The Book Reader

di lapervincachescoppietta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Eccomi con un esperimento, ho capito che con le storie originali non ci so fare, ma ci rpovo comunque, altra storia che ho sgonato, lo faccio spesso di sognare le storie, ma che ci posso fare? Va bé vi lascio alla lettura, questo è il prologo, se vi ho incuriosito lasciate una recensione.
Sofis_




Era l’unica ormai,dove la tecnologia predomina, era l’unica che credeva ancora nel valore dei libri; era l’unica che andava nei negozi d’epoca per comprare dei pezzi di carta che per lei erano come un tesoro. Preferiva leggere a guardare la televisione o giocare col computer, non le piacevano.
Ma forse non è mai stata l’unica.
Dakota amava leggere, amava imparare dai libri, erano i suoi migliori amici, le avevano dato compagnia quando non c’era più nessuno, quando era sola; l’unico problema era che viveva in un futuro dove i libri sono un’eresia, dove se non sai usare un computer sei un emarginato; nessuno sentiva il bisogno eccessivo di leggere, tranne lei. La storia non veniva insegnata era stata abolita, il motto era “Non guardare il passato, guarda il futuro!” . Dakota amava il passato, amava studiare la storia, il Rinascimento e la nascita del suo mondo.
Molti lavori non esistevano più; i medici erano stati sostituiti dalle macchine, gli scrittori non esistevano; molti non avevano più un lavoro, ma era un mondo ricco, dove non c’erano paesi malfamati, dove le case erano bellissime. Non c’erano più democrazie, ma monarchie, o meglio la monarchia in quanto c’era un solo re.
Dakota veniva da una famiglia di lettori, nascondevano i libri in un’enorme biblioteca segreta; fin da bambina le avevano insegnato a credere in ciò che credeva e che la conoscenza era uno dei valori della vita. Le avevano insegnato la storia, per farle capire il mondo. Lei era diversa, era intelligente, era sveglia, ma soprattutto conosceva la vita più di chiunque altro. 

Are you like it? Lascia una recensione. 


Sofis_

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Eccomi, dopo un periodo di tempo interminabile aggiorno anche questa FF; non ho molto da dire, solo vi lascio alla lettura. 

Sofis_



-Daki? Esci dalla biblioteca devi andare a scuola! –
-Aspetta Willow! Devo finire di leggere questo libro mi manca solo una pagina! –
-Non voglio arrivare in ritardo per colpa tua! – Daki quando leggeva odiava essere disturbata, entrava in un mondo tutto suo, molto spesso dove non esistevano computer e dove poteva incontrare i suoi migliori amici. Finì la pagina di quel libro, “Il signore degli anelli” , il medesimo che leggeva, ma in fondo aveva tutti i libri che voleva e tutto il tempo, i compiti erano stupidi, lei era ad un livello più alto degli altri.
-Sono pronta! – Prese la borsa con il computer all’interno e scese nel piano di sotto, dove trovò suo fratello e sua sorella che l’aspettavano per andare in quel surrogato di scuola; nei libri gli studenti si lamentavano dei compiti e delle lezioni noiose, ma la verità era che lei avrebbe voluto frequentarle quelle lezioni noiose.
- Devi passare meno tempo in biblioteca, prima uscirà del fumo dalle tue orecchie! – Velocemente si avviarono verso la porta.
- Perché dovrei smettere di leggere? Non voglio diventare uno di quegli automi che sono i miei compagni, anzi dovreste essere voi a leggere di più! –
-Lo sai che non leggo più molto da quando Lei è morta. –
-I libri sono il mio nascondiglio, cosa credi mi abbia aiutato quando è successo? – Disse Daki con voce triste. Sua madre era morta un anno prima; da allora le ore che Dakota passata in biblioteca erano aumentate, mentre Willow ci passava sempre meno tempo.  Suo fratello ha smesso di parlare, raramente dice qualcosa, non è mai stato un lettore, ma ama i libri storici e forse è per questo che molto spesso dice di voler rivoluzionare il mondo, è soprattutto di questo che parla. Dice che le monarchie venivano molto spesso distrutte dalle rivolte, ma lui è uno solo.
Per il resto del tragitto restarono in silenzio, finché davanti a loro si presentò la loro imponente scuola, vetrate bellissime e trasparenti danno sulle aule, cioè più che aule sono sale computer, LIM, portatili e tutto ciò che può esserci di tecnologico, ma ciò che Dakota desidera veramente sono i quaderni e i muri con le dediche lasciate da migliaia di studenti, impossibili da trovare nelle pareti linde della sua scuola. Non portava libri a scuola, troppo pericoloso;  si poteva finire in prigione per questo e queste non erano prigioni come quelle di una volta, da dove si scappava con un buco fatto con una forchetta, ma erano prigioni con intricati sistemi elettrici che ti davano la scossa se provavi a toccare i vetri.
-Ehi! Daki! – Selena poteva essere considerata una delle migliori amiche di Dakota, nonostante fosse molto stupida, le voleva bene, in fondo era solo un’altra vittima di quel mondo.
-Ciao Lena, come va? –
-Bene, e tu? Non dirmi che stai ancora pensando a quella storia di cui mi hai parlato l’altro giorno? –
-No, è stato solo un momento di pazzia. – Era vero, voleva sfogarsi, non riusciva a trattenersi, voleva solo parlare con qualcuno, ma non doveva farlo poteva condannare tutti con una sola frase. – Come va con tua madre, avevate litigato se non sbaglio. –
-Si è scusata. – Con un’alzata di spalle liquidò il discorso; aveva un brutto rapporto con la madre, litigavano spesso, per inutili sciocchezze; Dakota con sua madre non lo aveva mai fatto, parlavano e viaggiavano, ogni anno in quel periodo prendevano il treno e andavano a trovare la nonna che viveva lontana da loro di molti kilometri.  Dakota adorava viaggiare, era al secondo posto tra le sue passioni; avrebbe sempre voluto visitare quella parte di mondo che una volta era l’Europa, in particolare l’Italia, nei libri che leggeva veniva descritta in modo bellissimo.   
- Qualche volta dovreste provare ad andare d’accordo. – Borbottò.
- Quest’anno ci vai a trovare tua nonna? –
-Non lo so, non ci sarebbe nessuno con me; Lei non c’è più, non ci sarebbe nessuno con me. –
-Meglio! Saresti da sola per la prima volta! Magari potesse essere così anche per me. –
-Vorresti che tua madre fosse morta? –
- Sarebbe tutto molto più semplice, meno litigate e la casa tutta per me, il paradiso! Purtroppo però lei non è malata. – Disse con uno sbuffo. Selena era l’ingenuità in persona, come si poteva volere che un genitore morisse, ma Daki non era sorpresa, se lo aspettava da Selena. 
Le chiacchiere non continuarono, la campanella suonò subito dopo.  
Le ore di scuola passavano molto lentamente per Dakota, le facevano male gli occhi a forza di stare davanti al computer.  Con i libri era diverso, non avevano schermi luminosi e non si bloccavano; una volta i libri e i computer erano stati “uniti”, si chiamavano e-book. Non che le interessassero, quando leggeva Dakota amava sentire le pagine fra le dita e il leggero fruscio che producevano quando cambiava pagina, l’odore dei libri, poi, era inimitabile, profumavano di vecchio e di antico, acquisivano il profumo di chiunque li sfogliasse. Le dispiaceva un po’ qualche volta di non poter condividere questo passatempo con altri che non fossero la sua famiglia, ma era vietato leggere come poteva mettere in pericolo tutti quelli che l’amavano? 

