Cuore di diamante

di phoenix_esmeralda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** PRIMA PARTE - CAMBIAMENTI ***
Capitolo 3: *** Imitazione ***
Capitolo 4: *** Incontro particolare ***
Capitolo 5: *** Allarme e familiarità ***
Capitolo 6: *** Schiettezza ***
Capitolo 7: *** Katja ***
Capitolo 8: *** Scorcio di verità ***
Capitolo 9: *** Segreti ***
Capitolo 10: *** Alle strette ***
Capitolo 11: *** Cuore di diamante ***
Capitolo 12: *** SECONDA PARTE - AL PAESE ***
Capitolo 13: *** Chi girava quella notte ***
Capitolo 14: *** Movimenti ***
Capitolo 15: *** La questione dei figli ***
Capitolo 16: *** Centotrentuno e stanze doppie ***
Capitolo 17: *** Occhi di sangue ***
Capitolo 18: *** Vicino alla meta ***
Capitolo 19: *** Tentato omicidio ***
Capitolo 20: *** La verità peggiore ***
Capitolo 21: *** TERZA PARTE - L'altro lato del cuore ***
Capitolo 22: *** Il processo ***
Capitolo 23: *** Senso di colpa ***
Capitolo 24: *** Attrazione ***
Capitolo 25: *** La bolla si spacca ***
Capitolo 26: *** Notte di tempesta ***
Capitolo 27: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 28: *** Come una fiamma che si spegne ***
Capitolo 29: *** Paura ***
Capitolo 30: *** Qualcuno morirà ***
Capitolo 31: *** Bistecche e vino rosso ***
Capitolo 32: *** Anime simili ***
Capitolo 33: *** Un cuore umano ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Ho scritto questa storia nel 2003, seguendo la mia naturale propensione al sovrannaturale mescolato all'introspettivo e al romantico.
Amavo questo genere di storie, ma ne trovavo talmente poche che avevo iniziato a scrivermele da sola.
Quale sorpresa, dunque, 5 anni fa, quando con il "boom" di Twilight questo genere, allora praticamente inesistente,  divenne  prepotentemente di moda.
Così, eccomi con la mia storia di vampiri, rispolverata dopo anni di quiete e portata finalmente su efp. I miei vampiri non sono prettamente tali, anzi, poveretti, rientrano tutt'altro che nel genere dei "forti, potenti e invincibili". Ma ho curato i miei personaggi come figli e spero che, in qualche modo, possano trasmettervi qualcosa.
Buona lettura a tutti!

phoenix_esmeralda



 


 

PROLOGO


 
 
Sono il sospiro del vento,
il mare che fiata sulla sera.
Sono la notte del giorno,
eco di parole nel silenzio;
il sussurro gelato
tra le fiamme dell’estate.
Il cuore palpitante della vita
è estraneo al cammino che percorro.
Un velo trasparente sui miei occhi
appanna i  colori  della gioia..
E non mi appartiene dolore,
non mi appartiene paura.
Non odo musica e non canta la mia voce.
I miei sensi
impantanati nella nebbia,
non vibrano di luce
né di buio.

E il debole pulsare nel mio petto,
è il freddo di un cuore di diamante.
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** PRIMA PARTE - CAMBIAMENTI ***


Il perdono annulla in sé stessi il peccato degli altri.
Esso risana la vita

 


 PRIMA  PARTE 
 
 

CAMBIAMENTI


 
 

 1

 
Nonostante la presenza delle stelle, il cielo che mi avvolge è  nero come petrolio.
I pianeti, spumeggiando polvere colorata, ondeggiano attorno al mio capo in un oscillante girotondo. Vedo tre lune enormi, meravigliose.
Una luna piena, di un biancore accecante, occupa l’angolo sinistro del mio campo visivo. Dritta sopra il mio capo, una mezza luna di un tenue arancione dondola languidamente.
Alle mie spalle uno spicchio di luna rossastro apre una fessura nell’alabastro del cielo.
L’erba, rimandando un luccichio bluastro, si leva nell’aria a sfiorare il baluginio dei pianeti. E una brezza tiepida, profumata di umida estate, mi scompiglia i capelli con lente, ritmiche folate.
Lo specchio argenteo dell’acqua riflette, in fredde apparizioni,i lineamenti smussati…

 
- Melissa! Melissa! Melissa, dove accidenti sei finita?
Il velo davanti ai miei occhi si squarciò e intorno a me ritrovai lo sbiadito spettacolo del mio giardinetto di casa.
- Mel, sei qui?
Mi voltai verso la porticina che, dal giardino, si affacciava sul retro della casa.
La figura di mio fratello apparve per un istante nel vano della porta. I suoi occhi azzurri mi fissarono con muto rimprovero.
- C’è bisogno di te – mi disse – Vieni, sbrigati!
Scomparve fulmineamente, con quella magica fretta che gli avevo sempre visto addosso da quando aveva preso in mano le redini del negozio.
Mi sollevai dall’erba cancellando gli ultimi strascichi della visione. In pochi passi attraversai il giardino e infilai la porta di casa. Attraversai la cucina, il breve tratto di corridoio, il soggiorno ed arrivai in negozio.
Erano le cinque del pomeriggio, davanti agli scaffali si annidavano potenziali clienti in aperta esplorazione; dietro il bancone Friedrich stava incartando, in un pacco regalo, una riproduzione in legno della chiesa del paese.
Altri clienti attendevano, impazienti, di pagare una manciata di cartoline scelte. Mi affrettai a servirli.
La metà di luglio era passata e la frotta prevista di turisti era arrivata puntuale anche quest’anno. Friedrich, mio fratello, aborriva l’affollamento che conseguiva le ferie estive.  “Potrebbero andarsene tutti al mare!” – ripeteva spesso, completando la frase con un gestaccio del braccio.
Forse non considerava che, un negozio di souvenir, senza turisti non sarebbe durato a lungo. I periodi che coprivano da dicembre a febbraio e da giugno a settembre erano quelli che ci permettevano di tirare avanti.
Una ragazzina arrivò al banco tenendo in mano un riccio di legno. Le porsi il palmo per farmelo consegnare e lei tentennò. Per un attimo pensai che si sarebbe ritratta, invece mi porse l’oggetto con aria infelice.
Mi accorsi allora di quello che era accaduto.
Solita storia. Ma non ero mai in grado di rendermene conto in tempo.
La ragazzina doveva essere sui quattordici anni… E indubbiamente aveva comprato il riccio, confidando che fosse Friedrich a servirla!
Accadeva piuttosto spesso ed ogni volta ero causa di delusione per una giovane adolescente desiderosa di incantare il mio affascinante fratello.
Non ero mai stata in grado di cogliere i sentimenti altrui, così reagivo imitando le reazioni di chi mi stava accanto. Ma a volte sbagliavo, non mi rendevo conto in tempo di quello che avrei dovuto fare.
Seguendo i suggerimenti datimi da Gustav, l’edicolante, mi diressi verso Friedrich e gli ficcai in mano il riccio.
- Incartalo per la ragazzina con i capelli rossi – dissi, con voluta disinvoltura. Gli sfilai dalle mani il portachiavi che stava per mostrare a un bambino e presi il suo posto.
Con la coda dell’occhio notai che il volto della ragazzina si era illuminato.
Tutte così erano!
Eppure io, emozioni del genere, non le avevo mai provate. Non avevo mai tentato di abbordare un commesso. Non ci avevo mai provato con alcun chi. Nessuno aveva mai risvegliato in me un sufficiente interesse.
Le poche amiche con cui ero uscita negli anni trascorsi avevano cercato di trascinarmi nelle loro cacce all’uomo. Ma per me, quelle serate di moine e sguardi ambigui, non avevano mai avuto alcuna attrattiva.
Friedrich, terminato il pacchetto per la rossa, la liquidò con un saluto di cortesia e la ragazza si allontanò sospirando.
Tipico di mio fratello non dare corda a nessun essere di sesso femminile, nonostante in paese e fra i turisti, risultasse sempre molto ambito.
Ogni tanto mi ero soffermata a soppesare il valore fisico di Friedrich. Ma lo vedevo da quando ero nata ed eravamo cresciuti insieme, giorno dopo giorno.
Mio fratello aveva venticinque anni, cinque più di me. Le anziane signore del paese però, quelle che sanno sempre ogni cosa di tutti, lo trattavano ancora come un bambino. Per loro, Friedrich restava il ragazzino di dieci anni, già orfano di madre, che aveva perso il padre in un tragico incidente. E io ero la povera bambina cresciuta senza l’affetto di una vera famiglia, affidata, con mio fratello, alle cure di un nonno troppo vecchio.
In realtà Friedrich dimostrava una maturità che andava ben oltre la sua età. Crescere da solo con me, il nonno e il negozio, l’aveva reso forte e responsabile. Caratteristiche che si erano accentuate quando, otto anni prima, il nonno era morto.
Friedrich aveva preso in mano l’attività e io l’avevo aiutato, anno dopo anno, in proporzione alla mia età.
Io non ricordavo  nulla né di mia madre né di mio padre e la loro assenza mi lasciava indifferente. Friedrich invece non aveva memoria di nostra madre, ma era rimasto legatissimo al ricordo di nostro padre.
Quando era successo il fatto… quando nostro padre era stato ritrovato brutalmente assassinato, Friedrich era rimasto sconvolto. O così mi era stato riferito più volte da Gustav.
E, sempre Gustav, diceva che mio fratello non aveva ancora superato l’accaduto. C’era rabbia, tantissima rabbia in lui. E, pur senza comprenderla, io stessa avevo assistito molto spesso alle manifestazioni esteriori di questo suo rancore.
Quando Friedrich parlava di quell’evento, si trasformava. La persona quieta, gentile, pacata che era, si tramutava in un grumo fiammeggiante di risentimento.
Avrebbe trovato quell’assassino, ci diceva. L’avrebbe strangolato con le sue mani.
Gustav inizialmente ripeteva che, negli anni, l’odio si sarebbe attenuato. Ma in realtà non era mai accaduto. Di anni ne erano trascorsi quindici e il rancore di Friedrich non si era mai acquietato. Era rimasto vivo, ardente, intrappolato dentro di lui senza evolvere.
Tutto questo me lo aveva detto Gustav. Gustav mi faceva spesso ragionamenti sui sentimenti, perché sapeva che io, da sola, non li avrei mai compresi.
Mio fratello infilò due portachiavi a forma di gnomo in una busta di carta. La ragazza di fronte a lui, sulla ventina, gli scoccò un’occhiata che Gustav avrebbe giudicato sensuale. Friedrich le porse il pacchetto, impassibile, e si rivolse al cliente successivo.
Allora lo osservai con spirito critico. Mio fratello raggiungeva il metro e ottanta e aveva il fisico asciutto e muscoloso di chi ha sempre camminato in montagna. Le lunghe giornate trascorse a far legna, le impervie scalate di cui andava appassionato, avevano modellato il suo corpo, rendendolo forte ed elastico. Gli occhi azzurri risaltavano maggiormente, grazie alla carnagione scurita dal sole delle grandi altitudini. I capelli castano scuro, tagliati corti sulla nuca, gli scendevano invece in riccioli davanti al viso.
Pensandoci bene, avevo visto qualche attore pettinato a quel modo. Forse Friedrich assomigliava a uno di loro.
Porsi a una signora l’ultimo francobollo e sedetti su uno sgabello a riposare le gambe.
Erano le diciotto e trenta e finalmente il negozio si era svuotato. Mancava ancora mezzora all’orario di chiusura, ma in quel lasso di tempo era probabile che pochi clienti si sarebbero fatti vivi. Era il momento di studiare qualcosa per la cena.
In quell’istante l’ombra di Gustav si stagliò sulla porta.
- Ehi Gustav, non dirmi che hai già chiuso! – gli gridò Friedrich, riordinando gli scaffali.
- Ci puoi scommettere!
Gustav si avvicinò al bancone stropicciandosi i baffi bianchi  - Devo riaprire fra due ore. Un vecchio deve pur trovare un momento per riposare!
- Resti a cena? – gli domandai, facendo mente locale sul contenuto del frigorifero. Gustav viveva solo e non era raro che mangiasse con noi.
- Volentieri – mi rispose infatti – Stasera tenete aperto anche voi?
Feci segno di sì con la testa e presi la porta che conduceva in casa. Dal dieci luglio al venti agosto, per tre sere alla settimana, il paese organizzava diversi intrattenimenti per i turisti. Quella sera ci sarebbero state musiche e danze tradizionali, e “Glückliche Andenken”, il nostro negozio di souvenirs, sarebbe rimasto aperto.
In qualche modo misi insieme una cena passabile e alle venti e trenta io Friedrich riaprimmo i battenti. Gustav tornò alla sua edicola.
Fino alle ventitre restammo impegnati a tempo pieno. Il nostro negozietto era adornato in modo originale e la disposizione della vetrina era studiata appositamente da Friedrich per invogliare i turisti ad entrare a dare un’occhiata.
Solo alle ventitre la situazione si tranquillizzò. Mi fermai sulla soglia del negozio, osservando l’andirivieni per la strada: in piazza, le musiche tradizionali erano cessate. Un’orchestra aveva attaccato brani di liscio e una quindicina di coppie si stava cimentando sulla balera di legno.
Accanto a me comparve Friedrich.
- Sei stanca? – domandò.
Annuii. Stare ferma in piedi dietro al bancone era sfinente.
Friedrich mi spinse lievemente verso la strada.
- Vai a dare un’occhiata in piazza – mi sollecitò – Qui ci penso io. Ormai la situazione è sotto controllo.
- Va bene.
Così mi inoltrai tra la gente.
 
 

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Capitolo 3
*** Imitazione ***


2
 

 
Friedrich seguì con lo sguardo la figura della sorella che, passando fluida in mezzo alle persone, si dirigeva verso la piazza.
Un conoscente la salutò e Melissa rispose con un sorriso che Friedrich sapeva falso. E per la miliardesima volta, si domandò quando Melissa sarebbe guarita, la stessa domanda che si poneva da quasi quindici anni.
Ormai, solo in un’immagine sfocata riusciva a rivedere Melissa come era stata una volta.
Una bambina normale.
Melissa che rideva. Che piangeva. Che si sorprendeva, si spaventava, chiedeva affetto, soffriva…
Che era autentica.
Ma dall’assassinio del padre, la loro vita si era capovolta. Melissa aveva assistito all’omicidio assieme a Gustav e al nonno.
Friedrich era rimasto in casa quella sera, con un brutto raffreddore. Aveva solo dieci anni. Aveva sentito suonare le sirene dell’ambulanza, poi quelle della polizia. Gustav si era precipitato in casa tenendo in braccio Melissa. Era coperta di sangue…il sangue del padre che le era schizzato addosso quando l’assalitore li aveva aggrediti. Era pallida come un cencio, gli occhi sbarrati. Per due giorni non aveva detto una parola, non aveva mosso un passo.
Il nonno era salito sull’ambulanza, solo per veder morire il figlio a metà tragitto.
Friedrich di quei giorni ricordava soprattutto l’incredulità che aveva sperimentato. L’incredulità di vedere Melissa ridotta a una bambola priva di espressione.
L’incredulità di scoprire che il padre amato e stimato era stato sconfitto nel vicolo buio di un insignificante paesino dell’Alto Adige. L’incredulità di fronte al fatto che non sarebbe mai tornato.
Allo sbigottimento era seguita la paura:  paura di non saper andare avanti senza il padre, di aver perso anche Melissa.
E infine c’era stata la rabbia. Rabbia sorda e cieca contro quell’uomo che, per pochi soldi, non aveva esitato a stroncare una vita. Rabbia contro quell’assassino che non era mai stato trovato.
Quella stessa rabbia, quindici anni dopo ardeva ancora, senza sollievo. Friedrich non aveva pace, non ne avrebbe avuto finché non fosse riuscito ad avere vendetta.
Dopo due giorni, Melissa aveva ricominciato a muoversi e a parlare. Ma le sue emozioni, i suoi sentimenti, erano andati perduti. Dopo l’assassinio, aveva smesso di provare qualsiasi cosa, il più banale gesto spontaneo - un abbraccio, un sorriso, uno spavento - le era divenuto incomprensibile. Le emozioni altrui le arrivavano come un’eco lontana, attutite, smorzate. Melissa era diventata una macchina senz’anima. Imitava ciò che vedeva, riproduceva le reazioni degli altri. Tentava di apprendere i comportamenti idonei per ogni situazione e Gustav in questo l’aiutava.
Ma nulla le era naturale. Da quindici anni ormai, Melissa non provava alcuna emozione.
E dall’assassinio del padre, da quando si era ripresa, erano iniziate le visioni.
Da principio avevano creduto che fossero semplicemente fantasie da bambina, ma con il tempo Friedrich e il nonno si erano accorti che il fenomeno non cessava. Se lo desiderava, Melissa era in grado di vedere un mondo diverso, costellato di scenari stravaganti. Erano visioni che duravano tanto quanto lei lo consentiva, che poteva evocare o interrompere quando desiderava, ma delle quali raramente riusciva a fare a meno.
Per qualche tempo era stata seguita da una psicologa: dopo un periodo di osservazione, le era stato detto che le visioni coprivano il ricordo dell’omicidio. Che la sua mancanza di emozioni derivava dallo shock di aver assistito all’assassinio del padre. Melissa effettivamente non ricordava nulla di quella notte e, quando la psicologa aveva suggerito una terapia, lei vi si era sottoposta senza lamentele. Per due anni era stata in cura senza ottenere alcun risultato. Alla fine il nonno, rassegnato, aveva rinunciato. Melissa era rimasta priva di slanci spontanei e aveva continuato a perdersi nelle sue visioni.
Friedrich, ora, la vide addentrarsi tra la folla assiepata attorno alla balera. Indossava un vestito intero, verde scuro, dalle corte maniche a sbuffo e un grazioso grembiule ricamato. Uno dei vestiti tradizionali che utilizzava per servire i clienti in serate come quella. Non indossava mai pantaloni, solo vestiti. L’unico tratto spontaneo e originale di tutta la sua esistenza.
Friedrich vide le lunghe ciocche bionde ricaderle disordinatamente sulla schiena, fino alla vita.
Era graziosa Melissa, almeno per lui. Graziosa e inumana. Faceva paura, arroccata nella prigione invisibile che la estraniava dal mondo.
Friedrich provava inevitabilmente una fitta dolorosa al cuore, nel prendere atto di quanto la sorella si perdesse della vita.
Soffriva ancora, dopo quindici anni, nel vederla tanto indifferente. Se lui fosse morto, Melissa non avrebbe versato una sola lacrima. Nessuna lacrima sarebbe caduta per alcun motivo dai suoi occhi di ghiaccio.
Friedrich scosse la testa, per scacciare l’invadenza di quei pensieri. Rientrò nel negozio seguendo un cliente e vendette la solita manciata di cartoline e francobolli. Poi sedette dietro al bancone con un sospiro di stanchezza.
Vide in un angolo del banco il mucchietto di posta che non aveva ancora fatto in tempo a consultare. Prese la prima busta e lesse l’intestazione. “Federico Adler”
Sorrise come sempre a quel nome. I suoi genitori avevano insistito per dargli un nome italiano, ma dopo la loro morte il nonno, fedele alle proprie origini, aveva preso a chiamarlo Friedrich. E Friedrich era rimasto per tutti.
Ora il suo nome originale compariva solamente nei documenti, o sull’intestazione di lettere impersonali.
Controllò il mittente sulla busta che aveva in mano. Era la bolletta del telefono, infatti.
E le altre buste parevano tutte su quel genere.
Sbuffò di esasperazione e si preparò ad esaminarle una per una.
 
 

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Capitolo 4
*** Incontro particolare ***


3
 

 
Le coppie ruotavano vorticosamente seguendo il ritmo di una mazurca. Sedetti su una delle sedie di ferro che trovai e continuai a osservare la danza.
Gustav mi aveva insegnato a ballare negli anni passati e spesso, in queste occasioni, mi si proponeva come cavaliere. Ma per ora l’edicola aveva ancora bisogno di lui.
Di punto in bianco mi sentii osservata. Una strana impressione, come se qualcuno mi stesse guardando insistentemente. Mi voltai verso il punto preciso in cui avvertivo lo sguardo, e incontrai due occhi neri come la notte. Appartenevano a un uomo piuttosto giovane, sulla trentina. Alto, snello, flessuoso. Aveva un che di enigmatico e al contempo evanescente: occhi leggermente allungati disposti in un viso affilato, dal naso dritto. I capelli neri, corti, si stringevano sulla nuca in un sottile codino. Come se il barbiere avesse scordato di tagliare l’ultima ciocca.
Questo individuo non assomigliava a qualche bell’attore, sembrava fatto apposta per passare inosservato. E continuava a fissare me, con insistenza.
Quando vide che ricambiavo apertamente il suo sguardo, mi venne incontro. Lo aspettai immobile, mentre scivolava agilmente in mezzo alla gente e quando mi fu di fronte, lo fissai senza alzarmi dalla sedia. Lui rimase in silenzio per un po’, con un sorriso indecifrabile in volto. Non rientrava in nessuna delle classificazioni di Gustav.
- Buonasera.
Lo disse in un soffio, eppure la musica non coprì la sua voce.
- Buonasera.
Gettò un’occhiata alla pista e poi subito tornò a me.
- Sa ballare?
Rimasi in silenzio un momento. Era raro che qualcuno mi si rivolgesse dandomi del lei.
- Sì, so ballare.
Quando sorrise, compresi che era arrivato il momento di alzarmi. Mi portò sul bordo della pista e il suo braccio mi cinse la vita. Iniziammo a ballare.
Mentre mi guidava tra le coppie, i suoi occhi non lasciavano i miei e a mia volta mi trovai a scrutare il suo volto. Osservavo le persone basandomi sui parametri di Gustav, ma questo individuo mi sembrava al di fuori di qualsiasi schema.
- Come si chiama? – mi chiese a un certo punto.
- Melissa
Lui annuì, come se se lo fosse aspettato.
- Io mi chiamo Raphael
Iniziammo a volteggiare con ritmo più acceso, lui se la cavava discretamente e il pensiero era reciproco.
- È molto leggera – mi disse infatti – È un piacere portarla.
Non risposi, i complimenti mi lasciavano indifferente e non sempre ricordavo di ringraziare. Anche se, in quel momento, nei miei pensieri riconobbi una punta di curiosità nei confronti di quell’individuo. La cosa in sé era un fatto eccezionale.
- Sembra molto giovane, Melissa.
- Ho vent’anni – risposi, chiedendomi cosa intendesse per “molto giovane”.
- Posso darle del tu?
- La gente di solito lo fa.
Lui sorrise con impertinenza.
- Mi crede uguale al resto della gente?
Qualcosa nel mio intimo mi disse di no, che non lo era. C’era qualcosa di anomalo in lui.
- Non ti conosco, non posso giudicarti in alcun modo – dissi, passando al tu.
- Questo si può risolvere.
Di nuovo quel sorrisetto beffardo. Sapevo cosa mi avrebbe detto Gustav in merito. “Non fidarti di lui! Non fidarti di chi sorride a quel modo!”  Ma il sorriso di Raphael non era lo stesso dei giovani scapestrati che a volte avevano tentato di abbordarmi.
Negli anni mi ero costruita  un’immagine abbastanza chiara dei comportamenti delle persone e del copione che ognuna di loro seguiva nelle specifiche situazioni. Era sufficiente osservare gli eventi quotidiani con un certo distacco, per accorgersi di come certi rituali seguissero un percorso prestabilito.
Ma questo non valeva per la persona che avevo di fronte. Non so come, ma comprendevo che su di lui non si sarebbe adattato nessun copione.
Il ballo finì e mi condusse nuovamente alla mia sedia.
- Abiti in paese? – domandò, mentre mi sedevo.
Alzai un braccio in direzione del mio negozio.
- Glückliche Andenken. Souvenir. Ci siamo io e mio fratello.
- Posso passare a trovarti in negozio?
Improvvisamente sembrò diventare come tutti gli altri. Questo era un passaggio che mi era familiare: tanti ragazzi mi avevano chiesto, nel corso degli anni, la stessa cosa. E uno dietro l’altro si erano defilati, scoraggiati dalla mia mancanza di emozioni.
Riuscivo a fingere per un certo periodo di tempo, ma inevitabilmente a lungo andare cadevo in errore, rivelando la mia insensibilità.
Non che me ne importasse. La presenza dei ragazzi mi era indifferente.
- Puoi venire. - Non avevo alcun motivo per negargli la visita.
Lui sorrise ambiguamente e mi salutò con un cenno del capo, poi si dileguò tra la folla.
Rimasi immobile a osservare il movimento della gente. Non avevo mai sorriso a Raphael, non avevo dato alcuna intonazione alla mia voce. Non avevo sentito alcun bisogno di fingere con lui.
Pur facendolo ormai abitualmente, con lui non avevo inserito alcuna nota falsa nella conversazione.
Il mio automatismo da robot, lo chiamava Friedrich. Anche con lui evitavo di fingere. Con lui e con Gustav. Ma mai succedeva con gli estranei.
Fin dall’infanzia ero stata abituata a comportarmi seguendo gli schemi che mi avevano costruito il nonno e Gustav: in una data situazione si fanno certe cose, se ne dicono altre, si mostra una particolare emozione. Per ogni occasione, il giusto corredo.
Ma se a Raphael non si adattavano copioni, io con lui uscivo automaticamente dal mio.
Mi strinsi nelle spalle, decidendo di non dare peso all’accaduto. Se Raphael aveva espresso il desiderio di rivedermi nonostante il mio atteggiamento, allora non doveva aver notato nulla di strano.
Quando rientrai in negozio, constatai che Friedrich era stato preso di mira da un paio di villeggianti. Erano ragazze giovani, sulla ventina, dotate di una brillante faccia tosta. Friedrich stava scherzando con loro, ma grazie a Gustav avevo ormai imparato a leggere il disagio sul volto di mio fratello. A Friedrich non piaceva diventare il bersaglio di attenzioni femminili, Gustav diceva sempre che era talmente carico di responsabilità, da aver scordato la sua giovinezza. “Tuo fratello lavora e basta!”
Mi avvicinai a lui, gli sorrisi interpretando uno sguardo affettuoso e gli buttai le braccia al collo.
- Sono stanca amore, chiudiamo il negozio e andiamo a letto per favore!
Sotto gli occhi stupefatti delle ragazze, Friedrich ricambiò il mio abbraccio.
- Come vuoi – rispose. Poi mi fece voltare verso le giovani – Vi presento Melissa, mia moglie.
Loro sorrisero nervosamente e si affrettarono a salutare. Mi staccai da Friedrich non appena furono al di fuori della nostra visuale.
- Mille grazie, sorella – disse lui, con  un mezzo sorriso – Non sapevo più come cavarmela.
- Ho riconosciuto i segnali per il piano B – risposi. Nel piano A, fingevo di essere la fidanzata incinta.
- Hai visto qualcosa di interessante in piazza? – chiese Friedrich, mentre chiudeva la cassa. Era tipico di mio fratello rivolgersi a me come se le mie emozioni fossero al proprio posto. Sapevo che, in quindici anni, lui non aveva mai smesso di sperarci.
- Ho conosciuto una persona – dissi – Mi ha fatto ballare.
- Niente di insolito allora – commentò lui, con quell’inflessione che riconoscevo come ironia. Friedrich sorrideva della lista di ragazzi che ogni estate intrecciava la mia strada per poi subito districarsene.
Lo vidi abbassare la saracinesca con un sospiro di stanchezza. Era mezzanotte passata e lui si alzava ogni mattina alle sei. Era logico che fosse sfinito.
- Domani è domenica – lo sentii sospirare – E ci toccherà lavorare il doppio! Perché non se ne vanno tutti al mare?
- Resta a letto un po’ di più domattina – proposi – Posso pensare io alla legna.
Gentilezza allo stato puro. “Sii gentile con tuo fratello” mi diceva sempre Gustav.
Friedrich sorrise, dandomi un buffetto sulla guancia.
- Non ce n’è bisogno, domattina sarò in forma.
Mi strinsi nelle spalle.
Passammo per la porta che dal negozio conduceva in casa.Attraversammo il soggiorno con il caminetto e ci fermammo in corridoio, ciascuno davanti alla porta della propria camera, uno di fronte all’altra.
- Usa prima tu il bagno – dissi, riprovando con la gentilezza.
Stavolta Friedrich accettò, sembrava che dovesse cadere addormentato da un momento all’altro.
Feci per entrare in camera.
- Buona notte Mel
- Buona notte.
 

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Capitolo 5
*** Allarme e familiarità ***


4
 

 
Friedrich si massaggiò i muscoli indolenziti delle spalle. Alle nove del mattino si sentiva come se fosse in piedi già da dodici ore.
Diede un’occhiata fuori dalla finestra. Sul paese il cielo era limpido, ma dalle cime dei monti già s’intravedevano in lontananza le nuvole che avrebbero presto minacciato la giornata.
Domenica di pioggia, pensò. Se il clima avesse impedito le escursioni, tutti i villeggianti sarebbero rimasti in paese, in giro per negozi.
Con un sospiro di rassegnazione si diresse verso la porta che dava sul negozio.
- Vado ad aprire – annunciò a Melissa. Lei stava ancora lavando i piatti della sera prima.
- Ah… Friedrich! – lo richiamò all’improvviso – Può darsi che venga per me quel ragazzo che ho conosciuto ieri sera.
Lui annuì, non riuscendo a trattenere un sorriso. Un altro ignaro pretendente!
Melissa non scoraggiava mai le loro visite, ma non perché vi fosse un interesse di fondo. Friedrich poteva benissimo immaginare il meccanismo che si innescava in lei: non esisteva alcun motivo razionale per cui Melissa dovesse rifiutare quelle visite, per cui le accettava.
Scosse la testa divertito. All’inizio aveva provato compassione per quei poveri ragazzi: nonostante la recita spesso perfetta di Melissa, Friedrich sapeva che nessuno poteva scalfirle il cuore. Tuttavia, quella rituale processione di pretendenti aveva finito per divertirlo. O si ride o si piange, e Friedrich aveva scelto di ridere. Soffriva già abbastanza di per sé a causa dell’insensibilità di Melissa, non aveva bisogno di lasciarsi coinvolgere anche dalle pene altrui.
Il negozio si riempì attorno alle dieci del mattino e la sorella venne ad aiutarlo. Era svelta ed efficiente nel lavoro, disponibile e sorridente. Affabile, persino. E totalmente falsa. Friedrich stesso ancora non capiva come ci riuscisse.
Attorno a mezzogiorno la situazione si tranquillizzò e Melissa lasciò il negozio per mettere le patate in forno; Friedrich iniziò come ogni giorno a riordinare quello che i clienti avevano sparpagliato. Fu in quel momento che l’individuo entrò.
Comprese subito che doveva trattarsi di uno dei pretendenti di Melissa, riusciva a riconoscerli dal modo guardingo con cui s’intrufolavano in negozio. Eppure questo gli sembrò diverso. Nel momento stesso in cui mise piede in negozio, venne colto da una sensazione d’allarme. Strinse gli occhi, osservando l’individuo che si guardava intorno con curiosità. La sensazione che provava non era solo di allarme. Ma anche… di familiarità. C’era qualcosa di conosciuto in quel ragazzo, qualcosa… di affine.
- Salve – gli disse, rompendo il silenzio.
Lui lo guardò con occhi nerissimi. Friedrich avvertì un pizzicore alla base del collo, una sorta di premonizione.
- Salve – rispose l’altro – Cercavo Melissa.
- Sì… vado a chiamarla.
E ancora quella specie di premonizione, come un avvertimento.
Non farlo! Non farlo!
Si bloccò con la porta della maniglia in mano. Si voltò indietro a cercare lo sconosciuto. Lo stava fissando a sua volta con un sorriso strano.
“So chi sei” , sembrava dirgli “Conosco ogni cosa di te.”
Friedrich scosse la testa ed entrò in casa..
Le patate erano in forno, ma di Melissa nessuna traccia. Percorse il corridoio e bussò alla sua camera, senza riceverne risposta. Allora entrò cautamente e vide quello che si era aspettato.
Melissa, seduta a gambe incrociate sul letto, le braccia allargate attorno a lei, era totalmente immersa in una delle sue visioni.
Rimase immobile a osservarla, come spesso gli capitava in quei momenti. Gli occhi incolori di lei erano spalancati in un’espressione di congelato stupore, la bocca atteggiata in un’espressione neutra, la mente lontana, abbandonata in un luogo che solo lei stessa poteva raggiungere.
Friedrich avvertì una morsa dolorosa al cuore. Era certo che Melissa durante quelle visioni provasse delle emozioni, tutte quelle emozioni che quotidianamente le erano estranee. E lui avrebbe voluto entrare a far parte di quelle visioni, per poter incontrare nuovamente la sorella di quindici anni prima. Se avesse anche solo potuto rivederla per un istante…
- Mel! – chiamò, riscuotendosi a forza – Melissa… c’è la persona che dovevi vedere.
Per un istante non accadde nulla. Poi, all’improvviso, Melissa fu di nuovo lì, davanti a lui. Gli occhi privi di calore fissi su di lui, le braccia stese lungo i fianchi.
- Le patate! – disse riscuotendosi. Mise i piedi a terra cercando le ciabatte.
- Lascia stare le patate, ci penserò io. Devi andare in negozio, ti cerca il ragazzo di ieri.
-  Raphael..? – chiese lei, rassettando le pieghe del vestito.
Quella domanda lo colpì. Melissa non ricordava mai il nome dei suoi visitatori, soprattutto al secondo incontro. Le sembravano tutti uguali, li confondeva uno con l’altro, anche a distanza di mesi.
- Non so, non ha detto il nome.
Diede un’occhiata alle patate, ma quando vide Melissa attraversare il corridoio la seguì fino al negozio. La sensazione d’allarme non lo lasciava ed era ansioso di verificare l’impatto dell’incontro tra la sua gelida sorella e il misterioso visitatore. Si tenne in disparte, riprendendo a riordinare gli scaffali. Melissa invece si infilò dietro il bancone, proprio di fronte a Raphael.
- Ciao – disse, e già in quello scarno saluto Friedrich notò due cose inconsuete. La prima fu che Melissa non fingeva: si stava presentando con lo stesso atteggiamento neutro che riservava esclusivamente a lui e Gustav.
La seconda cosa, straordinaria, fu la sbavatura di compiacimento che trapelò da quel saluto disadorno. Solo un accenno, quasi inconsistente. Ma sincero.
Ne fu sbalordito.
Osservò di sottecchi la sorella e la vide appoggiare i gomiti al bancone, sollevando gli occhi incolori verso il visitatore. Lui le sorrise e quello sguardo gli fece accapponare la pelle.
C’è qualcosa di stonato in lui, pensò – Qualcosa che però mi suona familiare.
Raphael si fece più vicino a Melissa.
- Mi stavi aspettando? – le domandò.
- Sì
- E perché?
Melissa non rispose . Lo guardò a lungo, senza dire nulla.
- Non lo sai neppure tu, vero? – sorrise lui, ironico.
- Sei diverso dagli altri – disse lei.
Friedrich sussultò. Anche Melissa aveva notato qualcosa di anomalo in lui? Lei che non si accorgeva mai di nulla?
- Anche tu sei diversa – disse lo sconosciuto – Sei diversa da tutte le altre. Sei staccata dal mondo.
Melissa annuì, lentamente.
- Questo mondo non mi interessa – confermò – Ho il mio.
Lo sconosciuto aggrottò la fronte e Friedrich vide un lampo di interesse attraversare il suo sguardo. Ne fu turbato.
- Di quale mondo stai parlando? – la sua voce sfiorava appena le parole, dando un tocco di leggerezza ad ogni frase.
- Il mio mondo è fatto di colori vivaci – disse Melissa – Vedo pianeti sconosciuti, paesaggi che su questa terra non si vedranno mai.
Friedrich trasalì. Perché Melissa raccontava quelle cose? Non le aveva mai rivelate a nessuno, eccetto a lui e a Gustav.
- E dove vedi questo mondo? – chiese l’uomo interessato.
- Ovunque. Basta che io lo voglia e mi compare davanti agli occhi.
- Potresti farlo anche adesso?
- No, adesso no. Quando sono sola.
- Non ci riesci in presenza di altre persone?
- Ci riesco, ma non voglio farlo.
Lui si trasse indietro raddrizzando le spalle.
- Capisco.
Si voltò e incrociò lo sguardo di Friedrich, cogliendolo in fallo. Lo sconosciuto non abbassò gli occhi, ma continuò a fissarlo con un sorriso inquietante.
Friedrich sentì il bisogno di dire qualcosa.
- Sono il fratello di Melissa – si presentò – Mi chiamo Friedrich.
Lui non si avvicinò.
- Io sono Raphael – disse. E Friedrich ebbe la certezza che quell’uomo aveva già smascherato tutti i suoi inganni.
E cominciò a sospettare la sua vera origine.
Poteva… poteva…
Quella sensazione di familiarità…
…poteva…
- È ora di chiudere – disse, per allontanarlo da sé. Sentiva il bisogno di distanziarsi da lui.
- Certo – Raphael non staccò gli occhi dai suoi – Non intendevo farvi fare tardi. – Dal suo sguardo però, non trapelava alcun rimorso.
Si voltò verso Melissa.
- Mi dispiace interrompere la nostra conversazione – disse.
Melissa non rispose. Lei ovviamente non provava dispiacere.
- Posso tornare un’altra volta? – domandò allora Raphael.
Lei fece cenno di sì con la testa, continuando a guardarlo con occhi immensi.
- Allora arrivederci
Raphael girò lo sguardo da Melissa a Friedrich, poi volse le spalle e uscì.
Friedrich tirò un sospiro di sollievo: quell’uomo lo innervosiva. Ma poi vide qualcosa che lo sconvolse.
Melissa scivolò silenziosamente oltre il bancone e corse verso la porta del negozio. Rimase immobile sulla soglia, una mano contro lo stipite, l’altra lungo il fianco, lo sguardo rivolto nella direzione verso cui, presumibilmente, Raphael si era allontanato.
Friedrich rimase congelato sul posto. Non riusciva a credere ai suoi occhi.

 
 

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Capitolo 6
*** Schiettezza ***


5

 

 
Affondai la punta del piede in due centimetri di fango e mi diedi una spinta all’indietro. L’altalena oscillò e mi portò avanti e indietro.
Il pomeriggio era stato sconvolto da violenti temporali e solo da mezzora era tornato il sereno. Entro breve, il sole sarebbe calato dietro alle dolomiti.
Il lento oscillare dell’altalena ipnotizzava i miei occhi sul dondolio del paesaggio. Ma la mia mente era altrove.
- Melissa...?
Gustav si trovava a pochi metri di distanza, aveva appena chiuso l’edicola e stava tornando a casa.
- Che cosa strana che vedo – commentò – Osservandoti così, potresti quasi sembrarmi malinconica!
Mi strinsi nelle spalle senza rispondere e Gustav si avvicinò.
- Cosa c’è? Ti è successo qualcosa?
Feci segno di sì con la testa. In fondo era la prima volta in vita mia che restavo turbata da un avvenimento.
- Vuoi parlarne?
Alzai lo sguardo su di lui. Gustav mi aveva sempre spiegato tante cose, aveva risposte per tutto.
- Ho conosciuto una persona – dissi – Un uomo sulla trentina. È diverso dagli altri. O almeno… a me sembra diverso.
- Diverso in cosa? – Gustav sembrava piuttosto sorpreso.
Alzai le spalle – Non lo so. È come mi guarda. Come si muove! Tutto. Mi fa provare… mi fa provare qualcosa.
Sul volto di Gustav comparve un’espressione accesa che categorizzai come stupore. Era logico che rimanesse tanto sorpreso, era la prima volta che dichiaravo qualcosa del genere. 
- Che cosa ti fa provare? – mi chiese infine.
Impiegai un po’ a trovare la risposta.
- Ho voglia di stare con lui – risposi – Ho voglia di starlo ad ascoltare e di scoprire qualcosa di lui.
- Ne sei attratta… - bofonchiò Gustav, quasi incredulo – Chi l’avrebbe mai detto? – si stropicciò i baffi bianchi e strizzò gli occhi, come faceva sempre quando si concentrava – La nostra Melly prova interesse per un uomo… La cosa ha dell’incredibile!
- Con lui posso essere me stessa – aggiunsi – Mi viene spontaneo evitare di fingere. Lui sa che sono diversa dagli altri, ma questo non lo infastidisce.
- Un uomo alquanto originale… Tuo fratello cosa ne pensa?
Mi strinsi nelle spalle. Cosa c’entrava Friedrich?
- Ma bene… - Gustav continuava a stropicciarsi i baffi – E adesso cosa intendi fare?
Lo guardai senza capire 
– Devo fare qualcosa?
Lui ridacchiò.
- Normalmente, quando una ragazza è interessata a un uomo, escogita un sistema per rivederlo e conquistarlo!
- Ma io non so se sono interessata a lui – ribattei – E non ho bisogno di escogitare nulla per rivederlo, ha già detto che tornerà a trovarmi.
- Allora sei fortunata
- Non so…
Mi alzai dall’altalena e mi inoltrai nell’erba per pulire le suole sporche di fango.
- Tu e Friedrich avete sempre sperato che io tornassi a provare qualcosa – dissi – Pensi che io stia per guarire?
Gustav era il mio maestro di vita, avrei creduto a qualunque cosa mi avesse detto.
- Magari – sospirò lui – Certamente il fatto che un uomo sia stato in grado di farti battere forte il cuore è un buon inizio.
- Non mi fa battere forte il cuore – lo contraddissi – È solo che… è  come hai detto tu, mi attira.
Gustav aggrottò le sopracciglia
- Sei preoccupata per questo?
- Preoccupata? – ripetei. Gustav sapeva perfettamente che non ero in grado di preoccuparmi di niente.
- Eri seduta qui da sola sull’altalena. Ho pensato che provare queste nuove sensazioni ti avesse turbato.
- Stavo solo riflettendo – replicai – Mi chiedevo se fosse logico provare queste cose.
Sentendomi pronunciare la parola “logico”, Gustav scoppiò a ridere.
- D’accordo Melissa – disse, scuotendo la testa con un sorriso – Comportati spontaneamente con questo ragazzo e vedrai che le cose verranno da sole!
Di nuovo non capivo. Cos’era che doveva venire?
Ma Gustav, ridendo e continuando a scuotere la testa , si era allontanato.
 
*   *   *
 
- Non sei sotto la stretta sorveglianza di tuo fratello?
La domanda improvvisa mi fece sobbalzare. Ero in piedi sulla soglia del negozio e stavo calando la tenda per fare ombra sulla vetrina.
Raphael mi era comparso di fronte senza preavviso, silenzioso come un animale notturno.
- Friedrich è andato in banca a sbrigare alcune faccende – risposi – Starà via una mezzora.
- Tuo fratello mi sembra piuttosto possessivo – fece lui, entrando in negozio per ripararsi dal sole.
Lo seguii e chiusi la porta alle mie spalle. Erano le dieci del mattino e ancora non si erano visti clienti.
- Bevi un caffè? – gli domandai, cercando di essere cortese. Pur dovendo comportarmi spontaneamente, certo Gustav non avrebbe voluto che abbandonassi le buone maniere.
- Volentieri, grazie.
Lo feci passare in soggiorno e attraverso il corridoio lo condussi in cucina.
- E il negozio? – mi domandò.
- Quando entra qualcuno, suona un campanello – spiegai. Il suo potere d’attrazione non era svanito. Continuavo a pensare che nel suo modo di esistere ci fosse qualcosa di singolare.
Lo feci accomodare al tavolo e misi sul fuoco la caffettiera.
- Vivete da soli? – mi domandò.
Dentro di me ero convinta che lui conoscesse già la risposta. Che già sapesse ogni cosa.
- I nostri genitori sono morti
- E Friedrich è il tuo unico parente?
Feci segno di sì con la testa. Quando dicevo che non avevo più i genitori, le persone entravano in imbarazzo. Riconoscevo quel tipo di stato d’animo dal colore paonazzo del loro viso, dalla sudorazione eccessiva, dal contatto oculare sfuggente, dall’incertezza della loro voce.  Balbettavano “Mi dispiace” e cercavano di cambiare argomento.
Raphael non si sentì minimamente a disagio. Non comparve nessuno dei segnali che Gustav mi aveva insegnato a riconoscere.
Allora decisi di metterlo alla prova.
- Mio padre è stato assassinato – spiegai – Lo hanno ucciso davanti ai miei occhi.
Era una cosa che avevo detto poche volte. Di solito era la gente del paese ad aggiornare quelli poco informati. Io e Friedrich eravamo argomento di conversazione costante a Gebirge, per il nostro passato quanto per il nostro presente. Friedrich era un bel giovane, così serio e responsabile. E io ero una graziosa ragazzina sfortunata, ma di belle maniere e molto legata al fratello. Il tutto tarato secondo i parametri dei nostri compaesani.
La reazione di Raphael di fronte alla mia rivelazione fu nulla. Non provò il minimo imbarazzo.
- Com’è successo? – mi chiese invece.
Scossi la testa.
- Non lo so, non ricordo più niente. Avevo cinque anni, ero piccola.
Lui sorrise del suo sorriso strano, che ancora non riuscivo a valutare.
- Ma queste sono cose che rimangono impresse anche dopo molti anni.
- Ho dimenticato tutto – ripetei – Dopo quel fatto sono rimasta catatonica per due giorni. Da quel momento non ho più provato  nessuna emozione.
Tolsi la caffettiera dal fuoco e offrii la tazzina a Raphael.
- Lo bevo amaro – disse lui, rifiutando lo zucchero.
Versai del caffè anche per me, ma rimasi a berlo in piedi.
- La gente sa che non provi nulla?
Scrollai la testa.
- Recito tutto il tempo. Gustav, l’edicolante, mi insegna come fare.
- Allora non provi affetto neppure per tuo fratello?
Rimasi incerta. Non ci avevo mai pensato.
Ma alla fine dovetti negare.
- No, non provo proprio nulla.
- Eppure lui ti ha allevata – rincarò.
- Mi ha allevata il nonno – precisai – Fino a dodici anni. E comunque non so cosa farci, io non provo nulla per nessuno.
- Perché con me non fingi? – mi chiese a bruciapelo.
- Non lo so
- Se ti chiedo una cosa, sarai sincera?
Mi strinsi nelle spalle, come d’abitudine.
- Va bene.
- Accadono altre cose strane nella tua vita?
Lo fissai, muta.
- La morte di tuo padre…. – elencò Raphael - … la tua mancanza di emozioni, le visioni…c ‘è anche qualcos’altro?
Ci pensai, ma non mi venne in mente nulla.
- Non mi sembra.
- Sei sicura?
Annuii.
Presi la tazzina dal tavolo e la appoggiai nel lavello. Raphael aveva fatto in modo che parlassimo solo di me. Avevo fatto bene a rispondere? Gustav avrebbe approvato?
- Tu provi emozioni? - domandai
Gli occhi di Raphael cambiarono e nessun aggettivo mi parve adatto a descriverli.
- Io provo molte cose – mi disse.
Sì, era logico. Non avrei mai trovato un altro simile a me.
La campanella del negozio iniziò a suonare. Senza dir nulla uscii in corridoio, ma dal soggiorno vidi sbucare mio fratello.
- Sono io – disse, benché  fosse evidente – Per fortuna ho trovato poca fila.
- C’è Raphael in cucina – lo avvisai
Lui si fermò in mezzo al corridoio.
- È già tornato a trovarti?
Era la seconda cosa scontata che diceva in meno di trenta seconda. Lo ignorai.
In quel momento Raphael uscì dalla cucina e ci venne incontro.
- Salve – salutò, rivolgendo a mio fratello uno dei suoi sorrisi indecifrabili.
- Salve…
Il campanello del negozio ricominciò a suonare.
- Avete del lavoro – disse Raphael – Non vi farò più perdere tempo.
Friedrich annuì e mi sembrò sollevato, ma subito Raphael lo riprese.
- Però vorrei parlarle un momento in privato. Può accompagnarmi fuori?
Friedrich gli lanciò un’occhiata carica di nervosismo.
- Mel, tu pensa al cliente.
Mi diressi verso il negozio, ma Friedrich e Raphael mi sorpassarono e li vidi uscire nel sole del mattino.
Solo per un istante mi balenò l’interrogativo di cosa volesse Raphael da mio fratello. Poi rivolsi un sorriso di circostanza al signore che cercava una bambolina di legno per la nipote, e la domanda si volatilizzò dalla mia mente.
 
 
 

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Capitolo 7
*** Katja ***


6
 

 
- Di cosa vuole parlarmi? – Friedrich era sulla difensiva. Niente e nessuno l’avrebbe indotto a fidarsi di quell’uomo. La sua sola presenza era in grado di fargli accapponare la pelle.
Raphael scosse la testa e scoppiò in una risata dura, che lacerò l’aria.
- Diamoci del tu, Friedrich – disse in un tono che poteva risultare sprezzante.
- Diamoci del tu… - accettò lui guardingo.
- Sono interessato a Melissa.
Raphael aveva lasciato cadere l’affermazione con indifferenza e ora studiò la sua reazione.
Friedrich si morse il labbro, imponendosi la calma. Non voleva agire impulsivamente e scelse il silenzio.
Raphael non staccò gli occhi dai suoi.
- Tu sai chi sono, vero?
Stava mettendo alla prova il suo intuito. E i dubbi che dal giorno prima avevano stuzzicato la sua mente, presero forma e consistenza. Divennero reali. Una realtà inevitabile, da accettare e da affrontare.
- Lo sai, vero Friedrich?
 Lui abbassò la testa, ma la rialzò subito dopo. Si impose non distogliere lo sguardo.
- Non è difficile riconoscere i segnali – disse.
Il sorriso di Raphael si fece beffardo.
- Mi fa piacere poter giocare a carte scoperte.
Friedrich iniziava ad irritarsi. Sentiva che Raphael lo stava manipolando, ma non capiva in che modo.
- Perché vuoi Melissa?
- Perché mi interessa.
- A lei non interessa nessuno.
- Non è l’impressione che mi ha dato – ribatté tranquillamente l’uomo.
- Melissa finge molto bene.
Raphael strinse gli occhi.
- Con me, lei non finge.
Friedrich serrò i denti. Era vero purtroppo: con Raphael, Melissa non fingeva. Riconosceva in lui un’anomalia e questo pareva attrarla.
- Avrò bisogno di parlarti presto– proseguì Raphael – Dovremo fare una lunga chiacchierata.
- Non c’è nulla di cui desideri parlare con te  - disse Friedrich, facendo per andarsene.
- Se non parlerò con te, parlerò con Melissa
Friedrich si voltò di scatto. Raphael cercava di metterlo alle strette e questo lo rendeva aggressivo.
- Tu non parlerai di nulla – scattò – Lascia in pace mia sorella!
Raphael lo fissò stranito.
- Tua sorella? – ripeté con voce divertita – …Tua sorella?
Sotto gli occhi di Friedrich, scoppiò in una risata fragorosa.
 

