La vera storia di Finnick ed Annie

di finnicksahero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The beach prohibited ***
Capitolo 2: *** Mietitura ***
Capitolo 3: *** Capitol City ***
Capitolo 4: *** La Parata dei Tributi ***
Capitolo 5: *** L'Addestramento. ***
Capitolo 6: *** Sessioni Private. ***
Capitolo 7: *** L'Intervista. ***
Capitolo 8: *** Che gli Hunger Games Abbiano Inizio. ***
Capitolo 9: *** The Arena pt 1 (Annie Cresta) ***
Capitolo 10: *** The Arena pt 2 (Annie Cresta) ***
Capitolo 11: *** Il Cielo Troppo Puro per Me. ***
Capitolo 12: *** Finalmente a Casa. ***
Capitolo 13: *** Sempre la dentro. ***
Capitolo 14: *** The Victory Tour. ***
Capitolo 15: *** Perdite. ***
Capitolo 16: *** First Times ***
Capitolo 17: *** Together? ***
Capitolo 18: *** -Annie Cresta- ***
Capitolo 19: *** Addio. ***
Capitolo 20: *** Friend. ***
Capitolo 21: *** La prima volta. ***
Capitolo 22: *** Felici Hunger Games. ***
Capitolo 23: *** The Hunger Games (Annie) ***
Capitolo 24: *** I win. (Annie Cresta) ***
Capitolo 25: *** -Tornerò sempre da te- ***
Capitolo 26: *** Ti amo Annie Cresta. ***
Capitolo 27: *** Tu le mantieni sempre le promesso. ***
Capitolo 28: *** Johanna and Finnick. ***
Capitolo 29: *** Sei stato un miraggio. ***
Capitolo 30: *** Baci al cioccolato. ***
Capitolo 31: *** Annie Cresta. ***
Capitolo 32: *** -Mi offro volontaria- ***
Capitolo 33: *** Speranza e Rivoluzione. ***
Capitolo 34: *** Gli innamorati sventurati. ***
Capitolo 35: *** La Ghiandaia e l'oratore. ***
Capitolo 36: *** Stiamo per tornare nell'Arena. ***
Capitolo 37: *** Grazie per Annie. ***
Capitolo 38: *** Hai un cuore dolce. ***
Capitolo 39: *** Jungle. ***
Capitolo 40: *** The 75th Hunger Games. Parte prima. ***
Capitolo 41: *** The 75th Hunger Games. Parte seconda. ***
Capitolo 42: *** Ghiandaie Chiacchierone. ***
Capitolo 43: *** Atlas (Annie Cresta) ***
Capitolo 44: *** Effie. ***
Capitolo 45: *** Il precipizio (Annie Cresta) ***
Capitolo 46: *** Madre (Annie Cresta) ***
Capitolo 47: *** Safe and Sound (Annie Cresta) ***
Capitolo 48: *** Salvi, liberi insieme. ***
Capitolo 49: *** Distretto 13. ***
Capitolo 50: *** -Mi vuoi sposare?- ***
Capitolo 51: *** Il Matrimonio (Annie Cresta) ***
Capitolo 52: *** Scoperte ***
Capitolo 53: *** Siam pronti alla morte parte 1 (Annie Cresta) ***
Capitolo 54: *** Siam pronti alla morte parte 2 (Finnick Odair) ***
Capitolo 55: *** Come una candela (Finnick Odair) ***
Capitolo 56: *** Destino (Annie Cresta) ***
Capitolo 57: *** -Fin- (Annie Cresta) ***
Capitolo 58: *** If Die Young (Johanna Mason) ***
Capitolo 59: *** La vera storia di Finnick ed Annie (Annie Cresta) ***



Capitolo 1
*** The beach prohibited ***


Capitolo due

Passai le giornate con Annie, a casa le cose non miglioravano anzi, mio padre era alcolista, ed Annabelle aveva più bisogno di più attenzioni, io non potevo crollare, ed Annie era l'unica che mi manteneva sano di mente, conoscendola meglio notai la sua intelligenza, scopri che non sapeva nuotare e che non sapeva nemmeno pescare, però era bravissima a fare le reti, anche con le trappole e I nodi era fortissima, era in grado di fare I nodi più difficile in un tempo brevissimo mentre parlava, mi aveva anche regalato un braccialetto di corda intrecciato da diversi nodi e tutti difficilissimi, lo tenevo al polso e lo toccavo ogni volta che ne avevo l'occasione. -Finnick devi imparare ad intrecciare una rete- mi dice lei mentre stiamo sulla spiaggia durante il pomeriggio.

I suoi capelli sono raccolti in una crocchia da dove uscivano alcuni riccioli e gli ricadevano sul viso accigliato mentre finiva di fare una rete, -Mi imbroglio con tutti quei fili- dico, lei si gira a guardarmi con un sopracciglio alzato, cerca di trattenere un sorriso, alzo gli occhi al cielo -Tutte scuse Odair- dice lei, mi prende una mano e sento un brivido cerco di non darlo a vedere, poi fa passare un dito sul polso, abbassa lo sguardo e sorride -Lo hai ancora- nota, io sorrido -Non lo levo mai- ammetto, lei sorride e arrossisce, -Comunque, tu non sai nuotare e nemmeno pescare- dico lei muove una mano in aria -Facciamo così, io ti insegno ad intrecciare le reti e a fare le trappole e tu m'insegni a nuotare e a pescare- dice allungando una mano, sorride e la prendo -Ci sto- dico, lei si alza e mi viene fra le braccia, mi prende le mani nelle sue -Allora inizio io, insieme a me facciamo un normalissimo nodo- dice, la circondo con le braccia con il petto che sembra esplodere dai battiti del cuore, il mio respiro accelera quando Annie mi prende le mani nelle sue e con movimenti pratici fa nascere un nodo, sorrido, le si volta verso di me -Fallo da solo- si alza e si mette di nuovo accanto a me, cerco di rifare il nodo e riesco, lei applaude -Bravo occhi verdi- dice mi acciglio -Occhi verdi?- chiedo lei sorride -Hai ragione, li hai verde mare- dice con aria di superiorità rido, poi osservo il mare e mi sento morire -Annie, fra un settimana c'è la mietitura- dico, lei si porta le ginocchia al petto e annuisce -Lo so, hai paura?- chiede con voce tremante, raddrizzo le spalle -No- mento, lei mi tocca il braccio e sospira -Non devi fare così anche con me, dimmi la verità, io ho paura- mi dice, mi giro verso di lei e gli vedo gli occhi preoccupati -Non ho paura, sono preoccupato, per Annabelle- dico, lei mi tocca un braccio -Mi occuperei io di lei nel periodo dei giochi e quando tornerai ti sarei vicino- sussurra, mi giro verso di lei e gli prendo il viso fra le mani -Non tornerei, morirei la dentro, lo so benissimo- dico, lei si morde un labbro sento le farfalle nello stomaco come animali selvaggi che cercano di scappare da una gabbia troppo piccola, una lacrima gli scende sulla sua guancia di porcellana -Io so che potresti tornare, che sei forte e che faresti di tutto per tornare da Annabelle- dice lei fissandomi negli occhi -E da te- aggiungo, lasciando cadere le mani e distogliendo lo sguardo, mi alzo in piedi e lei fa lo stesso -Ti accompagno a casa- dico, lei annuisce, prendo la mia roba e lei si carica in spalla la rete, senza pensarci gli prendo la mano, lei mi accarezza il polso e il braccialetto poi la scansa e mi sorride -Andiamo?- chiede, io annuisco e ricambio il sorriso.

I giorni passano veloci manca un giorno alla mietitura ed solo l'alba e io sono già in spiaggia, camminiamo su e in giù guardando a terra, vedo tante conchiglie tutte brutte e scialbe, fra le mani tenevo un filo che continuavo ad annodare, caccio un grido e mi butto a terra, strizzo gli occhi e li chiudo con le lacrime che scendono sulle mie guance. Senti qualcuno darmi un calcio apri gli occhi e trovai Annie china sopra di me, mi sorride -Ciao- dice, io sorrido, si mette alla mia sinistra e la vedo portarsi I capelli su una spalla, oggi indossa una semplice canottiera che gli arriva a metà coscia, sotto a il costume, guardai davanti a me e vidi una conchiglia con le sfumature verdi la presi e con il coltello che avevo nello zaino cercai di fargli un piccolo foro -Che fai?- chiede curiosa, io sorrido, faccio un buchino e ci faccio passare la cordicina -Un porta fortuna per domani- dico, lei sorride, gliela metto e la lego, lei la tocca e sorride -Grazie- mi dice, io sorrido e guardo il mare -Finnick per domani ci saranno dei volontari, ci sono sempre- dice lei, mi giro e sorrido -Certo, non sono preoccupato- dico, lei appoggia la testa alla mia spalla e chiude gli occhi -Vorrei che gli Hunger Games smettessero, un giorno vorrei una famglia dei bambini- mi dice come in trance sorrido mio malgrado -Anche io- ammetto ride -Tu sei già un mezzo padre con Annabelle- dice lei ridendo, -Già- sussurro, passiamo il pomeriggio a nuotare ed a fare nodi, Annie con il mio tridente prende il suo primo pesce e mi abbraccia saltandomi addosso, una bella giornata se consideriamo che cosa potrebbe succedere il giorno dopo. L'accompagno a casa e stavolta mi avvicino a lei, prima che entra in casa si alza sulle punte e mi bacia la guancia -Senti Cresta, domani cerca di non farti estrarre, solo come favore personale- lei ride e mi abbraccia -Sta' attento- mi sussurra, io annuisco e aspetto che entra, corro a casa per cercare di dormire, cosa che naturalmente non riuscirò a fare. Per la seconda volta nella mia vita vidi l'alba, infilai I vestiti buoni, una camicia bianca e dei pantaloni neri lunghi, misi le scarpe buone e pettinai come potevo I capelli, non mi tolsi il regalo di Annie, se dovevo andare al macello volevo qualcosa di una persona che amavo vicino. -Finnick, vado con I genitori ci vediamo dopo- dice la mia sorellina.

I capelli biondi raccolti da un nastrino rosso come il vestito che indossa, a I sandali nuovi mi bacia la guancia e va via, mi metto in fila e mi facci pungere un dito, e vado fra I miei coetanei, piano pianto si riempe la piazza, molte sono al porto, perché in piazza non c'è spazio, mi giro e cerco Annie con lo sguardo, lei pure, ci troviamo e nonostante tutto sorrido, lei ricambia tira su la collana e sorrido, io scosto la manica lei sorride, -Benvenuti benvenuti- dice una voce stridula tolgo gli occhi dalla bellezza naturale di Annie e vedo la nostra accompagnatrice Estella vestita di un verde fluo accesissimo, sembra che abbia tolto le piume da un uccello da come è concia, arriccio il naso, presenta I vincitori ma non ascolto nemmeno, tengo lo sguardo basso fino a che non sento -Prima le signore- alzo lo sguardo e trattengo il respiro, infila la mano fasciata da un guanto del medesimo colore dell'abito dentro la boccia e tira fuori un pezzettino di carta, mi accelera il respiro poi si mozza quando lo apre -Juliane Moghé- urla, una diciottenne si avvia al palco ma poi le mani si alzano, -Cara vai a posto, tu, con I capelli rossi vieni- dice la donna, Juliane geme e torna a posto dando uno spintone alla ragazza e tornando in riga, non ascolto il nome, mi giro verso Annie che si tiene il petto e respira debolmente, mi guarda e annuisce con le labbra dice -Ho mantenuto il favore- sospiro lei torna a guardare il palco faccio lo stesso, si avvicina alla boccia dei ragazzi e prego per me stesso, non voglio essere estratto, -Finnick Odair- urla, mi sento gelare il sangue, m'immobilizzo non riesco a guardare Annie, vedo solo rosso, sangue ovunque, per lo più mio. Esco dalla fila -Oh niente volontari- dice la donna, vado sul palco con fare deciso, a testa alta stringo la mano alla mia avversaria. Mietitura finita. Guardo il mare dalla finestra e gioco con il braccialetto la porta si apre mi giro di scatto e vedo la mia sorellina con le guance rigate mi accuccio e mi corre incontro -Finnick- dice fra I singhiozzi -Vinci vero? Torni vero?- dice io sorrido debolmente -Certo principessa- gli dico tenendo la voce tranquilla, lei mi bacia la guancia e sorride -Torni- dice solo, mi abbraccia e la stringo forte un pacificatore entra e me la strappa da addosso, lei urla e mi giro dall'altra parte per non vederla, la porta si chiude e si riapre subito, davanti a me c'è Annie in un abito bianco sporco, I capelli riccioli liberi e vaporosi, è bellissima mi butta le braccia al collo -No, Finnick non è vero no no- dice iniziando a piangere, la stringo più forte -Ascolta, bada a mia sorella- gli dico, lei mi scosta e incrocia le braccia al petto -Annie, tornerò per te, lo sai- lei si asciuga le lacrime e tiene lo sguardo basso -Annie- sussurro, lei si gira -Promettilo- dice lei io l'abbraccio -Cosa che tornerò per te?- chiedo lei annuisce, gli sorrido -Certo, Annie prometto di tornare da te- dico, la porta si apre e lei è presa dal panico -Hai promesso Odair, io ho mantenuto la mia tu mantieni la tua- mi urla, l'ultima cosa che vidi erano I suoi occhi verdi impregnati di lacrime e tutti rossi, le lacrime che gli rigavano il suo bel viso, trattenni le mie per mostrarmi forte, non dovevo cedere anzi non potevo cedere, la porta di mogano si chiuse e rilassai le spalle chiusi I miei occhi lasciando che le immagini più belle del volto, e della risata di Annie mi invadessero la mente e per un'attimo uno solo era realmente felice come succedeva quando ero con Annie.

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Capitolo 2
*** Mietitura ***


Capitolo due:


Passai le giornate con Annie, a casa le cose non miglioravano anzi, mio padre era alcolista, ed Annabelle aveva più bisogno di più attenzioni, io non potevo crollare, ed Annie era l'unica che mi manteneva sano di mente, conoscendola meglio notai la sua intelligenza, scopri che non sapeva nuotare e che non sapeva nemmeno pescare, però era bravissima a fare le reti, anche con le trappole e I nodi era fortissima, era in grado di fare I nodi più difficile in un tempo brevissimo mentre parlava, mi aveva anche regalato un braccialetto di corda intrecciato da diversi nodi e tutti difficilissimi, lo tenevo al polso e lo toccavo ogni volta che ne avevo l'occasione. -Finnick devi imparare ad intrecciare una rete- mi dice lei mentre stiamo sulla spiaggia durante il pomeriggio, I suoi capelli sono raccolti in una crocchia da dove uscivano alcuni riccioli e gli ricadevano sul viso accigliato mentre finiva di fare una rete, -Mi imbroglio con tutti quei fili- dico, lei si gira a guardarmi con un sopracciglio alzato, cerca di trattenere un sorriso, alzo gli occhi al cielo -Tutte scuse Odair- dice lei, mi prende una mano e sento un brivido cerco di non darlo a vedere, poi fa passare un dito sul polso, abbassa lo sguardo e sorride -Lo hai ancora- nota, io sorrido -Non lo levo mai- ammetto, lei sorride e arrossisce, -Comunque, tu non sai nuotare e nemmeno pescare- dico lei muove una mano in aria -Facciamo così, io ti insegno ad intrecciare le reti e a fare le trappole e tu m'insegni a nuotare e a pescare- dice allungando una mano, sorride e la prendo -Ci sto- dico, lei si alza e mi viene fra le braccia, mi prende le mani nelle sue -Allora inizio io, insieme a me facciamo un normalissimo nodo- dice, la circondo con le braccia con il petto che sembra esplodere dai battiti del cuore, il mio respiro accelera quando Annie mi prende le mani nelle sue e con movimenti pratici fa nascere un nodo, sorrido, le si volta verso di me -Fallo da solo- si alza e si mette di nuovo accanto a me, cerco di rifare il nodo e riesco, lei applaude -Bravo occhi verdi- dice mi acciglio -Occhi verdi?- chiedo lei sorride -Hai ragione, li hai verde mare- dice con aria di superiorità rido, poi osservo il mare e mi sento morire -Annie, fra un settimana c'è la mietitura- dico, lei si porta le ginocchia al petto e annuisce -Lo so, hai paura?- chiede con voce tremante, raddrizzo le spalle -No- mento, lei mi tocca il braccio e sospira -Non devi fare così anche con me, dimmi la verità, io ho paura- mi dice, mi giro verso di lei e gli vedo gli occhi preoccupati -Non ho paura, sono preoccupato, per Annabelle- dico, lei mi tocca un braccio -Mi occuperei io di lei nel periodo dei giochi e quando tornerai ti sarei vicino- sussurra, mi giro verso di lei e gli prendo il viso fra le mani -Non tornerei, morirei la dentro, lo so benissimo- dico, lei si morde un labbro sento le farfalle nello stomaco come animali selvaggi che cercano di scappare da una gabbia troppo piccola, una lacrima gli scende sulla sua guancia di porcellana -Io so che potresti tornare, che sei forte e che faresti di tutto per tornare da Annabelle- dice lei fissandomi negli occhi -E da te- aggiungo, lasciando cadere le mani e distogliendo lo sguardo, mi alzo in piedi e lei fa lo stesso -Ti accompagno a casa- dico, lei annuisce, prendo la mia roba e lei si carica in spalla la rete, senza pensarci gli prendo la mano, lei mi accarezza il polso e il braccialetto poi la scansa e mi sorride -Andiamo?- chiede, io annuisco e ricambio il sorriso.
I giorni passano veloci manca un giorno alla mietitura ed solo l'alba e io sono già in spiaggia, camminiamo su e in giù guardando a terra, vedo tante conchiglie tutte brutte e scialbe, fra le mani tenevo un filo che continuavo ad annodare, caccio un grido e mi butto a terra, strizzo gli occhi e li chiudo con le lacrime che scendono sulle mie guance. Senti qualcuno darmi un calcio apri gli occhi e trovai Annie china sopra di me, mi sorride -Ciao- dice, io sorrido, si mette alla mia sinistra e la vedo portarsi I capelli su una spalla, oggi indossa una semplice canottiera che gli arriva a metà coscia, sotto a il costume, guardai davanti a me e vidi una conchiglia con le sfumature verdi la presi e con il coltello che avevo nello zaino cercai di fargli un piccolo foro -Che fai?- chiede curiosa, io sorrido, faccio un buchino e ci faccio passare la cordicina -Un porta fortuna per domani- dico, lei sorride, gliela metto e la lego, lei la tocca e sorride -Grazie- mi dice, io sorrido e guardo il mare -Finnick per domani ci saranno dei volontari, ci sono sempre- dice lei, mi giro e sorrido -Certo, non sono preoccupato- dico, lei appoggia la testa alla mia spalla e chiude gli occhi -Vorrei che gli Hunger Games smettessero, un giorno vorrei una famglia dei bambini- mi dice come in trance sorrido mio malgrado -Anche io- ammetto ride -Tu sei già un mezzo padre con Annabelle- dice lei ridendo, -Già- sussurro, passiamo il pomeriggio a nuotare ed a fare nodi, Annie con il mio tridente prende il suo primo pesce e mi abbraccia saltandomi addosso, una bella giornata se consideriamo che cosa potrebbe succedere il giorno dopo.
L'accompagno a casa e stavolta mi avvicino a lei, prima che entra in casa si alza sulle punte e mi bacia la guancia -Senti Cresta, domani cerca di non farti estrarre, solo come favore personale- lei ride e mi abbraccia -Sta' attento- mi sussurra, io annuisco e aspetto che entra, corro a casa per cercare di dormire, cosa che naturalmente non riuscirò a fare.
Per la seconda volta nella mia vita vidi l'alba, infilai I vestiti buoni, una camicia bianca e dei pantaloni neri lunghi, misi le scarpe buone e pettinai come potevo I capelli, non mi tolsi il regalo di Annie, se dovevo andare al macello volevo qualcosa di una persona che amavo vicino. -Finnick, vado con I genitori ci vediamo dopo- dice la mia sorellina, I capelli biondi raccolti da un nastrino rosso come il vestito che indossa, a I sandali nuovi mi bacia la guancia e va via, mi metto in fila e mi facci pungere un dito, e vado fra I miei coetanei, piano pianto si riempe la piazza, molte sono al porto, perché in piazza non c'è spazio, mi giro e cerco Annie con lo sguardo, lei pure, ci troviamo e nonostante tutto sorrido, lei ricambia tira su la collana e sorrido, io scosto la manica lei sorride, -Benvenuti benvenuti- dice una voce stridula tolgo gli occhi dalla bellezza naturale di Annie e vedo la nostra accompagnatrice Estella vestita di un verde fluo accesissimo, sembra che abbia tolto le piume da un uccello da come è concia, arriccio il naso, presenta I vincitori ma non ascolto nemmeno, tengo lo sguardo basso fino a che non sento -Prima le signore- alzo lo sguardo e trattengo il respiro, infila la mano fasciata da un guanto del medesimo colore dell'abito dentro la boccia e tira fuori un pezzettino di carta, mi accelera il respiro poi si mozza quando lo apre -Juliane Moghé- urla, una diciottenne si avvia al palco ma poi le mani si alzano, -Cara vai a posto, tu, con I capelli rossi vieni- dice la donna, Juliane geme e torna a posto dando uno spintone alla ragazza e tornando in riga, non ascolto il nome, mi giro verso Annie che si tiene il petto e respira debolmente, mi guarda e annuisce con le labbra dice -Ho mantenuto il favore- sospiro lei torna a guardare il palco faccio lo stesso, si avvicina alla boccia dei ragazzi e prego per me stesso, non voglio essere estratto, -Finnick Odair- urla, mi sento gelare il sangue, m'immobilizzo non riesco a guardare Annie, vedo solo rosso, sangue ovunque, per lo più mio. Esco dalla fila -Oh niente volontari- dice la donna, vado sul palco con fare deciso, a testa alta stringo la mano alla mia avversaria. Mietitura finita.
Guardo il mare dalla finestra e gioco con il braccialetto la porta si apre mi giro di scatto e vedo la mia sorellina con le guance rigate mi accuccio e mi corre incontro -Finnick- dice fra I singhiozzi -Vinci vero? Torni vero?- dice io sorrido debolmente -Certo principessa- gli dico tenendo la voce tranquilla, lei mi bacia la guancia e sorride -Torni- dice solo, mi abbraccia e la stringo forte un pacificatore entra e me la strappa da addosso, lei urla e mi giro dall'altra parte per non vederla, la porta si chiude e si riapre subito, davanti a me c'è Annie in un abito bianco sporco, I capelli riccioli liberi e vaporosi, è bellissima mi butta le braccia al collo -No, Finnick non è vero no no- dice iniziando a piangere, la stringo più forte -Ascolta, bada a mia sorella- gli dico, lei mi scosta e incrocia le braccia al petto -Annie, tornerò per te, lo sai- lei si asciuga le lacrime e tiene lo sguardo basso -Annie- sussurro, lei si gira -Promettilo- dice lei io l'abbraccio -Cosa che tornerò per te?- chiedo lei annuisce, gli sorrido -Certo, Annie prometto di tornare da te- dico, la porta si apre e lei è presa dal panico -Hai promesso Odair, io ho mantenuto la mia tu mantieni la tua- mi urla, l'ultima cosa che vidi erano I suoi occhi verdi impregnati di lacrime e tutti rossi, le lacrime che gli rigavano il suo bel viso, trattenni le mie per mostrarmi forte, non dovevo cedere anzi non potevo cedere, la porta di mogano si chiuse e rilassai le spalle chiusi I miei occhi lasciando che le immagini più belle del volto, e della risata di Annie mi invadessero la mente e per un'attimo uno solo era realmente felice come succedeva quando ero con Annie.

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Capitolo 3
*** Capitol City ***


Capitolo tre:

Mi scortarono alla stazione, scopro che la mia compagna di distretto si chiama Keila, che e' stranamente tranquilla, come se invece di portarci al macello ci stessero' portando in un posto migliore, oddio se uno di noi due vince la sua vita cambia sicuramente in meglio, anche all'altro cambiera', non vedra' mai più la luce del sole, non sentira' più la risata cristallina della persona che ama, non vivra' mai piu'.

Veniamo fatti salire sul treno, sento ancora I boati della folla alla stazione, ci accompagano a quello che deve essere il vagone ristorante, vedo seduti al tavolo un uomo di cinquant'anni che ci fissava senza vederci e una donna sui sessant'anni con occhi gentili, ci accomodammo al tavolo davanti a loro -Ciao io sono Mags e lui è Gordon, siamo I vostri mentori, Keila tu sarai seguita da Gordon e io Finnick- dice sorridendomi caldamente, mi senti protetto da quella donna anziana -Volete essere addestrati insieme o separatamente?- chiede l'uomo con voce piatta -Separatamente- dice subito Keila io scrollo le spalle, le spalle mi appoggio allo schienale della sedia con aria stanca e gioco con il tovagliolo, rimaniamo in silenzio poi Estella interrompe il nostro silenzio -Oh, andate a dormire, domani vi sveglieremo presto- ci dice mentre si ripassa uno strato di ombretto verde, mi alzo -Buona notte- dico mentre esco dalla carrozza e mi dirigo alla mia cuccetta, con la testa bassa.

Entro e vedo il letto largo a due piazze l'armadio carico di vestiti, e tutto e' a luci soffuse, mi ci vuole un po' ad ambientare I miei occhi verde mare, mi sedetti sul letto e mi senti mancare le forze, mi sdraiai sopra le coperte e mi passai una mano fra I capelli e guardai il soffito grigio topo, portai la mano al braccialetto di Annie e mi si riempirono gli occhi di lacrime, mi passarono delle immagini o meglio dei momenti. Vidi Annie e la sua risata limpida mia sorella che si tuffava in acqua e rideva, Annie che abbracciava la mia sorellina, un tramonto rosato e il mare calmo e sereno. Chiusi gli occhi e strinsi le mani al lenzuolo ruvide ma allo stesso tempo morbide, erano violace, bussarono alla porta ma non risposi, volevo stare solo a pensare a quello che Capital mi avevo strappato, la voce stridula della mia accompagnatrice smise dopo un paio di minuti. Mi addormentai con le lacrime che ancora bagnavano le miei guancie e lasciavano sentieri argentei di cui non andavo fiero, ma non li bloccai lasciai che scorgassero forse anche mentre dormivo.

-Finnick- urlo' una voce, mi tirai a sedere e davanti a me vidi Estella con un completo rosso che mi fissava accigliata, con le mani suoi fianchi stretti -Ragazzino vestiti e vai in sala da pranzo, fra poco arriviamo alla Capitale e ti voglio perfetto- strepita battendo le mani, gira sui tacchi vertiginosi ed esce dalla mia stanza brontolando cose incomprensibili, mi misi in piedi e senti le guancie umide, ci portai una mano e mi ricordai le lacrime versate pensano a quello che forse non avrei mai rivisto.

Andai al bagno portandomi dietro dei pantaloni di un materiale mordibo e largo e una maglia con le maniche corte color pergamena, la doccia aveva tantissimi bottoni per avere delle cose che sembravano inutili, ne premetti uno a caso e lavai via il sudore e le lacrime, usci dal bagno con ancora I capelli di bronzo bagnati che grondavano acqua sulla maglia rendendola trasparente e lasciando intravedere gli addominali, varcai la soglia e mi sentii gli occhi addosso, abbassai lo sguardo subito -Oh, cosa vedo- esclama una voce stridula, emetto un verso di disgutto per il commento, la mia accompagnatrice studia tutto il mio corpo come se dovesse venderlo -Estella- brontola la voce di Mags, mi siedo davanti a lei che mi ha gia' preparato un piatto di cose dai colori assurdi e dalle forme stravaganti -Mangia caro, come ho spiegato a Keila vi prenderanno da parte e vi prepareranno per la parata- mi dice lei, io annuisco mentre mangio una cosa rossa dal sapore di fragola, -Finnick ieri sera abbiamo visto la mietitura- m'informa Keila, mi giro a fissarla, lo sguardo convito del giorno precedente e' sparito, devo ammettere che non e' brutta, ha un viso volpino e dei bellissimi occhi azzurri tendenti al verde -E come ti sono sembrati?- chiedo lei fa spallucce -Mags dice che bisogna guardarci le spalle da quelli dei distretti favoriti, Gordon mi ha detto che se voglio posso allearmi con loro- dice non curante bevendo una cosa che ho identificato come succo d'arancia -Credo che lo faro', tu che vuoi fare?- chiede, mi acciglio -Ma non veniamo allenati separatamente?- chiedo, lei alza gli occhi al cielo come se fossi stupido -Se ti unisci ai favoriti ci alleniamo tutti insieme no?- spiega, io faccio segno di no -Grazie, ma passo, cioe' se e' la cosa migliore- alzo lo sguardo su Mags lei sorride -Io non l'ho fatto ed ora sono qui, Gordon si e' ed è qui, fai quello che ti senti- dice dolcemente, sorrido -Allora faro' da solo- concludo, mettendomi in bocca una specie di ciambella ricoperta da della glassa blu fosforescente, incredibilmente, risulta buona, il treno rallenta ed Estella batte le mani -Su su forza, ragazzi davanti a me- dice dandoci spintoni lungo la schiena sorride e noto quanta plastica facciale si sia fatta, respingo un coniato di vomito e guardo davanti a me, la porta si apre.

Rimango paralizzato a vedere tutte quelle persone ammassate per vederci, Keila sorride e saluta, io mi mordo un labbro e saluto timidamente, veniamo scortati di corsa dentro al centro di addestramento e separati da un gruppo di persone paffute e buffe tutte donne -Spogliati- dice la donna sorridendo poco candidamente, tolsi la maglia e lei fece una risatina insieme alle altre due, poi I jeans -Tesoruccio, anche I boxer su su, non abbiamo tutto il tempo- dice, io arrossisco -Posso avere un' accappatoio?- chiedo esitante, sembrano delusi dalla mi richiesta, loro mi passano un pezzo di stoffa bianca e io mi spoglio del tutto infilandomi l'accappatoio, iniziano a paralre di pettegolezzi che non ascolto nemmeno, dopo un po' mi pizzicano la guancia -Come sei bello, forza ora ti portiamo dalla tua stilista sara' estesiata da vedere che bel tributo abbiamo- dice la donna con I capelli a frisè color platino, e' paffuta ed ha dei tatuaggi sulla pelle, dei fiorellini che le circondano il viso, sembra non avere piu' di trentacinque anni, ma mai farsi ingannare da queste persone.

Entro in una stanza di un color argento metalizzato, c' e' un lettino e un'appendi abiti vuoto, I miei preparatori chiudono la porta alle mie spalle, sono completamente solo, mi guardo attorno e mi sento vuoto, durante la preparazione avevano tolto la salsedine restante sul mio corpo e scovato I granelli di sabbia da ogni poro del mio corpo, mi sentivo spogliato della mia identita', da quel momento mi sarei sentito come un tributo e non piu' come Finnick Odair, la porta che si apre mi fa sobbalzare e interrompe il flusso dei miei pensieri, mi giro di scatto e quello che vedo mi sembra una visione impossibile, una donna molto giovane con un completo nero aderente con capelli neri corvini raccolti in una coda, pelle color caramello e occhi ambrati cerchiati da uno strato di trucco leggero leggero, era semplicissima per essere una capitolina -Ciao Finnick io sono la tua stilista Giorgina- mi dice allungando una mano con le unghie non fatte, la prendo -Ciao- dico solo, lei sorride -Accomodati pure- mi dice io eseguo e mi siedo sul lettino -Non devo spogliarmi vero?- chiedo in sussurro, lei ride e fa cenno di no -Senti Finnick, lo sai che dobbiamo trovare il tema del vostro distretto no?- chiede sorridendomi, io annuisco pensieroso -Conosci la mitologia?- mi chiede, io faccio segno di si, lei sorride furbamente -Io e il mio collega abbiamo un'idea, tu mio caro sarai Poseidone, e la tua compagna sara' una delle creature mitologiche piu' belle che esistano, una sirena- dice sorridendo -Spero che ci noteranno- dico, lei sorride chiudendo gli occhi -Oh, non si scorderanno presto di voi ragazzo mio.

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Capitolo 4
*** La Parata dei Tributi ***


Capitolo quattro:

-Hai dimenticato il resto della stoffa?- chiedo guardando il mio completo, indosso dei boxer color acqua marina, e ho uno speciale olio rende il mio petto scolpito come lucido, Keila non è molto più vestita di me, indossa un bikini che gli lascia scoperta la pancia piatta, ma che ha uno strascico per dare l'idea della coda da sirena, anche lei è oliata e I suoi capelli sono stati intrecciati e gonfiati è truccata moltissimo dei colori tra l'azzurro e il bianco, le labbra sono di un rosso scarlatto e la pelle è al naturale, almeno credo, mi affianca e mi sorride arrossendo -Finnick a loro piacerà, ci vediamo dopo e ragazzo mio tieni il tridente su!- dice la mia stilista portandosi dietro anche lo stilista di Keila -Sono a disagio- mi dice lei abbracciandosi -A chi lo dici- guardo a terra, I miei capelli, sono stati tirati indietro e domati, mi sento strano, saliamo sulla biga agghingata a con vari ninnoli, I cavalli di un bianco candido partirono.

Appena fui fuori vidi tantissime persone, che si sbracciavano, guardai avanti come mi aveva detto Giorgina -Devi farti desiderare, se ti vedono determinato e bello ti amerenno per il tuo fascino misterioso- mi aveva detto, stavo mantenendo la promessa, tenni il tridente accanto a me e non accennai a nessun sorriso, Keila invece sorrideva maliziosamente a tutti, uomini e donne, una vera sirena mangia uomini, era dannatamente seducente, il nostro carro si fermò e noi guardammo avanti a noi, il presidente Snow era in alto con una rosa bianca sul cuore, senti il cuore battere all'impazzata, parlo ma io non capii molto, ero troppo preso dal rimanere calmo.

Il carro ripartii e scomparimmo sentendo le acclamazioni del pubblico alle nostre spalle, ci fermammo e vedemmo Estella, Mags, Gordon, Giorgina e lo stilista di Keila venirci incontro sorridenti, o almeno tutti -Siete stati bravissimi, Keila tu li hai conquistati e Finnick tu sei proprio bello- cinguetta la mia accompagnatrice sempre vestita come un'uccello, il suo sguardo osserva in ogni parte il mio torace e mi sento a disagio, -Ora andiamo, domani dovete scendere giù alle dieci, forza- ci esorta Mags, dandomi una pacca sulla spalla, abbassai lo sguardo dalla nostra accompagnatrice che mi fissava in una strana maniera, camminai per con la faccia rivolta verso terra, guardai I miei piedi scalzi, prima erano sempre coperti di sabbia, ora senza li sentivo nudi, vuoti, come del resto mi sentivo io.

Arriviamo al nostro appartamento e rimango scioccato, tutto molto moderno con mobili dei colori più vivaci, senza voce con un viso bianco e un completo rosso sono negli angoli e guardavano il pavimento, Keila era a bocca aperta guardando estasiata il luogo dove ci trovavamo, -Su su, andate a prepararvi per la cena- ci esorta la nostra accompagnatrice, muovo un passo sul pavimento freddo e duro, e continuo guardandomi attorno, tutto è illuminato luce ovunque, non potei fare a meno di pensare che ad Annie a come avrebbe amato quel luogo, con tutti I colori, scacciai quel pensiero dalla mente mentre andavo verso camera mia, I corridoi avevano le luci soffuse mi ci volle un po' per abituarmi a quel chiarore, vidi una porta e che si apri io entrai e vidi che era una camera da letto, aveva un letto con delle coperte color prugna e tutto era a luci soffuse, sospirai, passai una mano fra I capelli scompigliandoli e rendendoli più umani, mi tolsi il mio 'costume' e andai a farmi una doccia per tornare ad essere il normale 'Finnick Odair' e non 'Il tributo di Capital City', entrai nel bagno color rosa e blu ed entrai in una cosa quadrata con pareti di vetro, entrai e premetti uno dei mille bottoni e iniziai a togliermi di dosso la speciale pomata, usci dalla doccia e mi misi un asciugamano intorno alla vita mi presi dei vestiti puliti che indossai subito, I capelli erano bagnati ma non mi preoccupai, usci dalla mia camera andando in sala da pranzo.

Li c'era Mags che guardava la tv da sola, mi avvicinai a lei con passo leggero, mi misi sul divano accanto a lei, stavano replicando la cerimonia di apertura, guardai me stesso, e poi lo sguardo dei capitolini, rabbrividì non per il freddo, -Allora quale tattica uso- chiedo a Mags lei fa spallucce -Dimmi con cosa te l'ha cavi- chiede, schioccai la lingua -So nuotare e so pescare, come armi so usare il tridente e forse una lancia, ho imparato da poco a fare delle trappole e ad intrecciare reti- dico, lei sorride come se sapesse qualcosa che io non so -Oh, si hai imparato, chi ti ha insegnato?- chiede maliziosamente, io arrossi fino alla punta delle orecchie distolsi lo sguardo sorridendo -Oh, una amica- lei ride, mi giro verso di lei che scuote la testa -Bhè se Annie è solo un'amica la tua reazione mi sorprende- dice lei, io rido -Mags come fai a saperlo?- chiedo, lei sorride -Ragazzo come se non vi vedessi sempre insieme- dice sorrido e guardò la tv, I presentatori chiaccherano non prestò molta attenzione quando Estella entra con ondeggiamenti che dovrebbero sedurre -Su su, allora sta sera cenerò con voi e domani sera con la ragazza, su su, forza che domani mattina alle dieci dovete andare nella sala di addestramento- dice lei mostrando un sorriso finto come lei, ci alzammo e andammo al tavolo dove profumate pietanze mi mettevano l'acquolina in bocca, mi morsi un labbro pensando a casa, dove faticavo per avere un quinto di tutto quel ben di dio, poi pensai a quante volte Annie non aveva da mangiare a cena e mi sali una rabbia dal cuore che nemmeno potevo immaginare di possedere, mi sedetti su una comoda sedia di un verde sgargiante, misi un po' d tutto nel mio piatto e in silenzio iniziai a mangiare, alzai lo sguardo poche volte, Mags tutte le volte mi sorrideva caldamente con I suoi occhi azzurri e Estella mi fissava come se aspettasse di poter mettere le sue mani su di me, rabbrividì al solo pensiero delle sue mani che mi toccavano -Hai freddo ragazzo?- chiede Mags posando sul tavolo un bicchiere d'acqua -No, niente- dico sorridendo, lei sospira e si acciglia scuotendo la testa, presi un pezzo di dolce, che era una torta al cioccolato con canditi, e salutai educatamente tutti, andai verso camera mia con passo lento.

Mi sfilai I vestiti e misi un pigiamo bianco, mi infilai sotto le coperte e appena chiusi gli occhi, mi apparve subito Annie, che mi sorrideva caldamente, I suoi occhi verdi riflettevano il mare, e mi teneva la mano, stretta nella sua, sentivo l'odore del male e la sabbia sotto di me, come se fosse vero, ricambiai il suo sorriso e strinsi più forte la mano, poi Annie svanii e mi apparve l'arena, ero solo e circondato, il tributo del due mi saltò addosso e come ultima cosa urlai -ANNIE- prima che tutto diventasse rosso.

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Capitolo 5
*** L'Addestramento. ***


Capitolo cinque:

Mi svegliai di colpo, portandomi una mano al collo, fuori era buio e anche la stanza lo era, mi accarezzai il collo, in cerca di tagli o ferite, mi rilassai e senti il sudore che mi si attaccava alla schiena, scossi I capelli mi alzai e andai alla finestra, vidi il cielo senza stelle e mi si strinse il cuore, tutto quell'inquinamento non possono vedere il cielo illuminato da tante piccole lucine che ti fanno sognare.

Mi stiracchia mentre l'orologio incoccava un'altra ora, guardai la sveglia blu fosforescente sul mio comodino, segnava le quattro, sospirai, mentre mi ributtai sul letto, pensai a mia sorella, che era a casa da sola con mio padre, il cuore mi si strinse, pensai a tutto quello che mi ero vietato di pensare.

-Finnick- urla una voce, impreco in maniera colorita, mi tiro su a sedere e vedo Estella che mi fissa con un'espressione seccata -Sono le nove alle dieci devi scendere, quando pensavi di svegliarti?- chiede lei io gemo -Ora, esci dalla mi stanza che mi devo vestire!- urlo, lei ridacchia e mi fa l'occhiolino, esco dal letto mentre lei si chiude alle spalle la porta vedo che hanno lasciato la tenuta da allenamento, è ti un tessuto morbido morbido e purtroppo molto aderente, usci dalla mia camera senza far rumore.

Entrai nella sala da pranzo, Mags stava parlando sorridente con Giorgina, tutti si voltarono verso di me e sorrisero -Oh, scusate il ritardo- dissi, mi sedetti e presi da mangiare, in silenzio consumai la mia colazione -Keila?- chiesi, Mags sorrise -E' nella sua parte, ora muoveti ragazzo che devi andare ad allenarti!- mi rimprover Mags, bevvi del succo d'arancia e mi alzai, la mia mentore fece uguale.

Mi accompagnò all'ascensore e quando entrai mi sorrise -Ricordati che puoi farcela, ricordati le tue promesse ragazzo- mi dice sorridendo tristemente, non ho il tempo di chiederle il perché di quelle parole, con il fatto che le porte si chiudono, le domande non dette mi rimangono in mente, cosa voleva dire? Perché mi dice così? Mi chiesi, scacciai quei pensieri dalla mente dovevo rimanere concentrato, arrivai giù in minuto, Keila era già in posizione, eravamo in pochi, c'erano I tributi dei dodici, due ragazzi con occh grigi pelle olivastra e capelli castani, avranno avuto sui sedici diciasette anni, ma la magrezza eccessiva li faceva più piccoli, mi si strinsi il cuore, da noi mancava il cibo ma non da morire così di fame.

Erano vicini e parlavano a bassa voce, poi I distretti favoriti, quelli dell'uno entrambi diociotenni, lui con la faccia suina grande il grosso, anche troppo per un ragazzo di quell'età lei era bella, con capelli biondi occhi nocciola, avevano tutti e due sorrisi maligli, mi senti gelare il sangue nelle vene, quelli del due erano spaesati, guardavano a destra e a sinistra, ma non mi feci fragare pensai a Johanna Mason la ragazza che avea vinto l'anno prima di me, si era presentata gracile e incapace, poi li aveva uccisi tutti, in un batter d'occhio, poi vidi Keila, parlava freneticamente con I tributi gesticolando, loro annuivano decisi, mi misi in un'angolo aspettando che la sala si riempisse, l'istruttrice era una donna sui venticinque anni la pelle scura color caffè e un espressione furba negli occhi, forse stava pensando su chi scommettere, ovvio.

Gli strateghi ci fissavano dall'alto, mantenni la schiena dritta tutto il tempo, la sala si riempi velocemente, l'istruttrice che si chiama Adele ci spiega molte cose, io annuisco ma non sento una parola studio I miei avversasi, con scarsi risultati perché in mente mi rimangono impressi I tributi del 12 e quelli dei 2, quando ci lasciò liberi andrai dritto alla zona del tiro con l'arco, non faceva male imparare a combattere da lontano.

Presi la mira e lanciai, la freccia si impianto dritta nel centro, sorrisi soddisfatto di me stesso -Bel lavoro biondino- mi dice una voce acuta e femminile, mi girai di scatto e vidi una ragazza con I capelli raccolti in una crocchia rigida e perfetta, occhi verdi come quelli di Annie, -Emh grazie- dico io non curante, lei sorride mostrando denti vampireschi dritti e bianchi -Senti visto che non ti sei alleato con il branco dei favoriti, cosa strana per quelli del vostro distretto, ti va di allearti con me?- chiedo, poi mi viene in mente il suo distretto, dal sei, 'furba, mi vuole alleato e poi mi uccide subito' penso, sorrido e faccio cenno di no con la testa -Grazie, ma ho deciso di non fare alleanze- dichiaro, il suo sorriso si spegne lascia spazio ad un ghigno malevolo, che contiene più veleno di una bacca velenosa, -Non fa niente, ma guardati le spalle Biondino- dice andando via, ondeggia I fianchi come una modella scuoto la testa e ricarico l'arco, passo la mattinata ad allenarmi con le varie armi e il pomeriggio con le tecniche di sopravvivenza, non faccio vedere la mia bravura con le corde e I nodi, -Ok tributi per oggi l'allenamento, ricomcieremo domani alla stessa ora- dice Adele, noi usciamo infila, brusii sommessi si creano nelle varie alleanze, esco da solo, per ultimo mi giro un'attimo e vedo piano piano le luci spegnersi, e tutto si spegne, tutto nasce e tutto muore, quel pensiero mi fa sobbalzare perchè è vero, la luce è come la vita, quando si spegne tutto diventa buio, quando una vita finisce, tutto è buio.

Monto sull'ascensore da solo e la rapida salita mi fa mancare l'aria, quando arrivo al mio piano corro in camera mia a farmi una doccia, -Ok Fin, meno uno, due giorni di allenamento, le sessioni private e le interviste, fatti notare, magari ci riesci- mi dico, ma non ci credo neanche io, sospiro e chiedo alla senza voce di portare un biglietto dove dico che non ho fame e che preferisco rimanere in camera, perché dopo tutto quel giorno ho passato tutto il tempo ad allenarmi e ora voglio stare solo, pensare e basta.

Mi sdraio sul letto e guardo il soffitto monotono e pacato, grigio topo senza emozioni, chiudo gli occhi e mi sembra di sentire il rumore del mare, le onde che s'infrangono sulla riva, I gabbiani che strillano, il sole sulla pelle nuda, la mia vita m sta scivolando via, non posso farci niente, senza accorgermene dormo, ma questa volta non è un incubo, ma è molto peggio, perché è la promessa di una vita che non potrà mai essere vita, perché niente se ci sarà qualcosa sarà più come prima.

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Capitolo 6
*** Sessioni Private. ***


Capitolo sei:

-Fai vedere chi sei ragazzo- mi dice Mags io annuisco, mi rigiro fra le mani il braccialetto di Annie e cerco distrattamente di calmarmi, oggi ci sono le sessioni private, nei tre giorni seguenti ho imparato varie cose, ma oggi devo fare nodi e lanciare la lancia, oggi dovevo dare il meglio di me.

Premetti il tasto con lo zero, accanto a me Keila sembra nervosissima, si morde il labbro convulsamente -Calmati- gli dico lei si gira verso di me le mani gli tremano -Non capisci? Se sbagliamo moriremo- dice con voce preoccupata, il cuore mi si blocca, non potevo fallire perché Annabelle contava su di me, poi avevo Annie, dovevo tornare da entrambe, ormai ne avevo la certezza, le porti si aprirono e due pacificatori ci scortano in una stanza piccola e stretta, dove ci sono gli altri tributi, tutti preoccupati per la prova imminente.

Chiamarono I distretti in fila, quasi non mi accorsi della voce metallica che urlava il mio nome, mi alzai imbambolato, raddrizzai la schiena e camminai veloce verso la Sala di Addestramento, le porte metalliche si alzarono quando passai e si richiusero di scatto alle mie spalle, sobbalzai ma poi andai verso il vetro degli strateghi, -Finnick Odair, Distretto 4- urlai, loro si girarono e mi fissarono con occhi maligni, il capo stratega Seneca Crane aveva un sorrisetto sghembo che avrei voluto togliere a suo di pugni, mi guardai a torno e individuai la postazione dei nodi, mi ci fiondai sentendomi addosso decine di occhi.

Feci due cappi e altri nodi che avevo visto fare dall'istruttrice, creai una piccola rete la lancia senza pensarci al manichino che cadde a terra, corsi a prendere una lancia e la lanciai, presi il cuore del manichino, mi paralizzai, se quello fosse stato un ragazzo l'avrei ucciso senza batter ciglio, mi sentii mancare l'aria ad un tratto quel luogo così spaziosi diventò piccolo e stretto, sudai freddo alzai lo sguardo sugli strateghi, sorridevano senza calore, I brividi salirono sulla mia pelle, il mio petto si alzava e abbassava di certo non per la stanchezza -Puoi andare- disse Seneca, mi inchinai e usci dalla stanza con la sensazione di aver appena commesso l'errore più grande della mia vita.

-Ragazzo che hai fatto?- mi chiede Mags mangiando un pezzo di pollo, io gioco con il mio cibo Estella borbotta qualcosa su qualcuno, cosa incredibilmente mi tranquillizza, Giorgina mi fissa accigliata, gli sorrido fintamente e lei ricambia con immenso calore -Ho creato una rete- dissi, bevvi un lungo sorso d'acqua, senza notare il sorriso ironico della mia mentore -Poi l'ho lanciata su un manichino e lo infilzato con una lancia- cercai di trattenere la voce ma non basto infatti alla fine della frase mi si incrinò alla fine, abbasso lo sguardo ripensando a che mostro sono stato e lo scaccio sorridendo come sono sempre solito fare -Ma quando inizia tutto?- chiedo con voce controllata, al tavolo tutti mi guardano strano tranne la nostra accompagnatrice che batte la mani animatamente -Su, muoviamoci sennò lo perderemo- esclama, ingoio l'ultimo boccone sentendolo di uno strano gusto, non so se sono io oppure perché sento I sensi di colpa.

-Dal distretto 3 Yosh Papovich con un punteggio di 7- dice Cladius, che quest'anno si è tinto I capelli di una sfumatura verdastro, faccio uno smorfia la mia accompagnatrice scuote la testa -Oh povero caro- mormora, fisso Keila che fissa il televisore insistente, -Dal distretto 4 Keila Guerav con un punteggio di 9- dice il presentatore sorridente, lei si mette le mani sulla bocca e la vedo trarre un respiro di sollievo -Brava- gli dico, lei mi sorride -Grazie- mi risponde visibilmente felice, ritorno a fissare lo schermo, stringo il divano con le mani come per aggrapparmici, il sorriso del presentatore mi sembra come quello degli strateghi e rabbrividisco -Dal distretto 4 Finnick Odair con un punteggio di 9 bella coppia di nove per il distretto 4!- esclama quello, io mi lascio cadere stremato sul divano sorridendo -A letto cari, Keila domani passerai quattro ore con me e quattro ore con Gordon, anche tu Finnick, solo con Mags, oh inizio con te cara- dice la nostra accompagnatrice ondeggiando vistosamente mi alzo in piedi andando in camera mia.

Mi buttai sul letto sentendomi felice, chissà cosa avrà fatto Annie? Gli mancherò? Annabelle starà bene? Con queste domande mi addormento in un sonno pacifico sperando che questa non sia una delle mie ultime notti in questo mondo fatto di cattiveria e schiavitù, sognai una vita migliore per Annabelle e per la mia piccola fragile Annie.