Piaciuta? Sentite, voglio fare un piccolo annuncio, se vi piace bene, ma se pensate che questa FF sia una cavolata assurda ditemelo, ok? Vediamo se vi piace dopo qualche capitolo. 

Sofis_

PS Non sono sempre così negativa!!

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Ok, in questi giorni aggiorno sempre prima, ma non lo so, come al solito scrivo  velocemente il capitolo e mi dispiace aspettare a pubblicarlo; spero vi piaccia.

Sofis_


Daki andò a casa senza aspettare i suoi fratelli; succedeva spesso, quando aveva bisogno di tornare a casa e stare con i suoi migliori amici; i suoi fratelli a differenza di lei amavano la compagnia dei loro compagni, si trattenevano spesso a parlare con loro, mentre lei non vedeva l’ora di andarsene, a scuola non c’erano amici. 
Nei libri che leggeva gli insegnanti dicevano di chiamarli quando ci sarebbe stata una scuola dove non si fa niente,  avrebbero dovuto ricredersi. 
Quando varcò la soglia di casa fu invasa da un odore paradisiaco, quel robot che lavorava per loro cucinava tutti i giorni quantità industriali di cibo, che poi noi non mangiavamo, il problema è che non si azzardava mai a darci da mangiare gli avanzi, così c’era un enorme spreco di cibo. Quel giorno aveva cucinato uno spezzatino con patate e carote, ovviamente un pentolone intero. 
-Dove sono i suoi fratelli? –Chiese con voce metallica. 
-Si sono fermati a parlare con i  loro amici, arriveranno fra poco, Kira, non preoccuparti. – 
-Intanto lei mangi, lo spezzatino si raffredda. – Disse sempre con quella voce senza sfumature. 
-Non ho fame, poi smetti di darmi del lei. –Sapeva che non poteva smettere, le sue impostazioni erano queste, dare del lei e cucinare molto cibo. Una volta erano in tanti, sua madre, suo  padre,  lei e i suoi fratelli, infine sua zia e sua cugina, poi quando era più piccola c’era anche suo fratello, il più grande, quello che amava la lettura come lei, quello che la proteggeva, quello che è partito ed è scomparso.  Sua zia e sua cugina si sono trasferite in un’altra casa, suo padre è morto quando era piccola, dopo la scomparsa di suo fratello. Sua madre era morta quasi un anno prima. 
-Non posso signorina. – Sentì la porta aprirsi e dopo un attimo i suoi fratelli entrarono nella cucina. 
-Che fame, cosa c’è di buono, Kira? – Chiese Willow.
-Spezzatino. – Rispose con noncuranza Dakota.  La ragazza le lanciò un’occhiataccia, così si sederono sugli sgabelli vicino al bancone. Lo spezzatino era buonissimo, ma non riuscì a finire ciò che era nel suo piatto.  
Scappò di sopra, nella biblioteca; era uno dei momenti più duri, scegliere un nuovo libro da leggere, cosa leggeva questa volta? Prese un libro a caso, senza copertina, probabilmente si era rovinata; lesse il titolo, Hunger Games, lesse anche la trama; decise che quello sarebbe stato il libro scelto. 
Cominciò il libro, pagina dopo pagina si perse nelle parole, si perse in un mondo tutto suo, suo e dei personaggi di cui leggeva le avventure. 
Nel tardo pomeriggio vide che la luce stava calando e rivolse lo sguardo verso la lampada, era spenta; poi la sua attenzione si rivolse alla finestra, la tenda era scostata e si intravedeva il tramonto.  Fu presa dal panico, si avvicinò velocemente alla finestra, vide che qualcuno la osservava. Ora il panico si era impossessato di tutto il suo essere; corse fuori dalla biblioteca e in seguito fuori di casa; si avvicinò alla casa del vicino. Suonò al campanello, le venne ad aprire un robot, simile a Kira, ma poi i robot erano tutti uguali. 
-Salve signorina, di cosa ha bisogno? – Chiese con la stessa voce di Kira. 
- Vorrei sapere chi abita in questa casa, se non ti dispiace. – Chiese con la voce macchiata dalla preoccupazione, cosa succedeva se scoprivano che in casa loro c’era una enorme libreria? 
-Qui ci abita la famiglia Morris, Kyle, Lady, Sarah e Jonathan, posso sapere il vostro nome signorina? – 
-Mi chiamo Dakota Tarris, abito nella casa qui accanto, vorrei sapere anche di chi è quella finestra. – Dicendo questo indicò la finestra da cui aveva visto l’osservatore. 
-E’ la finestra del signor Jonathan, perché lo vuole sapere? – Chiese il robot. 
-Perché devo chiedermi una cosa. – Rispose secca Dakota. 
-Va bene, mi segua. – La fece entrare in casa,  era fredda, come se non ci vivesse nessuno, la sua casa per quanto moderna era vissuta, c’erano i solchi fatti da lei con i giochi e il divano era sempre scomposto. La condusse su per le scale di vetro. Davanti a lei si estendeva un corridoio, c’erano quattro porte di vetro trasparente e una di vetro opaco. Il robot si fermò davanti alla seconda porta a destra e bussò delicatamente, per quanto un robot possa essere delicato. 
-Chi è? – Rispose una voce all’interno, era dolce e melodiosa, quel tipo di voce che vorresti ascoltare sempre. 
-Signore, c’è una persona che vorrebbe vederla! – Rispose cautamente la cameriera-robot. 
-Si, falla entrare. – Aprì la porta e all’interno, seduto sul letto c’era un ragazzo di circa la sua età, forse più grande, aveva bellissimi capelli biondi- marroni e profondi occhi verdi, ma non come quelli di Dakota che avevano pagliuzze dorate, i suoi erano blu vicino all’iride e di varie tonalità di verde andando verso l’esterno. Quando la vide i suoi occhi si illuminarono e lei arrossì istintivamente. Il robot li lasciò soli. 
-Che cosa hai visto? – Chiese d’un tratto lei. 
-Di che parli? Poi scusa se te lo chiedo, qual è il tuo nome? – Disse con una punta di sarcasmo.
-Dakota, e sai benissimo di cosa sto parlando. – Affermò secca.
-Nel senso che stavi disubbidendo alla legge? Sai sei bella quando leggi. – Se il rossore sulle sue gote poteva aumentare, lo aveva fatto. 
-Dovresti farti gli affari tuoi. – 
-E tu dovresti imparare a chiudere le tende, pensa se non le chiudi nel bagno, magari mentre ti fai una doccia, cosa potrebbe succedere? – Disse lui con un sorriso malizioso. 
-Ma smettila, dirai qualcosa? Ti darò qualsiasi cosa per non farti dire niente alla polizia, per favore! – Lo implorò lei. 
-Va bene, ma ad una condizione. Mi presterai uno dei tuoi libri. – 
-Si, va bene, va bene …. Cosa?- Doveva ammetterlo, non lo stava ascoltando. 
-Voglio provare quello che provi tu, sai, molto spesso dimentichi la tenda aperta, è strano guardarti leggere, quando lo fai non ti accorgi neanche di un temporale, ne dei tuoi fratelli che litigano, voglio provare questo. – 
-Non è niente di speciale e poi portando un libro qui ti faresti scoprire. – 
-Allora posso venire a leggere da te, che ne dici, oppure preferisci farti arrestare? Puoi scegliere tu. – 
-Mi stai ricattando? – 
-Se la vuoi vedere così, io sto contrattando. – 
-D’accordo, puoi venire quando vuoi tanto io sono sempre in casa. –
-Allora ci vediamo domani. – Lei se ne andò sbattendo la porta, infine uscendo di casa correndo. Come poteva chiedere una cosa del genere, poi si era fatta ricattare da uno sconosciuto, non si era mai sentita così debole. 

