L'ombra della Petacci

di Crona Lunatica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una relazione compromettente ***
Capitolo 3: *** Un'ombra dal passato ***
Capitolo 4: *** Pettegolezzi e complicazioni; ***
Capitolo 5: *** Gli opposti si attraggono; ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Era un giorno come tanti. Una domenica di novembre come tante. La processione si avviava verso il cimitero sotto una pioggia sottile; una ventina di persone accodate dietro una vettura lunga e nera guidata da un uomo emanciato accanto al quale sedevano i colleghi.
Subito dietro un sacerdote anziano intonava, stonando, un canto funebre seguito da un coro di voci anziane.
Accanto a lui il chierichetto portava la piccola croce di metallo per le processioni e, con lo sguardo fisso a terra, cantava a sua volta cercando di stare a tempo con il prete e sorreggendogli con l’altra mano l’ombrello.
Quando arrivarono dinanzi al grande cancello del cimitero avanzarono tra le lapidi a terra che facevano da viale verso la piccola cappella annerita dal fumo delle candele del campo santo.
Intorno a loro i fedeli si disponevano lungo tutto il perimetro segnato dai tumuli, che occupavano pareti intere.
Si udirono dei botti. “Ragazzacci” pensò qualcuno mentre la bara veniva trasportata all’interno del cimitero dove una fossa era stata scavata di fresco nella terra scura.
Tutti fissavano la buca, i volti scuri, gli occhi bassi; alcuni per compassione verso il defunto, altri persi nei propri pensieri.
<< Era un insegnante>> si sentì bisbigliare << Il cuore ha ceduto, eppure non era vecchio>>
<< Dicono che sia morto di paura>>.
Tutti fissavano la buca mentre veniva calata la bara di legno chiaro, quasi una macchia che scendeva nella terra nera, ma nessuno badava ad una figura che si teneva a distanza.
Una figura femminile, vestita interamente di scuro; se ne scorgeva soltanto il volto pallido contornato da lunghi capelli che scendevano in riccioli neri, sotto un vecchio ombrello di legno. 

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Capitolo 2
*** Una relazione compromettente ***


Amadeo de Dama passeggiava sul lungo lago come ogni sabato sera, era uno di quegli uomini abitudinari e precisi che tendono ad essere sempre puntuali nelle scadenze e agli incontri, di qualunque natura, e che, purtroppo per gli altri, si aspettano da tutti un’eguale precisione.
Insegnava storia in una delle scuole a Salò; reputato da tutti uno dei migliori insegnanti sulla piazza, era sempre impegnato, e non passava giorno senza che si precipitasse nelle proprie classi trafelato dopo avere attraversato mezzo istituto per questo o quello.
Non proveniva da una famiglia agiata, tutt’altro; si era conquistato il suo ruolo con fatica e sudore, superando tutti gli ostacoli: corsi di aggiornamento e concorsi di ogni genere, dove aveva sempre battuto i rivali con la forza della sua intelligenza e chinando la gobba per lo studio.
Un insegnante come tanti, insomma.
Insegnava in quell’istituto da circa sei anni, e, ormai, riteneva di avere provato tutto ciò che la vita aveva da offrirgli, anche se non si aspettava certo ciò che gli era capitato.
Venne distolto dai suoi pensieri vedendo una ragazza che lo aspettava seduta su di una panchina al molo dove attraccava il battello.
Non appena si accorse di essere osservata, la ragazza si voltò e gli sorrise per poi avvicinarglisi e gettargli le braccia al collo.
<< Sono felice che tu sia venuto>>
<< Sì, sono venuto, ma non per quello che pensi. Ti rendi conto vero, che quello che stiamo facendo è…sconveniente?>> non trovò altra parola per descriverlo.
Da un mese a quella parte aveva intrecciato una relazione con una delle sue studentesse. Brillante per la sua età, lo aveva colpito da subito con la prontezza e la sagacia proprie di chi fa della conoscenza il proprio tesoro più prezioso, in particolare, del periodo storico dal 1915 al 1945, gli anni che videro i conflitti mondiali e per i quali lui aveva una speciale predilezione.
