That's the way, I think.

di Littlecancer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bastardissimo tour. ***
Capitolo 2: *** Scarlet. ***



Capitolo 1
*** Bastardissimo tour. ***


 
















 
                                                                                                                         
 


"Monsters are real, ghost are real too.
They live inside us, and sometimes, they win."

-Stephen King



 
1.
 
-No, Robert. Ora chiudi quel finestrino, ci ho messo ore a sistemarmi i capelli.
-Sei una femminuccia, Pagey.
-Chiudilo e basta.
Jimmy Page era estremamente spaventato dal vento, o da qualunque cosa potesse influire sulla sua pettinatura –era molto attaccato ai suoi ricci-. Nessuno doveva toccarli, e persino quando lo permetteva non poteva farsi mancare quella lieve smorfia infastidita.
Robert lo chiuse con un lieve sospiro, stravaccandosi il più comodamente possibile sulla poltrona di fronte a quella del collega. Bonzo dormiva accanto a lui con una guancia premuta sul finestrino, ormai condensato dal suo respiro, mentre John, dall’altra parte, vagava nel proprio mondo con lo sguardo fisso sulle abitazioni londinesi. Finalmente erano tornati a casa. Un po’ di riposo non ha mai fatto male a nessuno, del resto.
-Andrai a trovare Scarlet e Charlotte?
-Domani, ho bisogno di stare un po’ da solo per il momento.
Detto ciò, si mise a giocherellare con una delle sue ciocche corvine, che non lasciò fino a quando scese di fronte alla Tower House, un alto colosso rossastro e forse fin troppo antico per i gusti della maggior parte delle persone. Tranne che per lui. Adorava quel posto, si sentiva parte di quel posto, come successe in Scozia: la Boleskine House. Ma si erano verificate troppe anomalie da poter comprendere del tutto, così da lasciarla perdere con molta esitazione.
Salutò tutti, anche Bonzo che in tutta risposta gli donò un sonoro grugnito nel sonno –questo lo portò a delineare l’ombra di un sorriso divertito sulle labbra-, per poi chiudere la portiera e restare lì, di fronte a casa propria. Se casa si poteva definire. La contemplò per parecchio tempo di fronte ai piccoli cancelli in ferro battuto, dalla punta della torre fino all’entrata, lievemente nascosta dai rami di uno dei tanti alberelli rinsecchiti dall’autunno. Il vento li faceva danzare gli uni con gli altri, in una macabra danza di fine settembre.
Morirai solo, Jimmy, lo sai questo? La solitudine cresce come un cancro, è una malattia dalla quale è difficile riprendersi, forse è impossibile. E tu fai parte di quest’ultima categoria.
Non chiedo di meglio.
Non sai quello che vuoi.
So che dovrei smetterla di blaterale da solo ed entrare una volta per tutte in casa.

Venne investito da tutti i dettagli sui muri, i dipinti, i particolari scolpiti molti anni fa. Non poté fare a meno di studiare anche quelli, come se fosse la prima volta che varca la soglia di quel magico luogo. Sicuro è che ogni volta ne rimaneva ammaliato, perso in tutto quello che la casa gli mostrava, vanitosa e provocatrice, come se volesse sbattergli in faccia il fatto che non esista dimora migliore all’infuori di quella.
-Quanto sei spudorata, ragazza mia.
Accarezzò una delle pareti, insieme a una risata monocorde.

 




2.
 
