Little black star

di Cruel Heart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Little black star ***
Capitolo 2: *** To skate or not to skate? ***
Capitolo 3: *** Little Things ***
Capitolo 4: *** How you remind me ***
Capitolo 5: *** Non degli illusi normali,ma ultra-mega-galattici ***
Capitolo 6: *** Everybody Hurts ***
Capitolo 7: *** Nobody's Home ***
Capitolo 8: *** And finally...a new room! ***
Capitolo 9: *** Sk8er Girl and...? ***
Capitolo 10: *** Sk8er Boi ***
Capitolo 11: *** First kiss ***
Capitolo 12: *** Are you ready,Avril? ***
Capitolo 13: *** Are you ready,Evan? ***
Capitolo 14: *** Treasure?! Really?! ***
Capitolo 15: *** Déjà vu ***
Capitolo 16: *** Hot! ***
Capitolo 17: *** Ssh, shut up... ***
Capitolo 18: *** The new president of the United States of America ***
Capitolo 19: *** My World ***
Capitolo 20: *** Goodmorning, guys! ***
Capitolo 21: *** Skate war ***
Capitolo 22: *** Why you have to make things so complicated? ***
Capitolo 23: *** I'm sick of this shit. ***
Capitolo 24: *** What happened to my... Monday? ***
Capitolo 25: *** Isn't anyone trying to find me? Won't somebody come take me home? ***
Capitolo 26: *** S...Sorry ***
Capitolo 27: *** Listen to your heart ***
Capitolo 28: *** Little monkey ***
Capitolo 29: *** Problem... ***
Capitolo 30: *** Insecurity ***
Capitolo 31: *** I'm his girlfr... Ops! ***
Capitolo 32: *** Dance ***
Capitolo 33: *** Innocent ice-cream ***
Capitolo 34: *** To ignore ***
Capitolo 35: *** I choose you because I love you ***
Capitolo 36: *** Life's like this ***
Capitolo 37: *** I'm losing my grip ***
Capitolo 38: *** When you're gone ***
Capitolo 39: *** Slipped away ***
Capitolo 40: *** Forever, little black star ***



Capitolo 1
*** Little black star ***


Oddio,non so cosa dire,sono emozionatissima...per prima cosa,mi presento.
Mi chiamo Cruel Heart ,e questa è la mia prima fanfiction su Avril Lavigne,per cui,siate buoni!!!
Allora,vediamo...innanzitutto,vi vorrei descrivere come ho "conosciuto" Avril.
Non è una cosa iniziata dal 2002,da Let Go.
La mia passione per Avril è molto recente,ed è iniziata questo Natale.
Mi ricordo che stavo nel mio lettone caldo caldo,e i miei come regalo mi avevano preso un cellulare nuovo.Ovviamente,la mia parte drogata di musica ha preso subito il sopravvento,e ho incominciato a trasferire tutti i brani dal telefono vecchio a quello nuovo. Una volta finito,mi sono infalata le cuffie nelle orecchie e ho premuto il tasto "Riproduzione casuale". E non mi scorderò mai quel momento,perchè quella è la prima volta in cui ho sentito la voce di Avril Lavigne. Il brano era "I'm with you". A dir la verità,non ricordavo neanche di avere un suo pezzo e,se vogliamo essere ancora più sinceri,non conoscevo per niente tutto il mondo riguardante Avril Lavigne. Certo,la conoscevo di fama,ma sapevo soltanto che aveva fatto una canzone famossissima,"Girlfriend",e niente più. Insomma,finisco di ascoltare I'm with you,e mi emoziono come un bambino di fronte a un uovo di Pasqua megagalattico. Decisa a scoprire un po' di più sul mondo di Avril,mi sono rivolta a mia cugina Alessandra,scoprendo,con mia grande sorpresa,che lei sapeva quasi tutti i titoli delle canzoni di Avril. Così,me li ha segnati. La sera stessa mi sono letteralmente FIONDATA al pc e mi sono scaricata ogni singola canzone che mia cugina mi aveva scritto nella lista,scoprendone però altre inedite o addirittura mai pubblicate. Ho alternato momenti di spensieratezza in cui ascoltavo solo le canzoni più allegre di Avril,e altri momenti in cui la tristezza prendeva il sopravvento e ho "disprezzato" le canzoni di felicità. E adesso? Beh,adesso(in realtà da un paio di mesi) sono entrata in quella modalità in cui solo una fan accanita può entrare. Ascolto tutte le canzoni di Avril,da mattina a sera,non smetto mai di farlo,e secondo me,è questa la cosa più importante da fare,fregarsi degli altri e seguire solo le NOSTRE passioni! 

 

Bene,spero di non avervi annoiato troppo,ma una misera presentazione era quantomeno d'obbligo! Ora vi lascio al capitolo,in cui,come è normale,non si capirà assolutamente niente. Se la storia vi piace,lasciate una recensione,ma proprio una anche piccola piccola piccola! Grazie!

Tutti si meritavano di avere una seconda possibilità.

Tutti dovevano avere l’opportunità di rimediare agli errori commessi.

A tutti, almeno una volta nella vita, doveva essere data l’occasione di rialzarsi e di affrontare le difficoltà della vita, andando avanti e superandole.

A tutti, mi dicevo, ma non a me.

Non potevo essere così fortunata, mi dicevo, perché adesso, guardando la mia piccola stella nera sul polso sinistro, stesa a terra, capivo quanto io potessi essere stata stupida e superficiale.

Perché lui me l’aveva detto, lui mi aveva avvertito.

E io, nel più stupido dei modi, gli avevo fatto una promessa, che sapevo fin dall'inizio non sarebbe mai stata mantenuta.

Ma le promesse erano fatte per essere infrante, no?

No.

Le promesse, quelle fatte con il cuore, andavano sempre mantenute e rispettate.

Improvvisamente, sentii una voce, la sua, chiamarmi.

“Avril! Avril!”

Eccolo, lo sentivo. Era incredibile quanto potessi riuscire a sentirlo vicino.

“Sei qui…” mormorai appena.

“Si amore, sono qui, sono qui…”

“Ti amo…” ebbi solo la forza di dirgli.

Poi, finalmente, il buio calò su di me.

Bene,ci si vede la prossima settimana!

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Capitolo 2
*** To skate or not to skate? ***


Buonsalve a tutti.

Innanzitutto,mi vorrei scusare con voi,perché avevo detto che avrei aggiornato la settimana scorsa,ma non l’ho fatto.

Quindi,per la vostra (spero) felicità,aggiornerò oggi e sabato pomeriggio.

So…ENJOY!

 

 

Solo un altro po’. Devo solo continuare un altro po’.

La mia gamba continua a spingere,e sento i crampi attanagliarmi quella sinistra.

Mi guardo indietro. I miei avversari stanno per raggiungermi.

 

No,non adesso. Ti prego,piccola stella,fammi vincere.

 

Si,lo so che è stupido pregare uno skate di far vincere chi ci sta su.

Beh,se proprio vogliamo essere sinceri,è ancora più stupido chiamare il proprio skate “piccola stella”,ma d’altronde…

 

Ti prego,ti prego,ti prego.

 

Poi,finalmente lo vedo. Il traguardo.

Ignoro il pericolo,ignoro i capelli in faccia,ignoro i crampi.

Ignoro tutto.

Siamo solo io,la velocità e lo skate.

 

“Forza,piccola. Ci siamo. Ancora un piccolo,piccolissimo sf-“

 

Non faccio in tempo a finire la frase,che sento un forte spostamento d’aria intorno a me,e la mia faccia assaggia per l’ennesima volta il sapore dell’asfalto.

 

No…

 

“Ma porca puttana!”. Batto violentemente il palmo della mano sull’asfalto,prendendomela con la sfortuna e con la mia scarsa capacità di sopportare il dolore.

 

Sento l’arbitro fischiare la fine della gara,segno che qualcuno è già arrivato prima di me.

 

Vengo evitata fortunatamente dagli altri concorrenti,che mi sorpassano non degnandomi neanche di uno sguardo. Che stronzi!

 

“Beh,sai com’è,stanno partecipando ad una gara…non è che possono andare in aiuto a tutte le madamigelle imbranate,che ad un solo metro dal traguardo perdono l’equilibrio e si spiaccicano la faccia per terra”

 

Ecco,la mia solita,vecchia,cara e merdosa coscienza.

 

“Una gara a cui tu non avevi il permesso di partecipare,o sbaglio?”

 

Ma va’ a quel paese!

 

Mi rialzo furiosamente da terra,e incomincio a cercare il mio skate. Deve essere scivolato via quando sono caduta.

 

Lo vedo pochi metri dopo il traguardo. Lo prendo in mano e lo esamino attentamente.

Nessun danno.

 

Almeno non l’hai rotto come l’altra volta.

 

Taci!

Una piccola folla si raduna intorno all’arbitro,che sta per annunciare colui che ha vinto.

 

“E il vincitore…” . L’arbitro incomincia la fatidica frase.

 

Inutile che ti illudi Av.

 

“…dell’ultima gara di skateboard di Settembre…”

 

Che pena. Tutte le tue speranze buttate al vento. Dovevi chiudere in grande stile,e invece,lasciatelo dire,ti sei sfracellata al suolo come una pera cotta!

 

“…della città di Napanee…”

 

Non puoi essere tu.

 

“…è…”

 

Non sei tu. Non sei tu. Non sei tu.

 

“…Avril Lavigne! “

 

Sono io! Sono io! Sono io!

 

Si! Si! Si!

 

Ma,aspetta…sono io?!

 

Mi avvicino confusa all’arbitro,chiedendomi se non avessi sentito male.

 

“Ehm…signor arbitro,ci deve essere stato un errore,perché io sono caduta a pochi metri dal traguardo. Per quanto mi piacerebbe esserlo,non sono io la vincitrice” dico dispiaciuta.

 

“Sei tu Avril Lavigne,registrata regolarmente con lo skateboard numero 4?”

 

“Si,ma…”

 

“Allora nessun errore. Il regolamento dice che deve essere dichiarato vincitore il proprietario dello skate che supera per primo il traguardo. Non dice però che la persona deve esserci sopra quando lo fa. Quindi,tecnicamente, nonostante tu abbia fatto notare a tutti quanto la forza di gravità abbia avuto effetto su di te,hai vinto. Complimenti!”.

 

Detto questo,mi prende il braccio destro e me lo solleva in aria,nel più classico dei gesti per dimostrare la vittoria.

 

Io,dal canto mio,comincio a saltellare in aria battendo le mani e gridando:”Alla faccia vostra,alla faccia vostra!”

 

Finisco il mio piccolo teatrino,quando mi accorgo che gli sguardi di tutti sono puntati su di me.

Non sono sguardi esattamente normali,sono più sguardi che si rivolgono a una povera decerebrata che invece di essere chiusa in una casa di cura,è ancora in piena libertà.

 

“Ehm…si,insomma,grazie per i complimenti,signor arbitro”.

 

“Di…nulla,immagino” dice inarcando un sopracciglio. “Questi sono per te” aggiunge,allungandomi i miei meritatissimi 500 dollari.

 

“Grazie.” Sono così felice,che mi verrebbe quasi voglia di dargli un bacio. Quasi.

 

Afferro i miei soldi e non ci penso due volte ad infilarmi sotto i piedi lo skate e a dirigermi verso casa.

 

  

Ho vinto! Ho vinto! Ho vinto!

 

Ancora non riesco a crederci.

 

Durante il viaggio di ritorno mi sembra addirittura di volare per la felicità

 

Raggiungo in fretta casa mia,o meglio casa di mio padre/poliziotto-sono-autorizzato-a-farmi-i-cazzi-tuoi-perché-non-hai-ancora-18-anni.

 

Uffa,però,io di anni ne ho 17. Un anno in più,un anno in meno…che differenza fa?!

 

Sto per suonare il campanello,ma inaspettatamente Jean-Claude mi anticipa.

 

Chiamo mio padre per nome perché mi è difficile chiamarlo “papà” dopo la separazione da Judy,mia madre. Certo,lei era e rimane una grande stronza,ma forse non l’ho ancora perdonato totalmente per non aver provato abbastanza ad aggiustare le cose con lei. 

 

“Ehilà” gli dico con un cenno della mano.

 

Lui richiude la porta con una certa violenza e si gira completamente verso di me.

È particolarmente rosso in faccia. Deve essere successo qualcosa di brutto.

 

Avril…Ramona…Lavigne” dice,diventando se possibile ancora più rosso.

 

Oh oh. Guai in vista. Non è mai un buon segno quando usa il mio nome completo. Cazzo.

 

“Jean-Cl…ehm,papà” dico usando il tono più smielato che posso fare “è successo qualcosa?”

 

So già la risposta,e ho una piccolissima sensazione che questa cosa centri con me.

 

“Non lo so. Dimmelo tu.”

 

Ok. È ufficiale. Non solo questa cosa centra con me,ma in qualche modo,ancora a me sconosciuto,ha fatto in modo che mi ritrovi nella cacca fino al collo!

 

“Dove sei stata?” mi chiede col suo tono da poliziotto-ti-sto-interrogando.

 

Decido,non so se per il mio bene o per il mio male,di non rispondere.

 

“Ti ho fatto una domanda. Rispondimi”. Si passa la mano tra i capelli,segno che è nervoso,e giustamente,la parte migliore di me decide che è quello il momento di venire fuori.

 

“Perché,se non lo faccio che fai,mi sbatti in cella?”

 

“Avril…”. Intravedo leggermente pulsare la sua vena sul collo. Ok,devo disattivare la modalità sarcasmo.

 

“Te lo ripeto per l’ultima volta. Dove..sei..stata?”. Questa volta,ed è per il mio bene più assoluto,ne sono certa,decido di rispondere.

 

“I-in biblioteca,come ti avevo detto prima di uscire.”

 

“In biblioteca,certo. Perché,tu andare ad una gara clandestina cercando di stare in equilibrio su quel coso a due ruote,lo chiami andare in biblioteca?!”

 

Bene,se prima intravedevo leggermente la sua vena pulsare,adesso è la prima cosa che salta ai miei occhi.

 

L’unica cosa a cui riesco a pensare è: MERDA!

 

“Papà io…”

 

“No,papà un cazzo,signorina. Vai subito in camera tua e non uscire fino a domani!”

 

Beh,mi è andata alla grande. Almeno non mi ha tolto lo skate.

 

“Oh,a proposito…questo è sequestrato!”. Che cosa avevo appena detto?

 

“Ma…ma…tu non puoi farmi questo. Tu non…”

 

“Oh si,che posso,l’ho appena fatto.”

 

Respira Avril,respira.

 

“Quando lo riavrò?”

 

“Uhm…vediamo…dai 30 anni in su?” chiede,buttandomi addosso tutta la sua rabbia.

 

“AAAAH,sei insopportabile!”. Grido anch’io ormai. La calma  è andata a farsi fottere.

 

“Vai…in…camera…tua!”

 

“Con immenso piacere!” ribatto pronta,salendo le scale e sbattendo la porta con tutta la violenza possibile.

 

Mi stendo sul letto e comincio a piangere.

 

Lacrime e singhiozzi mi scuotono da dentro,liberandomi da tutta la frustrazione.

 

Il mio skate non è solo un coso a due ruote su cui stare in equilibrio. È tutto quello che ho al mondo,insieme alla mia chitarra. Non mi separerei mai dalle mie migliori amiche.

 

Poi però,torna la lucidità.

 

Come ha fatto mio padre a sapere dov’ero veramente?

 

Non ho visto né agenti né volanti della polizia in giro,quindi qualcuno che ne era a conoscenza deve averlo spifferato a Jean-Claude.

 

Ripenso mentalmente alle persone a cui l’ho detto.

 

No…non può…lui…non può avermi fatto questo.

 

Maledetto!

 

Lo sconforto lascia velocemente,molto velocemente il posto alla rabbia.

 

Prendo il cellulare e apro un nuovo messaggio.

 

Sei veramente un grandissimo stronzo se hai raccontato tutto a mio padre.

Sappi che non ti parlerò più,e ti odierò a partire da questo momento per il resto della mia vita.

Con tutto l’odio possibile. Avril”

 

Scorro la rubrica fino alla D. Clicco.

 

Il messaggio è stato inviato a: Deryck

 

L’unica cosa a cui riesco a pensare è: MALEDETTO.

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Capitolo 3
*** Little Things ***


Buon pomeriggio a tutti *feels like Mara Venier* (?)

Ok,eccomi qui. Vi avevo promesso sabato,e sabato è stato.

Vi voglio dire solo due cose,prima di lasciarvi al capitolo.

La prima. Nel capitolo,ci saranno due nomi di due importanti aeroporti. Il primo,il Pearson,è l’aeroporto di Toronto. Il secondo,il LAX,è quello di Los Angeles. In caso qualcuno non lo sapesse.

La seconda cosa. Come vedete questo capitolo si chiama “Little Things” e fa ovviamente riferimento alla famosissima canzone dei One Direction. Non centra molto con il capitolo,ma l’ho scritto interamente sentendo questa canzone,quindi…

Bene. Il prossimo aggiornamento non so quando avverrà,ma sicuramente in questa settimana,perché,udite udite,oggi è finalmente finita la scuola. Yeeeeeeee. Non mi sembra vero.

Ok,scleri a parte,vi lascio al capitolo. Buona lettura.

 

  

“Porca miseria…”. Perché cavolo non mi risponde quella specie di energumeno uscito male?

 

“Sei veramente un grandissimo stronzo se hai raccontato tutto a mio padre.

Sappi che non ti parlerò più,e ti odierò a partire da questo momento per il resto della mia vita.

Con tutto l’odio possibile. Avril”.

Sono passati dieci minuti buoni da quando gli ho mandato quel fottuto messaggio,e ancora non ho ricevuto una fottuta risposta.

“Fottiti Deryck…”

Continuo a mangiarmi le unghie per l’impazienza.

Secondo me vengono sottovalutate,le unghie.

Sono un’ottima valvola di sfogo quando serve.

Si infatti,sembri un topo che non vede un pezzo di formaggio da mesi…

Senti,vai a farti fottere,coscienza di ‘sta pippa…

Poi,una vibrazione mi fa sobbalzare improvvisamente. Un messaggio. Da Deryck.

Beh,finalmente dopo dieci minuti buoni di attesa,si è degnato di rispondermi.

Lo apro.

“Scrivere un messaggio equivale a parlare,o sbaglio?”

Stronzo. Ancora una volta.

“Non.Cambiare.Discorso.”

Mantieni la calma,Av. Ce la puoi fare.

Questa volta la risposta mi arriva quasi subito.

“Beh,se magari mi dicessi di cosa stiamo parlando…”

Ok. Calma,vai a farti fottere insieme alla mia coscienza.

“Di cosa stiamo parlando?! Stiamo parlando del fatto che tu sei un grandissimo stronzo,perché sei andato a riferire a mio padre della corsa clandestina!”

“Non ho avuto scelta. Non lo avrei mai fatto,se ne avessi avuta una. Cosa credi,sono un ragazzo a posto,io..”

Inspira. Espira. Inspira. Espira.

Che cazzo vuol dire che non hai avuto scelta?! Altro che ragazzo a posto,sei un infame,ecco cosa sei.

 

Che cosa potevo fare io,se non confermare tutto quando tuo padre mi è venuto a chiedere dove fossi? Te lo ripeto,non ho avuto scelta. A tua madre quest’idea frullava in testa già da un po’ di tempo.”

 

Mia madre?!

 

Per quanto ne sapevo,mia madre se n’era andata a Los Angeles con il suo nuovo marito Phil quando avevo dieci anni,lasciando nella merda sia me che mio padre.

 

Non c’era quando mi sono sbucciata il ginocchio per la prima volta cadendo dallo skate, non c’era quando ho avuto il ciclo per la prima volta,non c’era quando ho dato il primo bacio…

 

Non c’è stata e né tantomeno ci sarà mai per me.

 

Sto per mandare un messaggio a Deryck per chiedergli cosa cazzo centri mia madre in tutto questo,ma all’improvviso sento la voce di mio padre al piano di sotto.

 

“Si,pronto? Oh,sei tu Judy…”

 

Mi metto subito in ascolto. Per quale diavolo di motivo mia madre chiama mio padre,quando per lei è un essere inferiore e privo di sentimenti?

 

“Si,lo so. Lo so,ma non possiamo cercare di risolvere questa cosa in un altro modo?”

 

Uhm,forse quella stronza di mia madre vuole ancora dei soldi da papà,e lui deve sempre essere succube alle richieste di quell’arpia.

 

Non avrei capito un fico secco stando chiusa in camera mia. Dovevo sapere di più.

 

Apro lentamente la porta,per non fare eccessivo rumore.

 

Mi tolgo le ciabatte,e scendo le scale solamente con i calzini,stando attenta a non far scricchiolare neanche uno dei gradini.

 

Un passo falso,e mio padre mi rispedirebbe in camera.

 

“Si,ho capito,ma…Los Angeles? Andiamo,non ti sembra un po’ esagerato?”

 

Ecco,lo sapevo.

 

Ancora una volta mio padre dovrà sottostare a qualche condizione di quella donna…che nervi!

 

Sto quasi per scendere gli ultimi gradini e strappare letteralmente il telefono dalle mani di mio padre per intervenire,ma una parte del suo discorso attira la mia attenzione.

 

“Si,ma come farà con la scuola,con i suoi amici,con la sua passione per lo skate?”

 

Oh. No,qui non stanno parlando di soldi,o di qualche stupida postilla nella sentenza del giudice per la separazione. Qui stanno parlando di me.

 

“Ma credi che non ci abbia provato?! È vero,tutti i discorsi,tutti i rimproveri,tutte le punizioni non sono serviti a niente,ma…andiamo,ha solo diciassette anni,è ancora una ragazzina…”

 

Mi blocco,a causa delle lacrime che sento arrivare. Non so neanche io il perché.

 

“Va bene,va bene. Domani,alle dieci saremo al Pearson,e poi tu andrai a prenderla al LAX. No,non ti preoccupare,ci parlo io,glielo dirò tra poco. Ok,ok,a domani.”

 

No. No,no,no.

 

Ecco cosa intendeva Deryck,ecco qual’era l’idea che frullava in testa a mia madre,ecco perché aveva chiamato mio padre.

 

Senza che me ne renda conto,mi siedo sull’ultimo gradino e incomincio a piangere silenziosamente.

 

Soltanto dopo parecchi minuti,mio padre si rende conto della mia presenza.

 

“Av,ehi Av,cosa è succ-“

 

“Ti prego,dimmi che non è come penso io…”

 

“Avril,piccola…”

 

“Dimmi che mi sbaglio,che ho capito male,qualunque cosa”

 

“Avril,ti prego,non complicare le cose…”

 

“No,sei tu che non devi complicarle!” grido con tutto il fiato che ho in gola

“Perché devi sempre farle prendere tutto? Ti prego,dimmi che mi sto immaginando ogni cosa. Ti prego,papà,ti prego”

 

È la prima volta che lo chiamo veramente “papà” davanti a lui. Mi ritrovo a chiedere come mai non lo abbia fatto prima.

