Solcatrice di Luce

di Yoake
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Luce ***
Capitolo 2: *** Alba ***
Capitolo 3: *** Tempesta ***
Capitolo 4: *** Nebbia ***
Capitolo 5: *** Nuvola ***
Capitolo 6: *** Freddo ***
Capitolo 7: *** Neve ***
Capitolo 8: *** Sole ***
Capitolo 9: *** Caldo ***
Capitolo 10: *** Pioggia ***
Capitolo 11: *** Tramonto ***



Capitolo 1
*** Luce ***


Capitolo uno:
Luce.




Era una giornata come tante, all’istituto Hakusenkan: gli studenti, annoiati ed assonnati, guardavano fuori dalle vetrate della loro classe, ammirando come gli alberi, fieri e maestosi, alzassero i propri rami verso il cielo, come se volessero sradicarsi dal terreno per unirsi a quell’immensa distesa azzurra; sentivano gli uccellini cantare allegri, donando a quel paesaggio quella nota calda che rendeva quel luogo ameno una gioia per lo sguardo.
O almeno, questo era quello che vedeva una giovane ragazza dai grandi occhi scuri e dall’incredibile vena artistica.
Quel luogo, tanto meraviglioso ai suoi occhi, celava oscuri segreti che mai e poi mai avrebbe voluto svelare.
Ma suo fratello era stato irremovibile.
Dopo un mese in cui era stata iscritta, e dopo altrettanto tempo che non aveva messo piede in quella scuola, la preside aveva avuto l’ardire d’informare suo fratello.
Così ora si trovava davanti l’ingresso di quell’istituto, con i piedi impuntati a terra, e il braccio dolorante a causa di quel figlio di una buona donna di suo fratello.
Lei odiava le scuole, lei odiava il Giappone, e, soprattutto, odiava i giapponesi. Come avrebbe fatto a stare bene in un luogo del genere?
Certo, nemmeno le scuole italiane e gli italiani in sé le andavano molto a genio, ma per lo meno l’Italia era un paese di artisti, e lei, essendo lei un artista, avrebbe potuto sopportare.
Per sua sfortuna, entrambi i genitori erano costretti in Giappone, e suo fratello non poteva portarla in Italia con lui: stando a quello che diceva, non voleva coinvolgerla prima del tempo.
Ora, il 23enne la stava strattonando per il braccio, costringendola a farla entrare, ma lei resisteva: non sarebbe mai stata un’alunna di quella scuola, men che meno della Special A!
I giapponesi, tutti uguali e perfetti in tutto, avevano quell’assurda idea che, esporre i risultati dei test in bacheca, in modo da poter essere visti da tutta la scuola, fosse un modo per incentivare la competitività tra gli studenti a migliorare sempre di più.
...spocchiosi giapponesi, nemmeno la privacy veniva più rispettata!
Ad ogni modo, in quella scuola, la preside aveva avuto la grande pensata di fare una classe a parte per i migliori sette dell’istituto.
Ovviamente, la retta era molto alta, e solo chi era pieno di soldi, o eventualmente si spaccasse la schiena, poteva avere il privilegio di far studiare i propri figli in quella scuola... e in quanto a soldi, lei non poteva di certo lamentarsi.
D’un tratto, sentì sollevarsi da terra con una facilità disarmante.
-“Luciano! Mettimi immediatamente giù, se non vuoi che ti riempia di botte!”-esclamò quella in italiano, seguendo con altre parole poco consone a quell’ambiente.
L’omone, alto circa due metri, era l’uomo più fidato del fratello: lo accompagnava ovunque e non lo lasciava solo un attimo; si occupava di ogni cosa e avrebbe protetto l’amico anche a costo della vita.
Ma Luciano non si fece intimorire dalle sue minacce -ben conoscendo la debolezza della ragazza- e anzi, seguì il ragazzo dentro la scuola, continuando a tenere stretto a sé la ragazza nonostante le sue proteste.
-“Luce!”-la rimproverò il fratello, girandosi di scatto verso la ragazzina -“Lo sai come sono in Giappone: estremamente ligi alle regole! Datti una calmata e smetti di fare la bambina!”-
Ma, per sua sfortuna, con un morso, la ragazza era riuscita a liberarsi, e con un balzo era già su di lui, tirandogli i capelli con rabbia.
-“Stupido, stupido Cesare! Io non ci voglio stare in mezzo a quegli sfigati di giapponesi! Io rivoglio la mia Toscana!”-
Ma Luciano, con grande sollievo di Cesare, riuscì a riacchiapparla prima che potesse dire definitivamente addio ai suoi capelli biondo grano che facevano impazzire le giovani giapponesine.
-“Adesso andremo a parlare con la preside...”-ringhiò Cesare -“...e tu, volente o nolente, finirai i tuoi studi qui!”-
In quel momento, la campanella della ricreazione suonò, e tutti gli studenti corsero fuori dalle loro classi, ridendo e gridando.
Non appena si accorsero dei tre, vi si accerchiarono intorno, guardandoli con curiosità.
Il primo, dai capelli biondi e gli occhi scuri, catturò gli occhi di ogni ragazza, i quali, ben presto, diventarono dei cuoricini rossi pulsanti.
L’uomo, dai capelli lunghi, neri e lisci, aveva un’espressione arcigna, che riuscì a far intimorire parecchi dei ragazzi.
La ragazzina, tra le braccia dell’omone, aveva gli sguardi dei ragazzi più temerari puntati addosso. Non che fosse quel tipo di ragazza bellissima e seducente, con gli occhi chiari e i capelli biondi, tutt’altro: I capelli arrivavano circa alle scapole, ed erano lisci, di un colore castano corteccia; gli occhi, identici a quelli del fratello, erano marroni scuro con leggere screziature d’oro. Particolari, erano le strane orecchie grigie da koala che portava sulla testa.
Non lo potevano vedere, al momento, ma, al contrario del fratello, era bassina -come si suol dire in Italia: alta un metro e uno sputo- ma, per lo meno, ben proporzionata.
La sua espressione era tutt’altro che dolce, e sembrava voler ammazzare tutti i presenti.
Il fratello, invece, era impegnato a fare il Dongiovanni con tutte le studentesse.
-“Mio Signore.”-lo richiamò, Luciano -“Devo ricordarle che tra due giorni ha un incontro della massima importanza con i Lombardo.”-
Il ragazzo parve riprendersi -“Oh certo, che sbadato! Andiamo, non abbiamo un minuto da perdere!”-
I giapponesi li guardarono ammirati: avevano capito, dal loro aspetto, che avessero qualcosa di esotico, ma sentendoli parlare nella Lingua della Pizza, capirono immediatamente che si trattava di Italiani.
Il ragazzo tornò a parlare alle ragazze, in un giapponese perfetto -“Sono desolato, soavi fanciulle, ma sono costretto ad andare. Tornerò, un giorno, e quando accadrà, sarò ben lieto di uscire con ognuna di voi.”-
Detto questo, il ragazzo tirò fuori dalla sua giacca una rosa rossa, che lanciò al gruppetto di ragazze. Inutile dire che si scannarono quasi per entrare in possesso del fiore.
Luce alzò gli occhi al cielo davanti alla solita scenetta che, oramai, era abituata a vedere ogni giorno.
Dunque, si avviarono verso l’ufficio della preside, lasciandosi dietro quella strage di cuori, con Luce ancora stretta tra le forti braccia di Luciano.
 

**

 
Nella serra tutto scorreva normalmente.
Era ricreazione, e, nonostante i pochi minuti a loro disposizione, i membri della S∙A, avevano tutta l’intenzione di sprecare l’intervallo a litigare tra loro.
O meglio: solo una ragazza urlava e scalpitava, mentre il ragazzo a cui erano diretti i suoi insulti, se ne stava buono a bere del thè verde. Altri cinque ragazzi erano intenti a calmare la mora.
-“Non chiamarmi numero due!”- gridò con tutta la voce che aveva nel corpo -“Ti dimostrerò di che pasta sono fatta! Sarò io a fare il punteggio più alto nel test della prossima ora!”-
-“Hikari, angioletto mio, calmati!”- tentava Akira, accarezzando dolcemente i lunghi capelli della ragazza.
-“D’accordo, numero due, accetto la sfida.”- fece il ragazzo, poggiando la tazza di thè sul tavolino davanti a lui -“Se vinci, non ti chiamerò mai più “numero due”, se vinco io, invece, uscirai con me.”-
Dopo il viaggio a Londra, nulla era cambiato.
Certo, Akira e Tadashi uscivano insieme, Megumi doveva avere a che fare con Yahiro, Jun era ormai felicemente fidanzato con Sakura, e Kei e Hikari si erano confessati i propri sentimenti e, addirittura, baciati.
Eppure, gli atteggiamenti erano rimasti gli stessi: Jun e Megumi continuavano ad avere un attaccamento ossessivo nei confronti di Ryu che, da parte sua, se li teneva stretti quasi fosse la loro mammina; Akira continuava a picchiare selvaggiamente Tadashi per via del suo solito appetito; mentre Hikari e Kei continuavano a lanciarsi le solite sfide.
L’unica differenza era che, quando c’era da scommettere, Kei metteva sempre in palio un appuntamento e, puntualmente, Hikari perdeva.
Questo era l’unico modo che avevano i due per uscire insieme.
La ragazza arrossì vistosamente, farfugliando un timido -“Accetto.”-
Per l’ennesima volta, lo sguardo della graziosa Yamamoto, si posò sulla sedia vuota proprio affianco a Jun.
Era stata messa lì da circa un mese, con il messaggio che presto si sarebbe unito un nuovo alunno alla classe, eppure, ancora non si era fatto vivo.
Stava per chiedere le opinioni dei suoi compagni, che oramai avevano smesso di pensarci, ma il tempo a loro disposizione terminò, e furono costretti a tornare in classe.
 
Erano passati solo cinque minuti dal loro rientro in aula, e la giovane e bella, ma altrettanto severa, professoressa, stava già consegnando i test.
Hikari era pronta, aspettava il suo foglio con impazienza, e quando la professoressa Sugimoto fu in procinto di lasciarle il test, delle voci andarono a rompere il silenzio dell’aula.
-“Dannato, io non ci entro in quel luogo di terrore!”-
Una voce femminile che parlava in una strana lingua.
-“Ma quale luogo di terrore! Smettila di piagnucolare!”-
La voce di un ragazzo... una bella voce, per giunta.
-“Scordatelo, bastardo! Entrerò là dentro solo quando ti deciderai a trovare moglie!”-
La ragazza sembrava parecchio isterica, ma Hikari non poteva dire di cosa stessero parlando, non conoscendo l’italiano... al contrario, Kei e Ryu ridevano sotto i baffi per quella strana conversazione.
-“Io? Una moglie?! Ma mi hai visto? Sono così bello e figo da sembrare un dio greco! Non posso mettere a disposizione questo corpo per una sola femmina, sarebbe da egoisti! Che scema, nemmeno riconoscere un atto solidale, sai!”-
-“Bello, tu? Cosa?! Il fatto che le giapponesine siano abituate a vedere il nero in testa della gente, non vuol certo dire che tu sia bello!”-
-“Signore, Mia Luce, ora basta!”-
Un’altra voce maschile, più profonda, si sovrappose al litigio, e il silenzio calò nuovamente.
Sentirono altri bisbigli, e infine, il bussare alla porta.
La professoressa, con un furioso tic all’occhio sinistro, diede il suo permesso per entrare, e si ritrovarono di fronte i tre italiani che avevano fatto tanto scalpore quella mattina tra gli studenti.
-“E voi sareste?!”- chiese la prof. Sugimoto, avvicinandosi minacciosamente ai tre.
Avvertendo il pericolo, l’omone con indosso un completo nero, si frappose tra lei e i due fratelli, pronto a proteggerli a costo della vita.
Ma il biondino lo scostò gentilmente, sorridendo affabile alla donna che, suo malgrado, arrossì.
Le si inginocchiò d’innanzi, facendole il baciamano e, tenendo le sue labbra premute contro la sua mano, alzò lo sguardo.
-“Quale leggiadra creatura giace qui, davanti ai miei occhi. I suoi capelli riflettono la luce di un sole che, in sua presenza, sembra nient’altro che un lontano puntino luminoso, da cotanta bellezza lei emana. Le sue labbra, mia dolce musa, così piene e invitanti, m’implorano di accarezzarle...”-
E, mentre continuava il suo monologo, la ragazzina non riuscì a trattenere un ghigno disgustato.
Che schifoso playboy, era, suo fratello.
Da parte loro, i ragazzi guardavano stupiti quella scena.
Quella era la professoressa più fredda e spietata dell’intero istituto... mentre adesso... adesso sorrideva, con il volto in fiamme e gli occhi lucidi.
Le ragazze, Hikari compresa, furono catturate dal fare galante dell’uomo, mentre i ragazzi, guardavano con gelosia il nuovo arrivato.
Oh, ma finalmente sembrava aver finito con le smancerie.
-“La prego, mia musa, di perdonarci per aver interrotto la sua lezione.”- parlò ancora lui, lasciando la mano che, poco ma sicuro, la donna non avrebbe mai più rilavato.
-“Questa...”- indicando la sorella -“...è Fukamori Luce Shou, mia sorella, nonché sua nuova alunna.”-
La donna parve riprendersi d’un tratto, guardando furente la ragazzina.
-“Quella che ha marinato per un mese?!”-
La ragazza ricambiò lo sguardo con la stessa tenacia, dando inizio ad una battaglia di sguardi.
-“Mia musa, non fraintenda!”- esclamò il biondino, non smettendo di sorridere, mettendosi in mezzo alle due -“Abbiamo avuto una serie di contrattempi prima in Italia, e poi qui in Giappone, e avvisare non ci è stato proprio possibile!”-
La donna si addolcì di fronte al sorriso stentato dell'italiano, e, in un moto di estrema magnanimità, indicò un posto a sedere alla sorella.
-“Beh, ragazzi.”- disse, continuando ad adocchiare furtivamente il povero Cesare -“Immagino che il test di oggi sarà cancellato.”-
E Hikari, credette di morire.
-“Ma no, mia musa!”- esclamò il biondo, avvicinandosi alla porta -“L’onorevolissima ed illustrissima preside Karino Sumire, ha chiesto che questo test funga da prova d’ingresso per la mia amata sorellina.”-
E Hikari, esultò dentro.
-“Bene, allora.”-
La professoressa si avvicinò al banco di Luce e le lasciò un foglio, andando poi da Hanazono, consegnandole l’ultimo test.
-“Allora ci sentiamo, Luce cara!”-
-“Tu, dannato...”-
La professoressa si avvicinò alla nuova arrivata, cercando di contenersi.
-“Vede, signorina, essendo lei in una scuola giapponese, sarebbe gradito che non parlasse nella sua lingua madre, bensì nella lingua locale, se non le è di troppo disturbo.”-
Sarebbe scoppiata a poco, era chiaro per gli altri ragazzi. Si stava trattenendo solo per fare bella figura con il fratello della nuova alunna.
-“Tsk!”- esclamò la ragazzina, voltando il capo verso la finestra.
Ecco, mancava veramente poco.
-“Allora noi andiamo, eh!”- esclamò Cesare, anche a nome di Luciano -“Ciao ciao!”-
E i due si dileguarono.
La donna, inviperita, tornò alla cattedra, fumante di rabbia.
-“I risultati dei test li troverete domani in bacheca, ora iniziate!”-
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Angolo dell’Autrice:
 
Io sono Yoake, e questa è la mia prima long, nonché mio debutto, in questo fandom.
Mi sento in dovere di avvertirvi, miei cari lettori: questa fiction, nasceva per essere comica, degna per la sezione S∙A, insomma.  Ebbene, è stato un fallimento.
Giuro, ci ho provato ad inserire qualche battutina o scena divertente, ma la tragicità mi chiama! Quindi, beh, se vi aspettate dell’umorismo... non lo avrete -.-”
Comunque, la storia ormai è scritta, e ammetto che non mi dispiace, dunque la posterò comunque u.u
Non temete, non sono molti capitoli, e posterò una volta alla settimana.
Riguardo agli errori grammaticali... beh, sono un essere umano, e ci sta che qualcosa mi scappi... quindi, non esitate a farmeli notare! :D
 
Piccole note: “Shou” è un nome maschile, però stava bene nel contesto... riguardo a questo fatto, mi spiegherò meglio più avanti^^
Come avrete già capito, le frasi in corsivo, sono quelle in italiano, ma comunque mi sembra di averlo già specificato... va beh, lo ripeto giusto per sicurezza xD
Sia chiaro che non ho niente contro il Giappone e i giapponesi, ma la ragazza ha i suoi motivi... motivi che scoprirete solo leggendo!
 
Infine, per quelli che leggeranno, spero che la storia vi piaccia almeno un pochino, e, se avrete delle critiche da farmi, le accetterò volentieri! (a parte quelle riguardanti l’assenza di humor... so già di aver fallito miseramente, non infierite T^T)
Ci vediamo la prossima settimana con il secondo capitolo! Ma, nel caso a qualcuno interessasse, potete contattarmi in privato ;)
Ciao ciao!!

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Capitolo 2
*** Alba ***


Capitolo due:
Alba.

 
 
 
 
L’indomani arrivò velocemente.
Il giorno prima, non appena anche le ore pomeridiane giunsero al termine, Luce si dileguò, senza parlare con nessuno.
Non le piacevano, quei giapponesi. Ma soprattutto, non le piacevano i membri di quella classe.
Avevano qualcosa di strano, di diverso dagli altri, ma non era certa fosse una cosa positiva, quella.
In poche parole, non voleva averci niente a che fare.
Si sarebbe dovuta avviare in ospedale, come aveva promesso al fratello, ma non aveva alcuna intenzione dì incontrare sua madre.
Lei odiava sua madre, e suo padre. Non era certo una cosa che nascondeva.
Solo che era costretta a fargli visita... o almeno, lei pensava a sua madre, e Cesare al padre.
Si dividevano i compiti, anche perché pure suo fratello odiava i genitori, ma in modo più contenuto... decisamente più contenuto.
Ma forse... forse sua madre non si meritava tutto quell’odio... ma così era più facile.
Sovrappensiero, andò ad inciampare su di un piede.
Cadde a terra come un peso morto, ma nessun passante si fermò a soccorrerla.
Del resto, i giapponesi, a suo dire, erano degli automi dediti a nient’altro che al lavoro.
Si rialzò in piedi, pronta a dirne quattro al possessore del piede che l’aveva fatta cadere, quando i suoi occhi incontrarono quelli di un uomo, seduto a terra.
Il suo viso catturò la sua attenzione.
La barba, la barba cresceva grigia e lunga, tutta increspata, contornando delle labbra fini, secche e screpolate; a circondare gli occhi, delle grandi borse viola, segno che non dormiva da molto, o che lo faceva poco e male; quegli stessi occhi, scuri e vitrei, che nemmeno si erano accorti della ragazza, fissavano un punto lontano, vedendo, forse, un ricordo doloroso. Non seppe dargli un’età precisa, date le grinze che gli ricoprivano il volto. I vestiti logori e puzzolenti. La mano che accarezzava il pelo raso di un bastardino a fianco a lui. Sul muso dell’animale, la stessa espressione.
E provò pena.
Fu in quel momento che le venne un’idea.
Dallo zainetto che teneva sulle spalle, tirò fuori un blocchetto da disegno e la sua inseparabile matita, sedendosi poi davanti al barbone, intralciando il passaggio delle persone.
Ma, del resto, poco le importava.
Il cane, che tanto assomigliava ad un bassotto, spostò lo sguardo verso la ragazza, tornando poi a fissare lo stesso punto di poco prima. Il barbone, al contrario, non la degnò di uno sguardo.
E così, iniziò a disegnare: dapprima uno schizzo senza volto, poi il ritratto dell’uomo e del suo cane.
Non le ci volle poi molto, forse un oretta, ma quando ebbe finito, lo staccò, e lo mise davanti all’uomo.
-“Ehi, tu.”- lo chiamò, non ricevendo risposta.
-“Ehi, ma sei sordo, per caso?!”- ritentò lei, continuando ad essere invisibile per lui.
-“E pure ceco vedo...”- mormorò, per poi guardarsi intorno.
Vide una ciotolina piena di spiccioli, e la raccolse, sperando di attirare la sua attenzione.
E ci riuscì anche troppo bene.
-“Ehi, ragazzina!”- un’ondata di fetore raggiunse il suo viso, e fu costretta ad indietreggiare, schifata.
-“Non ti vergogni a derubare?!”- chiese lui, alzandosi con qualche difficoltà.
Ora che digrignava i denti, Luce poté vedere lo stato di questi.
-“Non ho alcun interesse a rubare ad un poveraccio come te.”- disse, restituendogli la ciotolina che l’uomo prese con poco garbo.
-“Cosa vuoi da me?!”- chiese allora lui, guardandola torvo.
Lei, in risposta, gli passò il suo disegno -“Questo sei tu. Fai schifo.”-
L’uomo stette in silenzio, a guardare il ritratto.
Avrebbe voluto rispondere a quella ragazzina impudente, ma non poteva certo darle torto.
-“Da quant’è che non mangi?”- chiese lei, con le braccia serrate al petto.
-“Un paio di giorni...”- si ritrovò a bofonchiare, l’uomo.
-“E il cane?”-
-“Da ieri...”- rispose -“Quel poco che avevo l’ho dato a lei.”-
La ragazza sorrise, vittoriosa.
Bene, l’uomo aveva superato il test egregiamente.
-“Come vi chiamate?”- chiese allora, sistemando le braccia sui fianchi.
L’uomo la guardò perplesso, indeciso se presentarsi veramente o derubarla e scappare via.
Dopotutto, la signorina gli aveva appena detto che faceva schifo, e inoltre l’aveva ritratto senza permesso.
Eppure, qualcosa gli disse di rispondere alla domanda.
-“Io sono Nobuyuki, e lei è Emi.”- disse con l’accenno di un sorriso, chinandosi ad accarezzare la cagnolina che, in risposta, scodinzolò tristemente.
-“Io sono Luce, ma potete chiamarmi Shou.”- disse lei, guardando con superiorità l’uomo.
Poi si voltò, incamminandosi.
Nobuyuki la guardò allontanarsi, non capacitandosi di quello che era successo.
Maledizione al suo cuore d’oro, doveva derubarla!
Ma poi, la voce di Shou lo raggiunse.
-“Muoviti, Nobu! Non ho tutto il giorno, e dobbiamo lavarti, vestirti e, infine, trovarti da mangiare!”-
L’uomo guardò allucinato la ragazza, e anche il suo cane dovette capire, perché le riservò lo stesso sguardo.
-“Ma che diamine dici?!”- esclamò lui, ripresosi da quello stato -“Non ci si prende gioco di quelli più sfortunati, ragazzina!”-
Adesso però, Shou stava cominciando ad innervosirsi.
-“Ascoltami tu!”- esclamò, facendosi nuovamente vicina e puntandogli l’indice contro -“Io ti sto offrendo una possibilità... e tu la rifiuti?! Come vuoi.”- disse, calmandosi -“Fai il barbone per il resto della vita. Non è affar mio.”-
Fece per andarsene, ma la voce dell’uomo la fermò.
-“Perché vuoi aiutarmi?”-
Lei gli rivolse un sorriso... il primo vero sorriso da quando aveva messo piede in Giappone.
-“Gli amici degli animali sono miei amici... e la piccola Emi ti è molto affezionata, a quanto vedo...”-
Infatti, la cagnolina, guardava la ragazza da dietro le gambe del padrone, aspettando un suo ordine.
-“Allora, ti vuoi muovere? Non ho tempo da perdere, io!”-
 

