Lotta, vinci, soffri.

di nobodyishopeless
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX. ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI. ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII. ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII. ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


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"Uomini futuri!
Chi siete?
Eccomi qua,
tutto
dolori e lividi.
A voi io lascio in testamento il frutteto
della mia anima."
-Majakovskij-
 
Capitolo I
 
 
Arianne.
Era l’Italia corrotta, era l’Italia dell’insoddisfazione e della rivolta, era l’Italia dell’afa estiva che appiccica i vestiti ai corpi, era l’Italia del futuro invisibile, era l’ Italia della tecnologia, era l’Italia della crisi,  era l’Italia delle canzoni dei Modà ad ogni Sanremo, era l’ Italia degli amori sbagliati, era l’Italia dei giudizi continui. Era l’Italia in cui vivevo i miei diciassette anni.
Noi giovani non sentiamo lo scandire delle ore durante il periodo estivo. E anche se è in quelle ore che si vivono alcune delle migliori esperienze dell’adolescenza. La mia estate fu piuttosto divertente in realtà.
Non ero quasi mai a casa, io con la mia gemella Erika siamo state parecchio in giro per le spiagge della zona. Le ultime settimane di vacanze furono le più dense di avvenimenti. Ci occupammo dei centri estivi della parrocchia come ogni anno ed è lì che la mia storia comincia.
Sono sempre stata una persona aperta ed estroversa, che non ha problemi a socializzare, i miei colleghi animatori sono amici che conoscevo da diversi anni e a cui ho sempre voluto un gran bene. Quando cominciò il centro estivo restavamo con i bambini al mattino, giocavamo con loro, avevamo più di trecento bambini a cui badare con circa trenta animatori. Al pomeriggio restavamo in parrocchia, che si sapeva, in quelle due settimane era casa nostra, era il nostro mondo. I bambini andavano via a mezzogiorno, noi facevamo riunione, in cui spesso venivano fuori i litigi peggiori a cui io abbia mai assistito. In seguito, due amici andavano a cucinare per tutti, gli altri si sedevano sulle panchine all’ombra a fumare una sigaretta e a chiacchierare del più e del meno. Quando si vive a contatto con molte persone è normale che alcuni legami siano più forti, ed è persino normale prendersi una cotta per una persona, che prima di allora non potevi vedere se non come un amico. È questo che è successo a me. Ho perso completamente la testa per lui. Mattia. Ha un anno in più di me e ci ho passato molti bei momenti. È un ragazzo gentile, simpatico e buffo, è sempre attento agli altri e anche se fa il coglione con i suoi amici è impossibile non volergli bene. Io e lui ci siamo sempre stuzzicati, ripresi, presi in giro, a vicenda. Venivamo spesso alle mani, ma lui non mi toccava mai, qualche schiaffo giocoso oppure il solletico era ormai un’abitudine. Non sapevo quando avevo cominciato a vederlo in modo diverso, ma una cosa era certa, non glielo avrei detto mai. A questo pensavo mentre ero seduta davanti a lui sulla panchina di legno con i chiodi arrugginiti. Aspirai profondamente dalla mia sigaretta assaporando la nicotina che non aveva fatto altro che richiamarmi per tutta la giornata come un diavolo tentatore.
-Ragazzi è pronta la pasta!- ci gridò Erika uscendo appena dalla porta antincendio. Mi alzai e gettai la sigaretta nel cestino dopo averla spenta, osservai Mattia che invece la gettò per terra, lo fucilai con lo sguardo. Lui mi guardò e dopo aver fronteggiato il mio sguardo per alcuni istanti alzò gli occhi al cielo, raccolse il mozzicone sulla terra e lo gettò nel cestino di legno facendomi scappare un sorriso di compiacimento. Il pranzo fu rumoroso come al solito, le forchette si impigliavano veloci tra gli spaghetti alla carbonara intrappolando qualche pezzo di pancetta affumicata. Alcune forchette persero denti, come sempre, poiché la plastica non era della qualità migliori, ma a noi non ci importava, siamo sempre stati ragazzi di campagna, da bambini i campi erano il luogo di ritrovo in cui vivere mille avventure, anche le più impensabili. Appena finimmo il pranzo, un paio di ragazzi sprepararono e lavarono le pentole, chi invece non era di turno come me, poteva concedersi un pisolino, una partita a beach volley, una sigaretta, o due tiri nel campo di calcetto. Io optai per la partita nel campo da beach. Ci trovammo in dieci, facemmo le squadre a caso, mentre altri compari si sedevano tra la sabbia per osservarci giocare. Mentre mi preparavo per la battuta, lancia un’occhiata con la coda dell’occhio alle panchine, scorsi Mattia con mia sorella e Marco che si fumavano una sigaretta. Una goccia di sudore mi rotolò giù per la schiena. Così, vedendo anche alcune mie compagne in reggiseno, consapevoli del caldo, mi tolsi la tshirt del centro estivo e restai in reggiseno di raso nero, più simile ad un costume. Battei la palla iniziale e diedi inizio alla partita. Ad un tratto, mentre facevo muro, mi arrivò una palla di sabbia sul seno sinistro sparpagliandosi all’interno del reggiseno.
-Fanculo Davide sei un idiota!- grida al moretto che mi stava di fronte al di là della rete.
-Andiamo una partita seria possiamo farla?- domandò retorica Bea alzando gli occhi al cielo.
-Vado in bagno a togliermi questa merda dalle tette!- esclamai fulminando Davide che rideva.
Una volta in bagno mi osservai allo specchio, i miei capelli neri lisci erano legati in una coda disordinata, non avevo alcun segno di trucco, la pelle dorata dai raggi del sole appare comunque solcata dalle occhiaie che mi provoca l’insonnia.
Mi tolsi il reggiseno dopo essermi chiusa a chiave, e tolsi la sabbia appiccicata alla mia pelle. Passai le dita delicatamente sul mio seno liscio, ma quando contornai il capezzolo per togliere i granelli rimasti, il mio pollice toccò qualcosa. Qualcosa di strano. Qualcosa che non avrebbe dovuto esserci. Al tatto doleva, era uno gnocco duro proprio sul lato del capezzolo. Un tipo di angoscia mai sentito prima mi strinse la gola e la bocca dello stomaco, i miei occhi divennero lucidi. Deglutii e cercai di mantenere il controllo, respirai affannata e ripresi lucidità. Afferrai il cellulare che stava  nella tasca posteriore dei miei shorts e digitai il numero di mia madre che sapevo a memoria.
 
Tu….    La nonna è morta di tumore al seno.
Tu…     La mamma si è fatta asportare un seno e se lo è rifatto con la chirurgia  plastica, per cancro al seno
Tu…     Sarà anche questa la mia fine?
 
-Ciao tesoro… a che ora torni?- la voce di mia madre, mi svegliò dalla sorta di trans in cui ero caduta. Mi asciugai la lacrima che mi era scivolata sulla guancia.
-Ciao mamma… torno sulle quattro. Mamma ho trovato un nodulo.- dissi diretta, lei mi diceva sempre che dovevo controllare perché un buon 50% di contrarre la malattia in età adulta ce l’avevo. Ma a diciassette anni, non ero adulta. No?
Mia madre si zittì un attimo. La sentii deglutire dall’altro capo.
-Chiamo il dottor Vandor.. prendo un appuntamento per domani mattina. Magari è solo una ghiandola infiammata!- esclamò mia madre cercando di calmarmi. Annuii anche se non poteva vedermi.
-Tornate a cena?- mi chiese poi con la voce melodiosa tornando alle domande quotidiane.
-No.. credo che mangeremo una pizza qua.- la informai.
-Ma tesoro, oggi pomeriggio torna Carlo dall’africa e porterà a cena un suo amico, che ha fatto volontariato con lui..- mi disse.
-Mamma torniamo presto lo giuro, ma sai che io voglio restare qua a cena.. è importante stare con i miei amici, l’estate è quasi finita.- replicai strascicando le parole.
-Va bene.. ci vediamo dopo, e stai tranquilla!- accettò mia madre chiudendo la chiamata.
Mi guardai allo specchio i miei occhi erano ancora lucidi, mi tastai ancora il punto dolente. Poi mi rimisi in fretta il reggiseno e corsi fuori cercando di cancellare i segni delle lacrime che avevano appena solcato il mio viso.
Mia sorella mi venne incontro.
-Che sta succedendo?- mi chiese Erika preoccupata.
I gemelli hanno una connessione speciale, i gemelli sono due anime legate da una catena invisibile ma molto forte e lunga. Se una delle due sta male, l’altra lo capisce senza neanche vederla, anche a chilometri di distanza. Le raccontai tutto. Lei mi strinse a sé.
-Su dai andrà tutto bene.. vedrai!- mi sussurrò con la testa incastrata tra il mio collo e la spalla.  Mattia si alzò dalla panchina  e mi passò accanto.
-Dove vai?- chiese Erika.
-A casa di Giulio… ci vediamo stasera!- esclamò mandandoci un bacio. Sospirai guardandolo e sorrisi mentre metteva il casco e partiva col motorino, e in quel momento perfino la possibilità di una grave malattia era sparita.

 

 
 
My corner:
Hello.. dunque ho appena cominciato questa originale, è tratto da una storia vera…
è solo il primo capitolo, aspettate e vedrete. Intanto mi lasciate un parere su questo capitolo?
A presto,
Mar
.
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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


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"Per quanto oscuro sia il presente,
l'amore e la speranza sono sempre possibili".
George Chakiris.
Capitolo II.

Arianne.
 Fissai la mia immagine nuda davanti allo specchio leggermente appannato a causa del vapore che la doccia calda che avevo appena fatto, ha prodotto. Continuavo a passarmi un dito su quel rigonfiamento che l’ indomani sarei andata  a far vedere al mio medico di fiducia. Deglutii sentendo l’ansia aumentare. Non ero pronta per tutto quello. Non ero abbastanza forte, era una cosa troppo grande. I miei capelli lisci ancora umidi mi incorniciavano il viso preoccupato, le note decise e provocatorie di “Io vengo dalla luna” di Caparezza erano l’unico rumore che copriva l’acqua dei miei occhi, le mie lacrime di paura.
-Arianne muoviti è tornato tuo fratello!- urlò la voce di mia madre dal piano terra. Deglutii e tolsi l’audio del telefono, dopo aver stoppato la canzone mi guardai allo specchio, ma non mi importava veramente di come fosse il mio aspetto, mio fratello era sempre mio fratello, e del suo amico non mi importava granchè, non ero quel tipo di ragazza che ama stare al centro dell’attenzione del genere maschile, anzi stare nell’ombra mi piaceva. Scesi le scale non  vedendo l’ora di riabbracciare il mio fratellone, mi era mancato così tanto. Era andato a fare volontariato in Kenya ed era appena tornato. Entrai in soggiorno e lo vidi subito di spalle che parlava con qualcuno che non riuscivo a vedere, probabilmente seduto sul divano. Vedendo che Carlo non si era ancora accorto della mia presenza ne approfittai presi la rincorsa e mi gettai sulla sua schiena aggrappandomi alle sue spalle. Carlo doveva essere piuttosto fuori allenamento, o forse i suoi venticinque anni non erano sufficienti a reggere il mio peso, perché si sbilanciò in avanti e cadde sul divano, anzi sull’amico che era seduto sul divano, portandomi con sé.
-Non ti smentisci mai Arianne.- borbottò con voce soffocata Carlo. Scoppiai a ridere, ma non appena cercai di alzarmi i miei occhi incrociarono finalmente quelli dell’amico di Carlo. Il mio cuore perse un battito vedendo quegli occhi marroni, scuri, pieni di vita. Deglutii e mi alzai sperando che le mie guance non si imporporassero, come accadeva sempre quando avevo un debole per qualcuno.
Carlo si girò verso di me e mi abbracciò sorridendo, mi sollevò da terra facendomi ridere, mi era  mancato così tanto. I suoi capelli morbidi castani, come i miei, i suoi occhi neri furbi e rapidi, che rivelavano il suo carattere scattante ed impulsivo. Per quei sei mesi mi erano mancati i suoi abbracci, le sue carezze e le sue consolazioni. Appena mi posò a terra, rivolsi il mio sguardo al suo amico. Aveva i capelli marrone scuro e gli occhi del medesimo colore, il viso era magro, le labbra sottile piegate in un sorriso tenero, che la scena di me e Carlo gli aveva provocato. Si alzò senza smettere di sorridere, non era tanto alto, anzi era piuttosto basso per avere l’età di Carlo.
-Ciao, io sono Andrea…- si presentò porgendomi la mano.
Lo guardai sorridendo, e strinsi la sua mano tesa.
-Piacere io sono Arianne.- mi presentai senza smettere di sorridere.
-Era il mio compagno di stanza in Kenya… è laureato in medicina.- mi informò mio fratello.
-Ah.. quanti anni hai?- chiesi ad Andrea.
-Ventisette.. appena fatti.- mi rispose facendomi aumentare il battito cardiaco.
Era veramente bello. Mi sentivo davvero in imbarazzo senza un vero motivo. Forse perché mi piaceva un ragazzo che aveva dieci anni più di me?
Comunque scacciai il pensiero, avevo altro a cui pensare, più che infognarmi in una storia con un amico di mio fratello, molto più grande di me.
Mia madre arrivò a chiamarci per la cena, ma prima che potessimo muovere un passo, la nostra attenzione venne attirata dalla serratura del portone principale, che scattò e sulla soglia apparvero Erika per mano con Leo, il suo ragazzo, nonché amico mio. Non appena Erika vide Carlo prese la rincorsa e gli si fiondò tra le braccia aperta, in cui lui la aspettava. Salutai Leo che si avvicinava a noi a passo leggermente tremolante, immaginavo che fosse leggermente timoroso di conoscere il nostro fratello maggiore.
-Lui è Leo il mio ragazzo…- lo presentò Erika.
-Piacere, da quanto state assieme?- chiese Carlo curioso.
-Da un paio di mesi. Piacere mio!- rispose Leo stringendo la mano tesa di Carlo.
-Lui è Andrea, era il mio compagno di stanza in Kenya.- lo presentò Carlo anche  a mia sorella e a Leo. In realtà avevo sentito i suoi occhi su di me durante tutte le presentazioni.
Poco dopo eravamo tutti a tavola. Io accanto a Erika, a sua volta accanto a Leo, davanti a me c’era Andrea, seduto accanto a Carlo, i miei erano a capotavola l’uno di fronte all’altro. Chiacchierammo del più e del meno. Andrea e Carlo parlarono della loro esperienza di volontari, raccontando delle cose che mi fecero quasi male. Poi fu il turno mio e di Erika, raccontammo del centro estivo  di come stavano precedendo le cose.
-E in amore tu Arianne? Qualcuno è riuscito a farti sciogliere?- mi chiese Carlo facendomi roteare gli occhi.
-Mattiaaaaa…- cantilenò Erika beccandosi una mia occhiataccia.
-Uuuuooo.. e chi è questo Mattia?- mi chiese Carlo sporgendosi verso di me.
Abbassai lo sguardo scocciata. Mentre gli occhi di Andrea continuavano a fissarmi come se cercassero di leggermi dentro.
-Un idiota…- risposi senza mentire.
-Naturalmente Arianne, non puoi innamorarti di un bravo ragazzo come ha fatto tua sorella? No! Devi innamorarti di un cretino che scalda la sedia all’istituto professionale.- mi riprese mia madre. Abbassai nuovamente lo sguardo ferita. Anzi più che ferita ero arrabbiata. Come poteva giudicare una persona che non conosceva e metterla in confronto con Leo? Anche lui non è che brillasse per intelligenza. Feci strisciare la sedia con le guance in fiamme, ricordandomi che davanti a me c’era un ragazzo che non conoscevo che osservava la scena. Chissà che cosa pensò di me. Mi alzai senza spiccicare parola, lasciai il piatto pieno di carne e mi diressi nella mia stanza mentre trattenevo le lacrime.
Perché sono così debole?
Sentii qualcuno bussare.
-No Erika, non voglio parlare con te.- mormorai pronta a tirarle dietro un cuscino se fosse entrata.
 Andrea.
 La scena a cui avevo assistito mi aveva piuttosto colpito, come la sorellina di Carlo in fondo. Aveva solo diciassette anni, in confronto a me era una bambina. Avevamo dieci anni di differenza, ma quegli occhi. Quegli occhi mai visti prima, occhi neri cerchiati di verde. Erano quegli occhi che cambiavano colore a seconda della luce e dello stato d’animo. Avevo visto la sua espressione ferita. Avevo capito che si trattava di una ragazza incredibilmente fragile, e sentivo il dovere di proteggerla sebbene non la conoscessi per niente, sebbene sapessi solo il suo nome. E qualcosa origliato dalla sua vita privata. Non appena si alzò e se ne andò via, Carlo si alzò per andare a consolarla, e io lo seguii senza saperne il motivo. Lo vidi bussare alla porta.
-Se vuoi ci parlo io..- sussurrai al mio amico, che mi guardò dubbioso.
-Ho dato tanti esami di psicologia, me la cavo con gli adolescenti.- sussurrai rassicurandolo. In Kenya avevo lavorato con molte ragazze della sua età , facevo di tutto, il consulente, il medico, l’insegnante, l’infermiere, l’uomo delle pulizie. Uno degli ultimi giorni anche il becchino, ero andato a recuperare cadaveri per tutta la città di Mombasa, nelle strade sperdute della periferia. Avevo visto corpi ridotti malissimo dallo stadio di decomposizione a cui erano. L’odore putrido della morte continuava ad animare i miei incubi anche ora che ero tornato in Italia.
Così bussai alla porta e sentendo la sua debole risposta sospirai, per poi aprire la porta lentamente, ma non feci in tempo a mettere neanche un piede nella stanza che un cuscino verde si fiondò sulla mia faccia. Sorpreso lo presi però al volo stupendo la ragazza, più di quanto non fosse già, vedendomi entrare nella sua stanza. Forse non era stata proprio una grande idea volerle parlare. Non la conoscevo neanche, e a quell’età le ragazze sono estremamente complicate, molto più delle donne adulte, nelle quali puoi trovare almeno un po’ di razionalità.
-Oh.. scusa.. io credevo fosse mia sorella..- mormorò con le guance rosse di imbarazzo.
-Oh non preoccuparti..- le dissi muovendo qualche passo verso di lei. Non avevo fatto altro che fissarla per tutta la cena e ora me la trovavo sola innanzi a me. Ma ad un tratto mi tornò in mente il motivo per cui mi ero addentrato nella  privacy della sua stanza.
-Mi dispiace per la scenata alla quale hai dovuto assistere, probabilmente penserai che sono una ragazzina capricciosa…- sussurrò ancora guardando le mani sul suo grembo.
-No, affatto!- mi affrettai a smentirla- anzi, credo che tu abbia fatto bene ad andartene senza insultare nessuno. Io non so se ce l’avrei fatta al posto tuo.- la appoggiai cercando di intercettare il suo sguardo. Un sorriso le comparve sul viso illuminandolo. Era veramente bellissima.
-E’ che questa storia di Mattia mi sta uccidendo.- confessò facendo imporporare nuovamente le sue guance. Una stretta allo stomaco mi fece rabbrividire. Chi era questo Mattia da poter rifiutare una ragazza del genere? Forse il classico puttaniere che poteva avere tutte le ragazze del paese. Tuttavia non riuscivo a immaginarmi nessuna ragazza più bella di Arianne.
-Tu con lui ci hai parlato?- le chiesi di getto.
Lei alzò lo sguardo timido su di me.
-Non per farmi i fatti tuoi… veramente è che sei difficile da capire come persona, sei imprevedibile, vorrei solo capire come sei fatta ecco..- mi affrettai ad aggiungere grattandomi la testa.
-Io non gli ho detto quello che sento, cioè siamo amici da così tanto tempo.- sussurrò lei scostandosi una ciocca di capelli dal viso.
-L’unico consiglio che posso darti è.. buttati, non avere paura di un suo rifiuto..- cominciai a dire.
-Ma se poi mi rifiuta che ne sarà della nostra amicizia?- mi interruppe lei.
-Almeno potrai dire di averci provato.. non rimpiangerai nulla.- le risposi.
Poi calò il silenzio, lei mi guardava, forse chiedendosi perché mi interessava così tanto saperlo.
- E poi.. guardati sei bellissima come potrebbe rifiutarti?- mi sbilancia, notando che le sue guance riprendevano il colore rosso già visto su di lei. Sorrise imbarazzata.
-Grazie. Davvero. Non ci conosciamo eppure sei così disponibile.. sicuro di non aver sbagliato facoltà? Ti ci vedrei più nei panni di uno psicologo che di un medico!- scherzò facendomi scoppiare a ridere.
-La mente delle persone è troppo complicata.- confessai tra le risate.
-Già, sono d’accordo!- esclamò lei smettendo di ridere.
Poi in un istante di silenzio ci fissammo, era più serena ed ero felice di esserne io la causa. La porta della stanza si aprì di colpo.
-Arianne siamo in ritardo..- cominciò Erika interrompendosi all’istante vedendo noi due seduti sul letto che ci sorridevamo.
-Ho interrotto qualcosa?- domandò maliziosa e sfacciata. Arianne arrossì ancora.
-No!- rispose poi fulminando la sorella- Va bene andiamo!- disse poi alzandosi dal letto, la seguii fuori dalla stanza.
-Tutto a posto?- chiese Carlo incrociando le sorelle per il corridoio.
-Alla grande, il tuo amico è simpatico, fallo venire più spesso!- esclamò Arianne mentre il mio cuore perdeva un battito. Sentii Carlo ridere, poi venne da me.
-Sei il migliore bro!- mi disse tirandomi una pacca sulla spalla.
-Oh lo so!- esclamai scherzosamente. E mentre io e Carlo ridavamo le due gemelle ci salutarono. Arianne mi sorrise, e quel sorriso radioso non solo era merito mio, ma era tutto per me.