 
*   *   *

 
Friedrich si lasciò cadere stancamente sulla panchina di legno dei giardini. Era stato difficile arrivare all’orario di chiusura, affrontare l’orda dei turisti che per l’intero pomeriggio aveva gremito il suo negozio.
Melissa era stata provvidenziale. Presente, disponibile e apparentemente affabile, aveva supplito alla sua distrazione e alla sua insofferenza. Da solo, avrebbe mandato al diavolo il negozio e i clienti.
Si appoggiò allo schienale e con un sospiro esausto alzò gli occhi al cielo color lavanda.
Le parole di Raphael avevano riaperto un baratro che era stato serrato molti… molti anni prima dal padre. Un baratro che gli era stato raccomandato di non andare mai a riscoprire.
Ma adesso non dipende più da me.
Si portò una mano alla fronte, chiudendo gli occhi.
Papà… cosa devo fare?
Era stato da lui, da suo padre, che ogni cosa aveva avuto origine. Il padre aveva deciso come agire, come comportarsi, e per anni Friedrich aveva semplicemente seguito le sue indicazioni. E adesso che qualcuno voleva gettarlo fuori pista, non sapeva come reagire.
Prima o poi doveva succedere…
In cuor suo, maledisse per l’infinitesima volta l’uomo che lo aveva privato del padre, dell’unico appiglio sicuro che mai avesse sperimentato nella sua vita.
Suo padre, Lothar Adler, avrebbe saputo come comportarsi. Avrebbe preso in mano la situazione e, senza esitazioni, avrebbe fatto la cosa giusta.
Invece Friedrich era da solo a prendere una decisione che probabilmente sarebbe stata sbagliata.
- Derich!
Friedrich sobbalzò sulla panchina, colto completamente alla sprovvista. Sollevò lo sguardo sulla ragazza che gli si era fermata di fronte e per un istante non la riconobbe. La ricordava castana, con lunghi capelli lisci. Ora la ritrovava rossa, con leggeri riccioli che le scivolavano appena sopra le spalle.
- Katja! – esclamò, quando riuscì a identificarla.
Vedendo la sua espressione confusa, lei scoppiò a ridere.
- Quasi non mi riconoscevi vero? All’inizio è stato uno shock anche per me!
Friedrich fece per alzarsi, ma fu lei a sedergli accanto e a schioccargli due baci sulle guance.
- Quanto tempo – commentò – È una vita che non torno a Gebirge!
Dovevano essere due anni, pensò Friedrich. Katja era la compagna di giochi della sua infanzia. Abitava a Bolzano, ma trascorreva a Gebirge ogni festività, ospitata dai nonni. Da bambini avevano affrontato insieme lunghe estati e gelidi inverni, attraversando le più disparate avventure. E quasi sempre soli, perché a Gebirge non c’erano quasi bambini. Melissa era stata dapprima troppo piccola per giocare con loro e dopo, semplicemente, aveva smesso di giocare.
Friedrich sorrise al ricordo delle loro scorribande.
- Da quando hai iniziato l’università non sei più venuta– la rimproverò.
- Ho scoperto il mare – si giustificò lei, allargando le braccia – È meraviglioso Derich… e pensare che i miei non mi ci avevano mai portata!
Lui annuì. Era stato al mare solo un paio di volte molti anni prima, quando Melissa aveva manifestato per la prima volta la sua assenza di emozioni. Tra le tante cose, i medici avevano consigliato un cambiamento di clima. Il nonno li aveva portati una settimana in Liguria, in ottobre, quando il negozio era chiuso per ferie. Friedrich ne conservava un ricordo angosciante. Il dolore implacabile per la morte del padre… il terrore nei confronti della nuova Melissa… quelle emozioni lancinanti erano rimaste, nella sua vita, associate all’acqua salata, all’odore salmastro.
Non aveva mai sentito il desiderio di rivedere il mare.
- Il clima è completamente diverso da come lo viviamo qui – stava spiegando Katja – Il sole è diverso, l’abbronzatura è diversa… e le notti soprattutto! Puoi stare per ore sulla spiaggia in costume, fino all’alba. È un’esperienza indimenticabile!
Friedrich annuì, fingendo di capire. Ma erano  cose che non lo attiravano. Per lui, nulla era indimenticabile quanto una lunga scarpinata fino alla vetta, quando la mente si annullava nei paesaggi che gli colmavano gli occhi.
- E l’università?
Katja roteò gli occhi in una buffa espressione.
- Va avanti. Ho un paio di esami indietro, ma nulla di irreparabile. Ne ho dato uno la settimana scorsa… - alzò gli occhi al cielo e Friedrich capì che non doveva esserne stata molto soddisfatta – Ma come si può sperare di passare un esame in luglio? – proseguì infatti – Noiosissimo poi! Era impensabile.
Friedrich si domandò che tipo di veterinario sarebbe mai diventata Katja.
- Resterò dai  nonni un paio di settimane – disse lei – In agosto andrò in Sardegna con alcune amiche.
Gli occhi le brillarono e Friedrich rise fra sé e sé. Com’erano diversi loro due, Katja non era cambiata affatto. Energica, vivace, appassionata.
- E tu Derich?
Lui alzò le spalle.
- Niente di nuovo. Non succede mai nulla.
Lei scosse la testa esasperata.
- Dovresti vendere il negozio e andartene da qui. È un posto da vecchi!
Già… E poi?
- Senti un po’… - tornò all’attacco lei – Ti sei fatto una ragazza?
- No.
Un istante dopo gli era in braccio, la bocca premuta contro la sua.
Non era la prima volta che Katja si comportava a quel modo, ma ogni volta riusciva a sorprenderlo. Per un istante fu tentato di ricambiare il bacio, ma poi ogni cosa gli tornò in mente: Raphael, quello che era, il suo interesse per Melissa.
Non poteva permettersi cedimenti.
Gentilmente, staccò Katja da sé.
- Oh, maledizione! – borbottò lei – Sei sempre il solito guastafeste.
Lo abbracciò e si strinse a lui.
- Andiamo Derich, è un sacco che non ci vediamo. Scompariamo da qualche parte, potremmo…
- No – disse lui. Poi addolcì il tono – È ora di cena ormai, Melissa starà per servire in tavola.
Katja si staccò con rabbia e scattò in piedi.
- Melissa! – sbottò – Sei ancora a quel punto Friedrich? Melissa, sempre Melissa?
- Ascolta Katja…
- No! È proprio vero quello che hai detto, non è cambiato niente. Sei ancora lo schiavetto di tua sorella!
Friedrich non trovò nulla con cui ribattere.
- Melissa è adulta ormai – continuò lei, cercando di moderarsi – È in grado di badare a se stessa. E prima o poi comunque se ne andrà. Troverà qualcuno e ti lascerà, com’è giusto che sia! E tu cosa farai allora?
Friedrich non obiettò, si limitò a scuotere la testa.
- In tutti questi anni ti sei sempre comportato come se Melissa non potesse sopravvivere senza la tua vicinanza. Non sarebbe ora che  la smettessi?
Friedrich tenne il capo chino.
Katja non sapeva. Non poteva capire.
- Ci rivedremo forse l’anno prossimo. – lo salutò lei, offesa dalla sua mancanza di reazioni – Se qualcosa sarà cambiato!
Friedrich lasciò che se ne andasse, non avrebbe saputo ribattere in alcun modo. C’erano troppe cose che Katja ignorava, a partire dal vero stato emotivo di Melissa.
Credeva che si fosse ripresa, che dopo quel primo periodo di anaffettività avesse superato il trauma. Il teatrino di Melissa aveva ingannato anche lei e ora scorgeva solo un fratello morbosamente apprensivo.
Ma non era così.
Lo schiavetto di sua sorella…
Ma Melissa senza di lui… come sarebbe potuta sopravvivere?
Si alzò stancamente e si diresse verso casa. Non quella sera, ma comunque molto presto, avrebbe iniziato a raccontare qualcosa a Melissa.
Forse era la decisione sbagliata, ma comunque era la sua decisione.
 
 

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Capitolo 8
*** Scorcio di verità ***


7
 

 
In scintillanti baluginii elettrici, la foresta divincola i suoi arti attorno al mio cammino. Attraverso le fessure frastagliate delle foglie riesco a scorgere il cielo, costellato di astri incandescenti. Il silenzio che mi attornia è un vuoto attraverso il quale i rami si aprono e si estendono. Ai miei piedi un tappeto di muschio ovattato segna il passaggio fra cespugli di spine acuminate. Mentre attraverso un groviglio confuso di scintille azzurrognole, intravedo tra le foglie uno sguardo persistente.
Sono occhi, neri.
Gli astri infuocati luccicano in quegli occhi, come riflettono sulla foresta scintillante.
Sono occhi che nella notte si perdono. Ne vengono assimilati. Fino a restare solo lo specchio di un cielo incandescente.
Sono occhi fugaci, nascosti, eppure…
…acuminati.
Sono gli occhi…
Gli occhi di Raphael!
Alzai la testa bruscamente e mi scostai dalla finestra della mia camera.
Cosa ci faceva Raphael nella mia visione?
Non era mai capitato che un essere umano ne entrasse a far parte. A nessuno era permesso farlo!
Le mie mani stavano tremando. Perché? Cosa significava?
Sentii il fiato corto. Respiravo velocemente come quando andavo alla chiesa, in cima alla salita.
Uscii dalla camera e mi diressi al negozio. Friedrich stava riordinando le ultime cose. Doveva ancora abbassare la saracinesca, ma sulla porta pendeva già il cartellino “chiuso”.
Ero in ritardo con la cena, cosa che non capitava mai. Attraverso i vetri il cielo ero livido, vicino all’imbrunire. E Raphael non era venuto. Non era passato neppure a salutare.
- Mel…
Friedrich comparve alle mie spalle. Riconobbi della preoccupazione nel suo sguardo e qualcos’altro a cui non riuscii dare un nome.
- Devo ancora preparare la cena, ma farò in  un attimo – dissi, attribuendo il suo disagio all’assenza del cibo.
- Stavi pensando a Raphael? – chiese lui invece.
- Oggi non è venuto. Ma l’ho trovato nelle mie visioni.
Le emozioni sul volto di mio fratello si fecero più intense, adesso riuscivo a leggervi anche la tensione.
- Era… nelle tue visioni?
Annuii
- Solo gli occhi. Mi guardavano senza lasciarmi un istante.
Friedrich mi apparve perplesso, anche lui non aveva spiegazioni.
- Friedrich… io vorrei vedere Raphael. È diverso da tutte le altre persone che ho conosciuto. Non so in cosa, ma ne sono certa. Ed è questo ad attirarmi verso di lui, la sua… anomalia.
Lui distolse lo sguardo. Aprì la porta e con meticolosa precisione abbassò la saracinesca, infine rientrò chiudendo a chiave la porta.
- Raphael ha voluto parlare con te – insistetti – Tu sai qualcosa di lui, vero?
- Andiamo di là – rispose lui.
Lo seguii fino alla cucina dove sedette al tavolo e appoggiò la fronte ai palmi aperti delle mani. Mi appollaiai sulla sedia accanto alla sua e mi posi in attesa.
- Avevo deciso di parlartene – disse lui a un tratto – Ma non mi aspettavo che tu mi facessi domande così presto.
Tolse le mani dalla faccia e mi guardò . I suoi occhi azzurri erano la perfetta antitesi di quelli di Raphael.
Stropicciava nervosamente le mani l’una contro l’altra e ne dedussi che fosse nervoso.
- Raphael è un vampiro – disse di punto in bianco.
Rimasi in silenzio un momento. Avevo letto libri, visto film, sentito storie.
- Non è vero – replicai – I vampiri non sono così.
Notai lo sguardo smarrito di mio fratello.
- Raphael esce di giorno – spiegai – Rimane sotto il sole. E ha bevuto il caffé. E poi ho visto la sua immagine riflessa nella vetrina del negozio!
Friedrich scosse la testa. Si massaggiò la radice del naso riflettendo.
- Dovrai ascoltarmi attentamente – disse infine – Perché non è una storia semplice. Ma so che puoi capirla. Hai studiato a scuola la selezione naturale, vero?
Feci segno di sì con la testa.
-  La selezione del più adatto.
- Esattamente. È successo anche ai vampiri.
- Non capisco.
- Lo so, non è semplice. È iniziato due secoli fa, da una mutazione anomala. I vampiri allora erano esattamente come li hai descritti  poco fa e si riproducevano con... il metodo classico.
- Il mescolamento reciproco del sangue di vampiro con quello umano! – esclamai.
- Sì, esatto. Eppure ci fu una volta in cui qualcosa non funzionò. L’individuo mutato subì una trasformazione solo parziale. Come se fosse… rimasto a metà strada fra le due condizioni. Il sole non lo disturbava, il suo cuore non aveva smesso di battere né i suoi polmoni di respirare. Era mortale… e in grado di riprodursi. Risultava più forte degli umani, più veloce, più longevo. Solo in certi casi era in grado di comunicare telepaticamente con altri vampiri o di riconoscerli. Il suo bisogno di sangue era limitato. Si nutriva come un essere umano, il sangue per lui  non era un alimento, ma il motore che permetteva il battito del suo cuore. Se il cuore si fosse fermato sarebbe morto, e per alimentarlo aveva bisogno di sangue. Ma poco, qualche goccia era sufficiente per quattro o cinque giorni.
- E poi? – domandai.
- Poi il vampiro che aveva generato questo strano ibrido, mutò altri esseri umani. E ciascuno di  loro presentò le stesse caratteristiche del primo. Per gli altri vampiri fu motivo di divertimento, divennero dei paria isolati da tutti. Erano pochi e vulnerabili. Mortali. Inermi di fronte alle malattie e al trascorrere del tempo. Deboli, privi di potere. Si sarebbero estinti velocemente.
- E invece?
- Invece questi nuovi vampiri iniziarono ad accoppiarsi tra di loro. Erano privi di potere e mortali, ma erano anche insensibili al sole e a tutti quei simboli che rendono inoffensivi i vampiri normali. E soprattutto erano in grado di riprodursi. L’istinto di sopravvivenza li portò a perpetuare velocemente la specie. Si mescolavano facilmente tra gli uomini, necessitavano di poco sangue, si adattarono perfettamente a una vita ibrida. E prosperarono, moltiplicando di numero. In pochi decenni la nuova stirpe di vampiri aumentò di numero in maniera spropositata, raggiungendo e superando la vecchia generazione. Divennero la razza dominante.
- E gli altri? Quelli che non hanno subito la mutazione?
- Ne sono rimasti pochissimi esemplari e ben presto si estingueranno del tutto. La società moderna è un territorio invivibile per  un vampiro normale. La gente non si fida di nessuno, vivere solo di notte è difficoltoso, trovare sangue umano fresco è sempre più complicato. In più, in questi ultimi decenni i vampiri sono stati cacciati con strumentazioni moderne sempre più raffinate e distruttive. La nuova generazione nata dalla mutazione anomala è sicuramente più adattabile e si mescola fra gli umani senza troppe difficoltà.
 Nella mia testa l’intero racconto stava assumendo una sua logica.
- Quindi Raphael è uno di questi nuovi vampiri.
Friedrich annuì.
- E tu come fai a saperlo? Come fai a conoscere tutte queste cose? Te le ha raccontate lui?
Friedrich si alzò dalla sedia, ma non disse nulla. Attesi per un po’ la risposta, ma non venne. Ne dedussi che non intendeva parlarne.
- Sono stanco morto – disse infatti – Credo che andrò direttamente a letto.
- E la cena? – chiesi.
- Non ho fame. Fanne solo per te.
- Non va bene che tu salti i pasti – dissi, secondo le istruzioni di Gustav – Sei alto e lavori molto.
- Stasera non mi va. Veramente. – Lo vidi dirigersi verso la sua camera – Buona notte Mel.
 
 

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Capitolo 9
*** Segreti ***


8
 

 
Friedrich richiuse alle proprie spalle la porta della camera e si lasciò cadere sul letto con un sospiro di stanchezza.
Vigliacco – si disse – Sei stato un vigliacco!
Era scappato davanti alla domanda cruciale. L’unica domanda cui sarebbe stato fondamentale rispondere.
Non aveva raccontato a Melissa neppure un terzo di quello che avrebbe dovuto sapere.
Chiuse gli occhi e affondò il viso nei palmi delle mani.
Come fai a conoscere tutte queste cose?
Friedrich strinse i denti.
Prima o poi lei l’ avrebbe scoperto. Aveva percepito l’anomalia in Raphael e questo poteva essere solo l’inizio.
Raphael non era l’unico vampiro. Ed era incredibile che Melissa non se ne fosse ancora resa conto.
 

9
 

 
Mi accontentai di mangiare velocemente un panino e subito dopo uscii all’aria aperta; volevo fare una passeggiata in paese. Il cielo era ormai scuro, offuscato di nuvole, l’aria era fresca. Infilai un maglione di cotone sopra al vestito, chiusi a chiave la porta che dava sul giardino e mi avventurai per la strada.
La gente era in giro in numero limitato, al vero boom turistico mancavano ancora due settimane; scivolai silenziosamente tra i passanti e imboccai il sentiero che portava al bosco. L’oscurità mi avvolse, spezzata a malapena da uno spicchio di luna calante. Per un istante mi domandai se la passeggiata sarebbe diventata pericolosa.
Friedrich lo faceva ogni tanto: usciva dopo cena e andava a camminare nel bosco, io però non lo avevo mai accompagnato.
Mi inoltrai tra i pini e subito l’odore degli alberi e della terra mi pervase le narici, l aspirai a pieni polmoni e lo trovai gradevole. Il bosco non aveva nulla dell’incanto fatato della mia ultima visione, ma lo stesso mi aiutava a ritrovare quell’atmosfera, quel momento…A rivedere per un attimo quegli occhi.
Nonostante nessuno fosse mai penetrato prima d’ora nelle mie visioni, mi accorsi che Raphael, in esse, non stonava. Ne sembrava, anzi, parte interagente… come se completasse il quadro. Riflettei a lungo su quella sensazione e sulle rivelazioni che Friedrich mi aveva portato poco prima. Camminai per più di due ore senza rendermene conto e quando rimisi piede nel mio giardino erano ormai le ventitre.
Non mi accorsi subito dell’ombra stagliata sulla porta della cucina, fu prima la voce preoccupata di Friedrich a raggiungermi.
- Mel!
Mio fratello mi stava aspettando in piedi, nel corto pigiama blu scuro. Era allarmato.
- Perché non dormi? – domandai.
- Avevo fame – disse lui, con voce contratta – Sono venuto a cercare qualcosa da mangiare e ho visto che non eri in casa!
- Non è la prima volta che esco – replicai. C’era qualche amica di scuola con cui saltuariamente mi vedevo.
- Lo so. Ma ho iniziato a pensare… ho creduto che tu avessi incontrato Raphael. Pensavo che ti fossi fermata con lui, che…
Non proseguì. Evidentemente neppure lui sapeva come giustificarsi.
- Ti ho detto che è un vampiro – esplose all’improvviso – Non hai paura di lui?
- Paura? – scossi la testa – Però forse ne hai tu – mi sembrava di riconoscere i segnali – Pensi che voglia succhiarmi il sangue?
- No, non lo penso. Però è vero, ho paura. Temo che da te voglia qualcos’altro.
- Che cosa?
- Non lo so. Non lo so proprio. Forse temo solo che le cose possano cambiare.
Rimasi in silenzio. Ogni tanto Friedrich parlava a quel modo e io lo trovavo decisamente insensato. Non capivo il significato delle sue parole.
Ora il suo atteggiamento era cambiato, si appoggiava stancamente allo stipite della porta e i suoi occhi erano fissi sul giardino. Considerai le labbra, la piega della bocca.
È triste , risolsi.
Con Friedrich ero abituata a comportarmi spontaneamente, ma Gustav pensava che mi sarei dovuto sforzare di simulare anche con lui un atteggiamento empatico, come facevo con la gente esterna. Appoggiai compitamente una mano sulla spalla di mio fratello.
Lui si riscosse e notando il gesto scoppiò a ridere.
- Lascia perdere – mi disse – Non sforzarti Mel, va bene comunque.
Annuii.
- Però potresti cercare qualche ragazza che ti consoli – gli suggerii – Magari potresti scegliere qualcuna delle nostre clienti. O qualche villeggiante! Gustav dice che hai molto successo con le donne, ma tu vuoi sempre che io ti aiuti a liberartene.
Lui sorrise.
- Se me ne andassi con una donna, tu cosa faresti? – mi domandò.
Sollevai le spalle.
- Quello che sto facendo adesso.
Friedrich si passò una mano fra i capelli.
- Non voglio una ragazza che mi consoli – mormorò – Sono contento della vita che ho, con te e il negozio. Non desidero  nessun cambiamento.
- Gustav  dice che è naturale che le  cose cambino.
- Nella nostra vita sono già cambiate cose a sufficienza, non credi?
Feci spallucce.
- Dovresti dormire – dissi allora, per riportare la conversazione su argomenti che conoscevo meglio.
Friedrich si disse d’accordo e chiuse a chiave la porta della cucina. Io andai in bagno.
- Vado a fare una doccia. Di nuovo buona notte.
Alle mie spalle non venne alcuna risposta.
 

 
*   *   *

 

 
L’unica cliente del negozio, una ragazzina mora sui sedici anni si decise alla fine per una roulette tirolese di piccolo formato. Prese la scatola dallo scaffale dirigendosi al bancone e, fingendo di non vedere che le ero più vicina, si fermò direttamente di fronte a Friedrich. Indossava una gonna di tela bianca piuttosto corta, una maglietta sportiva con il cappuccio e un paio di scarponcini. Ma nonostante l’abbigliamento innocente, le riconobbi una buona dose di impertinenza.
Mentre Friedrich le batteva lo scontrino, spalancò su di lui due occhioni languidi e appoggiò i gomiti sul bancone.
- Tieni aperto anche stasera? – chiese con noncuranza.
Friedrich  lanciò un’occhiata distratta al Calendario delle Dolomiti appeso al muro.
- Sì, il mercoledì siamo aperti.
- E avete molti clienti in negozio?
- Di solito siamo abbastanza indaffarati fino alle ventidue e trenta.
La ragazza non aspettava altro.
- Allora dopo potrei passare di qui con le mie amiche. Così non ti sentirai solo prima di chiudere!
Osservai meditabonda la scena, chiedendomi se mio fratello avesse bisogno di aiuto. Lo vidi esitare, incerto su come affrontare la ragazza.
- Sono simpatiche le mie amiche – insistette lei.
Decisi di lanciargli un appiglio.
- Devo andare a controllare lo spezzatino sul fuoco – dissi, a voce sufficientemente alta.
Friedrich prese la palla al balzo.
- Lascia, vado io!
Lasciò lo scontrino della ragazza sul bancone e si dileguò magicamente dietro la porta.
La cliente, prima di decidersi a uscire, mi dedicò un lungo sguardo ostile.
- Arrivederci – dissi educatamente, mentre lei si sbatteva la porta alle spalle.
Friedrich era in salvo.
Gustav diceva che mio fratello attirava le donne come mosche al miele, soprattutto a causa del suo atteggiamento schivo. Forse un giorno Friedrich avrebbe scelto una di quelle donne e si sarebbe sposato. Soltanto la sera prima gli avevo consigliato una soluzione del genere, ma in realtà, pensandoci bene, non vedevo necessità che introducesse un’altra donna in casa. Io cucinavo, stiravo, lavavo, facevo la spesa e lo aiutavo in negozio: la mia presenza bastava ad assolvere quasi tutte le funzioni di una moglie.               
Il campanello della porta squillò e vidi Raphael varcare la soglia del negozio.
- Buongiorno – disse tranquillamente.
- Buongiorno.
Per un momento rividi i suoi occhi, così come mi erano apparsi nella visione del giorno prima. Ne ricordai la sensazione.
- Ho capito perché mi sembri diverso dagli altri – dissi, non appena si fu avvicinato al bancone. Lui mi parve piuttosto sorpreso.
- Davvero? – chiese, accennando un sorriso ambiguo.
Non vedevo nulla di male nel raccontargli la verità.
- Friedrich mi ha detto che sei un vampiro. Mi ha raccontato tutto di voi!
- Cosa ti ha detto?
- Mi ha spiegato la vostra evoluzione negli ultimi secoli, la vostra diversità dai vecchi vampiri.
- Diversità… - ripeté lui con un tono che per un momento di parve rabbioso. Ma subito dopo tornò posato – Non ti ha raccontato nient’altro?
Nient’altro?
Lo guardai senza capire.
- Ti ha detto che solo io sono un vampiro?
La conversazione stava prendendo una piega incomprensibile.
- Sì… perché?
Lui scosse la testa e sorrise.
- Che effetto ti fa, sapere che non sono umano?
Mi strinsi nelle spalle.
Effetto?
- Niente.
- Non hai paura che voglia succhiare il tuo sangue?
Incrociai le braccia al petto. Friedrich non pensava che ci fossero pericoli sotto quell’aspetto.
- Vuoi succhiare il mio sangue? – domandai, per sicurezza.
Lui scoppiò a ridere.
- Non sembri minimamente preoccupata!
Scrollai le spalle.
- Friedrich mi ha detto che ora i vampiri hanno bisogno di poche gocce di sangue, quindi non dovresti essere così pericoloso.                                       
Lui mi fissò sollevando un sopracciglio.
- Non voglio il tuo sangue, comunque. Sono venuto per parlare con tuo fratello.
- Friedrich è in casa. Vieni.
Lo feci sedere in soggiorno e andai a cercare mio fratello. Bussai alla porta della sua camera senza ottenere risposta, poi passai in bagno ma non ebbi maggior fortuna. In fondo al corridoio vidi la porta della cucina chiusa.
- Friedrich! – girai la maniglia infilando la testa nella fessura. Lui era di fronte al lavello, girato di schiena. Al mio richiamo sobbalzò e si voltò istintivamente. Aveva le dita e la bocca sporchi di una sostanza rossa.
Sangue?
Velocemente, mi ridiede la schiena e afferrò dei tovaglioli.
- Cosa c’è?
- È venuto Raphael, vuole parlarti.
- Vengo subito.
Richiusi la porta e riattraversai il corridoio. Non era la prima volta che trovavo Friedrich in quelle condizioni. Avevo anche pensato di chiedergli delle spiegazioni, ma erano talmente tante le cose che non capivo della gente che alla fine avevo sempre lasciato perdere.
- Ha detto che viene – annunciai a Raphael, seduto al tavolo del soggiorno. Poi il campanello del negozio squillò e dovetti lasciarlo solo.
In negozio, una coppia di fidanzati si aggirava alla ricerca di un souvenir per gli amici. Appoggiai i gomiti al bancone, sapendo che l’esplorazione sarebbe durata a lungo e non necessariamente sarebbe andata a buon fine. Per dieci minuti rimasi  a contemplare l’indecisione della coppia. Alla fine, vedendo che non si arrivava ad una conclusione, mi accostai alla porticina che dava nel soggiorno e aprii una fessura.
Intravidi le due figure sedute al tavolo, Friedrich mi dava la schiena. Stavano parlando e mi sforzai di affinare l’udito.
- Allora lei non sa niente? – stava chiedendo Raphael.
Friedrich aveva irrigidito le spalle, la sua postura indicava chiaramente un certo livello di tensione.
- No – rispose in un soffio, senza rilassare i muscoli della schiena.
Conoscevo quella rigidità, Friedrich scaricava la tensione in una postura inadeguata della schiena.
- E come sei riuscito a tenerglielo nascosto?
- Mi scusi signorina…
La coppia era in attesa al bancone. Avevano scelto due casette di ceramica da appendere al muro. Le infilai velocemente in due sacchetti colorati, presi i soldi e battei lo scontrino. Salutai la coppia con un sorriso radioso com’era bene fare, poi tornai allo spiraglio nella porta. Friedrich e Raphael stavano parlando di cose di cui io ero all’oscuro.
Attraverso la fessura vidi il cipiglio di Raphael, il suo sguardo scettico.
- E non ti ha mai visto fare cose strane? Non ha mai sospettato di niente? – stava chiedendo.
Friedrich sollevò le spalle.
- Sono stato cauto e comunque Melissa non è curiosa. A volte mi ha visto in atteggiamenti sospetti, ma non ha mai fatto domande.
Mi tirai leggermente indietro.  Atteggiamenti sospetti?
Il novantanove per cento dei gesti umani era per me illogico! Se fossi stata curiosa, avrei dovuto far domande continuamente.
- E perché non le hai mai detto niente? – tornò alla carica Raphael.
Detto cosa?
Mio fratello non rispose. Chinò il capo, osservò le proprie mani che tamburellavano sul ripiano del tavolo.
- Hai paura che se ne vada e ti abbandoni,vero? – rincarò il vampiro.
Friedrich continuò nel suo silenzio. Non riuscivo a immaginare né a dedurre le sue sensazioni. Usava il silenzio come una barriera.
- Allora non sa neppure che non siete fratelli…
- No
Aggrottai la fronte.
Non eravamo fratelli? Cosa significava?
- Devi raccontarle ogni cosa, Friedrich!
Lui sollevò la testa di scatto.
- Non ho ancora intenzione di farlo.
- Voglio che lei sappia la verità!
- Non c’è alcun bisogno che ne sia messa al corrente. Viviamo benissimo così.
Raphael scoppiò a ridere. Una risata…
…sinistra, pensai.
- Intendi continuare a vivere in questo modo?
- La cosa non ti riguarda.
Raphael scosse la testa.
- Se non sarai tu a dirle la verità, troverò il modo di farlo io.
Dalla postura di mio fratello trapelava rabbia. Stava per sbottare.
Poi il campanello del negozio suonò. Mi girai di scatto verso l’ingresso e vidi Gustav richiudere la porta dietro di sé. Riaccostai la porticina del soggiorno e tornai verso il bancone.
- Che fai qui? – domandai, guardando l’orologio – Non è ancora l’ora di chiusura.
- Mi sono preso una pausa – disse Gustav, cercando uno sgabello su cui sedere – Quando la clientela diventa troppo pesante, non c’è nulla di più riposante di due chiacchiere con te o con tuo fratello.
Fratello…
Perché Raphael aveva detto che non lo era?
- Gustav, tu non mi hai vista nascere vero?
Mi osservò con stupore.
- Certo che no. Lo sai benissimo Melly, sei nata in Francia!
Era quello che mi era sempre stato detto. E nei miei documenti risultava la stessa cosa.
Melissa Adler. Nata il quattro settembre millenovecentottantaquattro, a Toulose, France.
Il primo a raccontarmi quella storia era stato il nonno. Ci scherzava quando era piccola chiamandomi ma jolie princesse.
Friedrich invece non parlava mai del passato e Gustav mi chiedeva di non forzarlo a ricordare.
- Mi torna in mente ogni cosa come se fosse ieri – riprese Gustav, lisciandosi i baffi. Lui invece parlava molto del passato, gli piaceva raccontare.
- Tua madre amava la Francia – disse – Aveva studiato là per cinque anni e se ne era innamorata. Tuo padre le promise che ce l’avrebbe ricondotta e quando Friedrich compì quattro anni si trasferirono nella Loira. Aprirono un negozio di souvenir in uno dei luoghi turistici più frequentati – Gustav sorrise ricordando – In quel periodo mi arrivarono una valanga di cartoline!
- E poi sono nata io? – domandai.
Gustav annuì.
- Sei nata in Francia – sorrise – Quella è la tua patria d’origine.
- E poi la mamma è morta – conclusi.
- Già. C’è stato quell’incidente in auto… Ricordo il giorno in cui arrivò la notizia. Fu un colpo per tutto il paese. E per tuo padre soprattutto. Nel giro di pochi mesi vendette il negozio e tornò qui, a lavorare con tuo nonno. Quando arrivò, tu avevi otto mesi.
Appoggiai il mento al dorso della mano, confusa. Visti i fatti, io e Friedrich non potevamo che essere fratelli.
Perché questo dato di fatto era stato negato poco prima, dietro la porta del soggiorno?
Cosa mi stava nascondendo Friedrich?
 Ripensai al sangue sul suo volto.
- Se avessi le emozioni capirei molte più cose, vero?
Gustav mi sorrise, gentile.
- Te la cavi benissimo anche così, Melly.
- Sai quella persona di cui ti avevo parlato…
- L’uomo che ti attraeva?
- Sì. È un vampiro. Me lo ha detto Friedrich.
Gustav alzò su di me due occhi indagatori.
- Friedrich ti ha parlato dei vampiri? Come mai?
- Perché non riuscivo a capire cosa ci fosse di diverso in quella persona che avevo incontrato…
Lui non smise di fissarmi.
- E adesso lo sai…
- Già – Gustav sembrava preoccupato – Ma lui non vuole succhiare il mio sangue! – mi affrettai a precisare – Ha detto che non gli interessa.
- Questa è una buona notizia. – replicò lui. Ma il suo sguardo era come assente.
Il campanello trillò nuovamente. Quattro ragazze sulla ventina fecero irruzione  nel negozio sparpagliandosi fra gli scaffali.
- Ti lascio lavorare – disse Gustav, meditabondo – Torneremo ancora su questo argomento.
Uscì dal negozio senza perdere quella sua espressione preoccupata. Mi strinsi nelle spalle, rassegnata ai  limiti della mia comprensione. Tutto sommato c’erano ancora troppe cose di cui non capivo assolutamente nulla.      
 
 

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Capitolo 10
*** Alle strette ***


10
 

 
Friedrich quella notte non dormì. La conversazione avuta con Raphael durante la giornata gli risuonò nella testa rimbalzando da un punto all’altro del suo cervello come un vortice impazzito. Con gli occhi spalancati fissi sul soffitto e il corpo teso, sudato, riascoltò parola per parola ogni singolo frammento del loro dialogo.
Raphael era interessato a Melissa.
La voleva a tutti i costi.
E voleva proprio lei.
Perché Melissa? Perché lei e non un’altra?
Chiuse gli occhi, per riaprirli un istante dopo. Non sarebbe riuscito a rilassarsi, sapeva che Raphael avrebbe potuto raccontarle ogni cosa. Il segreto che il padre gli aveva tramandato e che lui per anni le aveva nascosto…sarebbe venuto alla luce a causa di uno sconosciuto.
Papà, cosa devo fare?
Cosa posso fare ora? 

 
*   *   *
 

 
Era di nuovo domenica. Approssimandosi la fine di luglio, i turisti erano andati via via crescendo fino ad arrivare, nel fine settimana,  a sfiorare i livelli di affollamento che rendevano Friedrich nevrastenico.
Dalle dieci del mattino alle sette di sera, lui e Melissa non ebbero un momento di respiro. Friedrich lavorò macchinalmente, con insofferenza, pregando che giungesse al più presto il momento di chiudere i battenti. Con la coda dell’occhio teneva sotto controllo Melissa, alla ricerca di reazioni anomale, di un cambiamento.
Improvvisamente non si sentiva più sicuro di nulla. Si accorgeva per la prima volta che l’assenza di sentimenti di Melissa non gli aveva procurato solo dolore, gli aveva anche offerto una sorta di assicurazione su di lei, sulla sua presenza. La sua mancanza di interessi, di ambizioni, di curiosità, di slanci, l’aveva sempre tenuta ancorata alla vita abitudinaria che conducevano.
Ora invece, la presenza di Raphael l’aveva turbata. L’aveva resa imprevedibile. Friedrich si scopriva ansioso, teso, e la sua condizione era accentuata dal ricordo delle minacce del vampiro.
Erano trascorsi quattro giorni da quando avevano avuto l’ultima discussione e da allora Raphael non si era più fatto vedere, ma questo era servito solamente a innervosirlo di più.
Quando, dopo l’orario di chiusura, si ritrovò davanti a una bistecca ai ferri, considerò seriamente la possibilità di non riaprire il negozio dopo cena.
Melissa mangiava tranquillamente di fronte a lui, non mostrava nessun segno di stanchezza. Non era mai capitato che lui proponesse di chiudere il negozio senza alcun motivo apparente.
Sorrise immaginando quel che avrebbero pensato le vecchiette del paese. Lui, così ligio al dovere e alle proprie responsabilità, che compiva un azione di quel tipo!
- Senti Mel – si decise infine – E se stasera evitassimo di riaprire il negozio? Potremmo fare due passi insieme in paese e una volta tanto goderci la festa.
Gli occhi trasparenti di lei si sollevarono imperscrutabili.
- È domenica – disse – Siamo alla fine di luglio. Per noi è il momento migliore dell’anno, sarebbe illogico chiudere.
- Lo so. Lo so… -  Era fantascientifico pensare che Melissa potesse comprendere – Semplicemente oggi mi sono stancato molto e stasera mi sarebbe piaciuto fare dell’altro. Ma hai ragione, non è conveniente chiudere.
- No… - Melissa si alzò, raccogliendo i piatti vuoti – Facciamo come dici tu. Usciamo.
Friedrich la seguì con gli occhi, rassegnato. Sapeva perché stava accondiscendendo alla sua richiesta, probabilmente le era tornata alla mente qualcuna della raccomandazioni di Gustav. Qualcosa sul genere “Sii gentile con tuo fratello” o “Sii disponibile con lui”.
Era ben poco gratificante essere a conoscenza dei meccanismi che muovevano le sue azioni.
Mentre Melissa finiva di sparecchiare, Friedrich si ricordò di qualcosa di importante.
- Beviamo un po’ del succo di lampone che ho comprato stamattina – propose.
Si alzò per cercarlo, ma Melissa lo bloccò.
- Alla fine della cena mi dà  acidità di stomaco. Beviamolo quando torniamo.
Friedrich esitò, poi si lasciò cadere nuovamente sulla sedia. Sarebbe stato meglio bere subito il succo, ma almeno il negozio sarebbe rimasto chiuso.
 

Pensò a lungo a come giustificare la sua assenza, il suo negozio sarebbe stato l’unico della via a rimanere a serrande abbassate.
Alla fine, non riuscendo a trovare di meglio, attaccò alla porta un cartello con la scritta Temporaneamente chiuso.
Si infilò tra la folla con Melissa, sentendosi decisamente colpevole. Lui e il suo maledetto senso del dovere!
Presto però, le sensazioni cambiarono. Era trascorso molto… moltissimo tempo dall’ultima volta che avevano fatto qualcosa del genere. Probabilmente all’epoca era ancora vivo il nonno. Ad ogni festività il negozio rimaneva aperto e, dopo la morte del nonno, lui o Melissa, se non tutti e due, vi erano rimasti ancorati.
Camminare ora di fianco a lei, in mezzo alla musica e alla folla, gli faceva provare sensazioni dimenticate.
Guardarono le vetrine dei negozi che pure conoscevano a memoria, assistettero allo spettacolo teatrale improvvisato dalla biblioteca, ascoltarono la musica, incrociarono persone che conoscevano.
- Che meraviglia! – sospirò Friedrich – Era una vita che non ci prendevamo una vacanza.
Melissa annuì, inespressiva.
Stava pensando a Raphael? Non lo vedeva da quattro giorni e aveva la sensazione che l’assenza del vampiro non la lasciasse indifferente.
Il pensiero di Raphael lo raggelò e istintivamente si guardò intorno. Il vampiro era silenzioso e sfuggente, poteva osservarli senza essere visto.
Invece vide venire verso di lui solo un ragazzino sui dodici anni.
- Devo riferirle un messaggio – gli annunciò – Da parte di un signore. Si chiama Raphael e vuole che andiate immediatamente alla vecchia segheria. Dice che se non lo farete succederà qualcosa di brutto.
Melissa gli sorrise dolcemente.
- Ti ringrazio –  disse, e il ragazzino annuì allontanandosi.
Friedrich le mise una mano sul braccio.
- Vuoi davvero andare?
Lei piantò gli occhi nei suoi.
- Cosa significa che succederà qualcosa di brutto?
Lui scosse la testa. Il suo presentimento era esatto: Raphael li stava davvero osservando.
- Non lo so – rispose infine.
- Andiamo a chiederglielo allora.
- Mel… - ancora una volta lui la fermò – Non mi sembra una buona idea.
Non sapeva cosa volesse Raphael, ma aveva la sensazione che qualcosa di brutto sarebbe successo se invece fossero andati da lui.
- Forse Raphael deve dirci qualcosa di importante! – insistette Melissa.
- Può venire a dircelo in negozio, se proprio vuole. Perché dovremmo andare fino alla segheria? Non ti sembra strano?
Melissa non rispose, ma era chiaro che non era convinta. Lei voleva incontrare Raphael e sarebbe comunque andata. Friedrich doveva solamente decidere se accompagnarla o lasciarla andare sola.
- Andiamo – si arrese, senza riuscire a calmare la sensazione di allarme che provava – Ma se qualcosa non mi convince verremo via subito.
Si incamminarono verso il limite del paese e in pochi minuti si ritrovarono lontani dal rassicurante cicaleccio della folla. La notte si fece improvvisamente più buia intorno a loro e, nonostante la felpa appoggiata sulle spalle, Friedrich rabbrividì. Erano passate da poco le ventitre, ma ora sembrava molto più tardi.
Percorsero rapidamente una lunga discesa, Melissa davanti e Friedrich alle sue spalle, in guardia. Si teneva all’erta, non riusciva a scacciare quella sensazione di catastrofe imminente.
- Eccoci – fece Melissa, dopo aver svoltato a destra. La vecchia segheria si stagliava di fronte a loro. L’odore dei trucioli di legno pervadeva completamente il luogo.
Un cigolio attirò l’attenzione di Friedrich. Proveniva dal ripostiglio alla sua destra, era una vecchia casupola in legno senza finestre, di minuscole dimensioni, con la porta spalancata.  Friedrich aggrottò le sopracciglia.
- Sono qui
Sobbalzò, spaventato. La voce di Raphael proveniva dalla casupola e Friedrich vide la sua figura disegnarsi sulla soglia.
- Venite
Raphael scomparve, inghiottito dal buio.
Friedrich rimase immobile considerando la situazione. Non gli piaceva neppure un po’.
Melissa però si stava già dirigendo al ripostiglio e in pochi passi varcò la soglia.
- Mel! – Perché era tanto ingenua?
Friedrich lo seguì istintivamente e un istante dopo si trovò avvolto dall’oscurità. Nel ripostiglio faceva freddo, l’odore del legno era quasi fastidioso.
- Sono contento che siate venuti – disse Raphael. Friedrich avvertiva la sua presenza, ma faceva troppo buio per vedere alcun che.
- Molto contento…
Un momento dopo accadde qualcosa a cui Friedrich non aveva pensato: Raphael scivolò fuori dal ripostiglio e sbarrò la porta.
Appena si accorse del tranello, Friedrich corse verso l’uscita, ma si trovò faccia a faccia con un muro di legno. All’esterno doveva esserci un chiavistello e Raphael l’aveva tirato.
- Siamo chiusi dentro – disse alla sorella. Avvertì nella propria voce il panico. Provò a scrollare la porta, a prenderla a spallate.
- Risparmia le energie – disse la voce all’esterno – Ho saggiato oggi stesso la solidità di questa porta e ti assicuro che non riuscirai a sfondarla. Non ho intenzione di tenervi lì dentro per molto, solo quel tanto che servirà alla verità per venire  a galla!
Friedrich si immobilizzò. Sentì i passi di Raphael farsi lontani fino a perdersi. Diede un’ultima violenta spallata alla porta.
- Maledizione!
Quel tanto che servirà alla verità per venire a galla…
Il sangue…
Raphael sapeva!
Un vampiro riusciva a rendersi conto di quando un suo simile stava entrando in carenza di sangue. Friedrich ripensò al succo di lampone abbandonato in frigorifero. L’aveva preparato quel mattino… con qualche goccia di sangue per quando fosse venuto il momento.
E ora… quanto tempo restava?
Dodici ore? Qualcosa di più?
Poi, in carenza di sangue, l’istinto del vampiro avrebbe prevalso. La natura più nascosta… più selvaggia sarebbe emersa… dirigendosi verso l’unica fonte di sangue umano presente in quel ripostiglio.
Friedrich prese a camminare nella stanza furiosamente.
Si sarebbe spaventata Melissa?
No, certamente. Ma lui non voleva…non voleva che lei scoprisse la verità!
- Friedrich?
Cercò di calmarsi, di apparire tranquillo.
- Non c’è niente da fare. Siamo chiusi qua dentro. E anche urlando, nessuno ci sentirebbe.
Cercò a tastoni Melissa e trovò la sua spalla. L’oscurità era completa.
Pensò velocemente. Era necessario risparmiare energie.
- Dovremmo dormire Mel.
- Dormire? Qui?
- Non possiamo fare altro.
- Ma… - sentì che si stava sedendo a terra – Perché Raphael ci ha chiusi qua dentro?
Friedrich si morse il labbro, scosse la testa e non rispose.
- Mi dispiace Mel – disse, accomodandosi accanto a lei – So che volevi stare un po’ con lui.
Le non disse nulla. L’oscurità e il silenzio erano totali.
- Dovremmo dormire – ripeté Friedrich, con il cuore in gola.
Provava la stessa sensazione di un animale braccato. Tentava di salvare disperatamente la situazione, pur sapendo che non sarebbe servito a nulla.
- Non so se riuscirò ad addormentarmi - disse lei dopo un po’ – È una posizione scomoda. E ho freddo.
- Sdraiati sulle mie gambe.
Friedrich si tolse la felpa dalle spalle, lasciò coricare Melissa e poi la coprì.
- Se dormiamo, il tempo passerà prima.
Lo disse per convincere la sorella, ma per lui quella frase acquistava un significato minaccioso.
 

11

 
La sabbia sotto i miei piedi è argento scuro che, vaporoso, mi scivola fra le dita. Il verde scuro del mare si attorciglia alle rocce nere in lingue spumeggianti di schiuma azzurra. Nel cielo nero, illimitato, si rincorrono scoppiettanti stelle di fuoco. Nello svanire delle loro scie incandescenti, vedo un paio d’occhi scuri che mi scrutano deridendomi.
Ancora gli occhi di Raphael!
Mi portai una mano al cuore e una volta di più lo sentii battere a velocità innaturale. Anche il respiro era diverso.
Rimasi immobile per riportare le mie condizioni  alla normalità.
- Mel..?
Friedrich era seduto a qualche metro di distanza. La debole luce che filtrava sotto la porta illuminava scarsamente la stanza.
- Ti sei svegliato… - Una di quelle frasi inutili che rimproveravo agli altri.
Friedrich annuì.
- Non riuscivo a dormire stanotte. Non ho preso sonno fino alle cinque.
Guardai l’ora. Erano le dieci.
- Ha avuto un’altra delle tue visioni?
- Sì, l’ho evocata io mentre tu dormivi.
Friedrich si alzò in piedi e, lentamente, iniziò a sgranchirsi le gambe. Si fletté quattro o cinque volte sulle ginocchia e fece qualche allungamento.
- E non puoi evitare di evocarle? – disse all’improvviso, rapidamente.
- Forse potrei – risposi – Ma non lo farò.
Si fermò e mi guardò con gravità.
- Io non credo che queste visioni siano una buona cosa. All’inizio pensavo che nel tempo sarebbero scomparse da sole. Invece… - s’interruppe e io non dissi nulla.
- Queste visioni non ti aiutano – concluse lui.
Era moltissimo tempo che non ne parlavamo.
- Anche la psicologa lo pensava – dissi infine – Diceva che le mie visioni coprivano qualcosa. Diceva… - corrugai la fronte nel tentativo di ricordare - … che le mie emozioni erano rimaste bloccate in  un ricordo che non volevo riportare alla mente e che le mie visioni erano le sole manifestazioni di quel ricordo che riuscissi a tollerare.
- Sembri un libro stampato – commentò Friedrich e sentii tristezza nella sua voce – Non sembra neppure che tu stia parlando di te stessa.
- È illogico come tu ti stupisca ogni volta del mio modo di comportarmi. Ancora, dopo quindici anni.
- Perché non lo accetto! – sbottò lui – Non mi rassegno…Non voglio pensare tu non possa più tornare come un tempo…Quelle visioni devi controllarle, devi farle sparire! Devi trovare un modo per affrontare la morte di papà, il suo omicidio…tutto quello che hai visto quella notte!
- Non sono l’unica a doverlo fare.
- Cosa vuoi dire?
- Gustav mi ha ripetuto spesso che sei tu a non accettare la morte di papà. Dice che si capisce dal rancore che provi per quell’assassino, dalla rabbia che manifesti ogni volta che ne parli…come se fosse accaduto solamente ieri. All’inizio Gustav mi diceva che ti sarebbe passata, che avresti superato la cosa. Invece non è successo. Io ti vedo e so che quando si parla della morte di papà smetti di ragionare.
Friedrich si aggirò nervosamente sul posto.
- È diverso – esclamò – La mia rabbia non ha nulla a che vedere con le tue visioni. Io odio la persona che ha ucciso nostro padre e che ti ha ridotta così… è un sentimento naturale, che chiunque proverebbe. Tu invece ti stai rovinando la vita!
- Io sto benissimo – osservai – Sei tu che ti stai alterando. Basta nominare l’omicidio di papà e inizi a comportarti in maniera irrazionale.
- Smettila di parlarne! – Friedrich scagliò un pugno violento contro la parete di legno. Doveva essersi fatto male, ma in quelle condizioni non riusciva a rendersi conto di nulla.
- Ho giurato che troverò quell’assassino! – gridò – E se non ci riuscirò, lo odierò comunque fino alla morte. Qualunque cosa ne dica Gustav!
Appoggiai il mento alle ginocchia, abbassando lo sguardo al pavimento.
Non avrei più provato a parlare con Friedrich di quanto diceva Gustav. Non c’era un senso in quelle discussioni. Friedrich poteva tenersi il suo rancore, se lo reputava così importante. Io avrei continuato con le mie visioni.
 