Spero vi sia piaciuta, 
un bacio grande grande 
Sofis_

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Ok, ecco il nuovo capitolo, spero vi piaccia, potrei come al solito aver fatto un pò di confusione con i verbi, sono il mio punto debole, eh eh. Vi lascio alla lettura, spero che sia di vostro gradimento, 
Pervi_




Il giorno dopo, più o meno alle due, Jonathan arrivò puntuale come un orologio; i fratelli di Dakota non fecero domande, speravano che finalmente trovasse un amico.
Lo condusse su per le scale, ma invece di andare in camera sua, si diresse verso la biblioteca.
Si accorse che aveva lasciato il libro del giorno prima aperto sulla poltrona, lo riprese subito senza aspettare il ragazzo, che era restato lì a guardare l’enorme biblioteca.
-Wow, dalla finestra non sembrava così grande. – Osservò gli enormi scaffali in mogano, i divani e le poltrone eleganti, i libri vecchi e nuovi, con le copertine rovinate da tutte le mani che le avevano toccate. Il ragazzo si avvicinò allo scaffale dove si trovavano i romanzi storici, ne prese uno, non si degnò neanche di aprirlo che lo rimise subito a posto; lei lo osservò in ogni suo movimento, in fondo quello era il suo santuario.
-Hai mai sentito il detto, Non giudicare un libro dalla sua copertina? – Domandò lei.
-No, ma non mi interessa, comunque, che libro mi consigli? – Sbuffando lei si alzò e si diresse verso lo scaffale dove lui stava guardando, ne tirò fuori un comunissimo libro di storia, lo usavano per impararla nelle scuole di una volta.
-Leggi questo, magari prendi anche appunti, è un libro di storia che usavano nelle scuole di una volta; se non puoi conoscere il futuro, prova a studiare il passato; prima di leggere qualsiasi cosa devi avere delle basi, quindi buona fortuna. – Lui guardò il libro e poi la ragazza che si era seduta sulla poltrona di prima.
-Scherzi,vero?-
-No, perché dovrei, se vuoi leggere un libro storico senza sapere chi sia l’autore o il personaggio del libro fai pure, a me non interessa. Io ho cominciato così. – Affermò senza staccare gli occhi dal libro che aveva in grembo.
-Va bene. – Borbottò lui. Si sistemò sul divano vicino alla poltrona dove Dakota sedeva. Cominciò a leggere, non leggeva in modo silenzioso, la sua voce era un bisbiglio. Lo doveva ammettere, era bello guardare una persona mentre leggeva, gli occhi verdi concentrati sulle parole e la bocca socchiusa in una piccola smorfia di stupore, no, non era bello guardare un persona mentre leggeva, era bello guardare lui.  Forse era irritante e l’aveva ricattata, ma era bello.  Era personale, la lettura, un momento fatto di carta e inchiostro, dove c’eri solo tu ed i libri.
 