Aveva cominciato portandole materiale didattico per ricerche ed approfondimenti, per poi condurla persino in casa propria e mostrarle i suoi saggi e i suoi studi.
Rammentava perfettamente di come una sera, proprio sulla porta di casa sua, si erano scambiati un bacio frettoloso seguito da un silenzio imbarazzato prima di lasciarsi.
<< Sconveniente?>> chiese la ragazza inclinando la testa di lato e facendosi subito seria, portando le braccia lungo i fianchi stretti e lasciando che i capelli neri ricadessero liberi su di una spalla in una cascata di lunghi riccioli << Io…ti amo>> mormorò.
L’uomo aveva previsto una reazione del genere; sospirò e recuperò il tono dell’insegnante << Non possiamo andare avanti così. Ci sono vent’anni di differenza tra di noi e credimi un…legame tra di noi non porterebbe che guai. Per questo sono venuto…non voglio parlarti come un amante, stasera, ma come tuo professore>>
<< Capisco>> replicò lei.
Non parve sorpresa o sconvolta dalla notizia, ma d’altro canto Amedeo sapeva quanto fosse intelligente e confidava che quella infatuazione da adolescente sarebbe passata.
La settimana prima si erano accuratamente evitati in seguito ad un episodio di grande scalpore.
Lunedì mattina, al momento di cominciare le lezioni, gli insegnati si erano accorti che tutti i registri presenti in sala insegnanti erano spariti e solo quando una professoressa era andata ai servizi avevano compreso dove.
Tutti i water della scuola era intasati da pagine strappate dai registri; in alcuni casi, con la bella copertina blu impregnata d’acqua e fatta a pezzi che si distingueva tra i fogli.
Inutile parlare dell’enorme danno. Amedeo sospettava chi fosse il colpevole, e trovò anche le prove per incolparlo, ma, saputolo, la sua studentessa prediletta lo aveva supplicato di non dire nulla.
Il colpevole della bravata era la sua migliore amica; certo lei non era una sprovveduta e sapeva che l’amica si meritava la punizione, ma era anche a conoscenza dei problemi finanziari della sua famiglia, che non avrebbe mai potuto permettersi un risarcimento.
La ragazza ne aveva così parlato al professore, il quale, pur tenendo in considerazione le sue parole, non aveva saputo tacere, anzi aveva dato retta al suo senso del dovere denunciando la delinquente al dirigente scolastico suggerendo una condizione che non danneggiasse la famiglia di lei.
La ragazza era stata costretta, per punizione, ad aiutare nelle pulizie fino ad avere guadagnato abbastanza da risarcire il danno che aveva causato e sarebbe stata anche bocciata a giugno.
<< Sapevo che sarebbe finita, prima o poi>> mormorò la giovane << Ma se questa deve essere la nostra ultima sera insieme, cerchiamo di passarla come si deve…Oh…d’ora innanzi riprenderò a parlarle come un’allieva al suo mentore e non deve preoccuparsi di nulla, le assicuro che non sarò mai scorretta nei suoi riguardi e anzi, di lei conserverò il migliore ricordo>>
Amedeo sorrise, la diplomazia era una sua tipica caratteristica; forse, in un'altra vita e in un altro contesto, le cose sarebbero andate diversamente.
Ma nonostante fosse sollevato dalla reazione di lei, non poteva trovarla strana; non una lacrima, non una scenata.
Forse, pensò, non era amore, ma ammirazione ciò che provava, un sentimento che andava forse più in là del dovuto, ma d’altronde non era avvenuto nulla d’irreparabile se non l’aver spezzato il cuore della sua pupilla.
<< Signorina>> disse infine << Una parola ancora. Non voglio lasciarti senza confessare a mia volta l’ammirazione che nutro nei tuoi confronti come allieva diligente. Sono certo che incontrerai qualcuno ben più meritevole di me nel corso della tua vita, sei ancora tanto giovane…ma prima di andarmene…vorresti bere per l’ultima volta, con me?>>
<< Solo analcolici?>> chiese lei.
Un sorriso spuntò nuovamente sulle labbra dell’uomo, poi si diressero verso uno dei locali sul lungo lago.
Era una notte di novembre ed entrando nel locale, furono accolti da una ristorante vampata di calore.