 
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My corner:
Buonasera! Come va? Ho scritto questo capitolo di getto,
sperando che venga cagato da qualcuno. Non ho avuto neanche una
recensione nel primo capitolo, però le visite mi fanno sperare per il meglio.
Se volete potete trovarmi su:
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Al prossimo capitolo, ne vedrete delle belle. Baci,
Mar.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


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"Dimenticare il dolore è difficilissimo,
 ma ricordare la dolcezza lo è ancora di più.
La felicità non ci lascia cicatrici da mostrare.
Dalla quiete impariamo così poco."
-Chuck Palahniuk-
 
Capitolo III.

 
Arianne.
 

Io e Erika arrivammo al centro parrocchiale sulle nove. Vi erano già tutti. Ci accendemmo una sigaretta e cominciammo a chiacchierare. Non vidi Mattia, eppure il suo motorino era parcheggiato fuori, lucido come sempre. Ad un tratto da un cespuglio uscirono Marco, Mattia, Giacomo e Jacopo con gli occhi rossi e la risata facile. Io ed Erika alzammo gli occhi al cielo. Non eravamo delle moraliste bacchettone, anche noi fumavamo le canne, ma loro esageravano, come in ogni cosa. Marco mi prese un attimo da parte, ci allontanammo dal gruppo a braccetto.
-Che devi dirmi?- chiesi curiosa.
-Mattia ha scoperto che ti piace…- mi rispose lui.
-COSA?- gridai mettendomi le mani tra i capelli e sgranando gli occhi sconvolti.
-Glielo ha detto Giulio prima che potessi fermarlo!- disse per discolparsi. Deglutii e mi spostai i capelli dal viso. Gonfiai le guancie soprafatta da un senso di ansia e di nausea. Alzai le spalle e ci rincamminammo verso le panchine disposte l’una di fronte all’altra. Il mio cellulare vibrò, lo afferrai e visualizzai il messaggio da parte di mia madre.
 
Da: Mamy
 
Torna presto che domani devi andare dal medico!
 
Lo avevo scordato, quel maledetto nodulo al seno che ora sembrava pulsare come per farsi notare come a voler uscire dalla camicia nera semitrasparente che avevo messo per far colpo su Mattia. A passo stanco e tremante mi diressi sulle panchine e mi sedetti su una  proprio di fronte a Mattia. Afferrai un’altra sigaretta dal pacchetto di Marlboro  e me la accesi fra le labbra.
Mattia mi posò una mano sulla coscia e mi guardò.
-Dai so che Giulio spara cazzate!- esclamò Mattia, facendomi saltare i nervi.
-Non mi rompere i coglioni!- borbottai togliendo la sua mano dalla mia coscia.
-Ma quanto cazzo fumi?- esclamò Jacopo, facendo crollare quella poca pazienza che mi era rimasta.
-Tanto forse un cancro già ce l’ho!- esclamai alzandomi e andandomene arrabbiata in un luogo isolato del parco, dove vi era la porta da calcio avvolta nel buio, posai la testa sentendo le lacrime affluire dai miei occhi con tutta la paura tenuta fino ad allora segreta. Piansi a singhiozzi violenti che mi facevano sussultare il petto. Lo sapevano tutti di quel nodulo, il gruppo era come una grande famiglia, e mantenere un segreto era impossibile. Prima o dopo i nodi venivano al pettine, gli scheletri uscivano dagli armadi e la merda veniva a galla. Ma poi tutti si davano da fare per sistemare le brutte situazione. Perché,si sa, i panni sporchi si lavano dentro casa. Ma ora la situazione non si poteva sistemare con un abbraccio, o con una soluzione. Si poteva solo sperare che andasse tutto bene. Ero sicura che i singulti arrivassero alle orecchie del gruppo seduto sulle panchine, rimasto a bocca aperta per il mio atteggiamento, ma non mi interessava, non mi vergognavo di farmi vedere vulnerabile da loro, perché erano miei amici. Ad un tratto sentii dei passi dietro di me. Non mi voltai, ma speravo con tutte le mie forze che non fosse Mattia, non ce l’avrei fatta a fronteggiare la situazione. Non era Mattia era Marco. Mi abbracciò da dietro.
-Ti prego non fare così, non riesco a vederti così.- mi sussurrò stringendomi. Mi voltai e lo abbracciai, posando la testa sul suo petto, lasciando uscire altre lacrime incontrollate. In un attimo le parole che mi aveva detto Andrea neanche un’ora prima sembravano impossibili. Non ero bella, non sarei mai stata una bella persona.
-Ho paura cazzo..- mormorai tra i singhiozzi.
-Lo so, lo so.. ma pensa alla peggiore delle ipotesi..- mi istruì Marco.
-Sono malata. Chemio, interventi.. morte.- esposi staccandomi da lui e sedendomi a terra prendendomi la testa tra le mani.
-Arianne, ora hanno così tante carte da giocare in medicina!- esclamò Marco.
-Non hai un tumore osseo.. la morte non è contemplata per te.- continuò Marco.
Già, un tumore osseo. Sua madre era morta appena un anno prima di tumore osseo, ma era stata malata per tutta la vita. Marco era incredibilmente cambiato da quando era successo.
-Non piangere però che mi fai star male.- mi disse ancora – Io non posso capirti, non piango più le mie lacrime le ho finite..- continuò con la voce leggermente incrinata.
-Quando? Quando si è ammalata o quando è morta?- domandai fissandolo negli occhi. Lui abbassò lo sguardo e il suo viso si arrossò improvvisamente.
-Quando si è ammalata.- rispose poi facendo scivolare due lacrime lungo le due guancie.
Lo avevo fatto piangere, ora mi facevo davvero schifo.
 
Andrea.
 
Carlo aveva insistito perché restassi a dormire da lui finché non avessi trovato un appartamento in paese. Avevo appena finito la specializzazione in oncologia e mi avevano messo a lavorare nell’ospedale di Padova. Ero contento perché Padova era l’elite dell’oncologia, là lavoravano solo quelli veramente bravi. Mi passai una mano sul viso, ero seduto sul divano del soggiorno, io e Carlo avevamo appena finito di giocare a PES, e avevo perso ovviamente. Mi alzai e decisi di andarmi a buttare nella camera degli ospiti, era solo mezzanotte ma le due gemelle non erano ancora tornate, Carlo mi aveva detto che sarebbero tornate verso le due. Mi gettai nel letto soffice e tutto il jet leg comparve improvvisamente facendomi crollare addormentato. Da un mese a questa parte, ho paura di chiudere gli occhi ho paura di dormire, ho paura di rivedere tutti gli orrori trovati nella terra desolata del Kanya. Così avvenne anche durante quel sonno. Le facce delle donne stuprate, i cadaveri in via di decomposizione, mutilazioni, malnutrizioni, quella ragazzina di dieci anni che mi chiese se cercavo compagnia, la prostituzione minorile, la morte del corpo e dell’anima di una ragazzina.
Mi sveglia dopo poco madido di sudore, con la gola secca e il fiatone. Mi sedetti sul letto passandomi una mano sul viso sudato. Senza curarmi di essere a petto nudo, mi alzai in punta di piedi, cercando di non fare rumore. Urtai contro uno sgabello che stava vicino al bagno, ma neanche un verso di dolore sfuggì alle mie labbra, era già molto per me che la famiglia di Carlo mi ospitasse, non volevo certo disturbare. Mi diressi in cucina e presi un bicchiere d’acqua per inumidire la mia gola arida. Ad un tratto sentii la  porta principale aprirsi, lanciai un’occhiata all’orologio digitale del forno. Le due e un quarto. Probabilmente erano le gemelle di ritorno dalla loro serata. Mi affacciai al soggiorno con il bicchiere in mano. Vidi Erika gettare sul divano la borsa e poi guardare verso l’ingresso, dal quale comparve Arianne con lo sguardo basso, come se si vergognasse di qualcosa.
-Hai esagerato!- le disse la sorella, avviandosi per le scale.
-Non puoi capire…- mormorò Arianne più a sé stessa che ad Erika, che era ormai scomparsa al piano di sopra. In quel momento un dubbio mi logorava la mente, mi morsi il labbro inferiore nervosamente.
Vado da lei, o non ci vado?
Resto qui ad osservarla o le chiedo cosa non va?
Mossi un passo in soggiorno, urtai il tavolino causando un suono ovattato. La ragazza bruna si voltò immediatamente verso di me con gli occhi sbarrati e il fiato corto.
-Oh sei tu… mi hai spaventata da morire.- mi confidò sospirando.
-Mi spiace, non volevo.- mi scusai io.
-Che fai ancora qua?- mi chiese curiosa.
-Tuo fratello mi ha offerto ospitalità finché non trovo un appartamento, mi hanno trasferito a lavorare a Padova.- le spiegai. Lo sguardo di Arianne si posò sul mio petto nudo, che ricordai solo allora di avere scoperto. La ragazza arrossì e si morse il labbro cercando di non guardarmi. Dovetti trattenere un sorriso per la sua timidezza, così tenera ai miei occhi.
-Ora è meglio che me ne vada a letto, domani devo alzarmi presto.- sussurrò congedandosi.
-Com’è andata con quel ragazzo?- le chiesi, sperando in una risposta negativa.
-No.. non c’è stato niente stasera!- mi rivelò abbassando lo sguardo.
-Buonanotte Andrea.- mi sussurrò infine.
-Buonanotte Arianne.- risposi io, vedendola salire le scale e scomparire al piano di sopra.
 Mi vergognai di me stesso, ero cattivo se volevo che le cose le andassero male con Mattia? O era pura e semplice gelosia? Mi diressi anche io in camera da letto, e mi distesi sul materasso con la testa tra le mani. Era assurdo.. come poteva piacermi una ragazzina con dieci anni in meno di me?

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Ciao a tutti :) sono piuttosto rapida nell’aggiornare questa storia ;)
forse perché voglio passare a capitoli meno transitori e più importanti per la vicenda.
Ringrazio infinitamente rho che ha recensito lo scorso capitolo,
spero che qualcuno mi lasci un parere anche su questo.
Potete contattarmi su…

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 Al prossimo capitolo, finalmente si tratterà la visita di Arianne.
A presto, baci,

Mar.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


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" Gli uomini accumulano gli errori della loro vita
e creano un mostro che chiamano destino."
 -John Hobbes-

 
Capitolo IV
 

 


Arianne.
 
Aprii gli occhi di colpo sentendo i primi raggi del sole accarezzarmi il viso. Mi alzai a sedere sul letto. Portai la mano al mio seno sinistro sentendo lo stesso rigonfiamento del giorno prima, deglutii e la paura mi prese ancora. Mi passai le mani sul viso pensando alla giornata che mi attendeva. Mi alzai calciando il lenzuolo  azzurro e andando davanti allo specchio. Mi strofinai gli occhi e osservai la mia immagine allo specchio, il viso solcato da occhiaie profonde, occhi gonfi da tutte le lacrime versate la sera precedente. Pensai a come vestirmi per la giornata. Pensai a Mattia che avrei visto subito dopo la visita, e ad Andrea.
Andrea? Perché mi venne in mente lui? scacciai il suo volto dai miei pensieri, e afferrai e misi una canottiera corta a fantasia floreale rosa cipria, poi infilai un paio di shorts a vita alta rosa antico, misi delle zeppe color terra di siena ai piedi. Mentre mi infilavo una  catena d’argento che mi aveva regalato Erika al nostro compleanno, bussarono alla porta.
-Avanti!- dissi continuando a fissarmi allo specchio. Dalla soglia della stanza emerse la figura chiara di Andrea.
-Mi hanno mandato a dirti che la colazione è pronta.- mormorò.
Mi voltai verso di lui e gli sorrisi timidamente, non capivo come potesse tranquillizzarmi in quel modo la sua presenza.
-Ok.. arrivo.- dissi annuendo e uscendo con lui dalla stanza. Mentre percorrevamo il corridoio sentii il suo respiro farsi più pesante.
-Stai bene? Sembri affannato.- esclamai  di punto in bianco.
-Oh sì, sono appena tornato dal mio jogging mattutino, io e tuo fratello abbiamo corso per l’intero isolato.- mi informò Andrea. In cucina vi era la famiglia al gran completo, un po’ sinceramente mi mancava la serenità della famiglia, ma il ritorno di Carlo era un ottimo pretesto per aggiungere un po’ di vita familiare alla quotidianità.
-Che programmi avete per oggi ragazze?- chiese Carlo a me ed Erika, addentando una fetta biscottata con la marmellata.
-Abbiamo i centri estivi e poi nel pomeriggio uscirò con Leo.- disse mia sorella raggiante nel suo vestitino azzurro. Carlo spostò lo sguardo su di me volendo sapere il mio di programma.
-Visita dal medico, centri estivi e poi asocialità più totale in camera mia.- borbottai sorseggiando la mia tazza di caffè. Erika alzò gli occhi al cielo ,sottolineando quanto le desse fastidio la mia aria da depressa. Carlo la fulminò.
-Che ne dici di uscire con me e con Andrea oggi pomeriggio?- mi chiese Carlo.
-Dove andate?- chiesi annoiata.
-Tuo fratello mi porta  a fare un giro turistico per Venezia..- mi rispose Andrea.
Io sorrisi e mi mordicchiai il labbro, adoravo Venezia, era a meno di quaranta minuti dal mio paese, in macchina, io andavo spesso lì col bus o il treno in mezz’ora ci arrivavo. Sorrisi senza essere felice davvero e annuii.
-Ci sto.. a che ora partite?- domandai.
-Tre e mezza!- mi disse Carlo.
-Ok a dopo!- esclamai prendendo la borsa appoggiata alle gambe del tavolo e uscii di casa sentendo il saluto di Carlo e Andrea, facendomi sorridere. Mi infilai gli auricolari e ascoltai a tutto volume I cento passi dei Modena City Ramblers . presi la bicicletta e corsi a perdifiato per le strade del paese arrivando al centro parrocchiale che distava pochi metri dall’ufficio del medico di base. Parcheggiai la bicicletta fuori e corsi verso il palazzo che ospitava lo studio del mio dottore. Suonai e dissi il mio nome al dottore, aprì il portone  e con l’ascensore raggiunsi il terzo piano, entrai nello studio dove vi era la porta socchiusa e mi accomodai nella sala d’aspetto. Ad un tratto una signora anziana entrò e mi guardò scocciata. La salutai educatamente, e lei rispose con una smorfia poco cordiale.
-Stai aspettando per entrare?- mi chiese la signora. La guarda scioccata. Cos’era tutta quella confidenza? Secondo lei  cosa stavo facendo? Praticando uno sport in sala d’aspetto.
-Sì.- risposi semplicemente.
-Ma ora tocca a me entrare no?- mi disse poi.
La fulminai con lo sguardo.
-No! Tocca a me entrare!- sibilai
-Ma bisogna prendere appuntamento per entrare!- replicò quella facendomi saltare i nervi.
-Lo so bene, ci ho passato l’intera mattinata a prendere appuntamento ieri!- esclamai fulminandola con lo sguardo. La porta dell’ambulatorio si spalancò, senza dare il tempo alla vecchia di replicare, mi alzai si scatto e a passo svelto mi diressi nella stanza.
-Buongiorno- mi salutò il dottore-  Mi serve il suo nome..- mi disse armeggiando col computer.
-Arianne Salvatore..- sussurrai. Il dottore alzò lo sguardo su di me e mi squadrò a lungo.
-Arianne, ma come sei cresciuta, è da molto che non vieni qui. Come stanno la mamma e il papà?- mi domandò sorridendo.
-Molto bene grazie.- risposi sorridendo a mia volta.
-Ok, dimmi qual è il problema..- mi incoraggiò il medico.
-Ho trovato un rigonfiamento sul seno sinistro.- dissi cercando di restare il più distaccata possibile.
-Spogliati sul lettino intanto leggo la tua anamnesi.- mi istruì.
Così mi sedetti sul lettino bianco e mi tolsi la canottiera, poi abbassai una sola coppa del reggiseno, sentendomi comunque terribilmente in imbarazzo.  Il dottore si alzò e venne da me, cominciò a palparmi con attenzione la parte gonfia e dolente.
-Tira giù anche l’altra coppa per favore..- mi disse. Così feci trattenendo il fiato.
Lui controllò la differenza tra i due seni con aria sospettosa.
-Rivestiti pure!- mi disse poi. Così feci, mentre lui scriveva su una ricetta. Poi mi sedetti di nuovo davanti alla sua scrivania.
-A differenza di ciò che si pensa, alla tua età si possono verificare i primi problemi, sono casi isolati ma comunque pericolosi se la patologia non viene presa in tempo. Tu hai ben il cinquanta per cento di possibilità di avere il cancro al seno, grazie alla genetica, che non è a tuo favore vedendo tua madre e la tua nonna materna.- mi spiegò togliendosi gli occhiali.
-Ti ho prescritto un’ecografia e un’ago aspirato da fare preferibilmente sul fine settimana, dì a tua madre di chiamare  l’ospedale e fatti ricevere al più presto. Nella migliore delle ipotesi è solo una ghiandola infiammata, nella peggiore.. non voglio che tu rischi.- continuò porgendomi la ricetta. Annuì paralizzata dalle sue parole, con la gola secca e un’incredibile voglia di fumare.
-La ringrazio dottore, arrivederci.- mi congedai.
-Saluta a casa.- mi disse con un sorriso rassicurante.
-Certo.- annuii ricambiando il sorriso e uscendo a passo svelto dall’ufficio del dottore, passando per la sala d’aspetto senza nemmeno guardare la signora che mi aveva fatto infuriare poco prima. Andai a passo svelto davanti alla chiesa mentre finivo di fumarmi una sigaretta. La gettai in un tombino, vidi tutti i miei colleghi animatori correre davanti alla chiesa, pronti per fare i balletti iniziali. Vi erano già tutti i bambini ai piedi dell’enorme scalinata. Vidi Giacomo armeggiare con la cassa, raggiunsi mia sorella e Sara nei primi gradini che scherzavano con alcuni bambini impertinenti. Le note di “Gentleman” di PSY ci fece voltare e cominciare il balletto, il preferito da tutti i bambini.
Durante tutta la giornata ebbi la testa da un’altra parte, facevo fare i giochi ai bambini senza parteciparvi veramente, ero stanca esausta, tutte queste preoccupazioni mi stavano uccidendo. Qualche mio collega mi chiese com’era andata la visita, mi limitai a rispondere con un “bene”, perché sapevo che se avessi riportato le parole del medico sarei scoppiata in lacrime. Alla fine delle quattro ore facciamo i balletti finali come ogni giorno, io resto accanto ai ragazzini delle medie, perché almeno nei balletti sono tranquilli, anzi devi incitarli perché ballino, ma so come ragionano per questo mi metto accanto a loro e faccio finta di divertirmi a ballare, perché pensino che se lo fa una ragazza di diciassette anni fa figo. Alla fine dei balletti, Giacomo mette “I’m in love”, la canzone che l’intero gruppo di animatori preferisce, forse perché colonna sonora delle nostre serate in discoteca, forse per il ritmo energico o forse per le parole che riguardavano un po’ tutti noi. In pochi minuti i genitori portarono a casa i bambini. Noi scendemmo nel parco a fare la riunione mentre Clod prepara la pasta. Ci fumammo una sigaretta dopo la riunione, ovviamente Fabrizio ed Elisa litigarono di nuovo, io cercai di farmi ascoltare senza successo e Jacopo mandò tutto in vacca con le sue battute del cazzo.
-Allora, karaoke qui nel pomeriggio?- propone Marco mentre finiamo di mangiare. Tutti annuirono entusiasti.
-Io non posso.- rifiutai ricordandomi della gita a Venezia con Carlo e Andrea.
-Anzi devo andare!- esclamai alzandomi.
-Come? La mia compagna di duetti se ne va? Come farò?- mi chiese Giulio melodrammatico.
-Sara sarà più che contenta di prendere il mio posto..- borbottai fredda. Presi la borsa e dopo aver salutato tutti uscii, mi infilai gli auricolari e feci il tragitto a piedi fino a casa con la playlist di Tiziano Ferro.
Arrivai a casa dopo cinque minuti trovando Carlo e Andrea che parlavano sul divano ridendo e scherzando.
-Sono tornata!- annunciai ottenendo la loro attenzione. Andrea mi sorrise e dal nulla tirò fuori una macchina fotografica.
-Sorridi!- mi istruì e scattò una foto senza darmi neanche il tempo di mettermi in posa. Era una macchina antica, una di quelle che buttano fuori la foto istantaneamente.
-Non vedo l’ora di fotografare tutti quei piccioni!- esclamò Andrea sventolando la mia foto. Scoppiai a ridere, era davvero buffo.
Andai in bagno a ritoccarmi il trucco e poi ci dirigemmo in macchina.
 
