Burning On The Back Street.

di Giuliascorner
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** I. Why me? ***
Capitolo 3: *** II. Hey, you have to be Helen! ***
Capitolo 4: *** III. Dee. ***
Capitolo 5: *** IV. Baby Steps. ***
Capitolo 6: *** V. Well, I think it's quite obvious. ***
Capitolo 7: *** VI. Nobody. ***
Capitolo 8: *** VII. Then what? ***
Capitolo 9: *** VIII. Wonderful Tonight. ***
Capitolo 10: *** IX. Crowded. ***
Capitolo 11: *** X. Burn. ***
Capitolo 12: *** XI. You're smitten, then! ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


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Prologo.

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Il professor Sumner era la personificazione dell'inverno.
Tutto era argenteo e freddo in lui: aveva capelli corti e brizzolati, la pelle lattea, due pungenti occhi grigi e un paio di severi occhiali metallici che venivano puntualmente sistemati sul naso pronunciato. La sua voce era seria e composta, modulata da un forte accento londinese, e la sua espressione con le sottili labbra serrate dava l'idea di un carattere deciso e irremovibile. D'altronde, non bisogna certo essere un rammollito per diventare il più ambito insegnante di Giornalismo alla City University of London, e forse era stata proprio l'opportunità di essere una sua allieva che mi aveva dato la spinta per fare domanda alla City.

L'anno precedente avevo faticato sotto il peso dei primi esami e avevo sperimentato la vita da college, separata dalla mia famiglia e dalla mia spaziosa casa di Manchester; sentivo però che questo sarebbe stato un anno decisamente migliore. Basta camere da claustrofobia, basta articoli inutili: essere al secondo anno infatti non voleva solo dire affittare una casa con i propri amici, dire addio alle microscopiche stanzette dell'Università e dare il benvenuto a tante feste in più, bensì segnava l'inizio dei primi articoli valutati da gente del mestiere e delle prime esperienze da aspiranti giornalisti.

Fu proprio per quest'ultima ragione che il mio cuore iniziò a battere più forte quando, nella grande aula dalla moquette cerulea e dalle ampie finestre, vidi Sumner trovare il mio fascicolo e avvicinarsi al mio banco a grandi falcate. Come procedeva verso di me una serie di rapidi fotogrammi scorsero a velocità febbrile nella mia testa: un giornale importante, un incarico prestigioso, tanti nuovi giornalisti da conoscere, tanti eventi a cui partecipare, tante feste, e magari...

«Edith, per te ho pensato a qualcosa di musicale.» pronunciò, ridestandomi dai miei sogni, la voce pacata di Sumner in pedi davanti al mio banco. Il suo gelido sguardo lesse rapidamente le righe che lui stesso aveva scritto. Si schiarì la voce tossicchiando, aggrottò le sopracciglia e finalmente riprese a parlare. «Come sai, qui a Londra c'è una sala di registrazione molto famosa. Nel periodo del tuo praticantato, ho scoperto che la band degli One Direction inciderà un nuovo disco: per gentile concessione di un membro del loro staff, sei autorizzata ad assistere al processo di scrittura, rivisitazione dei pezzi, registrazione e mettere in luce nell'articolo finale i vantaggi e gli svantaggi del mondo dello spettacolo e cose del genere. Io...» cominciò, pensandoci su ancora un momento. «...non so, credo sia un'ottima opportunità per osservare, imparare a impostare le interviste e abituarti ai ritmi dei giornalisti e reporter; alla fine questo è l'obiettivo che tutti dovreste raggiungere con queste esperienze.» terminò, rivolgendo le ultime parole a tutti i miei compagni.

Il mio entusiasmo precipitò bruscamente, come quando nei cartoni animati cade il mattone in testa al personaggio sfigato convinto di essere salvo.
«Certo, sono d'accordo.» risposi riluttante, impegnandomi a non far trasparire la mia delusione. «Però…potrò mettere delle mie opinioni personali nell'articolo finale?» «Certo, ma nascoste, come sanno sanno fare i bravi giornalisti. Mi sembra di avervelo spiegato, non è così?» puntualizzò il professore.
«Sì, sì» mi affrettai a confermare.
Potevo quindi far capire non esplicitamente, da brava giornalista, quanto poco mi elettrizzasse l'idea di scrivere un articolo su una boy band?
«Bene.» rispose Sumner soddisfatto, porgendomi una cartellina. «Qui c'è scritto tutto, compresi indirizzi e riferimenti vari, d'accordo?» «Sì, la ringrazio.» dissi prendendo il fascicolo e buttandolo nella mia borsa nera accasciata ai piedi della sedia. Quando alzai la testa incrociai lo sguardo con quello di Lani, seduta dall'altra parte della classe, che mi strizzò l'occhio e fece segno di vittoria con l'indice e il medio. Risposi prontamente al suo sorriso ma quando si voltò e quando fui sicura che Sumner non mi stesse più osservando, scivolai più in basso sulla sedia e incrociai le braccia, proprio come una bimba arrabbiata.

Ma insomma, gli One Direction? Per carità, non avevo nulla in contrario a uno dei tanti fenomeni musicali del momento, ma quando mi ero immaginata nel ruolo di giornalista universitaria non mi ero certamente vista alle prese con un gruppo di ragazzi della mia età lanciati da una manciata di anni come burattini nel mondo dello spettacolo. Mi ero sempre immaginata ad assistere ad interviste di attori famosi o, ancora meglio, di celebri scrittori; invece gli unici scrittori che avrei incontrato sarebbero stati quelli intenti a comporre testi di canzoni orecchiabili, simpatici e coccolosi per far impazzire le ragazzine.
Se mia sorella mi avesse sentita esprimere quei pensieri, riflettei, sicuramente mi avrebbe lanciato un'occhiata piena d'odio. Da un paio di anni infatti la sua stanza era tappezzata da poster e immagini a grandezza naturale degli One Direction; fortunatamente non vivevo più con la mia famiglia da due anni esatti, ma mio padre non finiva mai di ripetere con gli occhi alzati al cielo che casa nostra poteva far invidia a uno stadio per la quantità di volte e per il volume al quale venivano fatte suonare le canzoni della boy band del momento.
Sentii un dito puntellare la mia schiena e senza girarmi sapevo che Bell voleva dirmi qualcosa. Anzi, conoscendo il poco tatto e la sfrontatezza della mia amica, sapevo già cosa mi avrebbe mormorato.
«Beh, dai, non è proprio come il The Mirror ma poteva andarti peggio. Pensa quanti dischi gratis potrai portarti a casa...» sussurrò sarcastica sporgendosi in avanti con i gomiti puntati sul banco, e mentre indietreggiava la udii ridacchiare.
«Ah, ah, ah. Molto spiritosa.» fu la mia risposta, girandomi un pochino e accennando una linguaccia. Mi girai di nuovo in avanti; sospirai profondamente.

Odiavo ammetterlo, ma questa volta il sarcasmo di Bell non era fuori luogo.
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Ehi! (:
Questo è il prologo, spero vi piaccia! È la prima ff che scrivo in assoluto e sono nuova su Efp... Mi farebbe piacere se lasciaste una recensione, anche piccola...ci tengo! (:
Un bacio! :*

G.

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Capitolo 2
*** I. Why me? ***


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I. Why me?

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«Edith, togliti quella smorfia dalla faccia!» rise Lani avvolta nel suo pigiama blu navy mentre portava verso il divano le nostre due tazze di latte bollente.
Il nostro piccolo appartamento in affitto alle porta di Londra non si poteva certo definire una casa confortevole. Sebbene fossimo solo in quattro diciannovenni ad abitarla, il disordine che regnava sovrano sembrava essere il risultato di una festa con cento invitati o di un passaggio di barbari. Nonostante ciò, se c'era un posto che era sempre in ordine era la zona dei due divani rossi che io stessa avevo deciso di mettere.
«Guarda che quando ti ho detto in classe che non ti era andata così male dicevo seriamente!» esclamò Bell, dando una rumorosa sorsata al suo cappuccino al caramello.
«Sì, immagino.» ridacchiai, fingendo di guardarla male e affondando ancora di più nei cuscini del sofà.
«Vedila così: non ti annoierai. Magari ti piacerà, magari ti farà schifo, ma almeno non ti annoierai. È una bella opportunità per cavartela da sola e...»
«Dio, Lani, sembri mia madre! È ovvio che sia triste, si aspettava il The Mirror e deve andare ad ascoltare delle canzoncine di una boy band...oltretutto sempre le stesse, perché stanno registrando un disco e le proveranno miliardi di volte, e forse...»
«Uhm sì, grazie Bell, sempre d'aiuto.» la interruppe Lani con un'occhiataccia, il suo tentativo di consolarmi completamente fallito.
«Beh, è la verità...» fece spallucce Bell, tornando a sorseggiare il frappuccino. Le guardai sorridendo e scossi la testa.
Fra tutte le ragazze del college non avrei potuto trovare due amiche più diverse.
Erano come l'angelo e diavolo che compaiono, uno a destra e uno a sinistra, sulle spalle dei personaggi dei cartoni animati.
Alana, da tutti chiamata Lani, fra le due aveva decisamente il ruolo dell'angelo; inglese nata da genitori indiani, era sempre pacata, tranquilla e sorridente. Aveva un fisico minuto e un po' tondetto, la pelle color caramello, una testa di capelli neri e lisci, due grandi occhi marrone cioccolato con lunghissime ciglia e una bocca di denti bianchi e perfetti che risaltavano sulla carnagione scura. Era una ragazza seria, di sani princìpi; non che non sapesse divertirsi, ma aveva sempre la testa sulle spalle e la sua presenza era...rassicurante.
Lo stesso non si poteva dire di Bell, che era tutto fuorché rassicurante. Non avevo mai capito perché i suoi genitori, due ex figli dei fiori libertini e stravaganti, avessero appioppato alla loro figlia femmina un nome dolce e raffinato come Maybell. Un nome del genere fa subito pensare a una ragazza alta, bionda, tutta fiocchi, pizzi e tè delle cinque. In effetti Bell era sia alta che bionda, ma il suo stile di vita ricordava più quello dissoluto da bella e maledetta di Kate Moss piuttosto che quello di una principessa. Tatuaggi, qualche piercing, rasatura dei capelli solo da un lato, feste sfrenate e qualche canna ogni tanto erano i suoi segni distintivi. Non aveva nulla a che fare con me, ma in qualche modo i nostri caratteri s'intersecavano perfettamente ed eravamo diventate amiche la prima volta che ci eravamo rivolte la parola, un anno prima.

I modi di Bell erano un po' troppo sfrontati e sbrigativi; ormai però avevo imparato a conoscerla e per questo motivo non mi stupii più di tanto quando, quella serata di fine Novembre, arraffò la mia borsa nell'ingresso e prese per sé il fascicolo che mi aveva dato il professor Sumner.
I suoi occhi lessero il programma distrattamente fino a quando non li vidi strabuzzare alla vista delle ultime righe del foglio. Bell alzò la testa e sventolò in aria un foglio.
«Allora, fammi capire bene: tu cominci domani mattina alle 8 e alle 23 sei ancora stravaccata su quel divano a poltrire?» esclamò, senza smettere di muovere il foglio davanti al mio naso.
«Non ho più 5 anni, penso di potermi permettere di andare a dormire dopo mezzanotte...» le risposi, prendendo il foglio e togliendolo dalle mani assai poco delicate di Bell, che sbuffò e si girò verso Lani.
«Ma vedi che proprio non capisce?» disse accennando a me con la mano e parlando come se non ci fossi. Lani fece spallucce.
«Devi conoscere la boy band più famosa del mondo e non ti stai preparando! Cioè, non stai correndo da una parte all'altra della casa per metterti in ordine!» continuò Bell, enfatizzando i "non".
«Andiamo, sarò nascosta in un angolo dello studio con una biro e un taccuino in mano, non vado a sfilare da nessuna parte!» risi, sorpresa dall'entusiasmo di Bell.
«No, non ci siamo!» decretò la mia amica. «Hai fatto la ceretta? E le sopracciglia, eh? I capelli, come pensi di pettinarli? Hai già scelto i vestiti? Gli accessori? Oh, e la borsa! E non mi dirai che ti terrai gli occhiali, vero?»
Le mie dita corsero istintivamente a sfiorare la montatura dei miei adorati occhiali, i classici neri, spessi e quadrati della Ray Ban, proprio da giornalista un po' nerd.
«A parte il fatto che non so cosa ci sia di male negli occhiali, comunque sì, sono a posto, e no, non ho scelto i vestiti e penso che li sceglierò in dieci secondi come tutte le mattine.»
«Oh, fai come vuoi. Ma io domani mattina voglio vederti uscire di casa impeccabile.» decise Bell.
«Sai chi mi sembri? Mia sorella Scarlett.» annunciai dopo qualche secondo.
«Le hai detto che lavorerai con gli One Direction?» chiese Lani, sapendo che Scarlett era una Directioner incallita. Non potei fare a meno di trattenere una risata al solo pensiero.
«Sì, penso che avesse la tachicardia mentre glielo dicevo, ci ha messo un po' per realizzare...anche lei mi ha subito raccomandato di mettermi in tiro e "far finta di essere molto chic"» aggiunsi, scuotendo la testa.
Sembravo l'unica a non essere ancora fuori di testa per questa storia.

Prima di addormentarmi, per l'ennesima volta controllai l'indirizzo della sala di registrazione. Stavo per impostare la sveglia quando il mio sguardo si posò sulle immagini di quell'importante palazzo. Il portone era immenso, mi sembrava alto come quello della mia Università, e la struttura imponente mi trasmise un senso di agitazione. Mi immaginai lì dentro, a conoscere persone così famose -diciannovenni, d'accordo, ma sempre molto famosi...

Sembravo l'unica a non essere ancora fuori di testa per questa storia, ma chissà come mai quella notte mi rigirai per ore nel letto prima di riuscire finalmente a chiudere occhio.
-
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Ehi! (:
Dunque, questa è la prima ff che scrivo, quindi chiedo scusa in anticipo per qualche errore di grafica o cose simili, sono un po' impedita ahah...ma prometto di imparare più in fretta che posso e di migliorare! ;) xxx

G.

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Capitolo 3
*** II. Hey, you have to be Helen! ***


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II. Hey, you have to be Helen!

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Quando mi era stato assegnato l'incarico dal professore ero uscita dalla mia aula più tranquilla che mai. Purtroppo avevo l'onore di essere amica e sorella di persone ansiose ai massimi livelli le quali, ora dopo ora, mi avevano gentilmente trasmesso tutto il loro nervosismo riguardo la faccenda. Quindi fu così che quella mattina, davanti al grande palazzo della sala di registrazione, approfittai del fatto che non ci fosse quasi nessuno per avvicinarmi furtivamente allo specchietto retrovisore di un'automobile vicina e, facendo finta di nulla, mi sistemai velocemente qualche ricciolo ribelle e ringraziai col pensiero Bell per avermi convinta a mettere le lenti a contatto e ad abbandonare per un giorno i miei amati Ray Ban neri. Nonostante avessi il viso pallidissimo e le guance rosse per il freddo, cercai di auto convincermi che le luci calde della sala sicuramente non mi avrebbero fatta apparire bellissima, ma quantomeno viva, e tornai davanti al campanello.

Ero sempre stata dell'idea che fosse sempre meglio buttarsi ad occhi chiusi quando si ha paura piuttosto che esitare e crogiolarsi nell'ansia; così, senza nemmeno pensare, allungai un dito verso il campanello e lo premetti.

Il portone di aprì con uno scatto. Sospinsi la maniglia di ottone e mi spinsi all'interno dell'elegante palazzo.
L'entrata era incredibilmente luminosa, con soffitti esageratamente alti a cassettoni, il pavimento in marmo chiaro, due piante e tanti quadri eleganti e costosi appesi alle pareti color crema.
«Buongiorno, posso esserle utile?» chiese una voce trillante dalla scrivania della segreteria. Salii i pochi scalini che mi dividevano da essa e avvertii un enorme nodo di agitazione stretto all'altezza dello stomaco.
«Sì, grazie.» sorrisi, avvicinandomi alla signora distinta che mi aveva rivolto la parola. «Sono la studentessa della City University, devo incontrare gli One Direction per un progetto dell'Università che...»
«Edith Ivy...Seabury?» interruppe il mio fiume di parole la signora, guardandomi con un sorriso da sopra gli occhiali appoggiati sulla punta del naso.
«Esatto.» le risposi, grata di non doverle spiegare dal principio perché fossi lì.
«Prego, Joe l'accompagnerà.» disse, indicando un ragazzo in piedi davanti ad un ascensore vicina.
La ringraziai con un cenno e il ragazzo mi fece entrare per prima nell'ascensore per poi entrarvi e premere il bottone del terzo piano.
«È il tuo primo giorno qui?» mi chiese gentilmente.
«Sì, mi vedrai molto spesso, sarò qui quasi tutti i pomeriggi fino a Marzo.»spiegai.
«Tranquilla, i ragazzi sono simpatici, ti troverai subito a tuo agio.» mi rassicurò.
Cavolo, il mio nervosismo era così tanto evidente?
«Lo spero davvero.» sospirai sorridendogli. Le porte si aprirono su un corridoio e Joe mi indicò una porta alla mia sinistra dove chiedere informazioni. Lo ringraziai di cuore, uscii dall'ascensore e mossi i primi passi quando lo sentii chiudersi dietro di me.

Se l'entrata mi aveva stupita, il corridoio dove presumevo ci fosse la sala di registrazione era esattamente come me lo immaginavo. I soffitti erano più bassi, era meno illuminato, le pareti erano rosse e il pavimento in parquet: il tipico ambiente ovattato e tranquillo per conciliare il varo degli artisti.
Raggiunsi la porta che mi era stata indicata e bussai delicatamente.
«Avanti!» sentii subito esclamare dietro di essa. La spalancai e vidi che un ragazzo abbastanza giovane si stava alzando dalla scrivania per raggiungermi.
«Edith Seabury?» mi chiese.
«Sono io.» annuii. La sua mano raggiunse la mia e la strinse calorosamente.
«Oh, eccoti, benvenuta! Piacere, sono Marco, sono il manager dei ragazzi.» esclamò con un sottile e simpatico accento italiano. «Prego, seguimi, sono tutti in sala.» continuò spegnendo le luci della stanza e facendomi strada attraverso il corridoio.
Quando la sua mano abbassò la maniglia di una porta scura sentii il cuore farmi una capriola nel petto e il nodo nello stomaco stringersi sempre di più.
Marco mi fece entrare appoggiandomi delicatamente una mano sulla spalla e non entrò nemmeno nella sala.
«Ragazzi, lei la studentessa di giornalismo di cui vi avevo parlato.» annunciò. «Mi raccomando, lavorate come se lei non ci fosse, ma lavorate bene!» si raccomandò.
Avrei voluto che restasse ancora un po' per presentarmi alle otto persone presenti e sparse per la sala ma era evidente che avesse qualcosa di meglio da fare; quindi mi salutò velocemente e scomparve chiudendo la porta.

Nei dieci secondi successivi il mio cervello cercò di elaborare una frase allegra e rilassata da dire per rompere il ghiaccio da lì, immobile e da sola davanti alla porta.
Per fortuna una voce squillante mi tolse in fretta dall'imbarazzo.
«Hey, tu devi essere Helen!» esordì un ragazzo biondo alzandosi da una poltrona vicina e allungando una mano verso di me. Con la mano sistemai la borsa che mi stava scivolando da una spalla e mi sporsi in avanti per presentarmi.
«Sono Edith, piacere.» lo corressi con un sorriso.
«Oh, già, Edith...scusa, sono un disastro con i nomi!» disse con un sorriso sornione stampato sulla faccia.
Non glielo dissi, ma se lui era una frana con i nomi io lo ero mille volte di più. Sebbene avessi letto i loro nomi più volte, non riuscivo a ricordare nulla. Aveva un nome inusuale...si chiamava Niall. Aspetta, o forse era Liam?
«Comunque piacere Edith, io sono Niall.» esclamò, togliendomi dall'imbarazzo per la seconda volta in dieci minuti.
Niall era particolare, pensai, proprio come il suo nome. Aveva la pelle molto chiara, come la mia, i capelli biondi un po' spettinati e striati da qualche ciocca castano chiaro e gli occhi azzurrissimi. Era alto quanto me e indossava dei larghi pantaloni della tuta grigi, una felpa verde e un paio Nike. Sembrava molto tranquillo e a suo agio, e il fatto che lo fosse riuscì a farmi essere meno agitata mentre stringevo la mano a tre persone dello staff, tutte molto accoglienti e gentili. Quando una quinta persona s'avvicinò per salutarmi, mi resi conto che si trattava del secondo dei cinque ragazzi della band.
«Piacere, sono Liam.» annunciò avvicinandosi. Eccolo, lui era Liam, adesso ricordavo. Come avevo fatto a confonderlo con Niall? Era completamente diverso. I suoi capelli erano molto corti e di lui notai subito le sue spalle larghe, una voglia sul collo e il suo sorriso particolarmente dolce. Avevo sentito in giro che fosse il più sensibile del gruppo, e, anche se spesso l'apparenza inganna, osservandolo sembrava che le voci fossero vere.
«È la tua prima volta in una sala di registrazione?» mi chiese subito.
«Sì...» risposi. «Cavolo, è davvero bella!» aggiunsi guardandomi intorno.
«Vero? E devi sentire l'acustica, è pazzesca! Tipo, guarda questo loop: non è come quelli che trovi...» esclamò Niall dall'altra parte della sala e, prima che me ne accorgessi, lui e Liam iniziarono a tessere le lodi di microfoni, bottoni, cuffie e strumenti di cui non avevo mai sentito parlare in vita mia. Notai che entrambi parlavano molto velocemente, tanto che, quando aprì bocca un altro ragazzo che si era alzato da una sedia vicino a dei computer, mi sembrò che pronunciasse le parole a rallentatore.
«Così la stordite però, poverina!» commentò rivolgendosi ai suoi amici. Se i primi due sembrava che neanche prendessero fiato, questo invece parlava lentamente e con un accento inconfondibile alle orecchie di un'inglese.
Bradford, azzardai, o comunque nei dintorni.
In Inghilterra Bradford era conosciuta come un luogo "del ghetto", forse per il suo passato di città difficile ed industriale; quel ragazzo confermava quasi tutti gli stereotipi che ruotavano attorno agli abitanti di quel posto.
Era più alto di me, praticamente quanto Liam. Anche lui era molto diverso dai primi due membri della band che avevo conosciuto; il suo aspetto fisico mi ricordava molto Lani. I suoi colori facevano chiaramente intendere che non fosse inglese, o almeno non pienamente: aveva infatti la pelle olivastra, due espressivi occhi scuri dalla forma lievemente allungata e abbelliti da lunghe ciglia nere, come quelle della mia amica, un sorriso impeccabile e i capelli mori acconciati in un ciuffo. Aveva tratti del viso fini, con zigomi alti e un bel profilo marcato della mascella. Dalla maglietta nera con una stampa particolare si intravedeva una serie di tatuaggi sulla sua pelle, concentrati soprattutto su un braccio.
«Zayn.» disse semplicemente, stringendomi rapidamente la mano. «Tu sei...?»
«Edith, piacere.» sorrisi. Zayn era decisamente un bel ragazzo, ma rimasi un po' perplessa dal suo modo di fare: era sì gentile ed educato, ma la sua espressione un po' arrabbiata con le sopracciglia scure lievemente aggrottate e le labbra piegate in un broncio era come se mi suggerisse di lasciarlo in pace da solo. Infatti, dopo essersi fatto spiegare da me il progetto dell'Università e dopo avermi fatto qualche rara domanda a riguardo, uscì da solo sul balconcino della sala e si accese una sigaretta.
Niall mi fece fare un giro della sala continuando a illustrarmi nomi e capacità di diversi oggetti; anche se ignoravo la maggior parte delle cose che diceva, non ero proprio nella posizione di respingere un comportamento così amichevole come il suo e così gli posi una miriade di domande riguardo ai macchinari alle quali risposendava con entusiasmo.
«Paul, hai visto la mia giacca?» chiese qualcuno che non riconobbi a un membro dell staff, un uomo alto e massiccio che aveva tutta l'aria di essere un bodyguard. Un ragazzo più o meno alto come Niall attraversò la sala come una furia, l'espressione corrucciata sul viso, la barba incolta e un caffè di Starbucks in mano. Aveva i capelli castano chiaro spostati di lato, indossava una tuta molto larga con il bordi dei pantaloni arrotolati e un paio di Toms bianche ai piedi.
Sembrava che in quello studio nessuno si fosse accorto che era Novembre e che si trovavano a Londra, non piú in America: infatto erano tutti vestiti con indumenti primaverili e leggeri. Mi tolsi così il cappotto e la sciarpa e appoggiai tutto su una nascosta sediolina rossa della Coca Cola che elessi come mio posto personale. «Già, e lui è Louis.» mi spiegò Niall interrompendo la sua preziosa spiegazione indicandando in ragazzo con le Toms. Louis, sentendo pronunciare il suo nome e vedendomi, mi squadrò distrattamente dalla testa ai piedi e fece un sorriso un po' tirato.
«La giornalista, vero? Helen?» chiese.
Dio, con questo Helen...
«Edith.» corressi sorridendo. Louis rispose con un altro sorriso altrettanto rapido, ma i suoi occhi azzurri non sembravano sprizzare di gioia.
«Uhm, sì, piacere." mugugnò e riprese a vorticare in giro per la stanza in cerca della giacca.
Quell'accoglienza decisamente poco cerimoniosa subito mi lasciò stupita, ma me ne dimenticai subito: d'altronde ero essenzialmente un'intrusa fra di loro, e mi ero già preparata a non essere proprio la benvenuta per tutti.
«E il quinto di voi?» chiesi incuriosita non vedendo più nessuno di nuovo nella stanza. Niall e Liam si guardarono un po' intorno. «Ah, io lo so dov'è.» annunciò Niall all'amico. «Scommetto che sta dormendo...» disse, sempre rivolto a Liam.
Una parte della sala era divisa da un vetro dall'altra parte del quale si trovava un piano alto quanto un tavolo pieno di tasti, schermi e pulsanti. Liam aprì la porta della piccola stanzetta e, appena vi entrai, vidi subito qualcuno seduto male su una delle poltrone dietro il piano.
«Sai, siamo tornati ieri da Los Angles,» spiegò Liam. «e Harry non lo sopporta proprio, il jet leg: probabilmente si addormenterà ovunque per i prossimi tre giorni.»