Sedettero ad un tavolo appartato, in fondo alla stanza, cercando di dare meno possibile nell’occhio e controllando che non ci fosse alcuno di conosciuto nei dintorni.
Non si fermarono più di venti minuti, giusto il tempo di bere un infuso alla vaniglia e di scaldarsi le dita, per poi uscire nella fredda notte.
<< Io…torno a casa>> gli disse, il suo sguardo era vuoto ora, ma Amedeo si convinse che quella fosse l’unica cosa, e la più giusta, da fare.
<< A domani>> riuscì solo a dire prima di dirigersi a sua volta verso il parcheggio.
Era arrivato d’innanzi all’edificio un tempo noto come Casa del Fascio, quando l’insegnante si portò la mano al petto e strabuzzò gli occhi << Non è possibile>> mormorò.
Appoggiata ad una colonna vi era una donna sui venticinque anni, vestita di bianco e dai lunghi capelli neri raccolti sulla testa; la donna si diresse verso di lui senza fare il minimo rumore, e sotto la luce dei lampioni, Amedeo si rese conto che il corpo di lei non aveva consistenza e attraverso di esso si distingueva perfettamente la strada.
<< Mio Dio>> si bloccò nel punto in cui si trovava, paralizzato, perdendo la percezione di tutto ciò che c’era attorno a lui, solo una forte sensazione di vertigine lo avvolgeva. Cercò di reggersi alla sua studentessa, ma vide con orrore che era sparita, al suo posto vi era lo spettro, che muovendo appena le labbra, ripeteva la stessa parola più e più volte in un sussurro semi indistinto: << Ben…>>.
Le gambe gli cedettero e cadde lungo disteso sul selciato freddo, ma non era la Salò dei suoi giorni quella che roteava intorno a lui.
I negozi erano chiusi, le porte sbarrate da assi e non c’era nessuno se non la donna che ripeteva quel nome, quasi a volere rievocare dalla tomba il suo antico possessore: << Ben…>>.
Un lamento che riecheggiava inascoltato nella notte nera come pece: << Ben…>>
Fu allora che l’insegnate capì.
Cercò di rimettersi in piedi, tremando come una foglia.
I peli sulla nuca gli si rizzarono, al contempo di brivido e di eccitazione, prima che il colore sparisse dalle sue guance e le gambe lo tradissero nuovamente.
<< Claretta Petacci>> fu tutto ciò che riuscì a dire quando fu soccorso da un passante, prima che le tenebre lo avvolgessero e la vita lasciasse il suo corpo. 

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Capitolo 3
*** Un'ombra dal passato ***


Un’ombra dal passato
 
La tenebra della stanza era rischiarata a mala pena dalla luce che filtrava attraverso la finestra della camera di Edoardo Toni, commissario in pensione dei carabinieri di Salò.
Grazie alla tenue luce si potevano distinguere abbastanza bene i vestiti sparsi dappertutto, le scarpe ribaltate sotto al letto ricoperto da una montagna di coperte colorate sotto al quale dormiva l’uomo e i resti della cena che giacevano sul vassoio precariamente sospeso sull’orlo del comodino.
Era circa l’una di notte, quando un trillo acuto e insistente fece svegliare di soprassalto il dormiente, che alzò una mano per colpire la sveglia, ribaltando invece il vassoio, che cadde a terra provocando un forte clangore metallico << Acc…>> brontolò Edoardo cercando a tentoni il pulsante per la luce. Quando lo trovò, scoprì anche la fonte primaria del rumore, e con un po’ di stizza per il sonno interrotto afferrò il telefono.
<< Mannaggia a mia nipote che mi cambia sempre la suoneria>> borbottò << Pronto…spero che abbiate una buona ragione per questa interruzione, svegliare un uomo che dorme porta male>>.
<< Anch’io sono felice di sentirti, papà>>
<< Oh, Emilia, chi è morto?>>
<< Divertente. Abbiamo appena rinvenuto il cadavere di un uomo che si deve essere sentito male facendo una passeggiata sul lungo lago>>
<< E allora? Questo è il tuo lavoro, non più il mio, ricordi? Sono in pensione>>
<< Sì, ma questo caso…non si tratta di un semplice malore, un testimone ha detto che prima di morire la vittima ha fatto un nome. Claretta Petacci…pronto?>>
Edoardo lasciò cadere il telefono sul pavimento che fortunatamente era ricoperto dalla moquette.
