Amnesia - Passato

di Shainareth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***





CAPITOLO PRIMO




Una freccia. Era conficcata nello stipite in legno della porta d’ingresso di casa e Garu la trovò soltanto quel pomeriggio, quando uscì per recarsi al dojo del maestro Chang, dove avrebbe dovuto allenarsi con Abyo, Ching e Ssoso. All’asta della freccia era stato annodato un foglio di carta piegato in diverse parti. Una lettera di sfida, forse? Ma da parte di chi? Afferrò la freccia e con un gesto secco la estrasse dal legno. Quindi, dopo aver recuperato il foglio di carta, lo aprì e lesse.
   Il dojo avrebbe potuto aspettare, si disse mentre volgeva lo sguardo all’orizzonte e nascondeva la lettera fra le pieghe dell’abito scuro.

Con un ultimo, mirabile balzo fra le fronde degli aceri, Garu atterrò saldamente sulle gambe su uno dei rami più grossi, non distante da dove sedeva un uomo, con le gambe penzoloni e il volto coperto da un cappuccio scuro. Pur sentendolo arrivare, quello non si volse nella sua direzione, ma dopo qualche istante esordì con voce roca: «Non credevo saresti venuto.»
   «Non credevo fossi stato tu a mandare quella lettera», rispose Garu, le mani nelle tasche dei pantaloni.
   «Bugiardo», sorrise l’altro, inarcando però le folte sopracciglia per la sorpresa di sentirlo parlare per la prima volta da che lo conosceva. «Da quando ti si è sciolta la lingua?»
   «Da quando Pucca è uscita dal coma», spiegò lui, senza tanti giri di parole. «Piuttosto, dimmi perché mi cercavi.»
   Finalmente Tobe si degnò di guardare nella sua direzione e, dopo tutti quegli anni, fu sorpreso di trovare un giovane alto e robusto, dagli occhi onesti e dall’espressione fiera. Ricordava moltissimo suo padre, con la differenza che Garu aveva ormai smesso di portare i capelli, lunghi fin quasi alle spalle, in due buffi codini, preferendo invece legarli solo in parte sulla nuca. Sembrava uno di quei nobili samurai di cui si poteva leggere sui libri o sulle antiche pergamene.
   «Non dirmi che, ora che Pucca sta bene, vuoi di nuovo batterti con me», incalzò il ragazzo, corrucciando leggermente la fronte a causa del suo silenzio.
   Tobe scosse il capo. «No», lo rassicurò, gli occhi nei suoi. «Quel giorno ti dissi che non lo avrei più fatto, ricordi?»
   «Allora spiegati.»
   Si mise in piedi e si sfilò il cappuccio dalla testa, rivelando dei lineamenti più marcati e virili rispetto all’ultima volta in cui si erano visti. Se Garu era cresciuto, anche lui era diventato un uomo. «So chi ha ucciso tuo padre.»
   Il ragazzo sgranò le orbite per la sorpresa. Come faceva, Tobe, a sapere di quella storia? Non che fosse segreta, in effetti, e probabilmente doveva averla appresa al villaggio, anni addietro. Ma perché rivangarla proprio adesso, di punto in bianco? Garu contrasse la mascella e tornò ad aggrottare la fronte, rivelando tutte le proprie perplessità al riguardo.
   «Comprendo bene il tuo scetticismo», lo anticipò il suo vecchio rivale, mostrando una strana, inusuale empatia nei suoi riguardi. Proprio come quel lontano giorno di sette anni prima. «Ma non sto mentendo. Posso portarti da lui, se lo desideri.»
   «Cosa ne sai, tu, di questa storia?» fu la legittima domanda che gli pose anzitutto Garu, per nulla convinto della veridicità di quelle parole. Non dubitava del fatto che Tobe potesse essere davvero cambiato, dopo l’incidente capitato a Pucca, poiché aveva ampiamente dimostrato di non essere affatto la persona spietata che aveva sempre voluto far credere in passato, quando ancora viveva a Sooga con tutti loro. Tuttavia, non poteva neanche decidere di credergli così su due piedi, senza la benché minima prova che confermasse le sue parole.
   Tobe si portò una mano al volto, sfiorando la grossa cicatrice che lo sfigurava con la punta dell’indice e del medio. «Questa ti dice niente?»
   Di nuovo, Garu contrasse la mascella: l’uomo che aveva ucciso suo padre aveva uno sfregio identico al suo proprio in mezzo al viso. Sebbene i suoi ricordi di bambino erano ormai annebbiati dal trascorrere del tempo, mai avrebbe potuto dimenticare quel particolare, né quegli occhi malvagi che lo avevano fissato dopo il delitto appena compiuto o quel ghigno crudele e beffardo.
   «Tu non c’entri nulla», ribatté nervoso. Anche se aveva la stessa cicatrice che gli ricordava perennemente quell’uomo di cui, invero, non era riuscito a scorgere bene i lineamenti a causa della luce che si trovava alle sue spalle, presentandosi a lui solo come una sagoma scura, Garu non aveva mai creduto che fosse stato Tobe a portargli via l’amato genitore. Soprattutto perché, avendo soltanto tre anni più di lui, a quel tempo lo stesso Tobe non doveva che essere un ragazzino; era perciò impossibile che fosse stato lui a macchiarsi di quel crimine.
   «Non direttamente», fu la risposta che gli arrivò. «Ma ti assicuro che ne so più di te in proposito.» Forse poteva dargli credito, stavolta. Fu questo che pensò Garu, rendendosi conto che, d’istinto, iniziava a fidarsi in qualche modo del suo vecchio rivale. «Seguimi», lo esortò a quel punto Tobe, notando che l’impazienza cominciava ad averla vinta sulla ragione del suo interlocutore. Lo si poteva capire dal modo spasmodico in cui continuava ad aprire e serrare i pugni lungo i fianchi.
   «Perché dovrei farlo?»
   «Non vuoi vendicare la morte di tuo padre?»
   «No», asserì Garu, sincero. Non era quello che aveva cercato in tutti quegli anni: voleva riconquistare l’onore della sua famiglia, non rincorrere un sentimento nocivo e inutile come la vendetta. Probabilmente lui e Tobe non sarebbero mai riusciti a comprendersi, sotto quel punto di vista.
