L'arte di saper vivere

di canyoukeepasecret___
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Capitolo - La storia di Emma Seydoux ***
Capitolo 2: *** II Capitolo - La storia di Léa Luesby ***



Capitolo 1
*** I Capitolo - La storia di Emma Seydoux ***


I Capitolo - La storia di Emma Seydoux


Il sole era andato via da un pezzo. Nei i quartieri più malfamati di Parigi si stagliava una figura alta, magra ma imponente, che camminava veloce verso quella che si sarebbe detta una dirittura d'arrivo. Le poche luci che ne illuminavano il volto, quello di un uomo, provenivano dai lampioni e dalle finestre.
L'anziana signorina tedesca Luise Van Schmidt, che sbirciava accortamente dalla finestra della cucina, conveniva sul fatto che la figura di quell'uomo con uno strano fagotto tra le braccia le era sconosciuta; tuttavia, si integrava perfettamente nell'ambiente e nessuno degli abitanti di lì si sarebbe mai girato a squadrarlo. Erano nel ventre di Parigi, nel cuore, nel centro dell'economia della città; quasi non si sarebbe sbalordita se avesse visto una nobile damigella a giocare a bisca clandestina con un indigeno.
L'uomo avanzò fino alla porta di una casa a pianoterra, dove bussò ed entrò. Dopo circa una ventina di minuti, l'uomo aprì la porta e, dopo aver salutato a stento la persona all'interno della casa, si incamminò via lungo la strada, alla cui fine si vedeva perfettamente la slanciata figura della Tour Eiffel. Chi era lo strano uomo? E che cosa aveva consegnato alla persona che l'anziana signorina avrebbe giurato fosse la signora Seydoux?
Dopo qualche attimo di esitazione, la signorina Van Schmidt chiuse con sfregio la tendina, lasciando la sagoma dell'uomo a metà strada e torno alla padella delle uova trattenendo appena un espressione schifata per l'accaduto. Le urla dei nipoti la riportarono alla realtà. Forse non avrebbe dovuto pensarci, maledetta la sua curiosità. Magari l'uomo era solo un ortolano che aveva portato cavolfiori, patate e pomodori, lei che ne sapeva? E che se ne importava?
“Oh, a proposito, ho finito i pomodori.” sussurrò tra sé e sé.

“E' finalmente arrivata”, pensò la signora Seydoux, “è finalmente arrivata la mia bimba.”
Osservava inebetita la piccola bimba in fasce che il signor Sindaco le aveva promesso. Amelie Chevalier, la moglie del signor Francois Seydoux, era quasi svenuta quando aveva scoperto di non poter avere figli. C'era rimasta così male; aveva perfino immaginato il suo futuro tra un sacco di figli. Una nidiata. Aveva sempre sognato di avere una figlia di nome Emma.
E l'opportunità era arrivata, era piombata su di lei come lo Spirito Santo. Il Sindaco era un uomo ricco che campava di favori e accordi, così, quando alla richiesta di nuovi abiti da uomo aveva aggiunto la frase “verrà offerta qualsiasi ricompensa”, la signora Amelie era stata la prima ad offrirsi. Ma non aveva chiesto provviste di cibo per il resto dell'anno: Amelie aveva chiesto una bambina.
“Una bambina?” aveva chiesto il Sindaco voltandosi di scatto.
“Sissignore, una bambina. Vera. Ha presente? Le bimbe belle con le guance rosee.” replicò irremovibile la signora Seydoux.
“Ebbene sia. Le procurerò la bambina che lei vuole.” rispose egli, e si congedarono così.
Era rimasta a dir poco sbalordita da quella bambina. Era meravigliosa. Aveva gli occhi blu e i capelli rossi, era piena di lentiggini ed aveva un bel nasino all'insù. Già se la immaginava all'età di sedici o diciassette anni, una ragazza rossa dai lineamenti perfetti. Era identica a lei per uno strano caso. E decise che quella sarebbe stata Emma. Chissà che faccia avrebbe fatto Francois quando sarebbe tornato!
Ingenuo come sempre, il vecchio caro Francois. Amelie non gli avrebbe detto di come Emma fosse arrivata lì, sarebbe crepato subito. Avrebbe detto che l'aveva trovata abbandonata fuori la porta.
“Emma” sussurrò la signora Seydoux, prendendo la mano della figlia nella sua. Ovviamente inconsapevole della meravigliosa persona che Emma Seydoux sarebbe diventata, e del posto che avrebbe occupato nella nostra storia.