Non era la prima volta sentiva il nome dell’amante del Duce in un contesto del genere.
Allontanò ogni sorta di pensiero superstizioso per cercare di pensare lucidamente; si massaggiò le tempie, poi andò in bagno e, per aiutarsi a riflettere, tirò lo sciacquone, per poi tornare in camera e vestirsi in modo presentabile.
Con non poca fatica si chinò sotto il letto cercando di recuperare le scarpe e con il medesimo sforzo si rialzò aggrappandosi al bordo del letto.
Soffiò. L’età lo aveva reso un pezzo da rottamare.
“O meglio” pensò “Un bel pezzo d’antiquariato che necessita di scrupolose restaurazioni”.
Uscì di casa chiudendosi la porta del piccolo appartamento alle spalle; stava scendendo la stretta scala a chiocciola verso il portone del vecchio condominio, quando, nella penombra del pianerottolo, una porta si spalancò davanti lui.
Ne uscì una figura bassa e grassa avvolta in una larga camicia da notte che le copriva a mala pena le gambe gonfie e attraversate da linee azzurrognole che gli fece gelare il sangue nelle vene. I capelli era corti e scompigliati sulla piccola testa con il volto rugoso. Lanciò un urlo.
<< Sior Toni, ch’è sto’ casino?>> esclamò con la voce gracchiante  di una vecchia zitella, la voce stizzita di una donna interrotta nel mezzo di qualcosa di importante e impastata di sonno, ma al contempo autoritaria.
Edoardo riconobbe Selvaggia, la padrona del condominio e cercò di darsi un contegno, rammentando che non aveva ancora pagato l’affitto.
<< Oh … Selva … Pardon, signora … signorina Baldoria … E’ solo un’emergenza di famiglia, non si preoccupi … non volevo disturbarla>> balbettò.
Da che si conoscevano quella donna gli aveva sempre messo soggezione.
La donna lo guardò inarcando uno dei suoi sottilissimi sopraccigli neri e incrociò le braccia al petto.
<< Queste interruzioni le costeranno care, anzi, le ricordo che mi deve ancora l’affitto di questo mese e che deve versare la sua quota per il comitato floreale a cui aderiva quella buon’anima di sua moglie…che Dio l’abbia in gloria…>> si fece il segno della croce << …quindi le consiglierei di affrettarsi>>.
Edoardo sbatté le palpebre sui suoi occhi azzurri e si diede una grattata ai capelli, un tempo nerissimi, che ora contenevano parecchie ciocche grigie.
<< Certo, signorina. Non si preoccupi…Buonanotte>> disse affrettandosi ad uscire ed a dileguarsi più in fretta che poté.               
 Quando arrivò sul luogo del delitto Emilia stava parlando col medico legale.
<< La morte deve essere avvenuta all’incirca alle undici di ieri notte>> stava dicendo << E’ l’insegnante di storia di mia figlia…>> aggiunse << …non avrei mai pensato ad una cosa simile>>
<< Cosa intende dire?>> s’intromise Edoardo.
Il medico gli lanciò un’occhiata, poi guardò Emilia, che assentì con un cenno del capo.
<< Sembrerebbe che il cuore abbia ceduto inseguito ad un forte shock…>>
<< Vuoi dire che è morto di paura?>> chiese la donna.