Andrea.
 Il viaggio in auto fu relativamente breve, lo passai osservando la foto che avevo da poco scattato di Arianne, la ragazza che ormai mi aveva rubato il cuore. Ero davvero felice che avesse accettato di venire con noi a Venezia, suo fratello mi aveva detto, che nei weekend scolastici le gemelle ci andavano sempre, poiché in Campo Santa Margherita, vi erano continue serate musicali, feste, concerti di gruppi locali, e molti altri eventi che interessavano i giovani.
Appena arrivammo in Piazzale Roma Arianne sembrava rinata, la vidi inalare il profumo marino che infestava l’aria e sorridere felice, camminammo a lungo per i ponti, era una città affascinante, bellissima, feci moltissime foto, dovetti ricaricare la macchina un paio di volte prima dell’arrivo in piazza S.Marco.
I piccioni erano veramente tantissimi,  la bruna accanto a me andò a prendere del mangime su richiesta del fratello.
-Stai qui e guarda.- mi ordinò Arianne con un sorriso facendomi sedere su una panchina davanti alla piazza.
La vidi andare al centro della piazza, mettere del mangime in testa al fratello e in testa a sé stessa. In pochi attimi una folla di piccioni piovvero loro addosso attratti dal mangime. Vidi Arianne e Carlo ridere come due bambini, la vidi felice, credo che quella fosse la vera felicità per lei perché non l’avevo mai vista ridere in quel modo, né con una luce così luminosa sul viso. Era davvero una ragazza fantastica, penso che qualunque altra sua coetanea sarebbe scappata schifata dai piccioni, terrorizzata dall’idea che potesse lasciarle qualche regalino addosso. Ma lei era diversa, era speciale. Mi rattristai un po’ pensando che aveva perso la testa per un ragazzo che evidentemente non la meritava, non poteva meritarla senza accorgersi di quanto fosse fantastica. Comincia a scattare foto ai due fratelli, poi vidi Arianne dare il sacchetto di mangime a Carlo e venire verso di me. Si sedette vicino a me mentre il mio cuore aumentava i battiti in modo troppo forte. Respirai affannosamente sentendo anche la salivazione venir meno.
-Allora che ne pensi?- mi chiese con un enorme sorriso.
-Penso che tu sia bellissima..- risposi con un sorriso appena accennato.
La vidi guardarmi storto.
-Oh parlavi dei piccioni… belli veramente, ho fatto un sacco di foto.- borbottai indicandole la mia tracolla piena zeppa di foto. Arianne scoppiò a ridere, e quella volta fui io ad arrossire.
Poi Carlo venne a salvarmi da quella situazione imbarazzante, arrivò accanto a noi col fiatone.
-Che dite? Torniamo? Stasera abbiamo quella festa al Molo Andrea..- mi disse, io annuii.
-Per me ok..- accettò Arianne.
-Però io ho sanno, quindi Andrea guidi tu!- esclamò Carlo mentre ci dirigevamo a piazzale Roma.
-Ok.- annuisco.
-E tu mi lasci e sedili dietro che voglio stendermi.- istruì la sorella la quale ridacchiò annuendo.
Il viaggio di ritorno fu più tranquillo di quello di andata, gli unici rumori erano quelle della vettura e le note che provenivano dalla radio.
-Hai bisogno che parli per tenerti sveglio? Con Mattia devo farlo sempre..- mi chiese.
-Oh no.. tranquilla.- la rassicurai con un sorriso.
Il silenzio tornò a regnare per alcuni minuti all’interno dell’abitacolo.
-Ti ringrazio Andrea.- sussurrò poi di punto in bianco.
-Di cosa?- chiesi io confuso.
-Di essere come sei..- mi rispose con un mezzo sorriso.
-Ah grazie, non posso essere diverso.- le confidai senza perdere il sorriso.
-Mi avete fatto stare bene tu e Carlo oggi. Era da secoli che non ero così serena.- mi confessò a sua volta guardandosi le scarpe.
Continuammo a chiacchierare per tutto il viaggio. Quando parcheggiai davanti a casa dovemmo svegliare Carlo che si stropicciò gli occhi con aria assonnata, strappandoci una risata.
Carlo aprì il portone principale, mentre io mostravo alcune foto ad Arianne.
In soggiorno vi era Erika, con il suo ragazzo, e altri due tipi che guardavano me ed Arianne con aria confusa. Forse perché eravamo molto vicini oppure perché stavamo ridendo insieme e guardando le foto. Sentendo il silenzio Arianne alzò lo sguardo, i suoi occhi incrociarono quelli di uno dei due ragazzi, la vidi arrossire e distanziarsi da me.
-Mattia, Marco.. che ci fate qui?- chiese ai due. E in quel momento avrei voluto essere lui, avrei voluto essere lui perché mi guardasse come guardava lui.
 
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My corner:
Buongiorno gente ;) ecco il quarto capitolo, sono veloce vero?
Non so perché ma non riesco a smettere di scrivere questa storia, mi ha preso un sacco.
Che ne pensate del rapporto tra Arianne e Andrea? E tra Mattia e Arianne?
Sarei veramente curiosa di sapere che coppia è più shippata tra le due ;)
ringrazio lullyrugg che ha recensito lo scorso capitolo,
spero che qualcuno recensisca anche questo.
Potete trovarmi su..

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 A presto, Mar.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


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“Non sia mai ch’io ponga impedimenti
all’unione di due anime fedeli; amore non è amore
se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l’altro s’allontana.”
-William Shakespeare-

 

Capitolo V.

 


Arianne.
 
Fui piacevolmente sorpresa nel trovare a casa mia Marco e Mattia. Avevo passato uno splendido pomeriggio con Carlo, ma soprattutto con Andrea, ero così felice che fosse entrato nella mia vita. Guardai i miei amici aspettandomi una risposta che non tardò ad arrivare.
-Domani c’è la serata finale, ci mangiamo un kebab e facciamo riunione qua… sotto il portico.- mi informò Marco.
Mi ero completamente dimenticata della serata finale, sorrisi ad Andrea. Non mi andava di liquidarlo così, non sapevo il motivo ma volevo che restasse, che non se ne andasse.
-Restate a cena con noi!- esclamai rivolta a Carlo e ad Andrea. Gli altri mi guardarono storto, ma non mi importava, era solo importante che Andrea accettasse.
-Oh non vorremmo disturbare..- borbottò Andrea passandosi una mano tra i capelli.
-Nessun disturbo.. speriamo di non annoiarvi con le nostre chiacchiere da bambini..- intervenne mia sorella. Io sorrisi incoraggiante.
-Ok, tanto dopo cena abbiamo quella festa quindi dobbiamo scappare..- accettò Carlo con un sorriso compiaciuto.
-Ok allora ordino i kebab.. ditemi come li volete.- sbuffò Mattia.
Mio fratello e Andrea dissero entrambi due kebab senza cipolla.
Mentre Marco e Mattia erano fuori con i motorini per prendere da mangiare noi ci accomodammo sotto il portico. Le serate d’agosto erano leggermente più fredde, ma noi non lo sentivamo, io no almeno. Avevo uno strano fuoco che ardeva dentro di me, la visione di Mattia mi aveva provocato delle strane sensazioni. Mia sorella e Leo continuarono a baciarsi mentre io, Andrea e Carlo guardavamo le foto che aveva scattato Andrea. Sorrisi vedendone una che ritraeva Carlo pieno di piccioni. Ad un tratto suonarono alla porta, mio fratello si alzò ad aprire. I miei occhi caddero su una foto  che aveva appena preso tra le mani Andrea, ritraeva me e lui che ci guardavamo seduti sulla panchina rossa, ce l’aveva fatta Carlo.
-Posso tenerla io?- chiesi sentendo le guance infuocarsi.
Lui sorrise e deglutì.
-Sì certo..- mi disse con un sorriso.
-Grazie!- esclamai abbracciandolo, lo sentii irrigidirsi ma poi stringermi. Mi sentii strana in quel momento, il fuoco che sentivo dentro riprese ad ardere spingendomi sempre più verso di lui. Fummo interrotti dai tre ragazzi che avevano tra le mani le sette scatole bianche dalle quale proveniva un profumo di carne e salsa piccante. Io e Andrea ci ricomponemmo sorridendo imbarazzanti. Sentii gli occhi di Mattia studiarmi, ma resistetti alla tentazione di voltare lo sguardo per incrociarli.
Mangiammo tutti assieme, io e Andrea non facemmo altro che fissarci tutta la sera, lui non faceva altro che farmi facce buffe ed espressioni scherzose facendomi puntualmente scoppiare a ridere forte. Ad un tratto un pezzo di carne mi andò per traverso facendomi tossire forte e arrossire. Quando mi fui calmata fulminai Andrea e feci finta di arrabbiarmi.
-Sei tu che mi fai ridere!- esclamai tirandogli uno schiaffetto sulla spalla.
Lui scoppiò a ridere.
-Puoi anche trattenerti e non ridere.- mi disse con una faccia furba.
-Scemo!- borbottai facendogli la linguaccia. Facendolo ridere nuovamente.
Dopo la cena mio fratello e Andrea andarono via alla festa di cui mi avevano parlato, e noi cinque ci mettemmo a progettare la serata finale del centro estivo. Non ci volle molto, in un’ora finimmo i progetti.
-Ricapitolando: Io ed Erika presentiamo la serata, Leonardo ti occupi della presentazione laboratori maschili, tu Arianne ti occuperai dei balli di gruppo, Mattia sarai responsabile dell’asta e Sara presenterà i laboratori femminili.- ripeté Marco leggendo dal suo block notes con la penna tra le labbra.
-Insomma, tu e Andrea?- se ne uscì ad un tratto Erika. Rimasi senza parole.
-Uhm… è simpatico!- esclamai non avendo nulla di meglio da dire.
-Oh si vede… soprattutto qui!- mi prese in giro Marco sventolando la foto che ritraeva me ed Andrea.
-Dai ragazzi è assurdo, ha ventisette anni ed è bellissimo, non potrebbe mai guardarmi in quel modo.- sussurrai riportando i miei reali pensieri. E poi io amavo Mattia. Oppure no?
-Beh la foto parla chiaro.- constatò Mattia freddo senza mostrare né gelosia né felicità e io non sapevo come interpretare tutto ciò.
-Non dice niente!- esclamai piuttosto scocciata uscendo a fumare.

***

Mi svegliai nel pieno della notte a causa della porta principale che si chiuse con un rumore poco rassicurante, era il segnale che mio fratello ed Andrea erano tornati. Secondo la sveglia erano le quattro del mattino. Gettai la testa sul cuscino sospirando, non dovevo pensare né a Mattia, né ad Andrea, né tantomeno alle parole dei miei amici. Chiusi gli occhi cercando di addormentarmi, ma ad un tratto sentii un peso posarsi accanto a me nel mio letto. Sentii subito l’odore del Jack Daniels, voltai la testa e riconobbi il volto di Andrea che mi guardava nella penombra, mi scostai bruscamente.
-Che diavolo ci fai qui?- domandai in un sussurro coprendomi con il lenzuolo.
-Shh..- mi zittì lui posandomi un dito sulle labbra. Lo guardai sentendo il mio cuore aumentare i battiti. In modo quasi impercettibile si avvicinò a me, ad un tratto posò le sue labbra sulle mie. Inizialmente mi irrigidii non sapendo cosa fare. Sentii il sapore di alcol sulle sue labbra. È solo ubriaco, non ci tiene veramente a quello che fa. La sua lingua si insinuò nella mia bocca, era umida e avvolse la mia. Non ebbi la forza di rifiutarlo, poi lentamente si mosse e si posizionò sopra di me stringendomi forte, le sue mani mi strinsero i fianchi  per poi andare sui miei seni, ne palpò uno con forza causandomi del dolore mischiato al piacere, mi stavo eccitando eppure mi stava facendo male. Mi tolse la maglietta.
-Andrea io non credo che sia il caso..- cominciai affannata.
-Invece sì.- rispose lui stampandomi un bacio sulle labbra.
Cercai di divincolarmi, ma era troppo grande e troppo forte.
-Ti prego smettila, Andrea!- lo richiama alzando leggermente il tono di voce. ad un tratto mi guardò come se mi vedesse per la prima volta, tornò in sé e mi continuò a fissare. Si alzò di scatto, recuperò la camicia che si era tolto e corse fuori dalla mia stanza lasciandomi perplessa e affannata.
 
Andrea.
 
Sapevo che  non dovevo bere a quella festa, non avevo mai retto grandi quantitativi di alcool, ma la situazione che vivevo era talmente deprimente che non potei trattenermi. Avevo dei seri problemi di autocontrollo quando bevevo, come tutti in realtà, ma non mi importava. Non nel momento in cui il liquido caldo scendeva lungo la mia gola diminuendo il mio campo visivo, i miei limiti e aumentando le mie inibizioni. Carlo abbordò una ragazza ubriaca quanto me e se la portò a casa non preoccupandosi minimamente delle sue sorelle e dei suoi genitori. Quando rientrammo in casa cercando di non fare rumore, venni travolto dal profumo di Arianne che infestava l’aria di casa. Deglutii mentre Carlo portava la ragazza nella sua stanza, io barcollai fino alla stanza degli ospiti, proprio davanti a quella di Arianne che aveva la porta socchiusa. Dallo spiraglio scorsi la giovane fissare il soffitto, la pelle diafana  era quasi lucente nella penombra della stanza, illuminata dalla luce notturno che entrava dalla finestra. Cercando di non fare rumore entrai, la vidi girarsi su un fianco e darmi le spalle, il mio autocontrollo mi aveva abbandonato completamente. Così mi avvicinai e mi stesi, con poca grazia, sul materasso accanto a lei. Arianne si girò di scatto sorpresa e spalancò le labbra arrossendo, la vidi deglutire. Ciò che avvenne poi fu la mia vergogna più grande, la baciai la toccai e il mio istinto animale prese il sopravvento. Lei si stava ribellando, ma in quel momento non mi importavo, volevo solo che fosse finalmente mia, come da troppo agognavo, ma solo grazie all’alcool me ne resi veramente conto e affrontai la cosa.. nel modo sbagliato.
In un attimo riacquistai un minimo di lucidità, vidi gli occhi di lei spaventati e insicuri, occhi che non avrei mai voluto vedere così, se non per esserle di conforto. Mi alzai di scatto e recuperai la camicia azzurra sul parquet. Corsi nella stanza degli ospiti chiudendo bene la porta, sperando che l’indomani non si ricordasse di ciò che avevo fatto, o credesse che fosse stato un incubo.
La mattina arrivò presto, avevo dormito come un sasso e mi ero svegliato improvvisamente senza una ragione con un gran mal di testa. Era l’alba e dormivano ancora tutti. Cercai di ricordare cosa avevo fatto la notte prima, e bloccai subito il flashback ritrovando quel senso di colpa che mi aveva risparmiato solo il sonno. Decisi di farmi un caffè e poi andare a correre, alle nove avrei avuto appuntamento con un’agente immobiliare per vedere qualche appartamento nel quartiere vicino al mio nuovo ospedale, in questo modo sarei riuscito ad evitare Arianne fino all’ora di cena, se non oltre.
Ma naturalmente le cose non andarono come avevo previsto, mentre bevevo il caffè, la figura di Arianne si presentò sulla soglia della cucina, mi scrutò per poi abbassare lo sguardo con le guance in fiamme. Mi passò accanto e si diresse al frigo prendendo il latte e i cereali. Deglutii sentendo improvvisamente la gola secca e le tempie pulsare, potevo quasi immaginare il sangue che affluiva nelle piccole vene sulle mie tempie avvertendomi che l’ansia stava prendendo il sopravvento.
-Mi dispiace.- bisbigliai in modo che solo lei potesse sentirmi. Non mi guardò, mantenne lo sguardo sui suoi piedi nudi a contatto con il pavimento fresco della cucina.
-Non mi va di parlarne..- tagliò corto lei.
-Ma a me sì.- ribattei.
-Ieri ho notato che conta solo quello che vuoi tu..- borbottò lei lasciandomi di sasso. Notai i suoi occhi divenire lucidi.
-Io quando ti ho conosciuto ero felice, perché.. non eri come gli altri. Sembravi diverso, tu non mi guardavi come un giocattolo, non ero solo un corpo per te.- sussurrò in modo impercettibile con le lacrime sulle guance.
-Arianne, ho perso il controllo ieri sera.. io non potrei mai farti del male.. mai e poi mai. Io tengo a te in un modo che non puoi immaginare..- le dissi cercando di intercettare il suo sguardo che mi negava. Le presi delicatamente il mento e la costrinsi a guardarmi negli occhi.
-Ti prego guardami.. ero ubriaco, io non sono così, vorrei solo che dimenticassi.- le soffiai sul viso. La vidi deglutire, guardarmi ancora negli occhi e poi sorprendermi. Si voltò senza dire una parola e uscì di casa, lasciandomi con il cuore a mille ma gonfio di delusione.