La sera restò vicino al fuoco del camino, seduto su una comodissima poltrona a leggere uno dei suoi libri favoriti: Magik. Probabilmente sarà stata la milionesima volta che rilesse quelle righe senza minimamente stancarsi, Aleister Crowley fu un personaggio strano, che molti fraintesero senza cogliere il reale significato del suo credo.
-Gente ignorante, senza un minimo di materia grigia.
Clic.
Alzò gli occhi dal libro, distratto da quell’effimero rumore.
Nulla di cui preoccuparsi, probabilmente è il rubinetto del bagno chiuso male, questa casa è parecchio antica e nonostante abbia restaurato qualcosa, non sono stati toccati i lavandini dei due bagni.
In effetti, erano davvero sublimi, solo un pazzo li avrebbe sostituiti con un comune pezzo attuale. Riprese la lettura senza una grinza in volto.
Clic.
Questa volta mantenne lo sguardo puntato sulla riga finale di pagina 83, senza leggerla davvero.
Clic.
Non veniva dal bagno come prima aveva presupposto, anzi, proprio da tutt’altro punto. Alla sua sinistra. Forse. Anche lì non vide assolutamente nulla appena si voltò, come se il suono venisse unicamente dalla sua testa. E probabilmente era così, il tour americano lo aveva fatto a pezzi senza lasciarne gli scarti, nemmeno le feste e le groupies l’avevano ravvivato, ad alcune invece non aveva proprio partecipato.
Clic.
-Oh, ma insomma!
Chiuse il libro, facendo vibrare nell’aria un gran tonfo tra la luce soffusa e calorosa del fuoco. Semplicemente, ripeté il gesto precedente, voltandosi ancora una volta con espressione inacidita. Di scatto. L’unica cosa che risaltava agli occhi era un quadro, nemmeno troppo costoso. In realtà è sempre stato lì, non l’aveva mai spostato o altro, forse perché per certi aspetti voleva mantenere la stessa atmosfera di come è stata lasciata.
Lo fissò per svariato tempo, con “Magik” in grembo e le gambe accavallate. Proprio non capiva da dove venisse quel fastidiosissimo gocciolio. Sbuffò aggraziatamente, posando la nuca sull’estremità di legno del bordo dello schienale. Occhi chiusi e palpebre ferme, mento all’insù.
Casa dolce casa, e io che quasi ti amavo. Cominci a farmi scherzi? Dovresti voler così bene al tuo padrone, da lasciarlo leggere in santa pace. Che ne dici? Mi lasci tranquillo?
A quanto pare non ne aveva l’intenzione. Un clic più sordo s’infranse proprio sulla sua guancia, così da indurlo ad aprire immediatamente gli occhi. Quello che si trovò davanti lo fece così raccapricciare che neanche in seguito poté descrivere a se stesso le sensazioni che in pochi istanti si erano formate all’altezza dello stomaco. Certo, però, che era la paura a pervaderlo. Le iridi verdi sempre più ingombranti e le pupille sempre più piccole e inesistenti.
Una donna sdraiata sul soffitto lo guardò con apparente interesse, insieme a un piccolo sorriso e una mano sul ventre. In quest’ultimo si apriva una macchia scarlatta, impregnando il tessuto del vestito e la mano. Non riusciva a tamponare la ferita e –il…sangue?- cadevano giù piccole gocce scure, proprio su di lui. Poté farne mentalmente una foto che in seguito, durante la notte, ricorderà. I capelli biondi scendevano verso il basso per forza di gravità, coprendole le guance. La pelle era quasi grigia, avorio, ma qualcosa non andava, gli sarebbe sembrata di pezza se solo il sorriso non si fosse mosso lievemente in un scatto isterico. Mostrò i denti, inquietanti ma perfetti. Gli occhi fermi, neri.
Tutto questo successe molto velocemente, questione di un attimo, ma lo segnò per parecchie notti insonni. Neanche in Scozia vedette niente del genere, sembrava così reale e impossibile. Il tempo di sbattere le palpebre e non c’era più. Aveva perso l’uso della parola, cercò di urlare con tutte le sue forze, ma il risultato fu un piccolo bisbiglio di terrore. Immediatamente si toccò la guancia, lasciata umida ma senza alcun segno di quel…liquido denso.
Sangue, maledizione, sangue! Non riesci ad ammetterlo? Ti stai rincretinendo, per caso? Con tutte le nozioni di occulto che sono sempre state di grande interesse per te, ti spaventi per così poco?
Tanto è stata solo un’allucinazione. E basta.