Quando la schiena iniziò a dolorare, mi alzai. Mi avvicinai alla porta tendendo l’orecchio. Nessun rumore. In quel vicolo era vietato il transito alle auto e non c’erano case nei dintorni.
Un’improvvisa debolezza mi prese lo stomaco e la testa. Guardai l’ora: le dodici e trenta. Non mangiavo da diciassette ore.
Quando sarebbe tornato Raphael? Ci avrebbe liberati? O ci avrebbe portato da mangiare?
Non comprendevo la nostra prigionia e Friedrich, se la capiva, non mi dava spiegazioni.
Non aveva più aperto bocca dopo il nostro scontro e sedeva in un angolo del ripostiglio, con la schiena appoggiata alla parete.
- Ho fame – annunciai, sostenendomi contro la porta.
Friedrich per un momento mi sembrò sorpreso.
- È normale – disse poi.
- Hai fame anche tu?
Lui scosse la testa.
- Sono troppo nervoso.
Poteva una cosa astratta come il nervosismo, impedire a una persona di desiderare del cibo nello stomaco?
Mi assalì un’altra ondata di debolezza.
- Credo di avere un calo di pressione – dissi, andando a sedermi accanto a Friedrich – Spero che Raphael torni presto.
- Tu vuoi vederlo, vero?
- Voglio vederlo sempre – risposi – Dalla prima volta che l’ho incontrato.
Friedrich si morse il labbro. Forse non capiva il mio desiderio… io sicuramente non lo comprendevo.
Il mondo e le persone erano per me incomprensibili da sempre. Ma era la prima volta che non capivo me stessa.
- Mel..?
- Mmh..?
- A cosa pensi? Hai un’espressione insolita.
- Penso che mi stanno succedendo cose strane. Da quando ho conosciuto Raphael sono diversa.
- Non ti chiedi mai perché ti venga voglia di vederlo?
- Sì, me lo chiedo.
Mi prese un improvviso crampo allo stomaco. Me lo coprii con le mani.
- Me lo sono chiesta spesso ultimamente. Raphael appare nelle mie visioni… Mi accorgo di aspettare il suo arrivo. E poi respiro male e il cuore… ha un battito anomalo.
Friedrich sospirò. Mi girai verso di lui e mi colse un’altra ondata di debolezza, più forte delle altre.
- Perché succede questo? Perché… mi sento attratta da lui? A volte… a volte ho pensato che tu lo sapessi.
Lui rimase in silenzio un momento, poi mormorò – Solo perché  è diverso dagli altri.
- Non è vero, non ci credo. Ma tu non mi vuoi dire la verità! – provai un improvviso senso di nausea – Dimmelo se lo sai, Friedrich. Perché? Perché Raphael mi fa questo effetto?
Poi mi successe qualcosa. D’improvviso il malessere si tramutò in un desiderio insopprimibile, in un istinto di sopravvivenza. Mi avvicinai a Friedrich, gli gettai le braccia al collo e mi strinsi a lui.
- Perché..? – ripetei debolmente.
E in quell’istante la mia bocca cambiò. Sentii spuntare qualcosa, crescere… Morsi il collo di Friedrich, aspirai. Sentii il suo sangue fluire sulla mia lingua.
Friedrich trasalì al morso, ma rimase immobile. Lentamente ricambiò il mio abbraccio, mi strinse contro di sé.
- Perché sei come lui –mormorò.

 

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Capitolo 11
*** Cuore di diamante ***


12

 

 
Che sensazione insolita!
Friedrich chiuse gli occhi, mentre una spirale confusa di colori e di sensazioni gli attraversava il cervello. Erano quindici anni che nutriva Melissa con il suo sangue, ma  prima di quel momento non era mai stato morso da lei.
Durò pochi istanti, pochi secondi… giusto il tempo di perdere qualche goccia di sangue. Poi Melissa si staccò e fissò su di lui i suoi vuoti occhi trasparenti.
- Allora… sono un vampiro?
Il suo tono, la sua espressione non erano cambiati. Non si era spaventata… non sembrava minimamente scossa.
Friedrich strinse gli occhi, respirò a fondo. Raphael era riuscito a ottenere quello che desiderava.
- Sì, sei un vampiro – disse lentamente.
- Non me n’ero mai accorta… Non ho mai bevuto sangue prima.
- Te ne ho sempre dato di nascosto – rispose lui stancamente. Pur contro la sua volontà, era venuto il momento delle spiegazioni – Mi hai visto a volte sporco di sangue. Io… ti ho sempre nutrita con il mio.
Lei aggrottò la fronte.
- Qualche giorno fa avevi la bocca sporca di sangue…
Friedrich sorrise amaramente.
- Hai pensato che lo bevessi io?
Lei scosse il capo candidamente.
- Non ho pensato a nulla.
- Avevo le mani sporche di sangue. Devo essermi sfregato il viso senza accorgermene.
Melissa annuì. Tornò a sedersi accanto a lui, appoggiando la schiena al muro.
- Allora è vero che non siamo fratelli. Ho sentito Raphael che lo diceva, ma non riuscivo a capire come potesse essere vero. E non lo capisco neanche adesso in realtà. Allora… non sono nata in Francia?
- Sì, ci sei nata. È forse l’unica verità che ti abbiamo mai raccontato.
Friedrich doveva fare uno sforzo enorme per controllarsi. Raccontare la verità a Melissa era andare contro se stesso. Dopo, più nulla sarebbe stato uguale. L’incubo più orrendo stava divenendo reale.
E Melissa aspettava in silenzio.
Aspettava la verità.
- Mio padre molti anni fa era innamorato di tua madre – cominciò, quasi senza rendersene conto – Ebbero una storia. Mio padre voleva sposarla nonostante fossero entrambi giovani, ma tua madre non era umana. Lui lo sapeva e  non gli importava. Non gli importava neppure di non poter avere figli. Tra un umano e una vampira non c’è fertilità. Tua madre però non voleva saperne. Desiderava avere figli… lo desiderò così tanto da rinunciare a mio padre. Lo lasciò e scomparve nel nulla. Mio padre immaginò che si fosse diretta al Paese Invisibile e, rispettando la sua decisione, rinunciò a seguirla.
Friedrich tacque, attendendo la domanda che non tardò a venire.
- Il Paese Invisibile?
Forza Friedrich, vai fino in fondo!
- È il luogo dove i vampiri si ritrovano per procreare. In Italia ce ne sono sei o sette. Uno è qui in Alto Adige, nascosto tra i boschi. Ci sono vampiri che si sono stabiliti lì da tempo e ci vivono, altri sono stati scelti per governare il Paese. Altri ancora invece si fermano lì solo per il tempo di procreare. I vampiri che desiderano avere figli, possono recarsi al Paese in cerca di un partner e raggiungere così il proprio scopo. È una pratica piuttosto comune tra i vampiri. Per loro… per voi è un istinto di sopravvivenza senza il quale arrivereste all’ estinzione.
Melissa annuì.
- Capisco.
- Mio padre lasciò che tua madre seguisse il suo desiderio e non la cercò. Dopo qualche anno si innamorò di un’altra donna, la sposò… e così nacqui io.
Friedrich fece una pausa, sussurrando dentro di sé la storia che gli era stata raccontata dal padre una sola volta. Una sola volta l’aveva udita dalla bocca paterna, ma mille volte l’aveva ripetuta lui stesso a un’invisibile Melissa, immaginando come le avrebbe spiegato ogni cosa, quando e se, si fosse rivelato necessario.
- Friedrich..?
Lui proseguì.
- Tua madre ricomparve quando ormai avevo quattro anni. Era incinta e sola. Aveva lasciato il  Paese Invisibile e non era intenzionata a farvi ritorno. Voleva restare nel mondo umano, ma non aveva nessun luogo dove fermarsi. Così chiese aiuto a mio padre.
Cosa hai pensato papà, quando l’hai rivista?
- Lui ne parlò subito a mia madre. Non le disse che aveva amato quella donna, le parlò di lei come di una vecchia amica… e le raccontò la verità sui vampiri. A quel tempo i miei genitori si stavano trasferendo in Francia per aprire un negozio nella Loira. Sapevano che avrebbero avuto comunque bisogno di aiuto, così proposero a tua madre di unirsi a loro e lavorare nel negozio che avrebbero aperto. Tua madre partì con loro.
Friedrich appoggiò le spalle al muro con un sospiro di stanchezza.
- E io nacqui a Tolosa – intervenne Melissa.
Lui  assentì.
- Tua madre e mia madre divennero amiche, il negozio andava bene. Poi ci fu l’incidente. Non c’era solo mia madre sulla quella macchina, ma anche la tua. Morirono lo stesso giorno. Mio padre si ritrovò solo con due bambini e un grosso negozio e presto sentì l’esigenza di tornare a casa. Iniziò subito le pratiche per l’adozione e quando tornò a Gebirge ti portò con sé. Disse a tutti che eri la sua seconda figlia, nata in Francia dalla moglie poco prima di morire. Solo il nonno e Gustav conoscevano la verità. E io.
S’interruppe, schiacciato dal peso dei ricordi.
- Mio padre ti dava il suo sangue di nascosto – riprese dopo un po’ – Quando ebbi otto anni mi mostrò come faceva e mi raccontò la verità sui vampiri. Mi disse che tu non avresti mai dovuto conoscere la tua vera natura… che ti avremmo allevata come una qualunque ragazza umana. Perché se tu avessi scoperto la verità, ci avresti abbandonato… te ne saresti andata. Così seguii ciecamente le sue indicazioni. Quando mio padre morì, presi il suo posto. Non mi posi nessuna domanda, fiducioso nel suo giudizio. Gustav non era d’accordo, disapprovava. Ripeteva che le decisioni di mio padre erano guidate dal terrore di perdere nuovamente una persona che amava, come aveva perso prima tua madre… e poi la mia. Ma non l’ho mai ascoltato… non volevo ascoltarlo. Mi limitai a portare avanti quello che mio padre aveva iniziato, illudendomi di poter proseguire in quel modo in eterno. Ma è stata una sciocchezza.
Friedrich sollevò la testa e guardò Melissa con occhi tristi.
- Nasconderti la verità per sempre… Non so come abbia potuto pensare che fosse possibile. Che fosse giusto.
Melissa abbassò lo sguardo sulle proprie mani.
- Allora Raphael voleva che scoprissi la verità?
Friedrich evitò di guardarla in faccia.
- Mi aveva chiesto di parlartene. Voleva che ti svelassi la tua vera natura, ma io ho rifiutato. Così mi ha messo con le spalle al muro.
Melissa si alzò in piedi guardandosi intorno. Ma i suoi occhi erano vuoti, vacui.
- Così io sono come lui… - disse piano.
Il rumore del chiavistello colse di sorpresa entrambi. Friedrich balzò in piedi, sulla difensiva. La figura sottile di Raphael prese posto sulla soglia.
Il vampiro scrutò entrambi con il suo sorriso malizioso. Poi uscì nuovamente, lasciando la porta spalancata.
Melissa lo seguì immediatamente, con slancio. Friedrich provò una fitta di dolore nel vedere tanta sollecitudine. Il padre in fondo aveva avuto ragione: Melissa aveva scoperto la sua natura… e ora se ne sarebbe andata.
Avanzò malvolentieri di qualche passo e si fermò sulla soglia, lo sguardo fisso a terra. Si sentiva totalmente annientato.
- Tu volevi che scoprissi la verità – disse Melissa a Raphael.
Lui sorrise sardonico.
- Volevo che potessi scegliere.
Alle orecchie di Friedrich, la sua voce risultò tagliente.
- Da vent’anni quest’uomo si spaccia per tuo fratello – proseguì il vampiro – Ti ha dato il suo sangue di nascosto e ti ha impedito di scoprire la verità su te stessa. Per egoismo non ti ha mai svelato le tue origini. Per possessività, per timore. Dico bene, Friedrich?
Lui non rispose. Non riusciva ad alzare gli occhi da terra.
- Non rispondi? Non hai nulla da obiettare? Non vuoi spiegare a Melissa il vero motivo per cui le hai negato la verità fino a oggi?
Friedrich strinse i pugni, ma non alzò la testa.
- Non vuoi approfittarne per dirglielo tu? – insistette Raphael, senza un alito di pietà – Vuoi che sappia da me che sei innamorato di lei? Che ne sei innamorato da anni e che hai agito in questo modo sperando di tenertela vicina? Povero umano sfortunato… Innamorato senza speranza di una vampira, proprio come tuo padre.
Friedrich chiuse gli occhi, umiliato. Non voleva che Melissa lo sapesse. Non voleva che Raphael le parlasse in modo!
Non voleva.
Strinse i pugni fino a farsi diventare bianche le nocche, ma non trovò il coraggio di alzare la testa. Lo sguardo indifferente di Melissa lo avrebbe trapassato da parte a parte. Quegli occhi inespressivi erano un continuo tormento per il suo cuore.
- Melissa – Raphael ora si stava rivolgendo a lei – Domani io tornerò al Paese Invisibile. Vivo là. Vuoi stabilirti al Paese con me? Puoi partire con me domattina.
Due secondi carico di un silenzio raggelante. E poi…
- Sì, verrò. Voglio vedere il Paese Invisibile.
Friedrich sentì le gambe cedergli, si appoggiò di schiena alla parete del ripostiglio, senza forze. Non alzò lo sguardo, non aprì la bocca. Rimase immobile, accasciato al muro, le braccia penzoloni lungo i fianchi.
Era finita.
 

*   *   *
 

 
L’aria fredda del mattino rendeva vividi i colori del piccolo giardino di cui, per anni, si erano presi cura.
Friedrich osservava con pigra attenzione l’oscillare delle foglie alla brezza del mattino. I suoni arrivavano attutiti alle sue orecchie frastornate, rendendogli difficile distinguere il fragore del suo cuore dai suoni indaffarati del paese.
Erano le sei e trenta e la luce azzurrina di un’alba tardiva inondava la cucina di una triste penombra.
Appoggiato di schiena allo stipite della porta, Friedrich attendeva in silenzio. Non sapeva se sarebbe arrivato fino alla fine. Se il suo animo avrebbe retto al lento, agghiacciante concretizzarsi dei suoi incubi.
Se Melissa potesse svegliarsi ora. Se il sonno che ha avvolto i suoi sensi per quindici anni si dissolvesse all’improvviso…
Allora forse sarebbe rimasta.
O forse… forse per lo meno avrebbe pianto nel separarsi da lui, gli avrebbe promesso di tornare!
Qualunque cosa pur del gelido addio cui stava andando incontro.
Poi lei gli comparve davanti. La Melissa vera e reale, che per vent’anni aveva convissuto con lui in quella rustica casetta e che aveva lavorato instancabilmente al suo fianco…che l’aveva salutato ogni mattina al suo risveglio e ogni notte al momento di coricarsi. Che si era impegnata a sorridere a un mondo che non capiva e a essere gentile con il fratello, perché il vicino di casa glielo consigliava.
Melissa ora indossava un vestito verde, lungo fino alle ginocchia, e scarponcini. I capelli biondi, raccolti in una treccia, le scivolavano lungo la schiena ricoperta di un grosso, traboccante zaino.
Gli occhi incolori di lei gli scivolarono addosso quasi senza vederlo. Si fermò al lavandino a versarsi un bicchier d’acqua, si chinò a terra a stringere il lacci di uno scarpone. Poi si drizzò, si scostò la treccia dal viso, sistemò meglio lo zaino sulla schiena e si diresse verso la porta che dava sul giardino.
Raphael l’aspettava da qualche parte, là fuori.
Passò davanti a Friedrich senza guardarlo, attraversò la soglia e s’inoltrò nel giardino.
Friedrich trattenne il respiro. Per un lungo stupido istante, aveva ardentemente sperato che lei gli avrebbe detto di non potersi separare da lui.
Melissa.
La fredda, distante Melissa. La sua irraggiungibile sorella.
E adesso, neanche più sorella.
- Mel… - la chiamò piano, tristemente.
Lei, già a metà giardino, si girò a guardarlo. Nei suoi occhi non passava alcuna emozione.
- Non mi saluti?
- Oh – fece lei, come chi si ricorda all’improvviso delle buone maniere - … sì. Addio.
Poi volse la schiena e aprì il cancelletto del giardino. Lì l’aspettava Raphael.
Lui l’aiutò a richiudere il cancello, poi alzò il viso e lanciò uno sguardo trionfante a Friedrich.
Se ne andarono insieme, fianco a fianco e furono in breve due puntini lontani, scomparvero dietro l’angolo di una casa scalcinata.
Friedrich rimase immobile sulla soglia, lo sguardo fisso all’orizzonte.
La madre.  Il padre.  Il nonno.  E ora Mel.
Melissa, la sorellina. La compagna, l’aiutante, la donna.
La donna che amava.
Fissò ostinatamente l’angolo dietro il quale i due erano scomparsi. Il suo cuore ebbe uno schianto. Dentro di sé ci fu un urlo lancinante, doloroso.
E poi un inquietante silenzio.
 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** SECONDA PARTE - AL PAESE ***


SECONDA PARTE

 
 

AL PAESE  
 
 
 
 
 
Quando il mondo è crollato,
io sono rimasto immobile a osservarlo.
I muri delle case si sgretolavano
davanti ai miei occhi,
la terra si spaccava
sotto ai miei piedi in profonde fratture.
Gli alberi sradicati
cadevano uno a uno
in tonfi rimbombanti
E il cielo si squarciava
in lembi ardenti.
Ma la gente intorno a me
non sembrava preoccuparsi,
non mostrava la minima reazione,
come se nulla stesse accadendo.
E pareva che io fossi l’unico,
l’unico sulla faccia della terra,
ad accorgersi che il mondo
era finito.
 
 

  
 
1

 



 
- Sei stanca?
Raphael rallentò l’andatura e si girò a guardarmi con la coda dell’ occhio.
- Siamo in viaggio da ieri mattina, non mi stupirei se fossi a pezzi.
- Sto bene.
- Ormai non manca molto.
Annuii soprappensiero. La strada era stata lunga, ma ero abituata alla fatica, il negozio era stato un buon allenamento.
Il giorno prima avevamo percorso cinque ore di tragitto in pullman, un’ora camminando, tre tronconi di strada in seggiovia e una mezza giornata di arrampicata. Avevamo dormito in un rifugio a mille ottocento metri e ora stavamo nuovamente camminando. Erano circa le undici del mattino e Raphael aveva promesso che saremmo giunti a destinazione entro mezzogiorno.
- Non sei stata un po’ fredda ieri, nel salutare tuo fratello? – mi chiese all’improvviso. Camminava davanti a me facendosi largo tra i rami degli alberi e segnando il passo sulle rocce scivolose.
- Fredda?
Negli occhi di Raphael oscillava uno strano sorriso, una sorta di non corrispondenza tra il significato delle sue parole e l’espressione del suo viso. Non era la prima volta che osservavo un simile fenomeno, mi gettava totalmente nella confusione.
- Avete vissuto insieme per vent’anni – spiegò lui – Non avresti dovuto dedicare un po’ più di tempo agli addii?
Accidenti!
Cercai di ricordare gli insegnamenti di Gustav.
Avevo sbagliato? Un’altra volta?
Benché tentassi di seguire le indicazioni e di essere gentile con Friedrich, finivo invariabilmente per fare qualcosa che lo feriva. Gustav non ne sarebbe stato contento.
- Mi sarei dovuta mostrare dispiaciuta! – dissi ad alta voce – Le persone quando si dicono addio sono sempre tristi, vero?
- Pensi che tuo fratello ci sarebbe cascato?
Scossi la testa.
- Friedrich non ci casca mai. Ma gli fa comunque piacere che io ci provi. O almeno, così dice Gustav. Però non chiamarlo piùmio fratello, non lo è.
Raphael assentì con il capo.
- Avrei dovuto salutare anche Gustav – dissi, riflettendo ad alta voce. Ero stata più sconsiderata del solito. Presa dalla partenza, avevo dimenticato di passare in rassegna gli spunti essenziali per sopravvivere nel mondo umano.
- Non temere – fece Raphael in tono sarcastico – Gli esseri umani non meritano particolare considerazione.
- Friedrich è un bravo ragazzo –  ribattei, poiché Gustav me lo ripeteva sempre.
- Friedrich non è che un umano quale tutti gli altri. Credimi, Melissa, non bisogna mai riporre fiducia in uno di loro. Ora che conosci la tua vera natura, devi imparare a distanziarti dagli umani, a osservarli da lontano senza mai mescolarti veramente a loro. Sono una razza pericolosa e crudele.
- Pericolosa… e crudele?
- Lo sono tra di loro – fece lui – E tanto di più con noi.
La sua voce non perdeva quel tono leggermente sarcastico, ma l’espressione era dura.
Non seppi che commentare.
- Gli umani odiano i vampiri – proseguì lui – Ormai non siamo più una minaccia per loro, siamo in grado di convivere in pace… ma loro ci odiano comunque. Ci rinnegano. E Friedrich non fa eccezione.
- Ma lui non mi ha rinnegata – feci , senza comprendere.
- Sì invece. Ti ha nascosto la tua vera natura, ha tentato di negarla, di cancellarla, di sopprimerla… Ti ha cresciuta come umana, perché non poteva accettarti come vampira.
- Ha solo obbedito agli ordini di suo padre. Friedrich è stato istruito da lui.
- È stato egoista. Egocentrico, vigliacco, rigido, chiuso… Gli umani sono tutti così, lo capirai. Io stesso l’ho imparato a mie spese, dai miei stessi genitori.
- Ma i tuoi genitori erano vampiri! – ribattei.
- Ho avuto anche genitori umani. E valgono quanto spazzatura.
- Hai avuto genitori umani?
- Già… - Raphael si fermò un istante per lasciare che riprendessi fiato . Poi tornò a farsi largo sul ripido sentiero roccioso – I miei genitori sono morti quando avevo otto anni e io sono stato affidato a genitori umani che non potevano avere figli.
- Ti hanno trattato male perché eri un vampiro?
- No, anzi… Non erano a conoscenza della mia vera natura. Ero già in grado di nutrirmi da solo e ho tenuto ben nascosto il mio segreto. Loro mi volevano bene, sembravano buoni; avevano un cane e io lo utilizzavo per nutrirmi. Qualche goccia di sangue ogni quattro o cinque giorni, il cane quasi non se ne accorgeva, non aveva paura di me.
Con un piccolo sforzo riuscii ad affiancarmi a lui. Raphael era l’unico in grado di risvegliare il mio interesse, la mia curiosità… e volevo ascoltare per bene la sua storia.
- E poi? – lo incitai.
- Poi il cane venne investito da una macchina. Il cancello era rimasto aperto e non riuscii a evitare la tragedia. Avevo quindici anni, vivevo con i miei nuovi genitori da più di sei anni; quando vidi tutto quel sangue, pensai che potessi berlo. Il cane era morto e mi spiaceva, ma se n’era andata anche la mia fonte di sostentamento. Quasi senza accorgermene mi spuntarono i canini e bevvi un sorso di sangue. Fu quell’ultimo gesto che videro i miei genitori.
- Ti videro mentre bevevi?
- Mi videro bere, videro il sangue e i canini. Stavano rientrando dalla città in quel momento. E non ci fu più niente da fare... mi mandarono via. Non raccontarono a nessuno quello che  avevano visto, solo mi cacciarono.
- Non hai detto loro che il cane era stato investito?
Raphael eruppe in una risatina amara.
- Non potevano credermi. Avevano troppa paura, terrore… ribrezzo. Mi chiamarono mostro… e assassino. Me ne andai quel giorno stesso e venni a vivere al Paese Invisibile.
- Avresti dovuto spiegarti – dissi in tono neutro – Forse, se ti fossi imposto, avrebbero capito.
Sapevo di non mostrare compassione, come non ne aveva mostrata lui quando aveva saputo dei miei genitori.
- Non c’era nulla da capire – fece lui in tono piatto – Mi è bastato guardarli in faccia un momento per comprendere che niente sarebbe mai stato come prima. Che qualcosa si era irrimediabilmente spezzato. Gli umani sono così, Melissa. Fragili e incapaci di amare, timorosi e rancorosi – si bloccò di colpo e mi guardò fisso negli occhi –Tieni bene a mente quello che ti sto dicendo Melissa, perché è per la tua sopravvivenza. Nessun umano perdona mai un vampiro!
Annuii lentamente.
- Me lo ricorderò.
Le parole di Raphael odoravano di verità. Aveva uno strano modo di guardarmi lui… di parlarmi, ripetendo spesso il mio nome.
Pensai fugacemente al rancore di Friedrich.
Ma l’assassino di suo padre non era un vampiro… O forse sì? Se lo fosse stato, sarebbe stato chiaro perché dopo tanto tempo non era ancora riuscito a liberarsi della rabbia.
Mi fermai a riprendere fiato. Il sentiero roccioso per il quale ci eravamo inerpicati stava mutando rapidamente nella via che percorreva il bosco. Ero sudata nonostante l’aria fresca e temevo di essermi scottata le spalle.
- Come hai saputo del Paese Invisibile? – domandai, cercando di raggiungere il mio instancabile compagno.
Lui non si fermò ad aspettarmi.
- Me ne avevano parlato i miei genitori. E avevano una cartina per raggiungerlo. Io ci sono stato la prima volta quando avevo dieci anni, volevo vederlo, ne sentivo la necessità. Ho detto ai miei genitori che sarei andato a un campeggio organizzato e invece sono venuto qui, sono rimasto dieci giorni e ho scoperto come fosse più facile la vita al Paese Invisibile. Le persone che lo abitano cacciano selvaggina per tutti, procurando carne e sangue. Si coltiva quel che si riesce e una volta a settimana qualcuno scende in città a fare rifornimenti. Ci scaldiamo con i camini, usiamo torce e lampade a pile per l’illuminazione, forni a legna e scaldiamo l’acqua sul fuoco. Ci sono poche comodità, ma è una vita serena. Guarda! – alzò un braccio a indicare un’area delimitata da un nastro rosso e bianco – Siamo arrivati.
Un cartello era piantato a terra : Zona militare. Vietato l’accesso.
- Non è vero, naturalmente – mi spiegò, scivolando sotto al nastro – Ma serve a tenere lontani i pochi curiosi che potrebbero aggirarsi in questa zona.
Tenne il nastro sollevato perché anch’io potessi passare. C’erano alberi ed erba alta, ma vidi in lontananza anche qualcos’altro. Sembravano casupole.
Sospirai, esausta.
Finalmente eravamo arrivati.


*************************Note dell'autrice**********************

Eccoci al principio di questa seconda parte... Spero in qualche modo di essere riuscita a incuriosirvi e
a portarvi fino a qui! Naturalmente le sorprese non sono ancora finite e per Friedrich e Melissa la strada
è ancora lunga...
Grazie a tutte le persone (siete davvero tante!) che hanno messo questa storia nelle Preferite e nelle Seguite e grazie
immensamente a chi si ferma a recensire, mi fate davvero un enorme piacere! ^^

phoenix_esmeralda








 

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Capitolo 13
*** Chi girava quella notte ***


2
 

 
Il giorno della partenza di Melissa, Friedrich non riuscì ad aprire il negozio. Subito dopo l’addio frettoloso della sorella, infilò pantaloni al ginocchio, calzettoni e scarponi, appese al negozio il cartello Temporaneamente chiuso e  uscì di casa. S’inerpicò per un sentiero che conosceva e che percorreva sempre con il nonno, camminò tutto il giorno senza riposare e senza mangiare, sfiancandosi per non pensare e senza riuscire tuttavia a smettere di farlo.
Tornò con il buio, mangiò pane e formaggio e crollò sul letto, stanco nel fisico e martoriato nella testa. Ma non riuscì a dormire.
Il secondo giorno piovigginava. Si alzò alle cinque e trenta come sua abitudine e ripeté, sotto l’acqua, lo stesso tracciato del giorno precedente. Non sentì la pioggia, né il freddo. Scivolò più volte senza accorgersene, con la testa altrove. Ora che Melissa se n’era andata, l’equilibrio della sua vita si era spaccato. Aveva bisogno di tempo per rimettersi in piedi, per ricominciare.
Di nuovo tornò a casa con il buio, mangiò poco, crollò a letto. Stavolta dormì, ma di un sonno agitato, dipinto di incubi.
E di nuovo fu in piedi all’alba, diretto nei boschi. Sapeva di avere un aspetto disastroso, un’espressione allucinata, ma non poteva fare a meno di pensare, di annientarsi per non pensare, e di pensare comunque.
La terra era ancora bagnata per la lunga pioggia del giorno prima. Friedrich s’inerpicava rapidamente, ignorando la stanchezza e la fame, ma la vista gli si stava ormai facendo appannata. A un certo punto il piede gli scivolò e, cercando invano un appiglio che lo arrestasse, si ritrovò lungo disteso nella terra umida. Batté la faccia e i gomiti, ma immediatamente cercò di rialzarsi. Si appoggiò al tronco di un albero e si tirò in piedi, ma subito venne colto da un capogiro.
- Friedrich..?
La voce era familiare. Friedrich alzò il capo incontrando uno sguardo sorpreso e spaventato. Per un momento non gli uscì alcun suono.
- Friedrich … sei tu!
- Katja...
La voce di lei  era un suono anomalo. Erano quasi tre giorni che non parlava con nessuno.
- Allora sei qui! – lei gli andò incontro, prendendolo per le spalle. Con il palmo di una mano lo pulì dal terriccio che gli era rimasto in faccia – Come sei ridotto! Ma cosa stai facendo? Gustav era preoccupatissimo. Il negozio chiuso, tu e Melissa irreperibili… che vi è successo?
Lui la fissò stralunato. Dopo tre giorni di labirintico girovagare, il suo esodo era stato bruscamente interrotto.
- Perché sei qui? – riuscì solamente a dire.
- Sono qui con i miei. Stiamo raccogliendo mirtilli, come sempre. Mentre tu non hai affatto un aspetto normale. Che cosa ci fai conciato a questo modo? E dov’è Melissa?
Lui scosse la testa, stordito.
- Friedrich, mi stai spaventando! Che cosa sta succedendo?
Notò il suo sguardo fisso  nel vuoto e lo scrollò.
- Derich… ti prego!
- Melissa se n’è andata… - sussurrò, senza cambiare espressione.
- Se n’è andata? Cosa significa?
Lui scosse la testa. Aveva inventato qualcosa in merito in quei tre giorni di elucubrazioni.
Che cosa? Un’università lontana?
Di nuovo scosse la testa senza rispondere.
- Derich!
- Devo andare.
- Andare? – fece lei allarmata – Dove? Dove vuoi andare? Non vedi come sei ridotto?
- Lasciami andare. Ne ho bisogno.
Lei cercò di trattenerlo, ma lui se la scrollò di dosso.
- Ti spiegherò più avanti Katja. Adesso no.
- Non ti lascio da solo in queste condizioni.
- Ma iovoglio stare solo!
Aveva urlato e per lei fu una sorpresa. Non aveva mai sentito Friedrich urlare, prima di quel momento. Rimase immobile, intimidita, e lui ricominciò a salire senza più degnarla di uno sguardo.
Katja restò a fissarlo allibita.
 
Quella sera, Friedrich si fece una doccia e mangiò qualcosa in più.
Si lasciò andare nel letto e si addormentò sul colpo, sprofondando in un sonno nero. Dormì profondamente fino alle sette, svegliandosi lucido e riposato. Infilò pantaloni lunghi, sportivi, e una  maglietta chiara, poi andò in cucina e mise sul fuoco il caffè. Sedette sulla soglia della cucina con la tazzina fumante, contemplando il giardino inondato di luce.
Quante volte aveva scovato Melissa seduta in mezzo all’erba, sprofondata nelle sue visioni. Quante volte si era soffermato a guardarla senza che lei lo notasse.
Il dolore era ancora tagliente come la lama di un coltello affilato. Quei tre giorni di cammino insensato l’avevano aiutato a diluire il colpo, a riportare il silenzio nella sua mente ottenebrata, a inquadrare nella realtà i fatti appena accaduti.
Aveva scongiurato il pericolo di impazzire, ma vivere senza Melissa era tutt’altro paio di maniche.
L’aveva vista nascere, crescere, cambiare. L’aveva aiutata, nutrita, istruita. Si era creduto indispensabile alla sua vita. Ed era stato un errore madornale.
Appoggiò a terra la tazzina vuota, deglutendo assieme al caffè il nodo di angoscia che gli era salito in gola.
Il negozio, la casa, il lavoro… a cos’erano serviti? Come avrebbe dato un senso diverso alle stesse cose di prima?
- Friedrich! Per la miseria ragazzo!
Alzò gli occhi di scatto e vide Gustav entrare dal cancelletto aperto. L’edicola doveva essere di nuovo temporaneamente chiusa.
- Ciao, Gustav.
- Sono tre giorni che passo a cercarvi e non mi ha mai aperto nessuno. Mi sono caduti anche gli ultimi capelli bianchi rimasti! Non fatemi mai più uno scherzo del genere, non sapevo più a che santo appigliarmi!
Friedrich si alzò in piedi con un accenno di sorriso.
 - Vieni in cucina Gus, ti do una tazza di caffè.
- Si può sapere che vi è successo? Melissa dov’è? È stata male?
Friedrich si arrestò davanti al fornello, attraversato da una fitta di angoscia.
A Gustav poteva dirlo. Doveva sapere la verità.
Versò il caffè nella tazzina, ma la mano gli tremò e la metà cadde sul lavello.
- Melissa se n’è andata.
- Andata?
Alzò lo sguardo su Gustav e si sforzò di non distogliere gli occhi.
- Con un vampiro. L’ha portata al Paese Invisibile.
Gustav sgranò gli occhi chiari, stupefatto.
- Quel vampiro da cui si sentiva attratta?
- Te ne ha parlato?
Gustav annuì e sedette al tavolo.
- Lascia perdere il caffè ragazzo, tira fuori una grappa liscia.
- Grappa? Alle otto del mattino?
- Ci vuole qualcosa di forte. Per la miseria, la piccola Melly! Com’è successo?
Friedrich posò la grappa in mezzo al tavolo con due bicchierini e sedette di fronte a lui.
- Era interessato a lei. E lei era… come affascinata da lui. Nonostante i suoi limiti e i suoi problemi, sentiva l’affinità ed era attratta da lui. Desiderava vederlo. E lui… lui la voleva. Ha fatto in modo che scoprisse la verità e quando le ha proposto di stabilirsi al Paese Invisibile, lei ha accettato senza alcuna esitazione.
- Ragazzo…
- Se n’è andata quasi senza salutare. Scusami Gus… avrei dovuto dirle di passare da te prima di andarsene ma ero… ecco… non capivo molto…
Friedrich ingollò un bicchierino di grappa senza quasi rendersene conto. Gustav lo imitò, per una volta tanto a corto di parole.
 - Avevi ragione – proseguì Friedrich – Avrei dovuto raccontarle la verità molto tempo fa. Forse non se ne sarebbe andata in modo così drastico. O forse sì… Ma era comunque insensato pensare che non se ne sarebbe mai accorta.
- Tu l’hai fatto in buona fede.
- L’ho fatto per egoismo! – scattò Friedrich – Per paura. Per egocentrismo. Aveva ragione Raphael!
- Raphael...?
- Melissa aveva il diritto di sapere la verità. Appena ha conosciuto Raphael, ha iniziato a vederlo nelle sue visioni. E questo potrebbe essere un fatto significativo per lei!
- Lo vedeva nelle visioni?
Solo in quel momento Friedrich si rese conto dell’urgenza nella voce di Gustav. Lo guardò sorpreso e si allarmò nello scoprirlo sbiancato.
- Raphael… - ripeté  Gustav – Un vampiro di nome Raphael, come…
- Come chi?
Gustav sussultò e  scrollò la testa, ma Friedrich lesse il timore nei suoi occhi.
- Cosa vuoi dire Gustav?
Lui rifiutò di parlare.
- Gustav... dimmi cosa ti passa per la testa!
Lui abbassò lo sguardo.
- C’era un vampiro di nome Raphael che girava la notte dell’omicidio di tuo padre.
- Che cosa...? – ringhiò Friedrich – Cosa significa che Raphael girava la notte dell’omicidio di mio padre?
- Lascia perdere. Non può essere lo stesso vampiro. All’epoca quel Raphael avrà avuto quattordici o quindici anni.
- Quattordici o quindici?
I conti tornavano. Poteva essere lui.
- Gustav… tu eri presente all’omicidio. Hai sempre detto che mio padre è morto dissanguato per una ferita da taglio! Ma può essere… - lo fissò a occhi sgranati – Quel Raphael che tu dici… era presente quella notte vero? Era lì!
Lui sussultò e Friedrich vide goccioline di sudore inondargli la fronte.
- Gustav! – poi Friedrich s’immobilizzò. Un ricordo si fece strada nella sua mente. Sul momento, sconvolto, non ci aveva fatto caso.
Cos’aveva detto Raphael?
“Innamorato senza speranza di una vampira, proprio come tuo padre…”
Come faceva a saperlo lui? Che ne sapeva di suo padre?
Cos’era… cos’era successo quella notte?
- È stato Raphael a uccidere mio padre – comprese all’improvviso.
La rivelazione lo paralizzò.
- Ragazzo, ti prego…
Lui non si mosse.
L’uomo che cercava da anni.
L’assassino di suo padre.
L’individuo che aveva rovinato la sua vita.
E che aveva portato via Melissa.
Friedrich scattò in piedi e batté i pugni sul tavolo.
- È stato lui, vero? Voglio la verità, Gustav!
- Ti prego Friedrich…Dimentica Raphael e quella notte. È una storia troppo vecchia ormai!
- Quell’assassino si è portato via Melissa! – urlò.
- Non le farà del male. È come lui. Che motivo può avere di farle del male?
- E che motivo aveva di uccidere mio padre? Quell’ uomo…  - si bloccò all’improvviso.
Uomo… Non un uomo.
Un maledetto vampiro!
- No, non è stato un uomo…- sibilò – Avrei dovuto pensarci. Qui da noi non accadono atrocità simili, a Gebirge nessuno ha mai fatto nulla del genere. È stata colpa di un vampiro… di uno stramaledetto vampiro!
Ci fu un secondo di silenzio.
- Sì, è così – mormorò finalmente Gustav – Ma non dovevi venirlo a sapere.
- E perché mai? Per Melissa?- ringhiò lui – Pensavate che se avessi conosciuto la vera natura dell’assassino di mio padre, avrei disprezzato anche lei?
- Tutto questo non ha più importanza adesso.
- Ne ha eccome! Sono cresciuto con il solo desiderio di trovare quell’assassino… di ucciderlo con le mie mani. E adesso posso farlo. Nessun uomo indagherà mai sull’omicidio di un vampiro che vive al Paese Invisibile.
- Ragazzo!
Lui batté il pugno sul tavolo.
Raphael… Raphael aveva ucciso suo padre, lo aveva massacrato senza motivo. Aveva distrutto la vita del padre, la sua… e aveva rovinato Melissa.
E ora… l’ aveva anche portata via.
Perché proprio lei?
Perché aveva insistito così tanto per averla?
Cosa voleva farne?
Maledetto!
Corse fuori in giardino, scagliò i pugni contro un albero, poi ancora, ancora, ancora e ancora…
Presto avrebbe colpito lo stesso Raphael. Presto avrebbe avuto la sua vendetta.
- Friedrich…
Gustav dalla soglia seguiva turbato la scena.
- Ragazzo, devi smetterla di tormentarti! Sono passati quindici anni, devi lasciarti il passato alle spalle. Hai bisogno di pace, di serenità. Dimentica quello che hai saputo.
Dimenticare?
Dimenticare?
No. Non poteva dimenticare la solitudine, la paura, il dolore, la rabbia, la fatica.
Quindici anni di odio, quindici anni che Raphael doveva ripagargli.
Non poteva dimenticare.
Non avrebbe mai perdonato.
 
 

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Capitolo 14
*** Movimenti ***


3

 

 
Quando sentii bussare alla porta, stavo raccogliendo i panni asciutti stesi al filo della finestra. L’appartamento dove mi ero sistemata non aveva che tre stanze e impiegai pochi secondi a raggiungere l’ingresso.
Dietro al battente fece capolino una testa canuta dagli stretti occhi azzurri e dalle gote raggrinzite ma rosee.
- Salve Heinrich – salutai con un sorriso.
- Buongiorno Melissa
Mi feci da parte e lasciai che si accomodasse nel piccolo salottino odoroso di vecchio.
Avevo creduto che nel Paese Invisibile mi sarebbe venuto naturale essere spontanea, così come mi era sempre accaduto con Raphael. Invece, quasi automaticamente, avevo ripreso a fingere, a manifestare emozioni che non provavo e a recitare la parte che mi ero costruita negli ultimi quindici anni.
Heinrich era uno degli anziani del Paese Invisibile. All’aspetto doveva contare almeno settantacinque anni e viveva al Paese da quaranta. Era un’autorità. Non erano molti gli abitanti permanenti del Paese Invisibile, ma quelli che vi restavano, dopo un certo periodo di tempo entravano nella cerchia governativa e iniziavano ad occuparsi dell’amministrazione del Paese. A rivestire questa carica erano ora una decina di vampiri e tutti coloro che detenevano l’incarico, a quel che avevo visto, avevano passato la sessantina. Tutti tranne uno, il più importante.
Heinrich sedette sul divano di pelle screpolata, appoggiò a terra il bastone che utilizzava per camminare e sollevò lo sguardo. Aveva un’espressione bonaria e in qualche modo mi ricordava Gustav.
- Ti trovi al Paese da tre giorni – mi disse in tedesco – Inizi ad ambientarti? Credo che questa vita sia molto diversa dalla tua precedente.
Mi sedetti di fronte a lui con un sorriso.
- È vero. Ma qui mi trovo bene, è molto tranquillo.
Lui si guardò intorno accigliato.
- Non è granché come abitazione, ma questa casa è riservata a quelli che  si trovano qui di passaggio, che vengono a procreare o a far visita al Paese. Chi è vissuto qua dentro, non l’ha mai fatto per un lungo periodo. Vedi Melissa… - appoggiò i gomiti alle ginocchia, sporgendosi verso di me – Non ci è ancora chiaro il periodo di tempo per il quale intenderesti fermarti.
Mi strinsi nelle spalle.
- Questa casa va benissimo, non è un problema. E non ho ancora deciso per quanto tempo restare, se fermarmi qui stabilmente o solo per un certo periodo. Probabilmente dovrei discuterne con Raphael.
Lui annuì pensoso.
- Il motivo per cui Raphael ti ha condotta qui è evidente. Ma non può costringerti a restare per sempre, se non lo desideri. Il Paese Invisibile è un’oasi di pace per chi si avvicina all’ultima fase della propria vita, ma non offre molte occupazioni ad una ragazza giovane.
- Ma io non mi annoio! – protestai – Sto bene in mezzo ai boschi e gli altri vampiri sono gentili. Gli anziani ricordano tutti sia mio padre che mia madre e me ne parlano spesso.
Heinrich annuì, ma non  sembrò convinto.
- Senta Heinrich… Cosa intendeva, dicendo che è evidente il motivo per cui Raphael mi ha condotta qui?
L’uomo sgranò gli occhi azzurri, acquosi, e fui sicura di vedere sorpresa sul suo volto.
- Melissa, cara… veramente non hai intuito le intenzioni di Raphael?
Mi strinsi nuovamente nelle spalle.
- Eppure l’hai seguito.
- Perché è un vampiro come me. E volevo vedere il Paese Invisibile.
- E non ti sei chiesta perché Raphael sia venuto a cercare proprio te?
Non mi era mai passato in testa nulla di simile.
- È venuto a cercare proprio me? – chiesi, rigirando la domanda.
- Ha lasciato appositamente il Paese Invisibile per raggiungerti al tuo paese e portarti con sé.
Sbattei le palpebre confusa. Cosa significava?
Io ero convinta che Raphael mi avesse incrociata per caso. Invece…
Allora mi conosceva già da tempo?
- Parlane direttamente con lui – mi suggerì Heinrich – È ora che Raphael ti spieghi le sue motivazioni.
Assentii, interpretando un’espressione perplessa.
- A dire il vero non l’ho visto molto in questi tre giorni.
Lui alzò il braccio in un gesto vago.
- È stato via parecchio. Doveva mettersi in pari con diverse questioni.
Mi alzai e tornai verso la finestra, dove attendevano i miei panni stesi.
- Sono rimasta sorpresa nello scoprire che Raphael è il vampiro che riveste più autorità qui al Paese.
- Raphael è un vampiro schivo – convenne Heinrich – Ma è naturale che sia lui la nostra colonna portante. Vive al Paese da quindici anni, ma è giovane, intelligente e responsabile. Noi anziani portiamo il peso dell’esperienza e della tradizione, ma Raphael ha forza e ingegno. E ama la nostra razza, non desidera che il meglio per noi; Merita appieno la nostra fiducia. Noi lo aiutiamo e alleggeriamo il suo carico, ma è lui a portare avanti l’organizzazione del Paese e i contatti con il mondo umano. Raphael è al passo con i tempi ed è in grado di risolvere problemi che a volte noi neppure vediamo.
Annuii, fingendo di aver compreso appieno quella lunga spiegazione.
Che Raphael tenesse ai vampiri mi pareva evidente, ma l’organizzazione del Paese Invisibile era per me ancora una questione complicata.
- Sarà meglio che vada – decise Heinrich, sollevandosi dal divano con l’aiuto del bastone – Volevo solo assicurarmi che tu non avessi problemi. Ricorda che sei la benvenuta, puoi fermarti per tutto il tempo che desideri.
- Grazie Heinrich… - appoggiai i panni appena raccolti sul divano per accompagnarlo alla porta.
- Mi raccomando – fece lui, una volta sulla soglia – Parla con Raphael il prima possibile. È importante che tu sappia perché ti ha condotta qui.
- Gli parlerò  - lo rassicurai, mentre usciva.
Sempre che Raphael avesse voluto discuterne con me, non era stato facile incrociarlo in questi tre giorni. Nel momento stesso in cui aveva messo piede al Paese Invisibile, era stato subissato di richieste e di problemi.
Mi aveva presentata agli anziani, mi aveva assegnato una casetta e mi aveva detto di fare quello che avessi voluto. Poi era scomparso nel marasma di problemi che fioccavano da ogni parte e non l’avevo più visto, se non un’ora in tre giorni.
Mi aveva rassicurata sul fatto che, risolte le questioni più urgenti, avrebbe avuto più tempo da dedicarmi. E così attendevo fiduciosa.
Mi sporsi dalla finestra, aspirando il profumo del bosco. Una ragazza appena giunta al Paese mi salutò con simpatia. Da qui, la gente andava e veniva come preferiva, era un Paese nato apposta per offrire ristoro.
Raphael mi aveva presentata a tutti come la figlia di David ed Helena. Questo aveva suscitato notevole interesse fra i più anziani che ricordavano i miei genitori. Ricordavano in particolar modo mio padre, una persona forte, autorevole e dotata di qualità speciali. Presentava qualche similitudine con gli antichi vampiri, con la loro forza… Allora credevano che avrebbe avuto figli speciali. Figli simili ai vampiri della vecchi generazione.
Ma così non era stato, era necessaria una sola occhiata attenta, per capire che io non avevo nulla di speciale.
Ciò che più mi incuriosiva era il fatto che Raphael avesse conosciuto i miei genitori. Li aveva incontrati? E come poteva sapere che io ero loro figlia?
Stare al Paese Invisibile mi stimolava: provavo curiosità per diverse cose, in misura molto maggiore che mai in vent’anni di vita con Friedrich.
Friedrich…
Già.
Raphael aveva detto che Friedrich mi amava e lui non aveva negato.
Aveva sofferto per la mia partenza? Mi ero mostrata insensibile nei suoi confronti?
Mi strinsi nelle spalle rassegnata.
Acqua passata.
Adesso avevo una nuova vita.


 

4
 

 
- Friedrich, ragazzo… dammi retta, lascia perdere!
Friedrich non prestò minimamente ascolto alle suppliche di Gustav e proseguì imperterrito nella sua ricerca.
Da quando il mattino prima aveva deciso di raggiungere Raphael e Melissa, Gustav gli si era appiccicato addosso come una mosca, e non era più riuscito a toglierselo di torno.
Ma Friedrich non aveva più tempo da perdere. Erano due ore che rovistava in mansarda, dentro a bauli e scatoloni, e ancora non aveva trovato quello che cercava.
La luce del sole dipingeva di oro il pavimento in legno e restituiva alla soffitta quel calore di cui era stata privata da tempo.
Quando erano bambini, lui e Katja erano saliti spesso a giocare in mansarda. Non mancavano di fantasia e quella stanza stretta e bassa si era di volta in volta trasformata nel salone di un castello, in una foresta selvaggia, nella sottocoperta di una nave.
A Friedrich si strinse il cuore, mentre vagava con il pensiero fino a quei giorni.
Melissa in quel periodo possedeva la padronanza dei propri sentimenti e il padre era ancora vivo. Scherzava sempre sul fatto che lui e Katja, in inverno, si rintanassero per ora in quel “buco gelido e spoglio”. Ma la luce del sole invernale, il lume delle candele nel buio, il silenzio di quella stanza, non erano altro che il passaporto per un viaggio verso un altro mondo. Il mondo suo, di Katja, e di tutti i personaggi che popolavano i loro giochi.
Dopo la morte del padre, Friedrich aveva smesso di giocare in soffitta. L’atroce dolore della perdita subita, le condizioni preoccupanti di Melissa e, in seguito, il suo cambiamento, l’avevano tenuto distante dal suo piccolo regno.
Quando era tornato in mansarda, pochi mesi dopo l’omicidio, aveva passato lo sguardo sul pavimento in legno e le pareti spoglie, e non aveva visto nient’altro che una stanza vuota. Aveva capito, all’improvviso, di essere diventato troppo grande per giocare.
Non aveva più chiesto a Katja di salire in soffitta e lei si era preservata dal domandargliene il motivo. Poco tempo dopo, in mansarda erano state spostate tutte le cose di suo padre, e in breve tempo era diventata un ripostiglio.
I ricordi della sua infanzia bruciavano ancora: Friedrich non aveva smesso di giocare perché era naturalmente cresciuto. Era stato Raphael a porre fine bruscamente alla sua infanzia. Un altro debito da saldare.
- Ragazzo, potresti aspettare almeno qualche giorno e cercare di calmarti!
- Calmarmi? Credi davvero che riuscirei a calmarmi?
Friedrich aprì un vecchio baule di cui non ricordava neppure l’esistenza e iniziò a passare in rassegna le scartoffie orami ingiallite.
- Non puoi pensare che quel vampiro abbia preso con sé tua sorella per farle del male!
Friedrich alzò la testa di scatto.
- Gustav… Quell’individuo ha ucciso mio padre. E voleva a tutti i costi Melissa! Perché? Che intenzioni ha?
- Forse c’è una cosa che non riesci a tenere a mente, ragazzo... Melissa è come lui! Sono vampiri. Ci sono questioni che solo loro possono sbrigare.
- Solo loro? – Friedrich era esterrefatto – Gus… Non t’importa nulla di Melissa?
- Certo che m’importa! Non sai quanto desidererei che la piccola Melly fosse ancora qui. E sono preoccupato per la sua partenza. Ma ancora di più mi preoccupi tu. Sono molto più preoccupato per quello che potresti fare in queste condizioni! Non avrei dovuto parlarti di Raphael… Non avresti dovuto scoprire nulla di più su quella notte. Il tuo rancore è pericoloso, il tuo desiderio di vendetta non è sano. Ti metterà in grossi pasticci!
Friedrich aprì nervosamente una busta e ne scorse il contenuto distrattamente, turbato dalle parole di Gustav. Ma subito si immobilizzò.
Aveva trovato quello che cercava.   
Distese a terra con cura il foglio e ne lisciò le pieghe. La carta crepitò sotto le sue dita e Friedrich ne seguì con interesse le linee tracciate.
Eccola, la cartina con la strada per raggiungere il Paese Invisibile. Sapeva che suo padre l’aveva conservata!
Era appartenuta alla madre  di Melissa, un tesoro prezioso per un vampiro. Agli esseri umani era proibito l’accesso al Paese Invisibile, chi vi si arrischiava veniva condannato a morte assieme al vampiro che ve l’aveva condotto.
- Grazie a questa, potrò raggiungere Melissa!
Gli occhi di Gustav si incupirono.
- E con il negozio come farai?
- Chiuso per ferie – lo liquidò lui.
- Ferie? Friedrich, questo è il momento migliore per te! Sono i quindici giorni che ti assicurano le maggiori entrate dell’anno, è una pazzia chiudere ora!
- Allora farò una pazzia – rispose lui – Da quando avevo diciassette anni, non ho fatto altro che lavorare senza riposo. Così come il papà e il nonno prima di me, senza mai godere un centesimo dei nostri guadagni. Ho molti soldi da parte Gustav. Miei, del papà, del nonno… Sono stanco di accumularli, non mi serve a nulla! Chiuderò per ferie e domattina partirò in cerca di Melissa e Raphael.
Gustav si appoggiò stancamente al muro. Sembrava sfinito.
- Cosa farai quando li troverai?
Friedrich non rispose. Continuò a lisciare la piantina sul pavimento.
- Ragazzo…
Nuovamente lui non rispose. Sapeva che il suo silenzio stava spaventando Gustav.
Ma le parole con cui avrebbe dovuto rispondere, lo avrebbero addirittura terrorizzato.
 