Il mio cuore mancò silenziosamente di un battito. Su quella poltrona c'era il quinto dei cinque ragazzi della band. L'avevo visto molte volte sui giornali e su Internet, ascoltato un paio di interviste e sentito la sua voce in qualche canzone. Eppure, per quanto possa sembrare un cliché, ammisi che, se dietro ad uno schermo era affascinante, dal vivo era meglio -per quanto possibile-.
Stava dormendo di traverso sulla poltrona, la testa appoggiata alla mano, la bocca aperta e il respiro pesante. La posizione non era certamente delle più sexy, ma nonostante ciò mi ritrovai ad osservarlo con attenzione mentre gli altri sistemavano gli strumenti per iniziare a lavorare.
Harry indossava una semplicissima T-shirt bianca dallo scollo ampio, un paio di pantaloni stretti grigi scuri e un paio di scarpe scamosciate marroni. La sua giacca di pelle nera era stata buttata sul grande borsone che aveva fra i piedi e le sue braccia nude mostravano una serie di tatuaggi dalle molteplici forme e significati. Oltre che sulle braccia, dal collo della maglietta si intravedevano due tatuaggi sul petto, ovvero due uccellini speculari uno sulla parte destra del torace e uno sulla parte sinistra. La sua pelle tracciata di inchiostro era liscia e abbronzata dal sole di Los Angeles e i miei occhi scivolarono lungo la forma del suo viso. Aveva lineamenti dolci, due labbra di un intenso color rosa scuro e una testa di riccioli castani scuri, molto simili ai miei ma naturalmente più corti, che gli scivolavano disordinatamente sulla fronte. Rimasi colpita dalle sue mani. Erano molto grandi, ma non quel tipo di grande che fa pensare a un uomo rozzo, ma quel tipo di mani grandi ma eleganti, con il palmo ampio e belle dita affusolate.

Per quanto provassi, non riuscivo proprio ad immaginarmi la sua vita. Riuscivo solo a pensare a quella che si vedeva dai tabloid o dagli scadenti siti scandalistici su Internet. Sapevo che avesse la fama di sciupa femmine del gruppo, del leader, del Robbie Williams della situazione, della copia ringiovanita di Mick Jagger, ma qual era la sua vera vita? Quando non era fra le ragazzine urlanti con le ovaie impazzite, quand'era solo, chi era?
Probabilmente, pensai, era tanto affascinante e bello quanto montato ed arrogante.

Comunque non mi fu concesso molto tempo per continuare a fantasticare perchè Niall allungò una mano e scosse energicamente la spalla del ragazzo che iniziò a grugnire, infastidito per essere stato svegliato.
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*Spazio autrice*
Ehi! (:
Mi raccomando, qualsiasi cosa abbiate da scrivermi, recensite! Sono accetti consigli, commenti, correzioni, suggerimenti, idee, recensioni positive o negative, ma ditemi cosa ne pensate ;) xxx

G.

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Capitolo 4
*** III. Dee. ***


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III. Dee.

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«Harry, muovi il culo, dobbiamo registrare!» disse Niall, scuotendolo.
Nonostante le pressioni del ragazzo biondo, Harry si prese il suo tempo per stiracchiarsi inarcando pigramente la schiena e aprire lentamente gli occhi, soddisfatto della dormita.
Niall scappò a sistemare qualcosa per la sua chitarra e io decisi di rimanere. Ero pronta a presentarmi amichevolmente, ma quando mi mise a fuoco vidi i suoi lineamenti delicati diventare di marmo.
I suoi occhi, dei quali adesso potevo ammirare il magnetico color verde, si piantarono nei miei per poi guardare un orologio appeso alla parete e poi di nuovo me.
«Immagino tu sia la giornalista.» affermò freddamente poco dopo.
Dov'era finito quel ragazzo abbastanza gioviale e sorridente che avevo visto in qualche video? Istintivamente, sentendo il suo tono di voce accusatorio, indietreggiai leggermente e diedi un colpo di tosse.
«Sì, sono una studentessa in realtà...» corressi, quasi come se mi dovessi giustificare per qualche torto. Era come se mi stessi vergognando di essere lì in quella sala; era come se l'accezione di quasi disprezzo con cui aveva pronunciato la parola "giornalista" mi avesse fatta sentire in colpa. «E mi chiamo Edith, piacere.» aggiunsi, per evitare che qualcuno mi chiamasse Helen una terza volta.
«Harry.» rispose soltanto. Notai che stava per allungare una mano verso la mia, ma si fermò e si sistemò con le dita i ricci perfettamente spettinati.
Era chiaro dalla sua espressione di disappunto che non aveva voglia di mettersi a chiacchierare del più e del meno con me e avevo afferrato che l'eloquenza non fosse di certo un suo pregio; così mi voltai e allungai qualche passo per andarmene.
«Certo che è proprio strano, questo...progetto che stai facendo.» sentii una voce sarcastica e allo stesso tempo pacata alle mie spalle.
Non sapevo se provare sollievo perché Harry aveva deciso di scambiare due parole con me o se rimpiangere di non essermene andata in tempo. Decisi comunque di comportarmi amichevolmente; d'altronde neanche io ero mai stata granché a fare la simpaticona con gli sconosciuti e ognuno ha il proprio modo di socializzare, pensai, anche se quello di Harry sembrava più un modo per mortificarmi.
«Sì, è particolare.» sorrisi, voltandomi di nuovo. Harry si alzò dalla poltrona e buttò sopra di essa il suo borsone. Aprì la zip come se non avessi parlato, frugò all'interno per un po' di tempo e ad un certo punto scrollò le spalle.
«Voglio dire, non capisco come possa essere utile a una che vuole fare il tuo...lavoro stare a spiare una boy band.» sentenziò gelido senza nemmeno guardarmi, come se stesse recitando un monologo o stesse pensando ad alta voce.
Spiare. Quel verbo non era stato pronunciato a caso, non era una parola buttata fra le altre, non era il sinonimo usato male di un altro verbo. Era proprio quello che voleva dire, proprio quello che pensava di me.
«È solo un modo per imparare a osservare e ambientarsi in situazioni nuove...in più il mio professore ha mosso mari e monti per farmi venire qui, non avrei potuto rifiutare.» dissi alzando le spalle.
«Non credo l'avresti fatto, anche potendo.» rispose, guardandomi questa volta e stiracchiando un sorriso.
«Già, probabilmente hai ragione.» mentii.
Sì che l'avrei fatto, soprattutto se avessi saputo che qualcuno mi avrebbe fatta sentire in colpa come stai facendo tu.
Harry trovò finalmente le enormi Beats bianche che stava disperatamente cercando nel borsone e se le mise attorno al collo come un presentatore radiofonico.
«Comunque sarò qui in sala e a qualche evento solo per pochi mesi.» aggiunsi.
Ecco, lo stavo facendo di nuovo. Mi stavo giustificando. Ma giustificando per cosa? Per uno stupido progetto universitario? Perché al signor Harry Styles non andava giù che io fossi lì? Anche a me non andava giù essere lì, tanto che ogni volta che pensavo a Lani lavorare alle scrivanie del The Sun mi si stringeva lo stomaco; eppure ero lì, e cercavo anche di essere gentile con quel ragazzo tanto affascinante quanto meritevole di un paio di schiaffi.
«Harry, un minuto e si comincia!» gridò Zayn, sporgendo la testa nella piccola parte della sala di registrazione dove eravamo. Harry richiuse il borsone, si sistemò le cuffie sulle orecchie e mi superò per raggiungere la porta. Quando mi passò vicino sfiorandomi la spalla percepii il suo profumo fresco diffondersi nell'aria.
Stava per uscire dalla stanza quando si voltò verso di me e mi fissò di nuovo, questa volta in modo meno arrogante di prima, come se si stesse sentendo in colpa anche lui.
«Beh, buon lavoro quindi.» mi augurò, e prima ancora che potessi rispondergli era già fuori dalla stanza.

Avevo pensato che uno dei vantaggi del lavoro in quella sala di registrazione fosse che almeno sarebbe stato meno faticoso e stressante rispetto ad altri.
Naturalmente fui smentita il primo giorno.
Dopo un magro pranzo a base di tramezzini di Starbucks, verso metà giornata si accumulò sotto lo studio un'orda spaventosa di fans. Avrei dovuto essere fuori da quel palazzo alle sette di sera, ma quando vidi che all'ora prestabilita nessuno stava prestando attenzione agli orologi decisi di mettermi l'anima in pace e rassegnarmi a stare lì fino a tardi. Sembrarono fare la stessa cosa anche le Directioners accampate fuori dal palazzo: man mano che scendeva la sera infatti iniziarono a sciamare via dalla strada, esauste per essere state in piedi e aver lanciato gridolini per un pomeriggio intero.
Scrissi un veloce messaggio a Bell per dirle che sarei tornata tardi e per pregarla di lasciarmi qualcosa da mangiare, ma poi mi ricordai che quella sera la mia amica sarebbe andata a uno dei suoi soliti concerti indie con dei suoi amici: questo significava che sarebbe tornata ovviamente più tardi di me e che, per l'effetto delle canne che ogni tanto Bell non disdegnava, avrebbe avuto decisamente più fame di me. Mi affidai quindi al buon senso di Lani, e per altre tre ore mi dimenticai del mondo intero.
Ne fui sorpresa, ma mi divertii a vedere i cinque ragazzi provare ed imparare nuovi pezzi; soprattutto mi stupii perché riuscivano ad essere molto professionali nonostante facessero continuamente battute e scherzi, e sembrava che avessero fatto quel lavoro da tutta una vita. Niall, Liam e Zayn mi spiegarono molte cose e in una serata memorizzai tutte le funzioni degli strumenti dei quali, quella stessa mattina, non sapevo nemmeno i nomi; Louis mi rivolse poche volte la parola e mi sembrò molto più concentrato a mandare furtivamente messaggi nei momenti liberi; Harry non mi degno di un'occhiata.
Spesso, quando ero distratta mentre scrivevo, udivo una voce profonda e lievemente roca che sembrava cullarmi più delle altre; solo dopo realizzai che fosse la voce di Harry. Più volte mi ritrovai a cercare il suo sguardo, curiosa, ma mi rassegnai quando al momento di andarsene, alle dieci di sera, non mi rivolse nemmeno la parola a differenza degli altri.
Fui una delle ultime a lasciare il palazzo e, quando uscii, vidi nel buio i capelli biondi di Niall e la sua figura appoggiata ad un'automobile nera. Quando mi vide mise in tasca in telefono e accennò con la testa alla macchina.
«Ti diamo un passaggio.» disse allegramente riferendosi col plurale all'autista messo a disposizione della band. Gli altri ragazzi erano già andati a casa con le loro macchine e il buio dell'inverno alle porte era talmente nero e pesante che i lampioni illuminavano a fatica i marciapiedi londinesi.
«Sei sicuro? La metropolitana è qui di fianco...» mentii, imbarazzata dalla sua disponibilità sperando che l'irlandese non conoscesse a memoria tutte le stazioni del centro.
«Non c'è nessuna metropolitana vicina, questo posto è parecchio scomodo infatti...» rispose, e indicò la vettura una seconda volta. «Dai, sali, se no moriamo congelati.»

La macchina si fermò davanti a casa mia dopo un quarto d'ora durante il quale Niall era quasi soffocato dalle risate per tutte le storie stravaganti delle mie coinquiline, e soprattutto, naturalmente, di Bell.
«Dovrai sicuramente farmele conoscere, ci conto!» esclamò mentre scendevamo dalla macchina.
«Certo, lo prometto!» risi. «Uhm, Niall...grazie davvero per il passaggio.» aggiunsi.
«Figurati, nessun problema...» mi rispose.
Mi voltai per raggiungere casa mia, salii i tre scalini che mi separavano dal portone.
"Edith?» sentii una voce chiamarmi alle mie spalle.
"Sì?»
«Ce l'hai un soprannome? Il tuo nome è troppo serio per te.» chiese Niall nel silenzio della notte, facendomi scoppiare in una risata.
«Ne ho uno solo per la mia famiglia, tutti i miei parenti mi chiamano Dee da quando sono piccola. Puoi chiamarmi come vuoi, le mie amiche ne trovano uno nuovo tutti i giorni...basta che non sia Ed, se no mi sento un maschio!»

«Allora fai bei sogni, Dee.» mi sorrise Niall prima di salire sull'auto e scomparire nella notte.
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*Spazio autrice*

Ehi! (:
Nuovo capitolo, spero vi piaccia! (: Come al solito, se scriveste qualche opinione, commento, consiglio per aiutarmi a migliorare mi farebbe un ENORME piacere...e grazie davvero a chi l'ha fatto fino ad adesso!
Un bacio! :*

G.

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Capitolo 5
*** IV. Baby Steps. ***


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IV. Baby steps.

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Tempo due settimane e quella sala di registrazione non ebbe più segreti per me.
Le mie giornate erano frenetiche, ma mi ero abituata subito: lezioni al mattino, pranzo in metropolitana o correndo in ritardo per strada, ore di lavoro nella sala, ritorno a casa e cena sui libri dell'Università. Ero talmente di corsa che a volte mi dimenticavo di farmi sentire dai miei genitori a Manchester, che non s'interessavano di altro se non dei miei esami; avrei potuto essere sulla soglia di un crollo di nervi, ma mia madre avrebbe sempre e comunque risposto al telefono con la stessa frase in bocca. "Amore, stai studiando abbastanza?". Dall'altra parte invece non avevo mai parlato così tanto al telefono con mia sorella Scarlett, ancora su di giri per la mia nuova occupazione con i suoi idoli.
Lani si era assunta l'incarico di preparare sempre qualcosa da mangiare anche per me e di aiutarmi con la lavatrice. Aveva iniziato a preoccuparsi per me persino Bell, di solito poco...diciamo, sensibile, a queste cose. Scartando come risposta le sostanze stupefacenti, non si spiegava da dove prendessi tutta quell'energia.
Mi ero abituata a tutti e a tutto, ma naturalmente Harry rappresentava un caso a parte.
Io, in compenso, avevo smesso di essere sorridente e accomodante con lui per ignorarlo a mia volta. O meglio, fingendo di ignorarlo: in realtà, quando non se ne rendeva conto, ne studiavo di nascosto i movimenti e le espressioni. Era come un grande felino, avevo riflettuto, un leone forse: era bello, affascinante e fluido nel muoversi, aveva una voce roca e potente simile ad un ruggito ma era pericoloso, diffidente e protettivo nei confronti del suo territorio.
Tutte le volte che mi decidevo ad avvicinarmi e cercare di capire perché mi ignorasse in quel modo mi scoccava un'occhiata, si allontanava, mi voltava la spalle, faceva qualcosa che mi teneva lontana dal raggiungerlo. Mi incuriosiva, ma allo stesso tempo non lo sopportavo: ogni giorno speravo che qualcuno o qualcosa lo facesse scendere violentemente dal piedistallo dove si era innalzato da solo e che la piantasse di interpretare la parte della Maestà della situazione.

«Stai bene con gli occhiali.» commentò all'improvviso Louis un giorno.
In sala di registrazione eravamo solo noi due: era l'ora di pranzo, ed entrambavevamo di meglio di fare che andarci ad ingozzare di panini da Starbucks. Era la prima volta in cui eravamo soli e la prima volta che mi parlasse di qualcosa che non fosse lavoro, quindi mi raddrizzai bene sulla sedia, un po' imbarazzata e sorpresa, e diedi un nervoso colpetto di tosse.
«Grazie.» risposi. «Ho dovuto combattere contro la mia coinquilina per metterli, lei mi preferisce senza.»
Louis posò il cellulare che come al solito aveva fra le mani e incrociò le braccia al petto. "Un chiaro segno di disagio", come dicono sempre gli studiosi del linguaggio del corpo.
«Io ti preferisco così, sei più particolare.» ammise, indicandomi il viso. «Quante coinquiline hai, a casa?» chiese poi.
«Due, sono le mie più care amiche dell'Università, ma probabilmente il prossimo anno verrà a stare con noi il fidanzato di una delle due.» raccontai, riferendomi a James, il ragazzo di lunga data di Lani.
«Immagino che tu non sia contenta...» ipotizzò Louis con un sorrisino.
«Lui è simpatico, davvero un ottimo ragazzo,» dissi come premessa. «Ma avrò sempre l'ansia di trovarmeli da qualche parte a baciarsi e di disturbarli, come succede nei film.» spiegai rispondendo al suo sorriso.
«Devi trovarti un ragazzo anche tu, allora...» mi rispose, facendo spallucce. Non potei fare a meno di scoppiare in una risata.
«Un ragazzo? Io? Adesso? Non ho quasi neanche il tempo di lavarmi le magliette, mi dimentico di chiamare la mia famiglia, figuriamoci...»
«Almeno non ci abiteresti dall'altra parte del Paese.» commentò con una punta di amarezza nella voce. Il suo sorriso scomparve, e con le dita si mise a tirare un filo della sua felpa Jack Wills. Ammutolii, incerta se continuare o lasciar cadere la discussione e parlare di altro.
«Stai parlando di te, vero?» chiesi alla fine. Louis non mi rispose subito: naturalmente non sapeva se raccontarmi i fatti suoi o se essere generico e schivare l'argomento.
«Sì, lei è di Manchester e studia lì.» disse ad un certo punto.
«Manchester, davvero? Anche io sono di lì!» esclamai. «Come si chiama?»
«Eleanor.» mi disse. Quel nome scivolò dalle sue labbra con un suono armonioso, dolce e protettivo, come se avesse paura di sciuparlo. Louis alzò di nuovo lo sguardo verso il mio; vidi la sua bocca inarcarsi in un sorriso, un sorriso malinconico, ma sempre un sorriso, e i suoi occhi azzurri illuminarsi. Per un attimo, anche se non conoscevo la sua ragazza, provai un'invidia bruciante per lei: probabilmente il mio nome non avrebbe mai suscitato una tale reazione su nessuno, pensai.
«Guarda, è lei.» aggiunse. Si alzò dalla sedia e venne a sedersi vicino a me. Il blocco schermo del suo iPhone ritraeva una bella ragazza dai capelli ondulati, il viso ovale, gli zigomi alti e dei begli occhi nocciola.
«Si vede che ti manca...» sorrisi, vedendo la sua espressione felice mentre osservava la foto.
«Già, giusto un pochino!» rise, rimettendo il cellulare in tasca. Tornò poi serio nuovamente. «È sempre più difficile...siamo lontani, quando sono in tour siamo separati per mesi...sì, ogni tanto ci vediamo, ma anche lei ha da fare, gli esami all'Università non sono da prendere alla leggera...e poi sai, i pettegolezzi di certo non aiutano...»
Sapevo bene che l'ultima frase era esplicitamente rivolta a me e al mio -quasi- lavoro.
«Se ti può consolare, non è quel tipo di giornalismo da due soldi che aspiro a fare.» sorrisi, ma parlando con fermezza. Avrei voluto spiegargli molte più cose, ma capii che era meglio così. Almeno per il momento.
Louis non mi rispose, come avevo immaginato.
«E comunque, se posso dirtelo, Eleanor è davvero fortunata ad averti.» conclusi, mentre qualcuno entrava nella sala di registrazione.
Louis non rispose neanche questa volta, ma sorrise di più: era chiaro che ancora non si fidava di me, ma sentivo di avergli fatto una buona impressione. Prima di allontanarsi, Louis salutò Harry che intanto era arrivato alle mie spalle.
Stavo per andarmene anche io, quando dietro di me sentii il ragazzo riccio ridacchiare in modo a dir poco irritante.
«E così...Edith» cominciò Harry, enfatizzando il mio nome con un cenno distratto della mano. «Praticamente sei venuta a fare la spia delle nostre vite, giusto?" disse, sistemandosi per bene su una sedia. Mi aveva sicuramente sentito parlare di Eleanor con Louis.
«Te l'ho già detto, non sono una spia, ma una giornalista.» sospirai, rassegnata. «Un'aspirante giornalista, oltretutto.» aggiunsi.
«Non vedo la differenza.» rispose guardandomi di sottecchi.
«Non scriverò di tutte le ragazze che ti porti a letto, Styles, a me interessa solo il vostro lavoro, è di quello che dovrò parlare nell'articolo finale.»
«Ah sì? Niente vita privata?»
«Niente vita privata.»
«Prometti?»
«Non vedo come la tua vita privata potrebbe interessare a un professore universitario sessantenne!» risposi sarcastica. Harry abbozzò una smorfia, ma incrociò le braccia al petto e mi fissò in attesa. «E va bene, sì, prometto!» sbuffai.
Mi voltai scuotendo la testa e camminai stizzita verso la mia borsa.
«Ah, e comunque,» aggiunse dando un colpo di tosse per ostentare disinvoltura «con gli occhiali, uhm...non stai male.».
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*Spazio autrice*

Ehi! (:
Nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto! (:
Aggiornare è un casino ahah, perché io non posso fare le cose facili e ho iniziato questa ff (la prima che scrivo) in viaggio!
Quindi in pratica scrivo in piena notte o in macchina e aggiungo i capitoli un po' dove mi capita (siano benedetti gli hotel con Wifi!) (:
Comunque, per favore, RECENSITE! Qualsiasi cosa vi venga in testa, anche due righe, ma adoro leggere i vostri pareri ** come al solito, grazie a chi l'ha già fatto, grazie davvero!
Un bacio! :*

G.