 

Lui sgrana gli occhi per la sorpresa,ma si riprende subito.

 

“No,Avril,non ti sbagli. Domani tu partirai per Los Angeles.”

 

“Per quanto?” ho solo la forza di chiedergli.

 

“Per…u-un anno.” mi sembra che le lacrime stiano quasi per uscirgli fuori dai suoi occhi blu,i miei stessi occhi,ma lui è sempre stato più bravo di me a controllare le sue emozioni.

 

“C-cosa?Per…per un anno?” chiedo con la voce tremula.

 

“Si. È la decisione migliore. Così abbiamo deciso io e tua madre.”

 

Questa è la goccia che fa traboccare il vaso. La rabbia s’impossessa totalmente di me,e mi alzo di scatto dal gradino.

 

“Abbiamo?! Abbiamo,papà?! Abbiamo,oppure ha?! Ha sempre deciso lei cosa fare di tutto,dalla cosa più insignificante fino alla più importante. Guarda,si è presa tutto. Tutto,papà. Prima il tuo cuore,poi i tuoi soldi,e adesso persino me. E tu? Tu cosa fai per impedirglielo? Niente,assolutamente niente. Ed è questa la cosa più brutta,riesco a vederla. E sai cosa vedo,papà?” chiedo,stando ormai in cima alla scala.

 

Lui scuote piano la testa,forse impaurito per quello che sto per dirgli.

 

“La cosa più brutta è che,mentre lei ti tratta come il suo zerbino personale,tu sei ancora innamorato di lei! Lei ti passa sopra con un carro armato,e tu la pensi con occhi innamorati! Beh,non è amore,questo. No. È un sentimento talmente perverso,che non so nemmeno io cos’è. Ma la cosa più grave di tutte,è che più lei continua a farti del male,più tu te ne innamori,completamente,perché il male che ti fa è l’unica cosa che ancora ti tiene legato a lei.” dico,con tutta la rabbia che ho in corpo,ed entro in camera mia con mille emozioni diverse.

 

Paura,perché adesso non so quello che il mondo mi riserva là fuori.

 

Tristezza,per non aver capito prima quanto fosse grave la situazione di mio padre.

 

Rabbia,per me stessa,perché non sono riuscita a rimettere insieme i cocci quando i miei si sono separati,sette anni fa.

 

Ma soprattutto,quello che mi sconvolge di più,è la delusione,delusione per un cambiamento,quello di mia madre,in cui,infondo,ho sperato fino ad oggi.

 

Cambiamento,che però,non è avvenuto.

 

Speravo quasi che il mio passato si potesse cancellare,o quantomeno riscrivere,inserendo mia madre in tutte le situazioni.

 

Quando mi sono sbucciata il ginocchio per la prima volta cadendo dallo skate, quando ho avuto per la prima volta il ciclo, quando ho dato il primo bacio.

 

Ma i sogni non corrispondono mai alla realtà,e,purtroppo,oggi ne ho avuto la conferma.

 

 

P.S. Siccome sono ancora nuova su questo fandom,voi con chi preferireste che Avril avesse una storia? Le possibilità sono due:Evan,o Chad. A voi la scelta.

 

 

 

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Capitolo 4
*** How you remind me ***


Ok. Eccomi qua.

Scusate se non sono riuscita ad aggiornare prima,ma ho avuto un po' da fare in questi giorni,e mi è mancato il tempo.

Comunque,molte emozioni in questo capitolo,davvero.

Armatevi di fazzoletti,ne avrete bisogno ;)