 

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Hola.
Scusate il ritardo,
ma come avete notato il capitolo è piuttosto lungo rispetto agli altri.
Dunque lasciatemi le vostre opinioni,
ringrazio chiunque abbia recensito i precedenti capitoli.
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a presto,
Mar.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


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“Quando l’amore è eccessivo
non porta all’uomo né onore ,
né dignità.”

-Euripide-

Capitolo VI.
 
Arianne.
 
Uscii di casa irritata e confusa, mi tornò alla mente ciò che era successo con
Andrea la sera prima non capivo come fosse possibile, che lui si fosse interessato a me, inoltre una cosa che non sopportavo era che mi ero solo illusa di poter stabilire un buon rapporto con lui. Pensavo che fosse maturo e che  volesse aiutarmi in modo disinteressato, ma sbagliavo. Come avevo sempre fatto. Speravo solo che Mattia non mi deludesse. Arrivai in centro parrocchiale piuttosto presto, non c’era ancora nessuno, a parte qualche cameriere che lavorava nel bar della parrocchia. Presi un caffè e poi andai nella stanza animatori detta “Doors”, era una stanza che avevamo dipinto noi di azzurro, con degli stampi di mani colorati. Il padre di Marco aveva fatto portare dei divani, era la stanza del relax per eccellenza. Gettai la borsa sul divanetto nero e poi decisi di uscire a fumare una sigaretta, pensai che da quando avevamo cominciato i centri estivi fumavo molto, ma soprattutto da quando mi ero resa conto di provare qualcosa per Mattia.Andai quindi fuori per l’uscita di emergenza. Alzai gli occhi al cielo e accesi la mia Marlboro, ad un tratto sentii la porta aprirsi, mi voltai e i miei occhi si scontrarono con quelli azzurri di Mattia che si passò una mano dietro l’orecchio e prese la sigaretta che aveva incastrato precedentemente.
-Ciao Arianne..- sussurrò.
-Ciao.- risposi io cercando di restare normale e non arrossire.
Poi il silenziò cominciò a farsi pesante, io non reggevo più quella situazione, soprattutto perché lui ora sapeva, grazie a Giulio sapeva tutto dei miei sentimenti. Lo sentivo aspirare dalla sua sigaretta in modo deciso come se gli premesse finirla.
Deglutii e poi mi bagnai le labbra, pronta a parlare.
-Ne vuoi parlare?- domandai, non sapendo bene se una risposta positiva mi avrebbe fatto piacere oppure no. Mattia spostò lo sguardo su di me.
-Non serve Arianne, lo so che Giulio spara cazzate è un idiota. Tranquilla!- esclamò Mattia gettando il mozzicone spento nel cestino. Mi spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sospirai.
-Sì infatti.. spara cazzate.- sussurrai poi in un soffio. Mentre Mattia mi concesse un sorriso smagliante. L’ultima giornata di centro estivo fu forse la più pesante, Marco aveva deciso di fare giornata gavettoni, quindi passammo l’intera mattinata a buttarci addosso palloncini colorati pieni d’acqua e a spruzzare i bambini con le pistole ad acqua facendoli scatenare per bene. Eravamo tutti in ansia per quella sera, avremmo dovuto intrattenere noi i genitori dei bambini. Con i bambini eravamo bravi, ma con gli adulti era sempre più difficile strappare loro una risata o fargli capire tutto il tempo e l’impegno che ci avevamo messo per far sì che i loro figli si divertissero e imparassero qualcosa, instaurassero legami fra loro e con noi animatori. Durante i balletti finali Fede, Giacomo e Mattia andarono a ballare sul tetto della chiesa facendo ridere i bambini e preoccupare noi animatori.
Appena l’ultimo ballo in programma fu terminato afferrai il microfono.
-Bene ragazzi siete stati bravissimi….- annunciai al microfono con voce amabile –Oggi è stato l’ultimo giorno, ma non è ancora finita perché stasera ci sarà la vostra serata! Sì la vostra… con tutte le vostre foto e i vostri lavoretti. A stasera bambini!- esclamai con un sorriso facendo la voce dolce, solo per loro. Era insopportabile dover apparire tutta carina e a modo davanti ai genitori e ai bambini, perché in realtà non lo ero, anzi ero una stronza, i miei amici lo sapevano, non avevo pazienza, ma mi sforzavo e con i bambini non l’avevo mai persa veramente. Appena finii di parlare Mattia arrivò da dietro di me e mi strappò il microfono dalle mani. Lo guardai infuriata, era davvero irritante.
-Ricordo agli animatori di consegnarmi entro stasera i cinque euro della festa, sette se volete altri generi di conforto…- disse il biondo davanti a tutti i bambini e i genitori che però, erano troppo occupati a prendere i loro bambini e a parlare con gli animatori per informarsi per quella sera.
-Sei un idiota!- esclamai tirandogli un coppino ben piazzato.
-Ahi e perché?- mi chiese lui massaggiandosi la nuca.
-Sei scemo? Aspetta, ma certo che lo sei! Ti rendi conto che hai detto al microfono che ci droghiamo?!- chiesi esasperata.
-No.. cioè quando?-
-“Altri generi di conforto!”- lo scimmiottai tirandogli poi un'altra sberla in testa. Marco ci vide e scoppiò a ridere.
-Siete buffissimi da vedere!- esclamò con le lacrime agli occhi Marco. Alzai gli occhi al cielo e me ne andai.
Il pomeriggio fu frenetico, i maschi montarono il palco, io e le ragazze finimmo  di incollare i lavoretti del gruppo bricolage, Mattia e Fede erano nella stanza accanto alla nostra a finire di dipingere i lavoretti dei bambini del gruppo traforo. Mattia non lo avrebbe ammesso mai, ma adorava lavorare con quei bambini il legno. Marco ed Erika prepararono il discorso per quella sera e sistemarono fuori le sedie.
Verso l’ora di cena chiamammo un take away e ordinammo qualcosa da mangiare, sebbene l’ansia mi avesse ostruito lo stomaco. Io, Mattia e Fede restammo nell’ufficio amministrativo a riempire i moduli dell’assicurazione. Sentimmo qualcuno bussare e ci guardammo straniti. Nessuno bussava per entrare.
-Avanti.- disse Fede con voce incerta. Dalla porta sbucò, con mio grande stupore, Andrea.
-Ciao… Arianne possiamo parlare per favore?- mi chiese supplichevole. Sbuffai. Ero ancora arrabbiata con lui solo che cercavo di non pensarci.
-Lo so che quel bacio è stato un errore, io.. non avrei mai dovuto saltarti addosso ieri notte, ma scusami ti prego. Ero ubriaco.- si giustificò davanti a tutti facendomi avvampare. Sentii gli occhi di Fede e Mattia su di me.
- Ti è saltato addosso?- mi chiese Mattia corrugando le sopraciglia.
-Sta zitto!- esclamai in faccia al biondo per poi alzarmi e uscire con Andrea.
-Perché sei venuto fino a qua?- gli chiesi una volta fuori.
-Per chiederti di perdonarmi, stava nascendo una buona amicizia fra noi due.- mi sussurrò.
Sorrisi lusingata dalle sue attenzioni.
-Ok! Ti perdono!- esclamai.
-Grande!- replicò lui stampandomi un bacio sulla guancia.
 
***
Anche quest’anno il nostro lavoro estivo è finito, nessuno di noi ne poteva più. Né io, né Marco, né Mattia, né la Erika. Eravamo noi i quattro responsabili che avevamo gestito il centro estivo per l’ultima settimana di Agosto e la prima di Settembre. Era appena terminata la serata finale e  fu un successo migliore degli altri anni. Tutti noi animatori ci radunammo nelle panchine mentre i genitori chiacchieravano e i bambini giocavano fra loro, aspettammo la mezzanotte per festeggiare l’abbandono dell’attività di intrattenimento che avevamo svolto per tre anni. Contammo alla rovescia appena scattarono le 23: 59: 50. nell’orologio di Marco.
3
2
1
Sentimmo i rintocchi, gridammo, saltammo e ci abbracciammo.
-Non conto più un cazzo qua dentro!- esclamò Mattia.
Devo dirglielo devo farlo stasera.” Pensai.
Poi i ragazzi decisero di andare in un pub per festeggiare, ma io ero troppo stanca, come tutte le ragazze in fondo. Il rapporto tra me e Mattia è sempre stato piuttosto burrascoso, non è passato giorno in cui non ci punzecchiassimo a vicenda arrivando perfino alle mani. Per gioco ovviamente, tuttavia era l’unico che mi faceva perdere la testa. In ogni senso.
Mattia era seduto in macchina, che aspettava gli altri ragazzi, c’era solo Giacomo accanto a lui seduto con la portiera aperta. Lui sapeva tutto, sa dei miei sentimenti per Mattia ed è stato forse quello che mi ha incentivato di più all’accettazione della mia cotta. Non appena mi vide infatti mi lasciò il posto con uno sguardo di incoraggiamento. Entrai e mi sedetti accanto a lui. Giacomo chiuse la portiera, per un attimo c’era solo il silenzio tra di noi, io non lo guardai perché sapevo che mi stava studiando, mi stava osservando.
-Beh merda, almeno non vedrò più la tua faccia!- esclamò  prendendomi in giro. Ma senza un motivo quella frase mi incrinò il petto, riuscivo a sentirlo chiaramente, le costole incrinarsi perché il cuore pompava troppo forte.
Gli tirai un pugno sulla spalla. Incassò il colpo. Se lo aspettava da me.
 Lo guardai sentendo quasi le lacrime salire, ma le tenni, non permisi loro di uscire. Non era il momento di piangere.
Gli tirai una sberla in piena guancia, una cinquina potente che risuonò nell’aria.
-Ahia!- esclamò portandosi la mano alla guancia, e massaggiando il rossore appena comparso. Non se lo aspettava da me.
Ci fissammo per un attimo, e poi senza capire da dove presi il coraggio, mi protesi verso di lui, violentemente e unii le nostre labbra. Avevo sognato così intensamente quel contatto, che sentii una scossa elettrica percorrere tutto il mio corpo, il mio cuore esplose. Mattia dal canto suo si irrigidì leggermente, ma poi si lasciò andare, si fece spazio nella mia bocca con la lingua, la accolsi volentieri mentre cominciava una danza con la mia, le mie mani andarono sul suo collo. Quello non era un bacio dolce, era un bacio violento, rude, passionale, come il fuoco che sentivo avvolgerci. Mi staccai io di poco, lo guardai negli occhi azzurri. Mattia mi accarezzò la guancia.
-Ora sei felice?- mi chiese in un sussurro appena accennato, un soffio sulle mie labbra. Non risposi, aprii la portiera, scesi dall’auto e la chiusi sbattendola, Giacomo mi guardò con la bocca spalancata, anche le labbra di Andrea accanto a lui erano piegate in un’espressione scioccata e quasi, delusa.

 
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Salve a tutti ;) ecco il sesto capitolo. Ci ho messo un po’ a scriverlo, anche perché è in corso una settimana infernale. Ora vado, spero che mi lasciate qualche recensione. Ringrazio chi ha recensito i capitoli precedenti e Veins che mi ha fatto il banner, che è stupendo! No? ;) spero che mi lascerete una recensione. Intanto potete trovarmi su:
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Baci, Mar.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


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“ Al dolore rispondi col sorriso che hai,
 le ragazze non piangono mai."
- Tre allegri ragazzi morti-
 
Capitolo VII.
 
Andrea.
 
Restai a fissare la macchina verde con le labbra spalancate, avevo visto tutta la scena, Arianne stava baciando Mattia, senza ritegno, era sopra di lui sul posto del guidatore che lo stringeva forte, le mani di lui finirono tra i capelli. Sentii qualcosa incrinarsi nel mio petto e poi fu solo dolore. Vidi la porta aprirsi e da l’ uscì Arianne stravolta, spettinata e col fiatone, sbattè forte la portiera dell’auto facendo sobbalzare Mattia ancora dentro la macchina. Mi passò accanto senza battere ciglio, camminò rapidamente tra la gente, i genitori e i bambini che andavano a casa e gli altri animatori che non avevano idea di quanto fosse appena successo. Vidi la macchina partire, fare manovra e poi sparire in fondo alla strada, deglutii passandomi una mano tra i capelli. Dovevo assolutamente trovare un appartamento, dopo quello che mi ero accorto di provare non potevo restare in quella casa, con lei, anche perché mi sembrava piuttosto chiaro, lei non mi amava, lei non sentiva quello che sentivo io per lei. Io avevo completamente perso la testa, inoltre, dopo quello che avevo appena visto, come lei si era avvinghiata a Mattia, come lo amasse e non se ne rendesse conto. Mi piaceva ancora di più perché lei aveva trovato il coraggio di dichiararsi, non aveva avuto bisogno di ubriacarsi come il sottoscritto, non aveva avuto bisogno di dover bere per tirare fuori le palle, e lei di palle ne aveva da vendere, lei aveva coraggio, ed è questo che mi aveva preso fin dall’inizio in lei. La amavo, non potevo negarlo ancora a me stesso, la amavo , non potevo comprimere ancora quel sentimento che opprimeva tutti i  miei organi interni, le viscere, gli apparati. Presi la macchina e tornai a casa per andare a dormire, il giorno dopo mi sarei alzato presto per evitare di trovarla e andare in agenzia immobiliare a  cercare una casa prima del turno in ospedale. Non so per quanto ancora sarei stato in grado di evitarla, speravo solo di trovarla in fretta.
 

Arianne.
Camminavo per il viale di sasso lavato, ormai in gran parte della gente era tornata a  casa dato che era piuttosto tardi. Un sorriso incontrollato mi occupò il volto in modo da apparire un libro aperto. Quindi me ne fregai dello sguardo indagatore dei miei amici e ascoltai solamente i brividi che si susseguivano rapidi sulla mia schiena, il mio cuore che batteva sempre più forte e il mio fiato era corto e affannato, travolto dalle emozioni che mi rivoltavano le viscere e gli organi interni. Ogni collega a conoscenza della mia cotta mi guardava in modo strano, forse perché era da molto che non mi vedevano così felice. Ero fiera di me e del mio coraggio. Entrai nella stanza animatori per prendere la mia borsa e vi trovai Erica col suo ragazzo che mi rivolsero un’occhiata interrogativa.
-Ho baciato Mattia!- annunciai allegra senza riuscire a trattenere una risatina. I due mi guardarono sorridendo.
-Voglio tutti i dettagli!- esclamò mia sorella. Soddisfai la sua curiosità, raccontandole esattamente cos’era successo, lei si complimentò con me per il mio coraggio. Poco dopo tornammo a casa. Non appena mi misi a letto il mio telefonino vibrò, lo presi e lo trovai un messaggio di Giacomo su what’s app.
“Hai veramente fatto un’ ottima mossa!Sono fiero di te..”.
Sorrisi nella penombra della mia stanza e cominciai a digitare la mia risposta ancora in preda all’euforia.
“Lui ha detto qualcosa?” gli domandai.
“No, ma è più euforico di te!” mi rispose immediatamente Giacomo. Andammo avanti a messaggiare per circa un’ora, e appresi che Mattia aveva detto che baciavo bene e che la situazione tra noi era piuttosto complicata.
Felice mi addormentai non vedendo l’ora di svegliarmi l’indomani alla festa. Mi sveglia relativamente presto, secondo il mio orologio erano circa le nove, scesi a fare colazione ricordando la sera prima, mi passai un dito sulle labbra ricordando le labbra di Mattia sulle mie. Io e lui quella sera avremmo dovuto parlare ed ero terribilmente nervosa. Credo che quella mattina conobbi la vera essenza della felicità. Non ero mai stata così felice, ma felice davvero. Era una forza travolgente e  inarrestabile, ma soprattutto era una forza vera che non credevo potesse esistere. Mi incamminai  per strada diretta in tabacchino. Mi comprai un pacchetto di sigarette per quella sera. Poi mi diressi a casa. La giornata passò rapida nutrita dai miei ricordi, dai nostri ricordi miei e di Mattia. Verso le sei feci una doccia e mi preparai per la festa. Misi un vestitino leggero turchese senza spalline, la gonna morbida mi ricadeva poco più giù di metà coscia, misi un paio di orecchini ad anello, grandi dorati e mi truccai leggermente con appena un filo di matita e mascara, posai i trucchi nella pochette color bronzo che mi sarei portata dietro, lasciai i capelli sciolti sulle spalle e mi infilai delle scarpe bianche col tacco a spillo.

***

Il giardino di Mattia era illuminato dalle luci psichedeliche, invaso dalla musica che pompava dalle casse facendo vibrare i tavoli. Il gruppo si era sparso per il giardino in cui avevamo organizzato la festa. Io mi sono completamente ubriaca, avevo pure fumato due canne, ma non facevo che rivivere il bacio del giorno prima. Mi ricordavo anche quello che gli avevo scritto  quella mattina. “Non credere di scamparla! Tu ed io dobbiamo parlare!”. Ricordavo come aveva annuito lui, serio, non lo avevo mai visto così serio. Era tutta la sera che mi evitava, lo trovai finalmente solo con una mia amica, Giulia. Lei sapeva esattamente cosa provavo per lui, notai anche Giacomo a terra che vomitava. Giulia mi guardò, comprese la situazione e prese Giacomo sottobraccio portandolo via, lontano da me e Mattia, che mi stava fissando comprimendosi le labbra.
-Dobbiamo parlare..- esordii strascicando le parole.
-Parla.- disse semplicemente lui, sembrava quasi arrabbiato.
-Io.. lo sai quello che sento, lo sai… voglio solo sapere se per noi c’è una possibilità..- guardai a terra evitando il suo sguardo accusatorio.
-Lo so quello che senti, fatto sta che non l’ho ancora sentito pronunciare dalle tue labbra.- disse semplicemente evitando la mia domanda.
-Io… io ti amo Mattia.- confessai con il cuore  galoppante.
Lui spalancò le labbra, deglutì nervoso e si portò una mano tra i capelli rossi.
-Cazzo…- mormorò stringendo la mano a pugno.
-Ti prego, rispondimi!- esclamai io fissandolo negli occhi.
-Arianne, ci tengo a te in un modo che non puoi immaginare..- cominciò a dirmi mentre si avvicinava. In quel momento sperai per il meglio- ma io mi conosco, io so come sono fatto. Sono un coglione, un’idiota e ti farei soffrire!- non lo feci finire di parlare, era troppo vicino, troppo vicino. Mi fiondai sulle sue labbra una seconda volta, sentendo  ancora la sua lingua lasciarsi andare nella mia bocca. Si staccò ad un tratto.
-Non posso…- sussurrò quasi implorante.
Stetti zitta e lo guardai ferita.
-Non può tornare tutto come prima? Amici come prima, non puoi tornare ad odiarmi?- mi chiese esasperato.
-Io non so se ce la faccio.- mormorai mentre gli fisso il petto, non avendo il coraggio di guardarlo negli occhi.
-No, no. No. Ti prego.. voglio che torni tutto come prima.- mi pregò , mi implorò.
-Ma come cazzo faccio se ogni volta che ti vedo ho voglia di baciarti? Merda!- esclamai a denti stretti
-Passerà, prima o dopo. Te lo prometto!-
-Non promettere cose che non puoi mantenere.- lo avvertii.
Calò ancora il silenzio, deglutendo e mi avvicinai di nuovo, volevo ancora assaggiare le sue labbra, bacia così bene. Lui mi rifiutò inizialmente, ma non trovò la forza di cacciare la mia determinazione. Sussurrò un “no” poco convinto. Ci baciammo di nuovo. Si staccò di poco da me.
-Ti prego.. solo per stanotte..- mormorai soffiando sulle sue labbra.
-Solo per stanotte.- ripetè lui, prima di riprendere a baciarmi.
 