<< Sì…ma per accertarmene dovrei esaminare meglio il cadavere. Fammelo portare in laboratorio e ti farò sapere tutto ciò che vuoi nel giro di una giornata>>
<< Molto bene, aspetta solo un secondo, poi potrai gettarti a capofitto sul tuo nuovo amico>>
Prese da parte suo padre << Cosa ne pensi?>>
<< Che qualcosa non quadra, perché hai tratto in ballo l’amante di Mussolini?>>
<< L’uomo che l’ha soccorso, ha riferito che la vittima ha detto un nome prima di morire: Claretta Petacci, appunto. Anche se come te credo che il nostro insegnante avesse alzato un po’ il gomito. Ho mandato i miei agenti nei locali qui intorno per sapere se qualcuno potesse averlo visto, ma purtroppo dovremo aspettare ancora qualche ora per saperne di più>>
Il padre prese uno zolfanello da una tasca, cavò una vecchia pipa dall’altra, la accese, e, dopo aver dato una tirata che produsse qualche anello di fumo, commentò: << Di certo non abbiamo a che fare con un fantasma>>
<< Oh, hai sentito anche tu del fantasma che si aggira sul lungo lago?>>
<< La signorina Baldoria me ne ha fatto un accenno, dimmi, cosa sai sul nostro amico?>>
<< Come avrai sentito dal medico, era insegnante di storia nella scuola*** e da quanto mi hanno detto aveva una certa passione per il periodo che riguardava il Fascismo>>
<< Se non fossi io riterrei che la vicenda è tutta un’orrenda barzelletta ma penso anche che tu mi abbia chiamato per…Marco>>
<< Sì, papà. Anche lui è morto così, con quel nome sulle labbra. Credo che ci sia un nesso>> 
Edoardo ricordava perfettamente Marco Enigma. Era nel corpo dei vigili del fuoco di Salò e aveva sposato sua figlia circa sedici anni prima e da quell’unione era nata una bambina…che ben presto era rimasta orfana.
Marco era morto in un incendio di origine dolosa dopo appena sei anni di matrimonio, da allora Emilia non si era più sposata e si era dedicata interamente alla figlia e alla propria professione; Edoardo all’epoca era ancora ispettore e quando era andato in pensione la figlia ne aveva preso il posto, ma non per raccomandazione, bensì per i meriti.
Nessuno più di lei, infatti, si era gettato nel lavoro. Le feste passate in centrale, gli straordinari e tutte le azioni contro la criminalità le avevano fatto raggiungere quella carica, solo per amore della giustizia e forse per vendetta nei confronti del marito.
<< Ti aiuterò, Emilia, ma non fare sciocchezze>> concluse Edoardo riscuotendosi dai suoi pensieri.

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Capitolo 4
*** Pettegolezzi e complicazioni; ***


Ecco un nuovo aggiornamento ragazzi !
Ftemi sapere che ne pensate! 
Un bacione


In bottega quella mattina c’era molto fermento.
Adriana Imperi era passata in panetteria prima di andare a scuola; stava facendo la fila assieme ad altre due donne che si dirigevano al lavoro ed a una signora in pensione, quando nel piccolo negozio fece la sua irruzione la signorina Baldoria.
<< L’ha ucciso, l’ha ucciso! L’ho inteso io, quanto è vero che mi chiamo Selvaggia!>> si fece il segno della croce.
Un brusio corse tra il gruppo di donne ed Elvira, la bottegaia, chiese: << Di chi sta parlando, signorina Selvaggia?>>
La donna, avendo ottenuto l’attenzione di tutti, tirò su col naso, si sistemò la sciarpa e si portò una mano alla bocca come se volesse confidare un segreto ad Elvira, avvicinandosi al bancone e costringendo le altre a farsi vicine.
<< Quel professore, uno di quelli nuovi della scuola***. Quella dove hanno gettato tutti i registri nei water! L’ho inteso dal signor Toni, il mio inquilino, la figlia sta indagando sul caso…e s’è lasciata scappare della Claretta Petacci!>> si segnò nuovamente.
<< Ne è sicura?>> chiese una delle donne lì presenti.
 << Viva Dio! Il fantasma dell’amante di Mussolini ha fatto un altro morto>>
Lasciò che i presenti assorbissero la notizia e, approfittando della pausa, << Due panini e un etto di cotto, Elvira>>.
Adriana non aspettò nemmeno che finisse di parlare. Uscì dal negozio e si appoggiò al muro con un mano sul cuore; prese un respiro profondo e si incamminò verso la scuola, non doveva fare tardi, quel giorno c’era il compito di storia.
Mentre la signorina Baldoria faceva una capatina in tutte le botteghe del centro di Salò, Mistica Enigma dormiva placidamente nel suo letto.
Improvvisamente la sveglia suonò, ma, con disappunto di questa, la ragazza non si scosse; anzi, lanciò un ingiuria all’oggetto e, afferratolo, lo lanciò contro la parete.