Al prossimo capitolo.

~~~~~~~~~~

Sono le undici di sera.

Guardo fuori dalla finestra,e osservo il panorama della piccola cittadina di Napanee.

Il vento crea un fruscio appena udibile,e scuote le foglie seccate dall'autunno,facendole cadere e depositare sulla strada,formando così un manto di piccole macchie rosse,gialle e marroni.

Tutto intorno a me è immobile.

Ed è allora che capisco quanto il mondo possa rimanere così,statico e fermo,mentre le persone che lo abitano conducono una vita così veloce e frenetica...

Come mai non si riesce a trovare un equilibrio? Sono le persone ad essere troppo veloci,o è il mondo ad essere troppo lento per loro?

Non credo di saperlo,e forse non lo saprò mai.

Ritorno sul mio letto e mi porto le ginocchia al petto.

Quante persone saranno sveglie a quest'ora come me?

Quante non riusciranno a prendere sonno per i loro problemi o semplicemente per insonnia?

Quanti invece stanno dormendo,conducendo la loro solita vita di sempre?

Improvvisamente,sento una strana morsa allo stomaco.

Invidia,penso.

Invidia,per le persone che conoscono già il loro futuro.

Invidia,per le persone che domani si sveglieranno e niente sarà cambiato nelle loro esistenze.

Ma soprattutto,invidia per tutte quelle persone che si sono addormentate,sorridenti,semplicemente perchè sono felici.

Penso a tutte le emozioni che provo. Tristezza,rancore,paura,ansia,rassegnazione...

Penso a quello che mi aspetta,e sento tutto,tutto tranne felicità.

Perchè mi stanno facendo questo?

Perchè,invece di pensare al mio benessere,fanno di testa loro e mi costringono a fare cose che non voglio assolutamente fare?

Un singhiozzo mi scuote da dentro,facendomi stringere ancora di più attorno alle mie gambe.

Ripenso alla prima volta che mio padre mi regalò lo skate.

Ripenso quando mi regalò la chitarra,e suonai il mio primo brano,Can't Stop Thinking About You,per lui.

Ripenso alla volta che mi sorprese durante la mia prima gara clandestina,e nonostante tutte le sgridate,i rimproveri e le punizioni che mi beccai,sorrido ancora al ricordo.

Vengo scossa soltanto da singhiozzi molto forti,ma le lacrime non vogliono ancora fuoriuscire liberamente.

Fa male non riuscire a piangere quando vorresti.

Stendo le gambe sotto le coperte e mi giro sul fianco sinistro,cercando di addormentarmi,nonostante i singhiozzi.

Sto quasi per riuscirci,ma un ultimo pensiero mi trafigge la mente.

La mia unica figura genitoriale negli ultimi 7 anni è stato mio padre.

È stato lui che mi ha fatto sia da padre che da madre.

Dov'era quando avevo bisogno di lei?

Come farò quando dovrà essere lei la mia prima fonte di sostegno?

Ed è così che,fra i singhiozzi che mi scuotono il petto e le lacrime che viaggiano libere sul mio volto,che,finalmente,metto fine alla mia tortura personale,e mi addormento.

***************

"Av...ehi,Av...sono le sei,svegliati...dobbiamo preparare la valigia e andare all'aeroporto."

Mio padre mi parla piano all'orecchio,scuotendomi per farmi svegliare.

"Ok,ok,ora mi sbrigo"dico,prendendo la valigia da sotto il letto e iniziando a sistemarla.

Vado verso il mio armadio e incomincio a prendere i vestiti più indispensabili. Non sono molti,perchè se c'è una cosa che non ho mai avuto,quella è la passione per la moda.

Finisco di prendere quei pochi abiti che avevo deciso di portarmi,quando mio padre decide di parlare.

"Ehm...io vado a prendere una cosa...tu continua pure a sistemare la tua valigia"

"Ok" mormoro appena.

Scende velocemente,e mi lascia da sola con i miei pensieri.

Prendo tutto,oggetti di prima necessità,libri,spartiti,e decido di non rinumciare alla mia amata chitarra.

Mi chiedo solo se potrò portare anche la mia stella...

"Ehm...sorpresa!" dice mio padre,facendomi sobbalzare.

Viene verso di me con un pacco regalo...e dalla forma,capisco subito che è...

"Oh,papà...un altro skate no!"

"Aprilo"

"Papà..."

"Fallo"

"Ma..."

"ORA!"

Scarto la carta regalo con cura,facendo attenzione a non rovinarla.

E quello che vedo...mi lascia con le lacrime agli occhi.

"Oh,papà..." gli corro incontro,e lo abbraccio con tutta la forza di cui sono capace.

"Grazie,davvero..."

"Beh...non è niente,sul serio. Gli ho solo dato una sistemata e gli ho aggiustato anche le ruote,sia quelle anteriori che quelle posteriori. Così potrai fare tranquillamente delle gare clandestine anche a Los Angeles" dice,strizzandomi l'occhio.

"Questo...questo significa...che posso portarlo con me?'

"Ma certo,non ti lasciarei mai senza il tuo coso a due ruote"

Ridiamo insieme,e quando finisco di prepararmi,prende la mia valigia e scende al piano inferiore,aspettandomi in macchina.

Beh,ci siamo...

È il momento di dirci addio,Napanee.

Grazie per avermi accolto con il tuo vento che mi scompigliava i capelli,con la tua aria fresca che mi accarezzava il viso,con il tuo clima fresco e frizzante,che mi accoglieva all'inizio di un nuovo giorno.

Grazie. Di tutto.

Scendo velocemente le scale con la mia chitarra in spalla e il mio skate in mano,pronta a salire in macchina.

Un'ora dopo siamo arrivati al Pearson,a Toronto,ed è da qui che prenderò quel maledetto aereo che mi porterà verso la mia destinazione finale,Los Angeles.

"Beh...siamo arrivati..." dice mio padre,in evidente imbarazzo.

"Già" rispondo io,non essendo da meno.

"Ehm..ecco,non sono un grande fan degli addii,quindi...prendo i tuoi bagagli e ci vediamo al check-in,ok?"

"Si,va bene" dico,e lo vedo avviarsi dentro l'aeroporto.

Sento che però manca qualcosa.

Non voglio lasciarlo così,senza avergli detto almeno due parole.

Non voglio che finisca così,tra noi due.

Prendo un foglio e una penna,tutto quello di cui ho bisogno, e gli scrivo un biglietto.

"Beh papà,lo sai che non sono mai stata molto brava con le parole,quindi non aspettarti molto da quello che ti sto scrivendo.

Voglio dirti grazie,grazie e ancora grazie,per tutto quello che hai fatto per me dalla mia nascita e che,sono sicura,continuerai a fare per me.

Io sarò sempre la tua piccola,dolce e ribelle bambina,quella stessa bambina che ha suonato per te,e quella stessa bambina che ti ha fatto quasi venire un infarto durante la prima corsa.

Così voglio che mi ricordi.

Invece,tu per me,sarai sempre il mio caro e vecchio papone Jean-Claude,quello che si fumava una sigaretta mentre leggeva il giornale la mattina,quello che lanciava commenti aspri verso la televisione,soltanto perchè non capiva come le pubblicità trasmesse potessero essere così assurde,e quello che la mattina si alzava tardi,perchè la sera prima si era scordato di mettere la sveglia.

Così è come ti ricordo,e come ti ricorderò per sempre.

Semplicemente,il mio papone.

Ti voglio bene.Avril."

Con le lacrime agli occhi,metto il bigliettino sul sedile della macchina,e mi dirigo velocemente verso il check-in,dove abbraccio mio padre,promettendogli di stare attenta in ogni situazione e di chiamarlo in ogni situazione appena avessi avuto bisogno di lui.

Supero il check-in,e mi dirigo verso l'aereo.

Entro e mi sistemo subito nel mio posto accanto al finestrino.

È comodo,penso...

Un'improvvisa ondata mi travolge, e sto quasi per addormentarmi,quando sento una vibrazione del mio cellulare.

"Grazie,mi hai fatto commuovere. Anch'io ti voglio bene. Papà"

Ed è allora che,mentre spengo il cellulare e mentre un misto di riconoscenza e gratitudine pervade dentro di me,mi addormento.

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Capitolo 5
*** Non degli illusi normali,ma ultra-mega-galattici ***


Buonsalve a tutti voi. Eccomi qui con un altro capitolo di LBS ;)

Questo sarà decisamente più allegro rispetto al capitolo precedente e vedremo la nostra Avril introdursi nella soleggiata città degli angeli.

Che poi anche qui,fa un caldo tremendo...aiuto! *si sta per sciogliere*

Bene,prima che possa diventare gelatina,vi lascio al capitolo. Enjoy!

*sprofonda nella sua pozza*

*****************

"Signorina...signorina..." sento qualcuno scuotermi gentilmente la spalla.

"Mmh,ancora cinque minuti,pa'..." mormoro infastidita,girandomi sul fianco destro con gli occhi chiusi.

Non voglio essere svegliata,non voglio abbandonare il dolce mondo dei sogni,dove tutto è semplice,immediato,giusto.

"Signorina...signorina,si svegli,stiamo per atterrare,e deve allacciarsi la cintura."

Atterrare....cintura....

Apro gli occhi di scatto e incontro quelli marroni dell'hostess.

Sento la testa dolermi e la mano destra farmi male,molto male,come se migliaia di aghi abbiano deciso in quel momento di pungermi lì tutti insieme.

Il dolore proprio non se ne vuole andare,e così decido di stiracchiarmi un po',per cercare almeno un briciolo di sollievo.

Stringo forte il pugno,ma l'unica cosa che provo è ben lontana dal sollievo.

Migliaia di altri nuovi aghi mi perforano la pelle,diffondendosi questa volta non solo nella mano,ma anche per tutto il braccio e il collo.

"Ma vaff..."

Fisso sinceramente dolorante la mia mano destra,aspettandomi di vederla sanguinante,o quantomento arrossata.

Poi,vedo che la mia mano stringe forte un oggetto,che ancora non riesco a mettere a fuoco totalmente.

Sciolgo pian piano il mio pugno chiuso,e capisco che il dolore era proprio causato da me,che stringevo...il mio...

...Il mio cellulare

Ed è soltanto allora che ricordo,che un enorme flashback mi assale,non lasciandomi alcuna via di fuga,per sottrarmi alla mia tortura personale.

La corsa,la caduta,il mio ritorno a casa,i messaggi con Deryck,la scoperta,la delusione,le lacrime,la mia lettera a papà...

Già,papà...

Chissà se sta bene,chissà se gli manco,chissà se continua ad amare quella donna che lo sta distruggendo lentamente senza remora alcuna.

Una lacrima,calda e silenziosa,percorre la mia guancia lentamente,e sfugge al mio controllo

Ho la certezza,che questa sarà la prima di una lunga,lunghissima serie,di lacrime a Los Angeles,ma non posso permettermi pianti in pubblico,non adesso perlomeno.

La scaccio via malamente con il dorso della mano. Non voglio sembrare debole.

"Ehm...si,grazie,sono sveglia...può anche andare adesso." dico,rivolgendomi alla hostess.

Lei mi guarda ancora per qualche secondo,come se voglia capire tutti i motivi che hanno spinto quell'unica lacrima traditrice ad uscire dai miei occhi,ma poi fa un breve gesto d'assenso e se ne va,lasciandomi da sola.

Mi allaccio la cintura e incomincio a sentire freddo. Non mi piace molto volare,ma non mi faccio tutte le pippe mentali che si fanno i protagonisti dei film americani sui disastri aerei.

Non sono una fifona,io!

Mi ritrovo a sorridere,inaspettatamente. Chissà quanti film come quelli o peggio sono stati girati qui,nei cieli di Los Angeles.

Poi,sento il classico sbalzo d'aria,segno che l'aereo ha iniziato la sua discesa sulla pista d'atterraggio.

Afferro convulsamente il bracciolo,al punto che penso di averlo letteralmente aradicato dal sedile.

Ok,ok. Rettifico.

Odio volare.

Odio decollare.

Odio atterrare.

Odio tutto di questo dannatissimo aereo!

Lo ammetto,sono una completa e totale cagasotto!

Chiudo gli occhi e mi metto a contare i secondi,cercando di diminuire la tensione che aleggia dentro di me.

"Uno,due,tre..."

Oddio...

"Quarantatrè,quarantaquattro,quarantacinque..."

Oddio,oddio...fa' che finisca presto,per favore...

"Ottantacinque,ottantasei,ottantasette..."

Oddio,oddio,oddio...ti prego,fa' che vada tutto bene...

Poi improvvisamente,un bip si leva per tutto l'aereo,e noto con sollievo che il segnale per le cinture è di nuovo spento.

"A tutti i passeggeri. Qui è il comandante Rochester che vi parla. Il volo Toronto-Los Angeles è atterrato senza alcun tipo di problema all'aeroporto LAX di Los Angeles..."

Che genio...è ovvio che se questo è il volo Toronto-Los Angeles,siamo atterrati all'aeroporto di Los Angeles. Dove voleva che atterrassimo,in Uzbekistan? Dio,questa sì che si chiama perspicacia...

"...Qui sono le ore 09:47. Le condizioni meteo sono stabili,con tempo soleggiato e cielo completamente privo di nuvole,e le temperature oscillano tra i 32 e i 38 gradi. Grazie ancora per aver scelto la compagnia Air Canada. Vi auguriamo una buona permanenza nella calda e soleggiata Los Angeles!"

Dio,ma da dove era uscito quello,da una pubblicità di assorbenti?!

Tipo,provate i nuovi assorbenti "Air Canada",e la vostra giornata filerà liscia come l'olio?

Ma rimanici tu,nella "calda e soleggiata Los Angeles". Io me ne torno a casa! Magari...

Sono talmente dal mio monologo interiore,che non mi accorgo di essere scesa dall'aereo e di aver preso l'uscita per i voli internazionali,che il mio umore da "acido normale" diventa decisamente "acido più che corrosivo" appena vedo quella che dovrebbe essere mia madre sbracciarsi tutta sorridente per essere notata da me e indicarmi a quello che dovrebbe essere il suo caro maritino Phil.

La luce del sole prima,e quelle del neon poi,non aiutano i miei poveri occhi, che bruciano e che decidono di ripagarmi con un bel rossore per la mancanza di sonno e per le lacrime.

Spero tanto che non lo notino.

Judy continua a sbracciarsi,e a gridare ripetutamente il mio nome. Dio,ma non si è ancora resa conti che gli occhi ce li ho e che l'ho vista?!

Mi avvicino velocemente con la mia valigia alla "famiglia felice",così almeno lei la smetterà di starnazzare come un'oca giuliva per tutto l'aeroporto.

"Avril! Tesoro mio! Come sono contenta di vederti! Oh,quanto sei cresciuta...fatti vedere!" esclama,stringendomi in un abbraccio stritolatore e perforandomi i timpani con la sua voce acutissima,che a quanto ho già capito,ero ben felice di non sentire.

Mi allontano immediatamente,distanziandomi da lei e dal suo stritolamento,sicuramente programmato.

"Judy,per favore controllati! Non sei una stupida bambina di due anni,e qui non siano al luna park!" dico,irritata al massimo dal suo atteggiamento.

"Scusami,è che sono così eccitata all'idea che tu verrai a vivere con noi! Non vedo l'ora!" dice,continuando deliberatamente a urlarmi nelle orecchie e soffocandomi se possibile ancora di più.

Ok. La situazione è più grave di quanto pensassi...decisamente più grave di quanti pensassi.

Forse non sarà una bambina di due anni,ma stupida lo è sicuramente.

"Signorinella,siamo scese dal letto con il piede sbagliato stamattina,eh?" parla per la prima volta Phil,rivolgendomi un sorriso a sessantaquattro denti,cercando di essere simpatico.

Bene. In quanto a stupidità,anche il maritino non se la passa tanto meglio. Per niente.

"Beh Phil,credo che dovrai farci l'abitudine. Sai com'è,odio le persone che cercano subito di essermi simpatiche,purtroppo per loro,non riuscendoci." ribatto sicura,mentre vedo il suo untuoso sorriso sparire.

"Ehm...sarai stanca dopo il viaggio,immagino. Che ne dici di andare a casa e di riposarti,così magari il tuo umore dopo migliora?" chiede Judy,parecchio insicura.

Se credono davvero che la mancanza di sonno sia la sola causa del mio comportamento,sono degli illusi. Ma non illusi normali,ma ultra-mega-galattici

Annuisco,comunque,sia per finire qui il nostro piccoli teatrino,sia perchè ho davvero un reale bisogno di sonno.

Usciamo dall'aeroporto e,se possibile,il viaggio in macchina è ancora peggio dell'incontro all'aeroporto.

Il tempo passa tra Judy,che non la finisce più di emettere gridolini di eccitazione,Phil,che mi assicura quanto sia bella e grande la loro,o meglio,la nostra casa,e me,che non faccio altro che guardare annoiata fuori dal finestrino

Ma chi gli ha chiesto niente,a quello lì...

Finalmente,capisco che siamo giunti a destinazione,quando Phil dice un fin troppo agitato "siamo arrivati" e guardo fuori dal finestrino.

Ma che cazzo...?

Corde vocali? Preparatevi e mettetevi a riposo. Ho come l'impressione che in questo casa ci sarà da gridare,e molto...

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Capitolo 6
*** Everybody Hurts ***


Ok. Eccomi qui. Nuovo capitolo,nuove cose,nuove emozioni. Almeno spero ahahah

Vi voglio dire solo una cosa prima di lasciarvi al capitolo. Io,ringrazio tutte le persone che leggono e che recensiscono questa storia,davvero sono molto grata di tutto ciò. L’unica cosa,è che questa storia sta venendo messa poco tra i preferiti e i ricordati,anzi se proprio vogliamo dirla tutta,non c’è né neanche uno. Anche se la storia non vi piace,recensite(non per forza in modo positivo)sempre e comunque,perché c’è molta più partecipazione,ed è molto più bello così. Io sono dell’idea che,se una storia piace,bisogna manifestare il proprio apprezzamento,perché altrimenti l’autore penserà che questa storia piaccia solo a sé stesso. Poi,2 secondi,non costa nulla ;)

Bene,vi lascio al capitolo.

*Everybody huuuurts. Everybody screeeams. Everybody feels this waaaay and it’s okaaaay. Na na na na na na na naaaaaaa*

********************************************

 

Controllo l’orologio.

Merda!

Judy mi aveva detto di scendere per la cena alle sette,e adesso sono le sette e mezza e non sono ancora pronta.

 

Fottuto orologio…

Sono in un fottuto ritardo,e mi prenderò anche un fottuto cazziatone da quei due!

Cazzo,che situazione….

Ok,nulla è perduto. Devo solo fare in fretta. Decisamente molto in fretta.

 

Problema numero 1.

 

Non so cosa cacchio mettere!

Vorrei tanto mettermi dei semplici jeans con le borchie,e una delle mie amate felpone larghe,di cui non so proprio fare a meno,ma…avevo promesso di usare i nuovi vestiti nell’armadio,e…

 

Ah,quella stronza mi sentirà.

Penso proprio che dovremo rinegoziare su questo punto.

 

Va bene,basta divagazioni,devo ancora vestirmi.

Non so con cosa,ma devo farlo.

 

Mi dirigo verso le ante del mio nuovo e odiosissimo armadio,ovviamente rosa,e non posso fare a meno di pensare al pessimo gusto che ha Judy in fatto di arredamento.

Spero di trovare una felpa,o al massimo una maglietta non troppo stretta,non sopporto di sentire il mio corpo come una pentola a pressione prossima allo scoppio.

 

Apro le ante lentamente e mi preparo al peggio,ma niente può essere anche solo minimamente paragonabile a quello che mi ritrovo davanti.

 

Davanti ai miei occhi c’è una quantità spropositata di top,vestiti da sera,giacche,pantaloni attilatissimi,per non parlare di scarpe,gonne e calze a rete.

 

Il tutto è ordinato per grandezza e colore.

 

Mio Dio….ma che cosa…MANIACALE!

 

Beh,per una che ha dipinto le pareti della camera di sua figlia con un vomitevole rosa confetto,questo deve essere niente.

 

Immergo letteralmente le mie mani nella quantità immonda di vestiti,sparpagliandoli e riversandoli per terra.

Varie smorfie di disgusto puro si dipingono sul mio viso,fino a quando i miei occhi non scorgono un top bianco e un paio di jeans neanche troppo stretti.

Oh grazie mille,mie ancore di salvezza!

 

Non mi prendo neanche il disturbo di rimettere tutto a posto.

Ci vorrebbe troppo tempo,e sinceramente,non mi va di farlo.

Alla faccia di quella lì!

 

Indosso la mia fedele collana con il teschio,e mi precipito fuori dalla stanza.

 

Problema numero 2.

 

Come raggiungo la sala da pranzo?

Non mi ricordo un’emerita mazza del “giro turistico” gentilmente offerto dalla mia cara e dolce mammina,ero troppo occupata a pensare a quante volte volevo vomitare mentalmente solo per essere entrata dentro quella dannata casa californiana.

 

Poi, una voce femminile stridula giunge alle mie orecchie.

 

“Avriiiiil,quante volte ti ho già detto di scendere per la cena?!”

 

Mmh…fammi pensare…con questa una,stronza!

 

Dio solo sa quanto vorrei gridarglielo!

Scendo velocemente le scale,e mi dirigo nella direzione dalla quale ho sentito provenire quella splendida e carezzevole voce.

Certo,carezzevolissima…come no!

 

Beh,almeno per una volta,Judy è servita a qualcosa!

 

Entro nella stanza,e osservo l’ambiente che mi circonda.

 

I piccioncini sono già seduti agli estremi dell’enorme tavolo ovale,e non sembrano essere tanto di buon’umore.

Il cetriolone tamburella nervoso le dita sul tavolo,mentre la stronza mi sta fissando con un’espressione di puro disgusto sul volto.

 

MA CHE CAZZO GUARDI?!

 

Mi siedo in mezzo a loro,tra i due fuochi,e spero almeno di non scottarmi.

 

“Grazie per averci degnato della tua amatissima presenza. Dolores,per favore,può servirci la cena?” dice Phil,calcando molto sull’aggettivo “amatissima”.

 

“Subito,señor” dice una voce femminile dal forte accento ispanico.

 

No. Vi prego.

 

Non ditemi che si fanno pure servire la cena…

Ma non ce le hanno le mani e le gambe?!

Non possono muovere quel culo che si ritrovano e fare tutto da soli,come fanno le persone normali?!

Oh,dimenticavo…loro due non sono normali…e ne ho subito una nuova conferma.

 

“Mio Dio Avril,ma come diavolo ti sei aggiustata? Guardati,sei completamente fuori luogo. Sembri tutto,fuorché una ragazza perbene e del tuo rango.” dice Judy,guardandomi schifata e facendo un gesto della mano nella mia direzione,come a voler liquidare qualcuno di troppa poco importanza.

 

La rabbia incomincia a salirmi.

 

“Beh Judy,non è che tu ti possa esattamente definire Miss Mondo…”

 

Sta per ribattere,ma vengo salvata da Dolores in calcio d’angolo,che mi passa davanti con una quantità spropositata di piatti e mi sorride.

Vorrei tanto darle una mano,ma so già che i cogl…ehm…i genitori,non apprezzerebbero.

Comunque,Dolores,mi sta già simpatica.

 

Proprio mentre stiamo mangiando,Phil decide di parlare,mostrandomi la sua cena in tutta la sua meravigliosa bellezza nella sua “boccuccia”.

 

Ma non gli hanno insegnato che è maleducazione parlare a bocca piena?!

 

Fanno tanto i sofisticati questi qui,e poi non sanno neanche le basi?

Dio,che schifo…

 

“Quefto è pef te” dice il cetriolone,incespicando sulle sue stesse parole,e lanciandomi una busta gialla lungo il tavolo.

 

Non so perché,ma mi ricorda tanto i film western,quando i baristi passano un boccale di birra ai cowboy nel saloon.

Chissà,magari potrei avere anch’io una pistola nella cintura dei pantaloni…e saprei anche a che scopo usarla…prospettiva interessante. Molto interessante.

 

Prendo in mano la busta,e noto che non è leggera,anzi.

La apro,e da esse cadono un mezzo di chiavi,un cellulare,dei soldi e dei fogli…rosa.

 

MA ALLORA È UNA FISSAZIONE!

 

“Che significa?” chiedo,palesemente scocciata.

 

“Quelle sono le chiavi di casa. E quello è il tuo cellulare nuovo” spiega Judy.

 

Sono un po’ confusa,e così do voce ai miei pensieri.

 

“Ehm…non capisco. Io ce l’ho già un cellulare,non è rotto e non ho bisogno di uno nuovo,per cui…”

 

“Oh Avril,svegliati per la miseria!”mi interrompe Judy “questo ha una scheda già predisposta per la California e non puoi usare quello che usavi anche a Napanee. In più,vorremmo che ci consegnassi la tua vecchia scheda telefonica”.

 

Non so perché,ma ho paura che chiedere ulteriori spiegazioni su questa storia mi farà male,e molto.

 

“P-perché?” chiedo,con la voce tremula.

 

“Non vogliamo che tu stia in contatto con i tuoi vecchia amici,ti hanno portato sulla cattiva strada,e questi sono i risultati. Fidati,è per il tuo bene” conclude,riprendendo a mangiare.

 

I miei occhi si spalancano per lo stupore.

 

Sulla cattiva strada?!

Perché,poteva esistere anche una buona strada su cui poter camminare ed evitare di perdersi con il mio scarsissimo senso dell’orientamento?!

Dio…

Sento le lacrime pungermi gli occhi,ma li alzo subito verso il soffitto. Non voglio che mi vedano piangere,non voglio sembrare debole.

Voglio,ma soprattutto devo essere forte,almeno per adesso.

 

“E….e questi fogli?” dico agitando i fogliettini all’interno della busta.

 

“Oh,quelli. Diciamo che,ti saranno utili per convivere in pace e in armonia in questa casa,e soprattutto,in questa famiglia.” dice,guardandomi negli occhi.

 

“Bene,riprendiamo a mangiare” aggiunge Phil.

 

Poverino. Il cetriolone deve anche essere sfamato,dopotutto.

 

“Oh Avril,un’altra cosa” dice Judy,interrompendo per l’ennesima volta il silenzio.

 

“Dimmi str…ehm…Judy”

 

