Se fossimo solo...NOI

di IMmatura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arthur Kirkland ***
Capitolo 2: *** Kiku Honda ***
Capitolo 3: *** Yao Wang ***
Capitolo 4: *** Alfred F. Jones ***
Capitolo 5: *** Antonio Carriedo ***
Capitolo 6: *** Ludwig Beilschmidt ***
Capitolo 7: *** Matthew Williams ***
Capitolo 8: *** Romano Vargas ***
Capitolo 9: *** Tino Vainamonen ***
Capitolo 10: *** Roderich Edelstein ***
Capitolo 11: *** Francis Bonnefoy ***
Capitolo 12: *** Feliciano Vargas ***
Capitolo 13: *** Eduard Von Bock ***
Capitolo 14: *** Feliks Łukasiewicz ***
Capitolo 15: *** Ivan Braginsky ***



Capitolo 1
*** Arthur Kirkland ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

The magician

Si inchinò per il suo pubblico e rialzandosi, con un gesto secco delle braccia liberò un’esplosione di candore. Colombe bianche vorticavano sulle teste degli spettatori.

Un boato di stupore risuonò sotto la volta del teatro. Timidi applausi che si unirono a formare il consueto boato, mentre qualcuno rimaneva ancora a naso in su. Le colombe si appollaiarono placidamente sul lampadario di cristallo della sala, quasi volessero assistere anche loro al proseguire dello spettacolo. Arthur sorrise, mentre le luci si abbassavano.

Il pulviscolo si alzava ad ogni suo passo, rapido e sicuro, e splendeva sotto la luce dell’unico faro rimasto acceso. Come polvere magica.

Era uno dei più grandi prestigiatori del mondo anche per questo. Perché curava al massimo ogni dettaglio. Non si accontentava di eseguire meccanicamente i gesti segreti, no. Lui entrava in un altro mondo, e portava con se anche il pubblico che rideva e si spaventava ogni volta.

Immerso nella sua magia, circondato dalle ombre bluastre riflesse sui volti del pubblico, come da silenziosi spiriti della foresta, l’inglese si muoveva con la sacralità di una cerimonia. Come dovesse realmente fare un incantesimo.

Ecco, dal nulla appariva una carta, e poi un’altra, e un’altra ancora.  Le lanciava e rimanevano sospese. Le faceva girare attorno a sè con delicati cenni della mano. La luce diventava sempre più forte, alle sue spalle, e la sua sagoma iniziò a fluttuare in quella luce.

Le luci creavano aurore boreali in cui danzava con le sue carte, e le figure proiettate sul muro alle sue spalle. Figure di draghi e fate. Poi un’esplosione. Stelle che ricadevano sul pubblico. Semplici fuochi d’artificio che, per un attimo, erano nobilitati a fiamme di un altro mondo.

Arthur aveva di nuovo i piedi per terra, mentre nella semi oscurità il pubblico iniziava ad applaudire di nuovo, stordito e felice da quel piccolo viaggio. Era l’illusione più realistica che avessero mai visto. Era l’illusione che Arthur voleva.

Per quelle due ore sul palco, quel mondo di magia doveva diventare REALE.

E così fu, anche quella sera. L’inglese vide un mondo incantato riflesso negli occhi dei suoi spettatori. Vide il mondo che lui creava, e a cui loro davano la vita. Lo vide così bene che, per un attimo, si ingannò anche lui.

Gli sembrò di vedere una scintilla nascere dal sorriso di un bambino in prima fila e, ricordando le fiabe che amava tanto alla sua età, si ritrovò a pensare che doveva essere nata una nuova fata...

 

Angolo dell’autrice

Salve! <3

Per chi non mi conoscesse io sono Immatura e da oggi, ogni tanto, vi regalerò qualcuna di queste sciocchezzuole. Come ho scritto nell’intro i nostri amati Hetaliani qui sono umani, che fanno una via da persone normali, ovviamente rimanendo se stessi, con le loro passioni. Perciò Iggy non poteva che essere un prestigiatore! ;)

Teoricamente, essendo umano, in questo mondo non ha il potere di vedere le sue amate creature magiche, ma questo non significhi che non le ami.

Il finale poi è volutamente un po’ ambiguo, forse è solo autosuggestione, oppure per un attimo ha creduto così fermamente nella magia da riuscire a intravedere...che volete che vi dica, in realtà non lo so neanch’io!

Certe cose rimarranno sempre inspiegabili, e forse è questo il bello ^_^

Alla prossima

Immatura

P.S. Grazie a TonyCocchi e Insaluber per aver recensito la mia prima storia, e a tutti voi che l’avete letta, anche senza recensire.

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Capitolo 2
*** Kiku Honda ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

漫画家 

Ascoltò con piacere lo scorrere del fusuma* che si richiudeva alle sue spalle. Se c’era una parte che non riusciva ad amare del suo lavoro era quella degli incontri con i lettori. Una folla di tutte le età che lo riempiva di complimenti mettendolo in imbarazzo. Il dolore al polso per le mille strette di mano e i tanti (quasi troppi) volumi autografati, che gli avrebbe impedito di lavorare al meglio per i prossimi giorni. Tutto però faceva da contraltare a questo: rientrare in casa, lasciarsi avvolgere dal piacevole aroma di the verde, togliere sulla porta le scarpe e tornare nel suo studio.

Molti si chiedevano come mai, con tutti gli introiti dei suoi manga, si ostinasse a vivere in quella vecchia casa tradizionale. Kiku, in risposta, si limitava a sorridere. Non avrebbe saputo con che parole spiegare la sensazione di pace che lo avvolgeva tra i suoi shoji**. Non sarebbe riuscito a chiamare nessun altro posto “casa”.

In fondo, se i suoi personaggi potevano vivere tra dei fogli, perché non avrebbe dovuto farlo anche lui?

Quelle pareti di carta, in un certo senso, rappresentavano la sua vita più di qualsiasi altra cosa. Erano un legame che lo legava al suo mestiere di mangaka, alle storie che raccontava. Ai personaggi che animavano la sua mente.

Tutti si complimentavano con lui per aver creato quel tal protagonista, o quel tal altro. Kiku avrebbe avuto parecchio da ridire.

Lui non aveva creato niente. Quei personaggi vivevano da se. Era lui ad entrare per gradi in quel mondo di carta, come un silenzioso testimone, per raccontare le loro storie.

Lo stesso brusio della matita sui fogli a volte gli sembrava invadente, ma quei volti gli sorridevano socchiudendo gli occhi grandi e luminosi, e vivevano per lui come in uno spettacolo. C’erano personaggi solari e volitivi, che trovavano ogni scusa per sfondare le anguste pareti della vignetta, ed altri un po’ più simili a lui, che sedevano composti in un secondo piano, e si accontentavano dell’estrema cura con cui il loro mangaka tracciava le loro ombre, o i riflessi sulle loro lacrime nascoste.

E Kiku disegnava e disegnava instancabilmente, inspirando l’odore di matite temperate che si mischiava a quello del the, sentendo come un’eco remoto lo scorrere dell’acqua nel giardino. Dimenticando il dolore al polso e l’imbarazzo di poco prima, tornava a chiudersi in quel piccolo tempio, per ascoltare il mormorio delle anime che, come lui in quel momento, vivevano nella carta.

 

 

Note

* il fusama è la porta scorrevole delle antiche case giapponesi

** gli shoji sono le pareti composte di materiali come legno o carta, che definiscono gli ambienti della casa.

 

Angolo di IMma

Salve salvino gente! <3

Sono tornata con una nuova creazione...stavolta la storia è un po’ più corta, ma spero possa piacervi. Mi ha sempre affascinato l’architettura giapponese, soprattutto per la scelta dei materiali e ho pensato di aggiungere questo elemento per dare più corpo alla storia del nostro riservatissimo Kiku. A me è sembrata un’idea carina, poi non so...

