Io non dimentico

di Frank Ottobre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


                                                                                                                             Io non dimentico

                                                                                                                                 Capitolo 1

<< Sono passati anni ma quello che vedo non cambia mai. Sempre il solito Tommy. Sei sempre stato così tu, impaurito, debole… >>
 
Come al solito un "dolce" risveglio nella, ormai,  anche troppo familiare Whiteville City. Era sempre lo stesso. Non riuscivo più a dormire tranquillo, tentavo di addormentarmi creando il mondo perfetto, quello dove tutto ti va bene, quello dei sogni appunto. Niente. Sempre quell’ incubo. Sempre quel sapore.
Tentavo di dimenticare tutto mentre mi preparavo  per una nuova “splendida” giornata di scuola.
<< James? Sei sveglio? Presto o farai tardi >> si sentì dalle scale
<< Si, lo so, adesso scendo >>
Scesi le scale di fretta e furia.
Non mangiai neanche la buonissima colazione portafortuna che mi preparava mia nonna per giornate come quella.
<< In bocca al lupo! >> disse sorridendo
<< Crepi! >> risposi mentre chiudevo la porta
 
Per strada tentavo di ripassare le ultime formule. Ero nervosissimo e agitato.
Il test di chimica mi attendeva.
Mi stavo avvicinando con passo svelto all’ingresso della scuola. Erano tutti fuori che parlavano e giudicavano. Non mi sentivo a mio agio in pubblico, non sono mai stato uno a cui piaceva incrociare gli sguardi altrui. Velocizzai il passo per entrare subito in classe a ripassare ma soprattutto per evitare di stare ancora la fuori…
Ero sempre il primo ad entrare in classe e l’ultimo ad uscire. L’aula era illuminata dal timido sole mattutino. Accesi le luci e andai a prendere posto al primo banco. Tirai fuori i miei appunti che, in quel momento, valevano più di un milione di dollari per me. Iniziai a dare una letta veloce dove possibile, il test era importante e non volevo sbagliare.
<< Oh bene, sapevo di trovarti qui, ho bisogno del tuo aiuto >>
Alzai lo sguardo.
Era Liz , una delle poche persone con cui mi piaceva passare il tempo.
<< Di cosa avresti bisogno? >> risposi sorridendo perché sapevo che mi avrebbe chiesto qualcosa riguardante il test.
<< Pagina cinquantaquattro, Legami degli atomi, non ci capisco niente! >> disse preoccupata.
<< Ehm, non è un argomento che si può spiegare in cinque minuti >> risposi guardando l’orologio.
La campanella suonò. Anche gli altri stavano entrando ,pian piano, in classe.
<< Forza ragazzi non c’è tempo da perdere, mettetevi seduti e poi vi consegnerò tutto quello che vi serve >> era Mr. Lewis che puntuale come sempre era già dietro la cattedra a tirare fuori i test.
Liz era ancora davanti a me , immobile,  e mi sussurrò
<< Ti prego aiutami >> con tono disperato
Feci un cenno, l’avrei aiutata, se non altro ci avrei provato.
<< Signorina Jones, presto si vada a sedere>> disse Mr. Lewis agitando i fogli che aveva in mano.
Liz non disse niente e andò a sedersi subito al suo posto.
Mr. Lewis passò per i banchi a consegnare i fogli e una volta fatto si rivolse a noi
<< Molto bene. E’ inutile ripetere quanto valga questo test… quindi non mi rimane altro che augurarvi buona fortuna, ma se avete studiato non ne avrete bisogno. >>
Mr. Lewis era molto severo e vigile, specialmente nei giorni come quello. Nelle sue ore non si poteva minimamente pensare di copiare o altro, il metodo migliore era quello di prepararsi al meglio e studiare.
Il tempo a disposizione era poco.
Ero concentrato al massimo, talmente tanto che mi dimenticai di aiutare Liz.
Fui il primo a consegnare, ero soddisfatto. Ero sicuro di aver fatto bene.
Mentre ritornavo al posto per mettere via le mie cose rivolsi uno sguardo a Liz… era in difficoltà e fissava il foglio come per chiedergli di completarsi da solo.
Mi incamminai verso l’uscita.
Contento di aver fatto bene il test e pensieroso sempre a causa di quell’incubo…
 
<< Sono a casa >>
Attesi un paio di secondi. A casa non c’era nessuno. Posai lo zaino sulla sedia all’entrata e andai in cucina dove trovai un biglietto.
 
Sono da tua zia Amy, torno presto. La pasta è in microonde, scaldala per cinque minuti.
 
Ultimamente mia nonna andava molto spesso a trovare mia zia. Dopo quello che era successo le serviva un po’ di compagnia.
Io ,invece,  volevo solo stare per i fatti miei. Anche per me era dura.
Era sempre lo stesso, non cambiava mai, non volevo più chiudere gli occhi.
Quello che stava accadendo nell’ultimo periodo era qualcosa di indescrivibile. Una sensazione di disagio.
Non potevo non pensarci, non potevo dimenticare. Non era facile… svegliarsi tutti i giorni con il tormento di un incubo  e con il sapore del sangue in bocca. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