“Gli orari sono importanti,e per questo vanno rispettati. Sempre. Non voglio più che tardi in modo così impertinente alla cena. Perdinci,cosa hai fatto in tutto quel tempo?” mi chiede ancora,stralunata.

 

Incomincio a chiedermi se Dolores non le abbia messo qualcosa di anche leggermente allucinogeno nel piatto,o se lei si comporti in questo modo abitualmente,così…al naturale.

 

“Beh sai…non è facile orientarsi in una casa così grande…e non avevo di certo mappe con me” concludo sarcastica,sfidandola.

 

“E con questo? Potevi sempre domandare a qualcuno.” ribatte lei.

 

“La prossima volta chiederò indicazioni ad un passante se ne vedo uno. Va bene,Judy?” concludo,con tutto il disprezzo possibile.

 

“Sei sempre più impertinente,proprio come tuo padre. E poi,mi devi rispetto. Sono tua madre!” grida ormai anche lei.

 

“Eh no! NO! Questo non puoi dirlo! La chiami madre tu,una che non conosce i gusti della figlia nel vestire? La chiami madre tu,una che dice di sapere cosa piace o non piace alla figlia,e le dipinge la camera di un rosa schifoso? La chiami madre tu,una che la ha abbandonato a dieci anni?” grido,lottando contro le mie lacrime,e la fisso negli occhi.

 

“Ma soprattutto,la chiami madre tu,una che ha strappato la propria figlia dall’unica sua fonte di affetto e di amore,facendola soffrire?Certo,tutti si fanno del male,tutti soffrono. Ma quello che non riesco a capire,è perché proprio ora. Perché soltanto adesso,ti si è risvegliato l’istinto materno?

Te lo dico io il perché. Per questi!” dico,buttando all’aria i soldi all’interno della busta,ricacciando indietro le lacrime e avvicinandomi alle scale.

 

“Oh,un’ultima cosa,mamma. Non te sarai resa conto,ma oggi una cosa buona l’hai fatta. È solo grazie a te,che oggi sono scesa e ho potuto incontrarvi. Non avevo una mappa,certo,ma ho avuto di meglio. Brava,oltre a ferire le persone,fa anche da navigatore satellitare,quella voce di merda che ti ritrovi!” dico,salendo le scale e precipitandomi all’interno della mia camera,con la busta in mano.

Devo ancora leggere i fogli rosa,ma…no,non mi va.

 

Adesso,voglio solo prendermela con il mondo per avermi messa in questa situazione.

 

Adesso,voglio solo sfogarmi.

 

Adesso,voglio solo piangere.

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Capitolo 7
*** Nobody's Home ***


Ehilà! Buona giornata a tutti!

Come vi va? Spero bene ahahah

Scusatemi se non ho aggiornato ieri,ma il mare mi chiamava a gran voce,e io non ho saputo resistere.

Ok. In questo capitolo ci saranno molte descrizioni...non so se sono riuscita a farle bene.

Il capitolo,come potete vedere s'intitola "Nobody's home",che dopo When you're gone e Sk8er Boi,è la mia canzone preferita :)

Bene,vi lascio al capitolo. Baci.

****************

Provo a deglutire. Voglio togliere l'arsura che questo dannato caldo mi provoca in bocca.

Una,due,tre volte. Non ci riesco. L'arsura rimane sempre lì.

Sento un groppo salirmi in gola,e questa volta non credo che il caldo ne sia la causa.

"Allora,ti ho lasciato a bocca aperta,eh?" chiede Phil,indicandomi l'ingresso della "nostra nuovissima,grandissima e bellissima casa" e scambiando il mio stupore e rassegnazione per sorpresa e felicità.

Ma la smette di fare il simpatico,quello lì?

"Dai piccolina,chiudi quella boccuccia,altrimenti credo che le mosche apprezzerebbero un po' troppo,e la mia dolce nuova figlioletta potrebbe risentirne notevolmente" dice,facendomi un occhiolino sinistro e aprendomi la portiera della macchina con uno di quei sorrisi finti che non potrei odiare di più.

Ok. Se prima aveva perso un paio di punti,adesso è completamente da annientare. Spacciato. Sepolto. FINITO!

Chiudo la bocca di scatto,irritatissima dal suo atteggiamento,e sguscio fuori dalla macchina.

"Punto numero uno,non sono piccola,ho 17 anni ormai. Punto numero due,credo di avere molto più cervello di quanto ne avessi tu alla mia età per sapere che una mosca non si infilerebbe mai nella bocca di un essere umano. Punto numero tre,io non sono la dolce figlioletta di nessuno,tantomeno quella di un brutto cetriolone come te!" dico di getto,osservando la faccia sbigottita prima e arrabbiata poi di Phil.

"Oh,e la valigia me la porto da sola,non ho bisogno di un facchino personale imbranato" aggiungo sempre più arrabbiata,strappando la valigia dalle mani di Phil,e oltrepassando l'enorme cancello bianco che fa d'ingresso alla casa .

Percorro il viale alberato, osservando tutti i particolari che i miei occhi riescono a percepire.

Quelle che credo siano delle palme,costeggiano il viale alla mia destra e alla mia sinistra,creando una specie di tunnel fatto di colori e odori che si fondono insieme.

Osservo le facciate esterne della casa. Un caldo colore rosso mattone predomina sulle pareti,infondendomi un dolce senso di tranquillità.

Cavolo,questa casa è veramente grande! Forse fin troppo,per i miei gusti.

Oltrepasso il viale alberato e arrivo all'ingresso,dove vedo mia madre che,ignara del battibecco che ho appena avuto con suo marito,accende la luce di un grandissimo lampadario decorato con degli Swarowski,nonostante sia pieno giorno,e mi invita a fare un giro della casa.

Anche lì,osservo l'ambiente circostante. Se prima dall'esterno avevo avuto l'impressione che quella casa fosse enorme,adesso non riesco neanche ad immaginare quanti soldi Phil abbia letteralmente buttato nel cesso per una casa del genere.

Quello che io pensavo fosse l'ingresso,non è altro che una piccolissima anticipazione dell'enorme atrio che si staglia davanti ai miei occhi.

Migliaia di marmi delle gradazioni più disparate di giallo e nero decorano l'atrio,facendomi chiedere se mia madre soffra davvero di qualche problema mentale.

Amplio un po' lo sguardo verso destra ,e vedo più in là un bellissimo pianoforte nero a mezza coda,situato sotto un altro lampadario fatto di Swarowski e un'ampia rampa di scale interamente di parquet che sale a curva verso il piano superiore.

Guardo verso sinistra,e vedo la sala da pranzo,dove al centro domina un enorme tavolo di legno ovale talmente grande,che i capotavola farebbero sicuramente molta fatica a parlare tra di loro.

Osservo poi la cucina,dove il piano cottura è grande almeno il triplo della cucina di Jean-Claude e ci sono migliaia e migliaia di cassetti,ripiani,sportelli,tutti in legno che almeno apparentemente dovrebbe valere più di tutti gli elettrodomestici messi insieme.

Come farò a trovare qualcosa da mettere sotto i denti quando avrò un languorino?! Sono sicura,morirò di fame.

Ci spostiamo al piano di sopra,dove Judy m'informa che si trovano le stanze da letto e i bagni. Finiamo il giro,e avrò visto almeno una trentina di stanze,tra camere da letto e bagni.

Quelli,i bagni,li ho contati bene invece. Sono diciasette.

Diciasette. Fottuti. Bagni.

Ma che cazzo ci fanno diciasette bagni in una casa?!

Poi,non sedici,non diciotto,na diciasette....

Ok che non sono superstiziosa,però quando è troppo è troppo!

Infine,giungiamo all'ultima stanza,quella che,a detta di Judy,è la stanza più meravigliosa di tutta la casa,e devo essere molto grata di questo,perchè,appunto,questa stanza è la mia.

Che fortuna a volte la vita,eh?!

"Sei pronta?" chiede Judy tutta eccitata,appoggiando la mano sulla maniglia,pronta per spalancare la porta.

Pensa che anche io sia in ansia come lei. Beh,lo sono,ma in senso negativo.

Se le altre stanze sono orribili,non voglio neanche immaginare come sarà la mia.

Mormoro un flebile si,e credo di stare per vomitare,tra il caldo del clima e l'orrore che questa giornata si sta portando con sé,ma questo evito di dirglielo.

Finalmente spalanca la porta,e quello che mi si para davanti supera decisamente ogni mia aspettativa.

Si,in negativo,perchè se le altre stanze rappresentano il peggio dell'arredamento mondiale,questa rappresenta il peggio del peggio del peggio del peggio di qualsiasi cosa il mondo abbia mai visto. E la lista potrebbe continuare all'infinito.

Un enorme stanza rosa brilla in tutta la sua...ehm....bruttezza?

Tutto è rosa. Il letto,i mobili le tende,persino le pareti sono di un vomitevole rosa confetto.

C'è rosa,rosa ovunque. Ogni. Cosa. È. Fottutamente. ROSA!

"Ok.. è uno scherzo,vero?" dico,girandomi verso mia madre con una faccia sconvolta,che credo valga molto di più di mille parole.

Mi deve dare una spiegazione,e subito!

"Ma tesoro,a te è sempre piaciuto il rosa!" dice lei,tra lo scandalizzato e l'innocente.

Questa è la goccia che fa traboccare il vaso. La mia rabbia ha raggiunto livelli tali che o scoppia,oppure rimane dentro fino a farmi disentegrare. Molto meglio la prima.

"Oh certo,perchè tu conosci benissimo i miei gusti,visto che mi hai abbandonato quando avevo dieci anni!" grido con tutta la forza che ho,sputandole in faccia tutto il mio rancore.

"Adesso basta signorina!" interviene Phil che, attratto molto probabilmente dalle nostre grida,deve averci raggiunto al piano superiore per difendere la sua donna dalle grinfie della perfida figlia diciassettenne. Che uomo!

"Qui ci sono delle regole e vanno rispettate! Con tuo padre potevi fare tutto quello che volevi,e infatti,guardati,sei diventata una selvaggia! Ma non credere che qui le cose andranno allo stesso modo di quella piccola cittadina sperduta nell'Ontario!" conclude,atteggiandosi da incazzato,ma non riesce a farmi paura nemmeno un decimo di quanta me ne faceva Jean-Claude.

"Oh che paura,mi tremano le gambe da quanto me la faccio sotto. Sinceramente,mi aspettavo che fossi un po' più sveglio e un po' meno tonto,Phil. Il rispetto non lo si impone con qualche stupida regola. Il rispetto,quello vero,ce lo si guadagna,giorno dopo giorno."

ribatto sicura. Se crede di spaventarmi 'sto cetriolone si sbaglia di grosso.

Sta per ibattere,ma mia madre lo anticipa, facendo qualcosa di totalmente inatteso,che mai mi sarei aspettata da lei.

Mi tira uno schiaffo,a mano aperta sulla guancia sinistra.

Immediatamente mi porto la mano sulla guancia dolorante e in fiamme,e la fisso con odio.

Se gli sguardi potessero uccidere,a quest'ora sarebbe già morta stecchita.

"Questo è il motivo per cui ti ho tolto a tuo padre. La tua sfrontatezza,il tuo sarcasmo,la tua insopportabile ironia lasciali fuori di casa! Non ti azzardare mai più a insultare o anche minimamente a prenderti gioco di me o di Phil! Le regole sono poche e semplici,ma tu le rispetterai,che ti piaccia o no!" grida,otturandomi le orecchie.

"E se non lo faccio che farai Judy,eh? Mi spedirai di nuovo a casa come un cazzo di pacco postale?"

Solo Dio sa quanto voglia che dica di sì

"No,mia cara. Meglio,molto meglio. Ti mando direttamente in un collegio femminile di suore cattoliche!" ribatte,con un ghigno malefico sul volto,che contemporaneamente,fa scomparire dal mio viso il mio.

"Vedo che ci siamo capite. Ora,cerca di esssere riconoscente per i regali e per tutti i tuoi vestiti nuovi nell'armadio,che sostituiranno tutti quei tuoi straccetti da quattro soldi che ti metti addosso,neanche fossi uno sporco maschiaccio!" grida,sempre più arrabbiata.

Merda! Mi vuole buttare via i vestiti. Forse è il caso che scenda a compromessi.

"No,no,no. Frena,non se ne parla proprio. Facciamo così,tu non butti via i miei vestiti,e io...ehm...mi...mi impegno,si,a...a indossare i vestiti nell'armadio,d'accordo?"

"Perfetto. Vedo che ci siamo capite al volo."

Beh,menonale...almeno questa.

"Oh,e per quanto riguarda la stanza..." aggiunge,facendomi sperare in un suo benaccetto cambiamento d'idea.

"Si?"

"...la lasceremo così com'è. Andiamo Phil." aggiunge,uscendo dalla stanza,e facendomi sprofondare in un nuovo baratro senza speranza.

Ripenso a tutte le parole che sono volate oggi.

In particolare,mi soffermo su quelle che, me ne rendo conto solo ora,mi hanno fatto più male di tutte. Quelle di Phil.

Lui potrà anche aver reso di nuovo Judy felice,potrà anche essere innamorato di lei,ma se c'è una cosa che non può e che non deve fare,quella è nominare mio padre in mia presenza,non quando i suoi schifosi soldi mi hanno portato via da lui.

Quanto mi manca.

Come si dice,non ti rendi conto di una cosa fin quando non la perdi per sempre.

Lui,che era il mio tutto.

Il mio appiglio per le difficoltà.

Il mio scoglio in mezzo all'oceano.

La mia casa.

Ed ora? Cosa mi è rimasto di lui?

Chi è la mia casa adesso?

Nessuno

Adesso,nessuno è la mia casa

*************

BUON PRIMO MESIVERSARIO AHAHAHAH

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Capitolo 8
*** And finally...a new room! ***


Ooook,eccomi con il capitolo.

Devo dire che il mio discorso del precedente capitolo non ha sortito l'effetto desiderato,ma comunque...fate un po' come volete.

Io comunque,ringrazio sempre tutti i lettori e i recensori di questa storia ;)

Diciamo che questo capitolo si divide sostanzialmente in due parti.

La prima,spero che si capisca,ma nel caso in cui non si dovesse capire subito...beh...calmi e abbassate i forconi,eh...

La seconda parte,secondo me è un po' pallosa,ci sono molte descrizioni,e...non so.

Ok,vi lascio al chappy. Enjoy!

P.S. Nella prima parte del capitolo c'è una frase di Twilight :)

*********************

Corro per i corridoi della casa.

Non so dove andare.

Apro una porta a caso e incontro tre scalini,bianchi e molto grossi.

Non ci penso due volte e li percorro,nonostante non sappia minimamente dove mi porteranno.

Non devo permettere che mi raggiunga. Non devo permettere che si avvicini anche solo ad un centimetro a me.

Ma sono troppo,troppo lenta.

La mia velocità non è nemmeno un decimo,paragonata alla sua.

"Corri...corri,Avril"dice,con una voce trasfigutata dalla rabbia e dalla frenesia più pura.

Sento le mie gambe farsi piombo,e nonostante fremo per la paura e il terrore,percepisco tutto il mio corpo immobile,come se sapesse anche lui che non ho alcuna via di scampo.

La mia forza,ma soprattutto la mia volontà di combattere per rimanere viva,è agli sgoccioli. Perchè lottare per qualcosa,se sai che comunque non potrai mai raggiungerla?

Nonostante tutto,continuo a correre,credendo di potergli sfuggire.

D'altronde,la speranza è l'ultima a morire,no?

No.

Delle volte,la speranza non basta per risalire in superficie.

A conferma di questo,il mio piede inciampa in qualcosa,che non ho neanche il tempo di identificare,e sbatto la testa contro il muro.

È allora,che lui sopraggiunge.

Si avvicina a me,mi guarda intensamente negli occhi. Posso sentire il suo respiro caldo sul mio viso.

"Bene bene,la nostra piccola Avril è pronta per...morire?"dice con quella voce,che ho imparato ad odiare profondamente.

Si,gli rispondo internamente.

Sono pronta.

La morte è serena,facile. La vita è più difficile.

Ed è con questa consolazione che mi preparo all'inevitabile e...

...mi sveglio.

Apro gli occhi di scatto,cercando di mettere a fuoco l'ambiente in cui mi trovo,e cercando di calmare i battiti ancora furiosi del mio cuore per l'incubo appena avuto.

Con gli occhi ancora mezzichiusi per il sonno,capisco,con amarezza,che non mi trovo in quella che considero la mia stanza.

Mi alzo dal letto,e a piedi nudi raggiungo la finestra,osservando il panorama che mi si presenta davanti agli occhi.

Il sole splende nel cielo azzurro,completamente terso e privo di nubi. Illumina le aste del cancello,risaltandone ancora di più le punte metalliche. Le palme del vialetto sono ancora più verdi rispetto a quando sono arrivata,e le punte delle foglie sono protese verso il sole,quasi a volerne catturare qualche tiepido raggio.

Sorrido amaramente.

No. Niente palme,niente cielo azzurro e terso,niente sole senza nubi,niente di tutto ciò,a Napanee.

Le otto.

Decido sul da farsi. Tornare a dormire è impossibile,non ho più sonno. Non voglio però neanche stare qui a girarmi i pollici per tutta la giornata. Ah,se solo potessi uscire con il mio skate!

Dopo un'ardua consultazione tra me e la mia coscienza,decido di scendere giù a fare colazione,anche se questo significherà...incontrare...la stronza e il cetriolone.

È bastata solo la prima cena per far incrinare pericolosamente il nostro rapporto,o qualsiasi ci sia tra me e loro,e questo,nonostante tutto,non va bene.

Così,per dimostrare il mio cambiamento,almeno tentato,decido di portare la "sim di emergenza" a Judy e Phil.

Non è propriamente la sim del mio vecchio cellulare,no,quella me la conserverò in un posto sicuro e inacessibile a tutti,tranne che per me,ovviamente.

Questa è,una specie di sim per le emergenze che avevo nei casi estremi con papà. Per fortuna che ho deciso di portarmela dietro!

Apro la porta della mia "cameretta alla Barbie" e scendo le scale.

Dopo la scenata di ieri,mi ricordo molto bene dov'è la sala da pranzo,e così la raggiungo subito.

Appena entro,però,i miei occhi notano una scena a dir poco obrobriosa.

I due "piccioncini",ignari della mia presenza,si stanno guardando con aria da innamorati,o per meglio dire,da completi e totali deficienti.

Non voglio pensare a cosa mi capiterà se succederà anche a me di innamorarmi!

Faccio un colpo di tosse,giusto per mettere fine a quella scena troppo sdolcinata per i miei gusti.

I due abbassano immediatamente i loro sguardi,imbarazzati. La prima a prendere la parola è la stronza.

"Oh Avril,siediti. Ti stavamo aspettando impazienti per la colazione."

dice ,con un mezzo sorrisetto,a cui partecipa anche il cetriolone.

"Lo vedo..."dico,trattenendo a stento un ringhio di rabbia.

"Dolores."dice mia madre,indicando la cameriera,che incomincia a servirci la colazione.

Non credo che ci farò mai l'abitudine,a questo fatto dei camerieri. Insomma,non siamo mica nel 1800!

Iniziamo la colazione e Judy intraprende una conversazione a dir poco "forzata" con me.

"Allora Avril,come hai dormito nella tua meravigliosa camera?"mi chiede.

Merdosa,vorrai dire...

"Anche se non creda ti interessa saperlo,dormivo molto meglio nella mia camera a Napanee. Comunque,il letto è abbastanza comodo,non darti troppo disturbo." dico,sarcasticamente.

Dopo il mio intervento,nessuno interviene più. Forse hanno capito che è meglio lasciarmi stare. Tanto meglio.

Sto quasi per finire la mia colazione,ma giustamente la stronza decide di interrompere ancora una volta il bel silenzio che si era venuto a creare,intervenendo.

"Lo sai che domani inizia la scuola,vero?"

"No...veramente non lo sapevo."dico,con aria sicuramente shockata.

Si,beh...qui la scuola inizia prima,in California. Comunque dimmi,che cosa hai intenzione di fare durante la mattinata?"mi chiede,sembrandomi davvero poco interessata.

Sono tentata di risponderle "non sono cazzi tuoi",ma evito.

"A pafte fafe la selvaggia!"interviene il cetriolone,parlando ancora una volta con la bocca aperta mentre sta mangiando.

Dio,ma allora è proprio un coglione patentato!

"Si...pensavo di fare un giro per la casa,in modo che non userò più come navigatore satellitare la tua voce mer...ehm...meravigliosa!"dico,mordendomi la lingua.

Niente parolacce,per oggi.

"Uhm,penso sia una buona idea. Puoi andare."mi liquida Judy.

"Oh,a proposito,questa è la sim che mi avevate chiesto con tanta gentilezza."dico,mettendola sul tavolo.

Faccio grattare la sedia di proposito sul pavimento,e mi alzo,dirigendomi verso le scale.

"E adesso scusatemi,ma la selvaggia va a fare un giro per la giungla,cercando altri esseri uguali a lei per far progredire la specie!"dico,guardandoli entrambi negli occhi e liberandomi finalmente della loro presenza.

A dire la verità,più che fare un giro per la casa,voglio trovare una nuova stanza veramente adatta a me,non quello schifo fatto apposta per Barbie e Ken.

È stata la prima scusa che mi è venuta in mente per la stronza,e va bene così.

Inizio il nuovo "giro turistico",partendo dal piano superiore,per trovare la camera perfetta.

So che la camera di Judy e Phil è più ad est rispetto alla mia,e così non mi do neanche la pena di cercarne una in quell'area. Ci manca solo che mi prenda una stanza vicino alla loro!

Quindi,per questo motivo,decido di dirigermi nella direzione opposta,ovvero ovest.

Con mia grande sorpresa,scopro che questa parte della villa è davvero spettacolare,si notano nettamente di meno gli interventi che ha fatto Judy nel resto della casa subito dopo aver comprato la proprietà,e questo è senza dubbio un bene!

Le pareti sono di un giallo molto tenue,per niente aggressivo alla vista,che si intona perfettamente con il resto della casa.

Chissà,forse troverò quello che cerco.

Primo tentativo. Apro la porta e mi trovo davanti un bagno dal colore...rosa.

Chiudo la porta di scatto. Non voglio neanche vedere il bagno dove Barbie e Ken fanno i loro "bisogni"

Secondo tentativo. Apro la porta immediatamente più avanti,e osservo una stanza vuota,se non fosse per un enorme letto a baldacchino che troneggia al centro della camera. Potrei tenerla di riserva. Certo,dovrei chiedere al cetriolone di cambiare il letto,quelli a baldacchino mi sanno di vecchio e inutile.

Chiudo la porta. Faccio il terzo tentativo,sperando nella buona sorte. Apro la porte,e trovo una stanza molto impolverata,con migliaia di mobili e cianfrusaglie tutte accatastate le une sulle altre.

Wow. Il disordine di questa stanza fa invidia al mio nella mia camera di Napanee. Il che...

Ovviamente questa stanza non fa per me,ci vorrebbe troppo tempo per metterla apposto. Però magari,quando e soprattutto se avrò trovato la mia nuova stanza,qui ci ritornerei più che volentieri,ci potrei trovare qualcosa di interessante...

Sono talmente presa dalle mie supposizioni che non mi accorgo subito che i miei occhi stanno lacrimando per la troppa polvere. Meglio uscire.

Un'ora e una quindicina di porte dopo non ho ancora trovato quella che dovrà essere la mia camera.

Sono talmente disperata,che m'impongo di fare un ultimo tentativo. Se la stanza non avesse avuto le caratteristiche giuste per diventare la mia nuova stanza,avrei rinunciato e sarei ritornata con la coda tra le gambe nella stanza di Barbie e Ken.

Che tristezza però,io lì non ci voglio stare,cazzo!

Apro la porta e mi trovo davanti...dei gradini!

Ma come...io voglio una stanza e invece che trovo?! Dei gradini! Ma vaffanculo!

Li guardo bene. Sono tre. Bianchi e molto grandi.

A pensarci bene,credo di averli già visti prima questi gradini. Non sono mai venuta qui,ne sono certa,ma la sensazione di deja-vu è fortissima,e...

...Ma certo,il mio incubo!

Sono gli stessi gradini,ne sono sicura.

Beh,se non è un segno questo...

Percorro i tre gradini molto velocemente e mi ritrovo davanti ad un nuovo corridoio con altre tre nuove stanze,due a sinistra e una in fondo a destra.

Dio,ma allora questa casa è un labirinto!

Apro la prima delle due porte a sinistra. Si tratta di un enorme bagno,questa volta bianco(per fortuna) neanche tanto vecchio. Diciamo che,come,bagno può andare benissimo.

Chiudo e la porta e apro invece la seconda sulla sinistra. Ci trovo una cabina armadio molto bella e accogliente. Chissà quanti vestiti ci entrano lì dentro.

Chiudo anche la porta di questa camera,e mi preparo mentalmente per aprirne l'ultima. Finalmente.

Sinceramente,non mi importa granchè del contenuto,tanto peggio di così non potrebbe andare...

Apro l'ultima porta,e quello che vedo mi lascia di sasso.

È un'ampia camera,molto larga e anche molto luminosa. Il soffitto è di un colore giallino molto chiaro,così come la finestra. Il letto a due piazze,invece,è poggiato sulla parete opposta a quella di entrata. Sembra essere in buone condizioni. C'è anche una splendida libreria color avorio,dove sono sicura che i miei libri starebbero benissimo,e i miei CD e i miei spartiti mi ringrazierebbero in ginocchio solo per averli tolti dalla libreria rosa confetto di Judy.

Mi sporgo dalla finestra e osservo il panorama.

Mmh,strano,c'è soltanto un enorme albero al centro del giardino con un tronco veramente molto piccolo e esile,che sarebbe molto facile da scalare,e non c'è traccia nè del cancello nè del viale alberato.