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Capitolo 6
*** V. Well, I think it's quite obvious. ***


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V. Well, I think it's quite obvious.

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Se c'era una cosa che amavo era vedere Londra nel periodo di Natale.
Le strade si riempivano di gente indaffarata, di baracchini che vendevano le castagne, di addobbi, di finti Babbo Natale, di mamme di corsa e di bimbi infagottati nei cappotti di lana con le guance rosse per il freddo. Amavo mangiare i dolci tipici di quel periodo, bere cioccolate, leggere e avere due settimane di vacanza dall'Università e dalla sala di registrazione; adoravo il fatto che i ragazzi della band mi avessero fatto i loro più sinceri auguri ed ero sollevata al pensiero di non vedere per un po' Harry che, dopo avermi rivolto il complimento degli occhiali, era tornato ad essere gelido come prima.
Se c'era una cosa che odiavo, però, era sentire le classiche scuse di mia madre.
«Tesoro, come hai fatto a pagarti da sola la prima classe?» chiese mia madre dall'altra parte del telefono. Avvicinai di più il cellulare all'orecchio per sentirla meglio nonostante i rumori della strada.
«Ho chiesto di prenotare il volo a Margaret e mi ha fatto una sorpresa...un regalo di Natale, suppongo.» le spiegai, alludendo alla distinta segretaria della sala di registrazione con la quale avevo stretto amicizia.
«Beh, è stata molto gentile. Falle un regalo anche tu, Dee, sii educata.» si raccomandò mia madre, dando per scontato che non ci avessi già pensato da sola. «Comunque, ti ho chiamata per dirti che purtroppo io e papà non potremo venirti a prendere all'aeroporto...»
«Ma arrivo alle due di notte, mamma!» protestai, rifiutando con la mano dei volantini che un uomo vestito da Babbo Natale voleva darmi.
«Amore, lo sai quanto sono lunghe le cene con gli amici di papà.» si giustificò, come se la cosa la infastidisse a morte.
«Va bene, chiederò a George di venirmi a prendere,» sbuffai, sapendo che mio fratello mi avrebbe sicuramente fatto quel favore. «come tutte le volte che vengo da voi a Manchester.» puntualizzai, seccata.
Mia madre fece finta di non sentire il mio tono di voce stizzito.
«Perfetto. Ci vediamo, tesoro, fai buon viaggio!» esclamò mielosamente prima di attaccare.
Interruppi la conversazione e buttai il telefono nella borsa. Tutte le volte. Tutte le volte che prendevo l'aereo per andare dalla mia famiglia i miei genitori non riuscivano a trovare un'ora fra una festa e l'altra per venirmi a prendere.
Mia madre e mio padre erano quelli che si possono definire degli animali da società. Avevano tantissimi amici, organizzavano feste, partecipavano a milioni di cene e provavano sempre nuovi locali in giro per Manchester: era quello il loro hobby dopo il lavoro.
Era davvero una barzelletta che da due come loro fossero usciti due figli come mio fratello maggiore e me: entrambi infatti non sopportavamo né le amiche pettegole di nostra madre, né gli amici gradassi e scapoli di mio padre. I miei genitori evidentemente avevano avuto più fortuna con nostra sorella minore, Scarlett, che fin da piccola sembrava la copia sputata di mia madre: non desiderava altro che diventare come lei, quando invece io rabbrividivo al solo pensiero.

«Hey, Seabury!»
Pregai di non aver sentito davvero quella voce irritante e mi calai il cappello di lana sugli occhi mentre camminavo verso casa. Purtroppo sentii il mio cognome risuonare di nuovo, e quando mi voltai non feci nulla per nascondere il mio nervosismo.
Kayla Alvord. Se avessi dovuto nominare una ragazza che da grande sarebbe diventata come le amiche oche di mia madre avrei sicuramente preso il suo esempio. Era una mia compagna di corso dell'Università e, se Lani e Bell erano diventate le mie migliori amiche la prima volta che mi avevano parlato, io e Kayla avevamo iniziato ad odiarci reciprocamente senza nemmeno scambiarci una parola.
Aveva i capelli neri, liscissimi e lunghi fino a metà schiena. La sua pelle era bianca, trasparente, e il fatto che indossasse sempre un rossetto rosso scuro non faceva che rendere il suo pallore quasi malato. I suoi occhi erano neri e avevano un particolare taglio obliquo che le conferiva sempre un'espressione altezzosa e saccente.
Purtroppo per lei, non era proprio nella posizione per atteggiarsi da saccente: infatti era una delle più svogliate studentesse che io avessi mai conosciuto, e il fatto che il professor Sumner l'avesse mandata a fare esperienza in un piccolo giornale scandalistico di bassa lega ne era la prova.
«Alvord.» dissi, voltandomi e alzando la mano in segno di saluto. Solo dopo vidi che al suo fianco c'era un ragazzo alto e allampanato, con i capelli lunghi scuri e un diamantino pacchiano all'orecchio destro.
«Lui è Logan, è un paparazzo.» annunciò fieramente Kayla, come se essere vista in giro con tipo del genere fosse motivo di vanto. «E lei è...una mia compagna di corso.» borbottò con molto meno entusiasmo accennando a me.
«Logan Wreeland, piacere.» sorrise, stringendomi la mano.
«Edith, piacere.» bofonchiai.
«Allora, Seabury, come va con quelli là?» chiese, riferendosi agli One Direction ridacchiando.
«A meraviglia, grazie.» risposi. Anche se la band mi avesse picchiata e maltrattata avrei fatto qualsiasi cosa per non farmi vedere insoddisfatta da lei. «Tu, invece? Immagino quanto sia divertente spiare i protagonisti falliti dei reality show...» aggiunsi, ridacchiando esattamente come lei.
«Sempre meglio di rimbambirsi con canzoni da dodicenni.»
«Punti di vista.» ribattei, serafica, evitando di ripeterle quando fossero insignificanti e senza talento le persone sulle quali scriveva articoli. Kayla sbuffò rumorosamente.
«Senti, devo andare. Stammi bene, Seabury. Ah, e salutami i tuoi One Direction da parte mia, fai loro i miei migliori auguri di Natale!» gracchiò, sarcastica. Il paparazzo rise.
«Non sanno nemmeno che esisti al mondo, Alvord.» dissi con un sorriso angelico. «Comunque lo farò sicuramente.»
La vidi pronunciare silenziosamente la parola "stronza" e ripresi a camminare tutta soddisfatta verso casa a preparare le valigie per la partenza di quella stessa sera.
Se c'era qualcosa che amavo era Londra a Natale, se c'era una cosa che odiavo erano le classiche scuse di mia madre; ma se c'era una cosa che davvero risollevava le mie giornate era zittire Kayla Alvord.

L'aeroporto di Londra era deserto, quel 20 Dicembre. La neve continuava silenziosamente ad imbiancare le strade della città e Lani e Bell avevano rischiato molteplici incidenti sul ghiaccio per accompagnarmi sana e salva all'aeroporto; avevano insistito a restare con me fino all'ora della partenza, ma erano le undici di sera e avevo detto loro di tornare tranquillamente a casa.
Tutte e tre insieme avevamo passato una bella serata con altre amiche dell'Università. Era da tempo che non uscivo a divertirmi e probabilmente avevo bevuto qualche bicchiere in più di quella deliziosa birra rossa. Le mie palpebre erano più pesanti del solito e ogni tanto sentivo i miei passi essere più incerti del solito. D'altronde, come si fa a sopravvivere a dieci amiche che ti sommergono di domande sugli One Direction senza una buona dose di alcolici in corpo?
Quando arrivai alla zona di imbarco per il volo di Manchester c'erano soltanto una decina di persone ad aspettare: il mio cuore però ebbe un tremito e smisi di essere brilla all'improvviso quando vidi una di quelle dieci persone. Non avevo bisogno di controllare il suo viso, né i vestiti: mi bastava vedere i capelli e la giacca di pelle.

Harry. Harry Styles.

Un flash invase la mia mente: mi ricordai di quando mi aveva detto che era originario di un posto vicino a Manchester e lo rividi chiedere qualcosa alla segretaria Margaret riguardo a dei voli aerei. Questo voleva dire che la segretaria aveva prenotato per tutti e due e, avendolo fatto in un'unica operazione su Internet, saremmo stati vicini anche in aereo.
Il mio cervello elaborò tutti i modi per sfuggire a quella situazione: accamparmi in bagno fino alla partenza per non parlargli in quel momento, fare finta di nulla, fare l'amichevole o semplicemente comportarmi come tutti i giorni. Alla fine, stanchissima, decisi di scegliere l'ultima di quelle opzioni.
Camminai lentamente verso di lui, che alzò la testa dall'iPhone e strabuzzò gli occhi.
«E tu cosa ci fai qui?» chiese, simpatico come sempre.
«Beh, mi sembra abbastanza ovvio.» risposi, ridendo per la sua domanda idiota.
Harry sbuffò. «Anche all'aeroporto devi venire a seguirmi...» si lamentò, ma le sue mani si allungarono verso sinistra per liberare il posto affianco a sé dal suo borsone.
Mi sedetti, riluttante. «Hai chiesto a Margaret di prenotare il volo, vero?» chiesi.
«Certo, come faccio sempre.» rispose, confermando i miei sospetti.
Stava sicuramente per rivolgermi un commento acido quando una voce metallica di donna risuonò nell'aeroporto.

"Si comunica che il volo per Manchester di mezzanotte è rimandato alle due di questa notte causa neve. I bar e ristoranti saranno aperti regolarmente; ci scusiamo con i signori passeggeri per il disagio.»

L'annuncio s'interruppe e si sentì un mesto brusio di sbuffi e proteste.
«Cazzo...» mi lamentai, buttando la testa all'indietro e scivolando più in basso sul sedile. Ero esausta: sembrava che la stanchezza degli ultimi mesi mi stesse precipitando addosso in quel momento, tutta insieme. Lì. Con la seconda persona che mi più mi detestava al mondo, essendo naturalmente Kayla la prima.
«Attenzione, Edith Seabury che dice le parolacce, signori!» disse Harry, sorpreso per la mia uscita non proprio elegante.
«Abituati, Styles.» sospirai, senza nemmeno guardarlo.
Harry non mi rispose, ma si alzò. Tutta la poca gente in attesa per il volo, sentito l'annuncio, andò a rifugiarsi in qualche bar per bere qualcosa; restammo solo io ed il ragazzo riccio. Lo vidi aprire il borsone e frugarci dentro per un po'; alla fine ne trasse fuori una felpa pesante blu elettrico, afferrò la sua giacca di pelle e si mise la tracolla del borsone sulla spalle. Lo guardai interrogativamente, ma lui mi ignorò, si voltò e iniziò a camminare.
Mi stava davvero lasciando lì?
Harry si allontanò un po' fino a quando si fermò davanti ad una grande colonna in marmo dell'aeroporto. Buttò la sua giacca aperta per terra e si sistemò con la schiena appoggiata contro la colonna in una posizione certamente più comoda di quella che avevamo negli striminziti sedili all'imbarco.
Harry doveva essere stato sotto la neve, perché i suoi ricci disordinati erano umidi e gli finivano continuamente sulla fronte. Aveva le guance più rosse del solito, gli occhi di un verde più scuro e cupo e le sue labbra, di solito rosa scuro, erano stranamente pallide per il freddo di Dicembre.
Sembrava un bambino, pensai, come quelli per strada con le caramelle in una mano e l'altra mano allacciata saldamente a quella della mamma, ma il suo sguardo attento, i suoi muscoli, le sue spalle larghe e i tatuaggi sulla pelle non appartenevano decisamente al corpo di un bambino.
Harry prese la felpa blu elettrico e la stese al suo fianco, poi alzò la testa e mi piantò sfacciatamente gli occhi in faccia.
«Allora, vuoi aspettare ancora un po' ad alzarti?» mi chiese.
Capii solo in quel momento che il posto sulla felpa blu era riservato a me. Avrei voluto ribattere qualcosa, ma ero talmente stanca che mi alzai e sospirai, consapevole che sarebbe stata una lunga, lunga nottata.
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Ehi! (:
Nuovo capitolo, spero vi piaccia! Mi fa strano scrivere di Natale e di neve, ma tant'è ahah ;)
Grazie a tutti quelli che hanno recensito!
Grazie a chi ha messo questa storia fra le seguite, ricordate o addirittura preferite!
Grazie ai lettori "silenziosi"...fatevi "sentire" prima o poi, ci tengo! ;)
E soprattutto...RECENSITE, recensite, recensite! Non c'è nulla di più bello di ricevere commenti su quello che si scrive :)
Un bacio! :*

G.

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Capitolo 7
*** VI. Nobody. ***


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VI. Nobody.

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Ci sono dei momenti, nella vita, nei quali si ha come la sensazione di uscire dal proprio corpo e vedere la propria situazione da fuori, come la vedrebbe un estraneo.
Non seppi a cosa dare la colpa, se al caso, all'alcool o alla stanchezza, ma mi accadde una cosa del genere proprio quella notte e non potei fare a meno che sorriderne. Come colpita da un flash mi vidi lì, esausta e un po' brilla, seduta in modo scomposto contro la colonna di un aeroporto con una felpa sotto il sedere. E di fianco a me stava facendo la stessa cosa non una mia amica, non un mio famigliare e neanche uno sconosciuto, bensì un membro della boy band più famosa del mondo.
Neanche uno sconosciuto. Mi chiesi perché non ritenessi Harry uno sconosciuto. D'altronde, io cosa sapevo di lui? Non mi aveva detto niente di se stesso, mai, nemmeno per sbaglio. Avevo provato a conquistare la sua fiducia e ogni tanto mi era sembrato di esserci riuscita; ma tutte le volte mi ero sbagliata, perché Harry sembrava pentirsi di avermi concesso qualcosa di più e tornava ad essere freddo ed ermetico come prima. Appena facevo un passo avanti, lui mi costringeva a farne tre indietro; perciò quando mi fece posto al suo fianco nell'aeroporto non mi sorpresi più del dovuto e mi rassegnai al fatto che ben presto sarebbe tornato a comportarsi come sempre.
Non sapevo se prima o poi avrebbe smesso di considerarmi un nemico.
E non sapevo nemmeno perché ci provavo così disperatamente.

«Grazie, Harry.» mugugnai poco dopo essermi messa comoda.
«Nulla.» mi rispose con un cenno pigro della mano.
L'imbarazzo fra di noi si sarebbe potuto toccare con le mani e se non avessi fatto qualcosa per tenermi sveglia sarei sicuramente crollata dal sonno. Perciò, dopo un quarto d'ora durante il quale entrambi fingemmo di avere importantissime cose da fare per non parlarci, mi alzai in piedi e afferrai la mia borsa dal pavimento.
«Io vado a prendere un caffè. Ti porto qualcosa?» chiesi ad Harry. Sembrò esitare, ma poi fece spallucce.
«Un cappuccino.» rispose semplicemente. «Grande.»
Mi avviai verso lo Starbucks che avevo visto lì vicino e mi sorpresi nel vedere che c'era molta gente seduta stancamente sulle poltrone in pelle scura del locale.
Ordinai il mio frappuccino e il cappuccino di Harry e, al momento di prendere i due bicchieri e uscire, una cameriera giovane con un enorme apparecchio per i denti mi venne vicino e mi portò in un angolo del bar.
«Ciao, scusa...» disse sorridendo. «Per caso tu sei del volo rimandato di Manchester?» bisbigliò, come se mi stesse confidando chissà quale segreto.
«Uhm...sì.» risposi, stranita.
La ragazza s'affrettò verso il bancone, afferrò una biro e un tovagliolo e me li porse entrambi.
«Ti prego, fammi fare un autografo da Harry Styles.» mi chiese guardandomi con occhi supplicanti. «Sto lavorando, non posso uscire da qui...ti prego, dimmi che lo farai, ti prego.»
«Uhm, non lo so...sai, sta praticamente dormendo.» mentii. O forse no?
«Dài, prima eravate seduti vicini, vi ho visti.» affermò decisa. Mi ritrassi leggermente da lei, stupita che qualcuno avesse già notato la nostra sistemazione con le felpe. La cameriera congiunse le mani e mi fissò ancora. «Per favore, solo un autografo. Ah, e mi chiamo Tiffany.»
«Arrivo.» sospirai. Presi i caffè, il tovagliolo, la biro e tornai da Harry.
Il ragazzo, vedendo che gli allungavo una penna e un pezzo di carta come una delle sue tante fans, mi guardò interrogativamente.
«Una ragazza di Starbucks. Si chiama Tiffany. Mi ha quasi pregata in ginocchio.» spiegai velocemente prima che potesse aprire bocca. Harry annuì, firmò rapidamente l'autografo senza nemmeno guardare e mi ridiede il tovagliolo.
Quando lo riportai alla cameriera dovetti dirle più volte di abbassare la voce per quanto stava squittendo. Mi ringraziò un'infinità di volte e mi fece quasi tenerezza quando la vidi rigirarsi fra le mani quel pezzo di carta stropicciato con gli occhi che brillavano. Entrambe ci augurammo buon Natale, e quando tornai a sedermi vicino a Harry ero molto più sveglia e soddisfatta di quando me n'ero andata. Tanto sveglia da avere energie per affrontare una conversazione con Harry, cosa non sempre facile.
«È quasi svenuta.» risi, sistemandomi di nuovo sulla felpa blu elettrico. Harry alzò nuovamente le spalle, un gesto che ripeteva molto spesso, e diede un'altra lunga sorsata al suo cappuccino bollente. Esitai prima di rivolgergli ancora la parola e tossicchiai, ma alla fine presi il coraggio a due mani e parlai. «Posso farti una domanda?»
«Se devi...» sospirò. Si mise a sedere a gambe incrociate, mentre invece io le allungai comodamente per terra. Avevamo tutti e due le schiene e le teste appoggiate contro la colonna con le nostre spalle che si sfioravano; entrambi guardavamo dritto davanti a noi, senza mai girarci verso gli occhi dell'altro.
«Ti sei davvero abituato al successo? Voglio dire, quando le ragazzine svengono davanti a te, piangono, ti dicono che ti amano...ti sorprendi ancora?» chiesi tutto d'un fiato, come se avessi paura che qualcuno mi tappasse la bocca all'improvviso.
«Beh...» tossì Harry, mentre pensava alla risposta. «Mi ci sono abituato perché ormai mi succede sempre, ovunque io vada, ma il fatto che ormai ci abbia fatto l'abitudine non significa che non mi faccia piacere.»
Ottima risposta.
«Ogni tanto vorresti non essere famoso?» chiesi ancora, sfruttando al volo quel piccolo spiraglio che Harry mi stava concedendo.
«Non essere sciocca.» ridacchiò. «Se potessi vivere facendo ciò che ti piace, essere amata da un sacco di gente e guadagnare un sacco di soldi non ti piacerebbe?»
«Effettivamente sì.» riconobbi. «Te lo chiedo perché a volte non mi sembri...soddisfatto.»
Harry sbuffò e scosse la testa, infastidito. «Non cercare di fare psicologia spicciola, Edith. Ovvio che sono soddisfatto. Non posso avere sempre un sorriso da orecchio a orecchio, ti pare?» affermò con un tono di voce deciso.
«Già.» sospirai, richiudendomi nel mio silenzio. Fu lui a ricominciare a parlare, con mia grande sorpresa.
«Come mai tutte queste domande? Intervista improvvisata?» mi prese in giro.
«Sono solo curiosa, tutto qui. La tua vita è così diversa dalla mia, io non c'entro nulla con voi della band...»
«Ti sei integrata bene, però.» ammise, stiracchiandosi un po'. «Piaci addirittura a Louis e Zayn, che è tutto dire.»
Sorrisi, lieta per quello che mi aveva appena detto. Avrei voluto rispondergli che però non piacevo a lui, ma non avevo voglia di sentirmi ripetere che era vero.
«Anche io mi trovo bene in sala, ho imparato tantissime cose. Quando arriverò a casa mia sorella vorrà sapere tutto nel dettaglio, immagino.» dissi rendendomi conto di che interrogatorio senza fine avrei dovuto sopportare una volta tornata a Manchester.
«Tua sorella è appassionata di musica?»
«Mia sorella è appassionata di voi One Direction, è diverso.» spiegai. «Quando le ho detto che avrei lavorato con voi era al settimo cielo, come se dovesse farlo lei stessa.»
«Non ti ha contagiata, però.» disse Harry.
«È diventata una Directioner due anni fa, e io ero già qui a Londra per l'Università.» mi giustificai.
«Hai solo una sorella?» chiese Harry.
Dio. Harry Styles mi stava facendo delle domande personali. Non mi stava rispondendo sgarbatamente. Va bene, non era esattamente la definizione dell'espansività e non mi guardava in faccia, ma era già qualcosa, anche se entrambi continuavamo a tenerci sulla difensiva.
«No, ho anche un fratello più grande. Magari lo vedrai nell'aeroporto di Manchester, viene a prendermi lui.» risposi. «Uhm...tu, invece? Figlio unico?»
«Ho una sorella maggiore.» spiegò. Il tono malinconico della sua voce mi ricordò terribilmente quello di Louis quando mi aveva parlato di Eleanor.
«Ogni quanto vedi la tua famiglia?» gli chiesi. «Sei pieno di impegni e immagino tu non possa durante il tour...»
«Già.» mi diede ragione Harry. «Troppo poco, comunque. Sono passato da vivere in un paese di provincia immerso nel verde a vedere la mia famiglia ogni quattro o cinque mesi.»
«È bello che ti manchino.» sospirai guardando dritto davanti a me. «Cioè, voglio dire, lo so che non è divertente per te, ma quando qualcuno ti manca davvero vuol dire che ha un posto importante nella tua vita.» mi corressi.
«A tutti manca la propria famiglia.» ribatté Harry. Vedendo che non gli rispondevo parlò di nuovo, questa volta in modo più incerto. «A te...no?»
«No. Cioè, sì, un pochino, ma non tanto.» balbettai. Bene, mi stavo accartocciando su me stessa. Presi un respiro e cercai di spiegarmi al meglio. «Io e la mia famiglia abbiamo un rapporto...particolare. Mia madre e mio padre sono stati sempre troppo concentrati a curare la loro vita sociale, che io ho sempre detestato. Mia sorella è identica a mia madre. L'unico simile a me è mio fratello, ma non lo vedo molto spesso perché studia ad Aberdeen.»
«E tu sei scappata a studiare a Londra.» affermò, come se sapesse già la risposta.
Harry aveva capito qualcosa che mia madre e mio padre non avevano capito in due anni.
«Sì, praticamente sì.» risi. «Ho provato a convincere me stessa e i miei genitori che l'Università di Londra fosse di gran lunga migliore di quella di Manchester, ma la verità è che...la verità è che volevo solo andare via.»
Vidi Harry sorridere con la coda dell'occhio, ma non mi scomodai a voltarmi.
«Allora, adesso te la faccio io una domanda.» esordì. «Come mai hai deciso di diventare una giornalista?»
La domanda riguardo al giornalismo. Un classico, e un terreno minato in quel caso. Forse era il momento di cercare di far capire ad Harry che non avevo intenzione di raccogliere più fatti possibili della sua vita privata e sbatterli in prima pagina su un tabloid.
«Perché scrivere è quello che so fare.» risposi passando le mani sulle pieghette dei miei jeans. «È la cosa che mi riesce meglio, che mi soddisfa, che non mi tradisce mai. Ho cambiato tante passioni da quando ero piccola, ho cambiato amici e abitudini, ma se c'è una cosa sulla quale non ho mai dubitato è la scrittura. L'Università l'ho scelta ad occhi chiusi.» aggiunsi sorridendo.
Harry annuì, serio e concentrato come se gli stessi spiegando dei concetti di fisica quantistica.
«La mia è una passione, tutto qui.» continuai a spiegare. «Come la tua per il canto.»
«Tanti tuoi colleghi sono delle teste di cazzo.» affermò senza troppi mezzi termini dopo essere stato zitto per un po' di tempo. Naturalmente si era accorto di essere stato fin troppo amichevole e si era subito rimesso sui suoi passi.
«Anche tanti tuoi colleghi sono delle teste di cazzo, se la metti su questo piano.» ribattei.
«Ma i cantanti sono artisti, sono fuori di testa per definizione.» disse.
«Sarà.» sospirai. Non avevo voglia di discutere, ma il mio tono di voce gli fece capire molto chiaramente che non ero per nulla d'accordo con lui. «Ma tu non sei fuori di testa, però.» puntualizzai.
«Abbiamo diciannove anni, Edith. Abbiamo ancora tempo, io di diventare un cantante fuori di testa...»
«...e io una testa di cazzo. Afferrato il concetto.» conclusi.
Harry si lasciò scappare una risatina a sbuffo. Stava per aggiungere qualcosa quando lo schermo del suo iPhone s'illuminò e Harry dovette rispondere. Andò a parlare lontano, vicino alle vetrate dell'imbarco, e per una buona mezz'ora lo vidi annuire, gesticolare e camminare avanti e indietro; non riuscivo a capire cosa dicesse, ma reclinai la testa contro la colonna, chiusi gli occhi e stetti semplicemente ad ascoltare il suono ruvido della sua voce in lontananza.