                                                                                          Io non dimentico

                                                                                                                Capitolo 2
 
Qualcuno bussò alla porta.
Andai a sbirciare dallo spioncino. Era Liz.
Aprii la porta felice di sapere che almeno qualcuno ogni tanto si preoccupava per me e veniva a farmi visita o forse era solo venuta per uccidermi dato che non l’ho aiutata nel test…
<< Ciao >> disse con tono amichevole
Non risposi. Feci cenno di entrare mostrando un timido sorriso.
<< Allora? Tutto bene? >> domandò mentre si puliva le suole delle scarpe sullo zerbino in entrata.
<< Si, per il momento… >> risposi evitando il suo sguardo.
Avevo più paura di domandarle del test di chimica di oggi. Per me Liz era l’unica vera amica che in questi anni ma soprattutto in questo periodo mi aiutava e mi voleva bene, facevo di tutto per tenermela stretta.
Stavo per chiederle,  dunque, del test ma lei mi anticipò.
<< Come ti è andato il test stamattina? >>
<< Ehm, a me bene, invece a te? >> risposi preoccupato.
<< Poteva andare peggio, grazie comunque per avermi aiutato… >> disse ironizzando.
<< Scusa, davvero, ti giuro… >> venni interrotto.
<< Non ti preoccupare James, mi ha dato una mano Simon, non crearti troppi problemi >>
Ci fu un momento di silenzio.
Stavo pensando. “Non creati troppi problemi”. Già, non avevo proprio bisogno di altre grane a cui pensare.
Mentre ero assorto nei miei pensieri una domanda mi fece ritornare sulla Terra. 
<< Cambiando discorso. Hai sentito di quel ragazzo? >>
<< Quale ragazzo? >>  domandai incuriosito.
<< Thomas Norton, è su tutti i notiziari, è orribile >>
Mi fermai a pensare, un brivido percorse la mia magra schiena, pensai ancora.
Niente. Quel nome non mi diceva niente.
<< Che cosa ha fatto questo Thomas Norton? >>
<< Non è cosa ha fatto, è cosa gli è stato fatto che… >> si fermò. Non riusciva a continuare. Sul suo bel viso comparve un ombra.
<< Senti, lo fanno vedere per la TV? >> cercai di svicolare.
Si riprese, e per la prima volta ci stavamo scambiando uno sguardo. I suoi bellissimi occhi verdi ripresero colore, un colore che trasmetteva sicurezza e tranquillità.
<< Si, in TV non parlano d’altro. >>
Andammo in salotto.
Presi il telecomando e accesi la TV.
Subito una voce.
<< Si, qui con voi è Sarah Carter, e ci troviamo a Parker Street a pochi passi dove tutto è avvenuto. Per il momento non sono state rilasciate altre informazioni dagli agenti che in questo momento stanno lavorando proprio alle mie spalle. Sembra che si tratti di omicidio. I genitori del ragazzo sono ancora sotto shock. La scientifica continua ad esaminare il deceduto ed  ha definito questo accaduto come qualcosa di mai visto fino ad ora. Più tardi si concederanno ai microfoni per rispondere ad alcune domande. Per il momento qui è tutto, a voi la linea. >>
Silenzio.
Istintivamente spensi la TV.
Ancora silenzio.
“ qualcosa di mai visto fino ad ora”.Detto da una giornalista sembrava una frase ad effetto e basta, ma a ripensarci… metteva i brividi.
Liz era seduta vicino a me, fissava il nulla.
Si girò e mi rivolse la parola.
<< Senti, io vado. Fatti sentire, okay? >>
<< Si d’accordo. >> dissi mentre la accompagnavo verso l’uscita.
<< Ciao… >> si fermò sulla porta e ritornò a guardarmi negli occhi.
Poi continuò.
<<… Ti va bene se ci vediamo anche domani? >>
<< Ehm, si , perché no >> le feci sorridendo.
<< Bene, allora a domani, ciao James >>
<< Ciao Liz >> risposi mentre ormai aveva già chiuso la porta.
Non me ne ero reso conto… erano già le sei e mezza. Il tempo era volato.
Non facevo altro che pensare a quel ragazzo. Mi sarei documentato, ne volevo sapere di più.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


                                                                                                                                  Capitolo 3
 
Erano le sette ormai.
Ero preoccupato. Mia nonna non era ancora tornata.
 
Pioggia.
Buio. La luce era andata via.
Andai in camera mia per prendere il mio cellulare.
Non c’era campo. In quel momento ero completamente isolato. Mi avvicinai alla finestra. Tuoni e lampi si scatenarono mentre la pioggia continuava a scendere sempre più forte.
Tenevo lo sguardo fisso sul cellulare.
Poi, un miracolo, un faro di speranza si accese … c’era segnale.
 
<< Pronto? >>
<< Eh si pronto, ciao zia Amy, volevo solo sapere se mia nonna era ancora li da te? >>
<< No, James. E’ uscita.. pensavo fosse già tornata a casa >>
<< Quando è uscita? >> risposi mentre il battito del mio cuore cominciava ad impazzire.
<< Non saprei, una quarantina di minuti fa… >>
<< Una quarantin… Non ti ha detto niente prima di uscire? Che so, magari dove andava? >>
<< Si… ha detto che andava da Thomas >>
Silenzio.
In quel momento stavo sudando freddo.
Poi feci un profondo respiro e ripresi…
<< Chi è Thomas? >>
<< Non lo so, sarà ….>>
 
<< Zia Amy? >>
<< Zia Amy, mi senti? >>
 
Era caduta la linea. Non sapevo esattamente cosa fare, chi chiamare… ma soprattutto non sapevo dove fosse mia nonna.
Chi era Thomas?
Tutto mi frullava in testa. Stavo cercando di capire.
Presi una decisione.
Sarei andato a cercarla…
 