 

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Capitolo 15
*** La questione dei figli ***


 

5
 

 
- Ecco qua, questa è l’ultima cassetta!
Appoggiai il pesante scatolone sul pavimento oltre l’ingresso e mi asciugai il sudore dalla fronte con il dorso della mano. La schiena iniziava a dolermi.
La padrona di casa, una vampira di settantadue anni dai capelli candidi raccolti in trecce, mi sorrise con gratitudine.
- Mi hai fatto un favore immenso cara! Il carico di frutta è arrivato stamattina dalla città e non avrei saputo come portar dentro da sola le cassette. Di solito è Raphael che mi aiuta.
Raphael, Raphael… Gli abitanti del Paese non sembravano in grado di portare a termine un discorso senza nominarlo almeno una volta. Raphael era ovunque, faceva tutto, si occupava di ogni cosa. Veniva da chiedersi come fossero riusciti tutti quanti a sopravvivere nelle due settimane in cui Raphael era rimasto a Gebirge.
- Tieni cara, ti ho preparato un bicchiere di succo di mele.
Accettai la bevanda ricordandomi di sorridere e mi lasciai cadere su una sedia di legno.
Edith non era la prima vampira che aiutavo quel giorno. Mi ero messa al servizio di molti abitanti del Paese, che mi avevano volentieri delegato qualcuna delle loro incombenze. A casa ero abituata a lavorare, mentre al Paese non avevo altro impegno se non tenere in ordine la mia minuscola casetta. Gustav avrebbe approvato la mia disponibilità verso gli altri.  La gente apprezza disponibilità e gentilezza.
- Anche tuo padre mi aiutava sempre – disse Edith all’improvviso – Aveva la tua stessa gentilezza e la tua stessa cordialità. Era una persona eccezionale! Sapeva leggere i nostri bisogni e faceva tutto quanto poteva per venirci in aiuto. David era un grande vampiro.
Ascoltai con attenzione, senza sapere cosa rispondere. Provavo la stessa sensazione quando le mie  compagne di classe facevano apprezzamenti su Friedrich.
Qui al Paese, ogni anziano ricordava mio padre con un entusiasmo che difficilmente riuscivo a spiegarmi. David si curava dell’amministrazione del Paese e aveva ricoperto quel ruolo che ora toccava a Raphael. Ricostruendo i tempi dalle narrazioni, mi era sembrato di comprendere che Raphael fosse arrivato al Paese poco dopo la morte di mio padre. E tuttavia, lui ne parlava come se l’avesse conosciuto.
- Edith? Permesso.
Quasi evocato dalle mie congetture, Raphael varcò la soglia della casetta, fermandosi nell’ingresso.
- Vedo che hai già risolto il problema della frutta - proseguì, adocchiando le cassette depositate a terra. Sollevò lo sguardo su di me e mi rivolse un breve sorriso ambiguo. Indossava jeans neri e una camicia scura dalle maniche lunghe, che lo facevano apparire ancora più alto e sottile. Non avevo mai visto Raphael indossare altro colore che il nero.
- Raphael! – trillò Edith con gioia, quando ebbe realizzato chi occupava la soglia di casa – Vieni a sederti!  Prendo un bicchiere anche per te.
- Ti ringrazio – sorrise lui, con uno sguardo più innocuo – Ma ho già bevuto un bicchiere per ogni casa in cui sono passato. Ancora uno e farei fatica a restare in piedi!
Poi tornò a guardare me e di nuovo apparve un’ombra nel suo sorriso.
- Cercavo te, Melissa – mi disse, abbassando leggermente il tono – Contavo di trovarti in casa, ma non mi ha risposto nessuno. Sono arrivato qui seguendo la scia degli elogi di tutte le persone che hai aiutato oggi.
Mi strinsi nelle spalle.
- Non avevo altro da fare…
- Ora ho un po’ di tempo libero – tagliò corto lui – Vorrei fare due passi nel bosco con te.
Annuii, alzandomi di scatto.
- Grazie per il succo Edith – dissi, sforzandomi di lasciar trapelare gratitudine dalla mia voce. In presenza di Raphael, recitare diventava improvvisamente faticoso.
- Grazie a te, cara. Raphael, abbi cura di questa ragazza. È un vero tesoro!
Lui aprì la porta e con galanteria mi fece passare avanti. Rivolse un sorriso affascinante a Edith e lei si sciolse in brodo di giuggiole. Non era particolarmente bello, la bocca era troppo sottile, gli occhi stretti, il volto affilato. Ma i suoi modi galanti e allo stesso tempo imperiosi possedevano un vero carisma.
Raphael camminò in silenzio di fronte a me per un breve tratto. Mi condusse dove il sentiero si restringeva e i pini si facevano più fitti. Era la prima volta che restavamo soli da quando avevamo messo piede al Paese Invisibile.
Senza voltarsi a controllare se lo seguivo, uscì dal percorso segnato e si arrampicò sopra a sassi ed aghi di pino. Lo seguii incespicando nel vestito e chiedendomi se anche gli altri abitanti del Paese si comportassero a quel modo, andando dietro a Raphael senza porgli una sola domanda su dove li stesse conducendo.
Io non temevo Raphael. Non potevo temerlo. Ma sapevo che il suo sguardo scuro e tagliente avrebbe ispirato paura in chiunque fosse stato in grado di provarla.
Raphael scovò il tronco di un pino caduto, ne saggiò la stabilità e vi sedette sopra. Solo allora mi guardò.
In silenzio, mi sedetti accanto a lui. Nonostante mi trovassi già da quattro giorni al Paese invisibile circondata da nient’altro che vampiri, Raphael continuava a esercitare su di me la stessa attrazione.
‘Perché sei come lui’, aveva spiegato Friedrich. Ma ero anche come tutti gli altri abitanti del Paese. Perché solo Raphael mi rendeva così differente dalla solita me stessa?
Emozioni.. Brandelli di emozioni che fugacemente attraversavano la mia coscienza, prima di disperdersi nel nulla. Curiosità, interesse, attrazione, smarrimento, impazienza… Sensazioni di cui conoscevo solo il nome, di cui sapevo riconoscere le manifestazioni sui volti altrui, e che ora riconoscevo anche per me, a tratti, in modo sfumato. Erano sensazioni che apparivano per poi subito nascondersi… e uscire di nuovo allo scoperto tempo dopo per un’altra fugace apparizione, magari sotto una sembianza diversa.
E c’era ancora Raphael nelle mie visioni, i suoi occhi e talvolta anche il suo sorriso. Comparivano all’improvviso e il mio cuore tremava in un sussulto di angoscia e di terrore. La visione allora, esplodeva come una bolla di sapone, lasciandomi a fissare il vuoto con la sensazione di aver aperto gli occhi su qualcosa di importante. Importante e temibile.
- Melissa…
Gli occhi di Raphael erano indagatori.
- Stai pensando a qualcosa di pericoloso.
Non era una domanda. Rimasi in silenzio.
Sulle sue labbra apparve un accenno di sorriso. Ambiguo.
- I tuoi occhi erano quasi diventati scuri. Anche a tua madre succedeva, quando qualcosa la turbava. Il tuo aspetto è identico al suo, anche se sei bionda come tuo padre.
Mia madre, mio padre…
- Raphael … - dissi finalmente – Perché mi hai portata al Paese Invisibile?
Lui strinse gli occhi.
- Mi hai seguita spontaneamente.
- Ma tu volevi portarmi con te. Hai messo Friedrich alle strette perché venisse a galla la verità.
- Non apprezzo che si cerchi di annullare la natura dei vampiri – ripeté, come già aveva detto una volta – Noi abbiamo diritto di esistere. E siamo ancora i più forti!
- Perché mi hai portata qui? – insistetti.
Il sorriso di Raphael si fece obliquo.
- D’accordo.Volevo addolcirti la questione, renderla più spontanea… Ma visto che qualcuno ti ha messo la pulce nell’orecchio, non vedo motivo di tirarla per le lunghe.
I suoi occhi mi trafissero come lame di pietra nera.
- Voglio un figlio da te.
Un figlio...?
La parola galleggiò priva di senso nella mia testa per un lungo istante.
- Ho aspettato per quindici anni che tu crescessi – proseguì Raphael – Ti ho fatto prendere coscienza della tua natura, ti ho portata al Paese Invisibile. Quando sarà il momento, mi darai dei figli.
Scossi la testa lentamente, cercando di afferrare il senso delle sue parole.
Dei figli...?
Figli da me?
Ma i figli andavano amati! Lo diceva Gustav, lo dicevano tutti… persino la televisione! E io non potevo amarli… E non potevo mettermi a fingere di amare i miei figli!
Fissai Raphael a occhi sgranati e per un fugacissimo istante provai una fitta di sgomento.
- I figli si fanno con l’atto sessuale – riuscii a dire. La mia voce era atona come sempre.
Per un momento Raphael sembrò divertito.
- Sì, ne sono consapevole.
Mi scostai i capelli dal viso, riflettendo. Avevo sempre rifiutato di fare sesso con chiunque. Tolleravo a volte che i ragazzi con cui uscivo mi baciassero, ma il più delle volte ne ricavavo una sensazione sgradevole. Sgradevole come quando era ora di chiudere il negozio e gli ultimi clienti non si decidevano a uscire. Come quando dimenticavo la carne sul fuoco e la cucina si colmava di fumo e di cattivo odore. Come quando la sveglia suonava e io avevo ancora sonno.
Gustav diceva che la sgradevolezza era causata dalla mia mancanza di coinvolgimento emotivo. Ma che coinvolgimento emotivo potevo aspettarmi da me stessa?
E il sesso era certamente peggio. Non mi andava.
E neanche i figli.
- No – dissi.
- No cosa? – Raphael non smetteva di fissarmi.
- Non voglio.
La linea della sua bocca si fece più dura.
- Non intendo prenderti con la forza.
- Bene – risposi.
Raphael sorrise.
- Quello che intendevo è che dovrai fartene una ragione e acconsentire spontaneamente.
- Non sono in grado di allevare dei figli – spiegai – Non saprei da che parte iniziare!
Raphael scrollò le spalle. La cosa non sembrava preoccuparlo minimamente.
- Ho intenzione di lasciarti ancora un po’ di tempo per abituarti a questo posto. Certamente vedrai altri vampiri venire qui con il mio stesso obiettivo e capirai che per la nostra razza è una cosa assolutamente naturale – mi lanciò un’occhiata di sottecchi – Probabilmente qualcun altro ti farà la mia stessa proposta.
- Non cambierò idea.
- Non cambiarla con gli altri se non vuoi –fece lui, alzandosi – Ma con me dovrai farlo. Ho autorità qui, Melissa. Chiunque riconoscerebbe il mio diritto!
Automaticamente mi alzai in piedi. La terra friabile cedette sotto le mie scarpe e persi l’equilibrio. Raphael mi afferrò per un braccio.
- Vieni – disse – Ho ancora un po’ di tempo, questa sera cenerai con me.
Ripresi a seguirlo docilmente, ripensando al discorso appena interrotto.
Dei figli. Da me.
Perché proprio da me?
Ho aspettato per quindici anni che tu crescessi…
Quindici anni…
Di nuovo una fitta di sgomento.
Poi riandai con la mente alla mia visione. La notte, gli alberi, le stelle… E gli occhi di Raphael, la sua bocca contratta…
Chiusi gli occhi di colpo.
Aspirai a fondo e lentamente ogni sensazione si spense.
A difesa di me stessa, il vuoto riprese il sopravvento.
 
 
 

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Capitolo 16
*** Centotrentuno e stanze doppie ***


6
 

 
Friedrich chiuse lo zaino con un gesto secco e infilò gli scarponi ai piedi. Tutto attorno a lui era preparato alla sua assenza: la saracinesca abbassata, il biglietto sulla porta del negozio, le imposte serrate, la luce, il gas e l’acqua chiusi. Gustav sarebbe passato ogni tanto a dare un’occhiata.
Friedrich si era aspettato di trovarselo intorno anche quel mattino, non riusciva a credere che Gustav si sarebbe arreso: sembrava intenzionato in ogni modo a frenare la sua vendetta.
Invece la mattinata si stendeva limpida e silenziosa attorno a lui, e di Gustav nessuna traccia.
Chiuse a chiave la porta della cucina e attraversò il giardino con lo zaino in spalla, come aveva fatto Melissa sei giorni prima. Era domenica primo agosto e l’ultima parte dell’estate si prospettava finalmente desiderabile: dopo quindici anni di attesa, aveva un’occasione concreta di vendicare il padre, Melissa e se stesso.
Si fermò a chiudere anche il cancelletto del giardino, nonostante chiunque avrebbe potuto scavalcarlo.
Voltandosi, notò una figura ferma a pochi metri dal muretto. La luce livida dell’alba rendeva estranei i lineamenti del suo viso e, in un primo istante, Friedrich non la riconobbe. Poi fu lo stupore ad ammutolirlo.
- Buongiorno Derich!
Katja era in piedi in mezzo al viottolo, vestita con un felpa pesante e pantaloni lunghi, sportivi. Come lui, portava un grosso zaino in spalla. Un cappello bianco le pendeva dalla cintura dei calzoni, e gli occhiali da sole erano fermati in testa.
- Katja! – eruppe lui, quando trovò la voce – Che cosa ci fai qui?
- Vengo con te  – rispose lei, con un sorriso disarmante.
La sua semplicità lo lasciò nuovamente ammutolito.
- Sono già le sei e mezza – si lamentò lei – Ti sto aspettando da tre quarti d’ora. Conoscendoti, pensavo che saresti partito non appena il cielo si fosse un po’ schiarito. E invece non arrivavi più!
- Dovevo sistemare un po’ di cose… - si giustificò lui con un filo di voce. Poi si rese conto dell’assurdità della situazione.
- Perché mi stavi aspettando? – sbottò – Cosa significa quello zaino?
- Vengo con te, te l’ ho detto – brontolò lei, mettendo il broncio – È stato Gustav a chiedermelo!
- Gustav ti ha chiesto di venire con me? – trasecolò lui.
- Esatto! Mi ha chiesto di tenerti d’occhio e di evitare che tu faccia sciocchezze.
Friedrich si portò una mano alla fronte, spossato. Si stropicciò gli occhi con il pollice e il medio, cercando di recuperare il filo della matassa.
Gustav del cavolo…
- Senti Katja… non so cosa ti abbia detto Gustav, ma non posso portarti con me.
- Gustav mi ha raccontato ogni cosa – lo sorprese lei – Dei vampiri, di Melissa, di questo Raphael… Oh, non fare quella faccia! –  scoppiò a ridere – Ho pensato che fosse impazzito  naturalmente! Ma certe cose che mi ha detto… e il tuo atteggiamento nel bosco l’altro giorno… - si strinse nelle spalle - … beh, voglio venire a verificare di persona.
- Ma… ma… ai tuoi cosa dirai?
- Ho detto che facevo una vacanza di qualche giorno con te – rispose lei, tranquilla.
- Con me?
- Che c’è di strano? – Katja sembrava sorpresa – Siamo amici di vecchia data, non ci vediamo da un po’… che c’è di strano nel trascorrere qualche giorno insieme? E poi i miei hanno un’ottima opinione di te.
Friedrich scosse la testa allibito e aggiustò il peso dello zaino sulle spalle.
- Katja… - cominciò con tono paterno – Questo non è un viaggio di divertimento…Io… - si decise a dirlo – Sto andando ad ammazzare un vampiro.
- Lo so – ribatté lei tranquilla – È per questo che devo venire con te! È il motivo per cui Gustav mi ha chiesto di accompagnarti.
- Non c’è nulla che tu possa fare per fermarmi – si oppose lui – Non so perché Gustav abbia pensato di coinvolgerti, ma la tua presenza qui è una vera sciocchezza – notò lo sguardo deciso di lei. Disperò di riuscire a convincerla – Raphael è pericoloso. Sto andando in un posto pieno di vampiri! Se mi scoprono non so cosa mi succederà.
- Non ho paura – rispose lei.
Nella testa di Friedrich quella stessa frase risuonò ripetuta all’infinito da una Katja di volta in volta più giovane. Non ho paura, diceva Katja, quando escogitavano soluzioni che i genitori avrebbero punito severamente. Non ho paura, quando di sera facevano incursioni al cimitero come prova di coraggio.
Non ho paura, anche se affrontavano sentieri pericolosi.
Anche se i ragazzi più grandi minacciavano di picchiarla.
Katja si lanciava nel vuoto. Quando erano andati in piscina la prima volta e non sapevano ancora nuotare, si era buttata a capofitto nella vasca più profonda.
Katja si metteva in mezzo alle liti tra bambini, o salvava gattini dai cani inferociti.
Katja l’avventuriera, la sua compagna di scappatelle.
Si sentì diviso.
Katja non c’entrava nulla con quella storia, era assurdo tirarla in mezzo. Ma eccola davanti a lui, sicura e sprizzante di entusiasmo, lo zaino in spalla, pronta a imbarcarsi con lui in quella pazzia.
- Verrò con te – ripeté lei, intuendo i suoi pensieri – Ti ho visto ridotto male l’altro giorno, da solo finirai davvero per metterti nei guai. Non riuscirai mai a lasciarmi qui, rassegnati!
- Farò comunque quello che devo fare – disse lentamente Friedrich – Non potrai impedirmelo anche se verrai con me.
Katja sorrise in modo impertinente e girò su se stessa.
- Allora, andiamo? Da che parte si va?
- Prendiamo la macchina.
Friedrich la guidò verso l’angolo dove normalmente la lasciava parcheggiata. Avvicinandosi, estrasse le chiavi. Che pazzia…
- Non ci posso credere! – sentì urlare alle sue spalle – Ancora questo rottame! Ma non avevi deciso di buttarlo tre anni fa?
Friedrich osservò con interesse la sua centotrentuno grigia e gettò un’occhiataccia all’indirizzo di Katja.
- Funzionava ancora.
- E non l’hai cambiata..? Derich… questa macchina è un pezzo d’antiquariato! Avrà almeno vent’anni!
- Ventiquattro – precisò lui, girando la chiave – Era di mio nonno.
Katja aprì la portiera con cautela, aspettando che le rimanesse in mano.
- Sono sicura che tre anni fa si fosse fermata su una salita e tu non fossi più stato in grado di farla ripartire!
- È vero – convenne lui.
Seduti ciascuno dal proprio lato, si fissarono in silenzio.
- È stato allora che hai detto che l’avresti cambiata – gli rammentò Katja – Invece è ancora qui.
- Volevo fare una statistica di quante volte si sarebbe fermata. In discesa va benissimo!
Lei lasciò cadere la testa sullo schienale, in segno di sconforto.
- Hai sempre avuto la mentalità di un settantenne!
Friedrich la ignorò e allacciò la cintura di sicurezza.
- Fallo anche tu – la redarguì.
Katja lottò con la cintura perché le si allacciasse intorno al corpo, poi lanciò un’occhiata acida all’indirizzo di Friedrich.
- Ti è sempre mancato il senso dell’umorismo – gli disse – E anche l’ironia. E l’autoironia! Altrimenti capiresti quanto sei ridicolo su questo trabiccolo!
- Se dici ancora una parola ti lascio a piedi.
- Oh, d’accordo! Dammi la cartina, fammi vedere dove siamo diretti!
Friedrich le passò il foglio che aveva in mano.
- Voglio fare in macchina quanta più strada possibile – le disse – Prima di  notte saremo in questa zona -  Indicò un punto sulla cartina – Dormiremo nel bosco e ripartiremo all’alba. Hai con te il sacco a pelo?
- Ce l’ho – disse lei, indicando lo zaino – Ma in questa zona vedo segnato un rifugio. Possiamo dormire qui, non c’è bisogno di passare una notte all’addiaccio.
Friedrich scrutò la piantina nel punto indicato da Katja.
- Per stasera quel rifugio lo avremo passato da un pezzo – commentò.
- Ci arriveremo a malapena. Perderemo un bel po’ di tempo quando la tua macchina ci lascerà a piedi.
- Sciocchezze!
Friedrich girò la chiave e la macchina emise un rombo gracchiante.
- Sembra un aereo in partenza! – sbuffò Katja, ma lo sguardo di Friedrich l’ammutolì.
Contro ogni aspettativa, la centotrentuno si mosse.

 

  


*   *   * 

 

 
 
- Prova a dare una spinta adesso!
Katja fece leva sugli scarponi e, piegata in avanti con i palmi aperti sul baule dell’auto, fece pressione con tutta la forza che aveva. La macchina non si spostò di un millimetro.
- Katja..?
Lei appoggiò le mani ai fianchi, indignata.
- Basta Derich, non ci riesco! Spostare la macchina con te sopra su questa salita verticale è improponibile!
Alzò lo sguardo sulla strada che avevano di fronte: salita e curve per chissà quanti altri chilometri.
- Arrenditi, non ripartirà mai!
- Ce la posso fare invece – s’intestardì lui – Bisogna darle tempo!
- Tempo? È un’ora e mezzo che siamo fermi in questo punto e l’unico risultato ottenuto è che ti è quasi rimasto in mano il cambio!
Friedrich aprì un cassetto interno ed estrasse un quadernetto. Katja lo vide segnare qualcosa a biro.
- Cosa stai facendo?
- Annoto questo piccolo incidente. È per la mia statistica.
Un silenzio gelido fece seguito alla sua affermazione.
- Potresti provare a metterti tu alla guida… - le propose dopo un po’.
Katja strabuzzò gli occhi e afferrò la cartina appoggiata all’altro sedile. La studiò per alcuni secondi.
- C’è un paesino fra cinque chilometri. Andiamo là a piedi e aspettiamo una corriera che ci porti fino alla funivia.
- Non vorrai lasciar qui la mia macchina!
- Funziona bene in discesa, no? – lo canzonò lei – La riprenderemo al ritorno.
Friedrich fissò dubbioso il volante della centotrentuno.
- Lasciami provare ancora un po’ – disse infine, sotto lo sguardo acido di Katja.
 
Arrivarono al rifugio attorno alle venti e trenta, stanchi e affamati. Friedrich era impensierito per la sorte della sua auto, abbandonata pericolosamente in una rientranza della strada.
Ordinarono per cena quel poco che era rimasto e mangiarono in silenzio. La stanchezza e l’umore cupo di Friedrich aleggiarono su di loro per tutto il tempo.
Dopo cena, Katja si informò sulle camere libere, mentre Friedrich, assorto, continuò a studiare la cartina rammaricandosi del tempo perso. Il suo pensiero volò a Melissa e per l’ennesima volta si domandò cosa stesse facendo. Era preoccupato e nessuna considerazione riusciva a rassicurarlo. Melissa e Raphael erano entrambi vampiri, ma questo non rendeva Raphael meno pericoloso.
Perché voleva Melissa? Perché aveva ucciso suo padre?
Il paesaggio al di fuori del rifugio era illuminato solamente dal riflesso della luna piena.
Il cielo blu schiarito, le sagome nere delle montagne stagliate sullo sfondo, le macchie dei boschi confuse nell’oscurità…
E tu cosa vedi Mel? Raphael è con te?
- Derich vieni, è tutto a posto!
Lanciò un’occhiata dietro di sé e scorse Katja che gli faceva cenno di entrare. Abbandonò l’oscurità di malavoglia e salì le scricchiolanti scale di legno in un silenzio assorto. Ritrovò la parola solo quando si rese conto che Katja aveva prenotato una stanza doppia. Era piccola e odorosa di legno, con il letto matrimoniale grande, coperto dai piumini ripiegati su se stessi. I comodini erano bassi e alle pareti pendevano foto ingiallite delle Dolomiti.
Friedrich fissò Katja sbalordito, ma lei sembrava improvvisamente interessata alle Tre Cime di Lavaredo che occupavano la parete dietro alla porta.
- Perché hai preso una stanza doppia? – le domandò infine.
- Beh… è più economico…
- Economico? – sbalordì Friedrich – Hai insistito per dormire al rifugio nonostante avessimo i sacchi a pelo e poi prenoti una sola stanza per risparmiare qualche euro?
Katja gli dedicò uno dei suoi sorrisi innocenti.
- Mettila così: potremo restare sul letto a chiacchierare dei vecchi tempi finché non cadremo addormentati.
- Il che accadrà ben presto – borbottò lui. Gettò un’occhiata all’orologio: erano quasi le ventidue e il peso della giornata stava ricadendo interamente sulle sue palpebre.
- Io faccio una doccia – annunciò Katja, dando un’occhiata al minuscolo bagno.
Friedrich annuì e si gettò sul letto come un sasso.
- Derich..? – si sentì chiamare.
Dando fondo a tutte le energie rimaste, lui riaprì un occhio.
- Mmh..?
- Dopo ti laverai anche tu, vero?
Notò la traccia ansiosa nella sua voce. Katja era un groviglio di contraddizioni.
L’avventuriera schizzinosa.
- Beh… sì…magari più tardi…
- Hai già la voce impastata! – lo accusò lei – Avanti, vai in bagno per primo, altrimenti aspettando ti addormenterai e non riuscirò più a farti lavare. Non voglio dormire con  un uomo puzzolente!
Friedrich grugnì, ma si sollevò dal letto. Temporeggiare avrebbe solo ritardato il momento di dormire. Si trascinò in bagno tirandosi appresso lo zaino.
La presenza di Katja era inaspettatamente gradevole. Concentrato sulla sua vendetta, l’aveva presa con sé come si prende in spalla un carico di cemento, invece si era sorpreso di scoprire che gli mancavano quei loro continui battibecchi, la grinta dominatrice di Katja e il suo fare sicuro e disinvolto.
Ma temeva l’arrivo al Paese Invisibile. Se Katja aveva deciso di ostacolarlo, sicuramente avrebbe escogitato qualcosa. Ed era pericoloso.
Un paese di vampiri… di nemici che non avrebbero tollerato la presenza di due esseri umani!
Uscì dalla doccia gocciolante, si asciugò alla bell’e meglio e indossò una maglietta bianca e pantaloni grigi di cotone corti. Era pronto per il letto.
Katja gli diede il cambio velocemente. Lui si sdraiò sul lato destro del letto e chiuse gli occhi, cullandosi allo scrosciare dell’acqua della doccia. Quando la voce di Katja lo riscosse, gli parve trascorsa un’eternità.
- Oh, scusa… Stavi già dormendo?
Aprì gli occhi stancamente e la vide in ginocchio accanto a lui, la pelle abbronzata sotto  un corto pigiama verde acqua.
Friedrich si alzò a sedere e accese la luce dell’abat-jour, spegnendo quella del lampadario. L’orologio segnava le ventidue e quaranta.
- Domattina partiremo alle sei – disse.
Entrambi si sdraiarono sulla schiena, uno accanto all’altra. Il silenzio calò tra loro e Friedrich si domandò se spegnere definitivamente la luce. La presenza di Katja nel letto lo metteva a disagio. Non era abituato a dormire con qualcuno, era trascorsa una vita dall’ultima volta che era successo.
Al suo fianco lei si mosse, si puntellò sul gomito destro e lo fissò.
- Melissa è davvero un vampiro? – chiese a bruciapelo.
Friedrich maledisse mentalmente Gustav.
- Sì
Lei sospirò e tornò a sdraiarsi sulla schiena.
- Allora è vero, tu e Melissa non siete fratelli. E tu sei innamorato di lei.
Friedrich le lanciò un’occhiata torva.
- Gustav ti ha detto tutto questo?
- Mi ha detto che non siete fratelli, il resto l’ho aggiunto io – i suoi occhi non lo abbandonarono – E vedo che non ho sbagliato.
A disagio, Friedrich si girò sul fianco destro dandole la schiena. Sperava di scoraggiarla a continuare, ma sapeva che era partita persa.
Non dovevano chiacchierare dei vecchi tempi?
- Quando ti sei innamorato di lei? – domandò infatti Katja.
Friedrich non rispose. Poteva fingere di essersi addormentato.
Ma Katja scoppiò a ridere.
- Dai Derich, non essere così ombroso, non si riesce mai a cavarti una parola di bocca! La mia non è solo curiosità gratuita, conosco te e Mel da sempre.
Friedrich non si girò. Quei segreti che portava nel cuore da che aveva memoria non avevano voce per essere espressi. Erano diventati parte di lui e del suo essere, incapaci di una manifestazione esterna. Non era in grado di parlarne. Gli ultimi giorni trascorsi erano stati sufficienti a sfinirlo.
- Gustav mi ha detto che Melissa non prova più nulla dalla morte di tuo padre. Mi ha detto che finge e che non è mai davvero guarita.
Friedrich serrò i denti. Gustav non avrebbe dovuto rivelarle ogni cosa!
Melissa appariva normale agli occhi della gente, che bisogno c’era di infrangere la sua facciata?
Eppure Gustav aveva voluto che Katja sapesse ogni cosa. Pensava davvero che questo lo avrebbe aiutato?
Di nuovo si fece silenzio, per qualche minuto nessuno parlò, Friedrich sperò che Katja si fosse addormentata.
Invece poco dopo avvertì il tocco delle sue dita sulla schiena. Gli sollevò leggermente la maglia e iniziò ad accarezzargli la pelle con il palmo della mano.
- Caro vecchio Derich… - sussurrò, con un misto di tenerezza e sconforto – Adesso molte cose sono più chiare. Quel tuo rapporto così morboso con Melissa… il tuo continuo starle addosso… Tutto diventa comprensibile, se lei non è tua sorella ma la donna che ami. Povero Friedrich…
Lui si voltò incerto sulla schiena. Dove voleva arrivare Katja?
Lei gli infilò la mano sotto alla maglia e iniziò ad accarezzargli lo stomaco.
- Melissa non se n’è accorta vero? E se n’è andata via con un altro, senza un rimpianto… - la mano salì a solleticargli il petto.
Friedrich scosse la testa.
- Perché ti comporti sempre così Katja? Perché fai così con me?
- Perché mi piaci Derich, lo sai. A casa, in camera, ho una tua foto sulla scrivania e le mie amiche cercano continuamente di rubarmela. Sai di avere fascino… quante sono le donne che ti stanno addosso? Le clienti si comportano sempre a quel modo con te?
Lui, lentamente, si alzò a sedere.
- Io ti piaccio solo fisicamente – disse calmo.
Katja sorrise.
- A chi non piaci? Questo tuo atteggiamento così serio, così maturo… così sfuggente. Fai venire voglia di inseguirti, di darti la caccia – aggiunse, accarezzandogli i muscoli del braccio – Ma ti conosco da una vita, ti sono affezionata sinceramente. Lo sai vero?
Friedrich scosse la testa.
Katja confondeva tra loro le sensazioni che provava, i suoi sogni adolescenziali, l’effetto degli ormoni e le chiacchiere delle amiche. Un miscuglio da cui lui si sentiva lontano. Lui aveva le idee chiare, e da molto tempo. Sapeva di volere qualcosa di diverso.
Katja gli accarezzò il viso.
- Non puoi avere Melissa, è una vampira, ti ha abbandonato. E non è in grado di provare nulla. È così vero? Dopo tanti anni vissuti con te, non ha provato il minimo rammarico nel lasciarti! E allora cosa aspetti ancora? Cosa stai aspettando Derich?
Lui non rispose. Lei si sporse in avanti e, ancora una volta, lo baciò. Friedrich la lasciò fare, stordito dalla stanchezza e dal precipitare di quella conversazione.
Katja si staccò lentamente, accarezzandogli i capelli.
- Puoi lo stesso avere molte cose. Me per esempio, stanotte. E piccole avventure più o meno innocue con quelle clienti che civettano con te. Puoi divertirti, uscire, pensare ad altro… Tanto non avrai mai Melissa. Devi dare una svolta alla tua vita.
Friedrich la guardò negli occhi stancamente. Sapeva che Katja credeva in quello che diceva, sapeva che lo considerava il meglio per lui.
- Io non sono come te – disse pacatamente – Non sono come tu vorresti. Non importa se Melissa non può ricambiarmi, se mi ha lasciato senza rimpianti… Non riuscirei a comportarmi diversamente e non mi interessa. Non riesco a provare altri sentimenti, non sono capace di agire come mi consigli. Io sono fatto così capisci? Sono così e basta.
Katja si staccò sospirando.
- Lo so – disse con un sorriso mesto – È quella tua mentalità da settantenne… È parte del tuo fascino. Non sono in grado di deviarti.
Si coricò e infilò le gambe sotto le coperte.
- Spegni la luce Derich. Io ti propongo una notte di sesso e tu sai fare soli discorsi barbosi! Buona notte!
Si girò su un fianco dandogli la schiena e rimase immobile.
Friedrich fissò il suo profilo per un lungo istante. Poi si sporse a cercare l’interruttore della luce e lo schiacciò.
Tu non puoi capire, pensò. Lo so che non puoi capire!
Solo lui poteva.
Mel, inconsapevole, distante, ingenua.
Il sangue che le donava, la morte del padre, il negozio, la paura, la rabbia, la vendetta.
Ogni cosa si mescolò nella sua mente martoriata, mentre il sonno prendeva il sopravvento. Solo un angolo remoto della sua coscienza rimase consapevole della presenza di Katja.
 

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Capitolo 17
*** Occhi di sangue ***


7
 


 
Vedo cime argentate stagliate sul riflesso di un cielo blu cobalto. Sono altissime, imponenti, sembrano precipitarmi addosso e mi sento cadere all’indietro. Pini e abeti dai riflessi metallici punteggiano l’argento roccioso delle montagne, una cascata nivea, spumeggiante di cristalli scivola loro in mezzo.
Ci sono occhi nel cielo. Occhi scuri, ironici e violenti. Dipinti nel firmamento osservano me e me soltanto. Il vento mi fischia tra le orecchie e mi porta un sussurro.
“Melissa…”
E in mezzo ai due occhi scuri, vedo scivolare un rivolo di sangue…
 
Mi raddrizzai sussultando, appoggiandomi al tronco di un pino per non perdere l’equilibrio.
Non riuscivo più a trovar pace nelle mie visioni. Ne fuoriuscivo sempre bruscamente, proiettata da una realtà all’altra senza delicatezza, sospinta al di fuori del nido che per quindici anni mi aveva accolta.
Gli occhi di Raphael, il sussurro… il sangue.
Perché c’era sangue nelle mie visioni?
Perché c’era Raphael?
Chiusi gli occhi. Volevo riprovare.
Le visione da quindici anni mi appartenevano e mi aiutavano... ora non potevano estromettermi in questo modo! Ero io a evocarle, erano il mio mondo e io la loro padrona.
Mi abbandonai a un altro stato. E di colpo il cielo tornò nero, le stelle ripresero a brillare alte nel firmamento. Scomparve il bosco e vidi palazzi luminosi innalzarsi all’orizzonte. Poi le stelle divennero rosse. Di un rosso accecante, soffocante.
Abbassai lo sguardo e ai piedi di un palazzo luminoso vidi me stessa seduta a terra. Piccola, pallida. Le braccia attorno alle ginocchia, dondolavo avanti e indietro.
Più in là, una figura scura stesa a terra e un’altra in ginocchio accanto a essa. Girai lo sguardo e vidi palazzi scintillanti e i volti di Gustav e del nonno, terrorizzati.
Allora quel terrore passò dentro di me come una scarica. Guardai la figura a terra ed era sporca di sangue, e sangue c’era sulla persona inginocchiata accanto a lei e su di me e sulla strada.
Ancora terrore.
La figura inginocchiata si volse, mi guardò con gli occhi di Raphael. Ancora occhi scuri e violenti.. Aprì la bocca e la sua voce soffiò come una brezza.
“ Sono stato io. Ho causato tutto io.”
Vorrei chiedergli che significa. Che cosa ha fatto?
Ma il terrore mi chiude lo stomaco, non posso parlare. E la bambina dondola, dondola…
… dondola…
… ha paura.
 
Gridai. Gridai forte e la mia voce si perse fra gli alberi. Ancora quelle sensazioni, il sudore, il respiro mozzo, il cuore che batte forte.
E il terrore…
Passò subito, in un istante. Ma c’era stato.
Io non provo nulla. Non provo nulla!
Perché c’era tutto questo orrore nelle mie visioni?
E Raphael…
Le mie visioni non funzionavano più. Non come dovevano.
Il mio mondo colorato e stravagante veniva spodestato da immagini inquietanti… spaventose!
Fissai a occhi sbarrati il bosco quieto che mi avvolgeva con un manto di sicurezza. Per un istante venni attraversata da una seconda fitta di paura. Paura di non poter più ricorrere alle mie visioni.
Ma no, non sarebbe successo... Ne avrei parlato a Raphael!
Era sceso in città e sarebbe stato lontano un paio di giorni, ma al suo ritorno ne avrei discusso con lui.
Forse era solo la carenza di sangue, mon ne ero mai rimasta priva a lungo: Friedrich aveva provveduto a procurarmene con costanza e non conoscevo gli effetti che ne causava l’assenza.
Al Paese procuravano e offrivano sangue a tutti i vampiri, ma io ero uscita nel bosco per cercarne da sola. Era la prima volta che andavo a caccia di sangue e volevo scoprire le mie capacità. Raphael aveva detto che era necessario per me imparare a vivere come un vampiro.
Cacciando di mente le immagini appena viste, mi inoltrai nel bosco e feci silenzio dentro di me.
“Ti verrà naturale”, aveva detto Raphael. Quasi un eufemismo per una persona che da quindici anni non faceva nulla di spontaneo.
Chiusi gli occhi e avvertii qualcosa.
Sangue!
Girai lo sguardo in un punto ben preciso e scandagliai con precisione i rami di un albero. Un minuscolo puntino arancione mi balzò agli occhi.
Uscii dal sentiero e avvicinandomi riuscii a riconoscere una grossa coda. Lo scoiattolo stava immobile, ma sapevo che sarebbe fuggito da un momento all’altro.
Chiusi di nuovo gli occhi e, nella mia testa, lo chiamai.
Aura ipnotica l’aveva chiamata Raphael. Funzionava con gli animali.
Gli antichi vampiri sapevano usarla sugli esseri umani, ma era un potere ormai scomparso.
Ma forse tu potresti riuscirci, mi aveva detto Raphael.
Riuscirci con gli umani? Non mi ero mai accorta di nulla del genere!
Lo scoiattolo saltellò da un ramo all’altro scivolando leggero tra le foglie. Si fermò tra le fronde dell’albero più vicino, scosse il nasino e mi osservò con occhietti attenti. Sembrava… in attesa.
Vieni, pensai – Vieni da me.
Lo scoiattolino annusò l’aria due o tre volte, poi ripercorse il ramo fino al tronco e scese a terra.
Istintivamente mi accovacciai sulle gambe e stesi una mano. Sentii il pelo ruvido solleticarmi il palmo, lo scoiattolo si fermò proprio nel centro della mia mano.
Lo sollevai incerta. Era un esserino minuscolo... Raphael mi aveva assicurato che non avrei nuociuto ad alcun animale, ma davanti a questo animaletto mi riusciva difficile crederlo.
Chiusi gli occhi e sentii l’odore del sangue. Adesso che ne avevo carenza, lo avvertivo intenso e pungente. In tutti questi anni Friedrich doveva aver calcolato ogni volta i tempi con metodica attenzione, sarebbe bastato pochissimo perché io scoprissi la mia vera natura.
Lo scoiattolo si accovacciò nella mia mano, in attesa. Quello fu il segnale.
I canini si allungarono e sentii espandersi la mia aura ipnotica; affondai i denti nel pelo della bestiolina e aspirai una… due gocce di sangue. Il sapore mi stordì.
Era strano, non fui sicura che mi piacesse. Potevo intuirne il motivo: per quindici anni non avevo bevuto altro che il sangue di Friedrich. Mi aveva nutrita settimana dopo settimana della sua essenza e senza che me ne rendessi conto, mi aveva assuefatta al suo sapore.
Vidi nella mente l’immagine di Friedrich che in silenzio, costantemente e a mia insaputa, mi offriva il suo sangue. Per un breve fugace istante avvertii un moto di commozione. O di nostalgia...?
Mi riscossi bruscamente e guardai lo scoiattolino che, nella mia mano, ricambiava quieto il mio sguardo.
‘Stai bene?’
Sbattei le palpebre confusa.
- Sì, sto bene – dissi ad alta voce. Posai la mano a terra – Grazie.
Lo scoiattolo scese con un movimento elegante, annusò ancora una volta l’aria e sparì rapidamente tra l’erba.
Non potevo aver sentito quella muta domanda. Gli scoiattoli non parlano la nostra lingua.
Ma Raphael mi aveva raccontato che nel momento della nutrizione, fra vampiro e donatore si creava un legame molto stretto, un’intensa comunicazione.
Mi appoggiai con la schiena a un tronco di pino e ripensai al momento in cui, alla segheria, avevo succhiato il sangue di Friedrich.
Aveva prevalso la scoperta della mia vera natura, ma ripensandoci adesso, ricordavo le sensazioni che mi avevano pervaso l’anima.
Per un istante avevo letto nel cuore di Friedrich. Ma non avevo voluto capire, istintivamente mi ero rifiutata di aprirmi a quello che mi si parava di fronte.
Nel cuore di Friedrich c’erano troppe cose per me: emozioni troppo intense, troppo violente. Il mio animo le rigettava.
Scossi la testa. Non m’interessavano i sentimenti delle persone!
Anche se restarne estranea mi rendeva difficile la comprensione del mondo circostante, era sempre preferibile ad avere animo e mente perennemente scossi da tumulti interiori.
Anche un figlio in questo senso era pericoloso.
Fastidioso.
Lentamente, ripresi il sentiero verso il Paese. La mia necessità di sangue era stata placata, la caccia era andata a buon fine, adesso era un altro tipo di bisogno quello che sentivo: erano quasi le due del pomeriggio e non avevo ancora pranzato. Aumentai la velocità e puntai verso casa.
 

8
 

 
- Ci siamo! – gridò Friedrich, correndo verso la zona delimitata dal nastro – La cartina indica questo punto.
- Ma è zona militare… - Katja si guardò intorno dubbiosa, cercando qualche indizio.
- Sarà una trovata per depistare gli escursionisti.
Friedrich sollevò il nastro e vi passò al di sotto. Katja fece per seguirlo, ma lui la fermò.
- È più sicuro che tu rimanga qui – le disse – Non sappiamo cosa potrò trovare più avanti.
- È più sicuro che io rimanga qui? – trasecolò lei – Dico, sei impazzito Derich? Credi che abbia fatto tutta questa strada per farmi poi piantare in asso?
- Non intendevo questo – sbuffò lui impaziente – Voglio solo andare in avanscoperta e stabilire che tipo di pericolo correremo. Questa zona è proibita agli umani, i vampiri devono proteggere il Paese Invisibile e impedire qualsiasi tipo di intrusione. Non possiamo correre il rischio di essere scoperti.
- Ma bene! – fece lei, incrociando le braccia al petto – E posso sapere come speri di non farti scoprire? Pensavo che tu avessi un piano preciso, invece mi pare di capire che tu stia andando a casaccio!
- Pensavo di improvvisare – si difese lui, punto nell’orgoglio – È importante studiare attentamente le nostre mosse, se ci prendono ci uccidono.
- Ah.
Lui la squadrò accigliato.
- A cosa pensavi mi riferissi quando ti ho detto che questo viaggio era pericoloso?
Katja scrollò il capo con insofferenza. Nei suoi occhi, Friedrich lesse scetticismo.
- Principalmente sono qui per curiosità – disse – Ammetterai che è difficile accettare tutto quello che tu e Gustav mi avete raccontato. Mi sembra pura follia. E non è semplice aver paura di un pericolo che non si sente reale.
- Farai bene a ricrederti alla svelta – la riprese lui – Non stiamo più giocando agli avventurieri come quando eravamo piccoli, il rischio è concreto e non posso permettere che tu ti comporti con leggerezza.
- Va bene, d’accordo – si arrese lei – Vai pure in ricognizione se credi. Ti aspetterò qui.
Sedette su un sasso con espressione accondiscendente.
- Non metterci molto però, inizio ad avere fame!
Friedrich rimase fermo qualche istante prima di muoversi. Non si sentiva sicuro lasciando Katja sola, il suo scetticismo era pericoloso.
Alla fine si decise a inoltrarsi tra gli alberi. Doveva usare cautela se non voleva essere scoperto: era lì per vendicarsi di Raphael, non per farsi uccidere a sua volta.
Camminò facendo attenzione a non pestare rametti secchi che avrebbero fatto rumore, rentò i pini, si abbassò dietro ai cespugli. In lontananza gli parve di notare il tetto di una casupola. Avanzò un passo da dietro un albero e una figura gli comparve di fronte all’improvviso.
Friedrich si lasciò sfuggire un grido e arretrò di un metro. L’altro individuo non parve spaventato. Friedrich lo fissò con il cuore in gola e rimase sorpreso.
- Melissa!
Lei inclinò la testa di lato, soppesandolo con lo sguardo.
- Friedrich?
Lui sorrise, sentendo improvvisamente il cuore più leggero. Preso dal desiderio di vendetta, non si era reso conto che l’avrebbe rivista così presto.
La strinse a sé con impeto, ridendo.
- Friedrich...? - Ripeté lei, soffocata dal suo abbraccio.
Lui la lasciò andare lentamente.
- Cosa ci fai qui?
- Sono venuto a trovarti.
- A trovarmi...? – lo scrutò con il suo sguardo vuoto – Ma me ne sono andata da una settimana!
- Oh… beh… - Friedrich si strinse nelle spalle – Ero curioso di vedere come te la passavi.
Non sapeva come avrebbe potuto reagire Melissa, conoscendo le sue reali intenzioni. Se ci fosse riuscito, le avrebbe mentito fino alla fine.
- E il negozio? – domandò subito lei.
- Ho chiuso per ferie.
- All’inizio di agosto?
Friedrich evitò il suo sguardo. Dannato negozio! Perché tutti insistevano nel ricordargli i suoi doveri?
- Friedrich, non è logico…
- Sì, sì lo so! – la interruppe lui – Ma avevo voglia di un po’ di vacanza, punto e basta. E poi da solo non ce la faccio, dovrei trovarmi una commessa.
Melissa non replicò, ma continuò a studiarlo con i suoi occhi chiari. Friedrich non volle darle il tempo di meditare altre questioni.
- Posso fermarmi da te qualche giorno?
Melissa scosse il capo.
- Sai che gli umani non possono entrare al Paese. Verremmo uccisi tutti e due!
- Solo per poco tempo. Potresti nascondermi in casa tua. Vivi… vivi sola? – l’improvvisa possibilità che lei abitasse con Raphael lo fece rabbrividire.
- Sì, mi hanno dato una piccola abitazione. Non avrei molto spazio per te.
- Posso adattarmi, è solo per poco. Raphael viene spesso da te?
Con sollievo la vide scuotere la testa.
- È un personaggio molto importante qui, è sempre impegnato. E ora è via, resterà lontano un paio di giorni.
Friedrich sospirò di sollievo. Le cose andavano meglio del previsto, avrebbe avuto un po’ di tempo per organizzare un piano.
- Lasciaci restare qualche giorno Mel, non ti faremo correre alcun rischio.
- Lasciaci? – ripeté lei, senza capire.
- C’è anche Katja con me, sta aspettando un mio segnale oltre la zona recintata.
Si accorse che lei non capiva. Ma era naturale, non c’era logica in tutto quello che stava accadendo. E Melissa non comprendeva nulla al di fuori della razionalità.
- Katja ha voluto accompagnarmi – spiegò.
- Le hai detto che sono un vampiro?
- Gliel’ ha detto Gustav. Non voleva che venissi da te solo.
- Capisco.
Melissa si strinse nelle spalle.
- Se volete restare un paio di giorni, vi ospiterò in casa mia. Ma dovrete accontentarvi, e dovrete essere molto cauti.
Friedrich assentì. Ogni cosa stava andando nel verso giusto.
Tornò sui suoi passi e fece cenno a Katja di seguirlo. Lei scavalcò docilmente il nastro e gli tenne dietro. Friedrich notò chiaramente il suo stupore, quando raggiunsero Melissa.
Spalancò gli occhi e non staccò un momento lo sguardo da lei. Friedrich poteva immaginare cosa stesse pensando.
La vampira senza sentimenti.
- Ciao Katja! – la salutò Melissa con entusiasmo. Il suo sorriso pareva genuino, caldo.
Nessuno che non avesse mai visto la Melissa autentica, avrebbe mai sospettato la finzione. Friedrich poteva indovinare lo smarrimento di Katja e, ancora una volta, il suo scetticismo.
Melissa li condusse lungo il sentiero fino al Paese, era l’ora di pranzo e nessuno si aggirava per strada. Camminarono con cautela rasentando i muri, finché Melissa non li fece entrare in silenzio in casa.
Il pavimento di legno scricchiolò sotto i loro piedi e un leggero odore di muffa colpì le loro narici.
- Sedetevi – li invitò Melissa, impersonando la perfetta padrona di casa – Per pranzo ho solo formaggio e speck e non possiedo grandi mezzi per accogliervi come si dovrebbe. Comunque, benvenuti.
Friedrich osservò quel suo sorriso falso e sedette sul divano.
 