Il titolo dovrebbe essere la trascrizione ideografica di mangaka, ma non ne sono proprio certa, quindi se qualcuno sa il giapponese e può aiutarmi lo faccia, please! O///O

E dopo questa figura di cacca, vi ringrazio per la lettura. Se vi va recensite, sono sempre felice di leggere le vostre opinioni!

Saluti

IMmatura

P.S. Grazie mille a SunliteGirl, Lady White Witch, Fede_Silver e malice per aver recensito lo scorso capitolo,e a tutti coloro che mi hanno messa nelle seguite e nelle ricordate. Spero di non avervi deluso con questo aggiornamento ^_^

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Capitolo 3
*** Yao Wang ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

兽医 

 

Ignorando i sobbalzi della sua jeep, Yao affrontava ogni mattina 20 km per raggiungere il centro. Lasciava Chengdu ancora dormiente e correva al lavoro, dai suoi amici.

Passava silenziosamente davanti alla targa di marmo nero, e senza perdere tempo, entrava nel giardino. Lo accoglieva la confusione dell’arrivo dei rifornimenti di bambù. Salutava con un cenno qualcuno degli addetti, ma soprattutto cercava. Gli occhi spalancati e attenti si muovevano per vedere i primi musi pezzati far capolino dalle buche, o da sopra le piccole strutture in legno.

I panda di mattina erano sorprendentemente arzilli.

Yao si faceva accompagnare per pura formalità da due addetti della riserva, nel silenzio di quella perla meravigliosa che era la riserva, prima dell’invasione dei turisti. Gli piaceva osservare quegli animali bellissimi, prendersene cura.

Come veterinario amava tutti gli animali, ma i panda avevano nel suo cuore un posto speciale. Aveva faticato tanto per ottenere quel posto e prendersi cura di loro.

Osservando quelle creature si stupiva della loro mansuetudine. La natura li aveva fatti predatori onnivori, eppure se ne stavano li a rosicchiare placidamente il loro bambù, o qualche carota, e i cuccioli si avvicinavano curiosi ad annusare le scarpe sue e delle guardie. Quegli esseri avevano le armi per ferirli, ma non lo facevano. Quelle creature sembravano grandi e forti, ma la loro mansuetudine le rendeva indifese.

Forse quegli animali erano migliori di loro. Migliori degli uomini che li stavano lentamente condannando all’estinzione.

Alle nove in punto, mentre i primi turisti sgomitavano di fronte al cancello, Yao entrava nella nursery. Accudiva con amore quei fragili batuffoli di pelo che un giorno sarebbero arrivati a pesare tonnellate, sentendo su di se tutto il peso del suo essere uomo.

Poteva, con le sue azioni, salvare e crescere quelle creature, come condannarle con un errore.

Quel posto, il suo lavoro e quello dei colleghi, non erano forse un tentativo di rimediare ad un enorme errore umano?

E il giovane veterinario rimaneva li fino a sera, a veder avvicendarsi i bambini e gli adulti di fronte allo spettacolo di quella fragile, meravigliosa specie animale. Tremava quando, seppur con le divise adeguate e i guanti, qualcuno di loro prendeva in braccio i cuccioli per fare una foto. Lui che conosceva la loro fragilità, temeva dovessero spezzarsi all’improvviso. si sdegnava sentendo qualcuno lamentarsi del prezzo della foto: come facevano a non capire che quei doni della Natura valevano più di qualsiasi somma in denaro?

Yao non lo capiva e sospirava. L’amarezza però non gli impediva di mettere tutte le sue energie al servizio di quei panda, e di lasciare per ultimo il Chengdu Research Base of Giant Panda Breeding con un enorme sorriso e gli occhi pieni di bellezza e meraviglia.

 

 

 Angolo di IMma

 

Eccomi di ritorno con un nuovo capitolo...per chi non lo sapesse il Chengdu Research Base of Giant Panda Breeding è uno dei più grandi centri di ricerca e tutela dei panda, che vengono fatti nascere li (anche attraverso inseminazione artificiale) per poi reimmetterli gradualmente nella natura. L’area della riserva è visitabile, come una specie di enorme zoo safari, gratuitamente. Mentre per vedere le nursery e fare le foto si paga.

Non potevo immaginarmi un posto di lavoro diverso per Yao, voi che ne dite? ;)

Probabilmente sono uscita leggermente dal carattere, quindi imploro il vostro perdono. Gomen-ne!

Saluti

 

IMmatura

 

 PS non so perché il sito ha mangiato parte del formato nello scorso capitolo, spero non sia stato fastidioso leggerlo, e che non accada di nuovo! u.u

PPS Grazie a Princess L e alla mia consigliera di fiducia Lady White Witch per aver recensito lo scorso capitolo ^_^

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Capitolo 4
*** Alfred F. Jones ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

Airman

Guarda il suo riflesso sul metallo prima di salire a bordo. La testa che spunta dal colletto celeste della divisa. I capelli biondi che si dimenano al vento. Due occhi azzurri come il cielo.

Un complimento dei più banali, ma quello che più di tutti ha il potere di allargare sul volto di Alfred un radioso sorriso. La sua vita è quell’azzurro, e il momento che anche oggi, finalmente, sta per arrivare.

Si siede al posto di comando e schiaccia un pulsante. La sua risata si mischia al rabbioso rombo delle turbine, e al fragoroso turbinio delle eliche. Il vento che producono sembra spazzare via anche tante cose dentro di lui: la stanchezza, le preoccupazioni, le paure.

La vita militare è dura, per un ragazzo come lui. Alfred subisce le regole più che amarle, e a volte si sente un po’ stretto nella giacca d’ordinanza. Tuttavia non ha mai pensato, neppure una volta, che non ne valesse la pena.

Un semplice, preciso, quasi delicato movimento della cloche, ed eccolo alzarsi in volo con gli oltre settemila chili del suo HH-60. Il sole splende sul metallo del veicolo e tra i suoi capelli.

Vede la terra sfuggirgli sotto di se, l’orizzonte allargarsi fino a diventare immenso.

-Above all!*- si ripete andando ancora più in alto, sgranando gli occhi fino a sentirsi il volto indolenzito, per riempirli davvero più che può di quel limpido azzurro oltre le nuvole.

Nulla vale il brivido del volo, quella sensazione di libertà e potenza allo stato puro.

Alfred non si sente sicuro e forte in nessun posto come alla plancia di comando, e quando, alla fine, rimette i piedi a terra, prova sempre un attimo di smarrimento.

Poi però, quella sensazione diventa una gioiosa spossatezza. L’americano fa dei cenni di arrivederci ai commilitoni sulla pista, e poi saluta la bandiera.

Si sofferma a lungo a guardar sventolare quel vessillo a stelle e strisce, che gli riporta l’arrivederci dei venti. Sta immobile e pensa. Pensa a quanto è bello volare, ma anche alla fortuna di avere un posto in cui riatterrare, a fine giornata. Una Nazione, una casa.

 

* Above All letteralmente “al di sopra di tutto” è il motto dell’United States Air Force...praticamente l’aeronautica militare americana.

 

 

 

 

Angolo di IMma

Nuovo capitolo, che ne dite? Non sono certa che sia all’altezza degli altri, ma scegliere il lavoro di Alfred è stato DAVVERO problematico. Fatemi sapere se vi è piaciuto o vi aspettavate qualcos’altro...

A me piaceva l’idea di fargli fare qualcosa di un po’ fuori dal comune, che lo facesse comunque sentire un po’ un eroe e esaltasse la sua voglia di libertà ^_^

Recensite, please, o inizierò a temere di deludervi L 

Saluti

IMmatura

PS Ringrazio Lady White Witch per aver recensito lo scorso capitolo, oltre, come sempre, tutti coloro che stanno leggendo. Il prossimo arriverà al più presto e forse non sarà per tutti una sorpresa... ;)

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Capitolo 5
*** Antonio Carriedo ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

Profesor

il preside sbuffò vedendo uscire il nuovo arrivato dalla porta. Non poteva soffrirlo, come tutti quei neolaureati idealisti che arrivavano lì convinti di vivere in un remake de “L’attimo fuggente”. Tuttavia doveva ammettere con se stesso che l’arrivo di quel Carriedo era stata una manna dal cielo, per l’istituto. Il giovane professore si faceva carico di molti progetti extrascolastici senza chiedere rimborsi, e accettava tutte le supplenze con un sorriso quasi ebete sulle labbra. Ormai aveva un suo orario degno di un docente di ruolo. Ogni mattina faceva la spola tra le classi più problematiche, quelle da cui spesso e volentieri i professori anziani si prendevano una pausa.