<< James, ci sei? >> avvertii una voce.
Sembrava provenire dalla porta.
<< James, aprimi, sono la nonna >>
Ne ero certo. Quella voce, quel tono… non era lei.
<< Chi sei? >> osai chiedere in quel momento dove ero tutto un brivido.
<< James, sono la nonna. Aprimi, qui fuori si gela! >>
Mi avvicinai lentamente, per guardare dallo spioncino.
La vidi. Oscurata da un velo e con lo sguardo che fissava il vuoto.
Stavo per aprire…
<< Su, avanti James, da bravo. Aprimi. >>
Fermai la mano che si stava lentamente avvicinando alla porta…
Chiesi ancora.
<< Chi sei? >>  indietreggiando alla cieca.
<< Come chi sono? Tu lo sai benissimo. >>
<< Non ne sono più sicuro, rispondi! >> Urlai, mentre mi allontanavo sempre di più da quella porta.
<< Allora ti toglierò ogni dubbio… >>
Rimasi in silenzio, tremando, aspettando…
La porta si stava aprendo. Era chiusa a chiave, ero sicuro di averla chiusa a chiave.
Quel poco di luce che c’era svanì in un attimo…
Ora, un’ ombra stava entrando…
<< Il mio nome è Thomas Norton… e non ti perdonerò mai. >>

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 
<< James? >>
<< James, sei sveglio? >>
 
Mi ritrovai davanti… mia nonna.
 
<< Potevi almeno apparecchiare la tavola, mentre ero da tua zia… >>
 
Ero stordito.
Subito chiesi.
<< Che ore sono? >>
<< Sono le otto ormai >> rispose mentre stava tirando fuori da un cassetto la tovaglia.
Non ci credevo.
Davvero? Davvero era tutto finto quello che avevo visto? Un illusione… un incubo?
Tante, troppe domande e nessuna risposta.
 
Mia nonna, guardandomi per bene, chiese.
<< Sicuro di stare bene? Sembra che tu abbia appena visto un fantasma… >>
Quella domanda e tutto il resto. Sembrava quasi una presa in giro.
<< Si, sto bene, ho avuto solo un incubo >> risposi mentre mi alzavo dal divano.
Ancora non ci credevo.
<< Sei stata da zia Amy tutto questo tempo? >> chiesi con aria malfidente.
<< Si. In questi giorni ha bisogno di una persona accanto,  più del solito. >>
Non chiesi altro. Avevo mille altre domande in testa…ma riguardavano solo una persona, Thomas Norton.
Dopo cena, andai subito in camera mia. Accesi il computer e ,nello stesso tempo,  la piccola TV che mi era stata regalata da mio zio.
Cercavo qualcosa che potesse darmi una mano per capire cosa stava accadendo. Qualcosa che si collegasse…
Tutto ad un tratto la mia attenzione venne catturata da una voce che avevo già sentito. Mi girai per guardare la TV e vidi la stessa giornalista di poche ore fa.
<< Si, sembrerebbe che sia stato trovato l’assassino del povero ragazzo, brutalmente ucciso la notte scorsa…. >>
Di colpo sentii qualcuno bussare alla porta. Mi alzai e andai a vedere dalla finestra.
Vidi una macchina della polizia.
Mi stavo chiedendo cosa ci facessero dei poliziotti a casa mia…
<< Arrivo! >> urlò mia nonna mentre si stava incamminando ad aprire la porta.
In quel momento, inspiegabilmente, il volume della TV sembrò  essersi alzato e nella stanza una frase, che mi pietrificò all’istante, echeggiò.
<< … Sembra che si tratti di James Collins, un giovane residente a Whiteville City , non molto lontano da dove tutto è avvenuto… >>
Quelle parole, come una lama, entrarono dentro di me provocandomi un dolore tale da piegarmi sulle ginocchia.
Ebbi solo la forza di gridare a mia nonna
<< Non aprire! >>
Invano…
<< Buonasera signora, sa dove si trova suo nipote? James Collins? >>
Non avevo tempo di pensare, di fretta e furia, decisi di scendere le scale. Mentre le stavo scendendo buttai un’ occhio sulla porta e vidi due agenti di colore, che non appena mi videro, non persero tempo e subito scattarono per inseguirmi e prendermi.
<< Hey, fermo! >> urlò uno di loro.
L’adrenalina era dentro di me. Uscii dalla porta sul retro e scavalcai con un balzo la staccionata del vicino. Non ebbi il coraggio di girarmi nemmeno un attimo, il mio unico pensiero era scappare.
Vedevo solo dietro di me la luce che proveniva dalle torce dei due poliziotti.
Correvo. Correvo.
Il bosco non era lontano.
 
Era sempre più buio intorno a me. Solo la luce di qualche lampione illuminava la mia strada.
Ormai ero vicino. Ogni tanto mi guardavo alle spalle, non li vedevo più. Li avevo seminati, finalmente.
Ero arrivato. Rimasi fermo per un attimo. Solo una piccola stradina si trovava tra me e il bosco.
Quello che stavo facendo non aveva senso. Non ero io l’assassino, eppure avevo deciso di scappare. Una sensazione mi aveva fatto prendere quella decisione, era tutto così surreale in quel momento.
Come? Come avevano fatto a risalire a me? Non lo conoscevo nemmeno quel ragazzo, lo vedevo a scuola ogni tanto, ma non gli ho mai rivolto la parola.
Ormai mi stavo addentrando con passo sereno, come se quella fosse stata solo una piccola camminata al chiaro di luna. Lentamente la mia figura veniva inghiottita dall’oscurità della notte.
Delle voci alle mie spalle mi fecero affrettare il passo.
Rimasi dietro un cespuglio per osservare.
Vidi due uomini sbucare dal retro di una casa, erano ancora loro, i poliziotti.
<< E’ andato per di qua! Presto! >> esclamò uno di loro
<< Centrale, mi ricevete? E’ andato  nel bosco >> disse l’altro mentre teneva in mano il ripetitore.
Un passo falso. Uno scricchiolio fece girare i due che guardarono dalla mia parte.
Non indugiai, ripresi la mia corsa.
<< Eccolo, per di la! >>
Non sapevo dove stavo andando. Solo un colore era ben visibile, il nero pece di quella che sarebbe stata una lunga nottata.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