La sveglia non si ruppe, ma smise di suonare e giacque come un animale ferito sul pavimento della camera.
Non era però destino che Mistica dormisse, quella mattina; non era passato che un minuto quando sua madre fece capolino nella stanza.
Osservò con sconcerto lo stato in cui si trovava la stanza, abiti sparsi sul pavimento, scarpe appese alla spalliera del letto e la scrivania occupata da cosmetici e libri sull’anarchia e l’arte come forma di protesta.
<< Non ti avevo detto di mettere in ordine?>> chiese pacatamente avanzando nella penombra.
Un grugnito proveniente da una massa informe sotto le coperte le rispose.
Emilia spalancò la finestra della camera della figlia facendo entrare la luce del sole direttamente in faccia alla ragazza.
<< Hei!>> esclamò questa.
<< Muoviti, farai tardi a scuola, e se stasera non trovo tutto in ordine non uscirai per il resto della settimana>>.
Mistica si alzò controvoglia e azzardò qualche passo verso la madre, ma inciampò nella sveglia che ricevette la sua vendetta.
<< Merda!>> esclamò la ragazza rialzandosi.
Le unghie nere risaltavano sul tessuto chiaro della sua camicia da notte, fece per lanciare nuovamente la sveglia sul comodino ma la madre la fermò << Questa la prendo io, ora fila!>>.
La ragazza sbuffò e brontolò qualcosa, poi si diresse verso il bagno, dal quale uscì almeno trenta minuti dopo per andare in cucina.
<< Hai cambiato costume oggi?> chiese Emilia vedendo gli abiti della figlia.
Era completamente vestita di nero, con una sciarpa viola legata a mo’ di cintura in vita, gli anfibi con le borchie ai piedi erano stati incisi con pentacoli e svastiche e la faccia era struccata in modo pesante con tinte dai toni scuri che risaltavano il pallore creato dalla cipria bianca.
Il tocco finale era dato dai capelli, corti e lisci con un lungo ciuffo viola che scendeva sull’occhio destro e copriva quasi mezza faccia.
Mistica ignorò totalmente la colazione e si affrettò a prendere la tracolla per uscire con la mano coperta da un mezzo guanto blu scuro.
<< Non si saluta?>> chiese sua madre.
<< A stasera>> brontolò la ragazza.
<< Aspetta un secondo>> la richiamò Emilia.
<< Sono in ritardo>>
<< Per cosa? Per vedere i tuoi amici? Lascia perdere quella gentaglia, non mi piace che frequenti quei ragazzi>>
<< Cosa te ne frega? E’ la mia vita, non sono fatti tuoi con chi mi vedo>>
<< Ascoltami bene, la tua vita mi riguarda eccome, sei minorenne e sotto la mia responsabilità. Se ti vuoi mascherare andando a scuola sei liberissima di farlo, ma non pensare che io ti lasci frequentare quella marmaglia di tossici che chiami amici>>
Mistica sospirò << E va bene, non li vedrò più, sei contenta?>>
Sua madre la guardò preoccupata << Mistica, lo so che adesso ti sembra un sacrificio ascoltarmi, ma lo faccio solo per il tuo bene. Quando sarai più grande capirai>>
<< Ora posso andare? Farò tardi>> .
Emilia guardò la figlia uscire casa e allontanarsi; ogni volta che si vedevano e che cercava di azzardare una conversazione litigavano. Se in quel momento le avessero chiesto cosa fosse più difficile tra fare l’ispettore e la madre, avrebbe detto quest’ultimo.
Non c’era lavoro più complicato. Badare alla casa e al suo mantenimento e contemporaneamente crescere una figlia non era impresa da poco e spesso Emilia si lasciava cadere sul letto sfinita dopo una lunga giornata.
Purtroppo quella mattina non sarebbe stato così. Bevve l’ultimo sorso di caffè prima di alzarsi da tavola e dirigersi nello studio del marito. Quella stanza era divenuta il ripostiglio di tutti i ricordi legati a Marco; non veniva aperta da anni, ed Emilia la teneva rigorosamente chiusa a chiave.
Solo una volta la figlia vi aveva fatto incursione, ma da quel giorno se ne era tenuta ben lontana.