«Uhm...Edith?»
Una voce raggiunse le mie orecchie a rallentatore, ovattata, e qualcuno mi scosse. Sbattei le palpebre lentamente e la luce dell'aeroporto mi sembrò quasi accecante. Il caffè evidentemente non era stato abbastanza, pensai, perché nonostante ne avessi bevuto un bicchiere enorme ero riuscita ad addormentarmi.
Solo dopo qualche secondo mi resi conto di avere la testa appoggiata su qualcosa di leggermente duro e un po' scomodo che si alzava e abbassava lievemente e ritmicamente.
Qualcosa tipo una spalla.
Una spalla?
Quando realizzai di avere la testa comodamente poggiata sulla spalla di Harry spalancai gli occhi e mi misi subito a sedere, passandomi una mano sul viso.
«Sono le due, si parte.» mi annunciò soltanto, alzandosi. Non trovai null'altro da dire, la bocca impastata dal sonno; lo imitai e presi le mie valigie dirigendomi verso l'imbarco. Per fortuna Harry non fece commenti sul fatto che lo avessi praticamente usato come cuscino e prima di salire sull'aereo tre o quattro distinti signori gli chiesero un autografo probabilmente -sperai per loro- da portare alle figlie.
Ero talmente abituata a volare in Economy che, quando Harry si fermò nella prima classe, pensai anche che avesse sbagliato. Solo dopo mi accorsi che avremmo dovuto viaggiare uno affianco all'altra ma, vedendo gli occhi verdi del ragazzo molto stanchi, capii che probabilmente si sarebbe addormentato dopo il decollo.
«Dài, un'oretta e siamo arrivati.» incoraggiai forse più me stessa che lui mentre una hostess illustrava tutte le misure di sicurezza in caso di emergenza. Quando ebbe finito, Harry scivolò ancora più in basso sul sedile, si avvolse nella coperta chiara offerta ai passeggeri dall'aereo, si infilò le cuffie e mi rivolse un'occhiata.
«'Notte.» mi disse soltanto. Chiuse gli occhi e qualche secondo dopo sentii della musica rimbombare nelle sue Beats.
Lo guardai per qualche minuto mentre s'addormentava, cullato dall'aereo; dopo poco però chiusi gli occhi anche io e scivolai nel sonno.

I passi di Harry risuonavano sul marmo dell'aeroporto di Manchester. Era chiaro che era abituato a viaggiare spesso; se prima di partire infatti l'avevo visto molto stanco, in un'ora e mezza di sonno i suoi occhi verdi erano svegli esattamente come tutti i giorni e sembrava avesse recuperato tutte le energie. Io ero esattamente l'opposto: avrei voluto sembrare fresca e riposata anche la metà di lui, ma a giudicare dai miei vestiti e dai miei capelli sembrava che avessi subìto una centrifuga dopo essere stata lanciata in una lavatrice.
Uscimmo da una porta che dava sul parcheggio dove avrei trovato la macchina di mio fratello. Appena misi il naso fuori dalla porta vidi che stava ricominciando a nevicare e notai in lontananza l'auto di George con i fari già accesi.
Harry, che camminava davanti a me, si strinse nel cappotto e io mi abbassai ancora di più il cappello sulla fronte per cercare di nascondere le condizioni disastrose dei miei ricci sempre più gonfi per l'umidità. Il ragazzo si voltò verso di me e mi stupii di vedere che era chiaramente imbarazzato.
«Uhm...grazie per la chiacchierata, Edith.» mi disse.
«Grazie per aver chiacchierato con me.» sorrisi alzando le spalle.
«Allora buon Natale.» mi augurò.
Ci avvicinammo goffamente l'uno all'altra, come due bambole che non s'incastrano l'una con l'altra, ma alla fine ci stringemmo in un abbraccio. Per dieci secondi non fui più una "pericolosa" giornalista, lui non fu più una pop star di successo: eravamo noi, solo noi, Harry ed Edith, due diciannovenni che si abbracciano sotto la neve, perché alla fin fine non eravamo nient'altro che quello.
Stavo sciogliendo il nostro abbraccio quando vidi Harry esitare. Non si scostò del tutto da me.
Il mio viso era ancora affianco al suo e prima che potessi allontanarmi Harry si voltò in modo fulmineo e appoggiò le sue labbra sulle mie.
Fu un secondo, un attimo, un battito di ciglia, talmente rapido che, quando il ragazzo riccio si allontanò, mi sfiorai le labbra con le dita come non fossi sicura di ciò che era successo. Magari non l'aveva fatto apposta. Anzi, molto probabilmente. Avrà girato la testa e avrà sbagliato, pensai. Succede tantissime volte.
«Scusami, davvero.» esclamò Harry. Si allontanò da me passandosi nervosamente una mano fra i capelli e guardando da un altra parte. «Sono un coglione.»
La sua espressione era talmente angosciata e contratta che dovetti trattenermi per non scoppiare a ridere. Insomma, non ero propriamente come tutte le modelle che si portava a letto, ma non avrei mai pensato che baciarmi gli avrebbe provocato uno sgomento simile.
«Harry, va tutto bene.» risposi, mordendomi il labbro inferiore per non lasciarmi sfuggire una risata.
«No, ti devo delle scuse. Ho sbagliato, seriamente.»
Manco mi avesse gonfiata di botte.
«Edith, facciamo finta che non sia successo niente. Sono stanco, non volevo, mi dispiace. Non è successo niente. Intesi?» disse Harry tutto d'un fiato, come fanno i bambini per discolparsi per qualche disastro.
«Ma certo. Intesi.» sorrisi. «Buon Natale.»
Presi il mio trolley ed iniziai a camminare verso la macchina lontana di mio fratello che vedevo a malapena a causa della neve sempre più insistente. Caricai la mia borsa nel baule e, mentre salivo in macchina, vidi Harry ancora in piedi che aspettava il suo taxi con le braccia incrociate.
«Dee!» esclamò George stringendomi in un abbraccio appena chiusi la portiera. La barbetta incolta di mio fratello mi solleticò la guancia: stava diventando sempre più uguale a mio padre. «Tutto bene? Com'è andato il viaggio?»
«George, hey, mi stai stritolando!» brontolai. «È andato tutto bene, come al solito con la neve si blocca tutto...»
George mise in moto e prima di partire si voltò verso di me.
«Dee, ma chi è quello? Ho visto che lo salutavi...» chiese indicando Harry.
Nella mia mente comparve il viso pentito e preoccupato del ragazzo riccio dopo avermi dato quel bacio al quale non avevo neanche risposto.
«Nessuno.» sospirai. «Dài, andiamo a casa.»
-
-

Ehi! (:
Nuovo capitolo, yeeey! Spero davvero vi piaccia (:
Come tutte le volte ringrazio tanto tutti quelli che hanno recensito e messo la mia storia fra le ricordate/preferite/seguite...grazie davvero! Mi era stato detto di allungare ulteriormente i capitoli; in questo ci ho provato davvero, spero che così vada meglio.
Se avete qualsiasi cosa da dirmi, un complimento, un apprezzamento, una critica, un suggerimento lasciatemi una RECENSIONE, anche piccola piccola...mi fa sempre piacere.
Un bacio! :*

G.

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Capitolo 8
*** VII. Then what? ***


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VII. Then what?

-

«Edith, facciamo finta che non sia successo niente. Sono stanco, non volevo, mi dispiace. Non è successo niente. Intesi?»
«Ma certo. Intesi.»

Edith

«E quindi?» m'incitò Oliver con gli occhi pieni di aspettativa. Sorrisi, contenta di rivedere i grandi occhi blu del mio amico dopo mesi di assenza da Manchester.
«E quindi nulla, abbiamo solo aspettato il volo insieme.» spiegai mentre passeggiavamo con le mani infilate nelle tasche dei cappotti. Oliver emise una risatina sarcastica, un po' deluso. Quando mi aveva chiamata quella mattina per invitarmi a fare colazione gli avevo accennato dove ero finita la notte precedente e, mentre passeggiavamo per il centro verso il nostro caffè, si crogiolava nella più morbosa curiosità di sapere cosa fosse accaduto.
«Tutto qui? Hai passato la notte con Harry Styles e hai quella faccia?» commentò dandomi un leggero pugno amichevole sul braccio.
«Il termine "passare la notte" suona male, sappilo.» risi scuotendo la testa. «Cosa posso dire? Mi sono trovata bene. È stato...uhm...istruttivo.» aggiunsi cercando la parola più adatta, anche se ero sicura che il mio amico ne avrebbe riso.
«Istruttivo in che senso?» chiese, calciando un po' di neve con una scarpa. Lo guardai scherzosamente di sottecchi.
«Mi ha raccontato qualche dettaglio sull'essere una super star e a tratti è stato persino simpatico.» feci spallucce e per l'ennesima volta in quella mattina sorrisi distrattamente passandomi la mano fra i capelli. Purtroppo mi dimenticai che Oliver mi conosceva da circa quindici anni e che riusciva a capire cosa stessi pensando anche quando alzavo solo un sopracciglio. Aggiungendo il fatto che io non fossi particolarmente abile a fingere, era quasi impossibile per me nascondergli qualcosa. Questa volta fu lui a guardarmi interrogativamente.
«Perché quel sorrisino?» chiese con un finto tono accusatorio.
Mi voltai e lo guardai con gli occhi sbarrati. «Di cosa parli?»
«Hai un sorriso strano, Edith! Non mi hai raccontato tutto, vero?» disse, e la sua domanda suonò alle mie orecchie quasi come un'affermazione. Raggiungemmo il bar verso il quale stavamo camminando per fare colazione. Era uno dei locali della mia città ai quali ero più affezionata e quando spinsi la porta d'entrata notai che i suoi colori e gli arredi un po' vintage mi ricordavano la sala di registrazione di Londra. Oliver ed io ci sedemmo nel nostro solito posto, un tavolo appartato in una specie di nicchia che avevamo scelto durante gli anni del liceo.
Il mio amico incarnava esattamente lo stereotipo del ragazzo inglese. Era alto, magro e un po' dinoccolato. Aveva la pelle candida, gli occhi azzurri, i capelli biondi acconciati in un ciuffo ordinato sulla fronte e un naso importante sul quale aveva sempre portato gli occhiali, che erano in modo buffo molto simili ai miei. Non riuscivo neanche a ricordare un momento della mia infanzia nel quale Oliver non fosse presente: potevamo non sentirci per mesi, discutere o non essere d'accordo l'uno con l'altra, ma insieme ne avevamo passate talmente tante che tornavamo sempre a confidarci come facevamo quando ero piccola. Quella volta, però, ero scettica se raccontargli cosa era successo: non temevo che lo sbandierasse ai quattro venti, cosa che non aveva mai fatto, ma che piuttosto mi trascinasse col suo entusiasmo e mi illudesse con delle false speranze.
Harry mi aveva detto di fingere che non fosse successo nulla, ma d'altronde Oliver mi era stato vicino in tutte le mie avventure e disavventure amorose. Mi aveva sempre dato ottimi consigli e si era sempre sempre fidato di me anche quando, il primo anno del liceo, aveva scelto di confidarmi di essere più attratto dai ragazzi che dalle ragazze.
Presi un sospiro e, dopo aver ordinato il mio croissant alla marmellata, fissai gli occhi in quelli del mio amico che continuava ad aspettare una mia risposta con il naso, le orecchie e le guance ancora arrossate dal vento gelido.
«Oliver, sai cosa? Mi sono divertita. Tanto.» sospirai ad un certo punto. «Non l'avrei mai pensato, soprattutto sono rimasta sorpresa per quanto sia diventato più amichevole man mano che gli parlavo.»
«Allora non ti detesta così tanto, no?» azzardò il mio amico voltandosi per dare un'occhiata alla vetrinetta dei dolci.
«No, non così tanto.» sorrisi. «Anche perché quando ci siamo usciti è stato molto carino.»
Oliver si girò di scatto verso di me abbozzando un sorriso malizioso. «Definisci la parola carino, per favore.»
Emisi un respiro solenne, come se stessi per prendere la rincorsa.
«Mi ha baciata.» dissi all'improvviso mentre vedevo gli occhi del mio amico allargarsi sempre di più. Alzò una mano coprendosi la bocca, incredulo, come se gli avessi confidato il mio segreto più macabro e scabroso.
«Ma stai scherzando?» chiese, tutto contento, guardando da una parte all'altra del bar e avvicinandosi a me in modo confidenziale. Non potei fare a meno di ridere alla sua reazione come al solito esagerata.
«No, sul serio.» affermai, ma vedendo che il mio amico ricominciava ad agitarsi gli posai una mano sul suo braccio e gli feci segno di stare in silenzio. «Ma...Oliver, smettila! Ha detto di aver sbagliato, e mi ha chiesto di dimenticarmi di ciò che ha fatto.»
«Ma l'hai baciato anche tu?» chiese, ignorando sistematicamente ciò che gli avevo appena detto.
«Non ho avuto tem...» cominciai. Quella frase però sottintendeva che io l'avrei fatto, forse, se avessi avuto quel tempo. «No.»
«Dio, Edith, ma ti rendi conto? Da nemmeno dodici ore hai baciato uno dei diciannovenni più famosi del mondo! Anzi, lui ha baciato te, ancora meglio!» si esaltò il mio amico.
«Lui ha baciato me per sbaglio. Non te lo dimenticare.»
Oliver si rabbuiò un po' e mi guardò con le sopracciglia aggrottate. «Come fa uno a baciare qualcuno per sbaglio?» chiese, dando voce a quell'interrogativo che mi ero posta durante tutta quella notte. Ero stata la prima a fare finta di niente in macchina con mio fratello, ma non riuscivo a togliermi davanti agli occhi l'immagine del viso di Harry che si voltava rapidamente verso il mio dopo avermi stretta in quell'abbraccio.
«Non lo so. Ma tanto per lui non significherà nulla, chissà quante ragazze si bacia, quello lì.» ipotizzai acidamente, addentando la brioche che mi era stata portata nel frattempo.
«Se non avesse significato nulla non ti avrebbe subito pregata di dimenticartene, no? Voglio dire, lui stesso ci ha dato parecchia importanza.» commentò Oliver. Ecco, lo sapevo: da inguaribile ottimista quale era non poteva fare mai a meno di mettermi strane idee in testa.
«Olly, finiscila!» risi. «Lo sai che mi metti sempre in testa delle cose strane.»
«Oh, ma è quello che penso!» rispose con un gesto della mano. «Comunque si vede benissimo, eh.»
«Cosa?»
«Che ti piace.»
Quasi mi strozzai con un morso di croissant mentre ascoltavo quella assurdità.
«Piacere? A me? Ma figurati...» decretai, leccandomi via lo zucchero a velo dalle labbra.
«Dai, andiamo! É tutta la mattina che sorridi come un'ebete! Puoi fare finta con Styles, ma con me no, lo sai.» rise Oliver, facendo un cenno al mio viso.
«Sono confusa, tutto qui. Mi ha trattata male per quasi un mese e mezzo, guarda che non me ne sono dimenticata! E forse mi è piaciuto per qualche ora, ma poi basta. Tu non hai visto la faccia terrorizzata che ha messo su dopo avermi baciata, mi veniva da ridere, sembrava una barzelletta! Se ci ripenso è stato imbarazzante.» dissi, cercando di suonare più convincente possibile. Ma volevo far cambiare idea al mio amico o a me stessa?
Evidentemente non ci riuscii né in un caso né nell'altro, perché Oliver mi guardò scettico con le sopracciglia alzate.
«Sì, sì, certo, come vuoi...»

Harry

«E quindi?» m'incitò Zayn dall'altra parte del telefono. Di solito non era un ragazzo impaziente, anzi, a volte la sue estrema pacatezza metteva i nervi.
Purtroppo però era stato lui a chiamarmi al cellulare la sera precedente all'aeroporto, ed io, con una strana voglia di chiacchierare, avevo avuto la pessima idea di raccontargli che ero con Edith. Il mio amico sapeva che fra di noi non era mai corso buon sangue, e sapeva anche che in vacanza non mi svegliavo mai prima di mezzogiorno; quindi a mezzogiorno e un quarto preciso era arrivata la sua telefonata, fastidiosamente puntuale.
Mi alzai da letto passandomi una mano fra i ricci, irritato dal tono pretenzioso di Zayn.
«E quindi cosa?» chiesi.
«Vi siete presi ad insulti, vi siete ignorato o siete riusciti a parlare civilmente?»
«Abbiamo parlato. Ha iniziato lei, ovviamente.» risposi frugando nel mio armadio per trovare una maglietta decente da infilare e un paio di jeans scuri.
«È simpatica, hai visto?» disse Zayn. Sentivo di sottofondo una voce femminile che canticchiava, probabilmente appartenente alla fidanzata del mio amico, Perrie.
«Non è così male.» ammisi, ma subito cercai di correggermi un po'. «Parla tantissimo, però.»
«Evidentemente tu le davi l'opportunità di parlare, se l'avessi fulminata con lo sguardo come fai tutti i giorni non avrebbe aperto bocca.» pronunciò col suo forte accento di Bradford e un tono di rimprovero.
«Avrei dovuto farlo, allora.» dissi acidamente qualcosa che non pensavo. Purtroppo Zayn, dall'alto della sua solita calma, era un ottimo osservatore ed ascoltatore e le sue doti non avevano fallito neanche la notte prima.
«Quando ti ho chiamato ieri mi sembravi tutt'altro che annoiato.» disse distrattamente. «Anzi, se ti ricordi mi hai detto che stavi proprio cambiando idea su di lei.»
Colpito.
Mi sovvenne il momento in cui avevo pronunciato quella frase, ovvero quando avevo visto Edith che si addormentava abbandonata contro la colonna e sulla mia felpa con qualche riccio ribelle sul viso. «Zayn, hai cinque minuti?» gli chiesi all'improvviso.
«Certo, anche tutto il giorno, ormai siamo il vacanza.» rispose il mio amico e dal rumore che sentivo di sottofondo capii che doveva essere uscito sul balcone del suo grande appartamento, probabilmente a fumare le sue solite Malboro. Uscii da camera mia, notando che ero da solo in casa: mia madre e Gemma erano uscite a comprare gli ultimi regali di Natale e Robin sarebbe rimasto in ufficio tutta la giornata. Presi così a camminare avanti e dietro per casa e ad uscire e rientrare nelle camere distrattamente come facevo di solito durante le telefonate.
«Io non so cosa è successo ieri con Edith. Cioè, lo so, ma non capisco.» esordii ad un tratto.
«Cosa vuol dire?»
«Era come se fossimo amici. Più che amici. Non le ho parlato per un mese e mezzo, ero stato attento, ero stato bravo, e mi sono bastate due ore per parlarle anche di cose della mia famiglia come se nulla fosse.» piagnucolai, dandomi dell'idiota.
«Harry, per favore. Tutto il mondo sa come si chiamano i componenti della tua famiglia, non è esattamente quello che si chiama un grande scoop. Non le hai mica dato il numero della carta di credito.»
«È una questione di principio.» puntualizzai.
«Va bene, e allora dov'è il punto? È una ragazza simpatica, è una studentessa, fra tre mesi non la rivedrai mai più se è questo che ti interessa.»
«Tu non capisci.» sibilai. «Avevo creato una barriera fra me e lei, perché lo sai quanto mi dia fastidio che il mondo sappia i fatti miei.»
«Harry, è una ragazza di diciannove anni.» disse Zayn, quasi annoiato dalla mia testardaggine.
«Appunto!» esclamai, esasperato. «Le sue amiche sono in contatto con i più grandi giornali d'Inghilterra. Le sue amiche, non so se mi spiego.»
«Io l'ho conosciuta abbastanza in questo mese e mezzo, e mi sembra una persona riservata. Non mi sembra una di quelle che squittiscono e fanno le oche con le amiche, per intenderci. Non è il tipo.» disse.
«Era come se ieri fossimo migliori amici.» dissi con voce stizzita.
«Bene!» esclamò Zayn, divertito. «Mi spieghi qual è il tuo problema? Stai sviluppando una mania di persecuzione o cosa? Guarda che non sei mica Michael Jackson, amico.» mi canzonò.
«Si è addormentata e dormiva con la testa sulla mia spalla.»
«Dai, avrà sbagliato. Anche io dormo sempre sulle vostre spalle, quando ho sonno.»
«Ero in imbarazzo. Tantissimo.»
«Ma che cosa dolce.» rise di nuovo il mio amico. «Non se ne sarà nemmeno accorta.»
«L'ho baciata, Zayn.»
Zayn ammutolì all'istante e smise immediatamente di prendermi in giro. Ci furono una ventina di secondi di totale imbarazzo.
«Ah.»
«Eh.»
«E...perché?»
«Ti ho chiesto di parlare cinque minuti proprio per questo, perché non ne ho la più pallida idea. Le ho detto che ho sbagliato e le ho fatto promettere di dimenticarsi tutto. Non sai quante volte mi sono dato del coglione.»
«Un po' lo sei, infatti, lasciatelo dire.» decretò lui, e per la prima volta in quella conversazione fui totalmente d'accordo con lui. «Cosa credi di fare?»
«Secondo te faccio male a fare finta di niente?» chiesi sommessamente.
«Se davvero per te non ha significato nulla e sai che sei stato preso dal momento no, non faresti male...pensaci, però.» concluse Zayn solennemente.
«A...che cosa?» feci finta di non capire, sapendo benissimo dove sarebbe andato a parare.
«Ti conosco, Harry, non sei uno che bacia le persone a caso.» disse solo. Sospirai.
«Grazie, amico. Ci sentiamo, saluta Perrie.» dissi prima di riattaccare.
Zayn mi disse di nuovo di pensarci bene ma non gli risposi, ignorando sia lui sia il caos che avevo in testa.