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Capitolo 7
*** L'Intervista. ***


Capitolo sette.

Nel sogno stavo correndo senza fiato tenendo fra le mani una lancia ricoperta di sangue, ero in una giungla soffocante, avevo solo il costume da bagno e niente altro addosso, ero ricoperto di sangue, non mio dal sogno sembrava che non avessi ferite, dietro di me voci indistinte correvo senza nemmeno pensarci.

Mi avevano raggiunto, lottai con alcuni di loro poi alla fine li uccisi e altre sangue arrivo al mio petto nudo, alzai lo sguardo al cielo azzurro per poi riabbassarlo sui tributi appena uccisi, ma invece di esserci loro c'è mia sorella Annabelle trafitta da me e di Annie, avevo appena ucciso le persone che amavo.

Mi svegliai urlando, il sole si stava alzando, mi tolsi le coperte di dosso scuotendo il capo e ansimando, mi toccai il petto e tutto il resto e non notai sangue, ansimai, mi guardai attorno abituandomi alla luce che stava crescendo, bussarono alla porta e con voce più ferma che mai brontolai un -Avanti- la faccia pallida e super truccata della nostra accompagnatrice fa capolinea -Caro Mags ti aspetta di la- squittisce, mi fissa mordendosi l'enorme labbro e poi chiude la porta, sospiro passandomi una mano fra I capelli, le prime luci iniziano ad addobbarmi il corpo, , infilai un paio di pantaloni e una maglia appena tolto il pigiama e mi preparai a sorridere per quella che era una lunga lunga giornata.

-Non parlare di Annie- mi dice a mo' di saluto la mia mentore,, io appena entrato mi blocco e spalanco la bocca -Perché?- chiedo, mi siedo davanti a lei e prendo una pasta con una crema azzurra sopra, la mordo mentre lei mi fissa con rabbia -Perché ragazzo se ti fanno domande su di lei perdi gli sponsor- dice, la fisso con un mezzo sorriso -Non ho gli sponsor- gli dico, lei mi da una giornalata in testa -Finnick, ma ti sei visto allo specchio? Alla capitale piacciono le cose belle e tu ragazzo mio lo sei proprio!- ridacchia, io abbasso lo sguardo -Ok quindi Annie è argomento proibito, altri consigli?- chiedo, mentre mescolo il mio caffè, lei mi sorride e poi sospira -Fai il bravo- dice solo, mi prende una mano e mi sorride -Sono sempre bravo- ribatto ridendo, lei scuote la testa -No, che non lo sei- mi rimbecca lei, io gli sorrido abbassando lo sguardo sulle nostra mani intrecciate.

Dopo quattro ore di chiacchere e risate e di parecchio botte, Estella mi viene a riprendere, congedo Mags con un sorrisetto furbo e lei sospira scuotendo la testa argentea, -Oh caro Finnick, ci vuole regalità- mi dice, -siediti come un'uomo le gambe accavallate non incrociate, si gentile e sopratutto non essere scortese!- dice, mi fissa bene e annuisce -Si, non hai bisogno di altri consigli, sei perfetto ragazzo mio- mi da un buffetto sulla guancia e mi ritraggo -Hai una ragazza?- chiede lei sovrappensiero, faccio cenno di no, I suoi occhi s'illuminano -Oh sei solo, povero caro- mi stringe fra le sue braccia soffocandomi fra I suoi seni duri.

Cammino su e giù per la stanza, mi mordicchio le pellicine e mi passo le mani fra I capelli, lo staff è passato per darmi una ritoccata ai capelli, ma poi visto che continuavo a spettinarli li hanno lasciati stare, Giorgina sta parlottolando di la dalla mia porta, la mia ansia inizia a salire, sono le sette alle nove iniziano le interviste e domani a quest'ora potrei essere morto, la porta si apre interrompendo I mie pensieri -Finnick- mi urla abbracciandomi, io ricambio e sorrido sul serio -Ora brutto mostriciattolo indossa il completo color verde mare- mi dice severa inizio a spogliarmi e lei si gira con garbo, lo metto e sento la camicia stretta sul petto -E' stretta- mormoro rosso, lei ridacchia -Meglio- ribatte, l'abbraccio e poi mi accarezza la guancia -Ci salutiamo stasera, domani ti accompagna Mags- mi sussurra, gli accarezzo la schiena mentre la cullo -Grazie Giorgina- mormoro, lei si asciuga le lacrime e mi sorride -Meglio muoverci, dobbiamo scendere- io annuisco ed usciamo dalla mia stanza.

Davanti a me ci sono sette ragazzi, tutti con abiti bellissimi e con trucchi fantastici, fisso dietro di me gli altri ragazzi, tutti impauriti o intimoriti, chiamano il ragazzo dell'uno, non ascolto nemmeno, ma il pubblico lo ama, o almeno sembra dalle acclamazioni del pubblico, la fila scorre troppo velocemente, il mio respiro diventa più veloce e solo dopo che chiamano la mia compagna di distretto mi sento cadere il mondo, 'Finnick o la va o la spacca' penso, guardo gli scalini e poi un applauso, Keila ha finito, un capitolino vestito di nero mi fa un cenno mi posa la mano sulla schiena e mi sospinge, monto le scale e inizio a sorridere.

-Ecco a voi Finnick Odair dal distretto 4- urla il presentatore, esco e saluto tutti con la mano sfoderando il mio sorriso smagliante stringo la mano al presentatore di cui non ricordo il nome, la folla mi acclama, mi siedo sulla comoda poltrona bianca e le luci mi accecano non vedo più il pubblico ma loro vedono me, il sorriso svanisce ma subito lo rimetto in piedi -Allora Finnick- inizia lui -Cosa ne pensi di Capitol?- chiede io scrollo le spalle -Bhè è pulita ed è grande- dico compiaciuto tutti ridono e io mi sento alleggerire il peso sul cuore -La sera della sfilata sei stato fantastico, non è vero signori?- chiede al pubblico, loro urlano e io rido -Oh merito della mia stilista- dico non curante -Anche tuo, ragazzo mio, anche tuo- dice con malizia, mi iniziano a sudare le mani le chiudo a pugno e sorrido.

Mi da una pacca sulla spalle e io continuo a mostrare la mia pocker face -Sei proprio un bel ragazzo, avrai una ragazza?- chiede, la mia gola si secca, abbasso lo sguardo, il sangue sale sulle mie guance e poi sorrido -No, non ho nessuna ragazza- dico lui mi da una gomitata amichevole -Oh ma ci sarà una ragazza vero?- chiede io sorrido malizioso -Si ma sapete- la mia voce viene interrotta dal gong e il pubblico fa un un 'owh' generale mi alzo e lui mi presenta come il gladiatore che ha battuto la tigre, saluto il pubblico e vado dietro le quinte, dove trovo Mags e Giorgina che mi abbracciano -A presto Finn- mi saluta la mia accompagnatrice, mi abbraccia e poi va via singhiozzando, la mia vecchia mentore mi sorride tristemente -Andiamo ragazzo domani sarà una grande giornata- mi dice, mi batte una mano sulla schiena, mi paralizzai e poi gli sorrisi incoraggiante 'Si, sarà proprio una grande giornata' pensai.

Salii in camera e fra gli urli e le lacrime delle persone che mi saluto e salutano Keila un'abbraccio imbarazzato fra me e la mia compagna di distretto e una stretta di mano, la mia camera buia, il letto sfatto, poi tutto era diventato buio, cercai di dormire il più possibile, perché forse quella era la mia ultima notte di vita o forse no avrei dormito per un po', ma ora come ora volevo solo andare in posto bello dove poter stare lontano dall'incubo imminente.

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Capitolo 8
*** Che gli Hunger Games Abbiano Inizio. ***


Capitolo otto.

Mi svegliai nel cuore della notte, le stelle in cielo, mi presi la testa fra le mani e iniziai a tramare.

Dio, mancavano poche ore e sarei morto, iniziai a respirare affannosamente, mi alzai dal letto e andai alla finestra, misi una mano suo vetro che si appannò sotto il calore del mio corpo, chiudo gli occhi e immagino che tutto quello non sia reale, mi accascio a terra e inizio a piangere.

Un vero uomo non piange, mi dico ma non riesco continuo a singhiozzare, tiro I pugni al muro e dei mezzi urli soffocati per la frustazione, stringo le mani a pugno e le rilasso, sto andando fuori di testa? Chi può dirlo, so solo che ora mi sento crollare, sento che non ho fatto niente nella mia vita, ma ora è tardi, non ha più senso niente.

Avrei dovuto salutare meglio Annabelle, dire che non avrei mai potuto tornare, dirgli addio senza false speranze, avrei dovuto fare pace con mio padre e cercare di aiutarlo, non scappare da lui, dio quante cose ho sbagliato nella mia breve vita, oh giusto anche Annie, avrei dovuto parlargli, spiegargli perché non sarei tornata, dirgli almeno addio con un po' di tatto.

Non so quanto tempo era passato, ma il sole era sorto, inondandomi di luce grigiastra, facendomi apparire più scosso di quanto o sia già, mi tirai su e mi passai una mano sugli occhi e sulle guance, la porto si aprii e io sobbalzai, vidi Giorgina venirmi incontro con dei pantaloni verdi militari, degli scarponcini tipo da escursioni e una maglia a maniche corte, sorride con le lacrime agli occhi, l'abbraccio tenendola stretta.

-Su campione, vestiti alla svelta, così posso lasciarti a Mags- sussurra, iniziai a mettermi I vestiti e poi la fissai -Secondo te dove morirò?- chiesi, lui si rabbuia -Non morirai! Ma comunque forse in una prateria- mormora, sorrido e scuoto la testa -Grazie di tutto- gli dico solo, lei abbassa lo sguardo e si tormenta le mani, gli metto un braccio intorno alle spalle e la scorto fuori, finii in sala da pranzo, Mags mi aspettava, guardando il mio piatto stracolmo -Mangia- la esortai, mi sedetti sorridendo -Ragazzo mangia- dice solamente, inizio a mangiare ma tutto sa solo di sabbia, ma non quella buona di casa mia, quella arida del deserto.

Andammo sul tetto io e Mags e vidi l'hovercraft e mi si strinse lo stomaco, abbracciai Mags -Se non torno di ad Annie che mi dispiace- sussurrai al suo orecchio, le si riempirono gli occhioni di lacrime e annui, girai le spalle e andai verso l'hovercraft, camminai lentamente, ogni passo era più pensante, il vento mi scompigliava I capelli bronzei e mi asciugava le guance bagnate sia dalle lacrime di Mags che dalle mie.

-Braccio- disse io lo allungai e mi inserii una sonda, non feci domande e mi appoggiai allo schienale morbido, attorno a me vidi dei ragazzi pallidi che si guardavano le scarpe o che tremavano, da li a una settimana, forse di meno tutti tranne uno sarebbero stati morti, con un sussulto generale salimmo in aria, verso le stelle dove tutti crediamo di andare ma dove nessuno in realtà va.

La gamba mi tremava e la picchiettavo a terra, vidi una ragazza poco più grande di me iniziare a legarsi I capelli a mo di coda alta, una attorcigliava una ciocca di capelli intorno al dito, I ragazzi si facevano e si di sfacevano I nodi delle scarpe, sembrava un viaggio eterno, solo quando le luci si spensero capii di essere arrivato a destinazione quando si riaccesero le luci, ci alzammo e dei pacificatori ci scortarono alle nostre celle temporanee.

Fissavo il tubo con aria assente, ero solo e sentivo l'ansia crescermi in corpo, -Prepararsi ad entrare nei tubi- disse una voce poco umana, mi alzai e andai dentro il tubo che si chiuse con un tonfo, chiusi gli occhi -Meno dieci, preparasi al lancio- ripeté la voce, sentii il pavimento alzarsi e vidi tutto scomparire sotto I miei piedi, alzai lo sguardo e la luce del sole mi fece male, quando mi abituai alla luce misi a fuoco.

La cornucopia era in un'angolo e noi eravamo ammassati dall'altra, accanto a me vidi un ragazzo con la pelle olivastra, dall'altra parte una ragazza che prima si stava facendo la coda, guardai la cosa più vicina a me, vidi un'enorme zaino nero e gli tenni gli occhi fissi, li scostai solo per guardare il conto alla rovescia.

Meno 20. 'Devi correre Fin' mi dissi.

Meno 15. Non fermati prendi lo zaino e non fermati.

Meno 10. Annie, lo faccio per te.

Meno 9. Annabelle forse non tornerò ma ci proverò.

Meno 5. Papà mi dispiace per non esserci stato.

Meno 3. Devo essere pronto. Meno 2. Correre è la tua natura. Meno 1. Non hai più tempo.

Meno 0. Che I sessantesimi Hunger Games abbiano inizio.

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Capitolo 9
*** The Arena pt 1 (Annie Cresta) ***


Capitolo nove:
Annie.

La televisione è accesa, accanto a me mio padre mi tiene una mano mentre stiamo per guardare I giochi.

Inquadrano diversi ragazzi poi eccolo li, lo inquadrano per un po' e riesco a leggere l'ansia nel suo volto, fissa la cornucopia con insistenza, il petto gli si alza e gli si abbassa il viso bello come il sole contratto in una smorfia.

-Annie- inizia mio padre mi giro verso di lui, trattenendo le lacrime per un soffio, lego I capelli in una coda alta e scuoto la testa -No, lui ha promesso- gli dico di rimando, la voce spezzata dalle emozioni, lui sospira e annuisce -Ma devi- riparte giro la testa e guardo la televisione, fissando l'arena di quell'anno.

Siamo come in una savana, l'erba giallastra, secca e morta, vedo un monte alle spalle di Finnick con lo scintillio tipico di una cascata, poi alberi alti sui toni dal verde chiaro al giallo secco, la cornucopia è nera, opaca ed ammassata in un angolo, inquadrano Finn di nuovo, fissa l'orologio con aria insistente.

Mi copro gli occhi un attimo per respirare e quando sento il suono come di due lame mi rendo conto che devo guardare, mi costringo ad aprire gli occhi, vedo correre più persone ma non lui, è fermo vicino alla pedana, si guarda in torno confuso poi punta lo sguardo poco lontano e corre.

Lo inquadrano tutto il tempo, raccoglie lo zaino, piccolo e nero, quando una freccia gli prende la coscia, sento l'uro ma si morde il labbro e corre via, proprio mentre una freccia atterra dove prima c'era il suo busto, sento l'aria farsi pesante mi prendo la testa fra le man abbassando lo sguardo sento mio padre mettermi un braccio sopra le spalle e stringermi, singhiozzo per un po', mentre I rumori della battaglia riempiono I momenti in cui la mia voce non c'è.

-E' ferito- mormorai tremando, mio padre mi accarezza la guancia -Starà bene tesoro- mi dice io scuoto la testa -Ho paura che non torni da me- gli confido, lui mi sorride -Sei proprio cotta eh?- chiede, io faccio cenno di no -Siamo solo amici, lo sai- sto per continuare quando un colpo di cannone mi fa cadere la tazza di thè alla mente per terra mandandola in frantumi.

Il campo giallo è sovrastato di sangue, corpi senza vita giacciono fra le brezza che muove appena l'erba, un'altro colpo, poi tre quattro e cinque fino ad arrivare a tredici, mi si gela il sangue, tutto è stranamente calmo, immobile, il mio respiro si fa pesante, distolgono l'inquadratura dall'arena e si vedono I due presentatori.

Iniziano con le foto, vedo I due del tre e poi la ragazza del cinque, I tributi del sei e del sette la ragazza dell'otto I due del dieci e infine il tributo dell'undici ed entrambi quelli del dodici.

Quante vite spezzate -I giochi saranno particolarmente veloci quest'anno, non credi?- domanda il primo presentatore all'altro -Oh si- risponde ridendo, io non ascolto più, lui sta bene nonostante tutto sorrido, inquadrano I favoriti che ridacchiano, ci sono quelli dell'uno del due e la ragazza del nostro distretto, Finn no, lui non c'è, faccio per aprire bocca ma mio padre mi blocca -Meglio- dice solo accigliato, poi inquadrano una mini battaglia fra il ragazzo del cinque e il ragazzo dell'otto, si girano intorno ringhiando, uno ha una lancia e sembra illeso, l'altro ha uno zaino e la spada ma sembra che perda sangue dal braccio.

Il ragazzo dell'otto si lancia contro quello del cinque che però riesce ad infilzarlo, lui si fissa il petto incredulo e cade a terra in una pozza di sangue, mi alzo e corro in bagno a vomitare, dopo poco torno ancora verdastra e subito sto meglio, Finn è su un'albero e sta legato fissando il cielo, il sole lo illumina e lo vedo tremare, sorride tristemente e poi appoggia la testa al tronco e la scuote, si muove e geme, si tocca la gamba e vedo del sangue sulla sua coscia, prende la maglietta e la strappa infondo mostrando I suoi addominali mi sento arrossire e distolgo lo sguardo. Ok si l'ho visto milioni di volte a petto nudo ma stavolta è diverso accanto a me c'è mio padre.

-E' vivo- sussurro, appoggio una mano allo schermo come per poterlo toccare, poi sorrido -Papà è vivo!- salto dalla gioia, esco fuori di casa prima che qualcuno obbietti e vado in piazza, tutti fissano lo schermo mentre I presentatori commentano I giochi e la scelta dell'arena -E' vivo- urlo a squarciagola, abbraccio tutti e piango di felicità perché il mio Finnick è vivo, potrebbe tornare da me.

Tutti sussultano e io mi giro verso lo schermo come molti altri, vedo I favoriti sotto l'albero di Finnick, lui cerca di nascondersi mentre loro si accampano li, tutto sembra andare liscio, non lo notano ma poi per sfortuna, loro notano un movimento sull'albero e lo vedono, mi sento sorreggere, due ragazzi della mia età mi hanno preso prima che cadessi a terra, -Grazie- sussurro e torno a guardare lo schermo, vedo che cercano di arrivare da lui, ma non riescono, uno dopo l'altro falliscono -Perché uccidermi ora? Aspettate domani o quando sarò meno in forma- urla Finnick.

La sua voce delicata e virile mi fa rabbrividire, -Si, hai ragione- urla un ragazzone con la pelle olivastra, fissa gli altri che si mettono a terra, la scena cambia facendo vedere il ragazzo del cinque che si accampa fra due cespugli, I due del nove hanno stretto un'alleanza e quello del dieci cerca di accendere un fuoco disperatamente, il sole alto nel nostro cielo inizia a calare come nel loro mondo, mentre torno a casa sento un colpo di cannone mi giro e vedo il ragazzo del cinque andare in cielo con un raggio azzurro che abbraccia il suo corpo senza vita.

Quindici morti in un solo giorno, Finn è vivo.

Entro a casa, mio padre è in cucina io vado in salotto e vedo l'arena dall'alto è un quadrato regolare, c'è un monte con una cascata altissima e una pianura immensa senza nascondigli, la cornucopia è dall'altra parte del monte, spengo la televisione mi prendo la testa fra le mani, ridacchio nervosamente -An, viena cena, dopo guardiamo la serata- mi sussurra mio padre mi alzo e lo seguo in cucina, c'è un pesce per metà -Giornata no?- chiedo, lu sospira e annuisce, gli prendo una mano e inizio a mangiare.

Il crepuscolo illumina la mia cena, -Ti manca?- chiede papà io lo guardo -La mamma?- gli chiedo lui fa cenno di no -Lo so che lei ti manca, intendo il ragazzo- io annuisco abbassando lo sguardo -E' stato l'unico che non ha guardato chi eri tu, chi era la mamma- sussurro, finisco di mangiare e lavo I piatti, mentre mio padre si rinchiude in camera, io torno in salotto e guardo la replica dei giochi, mancavano otto tributi da uccidere per avere un vincitore, ma ora non ci pensai, andai a letto perché volevo stare sola al buio e abbracciare la felpa che Finn mi aveva prestato.

Avevo bisogno di sentire il suo odore, sentirlo vicino anche a quella distanza.

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Capitolo 10
*** The Arena pt 2 (Annie Cresta) ***


Capitolo dieci.

Annie.


Tre giorni.

Erano passati tre giorni dall'inizio dei giochi, erano morti diciasette ragazzi, tra cui la ragazza del nostro distretto, Finn era vivo ma la sua ferita era infetta.

Aveva bisogno di aiuto.

Annodai una rete nel vecchio casolare, non guardavo I giochi da un'ora e aspettavo che la porta si aprisse e che mio padre mi desse quella notizia.

Finii la rete e tamburellai le dita sul vecchio tavolo di legno, se tornavo in casa mi beccavo l'ennesima sgridata da parte di mio padre, ma se non tornavo avrei sentito l'ansia anche da lontano.

-Papà- urlai dalla porta, la sua testa fece capolineo e suoi occhi scuri brillarono -Nessuna battaglia- mi annuncia, nel suono della sua voce sento un'emozione che non riesco a captare, -Ho finito- gli sorrido e lui sospira -Allora vieni, guardiamo I giochi- mi dice rassegnato, esito sulla porta poi gli sorrido, ogni cellula del mio corpo mi urla di non farlo ma sento che è il posto giusto dove andare -No, a dirti vado a consegnare la rete- butto li, lui sembra sollevato dalla mia scelta, -Vai pure tesoro- annuisco e vado a prendere la rete.

Il salotto dove mi trovo è spazioso, l'uomo con la barba bianca è seduto sulla poltrona e fissa I giochi, io vedo una piccola battaglia, non ricordo nemmeno più chi è in gara e chi non, so solo che Finnick è vivo ma gravemente ferito, abbasso lo sguardo quando il cannone spara, l'uomo si gira e borbotta qualcosa di incapibile -Allora- inizio, il rumore di paracadute argenteo mi blocca alzo lo sguardo e vedo Finnick nascotto in un buco sotto il cespuglio che lo afferra grato, sembra dimagrito e palliduccio, il mio cuore si stringe a vederlo in quello stato pietoso.

Lui lo apre co velocità e vedo I suoi occhi verdimare si riempino di lacrime e gratitudine, fissa il pacchettino con sollievo, dalla piccola scatolina argentea tira fuori un piccolo tubetto del medesimo colore del paracadute, sorride e sospira apre il coperchio e spreme il tubetto dal fondo, sulla sua mano esce un piccolo quantitativo di crema, è di colore marroncino mischiato al giallo, lui l'annusa e storce il naso assumendo una smorfia buffa, non riesco a trattenere un sorrisetto.

Si toglie la benda e vedo l'infezione, c'è molto puss sangue vivo e secco che mescolati danno un'aspetto ancora più sgradevole, lui la spalma e trattiene un urlo, si morde la maglietta lercia e poco dopo ansima quasi ridendo, alza gli occhi al cielo e scuote la testa con un sorriso grato, mormora qualcosa che non riesco a cogliere e poi lui appoggia la testa allo zaino e chiude gli occhi ancora con una risata sul volto.

La scena cambia e io fisso l'uomo con la barba bianca -Sono quattro monete- dico io, lui si alza dalla poltrona e io mi faccio piccola per farlo passare, fisso lo schermo e vedo I favoriti che ridacchiano, ne sono rimasti due, mi mordicchio un labbro e picchietto con le dita sul divano, vedo della sabbia ovunque e faccio un sorrisetto, sembra casa di Finn, l'uomo torna e mi da I soldi io faccio per alzarmi ma lui mi ferma io mi sento salire il panico.

-Sei Annie vero?- chiede, io rimango un po' frastornata, lo fisso poi distolgo lo sguardo -Si, signore- dico non curante, lui sorride -Ah, comprendo- dice con un certo tono di voce, mi schiarisco la voce alzandomi, mi sento come se avesse capito qualcosa che io non ho ancora appreso, vado verso la porta e prima che quell'uomo posso chiedermi altro.

Stavo mescolando la famosa 'Salsa di Annie' quando il suono cristallino di un paracadute mi fa cadere tutto di mano, mi ero persa il resto dei giochi quel giorno, se fosse stato ferito nuovamente? Mio padre aprii bocca ma io corsi in salotto senza nemmeno far finta di volerlo ascoltare, mi fermo in piedi sullo stipite e vedo Finnick che fissa quell'enorme dono un po' scettico, non è ferito, o almeno credo -Ma cosa?- inizio, mi giro e vedo mio padre che fissa lo schermo inorridito, lui mi mette una mano sulla spalla, lo fisso qualche istante per capire le sue emozioni, ma non riesco e mi arrendo, sospirando torno a guardare lo schermo.

Vedo il mio amico che apre il dono e che lo fissa stranulato, è una cosa nera e piccola, socchiudo gli occhi e poi capisco, è un tridente più piccolo di quello che ha a casa, ma molto più appuntito, lui lo stringe un pochino poi con un fremito cambia espressione e lo lascia andare inorridito, -Perchè? Ha con se un coltello per difendersi è sufficente, vero?- chiedo accigliata, mio padre sembra aver visto un fantasma -Tesoro a lui non servirà per difendersi- mi dice spaventanto.

Li per li non capisco cosa significano quelle parole, poi come uno schiaffo ragiono, lui non deve essere caccioto, lui deve cacciare, da preda a cacciatore, inizio a tremare e mi accascio a terra, mi copro le orecchie con le mani e scuoto forte la testa, non possono fargli questo, lui non può uccidere, non riuscirebbe a spocarsi le mani, ma quello che vedo mi fa gelare il sangue.

Finnick è in piedi il tridente accanto a lui stretto in una mano, il vento gli scompiglia I capelli, così alla penombra sembra un dio, il dio della morte, fissa il cielo pieno di stelle con ferocia, li comprendo, lui ha capito ed ha accettato, sento il mondo cadermi addosso e l'ultima cosa che vedo è la sua figura che sfreccia nella notte.

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Capitolo 11
*** Il Cielo Troppo Puro per Me. ***


Capitolo undici.

Finnick.
 


La notte, è lo scudo migliore, il dolore è passato, sono guarito, ad ogni angolo vedo un dono apposta per me.

Cibo, acqua, tutto quello che mi serviva nei giorni scorsi, tutto in poche ore.

Vedo un ragazzetto, non so di che distretto sia, mi acquatto dietro un albero, mi passo una mano fra I capelli e scuoto la testa, che sto facendo? Non sono io questo, io non dovevo uccidere, stringo il tridente, una cosa che assomiglia così a casa che quasi fa male, sento uno sfrusciare qualcosa e m'irrigidisco, spero solo che Annie dorma, che non mi veda così, che Annabelle sia tenuta all'oscuro, non riuscirei a sopportare che mi veda come un mostro.

Sbirciai con la coda dell'occhio e vidi il ragazzo, disarmato venirmi vicino, con uno scatto felino balzo in piedi, I pantaloni strappati vengono investita da dell'aria gelida che mi fa rabbrividire, la maglietta mezza strappata sembra pronta a cadere da un momento all'altro.

Il ragazzo va verso un fuocherello che si sta estinguendo e vedo I suoi fiammeggianti capelli e due occhi terrorizzati, tremo dalla testa ai piedi, ma cerco di non darlo a vedere -Ti prego, no- sussurra il ragazzo, io ricaccio le lacrime e poi lancio l'arma verso di lui, lo prendo nel petto e lui cade con un tonfo, il cannone non spara, lui ansima mi avvicino a lui e lo vedo piangere -Mi dispiace- sussurro, lui mi guarda negli occhi gli si blocca il respiro di colpo e il cannone spara, ho ancora I suoi occhi nei miei quando muore.

Mi ritraggo dal corpo, prendo il tridente che cola sangue e lo metto lontano da me, mi guardo le mani, intrise di sangue e quasi mi sento mancare, ho ucciso un ragazzo, poco più grande di me, sono un mostro, mi passo una mano fra I capelli, errore mi ritrovo ricoperto di sangue gemo per la frustazione e lascio che le mie emozioni escano dal mio corpo.

Dondolo avanti e indietro, non oso guardare il cielo, così puro e bello, non mi merito di guardalo, faccio un respiro tremolante e spengo il focolare raccolgo il tridente che luccica grazie alla luce della luna, prendo lo zaino dove l'avevo lasciato, sta sera ho finito, non voglio fare altro male, mi distendo fra l'erba alta e mangio qualcosa, visto che ne ho tanto.

Mi sveglio con un rumore metallico, alzo la testa di scatto, intorno a me c'è un rumore come ti ticchettii, prendo la mia roba e cerco di muovermi alla svelta, mi sento bruciare, come se avessi preso fuoco, mi manca l'aria, guardo I miei vestiti e sono coperto, o almeno si fa per dire, il sangue secco è dove l'avevo lasciato, però il fuoco aumenta, mi guardo le mani si stanno arrossando, le gratto e il dolore è lancinante, mi tolgo dal prato di corsa, lontano da quel soffocamento.

Quando tutto il bruciore passa e riesco a respirare di nuovo vedo come delle cavallette, di un colore simile all'erba, verde mischiato al giallo, la prendo in mano e la vedo che comincia a muoversi, il rumore ricomincia e pian piano l'animale diventa giallo acceso, la lancio via, la vedo cadere, le mostruosità di Capitol non avranno mai fine.

È quasi mezzogiorno, sembra che tutti si siano nascosti, oppure sono io che cerco in posti sbagliati, non guardo il cielo da ieri notte, ne sento la mancanza ma è la mia punizione per essere un mostro, sento dei passi dietro di me, sto per scappare ma rimango li dove sono, una risata, che suono soave e fuori luogo, ridere che bella cosa.

A casa lo facevo sempre, la mia vita era una barzelletta, così combattevo il dolore, dietro ad una stupidaggine una battutina, mi aiutava ad andare avanti, almeno era così nel mondo normale, li dentro no di certo, vedo una ragazza con un'altro ragazzo ridono, sono armati di un coltello, sono in due, li vedo sbiancare, lei arretra e mi lancia il coltello, mi scosto e quello cade dietro di me, io abbasso lo sguardo e chiedo un muto perdono prima di attaccare il ragazzo.

Boom, il cannone spara, attacco lei, boom un'altro cannone, meno quattro, poi sarai a casa.

Si, ma a che prezzo? Come potrò guardare in faccia le persone che amo? E quelle che non mi conoscono? Scaccio quei pensieri dalla mente e vado avanti, vado a finire di fare quello che devo, per tornare a quella che dovrebbe essere casa.

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Capitolo 12
*** Finalmente a Casa. ***


Capitolo dodici.


 

Le luci mi accecano.

Mi porto una mano sulla fronte e vedo il palco, una sola poltrona tutta per me, il pubblico urla, un nome in particolare: Il mio.

Ho vinto, che novità, quando ero ritornato, tutti mi avevano abbracciato, Mags sembrava l'unica triste ma comunque mi sorrideva, voleva che tornassi, ovviamente, ma forse non a quel prezzo, ancora non capisco cosa significa ma qualcosa mi dice che fra non molto scoprirò il mio 'prezzo'.

Sento il mio nome e mi preparo a sorridere, ad ammiccare ed a rendermi piacevole, il truccatori hanno coperto le occhiaie dovute alle notti insonne, hanno cercato di nascondere le mani sfregiate dalle ore trascorse a intrecciare nodi, hanno cercato di rendermi di nuovo il ragazzo sempre felice che è arrivato fin qui. Ma non ci riescono, perché quel ragazzo è morto nell'arena, il Finnick che conoscevano non esiste più.

Sali sul palco salutando il pubblico, sorrido amabilmente, vorrei morire in realtà vorrei essere morto la dentro, tutto ma non essere qui, mi siedo amabilmente sulla sedia, accavallo le gambe e sorrido formando le graziose fossette che una certa persona ama.

-Allora ragazzo mio, sei giovanissimo eppure hai vinto- esclema, io annuisco e faccio un'espressione buffa tutti ridono -Bhè se sono qui- dico sprezzante, altre risate, altra tristezza entra in me -Quando ci siamo visti l'ultima volta avevi detto che c'era una ragazza speciale, tutti noi lo ricordiamo vero?- urla al pubblico guardandomi, io arrossisco, certe cose non cambieranno mai, sono sempre timido, spero che almeno questo non venga cambiato da queste persone.

Io apro bocca e le parole di Mags mi ritornano in mente 'Non parlagli di Annie, per l'amor del cielo' io la richiudo e sorrido -Ma cosa avete capito, la mia sorellina è l'unica donna speciale- dico con voce finta, guardo in camera e la saluto mandandogli un bacio.

Sono un viscido mostro, Annie mi odierà, ma almeno Annabelle sarà felice, ho parlato di lei a tutti, sa che la penso, mi si chiude la gola e io fisso il presentantore freddo -Ora se te la senti guardiamo in breve I tuoi giochi- il mio sorriso facilla, afferro I miei pantaloni e ricomincio a sorridere, tremo, ma non voglio darlo a vedere giro la testa con garbo preparandomi a vedere I miei incubi a occhi aperti.

Dopo dieci minuti abbasso lo sguardo, sento tutto addosso, -Basta- urlo preso dai tremiti, le luci si accendono e noto che ho pianto e che le mani mi sanguinano, il presentatore mi fissa e io tiro fuori una risatina nervosa -Oh, mi dispiace- dico io, lui guarda il pubblico che sembra pronto ad abbracciarmi per farmi stare bene e mi rendo conto che con il mio cedimento ho fatto un buon lavoro.

Mi congedano facendomi fare un'inchino e un sorrisetto dolce, scendo le scale e piano piano il sorriso si spegne, Mags mi mette un braccio intorno alle spalle e mi sorride -Andiamo a letto ragazzo, domani torniamo a casa- mi sussurra, mi sento pungere gli occhi, gli sorrido pieno di tristezza -Da Annabelle- sussurro, lei mi bacia la testa accarezzandomi la guancia -Si ragazzo e anche da Annie- mi dice finendo dolcemente, mi passo una mano fra I capelli -Annie- sussurro, lei mi fissa preoccupata e quando l'ascensore si apre, scappa via, mi sembra di udire un singhiozzo, ma prima che possa chiedermelo mi spingono verso camera mia.

Eccola li, piccola e vuota, la mia camera da tributo e ora la mia camera da vincitore, mi buttai sul letto vestito e in un'attimo gli incubi mi avvolsero.

Mi risvegliai urlando, mi paralizzo dalla paura e sto li, fermo a fissare il soffito, così monotono e freddo, per lui è tutto facile, sta li e ci offre riparo, niente di più niente di meno. Sono riuscito a dormire qualche ora in più perché l'alba sembra arrivare prima, mi alzo e vado a mettermi comodo, inzio ad intrecciare nodi.

-Siamo vicini- mi sussurra una voce io sorrido dopo tanto per davvero, il cielo sfreccia fuori, ma non oso guardarlo, sarebbe un peccato, troppo grosso, fisso Mags e sorrido -Secondo te, verrà?- gli chiedo abbassando la voce, lei sorride, come se vedesse in me il ragazzino impacciato di una volta -Se non ci sarà, gli tiro personalmente le orecchie- ridiamo, mi tremano le mani e lei me le prende, sorrido di quel gesto, così da mamma.

Il treno si ferma facendo un rumore stridulo, subito sento delle acclamazioni, il mio nome ripetutto all'infinito, vado verso la scalette inizio a sorridere, le porte si aprono e tutti mi acclamano io alzo la mano e inizio a salutare, rido quando qualcuno mi indica e lascio che tutti mi prendino le mani, sento tanto calore,troppo, appena boccheggio salgo su un'auto, mi porteranno nella nuova casa.

Scendo e saluto con un sorriso, Mags pure e va verso casa sua, io vedo la mia residenza, le luci sono accese, qualcuno è in cucina, mio padre? Annabelle? Mi avvicino e apro la porta, un profumo mi riempie il naso sorrido senza nemmeno pensarci -Annabelle sei già tornata?- chiede una voce cristallina, sbatto con la schiena verso la porta, non voglio vederla, sento dei passi e mi sale il panico.

Penserà che sono un mostro, scappera urlando? Non riesco a fare niente, mi immobilizzo davanti alla porta, lei appare con un paio di pantaloni neri e una canotta aderente bianca, I capelli legati in una crocchia scomposta, il suo sorriso trema e poi sembra quasi strozzata, io non faccio un passo, sento mio padre mugolare, mi si chiude la gola, non so cosa fare, lei si, mi sorride senza trattenere le lacrime e mi si lancia addosso.

Aggrappa le gambe intorno alla mia vita e le braccia attorno al collo -Finnick- mormora e sento il suo sorriso sul collo, io sorrido con il cuore sulle labbra e la stringo a me, appoggia la mia testa sopra la sua e gliela bacio leggermente -Annie- sussurro, chiudo gli occhi mentre continuo a tenerla fra le braccia.

Sono a finalmente a casa.

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Capitolo 13
*** Sempre la dentro. ***


Capitolo tredici.


 

Sa di sabbia, salsedine e di casa, riconosco l'aroma di menta che quasi sempre significa che ha cucinato un suo piatto speciale, sento il sorriso sul mio collo, la sento vicina, come non ero mai stata.

Il suo tocco mi provoca dei brividi ovunque, sento il cuore esplodermi per quella vicinanza, Annie è sempre stata bella ma ora ai miei occhi lo è ancora di più, in lei riconosco il ragazzo che è partito che non è tornato, in lei vedo tutto quello che il mondo ha di bello da offrire.

La poso a terra dopo minuti interminabili, ha le guance rigate da striscioline argentee e gli occhi arrossati verdi, sembra combattuta, il panico mi assale di nuovo, mi vede come un mostro -Mi sei mancato occhi verdemare- mi dice sfregandosi le guance, io rimango in silenzio e abbasso lo sguardo, non so nemmeno come sarà la mia voce, neanche cosa dirò, rimango in silenzio, lei mi fissa preoccupata -Finn, ci sei?- chiede, che domanda stupida, non ci sono no, sarà sempre la dentro, non potrò tornare indietro, ma gli sorrido, spero che non si accorga che sia finto -Si, scusa- dico, lei va in cucina facendomi cenno di venire.

Mi siedo al tavolo della mia nuova cucina, tutto è troppo nuovo, troppo perfetto, grugnuisco e mi siedo sulla sedia di legno, lei è in piedi davanti ai fornelli con una faccia buffa, cucina con precisione, la porta si apre e il panico mi assale, una testa bionda fa capolinea dalla cucina, -Non l'ho visto alla stazione- esclama, poi si gira e mi vede, la sento sussultare e vedo la paura nei suoi occhi, va verso Annie, ecco fatto, lei mi vede come un mostro.

-Tesoro è Finnick, vai ad abbracciare il tuo fratellone- gli dice la mia amica, lei mi fissa -Perché hai fatto del male a quelle persone?- chiede lei in un sussurro, mi si chiude la gola e abbasso lo sguardo, mi alzo con fin troppa calma,tremo dalla testa ai piedi e lancio via la sedia con un urlo, loro due si ritraggono, sento un'urlo e io rispondo per le rime, esco dalla cucina e corro su per le scale sbatto la porta della mia camera e sento il buio turbinare intorno a me e dentro me, dei singhiozzi rumorosi, mi appoggio la porta e scivolo fino a terra fisso davanti a me, inizio ad intrecciare mentre tutto mi sta scivolando addosso.

Sono matto? Forse si, perché ho fatto così? Mia sorella mi ha fatto esplodere, sono un mostro, lei mi vede per quello che sono, altri singhiozzi, sarò io? No, io non posso piangere, ma poi mi tocco le guance e sono umide, dio basta, urlo un'altra volta e tutto tace, mi torna in mente l'arena, il silenzio innaturale, il rosso ovunque, le mie mani rosse, tutto quanto per colpa mia, mi prendo la testa fra le mani e mi manca l'aria, mi graffio I bracci preso dal terrore e dalla pazzia, mi ritrovo a ridere come se non ci fosse un domani.

Mi sdraio sul letto, non voglio uscire di qui, sento bussare non rispondo e mi butto sotto le coperte, tremo, I graffi mi bruciano, la porta si apre e sento un singhiozzo, stavolta non sono io, qualcuno si siede sul letto, tiro fuori la testa e vedo Annie, in braccio la mia sorellina che mi fissa confusa -Finn- sussurra Annabelle, io la prendo e la stringo a me -Amore mio- continuo a stringerla, mentre dondolo in avanti e indietro, lei si ritrae con gli occhi spaventati -Non mi farai male- dice in un sussurro, gli accarezzo le guance e annuisco -Non te ne farei mai- lei mi sorrise e si accoccolo sul letto accanto a me, Annie mi fissava le braccia, con uno strano sguardo.

Quando sento il suo respiro leggero, decido di uscire dalla mia camera da letto e andare in salotto, scendo le scale senza far rumore, per non svegliare mio padre, quando arrivo giù, vorrei scappare e tornare in camera, Annie fissa il fuoco, con sguardo perso -Heyy- salutai, lei si volto, non era più felice, sembrava delusa -Finnick- disse glaciale, mi sedetti accanto a lei sul divano più morbido di quel che sembrava, presi una coperta e gliela misi sulle spalle.

-Perché ti sei fatto quei graffi?- chiede senza guardarmi, si stringe la coperta che fa come da scudo fra noi, -Non lo so- rispondo, lei si gira, gli occhi pieni di lacrime, -Finnick- mormora, mi passa una mano sui bracci e una lacrima gli scende sul viso, mi sento serrare la gola -Me li curi?- chiedo, lei appoggiai la sua testa alla mia spalla, sento il suo profumo, il cuore mi balza in petto, che cosa mi sta succedendo? Che cosa provo veramente per la mia migliore amica? Non ho risposte a queste domande, so solo che sentire il suo respiro contro la mia pelle, il tocco del suo orecchio contro la spalla mi manda in paradiso -Vieni andiamo a disinfettare questi graffi- mi dice quasi in un sussurro, si alza e mi tende una mano, faccio per prenderla quando il fuoco scoppietta.

Sono di nuovo la dentro, chi ho ucciso stavolta, mi rannicchiai sul divano, lei sembrava non capire, mi tappai le mani con le orecchie chiudendo gli occhi mentre le lacrime che cercavo in vano di reprimere scendevano cattive sulle mie guance solcate da graffi rossi e vivi.

Sono sdraiato sul divano, il fuoco quasi spento, sono solo, tremo dalla testa ai piedi, quando Annie ha cercato di aiutarmi lo mandata via, non volevo eppure è stato un'istinto, non volevo che mi vedesse così, Annabelle dorme serena, fuori è buio e fa freddo, ma non so se è perché è freddo o perché io sono freddo, chiusi gli occhi, lasciando che il bagliore rosso mi invadesse la mente, in un'attimo le mie urla riecheggiavano per la casa, nessuno mi avrebbe aiutato, tremai fino alle prime luci dell'alba la mia gola si era prosciugata, le mie forze erano venute meno, ora rimanevo in un limbo fatto di paura e terrore.

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Capitolo 14
*** The Victory Tour. ***


Capitolo quattordici.


 

Non avevo messo piede fuori casa, erano passate due settimane dal mio ritorno.

Annie veniva a prendere Annabelle, implorandomi di venire, non ero pronto, non volevo vedere l'odio negli occhi delle persone.

Stavo per partire per il tour della vittoria, avrei visto I genitori, gli amici delle persone che avevo ucciso, rimasi in camera mia, lontano dalla luce del sole, sarei partito il giorno dopo la mattina presto, bussarono alla porta, Annabelle entro e saltò sul letto, io l'abbraccia sorridendo, le occhiaie erano sempre più scure e la mia sanità mentale sempre più fragile.

-Vieni al mare- chiede, io gli accarezzo il viso, è così pura, lontano da tutta quella cattiveria, tirai fuori un sorriso incerto, Annie fece capolinea, non pariamo da quando mi ha visto dare di matto, evita il mio sguardo a tutti I costi, faccio lo stesso, mia sorella continua a sorridere raggiante, domani parto non vedrò il mare e non sentirò il suo profumo per molto tempo -Si amore- dico, Annie incontra I miei occhi e io l'incateno ai suoi.

Il mondo sparisce per un'attimo e siamo solo io e lei, gli sorrido e lei pure abbassando lo sguardo, esco dalla mia camera, papà sta scendendo le scale con passo pesante -Noi usciamo- gli dico, lui si gira e I suoi occhi brillano -Va bene- borbotta, gli do una pacca sulla spalla e lo sorpasso, dietro d me Annie e Annabelle.

La spiaggia è proprio come la ricordavo, tranquilla e sola, Annabelle sguazza felice nel mare, sento il solo sulla pelle e sorrido, inizio a ridere, Annie mi fissa e scuote la testa -Quando parti?- chiede, io sospiro -Domani mattina, mi faranno bello- dico facendo un sorriso scemo, lei mi copre la faccia con la mano e io la bacio, la sento ridere e mi ritrovo a fissare l'orizzonte, sento un sospiro troppo teatrale -Mi dica- dissi, lei appoggia la testa alla mia spalla.

Chiude gli occhi e la vedo sorridere -Mi mancherai- dice quasi in un sussurro -Anche tu- dico, ride si tira su e mi guarda negli occhi -Ho una domanda che mi tormenta- dice, mi preparo e mi acciglio -Non hai parlato di me- dice, io mi acciglio -Ad entrambe le interviste- si affretta ad aggiungere, abbasso lo sguardo -Volevo proteggerti, Mags ha detto che nessuno doveva sapere di noi- dico, quando pronuncio quella parola, mi vedo più grande mano nella mano con Annie che guardiamo un bambino correre verso il mare, lei che mi bacia mi va a fuoco la faccia e abbasso lo sguardo, sulle mie mani intrecciate.

-Davvero? Non perché non mi vuoi bene, vero?- chiede lei, io l'abbraccio forte, respirando il suo profumo, mugolo un pochino cercando di non ridere -Certo, lo sai che ti odio- dico, lei si divincola, mi tira la sabbia e io mi arrabbio, la trattengo e lei si divincola, si toglie l'abito bianco rimanendo in costume -Vienimi a prendere Odair- urla, mi spoglio anche io e la rincorro in acqua, la butto dentro e quando esce bagnata l'abbraccio -Ti voglio bene- mi mormora, mi sale un groppo in gola 'Già, io ti amo invece' penso, ma comunque mi limito a stringerla -Anche io te ne voglio pazza- replico.

Torniamo a casa, sento la stanchezza della giornata più quella delle notti insonne, Annabelle corre verso casa, Annie la fissa da lontano e mi sta affianco -Domani mattina passo a trovarti, prima che te ne vai- mi dice quando siamo vicino casa sua, il tramonto abbraccia la sua figura e la rende bella come un miracolo, l'arancione rende I suoi occhi verdi più che mai, cavolo se è bella! -Va bene- dico, lei mi bacia la guancia come sempre, va verso casa, come facevano prima, ma ora è diverso per me non è un semplice modo per salutarmi, sento le farfalle nello stomaco e un peso sul cuore, quando entra dentro casa sorrido e scuoto la testa.

La mattina dopo mi alzo, ho dormito un'ora quella notte, l'alba arriva svegliandomi, rimasi col pigiama e scesi giù, la casa era silenziosa, quasi deserta, scesi le scale, papa aveva messo le vecchie foto dell'altra casa, le guardai tutte, sorrisi, vedendo il sorriso sul volto di mio padre.

-Buon giorno- dico, Annabelle è seduta al tavolo della cucina e fissa il pacchettino sul tavolo, -Cosa sono?- chiede, io leggo da sopra la padella -Zollette di Zucchero, vuoi una?- chiedo, lei fa cenno di no storcendo la bocca, risi, gli versai il contenuto nel piatto e mi sedetti, erano le otto, avevo un'ora libera, prima che il mio staff mi venisse a preparare, sentii un bussare lieve e andai alla porta.

Annie aveva I capelli legati in una treccia e ancora gli occhi carichi di sonno, sorrisi di quella vista -Sono venuta, offrimi un caffè- mugola, si fa avanti e la seguo in cucina, si lascia cadere su una sedia e appoggia la testa al tavolo, do una manata al tavolo e sobbalzo -Idiota- sibila, poi guarda la scatola e prende un cubetto bianco, lo mette in bocca e sembra aver mangiato una cosa divina -Assaggia- esclama me ne passa una e io faccio una smorfia -No- dico scuotendo la testa, lei si alza e mi viene dietro si china sopra di me, mi viene voglia di baciarla ma non lo faccio -Così quando sei lontano pensi a me, dai- dice con voce dolce, prendo la zolletta dalla sua mano e la mangio.

Ha ragione, sono buonissime ma non gli dico niente -Contenta?- lei mi schiocca un bacio sulla guancia e mi sorride soddisfatta, passo la mattinata a pulire la cucina e fra le braccia di Annie che sembra non volersi staccare da me un'attimo, -Un po' d'aria- esclamo, ma non la scaccio, mi piace sentirla stretta a me -Non ti vedrò per molto tempo- dice lei, io sorrido -Mi piace tenerti fra le braccia- dico e mi maledico, che cosa ho detto ora lei chiederà una spiegazione ma invece lei arrossisce e abbassa lo sguardo.

Il campanello suona e qualcuno va ad aprire, sento delle risatine e poi dei passi pesanti che salgono le scale, delle teste colorate fanno capolinea nella mia camera e tutti fissano Annie, lei si ritrae in imbarazzo, ancora rossa -Caro- strepitano, spingono in malo modo la mia amica e mi stritolano in un abbraccio -Sei ancora più bello se possibile- dice una in tono sognate, non guardo Annie, ma sento I suoi occhi addosso e non è uno sguardo felice.

La mandano via, lei protesta puntando I piedi alla fine decide si scendere e di farsi scortare da me -Non mi piacciono quelle- sibila appena arriva in cucina, mangia un'altra zolletta, ne sta diventando dipendente -Lo vedo, ma sono brave- dico io a mo di scusa, sollevo un po' le spalle e li mi punta un dito nel petto -Non difenderle Odair, ti guardano come se fossi un dolce prelibato, avranno quarant'anni e tu hai quattordici anni- strepita, sorrido, adoro vederla così arrabbiata, lei lo nota e diventa ancora più acida -Lo trovi divertente? Un conto è che se ti guardiamo noi, ma loro no- dice, la guardo dritto negli occhi -Allora un po' ti piaccio eh? Mi guardi anche tu eh?- la punzecchio, lei avvampa di rabbia -No, ora vatti a fare bello, rimarrò qui, finché non vai alla stazione poi ti accompagno- dice, va a sedersi e inizia tamburellare con le dita sul tavolo, scuoto la testa, la mia Annie così imprevedibile.