 
Buonasera.. ecco il settimo capitolo della storia.
Mi ci è voluto un po’ in realtà per scriverlo.
Dunque ho riletto, ma ho come la sensazione che mi sia sfuggito qualcosa,
segnalatemi gli errori se ce ne sono ;)
Ringrazio le due recensore del capitolo precedente,
grazie per aver dato un parere.
Qualcuno ne può lasciare uno anche qua please?
Vi lascio con il mio
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Baci, Mar.
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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


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“Nel mondo non esiste nulla di completamente sbagliato, 
perfino un orologio fermo riesce a segnare l’ora esatta due volte al giorno.”

-Paulo Coelho

 
 


Capitolo VIII.


Arianne.
Spiragli di luce solare esplodevano nella mia stanza in cui regnava il silenzio, stavo stringendo il lenzuolo al mio corpo seminudo, che soffriva l’afa del periodo di fine estate. Aprii gli occhi svogliata e mi guardai intorno, non avevo un particolare dopo sbronza, non mi faceva male la testa, ne avevo la nausea, l’unico ricordo della sera precedente era il sapore di alcool ancora nella mia bocca, e il cuore a pezzi. In un attimo ricordai ciò che era accaduto la sera precedente, di come io e Mattia ci eravamo baciati ancora e ancora. Mi lasciai andare sul cuscino, a pancia in su senza aver alcuna intenzione di alzarmi dal letto, non vedendo un motivo per farlo. Ricordai la mia felicità, del mattino precedente, ricordai la speranza che mi animava di gioia e la mia convinzione e positività sulla festa della sera. Ero stata un ingenua, una povera illusa, avevo sbagliato e messo in crisi me stesse ancora una volta. Senza che me ne accorgessi una lacrima lenta mi bagnò la guancia sinistra, provvidi   ad asciugarla in fretta col dorso della mano. Deglutii sentendomi terribilmente sola e sconsolata. Mi coprii la faccia con il lenzuolo e rimasi inanimata per circa un’altra ora, finché, mia mamma non venne a farmi alzare senza celare una leggera preoccupazione per il mio atteggiamento. Mia sorella era invece serena, aveva passato la serata precedente con suo moroso, ci credevo che era così allegra. Il mio telefonino vibrò, non guardai neanche di chi fosse il messaggio e gettai il telefonino a terra con grande menefreghismo, sotto lo sguardo perplesso dei miei genitori. Mi gettai sul divano e rimasi altre ore a fissare il soffitto, apatica, senza sentire nulla se non l’inverno dentro di me. Neanche quando entrò mio fratello con Andrea mi alzai, né diedi segni di vita. Mi limitai a restare immobile con lo sguardo rivolto verso l’alto, lo sguardo vuoto e perso. Altre lacrime discrete uscirono dai miei occhi, non le asciugai neanche, le lasciai scorrere sulle mie guance per sfogare il mio dolore, ma quello restava nel petto, immutato e presente, fermo e costante. Mia sorella disse ai miei, ad Andrea e a Carlo, che ero in una sorta di depressione, ma non si sbottonò sugli avvenimenti della festa e per questo gliene fui grata. Mi alzai solo per pranzo, sotto obbligo dei miei, continuando a domandarmi perché Mattia non volesse avere una storia con me, perché tutti i nostri amici potevano essere felici ed io no? Perché le coppie intorno a me non facevano altro che  formarsi, fiorire ed evolversi, mentre io restavo sola? Mia sorella scrisse nel gruppo di what’s app che non stavo bene, che ero triste. Sara si offrì di andare a fare merenda da lei e poi dirigerci alla festa paesana, la “festa di fine estate” era una tradizione per noi, lo era sempre stata. Fin da quando eravamo bambini l’ultimo  weekend di libertà lo passavamo nel parco in cui si svolgeva la festa, stavamo là fino a sera, ed era uno di quegli eventi che mi facevano amare la vita di provincia. Inizialmente non avevo intenzione di muovermi da casa, ma poi Erika, Carlo e perfino Andrea, mi convinsero ad uscire. Mi vestii con un leggero vestito blu del colore del cielo notturno, senza maniche con una cintura di vernice nera in vita che metteva in risalto le mie forme dei fianchi. Infilai poi un paio di stivaletti color cuoio abbinati alla borsa. I capelli li lasciai leggermente arruffati, non mi truccai se non con un po’ di rossetto. A passo lento mi diressi all’auto di Carlo, preceduta da lui ed Erika e  affiancata da Andrea, che non vedevo da circa due giorni. Il mio sguardo era ancora perso nel vuoto.
-Come stai Arianne?- mi chiese, non in modo innocente facendo il finto tonto o per fare conversazione, lo chiese con cognizione di causa, lo chiese perché voleva una risposta sincera, perché gli importava davvero.
-Come un morto che cammina.- sibilai sincera di risposta facendolo sospirare.
Il viaggio verso casa di Sara fu animato dalla discussione tra Erika e Carlo che litigavano per la stazione radio da scegliere. Una volta arrivate i due ragazzi ci salutarono dicendo che ci saremmo rivisti alla festa.
Nel giardino di Sara, c’era una buona parte della compagnia seduta attorno al tavolo, sapevo che Mattia sarebbe arrivato solo alla festa nel parco sul tardi, era anche per questo che avevo accettato di uscire al pomeriggio, e avrei evitato Mattia come la peste quella sera, dovevo farlo.. per il mio bene.
 
Andrea.
Mi passai le mani sul viso, non riuscivo a vedere Arianne stare in quel modo, mi faceva male, all’altezza del petto sentivo un forte bruciore, inoltre ogni qual volta che guardavo il suo viso deturpato dal dolore e dalla tristezza le mie costole si sfaldavano dando origine ad una sensazione di angoscia che mi restava appiccicata addosso senza pietà. Carlo stava guidando, avevamo deciso di andare al bar Sport, il vecchio ritrovo di quando eravamo ragazzi. Ormai eravamo cresciuti e io era da parecchio che mancavo in quella città. Ricordavo come io e Carlo eravamo considerati i boss, come io e lui eravamo sempre insieme, i primi in tutti. L’unica differenza tra noi due era che io me n’ero andato stanco di quella vita, di quelle cose che in provincia sembravano tutto, ma che in realtà non erano mai significate niente. Era stata tutta un’illusione, un’illusione che avevo captato appena in tempo e che ero riuscito a smascherare, cosa che Carlo non era riuscito a fare, era rimasto bloccato in quel mondo di campagna e l’università per lui era stata inutile, ora lavorava nella ditta di scarpe più famosa dello Stato come addetto agli ordini e alle consegne, ma non era felice, non era soddisfatto del suo lavoro, me lo aveva rivelato in Kenya durante una notte di sorveglianza in cui non vi era nulla da fare. Parcheggiammo di fronte al vecchio bar, che ora sembrava essere popolato solo da pensionati e delinquenti. Entrammo insieme e individuammo subito il tavolo in cui vi erano i nostri ex compagni di vita, la vecchia compagnia. Riconobbi Viola di spalle, con i capelli color biondo ossigenato che non aveva ancora decolorato, le ricadevano lisci dietro la schiena fino a metà, rividi Rob davanti a lei che parlava, anche lui non era cambiato più di tanto, i capelli castani erano sempre ricci e il suo stile eclettico non lo aveva ancora abbandonato, vi era anche Serena, la zoccola, era stata con tutti del gruppo, ma il suo preferito era Carlo, forse perché era il re della savana, forse per lo sguardo furbo che faceva cadere ai suoi piedi chiunque, forse perché aveva bisogno di qualcuno. Ma sapevano tutti che lei era innamorata di Carlo, e sapevano tutti che Carlo non era innamorato di lei, ma Serena non si dava per vinta e pensava che più lui se la sarebbe scopata, più le possibilità che Carlo se ne innamorasse aumentavano.. anche lei era una completa illusa. Non vi erano Antonio, un altro sbandato del gruppo, era quello che si ubriacava ad ogni festa e le voci dicevano che fosse ancora rinchiuso al SerT (Servizio Tossicodipendenza) dopo che i carabinieri lo avevano sgamato con una grande quantità di erba e pasticche di ecstasy nella tracolla. Non vi era nemmeno Maya, lei invece era stato il primo e ultimo amore di Carlo e io ne ero certo che lui ne fosse ancora perdutamente innamorato. Loro erano stati insieme dalla terza media fino alla quinta superiore, ma poi lei era dovuta partire per Milano, per andare alla Bocconi a studiare Scienze dell’Educazione, un litigio fra i due poco prima della partenza di lei aveva scritto la parola “fine” per tutto quel tempo.
-Ma guardate chi ci degna della loro presenza!- esclamò Rob staccando gli occhi da Viola che gli stava parlando. Le due ragazze si voltarono verso di lui, gli occhi di Serena si illuminarono per un attimo alla vista di Carlo.
-Rob… come te la passi?- domandai raggiungendo il tavolo e sedendomi sulla panchina di legno accanto a  lui di fronte alle due ragazze.
-Alla grande dottore!- esclamò lui.
Carlo intanto aveva preso posto a capo tavola tra Viola e Rob.
-Il boss si è ripreso il suo posto?- domandò Viola sfottendolo. Scoppiammo tutti a ridere, Carlo compreso. Ordinammo un paio di birre per me e Carlo e cominciammo a parlare del più e del meno. In un momento di silenzio fu Viola a prendere la parola arrossendo leggermente.
-Mi sposo!- annunciò non riuscendo a nascondere un sorriso. Sgranai gli occhi insieme  a Rob e Carlo. Serena invece sorrise consapevole già da prima della novità riguardante l’amica.
-Oh mio Dio e con chi?- domandò Rob.
-Con Giuseppe…- rispose ridendo la ragazza bionda.
-Quello di Brindisi che lavora alla concessionaria?- domandò ancora Rob, lei annuì. Quella conversazione mi fece pensare a da quanto mancassi  nel mio paese, da quante poche cosa ora sapessi. Ma le cose stavano per cambiare. Intorno alle sette, ci alzammo dal tavolo e insieme ci dirigemmo nella macchina di Carlo, con il parco della festa come destinazione. Vidi sedute sulle panchine Erika e Arianne circondate dai loro amici che fumavano e si prendevano in giro. Non ero l’unico però ad averli notati, anche Viola li fissava sorridendo.
-Vi ricordate quando eravamo al posto loro?- chiese la bionda portandosi indietro un ciuffo di capelli chiari.
-Beh Carlo, lasciatelo dire, le tue sorelle ora sono i boss… guardale!- esclamò Rob senza staccare gli occhi di dosso dalle due ragazze. Carlo sorrise e annuì. Poi notai Mattia entrare dal cancello del parco con il casco del motorino fra le mani, affiancato da Marco che teneva anche lui un casco e le chiavi del motorino. Osservai Arianne che non appena vide il biondo andare verso il gruppo alzò gli occhi al cielo, si accese un’altra sigaretta e si distaccò dal gruppo di parecchi metri. Mi avviai verso di lei a passo svelto raggiungendola in pochi attimi.
-Ciao.. ti stai divertendo?- domandai sorridendole.
-Non proprio…- borbottò lei aspirando dalla sigaretta.
-Mattia ti ha fatto qualcosa? Se vuoi gli do una lezione!- cercai di buttarla sul ridere ottenendo solo un sorriso amaro.
-No, ci penso già abbastanza io a  dargli una lezione… è un coglione!- esclamò con una nota di depressione nella voce. Le presi una mano delicatamente e la guardai negli occhi, cercando di farle capire che ora tutto sarebbe andato a posto.
 

 

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My corner:
Ciao a tutti :) ringrazio infinitamente lullyrugg che ha recensito lo scorso capitolo,
la storia si evolverà lentamente.. ma ora ditemi…
qual è il vostro ship del cuore?
Marianne oppure Andrianne?
Fatemi sapere. Vi lascio il mio
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Capitolo 9
*** Capitolo IX. ***


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“Sarà sempre così. La gente ti parlerà della sua unghia spezzata, anche quando
sarai a terra con tutte le ossa rotte.”
 
- Debohra Simone

Capitolo IX.
 
Arianne.
Me ne stavo distesa sul letto e ripensavo alle giornate appena trascorse, non ho mai avuto  paura di esprimere i miei sentimenti, ma quella volta la scottatura era stata un’ustione. Molte domande affollavano la mia testa, ora sarei diventata acida? Cattiva? Insensibile? Una ragazza facile? Per ora non sentivo la voglia di andare con tutti, non avevo voglia di fare niente, non avevo un motivo per alzarmi dal letto, e la notte avevo troppi pensieri per addormentarmi, avevo preso sono sulle sei del mattino, collassando sul cuscino con addosso i vestiti della sera precedente. Fissavo il mio telefonino sperando che arrivasse spesso il messaggio di qualcuno che volesse confidarmi i suoi problemi, così da smettere di pensare ai miei. Mia madre bussò alla porta della mia stanza interrompendo le mie preoccupazione.
-Amore vestiti dobbiamo andare all’ospedale!- gridò facendomi alzare gli occhi al cielo. In tutto questo casino, che era diventata la mia vita, avevo perso di vista il vero problema importante, la possibilità di essere malata, e non di un raffreddore, ma di una malattia che avrebbe potuto portarmi alla morte stessa. Sbuffai e mi alzai dal letto dirigendomi in bagno, Erika era già uscita con il suo ragazzo, mi pettinai i capelli scuri districando i nodi e cercando di darmi un aspetto recente, tolsi il trucco sbavato dal viso e non mi truccai, faceva troppo caldo per mettere elyner o matita o rimmel e non avevo la minima voglia di prendermi cura di me. Con mia madre arrivammo all’ospedale intorno alle undici, mezz’ora prima del previsto, le mie cuffiette bianche riproducevano “You are the only exception” dei Paramore, e non riuscivo a non pensare ai baci e alla situazione che mi trovavo a vivere con Mattia. Sbuffai seduta in sala d’attesa mentre un sacco di donne chiacchieravano con le ricette in mano. Notai di essere la più giovane nella stanza, le signore avevano dall’età di mia madre in su e notando ciò mi sentii terribilmente a disagio. L’infermiera uscì dall’ambulatorio chiamando il mio nome, mi alzai dicendo a mia madre che sarei entrata da sola. L’infermiera cercando di rassicurarmi mi condusse in una stanza con poca luce, mi istruì dicendo che mi sarei dovuta togliere la t-shirt e il reggiseno, annuii deglutendo. Così feci e poi raggiunsi l’infermiera che mi portò dal radiologo, che era un maschio. Un’altra corrente di disagio mi travolse, ma cercai di non darlo a vedere, mi stesi sul lettino e dopo poco il radiologo, un tizio muscoloso pieno di tatuaggi, mi iniziò a passare uno strumento grondante di gel freddo sul seno sinistro, sede del mio problema. Il mio cuore batteva all’impazzata e io restavo ferma col respiro corto e la voglia di alzarmi e scappare via lasciandomi andare alla paura. Il radiologo borbottava distrattamente cose che non capivo feci scroccare il collo e mi passai la lingua sulle labbra nervosa. Da un lato volevo chiedergli cosa avevo che non andasse, ma dall’altro non volevo saperlo. Dopo un tempo che mi parve infinito, il radiologo staccò quell’affare dal mio seno dolorante, mi pulì distrattamente dal gel e stampò un fogli su cui comparivano vari segni indecifrabili. L’infermiera tornò e mi disse di rivestirmi e aspettare fuori con mia madre. Così feci, rientrai in quella specie di camerino e mi infilai il reggiseno verde e la canotta color salmone, mi legai i capelli ritrovando il calore del mio corpo, poi uscii da quell’ambulatorio trovando mia madre in sala di aspetto, più ansiosa di quanto non fosse stata al nostro arrivo, mi avvicinai a lei e presi la mia borsa posata sulla sedia accanto alla sua, lei si alzò.
-Allora? Novità?- mi chiese preoccupata. Aprii la bocca per risponderle ma in quello stesso istante arrivò l’infermiera che ci guardò.
-Dovete andare dal dottor Proterra… vi sta aspettando, al quinto piano.- ci informò la giovane donna rivolgendoci un’occhiata rassicurante. Ma non ero rassicurata, non lo ero per niente. A passo tremante mi diressi in ascensore con mia mamma.
-La visita come è andata?- mi chiese per rompere il silenzio.
-Il tipo sembra un ex galeotto!- esclamai sarcastica cercando di buttarla sul ridere. Dalle labbra di mia madre scappò una risata nervosa. Le porte dell’ascensore si aprirono rivelando l’ultima persona che mi sarei mai aspettata di trovare.
 
Andrea.
 
Mi era arrivata un’importante chiamata al cerca persone, un caso di tumore al seno agli albori, era su una ragazzina di appena diciassette anni, mi passai una mano sul viso angosciato, detestavo quelle rare occasioni in cui i pazienti erano giovani, la maggior parte moriva dopo qualche anno, sfinita dalla lotta contro la malattia. Mi posizionai davanti agli ascensori in corridoio e aspettai che la mia nuova paziente arrivasse accompagnata dalla madre. Non appena le porte dell’ascensore si spalancarono vidi l’ultima persona che avrei voluto facesse visita nel mio reparto. Arianne stava davanti a me a guardarmi scioccata, probabilmente non sapeva che lavoravo lì. Il mio cuore perse un battito, vidi sua madre fissarmi altrettanto sorpresa e dare un’occhiata alla carta che aveva in mano, le due si avvicinarono a me.
-Andrea ciao, quindi il dottor Proterra sei tu.. beh buono a sapersi, siamo in buone mani, no Arianne?- disse la signora cercando di sembrare tranquilla. Io deglutii impallidendo dal terrore. Non poteva essere lei la paziente, non era giusto, non volevo vederla sofferente come le avrebbe portata ad essere la chemio, l’unica sua possibilità per sopravvivere e sconfiggere il tumore.
-Volete seguirmi per favore..- sussurrai debolmente cercando di riprendere il controllo di me stesso. Le due mi seguirono in fondo al corridoio illuminato dai neon e feci entrare prima Arianne, poi bloccai sua madre fuori.
-Signora, parlerò prima con lei che con sua figlia, Arianne è ancora minorenne.- sussurrai sperando che la brunetta non sentisse.
-Andrea, cos’ha esattamente Arianne?- mi domandò la signora togliendosi la maschera e mostrando tutta la sua angoscia.
-Arianne.. ha.. un nodulo al seno sinistro, è maligno, da quanto ne so è genetico e.. Arianne ha un tumore al seno.- rivelai infine sentendo un pugnale affilato perforarmi lo stomaco deciso senza esitazione, facendo esplodere il vero dolore dentro di me. Dirlo ad alta voce era stata una pugnalata e in realtà ora faceva molto più male di prima. Non avevo paura delle malattie, non l’avevo mai avuta, avevo deciso di dedicare la mia vita a sconfiggerle, ma ora che colpiva la ragazza di cui ero segretamente innamorato, la malattia mi faceva enormemente paura. Arianne era la mia criptonite, e la malattia il mio avversario giurato, come può Superman salvare la criptonite da un nemico?
La donna di fronte a me cominciò a piangere silenziosamente, col petto scosso dai singulti, la donna afferrò un fazzoletto dalla sua borsa marrone e si asciugò gli occhi.
-Devo avvertire suo padre,e anche Carlo.. oh chissà come la prenderà Erika!- esclamò la donna afferrando il telefonino.
-So che è dura, ma conosco Arianne, lei è una ragazza forte, lotterà e alla fine vincerà ne sono certo!- esclamai cercando di non pensare al peggio. La donna annuì.
-Senta si prenda qualche minuto, io ora entrerò a parlarle.. andrà tutto bene vedrà.- sussurrai posandole una mano sulla spalla, lei annuì. Mi alzai dalla sala d’aspetto e mi diressi  nella stanza in cui avevo mandato Arianne. Mi fermai sulla soglia e prima di entrare presi un profondo respiro. Dovevo essere forte. Dovevo essere forte per lei. Entrai quindi nella stanza color verde acqua.
- Qui c’ è puzza di ammoniaca.- borbottò Arianne annusando l’aria.
-Sai com’è siamo in un ospedale.- replicai.
-Quindi sei sarcastico anche al lavoro oltre che nella vita privata.- constatò lei.
-No sono sarcastico solo con te.- risposi io facendole una boccaccia. La ragazza scoppiò a ridere e io mi congratulai con me stesso per averla messa a suo agio. Mi sedetti sul bordo del letto di fronte a lei.
-Allora Arianne, ora io e te parliamo ok… dovrò farti numerose analisi per accertarmene, ma la diagnosi già c’è..- cominciai sentendo i miei occhi inumidirsi.
-Dimmi..- mi spronò vedendo la mia incertezza.
-Hai un tumore al seno sinistro.- sussurrai, non c’erano altri modi per dirglielo, non c’era un modo più delicato, avevo potuto solo dirle la verità. Gli occhi di Arianne si annebbiarono, di una nebbia che avevo visto centinai di volte sugli occhi dei pazienti, la nebbia della rassegnazione che cercava di insinuarsi nella sua mente. Le presi la mano e la strinsi nella mia.
-Arianne… noi ce la faremo..- sussurrai. Una lacrima le bagnò la guancia.
-Me lo prometti?- domandò lei tesa.
Rimasi un attimo in silenzio, senza saper quale fosse la giusta cosa da fare. Ma subito dopo mi fu tutto chiaro.
-Te lo prometto.- giurai poco prima che lei scoppiasse in lacrime cadendo con il volto sul mio ventre.
 