Edith

Rilessi e riscrissi il messaggio per un quarto d'ora. Poi lo cancellai, lo riscrissi e lo salvai nelle bozze. Aspettai un minuto. Poi afferrai il telefono e lo cancellai.
«Chi ti fa gli auguri?» chiese mio fratello, sporgendo la testa da sopra la mia spalla per sbirciare il mio cellulare mentre cucinava le sue famose patate per il pranzo di Natale.
«Un'amica.» risposi distrattamente.
«Un'amica di nome Harry, che cosa curiosa.» ridacchiò George. Sorrisi anche io, tanto erano solo degli auguri di Natale; non avrei mai rischiato di raccontare alla mia famiglia la serata in aeroporto, soprattutto per non farmi assalire mia sorella.
Pensavo che mio fratello non realizzasse che Harry era il nome di uno degli One Direction, ma probabilmente Scarlett aveva fatto anche a lui il lavaggio del cervello.
«Allora, non glielo mandi?» chiese pulendosi le mani con uno strofinaccio.
Guardai lo schermo del mio cellulare, e di nuovo mi vennero in mente tutte le volte che Harry mi aveva allontanata bruscamente, compresa quella notte in aeroporto. Stavo per riscrivere un altro messaggio quando il mio dito si fermò.
«No.» dissi risoluta, appoggiando il cellulare sul piano della cucina.

Harry

«Sorridete!» esclamò il mio patrigno, Robin, mentre scattava una foto di me in mezzo a mia madre e mia sorella Gemma davanti all'albero di Natale.
«Guarda, Rob, guarda come sono bassa in confronto al mio bambino!» esclamò mia madre, che avevo superato in altezza già da un pezzo, prima di scoccarmi un rumoroso bacio sulla guancia come faceva quando ero piccolo.
«Beh, ci sono sempre io mamma!» commentò con le braccia incrociate Gemma, che era rimasta la più minuta della famiglia. Mia mamma diede un bacio anche a lei, prima di correre verso la cucina e controllare nuovamente le pietanze per l'arrivo di tutta la famiglia. Mi era mancata, quella casa: mi era mancato il sarcasmo di mia sorella, sempre pronta a rimbrottarmi per qualcosa, mi era mancata la risata profonda e la pancia tonda di Robin, la mia stanza, le mie foto in giro, i baci a schiocco di mia madre.
«È bello che ti manchino. Cioè, voglio dire, lo so che non è divertente per te, ma quando qualcuno ti manca davvero vuol dire che ha un posto importante nella tua vita.»
La voce di Edith risuonò nelle mie orecchie e nei miei occhi ricomparve il suo sguardo un po' malinconico mentre pronunciava questa frase. Perché mi ritornava in mente qualcosa che aveva detto lei? D'istinto presi il telefono, guardando se qualcuno aveva risposto ai miei auguri di Natale su Twitter. Mi aveva scritto un messaggio la nostra parrucchiera, Lou, e decisi di risponderle subito.
Quando il mio dito sfiorò sullo schermo il nome di Edith mi chiesi se fosse opportuno scriverle degli auguri. Restai a guardare l'iPhone per un quarto d'ora, ma poi mi resi conto che, se avevo scelto la strategia del fare finta di nulla, dovevo rispettare i miei piani.
«Harry, vienimi a dare una mano!» gridò mia madre dalla cucina.
Guardai il suo nome ancora una volta.
«Arrivo.» dissi risoluto, appoggiando il cellulare sul davanzale della finestra.
-
-

Ehi! (:
Ecco qui il settimo capitolo! Spero che vi piaccia.
Ho deciso di scrivere qualche passaggio della storia anche dal punto di vista di Harry, così da inserire la sua versione dei fatti e non far sembrare Edith come una povera disgraziata maltrattata da un Harry freddo e senza cuore, cosa che invece abbiamo visto non essere vera durante la conversazione con Zayn (;
Sono andata a vedere il film, "This Is Us", ed è stato carino! Non so esattamente cosa mi aspettassi, comunque è bellino (:
Ah, dimenticavo, buon inizio della scuola a tutti! Da me inizia domani, ma credo che entro questa settimana inizieremo tutti D: ahah coraggio!
Grazie ovviamente per chi ha aggiunto questa ff a preferiti/ricordati/seguiti e a chi recensisce! Se avete qualcosa da dirmi RECENSITE anche questo capitolo, mi farebbe piacere.
Un bacio! :*

G.

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Capitolo 9
*** VIII. Wonderful Tonight. ***


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VIII. Wonderful Tonight.

-

Le mie due settimane di permanenza dalla mia famiglia finirono rapidamente e presto fui costretta a prendere di nuovo un volo verso casa mia.
Era buffo: ormai consideravo come casa mia quell'appartamento disordinato diviso con Bell e Lani e, dettaglio ancora più buffo, consideravo Londra la mia città.
Io e Londra avevamo sempre avuto un rapporto complicato. Molte volte mi ritrovavo ad odiare quella città caotica, a detestare le persone imbronciate e frettolose che ti spintonano se non tieni la destra sulle scale mobili, a sbuffare rumorosamente alla vista della metropolitana gremita di persone alle sette di mattina. Londra è infida, di lei non ci si può fidare. Non ti accoglie a braccia aperte, è fredda, segue delle semplici e rigide regole e avevo imparato a mie spese che non guarda in faccia nessuno. È abituata alla gente che arriva nello stesso modo in cui è abituata alla gente che parte e per questo sembra che non si affezioni mai nessuno. Londra, però, è anche silenziosa; ed è proprio in questo modo che ti si infila sotto la pelle, in punta di piedi. È talmente impercettibile che quando la lasci tiri quasi di un sospiro e ti accorgi di esserti innamorata di lei quando ti ritrovi a pensare distrattamente che non vedi l'ora di tornare.

"London calls me a stranger, a traveller
This is now my home, my home."

La voce vellutata di Ed Sheeran raggiunse le mie orecchie descrivendo inconsapevolmente il mio rapporto con quel luogo; scivolai sempre più in basso sul sedile della metropolitana incredibilmente vuota, posai una mano sulla mia grande valigia rossa e mi concessi di socchiudere gli occhi, cullata dallo sferragliare del vagone.
Ero tornata a Londra con un bagaglio pieno di regali, un paio di chili in più dopo Natale e Capodanno, un nuovo cellulare, una moltitudine di cose da raccontare alle mie coinquiline e il rimorso di non aver mai scritto nemmeno un messaggio a Harry.
Mi ero sentita potente ad essere riuscita ad ignorarlo, ma ben presto mi ero resa conto che lui stesso mi aveva raccomandato di fare finta che nulla fosse successo, e se davvero non fosse successo nulla di sicuro gli avrei fatto i miei auguri senza pensarci troppo.
Mi ero domandata perché mi ero costretta a non pensare a lui. Come avevo affermato con Oliver, con quel bacetto all'aeroporto non mi ero certo dimenticata dell'atteggiamento altezzoso che aveva sempre avuto nei miei confronti. Quindi, secondo la mia logica, quell'episodio durato due secondi non avrebbe dovuto mettere in dubbio il suo comportamento negli ultimi due mesi. Non era soltanto l'imbarazzo che mi aveva impedito di scrivergli: la verità era che Harry mi metteva in soggezione anche da lontano, anche attraverso ad un cellulare. Avevo timore di sentire la sua solita freddezza anche attraverso i caratteri di messaggio.
Harry era come la mia Londra, riflettei. Si comportavano nello stesso modo, quei due; quando sollevai la mia valigia e scesi frettolosamente dalla metropolitana mi accorsi che Harry mi era mancato esattamente come mi era mancata quella città.

«Dee!» esclamò Liam quando mi vide varcare la soglia della sala di registrazione. Zayn alzò la testa dalla pila di fogli che stava controllando e mi rivolse uno dei suoi sorrisi. «Hey, guarda chi si rivede!»
«Ciao, ragazzi.» risposi avvicinandomi al tavolo dove entrambi erano seduti. La sala, solitamente pulita e in ordine per la mania di Zayn di mettere tutto a posto, quella mattina era in condizioni pietose: gli scaffali erano stati svuotati dai molteplici dischi musicali di qualsiasi genere, i tavoli erano coperti di carte e fogli accartocciati, ovunque si trovavano lattine e panini abbandonati. I capelli di Zayn non erano acconciati nel suo ciuffo sempre perfetto ma erano invece arruffati come se non avesse avuto incontri con uno specchio da una settimana; Liam non aveva il problema dei capelli solo perché ormai li portava sempre molto corti, ma la sua barba incolta e gli occhi segnati dimostravano che aveva di sicuro fatto compagnia al suo amico.
«Cosa è successo qui?» chiesi con gli occhi sbarrati alzando con due dita una felpa abbandonata sopra un mobile. «Siete rimasti in questa stanza per due settimane?»
«Due giorni, precisamente.» mi rispose Liam, imbarazzato per il disordine del quale sembrava essersi appena reso conto. «Quando l'ispirazione chiama...»
Zayn continuò imperterrito a scrivere rapidamente delle frasi su una pagina bianca e a dividerle una dall'altra con delle sbarrette. Mentre la penna scorreva sul foglio dalla bocca del ragazzo moro scivolava ogni tanto qualche motivetto senza capo né coda; all'improvviso si fermava, canticchiava in modo concentrato con la biro fra le labbra e poi tornava a scrivere rapidamente.
Stavo assistendo alla stesura di una canzone degli One Direction, oltretutto pensata completamente da loro. Liam guardava sulla pagina le idee di Zayn con le sopracciglia aggrottate e ogni tanto gli indicava una parola e storceva le labbra per dirgli che qualcosa non lo convinceva.
«Metti "tempting" qui, quello non suona bene.» consigliò ad un tratto posando il polpastrello sul foglio. Zayn riprodusse il beat di una canzone battendo la biro sul tavolo; poi annuì, alzò le spalle e corresse il termine con quello detto dal suo amico. Nel vederli così concentrati mi accorsi improvvisamente che, nonostante fossero passati un paio mesi, l'articolo che mi aveva assegnato il professor Sumner non era ancora neanche stato iniziato.
Silenziosamente allora, come se avessi paura di far perdere loro l'ispirazione, presi il blocco d'appunti e mi misi ad osservarli attentamente. Zayn era quello creativo fra i due; se gli veniva in mente una frase la riportava di getto e i suoi fogli erano pieni di disegni, caricature e scarabocchi. Liam invece era più pragmatico e, cercando di non risultare saccente, cercava sempre di compensare la vena artistica del moro con qualche suggerimento serio. La cosa sulla quale litigavano di più era il ritornello: a quanto avevo capito stavano scrivendo un pezzo su una ragazza indipendente e strafottente, Zayn voleva esasperare il carattere della protagonista ma Liam gli diceva spesso di non esagerare. Ogni tanto ricevevano la visita di qualche musicista o autore che dava loro qualche dritta per sistemare il testo. Usavano un linguaggio così complicato e specifico che non potevo fare altro che ammirare Zayn e Liam per la professionalità che stavano dimostrando.
Erano così concentrati che non mi chiesero nemmeno cosa stessi scrivendo con così tanta foga. Prendevo talmente tanti appunti che ogni tanto dovevo fermarmi per scuotere la mano e stendere bene le dita. Avevo troppe osservazioni arretrate da riportare nella brutta copia del mio articolo, e quella volta volevo davvero impressionare il professor Sumner.
«Certo che la Whelan è proprio bella, ragazzi.»
Niall entrò nella sala di registrazione come una furia con gli occhi fissi sullo schermo del telefono. Sobbalzai lievemente quando la sua voce irruppe nella stanza e posai la penna per riposarmi un po'.
«Buongiorno anche a te, Niall.» dissi sarcastica mentre il ragazzo si toglieva il giubbotto e lo buttava in mezzo al disordine.
«Hey, ciao Dee! Non ti avevo vista!» rispose il biondo avvicinandosi per salutarmi. «Aiuti i ragazzi con la canzone?» aggiunse guardando distrattamente i fogli da sopra la mia spalla.
«No, è il mio articolo!» puntualizzai, ma quando mi voltai Niall era di nuovo attaccato al suo cellulare. Sospirai alzando gli occhi. «Su, chi sarebbe questa Whelan?»
«Zoe, Zoe Whelan. È una modella irlandese.» mi spiegò porgendomi il suo telefono aperto sul profilo Twitter della ragazza. Quest'ultima aveva capelli castano scuro, la pelle olivastra, labbra carnose e grandi occhi color mogano.
«Veramente sembra brasiliana.» commentai, aspettandomi ingenuamente di vedere la classica irlandese con i capelli rossi, la pelle lattea, le lentiggini e gli occhi verdi. «Bella, comunque.»
«Ma non vi stavate frequentando già tempo fa?» gli chiese Zayn, che intanto aveva continuato a lavorare con Liam senza sosta.
«No, abbiamo fatto un paio di foto insieme e i giornalisti hanno subito ipotizzato che stessimo insieme.» alzò le spalle Niall. «Comunque ho scoperto questa mattina che ci sarà agli MTV Awards.» annunciò tutto contento.
«Awards? Che bello, quando ci andrete?» chiesi incuriosita mettendo via i fogli del mio articolo: la parlantina di Niall non mi avrebbe mai permesso di continuare.
«È fra due settimane. Ah, il tuo professore non te l'ha detto? Devi venire anche tu.» m'informò Niall come se non fosse nulla di interessante.
«Stai scherzando?» balbettai allargando gli occhi per la sorpresa. «Verrò agli Awards? Fra...due settimane?»
«Hai detto tu stessa quando sei arrivata che avresti partecipato a qualche evento!»
«Sì, ma non pensavo un evento come questo!» squittii alzandomi e iniziando ad agitarmi. «Dio, gli MTV Awards! Non so neanche come vestirmi.»
«Le ragazze saranno tutte col vestito elegante, mi sa che devi abbandonare le Vans per qualche ora.» disse Zayn sarcastico indicando le mie fedeli ed onnipresenti sneackers grigie.
«Tu mi dovrai aiutare con Zoe, sappilo.» annunciò Niall puntando un dito verso di me con finto fare minaccioso. «Non sono bravo con le strategie.»
Guardai Niall con fare interrogativo, chiedendomi come fosse possibile che un una pop star planetaria come lui si preoccupasse di come attaccare bottone con una modella.
«Ti aiuterò con chi vuoi se mi prometti di presentarmi Ed Sheeran. Ti sarei grata per tutta la vita, davvero.» lo pregai, emozionata di avere l'occasione di incontrare il mio cantante preferito dai capelli rossi. Niall alzò gli occhi al cielo e sospirò, segno che aveva accettato la mia proposta suo malgrado.
La porta della sala si aprì nuovamente e fecero capolino nella stanza il ciuffo castano di Louis e una testa di capelli ricci che riconoscevo bene. Mi agitai impercettibilmente sulla mia sedia, preoccupata senza una ragione precisa.
«Ciao a tutti!» esordì Louis, visibilmente più contento di due settimane prima. Avevo guardato su Internet qualche notizia sul suo conto e tutte le foto lo ritraevano sorridente e sempre accoccolato a Eleanor per le strade londinesi.
«Hey!» esclamò Harry comparendo dietro la schiena del suo amico. I due ragazzi salutarono i presenti nello studio e cominciarono a parlare a raffica delle cose successe in quelle settimane. Persino Harry sembrava molto più rilassato col suo cappellino grigio dal quale spuntava qualche ricciolo e un nuovo anello spesso sul pollice. Il suo fare tranquillo mi confortò e smisi di essere rigida come prima.
Notai che Zayn mi lanciava delle lunghe occhiate dall'altra parte del tavolo ma naturalmente non ci feci troppo caso, attenta ad ascoltare i racconti divertenti di Louis che mi facevano sempre ridere. Quando vidi Harry dirigersi da solo verso la stanzetta a vetri con i microfoni le mie gambe si mossero da sole, mi fecero balzare in piedi e mi fecero muovere verso di lui. Cercai di trovare in tre secondi qualcosa da potermi inventare per averlo seguito, ma naturalmente non mi venne in mente nulla. Mi limitai così ad entrare e appoggiare la schiena al muro mentre si toglieva il cappotto e prendeva ciò che gli serviva.
«Oh, Edith.» disse quando mi vide. «Tutto bene?»
«Sì, grazie. Tu? Sei stato bene con la tua famiglia?»
«Benissimo.» rispose il ragazzo riccio. «Ti hanno già detto degli Awards fra due settimane?»
«Sì, me l'ha detto Niall. Non vedo l'ora, spero davvero vinciate qualche premio.»
«Già, spero anche io...» annuì. Posò il telefono su un tavolo; aprì la bocca per dire qualcosa ma poi rinunciò e si limitò a rivolgermi un sorriso. «Buon lavoro.» mi augurò prima di uscire.
Lo seguii un'altra volta nella sala insieme agli altri e vidi Zayn chiedere qualcosa nell'orecchio a Harry e il ragazzo riccio scuotere vigorosamente la testa. Il suo amico sembrava esasperato e, quando furono raggiunti da Louis, i due si scambiarono uno sguardo d'intesa e cambiarono completamente discorso. Mi risedetti sulla mia sedia, estrassi di nuovo la brutta copia del mio articolo e ripresi a lavorarci sopra; la maggior parte del tempo però lo impiegai cercando di non muovermi a ritmo di musica e ammirare come i ragazzi si muovessero a loro agio fra microfoni, nuove canzoni da provare e strumenti musicali vari. Niall in particolar modo aveva sempre la sua fidata chitarra in mano; suonava con un'abilità notevole e la sua simpatica goffaggine che lo contraddistingueva sembrava sparire per lasciare il posto a un ragazzo molto più sicuro di se stesso. Se avesse suonato quella chitarra agli Awards, pensai, quella Zoe Whelan l'avrebbe conquistata in uno schiocco di dita.
Scoprii che Louis aveva una bellissima voce e ottenne definitivamente tutta la mia stima quando, in un momento di pausa, suonò al pianoforte l'inizio di una delle mie canzoni preferite dei The Killers, "Mr. Brightside". Io e Liam ci perdemmo in una lunga conversazione sui nostri gusti musicali e mi sorpresi quando notai che ascoltava davvero dell'ottima musica. Fu la prima volta in cui mi sentii pienamente coinvolta in tutto ciò che stavamo facendo: piano piano riuscivo a capire i meccanismi di quello studio, il mio articolo stava prendendo forma e, quando mi dissero che potevo tornare a casa, fui quasi dispiaciuta di dover già andare via.
Stavo per dire che non mi pesava rimanere quando mi resi conto che non mi ricordavo più l'ultima volta che avevo mangiato con Lani e Bell e le avevo aiutate a cucinare. Come era solito succedermi spesso, nel giro di qualche minuto decisi di far loro una sorpresa e preparare la cena per tutte e tre; quando mi accorsi che i supermercati avrebbero chiuso a breve schizzai verso la stanzetta dei microfoni, presi rapidamente il mio cellulare dalla mensola e salutai i ragazzi ringraziandoli per la bella giornata. Harry mi salutò sfiorandomi il braccio mentre uscivo; poi si diresse fischiettando verso Niall come se nulla fosse.

Zayn, che era stato nell'ufficio del manager Marco, mi passò affianco nel corridoio e mi salutò quando vide che stavo andando via. Le mie Vans scricchiolarono sul parquet ancora per qualche passo quando mi voltai indietro.
«Zayn?»
«Sì?»
«Non dire nulla a nessuno, ti prego.» dissi senza neanche specificare di cosa stessi parlando: l'espressione stupita che si dipinse sul suo viso era segno che aveva capito perfettamente che avevo colto le occhiate fra lui e Harry durante la giornata. Zayn fece finta di non sapere a cosa stessi alludendo, ma subito dopo scosse la testa e sospirò.
«Non lo farò, tranquilla.»
Gli rivolsi un sorriso e scesi a balzelloni giù per le scale, canticchiando una canzone degli One Direction proprio come faceva mia sorella.