Un'ora dedicata al mio rigeneramento, mi metto una camicia bianca e dei pantaloni neri, I capelli li hanno lasciati liberi, mi guardo allo specchio e sembro quello di prima, I graffi si sono rinsaniti, Annie non mi permette più di lasciarmi andare, insegnandomi sempre nodi nuovi, si può dire che è stata la mia ancora di salvezza, saluto Giorgina che è seduta sul letto -Andiamo?- chiedo, lei mi sorride -Sono le nove e mezza partiamo alle dieci- dice, io annuisco -Però scendiamo- gli dico, lei sembra capire -Oh si, andiamo a fare due chicchere con la tua amica- quando pronuncia quella parola mi sento avvampare, mi da uno scappellotto e scendiamo.

-An- dico dallo stipite, lei fissa in cagnesco il mio staff e loro sembrano disgustate, lei si gira e mi sorride ancora con lo sguardo folle negli occhi, mi siedo accanto a lei poggiando le mani sul tavolo, lei ne afferra una sento le farfalle che vogliono scappare dal mio stomaco -Finnick, vieni un'attimo in salotto, ti devo parlare- lo dice con I denti così stretti che esce fuori un fischio, mi alzo e lei pure faccio un cortese gesto con la nuca ma prima che possa scusarmi lei mi tira via dalla stanza.

Mi ritrovo attaccato al muro, il suo braccio sotto il collo, vorrei chinarmi un poco per baciarla, ma qualcosa mi dice che non è una buona idea -Finnick Odair- sibila, -Sei un'idiota, imbecille e chi più ne ha più ne metta, non sai cosa dicono di te quando non ci sei- quasi urla, inverto I ruoli e la schiaccio al muro, gli tengo le mani in alto e premo il suo corpo contro il muro -Cosa dicono?- chiedo suadente, lei si divincola, ma tengo duro -Che sei troppo piccolo ancora, ma fra un paio d'anni sarei il più richiesto- sputa fuori, mi sento confuso -Cosa?- domando, lei riesce a liberarsi dalla mia presa ma non esce dalla mia barriera creata dalle mie braccia -Non ho capito, ma ho detto che si sbagliano, abbiamo litigato e ora so per certo che non ci piacciamo- dice lei, sospiro -Tanto non le vedrai per un po' di mesi- gli dico, lei si morde un labbro, un'emozione gli passa rapida negli occhi -Se mi estraggono?- sussurra, l'abbraccio -Cercherò di farti uscire, a tutti I costi- lei mi fissa dal basso mettendomi un dito sulle labbra -No, devi dare la possibilità anche all'altro tributo, non solo a me perché mi vuoi bene- dice, io sospiro, 'No Annie io non ti voglio bene, io ti amo c'è differenza' penso.

Torniamo in cucina, lei si siede dove prima e mangia due zollette, sorrido lei si acciglia -Mangiane una- mi dice, fisso lo staff che ora sempre aver capito che io sono qui, mi fissano con intensità, lei avvicina la mano alla mia bocca, stringo le labbra -Dai Occhi Verdemare-mi supplica roteo gli occhi e apro la bocca lei ci fa cadere dentro la zolletta e io la chiudo, è buonissima dolcissima e sa di Annie -Buona- mormoro, lei mi da una pacca sulla spalla -Io lo sapevo- gongola, gli tiro una gomitata, l'orologio batte le dieci, ci alziamo e andiamo alla porta, Estella fa capolinea prima ancora che io possa dire niente -Muoviti- strepita, Mags è stata inquadrata e anche Gordon, ora inquadrano me, io scendo le scale del portico con un finto sorriso sulle labbra, saluto le telecamere e vado verso I miei mentori.

Camminiamo verso la stazione, tutti ci circondano esultando, Annie ci segue fra la folla, quando sto per salire sul treno allungo il collo e mando un bacio in aria, non so perché lo faccio, ma lei sembra capire, solleva Annabelle e mi guardo, gli occhi tristi e un sorriso sulla faccia, la vedo arrossire, le porte si chiudono e il boato si ferma, vado a sedermi e dai vetri, vedo la folla andarsene, Annabelle mi segue con lo sguardo e sorride continuando ad muovere la manina, Annie si asciugo la guance, non sembra felice come lo era poco prima.

Il distretto sparisce e mi appoggio al mio sgabello, tutti parlano, vedo fuori dei boschi, ma poi ritorna il mare, è nella mia mente lo so, ma comunque vedo il mare e di nuovo quel futuro che ormai sembra più un sogno che una certezza.

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Capitolo 15
*** Perdite. ***


Capitolo quindici.


 

Il tuor era andato bene, ero tornato a casa da un giorno.

A capitol mi sono sentito sporco, come se tutti volessero solo me, quando sono tornato Annabelle ha voluto dormire con me, non ho opposto resistenza, avevo voglia di stringerla un po' a me.

Annie era passata la mattina dopo, indossava dei pantaloncini corti e una maglia bucherellata da quanto era vecchia, I capelli raccolti in una coda alta, mi aveva abbracciato e stritolato fra le sue braccia, quanto mi mancava sentire la sua figura stretta a me.

Avevo passato una settimana bellissima, ma poi l'uomo dallo sguardo di ghiaccio e dalla rosa all'occhiello era spuntato in casa mia.

-Presidente, quale onore- la porta era chiusa alle mie spalle, eravamo in cucina, solo io e lui, mi tremavano le mani, ma non si notavo per il fatto che erano chiuse a pugno, lui studio la mia cucina come fa un'animale con la sua preda, tamburello con le dita sul tavolo, ad ogni colpo il mio cuore si fermava.

Mi guardò dritto negli occhi, cercai di mantenermi caldo, ma quando ingoiai il pomo di Adamo tremo troppo, addio alla mia maschera -Caro Signor Odair, telefonarle o mandarle una lettera mi sembrava scortese- disse lui, io tirai fuori un sorriso -Perché mai signore? Cosa deve dirmi d'importante- dissi, lui sorrise, ma quel sorriso non si estese ai suoi occhi di ghiaccio -Lei deve fare da mentore, di solito non prima dei sedici anni, ma nel suo caso faremo un'eccezione- disse, cercai di trattenere il brivido, ma aprii bocca senza il consenso parlai -Mi rifiuto- dissi, poi mi tappai la bocca con la mano, lui sorrise gelidamente -Ho fatto portare una torta, per la sua sorellina- disse, io strinsi le mani ancora più forte, le nocche diventarono bianche.

Urlai degli insulti contro di lui, ma non fece una piega, quando mi calmai lui batte con un bastone sul pavimento e un Pacificatore entrò, posando sul tavolo un sacchettino, lo aprii e il sangue si gelò nelle vene.

Erano delle bacche, bluastre, sembravano innocue, ma non lo erano, quelle erano I Morsi Della Notte, bacche velenosissime, mi ci volle un'attimo per capire -E' morta- conclusi, lui fece un mezzo sorriso -Si signor Odair, ora capisce che possiamo costringerla, ora sua sorella, dopo suo padre infine la sua amichetta- chiusi gli occhi e le lacrime iniziarono a baciarmi le guance -Accetto, qualsiasi cosa io accetto- dico singhiozzando -Non si scomodi ad accompagnarmi, il corpo lo portiamo noi- disse, rimasi al tavolo, fissandolo, piansi tutto il giorno, bussarono alla porta ma non risposi.

Urali di dolore, più volte, non sentirò mai più la sua vocina, il suo calore. Lei, piansi ancora, mio padre venne in cucina, si sedette davanti a me alzai lo sguardo, era sobrio -Papà- iniziai, lui alzò una mano -Lo so- disse solo, mi chinai e ricominciai a piangere, mio padre fece lo stesso.

Due giorni dopo c'era il funerale, indossai il completo nero, sentivo del vuoto ogni volta che mi capitavano fra le mani I suoi oggetti, piansi molto, Annie venne al funerale, aveva gli occhi arrossati, segno che aveva pianto, ma era li per me, afferrò la mia mano e la strinse, l'abbracciai -Annie- sussurrai, lei scosse la testa -Sono qui- disse lei, ci staccammo, altre lacrime scesero dai miei occhi, lei le asciugò baciandomi le guance, sarebbe stato piacevole, ma non in quel momento, in quella circostanze.

La cerimonia, la passai quasi sempre a scuotere la testa, era colpa mia se mia sorella era morte, avrei dovuto accettare, dire di si, sono un'egoista, vidi il suo corpo pallido, immobile, poi il fuoco divampò su di lei.

Qui nel quattro, bruciavamo I morti e poi buttavamo le ceneri in mare, per donarli al posto da dove eravamo arrivati, quando finii di bruciare, la folla si disperse, mio padre urlo e aprii la bottiglia, se la scolò in pochi minuti, Annie rimase al mio fianco, pronta ad ogni mia reazione -Buttiamola in mare, alla nostra spiaggia, gli sarebbe piaciuta- sussurrai, lei annui, andò a prendere le ceneri e le mise dentro a un vasetto di vetro, tutto sporco, lo riempii e mi tese la mano -Facciamolo- disse, gliela presi e andammo verso la spiaggia.

La sera tutto taceva, solo il fuoco scoppiettava e mio padre russava, non mangiai niente, dopo due giorni dovevo sentire la fame, ma nulla, Annie mi guardava -Mangia qualcosina, ho preparato il tuo piatto preferito, mangia- mi esortava, presi una cucchiaiata di minestra, era fredda e non sapeva di nulla, o forse ero io che non ero nulla.

-Vado a dormire- dissi, lei butto via la zuppa con un sospiro, mancava anche a lei, ne ero certo, sulla porta mi fermai e la guardai attentamente, irradiava potenza e bellezza -Annie- sussurrai, lei non mi sentii -An- dissi più forte, lei si volto verso di me, aveva già le guance rigate di lacrime -Dormi con me?- gli chiesi, ero arrossito e anche lei -Mio padre...- iniziò, ma poi scosse la testa -Va bene, arrivo- riabbasso la testa finendo di pulire.

Ero nel letto fissavo il soffitto di legno, speravo che Annabelle entrasse e si buttasse sul letto, ma non sarebbe successo stanotte, ne mai più, la porta si aprii cigolando, mi tirai su in allerta -Scusa- mi disse Annie, I capelli legati in una crocchia la rendevano ancora più bella, scossi la testa, si avvicinò con cautela e si infilo sotto le coperte -Notte- sussurro, io la strinsi a me e l'abbracciai -Rimani accanto a me- dissi solo, lei sembrava sorridere -Io starò qui Finnick, accanto a te per sempre- ci coprimmo con la coperta.

Ci addormentammo abbracciati, sentirla vicina mi faceva stare bene, un calore nuovo si liberò dentro me, non feci incubi quella sera, non so se era per via delle altri notti insonni oppure se era per Annie e quello che provavo per lei.

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Capitolo 16
*** First Times ***


Capitolo sedici.


 

Mi trovavo davanti a casa dei Cresta, il motivo? Annie era ancora addormentata oppure si stava vestendo, comunque ero venuto a farle una sorpresa.

Bussai alla porta, avevo addosso una camicia bianca, indossavo un regalo di Annie, una collana con il simbolo di una vela, il braccialetto era stato bruciato con il corpo di mia sorella, lei aveva rimediato con questo.

Suo padre mi aprii e la bocca mi si impastò, oddio, cosa mi era venuto in mente? Sorrisi incerto e lui ricambio con tanto calore, non sentivo una cosa del genere da anni ormai, -Annie è pronta?- chiesi non curante, ma sperai che non notasse le mani tremolanti, lui mi fece cenno di entrare -Vai pure ragazzo, è in camera- disse, mi diede una pacca sulla spalla e mi chiuse la porta alle spalle, sobbalzai e lui mi sorrise, ricambiai arrossendo.

-Cresta, spero per te che tu sia almeno sveglia- urla fuori dalla sua porta, sentii un rantolio, Annie mi aprii sembrava parecchio assonnata, aveva una maglia che gli arrivava fino alle cosce, mi fissava furente con quei suoi occhi verdi penetranti, gli sorrisi in maniera scema, guardò oltre le mie spalle e mi tiro dentro.

Chiuse la porta e mi puntò un dito nel petto -Senti io domani potrei finire a Capitol City, oggi voglio dormire- dice, buttandosi su un letto sfatto, si tira le coperte sopra al viso, mi butto accanto a lei e glielo tolgo di dosso -Io domani parto per Capitol City e tu non vuoi passare un po' di tempo con me?- chiedo divertito, lei mi fissa e sbuffa -Va bene, tu e I tuoi metodi persuasivi- disse, gli baciai sulla guancia e scattai in piedi e gli sorrisi, lei si alzo, andando a prendere dei vestiti puliti, distolsi lo sguardo quando la maglietta gli salii un po' troppo.

Arrossi, lei si girò e mi schioccò un'occhiata maliziosa -Cosa? Tu che sei circondato da donne, arrossisci per così poco?- chiede, esce dalla porta e la chiude a chiave, sono bloccato in camera sua, mi guardo attorno, è una stanza piccola, c'è un letto sfatto, un'armadio di legno che ha visto giorni migliori, ci sono delle foto alla parete, una donna con I capelli riccioli come Annie, più grande è bellissima, la porta si apre alle mie spalle, Annie mi fissa e sorride -Hai messo la collana- dice divertita, indossa dei pantaloncini neri e una canotta dello stesso colore, I capelli sono chiusi in una coda alta, ha un sorriso che fa scaldare il mio cuore.

-Non posso non metterla- protestai, si avvina e attorciglia il filo nel suo dito, lo fissa con uno sguardo distante, la fisso e anche io sorrido, lei alzo lo sguardo, lascia cadere il dito e mi fissa dal basso -Che vogliamo fare?- chiede, io faccio spallucce -Voglio farti un regalo anche io- dico d'impulso, lei sorride -Non devi- sussurra abbassando lo sguardo -Tu ne hai fatti due a me, domani potresti entrare la e voglio che tu abbia qualcosa di mio- dico, perché d'un tratto parliamo per via di sussurri? Perché la mia voce si fa roca e il cuore mi batte forte? Mi passo la lingua sulle labbra e lei si morde quello inferiore, chiudo gli occhi un'attimo almeno per far calmare il respiro.

Lei arretra e inciampa cadendo sul letto, mi prende il polso e io cado accanto a lei, tutto l'atmosfera di prima si rompe e inizio a ridere, lei mi da una gomitata rossa in viso, non riesco a smettere di ridere e così continuo facendomi venire le lacrime agli occhi, mi tengo lo stomaco per le troppe risate, lei s'imbroncia e io inizio a fargli il solletico, inizia a ridere pure lei -Basta- urla fra una risata e l'altra -Ti prego, Finnick- continuo a fargli il solletico, lei mi viene in braccio e mi blocca le mani come quel giorno in casa mia, mi guarda incattivita, ma il sorriso sulle labbra tradisce le sue intenzioni.

Il mondo sembra fermarsi, vedo I suoi capelli fluirle intorno al vico come un'aureola, il naso non proprio perfetto che tanto amo, le lentiggini poco visibili se non si guarda il viso da vicino, poi gli occhi, sono grandi e felici, hanno quel verde foresta che si mischia al verde del mare, splendidi, sembra brillare, lei è la luce ora.

Le guardo le labbra, sono semi aperte ancora arricciate in un sorrisetto furbo, rosse e screpolate, mi spingo in alto e attacco le mie labbra alle sue, sento la sorpresa dal gemito che emette, sa di mare, anche se non ci siamo andati ancora, poi sopratutto sa di Annie, sento dei brividi su tutto il corpo, lei è come immobilizzata, non risponde ma non mi scaccia, apro la sua bocca con la mia e finalmente lei risponde, mi stacco per riprendere fiato dopo alcuni minuti, ci fissiamo senza dire niente, ingoio e il pomo di Adamo mi trema lei si alza e mi fissa accigliata, si appoggia al muro e inizia a ridere.

-Che hai da ridere ora?- chiedo, lei si copre la faccia con le mani e scuote la testa, riesco a vedere il sorriso sulle sue labbra dal suo letto, sento la mia bocca pizzicare, anche io sto sorridendo -Odair- esclama, continua a sorridere cerca di smettere ma non ci riesce, io sono immobile senza riuscire a fare altro -Che c'è?- chiedo, lei si alza e si siede accanto a me -Non lo so forse mi hai appena baciato?- chiede arrossendo violentemente -Mmhh- 'cavolo Finnick si che hai detto qualcosa di intelligente' penso, lei ridacchia, mi prende la mano, un gesto comune ma ora ha un'altro significato -Sai sognavo da tempo questa cosa- dice lei arrossendo se possibile ancora di più, mi giro verso di lei -Sai, è da tempo che aspetto di farlo- replico io, mi sporgo e la bacio di nuovo, ora mette le mani nei miei capelli e se li annoda fra le dita, quel minimo tocco mi manda scariche elettrice su tutto il corpo.

Quando si stacca e affannata quanto me -E ora?- chiedo cercando di mantenere salda la voce lei sorride -Non è ovvio?- chiede, mi prende la mano e la fisso accigliato -Finnick vuoi che ti faccia un disegno?- chiede, io rido -Mi servirebbe- inizio, lei alza gli occhi al cielo e mi fa alzare in piedi -Forza Odair, abbiamo passato anche troppo tempo rinchiusi, andiamo- dice, mi faccio alzare e tutto sembra distante.

Capitol City. Io che devo fare il mentore. Gli incubi ricorrenti e I futuri sensi di colpa, tutto è lontano ora vedo la luce, vedo Annie il suo sorriso e tutto per una volta sembra andare bene, per una volta dopo tempo sono di nuovo felice.

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Capitolo 17
*** Together? ***


Capitolo diciassette.

Annie.


 

Finnick era tornato da due settimane, entrambi I tributi erano morti, non ero riuscita a vederlo e la cosa peggiore era che nessuno a parte Mags riusciva a vederlo.

Bussai alla sua porta, sentii dei passi, avevo messo dei pantaloni lunghi sul grigio, I capelli erano legati in una coda alta la maglia a maniche corte faceva vedere il regalo di Finnick, mi mancava troppo, la porta si aprii e la testa di Mags uscii, gli sorrisi, aveva lunghi capelli mossi dal bianco al grigio, due occhi gentili, era la nonna di tutti, non ricambiò il mio sorriso, provai ad aprir bocca ma la sua voce mi blocco -Sono già arrivati? Sono tornato da due settimane, non partirò ora- urla, poi lo vedo.

Era bellissimo, come sempre, il mio cuore fece due capriole e le guance mi si tinsero di rosso, ma poi notai meglio che le occhiaie era più pronunciate di quel che ricordavo, sembrava dimagrito troppo, gli stava crescendo una po' di barba, gli occhi erano intrisi di paura e disgusto, era cambiato, non in meglio.

Mi vide e sembrò quasi crollare, senza volerlo la mia bocca si apri e il suo nome mi usci della gola, lui scosse la testa e corse le scale, una porta venne sbattuta, fissai Mags senza poter fare altro.

-Mi odia- dissi, ero seduta sulle scale, notai dei fiori e dei bigliettini su tutto la veranda, Mags era accanto a me, mi fissava addolorata -Ragazza mia credimi non è così- disse, risi amaramente -Non gli piaccio più?- chiedo, mi sentivo una stupida bambina, ma non sapevo cosa fare e quella era la mia unica teoria -No, gli piaci- disse, io mi presi la testa fra le mani e gemetti, -Non capisco- dissi, la mia voce uscii soffocata dalle mie mani, lei mi appoggia una mano sulla schiena -Ragazza, aspetta qui, lo convinco a scendere, dovessi tirargli le orecchie- mi dice, sorrido e lei ricambia.

Mi circondo le ginocchia con le braccia, sento degli urli dentro casa, mi viene voglia di correre via, sono di troppo, poi la porta si apre e vedo il mio fidanzato, rimango ferma lui pure, non lo guardo, lui si siede accanto a me -Annie- dice con voce impastata dai sentimenti, mi giro verso di lui mi fissa gli sorrido -Finnick- dissi, lui chiuse gli occhi, allungai una mano per toccarlo e la feci ricadere, non volevo crearli disagio -Finnick, parlami- dissi, lui si alzo e si mise le mani in tasca, tremava, inizio a camminare verso l'orizzonte, rimasi a fissarlo, dovevo decidere, lasciarlo scivolare lontano da me oppure farlo tornare da me, mi alzai e gli corsi dietro. Lui non sarebbe scivolato via da me con tanta facilità.

Gli camminai a distanza di sicurezza, quando passava certa gente stringeva le labbra e scuoteva la testa, altra bisbigliava e ridacchiava, lui teneva la sua testa bassa, come se la risposta fosse in quella sabbia che ne aveva viste di stranezze, tolse la mano di tasca, riconobbi un ciondolo e mi sentii mancare, era il mio regalo, lui lo strinse nella mano, poi lo accarezzo rimettendolo in tasca, ripiegai la testa di lato, mi morsi un labbro, lui andò dritto agli scogli, a quell'ora erano pieni di persone, lo segui sperando di potergli almeno di parlargli.

Lui cammino come un gatto su quelle trappole bianche, I signori a pescare lo guardavano con disprezzo, lui faceva finta di niente, ma lo vedevo curvare le spalle, ci stava male, andò fino alla fine, sembrava il dio del mare, bello e potente, mi avvinai piano piano, cercando di non inciampare o di fare troppo rumore, lo fissai preoccupata, si passò una mano fra I capelli -Finnick- sussurrai, lui non si mosse, mi avvinai ancora di più, poco ci separava.

-Finnick- urlai, lui si girò verso di me, vidi l'uomo distrutto quale era, mi sentii mancare, gli occhi iniettati di sangue, tristi e vuoti, se avesse potuto si sarebbe buttato, mi sentii quasi crollare, nella mia mente la scena era già pronta scossi la testa -No- sussurrai, lui non si scompose, rimase fermo a fissarmi, tremava dalla testa ai piedi, cercai un modo di parlargli, ma sembrava non provare nulla, cercai di non fare niente di stupido -Finnick, che hai? Che è successo?- urlai, lui sembrò smuoversi, mi guardò e quasi sorride -Annie- disse, la voce era carica di troppi sentimenti, mi venne da sorridere stava reagendo.

Sorrise e poi come era arrivato il sorriso spari, lui scosse la testa e mi guardò come se mi odiasse -Vattene di qui, lasciami solo Cresta- urlò contro di me, ero stordita -Cosa?- chiesi, lui mi guardò con disprezzo -No, Annie, ho trovato un'altra ragazza, a Capitol, vattene- mi disse, si rigirò a guardare il mare, I signori si girarono verso di noi, il rossore sulle mie guance cresceva a dismisura, mi avvinai, mi misi al suo fianco, in equilibrio precario, lo fissai con le braccia incrociate, le lacrime mi stavano pungendo gli occhi, ma non le avrei versate davanti a suoi occhi -Cosa? Tu Odair non mi molli così, sarai l'idolo di Panem ma io ho una dignità- gli dissi, la rabbia sgorgava dalle mie labbra come acqua da un rubinetto -Cosa c'è da spiegare? Una donna di Capitol City mi vuole, io la voglio, tutto qua, tu eri un passatempo- disse, non mi guardava in faccia, non potevo leggerlo, cercai in tutti I modi di guardarlo, mi sporsi un po' troppo e quasi caddi in acqua.

Le sue braccia mi presero e mi strinsero a se, aveva occhi vigili e spaventati, quando fui stabile mi liberai dal suo abbraccio -E' così?- chiesi strozzata, lo guardai dritto nei suoi occhi e ci vidi l'ultima espressione che mi sarei aspettata:La vergogna. -Finnick, è così?- chiedo, lui abbasso lo sguardo, -Deve essere così- mi corresse, rimasi stordita -Cosa?- chiesi, lui sospiro -Non sai cosa dicono su di me, vero?- chiese, io scossi la testa -Lo immaginavo- dice annuendo con amarezza, lo guardai con le labbra socchiude -Sai a Capitol sono desiderato- disse con una voce che faceva capire tutto, o almeno doveva essere così -Devi farti vedere con loro? Ti vogliono sempre la?- chiesi, lui sorrise, non avevo mai visto questo suo sorriso, è bello e tenero mi piace -No, pagano per la mia compagnia- dice, la voce si enfatizza sull'ultima parola, il mio cervello inizia a lavorare.

Lo fisso con la bocca aperta -Ti pagano per fare sesso?- chiesi strozzata, lui abbasso lo sguardo, -Si- disse, io lo fissai incredula -Non potevi rifiutarti?- chiesi, lui scosse la testa, gli occhi colmi di lacrime -Ho provato, ma il presidente Snow ha detto il tuo nome, ha parlato di conseguenze, non ho retto ed ho accettato- dice, gli prendo il viso fra le mani, con estrema delicatezza -Non devi fare questo, non per me- gli dico, lui scuote la testa gli scivolano delle calde lacrime sulle guancie -Ti avrebbe uccisa- dice strozzato, io rimango li -Non importa- dissi dopo un po', lui si arrabbia, lo vedo nei suoi occhi -A me si, se tu fossi morta cosa me ne sarebbe importato di non andare a letto con loro?- mi domando, io abbassai lo sguardo, gli accarezzai le guance.

Rimanemmo così, per un po', Finn riprende a parlare dopo un po' -Lui ha promesso di ucciderti se continui a starmi intorno, lo sai?- mi sussurra, io scuoto la testa -Annie, scappa da me finché se in tempo- mi dice io scuoto nuovamente la testa -Non posso lasciarti Finnick- sussurro, lui sospira e apre gli occhi, fissandolo nei miei -Io non voglio e non posso, ma devo, per proteggerti- sussurra, sorrido mio malgrado -Io non posso e non voglio che tu lo faccia, preferisco averti accanto, starti accanto- sussurro di rimando, lui sorride appena -Credo proprio di essermi innamorato di lei signorina Cresta- mi sussurra, il mio cuore sembra aver capito perché inizia a battere all'impazzata -Anche io signor Odair- sussurro di rimando, mi protendo e lo bacio.

Quanto mi sono mancate le sue labbra! La loro forma, come si arricciavano quando sorrideva, sentire quella pressione sulle mie, amavo il suo modo di baciare, delicato e prudente, sorrisi sulle sue labbra, gli occhi chiusi mi fanno vedere tutto il mondo, sento il rumore dell'acqua più acuto, tutto sembra più bello, sembra più reale, un raggio di sole in una giornata nera, ecco cos'era lui per me, l'ancora di salvezza che mi aveva aiutata e amata, come nessun altro avrebbe mai potuto fare.

-Ci proviamo- chiedo ansimante dopo quel lungo bacio, lui ancora sorride -Annie- inizia, gli tappo la bocca con un dito -Silenzio, noi ci proveremo, capito?- gli dissi, lui mi sorrise stringendomi a se, mi sollevo un po' da terra e mi tenne stretta affondando il viso nel mio petto -Sei la mia ancora- sussurra, io gli scompiglio I capelli, sorridendo a mia volta.

Potevamo farcela, insieme, finché lui fosse rimasto con me io sarei stata felice, per me lui non era solo il mio primo ragazzo, era la mia anima gemella, l'amore della mia vita, passammo insieme I nostri giorni, poi lui riparti per Capitol City, io sarei rimasta ad aspettarlo con Mags, perché lui sarebbe sempre tornato da me, era una vecchia promessa, ma l'avrebbe sempre mantenuta.

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Capitolo 18
*** -Annie Cresta- ***


Capitolo diciotto.


 

-Ma non sei preoccupata?- gli chiesi lei alzò gli occhi al cielo, le gambe a penzoloni fuori dal molo, una lunga tela marroncina, le copre le gambe, indossa dei pantaloncini corti blu e una canottiera nera, sembra una ninfa, mi sorride come per farmi capire che va tutto bene -Si, certamente sono preoccupata- dice lei, fisso il mare, così puro, lontano, vorrei potermi tuffare e nuotare finché la mia vita fosse solo un'eco lontano.

Annie mi passa una mano davanti agli occhi ridacchiando, mi giro verso di lei, sorrido a mo di scusa -Si può sapere a che pensi?- chiede lei dolcemente, si avvicina a me, io trattengo il fiato, non l'avevo più toccata, da quando dovevo ero diventato il gioco per le donne e per gli uomini di Capitol, gli avevo detto chiaramente che mi vergognavo di me, che mi facevo schifo, non volevo che lei con la sua purezza che solo una sedicenne poteva avere, toccasse la mia pelle sporca anche dopo mille docce.

Mi prende la mano e passa il dito sopra il palmo della mano, appoggia la testa alla mia spalla, I riccioli mi arrivano fino alla faccia, amavo I suoi capelli così ribelli, erano l'unica cosa ribelle che da quelle parti vedevo, gli bacia la testa con delicatezza, attento a non sfiorare più di tanto la sua pelle, la sento sospirare -Finnick?- mi chiama lei, io mugolo qualcosa in risposta -Non mi hai quasi più sfiorato, sono tanti giorni che non mi abbracci- dice lei, mi sfugge una lacrima, l'asciugo e reprimo le altre, ingoio un groppo troppo grosso -Lo so- rispondo, si tira su e mi sorride -Mi abbracci?- chiede dolcemente, sul suo volto nasce un sorriso timido che mi fa formicolare le farfalle nello stomaco, esito un po', alla fine mi alzo e gli tendo una mano, lei palesemente delusa l'afferra, mano andiamo incontro all'ignoto.

Siamo davanti a casa mia, la stretta alla sua mano è forte, non voglio lasciarla, domani potrei perderla, anche se farei anche il doppio turno, per farla uscire da quella cazzo di Arena, lei è la mia Annie, nessuno la porterà mai via, mi si stringe al braccio, mi fissa dal basso, I suoi occhi verdi lampeggiano di un sentimento che non riesco a riconoscere, il sorriso sul suo volto rende tutto più leggero, più calmo, mi soffermo su ogni particolare del suo viso, le suo sopracciglia un po' spesse ma perfette per lei, le ciglia lunghe e nere, gli occhi caleidoscopici, gli zigomi che ormai hanno perso la ciccia da bambina, il naso un po' grosso che la rende tenera, le labbra belle rosse, arricciate agli angoli, dal sapore di menta, di casa e sopratutto di tutto quello che c'è di buono al mondo, le ha leggermente aperte, chiudo gli occhi e senza più esitazioni riassaggio le sue labbra.

Lei sembra sorpresa, poi si slancia verso l'alto e aggrappa le sue braccia al mio collo, le mie mani la stringono a me e la sollevano da terra, lei si aggrappa alla mia vita e si stringe a me, quando si stacca la vedo sorridere peggio di una bambina, mi viene da ridere -Non sai quanto mi era mancato questo- dice, inizia a ridere e mio pure, l'appoggio a terra, però continuo ad abbracciarla, -Entriamo- chiedo, al suo orecchio cercando di essere seducente, lei rabbrividisce, mi mordo l'interno della guancia -Vacci piano- mi dice scherzando, io arrossisco -Scusa- mormoro, in prenda all'imbarazzo, lei scuote la testa, ci avviciniamo a casa mia.

Apro la porta, lei dietro di me, si stringe le braccia come se avesse freddo, gli lancio un'occhiataccia, alza gli occhi al cielo -Si, lo so- dice interrompendomi, sorrido e scuoto la testa, vado in cucina, lei al seguito si siede su una sedia e si guarda attorno -Domani Mags non può partire- mormoro, leggo il biglietto sul frigo, mio padre deve aver risposto al telefono, lei alza gli occhi su di me -Con chi andrai?- chiede, scrollo le spalle, mi siedo davanti a lei, ci guardiamo due minuti negli occhi e finiamo con lo scoppiare a ridere.

Quando ci calmiamo, lei si rabbuia e abbassa lo sguardo -Se vengo estratta, darai una possibilità anche a l'altro tributo?- sussurra, io mi sento il cuore in una morsa, dovrei dirgli di si, ma non voglio mentirle, lei sa già la risposta, ma non riesco a non dirglielo -Si- tira su la testa di scatto -Bugiardo- mi dice, abbasso lo sguardo, lei si alza e mi viene in braccio, mi mette le braccia intorno al collo, strofina il suo naso contro il mio -Non devi farlo, capito?- mi dice seria, annuisco, lei sembra soddisfatta, si alza ed va verso la cucina, mi guarda maliziosa e la seguo di corsa verso la mia camera.

Non ho mai toccato Annie in quella maniera, non mi passa neanche in mente di farlo, mi sentirei di violarla dopo che ho toccato tutte quelle ragazze. Ma lei non la pensa così, anzi continua a volermi tenere la mano, mi viene in braccio, io dopo tutto sono un ragazzo di sedici anni, ma per quanto la trovi attraente, non oso toccarla, ora che siamo entrambi sul letto, lei accanto a me, le nostre mani si sfiorano ma non si prendono, sento di nuovo quelle emozioni, ma non è giusto, quindi le reprimo.

Prima che posso pensare alle conseguenze l'attiro a me, lei rimane sorpresa, emette uno squittio sorpreso e si tappa la bocca con le mani, non vuole far vedere il suo sorriso, ma I suoi occhi la tradiscono, appoggio la mia fronte alla sua, faccio aderire il suo corpo al mio e sorrido guardandola negli occhi, lei sembra confusa, ma faccio morire le sue domande baciandola, lei chiude gli occhi e mi mette le mani tra I capelli, rendendoli ancora più impresentabili, quando si stacca studia il mio volto meravigliata -A cosa è dovuto?- chiede ansimando, io la stringo se possibile ancora più a me -Non lo so- ansimo io, continuo a guardarle le labbra, mordo il mio labbro inferiore, non riesco a fare un pensiero coerente, solo che amo Annie e che ora ne sono consapevole.

La bacio di nuovo, lei sorride sulle mie labbra, io pure, poi smetto e apro le sua labbra con le mie, sussulta e mi stringe verso se, mi stacco per riprendere fiato, lei sembra senza fiato -Fermiamoci- ansimo, le parole mi escono di bocca e capisco che il mio cervello ha ripreso a funzionare, lei sembra confusa, io guardo le nostre gambe intrecciate, I suoi capelli da pazza, la mia mano sulla sua coscia e la sua sul mio petto che lo stringe con forza, sembra accorgersene solo ora, emette un -Oh- di sorpresa e arrossisce, io pure, si schiarisce la voce e sembra divertita -Okay, meglio che io vada a casa, ci vediamo domani- mi dice, si scioglie dal mio corpo e io sento freddo quando non trovo il suo corpo, mi tiro in piedi e annuisco -Sarò il belloccio sul palco- gli dico con il mio sorriso migliore, lei ridacchia e mi sorride, mi bacia leggermente ed esce dalla mia camera, faccio per seguirla ma lei mi blocca con una mano -Non mi devi seguire fino alla porta, sennò staremo altri minuti a baciarci- mi dice, rido colpevole lei pure e se ne va.

La mattina dopo sono un disastro totale, ho dormito due ore su per giù, per fortuna che oggi mi rifanno. Si, proprio una fortuna.

Il mio staff mi rende perfetto, saluto una telecamera passando, sfodero il mio sorriso migliore e quasi sento altri nomi aggiungersi alla mia già lunga lista, arrivo sul palco, vedo che Mags manca, mi sento morire, la mia mentore, ancora in ospedale per via dell'ictus. Guardo il pubblico, in cerca della mia riccia, poi vedo uno spruzzo di capelli neri. Eccola. Tesa con un'abito color azzurrino, I capelli pettinati con ordine, sembra un'altra ragazza, distante, gli occhi sembrano pieni di lacrime.

Non ascolto molto, quando dicono il mio nome mi alzo faccio un breve sorriso e un saluto veloce con la mano, come si aspettano tutti, mi risiedo, con un moto di tristezza senza Mags che fa qualche commento cattivo, presto poca attenzione a tutto quanto, solo quando dice la fatidica frase, alzo lo sguardo, cerco Annie, ha la testa bassa, mi sento salire il panico, qualcosa mi dice che potrebbe essere lei.

Guardo la mano guantata entrare nella boccia, girare all'interno e scavare, come un pesce nel mare prima che la rete li prenda, in questo caso il pesce è il bigliettino e la rete è la sua mano, stringo le mani a pugno e ansimo, lei prende il bigliettino con un ridicolo sorriso, si avvicina al microfono, mi sembra che il mondo rallenti, sento il ticchettio dei suoi tacchi alti, troppi respiri spezzati, troppe persone in attesa, volti bianchi e carichi di lacrime alti che hanno già ceduto, ragazze che faranno di tutto per essere estratte, la carta si spiegazza, il sigillo è stato rotto, lei legge il nome con attenzione, poi fissa il pubblico, quasi svengo quando pronuncia quelle due parole.

Annie Cresta.

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Capitolo 19
*** Addio. ***


Capitolo diciannove.


 

Faccio una corsa su per le scale, ho in mano una lista di nomi, scritti in bella grafia, uomini e donne, mi sentivo uno schifo, appena entrai nel Centro di Addestramento, era pieno di persone che strepitavano, mancava poco alla sfilata dei tributi, ripiegai la lettera del presidente e corsi all'ascensore, dovevo vedere Annie prima di andare a 'lavoro'.

Aspettai l'ascensore e una ragazza con I capelli con delle punte rosse mi si affianco, era alta e magra, viso un po' squadrato avevo una bellezza particolare, la fissai per un po' prima di rendermi conto che era Johanna Mason, lei si girò verso di me e io accennai ad un sorriso, lei mi fissò come se fossi una specie di mostro, non che avesse tutti I torni, le porte si aprirono ed entrambi salimmo -Ciao- la saluto a porte chiuse, lei si gira verso di me -Che vuoi Odair? Portarmi a letto?- chiede, chiudo le mani a pugno e stringo I denti -Fare amicizia- replicai a denti stretti, lei sorrise sarcastica -Oh- dice sorpresa, io rido -Che c'è Mason, non mi credi?- chiedo, lei fa un cenno con la mano, come di non curanza -Bhè, so delle cose su di te- dice, rido -Pensa io di cose ne so molte- dico, lei si gira verso di me sorridendo, molto seria -Del tipo?- chiede, io mi avvicino al suo orecchio, il segno mostra il TRE -So dei segreti su Snow, se ti interessano aspetta la prima sera de giochi, li non lavoro- gli dico, mi tiro indietro e lei sorride soddisfatta, la porta dei miei appartamenti si aprono e la fisso, lei sorride -Bhè Odair, è la prima volta che aspetto con ansia I giochi.

Entro a passo spedito dopo aver salutato Johanna, corro verso la sala da pranzo, trovo Giorgina a vedere la TV, lei salta in piedi e mi corre incontro mi abbraccia, baciandomi le guance -Heyy- la saluto, lei mi sorride, poi si spezza e mi fissa tristemente -Hanno estratto la tua ragazza- dice, io scrollo le spalle -Ho fatto una ricerca- dico con una voce che lascia intendere le mie intenzioni -Capito- dice solo, ci guardiamo un po', poi si avvicina al mio orecchio -Ho il rossetto nella tasca- mi dice, io la fisso con gratitudine -Dov'è?- chiedo, lei mi guida verso la mia vecchia stanza.

Apro la porta e lei nemmeno se ne accorge, cammina per la stanza, è incontro luce vedo solo le sue gambe e le sue braccia, I capelli vaporosi sembrano ancora di più, mi schiarisco la voce, lei si blocca e credo si giri verso di me, mi chiudo la porta alle spalle e accendo la luce, rimango senza fiato, I suoi occhi verdi sono truccati con I colori del tramonto, il suo corpo è semi nudo se non avesse il reggiseno e le mutande ha il corpo coperto di brillantini che ricordano il mare quando il sole muore, è dannatamente bellissima, le labbra sono rosse bacca, più del naturale, la fisso senza vederla -Annie- sussurro, lei si fa avanti chinando la testa in imbarazzo -Sono un tramonto- bisbiglia, mi avvicino a lei e la fisso dall'alto, un sorriso sincero mi spunta sulle labbra -Se I tramonti fossero tutti così, non vorrei mai che smettessero- gli dico intrecciando le nostre dita insieme, lei mi sorride e poi riabbassa lo sguardo -Se ti bacio mi va via il rossetto e capiscono che ho baciato qualcuno- mormora, io la fisso e sciolgo una mano dalla sua, tiro fuori dalla tasca interna della mia camicia il rossetto, lei mi fissa e ride -Odair- dice scuotendo la testa, si alza sulle punte e io mi chino quel poco per baciarla.

Si stacca da me quando bussano alla porta, una voce famigliare. Giorgina. -Annie, muoviti faremo tardi- urla, poi senza aspettare apre la porta, ci trova abbracciati e mi tira un'occhiataccia, si avvicina e mi strappa il rossetto di mano, lo picchietta sulle sue labbra, poi con la mano lo toglie dalla mia -La prossima volta usiamone uno a prova di bacio, ti va?- chiedo, lei mi da una gomitata, Annie sembrava nervosa, gli sorrido e cerco di immortalare il suo volto nella mia memoria prima di andare dalla persona che mi aspetta.

Appena sento partire l'inno esco dal Centro di Addestramento, l'auto mi aspetta e io vado a peso morto verso quell'aggeggio, apro la portiera nera lucida ed entro, il conducente ha I capelli fluo e non riesco a non sorprendermi, abbasso lo sguardo e noto dei brillantini, sorrido al ricordo della mia fidanzata.

Dopo poco arrivo ad un palazzo, altro bianco, o almeno credo, scendo salutando il conducente e corro dentro, leggo il biglietto e vedo scritto PIANO TERZO-APPARTAMENTO 3C vado dentro e mi preparo per quello che devo fare.

Circa due ore dopo, rientrai dentro il mio appartamento, tutto taceva, era tardi, tutti dormivano, andai verso la mia camera, mi dovevo assultamente fare una doccia, togliermi di dosso l'odore di quella, sentirmi pulito dopo aver fatto quella cosa, con una donna che non amavo, non si poteva chiamare 'fare l'amore' ma solo 'sesso' perché fare l'amore era un'altra cosa, doveva essere così, con qualcuno che ami veramente, così che tu possa darle tutto l'amore che possiedi, quello che facevo io era accontentare qualche folle fantasia erotica.

Vado verso camera mia quando una porta si apre, prima di vedere il viso vedo I riccioli, sorrido e la fisso -Finnick? Sei tu?- chiede con voce roca, -Si- dico, lei si appoggia allo stipite della porta, con fare stanco -Eri a fare quella cosa?- chiede, apre gli occhi e mi guarda, annuisco con amarezza -Non puoi farla finita? Cioè tanto io sono già state estratta- dice passandosi una mano fra I capelli ribelli, ha il viso ripulito da tutto il trucco, è molto più bella così -Ma così potrebbe ucciderti- mormoro, lei mi guarda negli occhi -Finnick, facciamola finita- mormora, la fisso quasi senza vederla -Cosa?- chiedo tirando fuori un sorriso, mi vuole lasciare? Se è così sento già il vuoto nel pezzo, I progressi che ho fatto, l'accettarmi, tutto quello che ho fatto fino a questo momento, sparirebbe con la nostra relazione -Non voglio che tu faccia quello che penso- dice lei, la fisso, sento il vuoto farsi largo dentro me -Annie, vuoi lasciarmi?- chiedo strozzato, lei si avvicina a me, mi punta un dito nel petto -Si, ti voglio lasciare Odair, non perché non mi piaci, ma perché sono stufa di doverti vedere passare da una donna all'altra per mantenermi in vita- dice, gli prendo le mani e le bacio, subito dopo me ne pento, non mi sono ancora fatto una doccia, -Annie ma io- inizio, lei scuote la testa, mi bacia la guancia e sorride tristemente -Visto, ora siamo solo Tributo e Mentore- sussurra, si morde un labbro e mi bacia con leggerezza le labbra, quando si stacca sorride, gli occhi colmi di lacrime, quando si rigira per andare nella sua stanza e in quel momento qualcosa si è spaccato in me.

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Capitolo 20
*** Friend. ***


Capitolo venti.

Mi ritrovo a fissare il bicchiere di liquore che ho in mano, è vuoto.

Lo fisso, mi viene da ridere è come me, vuoto, prima aveva tutto dentro e poi pian piano è stato svuotato, un po' come me, stavo fissando lo schermo, c'erano dei punteggi, ma per via dell'alcool vedevo solo le foto sfuocate e delle chiazze bianche, l'altra mentore è seduta con garbo e parla amabilmente con alcuni mentori, io sto qui seduto sulla poltrona incapace di scrollarmi di dosso tutto.

-Odair, come sei messo male- una voce accanto a me, mi girai e vidi la ragazza dell'ascensore mi sorrideva -Johanna- dissi solo, mossi il bicchiere e feci una faccia triste -E' finito- tirai indietro la testa e risi, lei sospiro -Cosa ti è successo Odair?- chiede io la fisso e faccio spallucce -L'amore- inizia, la mia voce era alterata, ero ubriaco fradicio, mi cadde il bicchiere il rumore del vetro infranto si divagò in tutta la stanza, inizia a ridacchiare -E' spaccato, come il mio cuore- gli dissi, tutti ci fissavano lei si agitò sulla sedia e mi tirò per un braccio.

Io mi alzai e non riuscivo a fare niente da solo, mi lei mi mise un braccio sotto le ascelle, gli accarezzai la faccia -Sei... gentile- gli dissi, lei rossa dallo sforzo tiro fuori un sorriso -Lo so, e tu puzzi, ora ti accompagno di sopra, hai bisogno di vestiti puliti, un bagno e del caffè- disse gli sorrisi e poi vomitai per terra lei emise un gemito di frustazione, fissai quella roba giallastra -Che schifo- dissi, lei alzo gli occhi al cielo e sorpasso la pozza maleodorante.

Chiamò l'ascensore mentre io mi misi a canticchiare una canzoncina scema del mio distretto, lei sembrava lasciar perdere, ma mi fissava sbigottita, la fissai e ridacchiai -Odair, è tanto tempo che canti di un tizio su una barca e non hai una belle voce- mi dice, iniziai ad applaudire lei sembrava sul punto di tirarmi un pugno -Vieni dolcezza è arrivato il nostro carico- mi sussurra, mi aiuta a stare in piedi e mi porta nell'ascensore, le porte si chiudono e lei fa un respiro tremulo.

-Sai Johanna, il presidente ha ucciso la mia sorellina e ha minacciato di morte la mia ragazza, che è stata estratta quest'anno e che per di più mi ha lasciato- gli dissi, lei mi fissava curiosa -Tutto per farmi andare a letto con chi vuole, ho cercato una di avere una vita normale e ora la mia ex ragazza mi odia, ma pensa io la amo- gli dissi mi appoggiai al muro e sorrisi, lei si abbracciava, a disagio -Scusa- balbettai, gli accarezzai la guancia e gli sorrisi -Ti voglio bene anche se ti conosco da poco- gli sussurrai, si scosto da me e annui -Fai bene, sono pericoloso, distruggo tutti io- le porte si aprirono e lei mi trascinò dentro.

La mia vecchia stilista mi venne incontro, a bocca aperta, Johanna fece di no con la testa e Giorgina la guidò nella mia camera da letto, mi trascino nel corridoio io continuavo a cantare, non ne conoscevo il motivo.

Vidi dei ricci neri -Annie- urlai, lei si girò verso di me e si tappo la bocca -Finnick, cosa?- chiede Johanna gli tappa la bocca -Stai zitta, è ridotto così per colpa tua ragazzina, vai in camera tua e rimanici finché non me ne sono andata e lui è a letto, chiaro?- gli urlo mentre gli scivolavamo davanti, non capii la sua risposta, ma dagli occhi arrabbiati della mia amica non doveva essere bella.

Mi risvegliai dopo molto tempo, ero nel mio letto con un vestito pulito e un mal di testa incredibile, su una poltrona una ragazza dormiva beata, aveva una coperta addosso e sonnecchiava con nervosismo -Cosa?- sussurrai confuso, lei s sveglio cacciando un urlo, vidi le sue pupille dilatarsi e tornare normale in pochi secondi, mi fisso con il petto che ancora si alzava velocemente -Johanna, che ci fai qui?- chiedo confuso, lei si appoggia una mano sul cuore e chiude un'attimo gli occhi -Eri ubriaco marcio, ti ho portato qui, ti hanno lavato e ti ho fatto da baby sitter, a proposito il tuo tributo Shon ha preso un nove e la ragazza otto- salto in piedi e la mia testa martella con troppa forza, ci appoggio una mano sopra e faccio una smorfia -Annie ha preso otto?- chiedo, lei abbassa lo sguardo e annuisce, sorrido -Possiamo farcela- mi dico, lei mi fissa curiosa e io scrollo le spalle -Ti accompagno all'ascensore?- chiedo, lei annuisce, ci alziamo e il mal di testa peggiora ma lo ignoro.

Mentre camminiamo lei inizia a parlare -Il presidente Snow ha ucciso tutta la mia famiglia, mio padre è morto in un'incendio creato da lui, la mamma è stata avvelenata e mio fratello- gli si spezza la voce, io l'abbraccio -Scusa, ma mi manca troppo- mi dice, la cullo un po' mentre aspettiamo l'ascensore -Ti capisco- lei mi guardò con gratitudine -Non lo sa nessuno- sussurra, mi guarda dritto negli occhi, non ha lacrime agli occhi e questa cosa mi turba -Lo sai solo tu, puoi mantenere questo segreto Finnick?- sussurra, io annuisco -Johanna te lo prometto- l'ascensore si apri e lei entrò, la fissai -Hai smesso di chiamarmi Odair- le dico, le porte si chiudono ma sente le sue parole -Ora mi fido di te, siamo amici Finnick.

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Capitolo 21
*** La prima volta. ***


Capitolo ventuno.


 

Non vedo Annie dalla sfuriata dell'altra sera, domani partirà per l'arena e voglio avere la possibilità di salutarla.

Durante la sua intervista ho scoperto che spera di uscire dall'arena e di diventare mamma, che cosa tenera, è sempre stata così la mia Annie.

Li saluto entrambi, abbracciandoli, Annie mi prende la mano e mi tira verso le stanze, saluto tutti e insieme andiamo verso le sue camere.

-Mi dispiace- dice lei appoggiandosi alla porta della sua stanza, il mio cuore perde dei battiti quando fissa I suoi occhi nei miei, quanto è bella, -Di cosa?- chiedo io, tiro fuori un sorriso, lei scuote la testa tutti I suoi ricci monelli si muovono flessuosi -Ti ho lasciato e solo che avevo paura e non volevo che tu facessi quella cosa per me- dice coprendosi la faccia con le sue manine, gliele stacco dalla faccia e la costringo a guardarmi negli occhi.