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Capitolo 2
*** II Capitolo - La storia di Léa Luesby ***


II Capitolo – La storia di Léa Luesby


Insieme alla rifioritura primaverile degli alberi dei parchetti parigini che circondavano aree urbane e monumenti rendendoli magnifici, rifiorivano anche le idee dell'amministrazione comunale e le assemblee cadevano fitte come pioggia. Sostanzialmente era la mente del Sindaco Bourgeois a rifiorire; così, come una sveglia impostata ad un certo orario, ogni giorno di primavera alle sette del mattino, il signor Sindaco chiamava a rapporto il segretario Hugo Leclerc e convocava un'assemblea di nobili, impiegati comunali e prestigiose famiglie di Parigi.
Dopo la sua solita colazione di croissant e caffellatte, Bourgeois si preparava ad un'impegnativa toelettatura. Si rasava accuratamente, si impomatava i capelli neri e pettinava i baffi in modo così attento che era invidiato da qualsiasi uomo del luogo, sebbene non fosse stato poi tanto virile. Dopo circa un'ora, il Sindaco era pronto per recarsi al salone delle assemblee accompagnato dal fido segretario.
Prima dell'arrivo del Sindaco, nel salone si udiva un leggero chiacchiericcio. Le dame erano sempre ben vestite, acconciature meravigliose e abiti sfarzosi erano forse la cosa meno pacchiana di quel salone pieno d'oro, di arazzi, di applique imponenti e di lampadari di diamanti.
Bourgeois e Leclerc arrivavano poco dopo le undici, entrambi con le proprie valigette colme di idee e progetti. Attraversarono il salone e sedettero alla scrivania alla fine della stanza, Leclerc sulla sedia bassa alla destra del Sindaco. Dopo un secco colpo di tosse, il segretario si alzò e cominciò a spiegare i perché di quell'assemblea di venerdì mattina. In realtà tutti sapevano che era abitudine del Sindaco convocare assemblee di quel periodo; dunque, dopo l'inutile monologo di Leclerc, il Sindaco Bourgeois cominciò a parlare.
Nessuno aveva una gran voglia di partecipare, tutti annuivano cortesemente alle tutt'altro che originali proposte dell'amministrazione; fatta eccezione della signora Luesby, la giovane moglie italiana del signor Victor Luesby. Anche se da poco mamma di una dolce bambina, la signora Caterina non aveva smesso di battersi per le proprie idee, le quali, tutti si sentirono in dovere di ammettere, erano davvero rivoluzionarie. Si arrabbiava particolarmente quando ad ogni assemblea si proponeva di togliere addirittura i mercati ai quartieri malfamati di Parigi. Era molto più decisa del marito, il cui contributo nelle riunioni era un saltuario sbadiglio che mandava, anche se non apertamente, l'ingegnere Maréchal su tutte le furie.

“Ma andiamo!”, esclamava, “Come potete anche solo pensare di compiere un simile atto? Avranno anche bisogno di mangiare! Non permettereste nemmeno la loro presenza ai mercati che frequentiamo tutti noi, sareste degli assassini indiretti. Non tutti nascono fortunati come noi.”

“Suvvia Signora Luesby, non si scaldi troppo”, le diceva il Sindaco con un tono quasi indifferente mentre sfogliava le carte “sì, a pensarci è un po' esagerato, ma le consiglio di badare a quell'angioletto della sua Léa. Lei è pur sempre una madre, se lo ricordi.”

Non poteva biasimarlo, ovvio che doveva occuparsi molto della piccola Léa. Nata in una famiglia nobile, Léa Luesby aveva i lineamenti della madre. Era biondissima, anche se, rifletteva la signora Luesby, lei era mora. E anche Victor. Un miracolo, si sarebbe detto, ma la buonanima di sua suocera, Marchesa di qualcosa, diceva che “i mori sono sempre i più intelligenti”. Era d'accordo. Non perché i biondi non fossero intelligenti, ma perché pensava semplicemente che i mori avessero qualcosa in più. Quel tocco che bastava a renderli diversi. Sperava che sua figlia avesse ereditato anche la sua determinazione e la sua forza, la sua voglia di conoscere. Non le avrebbe mai imposto nulla.
Durante i suoi viaggi in Oriente, Caterina aveva acquisito molte cose; era riuscita ad apprezzare una cultura così diversa, così proibita in Occidente. In Africa aveva acquisito conoscenza di tutti gli infusi di erbe e delle loro proprietà terapeutiche. Un semplice infuso di rooibos, tè rosso africano, era considerato un elisir di lunga vita.
Quella che augurava a sua figlia, sapendo che avrebbe fatto grandi cose nella vita.
Non sapendo che un giorno, nel fiore degli anni, avrebbe dovuto lasciarla sola alle cure del padre. Incosciente del futuro di sua figlia, succube delle soddisfazioni e delle grandi tristezze che la vita aveva in serbo per lei.

LE INUTILI NOTE DELL'AUTRICE A FINE CAPITOLO, a cura di me, me medesima io Watson.

Ciao a tutti i lettori! Ammetto che non mi aspettavo così tante visualizzazioni solo al primo capitolo (circa 80, per questo vi ringrazio infinitamente). Dunque, essendo questa la mia prima storia mi fa piacere che stia avendo un relativo successo e sarei davvero interessata a leggere i vostri commenti, anche per migliorarmi.
Arrivederci e al prossimo capitolo!
- Watson

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