   «Non vuoi neanche conoscere la verità in proposito?» gli domandò l’altro, non stupendosi di quella risposta, benché non fosse affatto d’accordo con la sua decisione.
   Garu abbassò lo sguardo, fissando un punto imprecisato davanti a sé. Non sapeva davvero la ragione per cui suo padre e quell’uomo erano giunti a battersi; all’epoca era troppo piccolo per capire certe cose. Si era solo reso conto che si era trattato di uno scontro, un duello fra ninja, in cui il proprio genitore aveva perso l’onore e la vita. Probabilmente, concentrato com’era sulla battaglia, suo padre neanche si era accorto della sua presenza. Era stato soltanto quando tutto era ormai finito che l’altro uomo lo aveva notato, nascosto dietro i pannelli in carta di riso e intento a spiarli con occhi carichi di sentimenti ed emozioni troppo grandi per un bambino così piccolo. Avrebbe potuto uccidere anche lui, eppure non lo aveva fatto, a testimonianza che forse non era una bestia assetata di sangue, ma solo un guerriero che aveva appena portato a termine un vecchio regolamento di conti con il suo, ormai defunto, rivale. Ma quale poteva essere stata la ragione che aveva spinto i due a battersi, Garu non lo aveva mai saputo. Né avrebbe potuto chiederlo a nessuno.
   «Come faccio a sapere che non mi porterai dritto in un’imboscata?»
   Tobe non si stupì di quella domanda, eppure non riuscì a trattenere un leggero sospiro. «Ti do la mia parola d’onore.»
   L’altro scattò, lasciandosi vincere da un impeto di rabbia. «Quale onore ha un ninja che…»
   «…ha quasi lasciato morire una bambina?» concluse per lui Tobe, rivolgendogli un sorriso amaro. Era lecito che Garu ce l’avesse ancora con lui, perché se li avesse aiutati anziché cercare di colpirlo alle spalle quando Pucca stava per cadere nel precipizio, tutti loro avrebbero sofferto decisamente meno.
   Garu strinse le labbra in una linea pallida e sottile. Non riusciva davvero a capirlo. Sapeva che Tobe era tornato a Sooga perché era stata Pucca a raccontarglielo; aveva creduto però che la fine del suo esilio fosse dovuta al risveglio della fanciulla, che ne aveva anche decretato ufficialmente la salvezza. Invece, a quanto pareva, Tobe era tornato per un’altra ragione. Ma perché darsi tanta pena per lui, se diceva di averlo sempre odiato?
   «Non pretendo che tu possa credermi», gli venne nuovamente incontro il ninja. «Né che tu possa prendere una decisione così, su due piedi.»
   «Perché ti dai tanta pena per me?» fu l’ennesima domanda che gli rivolse Garu, cercando di trovare una logica nel suo comportamento.
   Tobe rimase a fissarlo per qualche attimo in silenzio. Infine, mise una mano fra le pieghe del proprio hakama (*), allarmando il ragazzo che assunse prontamente una postura da battaglia, temendo che lui volesse sorprenderlo con un’arma. «Non ho alcuna intenzione ostile, te l’ho già detto», lo rassicurò Tobe, sorridendo ancora una volta amaramente ed estraendo dai propri indumenti qualcosa che, sulle prime e a causa della distanza che c’era fra loro, Garu credette un semplice pezzo di carta mal ridotto. «Guardala», fu tutto ciò che gli disse Tobe, allungando il braccio nella sua direzione per mostrargli quella che, in realtà, era una vecchia fotografia, ingiallita e dai bordi completamente bruciacchiati, segno che aveva rischiato di essere consumata dal fuoco.
   Pur con una certa esitazione, il ninja più giovane decise di dargli ascolto. Prese il ritratto dalle sue dita e lo osservò: vi erano raffigurate tre persone della loro età o poco più grandi, due uomini e una donna. Garu sentì il cuore mancare un battito riconoscendoli immediatamente tutti e tre.
   «Come vedi», riprese a parlare Tobe, «tuo padre e il suo assassino si conoscevano bene. Erano amici.»
   «Un amico non lo avrebbe mai ucciso», affermò l’altro, convinto di ciò che diceva, benché un leggero tremore evidenziasse tutti i dubbi che d’improvviso erano piombati su di lui come una pioggia gelata.
   «Non credo lo fossero più da un pezzo», spiegò Tobe, cercando di venirgli ancora incontro. Non era certo di riuscire a comprendere il suo stato d’animo, ma capiva ugualmente che dovesse essere scioccante, per lui, scoprire quelle spiacevoli novità.
   «Come fai ad avere questa foto?»
   «Ha importanza?»
   «Sì, se vuoi che ti creda.»
   Era giusto, pensò il giovane. Dopotutto non gli aveva ancora spiegato nulla. «L’ho trovata a casa mia.» Garu si permise di alzare su di lui due occhi sospettosi. «Intendo la mia vera casa», si corresse allora Tobe. «È lì che sono tornato dopo che ho lasciato Sooga», gli raccontò. «Era fra i pochi ricordi che mi sono rimasti di mia madre», aggiunse, facendo cenno col capo in direzione della fotografia.
   Garu corrucciò le sopracciglia scure, incapace di seguire il filo del discorso. «E lei come faceva ad averla?»
   «Anche lei è ritratta lì sopra, non vedi?» fu la risposta che gli fece ghiacciare il sangue nelle vene.
   «Che… Che diavolo vai blaterando?» replicò, sentendo la propria voce perdere improvvisamente tutta la propria sicurezza. «Questa è…»
   «Tua madre?» completò nuovamente Tobe per lui. E notando la sua espressione sempre più smarrita, non poté far altro che stringersi nelle spalle e annuire. «Il destino sa essere davvero crudele, alle volte, non pensi?»
   Garu avvertì un capogiro che lo costrinse ad appoggiarsi al tronco dell’albero, contro il quale scivolò, fino a sedersi sul ramo su cui era saltato poco prima che tutta quell’assurda discussione potesse avere inizio.