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My corner:
Ciao a tutti! :) sono riuscita ad aggiornare finalmente,
beh la storia si sta evolvendo, sta entrando diciamo nell’argomento più serio e delicato che avevo deciso di trattare,
se avete domande non preoccupatevi e fatemele pure chiarirò i vostri dubbi.
Ringrazio DarkViolet92 che ha recensito lo scorso capitolo.
Vi lascio con il mio
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Baci, Mar

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


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“Qualsiasi cosa facciamo sembra troppo poco, troppo tardi.”
—        Hunger Games - La ragazza di fuoco
 

Capitolo X.
 
Arianne.
 
Era da ormai due giorni che stavo rinchiusa in una stanza di ospedale, facevo rimbalzare una pallina da tennis che mi aveva portato mia sorella, in una visita piuttosto fredda, dalla quale si era dileguata dopo appena una manciata di minuti, mi sarei sentita terribilmente sola, se Andrea non fosse venuto a trovarmi una volta all’ora, ero in una stanza singola e la televisione che trasmetteva solo sei canali. Ma non era solo la noia che mi stava ammazzando, era il fatto che non avendo nulla da fare i miei pensieri si affollavano la testa, ero malata di qualcosa di serio e la paura era qualcosa di indescrivibile, Andrea cercava di aiutarmi, ma ancora non ero riuscita ad aprirmi completamente. Mattia non lo avevo più sentito da quella festa e ne ero contenta sebbene i miei sentimenti non facessero altro che ribollire nel mio stomaco e il sangue continuava a sembrarmi fuoco nelle vene. Mentre facevo rimbalzare quella sfera fluorescente alternando qualche sbuffo a qualche sbadiglio. Erano appena le dieci del mattino e il giorno seguente sarebbe stato il primo giorno di scuola di quarta superiore e mi sarebbe veramente dispiaciuto se a causa della mia salute non ci potessi andare.
Ad un tratto nella mia stanza fece capolino un viso davvero molto familiare. Sorrisi felice e aspettai che il ragazzo entrasse nella stanza  e chiudesse la porta.
-Insomma manco per le vacanze estive e tu cerchi di morire… grazie!- esclamò sarcastico il mio migliore amico venendo ad abbracciarmi.
-Nico! Sei tornato!- esclamai a mia volta lasciandomi stringere da quel ragazzo che da più di tredici anni è il mio migliore amico. Con le ragazze non mi ero mai trovata bene, fin dall’asilo avevo legato un sacco con Nico, lui c’era sempre per me. Era l’unica persona che sapeva tutto, ma proprio tutto di me, e non mi giudicava, restava sempre al mio fianco e mi dava forza e ne ero certa me l’avrebbe data anche stavolta.
Mi porse un palloncino gonfiato ad elio a forma di cuore con stampati gli auguri di buona guarigione a caratteri cubitali argentati. Lo annodai al letto, mi avrebbe messo allegria durante quei giorni da sola.
-Allora… seriamente come ti senti?- mi domandò Nico sedendosi sulla sedia blu accanto al mio letto solitamente occupata da Andrea.
-Per ora bene, anche se odio questo posto e non sopporto l’idea di perdermi il primo giorno di scuola della quarta superiore.- sussurrai torturandomi la pellicina del pollice.
-Milioni di ragazzi vorrebbero evitare il primo giorno di scuola, è una tortura soprattutto al quarto anno dopo ben tre anni in quella cazzo di scuola nessuno di noi ne può più.- cercò di convincermi Nico. Sospirai pensando che forse aveva ragione.
-Ora che farai per la malattia?- mi chiese poi facendosi serio.
-In realtà ho la chemio oggi pomeriggio per la prima volta. che emozione.- risposi sarcastica. Nico mi prese la mano.
-Arianne io ti conosco sei forte, vedrai che ce la farai.- mi consolò con un sorriso incoraggiante.
Alle dodici circa l’infermiera entrò nella stanza e comunicò che l’ orario delle visite era finito. Salutai Nico con un abbraccio e mi promise di venire a trovarmi presto e di chiamarmi quella sera stessa. Poco dopo arrivò il pranzo, un leggero brodo in modo che il mio stomaco non fosse troppo pieno.
 
Andrea.
 
I miei turni in ospedali erano massacranti e vedere in faccia la morte ogni sacrosanto giorno, vedere i miei pazienti morire consumati dalla malattia, la stessa malattia che stava consumando anche la ragazza di cui ero innamorato. Ma non era solo la malattia e il fatto che Arianne avesse dieci anni in meno di me, in realtà il vero problema era il fatto che io ero il suo medico, io dovevo salvarla e se non ne fossi stato in grado non me lo sarei mai perdonato né come medico, né tantomeno come persona. La pausa pranzo arrivò in fretta e con un paio di colleghi e un’infermiere di nome Stefano, la mensa era spesso affollata ed era il momento in cui i colleghi si confrontavano fra loro.
-Oggi mi è capitato un caso assurdo.- esordì Marika, la ginecologa seduta accanto a me.
-Cioè?- domandò Emilio, l’otorino impegnato con il suo piatto di gnocchi al ragù.
-Tre gemelli uno incatenato all’altro dal cordone ombelicale!- esclamò entusiasta prima di addentare la sua pizza. Alzai gli occhi al cielo e non risposi continuando a mangiare le patatine fritte nel mio piatto.
-Andrea che ti succede?- chiese Stefano. Alzai lo sguardo verso di lui e sospirai.
-Oggi Arianne dovrebbe iniziare la chemio.- sussurrai fissando il mio piatto sentendo lo stomaco accartocciarsi piano piano.
-Sei in ansia per la diciassettenne di cui sei innamorato.- constatò Emilio alzando gli occhi al cielo.
-E’ una cosa così sbagliata?- domandai cominciando a seccarmi.
-Non abbiamo detto questo… solo che è strano, ha dieci anni in meno di te e poi è la sorella del tuo migliore amico, per non parlare del fatto che è una tua paziente.- espose Stefano, il più comprensivo e tranquillo di tutti quelli presenti a quel tavolo.
-Beh io mi sono innamorato di lei prima che diventasse una mia paziente.- replicai alzando le spalle per poi finire il bicchierone di cocacola che mi stava innanzi. Dopo il pranzo entrai nella stanza di Arianne, stava seduta a letto e guardava fuori dalla finestra. Il tempo era sereno e il sole esplodeva sul vetro della finestra semi aperta, mi schiarii la voce in modo che si accorgesse della mia presenza. Il viso pulito si voltò verso di me sorridendomi tranquilla.
-Allora, come stai oggi?- chiesi in un sussurro.
-Sono nervosa in realtà, tra dieci minuti comincio la chemio..- cominciò lei guardandosi le mani intrecciate e  appoggiate al grembo.
-Tu ci sarai?- mi chiese poi alzando gli occhi su di me. Mi ero preso apposta il pomeriggio, avevo detto al signor Giovi che mi sarei occupato principalmente di Arianne, anche perché era la paziente più recente e doveva adattarsi e avere qualcuno accanto per la chemio.
-Sì, sarò sempre lì Arianne, ti terrò la mano… vedrai che andrà tutto bene e se non ci saranno problemi potrai andare a scuola domani! Non perderai il primo giorno.- le annunciai sorridendo, i primi giorni di scuola sono i migliori della vita di un’adolescente, così come gli ultimi che però in genere simboleggiano un addio.
Pochi minuti dopo accompagnai Arianne nell’ambulatorio in cui si sarebbe svolta la chemioterapia, si sarebbe operato per via endovenosa e mentre tenevo la mano di Arianne la sentivo tremare in modo quasi impercettibile. La feci sedere sul lettino, i genitori non ci sarebbero potuti essere per cause di lavoro, mentre la gemella non sapevo perché non fosse lì, ma non c’era nessuno e forse Arianne preferiva così. Con calma feci un cenno a Stefano che preparò l’iniezione delle cellule che avrebbero mangiato le cellule tumorali, speravo che la chemio fosse necessaria e che non dovessimo ricorrere ad un intervento chirurgico, con il cancro non si poteva mai sapere. Dal canto mio continuavo a stringerle la mano, la ragazza sobbalzò quando l’ago entrò nella vena. Speravo solo che non sarebbe stato troppo devastante per lei.
 
Arianne.
 
L’ago bucò la vena causandomi un lieve fastidio,  strinsi il polso di Andrea che mi guardava con gli occhi traboccanti di affetto, se non ero troppo nervosa era soprattutto grazie a lui. Quando l’infermiere con il camice blu mi iniettò le cellule che avrebbero mangiato le cellule malate il braccio cominciò a bruciarmi forte, sembrava che stesse per prendermi fuoco l’intero avambraccio intorpidendomi parte del braccio.
-Ecco fatto.- disse con tono allegro l’infermiere per poi porgermi una padella che guardai con aria interrogativa.
-Oh non guardarmi così.. ti servirà!- esclamò l’uomo sui vent’anni. Continuai a non capire, Andrea mi fece una carezza sul viso. Deglutii e cominciai a sentire la testa pesante, la sudorazione aumentò sebbene violenti brividi percorressero la mia colonna vertebrale, poi cominciai a vedere sfuocato, sentivo una sorta di sporco colarmi e come lame affilate che mi stavano lentamente facendo a pezzi gli organi interni. Guardai Andrea che mi fissava con gli occhi di chi prova pena e  compatisce e questo mi fece male sebbene sapessi che lui ci teneva veramente a me. Un fiotto di succhi gastrici mi risalì l’esofago, portai la padella fredda vicino al mio viso e vomitai il pranzo leggero che mi era stato servito.
-E’ normale Arianne, tranquilla.- mi sussurrò Andrea tenendomi i capelli, che forse a breve sarebbero caduti. Continuai a vomitare perdendo le forze, la gola mi bruciava e gli occhi erano bagnati da lacrime cadute al mio controllo. La mano di Andrea sulle mie spalle mi fece coraggio, forse sarebbe andato tutto bene.

 
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My corner:
 Buonasera a tutti quanti :) ho la sinusite quindi domani starò a casa.. tanto non ho niente da fare a scuola.
Poi lunedì cominciò uno stage di due settimane all’asilo comunale Yep!
Non vedo l’ora! Comunque credo di aver aggiornato con una buona tempistica no?
Dopo tutto questo ringrazio DarkViolet92 che ha recensito il capitolo precedente,
grazie anche a chi ne lascerà un’altra qua.
Vi lascio con il mio..
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Baci, Mar.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI. ***


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“Ma se lei sa farti ridere,
farti pensare due volte,
farti ammettere di essere umano e commettere errori,
tienitela stretta e dalle tutto quello che puoi.”

—      Bob Marley

Capitolo XI.
 
Arianne.
 
Ero in piedi davanti al letto libero che avevo occupato negli ultimi due giorni, il cuore mi batteva forte, ogni primo giorno di scuola era emozionante per me, ero una persona molto emotiva e ingenua, pensavo sempre che ogni anno migliorasse, sebbene avessi avuto esperienze dirette che accade sempre l’opposto.
Mi ero vestita con una maglietta di pizzo rossa e un paio di pantaloncini neri a vita alta, mi ero truccata solo con un po’ di rossetto rosso e del mascara sulle ciglia. Ero pronta psicologicamente a tornare in quel luogo, teatro delle mie avventure, ma fisicamente non lo ero. Ero terribilmente debole, la prima chemio era stata devastante su di me, il rossetto era per ricoprire le labbra viola e fredde causate da quelle cellule tossiche che mi avevano iniettato il giorno precedente. Pensai anche di legarmi i capelli perché avevo il terrore che toccandomeli, come ero solita fare, avrebbe potuto toglierli e trovarmeli in mano, sebbene Andrea mi avesse rassicurato che per ora non sarebbe successo. Sbuffai afferrando il mio zainetto vintage di pelle marrone e mettermelo sulle spalle. Avrei preso l’autobus e sarei scesa in centro a Dolo, il paese in cui stava il mio liceo. In quel momento mi trovavo a Padova in ospedale, una volta scesa ero d’accordo con Nico, mi sarebbe passato a prendere con la sua inseparabile bmx e saremmo andati insieme fino a scuola. Mi voltai verso la porta sentendomi osservata e vidi la figura di Andrea col camice bianco tra le mani.
-Ciao.- lo salutai con un sorriso debole.
-Come ti senti oggi?- mi chiese lui con un mezzo sorriso.
-Stanca, ma bene, non ho nessun dolore.- risposi mettendomi lo zainetto sulla spalla sinistra. Lui mi sorrise.
-Tu sembri stanco invece.- costatai in un sussurro notando il viso solcato da profonde occhiaie.
-Ho appena finito il turno, ma se vuoi posso accompagnarti a scuola.- mi propose cercando di sembrare energico.
-Non serve grazie, prendo l’autobus e poi passa Nico a prendermi.- risposi
-Il tuo amico ha la macchina?- mi chiese.
-No, viene in bici alla fermata.- risposi avviandomi verso la porta della stanza.
- Dai ti accompagno alla fermata e poi ti lascio con il tuo migliore amico!- esclamò lui in corridoio prendendomi lo zaino dalle spalle.
-Non ti arrendi mai è?- chiesi alzando gli occhi al cielo.
-Mai.- replicò lui fissandomi negli occhi.
Così andammo nella sua auto e mi accompagnò alla fermata in cui Nico mi aspettava.
-Quando cominceranno a cadermi i capelli?- domandai seriamente.
-Tra qualche chemio, cinque o sei al massimo.- mi rispose lui guidando.
Mi incupii, io amavo i miei capelli, ogni volta che mi proponevano di tagliarli io guardavo inorridita l’autore di quella richiesta. Nella poesia “Se questo è un uomo” Primo Levi dice chiaramente “Domandatevi se questa è una donna, senza capelli e senza nome.” I capelli sono uno dei simboli della femminilità, una femminilità che per me era arrivata solo intorno ai sedici anni e che ora avevo il terrore di perdere.
-Ricresceranno Ary, te lo prometto.- cercò di consolarmi l’uomo accanto a me accarezzandomi una guancia.
Scesi in centro al paese salutando Andrea con un sorriso, lui mi fece un cenno con la mano e io ripresi a camminare verso la fermata, in cui incontrai Nicolò che mi aspettava in sella alla sua bmx fosforescente.
-Buongiorno e buon primo giorno di scuola!- esclamò allegramente mentre salivo sui tubi neri della ruota posteriore. Mi aggrappai alle sue spalle mentre il vento iniziava a scompigliarmi i capelli che tra non molto avrei perso.
-Giorno, comunque è il nostro penultimo primo giorno di scuola.- risposi io focalizzando il futuro.
-Dirai alle tue compagne della malattia?- mi chiese serio Nico.
-No.- risposi semplicemente.
-perché?- chiese lui parcheggiando nel cortile della scuola.
-Perché non voglio che lo sappiano punto, alla fine sai che non ci sono molto legata, lo sanno solo le persone veramente importanti.- risposi io prendendo il mio zainetto e attingendomi a varcare il cancello affiancata da Nicolò, trovai parecchi conoscenti durante il tragitto fino alla panchina che occupavamo sempre. Ci fumammo una sigaretta.
-Mia madre ha deciso di mandarmi in una clinica privata.- confessai espellendo il fumo.
-E a che servirebbe?- domandò Nico finendo di girarsi la sua sigaretta perfetta.
-A scaricarmi, ho bisogno di essere seguita e monitorata costantemente con la chemio sono molto debole.- risposi passando l’accendino rosso al mio migliore amico.
- E quindi non verresti più a scuola?- mi domandò.
-Esatto, è solo per un periodo e devo pensare alla mia salute prima di tutto.- risposi.
-Ma cosa ti ha fatto cambiare idea? Cioè l’ultima volta che ti ho vista hai fatto fuoco e fiamme per venire qui oggi..- mi fece notare aspirando Nico.
-Beh, questa giornata sarà una sorta di saluto, in casi estremi avrei il terrore di morire senza aver passato un giorno con le mie compagne di classe, e il primo giorno è come l’ultimo…. Speciale.- sussurrai. Nico mi sorrise e mi strinse la mano, ero contenta che lui fosse lì a sostenermi sempre e comunque, e sapevo che ci sarebbe stato per il resto della mia vita.
 
Andrea.
 