La fisso e gli sorrido -L'avrei fatto comunque, io ti voglio qui con me Cresta- gli dico, sussurro con voce roca, la mia voce si è abbassata -Finnick ma non mi pare giusto- dice, anche lei inizia a sussurrare -E' colpa mia se ti hanno estratto, il minimo che possa fare è farti uscire da qui- gli dico, lei mi guarda negli occhi le labbra semi aperte, vedo nei suoi occhi il dubbio e altre emozioni, la rendono piccola e indifesa -No- dice solo scuotendo la testa, -Annie il mio amore per te è distruzione, se ti amo ti distruggo- le dico, schiaccio il suo corpo piccolo contro la porta, lei mette le mani sul mio petto e stringe, ho la lingua premuta al suo orecchio, la sento sorride sul mio collo, poi le sue mani arrivano alla schiena e l'accarezzano, con movimento lenti, fa si che I nostri corpi siano perfettamente incastrati.

-Distruggimi- sussurra, poi inizia a baciarmi il collo, il mio autocontrollo inizia ad abbandonarmi, la prendo in braccio e lei stringe le sue gambe alla mia vita, facendomi venire dei brividi lungo tutta la schiena -Finnick mi perdoni- ansima ad un pelo della mia bocca -Non sono mai stato arrabbiato con te- le dico di rimando, lei sorride sopra le mie labbra e poi ricomincia a baciarmi.

Le sue mani mi accarezzano la schiena e io la tengo in braccio, cerco la maniglia della porta, e quando la trovo emetto un gemito soddisfatto e l'apro con un calcio, lei salta per lo spavento ma continua a baciarmi, entro stringendola ancora più forte e con un' altro calcio, l'adagio sul letto e io mi metto un po' indietro per guardarla meglio.

È sui gomiti, ansima indossa una maglia larga e dei pantaloni larghi, ai miei occhi è come una dea, dalla bellezza sopraffina, la guardo e lei mi sorride debolmente -Mi dispiace per- dice e indica I vestiti, scuoto la testa e gli sorrido -Sei bellissima- le dico, lei mi fa un cenno e mi sdraio sopra di lei, ricominciandola a baciarla.

Ad un certo punto I ruoli si invertono, lei mi toglie la maglia e mi guarda sorridente, mi bacia con una passione nuova, le mie mani arrivano all'orlo della sua maglia che non esito a togliergli, quando arrivo al reggiseno la guardo in cerco di un segno, lei ridacchia e annuisce, glielo slaccio e lo lancio via.

Mi bacia ancora e ancora, mi ritrovo in boxer e lei solo con le mutandine, mi guarda e mi monta addosso -Annie, ne sei sicura?- chiedo, lei annuisce e mi bacia con delicatezza -Sono io che devo perdere la verginità Fin- ridacchia e chiude gli occhi e io eseguo.

Mi ritrovo a essere felice, non mi faccio schifo, tutto è naturale, I nostri corpi sono creati per stare insieme, sembrano plasmati per incastrarsi, capisco cosa significa fare l'amore.

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Capitolo 22
*** Felici Hunger Games. ***


Capitolo ventidue.


 

Mi svegliai con un senso di strana felicità, inusuale per il posto dove mi trovo, mi rendo conto che sono in un letto, quindi questa felicità è più che anormale, di solito mi faccio schifo.

Dei riccioli solleticano la mia bocca, apro gli occhi di scatto e delle immagini mi arrivano alla mente.

Io sdraiato sopra Annie, lei che mi tiene stretto a se, le mie labbra al suo orecchio che le chiedevano se le facevo male, dei momenti di esitazione, tanti baci, con significati nuovi, poi mi venne in mente una scena ben precisa, ero completamente all'interno di lei, le asciugavo le lacrime, le avevo fatto male e mi sentivo un mostro, lei mi aveva attirato a se e guardato dritto negli occhi -Ti amo- mi aveva detto, io per risposta avevo sorriso e l'avevo baciata -Annie Cresta- gli avevo detto.

Quelle due parole mi vorticarono attorno alla testa per qualche secondo poi sorrisi, allungai un braccio cercando di non svegliare Annie, ma lei si girò prontamente verso di me, gli occhi verdi brillanti, irradiava bellezza e felicità, gli sorrisi, non potevo farne a meno, mi chinai a baciarla, con tanta dolcezza quanto ne avevo in corpo.

Quando si stacco sembrava un'altra ragazza -'Giorno- le sussurrai, lei ridacchio e mi bacio a mo' di saluto, rimaniamo così per un po', ognuno osserva l'altro come se ci vedessimo per la prima volta, mi morsi un labbro e lei fece lo stesso, sorrisi e mi copri la faccia con le mani -Sono a disagio- sussurro con voce ovattata, lei scoppia a ridere -Anche io, mi sento diversa, ti vedo diverso- mi dice io scuoto la testa -Mi sembra di averti fatto un torto- gli confido, lei si avvicina a me e sento la sua pelle ancora nuda, I brividi arrivano ovunque -Non mi hai fatto niente- mi sussurra dolcemente.

Mugolo e l'abbraccio -Qualcosa ti ho fatto- ribatto io, lei inizia a ridere -Scemo- mi dice -Lo so- rispondo altezzoso, lei si libera da me e sta per aprire bocca ma bussano alla porta, mi giro verso di lei, siamo entrambi nel panico, lei si ricompone -Chi è?- chiede lei -Annie sono Giorgina, fammi entrare- urla, lei mi guarda divertita e io gli faccio cenno di aprire -Entra- urla di rimando la mia ragazza, quando la stilista entra si immobilizza, fissa prima me e poi Annie -Cosa?- chiede confusa, nota gli abiti a terra e mi guarda dritto negli occhi. È furiosa -Finnick Odair, cosa hai fatto?- mi chiede io alzo le mani -Era presente anche lei- dico indicandogli Annie, lei mi tira un cuscino e io l'attiro a me, l'abbraccio mentre lei ridacchia, quando rialzo lo sguardo la stilista non è pià arrabbiata, ha una serie di strane emozioni negli occhi -Oddio- dice scuotendo, la testa cerca di non darlo a vedere ma sorride -Ora ti prego Finnick esci da questa camera- mi ordina, si gira e io esco dalle coperte, Annie emette un urletto stridulo e si copre la faccia con le mani, sembra una bambina.

-Dai Cresta, mi hai visto nudo fino a poche ore fa- le dico, lei mi tira un cuscino sul petto -Vestiti!- urla rossa come un pomodoro, eseguo ridendo -Giorgina girati- le dico infilandomi la maglia, lei si rigira e mi fissa -Ora io e te parliamo in privato, Annie tesero meglio che vai di la, ti raggiungiamo subito- le dice con dolcezza, mi prende e mi tira fuori io le tiro un bacio prima di uscire.

Mi tira uno schiaffo -Aia!- esclamo toccandomi la guancia -Finnick ma sei pazzo?- mi chiede io la fisso -E' ancora più vulnerabile così- spiega, io la fisso come un pesce lesso -Oddio, ci sei dentro fin sopra la testa- dice chiudendo gli occhi, ancora non capisco, ci sono dentro? E dove sono? -Cioè?- chiedo, lei ride -Ne sei innamorato cotto Finnick- mi dice con tenerezza, sorrido e la vedo riflessa nei suoi occhi, la vedo ovunque, poi mi rendo conto, io amo Annie Cresta più della mia stessa vita -Oh- dico -Ooh- lei ridacchia, io rido -Bhè-inizio quando la porta si apre vedo la mia ragazza, la sua felicità è sparita, è tesa e spaventata.

Cerca di fare un sorriso ma fallisce, l'abbraccio e la tengo stretta -Ho paura- mi confida -E' normale- le dico, lei si stacca -Non ho opportunità- mi dice, io la scosto e la guardo dritto negli occhi, un colore così pacifico e naturale, mi infonde pace -Hai me come mentore- le ricordo, a bassa voce, lei abbassa lo sguardo e sorride -Ragazzi? Pronto basta- ci dice una voce ci giriamo entrambi, la lascio andare e lei viene scortata dalla stilista a fare colazione.

Con I capelli ancora bagnati raggiungo la mia Annie, si morde un labbro con intensità, la paura nei suoi gesti era palpabile, l'abbracciai cullandola un poco, si stacco da me quando la voce le disse di montare sull' Hovercraft, si incammino con delicatezza verso l'inferno.

-Finnick, le poltrone non ti hanno fatto niente- mi disse una voce famigliare, Johanna Mason, dal distretto sette era seduta accanto a me, I capelli erano legati in una treccia che cadeva sulla sua schiena, aveva in mano un bicchiere con un liquido bianco, liquore immaginai, fissavo il televisore ma non sentivo niente di quello che dicevano, pensavo solo a lei, a quello che stava per succedere e il mio cuore stava sprofondando nella disperazione, ad un tratto la televisione mostrò l'arena, dall'alto sembrava senza una forma precisa, quando fecero vedere settore per settore notai che c'era un castello con un fossato, un fiume nato dal nulla e intorno un bosco, non era particolarissima, ma chiunque avrebbe capito che sicuramente tutta quella pace nascondeva insidie spietate.

I tributi arrivarono, li fecero vedere tutti, quando inquadrarono Annie, aveva una felpa nera e I pantaloni dello stesso colore I lunghi capelli riccioli rinchiusi in una coda alta, osservava il posto con sguardo interrogativo, poi delle emozione sovrastarono I suoi occhi verdi, la paura era l'unica che si capiva, infine il panico, si guardò attorno in cerca dell'altro nostro ragazzo, lo trovo e sembrava aver scambiato una muta conversazione con lui, -Meno 10- sussurro Johanna, aveva portato alle labbra il bicchiere, mi fissava con le lacrime agli occhi -Andrà tutto bene- la rassicurai, lei scrollo le spalle -Non dirmi bugie- sussurro, poi torno a guardare lo schermo gigante, feci lo stesso, vidi il numero zero e li vedi tutti scattare, mentre cercavo Annie con lo sguardo una voce famigliare e glaciale mi sussurrò all'orecchio -Che gli Hunger Games abbiano inizio, Signor Odair.

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Capitolo 23
*** The Hunger Games (Annie) ***


Capitolo Ventitrè

Annie.


 

Il gong suonò.

Rimasi ferma immobile. Stavo pensando a una strategia e non mi ero resa conto del conto alla rovescia, mi si serrò la gola, girai la testa e dietro di me vidi il bosco oltre la cornucopia un castello, dovevo pensare e alla svelta.

Mi sentii chiamare e girai la testa di scatto, vidi Shon che aveva uno zaino e che stava esitando per chiamarmi, corsi verso di lui, eravamo veloci, lui portava un enorme peso sulle spalle muscolose, mi dispiaceva troppo per lui.

Corremmo fino al bosco, sentivo altre persone intorno a noi, ma pensavo solo ad una cosa. Essere a sicuro. Mi girai un'attimo e mi si accapponò la pelle.

La cornucopia non aveva una struttura, erano solo oggetti appoggiati a terra, l'erba era verde e rigogliosa, con tanti fiori sul lilla, era tutto così pacifico, se non ci fosse stato il sangue, spruzzate rosse ovunque, vidi un ragazzo tagliare la gola ad un bambino di dodici anni, mi bloccai all'inizio del bosco e urlai, mi piegai sulle ginocchia, piansi, vidi il sangue del bimbo esplodere nel prato, che si tinse di quel colore. Rosso come l'amore. Rosso come la morte, scossi la testa Shon mi trattenne per un braccio, urlai ma nessuno fece caso a me, I colpi di cannone coprivano le mie urla -Lasciami- urlai, ero isterica, mi stava portando sulle spalle come un sacco di patate e io gli tiravo calci e pugni, le lacrime che mi rigavano il volto.

Mi bruciava la gola, il buio era calato, portando con se I volti dei tributi morti, eravamo per terra, il fuoco era sotto terra e non c'era il fumo, solo una tenue luce fioca che mi illuminava, avevo I capelli slegati, che mi ricadevano sulle spalle -Scusa- sussurrai, appoggiai la testa sulle mie ginocchia, Shon stava sistemando delle trappole per la notte, io lo fissavo, a quella luce fioca I suoi occhi neri come il carbone erano stranamente terrificanti.

Lui si tirò su, aveva finito l'ultima trappola, si girò e mi guardò dritto negli occhi, rabbrividì per quel colore che portava in un universo triste e vuoto -Dovevo aspettarmelo- mi confidò, mi accigliai -Perché?- chiesi, lui sorrise tristemente, il fuoco sembrava far brillare I suoi occhi -Lasciamo perdere, chi fa il primo turno? Io o te?- chiese cambiando discorso, aprii bocca ma poi mi resi conto che avevo dormito poco, molto poco per via di... -Oh- mi sfuggi e sorrisi arrossendo, lui mi guardava come se fossi pazza, feci una risatina coprendomi il volto con le mani, sembravo una bambina di cinque anni.

-Okay Annie, faccio io il primo turno eh? Ti vedo leggermente stanca- disse lui, sentii un sorriso nella sua voce, annui decisa, I riccioli si mossero con la mia testa, mi buttai giù e mi raggomitolai in posizione fatale e iniziai a sorridere, sentivo pure le sue mani sulla mia schiena, guardai quel finto cielo, pieno di stelle -Finnick, buona notte- sussurrai, poi mi addormentai con due occhi verdemare stampati nella mente.

Sentivo il terreno scuotersi, mi tirai su di scatto, Shon stava guardando gli alberi era spaventato -Andiamocene- gli urlai al di sopra del boato, lui scosse la testa -Il fiume uscirà fuori, è pericoloso- urlo di rimando, rimasi due minuti seduta, le unghie impiantate nel terreno poi tutto tornò a essere stabile, fissai sbigottita Shon, il fuoco si era spento, ma erano le prime luci dell'alba -Dovevi svegliarmi per il turno di guardia!- gli dissi, lui sorrise, I denti bianchi perfetti e splendenti erano tutti al loro posto -Nha, va bene così domani sera lo fai tu- mi dice, io annuisco, stiro la schiena e allungo le braccia sopra la testa, raccolgo I capelli in una coda alta e fisso Shon.

Lui guarda il bosco e scosse la testa -Potremmo andare- mormorò, io lo fissavo seduta a terra con le gambe incrociate -Andiamo in perlustrazione- suggerii io, lui ci pensò su per un po' e alla fine si alzò in piedi, lo seguii a ruota e mi preparai per la giornata.

Camminammo per tutta la mattinata, fino a quella che pensavo fosse l'ora di pranzo, ci appoggiammo ad un'albero, eravamo al margine del bosco, dopo c'erano solo cespugli e il nulla, fino al castello, l'erba stava ingiallendo, vidi lo scintillio del fiume ma nessun segno di vita -Quanti siamo ancora- chiesi, lui non rispose, alzai gli occhi al cielo e lasciai perdere.

Sentii dei passi dietro di me, strinsi il braccio a Shon, lui annui, eravamo disarmati e forse loro armati.

Mi girai di scatto e li vidi, incontrai I loro occhi, erano in tre, erano bagnati e sanguinanti, ma avevano uno strano luccichio negli occhi, che mi fece indietreggiare, Shon ingoio un groppo in gola facendo tremare il pomo d'adamo, loro si guardarono e si sorrisero con malizia, raddrizzai la schiena e sperai che la mia voce non tremasse troppo.

-No- dissi decisa, loro si guardarono confusi, fecero una risatina e mi fissarono 'Oh si Annie, un no secco, come siamo intelligenti' pensai -Cioè, non volete ucciderci veramente, potremmo essere alleati- dissi, buttai fuori le parole come venivano, lanciai un'occhiata al mio alleato che annuiva convinto, trattenni una risatina.

Loro mi fissavano accigliati, il ragazzo con gli occhi azzurri, mi guardò per bene -No, ci sono pochi tributi fra noi e la vittoria- disse piano, stava accarezzando in maniera troppo protettiva il suo coltello, alzai le mani -Si, emhh okay- dissi, tirai fuori una risatina -Ma sai, noi abbiamo gli sponsor- dissi, loro si bloccarono, quello con gli occhi azzurri smise di accarezzare l'arma 'Ecco Finnick, su, è il tuo momento' pensai -Davvero?- chiese scettico, annui convinta -Oh si, ne abbiamo moltissimi, vero Shon?- chiesi, stavo mentendo? Chi lo sapeva, avremmo potuti averli come no, -Si, lei ha ragione, vi serviamo- disse lui, la sua voce era troppo tremante, loro si scambiarono un'occhiata -Bene, chiedete qualcosa- ci chiese il ragazzone con la pelle color caffè, passai la lingua sulle mie labbra, screpolate e fissai il cielo.

Strinsi le mani a pugno, indietreggiai fino all'albero, tastai la superficie senza farmene accorgere, cercai di rompere un po' la corteccia, se le cose si fossero messe così male, avrei trovato un diversivo -Emh, ora non abbiamo bisogno di niente- mentii io, avevamo entrambi fame, anche la sete era alta ma potevamo andare al fiume, avevamo assolutamente bisogno di un'arma, mi tremavano le mani, una era visibile, la chiusi a pugno, ma purtroppo notarono il mio nervosismo.

Scattarono avanti e io lanciai le briciole di corteccia dritto nei loro occhi, loro rimasero sorpresi, tirai dietro di me Shon, avevamo pochi secondi.

La piazza era completamente deserta, c'eravamo solo noi e I nostri aggressori -Al castello- mimai con le labbra al mio alleato, lui annui, insieme scattammo verso la nostra unica salvezza. La porta non c'era e io corsi dentro, era tutto illuminato, andai fino alla parete parallela, Shon si avvicinò con il fiatone -Li abbiamo seminati?- ansimai tendendomi il fianco, lo sentii tossire, alzai lo sguardo e lo vidi annuire, aveva il pugno stretto sulle labbra e un'espressione addolorata in volto, gli toccai un braccio -Shon- iniziai ma prima che potessi dire qualcosa la sua testa volò via e mi finì fra le mani.

Rimasi li, a fissare dove una volta c'era la sua testa, il suo corpo cadde con un tonfo e il cannone sparò. Boccheggiai, il sangue mi stava macchiando tutta, guardai I suoi occhi vitrei e lanciai via la testa con un urlo, mi tappai le orecchie con le mani e mi lasciai scivolare a terra,nella pozza di sangue, le tolsi e le vidi tinte, urlai istericamente, battei I piedi a terra, strappandomi I capelli, alla fine mi misi in un'angolo del castello, gli occhi fissi sul suo cadavere, le lacrime che mi rigavano il viso.

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Capitolo 24
*** I win. (Annie Cresta) ***


Capitolo ventiquattro.

Annie.


Erano passati solo due giorni.

Due giorni di agonia per me.

Stavo nell'angolo di quel castello, dondolandomi avanti e indietro, gemevo e piangevo senza tregua, avevo la gola in fiamme per aver urlato il suo nome all'infinito.
-Tributi attenzione attenzione- disse una voce metallica, tirai su la testa dalle ginocchia, mi guardai attorno impaurita, gemetti e mi accigliai coprendomi le orecchie con le mani -Entro il tramonto di oggi dovrete riunirvi tutti all'interno del castello, chi sarà fuori da li dopo il tramonto avrà una compagnia, interessante- disse, io scossi la testa -No, no- mormorai, mi richiusi nel mio cuscio protettivo.

Passai delle ore così tremante poi sentii un rumore, vidi una persona sulla porta ansimante che si teneva il fianco, ansimava e gemeva di dolore, la fissai e notai la sua spada, che gocciolava, mi si serrò la gola e mi agitai, cercai di farmi piccola piccola, lei sembrava non essersi accorta di me, si accascio li vicino e vidi solo il suo petto alzarsi e abbassarsi, sempre con meno velocità, la fissai meglio, era sicuramente una lei, l'avevo capito dal petto, con I rilievi che solo una ragazza poteva avere.

La fissai accigliata, incapace di non dirle nulla, lei gemette di dolore e si tenne il fianco, ad un certo punto guardò dritta verso di me, incontrai I suoi occhi castani erano pieni di dolore, storse la bocca -Uccidimi- ansimò, io scossi la testa, lei sputò del sangue e mi rivenne in mente Shon e la sua morte, mi tappai la testa con le sue mani -Dai ragazzina, fammi fuori, sono mezza morta- mi incitò, la sua voce era roca, scossi la testa con forza, I ricci sporchi seguirono I miei movimenti.

-Ti prego- urlò sputando ancora sangue, coprendosi la mano con la bocca, mi alzai con esitazione, raccolsi la sua spada e gliela puntai al cuore, lei mi guardò dritta negli occhi -Come ti chiami?- sussurrò, la voce era distante -Annie- dissi di rimando, la mia voce suonò come quella di una bambina, lei accennò un sorriso, aveva il viso ricoperto di sporcizia e sangue -Grazie Annie- mi disse, la mia mano era sulla spada, dovevo premare ma non ci riuscivo, lei aveva gli occhi chiusi e porto la sua mano rossa sulla mia e insieme spingemmo la spada nel suo petto.

Il cannone sparò 'Siamo rimasti in tre' mi dissi mentalmente, poi mi guardai le mani e mi posai le mani sulle orecchie, camminai in circolo per diversi secondi -Sono un'assassina- susurrai, vidi fuori dal castello due persone correre contro di me, andai nel mio angolo ombroso e quando quei due entrarono fissarono la ragazza morta, aveva un'aria pacifica e un quasi un sorriso sulle labbra, loro si guardarono attorno e si accamparono vicino all'uscita. 

Le porte si chiuseò al tramonto, eravamo bloccati dentro. Mi mancò immediatamente l'aria -NOO- urlai, corsi a sbattere I pugni sulla porta di ferro, era pesante e mi torturai le mani per aprirla, l'aria era sempre meno, vidi dei puntini neri e iniziai a piangere dalla disperazione, cosa mi stava succedendo? Ero sempre confusa e piangevo, cosa stavo diventando? Avverti il panico salire dallo stomaco e serrarmi la gola, stavo diventando pazza? No, era impossibile...

-Piantala, siamo bloccati qui- mi urlò una voce profonda, mi girai e vidi un ragazzo spalle larghe, abiti strappati aveva il labbro superiore confio e violaceo, la pelle era colore caffèlatte, gli occhi erano ambrati un viso da maialino, appoggiai le spalle alla porta -Cosa vogliono? Che moriamo di fame?- chiese una voce nell'ombra, era più acuta della mia -Oppure aspetteranno che qualcuno muoia e noi costretti dal morso della fame lo mangiamo? E' troppo anche per I vostri standard- urlò, sentivo il sarcasmo nella sua voce. Iniziai a ridere, mi appoggiaiai al muro e risi fino alle lacrime.

Mi misi seduta nel mio angolo, avevano tappato ogni foro, mi stavo iniziando a preoccupare, potevamo anche scherzarci ma morire soffacati era abbastanza probabile. Mi appoggiai al muro con tutto il corpo, ero stanca e mi si chiudevano gli occhi, non vedevo niente. Sentii gli occhi chiudersi e passai da un'oscurità all'altra.

Sentii prima l'acqua e dopo il boato, mi aveva bagnato tutta la schiena, mi svegliai di colpo, il castello si muoveva, come tutto. Un'altro terremoto. L'acqua continuava a salire, con una velocità impressionante, mi appoggiai al muro e chiusi gli occhi, gli altri imprecarono e andarono a battere contro la porta, cercai di controllare il respiro. L'acqua mi stava arrivando alla caviglia. Respirai e espirai.

-Dai Annie, non morde l'acqua- la sua voce, aprii gli occhi di scatto e con le labbra mormorai 'Finnick' ma lui non era realmente li, lui era alla capitale, forse in pena per me, anzi, sicuramente, chiusi gli occhi e mi concentrai nuovamente sulla giornata in cui mi aveva insegnato a nuotare, cercai di ricordarmi ogni movimento, feci un'ultimo respiro profondo, ormai ero zuppa fino alla vita.

Una cascata mi prese in pieno, mandandomi a terra, boccheggiai e mi tolsi dalla forte d'acqua, ero completamente bagnata e tremavo per il freddo -Cosa significa?- urlò il ragazzo con la pelle color caffèlatte, il ragazzino con la voce acuta rise -Siamo al gran finale tesoro- urlò di rimando, cercava di suonare felice ma riuscii a percepire la tensione nella sua voce, l'acqua mi stava arrivando al petto, un'altra cascata, iniziai a nuotare, cercando di stare a galla, gli altri due boccheggiavano.

Un'altra scossa di terremoto fece arrivare un'onda che mi sovrastò, mandandomi sotto, tornai in superficie boccheggiando, non vedevo nulla avevo I capelli davanti alla faccia, sentivo le urla degli altri due, un'altra scossa. Un'altra onda. Un colpo di cannone.

Urlai io, presi fiato e andai sotto poi tornai in superficie stavo nuotando alla perfezione ma l'altro ragazzo riusciva a palapena a stare a galla, si avvicinò a me e mi butto la testa sott'acqua, boccheggiai e feci delle bolle, stavo affogando, gli tirai un calcio all'inguine e lui lasciò la presa, mi allontanai da lui.

L'ultima scosse fù la più forte, sentii un colpo di cannone e infine le trombe.

Avevo vinto. Io Annie Cresta.

Venni sollevata, bagnante e tremante, non riuscivo a riconoscere nessuno, solo una voce, la più bella che potesse esistere -Ora sarai al sicuro Annie- mi disse Finnick e io caddi nel buio fra le sue braccia.

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Capitolo 25
*** -Tornerò sempre da te- ***


Capitolo Venticinque.


-Finnick?- chiamò la voce roca e profonda del padre di Annie, ero al tavolino della mia cucina, le mani strette al legno graffiato e rovinato da Annie, scossi la testa uscendo da quell'incubo ad occhi aperti, alzai lo sguardo da quel marrone frastagliato da linee color nocciola.
Il padre di Annie era sullo stipite della cucina, dietro di lui Mags che stava borbottando qualcosa, aveva in mano un pezzo di corda rotto, sospirai, Annie aveva rotto anche quelllo, feci un sorriso tirato al padre della mia ragazza e gli feci cenno di accomodarsi, lui lo fece e si sedette davanti a me, raddrizzai la schiena e mi preparai alla solita raffica di domande sulla salute della figlia.
Aspettai invano, lui si prese la testa fra le mani e la scosse, rimasi di pietra -Signore, i medici dicono che Annie, la vera Annie sta lottando per uscire da questo stato- dissi, lui annui con le mani premute in faccia -Finnick ma tu ci credi veramente che lei tornerà da noi?- chiese con voce ovattata, era profonda e calda assomiglia un poco alla mia, abbassai lo sguardo sulle mie mani rovinate e callose, avevo delle nuove croste per via dei pugni dati al muro durante la notte, le chiusi a pugno impedendogli di tremare così visibilmente -Signore- iniziai, l'uomo mi guardò dritto negli occhi -Si realtista, lei tornerà da noi?- chiese, la voce era carica di emozioni così intense che rabbrividi, c'era la paura, la rasegnazione ma si sentiva la speranza che cercava di uscire dalla sua bocca rovinata e screpolata, non riuscii a distogliere lo sguardo e scossi un poco il capo -No signore, non credo che lei tornerà- sussurrai, poi chiusi gli occhi per impedirgli di diventare lucidi.
Dopo aver riaccompagnato il padre di Annie a casa sua e aver sentito delle urla isteriche provenienti dalla camera della mia amata, andai alla stazione, aspettando non so cosa, forse un'aiuto o solo dio sa cosa, ma ero la, solo con qualche vecchio mendicante pelle e ossa, li guardai e pensai che forse era meglio che anche io mi accasciassi a terra e aspettassi senza dignità una morte degna di un cane.
Qualcuno si infilò nella panca accanto a me, alzai lo sguardo dalla corda che stavo intrecciando e notai i capelli bianchi roccioli che scalava dal grigio scuro al bianco, sorrisi e appoggiai la mia testa alla sua fragile spalla -Mags- sussurrai con voce piena di dolore, lei mi accarezzo il volto con delicatezza le sue dita grinzose e callose erano tutte storte, per via della vecchiaia, rimasi a prendere le sue carezze come se al mondo non esistesse niente di più bello. E forse era proprio così.
-Vuole vederti- biascicò, mi tirai su di scatto e guardai nei suoi occhi cerchiati da rughe profonde e rese tristi da quello che aveva passato, la gola mi si era seccata -Chi?- chiesi sentendomi uno scemo, lei guardò i binari come fosserò il suo sogno, come se potesse farla finita li su due piedi, forse ci pensava realmente ad uccidersi, ma poi tonai le mani strette pugno e capii che stava avendo un flashback, tutti ne avevamo, non erano mai piacevoli.
Rimasi seduto tenendo la mano di Mags aspettando che gli passi quel momento fosse passato quando, la mano si rilassò un po' gliela accarezzai con tenerezza, era ruvida al tatto, come una vecchia corda, -Chi vuole vedermi?- sussurrai, lei sospiro e mi guardò negli occhi, capii all'istante.
La porta della camera di Annie era di un color castano molto scuro, sentivo delle voci e dei singhiozzi, un nome soffocato ripetuto più e più volte 'Shon' feci un respiro tremante e bussai, tutto all' improvviso tacque, aspettai sulla porta tremante, forse aveva cambiato idea, era meglio che girassi i tacchi e tornassi alla mia casa, ma prima che potessi fare qualcosa la porta si aprii, una donna struccate con degli occhiali a farfalla mi fissava con occhi sbarrati color della cioccolata, feci per aprire bocca ma la voce della mia amata usci fuori come il vento in una giornata calda -E' lui? Finnick sei tu?- chiese, sorrisi e mi tappai la mano con la bocca, le lacrime arrivarono convinte ai miei occhi ma le trattenni, mi morsi un labbro convulsamente -Si Annie sono io- sussurrai, lei gattono alla porta e mi fissò, sembrava una bambina piccola che aveva appena visto qualcosa di bello e pericoloso, trattenni il fiato.
Si alzo in piedi e notai che era dimagrita e sembrava ancora più bassa di quel che era realemente, camminava tremando, alzo una mano e mi tocco il petto, poi un dito inizio a salire fino alla gola, le sue unghie affilate mi pungevano il pomo d'Adamo, arrivò alle labbra e le traccio con tutto il polpastrello, così per il naso e per gli occhi, i suoi occhi verdi erano vacui e lontani, ma si accesero e sembrava più presente, si avvicino a me, appiattendo i suoi seni al mio petto -Allora hai mantenuto la promessa- mi sussurrò poi chiuse gli occhi e mi abbraccio, io affondai la faccina solcate da piccole goccie argentee nei suoi ricci castani più scompigliati del solito e sorrisi fra le lacrime, alcune entrarono nella mia bocca e le madai giù, lei era qui.
Era presente, sarebbe tornata e io lo sapevo avevamo fatto un giuramento e lo avremmo mantenuto -Si Annie, io tornerò sempre da te e tu da me- sussurrai più a me che a lei, insieme ci appoggiammo al muro e cademmo fino a terra abbracciati e in lacrime.

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Capitolo 26
*** Ti amo Annie Cresta. ***


Capitolo ventisei.


 

Eravamo sulla spiaggia, Annie fissava la spiaggia con la testa piegata, gli accarezzavo la testa con fare assente, mi ricordavo ancora il giorno che ci eravamo conosciuti, cavolo era passato molto tempo da quel giorno, erano successe cose ma eravamo rimasti sempre insieme.

Mi morsi un labbro quando lei si girò verso di me, il sole rendeva le sue labbra ancora più rosse, I suoi occhi erano così verdi che facevano male, sembravano volerti leggere l'anima, sbattolò le sue lunghe ciglia e mi venne da piangere, il presidente Snow mi aveva dato una settimana di tempo prima di dovermi ritirare fino a data da definirsi alla capitale, Annie era ignara di tutto ciò, era appena 'guarita' per così dire, la sua sanità mentale era fragile come un pezzo di vetro, non volevo rovinargliela.

La guardai negli occhi e sorrisi, lei ricambio scoprendo tutti I suoi denti, chiuse la bocca e fece un sorrisetto abbassando lo sguardo, fra me e lei c'erano pochi centimetri, le nostre mani si sfioravano ma non si toccavano, indossava un'abito color arancione che le stava di incanto, inclinai la testa leggermente di lato mentre fissavo il mare in tutto il suo splendore, così calmo mentre il sole al tramonto lo rendeva roseo, I gabbiani stavano volando lontano, era tutto troppo perfetto era un scena da film. Non poteva essere vera.

Lei si schiarì la voce e fui costretto a girarmi, era di profilo e vedevo un sorriso balenarli sul viso -Mi ricordo il giorno in cui ci siamo incontrati, era il tramonto proprio come ora- disse, sorrisi e abbassai lo sguardo, tornai subito a guardarla, non potevo non fissarla, visto che forse non l'avrei mai più rivista -Ci conosciamo da tanto tanto tempo- dissi io, lei rise, quella risata cristallina che mi aveva fatto innamorare di lei ogni giorno di più, finalmente l'avevo capito -E stiamo insieme da altrettanto tempo- disse ridendo, risi anche io, aveva ragione, ci eravamo messi insieme a quindici anni e ora che ne avevamo diciassette stavamo ancora insieme.

Si avvicinò a me e sentii la sua pelle bollente sulla mia, respirai profondamente l'odore del mare, I suoi ricci mi arrivarono sotto il naso e feci una risatina soffocata, la sua testa era appoggiata alla mia spalla, ormai era un gesto comune fra noi -Voglio che il tramonto duri per sempre- disse io annui, mossi la testa per accarezzare la sua riccioluta -Lo so, anche io lo vorrei- dissi, le bacia il capo con delicatezza, lei ridacchiò come una bambina e sorrise con una dolcezza infinita.

Lei tirò su la testa di scatto, pensai ad una sua crisi ma invece si girò verso di me piano e fissò le mie labbra, poi tornò a guardarmi negli occhi e sorrise, li chiuse e mi baciò con delicatezza, l'attirai a me e fece una risatina sulla mia bocca, mi ritrovai sdraiato a terra con lei sopra, la sabbia entrava ovunque e mi fece una seconda pelle sul capo, avevo entrambe le braccia intorno alla sua vita, lei le sue intorno al mio collo -Ciao- dissi, lei ridacchio e mi bacio nuovamente -Annie, perché?- chiesi lei scosse la testa e abbasso lo sguardo -Ti amo Finnick Odair, ti serve un'altra motivazione?- chiese in un sussurro, gli occhi erano imbarazzati e aveva la guancia rosso come I peperoni che vedevo sempre al mercato, rimasi senza fiato, avevo pensato di dirglielo un milione di volte, in tutte le situazioni possibili, ma mai che lei mi avrebbe detto quello che io sognavo di dirle.

-Annie Cresta- dissi io teatralmente, la baciai con un sorriso sulle labbra -Ti amo più della mia stessa vita, se il mondo finisse domani la mia unica preoccupazione sarebbe quella di non averti detto abbastanza spesso che ti amo- sussurrai al suo orecchio, lei mi spinse via le lacrime gli sgorgavano dagli occhi, ci baciammo in sigultanea, l'incontro perfetto, mi mancò un battito, lei si stacco quando la sua mano era sull'orlo della camicia -Basta per oggi- sussurrai, lei annui ridendo, si tirò su e mi permise di abbracciarla appoggiando il mento alla sua spalla, I suoi capelli danzavano davanti ai miei occhi, sospirai -Annie ti devo dire una cosa importantissima- le sussurrai a malincuore all'orecchio, lei si appoggio al mio petto e fece un sospiro teatrale.

Alzò la testa e alla rovescia sorrise, incastrò I suoi occhi nei miei e mi venne da sorridere, erano così sinceri -Dimmi- disse senza smettere di sorridere -E' una cosa difficile da dire- iniziai, lei si tirò su di scatto e si inginocchio davanti a me, il suo splendido sorriso era sparito dalla sua bocca da bambola rossa scarlatta -Il presidente Snow mi ha chiesto di trasferirmi alla capitale- dissi velocemente guardando le mie mani che gesticolavano senza senso, rialzai lo sguardo addolorato, lei annuiva, sembrava normale, cercai di aprire bocca ma aspettai che impazzisse, o peggio ma invece fece una cosa comprensibile, scoppiò in lacrime -Quanto tempo?- chiese singhiozzando, scossi la testa -Indeterminato- dissi con un sorriso amaro.

Lei urlò contro il cielo, tirò un pugno alla sabbia e pianse a lungo, la lasciai fare, l'avrei fatto anche io se avessi potuto farlo, ma dovevo rimare calmo, fissai il mare che da rosa si stava tingendo di azzurro, l'aria diventò pungente nel mentre Annie si calmava.

Si seduta accanto a me, gli occhi rossi e gonfi le guance argentee come se le stelle si fossero staccate dal cielo e donate alle sue guance, il labbro tremava e sembrava pronta a ri scoppiare in lacrime, abbassai lo sguardo e aspettai che fosse lei a parlare -Io, io ti amo Finnick, non, non- disse lei guardandosi le mani arrossate -Ti voglio qui- disse solo scoppiando in lacrime, l'attirai a me e lasciai che piangesse sulla mia maglietta -Abbiamo una settimana- le sussurrai, lei mi guardò dritto negli occhi, erano normali ma sentivo che lei stava tremando -Bhè facciamocela bastare, io inizierei da ora- mi disse lei, chiuse gli occhi e prima che potessi ribattere o solamente domandare mi aveva già baciato, tirandomi a terra -Non voglio che tu sia costretta- le dissi, non era costretta ma cavolo se la desideravo! Lei scosse la testa e sorrise fra le lacrime -Ma io voglio- sussurrò e mi baciò di nuovo, questa volta non la fermai.

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Capitolo 27
*** Tu le mantieni sempre le promesso. ***


Capitolo ventisei.


 

Il vento mi baciò delicatamente il viso, era un vento caldo e portava con se l'odore del mare, il suo sapore, sentivo ancora il suo rumore che tanto amavo, sentivo le risate dei ragazzi sulla spiaggia, con le loro paure nascoste e anche la speranza che bruciava viva nel loro sangue.

Quanto li invidiavo, volevo essere come loro ma non potevo, ero cresciuto ormai, avevo perso tanto, avevo venduto me stesso, ero crollato e avevo rimesso insieme più pezzi possibili, sospirai e mi strinsi addosso il giacchetto leggero, l'aria era pungente e piacevole allo stesso tempo, fissai I binari della stazione e feci un'altro sospiro, mancava poco alle dieci, il sole era già alto nel cielo, coperto però da una nuvola grigiastra, si preparava un temporale, 'Buffo' pensai 'Anche dentro di me c'era una tempesta'.

Appoggiai a terra la borsa con I vestiti e mi sedetti su una panchina li vicino, c'erano intagliati cuori con delle iniziali, dei ti amo consumati e ormai sbiaditi, chissà se tutti quelle persone erano ancora fidanzati, si erano forse sposati? Avranno avuto dei figli? Oppure anche loro come a me è stato portata via la possibilità di scegliere? Cercai di non pensarci, fissai di nuovo quelle rotaie vuote, spente e morte, chissà quanti treni saranno passati sopra di loro, portandosi via dei bambini e mandandoli alla morte, loro non potevano sapere cosa stava succedendo, erano morte, inanimate.

Chiusi gli occhi e mi morsi un labbro, sentivo la voce di Annie nella mia testa, diceva di amarmi, mi faceva ridere, era li così vivida, sorrisi e mi rattristai un poco, forse non l'avrai mai più vista, anzi ne ero sicuro, riaprii gli occhi e ritrovai davanti a me un verde foresta che conoscevo troppo bene, sorrisi e scossi la testa con delicatezza -Cresta- dissi, sul suo viso da bambolina si allargò un sorrisetto, il naso gli si arricciò come faceva sempre e come amavo -Odair- rispose lei, si sedette accanto a me e mi sorrise -Sono venuta a salutarti- disse, la fissai e abbassai lo sguardo, indossava dei pantaloncini corti bianchi, la nostre mani si sfioravano, intrecciai le miei dita alle sue e gli sorrisi.

-Siamo arrivati al giorno del giudizio- dissi senza staccare gli occhi dalle rotaie, passai il pollice sul dorso della sua mano con fare assente -Già- confermò lei, sospirai, Annie appoggiò la sua testa alla mia spalla -Sono le dieci meno dieci- mormorò lei, annui e feci una risatina -Meno dieci minuti- dissi, mi girai verso di lei, che si tirò su e sorrise, sospiro, si liscio la maglietta era una mia maglia, che le avevo lasciato, tutta vecchia e bucata ma a lei donava troppo, alzo le braccia e si fece una coda alta lasciando che le sue orecchie piccoline si vedessero, sorrisi amavo troppo le sue orecchie.

Fece un sospiro teatrale e la fissai accigliato -Dimmi- dissi io incrociando le braccia al petto -Bacio- rispose lei, mi avvinai e gli baciai le labbra a stampo, un bacio casto, solo le sue labbra sulle mie, ma lei le apri con la sua lingue e da innocente bacio si trasformò in atto osceno in luogo pubblico, mi fini in braccio e la fissai con un sorriso sulle labbra -Mi mancherà questa cosa- ammisi, lei rise e tirò indietro la testa, aveva le mani dietro al mio collo e sentivo il calore della sua pelle anche attraverso I suoi vestiti -A me mancherai tu- disse con un sorrisetto timido -Si ti mancherà il sesso- dissi io, lei arrossi e si tappo la bocca con le mani, poi inizio a darmi dei pugnetti sul petto -Scemo, deficiente coglione- disse fra le risate, la baciai appena e controllai l'orologio, mancavano cinque minuti.

-Meno cinque- osservai io, lei si girò verso l'orologio e il sorriso spari dal suo volto -Meno cinque- mormoro lei tristemente, gli accarezzai il viso -Dio se sei bella- gli dissi, lei scosse la testa -Tu sei un dio Finnick- sussurro, io sorrisi -Effettivamente- dissi io, causando un'eccessivo uso di risate da parte di Annie, lei fece un sospiro e poi tirò fuori dalla tasca una scatolina nera, tutta ammaccata, la guardai negli occhi e li vidi colmi di lacrime -Annie- iniziai, prendendogli le mani, lei scosse la testa e sorrisi -Voglio che tu abbia qualcosa di mio, qualcosa che ti ricordi sempre di me- sussurrò lei, aprii la scatolina e vidi che l'interno era tutto rovinato per via dell'acqua del mare.

Dentro c'era una specie di triangolo tutto intagliato, fatto di non so quale materiale, aveva tantissime linee intrecciate, era la collana che il padre di Annie aveva dato a sua moglie, lo aveva ancora indosso quando morì in mare, ecco perché era rovinato per l'acqua del mare, lo tirai fuori dalla scatola e notai la corda, sorrisi con tanta tristezza da farmi salire le lacrime agli occhi, era la corda che usavo per fare I nodi appena uscito dall'arena, che usavo per non impazzire e che era passato poi ad Annie, lei sorrise con un sorriso triste, strinsi la collana e la baciai delicatamente, quando ci staccammo I nostri nasi continuarono a toccarsi, -Annie grazie- dissi, lei scosse un poco il capo -Ti amo Finnick- disse, io sospirai -Ti amerò sempre- le risposi io.

Sentimmo il treno in lontananza la fissai -Meno zero minuti- mormorai, lei si attacco a me, abbracciandomi stretto stretto -Annie- sussurrai, sentii I suoi singhiozzi, il treno era arrivato -Finnick- disse lei, si stacco e mi bacio, -Ci rivedremo, Annie io lo prometto- sussurrai lei sorrise -Tu le mantieni sempre le promesse, ti amo Finnick- sussurrò lei, mi alzai e la baciai con passione montai sul treno senza voltarmi indietro.

Perché se l'avessi fatto, avrei fatto vedere le mie lacrime ad Annie, non volevo che vedesse che ero di nuovo andato in frantumi, ma stavolta era diverso, non ci sarebbe stata Annie ad farmi rialzare, neanche Mags, sarei stato solo, per molto tempo, forse per sempre.

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Capitolo 28
*** Johanna and Finnick. ***


Capitolo ventisette.

Due settimane.
Ero alla capitale. da due settimane.
Avevo visto solo Capitolini che mi pagavano con i loro sporchi soldi. Orami odiavo anche la vista di quelle cose così volgari.
Iniziai a chiedere altro, come i segreti, non quelli superficiali che non erano interessanti. No quelli più profondi, che risaiviano a molto tempo prima, tramandati da padre in figlio e via discorrendo, quello era interessante, quello mi interessava realmente, bastava baciarle, dirle oppure dirgli che erano bellissimi e questo li faceva aprire come libri, raccontavano tutto, ogni dettaglio, come niente, come erano stupidi, non sapevano che questo mi dava potere, mi aiutava a fuggire da loro, ma tanto meglio, loro non lo sapevano e così mi davano sempre più armi contro il nostro adorato presidente.
Dopo aver finito con una cliente ero tornato a casa e ora ero ubriaco fradicio, stavo sdraiato in maniera scomposta sulla poltrona di un verde nauseante, fissavo la televisione dove davano uno stupido film da capitolini, non che me ne fregasse realmente qualcosa, tutto faceva schifo, tutto era finto, come loro, come me.
Borbottai qualcosa e risi, ero ubriaco e non capivo niente, per cui ridevo, ridevo per non piangere, anche se ero a pezzi, dovevo andare avanti, prima o poi avrei dovuto diventare vecchio, non più desiderabile come qualche moda, dovevo solo aspettare e nel frattempo sperare come fanno i ragazzi alla mietitura, non che cambi qualcosa, fra la morte e una vita come questa, preferirei la morte, poco ma sicuro.
La porta dietro di me si aprii cigolando, mi girai e lasciai che un po' di liquore color caramello finisse sul tappeto nero, sulla porta c'era una figura, la vedevo sbiadita per via dell'alcool, ma notai le sue mani, che arrivarono alle guancie e le sfregarono, feci per voltarmi ma caddi all'indietro, sbattendo la testa. Risi. -Ho fatto tun- dissi in tono pratico, senti un sospiro e una leggera risatina un po' ovattata, forse per via delle lacrime.
Mi ritrovai un volto amichevole davanti alla faccia, i capelli erano stati tagliati corti, gli occhi nocciola erano un po' meno felici e determinati di quanto ricordassi, ma era lei. Con il suo viso, le sue labbra. Era Johanna, ne ero sicuro.
-Doccia, poi a dormire per smaltire la sbornia, come l'ultima volta, ti ricordi Finn?- chiese lei, tirando fuori un sorriso, mi aiutò ad alzarmi portandomi verso la mia camera, vidi una valigia vicino alla porta, gliela indicai e lei scosse la testa -Quando sarai in grado di ricordare- disse ridacchiando, lo feci anche io e poi chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dalle sue braccia secche ma forzute.
Mi svegliai e aprii gli occhi, mi pentii all'istante. La testa iniziò a pulsarmi tanto da farmela prendere fra le mani e mi sfuggi un gemito di dolore, quando riuscii ad aprire gli occhi notai che Johanna era sulla porta con un mezzo sorriso sulla bocca e due tazze fumanti in mano, -Non riderei se fossi in te, Mason- dissi io, biascicando un po' le parole, alzò un sopracciglio e scosse la testa, -Sei senza speranze, Odair- disse lei facendomi sfuggire un sorriso -Caffè?- chiesi indicando la tazza, le mie unghie erano talmente rovinate da farmi schifo, lei annui e si avvicinò porgendomi la tazza fumante.
La presi e bevvi una lunga sorsata -Dimmi un po'- iniziai, fissai la stanza dove mi trovavo, ero nel mio letto, avevo un pigiama pulito ed ero sotto le coperte, -Come ci sono arrivato qui?- chiesi, lei si accoccolò su un puff rosa in un'angolo della stanza e sorrise -Sempre merito mio, come di regola- disse sorridendo, ricambiai e abbassai lo sguardo, iniziammo a parlare, le chiesi come stava andando, lei mi raccontò che si era rinserità nella comunità, avevo smesso di odiarla, stava andando tutto bene, fin troppo bene secondo lei, per l'appunto era stata mandata qua alla capitale a tempo indeterminato, proprio come me. C'era altro, lo sapevo, dal modo di mordersi il labbro, aprire e chiudere le mani e cercare di evitare il mio sguardo, ma lasciai perdere, se non si sentiva non volevo costringerla, io le parlai di me e di Annie dei suoi progressi, di come l'amavo e di come lei amava me, come aveva preso la notizia e tutto il resto, alla fine rimanemmo in silenzio, ognuno per un'attimo a combattere da solo i propri demoni, prima di tornare due normali ragazzi di diciassette anni.
Guardai l'ora e sospirai, -Devo andare a lavoro, mi vesto e scappo- le dissi alzandomi dal letto, lei fece lo stesso e venne con me in cucina, la vidi posare nel lavello le tazze sporche e poi si girò verso di appoggiandosi al bancone, pensai che stesse per fare un commento acido, oppure che stesse per dettare delle regole, ma alla fine disse la cosa meno prevedibile -Mi sei mancato- la fissai e abbassai lo sguardo -Per quanto odi ammetterlo, pure te- risposi io.
Alle undici la salutai con un bacio sulla guancia ed andai al mio appuntamento, pronto più che mai a scoprire nuove cose, visto che ora potevo condividerle.

Johanna.
Finnick, una cosa positiva in questo mondo pieno di crudeltà.
Avevo perso tutto e tutti nuovamente, mi era stato strappato nuovamente, per cosa poi? Per un capriccio di qualche stupido capitolino? Bella merda.
Per fortuna avevo trovato Finnick qua, era distrutto, stava cedendo a pezzi, ma un peso in due si regge meglio, tuttomè più facile quando si ha qualcuno con noi, quando qualcuno di aiuta, la sua voce mi avrebbe dato conforto e di questo gli ero grata.
Mi stavo innamorando di lui? Si, ne ero certa, lo amavo, ero certa di amarlo, ma come poteva il mio amore surclassare quello che provava per Annie, quando parlava di lei il mondo scompariva, i suoi occhi brillavano, anche quando l'aveva lasciato, lui l'aveva amata e ora che gli era stato nuovamente portata via, sarebbe impazzito, avrebbe perso la testa, ma sicuramente non l'avrebbe fatto, lui le aveva fatto una promessa e Finnick per quanti difetti possa avere, è un'uomo di parola, fin troppo a volte.
Uscii di casa e mi coprii con la sciarpa donatami da una vecchia signora del mio Distretto, la macchina mi stava aspettando puntuale 'Strano' pensai 'Non poteva certo farmi tardare' sali in auto e tenni la bocca chiusa, ma le orecchie tese, volevo sapere più cose di quel che già conoscevo, capire fino a quanto era fragile questo regime e santo cielo, lo avrei scoperto!
Mi ritrovai al caldo dentro la casa del presidente, c'ero già venuta, per poi essere portata via priva di sensi, rabbrividii al solo pensiero, una donna sorrise e mi lasciò entrare in una stanza laterale con la luce un po' fioca ricambiai il suo sorriso con un po' di timidezza, la porta si chiuse e sobbalzai quando un'applauso ruppe il silenzio -Brava, che interpretazione- disse una voce gelida come il proprietario, mi girai e sorrisi con un po' di arroganza -Lo so, sono un'ottima attrice- ribattei, lui ricambio il mio sorriso, ma non raggiunse i suoi occhi di ghiaccio.
-Mi dica cosa vuole e mi mandi via- dissi spazientita, dopo l'ennesimo minuto passato in silenzio -Signorina Mason, voglio quello che volevo l'anno passato, ma la risposta sarà sempre la stessa?- chiese, io annui feci per alzarmi ma lui mi blocco -Abbia ucciso la sua famiglia, so che ha dei nuovi amici, alcuni ancora estraibili, poi sopratutto il suo amore, Finnick- iniziò il presidente, mi risedetti e mi sentii morire -No- sussurrai scuotendo la testa, sorrise con malignità -Come speravo- disse si sporse un po' e abbassò la voce -Allora?- chiese, chiusi gli occhi per impedire alle lacrime di scendere -Allora- ripresi io -Farò tutto quello che lei vuole- dissi, quando riaprii gli occhi vidi, le sue labbra gonfie tinte di un rosso innaturale, sorridenti e i suoi occhi crudeli luccicare.