                                                                                                                     Capitolo 5
 
Vagavo nell’oscurità.
Il silenzio più totale. Il mio respiro, affannato, risuonava nel buio.
Non vedevo nulla. Non sentivo nulla, se non il rumore delle foglie calpestate, quello dei rami che spostavo con le braccia, la sensazione di umido dovuta alle pozzanghere che incrociavo sul mio cammino e un odore nauseante.
Dietro di me, non c’era nessuno. Ed era proprio quello che mi preoccupava.
Non avvertivo più la presenza dei due poliziotti da un po’.
Non potevo continuare a correre e scappare per sempre. Dove sarei andato? Cosa avrei fatto?
Niente. Non sapevo a chi rivolgermi e non avevo nulla con cui poter comunicare. Nessun posto dove andare.
Mi fermai. Intorno a me, la notte. Pensavo e ripensavo a cosa stessi facendo e cosa avrei fatto.
Ero li, immobile.
Ascoltavo il silenzio.
Guardavo il buio.
Tutto ad un tratto, passi.
Passi che sembravano provenire da tutte le parti.
Ascoltavo, molto attentamente cercando di capire dove fossero diretti.
<< Non lo so, l’abbiamo perso ormai >> disse qualcuno
La voce sembrava provenire dalla direzione da cui ero arrivato.
Poi, luci. Erano loro.
<< Dobbiamo trovarlo a tutti i costi! >>
Il sentiero era ormai illuminato quasi completamente dalle torce che brandivano i due agenti.
Non ero sicuro, di quello che stavo per fare, ma lo feci.
Seguendo le luci e le voci, mi avvicinai a loro.
<< Dove diavolo è andato? >> gridò disperatamente uno dei due.
<< Eccomi qui >> risposi, mentre ero alle loro spalle.
Si girarono di colpo, spaventati, puntandomi la pistola.
<< Fermo li! >>
Non mossi un muscolo e restai davanti a loro, sereno.
Rimasi in silenzio, aspettando.
<< Mettigli le manette, David >>
<< Subito! >>
Le manette? Non capivo il perché delle manette. Non ero un assassino.
Mi scortarono fuori dal bosco.
Rimasero sempre in silenzio, senza mai rivolgermi la parola, se non per dirmi di affrettare il passo.
Forse a causa dell’adrenalina della mia fuga, o per altro, mi accorsi che non ero andato così distante da quella stradina, dove cominciava la folta vegetazione del bosco.
Ci lasciammo alle spalle gli alberi. Una macchina era li che aspettava, praticamente in mezzo alla strada.
Mi condussero alla centrale di polizia, il viaggio durò circa una decina di minuti.
Scesi.
All’ingresso c’era qualche giornalista, ma subito notai in fondo, sedute vicine, zia Amy e mia nonna.
Uno degli agenti mi aprì la porta ed entrai.
Zia Amy e la nonna non sembravano arrabbiate o scosse da quello che era accaduto nelle ultime 2 ore, anzi, mi guardavano dispiaciute.
Mi accompagnarono in una stanza, molto probabilmente dove interrogavano i sospettati di turno.
Una stanza grigia, un tavolo bianco, un bicchiere d’acqua, due sedie e una vetrata a specchio, l’avevo visto migliaia di volte nei film.
Rimasi in attesa per… non lo so. L’unica cosa che mancava in quella stanza era proprio un orologio.
Si aprì la porta.
Mi aspettavo la classica scena d’entrata dei due poliziotti, quello buono e quello cattivo. Guardavo troppi, troppi film.
Entrarono più di due persone. Mia nonna, zia Amy, i due agenti che mi avevano cercato nel bosco e un uomo, anziano,  che aveva l’aria di essere il capo di tutto e di tutti.
Non aspettai un altro secondo, subito aprii bocca senza essere interpellato.
<< Non sono io! Non ho ucciso io quel ragazzo! >> urlai disperatamente  con gli occhi lucidi.
Rimasero in silenzio ad osservarmi, poi si scambiarono degli sguardi a vicenda tra di loro
Proprio quell’uomo anziano fece un passo avanti e si rivolse a me.
<< Oh ma lo sappiamo, James. Tutti in questa stanza sanno che non sei stato tu. >>
Le parole di quell’uomo mi lasciarono completamente di stucco. Inarcando le sopracciglia chiesi
<< Lei chi è? E perché mi trovo qui se non sono il colpevole? >>
Diede prima uno sguardo al suo orologio da polso e poi ritornò a guardarmi.