Ma questo significa che....questa stanza...dà sul retro della casa!

E,cosa ancora più importante,potrei scalare l'albero e uscire indisturbata con il mio skate senza che qualcuno se ne accorga! Si,geniale!

Però,devo trovare un nome all'albero,per una questione anche d'affetto.

Dopotutto,è lui che sarà la mia chiave per uscire fuori di galera,no?

Mmh,vediamo...potrei chiamarlo....no,non va bene...oppure potrei...no troppo banale.

Non so proprio che nome dargli a quest'alberello qua...

Poi,improvvisamente...l'idea.

Ma certo,Alberello!

Da oggi in poi tu sarai il mio piccolo Alberello!

Beh,la mia mente non brilla certo per la fantasia,ma non riesco a trovare di meglio,quindi...

Resta soltanto una cosa da fare.

Prendere il mio skate,e andarmene da questo buco -si fa per dire- di casa!

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Capitolo 9
*** Sk8er Girl and...? ***


Ecchice qua(?)

Pronti per il nuovo capitolo? J

Ci sarà una piccola sorpresa verso la fine del capitolo...non andate a sbirciare però.

Al prossimo capitolo ;)

 

Pov Avril

 

Afferro al volo la mia piccola Stella e scendo da Alberello stando attenta a non farmi male.

Non so se dovrei andare in un reparto psichiatrico per essere riuscita a scendere da un albero senza procurarmi qualche livido,o se per la mia mania di dare soprannomi a destra e a manca

Io opterei per tutte due le cose.

 

Per la mia prima fuga,ho indossato un paio di shorts di jeans trovati nell’armadio,una semplice canotta bianca e le mie adoratissime Converse.

In più,ho preso qualche dollaro,che può sempre essermi utile.

 

Sto per uscire allo scoperto,ma faccio appena in tempo a scorgere una limousine tutta tirata a lucido,sorvegliata da...una speciedi pinguino.

 

Oh no,e adesso che faccio?

Mi nascondo?

Gli vado incontro?

Mi sotterro in una voragine che si aprirà proprioadesso?

 

No,per mia doppia sfortuna,la voragine non fa la sua comparsa,e in più vengo beccata anche dal pinguino.

 

Nascondo prontamente lo skate dietro la schiena.

Nonostante non sia di certo una gigante con il mio 1,55m di altezza,spero solo che sia più scemo di quanto appaia già da non accorgersene.

 

“Buongiorno signorina Avril” mi saluta gentile,con un cenno del capo.

 

“’Giorno. Lei è..?” chiedo,in evidente imbarazzo

 

“Oh,che sbadato,non mi sono presentato per primo. Piacere,io sono Paul,e sarò il suo autista personale addetto ad accompagnarla in qualunque posto lei desideri visitare con questa” mi dice,indicandomi la limousine.

 

“Conquesta?!” chiedo con gli occhi fuori dalle orbite.

 

“Si,esatto. Il signor Phil e la signora Judy mi hannoehmchiesto di accompagnarla ovunque lei vada perevitare spiacevoli incidenti” mi dice,con un sorriso falsissimo.

 

Traduzione:cerca di non mettermi nei casini,perché non voglio essere buttato fuori per le tue cazzate.

 

Bene. La stronza e il cetriolone mi hanno messo anche il cane da guardia.

Vediamo un po’ di ravvivare questa giornata!

 

“Oh,capisco. Beh,ora che me lo dice,avrei pensato di fare un giro in centro,savetrine,negozi,shopping” dico,tremando alla sola idea di vedere vetrine luccicanti piene di robe inutili e costose.

 

“Ma certo,signorina,io sono a sua completa disposizione. Prego,si accomodi” mi dice,andandomi ad aprire la portiera.

 

No,così si accorgerà dello skate

 

“Oh no,non c’è bisogno di essere cosìgalanti. Faccio da sola,grazie” dico,bloccandolo,e aprendomi la portiera dei sedili posteriori.

 

Lui annuisce,e per fortuna si siede al posto del guidatore,senza accorgersi minimamente del fatto che ho sistemato il mio skate sotto il suo sedile.

 

La limousine parte,e appena ci immergiamo nelle strade californiane, subito il pinguino PPanon mi ricordo già più,inizia a parlare a macchinetta di Los Angeles,del turismo,e di quanto io sia fortunata ad abitare qui.

 

Io annuisco e gli sorrido affabile,non capendo in realtà un cazzo di quello che sta dicendo.

 

Mi sudano le mani e l’adrenalina mi scorre nelle vene per l’agitazione.

Non so se sia per il senso di libertà che tra poco si scatenerà in me,o se per la soddisfazione di giocare un brutto tiro a Judy e a Phil.

 

“Si fermi un attimo,per favore” chiedo all’autista,che mi guarda accigliato dallo specchietto.

 

“Si...subito” mi risponde.

 

Appena lo sento frenare e sento la macchina ferma,afferro velocemente il mio skate,apro la portiera,scendo e busso al finestrino del pinguino.

 

“Torno da sola,grazie! Oh, dica pure a mia madre che sarò a casa in tempo per la cena,grazie e addio!” dico,saluntandolo con una mano e iniziando a correre sul mio skate.

 

Dio,se ripenso alla faccia con cui l’ho lasciato,mi verrebbe quasi voglia di ritornare indietro e di fargli una bella fotografia. Quasi.

 

Corro sul mio skate, con tutti i capelli al vento e con la brezza leggera che mi accarezza il viso.

Sono libera di correre, e questa è la cosa più importante.

Non mi interessa fare niente di spettacolare o pericoloso, in questo momento mi interessa solo correre veloce, veloce come non lo sono mai stata.

 

Dopo un’oretta e passa di corsa,capisco che mi devo fermare per riprendere un po’ di fiato.

Sono capitata neanche senza volerlo,nel centro di Los Angeles,a Downtown.

Tutti questi grattacieli mi mettono in soggezione talmente sono imponenti e maestosi,non sono abituata -villa del cetriolone a parte- a tutte queste dimostrazioni di potere e soldi.

Per non parlare poi di tutte le vetrine delle boutique che espongono capi famosi e all’ultima moda.

 

Come se ne cercassi un’ulteriore conferma, capisco ancora una volta che tutto questo non fa per niente parte del mio mondo.

 

Riprendo a correre veloce.

Voglio e devo allontanarmi da lì o mi mancherà il fiato per il senso di inadeguatezza che mi sta travolgendo velocemente.

 

Continuo ad andare con lo skate lungo un muro in una via poco lontano da Gucci e Prada.

Voglio andare lontano dai negozi con i completi eleganti di Armani,lontano dai negozi che espongono scarpe Hogan, lontano da quella ricchezza che stona persino con se stessa.

 

Lontana da questo mondo a me totalmente sconosciuto, il mio cuore normalizza il suo battito e il mio respiro smette di essere affannoso.

 

Forse è meglio che mangi qualcosa.

Ho fatto attività fisica con nello stomaco solo la colazione, forse non sono solo le grandi marche a farmi venire i capogiri.

Per fortuna poco lontano da me c’è un bar e ringrazio quel Santo che mi ha dato l’illuminazione stamattina di prendermi qualche spicciolo.

 

Sto per avvicinarmi al chioschetto,quando i miei occhi vengono attratti da qualcosa...adesso si che rischio lo svenimento!

Anzi,secondo me sono già svenuta!

 

Uno skateboard “Antiz Serie Vampire” fa bella mostra di se dall’altro lato della strada.

Improvvisamente il bar e la prospettiva di assumere zuccheri passa in secondo piano.

Mi avvicino, voglio vedere da vicino questa meraviglia.

Non credevo di poterlo ammirare dal vivo, l’ho sempre visto su internet, ma non c’è paragone tra le foto e trovarselo davanti.

 

Chissà chi lo avrà comprato.

Sarà costato una fortuna.

Ma dopotutto non me ne devo stupire così tanto, con tutti i soldi che ha qui la gente è logico che appena schiocchi le dita, ottenga quello che vogliono.

 

Ne osservo rapita tutti i particolari.

La tavola,le ruote,le decorazioni…

Se qualcuno mi vedesse adesso penserebbe che io sia un’assatanata, ho addirittura gli occhi lucidi per l’emozione. 

 

Mio Dio,chissà chi l’ha compr-

 

“Ehm ehm

 

Sono così presa dallo skate che salto in aria quando sento qualcuno schiarirsi la voce. Mi giro e

 

E...? Chi sarà la persona misteriosa?

Questo è lo skateà  http://www.brolive.org/photo_gallery/les-tests-skateboards3/antiz_skateboard_julien_Bachelier_Antiz_Serie_vampire.jpg

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Capitolo 10
*** Sk8er Boi ***


Salve a tutti!

Come vi va?

Aaaaw,avete visto le foto del matrimonio tra Avril e Chad? Io si…quei due insieme sono la tenerezza *__*

Anyway,siete pronti per un nuovo capitolo di LBS? Ahahah,spero di si.

Voglio ringraziare tutte le persone che hanno messo questa fan fiction tra:

 

-i preferiti:

Look_at_the_sky

 

-i ricordati:

Look_at_the_sky

 

-i seguiti:

Look_at_the_sky

Hakkj

AliceKeepHoldingOn

MusicIsMyDestination

 

Li ringrazierò ad ogni capitolo!

Oggi,introduciamo un nuovo personaggio con la sua famiglia “stramba”,e penso che già dal titolo abbiate capito di chi stiamo parlando.

Se non l’aveste capito,guardate un po’ di chi è il point of view.

Ci vediamo ;)

 

 

Pov Evan

 

Che giornata del cazzo.

Ma chi cavolo aveva inventato la Domenica?

Ma soprattutto,chi cavolo aveva inventato Annie?

 

Quella peste di mia sorella sta saltellando per tutta la mia stanza,aprendo le tende per fare entrare la luce necessaria a farmi aprire gli occhi.

 

Cacchio,la Domenica è l’unico giorno della settimana in cui posso dormire quanto cazzo mi pare e piace,e lei che fa,mi viene a svegliare all’alba?!

 

No dico,ma è pazza?!

Non lo sa che io sono andato a dormire solo pochi minuti fa?

 

“Annie!” grido,dicendo il suo nome come se fosse un’imprecazione.

 

“Si,fratellino?” mi chiede con la sua classica voce da angioletto malefico.

 

“Smettila! Starei cercando di dormire,se non ti dispiace” grugnisco,coprendomi la testa con il cuscino.

 

“Dai pulcino,svegliati! Fuori c’è una meravigliosa giornata che ti aspetta. Guarda,gli uccellini cantano,il sole splende alto nel cielo azzurro e…”

 

“E io sto per commettere un sorellicidio!”grido.

 

“Ma pulcino…”

 

“Punto primo,non chiamarmi così,è orribile questo soprannome. Punto secondo,ti assicuro che era una meravigliosa giornata fino a due minuti fa,prima che tu facessi irruzione nella mia camera e mi svegliassi!” dico,facendo trapelare tutta la mia irritazione.

 

“Oh andiamo,non ti facevo così pigro. Se lo avessi saputo,non avrei chiesto a papà e mamma di adottare un bambino decerebrato come te.” ribadisce lei acida.

 

“Mmh…guarda che la cosa vale anche per te,se avessi saputo quanto sei rompiballe” mormoro,facendole lo sgambetto e prendendola tra le mie grinfie.

 

“Allora,vediamo...cosa vuoi che ti faccia,il solletico o…il solletico?” le chiedo sornione,incominciando a solleticarle i fianchi con le dita.

 

“No,no,i fianchi no!” protesta cercando di divincolarsi,ma,purtroppo per lei,la mia stretta è ben salda.

 

“Ahahah Ev…Evan…n…no basta,ti p…prego” mi implora,cercando di articolare una frase con le lacrime agli occhi.

 

Devo ammettere che mi fa piacere vederla così,spensierata e felice,anche se è solo per il solletico che le sto facendo.

 

“E allora prometti che non mi sveglierai più la domenica mattina all’alba?” le chiedo.

 

“Va bene,lo p..prom…”

 

“Come? Non ho sentito!” dico,stuzzicandola e continuando la mia lenta opera di tortura.

 

“Ahahah va bene,va bene,hai vinto,lo prometto! Basta!”

 

“Brava sorellina!” le dico,scompigliandole i capelli biondi e lasciandola andare.

 

“Certo che sei un vero stronzo quando ti ci metti” mi dice,scostandomi le coperte dal letto.

 

“Si,senti chi parla…comunque,perché mi hai svegliato così presto?” le chiedo.

 

“Presto,Evan? Presto?! Guarda che è già passato mezzogiorno.”  mi risponde.

 

“Si certo,non ci credo per nien-“ dico,fissando la sveglia.

 

Le 12 e 22.

 

“Cazzo. Il pranzo da mamma!” grido,saltando fuori dal letto e fiondandomi direttamente in bagno.

Cavolo,mamma ci teneva davvero tantissimo a questo pranzo domenicale.

Già sorvola sui miei orari quando rientro tardi a casa per via dei miei “incontri”,quando entro in punta di piedi per non svegliare nessuno,soprattutto lei che si preoccupa tanto,in più io non mi presento neanche a uno dei suoi fantastici pranzi…

 

“Beh,bentornato nel mondo dei vivi. Sempre che mamma ti ci faccia rimanere a lungo…” mi dice lei,oltre la porta.

 

“Ah ah ah,spiritosa,molto spiritosa Annie,davvero” dico sarcastico.

Mi faccio una doccia,mi vesto velocemente,neanche fossi Flash,mi sistemo i capelli alla bene e meglio,e sono pronto.

 

“Dai andiamo,peste!”dico,aprendo la porta con la mia sorellina che mi fa la linguaccia.

 

Scendo in giardino con Annie alle calcagna e mi dirigo sotto il gazebo,dove vedo che è riunita tutta la mia famiglia.

Mi chino a baciare il capo a mia madre Ami che ha atteso pazientemente,molto pazientemente, il mio arrivo.

Lei mi accarezza dolcemente una guancia,trasmettendomi con gli occhi tutto l’affetto che solo una madre è capace di donare ad un figlio,e mi fa segno di sedermi al grande tavolo in giardino.

Saluto con un cenno del capo mio padre Mark,che sorridente ricambia il mio saluto,dietro i suoi occhiali da lettura.

 

“Evviva,si mangia finalmente!” trilla mia sorella,battendo le mani tutta eccitata come una bambina di cinque anni.

 

Siamo una famiglia molto numerosa,allargata e…stramba,per certi versi.

Ai capotavola,ci sono i miei genitori adottivi,Mark e Ami,che si guardano negli occhi sorridendo felici  e innamorati come non mai.

Anche se non credo molto nell’amore,non mi ha mai dato fastidio che la loro intesa andasse ben oltre la loro “bolla” privata,anzi.

Agli altri lati,invece sediamo noi figli.

Vicino a me c’è Annie che molto allegramente,e non so ancora come,parla di shopping con l’altra mia sorellastra,Charlotte,che siede molto composta davanti a lei,sorridendo per la troppa esuberanza di Annie.

Char e il suo gemello Drew,che sospetto abbia una cotta,e neanche troppo leggera,per la peste,sono in realtà dei lontani nipoti di mia madre,che,con il suo cuore buono e caritatevole,non è riuscita a lasciare da soli i due gemelli quando i loro genitori sono morti in un tragico incidente d’auto.

Accanto a loro,siede l’unico loro figlio naturale dei Taubenfeld,Matt,un ragazzone grande,simpaticissimo e buono come il pane,che è entrato,e neanche troppo segretamente,nel cuore e nella camera della non tanto innocente Char.

Penso che se i miei lo sapessero,verrebbe loro come minimo un colpo!

Adoro mio fratello,è una vera forza della natura.

È sempre allegro,ha la battuta pronta in qualsiasi occasione,e ci ha accolti tutti prima come amici,poi come veri e propri fratelli volendoci un gran bene e sapendo di essere ampiamente ricambiato.

In fin dei conti,è il mio migliore amico.

 

Le conversazioni a tavola si mescolano e si mischiano tra loro,diventando un chiacchiericcio sempre più confuso.

Noi uomini parliamo di musica e sport,spazientiti ed estromessi dai discorsi frivoli delle donne sullo shopping e sui capi d’abbigliamento che andranno più di moda questo inverno.

 

Al dolce,un semplice gelato al limone che ci disseta in questa giornata calda,nonostante sia Settembre,A&A,Ami e Annie,annunciano di avere una cosa importante da dirci.

Spero solo che facciano in fretta,voglio godere del vento tra i miei capelli biondi e del clima ancora estivo di Los Angeles facendo un giro con il mio bellissimo,nuovissimo e amatissimo skate.

 

Mia madre si schiarisce la voce e inizia a parlare,essendo la capofamiglia.

“Se avete impegni per la serata odierna,annullateli,perché siamo stati invitati dai vicini ed è buona educazione andarci. Tutti.” aggiunge,ponendo l’accento sull’ultima parola e guardandomi eloquentemente.

Beh,in fondo la capisco.

 

L’ultima volta ho abbandonato la mia famiglia a una cena pallosissima per passare una serata al “Passion Skate”,e lei non me l’ha perdonato tanto facilmente,anzi…credo che serbi ancora qualche rancore per la cosa.

 

Ma che ci posso fare?!

A me i vicini non piacciono per niente,li considero troppo antipatici e snob persino per una città “in” come Los Angeles.

So che non stanno per niente simpatici neanche a mia madre ma,come dice sempre lei,un invito rifiutato è un dispiacere arrecato.

Quindi,stasera ci ritroveremo tutti belli,perfetti ed eleganti,ad una noiosissima cena in cui non succederà assolutamente niente,con la promessa però di scambiare favori e cortesie a vicenda nei confronti dei rispettivi vicini.

 

Che palle!

 

“Io,per la serata,sarò la vostra addetta al guardaroba e a tutto ciò che riguarda il vostro look”aggiunge Annie,riferendosi verso di noi.

 

“Oh beh…allora,disastro assicurato!”mormoro.

 

“In più…”dice lei,guardandomi di sbieco “ho una bellissima notizia da darvi. Char mi ha nominata sua vice per le selezioni delle cheerleader della scuola!” dice tutta contenta,battendo le mani e andando ad abbracciare Char,che prima mi guarda male,come a dire”stai attento a non fartele tutte” e poi ricambia l’abbraccio della sorellastra.

 

Che smielate!

 

“Bene,ora che gli annunci sono finiti,io vado” dico ad alta voce,alzandomi da tavola.

 

Nessuno dice una parola sul mio comportamento.

Ci sono abituati ormai,e poi sanno che la domenica la dedico tutta al mio bambino.

Scendo in garage e lo prendo deciso.

Non vedo l’ora di sentire macinare l’asfalto californiano sotto di me.

 

 

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Capitolo 11
*** First kiss ***


Ok gente!

Eccoci qua con un nuovo chappy(?)

Penso che il titolo vi stupirà molto,ma ricordate…non tutto è oro quel che luccica!

E con questa massima(?),vi faccio i miei saluti *si inchina*

 

Pov Evan

 

Mi dirigo veloce verso il mio skate. Ho fatto una piccola pausa solo per mettere qualcosa nel mio stomaco brontolante,ma adesso voglio solo riprendere a sentire il vento tra i miei capelli.

 

Sto quasi per raggiungerlo ma appena lo scorgo,mi blocco.

 

Una biondina,un po’ bassina a dir la verità,è chinata sul mio skate e lo sta osservando rapita e meravigliata.

Mi avvicino da dietro,furioso.

Nessuno,e dico nessuno può toccare il mio gioiellino.

“Ehm ehm…”dico,schiarendomi la voce.

Si gira impaurita,probabilmente dall’autorità che c’è nella mia voce,e così ho la possibilità di osservarla meglio.

 

Dei capelli biondissimi le incorniciano il volto roseo,un po’ pallido.

Il naso è dolcemente all’insù e le labbra sono piccole,ma perfette per il suo viso.

Ma la cosa che mi colpisce immediatamente sono i suoi occhi,dei bellissimi e profondissimi occhi azzurro chiaro.

Mi fermo un attimo a fissarla,ma mi riprendo subito. Sono troppo incazzato.

 

“Scusa,che cazzo stai facendo?” le chiedo indicando il mio prezioso skateboard.

Potrebbe rovinarmelo,graffiarmelo,o smontare una rotella.

Si sa,donne e skate non vanno per niente d’accordo.

Lei,dal canto suo,è come paralizzata dalla mia presenza.

Non mi risponde,e nei suoi occhi noto un leggero lampo di terrore,forse per essere stata sorpresa a fare qualcosa che non doveva fare,o forse per il mio sguardo assassino che la osserva.

 

“Allora?” le chiedo incazzato,dalla radice dei miei capelli fino alle punte dei piedi.

 

“Ehm…stavo parlando con lui”mi risponde finalmente,indicandomi lo skate.

 

Ok. Sono sconvolto.

Vedere una donna che parla con uno skateboard non è certo una cosa da tutti i giorni.

Credo di essere entrato ufficialmente in uno stato catatonico.

 

Lei probabilmente si accorge della mia sorpresa,e infatti mi dice:”Chiudi la bocca o ti entrano le mosche. Sai,secondo me sei il classico tipo che non capisce un cazzo di skate,ma vuole fare il figo a tutti i costi.”ribatte lei.

 

Bene. Se prima ero semplicemente sorpreso,adesso sono letteralmente rimasto di merda.

Credo che sia la prima forma umana appartenente al “Cromosoma X” che ha fatto rimanere senza parole Evan Taubenfeld.

Mi intriga molto questa ragazza.

Le prendo la mano,e sorridendole le dico:”Mi dispiace,sei completamente fuoristrada per due semplici motivi. Primo,io di skate ne capisco molto,e anche più di te. Secondo,io non voglio fare il figo. Io sono figo!”

 

Così,senza pensarci due volte,l’attiro a me,e la bacio.

Le sue labbra sono calde,morbide e molto invitanti.

Appoggio la mia bocca sulla sua e le bacio il labbro inferiore con dolcezza.

 

Chiudiamo gli occhi insieme ed io assaporo le sue labbra.

Voglio di più,voglio sentire meglio il suo sapore,e così chiedo con la mia lingua il tacito permesso di esplorare la sua bocca.

Lei acconsente,dischiudendo le sue labbra e facendo incontrare le nostre lingue.

 

Dio,il suo sapore…è qualcosa di meraviglioso!

Non credevo che un singolo bacio potesse portarmi in Paradiso,e invece…eccomi qui.

 

Credo,anzi,ne ho l’assoluta certezza,che il mio cervello sia scappato da qualche parte…

 

 

Pov Avril

 

“Ehm ehm…”

 

Sono così presa dallo skate che salto in aria quando sento qualcuno schiarirsi la voce.

 

Mi giro e…vedo un ragazzo,un bel ragazzo,fissarmi con sguardo omicida

 

È abbastanza magro,alto,ha i capelli biondi,e due occhi azzurri come il cielo.

Sarebbe una visione celestiale,se non fosse per l’aura assassina che lo circonda.

 

“Scusa,che cazzo stai facendo?”mi chiede.

Cazzo,è davvero incazzato.

La moto deve essere sicuramente sua,e da come mi guarda,giurerei che non apprezzi molto che gli estranei si avvicinino alle cose di sua proprietà.

“Allora?”mi richiede. Sta perdendo la pazienza,e se non mi do una svegliata credo che potrebbe anche scaraventarmi per strada.

“Ehm…stavo parlando con lui”gli rispondo,optando per la verità.

Dal canto suo,lui è completamente sconvolto.

Si vede che è uno di quei stupidi maschilisti che fa del motto “Donna al volante,pericolo costante” una sua virtù.

 

Che idiota,l’ho lasciato completamente senza parole.

Bene,posso passare al contrattacco

 

”Chiudi la bocca o ti entrano le mosche. Sai,secondo me sei il classico tipo che non capisce un cazzo di skate,ma vuole fare il figo a tutti i costi.”dico,convinta. Infondo,è quello che penso.

 

Lui,forse per reazione alle mie parole,fa una cosa che non mi sarei mai aspettata in vita mia.

Mi prende la mano,mi sorride e mi dice:”Mi dispiace,sei completamente fuoristrada per due semplici motivi. Primo,io di skate ne capisco molto,e anche più di te. Secondo,io non voglio fare il figo. Io sono figo!”

 

Pff,pallone gonfiato!

 

Sto per dirglielo ma non ne ho la possibilità,perchè mi attira con forza a sé e mi bacia.

 

Questo contatto mi provoca una scossa elettrica che mi percorre in tutto il corpo.

 

È un bacio lento,ma passionale.

 

Comincia a baciarmi il labbro inferiore con una dolcezza disarmante.

 

A prima vista poteva sembrare di tutto,ma non di certo un tipo dolce.

 

Chiudiamo gli occhi,privandoci a vicenda dei nostri sguardi e cerca di entrare con la sua lingua nella mia bocca.

 

Molto lentamente,dischiudo le mie labbra,e quando la sua lingua incontra la mia,sento finalmente il suo sapore.

 

Se il suo profumo era fantastico, il suo sapore è paradisiaco, da sogno...

 

Dio,non riesco a fermarmi.

Sono completamente e inesorabilmente persa in questo fantastico bacio.

 

Non avevo mai baciato nessuno così.

Certo,con Deryck c’era stata qualche carezza,e forse addirittura un bacio una volta,ma niente paragonabile anche solo minimamente a questo.

 

È come se stessi dando il mio primo bacio,infondo.

 

Oddio…sto baciando uno sconosciuto?!

Certo,uno sconosciuto molto bello e che sa baciare anche molto bene…ma sempre uno sconosciuto rimane.

 

Mi blocco,e mi maledico per quello che sto per fare.

 

Gli mordo le labbra per interrompere il bacio,lui si ferma,e appena lo fa,mi libero velocemente dalla sua presa e scappo lontano,lasciandolo completamente disorientato.

 

Corro verso casa sulla mia Stella.

È tardi, e voglio allontanarmi il più possibile da quello sconosciuto.

In più,trattengo anche le lacrime che per il mio comportamento idiota mi stanno offuscando la vista,perché la dolcezza di quel bacio mi ha fatto sentire come se mi trovassi ancora di fronte a quelle vetrine di prima, inadeguata per quel mondo.

 

Ma che diavolo mi è preso?!

 

Non sono mai stata una persona avventata e imprudente,anzi,ho sempre ragionato e contato fino a 10 prima di dire o fare qualsiasi cosa.

 

Arrivo a casa in ritardo come previsto, confusa da quello che mi è successo.