Passarono un paio d’ore prima che Jonathan si riscuotesse dalla lettura, sollevò lo sguardo stanco, rivolgendolo alla ragazza al suo fianco. Da vicino era ancora più bella. I capelli marroni rossastri caduti scomposti sul suo viso e gli occhi verdi concentrati. Quando la guardava dalla finestra rimaneva incantato da lei, il suo desiderio era poterla osservare, non le aveva mai parlato prima del giorno prima, ma ne era attratto; lui non si sentiva stupido, ma davanti a lei si sentiva un completo idiota, lei che aveva vissuto migliaia di vite, lei che era colta e intelligente, lei che lo aveva rapito dalla prima volta che l’aveva vista attraverso la sua finestra. Probabilmente si accorse che la stava guardando e i loro occhi si incontrarono, lui le sorrise, come non aveva mai sorriso a nessuna nei suoi quindici anni. Lei in risposta fece un segno con la testa, ritornò subito sul suo libro, forse il ragazzo aveva sbagliato a ricattarla, doveva solo chiedere.
-Perché mi fissi? – Chiese d’un tratto Dakota.
-Non ti sto fissando. –
-Oh si, invece. – Affermò decisa.
-Ho finito il libro. – Disse lui svogliato.
-Di già? Va bé, te ne do un altro. – Depose il libro che stava leggendo; si avvicinò allo scaffale vicino a quello di prima, fece una smorfia e sparì dietro il mobile per poi tornare con un librettino. Quando lo tese a lui si accorse che non rilegato come gli altri libri. Quando lo aprì si accorse che non era scritto al computer come gli altri, era scritto a mano, probabilmente da lei. -Questi sono tutti i libri che ho letto, scegli un titolo e ti dico la trama. –
Osservò i titoli nella lista, ne scorse uno, Harry Potter, il titolo sembrava carino.
-Questo, Harry Potter. – Disse deciso.
-Va bene, parla di maghi e magia, a me è piaciuto, poi non so se possa essere lo stesso per te. –
-Allora lo comincio, poi vediamo. – La ragazza guardò l’orologio digitale appeso al muro.
-Temo che non lo potrai fare, è tardi, siamo qui da ore. I tuoi genitori saranno preoccupati. –
-I miei genitori non sono mai preoccupati per me, Lady e Kyle non si preoccupano per i loro figli. – Nei suoi occhi c’era molta malinconia, probabilmente era così, succedeva spesso che i genitori non si occupassero dei figli. Fortunatamente per lei non era stato così. –Io e Sarah, mia sorella, ci siamo abituati, invidiavo questo di te, vi sentivamo ridere e scherzare tutti insieme, i nostri genitori al massimo ci chiedono come va a scuola. –
-Almeno tu i genitori ce li hai vivi. – Affermò con tristezza.
-Si, è vero sono vivi, ma è come se non lo fossero, ma non parliamone più, hai ragione, è tardi, meglio che io vada a casa. – Fece per andarsene.
-Aspetta! Puoi restare qui, chiamiamo i tuoi e tu resti a dormire, che ne dici? – Dakota provava compassione, non voleva farlo tornare da quelle persone.
-Ma sei matta? Ti conosco da un giorno! Comunque devo rifiutare, questa sera festeggiamo il compleanno di mia sorella. –
-Fa lo stesso, quanti anni compie tua sorella? –
-Compie quindici anni. Mangiamo insieme a dei parenti, mamma, papà, lei, io e i miei zii.-
-Anche mio fratello compie gli anni fra poco, compie anche lui quindici anni. –
-E invece tu? Quand’è il tuo compleanno? –
-Sono nata ad agosto.  Il nove. Tu? –
-Il quattordici dicembre.  Adesso devo andare, ci vediamo non so quando, ciao! –
-Ciao! – Forse, anche se l’aveva ricattata, quel ragazzo non era poi così male. 

Piaciuta? Spero di sì. Alla prossima, 
Pervi_

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Ringrazio Tommochan per aver recensito tutti i capitoli. Questo capitolo è abbastanza lungo, incontriamo un altro personaggio e capiampo un pò il carattere di Willow, spero che vi piaccia, 
un bacio grande grande,