La musica era talmente forte che sapevo che i colpi sul muro dei vicini di casa non avrebbero tardato ad arrivare.
Avevo sempre desiderato diventare una brava cuoca, ma la verità era che la mia disorganizzazione fra i fornelli si trasmetteva nel codice genetico di tutte le donne della mia famiglia, e ne avevo avuto prova in diciott'anni vissuti con mia madre.
Si dice che uno chef debba essere ordinato e avere persino le maniche del grembiule sempre candide e pulite; io non avevo nemmeno il coraggio di guardarmi allo specchio. Avevo i capelli legati in chignon fatto di corsa ed ero nella mia tenuta da casa, ovvero un paio di pantaloncini, delle ciabatte e una felpa enorme e vintage, forse un tempo appartenuta a mio fratello. Il trucco già leggero sugli occhi se ne stava completamente andando mentre apparecchiavo la tavola muovendomi in modo scoordinato a tempo di musica.
Mentre tentavo di non far scuocere la pasta, il campanello trillò all'improvviso. Corsi ad abbassare la radio, mi asciugai le mani con uno strofinaccio e saltellai allegramente verso l'entrata urlando che stavo arrivando ad aprire. A quell'ora potevano essere solo Bell o Lani, così non mi scomodai a chiedere chi fosse e spalancai la porta allargando le braccia subito dopo con fare cerimonioso.
«Sorpresa!» gridai allungando la 'a', ma la voce morì nella mia gola quando vidi chi mi stava fissando stranito con un sopracciglio sollevato.
«Hey, Edith.» fece Harry squadrandomi dall'alto al basso con espressione divertita. Quella era la conferma che aveva il dono di presentarsi sempre nei momenti meno opportuni.
«Uhm, Harry!» lo salutai, appoggiandomi allo stipite sperando di coprire il disordine disastroso alle mie spalle. Che figura... «Hai...hai bisogno?»
«Penso tu abbia preso il mio cellulare, era appoggiato sulla mensola della stanzetta e so che è molto simile al tuo...»
Mi ricordai di aver preso un telefono senza neanche guardarlo prima di schizzare via verso la sala di registrazione.
«Sì, l'ho preso io, scusami. Te lo vado a prendere!» esclamai, rientrando velocemente e dirigendomi verso la mia camera. Quando mi voltai vidi Harry esitare sulla porta nel freddo pungente di Gennaio. «Uhm, vuoi...entrare?»
«Sì, grazie.» mi rispose riconoscente. Varcò la soglia, chiuse la porta e si sfregò le mani per scaldarsele mentre i suoi occhi passavano in rassegna all'appartamento. Mi faceva impressione essere nella stessa casa, nella mia casa, con Harry Styles; chissà quali attici enormi era abituato a frequentare, in quante ville stratosferiche era stato. Mi vergognai di averlo fatto entrare; non era proprio il luogo che si addiceva a una superstar.
Corsi nella mia stanza e tentai di trovare il telefono per cinque minuti maledicendo la mia borsa enorme. Stavo ancora frugando fra la mia roba quando sentii i passi di Harry entrare nella camera.
«È carino qui.» disse guardandosi intorno con le mani allacciate dietro la schiena. Ringraziai il cielo di non aver lasciato qualche paio di mutande o qualche reggiseno in bella mostra e lo vidi particolarmente interessato alle foto attaccate alla mia bacheca.
«Scusa per il disordine, davvero, non è sempre così.» mentii. No, non era sempre così. A volte era anche peggio, che era tutto dire.
«Tranquilla, ho vissuto un anno con i ragazzi prima di andare a vivere da solo...ho visto di peggio.» alzò le spalle. «È lei tua sorella, la Directioner incallita?» chiese poggiando il polpastrello su Scarlett.
«Già.» gli risposi. «Oh, eccolo!» esultai subito dopo estraendo il cellulare da una delle mille tasche della borsa. Harry lo prese e mi ringraziò, ma quando feci per uscire dalla mia stanza vidi che non sembrava volersene andare, troppo impegnato a osservare i miei CD e libri sistemati alla buona qua e là.
Mi sedetti sul letto aspettando che mi desse un segno.
«Cavolo, ascolti i Beatles?» disse impressionato prendendo uno dei dischi. Mentre leggeva i titoli sul retro indietreggiò fino a sedersi di fianco a me. L'assurdità di quella situazione era davvero comica.
«Ovviamente.»
«Canzone preferita?» chiese a bruciapelo.
«"Twist and shout", che domande!»
«Sul serio?» allargò gli occhi verdi. «Ti facevo una da "Eleanor Rigby".»
«Sembro davvero così depressa?» chiesi fingendomi offesa. Harry rise quando vide l'espressione del mio viso.
«No, no, non volevo dire quello!» tentò di rimediare. «Dai, allora: canzone d'amore preferita?»
«Credo..."Wonderful Tonight" di Eric Clapton, sì, decisamente quella.» risposi dopo averci pensato un bel po'. «È la canzone dei miei nonni, è davvero dolce.»
Harry annuì con un sorriso. Ci fu qualche secondo di silenzio fra noi due, riempito dal rumore della radio ancora accesa in cucina.
«Edith, grazie per non esserti arrabbiata per Zayn.» disse con la voce molto più bassa. «Non lo dirà a nessuno, fidati.»
«Figurati...sei tu che volevi tenere tutto segreto, se hai voluto dirlo a lui per me non c'è problema.» feci spallucce. Beh, io avevo solo raccontato tutti i dettagli a Oliver, in un certo senso eravamo pari.
«E scusa se ho reagito così male all'aeroporto...da come mi sono comportato sembrava avessi fatto il più grande errore della mia vita.» sussurrò ancora più piano. Per gentilezza avrei dovuto rispondergli di non preoccuparsi, ma mi ricordavo ancora la faccia disgustata che aveva fatto subito dopo avermi dato quel bacio.
«Sì, in effetti è vero. Sembravi terribilmente pentito, eri buffo.» risi, proprio come avrei voluto fare quella notte di due settimane prima. Harry si voltò verso di me per la prima volta da quando eravamo seduti su quel letto.
«Non lo ero.» rispose con la sua tipica alzata di spalle e la faccia seria. Smisi di ridere e mi girai anche io verso di lui prima di rendermi conto di quanto fosse vicino.
«Sul serio?»
«Non lo so.» mormorò Harry guardandomi negli occhi. Posò il disco dei Beatles sul mio piumone blu. Le sue braccia mi strinsero in un abbraccio molto meno rigido di quello dell'aeroporto; anche io mi lasciai andare un po' di più e appoggiai cautamente la mia testa sulla spalla, come se avessi paura che potesse mandarmi via un'altra volta. Il tempo parve arrestarsi e giurai di non sentire nemmeno più la musica proveniente dalla cucina. Le sue mani ad un tratto si spostarono dalla mia schiena, corsero su per le mie braccia e si fermarono all'altezza della mia bocca. Sentivo sulla pelle il metallo gelido dell'anellino che teneva sul pollice, ma la sensazione di freddo sparì immediatamente quando Harry mi diede un bacio timido sulla guancia, forse per chiedermi il permesso per quello che stava per fare. Non era proprio il luogo giusto per un primo vero bacio, ma naturalmente non m'interessava più di tanto. Ero talmente agitata mentre ci avvicinavamo piano l'uno all'altra che sentii il rumore della chiave nella toppa quando mi resi conto che la porta dell'ingresso era spalancata.
«Siamo noi!» gridarono Lani e Bell richiudendo il portone.
«Oh, Dio!» mormorai dimenandomi per sciogliere il nostro abbraccio. Mi alzai di scatto e mi passai le mani sul viso. «Arrivo, un secondo!» urlai, sporgendomi dalla stanza.
«Coinquiline? Cosa devo fare?» mi chiese Harry.
«Magari alzarti immediatamente dal mio letto, cosa ne dici?» sussurrai. Ero su di giri per quello che era successo o perché avrei dovuto mostrare alle mie amiche chi avevo tranquillamente fatto entrare in casa nostra? «Ok, ok. Calma. Adesso ti metti il cappotto ed esci dalla stanza. Disinvolto, mi raccomando. Tanto lo sai fare bene.»
«Grazie, Dee.» rispose, e non seppi se mi stesse ringraziando per il complimento che gli avevo rivolto o per il resto.
Harry seguì alla lettera le mie istruzioni e uscì nel piccolo corridoio. Avrei voluto salutare le mie amiche per prima e presentare loro il nostro ospite, ma non feci in tempo a balzare fuori dalla stanza che si udirono i passi di una delle mie coinquiline che si fermavano di botto.
«Hey Edith, dove...oh.» sentii la voce di Bell bloccarsi. La mia amica era piedi davanti ad Harry e lo fissava con la bocca spalancata come se avesse appena scoperto un cadavere nella mia camera.
Feci capolino dalla spalla del ragazzo riccio mentre vidi arrivare anche Lani con la faccia sconvolta. Senza farmi vedere da Harry che mi dava le spalle rivolsi loro uno sguardo per supplicarle di comportarsi normalmente e di togliere dai loro visi quelle espressioni allucinate. Vedendo le mie occhiate assassine entrambe cercarono di ostentare disinvoltura anche se continuarono a rivolgere gli occhi prima verso di me e poi verso il ragazzo.
«Harry è venuto a prendere il suo cellulare. Bell e Lani, Harry. Harry, Bell e Lani.» esclamai un po' imbarazzata. Harry mi appoggiò e, come gli avevo detto, esibì la sua migliore faccia da schiaffi con un grande sorriso da orecchia a orecchia.
«Uhm, piacere, ragazze.» esordì, allungando la mano verso una delle due.

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Ehi! (:
Dunque, scuola ricominciata (uffa.) e professori sempre più agguerriti di prima, soprattutto la prof. nuova di Greco. Yaaay.
Cooomunque, Greco a parte, spero proprio vi sia piaciuto questo capitolo! (:
Quando ho scritto la parte di Niall che entra nella sala di registrazione giuro di aver scelto il nome di Zoe Whelan per caso, solo perché sapevo che erano usciti insieme un paio di volte e mi ricordavo il cognome strano di lei. Dopo due o tre giorni vedo su un paio di siti americani dei titoli tipo: "Fidanzata segreta di Niall Horan rivelata: pare sia la modella irlandese Zoe Whelan". Vi giuro che ci sono rimasta un po' D:, Dio, sono un'indovina. Sapete quei film (quasi sempre horror) dove le cose che sogna/scrive/pensa il progonista diventano realtà, no? Ecco. (:
Oltretutto da questo capitolo si capiscono i miei gusti musicali, e va bene così, non potevo non citare Ed nella mia storia! (;
E per favore, RECENSITE! Adoro quando lo fate, lo adoro davvero! Grazie a chi ha inserito questa storia tra preferiti/ricordati/seguiti e grazie a chi mi ha messo fra gli autori preferiti, cavolo, è una cosa davvero carinissima ** Alla prossima!
Un bacio! :*

G.

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Capitolo 10
*** IX. Crowded. ***


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IX. Crowded.

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Su un qualsiasi dizionario il termine 'imbarazzo' viene definito come uno stato di disagio interiore che si riflette nell'atteggiamento esitante e nell'espressione confusa del volto.
Non credo ci fosse descrizione più azzeccata per quella situazione. Mentre io e Harry uscivamo fuori di casa sentivo gli sguardi idelle mie coinquiline bruciare sulla mia schiena; mi voltai fulminea e rivolsi loro un'occhiataccia per evitare che iniziassero a squittire non appena la porta si fosse chiusa.
Un paio di pantaloncini e una felpa non erano esattamente l'abbigliamento più adatto al clima di Gennaio, ma avrei fatto qualsiasi cosa per passare ancora qualche minuto con Harry senza la morbosa curiosità delle mie amiche. Non mi sarei stupita di vederle nascoste dietro un lembo di tenda a guardarci; a quanto pareva, però, non ero l'unica ad aver paura di essere spiata. Infatti, appena varcammo la soglia, Harry si calò il cappello sulla fronte e si guardò furtivamente intorno, preoccupato per la presenza di fans o dei soliti irritanti paparazzi; quando non vide nessuno si rilassò visibilmente e si appoggiò a uno dei due muretti che costeggiavano gli scalini davanti alla mia porta. M'avvicinai a lui, le mani nascoste nelle maniche della felpa per il freddo e le braccia conserte.
«Scusa per le mie coinquiline, non si aspettavano di trovarmi in casa con te.» dissi, mortificata per l'atteggiamento timoroso al limite del ridicolo di Lani e Bell.
«Ci sono abituato, sai...» rise Harry con un cenno distratto della mano e un'espressione da uomo vissuto. «Vedo ragazze svenire a tutti i concerti, le tue amiche sono state quasi normali.»
«Già, hai ragione, che stupida.» risposi, alzando impercettibilmente un sopracciglio per il tuo tono saccente. Ogni tanto -anche se raramente- mi dimenticavo di parlare con uno dei ragazzi più famosi d'Inghilterra. «Io non sverrei mai per nessuno, credo.»
«Neanche ad un mio concerto?» chiese maliziosamente Harry con un sorrisetto ammiccante. Finsi di pensarci seriamente, ma poi alzai gli occhi al cielo e scossi la testa vigorosamente.
«Nah, neanche a tuo concerto.» annunciai. «Ma forse a uno di Ed Sheeran sì, se mi ci fai pensare.»
«Ah, sì? Grazie eh!» esclamò facendo finta di offendersi e di iniziare a scendere gli scalini.
«Dai, è vero!»esclamai, scoppiando a ridere. Lo afferrai per la manica del cappotto e lui indietreggiò senza farsi pregare troppo. Quando tornò a guardarmi ci perdemmo a fissarci per qualche secondo negli occhi; distolsi lo sguardo, incapace di sostenere il suo, e tossicchiai per riempire il silenzio.
«Sai che non ti facevo così timida?» disse divertito senza smettere di ridacchiare. Emanai uno sbuffo leggero, alzando nuovamente gli occhi al cielo.
«Mi stai prendendo in giro?» chiesi.
«No, davvero. Quando sei arrivata in sala di registrazione eri diversa.» commentò. «Un po'...acida, se posso dirlo.»
Non potei fare a meno di scoppiare in una risata. Harry stava quasi rimproverando me per come mi ero comportata nello studio? Avrei dovuto esserne irritata, forse, ma la sua affermazione era talmente assurda che non ne ebbi le forze.
«Io acida?» ripetei, incredula. «Ti ricordo che non mi hai rivolto la parola per un mese, in caso te lo fossi dimenticato.»
«Anche questo è vero.» ammise alzando un po' le braccia in segno di resa. «Però l'ho fatto solo perché...»
«Lo so perché l'hai fatto.» lo interruppi. «Hai esagerato, ma non avevi tutti i torti.»
Harry mi rivolse un sorriso.
«Ho esagerato e infatti prima, in casa, ti ho chiesto scusa.» disse.
«Scuse accettate.» esclamai. «E scusami anche tu se a volte sono stata...acida, non volevo.»
Harry piegò la testa per accettare in silenzio le mie scuse, poi staccò dal muretto e dondolò da un piede all'altro.
«Comunque...ho pensato, domani non avremo troppo lavoro in sala, avremo addirittura tempo per andare a mangiare fuori. Possiamo...non so, magari...mangiare insieme?» propose torturando con le sue dita lunghe l'anellino di metallo alla mano destra. Esitai un momento, non certo perché avessi qualche dubbio sulla risposta, ma perché ero così contenta che mi ero dimenticata di respirare.
«Ma certo.» risposi col mio più grande sorriso sulle labbra. «Non ne posso più di mangiare panini di Starbucks, ottima idea.»
Harry sembrò soddisfatto, annuì e mi squadrò da capo a piedi.
«Stai gelando, torna in casa.» mi consigliò vedendomi tremare per il freddo, del quale non mi ero resa conto durante quella conversazione. «Ci vediamo domani...buonanotte, Dee.»
«'Notte, a domani...» sussurrai, indietreggiando. Mentre ci allontanavamo le sue dita sfiorarono le mie e, se mi avesse preso la mano, probabilmente lo avrei baciato io, questa volta. Purtroppo la mia timidezza non mi procurava grossi guai, ma mi portava questo genere di problemi: per quanto mi facessi violenza, per me fare il primo passo era davvero una lotta contro me stessa che finivo inevitabilmente per perdere. Un'altra battaglia che dovevo sempre combattere era quella contro la mia parte dolce e sognatrice; non ero sicuramente la ragazza più romantica del mondo -anzi, a volte dovevo mordermi la lingua per reprimere il mio solito sarcasmo- ma anche io quella sera mi ritrovai a entrare in casa con uno sguardo da ebete fisso nel vuoto. Avevo guardato Harry camminare e girare l'angolo con fare sognante, ma prima di rientrare avevo cercato di ricompormi e tornare la Edith di sempre; evidentemente non ci ero riuscita però, perché Bell, vedendomi varcare la soglia, corse verso di me lanciando un urlo di contentezza che probabilmente raggiunse l'intensità degli ultrasuoni.

Harry appoggiò la testa sul palmo della mano e sbuffò rumorosamente dall'altra parte del tavolo. Gli sfiorai il piede con il mio e gli rivolsi un sorriso comprensivo, piegando lievemente la testa di lato. Il ragazzo scosse il capo; aprì la bocca e provò a dirmi qualcosa, ma la sua voce venne coperta dalle risa di Niall e dalle grida rumorose degli uomini che guardavano la partita. Il ragazzo riccio scosse di nuovo la testa, sconsolato.
Quando io e Harry avevamo dovuto decidere dove mangiare la nostra scelta era caduta su uno storico pub irlandese nei dintorni. In quel locale così poco raffinato l'atmosfera era affascinante: tutto l'arredamento era in legno, i tavoli erano lunghi banconi con delle panche ai lati per sedersi, le luci erano soffuse e i camerieri erano sempre amichevoli e disponibili, qualità difficili da trovare nel centro di Londra. Sfortunatamente Niall aveva assistito alla nostra conversazione e, se di norma non riusciva a rinunciare al cibo e alla compagnia, quando aveva sentito che saremmo andati in un locale irlandese s'era infilato il cappotto e s'era fermato davanti alla porta dello studio, impaziente di uscire.
Harry aveva provato a fargli capire in qualsiasi modo che saremmo stati tutti insieme dopo pranzo ma l'amico, al quale Zayn non aveva raccontato nulla riguardo al nostro bacio, non aveva colto le occhiate d'intesa del ragazzo riccio e non aveva desistito.
«Dai, siamo insieme lo stesso...» avevo provato a dire ad Harry per non farlo sentire in colpa, ma in fondo, seppure mi stessi affezionando molto a Niall, non potei fare a meno di considerarlo il terzo incomodo della situazione. L'unico a non preoccuparsene, naturalmente, era proprio il ragazzo biondo; come suo solito non smetteva un momento di parlare, farmi ridere e fantasticare sulla modella Zoe Whelan, della quale avrebbe potuto diventare lo stalker.
Come se il nostro pranzo non fosse già rovinato abbastanza, appena avevamo messo piede nel pub avevamo notato con grande sconforto che proprio a quell'ora la televisione stava trasmettendo la partita fra una famosa squadra irlandese, lo Shamrock Rovers, contro il Manchester United. Harry non era un grande fan del calcio, ma Niall non era dello stesso avviso: appena ci eravamo seduti aveva iniziato a tifare la squadra del suo Paese con molto impegno e con un gran bicchiere di birra in mano.
«Harry, sembri un cadavere oggi!» lo rimbrottò Niall tirandogli una sonora gomitata. Ignorò puntualmente l'occhiata malvagia che gli rivolse I'amico colpito.
«Allora, Dee, ti piacciono i pub irlandesi?» chiese il biondo rivolgendosi a me dopo essersi riempito la bocca di stuzzichini.
«Ovvio che le piacciono, abbiamo scelto noi due insieme di venire qui.» rispose Harry sbuffando. Gli tirai un piccolo calcio sotto il tavolo: ormai Niall era lì, era inutile rispondergli così male.
«Tantissimo!» commentai. «Potremmo venire tutti insieme una volta!»
«Oh, tranquilla,» mi rassicurò il ragazzo posando il tovagliolo. «Ho già chiamato Louis, dovrebbe arrivare fra poco.»
«Ah...che bello!» risposi con un sospiro, ricordandomi di quanto fossi pessima a fingere. Per fortuna Niall non se ne accorse e mi rivolse un sorriso compiaciuto prima di tornare ad esultare per un'azione vincente della sua squadra. Harry ormai non sembrava neanche più arrabbiato, ma beveva a sorsetti la sua birra con sguardo rassegnato.
«Hey.» richiamai la sua attenzione mentre Niall commentava la partita con un altro irlandese. «Tutto bene?»
«Sì, certo. Mi spiace, pensavo che questo posto fosse un po' più, uhm...tranquillo.»
«Mi sto divertendo lo stesso.» dissi, e lo pensavo davvero. Non riuscivo a sradicare dalla mia mente l'idea di baciarlo una volta per tutte senza nessuno che ci desse fastidio. Se avesse aspettato ancora un po' di tempo probabilmente l'avrei fatto io, e al diavolo la mia timidezza.
«Bugia galattica.» rise Harry.
«No, dico sul serio!»
Stava per ribattere quando sentii dietro alle mie spalle la voce inconfondibile di Louis che si faceva spazio nel locale. «Hey Lou, eccovi!» esclamò Niall balzando in piedi. Mi alzai per salutarlo e notai fra la gente che il suo braccio destro era intrecciato con un altro braccio con un polso pieno di braccialetti sottili. Dopo poco si fece spazio fra i tifosi del Shamrock Rovers una ragazza che salutò subito tutti noi. La forma particolare del suo viso mi suggerì immediatamente che doveva trattarsi di Eleanor, la fidanzata di lunga data di Louis.
I giornali scrivevano spesso che fosse una modella e lei precisava sempre che l'unico impiego che avesse mai avuto nella moda fosse un lavoro estivo come commessa di Hollister. Nonostante ciò, Eleanor poteva essere benissimo scambiata per un'indossatrice. La sua statura non era incredibile, forse di un paio di centimetri maggiore della mia, ma il suo paio di scarpe col tacco e le gambe magrissime non facevano altro che farla sembrare più alta. Aveva gli occhi occhi color nocciola dal taglio fine e un sorriso perfetto si stagliava sul suo viso asciutto. Indossava un paio di jeans scuri molto stretti, un maglioncino largo color panna, un giubbotto di pelle nero all'ultima moda e un cappellino morbido dal quale scendevano tanti boccoli ordinati. Mentre la guardavo salutare Harry e Niall non potei fare a meno di rivolgere un'occhiata di rimprovero alla mie Vans fin troppo vecchie, ai miei riccioli fin troppo ribelli e ai miei vestiti fin troppo comodi.
«Tu devi essere la giornalista, giusto?» si rivolse a me Eleanor. «Louis mi ha parlato di te!»
«Sì, sono Edith, piacere.» sorrisi stringendole la mano. Eleanor puntò l'indice verso il mio viso.
«Sei di Manchester!» affermò tutta contenta. Probabilmente le rivolsi uno sguardo interrogativo perché s'affrettò ad aggiungere: «Si sente...l'accento, sai.»
«Già, anche tu, vero? Vai alla Manchester University, no?» le chiesi, frugando nella memoria per ricordarmi quello che mi aveva detto Louis su di lei. Sperai di non aver sbagliato.
«Sì, sono al terzo anno! In che zona di Manchester vivi?»
In una situazione normale probabilmente mi sarei sentita a disagio a parlare con una come Eleanor. Era quello che io definivo un animale da società, un po' come mia madre. Era chiaro quanto fosse a suo agio fra la gente e forse aveva imparato come stare sempre al centro dell'attenzione grazie alla sua relazione di due anni con una celebrità. Era anche ovvio, comunque, che la sua espansività fosse un tratto della sua personalità: probabilmente la storia con Louis l'aveva accentuato, ma io non sarei diventata come lei neanche dopo un matrimonio di cinquant'anni con un personaggio famoso.
Eleanor sembrava senza difetti: bella, simpatica, intelligente, socievole, sofisticata, sportiva. Incredibilmente, però, quel suo alone di perfezione non sembrava scalfirmi, o almeno, non così tanto da trovarla odiosa.

«Harry, forse non è una buona idea...» sussurrai.
Fuori dal pub irlandese si agitava la più grande folla di ragazze che io avessi mai visto davanti ad un locale. Sapevo che il fandom dei One Direction fosse enorme, ma non pensavo che le fans potessero scoprire così in fretta dove fossero i loro beniamini.
«Si passano informazioni via Twitter.» mi spiegò Niall vedendo la mia espressione confusa. «Basta che una di loro ci veda da qualche parte, lo scriva su Twitter e...ecco cosa succede.»
Le ragazze sembravano in preda a qualche strana e inquietante possessione. Sventolavano grandi cartelloni, urlavano, cantavano in coro e chiamavano a gran voce i ragazzi. Appena vedevano uno di loro dietro alla vetrina del pub le grida s'intensificavano e alcune di loro tentavano invano di entrare nel locale, bloccate prontamente dai membri della sicurezza. Uno di questi ultimi riuscì ad intrufolarsi all'interno e si fermò davanti al nostro tavolo.
«Allora, i taxi sono arrivati. Potete uscire, ma in fretta, sta arrivando altra gente.» dichiarò l'uomo, un gigante dalle braccia muscolose e i capelli a spazzola che raggiungeva abbondantemente i due metri d'altezza.
«Possiamo firmare autografi?» chiese Louis quasi annoiato e capii che era un tipo di conversazione che avevano spesso.
L'uomo, che scoprii dopo chiamarsi Paul, scrutò attentamente la folla di ragazzine urlanti e fece un segno ad uno dei colleghi fuori.
«Uhm...direi di sì, sono abbastanza tranquille.» decretò, facendomi strabuzzare gli occhi: se quelle fans impazzite potevano essere definite tranquille, non osavo immaginare come fossero quelle agitate. «Ma fate in fretta, se no succede come sempre e dovremo...»
«Sì, Paul, grazie.» sbuffò Niall, probabilmente stufo di sentirsi dire sempre le stesse raccomandazioni. «Ci vediamo fuori.»
Il colosso uscì a gambe e braccia larghe fuori dal pub ed io rivolsi un'occhiata al resto dei ragazzi. Erano così tranquilli, si comportavano come se nulla fosse; a me stavano venendo i brividi al solo pensiero di essere stretta in quella folla. Mi appuntai nella mente di scrivere quella scena nel mio articolo.
«Io esco dopo.» dichiarai a Harry quando vidi che s'alzava e s'infilava il cappotto.
«No, tu esci adesso. Sono tranquille, non ti fanno niente.» rispose, divertito dalla mia espressione.
«Tranquille?! Harry, battono le mani sulle vetrine!» esclamai, indicando tre ragazze con i palmi stampati sui vetri e la scritta "1D" pitturata sulle guance.
«E quindi?» fece spallucce il ragazzo, abituato a ben altre scene di follia. «Dai, su, andiamo. Abbiamo un sacco di lavoro da fare, in studio.»
«No, io esco dal retro!» protestai.
«Ma quale retro?»
«C'è sempre un'uscita sul retro per le celebrità!» squittii.
«Senti, sei una giornalista: è questo che vuoi fare, no? E sei qui per abituarti e fare un articolo su di noi, giusto?» mi chiese. Annuii. «E allora vieni, coraggio.»
Non mi ricordo il momento esatto in cui varcai la soglia del pub. Ricordo che eravamo disposti in fila e che ero schiacciata fra Eleanor, che stringeva forte la mano di Louis, e Harry dietro di me. Sebbene fosse giorno, i flash dei paparazzi erano accecanti: tentai inutilmente di tenere gli occhi aperti per risultare decente in qualche foto ma li chiusi subito dopo, abbagliata. La folla era arrivata di sorpresa e di conseguenza non c'era nessuna transenna a proteggerci: le ragazze si chiudevano sempre più attorno a noi, ognuna di loro tendendo ai ragazzi un disco o un pezzo di carta da autografare, e a me sembrava di soffocare.
«Harry, ti amo!» gridò istericamente una di loro vicino a me.
«Niall! Niall! Una foto, ti prego!» seguì un'altra fan in lacrime.
«Louis, come sta andando l'incisione dell'album?»
«Hey, ragazzi, uno scatto per !E News!» pregò un paparazzo prima di abbagliarci con un flash.
«Eleanor, Larry è reale! Vattene!»
Quell'urlo si distinse bene fra gli altri. Louis si voltò fulmineo verso la ragazza che aveva parlato e le rivolse un'occhiata cattiva, poi si rigirò e strinse ancora di più la mano di Eleanor, che abbassò la testa per schermirsi dagli scatti. Non ebbi nemmeno il tempo di chiedermi il perché di quella reazione che un altro grido si alzò fra gli altri.
«Hey, ma chi è quella?» soffiò una ragazzina bionda e truccata in modo ridicolo dopo avermi indicata.
Tutte le altre fans iniziarono a chiedersi la stessa cosa e abbassai un po' il capo anche io, a disagio. La gente era strettissima attorno a noi; nessuno notò che portai una mano dietro la schiena e che Harry la strinse forte per tranquillizzarmi, intrecciando le dita alle mie. «Ricordami di ringraziarti.» gli dissi voltandomi un attimo.
«Sarai troppo impegnata a leggere tutti i commenti che scriveranno su di te su Twitter.»
La folla si aprì un poco e prontamente le dita di Harry scivolarono via dalle mie. Prima che lo facessero, però, colsi con la coda dell'occhio che qualcuno aveva visto e che aveva dato a qualcuno una gomitata allusiva. Vidi dei capelli neri, un rossetto rosso, una smorfia antipatica e una carnagione dal pallore inconfondibile.
Kayla Alvord. Kayla Alvord e il suo immancabile amico paparazzo dai capelli da hippie e l'inguardabile diamantino all'orecchio.
«Hey, Seabury!» pronunciò la sua voce irritante sopra le altre.
Dio, no. Ti prego, non adesso, non mentre una folla di ragazzine urlanti mi fotografava, non mentre inciampavo fra piedi di persone ammassate le une sulle altre, non mentre avevo solo voglia di girarmi e dare quello stramaledetto bacio a Harry.
«Scusa, devo andare.» le gridai mentre il ragazzo riccio mi spingeva verso il taxi.
«Ci vediamo agli Mtv Awards, Seabury!» gracchiò Kayla.
Il suo sorrisetto storto e il suo tono di voce sarcastico suonarono alle mie orecchie come una specie di minaccia.