Era in ritardo, pensò Pucca levando lo sguardo al cielo scuro con un velo di preoccupazione nell’animo. Garu aveva promesso di passare dal Goh-Rong prima che il sole sparisse oltre l’orizzonte, e invece ancora non si era fatto vivo. Oltretutto, Abyo e Ching le avevano detto che il giovane non si era presentato al quotidiano allenamento al dojo e che quando avevano provato a cercarlo a casa non lo avevano trovato. A Pucca non importava neanche che Garu mancasse alla sua promessa, in realtà; tutto ciò che sperava era soltanto che non gli fosse capitato nulla.
   Senza che lei potesse immaginarlo, invece, il giovane al momento si trovava a dover prendere una delle decisioni più importanti della sua vita.

Inginocchiato al centro della propria camera, con un’unica candela come fonte di luce, Garu fissava la foto che Tobe gli aveva lasciato e che lui aveva disteso sul tatami, proprio davanti a sé. Si trattava di una rivelazione inattesa che lo aveva improvvisamente catapultato indietro nel tempo di diversi anni, riportando alla sua mente il ricordo più terribile che aveva e rivelandogli una verità ancora più crudele.
   E mentre gli altri continuavano a cercarlo nei dintorni del villaggio, lui rifletteva su cosa avrebbe dovuto fare. Anche perché nessuno poteva garantirgli che non si trattasse di un tranello escogitato da qualcuno intenzionato a fargli del male – Tobe o lo stesso assassino di suo padre. Ma chi altri poteva conoscere tutti i particolari di quella vicenda, se non quell’uomo? Anche se la storia da lui raccontata fosse risultata un’enorme bugia, Tobe doveva per forza averlo incontrato.
   E ora Garu si trovava davanti ad un bivio: scegliere tra il continuare per la propria strada, ignorando quella foto e cercando l’onore nelle azioni quotidiane che lo avevano fatto diventare quello che era, e il dar credito alle parole del suo antico rivale, ricercando la verità su quel lontano giorno, sia pur con il rischio di cadere in un’imboscata.
   Chiuse le palpebre e davanti a sé rivide quella tragica scena come se stesse appena accadendo. Riaprì gli occhi, serrò i pugni che teneva poggiati sulle gambe e prese la sua decisione.
   Aspettò che la notte inghiottisse ogni rumore nelle vicinanze per uscire di casa, portando con sé la fedele katana. Si mise in ascolto, i sensi all’erta: non c’era nessuno. Si avviò silenziosamente per la strada che lo avrebbe portato al villaggio. Se avesse potuto, in realtà, avrebbe evitato di passare proprio da lì, ma il percorso era obbligato a causa del fiume che circondava Sooga, perciò si ripromise di fare la massima attenzione affinché nessuno potesse accorgersi di lui. Sapeva che non era leale partire così, senza lasciar detto niente almeno agli amici, ma non poteva fare altrimenti; se loro lo avessero saputo, avrebbero potuto fermarlo. O, peggio ancora, avrebbero potuto decidere di accompagnarlo in quello che, per quanto ne sapeva lui stesso, avrebbe potuto rivelarsi un viaggio senza ritorno. Ma andava bene così, era un rischio che aveva deciso di correre.
   Ogni suo proposito, però, venne messo a dura prova quando, passando non lontano dal Goh-Rong, la sua mente volò immancabilmente al di là del muro di cinta che limitava l’accesso al cortile posteriore. Fu lì che s’imbambolò, osservando distrattamente il proprio respiro che si condensava nell’aria fredda della notte. Di colpo si rese conto di non voler più andar via in quel modo, come se fosse stato un ladro o un assassino che approfitta del calar delle tenebre per lasciare il vuoto dietro di sé. Almeno a lei avrebbe voluto dire qualcosa. Tuttavia, sapeva anche che Pucca sarebbe stata la prima a seguirlo, se solo lo avesse visto.
   Di nuovo, Garu si ritrovò davanti ad un bivio.

Il sole non era ancora sorto quando Pucca si alzò dal letto, pur con gli stessi abiti e le stesse preoccupazioni del giorno addietro. Il pensiero della sparizione di Garu non le aveva fatto chiudere occhio. Come poteva essere scomparso nel nulla? Senza averle lasciato detto nulla, per di più.
   La ragazza si trascinò alla finestra e ne aprì le imposte per far cambiare l’aria nella stanza. Qualcosa, che era stata infilata fra le ante della finestra, cadde sul davanzale: un biglietto piegato in due. L’istinto le disse che non poteva essere stato che Garu a lasciarlo lì. Subito Pucca si affrettò a prenderlo e ad aprirlo, e quel che lesse le diede ragione: nessuna firma, solo una parola scritta con l’inconfondibile calligrafia del suo amato ninja. Tornerò.
   Strinse il biglietto al petto. Non aveva idea di cosa stesse passando per la testa di Garu, né dove lui fosse andato; di una cosa però era certa: se aveva lasciato detto che sarebbe tornato, lo avrebbe fatto di sicuro. Garu non era un bugiardo, e lei lo avrebbe aspettato.






(*) Hakama: Indumento indossato sopra il kimono, usato anticamente dai samurai per proteggersi le gambe quando cavalcavano.











Stavolta l'ho combinata grossa, lo so. Sto stravolgendo tutta la serie, perdonatemi. ;_;
A mia difesa posso dire che in realtà ho solo ricamato abbondantemente su un fatto realmente accaduto, almeno stando al videogioco Pucca Power Up, e cioé che il padre di Garu è stato ucciso da un ninja che aveva sul volto una cicatrice uguale a quella di Tobe. Lo dimostra questo filmato: http://www.youtube.com/watch?v=1sN_yMb22Lk
Inoltre, se ci fate caso, anche se l'uomo sfregiato assomiglia tantissimo a Tobe, in realtà, sembra avere due ciuffi di capelli che gli ricadono davanti agli occhi (mentre Tobe ha sempre avuto i capelli all'indietro, senza contare che ha solo tre anni più di Garu e che quindi sarebbe assai improbabile che abbia avuto la meglio su un ninja adulto).
E... sì, va beh, il resto poi l'ho inventato di sana pianta, costruendoci su una trama degna delle migliori telenovelas sudamericane. :°D
In ultimo, poche sporadiche informazioni riguardo alla fanfiction: è composta da quattro capitoli, ma è comunque più breve rispetto ad Amnesia. E se ho scelto di legarla a quest'ultima è per via di alcuni dettagli che riguardano Tobe e Garu, nonché il rapporto che si è venuto a creare fra loro dopo l'incidente capitato a Pucca.
E ora mi eclisso, sperando di non ricevere insulti. XD
A presto~♪
Shainareth
P.S. Sono sempre ben disposta a mettere l'avviso di OOC qualora lo riteneste necessario, quindi non esitate ad essere onesti nelle vostre eventuali recensioni!





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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***