Pervi_




Lasciò il libro a metà, aperto sopra la poltrona. Spense la luce della biblioteca e si diresse verso la sua stanza.  Si avvicinò alla scrivania e spinse il bottone che apriva il cassetto segreto; lì dentro ci teneva le cose che sua madre le aveva lasciato, un orologio che si teneva al collo, un anello e una mappa del mondo di oggi dove era evidenziato un punto preciso nella vecchia America del Nord.  Era posizionato a pochi Kilometri dalla casa di sua zia. Quell’anno era ancora indecisa sull’andare a trovarla o no, ma in fondo era una delle persone più vicine a sua madre e a suo padre. Inoltre, ci andava spesso con suo fratello e passavano le giornate al lago insieme a loro madre e loro zia. Tutto questo fino alla scomparsa del ragazzo.
Forse non le avrebbe fatto male rivivere quei ricordi. Aveva l’età per poter viaggiare da sola, quattordici anni, poi quella donna era sempre sola. Sarebbe partita, avrebbe preso il biglietto per il treno e fatto i bagagli la sera stessa.  Cominciò mettendo dentro i vestiti e I-Pod, non si poteva leggere in treno, ma almeno ascoltare la musica si. Proprio mentre metteva dentro la valigia le ultime cose suonò la campanella che segnalava la cena.
Scese le scale tranquillamente come se si fosse tolta un peso, si sentiva leggera. Quando raggiunse la cucina si accorse che i suoi fratelli stavano già mangiando. Si sedette sullo sgabello e davanti a lei c’era una zuppa calda, adatta a quel clima gelido.
-Ho visto che sei stata tutto il pomeriggio con quel ragazzo, Jonathan mi pare; tempo sprecato? – Chiese d’un tratto Willow, rompendo il silenzio che si era creato.
-E’ simpatico, un po’ pieno di se a volte, ma non è male. Ha dei bellissimi occhi. –Disse con voce svogliata.
-Altro che occhi, è l’ideale di ragazzo perfetto, che capelli, se a te non interessa me lo prendo io! – Esclamò lei.
-Sei sempre la solita Will, tu hai diciassette anni mentre lui ne ha quattordici appena compiuti, fai sempre così, trovati uno della tua età! –
-Sei gelosa Daki? A me vanno bene di qualsiasi età; l’importante è che siano carini. –
-Cambiando discorso, ho deciso che quest’anno vado dalla zia, ho prenotato un biglietto per domani alle cinque così non perdo la scuola e poi basta che lo diciate ai miei insegnanti. –
-Potremmo venire anche noi, gli anni scorsi ci andavi sempre con mamma e James, quest’anno potremmo venire a trovarla anche io e George, non credo che le dispiacerebbe. –  No, quel momento era solo suo, di sua mamma e di suo fratello.
-Non vi riconoscerebbe, ha una memoria selettiva, diciamo,  si ricorda solo delle persone che vede spesso. – Forse era stata scortese ed egoista, ma non voleva condividere quel momento con nessuno.
-Se non vuoi che veniamo basta dirlo, tranquilla non ci offendiamo. – Non sembrava fosse offesa.
-Non intendevo dire questo … - Cominciò Dakota.
- Io ho finito, non ce la faccio ad ascoltarvi, siete una peggio dell’altra, mi chiedo come faccio a sopravvivere con voi due nella stessa casa, non fate altro che lanciarvi frecciatine; per ritornare al vostro discorso, io e Willow quando voi eravate a casa della zia, andavamo insieme a papà a casa della zia Paris, quindi smettete di fare così, se tu non vuoi che veniamo è indifferente, noi andiamo dall’altra zia.  Io vi saluto, sorellina .. – Disse rivolgendosi a Dakota. – Sorellona. – Uscì dalla sala sbuffando, raramente era così schietto. Non parlava praticamente mai, quelle poche volte che lo faceva le sgridava, ma non contava niente, loro ricominciavano subito a litigare.
-Bé, almeno gli abbiamo fatto dire qualcosa, no? –  Disse d’un tratto Willow, rompendo il silenzio.
-Lascia stare Willow. – Dicendo questo uscì dalla stanza non avendo neanche finito il suo piatto.
Corse di sopra,in camera sua,  i ricordi di suo fratello erano riaffiorati; non le dava fastidio piangere, almeno che fosse dentro una stanza chiusa e insonorizzata. Piangeva e piangeva, James era il suo unico pensiero, il suo fratellone, con le guance rigate di lacrime si avvicinò al cassetto dove teneva le cose di sua madre, in uno scomparto sotto c’erano le cose di suo fratello, il suo libro preferito, un disegno che gli aveva fatto lei e infine una versione più moderna della cartina di sua madre; si avvicinò alla valigia e infilò in una tasca segreta le due cartine. Era bello pensare di andare in un posto senza problemi, per vivere nuovi ricordi.
Decise che era ora di dormire, si avvicinò al letto; Kira aveva cambiato il copriletto e il lenzuolo, erano azzurri. Si stese e premette il pulsante che faceva alzare il letto da terra; si addormentò così, cullata dal movimento del letto e dai ricordi che si susseguivano nella sua mente.
La mattina dopo si alzò in fretta, per colazione mangiò un pezzo di pane al volo; la scuola per una volta non fu noiosa come al solito, quindi passò in fretta.  Il pomeriggio prima di partire lo lasciò in biblioteca; stava rimettendo a posto i libri, in quel momento aveva in mano il libro che Jonathan aveva letto il giorno prima, da una delle pagine uscì un bigliettino, quando Dakota lo raccolse vide cosa c’era scritto sopra, un semplice numero telefonico e due righe dove diceva di chiamarlo. Prese il suo cellulare e digitò il numero.
“Pronto? Chi parla? “ Rispose lui, la sua voce era bellissima anche al telefono.
-La ragazza a cui hai chiesto di chiamarti. –
“Scusa Dakota, non ti riconoscevo, ti ho chiesto di chiamarmi per sapere se fai qualcosa in questi giorni. “
-Vado a trovare mia zia, perché? –
“ Volevo invitarti a stare con noi al mare, ma se non puoi ci vediamo quando torni, ciao! “
-Aspetta! – Non le aveva neanche dato il tempo di rispondere, ma non aveva il tempo di richiamarlo, doveva andare in stazione. Recuperò la sua valigia e la borsa, salutò i suoi fratelli, tralasciando Kira; salì sulla moto che le aveva regalato la madre e si diresse verso la stazione; ormai era diventato un rito, osservare la città quando si parte, non aveva niente della Londra vittoriana descritta nei libri, era più la città futuristica dei libri di fantascienza. Le enormi vetrate da cui si intravedevano gli schermi piatti delle televisioni, le auto futuristiche che viaggiavano senza ruote.; questa era la sua città, ma che per fortuna, lei la stava per lasciare.
Si ritrovò davanti alla stazione, si sentiva solo il rumore della folla, i treni non producevano alcun suono, scorrevano silenziosi sulle rotaie. Dopo aver timbrato il biglietto salì sul treno al binario 8, salì al secondo piano, amava vedere i paesaggi scorrere dall’alto. Si sistemò comoda, prese I-Pod e mise su una canzone rilassante. Piano piano le sue palpebre si abbassarono mentre il cervello lentamente si spegneva …
-Ciao! – Una voce la riscosse da quello stato di dormiveglia in cui stava entrando.
-Ciao! – Rispose lei con voce stanca.
-Come ti chiami? – Il ragazzo sembrava avere circa la sua età, aveva degli occhi castano chiaro con straordinari riflessi azzurri, i capelli erano anch’essi castani.
-Dakota, piacere. – Disse mentre gli stringeva la mano.
-Jake, piacere mio, dove sei diretta? – Forse era un po’ invadente.
-Vado a trovare mia zia, e tu? –
-Dove mi porta il vento, volevo viaggiare e sto realizzando il mio sogno. –
-Dov’è la tua valigia se vuoi viaggiare? –
-Ho dei soldi e questo mi basta, non mi serve altro. –
-Un sognatore o un viaggiatore? –
-Sognare è proibito, non lo sapevi? –
-Perché dici questo? Sognare non è proibito, è una delle poche cose che ancora non lo è. –
- Mio fratello è scappato per poter sognare, io non posso, come si chiama tua zia? Conosco abbastanza bene questa città. –
-Mary Jane Tarris, è la sorella di mio nonno.- In quei bellissimi occhi passò un guizzo, che si spense subito.
- La conosco, è una brava donna, a lei piace sognare, parla spesso di te e anche di un tuo fratello, ma non lo vedo qui. Non c’è? – Che domanda innocente per lui quando per lei non era altro che un dolore in più.
-E’ scomparso, molti anni fa, è strano che mia zia ne parli ancora. –
-Mi dispiace, ti capisco, hai voglia di parlarne? A me aiuta parlare di mio fratello. – Era carino e simpatico quel ragazzo.
-Si chiamava James, io, lui e mamma venivamo a trovare la zia ogni anno; passavamo le giornate al lago e ci divertivamo, eravamo la classica coppia fratello maggiore e sorella minore, lui mi proteggeva e mi coccolava, gli volevo molto bene, probabilmente più di quanto ne volevo ai miei genitori o agli altri due miei fratelli. Era un bel ragazzo, capelli biondi e occhi che cambiavano colore secondo la luce, piaceva a tutte, ma spesso i suoi magnifici occhi erano rivolti verso di me, che gelosia provavano le altre, che invidia. – Gli occhi diventarono lucidi e la sua voce si incrinò. – Lui voleva la sua sorellina di cinque anni, le faceva fare le giravolte in aria e le dava il bacio della buonanotte. Lui era speciale. – Lui le sorrise, un bel sorriso, di quelli rassicuranti.
-Va meglio? – Chiese ad un tratto, lei si riscosse da quello stato di beatitudine in cui era entrata grazie al suo sorriso; stava meglio, l’aveva aiutata sfogarsi, anche se con uno sconosciuto.
-Si, in effetti si.  E invece tu? Vuoi parlare di tuo fratello? –
-Non ne ho bisogno, l’ho già superata. – Non poteva fare così.
-Non è giusto, io ti ho parlato di mio fratello e tu non mi parli del tuo? Così non è proprio equo. – Disse con tono scherzoso.
- Non abbiamo il tempo, siamo quasi arrivati alla tua fermata, almeno che tu non voglia restare ancora un po’ con me. – Voleva, ma potere e volere sono due cose diverse.
-Scendi con me, dici che vai dove ti porta il vento, se il vento ti portasse qui? –
-Allora scenderei con te, se ti fa così tanto piacere. –
-Prendo la valigia e poi ti raggiungo, ci vediamo tra poco. – Andò nello scompartimento dove si mettevano i bagagli e recuperò il suo, ma quando tornò al suo posto vide che il ragazzo se n’era andato, eppure sembrava simpatico. Fece spallucce e uscì dal treno. La stazione era sempre la stessa ogni anno, non che ci fosse tanta differenza tra questa e quella da cui era partita, ma si respirava un’aria diversa.
Si incamminò verso casa della zia. Era una donna forte, Mary Jane Tarris viveva da sola, senza neanche un robot che cucinava o puliva; la camera dove Dakota dormiva era sempre pulita ed in ordine, con anche dei vestiti di ricambio.  Arrivò finalmente nella piccola casetta dove la zia  abitava, all’interno c’erano tre stanze da letto, una piccola cucina che fungeva anche da sala da pranzo, infine c’era il luogo preferito di Dakota, una biblioteca sotterranea, pochi libri, ma spessi, potevi trovare di tutto, da Jane Austen a Stendhal.
Suonò il campanello e le venne ad aprire una piccola vecchietta, con occhiali tondi e spessi, i capelli bianchi disordinati e gli occhi azzurri attenti e socchiusi. Quando capì chi aveva suonato alla porta sul suo viso comparve un sorriso a trentadue denti. 