<< Sono sicuro che avrai molte domande senza risposta, non è vero ragazzo? Stai tranquillo, siamo qui per aiutarti. >> disse mentre prendeva posto sedendosi di fronte a me.
<< Ora, ti diremo tutto. >> aggiunse
Capivo sempre meno di quello che stava succedendo in quella stanza.
Di una cosa ero certo, sarei stato tutt’orecchi.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
Ora, quella stanza era diventata improvvisamente una tomba.
Il silenzio era l’unico sussurro percepibile.
Mentre nell’aria c’era una inconfondibile e sinistra tensione, io aspettavo impazientemente.
Non riuscivo più a trattenermi.
<< Perché? Perché sono qui? >> mi rivolsi disperato a tutti.
L'uomo più anziano alzò lo sguardo e, mostrando esitazione, mi rispose.
<< Lo so. Vuoi avere risposte. Prima di tutto, lascia che mi presenti ufficialmente, io sono il Commissario William Gordon e loro, invece, sono gli agenti Turner e Sullivan. >> indicò i due agenti appostati vicino alla porta.
Ci fu un attimo di pausa, quello che stava per dire doveva creagli molto dolore.
Di nuovo, guardandomi negli occhi, riprese.
<< E’ difficile da dire, ma prima o poi doveva succedere e purtroppo è successo. >>
<< Cosa? Cosa doveva succedere? >> lo interruppi urlando tremendamente forte.
<< Vedi… Tu non sei James Collins. Questo non è il tuo vero nome. >>
Io ascoltavo senza deglutire e senza battere ciglio.
<< E allora chi sono? >> urlai ancora più disperatamente di prima, mentre zia Amy si stringeva alla nonna in cerca di un appoggio e di sostegno.
<< Il tuo vero nome è Darren Wilson e quel ragazzo, Thomas Norton, era tuo fratello… Mark Wilson. >> concluse mentre sul suo viso comparve una terribile espressione di dolore.
Ero rimasto completamente scioccato da quelle parole.
Stavo nuovamente per rispondere con un'altra domanda quando, d'un tratto, si aprì la porta ed un poliziotto entrò
<< Commissario Gordon, abbiamo bisogno di lei. >>
Si alzò in piedi e sistemò la sedia.
<< Sapete dove condurli >> si rivolse ai due agenti, Turner e Sullivan, che fecero un cenno d’intesa.
Mentre il commissario lasciava la stanza con passo svelto e deciso, la nonna si avvicinò e mi fece una dolce carezza sul viso. In quel momento, però, non sentii nulla.
Un abisso profondo mi stava inghiottendo lentamente.
Tutte le domande che mi frullavano nella testa, svanirono.
Ora, l'unica, vera domanda era: "Chi sono io?" Davvero la mia esistenza era una menzogna?
<< Forza, dobbiamo andare >> disse l’agente Turner, appoggiando sulla spalla di mia nonna la sua mano robusta.
Mi alzai e lentamente lasciai la stanza insieme a tutti i presenti.
La notte non era più così giovane, avevo bisogno di dormire, ma di certo non sarei stato capace di chiudere occhio.
Ci incamminammo verso l’uscita percorrendo il lungo corridoio che portava alla sala d’entrata della centrale.
<< Dove andiamo? >> chiesi con sguardo assente.
<< In un posto sicuro. Sì, un posto sicuro. >> mi rispose zia Amy sussurrando.
Così uscimmo e ci fecero salire su una macchina scura. Non era la classica auto della polizia ma, forse, era solo il buio della notte che mi ingannava.
Prima di chiudere la portiera, l'agente Turner si rivolse a noi tenendo in mano qualcosa.
Non si vedeva niente, ormai.
<< Adesso, per il vostro bene, vi metterò queste bende. >>
Non c’era nessuna differenza tra l’oscurità della notte e il colore di quel freddo panno che ora mi copriva gli occhi.
I due agenti misero in moto la macchina e partimmo.
Dove ci stavano portando?
La stanchezza cominciava a farsi sentire. Non sarebbe stato facile dormire, dopo una notte del genere.
Dopo qualche chilometro, spossato dalla terribile giornata e dagli ultimi avvenimenti, scivolai inaspettatamente in un sonno profondo, sperando di risvegliarmi senza il sapore del sangue in bocca e senza il tormento di un incubo, che ormai stava diventando sempre più reale.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