CAPITOLO SECONDO




«Alla fine sei venuto», constatò Tobe, quando lo vide affiancarsi a lui sulla strada che li avrebbe condotti verso la meta prefissata. Si erano infatti accordati che, nel caso Garu avesse deciso di seguirlo, lo avrebbe aspettato lì fino al sorgere del sole. «Mi credi, allora?»
   «Non lo so ancora», ammise il ragazzo, decidendo comunque di potergli almeno dare una possibilità. Non lo aveva forse aiutato quando Pucca era caduta giù nel precipizio? «Ma voglio lo stesso andare a fondo a questa faccenda.»
   Tobe sorrise senza allegria. Non era facile accettare quella verità, se ne rendeva conto. Non lo era stato neanche per lui, molti anni addietro. «Cosa le hai detto?» domandò d’un tratto, occhieggiando nella sua direzione.
   Garu comprese benissimo a chi si stesse riferendo, per cui non chiese spiegazioni in proposito. «Solo che tornerò.»
   «È per questo che non ci sta seguendo?» scherzò l’altro, guardandosi alle spalle per precauzione.
   Lui inalberò un’espressione infastidita. «Non sono così idiota da correre un rischio del genere.» Tobe si volse a fissarlo con fare scettico. «Beh», balbettò Garu, sentendosi in diritto di difendersi, «non più.»
   «Non vuoi che ti stia vicina in un momento tanto importante?» fu l’improvvisa curiosità che espresse ad alta voce Tobe, rivelando una inaspettata preoccupazione nei suoi confronti.
   Sì, confessò a se stesso Garu. Avrebbe davvero voluto che Pucca fosse al suo fianco, ma temeva per la sua incolumità; non avrebbe permesso che rimanesse nuovamente coinvolta nelle proprie questioni personali, soprattutto quando si trattava di qualcosa di potenzialmente rischioso.
   «Le racconterò ogni cosa quando sarò di ritorno», rispose soltanto. Ma poi, in un moto d’orgoglio, si disse che a Tobe non doveva interessare un accidenti del suo rapporto con Pucca. Nessuno li costringeva ad essere necessariamente amici, neanche alla luce di quella nuova scoperta. «Non parliamone più», decise allora per entrambi, facendo sogghignare il proprio compagno di viaggio, al quale rivolse una nuova smorfia infastidita.

Fu con le braccia cariche di una grossa busta piena di scatolette di cibo per gatti che Pucca riuscì finalmente ad introdursi in casa dell’amato. Dopotutto Garu le aveva dato il permesso di aggirarsi per quelle camere come più le aggradava, no? Beh, quale occasione migliore di quella? Tanto più che la sua non era mera curiosità, ma anzi era lì principalmente per due motivi di fondamentale importanza: primo, nutrire la folta schiera di felini che avevano invaso la casa di quel gattaro di un ninja; secondo, tenere ogni cosa pulita per quando sarebbe tornato al villaggio. Neanche per un istante, difatti, Pucca aveva sospettato che Garu l’avesse lasciata; il biglietto che le aveva scritto parlava chiaro. Inoltre, il giovane non era un vigliacco: se avesse avuto qualcosa da dirle in proposito, lo avrebbe fatto senza trovare scappatoie come quella.
   Quando Yani corse a farle le fusa attorno alle caviglie, la ragazza rise di cuore. «Anche tu sei rimasta senza il tuo grande amore?» le domandò. Ma poi vide Mio fermo sull’uscio del corridoio che conduceva alle altre camere, per cui si corresse con un sospiro di sollievo: «A quanto pare no.» Per quel che ne sapeva, Garu non si era mai separato da Mio, quindi sarebbe tornato sicuramente nel giro di poco tempo. Mentre si dirigeva verso la cucina per posare le scatolette, però, Pucca si chiese cosa mai fosse accaduto di così urgente e importante per tenere Garu lontano dai suoi affetti più cari così all’improvviso. C’entrava forse qualche vecchio regolamento di conti con un ninja ostile? Che lei ricordasse, o almeno per quel che le era stato raccontato, il suo unico rivale era stato Tobe, che adesso però sembrava aver messo da parte ogni proposito di vendetta nei suoi riguardi. Non che si fosse fatto più vivo, dopo la mattina del compleanno di Garu, ma non era da escludere che fosse ancora nei paraggi.
   Posata la busta sul tavolo, Pucca tirò giù la zip del pesante giubbotto di piume d’oca e si sfilò l’indumento di dosso, lasciandolo poi sullo schienale di una sedia per dedicarsi a sfamare quelle povere creature a quattro zampe che avevano preso a seguirla a frotte, affamate e miagolanti. «Siete pigri e viziati», li redarguì lei, fingendosi arrabbiata. «I gatti dovrebbero essere in grado di procacciarsi il cibo da soli, no?» In risposta ottenne solo qualche sporadica effusione. «Ruffiani», rise allora, arrendendosi a servirli senza più protestare.
   Quand’ebbe finito di riempire le varie ciotole che Garu teneva in un angolo del pavimento, Pucca tornò ad ergersi sulle gambe e si guardò attorno, valutando da quale punto della casa avrebbe dovuto iniziare le pulizie. Non avrebbe curiosato troppo in giro perché, per quanto potesse essere invadente, farlo avrebbe significato fidarsi poco del suo innamorato. Oltretutto ormai, dopo averle riferito ogni dettaglio dell’incidente che le aveva fatto perdere la memoria, poco a poco Garu aveva iniziato ad aprirsi molto, con lei, arrivando a confessarle anche dettagli personali che non aveva mai rivelato ad altri. Stavano ponendo delle ottime basi per una relazione amorosa, pensò Pucca con un sorriso soddisfatto in volto, mentre si dirigeva verso la camera da letto del giovane. Non entrava lì da quasi due mesi, e cioè da quella volta che vi si era introdotta furtivamente, con il pretesto di vedere Mio e Yani. Aprì la porta scorrevole e, come si era aspettata, trovò la stanza al buio. Seguendo la luce del sole che filtrava a stento dalle imposte chiuse, andò alla finestra e la spalancò per far cambiare l’aria, benché sapesse che il freddo di inizio gennaio l’avrebbe fatta immancabilmente rabbrividire.
   Si voltò per dare uno sguardo sommario alla camera, in modo da accertarsi che tutto fosse in ordine, ma la sua attenzione cadde su qualcosa che, l’ultima volta, non aveva visto: su uno dei pochi mobili che componevano il semplice arredamento della stanza, Garu aveva posto una foto. Pucca si avvicinò per osservarla meglio e quel che vide le riempì il cuore di gioia: si trattava di una delle foto che avevano fatto la sera del 2 dicembre, durante la festa di compleanno del ninja. I suoi occhi divorarono la figura del giovane che, sorridendo imbarazzato, aveva fra le braccia la sua novella fidanzata, intenta a sbaciucchiargli il viso.
   Sebbene fosse certa dei sentimenti che Garu nutriva nei suoi confronti, la ragazza non poté fare a meno di sorridere come una sciocca, gongolando con fare infantile al pensiero che il suo innamorato volesse averla davanti agli occhi anche prima di andare a dormire. Come poteva, quindi, dubitare che sarebbe tornato da lei? Strinse la foto al petto per qualche attimo, pregando affinché Garu rientrasse sano e salvo al villaggio, e prima di rimetterla al suo posto, vi impresse su un bacio con tutto l’amore che sentiva di provare in quel momento per il ninja.
   Infine, rimboccandosi le maniche, si diede da fare per sbrigare le faccende domestiche: con tutti quei gatti in giro, era impensabile che la casa rimanesse pulita troppo a lungo.