Piaciuto? Spero di si, recensite! Alla prossima, 

Pervi_

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Io aggiorno quando mi pare! Evviva! Ok, va bene, aspettatevi qualcosa di inaspettato! 
Pervi_


-Miley! – La zia la chiamava sempre con il nome di sua madre, non che si assomigliassero, ma le confondeva sempre.
-No zia, io sono Dakota, la figlia di Miley, tua nipote se ne è andata, ti ricordi? –
-Dakota, scusa lo sai che vi confondo sempre, entra, vieni, non ti aspettavo, scusa se la casa è un po’ in disordine. – La casa era pulita, ma probabilmente lei pensava che fosse in disordine. La donna andò in cucina mentre Dakota si sistemava sul comodo divano. Guardava la donna muoversi agilmente nella piccola cucina, le aveva detto che da giovane avrebbe voluto essere una cuoca, ma i soldi te li davano il governo e il lavoro veniva svolto dai robot. Lei se avesse potuto sarebbe voluta diventare una scrittrice, leggeva tanto e qualche volta scriveva qualcosa su un piccolo computer, semplici storie lunghe qualche pagina.
-Dakota, il tè è pronto vieni di qua. – La ragazza si alzò e si diresse in cucina, non era cambiata di una virgola, le pareti giallo limone che stonavano con il tavolo moderno e le sedie di vetro, ma a lei non importava. Si sedette su una sedia e la zia le mise davanti un delizioso tè verde, ne prese un sorso ed era perfetto, ben zuccherato con del latte.  – Credevo che non saresti venuta dopo la morte di tua madre. – Con la zia si parlava tranquillamente, non le dava fastidio se le diceva che la madre era morta.
-Come potevo lasciarti sola zia? So che ti manco quando non vengo. –
-Si mi manchi, ma potevi almeno avvertire, non ti ho neanche rifatto il letto. – Non era infastidita, aveva un’aria più preoccupata.
-Me lo rifaccio da sola, non ti dispiace se ti lascio, vero? Vado a mettere a posto la mia roba, a tra poco. – La sua stanza si trovava al secondo piano, era bella, moderna, ma non appariva fredda, aveva le pareti verdi e il letto era in legno.
Prese i suoi vestiti e li sistemò nell’armadio.  Guardò l’ora sul display della sveglia elettronica, poi guardò fuori, il cielo era puntellato di stelle, che apparivano come tanti piccoli puntini su uno sfondo nero, ecco un’altra cosa che le piaceva di quel luogo, c’erano tante stelle. Decise che era ora di coricarsi, si mise il pigiama e recuperò le due cartine, il giorno dopo avrebbe voluto visitare il luogo indicato dalla mappa per vedere se c’era qualcosa di strano, le osservò attentamente finché non si addormentò con ancora le cartine in mano.
Si svegliò di soprassalto, presa da un incubo su suo fratello; si accorse che le cartine non erano più al loro posto, non erano ne sulla scrivania ne sul comodino, stava per chiamare la zia quando si accorse che le luci erano accese e da lì provenivano delle voci; era strano che la zia fosse alzata a quell’ora, era presto, appena le tre di notte. Si alzò dal letto e scese silenziosamente le scale; piano piano le voci erano sempre più nitide, distinse quella della zia ed un’altra che le sembrava familiare, ma non riusciva a collocarla.
Si avvicinò alla porta della cucina e  ciò che vide la spiazzò. Riconobbe la voce, la stessa voce che le leggeva le fiabe della buonanotte, la stessa voce che più volte l’aveva rassicurata e la stessa voce che molti anni prima aveva creduto di non poter più sentire.
-James. – Le sembrava di averlo pensato,  ma lo aveva detto ad alta voce, sentì che le voci si interrompevano e si costrinse a spostarsi alla luce; vide gli sguardi della zia e del fratello sconcertati nel vederla; James non era cambiato molto, sempre la stessa lunghezza dei capelli e gli occhi che cambiavano colore, l’unica differenza era la barbetta incolta sul mento e i muscoli più evidenti.
-Daki, senti non è come sembra … - Cominciò lui, ma lei era arrabbiata.
-Non non ti voglio ascoltare, sei sparito per tanti anni, prima papà poi tu e infine mamma! Dove sei stato! Credevamo fossi morto! Piangevo sulle tue cose ogni sera! Ah, poi lo sai che George non parla praticamente più, è? Te lo chiedo perché vedo che ti tieni bene informato! – Il suo sguardo che fino ad adesso era stato su James si spostò sulla zia. – Tu lo sapevi, tu hai visto come stavo male, come stavamo male! Ho pianto nelle tue braccia, mi avete tradito entrambi! – La sua voce si incrinò notevolmente. – Non hai neanche il diritto di parlarmi, ne tu ne lei! – Corse di sopra, lontano da lui, in quell’ultimo periodo continuava a sperare di incontrarlo di nuovo, ma ora si sentiva tradita da lui e dalla zia.  Prese i suoi vestiti dall’armadio e li infilò dentro la valigia senza neanche piegarli. Chiuse la valigia e corse di sotto; voleva andarsene da quella casa che l’aveva da sempre rassicurata, ora non era niente; non capiva neanche perché aveva reagito così, ma ormai era troppo tardi, quando uscì dalla abitazione fece sbattere la porta.
 