Infatti sui suoi polpastrelli non c’era nulla, niente di niente. Rise malamente tra sé e sé, con lo sguardo perso nel vuoto. Guardò ancora una volta il soffitto e non vi trovò altro che l’ombra del fuoco che scoppiettava, sempre in movimento. Senza dire una parola, andò a letto, lasciando che la legna si consumasse senza la sua compagnia.
Forse tutto quello di cui aveva bisogno era solo riposo. Un po’ di sano riposo.
-Bastardissimo tour.
                                                                                                                      





3.
 
Si mise sotto le coperte -completamente-, una volta spogliato degli indumenti e indossato gli abiti adatti per una comoda dormita. Cercò di pensare a tutt’altro, alla figlia, per esempio, la sua piccola biondina che domani avrebbe rivisto dopo troppo tempo. Riabbracciata con tutto l’amore di un padre sempre assente.
Clic.

Il cuore gli si bloccò.
-Vai via.

E il rumore cessò.

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Capitolo 2
*** Scarlet. ***



















4.


Charlotte lo scrutò con aria attenta, si sentiva il colorito castano delle sue iridi addosso, studiargli il viso, l'espressione, ogni singola ombra. Sua figlia correva per tutta la stanza con un peluche in mano -cantando a squarcia gola una delle canzoni del padre-, facendolo volare come se questo si divertisse. Avere quattro anni doveva essere bellissimo. I capelli lisci, ereditati dalla madre, le svolazzavano indisturbati dietro la piccola testa, brillanti alla luce del sole che ne veniva da fuori le finestre.
-Jimmy, ascoltami! 
Venne riportato con i piedi per terra dalla moglie, la quale sembrò ora più preoccupata che attenta. Ci mise una manciata di secondi prima di darle segni di vita, aveva ben capito qual'era la domanda che stava per ripetergli.
Che ti succede, tesoro? Sembra che tu abbia visto un fantasma.
Oh, milady, certo che ho visto un fantasma, proprio ieri sera. Incredibile, ma vero. In realtà, non ho idea se sia stato un fantasma, poteva benissimo essere qualcos'altro. Fatto  sta che era stesa sul soffitto, proprio sopra le nostre teste! Un'esperienza incredibile, dovresti provare anche tu se hai intenzione di non dormire la notte! Anzi, alza il tuo bellissimo volto, magari ci sta osservando proprio ora.

-Sì, milady?
-Che cosa ti sta succedendo?
Appunto.
-Dovrebbe succedermi qualcosa?
-Sei pallido...più del solito, e perennemente assente. Puoi parlarne con me, lo sai, siamo tutte e due qui per te.
Detto questo, gli posò una mano sulla spalla, facendo sì che i polpastrelli si muovino in maniera tale da formare piccoli cerchietti invisibili, simulando un'incoraggiante carezza. Sorrise, anche. Il battito cardiaco gli si fece più veloce e insistente una volta notato quest'ultimo particolare, le ricordava così tanto quella cosa.
-Non ho niente per cui essere come dici tu. Sono solo stanco, è stata una faticcia per me, e stanotte ho dormito poco. Quel maledetto vento non voleva proprio fermarsi e mi ha rubato il sonno. Può capitare, Charlie.
E giusto per eliminare quel sorrisetto divertito sulla faccia di Charlotte, si chinò in avanti per stamparle un bacio sulle labbra, strappandole una risatina femminea e delicata. Non ebbe il tempo di stringerla tra le sue braccia, poichè la bambina si mise a urlare schizzinosamente una serie di "blah" e "ugh" che credeva non finissero più. 
-Anche tu un giorno bacerai un ragazzo. 
-...Già.- rispose riluttante lui.
-Suvvia, James. 
Scarlet li raggiunse con il suo peluche a forma di gatto, stretto al petto mingherlino che si abbassava e alzava ritmicamente a causa della corsa di poco fa. Lui poggiò un ginocchio a terra per raggiungere l'altezza della figlia.
-Io non crescerò mai, perchè non voglio crescere. Vero che non succederà, papà? 
-Tutti dobbiamo crescere, prima o poi.-  Nel tuo caso non è ancora successo. -Sarai la donna più bella che io abbia mai visto, piccola mia.
-Con me ci sarà anche Ginger?
-Se lo vorrai.
Accarezzò la testa del pupazzo, per poi passare a quella di Scarlet, decisamente più viva sotto il dorso della mano. Lei le regalò un ampio sorriso, mostrando dentini bianchi come il latte. Non aveva niente a che vedere con quello di sua madre, quello che prima gli aveva purtroppo mostrato. Si abbracciarono, ed è il quel momento che, mentre Charlotte li ammirava addolcita accanto a loro, sentì quel rumore. 
Clic.
Senza spezzare la stretta, cominciò a guardarsi intorno, soprattutto controllando il soffitto a labbra socchiuse e occhi spalancati. 
-Avete sentito?
-Che cosa, Jimmy?
-Clic.
La donna dalle origini francesi lo contemplò interrogativa dall'alto -l'espressione stava a dirgli "Non capisco quello che stai dicendo.", espressione che non guardò davvero-, roteando ora gli occhi su quelli della figlia, nell'atto di ascoltare il nulla.
-Io non sento nulla.
Clic.
-Ecco, ecco!
E si alzò improvvisamente, con il tipico sguardo di chi aveva dimostrato qualcosa di veramente decisivo. Lo scatto aveva spaventato Scarlet, che cominciò a piagnucolare senza distogliere lo sguardo da suo padre. Di conseguenza Charlotte la prese in braccio, calmandola con solite carezze materne. Stava a guardare severamente Jimmy, che si ritrasse abbassando lo sguardo a terra, insicuro.
Sei pazzo, è meglio se consulti uno psicologo. Meglio uno psichiatra, forse.
L'ho sentito.

