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di behindamask
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 0 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1.2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 0 ***


Giovedì 19 Maggio
Fu tutto quello che riuscii a scrivere in dieci minuti, cioè assolutamente niente.
Dopotutto ero convinto che non sarebbe servito, che fosse solo una perdita di tempo.
Quanto mi sbagliavo...
Era uno psicologo che mi aveva costretto a scrivere come avevo altre ventiquattro ore della mia pena, nel vano tentativo di aiutarmi. le aveva provate tutte quel pover'uomo; ma nonostante i suoi sforzi, solevo pensare che "una pagina intrisa di dolore non può che peggiorare il ricordo di un passato triste". Gran bella frase, peccato che non mi avrebbe salvato. Non mi andava di svuotare l' anima per gettarla tra quelle pagine, vedere davanti a me la prova palpabile delle mie sofferenze e di pentirmene ancora. Volevo solo una cosa: morire. Volevo morire, ma sapevo che neanche quello sarebbe servito. Lei era lì. All' Inferno. Mi aspettava. Aspettava solo che esalassi il mio ultimo respiro, aspettava godando di ogni spasmo e di ogni attimo di agonia. In silenzio. Come me.

Non voglio passare un minuto di più con questa maledetta matita in mano.

Ed era, lo giuro, tutta la verità che mi era concessa di scrivere.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Richiusi quello che sarebbe diventato "il mio confidente, l'oggetto che mi avrebbe accompagnato per un po' di tempo e che quando sarei diventato grande mi sarebbe piaciuto rileggere". Così dissero, almeno per convincermi. Ma più ci pensavo, più mi veniva da ridere perchè non riuscivo a trovare tutta quella filosofia in un raccoglitore mezzo distrutto con dentro due, o al massimo tre, reliquie cartacee ingiallite dal tempo risalenti alla prima elementare sulle quali dover scrivere i miei peccati.

«E questo sarebbe il "confidente" che a ottant'anni dovrei rileggere? Non credo proprio. Quando arriverà il momento, spero di essere troppo astigmatico per riconoscerne anche solo una parola. Non penso che sentirò la sua mancanza quando lo brucerò insieme alle altre scartoffie insignificanti dando la colpa alla memoria a breve termine per giustificarmi.» pensai, rigirando tra le mani quegli assurdi mostriciattoli che vi erano disegnati in pose altezzose.
In un angolo notai un'etichetta. Era troppo sbiadita per poterla leggere, ma si distinguevano le linee sottili e incerte di una scrittur che ormai non mi apparteneva più. Voltai lo sguardo verso le tapparelle abbassate della palestra. Era ancora troppo presto perché arrivasse qualcuno. Ero certo che e fossi stato fuori casa mi sarebbe stato più piacevole scrivere. Guardavo ammirato le strisce di polvere che fluttuavano nell' aria come stelle. Quei piccoli granelli roteavano pigri e spensierati. Li invidiai, da un certo punto di vista. Immaginai quello che accadeva oltre il vetro e mi lasciai trasportare dai miei pensieri lontano da lì; dove il corpo mi schiacciava al suolo ed ero pesante, dove regnava il silenzio lento e ritmico dei miei respiri.

Un borbottio sommesso mi riportò brutalmente alla realtà facendomi sobbalzare.
Nascosi il raccoglitore dentro la tracolla.
Un'altra voce. Una ragazza. Dal tono intuii stesse facendo una domanda al suo interlocutore.
«Sì, lo conosco Alberto.» la risposta.
Fu impossibile non sentire quella frase, prima di tutto perchè riconobbi la voce, poi perchè sembrava che quello fosse il suo scopo: attirare la mia attenzione.

Kevin.

Mi alzai rapidamente e la borsa cadde a terra con un tonfo sordo che riecheggiò per la stanza.
I suoi occhi verdi, arrabbiati e vendicativi.
L' ira nel suo sguardo.
Le sue labbra increspate in un sorriso crudele.
La mia mente era otturata dai pensieri sopra i quali aleggiava il brutto presentimento.
Riconobbe in me, la paura.
Immobile. Lo guardavo come un cervo guarderebbe il cacciatore. Sapevo quali erano i suoi intenti, ma non scappai. Quella volta era diverso. Lo avrei lasciato fare, sentivo di meritarmelo.