-

Ehi! (:
Allora, sarò sincera: questo capitolo è stato un parto. Non tanto perché non avessi idee o cose da scrivere, ma perché la scuola ha già cominciato a occupare tanto tanto tanto del mio tempo e mi ritrovavo a scrivere poche righe al giorno! Comunque -questa volta prometto e mantengo- giuro che m'impegnerò solennemente ad aggiornare in modo più costante! Anche perché non crediate che la storia di Dee ed Harry si concluda qui...non mi piacciono le storie d'amore così...facili, quindi è questo è solo l'l'inizio ;)
Nel prossimo capitolo (che uscirà fra una settimana) dovrò scrivere riguardo agli Mtv Awards, penso che dovrò trattenermi a non scrivere pagine e pagine solo dell'incontro di Dee con Ed Sheeran ahah (:
Spero comunque che questo capitolo vi sia piaciuto, e se la risposta è sì fatemi felice e RECENSITE! Mi fa tanto piacere...c:
Grazie a quelli che hanno visualizzato la mia storia, l'hanno messa fra preferiti/ricordati/seguiti (è fra le seguite di tanti, grazie mille!) e grazie a quelli che hanno recensito fin ora, soprattutto alcuni che lo fanno sempre.
Un bacio! :*

G.

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Capitolo 11
*** X. Burn. ***


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X. Burn.

-

Ci sono spesso dei rumori che non vorremmo sentire. Lo squillo di una chiamata che non si vuole ricevere, la voce di qualcuno che non si vuole incontrare, il trillo di un campanello quando si è appena usciti dalla doccia.
Il suono che volevo non arrivasse giunse alle nove e mezza precise quella stessa sera. Il rumore di un clacson fuori da casa mia riuscì a gettarmi totalmente nel panico.
«Ci siamo!» strillò Lani, alzandosi di scatto dal divano. Bell corse a prendere il mio cappotto e lo aprì aspettando che infilassi le braccia, ma il mio sedere sembrava inchiodato alla poltrona.
«Devo andare, vero?» mugolai sommessamente.
«Penso proprio di sì.» rise Lani, spumeggiante. «Dai, lo so che non vedi l'ora!»
Era vero: non vedevo l'ora di essere seduta e circondata da giornalisti con tanti artisti ad esibirsi a cinque metri da me. Era la parte prima che volevo evitare. Non era stato l'assalto dei paparazzi ad impressionarmi, né tantomeno aver visto alcune mie foto su Internet che mi avevano ricordato quanto fossi poco fotogenica. Il vero colpo erano stati i commenti delle fans che ovviamente, presa da un attimo di curiosità morbosa e masochista, ero andata a vedere. Molte di loro avevano già ipotizzato che fossi la nuova ragazza di Harry e solo con questa supposizione avevano sollevato una serie di reazioni acide e gelose nei miei confronti. Tuttavia, se non potevo evitare che m'insultassero per essere amica dei loro idoli, potevo sempre far sì che non mi criticassero di nuovo per il mio aspetto fisico. Avevo così deciso di farmi mettere a nuovo dalle mie coinquiline, che per un pomeriggio erano entrate perfettamente nei ruoli di estetiste, parrucchiere, make-up artists ed esperte di moda. Avevo passato ore seduta sul gabinetto a farmi stirare i capelli -e bruciare le orecchie- da Lani mentre Bell dava sfogo alla sua abilità con i colori truccandomi con cura; avevo esaminato miliardi di vestiti nei negozi per poi scegliere quello che mi stava meglio, un abito semplice di un particolare colore tendente al pesca; ero rimasta mezz'ora con mani e piedi immobili per non rovinare lo smalto. Dopo tutte queste attenzioni avrei dovuto sentirmi bellissima, in teoria, ma solo l'idea di varcare quella soglia mi terrorizzava.
«Muoviti, ti stanno aspettando!» m'incitò Bell, che ancora reggeva il mio cappotto per farmelo indossare. Mi costrinsi ad alzarmi dalla poltrona, infilai la giacca e mi diressi verso la porta d'ingresso.
«Divertiti!» fece Lani salutandomi scuotendo la mano. Le mie amiche erano in piedi l'una di fianco all'altra, emozionate; sembravano i due classici genitori americani che guardano la loro bambina andare al suo primo ballo della scuola.
«E non bere troppo, superstar!» mi canzonò Bell, conoscendo la mia scarsa resistenza all'alcol. Scossi la testa ridacchiando e uscii risoluta dalla porta.
Harry e Liam mi aspettavano fuori da una delle due grandi macchine nere a disposizione della band. Avrei voluto raggiungerli con un'elegante camminata da gatta, ma l'unica cosa che riuscii a fare fu fare attenzione a non scivolare giù per gli scalini e a non incastrare i tacchi nelle fessure del vialetto.
«Ciao Dee!» esclamò Liam tutto contento. «Pensavamo non saresti mai uscita!»
Lo salutai allegramente e, mentre faceva il giro dell'auto per risalire, trattenni il respiro in attesa dei commenti di Harry che non tardarono ad arrivare.
«Sei...stai benissimo, Edith.» sorrise, e dall'espressione sorpresa che aveva vidi che era davvero sincero.
«Grazie.» risposi, contenta. «Anche tu, sei elegantissimo...» aggiunsi, passando lo sguardo sul suo perfetto completo scuro con scarpe abbinate.
Harry si scostò dalla macchina, mi aprì la portiera, fece un piccolo inchino ed esasperò il gesto della mano col quale m'invitava a salire facendomi ridere. "Ecco come si sente una celebrità", pensai, e mi accorsi che quella sera avrei potuto essere la reincarnazione di una specie di Cenerentola inglese coi piedi già doloranti per i tacchi.

Il secondo suono che quella sera non avrei voluto sentire giunse esattamente mezz'ora dopo il rumore del clacson.
La sezione giornalisti dov'ero seduta era quasi tutta piena. Mi era dispiaciuto separarmi dai ragazzi, ma almeno dal mio posto riuscivo a vedere bene dov'erano seduti poco lontano.
Davanti a me passavano una sfilza di personaggi famosi che probabilmente, se non avessi partecipato a quella serata, non avrei visto in tutta la mia vita. Sembravo una bambina in un parco divertimenti: ogni volta che vedevo una celebrità o qualche famoso giornalista rivolgevo un'occhiata emozionata ad Harry che, proprio come un papà, fingeva di sorprendersi con me anche se era abituato ad essere sempre circondato da quella gente.
Il mio entusiasmò scemò quando vidi un corpulento buttafuori di colore accompagnare Kayla Alvord verso la sezione giornalisti. Rivolsi suppliche e fioretti ad ogni divinità ultraterrena affinché non fosse seduta accanto a me, ma il buttafuori sembrava proprio indicarle la sedia di fianco alla mia.
«...e quindi l'abbiamo messa vicino a una sua compagna di Università, signorina.» sentii che spiegava il ragazzo.
«Oh, eccoti qui Seabury!» starnazzò Kayla, camminando in modo maldestro fra le gambe degli altri reporter seduti e raggiungendomi. La sua voce riusciva ad irritarmi a livelli incredibili.
«Ciao Kayla.» sospirai, liberando il suo posto dalla mia borsa. Cercai un modo per non parlarle, così tirai fuori le bozze del mio articolo e iniziai a correggere, aggiustare pezzi che non mi piacevano e aggiungere altri dettagli che mi sembravano importanti.
Kayla tentò di stuzzicarmi come faceva di solito, ma vedendo che non le prestavo la benché minima attenzione, chiamò il suo fedele paparazzo Logan e si mise a spettegolare con lui. Mentre scrivevo qualche appunto sul mio quaderno giungevano alle mie orecchie pezzi di inutili conversazioni fra i due, che sembravano interessarsi solo ai vari look delle celebrità. Ogni tanto, sapendo che Kayla non mi stava fissando, alzavo impercettibilmente gli occhi e guardavo la schiena di Harry nella speranza che si voltasse anche lui. Una volta successe davvero, e ci rivolgemmo un grande sorriso d'intesa attraverso l'enorme sala degli Awards senza che nessuno se ne accorgesse.
«E così te la fai con Harry Styles, eh?»
O forse non proprio nessuno.
Quella domanda fece scomparire il sorriso dalle mie labbra in un millesimo di secondo. Kayla avrebbe trasformato in qualcosa di cattivo gusto anche la più dolce e romantica delle storie d'amore. E non avevo mai sentito nulla di più riduttivo di quel te la fai pronunciato con sprezzo.
«Non sono affari tuoi.»
«Se vi tenete per manina per strada sì, sono anche affari miei.»
Ci aveva visti. Lo sapevo.
«Comunque sei intelligente. Insomma, non c'è modo migliore di farsi conoscere da tutti i giornali se non comparire su quegli stessi giornali. Con Harry Styles, oltretutto.» continuò.
«Qualcuno è geloso, eh?» risi senza nemmeno alzare lo sguardo dal foglio.
«Gelosa di te?» sibilò. Logan, con mia grande sorpresa, invece di appoggiarla le fece segno di smetterla.
«E di chi se no?»
Kayla non replicò. Si appoggiò allo schienale con stizza e disse sgarbatamente al paparazzo di andarsene. Era il ritratto dell'invidia personificato in una ragazza antipatica e vestita più da ballerina di lap dance che da aspirante giornalista.
Passò un quarto d'ora dove arrivò l'altra metà della gente che mancava. Alzai lo sguardo dagli appunti e, dopo aver quasi avuto un attacco di cuore per il vestito mozzafiato di Selena Gomez, notai una ragazza altissima camminare in modo elegante davanti a noi. Il suo vestito color corallo saltava subito all'occhio e un giacca corta le copriva la schiena nuda. Qualcosa dei suoi lineamenti da sudamericana mi era familiare. Non era sicuramente una cantante e neanche una giornalista, ma il suo incedere sicuro sui tacchi mi fece pensare ad una modella. In pochi secondi il mio cervello unì i pezzi: alta, lineamenti da brasiliana, corpo da indossatrice. Zoe Whelan!
Scattai in piedi senza neanche sapere bene cosa fare, uscii di corsa dalla sezione giornalisti e mi scapicollai verso la ragazza con il mio quaderno fra le braccia. Quando fui abbastanza vicina richiamai la sua attenzione battendole un dito sulla spalla.
«Zoe...Whelan?» esordii cercando di sembrare professionale.
«Sì, sono io.» mi rispose, alquanto perplessa.
«Posso vedere dov'è il tuo posto?» domandai indicando il pezzo di carta che aveva fra le dita dalle unghie laccate di rosso.
«Certo, tieni.» mi porse il foglietto. Posto 121: lontanissimo da Niall, praticamente dall'altra parte della grandissima sala. Guardai rapidamente verso i ragazzi: il posto alla destra di Niall era occupato da Zayn, ma avevo visto che il posto alla sua sinistra era ancora vuoto.
«Mi è stato detto di farti sedere là, se per te non è un problema.» esclamai guardando il mio quaderno per fingere ancora meglio di essere una delle organizzatrici.
«Nessun problema, non sono venuta in compagnia. Là in fondo dove?» chiese voltandosi.
«Là, vicino a quel ragazzo biondo.» dissi indicandole i capelli di Niall che ci dava la schiena.
«Oh, d'accordo. Grazie.» sorrise la ragazza e, dopo aver dato qualche occhiata perplessa al foglietto, alzò le spalle e si diresse dove le avevo detto.
Quando si sedette e vidi lei e Niall salutarsi tentai di rimanere calma anche se dentro di me stavo saltellando e strillando per la soddisfazione. Probabilmente sarebbe arrivato presto il proprietario del posto vicino al ragazzo, ma nel frattempo Niall avrebbe avuto tutto il tempo per parlarci e, chissà, magari invitarla a rivedersi all'uscita o al party dopo gli Awards.
Ad un tratto Niall si voltò verso di me; forse Zoe gli aveva indicato chi le aveva detto di sedersi lì. Naturalmente eravamo troppo lontani per parlarci, ma con la bocca mimò un "grazie" silenzioso e sincero; gli risposi con un occhiolino d'intesa e tornai a sedermi compiaciuta.

«E adesso...» annunciò la presentatrice Lucy Hale rivolgendosi al pubblico e alle telecamere. «...siete pronti per la band più famosa del momento?»
Il pubblico scoppiò in grida esultanti e le fans, sedute nei posti più lontani dal palco, si lasciarono andare a una serie di urla selvagge attraverso la sala. Anche io iniziai ad applaudire con entusiasmo, ignorando le occhiate di scherno che mi rivolse Kayla.
«E allora diamo il benvenuto a Harry, Zayn, Niall, Liam e Louis!» esclamò la presentatrice. I ragazzi si alzarono in piedi e accompagnò la loro salita trionfale sul palco uno scroscio di applausi dai presenti in sala. Salutarono tutti Lucy Hale, si disposero uno di fianco all'altro e Harry prese il microfono che gli porgeva la ragazza.
«Grazie, grazie a tutti!» disse salutando la platea. «Abbiamo deciso questa sera di esibirci con una canzone del nostro ultimo album che si è classificata al primo posto in così tanti Paesi da non sembrare neanche vero... Questa è Best Song Ever, grazie a tutti!»
Lucy Hale zampettò via dal palco con i suoi tacchi vertiginosi e ben presto si sentirono le prime note di Best Song Ever, introdotte da un potente e breve assolo alla batteria.
Era la prima volta che sentivo i One Direction cantare dal vivo e dopo le prime parole cantate da Harry mi ritrovai ad applaudire, cantare con loro i pochi pezzi che ricordavo a memoria e scatenarmi sulla mia sedia come una delle loro fans. Ogni tanto cercavo di calmarmi per non perdere la stima di tutti i giornalisti adulti e famosi intorno a me, ma quando mi voltai per dare un'occhiata notai divertita che la metà di loro si dimenava sulla sedia come me, alcuni inconsapevolmente e altri no. L'unica a non divertirsi era ovviamente Kayla, imbronciata e con le braccia conserte. Guardava ripetutamente Logan, il paparazzo, che però quella sera aveva lasciato a casa macchine fotografiche e obbiettivi per presentarsi alla serata come semplice accompagnatore della ragazza. La performance degli One Direction l'annoiava così tanto che, quasi alla fine della canzone, si alzò e s'incamminò verso il backstage. Giurai che Harry che mi avesse rivolto tanti sguardi, durante quella canzone, ma poi m'intimai di smetterla di comportarmi come una ragazzina di undici anni. In ogni caso, i miei occhi erano sempre incollati su di lui: gli altri erano bravi quanto lui, ma Harry sapeva tenere la scena in un modo particolare. Quando sentivo la sua voce un po' roca intonare le parole di Best Song Ever mi sembrava assurdo che, pochi giorni prima, quel ragazzo fosse stato nella mia piccola stanza a mettere le mani fra i miei dischi dei Beatles. E a provare a baciarmi.
"It was the best song ever..." cantò Zayn, facendo vibrare l'ultima nota e finendo così la performance della band.
«Ladies and gentlemen, gli One Direction!» trillò Lucy Hale provando a superare con la voce le grida e gli applausi. I ragazzi salutarono il pubblico scuotendo le mani e scesero i gradini del palco a due a due, soddisfatti del loro spettacolo. Applaudii più forte di tutti: sapevo quanto avevano sperato che quell'esibizione fosse impeccabile.
Ricevettero tantissimi complimenti da tutti e rischiai di urlare di gioia quando vidi Zoe Whelan, che era rimasta nel posto vicino ai ragazzi, stringere Niall in un grande abbraccio.
Se potevo aver frainteso le occhiate di Harry durante la canzone, quella che mi rivolse quando annunciarono la pubblicità in televisione fu molto chiara. Si alzò dal suo posto e i suoi occhi m'indicarono di sbieco il backstage. Lasciai che si allontanasse abbastanza da non destare sospetti, poi mi alzai col cuore che batteva a mille e camminai facendo finta di nulla. Probabilmente la gente che mi guardava pensò che fossi strana: procedevo velocemente, noncurante del male ai piedi, e lanciavo occhiate furtive come se avessi appena assassinato qualcuno.
Quando entrai nel backstage, però, mi accorsi che nessuno aveva tempo per badare a me; appena varcai la soglia, infatti, venni quasi travolta da uno sciame di parrucchiere, truccatrici, tecnici e organizzatori che schizzavano come biglie da una parte all'altra.
«Pss! Dee!» sentii un sibilo alle mie spalle mentre passavo davanti ad una porta.
Quest'ultima era socchiusa e riconobbi dietro di essa i ricci di Harry. Come pensavo nessuno mi stava prestando attenzione, quindi sospinsi la porta e il ragazzo la chiuse in fretta dopo avermi trascinata all'interno.
«Eccoti! Pensavo non avessi capito...» disse Harry, tirando un sospiro di sollievo.
Non gli chiesi nemmeno perché mi trovassi lì. Era evidente, ed era quello che aspettavo da più di due settimane. Harry piegò la testa di lato osservando il mio vestito e mettendomi un po' a disagio.
«Cavolo, Dee. Sei bellissima...»
Gli rivolsi uno sguardo imbarazzato e lo ringraziai piano.
«Beh, benvenuta nel nostro angolo di backstage.» annunciò Harry allargando le braccia. «Uhm, e scusa il disordine. E tu mi hai chiesto scusa quando sono venuto a casa tua...»
In effetti il disordine del mio salotto era nulla confrontato a quello della stanza.
«Mi hai appena fatta scappare di nascosto nel backstage degli Mtv Awards e ti scusi per il disordine?» gli chiesi con un sorriso. Harry ridacchiò scuotendo la testa e fece spallucce. Questa volta fui io a osservare il suo completo elegante.
«Complimenti per la performance. Sul palco sei...incredibile, davvero. E se te lo dice una giornalista fai meglio a crederci.»
«Ci credo, ci credo.» mi assicurò, spostandomi piano una ciocca di capelli.
«Hey, senti! C'è Ellie Goulding!» esclamai tutta contenta con un tono di voce infantile.

"And we gonna let it burn, burn, burn
We gonna let it burn, burn, burn."

La voce morbida di Ellie Goulding scaldò tutta la platea per giungere fin nel backstage. Ringraziai il Cielo che ci fosse lei come sottofondo a quel momento e non qualche hit del momento ritmata e un po' volgare. La porta dietro di noi fece rumore; stavo per girarmi ma poi il ragazzo davanti a me parlò di nuovo.
«Posso chiederti una cosa?» esordì Harry.
«Vai. Ma dopo chiedo una cosa io.»
«Come ci siamo arrivati qui?»
«Qui in questa stanza o qui in questa situazione?»
«Sempre a puntualizzare, eh?» mi prese in giro. «Comunque intendo qui in questa situazione.»
«Ti ho...beh, non so, '"addomesticato"?» risposi azzardando un termine senza esserne troppo sicura. Sorrisi ricordandomi di quando lo avevo paragonato a un grande felino, bello ma pericoloso, e mi accorsi dopo che non avrei potuto trovare parola più giusta. Forse un giorno glielo avrei detto, giusto per farmi prendere un po' in giro.
«Già, penso di sì.» annuì, soddisfatto. «La tua domanda?»
«Era davvero me che hai guardato per tutta la vostra esibizione?»
Harry aveva un'espressione dolce, ma prima di parlare piantò lo stesso gli occhi verdi nei miei.
«Sì.»
Poche volte, in futuro, avrei riprovato la tensione che mi assalì mentre muovevo due passi, posavo le mani sulle spalle di Harry e lo baciavo io. Per un battito di ciglia rimase immobile, incredulo, ma subito le sue mani corsero fino a raggiungere le mie guance e rispose al mio bacio. Le sue labbra si curvarono velocemente in un sorriso dolce e mi strinse ancora più forte quando sentì le mie dita tremare impercettibilmente. Sentivo di nuovo il suo anello gelido sulla mia pelle e il dolore ai miei piedi era lancinante, ma tutto ciò a cui riuscivo a pensare mentre passavo una mano fra i suoi ricci era quanto avrei voluto stare così per sempre. Era come se mi fosse stata iniettata dell'adrenalina in corpo; non mi sarei sorpresa di vedere il mio cuore battere così forte da saltare via dal mio petto. Fuori da quella stanza Harry era una grande superstar con la fama da casanova, e io una quasi giornalista con gli occhiali e una camera in affitto piena di libri e dischi. Ma quando eravamo noi due, quando le nostre labbra si scontravano in un misto fra dolcezza, sollievo e irruenza, eravamo soltanto Harry e Dee. Finalmente.

"Music's on, I'm waking up, we stop the vibe, and we bump it up
And it's over now, we got the love, there's no secret now, no secret now."