Incredibile ma vero cinque ore, cinque sedie incollate e migliaia di palline di carta dopo Antonio ancora non aveva perso il sorriso.

C’era sempre qualcosa che lo rendeva felice: un ragazzino che decideva di spostarsi al primo banco, un altro che finalmente si degnava di fare i compiti, o semplicemente un quaderno meno pasticciato del solito.

Erano piccole soddisfazioni nell’immensa fatica del mestiere, ma gli ridavano energia.

Antonio non si scomponeva mai neanche di fronte alle faccine più torve e ostili. Sorrideva rassicurante e amichevole...e aspettava.

Bastava così poco, in realtà, a guadagnare la fiducia di quei cosiddetti “ragazzi difficili”. L’importante era non farli sentire nè sbagliati, nè compatiti.

Bastava avere pazienza, dar loro il tempo di capire che lui non li credeva nè stupidi, nè difficili, nè “problematici”.

Antonio era felice del suo lavoro. Vedeva le sue classi (anche se non erano ufficialmente sue, le considerava come tali, ormai) migliorare un passo alla volta, un alunno alla volta e sperava di poter rimanere in quell’istituto un altro mese, un altro anno, magari per sempre.

Voleva veder crescere quei ragazzini di cui ricordava alla perfezione nome e cognome già dalla prima volta, strabiliando loro e anche i colleghi docenti con la sua memoria.

Forse non era il professore più severo della scuola, come confermavano i segni di cancellini tirati sulla giacca, ma era di certo quello che, un domani, i ragazzi avrebbero ricordato con più nostalgia. Un giovane professore illuso, con il sorriso più felice del mondo.

 

 

 

Angolo di IMmatura

Ogni promessa è debito, ed ecco dunque il capitolo su Spagna. Dedicato a Lady White Witch che ringrazio per l’infinito e continuo sostegno ^_^

In realtà temo di essere andata leggermente ooc, ma il tratto fondamentale che volevo sottolineare del nostro spagnolo era l’IMMENSA PAZIENZA, e quella mi pare si sia vista.

Fatemi sapere che ne pensate, perché non sono molto sicura di questo chappy... *autostima off*

Saluti

 

IMmatura

 

PS Grazie a Lady White Witch e ThisSideOfParadise  per aver recensito lo scorso capitolo, oltre che a tutti coloro che stanno silenziosamente seguendo questa mia raccolta. spero di non avervi deluso neanche stavolta...

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Capitolo 6
*** Ludwig Beilschmidt ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Polizist

Nuvole cupe incombevano sul cielo di Berlino. Pochi passanti si affrettavano lungo i marciapiedi, o rovistavano nelle borse in cerca degli ombrelli. Le prime gocce iniziarono a scendere, picchiettando sui finestrini della volante accostata lungo la Wichmanstrasse.

Ludwig osservava la pioggia scivolare, godendosi quell’attimo di quiete. Uno dei pochi che aveva avuto in due anni di servizio nella Schutzpolizei*.

Sentì, per un attimo, la tentazione di aprire il finestrino, per inspirare profondamente l’aria gelata della sua città, di quella strada che si andava poco a poco spopolando sotto lo scroscio minaccioso della pioggia. Le persone sparivano una ad una in fretta senza intralciarsi, con istintivo metodo, nei portoni. Rimanevano sempre meno figure imbacuccate a sfidare le intemperie.

Aveva sempre amato l’ordine. Gli piacevano momenti come quelli, in cui si ritrovava a pattugliare strade quiete e composte, come le avrebbe volute sempre nella sua Berlino.

Eppure qualcosa non andava in quello scenario. Forse per via del velo di pioggia sul finestrino, o per come la luce veniva soffocata dalle nuvole, quello scenario rigoroso gli apparve improvvisamente malinconico.

Sentì picchiettare un paio di volte sul finestrino. Sobbalzò, riemergendo dai suoi pensieri. Aggrottò la fronte e abbassò il vetro, guardingo.

Di fronte a lui il volto di un ragazzino di appena vent’anni, forse anche meno, che, tentando di mantenere contemporaneamente l’ombrello e una cartina zuppa e strappata, gli chiese indicazioni in un tedesco pessimo.

Il poliziotto teutonico sospirò. Era ormai abituato alle bizzarrie dei turisti, e non si meravigliò che l’altro, senza troppi complimenti, infilasse le braccia attraverso il finestrino per indicargli un punto su quell’avanzo di mappa. Nello sforzo di farsi capire, si portò una mano ai capelli, ritirandoli indietro.

Alla fine, un po’ scandendo le parole, un po’ a gesti, vide l’espressione confusa del turista diventare allegra. Si sentì ringraziare in una lingua che non conosceva, e il ragazzo se ne andò via allegro, incurante della pioggia.

Il suo collega risalì in macchina in quel momento.

-Ci mettiamo a fare le guide turistiche adesso?- gli fu chiesto.

Ludwig scrollò le spalle e, mentre l’auto ripartiva, si lasciò sfuggire un sorriso. Quel bizzarro turista gli aveva fatto ricordare una cosa importante.

Quella bella città lui la teneva in ordine per un motivo: perché fosse vivibile e viva, e perché da tutto il mondo venissero a visitarla. Fu quasi contento di sentir gracchiare la trasmittente di “dirigersi sulla Friedrichstrasse”, e abbandonare quella strada ordinata, ma ormai deserta.

 

*La shutzpolitzei è quella sezione operativa della polizia tedesca che si occupa del pattugliamento delle strade, di rispondere alle chiamate d’emergenza, ecc...

 

 

 

Angolo di IMma

Salve, ed ecco il tanto atteso capitolo su Ludwig, su cui (tanto per cambiare) ho qualche perplessità...fatemi sapere che ne pensate.

Quello che volevo rappresentare era una persona dedita al suo lavoro, ma allo stesso tempo sensibile dal lato umano. Non a caso ho scelto di farlo lavorare nella sezione operativa che più di tutte si concentra sulla tutela del cittadino (perché sappiamo tutti che in fondo Lud è buono e protettivo ^_^ ).

Come al solito grazie a tutti coloro che mi stanno seguendo, e in particolare a Lady White Witch, Princess L e ThisSideOfParadise che hanno recensito lo scorso capitolo.

Saluti

IMmatura

 

PS. Quanto all’identità del turista io l’ho lasciata generica ma...potete pensare quello che volete ;)

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Capitolo 7
*** Matthew Williams ***


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Greenpeace activist 

Matthew, in passato, avrebbe voluto essere considerato di più. La sua timidezza lo teneva in ostaggio, impedendogli di farsi notare, o anche solo di farsi sentire quando parlava. Per questo non aveva amici, non partecipava alle feste...passava le mattinate scolastiche a guardare le vite degli altri, per i quali era quasi trasparente. Tuttavia col tempo si era rassegnato a quella situazione fino a trovare quasi stupidi ed egoisti quei palloni gonfiati che passavano ore a pavoneggiarsi e a contendersi il titolo di “più popolari della scuola”. In fondo era solo un ragazzino normale, affezionato alla sua vita un po’ monotona, ma serena. Amava fare lunghe passeggiate nel silenzio dei boschi e passare tranquille serate in famiglia, legato com’era ai suoi genitori.

Matthew non era un ragazzo ribelle o in cerca di attenzioni. Non gli piaceva far stare in pensiero i suoi, né essere così lontano da casa. Non ci teneva poi tanto a sentirsi importante...