«Sì, lo conosco bene, Alberto...»
La frase in sospeso, come quel sospiro negato. Iniziò a camminare, passo dopo passo, davanti a me. Avanti e indietro. Lentamente,
«Kevin, ti supplico...»
Temevo che dicesse qualcosa. Non avevo paura del dolore, ma delle parole. Quelle parole che erano capaci di ferire più della lama di una spada. Tenevi la testa bassa, come un condannato. In attesa del peggio che stava arrivando annunciato dal fantasma di un dolore al petto. Mossi le labbra in una muta preghiera. I capelli erano abbastanza lunghi per coprire la lacrima che scivolava lenta e inesorabile sul viso. Mi sentii solo. Terribilmente solo. Ormai l' unica cosa che potevo sperare, era che non mettesse in mezzo la ragazza.
Tristezza e Angoscia, le mie vhecchie compagne, mi sfondarono il torace come un masso pesante per ricordarmi che quella era la realtà, non come appariva sotto l' effetto di psicofarmaci.
La realtà che sognavo oltre quella finestra non era mai esistita.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 1.2 ***


-Potrei presentartelo.-
«Non dirle niente...»
-Potrei dirti io quello che vuoi sapere. Ma sì, perchè no? Tanto tu non hai nulla in contrario, vero, Alberto?-
Tremavo. A stento sopportai il dolore che mi dilaniava il petto, togliendomi il respiro.
Mi appoggiai al muro, l'unico sostegno che potevo permettermi.
-Kevin, che cosa...?-
La ragazza. Provai a guardarla per dare un volto a quella voce delicata, una voce che in quel momento era l' unica luce nel buio che mi avvolgeva. Provai a guardarla, ma il suo volto appariva deformato a causa delle mie lacrime.
-No, Veronica. Fa' parlare me.- sibilò in risposta.
Nel silenzio, i suoi passi. Toc, toc, toc... avanti e indietro, avanti e indietro, finchè si fermarono.
Di nuovo il suo sguardo gelido puntato su di me che, nonostante tutto, temevo ancora.
-Ce l' hai davanti. É lui l' assassino che cercavi.-
Il viso illuminato da un debole fascio di luce che filtrava dalle imposte socchiuse. L'espressione tradiva un infinito disprezzo. Ignorava il mio disagio e ne traeva diletto.
 "Assassino".
Un sadico sfizio che si voleva togliere.
Un formicolio alla fronte, alle labbra, alle ossa... presto si diffuse in tutto il corpo. I sensi erano otturati. Non sentivo più il ruvido del muro graffiarmi la schiena, il resto era un confuso mormorio.
«Non puoi essere ciò che non sei. Non puoi fingere di non essere te stesso.»
Un colpo alla testa. Probabilmente caddi. Ripresi lucidità quel tanto che bastava per sentire la sua risata.
Il sangue scorreva caldo nelle vene e l' aria mi mancava. Boccheggiai. provai ad urlare. Uno dei molti tentativi senza esito. Sbattere le palpebre era un supplizio, le sentivo pesanti, ma a chiuderle diventavano lava.
-Ho provato a far tornare tutto come prima, ma non mi hai lasciato altra scelta. Non hai voluto aiutarmi.-
«É colpa mia. É solo colpa mia.»
-Non so e non m'interessa sapere cosa tu voglia farne di lui, sono fatti che non mi riguardano,- un ghigno malvagio apparve come un lampo sul suo volto per poi sparire così come era venuto -ma una cosa è certa: a lui non gliene importerà mai niente!-
Sì, non mi importava. Non mi importava del dolore. Non m'importava delle sue parole. Non m'importava delle lacrime. Non m'importava di ciò che stava accadendo. Semplicemente non m'importava.
Prima di non sentirmi più padrone del corpo, prima di quelle convulsioni incontrollate. Prima dell'oblio.
Dopo. Solo dopo sentii la mano fresca della ragazza stringere la mia. Dopo le sue carezze sul mio corpo e dopo, solo dopo, la sua voce che sussurrava.
-Va tutto bene.-
Quell'attimo prima del nulla.

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