu un comportamento anomalo, ma forse era l’inizio di un futuro senza paura dell’acqua.

Mi stavo sbloccando, finalmente. Un piccolo passo in avanti. Non bisogna mollare mai.

 

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