**

 
Nel frattempo, i restanti membri della S∙A si erano intrattenuti nella serra, per discutere sulla nuova arrivata.
-“Un po’ taciturna, non trovate?”- questo era Ryu che, prendendo tra le braccia un bradipo dall’aria dolce e innocente, attirava su di sé gli sguardi gelosi dei gemelli.
-“Taciturna? Ma l’hai sentita prima di entrare in classe come urlava?”- chiese Tadashi, addentando senza ritegno uno dei deliziosi bignè di Akira -“Io più che altro la trovo strana... insomma, le avete viste quelle strane orecchie da cane che si porta sulla testa?”-
-“Da koala, Tadashi. Sono orecchie da koala.”- lo corresse Ryu.
-“Si, fa lo stesso.”- rispose quello, prima di beccarsi un pugno in faccia da parte della cuoca.
-“Mangia con più garbo!”-
-*Secondo me è quel tipo di persona che vuole apparire dura all’esterno, ma che il realtà è la creatura più dolce del mondo!*- scrisse Megumi sulla lavagnetta che, qualche mese prima, le fu data in dono da Yahiro.
-“La tipica tsundere, quindi.”- dedusse Takishima, per la verità poco interessato al discorso.
Ma Hikari non era dello stesso parere.
-“Ragazzi! Io non so che dirvi riguardo a Ruche, se non che prima di dire qualunque cosa, dovremmo conoscerla meglio!”-
-“Ahh! Ma quanto è giusto il mio angioletto!”- esclamò Akira, abbracciando con talmente tanto trasporto la ragazza, da far finire entrambe in terra.
-“Ben detto, Hikari!”- le diede man forte, Jun -“Secondo me, domani dovremmo invitarla con noi alla serra, che ne dite?”-
-“Ottima idea Jun!”- esclamò Akira, balzando in piedi, e, con gli occhi a cuoricino, disse -“E magari invitiamo anche quel figo di suo fratello!”-
Tadashi per poco non si strozzò con quello stesso cibo cucinato dalle mani esperte della sua ragazza.
Aveva forse sentito male?
 

**

 
Nobuyuki fissava la sua figura riflessa nello specchio di una delle boutique di moda più famose della città.
Non riusciva ancora a crederci.
Stava lì, tutto agghindato in un completino nero di Armani, senza un filo di barba e, soprattutto, con lo stomaco pieno.
I capelli grigi erano stati tagliati e tinti di nero, e ora profumavano di gelsomino.
Gelsomino.
Anche il resto del corpo profumava di buono.
E di nuovo.
Era completamente nuovo.
Gli occhi ora erano vivaci, e sulle labbra era stato passato del burro cacao.
Per i denti non c’era, ahimè, più nulla da fare, ma furono sostituiti da una dentiera.
Non esisteva più Nobuyuki l’accattone.
Ora c’era solo Asaoka Nobuyuki, 40enne laureato in economia e commercio, in cerca di lavoro.
Si voltò.
Dietro di lui stavano il giovane stilista di ambiguo orientamento sessuale che lo fissava compiaciuto, e accanto a lui, seduta su uno sgabello con la piccola Emi in braccio, stava Shou.
Le era grato, infinitamente grato.
-“Yo, Nobu. Che hai da fissare?”- chiese lei, infastidita.
Lui si riprese, arrossendo leggermente, colto in fallo.
-“Signor Nobuyuki, sta da favola, mi creda!”- trillò lo stilista, saltellando attorno all’uomo, esaltato al massimo.
-“Bene, ora andiamo. Si sta facendo buio, e preferisco non stare fuori troppo a lungo.”- disse lei, alzandosi ma tenendo la cagnolina in braccio.
Decisero di prendere il taxi per arrivare alla nuova casa di Nobuyuki, e il viaggio lo passarono tra le infinite domande di lui, e i sospiri esasperati di lei.
Il taxi si fermò davanti ad un hotel, ma non un hotel qualunque.
Si trovavano al cospetto del Royal Kingdom, hotel a cinque stelle, famoso in tutto il Giappone.
-“Non dirmi che...”- mormorò Nobu, guardando con stupore l’immenso palazzo.
Intanto, in taxista, aveva tirato fuori dal bagagliaio tutte le buste di vestiti dell’uomo, lasciandoli alla ragazza e rientrando nella macchina. La ragazza gli aveva detto di aspettare, in quanto lei non avrebbe abitato lì.
Lei lasciò le borse nelle mani di Nobu, prendendo in braccio la piccola Emi, che si guardava intorno con fare curioso.
Arrivarono alla reception, dove aspettarono l’arrivo del receptionist.
-“I signori desiderano?”- chiese l’omino spuntato dietro il bancone, con un completo grigio e la testa piena di capelli ricci brizzolati.
-“Buonasera.”- salutò cordialmente Luce, poggiando le mani sul bancone -“Io sono Fukamori Luce Shou. Mio fratello dovrebbe avermi prenotato una stanza.”-
L’ometto la guardò con stupore, dall’alto verso il basso, nonostante d’altezza quasi si equivalessero.
-“Lui ti ha descritto come una ragazza, non come una bambina.”-
Il sopracciglio destro della ragazza rischiò di toccare il soffitto.
Per via della sua altezza, spesso veniva scambiata per una bambina.
Tirò fuori dallo zainetto la carta d’identità, ricevendo così le scuse dell’uomo.
-“Ascolti.”- disse lei, assumendo un’espressione seria -“Voglio che la stanza rimanga a mio nome, ma che lei accetti le persone che manderò ad abitarci. Per i soldi non si deve preoccupare, ma mio fratello non deve saperne niente. Chiaro?”-
-“Signorina...”- cominciò l’ometto -“...non so se posso farlo...”-
-“Si che lo farà, invece.”- s’impose, lei -“Ogni volta verrò qui con qualcuno di nuovo, che occuperà la stanza. Dopotutto, è una suite presidenziale, no? Io non starò con loro, se è questo che la preoccupa, ho un altro posto dove stare.”-
Un altro “ma”, e l’avrebbe fulminato all’istante.
L’ometto parve capire, e si limitò ad annuire e a tendere loro le chiavi.
-“Dunque...”- disse lei, rivolta a Nobu -“Tu starai qui assieme ad Emi. Cercherai lavoro e, non appena avrai abbastanza soldi, ti cercherai una casa ed abiterai per conto tuo. Nel frattempo, manderò qui altre persone, con le quali dovrai convivere.”- fece una breve pausa, durante la quale lui non fece altro che fissarla -“Ci vedremo domani davanti al laghetto del parco, dove ti aiuterò a cercare lavoro.”-
Ancora silenzio tra i due.
Lui la guardava, e lei evitava il suo sguardo.
Poi, non riuscendo più a trattenersi, l’abbracciò.
Quasi pianse da tanto era commosso.
Ma lei non ricambiò l’abbraccio, anzi, lo respinse.
-“Non farlo mai più.”- ringhiò lei.
Poi gli diede le spalle ed uscì dall’hotel.
 

**

 
Quindi la mattina era arrivata e, come tutti, si stava avviando a scuola.
Quella mattina, sfoggiava delle graziose orecchie bianche da coniglio.
Perché indossava delle orecchie da animale? Nemmeno lei lo sapeva. Le trovava carine.
Ma forse contribuivano al fatto di farla sembrare più piccola.
Mah! Le piacevano, e se ne sarebbe fregata delle opinioni altrui.
Non appena oltrepassò i cancelli dell’istituto, un turbine, che le spettino i capelli e rischiò di farle volare via le orecchie, le si fermò davanti, rivelando la figura di una delle ragazzine con cui era in classe.
-“Io ti sfido!”- urlò questa, puntandole l’indice contro.
Proprio non riusciva a ricordare il suo nome.
-“Tu saresti?!”- chiese strafottente, con un sopracciglio alzato.
-“Io sono Hanazono Hikari, della classe S∙A, e sono qui per sfidarti!”- esclamò, ancora rossa per la corsa fatta.
Luce, semplicemente, si limitò ad ignorarla, diretta alla bacheca.
Era convinta di essere andata malissimo, al test. Ma così tanto male da dover essere degradata e, perché no, espulsa. Ci sperava con tutto il cuore.
Ma prima che potesse arrivare, gli altri membri della classe speciale le bloccarono la strada.
-“Complimenti, Ruche!”- esclamò Jun, sorridendole cortesemente.
Al che, la ragazza, lo guardò perplessa.
-*Si, sei stata proprio brava!*- concordò la gemella, affiancando Ryu.
-“Ruche è arrivata seconda, e allora? Hikari rimane sempre la migliore!”- esclamò Akira, inviperita, correndo ad abbracciare la povera Hikari che, nel frattempo, li aveva raggiunti.
Ora, Luce, sembrava del tutto allucinata.
-“Non direi, dato che ora è terza in classifica.”- la derise Kei. Ma ciò non fece altro che aumentare la rabbia della corvina.
-“Fermi tutti.”- fece la castana, guardandoli sospettosa -“Io sarei cosa?”-
-“Hai superato Hikari! Sei arrivata seconda in classifica, Ruche!”- rispose Ryu, sorridendole.
Quel sorriso, dovette ammettere Luce, era molto bello... le sarebbe piaciuto ritrarlo...
Ma, aspetta.
Come l’aveva chiamata?
-“Cosa è... Ruche?”- chiese lei, già sul piede di guerra, pensando si trattasse di una qualche offesa giapponese sfuggita al suo vocabolario.
-“...È il tuo nome, Ruche!”- le rispose Tadashi, rivolgendole uno sguardo perplesso.
Che strana ragazza.
Fu in quel momento che, Luce, si ricordò che i giapponesi non sanno pronunciare la “L”.
-“Il mio nome è Luce, non Ruche! Se non siete in grado di pronunciare una stupidissima “L”, allora chiamatemi Shou! O magari Fukamori! Ma non chiamatemi mai più Ruche!”-
Detto questo, si fece largo tra quelle persone, dirigendosi in bacheca, per verificare la veridicità delle loro parole.
Notò, con sorpresa, di trovarsi proprio sotto il nome di Kei Takishima.
Com’era possibile? Aveva segnato tutte le crocette a caso!
Maledetta sfortuna!
Ma poi, si accorse di un’altra cosa... o meglio, di altre due cose.
Takishima Kei e Todo Akira.
Takishima e Todo.
Non poteva essere...
Si voltò verso il gruppetto che ora l’aveva raggiunta.
-“Ehi, Shou! Ci chiedevamo se oggi avessi voglia di prendere del thè con noi nella serra...”- esclamò sorridente, il ragazzo dai capelli smeraldini, che aveva graziosamente soprannominato “Occhi di cerbiatto”.
-“Oh mio...!”- esclamò in italiano, guardando con occhi grandi e spauriti tutti i ragazzi.
-“Si, e magari porti anche quello strafi...”- Akira s’interruppe, correggendosi -“...tuo fratello!”-
-“E così potremo sfidarci!”- esordì infine Hikari, con un sorriso competitivo.
Ma Luce, in quel momento, si stava chiedendo chi fossero, lì in mezzo, Todo e Takishima.
E se, uno dei due, avesse riconosciuto il suo cognome?
-“Sant’Iddio!”-esclamò ancora, abbassando lo sguardo.
Aveva detto più volte di cambiare cognome a suo fratello ma lui “No” diceva, “Devi andare fiera delle tue origini giapponesi” diceva!
Alzò lo sguardo su Occhi di cerbiatto, incontrando i suoi smeraldi.
Dopotutto, le sarebbe piaciuto passare un po’ di tempo con lui... ma non poteva assolutamente rischiare.
-“Voi...”- disse lei, riducendo gli occhi in due fessure -“Non avvicinatevi mai più a me. Non rivolgetemi mai più la parola. Non osate pensarmi. Io non esisto per voi!”-
E, detto questo, li precedette in classe, lasciandoli soli e basiti.
_________________________________________________________________________________________________________________________________
 
Angolo dell’Autrice:
 
Ecco qui il secondo capitolo!
Ok, qui non ho molto da dire, se non che questa ragazza è parecchio strana O_O
Povera cara, pensa che il mondo giri intorno a lei... egocentrica -.-”
Ah! Della sana autocritica non fa mai male!
Oh, quasi dimenticavo... l’hotel Royal Kingdom dubito esista davvero, l’ho inventato di sana pianta xD
 
Ok, ciao a tutti, e alla prossima settimana!^^ (ok, in verità non so se ci sarò dato che, a regola, dovrei andare in vacanza, ma... a scanso di equivoci, dovreste trovarmi :D)

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Capitolo 3
*** Tempesta ***


Capitolo tre:
Tempesta.
 
 
 
 
Era passata un settimana da quando Luce li aveva intimati di non avvicinarsi più a lei.
Beh, erano più stupidi di quello che pensava, dato che non l’avevano lasciata in pace un attimo.
Dopo quel giorno, avevano fatto di tutto per farla entrare nel gruppetto, e doveva ammettere che non erano male. Certo, c’era qualche difetto che andava corretto, ma poteva passarci sopra.
Non aveva ancora dato loro nessuna soddisfazione, ma iniziava a divertirsi.
Divertimento che scemava non appena doveva andare dalla madre, ovvero tutti i pomeriggi.
Lei odiava sua madre e sua madre odiava lei, semplice. Puro odio ricambiato.
Ma forse, quello da parte della donna, non era altro che odio nato dalla pazzia, ma restava il fatto che era la stessa Luce ad odiarla, quindi il problema non sussisteva.
Ogni giorno in cui tornava a casa dalla visita in ospedale, incontrava vagabondi e animali abbandonati che, puntualmente, ripuliva e portava nell’hotel.
Nobuyuki era riuscito a trovare lavoro come contabile in una piccola ditta nascente, e lo stipendio non era molto, ma non dovendo pagare l’affitto della suite, in un po’ di tempo sarebbe riuscito a racimolare un bel gruzzoletto con il quale si sarebbe potuto permettere un appartamentino in periferia -come quello dove abitava Luce- e dove avrebbe potuto vivere insieme alla sua Emi.
Quel giorno non era molto diverso dagli altri, comunque.
La piccola Luce se ne stava nascosta tra le piante della serra, impegnata a ritrarre un adorabile Pigliamosche Pettirosso, un tipo di passerotto comune in Giappone.
L’uccellino stava fermo a farsi ritrarre, ma, d’un tratto, questo volò via,spaventato da delle urla.
La mina della matita di Luce si spezzò da tanta fu la pressione alla quale fu sottoposta.
Inviperita, uscì dal suo nascondiglio, trovando un’Akira furiosa che picchiava selvaggiamente un povero Tadashi dolorante.
-“Ma che diamine state combinando, voi due?!”-
Akira, dando un ultimo pugno a ragazzo, si voltò sorridente verso di lei.
-“Eccoti, finalmente!”- esclamò -“Kei e Hikari hanno deciso di sfidarsi, e abbiamo bisogno anche di te!”-
-“Perché avreste bisogno di me? Ve l’ho ripetuto più volte che non mi piacciono le competizioni.”- sputò aspra la castana.
-“Ma la sfida è tra loro due, il tuo compito sarà, più che altro, quello di sabotare... Takishima.”- e dicendo quel nome, la ragazza dai capelli violetti assunse un’espressione a dir poco truce.
Lei, che con i Takishima e i Todo, non voleva avere ulteriori problemi, si tirò fuori da quella sfida.
-“Scordatelo, Todo! Mi rifiuto di farlo!”-
 
-“Dannazione a me, e alla mia scarsa volontà!”- imprecò Luce, guardandosi furtivamente intorno.
Lei odiava il gioco sporco, le ricordava troppo suo padre.
Come diamine aveva fatto Akira a convincerla? Ah, già... aveva usato il suo punto debole contro di lei.
Le aveva detto che si sarebbero divisi in squadre e che, essendo ora in numero pari, avrebbero potuto fare a coppie... quindi, avendo notato l’interesse che la ragazza nutriva nei confronti di Ryu, aveva pensato di sistemarla con lui.
Ma si vedeva così tanto?!
Ad ogni modo, non poté rifiutare.
Quella volta avevano optato per una caccia al tesoro.
In poche parole, dovevano risolvere degli indovinelli, e il primo che arrivava al traguardo, aveva vinto.
Il compito suo e di Ryu, ovviamente, era quello di rallentare Takishima; Jun e Megumi avrebbero aiutato Hikari; Akira, avendo promesso ai due che non avrebbe interferito in alcun modo, avrebbe diretto tutto da lontano; Tadashi, sotto comando della fidanzata, aveva l’ordine di controllare le squadre.
-“Ehi Shou!”-
Luce vide, finalmente, Occhi di cerbiatto correrle incontro, e giurò di aver perso un battito.
-“Ancora un minuto e ti avrei lasciato qui!”-si lamentò la ragazza, cercando di nascondere dietro le ampie orecchie da cane, le sue guancie arrossate.
-“Scusami.”- le sorrise lui.
Lei si azzardò ad alzare lo sguardo... non l’avesse mai fatto.
Quel sorriso... Dio! Che bel sorriso che aveva!
Ed era... solo per lei.
Ecco, ora era diventata paonazza.
Si voltò a tutta velocità, proseguendo per la propria strada, con lui a seguito.
Maledizione a lei e ai suoi sentimenti!
Non era cotta, era stracotta!
Si addentrarono all’interno del bosco che si estendeva dietro all’istituto, circondando anche la loro amata serra.
-“Allora, da dove cominciamo?”- chiese lei, cercando di non pensare alla sua situazione a dir poco penosa.
Non ricevendo alcuna risposta, si volto alla ricerca del compagno, trovandolo alle prese con una graziosa scimmietta dal folto pelo giallino e una lunga coda avvinghiata al suo braccio.
Lei vi si avvicinò, esaminando il primate con occhio attento.
-“Una scimmia leonina?”- chiese, perplessa -“Ma non erano in pericolo d’estinzione? Ma soprattutto, non sono tipiche del Brasile?”-
Lui alzò lo sguardo, piacevolmente stupito -“Le conosci?”-
-“Si...”- rispose lei -“Mi piacciono gli animali.”-
Alzò il braccio, per arrivare all’altezza della scimmietta, ora avvinghiata attorno al collo del ragazzo.
-“Anche a me piacciono molto...”- rivelò lui -“Da grande mi piacerebbe andare in Africa e lavorare come veterinario.”-
Lei sorrise appena quando lui si sedette tra l’erbetta per permetterle di accarezzare l’animale più facilmente.
Lei lo imitò, e la scimmietta le balzò sulle spalle, andando a giocare con le orecchie da cane.
-“Ti confido che a me piacerebbe fare la biologa...”- ammise lei, con un velo di rossore a colorarle le guancie. Secondo Ryu, le gote imporporate la rendevano ancora più graziosa -“...e specializzarmi in zoologia.”-
Ora la scimmietta le si era accoccolata tra le braccia, e lei la stava accarezzando amorevolmente.
-“Anche a me sarebbe piaciuto fare la veterinaria...”- per la prima volta, vide un sorriso sul suo volto. Un sorriso caldo, che andava in contrasto con quell’idea che aveva di lei: fredda e inflessibile.
-“...solo che fare il veterinario, significa anche, talvolta, dover sopprimere gli animali e... non ce la farei.”-
Distolse lo sguardo dalla scimmietta, puntandolo sul volto di Ryu, trovandolo stranamente ed inspiegabilmente rosso.
-“Ryu, stai bene?”-
Il ragazzo parve rinsavirsi, poiché scosse la testa e si rialzò.
-“Andiamo dai, altrimenti poi chi la sente Akira!”- esclamò, tendendo una mano alla ragazza, che, la scimmietta, utilizzò come appiglio per arrampicarsi. Luce afferrò timidamente la sua mano, arrossendo vistosamente quando queste si sfiorarono.
Solo in un secondo momento Ryu notò un’importante particolare.
-“Aspetta... sbaglio, o mi hai chiamato per nome?”- chiese, sorridendo appena.
-“Cosa?!”- esclamò in italiano. Ogni qualvolta si trovava in una situazione estremamente imbarazzante, non riusciva più a controllarsi, tant’è che iniziava a parlare nella sua lingua madre -“Te lo sarai immaginato! Io chiamarti per nome... Tsk! Per l’amor di dio, non sia mai!”- continuò, sorpassandolo.
Le loro mani, ancora unite.
 