Eppure era lì, sul ponte della Artic Sunrise, a guardare il mare agitato, tenendosi le mani a coppa sul naso, per scaldarlo.

Matthew era semplicemente un ragazzo che aveva fatto una scelta.

Si era sentito piccolo, insignificante, per tutta la vita...ripensandoci si sentiva quasi stupido. Guardando le balene che nuotavano a poche miglia dalla nave si rendeva conto di non essere mai stato meno arrogante di tutti gli altri, che cercavano disperatamente di apparire importanti e grandi.

Di fronte a quelle maestose creature non eravamo tutti, egualmente, misere formiche? Eppure un pugnetto di omiciattoli su un gommone non aveva, indipendentemente da quanto fossero spigliati o “popolari”, il potere di salvare uno di quei cetacei che neppure li vedeva?

Matthew non aveva la stoffa per apparire, per diventare qualcuno. Aveva semplicemente deciso di essere quel che era, un minuscolo tassello del mondo, né più ne meno di una formica o un seme. Aveva scelto di prendere coscienza e di vivere nel rispetto di quel Pianeta tanto più grande, eppure fragile e alla mercé di quelle formichine avide ed egoiste che erano gli uomini.

Quanto alla nostalgia di casa...era un po’ più difficile combatterla, ma cercava di farlo pensando, che, in fondo si trovava sulla stessa splendida Terra e sotto lo stesso cielo.

 

 

 

 

 

Angolo di IMma

Salve. Mi scuso per il leggero ritardo, causato dagli impegni scolastici. Inutile dire che la scelta per Matthew deriva dal fatto che Greenpeace fu fondato in Canada. La nave citata, la “Artic Sunrise” è rimasta nota per le numerose missioni a tutela delle balene. Fù acquistata da Greenpeace nel 1995, e prima, ironia della sorte, era stata destinata alla caccia delle foche...mi sembrava l’ambientazione più adatta per questa storia che, oltre che di ambiente, parla principalmente di un cambio totale di prospettiva di vita.

Chiuso il “momento super quark” come sempre ringrazio coloro che stanno seguendo e recensendo questa raccolta. Spero che l’aggiornamento di oggi vi sia piaciuto.

Se vi va lasciatemi una recensione dicendomi che ne pensate e (perchè no?) chi vorreste vedere nel prossimo capitolo. ^_^

Saluti

IMmatura

 

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Capitolo 8
*** Romano Vargas ***


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Negoziante

Il ticchettio dell’orologio appeso alla parete ricorda a Romano che la chiusura si approssima. Il momento peggiore della giornata è arrivato.

Inizia ad aggirarsi, inutilmente, tra gli scaffali praticamente ancora pieni di prodotti locali. Mette un piede dietro all’altro, scorrendo le confezioni con gli occhi torvi, e serrando i pugni. Giusto un paio di volte deve alzare le braccia, per riallineare qualche scatola. La frustrazione gli cresce dentro ogni momento di più, mentre quell’orologio continua fastidioso a fargli sapere che è passato un altro secondo, un altro minuto, un’altra mezzora senza sentir suonare i campanelli appesi alla porta.

Un’idea di suo fratello, quei campanelli. Solo per un attimo il ragazzo sorride, ricordando malinconicamente il giorno della partenza di quest’ultimo per Milano. Ha lasciato la città, il suo fratellino, per andare a studiare al nord.

Lui invece è rimasto, e certe volte si maledice per averlo fatto, per essersi fidato ancora una volta di quella sua terra, meravigliosa, ma ingrata.

Scaccia via quei pensieri e si risiede di fronte alla cassa, accasciandosi quasi sul bancone e maledicendo a mezza bocca la piaggia che ha sporcato la vetrina. Decide di armarsi di secchio e spugna, e pulirla, tanto i clienti non arriveranno. Neanche oggi.

Non è estate, non ci sono i turisti a curiosare ovunque facendogli saltare i nervi, ne le belle giornate di sole che, almeno, lo fanno sperare un po’. Il cielo è cupo e Romano inizia a sfregare quella vetrina, pur sapendo benissimo che a breve ricomincerà a piovere.

Sfrega più forte, per far splendere quel vetro ghiacciato, attraverso cui, da dentro, sa a memoria cosa gli toccherà vedere domani e nei giorni a venire: gente che passa abbassando lo sguardo, nascondendosi nel giornale o addirittura accelerando il passo. Qualche oscuro sguardo di rimprovero, celato sotto la falda di un cappello, diretta ad un angolo preciso.

Romano sfrega, quasi con fretta di arrivarci, a quel marchio, ma non per toglierlo, anzi. Lo sfiora, con le dita ancora bagnate e il tocco quasi delicato. Riattacca un angolo dell’adesivo che si stava scollando.

Romano è testardo e non rinuncerà mai a quella scelta. Non rinuncerà mai a sperare nella sua terra. Ha aperto il negozio per vendere ciò che offriva di buono, e rimarrà li fino all’ultimo respiro, per prepararla ad offrire qualcosa di meglio.

Romano forse è un pazzo, qualcuno lo mormora, incrociandolo per strada. Tanti però gli sorridono e sono dalla sua parte. Tanti pazzi che vogliono migliorare un po’ le cose, per far si che un giorno i ragazzi non vogliano più scappare da li come ha fatto suo fratello.

L’ora di chiusura è arrivata, ma prima di calare la saracinesca Romano rimette a posto il secchio e si ferma a guardarla, la sua vetrina. Prodotti buoni, vetro lucido, e in un angolo, come una medaglia d’onore per quella lotta silenziosa, l’adesivo col logo tondeggiante di Addiopizzo.

 

 

 

Angolo di IMma

Salve a tutti...spero che possiate apprezzare questo capitolo. Sinceramente non sono molto convinta, temevo di non riuscire a trattare in modo adeguato un argomento che invece meriterebbe molta più attenzione e, probabilmente, una VERA scrittrice, cosa che io non sono. Immagino non ci sia bisogno di spiegare cosa sia l’associazione Addiopizzo, ma se voleste saperne di più vi invito ad andare sul loro sito: www.addiopizzo.org.

Quel che volevo raccontare era l’importanza di quest’iniziativa e, soprattutto, di sostenere gli esercizi commerciali che vi aderiscono.

Spero possiate apprezzare.

Saluti

IMmatura

 

PS. Ringrazio di cuore Lady White Witch e virgi_chan_12 per aver recensito lo scorso capitolo...spero vi piaccia la scelta che ho fatto per Romano. Grazie anche a tutti gli altri che stanno seguendo questa raccolta Come la scorsa volta, vi invito a recensire e, perché no, suggerirmi personaggi per i prossimi capitoli ;)

 

 

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Capitolo 9
*** Tino Vainamonen ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

 

 

 

 

Haltia

Tino curava nei dettagli la sua giornata di lavoro, a cominciare dalla vestizione, con la divisa rigorosamente verde e rossa. Indossava prima i pantaloni, poi la giacca e solo alla fine il cappello con i sonagli in punta. Inclinava leggermente la testa guardandosi riflesso in qualche vetro, o in una lastra di ghiaccio per la strada, e quel lieve scampanellio gli allargava il sorriso. Arrivava sempre in anticipo, per controllare che tutti i macchinari per la fabbricazione dei giocattoli fossero a posto, e che quei sonnacchiosi dei suoi colleghi non avessero combinato guai. Di strada si fermava spesso dall’Elfa Dulcinea a prendere caramelle e bastoncini di zucchero, incartati e infiocchettati di rosso. Li nascondeva sotto il cappello, Tino: era il suo segreto per farlo rimanere sempre abbastanza sollevato, ma soprattutto per domare i più curiosi tra i bambini in visita. Ce n’erano tanti, e ogni giorno dell’anno...certo il periodo invernale era il più faticoso, ma anche durante le altre stagioni almeno un gruppetto di pargoli faceva il suo ingresso nelle casupole del villaggio, portando tutta la loro gioia e il loro stupore.