Non ho visto neanche per un attimo l’orologio e ho un senso dell’orientamento pessimo,per cui ho faticato molto a trovare la villa giusta.

Mia madre,altra cosa prevista, non appena varco la soglia di casa, mi si scaglia contro.

 

Ma perché le voragini non si aprono mai quando vorresti?!

 

P.S. Se volete,passate dalla mia one-shot “I love you”,sempre su Avril e Evan. L’ho scritta questa mattina,e se vi piace,recensitela,mi raccomando ;)

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Capitolo 12
*** Are you ready,Avril? ***


Buonsalve a tutti voi!

Volevo ringraziare prima di tutto chi ha messo questa fan fiction tra:

-        i preferiti:

-          1 - Beliectioner_FE_love_FE 

-          2 - Sciaobelli

 

-        i ricordati:

-          1 - Sciaobelli

 

-        i seguiti:

-          1 - AliceKeepHoldingOn 
2 - 
Hakkj 

-          3 - Sciaobelli

-           

Benebenebene(?),questo capitolo è decisamente frizzante,con un leggero retrogusto di suspence.

Ahahah,sembro un sommelier.

Ok,prima di essere internata in manicomio,vi lascio al capitolo.

Alla prossima!  

 

Pov Avril

 

Arrivo a casa,in ritardo ovviamente,e mi sento stremata.

Non so ancora esattamente se per la corsa che ho fatto,se per i crampi che mi attanagliano i polpacci,o se per le magnifiche sensazioni che quel bacio mi ha provocato.

 

Ho ancora la testa tra le nuvole,quando Judy spalanca la porta di camera mia senza farsi troppi problemi e sta per inveirmi contro,ma io la anticipo.

 

“Che c’è Judy,la parola “bussare” non fa parte del tuo vocabolario?” dico,mimando le virgolette con le dita.

 

“Avril…Ramona…Lavigne” Oh-oh. Guai molto grossi in vista.

 

“Si,mammina?” Ok,forse dovevo tenere a freno quella maledetta lingua che mi ritrovo.

 

Il suo viso si fa di un rosso porpora. Non l’ho mai vista così incazzata ed è un vero spettacolo per gli occhi. Manca solo il fumo che le esce dalle orecchie,e poi posso ufficialmente scoppiare a ridere.

 

“Ti rendi conto dell’ora a cui sei rientrata?!”

 

“Aspetta…oh guarda,sono solo le sette e mezza. Sei fortunata,quando stavo da papà i miei orari andavano ben oltre,per cui…non vedo dove sia il problema”affermo con tutta la calma possibile,facendola incazzare ancora di più.

 

“Non vedi dove sia il problema?! NON VEDI DOVE SIA IL PROBLEMA?! Certo,te ne sei andata con quel pezzo di ferraglia in giro nel cuore di Los Angeles dove tutti mi conoscono e sanno chi sono,e in più l’hai fatto anche senza un accompagnamento adeguato!”

 

“Oh beh,mi devo ancora abituare a tutte queste dimostrazioni di ricchezza,secondo me inutili.

A Napanee non c’era certo bisogno di un pinguino imbalsamato che mi scarrozzava ovunque!”

 

Va bene,forse la parte del pinguino poteva anche rimanere per me…

 

“E infatti, qui non siamo in quella sperduta cittadina che ti piace tanto. Qui ci sono delle regole da rispettare,santo cielo. Ti abbiamo anche fatto una lista di quello che devi o non devi fare,ma a quanto pare,eri troppo impegnata ad uscire di casa senza il mio permesso”dice,mettendosi le mani sui fianchi.

 

“Una lista? E quando avrei dovuto leggerla,scusa?” le chiedo,dando voce alle mie domande.

 

“La sera stessa di quando ti abbiamo consegnato le chiavi di casa e il tuo cellulare nuovo. Immaginavo che la tua impertinenza non ti avrebbe fatto prendere nemmeno in considerazioni quei foglietti rosa,nonostante fossero la parte più importante. Comunque,per riparare al danno da te causato,ti elencherò io stessa tutti i punti che io e Phil prentendiamo che rispetti da adesso!”

 

“Ah-ah,come no…” ribatto.

 

Lei mi fulmina con lo sguardo ed incomincia ad elencare tutti i punti di questa maledetta lista.

 

“Punto numero 1. Devi cercare di vestirti in maniera più consona,più adatta ad una signorina perbene della tua età”

 

“Si,la signorina perbene ci sta provando…”dico,digrignando i denti.

 

“Bene. Punto numero 2. Niente parolacce,insulti e sarcasmo. Soltanto rispetto e ubbidienza”

 

“Ma vaffan…ehm…continua pure” Maledetta mia linguaccia!

“Punto numero 3. Per andare in qualsiasi posto e per andare a scuola userai la limousine e sarai accompagnata da Paul,il “pinguino imbalsamato”,per intenderci. Una volta finite le lezioni verrai di corsa a casa,senza fermarti da qualche parte. Qualcuno potrebbe riconoscerti e capire che sei mia figlia”

“Perché non adotti qualche povero bambino orfano e non ne fai il tuo schiavetto? Vedrai che i tuoi amici apprezzeranno sicuramente…”dico,sarcastica

“Smettila. Punto numero 4. Non puoi saltare la scuola senza un buon motivo,e soprattutto,non vogliamo essere convocati né dagli insegnanti,né tantomeno dal preside”

“Ma non è colpa mia. Sono loro che mi prendono in antipatia,e io devo rispondere alle loro provocazioni,non posso starmene lì seduta come se niente fosse!”

Altro sguardo fulminante. Ok,ok,ho capito…

“Punto numero 5. Seguirai una dieta precisa,quindi basta con schifezze unte e piene di grassi. Sai,qualcuno potrebbe incominciare a notare quei fianchi…”mi dice,punzecchiandomi

“Certo,Miss Taglia 38…”ribatto. Come le ho detto anche prima,io rispondo sempre alle provocazioni.

“Punto numero 6. Nessun contatto con nessuna persona che abita lì in quel paesino sperduto,Napanee…tranne tuo padre,ovviamente”

“Oh,grazie. Non so,per questa gentile concessione dovrei prostrarmi ai tuoi piedi?!”. Ecco. Questa è una classico caso di ALM. Acidità Livello Massimo.

“Punto numero 7. Non uscirai di casa senza avere avuto il permesso…” certo,loro mi possono controllare di giorno e sarebbe molto più difficile scappare da Alberello con questi due fra i piedi,ma di notte…”e soprattutto,non potrai uscire di notte. La notte la userai per dormire,perché è a quello che serve!”

Chino la testa mogia. Come non detto…

 

“Ultimo punto,ma non meno importante. Non dovrai usare mai più quel pezzo di ferraglia e soprattutto,non azzardarti anche solo a pensare di partecipare ad una gara clandestina!”

 

 “No,no,aspetta. Quel “pezzo di ferraglia” come lo chiami tu,è uno skateboard,il mio skateboard,e io non posso e non voglio separarmi da lui. Chiaro?”

 

“Oh,con un po’ di buona volontà tutto è possibile. Sono sicura che ce la farai” mi dice,dandomi un pizzicotto sulla guancia.

 

Irritata,la allontano da me. “Ma allora non hai capito. Che c’è,sei sorda percaso?! Non puoi vietarmi di andare in giro con il mio skate”

 

“Basta adesso,piccola impertinente. Io posso farlo e come,sono tua madre!”

 

“Si,certo…quando ti ricordi di avere una figlia!”grido

 

“No ti sbagli,io lo sono sempre. Anzi,menomale che ti ho tirato fuori da qual buco di paese e ti ho fatto venire con me. Il tuo egoismo ha raggiunto livelli spropositati!”

 

Oh no,ancora con questa storia! Basta!

 

“Judy,smettila,mi stai facendo venire un mal di testa pazzesco. Non mi sorprenderei molto se adesso venissero i vicini venissero a bussare perché hanno sentito le tue grida assurde.”le dico,massaggiandomi la tempia destra con una mano.

 

Improvvisamente,la vedo sbiancare,come se si fosse ricordata solo in quell’istante di un particolare molto importante,per poi riprendere con più vigore a lamentarsi e ad agitarsi

 

Questa donna secondo me prende troppi caffè. Mai pensato ad una buona tazza di camomilla? Dicono che aiuti.

 

“Oh no,i vicini! Vai a farti subito una doccia e a cambiarti, i vestiti te li porterà Dolores.

 

“Come mai dovrei cambiarmi d’abito,di grazia?” le chiedo,incrociando le braccia al petto.

 

“Tra poco i vicini saranno qua a cena,ecco perchè!”

 

Cosa? Io credevo che venissero solo a lamentarsi,mica a mangiare!

 

Bene! Ci mancavano solo degli scrocconi per cena! Fantastico!

 

“Va bene,vado, contenta?” le chiedo.

 

“Ah,un’altra cosa. Riferisci gentilmente a Dolores che li recupero da me i miei vestiti, non ho bisogno della balia!” dico strafottente.

 

Lo so,sono molto irritante quando mi ci metto!

 

“Eh, no Avril! Tu adesso ti metterai quello che dico io!”

 

“Oh, no questo no,come ti permetti,tu non puoi decidere per me!”

 

Sta per ribattere quando suonano alla porta.

 

“Evidentemente,sono arrivati i vicini" dico sarcastica a mia madre.

 

Lei,chiaramente sorpresa,si volta pallida verso la porta, mentre una cameriera va ad aprire. Dopo l’iniziale smarrimento,mia madre si riprende e incomincia a scendere le scale,ma a metà della prima rampa,si gira,e mi sussurra con sguardo omicida:"Avril,fai una delle tue solite stronzate,e giuro che sei morta!" 

Io?! E quando mai?! Ma se sono l’innocenza fatta persona!

 

In realtà,dentro gongolo di soddisfazione.

Quanto sarà bello vedere mia madre fallire miseramente!

Già assaporo la vittoria.

 

Sei pronta,Avril?

Bene,andiamo a conoscere i nuovi vicini.

P.S. Se volete,potete fare un salto anche alla mia one-shot su Avril e Evan?

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Capitolo 13
*** Are you ready,Evan? ***


Ehilà gente,come state?

Ringrazio chi legge e chi ha messo questa fan fiction tra:

-        i preferiti:-  Beliectioner_FE_love_FE  -  Sciaobelli

-        i ricordati:- Sciaobelli

-        i seguiti:- AliceKeepHoldingOn -   Hakkj -  Sciaobelli

Aaaaaw,avete sentito il nuovo pezzo di Avril “Rock ‘n ‘Roll”?

Io è da ieri che non faccio altro che ascoltarmelo ininterrottamente xD.

Mi piace molto.

Ok ecco qui il capitolo,tutto Pov Evan ;)

Alla prossima

 

 

POV EVAN

 


Dopo l’incontro con la “straniera”, maledettamente eccitante e paradisiaco allo stesso tempo, mi riprendo dalla sorpresa e comincio a correre sul mio skate.

 

Devo scaricare i nervi prima di tornare a casa.

Se solo penso che mi attende una pallosissima cena con i vicini,l’irritazione torna prepotente,e vorrei tanto andare al “Passion Skate” a rilassarmi.

 

Da quando la bella biondina se ne è andata,un pensiero fisso non mi ha abbandonato,anzi,sta continuando a martellarmi in modo frustrante il cervello.

 

Sono stato rifiutato per la prima volta nella mia vita da una donna, anche se sono sicuro che pure lei aveva voluto quel bacio quanto lo volevo io. Forse ha un ragazzo e non ha voluto tradirlo, ma mi sembra strano,perché a prima vista non avrei mai detto che fosse una tipa da legami seri.

Lo ammetto,il mio ego spropositatamente grande ne è rimasto ferito,e anche molto.

Il mio cervellino deve trovare delle scuse per il rifiuto e sta ancora piangendo per aver avuto una batosta così grande. Sono patetico, mi sto compiangendo e incazzando allo stesso tempo per una ragazza!

Lo so che è stupido,ma non riesco a smettere di pensarla.

Riesco solo ad immaginarmi lei, la sua dolce fragranza e il suo corpo da urlo,le sue labbra…oh no,mi sto eccitando di nuovo!

 

Cazzo, sono in ritardo. Accelero di più la mia andatura e il tornado “Annie” mi accoglie imbestialita.

Appena la scorgo,alzo le mani in segno di difesa. Meglio scusarsi e filare a fare la doccia che subire la sua ira.

“Ehi fratello...ma tu hai proprio deciso di morire,allora. Arrivare in ritardo non è mai una mossa furba,soprattutto se Annie ha passato il pomeriggio nella tua cabina armadio!” mi dice sghignazzante Matt.

 

“Grazie per il tuo sostegno fraterno,Matt!” gli rispondo sarcastico.

 

Bella roba,me lo sono trovato in cima alle scale con un sorrisino ebete e la battuta pronta!

Ma…è appena uscito dalla camera di Char...mmh,qui gatta ci cova.

“Che ci facevi in camera di nostra sorella,fratellino?”gli chiedo,affilando lo sguardo.

 

“Ehm…” si vede che è a disagio e lo voglio stuzzicare un po’.

Non c’è niente di meglio di un po’ di magnifica e sana vendetta per migliorare la giornata.

 

“Lo so che cosa stavi facendo lì dentro!” gli rispondo,con un mezzo sorriso malizioso.

“Ma no,cosa vai a pensare. La stavo…ehm,aiutando,si,ad allacciare la cerniera del vestito…sai,no,è quella sulla schiena.” mi risponde sollevando le spalle, come se il suo gesto non fosse importante.

 

Voglio ancora infilare il dito nella piaga,ma come evocata Charlotte esce dalla sua stanza, splendente e bellissima

 

“Oh, Evan, spero che tu abbia passato un buon pomeriggio ma adesso vedi di andare a vestirti...e fatti una doccia già che ci sei...”

“Char, scusa...credo che tu abbia qualcosa sul tuo vestito. Ecco,girati un attimo…” le chiedo gentilmente.
Lei si gira,e mi lascia vedere il retro del suo abito. Bene,bene,bene…

“Oh no niente,ho visto male…”dico,alzando le spalle.

Lei alza leggermente le sopracciglia,cercando di capire il senso di tutta la mia messa in scena,ma ovviamente,non ci riesce.

“Non ho tempo di fare dei giochetti stupidi,Evan. Annie ha bisogno di me...ci vediamo al garage e fate in fretta!” aggiunge andandosene senza dire altro, mentre io guardo il mio fratello orso,e scoppio ovviamente a ridere.

“Ma il vento si è portato via quel poco che era rimasto del tuo cervellino minuscolo? Guarda che non c’era niente sul vestito,le hai fatto solo perdere tempo.”


“Matt,Matt...il vestito di Char non ha la cerniera sulla schiena,ma sul fianco...” dico,dandogli una pacca sulla spalle,andando via e lasciandolo letteralmente senza parole.

 

Chissà, forse la prossima volta troverà una scusa migliore...mmh,mi sa che me ne dovrò inventare qualcuna anche io se non sarò pronto per uscire,perché questa volta è sicuro, il tornado “Annie” mi taglierà la testa!

Nonostante il pessimismo di Annie e di mia madre, siamo arrivati alla soglia della casa dei nostri vicini in perfetto orario.

 

Dio che palle.

 

Ma,forse faccio ancora in tempo a scappare.

 

Potrei mettermi a correre,o potrei chiedere un passaggio a qualche macchina che passa qui vicino,oppure…

 

“Già,oppure potresti inventare il teletrasporto e farti teletrasportare da qualche parte. Cretino…”mi dice sarcastico Matt.

 

Oh…non mi ero accorto di aver pensato ad alta voce. Cacchio!

 

“Permalosetto il ragazzo,eh?” gli rispondo,sperando di ravvivare un po’ questa serata.

 

Sta per controbattere,ma viene interrotto da mia madre Ami,che probabilmente,vorrà evitare di assistere ad una rissa qui sulla porta dei vicini

 

“Ragazzi,vi prego,non adesso. Dobbiamo essere disponibili,gentili ed eleganti. Ripeti con me,Evan:disponibili,gentili ed eleganti” mi dice.

 

“Ma mamma,perché lo dici solo a me. È stato lui che ha incominciato”le rispondo,puntando un dito contro Matt,che dal canto suo sghignazza.

 

“Evan!Disponibili,gentili ed eleganti!”mi rimprovera mia madre,fulminandomi con lo sguardo.

 

“Si,disponibili,gentili ed irritanti.”le dico,passandomi una mano nei capelli.

 

“Non irritanti,ma el…oh,lasciamo perdere”mi risponde,roteando lo sguardo.

 

Mio padre,molto probabilmente divertito da tutto quel nostro teatrino a differenza di nostra madre,suona il campanello e si sistema gli eleganti occhiali Cavalli.

 

Neanche due secondi dopo,sentiamo dei passi molto veloci affrettarsi per venire ad aprire la porta.

 

Ecco qua,tra poco si scatenerà il mio inferno.

 

“Pronto,fratellino?”mi chiede dolce Annie.

 

Pronto?

Sono pronto?

 

No. Non lo sono,e mai lo sarò.

 

P.S. Se vi fa piacere,sto iniziando una nuova long-fic,sempre su Avril e Evan,ho già pubblicato il prologo. Se vi piace,recensite.

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Capitolo 14
*** Treasure?! Really?! ***


Salve gente!

Come sempre(non è vero),ringrazio chi legge e chi ha messo questa fan fiction tra:

-        i preferiti:-  Beliectioner_FE_love_FE   Look_at_the_sky

-        i ricordati:- Look_at_the_sky

-        i seguiti:- AliceKeepHoldingOn -  Brazza - Hakkj -  Look_at_the_sky

Ed eccoci qua con un nuovo capitolo,tutto Pov Avril.

Come la prenderà la nostra ribelle quando si ritroverà davanti alla sua porta di casa LUI?

Leggete e scopritelo!

Pov Avril

 

Dopo la “minaccia” neanche troppo velata di mia madre nei miei confronti,la vedo avvicinarsi alla porta e aprirsi in quel sorrisetto falso che ho imparato fin troppo bene a conoscere,nonostante sia con lei da poco tempo.

Porge la mano ad una donna minuta,bella e molto elegante, e a quello che immagino essere il marito di lei, un uomo decisamente affascinante,nonostante delle piccole rughe facciano la loro comparsa intorno agli occhi.

 
“Ami, è splendida! Come sono felice che abbia accettato il mio invito!”

 

“Grazie Judy,mi fa sempre piacere partecipare a questo tipo di eventi”dice la donna.

“Oh,che gentile. Dottor Taubenfeld,che piacere,come sta?”chiede ancora Judy,più per cortesia che non per vero interesse.

 

“Molto bene,grazie Judy,ma di certo non posso raggiungere il suo livello di splendore. È veramente magnifica.”replica il dottore,facendole il baciamano.

 

“Oh,che adulatore…ma questa volta ci sono tutti i vostri ragazzi? Sono proprio contenta di avere una famiglia così perbene nella mia umile dimora.”

 

Ok,devo trovare un cesso per vomitare.

Ma quanto può essere falsa una persona sulla faccia della terra? Sono veramente disgustata,tutte queste smancerie mi stanno incominciando a dare al cervello.

Salgo le scale in fretta,devo sparire.

Oh menomale,mi restano solo pochi gradini,poi sarò salva e lib-

 

“Avriiiiil,aspetta tesoro.            

Oh,perfetto. Non solo mi aveva beccata,ma mi aveva anche chiamato “tesoro”.

No,sul serio,tesoro?! E da quando?!

La sfortuna mi perseguita,ne sono certa.

“Signori,posso presentarvi mia figlia Avril? Oggi pomeriggio è andata a correre ed è appena tornata. È una salutista...sapete,le adolescenti capricciose di Los Angeles,no…tutte molto attente alla linea.”

No,no,no,fermi un attimo!

Io,una salutista?!

Io,un’adolescente capricciosa di Los Angeles?!

Ma soprattutto,IO MOLTO ATTENTA ALLA LINEA?!

Eh no,non posso sopportare ben tre insulti gratuiti così,senza fare nulla.

 

Inarco le sopraciglia,scettica che sappia veramente quello che sta dicendo.

 

“Ma veramente io non ero proprio andata a…”

 

“Si,certo,ne parliamo dopo...amore,loro sono i nostri vicini, Ami e Mark Taubenfeld.” Ci risiamo…beh,almeno stavolta ha cambiato soprannome.

“ ‘Sera.”dico,rivolgendo per la prima volta lo sguardo alla famiglia al completo e….

No…

No,no,no!

Lui,NO!

 

Merda, ma che situazione di cacca!

 

Mi sento così a disagio, che non mi ricordo di aver provato mai tanto imbarazzo in vita mia.

 

E lui che fa…ride!

Certo,il motivo della mia vergogna,il ragazzo dello skate e del bacio,sghignazza con un sorrisino bastardo,evidentemente molto divertito dalla situazione.

 

Io l’ho sempre saputi di essere sfigata,ma questo è davvero troppo,per chiunque.

 

Così,presa dallo sconforto,faccio una cosa che non avrei mai pensato di poter fare. Scappo.

Semplicemente,corro via da tutto quel casino,per rifugiarmi in camera mia.

 

Non è solo il mio povero cuore ad essere in iperventilazione,impazzito e fuori controllo per esserselo ritrovato davanti, ma anche il mio cervello è completamente e totalmente in stand by.

Spento,morto,deceduto.

 

Dio,se ripenso a quanto sia perfetto nei suoi jeans e nella camicia blu con le righe bianche con le maniche arrotolate sui bicipiti muscolosi,mi viene solo voglia di…di andare là e spaccargli quella bella faccetta da deficiente che si ritrova,ecco!

 

Ho proprio bisogno di una bella doccia ghiacciata,devo riprendere la mia lucidità,e calmare i bollenti spiriti che mi sconvolgono il basso ventre da quando ho incontrato i suoi occhi pieni di malizia.



Non appena esco dal box doccia con indosso solo l’accappatoio, mi dirigo nella mia camera,ma,invece di essere sola,trovo Dolores che armeggia nella cabina armadio vicino alla mia stanza.



“Ehm ehm…cerchi qualcosa?” le chiedo,ma pur non volendo essere acida, la domanda mi esce carica di veleno. Bussare non si usa in questa casa per caso?!

“Oh,vostra madre mi ha pregato di assicurarmi che non vi vestiate come vostro solito,ma che vi presentiate dagli ospiti come si confà.”mi risponde tranquilla lei.

 

Ok,se prima mi stava solo un po’ simpatica,adesso la sua popolarità è scesa fino ai minimi storici.

“Come si confà”?!

No,ma è uscita da qualche romanzo dell’ottocento?

 

“Mmh…nessuno le ha mai detto che siamo nel XXI secolo?!” le chiedo sarcastica. Lo so che lei non ha nessuna colpa,ma solo il fatto che ha dato ascolto a quella serpe di Judy,mi irrita a morte.

 

Lei,in tutta risposta,mi squadra da capo a piedi. “Questo è l’intimo e questo il vestito, non costringetemi a venire nella vostra camera per assicurarmi che ve li mettiate, evitatevi questa umiliazione di certo non troppo decorosa per voi.”

 

Sono rossa dalla rabbia, non sono una bambina e non ho bisogno della bambinaia.

 

“Spostati!” le ordino.

 

Dolores è una signora di circa una cinquantina d’anni,grande come un armadio e probabilmente con la forza di un toro,ma il disprezzo che provo in quel momento per tutto e tutti,potrebbero farmi spostare una montagna.

 

Lei si sposta di quel tanto che mi permette di entrare nella cabina armadio,e incomincio a frugare tra i vestiti per cercare uno slip non di pizzo e un paio di jeans,ma niente…il mio sguardo si posa solo tra calze,gonne e scarpe col tacco. E che cazzo!

 

Dolores,per niente intimorita dallo sguardo furente che le rivolgo,mi dice con un sorrisetto sulle labbra:“Mi sono premurata personalmente di togliere dal vostro armadio qualsiasi capo d’abbigliamento che non fosse consono per la serata. Quindi,come dicevo pocanzi,questo è l’intimo e questo il vestito. Mentre voi vi vestite,io cercherò di domarvi quella massa informe di capelli che avete sopra la testa.” 

 

“Ma guarda,cosa c’è in questa casa,la convention mondiale delle stronze?!”le chiedo,con l’acidità al massimo.

Mi guardo in giro per la cabina armadio, e alla fine,mi devo convincere che questa volta non posso vincere la battaglia.

 

Dopo che i miei capelli sono stati “domati”,neanche fossero dei leoni affamati in una gabbia,prendo il perizoma di pizzo e il vestito che mi aveva “consigliato”,o meglio ordinato di mettere Dolores e mi chiudo in bagno per vestirmi.

 

Ora che ho un po’ più di calma,posso anche osservare meglio gli abiti che indosserò.

 

Devo dire che non sono male,anzi,stranamente mi piacciono.

 

Si tratta di una maglietta aderente nera,una mini,ma molto “mini” di jeans e dei sandali a tacco alto.

Fa molto stile dark,proprio come piace a me.

 

E poi,la maglietta farà risultare anche le mie forme,e quel ragazzo là sotto aveva proprio la faccia di uno che voleva essere stuzzicato un po’.

 

Mi trucco velocemente,ed esco dal bagno.

Mi volto verso Dolores,se non approva le stacco la testa a morsi!

 

Lei inclina la testa di lato pensierosa,e alla fine mi sorride.

Ma non con un sorrisetto come quello di prima,no…questa volta,mi sembra sincero,credo…

 

Apre il cassetto degli accessori,ma appena lo fa,inizio a storcere il naso,tutti quegli orecchini,bracciali,collane di oro…non mi fanno sentire a mio agio.

 

Ma poi,sopra il comodino del letto,noto la mia ancora di salvezza,l’unica collana che abbia mai portato in vita mia,quella con il teschio.

 

Sono soddisfatta delle mie scelte, non pensavo che Dolores le potesse approvare.

 

Chissà,forse così potrei anche fare colpo su un proprietario di uno skateboard “Antiz Serie Vampire”! 

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Capitolo 15
*** Déjà vu ***


Eccomi qua,lettori/lettrici!

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

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Questa volta,il capitolo è tutto Pov Evan, e ovviamente vedremo come reagirà il nostro skater nello rincontrare Avril.

Cosa farà? Scopritelo.

Alla prossima :)

 

Pov Evan

Neanche due secondi dopo aver suonato il campanello, sentiamo dei passi molto veloci affrettarsi per venire ad aprire la porta.

Ecco qua, tra poco si scatenerà il mio inferno.

“Pronto, fratellino?”mi chiede dolce Annie. 

Pronto?

Sono pronto?

No. Non lo sono, e mai lo sarò.

Finalmente, la porta in legno straordinariamente lucida, si apre, rivelandoci la signora Judy Mitchell, quella che molto probabilmente credo sia la nostra vicina.