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Capitolo 18
*** Vicino alla meta ***


9
 

 

- Aspetta, li sciacquo io!
Mi affiancai a Katja che, davanti al lavello, stava fregando i piatti con una spugnetta insaponata. Presi i bicchieri che aveva già pulito e li passai sotto l’acqua gelata.
Friedrich era chiuso in bagno e avvertivo la tensione di Katja, lasciata sola al mio fianco. La postura, i movimenti secchi, l’espressione tirata tradivano nervosismo.
Perché?
Katja in tutta la sua vita mi aveva per lo più ignorata. Che cosa cambiava ora, all’improvviso?
Poi a un tratto la vidi abbandonare la spugnetta, si asciugò le mani nei pantaloni e si girò verso di me.
- Melissa, è vero che sei un vampiro?
Per un momento rimasi immobile senza sapere cosa rispondere. Qual era l’emozione più appropriata in quel momento?
- Ho bisogno di sentirlo dire da te  – rincarò lei – Mi sembra tutto una follia... Mi chiedo se non siano tuo fratello e Gustav ed essere impazziti!
- Non sono impazziti – mi affrettai a smentire – Io sono davvero un vampiro.
- Allora dimostramelo – esclamò lei, arretrando di un passo – Fammi vedere i tuoi canini!
I suoi occhi lampeggiavano. Mi stava provocando.
- Non posso mostrarteli… Escono solo quando avverto l’odore del sangue.
- Allora mordimi – indicò il suo collo – Avanti. Se Friedrich è sopravvissuto nutrendoti per tutti questi anni, anche a me non accadrà nulla di male.
- Ma… ho bevuto del sangue poco più di un’ora fa. Non so se…. – mi azzittii, vedendo l’espressione di Katja. Cos’era quel suo sguardo? Sarcasmo? Scetticismo?
Non mi credeva.
Ma perché poi?
Io non sapevo come difendere la mia posizione, i miei canini spuntavano solo quando mi trovavo in carenza di sangue.  O almeno… così era stato finora…
- Forza Melissa, cosa aspetti? Mi sto offrendo spontaneamente!
Osservai i suoi occhi fiammeggianti e poi la gola abbronzata. La vidi sollevarsi e abbassarsi al ritmo del respiro, percepii il diramarsi della vena scura sotto la pelle.
Improvvisamente intorno a me si fece nero. Al centro dei miei occhi si trovava solo la gola di Katja.
E poi l’odore.
Sangue!
I canini si allungarono, avanzai di un passo verso lei.
Katja sussultò, si tirò indietro e si coprì la bocca con una mano, strozzando il grido sul nascere.
Riconoscendo la sua paura, mi immobilizzai e i canini rientrarono. Ce l’avevo fatta!
Ma Katja sembrava sgomenta.
- È vero! – mormorò con voce troppo acuta – È tutto… vero.
Mi squadrò dall’alto in basso un paio di volte e sul suo viso scorsi l’incredulità.
- Vampira… - disse – E senza sentimenti, vero?
La fissai per un lungo istante. Friedrich le aveva detto anche quello?
Annuii.
Lei invece scosse la testa, come a scacciare un pensiero inaccettabile.
- È incredibile – mormorò – Com’è possibile che Friedrich si sia innamorato di te?
Mi strinsi nelle spalle.
- Non ne ho idea – risposi apaticamente.
- Non puoi ricambiarlo. E non sei umana! Non farai altro che farlo soffrire.
Poi la vidi cambiare espressione e fissare a occhi sbarrati un punto oltre le mie spalle. Voltandomi mi accorsi di  Friedrich fermo sulla soglia della cucina, sembrava che stesse ascoltando da un pezzo.
- Stava per mordermi – disse Katja, ancora turbata.
- Quando la provocavi apparivi molto più spavalda – commentò lui, senza muoversi. Poi fissò me e nei suoi occhi azzurri vidi preoccupazione.
- Non devi scoprirti in questo modo Mel. Con gli umani devi sempre fingere, non puoi cedere alle provocazioni!
- Mi trovo nel Paese Invisibile – ribattei – E Katja sapeva già tutto!
- Devi essere prudente – ripeté lui – Non sai cosa potrebbe accaderti.
- Oh, lo so!
Ricordavo il racconto di Raphael, la sua infanzia. Il modo in cui l’avevano rinnegato.
Nessuno perdona mai un vampiro.
Allora misi in relazione diverse cose e compresi l’avvertimento di Friedrich.
- Sarò prudente – promisi.


10
 

 
Friedrich socchiuse le persiane e venne investito da una folata di aria fresca. La brezza profumava di pini.
Melissa era uscita con il sacco dell’immondizia che, raccolto dai vampiri addetti, sarebbe stato portato in città. Friedrich la vide appoggiare il sacchetto a terra e guardarsi intorno, come a controllare la situazione intorno a sé.  Quelle poche ore gli erano bastate per comprendere che Melissa era diversa. Non avrebbe saputo specificare in cosa, ma percepiva in lei un cambiamento. La sentiva… turbata.
Esteriormente era sempre la solita insensibile Melissa.
Eppure…
- Salve!
Friedrich sussultò sentendo la voce maschile. Accanto a Melissa era comparso un vampiro piuttosto giovane, vestito di scuro. Le stringeva la mano con cordialità, rivolgendole un sorriso aperto che rivelava le sue intenzioni. Non si stava presentando per buona educazione.
L’individuo le rivolse qualche domanda di circostanza e poi, con orrore di Friedrich, le domandò di accompagnarlo in una passeggiata nel bosco. Melissa assentì, avviandosi con lui.
Friedrich fissò la scena incredulo. Melissa accettava appuntamenti da sconosciuti anche a Gebirge.  Ma in quel caso erano incontri innocenti.
Non ricordava che al Paese Invisibile i vampiri giovani venivano per procreare?
- Smettila di spiare ogni suo movimento!
Katja lo affiancò e chiuse le persiane.
- Stai diventando ossessivo, non è necessario che tu la controlli. Non è più tua sorella ora.
- Non la è più di quanto la sia mai stata – la corresse lui.
- Sia come sia, non è più sotto la tua responsabilità, lasciala vivere come crede! È un vampiro ed è giusto che stia con i suoi simili.
Lo prese per un braccio e lo tirò verso il divano. Friedrich si staccò a malincuore dalla finestra, non riusciva a quietare la sua ansia.
O la sua gelosia..?
In vent’anni non era mai stato geloso di Melissa, perché sapeva che i sentimenti di lei non sarebbero appartenuti a nessuno. Ma adesso si sentiva escluso dalla sua vita, lei e i vampiri appartenevano a un mondo destinato a pochi.
- Derich…
La voce di Katja lo riportò alla realtà. Erano seduti sul divano uno di fronte all’altra e Katja non gli era mai sembrata tanto seria.
- Dopo quello che ho visto oggi… dobbiamo parlare.
Friedrich si sforzò di entrare nel suo punto di vista. Lui era stato consapevole della realtà dei vampiri fin dall’infanzia, ma per Katja doveva essere stato uno shock.
- Hai paura? – le chiese, fissando il suo volto improvvisamente pallido.
Katja scosse energicamente la testa e gli occhi le lampeggiarono.
Cocciuta!, sospirò Friedrich dentro di sé.
- Sono rimasta allibita – disse lei infine – Finché non ho visto i canini di Melissa, non ho creduto a una sola delle parole di Gustav. Pensavo vi foste bevuti il cervello, che ne so… un’allucinazione collettiva! – si strinse nelle spalle – Comunque Melissa non fa paura… - aggiunse brevemente.
- No… lei no.
Il pensiero di Friedrich volò a Raphael, ai suoi occhi duri, allo sguardo obliquo.
- Va bene – disse a un tratto Katja, raddrizzando le spalle – Facciamo il punto della situazione. Il vampiro che cerchi, Raphael, è l’assassino di tuo padre. Siamo qui perché tu vuoi vendetta… vuoi ucciderlo vero? Per questo motivo siamo venuti direttamente qui, dove verremo fatti fuori a nostra volta se qualcuno ci scopre. È giusto?
- Hai perfettamente chiara la situazione.
- Bene.
- Ti sei pentita di avermi seguito?
Katja sorrise spavalda.
- No, ma ora capisco perché Gustav mi ha voluta con te.
- Non mi succederà nulla – protestò Friedrich – Riuscirò a fare quanto devo senza farmi catturare, ho elaborato un buon piano.
- Non sto parlando di quello, Derich – Katja si alzò in piedi per dare forza alle sue parole – Sono certa che Gustav non si riferiva solo al pericolo fisico di venire uccisi.
Lui la guardò senza capire.
- Non ti rendi conto? – esclamò Katja – Stai progettando di ammazzare una persona!
- È un vampiro! – ribatté lui.
- È un omicidio!
Friedrich strinse gli occhi e serrò la bocca.
- Derich, sei così accecato dall’odio da aver perso l’oggettività! Sei sempre stato una persona razionale, non ti riconosco più!
- Non parlarmi di razionalità – sibilò lui – Non c’è nulla di razionale nell’omicidio di mio padre. E non paragonare un vampiro a un essere umano!
- Ma cosa stai dicendo? Non è forse un vampiro anche Melissa?
- Melissa è vissuta come un normale essere umano fino a una settimana fa. E poi è malata… Non prova nulla… - la sua voce si fece flebile – Non ha sentimenti da vampiro… né da umano.
Katja si voltò di schiena con uno scatto secco.
- Pensala come vuoi! – sbuffò – Ma non ti lascerò compiere un’azione tanto atroce, dovresti portarne il peso per il resto della vita.
Lo scatto della porta prese entrambi alla sprovvista. Melissa comparve sulla soglia, tranquilla e indifferente.
- Già qui? – commentò Katja, sollevando un sopracciglio – Pensavo avresti fatto compagnia a quel vampiro più a lungo!
Melissa si sfilò il golfino e lo appoggiò alla cassapanca.
- Ho preferito rientrare. Era un altro che voleva un figlio.
Friedrich sussultò.
- Un altro… che voleva un figlio?
- Sì, ma è normale. Raphael mi ha avvertita che qui al Paese funziona così.
- Hai già ricevuto molte proposte? – chiese Katja, curiosa.
- Questa è la seconda.
- E la prima chi te l’ha fatta?
Mentre poneva quella domanda, Friedrich conosceva già la risposta. Ma non riuscì a impedirsi di parlare.
- È stato Raphael – rispose infatti Melissa – Se mai cambiassi idea, dovrei dirlo a lui. È stato il primo a domandarmelo. Ma io non voglio figli e non voglio fare sesso!
Friedrich captò l’occhiata indagatrice di Katja
- Raphael vuole figli da te? – domandò infatti.
- Sì – Melissa sfilò le scarpe e sciolse i capelli – Ora vado a letto, riuscite a cavarvela voi due?
- Non preoccuparti – la rassicurò Katja, vedendo che Friedrich era rimasto ammutolito – Abbiamo il divano e due sacchi a pelo. Siamo a posto.
Melissa annuì.
- Buona notte.
Friedrich rimase in silenzio, seduto sul divano. Katja attendeva una sua qualche reazione.
- Sei sorpreso? – gli domandò infine, vedendo che non si riscuoteva.
- Sorpreso… - sibilò lui – No. Non dovrei. Raphael ha intenzione di togliermi proprio tutto.
- Non credo lo faccia intenzionalmente… - tentò di giustificarlo lei – Non sa neppure che sei qui! Senti Derich, andiamocene alla svelta da questo posto, sortisce un brutto effetto su di te, è pericoloso e non otterrai comunque nulla. Melissa ormai è persa, rassegnati.
Ma lui non le diede ascolto.
In silenzio afferrò il sacco a pelo e iniziò a srotolarlo, la mente occupata in pensieri distanti.

 
*   *   *

 
Il bosco, al tramonto, cambiava odore. Friedrich riusciva a percepire chiaramente la differenza, avvertiva ogni passo silenzioso della sera che calava fra gli alberi. Respirò a fondo, rilassando ogni muscolo del proprio corpo. Si trovava al Paese Invisibile da circa trenta ore, ma già la piccola abitazione di Melissa aveva assunto le proporzioni di una gabbia. Non riusciva a restare rinchiuso a lungo e, nell’ora in cui i vampiri iniziavano a rientrare nelle case, Friedrich era furtivamente sgattaiolato all’aperto.
Non era nelle sue intenzioni farsi scoprire, né mettere Melissa nei pasticci. Ma aveva bisogno di aria.
Un rumore leggero di passi lo fece sussultare. Rapidamente si nascose tra un pino e un grosso cespuglio di mirtilli. I passi si facevano sempre più vicini e presto Friedrich poté vedere in lontananza la scura figura di Raphael.
Si dirigeva verso il Paese, non sarebbe passato accanto a lui, ma Friedrich rimase in tensione: la vista del vampiro bastava a riempirlo di rabbia. Strinse i pugni raccomandandosi pazienza. Melissa gli aveva spiegato il ruolo di Raphael al Paese e sapeva che, una volta rientrato, sarebbe stato travolto dagli impegni. Era poco probabile che comparisse in casa di Melissa prima dell’indomani.
Quando Raphael scomparve dalla sua vista, si raddrizzò sulle gambe. Aveva fiducia nel suo piano.
Avrebbe comodamente aspettato Raphael a casa di Melissa e lì lo avrebbe colto di sorpresa, neppure Katja sarebbe riuscita a fermarlo!
Poi, aspettando la notte, sarebbero tutti fuggiti dal Paese, Melissa compresa. Non sarebbe stato saggio per lei restare, con Raphael assassinato in casa.
Friedrich aveva meditato a lungo su quell’aspetto del suo piano, ma aveva deciso che anche per Melissa poteva essere una buona soluzione. Non possedeva i sentimenti che le avrebbero procurato dolore e avrebbe accolto il cambiamento con la dovuta indifferenza. Sarebbe tornata con lui a Gebirge e avrebbe ripreso la vita di prima. E, se voleva, lui avrebbe continuato a nutrirla con il suo sangue.
Solo, adesso avrebbe dovuto fare molta attenzione.
Non dovevano esserci errori.


************************************************
Beh... ci siamo! Dal prossimo capitolo le cose cominceranno a precipitare... precipitare e precipitare! ^^ Alla prossima, allora!


 
 

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Capitolo 19
*** Tentato omicidio ***


11
 

 
Finii di passare la polvere in camera e mi lasciai cadere sul letto. Questa casa era piccolissima ei finivo di pulirla subito dopo aver cominciato!
Gettai uno sguardo all’orologio: le due del pomeriggio.
Katja si era addormentata sul divano in cucina, mentre Friedrich stava facendo una doccia. Erano già qui da due giorni e non comprendevo il motivo della loro permanenza.
Curiosità?
Ma se non uscivano mai di casa, cosa mai potevano vedere di interessante?
Mi alzai per chiudere la porta della mia stanza, potevo approfittare di questo momento di quiete per tentare di avere un’altra visione.
Dopo gli ultimi risultati ottenuti, avrei forse dovuto rinunciare… ma non potevo. Avevo bisogno delle visioni… non riuscivo a farne a meno!
Sedetti a gambe incrociate sul letto e chiusi gli occhi. Forse poteva andare tutto bene.
Cominciai vedendo una cascata: l’acqua limpida scendeva fra le rocce in bagliori accecanti; la foresta scintillava di verdechiaro e di arancio. Foglie gialle, fiori rosa… Autunno e primavera si mescolavano in un groviglio inscindibile. Scariche elettriche pervadevano l’aria, dipingendola di fragili fratture.
Poi l’acqua iniziò a mutare. Si fece color arancio, e poi scura… cupa, rosso cupo. Spumeggiava di gocce… di sangue?
Il sangue colava fra le rocce, lentamente. E colava sul corpo dell’uomo inzuppandone i vestiti. Mi voltai per non vedere, ma occhi neri si fissarono nei miei.
Occhi ironici, sorriso duro… il volto di Raphael, ancora.
Sbattei più volte le palpebre per  liberarmi dal sogno, ma la visione non se ne andò. Il volto di Raphael era ancora di fronte al  mio e non mollava i miei occhi. Allora scossi la testa una, due volte. E capii che era reale.
Raphael era in camera mia, sul mio letto. Ero sdraiata di schiena e lui, sopra di me, mi teneva ferma.
- Era una visione? – mi sussurrò.
- Sì
La presa delle sue mani si fece più salda.
- Voglio fare l’amore con te adesso.
- No
- Melissa, non voglio prenderti con la forza!
- Allora lasciami.
Lui strinse i denti.
- È questo il momento giusto.
- Perché?
- Te lo spiegherò, ma ora lasciami fare!
Sentii la pressione del suo corpo sul mio. Mi dimenai, ma lui era forte.
- Non voglio! – esclamai – Non voglio fare un figlio!
- Tu non capisci – mi soffiò all’orecchio, senza muoversi – È importante Melissa. Per me… per te. Per tutti i vampiri!
- Cosa vuoi dire?
- Stavi avendo una visione. Torna nel tuo mondo, adesso. E lasciami fare!
Non capivo. Non capivo assolutamente!
Perché era così importante? Perché doveva esserlo anche per me? … Per tutti?
Non solo gli umani erano difficili da capire. Anche i vampiri!
Smisi di agitarmi e decisi di accettare passivamente la decisione di Raphael.
Era il capo al Paese, lui conosceva il meglio, avrei lasciato che facesse.
Ma all’improvviso venne un rumore dalla soglia della camera.

 

12
 

 
Friedrich sentì il rumore della porta che scattava mentre stava uscendo dalla doccia. Gocciolante, rimase immobile al centro della stanza tendendo l’orecchio. Sapeva che Katja stava dormendo e che Melissa si stava dedicando alle pulizie.
Un’improvvisa tensione attraversò il suo corpo.
Poteva essere Raphael.
Improvvisamente, si sentì sicuro che si trattasse di lui.
Si strofinò velocemente con la salvietta e indossò i vestiti in fretta e furia. Sul mobiletto aveva appoggiato il coltello. Dalla sera prima, lo portava sempre con sé, poiché non sapeva quando gli sarebbe servito.
Osservò la lama e trasse un lungo respiro: doveva mantenere il sangue freddo, agire lucidamente.
Socchiuse la porta, ma non vide nulla d’insolito e tuttavia venne attratto da un tramestio proveniente dalla camera. Badando di non far rumore arrivò fino alla soglia della stanza e quello che vide lo raggelò.
Raphael era sdraiato sul letto di Melissa e la teneva inchiodata sotto di sé. Le pronunciava parole prive di senso, ma una cosa Friedrich comprese: voleva costringerla a far l’amore con lui.
La mano strinse spasmodicamente il coltello, ma lui si costrinse a rimanere calmo. Doveva prima allontanare Raphael dal letto, non poteva rischiare di ferire Melissa!
Poi vide che lei si era arresa, smise all’improvviso di ribellarsi rimanendo in attesa. La mano di Raphael le corse sul corpo.
Friedrich non riuscì più a dominarsi e si lanciò verso il letto con un grido. Si gettò su Raphael cogliendolo di sorpresa, lo afferrò e tentò di buttarlo a terra, ma cadde con lui.
Rotolarono sul pavimento, finché Raphael non riuscì a sedersi a cavalcioni sul suo stomaco.
Il vampiro lo guardò sorpreso.
- Friedrich! Sei tu!
- Già.
Ora si sentiva calmo. Lucido. Ce l’avrebbe fatta, lo sapeva.
- Cosa sei venuto a fare qui? – gli domandò sarcasticamente Raphael – Che cosa vuoi?
Friedrich ricambiò lo sguardo con ferocia. Dopo quindici anni di attesa, stava consapevolmente guardando negli occhi l’assassino di suo padre.
Era il momento che aveva aspettato per tutta l’infanzia… per tutta la giovinezza!
- Voglio vendetta – sussurrò, digrignando i denti.
Sollevò di scatto le ginocchia colpendolo alla schiena e dimenandosi riuscì ad atterrarlo. Lo spinse contro il pavimento di legno e sollevò il coltello per colpirlo. Poteva un vampiro morire dissanguato? Così com’era successo a suo padre?
Ma no, non gli avrebbe dato una morte lenta. Non aveva più pazienza ormai.
Raphael stava per sollevarsi, con tutta la potenza della sua rabbia lo rigettò a terra.
- Ti trafiggerò il cuore! – gridò – È così che si fa con voi maledetti vampiri, no?
Gli occhi di Raphael lampeggiarono, Friedrich abbassò il coltello.
Ma un colpo violento lo gettò di lato, facendolo cadere sul fianco. Il coltello gli scivolò dalle mani, ruzzolando poco distante.
Quando alzò la testa, vide Katja raccogliere l’arma e alzarsi.
- Katja! – urlò, sgomento – Cos’hai fatto?
Raphael si era risollevato e fissava Friedrich in silenzio, con sguardo torvo.
Katja rasentò il muro,dirigendosi a passi lenti verso la porta.
- Te l’ho detto che ti avrei impedito di diventare un assassino. Te l’ho detto che dovevamo andarcene prima!
- Restituiscimi il coltello!
- No!
Friedrich si alzò in piedi. Melissa era ancora seduta sul letto e osservava in silenzio lo svolgersi degli avvenimenti, Raphael si era alzato a sua volta e continuava a tenerlo d’occhio.
- Katja, non puoi farmi questo! – urlò Friedrich, avvicinandosi a lei – Lo sai cosa significa per me! Lo sai cos’è stato il mio passato! Lo sai…
Scattò verso di lei, ma Katja lo aveva previsto. Fu più veloce a uscire dalla camera, attraversò  l’atrio e aprì la porta d’ingresso, gettandosi all’esterno.
Friedrich la seguì, ma entrambi rimasero inchiodati a pochi metri dalla soglia. Fuori, seduti su una panca, c’erano due vampiri anziani con il giovane che due sere precedenti aveva corteggiato Melissa. Tutti e tre li fissarono con sguardo interrogativo, posando lo sguardo sul coltello in mano a Katja.
Poi Raphael comparve sulla porta.
- Sono umani – disse – Hanno cercato di uccidermi!
Afferrò Friedrich per un braccio cercando di immobilizzarlo, ma lui si dimenò. L’altro vampiro giovane si gettò sul di lui per dar man forte a Raphael, e Friedrich comprese che avrebbe avuto la meglio.
- Katja, scappa! – gridò.
La odiava perché lo aveva fermato, ma non poteva permettere che venisse catturata.
Katja scartò i due vampiri anziani che cercavano di prenderla e iniziò a correre verso il bosco. I due fecero per inseguirla, ma fu presto ben chiaro che non l’avrebbero raggiunta.
Friedrich, immobilizzato dai due vampiri, smise di agitarsi. Alzò gli occhi verso la casa e vide Melissa ferma sulla porta. Lo guardava in silenzio, con i suoi chiari occhi inespressivi.
- La ragazza ci è sfuggita – disse uno dei vampiri più anziani, tornando verso di loro.
- Non importa. Ha impedito che venissi ucciso, è innocente. È questo l’uomo che ha cercato di assassinarmi.
- Com’è possibile che fosse al Paese? Dove si nascondeva?
Raphael esitò un istante.
- Lo ospitava Melissa.
- Melissa? – gli anziani sembravano stupiti.
Raphael osservò Friedrich e sogghignò vedendo la sua rabbia.
- Cosa dobbiamo fare di loro? – domandò il vampiro più giovane, senza mollare la presa.
- Portiamoli in prigione – disse lentamente Raphael – Saranno processati.
 
 
 

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Capitolo 20
*** La verità peggiore ***


13
 

 
La prigione era fredda, buia e inospitale. Era stata costruita per i casi d’emergenza, ma, mi aveva spiegato tempo prima Raphael, era raro che venisse adoperata.
Si trovava nello scantinato della baracca che veniva utilizzata come centro governativo. Lì sarebbe avvenuto il processo. Lì abitava Raphael.
Nello scantinato c’era una sola cella polverosa, dal pavimento sterrato. In un angolo erano stati buttati dei panni, c’era un catino colmo d’acqua, un buco per le esigenze corporali. L’unica finestrella aveva sbarre resistenti e un vetro opaco di sporcizia. E c’erano sbarre alla porta.
Dietro a quelle inferriate, il pomeriggio trascorse lentamente. Mi accovacciai in  un angolo, silenziosa, e attesi che accadesse qualcosa.
Sapevo che al processo ci avrebbero condannati a morte, ma non avevo paura. Non me ne importava.
Tuttavia non comprendevo le motivazioni di Friedrich, ciò che lo aveva spinto a una tale pazzia.
Aveva chiuso il negozio ai primi di agosto, si era intrufolato nel Paese dei vampiri e aveva cercato di uccidere il loro capo. Ci sarebbe riuscito se non fosse intervenuta Katja!
Perché?
Perché quel comportamento?
Ma non glielo domandai. Friedrich si agitava nella cella, non aveva pace. Vedevo il tremito, il pallore, il fiato corto. Era nervoso, ed era comparso un tic all’occhio destro.
- Mi dispiace Mel – disse a un certo punto – Non volevo metterti in questo pasticcio! Stavo per farcela… Se solo non fosse intervenuta Katja! E invece adesso saremo processati – camminava nervosamente avanti e indietro per la cella – Ma non temere, dirò che tu non sapevi nulla delle mie intenzioni. È la verità e tu dovrai solo confermarla.
- È inutile – risposi piattamente – Ti ho ospitato e mi condanneranno a morte per questo.
- Ma sono tuo fratello! Per te non era altro che una visita di famiglia.
- Non sei mio fratello – precisai – E comunque non sono spaventata. Non m’importa se mi condanneranno.
- Importa a me! – insistette – Non voglio che tu muoia a causa mia.
- Quando ti ho ospitato, sapevo cosa rischiavo – dissi ancora una volta – Smettila di preoccuparti per me, è fatica inutile.
Era vero, e Friedrich avrebbe fatto bene a pensare a se stesso. Lui sì che poteva provare paura. Lui sì che voleva continuare a vivere!
Ma sapevo che avrebbe continuato a preoccuparsi per entrambi. L’aveva sempre fatto, tutta la vita, anche se a me non importava nulla di nulla. Ma lui non aveva mai accettato il mio vuoto emozionale, come non aveva mai accettato la mia natura di vampiro.
 
 

14
 

 
Non successe nulla fino a tarda sera. Una donna passò verso le diciannove a portare la cena, poi per molto tempo non videro anima viva.
Friedrich non toccò cibo, non sentiva fame e non sarebbe riuscito a inghiottire nulla. Le prospettive per il futuro erano troppo nefaste.
Melissa invece si dedicò immediatamente alla sua porzione e non avanzò nulla.
Nonostante la conoscesse da una vita, Friedrich si stupì della sua reazione: possibile che la prospettiva della morte non incidesse minimamente sul suo appetito?
La guardò mangiare con occhi increduli.
Lui invece era un unico filo di tensione. Non riusciva a stare fermo, camminava, muoveva le mani e gli avvenimenti del pomeriggio si susseguivano senza posa nella sua testa. Era ribellato contro Katja, contro quella donna che gli aveva impedito di portare a termine ciò che desiderava. Adesso la sua vendetta non sarebbe stata completata e il resto della sua vita, le poche ore che ne restavano, sarebbero state consumate dalla rabbia.
Ora che aveva trovato l’assassino di suo padre… avrebbe permesso che quell’omicida uccidesse anche lui e Melissa.
Verso le ventitre,  Friedrich udì il rumore del portone che si apriva e un suono di passi ormai familiare. Scattò immediatamente in piedi, senza sapere cosa sarebbe accaduto. Melissa invece rimase seduta al centro della cella, perfettamente tranquilla.
Quando il volto di Raphael comparve dietro le sbarre, Friedrich si conficcò le unghie nei palmi delle mani. Il suo intero corpo fremeva dal desiderio di gettarsi contro il vampiro. Imprecò contro le sbarre che li dividevano.
Raphael sembrava tranquillo, la sua espressione era grave e priva dell’abituale ironia.
- Sarete processati domattina – disse, passando lo sguardo dall’uno all’altro – Cercate di riposare stanotte.
I suoi occhi caddero sul piatto ancora colmo di Friedrich, prima di alzarsi su di lui in uno sguardo pensoso.
- Sei un uomo stupido – dichiarò – Già lo sapevo, per come ti sei comportato con Melissa in questi anni. Ma il gesto che hai compiuto oggi è stata un’autentica pazzia!
Friedrich serrò i denti, cercando di dominarsi. Non voleva perdere il controllo.
- Ti sei messo in un pasticcio senza uscita – rincarò Raphael – Rivolevi Melissa, e ora morirete tutti e due. Avresti dovuto riflettere prima di agire!
- Ho riflettuto più che a sufficienza – ringhiò Friedrich – E l’unica cosa che desideravo era ucciderti! Lo è tuttora!
Raphael strinse gli occhi.
- Potevi farlo a Gebirge, sarebbe stato meno rischioso. Perché invece ci hai lasciati partire? Che senso ha avuto non reagire allora, e poi venire fin qui, nella tana del leone? Sei stato troppo stupido Friedrich!
Friedrich fremette. Quando parlò, la collera rese roca la sua voce.
- Vi ho lasciati partire, perché credevo fosse il meglio per Melissa. Non sapevo ancora chi tu fossi realmente.
Sul viso di Raphael tornò un velo dell’antica ironia.
- Sul serio? E chi sarei veramente?
Friedrich si avvicinò alle sbarre, i suoi occhi fiammeggiavano.
- Sei l’uomo che ho aspettato per quindici anni. L’uomo che per tutta l’infanzia ho desiderato uccidere.
Raphael corrugò la fronte.
- Cosa intendi dire?
- Da quindici anni il mio unico desiderio è vendicarmi dell’assassino di mio padre!
Gettò un’occhiata a Melissa, ma in lei non si verificarono reazioni.
Raphael osservò Friedrich con interesse.
- Stai dicendo che io ho ucciso tuo padre?
- Non te lo ricordi? – esplose – Per te è stata una sciocchezza? Gustav mi ha detto la verità! Un vampiro ha sgozzato mio padre e ha ridotto Melissa in queste condizioni!
Indicò la ragazza che, seduta a terra, assisteva a quello scambio di battute nell’indifferenza più assoluta.
Lo sguardo di Raphael invece si fece distante e attraversò gli anni. Sembrò fermarsi in un’epoca remota.
- Tuo padre… - mormorò – Lo ricordo in quella notte. L’avevo osservato a lungo, perché era l’uomo che Helena aveva amato. Ora che ci penso, ti assomigliava.
Sembrò guardare Friedrich con occhi diversi.
- E così Gustav ti ha detto che sono stato io a ucciderlo?
Stranamente quella domanda prese Friedrich in contropiede.
C’era un vampiro di nome Raphael che girava la notte dell’omicidio…
- Gustav si ricordava di te quella notte!
- E ti ha detto che io ho ucciso tuo padre? – ripeté Raphael, scuro in volto.
Friedrich serrò i pugni.
- Me lo ha fatto capire. Ci sono arrivato, quando ha detto che era stato un vampiro. Lui non ha negato!
- Lui non ha negato… - Raphael sorrise maliziosamente – Posso immaginare che non l’abbia fatto… Gli conveniva lasciartelo credere.
- Cosa vuoi dire? – Friedrich alzò rabbiosamente la voce – Stai cercando di scaricare la colpa su qualcun altro?
Di nuovo, Raphael sorrise.
- Non è nelle mie intenzioni. Ti assicuro che se avessi compiuto un tale gesto, non avrei nessun motivo di nascondertelo. Ma, che tu ci creda o meno, non ho mai ucciso nessuno in vita mia.
Friedrich sbarrò gli occhi. Non gli credeva.
- Tu c’eri quella notte! – urlò.
- Sì, c’ero – gli occhi scuri di Raphael penetrarono quelli azzurri di Friedrich – Ho visto tutto, ma  non sono stato io. Io non ero l’unico vampiro presente quella notte.
Friedrich non comprese. Poi vide dove andava a cadere lo sguardo di Raphael.
Melissa.
- Sei pazzo? – urlò – Melissa era una bambina! Aveva solo cinque anni!
- È un vampiro – disse lentamente Raphael.
- Voleva bene a mio padre.
- Non l’ha fatto per crudeltà.
Raphael si avvicinò alle sbarre, in modo da trovarsi a pochi centimetri da Friedrich.
- Le avete tenuta nascosta la sua vera natura e quando ha incontrato per la  prima volta un suo simile, ovvero me, ha preso coscienza di sé improvvisamente. Ha perso il controllo e ha aggredito la prima persona che si è trovata di fronte.
- Mi stai mentendo. Melissa non sapeva di essere un vampiro, fino a quando non mi hai costretto a dirglielo!
- L’ha dimenticato nuovamente – sibilò Raphael – È per questo che ha perso i suoi sentimenti. È per questo che non può ricordare quello che è successo quella notte: ha ucciso l’uomo che credeva suo padre!
- Taci! – urlò Friedrich – Non è vero!
- È la verità – replicò Raphael – Non ho nessun motivo di mentirti, ti ho detto ciò che ho visto.
- Non è vero! Non  è vero!
Raphael sorrise.
- Cos’è che non sopporti Friedrich? Non volevi trovare l’assassino di tuo padre?
- Smettila!
- Capisci, vero, perché Gustav ti ha mentito? L’assassino che cercavi è la donna che per quindici anni hai nutrito con il tuo sangue. Che te ne pare Friedrich? È piacevole?
- No! – afferrò le sbarre e le scosse furiosamente, ma Raphael non si scompose.
- Stavi per uccidere la persona sbagliata – gli sussurrò, prima di voltargli le spalle.
Friedrich scrollò le sbarre, poi si voltò e vide gli occhi vuoti di Melissa che lo guardavano privi di espressione.
- Non è vero! – le urlò – Non può essere vero!
Si gettò su di lei, la sbatté a terra, scrollandola.
- Dimmi che ha mentito, dimmi che non è vero!
Nonostante tanta violenza, Melissa non si scompose.
- Non ricordo nulla – disse con voce incolore – Ma a rigor di logica, potrebbe essere vero.
Lui si bloccò, fissandola dolorosamente. In lei vide solo freddezza, insensibilità, indifferenza.
Lo ferirono come mai era successo.
Si scagliò nuovamente su di lei emettendo grida selvagge. Sentiva esplodere in sé un dolore insopportabile, il mondo stava cadendo in frantumi.
- Ma hai sentito davvero cos’ha detto Raphael? E neppure adesso provi nulla? Neppure adesso?
Melissa non rispose. Si lasciò scrollare, dal suo vestito rotolò via un bottone.
Ma non cambiò mai espressione.



****************************************************************

Beh... sorpresa!!!
O almeno... spero davvero che la sia stata, una sorpresa, e che non aveste già indovinato tutto mille capitoli fa! ^^'

Ho cercato di camuffare il tutto perché non si arrivasse in anticipo alla soluzione, e spero vivamente di esserci riuscita!
Ho visto che siete in parecchi a seguire questa storia, vi ringrazio per essere arrivati fino a qui e vi chiedo, se vi va, di lasciarmi un mini mini commento anche solo per dirmi se l'effetto "colpo di scena" è riuscito! ^^
Frsm75... te l'ho fatta? :D  Avevi pensato a Gustav, non ti convinceva Katja, avevi meditato sui genitori di Melissa e Raphael non ti piaceva affatto... Alla fine sono riuscita a sorprenderti? Beh, spero tanto di sì, sia per soddisfazione personale sia perché credo che una storia che riesce a sorprendere sia molto più interessante! :)
Mando un bacio a te e a tutti quelli che mi stanno leggendo!

phoenix_esmeralda











 
 
 

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Capitolo 21
*** TERZA PARTE - L'altro lato del cuore ***


TERZA PARTE
 

  
L’ALTRO LATO DEL CUORE

 

 
 
 
                                                                         
 
 
“Sulla terra c’è posto per tutti”
(MIRACOLO A MILANO)

 
 
 
 

1
 

 
Il gelo si intensificava man mano che le ore passavano e il vestito di cotone pesante che indossavo non riusciva a placare il gelo della notte. Con una mano strinsi il colletto del vestito, là dove si era strappato il bottone. Quando si era staccato, Friedrich si era fermato di colpo e si era allontanato. Si era seduto in un angolo della cella e non si era più mosso.
Lo osservavo dalla distanza a cui mi trovavo, ma non vedevo in lui cambiamenti. Restava in silenzio, gli occhi distanti, il volto congelato in una maschera fredda. Era la prima volta che la figura di Friedrich non mi segnalava i suoi sentimenti. Doveva provare qualcosa, ma le sue emozioni mi restavano intelleggibili.
C’era stata tanta rabbia prima! E ora vedevo solo freddezza, inespressività, distanza… indifferenza.
Era vero quello che Raphael aveva detto?
Se era vero, io ero l’assassino che Friedrich aveva giurato di uccidere.
Le parole di Raphael ronzavano incessantemente nella mia testa e non riuscivo a liberarmene. Non pensavo di esserne rimasta turbata, eppure s’insinuavano nei miei pensieri continuamente.
Neppure adesso provi nulla? Neppure adesso?
Non erano esatte le accuse di Friedrich. C’era una sottile sensazione che strisciava sulla mia pelle, lasciando un brivido gelato. E non era solo il freddo della cella, ma piuttosto il presentimento di emozioni sotterranee che rischiavano di eruttare.
L’atteggiamento di Friedrich non mi aiutava: il vuoto che percepivo intorno a lui diventava una barriera che non riuscivo a superare.
Indovinando le emozioni degli altri, avevo sempre ricavato una guida al mio comportamento, ma ora Friedrich mi lasciava sola e io non sapevo più come gestire me stessa.
Le visioni…
Avrei voluto abbandonarmi a quel mondo solitario che era stata la mia droga per tutta l’infanzia. Ma quel mondo mi aveva ripetutamente sputata fuori come un’appendice estranea, lasciandomi insoddisfatta. E tuttavia sentivo ancora la necessità di riprovare, di infiltrarmi di soppiatto in quella fantasia che per me era reale quanto il mondo quotidiano.
Così chiusi gli occhi e mi abbandonai al silenzio.
Il passaggio fu semplice com’era sempre stato, ma avvertii subito che c’era qualcosa di anomalo.
Non vidi colori scintillanti, né paesaggi fiabeschi, né fenomeni straordinari. Il posto era Gebirge, una sera normale, le vie che ben conoscevo in un tempo non più recente.
Istintivamente cercai di ritrarmi, ma non accadde nulla. Gebirge non scomparve e la strada sconnessa cominciò a scorrere lentamente sotto i miei piccoli piedi.
 
Fissando il terreno lo vedo vicino al mio viso, così capisco che non ho più vent’anni, ma sono piccola. Il papà e il nonno mi stanno ai due lati e mi tengono una mano ciascuno. C’è anche Gustav e tutti mi sembrano molto alti.
Sono contenta perché mi hanno portata al circo e lo spettacolo mi è piaciuto molto. C’erano i leoni, le scimmie e i pagliacci, e anche degli uomini che facevano girare delle palle sulle mani.
Ora però stiamo tornando a casa perché è ormai ora di cena e Friedrich ci sta aspettando. Era raffreddato e non è potuto venire con noi, ma era contento che io andassi. Lui è grande ed è già stato al circo tante volte.
Il nonno propone una scorciatoia e tutti svoltiamo in un vicolo buio. Fa freddo e non c’è la luna, se fossi da sola avrei molta paura.
Poi dall’ombra si stacca una figura che viene verso di noi. Guardo bene perché è buio e vedo un ragazzo vestito di scuro. Si avvicina e ci guarda.
Ci fermiamo, papà gli parla.
- Che c’è ragazzo? Hai bisogno di qualcosa?
Lui viene verso di noi e mi guarda. Improvvisamente sento molto caldo.
- Cercavo lei – dice, guardando me – È la figlia di Helena vero?
Sento la mano del papà che stringe forte la mia.
- Cosa dici? Chi sei?
Il ragazzo ha un sorriso strano.
- Mi chiamo Raphael –dice – E sono un vampiro, proprio come lei!
Mi indica e io faccio un passo indietro. Anche il nonno e gli altri sono agitati e cercano di nascondermi.
Ma il ragazzo si china verso di me e mi appoggia una mano sulla testa.
- Come ti chiami?
- … Melissa…
Mi dice qualcos’altro, ma io non sento più nulla. Il caldo si sta facendo soffocante e il sudore mi cola dalla fronte.
Guardo il ragazzo ma lo vedo come attraverso un vetro appannato, la sua bocca si muove, spezzoni di frasi mi arrivano alle orecchie.
- Non…
- …tu
- … vampiro?
- Non…
- …detto?
Detto? Vampiro?
Io un vampiro?
“È la figlia di Helena vero?”
“Sono un vampiro. Proprio come lei.”
Si accende qualcosa di strano in me, non sono mai stata così. È come una corrente che unisce me e il ragazzo.
Me… e Raphael.
Gli occhi… i suoi occhi… Nelle mie visioni li vedevo così. È questo che vedevo, ricordavo quella notte, questa notte, e forse Friedrich lo sapeva. Ha immaginato qualcosa. Ma ha immaginato sbagliato, perché la colpa non è stata di Raphael. Non ha ucciso lui il papà,
sono stata io che a un certo punto…
… ho sentito…
una furia incontrollabile che mi ha devastata.
Non ho visto più nulla,
perché il papà mi ha spinta via. Ma sul braccio aveva un taglio.
Se l’era fatto in mattinata, spostando cassette di legno tenute insieme da chiodi arrugginiti. Ha sanguinato molto e la ferita si stava rimarginando, ma ora, nella foga di proteggermi, papà ha urtato il muro e il sangue
sta
scorrendo.
Lampi, flash, e una natura che ruggisce dal mio interno.
Esplode, erutta, e viene alla luce
quello
che io
SONO.
Non comprendo nulla, non so più cosa stia accadendo.
Sento rumori, urla, grida.
Non vedo, ma sento,
poi non sento più nulla e apro gli occhi.
Il petto caldo di papà riposa sotto la mia guancia. È rosso, rosso acceso, e io sono inondata di quel liquido accecante che sembra ricoprire ogni cosa.
Vedo una maschera di terrore sul volto di Gustav e dietro di me si accende la voce del nonno.
- Chiama un’ambulanza!
Gustav si alza e corre via.
Un’ambulanza?
Guardo il papà e vedo lo squarcio sulla spalla, proprio alla base del collo. Ha gli occhi chiusi, non si muove.
Istintivamente mi porto una mano alla bocca, la sento sporca di sangue. E i miei denti… non sono mai stati così lunghi!
Lentamente si accorciano e io rimango paralizzata dal terrore.
Ho gli occhi fissi su mio padre.
Sono stata io?
Cosa ho fatto?
Chi…
… chi sono io?
Io… io sono un mostro.
Il nonno mi solleva, mi spinge indietro, si china su papà.
Io resto seduta a terra, le braccia cinte intorno alle ginocchia e dondolo, come facevo quando ero piccola per calmarmi.
Avanti e indietro.
Sono un mostro.
Indietro. Avanti. Indietro.
Un mostro.
Due mani mi afferrano per le spalle, occhi neri s’impiantano nei miei.
- Melissa! Melissa ascoltami!
Guardo Raphael, ma mi sento lontana, sempre più lontana.
- Non fare così – dice lui – È stata colpa mia. Ho causato tutto io! Non sapevo che ti avessero nascosto la verità. Ti sono capitato di fronte e hai preso coscienza di te in modo violento, non potevi farci niente!
Farci niente? Far niente di che?
- Piangi – dice lui – Sfoga la tua paura e il tuo dolore, ma non colpevolizzarti!
Dice cose strane.
Colpevolizzarmi? E di cosa?
È successo qualcosa?
- Piangi Melissa, sfogati!
Lo guardo con un’espressione vuota.
Cosa sta dicendo?
Io non lo conosco, non devo sfogarmi di nulla.
E poi non posso piangere.
Io non so piangere.
 
 
Nero.
 
 
I miei occhi si aprirono sulla cella.
Ritornarono le pareti scure, le sbarre fredde, il pavimento sporco.
Ci volle un momento per capire che non ero più a Gebirge e che non avevo più cinque anni. Il cuore mi tamburellava in petto come un cavallo in corsa, dandomi una sensazione di soffocamento.
Le parole di Raphael erano vere dopotutto. Avevo ricordato ogni cosa e dettagli si stavano via via aggiungendo.
Dopo aver ucciso il padre di Friedrich, avevo sigillato la verità in un angolo della mia mente, ed il prezzo ne erano state le visioni e la perdita dei sentimenti. Quando ero emersa da quel primo stato catatonico, avevo ripreso la mia vita in modo del tutto deviato.
Una fitta mi colpì al cuore. Il battito era rimasto irregolare, come pure era affannoso il respiro. C’era qualcosa che non andava, avvertivo sottosoglia una sensazione di pericolo.
Individuai la causa.
Sangue.
Avevo bisogno di sangue!
Erano trascorsi solo due giorni e mezzo da quando mi ero nutrita dello scoiattolo, eppure il mio corpo reclamava un rifornimento.  Forse il sangue animale valeva meno di quello umano. O forse il ricordo che avevo vissuto ne aveva scatenato la necessità.
Osservai Friedrich in fondo alla cella. Non dormiva, ma fissava le sbarre della cella con sguardo distaccato, privo di emozioni.
Non potevo chiedergli sangue in questa situazione.
I battiti del mio cuore si fecero pesanti, dolorosi. Non era come la notte in cui io e Friedrich eravamo rimasti chiusi nella segheria. Era più forte, faceva più male.
Sentii l’urgenza crescere e capii che non sarei riuscita a frenarla.
L’istinto del vampiro era netto e Friedrich rappresentava il mio nutrimento.
Guidata dal bisogno, andai verso di lui.
I suoi occhi freddi non placarono la spinta che avvertivo, arrivai di fronte a lui e lo spinsi a terra, con la schiena contro il duro pavimento.
Sentii il sangue pulsare sotto la sua pelle, immediatamente i miei canini si allungarono.
Friedrich mi fissò con distacco, come se nulla avesse più importanza. Non disse una parola.
Girò lentamente la testa di lato, offrendomi la gola con indifferenza.
Allora affondai i denti nel suo collo.
 
Sono certa che il tutto durò pochi istanti, non succhiai che qualche goccia.
Ma quel momento, dentro di me, fu lungo una vita intera.
I sentimenti di Friedrich esplosero nella mia testa come un’onda in piena. Li avevo evitati e ignorati la prima volta, ma quest’altra mi fu impossibile.
Sentii. Ogni. Cosa.
La vita di Friedrich si riversò completamente nella mia.
Lo vidi bambino e provai il suo bisogno di affetto e protezione. Vissi con lui l’angoscia della perdita della madre, lo smarrimento, l’indignazione, la disperazione.
Sentii il suo affetto per me, la sua gioia nell’avere una sorella.
Poi l’omicidio del padre.
Le emozioni di Friedrich si mescolarono fra loro, ingarbugliandosi in un intrico incandescente.
Forte, sopra tutti, sentii il dolore. Mi colpì così forte da togliermi il respiro. Poi, lentamente, iniziarono ad agitarsi dentro di me emozioni contrastanti.
La paura di Friedrich, la solitudine, la rabbia, la caduta delle illusioni. Sentii il peso della responsabilità crollare sulle sue spalle, il senso del dovere, il terrore di non farcela, di non riuscire. Di non riuscire a crescere me, Melissa.
Sentii il peso del segreto, la fatica di tener nascosta una verità così grande, la paura di venire scoperto.
C’era l’affetto per me, sempre più possessivo, tenace, profondo. Lo sentii trasformarsi in un amore diverso, in attrazione, in desiderio.
E poi, violento e distruttivo, c’era l’odio. Sempre più feroce, più radicato, alimentato dalle privazioni, dal dolore. Sperare di trovare l’assassino del padre era l’unico sollievo a tanta sofferenza. Quel rancore così selvaggio si ergeva, come un incendio, a divorare ogni pensiero. Mi sentii bruciare a mia volta.
Avvertii la diffidenza iniziale di Friedrich nei confronti di Raphael, il timore di rivelarmi la verità. E per la prima volta mi accorsi di quanto l’avessi ferito, abbandonandolo per venire al Paese. Provai ogni cosa che aveva provato lui nel vedermi andare via. Sentii il furore che aveva sperimentato, credendo che Raphael fosse l’assassino. E sentii lo sgomento della verità.
Le sue emozioni mi colpirono come una pugnalata. L’incredulità di Friedrich, l’amore e l’odio insieme, l’incapacità di perdonare, il desiderio di vendetta, e ancora dolore dolore dolore… Dietro quegli occhi freddi c’era così tanta sofferenza che non la sopportai.
Mi tirai indietro, grondando dolore. Era tanto intenso, che credetti di non riprendere più a respirare.
Guardai Friedrich stordita e vidi i suoi occhi sgranati. Allora compresi che, mentre leggevo nel suo cuore, lui aveva letto nel mio. E aveva visto tutto ciò che mi era apparso nella visione.
Adesso sapeva la verità.
Aveva la certezza che l’assassino che cercava ero io.
Mi allontanai velocemente, gattonando e strisciando sulle ginocchia. Non volevo stargli vicina. Dopo quello che aveva visto, non mi avrebbe voluta.
O mi avrebbe uccisa?
Tornai al centro della cella in silenzio. Friedrich si alzò a sedere e appoggiò la schiena al muro. L’indifferenza era scomparsa dal suo sguardo, ora sembrava totalmente annichilito.
Appoggiò le braccia alle ginocchia e sprofondò la testa nelle braccia.
Rimase immobile.
 
Quella fu la notte più lunga di tutta la mia vita.
Rimasi raggomitolata nel mio mezzo metro quadrato, tremante di freddo, stordita dalla confusione.
I sentimenti di Friedrich pesavano ora dentro al mio petto ed erano una febbre che mi consumava dall’interno. Spezzoni della mia vita passata scoppiavano nella mia testa come fuochi d’artificio, portando a galla rapidi flash, eventi che mi erano sempre rimasti oscuri.
Tanti sguardi di Friedrich.
Tanti suoi gesti.
Tante sue parole.
Ora capivo, capivo tutto! Leggevo perfettamente dentro di lui.
Lo vedevo immobile, in fondo alla cella. Non aveva ancora parlato, né mi aveva rivolto spontaneamente uno sguardo. E adesso potevo comprenderne il motivo, dopo aver saggiato una per una le emozioni del suo cuore.
Amore… Odio.
Avrebbe prevalso l’odio, lo aveva covato per tanti anni, per troppo tempo. Aveva pregustato la vendetta, l’aveva avviata contro Raphael… non avrebbe risparmiato me.
Nessuno perdona mai un vampiro.
Questa consapevolezza era una tenaglia che mi stringeva il cuore.
Il dolore di Friedrich era stato così violento… era esploso nel mio cuore con un’amarezza impossibile da lenire.
Friedrich, Friedrich…
… Non avevo mai capito nulla di lui!
Quel suo proteggermi, quel suo rivolgermisi con tenerezza, quel suo timore di perdermi, il suo desiderio di veder riemergere i miei sentimenti. Il suo nutrirmi per tutti questi anni.
Quando Raphael mi aveva rivelato l’amore di Friedrich, non avevo associato a esso nessuna immagine. Le sue parole erano scivolate nel mio animo come pioggia su tessuto impermeabile.
Solo adesso il loro significato si diramava in molteplici direzioni, richiamando quella che era statala nostra vita insieme.
Solo adesso che avevo condiviso con lui ogni minima emozione.
Mentre i sentimenti di Friedrich fluivano lentamente in me, presi atto di molte piccole cose.
E i minuti gocciolarono lentamente verso l’alba che ci avrebbe giustiziati.
 