**
 
Alla fine, vinse Takishima.
Come sempre, del resto.
Niente di strano, insomma.
Ed ora, quei cinque ragazzi che avevano il compito di far vincere Hanazono, si stavano prendendo una strigliata degna da oscar dalla Todo.
-“Voi incompetenti!”- ululò, il volto trasformato in quello di un demone affamato di bambini -“Non era un piano difficile, eppure siete stati in grado di rovinarlo comunque! Ahh! Povera la mia Hikari, costretta a sottostare alle richieste di quel maniaco!”-
I cinque ragazzi più sfortunati del mondo se ne stavano lì, di fronte a lei e tutti ammucchiati, come per darsi forza. La più bassina -persino più piccina dei gemelli Yamamoto- se ne stava rannicchiata tra Jun e Megumi, abbracciati a loro volta dalle rassicuranti braccia di Ryu. Tadashi, vigliacco, si nascondeva alle spalle del ragazzo.
Ma Luce, essendo sempre stata uno spirito combattivo, sarebbe scoppiata a breve. A dimostrarlo,le sue guancie rosse di rabbia e gli occhi chiusi in due fessure.
-“Come osi?!”- esplose infatti, poco dopo -“Tu mi hai ricattata per farmi fare del gioco sporco... odio il gioco sporco! Senza contare che loro...”- e indicò i ragazzi che, adesso, guardavano entrambe con paura negli occhi -“...ti hanno aiutata per il semplice sentimento d’amicizia che vi lega!”-
Ma figuriamoci se il demone Akira si lascia mettere i piedi in testa dalla prima nana malefica che trova per la via -“Senti un po’ tu, loro non sono di tuo interesse! Se poi vogliamo parlare di te, ti ho fatto solo un piacere! Si vede lontano un miglio che ti pia...”-
Ma fu interrotta dal grido di battaglia di Luce.
-“Fasilenzio orribile Kappa!”-
Akira, punta nel vivo, si gettò su di lei.
-“Tu, nanetta malefica!”-
Fu così che, per la serra, iniziarono a volare calci, pugni, e imprecazioni a tutto spiano.
I restanti quattro, non sapendo che pesci pigliare, le lasciarono al loro combattimento.
Combattimento che, contro ogni rigor di logica, andò avanti per tutta la notte.
 
**
 
Il mattino dopo, Kei fu il primo ad arrivare.
E fu così che le ritrovò: una addormentata sull’altra, piene di lividi e segni di morsi.
Akira ci era andata giù pesante, ma anche Shou non si era trattenuta.
Che Akira avesse trovato una degna rivale in quanto a risse?
 
____________________________________________________________ 
Angolo dell’Autrice:
 
Uhm... che posso dire di questo capitolo... si beh, è un po’ corto e decisamente poco interessante. Insomma, un capitolo di passaggio, no?
Davvero, non ho molto da dire... quindi vi lascio alle curiosità riguardanti il capitolo!
1)  il Pigliamosche Pettirosso, esiste davvero, non è di mia invenzione! Secondo il mio libro, è un pettirosso tipico delle regioni asiatiche e, quindi, del Giappone.
2) Anche la Scimmia leonina esiste, e chi conosce le Tokyo Mew Mew, dovrebbe saperlo! Non per niente, ho preso l’ispirazione da lì xD
3)  Il Kappa è un tipo di demone della tradizione Giapponese: hanno solitamente la pelle verdastra, e il corpo che sembrerebbe un incrocio tra una rana e una scimmia, portano sulla schiena un’enorme guscio di tartaruga, e al posto della bocca hanno una sorta di becco. Sono demoni acquatici (infatti vivono in fiumi laghi e stagni) e traggono la propria forza da una cavità piena d’acqua sulla loro testa. (Per saperne di più, Wiki is the way u.u)
Sia chiaro che non ci vedo alcuna somiglianza tra Akira e un Kappa... però, è il primo demone che mi è venuto in mente al momento, e mi piaceva nel contesto xD
 
Alla prossima settimana con un nuovo capitolo! 

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Capitolo 4
*** Nebbia ***


Capitolo quattro:
Nebbia.
 
 
 
 
Un altro giorno, un’altra storia all’istituto Hakusenkan.
Luce, con ancora qualche ammaccatura, si ritrovava nel suo posticino segreto, impegnata in un complicatissimo ritratto.
Odiava e, al contempo, amava ritrarre le persone.
Quella forma d’arte le permetteva di catturare le immagini e i momenti meglio di una fotografia, e reputava magnifico che, man mano che portava avanti il disegno, scopriva del modello moltissime cose nuove, di cui, a prima vista, non si accorgeva.
Ma era anche questo il motivo di tale odio: spesso, ciò che scopriva attraverso innumerevoli dettagli, non erano altro che cose negative, che portavano tristezza, o rabbia, o qualunque cosa corrispondesse a tale dettaglio.
Alla fine il ritratto diveniva perfetto, ma, inevitabilmente, la povera Luce ci perdeva un sacco di cuore e lacrime.
Perché le persone, indipendentemente dalla loro apparenza, portano del marcio dentro.
Ma lei era un’artista. Il suo compito non era di andare oltre, ma di mostrare oltre.
Lei non poteva fare finta di niente, ma poteva catturarlo, e mostrarlo.
Questo era il suo dovere.
Aveva a mentito a Ryu, appena qualche giorno prima: quello di fare la biologa, era un sogno secondario... il suo vero sogno, era quello di diventare un’artista di fama mondiale!
Non per i soldi e il successo in sé, ma per essere in grado di aprire gli occhi alla gente.
Ma ritrarre, per lei, era anche un modo per conoscere.
Per questo ora si trovava in mezzo alle piante della serra.
Come unici testimoni i moscerini che le si posavano sui capelli, la ragazza ritraeva i membri della S∙A.
Era riuscita a fare solo quello del demone Akira.
Più che un ritratto, quella era una buffa caricatura della ragazza che tanto le ricordava un Kappa.
Ma del resto, lei non era certo nota per la memoria fotografica.
Nonostante vedesse i compagni di classe tutti i giorni, faceva ancora fatica a ricordare le loro facce.
Ma non solo con loro, anche Cesare stava diventando un ricordo sbiadito.
Fortunatamente, aveva un suo ritratto nell’album.
Decise che sarebbe uscita dal suo nascondiglio e avrebbe aspettato gli altri, dato che ancora dovevano iniziare le lezioni, finché non sentì una risata cristallina provenire dalla sua sinistra.
Riconoscendola, si nascose meglio tra le piante, sporgendosi leggermente... e quello che vide, le mozzò il fiato.
Occhi di cerbiatto se ne stava lì, a pochi passi da lei, a giocare con tre teneri bradipi dall’aria stranamente attiva.
Lui non si era accorto di lei, e Luce non voleva certo mettersi in mostra.
Stranamente, quella mattina era andato a scuola da solo, senza i gemelli.
Luce decise di approfittare della situazione.
Prese il suo blocco, ed iniziò a tirare una linea.
Linea dopo linea, sfumatura dopo sfumatura, terminò il ritratto in pochi minuti.
Era euforica, mai aveva terminato un disegno in così poco tempo!
Ma, a guardarlo bene... era vuoto.
Il volto nel foglio sorrideva, ma non esprimeva contentezza. Era un sorriso spento.
Gli occhi, gioiosi e innocenti nella realtà, erano vitrei nel disegno.
Non esprimeva nulla.
Sospirò sconsolata.
Lui non era una persona vuota, assolutamente. Era lei ad aver sbagliato tutto.
Lo strappò dal blocco, accartocciandolo e gettandolo lontano tra le piante. Magari qualche animaletto se lo sarebbe mangiato, dopo tutto era solo carta.
Stava per ricominciare a disegnare, quando sentì le voci di Todo e Takishima.
Di questo passo, avrebbero scoperto il suo nascondiglio... o peggio ancora, avrebbero scoperto che stava spiando Ryu!
No, ne andava del suo onore, non poteva permetterlo!
Ma ciò non accadde, e il suo orecchio fu attirato da una conversazione che avrebbe potuto interessarle.
-“Che ne pensate della nuova arrivata?”- chiese Ryu agli altri due, avvicinandosi intanto al tavolo.
-“Ah! Non me ne parlare!”- esclamò irritata Akira, esibendo il suo occhio che, da violaceo, era passato ad una strana tonalità di giallo.
-“Sinceramente? Sembra un tipo a posto, solo Tadashi non ne sembra convinto.”- disse Takishima, facendo sentire il cuore leggero a Fukamori.
-“Lo sai com’è Tadashi! All’inizio considera tutti strani, poi però ci diventa pappa e ciccia.”- esclamò svogliatamente Akira, agitando una mano davanti alla faccia.
-“Tu, Ryu? Cosa ne pensi?”- chiese Kei, malizioso.
Dopotutto, Ryu era un maschio, e Shou una femmina. Gli opposti si attraggono, no?
Il ragazzo stette un po’ a pensarci, facendo rimanere Luce con il cuore in gola, quando infine proferì -“È graziosa.”-
Luce sentì le labbra aprirsi in un sorriso a trentadue denti, ma ciò che seguì a quella frase, la pietrificò.
-“E bassa. È così graziosa e bassa che assomiglia ad una bambina.”-
Takishima si ritrovò a dargli ragione -“E di certo quelle buffe orecchie da animale, non la aiutano.”-
Ryu si sedette sulla sua sedia, sospirando appena.
-“Ma a voi, il cognome Fukamori è familiare?”-
Ora, la povera Luce, stava per avere un attacco di panico.
S’impose la calma, e decise di continuare ad origliare.
Giocare sporco, mentire e origliare... tutte cose che odiava e che gli ricordavano suo padre.
Solo in quel momento si rese conto di quanto gli somigliasse.
E ne rimase schifata.
-“Ah, allora non sono l’unica!”- rispose Akira alla domanda di Ryu -“Magari appartiene ad una famiglia dal cognome noto.”-
-“Non credo...”- intervenne Takishima -“Anche a me non è nuovo, ma non credo che la ragione sia quella...”-
Furono costretti a troncare il discorso per via dell’arrivo dei gemelli e, in seguito, di Hikari.
Di Luce, nemmeno l’ombra.
Non sapevano quanto si sbagliavano.
Lei stava lì, nascosta tra le piante, a piangere tutte le sue lacrime.
Dannati italiani, con i loro stupidi discorsi sulla formosità delle ragazze.
Dannati giapponesi, tutti uguali.
Dannate persone, così schifosamente pretenziose e sospettose.
Si era sbagliata su quei ragazzi, e non erano serviti i ritratti per farglielo capire.
Quel giorno, decise di non presentarsi a lezione.
 
**
 
Forse stava esagerando, dopotutto, che avevano detto di male?
Il ragazzo che gli piaceva, aveva solo detto la propria opinione... e i gusti son gusti, no?
Todo e Takishima avevano qualche sospetto, e allora? Ancora non sapevano riguardo a suo padre.
Certo, sarebbe bastato chiedere ai loro genitori...
Ora camminava, con gli occhi arrossati, tra le strade della città, diretta verso l’ospedale.
Rimase ulteriormente disgustata a quel pensiero, ma non poteva mentire a sé stessa: magari, vedere il dolore della madre, l’avrebbe fatta stare meglio.
Ecco, trarre felicità dai dolori altrui... era proprio figlia di suo padre.
-“Signorina Fukamori!”- la salutò una delle infermiere. Nemmeno si era accorta di essere già arrivata ed entrata nell’edificio -“A quest’ora dovrebbe essere a scuola!”-
-“Avevo bisogno di vedere mia madre.”- rispose mesta, avviandosi già verso il reparto psichiatria.
-“Signorina Fukamori, aspetti!”- la richiamò l’infermiera -“Le abbiamo già detto che la mattina sua madre è molto nervosa! Quello che è successo l’altra volta, sarà niente in confronto a questo!”-
Ma la ragazzina non voleva sentire storie.
-“Me la caverò.”-
Si avviò per le scale, lasciando l’ascensore ai dottori.
Già, l’ultima volta...
Era successo pochi giorni dopo che sua madre venisse trasferita all’Ospedale di Sant’Antonio Daynan, quando aveva già iniziato a marinare la scuola.
Era un pomeriggio e lei, non sapendo cosa fare, era andata da lei.
Forse perché non si era ancora ambientata, forse perché era semplicemente pazza, ma quel giorno se l’era ingiustamente presa con sua figlia, fino a quando i medici, accorgendosene, non l’avevano immobilizzata e sedata.
Dopo i dovuti controlli, riuscì finalmente ad entrare nella stanza, e fu così che la trovò: rannicchiata in un angolo che si guardava convulsamente intorno, con lo sguardo perso nel vuoto, e rideva, rideva in un modo che, Luce, reputò insano.
-“Mamma, sono io, Luce.”- le disse in italiano, sperando in una sua reazione. E la ebbe.
-“Luce?”- rispose quella, puntando il suo sguardo contro una parete -“La luce del giorno...  da tanto che non la vedo.”- scoppiò a ridere nuovamente, ma delle lacrime brillavano sulle sue ciglia.
-“Sono tua figlia, Luce.”- La donna dai cortissimi capelli biondi la guardò avvicinarsi con i suoi grandi occhi ambrati.
Si alzò di scatto, muovendo un passo verso la figlia, per poi tornare indietro e sedersi nuovamente a terra.
-“Il mio bambino... il mio Cesare... come sta?”- chiese, un’espressione di panico in volto.
-“Sta bene...”- rispose incerta la ragazza, non avvicinandosi ulteriormente a quella donna malata.
Ma quella si alzò nuovamente, avvicinandosi con velocità alla ragazza e afferrandole per la camicetta bianca della sua divisa scolastica.
-“No!”- urlò, affondando il volto tra i suoi vestiti -“Lui è morto! L’ho visto!”- continuò.
La ragazza non reputò saggio allontanarsi in quel momento dalla donna: era imprevedibile, e ne aveva paura.
-“Era lì, te lo giuro!”- continuò sua madre, indicando l’angolo opposto della stanza, ricoperto di imbottitura bianca.
Luce le accarezzò il capo, con fare insicuro e timoroso. La sua mano tremava, ma cercò di farsi forza.
-“Mamma, l’ho visto circa due settimane fa, sta bene.”- cercò di sorriderle.
-“Mamma?”- chiese la donna, alzando gli occhi rossi e gonfi su di lei -“Ma tu sei una femmina, non sei il mio Cesare.”-
Ma subito, la bionda spalancò gli occhi, spaventata.
-“L’hai sentito?”-
La castana corrugò le sopracciglia, confusa.
La madre mormorò qualcosa a fior di labbra, per poi voltarsi con la paura negli occhi.
-“Ora devi averlo sentito!”-
Altri mormorii dalla sua bocca, ma ora qualche parola era distinguibile in mezzo a quel mucchio.
-“Eccolo!”- urlò infine -“È arrivato, è qui!”-
-“Chi?”- chiese a questo punto sua figlia, esasperata.
-“Finalmente ti vedo, Arianna.”- questa era la voce di sua madre, ma perché si rivolgeva a sé stessa come se fosse in realtà qualcun altro?
-“No, vattene via!”- ecco, di nuovo sua madre, che agitava le mani in avanti, come per difendersi.
Ma ecco che si fermava, e il suo sguardo si faceva crudele.
-“E vedo che c’è anche quella zoccola di tua figlia.”-
E di nuovo i suoi occhi ambrati a cercare per la stanza.
-“Cosa?! Dov’è?”-
-“È lì, dietro di te.”- di nuovo quella voce spettrale.
Al che la bionda si girò, ritrovandosi davanti la piccola Luce.
-“No, lei non è quell’aborto! Lei è quell’infermiera tanto gentile! Tua figlia è morta, l’ho uccisa io!”- esclamò, lo sguardo pazzo.
Luce capì che quella che stava avendo, non era nient’altro che un’allucinazione. Per la precisione, era suo marito che vedeva.
Ma poi, Arianna sembrò calmarsi, ricominciando poi a ridere a tutto spiano.
-“Voglio una foca. Della gustosa carne di foca!”- esclamò, con l’acquolina in bocca -“Ma mi va bene anche un delfino canterino!”-
Ora Luce la guardava perplessa e disgustata: come si poteva mangiare una foca o un delfino?
Brutta cosa, la schizofrenia.
La donna corse verso il suo letto, buttandocisi sopra con felicità.
-“Ma, più di tutto, rivoglio il mio amato Hideyoshi!”-
Senza nemmeno rendersene conto, Luce si ritrovò spiaccicata contro il muro, con il viso della madre a pochi centimetri dal proprio, e qualcosa di freddo premuto contro il collo.
-“Tu, figlia maledetta! Per colpa tua mi è stato portato via!”- soffiò la madre, furente.
Ma Luce non aveva fatto nulla. Era successo tutto per caso, senza che né lei né suo fratello avessero il tempo di agire.
Comunque, era convinta che suo padre se lo fosse meritato.
L’oggetto metallico, un bisturi, probabilmente, venne premuto con forza contro il suo collo, provocandole un leggero taglio rosso.
Ancora poco e sarebbe morta.
Contro ogni sua previsione, la donna lasciò cadere l’oggetto, ritornando nell’angolino dove l’aveva trovata la mattina.
-“Dovrei iniziare a cercare lavoro, non posso continuare a fare la disoccupata.”- disse quella, con un’espressione pensierosa.
Luce, non volendo stare in sua compagnia un minuto di più, raccolse il bisturi dalla natura ignota, per poi uscire dalla stanza e raccontare ogni cosa alle infermiere e ai dottori.
Venire a trovare sua madre, non era stata affatto una buona idea.
________________________________________________________________________
 
Angolo dell’Autrice:
 
Eccoci al quarto capitolo!
Si, qui non si vedono molto i personaggi della S∙A, ma mi serviva piuttosto per... uhm... spiegare l’attuale situazione familiare di Luce.
Ed ecco saltare fuori uno dei motivi per cui, tra le avvertenze di questa storia, ho messo tematiche delicate: la schizofrenia.
Ora, vorrei chiarire che non conosco nessuno affetto da questa malattia, e mi sono basata sui sintomi che ho trovato grazie a Wiki (allucinazioni, deliri, disordine nel pensiero e nel linguaggio, e altri più gravi che non ho riportato nel capitolo), e non vorrei che qualcuno, che magari ha delle conoscenze migliori rispetto alle mie dell’argomento, si sia offeso e/o si ritenga infastidito. Se così fosse, accettate le mie scuse.
 
Bene, e anche questa è andata...
Per chi è tornato a scuola oggi, faccio le mie condoglianze... e per chi, come me, rientra mercoledì (e magari, per quattro ore alla settimana, ha una professoressa affetta da doppia personalità che, anzi che spiegare, preferirebbe mangiarsi gli alunni), che la dea bendata sia con voi!

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Capitolo 5
*** Nuvola ***


Capitolo cinque:
Nuvola.
 
 
 
 
Ma Luce era una persona forte.
Non si sarebbe fatta buttare giù dai commenti dei ragazzi, o dal tentato omicidio da parte di sua madre.
Avrebbe camminato a testa alta, si!
Quindi, con le sue orecchiette da chinchilla, lo zaino in spalla e la divisa della S∙A addosso, si diresse a passo di marcia verso la scuola.
Ma non sarebbe più stata dolce, no.
Sarebbe stata fredda, insensibile, spietata.
Le sarebbe stato impossibile non rivolgere loro la parola, per questo, ogni qualvolta l’avrebbe fatto, decise che ci avrebbe messo di mezzo un’offesa.
I suoi occhi sarebbero stati chiusi in due fessure, illeggibili, e non avrebbero mai più visto il suo sorriso.
Poco importava che fosse stanca per via della notte passata insonne a causa di vari incubi che incentravano la madre e gli stessi membri della Special A, sarebbe stata al massimo delle sue forze.
Senza nemmeno passare dalla serra, si avviò in classe.
Ci sarebbe stato un test, quel giorno, e lei era ben intenzionata a sbagliarlo completamente.
Voleva andarsene, e solo bocciando o venendo espulsa, ci sarebbe riuscita.
C’era stato solo un test dopo quello d’ingresso, dove arrivò terza. Nemmeno leggendo le domande.
Tutte domande a scelta multipla... scelta, oltretutto, dettata dal caso.
Ma niente.
Erano già due volte di seguito che le andava bene.
Ma questa volta ci sarebbero state solo domande aperte, poteva farcela.
Il professor Akazawa era già in classe, che cancellava diligentemente la lavagna.
Un vecchietto molto simpatico, l’esatto opposto della professoressa Sugimoto.
Anche leggermente sordo, per dir la verità, quindi le fu facile lasciare lo zaino sul banco e dileguarsi fuori dalla classe senza farsi notare.
Stava andando dalla preside, in quanto, il giorno prima, non aveva avvisato la scuola della sua assenza.
Quindi, dopo aver bussato, fu accolta nell’ufficio della donna.
-“Mi dispiace disturbarla, signora preside.”- disse, con tono di scuse -“Ma vorrei informarla del motivo che, ieri, mi ha allontanato dal mio obbligo scolastico.”-
Sumire le fece cenno di sedersi, e la ragazza fece come richiesto.
-“Sinceramente, credevo te la fossi salata.”- disse la donna, giocherellando con una delle sue freccette.
-“No, signora. Non mi permetterei mai.”-
La preside le rivolse uno dei suoi sguardi più glaciali, che Luce sostenne con coraggio.
-“Sappiamo entrambe che questa è una menzogna.”-
L’italiana deglutì a vuoto, leggermente intimorita dalla donna.
Se Tadashi avesse preso il suo carattere, e non solo l’aspetto fisico, avrebbe certamente provato più rispetto per lui.
-“Ad ogni modo, ieri notte ci sono stati dei problemi in ospedale, e sono stata costretta a prestare la mia presenza.”-
Non era difficile da credere, date le occhiaie violacee che le contornavano gli occhi.
Essendo la preside, la madre di Tadashi sapeva dei problemi familiari della Fukamori e, per segreto professionale, non era tenuta a rivelare niente né a suo figlio né agli altri membri della Special A.
-“E sia, ti crederò. Torna in classe adesso, ma ricorda: la prossima volta, pretendo di essere avvisata il giorno stesso.”-
E, lanciando la freccetta nel centro stesso dell’obiettivo, invitò la ragazza a tornare in classe.
 