Dopo aver accompagnato Arianne alla fermata tornai nell’appartamento che avevo affittato e mi gettai al letto esausto. Non era il lavoro che mi stava stressando, ma la paura e il terrore di perderla, di perdere la ragazza che amavo senza confidarle i miei sentimenti e capire se ci sarebbero potute essere delle possibilità di vivere il mio amore. Mi addormentai e mi sveglia dopo appena quattro ore a causa del telefono che vibrava scosso da una chiamata in arrivo, mi stropicciai gli occhi e guardai lo schermo illuminato, il nome “Stefano”. Mi domandai per quale motivo il mio amico infermiere potesse chiamarmi se non per qualche emergenza.
-Pronto.- risposi subito.
-Andrea, ehm forse ho fatto un casino. Un ragazzo un certo Mattia sta venendo da te.- mi rivelò l’infermiere.
-Cosa? Perché gli hai dato il mio indirizzo?- domandai indignato.
-Mi ha detto che era un’ emergenza che si trattava di Arianne… pensavo fosse importante.- mi rispose lui cercando di giustificarsi.
-Lo spero davvero, è il mio rivale in amore e non l’ha certo fatta stare bene come avrei fatto io e questo, oltre a farmi infuriare, mi lascia un dannato amaro in bocca, dato che lei si è innamorata della persona più sbagliata e… - cominciai uno sproloquio che venne interrotto dal campanello  - Questo probabilmente è lui, devo lasciarti.- conclusi la chiamata.
-Fammi sapere.- si raccomandò Stefano un attimo prima che chiudessi la chiamata.
Mi alzai dal letto e posai il cellulare sul tavolo del soggiorno per poi andare ad aprire e trovarmi, senza alcuna sorpresa un Mattia affannato con sguardo terrorizzato.
-Non dovresti essere a scuola tu? È l’ultimo anno, non cominci bene.- borbottai marcando il fatto che ero molto più grande e capace di lui, una sorta di iniezione di ottimismo per il mio ego.
-Non sono qui perché mi faccia una ramanzina, voglio chiederle di Arianne, è malata è vero?- mi chiese il ragazzo non nascondendo un tono angosciato.
-Arianne è una mia paziente e a meno che lei non voglia renderti partecipe del suo stato di salute non ti dirò nulla.- risposi con un’impeccabile professionalità.
-Me l’ha detto Erika.- mi confidò lui, come se questo  lo autorizzasse a farmi domande sulla ragazza che amavo.
-Non avrebbe dovuto dirti una cosa simile, che io non posso confermare né smentire, ma sinceramente…- feci un passo verso di lui- se lei fosse malata tu saresti il veleno peggiore da darle.- sputai fuori dai denti la verità.
-E questo perché? Perché non ricambio i suoi sentimenti? Lei è mia amica ma nulla di più, ma come amico vorrei sostenerla se le capitasse qualcosa.- mi disse arrossendo leggermente.
-Tu non ti rendi nemmeno conto di ciò che ti stai facendo scappare.- mi lasciai sfuggire in un sussurro.
-Cosa dovrei fare dottore? Dire che la amo anche se non è così, illuderla?- mi chiese gesticolando.
-Lo hai già fatto, tu l’hai già illusa pure troppo, l’hai baciata conoscendo i suoi sentimenti, sentimenti che tu non ricambiavi.- replicai a mia volta mettendo in luce il mio pensiero.
-L’ho fatto solo per lei.- mentì lui facendomi definitivamente perdere le staffe.
-Ma non dirmi stronzate, non l’hai fatto per lei, tu l’hai fatto per te, perché amavi l’idea di baciare una ragazza così bella, pensavi che tutti ti avrebbero considerato un figo, perché ammettilo Arianne è la ragazza più bella a cui potresti aspirare, ma poi ti sei sentito alle strette quando lei voleva parlare, ha messo il suo cuore tra le tue mani che tu hai stretto forte distruggendo tutto!- esclamai scaldandomi e accaldandomi ovunque, Mattia era rimasto a fissarmi senza dire una parola, forse perché sapeva quanto avessi ragione e non era in grado di controbattere.
-Ho sbagliato a venire.- disse ad un certo punto.
-Oh beh, su questo sono d’accordo con te!- esclamai
-Scusi il disturbo.- disse prima di voltare i tacchi e andarsene via.
Rientrai in casa e mi gettai sul divano con un sospiro, sperano che lui la lasciasse stare una volta per tutte.
 
 
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My corner:
Salve a tutti, sto facendo uno stage alla scuola materna ora e mi hanno attaccato l’impossibile
quindi in questo momento sono  a casa a scrivere a più non posso per soffocare la noia.
Sono contenta che la storia cominci ad ingranare,
due recensioni nel capitolo precedente grazie mille davvero, sono contenta ;)
Dunque, Andrea ha dato una bella strigliata a Mattia,
so che molti di voi shippano il biondino (soprattutto grazie al presta volto che gli ho dato, come lo amo)

al prossimo capitolo, baci, Mar.

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Capitolo 12
*** Capitolo XII. ***


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L'eroe nero è un cavaliere con l'armatura incrostata di sangue è sporco...
ma nega sempre incessantemente di essere un eroe.

-Frank Miller

 
 


Capitolo XII.
 
Arianne.
 
Alla quarta ora mi ero persa a guardare fuori  dalla grande finestra accanto al mio banco, ero stanca, non facevo altro che leccarmi le labbra sentendo il sapore metallico del sangue, la testa era soggetta a potenti capogiri, ma per le prime due ore era andato tutto bene, nessun calo di zuccheri o svenimento, dopo la seconda ora suonò la campanella che annunciò l’inizio dell’intervallo, mi ero alzata dal mio banco già scarabocchiato da matite evidenziatori e pennarelli indelebili, avevo sentito il bisogno di fumare per far fronte allo stress che il primo giorno di scuola mi aveva provocato. Alla quarta ora le palpebre si chiudevano senza che potessi impedirlo, ero spossata e la testa mi faceva male, pesando sulle mie spalle come una forza insopportabile.
-Ar… tutto bene?- mi domandò in un sussurro la mia amica Giorgia. Io annuii sentendo il mio viso perdere colore, la salivazione aumentare e la nausea cominciare a farsi sentire, una nausea paragonabile ad una coltellata nello stomaco, e intanto lo spillone tra le costole affondava sempre di più causandomi dei brividi, un fiotto di succhi gastrici mi risalì l’esofago bruciandomi la gola, mi piegai a lato del banco per non sporcare il libro di letteratura aperto sulla prima pagina di Machiavelli, e il quaderno di letteratura già scritto di appunti, vomitai la colazione mentre la professoressa di italiano con il suo caschetto biondo spiegava a macchinetta. In un attimo l’attenzione delle mie compagne fu su di me, Giorgia mi passò un fazzoletto con cui mi pulii le labbra, mentre l’odore rancido del contenuto del mio stomaco arrivò alle mie narici in fretta stordendomi ulteriormente. La voce sciolta dell’insegnante si era fermata, la donna si tolse gli occhiali bianchi e mi squadrò con gli enormi occhi azzurri.
-Scocco ti senti bene?- domandò la donna chinandosi su di me. La vista mi si annebbiò per un attimo, le parole morirono in gola e poi divenne tutto buio.
Mi risvegliai in ospedale, accanto a una macchina che non sapevo cosa fosse, faceva un suono strano, gli occhi mi bruciavano e anche la gola, rivolsi lo sguardo fuori dalla finestra era buio, il sole doveva essere tramontato da un pezzo, mi guardai intorno, era la stessa stanza da cui me n’ero andata quella mattina, tastai sul comodino bianco e freddo alla ricerca del mio telefono, ma non lo trovai, mi guardai ancora intorno e adocchiai il mio zainetto appeso a un gancio al muro accanto al mio giubbino di pelle nera. Sospirai rumorosamente conscia del fatto che nessuno poteva sentirmi, ero sola, completamente sola in quella stanza spoglia puzzolente di ammoniaca, strisciai i palmi sulle lenzuola ruvide. Da un lato volevo chiamare l’infermiera, dall’altro però non volevo che quella tranquilla solitudine che stavo vivendo venisse in qualche maniera turbato, perché infondo mi piaceva. Avevo sempre trovato piacevole la solitudine, ero la classica ragazza che si chiudeva in sé stessa, che sembrava estroversa ma in realtà si teneva tutto per sé, non dicevo mai qualcosa di concreto, quando mi confrontavo con la gente operavo il gioco del prestigiatore, ma intanto i miei demoni ristagnavano dentro di me, tra gli organi interni, alcuni si annidavano nell’intestino, tra le arterie.. e chi lo sa? Magari alcuni erano proprio la causa del mio cancro, del mio male. Me l’ero chiesto così tante volte da quando avevo scoperto la mia malattia, non avevo paura della morte, in realtà era la vita che mi terrorizzava incredibilmente. Restai nel buio con le ossa dolenti e la testa vuota, poi i flash dei momenti prima di svenire presero il sopravvento, il vomito, la mia insegnante che mi scrutava, la classe che mi fissava e il buio.
 
Andrea.
 
Il mio cellulare squillò attirando la mia attenzione, era quasi mezzogiorno e nella mia testa non faceva che ripresentarsi l’incontro avuto poche ore prima con Mattia, grosse domande si affollavano tra i miei flashback. Lui l’amava? Avrei dovuto raccontare tutto ad Arianne?  Lei lo amava ancora? Ci sarebbe mai stata una possibilità per me? Le mie domande non facevano altro che ossessionarmi e probabilmente non avrebbero mai avuto una risposta, avrei fatto finta che l’incontro con Mattia non fosse mai avvenuto e per il resto mi sarei esclusivamente occupato di salvare lei, di combattere il suo male. Quella telefonata mi fece abbandonare le seghe mentali, Arianne era stata nuovamente ricoverata, aveva vomitato in classe e poi era svenuta. Una sensazione a me conosciuta si fece largo tra l’intestino e lo stomaco, senso di colpa. Avevo premuto io sulla commissione perché la dimettessero per il primo giorno di scuola, non volevo che il tumore condizionasse la sua quotidianità, la quotidianità di una ragazza adolescente che frequentava il terzo anno di liceo, ma la verità era che il tumore avrebbe inevitabilmente cambiato la sua vita, non potevo illudermi del contrario, né tantomeno illudere lei, sarebbe stato scorretto e ingenuo. Mi vestii in fretta e mi sciacquai il viso cercando di svegliarmi. Feci una corsa per arrivare all’ospedale, sforando incredibilmente il limite di velocità della statale. Parcheggiai al mio posto, di fronte all’ingresso sud della struttura, afferrai la mia tracolla marrone e a passo spedito mi diressi all’ascensore numero quattro pieno di gente tra infermieri, medici e assistenti.
-Lara  in che stanza hanno portato Arianne.. ehm cioè la signorina Scocco?- domandai a Lara, la caposala quarantenne meridionale che era da poco stata trasferita in quell’ospedale.
-Numero 216, la stessa che aveva lasciato ieri, è passato Anton prima, era su tutte le furie, ha minacciato di farti sentire dalla commissione, io ho cercato di calmarlo, in fondo non hai ucciso nessuno..- cominciò a parlare la donna.
-Grazie Lara, me la vedo io.- tagliai corto, mi infilai il camice lungo e mi diressi nella camera di Arianne, non ero di turno quel giorno, era il mio giorno di riposo, ma non importava, lei era l’unica cosa che contava per me in quei momenti.
Entrai nella stanza e la trovai addormentata sotto le coperte bianche con la flebo appena cambiata e l’elettrocardiogramma attivato che produceva alcuni suoni. Afferrai la cartella clinica e diedi una rapida ma approfondita occhiata ai fogli compilati dalla calligrafia cicciottella del mio collega Emilio. Aveva avuto un calo di zuccheri, mi ero raccomandato di farla mangiare alle infermiere prima di farla uscire dall’ospedale, il suo corpo era già debole per via della chemio, sarebbe bastato poco per farla crollare, avrei dovuto immaginarlo. Mi passai una  mano sul viso e mi sedetti accanto al suo letto ad osservarla dormire, il suo petto appena coperto dal lenzuolo bianco, rimasi lì finché una chiamata sul mio cercapersone, lessi il numero della camera che riteneva la mia presenza, era la 208 la signora  Melliccu era ad uno stadio terminale di cancro all’utero, una delle pazienti più gravi che avevo in quel momento, mi alzai di scatto e mi precipitai otto camere indietro, nella stanza della donna. La poveretta  stava avendo un attacco cardiaco.
-Il carrello delle emergenze presto!- gridai ad una delle infermiere della stanza che si precipitò fuori, notai vicino al letto della donna dai capelli grigi, la figlia trentenne che piangeva.
-Portate fuori la signorina perfavore!- gridai di nuovo all’altra infermiera, quella mora.
Il carrello delle emergenze fece il suo ingresso rapido spinto dalla prima infermiera che avevo comandato.
 Presi le piastre, già attive. L’infermiera mora  mi fu accanto in un lampo e cominciò a spalmare il gel conduttore e protettore attorno alla posizione in cui si trovava il cuore.
-Carica a duecento- ordinai alla bionda che eseguì.
-Libera.-
Nessun risultato, l’ECG suonava piatto. Quel suono tormentava le mie notti ormai, era sempre difficile riuscire a non coinvolgersi nei casi, soprattutto se sei un oncologo e sai perfettamente cos’è il cancro, come consuma le persone, come le cellule si ammalano e muoiono, io lo sapevo bene e quel fischio acuto e prolungato era la mia paura più grande.
Biiiiiip. Biiiiip.
 
Quel suono speravo che non avrei mai dovuto sentirlo nella stanza 216, deglutii e mi passai una mano sul volto sudato, l’infermiera bionda spense la macchina, quella mora mi guardava con la cartella ferma alla pagina del decesso, aspettandomi.
Alzai lo sguardo fino all’orologio sulla parete innanzi a me, appena sopra la porta della stanza.
-Ora del decesso l’una e quarantasette.- dissi con voce piatta, mi tolsi i guanti di lattice e li lanciai nel cestino accanto al comodino.
Uscii dalla stanza e trovai la figlia della paziente molto preoccupata.
-Dottore..- mi chiamò con un filo di voce, temendo per le cose che stavo per dirle, aveva ragione a temerle.
-Signorina Melliccu,  abbiamo cercato di rianimare sua madre, ma purtroppo se n’è andata.- dissi cercando di mantenere la voce ferma.
La donna di fronte a me cominciò a piangere con il volto angosciato.
-Mi dispiace.- dissi posandole una mano sulla spalla destra, lei si appoggiò a me continuando a piangere, mi veniva male a pensare a quante lacrime dei parenti dei miei pazienti avevano macchiato il mio camice bianco. Mentre consolavo la donna comparve Carlo all’inizio del corridoio e mi guardò salutandomi con la mano, gli rivolsi uno sguardo disarmato e poi mi staccai dalla donna.
-Signorina, se vuole andare a salutare sua madre può farlo, nella stanza troverà delle infermiere che le faranno firmare dei moduli per l’autopsia facoltativa e il trasferimento in obitorio, ancora condoglianze per la sua perdita.- le dissi, lei annuì e si avviò nella stanza trascinando i piedi.
Io mi avviai verso Carlo.
-Non so come tu faccia a fare questo lavoro.-  mi disse appena gli fui davanti.
-Già, mi hai preso nel momento peggiore. Sei qui per Arianne vero?- gli chiesi.
-Sì i miei lavorano quindi sono qua io.- rispose lui.
Cominciammo a camminare  lungo il corridoio.
-Ora  è stabile, sta dormendo… ha avuto un calo di zuccheri, ma nulla di preoccupante, è stata colpa mia, non avrei mai dovuto farla uscire dopo la chemio, era troppo debole.- confessai io portando le mani dietro la schiena.
-L’hai solo accontenta so quanto ci teneva, al posto tuo avrei ceduto anche io.- mi tranquillizzò Carlo.
-Se posso darti un consiglio sarebbe il caso di tenerla qua finché il ciclo di chemio non è finito, occuparsi seriamente di questo e poi farla tornare a scuola, qui c’è comunque un’insegnante potrà lo stesso studiare se lo vorrà.- introdussi l’argomento del ricovero in punta di piedi con molta cautela, vidi Carlo farsi pensieroso. Ci fu qualche attimo di silenzio.
-Devo parlarne con i mei.- rispose in un sussurro.
-Certo, fammi sapere.- dissi io con un mezzo sorriso.
Io non ero un eroe, non mi ero mai considerato un eroe, parecchie volte mi avevano definito tale, soprattutto quando salvavo i bambini dalla leucemia, gli raccontavano tutti che ero un eroe, ma non mi ero mai sentito tale, perché la mia armatura è incrostata di sangue, del sangue di tutti quelli che non sono riuscito a salvare, in realtà il cancro mi aveva portato via molti più pazienti di quanti avessi fatto io e la mia carriera era appena iniziata, ma ero già stanco e rassegnato al dover pulire la mia armatura.
 
 

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My corner:
Ciao a tutti e scusatemi per il ritardo, ho aggiornato prima di partire per la mia gita a Napoli,
ringrazio tutti quelli che hanno recensito gli scorsi capitoli,
forse non ve ne importerà nulla ma mi sono fidanzata *-* .
Vi lascio con il mio
Facebook: https://www.facebook.com/mar.efp
 Ask: http://ask.fm/MarEfp
a presto,  Mar.

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII. ***


Image and video hosting by TinyPic “Tu eri sempre presente. In ogni idea. In ogni decisione. E se qualcosa non è di tuo gusto, io la cambierò.”
—        Il grande Gatsby

Capitolo XIII.

Arianne.
 