Erano quei piccoli visi felici, quegli occhi sgranati, quelle risate che raccontavano una gioia pura, che non ha né razza, né religione, a scaldare il cuore suo e di tutti gli abitanti di quel piccolo villaggio nel Circolo Polare Artico.

Un'altra cosa che amava era recarsi all’ufficio postale, per osservare gli elfi impegnatissimi a smistare miriadi di letterine colorate, invischiati in quel fiume di lingue e desideri che convergeva al Joulupukki, Joulupukin Pääposti, FI-96930 Napapiiri, Finlandia.

Faceva due chiacchiere con quei colleghi, temporeggiava. Cercava di rimandare l’unico momento della sua giornata che non gli piaceva granché: quello in cui doveva farsi dare il cambio, passare dallo spogliatoio a lasciare la divisa e riprendere con la sua slitta la strada per Rovaniemi.

A volte avrebbe voluto essere come loro, come i bambini vispi e innocenti che tentavano di armeggiare coi macchinari e guardavano le caramelle uscire dal suo cappello come se assistessero ad una magia. Avrebbe voluto poter continuare a crederci, ed essere veramente, 24 ore su 24, un elfo di Babbo Natale.

 

 

 

Angolo di IMma

Finalmente sono riuscita a scrivere un capitolo su uno dei nordici, non potete immaginare quanto mi senta potente per questo!

Scherzi a parte, non potevo esimermi dallo scrivere quello che considero una sorta di “speciale natalizio” della raccolta, dedicato a Finlandia.

Per info sul villaggio di Babbo Natale a Rovaniemi (Finlandia): http://www.santaclausvillage.info/it/

Spero abbiate apprezzato, e vi auguro (un po’ in ritardo) buone feste. Considerate questo capitolo come un mio piccolo regalino...

Saluti e Auguri

 

IMma-chan

 

PS Haltia dovrebbe essere l’equivalente finlandese di elfo...ho scelto questo titolo perché, come credo si intuisca dalla storia, mi piace pensare che per Tino sia quella la “vera essenza” della sua vita: sentirsi davvero un po’ un elfo, almeno mentre lavora coi bambini ^_^

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Capitolo 10
*** Roderich Edelstein ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Orchesterleiter

 

Roderich quasi si rammaricò di rompere, con i suoi passi, il silenzio di quel luogo. Benché tutti i posti fossero esauriti, non un fiato si elevava dal pubblico presente al Wiener Staatsoper quella sera. Salì sulla pedana e diede un paio di colpetti al leggio. La bacchetta fondeva l’aria e calamitava lo sguardo di tutti i componenti dell’orchestra, per un istante.

Invitò poi, con dei delicati ondeggiamenti, i musicisti ad eseguire un’aria delicata che conosceva a memoria. I suoi occhi si sollevavano spesso per controllare le loro mosse. Coloro che suonavano stavano perfettamente eretti, ma con lo sguardo calante sugli spartiti. Nonostante ciò li sapeva pronti a reagire ad ogni suo cenno per cambiare ritmo o tonalità. Chi invece doveva attendere controllava per l’ennesima volta la perfetta efficienza degli strumenti, li scrutava con attenzione nella penombra della sala. Un energico cenno alla sua sinistra, e la melodia prese definitivamente corpo. Perfettamente concentrato, e allo stesso tempo estraniato da se stesso, l’austriaco dirigeva quell’orchestra.

Quando aveva deciso di dedicarsi completamente al suo amore per la musica, non poteva dire di aver ricevuto molto sostegno. In famiglia l’avevano vista come una scelta un po’ bizzarra, se non addirittura superficiale. Era cresciuto in un ambiente severo e compito, fin troppo inquadrato, perciò non si era stupito di quello scarso entusiasmo. Non ne faceva una colpa a nessuno. Neppure al cugino che, invece, aveva onorato la tradizione militare di famiglia, e probabilmente avrebbe continuato a sfotterlo a vita.

Quello che a lui (e a tutti) sfuggiva era che anche in quel mondo si esercitava una ferrea disciplina, in cui i suoni dovevano allinearsi e marciare al ritmo ordinato, adagio o andante che fosse, e ogni musicista imbracciava il suo strumento come la più potente delle armi.

Tuttavia quell’ordine aveva qualcosa di diverso, speciale: non era gravoso e soffocante per la libertà, ma anzi poteva diventarne la massima espressione.

Roderich poteva continuare a muoversi e condurre con precisione, rimanendo rigido e inappuntabile, e allo stesso tempo librarsi al di sopra di quell’alcova, di quel pubblico e di qualunque cosa. Ora poteva sentirsi come se volasse, sospinto dal rombo dei tamburi e accompagnato dal cinguettio dei flauti, ora poteva calarsi nelle viscere della terra, tra gli echi cupi degli ottoni e le delicate armonie di un’arpa. La musica attorno a lui tuonava e gocciolava, incombeva e poi si schiudeva come un cielo sereno.

Si voltò per raccogliere il composto applauso del pubblico, che pure percepiva come ovattato, ancora lontano con lo spirito. Il suo volto però era perfettamente impassibile, non tradiva lo stordimento che, a volte, si sentiva dentro al termine di un’esecuzione. Eseguì rigidamente un misurato inchino di ringraziamento e rientrò dietro le quinte, silenzioso e apparentemente tranquillo com’era venuto, ma con un piacevole subbuglio in fondo al cuore.

 

 

 

Angolo di IMma-chan

Salve, scusate se vi ho fatto un po’ attendere per questo aggiornamento. Spero appreziate l’idea che ho cercato di sviluppare al meglio, anche se Austria non è esattamente uno dei miei personaggi preferiti. Inizialmente volevo farne un pianista, però poi mi è venuta quest’altra idea che si prestava meglio a certi voli pindarci, quindi ho scelto di farlo Orchesterleiter (ovvero direttore d’orchestra.).

Quel che mi premeva sottolineare era il modo in cui questo mestiere coniughi una necessaria dose di rigore con una sorta di elevazione dalle contingenze materiali...aspetti per i quali mi sembrava perfetto per il personaggio.

Fatemi sapere che ne pensate

Saluti

IMma-chan

 

PS dato che probabilmente non aggiornerò per un po’, se avete voglia di leggere qualcosa di bello vi consiglio questa GerIta ad opera della bravissima Lady White Witch:

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2367054&i=1

Fidatevi, ne vale la pena! ;)

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Capitolo 11
*** Francis Bonnefoy ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

 

Haut-parleur

 

Un reticolo di vie luminose e animate percorreva Parigi, la vita vi scorreva lieta e passionale. Gli occhi azzurri di Francis Bonnefoy esploravano quel paesaggio, avvolto dai bagliori cangianti della sera, attraverso un’ampia vetrata. Si immergeva con la mente in quel flusso vitale, fin quasi ad illudersi di sentire i sussurri degli innamorati a passeggio lungo gli champs elysee. Nelle sue cuffie, intanto, una voce modulava l’amore in note accorate. Accompagnato da quella melodia l’uomo guardava la sua città con occhi commossi e quasi avidi.

Una voce gracchiante interruppe la magia: “Due minuti!”

Con uno scatto disinvolto Francis ruotò sulla sua sedia, scansando elegantemente il filo delle cuffie per non rimanervi impigliato. Alle spalle ancora le luci di Parigi, lo sguardo fisso ad un punto nella penombra dello studio. La scritta ON AIR si incendiò e lui si chinò sul microfono, iniziando a sussurrarvi dolcemente per sedurre, come ogni sera, quella bella città notturna che splendeva alle sue spalle.

Aveva un tono melodioso e accattivante che gli aveva portato un discreto successo. Il suo programma radiofonico era uno dei più seguiti.

Quando glielo facevano notare Francis si beava delle lodi, scostando con gesti studiati i capelli biondi e regalando ammiccamenti, tacendo la verità che, però, conosceva bene. Tutto questo non veniva da lui. Non era il suo modo di fare, ora libertino, ora romantico, ne i suoi consigli di presunto “esperto sentimentale” a fare la sua fortuna. Era Parigi.