 
 

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Capitolo 22
*** Il processo ***


2
 

 

Friedrich sollevò la testa solo allo scatto della porta. Fu come risvegliarsi da un orrendo incubo, lungo una notte intera. Non aveva dormito, ma dopo essere stato morso da Melissa non era mai stato veramente cosciente. Pensieri cupi, orrendi, avevano imprigionato la sua mente.
La realtà concreta tuttavia non era migliore, osservò, vedendo entrare il vampiro che li avrebbe condotti fuori. Il processo era probabilmente un’inutile formalità. Dopo aver tentato di uccidere Raphael la condanna era sicura.
Friedrich si alzò docilmente e lasciò che lo ammanettassero con le braccia dietro la schiena. Sembrava che non gli restassero più energie per nulla, neppure per cercare di salvarsi la vita.
Anche Melissa non si oppose alle manette e seguì con indifferenza il carceriere. Non aveva paura del processo, ne era certo. Né aveva timore di morire. E si accorse di quanto poco importasse anche a lui: niente gli sembrava reale, niente riusciva più scalfirlo.
Seguirono il vampiro lungo le scale di sassi fino a un profondo corridoio odoroso di legno. Vennero introdotti in una stanza piuttosto vasta che non ricordava in nulla l’aula di un tribunale. Due sgabelli di legno distanziati l’uno dall’altro erano posti in mezzo al pavimento. Di fronte ad essi si apriva un semicerchio di sedie su cui stavano già aspettando gli anziani del Paese, otto in tutto. Raphael era tra loro, spostato sulla sinistra.
Niente giudice, niente giuria, nessun avvocato. A Friedrich venne quasi da ridere.
Processo…
Avrebbero potuto perlomeno chiamarlo in un altro modo.
Il vampiro che li precedeva li fece sedere sui due sgabelli senza slegare loro le mani. Era umiliante e Friedrich non osò alzare gli occhi su Raphael; non dopo gli ultimi avvenimenti.
L’anziano al centro del semicerchio fece un cenno al vampiro che li aveva accompagnati, il quale si accinse a chiudere la porta. 
Pur senza alzare lo sguardo, Friedrich sentiva tutti gli occhi puntati su di sé.
- Bene – iniziò l’anziano al centro, unendo le mani in gesto riflessivo – Dobbiamo decidere come procedere.
- Raphael afferma che questo umano ha cercato di ucciderlo – intervenne un secondo individuo.
- Io ho visto una ragazza uscire dalla casa di Melissa con un coltello in mano!
A parlare era stato il giovane vampiro che aveva provato a corteggiare Melissa;  Friedrich non si era accorto prima della sua presenza.
- Anch’io ho visto la ragazza – s’introdusse l’anziano che aveva presenziato alla loro cattura. Entrambi si voltarono verso Raphael aspettando maggiori dettagli, ma lui si limitò a scrollare le spalle.
- La ragazza ha sventato l’omicidio e ha sottratto l’arma a Friedrich. Solo questo umano ha tentato di uccidermi.
L’anziano al centro diede segni d’impazienza.
- Non perdiamo tempo discutendo di questo giovane. Quello che ci interessa è analizzare il caso di Melissa. L’umano si trova al Paese Invisibile e già solo per questo è condannato.
Friedrich sussultò e alzò per la prima volta lo sguardo sui presenti. Sapeva di non avere speranze, ma sentirselo dire a quel modo ebbe su di lui l’effetto di una doccia gelata. Improvvisamente ogni cosa divenne reale.
- Che ruolo ha avuto Melissa in tutto questo? – domandò l’anziano al centro.
Il silenzio calò nell’aula. Molti occhi si volsero verso Raphael, ma lui esitò.
- La ragazza con il coltello usciva dalla casa di Melissa – disse allora uno dei testimoni.
L’anziano strinse gli occhi e si rivolse alla vampira che, immobile di fronte a lui, fissava i presenti come se l’intero processo non la riguardasse.
- Melissa… stavi nascondendo questo umano nell’abitazione che ti abbiamo assegnato?
Lei non esitò un istante.
- Sì, Heinrich.
Un mormorio si levò dalle sedie. Solo allora intervenne Raphael.
- Questo umano ha allevato Melissa come una sorella, per lei è un fratello.
Friedrich soppesò Raphael con lo sguardo. Stava cercando di aiutarla?
Vide il vampiro chiamato Heinrich chinarsi in avanti.
- Che ruolo hai avuto, Melissa, in questo tentato omicidio?
Friedrich strinse i pugni e le manette gli morsero i polsi. Nonostante le scoperte della notte appena trascorsa, doveva a Melissa almeno un tentativo di scagionarla.
- Melissa non sapeva che io volessi uccidere Raphael!
L’anziano al centro si volse verso di lui, la sua espressione era grave.
- Allora ammetti di aver tentato di assassinarlo?
- Ero venuto appositamente per farlo.
Di nuovo tra le sedie si levò un brusio.
- E perché hai compiuto un gesto simile?
- Perché credevo che Raphael avesse ucciso mio padre.
I vampiri si guardarono l’un l’altro in faccia, sorpresi; solo Raphael rimase tranquillo.
- Il padre di questo umano è stato assassinato da un vampiro – spiegò quietamente – Il ragazzo ha ritenuto che il colpevole fossi io.
Di nuovo quel mormorio sommesso. Friedrich iniziava a detestarlo.
Tenne gli occhi bassi, fissi sul pavimento. Non riusciva ancora a guardare in faccia Raphael.
La sua voce lo raggiunse comunque.
- Friedrich? Non hai niente da dirmi?
Lui chiuse gli occhi. Nei confronti di Raphael non provava più alcuna emozione. Nulla. Era tutto scomparso.
- Mi ero sbagliato – disse.
Pur senza vederlo, sentì il sorriso sarcastico di Raphael.
Il silenzio calò nella stanza, pesante come piombo. Non c’era più molto da aggiungere.
Fu ancora Heinrich a prendere la parola.
- Melissa, vuoi dire qualcosa?
Lei scosse la testa, indifferente e Friedrich invidiò la sua calma.
- Allora non resta che passare al verdetto – disse l’anziano.
Gli altri vampiri annuirono, mostrando che condividevano la decisione che già sapevano era stata presa. I pareri non potevano essere che unanimi.
- Melissa ha ospitato un umano –concluse allora Heinrich – Anche se quest’uomo è stato per lei come un fratello, conosceva le regole del Paese. Io stesso l’avevo informata non più di una settimana fa.. Nascondere umani fra noi non è sicuro e questo ragazzo si è rivelato oltretutto  pericoloso. Il verdetto è uno solo dunque – l’uomo fissò Melissa dolorosamente – Saranno entrambi puniti con la morte per dissanguamento, domattina all’alba.
Friedrich sbarrò gli occhi stordito.
Così presto? Restava così poco tempo?
Avevano meno di ventiquattrore!
Guardò Melissa, ma sul suo viso non vide passare alcuna emozione.
Non possedeva neppure un minimo di istinto di sopravvivenza? Eppure quando si era trovata in astinenza di sangue, l’aveva aggredito di prepotenza! Mentre ora…
La vide alzarsi, sollecitata dal vampiro carceriere. La imitò seguendo entrambi verso la cella, un altro guardiano chiudeva la fila.
Guardare Melissa era una tortura. Non riusciva più a vedere la sorella da proteggere…Ai suoi occhi non compariva più la donna che amava.
A lei si sovrapponeva la figura grondante di sangue che aveva visto leggendole nella mente. Quelle immagini lo ossessionavano, gli spaccavano il cervello a metà!
Ogni volta che guardava Melissa, vedeva il corpo esanime del padre giacere a terra in una pozza di sangue.
Vedeva i canini di Melissa avventarsi su di lui.
E vedeva Raphael tentare di placarla.
Se lui non fosse intervenuto, probabilmente Melissa si sarebbe scagliata anche su Gustav e sul nonno.
Quel pensiero lo faceva star male.
Non poteva più pensare a Melissa allo stesso modo… non ci sarebbe riuscito mai più.
Aveva captato i pensieri della bambina che, tornando, in sé aveva trovato il corpo moribondo del padre.
Io sono un mostro.
Era piccola, aveva solo cinque anni: la situazione le era sfuggita di mano, non voleva far male a nessuno.
Friedrich lo ripeteva dentro di sé da ore, aggrappandosi a quei pensieri come a un esorcismo in grado di scacciare il dolore. L’orrore.
Ma nulla sembrava funzionare e una pungente consapevolezza stava prendendo forma nel suo animo.
Melissa era veramente un mostro.
 
La cella accolse nuovamente entrambi tra le sue gelide mura; lo scatto  della serratura tolse a Friedrich il respiro: le braccia erano nuovamente libere, ma le loro vite si ritrovavano prigioniere di un destino irreversibile
Tornò a sedersi nel suo angolo e vide che Melissa faceva altrettanto, sembrava che non avessero più nulla da dirsi.
Chiudendo gli occhi, Friedrich rivisse nella mente tutte le fantasticherie del passato:  le parole avrebbe rivolto all’assassino del padre quando l’avesse trovato, le sofferenze che gli avrebbe inferto. La morte.
Aveva costruito quindici anni di castelli di carte.
Strinse i denti, dilaniato. Da una vita intera, dentro di lui c’era odio per quell’assassino. Odio, rancore, violenza, rabbia, furore, desiderio di vendetta.
Emozioni prepotenti, divoranti, che correvano sempre in una sola direzione: la distruzione di quell’uomo.
Adesso non era più possibile. C’erano sensazioni dentro di lui che contrastavano e facevano a pugni tra loro. Non più solo amore per Melissa. Non più solo odio per quell’assassino.
Erano l’uno e l’altro e molte altre cose insieme. Qualcosa sarebbe emerso alla fine, qualcosa avrebbe prevalso dentro di lui.
Ma Friedrich dubitava che sarebbe vissuto abbastanza per vederne la conclusione.
 
Poco prima di mezzogiorno, comparve Raphael. Né lui né Melissa parvero accorgersene finché non fece scattare la serratura e varcò la porta.
Il vampiro di guardia teneva d’occhio la situazione, li squadrava come se avessero potuto saltare alla gola di Raphael da un momento all’altro.
Invece nessuno dei due si mosse, sembravano paralizzati dal susseguirsi degli avvenimenti. O almeno, era così che Friedrich si sentiva.
Raphael sorrise vedendoli rannicchiati in due angoli diversi della cella, sembrava trovare la cosa divertente.
- Una scenetta notevole – commentò, passando lo sguardo dall’uno all’altra – Pensavo, Friedrich, che avresti fatto più confusione per salvare almeno Melissa. E invece non te ne importa più niente… - fece una breve pausa a effetto – È interessante seguire l’evoluzione dei sentimenti umani. Ne conoscevo già la volubilità e tu me ne hai dato ulteriore conferma.
Friedrich sentì amarezza nella sua voce, ma la liquidò come una sciocchezza, frutto della sua confusione.
Vide Raphael avvicinarsi a Melissa, chinarsi su di lei.
- Ti avevo avvertita, ricordi? – bisbigliò sulla sua testa – Ricordi le mie parole? Gli esseri umani sono fragili, egoisti, rancorosi. Incapaci di amare! Dov’è finito tutto l’amore di Friedrich? – scoppiò a ridere amaramente – Nel mucchio con quello dei miei genitori, presumo!
Melissa alzò di scatto lo sguardo su di lui.
Friedrich sbatté le palpebre due o tre volte. Gli era parso di scorgere un’emozione sul volto di lei, un’emozione netta, sincera. Sapeva che Melissa con Raphael non mentiva.
Per un istante pensò che volesse dire qualcosa, ma la sua bocca rimase serrata. Raphael la fissò a lungo, in silenzio. Alla fine si scostò di un paio di metri.
- Voglio proporti un patto – disse, senza mollarla con gli occhi – Se vuoi, puoi salvarti la vita.
Friedrich accennò un sorriso ironico. Aveva avuto ragione: Raphael stava cercando di aiutare Melissa. Meglio anche per lui, gli avrebbe tolto un peso dalla coscienza.
Melissa invece sembrò non badare alle sue parole, come se le risultasse indifferente morire dissanguata o continuare a vivere.
Raphael non fece caso a tanta mancanza di entusiasmo e lasciò cadere la proposta con naturalezza.
- Passa la notte con me e io farò in modo che tu non venga giustiziata!
Friedrich lo squadrò incredulo.
- E come farai? – disse sardonicamente.
Ma il suo sarcasmo non lo sfiorò.
- Sono più potente qui, di quanto tu non possa immaginare. Posso scovare qualche buon motivo per giustificare il comportamento di Melissa. Se cerco di salvarla, gli anziani non si opporranno.
Melissa gli aveva raccontato di quanta influenza avesse Raphael al Paese, le sue parole dunque potevano rispecchiare la verità.
Ma lei non aveva ancora espresso alcuna opinione. Friedrich non riusciva a immaginare cosa le stesse passando in testa: per lei vivere e morire erano sullo stesso piano.
Ma avrà un istinto di sopravvivenza!
Non ricevendo risposta, Raphael si diresse verso l’uscita.
- Ti lascio qualche ora per pensarci – buttò lì – Non decidere affrettatamente, sono sicuro che converrai sulla validità della mia proposta.
Poi si voltò verso Friedrich con il suo caratteristico sorriso.
- E tu non ostacolarmi, ragazzo.
Melissa ricambiò le sue parole con uno sguardo totalmente assente.
Poi il vampiro lasciò la cella e la porta si richiuse con uno scatto metallico.
Friedrich si lasciò andare con  un sospiro contro il muro: Raphael aveva dato a Melissa la possibilità di scegliere e adesso lei sola poteva decidere del suo destino. Quello che sarebbe stato di lei non lo riguardava più. Non l’avrebbe ostacolata, se si fosse venduta per aver salva la vita. Anzi, non era che la decisione più sensata.
Pensò di dirglielo e si accorse, parlando, di quanto risultasse gelida la sua voce.
- Se fossi in te, non mi lascerei scappare l’occasione!
Melissa non rispose. Allora lui appoggiò la testa al muro e, chiudendo gli occhi, cercò di dormire almeno per qualche ora.
 
 

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Capitolo 23
*** Senso di colpa ***


3
 

 
Friedrich era riuscito ad assopirsi e lentamente il suo dormiveglia si era trasformato in un sonno più profondo. Non si era accorto dell’arrivo del pranzo e ora il vassoio giaceva ignorato accanto a lui. Non mangiava nulla dal pranzo del giorno prima, ma dubitavo che avrebbe pranzato anche se fosse stato sveglio.
Anche il mio pasto riposava intonso ai miei piedi: per la prima volta in vita mia mi rendevo conto di come una circostanza potesse interferire con l’appetito.
Ero ricolma di sensazioni, l’intreccio caotico generato dalla presa di coscienza del vissuto di Friedrich non aveva ancora lasciato spazio al silenzio. Niente di quanto accadeva esteriormente riusciva a distogliermi da quello che avveniva dentro di me. Per quindici anni non avevo sentito nulla e adesso le emozioni che provavo assorbivano completamente la mia attenzione.
Mi ero resa conto superficialmente dell’andamento del processo, non mi ero focalizzata che per pochi istanti sul verdetto e avevo accolto distrattamente la proposta di Raphael. L’unica cosa che mi aveva scossa momentaneamente era stata l’esclamazione di Friedrich.
Se fossi in te non mi lascerei scappare l’occasione!
Dunque, voleva che mi salvassi? O era un parere disinteressato?
O ancora, era una di quelle frasi sarcastiche che io non ero in grado di capire?
Lentamente si stava facendo strada in me una sensazione nuova, diversa. Un sentimento sconosciuto che non apparteneva a Friedrich. Era mio, esclusivamente mio. La consapevolezza di essere responsabile di tutto il dolore che avevo visto in Friedrich si stava trasformando dentro di me in oppressione, pesantezza.
Peggio.
Era…
… era disgusto di me stessa, rifiuto, ribellione…
…E anche desiderio di rimediare, o forse di espiare.
Potevo dare un nome a tutto questo, a poco a poco riconoscevo i sintomi e li inquadravo all’interno delle classificazioni di Gustav.
Senso di colpa.
Non avrei mai creduto che potesse essere così travolgente. Era un sentimento complesso, profondo, negativo, che mi faceva del male.
Sentivo la necessità di sfogarlo, di incanalarlo in un’azione liberatoria… Ma non conoscevo la strada giusta. Certamente non era la soluzione proposta da Raphael.
Non era un rimedio e non ero interessata a salvarmi in quel modo. Non importava se mi conveniva, come pensava Friedrich. Lui non poteva immaginare cosa avevo dentro. Non sapeva che guardarlo mi procurava un dolore pari al suo, che ripensando al passato sentivo le mie viscere liquefarsi, che saperlo condannato a causa mia mi spezzava il respiro.
C’era una barriera che mi divideva da lui, innalzata dalla sua freddezza, dal suo smarrimento, dal rancore, dalla paura.
Dal mio senso di colpa.
Provavo il desiderio di scomparire, di farmi un punto invisibile al mondo.
Friedrich aveva aspettato per quindici anni che io provassi ancora qualcosa. Ora che accadeva, non riuscivo a dirglielo.
 
Friedrich si svegliò verso le cinque del pomeriggio e di nuovo  non toccò cibo.
Notò il mio piatto ancora pieno e mi rivolse uno sguardo pensoso, ma non domandò nulla. Il fratello premuroso di un tempo era ormai un’immagine distante, inconciliabile con la figura fredda che divideva la cella con me.
Provai il desiderio acuto di tornare indietro, alla nostra casa, al negozio, a Gebirge. Comprendevo solo ora quello a cui avevo rinunciato.
Attorno alle diciotto ricomparve Raphael. Non entrò, ma si fermò silenzioso dietro alle sbarre, considerando la situazione. Non era cambiata di molto, in realtà. A parte i piatti di cibo ancora in terra, io e Friedrich eravamo nelle stesse identiche posizioni. Stesso stato d’animo, stesse espressioni.
Friedrich ignorò totalmente la presenza del vampiro, rifiutando di considerarlo. La mia scelta non lo riguardava minimamente.
- Allora Melissa – domandò Raphael – Hai riflettuto sulla mia proposta?
Feci segno di sì con la testa.
- E cosa hai deciso?
- Non accetto.
Raphael aggrottò la fronte. Più che sorpreso, sembrava incuriosito.
- Se resterai qui, domattina verrai giustiziata.
Mi strinsi nelle spalle. La morte non mi faceva paura.
- Sarebbe molto semplice per te, salvarti.
- Ma non ho nessun motivo per volerlo fare.
- Allora preferisci morire assieme a Friedrich?
Non diedi risposta.
Raphael si voltò verso l’angolo in cui si trovava Friedrich.
- Tu non dici nulla? Non le consigli di salvarsi? Una volta non desideravi altro che proteggerla, adesso non t’importa che muoia con te?
Lui ricambiò con uno sguardo gelido.
- Non sono più suo fratello, è libera di fare come vuole. Le converrebbe salvarsi, ma so che in fondo non le importa di morire. Non le importa niente di niente.
Raphael si rivolse a me.
- È vero che non t’importa Melissa? Qualunque cosa accada?
Mi strinsi nuovamente nelle spalle.
Lui mi scrutò attentamente, mi soppesò a lungo. Quell’analisi mi procurò una sensazione invasiva, come se mi stesse leggendo dentro. Forse vide veramente qualcosa,  perché improvvisamente la sua espressione mutò. Lanciò un’occhiata veloce ancora a Friedrich  e poi tornò su di me. Sorrise.
- Lothar!
Il vampiro di guardia, che fino a quel momento si era tenuto in disparte, gli si fece vicino.
- Esci un momento, cercami un ramo, un fuscello… qualcosa che sia resistente ma flessibile.
Il vampiro annuì e si mosse immediatamente.
Raphael tornò a guardare Friedrich e la sua espressione non mi fece presagire nulla di positivo. Cosa voleva fare con quel ramo? Anche Friedrich sembrava preoccupato.
Non riuscivo a capire i sentimenti di Raphael nei confronti di Friedrich: a momenti riconoscevo indicatori di disprezzo, a momenti di compassione..
Friedrich era umano e aveva cercato di ucciderlo, Raphael questo non l’aveva certo dimenticato. Ricordai le sue parole.
Dov’è adesso tutto l’amore di Friedrich?
Parole cattive, cariche di rabbia. Ero stata sul punto di rispondergli, di dirgli in faccia “Ma io ho ucciso suo padre!”
Ma non era da me parlare in preda alle emozioni, e alla fine le parole non mi erano uscite.
Tuttavia in me stava avvenendo un cambiamento forte e iniziavo a capire cosa stesse succedendo. La terapeuta che mi aveva seguito aveva attribuito le mie visioni all’impossibilità di ricordare un evento traumatico, e la perdita di sentimenti non era che un’ulteriore difesa alla mia mente.
Adesso vedevo come aveva avuto ragione. Il mio sistema difensivo aveva funzionato per anni in modo impeccabile, finché l’improvvisa comparsa di Raphael aveva provocato una crepa. Ora l’intera facciata si era sgretolata, avevo ricordato ogni momento e le emozioni iniziavano a tornare. Adesso erano solo spruzzi eterogenei di colore che rendevano la mia emotività simile a un puzzle incompleto. Ma lentamente i pezzi stavano tornando al loro posto. Avrei riavuto tutti i miei sentimenti… Stavo diventando una persona normale!
Se avessi avuto il tempo per farlo.
Il vampiro chiamato Lothar ricomparve con un oggetto in mano. Aveva trovato una pianta sottile, lunga. Resistente e flessibile, esattamente come l’aveva richiesta Raphael. Mi accorsi che assomigliava a un frustino.
Anche Friedrich doveva aver fatto lo stesso pensiero, perché diventò improvvisamente nervoso.
Raphael aprì con uno scatto la cella e fece cenno a Lothar di entrare.
- Lothar, questo umano domattina sarà giustiziato a causa della sua presenza al Paese. Ma non credi che debba essere punito anche per l’omicidio che ha tentato di perpetrare nei miei confronti?
Friedrich si alzò in piedi temendo il peggio. Ora i due vampiri erano nella cella e avevano richiuso la porta dietro di loro.
Raphael indicò il soffitto all’altro, il quale individuò subito un gancio che scendeva dall’alto. Con uno scatto fulmineo ammanettò Friedrich e lo costrinse ad alzare le braccia sopra la testa, infilando nel gancio uno degli anelli della catena. Lui cercò inutilmente di opporsi, sembrava debole, stanco. Alla fine rimase immobile, con le mani imprigionate sopra alla testa.
- Perché fai questo? – domandò, rivolgendosi a Raphael – Non ti basta che sia già stato condannato?
- Non ce l’ho con te – sorrise Raphael, incrociando le braccia al petto – Mi dispiace Friedrich, sei un povero sciocco, ma non ho interesse a farti del male. Voglio solo arrivare a Melissa.
- A me?
Mi alzai in piedi sorpresa. Cosa c’entravo io con quanto stava succedendo?
- Mancano dodici ore all’esecuzione – spiegò Raphael – Potranno essere dodici ore tutto sommate tranquille, in cui Friedrich avrà il tempo di fare il bilancio della sua vita… - gettò un’occhiata all’altro vampiro che, immediatamente, calò il frustino sulla schiena di Friedrich.
- Oppure potranno essere dodici ore di supplizio – proseguì Raphael – E il tuo ex fratellino non vedrà l’ora che arrivi l’alba per smettere di soffrire!
Friedrich gli lanciò un’occhiata allarmata, ma io ancora non capivo.
- Mi spiego meglio, Melissa – sorrise – Se passerai la notte con me, avrai salva la vita e Friedrich non dovrà soffrire. Ma se ti ostini a rifiutare la mia proposta, morirete entrambi e Friedrich trascorrerà una nottata infernale!
- Ma perché?
Non capivo. Davvero non capivo!
- Ti voglio – rispose lui – Ma non con la forza, lo sai. Devi venire spontaneamente da me. Anche se sotto ricatto, devi essere tu a volerlo!
Di nuovo si volse verso Lothar e la sferza tornò a calare sulla schiena di Friedrich, stavolta ritmicamente, un colpo dietro l’altro.
Il corpo di lui si tese, lo sentii grugnire e presto i lamenti soffocati si trasformarono in grida.
- Ma io non voglio passare la notte con te! – dissi, rivolta a Raphael – Cosa c’entra Friedrich?
Lui non mi rispose. Osservava lo scempio della schiena di Friedrich senza battere ciglio. Non riuscivo a indovinare i suoi sentimenti, eppure mi parve di scorgere qualcosa di simile al compiacimento.
Perché agiva così?
Se voleva ottenere qualcosa, avrebbe dovuto frustare me. Che senso aveva procurare dolore a Friedrich? Non era lui a poter decidere!
Il comportamento di Raphael era inspiegabile, sembrava credere che il dolore di Friedrich avrebbe influito sulla mia decisione.
Eppure, a un certo punto, accadde qualcosa di eccezionale.
Le grida di Friedrich iniziarono a ferirmi le orecchie in modo lacerante, sentii la sua voce penetrare nella mia testa e scendere giù, fino alla gola, nel cuore, nello stomaco.
Che sensazione incredibile!
Era come… se provassi anch’io la sua stessa sofferenza!
Ogni volta che la frusta schioccava sulla sua schiena, sussultavo. Non c’erano ferite sulla mia pelle, eppure il mio cuore, a quella vista, urlava di dolore.
Raphael l’aveva previsto?
Diventava sempre meno sopportabile, sempre più squassante.
Chiusi gli occhi, ma le urla di Friedrich mi torturavano l’anima.
Allora mi coprii le orecchie con le mani.
Non resistevo più.
 
 
 
 

4
 

 
Friedrich provò a mordersi le labbra, ma ancora una volta non riuscì a trattenere il grido. Ancora un po’ e la schiena avrebbe iniziato a sanguinare.
Come sarebbe riuscito a resistere dodici ore a quel modo? Sarebbe morto prima dell’alba!
La condanna gli aveva fatto paura, ma questo supplizio stava modificando la prospettiva del suo futuro. Aveva ragione Raphael, presto il momento dell’esecuzione gli sarebbe parso desiderabile!
Non ho interesse a farti del male!
Che ridicola  menzogna! Raphael sapeva perfettamente che Melissa era priva di empatia! Se non aveva ceduto per salvare se stessa, men che meno lo avrebbe fatto per un’altra persona.
Non comprendeva il dolore altrui… Avrebbe osservato per tutta la notte quella carneficina, nell’assoluta indifferenza.
Mentre la sferza gli lacerava la maglia, Friedrich rivide episodi del passato cui non ripensava più da tempo. Momenti in cui era stato male, ammalato fisicamente, e Melissa non aveva mostrato un minimo di sensibilità.
Solo seguendo i suggerimenti di Gustav, qualche volta si era comportata premurosamente.
“Sii gentile con tuo fratello, Melissa”, e allora lei s’ingegnava in qualche forzata manifestazione di affetto, che lui subito smascherava.
Sii gentile con tuo fratello, Melissa – pensò, stordito dal dolore – Fai cessare questo strazio!
Che barzelletta! Riuscì persino a sorridere, tra un grido e l’altro.
Poi lo sguardo gli cadde a sinistra, là dove stava in piedi la gelida Melissa. E non credette ai suoi occhi.
Si tappava le orecchie con le mani, quasi che le sue grida riuscissero a raggiungerla davvero. E, in quegli occhi sbarrati, lesse angoscia.
Che cosa stava succedendo?
Non era possibile. Melissa non era in grado di soffrire per lui… Di soffrire per chiunque!
Un colpo più forte degli altri gli mozzò il respiro in gola. Avvertì il sangue scivolargli tra le scapole e rabbrividì di dolore.
Sentì il sibili della frusta che si sollevava di nuovo. Chiuse gli occhi.
- Basta, smettila!
Il vampiro fermò il braccio e Friedrich riaprì gli occhi frastornato. Solo dopo un momento comprese che il comando era arrivato da Melissa. Lo aveva affiancato e anche senza gesti manifesti, Friedrich avvertì il suo desiderio di proteggerlo.
Raphael pareva soddisfatto di se stesso.
- Hai deciso di rivedere la tua decisione?
Melissa si scostò una ciocca di capelli dal viso. Non sembrava più lei. Friedrich non aveva mai visto su di lei un’espressione tanto risoluta.
- Accetto la tua proposta, ma con una variante.
Raphael strinse gli occhi.
- Quale?
- Passerò la notte con te, ma voglio che sia Friedrich ad essere liberato.
Il silenzio calò sulla prigione. Friedrich era sbalordito, paralizzato dalla sorpresa;  Raphael invece non cambiò espressione.
- Se libero Friedrich, tu domattina sarai giustiziata.
- Sì.
Di nuovo silenzio.
Friedrich non credeva alle sue orecchie. Il dolore gli rendeva difficile pensare, ma sentì il cuore accelerare il battito. Il vampiro sembrava indeciso, stava chiaramente soppesando la richiesta di Melissa.
Friedrich cercò di raddrizzare la testa.
- Non è… possibile – disse piano, in un soffio di voce.
Melissa si voltò a fissarlo e lui vide… contrarietà?
- Raphael non può salvarmi… - le bisbigliò – I vampiri possono accettare la tua liberazione… ma non la mia…
Perché stava parlando?
Lui voleva salvarsi, voleva smettere di soffrire, voleva andarsene!
Non capiva più se stesso, né Melissa, né Raphael che invece sembrava valutare la possibilità della sua salvezza.
- Io possiedo ogni possibilità di scelta – controbatté infatti. Lanciò un’occhiata significativa a Lothar, che si strinse nelle spalle.
Avrebbero accettato che lui se ne andasse?
- Decidi come meglio credi –disse il vampiro, quasi in risposta ai dubbi di Friedrich – Noi ci fidiamo del tuo giudizio.
Raphael annuì e si rivolse a Melissa.
- D’accordo, faremo come dici tu. Friedrich verrà rilasciato e sarai giustiziata da sola.
Melissa assentì con uno scatto della testa. Raphael tese una mano verso di lei.
- Vieni con me, ora. Farai un bagno caldo e poi ceneremo insieme.
Quando Melissa si mosse per raggiungere il vampiro, Friedrich realizzò quello che stava accadendo.
Melissa sarebbe andata a letto con Raphael e sarebbe morta… per salvare lui.
Stava succedendo davvero?
La sua glaciale, insensibile Melissa avrebbe fatto…
… questo?
Seguì con occhi sbarrati la figura di lei che si allontanava al fianco di Raphael.
Lothar gli liberò i polsi dalle manette e lui cadde a terra senza forze.
Alzò la testa mentre la cella si richiudeva davanti a lui. Melissa era uno strascico di colore in dissolvenza. Provò a chiamarla. Aprì la bocca.
Melissa!
L’urlo restò nella sua testa, risuonò con note deliranti.
Quando ritrovò la voce, lei era già scomparsa.
 
 

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Capitolo 24
*** Attrazione ***


 5
 

 

La vasca da bagno era alta, corta e stretta, sostenuta da quattro zampe di leone in ferro. La riempii d’acqua bollente fino all’orlo, vi versai i sali al muschio bianco che avevo trovato su uno scaffale e mi immersi fino al mento.
Che sollievo lavarsi, dopo più di ventiquattrore di reclusione! Era una sensazione confortante, che non avevo mai sperimentato. E, unita ad essa, c’era quella di aver azzeccato, finalmente, la direzione giusta.
Avevo messo a tacere le urla di Friedrich ed ero riuscita a placare quell’oppressione che mi schiacciava il cuore. Se potevo salvarlo dandomi a Raphael e morendo, avevo trovato il modo di espiare la mia colpa.
Forse in questo modo Friedrich mi avrebbe perdonata.
Gustav diceva che il perdono dava pace e io, frastornata da tanti nuovi sentimenti, ne avevo bisogno. Avrei risolto ogni cosa a questo modo, tutto sarebbe andato per il meglio.
Forse Friedrich inizialmente non avrebbe accettato la salvezza dall’assassino di suo padre. Ma nel tempo ci sarebbe riuscito. Era buono, lo sapevo, e il suo amore era stato sincero. Potevo fidarmi del suo animo.
Raphael aveva lasciato per me un vestito tradizionale, lungo, rosso scuro, con una larga cintura stretta in vita.
Mi vestii di tutto punto, spazzolai i capelli finché non furono poco più che umidi e li lasciai sciolti lungo la schiena. Raphael mi attendeva per la cena, così uscii dal bagno seguii il vampiro di guardia e mi lasciai condurre in sala da pranzo.
La cena fu per lo più silenziosa. Raphael era immerso nei suoi pensieri e io non sentivo certo bisogno di conversazione.
Commentammo il cibo, parlammo un po’ del Paese. Nessun accenno però a Friedrich o a quello che sarebbe avvenuto dopo. Né tanto meno il mattino seguente.
Mangiammo bistecca di manzo, zucchine grigliate e crostata di mirtilli. Non sapevo chi avesse cucinato, non certamente Raphael. Cercavo di non pensare a quello che sarebbe accaduto più tardi tra di noi, alle sue mani brune su di me, al suo fiato caldo addosso. Non sapevo perché mi volesse nonostante dovessi morire. Perché dovesse avermi spontaneamente!
Quando la cena terminò, decisi di chiedergli un’assicurazione.
- Prima di stare con te, voglio che Friedrich venga liberato – dissi.
Raphael annuì.
- Voglio vederlo andare via – precisai.
- Sì, lo avevo immaginato. Lothar sa già tutto e agli anziani spiegherò ogni cosa più tardi. Scendi pure alla prigione. Vai a dirgli addio.
Addio. Che parola altisonante.
Uscii dalla sala da pranzo, sorpresa di potermi muovere da sola.
Infilai nuovamente la testa nella sala.
- Ti fidi di me? Non hai paura che scappi con Friedrich?
Raphael scoppiò a ridere.
- Ti leggo dentro, Melissa. Molto più di quello stupido di tuo fratello! Vai pure, non ho paura di una tua fuga!
Percorsi il lungo corridoio e scesi gli scalini di pietra che conducevano alla cella. Il freddo mi investì nuovamente, spazzando via il calore procuratomi dal bagno e dal cibo. Era un piacere poter liberare Friedrich da quel luogo.
Come aveva detto Raphael, Lothar mi stava aspettando. Silenziosamente mi consegnò le chiavi della cella e si fece in disparte, lasciandomi lo spazio per i saluti.
Friedrich era rannicchiato nel solito angolo, immobile. Non mi vide subito, sembrava assorto in cupi pensieri.
Mi fermai un momento a contemplare la sua figura solitaria.
Notai la pelle abbronzata sotto la maglia lacera, i segni delle frustate, il sangue rappreso. Mi soffermai sui muscoli flessuosi delle braccia, su quelli delle gambe. I suoi occhi azzurri erano cristallini, una ciocca di capelli scuri gli scendeva sulla fronte.
Era bello, mi  resi conto.
Obiettivamente l’avevo sempre saputo, l’avevo analizzato, l’avevo visto nella reazione delle ragazze. Ma in quel momento fu diverso.
Lovidi bello e quel modo di vederlo mi raggiunse il cuore e mi chiuse la gola.
Ero diventata stupida come le clienti del nostro negozio, perché sapevo che ora stavo osservando Friedrich con un desiderio simile al loro.
Poi  lui si voltò verso di me e cambiò espressione. Quando estrassi le chiavi per aprirgli, si alzò in piedi e si avvicinò. Non riuscivo a identificare il suo sguardo.
Che cosa stava provando?

 

6
 

Melissa si era cambiata e ripulita. Il vestito rosso cupo le stava d’incanto e i capelli luminosi scendevano vaporosamente in ciocche disordinate. Per Friedrich fu un’apparizione in quella cella nera e lurida. Pensare a quello che le sarebbe successo gli fece rivoltare lo stomaco.
Si avvicinò a lei in silenzio, faticosamente. La schiena picchiava e pulsava di dolore, rendendo rigidi i suoi movimenti.
Poi vide le chiavi nelle sue mani, un minuto dopo erano nella serratura e la porta si aprì.
Melissa si scostò per lasciarlo uscire e lui oltrepassò la soglia con passo instabile. Credeva che l’avrebbe fatto per andare a morire, non per tornare a Gebirge.
- Puoi andare, Friedrich.
La voce di Melissa risuonò incoraggiante, partecipe. Un tono totalmente diverso da quando fingeva. Arrivò diritto al suo cuore. Non riusciva a tollerare quello che stava succedendo: che Melissa fosse l’assassino del padre e che, contemporaneamente, lo stesse aiutando.
Era inconcepibile.
- Non dovresti farlo, Mel – le disse piano. Nonostante il nomignolo confidenziale, si accorse di quanto ancora risultasse freddo il suo tono – Se davvero hai deciso di andare a letto con quel tipo, allora dovresti farlo per salvare te stessa.
Lei non cambiò espressione.
- Ho già ucciso tuo padre. Non voglio essere causa anche della tua morte.
Ogni parola di Melissa era un affondo al suo cuore torturato.
Non la riconosceva più.
- So che stai male – disse lei.
Come poteva saperlo?
- È strano sentirti parlare così – le sussurrò – Non hai mai capito i miei sentimenti.
- Le cose sono cambiate, perché adesso ho ricordato. Quando ti ho morso, ho letto i tuoi sentimenti. So cosa stai provando, sento la tua confusione, il tuo combattimento.
Friedrich scosse lentamente la testa. Era come vivere in un mondo diverso.
Melissa gli stava dicendo… che era guarita?
I suoi occhi sembravano meno trasparenti, più foschi.
- Ho sentito tutta la tua rabbia – mormorò lei – So che non sei in grado di perdonarmi; ma forse quando sarò morta riuscirai a farlo.
Friedrich allungò una mano verso di lei, le toccò un braccio.
Era la prima volta che entravano in contatto da quando aveva saputo la verità.  La confusione dentro di lui aumentava, gli era sempre più difficile capire se stesso.
- Resto qui – disse, senza sapere se davvero era quello che voleva –  Non andare da lui, moriamo insieme.
Poteva essere la soluzione giusta. Avrebbe messo fine al suo tormento interiore, a quel guazzabuglio lacerante di stupore, odio, tristezza, ribellione, commozione, desiderio, vendetta, incertezza.
Ma Melissa scosse la testa.
- Se adesso mi tiro indietro, Raphael ricomincerà a torturarti. E io… non riesco a sopportare le tue grida.
Alzò una mano a sfiorargli il viso e, piano, lo baciò.
Friedrich trattenne il respiro; il cuore gli diede in uno schianto.
Dentro di lui si stava combattendo una lunga battaglia sanguinosa.
- Vai, Friedrich – disse Melissa, staccandosi – Salutami Gustav, digli che mi sto rendendo conto di tutto quello che ha fatto per me.
Chiamò Lothar e gli fece cenno di accompagnarlo fuori. Friedrich si lasciò condurre senza trovare la forza di opporsi, silenziosamente voltò la schiena a Melissa.


 

7

 

 

Rimasi immobile finché non vidi Friedrich scomparire. Volevo riflettere su quello che avevo provato.
Non sapevo perché avevo baciato Friedrich, avevo agito d’istinto.
Di fronte a me avevo scorto quel viso tormentato, triste fino all’intollerabile, e io avevo sentito il desiderio di avvicinarmi a lui, di assorbire la sua confusione. L’avevo baciato senza rendermene conto e dentro me era stato come se un blocco di ghiaccio si fosse sciolto all’improvviso.
Realizzai che lo stesso avrebbe fatto ora Raphael con me, mi avrebbe baciata e avrebbe fatto molto di più.
Improvvisamente trovai l’idea rivoltante. Pensare che potesse toccarmi qualcuno di diverso da Friedrich era disgustoso.
 
 
 

 

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Capitolo 25
*** La bolla si spacca ***


8

 

 

Lothar lo fece uscire dalla casa e, senza una parola, richiuse il portone dietro di lui.

Di punto in bianco, Friedrich fu solo e libero.

Erano quasi le nove di sera di giovedì cinque agosto, l’aria era fresca e portava il profumo del sole calato da poco.

Friedrich si mosse come un automa, ma fece solo pochi passi. Il silenzio gli feriva le orecchie, attorno a lui non c’era anima viva; ogni vampiro era ben chiuso nella propria abitazione. Forse stavano già andando a riposare per potersi alzare all’alba ed assistere all’esecuzione di Melissa.

Quel pensiero gli diede la nausea.

Cercò con lo sguardo la direzione che lo avrebbe condotto fuori dal Paese, ma si rese conto che non sarebbe riuscito a muovere un solo passo in più. Dentro al suo cuore pesava un macigno denso di emozioni. Era pesante… così tanto che non riuscì neppure a reggersi in piedi.

Crollò in ginocchio in mezzo al sentiero, nell’oscurità sempre più fitta.

Era esausto, dolorante; le emozioni lo sopraffecero, sfilando di prepotenza una a una nel suo cuore.

In lui pulsò ancora l’amore che aveva provato fino al giorno prima per Melissa, e pulsò l’odio cieco nei confronti dell’assassino di suo padre, così come la rabbia di scoprire che essi erano la stessa persona. E ancora forte in lui era la paura provata alla prospettiva della morte, il dolore fisico delle frustate sulla schiena. Si sentì schiacciato dalla stanchezza di quella lunga giornata, dalla gelosia di immaginare Melissa a letto con un altro. Dalla consapevolezza che sarebbe morta e che l’avrebbe fatto per lui.

E poi, sopra a ogni cosa, prevaleva quella verità che Melissa aveva pronunciato solo qualche minuto prima.

Aveva ragione.

Non riusciva a perdonare.

Friedrich strinse i pugni nella polvere e improvvisamente gli occhi gli si riempirono di lacrime. Scoppiò nel pianto più lungo e disperato di tutta la sua vita.

 

9

 

Bussai alla porta della camera di Raphael e la sua voce mi invitò ad entrare.

Lui era seduto sul letto e leggeva alla luce giallognola dell’abat-jour; mi sorprese vedere un paio di occhiali da vista appoggiati al suo naso.

- Vieni – disse, riponendo il libro sul comodino. Si sfilò gli occhiali e li inserì nella loro custodia.

Io esitai e impiegai un’eternità a richiudere la porta. Ero sollevata al pensiero di trovarmi sulla via giusta per l’espiazione dell’omicidio commesso, ma, nel contempo, l’addio a Friedrich e la notte che mi aspettava mi schiacciavano il cuore. Era impressionante potersi sentire così: felice e triste insieme.

Una persona avrebbe dovuto provare un’emozione alla volta. O, almeno, era quello che avevo sempre creduto…  Questa promiscuità mi disorientava.

Raphael si accorse della mia esitazione

- Hai paura?

- No…

Era vero. La paura era uno dei tasselli ancora mancanti al mosaico della mia emotività. L’avevo vista riflessa negli sguardi di Friedrich, l’avevo percepita nel suo passato, ma io stessa non l’avevo ancora sperimentata.

- Siediti sul letto.

Gli ubbidii senza fiatare. Il mio pensiero correva a Friedrich, in viaggio verso Gebirge. Desideravo essere con lui, tornare alla mia vita e viverla davvero, ma non sarei mai stata bene con la macchia dell’omicidio sul cuore.

Per me, ora, c’era solo la morte.

- Cosa devo fare? –domandai, decisa ad andare fino in fondo – Devo togliermi i vestiti?

Raphael accennò un sorriso.

- Potrebbe aiutare.

Slegai lentamente la cintura e sfilai le scarpe. Il vestito era stretto da moltissimi bottoncini che scendevano dal collo alla vita. Iniziai a slacciarli uno a uno, sotto lo sguardo paziente di Raphael. Poi, goffamente, sfilai il vestito dalla testa.

Sotto indossavo una sottoveste intera, smanicata, che scendeva fino alle ginocchia. Lanciai un’occhiata dubbiosa a Raphael. Dovevo spogliarmi del tutto?

Prima che potessi prendere una decisione, lui mi fermò.

- Aspetta Melissa. Vorrei che prima tu invocassi le tue visioni.

- Le mie visioni?

- Sì

La cosa mi parve bizzarra.

- Vuoi fare l’amore con me, mentre io vedo altri mondi?

- Esattamente.

Ricordai di quando ero stata sul punto di cedergli due giorni prima. Ero immersa in una visione, quando mi era saltato addosso.

- Devo proprio...?

E se avessi assistito nuovamente all’omicidio del padre di Friedrich?

Raphael non sembrava disposto a cedere.

- È importante – mi disse – Più tardi ti spiegherò.

Mi strinsi nelle spalle. Se anche la mia visione si fosse rivelata terrificante, sarebbe comunque stata l’ultima della mia vita.

Incrociai le gambe sul letto e chiusi gli occhi; allentai la forza del mio pensiero, rilassai i muscoli e attesi.

Non successe nulla.

Respirai a fondo e ritentai.

Niente.

Poi ancora niente.

E niente di nuovo.

Non ci riuscivo, era come se non fossi più in grado di passare!

Per anni era stata per me l’azione  più semplice e spontanea. L’avevo ripetuta milioni di volte e adesso sembrava inattuabile.

Non ne ero più capace!

Riprovai ancora una volta per esserne sicura, ma non ottenni nulla.

- Non ci riesco più – dissi, aprendo gli occhi.

Raphael mi rivolse uno sguardo incredulo.

- Cosa stai dicendo?

- Dico che non ne sono capace.

Improvvisamente compresi perché la gente mi faceva ripetere parole che aveva già compreso. Perché non voleva crederci!

- L’hai sempre fatto! – stava dicendo lui – Ti ho vista anche l’altro giorno!

- Adesso non mi viene più.

Quindi avrei dovuto fare a meno delle mie visioni?  Friedrich ne sarebbe stato contento se l’avesse saputo.

Forse. Un tempo.

Lui pensava che non fossero sane, che…

Fermai il corso dei miei pensieri, perché avevo capito.

- Melissa, devi riprovare! – mi stava incoraggiando Raphael.

- Non posso più – risposi – Perché adesso ho ricordato cosa è successo quindici anni fa. Le visioni mascheravano il ricordo dell’omicidio, perché non sopportavo quello che avevo fatto. Ma ora mi è tornato in mente tutto.

- Cosa significa?

- Era la spiegazione della mai psicologa... E aveva ragione! – chiarii – Credeva che le visioni sarebbero scomparse, quando avessi affrontato la verità. Lei pensava che fossi sotto shock perché avevo assistito all’omicidio, non immaginava che la realtà fosse così orrenda! Ma comunque aveva ragione, quando tu hai spiegato a Friedrich com’erano andate le cose, io ho ricordato tutto! E ora le visioni non torneranno più.

Raphael era improvvisamente impallidito, come se il sangue fosse totalmente defluito dal suo corpo.

- Sei… sicura di quello che stai dicendo?

- Sì. Sì, è così.

Raphael si appoggiò alla testata del letto e chiuse gli occhi. Dopo un momento di silenzio, gli sfuggì una breve risata.

- E così non ci riesci più…

- No.

- Non me lo stai dicendo per dispetto vero?

- Dispetto?

In che senso?

- Già… Sei sincera.

Di nuovo una risata che divenne sempre più forte e incontrollata. Ma lui non sembrava affatto felice.

- Raphael, posso sapere che c’è? Che cosa succede?

Sembrava che non riuscisse a smettere di ridere. Io ero sempre più perplessa, ma apprezzavo che la serata non fosse così disgustosa come l’avevo immaginata.

La risata di Raphael si affievolì di un poco.

- Pensavo… che tu fossi diversa… - riuscì a dire -  Speciale…

- Speciale? – ripetei sorpresa – Io?

- Sì.

Aspettò un momento, finché l’acceso di risa non fu cessato del tutto; poi scosse la testa, sorridendo di un sorriso amaro.

- Sono stato un cretino – disse.

Io attesi in silenzio, senza capire.

- Ho voluto illudermi, non c’è altra spiegazione. Perché ci sarei dovuto arrivare! Ora che mi hai spiegato tutto, mi accorgo che avrei dovuto capirlo da solo.

Lo guardai istupidita: che cosa stava dicendo?

Lui dovette accorgersi del mio sguardo smarrito.

- Ti devo una spiegazione – ammise. Batté con una mano di fianco a sé – Vieni, stenditi.

Si sdraiò sopra le coperte e attese che io facessi altrettanto. Lo imitai con cautela, senza sapere cosa aspettarmi.

Ma immediatamente mi accorsi che ancora non mi avrebbe toccata, voleva solo parlare.

- Non so da dove cominciare – mi disse, fissando il soffitto.

- Vai con ordine.

- L’ordine dei fatti non è indicativo. Ho conosciuto tuo padre prima di cominciare a odiare gli umani.

Mi girai verso di lui.

- Cosa c’entra mio padre?

Raphael non rispose subito. Apparentemente era di nuovo tranquillo, ma in qualche modo mi rendevo conto di un nervosismo sotterraneo. Non sapevo come riuscissi ad accorgermene, questo intuito era qualcosa di completamente nuovo.

- Ricordi quello che ti ho raccontato del mio passato?

- Sì, certo.

- Conobbi i tuoi genitori la prima volta che venni al Paese Invisibile.

- Quando avevi dieci anni?

- Sì. La volta che rimasi qui solo pochi giorni. I tuoi genitori stavano insieme da poco, erano innamorati e avevano deciso di stabilirsi definitivamente al Paese. Il ruolo che oggi occupo io, allora lo rivestiva tuo padre.

Annuii per fargli capire che lo seguivo.

- Tuo padre era speciale – raccontò Raphael – Era molto forte, più dei normali vampiri. Era veloce, sicuro e molto intelligente. Quando lo conobbi, ne rimasi affascinato. Ricordava i vampiri di un tempo, quelli che ancora terrorizzavano gli uomini.

- E mia madre?

- Tua madre aveva una sensibilità spiccata, un forte intuito. Sembrava quasi in grado di leggere nella mente altrui. Entrambi erano una coppia molto discussa, gli anziani chiacchieravano, dicevano che i tuoi genitori potevano avere in sé i geni degli antichi vampiri. Sentii dire da più di loro che forse i loro figli avrebbero avuto poteri speciali, che forse avrebbero riportato la generazione dei vampiri agli antichi splendori. Furono affermazioni che non dimenticai mai.

- Perché dici così? Noi siamo molto più adattabili dei vecchi vampiri – ribattei.

- Adattabili sì! – fece lui – Ma non forti. Non potenti! Per noi vampiri, cresciuti sentendo rievocare le gesta nei nostri predecessori, questa condizione è uno smacco. Siamo costretti a confonderci tra gli umani, perché siamo vulnerabili… mortali!

Non ero sicura di capire le sue spiegazioni. Mi parlava di sentimenti di orgoglio e di rivalsa che ancora erano troppo lontani dalla mia comprensione.

- Naturalmente a dieci anni non capivo molto di tutto questo – proseguì Raphael – Ero solo affascinato dai tuoi genitori, li avrei voluti per me. Quando cinque anni dopo venni cacciato da casa, la prima cosa che feci fu tornare al Paese a cercarli. Ero amareggiato, solo, deluso. Quello che mi era accaduto mi appariva un’enorme ingiustizia. Erano i secondi genitori che perdevo e, quando mi mandarono via, iniziai a covare un odio profondo. Avrei voluto essere forte, speciale. Dimostrare il mio valore a quegli umani che mi avevano trattato come un mostro. Al Paese cercai subito i tuoi genitori, ma non trovai nessuno dei due.

- Se n’erano andati?

- Tuo padre era morto, seppellito da una frana. Lui ed Helena avevano provato per anni ad avere figli, senza risultato. E quando finalmente lei era rimasta incinta, lui era rimasto vittima dell’incidente. Tua madre se n’era andata, incapace di tollerare la vita al Paese senza di lui.