**
 
Il test andò come previsto, o almeno, così immaginava.
Riguardava cultura generale, e le uniche domande a cui aveva risposto correttamente erano quelle di storia dell’arte in quanto, secondo lei, un’artista del suo calibro non poteva permettersi di sbagliare tale materia, neanche per finta.
Senza rivolgere la parola a nessuno, si avviò verso la parte della scuola dedicata ai giapponesi non abbastanza intelligenti per entrare a far parte della Special A.
-“Aspetta!”- la richiamò Hikari, raggiungendola con una corsa.
Luce si fermò, senza voltarsi, aspettando che fosse la sua interlocutrice a parlare per prima.
-“Sai, non ti conviene mostrarti agli altri studenti con quella divisa!”- esclamò la moretta, ricordandosi tutte le volte in cui aveva rischiato di morire soffocata in mezzo agli abbracci delle sue fan -“Piuttosto, perché non vieni a stare un po’ nella serra con noi?”-
Era la pausa pranzo, e sarebbe durata almeno un’ora prima che iniziassero le lezioni pomeridiane... e ciò significava stare 60 minuti con quei falsi dei membri della sua classe.
Annuì lievemente con la testa, voltandosi ed incamminandosi verso la serra, tenendo lo sguardo basso.
Entrò, con Hikari a seguito, trovando già i ragazzi seduti attorno al tavolo.
Senza guardare nessuno e non sentendo i loro saluti, si sedette su quella che era stata adibita come sua sedia.
-“Allora, a voi com’è andato il test?”- chiese gentilmente Jun, facendo girare il cucchiaino nella tazzina piena di thè inglese.
-“Alla grande!”- esclamò Hikari, con il fuoco negli occhi -“Me lo sento, questa volta batterò Takishima!”-
-“Non sperarci troppo, numero due.”-sorrise Kei, portandosi alle labbra la sua tazzina di thè.
-“Non chiamarmi numero due!”-
Come al solito, tutti i presenti cercarono di fermare Hikari che, con l’adrenalina all’estremo, cercava di darle di santa ragione al rivale.
Tutti, meno che Luce.
La ragazza continuava a stare seduta al suo posto, col capo basso, non permettendo agli altri di scorgere il suo viso.
Al che Hikari, allegra e solare, ritornò al suo posto, rivolgendosi alla ragazza.
-“E a te? Com’è andato il test?”-
Senza cenni del capo o altro, quella rispose in un sussurro -“Male.”-
La moretta la guardò torva, con l’accenno di un sorriso sulle labbra -“Male?! Ne sei certa?”-
-“Ho risposto bene solo a due domande, quelle riguardo a storia dell’arte.”-
Ora stava esagerando, lo sentiva.
La sua voce era monotona e incolore. Faceva venire i brividi.
Eppure, non riusciva a migliorare la situazione.
-“In tutto erano... 100 domande...”- mormorò Akira, con perplessità negli occhi.
-“Lo so.”-
-“Io non credo di essere andato male!”- intervenne Ryu, interrompendo il silenzio che si era andato a creare.
Qualcuno aveva risposto, ma la ragazza lo interruppe bruscamente, infischiandosene.
Alzò leggermente lo sguardo, quel tanto che bastava per potersi guardare intorno, soffermandolo sulla lavagnetta di Megumi.
-“Ehi tu.”- la chiamò, la voce atona -“Com’è che non parli?”-
Fino a quel giorno non gliene era importato molto, credendola muta, ma adesso voleva averne la certezza.
Megumi scrisse qualcosa sulla sua lavagnetta, ma prima che potesse farle leggere il contenuto, s’intromise Tadashi a rispondere per la ragazza.
Con un croissant in bocca, spiegò -“Lo fa per non sforzare la voce. Il suo sogno è quello di fare la cantante.”-
-“Sogno ambizioso.”- rispose Luce, tenendo lo sguardo puntato sulla lavagnetta di Megumi -“Ma se continui a non parlare, non ci sarà modo per te di diventare una cantante.”-
-*Se perdessi la voce sarebbe una tragedia!*- scrisse Megumi sulla lavagnetta, prontamente letta da tutti i presenti.
-“Ha ragione!”- le diede man forte, Hikari -“Rischierebbe di non cantare mai più!”-
-“Parla quella.”- rispose aspra, Luce, stringendo maggiormente gli occhi, alzando un poco la testa -“Bisogna rischiare nella vita, Hanazono. Ogni volta che sfidi Takishima, cosa credi di fare? Metti in gioco la tua reputazione, il tuo orgoglio, e lo rischi fino alla fine.”-
Si voltò verso Megumi, senza dare il tempo a Hikari di risponderle, alzando maggiormente il capo, fino ad avere una visione completa del luogo. Quello che scorsero sul suo viso, furono due enormi occhiaie violacee a circondare due occhi che, di scuro, avevano poco: quelle poche screziature dorate che la classificavano come straniera, sembravano essere aumentate, donando all’iride un colore ambrato.
-“E tu, Yamamoto, puoi avere paura del mal di gola, della perdita della voce, dell’intervento alle tonsille, ma ti dirò una cosa: non nego che tu possa avere una bella voce, ma per cantare, devi allenarti duramente! Parlare, non è altro che un allenamento. Per quello che mi avete fatto capire, quelle poche volte che canti, lo fai senza riscaldamento, e questo si che ti comporta gravi rischi! E non solo: anche tutte le persone accanto a te rischiano seriamente di perdere l’udito!
E con questo, ho finito.”-
Incrociò le braccia al petto, poggiandosi completamente allo schienale. Gli occhi ambrati rivolti verso il basso, il sopracciglio alzato, e le labbra piegate in una smorfia infastidita.
Dio, aveva parlato troppo!
Megumi abbassò la lavagnetta, sconfitta.
Non sapeva più cosa ribattere.
Ryu, intanto, le avvolgeva il braccio attorno alle spalle, a mo’ di protezione.
Ora guardava con occhi diversi quella ragazzina tanto graziosa.
Aveva fatto intristire la sua Megumi.
Non gliel’avrebbe perdonata facilmente.
-“Che c’è, stanotte non hai dormito?!”- chiese Tadashi, notando l’atteggiamento particolarmente acido dell’italiana.
-“Che perspicacia.”- rispose quella, lanciandogli un’occhiata gelida.
D’un tratto, una poiana dalle lucenti piume marroni, sbucò da un albero, con un qualcosa di appallottolato tra gli artigli.
Quella scese in picchiata verso Ryu, tra le urla spaventate dei gemelli, atterrando poi lievemente sulla spalla del ragazzo, e passandogli poi col becco l’oggetto.
Il ragazzo ringraziò il pennuto che, prendendosi le suo coccole giornaliere, volò via, soddisfatto.
-“Cos’è, Ryu?”- chiese Akira, sporgendosi lievemente sul tavolino.
Dunque, l’ormai ottavo in classifica, aprì quello che sembrava un foglio appallottolato, rivelando un ritratto.
Un ritratto rappresentante il viso di Ryu.
Il ragazzo lo guardò in silenzio, poggiandolo poi sul tavolo, in modo che potessero vederlo anche gli altri.
Akira a Hikari lo presero subito tra le mani, ammirandone la bellezza.
-“Uh uh! A quanto pare Ryu ha una spasimante!”- cantilenarono contemporaneamente, le due ragazze.
A quelle parole, lo sguardo di Megumi si fece chiaramente minaccioso.
Alla fin fine, il disegno passo di persona in persona, e fu chiaramente apprezzato. Solo Takishima e Tsuji non commentarono.
Insomma, Luce si degnò di mettere occhio sul disegno solo quando le arrivò davanti alla faccia.
-“Fa schifo.”- disse solo.
Tadashi, Akira, Hikari e i due gemelli la guardarono allucinati.
-“Cosa?!”-
-“Concordo.”- annuì Takishima -“Non trasmette niente.”-
-“ Non lo trovo pienamente rappresentativo, ecco.”- disse Ryu, rimirando il disegno che era tornato tra le sue mani.
-“Direi per niente rappresentativo.”- lo corresse Luce -“Ma del resto, che vuoi che riesca a fare una nanetta graziosa?”- continuò, utilizzando circa le stesse parole utilizzate da lui il giorno precedente.
Akira, Kei e lo stesso Ryu rimasero leggermente spiazzati da quella frase, ma i loro ragionamenti furono bloccati da una domanda di Tadashi.
-“Che ti sei fatta al collo?”-
L’espressione della ragazza, mutò: dapprima di fece confusa, andandosi a toccare con mano il punto dal ragazzo indicato, poi, incontrando col tatto il graffio provocatele appena il giorno prima dalla madre, assottigliò lo sguardo, digrignando i denti.
-“Non sono affari che vi riguardano.”-
Detto questo, si alzò e uscì dalla serra.
Un’altra ora di lezione stava per cominciare.
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Angolo dell’Autrice:
 
O.O Uhm... diciamo che non ho molto da dire (praticamente niente)e che sono di fretta, quindi... vi saluto! 

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Capitolo 6
*** Freddo ***


Capitolo sei:
Freddo.
 
 
 
 
Erano ormai passati tre mesi, e la situazione era rimasta la stessa.
Luce si rifiutava di parlare eccessivamente con loro, e loro non sembravano farci caso, facendo finta di niente e trattandola come l’avevano sempre trattata.
Soprattutto Hikari che, dopo aver scoperto che il corrispettivo di Luce in giapponese era, per l’appunto, Hikari, si sentiva legata alla ragazza più che mai. Certo, una ragione alquanto stupida, però vedeva in Luce una bambina arrabbiata col mondo in cerca di conforto, che lei non poteva che donarle. Una sorta di sorellina minore, ecco.
Akira, invece, era gelosa marcia.
Secondo lei, il suo angioletto passava troppo tempo con quella nanetta malefica -che, oltretutto, disprezzava la sua cucina- e aveva paura che potesse rimanerne contagiata.
Megumi, strano ma vero, aveva cominciato a parlare.
Si, rimuginando sulle parole della castana, era arrivata alla conclusione che non avesse tutti i torti, quindi aveva deciso di rischiare, seppur in modo contenuto.
Jun e Ryu si limitavano a guardare diffidenti la ragazza, ancora offesi per il comportamento tenuto mesi prima con la piccola Yamamoto, mentre Tadashi la stuzzicava sempre e gratuitamente.
Takishima, invece, non riusciva a darsi pace.
Quel nome, Fukamori, non gli era assolutamente nuovo, e infatti aveva deciso di indagare. Solo che si era dimenticato della fidanzata: questa, scoprendolo, gli aveva fatto promettere che non avrebbe mai e poi mai cercato macchie nere nella famiglia di Luce, e... una promessa fatta ad Hikari, andava mantenuta.
Durante quei mesi, oltretutto, avevano dovuto lavorare insieme al gruppo del comitato disciplinare per il Festival Culturale che si sarebbe tenuto alla loro scuola... inutile dire quanto fu stressante per il povero Kei.
A Luce era stato dato il compito di dipingere un murales -o meglio, un dipinto su tela, grande almeno quanto la parete di una classe- che sarebbe stato mostrato a tutti, e lei aveva accettato con occhi scintillanti.
Erano mesi che i ragazzi non avevano più visto il suo sorriso, e in quel momento, aveva illuminato tutta la serra con il bianco dei suoi denti.
Due giorni. In due giorni aveva racchiuso la visione che aveva di sua madre, dando vita ad un dipinto astratto -a detta sua- quasi alla pari di Kandinskij. Gli aveva dato un nome italiano, Pazzia, firmandosi, sempre in italiano, con Solcatrice di Luce.
Perché il suo nome d’artista doveva essere proprio quello? Semplice: se si andavano a tradurre il suo nome giapponese in italiano, veniva fuori il verbo “librarsi” o”veleggiare”, a seconda dei casi. In questo caso, decise di prendere il verbo veleggiare, ovvero solcare le onde. Eccolo, quindi: Solcatrice di Luce.
Ma lei, da povera italiana ignorante quale era, non sapeva che in Giappone, al termine di ogni Festival Culturale, ogni cosa stata costruita per l’occasione veniva utilizzata per accendere un falò appena fuori dalla scuola, intorno al quale, i ragazzi, ballavano e ridevano felici.
Guardò quello spettacolo con le lacrime agli occhi.
In quell’occasione, ebbe anche l’onore di fare la conoscenza dell’esuberante Sakura e dell’affascinante Yahiro. Rispettivamente Ushikubo e Saiga.
Altri cognomi fin troppo noti alle orecchie di Fukamori.
Grazie però a quel giorno, era venuta a conoscenza di tutti i fatti che avevano caratterizzato le vite di quei ragazzi.
E ci capiva sempre meno.
Ai suoi occhi, non erano altro che idioti.
Intanto, però, gli idioti in questione si davano da fare nello studio, al contrario di lei.
Forse, dire che non studiasse era esagerato, ma da quel test di pochi mesi prima, la sua media aveva iniziato a calare, fino a farla arrivare ottava in classifica, e facendo, inevitabilmente, calare il rendimento della classe.
Fu per quello che, prima che iniziassero le lezioni, la preside la chiamò nel suo ufficio.
-“Sei consapevole dei tuoi risultati, vero?”- chiese la signora Sumire, rigirandosi una freccetta tra le mani.
-“Si, signora.”- rispose diligentemente l’italiana, sedutasi di fronte.
-“Sei consapevole che non potrai più far parte della Special A, vero?”- chiese ancora la donna, prendendo la mira verso l’obiettivo.
La ragazza annuì, sussurrando un flebile -“Si, signora.”-
-“Meglio così, mi rendi le cose più facili.”- sussurrò la donna, lanciando con una precisione glaciale la freccetta, centrando l’obiettivo.
 -“Sono costretta ad avvisare tuo fratello, però.”-
La ragazza scattò in piedi, guardandola implorante -“No, la prego signora preside, non lo faccia!”-
Lei non voleva stare nella classe speciale, ma non voleva nemmeno deludere suo fratello!
Alla fine, nonostante fosse uno stupido playboy, rimaneva il suo fratellone, non poteva non volergli bene.
-“Devo farlo, sei ancora minorenne.”- disse inflessibile la donna, cacciando dal cassetto della scrivania un’altra freccetta.
Luce dovette arrendersi al suo destino.
-“Questo sarà il tuo ultimo giorno come studentessa della S∙A. Goditelo.”-
Così, Luce si avviò per l’ultima volta verso la sua classe.
 
**
 
Quella mattina avevano fatto una lezione interessante.
La prima vera lezione interessante da quando la ragazza aveva messo piede in quella scuola.
Arte europea: la sua specialità.
E questo solo grazie al supplente che avrebbe dovuto sostituire il prof. Kiyokawa, di scienze.
Era ora in compagnia degli altri compagni di classe e, come di consueto, si stavano dirigendo verso la serra per la pausa pranzo.
Fin quando non fu costretta a fermarsi.
L’inno di Mameli di diffuse nell’aria, costringendo la ragazza a dare uno sguardo al cellulare.
Cesare.
Ma che...?! Ma che razza di fuso orario c’era tra l’Italia e il Giappone?
Ah, probabilmente la preside aveva lasciato un messaggio in segreteria al fratello, e lui, grazie ai suoi uomini, era venuto a saperlo immediatamente... nonostante in patria non fosse nemmeno mattina.
Supposizioni.
Ad ogni modo, decise di rispondere.
-“Che vuoi?”- chiese, infastidita, facendo incuriosire gli altri ragazzi.
-“Che voglio?”- chiese il fratello, la voce che sfiorava l’isterico -“Che voglio, mi chiedi?! Sei riuscita a farti degradare al livello più basso di tutti! Sei intelligente, le sai le cose, com’è potuto succedere? Sono davvero così bravi i giapponesi!?”-
-“Non ci sto capendo un accidente, dannazione a te!”- rispose la sorella, facendo cenno agli altri di farsi gli affari propri e di andare avanti.
La conversazione, che durò altri dieci minuti buoni, andò avanti tra imprecazioni e urla, da parte di entrambi.
Nel frattempo si era avvicinata alla serra e, sospirando appena, chiuse la telefonata.
Quel maledetto pretendeva che lei studiasse e rientrasse a far parte della S∙A... oh no, non l’avrebbe fatto!
Stava per entrare, quando il cellulare squillò nuovamente.
Rispose, già pronta a riprendere la discussione con il fratello, finché non si accorse che, chi stava dall’altra parte dell’apparecchio, non parlava italiano, bensì giapponese.
Quando poi quella persona si presentò come il medico di sua madre, si fece attenta.
Quello che sentì, fu in grado di pietrificata.
Il braccio che reggeva il cellulare, cadde lungo il fianco. Le labbra erano rimaste leggermente socchiuse e, gli occhi scuri, diventarono vitrei.
Non riusciva a spiegarsi il motivo di tale reazione.
Un capitolo della sua vita, si era chiuso... e allora? Dopotutto aveva sempre odiato sua madre, non c’era motivo per...
Piangere?
Stava piangendo?
Sentiva le guancie umide, ma non era certa.
Era la solitudine a spaventarla.
Era sola.
Non poteva contare su suo padre, non poteva contare su suo fratello... e sua madre era morta.
Proprio quella mattina.
Un attacco di panico che si era trasformato in infarto.
Chi altro le rimaneva?
D’un tratto, la sua mente fu occupata da sette visi: la Special A.
Non era sola, quindi.
Li aveva trattati malissimo, per tutto quel tempo... l’avrebbero accolta a braccia aperte?
Qualcosa le fece credere che si, l’avrebbero fatto.
Così, mosse il suo primo passo all’interno della serra.
Poi un altro, poi un altro ancora... fino a raggiungerli.
Hikari fu la prima ad accorgersi di lei. Hikari fu la prima ad accorgersi delle sue lacrime.
-“Shou! Che... che succede?”- chiese la ragazza, avvicinandosi un poco.
Ma tutta la sicurezza dell’italiana scemò non appena incontrò lo sguardo di Takishima.
Era diverso, era dannatamente diverso.
Lui lo sapeva, aveva scoperto tutto riguardo suo padre.
Se lo sentiva.
Ora aveva paura.
Indietreggiò leggermente, continuando a guardare Kei dritto negli occhi.
-“Shou, cosa è successo?”- le chiese amorevolmente Hikari, sorridendo dolcemente.
-“C’è... c’è che...”-
Come poteva rivelar loro che sua madre era morta? Come poteva spiegargli che sua madre stava in ospedale, ricoverata alla massima urgenza, a causa della schizofrenia? Come poteva spiegargli tutto quello che portò sua madre a quel punto?
Disse la prima cosa che le passò per la testa.
E se ne pentì immediatamente.
-“C’è che siete dei veri idioti!”-urlò, stringendo gli occhi dallo sforzo compiuto -“Idioti!”-
-“Perché dici questo?”- le chiese Hikari, raggiungendola e accarezzandole un braccio con fare materno.
Mai, come in quel momento, sembrò più una bambina.
-“Tu!”- esclamò, indicando ossessivamente la ragazza di fronte a sé, prendendo le distanze -“Perché lo fai, eh? Perché sei così competitiva?”- chiese, sinceramente perplessa, ma poi indurì lo sguardo, rispondendo al suo posto con fare sicuro -“Ammettilo che lo fai solo per umiliare noi comuni mortali, che lo fai solo per sentirti superiore agli altri. Ammettilo!”-
Sapeva di non doverlo fare, sapeva che doveva fermarsi ora che era ancora in tempo... ma non lo fece.
Per troppo tempo era rimasta in silenzio, cercando di non far scorgere a nessuno la propria tristezza, un po’ per non far preoccupare suo fratello, un po’ per orgoglio personale, ma ora aveva trovato un modo per sfogarsi. A spese degli altri, però.
-“Sta’ zitta.”- Takishima posò il suo sguardo freddo e truce sulla figura di Luce, frapponendosi tra lei stessa e la sua ragazza.
-“Takishima... tu si che ti credi un dio. È per lui che lo fai, Hanazono? Per essere alla sua altezza?”-
Quella volta era diverso, lo capirono tutti.
Solitamente, le scenate della Fukamori venivano prese come scherzi o critiche costruttive, ma quella volta... quella volta lei parlava per ferire.
Parlava per distruggere.
-“Senti un po’ tu...”- si avvicinò Akira, pronta ad usare le maniere forti alla sua prossima offesa, ma seriamente preoccupata per il comportamento della compagna di classe.
-“Che c’è?”- chiese Luce, l’accenno di un sorriso malefico in volto -“Vuoi attaccarmi?! Fa pure, non contrattaccherò, lo giuro.”-
Akira la fissò, interdetta, non capendo neanche spremendosi le meningi.
Voleva farsi picchiare? Perché?
-“Avanti, dai prova per l’ennesima volta del tuo lato selvaggio e manesco. Mostra a Karino, per l’ennesima volta, il tuo lato sanguinario.”- una leggera risata -“Secondo me, l’unico motivo per cui state insieme, è perché tu lo minacci!”-
Un pugno la colpì alla guancia, spedendola a terra.
Akira era già pronta a saltarle addosso, ma fu prontamente fermata da Tadashi, che la strinse in una presa che le impedì il movimento.
-“Karino... il figlio della preside incredibilmente infantile... sai, in realtà non ho nulla contro di te.”-
Luce si rialzò sulle sue gambe, pulendosi un fiotto di sangue che le scendeva dal labbro spaccato.
Quella si voltò verso i due gemelli, che si nascondevano dietro la schiena di Ryu.
-“Ma guarda un po’ chi c’è qui... i due membri più inutili della S∙A. Siete patetici.”- disse, con il sorriso sulle labbra, rivolgendosi poi al ragazzo davanti a loro -“Perché li proteggi, Tsuji? Tu non ci sarai per sempre, e loro sono grandi. Dovrebbero imparare a stare al mondo.”-
-“Tu non sai niente di niente, sta’ zitta!”- esclamò Ryu, adirato, le mani che prudevano dalla rabbia.
-“Quello che so è che i loro genitori sono spesso in viaggio, che non hanno tempo per loro. Praticamente quello che ho passato io... con l’unica differenza, che la mia situazione è, tuttora, ben peggiore.”-
Non sorrideva più, Luce. Il suo sguardo si era fatto nuovamente vitreo, e l’espressione vuota.
-“Ma non sono qui per parlare della mia situazione famigliare.”- continuò, abbassando lo sguardo -“Tsuji. Sei settimo in classifica, eppure, se solo lo volessi, potresti arrivare con niente al secondo posto, e gareggiare con Takishima. Tu non studi per pensare a loro. Loro, invece, pensano solo al loro bene.”-
I gemelli strinsero forte i pugni.
Non era vero.
Loro volevano bene al loro fratellone, volevano solo il meglio per lui.
Nessuno capì il motivo di quello sfogo.
-“Ad ogni modo, dubito ci vedremo ancora. Questo era il mio ultimo giorno nella Special A.”-
Tutto si stava facendo parecchio sospetto.
Eppure, le sue parole ebbero un effetto congelante sui ragazzi.
-“Addio.”-
___________________________________________________________
 
Angolo dell’Autrice:
 
Aaaaallora! La volta scorsa andavo di fretta, quindi ve lo chiedo ora, anche se con un po’ di ritardo: Com’è andata a scuola? Oh beh, non per vantarmi, ma noi abbiamo già fatto due verifiche la settimana scorsa e una questa mattina... si, i nostri professori ci tengono alla nostra media scolastica (e se ne fregano altamente dello stress psicologico che ci provocano... u.u)!
 