Era quella città, che ogni sera accoglieva i suoi mormorii appassionati e gli regalava squarci di se stessa, singole storie di ascoltatori che, alle orecchie di Francis, suonavano come un’unica melodia ricolma di bellezza: la melodia d’amore di quella città romantica e viva.

Francis cercava di essere degno della fiducia che gli veniva accordata, di volta in volta, da chi chiamava. Regalava le parole giuste agli innamorati respinti, incoraggiava allusivo e complice le dichiarazioni in diretta, parteggiava appassionatamente per le riappacificazioni e (non visto) strizzava benevolmente l’occhio ai torbidi tradimenti. Si trasformava continuamente, rincorrendo affannato le mille forme dell’amore.

L’amore era trasformista, per questo era così difficile stupirlo. L’amore non aveva regole, per questo a volte si sentiva a disagio nel dargli consigli.

Francis dedicava tutto se stesso a quel lavoro, tanto da sentirsi stanco a fine serata, quando augurava buona notte alla gente, mentre la sua voce, lo sapeva, sfumava tra le note del jingle. Spossato e felice si alzava e abbandonava lo studio con quel senso di soddisfazione di chi mette passione in ciò che fa. Anche quella era una forma d’amore.

Sorrideva amaramente, constatando che gli lasciava ben poco tempo, quella passionale e avida città, per curare i suoi di sentimenti: la sua vita era un susseguirsi di passioni fugaci e pochi amori conservati nel cuore.

La situazione era quasi paradossale, ma andava bene così. Parigi era un’amante esigente, ma che sapeva farsi desiderare ardentemente. Parigi era immensa, e il suo amore gli sembrava piccolo, di fronte a quello che vi scorreva continuamente, per le vie. Si impegnava ogni notte per raccogliere miseri frammenti dell’anima di quella città...

Andava bene così: gli amori difficili gli erano sempre sembrati i più veri.

 

 

 

Angolo di IMma

Finalmente trovo il tempo di tornare a questa raccolta. Ringrazio tutti voi per la pazienza con cui avete aspettato i miei aggiornamenti, e viso che, per una volta, non ho “note Superquark” da fare, approfitto di questo spazio per mostrare come si deve la mia gratitudine...

Grazie a:

Babilovesfood, FranKuro, Horea, Jacel bluemoon_dark, Princess L, Rinalamisteriosa, Shir, Sunlitegirl, ThisSideOfParadise e virgi_chan_12

per aver messo la storia tra le seguite.

A:

Horea, Charlotte_Insane e ThisSideOfParadise

per averla messa tra le ricordate, oltre che a:

Callidea, Minori chan, VexDominil e Vanilla

Che l’hanno inserita tra le preferite.

Come sempre vi invito a farmi sapere cosa pensate di questo nuovo capitolo e ad inviarmi i vostri suggerimenti per i prossimi capitoli.

Saluti

IMmatura

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Capitolo 12
*** Feliciano Vargas ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

 

 

Belle arti

 

-Uffa, ma ti vuoi levare?- sbuffò un ragazzo, schivandolo nello scendere le scale di corsa. Feliciano Vargas neppure se ne accorse. Rimase li, appollaiato su quel gradino, a godersi il piacevole tepore che aveva invaso il cortile interno dell’accademia, mentre continuava a disegnare. Non era un’operazione facile: teneva il blocco da disegno in bilico sulle ginocchia e, ogni volta che doveva cancellare, era costretto a contorcersi in qualche modo buffo, per trovare una base d’appoggio adeguata.

Il suo armeggiare sulle scale attirava gli sguardi curiosi delle matricole, soprattutto ragazze. Ad alcune il ragazzo regalava un sorriso distratto, prima di  tornare, con gli occhi, sul suo foglio. Non si rendeva conto della perplessità che suscitava, o dell’intralcio che, in certi momenti costituiva.

I compagni che lo conoscevano un po’ meglio si limitavano a scuotere la testa di fronte a quel suo nuovo comportamento bizzarro. Quel Vargas era un personaggio.

Nessuno, comunque, poteva lamentarsi di lui: era sempre gentile, socievole, entusiasta. Sembrava facesse sempre di tutto per rendere felici le persone che aveva attorno. Inoltre, quando si usciva con lui si rimorchiava come niente fosse. Non c’era dubbio che, ingenuotto com’era, non avesse neppure realizzato l’assurdità del suo comportamento. Non era certo costretto a lavorare come un artista di strada, con tutti i laboratori che quella scuola prestigiosa offriva. Chissà, forse non ne approfittava per non disturbare...

La verità è che Feliciano non era ingenuo, semplicemente non avrebbe potuto fare altrimenti. Doveva osservare il suo soggetto, che era proprio il cortile dell’Accademia di Brera. Voleva riprodurre alla perfezione non solo il colonnato, o la maestosa statua centrale. Voleva raccogliere i giochi di luce che il sole creava sul prato, i sorrisi delle belle ragazze, l’atmosfera allegra dei gruppetti di studio.

Feliciano voleva solo portare sempre con se, per sempre, uno scorcio di quella prestigiosa scuola. Un ricordo di quel periodo felice in cui, finalmente, poteva assecondare la sua passione per l’arte, circondato da tanti visi gentili. Non gli importava che gli altri lo considerassero ingenuo e poco combattivo.

Lui sapeva di aver lottato tanto per quell’occasione, contro lo scetticismo di molti e le preoccupazioni della famiglia. Contro le circostanze che, molto spesso, cercano in tutti i modi di fare lo sgambetto ai sogni.

Adesso voleva solo godersi quella quiete fino in fondo. Non voleva infastidire nessuno, ne discutere...ma avrebbe lottato fino alla morte per terminare quel paesaggio. Anche contro se stesso.

Una ragazza con cui flirtava da un mesetto si avvicinò e gli propose di mangiare qualcosa assieme. Fu così gentile nel rifiutare che lei neppure si offesse. Qualcuno scosse la testa: -Ma si lascia scappare una così?-

-Lascia perdere...è sempre distratto, ma le poche volte che si concentra non lo smuove più niente. Che testardo...-

Il compagno che aveva commentato si tappò la bocca, e lo osservò di sfuggita. Per fortuna non sembrava averlo sentito.

Feliciano teneva ora il foglio in alto, con le braccia tese. Aveva finito. Lo ripose con cura in una cartellina, assieme a degli schizzi del suo recente viaggio a Berlino. Senza neppure accorgersene, scorrendo a ritroso quei fogli colmi di paesaggi e memorie, arrivò ad un disegno diverso. L’unico ritratto, copiato da una vecchia foto. Due volti infantili sorridevano sul foglio.

“Scusa se me ne sono andato fratello.” si disse, ripensando alle parole di quel tipo, che aveva finto di ignorare “Certe volte anch’io so essere testardo...”

 

 

Angolo di IMma

E questo è il capitolo dedicato a Feliciano...mamma mia, non mi convince per niente T.T

Fatemi sapere che ne pensate. Stavolta ho faticato molto a dare una forma sensata a questa “suggestione” che avevo sul personaggio. Se qualcosa vi suona strano/poco chiaro/orribile fatemelo tranquillamente notare. In ogni caso ringrazio chiunque sia arrivato alla fine di questa lettura, e tutti coloro che (sempre più numerosi!*.*) stanno seguendo questa raccolta.

Spero possiate comunque apprezzare lo sforzo e lasciarmi una recenzioncina-ina. ;)

Saluti

IMma-chan

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Capitolo 13
*** Eduard Von Bock ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

Programmeerija

 

I codici si susseguivano sullo schermo, perfettamente sincronizzati con il ticchettio della tastiera. Come un ritmo ipnotico, questo si fondeva al ronzio debole e costante della ventola del PC. Eduard rileggeva silenziosamente stringhe e stringhe di codice, riuscendo già a immaginare quel che sarebbero diventati.