- E per te fu uno shock.

Il racconto mi stava coinvolgendo. Non capivo perché Raphael non mi avesse spiegato tutto subito.

- Inizialmente sì. Ma quasi subito iniziai a pensare al bambino di Helena. Mi chiedevo se fosse veramente speciale come avevano ipotizzato gli anziani, se fosse veramente il primo vampiro di una nuova, potente generazione.

Raphael incrociò le braccia sotto la nuca, senza staccare gli occhi dal soffitto.

- Allora ero distrutto dal dolore – spiegò – La rivalsa nei confronti degli umani era l’unico pensiero che riusciva a darmi sollievo. Divenne un chiodo fisso. Decisi di cercare Helena e il bambino, di appurare le reali capacità di quel vampiro. Partii sulle tracce di Helena e le seguii per un certo periodo di tempo. Seppi che era morta in Francia e, alla fine, arrivai fino a te,  quella notte.

Raphael fece una pausa, ma io non trovai nulla da dire.

In lontananza, sentii esplodere il rumore di un tuono.

- Non immaginavo che tu fossi all’oscuro della tua natura – proseguì lui, dopo un po’ – Sapevo che il padre di Friedrich aveva amato tua madre, non immaginavo che ti avesse mentito. Invece si scatenò il finimondo, le conseguenze del mio arrivo furono estreme.

- Ho ricordato tutto – dissi piano – Tu mi hai trattenuta quella notte, altrimenti avrei fatto del male anche al nonno e Gustav.

- Per fermare un vampiro, ci vuole un altro vampiro – mormorò lui – Ma non sono riuscito a salvare il padre di Friedrich. Quando ti vidi più calma mi defilai; tornai qualche giorno dopo e ti osservai di nascosto. Ti vidi fare cose strane, assentarti, perderti dentro te stessa. Spiai i discorsi di tuo nonno, diceva che avevi visioni, che vedevi un mondo straordinario. Non sapevo che questo era iniziato ad accadere dopo l’omicidio, pensai che fosse una prova della tua superiorità.

- Hai pensato che io fossi davvero un vampiro simile a quelli di una volta!

- Sì.

Finalmente Raphael staccò gli occhi dal soffitto e si voltò su di un fianco, verso di me.

- Pensai di aspettare finché tu non fossi diventata adulta. Volevo dei figli da te… volevo che da me risorgesse lo splendore della stirpe antica! Così tornai al Paese e aspettai che tu diventassi donna. Coltivai la pazienza e con essa  la mia ossessione, avrei dovuto attendere a lungo, ma sarebbe stata infine la mia rivalsa!

- Proprio come Friedrich! – intuii. Mi alzai a sedere sul letto e lo guardai, colpita – Quindici anni di attesa. Tu aspettavi il momento della rivalsa, e Friedrich la sua vendetta.

E al centro di tutto c’ero io.

- È un paragone infelice – disse Raphael, con un sorriso amaro – Ma hai ragione. Quando desideri troppo qualcosa, ne rimani accecato. Non vedi più il mondo con la giusta obiettività. Mi ero convinto che se tu avessi concepito mentre eri soggetta alle tue visioni, il bambino avrebbe avuto maggiori possibilità di ereditare il potere.

- Ecco perché volevi che io fossi consenziente – compresi – Avresti potuto violentarmi con la forza, ma non costringermi ad avere le visioni!

- Già… - mormorò lui – E invece pare che tu sia un vampiro del tutto normale. Non c’è nessuna capacità particolare che mi stai nascondendo?

Mi strinsi nelle spalle.

- Probabilmente neanche i miei genitori erano speciali. Erano vampiri in gamba, nulla di più.

Raphael crollò nuovamente sulla schiena, emettendo un lungo sospiro. Il suo gesto venne accompagnato da un altro tuono.

- E così il mio sogno se ne va in frantumi.

Era molto più triste di quanto desse a vedere, lo percepivo.

Era… deluso, rassegnato, esausto… scoraggiato.

Dopo aver tanto biasimato Friedrich, ora Raphael si ritrovava in una situazione pari alla sua.

- C’era una pecca nel tuo piano – dissi.

- Solo una? – sorrise lui ironicamente – Pare che io abbia sbagliato tutto fin dal principio.

- Io fra qualche ora morirò – gli feci presente – Se anche fossi stata quello che tu pensavi, non sarei riuscita a partorire tuo figlio.

Raphael mi lanciò un’occhiata strana.

- Non avrei lasciato che ti giustiziassero, ovviamente – replicò – Avrei comunicato agli anziani che aspettavi un bambino da me. Questo ti avrebbe salvata.

- Come avresti potuto esserne sicuro? Non è semplice concepire dopo una sola notte!

- La verità non avrebbe avuto importanza. Se non fossi rimasta incinta la prima volta, sarebbe accaduto in seguito.

- Il nostro patto era per una sola notte – gli feci presente – E poi, perché rendere tutto così difficile? Farci condannare per poi sprecare energie a salvarci?

- Tu hai voluto salvare Friedrich – precisò lui – Per quel che mi riguarda, poteva benissimo essere giustiziato. In quanto a te, non ho mai avuto intenzione di lasciarti morire. Mi interessava solo che lo credesse Friedrich, in modo da togliermelo dai piedi. Se ti avesse creduta morta, non sarebbe più tornato a scocciarmi.

Remotamente avvertii una punta di fastidio. Le mie emozioni non erano complete, ma sentivo che c’era qualcosa di sbagliato nel programmare arbitrariamente la vita altrui.

- E adesso invece che cosa succederà? – domandai.

Ero ancora sul letto, in sottoveste; l’orologio segnava le dieci di sera e le poche ore che mi restavano da vivere si erano fatte nebulose.

- Vuoi ancora venire a letto con me?

Lui sorrise.

- Non sono nello stato d’animo giusto – disse – E non voglio forzarti, dal momento che non potrei raggiungere il mio obiettivo. So come ti senti, ho avvertito il tuo disgusto. Mi avresti ceduto solamente per Friedrich.

Rimasi in silenzio, aspettando.

- Vai – disse Raphael – Se ti sbrighi puoi raggiungere Friedrich, conciato com’era, non avrà fatto molta strada.

- Ma io dovrei…

- Dirò che mi sei scappata – mi interruppe – Oppure inventerò qualcos’altro. Non preoccuparti, saprò giustificare la tua assenza.

- Ma io non voglio andarmene! – riuscii finalmente a dire – Non ho nessuna intenzione di scappare.

Lo sguardo di Raphael mi perforò da parte a parte.

- Non è necessario che tu muoia, ti sto offrendo una via di fuga.

- Non voglio vie di fuga. Mi stanno bene le cose così come sono, morire per salvare Friedrich. Così non sentirò più questo peso addosso.

Dal modo in cui Raphael rispose al mio sguardo, seppi che avevi capito.

- Gli umani non meritano sacrifici – disse – E tu stessa sei responsabile solo in parte di quell’omicidio. Ma capisco come ti debba sentire, ormai hai recuperato quasi del tutto i tuoi sentimenti vero?

Annuii, sorpresa che l’avesse capito Raphael e non Friedrich.

- Quando hai deciso di far frustare Friedrich lo sapevi già?

- È stato un azzardo – ammise lui – Non ne ero sicuro. Ma qualcosa nel modo in cui mi hai guardato, mi ha spinto a rischiare. Avevi rifiutato la mia offerta e non mi restava alternativa.

- Avresti davvero frustato Friedrich fino all’alba?

Lui si strinse nelle spalle.

- Non credo. Non mi diverte torturare la gente. Se tu fossi rimasta indifferente, avrei smesso.

Mi morsi il labbro pensierosa. Raphael era un personaggio complesso, buono e cattivo contemporaneamente. Non mi ero mai accorta di quanto fossero sofisticate le persone. Prima mi apparivano solo incomprensibili, illogiche. Adesso invece leggevo sentimenti contrastanti in loro e capivo i motivi delle loro azioni contraddittorie. Erano come me poco prima, quando ero stata contenta e triste insieme.

- Cosa provi per Friedrich?

La domanda mi fece di nuovo sollevare la testa.

- Sento un peso – dissi – So che è il senso di colpa.

- E affetto? Non senti affetto per lui?

- Forse.

Non era chiaro, non lo era per niente.

Ricordai il modo in cui lo avevo visto quando ero andata a liberarlo, la stretta al cuore che avevo provato. Le sue grida che mi erano risultate insopportabili. Il bacio che gli aveva dato istintivamente.

- Potresti ricominciare a vivere con lui – mi disse Raphael – Forse riuscireste a essere felici.

- No, non è possibile. Friedrich mi odia ora. L’hai detto anche tu, il suo amore si è dissolto. Devo essere giustiziata per sollevarmi da questo peso!

Il volto di Raphael era distante, assorto.

- Se credessi negli umani, ti direi di ripensarci. Ma non ho fiducia in Friedrich, la sua collera è distruttiva. Se non vedi altre soluzioni, non ti fermerò.

Assentii. Non c’erano altre strade.

Oltre le finestre esplose violentemente un tuono seguito dalle prime gocce di pioggia.

Il temporale si era scatenato.

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Capitolo 26
*** Notte di tempesta ***


10

 

La pioggia si abbatteva tumultuosamente sul terreno, scavando solchi profondi e inzuppando l’intera foresta. Fulmini contorti si arrampicavano nel cielo oscurato di nubi, investendolo di elettricità.

Sotto la sporgenza di un roccione, Friedrich si teneva addossato alla parete. Era sporco di terra, fradicio e tremava violentemente di freddo. Ma il tremito del suo corpo non raggiungeva l’interno del suo cuore, là dove non arrivavano il freddo del vento e il dolore delle ferite.

Friedrich sentiva tutt’altro. Un tumulto così squassante da rendere ridicola la potenza del temporale.

Le lacrime non avevano fatto in tempo ad asciugare che altre ne erano sgorgate.  E poi era venuta la pioggia a piangere al suo posto.

Mentre le ore scorrevano, Friedrich ascoltava attonito le voci che si rincorrevano dentro di lui.

 

Passerò la notte con te, ma voglio che sia Friedrich a essere liberato.

 

Se libero Friedrich, tu domattina sarai giustiziata.

Sì.

 

Faremo come dici tu. Friedrich verrà rilasciato e tu sarai giustiziata da sola.

 

Una folata di vento impietosa gli spruzzò addosso acqua e foglie. Friedrich non se ne accorse. Contrasse le braccia ubbidendo a un comando meccanico, separato dalla sua consapevolezza. Dentro sé vedeva gli occhi chiari di Melissa, così familiari e così estranei… Quella luce diversa nel suo sguardo, che quasi la rendeva sconosciuta.

 

Deve essere difficile essere salvato dalla donna che odi.

 

Che ne sai? Che ne sai tu?

 

So cosa stai provando.

 

Davvero?

 

Sento la tua confusione

 

Solo quella?

 

So che sei combattuto.

 

Sono straziato!

 

Straziato era la parola giusta. Artigliato e lasciato ad agonizzare su se stesso.

Perché Melissa lo guardava solo adesso in quel modo?

Aveva avuto quindici anni per farlo… perché proprio quella notte? Ora? Ora che non lui non poteva più farsene niente?

Nella sua testa vide la bambina bionda aggredire il padre. Così come quando aveva guardato nella sua mente, Friedrich assistette ancora alla scena. I canini affilati, le piccole braccia forti, la furia incontrollata.

Il vuoto.

Melissa si era difesa annullando dentro di sé ogni sentimento.

 

Non riesco a sopportare le tue grida.

 

Si era spalancata  la diga delle sue emozioni?

 

L’assassino aveva recuperato se stesso.

 

Non l’ ha fatto per crudeltà. Le avete tenuta nascosta la sua vera natura.

 

Raphael voleva forse dirgli che la colpa era loro? Del padre e del nonno?

 

Ha perso il controllo e ha aggredito la prima persona che si è trovata di fronte.

 

È per questo che ha perso i suoi sentimenti. Ha ucciso la persona che credeva suo padre.

 

Friedrich aveva sempre odiato l’illogica crudeltà di chi gli aveva portato via il padre. Non aveva mai preso in considerazione la possibilità che quella morte avesse causato sofferenza anche all’assassino.

Melissa però era stata male. Così male da barricarsi in un bozzolo d’indifferenza, sacrificando la sua esistenza.

Proprio come lui.

Ricordò i momenti vissuti insieme, la gelida compagnia di lei, la sua incapacità di comprendere la vita.

Si era gettata su Raphael avidamente, come se avesse potuto offrirle quello che sempre le era mancato.

La verità.

E lui, accecato dall’odio, l’aveva inseguita per uccidere l’unica persona che le aveva parlato con chiarezza. Pur contro la sua volontà, era rimasto al Paese per portare a termine la sua ingiusta vendetta. E aveva trascinato entrambi alla condanna.

 

Ho già ucciso tuo  padre, non voglio essere causa anche della tua morte.

 

No!, comprese all’improvviso. Non sarebbe stata Melissa a portarlo alla morte, ma la sua sete di vendetta.

La rabbia e il rancore lo avevano condotto fino a lì. Melissa lo aveva salvato da se stesso, restandone vittima.

Si riscosse per la prima volta da ore e si guardò intorno.

La pioggia era cessata, il cielo si era liberato dalla massa di nubi e via via si andava schiarendo nel grigiore dell’alba.

E così ce l’ho fatta.

Melissa sarebbe morta a causa sua, la vendetta sarebbe stata portata a termine.

Dopo quindici anni aveva concretizzato il suo obiettivo. Poteva tornare a casa con il cuore libero.

La brezza profumata del mattino gli sfiorò il volto e Friedrich inavvertitamente si posò le dita sulle labbra. Per un istante avvertì ancora l’inconsistente tocco di Melissa; quel bacio appena accennato.

Sembrava che gli avvenimenti che aveva atteso per una vita intera, si stessero avvicendando tutti in una volta, contemporaneamente.

Quel bacio lo aveva gettato in uno stato di totale smarrimento. Lo aveva desiderato per anni, in ogni luogo, in ogni momento; aveva pregustato la gioia che gli avrebbe portato. La gioia più intensa della sua esistenza.

Si rese conto che la realizzazione dei suoi sogni si trovava tutta quanta nella mani della stessa persona.

La morte dell’assassino di suo padre.

L’amore di Melissa.

E l’uno precludeva l’altra.

Il sacrificio di lei, i suoi sguardi, quel bacio, gli avevano detto molte cose. Avrebbe potuto afferrare la felicità, ma ad un prezzo alto. Rinunciare alla vendetta.

E ciò non era possibile, l’assassino andava punito.

Friedrich strinse gli occhi.

Punito da chi? E per che cosa?

Per un reato che non aveva commesso in coscienza, che solo in parte era causa sua… che l’aveva fatta soffrire per anni?

La vendetta avrebbe ucciso Melissa e, insieme a lei, anche la possibilità che Friedrich aveva di essere felice.

Sto facendo la cosa giusta?

Che cosa sto facendo?

Se non interveniva, Melissa sarebbe stata giustiziata. Non l’avrebbe vista mai più; né al Paese né a Gebirge, mai in nessun luogo, per il resto della sua vita.

E invece, a un soffio da lui, c’ era una Melissa viva, vera, autentica…

 

So che non sei ancora in grado di perdonarmi, ma forse quando sarà morta riuscirai a farlo.

 

No!

Spalancò gli occhi sul bosco e vide il sole brillare tra i rami, sulle foglie gocciolanti di pioggia.

Era l’alba.

Si rese conto di cosa significasse, di quello che a breve sarebbe accaduto. E di quello che desiderava.

Si alzò di scatto, ignorando la rigidità degli arti, la stanchezza, il dolore alla schiena.

Ora doveva fare la cosa giusta.

 

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Capitolo 27
*** Faccia a faccia ***


11

 

Alle sei e trenta del mattino mi condussero al centro della piazza. Non tutti gli abitanti del Paese erano venuti ad assistere all’esecuzione e quelli presenti sembravano  scontenti, preoccupati.

Gli anziani che mi avevano condannata erano in piedi in semicerchio e mi osservavano con sguardi neutri. Domandarono di Friedrich, ma Raphael non si lasciò turbare. Spiegò che mi ero assunta la colpa di entrambi, che Friedrich era capitato al Paese solamente per un errore di giudizio e che a suo vantaggio andava l’essersi preso cura di me quando nessun altro avrebbe potuto farlo.

Un brontolio passò tra i presenti. Erano scontenti della scelta fatta: avrebbero preferito preservare me e giustiziare l’umano.

Tuttavia nessuno osò contraddire apertamente Raphael.

Einrich mi si avvicinò e mi posò una mano sulla spalla.

- Sai cosa ti succederà ora?

Morte per dissanguamento, ricordai. Ma come..?

- Ti faremo due tagli sui polsi – spiegò – Ti feriremo in modo che tu perda sangue lentamente. Non sarà troppo doloroso, man mano che trascorrerà il tempo ti sentirai sempre più debole e stanca. Ti verrà sonno, sarà come addormentarti.

Indicò le persone intorno a lui.

- Sarai libera di vagare per il Paese, di morire dove preferisci, nessuno ti si avvicinerà. Non è permesso a nessuno aiutarti o starti accanto.

Feci cenno di aver compreso, non era una brutta morte.

Einrich si allontanò e indicò a Raphael di procedere. Spontaneamente slacciai i polsini dell’abito e li arrotolai fino ai gomiti, porsi a Raphael le braccia e lui esitò un momento prima di prendere la mia mano sinistra nella sua.

 Nella destra impugnava una lama sottile, abbagliante nella luce del mattino.

- Sei sicura? – mi domandò.

Accennai di sì.

Lui rigirò lentamente il polso nel palmo. Aveva la pelle tiepida, come se facesse fatica a trattenere calore, ma i suoi occhi erano colmi di comprensione.

- Se Friedrich ti avesse amato anche solo la metà di quanto credeva, ora sarebbe qui a fermarmi.

Girò la lama e fece il primo taglio. Sentii freddo, ma non dolore.

Attorno a me udii respiri trattenuti, gridolini mozzati. Raphael prese il polso destro e fece il secondo taglio.

Il sangue prese a scivolare pigramente da entrambe le braccia, lo avverii caldo e viscido sulla pelle.

La gente mormorava, indietreggiò.  Raphael mi accarezzò i capelli.

- Noi ci dobbiamo ritirare – disse – Addio Melissa.

- Addio – mormorai – Grazie.

Lui strinse gli occhi e non rispose. Mi diede le spalle e si allontanò seguendo gli anziani.

Gli altri abitanti del Paese rimasero immobili per un lungo istante, sembravano indecisi sul da farsi.

Io sedetti a terra per fermare un giramento precoce: la fuoriuscita del sangue era lenta, ci sarebbe voluto del tempo.

Ora i tagli sui polsi bruciavano come fuoco ardente, ma sapevo che sarebbe stata questione di poco: a breve mi sarei sentita debole, le sensazioni si sarebbero attutite.

Alzai lo sguardo al cielo e lo vidi azzurro, pulito. L’aria fresca profumava di bosco, di terra, di vento. Gli occhi mi si riempirono di abeti, foglie, monti, cielo.

Era splendido.

Non me n’ero mai accorta prima. C’era qualcosa di grandioso nella natura che mi circondava; innalzava il cuore, liberava lo spirito.

Friedrich doveva averlo saputo da sempre. Lui amava uscire in mezzo ai boschi, io l’avevo accompagnato qualche volta, ma per lo più era sempre andato solo. Mi parlava delle sue sensazioni, ma non le avevo mai comprese.

Comincio a capire chi sei, Friedrich.

Sperai che le ferite non rallentassero troppo il suo percorso, che raggiungesse presto Gebirge, il negozio, Gustav. Che il pensiero della mia morte gli desse pace, che vivesse tutto quello che, a causa mia, si era perso.

Mi alzai faticosamente in piedi e notai che attorno a me non era rimasto nessuno. Rispettavano gli ultimi istanti della mia vita.

La testa mi girava vorticosamente; camminai piano, passo dietro passo. Mi avvicinai ai limiti del Paese, contemplai il paesaggio dall’alto. Mi trovavo sul bordo del dirupo, sotto di me si aprivano metri di roccia e aria. Quella vista alimentò le mie vertigini e l’equilibrio mi venne a mancare: oscillai in avanti, le gambe mi cedettero; il mondo si capovolse. Stavo cadendo nel dirupo.

Un violento strattone mi provocò un dolore acuto alla spalla e il mondo si ribaltò un’altra volta. Rimasi sospesa nel vuoto, appesa per un braccio.

Alzai il viso verso l’alto e incontrai gli occhi di Friedrich.

 

 

12

 

Friedrich scivolò verso il basso. Con la mano sinistra si artigliò alla roccia e riuscì a frenare la caduta.

Era steso a pancia in giù sul terreno, sul bordo del dirupo, il polso di Melissa stretto nella sua mano.

Strinse i denti per resistere al dolore, lo strappo aveva riaperto le ferite sulla schiena.

- Alza l’altra mano! – urlò.

Melissa, sotto di lui, lo fissava a occhi sbarrati, incredula.

- Mel, il braccio destro!

- Cosa ci fai qui? – chiese invece lei, allibita – Stavi tornando a casa!

 - Non mi ero allontanato di molto.

Esercitò maggior pressione sul suo polso. Era sfuggente, qualcosa di viscido e scivoloso si allargava fra le sue dita. 

Allungò lo sguardo e vide il sangue.

- Mel, forza… non posso resistere in eterno.

- Allora lasciami. Io non voglio salvarmi!

- Che cosa stai dicendo? – trasecolò lui.

- Ho chiesto io di venire giustiziata. Voglio morire… non voglio più sentirmi in colpa. Devo espiare quello che ho fatto, Friedrich!

Dal suo sguardo comprese che diceva sul serio. Ed erano stati il suo odio e il suo rancore a spingerla a quel punto.

- Mel… io non voglio che tu muoia!

- Non c’è nient’altro che possa farmi star bene Friedrich… Lasciami ti prego, il peso che sento è insopportabile.

Il polso di lei gli scivolò nella mano. Lo strinse con tutta la sua disperazione.

Cosa aveva fatto?

Che cosa le aveva fatto?

- Posso perdonarti, Melissa!

- No, non puoi – per la prima volta, dopo quindici anni, vide la tristezza nei suoi occhi – Nessuno perdona un vampiro.

La sentì abbandonarsi. Scivolò verso il fondo, non faceva nulla per sostenersi.

Per un lungo istante la vide precipitare nel vuoto, vide il suo corpo senza vita… seppe come sarebbe stato il suo futuro senza di lei.

Seppe che avrebbe dovuto incolparne solo se stesso.

Gridò.

- Ti perdono!

Con una forza che non credeva di possedere si afferrò alla roccia e tirò con violenza.

- Io ti perdono!

Il corpo di Melissa sotto quel colpo si sollevò, slittò contro la roccia fino a che comparvero i suoi fianchi oltre il bordo del dirupo. Friedrich l’afferrò per le spalle, per le ascelle, la trascinò verso di sé, si sbilanciò.

Melissa si scontrò con lui, cadde fra le sue braccia. Friedrich la strinse forte, tuffò il viso nei suoi capelli, la serrò con tutto il suo corpo.

E, in quel momento, nel suo cuore entrò una pace che non aveva mai conosciuto. Fu come se la sua intera persona si fosse liberata di un fardello estenuante.

Si sentì vivo, sereno.

Libero.

Melissa rimase inerte fra le sue braccia e dopo quel primo momento di esultanza, Friedrich la scostò da sé turbato. Sembrava molto debole.

- Dobbiamo fermare il sangue.

Esaminò la propria maglietta, fradicia e sudicia. Era inutilizzabile.

Strappò allora l’orlo del vestito di Melissa, ne fece quattro bende e  le legò strettamente i polsi sanguinanti. Sperò che non fosse troppo tardi.

Lei lo guardava in silenzio, gli occhi chiari sgranati colmi di domande. Friedrich poteva comprendere la sua perplessità: dopo aver toccato con mano l’odio che lo aveva divorato, come avrebbe potuto credere al suo perdono?

E lui, con quali parole avrebbe potuto descriverle il cambiamento che era avvenuto?

Friedrich era riuscito a comprendere il dolore di Melissa, il suo orrore, la sua paura. Improvvisamente aveva visto la sua vita in modo chiaro; quegli anni che aveva creduto rovinati dall’assassino del padre non erano stati altro che il frutto del suo rifiuto di dimenticare. La distruttività del suo rancore, che Gustav e Katja avevano visto in modo così lucido, ora era palese anche a lui.

E voleva Melissa, la voleva ancora disperatamente. Adesso che l’aveva perdonata era come se il passato, il dolore, la disperazione non fossero mai esistiti.

Aveva la pace.

Ma esistevano parole per farle comprendere tutto questo?

Le bende si macchiarono di sangue, le strinse con più forza. Lei sussultò di dolore, ma non si lamentò. Continuava a guardarlo sconcertata.

- Torna a casa con me – disse Friedrich. Le sfiorò le mani che aveva posato in grembo – Non ci ha visti nessuno Mel, vieni via con me.

Lei spalancò gli occhi. Passò  lo sguardo da lui ai propri polsi.

- Ora il sangue si è fermato – insistette Friedrich – Puoi salvarti, torna a casa!

I suoi occhi trasparenti rimandavano tutto il suo sconcerto. Finalmente riuscì a parlare.

- Non capisco – disse  - Perché ora fai così? Io … non capisco.

- Ti amo.

Per un momento, se possibile, la sua espressione si fece ancora più incredula.

- Ma io… Io sono l’assassina! Io… ho ucciso…

- Ti amo, Mel.

Allora vide che lei aveva capito. Era riuscito a spiegarle.

- Friedrich…io…

- Torni a casa con me?

Era stravolta di stanchezza, ma sorrise. Il sole si accese sul suo viso e lasciò trasparire una gioia che non compariva più da un tempo lunghissimo.

- Sì – acconsentì piano – A casa. Sì.

 

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Capitolo 28
*** Come una fiamma che si spegne ***


13

 

Tornare a casa era, però, un concetto molto più semplice da esprimere a parole che da mettere in atto.

Avevo perso troppo sangue e non stavo in piedi. Provai un paio di volte ad alzarmi, ma le orecchie mi ronzavano e mi mancava l’equilibrio.

Friedrich però non si lasciò scoraggiare. C’era una nuova forza in lui non alimentata dal rancore, né dalla disperazione; veniva invece da una nuova speranza e trasformava completamente il suo spirito.

Mi prese in groppa, appoggiai il mio corpo alla sua schiena e lui fece passare le mani sotto le mie cosce. La sua maglia era bagnata e odorava di terra e di pioggia. Eppure, da quell’indumento fradicio trapassava un calore che mi avvolgeva interamente.

Ti amo.

L’aveva detto davvero. A me: l’assassina!

Ti amo, Mel.

 E tutto l’odio era sparito. Cancellato.

Come se la mia brutta azione non fosse mai avvenuta.

Era perdonata.

Ti sbagliavi Raphael! Gli umani ci perdonano, e l’amore di Friedrich è ancora vivo.

E adesso mi sentivo felice. Felice e basta, senza altre sensazioni a inquinare la mia gioia.

Però ero stanca e così debole che, se Friedrich non mi avesse sostenuta, mi sarei accasciata a terra come un sacco vuoto. Gli occhi mi si chiudevano, cullati dal suo passo ritmico; mi assopii contro di lui e poi il sonno si fece profondo. Dormii a lungo e, quando tornai in me, il sole era già alto in cielo; il sentiero si era allargato una strada asfaltata, anche se la discesa era piuttosto ripida.

Friedrich si era fermato in una rientranza e mi stava facendo scivolare a terra.

- Ho bisogno di riposarmi un momento – disse.

Da quante ore stava camminando senza sosta?

Ai bordi della rientranza c’era una panchina e ci sedemmo. Mi appoggiai sfinita al fianco di Friedrich.

- Come ti senti? – mi domandò.

- Ho ancora sonno… - bisbigliai, con voce impastata.

- Lo so, è normale. Dormi pure, non preoccuparti di nulla.

- Devi trovarti da mangiare… - aggiunsi – In cella non hai mai toccato cibo.

Vidi Friedrich sorridere e un secondo dopo intuii il suo pensiero.

‘Sii gentile con tuo fratello’

Per la prima volta in quindici anni mi ero preoccupata spontaneamente per lui, senza appigliarmi alla raccomandazione di Gustav.

- Mangeremo appena troveremo un posto adatto – disse Friedrich.

Non riuscivo a immaginare che caratteristiche dovesse avere quel “posto adatto”. Lui era sporco, stravolto, vestito di abiti stracciati e con la schiena sanguinante. Io avevo i polsi feriti e non riuscivo a tenere gli occhi aperti. Non appena fossimo capitati in luoghi più frequentati, ci avrebbero spediti direttamente all’ospedale! E lì cosa avremmo raccontato?

Ma Friedrich sembrava non preoccuparsi di nulla, da lui continuava a sprigionare quella nuova serena sicurezza.

- Vedrai, riusciremo a riposare – mi disse – Ne abbiamo bisogno tutti e due, soprattutto tu. Hai perso molto sangue... E poi la scorsa notte…

- La scorsa notte...? – sussurrai.

- Ecco… - divenne nervoso – Tu con Raphael…

Oh.

Me n’ero dimenticata, Friedrich pensava ancora che fossi stata con lui.

- Non è successo niente – lo rassicurai.

- Niente?

- È una storia lunga, te la racconterò. Ma non mi ha toccata.

Friedrich mi fissava incredulo.

- Stai dicendo sul serio?

- Sì

- Ma aveva detto…

- Lo so. Ti spiegherò, ma non ora.

Ero stanca, troppo stanca. Stavo per addormentarmi un’altra volta.

Mentre gli occhi mi si chiudevano, avvertii il potente rombo di un motore. L’auto stava per oltrepassarci, ma in ultimo frenò di colpo e tornò indietro; il rumore si spense vicino a noi.

Sentii Friedrich alzarsi, una portiera sbattere. Faticosamente alzai una palpebra e, attraverso una densa nebbia, intravidi una figuretta nervosa.

Richiusi gli occhi sollevata e subito mi giunse alle orecchie il grido sorpreso di Friedrich.

- Katja!

 

14

 

- Siete qui!

Katja corse incontro a Friedrich e gli buttò le braccia al collo.

- Stavo morendo d’ansia! Per fortuna vi ho visti, altrimenti non ci saremmo più incrociati. Speravo che riusciste a scappare, ma avevo una paura che vi facessero del male!

Friedrich la fissava ammutolito. Non riusciva a mettere a fuoco il motivo della presenza di Katja. L’assenza di sonno, la tensione e il dolore iniziavano a suscitare effetti negativi sulla sua prontezza di spirito.

Osservò il mezzo su cui era arrivata: la jeep dei suoi genitori.

Lei seguì la direzione del suo sguardo.

- Avevo bisogno di un mezzo potente per garantirvi la fuga – mi spiegò – Non credevo che sarei riuscita a farvi scappare a piedi – osservò con occhio critico entrambi – Sembra invece che ve ne siate andati proprio così…

Friedrich non riusciva ancora a raccapezzarsi.

- Ma la jeep…

- L’ho presa ai miei – disse lei – Sono tornata a Gebirge con pullman e seggiovie e l’ultimo pezzo l’ho fatto con il tuo trabiccolo.

- Con la mia centotrentuno?

- Stai tranquillo, è di nuovo parcheggiata dietro casa tua. Avevi ragione, in discesa parte – gli strizzò l’occhio – Per fortuna mi avevi consegnato le tue chiavi di scorta, altrimenti avrei dovuto rompere il finestrino!

- Come?

Rompere il finestrino della sua macchina?

- Smettila di fare quella faccia, piuttosto dovresti apprezzarmi: non ho ancora praticamente dormito da quando sono scappata, e avevo ideato un piano di fuga straordinario per voi due!

- Un piano di fuga? – Friedrich era allibito – Stavi venendo a salvarci?

- Sì, certo. Perché accidenti credi che sia qui?

Nonostante la stanchezza, Friedrich scoppiò a ridere. Era decisamente una pensata da Katja!

- Cosa ti prende adesso? Dovresti ringraziarmi.

- Ti ringrazio, infatti! – rise lui – Ma saresti arrivata tardi, ci avrebbero giustiziati stamattina.

- Giu… stiziati?

Solo in quel momento si accorse che qualcosa in Melissa non andava.

- Com’è pallida – disse avvicinandosi – E ha le bende ai polsi piene di sangue! Ma sta dormendo, vero? Non è …

- Morta? No…

Friedrich si avvicinò a Melissa e le scostò i capelli dal viso. Dormiva profondamente.

- Ha perso tantissimo sangue, però. Ha bisogno di cure.

- Mettila in macchina.

Katja spalancò la portiera posteriore e fecero sdraiare Melissa lungo tutto il sedile.

- Anche tu hai bisogno di cure – commentò Katja, notando la sua schiena – Che ti è successo?

- È una storia lunga.

- Sì? Ti fa molto sexy!

- Non ricominciare – brontolò lui, sedendo accanto al posto di guida.

Katja rovistò dietro al sedile ed estrasse una borsa di plastica piuttosto pesante. La passò nelle mani di Friedrich.

- Ho portato un kit d’emergenza: panini, cioccolato, acqua. C’è anche un thermos di vin brulé! E dell’aspirina se ti occorre, con disinfettante e cerotti!

Friedrich accolse la notizia con un sospiro di sollievo. Si appoggiò stancamente al sedile chiudendo gli occhi.

Era meraviglioso per un momento poter lasciare tutto nelle mani di Katja!

L’esaltazione di qualche ora prima era stata sostituita dalla stanchezza e dall’assoluto bisogno di riposo. E c’era anche un’ombra che da un po’ oscurava i suoi pensieri: si sarebbe veramente salvata Melissa? O era… troppo tardi?

- Derich? Ti sei addormentato?

Lui mugugnò qualcosa. Sentiva la borsa di plastica sotto le sue dita e si ordinò di bere e mangiare. Doveva recuperare tutte le forze.

Ma le palpebre rifiutarono di alzarsi e un minuto dopo era sprofondato in un sonno nero.

 

Dormì sei ore filate, senza interruzioni. Il suo spirito, ritrovata la pace, reclamava riposo.

Quando si svegliò erano le cinque del pomeriggio e Katja guidava su un’ampia strada asfaltata. Impiegò qualche minuto a riordinare le idee.

- Finalmente ti sei ripreso! – lo apostrofò l’amica – Ho ascoltato almeno tre volte ciascuno dei CD che ho in macchina, non sapevo più cosa inventarmi per restare sveglia. Devo fermarmi a fare pipì e poi avrò bisogno di un cambio alla guida.

Friedrich fece un cenno affermativo con la testa.

- Beh, puoi mangiare adesso, se ti va! E danne anche a Melissa, si è svegliata un paio d’ore fa e ha bevuto un po’ di vino, ma non ha toccato cibo.

Friedrich si voltò a guardare Melissa che dormiva ancora profondamente, stesa sul sedile.

Prima io, si disse, pensando al cibo. Altrimenti non sarebbe stato in grado di muoversi né di connettere.

La borsa di plastica era adagiata ai suoi piedi, la raccolse e rovistò al suo interno fino a trovare un panino con il salame.

- È un cacciatore di cinghiale – disse Katja allegramente – Veramente buono!

Non era proprio l’alimento adatto a chi non toccava cibo da più di quarantotto ore, ma non era il caso di sottilizzare. Staccò un pezzo di pane e lo infilò in bocca, masticando piano.

- Derich? Vuoi spiegarmi perché siete ridotti così male?

Non era semplice e non voleva spiegarle tutto.

- Eravamo condannati alla morte per dissanguamento, ma io sono stato risparmiato. E ho salvato Melissa dopo che su di lei era stata eseguita la sentenza.

- E la tua schiena?

Friedrich esitò.

- Raphael l’ha usata per far riemergere i sentimenti di Melissa.

L’auto sbandò.

- Vuoi dire che ti ha fatto del male per arrivare a lei?

- Sì

- E… ha funzionato?

Annuì. Non era necessario che Katja conoscesse tutti i dettagli.

Lei gli lanciò un’occhiata fuggevole.

- Allora Melissa ha recuperato le sue emozioni?

- Sì… Più o meno.

- E ti ama?

Erano domande da porre così, a bruciapelo?

Friedrich non rispose.

Katja guidò in silenzio per cinque minuti buoni, poi, con uno scatto improvviso, accostò. Friedrich seguì la manovra a bocca piena.

- Ho visto un bar – disse lei – Mi fermo a bere un succo di frutta e vado in bagno. Pensa a Melissa.

Friedrich la seguì con lo sguardo fino all’interno del locale, finì di mangiare il panino e poi si voltò verso il sedile posteriore.

- Mel? Svegliati, devi mangiare qualcosa!

La scosse piano, le accarezzò il viso. Sentì cambiare il suo respiro.

- Mel, devi stare un po’ sveglia.

Lei aprì un occhio e quel minimo movimento sembrò costarle uno sforzo smisurato.

- Siamo… a casa?

- No, non ancora. Siamo a due terzi della strada, ma non ci fermeremo finché non arriveremo a Gebirge.

Lei sorrise e Friedrich sentì accelerare il battito cardiaco. Quanto tempo avrebbe impiegato ad abituarsi alle emozioni di Melissa? Ogni volta che trasparivano, il respiro gli si mozzava in gola. Viveva ogni sua minima reazione emotiva come un evento straordinario.

Era tutto così… nuovo! Melissa era un mondo sconosciuto che si apriva lentamente di fronte a lui come un bocciolo in fiore.

- C’è un panino con il salume – le disse, cercando di dominarsi.

Lei fece una smorfia.

- Mi gira la testa. E ho nausea.

- Devi mangiare lo stesso, hai bisogno di riprodurre il sangue perduto.

Era pallida come un cencio e sotto gli occhi le erano comparsi dei segni violacei. Friedrich sentì il panico dilagargli in petto.

È troppo tardi!

No! Non l’avrebbe accettato!

- Mel, ti prego… Mangia almeno un po’ di cioccolato.

- Non so se ci riesco. Io sento… È come se il mio cuore non battesse abbastanza.

Friedrich chiuse gli occhi. Respirò a fondo e si impose di dominare l’ansia.

Prese la borraccia dell’acqua.

- Tieni, bevi.

L’aiutò a sollevarsi e le accostò il contenitore alle labbra. Lei bevve a lungo e poi accettò di mettere in bocca un pezzetto di cioccolato.

- Friedrich? – sussurrò – Perché continuo a dormire?

- Perché sei debole. Non c’è altro motivo Mel, stai tranquilla.

Doveva rassicurare lei, almeno, se non riusciva a farlo con se stesso.

Lo scatto della portiera lo sorprese. Katja era rientrata e teneva in mano un bicchierino di plastica colmo di caffè.

- Il barista è stato gentile. Tieni.

Friedrich accolse la bevanda con gratitudine e, insieme ad essa, le chiavi della jeep.

Si sistemò alla guida mentre Katja, accanto a lui, abbassava il sedile. Si addormentò all’istante e presto Friedrich rimase solo con i suoi pensieri.

 

A mezzanotte parcheggiava la jeep di fronte alla sua centotrentuno. Girò la chiave e per un momento rimase immobile, avvolto da oscurità e silenzio.

Mancava da una settimana, ma sembravano mesi. Nulla gli appariva più lontano della monotona quotidianità degli ultimi quindici anni.

- Derich? Hai messo le radici al volante?

Si girò lentamente verso Katja e rimase in silenzio. Erano arrivati a casa, il viaggio era concluso.

E adesso… cosa avrebbe fatto?

Melissa non si era più svegliata e la sua paura cresceva di minuto in minuto.

Non sapeva come avrebbe affrontato quella notte, non voleva restare solo con quel terrore. Katja in quel momento era il suo unico appiglio.

- Prendi in braccio Melissa, io raccolgo le borse!

Il secco comando dell’amica lo riscosse. Scese dalla macchina e delicatamente sollevò Melissa.

Non appena entrarono in casa, Katja accese le luci e spalancò le porte.

- Mettila sul letto.

Melissa mormorò qualcosa, ma non si svegliò del tutto. Friedrich non sapeva nulla della fisiologia dei vampiri, il nonno non gli aveva mai detto che avrebbero reagito in modo così forte alla perdita di sangue. Sembrava che Melissa peggiorasse di momento in momento.

- Penso io a lei – disse Katja – Tu vai a fare una doccia. Togliti di dosso quello schifo e poi vieni a farti disinfettare le ferite.

Aveva preso in mano la situazione e Friedrich docilmente eseguì i suoi ordini. Si sfilò gli abiti che indossava ininterrottamente da quasi tre giorni, erano incrostati di fango e così aderenti da sembrare una seconda pelle.

Il getto d’acqua tiepida lo rigenerò, bruciava sulle ferite ma lavò via buona parte del peso che gli gravava addosso da giorni. Aveva la mente offuscata dal tanto guidare, le membra  intorpidite, il corpo scosso da brividi violenti.

Asciugò i capelli con la salvietta, indossò i pantaloni di un pigiama e si fece la barba.

Poi si diresse in cucina alla ricerca di vivande, lasciando spazio in bagno a Katja.

Trovò del latte a lunga conservazione e del pane per toast, mise a scaldare entrambi e rovistò nella credenza, in cerca della marmellata di lamponi che Melissa preparava ogni anno. Era come muoversi in sogno, come se nessuno dei suoi gesti fosse reale.

Katja a un certo punto comparve in cucina indossando un pigiama di Melissa. Aveva in mano disinfettante e bende e si era raccolta i capelli con numerose forcine.

- Ho aiutato Melissa a sciacquarsi e le ho medicato i polsi. Non erano ferite profonde, guariranno in fretta.

- Si è già riaddormentata?

- Sì.

Solo allora notò l’abbigliamento di Friedrich.

- Wow, di bene in meglio! Questa è decisamente la versione di te che preferisco!

- Katja, per favore…

L’aperto apprezzamento dell’amica continuava a metterlo a disagio. Sembrava che Katja vedesse in lui un Friedrich che gli era estraneo, che avrebbe potuto essere, ma non era mai stato.

Mise in tavola il latte, il pane croccante, la marmellata e dei biscotti. Katja approvò lo spuntino notturno.

- Derich… cosa vuoi fare con Melissa?

Lui scosse la testa. Ci aveva pensato a lungo.

- Ho intenzione di chiedere consiglio a Gustav, il nonno si è sempre confidato con lui, penso che possa avere informazioni che a me mancano.

- Sulla fisiologia dei vampiri?

Annuì bruscamente.

- Forse mi potrà aiutare. Non posso portare Mel da un dottore… non so nulla di cosa potrebbe farle bene! Vedo solo che così non funziona, non dovrebbe dormire così tanto, vero?

Katja non volle sbilanciarsi.

- Non lo so. Potrebbe anche essere normale. Forse sta solo recuperando le forze…

O forse le sta perdendo definitivamente, pensò Friedrich.

Allontanò da sé la scodella con un gesto secco.

- È meglio che chiami subito Gustav.

Katja lo fermò, posandogli una mano sul braccio.

- È l’una e mezzo di notte e sei stravolto. Riposati qualche ora,  ne hai bisogno. Aspetta l’alba. Gustav è vecchio, gli faresti venire un colpo svegliandolo all’improvviso a quest’ora.

Friedrich rimase seduto, ma non riuscì a tranquillizzarsi.

Poteva permettersi il lusso di aspettare? Scalpitava al pensiero che Melissa potesse essere in pericolo di vita.

Katja prese una sedia e venne a mettersi dietro di lui, iniziò a passargli il disinfettante sulle ferite.

Era quasi un sollievo essere travolti dal dolore fisico e distogliersi dall’ansia per la sorte di Melissa.

Per un po’, nella cucina ci fu silenzio assoluto. Poi Katja appoggiò il disinfettante al tavolo e prese le bende.

- Derich… sei poi riuscito a uccidere l’assassino di tuo padre?

Sentì un sorriso amaro velargli il viso. Il rancore e il desiderio di vendetta gli sembravano sentimenti di un’altra vita.

Come gli appariva tutto stupido ora! Di fronte alla prospettiva di perdere Melissa, i dubbi che l’avevano attanagliato solo ventiquattrore prima sembravano ridicoli.

- No, non l’ ho ucciso – disse – Ho deciso di dimenticare.

- Veramente? – il tono di  Katja suonava scettico.

- Avevi ragione tu, vendicandomi mi sarei rovinato la vita. Ti devo ringraziare per avermi impedito di uccidere Raphael.

Katja stava fermando la benda attorno al torace e si trovava china di fronte a lui.

- Sono contenta di aver fatto almeno una cosa giusta!

- No… - Friedrich le prese il polso e la costrinse a guardarlo in faccia – Grazie, sul serio. Per tutto. Non potrò mai fare abbastanza per ricambiare.

Katja avvampò e abbassò gli occhi, fingendo di aggiustare le bende.

Era la prima volta da quando la conosceva che la vedeva arrossire. Quella reazione lo sorprese.

- Vai a riposare per qualche ora – gli disse lei, alzandosi in piedi – Io dormirò con Melissa.

- Non voglio che debba occuparti di tutto tu – protestò lui.

- Vai a letto, stupido! Hai la febbre, non senti? Devi sdraiarti.

- La… febbre?

Katja sorrise canzonatoria.

- Hai la pelle che brucia e gli occhi lucidi. E continui a rabbrividire.

In quel momento Friedrich collocò nella giusta prospettiva lo stordimento che provava. E i brividi! Non ci aveva quasi badato.

Diligentemente, Katja gli sciolse un’aspirina in acqua e gliela porse, insieme a un paio di antidolorifici.

- Non ti chiedo cos’ hai fatto per ridurti in queste condizioni. Fila a letto e domattina chiameremo Gustav.

Dopo la notte che aveva trascorso al freddo, il vento, gli abiti fradici… Friedrich obbedì. Alzandosi, venne preso dalle vertigini.

Ingollò l’aspirina e le pastiglie e si diresse in corridoio. Si fermò a controllare Melissa e la trovò tranquillamente addormentata nella sua camera da letto, sprofondata nel cuscino.

Non era diversa da come l’aveva vista tante notti precedenti, fermandosi in quello stesso punto.

- Fila a letto! – ripeté Katja alle sue spalle – A lei ci penso io.

Con un sorriso di commiato aprì la porta della sua camera e barcollò fino al letto. Si infilò sotto le lenzuola e afferrò il panno appoggiato alla sedia nell’angolo.

Era un sollievo stendersi in un letto vero e soffocare i brividi sotto la coperta, ma non credeva che sarebbe riuscito a dormire.

Invece venne avvolto da un manto scuro e pochi minuti dopo riposava profondamente.

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Capitolo 29
*** Paura ***


15

 

Mi svegliai di soprassalto con la gola riarsa, sopraffatta dalla necessità di bere.

Dalle persiane accostate filtrava livida la luce dell’alba, che mi permise di scorgere la figura accovacciata al mio fianco. Katja dormiva profondamente, avvolta nelle coperte.

Esitai un momento chiedendomi se fosse il caso di svegliarla, poi decisi di cavarmela da sola.

Era difficile stare in piedi senza aiuto e dovetti sostenermi al muro, il mondo mi girava attorno vorticosamente e le gambe mi tremavano.

Riuscii ad arrivare in cucina, ma per bere dovetti accasciarmi su una sedia. Ero sempre più debole… come potevo sperare di guarire, se invece non facevo che peggiorare?

Trangugiai acqua finché non sentii la sete placarsi e raccolsi le forze per il viaggio di ritorno. C’era stato un periodo in cui correvo affannosamente avanti e indietro per il corridoio, ora anche il solo tragitto fra la camera e la cucina mi sembrava una distanza incolmabile.

Mi alzai. Facendo leva sul tavolo e centellinai i passi attraversai il corridoio; di fronte alla mia camera c’era quella di Friedrich e provai il desiderio di accertarmi della sua presenza. Con uno sforzo di volontà aprii la porta, varcai la soglia e mi appoggiai al muro.

La stanza era in penombra, calata in un riposante silenzio.

Friedrich dormiva girato su un fianco, con il viso rivolto dalla mia parte. Una ciocca di capelli scuri gli cadeva sul viso, il suo respiro era regolare.

Avevo così tanta fiducia in lui!

L’avevo avuta per tutti questi anni, anche se non me n’ero mai resa conto.

Il mio caro, solido fratello… Mi era stato vicino, sempre, anche se non ero mai stata in grado di ricambiare uno solo dei suoi gesti affettuosi. E adesso che improvvisamente mi rendevo conto di tutto quello che aveva fatto per me… adesso che avrei potuto  ricambiare… non sarei vissuta a sufficienza per farlo.

Sarei morta presto, lo sentivo. Non sarei più stata vicino a lui, non l’avrei più visto, non gli sarei vissuta accanto, anche se lo desideravo intensamente.

Non avrei…

Le membra mi si irrigidirono e sentii un’esplosione improvvisa in fondo al cuore. Era una sensazione nuova, che non avevo ancora provato.

Mi voltai verso lo specchio della parete destra e notai l’espressione che avevo in volto. La riconobbi per averla vista su altri: paura.

Mi appoggiai la mano al petto.

Paura di morire. Paura di non rivedere più Friedrich, di stare senza di lui, ovunque fossi finita dopo.

Paura di perdere quei momenti che per quindici anni non avevo apprezzato e che adesso anelavo a rivivere. La tranquilla esistenza al fianco di Friedrich… la nostra vita.

Guardai la figura addormentata sul letto e desiderai toccarla, sentirla vicino a me.

Barcollando mi avvicinai al letto e allungai una mano verso il viso di Friedrich, ma le gambe mi cedettero. Con un grido di sorpresa caddi in ginocchio a terra con le braccia sulle lenzuola.

Friedrich si svegliò di soprassalto e si levò a sedere.

- Mel? – chiese allarmato, vedendomi a terra – Cosa succede? Stai male? Hai bisogno di qualcosa?

- No – risposi con voce chiara – Volevo solo toccarti.

Vidi la confusione nel suo sguardo. Così tanta che non seppe come replicare.

Notai che era a dorso nudo e che aveva il torace fasciato.

- È stato Katja a medicarti? – domandai.

Lui annuì, ancora sorpreso.

- Mi spiace. Sono io che devo prendermi cura di te.

Ancora quello sguardo sconcertato: sembrava che lo stessi sempre più confondendo. Era così strano quello che dicevo?

Cercai di alzarmi facendo leva sulle braccia, ma non mi sollevai di un millimetro.

- Mi aiuti? – chiesi.

Friedrich si avvicinò, sempre con quell’espressione perplessa in viso e, prendendomi per le ascelle, mi sollevò sul letto. La stanza ondeggiò per un istante e sentii il materasso tremare sotto le mie ginocchia.

- Posso restare qui con te? – azzardai – Non avrò mai la forza di tornare nella mia camera.

- Sì… certo.