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Capitolo 29
*** Sei stato un miraggio. ***


Capitolo ventotto.


 

Dopo quasi quattro mesi di convivenza, Johanna conosceva anche troppo bene le mie urla e io le sue, entrambi avevamo I nostri momenti di pazzia, ma alcuni gesti ci riportavano alla realtà ma a volte non bastavano neanche quelli.

Johanna stava cucinando un piatto tipico del suo distretto, la osservai, aveva I capelli raccolti in una crocchia un po' larga dietro la sua nuca, aveva le spalle chine e piegate, ed era un po' storta per la posizione che aveva assunto, io stavo intrecciando la mia solita corda, ogni movimento diventava oggetto della mia attenzione, il cuore iniziò a battermi più forte, anche I respiri di Johanna, mi guardai attorno e la stanza iniziò a diventare sempre più piccola e io non cambiavo, anzi crescevo, mi alzai di scatto premendo le mani sulle orecchie, la sedia cadde all'indietro, un rumore assordante quello del legno che cade, la mia amica si girò preoccupata, I suoi occhi dalla paura si addolcirono -Finnick, va tutto bene- iniziò, io scossi la testa e chiusi gli occhi, stavo piangendo? Si, probabile, andai in salotto, e mi sedetti sul divano, stavo sicuramente piangendo.

Presi la testa e la strinsi fra le mie mani, tremavano come foglie mosse dal vento, rinchiusi la testa fra le ginocchia e aspettai che I brividi smettessero che tutto quanto tornasse normale, singhiozzai e lanciai degli urli, alla fine mi lasciai cadere sul divano, stanco e imbarazzato -Joh'- dissi con la voce tremante, lei era davanti all'enorme vetrata del salotto e fissava la città sotto di noi, chissà come poteva essere fragile vista da li, una cosa così fragile ma dura come la roccia, lei si girò verso di me, lo sguardo distante, sembrava avere cent'anni -Si?- chiese poi tornando una 'normale' diciassettenne -Voglio andare a casa- dissi alla fine, mi sentivo come un bambino, ma volevo solo rivedere il mare, sentirne il profumo, e santo cielo volevo rivedere la mia ragazza!

Johanna si sedette accanto a me, e mi accarezzo il braccio -Devi essere forte- mi disse, mi girai verso di lei -Lo so, ma Joh' a te non manca casa tua? Il profumo di quello che per te è bello? Voglio una cazzo di verità- dissi, lei sospirò e annui -Ovvio che mi manca- rispose, la strinsi a me e l'abbracciai -Fino a quanto si può piegare un ramo prima che si spezzi?- sussurrai al suo orecchio, lei appoggio tutta la testa alla mia spalla e sentii la sua voce chiara e forte -Dipende da ramo a ramo- mi rispose lei, chiusi gli occhi -Tu ti sei spezzata?- le chiesi, la voce sempre più bassa, lei scosse piano la testa -Sono in fase ti rottura- una mezza risatina gli uscii dalla bocca, una risata triste, per non piangere -E io?- le chiesi, lei annui piano piano -Proprio prima- sussurro -Sono pazzo?- chiesi di rimando -No. Finnick sei solo a pezzi- mi rispose, chiusi gli occhi e la tirai giù con me, anche se il sole era alto noi ci addormentammo così, abbracciati.

Quando ci svegliammo, la fissai e risi, lei fece lo stesso -Quanto sono a pezzi?- chiesi, lei sorrise -Ti devo raccogliere con la scopa- disse lei, feci una smorfia -Mannaggia- imprecai, lei si mise a ridere e scosse la testa -Oh Finn, sei stato un miraggio- mi disse lei, si alzò e andò verso la sua camera -No, tu sei stata il mio- sussurrai più a me stesso che a lei. Dopo un paio d'ore era pronta vestita e pulita, era tornata la strafottente Johanna Mason, dal Distretto 7 -Andiamo, voglio godermi il sole finché c'è- disse lei, mi alzai e presi la giacca, lei sorrise e mi si aggrappò al braccio, non ribattei, il contatto umano non mi mancava, ma quello di cui mi importava era molto carente.

Camminammo per tutta la città, ridemmo e mangiammo fuori, come due normali ragazzi, ne avevamo bisogno.

Bisogno di libertà, di sentirci normali, senza Hunger Games, senza prostituzioni o minacce, solo due amici che si divertono come fanno altri ragazzi in questa città, avevamo molte preoccupazioni, ma per due ore erano sparite archiviate nella casella più lontana della mente, alla fine tornammo a casa ancora con il sorriso sulle labbra, Johanna aveva insistito per ordinare dei piatti d'asporto, io avevo accettato, tanto meglio. Dovevo fare io I piatti perciò.

-Dimmi Finnick- iniziò lei mentre portava alla bocca una forchettata di spaghetti di un colore sul blu, non feci domande e mi concentrai sul mio cibo -Com'è Annie a letto?- chiese, un sorrisetto le incurvo le labbra color mogano e uno scintillio le apparve negli occhi -Oh, ma che fantasie ti fai?- le chiesi arrossendo e sorridendo a mia volte, ricordavo troppo bene come il mio corpo aderiva perfettamente al suo, come se fosse appena successo, mi venne la pelle d'oca -Eh dai! Lo so che di certo quando state da soli non parlate di politica- disse, poi si acciglio e sorrise -Anzi, non credo parliate molto- rispose, scossi la testa mentre sorridevo e lei rideva con leggerezza -Okay okay, no, di certo non parliamo- dissi, ma scossi la testa -Ma non faccio commenti- ripresi, lei sembrò delusa -E tu Mason? Con chi sei andata a letto oltre quelli di qui?- chiesi, lei arrossi violentemente -Che te ne frega?- chiese, alzai gli occhi al cielo -Dai, su su- la punzecchiai, lei sorrise e abbassò lo sguardo.

-Non sono cazzi tuoi, ora mangia- disse lei, alzai gli occhi al cielo per la seconda volta ma non gli chiesi altro, alla fine buttai tutto nella spazzatura e lei sparecchio la tavola, parlottava di quello che avremmo dovuto fare il giorno dopo -Vado in salotto, se vai a letto, almeno dammi la buonanotte- disse lei, risi e tirai su un pollice, la sentii fare un gemito di frustazione, guardai fuori dalla finestra e il mio sorriso sbiadì, la città era tutta illuminata, c'era ancora gente per strada, la casa del presidente era perfettamente davanti a noi, abbassai lo sguardo, fra poco sarei tornato nel distretto, pochi mesi ancora, il tempo della mietitura, poi tornerò qui, 'Che bello' pensai sarcastico, alla fine finii di spazzare la cucina e spensi la luce di un bianco candido e andai da Johanna.

Lei stava fissando il film, era una stronzata, ma si era fissata con questa storia -Oddio, vado a letto Joh'- risposi, lei si alzò e mi abbracciò -Notte amico- disse al mio petto, la strinsi e la cullai con delicatezza -Notte amica- le risposi.

Lei tornò a sedersi e appena voltai l'angolo sorrisi e mi addormentai con un senso di sicurezza che non provavo da anni, ormai.

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Capitolo 30
*** Baci al cioccolato. ***


Capitolo ventinove.


 

Il treno viaggiava con velocità io e Johanna avevamo passato un'ora a tirarci il cibo nella prima carrozza, ridendo e scherzando, con un senso di pace quasi estraneo, ad un certo punto lei si mise a mangiare e gli cadde sulle gambe tutta la crema al cioccolato, risi fino alle lacrime, lei mi fissò furente con le mani suoi fianchi -Pensi sia divertente? Mi devo cambiare- urlò esasperata, si alzo e si leccò un dito -Però era troppo buono- disse prima di sparire dietro alla porta, rimasi seduto su quella comoda poltrona e mi sentii triste.

Avevo preso questo treno o uno simile talmente tante volte da avere I brividi e I coniati, ma pensai ai bambini che erano saliti su questi treni senza mai più farci ritorno a tutto gli anni che avevo davanti e a quello che avrei dovuto fare, dargli speranza anche se sapevo che non l'avevano, mi sentii uno schifo.

Tutto faceva schifo, almeno in quel momento, quando Johanna tornò cambiata e tutta pulita aveva uno strano sguardo -Finnick prendi la valigia, siamo vicino al tuo distretto- disse lei, si sistemò davanti a me e io mi fissai le mani, rosse e scorticate -Dovrai affrontare il viaggio da sola?- chiesi, alzai un poco lo sguardo e lei annui, poi rise, mi accigliai e lei alzò lo sguardo al cielo -Avevi una faccia- disse lei, si legò I capelli in una coda alta e guardò fuori dal finestrino, il sole stava tramontando, lo capii dalla rosatura del cielo, sorrisi, era finalmente a casa. Già.

Andai in camera mia e iniziai a raccogliere le mie cose, le avevo sistemate pensando ad un viaggio più lungo, presi tutta la mia roba e lasciai la camera in ordine, come se nessuno ci avesse mai messo piede, vuota e senza più appartenenza, presi la valigia e tornai da Johanna che era stravaccata su quella piccola poltroncina. Risi. -Se apri bocca ti taglio la lingua- disse lei, risi e mi avvicinai, sedendomi davanti a lei, mi sorrise con un po' di tristezza -Joh'- iniziai ma lei mi tappo la bocca -Non abiterò più con te dopo I giochi, mi rimandano a casa- disse lei, rimasi paralizzato.

Avevo perso anche lei, sarei rimasto nuovamente solo, senza nessuno, cosa avrei fatto? No. Non ci volevo neanche pensare, la guardai dritta negli occhi e scossi la testa -No- sussurrai, lei annui, senza distogliere lo sguardo -Mi dispiace, non sapevo quando dirtelo, ora mi sembrava il momento giusto- disse, si coprii la faccia con le mani -Dio faccio sempre un casino- disse lei, -No, hai fatto bene, durante I giochi avremmo troppi problemi, ma mi mancherai- ammisi, lei sorride e chiuse forte gli occhi -Finnick, ascoltami bene- iniziò lei, ma la porta si aprii di scatto e noi fissammo lo sguardo verso quel rumore.

Il conducente era sulla porta e aveva quel sorriso triste -Scusate, signorina Mason la vogliono di la- disse lui la voce profonda e marchiata da uno strato indelebile di tristezza, lei si alzo e andò con lui, senza dirmi una parola, rimasi in silenzio a fissare il treno che pian piano stava rallentando, il tramonto rosato baciava il treno e l'orizzonte il mare luccicava sotto I raggi di un sole più splendente che mai, pensai ad Annie, lei era splendente sempre e comunque, mi ricordai il nostro primo incontro, avvenuto qualche anno fa, era il tramonto come oggi, sorrisi, forse mi aspettava alla stazione. Speravo di si.

Alla fine mi avvinai alla porta, le immagini iniziarono a nitidizzarsi, vidi alcune case e la spiaggia forse era ancora brulicante di persone, forse altri ragazza si stavano innamorando in quella spiaggia, proprio come me e la mia Annie, questo pensiero mi fece sorridere, che cosa meravigliosa, altre persone si ameranno anche se quello rimarrà il nostro posto speciale, anche quando l'ultimo granello di sabbia fosse stato spazzato via dalla forza del mare.

Mi appoggiai alla parete davanti alla porta, tutto stava rallentando e io ero sempre più vicino a casa mia, intravidi la stazione, c'erano come sempre le solite quattro persone, madri che aspettavano ancora I loro figli, alcune ragazze o alcuni ragazzi che facevano lo stesso con le loro fidanzate, tutto questo era triste e odiavo essere vivo quando delle persone soffrivano per quel motivo. Ad interrompere I miei pensiero fu Johanna che arrivò e si mise davanti a me, mi fissò con un sorriso sulle labbra, mi accigliai -Che voleva?- chiesi, lei scosse la testa -I segreti fanno le persone- rispose lei, sorrisi -E quindi?- chiesi, lei alzò gli occhi al cielo -E quindi ti chiamo- rispose lei fulminandomi con lo sguardo.

Il treno iniziò a fermarsi, lei si morse un labbro e io mi sporsi in avanti -Johanna?- chiesi, ero preoccupato, prima era tutta carina e felice e ora era bianca come la cenere ed era come combattuta, gli misi una mano sulla spalla, in tanto fuori riuscivo a scorgere perfettamente le persone, strinsi la valigia in un mano e poi gli accarezzai la guancia, lei mi guardò negli occhi e si spinse in avanti, baciandomi sulle labbra. Rimasi paralizzato e immobilizzato, la porta si aprii e lei si staccò da me, si tocco le labbra e mi guardo negli occhi -Dovevo farlo- disse prima di buttarmi giù dal treno io quasi caddi, mi girai e la vidi fissare il muro dove prima c'ero e toccarsi le labbra con la punta delle dita, mi accigliai e toccai a mia volta le mie labbra, non ebbi il tempo nemmeno di realizzare, perché qualcuno mi girò verso se e una ragazza con due bellissimi occhi verdi coprii il sapore di cioccolato lasciatomi da Johanna.

Ero finalmente a casa.

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Capitolo 31
*** Annie Cresta. ***


Capitolo trenta.


 

Le braccia di Annie si aggrapparono al mio collo, io la strinsi ma sorrisi sulle sue labbra, mi staccai e la vidi piangere, la strinsi più forte e la sollevai da terra facendola successivamente girare come una trottola lei rise e poi le baciai le guance, asciugandole le lacrime.

Era viva, stava bene, la tenevo fra le braccia, era come un sogno, il mio cuore sembrò saltare via dal petto, solo per averla vista, quando mi sorrise quasi impazzi, dio mi era mancata talmente tanto far male, ma poi mi sentii strano. Ero stato appena baciato dalla mia migliore amica era stato solo un bacio a stampo certo ma pur sempre un bacio, e ora lei mi fissava dall'altra parte della porta, gli occhi colmi di lacrime, fissava le mie braccia intorno al minuto corpo di Annie e fissava la ragazza che amavo con ostilità e gelosia, ma anche con tanta felicità, perché si, avevo capito che provava qualcosa per me, ma lei sapeva cos'era per me Annie e sapeva cos'ero io per lei.

La fissai a lungo, mi sentivo così strano, non mi piaceva ma le volevo bene, tanto bene, la salutai con la mano e lei girò la testa di scatto e il treno partii. Quella fu l'ultima immagina che ebbi di Johanna almeno per quel giorno.

Lasciai perdere tutto e mi concentrai su Annie, lei era raggiante, mi prese la mano e si aggrappò al mio braccio chiudendo gli occhi e facendo un respiro profondo, mi chinai e le baciai la testa riccioluta castana, respirai il suo profumo, il mare e il suo sapore che sapeva sempre di casa.

-An- chiamai, lei aprii gli occhi e mi sorrise, arricciando un poco il naso a patatina, un piccolo difetto che tanto amavo, lei si mise sulle punte per baciarmi ma mi spostai, lei mise le sue mani sui fianchi come per fare l'offesa ma vidi che sorrideva -Voglio fare un bagno- dissi io, lei mi fissò e si acciglio -Non hai il costume da...-iniziò poi arrossi un pochino e abbassò lo sguardo, un sorrisetto timido gli spuntò sulle labbra, si morse quello inferiore e il rossore aumentò -Non credo si possa- disse io annui -Ciclo?- chiesi, lei iniziò a tirarmi dei pugnetti per tutto il torace e tutto il braccio, risi e l'abbracciai -Non devi mica urlarlo! E poi no, l'ho appena finito e non hai sicuramente protezioni- disse lei abbassando la voce, mi chinai un poco e appoggiai la mia fronte alla sua -Ne sei proprio sicura?- chiesi io con un sorrisetto malizioso, lei ricambio maliziosa -Spero vivamente di no- sussurrò lei, si mise sulle punte e mi baciò.

Il mare, come mi era mancato, mi tolsi tutti gli abiti e corsi verso il mare roseo e mi ci tuffai dentro, lei pure e mi venne incontro, rise e io l'abbracciai, scottava per via del sole caldo, la sollevai e la baciai lei mi si aggrappò alla vita e io le sorrisi -Ti amo, Annie Cresta- le dissi sulle sue labbra, la guardavo dritta negli occhi, lei sorrise sulle mie di labbra e annui con un piccolo cenno -E io amo te, Finnick Odair- mi disse, chiuse gli occhi e io la baciai con grande dolcezza.

La spiaggia era deserta, Annie era sdraiata su un suo telo da mare, fissava le fiamme che scoppiettavano, sorrideva e le ombre danzavano allegre sul suo viso da bambola, la fissai mentre il fuoco riscaldava le mie braccia -Non mi fissare- disse lei, sorrisi come un'ebete -Devo, dopo sei mesi, credo, che non ci vediamo voglio guardarti-dissi io, lei sorrise e distolse lo sguardo dal fuoco -Senza di te qui era l'inferno, ora che sei qui, anche per poco, sembra il paradiso, sai Mags che non migliorava e tutto il resto- disse coprendosi la faccia con le mani, mi avvicinai a lei, l'abbracciai e lei si rannicchiò al mio petto.

Suo padre era morto due mesi dopo la mia partenza lei era sconvolta ma Mags stava abbastanza bene e così l'aveva aiutata, mi arrabbiai per non essergli stato vicino ma lei mi aveva rassicurato dicendomi che Mags era stata bravissima e che mi aveva detto che se avessi potuto io avrei fatto lo stesso, mi raccontò delle voci che giravano, cose strane, si parlava del distretto 13 che come io ed Annie sappiamo è stato distrutto, si parlava di ribellione e cose così, Annie mi disse anche che avevano fatto più volte il mio nome, rimanemmo abbracciati in silenzio per un po', godendoci la compagnia l'uno dell'altro.

-Odairrr mi annoioo- disse Annie al mio orecchio, ero nella sua casa, in camera da letto, lei stava accanto e me e mi teneva la mano -Io direi di fare una cosa come mmhh fammi pensare, ah si: Dormire- dissi, lei rise e scese dal letto, aveva solo una maglia e le l'intimo, la luce era accesa perché al buio non riuscivamo a dormire -Ah ah ah NO, dai tirati su- disse io mi coprii la faccia con il cuscino per non fargli vedere il mio sorriso -No, io come ogni essere vivente dormo- risposi, lei si ributtò sul letto e mi fece fare un breve salto, -Ma cosa hai?- chiesi, con la voce ovattata, lei rise -Non ne ho idea, solo non ho sonno- rispose, mi tirai su e la fissai con un sopracciglio alzato -Io ho un'idea- dissi, lei mi diedi un pizzicotto -No, che non ti venga in mente- disse lei, sorrisi e la baciai lentamente sulle labbra, mi staccai e la vidi sorridere -Ora dormiamo?- chiesi, lei ci pensò su e poi annui, si buttò giù e le nostre gambe si intrecciarono come sempre.

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Capitolo 32
*** -Mi offro volontaria- ***


Capitolo trentuno.


 

Tic Tac, Tic Tac.

Il tempo passava, scorreva veloce, più di quanto volessi.

La mia vita andava avanti monotona. Prostituzione. Segreti. Depressione. Mietitura e ragazzi troppi giovani spenti.

Avere ventitré anni, vivere da solo, senza dignità, la donna che amavo, viveva troppo lontano da me, ci vedevamo una notte all'anno ed era la notte più bella dell'anno. Ma poi ripartivo e lei mi mancava.

La mia camera era buia, l'unica luce proveniva dal televisore, I miei occhi erano rossi e gonfi, mi sentivo uno straccio, quell'anno non mi avevano mandato a casa, fissai lo schermo senza vederlo davvero, le voci dei presentatori, vidi la mietitura del distretto uno, c'era un'ochetta bionda e un ragazzo giovane con un accenno di acne, nel distretto due, erano spietati, li vidi dallo sguardo, dai loro occhi, malvagi, mi sentii rabbrividire, arrivò il mio distretto.

Inquadrarono Annie, ero spaesata, ventitré anni, come me, la nostra accompagnatrice tirò su I due nomi, Alicia e Caleb, una bionda diciottenne e un tredicenne riccioluto, talmente spaventato da non riuscire a muoversi, venne trascinato di peso da due pacificatori, come avrei potuto aiutare queste due anime? Come avrei potuto vivere con questi altri rimorsi.

Mi presi la testa fra le mani e la strinsi fortemente. Non potevo, non sarei riuscito a sopportarlo, altri nomi entrarono nella mia mente, distolsi lo sguardo e mi bruciarono gli occhi, li avevo tenuti troppo chiusi, mi ero abituato al buio, come quello che c'era nella mia anima, dentro di me.

Il distretto dodici, l'ultimo. Il più povero fra I distretti, l'accompagnatrice era interamente vestita di rosa, molto appariscente. Era una donna gentile, mi aveva voluto per se solo per darmi conforto, quella donna non era superficiale, recitava e lo faceva divinamente, nessuno si era reso conto della sua maschera, di quello che sapeva e di quanto sarebbe stata capace, pochi lo sapevano e quei pochi la mantenevano al sicuro, perché in caso di ribellione, lei sarebbe sta la nostra arma segreta, se non l'avessero uccisa prima.

Andò alla teca delle ragazze, fissai lo schermo intensamente, la sua mano ricoperta dal gentile guanto rosa pastello afferrò un piccolo bigliettino e si sentii il rumore dei fiati trattenuti, aprii la sua bocca rosata e pronunciò un nome -Primrose Everdeen- per un attimo il silenzio era sovrano nessuno si mosse, perfino gli uccelli smisero di cantare, quando dalle righe uscii una bambina, dodici anni appena, bionda con due trecce, non era nemmeno a metà corridoio quando una voce carica di disperazione urlò le parole che mi investirono di speranza -Mi offro volontaria- urlò la ragazza bruna -Mi offro volontaria come tributo- la fissai meravigliato, una ragazza del giacimento decideva di sacrificarsi per la bambina, interessanti, molto interessante.

Ci fu molto trambusto, la ragazza sali sul palco gli chiesero il nome e rimasi li a fissarla, non avrei dimenticato facilmente quel nome. Katniss Everdeen era indelebile nella mia mente, chiamarono un ragazzo dopo Peeta Mellark, anche lui sconvolto ma con la determinazione negli occhi, si, quelli sarebbero stati dei giochi interessanti, forse avremmo trovato quello che ci serviva, prima che potessi vedere altro il telefonò squillo, corsi a prenderlo e la voce di Johanna mise alla luce I miei pensieri più nascosti.

-E' lei, sono sicura che sarà lei.-

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Capitolo 33
*** Speranza e Rivoluzione. ***


Capitolo trentadue.


 

La sala degli sponsor era piena di gente, sia mentori che sponsor, Johanna faceva la civetta con uno per il suo ultimo tributo, mi salutò con un cenno del capo, poi torno alla sua fitta conversazione.

Andai al bar e mi sedetti, I miei tributi erano morti, ero libero, niente prostituzione, potevo 'godermi' il resto dei giochi, un ragazzo dai capelli boccolosi color turchese,le labbra blu con delle pietre incastonate mi chiese cosa ordinavo, presi una semplice soda, lui mi fece l'occhiolino e si allontanò, Mags parlava con alcuni vincitori sui amici, io fissavo tutti, con un sorriso sulle labbra, ero felice senza saperne il motivo, qualcuno si mise sulla sedia accanto a me e brontolò qualcosa.

Haymitch.

Aveva lunghi capelli castani e gli occhi grigi, il viso era arrossato ed era strano, sul suo volto si leggevano le emozioni più profonde che abbia mai visto, tanto odio e tanta malinconia, gli feci un cenno col capo e gli sorrisi -Siamo sobri eh?- chiesi, lui mi fece un gestaccio e rise -Quanto odio il mondo da sobrio- disse, risi -Come tutti vecchio mio- risposi, lui mi guardò negli occhi -Sono sobrio per I miei ragazzi, li devo far uscire di li- mi confidò, batté una mano sul bancone e il ragazzo con le labbra blu si avvicinò, lasciando la mia soda davanti a me -Dica- chiese con la voce stridula da capitolino. Quante volte l'avevo sentita, in tutte le salse, rabbrividii.

-Voglio dell'acqua pagliaccio- disse Haymitch, feci una risatina e il ragazzo offeso andò a prendergli dell'acqua -Ci sputerà dentro, ne sono sicuro- disse lui, fece un mezzo sorriso, sentimmo un colpo di cannone e ci girammo, per un attimo lui sbiancò, poi si rilassò -Non è una delle mie- risposi, fissai il ragazzo trafitto dalla freccia cadere a terra, poi guardai Haymitch -Ora- mi disse -E' un'assassina- lo fissai e abbassai lo sguardo, era un'assassina, come tutti noi, come tutti in quella stanza, chi più chi meno. Ma tutti lo eravamo. Tutti.

Fissammo lo schermo mentre la ragazza del dodici cantava e accarezzava la testa alla bimba dell'undici, vidi I loro mentori coprirsi la bocca con le mani e versare alcune lacrime, Haymitch guardava lo schermo, da libro aperto si era chiuso, non leggevo niente sul suo volto, quando il cannone suonò, lui abbassò lo sguardo sulle sue mani, perdendosi nei suoi ricordi, la ragazza baciò la testa della ragazzina e versò alcune lacrime.

Quello che successe dopo mandò all'aria tutto. Tutti quanti nella sala urlarono e impazzirono, Haymitch scappò via, io rimasi a fissare la scena, quella ragazza aveva cosparso di fiori la bimba e aveva fatto il segno delle tre dita.

Sapevamo cosa significava, quello era un atto di ribellione, io e Johanna ci guardammo, annuimmo entrambi, era lei, ne eravamo sicuri.

Prima che potessimo fare qualcosa dei pacificatori entrarono a raffica nella sala degli sponsor e urlarono di andare nei nostri appartamenti, cercai Mags con lo sguardo e la vidi che stava annaspando in mezzo a tutte quelle persone, corsi da lei e gli presi la mano, ci scambiammo un'occhiata e andammo verso l'ascensore, le urla dei pacificatori erano più forti. Tutti erano impazziti e urlavano -Quella ragazza ha appena scritto la sua morte- disse Mags, io la fissai -Non credo- le risposi, lei mi guardò negli occhi e aprii un poco la bocca -Finnick- mi rimproverò, appena gli ascensori si chiusero, annui -Mags, è lei. La nostra rivoluzione- dissi, il mio petto si alzava e si abbassava il cuore stava esplodendo dall'eccitazione, sorrisi, libertà, un futuro per me e Annie.

Si.

Katniss Everdeen era la nostra speranza, lo avevamo capito tutti. Ci avrebbe aiutato. Dovevamo solo farla uscire viva e, tutto si sarebbe risolto.

Speranza e rivoluzione erano le parole d'ordine in quella giornata.

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Capitolo 34
*** Gli innamorati sventurati. ***


Capitolo trentatre.


 

Johanna era nel mio appartamento, indossava il pigiama, spiegandomi che tanto se I suoi tributi erano morti che si vestiva a fare? Non potevo dargli torto, lo avrei fatto anche io, ma a differenza sua, mi piaceva scendere nella sala grande, andare a salutare Haymitch e poterlo sostenere.

Oggi non potevo farlo.

C'era la finale, erano rimasti in tre, il sole da noi era ancora alto nel cielo mentre li stava già tramontando, johanna stava mangiando sul divano mentre io stavo tranquillamente fissando lo schermo prima che potessi dire altro la ragazza del dodici rispose alla sua domanda indirettamente -Avranno fretta di chiudere- lei la fissò e fece un mezzo sorriso -Ah- disse battendo una mano sulla sua gamba -Mi piace, questa ragazzina mi piace- sorrise e io scossi la testa fissando la scena, lei teneva l'arco teso, in allerta, il ragazzo con la gamba ferita si fissava intorno smarrito, sentimmo dei passi e vedemmo quello del due.

Era rincorso da degli ibridi, rabbrividii, ricordai quelli nella mia arena, pensai a tutte quelli che avevano creato e non potei fare a meno di distogliere lo sguardo, come Johanna e la mia Mags, anche lei aveva vissuto un esperienza simile, come quasi tutti.

La vidi tendere l'arco ma poi corse via, il ragazzo dietro di se, buttai avanti il petto e li fissai, lei che diceva di amarlo non lo stava salvando, lo stava abbandonando, che razza di bugiarda. Alla fine lei arrivò alla cornucopia e aiutò il giovane ragazzo del pane a salire, la sua gambe già malata era stata ferita nuovamente, lanciò un urlo di dolore e poi tacque.

Il ragazzo del due. Cato, era li, ferito, lottava con Katniss all'ultimo sangue, nel nostro appartamento il silenzio era sovrano, riuscivo a percepire I battiti del cuore delle ragazze che erano insieme a me, I nostri respiri sembravano essersi coordinati, nessuno diceva una parola, mi mordicchiai le labbra assistendo a quella scena.

La ragazza del dodici aveva una voglia di vivere impressionante, la vedevo vivida nei suoi occhi grigi, anche al buio la riconoscevi era una piccola scintilla sommersa dalla paura e da qualcos'altro, il suo viso non mostrava emozioni, era strano, riuscire a leggere le sue emozioni anche se il suo viso era freddo. Aveva passato molte cose quella ragazza, l'avevo capito, dal modo di nascondere tutte le emozioni e I pensieri che gli vorticavano nella mente.

Ad un certo punto sperai realmente che morisse, era la nostra speranza, certamente ma non potevo sopportare di vedere quella sua voglia di vivere spezzata e torturata dal presidente Snow, con la sua treccia laterale e quei suoi occhi grigi avrebbe attirato diversi uomini e donne, ne ero sicuro, sperai per lei che la sfigurassero e che non avrebbero potuto farla tornare bella, oppure che fosse morta.

Rimasi perso nei miei pensieri a lungo. Troppo.

Tornai in me quando vidi il giorno e due ragazzi in piedi gli uni davanti agli altri, notai una spilla sulla maglia della ragazza. Una ghiandaia imitatrice, scelta curiosa ma affascinante, lui aveva la gamba legata con una freccia e lei era senza più armi.

Johanna era sbiancata e Mags, le fissai e la mia amica scosse la testa -Ne vogliono uno solo- sussurrò, imprecai e fissai lo schermo, li vidi parlare, sussurravano parole troppo incomprensibili per poterle davvero sentire, la vidi tirare via l'arco e avvicinarsi a Peeta, prese una mangiata di qualcosa dalle tasche e rimasi paralizzato.

Morsi della notte.

Volevano suicidarsi, volevano morire pur di stare insieme? Lei voleva recitare fino in fondo? Far morire quel ragazzo con quella finta consapevolezza? No, non l'avrei accettato, feci una smorfia ma non dissi nulla, entrambi si guardarono e mormorarono alcune parole, si chinarono un poco per afferrare le bacche ma la voce dell' autoparlante li fece sorridere.

Avevano vinto entrambi. Due vincitori. Il canale venne oscurato subito dopo e ci dissero di rinchiuderci nei nostri appartamenti e non uscire per nessun motivo.

Ma ero felice, impaurito e felice perché quest'anno loro avevano giocato contro la capitale e avevano vinto in due.

Katniss Everdeen e Peeta Mellark, gli innamorati sventurati del distretto dodici avevano vinto I settantaquattresimi Hunger Games.

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Capitolo 35
*** La Ghiandaia e l'oratore. ***


Capitolo trentaquattro.


 

Il tavolo era circolare di legno pregiatissimo, accanto a me c'erano Mags e Johanna, altri tributi di cui il nome mi risultava sconosciuto, Haymitch sedeva accanto al capotavola che era Plutarch, lo stratega che stava per prendere il posto di Seneca Crane che aveva 'deciso' di 'ritirarsi', la conversazione era basata sul fatto di sabotare gli Hunger Games.

Tutti parlottolavano dicendo che non volevano far morire dei ragazzini e, che non potevamo avvisarli, perché non avrebbero mai accettato e sicuramente avrebbero parlato fra di loro, non sarebbero stati al sicuro, ne loro ne noi, quindi era da scartare.

-Signori ho la busta dell'edizione della memoria di quest'anno- disse Plutarch, un tratto, mi sentii raggelare il sangue, Haymitch emise un grugnito pari a quello di un animale, lui aveva vissuto un'edizione della memoria e aveva perso la sua 'ragazza', era morta fra le sue braccia, certamente non ne voleva parlare, oppure sentire parlare.

Mags mise un braccio intorno alle sue spalle e lui la guardò con riconoscenza, si, la mia Maggie sapeva sempre cosa fare, sorrisi e poi guardai il nuovo stratega -Cosa ci aspetta?- chiesi, lui abbassò lo sguardo -Quest'anno hanno deciso di impiantare a tutti I tributi un siero, e ognuno vedrà quello che vuole, moriranno per mano altrui senza saperlo- disse, tutti tacemmo, fece un respiro profondo -E verranno estratti tre tributi, due classici e il terzo sarà misto, questo terzo tributo sarà lucido e ucciderà gli altri- aggiunse infine, tutti rimanemmo li, a fissarci, Johanna era rossa di rabbia si alzò in piedi di scatto tanto che la sua sedia cadde al suolo con un tonfo.

-NON POSSIAMO PERMETTERLO CAZZO, NO NO NO- urlò, mi alzai e la feci sedere, fremeva dalla rabbia, la strinsi più forte e le accarezzai la guancia, che stava per essere rigata dalle sue lacrime -Va tutto bene, troveremo una soluzione- dissi, lei mi guardò e si abbandonò al mio petto, aveva ragione, la crudeltà di Snow era infinita e sapevamo benissimo che non potevamo lasciargli fare quella edizione della memoria.

Il silenzio ci segui per quasi un'ora, tutti pensavano, Johanna si era attaccata a me e non voleva andarsene, guardai tutte le persone nella sala, cercando di fermare le migliaia di idee nella mia mente, tutti avevano vinto li dentro, o almeno quasi tutti, erano comunque tutti distrutti, avevano storie disastrose alle spalle per colpa di Snow e delle sue cattiverie, le sue atrocità avevano rovinato tutte le loro vite.

Vidi diversi visi tesi dall'attenzione e dalla preoccupazione, il terrore era palpabile sui loro volti, pensavamo tutti la stessa cosa. Basta bambini morti. Basta. Tamburellai con le dita sul tavolo mentre diversi volti sfigurati oppure troppo vuoti per essere letti cercavano una soluzione, alla fine mi venne un'idea, battei la mano sul tavolo attirando l'attenzione di tutti.

-Chi altro sa di quello che c'è scritto nella busta?- chiesi in un sussurro, Plutarch fece una smorfia e scosse la testa -Noi e basta, perché?- chiese, annui fra me e me e sorrisi. Si poteva benissimo funzionare, avevo la possibilità di salvare I bambini indifesi, guardai tutti negli occhi. Uno per uno.

Deglutii e lasciai che le occhiate degli altri non mi schiacciassero, Johanna mi strinse la mano, ardeva dalla curiosità come tutti, o quasi, incrociai lo sguardo dei morfinomani e rabbrividii, meglio vivere così che non sapere nemmeno chi ero.

-Cambiamo quello che c'è scritto- dissi io, tutti annuirono, qualcuno fece per aprire bocca ma lo bloccai con la mia mano -E I tributi li sceglieremo fra quelli ancora in vita, Plutarch lascio a te la fantasia dell'arena- dissi, lui fece un mezzo sorriso, -Vi terrò aggiornati- disse, li guardai e sorrisi -Cercheremo di non ucciderci, siamo in maggioranza, ci conosciamo tutti, possiamo uscire indenni da li- spiegai, Johanna annui, aprii bocca -Dobbiamo far uscire di li Katniss e Peeta, dobbiamo ricordarci di questo- disse lei e fissò gli altri con un sorriso -Ha ragione-disse annuendo Mags -Facciamo tutto questo per tenere in vita la Ghiandaia e il nostro oratore- Haymitch aveva gli occhi distanti, come altre persone in quella sala, era la scelta giusta fa fare, perché dopotutto, a noi serviva far partire la rivoluzione, avevamo già il simbolo tutto era pronto, avremmo fatto uscire di li I due ragazzetti, anche se fossimo rimasti in tre, loro sarebbero sopravvissuti.

-IO DENTRO LA NON CI TORNO- urlò qualcuno, altri mi insultarono, alla fine Haymitch battendo un pugno sul tavolo fece scendere il silenzio -Tutti non vogliamo tornarci Brutus, anche il ragazzo qua non vuole, nessuno di noi vuole, ma per ora è l'unico che abbia proposto, io accetto, chi è con me?- chiese, la voce era strana, mi accorsi che era sobrio, alcuni alzarono le mani Johanna protese la sua e così Mags, eravamo la maggioranza.

Avevamo deciso, tutti noi, alcuni si presero la testa fra le mani altri iniziarono a piangere io pensai solo ad una cosa 'Annie' e mi prese il panico, lei non aveva la forza di tornare la dentro, proprio no, Johanna mi prese la mano e sorrise caldamente -Faremo in modo che lei non rientri- mi promise, le baciai la fronte e la guardai negli occhi con un sorriso triste, sia sulle labbra che nei miei occhi color verdemare.

-Stiamo per tornare nell'arena-

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Capitolo 36
*** Stiamo per tornare nell'Arena. ***


Capitolo trentacinque.


 

Annie era appallottolata al mio petto, fissava la televisione con ansia, mentre io ero solo impaziente, I medici del tredici mi avevano dato un sedativo per lei, se fosse andata fuori di senno quando avrebbe scoperto di dover rientrare nell'arena.

Ero nel mio distretto, il presidente aveva acconsentito ad una vacanza, o forse voleva che vedessi la devastazione negli occhi della mia amata dopo aver letto quello che ci aspettava per l'Edizione della Memoria.

Che idiota, noi sapevamo la verità, lui no, non sapeva dell'esistenza del 13, non capiva quanto sarebbe stata grande la rivolta, avrebbe portato la libertà, liberandoci dalla sua dittatura, a strapparmi quei pensieri furono I gemiti di Annie, abbassai lo sguardo e la vidi in ansia, la strinsi più forte, intanto Mags aveva preparato l'acqua per lei.

Quando il sorriso del presidente fu fisso iniziai ad agitarmi, sapevo cosa aspettarmi, come Mags, come I vincitori in generale, ma la paura era parte di noi più di quanto volessimo ormai.

Iniziò a parlare, ma non ascoltai, strinsi Annie e aspettai il peggio.

Lei stava fissando la televisione, con un'espressione indecifrabile, si morse il labbro inferiore con cattiveria e ansia, io gli accarezzai le spalle e lei mi guardò, gli feci un sorriso e le baciai delicatamente le labbra, erano gonfie e più rosse del normale perché le aveva morse senza fine.

-Perché ci mette tanto- gemette lei, si prese la testa fra le mani e la scosse, aveva paura, -Non ti accadrà niente- la rassicurai, ma me ne pentii, lei poteva essere estratta, come ogni altro vincitore, quando aveva buttato fuori l'idea non ci avevano riflettuto, ora mi sembrava una follia, non poteva rientrare la, non ne aveva le forze, avrebbe potuto morire, la strinsi più forte e affondai il viso nella sua nuca ricciola.

-Vedrai che andrà tutto bene, non permetterò a nessuno di farti del male- le dissi, intravidi Mags fare un sorrisetto, Annie si liberò di me e mi guardò negli occhi -E' una promessa?- chiese, io gli sorrisi studiando ogni centimetro del suo viso da bambola, la carne infantile era sparita e la vivacità dei suoi sedici anni era sparita ma la bellezza era come aumentata, non notavo quasi più quel naso a patatina che tanto amavo, faceva parte del suo viso e questo lo rendeva perfetto, le lentiggini erano sul suo volto e gli davano un'aria debole e dolce, cosa che gli si a diceva molto, gli occhi erano ogni giorno più limpidi, dentro quei due smeraldi amore e felicità, emozioni che amavo vedere sul suo viso.

Quando un bambino impaurito, che tremava dalla testa ai piedi portò la busta, trattenni il fiato, il presidente non la prese subito -Finn, caro vieni un attimo con me in cucina, per favore- baciai Annie e gli chiesi se per lei andava bene, lei annui e mi chiese se potevo portargli una zolletta di zucchero, acconsentii solo per poterla imboccare, andai in cucina con Mags, presi le zollette e fissai la mia ex-mentore -Mi offrirò volontaria per Annie se viene estratta- disse, sgranai gli occhi e la mi bocca si asciugò -No, non posso permettertelo- decisi, Mags si avvicinò a me, prese la mia faccia fra le mani e scosse la sua, vidi gli occhi velati di lacrime -Capisci Finnick che voglio- disse, sentii la sua devastazione interiore e capii che se si fosse offerta volontaria oppure fosse stata estratta non sarebbe uscita dall'Arena, le baciai la guancia scompigliandoli I capelli.

Tornammo in sala con il nostro tacito accordo, Annie era seduta con le gambe incrociate e fissava lo schermo, mi avvinai e gli sussurrai -Zolletta di zucchero- il mio tono era suadente, scosse la testa e la misi fra le mie labbra, lei si avvicinò e me la rubò, baciandomi quando Mags ci richiamò.

-I tributi verranno scelti fra I tributi ancora in vita- disse il presidente Snow, ma non sentii altro perché An aveva iniziato ad urlare, si stava tirando I capelli e graffiando la pelle io e Mags la bloccammo e la tenemmo stretta -NOO, noo noo- urlò scalciò e cercò di farmi del male ma la bloccammo, Mags prese il tranquillante e lo mise nella bocca di Annie la tenemmo chiusa e lei la ingoiò, gli diedi dell'acqua e pian piano si addormentò fra le mia braccia.

-Mags- iniziai, ma non sapevo come esprimergli la mia gratitudine, lei alla fine mettendo una coperta sul corpo addormentato di Annie mi sorrise -Voi due dovete sopravvivere- mi disse, l'abbracciai e la strinsi forte -Ora che ne dici di dormire? Stiamo tutti nel letto di Annie- le dissi, lei annui e ci addormentammo stretti ad Annie, l'ancora più sbilenca che potemmo trovare.

Dopo poco mi svegliai e guardai le donne nel mio letto. Le avrei protette entrambe, avrei fatto si che Mags non morisse nell'Arena come voleva e avrei protetto Annie da quel che c'era di brutto al mondo. Si, l'avrei fatto al costo della vita. Mi tirai a sedere e mi resi conto di una cosa. Stavamo per tornare nell'Arena.

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Capitolo 37
*** Grazie per Annie. ***


Capitolo trentasei.


 

L'attesa era snervante, rimanere bloccati nel Palazzo di Giustizia senza poter fare nulla era impossibile, passeggiavi per tutta la stanza ma alla fin fine non ti calmava, l'ansia e lo sgomento aleggiavano per la stanza, alcuni adulti erano bianchi come strofinacci, Annie era accanto a me, le tenevo la mano, le tremava anche nella mia stretta audace.

Mags guardava la folla e fece una smorfia ma I suoi occhi erano dolci, quando si girò verso di me abbassò lo sguardo. Non voleva guardarmi in faccia, potevo capire troppe cose dal suo viso, distolsi I miei occhi da lei e fissai la mia fidanzata.

Era appoggiata al logoro divano color verde anche se ormai il verde era bello che andato, era pieno di polvere e strappato in diversi punti, lei lo teneva stretto con una mano, il suo fragile corpo era corrotto da diversi tremiti, che scuotevano il suo piccolo corpicino, indossava una camicia che le stava enorme, le arrivava a metà cosce, sotto aveva una gonna castana e I capelli erano più ribelli che mai, le strinsi la manina e lei si girò verso di me.

Le sorrisi e lei ricambiò un po' titubante, notai che le sue labbra quando sorrideva venivano annullate, diventate di un pallido bianco che sul suo volto stavano d'incanto, tutti erano troppo presi da se stessi per badare a noi, avrei potuto baciarla quando volevo, lo guardai a lungo, lei rise a bassa voce e abbassò il viso facendomi vedere solo un ammasso di ricci castani troppo scompigliati -Mi hai già vista milioni e milioni di volte- sussurrò Annie, risi anche io e con due dita gli alzai il viso, feci un'espressione buffa e sorrisi -Non mi stancherò mai di vederti- gli risposi, lei lasciò che I suoi occhi vagassero per la stanza e alla fine tornarono ai miei -Non ci guarda nessuno- sussurrò lei meravigliata, annui con delicatezza -Si- le dissi sorridendo con tenerezza, mi sporsi un po' più avanti e le baciai le labbra, delicatamente e poi le chiesi il permesso di approfondire, lei acconsentì e la baciai con passione.

Quando ci staccammo, ridemmo entrambi, ci sembrò di aver fatto qualcosa di ribelle o cose del genere, ci eravamo baciati di fronte a tutte quelle persone, lei si coprii la faccia con entrambe le mani, le sue unghie erano mangiate ed erano rimaste corte corte, di diverse lunghezza, gliele guardai tutte e decisi di togliergli le mani dalla faccia le sorrisi -Sei più carina se ti fai vedere in faccia- sussurrai, lei rise e prima che potesse dire qualcos'altro le porte si aprirono, serrai il mio polso al braccio di Annie, lei si avvicinò a me e si strinse a me -Ho paura- disse solo, la strinsi e la baciai, volevo che tutti vedessero, ma nessuno lo fece, quando ci staccammo andammo alla porta, non tolsi la sua mano dalla mia.

Quelle furono le ultime parole che Annie mi disse.

Salimmo sul palco uno per uno, sentivo lo sguardo di tutti addosso, forse era l'ansia. Forse no.

-Quest'anno prima I maschietti- strepito la nostra nuova accompagnatrice, Siria, aveva due occhi dannatamente stupendi, ma erano rovinati dalla chirurgia che si era fatta, era semplicemente perfetta, andò alla boccia e il tempo si fermò, sentivo solo I suoi tacchi sul ferro del palco, riuscivo a percepire il fiato degli uomini dietro di me, il mio cuore che batteva all'impazzata, scorgevo tutto più nitido, la sabbia che si era depositata non si sa come sul palco, notai che brillava leggermente alla luce del sole, come se dei piccoli diamanti luccicassero per noi.

Quando la sua mano, gentilmente stretta in un guanto color prugna, entrò nella boccia la gola mi si seccò, è strano essere consapevoli del proprio destino, ancora prima che leggesse il nome mi preparai ad andare avanti, incrociai le mani dietro la schiena e tirai fuori un sorrisetto -Finnick Odair- feci un passo in avanti e salutai la folla, sorrisi alla telecamera e feci un mezzo inchino, lei mi diede dei pizzicotti sulla schiena, mi sorrise trionfante prima di tornare al microfono, ci picchiettò sopra con un dito e sorrise malvagiamente alla folla.

Andò alla boccia delle ragazze e trattenni il fiato, quando infilò la sua mano dentro pensai solo ad Annie.

Non poteva rientrare.

Non ne aveva la forza.

Trattenni il fiato e disse il nome più bello del mondo ma che il quel contesto stonava -Annie Cresta- trillò, lei ebbe una crisi isterica e cercò di buttarsi dal palco, forse, mi slanciai in avanti e la strinsi forte, era naturale oramai, non potevo vederla soffrire, lei si aggrappò al mio petto e cercò di parlare -Mi offro volontaria- urlò la voce di Mags 'No' pensai, mi girai verso di lei e la vidi annuire, Annie scappò via, lontano da tutti, non sapevo dove sarebbe andata, ma la vidi per l'ultima volta con le lacrime che ancora sgorgavano fiere sul suo volto, abbracciai Mags e le baciai il capo color argento -Grazie- le dissi -Grazie per Annie- finii la frase e lei si abbandonò alle lacrime nel mio petto.

Perché anche le guerriere più forti a volte avevano bisogno di piangere.

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Capitolo 38
*** Hai un cuore dolce. ***


Capitolo trentasette.


 

Avevo la mani piena di cristallini piccoli piccoli, per colpa delle zollette di zucchero, stavo aspettando Johanna, volevo vedere come avevano vestito lei, perché io, a mio parere, ero ridicolo, indossavo solo una rete che avrebbe dovuto coprirmi la zona del pube, ma solo teoricamente, mi sentivo nudo. Mags invece era un enorme pesce con tanto di trucco che richiamava le fantasia del nostro pesce, un tocco di classe.

Quando l'ascensore si aprii e lei uscii fuori scoppiai in una risata che veniva dal cuore, aveva un costume fatto come un albero, I tacchi avevano anche delle cose come radici, un vero albero, lei guardò me e arrossi distogliendo lo sguardo -Sei nudo- sibilò camminando con la testa girata dall'altra parte, andai dall'altro lato e trattenni il viso verso di me -E tu sei un'albero- replicai sorridendo, aprii il palmo e tirai fuori una zolletta di zucchero, alzai un sopracciglio e lei scosse la testa la prese e la mangiò schioccando le labbra quando ebbe finito -Deliziosa- disse lei, risi, l'accompagnai fino al suo carro e poi vidi arrivare Katniss, la bugiarda cronica -Vado un po' a divertirmi- sussurrai, lei guardò nella mia direzione e feci un sorrisetto complice -Anche io dopo- la lascio e vado verso la famosa ragazza di fuoco.

Arrivai e la salutai educato lei ricambiò e vidi quella maschera di indifferenza sul suo volto, avrei voluto prenderla a schiaffi, per come aveva trattato il giovane panettiere, aprii la mano e gli offrii una zolletta con la voce seducente, lei fece una smorfia, la prima espressione ed emozioni che gli vedo provare con estrema naturalezza, faccio miracoli, lei declinò gentilmente l'offerta e guardò il mio 'vestito', li mi guardò forse pensando a quello che facevo e giudicandomi come tutti quelli che non mi conoscevano davvero, iniziai ad odiarla per la sua ottusità.