Di tanto in tanto prendeva un attimo di pausa, per ritirarsi su gli occhiali e lottare con la stanchezza. Se avesse potuto vedere i suoi occhi arrossati, forse, si sarebbe preso una pausa. Proprio per questo, non osava cercare lo specchio. Si limitava ad esplorare con un'occhiata di superficie quella stanza dall'aspetto improvvisamente irreale. La sola luce che la illuminava, quella fredda e debole del laptop, ridisegnava i contorni dei mobili attorno come pallidi ed evanescenti. Il silenzio, al di là del mormorio della ventola di refrigerazione dell'apparecchio, era totale.

La penombra impediva di intravedere l'orario, ma quell'atmosfera sospesa confermò al ragazzo che doveva essere davvero molto tardi. Avrebbe dovuto spegnere, e poi attendere il sonno. Il mattino dopo doveva riprendere la sua attività lavorativa.

Eduard Von Bock era un tecnico informatico. Riparava computer per vivere, ma soprattutto per passione. Gli piaceva vedere la facce strabiliate dei clienti di fronte alla sua velocità di digitazione, alla rapidità di intervento, alla capacità immensa di recupero dati. Tuttavia non erano quelle le più profonde delle soddisfazioni del ragazzo.

La vera magia, per lui, era quella che riusciva a programmare una volta rientrato a casa, nel tempo libero. Si prendeva il tempo per uno spuntino, una chiacchierata veloce con i suoi coinquilini, e poi si reimmergeva nel flusso virtuale. Stavolta non più come mero aggiusta tutto.

Dalle sei di sera in poi, quello che gustava era il sottile piacere del demiurgo. Ordinava caratteri apparentemente insensati, che avrebbero lasciato repressi e turbati i non addetti ai lavori.

Per lui invece erano pietre, alberi e personaggi di un mondo che lui lentamente aggiustava e riordinava. Trascriveva instancabilmente, a volte fino alle tre di notte, le sue idee, dando loro immagine e corpo, sorridendo ironico dell'idea comune di "virtuale".

Per lui era in quel momento che le cose erano più che mai reali. Quando finalmente si prendeva il tempo per catturare le idee vaganti e farne un gioco.

Si, programmava giochi indie da anni, e non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo.

Oltretutto aveva anche un buon riscontro. Centinaia di download sparsi per il mondo rendevano, attraverso la rete, quel suo successo ancora più reale.

Certo, quella non era una realtà monetaria, non poteva dargli di che vivere, ma rimaneva una fonte di intense e vive soddisfazioni. Il pubblico virtuale, molto più esigente di quanto credeva la gente, lo aveva accolto e sostenuto. Era energia che confluiva nei mondi che programmava, rendendoli ancora più vivi.

L'idea di realtà non era mai stata così incerta, e allo stesso tempo, per lui, così chiara.

C'era un motivo per cui anche quella virtuale era chiamata "realtà", ed era che si percepiva tanto quanto l'altra. Con la testa che programmava, e col cuore che accoglieva i complimenti e i consigli. Con l'entusiasmo dei giocatori e con i suoi sogni che, frammentati, Eduard reinseriva nei giochi.

Così continuava a picchiettare su quella tastiera perchè amava farlo, per creare ancora qualcosa, per regalare un piccolo sobbalzo o un sorriso a qualcuno, da qualche parte della rete...e, infine, anche un po' per orgoglio: aveva annunciato la data del rilascio sul suo blog, non poteva certo tardare. Era un sognatore moderato, una persona precisa. Non aveva la testa tra le nuvole...al massimo, le nuvole, le aveva come salvaschermo.

 

Angolo di IMma

Innanzi tutto...perchè Estonia? Non so, forse aver visto il sub inglese di Nyotalia me l'ha fatto un po' rivalutare. Avendo smesso di sottovalutarlo è venuta da se la voglia di dargli un suo spazio in questa raccolta. Inoltre ho deciso di approfittare del nerd di turno per scrivere un mio piccolo omaggio ai programmatori di videogiochi, che fanno un lavoro molto spesso meno divertente di quanto si immagini. Tra l'altro ho scoperto che il circuito degli indie-games intorno ad Hetalia è davvero molto variegato...

Insomma, l'ispirazione è nata da una serie di circostanze, che spero vivamente non mi abbiano portata ad annoiarvi. Se invece è stato così vi prego di perdonarmi.

Saluti

IMma

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Capitolo 14
*** Feliks Łukasiewicz ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

 

Ubrania projektantów

Mancavano pochissimi minuti e Feliks si aggirava di qua e di là in fibrillazione. Gesticolò in direzione della sua sarta di fiducia che, abbandonando i suoi obblighi professionali, si apprestò a preparargli la solita camomilla. Intanto, attorno al ragazzo si agitava brulicante il retroscena del mondo patinato. Ritocchi dell’ultimo minuto, trucco e parrucco, poveri sarti costretti ad affrontare i capricci della modella di turno. Su tutti, contemporaneamente, lo sguardo vigile dello stilista.

-Ma no, no!- Intervenne prontamente, bloccando un suo assistente (ancora per poco, si ripromise). -La scollatura deve essere più...tipo...chiusa. Non deve essere totalmente in vista il seno! Deve essere un fascino, tipo, sofisticato!-

Per fortuna finalmente era arrivata la sua camomilla.

-Ti prego, vedi tu se puoi risistemare questo disastro...-

La donna non se lo fece ripetere. Si chinò a fissare, con un leggero punto, i due lembi dell’abito. Sorrise osservando Feliks girare freneticamente il cucchiaino nella bevanda fumante.

-La modella aveva detto che non respirav...- stava cercando di giustificarsi l’inesperto collega, artefice del “disastro”.

-Deve tipo camminare, non respirare.- sentenziò il ragazzo, passando a sgridare i parrucchieri che, con il loro osceno abuso di boccoli, avrebbero coperto le spalline dei suoi vestiti.

-Primadonna.- commentarono gli assistenti appena fuori dalla portata delle sue orecchie.

In effetti, ad una prima impressione, Feliks era proprio così. Si comportava da bambino incosciente e capriccioso, puntando i piedi su ogni dettaglio e reagendo in modo esageratamente emotivo ad ogni imprevisto. Pretendeva la perfezione e aveva sempre da ridire. Non era mai soddisfatto di come i suoi bozzetti venivano resi, sulla stoffa. Costringeva tutti i sarti a fare ritocchi su ritocchi. Pretendeva sempre stoffe di prima scelta, costringendo quei poveracci a mediare continuamente tra le sue richieste e le esigenze economiche dell’azienda.

Sembrava non rendersi conto del denaro, della stanchezza, di nulla a parte se stesso e il suo senso estetico, e forse era davvero così.

In quel che faceva, però, metteva un immenso altruismo che solo i più attenti sapevano cogliere.

Rifaceva infinite volte i suoi bozzetti, cercando la sua speciale idea di perfezione. Spostava strategicamente gli orli, disegnava pieghe e giostrava le forme con equilibrio maniacale. Voleva disegnare i vestiti più belli, ma anche adatti a più clienti possibili.  Non voleva creare semplici abiti. Voleva regalare a chi li indossava una pelle in cui stare bene, in cui sentirsi rappresentati, oppure camuffare le proprie insicurezze.

Come faceva lui con la sua maschera da primadonna.

La sarta si affacciò da un paravento per osservare la sala gremita di acquirenti, volti noti, giornalisti. Dietro, accalcati e non tutti autorizzati, i fashon blogger dell’ultim’ora armati di telefoni cellulari.

Era sempre così, ad ogni collezione che quello stilista, poco più che ragazzo, presentava. Un successo assicurato prima ancora che gli abiti facessero la loro comparsa, addosso a modelle che, comunque, per lui non li avrebbero mai indossati abbastanza bene. In qualche modo, anche nel passo meccanico di quelle filiformi figure dallo sguardo vacuo, quel gioco di materiali e forme, di equilibri, rendeva parte della passione con cui era stato immaginato. Portando così lo stilista ai vertici della popolarità ad ogni stagione.