Ma passiamo al capitolo! Piccolo appunto: la traduzione di “Shou”, l’ho trovata su un sito, ma non sono sicurissima a riguardo... però la prendo per buona! xD
Povera piccola Luce... tutte a lei! Però non trovate abbia esagerato a prendersela così con i suoi amici? Ora si che rimarrà davvero da sola (ne parlo come se non l’avessi scritto io -.-)! E giusto perché altrimenti sarebbe stata troppo felice, la facciamo litigare con il fratello, e la espelliamo dalla S∙A! Seems legit.
 
Or dunque vi saluto, oh voi lettori che siete arrivati fino a qui, e che la piaga dei compiti e dei professori non sia mai d’ostacolo ai vostri gloriosi sogni!  
Uhm... Ook.

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Capitolo 7
*** Neve ***


Capitolo sette:
Neve.
 
 
 
 
Ah! Gennaio, finalmente!
Al momento, i ragazzi della S∙A, si trovavano in mezzo al mare del Giappone, a bordo di una favolosa crociera sotto invito della famiglia Todo.
A capodanno, in Giappone, era tradizione andare a pregare al tempio per un nuovo anno pieno di fortuna, ma per quella volta, avevano deciso di uscire dagli schemi e lasciarsi andare ad una vacanza di relax.
Anche la dolce Ushikubo e il misterioso Yahiro erano stati gentilmente invitati da Akira -o meglio, si erano nascosti nella stiva della nave in quanto gli era stato categoricamente vietato l’accesso dalla suddetta, in quanto la vacanza era solo per i membri della Special A, oltre che a spese sue.
Le coppiette si trovavano tutte sullo Skydeck, e com’era tradizione in ogni parte del mondo, si stavano scambiando dolci effusioni d’amore: Tadashi, per aver sfiorato con le labbra la guancia della fidanzata davanti al padre, si trovava a massaggiarsi la cinquina pulsante sulla sua guancia destra; Yahiro, volendo prendere di sorpresa la dolce Megumi, decise di abbracciarla da dietro, ma l’effetto fu che, dallo spavento, la ragazza si lasciò scappare un timido urletto che, data la vicinanza, riuscì a tramortire il povero Saiga; Kei e Hikari si stavano ancora sfidando in una lotta che Takishima non aveva alcuna intenzione di perdere, in quanto, il premio, era una dichiarazione estremamente romantica e sdolcinata; Sakura, stava ancora cercando il timido Jun in mezzo al buffet che era stato sistemato per chi, eventualmente, avesse voluto fare il classico spuntino della mezzanotte.
Ryu... beh, Ryu, in quella vacanza, aveva fatto la conoscenza di una simpatica ragazza, Kitazaki Airi, tipica ragazza giapponese, estremamente timida e molto maldestra. Era carina, ma soprattutto era talmente alta, da raggiungerlo quasi. E poi era carina. La sua voce era dolce, e spesso balbettava. E poi era carina. Non riusciva a mentire, e stava simpatica praticamente a tutta la Special A. E poi, era veramente tanto carina.
Era una tra le più belle ragazze che avesse mai visto in vita sua.
Ryu poteva essere il più saggio, composto, dolce e onesto tra quella banda di amici, ma rimaneva pur sempre un maschio. Come poteva non provarci?
Ebbene, quella sera, era in sua compagnia.
Eppure, nonostante la dolce compagnia di quella ragazza tanto alta e bella, non riusciva a non pensare a quella ragazzina bassina e scorbutica, sempre pronta a litigare.
Dopo quasi un mese da quella scenata, lei non si era più fatta vedere, né loro l’avevano cercata.
Insomma, avevano provato a farla diventare parte del gruppo, più e più volte, ma lei si era sempre rifiutata di collaborare.
Perché, dunque, tentare ancora?
Non ne valeva la pena.
Però... come poteva dimenticare il rossore che le colorava le guancie quando lui le rivolgeva la parola?
Poi, il sorriso...
Era raro che lei sorridesse, ma quando lo faceva, era in grado di illuminare l’ambiente più del sole stesso.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma forse, e dico forse, quella ragazzina era riuscita ad aggrapparsi al suo cuore, senza nemmeno che lui se ne accorgesse.
Non sapeva quanto si sbagliava.
 
**
 
Nel frattempo, in un piccolo appartamentino di periferia, una ragazzina dagli occhi scuri e spenti, se ne stava seduta a terra, davanti ad una parete bianca, guardandola con espressione vuota.
Nella sua umile dimora, teneva solo lo stretto necessario: un futon, un frigorifero, un freezer, una dispensa piena di cibo precotto e, infine, dei fornelli più o meno funzionanti. Per il bagno, era costretta ad usare quello sul tetto, in quanto il suo, era inutilizzabile. Non volle conoscerne la causa.
Mancava sia l’aria condizionata, che il riscaldamento, ma non era mai stata un tipo particolarmente freddoloso o caloroso... semplicemente resisteva. Senza poi contare, che quello stato quasi catatonico in cui si ritrovava, non le permetteva di sentire niente.
Si portò alla bocca un pezzo di cioccolato al latte, affondato all’interno di una vaschetta di gelato alla fragola, guarnito infine con della panna montata.
Che depressione.
Da quando sua madre era morta, e non frequentava più la S∙A, non aveva più parlato con nessuno.
Anzi, diciamo che non era più uscita di casa.
Non aveva più sentito il fratello da quel giorno, nonostante le chiamate continue, non avvisandolo nemmeno della morte della madre; era mancata al funerale della suddetta; non c’era giorno in cui era andata a scuola; di parlare con i vicini, neanche per idea, in quanto i suoi sospetti che fossero membri della Yakuza, si erano rivelati fondati.
Inoltre puzzava, e anche tanto.
Non aveva nemmeno la forza per lavarsi.
Quando non dormiva, mangiava. Quando non mangiava, dormiva. E, ogni qualvolta mangiava, lo faceva di fronte a quella parete bianca, sperando in una possibile ispirazione che la portasse a colorarla.
Ma, i suoi occhi, esprimevano solo il vuoto presente nella sua mente.
Era tutto sbagliato, estremamente sbagliato!
E quello che, più di tutto, la infastidiva, era che la colpa era solo e solamente sua.
Quei ragazzi non volevano far altro che aiutarla, e lei li aveva malamente respinti, unicamente per paura.
Credeva che Takishima sapesse tutto, ma non ne era certa. Aveva basato la sua paura su delle semplici supposizioni.
Il fatto era che era certa che Kei l’avesse paragonata a suo padre, come molti altri prima di lui... e la cosa l’avrebbe infastidita non poco.
Ma se avesse scoperto di suo padre, avrebbe scoperto anche quella “faccenda” riguardo suo fratello! E una cosa del genere, non poteva certo permetterla.
L’avrebbe poi raccontato ai compagni di classe, e tutti l’avrebbero respinta, l’avrebbero additata come null’altro che rifiuto della società.
Lei non lo voleva, non un’altra volta.
Ma si sentiva talmente in colpa nei loro confronti... li aveva offesi e feriti, con quelle parole.
Parole che si era creata sul momento, trasformando i suoi reali pensieri in qualcosa di cattivo e pungente.
Era stata ingiusta, si.
E, ancora una volta, rivide suo padre in lei.
Anche lui era stato molto ingiusto.
Ma... lei non era suo padre. Lei era ancora in tempo!
Se si fosse scusata, tutto sarebbe tornato alla normalità, e lei sarebbe di nuovo tornata Luce Shou Fukamori!
Ed eccola: l’ispirazione!
Svelta, si alzò da quella che era diventata la sua postazione da quasi un mese, lasciando cadere il gelato e la cioccolata a terra e facendo rotolare la panna montata.
Lo vedeva, il disegno. Era lì, proprio davanti ai suoi occhi!
Verde, aveva bisogno della tempera verde!
Corse a tondo per quello che, alla fine, non era nient’altro che uno stanzino, trovando finalmente le tempere in un angolino della casa. La vista fin troppo offuscata anche per vedere dove stava andando.
Tornò davanti alla parete, gettando gran parte del colore sul muro bianco, macchiandolo di verde.
Ma poi pensò che no! Loro dovevano vederlo, non poteva farlo a casa!
Così, nemmeno seppe come ci riuscì, prese un sacchetto di plastica, nel quale ci furono gettate dentro almeno otto tipi di diverso colore di tempere -tra cui molto verde- dei paletti di legno che sarebbero serviti come supporto al dipinto e un foglio da disegno tutto arrotolato, ma grande almeno quanto quella stessa parete.
Non le importava che fosse appena passata la mezzanotte, che indossasse un pigiama costituito da pantaloncini grigi e canottiera, che puzzasse peggio di un topo di fogna, che avrebbe potuto ricevere un rifiuto... doveva farlo, e nemmeno la signora Karino l’avrebbe fermata.
Così, con la borsa in spalla, uscì dall’appartamento, ignorando l’uomo che, appena accanto al suo, usciva con due uomini a seguito che reggevano un grosso tappeto arrotolato, dalla forma parecchio sospetta.
-“Ehi, ragazzina, che hai lì dentro?”- chiese uno dei due, con fare rozzo, indicando il saccone di grandezza biblica.
Lei nemmeno si fermò, ribattendo con un -“E voi che tenete in quel tappeto?”-
I tre non parlarono ulteriormente, guardando la ragazzina scendere le scale con quell’enorme sacco di plastica in spalla. Dal tredicesimo piano. Ascensore non funzionante, purtroppo.
Ma la ragazzina non era scoraggiata, anzi! La sua determinazione era talmente forte da formare un’aura dorata attorno al suo corpo, e questo bastava a far scappare via chiunque incontrasse.
In realtà, era l’odore a farlo, ma lasciamole vivere l’illusione.
Solitamente utilizzava l’autobus per muoversi nella città, ma quella notte non poteva assolutamente lasciarsi il lusso di attendere.
Così lei, per quanto le risultasse difficile, correva. Correva a più non posso. Nonostante il freddo pungente e il vento che la spingeva indietro, lei correva.
Solo quando qualcosa di estremamente piccolo e gelido le si posò sul naso, ebbe il buonsenso di fermarsi.
Sentì nuovamente quella sensazione sul resto della pelle nuda, e poi vide con i suoi occhi quella sostanza piccola, bianca e fredda, posarsi sul marciapiede sul quale stava camminando.
Beh, non che fosse così raro che nevicasse a gennaio.
Ciò che la preoccupava maggiormente era che non aveva minimamente pensato a coprirsi prima di uscire di casa, tant’è che era perfino scalza.
Ma tale preoccupazione le lasciò subito la mente libera, perché lei voleva, doveva arrivare alla serra, doveva cominciare il dipinto e doveva terminarlo prima che iniziasse nuovamente la scuola. Solo allora avrebbe avuto tempo di pensare.
Ma prima di raggiungere la serra, sarebbe dovuta andare al tempio della città.
Non che credesse nelle sciocche tradizioni giapponesi -non sia mai!- ma doveva a tutti i costi parlare con la preside Karino, e di andare a disturbarla a casa, neanche per idea.
Raggiunse la piazza più famosa della città, celebre per le mostre d’arte che si solevano fare al suo interno. Sentì la fortuna dalla sua parte notando che avevano dato proprio una mostra qualche giorno prima, e che le opere sarebbero rimaste per ancora una settimana: davanti a lei stava una torretta più alta di lei di mezzo metro, costituita interamente di orologi. Ne adocchiò uno, nel quale più di tutti era visibile l’orario, e decise di prenderlo per buono: le 4.50 a.m.
Ci aveva messo davvero così tanto ad arrivare fin lì? O forse, era a decidersi di uscire di casa, che ci aveva messo tanto...
Ad ogni modo, a quell’ora, al tempio non ci sarebbe stato ancora nessuno, quindi tanto valeva raggiungere la serra.
In mezzo al buio, ci mise circa un’ora e mezza per arrivare all’istituto, e di certo, quella sottospecie di corsa stentata sulla neve scivolosa, non l’aveva aiutata.
Come se niente fosse, gettò il saccone dalle bibliche dimensioni oltre il cancello chiuso, scavalcandolo poi lei stessa.
Si ritrovò davanti alla serra, chiusa con un lucchetto.
Dannazione! Non aveva proprio considerato che la serra potesse essere chiusa!
Così ora si trovava, stremata, sotto la neve, al freddo, senza nemmeno un posto coperto dove poggiare le sue cose.
Ma certo! Hikari le aveva parlato di un magazzino dove tenevano le scope e altri materiali, nel giardino, perennemente aperto.
Così partì alla sua ricerca, e, non appena lo trovò, ci si fiondò dentro, strofinandosi le mani sulle braccia come per cercare un po’ di calore.
Ma non aveva tempo!
Restò in quel capannino per nemmeno seppe lei quanto, tempo che utilizzò per sistemare il grande foglio sui supporti di legno che, ringraziò dio, non si erano rotti.
Quando uscì, il sole brillava già nel cielo.
Dovevano essere circa le 8 del mattino, presuppose.
Lasciò tutte le cose nel magazzino, correndo a piedi nudi sulla neve.
Non seppe mai come ci riuscì, ma scavalcò il cancello in corsa, senza fermarsi... peccato la sua rovinosa caduta a terra.
Diamine! Ora non solo era infreddolita, ma era pure fradicia!
Ma cosa le importava?
Corse, corse, corse e ancora corse, finché non si trovò al cospetto della grande scalinata che portava al tempio in stile shintoista della città.
Insomma... di scalinata non se ne vedeva poi molta, dato che era interamente occupata da una marea di persone.
In quel momento fu colta dal panico: come diavolo avrebbe fatto a trovare la preside Karino lì in mezzo?!
No, non doveva preoccuparsi così!
Sarebbe salita fino in cima, e poi l’avrebbe sicuramente vista! Insomma, Sumire era una donna inconfondibile!
Sgomitando e calciando quei poveri giapponesi che altro non volevano che pregare per un anno pieno di fortuna, riuscì ad arrivare in cima. E non ci mise poco.
Guardò verso il basso, cercando la faccia familiare della preside, ma niente.
Sarebbe stato come trovare un ago nel pagliaio, decisamente.
Si voltò quindi verso il tempio, anch’esso gremito di gente.
Aveva bisogno di uno stratagemma, ad ogni costo!
Il suo sguardo ricadde sul torii rosso che fungeva come portale al santuario.
Un’idea le passò per la testa e, per quanto stupida, decise di tentare.
Con un piccolo balzo, strinse le gambe attorno all’hashira, aggrappandocisi anche saldamente con le braccia. Con molta, estrema, fatica, prese ad arrampicarsi per tutta la colonna, arrivando fino al nuki, ovvero la trave, appena sotto al kasagi e allo shimaki, che collega le due colonne. Fu solo quando riuscì a raggiungere la trave posta sulla cima, che riuscì a prendere un sospiro di sollievo.
Ma, di certo, non passò inosservata.
In molti alzarono il capo, iniziando a mormorare sottovoce, finché qualcuno non iniziò ad urlare frasi che fecero quasi cadere la povera Luce dalla costruzione.
-“Ehi, ragazzina, non vorrai mica buttarti!”- disse uno, in mezzo alla folla.
-“Santissimi Kami! Non muoverti da lì e non fare niente di azzardato!”- urlò ancora, una donna.
-“Qualunque cosa ti sia successo, si può risolvere!”-
Va bene che il torii, si trovava proprio all’inizio della scalinata -e quindi, se fosse caduta, si sarebbe anche rotta l’osso del collo- ma non voleva di certo ammazzarsi!
No, no! Non era così che voleva attirare l’attenzione!
-“Tu, ragazzina blasfema!”- gracchiò un monaco, appena uscito dal tempietto, attirato dalle urla delle persone -“Come osi profanare così la casa di Buddha?!”-
Luce alzò gli occhi al cielo, infastidita.
-“Ascoltate!”- esclamò, cercando di farsi sentire in mezzo a quelle voci -“Non voglio suicidarmi, sto solo...”- ma fu interrotta dalla voce di una donna isterica -“Qualcuno chiami i vigili del fuoco, l’ambulanza, la polizia!”-
-“Ehi! Ma volete ascoltarmi?!”- proruppe l’italiana, non riuscendo comunque a farsi sentire.
-“Poverina... avrà si e no dieci anni, cosa le sarà mai successo?”- un sussurro che arrivò potente alle orecchie della ragazza.
-“Silenzio!”- non fu tanto l’urlo a zittirli, quanto più le tempie pulsanti, le guancie rosse, le narici allargate e la furia negli occhi -“Sto cercando la signora Sumire Karino!”- ora che c’era silenzio, non c’era più bisogno di urlare -“La prego, ho bisogno di lei!”-
Ma non vi fu risposta.
Sconfitta, abbassò lo sguardo.
Quindi aveva fatto la figura della suicida per niente!
Nello stesso modo in cui era salita, scese, sotto lo sguardo perplesso degli spettatori.
E quindi... se ne sarebbe tornata a casa.
Passo per passo, arrivò in fondo alla scalinata, guardando la neve sotto i suoi piedi.
Per lo meno, aveva smesso di nevicare.
Stava per svoltare verso destra, ma una voce la fermò.
-“Fukamori?”-
Si voltò, incontrando lo sguardo di ghiaccio della preside.
-“Che ci fai qui, in queste condizioni?”-
Luce rimase a bocca aperta. Non riusciva a crederci... ce l’aveva fatta!
Solo dopo due minuti buoni si degnò di rispondere, e andò dritta al punto.
-“Preside, ho due favori da chiederle.”-
La donna la esortò a continuare, e allora, preso un bel respiro e raccolto il suo coraggio, parlò.
 