                                                                                                                            Capitolo 7
 
<< Vieni fuori. Avanti, da bravo. Non avere paura. >>
 
<< Darren, svegliati, presto >>
La vista ancora appannata a causa del sonno, non mi faceva distinguere bene il viso della persona che mi stava parlando, ma riconobbi la voce di zia Amy. Ero ancora frastornato da quell’incubo.
Solo in quel momento mi accorsi che non avevo più la benda che mi copriva gli occhi.
<< Darren, manca poco >>
Ero  ancora su quella macchina. Mi alzai e rivolsi uno sguardo fuori dal finestrino. Era l’alba, una nuova giornata era appena cominciata.
Il quartiere non mi era familiare.
<< Dove siamo? >>  domandai, mischiando alla domanda uno sbadiglio.
Nessuno mi rispose. Continuavo a guardarmi attorno.
Dopo un po’ la macchina si fermò davanti ad una casa.
<< Ecco, siamo arrivati >> disse l’agente Sullivan guardandoci dallo specchietto retrovisore.
Scesi dall'auto.
I due agenti fecero cenno di entrare.
La casa era apparentemente nuova.
<< Okay. Allora, per il momento voi dovrete restare qui. Non uscite per nessun motivo, non aprite la porta a nessuno, nessuno! Io e Jason adesso andremo in giro a perlustrare la zona, saremo di ritorno tra un’ora, o giù di li. >> disse con tono deciso l’agente Turner.
Iniziai a dare un’occhiata in giro per la casa.
La nonna era seduta sul divano e zia Amy era accanto a lei.
Mi incamminai verso di loro e mi sedetti sul divano di fronte .
<< Che cos’è questa storia? >> chiesi a voce bassa
<< Darren, mi dispiace. In tutti questi anni abbiamo cercato di proteggerti, ma abbiamo fallito miseramente >> disse zia Amy fissando il pavimento.
<< Proteggermi… da cosa? >> domandai cambiando tono.
Volevo risposte precise.
<< No. Non da cosa, ma da chi… >> per la prima volta alzò lo sguardo e mi guardo dritto negli occhi. La lasciai continuare.
<< Nove anni fa, la nostra vita era perfetta, la tua soprattutto. Fino a quella notte. >> si fermò e una lacrima cominciò a scenderle sulla sua guancia rossastra.
<< Quale notte? >> chiesi sempre più incuriosito e spaventato.
<< La notte di quel maledetto quattordici agosto. Quando ho saputo la notizia mi sono subito recata a casa tua. Trovarono i corpi di tuo padre e tua madre, mentre tu e tuo fratello eravate in fin di vita. Le tue condizioni erano gravissime, i medici avevano detto che avresti potuto perdere la memoria e forse sarebbe stato meglio così… >>
Io continuavo ad ascoltare incredulo.
<< Ma i miei genitori sono morti in un incidente! >> gridai a squarcia gola
<< No, Darren, purtroppo è andata così. Quella notte, qualcuno li uccise e, pochi giorni dopo, ci inviò una lettera...promettendo morte. >> Fece un'altra pausa. Quello che stava raccontando era terribile tanto per lei, quanto per me.
<< Da quel giorno abbiamo cambiato città, nome e tutto il resto. Con l’aiuto di un nostro caro vecchio amico abbiamo ottenuto protezione. La polizia ci ha sorvegliati per anni. >>
Stentavo a crederci. Ora ero sicuro, la mia vita era solo una bugia.
<< Mi avete mentito per quasi dieci anni. Avevo il diritto di sapere! >> mi alzai dal divano scoppiando in un pianto che raccoglieva dieci anni di menzogne.
<< L’abbiamo fatto per te! Per proteggerti! non dare la colpa a chi ha cercato di aiutarti. Credi che per me, tua nonna e Mark sia stato facile andare avanti!? >>  rispose alzando il tono.
Rimasi ancora in piedi, poi ripensai.
<< Mark? >> le mie lacrime si placarono << Lui sapeva? >>
<< Si, tuo fratello non dimenticò niente di quella notte e  pensava sempre a te >>
<< Vuoi dirmi che ero l’unico che non sapeva niente? >> gridai ancora
<< Non volevamo rovinarti la nuova vita che stavi conducendo, almeno uno di noi riusciva ad andare avanti senza pensare a quella notte. >>
<< Avete rovinato tutto comunque! >> risposi con una rabbia mai provata fino ad ora.
Volevo sapere di più, ma in quel momento decisi di rintanarmi in una stanza, da solo.
Forse la verità fa male, ma le menzogne sono solo una lunga serie di torture che non fanno altro che peggiorare ogni situazione.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