-E I tuoi vestiti acqua e sapone?- gli chiesi divertito, indossava un abito lungo che riprendeva il colore del fuoco, aveva tanto di quel trucco da far paura, I suoi occhi grigi si vedevano con chiarezza, erano messi in risalto da tutto quel nero, ripensai all'anno passato e la vidi ridicola, una bambina che faceva la donna -Mi vanno stretti- rispose lei freddamente, mi avvinai a lei mettendola in imbarazzo, 'smascheriamo questa ragazzina' pensai, avevo le labbra a pochi centimetri da lei, notai il suo respiro che accellerava, gli occhi che si spostavano a destra e a sinistra e provai un moto di simpatia per lei, non l'adoravo ma era carino vederla in quello stato, così pura e semplice.

Parlammo un po' così vicini, ma poi vidi arrivare il suo 'fidanzato'. Peeta. La lasciai e mangiai una zolletta, salutai il biondo con un cenno del capo e andai da Mags che stava vicino alla nostra biga, color nero pece e con tantissime rose bianche, simbolo di Snow, I cavalli del medesimo colore del carro erano tranquilli e fissavano difronte a loro pacatamente, Haymitch era con Mags, e lei gli stava illustrando delle cose gesticolando come sempre, lui invece le stava mostrando di nascosto delle foto, mi avvinai e sorrisi, il vecchio ubriacone che stranamente era sobrio mi fece un mezzo sorriso -Ragazzo mio, siamo piuttosto coperti, eh?- chiese con ironia risi e allargai le braccia -Pensavo di togliere la rete, troppa roba- risposi sarcastico, lui mi diede una pacca sulla spalla facendo un sorriso sbilenco.

-Guarda- disse, mi mostrò l'arena e sorrisi -C'è del mare- dissi sorridendo, lui annui e poi scosse la testa -Ti facevo intelligente Odair- disse, risi di gusto -Mi sono rovinato crescendo- risposi, lui non trattenne un sorriso, mise via le foto quando dei pacificatori passarono, erano raddoppiati quell'anno, noi abbassammo tutti lo sguardo, strappandoci la felicità dal volto quando se ne furono andati, toccai il gomito di Haymitch e gli feci un cenno con il capo, mi incamminai un po' in disparte, lui mi segui.

Mancava davvero poco all'inizio della parata ma dovevo parlare con quell'uomo, mi misi nell'ombra e lui con me, mi sistemai per non farmi sentire e lo guardai dritto negli occhi, cercai le parole giuste ma esitai un paio di volte -Non vorrai mica portarmi a letto, vero?- chiese Haymitch serio, feci un sorriso sincero poi tornai serio con un sospiro -Se dovesse succedere qualcosa, il piano che non va tutto bene, predi prima Annie, dovete prenderla immediatamente- gli dissi, lui si accigliò -Dobbiamo tirare fuori prima voi- rispose Haymitch, lo presi per il bavero della camicia, avevo gli occhi incandescenti -No, io posso sopportare Capitol City, lei no, amico promettimelo- gli chiesi, udii la voce degli autoparlanti, lui mi stacco di dosso e se ne andò via, tornai da Mags e le sorrisi fintamente, lei era troppo presa dai ricordi per potersene accorgere.

Quando scendemmo dalla biga corsi da Haymitch, ancora prima dei suoi tributi, lo buttai al muro e lo guardai negli occhi -Hai deciso?- gli chiesi, lui abbassò lo sguardo -Ne ho parlato con Plutarch ed Effie, entrambi dicono che voi siete più importanti- iniziò, scossi la testa sbiancando -Ma tu sei disposto a sacrificarti per lei- disse lui alzando un sopracciglio, annui e mi guardai attorno, I due tributi stavano arrivando -Lo sai che lo farei- risposi io, lui mi staccò da se e mi diede una pacca sulla spalla -Lo riferirò agli altri e farò tutto il possibile, ora va ragazzo- mi disse lui burbero ma vidi un sorriso suo volto, corsi da Mags che mi aspettava all'ascensore e stava parlottando con le guardie senza un apparente motivo, ma tutti parlavano con Mags, le sorrisi e le misi un braccio sulle spalle -Buona serata- dissi ai due pacificatori I due non mi risposero e sorrisi, strinsi Mags ed entrammo nell'ascensore.

-So che cosa hai chiesto ad Haymitch- mi disse Mags, la fissai e feci per chiederle scusa, ma lei mi fermò -Hai un cuore dolce, tesoro mio- disse e sorrise, per davvero. Ricambiai il sorriso e poi la strinsi forte.

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Capitolo 39
*** Jungle. ***


Capitolo trentotto.


 

Agitai le mani, sbuffando. L'ansia era un nervo scoperto, scattavo come niente.

Agli allenamenti era tutto più facile, ci eravamo passati tutti da quello stadio, ma ora mancava troppo poco per rientrare la dentro.

Johanna durante la mietitura si sentiva che stava per rientrare, da quando l'avevamo proposto, e quindi l'aveva affrontata di petto per poi rimanere due giorni fuori allenamento per via di una sbronza colossale, che ha mandato a lavare diverse mie maglie e tute da allenamento, ma poi si era sfogata con me, gli psicologi gli avevano detto che non poteva tenersi tutto dentro e lei gli aveva detto testualmente 'Ma andate a cagare', non potevo di certo essere disaccordo con lei.

Tamburellai con le dita sul mio ginocchio che aveva dei tic nervosi.

A differenza di alcuni tributi io, Johanna Mags e altri sapevamo benissimo che l'arena consisteva in una spiaggia e una giungla, ma per il resto era un taboo come per gli altri, la cosa mi spaventava, se non fossi riuscito a tenere in vita Mags? Se fossi morto prima di dire addio ad Annie, con più di un bacio nascosto? Non volevo pensarci, non potevo pensarci, le lacrime mi bruciarono gli occhi, le luci bianche al neon mi davano troppo fastidio, non mi ci abituavo, I miei occhi si rifiutavano a fare una cosa del genere.

Le pareti argentee mi facevano sentire in carcere, mi presi la testa fra I capelli e scossi I miei mossi capelli bronzei, come una criniera, ero un leone, un leone domato.

Un leone che aveva perso tutto.

Avevo perso la libertà.

La mia famiglia stata brutalmente strappatami.

Come la donna della mia vita.

Quando l'allarme suonò andai dentro il pannello di vetro, toccai il bracciale d'oro di Haymitch, per aiutare la ragazza di fuoco e il ragazzo del pane.

Tastai il mio petto e sentii il regalo di Annie, sorrisi appena, una parte di lei sarebbe rimasta sempre con me, in qualsiasi circostanza.

Quando sentii meno dieci, iniziai a picchiettare le dita sul vetro, mi mancava l'aria e stavo male, mi venne in mente Johanna, lei doveva badare a Wiress e Beete, tenerli al sicuro per quella mocciosa, perché a lei servivano a pure a noi.

Appoggiai la fronte al vetro e lasciai delle patine dove respiravo, mi staccai dal vetro e fissai la botola sopra di me, chiusa e sigillata, nessun altro le avrebbe mai visto, perché era tutto finito, dopo quei giochi tutto sarebbe finito, lo sentivo dentro e io non sbagliavo mai, almeno per quanto riguardava le sensazioni interiori.

-Meno dieci- esclamò la voce metallica, mi staccai dal vetro e aspettai, chiusi gli occhi e mi concentrai sulle cose belle.

A meno nove pensai al sorriso di Annie.

A meno otto pensai a Johanna, che amava sorridere anche quando stava male.

A meno sei pensai a Mags, e a mantenere le promesse.

A meno uno non pensai ad altro che 'Sto per morire'.

Quando sbucai fuori lo scintillio dell'acqua mi mandò un'attimo in palla ma poi cercai il suo solito profumo, ma non c'era, non si sentiva l'odore della salsedine, accanto a me si trovava Johanna, lei annui con un cenno del capo e fissava preoccupata l'acqua, mi guardò con la coda dell'occhio e mi sfiorai la cintura, avevo chiesto io a Plutarch di aggiungerla, per chi non sapesse nuotare, lui si era trovato d'accordo, voleva salvare più vite possibili.

Lei sorrise un poco e si concentrò sulla cornucopia, feci lo stesso, passai a rassegna tutto il perimetro, era un leggera isola, il mare intorno come un cerchio e tutto all'esterno la giungla, annui e cercai Katniss con lo sguardo, fissava un po' spaventata il mare, trovai Peeta e anche Mags, tenni tutti sott'occhio.

Quando suonò il gong la mente si chiuse di colpo, lasciai che tutta la bellezza del mondo mi scivolasse addosso mentre senza esitare mi buttai in mare, nuotando a più non posso fino alla spiaggia.

Mi ritrova bagnato fradicio e stanco, c'era anche Katniss, gli mostrai il braccialetto e lei esitò ad uccidermi, presi un tridente e lo lanciai al petto di un tributo senza pensarci due volte, non era più un ragazzino spaventato ero un uomo con dei precedenti.

Gli urlai di coprire l'altro lato e di prendere più armi possibili, mentre raccoglievo I tridenti la sentii urlare il nome di Peeta e chiusi un'attimo gli occhi, lasciai andare tutto e corsi dal ragazzo, dovevo salvare la sua pelle, non la mia, arrivai da lei e la vidi pallida in volto mentre Peeta combatteva, mi buttai in acqua e nuotai per aiutarlo, alla fine sentimmo un colpo di cannone e la ragazza si stava già per mettere a piangere, teoricamente era incinta.

Peeta riemerse e lo portai a riva, lei lo strinse a se, con forza, non sembrava recitato, era una cosa onesta, forse in fondo lei gli voleva bene.

Iniziamo a marciare, prima che la notte calasse su di noi, cercai Johanna con lo sguardo ma non la trovai e lasciai perdere, caricai Mags sulle spalle a pregai che la mia amica fosse viva e stesse bene.

Ci addentrammo all'interno, in quella giungla inesplorata.

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Capitolo 40
*** The 75th Hunger Games. Parte prima. ***


Capitolo quaranta.


 

Camminammo per troppo tempo, non c'era una sola goccia di acqua potabile nei paraggi e noi stavamo sudando tanto.

Troppo.

Mags era aggrappata alla mia schiena, non diceva una parola, era troppo stanca e non voleva sprecare energie per fare conversazione, ad un certo punto iniziarono I colpi di cannone, vidi Katniss abbassare lo sguardo, notai un'emozione sul suo volto: delusione. Gli feci un sorriso di scherno e la chiamai, lei si voltò verso di me mi guardò con disprezzo, che bugiarda ipocrita.

-Che fanno? Si tengono per mano?- gli chiesi sprezzante, lei abbassò lo sguardo, un pezzo di frangia fradicio di acqua e sudore gli si appiccicò sul suo grazioso volto -No- sussurrò, risi -No- ripetei, il mio sorriso scomparve a poco a poco dal mio volto, -Ma a te non da fastidio?- chiese lei, quasi in un sussurro, la fissai e alzai un sopracciciglio -Stella, quando quel cannone spara, è una gioia per le miei orecchie- le dissi sprezzante, non era vero, lo sapevo benissimo e pure Mags, ma non doveva saperlo anche lei, e la sua espressione mi fece capire che non capto l'ironia della mia voce, Dio pensava seriamente che io fossi felice quando delle persone perdevano la vita, uccise dai loro stessi amici? Sperai che mi reggesse il gioco, perché nessun normale essere umano avrebbe potuto pensare ad una cosa così orrenda.

Camminammo ancora per un po', in testa c'era Peeta e per ultima Katniss, con l'arco spianato, pensai a come avesse fatto ad imparare a nuotare, per me e Mags era naturale come respirare perché da noi, prima imparavi a nuotare prima potevi aggiudicarti una vita abbastanza adagiata, per loro era impossibili, non avevano fiumi o cose del genere, solo montagne e miniere, a meno che non ci fosse qualcosa all'infuori della recensione di sicurezza, anche se, credo, non ci sia nessuno di talmente stupido da cercare di fulminarsi per una dannata nuotata.

Ad un certo punto posai Mags a terra e mi appoggiai ad un albero per riprendere fiato, Katniss era con l'arco teso e mi venne in mente una scena. Tutto il fuoco intorno a lei, mentre la treccia era sventolata da un fortissimo vento, le esplosioni erano sempre più forti, e lei continuava a tenere l'arco teso e a scoccare trecce a destra e a manca, mentre Peeta urlava ai ribelli incoraggiamenti, completamente vestito di nero e con un luccichio negli occhi, tutti urlavano con I fucili in spalla, l'immagine scemò dalla mia mente e tornai a guardare quella bimba di diciassette anni, non era realmente incinta, lo sapevamo tutti, ma dovevamo fingere per gli sponsor, secondo me e tutti gli altri era ancora vergine, questo pensiero mi fece sorridere un poco, quella ragazzina così dura e fredda nascondeva una piccola donna che aveva tutto davanti a se, guardai Mags, respirava a malapena, strinsi le mani a pugno, non potevo permettere che lei morisse, avevo fatto una promessa e io mantenevo le promesse, avrei mantenuto quella di Annie e avrei mantenuto questa a me stesso, mi costasse la vita.

Quando feci per parlare, Peeta andò troppo avanti, Katniss urlò e ci fu uno sfrigolio, il ragazzo del pane venne ribaltato all'indietro dopo che aveva colpito un muro invisibile, Katniss mollo la prese dall'arco e corse dal suo 'ragazzo' lo scosse e gli diede degli schiaffi in faccia, alla fine poggio la testa sul suo petto e iniziò a piangere rumorosamente, guardai Mags e tolsi Katniss dal corpo inerme di Peeta, mi chinai un poco mentre lei mi strattonava, alla fine Mags la portò via, mi chinai e iniziai a fargli la respirazione bocca-a-bocca, provai a mettergli in moto il cuore e sussurrai una muta preghiera, alla fine lui tossì e aprii gli occhi respirando più aria possibile, sorrisi e mi tolsi un peso dal cuore.

Feci per abbracciarlo, quando qualcuno mi scaraventò via da lui, quando guardai meglio, vidi la ragazza con le lacrime ancora che gli rigavano il volto, lo baciò con tanto amore da farmi pensare a me e ad Annie, lei lo strinse forte, lui fece un sorrisetto e respirò a fatica -Attenta, c'è un campo di forza- sussurrò, lei rise ma continuava a piangere, lo guardò e io notai che il sole cielo si stava arrossando, -Ce l'hai fai a camminare?- chiesi a Peeta, lui annui e Katniss l'aiutò, era scossa ma stava bene.

Capii delle cose.

Capii che lei non fingeva, in qualche malato sistema lei amava Peeta, non se ne rendeva conto, stava lottando contro se stessa, pensando che di non meritarselo, ma dentro di lei una vocina che ormai si stava sgolando per fargli capire, che lo amava e che lo meritava tutto.

Mi misi per ultimo e davanti Katniss, lasciando Peeta accanto a lei, volevo che lei lo sentisse vicino.

Percorremmo ancora un po' di strada e alla fine ci accampammo vicino al campo di forza, Peeta si addormentò subito e così Mags, io e Katniss rimanemmo alzati, lei fissava il mio tridente con cattiveria, io non la degnavo nemmeno di uno sguardo, -Tesoro quello che ho fatto per Peeta è stato salvargli la vita, non ti ucciderò, sennò a quest'ora il tuo corpo sarebbe freddo- dissi io, lei abbassò lo sguardo, ma non si adagiò, sospirai e sorrisi -Se tu non vuoi, dormo io- le dissi, ma non mi guardava, fissava dall'altra parte, sorrisi e feci spallucce, corsi da Mags, che era sudata fradicia e che respirava male e mi adagiai vicino a lei.

Non sognai nulla. Niente incubi. Ma il mio sonno stranamente tranquillo venne comunque svegliato dal suono delle urla di Katniss.

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Capitolo 41
*** The 75th Hunger Games. Parte seconda. ***


Capitolo quarantuno.


 


 

Non capii l'agitazione di Katniss, era solo nebbia, di un denso bianco, copriva interamente le piante, nella mia posizione da semi-addormentato, non riuscivo a ragionare, solo quando la nebbia mi toccò la mano iniziai a capire, il cervello scattò sull'attenti, dove quel candido guanto m toccava si formavano dei micidiali foruncoli bianchi, schiumosi che faceva schifo, trattenni dei coniati di vomito e urlai a Mags di aggrapparsi stretta al mio collo, dovevamo uscire da li. E dovevamo uscire subito.

Katniss spronò Peeta a muoversi e gli urlò di correre, prendemmo poche cose e scappammo, tutti spaventati da quell'orribile foschia bianca argentea che avanzava lentamente verso di noi.

L'afa era troppa e le forze venivano meno, la nebbia ci raggiunse in meno di un minuto, ansimavo dalla fatica e così Katniss e Peeta, ogni tanto la presa al collo diventava meno forte, la supplicavo di rimanere attaccata, ma tutto era così difficile, eravamo stanchi e mi sentivo mancare, 'Plutarch, spero per te che Mags esca da qui viva' pensai 'Sennò la ribellione sarà il tuo ultimo problema' continuai a correre.

La nebbia era troppo strana, mi pungeva la pelle e arrivava ai nervi, I quali avevano spasmi insopportabile, non avevo il controllo del mio corpo. Di niente. Mi girai e vidi che pure Katniss annaspava.

Eravamo alla fine.

Niente aria nei polmoni.

Nessun controllo del proprio corpo.

Lanciai uno sguardo a Mags, era più morta che viva.

Trattenni un urlo di frustrazione.

No, non poteva finire così, le mie promesse, tutto quello che avevo da fare, da dire, il futuro roseo che sognavo per me e per Annie, non potevo morire li dentro, l'avevo superata una volta, ce l'avrei fatta anche la seconda, dovevo farcela.

Si, ce l'avrei fatta! Si, bastava sperare un pochino, perché la speranze è l'ultima a morire, le braccia in quel momento diedero il loro strattone finale, fecero cadere Mags, mi girai e gli urlai di ri aggrapparsi, fissai Katniss e mi chiese se potevo portare anche Peeta.

La risposta era ovvia, mi guardai attorno, la nebbia avanzava, non so quanto avremmo durato, cercai una via d'uscita attraverso quel denso fumo bianco, ma non trovavo niente, ero sconvolto, iniziai a piangere, avevo fallito. Niente futuro. Non avevo salvato Mags e non ero tornato indietro per Annie, chissene importava della ribellione, di quei due ragazzi, anche io avevo una vita ed era stata appena uccisa.

Non potevo morire quando avevo appena quattordici anni? Non avrei fatto passare tutte quelle cose alla mia famiglia, avrei ancora una sorella, Annie sarebbe stata felice, non estratta, senza essere inclusa in gioco troppo grande per lei. Troppo grande per tutti noi.

No, io ero vivo, gli alti ventitré ragazzi erano morti per lasciare me, vivo. Io, che la vita neanche la volevo. Non mi passarono immagini davanti al volto come dicono tutti, no vedevo chiaramente l'arena, la luce della luna che baciava quelle foglie enormi e lucide, la nebbia che brillava un poco, per quanto devastante era bellissima, intravedevo le sagome delle piante all'interno della nebbia e poi vidi il viso di Mags, sciupato dalla malattia, dalla vecchiaia e da tutto quello che aveva passato.

Allora lei mi vide piangere fece una cosa sorprendente. Mi baciò appena le labbra. Sapevo che ai suoi tempi nel distretto si faceva spesso, ma era in disuso, solo quando si diceva... quando si diceva....

-Mags- urlai, ma lei non si voltò, andò dritta verso la nebbia e ci entrò, con passo lento e insicuro, il suo fragile corpo, che tante volte avevo abbracciato si contrasse, e cadde a terra, mosse un poco le sue gambine rugose e non si mosse più, urlai un'altra volta, fissai il suo corpo e urlai, Katniss mi tirò su ma non sentivo più nulla, solo I colpi di cannone, vidi I suoi sorrisi, I suoi ami, e la vidi in tutto il suo splendore.

Cademmo e gli altri due fecero dei gemiti, io non riuscii nemmeno ad alzarmi, vidi Katniss avvicinarsi all'acqua, la quale gli diede sollievo, chiamo Peeta e lo butto dentro, si lavarono e lasciarono che la nebbia uscisse dai loro foruncoli bianchi.

Io non mi mossi.

Mags.

Mags.

Non riuscivo a pensare altro.

Mags.

Mags.

L'avevo uccisa.

Non l'avevo tenuta in vita, ero uno sporco assassino, era morta per la mia debolezza, avrei dovuto aiutarla.

Non avevo mantenuto la promessa, ero un'idiota, un mostro, mi odiavo, mi sentii strattonare e poi buttare in acqua, il dolore mi riportò alla realtà, urlai, tanto, tirai fuori tutto quello che avevo dentro.

Corremmo alla spiaggia e fissai gli altri, non li ascoltavo e loro non parlarono, forse, fino a quando Katniss disse -C'è qualcuno- li alzai lo sguardo e mi girai, sorrisi, era lei, sporca di sangue, incazzata nera, con la scure in mano, I capelli appiccicati al bel viso che aveva, era lei, gli altri mi vollero trattenere ma io scattai in avanti.

-Johanna-

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Capitolo 42
*** Ghiandaie Chiacchierone. ***


Capitolo quarantadue.


 


 


 

La giornata era tranquilla, Johanna era con me, mi ricordava che stava andando tutto bene.

Ma era preoccupata per Beete, tutti lo eravamo, aveva perso la sua dolce metà, per il momento lei voleva darle dell'acqua e spronarlo ad andare avanti, chiesi la spillatrice a Katniss quando un urlo straziante ruppe quel silenzio maledetto. Su di me non fece nessun effetto, era fastidiosa, troppo acuta e ti entrava nelle ossa, metteva molta ansia, ma non mi diceva nulla.

Ma per qualcuno altro non fu lo stesso. Katniss sbiancò e l'angoscia si impadronii del suo viso da bambolina, i suoi occhi grigi si spalancarono e li vidi bene, erano preoccupati e si chiedeva cosa ci facesse qua dentro, il labbro inferiore tremava un poco e alla fine i suoi occhi diventarono vacui, Peeta fece per tenerla, ma lei scattò in piedi prima che noi potessimo fare qualcosa -Prim- urlò, la voce era così carica da disperazione da mettere i brividi.

Andò verso la voce, entrando nella foresta, il suo ragazzo fece per seguirla ma io non lo fermai. Avevamo già una persona in balia di quelle trappole mortali, non potevamo perdere anche l'altra, gli corsi dietro, urlando il suo nome a gran voce, mentre l'eco del nome di 'Prim' mi riecheggiava nelle orecchie, e per tutta la foresta, la voce smise, così come era iniziata, corsi ancora, e la trovai li, confusa, l'arco in mano e le frecce nella faretra, fissava in maniera strana tutto quello che lo circondava.

Non stava bene, ma mi mentii e capii che non era ancora il momento di parlarne, mi avvinai con cautela, eravamo graffiati entrambi per il resto illesi, volevo chiederle delle cose ma mentre mi stava parlando partii un nuovo urlò.

Questa volta riuscii subito a capire di chi si trattava.

Il mio cuore impazzì, mi guarda attorno, la gola mi si seccò.

Era lei. Si.

Strinsi le mani a pugno e guardai un attimo Katniss, era confusa nel vedermi così vulnerabile ma al diavolo lei, al diavolo tutti, dovevo trovarla. Salvarla.

-Annie. Annie- urlai disperato, corsi su per la salita, non sentivo nemmeno la stanchezza, niente era troppo per trovare la mia donna, Katniss mi seguiva, ma non tentava nemmeno di farmi ragionare, aveva capito che non l'avrei ascoltata, aveva capito un sacco di cose in così poco tempo, ma in quel momento non me ne fregava molto, corsi fino ad un'altra radura, mi guardavo attorno, lei continuava ad urlare.

-Annie- pregai disperato, cercai di non mettermi a piangere, Katniss si arrampicò su un albero e quell'orribile rumore smise, lei aveva smesso di urlare, mi guardai lo stesso attorno, per poter vedere la mia fragile ragazza, rannicchiata e dondolante, mentre piangeva e aveva bisogno di me, ansimavo.

Forse stava bene. No. Scartai l'idea, con un urlo del genere non poteva stare bene, ma se non era nell'arena come aveva fatto ad urlare così tanto? Ebbi la risposta quando vidi Katniss con in mano quell'uccellaccio nero e bianco. L'ibrido degli ibridi.

Una ghiandaia chiacchierona. La guardai confuso, loro ripetevano i suoni che sentivano, perciò... perciò.... -La voce era la sua. Dove credi che l'abbiano presa?- chiesi interrompendola, non era la mia Annie, no, certo, ma le stavano facendo del male. Sperai che la tortura era finita ma un'altra voce riprese a gridare. Su Katniss fu devastante, iniziammo a correre, ne arrivavano sempre di più e tutte urlavano come Annie, altre come un certo Gale e una certa Prim, ma tutto era devstante.

Tornammo al campo di forza e ci andammo a sbattere contro, mentre quei mostri in bianco e nero cercavano di abbatterci, circondandoci con le loro perfide ali nere, come la morte stessa, vidi Katniss con una mano sul vetro mentre Peeta teneva l'altra, Johanna piangeva dall'altra parte e cercava di aiutarmi e alla fine cedetti.

Mi misi a terra e mi rannicchiai, scacciai le ghiandaie e mi graffiai più e più volte le orecchie, volevo solamente che la sua voce sparisse, che lei stesse bene, l'unica cosa che sentii fu il pianto di Katniss e la disperazione delle nostre urla.

Sentivo le mani nei capelli, Johanna mi rassicurava, ma no mi sentivo meglio era colpa mia, forse adesso era morta e la colpa era sola mia. Feci un cenno brusco e andai verso l'acqua. Il mio elemento. Il nostro elemento.

Mi sedetti in mare e sentii la voce di Katniss -Ecco chi ama Finnick. Non una delle sue tante amanti di Capitol City. Ma una ragazza pazza del suo distretto- mi stringo nelle spalle, tutti hanno capito il mio punto debole, ma prima o poi sarebbe successo, forse non era il momento adatto ma comunque è successo, mi maledii per averla messa in mezzo, lei meritava di meglio, e io non lo ero. Ma aveva scelto me rendendomi felice nella mia tristezza, passai le mani sulla sabbia bagnate e mi tranquillizzò, poi lasciai che le mie dita giocassero con quell'acqua così limpida color del cielo.

Il cielo. Alzai lo sguardo e rimasi abbagliato, il cielo di quel rosa che mi ricordava tanto casa, dio se l'amavo, era così bello, erano anni che non lo guardavo per punizione ma ora basta, ora volevo godermelo, guardare tutto quello che potevo e giocare con le nuvole come un bambino, sorrisi non essendone consapevole.

Il cielo era così bello.

Era bello come lei.

Coma la mia piccola ragazza pazza.

Bello come Annie.

Come Annie Cresta.

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Capitolo 43
*** Atlas (Annie Cresta) ***


Capitolo quarantatré

Annie.
 

Intrecciare.

Tenersi occupata.

Non guardare costantemente i giochi.

Erano regole facili da rispettare per non uscire di testa, da dopo la morte di Mags non guardavo più i giochi ogni momento, mi rilassavo, andavo alla spiaggia mia e di Finn, guardavo il mare e lo immaginavo sorridermi mentre usciva dall'acqua, con gli addominali scolpiti che luccicavano per via del petto bagnato, i capelli scompigliati da appena sveglio e le fossette, oddio se mi mancavano quelle fossette, non lo vedevo da troppo tempo, e mi mancava.

Avevo i capelli legati in una coda un po' lenta e alcune ciocche mi ricadevano sul viso, stavo intrecciando una rete, il lavoro era aumentato, non ne sapevo il motivo, ma più lavoravo, meno guardavo i giochi, e andava bene così.

Li stavo guardando, non da molto perciò non capivo molto di quello che stava succedendo, avevo capito quello che succedeva nell'arena, la questione dell'orologio, ora stavano spartendo gli ordini, Katniss e Joh' dovevano portare il filo fino alla spiaggia mentre Finnick, Peeta e Beete dovevano sistemare l'albero. Povero Beete, era così coraggioso, avrei voluto abbracciarlo, mi strinsi addosso la felpa di Finnick e ci affondai dentro lasciando fuori gli occhi, mi morsi il labbro e fissai la televisione.

Mentre le due ragazze partirono Finnick giocava con il suo tridente, ridacchiai, mi ricordavo come ci scherzava quando era qua, questo pensiero mi fece venire nostalgia di quando non eravamo divisi dagli Hunger Games, anche ora lo eravamo, ma mi aveva promesso che dopo questi saremmo stati insieme fino alla fine, non sapevo perché ma un futuro così mi rendeva molto felice, fin troppo.

-Heyy Finnick, ma chi è Annie?- gli chiese dopo un po' Peeta, lui sorrise e si mise il tridente in spalla -Una persona- disse sorridendo, aveva gli occhi brillanti, si vedevano alla luce della luna -Proverai a tornare da lei?- chiese prudente Peeta, il mio fidanzato fece un'espressione strana poi annui sospirando -Gli ho fatto una promessa- sussurrò, guardava quel terreno così inospitale poi guardò su e sorrise a Beete -Amico, ma è tutto pronto?- chiese, l'altro sollevò gli occhiali e gli sorrise -Se le ragazze tornassero potremmo allontanarci dall'albero di poco- disse con un sorriso, mi abbracciai le ginocchia e ci appoggiai sopra la testa piegandola di lato, mi iniziò a battere forte il cuore.

Era una sensazione ma sentivo che sarebbe andato tutto male, sperai che fosse solo la paura a farmi pensare a queste cose.

Tutto andò bene, finché il filo non venne tagliato, si senti un sonoro 'sdom' e tutti si allarmarono subito, vidi Peeta mimare con le labbra il nome della sua amata e poi Finnick scattare inseguito da Peeta, Beete si guardava attorno ma non capiva molte cose, farneticava ma erano incomprensibili.

Inquadrano Finnick che correva da Johanna ma era come scomparsa, era solo in mezzo alla giungla mentre la ragazza di fuoco si nascondeva per non farsi trovare impaurita, avrei voluto urlargli che non gli avrebbe fatto del male, che lui era un ragazzo dolce, ma la dentro nessuno poteva fidarsi di nessun altro.

Vidi dei lampi fuori e degli spari provenienti dal mio distretto, le urla delle persone, corsi alla finestra mentre mi giungevano gli urli dei tributi, chi erano?

Forse Peeta? Johanna? Chiedevano aiuto? Non si capivano erano urli e basta, non avevano significato, mi affacciai e vidi del fuoco, chiusi le tende e respirai affannosamente, che stava succedendo? I pacificatori urlavano e sentivo altre voci, davano comandi su comandi, cosa volevano? Perché ci stavano facendo questo?

Tornai a guardare la televisione con ansia, stringendomi nella felpa con fare protettivo, il suo profumo mi rassicurava.

Vidi Katniss con un del sangue che gocciolava lungo il suo braccio, poi inquadrarono Peeta, che stava tossendo in preda a degli spasmi in mezzo a delle piante e Johanna che correva, non so dove ma stava correndo molto veloce, Finnick arrivò nella radura con Katniss, lei era spaventatissima, lui alzò le mani come a dire 'Va tutto bene' poi la guardò annuendo -Katniss- disse guardandosi attorno -Ricorda chi è il vero nemico- cosa diavolo significa? Mi domandai, ma lei capii prese pezzo del filo speciale di Beete e lo legò ad una freccia, le nubi temporalesche erano grigie, e i fulmini crepitavano minacciosi, lei si preparò e alla fine inquadrarono il cielo.

Trovai una stella appena prima che tutto esplodesse.

La trasmissione venne interrotta e lo schermo diventò nero. La calma era surreale riuscivo a percepire perfino la polvere che aleggiava per aria, il mio cuore stava battendo con estrema forza, la chiamano calma prima della tempesta, ed è peggio della tempesta stessa perché la tua mente immagina, e a volte sono cose atroci che non puoi nemmeno spiegare.

Mi raggomitolai sul divano e mi coprii le orecchie con le mani e strizzai gli occhi.

Tutto bene.

Si.

Stava andando tutto bene. Dovevo respirare, un respiro profondo e tutto sarebbe andato bene, come sempre.

Bussarono alla porta e feci un grido soffocato, mi strinsi nella felpa e non risposi, loro bussarono ancora e ancora, io rimasi immobile, non gli avrei aperto, e nemmeno risposto.

Loro non la pensavo allo stesso modo.

Spalancarono la mia porta e io li vidi, erano tutti vestiti di nero, lucidi come perle, li guardai ansimando, erano muti e mi guardavano, cosa stavo aspettando? Poi una voce indistinta urlò loro di prendermi, cercai di scappare ma mi presero, scalcia disperata, li picchiai ma mi si ruppero le unghie, le quali sanguinarono, mi attaccai alla porta con le lacrime salate come il mare che scendevano giù per le mie guance, arrossate dallo sforzo.

Il sangue macchiò la porta, strinsi forte lo stipite fino a quando le mie mani, che si erano aperte per lo sforzo, abbandonarono la presa, mi divincolai dalla loro forte presa piangendo -Finnick- urlai disperata, lui aveva promesso che sarebbe andato tutto bene, ma non stava andando tutto bene, perché non aveva mantenuto la promessa?

Mi buttarono in un hovercraft e mi rannicchiai in un angolo, ero sola. Era tutto buio e avevo paura.

-Fin, ti prego, vienimi a prendere- sussurrai guardando la sua felpa che era macchiata del mio sangue.

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Capitolo 44
*** Effie. ***


 

Capitolo quarantaquattro.


 

Mi svegliai annaspando.

Non ero più nell'arena, sentivo l'aria fresca e sapeva di non so bene cosa, tutto intorno a me era grigio e nero con delle strisce argentee, il rumore metallico riecheggiava sovrano in quel silenzio di tomba, che stessi sognando questo posto come cattivo auspicio, sperai di no.

Mi tirai a sedere e sobbalzai, accanto me c'era Beete incosciente, -Amico mio- sussurrai, presi ad osservare tutti quei tubicini e sentii dei 'bip bip' arrivano da lui, a cosa servivano? Feci per toccarli ma l'esperienza mi disse lasciarlo stare, era meglio così dopotutto, ne ero spaventato, mi alzai e feci un gemito di dolore, la testa mi faceva un male assurdo la scossi un pochino e mi massaggiai le tempie sperando che fosse solo per l'essermi svegliato male.

Gli arnesi medici erano ovunque in quella stanza, avevo ancora gli abiti dell'arena, bruciacchiati e sporchi, puzzavo e avevo bisogno di un bagno, mi balenò in mente una cosa. Annie. Doveva essere li da qualche parte, era meglio che mi facessi veramente un bagno se volevo stare in intimità con Annie volevo essere pulito e in forze per tutto quello che avremmo fatto, mi scappò un risolino, mi passai una mano fra i capelli ravvivandoli, decisi di alzarmi e cercare qualcuno di non svenuto o mantenuto in vita da qualche congegno medico.

Vidi una porta scorrevole, mi avvinai ma non troppo, non volevo farla scattare, visto che stavano parlando, -No, no Effie non possiamo tornare indietro- disse una voce familiare, Haymitch! Una donna sbuffo -Dobbiamo tentare- replicò, era troppo normale per essere l'Effie che conoscevo anche io, era troppo normale -Non possiamo, donna abbiamo il simbolo di Panem su questo hovercraft, vuoi metterla in pericolo?!- scattò Haymitch, sentii lo stridere di qualcosa per terra, forse una sedia -Lo devi al ragazzo- sibilò, chi? Quale ragazzo? Alla fine mi avvicinai troppo e la porta si aprii.

Dentro la stanza c'erano tre persone, Plutarch Haymitch e una donna dai capelli biondi e gli occhi azzurri, i capelli come spaghetti le ricadevano per le spalle e la faccia era giovane mi guardava con gli occhi che dicevano 'scusa' non capivo perché, tutti mi fissarono io li salutai e gli sorrisi -Ciao, sono sveglio- dissi, Haymitch diede una manata sul tavolo e imprecò -Ciao- rispose burbero, mi appoggiai al muro, -Che facce da funerale- dissi, poi mi irrigidii -Non è che Johanna è...?- chiesi pieno d'ansia, Effie sbuffo e lanciò un'occhiataccia al mentore del dodici.

-No, no, Finnick ti prego- iniziò Plutarch, sorrisi e feci un sospiro di sollievo -Santo cielo era preoccupatissimo, è ancora svenuta o sedata?- chiesi, mi avviniai al tavolo e mi ci appoggiai, gli altri non risposero, non capii perché -Posso farmi un bagno, se Annie dovesse vedermi così scapperebbe via- risi, gli altri non lo fecero -Dai ragazzi, che c'è?- chiesi ansioso, odiavo quel silenzio, perché nessuno mi parlava? Era snervante, inizia a cercare qualcosa con cui fare i nodi.

Mi agitai sul posto -Ragazzi?- chiesi ansioso ridendo, loro non mi guardavano nemmeno, fissai Haymitch che guardò Effie -Diglielo tu- gli urlò, l'altra si alzò in piedi mostrando un corpo magro chiuso in un abito grigio che le stava divinamente, era una ragazza bellissima e guardava Haymitch con diverse emozioni contrastanti sul volto.

-Perché io?- chiese, l'altro alzò un sopracciglio -Perché io e Plutarch dobbiamo fare quella cosa- disse facendogli l'occhiolino, lei annui e i due ragazzi se ne andarono lasciandoci solo, -Vieni Finnick siediti accanto a me- disse gentile, lo feci e presi le sue mani -Che sta succedendo?- chiesi guardandola in quei suoi occhi azzurri -Effie siamo amici, dov'è Annie?- chiesi ansioso, lei si morse il labbro roseo e mi lasciò le mani che stavano tremando -Tesoro ti abbiamo preparato un bagno, puzzi un po', dopo averlo fatto ti diremo dov'è, okay tesoro?- cercai di protestare ma poi lasciai perdere, lei si alzò massaggiandosi le tempie, era una bella ragazza dopotutto.

Uscii proprio nel momento in cui Haymitch entrò dal modo in cui guardava Effie non mi avevo visto perciò scivolai fuori senza troppi convenevoli, ma rimasi a portata di orecchio, volevo sentire quei due, che avevano da dirsi, un singhiozzò mi arrivò ovattato, mi avvinai ma non troppo, la porta sennò sarebbe scattata, non riuscii a sentire molto, solo qualche frase del tipo, lei sarà sconvolta, come lui o cose così, non ci capii una mazza, alla fine stanco mi appoggiai al muro, cercando di non far scattare la porta -Mi mancherai- disse lui dolcemente, da quando Haymitch era dolce?! Ascoltai ancora e sentii un sospiro -Anche tu mi mancherai, mi piaci- così disse la vocina timida di Effie -Anche tu mi piaci senza tutto quel trucco- disse il mentore del dodici, oddio che cosa dolce e maledettamente tenera -Fai attenzione alla capitale, capito?- disse lui con la voce da bimbo di cinque anni, smisi di ascoltare sennò sarei scoppiato a ridere e li lasciai li, nella loro privacy.

Il bagno mi aveva fatto bene, molto bene, avevo fame e volevo scoprire dov'era Annie e Johanna, entrambe non le vedevo da tanto tempo e neanche a bordo, era preoccupato da morire, non sapevo dove eravamo, cosa sorvolavamo, era snervante non sapere.

-Haymitch avanti diglielo- disse esasperato Plutarch, li avevo assillati per delle risposte, l'altro sbuffò e si passò una mano fra i capelli castani, era un bell'uomo e notavo ancora che non voleva mandare via Effie, era preoccupato per lei, la voleva al sicuro, come ogni ragazzo vuole al sicuro la propria fidanzata, almeno speravo che stessero insieme, stavano così bene -Finnick hanno preso Peeta- iniziò, imprecai -Katniss sarà devastata- dissi mordendomi un labbro, non la odiavo più, dopo che le avevano raccontato la mia storia, lei capiva i miei comportamenti, il buon umore per nascondere il dolore.

-Finnick, hanno preso anche Johanna e Annie- disse piano, scoppiai.

Piansi a lungo, cercai di farmi del male da solo, ma i due mi trattennero, non poteva essere vero, le donne della mia vita, le cose più importanti per me così, prese, Snow non poteva averlo fatto davvero, lui mi odiava, fino a questo punto però? L'avrei ucciso e avrei riso nel farlo, si, quel viscido ibrido doveva morire di una morte lenta e dolorosa e mi sarei assicurato personalmente che gli fosse inflitto dolore.

-Dobbiamo riprenderceli- sibilai, sprizzavo rabbia da ogni poro, e gli altri mi misero le mani sulle spalla -Finnick dobbiamo aspettare, ma li riprenderemo, te lo prometto- mi assicurò Plutarch, di Haymitch non mi fidavo più quell'idiota, non l'aveva salvata, avrei preferito che avessero preso me, invece che lei, fragile com'era, l'avrei salvata perché lei una volta aveva salvato me.

Perché era questo che facevamo noi due.

Ci salvavamo a vicenda.

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Capitolo 45
*** Il precipizio (Annie Cresta) ***


*Contenuti forti.

Capitolo quarantacinque.

Annie.


 

Buio.

La cella era buia e sporca, sentivo i topi passarmi sui piedi e sul corpo scheletrico, tremavo tutta e lo facevo tutto il giorno, per la paura.

Johanna mi rassicurava parlandomi di Finnick, diceva che mi avrebbe salvato, come sempre, ci speravo. Ero sull'orlo di un precipizio troppo alto e la terra si stava sgretolando sotto i miei piedi, facendomi cadere a nell'oblio.

Vidi la porta aprirsi la luce entrò e io cercai di catturarne un poco, ero soffocata da quel buio e volevo la luce, volevo che m baciasse il volto pallido e sporco, ne avevo bisogno per poter stare meglio, volevo vederla per rendere un po' più stabile quella terra traballante, Peeta venne trascinato fino alla sua cella poco distante dalla mia, era svenuto e picchiato, vedevo il sangue uscirgli dal naso, pensai fosse morto, ma poi emise un gemito quando lo lanciarono dentro la sua cella peggio di un sacco di una rete da pesca, mi vennero incontro e iniziai ad agitarmi, finii in iperventilazione iniziai a piangere non facendo rumore.

Eravamo tipo una decina circa, ma due erano morti la scorsa notte una era una bambina di appena quattordici anni, struprata fino alla morte, non era altro che una bimba in fin dei conti, con quale coraggio potevi fare una cosa del genere ad una bambina? Rabbrividii ripensando al suo corpo ricoperto di sangue, pallido e freddo, gli occhi nocciola caldi, morti e gelidi, altre lacrime scesero sulle mie guance lasciando dei solchi dove prima c'era lo sporco.

L'altro ragazzo che era morto, aveva diciassette anni, ucciso perché era ribelle, lo avevano messo nella cella accanto alla mia, erano entrati armati e avevano puntato dritto a me e alla fine erano svoltati alla mia sinistra, lui gli aveva urlato che avrebbero ucciso lui, non la ribellione, loro senza tanti complimenti gli avevano sparato. Il sangue era arrivato fino al mio volto, quella notte non riuscii a dormire, pensando a quel ragazzo bello come il sole e spento come una candela senza più ossigeno.

'Sarò io la prossima' pensavo ogni volta che la porta veniva aperta, toccai le parole incise prima che io arrivassi li, c'era scritto ''Speranza'' i miei polpastrelli la tracciarono per bene, io stavo esaurendo anche quella, era così poca la mia speranza che mi era attaccata ad un'incisione su un pavimento lercio.

Un pacificatore aprii la mia porta notai che era vestito di nero, iniziai a gemere per la paura, mi tirò per i capelli e io urlai per il dolore feci per alzarmi in piedi ma mi diede un calcio nello stomaco ributtandomi a terra, tossii ripetitivamente e lo guardai -Puttana che non sei altro- sibilò sputandomi sul viso.

'Tocca a me' pensai, non volevo morire, non volevo no. Mi trascinarono per tutto il pavimento, piansi in silenzio aspettando il colpo di grazia.

Mi buttarono dentro una stanza bianca, senza altri colori solo dei piccoli coltellini, che si usavano per pulire il pesce, chiusero la porta e mi rinchiusero dentro, mi sedetti a terra prendendomi la testa fra le mani e sentii la sua voce come in un sussurrò, cedetti e piansi -Finn- mormorai senza voce ormai, rimasi li troppe ore, ero quasi cieca, avevo fissato quel bianco troppo a lungo, alla fine mi addormentai.

Mi svegliai ore dopo, il silenzio era assordante, sentivo i miei respiri farsi irregolari, mi guardai attorno per trovare una via d'uscita, ma non trovavo niente. Risi. Dopo tutto risi, non potevo fare altro, sentivo che il terreno si stava spaccando e io stavo cadendo ridendo come un'ebete, perché non riuscivo a lottare, non volevo lottare. Ormai il terreno era andato.

Stavo cadendo, una caduta con un solo finale. E non era dei migliore, presi la mia testa fra le mani, era così rumorosa urlavano tutti la dentro, -ZITTA- urlai e mi si schiarirono le idee, vidi le lame e sorrisi, ecco la morbida caduta.

Andai a prendere quei coltellini, volevo veramente farmi del male? 'Si che lo vuoi' mi sussurrò la mia vocina interiore, ormai era un sussurro ma non avevo nessun altro da ascoltare e poi lo volevo fare, sorrisi alla stanza -Vi piace l'uccellino in gabbia eh?- urlai quasi felici, iniziai ad incidermi le braccia quel bianco si colorò, i miei abiti presero di nuovo quel rosso vivo che avevano avuto la settimana prima, mi era venuto il ciclo e mi ero sporcata, non avevo il coraggio di dirglielo, mi vergognavo e la paura era troppo. Andai al muro e iniziai a scrivere con il mio stesso sangue mentre ridevo, avevo scritto sono pazza a grandi lettere.

Le forze vennero meno e mi accasciai a terra, lasciando che il sangue circondasse la mia figura, facendomi morire, sorrisi, finalmente la pace eterna -Sono morta- sorrisi al cielo e chiusi gli occhi, le porte si aprirono e due medici iniziarono a fasciarmi le ferite, li pregai di farmi morire loro mi accarezzavano la testa sporca e mi cullavano dolcemente -Vi prego- pregai, mi sorrise gentilmente, aveva gli occhi azzurri gentili gentili, mi infilarono un ago nel braccio e guardai il soffitto bianco.

L'oblio mi assalii, stavo cadendo dal precipizio.

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Capitolo 46
*** Madre (Annie Cresta) ***


Capitolo quarantasei.

Annie Cresta.

 

Mi svegliai annaspando.

Libertà. Avevo sognato di essere a casa, con Finnick tutto era finito, tutto quanto.

Sentii dei lamenti e delle urla -L'ammazzo- urlò una voce maschile, la riconobbi dopo altri due urli. Peeta. Mi tirai su, da quel pavimento sporco e polveroso mi girai verso di lui -No, tu l'ami- disse la voce gentile di Johanna, era lacrimosa, come se le stesse trattenendo, sperai che non lo facesse, era peggio per lei.

-No, lei mi vuole uccidere- urlò lui, iniziò a gridare e a sbattere qualcosa contro le sbarre di ferro, le guardie entrarono e lo trascinarono via, alla luce vidi che Peeta aveva la schiuma alla bocca i capelli biondi, sporchi e unti gli ricadevano sul volto, gli occhi azzurri erano orrendamente cattivi, rabbrividii, Johanna singhiozzò, mi avvinai alla sua cella e la chiamai, lei mi raggiunse e si raggomitolò il più possibile vicino a me.

Cercai di abbracciarla, alla meno peggio, lei si appoggiò come possibile al mio petto e respirò a pieni polmoni -Johanna- sussurrai, lei si strinse più forte a me -Dimmi che verrà, dimmi che ci tirerà fuori di qui- sussurrò, stava ancora piangendo, feci uno 'Shh' e l'abbracciai e la cullai un poco -Lui verrà- le dissi, all'orecchio, si strinse più forte al mio vestito -Non ci abbandonerà, lui ci vuole bene, ti vuole bene- dissi, lei pianse a lungo e io mugolai una ninna nanna per calmarla -Annie?- sussurrò lei con voce impastata, la cullai, gli baciai la testa e notai che era stata rasata a zero, oddio, povera ragazza, -Dimmi- le risposi dolcemente, sorridendo appena, -Canta ancora- mi supplicò, la strinsi forte così da poterla abbracciare meglio, e rimasi li, a cantargli una ninna nanna del mio distretto, per farla sentire a casa, sulla sua casa non sapevo nulla, nessuna canzone stupida, nessuna ninna nanna, o neanche l'inno, non potevo ricordargli nulla di famigliare, ma potevo presentargli la mia casa, cercando di rassicurarla, quando capii che si era addormentata l'accarezzai e sospirai, mi sistemai così da poter dormire un poco -Finnick, ti prego- sussurrai al nulla.

Mi vegliai la mattina dopo, con una strana emozione dentro di me, Johanna era ancora stretta a me e si agitava nel sonno, la vedevo star male, li in quel mondo che doveva essere ospitale -Johanna- dissi gentilmente, lei mugolò, la strinsi e la baciai sulla testa, per fortuna non era malata -Joh' svegliati dai- sussurrai, lei strinse forte il mio corpo con le sue manine tutte rovinate e aprii gli occhi, mi guardò con gli occhioni color cioccolata, pieni di lacrime. Era così vulnerabile.

Era così triste, sembrava una bambina, troppo spaventata, come lo ero io, ma ora dovevo rimboccarmi le maniche, lei aveva bisogno di me, dovevo starle accanto, farla parlare, distrarla da tutte le cose brutte, le sorrisi, era un sorriso contorto, era devastata, stanca e l'ansia era la mia padrona, ma dovevo reprimere tutte quelle emozioni per il suo bene. Mi ritrovai a consolare Johanna Mason, la ragazza che aveva finto di essere vulnerabile, la ragazza forte, che non aveva bisogno di nessuno.

Ora era spezzata, caduta anche lei da un dirupo, e io la ragazza pazza del distretto quattro dovevo far si che non rimanesse sul fondo, portandola con me in quella lunga scalata fino alla luce.

-Ciao- la salutai, lei si strinse a me e si guardò intorno, il buio non permetteva una grande visuale, la porta si aprii e lei conficcò le sue ossute dita nella mia esile figura, -Shh- le dissi cullandola, lei gemette era sull'orlo di scoppiare a piangere -Va tutto bene, ci verranno a prendere- le dissi, lei affondò il suo viso nel mio petto e pianse, ma proprio a dirotto, con i singhiozzi e tutto, una vera crisi isterica, la cullai facendola sfogare, accarezzandole la schiena, sentii la sua spina dorsale, era troppo infuori, non andava bene, era denutrita.