**
 
Il 4 gennaio, per i giapponesi, significava solo una cosa: ritorno a scuola.
E ciò valeva per tutti, dall’ultimo della classe, a quelli della Special A.
Erano tornati appena la sera prima e, nonostante fosse stata una vacanza dedicata al puro relax -o almeno, era presupposto- i nostri beniamini erano stremati.
Tadashi, soprattutto: con tutti i colpi presi da Akira, avrebbe dovuto riposare per almeno altre due settimane... in ospedale.
Hikari, come sempre, si stava dirigendo a scuola al massimo della velocità, sperando di arrivare prima.
Alla fine, la fantomatica sfida della sera dell’ultimo dell’anno, l’aveva vinta Takishima, e a lei era toccato fare una dichiarazione al massimo della sdolcinatezza -e per questo, aveva preso in parte spunto dalle avances che Cesare aveva fatto alla professoressa- risultando ridicola in tutto e per tutto. Così, per ripicca, aveva lanciato una nuova sfida a Kei, che si era poi estesa a tutta la classe: il primo della S∙A che si sarebbe seduto al proprio posto attorno tavolino dove erano soliti riunirsi, avrebbe deciso dove andare in vacanza quell’estate.
Già, la scuola ricominciava, e loro erano già a pensare a quando sarebbe finita nuovamente.
Ma ecco l’istituto!
Superò i cancelli a tutta velocità, tanto che gli altri studenti neanche si accorsero di lei.
Oh, quella volta gli avrebbe fatto mangiare la polvere, a Takishima!
Imbucò il sentiero, e, in lontananza, la vide.
La serra, in tutto il suo splendore, si stagliava in mezzo agli alberi innevati, accogliendo la calda luce del sole che, presto, avrebbe reso l’ambiente più accogliente.
Ecco, stava entrando!
Poteva farcela, si! Se lo sentiva!
Ma qualcosa la fermò.
Quello che Hikari riconobbe come Takishima, la fece girare verso di sé, e, senza darle modo di parlare o, molto più probabile, urlare, le tappò la bocca a modo suo.
Un bacio leggero, a fior di labbra, bastò per bloccare la ragazza, farle desiderare di voler intensificare quel contatto, farla arrossire di vergogna per la sua fantasia galoppante, e, infine, allontanarlo da sé con un calcio allo stomaco, sfortunatamente per Hikari, parato dal ragazzo.
-“Che diamine fai?!”- urlò stridula, col volto in fiamme.
Ma Takishima le tappò la bocca nuovamente, questa volta con una mano.
Le fece cenno di stare in silenzio, e poi le indicò l’interno della serra: la ragazza vide qualcuno chino sul tavolino.
Non capendo, guardò interrogativa Takishima che, per risposta, le sussurrò di aspettare gli altri.
E finalmente, quando tutti furono fuori, decisero di entrare circospetti.
Avevano un piano: se mai fosse stato un malintenzionato, l’avrebbero cacciato a suon di legnate, ma se, eventualmente, questo si fosse rivelato migliore di loro, ci avrebbe pensato Megumi con la sua voce.
Ma quando furono al suo cospetto, tutti inarcarono le sopracciglia, dubbiosi.
Seduta sulla sedia di Takishima, con la testa nascosta tra le braccia, a loro volta poggiate sul tavolo, stava una ragazzina tutta tremante, dalla pelle cerea e i capelli marrone scuro, tutti ingarbugliati. Indossava dei corti pantaloncini grigi e una canottiera, dall’idea molto leggera per quel periodo dell’anno.
Tadashi si era avvicinato, deciso a svegliarla, ma Akira lo fermò, prendendolo per un braccio e indicandogli con un cenno del capo Ryu e i gemelli che, a sinistra del tavolo, guardavano curiosi un telone che sembrava coprire qualcosa di grande e rettangolare.
Ryu stava già per togliere il velo, ma Megumi lo fermò appena in tempo, raccogliendo da terra un foglietto con su scritto, in italiano “Prima svegliatemi” in modo disordinato e quasi incomprensibile.
Capirono quindi che, la misteriosa ragazzina, non era altri che Luce.
Le sue parole erano marchiate a fuoco nelle loro menti, ma ciò che ora premeva di più sapere, era il motivo della sua presenza.
Fu Hikari a svegliarla.
Ma quando la ragazzina alzò il viso, arretrarono timorosi.
Quello che avevano davanti era un mostro!
La pelle era insolitamente bianca, eccezione fatta per le gote arrossate, e su di essa risaltavano le labbra e le occhiaie viola. Gli occhi erano lucidi e rossi, come se fosse da molto che non dormiva.
Si guardò intorno, leggermente perplessa, squadrando poi i membri della S∙A.
-“Oh... gli squinternati della luce... sono qui...”- disse sovrappensiero, in italiano.
I ragazzi si guardarono l’un l’altro, non capendo.
-“Uhm... Shou... potresti parlare in giapponese?”- chiese timidamente Jun, ricevendo in risposta un cenno del capo da parte della ragazza, che doveva essere una sorta di assenso.
-“...Jurfeo? Che... ci fai qui?”- chiese lei, ansimando, come se parlare le richiedesse sforzo.
Ora i ragazzi la guardavano allucinati.
-“Sirena Benedetta...”- continuò la ragazza, guardando in tralice la piccola Yamamoto -“Come... come fai ad avere... le gambe?”-
Oddio, era impazzita.
Hikari le si avvicinò, poggiandole delicatamente una mano sulla fronte.
-“Scotta tantissimo!”- esclamò la mora, cercando di scaldare le braccia di Luce strusciandoci contro le mani.
-“Amazzone delle Terre Nordiche!”- esclamò d’un tratto, Luce, non smettendo un attimo di tremare -“Vuoi forse uccidermi?”- chiese, sottraendosi al suo tocco -“Tu sei così grande e forte, mentre io... io sono così delicata...”- riprese ad ansimare, tremando maggiormente -“Non posso morire ora... devo prima rientrare nel Regno...”-
-“Hikari, forse è meglio se la portiamo in infermeria.”- propose Akira, guardando preoccupata l’italiana.
Ma quella, al sentirla parlare, fece un balzo, cadendo dalla sedia.
-“Mio Dio!”- esclamò in italiano, poi di nuovo in giapponese -“Kappakira è qui!”-
L’espressione di Akira si fece truce.
-“Che hai detto?!”-
-“Akira, sta’ calma...”- cercò di tranquillizzarla Tadashi, invano.
-“Perché non dai retta al leprecauno?”- chiese Luce, rifugiandosi, con passo tremolante, dietro la schiena di Takishima.
Vedendo che la ragazza non dava cenni di ripresa, l’italiana si vide costretta a chiedere aiuto al suo scudo.
-“Grande Mago di Samui, proteggimi da quel demone!”-
Akira stava per perdere le staffe, non reggeva più!
Ma bastò una parola di Hikari perché questa si sciogliesse ed iniziasse ad elogiare il suo angioletto, circondata da tanti piccoli cuori rosa.
Nel frattempo, Kei si era spostato, guardandola storto e lasciandola, inevitabilmente, scoperta.
-“Oh no...”- sospirò Luce -“Il Grande Mago sta facendo scendere il gelo sul Piccolo Popolo...”-
Si accasciò sulle ginocchia, le palpebre che minacciavano di chiudersi, il corpo che continuava imperterrito a tremare.
-“Venerabile Elfo del Fuoco, sciogli l’incantesimo!”- esclamò la ragazza, con enorme sforzo.
-“Sono arrabbiati con me, vogliono farmi fuori!”- continuò Luce, facendo passare gli occhi lucidi su ognuno di loro -“Almeno tu, Venerabile... Elfo del... Fuoco...”-
Andando per esclusione, il Venerabile Elfo del Fuoco non poteva essere altri che Ryu.
Ma, ad ogni modo, qual’era il motivo di quella messinscena?
Aveva la febbre, questo era sicuro, ma proprio non si capacitavano...
Loro non sapevano che, ogni qualvolta lei si ammalasse, succedeva spesso questo fatto: si svegliava e continuava a rivivere il sogno che era stata costretta ad interrompere svegliandosi.
E lei era sempre stata una tipa molto fantasiosa, sia per i quadri che per i sogni.
-“Scusate...”- mormorò lei, abbassando lo sguardo -“Non avrei dovuto ferirvi...”-
Immaginarono si riferisse al discorso tenuto ormai un mese prima.
-“Ma io so come farmi perdonare...”-
Sorrise.
Si alzò, continuando a tremare, dirigendosi verso l’oggetto misterioso.
Con un gesto rapido della mano, fece cadere a terra il telo, rivelando qualcosa di... meraviglioso.
Tutti, Takishima compreso, rimasero folgorati da quell’opera.
-“Piace?”- chiese Fukamori, sorridendo -“È la squinternata compagnia della luce.”-
Il dipinto non rappresentava niente di fantasy o chissà che... solo...
Loro.
La Special A al completo.
Come di consuetudine, si trovavano seduti attorno al tavolino, ma non li aveva ripresi in una bella posa, sorridenti mentre mangiavano, no... erano loro, al naturale.
Hikari era in piedi, che puntava un dito, minacciosa, contro Takishima... sembrava molto determinata, ma il suo sorriso donava alla figura un alone di gioco, era divertita. Perché, alla fine, gli screzi tra lei e Kei, non erano altro che giochi. E lui, con alla bocca una tazza di thè, la guardava sorridendo appena, con quel ghigno vittorioso e spavaldo degno solo di Kei Takishima.
 Tadashi, come al solito, si abbuffava di cibo, e Luce era riuscita a catturare la felicità che provava il ragazzo nel mangiare... e l’orgoglio. Si, perché Tadashi era orgoglioso della sua ragazza tanto agguerrita e brava a cucinare. Akira lo guardava, i pugni stretti in una morsa dolorosa, ma il volto rilassato. Non c’era falsità, in lei. Era soltanto un modo per far capire a chiunque vedesse quel quadro, quanto amasse quel ragazzo, ma allo stesso modo, voleva far capire il carattere della ragazza, forte e dominante.
I gemelli, dall’altra parte del tavolo, si stringevano a Ryu. Loro lo guardavano con occhi dolci, pieni di amore e gratitudine. Il ragazzo, con quel Pigliamosche Pettirosso, che la ragazza aveva ritratto mesi prima, che gli svolazzava intorno, li stringeva a sé, ricambiando i loro sguardi con affettuosità. Le sue braccia circondavano le loro spalle, e ciò trasmetteva protezione. Sorridevano tutti e tre, e si sentiva il calore.
E poi... il paesaggio.
Erano nella serra, si, ma era stata dipinta talmente bene che si sarebbe potuta facilmente confondere come una seconda entrata.
Le foglie, i giochi di luce... magnifico, non vi era altra parola adatta.
-“Come mai tu non ci sei?”- chiese Tadashi, con un fil di voce.
Quella si permise una piccola risata, perdonando il ragazzo per quella sciocca domanda.
-“Oh, Leprecauno, sei divertente, sai?”- fece lei, sorridendo come una bambina -“Coma avrei fatto a disegnarlo, altrimenti?”-
Dunque, quello era un suo ricordo.
Luce era immensamente felice e appagata. Lei, che solitamente tendeva a dimenticare le cose dopo pochi minuti, era riuscita a tirare fuori dalla sua mente... quello! E poi, le loro facce, valevano più di ogni altra cosa.
-“Notevole, davvero.”-
Gli otto ragazzi si voltarono verso la voce, trovando la preside della scuola, nonché madre di Tadashi.
Il ragazzo quasi si strozzò con la sua stessa saliva a ritrovarsela lì senza alcun preavviso.
-“Sovrana del Regno!”- esclamò Luce, spalancando gli occhi alla sua vista.
La donna non la guardò stranita, contrariamente agli altri, ma continuò a tenere gli occhi fissi sul quadro.
-“Con il tuo permesso...”- disse la donna, spostando lo sguardo su Luce -“...vorrei appendere il tuo dipinto all’interno dell’istituto, così che lo possano vedere tutti.”-
La ragazza sentì un capogiro, ma non per questo smise di sorridere.
-“Questo vuol dire che... non... non sono più esiliata dal vostro Reame, Sovrana?”-
La donna decise di stare al gioco, comprendendo il significato della frase.
-“Si.”-
Luce era al settimo cielo.
Aveva lavorato per quattro giorni di seguito a quel dipinto, notte compresa, senza mai fermarsi.
Ma, ora che era finito tutto, e che aveva raggiunto i suoi obiettivi... si sentiva strana.
Aveva caldo... ma sentiva i brividi che le facevano tremare tutto il corpo.
La testa vorticava pericolosamente e, inoltre, si sentiva pesante...
...tanto pesante...
Stanca... era stanca...
Aveva sonno... doveva dormire...
Decise di chiudere gli occhi, per riposarli un po’...
Solo per un momento.
___________________________________________________________
 
Angolo dell’Autrice:
 
Ook... tanto per cominciare, sappiate che questo è il capitolo più lungo della storia!
Come sempre, giusto per essere chiari, ho qualche cosina da specificare:
 
1.  Il calendario scolastico giapponese. Davvero, ci ho provato con tutta me stessa a capirlo, ma non ce l’ho fatta, ed è finita che ho fatto un casino! Insomma, in ogni sito che visitavo, mi davano informazioni diverse... quindi, se troverete qualche incongruenza  di questo tipo nella storia, non abbiatemene a male!
 
2.  Più o meno, hanno tutti dei motivi: Jurfeo, ovvero Jun, è l’unione tra, appunto, il nome Jun e Orfeo. Chi era Orfeo? Era colui che, con il dolce suono dei suoi strumenti, riusciva ad incantare gli animali più feroci; Megumi l’ho chiamata Sirena Benedetta in quanto, tempo fa, avevo visto su un sito che “Megumi” vuol dire benedizione, e perché... beh, il canto di Megumi potrebbe paragonarsi a quello di una sirena, no?; Amazzone delle Terre Nordiche... uhm... io Hikari la vedo un po’ come un’amazzone, voi no? Insomma, alta, capelli scuri, magra, forte, combattiva; Kappakira... potete immaginare u.u; Grande Mago di Samui, Kei, è stato piuttosto semplice. Un mago può fare ogni cosa lui desideri, no? Anche Takishima (perché, diciamocelo, Takishima può tutto). Samui è il corrispettivo giapponese di “freddo”. Si, io Kei lo vedo dolce solo con Hikari; Venerabile Elfo del Fuoco, Ryu. Si, lui è senz’altro un elfo... sempre immerso nella natura, pensa e comunica con gli animali...! Per il fuoco... avevo bisogno di un elemento che si contrapponesse con il gelo di Takishima; Luce, invece, l’ho fatta diventare parte del Piccolo Popolo, per via della statura; infine Tadashi, il leprecauno! Dai, volete dirmi che voi non ce lo vedete a ballare su una pentola piena di monete d’oro, tra quadrifogli ed arcobaleni?
 
Uuuuultimissima cosa, poi giuro che vi lascio in pace: se non capite qualcosa riguardo al torii (che sarebbe il portale al santuario) vi consiglio di cercarlo su Wiki... insomma, lo scriverei anche qua, ma non voglio allungare ulteriormente quello che dovrebbe essere l’angolino dell’autrice^^’
 
Ed ora, vi saluto, alla prossima settimana!!

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Capitolo 8
*** Sole ***


Capitolo otto:
Sole.
 
 
 
 
Alla fine, grazie a quel dipinto, non solo Luce si era fatta perdonare dai ragazzi, ma era anche riuscita a rientrare nella classe Speciale.
Perché quando, a capodanno, aveva chiesto alla preside due favori, non le aveva chiesto altro se non la chiave per aprire la serra e il permesso per fare nuovamente parte della S∙A... e quella aveva risposto si, solo a condizione che le fosse piaciuto il dipinto.
E le era piaciuto, tanto che l’aveva addirittura appeso su una parete del corridoio principale della scuola.
L’artista, comunque, se ne era dovuta stare per ben una settimana a casa per la febbre... ma andiamo per ordine: i ragazzi, vedendosela svenire sotto i propri occhi, la portarono in infermeria, dove rimase per tutta la giornata. Volendo portarla a casa, chiesero alla preside dove abitasse, e quella li mise al corrente della condizione della sua famiglia -ovvero, la madre deceduta, il fratello all’estero, e il padre chissà dove- e quei poveri ragazzi non poterono che rimanerci male... insomma, loro avevano sempre cercato di creare un legame con lei, eppure non si era aperta... poco male. Akira ebbe la splendida idea di ospitarla a casa sua, ma Luce, al sentir pronunciare “Villa Todo”, aveva iniziato ad urlare come una pazza, ancora in preda a quei sogni, dicendo di avere il brevetto per uccidere e che non avrebbe esitato a farlo. Allora Hikari propose Takishima, che non poté certo rifiutare... ma ci pensò l’italiana, questa volta parlando di una strana quanto inesistente fobia riguardante la lettera T. Alla fine, si era offerta la stessa Hikari.
Ah, non l’avesse mai fatto!
I ragazzi andavano da Hikari ormai ogni giorno, ma comunque l’italiana non faceva altro che dormire. Si svegliava poche volte... ma quando capitava, era il caos!
Avrebbero addirittura potuto scrivere un libro riguardo tutti i sogni della ragazza...
Fu parecchio stancante.
Ma, non appena Luce si sentì meglio e si accorse di essere in casa d’altri, se ne andò di tutta furia, tornandosene in quel piccolo appartamentino di periferia.
Una volta guarita, ad ogni modo, decise di tornare a scuola.
I suoi modi, con quelli della Special A, non erano affatto cambiati... forse era leggermente cresciuto l’imbarazzo, ma per il resto, cercava sempre di essere fredda ed imperturbabile... fallendo miseramente ed ingaggiando lotte all’ultimo sangue con quella che aveva amichevolmente soprannominato “Kappakira”.
Quella mattina decise di non andare direttamente alla serra, bensì di passare a vedere il suo dipinto: ah, quanto le piaceva!
Avrebbe tanto voluto mostrarlo al fratello, ma dopo la litigata del giorno prima, dubitava anche solo di sentirlo per messaggio.
Gli aveva detto della madre, e quello, com’era giusto che fosse, s’era infuriato come una belva.
Ma erano comunque fratelli... prima o poi, avrebbero chiarito.
Si voltò, facendo per andare alla serra, ma si scontrò con qualcuno.
Uno sconosciuto, alto circa quanto Takishima, dai capelli castano chiaro tendente al biondo, due occhi marroni e un’espressione divertita e maligna sul volto, la guardava con un certo interesse.
-“Tu devi essere la nuova entrata della S∙A, Fukamori.”-
-“Sei arrivato in ritardo, sono dentro già da un po’ di mesi.”- rispose lei, brusca, incrociando le braccia al petto.
Nonostante fosse più bassa di lui, e dovesse alzare il capo per incontrare i suoi occhi, riusciva a guardarlo con superiorità.
-“Io sono Nakamura...”-
Ma Luce bloccò la frase -“Nessuno te l’ha chiesto. Ora, lasciami passare.”-
Fece per andarsene, ma quello la fermò ancora, con una semplice risata.
-“Tutti uguali, voi della Special A!”-
Quella si voltò, indispettita, ma cambiò radicalmente espressione quando ricordò un certo particolare.
-“Nakamura? L’idiota che l’anno scorso ha perso contro... Tsuji?”-
Ora lei lo guardava con un ghigno vittorioso in volto, consapevole di averlo ferito nell’orgoglio.
Infatti, come da lei previsto, quello assottigliò lo sguardo, e le sue mani fremettero.
-“Che c’è...”- fece lei, rigirando il coltello nella piaga -“Brucia ancora, la sconfitta?”-
Lui le si avvicinò a grandi falcate, afferrandola in malo modo per il polso.
-“Prova a ripeterlo e...”-
-“Ma come siamo suscettibili!”- rise Luce, interrompendolo nuovamente -“Dimmi cosa vuoi da me e lasciami in pace.”-
Lui la mollò, spingendola leggermente indietro.
-“Voglio sapere come hai fatto ad entrare nella S∙A!”- tuonò Nakamura.
-“Ore intense di studio sotto il controllo di mio fratello.”- rispose, docile -“Ma piuttosto... sbaglio, o avevi promesso che, in caso di vittoria da parte di Tsuji, tu non ti saresti più intromesso negli affari della Special A?”-
Senza risponderle e con le orecchie fumanti, la lasciò sola davanti al suo dipinto.
 
**
 
Era, ovviamente, arrivata in ritardo a lezione e, sfortuna della sfortune, alla prima ora c’era la signorina Sugimoto.
Ma, comunque, le era andata piuttosto bene... l’aveva solo trattenuta un’ora dopo le lezioni pomeridiane... facendole svolgere esercizi extra.
Poco male! Non appena riuscì a togliersi dai piedi quel mostro di professoressa, si diresse verso la serra, essendo stata costretta da Hikari a promettere di farsi trovare lì.
Come ogni santissimo giorno, li trovò ognuno al proprio posto, con la piccola differenza che, sul tavolino, anzi che esserci un qualunque genere di cibarie, vi stava un mappamondo.
Si avvicinò, senza darci troppo peso, prendendo poi posto tra Jun e Tadashi.
Salutò tutti, soffermandosi un poco di più sugli occhi del giovane Tsuji.
Dio, se era bello...
Aveva provato, in quei mesi, a seppellire quel grande amore che provava nei suoi confronti, invano.
Perché si, aveva riconosciuto quel sentimento tanto forte come Amore.
Ormai, dopo tutti quei mesi, aveva imparato a conoscerlo, ed a testimoniarlo, il quadro dipinto in onore della Special A.
Ogni volta che lo guardava, inevitabilmente, le sue guancie si coloravano di rosso, ed era costretta a voltare lo sguardo dalla parte opposta, sperando di passare inosservata.
Peccato che, ogni qualvolta succedeva, Ryu se ne accorgeva, e non riusciva a trattenere un piccolo sorriso.
Dopotutto, anche a lui piaceva la ragazza...
-“Oi, Shou, perché questa mattina hai fatto tardi?”- chiese innocentemente Hikari, sorprendendola a guardare il ragazzo dai capelli verdi.
La ragazza arrossì all’inverosimile, distogliendo velocemente lo sguardo e notando i sorrisetti, a detta sua, malefici, degli altri compagni di classe.
-“Uhm... ecco...”- si trovò leggermente presa in contro piede, e quell’espressioni non aiutavano di certo.
-“Ho incontrato quel vostro amico... Nakamura, mi pare.”- disse infine, recuperando la sua spavalderia.
-“Nakamura?!”- fece Ryu, assottigliando lo sguardo -“Ti ha forse infastidita in qualche modo?”-
Di fronte a quell’interesse nella sua persona, Luce non poté non arrossire ulteriormente... la cosa stava diventando preoccupante.
-“N-no! Ha solo v-voluto fare il g-gradasso, ma niente di che...”- rispose, lisciandosi una ciocca scura di capelli.
-“E se avesse qualcosa in mente?”- chiese Akira, guardando afflitta il suo nuovo servizio da thè, ricordando quello precedentemente rotto dallo stesso ragazzo.
-“Ne dubito.”- disse Takishima, lanciando un’occhiata a Tsuji -“Ryu l’ha sconfitto, e i patti erano che se avessimo vinto, avrebbe lasciato in pace la S∙A.”-
-“Infatti è quello che gli ho detto...”- Luce sorrise lievemente, recuperando il suo normale colorito -“...avreste dovuto vedere la sua faccia...!”-
Vedendo che lo sguardo dell’italiana si stava facendo sempre più cattivo e malvagio, i due gemelli intervenirono.
Timidamente... molto timidamente, Megumi attirò l’attenzione dei presenti, parlando lievemente.
-“Shou...”- mormorò, non sapendo bene come iniziare -“...sai com’è... l’estate si avvicina e... e noi avevamo pensato di fare una vacanza...”-
E detto questo, serrò le labbra, riprendendo la sua lavagnetta. Per quel giorno, aveva parlato anche troppo.
Luce, non capendo dove volesse andare a parare, disse, un po’ incerta -“Ok... buon per voi.”-
-“Guarda che vieni anche tu.”- esclamò Tadashi, come se fosse una cosa ovvia.
-“Cosa!? E questo chi l’avrebbe deciso?”- chiese, decisamente seccata, l’italiana.
-“Anche l’anno scorso abbiamo fatto una vacanza tutti insieme!”- spiegò Jun -“E questa volta sei invitata anche tu!”-
-“Chi vi ha detto che io voglia venire?”- chiese, riducendo gli occhi a due fessure -“E poi dove si va?”-
-“Sarai tu a deciderlo!”- trillò Hikari, alzandosi in piedi dalla foga -“E non accettiamo un no come risposta!”-
-“E come la mettiamo con i soldi?”- chiese Luce, oramai arresa.
-“Oh, non devi preoccuparti di questo!”- rispose affabile, Akira. Poi, rivolgendo uno sguardo omicida a Takishima, disse minacciosamente -“Ci penserà Kei a pagare per tutti.”-
Prima che il ragazzo potesse rispondere a tono, Luce si alzò, agitando le mani davanti in segno di diniego.
-“Oh no, mi rifiuto. Non voglio avere alcun tipo di debito, soprattutto con Takishima!”-
-“Ma quale debito e debito!”- esclamò Hikari, esaltata -“Fidati, anche a me ha infastidito la cosa, ma è stato lui ad offrirsi, quindi perché non approfittarne?”-
La ragazza, davanti ai loro sguardi supplichevoli, ma soprattutto, davanti allo sguardo da cerbiatto di Ryu, non poté che afflosciarsi sulla sedia, sospirando sommessamente.
-“E, di grazia, perché dovrei decidere io dove andare?”-
-“Per una sfida.”- spiegò Hikari -“Tu non lo sapevi, ma il primo che si sarebbe seduto al proprio posto il giorno in cui saremmo tornati a scuola, avrebbe avuto il grande onore di scegliere il luogo della vacanza!”-
-“E tu sei stata la prima!”- concluse Jun.
La ragazza li guardò, leggermente perplessa.
Avrebbe dovuto ascoltare l’istinto di conservazione e stare zitta, oppure la coscienza?
Beh, nonostante fosse una cosa stupida, si sarebbe sentita in colpa per il resto dei suoi giorni, quindi...
-“Ehm... ragazzi... non vorrei dire, ma...”- rifletté sulle parole giuste da usare, ma infine optò per la schiettezza -“Quel giorno, per quanto mi ricordi, ero seduta al posto di Takishima.”-
Avrebbe dovuto dare retta all’istinto di conservazione.
Da lì fu il putiferio.
Le urla furono talmente forti e potenti da far scappare via terrorizzati gli animali della serra.
Se anche Megumi si fosse unita al gruppo, anche le piante stesse avrebbero tirato fuori le radici e sarebbero corse via!
C’era chi voleva andare al mare, chi voleva fare shopping, chi fare escursioni, chi stare all’aria aperta, chi andare allo zoo e ancora e ancora... fino a che non si divisero in due team: quello capeggiato da Hikari e sostenuto da Kei e Akira, e quello di Tadashi, con a seguito Ryu e i gemelli.
Hikari era quella che voleva andare al mare e al caldo; in quanto a Todo e Takishima, beh... a loro bastava seguire Hikari.
Tadashi era quello del campeggio e dei boschi. Ryu aveva deciso di seguirlo unicamente perché sperava di incontrare qualche animaletto e Jun e Megumi... loro dovevano proteggerlo dai predatori, ovviamente!
-“Ca-calmi tutti...”- disse Luce, mettendosi in mezzo alle due fazioni -“So io dove potremmo andare.”-
Con sicurezza, indicò un punto preciso sul mappamondo, attirando gli sguardi sgranati dei membri della S∙A.
-“Però... è un bel po’ lontano...”- mormorò Akira, osservando il punto da lei indicato.
-“È lontano, si... però lì c’è il mare, i negozi, gli zoo, le montagne, i boschi... ah, inoltre avremmo anche l’alloggio.”- rispose Luce, sicura.
-“Saresti tu ad ospitarci?”- chiese Ryu, rivolgendo un sorriso alla ragazza.
Quella arrossì violentemente -“Certo! E poi, a mio fratello farebbe piacere!”-
E ciò, bastò a convincere Akira, e quindi anche Tadashi.
Alla fine tutti concordarono con l’idea di Luce.
L’italiana sperava sinceramente di chiarire con suo fratello prima della partenza... ma, c’era tempo per pensarci!
-“Toscana, preparati: la S∙A sta arrivando!”-
___________________________________________________________
 
Angolo dell’Autrice:
 
E anche questa è andata! Lettori e lettrici, vorrei avvisarvi che manca ormai poco alla fine! Finalmente, oserei dire!
Non c’è molto da dire su questo capitolo, se non che è un capitolo di transizione, nel quale non succede niente di particolare... nonché cortissimo -.-
Ma per farmi perdonare, nel prossimo capitolo troverete un momento dedicato a Kei ed Hikari! (amanti della Tadakira, non temete, ho ritagliato un pezzettino anche per loro ;) dovrete aspettare però due capitoli^^)
 
Vorrei specificare che non dico che la Toscana è fantastica solo perché ci abito, ma perché lo è davvero! Consiglio a chiunque può di andarci, e a chi ci vive di godersela!
 