                                                                                                                             Capitolo 8
 
Solo, in quella stanza, piangevo ai piedi del letto.
Avevo chiuso la porta a chiave, non volevo la compagnia di nessuno.
Il campanello suonò e poco dopo sentii la voce dei due poliziotti.
Rimasi in silenzio, rallentando il respiro irregolare causato dal pianto, cercando di ascoltare quello che stavano dicendo.
<< Al sicuro >>  questa fu l’unica cosa che riuscii a comprendere. Quelle due parole non mi trasmettevano sicurezza per niente; è un po’ come quando si dice ad una persona di calmarsi e questa si agita ancor di più.
Rimasi ancora in quella stanza per almeno un’ora.
Una stanza vuota e piena allo stesso tempo. Spoglia di mobili e cianfrusaglie, ma colma della mia inquietudine.
<< Darren, sei li dentro? >> si sentì da dietro la porta. Era l’agente Turner.
<< Sì >> risposi senza aggiungere altro.
<< Perché, li tutto da solo? >>
<< Non sono solo per scelta mia, ma a causa vostra>> risposi alterando il tono.
Silenzio.
L’agente si allontanò dalla porta e si sentirono i suoi lenti passi scendere le scale, provocando un cigolio insopportabile.
Mi avvicinai alla finestra che avevo alla mia destra, in cerca del calore del sole che trapassava il vetro.
Era una giornata come tante, tranne per me.
Mentre ero ancora ad osservare dalla finestra sentii una voce chiamare il mio nome.
<< Darren, è pronto! >>
Non risposi. Non volevo scendere, ma proprio in quel momento sentii brontolare il mio stomaco.
Aprii la porta, che era chiusa con ben tre giri di chiave, e mi incamminai di sotto.
Erano tutti seduti ad un tavolo.
L’agente Turner fece un cenno con la mano per invitarmi a prendere posto vicino a lui.
Non c’era molto da mangiare, infatti si potevano mangiare solo dei panini, davvero modesti, che non avrebbero saziato nessuno.
Dunque sedetti vicino all’agente e mi feci un panino.
A tavola c’era un silenzio, diverso dal solito. Era un silenzio non di imbarazzo o altro, ma un silenzio che non aspettava altro che essere rotto.
Ogni tanto, mentre addentavo il panino, lanciavo delle occhiate a mia zia.
Inaspettatamente il silenzio venne interrotto.
<< Allora, agenti, per quanto dovremo stare in questa casa? >> disse proprio zia Amy.
L’agente Sullivan, voleva rispondere, ma non ci riuscì, poiché stava mandando giù un boccone troppo grande.
<< Di preciso non sappiamo ancora. Attendiamo nuovi ordini dalla centrale >> Rispose l’agente Turner.
Io ascoltavo attentamente.
La nonna, ad un certo punto, si alzò di colpo dalla sedia, quasi facendola cadere.
<< Penso che me ne andrò a letto per un po’ >> disse mentre si pulì la bocca dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua.
Non poteva rinunciare al suo riposino quotidiano.
Zia Amy  fece cenno che l’avrebbe seguita, del resto non aveva chiuso occhio quasi da ventiquattro ore.
Restammo in tre.
Io a dormire non ci stavo minimamente pensando e nemmeno i due poliziotti, dato che dovevano tenerci d’occhio.
Finii il mio panino, molto lentamente.
<< Allora ragazzo, ti hanno detto, vero? >> sussurrò timidamente l’agente Turner.
Io capii subito di cosa stava parlando e feci un cenno con la testa.
<< Mi dispiace molto, Darren. >> aggiunse. Ero sorpreso, un uomo così robusto e tutto d’un pezzo ora aveva un abbozzo di lacrima che  scendeva lentamente sul suo viso scuro.
Provai tenerezza, sapevo che quelle parole erano vere.
<< Li conoscevi? I miei genitori? >> domandai
<< No, non ho avuto il piacere. Tua zia mi ha parlato un po’ di loro in questi anni. L’unico che li conosce almeno quanto lei è il commissario Gordon. >>
<< Il commissario Gordon? Come? >> domandai incuriosito.
<< Lavorava dalle tue parti. Allora era un semplice poliziotto e ha seguito le vicende di quegli avvenimenti molto a lungo. >>
<< Avvenimenti? >> domandai ancora.
<< Sì, il caso della tua famiglia non fu l’unico e nemmeno l’ultimo. >> rispose mostrando disagio.
<< Chi è stato? >> posi l’ennesima domanda, sembrava di essere ad un interrogatorio e il signor Turner era il sospettato.
<< Vedi è questo il problema. In più di dieci anni non abbiamo trovato neanche una traccia, un indizio, niente di niente, solo corpi e molto sangue. >> rispose provando dolore dato che la polizia non era stata capace di raccogliere niente di utile.
Dopo quelle parole l’agente si accorse della mia espressione sconfortata.
<< Non ti preoccupare, Darren, ci siamo noi >> disse con un sorriso rassicurante.
Apprezzai le sue parole e ricambiai il sorriso.
L’agente Sullivan, intanto, era caduto nel sonno più profondo che avessi mai visto, russava addirittura.
Pensai ancora. La mia curiosità non aveva limiti.
<< Ma come ha fatto a trovarci, soprattutto come è possibile che sul corpo di mio fratello ci fossero le mie impronte? >>
<< Anche questo è difficile da spiegare, quell’uomo, se così si può definire, è davvero astuto. Riguardo alle impronte… beh, non sono una novità. >> ora il suo sguardo fissava il pavimento.
<< Non sono una novità? >> ripetei le sue parole. Non avevo capito.
<<  E’ il suo marchio, il suo biglietto da visita. >>
<< Cioè? >> di nuovo non capii cosa intendesse il poliziotto.
<< In tutti i precedenti casi che lo hanno riguardato, sulle vittime c’erano le impronte… di quello che sarebbe stato il suo nuovo obiettivo. >> ritornò a guardarmi e poi si appoggiò allo schienale in ferro della sedia.
<< E’ una cosa orribile! >> urlai non facendo caso all’agente Sullivan ,che comunque non si svegliò e riprese a russare.
Di nuovo ci fu un momento di silenzio.
<< Un secondo, quindi io sono il suo obiettivo? >> domandai scioccato.
<< Vuole finire quello che ha iniziato e ora manchi solo tu… >> rispose stringendo forte il braccio della sedia.
<< Come ha fatto a mettere le mie impronte sul quel corpo? >>
<< Non lo sappiamo… >> rispose mostrando rabbia.
Mi fermai ancora a capire meglio.
In un attimo, un brivido mi fece sobbalzare e pensai…
<< E’ impossibile che quest’uomo possa essersi intrufolato in casa, vero? >> domandai disperato.
<< Vi abbiamo sorvegliati ventiquattr’ore su ventiquattro. Non è entrato in quella casa. >>
Tutto d’un tratto qualcuno bussò alla porta.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


                                                                                                         Capitolo 9
 
Di colpo l’agente Sullivan si svegliò, quasi cadendo dalla sedia, mentre l’agente Turner lentamente si alzò e si incamminò verso la porta.
<< Chi è? >> chiese mentre teneva in mano la pistola.
Ci furono pochi secondi di silenzio, poi…
<< Andiamo David, apri questa dannata porta. >>
Riconobbi la voce.
L’agente Turner aprì la porta.
<< Commissario! Qual buon vento? >> disse, allentando la tensione degli ultimi minuti.
Il commissario si tolse il cappello e appese il cappotto sull’attaccapanni, poi rispose.
<< Purtroppo non porto buone notizie… >> disse sbuffando.
<< Cos’è successo? >> domandò l’agente Turner.
<< L’ha fatto ancora… ha ucciso. >>
<< Mio Dio, chi è la vittima? >>
<< Elisabeth Jones, diciassette anni, l’hanno trovata poche ore fa… a casa tua, Darren >>
Non ebbi la forza di aprire bocca per dire qualcosa, ma c’era davvero poco da dire e da fare.
Rimasero tutti in silenzio, guardandomi, provando dispiacere, ma non provando il dolore che stavo provando io in quel momento.
Liz, la mia migliore amica, morta, ed era colpa mia. Completamente estraniato mi catapultai nel passato, rivivendo gli ultimi attimi passati con lei.
 