Sentirono la porta sbattere, non avevano proferito parola da quando Dakota li aveva scoperti, la sua sorellina era cresciuta, qualche volta la guardava da lontano, era sempre sola e triste. Non l’avrebbe lasciata scappare. Corse fuori in inseguimento della sorella. Vide che camminava decisa in direzione della stazione. La chiamò più volte, ma lei non rispondeva, le corse incontro e la girò verso di se usando la forza; le guardò il viso rigato di lacrime e gli occhi arrabbiati e tristi; all’inizio gli diede dei pugni sullo stomaco senza metterci forza dicendogli di lasciarla, ma poi stanca si accasciò tra le sue braccia tirandoli per terra entrambi, singhiozzò sul suo petto come faceva quando da piccola si faceva male. Lui la accolse fra le braccia e la prese in braccio riportandola in casa.
Varcò la soglia della casetta con Dakota in braccio singhiozzante, la zia era ancora in cucina, seduta su una sedia.
-Siete tornati! Ero preoccupata! James dobbiamo andare, è tardi. – Il ragazzo guardò la sorella ancora tra le sue braccia.
-Dakota viene con noi, da quando ha scoperto che non sono scomparso è dentro quanto me e te. –
-Non ne saranno molto contenti. – Borbottò in risposta lei. Dakota si riscosse dalle braccia del fratello e lui la fece sedere su una sedia.
-Di che parlate? – Disse a bassa voce.
-Daki, dobbiamo andare in un posto e tu vieni con noi, ok? –
-Si, certo, ma dove? E le mie cose? –
-Non ti serviranno. – James aveva evitato apposta a rispondere alla prima domanda. – Adesso vieni, forza siamo già in ritardo. –
Dakota non si era accorta che parcheggiata fuori dalla casa c’era una macchina, era del fratello, fece salire la zia dietro mentre lei si sedé davanti con lui. Non parlarono per il viaggio, ma qualche volta i loro sguardi si incontravano. Si fermarono a qualche kilometro dalla casa della zia; erano vicino ad un punto particolarmente verde, nel senso che c’erano almeno due o tre alberi, in quell’epoca era il massimo. Lasciarono la macchina lì vicino, poi James si avvicinò ad uno di quegl’alberi e spinse su uno dei nodi, da quel nodo uscì uno scherma dove il ragazzo posizionò una mano. A pochi passi si aprì un varco con delle scale.  
-Che cos’è questo? – Chiese Dakota incredula.
-Fidati di me. – Rispose lui, molto chiaro. Scesero le scalette fino ad arrivare in un’enorme caverna sotterranea illuminata da delle lampade. L’atmosfera era tetra, ma James andava avanti spedito, sicuro di ciò che faceva. Camminarono attraverso la caverna per un po’ fino a ritrovarsi davanti ad una porta di legno molto grande. Il ragazzo aprì la porta ed entrò, all’interno c’era una piccola città, con persone che si muovevano e piccole casette come quelle descritte nei libri. Davanti a loro c’era un tavolo e dietro c’era un ragazzo che assomigliava incredibilmente a Jake, ma il ragazzo aveva occhi azzurri con dei riflessi argentei e i capelli erano biondo scuro, il viso però era in tutto e per tutto uguale a quello di Jake.
-Luke, dov’è tuo padre? – Chiese James al ragazzo.
-Aveva da fare, ha detto che chiunque lo cercasse avrebbe dovuto parlare con me. Buonasera signora Tarris. –
-Buonasera anche a te. – Rispose la zia.
-Chi è la ragazza? Dovevate essere solo voi due. –Disse il ragazzo con lo sguardo rivolto verso di lei.
-E’ mia sorella, stava da mia zia e ci ha sentiti parlare, ci si può fidare. – Le sorrise.
-D’accordo, ma è in pigiama? – Dakota si guardò e vide che si era dimenticata di vestirsi, sulle sue guance comparve del rossore.
-Avevamo fretta. – La scusò il fratello. – Vado a farle mettere qualcosa addosso, ma ricorda che voglio parlare con tuo padre. –
-Posso accompagnarla io, mio padre è in biblioteca insieme a mio fratello. – James la lasciò sola con il ragazzo. Restarono in silenzio, lui che guardava lei e lei che guardava per terra. – Piacere sono Luke Michaelson. – Le tese una mano.
- Dakota Tarris. – Strinse la mano tesa del ragazzo. – Scusa se te lo chiedo, dove siamo? Mio fratello non me lo ha detto. –
-Questo è il rifugio, veniamo qui per non attenerci alle regole là fuori, se tuo fratello ti ha portato qui vuol dire che anche a te piace fare qualcosa che è contro la legge. – 


Spero vi sia piaciuto e promuovo la campagna per le recensioni, aiuta un povero autore!
Pervi_