Dunque vi lascio! A lunedì, e mi raccomando, non mancate!

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Capitolo 9
*** Caldo ***


Capitolo nove:
Caldo.
 
 

 
Dopo un mesetto di vacanza a marzo, con aprile i nostri membri della Special A iniziarono un nuovo anno all’istituto Hakusenkan.
L’ultimo, per l’esattezza.
Ma cosa c’è di meglio, dopo aver iniziato un nuovo anno scolastico, delle vacanze estive?
Si, luglio era arrivato in fretta, e con lui, il caldo sole dell’estate!
Quindi, valigie alla mano e zaino in spalla, i nostri beniamini si apprestavano a salire sul jet di proprietà della Takishima group, come meta, l’aeroporto di Pisa.
Ma la S∙A non era da sola: al gruppo, si erano aggregati niente poco di meno di Yahiro Saiga e Sakura Ushikubo... per la grande gioia di Jun.
Insomma, erano tutti divisi in coppiette e, la piccola Luce, fu costretta a sedere accanto a Ryu.
Non che ciò le dispiacesse, solo che, se ne rendeva conto, poteva risultare alquanto... esaltata, ecco.
La contentezza dovuta al ritorno in patria, sfiorava i livelli massimi, e il fatto di avere il ragazzo così vicino, alimentava questa sua gioia.
Sorrideva, non faceva altro che sorridere, e parlava di tutti i posti che avrebbe mostrato loro durante il soggiorno.
Erano appena partiti, e mancavano ancora dodici ore prima di atterrare... non avrebbero retto.
Ben presto, l’unica a rimanere sveglia, fu proprio l’italiana.
Non riusciva a staccare lo sguardo dal finestrino... insomma, stava per rivedere la sua casa, i suoi amici, suo fratello!
Già... a proposito di suo fratello...
Scosse la testa, avrebbe sicuramente trovato una soluzione, a qualunque costo!
 
**
 
Non aspettarono nemmeno che l’aereo si fermasse: non appena toccarono il suolo italiano, si gettarono fuori dal jet, gioendo e baciando l’asfalto.
Che volo stressante!
Non bastava dover sopportare Luce completamente fuori di testa, ma dovettero perfino sorbirsi le continue sfide di Hikari e Kei, le furiose litigate tra Akira e Tadashi, e le esclamazioni tanto gioiose quanto irritanti della bella Ushikubo, riguardanti un’intera vacanza insieme al suo principe.
All’aeroporto, comunque, non trovarono nessuno ad aspettarli.
Ma Luce sembrava tranquilla, quindi perché preoccuparsi?
Attesero, attesero, e ancora attesero... fino a che non scese la notte.
Senza poi contare, che il fuso orario non era dalla loro parte...
-“Ragazzi.”- fece Luce, calma, risvegliandoli da quella dolce sensazione di dormiveglia -“Potrebbero esserci dei problemi.”-
Dopo un attimo di silenzio saturo di agitazione, parlò -“Non credo verrà nessuno a prenderci.”-
-“Cosa?!”- le voci del gruppo si levarono all’unisono.
-“Avete capito bene... per questo, mentre voi dormivate tranquillamente, ho chiamato mia zia...”-
I ragazzi non se la sentirono di prendere un sospiro di sollievo... dopotutto, aveva parlato di problemi.
-“E qui sorge il secondo problema: zia Beatrice mi ha informata di essere al nono mese di gravidanza, quindi, questo ritardo, mi fa pensare che stia partorendo.”-
Akira digrignò i denti, stizzita.
Cosa voleva dire?!
-“Ma mia zia è una brava donna, sicuramente avrà avvisato qualcuno.”-
-“Immagino adesso ci sia un terzo problema.”-
-“Esatto, Karino.”- affermò Luce -“Ci sono due opzioni: o ha avvisato mio fratello, e quindi faremmo prima a tornarcene in Giappone, oppure ha avvisato Giorgio, che... nemmeno trovo le parole per descriverlo.”-
-“Perché non può venire tuo fratello a prenderci?”- chiese pacato Ryu, facendo arrossire violentemente la ragazza, un po’ per l’imbarazzo, un po’ per la vergogna.
-“Ecco... diciamo che tempo fa ci ho litigato e... beh, non abbiamo ancora chiarito.”-
Caduta generale.
-“E noi che dovremmo fare ora?!”- Akira stava decisamente perdendo le staffe.
La ragazza si trovò presa in contropiede, non sapeva cosa dire!
Ma una lunga limousine nera lucida si fermò di fronte a loro, e colui che si affacciò da uno dei finestrini oscurati, placò Akira una volta per tutte.
-“Vedo che hai smesso di portare quelle ridicole orecchie da animale.”-
-“E tu che ci fai qua?!”- chiese stranita Luce, non dando peso all’offesa. Eppure, non poté fare a meno di sorridere, sollevata.
Allora non era più arrabbiato con lei!
-“Io e te dobbiamo parlare.”- asserì serio, Cesare. Poi, voltandosi verso le ragazze, sfoggiò il suo tipico sguardo da seduttore -“E poi... non potevo certo lasciare delle creature affascinanti come voi in balia dell’oscurità.”-
Le giovani ragazze, con i cuoricini al posto degli occhi, si avvicinarono alla vettura con un sorriso ebete in volto, seguite dai ragazzi che, altro che cuoricini! Quelli mandavano lampi dagli occhi!
Salirono, presentandosi poi al ragazzo.
-“Avete fatto un’ottima scelta venendo qui! La mia adorata sorellina...”- e lanciò un’occhiata alla sorella, cercando di nascondere l’astio che provava nei suoi confronti -“... sarà ben lieta di mostrarvi la nostra terra!”-
-“Vero!”- concordò Luce, ignorando l’occhiataccia del fratello -“Vi mostrerò il bellissimo mare dell’Elba, Piazza dei Miracoli di Pisa, le cave di marmo bianco di Carrara, la città di Firenze, le mura di Lucca, di Prato...”- e continuò, fino a quando non ebbe nominato tutti i Comuni e il motivo della loro importanza.
I ragazzi, non reggendo ulteriormente, caddero in un sonno profondo.
 
**
 
Hikari aprì gli occhi, controvoglia.
Dalle tende rosse, entrava uno spicchio di luce, che cadeva proprio sopra le sue palpebre.
Chiuse nuovamente gli occhi, voltandosi dalla parte opposta delle finestre.
Non ricordava di essere mai stata più comoda nel suo letto...
Sospirò beata, sorridendo appena.
Oh no, quel giorno non si sarebbe alzata per nulla al mondo!
Tastò con una mano le morbide coperte, pesanti per quel periodo, fino a che non arrivò in corrispondenza di qualcosa di caldo, appena accanto a lei... un cuscino, forse.
Sentì un leggero profumo, nell’aria... menta? Si, ma anche... limone!
Perché quell’odore le era così familiare?
Ma poi, qualcosa le afferrò la mano.
Dopo un momento di confusione, aprì gli occhi.
-“Dormito bene, numero due?”-
La ragazza arrossì fino all’inverosimile, tirando indietro la mano con foga.
Nell’alzarsi cadde dal letto, finendo con la faccia a terra.
Rialzandosi, valutò che fosse meglio non soffermarsi sull’odiato nomignolo, in quanto era più importante sapere il motivo... “della sua visita” diciamo.
-“Perché diamine sei nel mio letto?!”- chiese Hikari, senza peli sulla lingua -“Ma soprattutto...”- si guardò i vestiti, diventando viola dalla rabbia -“Perché diavolo ho il pigiama?!”-
Il ragazzo, ancora sdraiato sul letto a due piazze della ragazza, si mise a ridere, sinceramente divertito.
Poi, Hikari si accorse di una cosa, anzi, due -“Questa non è la mia stanza!”- esclamò sorpresa, guardandosi attorno, poi, rigirandosi verso Takishima, esclamò -“Ma tu sei a petto nudo! Copriti, maniaco!”-
La ragazza si voltò, dando le spalle a Kei, coprendosi gli occhi con le mani.
Rimase disgustata dai suoi stessi pensieri: come poteva aver anche solo pensato di saltare addosso a Takishima?! Inconcepibile!
Un braccio l’afferrò per la vita, trascinandola nel letto con sé.
-“Ieri sera non me la sono proprio sentito di svegliarti...”- le soffiò all’orecchio, con voce roca -“...così ti ho portato in una delle camere che ci ha lasciato Cesare.”-
Il fiato di Kei arrivava caldo sul collo di Hikari, facendola rabbrividire di... piacere? Possibile.
Il ragazzo, audace, morsicò con dolcezza il lobo della moretta, baciandolo, poi, lievemente.
-“Ho pensato che potessi stare più comoda con il pigiama... spero non ti dispiaccia...”-
Dannazione!
Ora Hikari si trovava, accaldata, in balia di quel diavolo tentatore!
-“Hikari, sei sveglia? Hanno detto che servono la colazione!”-
E la ragazza non poté fare a meno di benedire la sua migliore amica.
 
**
 
Una reggia.
Si trovavano in una reggia.
Non degna di casa Takishima, certo, ma abbastanza grande da ospitare non solo i ragazzi, ma anche tutti i dipendenti del fratello che... diciamocelo, erano un bel po’.
A quanto pareva, la villa stava su un’isola... o meglio, occupava tutta un’isola.
Un isola relativamente piccola ma, ehi, dire di avere una casa grande quanto un’isola, fa il suo effetto!
Ora, dopo la colazione, si trovavano tutti nel giardino all’interno della villa, provvisto di un numero spropositato di gazebo e di coniglietti che vagavano liberi per il prato verde smeraldo.
Inutile dire che Ryu partì al loro inseguimento.
-“Allora...”- iniziò Luce, sedendosi sul manto erboso -“...che ne dite di andare al mare, oggi?”-
-“Si!”- esultò Hikari, evitando accuratamente lo sguardo di Takishima.
-“Dove ci porti?”- chiese Sakura, abbracciando il povero Jun come se fosse a tutti gli effetti un pupazzo.
-“Beh, io non adoro il mare, per questo vi chiedo di andarci...”- disse Luce, cercando per il giardino il ragazzo dagli occhi smeraldini -“Oggi non potrò essere presente.”-
-“Come no?”-
Luce quasi si prese un colpo a sentire la voce di Tsuji dietro di sé, ma si ricompose subito.
-“Devo discutere con mio fratello... sarà una cosa lunga.”-
-“Devi proprio?”- chiese il giovane Saiga, circondando con le braccia le spalle di Megumi, la quale, al tocco, divenne marmorea, per poi arrossire spropositatamente.
-“Già!”- concordò Tadashi -“Siamo in Italia, e non sappiamo una parola di italiano... senza contare che sei stata tu ad offrirti come nostra guida turistica.”-
La ragazza si morse il labbro, in difficoltà.
No, non poteva rimandare.
Ma il suo angelo intervenne in suo aiuto.
-“Io e Kei possiamo dire di cavarcela, no?”- chiese Ryu, cercando un assenso da parte di Takishima, cosa che ottenne.
-“Davvero?!”- chiesero, basiti, i presenti.
-“Sorpresa, numero due?”- rise Kei, rivolgendosi solo alla moretta.
Ma Hikari non rispose, ancora scandalizzata per la scena della mattina.
-“Bene, allora è deciso!”- esclamò l’italiana -“Vi prometto che da domani...”-
-“Mia Luce!!!”- una voce la interruppe, facendole venire un colpo al cuore.
 -“Oddio, no...”-
Un ragazzino dai capelli neri come la pece e gli occhi più limpidi del cielo, la raggiunse di corsa, gettandosi poi ai suoi piedi.
-“Mia Luce, sono appena venuto a sapere del vostro arrivo!”- disse il ragazzo, ansimando per lo sforzo.
Poi le prese delicatamente la mano, poggiando le labbra sul dorso.
-“Mi siete mancata da morire, sapete? Quanto avrei voluto venire in Giappone solo per vedervi...”-
-“Meno male che non l’hai fatto!”- sospirò Luce, guardando con disgusto il ragazzino di fronte a sé.
Quello, non capendo il giapponese, sorrise di cuore, abbracciandola con slancio.
-“Siete diventata ancora più bella, sapete?”-
Ma la ragazza tentava in tutti i modi di staccarsi da quella sottospecie di piattola.
La scena, era veramente comica.
Il ragazzino, circondato da cuoricini fluttuanti, stringeva tra le braccia la sua amata, la quale, dalla rabbia, era quasi diventata viola.
Ma qualcuno, doveva volerle veramente bene.
Ryu la prese per le spalle, tirandola verso di sé.
Il ragazzino, contrariato, lo guardò con odio.
-“Si può sapere chi sei tu?”- chiese Ryu, sfoderando il suo migliore italiano.
-“Io sono Giorgio!”- rispose, senza remore -“E sono il futuro marito di Nostra Luce!”-
La giovane Fukamori quasi si strozzò con la sua saliva, mentre sentì la presa sulle sue spalle farsi più salda.
-“Ryu, non dargli retta!”- esclamò lei, inviperita -“È tutto frutto della sua immaginazione di dodicenne!”-
-“No, mia Luce, non dite così!”- fece lui, supplichevole -“Staremmo così bene insieme...”-
La ragazza ringhiò tutto il suo astio, ma fu ancora Ryu a placare la sua ira.
-“Ne dubito, dato che la ragazza sta con me.”-
Luce, dopo un attimo di stupore, arrossì violentemente, mentre Takishima sorrise compiaciuto.
Giorgio guardò i due con la bocca spalancata, rivolgendosi poi alla sua amata.
-“È vero, mia Luce?”-
La giovane strabuzzò gli occhi.
Cos’avrebbe dovuto dire?
Se avrebbe risposto affermativamente, probabilmente si sarebbe liberata di quella sanguisuga, ma non sarebbe più nemmeno riuscita a parlare con il ragazzo dei suoi sogni! D’altra parte, se avrebbe negato, beh... poteva dire addio al ragazzo dei suoi sogni e dare il benvenuto alla sanguisuga all’interno della sua famiglia.
-“È tutto vero, lo confermo io.”-
Fu Takishima a parlare, e ciò sembrò bastare. Sembrò.
-“Va bene, Mia Luce, vi credo...”- disse Giorgio, chinando leggermente il capo. Ma quando la ragazza vide i suoi occhi, quasi si spaventò: il fuoco ardeva al loro interno!
-“Sappiate però che non mi arrendo!”-
Così dicendo, con il sorriso sulle labbra, lasciò i ragazzi soli alle loro chiacchiere.
-“Non sapevo fossi così corteggiata!”- rise Ryu, continuando a stringere la ragazza.
-“Ma che voleva quel tipo?!”- chiese Akira, scocciata, notando solo dopo, con un ghigno soddisfatto, il rossore che imporporavano le guancie di Luce.
-“Il futuro marito di Ruche.”- affermò Takishima, ricevendo un’occhiataccia da parte dell’italiana.
-“Sai parlare così bene l’italiano, e non sai pronunciare il mio nome?!”-
-“Beh, e che gli avete detto?”- chiese Jun, osservando i due.
Luce arrossì violentemente, staccandosi velocemente dalla presa di Ryu.
-“Grazie per prima...”- disse in italiano, per poi volatilizzarsi all’interno della casa.
Ryu la guardò allontanarsi, con un lieve sorriso sulle labbra.
Si dovette ricredere: quella ragazza non solo si era aggrappata al suo cuore, ma l’aveva afferrato e portato con sé.
___________________________________________________________
 
Angolo dell’Autrice:
 
Ma... ma quanto sa essere dolce, Ryu??** Che dite di Giorgio, vi piace il personaggio? Personalmente, lo adoro... è Luce che è un gran pezzo di strudel (ho visto ieri Ralph Spaccatutto... bellissimo!).
Piaciuto il momento dedicato ad Hikari e Kei? Spero vivamente di si... immagino che i fan di questa coppia si ritroveranno a maledire Akira in tutte le lingue del mondo, poverina xD
Alla prossima settimana con un momento Tadakira e... l’ultimo capitolo! Esatto, il prossimo sarà l’ultimo capitolo, e tra due settimane, pubblicherò l’epilogo!
Adios amigos!!
 
P.s. Stasera ci sarà la nuova stagione di The Walking Dead! Non siete esaltati quanto me?*ç*

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Capitolo 10
*** Pioggia ***


Capitolo dieci:
Pioggia.
 