Mi aggiravo per i corridoi dell’ospedale come un fantasma, avvolta nel mio pigiama verde smeraldo con la flebo attaccata al braccio e le babbucce bianche, ormai sporche. Mi trovavo ricoverata da tre settimane e la vita dell’ospedale era a dir poco noiosa, a parte i miei attacchi di vomito frequenti, non sentivo grandi problemi al mio fisico, tuttavia ne ero certa, ero solo all’inizio della chemioterapia e Andrea mi aveva avvisato del lungo itinerario che avevo di fronte. Era sabato mattina, le nove circa e non avevo voluto fare colazione, probabilmente mi aspettava una sgridata di Andrea quando sarebbe entrato in turno, la caposala era una grande pettegola, mi aveva detto che aveva promesso al dottor Proterra di tenermi d’occhio. Guardandomi intorno afferrai il mio pacchetto di sigarette che tenevo nella tasca dei pantaloni del pigiama. Uscii nel cortile sentendo la pelle pizzicare per il fresco della mattina di inizio autunno. Ad ogni respiro una nuvola di vapore si formava a pochi centimetri dalla mia bocca. Tirai fuori una camel e me l’accesi con l’accendino rosso che era quasi finito, avrei dovuto chiedere a mia sorella di portarmene un altro al più presto. Aspirai sentendo i polmoni gonfiarsi e il sapore del tabacco inondare la mia bocca, non avevo molte occasioni di fumare, anche perché Andrea non voleva, l’ultima volta si era veramente molto arrabbiato, i suoi occhi si erano quasi infiammati ed è stata la prima volta che mi ha urlato contro.
-Non capisco se tu sei sorda, o solo stupida… se le cose che dico non le senti proprio o non le vuoi sentire!- sentii esclamare alle mie spalle dalla voce rauca e dura del mio dottore, il fumo mi andò di traverso e iniziai a tossire, lanciai la mia sigaretta per terra e la spensi in fretta e furia con la suola della scarpa da tennis, tanto ormai mi aveva sgamata! Sospirai e poi mi voltai lentamente facendo ondeggiare i pochi capelli che mi erano rimasti in testa.
-Non le voglio sentire.- risposi io sofferente.
Andrea sospirò rumorosamente e si avvicinò di qualche passo a me.
-Cosa succede Arianne?- mi chiese posandomi una mano sulla spalla.
-Quanto durerà ancora?- chiesi a mia volta deglutendo sentendo tutto lo stress delle ultime settimane piombarmi addosso.
-Non molto…- sussurrò lui avvicinandosi ancora -… te lo prometto.- mi assicurò poi dopo aver notato la mia espressione statica di stanchezza.
Lasciai che mi abbracciasse restando protetta dalle sue braccia forti, mi sentivo al sicuro con lui, il nostro rapporto si era stretto un sacco da quando ero stata ricoverata. Spensi il mozzicone della sigaretta nel posacenere. Lui si allontanò di qualche passo.
-Dai andiamo.. ti porto a fare un giro.- mi propose con un gran sorriso porgendomi la mano.
Cedetti a quel meraviglioso sorriso, afferrai la sua mano e  mi lasciai trascinare in pronto soccorso. Adoravo quando mi faceva fare quei giri, mostrandomi il suo mondo, il mondo ospedaliero era un mondo affascinante, ogni tanto avevo visto anche cose davvero spiacevoli, ma non mi aveva mai davvero sconvolto. Andrea mi portò nella sala d’attesa in cui stavano numerosi pazienti in attesa della chiamata, poi ci spostammo in accettazione.
-Ehi principessa di oncologia, come te la passi? È da molto che non vieni quaggiù.- mi salutò allegramente Giulio, il centralinista dell’accettazione.
-Se non viene è perché non sta bene Giulio.- rispose Andrea al mio posto.
-Questo vuol dire che stai meglio?- domandò lui passando lo sguardo da Andrea a me.
-Mi sento più in forma.- risposi sorridente.
Ad un tratto il clima tranquillo del pronto soccorso mutò, un’infermiera con indosso un camicie asettico giallo e un’aria ansiosa arrivò all’accettazione.
-Dottor Proterra , è pieno di turni scoperti e mi serve un dottore, sta arrivando un’ambulanza con un ferito grave, incidente stradale.- lo informò la donna.
Andrea lanciò un’occhiata all’ora.
-Tra quanto arriva?- domandò con un tono di voce leggermente preoccupato.
-A momenti.- rispose la donna.
-Arianne va in camera, tornerò a controllarti dopo.- mi ordinò
-Se vuoi posso aspettarti qua.- sussurrai io guardandolo in faccia.
-Ti ho detto di andare in camera.- mi gridò brusco infilandosi un camice come quello dell’infermiera.
-Ok..- risposi rassegnata e piuttosto colpita dal tono con cui si era rivolto a me, non mi aveva mai parlato così. Mi trascinai per i corridoi portandomi dietro la flebo, che fra l’altro era quasi finita. Andai in sala ascensori e aspettai qualche istante prima che ne arrivasse uno, appena le porte si spalancarono entrai e mi resi conto solo dopo di aver interrotto due specializzandi che pomiciavano soli nell’ascensore.
-Ehm buongiorno.- disse imbranato il ragazzo cercando di apparire normale.
Mi morsi il labbro inferiore per non scoppiare a ridergli in faccia, quanto li invidiavo però, avrei voluto avere anche io una vita normale, il massimo dei loro problemi era di essere beccati a sbaciucchiarsi in ascensore, sul posto di lavoro.
-Oh fate pure come se non ci fossi.- dissi maliziosa inarcando le sopracciglia.
-Uhm… quinto piano?- domandò lui indicando con il dito il bottone del piano di oncologia.
Annuii.
-Si nota molto vero.- sussurrai abbassando gli occhi sulle mie mani, notando i fili della flebo attaccati al polso.
-No… beh un po’.- rispose sempre lui.
Sospirai.
-Non siete proprio in grado di mentire o dire bugie.- replicai sentendo il suono dell’arrivo dell’ascensore. Prima che potessero rispondere uscii dall’abitacolo trascinando con me la flebo. Oncologia era un reparto davvero triste, ma con i pazienti era come una grande famiglia, stavamo combattendo tutti la stessa battaglia e spesso ci prestavamo la forza a vicenda. Se c’era una cosa che mi faceva stare bene era andare nell’ala ovest del reparto, dove vi era oncologia pediatrica. E fu quello che feci anche quella mattinata. Mi piaceva leggere le storie ai bambini, era divertente e loro mi adoravano.
Arrivai nella sala grande in cui i bambini giocavano o guardavano i cartoni animati in compagnia delle infermiere e dei genitori talvolta. Appena entrai un saluto di gruppo mi diede il benvenuto.
-Ciao Arianne.- gridarono in coro alcuni bambini.
-Ciao piccoli.- ricambiai il saluto sorridendo.
-Arianne, Arianne… oggi ci leggi Hansel  e Gretel?- mi domandò Luca, un bambino di sette anni con la leucemia.
-No, oggi leggerà Cenerentola!- esclamò Rachele, un’ altra bambina malata di leucemia di cinque anni.
-Facciamo così, prima leggo Hansel e Gretel e poi Cenerentola, ma le leggo una volta sola è chiaro?- dissi mettendo le cose in chiaro fin da subito, spesso i bambini mi costringevano a ripetere la storia tre o quattro volte ed era troppo pesante persino per me che con i bambini non avevo problemi.
Mi sedetti al centro del tappeto e i bambini si sedettero a mezzaluna intorno a me.
-Però vogliamo le voci.- mi avvisò Rachele.
-Va bene.- accettai consapevole che mi divertiva più a me che a loro fare le voci buffe.
Ad un tratto notai che mancava uno  dei miei ammiratori più sfegatati.
-Ma Alberto non c’è?- domandai poco prima di iniziare.
-L’infermiera dice che è diventato un angelo.- mi confidò Adriana, una bambina di dieci anni.
Il mio cuore subì un brutto colpo a quella notizia, era sempre triste conoscere i bambini che se ne andavano troppo presto, avevano ancora fatto così poche esperienze, ma dovetti mettere via la mia tristezza per distrarre gli altri bambini, era ancora più importante prenderli con le favole in quei momenti, in modo che non pensassero che sarebbe potuto capitare anche a loro un domani forse non troppo lontano.
 
Andrea.
 
Il turno in pronto soccorso mi aveva messo a dura prova, si trattava di un caso delicato, ma non urgente, una ragazza era stata investita mentre andava in vespa al lavoro, aveva riportato un trauma cranico e un ematoma sub durale, che però si era assorbito in poco più di un’ora. Mi tolsi i guanti e ripensai a come avevo risposto ad Arianne poche ore prima, ero stato troppo brusco, lo sapevo, tuttavia era una reazione dovuta semplicemente allo stress della situazione in cui mi ero trovato. Andai a pranzare diretto in mensa, cercai di fare più velocemente possibile. Dopo il pranzo mi diressi nella stanza di Arianne, ma una volta entrato notai il letto sfatto, la flebo staccata e un paio di fogli del suo quaderno accartocciati, ne presi uno e lo distesi era tutto scarabocchiato, i tratti di penna nera non formavano alcuna parola, alcun disegno o alcun segno comprensibile ai miei occhi, probabilmente aveva avuto uno scatto di collera, la prova della mia tesi fu anche il vassoio del pranzo rovesciato a terra, il piatto di pasta era schizzato vicino alla finestra spandendo tutto il contenuto, la caraffa e il bicchiere erano vuoti accanto a terra gettai in malo modo che navigavano in una pozza d’acqua. Mi morsi il labbro inferiore e mi passai una mano tra i capelli. Dove poteva essere finita Arianne? Rimasi a riflettere per qualche istante, finché l’idea non mi colpì la mente. Come un fulmine schizzai fuori dalla stanza incrociando uno specializzando che stava entrando nella stanza di Arianne.
Salii le scale più in fretta che potei fino ad arrivare alla scala antincendio che portava al tetto. La mia intuizione non era sbagliata, infatti non appena misi piede sul tetto notai la figura della ragazza slanciata in camicia da notte mi stava davanti. Deglutii e dopo qualche istante mi avvicinai a lei a passi lenti.
-Ari…- la chiamai lanciando quel soprannome a mezz’aria, notai un suo sospiro profondo non appena mi ci avvicinai.
-Quando finirà tutto questo Andrea?- sussurrò in un soffio la ragazza stando innanzi a me senza neanche voltarsi, lo faceva spesso e mi chiedevo come sapesse con certezza che ero io quello che stava alle sue spalle.
-Finirà presto… te lo prometto.- la rassicurai accarezzandole la spalla. La mia mano fu presto raggiunta dalla sua. Mi aspettai che si voltasse,  ma non lo fece rimase ferma con lo sguardo fisso sui tetti degli edifici accanto alla struttura ospedaliera. Le poche ciocche di capelli che le erano rimaste in testa erano lisce e lunghe fino alle spalle, in alcuni punti la ragazza aveva iniziato a diventare pelata e la pelle lucida spuntava come un sasso in mezzo a un prato verde.
Inalai il suo odore che sebbene contaminato da farmaci era quello fresco di sempre.
-Alberto è morto.- mi confessò in un singhiozzo.
-Alberto chi?- domandai preoccupati.
-Il bambino di oncologia pediatrica.-  mi chiarì lei.
Mi morsi il labbro, sapevo che lei andava spesso dai bambini per giocare con loro e speravo che non scoprisse della morte del bambino con la leucemia fulminante, io e il mio collega Daniel avevamo fatto l’impossibile per salvarlo, ma non era bastato a quanto pare.
 Strinsi il fragile corpo di Arianne.
-Mi dispiace Arianne.- le sussurrai all’orecchio incastrando il mento sulla sua spalla e stringendola forte a me. Notai il suo corpo aderire al mio in modo perfetto, si asciugò  quelle poche lacrime che le erano rimaste sulle guancie. Non riuscivo a smettere di guardare la pelle bianca e compatta. Ad un tratto vi posai le labbra sopra baciandole il collo delicatamente, la sentii irrigidirsi e il suo respiro aumentare, sbirciai i suoi occhi, erano spalancati, le labbra semiaperte erano piegate in una smorfia piacevolmente sorpresa facendomi sperare per il meglio. Dopo un po’ Arianne si voltò fissandomi negli occhi.
Marrone contro marrone.
Rimase a fissarmi con le labbra semiaperte, le mie mani avvolsero il suo mento toccando anche le guance e mi sorpresi di quanto erano fredde, avvicinai il suo volto al mio e la baciai come da troppo tempo volevo faro, diedi sfogo a una buona parte del mio amore tramite quel bacio, sentendo le sue labbra che sapevano di medicine, e in quel momento realizzai che era lei la mia medicina.

 
 
My corner:
Ciao a tutti scusate per il ritardo, ma prima non ho potuto aggiornare, è da molto che sto scrivendo questa storia e il mio entusiasmo non è calato nel scriverla, come non è calato il vostro nel seguirla, almeno spero. Grazie se siete arrivati fino a qua e grazie a chi ha recensito gli scorsi capitoli, a presto,Mar. 
 
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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


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Capitolo XIV
 
“L’amore è il nostro vero destino, non troviamo il senso della nostra vita da soli, lo troviamo assieme a qualcun altro.”
- Thomas Merton.


Due anni dopo.
 
Arianne.
 
Me ne stavo a letto da dieci minuti a fissare la sveglia sul comodino aspettando con angoscia che suonasse, appena scattarono le otto la mia attesa terminò, spensi la sveglia e mi alzai con fatica dal mio letto. Avevo dormito pochissimo per l’ansia e fui sollevata quando, guardandomi allo specchio, notai che non avevo occhiaie più profonde rispetto al solito. Mi tolsi la t-shirt e mi infilai il reggiseno. Faceva ancora male vedere il mio seno, consapevole che fosse finto, ed era evidente.  A diciannove anni avere il seno finto era ancora una vergogna per me. Ma infondo, meglio aver dovuto fare una mastoplastica piuttosto che dover morire. La chemioterapia era servita a poco, e i dolori, la debolezza e le nausee erano riusciti solo a farmi perdere un anno di scuola. E oggi era il momento della verità,  oggi avrei sostenuto l’esame orale per la maturità, e finalmente avrei preso il diploma, in ritardo rispetto ai miei coetanei, e anche se sapevo che  non era colpa mia, era infelice lo stesso la mia situazione.
Mi vestii in fretta e andai in cucina dove mia madre aveva già preparato la colazione, il nostro rapporto era migliorato da quando mi ero ammalata, forse proprio grazie alla mia malattia era migliorata.
Carlo era seduto a tavola e leggeva il giornale mentre sorseggiava una tazza di caffè.
-Ehi, pronta per oggi?- domandò con voce squillante non appena mi vide.
-Mai stata più pronta!- esclamai sorridendo.
-Brava! Ti voglio bella energica.- mi disse sorridendo.
Annuii mentre mi versavo i cereali nel latte freddo.
-Vedrai Andrea più tardi?- domandò con un  sorriso.
Ci avevano messo molto ad  accettare la nostra storia, soprattutto mio fratello, la grande differenza di età  e il fatto che fosse un suo caro amico erano le motivazioni principale che spingevano a detestare noi due insieme. Avevano anche litigato, litigato di brutto. Andrea aveva dovuto giurare, con un labbro spaccato e un ematoma sotto il petto, aveva giurato che non mi avrebbe mai toccata e che non avrebbe mai cercato di venire a letto con me, e soprattutto aveva giurato che non mi avrebbe mai fatto soffrire. Conoscevo mio fratello, e sapevo che lui non aveva mai creduto ai suoi giuramenti, ma l’idea di aver fatto tutto ciò che poteva per proteggermi lo aveva messo a posto con la coscienza e dopo qualche mese che ci vedeva assieme, aveva rinunciato a farci la guerra e aveva approvato in modo silenzioso la nostra relazione.
Io e Andrea  facevamo l’amore, ma non mi aveva mai forzata ed ero contenta di aver perso la verginità con lui, per molte mie compagne di classe e amiche, e anche per mia sorella, la perdita della verginità era un argomento delicato e un brutto ricordo, ma per me non era così, anzi, era stato perfetto, fatto ridendo senza farmelo pesare. Era successo d’estate dopo la mastoplastica, Andrea era convinto che campeggiare qualche giorno sulla spiaggia mi avrebbe aiutato, che respirare l’aria di mare avrebbe sconfitto la depressione lasciata dalla mia malattia e avrebbe notevolmente contribuito a riprendermi anche fisicamente. Ma io sono sempre rimasta convinta che la cosa che, in quella vacanza, aveva giovato di più alla mia salute fisica e mentale, non fu il profumo di salsedine e il rumore delle onde, ma la presenza di lui. Una delle ultime notti, vicini nella tenda blu, sopra i sacchi a pelo era successo e mi aveva cambiato la vita. Ero stata io a volerlo, per questo forse mi era piaciuto così tanto.
Guardai Carlo e sorrisi.
-Sì viene a prendermi verso le dieci quando avrò finito l’esame, tanto oggi è il suo giorno libero.- risposi solare.
- Bene, avete progetti per l’estate?- chiese ancora mio fratello.
- Parlavamo di andare un paio di settimane in Sicilia, a rilassarci un po’, a Messina, il mare è così bello laggiù.- risposi lavando  la mia ciotola.
Dopo essere andata in bagno presi la borsa e le chiavi della macchina ed uscii. I nonni mi avevano regalato una bellissima cinquecento azzurra, ne andavo matta, anzi forse era una delle cose che mi permetteva di non impazzire, quando in casa mi sentivo soffocare.
Arrivai davanti alla scuola piuttosto in anticipo e mi sedetti sulle panchine fuori sfogliando il quaderno con gli appunti di filosofia e storia, le materie su cui mi sentivo più insicura. Una mia compagna di classe uscì dalla scuola con un sorriso guardando il cielo, poi mi vide e si fermò con me a chiacchierare. Mi parlò dell’esame e di quali interni fossero più stronzi, mi diede qualche dritta che apprezzai molto. Ma non passò molto prima che arrivasse il mio turno e con un bel respiro entrai nella classe, dove la commissione mi attendeva assetata di sangue.
 
 

Andrea
 
Quello era un gran giorno per Arianne ed ero contento che capitasse nel mio giorno libero in modo da poter stare con lei il più possibile. Ne avevamo passate così tante insieme, il suo cancro, Carlo che si era opposto alla nostra storia, la sua bocciatura, e anche il ritorno di Mattia. Quest’ultimo era forse il ricordo che mi faceva sentire più soddisfatto e consapevole di quanto lei mi amasse.
Mattia era tornato in un giorno di autunno mentre si scatenava un temporale, era venuto a casa di Arianne, bagnato fradicio mentre noi stavamo guardando Il grande Gatsby alla televisione sotto una coperta di pail. Lo avevo ammirato quando, nonostante ci fossi io presente, aveva confessato ad Arianne che l’amava e che era pronto per stare con lei. Ma Arianne si arrabbiò molto quella sera, gli gridò contro tutto ciò che pensava, pensieri più che giusti. Lo rimproverò perché non c’era stato quando stava male, alla prima occasione l’avrebbe abbandonata di nuovo. Per non parlare del fatto che lei non provava più niente per lui, ora che si era innamorata di me. Mattia se n’era andato  con la coda tra le gambe e probabilmente con il cuore infranto, ma io ero diventato un uomo nuovo, pieno di consapevolezza, pieno di nuova vita. Avevo avuto paura all’inizio della relazione fra me e Arianne, perché la presenza di Mattia la sentivo ingombrante, come se fosse ancora nei suoi pensieri e questo mi aveva reso insicuro, talvolta intrattabile e scontroso e per questo ragione di numerosi litigi e sbalzi d’umore anche sul lavoro. Avevo paura che lei se ne andasse per tornare da lui, che i suoi sentimenti per Mattia fossero rimasti gli stessi, ma non era così e ora stavamo più che bene.
Mi feci una doccia e la barba, e mentre mi fissavo allo specchio notavo i segni della vecchiaia incombere su di me, avevo compiuto  29 anni da quasi cinque mesi e ogni tanto pensavo alla necessità di costruirmi una vita, ma non osavo mai parlarne, perché Arianne era molto giovane, a diciannove anni si ha ancora voglia di sentirsi completamente liberi e di divertirsi. Quando ne parlavamo lei mi diceva che era più che soddisfatta di rinunciare a un piccolo pezzo di libertà per essere felice come lo era con me.
Fu Carlo ad accompagnarmi a scuola di Arianne e mi lasciò anche una busta che conteneva la lettera dell’università, che conteneva la risposta per l’ammissione ai corsi.
Arrivai puntuale alla scuola, dopo pochi minuti vidi la mia ragazza, con i capelli lunghi illuminati dal sole, con un sorriso e gli occhi puntati nel cielo, stretta nel suo vestito con i fiori rossi . Poi mi vide e stringendosi la borsa cominciò a correre verso di me per poi saltarmi addosso, l’afferrai per i fianchi e la riempii di baci. Vederla felice era gratificante e mi riempiva il cuore. La misi giù e ci sedemmo su una panchina, mentre continuava a darmi dei baci tenendomi il viso delicatamente.
-Come è andata bimba?- le domandai.
-Benissimo amore! Quello di filosofia voleva mettermi in difficoltà, ma è andata benissimo.- rispose con un gran sorriso.
-Sono contento, ne ero sicuro.- le dissi. Poi tirai fuori la busta dalla giacca.
-Bimba… ehm Carlo mi ha fatto avere questa è arrivata un’ora fa, dall’università.- le dissi porgendole la busta. Lei la guardò e la prese insicura.
-E se non sono stata ammessa… io non ho un piano B.- mi confessò la sua paura.
-Ci penseremo se sarà così, ma avevi studiato moltissimo per il test vedrai che sarà andata bene, potremmo continuare a discutere oppure aprire la busta, insieme.- cercai di tranquillizzarla io.
Arianne prese un gran respiro e si fece coraggio, con le mani tremanti aprì la busta e ne estrasse il foglio piegato. La guarda mentre lo dispiegava e quando rimase a fissare il testo con gli occhi castani che si muovevano veloci e un sorriso ancora più grande sul suo viso si formò poco a poco.
-Mi hanno presa.- mi disse calma guardandomi negli occhi, per poi saltarmi al collo e baciarmi di nuovo. La strinsi forte e mi alzai con lei in braccio facendola saltare tra le mie braccia, ma tenendola forte.
Poi andammo a pranzo in un localino carino, lei non faceva che parlare dell’università, di come il corso di psicologia fosse il suo sogno da quando aveva quattordici anni.
Mentre mangiavamo mi feci coraggio e le confessai la mia proposta.
-Arianne, dato che sei entrata a Psicologia e che la facoltà è a solo un paio di isolati dal mio appartamento, ti andrebbe di trasferirti da me?- le chiesi. Arianne sorrise e mi guardò.
-Volevo proprio che me lo chiedessi.- rispose allegra.
-Davvero? Ma non ti spaventa?- chiesi ancora stupito.
-Perché dovrebbe? Io ti amo.- replicò lei con ovvietà.
-Ti amo tanto anche io, e sai perché?- le dissi, lei negò con la testa.
-Perché tu hai lottato, hai vinto e hai sofferto, ma non ti sei arresa mai!.

 
Questo è l’ultimo capitolo della storia, spero che sia piaciuta, grazie a tutti quelli che mi hanno sostenuto e sono rimasti fino a qui. Scusate per il ritardo, ma ho avuto un lunghissimo blocco e piuttosto che scrivere stupidaggini tanto per scrivere, ho aspettato di sbloccarmi. Baci, Mar.
 
 
 
 
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