Quando si ritrovò davanti all’ingresso di quel dojo, Garu fu improvvisamente assalito da un sensazione di ansia e d’angoscia. Era davvero pronto per il passo che stava per compiere? Prese un grosso respiro e mosse un piede in avanti e poi l’altro, mentre Tobe continuava a fargli strada. Alla fine aveva davvero deciso di fidarsi di lui. Già in un’occasione, vivendo gomito a gomito per causa di forza maggiore, si era reso conto che in realtà avrebbero potuto andare d’accordo perché condividevano parecchi interessi in comune; di più, sotto altri aspetti, quelli più genuini, si assomigliavano. E l’impressione che aveva avuto quella volta, si era rafforzata adesso che avevano dovuto viaggiare insieme per diversi giorni, avendo come compagni di viaggio unicamente se stessi. Se non fosse stato per l’incertezza e per i dubbi che giustamente gli attanagliavano la mente, si era detto Garu durante tutto il tragitto, probabilmente si sarebbe persino sentito in qualche modo soddisfatto per quella scoperta.
   Non appena Tobe lo condusse al cospetto di quell’uomo, avvertì i muscoli del corpo divenire rigidi al punto da fargli sentire nitidamente ogni singolo tendine contrarsi come se fosse stato sotto sforzo fisico. Non poteva ancora vederlo in viso, poiché gli voltava le spalle, ma già sentiva che Tobe gli aveva raccontato la verità: la persona che si trovava in quella stanza insieme a loro era l’assassino di suo padre.
   «Hai accettato di incontrarmi, dunque.» Fu così che esordì, con voce severa ma non ostile. Sembrava, al contrario, piuttosto stanca. L’uomo, che si trovava inginocchiato sul tatami di quell’abitazione in stile giapponese, gli fece cenno di sedersi, ma Garu rimase fermo dov’era. «Immagino tu non voglia neanche gradire una tazza di tè, per paura che sia avvelenato.»
   «Se avessi voluto uccidermi, lo avresti fatto quel giorno», rispose prontamente il ragazzo, imponendosi di recuperare il proprio sangue freddo. «Non mi tratterrò a lungo», tagliò corto, stringendo i pugni lungo i fianchi. «Voglio solo sapere se ciò che Tobe mi ha raccontato corrisponde alla verità.»
   Apprezzando la sua sincerità, l’uomo decise di accontentarlo. Si mise lentamente in piedi, quasi come se quella semplice azione gli costasse fatica, e Garu si stupì di come sembrasse più vecchio di quello che avrebbe dovuto essere. Tuttavia, quando lui si volse nella sua direzione e i loro occhi si incontrarono, non ebbe più alcun dubbio: era davvero il ninja che aveva ucciso suo padre in duello. Un’indefinibile gamma di emozioni si aggrovigliò al centro del suo petto, finendo col pesare sulla bocca dello stomaco e facendogli così mancare il fiato. Tobe, che lo teneva d’occhio, lo scrutò con fare alquanto preoccupato, pronto ad intervenire se la situazione lo avesse richiesto.
   «Gli assomigli molto», parlò ancora l’uomo, riportando entrambi alla realtà. «A tuo padre, intendo», aggiunse, come se ve ne fosse stato realmente bisogno. L’espressione sul viso di Garu parlava chiaro: fra i tanti sentimenti che lo avevano investito, regnava sovrana la confusione. «Gli hai detto tutto?» chiese l’uomo a Tobe.
   «Ogni cosa», rispose lui, atono. In quel momento, per la prima volta, si sentì neutrale nei confronti di entrambi; poiché, se pure anni prima era stato fedele alla causa sposata dal suo maestro, adesso le cose erano assai diverse. Non sapeva dire se quello che provava nei confronti di Garu era classificabile come affetto vero e proprio, ma forse era qualcosa di molto simile. A tal punto era cambiato?
   L’uomo tornò a guardare il più giovane negli occhi scuri. «Sei venuto per compiere la tua vendetta?»
   L’altro serrò maggiormente i pugni, sentendo la punta delle unghie conficcarsi nei palmi delle mani. «Non sono come te», ribatté allora, orgoglioso di se stesso.
   «Allora perché sei venuto qui?»
   «Voglio che sia tu stesso a raccontarmi tutto. Dal principio.»
   L’uomo chinò il capo in un cenno d’assenso. «Sarà l’ultima storia che racconterò», stabilì allora, facendoli sussultare entrambi e serrando una mano attorno all’elsa della katana che portava al fianco. Comprendendo cosa volessero dire quelle parole, Tobe abbassò le palpebre con rassegnazione.












Ma davvero non mi avete ancora sputato in un occhio per questa trovata assurda? Bon, meglio per me! XD
Scherzi a parte, non so davvero come ringraziarvi per l'entusiasmo con cui sembra abbiate accolto anche questa nuova long. Spero solo di non deludervi con il prossimo capitolo, che sarà anche quello cruciale, in cui ogni cosa verrà rivelata.
Ringrazio SoGi92 e Hisoka chan per le loro recensioni, ma anche pickate ed edvige forever per aver inserito questa storia fra le preferite. :)
Vi do appuntamento al prossimo capitolo!
Shainareth





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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***