<< Ti va bene si ci vediamo anche domani? >>
<< Ehm, si, perché no? >>
<< Bene, allora a domani, ciao James >>
<< Ciao Liz >>
 
<< Ciao Liz >> sussurrai.
Quello… era stato il mio ultimo saluto, quello era stato l’ultimo istante passato con lei, tutto quello non ci sarebbe più stato, mai più, perché lei, lei era morta.
Ritornai sulla Terra.
<< Tutto bene Darren? >> chiese il commissario.
Non risposi e restai li in piedi davanti a tutti. Al contrario di quello che forse stavano pensando, sprizzavo rabbia, indescrivibile, mai provata prima d’ora, ma non versai altre lacrime e non volevo versarne altre ancora. Il tempo di piangere per i morti era finito, volevo solo una cosa, vendetta.
<< Darren? >> chiese l’agente Turner, avvicinandosi lentamente verso di me.
<< La conoscevi? >>
Fermai i miei pensieri…
<< Si, la conoscevo, era mia amica >>
<< Mi dispiace davvero molto ragazzo >> rispose l’agente appoggiandomi le mani sulle spalle.
<< Senti David, andiamo fuori a parlare a quattr’occhi un secondo… >> si intromise il commissario.
L’agente rimase ancora un attimo davanti a me, poi si alzò e uscì in compagnia del commissario e dell’agente Sullivan, che era sempre stato zitto.
Mentre erano fuori, sentii scendere dalle scale qualcuno. Mi girai e vidi zia Amy.
<< Cos’è successo? >> chiese, ancora assonnata.
Pensando alla risposta che avrei dovuto dare, venni investito di nuovo dal dolore, così non dissi niente, ma il mio sguardo diceva tutto, invece.
Zia Amy capì che era qualcosa di serio e sentì delle voci fuori in giardino, così riabbottonò la camicia ed uscì, chiudendo la porta.
Confuso e addolorato, mi incamminai verso la stanza che poche ore prima aveva accolto il mio pianto. Mi stesi sul letto e guardai fuori dalla finestra; il cielo era diventato grigio ed erano comparse delle nuvole che non promettevano niente buono.
Di colpo cominciò a piovere e sentii entrare tutti quanti in casa.
La pioggia mi dava sollievo e mi tranquillizzava.
All’improvviso sentii il dolce richiamo del sonno e  lentamente chiudendo gli occhi vidi per un istante il suo viso angelico e quegli occhi verdi che non avrei più rivisto…
<< Liz… >> dissi con un filo di voce. 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 
<< Sono morti, morti! >>
 
Mi svegliai di colpo in un bagno di sudore. Era sera.
<< Posso solo immaginare quanto tu possa soffrire, ragazzo. >> sentii una voce alle mie spalle
Mi girai e vidi l’agente Turner, seduto su una sedia al fianco del letto.
<< Già, solo immaginare >> ripetei
<< Faremo di tutto per proteggerti, Darren. >> disse avvicinandosi con la sedia.
<< Questo non lo metto in dubbio, ma penso che anche lui farà di tutto… >>
Quell’ultima frase che pronunciai, quasi demoralizzò lo spirito del poliziotto.
Ci furono pochi secondi di totale silenzio, ma non durarono a lungo…
<< Dove siamo? >> chiesi. Quella domanda continuava a tormentarmi e dovevo sapere dove fossi.
<< Siamo in periferia, a Charles Town >>
Charles Town? Mai sentita…
Il poliziotto capì, forse dalla mia espressione, che non sapevo dove si trovasse Charles Town.
<< Senti, vuoi qualcosa da mangiare? >>
<< No, grazie >>
<< Allora io vado di sotto, chiamami se hai bisogno, ok? >> chiese alzandosi e avviandosi alla porta.
<< Ok >>
Solo, ancora. La notte stava avanzando sempre più velocemente e solo la luce di pochi lampioni illuminava timidamente la strada.
Di colpo sentii che qualcuno stava bussando alla porta, scesi.
Vidi subito l’agente Turner che si avvicinava lentamente alla porta.
<< Chi è? >>
Silenzio.
Non ci fu risposta e l’agente aprì di scatto la porta puntando la sua pistola al nulla perché davanti non si ritrovò nessuno.
Mentre stava rimettendo via l’arma si girò e vide qualcosa che lo lasciò a bocca aperta.
<< Cosa c’è? >> chiese l’agente Sullivan
<< Vieni a vedere, David >>
Anch’io mi avvicinavo lentamente con passo felpato, come se fosse una rapina.
<< Ci  ha trovati… >> disse l’agente Turner.
Arrivai davanti a loro e lo notai… un foglio appiccicato alla porta.

Il gioco è finito, vengo a prenderti
 
 
                                                      -   48
 
Rimasi pietrificato davanti a quelle parole.
L’agente Turner guardò ancora fuori, per vedere se c’era qualcuno nei paraggi, ma non vide nessuno.
<< Adesso? >> domandò l’agente Sullivan
<< Cerchiamo di andare via, subito. >> rispose in una frazione di secondo.
Io rimasi ancora a fissare quel foglio, quelle parole, quel numero…
48
Cosa voleva dire?
Avevo paura, un maniaco era alle mia calcagna e di certo quello che voleva farmi non sarebbe stato piacevole.
Zia Amy era bloccata, non riusciva a muovere un muscolo. Intanto i due poliziotti si stavano attrezzando per una partenza davvero inaspettata.
Non stavo capendo niente, stava succedendo tutto così in fretta.
Di colpo la luce andò via, non si vedeva nulla, i due poliziotti erano sopra, decisi di seguire quelle voci quando di colpo la porta alle mie spalle si aprì, mi voltai e vidi un’ombra, un coltello gli scendeva dalla manica, era l’unica cosa visibile in quell’oscurità, la luce della luna illuminava la lama che molto probabilmente stava per trafiggere il mio gracile corpo.
Iniziai ad urlare, ma quei passi che avanzavano verso di me trasformarono  le mie urla in timidi sussurri, forse gli ultimi della mia vita.

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