-

Ehi! (:
Eccomi, una settimana dopo come promesso!
Ahah lo so, avevo fatto in modo che Harry e Edith venissero interrotti in ogni modo possibile e immaginabile, ma ne è valsa la pena, penso! Meglio un bacio di fretta in casa di Dee, uno al freddo e al gelo fuori di casa con le coinquiline che la spiavano o uno di sera, da soli, con tutto il tempo a disposizione ed Ellie Goulding che canta dal vivo di sottofondo?
Spero che il nuovo capitolo vi piaccia...confesso che non sono sono esattamente la definizione del romanticismo (trovo davvero super difficile scrivere scene dolci), quindi siate buone nei commenti ahah (: Comunque ho fatto del mio meglio e spero lo apprezziate.
Dato che non sono abituata a scrivere capitoli come questo, questa volta, oltre che a farmi piacere, le vostre recensioni mi servirebbero davvero per avere un'opinione sul risultato. Quindi RECENSITE, recensite! Ringrazio chi lo fa sempre, chi ha la mia storia fra preferiti/ricordati/seguiti e anche i lettori "silenziosi" (che prima o poi mi diranno cosa ne pensano, vero? **). Il prossimo capitolo sarà il 26 di Ottobre!
Un bacio! :*

G.

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Capitolo 12
*** XI. You're smitten, then! ***


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XI. You're smitten, then!

-

«Ti rendi conto che non abbiamo ancora fatto un'uscita io e te da soli?» chiese Harry, la sua voce bassa dopo la performance della sera precedente coperta dall'accelerazione dell'auto.
«Ci abbiamo provato, al pub,» dissi. «ma poi è arrivato Niall.»
Harry alzò gli occhi al cielo ripensando a quel pomeriggio. L'autista guidava velocemente, sfrecciando nel traffico mattutino di Londra. Abbandonai il capo contro il sedile, massaggiandomi le tempie con le dita: mi ero svegliata con un terribile male alla testa che, nonostante avessi preso una medicina, non voleva proprio lasciarmi in pace. Oltre a questo, avevo anche un fastidioso male alla schiena, ma questo era solo colpa mia.
Dopo gli Awards, infatti, i ragazzi avevano voluto festeggiare la loro fantastica performance con una festa improvvisata nel loro tour bus. Quest'ultimo era un enorme veicolo rosso che gli One Direction usavano sempre durante le tournée; era come un'appartamento e, come ogni casa di cinque ventenni che si rispetti, era provvisto da una discreta quantità di alcolici. Contrariamente a ciò che si può pensare, non avevo passato la notte sul bus per colpa dell'alcool. Quella serata per me era stata eterna, in modo positivo naturalmente: il cocktail di adrenalina, stanchezza, sollievo e sorpresa mi aveva fatta addormentare nel pieno dei festeggiamenti come una bambina di cinque anni la notte di Capodanno. Avevo quindi dormito per otto ore sdraiata in una posizione assurda su un divano, al freddo, senza coperte addosso, fasciata dal mio vestito e truccata. E quella mattina, oltre ad aver male dappertutto, la mia faccia e i miei capelli erano in condizioni pietose.
Harry comunque sembrava non preoccuparsene, o almeno fingeva molto bene di non farlo. Mentre l'autista suonava il clacson e insultava qualche ciclista sconsiderato, le mie dita accarezzavano distrattamente il dorso della sua mano.
«Stai bene?» mi chiese Harry, quando si voltò e mi vide massaggiarmi le tempie.
«Sì, sì. Un po' di mal di testa.» scrollai le spalle. «A te non fischiano le orecchie?»
«Sono abituato, ormai. I concerti, le ragazze che urlano, sai... Diventerò sordo, prima o poi.» sorrise. «Comunque...sei libera oggi, vero?»
«Uhm...dovrei studiare, fra qualche settimana ho un esame all'Università. Ah, e poi devo finire la bozza del mio articolo!» risposi. Mi dispiaceva fare la guastafeste, ma ero talmente stanca che l'idea di uscire di nuovo dopo poche ore non mi entusiasmava.
«Oh, d'accordo. Allora domani sei obbligata .» affermò Harry. Annuii sorridendo, voltandomi di nuovo per guardare fuori dal finestrino. Dopo qualche minuto notai che la macchina avrebbe raggiunto presto casa mia e mi rigirai.
«Grazie per la serata, Harry, davvero. Per avermi dato un passaggio all'andata, per avermi invitata sul tour bus, per avermi fatta dormire sul vostro divano, per il passaggio di adesso e per...beh, per il backstage...» sussurrai, imbarazzata. Ero convinta che l'autista stesse ascoltando con interesse ciò che stavo dicendo, anche se faceva finta di nulla. O forse ormai era talmente abituato alla vita dei ragazzi che non ci faceva nemmeno più caso.
«Di nulla, Dee. Ci...mi ha fatto piacere che fossi con noi. Soprattutto nel backstage.» sorrise, prendendomi in giro silenziosamente per il giro di parole che avevo usato.
L'auto di fermò davanti a casa mia.
«Oh, Dee.» esclamò Harry, preoccupato. «Al nostro appuntamento...probabilmente ci saranno dei paparazzi e qualche fan. Va bene?»
«Certo.» lo rassicurai. Si aspettava davvero che avrei rinunciato per dei motivi del genere?
«Quindi...a domani?» chiese Harry mentre prendevo fra le mani l'orlo del mio vestito per uscire meglio dalla macchina.
«A domani.» annuii vigorosamente. Aprii la portiera e misi giù un piede; stavo per scendere, ma Harry mi fece girare in qualche modo e mi diede un velocissimo bacio sulle labbra.
«Buona giornata.» mi augurò, come se fosse la cosa più normale del mondo.
«Anche a te...» balbettai mentre cercavo di sembrare sciolta. Uscii dalla macchina chiudendo piano la portiera. Mi sarei mai abituata a qualcosa del genere?

«E quando ti aspettavi di dircelo?» disse Bell, posando la tazza sul tavolo e avvicinandosi a me. «Ti abbiamo aspettato fino alle due, non rispondevi al cellulare...ha chiamato persino tua madre per sapere dov'eri!»
«Buongiorno anche a te, Bell, la serata è andata benissimo, grazie.» risposi, stizzita, chiudendo la porta con uno scatto.
Sì, avevo definitivamente passato una serata da Cenerentola. Appena ero entrata in casa, però, la realtà mi aveva accolta senza tardare. Con un po' di irruenza, oltretutto.
Lani lanciò a Bell uno sguardo di rimprovero per dirle di non sgridarmi. Da tutti mi sarei aspettata dei rimproveri, ma mai dalla persona più ribelle e anticonformista che io avessi mai conosciuto. Bell sbuffò, ma poi la sua espressione si addolcì un poco.
«Ciao Dee. Ti sei divertita?» chiese Bell, tornando a bere il suo caffè forte. In una situazione normale avrei fatto la sostenuta, ma quella mattina mi dimenticai subito di essere stata rimbrottata.
«Da morire.» confessai, calciando via quelle scarpe col tacco da incubo. «È stato...incredibile.»
«E con Harry?» chiese Lani fissandomi piena di aspettativa. Mi sedetti sul divano, giocando a fare la ragazza misteriosa del gruppo. Di solito ero piuttosto riservata riguardo alla mia vita sentimentale, odiavo sedermi e raccontare a tutti quello che mi succedeva. Le mie coinquiline s'affrettarono verso di me, mi si sedettero accanto e rimasero ad aspettare. Mi sentii improvvisamente come una mia compagna di liceo, Lindsay, che tutti i lunedì mattina aveva una cerchia di ragazze attorno al suo banco che ascoltavano i suoi folli racconti del weekend. Inutile dire che avevo odiato quella ragazza per anni.
«Allora...» cominciai. «Dunque, eravamo seduti lontani. Si è esibito con i ragazzi, sono stati bravissimi! Durante la performance mi guardava spessissimo, solo che non capivo se stesse guardando me, e poi non volevo che gli altri lo notassero. Kayla, per esempio, credo che l'abbia notato e...oh, c'era anche Kayla comunque, forse non ve l'avevo det-»
«Dee! E quindi?» m'incitò Lani. Presi un gran respiro, guardai prima una e poi l'altra.
«Ci siamo baciati. Sul serio, questa volta.»
Le ragazze ci misero qualche secondo per elaborare la mia frase. Sulle loro facce passarono tutti i tipi di emozioni immaginabili.
«Davvero? È fantastico!» strillò Bell. Le mie coinquiline batterono le mani, contente.
«Vedi che avevo ragione!» fece Lani, saccente, rivolgendosi a Bell. «Venti sterline, forza.»
«Avere scommesso?» risi, anche se avrei dovuto aspettarmelo.
«Ovviamente!» esclamò Bell. «Lani ha vinto. Io ti ho vista troppo nervosa prima di uscire, pensavo che non sarebbe successo!»
«E invece sai cosa? L'ho baciato prima io. Io, capisci? Cioè, è stato pazzesco!» dissi, scattando in piedi per l'eccitazione. Man mano che il tempo passava mi rendevo sempre più conto di quello che era successo. Se in macchina accarezzare la mano di Harry e programmare un appuntamento mi era sembrato quasi normale, mi domandai come potevo non essere morta dopo gli Awards.
«Tu? Sei proprio cotta allora, Dee.» scosse la testa Lani, incredula. Mi ributtai sul divano e sentii ancora gli sguardi delle ragazze ancora appiccati addosso a me.
«E adesso?» chiese Bell.
«Ci...frequenteremo, credo. Domani sera usciamo da soli per la prima volta. Ci conosciamo meglio e vediamo come va.» risposi decisa. Per la prima volta vedevo molto chiaramente cosa avremmo dovuto fare: conoscerci. Parlare da soli, senza le grida di Niall, senza paparazzi, fans e magari non in mezzo a degli Awards. Le mie amiche rimasero in silenzio.
«Cavolo...» sospirò Bell, fissando un punto preciso per terra. «E se va bene? Te ne andrai?»
Scoppiai a ridere, guardandola con gli occhi sbarrati.
«Andarmene? Bell, lo conosco da due mesi e ci siamo dati un paio di baci, non è esattamente quello che si chiama una base solida per andare a vivere insieme!» dissi, alzando gli occhi al cielo. «E poi devo finire l'Università con voi, quindi mi avrete fra i piedi fino alla laurea.»
«Però domani non ci sei, vero?» chiese Lani. Il mio cervello scorse velocemente i miei impegni della settimana e mi ricordai solo in quel momento che avevo promesso alle mie coinquiline e al gruppo di amici dell'Università che sarei andata al cinema con loro.
«No, mi dispiace...» mormorai terribilmente in colpa.
«Dai, non importa.» alzò le spalle Bell, anche se la sua espressione diceva tutt'altro.
«Datemi cinque minuti e ci sono per studiare!» annunciai per togliermi da quella conversazione che stava prendendo una brutta piega. Ero stufa di quel dannato vestito, volevo soltanto toglierlo e buttarlo nei meandri più remoti del mio armadio, ed ero anche stufa del trucco. Quando tornai in salone sembravo un'altra e, nonostante mi fossi aspettata di sentirmi subito meglio senza l'abito, quando vidi il mio riflesso nello specchio non fui così sollevata come speravo.
Provai a studiare, senza risultato. Ero distratta: Niall continuava a scrivermi messaggi per descrivere la serata con Zoe, con la quale aveva organizzato presto un appartamento, mia sorella continuava a chiamarmi, Oliver mi scriveva su Facebook e non riuscivo a distogliere le attenzioni sui commenti che le fans avevano scritto su di me su Twitter. La maggior parte di loro aveva scritto che non sapeva minimamente chi fossi, alcune sospettavano che avessi a che fare con Harry e altre ancora, nel dubbio, mi avevano insultata pesantemente lo stesso. Oltre a ciò, che sicuramente non aiutava, il mio mal di testa persisteva senza lasciarmi un quarto d'ora di sollievo.

«Dove mi stai portando?» ridacchiai. Harry scosse la testa come per dire "lasciami fare" e continuò a guidare.
Quando ero salita in macchina mi era sembrato di essere una in incognito, e ora che il ragazzo si ostinava a nascondere la nostra meta mi sentivo sempre di più coinvolta in una missione segreta. Quando avevo visto che si stava dirigendo pericolosamente verso il centro di Londra mi era quasi preso un attacco di cuore. Già mi ero immaginata la scena: un ristorante elegante nel quale non so comportarmi, una lista di cibi sconosciuti scritti pomposamente in francese, un mare di fans, un'orda di paparazzi e tanti occhi puntati addosso. Fortunatamente l'auto aveva girato poco prima di un grande cartello che segnalava la direzione verso Waterloo Station, e, dopo venticinque minuti, eravamo ancora in viaggio. Avevamo chiacchierato talmente tanto durante quel tragitto che ebbi quasi paura di non sapere cosa dire a tavola; Harry però, che quando l'avevo conosciuto sembrava chiuso in un mutismo perenne, non la smetteva più di raccontare cose buffe e io di ascoltarlo, narrare le mie avventure, commentare e ridere. E ridevo davvero, non quelle risatine di circostanza per non far sentire a disagio qualcuno.
Ad un tratto la macchina si fermò in una strada semi buia. Gli rivolsi un'occhiata interrogativa, ma Harry non la colse perché stava già aprendo la portiera per scendere. Lo imitai in fretta e mi ritrovai in una via stretta con pochi lampioni e nessun passante. «Prego, di qua.» esclamò Harry e la sua voce roca fece un po' eco fra le pareti dei palazzi che sembravano quasi deserti. Mi offrì il braccio e mi ci appesi molto volentieri: anche quella sera avevo deciso di torturarmi con le mie stesse mani e avevo di nuovo indossato i tacchi. Camminammo per un paio di minuti, questa volta in religioso silenzio. Mi chiesi se non avesse sbagliato strada: quella specie di vicolo mi faceva paura. Ad un tratto giungemmo davanti ad una porta rossa con un'insegna circolare appesa al fianco. Sembrava uno di quei locali malfamati del Bronx, dove i gangster della zona giocano a poker immersi in grigie nuvole di fumo di sigaro. In effetti, quando Harry sospinse la porta e mi fece entrare, l'atmosfera era molto simile. Non era un posto elegante, tutt'altro; i tavoli di legno e l'atmosfera familiare che si respirava mi ricordava in un certo senso quella del pub irlandese. C'era molta gente seduta a mangiare e chiacchierare; nonostante ciò, appena il ragazzo riccio varcò la soglia, un signore basso e rotondo si accorse subito di lui, gli corse in contro e l'abbracciò calorosamente.
«Harry!» esclamò, posandogli le grosse mani sulle spalle e guardandolo per bene. «Da quanto tempo, per l'amor del Cielo!»
«Hey, Arthur! È tantissimo che non ci si vede!» lo salutò Harry rispondendo all'abbraccio.
Il signore spostò lo sguardo su di me, che mi guardavo intorno con occhi curiosi.
«E questa bella signorina? Una nuova ragazza, eh?» lo stuzzicò l'uomo colpendolo allusivamente col gomito. Harry avvampò per qualche secondo, chiaramente a disagio.
«Lei è Edith. Edith, lui è Arthur.» disse il ragazzo, evitando con cura di rispondere alla domanda che gli aveva rivolto il proprietario del locale. «Possiamo avere un tavolo? Quello in cui vado sempre, se è libero.»
«Benvenuta! Sì, è libero...prego, venite!» rispose Arthur, su di giri. Con le sue gambette corte iniziò a camminare verso un'altra parte del ristorante. I clienti, alcuni di mezza età ma la maggior parte più anziani, ci guardavano incuriositi e mormoravano fra di loro che avevano già visto da qualche parte il viso di Harry, forse in televisione.
Arthur ci fece sedere in un tavolo per due, posto in una nicchia molto carina e appartata del locale. Nell'angolo opposto della stanza era acceso un piccolo caminetto che proiettava ombre rosse e chiare sulle pareti e sui soffitti in mattoni. Ordinammo quasi subito e ci fu subito versato del vino rosso in un grande calice. Appena Arthur si decise ad andare via, rivolsi ancora un'occhiata interrogativa ad Harry, alla quale rispose questa volta.
«Uhm...lo so, non ti aspettavi proprio questo.» cominciò.
«No, decisamente no!» ammisi. «Ma va benissimo così, davvero! Comunque come mai siamo qui?»
«È una lunga storia.» sorrise Harry, sistemandosi per bene sulla sedia. «Dunque, tre anni fa sono entrato negli One Direction, no? Mi sono trasferito dal Nord a Londra con i ragazzi. Avevo diciassette anni in una città immensa come Londra, da solo, senza i miei genitori: come te quando sei venuta qui per studiare, praticamente. La differenza è che dovevo..."sopportare" le telecamere e l'attenzione pubblica. È una cosa bellissima, non fraintendermi, non la cambierei per nulla al mondo; tre anni fa però sono capitate volte in cui volevo solo sparire da tutto. Una sera ero particolarmente malinconico, così mi sono messo a girovagare per Londra con le cuffie nelle orecchie. Non chiedermi come sono arrivato in questa via, perché non ne ho la più pallida idea: so che ad un certo punto avevo fame e mi sono infilato qui. E...eccoci qui, insomma.»
Lo ascoltai con grandissima attenzione e con la testa appoggiata alle mani.
«Quindi mi hai portata nel tuo...posto segreto?» azzardai.
«Già. Un classico, vero?» ridacchiò Harry.
«Beh, a me i classici piacciono.» sorrisi e alzai le spalle, proprio come faceva sempre lui. «Nessuno ci darà fastidio, qui.»
«Decisamente no.» affermò Harry. Prese lo stelo del bicchiere del vino e lo protese in avanti. «Allora, a cosa brindiamo?»
«Al fatto che non ci sia nessuno a urlarci nelle orecchie, che ne dici?»

«Esci da dietro.» ordinò Harry, il suo viso teso in un'espressione irritata. Tutta la dolcezza e la simpatia che mi aveva dimostrato erano sparite in qualche secondo.
«No, esco con te.» risposi, decisa a non farmi dare ordini. Harry si girò con uno sguardo che non ammetteva repliche.
«Dee, esci dal retro! Faremo più in fretta così.» disse mentre si infilava il cappotto.
«Harry, ci aspetta un grosso gruppo di fans e qualche paparazzo, non una folla di zombie assassini. Penso di potercela fare. Su, usciamo.» commentai sarcastica. La situazione si era ribaltata da quando eravamo al pub: adesso ero io quella che voleva andarsene senza badare a nessuno. Harry però sembrava proprio non volermi far vincere.
«Delle fans e i tuoi amici giornalisti.» puntualizzò, sottolineando il fatto che fossi anche io una quasi giornalista, un poco meno di quelli appostati fuori.
«Mi dispiace, non so chi li ha chiamati!» sospirai.
«Dee, fidati. È per te, perché non voglio che i giornali scrivano nulla. Lo so, sono poche fans, e appunto per questo lasciami uscire da solo, fare qualche foto e qualche autografo e arrivo. Aspettami sul retro, Arthur sta con te.»
Feci fatica a capire le sue motivazioni, ma mi sforzai lo stesso di non fare la testarda.
«D'accordo, come preferisci.» mormorai. Mi infilai il cappotto e mi calai il cappello sugli occhi. Arthur mi mise una mano sulla spalla e mi condusse su una porta sul retro del locale, che dava su una strada ancora più piccola di quella principale. Mentre il signore chiacchierava del più e del meno in modo gioviale, mi balzò in mentre una canzone di Ed Sheeran, la stessa che avevo ascoltato dopo le vacanze di Natale, quando ancora non sapevo cosa fare con Harry.

I can't control what I'm into
London calls me a stranger, a traveller
This is now my home, my home
I'm burning on the back street
Stuck here, sitting in the backseat

Conoscersi sarebbe stato così? Aspettarlo fremente sulla strada sul retro, bruciando di impazienza di vederlo tornare indietro?
Quando vidi la sua macchina nera entrare nella stradina mi dimenticai dell'imprevisto; salutai Arthur, ringraziandolo per avermi tenuto compagnia, e salii sull'auto senza troppa agilità per colpa dei tacchi. Harry sembrava rilassato: probabilmente sia le fans che i paparazzi non erano stati troppo invadenti.
«Ho fatto in fretta!» mi fece notare, per scusarsi. La serata, però, era stata talmente perfetta che non avevo bisogno di nessuna scusa.
«Arthur mi ha sommersa di racconti, invece.» risi, ripensando alla parlantina senza freni dell'uomo. «Mi ha fatta divertire tantissimo!»
«Allora la prossima volta ti organizzerò ad un appuntamento con lui, d'accordo?» ridacchiò il ragazzo.
«Uhm, sarebbe un'idea! Come altezza arriva alla mia spalla, ma non importa. E nessuna fan impazzita per lui, non dovrei essere gelosa!» scherzai.
«Stai scherzando, spero! Per chi pensi che vengano tutte quelle vecchiette in gruppo? Arthur ha un sacco di successo!»
Mi immaginai quel signore basso e rubicondo nei panni di casanova e cancellai immediatamente quell'immagine da brividi dalla mia mente.
«Beh, se la metti così tanto vale che esca con te, allora.» lo stuzzicai, girandomi per guardare fuori dal finestrino con un sorrisetto.
«Ecco, sarà meglio...» mormorò.
La sua mano raggiunse la mia coscia e le mie dita s'intrecciarono alle sue quasi in automatico. Appoggiai il capo al finestrino e con l'altra mano cominciai a passare delicatamente le dita lungo il suo braccio. Qualche brivido di freddo mi faceva tremare un po' contro il vetro terribilmente gelido, ma le dita del ragazzo mi trasmettevano calore senza nemmeno muoversi. Il paesaggio invernale scorreva velocemente di fianco a me e il suono del motore mi cullava. Provai a chiedergli scusa se non ero molto di compagnia durante quel viaggio, ma le mie labbra sembravano incollate l'una all'altra. Allora smisi di accarezzarlo con i polpastrelli e mi allungai verso il suo viso. Harry staccò velocemente gli occhi dalla strada e mi diede un bacio che mi sembrò durare un'eternità mentre mi portava a casa nella notte.


-

Ehi! (:
Eccomi qua! Lo so, lo so, avevo promesso che questo capitolo sarebbe uscito il 26 Ottobre...mi spiace, ma sono stata veramente sommersa di compiti, versioni e verifiche e naturalmente la scuola ha la priorità, no? (D:)
Comunque questo è un capitolo di passaggio, solo per scrivere un capitolo in cui tutti sono felici e contenti e innamorati e spensierati (: spero che vi piaccia, e godetevi questo momento di pace perché presto arriveranno le novità!
Io sinceramente mi sto affezionando moltissimo ai miei personaggi...non avevo mai capito perché le autrici di Efp scrivessero di essersi affezionate ai propri personaggi, ma adesso so che succede davvero così! Che ne dite, avete iniziato anche voi a shippare un pochettino "Derry"? Oppure insieme insieme non vi piacciono?
Vi ringrazio per le persone che hanno iniziato a seguire la mia storia! Sono contenta che vi piaccia, e questa volta ringrazio particolarmente perché davvero tanti lettori si sono aggiunti fra i seguiti, non me lo aspettavo! Grazie per chi ha messo la mia ff tra i preferiti e fra i ricordati!
E un graaaazie speciale a chi ha recensito i miei capitoli! Ora che ci sono abbastanza lettori di questa ff, mi piacerebbe che chi la segue mi dicesse sinceramente cosa ne pensa...quindi, come scrivo sempre, fatemi contenta e RECENSITE! Il prossimo capitolo, comunque, uscirà il 15 Novembre!
Un bacio! :*

G.

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