No, non è vero, sei solo paranoico. E ora smettila, stai spaventando la tua bambina con queste scenate da pazzoide.
Cercò di rincalzare, cambiando discorso nella maniera più disinvolta possibile. Cercava di esserlo, almeno.
-Vi fermate qua per la notte?
Lei annuì distrattamente, era più impegnata a studiarlo per la seconda volta in tutta la giornata, riflettendo sul fatto che no, non sembrava solo stanco. Ma lasciò perdere, lasciandosi andare a un sospiro che s'infranse sul collo della piccola, la quale si era lievemente calmata, cullata dal calore materno.





5.

La luce accesa, proveniente dalla camera da letto, avvisò Jimmy che al suo interno vi avrebbe trovato la moglie, magari assopita nel lato sinistro del letto, come abitualmente accadeva. Ormai era passata un'ora da quando Scarlet, stringendo il proprio Ginger, si era addormentata nella stanza accanto a quella dei genitori. Era passato a buttarle un'occhiata contemplativa appoggiato allo stipite della porta, in silenzio. 
Spero che da grande, tu non diventa come me, tesoro. Lo spero davvero tanto.
Varcò la soglia illuminata dal lampadario appeso a centro stanza, mostrandosi a Charlotte con un docile sorriso. Scomparve immediatamente. Non dormiva, era semplicemente straiata sul materasso ad occhi aperti. Lo stava aspettando.
-Vuoi parlarne?
-Oh, Charlotte, smettila! 
-Non mi freghi, s...
S'interruppe, ritrovandosi il marito a cavalcioni sopra di lei. Le prese i polsi, sbattendoli contro la testata del letto. Charlotte sibilò un gemito di dolore, al momento dell'impatto con il legno. Anche la stretta che Jimmy aveva intorno alla sua pelle, non scherzava.
-Zitta.
Ubbidì, senza azzardare un solo spiffero. Riusciva a spaventarla così facilmente da cominciare a credere che sia sempre stata una donna debole, poco combattiva. Le baciò il collo, che lei gli offrì senza discutere, per poi passare a tastarle il seno, i fianchi, fino a privarle dell'intimo, una volta alzata la vestarglia con ben poca difficoltà. Lui chiuse la luce, premendo agilmente l'interruttore accanto al letto. Charlotte si ricordò il motivo primario per cui aveva accettato la proposta di matrimonio.