CAPITOLO TERZO




«Noi tre eravamo inseparabili, da ragazzini», iniziò a raccontare l’uomo, sedendo nuovamente sul tatami, poiché ormai le sue gambe faticavano a reggere il peso del resto del corpo. Fu notando ciò che Garu si convinse che la persona con cui aveva a che fare era malata. Ciò nonostante, non si lasciò impietosire e rimase immobile dov’era, attento a ciò che lui avrebbe detto da quel momento in poi.
   «Con gli anni, però, le cose iniziarono a cambiare», riprese l’uomo. «Lei era troppo bella perché io e tuo padre potessimo rimanere impassibili. Finimmo con l’innamorarcene, ma giurammo solennemente che, nonostante questo, non sarebbe nata alcuna rivalità fra noi, così che la nostra amicizia sarebbe rimasta solida e leale per sempre. Mantenemmo la parola data, anche quando lei scelse me. Tuo padre accettò quella decisione e si fece da parte. Volle farmi persino da testimone di nozze e brindò alla nostra salute, benché si sentisse morire dentro. All’epoca, accecato com’ero dall’amore e dalla mia felicità personale, non compresi la sua sofferenza. Mi limitavo a vivere e a godere della mia fortuna accanto alla donna che desideravo e che di lì a poco diede alla luce il nostro unico bambino.»
   Gli occhi scuri dell’uomo cercarono Tobe, a cui rivolse un sorriso stanco ma pieno d’amore. Garu abbassò lo sguardo, non sapendo esattamente che tipo di emozione dover provare al riguardo. A dire il vero, non riusciva davvero a decifrare quello che sentiva nei confronti di Tobe e di se stesso.
   «Quella felicità, tuttavia, fu di breve durata», tornò a parlare l’uomo. «Un terribile incendio di natura assolutamente accidentale devastò la nostra abitazione, inghiottendo nelle fiamme me e il bambino, che all’epoca aveva soltanto poche settimane. Lei, portata in salvo da tuo padre, gridava i nostri nomi. Riuscivo a sentire le sue urla terrorizzate dal punto in cui mi trovavo, ma non potevo risponderle perché ogni volta che provavo a farlo il fumo rischiava di soffocarmi. Risparmiai perciò il fiato e dedicai ogni forza alla tutela di mio figlio, che piangeva spaventato fra le mie braccia.
   «L’incendiò finì con l’ampliarsi a causa del vento e ben presto anche tutti gli edifici vicini furono arsi dalle fiamme. Non sentii più la voce di mia moglie, né quella di tuo padre, che fino a pochi minuti prima aveva chiamato anche lui il mio nome, cercando disperatamente di venire in nostro soccorso. Fu tutto inutile: l’intero villaggio fu raso al suolo e coloro che si salvarono dalla devastazione non poterono tornare alla vita di tutti i giorni, perché in molti avevano perso almeno una persona amata.» L’uomo sospirò. «Quanto a me e al bambino, ci salvammo per puro miracolo, procurandoci una cicatrice simile al volto durante la fuga, ma riuscii comunque a proteggere ciò che avevo di più caro al mondo, sia pure a costo di un piccolo sacrificio.» Con un gesto lento della mano, sollevò la manica dello haori(1) che aveva addosso al kimono e mostrò a Garu una grossa cicatrice che, come quella che aveva sul volto, gli sfigurava il braccio destro, a testimonianza che ciò che stava raccontando non era una bugia.
   «Non rividi più mia moglie», ricominciò l’uomo. La voce quasi gli tremò, come se gli costasse una certa fatica mantenere un tono saldo. Ebbe bisogno di qualche attimo prima di riprendere la propria storia. «Convinto che io e il bambino fossimo morti nel terribile incendio, che si era protratto per giorni non consentendo a nessuno di avvicinarsi al villaggio, tuo padre ritenne suo dovere prendersi cura di lei. Se per rispettare la mia memoria o se per l’antico amore che aveva sempre provato nei suoi confronti, non ne ho idea. Ma se anche i suoi propositi dovessero essere stati onorevoli, quel che fece dopo fu ai miei occhi imperdonabile.» Serrò la mascella, cercando di mantenere saldo il controllo delle emozioni. «La portò lontano, riuscì a farla innamorare di sé e la sposò, prendendo il mio posto nel suo cuore. Fu così che nascesti tu. E quando tua madre ti mise alla luce…»
   «…fu lei a spegnersi, lo so», concluse per lui Garu, risparmiandogli quella sofferenza. Nessuno gli aveva mai nascosto che a causare la morte di sua madre erano state delle complicazioni sorte durante il parto.
   Ci fu un lungo silenzio, durante il quale l’uomo tenne gli occhi bassi, fissi su un punto imprecisato. Poi, riprendendo padronanza di sé, parlò ancora. «Alcuni anni dopo, cercandoli senza posa, venni a conoscenza di quanto era accaduto e giurai vendetta. Fu per questo che mi misi sulle tracce di tuo padre con maggior determinazione di prima. E sebbene lui si mostrò molto più che felice di rivedermi e di sapermi vivo, quando ci ritrovammo, io rimasi insensibile e, accecato com’ero dalla gelosia e dalla rabbia dovuta alla morte di lei e alla convinzione che lui avesse tradito la mia fiducia non tenendo fede alla parola data in passato, lo sfidai a duello.» Tornò ad alzare lo sguardo sul giovane che gli stava davanti. «Forse avrebbe potuto sconfiggermi, quel giorno», gli rivelò con amarezza. «Non saprò mai se mi lasciò vincere di proposito o meno. So solo che, dopo aver goduto di uno stupido, iniziale senso di giustizia, con il passare del tempo cominciai invece a provare un enorme vuoto dentro di me: avevo perso sia la donna che avevo amato, sia il mio amico fraterno. Mi rimaneva soltanto mio figlio e fu per lui che decisi di vivere.»
   Fu Tobe, adesso, ad abbassare gli occhi scuri, non sapendo esattamente come affrontare quelli di Garu, semmai questi avesse rivolto su di lui la propria attenzione. Ma il ragazzo non lo fece, preferendo tenere la fronte verso l’uomo che stava ancora parlando.
   «Gli insegnai tutto ciò che sapevo, compreso l’oscuro sentimento della vendetta: come tuo padre aveva sostituito me, tu eri il bambino che aveva preso il suo posto nel cuore di sua madre.»
   Era dunque quello il motivo per cui, per tanto tempo, Tobe lo aveva assillato con i suoi propositi di vendetta, attentando alla sua vita nonostante sapesse che nelle loro vene scorreva lo stesso sangue. Era stata soltanto colpa di quell’uomo. Garu avrebbe dovuto odiarlo, eppure non riusciva a farlo completamente: il suo viso, la sua voce, i suoi gesti, tutto tradiva il dolore che aveva provato.
   «Perché quel giorno non uccidesti anche me?» domandò, cercando di riordinare gli ultimi tasselli del mosaico che ancora non erano stati disposti a dovere.
   «Perché in te c’è anche lei», fu la semplice risposta che ricevette e che lo lasciò stupito. «Tu e Tobe siete tutto ciò che è rimasto della donna che ho amato.»
   E doveva averla amata davvero tanto, per essere arrivato alle soglie della follia. No, Garu non poteva davvero odiare l’assassino di suo padre. Iniziò, anzi, a provare soltanto una gran pena nei suoi confronti. L’amarezza si impadronì di lui.
   «Ora che ti ho raccontato ogni cosa, credo che potrò davvero morire in pace», disse ancora l’uomo, dando conferma ai sospetti del giovane riguardo la propria malattia. Forse, ora che la sua vita era giunta a termine, non soltanto si era ravveduto per il male commesso, ma per di più aveva voluto liberarsi di quel tremendo peso. «C’è altro che desideri sapere?»
   «No.»
   «Vuoi essere tu a porre fine alle mie sofferenze?»
   «No», ripeté Garu, rimanendo fermo nella sua posizione. «Ero venuto fin qui solo per ascoltare questa storia. Il resto non ha più importanza», concluse. Pose un pugno nel palmo dell’altra mano, all’altezza del petto, e fece un leggero inchino in segno di saluto. Infine, gli volse le spalle e si diresse verso l’uscita senza alcun indugio.
   L’uomo lo seguì con lo sguardo. «Tobe, accompagnalo», disse, rivolgendosi a suo figlio. Ma quando lui si apprestò ad obbedire, aggiunse: «Non ci rivedremo più.»
   Il giovane si fermò sull’uscio della camera, comprendendo che il momento dell’addio era arrivato. E sentendosi uno stupido, si rese conto di non riuscire neanche a trovare le parole adatte per dirgli che, nonostante tutti gli errori passati, gli aveva voluto bene.
   Suo padre sorrise con affetto. «Andrà tutto bene. Sono pronto da tempo», lo rassicurò. «Ho solo un’ultima richiesta da farti: non permettere mai che accada nulla né a te né a tuo fratello. Siete tutto ciò che resta di lei», ripeté quasi a se stesso, tornando a stringere nel palmo della mano l’elsa della propria katana.
   Tobe strinse i denti, impedendosi di piangere. «Vuoi che ti assista?» fu tutto ciò che riuscì a dire con voce roca.
   «No», rispose l’uomo, certo di non meritare il privilegio di avere al suo fianco un kaishakunin(2) che gli risparmiasse sofferenza e disonore. «Lo farò da solo. È giusto così.»
   Il giovane non volle questionare oltre, ritenendo che suo padre, gravemente malato e ormai consumato dal rimorso del crimine commesso, avesse il diritto di scegliere il modo in cui morire.
   «Addio.»