Emilia ricordava un fascicolo sulla seconda guerra mondiale che il marito teneva nella sua libreria; le aveva detto che era una ricerca risalente agli studi universitari, che lui aveva lasciato prima di darsi al mestiere del pompiere.
Varcò la soglia con un tuffo al cuore. Tutto era ricoperto da un leggero strato di polvere. Si diresse senza indugio verso la libreria e afferrò la cartella di pelle con i decori dorati.
Non sapeva cosa aspettarsi quando l’aprì.
Il suo contenuto non poteva essere più innocuo. Una ricerca sulla seconda guerra mondiale: La repubblica sociale italiana.
Venti pagine in tutto di cui tre erano dedicate al rapporto tra il duce e l’amante e, sul fondo, due nomi: ricerca di Marco Enigma e Amadeo de Dama. Prese la cartelletta e la portò a lavoro con sé. Poteva ancora tornarle utile.

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Capitolo 5
*** Gli opposti si attraggono; ***


Mistica era ferma alla fermata dell’autobus con Adriana, la quale con l’amica non aveva nulla a che fare.
Il viso pulito illuminato dai due occhi neri come i capelli, legati in una coda di cavallo non aveva niente della maschera che Mistica si portava addosso.
Ma quella mattina Adriana era diversa; non salutò l’amica con il solito sorriso sincero che formava due fossette sulle sue guance lisce.
<< Adriana, ehi, cosa succede?>>
<< Mi ha lasciata>> non fu necessario dire chi.
Mistica non commentò; abbracciò l’amica come gesto di solidarietà.
<< Forse…non so se ti può essere di consolazione, ma…mia madre ha detto che hanno ritrovato un cadavere ieri sera.>>
<< Lo sapevo>> mormorò Adriana mentre le lacrime affioravano nei suoi occhi << L’ho sentito da una donna...in panetteria>>.
<< La signorina Baldoria! Quella befana deve averlo sentito da mia madre mentre ne parlava al nonno>>
<< Ha detto…che è stato ucciso dal fantasma di Claretta Petacci>>
Mistica sbiancò << Cosa?>> riuscì a mormorare.
Entrambe erano sconvolte adesso, ma cercarono di darsi un contegno. Non erano amiche per niente. Adriana e Mistica erano simili. Se una era moderata e l’altra radicale, entrambe avevano un forte autocontrollo che non esitavo ad utilizzare per influenzare gli altri.
La loro amicizia era cominciata in modo singolare; Mistica aveva difficoltà in chimica e Adriana, la migliore della classe, si era offerta di dare ripetizioni.
Ovviamente i primi tempi erano stati duri. Adriana dovette usare tutta la sua pazienza per far apprendere qualcosa alla compagna e fu solo dopo settimane di duro lavoro che Mistica riuscì a recuperare con un sette e mezzo.
Quando però Adriana si trovava in difficoltà con i prepotenti, Mistica correva in suo aiuto; da lì era nato il loro legame.
Mistica con la sua eccentricità lunatica e Adriana con il suo carattere chiuso ma generoso erano presto divenute amiche, inseparabili come due gemelle.
In seguito a questo legame, ben strano agli occhi di tutti, Adriana si era aperta nelle sue confessioni e quando Mistica veniva a sapere che qualcuno spezzava il suo cuore si curava per bene di rivoltarlo come un calzino. 
Quando furono a scuola, le due cercarono di comportarsi normalmente, anche se fu difficile; le voci correvano veloci e non era raro che in corridoio, tra i gruppi di ragazze, alcuni parlassero del fatto appena avvenuto.
In compenso il compito di storia era saltato, per la gioia di molti e la delusione di una.
<< Mamma>> chiamò Mistica non appena tornò a casa << Mamma, dove sei?>>
Andò in cucina dove, attaccato al frigorifero trovò un biglietto di Emilia << Torno tardi stasera, ciao, mamma>>.
Mistica sospirò e si preparò qualcosa da mangiare << Mettiti pure comoda>> disse rivolta all’amica.
<< Dovrei andare in bagno>> rispose Adriana
<< Sì, sì, sai dov’è…intanto io preparo qualcosa da mettere sotto i denti>>
la ragazza le sorrise prima di uscire dalla stanza.