Non so perché, ma mi sembra che abbia un’aria quasi…viscida, e, infatti, questa mia supposizione viene subito confermata da tutti i complimenti e da tutti i sorrisetti falsi che rifila ai miei genitori.

Di lei so soltanto che ha un marito, anche peggio di lei per quanto riguarda atteggiamenti opportunisti, e una figlia, che si è trasferita qui da poco.

Se così sono i genitori, non vorrei neanche immaginare in quale stato si trovi la ragazza.

 

Dopo questi disgustosi convenevoli, vedo la signora Judy girarsi verso un punto che non riesco a scorgere e gridare piuttosto concitata:“Avriiiiil, aspetta tesoro.

Oh beh, almeno non dovrò chiederle il suo nome.

“Signori,posso presentarvi mia figlia Avril? Oggi pomeriggio è andata a correre ed è appena tornata. È una salutista...sapete,le adolescenti capricciose di Los Angeles,no...tutte molto attente alla linea".

Bene, adesso sì che la fortuna è dalla mia parte.

Ci mancava soltanto la figlia perfettina, capricciosa, viziata e salutista dei miei vicini coglioni per stasera.

Ora, la mia serata, può considerarsi perfetta!

“Ma veramente io non ero proprio andata a…" tenta di dire la ragazza,ma viene subito interrotta dalla madre,che le fa le presentazioni dei miei genitori. 

Un attimo però.

Ho una fortissima sensazione di déjà vu, perché io questa voce l’ho già sentita, solo che non mi ricordo dove…

“ ‘Sera.” dice, facendosi avanti per la prima volta verso di noi, e rivelando il volto a cui apparteneva quella voce così familiare.

Ecco perché ti sembrava così familiare,razza di deficiente!

Già, a quanto pare, la figlia perfettina, capricciosa, viziata e salutista dei miei vicini coglioni, è la stessa ragazza che mi ha baciato oggi pomeriggio e che mi ha lasciato leggermente frastornato.

Seh,leggermente…

A giudicare dai suoi occhi fuori dalle orbite e dalle sue guancie completamente in fiamme, anche lei deve avermi notato soltanto adesso. La sua faccia è così buffa,che scoppio a ridere,sghignazzando.

Posso quasi dire di aver visto un lampo di rabbia attraversare quegli occhi azzurro cielo, ma lei non mi da il tempo di controllare, perché scappa via, allontanandosi da me.

Perché l’ha fatto? Si è sentita imbarazzata dalla madre, dalla situazione, o da me?

Ma poi era davvero imbarazzo, o la scintilla che avevo visto nei suoi occhi era scattata davvero in seguito alla mia reazione?

Non so come spiegarlo, ma è come se un improvviso macigno si fosse conficcato nel mio stomaco e non volesse più uscirne.

Mah,passerà…

Dopo qualche minuto in cui la mia mente è stata in giro a farsi dei film mentali degni di un premio oscar, sento Drew che mi da una leggera spallata e mi sussurra:“Sei piuttosto taciturno...”

Roteo gli occhi. Che c’è, uno non può più neanche farsi i cazzi suoi in santa pace?

“Drew, ti voglio bene, ma non farmi incazzare con osservazioni inappropriate.”

“Si inappropriate…tu sei rimasto di merda quando hai visto la ragazza...” Ecco, come non detto.

“Davvero? Beh non me ne sono accorto...” Non voglio assolutamente reggergli il gioco.

“Ah si? Riproviamo allora, guarda un po’ là.” mi dice lui, indicandomi l’ingresso del salone, dove ha fatto la sua comparsa la mia straniera.

No,un attimo,ho detto mia?!

Sorvolando sull’aggettivo possessivo che non centrava un cazzo, sono di nuovo senza parole, due a zero per lei.

Sento mio fratello ridere al mio fianco, aggiungendomi anche una gomitata. Merda.

“Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?” mi dice, inarcando le sopracciglia.

“No grazie,ce l’ho ancora…ma dimmi piuttosto,il tuo cervello che fine ha fatto?” gli rispondo, restituendogli la battuta.

 

Avril è in grande imbarazzo, e tortura, rossa in viso e nervosa, la collana a forma di teschio che porta. Tutti nella sala la stanno fissando, e ovviamente io non rappresento di certo un’eccezione.

Cazzo, quanto è bella! Il mio cervello influenza il mio amichetto laggiù, facendomi fare dei pensieri non del tutto casti.

Cacchio, mi sento un pervertito, ma quella mini di jeans mi sta facendo venir voglia ancora di più di guardarla, i sandali a tacco alto risaltano le gambe lunghe e tornite, e poi quella maglietta aderente mi sta uccidendo.

Già dal pomeriggio sapevo che aveva delle forme perfette, e adesso so come riesce a sfruttarle e ad essere attraente. I miei occhi osservano quei capelli biondi e morbidi che le ricadono sulle spalle e che sono resi ancora più belli dal fatto che sono leggermente bagnati. Poi, le mie pupille vengono letteralmente affascinate da quelle labbra, così rosse e invitanti che…ok, ok, fermo, sono già abbastanza eccitato senza che pensi a cosa farei se appoggiassi le mie labbra sulle sue.


“Scusate il ritardo...” dice sulle scale.

Non posso fare a meno di riflettere sulla sua voce così esitante e appena sussurrata. Non c’è traccia né del sarcasmo né tantomeno del disprezzo che ha usato con me nel pomeriggio, e mi chiedo chi sia la vera Avril e chi invece indossi solo una maschera.

Ci dirigiamo verso la sala da pranzo riccamente decorata, per affrontare la cena. Velocemente, prendo il cartellino con scritto Annie  e lo sostituisco con quello che porta il mio nome, piazzandomi vicino alla mia straniera. 


Voglio proprio stuzzicarla per bene, non voglio essere l’unico eccitato e vorrei tanto avere la sua compagnia nel gioco un po’ perverso che mi è appena venuto in mente.

 

P.S. Ho scritto una song-fic su Nobody’s Home. Se vi va,passate----> http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2028874&i=1

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Capitolo 16
*** Hot! ***


Sssssalve a tutti!

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 Ecco il nuovo capitolo, pronto per essere letto.

Credo che dal titolo si capisca già qualcosa, ma non saltate subito alle conclusioni, mi raccomando u.u

Il mio suggerimento è…prendete un bel ventaglio, e non solo per il caldo ;)

Ci si vede.

 

Pov Evan

 

 

Le presentazioni di tutti i componenti delle rispettive famiglie erano terminate dopo gli antipasti, e sia i padroni di casa che noi stavamo aspettando che le cameriere ci servissero i primi piatti.

 

Non riuscivo a staccare gli occhi da Avril neanche un attimo. La sua postura era assurdamente dritta e rigida, come se si stesse trattenendo dallo scappare da quel tavolo troppo affollato per lei.

Ma se per lei tutto quel chiacchiericcio inutile rappresentava un problema, per me non lo era affatto, anzi, mi permetteva di mettere in atto il mio piano assolutamente e totalmente indisturbato.

 

“Piacere, Evan” le dissi, porgendole la mano e cercando di comportarmi da bravo ragazzo.

 

“Oggi pomeriggio non ci siamo presentati, e mi piacerebbe farlo decentemente”. Mi passai una mano fra i capelli biondi e le feci uno di quei miei sorrisi abbaglianti.

 

Nonostante lo sforzo che stessi facendo, cercando di essere gentile, non si sciolse più di tanto, e mi liquidò con un gelido “Avril”.

 

Mmh…così non avrei mai potuto fare colpo, se ne stava troppo sulle sue. Decisi di passare alla fase successiva, il comportamento da “ragazzo imbranato”.

Di solito le ragazze lo trovavano dolce, e funzionava per rimorchiare.

 

Così, mi ripassai la mano fra i capelli e con il tono più imbarazzato che riuscii a fare, sussurrai:”Si, questo l’avevo capito”.

 

Niente. Nessun effetto.

 

“Beh,allora…che ne dici di…”incominciai a chiederle cosa ne pensasse della cena, ma mi interruppe.

 

“Senti, Ethan…”

 

“Evan…”la corressi, ostentando indifferenza. In realtà, ero dispiaciuto del fatto che avesse sbagliato il mio nome, nonostante gliel’avessi detto appena che cinque secondi fa.

 

“Si, come ti pare…ascolta, non so che idea tu ti sia fatto di me, ma non potrò mai essere il tuo tipo di ragazza, perciò non sforzarti di parlarmi di cose inutili,ok?”

 

Ecco, era ritornata la stronza acidella del pomeriggio. Sentii come una fitta allo stomaco appena disse quelle parole, ma non ci badai e continuai con il mio piano.

 

“Sentiamo, lei si è fatta qualche idea su di me,signorina?”

 

Lei si ravvivò i capelli biondo cenere, che sotto la luce del lampadario sembravano brillare di luce propria, e, con fare fintamente pensieroso, passandosi un dito sulle labbra – quanto avrei dato per essere al posto di quel dito…– mi disse:”Vediamo, le parole Classico-Stronzo-Puttaniere le dicono qualcosa, signore?”

 

Mi piaceva quel nostro modo di punzecchiarci a vicenda, forse più del lecito.

 

Intensificai lo sguardo e puntai i miei occhi azzurri dritti nei suoi. “Scommettiamo che cadrai ai miei piedi?”

 

“Scommettiamo invece di no?” mi disse, rivolgendomi un’occhiata che era tutt’altro che amichevole.

 

Mi scorsi per prendere il cestino di pane vicino a lei, ma all’ultimo deviai la mia traiettoria, e sorridendole beffardo, le sussurrai all’orecchio:”Beh, non dire poi che non ti avevo avvertita”

 

Lei mi guardò, completamente ignara di quello che avevo in mente di fare, ma non ebbe nemmeno il tempo di pronunciare una parola,che le mie mani incominciarono a toccarle quelle gambe magre e toniche da sotto il tavolo.

 

Vedo la sua bocca aprirsi per il mio gesto inaspettato e i suoi occhi fuori dalle orbite. Di certo non se l’aspettava, ma non mi aveva ancora tirato uno schiaffo, quindi potevo, ma soprattutto volevo, continuare.

 

Risalii pian piano verso le sua ginocchia e disegnai dei ghirigori immaginari con il pollice.

Dal canto suo, lei era completamente ferma, la sua bocca si apriva più per incanalare l’aria necessaria a sopportare quel gesto, che non per la sorpresa. Che strano, non potevo essere sicuro che quel mio gesto le stesse piacendo, in fondo, ma ormai la mia lucidità era completamente andata.

 

Sollevai la gonna di jeans che portava, e vidi i suoi occhi color cielo farsi lucidi per l’eccitazione.

Ma allora le stava piacendo!

 

Continuai la mia risalita, e potei quasi sentire il leggero tessuto dei suoi slip se solo…se solo i camerieri non avessero deciso di portarci i primi proprio in quel momento. E che cazzo!

 

Ritirai velocemente la mano e abbassai il mio sguardo su ciò che avevo nel piatto, non che mi interessasse davvero.

 

Io e Avril mangiammo in silenzio e i miei occhi, con mio grande dispiacere, non incrociarono più quelle grandi e meravigliose pupille da cui ero affascinato.

 

Non prestai molta attenzione a quello che la madre stava blaterando, ma immaginavo che volesse presentare sua figlia a noi ragazzi in modo tale che conoscesse già qualcuno durante il suo primo giorno di scuola.

 

Vedevo la mia stella storcere impercettibilmente il suo piccolo nasino, molto probabilmente irritata per quello che la madre stesse raccontando.

 

La signora Mitchell continuava a parlare senza sosta di quando Avril fosse piccola, senza neanche notare l’imbarazzo di sua figlia, che, con il viso in fiamme, cercava protezione tra i suoi capelli biondi incredibilmente lucenti.

 

Odiavo ammetterlo, ma con quel rossore di imbarazzo era ancora più bella…ma, nonostante questo, non volevo che le guance le si tingessero di rosso, non volevo che si vergognasse per dei ridicoli e stupidi ricordi d’infanzia che non avevano alcun significato.

 

Decisi di prenderle la mano per infonderle coraggio, ma lei mi spiazzò totalmente.

Allontanò la sua mano come se fosse scottata, e, rivolgendomi uno sguardo di puro odio, chiuse la mano stretta a pugno, portandola sul fianco.

 

S’irrigidì completamente e io non osai guardarla di nuovo.

Ma aveva capito male, io volevo solo aiutarla, farle sapere che c’ero, non continuare il “discorso” di prima!

Anche se…

IDIOTA, CRETINO, DEFICIENTE!

 

L’imbarazzo, per fortuna, venne spezzato dalle cameriere, che ci annunciarono che avrebbero servito il sorbetto al limone, un classico, vicino alla piscina privata della famiglia.

 

Per farmi perdonare del gesto avventato di poco fa, mi alzai prima di Avril e le scostai la sedia, pensando di fare un gesto gradito.

Ancora una volta, mi sorprese, ma non come aveva fatto prima.

Si alzò sulle punte, mi diede un leggerissimo bacio sulla guancia e mi sussurrò in un mormorio appena flebile “Grazie”.

 

Quello che provai in quel momento, ero sicuro di non averlo mai provato prima di allora.

Una potente scarica elettrica mi attraversò, facendomi sentire i brividi e accelerando i battiti del mio cuore.

Ma,di una cosa ero certo, anche lei l’aveva sentita, forte com’era stata.

 

Ci dirigemmo tutti nell’ampio giardino, dove era stato imbandito un grande tavolo rettangolare a bordo piscina.

Le fiaccole a bordo piscina illuminavano l’acqua, creando dei giochi di luce sulla sua superficie perfettamente liscia.

 

Io e la mia stella – ho deciso che la avrei chiamata sempre così da quel momento,ma avevo un paio di dubbi sulla veridicità del possessivo - eravamo stati divisi dalle mie sorelle, Char ed Annie, che me l’avevano rubata.

 

Non perdevo di vista nessuno dei suoi movimenti e non facevo altro che sentirmi una specie di maniaco o di pervertito.

 

Poi, la vidi avvicinarsi a sua madre e spostarsi verso la piscina, lontano da tutti, perché stavano litigando.

 

Prima di iniziare la discussione con la madre, i nostri occhi si incrociarono di nuovo, e sentii ancora quella scossa di qualche minuto prima.

 

Ora ne ero certo, non avrei mai raggiunto il giorno dopo.

No, sarei morto prima!

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Capitolo 17
*** Ssh, shut up... ***


Buonasera a tutti!

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        Allora, che ne dite del nuovo banner? Vi piace, o vi fa schifo?

        Spero di più la prima, ma ditemelo se non vi piace, eh.

        Buona lettura!

 

Pov Avril


La serata stava prendendo una brutta piega, una brutta, bruttissima e orribile piega.

Non solo tra i miei nuovi vicini c’era lui, ma mi stava anche facendo impazzire con quel suo stupido giochetto.

E che giochetto…

 

All’inizio, tra provocazioni e punzecchiamenti vari, non avevo capito dove volesse andare a parare, ma quando avevo sentito la sua mano che mi sfiorava le gambe, beh…non ci avevo capito più nulla.

 

Da una parte – quella più irrazionale, s’intende – volevo che continuasse quel gioco perverso che aveva iniziato, anche di fronte a mia madre, se fosse stato necessario.

 

Ma per fortuna, quel briciolo di parte razionale che mi era rimasta, mi aveva praticamente urlato di farlo smettere, per tre semplici ma fondamentali ragioni.

 

Primo, se mia madre ci avesse scoperti, mi avrebbe sicuramente spedito in quel convento in cui tanto desiderava che andassi. Non che fosse più tragico che essere bloccata qui, ma sarebbe stato meglio evitare complicazioni.

 

Secondo, se i suoi fratelli ci avessero beccato, avrebbero lodato lui per aver confermato quell’aura da “Cazzone-non-mi-perdo-una-scopata”, e avrebbero denigrato me per essere caduta così facilmente nella sua trappola.

 

Per ultimo, ma non meno importante, avrei tanto voluto che si fermasse per riprendere il controllo del mio corpo, e per spiaccicargli quella faccetta da stronzo che si ritrovava.

Sante cameriere che ci avevano interrotto!

 

Ma la serata, ovviamente, non poteva migliorare dopo il nostro piccolo “siparietto”. No, troppo semplice!

Ed era allora che Judy aveva perso una buonissima, anzi, ottima occasione per stare zitta, e aveva raccontato cose imbarazzanti su di me.

 

Tra l’altro, sospettavo che la metà delle cose di cui abbia blaterato, se le fosse totalmente inventate, perché la maggior parte parlavano di episodi spiacevolissimi, per la mia autostima, ovviamente, di quando ero ancora piccola, e non mi sembrava che lei fosse stata tanto presente durante la mia infanzia.

 

Ero talmente persa nei miei sproloqui mentali, da non accorgermi che lo stavo ancora fissando negli occhi.

 

I nostri sguardi si incrociarono per un breve secondo, prima che Judy interrompesse quella nostra bolla privata e mi chiedesse cosa non andasse.

 

“Devo parlarti.” le dissi rudemente.

 

“Non puoi farlo più tardi?” mi chiese, sorridendo falsamente agli ospiti, per non dare l’impressione che stessimo litigando.

 

Perché quando avevo l’impressione che per Judy ci potesse essere un cambiamento positivo, lei distruggeva tutte le mie speranze e si comportava peggio di una stronza in menopausa?!

 

Beh, stronza era stronza, chissà se…

 

“No, lo devo fare ora”

 

Sospirò sonoramente, e prendendomi per un braccio per scostarmi dal resto degli invitati, mi chiese brusca:”Insomma, si può sapere che diavolo ti prende?”

 

Mi liberai malamente dalla presa, e quasi le gridai in faccia. “Me ne vado a letto, Judy.”

“COSA?” urlò, commettendo il più banale degli errori. Anche lei, per quanto stupida fosse, se ne accorse, e fece un altro sorrisino di circostanza, come a voler minimizzare la cosa.

 

“Allora?” mi chiese, a bassa voce stavolta.

 

“Oh andiamo, non fare finta di essere più stupida di quanto tu già non sia! Dì che sono stanca, o che non mi sento bene, l’importante è che ti inventi una scusa, perché rischio di sfondare qualche specchio in giro se rimango ancora qui!”


Oh-oh, vidi la vena pulsarle sulla fronte.

“Cosa credi di fare tu?! Sei stata tutto il giorno in giro e adesso, adesso che ho ospiti, mi dici che sei stanca? No, troppo facile così, tu resti fino alla fine!” disse andandosene, come se il discorso fosse definitivamente chiuso.

 

Ah, se potessi qualche specchio lo romperei davvero!

 

“Tutto ok?” mi chiese una voce da dietro le spalle.

Perfetto, ecco la mia ciliegina sulla torta, i fuochi d’artificio che mi avrebbero permesso di chiudere nella merda questa ancora più merdosa serata.

 

“Certo, tutto perfetto. Come sempre, una meraviglia.”

 

Lui ridacchiò e con fare divertito mi chiese:”Sbaglio, o siamo un po’ nervosette?”

 

“Ah, e io che perdo anche il mio tempo con te!” dissi, dandogli le spalle e incominciando a raggiungere il gazebo, isolato da tutti.

“Aspetta!” mi disse raggiungendomi e cercando di afferrarmi per un braccio.

 

Lo scostai malamente e continuai a camminare, sempre più nervosa e agitata.

Volevo andarmene da quella situazione il più in fretta possibile, e magari non rivedere Evan per i prossimi dieci anni. O secoli…

 

“Ehi fermati, ti prego.” mi disse ancora, non dandosi per vinto, e riuscendo a raggiungermi per la seconda volta.

 

Inaspettatamente, mi circondò con le sue braccia e mi spinse accanto al muro coperto dal gazebo.

 

Merda, ora ero bloccata tra la parete e i suoi occhi disarmanti.

 

“Che cazzo vuoi fare?” gli chiesi, cercando di allontanarlo ulteriormente, ma senza successo.

 

Non mi riconoscevo più. Ero completamente inerme, intimorita, spiazzata, davanti a lui. La mia maschera da falsa dura non lo avevano scalfito nemmeno un po’, e non volevo assolutamente che il suo sguardo facesse breccia nel mio muro difensivo che mi ero creata.

 

“Io…non voglio farti niente…niente che tu non voglia” mi confessò.

 

“Quello che voglio io sono cazzi miei! E adesso lasciami” gridai.

 

“Ssh, sta’ zitta…” mi sussurrò appena, in una maniera che non riuscì a vedere come minacciosa.

 

Bloccò ogni mia possibile ribellione, avvicinò piano il suo viso al mio, chiuse gli occhi e appoggiò le sue labbra sulle mie.

 

Era un bacio intenso, dolce e delicato.

Sentivo le sue labbra che soffici e leggere succhiavano le mie, piano, come se avesse paura di farmi male.

 

Io, invece, ero completamente ferma, rigida e immobile.

Volevo ricambiare il suo bacio, ma me ne stavo lì, bloccata e con le braccia lungo i fianchi.

 

Poi, proprio quando stavo pensando di lasciarmi andare, lui fermò quel meraviglioso contatto, allontanò le sue labbra dalle mie e mi sussurrò un flebile “scusa”, prima di abbassare gli occhi e di andarsene con la testa bassa e le spalle ricurve.

 

Ritrovai la lucidità che mi era mancata, e senza dire una parola me ne tornai dagli altri.
Ero completamente frastornata dalle sensazioni che lui e quel bacio mi stavano provocando, persa nel ricordo delle sue labbra sulle mie e di come mi accarezzavano con una gentilezza disarmante.

 

Avevo paura, molta paura, per le emozioni che sentivo dentro.

Riuscivo a distinguere però, che la mia paura non era dovuta al fatto che ci potessero scoprire, o al fatto che lui potesse pretendere di più da me dopo quel contatto.

No.

 

Avevo paura, perché semplicemente volevo che quel bacio continuasse.

Volevo che le sue labbra tornassero a sfiorare le mie, che le nostre fronti si toccassero e che i nostri sguardi si perdessero l’uno nell’altro.

E tutto ciò era…sbagliato.

 

La mia mente, per fortuna, riesce a captare che la seconda portata stava per essere servita da Dolores, che mi squadrò con uno sguardo indagatore che non mi piacque affatto.

 

Scattai in piedi, percorsa dalla consapevolezza di non riuscire più a ragionare coerentemente.

Molto meglio scappare, che rimanere ad affrontare una situazione a dir poco complicata.

 

Vidi l’occhiata che mi riservò Judy, a dir poco furente.
“Scusate... non mi sento molto bene, credo proprio che andrò a riposarmi. Buona continuazione.”

 

Così, scappai per la seconda volta in una sera dal suo sguardo, dai suoi occhi che mi fissavano perplessi e pieni di rimorso, come se il problema fosse stato lui e non io.

 

Sentii il sangue fluire velocemente sulle mie guance per l’intensità del suo sguardo.

Mi allontanai il più in fretta possibile, senza correre, con una tranquillità che in quel momento non mi apparteneva affatto.

 

Arrivata in camera, mi lasciai cadere sul mio letto, esausta e totalmente confusa.

Mi toccai con le dita più volte le labbra, prima di cadere in uno stato di incoscienza popolato da occhi azzurri e capelli biondi.

 

 

P.S. Gironzolando un po’ su internet, ho trovato un video su Evan e Avril, che mi ha fatto lanciare le peggiori imprecazioni, ma comunque…

Diciamo che Evan vorrebbe fare una certa cosa, ma Avril non gliel’ ha lasciato fare, ecco.

Non voglio anticiparvi niente, ma se non avete mai visto questo video, fatelo!---> Video Evan e Avril

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Capitolo 18
*** The new president of the United States of America ***


Eilà, salve a tutti!

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Ok, buona lettura con questo nuovo capitolo, tutto Pov Evan.

Alla prossima!

 

Pov Evan

 

Se prima la serata era stata accettabile, adesso era decisamente orribile.

Non ci voleva di certo un genio, per capire cos'era che facesse la differenza.

 

Lei, che mi aveva baciato e mi aveva morso il labbro, scappando.

Lei, che si era prestata al mio giochetto perverso, che a quanto avevo capito, le era anche piaciuto.

Lei, che dopo il nostro ultimo bacio, era corsa via. Di nuovo.

 

Maledizione, se solo ci penso...non mi era mai capitato di essere rifiutato in maniera così decisa da una ragazza.

 

Chissà, forse i genitori, per quanto stupidi fossero, non volevano che si fidanzasse con qualcuno.

O, forse, non le piacevo io. In fin dei conti, l'aveva detto chiaro e tondo quello che pensava di me, e in un certo senso, non potevo darle torto.

Poi, con il giochino e con il bacio sotto il gazebo, non avevo di certo migliorato la mia reputazione.

Avevo capito che non voleva quel bacio quanto lo volessi io.

L'avevo presa in contropiede, si era irrigidita, e tanti bei saluti al bacio romantico.

Non mi voleva, era chiaro.

Ma allora...perchè avevo visto quel luccichio di eccitazione nei suoi occhi, quando avevo quasi sfiorato i suoi slip con la mia mano?

No, tutto ciò non tornava.

 

"Ehi Evan, ci sei?" mi chiese Annie, sventolandomi una mano vicino alla faccia.

 

"Cosa? Oh si, certo."

 

"Mmh...dai, spara"

 

"Cosa dovrei sparare?"le chiesi stralunato.

 

"Oh andiamo, ti conosco come le mie tasche"

 

"E...?" Non sapevo dove volesse andare a parare.

 

"Quando fai quell'espressione, vuol dire che ti preoccupa qualcosa, e vorresti avere qualcuno con cui parlarne. Perciò, spara." mi disse, alzando gli occhi.

 