Come tutti noi.

Quando smise, mi guardò negli occhi, riuscivo a scorgere quel nocciola caldo e accogliente -Mi prometti che verranno? Eh? Ce ne andremo vero? Via da qui, sani e salvi- disse, era come una bambina, non potevi non mentirgli, io ci credevo ancora, ma ormai stavo smettendo, sarei morta li, senza avere figli, senza sposarmi, senza più poter baciare Finnick, lo sapevo, ma lei ancora ci credeva. Ci sperava, le sorrisi tristemente -Certo, e vivremo felici- dissi, lei sorrise e annui -Siamo cambiate Annie- disse, la strinsi e sospirai -Tutti qui dentro siamo cambiati- le risposi dolcemente, mi vennero a prendere e lei si aggrappò a me, quando mi trascinarono via lei urlò -Tornerò, lo prometto, aspettami Johanna- urlai, lei gridò un -Annie- disperato e non riuscii più a vederla.

Mi fecero sedere su una poltrona comoda comoda, dei medici con gli sguardi assassini mi vennero incontro, iniziai ad agitarmi -No, vi prego no- dissi guardandomi attorno, la gola mi si chiuse e iniziai a piangere, Johanna! Cosa avrebbero detto a Johanna? Le avevo promesso che sarei tornata, lei contava su di me e non potevo lasciarla sola. Non adesso almeno. -Ho lei- urlai, loro sembravano non capire, avevano ragione, chi era lei poi? Non era mia figlia, ma in quel momento lo era, o almeno dovevo fargli da madre in quell'occasione, lei c'era sempre per me, io dovevo esserci per lei, e ci sarei sempre stata, per qualsiasi cosa.

-Non fatemi del male, lei ha bisogno di me- li supplicai, una donna, i capelli biondi e gli occhi azzurri gentili, era familiare, senza trucco però non riuscivo a capire chi era, quando sorrise mi balenò in mente una donna, vestita sgargiante ma prima che potessi chiedergli qualcosa lei scosse la testa -Non ti farò del male, Annie, ma devo farlo- disse, la voce carica di tristezza era troppo simile alla sua!

Sgranai gli occhi e boccheggiai -Effie!- esclamai, i medici si voltarono verso di noi e lei mi pregò con lo sguardo di stare zitta -No- dissi poi fingendo -Mi sono sbagliata- sussurrai, lei chiuse un attimo gli occhi, vidi le sua palpebre chiare tramare, riaprii gli occhi e mimò con le labbra un 'Scusa' e io annui, mi distese il braccio e un liquido venne iniettato nel mio braccio, chiusi gli occhi e delle immagini terrificanti mi entrarono nella mente.

Vedevo solo morte, devastazione e io non potevo fare nulla, un bambino, con gli occhi verdi come quelli del mio amore che sputava sangue dalla bocca e poi si fermò, lo scossi e urlai, era morto, avevo un bambino morto in braccio, il mare era rosso sangue, tutti erano morti. Tutti.

-NO- urlai svegliandomi di colpo, mi tennero ferma e io mi guardai attorno. Bianco, tutto era bianco, gridai ancora.

No, non poteva succedere, mio figlio! Volevano uccidere anche mio figlio, io non li avevo, ma li volevo, cosa significava? Che avrebbero ucciso tutti quanti? No, non potevano, non avrebbero usato, li odiavo, mi dimenai e alla fine mi legarono rovesciai la testa all'indietro, urlando e guardai il soffitto bianco candido e piansi.

-Finnick, fai presto- gridai prima che qualcosa mi pungesse il collo e che mi facesse smettere di esistere.

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Capitolo 47
*** Safe and Sound (Annie Cresta) ***


Capitolo quarantasette.

Annie Cresta.


 

Dopo due giorni mi avevano riportato nella mia cella, Effie, mi aveva fatto svenire per rimettermi in forze, lo aveva fatto con tutti quanti quelli che erano sopravvissuti ai mesi di torture, mi aveva fatto mangiare e io la ringraziai fino alle lacrime, gli avevo chiesto se poteva però aiutare Johanna, non me ne fregava niente se dimagrivo ancora, lei ne aveva bisogno, spezzata com'era.

Quando l'avevano portata via, mi aveva trascinata con lei fino alla fine della mia cella, avevo ancora i segni delle sue unghie sui bracci, il rosso fra tutto quel nero, mi aveva fatto fare un bagno ma li dentro lo sporco era sovrano, con tutti i topi, la luce quasi del tutto assente, senza poter mai respirare aria pura, libera e che non sapesse di muffo e chiuso, odiavo quel posto, tutte quelle urla, i pianti, le persone che non centravano niente e che venivano uccise per un nonnulla, io e Johanna eravamo fortunate, venivamo solo torturate, secondo voci servivamo per far star male, come Peeta, eravamo delle pedine, dei semplici pedoni che venivano mandati avanti per far muovere i pezzi importanti.

Quando la buttarono dentro, la cella, corse da me, abbracciandomi -Mi sei mancata- mi sussurrò, le baciai la testa, che era pulitissima anche se pelata -Pure tu- le dissi, continuai ad abbracciarla, cullandola un poco. Mi sentivo meglio, non stavo bene, ma avere qualcuno che aveva bisogno di te, ti faceva cambiare. Ero diversa. Sentivo delle emozioni nuove che sgorgavano dal petto, uno strano senso di felicità mi colpiva quando Johanna si accoccolava a me e lasciava che gli accarezzassi la testa cantandole delle canzoncine o raccontandole delle fiabe.

Ne sapevo a milioni, mia madre tutti i giorni me ne raccontava una diversa. Quando tornavamo dal mare e avevamo lavorato, intrecciando insieme, lei alla sera mi rimboccava le coperte, e cantava, la sua voce era pari a quella delle sirene che tanto amavo, mi incantava e i suoi occhi verdi come i miei erano ipnotici, potevi stare ore a fissarli mentre lei parlava. Mia madre era stata fortunata, aveva una bellezza mozzafiato, un carattere d'oro, tutti le volevano bene e none era stata estratta, aveva incontrato mio padre mentre gli intrecciava una rete, era sempre la stessa giorno dopo giorno, e alla fine pian piano si erano amati, io non avevo immaginato di poter vivere un'amore come il loro. Eppure era così.

Quando morii rimasi molto male, ma tutti vennero al suo funerale, io per un verso ero distrutta, ma comunque ero gioiosa, tutte quelle persone solo per la donna che intrecciava le reti!

Lei mi aveva rivelato che il suo più grande desiderio era avere una bella famiglia, un marito che l'amava e dei figli, aveva avuto tutto quanto, una vita perfetta anche se le condizioni erano sgradevoli.

Volevo diventare anche io una madre, avere dei figli, sentirmi felice. Erano anni che non ero felice, non sul serio almeno, volevo solo poter avere una famiglia.

-Annie?- sussurrò Johanna, eravamo appoggiate al muro di pietre, le tenevo la mano e lei la teneva stretta, in una morsa d'acciaio, gliela accarezzavo, con fare assente -Dimmi- dissi, la mia voce era distante, mi ero persa nei miei ricordi e nei pensieri, senza pensare a lei, mi sentii in colpa, non poteva succedermi con i miei figli, che razza di madre sarei diventata?

-Mi racconti di nuovo la storia della sirena?- chiese sorrisi, e feci una mezza risatina -Okay, okay, allora un giorno- iniziai e poi la narrazione venne da se, lei mi interruppe per dire alcuni particolari che stavo dimenticando di dirle, lei decise di cambiare la sirena, invece che una giovane dai capelli biondi la voleva con i capelli neri, gli occhi grigi e la pelle bianca bianca, si era innamorata di un pescatore disperso in mare e ogni giorno lo aspettava sulla spiaggia, con i piedi sempre a mollo, un giorno si addormentò, con le gambe dentro l'acqua, il tempo infuriava tempesta, ma lei non se ne preoccupava, sperava di trovare il suo amato e lo aspettava.

Si addormentò proprio mentre iniziò a piovere, lei non se ne preoccupò e rimase sotto la pioggia, facendo si che i capelli gli si appiccicassero a quel faccino così bello che aveva, quando si svegliò vide una figura vicino a lei, aveva il corpo da uomo ma non aveva le gambe, ma una coda di pesce, lei sbatte le palpebre e lo fissò meravigliata <> chiese al giovane, lui si scostò i capelli dagli occhi rivelando la sua identità, la ragazza gli si buttò al collo e l'abbraccio <> gli disse lei, con tanta felicità nella voce da sembrare una bambina piccola, lui le sorrise e gli indicò le sue gambe, che ormai erano di un colore verde che e squamoso, lei lo fissò meravigliata <> le sussurrò il giovane, lei chiuse gli occhi ed entrambi andarono via, in quel mare così lindo.

Naturalmente la storia doveva essere una specie di metafora per la vita, lei che aspettava il giovane morto, gli anni passano e alla fine muore anche lei, e da noi le ceneri vanno buttate in mare, quindi la sirena. A me l'avevano raccontata alla morte di mia madre, ma a Johanna piaceva, non so bene perché, ma ogni giorno gliela raccontavo.

Feci per finire la storia quando un'esplosione ci fece sobbalzare, la strinsi a me, lei cominciò a piangere -Annie, che era?- chiese spaventata -Va tutto bene, amore- le risposi, ma non ero sicura, sentii dei colpi di pistola e imprecai, le luci si accesero e tappai gli occhi alla mia amica, alcuni erano morti, ed erano in stato di decomposizione, gridai e mi tappai la bocca, iniziando a piangere.

Non avevano mai portato via i corpi. Erano sempre stati li. A due passi da noi.

Iniziai a tremare, guardai i volti grigi e morti, gli occhi vitrei, ad alcuni stavano cadendo, i topi li stanno mangiando, gridai ancora e strinsi più forte Johanna -Che c'è?- chiese spaventata -NON GURDARE- le ordinai urlando, quando una donna vestita di grigio i capelli biondi e gli occhi azzurri entrò nella stanza, si coprii la bocca con le mani e gli occhi gli si inumidirono. Effie. -Entrate- urlò, dei soldati con il simbolo del tredici. Era tutto vero!

Mi vennero incontro e anche a Johanna, la sollevarono e gli tapparono gli occhi, li ringraziai, non doveva vedere, era troppo danneggiata per poter vedere quelle cose, un soldato venne verso di me e mi sollevò da terra, lo guardai, aveva i capelli castani e gli occhi grigi, la pelle olivastra, lo fissai con gratitudine chiusi gli occhi passando davanti a quella bimba di quattordici anni, aspettai di sentire il vento che mi scuoteva i capelli castani, vidi le stelle in cielo, tanti piccoli puntini gialli e bianchi in uno sfondo blu, lo guardai e respirai a pieni polmoni, mi fecero salire su un hovercraft, mi misi accanto a Joh' e lei si appoggiò a me, fissando gli altri sopravvissuti.

Eravamo tutti così spaventati ed eccitati, ormai ci avevano fatto di tutto, avevamo visto di tutto, volevamo solo farla finita, Effie ci portò da mangiare e delle coperte pulite, alcuni si tolsero i loro abiti e indossarono le coperte, io feci lo stesso, al felpa di Finnick era intrisa di sangue e tante altre cose, mi tolsi tutto, anche la biancheria, era distrutta, arrossi anche se ormai tutti mi avevano visto nuda. Ma odiavo che gli uomini mi guardassero, solo un uomo mi aveva visto nuda, quell'uomo era l'amore della mia vita.

La voce di un uomo mi fece sorridere -Signori e signore, prossima fermata. La libertà-

Eravamo liberi.

Eravamo sopravvissuti.

Ci avevano salvato.

Avevano salvato Peeta.

Salvato Johanna.

Mi avevano salvato.

Chiusi gli occhi e appoggiai la testa su quella di Johanna, sorrisi al cielo.

Ero libera ed ero salva.

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Capitolo 48
*** Salvi, liberi insieme. ***


Capitolo quarantotto.


 

-Stiamo andando a prendere Annie- mi aveva detto un'infermiera, da due giorni guardavo la porta con tanta aspettativa da sembrare un bambino, guardavo quei vetri con sopra disegnate quelle linee bianche e pensavo a lei.

Al suo sorriso contorto, i suoi occhi verdi, come la giungla che avevo vissuto, il suo corpo piccolo che conteneva un gran carattere, pensai a lei, a tutto quello che era, sopratutto al suo sapore. Sapeva di casa. Perché lei era la mia casa. Pensai anche a Johanna, volevo rivederla, saperla al sicuro, quella ragazza dal cuore d'oro! Ne aveva viste di atrocità e aveva fatto cose di cui non andava fiera e se ne vergognava, la capisco, pure io, ma per nostra fortuna avevamo trovato le braccia dell'altro aperto, nei momenti di buio. Questo ci aveva mandato avanti per anni.

Guardai la mia camera di ospedale. C'era un solo letto, tutto grigio, le pareti, il pavimento, i camici dei medici e quelli dei pazienti, ma sopratutto le persone, in quel posto c'erano persone grigio. Senza personalità, senza storia, nate per vivere, senza grandi azioni, nati semplicemente per esistere, non avevano avuto attenzioni da nessuno. Né belle né brutte.

Chissà che bello, vivere sereni e liberi. Avrei pagato con tutto quello che possedevo pur di avere la libertà di quelle persone. Una normalissima vita, con Annie e i nostri figli, senza incubi, momento di confusione, niente di niente, solo la felicità delle persone che si amano e vengono amate.

Entrò Prim di corsa, era una ragazzina appena formata, il corpo leggermente accentuato, con quelle curve che neanche si notano, ma che ci sono, aveva i capelli chiusi in due trecce non troppo rigide, erano di un biondo puro, come Peeta, gli occhi erano azzurri con delle scaglie di ambra al loro interno, il volto che sprizzava vitalità che solo una quattordicenne può avere era tutto rosso, da sembrare un pomodoro.

-Heyy- la salutai, lei batte le mani entusiasta e mi prese per mano, trascinandomi fuori dalla mia stanza, passai davanti a diverse porte, notai persone su persone, che venivano aiutate da tante persone, fermai Prim e la guardai accigliato, lei ridacchio -Annie! Johanna! Sono tornati, Finnick, sono qui- strillò e parti al galoppo, lasciando che la mia mano scivolasse via dalla sua.

Erano tornati, perché mi sentivo così.... confuso? I medici mi dicevano di ripetere dei gesti, chiudere gli occhi e respirare contando fino a dieci, ripetendo il proprio nome fino allo schifo, mi appoggiai alla parete e lo feci.

-Mi chiamo Finnick Odair- dissi, 'Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci' respirare ed espirare -Mi chiamo Finnick Odair- e così all'infinito finché le idee non si fossero chiarite, e la mente aperta, mi ci vollero un paio di minuti per calmarmi, mi voltai e vidi Katniss, la treccia scura tutta arruffata, mi prese per mano e corremmo. Corremmo verso le persone a noi più care, Haymitch era dietro di noi. Era preoccupato per Effie, glielo si leggeva in faccia. Aveva il suo nome tatuato negli occhi grigi, devastati come una tormenta di neve.

Lo vidi mentre abbracciava una donna e la baciava sulle labbra con eccessiva passione, mi voltai e guardai avanti, anche se sentii i singhiozzi di Effie, mentre raccontava quello che aveva visto. Quella donna così coraggiosa, l'adoravo, era veramente fantastica.

Arrivammo al centro, dove dottori e infermieri erano ovunque, correvano urlando ordini a destra e a manca, vidi Prim mentre copriva Johanna con una coperta e le accarezzava la testa, la guardai terrorizzato e lei alzò i due pollici e fece finta di dormire, quindi la mia amica era salva, stava bene, era viva e si stava riposando, oppure era lo stress accumulato, forse entrambe le cose.

Quando ci fermammo, Katniss era come me paralizzata, cercava Peeta, vedevamo solo una marea di persone, nessuna di familiare, poi è come se il mio corpo avesse reagito alla sola sua presenza, sentii alleggerirmi, rilassarmi e spuntarmi il sorriso, ancora prima di sentire il mio nome urlato mi girai verso di lei, -Finnick- strillò. Aveva addosso un solo lenzuolo, che la copriva abbastanza, aveva le guance rigate di lacrime, gli occhi inondati da piccoli pezzi di oceano, rendendo i suoi occhi due alghe che brillavano sul fondo di una secca, scoppiai a piangere pure io e corsi in avanti, ci abbracciammo e cademmo a terra, strisciando fino ad un muro, dove ci baciammo davanti a tutti, quando mi staccai la guardai e non capii più nulla -Ti amo- le dissi, lei sorrise e mi strinse ridendo, l'abbracciai sorridendo e tenendo gli occhi chiusi.


 

-Finnick?- chiese Annie, ci avevano dato un appartamento, la Coin era in vena di gentilezze, noi due avevamo già collaudato il letto, eravamo entrambi nudi, la stringevo con fare protettivo -Dimmi- abbassai lo sguardo e la vidi sorridere -Perché ogni volta che ci vediamo finiamo sempre per fare l'amore?- chiese, risi e le baciai i riccioli -Non vogliamo ricordare le cose cattive, vogliamo crearne delle belle- mormorai sui suoi capelli, lei fece una risata. Una risata vera, come quelle che non le sentivo fare da tempo, -Mentre ero la, nella cella, pensavo a noi, e che potremmo, come dire- iniziò, la zittii baciandola sulla bocca -Annie Cresta, noi possiamo fare tutto ora, siamo insieme e siamo liberi- le dissi fra un bacio e l'altro, lei mi montò in grembo ancora nuda.

Guardai i suoi occhi verdi, il suo sorriso, le labbra rosse bacca tutte quelle lentiggini. Guardai lei.

Notai il cambiamento, la sua espressione, tutte quelle emozioni. Era guarita. Ero guarito, stavamo entrambi bene. Liberi dalla pazzia e dalle cattiverie. Annie era stata la mia luce, in tutto questo buio. Ci salvavamo a vicenda, sempre.

Guardai il verde dei suoi occhi, vidi la luce al loro interno. Seppi cosa fare, la baciai e quando mi staccai le sorrisi -Posso farti una domanda?- le chiesi, lei annui, mentre mi guardava negli occhi la vidi sorridere, le labbra increspate, se le stava mordendo, come sempre -Annie Cresta, ci conosciamo da anni, e stiamo insieme da altrettanti anni, ora siamo liberi e senza regole. Possiamo urlare a tutti il nostro amore- le dissi, lei rise e gli vennero le lacrime -Perciò- continuai -vuoi tu, concedermi l'onore di diventare mia moglie?- le chiesi, lei si tappò la bocca con le mani e poi mi baciò.

-Si- urlò e rise -Si si si si si, siiii sii- ridacchiò sul mio collo, si staccò e gli sorrisi -Scopata post proposta di matrimonio?- le chiesi, lei decise di mettermi una mano sulla faccia e rise -Proposta allettante- disse, tolsi le sua manine dalla mia faccia e feci finta di mangiargliele, le ridacchiò, mi baciò nuovamente, ogni minimo contatto mi mandava al Nirvana -Direi proprio che possiamo farla- sentenziò, la strinsi a me e la baciai -Sono sempre pronto- dissi facendogli l'occhiolino -Sempre il solito- mormorò prima di baciarmi con impeto.

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Capitolo 49
*** Distretto 13. ***


Capitolo quarantanove.


 

Mi svegliai con una persona che mi stava attaccata come una cozza, aprii gli occhi e mi trovai Annie con i suoi riccioloni stretta a me, la guardai, il viso segnato dalle torture, vidi il sollievo sulle sue labbra e tutto quello che era. Notai che era maturata, era una donna adesso, con tutto al suo posto, era spaccata lo vedevo dal solco fra le sue sopracciglia scure un po' spesse, ma stava bene, sentivo che stava bene, era come se un'aura galleggiasse intorno a lei.

Guardai l'unica cosa che avevamo nell'appartamento. Un orologio. Erano quasi le dieci, avevamo perso la colazione, scivolai fuori dal letto e presi la biancheria intima, mi voltai e quasi scoppiai a ridere, la mia fidanzata spaparanzata a pancia sotto sul letto, il viso schiacciato e contratto in un'espressione buffissima, le labbra semiaperte, arricciate in un sorriso, scossi la testa -Mia moglie- sussurrai ai miei pantaloni, sorrisi raggiante. Mia moglie! Potevo dirlo, era mia moglie, o lo sarebbe diventata presto, andai in bagno e feci i miei doveri e quando tornai vidi Annie girata su un fianco, i capelli che le coprivano il volto.

Era così bella, in quella semplicità, nella quotidianità delle azioni di tutti i giorni, era bella sempre, in qualsiasi circostanza. Sospirai e scossi la testa, non volevo spaventarla, ma volevo andare a trovare Johanna, chiederle una cosa. Una cosa che sentivo sua. -Amore- sussurrai ad Annie, scuotendola, lei mugolò e si girò sull'altro lato, iniziai a baciargli il collo, lasciando una scia di baci fin sulla bocca, lei si svegliò sorridendo e stiracchiandosi, mi guardò negli occhi e persi un battito, gli anni passavano, ma l'effetto che mi faceva rimaneva lo stesso -Fidanzato- disse, gustandosi quella parola che era proibita per noi due, -'dì- apostrofai, lei mi sorrise tirandomi giù e baciandomi castamente sulle labbra, un semplice contatto fra due labbra.

-Abbiamo perso al colazione- sussurrai, lei tirò la testa all'indietro -No- mormorò e poi mi fissò facendo il labbruccio -Vado a vedere se mi passano qualcosa, gli dico che mi prendo cura di una sopravvissuta- lei si illuminò e rise -Ti amo- mi disse, alzai gli occhi al cielo -Lo dici a chiunque rubi il cibo per te, ti conosco Cresta- scherzai, lei sorrise e si mise dritta tenendosi il lenzuolo sul petto nudo -Vado a trovare Johanna- le dissi, lei annui e abbassò lo sguardo -Era così devastata la dentro, sono contenta che tu vada a trovarla, fammi sapere come sta- disse Annie, la baciai frettolosamente, lei si alzò con quello straccio sul corpo -Vestiti, non voglio che qualcuno si innamori di te- gli gridai, dal bagno mi arrivarono solo delle risate.

Arrivai all'ospedale, tutto era più calmo del giorno prima, alcuni dottori stavano ridendo e bevendo dell'acqua, entrai e andai da un infermiera, i capelli biondi chiusi in una treccia, gli occhi spenti che guardava a destra e a sinistra. La madre di Katniss, le sorrisi e lei ricambiò -Sono in tempo per fare una visita?- gli chiesi, lei ci pensò su e annui -Però corri- mi sussurrò, sorrisi con riconoscenza e corsi. Non gli avevo chiesto dove si trovava? Che idiota! Feci avanti e indietro per i corridoi prima di sentire la sua risata spaccata e la sua voce roca -Idiota, è la quinta volta che mi passi davanti- urlò, entrai e la trovai completamente rasata, vestita di bianco e troppo dimagrita, dalla camicia dell'ospedale uscivano i suoi seni, glieli indicai e lei li sistemò -Non vogliono stare ferme- disse, sorrisi, mi sedetti sulla sedia accanto al suo letto, lei tirò su la sua mano scheletrica -Mi stanno rimettendo in forza, prima ingrasso prima starò meglio- disse, e sorrise.

Era un sorriso vero, voleva veramente stare bene, ora che era libera -Joh' pensavo di averti perso- gli raccontai, lei sorrise tristemente -Io ne ero certa, da quando mi hanno buttato in quella cella, pensavo che sarei morta li, stavo malissimo- mi confidò, le presi la mano stringendola -La tua donna mi ha aiutato- disse in un sussurro -Cosa?- chiesi, lei mi guardò negli occhi, com'erano caldi i suoi occhi! -Annie, mi ha salvato la vita, facendomi da mamma, raccontandomi delle favole e cantando, che voce ha!- mi disse, sorrisi -Lo so- risposi -Mi voleva far sentire a casa. Le voglio bene, ora sto meglio, forse tornerò in forma, starò finalmente, come non sto da tempo- disse, le sorrisi con calore -Lo so che puoi farcela, la mia guerriera preferita- sorrise e arrossii -Johanna Mason, sei per caso arrossita?- chiesi, lei ridacchiò -Che effetto mi fai Odair- disse.

Mi schiarii la voce -Ieri notte ho parlato con Annie- le confidai, li trovai la Mason che conoscevo, giocosa e maliziosa -Prima o dopo aver fatto l'amore?- chiese, gli lanciai un'occhiataccia -Dopo- mormorai, lei ridacchiò -Ma voi due potete non copulare ogni volta che vi vedete? E' un miracolo che Annie non sia mai rimasta incinta- disse esasperata, la fissai -Avevo i preservatici- risposi, lei mi fissò senza vedermi -Ma da dove li fai uscire?- chiese, alzai le sopracciglia -Basta parlare di questo, ti devo chiedere una cosa- rise e tornò seria -Le ho chiesto di sposarmi- rivelai, lei si coprii la bocca con le mani e lanciò degli urletti striduli, -Congratulazioni- disse felice, -Vuoi farmi da testimone?- gli chiesi, lei scosse la testa.

-Come no?- chiesi, lei arrossi -Sul hovercraft mentre ero mezza morta di sonno, ricordo Annie che mi fa la stessa domanda, io gli ho detto di si, sono una sua damigella Finnick- arrossi, l'abbracciai e le baciai le guance rosse -Sarai la più bella- dissi -Dopo Annie- aggiunsi, lei rise e alzò gli occhi al cielo -Ragazzo innamorato- sussurrò, la tenni stretta -Guerriera distrutta.

Ero in camera, Annie stava pulendo il pavimento grigio, aveva i capelli rinchiusi in una cipolla scomposta sulla testa, la fissai dalla porta, era impossibile che gli abiti grigi del 13 le stessero così bene, alzò gli occhi e mi sorrise, mi fissò piena di aspettativa, gli lanciai del pane vecchio e secco, lei lo morse e sorrise -Saranno giorni che non mangio- mormorò, -Lo so- risposi, mi avvinai a lei -Dimmi un po'- le dissi -andiamo in sala mensa a presentarti ufficialmente come la mia fidanzata?- chiesi, lei dal basso mi sorrise -Non vedevo l'ora- disse, la presi per mano ma lei si divincolò -Heyy- protestò, la fissai confuso -Non mi hai ancora baciata- mormorò, mi chinai e la bacia a lungo, quando ci staccammo eravamo senza fiato -Ti amo, ti amerò sempre, e quando morirò, ti amerò ancora- dissi, lei mi guardò negli occhi -Io prometto di amarti in eterno- sorrisi.

Le promesse, un vecchio giochetto che ci aveva riportato l'uno fra le braccia dell'altra, sempre. -Lo prometto anche io- dissi, lei rise -Allora è ufficiale- disse mi scacciò e corse fino in bagno mi sedetti sul letto e aspettai, chiusi gli occhi un attimo e quando li riaprii la vidi di fronte a me, si era data una rinfrescata e si era legati i capelli in una larga treccia laterale -Pronta Mrs Odair?- le domandi porgendoli il braccio, lei l'afferrò -Come non mai, Mr Odair- rispose, la baciai e uscimmo dal nostro appartamento.

Non ci saremmo dovuti nascondere, potevo baciarla difronte a tutti, senza avere il terrore di essere uccisi.

Eravamo liberi di essere innamorati.

Guardavo tutti quelli che passavano con un sorriso. Volevo far vedere a tutti la futura signora Odair/Cresta.

Entrammo in sala mensa, e sorridemmo. Eravamo liberi e innamorati.

Potevamo combattere il mondo, finché fossimo stati insieme e le nostri mani fossero allacciate.

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Capitolo 50
*** -Mi vuoi sposare?- ***


Capitolo cinquanta.


 

La sala era ghermita di gente, non conoscevo la metà delle persone, c'erano anche volti famigliari come Haymitch, Effie, Katniss, Peeta con le manette e gli occhi pesti, quel ragazzo era stato depistato e lottava secondo dopo secondo con se stesso, io Annie e Johanna avevamo sofferto, ma non così, questo era il culmine, era così distrutto e pure non era spezzato, piegato fino alla fine, era stranamente tranquillo, l'avevano sedato? Era probabile, ma sembrava vigile. Volevo bene a quel giovane, era stato gentile con me, non meritava tutto questo. Nessuno di noi lo meritava. Ma lui sopratutto.

Vicino a me c'era Annie, che mi teneva la mano, proprio sul tavolo e sorrideva, facendo vedere quella splendida dentatura bianca, aveva gli occhi brillanti, non potevi non guardarla, così, felice e rinata, le baciai la mano e incontrai lo sguardo della mia migliore amica, dall'altra parte del tavolo, mi sorrise dolcemente e io ricambiai, stava meglio era ingrassata quel poco che basta per non essere considerata anoressia, i capelli gli stavano ricrescendo, ora erano corti corti, ma c'erano e lei ne andava molto fiera, teneva il mento alto, che guerriera era!

La Coin, si schiarii la voce e tutti si zittirono, guardarono tutti l'arpia dai capelli grigi, mi misi comodo aspettando che parlasse -Quello che è successo nel distretto due è stato disastroso, dobbiamo far vedere a Snow che la nostra Ghiandaia- disse indicando con la testa Katniss, lei la guardò con tanto odio da farmi accapponare la pelle, strinsi involontariamente la mano di Annie, e lei ricambiò, senza rendersene conto, mi venne da sorridere, ma mi trattenni, dovevo essere serio, -E' sana e salva. E sta bene qui nel tredici- disse, si alzò in piedi e guardò Plutarch, lui la ringraziò con un sorriso enigmatico -L'ultimo pass-pro che abbiamo girato è stato visto in tutta Panem, stiamo avendo molto successo, però dobbiamo far vedere che siamo tutti felici e contenti adesso- disse senza emozioni, feci una risatina in contemporanea con Peeta, lui guardò il ragazzo depistato, che si stava preparando a parlare -Secondo te stiamo tutti bene? Siamo tutti felici. Plutarch ti prego, guarda me, guarda Johanna. Noi non stiamo bene. Lei sentiva tutti i giorni le mie urla, ed Annie li- disse indicandola con un dito, lei si fece piccola sulla sedia -Ha cercato di suicidarsi pur di non vivere quello strazio. Quindi no. Non possiamo far vedere a Snow che siamo felici e contenti, perché è una bugia- disse risedendosi, aveva ragione, eravamo tutti, non solo loro, spezzati. Guardai Annie e maledii il biondo, stava tornando indietro, giù nel baratro, le presi entrambe le mani e la guardai negli occhi -Non andartene di nuovo da me. Stiamo insieme, non ti lascerò mai, ti prometto che sarò sempre nel tuo cuore, e tu sempre nel mio, rimani con me- le sussurrai, lei annui con le lacrime agli occhi.

-Volevo uccidermi Finn- sussurrò, la guardai e la baciai sulle guance -Lo so, non ti giudico, davvero- dissi, lei sorrise e fissò il tavolo, quando si voltò verso di me era tornata, ringraziai il cielo, non riuscivo più a vederla in quello stato. Non ora, che eravamo liberi di essere innamorati. Si meritava di stare bene, la mia ragazza. Intorno a noi la discussione stava andando avanti, c'era un po' di scompiglio, la Coin sbatte una mano sul tavolo e tutti la fissarono, -State tutti zitti. Abbiamo bisogno di idee, proponete pure- disse, si sedette e guardò tutti.

Effie alzò timidamente la mano senza più smalto ne unghie lunghe -Si, prego- disse, lei arrossii -Potremmo far vedere tutti Katniss nel quotidiano, cosa fa solitamente- propose tranquillamente, la Coin sorrise, era un sorriso ironico -Non segue nemmeno il programma. Scartato- disse, Katniss arrossii, ma sapeva che aveva ragione, non c'era un giorno che seguisse il programma. Nemmeno io e la mia fidanzata l'avevamo mai seguito, e vivevamo una vita felice. Annie a volte faceva la stupida dicendo quanto la sua vita era uno schifo senza avere perennemente una lista di cose da fare scritta sul braccio, io ridevo e anche lei, faceva bene sentirla ridere, scaldava il cuore.

Mi venne in mente cosa avevo detto ad Annie quando era tornata, il fatto di sposarla. Tanto volevamo farlo, perché non farlo dando anche fastidio alle persone che mi avevano usato, facendomi vedere con il mio vero amore, potevo farlo, proporlo, guardai la donna della mia vita, stava pensando a qualcosa, gli strinsi la mano e gli sorrisi malizioso, lei si accigliò e poi sgranò gli occhi dalla felicità, prima che Gale potesse parlare mi alzai in piedi -Un matrimonio- dissi, tutti mi guardarono, il presidente Alma Coin mi guardò divertita -E chi facciamo sposare, Peeta e Katniss? Haymitch ed Effie? Io con il signor Plutarch?- chiese divertita, alcuni risero, altri la fissarono in maniera non tanto carina -Il mio matrimonio- mi corressi, Annie era seduta e si tappava la bocca con le mani -Ho chiesto alla mia ragazza di sposarmi e lei ha detto si, cosa c'è di meglio di un matrimonio?- chiesi, Plutarch annui e guardò la sua collega, che stava elaborando tutte le informazioni, annui soddisfatta -Per me va bene, avete già due anelli?- chiese, io ed Annie ci guardammo e scoppiammo a ridere, ovvio che non li avevamo -No- dissi, lei annui, chiamò qualcuno e gli sussurrò qualcosa all'orecchio.

-Che matrimonio sia- disse, diede uno schiaffo al tavolo. Seduta finita. -Aspettate- dissi, tutti si voltarono verso di noi, mi inginocchia difronte ad Annie -La prima volta che te l'ho chiesto, eravamo nudi e avevamo appena fatto l'amore, non contava- dissi, la mia ragazza ridacchiò arrossendo e lanciandomi delle occhiatacce -Quindi, mi devo rifare con questa. Annie Cresta, vuoi farmi l'onore di diventare mia moglie?- gli chiesi, lei, si tappò la bocca con le mani e le vennero le lacrime, annui con tutta la forza che aveva in corpo e sospirò -Si, Finnick Odair, ti sposerò- disse e si chinò per baciarmi, mi sporsi un poco per aiutarla.

Quando le nostre labbra si toccarono capii che stavo per sposarmi.

La donna che ho sempre amato sarebbe diventata mia moglie. Non potevo crederci.

In quel momento, ne ero sicuro, potevo toccare il cielo con un dito.

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Capitolo 51
*** Il Matrimonio (Annie Cresta) ***


Capitolo cinquantuno.

Annie.


 

Mi sentivo bella.

Guardandomi allo specchio ero bella. Con il viso senza imperfezioni, come quello di una bambola, il trucco sugli occhi non troppo calcato, un verde pallido, appena appena spruzzato sulle palpebre, le labbra erano lasciate al loro colore naturale, lo staff le aveva definite perfette, anche Finnick lo faceva sempre, ma lui non contava. Era di parte.

Lui l'avevano portato via la mattina presto, per prepararlo, e non lo vedevo da un po', era quasi ora di pranzo, e mi stavo ancora vestendo, indossavo ancora l'accappatoio grigio smorto e avevano finito ora di truccarmi, avevano passato la mattina a lavarmi e ad rendermi senza difetti, mi sentivo così bella, così a mio agio!

La più bella erano i capelli, non più riccioli e scompigliati ma lisci lisci, come fili di seta che mi ricadevano fino alla vita, avevo sempre voluto vedermi così, diversa, più bella, un po' meno Annie Cresta, l'insicura, la pazza. Mi sentivo Annie Cresta la donna sana, forte e felice, pronta a tutto ed a tutti. Mi girai verso l'unica persona dello staff che era rimasta Venia, teneva fra le braccia un abito verde acqua pastello, lo fissai accigliata -E' tuo, l'ho un po' modificato per fartelo entrare, Katniss è più alta di te, ma tu cara mia, hai molte più curve!- rispose ridendo, risi anche io -Vai, mettilo- disse passandomelo, lo presi e lo guardai, sulla parte alta, sopra il corpetto c'era del pizzo elaborato che comprendeva anche le maniche, invece il corsetto era tutto pieno di ghirigori creati con dei brillantini, era bellissimo.

Il pezzo forte era la gonna, di tessuto verde, che veniva gonfiata dal tulle, lo appoggiai al mio corpo e non esitai a metterlo. Quando uscii fuori dal bagno lei saltò sul letto deliziata -Dio sei bellissima, guardati- disse, facendomi girare verso lo specchio. Rimasi senza fiato, il vestito mi stava benissimo, aderente nei punti giusti e più delicato sugli altri, Venia iniziò ad intrecciarmi una treccia a lisca di pesce un po' larga che mi scendeva su una spalla, quando ebbe finito mi guardai nuovamente e mi venne da piangere. -Non sembro neanche io- ammisi, lei mi strinse da dietro -Sei tu, solo che non ti vedevi prima- mi sussurrò all'orecchio, quanto verità.

Bussarono alla porta e Gale fece capolinea, sentii la voce di Johanna che urlava a qualcuno di muoversi, il soldato sulla porta aveva una camicia bianca e dei pantaloni neri, stava benissimo, ma non mi convinceva, troppo formale, nei suoi occhi lampeggiava qualcosa, qualcosa che non volevo mai più vedere -Annie, sei pronta?- chiese, e mi guardò per bene, annui ma prima che potessi uscire, Venia mi fermò, dandomi dei tacchi vertiginosi, tutti bianchi -Oddio- mormorai, lei rise e mi diede una bacca sul sedere, le indossai e uscii dalla mia casa.

Johanna era uno schianto, ma passava in secondo piano, vicino a Finnick, aveva un completo nero, la camicia bianca da dove spuntava un papillon nero, aveva i capelli tirati indietro, sembrava un'agente segreto, o una cosa del genere, lo guardai tutto, non potevo non guardarlo, ero attratta da lui, come non mai, mi sorrise -Ciao, Annie Cresta- mi salutò guardandomi, io lo fissai e abbassai lo sguardo -Ciao, Finnick Odair.

-Pronta a ballare Mrs Odair?- mi chiese seducente Finn all'orecchio, risposi con un 'Mmhh' e una risata, mi prese per i fianchi da dietro, abbracciandomi la schiena, avevo la sua testa sulla spalla e le sue braccia intorno al corpo -Sei così bello- dissi al suo orecchio, lui mi fece girare, e poi mi attirò a se, appoggiando la sua fronte alla mia -Tu sei una dea, nessuna qui è più bella di te, e mai lo sarà ai miei occhi- disse, gli sorrisi e mi avvinai per baciarlo ma mi fermai a un centimetro di distanza dalla sua bocca -Per me nessuno è mai stato come te- ribadii io, poi lo baciai, era strano, sentivo tutto diverso, doveva essere un bacio casto, normale. Ma sentivo che non era così -Diamo inizio alla luna di miele- dichiarò lui sulle mie labbra -Oh si, Mr Odair- risposi, mi prese per mano e scappammo via, non riuscivo a non guardarlo, la sua mascella pronunciata, le sopracciglia un po' gonfie i capelli tirati indietro, il viso sbarbato da poco, le labbra semiaperte mentre sfrecciavamo verso la nostra camera, guardai i suoi occhi verdemare e ci vidi dentro, la felicità, l'armonia e il desiderio.

Passammo davanti a due ragazzi che si stavano baciando, lui rallentò e ridacchiò, gli strinsi la mano divertita -Quella è Prim!- esclamò lui, l'altro ragazzo assomigliava a Gale, ma era più piccolo, Rory, forse -Lasciala stare, anche noi eravamo così- gli feci notare, lui li guardò -Ma, se un ragazzo dovesse toccare mia figlia, gli farei saltare i denti- dichiarò, gli baciai la guancia -Quel ragazzo dovrà passare sul mio cadavere per un uscire con nostra figlia- dissi, lui si girò verso di me, mordicchiandosi un labbro -Ci siamo sposati poco fa ma...- iniziò, era arrossito, -Potremmo come dire- disse, si incespicò con le parole, capii subito dove voleva andare a parare -E' il mio sogno, ricordi?- chiesi, gli brillarono gli occhi -Si, di te ricordo tutto, Mrs Odair-rispose, mi prese in braccio e io lo baciai. Non arrivammo mai alla nostra camera.

Sentimmo dei passi e mi coprii la faccia con le mani, in uno stanzino, eravamo in uno stanzino. Lo avevamo fatto in uno stanzino. -Odair ti odio- dissi con voce ovattata, addio ai capelli lisci, Finnick si era divertito a tormentarmeli -Vuoi già il divorzio?- chiese divertito, gli tirai qualsiasi cosa avessi fra le mani -Ti amo stupido pescivendolo- ridacchiai, lui mi baciò tutto il viso e mi guardò negli occhi -Ti amo anche io- rispose -Allora- iniziò lui -Com'è il sesso senza preservativo?- chiese, alzai gli occhi al cielo -'Oh amore mio, la prima notte di nozze è stata indimenticabile, ti amo anche io' tutto questo è morto?- domandai, lo sentii ridere, ma non mi voltai -Si si, hai ragione tu, ma dimmi, ti è piaciuto?- chiese, mi coprii la faccia con le mani -Ovvio, per te è stato speciale?- chiesi, voltandomi verso di lui -Che domanda è? Ovvio che si, tu sei speciale per me- lo baciai di nuovo sorridendo, lui mi fermò -Non qui. Non di nuovo- disse, mi alzai e mi rivestii, lui fece lo stesso, uscimmo tutti e due imbarazzati.

Guardai il mio meraviglioso marito, con i capelli rovinati dalle mie mani, il suo viso felice.

Sorrisi fra me e me.

Finnick odair, mio marito.

Sorrisi e quando Finnick mi guardò, non potei fare a meno di pensare che per una volta tutto stava andando bene.

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Capitolo 52
*** Scoperte ***


Capitolo cinquantadue.


 

Sfrecciai nei corridoio cercando di non andare a sbattere contro le persone, mi fermai un attimo per guardare Johanna con Gale che parlottavano fra loro, erano appartati e riuscivo a scorgere il suo sorriso anche da lontano, forse, e dico forse, le stava andando bene qualcosa, aveva trovato l'amore, speravo vivamente che finalmente stesse bene, che tutta la sua vita stesse prendendo una giusta piega. Lo meritava, la mia piccola guerriera.

Scossi la testa e corsi, mi stavo allenando con i fucili quando mi vennero a chiamare, un'infermiera graziosa in abito grigio corse da me, aveva i capelli rossi boccolosi e due occhi ambra incredibilmente grandi, aveva le mani ricoperte da dei guanti bianchi di lattice, tutti nella sala si fermarono al suo arrivo -Mi scusa, dovrei parlare con il signor Odair- disse arrossendo, la faccia le diventò con il colore dei suoi capelli, fiammeggiante. Guardai il mio coach che mi fece cenno di andare.

Ero sposato da quasi tre settimane, le più belle della mia vita, e sperai vivamente che Annie stesse bene, erano giorno ormai che la mattina scappava in bagno e vomitava, e l'arrivo di quell'infermiera non mi calmava minimamente, temei il peggio. E se era qualcosa di grave? Non potevo sopportarlo, vederla lentamente sfuggirmi di mano. Se aveva cercato di farsi del male nuovamente quando qualche flashback l'aveva assalita? Aveva già tentato di uccidersi in quelle stramaledette celle. Di colpi divenni arrabbiato, li avrei uccisi tutti, chiunque avesse fatto del male al mio amore.

-Si?- chiesi all'infermiera, lei mi portò fuori dalla stanza, aveva dei modi gentile e delicati, immaginai che lavorasse con i bambini -No, no, lei vuole parlarvi- disse con al vocina stridula, mi venne da sorridere, non poteva avere più di diciassette anni, era poco più di una ragazzina, e già lavorava in un posto così pieno di orrore.

Mi portò fino al centro, salutò un paio di persone e gli diedero un paio di cartelle, lei sbuffò e alzò gli occhi al cielo, pensai di chiederle perché ma poi mi sorrise -Entri, lei è qui- disse, aveva dei denti appuntiti, come un vampiro, aprii la porta ed era già volata via, che strano tipo. Annie era sul letto, aveva una mia camicia grigia che le arrivava alle cosce e dei pantaloni grigio scuro, gli scarponcini ai piedi, non toccava il pavimento seduta sul lettino, teneva la testa china e i ricci le ricadevano addosso, mi ricordai il giorno delle nozze, tutti lisci come spaghetti. Era bellissima in tutti i modi.

Mi schiarii la voce e lei alzò la testa di scatto e sorrise, con quei suoi occhi verdi brillanti, mi fermai a contemplarla, aveva il naso sempre grosso, come sempre, ma sembrava diversa, la sentivo diversa, gli sorrisi -Ciao- disse, mi avvinai a lei, le presi il viso fra le mani e la guardai -Tutto okay?- chiesi, lei sorrise e annui -Siediti- disse, io cercai per tutta la stanza qualcosa, ma non trovando nulla lasciai perdere -Okay, non sederti- ridacchiò, si spostò la montagna di capelli dal viso e mi guardò dritto negli occhi -Ho una notizia che ti cambierà la vita. E forse quando la saprai non partirai più per la capitale- disse lei, mi prese le mani e sorrise, stava cercando le parole, lo capivo dal movimento dei suoi occhi, che saettavano per la stanza, iniziò a gesticolare.

-Bhè si, insomma cioè, io sarei tipo- iniziò, le bloccai le mani e risi, baciandola sulle labbra -Con parole tue- dissi, lei alzò gli occhi al cielo ma sorrise, e io sorrisi a lei -Allora, sai che avevo la nausea ogni mattino?- chiese, annui, sospirò -Ho fatto le analisi ieri mentre ti allenavi. Non guardarmi così, lo so che volevi accompagnarmi dal medico ma non volevo distrarti dall'allenamento!- esclamò, fece un lungo sospiro -E comunque, sei ansiolitico- disse, mia accigliai -No, non lo sono- ribattei, lei annui sorridente, muovendo la testa -Oh si, lo sei- rispose, misi il broncio -E io ti amo per questo. Non mi distrarre più- esclamò e rise.

Chiuse gli occhi e li riaprii convinta -Sono incinta, lo dicono anche i medici- disse tutto d'un fiato, fissai oltre la sua testa per qualche minuto. Incinta. Lei era incinta. Io l'avevo messa incinta. Sarei diventato padre, io Finnick Odair, avrei avuto un figlio, rimasi a fissare il vuoto per due minuti prima di scoppiare a ridere, la feci scendere dal letto e la sollevai, lei rise e si aggrappò forte a me -PADRE- urlai, -MADRE- gridai indicandola, risi ancora e iniziai a ballare, Annie mi fissava mentre stava piangendo dalle risate -Genitori, amore mio io e te- dissi, lei mi passò una mano sul viso e annui, le asciugai la lacrime a suon di baci con tanto di schiocco -Finnick- gridò lei ridacchiando.

L'abbracciai forte -Ti amo- dissi, poi sospirai -Vi amo- mi corressi, lei rise si passò una mano sulla pancia -Cosa farai?- chiese, cossi la testa -Non lo so, sento che devo andare a combattere. Ma dopo questa notizia, ho molta più paura di prima- dissi, lei si strinse a me -Non andare- mi pregò, gli baciai la testa -Ti prometto che tornerò come sempre- le dissi allegro, lei si scostò, aveva gli occhi pieni di lacrime -Questa volta una promessa non basterà.

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Capitolo 53
*** Siam pronti alla morte parte 1 (Annie Cresta) ***


Capitolo cinquantatré.

Annie Cresta.


 

Finnick si stava abbottonando la divisa, io ero seduta sul letto con le mani strette in grembo, lo fissavo e notavo il suo sguardo duro e glaciale, ma era tradito dalle sue mani tremanti, all'ultimo bottone esitò, fece un respiro tremante e si voltò verso di me, io strinsi le labbra fino a farle diventare bianche e invisibili.

Era così strano, prima era convinto di voler partire ma più la data della partenza si avvicinava, più il suo patriottismo scemava. Si inginocchio difronte a me e pian piano si avvicinò, affondò il suo bel viso squadrato nella mia gonna, si era attaccato a me come ci si attacca ad un salvagente, presi ad accarezzargli la testa, sarebbero venuti a prenderlo fra pochi minuti. Non avevamo tempo. Lui gemette nella mia gonna, imprecò e quando si tirò su aveva gli occhi lucidi, e stava cercando di non piangere.

Tirai fuori un sorriso, lui scosse la testa -An- disse, scossi la testa, lo guardai negli occhi saremmo stati divisi e lontani, non volevo lasciarlo andare via. Non adesso e non di nuovo -Finn- risposi sussurrando, lui gridò e altre lacrime arrivarono ai suoi occhi -Mi sento strano- disse, era pallido e tremava tutto, gli tastai la fronte. Non aveva la febbre. -Non sei febbricitante- constatai, lui rise, era una risata tristissima, da stringermi il cuore -Non li. Annie sento che non andrà a finire bene. Non voglio morire- disse, singhiozzando, le lacrime arrivarono anche ai miei occhi, cercai di ricacciarle -Non morirai, tornerai da noi- dissi, gli accarezzai la guancia con mano tremante, lui se la schiaccio ancora più sulla pelle, se la portò alle labbra e la baciò.

Rimanemmo così, in silenzio per un po', lui con la mia mano premuta sulla bocca e con gli occhi fissi nei miei, e io che mi perdevo nei suoi. Pensai al giorno del nostro incontro, successo dieci anni prima, mi venne in mente il momento in cui mi ero resa conto che per me era più di un amico, anche se era stato un innamoramento graduale, avevo appena compiuto quindici anni e lui mi aveva portato sulla spiaggia dopo una cena a casa mia. Quella sera lui mi aveva mostrato le stelle, tutte le costellazioni e io l'avevo guardato parlare, avevo notato le sue labbra screpolate, la mascella pronunciata che gli creava strane ombre sul collo in quel chiaro di luna. Poi mi aveva guardato con un sorriso sghembo e avevo capito che ormai me ne ero innamorata.

Lui sorrise, forse pensava alla stessa cosa -Un giorno torneremo tutti e tre al mare. E li guarderemo le stelle- decise, sorrisi con malinconia -E' successo li- dissi compiaciuta, lui si accigliò -Cosa?- chiese, era sinceramente curioso -Li mi sono resa conto che mi ero innamorata di te- gli confidai, lui sorrise -Io purtroppo sono stato cieco, nei miei giochi ho capito che tu non eri solo la mia migliore amica. Tu eri il mio tutto. Sei il mio tutto- disse, mi chinai per baciarlo.