Rimase fuori per diversi minuti mentre Mistica cucinava e questa, non vedendola tornare, si diresse verso la porta del bagno, ma vide che Adriana non era lì, era davanti allo studio del padre e stava forzando la maniglia.
<< Che stai facendo, non ti ricordi più com’è fatta casa mia?>> le chiese,  con tono canzonatorio.
<< Oh…hm…scusa, credevo che fosse qui…>>
<< Non fa niente, è da un po’ che non vieni…da quando hai cominciato ad uscire con…>> non terminò la frase per rispetto all’amica, che si morse le labbra e distolse lo sguardo per poi rialzare il viso dal petto e cambiare abilmente il discorso.
<< Allora…cosa prevede il menù?>>   
<< Patate al forno e Würstel con un mucchio di ketchup e maionese e per dessert torta delle rose da parte di mia madre annaffiata da un’ottima annata di…coca cola, signora si accomodi e benvenuta al ristorante “Chez Mistique”!>>
Le due si misero a tavola e pranzarono allegramente; Mistica parlò in modo da non menzionare e di sviare il discorso dalla tragedia avvenuta la sera prima per optare con qualcosa di più normale come le verdure più odiate da entrambe e le infinite qualità di camomilla e di infusi che si trovavano al supermercato per poi accennare al discorso scuola accarezzando i voti dei compiti in classe e delle interrogazioni ed infine parlare dell’opportunità di frequentare gli stage lavorativi durante l’estate.
Questo finché Adriana non la interruppe ricordandole che avevano una verifica l’indomani e avrebbero dovuto studiare…con grande dispiacere di Mistica.
<< Ok, d’accordo>> disse questa infine.
Presero libri e quaderni e cominciarono a ripetere i vari argomenti; erano arrivate ormai quasi alla fine, quando sentirono suonare alla porta.
<< Saranno i venditori ambulanti>> commentò Mistica, si avviò verso l’ingresso e non appena ebbe aperto la porta vide sua madre, in divisa, la faccia scura come solo una volta le aveva visto.
<< Mistica, possiamo parlare?>> la voce di sua madre tradiva un certa apprensione.
Solo una volta aveva avuto quell’espressione e quel timbro di voce; il giorno in cui era morto il padre.
 
Emilia aveva lasciato la cartella del marito sulla sua scrivania non appena era arrivata in centrale e non aveva fatto in tempo a sedersi che un agente era entrato con un plico di fogli.
<< Le ho portato i risultati delle analisi>> disse.
<< Bene>> replicò lei prendendoli.
<< La morte è stata causata da un allucinogeno contenuto in un cioccolatino che l’insegnante ha ingerito…abbiamo fatto delle ricerche in casa della vittima e abbiamo trovato questo>> le mostrò una busta di plastica per le prove ritrovate sul luogo del delitto che conteneva un post-it bianco con una rosa rossa in un angolo.
Vedendo la grafia Emilia sbiancò senza che l’agente se ne rendesse conto << faremo analizzare il biglietto…>>
<< Non ce n’è bisogno>> replicò sconvolta a mezza voce << Questa è la grafia di…Mistica>>
<< Sì, è proprio un mistero. Abbiamo cercato tra i conoscenti, ma non c’è nessuno che si chiami così. Al momento stanno controllando tra i nomi dei suoi studenti>> l’agente non l’aveva capita.
Emilia sedette sulla sedia e si portò le mani alle tempie massaggiandole.
Come poteva essere finito lì uno dei biglietti di sua figlia?
<< Dove l’avete trovato?>> chiese infine, trovando la voce. Nonostante lo shock cercò di mantenere la calma o sarebbe stata preda di una crisi di nervi.
 << Sulla scrivania di De Dama. Era appiccicato al coperchio di una scatola di cioccolatini>>   
<< Cioccolatini?>>
<< Sì. Probabilmente fatti in casa, il coperchio mostrava un’immagine diversa dal contenuto. Leggi tu stessa>>
La rosa rossa della decorazione sul biglietto pareva una macchia di sangue; Emilia sospirò e si fece coraggio, poi lesse le parole che vi erano scritte.

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