 
 
 
Quella vacanza era stata decisamente... rilassante.
Stranamente rilassante.
Insomma, tutte le altre vacanze -da ricordare quella alle Hawaii, conclusasi con un rapimento- si erano rivelate estremamente stressanti, mentre questa...
Erano riposati come mai lo erano stati prima.
Grazie a dio, verrebbe da dire... ma la vacanza mica era ancora finita.
In Italia si era tutto concluso bene, ma ora... ora mancava Londra!
Durante il soggiorno a villa Fukamori, a Kei era arrivata una telefonata da parte di Aoi Ogata, segretario del presidente Takishima, avente il compito di informarlo riguardo ad una festa che si sarebbe tenuta in suo onore nella sede principale della Takishima group.
Alla fin fine, Kei aveva accettato di parteciparvi, solo a condizione che partecipassero anche tutti i suoi amici.
Pessima scelta.
Sarebbero arrivati a villa Takishima, che nulla aveva da invidiare al Buckingham Palace, nel primo pomeriggio, così da avere tempo per lavarsi, prepararsi, e magari farsi anche un sonnellino ristoratore.
La separazione dal primogenito Fukamori fu strappalacrime... per le ragazze.
Tutte ad abbracciare il povero Cesare che, non volendo lasciarsi scappare via l’occasione, ne approfittò per palpare qualche rotondità... accidentalmente, ovvio.
Al contrario, la sorella non sembrava affatto dispiaciuta di allontanarsi da casa.
Certo, con suo fratello le cose erano tornate al loro posto, eppure... da quando ci aveva parlato quella mattina, era diventata strana: faceva di tutto per stare con gli amici, era gentile ed accomodante, estremamente allegra. Ma, le poche volte che rimaneva da sola, assumeva un’espressione pensierosa, quasi triste.
Mah! Sarà stata l’aria italiana.
Dopo un’oretta e mezza di volo, atterrarono che erano appena le 2 p.m. , e subito furono scortati dai Takishima.
Scortati da chi, se non dall’esimio Aoi Ogata?
Quello, dopo aver squadrato dall’alto in basso gli amici del Signorino, e aver scorto un volto nuovo nella banda, iniziò subito a tempestare di domande la povera Luce, la quale, da parte sua, restò sul vago.
La ragazzina non voleva divulgare troppe informazioni su di sé? Peggio per lei: aveva il nome e il cognome. Se non voleva collaborare, avrebbe indagato per conto suo.
Non poteva certo lasciare il Signorino Kei in balia di certi delinquenti!
Nonostante sarebbero rimasti solo fino al mattino seguente, nonno Takishima aveva riservato loro le camere più lussuose dell’intera casa.
Che nonnino delizioso.
Sembrava non avere nulla a che fare con quel signore che, appena un anno prima, aveva cercato di isolare suo figlio e quasi costretto lo stesso a prendere il suo posto a capo della Takishima group. Affatto.
Ma, perché farsi tanti problemi?
Era solo una festa, sarebbe finita presto!
-“Non vedo l’ora che sia stasera!”-
Tadashi era nella camera di Akira, mentre la ragazza era a farsi una doccia nel suo bagno personale.
Il ragazzo stava steso sul letto, gli occhi chiusi, pensando, già con l’acquolina in bocca, alle prelibatezze che avrebbero servito la sera stessa.
La ragazza uscì, e lui nemmeno se ne accorse.
Era avvolta in un corto accappatoio bianco, dal quale spuntavano due gambe lunghe e lisce, ricoperte ancora da piccole goccioline d’acqua. Con la mano destra teneva chiuso l’indumento sulla scollatura, mentre con la sinistra si strofinava un asciugamano color crema sui capelli bagnati che, a loro volta, si appiccicavano sulla sua pelle vellutata.
E fu così che Tadashi la vide, non appena aprì gli occhi.
Una Dea.
Una Dea agguerrita ma dall’animo gentile.
La sua Dea.
E non poté fare a meno di sorridere.
Le si avvicinò, prendendola per la vita e, prima che lei potesse replicare in qualche modo, fece incontrare le loro labbra.
Forse qualcuno, lassù, doveva volergli bene, perché, stranamente, la ragazza non oppose resistenza, e dischiuse le labbra, accogliendolo.
Il ragazzo, con fare possessivo, la strinse maggiormente a sé, facendo combaciare perfettamente i loro corpi.
Con un braccio stretto attorno alla vita di lei, con l’altra mano le accarezzava una guancia, scendendo giù, fino al collo...
Un collo ancora umido, invitante...
Invitante come lo erano le spalle, queste lisce e asciutte...
Ah! Le sue labbra... sapevano di pesca...
Come la sua pelle, quella stessa pelle che ora stava succhiando con avidità.
E sentì qualcosa... qualcosa che probabilmente sentì anche Akira.
Qualcosa che avrebbe dovuto controllare.
-“Schifoso pervertito, fuori dalla mia stanza!”-
 
**
 
I ragazzi erano già nel salone, a intrattenersi in conversazioni più o meno interessanti insieme al resto dei commensali. Ma non le ragazze.
 -“Siamo ragazze, dobbiamo arrivare in ritardo!”- aveva esclamato la dolce Sakura, chiudendosi in una delle loro stanze nella quale si erano tutte riunite.
-“Cosa ne pensa dell’economia del nostro paese, Signorino Takishima?”-
Possibile che facessero tutti la stessa identica domanda?
Kei era esasperato!
Erano lì da appena mezz’ora, e già non ce la faceva più.
Non sapeva se dargli una risposta seria, oppure sfilarsi la cravatta del completo grigio e rifugiarsi su un’isola deserta in mezzo al mare... con Hikari, magari.
Opzione molto allettante...
Ma questi non erano certo pensieri adatti a qualcuno come Takishima!
Che figura ci avrebbe fatto?
Ma qualcosa, o meglio, qualcuno, lo distolse da quei pensieri.
Finalmente le ragazze erano arrivate e, beh... erano splendide.
Ai suoi occhi, la più bella tra tutte, era senz’altro la moretta: portava un abito rosa pastello, con un corpetto senza maniche, semplice, e la tipica gonna da principessa. Le due ciocche che solitamente portava sulle spalle, raccolte dietro la nuca, e le punte dei capelli leggermente mosse.
Akira portava un abito nero, monospalla, e uno spacco sulla gamba destra... decisamente più provocante. Alle labbra solo un leggero lucidalabbra, ed i capelli, portati normali.
Sakura sembrava una giovane sposa: anche lei portava un abito lungo, che le cadeva dolcemente sul corpo, valorizzandone le forme. Due fini catenine cadevano mollemente sui fianchi, fungendo da cintura, e al collo portava una lunga catena che arrivava fino al seno. Alle mani aveva dei corti guanti bianchi, e sui capelli un fiocco candido, dal quale partiva un piccolo velo semitrasparente che le copriva mezzo volto.
Si, forse pensava davvero di sposarsi, quella sera.
Megumi vestiva in azzurro. Il lungo vestito presentava una fantasia a fiori in blu scuro, che partivano dalla fine della gonna, fino ai fianchi. Gli spallini, per quanto li tirasse su, cadevano sotto le spalle, e le braccia erano fasciate da lunghi guanti blu. I boccoli erano legati in una coda laterale. Sotto braccio, la sua inseparabile lavagnetta.
Luce sembrava più alta, dato che superava Megumi. Il suo vestito era color ambra, così da far risaltare le screziature dorate dei suoi occhi. Aveva un ampio scollo a cascata, e la gonna liscia sembrava luccicare sotto la luce del grande lampadario di vetro. I capelli, erano legati in un chignon alto, dal quale fuoriuscivano piccole ciocche marroni.
Come previsto da Sakura, avevano attirato l’attenzione.
Molti sembravano estasiati.
Meglio: in questo modo Jun si sarebbe sentito minacciato, e quindi, come principe azzurro, sarebbe corso a salvarla, l’avrebbe portata nel suo castello e... ciò che succede nel castello, rimane nel castello.
Ognuna si avvicinò al proprio accompagnatore, e la povera Luce, non sapeva proprio che fare.
Sarebbe dovuta andare da Ryu, ma sembrava così impegnato a fare una radiografia a quella tipa dalle forme... esagerate e dal fiammante vestito rosso.
Sbuffò irritata.
E pensare che si era messa quei tacchi solo per potergli stare più vicino!
Tanto dolore per niente...
Si avvicinò al buffet, sperando di trovare qualcosa di commestibile, quando qualcuno le picchiettò sulla spalla.
Credendo di trovarsi di fronte Ryu, si voltò con il sorriso, ma non appena riconobbe la persona davanti a lei, il suo sorriso si fece ancora più radioso.
-“Nobu!”- esclamò, abbracciandolo con forza -“Che ci fai tu qui?”-
Gli occhi scuri ora erano vivaci e allegri.
-“Ricordi quella ditta in cui avevo trovato lavoro?”- chiese lui, non nascondendo la contentezza -“La Takishima group vuole inglobarla!”-
Ne aveva fatta di strada, Nobuyuki.
-“E la piccola Emi?”- chiese allora la ragazza, dopo averlo abbracciato un’altra volta.
-“L’ho lasciata con la signora Hinata.”-
Hinata Sato, altra persona salvata dalla strada.
-“Ma tu... tu ritornerai in Giappone, vero?”- chiese, un poco speranzosa, Luce.
-“Il Giappone è la mia casa, non potrei mai abbandonarlo.”- rispose lui, sicuro.
-“Devi farmi il favore di prendere il mio posto, allora.”- disse lei, il tono leggermente malinconico.
-“Che... che intendi?”- chiese lui, non capendo tale cambiamento improvviso.
-“Io non tornerò in Giappone... casa mia è l’Italia.”- la ragazza sorrise. Un sorriso spento.
-“No, casa tua è in Giappone, con noi accattoni squattrinati e quegli amici idioti di cui mi parli sempre!”- rispose Nobu, cercando di far ridere almeno un pochino la ragazza. E ci riuscì.
-“Lascerò la stanza d’albergo a nome tuo... per favore, aiuta altra gente per conto mio. Ok?”-
L’uomo sospirò, capendo che non avrebbe cavato un ragno dal buco.
Doveva tutto a quella ragazza... ma se quella era la sua scelta, l’avrebbe rispettata.
-“Come vuoi.”- esalò, infine.
-“Grazie.”- questa volta, il suo sorriso fu sincero.
I due si salutarono.
Le loro strade si stavano dividendo...
Non si sarebbero mai più incontrati.
-“Signorina Fukamori?”-
La ragazza si voltò, riconoscendo l’individuo come Aoi Ogata.
Il suo sguardo non presagiva nulla di buono.
-“La prego di seguirmi.”-
Intanto, dieci paia di occhi avevano assistito alla scena.
 
**
 
-“Posso, forse, fare qualcosa per lei, signor Ogata?”- chiese Luce, una volta che ebbero raggiunto il corridoio deserto che portava nelle stanze degli ospiti.
-“Gradirei che rispondesse a qualche mia domanda.”- disse, incolore, il segretario del presidente Takishima.
Luce stette in silenzio, in attesa.
-“Qual’era il nome di sua madre?”-
-“Non sono affari che la riguardano.”- rispose sicura l’italiana.
-“Arianna De Rosa.”- disse lui, lasciando sconcertata la ragazza.
-“E tu come...”-
-“Qual è il nome di tuo fratello?”- ma l’uomo rispose ancor prima che lei potesse capire la frase -“Cesare Isamu Fukamori.”-
-“Smettila subito!”-
Luce non capiva. Cosa stava succedendo? Perché chiederle il nome dei suoi familiari?
-“Qual è il nome di tuo padre?”-
-“Basta!”-
Aveva gridato, la piccola Luce.
Le faceva male la gola da tanto forte l’aveva fatto.
Non voleva sentirlo, non voleva più sentire quel nome maledetto!
-“Hideyoshi Fukamori.”-
Luce spalancò gli occhi, al sentirlo pronunciare.
Un lungo brivido le fece tremare le gambe.
-“Ora dimmi, Fukamori: dov’è la tua famiglia, ora?”-
Perché?
Perché lo stava facendo?
Voleva farla soffrire?
Non capiva.
-“Tua madre è morta. Schizofrenia, se non sbaglio.”-
La ragazza cadde in ginocchio, improvvisamente stanca.
-“Ti prego...”- lo supplicò, -“...basta.”-
-“Tuo padre è in carcere.”- affermò, Aoi -“Per truffa.”-
Luce non sapeva cosa dire.
Era tutto vero, e se ne vergognava da morire.
-“E, guarda caso, hai come amico il signorino Takishima. Cos’è che vuoi, la vendetta?!”-
-“No...”- disse stancamente la ragazza, spostando lo sguardo da una mano all’altra, con disperazione.
-“Allora tu vuoi... i soldi.”-
In un battito di ciglia, Luce era arrivata alla sua altezza, afferrandolo saldamente per il colletto.
I suoi occhi, erano ambrati.
-“Non osare paragonarmi a quel rifiuto di un genitore!”-
-“Tuo padre ha truffato il signor Satoru, Yamato Todo, Taro Ushikubo e Daisuke Saiga. Una cosa del genere non la chiamo semplice coincidenza.”-
La sua voce era fredda e distante. Terrificante.
-“Io non sono come lui... smettila immediatamente!”-
-“Altrimenti che fai...”- ora la stava chiaramente deridendo -“...chiami gli amici mafiosi di tuo fratello? Vuoi farmi uccidere perché so troppe cose?”-
Il colpo di grazia.
-“Sta’ lontana dal signorino Takishima.”-
Lasciò andare Aoi, e corse via.
Gli occhi... gli occhi erano pieni di lacrime... ma non voleva piangere, lei era forte.
Ma non appena svoltò l’angolo, andò a sbattere contro qualcosa.
Contro qualcuno.
Ryu.
Dietro di lui, tutti i compagni di viaggio, e, poco lontano, Nobuyuki.
Era... era pena, quella che vedeva nei loro occhi?
-“Voi... voi avete sentito tutto... non è così?”-
Ma le loro espressioni, erano le più sincere delle risposte.
Senza dargli tempo di parlare, scappò via, fuori da villa Takishima.
Ora tutto veniva a galla...
I crimini del padre, la prigione... la pazzia della madre dopo la sua incarcerazione... il fratello che, diventato diciottenne, fu costretto a prendere il posto di suo zio come Boss di una Famiglia mafiosa.
Lei, lei non aveva mai truffato, mai ucciso, mai commesso crimini di alcun genere...
Eppure ora... ora si sentiva così sporca.
Sporca di sangue non suo... del sangue di sua madre, del sangue di tutti gli uomini uccisi dai sottoposti del fratello.
Si sentiva un verme.
Fu costretta a fermarsi per il dolore ai piedi.
Non sapeva dov’era, né tantomeno se c’era qualche balordo in giro.
Non le interessava più niente.
Non dopo aver visto la loro delusione...
L’ansia di tutti quegli anni, il dolore, la rabbia, la tristezza... tutto veniva fuori ora.
E ora, non poteva fare a meno di rannicchiarsi sulle ginocchia, coprirsi il viso con le mani, e piangere come se non ci fosse stato un domani.
Non seppe per quanto tempo rimase lì, da sola.
Dopo un tempo che le parve infinito, senti qualcosa avvolgerla.
Delle... braccia?
Alla fine aveva davvero attirato qualche pazzo maniaco!
Tentò di liberarsi ma, alla fine, la voce calda di Hikari la fece desistere dal suo intento.
-“Il signor Nobuyuki ci ha raccontato di quello che hai fatto per lui e per tante altre persone... non possiamo darti la colpa delle azioni di tuo padre e tuo fratello.”-
Trascinata dalla ragazza, Luce si ritrovò in piedi, davanti ai suoi amici.
-“Aoi fa bene il suo lavoro, non è da escludere, ma tu sei parte della S∙A.”- affermò sicuro, Takishima.
-“Sei nostra amica prima di tutto...”- intervenne Akira, sorridendo dolcemente.
-“Ma...”- cercò di ribattere, l’italiana -“...ma io... vi ho portato in casa di mafiosi...”-
E solo allora si rese conto della gravità della cosa.
-“Io vi ho portato in casa di mafiosi! Sono un’idiota!”- esclamò la ragazza, con un epico face palm.
-“Che vuoi che sia!”- esclamò Sakura, con non-chalance -“...anche mio padre ha qualche... uhm... “amicizia” in quel campo, non so se mi spiego...”-
-“Cosa?!”- Jun fece un salto lungo tre metri.
La scena scaturì qualche risatina. Non troppo accesa, ma era già un inizio.
-“Ragazzi...”- mormorò Luce, ora già più calma -“Non tornerò in Giappone con voi.”-
Una goccia d’acqua toccò terra.
Aveva cominciato a piovere.
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Angolo dell’Autrice:
 
Uhm... si, questo era l’ultimo capitolo. Un finale non proprio esaustivo, eh? Oh, ma era voluto. La prima cosa che avevo chiara di questa storia, era questo finale, e spero di averlo reso al meglio.
Vorrei chiarire che i nomi dei padri di Sakura, Yahiro e Akira non li conoscevo, quindi li ho inventati! E se riguardo all'abbigliamento non avete capito niente, tranquilli, non siete scemi voi, sono io che sono negata xD 
Alla fin fine, abbiamo scoperto il passato disastroso di Luce! Il padre truffatore, la madre schizofrenica e poi defunta, ed il fratello mafioso. Wow, e pensare che era nata in chiave comica T_T
Una cosa, non vorrei aver preso troppo sottogamba la mafia. L'altro motivo per cui tra le avvertenze, ho inserito "tematiche delicate", è proprio questo. Insomma, Luce è sempre vissuta all'interno di una famiglia mafiosa. Lei conosce le... chiamiamole "procedure", ed essendoci "abituata", non ci dà peso. L'uccisione di un'uomo, per lei ed il fratello, è all'ordine del giorno. Il fatto che poi aiuti le persone povere è per espiare quel briciolo di senso di colpa, perché non ci si abitua al dolore, ma ci si impara a convivere. Ed inoltre, gli animali le sono molto cari perché li reputa migliori dell'uomo. Infine, il motivo per cui odia i giapponesi, mi sembra palese. Non è tanto il fatto che è stata costretta a trasferirsi, ciò comportando uno smisurato odio per qualunque cosa fosse giapponese, quanto piuttosto è l'odio che nutre verso suo padre. Lo odia con ogni fibra del corpo, e ciò la porta ad odiare sé stessa, la parte da lui ereditata, il suo sangue giapponese. Uh, spero di essermi spiegata! (si, non sono molto ferrata nella coniugazione dei verbi u.u)
 
Oh beh, spero vi sia piaciuto, e, per l’ultima volta, alla prossima settimana ragazzi, con l’epilogo conclusivo (non troppo) di questa fiction! ;)

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Capitolo 11
*** Tramonto ***


Epilogo:
Tramonto.
 
 
 
 
Che bella stagione, l’autunno!
A Ryu piaceva quel periodo dell’anno.
Preferiva di gran lunga la primavera, quando i fiori germogliavano e gli animali uscivano dal letargo, ma anche l’autunno aveva il suo fascino.
Da un po’ di tempo a quella parte, quando il suo lavoro da veterinario gli lasciava tempo libero, aveva preso l’abitudine di recarsi al parco più vicino e osservare il lento cadere delle foglie.
Era rilassante.
Da ragazzo, probabilmente, avrebbe trovato noioso un passatempo del genere, e avrebbe preferito divertirsi con gli amici di sempre.
Ma i trent’anni si facevano sentire... era un adulto, ormai.
Aveva un lavoro.
E, nonostante non avesse perso i contatti con i suoi amici, non poteva vederli quando avrebbe voluto.
Kei, dopo aver proposto ad Hikari di sposarlo, e dopo il rifiuto di quest’ultima -per una qualche arcana ragione- l’aveva rapita e portata in Inghilterra, costringendola alla convivenza.
Il matrimonio, si sarebbe celebrato i primi di giugno dell’anno prossimo.
Akira e Tadashi, erano rimasti in Giappone: la donna aveva preso le redini di una famosa catena di ristoranti, ma il più importante stava a Sapporo -il quale doveva la sua celebrità all’avere Akira come capo cuoco- mentre il marito era diventato un avventuriero... contro il volere della Todo, s’intende. Arrivava a stare fuori casa addirittura per mesi, rischiando persino la vita, ma trovava sempre un modo per tornare dalla sua donna.
Aveva saputo che si era preso un anno di riposo per stare vicino alla moglie, in dolce attesa... avrebbe dovuto partorire a giorni, ormai.
Megumi e Jun, incredibilmente, erano diventati musicisti.
Il ragazzo... pardon, l’uomo, dopo aver provato con ogni strumento presente sulla faccia della terra, trovò la sua vocazione come compositore e direttore d’orchestra. La convivenza con Sakura era difficile ma... l’amava.
La sorella, già madre di una peste di ben 2 anni, cercava di convincere Yahiro a sposarla, ma, a quanto pareva, lui voleva farle la proposta quando meno se l’aspettava... insomma, avrebbe dovuto aspettare ancora un po’, dato che Megumi non aveva altro per la testa. In quanto alla carriera, spesso si ritrovava a lavorare con il fratello, ma molte volte era costretta a recarsi all’estero. È una vita dura, quella della soprana.
E lui... beh, lui era un girovago.
Vagava per il mondo alla ricerca di animali in difficoltà.
Era veterinario a tutti gli effetti, ma come poteva lavorare in una sola città, sapendo di piccole creature sofferenti nel resto del mondo?
Al momento si trovava in Spagna.
Non riusciva a sopportare la crudeltà versata su quei poveri levrieri. Era orribile vedere come venivano trattati.
Ma, più che parlare e curare, non poteva fare molto.
Cambiare il modo di ragionare di una persona è veramente difficile, se non impossibile.
Ma, per lo meno, ci provava.
Parlava con i bambini, il futuro della razza umana.
Non si preoccupava degli adulti... c’era già una persona che si impegnava a far capire alle persone i loro sbagli.
Le uniche notizie riguardo a lei, le aveva solo grazie ad articoli sui giornali e alla pubblicità alla radio.
Da quando, in Inghilterra, si erano separati, non si erano più sentiti.
Solcatrice di Luce era diventata un’artista famosa, e in molti pendevano dalle sue labbra.
Lei dipingeva, scolpiva il suo pensiero, lo rendeva indelebile.
E quelli in grado di capire il messaggio trasmesso, iniziavano a riflettere, cercando poi di tornare sulla strada giusta.
Per questo lui parlava ai bambini: loro, così piccoli e innocenti, non conoscevano la condizione del mondo. Non capivano le opere di Luce. E si comportavano come quelli che gli stavano attorno.
Avevano bisogno di una guida, e lui si era preso sulle spalle questo gravoso compito.
In un certo senso, lui e Luce, facevano un lavoro di squadra.
In questo modo, lui la sentiva più vicina a sé.
Perché il suo cuore, ce l’aveva ancora lei.
Non gliel’aveva restituito.
E lui sperava, un giorno, di potersi ricongiungere al suo cuore, e con lui, alla ragazza.
Stava scendendo il tramonto, ormai.
Il cielo si colorò d’arancione, e il laghetto di fronte a lui si confuse con esso.
-“Ehi tu! Non è un po’ tardi per starsene da soli al parco?”-
Quello era senz’altro giapponese.
Si voltò, e, appoggiata alla panchina, stava una ragazza.
La prima cosa che notò, fu l’altezza.
Era alta quasi quanto lui.
Subito dopo, il corpo.
Decisamente piacevole da guardare.
Quella si spostò, sedendosi sulla panchina, proprio di fianco a lui.
Come aveva fatto a non notare prima i suoi capelli? Erano lunghi poco oltre le spalle, rosa, con qualche ciocca azzurrina.
La frangetta pari, in quella posizione, gli impedì di guardarla negli occhi.
Però, aveva un aroma particolare e familiare...
Era forse profumo di vaniglia, quello che sentiva? Con un retrogusto di... arancia?
Eppure non ricordava.
-“Nemmeno mi parli? Non credevo fossi tanto offeso!”-
Anche la voce gli ricordava qualcuno, solo che era più... matura.
La giovane donna sorrise con fare arrogante, decisamente divertita, puntando lo sguardo su di lui.
Il ragazzo trattenne il respiro.
Quegli occhi...
Non poteva essere!
Un colpo, all’interno dello sterno.
Poi fu di nuovo silenzio.
E poi un altro colpo, più basso.
Il suo cuore... lo sentiva.
No, non c’era alcun dubbio.
Sorrise.
-“Luce.”-
Il sole calò.
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Angolo dell’Autrice:
 
Ecco, la fine. Si, insomma, non si ha il classico finale “..e vissero tutti felici e contenti!”, no... ho preferito lasciarlo aperto all’immaginazione, mi piaceva l’idea...
Cooomunque, ci terrei a ringraziare tutti quelli che hanno messo questa storia tra le preferite, seguite o ricordate, chi ha letto e chi mi ha lasciato una recensione!
Davvero, grazie di cuore!
Sono contenta vi sia piaciuta questa fiction, e spero di non aver deluso nessuno di voi con questo finale xD
A questo punto... alla prossima!
 

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