Assaporai le labbra, li per li lasciai che le mie labbra rimasero premute sulle sue, così senza impegno, solo per sentirne il sapore, era sempre lo stesso, quello di casa. Sapevano di tutto quello che il mondo aveva di bello, dopo lasciai che le mie labbra si schiudessero a quella pressione così familiare, e ci baciammo sul serio, ricordai il mio, che era anche il nostro, primo bacio, l'esitazione della sua bocca sulla mia e quella strana aria stupita quando gli avevo dato il permesso di esplorare la mia bocca.

Ridacchiai interrompendo il bacio -Sai amore, stavo pensando al nostro primo bacio a com'eri impedito- dissi, lui rise e scosse la testa -Non è che tu fossi stata più brava di me. Mi ricordo anche che tu sei scoppiata a ridere dopo come una perfetta imbecille- dichiarò, risi di gusto poi tornai seria -Non sono io quella che non aveva capito cosa sarebbe successo dopo- gli ricordai, lui alzò le mani in segno di scuse -Facevo il finto tonto- disse noncurante, gli lanciai il cuscino -Tu sei tonto- replicai dolcemente.

Ci guardammo negli occhi, sorridendo come ebeti. Era tutto così bello e felice, ripensando ai vecchi tempi, lui distolse lo sguardo per primo e ridacchiò arrossendo appena -Che pensi?- chiesi divertita, lui si voltò verso di me, con un guizzo divertito negli occhi verdemare -La notte prima della tua arena- disse, io arrossi e mi presi il viso fra le mani ridendo -Mi hai rubato la virtù- dissi con voce ovattata -Mi pare che tu non fossi tanto contraria- ricordò lui, alzai gli occhi al cielo, anche se non poteva vederlo -La mia povera verginità, rubata da un uomo spregevole- dissi, lui rise di gusto -Scusa verginità, ma ormai mi appartieni- disse, risi e scossi la testa. Il mio Finnick, stupidamente dolce, non potevo immaginarmi senza di lui.

Bussarono alla porta e lui si aggrappò alla mia gonna, sbiancò -No- sussurrò, chiuse gli occhi e scosse la testa, raddrizzai le spalle e accarezzai la sua testina bronzea -Avanti- urlai con voce tremante, entrò un ragazzo, tutto arrossato e dagli occhi brillanti, aveva la stessa uniforme di Finnick, nera, con tante tasche sistemate nei punti più utili, alcune enormi altre piccole piccole. Lo riconobbi subito, era Gale il presunto fidanzato di Johanna, lui la faceva ridere e la vedevo felice, anche per lei tutto stava andando bene. Le cose non potevano che migliorare.

Che grosso errore.

-Finnick... è ora- disse un po' imbarazzato, il mio marito annui, si morse la labbra e annui più convinto -Dammi un minuto- disse, la voce era salda, l altro annui, mi sorrise, e si chiuse la porta alle spalle. Finnick si alzò in piedi e io pure, mi misi sulle punte e lui il mio visino fra le sue mani, e mi baciò, infilai le braccia intorno al suo collo per sentirlo più stretto a me, quando si staccò si chinò sulla mia pancia -E tu fai il bravo, non dar fastidio alla mamma, d'accordo?- lo disse alla pancia e l'accarezzò, con fare protettivo -Ti amo Annie- disse, io lo guardai negli occhi -E io amo te- risposi, lui guardò la porta e sospirò -Ti prometto che quando tornerò, e tornerò, torneremo a casa nostra e ti porterò al mare- disse, sorrisi -Mantieni anche questa promessa- lui, mi baciò il naso e io lo arricciai -Come tutte- replicò, mi sorrise e uscii dalla porta.

Lo guardai andare via dallo stipite del nostro appartamento, gli diedero un fucile e lo sistemò nell'uniforme, li guardai entrambi andare via con orribile nodo allo stomaco, 'Sarebbero tornati' mi dissi, per auto-convincermi. Quando girarono l'angolo qualcosa nella mia mente mi sussurrò che nessuno dei due avrebbe fatto ritorno.

Non gli diedi retta.

E questo fu il mio più grande sbaglio.

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Capitolo 54
*** Siam pronti alla morte parte 2 (Finnick Odair) ***


Capitolo cinquantaquattro.


 

Avevo lasciato Annie da un pezzo ormai.

Stavamo aspettando l'hovercraft per partire, Gale mi raccontava di Johanna e di come lo faceva sentire apprezzato, dicendomi che aveva amato Katniss un tempo, ma lei era fatta per Peeta, si completavano a vicenda.

Montammo tutti sull'aereo e il ragazzo dagli occhi grigi si chiuse in se stesso, sorridendo di quando in quando, forse pensava alla sua amata e alla promessa che sarebbe tornato, anche io ci pensavo, guardando i miei compagni, ognuno di loro aveva qualcuno da cui tornare ma con estremo disagio mi resi conto che qualcuno di non sarebbe tornato vivo dalla capitale. Forse era il mio umore nero.

Forse era la verità.

Pensai ad Annie, prima di partire era riuscita a correre da me, l'avevo baciata e l'avevo tenuta stretta e a me mentre piagevamo.

Mi ricordai che Boogs ci lasciò fare perché sua moglie, una donna alta con una gamba meccanica, dalla pelle di porcellana con gli occhi neri come l'abisso più profondo e i capelli biondi platino, era molto attraente era abbastanza normale che lui si sia innamorato di lei. La bimba aveva la pelle olivastra i capelli neri e gli occhi neri, era graziosissima nei suoi grigi abiti.

-Annie- avevo gridato mentre la stringevo, lei mi aveva toccato la schiena con le sue piccole manine e non si era curata che decine e decine di soldati armati ci guardassero, mi aveva baciato con estrema passione, guardandomi dritta negli occhi. Quel colore che era la mia casa in fine dei conti, eravamo sopravvissuti a tutto. Ma eravamo solo noi due. Noi due contro tutto il mondo.

Mi aveva asciugato le lacrime mentre asciugavo le sue, e l'avevo baciata nuovamente, sempre con maggior panico, stavo per andarmene e forse lei aveva capito, forse era preoccupata, ma mi resi conto che non sarei riuscito a tornare indietro. Da lei.

Quando ci staccammo ridemmo, accarezzai la pancia appena appena accennata, era sempre stata magra e ora si vedeva il gonfiore appena accentuato, sorrisi mentre altre lacrime scendevano, lei mi guardò negli occhi -Annabelle o Mags?- chiese solamente, alzai un sopracciglio visibilmente confuso -Se è femmina, quale dei due?- domandò di nuovo, scossi la testa e sorrisi -Devi decidere tu- dissi, lei mi baciò -Mags- sussurrò sulle mia labbra, la strinsi forte -Non sarà di certo figlia unica- dissi, malizioso, lei annui sorridente -Lo spero- esclamò, ad un tratto sentimmo un fischio.

Era ora. Tempo scaduto.

La baciai ancora -Ti amo- dissi, -Ti amo anche io- rispose, mi baciò e venimmo separati a forza, vedevo che la tenevano troppo stretta, diedi una gomitata alle guardie e corsi verso di lei. Qualcuno mi placcò a terra. Atterrammo sul terreno duro con un tonfo ma non mi spense, mi divincolai e alla fine capii -Non fatele del male!- gridai in preda al panico -E' incinta!- urlai di rimando, la guardia smise di stringerla troppo forte -Finnick- gridò mentre veniva trascinata via -Annie- risposi.

Ed era l'unica realtà. Cioè che noi siamo Finnick e Annie. Nient'altro al mondo era così certo.

-Ti amo- tentai, ma non ricevetti risposta. Capii due cose in quel momento. Quella sarebbe stata l'ultima immagine che avevo di Annie Cresta ed era l'ultima volta che gli dicevo 'Ti amo'.

Anche il saluto a Johanna non era stato meno lacrimoso, mi aveva detto tutto quello che aveva fatto, e che gli avevano fatto fare.

Mi raccontò della sua prima volta, con un quarantenne obeso e rifatto dalla testa ai piedi, che per di più la mattina dopo l'aveva buttata fuori di casa ancora nuda. Si era risvegliata su una panchina in un parco. Prese a dirmi della sua famiglia e della cotta che aveva per me, che gli era passata quando aveva capito che per lei non ero il vero amore, solo una costante nella sua vita. E non ne aveva molte.

Quando mi salutò, mi sorrise, mi fece accarezzare i suoi capelli corti corti, ridendo del mio sguardo. Eravamo tornati come all'inizio.

Mi abbracciò e mi sussurrò all'orecchio -Io e Annie ci sosteneremo a vicenda. Tu torna però e congratulazioni per il bimbo!- mi sorrise. Aveva gli occhi nocciola che brillavano, erano caldi come lo erano all'inizio, pieni di speranza. Il sorriso era verissimo, con le labbra carnose che scomparivano quando si arricciavano in un sorrisetto. Mi era mancata la vecchia Joh'. -Mi mancherai Guerriera- gli dissi, lei rise e mi baciò la guancia.

Non le dissi ti voglio bene, lo sapeva già.

E feci male, avrei dovuto dirglielo, perché quella fu l'ultima volta che la vidi, avevo il suo viso impresso nella mente, come quello di Annie. Erano le mie uniche certezze.

Chiusi gli occhi verdi addormentandomi, con la testa sulle spalle di un uomo che forse non avrebbe vissuto un altro giorno. E vidi le due donne ridere e guardami teneramente. Caddi nel sonno con un sorriso.

Non ebbi gli incubi, non li ebbi mai più.

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Capitolo 55
*** Come una candela (Finnick Odair) ***


Capitolo cinquantacinque.


 

Finnick Odair.


 

L'odore era nauseante, mi tappava il naso e la testa mi faceva male.

Mi mandava in palla quel odoraccio, non mi faceva pensare lucidamente, e proseguivo senza sapere cosa stava succedendo. Gli stivali rimanevano incastrati nella poltiglia, si sporcavano di liquami, così come le mie gambe e di questo passo anche la mia faccia.

L'oscurità era tremenda, mi faceva pensare a cose spiacevoli.

I fumi mi riportarono alla mente perché odiavo Snow. Ma in quel momento trovavo solo cose che mi facevano odiare me stesso. Pensai ai tributi che ho ucciso, tutti le vite che avevo strappato, anche a Mags. La quale non ero riuscito a salvare. E mi odiavo per questo.

Mi balenarono in mente due occhioni azzurri in un visino da bambola sorridente incorniciato da dei capelli biondi, che sembrano una tendina di raggi di sole. Mi bloccai e tutto l'ossigeno nel mio corpo sparii di colpo. Annabelle.

Mia sorella. Prima davo la colpa al presidente, era colpa sua se era morta. Ma evidentemente mi sbagliavo. L'avevo uccisa io, per il mio egoismo, se avessi detto di si, ora sarebbe viva, sarebbe nel distretto con Annie. Tutto sarebbe diverso.

Ma io avevo rifiutato, e lei era morta. Aveva solo sei anni. La sua anima pura si era affievolita fino a sparire. Era ingiusto, dio se lo era. Qualcuno mi scrollò per le spalle, non riuscivo a vedere niente all'infuori dei suoi occhioni azzurri. Scossi la testa e strinsi gli occhi quando li riaprii. Vidi il giovane sporco dalla testa ai piedi che mi scuoteva per una spalla gli sorrisi, uno spettacolo orrendo, ero coperto di sporco e avevo sicuramente un'aria da psicopatico. Il ragazzo si accigliò ma mi lasciò scrollando le spalle.

Proseguimmo per il tunnel in silenzio, solo l'Olo faceva rumore, dei piccoli 'bipbip' che in quel silenzio risuonava come la voce di un Dio che ci guidava alla vittoria.

Ad un certo punto una voce metallica arrivò al mio orecchio, era come se due lame si stessero baciando, quel suono stridulo mi dava i brividi, sembrava un nome. Ripetuto all'infinito, guardai Katniss e mi resi conto che entrambi avevamo capito.

Ibridi. Mi girai e li vidi.

Ero abbastanza indietro, perciò riuscivo a distinguerli, erano delle lucertole. Bianche come la neve e sapevano di rose. Rose bianche come quelle che Snow portava all'occhiello, rimasi impressionato. Era una persona orrenda, faceva schifo. Ma era un uomo geniale. Molto teatrale, il fatto di cospargere il terreno di rose, e lasciarne una sulla toeletta di Katniss. Era semplicemente un genio.

Ora le lucertole, bianche come le rose, e che profumavano uguali. Respirai meglio quel profumo mente correvo e mi resi conto che sotto quel profumo dolciastro c'era qualcosa che sapeva di rame, di fresco, mi si rizzarono i peli delle braccia. Era l'odore di sangue.

Come quello che si sentiva, quando parlava vicino a te. Perché lui sapeva di rose. Ma sotto sentivi il puzzo del sangue fresco. Stava morendo.

Il veleno che l'aveva portato al potere lo stava uccidendo.

Era un serpente, Snow, ma si era auto intossicato con il suo veleno. Dopotutto non era così intelligente. Solo molto furbo. E sapeva mettere timore.

Corsi ancora ma fu inutile, sentii la coda acida prendermi la caviglia e tirarmi a terra. Caddi faccia avanti in quella poltiglia putrida, mi tirai su pulendomi con la manica, vidi Gale che urlava a Katniss.

Mi sentii morire dentro, non potevo salvarmi, l'avevo capito dal modo in cui Gale aveva spinto via Katniss. Lui lo sapeva. Lei no. E ora anche io ne ero consapevole. Strisciai via, in preda al panico, più vicino a Katniss, tre lucertole mi presero, una iniziò a mordermi le gambe. E urlai, i denti erano rasoi velenosi, una mi teneva le mani, con i suoi artigli, scavando i polsi che pian piano si tinsero di rosso.

La terza lucertole, dagli occhi azzurri si avvicinò e fece passare la lingue sul mio collo, dandomi dei brividi, mi girai verso Katniss. Stavo già piangendo -Di ad Annie che mi dispiace. TI PREGO DIGLIELO. DIGLI CHE L'AMO. DIGLI CHE HO FATTO DI TUTTO- gridai, ma lei non mi dava ascolto -Ti prego- sussurrai, intanto la lucertola stava iniziando ad incidere il mio collo, sentivo il calore del sangue che scendeva fino al petto, e tutto stava diventando confuso.

Incrociai gli occhi grigi di Katniss. E pensai alla mia vita. L'albero maestro della barca a vela di famiglia, dove mamma e papà si divertivano a pescare e io stavo ore e ore a sguazzare nell'acqua, fino a che il sole lasciavo posto a quelle piccole lucciole chiamate stelle, e io li imparavo le costellazioni. Amavo il cielo. E dio no avrei mai più potuto rivederlo. Le altre immagini erano confuse, fino al momento dove mia arrivò il mio primo paracadute argenteo, nell'arena, somigliava così ad una stella che amavo tenerlo fra le mani. Come se arrivasse direttamente dal cielo.

Vidi poi Mags, che rideva della mia cotta per Annie. La mia donna preferita. Mi mancava così tanto, avrei voluto riabbracciarla. Pensai alla mia Annie. Al nostro primo incontro, con quel tramonto rosato che la rendeva bellissima. Un miraggio. Non avevo capito di amarla. Mi aveva sorpreso quella pazza riccia. Era il mio più grande peccato. Lo era sempre stato.

Pensai al distretto dodici, al tridente di Beetee che era troppo distante, non potevo usarlo, e mi maledii avrei potuto uccidere quelle bestie, ma no, era impossibile. -Finnick- sorrisi, era la voce di Annie e la vidi, bella e liscia nel suo abito da sposa.

Nella mia mente quel giorno era impresso a fuoco, era bellissima, l'amavo da morire. Avrei voluto dirglielo di più. Mi maledii per questo.

Alla fine notai che Katniss aveva acceso l'Olo, tra poco tutto sarebbe esploso, feci in tempo a vedere Annie sulla spiaggia con un bambino per mano, le onde che si infrangevano.

Poi con una fiammata, come quella di una candela al suo ultimo respiro mi spensi.

Il dolore al collo era passato. Tutto era nero e la luce mi venne incontro.

Vidii Mags e Annabelle, era cresciuta ed era bellissima. -Sei pronto, manca poco- mi disse, sorrisi, durante l'esplosione. Vidi due occhi verdi smeraldo e una faccina maliziosa che sorrideva.

Chiusi gli occhi. Smisi di esistere, come la fiamma di una candela senza più ossigeno.

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Capitolo 56
*** Destino (Annie Cresta) ***


Capitolo cinquantasei.
 

Annie Cresta.


 

Mi svegliai gridando.

Erano settimane che non facevo incubi. Settimane felici. Ma quel giorno lo sentivo diverso, come se tutto l'ossigeno del mondo stesse finendo, e io non potevo più averne perché avevo conservato il mio quantitativo.

Come se sapessi che sarei morta e accettavo la cosa con calma e rassegnazione.

Mi aggrappai al lenzuolo bianco inondato di sudore, che mi colava lungo la schiena nuda fino al letto, d'istinto portai una mano alla pancia con fare protettivo, guardai intorno a me e cercai di calmarmi. Così facevo del male al piccolo. Dovevo rimanere calma.

Feci dei respiri profondi e mi abbracciai le ginocchia, vi nascosi il viso e tremai, un poco, dopo tanto tempo scoppiai a piangere, proprio a dirotto, con i singhiozzi e tutto il resto, calciai per la frustrazione e gridai. Non riuscivo a capire perché stessi così male. Dopotutto avevo sentito dire che oggi sarebbero ritornati, dovevo essere felice. Ma sentivo che qualcosa non andava.

Mi misi entrambe le mani sulla pancia e respirai a occhi chiusi, passai le mani sulla pancia come fosse un pianoforte -Va tutto bene- sussurrai, la voce era altamente instabile -Tutto. Tutto bene- ripresi a respirare normalmente, scossi la testa e alcune ciocche ricce mi scivolarono via dalla coda che ormai si stava sfacendo, li tolsi dal viso soffiando.

Mi alzai e lasciai che la camicia di Finnick mi cadesse addosso, come un vestito un po' troppo grande, cercai la torcia di cui eravamo dotati, prima di guardare l'orologio. Erano solo le cinque. Annui e sospirai esasperata, mi sedetti sul letto e mi guardai i piedi. Dei bruttissimi piedi piccoli e goffi. Mi si gonfiavano spesso, e le scarpe grigie a volte mi andavano strette. Facendomi male.

Li mossi, come facevo da piccola, quando erano immersi nell'acqua cristallina. Sospirai e mi tolsi slegai quei pochi capelli rimasti impigliati nell'elastico, e li sistemai tutti su una spalla. Dovevo tagliarli. Erano un peso inutile, poi adesso. Ora che avevo anche quel pargolo nella pancia.

Mi alzai e andai a vestirmi, tanto valeva iniziare la giornata e non ciondolare in pigiama. L'avevo già fatto troppe volte. Dovevo iniziare a sistemare i vestiti, me ne avevano dati altri, perché erano stufi di vedermi andare in giro con le camice di Finnick, a me non dispiaceva, ma evidentemente alla Coin si.

Erano quasi le dieci, e avevo praticamente finito quando qualcuno mi sfondo la porta. L'aprirono con la porta facendomi urlare. C'era un ragazzone, dagli occhioni azzurri e i capelli castani, si morse un labbro e mi guardò dall'alto. Tutti in quel cavolo di distretto erano altissimi! -Mi scusi signorina Cresta- disse, sorrisi -Odair- aggiunsi, lui si accigliò -Signora Cresta/Odair- dissi, lui annui e sorrise -Ah, si giusto. Ero presente al vostro matrimonio. Lei, era bellissima- disse e arrossi, sorrisi in imbarazzo, nessuno, a parte Finn, mi aveva mai fatto un complimento. Non ci ero abituata -Grazie- sorrisi e misi le mani sui fianchi -Volevi dirmi qualcosa?- chiesi gentilmente, lui annui e arrossi, la sua pelle pallida diventò rossa come un pomodoro maturo -Si, emh la vogliono al comando- disse, mi appoggiai al cassettone e mi si seccò la gola -Come mai?- chiesi, lui guardò a terra, visibilmente teso -Non ho l'autorità di dirglielo, signora. La prego mi segua- disse, mi portai una mano alla pancia, e annui. Ero, sicuramente pallida in maniera estremamente paurosa.

Camminammo a passo veloce (Non correva perché ero incinta, che gentile) e passammo a diversi appartamenti, sentivo i gridolini di gioia e le lacrime di felicità. Non m'importava di sentire tutta quella felicità. Dov'era la mia, di felicità? Dov'era Finnick? Iniziò il panico, sentivo le gambe molli, le mani mi tremavano visibilmente e mi veniva da vomitare, presi il giovane per la manica e mi sorresse tenendomi i capelli mentre vomitavano l'anima, alla fine mi pulii la mano ad un fazzoletto, che lui aveva dietro, ero pallidissima -Signora Cresta/Odair se vuole la porto in ospedale- sussurrò quel ragazzo tanto gentile. Scossi la testa con fermezza, se mio marito era ferito. Dovevo saperlo. Dovevo scoprire cosa gli era successo, perché non era venuto da me.

Arrivammo al comando e trovai Katniss e sua mamma strette in un abbraccio, che singhiozzavano, sua madre gridava istericamente. Mi si strinse la gola. Voleva dire una sola cosa: Prim. Prim era morta, cercai di non piangere, com'era possibile? Doveva solo dare una mano. Niente di più. Avevano detto che non era pericoloso, che sarebbe tornata.

Mi voltai e vidi uno spettacolo tremendo, tanto che, il ragazzo accanto a me, mi dovette tenere dallo svenire. Rory il fratello di Gale stava urlando e aveva le mani sporche di sangue, le unghie rotte. Gli occhi grigi brillanti, erano come impazziti, feci per andare da lui, ma il soldato mi tenette -No, ti farebbe del male è sconvolto- disse, lo fissai -Per la piccola?- chiesi in un sussurro, lui fece una smorfia -Ha perso più di quanto crediate- mi disse. E procedette, lo segui, fra pianti e urli.

Trovai Johanna, tremava come una foglia e sembrava incapace di parlare, solo dei sussurri soffocati, i medici l'accarezzavano mentre fissava davanti a se. Gli occhi paurosamente vacui e senza vita, quando fui abbastanza vicini sentii la frase che sussurrava. Anzi il nome. Gale. Mi si gelò il sangue. Non poteva essere. Non poteva essere morto.

Destino del cazzo. Non poteva essere successo realmente, cosa aveva fatto del male la piccola Johanna Mason? Cosa?!

Strinsi le mani a pugno e gli passai davanti.

Lei nemmeno mi notò.

Arrivai al comando, c'erano diverse persone, che gridavano, alcuni sdraiati su dei tavoli, altri sdraiati e coperti da un lenzuolo bianco. Repressi un brivido. Effie mi guardava e si aggrappava ad Haymitch, quello sguardo. Mi fece salire le lacrime agli occhi.

Cercai Finnick con gli occhi, osservai le sagome coperte, guardai ovunque. Cercando qualcosa di famigliare, che mi facesse capire che lui era li. Poi lo vidi.

Un tridente. Un tridente come il suo, sorrisi e iniziai a piangere, allora era vivo! Ma dov'era? Era ferito? Mi guardai attorno, sentendomi nuovamente prendere dal panico. Non lo vedevo. Non c'era, da nessuna parte.

Qualcuno mi toccò la spalla. Plutarch. Era triste, quel suo viso senza espressioni ne tradiva una sola. Tristezza. Lo guardai a labbra socchiuse -Dov'è Finnick?- chiesi, una parte dentro di me era devastata, sapeva dov'era Finnick, cosa gli era successo. Ma non volevo accettarlo -Annie- iniziò, lo bloccai -Dov'è Finnick?- chiesi nuovamente, mi sentivo una bambina piccola, ma non potevo farci nulla, sapevo dov'era, ma allo stesso tempo non lo sapevo.

-Annie ascoltami bene- disse, mise entrambe le sue mani paffute, sulle mie spalle piccole e curve, -Dov'è lui?- sussurrai, le lacrime iniziarono a scivolarmi silenziose e micidiali sulle mie guance, mi bagnavano il viso e dopo cadevano come gocce d'acqua sulla mia camicetta, creando dei punti grigio scuro, in contrasto con quel grigio chiaro.

Fece una smorfie e sospirò -Lui non tornerà. Finnick non tornerà mai più- disse guardandomi negli occhi. Mi tremarono le labbra -Mi dispiace così tanto Annie- disse, sinceramente addolorato. Non me ne fregava niente se gli dispiaceva o no. Avevo perso l'amore della mia vita. Iniziai a tremare e scoppiai a piangere, mi tolsi di dosso quelle mani, che erano troppo pesanti e corsi via, superando Johanna in preda allo shock, e tante altre persone. Corsi velocemente. Dimenticandomi del bambino.

Sentivo i medici che mi inseguivano. Ma io correvo più veloce. Mi tirai i capelli e li strappai, lo vidi dal sangue che mi macchiava i palmi della mani. In quel momento non provavo nulla.

Arrivai vicino l'uscita e vidi il nostro ripostiglio.

Quello fu il colpo di grazia.

Mi accasciai contro il muro e gridai, battendo i piedi a terra, sentii delle urla, ma io piangevo troppo forte, mi punsero il braccio e mi guardarono negli occhi -E' per il tuo bene- sussurrarono, la testa divenne pesante e caddi nel buio.

Non ricordai nient'altro di quella giornata. Solo che quando aprii gli occhi. Il mondo non aveva più senso.

Non senza il mio Finnick.

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Capitolo 57
*** -Fin- (Annie Cresta) ***


Capitolo cinquantasette.

Annie Cresta.


 

Cullai la creatura fra le mie braccia. Era piccolissima. Così indifesa, dormiva beata fra le mie braccia. Un cosino minuscolo. La stanza aveva una luce fioca, sola con quella sul comodino, era tarda notte, se non mattina, avevo ancora i capelli lunghi. Non li avrei mai tagliati. Lo sapevo.

Tutti incollati sul collo o sulla nuca, per via del sudore.

Era stata una notte intensa. Ma una delle più felici della mia vita. Mio figlio. Il mio bambino, era nato, venuto al mondo sano e bello, proprio come il padre. Aveva pochi capelli, ma scuri, proprio come i miei, mi ritrovai a sorridere. Il mio bambino.

Pensai a quando erano partiti i dolori. Johanna abitava con me. Dalla morte di Gale, non volevano lasciarla sola. Quindi l'avevo presa in custodia, dopo otto mesi stava meglio e li inizio a stare male. Pensavo fosse proprio per quello. Mancano due settimane alla commemorazione dei caduti in quella guerra. Dove sia mio marito che il suo fidanzato erano morti.

Avevo sentito dei leggeri dolori, niente di preoccupanti, li avevo in continuazione, e non gli avevo detto nulla, lei vedeva le mie smorfie ma non mi diceva niente, mi fissava. Io non davo spiegazione, pensavo che sarebbero passate. Un thé e tutto apposto, come sempre.

Ma fu molto diverso.

Misi su il thé, con i dolori sempre più frequenti, tanto che ormai contenere i gemiti e le urla era diventato impossibile, mi sedetti sul piccolo divanetto che avevamo e mi strinsi la pancia, faceva davvero, davvero male.

Era come se mi stessero tirando dei pugni incredibilmente forti sulla pancia e sui reni, da togliermi il fiato, facendomi lacrimare gli occhi e bruciare la gola, sia per le lacrime amare che dovevano scendere dai miei occhi verdi, sia per le grida che rimanevano bloccate nella gola. Non potevo urlare. Tutto sarebbe passato.

Ma più lo ripetevo, più capivo quanto mi sbagliavo. Non si sarebbero fermati quei dolori, alla fine strinsi forte le unghie corte nel divano verde melma tanto da far diventare le nocche bianche e gridai.

Mi uscii fuori un vero e proprio urlo di dolore, era orrendo da fare, figuriamoci da ascoltare, non pensai di esserne capace. Eppure lo ero. Gridai ancora, e ancora, muovevo le gambe in maniera incontrollata. Quando si fermò un attimo, mi appoggiai stancamente al morbido schienale del divano e sorrisi appena, stavo già grondando di sudore, e davanti a me vedevo solo una montagna di grigio. La pancia era davvero enorme. Ci portai sopra una mano e feci 'Shh' come per dirgli di stare calmo, ci tamburellai sopra. Adorava quando glielo facevo, lo sentivo.

Il momento era paradisiaco, stavo bene, il dolore era passato. Sarebbe smesso. Cercai di alzarmi ma ero troppo stanca. Non ci sarei riuscita neanche per tutto l'oro del mondo. Tirai indietro la testa e scossi i capelli. Odiavo sudare, li rendeva appiccicaticci e pesanti. Cosa che non aiutava.

Quel momento di pace e quiete durò pochissimo, quattro, cinque minuti al massimo. E mi ritrovai di nuovo ad urlare, non sapevo cosa. Mi ritrovai annebbiata e confusa, sentii l'eco di alcune parole. Il mio nome, urlato, cercai di pensare lucidamente ma era impossibile, non riuscivo a farlo. Guardai meglio e vidi una ragazza, dai capelli castani gridare aiuto in corridoio. Johanna.

Sorrisi appena, fra le lacrime -Grazie- sussurrai, mi teneva la mano mentre urlavo. Lei si mordeva un labbro, aveva gli occhi velati di lacrime, avrebbe voluto scappare. Ma non lo avrebbe fatto. Lo sapevo. Neanche se glielo avessero detto, sarebbe andata via. Sentivo che la sua mano diceva 'Sono qua. Finnick non potrà esserci, ma io si. Gli ho fatto una promessa, e ora ne farò una anche a te. Andrà tutto bene' io gliela strinsi ancora più forte, se possibile e la ringraziai con lo sguardo. Il dolore era davvero davvero tanto.

Arrivarono i medici, o quelli che secondo me erano medici, mi caricarono su una sedia a rotelle e di corsa in ospedale. Le persone si affacciavano dai loro appartamenti, erano spaventati, ma sorridevano. Perché sorridevano? Io avevo il diavolo che si divertiva a ballare il cha cha cha sui miei poveri reni, mentre Lilith stava imparando la salsa sulla pancia. Gemetti a denti stretti. Basta urla. Basta.

Arrivammo in ospedale ma ero molto confusa, sentii solo 'Sala parto' e 'Urgente' cercai con lo sguardo qualcuno di famigliare. Lo cercai a lungo muovendo la testa di scatto, da una parte all'altra. Mi bloccai e capii chi stessi cercando. Finnick. Lui era una costante nella mia vita. Avevo dato per scontato che lui, in questo giorno sarebbe stato presente fisicamente. Non solo in ricordo. Il dolore era moltiplicato, sia dal punto di vista emotivo, sia da quello fisico.

Qualcuno mi prese la mano e la strinse forte, mi girai e vidi Johanna, aveva le lacrime agli occhi -Grazie, ma davvero- gli dissi, stavo piangendo. Erano giorni che piangevo senza apparente motivo -Lui avrebbe voluto essere qui, lo sai questo, vero?- chiese, annui e lei strinse forte la mano me la lasciò solo per potersi andare a preparare. Sarebbe entrata in sala parto con me.

Non potevo crederci. Sorrisi appena.

In seguito non ricordai molto, solo tante urla e lacrime, e dolori su dolori.

Mi ricordai solo i medici che urlavano -E' maschio. È bellissimo- e io -E' sano? E' SANO?- non me poteva fregare di meno. Poteva anche essere brutto, ma io lo volevo sano, che stesse bene, quello m'importava, nient'altro.

Bussarono alla porta, interrompendo i miei pensieri, stavo canticchiando, e cullavo quella creatura. Era un infermiere, dai capelli biondi legati in un codino dietro la testa, gli occhi verdi e la pelle chiara chiara. Sorrideva in maniera davvero dolce, ricambia, anche se mi costava fatica. Ero stanchissima.

-Signorina?- chiese, io abbassai lo sguardo sul bimbo -Scusi?- chiesi, lui fece una breve risata -Mi scusi, seriamente. Lei è la signorina Cresta/Odair, giusto?- chiese, io annui, con un sorriso, quel ragazzo era davvero simpatico, non sapevo perché, ma lo sentivo simpatico. Felice. Non so spiegarlo. Mi dava delle belle sensazioni.

-Okay, dobbiamo portare via il bimbo. Lo rivedrà domani mattina. Mi scuso per il disagio- disse, mi irrigidii, non avrebbero portato via il mio bambino da me. Né ora né mai. Lo guardai spaventata -Non si preoccupi, non vogliamo rapirla, deve solo darla a noi. Deve riposare- disse, io sospirai e mi tirai su, attenta a non svegliare il pargolo. Era così bello. Sospirai -A domani amore della mamma- gli dissi, lo prese in braccio e mi guardò, sorridendo -Ha già scelto un nome?- chiese, io rimasi impietrita.

No, non l'avevo scelto, non ci avevo nemmeno pensato, ero sicura fosse femmina. Non sapevo che nome dare ad un maschietto. Oppure si? Fissai il giovane a bocca socchiusa. John? Potevo chiamarlo come il ragazzo che aveva fatto gli Hunger Games con me. Ma non avevamo niente in comune, se non un destino terribile. Gale. Il soldato che aveva rubato il cuore alla piccola Johanna Mason, rendendola felice. Anche se per poco tempo.

Haymitch. Anche lui, era stato gentilissimo con noi, così come tante altre persone. Ma non potevo dargli il loro nome. Con una sola persona avevo condiviso tutta la mia vita. C'era sempre stata. Ma non potevo chiamarlo così.

Rimasi a mordermi le labbra per un po', o almeno così pensavo, alla fine sorrisi. Sapevo che nome dargli. Ne ero sicurissima.

-Si, ho scelto il nome- dissi, lui mi fissò curioso -Fin. Fin Odair.

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Capitolo 58
*** If Die Young (Johanna Mason) ***


Capitolo cinquantotto.

Johanna Mason.


 

I capelli erano mossi dal vento, li sentivo sul collo e lungo la schiena, come degli uccelli legati. Il sole mi baciava il volto pallido, sorrisi al cielo e sentivo quei raggi caldi sulle labbra. I piedi nudi si flettevano sul prato, sentivo quei piccoli fili verdi che mi solleticavano la pianta dei piedi, facendomi uscire dalla bocca delle risatine. Stupide da ragazzina, anche se ormai non lo ero più.

Erano passati sedici anni. Sedici anni dalla guerra alla capitale. Sedici anni dalla morte delle due persone più importanti della mia vita. Finnick e Gale.

Sedici anni dal parto di Annie. Dal nostro legame ancora troppo forte. Ma che sentivo non meritarmi.

Non mi ero rialzata, Annie si, avendo avuto Fin si è rialzata anche se vive tuttora con i fantasmi del passato, si è rialzata. Pensa al futuro. Perché sa, che è quello che lui avrebbe voluto.

Sospiro e abbasso la testa, e apro piano piano gli occhi, guardando il verde speranza del prato, da dove spuntano dei fiorellini. Margherite, violette, e anche qualche dente di leone. Sorrisi, mi ricordava Katniss e Peeta, quei due ragazzi, giovani e forti, come lo ero io un tempo.

Mossi le dita dei piedi. Erano brutti, tutti storti. Prima delle torture erano bellini. Era la parte che preferivo di me. Ora è morta anche quella.

Osservai il mio giardino. Erano spoglio, un solo albero alto e robusto, con diversi rami, su uno un'altalena dove a volte alcuni bambini venivano a giocare. Ma non oggi. L'avevo tolta, da due giorni, al suo posto una corda legata con cura, dal color dell'avorio con nodi precisi ed eleganti. Veniva cullata dal vento, sotto un piccolo sgabello, l'avevo costruito io, ci avevo lavorato per settimane e settimane, era un lavoro egregiamente venuto bene. Con degli intagli e dei disegni. Fatti a mano. Mi avevano detto di essere brava a disegnare. Ma avevano sfruttato un altro mio talento. Che non sapevo di avere.

Feci vagare lo sguardo il più lontano possibile. Guardando i boschi, di cui l'odore si sentiva anche da lontano. Chiusi nuovamente gli occhi castani e respirai a fondo il loro profumo. Mi riempii i polmoni di aria buona. Aria di casa. Aghi di pino. Betulle. Querce. Li respirai e li ascoltai tutti. Con i loro fruscii, come se stessero cantando per me. Per dire addio.

Rientrai in casa, e passai le mani sui muri spogli, senza foto, senza niente. Non volevo appenderle. Facevano male, vedere Annie e suo figlio sorridenti, che crescevano, sopratutto quella di qualche mese fa, con suo figlio dai capelli castani, un po' ribelli, sicuramente presi da Annie e dagli occhi verdemare di Finnick, abbracciava la mia amica e lei lo guardava con tanto amore.

Non avrei mai potuto essere una mamma.

In salotto c'era una sola foto. Sul tavolino davanti al divano, mi sedetti sul quel duro ammasso di cuscini e la guardai, un sorriso mi increspò le labbra screpolate. Ero io, all'età di ventiquattro anni. Indossavo un abito nero, che scendeva fino alle caviglie e avevo i capelli raccolti in alto, ero senza trucco ma con i tacchi e stavo sorridendo, perché ero felice. Accanto a me un ragazzone altissimo mi teneva stretta a se, era stato preso nel bel mezzo di una risata, aveva la pelle olivastra e gli occhi grigi, una zazzera di capelli castani era stata domata e indossava un completo nero. Aveva sui diciannove anni. Le lacrime fecero capolinea dai miei occhi.

Gale.

Quella foto era stata fatta al matrimonio di Annie, era l'unica che tenevo in vista. Le altre erano nascoste negli scatoli accanto alla porta. Non le sopportavo. Nessuna. Ma quella era diversa. Mi piaceva. Era così sincera. Eravamo stati immortalati di nascosto. Ed eravamo venuti bene.

Mi asciugai le lacrime con il dorso della mani e sorrisi. Accarezzai un'ultima volta il giovane ragazzo spento troppo presto e mi alzai. Lisciandomi l'abito bianco. Era a campana.

Quando avevo sentito la canzone dell'albero degli impiccati avevo pensato che la ragazza indossasse un abito bianco, proprio come quello che avevo io in quel preciso momento. L'avevo trovato nei vecchi vestiti di mia madre. Incredibilmente mi stava.

Mi lasciai alle spalle il salotto. I miei piedi camminavano sul legno nero e freddo. Che scricchiolava ad ogni mio passo.

Aprii la porta, lo facevo sempre, ma quella volta la tenni spalancata. Non avevo niente di valore. Niente.

Guardai davanti a me, tutti continuavano la loro vita. Io ero ancora al passato. Non riuscivo a liberarmene, mi appoggiai allo stipite i capelli mi caddero sul viso, facendomi da scudo. Non vedevo altro che il color mogano.

Iniziai ad intrecciarli, non dall'alto. In maniera morbida lungo la mia spalla. Li avevo davvero lunghi. Non li avevo più tagliati, dall'esperienza delle torture. Non più.

Andai in cucina, presi quel foglio di carta. Era indirizzato ad Annie.

Volevo che lei ricevesse quel messaggio. Lessi le ultime righe.

'Mi dispiace, so che avrei dovuto lasciarmi il passato alle spalle. Ma non ci riesco. È difficile Annie.

Pensavo di uccidere quel demone, ma mi sono resa conto che in realtà non c'è nessun demone. Anzi uno c'è. Sono io. Io devo morire. Solo così potrò essere felice. Annie scusami. Scusami tanto.

Ma devo farlo, sai che è l'unica maniera che ho.

Tutti i mostri sono umani. Io sono un mostro. Quello più difficile da uccidere. Addio Annie Cresta/Odair, ti vorrò per sempre bene.

 

Tua amica e confidente.

Johanna Mason.'

Così andava. L' avevo scritta tre volte. E quell'ultima versione mi piaceva. La presi e la tenni con mani tremanti.

Andai verso la porta e l'attaccai sulla porta, sia in alto che in basso, con due puntine. Una nera. E una gialla.

Tornai in casa, lasciandomi alle spalle la lettera. Anche quel punto era fatto.

Vicino all'uscita posteriore c'erano delle scarpe. Delle ballerine bianche, lucide, mi chinai e le infilai. Un piede alla volta. Con estrema calma.

Cercai uno specchio e mi guardai. Tralasciando volutamente il viso, che era sicuramente lucido di lacrime. Amare e argentee che mi baciavano sia le guance sia la bocca, come un'amante invisibili.

Controllai la treccia e la sistemai.

Mi incamminai a testa alta verso la corda.

Il vento continuava a tirare, sventolandomi la treccia e l'abito bianco, creando come un'onda di candida stoffa bianca. Non mi fermai.

Nella mia mente iniziai a contare. Come mi avevano detto di fare. Contare. Come un conto alla rovescia.

Mentre allungavo il braccio per infilarmi la corda intorno al collo, il numero uno comparve nella mia mente. Non troppo lucida.

Presi a respirare mentre scendevano altre lacrime.

Uno.

Due.

Guardai fisso davanti a me, gli alberi. Respirandone il profumo per un'ultima volta. Salii sullo sgabello e alzai il mento. Solo verde, difronte a me.

Tre.

Quattro.

Cinque.

Toccai la corda, mi ricordava troppo Finnick e faceva più male di quanto mi aspettassi.

Sei.

Portai una mano al cuore, batteva deciso e a tempo decisamente veloce. Assaporava gli ultimi battiti.

Sette.

Otto.

Nove.

Respirai profondamente e mi preparai. Tenni i pugni chiusi. Pensai a Gale. E gli dissi addio e poi ciao. Pensai a Finnick, lo avrei rivisto, da li a poco. Pensai ad Annie e mi dispiacque. Per lei e per Fin. Chiusi gli occhi.

Dieci.

Riaprii gli occhi e mi lanciai in avanti, lasciando andare lo sgabello. Sentii la pressione della corda e tutto diventò nero.

Avrei finalmente riabbracciato la mia famiglia.

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Capitolo 59
*** La vera storia di Finnick ed Annie (Annie Cresta) ***


Capitolo cinquantanove.

Annie Cresta.


 

-Mamma, mi dispiace tantissimo- disse Fin, aveva la testa appoggiata sulla mia, e mi abbracciava da dietro, io scuotevo la testa macchiando di lacrime la lettera di Johanna. Non potevo fare a meno di piangere. La mia unica amica, nonché unica famiglia, all'infuori di mio figlio, si era suicidata, impiccandosi ad un albero. Avevo scritto una lettera per Katniss e Peeta, dovevano saperlo anche loro, e poi ero scoppiata in lacrime, accucciandomi a terra gridando piena di rimorsi.

Mi voltai e mio figlio mi strinse al suo petto muscolo. Il mio sedicenne preferito, affondai il viso nel suo petto e soffiai fuori tutto quello che avevo, sentendomi libera, mi staccai asciugandomi gli occhi, sorrisi mortificata -Un figlio non dovrebbe mai vedere la proprio madre piangere- dissi, la voce rotta, lui mi accarezzo la guancia, come amavo mio figlio. Posai la mia mano sulla sua e gli sorrisi -Lo dici sempre- rispose, sospirai -Tuo padre sarebbe così fiero di te- dissi, era emotivamente instabile, lui mi abbracciò ancora -Me lo ripeti tutti i giorni- rispose, sentii il sorriso nella sua voce.

Lo guardai bene, aveva i miei capelli. Neri e scompigliati. Ma l'altezza , gli occhi e tutto il resto l'aveva presa da Finnick. Erano talmente simile che alcuni giorni faceva male guardarlo. Sopratutto quando scherzava e mangiava le zollette. Sembrava che mio marito fosse rinato con il nostro bambino. Gli passai una mano fra i riccioli, un po' troppo lunghi -Dovresti tagliarli- dissi, lui rise, e mi si strinse il cuore.

-Non voglio nemmeno pensarci! Per i primi quattordici anni della mia vita hai deciso tu come dovevo portare i capelli. Ora mi ribello- si staccò da me, mi appoggiai alla finestra e sentii il vento caldo carico di salsedine solleticarmi il viso. -Senti stavo pensando ad una cosa- disse, aveva la voce troppo preoccupata, sospirai e chiusi gli occhi, passandomi una mano sulle guance e sulle palpebre. Lo fissai con un sopracciglio sollevato -Ti ho già detto che finché non avrai preso il diploma in vacanza nei distretti, non ci vai. E non rifilarmi la scusa del 'Ma io ci vado per studiare' so perfettamente che non studierai- dissi, lui sorrise e arrossii -Neanche se ci vado con Meggie?- chiese, risi di gusto, e alzai gli occhi al cielo -Sopratutto se ci vai con Meggie!- esclamai.

Roteò gli occhi sorridendo, aveva le fossette, -Ma non ti fidi di lei?- chiese, abbassai lo sguardo sul mio vestito blu largo e lungo fino alle caviglie, riuscivo ad intravedere i miei piedi dal la fine dell'abito. Non aveva più i capelli lunghi, ora era un taglio a caschetto, che arrivava sotto le spalle, ma non riuscivo più a portarli lunghi. Non più. -Oh, di lei mi fido. Se tu il problema. Quando sarai più grande potrai andarci, ora come ora no- decisi, lui sospirò -Non finisce qui- mi indicò e sparii forse in cucina. Oppure a casa della sua 'amica' Meggie, o almeno, lei lo considerava un amico, Fin da un po' di tempo mi parlava di quanto stesse diventando carina. Riconoscevo quel tipo di sguardo quando lo vedevo. Era lo stesso che il mio amore usava con me. Non l'avrebbe mai dimenticata, se l'ama come amano gli Odair. Cioè loro amano sempre e per sempre.

Mi sistemai alla scrivania e ci posai sopra la lettera. Johanna mi sarebbe mancata. Come manca un braccio o una gamba. Lei era la persona più bella di questo mondo, avrei tanto averla potuta aiutare, mi presi la testa fra le mani e chiusi gli occhi. Volevo qualcosa di diverso per lei. Mi venne un'idea. Avrei dovuto solo aggiungerla.

Presi il quaderno e mi misi all'opera, dovevo finirla, almeno prima del sedicesimo compleanno. Sarebbe stato il suo regalo. Avrebbe finalmente conosciuto il padre, non come lo elogiavano in classe, facendolo diventare un eroe caduto in una battaglia per la libertà. Era così finto. Lui avrebbe conosciuto il Finnick patriottico.

Io volevo che conoscesse il mio Finnick. Il ragazzino timido di appena quattordici anni. Il quindicenne preoccupato. Il sedicenne distrutto. E il diciassettenne speranzoso. Fin avrebbe conosciuto suo padre per com'era davvero: un uomo normale.

Non avrei scritto grandi imprese eroiche, avrei scritto la verità. Perché non volevo costruire un eroe. Volevo far rivivere quell'anima spenta troppo velocemente e troppo presto.

Passai il pomeriggio a scrivere. Mio figlio non si era più fatto vivo, sicuramente con quella ragazza, che in casa non era mai apparsa. Ma che avevo visto con lui al mercato. Meggie aveva l'età di mio figlio, i capelli erano neri come il carbone del distretto dodici ed erano lisci come spaghetti, e gli occhi ambra di un dorato ipnotizzante, la pelle era color caffè-latte, era una ragazza davvero bella. Avrei tanto voluto conoscerla. Ma mio figlio non osava nemmeno portarla sul nostro porticato.

Alla loro età io ero già stata in casa di Finnick diverse volte, e lui era stato in casa mia e addirittura nella mia camera un sacco di volte. Non stavamo ancora insieme, ma da me veniva. Chissà come mai non voleva farmela conoscere.

Bussarono alla porta e sobbalzai. Stavo per scrivere la frase finale, alzai gli occhi dal foglio bianco e mi schiarii la voce -Avanti- dissi, la testa riccia e scura di mio figlio fece capolinea, aveva un sorriso che gli prendeva tutto il volto, quello l'aveva sicuramente preso da me. Gli occhi verdemare erano brillanti, le guance arrossate. Sembrava euforico, sorrisi, qualcosa mi disse che avremmo avuto tante cose di cui parlare. Il mattino seguente -Mamma- disse, la voce carica di felicità che quasi mi fece sorridere, quasi -Dimmi- dissi, lui si appoggiò allo stipite e si morse un labbro -Senti, stasera apparecchieresti per tre?- chiese, rimasi allibita, di solito apparecchiavo per tre solo per dei giorni specifici. Per il mio compleanno, per il compleanno di Finnick e anche per quello di Fin, infine per il giorno in cui mi avevano detto che era morto . Sennò non apparecchiavo mai per tre. Mai. -Certo, chi si unisce a noi?- chiesi, sorridendo, aveva visto quel suo strano sguardo e finalmente capii. Non potevo non sorridere -Meggie- disse, sospirai e abbassai lo sguardo sul quadernino -Che ne dici della famosa salsa degli Odair?- chiesi, lui venne da me e mi baciò le guance -Ma tu proprio mi leggi nel pensiero eh?- chiese, poi mi abbracciò, per quanto la scrivania lo permettesse -Lo sai che ti voglio bene?- chiese, io respirai il suo profumo, mischiato a quello del mare -Si, e tu lo sai che ti amo?- chiesi, lui mi strinse più forte -Si, lo so mamma.

Uscii com'era arrivato, senza far troppo rumore, controllai l'orologio, erano già le sette e mezza, noi cenavamo di solito alle otto, così Fin aveva la serata libera. Dovevo darmi una bella mossa. Ripresi in mano la penna e guardai il foglio. Ora sapevo per certo quale frase finale mettere.

'Così si conclude la vera storia di tuo padre e della ribellione. Auguri amore mio. Ora conosci la verità, su tutti quanti. Sulla zia Joh', su Gale. E anche su “ Gli innamorati sventurati del distretto dodici “.'

Chiusi il quadernino e in stampatello maiuscolo scrissi il titolo del racconto 'La vera storia di Finnick e Annie'.

Alzai gli occhi e voltai la testa verso il mare.

Le onde erano sempre le stesse, si infrangevano sempre sulla stessa sabbia. Lo avrebbero fatto in eterno, senza mai cambiare.

Ma io ero cambiata.

Ero finalmente pronta, mi alzai e andai alla porta, girandomi solo sullo stipite e osservai lo studio con attenzione.

Le pareti bianche, dove erano appese delle fotografie, e dei quadri. Il pavimento di legno con un tappeto marrone consumato, la scrivania di mogano e un divanetto in pelle, color verde scuro. Non c'era una sola cosa abbinata.

Guardai nell'angolo opposto, una cosa argentea, lunga e con tre punte. Sorrisi.

Ero pronta per dire addio.

Chiusi lo studio dietro di me e guardai finalmente avanti. Verso il futuro lasciandomi alle spalle quel dannato e malinconico passato.

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