6.

Si alzò dal letto insieme ad una matta voglia di bersi un poco di whiskey, sebbene fossero le tre di notte, circa. Non aveva controllato, ma gli sembravano le tre, per chissà quale arcano motivo.
Per tutto il tragitto si strofinò il viso con le dita, rischiando di inciapare sulle scale e rompersi l'osso del collo. 
Aprì il frigo, tirandone fuori una bottiglia mezza vuota di Jack Daniel's -non beveva altro, al massimo l'acqua, per trasgredire- che bevve senza scomodarsi nel versare il contenuto in un maledettissimo bicchiere. Si attaccò direttamente al collo della bottiglia, appoggiandosi al lavabo per mantenere l'equilibrio. Era ancora un po' addormentato. Dopo il primo sorso, si guardò intorno, lo sguardo vuoto e indifferente. Finito, buttò la bottiglia di vetro ormai vuota, riconducendosi in direzione di ritorno, insomma, da dov'era venuto. Doveva passare per quella stanza, come se si aspettasse di vedere qualcosa che lo avrebbe scombussolato ulteriormente. Gli si gelò il sangue quando, nel bel mezzo della sala, stoppò il passo per vedere Scarlet che fissava il quadro, quello antico, mai toccato, nè guardato granchè. Ora avvertiva pienamente il freddo sotto i piedi nudi, come se una ventata d'aria gelida l'avesse investito solo in quella bassa altezza.
Gli dava le strette spalle, appena coperte dalle ciocche chiare di capelli che nel buio risaltavano come non mai. Sembrava assorta il quella tela: raffigurava solo una rustica casa di campagna, cadente e priva di senso, circondata da lunghe colline inglesi. Un po' di nebbia intorno per confermare il fatto di trovarsi nel nord.
-Scarlet.
Lei si voltò immediatamente, il faccino sprizzava di curiosità, e persino il gatto di ovatta si mostrava interessato. Lo teneva per una zampa, lasciando striscire il resto a terra.
-Cos'è, papà?
-Un quadro, tesoro. Ma cosa ci fai qui? Vai immediatamente a letto, è tardissimo.
E ignorando l'ultima frase, si girò un'altra volta verso il quadro, alzando il volto per poterlo ammirare.
-Non andare in quella casa, è cattiva. Cattiva ti dico. Anche Ginger è d'accordo, me lo sta dicendo ora. E' un gatto molto...molto.
-Cosa stai dicendo?
-E' lui che mi ha detto di venire qui.
-Il gatto ti ha detto di venire qui.- ripetè, incredulo e suscettibile.
-Sì sì. Mi ha anche detto di avvisarti, papà.
Scarlet sbadigliò, portando la manina libera davanti la bocca, come mamma gli aveva pazientemente insegnato tempo fa. Jimmy la prese in braccio, dove lei si lasciò andare sul suo petto, posandovi una guancia e chiudendo gli occhi. Era estremamente inquietato  dalle parole della figlia, si sarebbe aspettato uno spettro di fronte, o un mostro assetato di sangue, con l'intenzione di rubargli il corpo o qualcosa del genere, ma non sua figlia in piena notte, davanti a un'inutile quadro. 
Inutile? Tra i tre, pupazzo compreso, sei il solo ad esserne convinto.
Percorse le scale, per poi entrare nella camera provvisoria di Scarlet, dove posò il corpicino nuovamente addormentato sul letto. La nascose sotto il piumino, arrivando a coprirla all'altezza del mento, osservandola turbato. Le baciò la fronte e la lasciò sognare cosa meglio voleva.





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Autrice: Pubblico il secondo capitolo così presto per il semplice fatto che ho scoperto che per qualche giorno non potrò esserci -una settimana-, così eccolo qui, buttato giù il più velocemente possibile. Se ci sono errori di battitura o grammaticali, vi chiedo di avvisarmi, per favore. Spero che vi piaccia, gente, altrimenti...altrimenti niente. 
Per chi continuerà a seguire, ci rivediamo alla prossima boiata che scriverò!

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