(1) Haori: Giacca leggera di seta usata originariamente insieme agli hakama e con lo scopo di mantenere pulito il kimono.
(2) Kaishakunin: Colui che assiste al seppuku (o harakiri) di un samurai, decapitando quest’ultimo subito dopo che egli si era inferto la ferita mortale all’addome, al fine di preservare sul suo viso un’espressione onorevole senza che il dolore ne sfigurasse i lineamenti.











Il mio più grande terrore, riguardo a questo capitolo, è che la storia risulti incoerente in qualche punto. Pertanto, se possibile, vi chiedo il favore di darmi un parere in proposito, tranquillizzandomi o, al contrario, facendomi notare dove ho sbagliato (in modo che possa correggere).
Quanto al resto, non so davvero che tipo di emozioni potrebbe aver provato Garu dopo aver ascoltato questa storia. Non credo sia facile accettare una situazione del genere così, su due piedi; è un qualcosa che va assimilata ed eventualmente accettata nel tempo. Personalmente, poi, non penso che Garu sia un tipo vendicativo, ecco perché non salta addosso al padre di Tobe. In più, quest'ultimo (il padre di Tobe, intendo, non Tobe) è anche gravemente malato e pentito per ciò che ha fatto in passato. O forse, più che pentito, comincia a dubitare di aver fatto la cosa giusta, ecco. Non credo sia davvero una persona orribile come potrebbe apparire, altrimenti avrebbe ucciso anche Garu, quando lui era piccolino.
Detto ciò, concludo ringraziando chi ha recensito anche lo scorso capitolo, e cioé SoGi92 e Hisoka chan, e chi ha inserito questa storia fra le fanfiction preferite/seguite/da ricordare, e cioé edvige forever, Kira7, pickate, SoGi92 e _Kiiko Kyah.
A presto con il capitolo conclusivo! :)
Shainareth
P.S. Vi chiedo un favore: nella sezione di Pucca, qui su EFP, c'è l'opzione per votare i personaggi da inserire nella lista dei personaggi (appunto). Ho inserito Pucca, Garu, Abyo, Ching e Tobe e vi chiederei di dare il vostro contributo affinché possano arrivare a cinque voti (i primi tre sono già a quattro voti ciascuno) o, perché no?, per inserire altri personaggi qualora lo riteneste necessario. In questo modo, sarà più semplice tenere ordinata la sezione e ricercare il tipo di storia che vogliamo leggere. (Soprattutto se ne arriveranno anche da altri autori, cosa che mi auguro. :P)





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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***





CAPITOLO QUARTO




«Avresti dovuto rimanere con lui.»
   «Non ha voluto che lo facessi», spiegò Tobe, affiancandosi a lui sulla via del ritorno. Se pure non aveva potuto assistere suo padre nel momento della morte, avrebbe almeno tenuto fede all’ultima parola che gli aveva dato, preservando se stesso e vegliando su Garu. Ammesso che quest’ultimo glielo avesse permesso.
   Ruotò le iridi scure nella sua direzione e studiò il suo profilo serio e severo. «Mi odi?» gli chiese, pronto a sentirsi rispondere di sì.
   «Non credo di averlo mai fatto davvero.»
   Sorrise, nonostante la morte che avvertiva nel cuore al pensiero di ciò che si era lasciato alle spalle. Era stato, l’estremo gesto di suo padre, l’ultimo atto della storia dei tre ragazzi ritratti nella foto che aveva dato a Garu pochi giorni prima.
   «Quando ti vidi immobile ad osservare Pucca, dopo che lei era precipitata nella scarpata», riprese a parlare, mentre si incamminava con lui lungo la strada che li avrebbe riportati a Sooga, «mi tornò in mente ciò che hai appena sentito.»
   Quella confessione da parte di Tobe fece scoprire a Garu l’affetto e la devozione che il giovane doveva aver avuto per suo padre. Inoltre, aveva scelto di mettere da parte ogni proposito di una vendetta che, in fin dei conti, non era mai stata davvero sua, per rispetto verso l’amore che aveva legato lui e Pucca sin dall’infanzia. Un amore del tutto simile a quello che i loro padri avevano provato per la donna che li aveva messi al mondo.
   «In quel momento, mi sono reso conto di non voler diventare come lui», ammise ancora Tobe, deciso a non nascondergli più nulla al riguardo. «Vivere con il rimorso di aver ucciso un amico innocente dev’essere stato devastante», prese a ragionare, avvertendo una pesantezza al cuore. «Vivere col rimorso di aver ucciso il proprio fratello, dev’essere anche peggio.»
   Le sue ultime parole risvegliarono la coscienza di Garu che, finalmente, si lasciò andare ad un sorriso amaro. Sentiva persino gli occhi bruciare per le lacrime represse, ma le ricacciò indietro. Per anni aveva vissuto con la convinzione di essere rimasto solo al mondo, e invece aveva avuto accanto a sé un fratello maggiore, sia pure intenzionato a battersi con lui fino alla morte.
   «Che schifo di fratello, che sei.»
   «Ho saputo anche riscattarmi, ammettilo», ribatté l’altro, quasi offeso benché sapesse di meritare appieno quell’insulto. Anzi, Garu era fin troppo buono nei suoi confronti. Adesso che era diventato abbastanza adulto per pensare con la propria testa, Tobe non avrebbe più dato ascolto agli errati insegnamenti paterni.
   «Perché non mi hai mai detto nulla?» fu la legittima domanda che Garu gli pose.
   Scrollò le spalle, non sapendo bene come spiegarsi. «Mi avresti creduto?»
   «No», gli diede ragione il ragazzo. «Ma perché aspettare tanto? È stato tuo padre a volerlo? Perché si è reso conto che non gli rimaneva molto da vivere?»
   Tobe scosse il capo. «In realtà, avrei voluto parlartene sin da quando Pucca cadde in coma. Se non lo feci fu solo perché sapevo che ogni tuo pensiero era rivolto a lei e che non ci sarebbe stato spazio per nient’altro.»
   Come ogni buon fratello maggiore che si rispetti, Tobe dava prova di conoscerlo bene. Fu questo che pensò con ironia Garu, sentendosi sfinito a causa di tutte le emozioni provate negli ultimi giorni. «C’è una cosa che non ti ho mai detto.» L’altro si volse a fissarlo con aria interrogativa. «Grazie.» Lo vide inalberare un’espressione a dir poco allibita e la cosa quasi lo infastidì. Tuttavia, ritendendo fosse giusto così, gli spiegò: «Se quel giorno tu non avessi preso in mano la situazione, forse Pucca sarebbe morta.»
   «Ah», balbettò Tobe, tornando a volgere lo sguardo alla strada. «Sì, forse», confermò distrattamente. Era stata la prima buona azione che aveva davvero compiuto per suo fratello. Avrebbe dovuto andarne fiero? Non ne era del tutto sicuro, dal momento che si era arrivati a quel punto soltanto perché lui aveva cercato di ammazzarlo. «Adesso, però, tienitela stretta», si raccomandò, tra il serio ed il faceto.
   Garu grugnì, in parte imbarazzato per il fatto di dover affrontare con lui discorsi del genere. «Non ho bisogno che tu me lo dica.»
   «Come vuoi», affermò l’altro, scrollando nuovamente le spalle.
   «Posso chiederti un’ultima cosa?» riprese a parlare il più giovane, tornando ad assumere un cipiglio piuttosto grave. Si stava domandando perché mai, nonostante tutto, suo padre non gli avesse mai raccontato la verità riguardo all’unione con sua madre o del primo marito di lei e del figlio che aveva dato a quest’ultimo. Probabilmente non aveva avuto il tempo per farlo, perché, quando era morto, lui era ancora troppo piccolo per capire. «Si tratta dell’unica cosa che ancora non mi è stata detta riguardo a tutta questa faccenda.»
   «Sarebbe?»
   «Il nome di tuo padre.»
   Le labbra di Tobe si inarcarono nuovamente verso l’alto e fu lui, stavolta, a sentirsi sull’orlo delle lacrime. Arrestò il passo, facendolo fermare a sua volta e costringendolo a volgersi nella sua direzione. Quindi, occhi negli occhi, rispose. «Si chiamava Garu.»