Friedrich sollevò il lenzuolo per farmi entrare. Il gesto rievocò ricordi lontani: i primi anni della mia vita avevo dormito con Friedrich in quella che era stata la nostra camera comune. Ora, per un istante, sperimentai nuovamente la sensazione di sicurezza provata a quel tempo.

Quando il padre di Friedrich era morto, lui era andato a dormire con il nonno nella camera dei suoi genitori, lasciandomi gli spazi che il mio genere femminile esigeva. E io avevo completamente dimenticato quei momenti di familiarità condivisi con mio fratello.

Ora mi rannicchiai sotto le coperte accanto a lui, ricercando istintivamente la stessa sensazione di allora. Ma mi accorsi che ogni cosa era diversa. Forse perché non ero più una bambina, o forse perché le mie emozioni non erano raffinate come quelle di una persona qualunque, ma la presenza del corpo di Friedrich accanto al mio mi procurava una sensazione promiscua.

- Sei molto caldo – dissi, cercando di verbalizzare gli impulsi che ricevevo.

Il viso di Friedrich era vicino al mio.

- Stanotte ho avuto la febbre alta. Probabilmente non mi è ancora scesa del tutto.

Febbre alta?

Nutrivo ricordi confusi rispetto al giorno prima, ma rammentavo la maglia fradicia di Friedrich, il lungo tragitto addormentata sulla sua schiena, il sangue.

- È colpa mia?

- No, non è colpa tua – sorrise lui.

Mi feci più vicina a lui, appoggiandomi al suo corpo.

Com’era diverso ora Friedrich! Sentivo la quiete sotto la scorza, non ribolliva più di rabbia repressa.

Era girato sul fianco verso di me e allungando il braccio appoggiai una mano alla sua schiena. Avevo le dita gelate e cercavo calore, il tepore di Friedrich mi avvolgeva. Ma non era solo la sensazione di un tempo, di essere protetta, sicura. C’era anche una sensazione stuzzicante, di pelle, che non capivo. Ero sicura che se non fossi stata così stanca mi avrebbe travolta.

Sentivo il cuore di Friedrich battere e accostai il viso al suo petto. Era un suono bellissimo, ritmico e rassicurante. Senza riflettere, posai un bacio lì, all’altezza del suo cuore.

Friedrich venne attraversato da un fremito.

- Mel? – mormorò.

- Sì? – alzai gli occhi su di lui e vidi un sorriso divertito. Ma c’era anche dell’altro.

- Credo che tu non ti renda bene conto… - fece, senza smorzare il sorriso.

- Di cosa?

- Della situazione – si chinò verso di me – È una fortuna che tu sia così debole e che io sia  malato e ferito!

Fortuna?

Lo fissai a occhi sbarrati. Che razza di fortuna era quella? Perché non riuscivo ancora a capire Friedrich?

Appoggiai la fronte alla sua spalla con un sospiro di rassegnazione. Forse era per la mia natura di vampiro. Forse non avrei mai capito completamente gli umani!

Poi Friedrich mi abbracciò stretta e persi la coerenza dei pensieri. Ero così stanca, così nauseata… e i polsi picchiavano ancora di dolore.

Ma c’era anche un conforto così profondo in quella nostra vicinanza! Stavo godendo per la prima volta del contatto umano, lo avevo osservato esternamente per quindici anni liquidandolo come una sciocca perdita di tempo. E adesso non volevo più allontanarmi da Friedrich.

- Sai.. – mormorai – È così bello qui. Mi piacerebbe ritornare a vivere con te.

Friedrich si puntellò su un gomito e mi studiò con i suoi occhi azzurri.

- Mi piacerebbe accompagnarti nelle tue escursioni – spiegai – Ora condividerei con te la passione per la montagna. Ho visto quanto è bella!

Gli sorrisi debolmente. Lui non smise di guardarmi.

- Mi piacerebbe tornare ad alzarmi presto ogni mattina e ad aiutarti in negozio. Anche se adesso penso che i tentativi di approccio delle clienti mi darebbero fastidio – aggrottai la fronte, pensando a quanto fosse strana quella sensazione – Penso che se qualche ragazza dovesse abbordarti, le risponderei male…

Già, proprio così!

Che cosa bizzarra avere i sentimenti!

L’espressione di Friedrich era un mix di emozioni troppo complesso perché riuscissi a decifrarlo. Stupore, commozione, incredulità… Che altro?

Alzai una mano e gli accarezzai il viso. Agivo sulla base dell’istinto, senza pensare.

- Si sta così bene qui – dissi, nonostante il malessere fisico crescente – Quella prigione era sporca, fredda. E tu eri così lontano…

Friedrich appoggiò la mano sulla mia, fermandola.

- Ti ho fatta stare male in cella, vero?

- Sì, ma adesso è passato tutto. Sarebbe splendido andare avanti così: viverti ancora accanto, cucinare, prendermi cura della casa, trascorrere insieme le feste…

- Mel , perché continui a parlare così? – gli occhi di Friedrich erano grandi e pieni di timore – Perché parli come se tutto questo non dovesse realizzarsi?

- Perché sto morendo – dissi.

Lui si irrigidì.

- È così, Friedrich. Sento il mio cuore battere sempre più lentamente. Non ho più forza, non ho abbastanza aria nei polmoni. Sto scivolando via piano piano.

Lui si alzò di scatto in ginocchio e uscì dalle lenzuola. Ora sembrava avere una fretta pazzesca.

- Mel, voglio parlare con Gustav. Io credo che sappia come aiutarti! Il nonno gli diceva tutte le cose più importanti.

La sua affermazione non mi diedi speranza. Non ci credevo.

- Non puoi restare qui? – mormorai.

Lui scosse la testa.

- È importante fare alla svelta, se Gustav sa come salvarti, dopo potremo stare insieme tutto il tempo che vorremo.

E se non sa come salvarmi?

Ma non protestai, vidi che lui ci teneva.

Fece per allontanarsi e di  nuovo agii sulla base dell’istinto: mi sollevai, gli passai le braccia dietro al collo e lo baciai.

Sorpresa, sentii che stavolta lui rispondeva. Si lasciò andare e cadde su di me, ma senza schiacciarmi. Non smetteva di baciarmi e io quasi potevo sentire il rumore del suo cuore impazzito. Anche lui aveva paura.

Paura di perdere me.

Si staccò lentamente.

- Riposati, io tornerò il prima possibile.

Un momento dopo era uscito.

Le emozioni che avevo provato si accavallarono al disagio fisico. Mi rannicchiai nel calore che aveva lasciato nel letto e chiusi gli occhi: solo dormire mi dava sollievo e impiegai pochissimo a raggiungere lo stato d’incoscienza.

 

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Capitolo 30
*** Qualcuno morirà ***


16

 

Friedrich attraversò come una furia il corridoio e la cucina, fermandosi davanti alla porta che dava sul giardino. Solo in quel momento si accorse di indossare esclusivamente i pantaloni del pigiama.

Non poteva uscire conciato in quel modo! Appoggiò la schiena al muro e si impose di calmarsi.

Gli sguardi e le parole di Melissa riempivano la sua testa confusa. E gli tremavano le gambe.

Non avrebbe dovuto lasciarsi andare a quel modo: Melissa aveva appena riacquistato le emozioni, era bombardata di sensazioni nuove che, proprio per questo, doveva percepire amplificate.

Tutto per lei era una scoperta, non era ancora in grado di discernere, di fare chiarezza, di mettere ordine dentro di sé. E lui aveva approfittato della sua vulnerabilità.

Ma non era riuscito a resistere:  per un momento i desideri di una vita intera si erano concretizzati di fronte ai suoi occhi. Di nuovo.

Tornò rapidamente in camera in cerca dei vestiti e trovò Melissa sprofondata nel sonno; cinque minuti dopo era per strada, diretto all’edicola di Gustav. Lo trovò in procinto di aprire l’edicola, mentre riordinava le diverse riviste.

- Gustav, aspetta – gli gridò – Aspetta ad aprire!

Lui si voltò stupefatto.

- Friedrich… Ragazzo!

Mollò tutto e gli andò incontro, ma il suo stupore si trasformò in allarme quando notò la sua agitazione.

- Sei tornato. Cos’è successo? Cosa c’è?

- Ho bisogno del tuo aiuto – Friedrich si impose di non urlare – Devo sapere se il nonno ti ha dato informazioni sui vampiri che a me mancano.

Dieci minuti, dopo Gustav aveva richiuso l’edicola ed entrambi bevevano un caffè in cucina. Friedrich aveva preparato la bevanda senza rendersene conto, mentre raccontava ogni cosa all’amico.

Gustav bevve in silenzio, assorto nei suoi pensieri; Friedrich lo vide aggrottare la fronte, torcersi le mani. Comprese che sapeva, ma non era sicuro di voler parlare.

- Dimmi quello che sai – lo supplicò – Devo sapere anch’io. Una persona umana sarebbe morta subito o in breve tempo, oppure avrebbe iniziato a migliorare. Invece Melissa peggiora lentamente, è sempre più debole e non vuole mangiare. Non so cosa fare con lei!

- Il sangue, per un vampiro, riveste un ruolo diverso – Gustav alzò su di lui uno sguardo turbato – A un umano assicura la vita. A un vampiro assicura l’essenza stessa della sua natura. Per questo, al Paese, scelgono la condanna per dissanguamento. Una volta che un vampiro perde parte del proprio sangue, lentamente si spegne. Non recupera più.

- Non ci credo – si ribellò Friedrich – Sono certo che esiste almeno un modo per salvare Melissa.

Gustav esitava.

- Gustav!

- Può salvarla il sangue umano… - disse lui, lentamente.

- Una trasfusione? – Friedrich scattò in piedi – La portiamo all’ospedale!

- Nessuna trasfusione, deve berlo.

Friedrich si portò automaticamente una mano al collo.

- Si può fare – disse – Sono anni che Melissa beve da me.

- Ci vuole tutto il sangue di un essere umano.

Il silenzio calò sulla stanza.

- Tutto?

- Tutto. Moriresti, Friedrich. E se gliene offrissimo entrambi, moriremmo tutti e due. Un umano muore se perde un terzo del suo sangue.

- C’è anche Katja che…

- Rischieremmo di morire tutti e tre. Se ci salvassimo, finiremmo d’urgenza all’ospedale. Chi ci porterebbe? Cosa diremmo? E il rischio di morte è troppo alto.. . come pensi che si sentirebbe Melissa?

Gustav fece una pausa seguita da un sospiro.

- Sono contento, ragazzo, che tu sia riuscito a perdonare la piccola Melly. Ero terrorizzato al pensiero di raccontarti la verità, il tuo rancore nel tempo non si affievoliva, ma continuava a crescere, a distorcere i tuoi pensieri. Temevo la tua reazione. Invece, scoprire come sono andate realmente le cose ti ha aiutato a superare l’omicidio di tuo padre – lo guardò fisso con gli acquosi occhi azzurri – Mi dici che la piccola Melly ha recuperato la memoria di quella notte e i suoi sentimenti. Se ora uno di noi morisse per salvarla… come credi che reagirebbe? Potrebbe uscirne distrutta!

Friedrich crollò sulla sedia, stravolto, affondò il viso nelle mani.

Non poteva veramente fare nulla?

Il suo sangue… Tutto il suo sangue…

Gustav si alzò in piedi.

- Vorrei vedere la piccola Melly.

Friedrich non alzò il viso.

- È in camera mia

- E Katja… Hai detto che è qui?

Accennò a un assenso.

- I suoi genitori erano preoccupati. L’hanno vista tornare come una furia con la tua macchina e ripartire con la loro. Oggi a mezzogiorno dovrebbe partire con le amiche per il mare.

Friedrich alzò su di lui uno sguardo assente.

- Farò in modo che non manchi.

- Ragazzo, non so se sia una buona idea. Non restare da solo in questo momento.

- No, preferisco  che Katja vada dove deve. Ho bisogno di pensare.

Gustav si allarmò.

- Non farai una sciocchezza, vero?

Lui non rispose.

- Non puoi caricare la piccola Melly di un peso tanto grande. Le faresti solo del male!

- Voglio pensare – ripeté Friedrich.

Gustav ricacciò in gola le parole di protesta e, a schiena curva, si diresse verso la camera in cui dormiva Melissa. Friedrich rimase immobile seduto al tavolo, ipnotizzato dall’oscillare delle ombre sul ripiano.

Pensare.

Non era in grado di pensare a nulla in realtà, la sua mente era paralizzata dall’orrore.

Non c’era una via d’uscita, non esisteva una soluzione. C’era forse un’alternativa migliore?

Aveva bisogno di tempo per riflettere… ma di quanto tempo poteva disporre in realtà?

- Derich…

Girò su Katja uno sguardo spento.

- Derich?

Lei gli si avvicinò e gli appoggiò la mano sulla fronte.

- La febbre non è scesa del tutto, dovresti stare a letto. Ti senti male?

Le sue parole gli fecero venire voglia di piangere. Afferrò il polso che ancora gli sfiorava la fronte,  tirò Katja verso di sé ed entrambi caddero in ginocchio a terra. La strinse e appoggiò la fronte al suo petto. Chiuse gli occhi per non piangere.

Aveva detto di desiderare solitudine per pensare, e invece si stava attaccando a Katja. Era la prima volta  che si appoggiava a qualcuno.

Lei rimase immobile, bloccata dalla sorpresa. Solo dopo qualche istante gli appoggiò una mano alla nuca.

- Derich, cosa c’è? – bisbigliò – È successo qualcosa a Melissa?

- Morirà.

Lei sussultò.

- Hai parlato con Gustav?

Assentì.

- Può salvarsi con il mio sangue. Se vivrà lei, morirò io.

Lei ammutolì.

Friedrich si staccò lentamente, cercando i suoi occhi.

- Cosa devo fare?

Katja distolse lo sguardo, combattuta. Friedrich conosceva perfettamente il motivo della sua esitazione.

- Dimmi una cosa… - fece infine lei – Ieri non hai voluto rispondermi. Melissa… ti ama?

- Non lo so… Non so se… Io… - Friedrich scosse la testa e rivide Melissa fra le sue braccia. Il suo sguardo, le sue parole, quel bacio.

A chi voleva darla a bere?

- Sì – rispose – Sì, mi ama.

Katja abbassò lo sguardo.

- Io… non voglio dirti niente. Non sono obiettiva, Derich.

Lui si sollevò e fece alzare anche lei.

- Scusami. I tuoi genitori sono preoccupati. E le tue amiche ti aspettano.

- Chi te l’ ha detto? – poi scrollò le spalle – Non andrò, se hai bisogno di me.

- Preferisco restare solo, ora. Ho bisogno di pensare, devo prendere una decisione.

Lei non replicò. Rispettava la sua scelta, rispettava che avrebbe potuto scegliere di morire. L’apprezzò per quello.

- Vai – disse lui – Sai che ti sarò sempre grato.

Lei sorrise, anche se i suoi occhi erano tristi.

- Se tu fossi diverso… Se fossi come ti volevo… - lo guardò con quel sorriso mesto, poi sollevò le spalle in un gesto di rassegnazione - … Non mi piaceresti, credo.

Per un attimo Friedrich pensò che l’avrebbe baciato all’improvviso, come aveva fatto tante volte.

Invece si scostò. Lasciava il campo a Melissa.

- Addio – disse.

Si girò, uscì nel giardino, e poco dopo Friedrich udì  lo scatto del cancelletto che si chiudeva.

Adesso era solo.

 

17

 

- Questa è la situazione – concluse Gustav con voce tremante. I suoi occhi lucidi indicavano quanto fosse difficile per lui mettermi a parte della verità. Sentii nascere in me il desiderio di rassicurarlo, di confortarlo, ma non sapevo come fare.

- Non devi preoccuparti, Gustav – sussurrai – Lo avevo già capito, so che sto morendo.

Ero sprofondata nei cuscini, non riuscivo più neppure a stare seduta.

Se Friedrich non mi avesse salvata, sarei morta immediatamente risparmiandomi questa sofferenza. Ma non avrei sperimentato neppure tante nuove emozioni. Non avrei rivisto Gustav, non avrei goduto del perdono di Friedrich.

Così, dopotutto, nella mia rassegnazione ero serena. Era stato meglio così.

- Friedrich potrebbe tentare il tutto per tutto – sussurrò Gustav a un certo punto – Quel ragazzo è disperato, vuole salvarti.

Rimasi in silenzio, pensierosa.

Friedrich avrebbe fatto una cosa del genere?

Non dovetti rifletterci a lungo: sì, se l’ avesse ritenuto giusto,        l’avrebbe fatto. Avrebbe potuto farlo davvero.

- Melly…  - mormorò Gustav con gli occhi umidi – Non c’è bisogno che ti dica quanto tengo a te. A tutti e due. Ma non sempre il sacrificio è la soluzione migliore. Ho paura di quello che potrebbe succederti, se qualcuno morisse per salvarti. Dopo aver visto la tua reazione alla morte del padre di Fiedrich…

- Non accetterò il suo sangue – dissi.  Eppure sapevo che, se Friedrich si fosse imposto, l’istinto del vampiro avrebbe prevalso. L’avrei dissanguato per salvarmi, prendendo la sua vita.

Quel pensiero mi fece orrore, sentii un sudore gelato formarsi sulla mia pelle.

No, Friedrich non si sarebbe imposto… Non sarebbe andato contro la mia volontà!

- Tuo fratello ti vuole molto bene, piccola Melly.

- Non riesco più a pensarlo come un fratello – dissi, senza riflettere.

Il volto di Gustav si dipinse di stupore.

- Non mi fa l’effetto che dovrebbe farmi un fratello – spiegai – Ne sono sicura.

- Che effetto ti fa?

- Ho voglia di baciarlo – dissi seriamente – E di tante altre cose.

Gustav corrugò la fronte. Non capivo se considerasse la situazione in positivo o in negativo.

- Non sarà facile per Friedrich – disse, infine.

Rimase accanto a me ancora un po’, la sua presenza mi era di conforto. Non esisteva nessuno a Gebirge con cui avessi legami di sangue, ma Gustav era la mia famiglia, ne era un pezzo importante.

Quando mi salutò, aveva ancora gli occhi lucidi. Mi diede un bacio in fronte e accettai il suo abbraccio. Ero così sfinita che a malapena udii il suono della porta che si richiudeva, poi mi appisolai.

Galleggiavo sospesa a mezz’aria. Mi sentivo leggera, inconsistente; nelle mie orecchie soffiava un fruscio insistente e anche nell’incoscienza sapevo che non era reale.

Sussultai improvvisamente, quando qualcosa mi sfiorò le dita. Alzai faticosamente le palpebre e vidi gli occhi chiari di Friedrich chini su di me.

Era seduto sul bordo del letto e teneva la mia mano fra le sue.

- Come stai? – sussurrò.

- … debole… - mormorai.

Mi dispiaceva fargli del male. Sapevo che l’angoscia che gli leggevo in viso dipendeva dal mio stato.

- Gustav mi ha detto tutto…

Friedrich impallidì. Voleva tenermi nascosta la verità?

Ma poi annuì.

- Ha fatto bene – bisbigliò – Basta segreti.

Fui contenta di sentirglielo dire, adesso non ero più una bambola senza coscienza. Prima ero vuota, imitavo qualunque cosa. Adesso sentivo. Capivo.

Potevo decidere.

- Prenderai qualcuno ad aiutarti in negozio? – domandai in un sussurro.

Lui sussultò come se gli avessi dato uno schiaffo.

- Mel…

- Non devi fare nulla –dissi – Lasciami morire. Non sopporterei di dissanguarti.

Sapevo che non era facile. Io al suo posto che cosa avrei fatto?

- Promettimi di non fare nulla – lo supplicai.

Ma Friedrich non promise. Strinse la mia mano e trasmise calore al mio corpo gelido.

Poi la stanchezza prevalse e sprofondai nuovamente nell’incoscienza.

 

 

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Capitolo 31
*** Bistecche e vino rosso ***


18

 

Friedrich scivolò silenziosamente fuori dalla camera: non riusciva più a guardare Melissa, a scrutare ossessivamente il suo petto in cerca di un respiro, paralizzato ogni volta dal terrore che potesse essere l’ultimo.

Barcollò fino in cucina, serrato dall’angoscia.

Melissa l’aveva supplicato di lasciarla morire. E lui, perché non poteva supplicare?

La morte sembrava l’unica alternativa: la sua o quella di Melissa.

E lui aveva paura di entrambe.

Crollò sfinito su una sedia della cucina. La porta che dava sul giardino era aperta su una giornata luminosa, limpida. Nella sua testa, invece, le idee si confondevano, si accavallavano disordinatamene l’una all’altra.

Doveva avere ancora un po’ di febbre, le tempie gli pulsavano dolorosamente e le gambe erano ancora scosse dai tremiti. Avrebbe voluto coricarsi al fianco di Melissa e dormire, risvegliarsi al suo fianco e scoprire che entrambi stavano bene. Che erano vivi.

E invece…

O io o lei

Cosa fare?

Come decidere?

- Stai forse pensando di sacrificarti?

La domanda lo colse alla sprovvista. Alzò la testa di scatto e individuò una figura ritta sulla soglia della cucina. Per un attimo credette di avere le allucinazioni.

Era Raphael.

Sul suo volto troneggiava il caratteristico sorriso ironico.

- Un pensiero nobile per un umano – commentò – Soprattutto se si tiene conto che Melissa è l’assassino di cui volevi vendicarti.

Quelle parole accesero la sua ira.

- Sei stato tu – esclamò – Tu le hai tagliato i polsi vero? Hai la carica più alta al tuo paese!

Raphael socchiuse gli occhi.

- Sì, sono stato io.

Un attimo di silenzio.

 – Le avevo offerto una via di fuga – aggiunse -  Volevo che si salvasse, ma Melissa si è rifiutata. Desiderava solo morire, era schiacciata dal senso di colpa.

Friedrich si accasciò sulla sedia e affondò il viso nei palmi delle mani.

Era inutile scaricare la colpa su qualcun altro, era stato lui a portare Melissa a quell’estremo. Era stato il suo odio.

È solo colpa mia.

Doveva rimediare, non poteva accettare che Melissa perdesse la vita a causa sua. All’inizio per lei sarebbe stato difficile, ma se ne sarebbe fatta presto una ragione.

Parlò senza alzare la testa.

- Se decido di darle il mio sangue, ti prenderai cura di lei?

Raphael fece un passo avanti ed entrò in cucina.

- Potrei farlo, ma è quello che Melissa vuole?

Friedrich non rispose, non voleva pensarci.

Il vampiro gli si fece vicino e sentì la sua voce a pochi centimetri dalla testa.

- Rispondimi, Friedrich, sii sincero. Tu credi che Melissa voglia tornare al Paese con me?

Non voleva rifletterci, non voleva rispondergli!

Ma nella sua testa ronzarono le parole che Melissa gli aveva rivolto solo qualche ora prima.

 

Sarebbe splendido andare avanti così. Viverti accanto, cucinare, prendermi cura della casa, passare le feste insieme…

 

- È questo che vuole Melissa?

Friedrich alzò la testa e rivolse a Raphael uno sguardo disperato.

- No – disse – Lei vuole stare con me.

Raphael sorrise, con quell’espressione di velata ironia.

- Sì, lo immaginavo. Si è innamorata di un umano. Del suo stupido fratello umano.

Lanciò a Friedrich uno sguardo critico.

- Posso aiutarti – disse.

Friedrich non comprese, non c’era nulla che si potesse cambiare a quel punto.

- Non è mia abitudine essere gentile con un umano – precisò Raphael con uno sbuffo – Ma devo ammettere che il tuo comportamento mi ha sorpreso. Ho tenuto d’occhio Melissa dopo l’esecuzione, non ero lontano quando le hai salvato la vita. Se non l’avessi visto con i miei occhi non ci avrei creduto.

- Che cosa stai cercando di dirmi?

Friedrich non riusciva a capire le intenzioni del vampiro. Stavano solo perdendo tempo prezioso!

- Tu non conosci la fisiologia dei vampiri – fece Raphael – O meglio, conosci solo quel poco che sapeva Gustav. Vi ho sentiti parlare, ti sto osservando da parecchie ore.

Sorrise e incrociò le braccia al petto.

- Noi vampiri abbiamo bisogno di sangue umano per essere noi stessi. Il nutrimento umano assicura il mantenimento della nostra natura. Ma se ci nutriamo del sangue di un nostro simile… - alzò su Friedrich occhi neri come la notte - … allora diventiamo umani.

Friedrich impiegò qualche secondo ad assimilare il significato delle sue parole. E anche quando comprese, non riuscì ad accettarle. Era una speranza troppo immensa.

Raphael lo stava fissando con attenzione.

- Se Melissa diventa umana, non dovrà più morire. Si riprenderà – precisò, come se Friedrich fosse ritardato.

Lui non riusciva a contenere lo smarrimento.

- Quanto sangue…?

- Poco – sorrise Raphael – Bastano poche gocce a mutare un vampiro in umano. Nulla, in confronto al sangue umano necessario a salvarlo.

Raphael gironzolò per la cucina con disinvoltura, sfiorando gli oggetti che incontrava man mano.

- Ammetto che trasformare un vampiro in umano mi secca, è un’azione che in altre occasioni non compierei a nessun prezzo. Ma non posso fare a meno di sentirmi responsabile nei confronti di Melissa. È stata la mia vista a scatenare la sua furia quindici anni fa e, come hai detto tu poco fa, sono stato io a tagliarle i polsi.

- La trasformerai veramente in un’umana?

Friedrich sembrava incapace di respirare e Raphael rise della sua incredulità.

- Se tu hai perdonato un vampiro, allora anch’io posso dimostrarmi clemente nei confronti di un umano.

Improvvisamente la realtà si affacciò alla mente di Friedrich.

Il suo desiderio di vendetta aveva condotto Melissa vicina alla morte. Il suo perdono l’avrebbe ora salvata.

- Non sei così male come credevo – disse Raphael – Voglio darti l’opportunità di rendere Melissa felice. Ma c’ è un prezzo da pagare.

Friedrich si irrigidì.

- Voglio qualcosa in cambio.

- Cosa vuoi?

Il vampiro non lo guardò. Prese una pesca rinsecchita dal cesto della frutta e la fece passare da una mano all’altra.

- Quando uscirò dalla stanza di Melissa sarò debole – disse lanciandogli un’occhiata ambigua – Avrò bisogno di sangue.

Friedrich sentì un brivido corrergli lungo la spina dorsale. Era la febbre oppure un presentimento?

- Voglio nutrirmi da te.

Rimase sbalordito.

- Vuoi il mio sangue?

Raphael annuì.

- Poche gocce. Come quando lo davi a Melissa.

Era uno scambio ragionevole, ma Friedrich non riusciva a fidarsi del tutto. C’era qualcosa che Raphael gli nascondeva.

Il vampiro scoppiò a ridere.

- Hai ragione di diffidare! – disse – È vero, la mia richiesta nasconde un secondo fine, ma non ti dirò quale: dovrai rischiare.

Non aveva nulla da perdere, comunque. Niente poteva essere peggio della situazione in cui si trovava ora.

Fece un cenno d’assenso rivolto a Raphael.

-  Naturalmente Melissa dovrà essere d’accordo – precisò lui – Non diventerà umana contro la sua volontà.

Di nuovo Friedrich annuì, non riusciva più a parlare.

Raphael gli stava offrendo una speranza enorme e lui non voleva cederle. Non voleva sentirsi sollevato troppo presto.

Percorse il corridoio in trance e indicò a Raphael la porta della camera.

- Non essere così teso – lo schernì il vampiro – Tocca a me la parte difficile.

Entrò nella camera e si chiuse la porta alle spalle.

Friedrich rimase immobile, incapace di muovere un solo muscolo. Fino a pochi attimi prima non vedeva soluzioni. E ora il vampiro che aveva cercato di assassinare, gli stava restituendo la speranza.

La vita non smetteva mai di sorprenderlo.

 

 

19

 

Morire non era una brutta sensazione.

Se non fosse stato per il rimpianto di tutte quelle cose non vissute veramente, non me ne sarei dispiaciuta.

In quel momento si affacciava al mio sguardo un paesaggio affascinante, era come osservare il mondo dall’alto della rupe più elevata.

Le cime dei monti con le loro punte ghiacciate si spianavano in fila una dietro l’altra, lasciando spazio, abbassandosi, a rocce colorate ricoperte di verde. Laghetti blu cobalto punteggiavano le valli e sopra l’intera distesa, si perdeva un infinito cielo azzurro.

Poteva assomigliare a una delle mie visioni, ma sapevo che stavolta ciò che vedevo era reale. Un paesaggio del mondo vero, del mio mondo. Come l’avevo visto nelle foto di certi atlanti, come ce l’aveva mostrato una volta il papà di Friedrich portandoci in escursione.

Ero piccola quella volta, così piccola che ogni cosa mi sembrava enorme. Ma anche il papà e il nonno scomparivano di fronte a quell’illimitatezza. Dava un senso di vertigine, di panico, ma anche di esaltazione. E anche allora, come adesso, ero rimasta a bocca aperta di fronte a tanta grandiosità.

- Melissa…

In cima alla rupe dov’ero ancora,  mi girai e vidi gli occhi di Raphael

No!

Allora anche quella era una visione? Non era il passaggio verso la morte?

Sbattei le palpebre più volte. Il paesaggio si dissolse, gli occhi di Raphael rimasero.

Lui era in piedi accanto al mio letto, nella camera di Friedrich.

Era venuto a prendermi?

Ero scampata all’esecuzione e forse i vampiri se n’erano accorti. Forse avevano mandato Raphael a finirmi.

- Sto già morendo… - dissi in un fil di voce.

Lui sembrò sorpreso.

- Non sono venuto a farti del male, in Paese erano contenti che tu fossi fuggita.

- Perché sei qui?

Raphael me lo spiegò a mezza voce.  Le sue parole si confusero nella mia testa, toni alti e bassi danzavano nella stanza impedendomi di capirne il senso. Impiegai un tempo lunghissimo a comprendere quello che mi stava chiedendo.

- Puoi salvarti solo se diventi umana... accetti?

Finalmente il significato delle sue parole prese piede nella mia coscienza alterata.

Potevo vivere, ma non più come vampiro.

Per vent’anni mi ero creduta umana, perché non avrei dovuto esserla davvero?

- Mi sta bene – dissi.

- Sarai esclusa dai vampiri e dal Paese.

- Ho Friedrich – mormorai – Ho Gustav.

- E sia.

Si chinò su di me, mi offrì la sua gola.

- Bevi.

Non esitai.

Il suo sangue mi attraversò la gola con uno strano sapore. Riuscii a seguire il suo percorso dentro di me, lo vedevo quasi brillare di un rosso accecante attraverso il mio corpo. Ovunque passava, trasformava. Lasciava dietro sé qualcosa di diverso, di completamente nuovo.

Soffocò la mia natura, la domò, la spense.

Ne accese un’altra.

L’interno del mio corpo si stravolse, il mio spirito cambiò forma. Cambiò materia e significato.

Quando aprii gli occhi, Raphael era di nuovo in piedi vicino al letto.

Era un vampiro. Io non lo ero più. Avvertii quella sensazione con sgomento.

Poi lui sorrise in quel modo che ormai mi era familiare e il mio disorientamento si attenuò.

- Adesso guarirai – disse con tono leggero – Ora ti ci vogliono solo bistecche e vino rosso.

Si chinò su di me e mi rimboccò le lenzuola.

- Spero che tu non debba pentirti di questa decisione.

- No… sono sicura che non succederà.

Volevo ringraziarlo, ma non me ne lasciò il tempo. In due passi era già vicino alla porta.

- Mi sembra un addio migliore di quello dell’ultima volta – disse, guardandomi un ultimo istante. E poi se ne andò.

Era accaduto tutto in fretta, in un passaggio veloce, ma essenziale e ora tutto era cambiato, fuori e dentro di me.

Non ero più un vampiro.

Non dovevo più morire.

Fissai il soffitto, stordita.

Bistecche e vino rosso!

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Capitolo 32
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20

 

Uscendo dalla camera, Raphael trovò Friedrich ancora fermo di fronte alla porta. Il vampiro reagì con un’occhiata allibita, come se non comprendesse il motivo di tanta ansia, infine scrollò le spalle e si diresse verso la cucina.

Friedrich lo seguì precipitosamente, non osando affrontare l’ignoto della camera da letto.

- Che cosa è successo?

- È tutto a posto – rispose Raphael, appoggiandosi al tavolo – Melissa ha accettato il mio sangue.

- Allora… è umana?

Lui annuì. Sembrava stanco, debole.

- Ora è simile a te in tutto e per tutto, deve solo recuperare le forze.

Friedrich sentì un peso enorme scivolargli dal petto. Era come riprendere a respirare.

Non aveva osato sperare, ma ora iniziava a rendersi conto della realtà: Raphael gli aveva offerto la soluzione impossibile.

Non seppe cosa dirgli. Restò a guardarlo, sperando di trovare le parole giuste, ma senza riuscire a dire nulla.

- Lascia perdere – fece il vampiro, intuendo il suo stato d’animo – Ero io il primo a volere che Melissa si salvasse, sono intervenuto sapendo che si trattava della soluzione migliore. A lei non importa essere di una natura piuttosto che di un’altra, era come se le appartenessero entrambe.

Incrociò le braccia al petto.

- E tu ora devi rispettare il nostro patto.

Friedrich annuì, in quel momento l’accordo con Raphael gli sembrava innocuo. Cos’era qualche goccia di sangue in confronto a ciò che gli aveva donato il vampiro?

Eppure, nel momento in cui Raphael gli si fece vicino, Friedrich avvertì un brivido di terrore corrergli per la schiena.

In un flash rivide cos’era successo quando Melissa lo aveva morso in prigione e istintivamente arretrò. Ma Raphael si chinò rapidamente sulla sua gola.

La sensazione fu la stessa di qualche giorno prima. Pochi secondi, poche gocce… i trent’anni della vita di Raphael si stesero di fronte a lui con impressionante chiarezza.

Friedrich non comprese immediatamente che i sentimenti provati non erano i suoi, tanto gli erano familiari.

Per lunghi istanti credette di essere se stesso spettatore esterno di un’esistenza altrui. Invece Raphael era dentro al suo cuore, e Friedrich in quello del vampiro. Una fusione di sensazioni quasi perfetta.

La perdita di entrambi i genitori, presto. Troppo presto.

Disperazione.

Paura, sbigottimento, delusione, rabbia, dolore.

Solitudine.

Provarono lo stesso smarrimento, la stessa angoscia, l’uno per l’altro.

Poi avvenne un cambiamento. Friedrich sapeva che Melissa era un vampiro. Un segreto da mantenere.

Raphael era un vampiro, i nuovi genitori non dovevano saperlo.

Segreto. Silenzio.

Friedrich si sentì schiacciare dal peso di una verità clandestina. Ma era il carico del suo fardello quello che sentiva? O era quello di Raphael? L’angoscia di entrambi era così simile, così uguale da non permettere distinzione.

E, dopo, il disastro. Davanti ai suoi occhi vide morire il cane nell’incidente stradale, si sentì scoperto, venne coperto di accuse. Ci fu il disprezzo dei nuovi genitori, il loro abbandono.

Un dolore così forte da far piegare in due, colmo di terrore, di solitudine, di vergogna.

‘Voglio morire’

Il pensiero di Raphael gli attraversò la mente come un fulmine.

Davvero il vampiro aveva pensato a una soluzione tanto estrema?

Davanti ai suoi occhi e nel suo cuore assistette all’accoglienza al Paese Invisibile, accettò le nuove responsabilità, provò il desiderio di rivalsa, la speranza. Vide Raphael alla ricerca di Melissa, lo sentì la notte dell’omicidio, sperimentò l’attesa, l’impazienza, la tenacia nel perseguire i propri scopi… inutilmente.

Tutto in realtà era stato vano. Illusorio.

Nulla di ciò in cui aveva creduto era mai stato reale. Non avrebbe trovato a quel modo la felicità.

Friedrich lo comprendeva bene a sua volta, i sentimenti di Raphael erano ancora una volta i suoi. Anche lui aveva sperimentato la stessa confusione. Anche a lui era successo  di rivalutare la propria vita dal principio.

 

Raphael si staccò.

Scosse la testa per scacciare le ultime immagini dalla mente, arretrò di qualche passo. Sembrava sconvolto.

- Non volevo vedere la tua vita – disse piano, con il respiro corto – Non volevo capirti. Non volevo arrivare ad apprezzarti! Volevo che tu capissi me! Volevo che tu vedessi la mia vita!

- L’ho vista – sussurrò Friedrich, ancora sopraffatto dal turbine di emozioni scatenatesi dai ricordi di Raphael.

- L’hai vista… - ripeté lui – Ma io non ho potuto fare a meno di vedere la tua.

Friedrich si mosse incerto. Gli tremavano le gambe e per sicurezza si lasciò andare su una sedia, non riusciva a formulare pensieri chiari. Dentro di lui, la voce del suo vecchio odio lo assillava.

Non è possibile! - diceva – Non è possibile che Raphael sia uguale a te!

Eppure Friedrich sapeva che quella voce si sarebbe presto azzittita. L’aveva visto con i suoi occhi e sentito con il suo stesso animo.

Il vampiro che aveva tanto odiato, che aveva cercato di uccidere, portava dentro sé le sue stesse identiche paure, i suoi desideri, le sue ferite.

E anche Raphael l’aveva capito. In quel momento lo stava guardando con sconcerto, quasi con incredulità.

- Aveva ragione Melissa – gli disse diffidente – Mi aveva detto che io e te ci assomigliamo, ma non l’avevo presa sul serio.

Friedrich non rispose. Era sorpreso che Melissa avesse compreso una verità così difficile per loro. Lei che non aveva mai avuto sentimenti.

- Abbiamo avuto una vita diversa… siamo diversi! – disse Raphael, quasi per ripeterlo a se stesso-  Eppure abbiamo vissuto esperienze simili. I tuoi sentimenti… mentre li provavo sembravano… i miei.

Friedrich annuì. Era così anche per lui e non avrebbe mai scordato la sensazione provata… quella percezione di una perfetta sovrapposizione fra loro. Per la sua mente era una scossa violenta.

- Me ne vado – disse Raphael a un certo punto. Con passo un po’ incerto arrivò alla porta e si afferrò alla maniglia.

- So che avrai cura di Melissa. So che ora dentro di te ci sono sentimenti buoni. Mi auguro che ne terrai qualcuno anche per i vampiri. Ora sai che neppure per noi è semplice.

- Sì, lo so – bisbigliò Friedrich – Ora ti conosco.

- Mi impegnerò a non giudicare più nessuno – disse Raphael stringendo la maniglia – So che sarà lo stesso anche per te.

Sparì oltre la soglia. Poco dopo, il cancelletto del giardino segnalò la sua scomparsa.

Friedrich rimase a lungo a fissare la porta oscillante che dava sull’esterno.

Scoprire la verità sull’assassinio del padre aveva rovesciato interamente il suo modo d’essere. Per perdonare Melissa, per tornare a volerle bene, aveva rivoltato la sua coscienza, si era costretto a prendere atto di cose non considerate, aveva rivalutato completamente i suoi giudizi e i suoi valori.

Raphael l’aveva forzato a proseguire su quella strada. Friedrich sapeva che, dopo aver letto a quel modo dentro di lui, la prospettiva da cui guardava il mondo si sarebbe nuovamente modificata.

I suoi occhi erano già diversi. E vedevano diversamente, come stava succedendo a quelli di Raphael.

M’impegnerò a non giudicare più nessuno.

Friedrich annuì.

Lui e Raphael avevano trovato un punto di contatto. Dopo essersi disprezzati a vicenda, si erano scoperti uguali.

Questo avrebbe cambiato entrambi.

 

Ci volle mezzora perché si risolvesse a entrare nella camera dove riposava Melissa. Aveva esitato temendo, irrazionalmente, di trovarla diversa.

Era ovvio che sarebbe stata diversa, era umana. Ma probabilmente su di lei non si sarebbe notata alcuna differenza. Era il suo cuore che stava cambiando, ma non a causa della sua natura.

Si fece coraggio e aprì la porta.

Melissa sembrava addormentata, ma quando sentì i suoi passi aprì gli occhi. Era ancora chiaramente debole, eppure Friedrich seppe con certezza che non sarebbe morta. Non c’erano più segni bluastri sotto gli occhi, né una luce spenta nel suo sguardo, il suo sorriso era indubbiamente vitale. Felice.

- Bistecche e vino rosso! – fu la prima cosa che gli disse. E lo fece in modo tanto serio che Friedrich si fermò a riflettere sulle sue parole, allarmato. Quando finalmente ne comprese il significato, tirò un sospiro di sollievo.

- Ti è venuta fame? – chiese con un sorriso.

- Un po’. Voglio rimettermi velocemente e fare tutto quello che serve per tornare forte come prima.

Lui le prese una mano. Non sapeva come affrontare l’argomento.

- Come ti senti? Voglio dire… la tua nuova natura… Ti spiace… - si fermò e di nuovo si trovò a contemplare quel sorriso radioso.

Dispiacere? Tristezza?

Scrollò le spalle sollevato. Melissa era felice, se ne sarebbe accorto anche un bambino! E ora lui doveva occuparsi della sua convalescenza.

- Vado a fare spesa – disse, adocchiando l’orologio.

Melissa gli strinse la mano trattenendolo.

- No, resta qui! Avevi promesso che se mi fossi salvata saremmo stati insieme.

- Voglio solo fare spesa.

- La farai dopo. Possiamo farne a meno ancora per un po’.

Friedrich cedette al suo sguardo implorante. Era appena scampata alla morte, aveva tutto il diritto di esigere un po’ di conforto.

Melissa lo indusse a sdraiarsi accanto a lei, gli si strinse vicino. Friedrich però esitava. Parlando con Katja e con Raphael si era sentito sicuro dei sentimenti di Melissa, ora, invece, sentiva di dover rallentare. Non voleva prendere un abbaglio. Non voleva che lo prendesse lei.

- Mel, quando dici che vuoi stare con me…

- Posso dormire sempre nel tuo letto? – domandò lei, interrompendolo. Teneva la testa appoggiata alla sua spalla e una mano sul suo petto. Friedrich non l’aveva mai sentita così vicina. Non era accanto a lui solo fisicamente… era tutta intera accanto al suo cuore.

- Dobbiamo parlarne – le rispose – Forse è troppo presto, Mel… probabilmente dovrai pensarci su per un po’ di tempo, però dovremo prendere una decisione sul modo in cui vivremo d’ora in poi.

Melissa gli rivolse uno sguardo sorpreso.

- Cosa significa?

Lui sospirò. Era ancora così ingenua…

- Sono cambiate un bel po’ di cose rispetto a prima. Non possiamo fare finta di nulla, dobbiamo discuterne e decidere come comportarci. Ma adesso probabilmente sei ancora troppo stanca per pensarci.

Melissa lo stava fissando interrogativamente, come se le sue parole le suonassero arcane.

- Sto parlando di noi – precisò Friedrich – Del nostro rapporto. Devi decidere se vuoi continuare a essere mia sorella.

Le sue parole sembrarono gettarla ancor più nella confusione.

- Ma io non sono tua sorella! – esclamò, con occhi colmi di panico.

Nonostante la gravità del momento, Friedrich non riuscì a trattenere un sorriso. Ci sarebbe voluto ancora del tempo, perché Melissa comprendesse appieno il mondo in cui viveva.

- Molto bene – le disse – Allora cosa vuoi essere?

Melissa ci pensò su un momento, sembrò considerare la domanda con grande attenzione.

- Beh, non ho dubbi – rispose infine – Voglio essere tua moglie.

Per poco, Friedrich non cadde dal letto.

- Mia… moglie?

- Sì, esatto!

- Ma… senti Mel… - Friedrich si voltò su un fianco e cercò i suoi occhi – Hai idea di cosa significhi essere una moglie?

- Certo che lo so. Significa che vivremo sempre insieme, che non dovrò più dare appuntamenti ad altri uomini, che dovrò prendermi cura di te, e che faremo dei figli!

- Ah… beh… - borbottò Friedrich in imbarazzo – Sì, hai un concetto abbastanza chiaro…

Era sbigottito di fronte alla sicurezza di Melissa.

- Però anche tu non dovrai uscire con altre ragazze – precisò lei, guardandolo con grandi occhi chiari.

- Io non esco mai con altre ragazze - si difese Friedrich.

- Ma Katja vuol sempre fare sesso con te!

E questo quando l’aveva scoperto?

- Adesso non ci proverà più – disse, sperando che fosse vero – Ci siamo chiariti.

- Bene – approvò Melissa – Perché se così non fosse, mi toccherebbe sfidarla.

- Come?

- Nei film a volte succede.

Santo cielo!

Doveva distoglierla da quel pensiero.

- Dovremo spiegare la situazione alla gente di qui – le disse – Ci hanno sempre conosciuti come fratello e sorella, resterebbero scandalizzati! E non sarà comunque facile far loro capire come stanno le cose.

Non era sicuro che neppure Melissa capisse.

- È importante farlo? – chiese infatti.

Friedrich si strinse nelle spalle.

- Sì, se vogliamo stare qui. Ma possiamo anche andarcene, vendere il negozio e partire. Vivere dove preferisci.

In quel momento si sentiva disposto a tutto, anche a tagliare con il passato.

- Io non voglio andarmene – disse invece Melissa – Ho abitato a Gebirge senza mai viverci veramente, vorrei iniziare ora.

Lui annuì.

- Va bene allora, vuol dire che parleremo ai nostri conoscenti. Continueremo  a vivere qui e a lavorare in negozio.

- E compreremo una macchina nuova! – aggiunse lei, con entusiasmo.

Friedrich rimase congelato.

- Una macchina nuova?

- Quella di Katja è molto comoda, dopo esserci salita, ho capito che la nostra va buttata.

- La mia centotrentuno?

Melissa sembrava molto seria.

- Prenderò la patente – disse – E mi comprerò un’auto nuova. Tu fa quello che ti pare.

Friedrich rimase immobile a contemplare il soffitto.

La sua centotrentuno… E perché no? Dopo ventitre anni poteva anche mandarla in pensione.

La testa gli si affollò di immagini dei nuovi modelli d’auto appena usciti. In quel guazzabuglio di pensieri si perse e sprofondò tranquillamente nel sonno.

*******************************************************************

Ciao a tutti... manca solo un capitolo alla fine di questa storia, un capitolo veramente breve che avrei potuto pubblicare direttamente qua...
Ma non me la sono sentita, mi piaceva dare un po' più di importanza all'epilogo di questa storia.
Fra una settimana arriverà quindi la conclusione, anche se le sorti della storia si sono già perfettamente capite... ^^
A presto, allora!

 

 

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Capitolo 33
*** Un cuore umano ***


 

21

 

La sveglia sul comodino segnava le tre del pomeriggio, era ora che riprendessi in mano la mia vita.

Scivolai dal letto facendo attenzione a non svegliare Friedrich, passai in bagno e infine nella mia camera, dove sostituii la camicia da notte con un vestito. La familiarità di quelle azioni sembrò rinvigorirmi.

In cucina controllai il congelatore e trovai le bistecche che avevo comprato tempo prima, le presi insieme ai piselli e le misi a scongelare.

Tutto era identico a quando me n’ero andata… Che cosa aveva mangiato Friedrich nella settimana in cui era rimasto solo?

Dovevo assolutamente tornare a prendermi cura di lui!

Sedetti sul gradino della cucina, al sole, e sorseggiai un succo di frutta. Quante visioni meravigliose avevo avuto in quel giardino! Eppure, adesso, la calda rigogliosità della natura mi sembrava più attraente.

Ripensai a quello che avevo detto a Friedrich.

Fare dei figli!

Quando me l’aveva proposto Raphael, l’avevo preso per pazzo. Adesso invece ero io a volerlo, non mi sembrava più una cosa tanto assurda.

Udii dei passi alle mie spalle e, un momento dopo, Friedrich venne a sedersi al mio fianco. Aveva gli occhi azzurri appannati dal sonno, i capelli arruffati e il viso velato di barba. Era una vista molto piacevole.

- Ho trovato del cibo – dissi – Potremo mangiare!

- Questa è una buona notizia – commentò lui, appoggiando la schiena allo stipite della porta. Era rilassato, non ricordavo di averlo mai visto così disteso.

Lo toccai e sentii la pelle fresca sotto le dita.

- Finalmente la febbre se n’è andata.

Lui mi prese la mano e cercò i miei occhi.

- Mel, me lo sono sognato o tu prima hai detto veramente di voler diventare mia moglie?

- L’ho detto davvero – risposi ridendo, ma subito venni presa dal dubbio. Avevo praticamente chiesto a Friedrich di sposarmi, ma non sapevo se a lui avrebbe fatto piacere!

- Forse tu non vuoi? – feci preoccupata – Non vuoi sposarmi?

Dal suo sguardo capii di aver detto una sciocchezza, era tutta la vita che Friedrich mi aspettava!

- Gustav e Katja ci faranno da testimoni – disse lui, alzando gli occhi verso il cielo limpido.

- Non so se a Katja farà piacere…

Lui sorrise, ma non mi lasciò la mano. Restammo in silenzio a contemplare il nostro piccolo giardino inondato di luce, il sole caldo, i rami mossi dal vento, gli uccelli che saltellavano sull’erba.

Era piacevole, mi sentii colmare da un senso di pienezza. Era tutto lì, contemporaneamente: i miei nuovi sentimenti, la nostra casa e il negozio a Gebirge, la presenza di Friedrich, il suo perdono e il suo amore e il giardino inondato di sole.

Era tutto talmente bello che gli occhi iniziarono a farmi male. Qualcosa pulsò dietro alle mie palpebre, mi punse gli occhi.

Friedrich mi guardò pieno di stupore, lasciò la mia mano e mi posò due dita sulla guancia. Sorridendo me le mostrò e io vidi le mie stesse lacrime sulla sua pelle.

Allora sorrisi a mia volta. Compresi che ciò che provavo era commozione e mentre abbracciavo Friedrich continuai a piangere.

Avevo fatto un altro passo avanti nel complesso mondo delle emozioni.

 

 

 

FINE

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E finalmente... siamo giunti alla conclusione di questa lunghissima storia!
Che dire... Ho amato tantissimo questi personaggi e spero che un pochino siano potuti entrare anche nel vostro cuore...
Siamo giunti al grande momento dei ringraziamenti e vorrei davvero di cuore ringraziare tutti coloro che hanno messo questa storia fra le Seguite (ben 17!), tra le ricordate e le preferite.
Un saluto particolare va a chi mi ha lasciato, fedelmente o meno, delle recensioni, sempre tantissimissimamente gradite! :3  Grazie dunque a Ultimo Puffo, Crown Boreal, Solly, Directioner, Rebecca 937 e, naturalmente, la carissima e lealissima Frsm75! Senza dimenticare Shomer, che segue silenziosamente, ma dalla quale attendo la - wow - recensione con commento finale! *arf* (ma senza pressione, né? *affila la lama del coltello*).
Che dire se non... sayonara?!?  Spero di risentirvi tutti, alla prossimaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!

phoenix_esmeralda

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