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Bene, perdonate la vostra Pervinca, vi ho fatto aspettare molto e mi dispiace, comunque il capitolo è arrivato ... quindi, buona lettura

-Pervi_
-Adoro leggere. –
-Allora è di famiglia, tuo fratello passa ore in biblioteca, vieni, dovresti avere la taglia di mia sorella. – La condusse verso una casa di colore giallo.  La porta era verde, tutto in quel paesino sotterraneo era colorato, da tanto non vedeva così tanto colore, di sopra c’era solo il bianco. Luke aprì la porta e l’interno era bellissimo; un camino in pietra scoppiettava su una parete mentre nell’altra si trovava un divano d’epoca, le pareti erano di un verde tenue. La condusse su per le scale in legno, nel corridoio superiore c’erano quattro porte, ognuna era di un colore diverso, una blu, una rossa, una gialla e un’altra arancione, ed è proprio in quella che entrarono. Le pareti erano del colore della porta, ma era un arancione più tenue reso luminoso dal legno chiaro dei mobili. Luke si avvicinò all’armadio e ne tirò fuori un vestito. Dakota odiava i vestiti, preferiva i pantaloni e magliette o canottiere.
-Io non lo metto quello. Tua sorella non ha dei pantaloni? – Lui la guardò storto.
-O questo oppure uno dei miei pantaloni, quindi decidi, mia sorella indossa solo vestiti, non so neanche il perché. –
-Allora ok, mi metto i tuoi pantaloni! –
-Era ironico, io non ti presterei mai i miei pantaloni.  Tieni, non ti dovrebbe stare così male, ti lascio sola. –
-No aspetta! – Ma il ragazzo se n’era già andato.  Guardò il vestito che Luke aveva lasciato sul letto, era bianco, con una striscia gialla in vita, vide che accanto c’erano delle scarpe, ballerine, possibile che questa ragazza non avesse dei vestiti normali! Lo indossò e in effetti non le stava così male, il giallo della fascia esaltava le pagliuzze dorate nei suoi occhi. Si diresse fuori dalla stanza e non trovando il ragazzo ad aspettarla scese le scale. Lo ritrovò seduto sul divano con gli occhi in un mondo tutto suo. Sentì il cigolio delle scale così si girò verso di lei.
-Avevo ragione, ti sta bene. – La squadrò da capo a piedi, prima di riportare gli occhi nei suoi. – Sarà meglio raggiungere tuo fratello. – Si alzò dal divano, aveva l’aria di essere molto comodo. La condusse fuori dalla casa e risalirono una stradina che la portò davanti ad un edificio più grande degli altri; entrarono silenziosamente dalla grande porta. All’interno c’erano altissimi scaffali pieni di libri e al centro un tavolo circolare di legno al quale erano seduti suo fratello e due uomini, uno molto simile a Luke. James appena la vide scoppiò in una risata fragorosa.
-Tu hai fatto mettere a mia sorella un vestito? – Disse fra le risate. I due uomini lo fulminarono con lo sguardo, cosa che non fermò le risate del ragazzo.
-Cos’è che ti fa tanto ridere James? – Chiese l’uomo accanto a quello che assomigliava a Luke.
-Mia sorella non ha mai messo un vestito, quando mia madre ci provava la mordeva, non scherzo, adesso tuo figlio le ha fatto mettere un vestito! – Disse a denti stretti.
-Lasciamo perdere,Dakota, siediti. – La ragazza era rimasta in quel lasso di tempo a fulminare il fratello con lo sguardo, un venticinquenne che si metteva a ridere così.
-Lei come sa il mio nome? –
-Tuo fratello parla spesso di te, è come se ti conoscessi già. –
-Interessante, e lei chi è? –
-Mi chiamo Mathew Michaelson, sono il padre di Luke, ma ti prego dammi del tu; invece quest’uomo al mio fianco è un mio caro amico, Bryan Reid. A lui non azzardarti a dargli del tu! –Le fece scappare un risolino, ma poi vide il viso serio dell’altro uomo e la risata ebbe vita breve.
-Sentite, mio fratello mi ha portata qui, ma non so il motivo, che cos’è questo posto? –
-Ogni cosa a suo tempo, intanto immagino vorrai riposarti, forse qui non sembra, ma sono quasi le quattro di notte, tuo fratello mi ha detto che ti hanno svegliato, necessiti di altre ore di sonno. – Così liquidò il discorso, il fratello si alzò dal tavolo e le cinse le spalle con braccio conducendola fuori dall’enorme biblioteca. La condusse dalla parte in cui prima aveva seguito Luke a casa sua; superarono tutte le case fino ad arrivare ad una grande porta che prima lei non aveva notato. La attraversarono e si ritrovarono in un altro paesino uguale a quello che avevano appena superato.
-Quanti paesini ci sono come questi? – Chiese lei incredula.
-La mia casa è nel secondo, ma ogni paese è lungo circa per due kilometri, ma ci sono almeno quindici kilometri di paesi più altri cinque in costruzione, il materiale lo recuperiamo da delle vecchie fabbriche e per muoverci da uno all’altro ci sono le macchine o le biciclette, raramente delle moto. C’è una scuola e una biblioteca come vedi; la biblioteca è nel primo paese invece la scuola è nel settimo paese. Questo posto esiste da tanti anni, hanno avuto tempo di costruirlo. Vieni, siamo arrivati. – Erano davanti ad una casa azzurra, con la porta blu scuro. Aprì la porta e dentro era simile alla casa di Luke, ma le pareti erano azzurro chiaro, quasi bianco, il divano era anch’esso azzurro e nel camino il fuoco scoppiettava. Erano belle quelle casette.  James la guardò trattenendo una risata. – Scusa, ma per un po’ dovrai indossare i vestiti della sorella di Luke, lo so che non ti piacciono le gonne, ma non abbiamo altro. –
-Ma lei non si arrabbierà? Uso i suoi vestiti e non la conosco. –
-E’ scomparsa, era una sottospecie di messaggera, portava i messaggi dei fuggiaschi alle famiglie; avvertiva che erano qui. Io ti ho spedito una lettera per dirti di raggiungermi, lei doveva portartela, ma non è tornata e Luke mi odia per questo, anche se non è colpa mia. E’ successo anni fa, ma non hanno il coraggio di buttare i suoi vestiti. Vivono felici, ma il dolore rimane.  – 

Spero vi sia piaciuto, un bacio enorme


Pervi_

 

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