Suo padre e sua madre non avevano mai dimenticato il loro antico amico, dunque. Non c’era stato alcun tradimento, soltanto un reciproco conforto che aveva portato ad una nuova unione. Anzi, i due avevano voluto persino rendere omaggio alla sua memoria decidendo di dare il suo nome al loro bambino, nel caso fosse nato maschio. Magra consolazione, pensò Garu sorridendo amaramente, dal momento che sua madre era morta mettendolo al mondo e che suo padre era poi stato ucciso da colui a cui era stato legato da una sincera e onesta amicizia. E lui? Portava il nome del suo assassino. Non era affatto certo di poterne andare fiero.
   Ma il passato era passato, appunto, e come gli aveva detto Pucca non molte settimane prima, adesso che tutto era finito non valeva più la pena di struggersi al riguardo. Esistevano soltanto il presente e il futuro. Anzi, a voler guardare il lato positivo di tutta quella triste vicenda, Garu aveva persino guadagnato un fratello maggiore. Fratellastro per parte di madre, per la precisione. Si domandò seriamente se lui e Tobe sarebbero mai riusciti a costruire davvero un rapporto fraterno autentico, ma non riuscì a darsi una risposta. Gli sembrava ancora troppo assurdo. Forse soltanto il tempo avrebbe saputo soddisfare quella sua curiosità.
   Alzò lo sguardo all’edificio che si ergeva davanti a lui: il Goh-Rong. Era tornato, finalmente. Riprese a muoversi verso il portone del ristorante e, quando lo aprì, fu investito dal delizioso odore di noodles che riempiva il locale. Era il profumo di casa.
   Avanzando oltre la soglia d’ingresso, fece scorrere lo sguardo sulle tante persone che affollavano la sala principale, riparandosi dal freddo di quella sera di metà gennaio. E poi la vide, in procinto di rientrare in cucina; bastò quello per riempiergli il cuore di un tepore che quasi lo commosse, riportandolo alla vita di ogni giorno. Pucca era la sua unica sicurezza, il suo conforto, la sua panacea, il rimedio a qualunque malumore o malessere. Era il presente e il futuro a cui lui aveva deciso di dedicarsi.
   Quasi come se avesse avvertito il suo sguardo su di sé, Pucca arrestò il passo e si volse nella sua direzione. Si scambiarono un sorriso e, prima ancora che il ragazzo potesse fare un altro movimento in avanti, la fanciulla corse a spron battuto verso di lui, piombandogli fra le braccia con energia tale da rischiare di fargli perdere l’equilibrio. Incurante degli sguardi che avevano chiaramente attirato su di loro, Garu la strinse a sé con tutto l’amore che aveva nell’anima: a differenza di suo padre e di quello di Tobe, lui avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non perdere la donna della sua vita, anche a costo di lottare contro il destino.












È sconcertante scrivere una storia senza sapere da dove diamine io abbia preso le idee. Non che siano brillanti, ma spesso mi ritrovo a chiedermi come mi siano venute in mente certe trovate. Ancora adesso mi chiedo il perché di questa long. Ma va beh, almeno io sono piuttosto soddisfatta e questo è ciò che conta. :'D
Spero che sia risultato tutto coerente fino alla fine, compreso l'IC dei personaggi che è una delle cose a cui tengo di più. Prima di passare ai saluti, vi informo che già da diversi giorni ho scritto un'altra shot sulla serie di Amnesia e dovrebbe essere quella che va a chiudere la storia. Forse. Perché in realtà l'altro giorno mi è venuta in mente qualche altra idea per un'ulteriore shot.
Fermo restante che ringrazio di cuore chiunque abbia letto questa fanfiction, mi soffermo tuttavia a dare un abbraccio a chi ha inserito la presente fra le storie preferite/ricordate/seguite, ovvero edvige forever, Kira7, Perla_Bartolini pickate, SoGi92 e _Kiiko Kyah, alcuni dei quali sono stati anche tanto gentili da lasciarmi una recensione. :)
A presto,
Shainareth





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