-Cammina, tipo, come uno zombie. Tiratela dentro immediatamente!- si lagnava Feliks, mentre sistemava le pieghe della camicia della prossima modella. -Mi sa che presto avrò bisogno di un’altra camomilla...-

Silenziosa, senza commenti, la sartina di fiducia si allontanò di nuovo verso il bar, sorridendo di nascosto del melodramma inscenato da quel buffo artista. A modo suo anche lui si camuffava, povero caro, per essere abbastanza sgargiante per quel mondo patinato. La donna a volte provava quasi tenerezza. Avrebbe voluto mettere una mano sulla testa di quello che avrebbe potuto essere suo figlio e, con voce stridula, la comandava a bacchetta, salvo poi abbracciarla a sfilata finita, con un sorriso infantile ed entusiasta.

Un giorno anche lui avrebbe trovato il modo di sentirsi bene nella sua pelle, sperava, ed avrebbe abbandonato quella maschera per mostrare finalmente la splendida persona che era...per il momento, intanto, a dispetto della giovane età, era un grande stilista.

 

Angolo di IMma

Ok, sentitevi in diritto di linciarmi per questa cosa, ma la verità è che per Polonia non riuscivo ad immaginarmi un lavoro migliore. xD

Il titolo dovrebbe voler dire “vestiti firmati”...secondo Google traduttore che, tra l’altro, si è rifiutato di darmi una traduzione decente di “stilista”. Insomma, anche lui mi rema contro, quindi se fosse sbagliato non esitate a correggermi.

Ringrazio come sempre coloro che hanno recensito lo scorso chappy: Micchan che si sente sempre in colpa inutilmente, Lady White Witch super collega di scleri, Alice in the box che ringrazio anche per i preziosi suggerimenti e la fedele Princess L

Saluti

IMma

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Capitolo 15
*** Ivan Braginsky ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

 

водка

Il distillatore a colonna emanava da fuori un tepore quasi piacevole. Dentro era l’inferno, attraverso cui, per la terza volta, il liquido scorreva purificandosi. Ivan si avvicinò ed aprì con cautela il rubinetto. La vodka iniziò ad uscire, limpida e trasparente, investendolo con il suo odore frastornante. Tuttavia lui sorrise. Quel gorgoglio riempiva il silenzio del capannone, adibito a distilleria. L’unico posto in cui gli piaceva rimanere solo.

In realtà la solitudine lo accompagnava la maggior parte del tempo, ma in quella particolare occasione non aveva tempo di accorgersene, preso nel lavorio meticoloso e complesso che avrebbe fortificato quell’”acquetta”*, rendendola perfetta.

Il suo sapore...Ivan non avrebbe saputo immaginarne uno migliore al mondo. Era come bere calore puro, contro l’odioso freddo della sua terra. Era come sentirsi scivolare dentro un sogno di caldo e leggera sonnolenza: pace. Niente era equiparabile, secondo lui, al bruciore dolce di quel liquido che scendeva lungo la gola. Il che a volte, ne era consapevole, lo portava ad esagerare nelle quantità...ma tanto non c’era nessuno a preoccuparsene.

Scosse il capo, riemergendo dai suoi pensieri. Con l’etilometro controllò la gradazione del liquido:40°

Sorrise soddisfatto del suo lavoro, con un orgoglio quasi puerile. Nonostante tutto, quel lavoro che aveva trovato, dopo mille peripezie, gli piaceva. Gli lasciava un lieve senso di calore addosso, e sulle labbra un sapore che, in fondo, era esattamente il suo.

A volte credeva di essere proprio come quell’”acquetta”, nata da un impasto di poco valore, abbandonata a fermentare per tempi lunghissimi e che aveva attraversato l’inferno per tre volte. E riusciva a dare dolcezza e calore solo bruciando un po’, finendo per fare male.

Ne aveva passate davvero tante Ivan, aveva perso tante persone per colpa dei suoi problemi, altre lo avevano abbandonato semplicemente per andare per la propria strada. E lui si era ritrovato solo con la distilleria e i suoi rimpianti, a tenersi impegnata la mente con quelle operazioni familiari (l’unica cosa familiare che gli era rimasta...). A filtrare litri e litri di vodka attraverso il filtro carbone, per riempire interminabili quantità di bottiglie. Ogni bottiglia una ventata di aroma che lo investiva, impregnava, appesantiva nei gesti e alleggeriva nell’anima.

Di tanto in tanto si sedeva guardando di fronte a se quella distesa di bottiglie già sigillate, o ancora avide e vuote. Chiudeva gli occhi e pensava a quando ognuna di quelle bottiglie sarebbe diventata un passo avanti verso il suo sogno proibito e inconfessabile: andarsene. Guadagnare abbastanza da trasferirsi in un paese caldo e pacifico, con il cielo azzurro e un sole così potente da non poterlo guardare, e da scottare la sua pelle abituata al freddo infame della Russia. Sotto le sue palpebre quella distesa di incombenze e di vetro diventava terra, ed ogni collo di bottiglia si allungava, trasformava in gambi verde e vivo. Si allargava in un cerchio nero, un po’ come un filtro, e poi finalmente in una corolla gialla e brillante. Girasoli...

Riaprì gli occhi, sistemandosi meglio la sciarpa che portava al collo, e guardando dalle finestre sporche e ingrigite il cielo ancor più cupo. Si era fatta sera, ed Ivan uscì, cercando di riparare il viso dagli schiaffi freddi dell’ennesima tormenta. Nel tragitto fino a casa, contava mentalmente le bottiglie che gli mancavano da vendere per farcela. Fantasticò, fin quando non gli sembrò vero. Poi rientrato nel suo appartamento, quasi fosse già sul punto di partire, sorseggiò con malinconia, nel buio, l’ennesima, ultima bottiglia di vodka.

 

*Il nome водка in russo significa proprio “acquetta”!

 


Angolo di IMma

Pensavate mi fossi dimenticata di questa raccolta, vero? *silenzio totale*

Ok, mi sa che ve ne siete dimenticati voi T.T

In ogni caso non mi sarei mai sentita a posto con la mia coscienza se non avessi pubblicato almeno il capitolo su Russia. Sfortunatamente temo che sarà anche l’ultimo.

Venticinque lettori (cit. Manzoni): Nooooo!

Allora c’eravate! *.*

Come stavo dicendo, avendo io attualmente due long in corso e tante idee per la testa, non potrei dedicare più il tempo necessario a questa raccolta, ragion per cui ho preferito terminarla con questa folgorante ispirazione, piuttosto che andare avanti con capitoli posticci scritti tanto per fare.

Essendo alla fine...è il momento dei ringraziamenti chilometrici:

Grazie a Cavaliera delle torte, Shir, Alice in the box, Lady White Witch, Minori chan, _Vanilla, Angel_chan_, danonleggere, Prussian blue, ThisSideOfParadise, malice, Fede_Silver, Sunlitegirl per aver recensito uno o più di questi scleri, dandomi anche utili suggerimenti.

Grazie a Alice in the box, Callidea, Minori chan, Panda27, VexDominil e _Vanilla per aver inserito la raccolta nientemeno che tra le preferite.

Ringrazio Charlotte_Insane, Horea, ThisSideOfParadise e Wiami per aver considerato questa fic degna di essere ricordata.

Ringrazio Alice in the box, Angel_Chan, Cavaliera delle torte, Fantasia2000, FranKuro, Horea, Jacel_bluemoon_dark, Mazel_Tov, Rinalamisteriosa, Shenazai, Shir, SunliteGirl e ThisSideOfParadise per aver seguito questa mia prima avventura da fanwriter.

Grazie inoltre a tutti voi che avete avuto la pazienza di leggermi finora, e che spero continuerete a farlo.

Saluti a tutti (,e se potete, perdonatemi per l’aura deprimente di questo ultimo capitolo)

IMma

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