"Beh ecco, si. Qualcosa,in effetti c'è" dissi, pensieroso.

Inarcò le sopracciglia, come a volermi invitare ad andare avanti.

 

"Allora...diciamo che, ci sono due persone. Un ragazzo e una ragazza."

 

"Ok" Incrociò le braccia.

 

"Ecco, il ragazzo...è uno che ci sa molto fare con le donne...ma nonostante tutto, non scalfisce nemmeno un po’ il guscio della ragazza. Perchè non ci riesco...non ci riesce?" finii, sperando che non si fosse accorta del mio errore.

 

"Oh beh, le cause possono essere molte. Può darsi che a questa ragazza non piaccia lui, o che non voglia storie serie, o che abbia un ragazzo..." disse, iniziando a parlare a macchinetta.

 

L'ultima frase mi colpì. "Un ragazzo?" chiesi.

 

Si alterò improvvisamente. "Non è che il mondo gira intorno a te, sai. Lei si è trasferita da poco qui, quindi può essere che prima avesse un ragazzo con cui..." disse con una scrollata di spalle, ma la fermai.

 

"A...aspetta...io non....non stavo parlando di me e...." Non ebbi il coraggio di finire la frase.

 

"Certo, e io sono il nuovo presidente degli Stati Uniti" mi disse, dandomi un pizzicotto sulla guancia.

 

"Grazie...Annie" sussurrai.

 

"Quando vuoi" rispose con un sorrisino angelico, e se ne andò.

 

Mmh, un ragazzo.

Beh, riflettendoci, poteva essere, anzi, era molto probabile che una ragazza come lei già lo avesse.

A questo pensiero, sentii uno strano prurito alle mani e una fitta allo stomaco mi percorse.

Non capii subito cosa fosse. Forse, era il gelato.

 

Per distrarmi, conversai con i miei fratelli e con la madre di Avril, Judy, scoprendo che, per mia fortuna o sfortuna - dovevo ancora decidere - io e la mia stella saremmo andati nella stessa scuola, durante l'anno scolastico.

 

Ma, con mia grande rabbia, il pensiero che lei potesse avere un ragazzo, non mi abbandonava.

Era diventato un pensiero fisso, come un rubinetto che perde, impossibile da riparare o ignorare.

Plic. Plic Plic. Fidanzata. Fidanzata. Fidanzata.

 

Basta, avevo deciso.

Sarei andato direttamente da lei a chiederglielo, così mi sarei tolto il pensiero una volta per tutte.

 

Mi alzai deciso, e chiesi gentilmente alla signora Mitchell dove fosse il bagno, e scappai da quell’inferno, pronto invece per quello personale.

 

Non sapendo dove fosse la sua camera, fermai la cameriera e le feci un po’ di moine, tanto per estorcerle l’informazione.

 

“Oh…s-si, ecco, salga le scale, prenda il corridoio a…a sinistra, salga ancora e…l’ultima porta in fondo, si…” disse, fissando il mio sorriso.

 

Non ringraziai neanche, e mi diressi verso la direzione indicata dalla cameriera.

Poverina, forse si stava ancora riprendendo…

 

Presi un bel respiro, e aprii la porta della camera.

 

La vidi sdraiata sul letto girata sul fianco destro, con le gambe a penzoloni che sporgevano oltre il bordo e le mani sotto la testa, a formare una specie di cuscino.

Aveva gli occhi chiusi e i capelli biondi scompigliati sparsi sul cuscino.

Non potei fare a meno di pensare a quanto fosse bella.

 

“Posso?” le chiesi, dolcemente.

Al suono della mia voce si alza di scatto dal letto, rischiando di cadere a causa dei tacchi, e così per evitare lividi e sbucciature varie, l’afferro al volo, stringendola a me.

 

“Potevi semplicemente dire di si, senza rischiare la vita” dissi, ridacchiando.

 

“Bene, ora che mi hai preso in giro, te ne puoi anche andare!” disse, liberandosi dalla mia presa.

 

“Oh…va bene, io ero solo venuto a vedere come stavi…” e a togliermi giusto uno o due milioni di dubbi…”ma, se non gradisci la mia compagnia, me ne vado, non preoccuparti” le dico, facendo per andarmene.

 

“No….”

 

“No, cosa?” Mi girai.

 

“Non voglio che te ne vai, è solo che…quella stupida cena mi ha fatto un po’ saltare i nervi…”

Oh, perfetto, adesso la colpa è mia! Che stupido!

 

“No, non fraintendermi, non eri tu il problema…sai, mia madre, Phil, questi vestiti, la villa…non è facile, per me” concluse, abbassando lo sguardo.

 

“Ehi, ti va di parlarne?” le chiesi, alzandole il mento con un dito.

 

“S-si…” Arrossì di colpo, e io ritirai la mano. “Beh ecco…io, io non vivevo nel lusso che c’è qui. Non è esattamente il mio mondo, questo” disse, sorridendo all’ultima frase.

 

“So che vivevi nell’Ontario”

 

“Si, era una piccola città, meno di 16.000 abitanti…ci conoscevamo tutti.”

 

“E vivevi lì con tuo padre?” chiesi serio.

 

Lei s’irrigidì per un momento, ma poi mi rispose. “Si, in realtà lui è ancora lì, credo…” Abbassò ancora lo sguardo, e vidi qualcosa di luccicante scendere sulle sue guance.

 

Alle lacrime, si unirono poi anche alcuni singhiozzi trattenuti.

 

“Ti manca molto, vero?”le chiesi, comprensivo.

 

Lei annuì, e scacciò via le lacrime dal suo viso.

 

“Beh, vedila così, qui ci sono decisamente molte più piste per andare con lo skate. Ho visto il tuo, oggi pomeriggio”.

 

Non so come, ma riuscii a farla ridere. “Giusto, e io ho visto il tuo”

 

“Giusto” le risposi, facendole l’occhiolino.

 

Le guance le s’inondarono ancora di quel dolce rossore, e decisi che era il momento di agire.

 

“Ma…oltre a tuo padre, ecco…” cercai di dirle.

 

“Che vuoi sapere?”

 

“Si, insomma, come dire…”

 

“Non ci credo, Evan Taubenfeld imbarazzato, questo sì che è un giorno da ricordare” disse, ridendo.

Perfetto, ora sì che la parte da imbranato funzionava…

 

Presi un respiro profondo, e dissi tutto di un fiato “Avevi un fidanzato?”

 

Lei era completamente rigida, con lo sguardo dritto e fisso su di me.

 

Improvvisamente, squillò un cellulare, ma lei era ancora persa nei suoi pensieri.

 

“Ehm, Avril? Il cellulare” le dissi, con un piccolo scossone.

 

“C…cosa?”

 

“Il cellulare. Ti sta squillando” dissi tranquillo.

 

“Oh…” disse, e si alzò in fretta e furia per prenderlo.

 

Appena vide il numero sul display, i suoi occhi si illuminarono di nuovo, e un sorriso le si dipinse sulle labbra.

Chiunque fosse, ero già invidioso di lui, perché era riuscito a farle rispuntare il sorriso, cosa che io non avevo fatto.

“Ehi ciao…è da una vita che non ci si sente. Si, dovresti vedere in che posto mi sono trasferita, un manicomio praticamente!”

 

Continuò così per almeno dieci minuti, tempo in cui io mi stavo scervellando tra tre domande.

Primo, chi era il misterioso interlocutore al telefono?

 

Secondo, in che rapporti era con Avril, visto che l’aveva fatta sorridere soltanto guardando il suo numero?

 

Terzo, aveva o no un fidanzato?

 

Cazzo, cazzo, cazzo!

Stavo per perdere la pazienza, e stavo quasi per dirle che me ne sarei andato per non disturbarla ulteriormente, quando una frase catturò la mia attenzione.

 

“Si, mi manchi anche tu, e non sai quanto!” Sospirò “Si, mi rende la vita molto difficile, non sono neanche libera di chiamarti quando mi pare e piace!” Sbuffò “Si, anche tu sei sempre nei miei pensieri, come sempre. Va bene, non vedo l’ora di risentirti. Chiamami presto. Ciao” disse, e chiuse la chiamata.

 

D’improvviso, tutto si fece chiaro nella mia mente.

Il morso sul labbro, la corsa sullo skateboard, la sua antipatia iniziale nei miei confronti, il bacio che non aveva ricambiato e il suo tentennamento a dire se fosse fidanzata o no.

Adesso, tutto aveva un senso.

 

“Scusa, era…” disse, ma io la anticipai. Non volevo più starla a sentire.

 

“Si, so benissimo chi era. Non preoccuparti, risparmia le solite cazzate, non serve” dissi, scuotendo  la testa e uscendo.

 

Poi, sentii tre rumori distinti, susseguirsi.

 

La porta, che sbatteva violenta.

Un bicchiere, che s’infrangeva contro di essa.

I miei passi, che silenziosi e veloci, scendevano le scale, e desideravano di non aver mai messo piede nella sua stupida camera.

 

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Capitolo 19
*** My World ***


Salve gente! ;)

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Ok, buona lettura con questo nuovo capitolo, metà Pov Avril e metà Pov Evan.

Al prossimo capitolo.

 

Pov Avril

 

Evan uscì dalla mia stanza sbattendo la porta con forza, probabilmente attirando l'attenzione degli invitati al piano di sotto.

 

Che razza di coglione....

Ma chi cazzo si credeva di essere?!

 

Uno stronzo, ecco cos'era. Un grandissimo stronzo pieno di sé, che l'attimo prima mi trattava con una dolcezza disarmante, e l'attimo dopo mi trattava come se fossi una merda da schiacciare con le sue fottutissime scarpe firmate.

 

Per la rabbia, presi il primo oggetto che mi fu a tiro, un bicchiere di vetro pieno d'acqua, e lo scagliai contro la porta dalla quale era uscito.

Il bicchiere fece un rumore assordante, rompendosi in mille pezzi e macchiando il legno della porta con un alone scuro.

 

"Fanculo..." gridai e mi distesi ancora sul letto, a gambe incrociate.

 

Non capivo affatto il suo comportamento. Proprio per niente.

Qual'era il problema, il principino doveva controllare la sua agenda fitta di impegni, e non poteva trattenersi oltre?

Gli appuntamenti del granduca reale non potevano essere posticipati di qualche minuto per una telefonata, che aspettavo dal momento in cui avevo messo piede in questa casa infernale?

 

No, troppo semplice per lui fare la parte del bravo ragazzo e aspettare che la telefonata con mio padre finisse, certo...

La sua reputazione ne avrebbe sicuramente risentito.

 

"Fanculo un'altra volta" dissi, stendendomi su un fianco e aspettando che il sonno mi prendesse.

 

Nella stanza regnava il silenzio più totale. Almeno a Napanee ci sarebbero state le zanzare o le mosche a farmi compagnia con i loro ronzii...qui invece, niente, nulla, soltanto i fastidiosi ticchettii dell'orologio, e i miei respiri che si susseguivano agitati mentre mi rigiravo tra le coperte.

 

Tic. Tac. Tic. Tac. Tic. Tac.

 

E no, basta!

Così avrei sfiorato la pazzia....sempre che non si fosse già fatta strada dentro di me.

Se il sonno non si voleva decidere a farmi visita, che se ne andasse a quel paese. Lui, e un ragazzo biondo di mia conoscenza.

 

Accesi il lume vicino al letto, e con grande cautela, mi avvicinai all'angolino che conteneva l'oggetto che mi era più caro al mondo, dopo il mio skate.

Presi la custodia del mio strumento, la aprii e ne estrassi la chitarra, poggiandola poi sulle mie gambe.

Ne accarezzai il manico lucido, la cassa, per poi passare alle corde, alle quali dedicai più tempo.

 

La accordai per bene, e feci un paio di accordi a vuoto, per calmarmi.

Di solito funzionava, ma quella sera no.

Non riuscivo a non pensare all'irritazione che covavo per Evan, per non essere in grado di capire cosa diavolo gli fosse passato per la mente.

Non riuscivo a non pensare alla telefonata, a mio padre, che cucinando da solo, per fortuna non era ancora morto di intossicazione alimentare.

Non riuscivo a non pensare a Napanee e alle persone che avevo lasciato, alle quali, a detta di mio padre, mancavo molto.

 

In particolare, il mio cervello riesumò un ricordo, che credevo essere spazzato via dal tempo. Apparteneva ad un'altra vita, ad un altro tempo, un tempo in cui credevo di essere felice. Una sera d'estate, in cui fui accompagnata da mio padre dai miei vicini di casa, i Carter, perchè volevo provare a "essere indipendente" e a "guadagnare il pane con il sudore della fronte", come diceva di fare lui.

 

Ovviamente, non potevo andare in giro ad interrogare e arrestare le persone, ma mi limitai ad un lavoro più consono per una bambina di 11 anni, tagliare l'erba del giardino dei miei vicini.

Nella foga di iniziare il lavoro, il signor Carter non mi spiegò come si frenava con il tosaerba su cui ero salita, e così andai a sbattere contro il muretto che divideva la loro casa dalla nostra.

Io, per fortuna, non mi feci niente. Il giardino del signor Carter, invece...

 

Sorrisi al ricordo. Era bello scoprire di ricordare ancora qualcosa della propria infanzia.

Le dita iniziarono a cercare degli accordi che si stavano formando nella mia mente.

Mmh...mi piaceva come suonava.

Continuai, sentendomi sempre meglio man mano che gli accordi risuonavano nel silenzio avvolgente della stanza.

Piano piano, incominciai ad associare delle parole, che divennero così frasi, e poi versi. Versi che rappresentavano...il mio mondo.

    Please tell me what is takin' place,
‘Cause I can't seem to find a trace,
Guess it must have got erased somehow,
Prabablly because I always forget,
Everytime someone tells me their name,
It's always gotta be the same.
(In my World)
Never wore cover-up,
Always beat the boys up,
Grew up in a five thousand population town,
Made my money by cutting grass,
Got fired by fried chicken ass,
All in a small town, Napanee.

You know I always stay up without sleepin',
And think to myself,
Where do I belong forever,
In whose arms, the time and place?

Can't help if I space in a daze,
My eyes tune out the other way,
I may switch off and go in a daydream,
In this head my thoughts are deep,
But sometimes I can't even speak,
Will someone be and not pretend? I'm off again in my World

I never spend less than an hour,
Washin' my hair in the shower,
It always takes five hours to make it straight,
So I'll braid it in a zillion braids,
Though it may take a friggin' day,
There's nothin' else better to do anyway.

When you're all alone in the lands of forever,
Lay under the milky way,
On and on it's getting too late out,
I'm not in love this time this night.

Can't help if I space in a daze,
My eyes tune out the other way,
I may switch off and go in a daydream,
In this head my thoughts are deep,
But sometimes I can't even speak,
Will someone be and not pretend? I'm off again in my World

la la la la

Take some time,
Mellow out,
Party up,
I don't fall down,
Don't get caught,
Sneak out of the house.

Can't help if I space in a daze,
My eyes tune out the other way,
I may switch off and go in a daydream,
In this head my thoughts are deep,
But sometimes I can't even speak,
Will someone be and not pretend? I'm off again in my World

Can't help if I space in a daze,
My eyes tune out the other way,
I may switch off and go in a daydream,
In this head my thoughts are deep,
But sometimes I can't even speak,
Will someone be and not pretend?
I'm off again in my World

 

Per favore ditemi cosa sta accadendo, 
Perché sembra che non riesca a capire nulla 
Credo sia stato cancellato in qualche modo 
Probabilmente perché dimentico sempre 
Ogni volta che qualcuno mi dice il suo nome 
Sarà sempre lo stesso. 
(Nel mio mondo) 
Non mi sono mai truccata tanto 
Ho sempre picchiato i ragazzi 
Sono cresciuta in una cittadina di 5000 persone 
Ho fatto i soldi tagliando l'erba 
Sono stata licenziata da un culo di pollo fritto 
Il tutto in una piccola cittadina, Napanee. 

Sai che sto sempre sveglia 
E penso 
A quale posto apparterrò per sempre 
In quali braccia, l'ora e il luogo? 

Non posso fare a meno di fantasticare 
I miei occhi sono sintonizzati su un altro mondo 
Potrei spegnermi e entrare in un sogno ad occhi aperti 
In questa testa i miei pensieri sono profondi 
Ma a volte non riesco nemmeno a parlare 
Qualcuno vuol essere se stesso e non fingere? 
Sono di nuovo spenta, nel mio mondo 

Non passo meno di un'ora 
Sotto la doccia a lavarmi i capelli 
Ci vogliono sempre cinque ore per stirarli 
Allora li intreccio in un miliardo di treccine 
Sebbene ci voglia un fottuto giorno 
Non c'é comunque nient'altro di meglio da fare 

Quando sei tutto solo nelle terre eterne 
Mettiti sotto la via lattea 
Piano piano si fa tardi 
Non sono innamorata questa volta, questa notte

Non posso fare a meno di fantasticare 
I miei occhi sono sintonizzati su un altro mondo 
Potrei spegnermi e entrare in un sogno ad occhi aperti 
In questa testa i miei pensieri sono profondi 
Ma a volte non riesco nemmeno a parlare 
Qualcuno vuol essere se stesso e non fingere? 
Sono di nuovo spenta, nel mio mondo 

La la la la 

Prendi tempo 
Addolcisciti 
Festeggia 
Non cederò 
Non farti afferrare, 
Sgattaiola via dalla casa 

Non posso fare a meno di fantasticare 
I miei occhi sono sintonizzati su un altro mondo 
Potrei spegnermi e entrare in un sogno ad occhi aperti 
In questa testa i miei pensieri sono profondi 
Ma a volte non riesco nemmeno a parlare 
Qualcuno vuol essere se stesso e non fingere? 
Sono di nuovo spenta, nel mio mondo 

Non posso fare a meno di fantasticare 
I miei occhi sono sintonizzati su un altro mondo 
Potrei spegnermi e entrare in un sogno ad occhi aperti 
In questa testa i miei pensieri sono profondi 
Ma a volte non riesco nemmeno a parlare 
Qualcuno vuol essere se stesso e non fingere? 
Sono di nuovo spenta, nel mio mondo 

 

E fu così, che tra ricordi e note appena accennate, il sonno mi divenne amico e mi addormentai.

 

Pov Evan

 

 

Dopo essere uscito dalla camera di Avril, ero arrivato appena in tempo in giardino per andare via con la mia famiglia.

 

"Oh, guarda un po' chi si rivede..." mi sussurrò Annie, sorridendo sarcastica.

 

"Annie...per favore, non è il momento adatto adesso" dissi a denti stretti.

 

Lei stava per ribattere, ma per fortuna fui salvato in calcio d'angolo dalla signora Mitchell, che mi trascinò via da mia sorella.

 

"Oh Evan, sei stato dalla mia Avril, vero? Come sta la mia bambina?" mi chiese.

 

Ovviamente, sapeva meglio di me che "la sua bambina" non aveva proprio un bel niente e che era solo una scusa per allontanarsi dalla cena.

Credevo che avessero litigato per questo, ma preferii non dirle niente e stare al gioco.

 

Le feci un sorriso smagliante, e nel mio tono da "educato" le dissi:"Non si preoccupi, signora Mitchell. Sua figlia ha solo un po' di mal di testa, ma credo che con un po' di riposo le passerà tutto, stia tranquilla."

Bene, la laura in medicina per il miglior medico di Los Angeles e dintorni, fu assegnata a...Evan Taubenfeld!

 

Lei annuì con fare fintamente preoccupato, e si girò per poi dirigersi verso suo marito.

I saluti, alla fine della serata, si protrassero per un bel po'.

Contavo i secondi che trascorrevano lenti, e ad ogni secondo che passava, immaginavo di dare una testata contro il muro.

Una testata. Due testate. Tre testate...

 

I finti convenevoli e le stucchevoli promesse di ripetere la serata finirono prima della mia cinquecentocinquantasettesima testata, e così fui libero di respirare.

 

Io e la mia famiglia entrammo in macchina, e dopo pochi minuti arrivammo a casa. Salii le scale, impaziente di rifugiarmi nel mio "rifugio felice", nel mio mondo.

 

Sulla soglia della mia camera, però, mia madre mi si avvivinò e mi sussurrò con fare dolce:"Ti sei comportato bene con la ragazza, vero Evan?"

 

Inizialmente decisi di non rispondere, perchè non volevo mentire a mia madre.

Sapevo di non essermi comportato bene, ma il problema non ero di certo io...era lei, che aveva la colpa di tutto.

Così, optai per una mezza verità:"Non ti preoccupare mamma, sono solo andato a controllare che stesse bene. Non credo che comunque il mal di testa le importi qualcosa adesso, quindi....Buonanotte." conclusi, dandole un bacio sulla guancia ed entrando in camera mia.

 

Appena entrai, mi spogliai della giacca e dei pantaloni firmati, li buttai sul letto e restai solo in boxer e canottiera.

Andai ad aprire la finestra, mi sporsi sul piccolo balcone che si affacciava sul giardino e mi accesi una sigaretta.

 

Sapevo che fumare mi faceva male, ma in quelle poche occasioni in cui ero nervoso, non riuscivo proprio a farne a meno.

 

Aspirai velocemente, cercando di svuotare la mente, rilassare i nervi e osservare il cielo stellato sopra di me.

Più osservavo la lucentezza e il bagliore che emanavano le stelle sopra la mia testa, più mi ricordavo del suo luccichio che aveva negli occhi quando l'avevo toccata.

Mi ricordavo del profumo dei suoi capelli che avevo sentito quando l'avevo stretta a me, per impedirle di cadere.

Mi ricordavo delle sue gote che s'imporporarono di rosso, quando la madre ci parlò a tavola di suoi alcuni episodi spiacevoli successi da bambina.

Ma soprattutto, mi ricordavo delle sue labbra, di quelle labbra piccole e rosse che avevo baciato e adorato due volte.

 

Merda! Era tutto inutile, cazzo!

Gettai per terra la sigaretta, frustato con me stesso e con lei.

Ma non poteva restarsene in quel buco di paese, invece di venire qui a complicarmi la vita?

Gliel'avrei fatta pagare, questo era chiaro.

Volevo vendetta, e l'avrei avuta. A qualsiasi costo.

Forse, pensandoci, sapevo già dove avrei potuto gustarmela, quel piccolo pezzo di rivincita che adesso tanto agognavo.

 

Se credeva che trasferirsi da sua madre fosse un inferno, non sapeva ancora cosa l'avrebbe aspettata a scuola.

Mai mettersi contro Evan Taubenfeld!

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Capitolo 20
*** Goodmorning, guys! ***


Ehilà people! ;) Abbiamo nuove news per Rock N Roll sotto.

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ULTIME NEWS SU ROCK N ROLL

Buone notizie, il video è stato confermato per il 20 agosto, quindi tra 5 giorni esatti. Evvai!

Qui c’è il primo teaser-----> http://www.youtube.com/watch?v=AFanUahZyxQ

Qui il secondo-----> http://www.youtube.com/watch?v=w9P9hqFPVGE

Qui il lyric video----->http://www.youtube.com/watch?v=lI7GjcpdI4A

Ok, buona lettura a tutti.

 

Pov Avril

 

Un detto recitava che il buongiorno si vede dal mattino.

Bene, la mia giornata sarebbe stata di merda.

Esattamente venti minuti dopo che mi ero finalmente addormentata senza che il suo volto mi apparisse davanti agli occhi, con i nervi a pezzi e l'irritazione a mille, Judy si era presentata in camera mia gridando molto dolcemente di "alzare quel culo", e proseguendo la sua opera aprendo le tende della finestra, per illuminare la camera con il "tipico calore del sole californiano".

 

Peccato che la luce negli occhi di prima mattina, non abbia mai contribuito esattamente a rendere le persone più rilassate, specialmente se queste persone avevano passato la notte girate e rigirate tra le coperte in cerca di un briciolo di sonno, come me.

 

Che genio quella donna!

Quando pensavo che avesse toccato il fondo con la sua stupidità, ecco che mi sorprendeva, facendo qualcosa di ancora più stupido e insensato.

 

Già, perché se il momento del risveglio era stato abbastanza difficile, quello in cui avevo scoperto la divisa della scuola, era stato totalmente terrificante!

 

Una larga camicia grigia, un foulard nero da mortorio e una gonna grigio scuro che probabilmente mi arrivava fino al ginocchio, se non oltre, facevano mostra di se in tutto il loro...splendore, appoggiate sulla sedia vicino alla mia scrivania.

Una divisa per una scuola di suore sarebbe stata tanto peggio? Non credo proprio.

 

"Io quella roba non la metto" avevo gridato, schifata.

Dopo ben mezz'ora di opera di convincimento che non era servito a nulla, ma dopo un ricatto che invece si era rivelato vincente, Judy mi aveva costretta a indossare quella specie di obbrobrio, che, ne ero certa, avrebbe distrutto quel poco di orgoglio personale che mi era rimasto.

 

"Oh tesoro mio...sei bellissima" disse Judy, appoggiandomi le mani sulle spalle, con la voce rotta e sul punto di piangere.

 

Lei?! Lei, che piangeva?!

Qui l'unica che doveva piangere ero io, per le figure di schifo che avrei fatto davanti a tutti con quella divisa da clausura!

 

Mi allontanai dal penoso riflesso di me stessa allo specchio e da quella scena patetica che mia madre aveva messo in atto, e scesi al piano di sotto, dove incontrai Dolores.

 

"Buongiorno, signorina Avril" disse, sorridendo.

Mmh, ora le possibilità erano due.

La prima, essere scorbutica come sempre, e non degnarla neanche di un saluto. Cosa che avrei potuto fare benissimo.

La seconda, fingere un briciolo di gentilezza e buon senso, e salutarla così come lei aveva fatto con me.

Beh, forse un alleato mi sarebbe stato utile in questa casa. A mali estremi...

 

"Buongiorno, Dolores" Ricambiai il sorriso.

 

"Vuole fare colazione?"

 

"Ehm...si, grazie. Una tazza di latte, se non è di troppo disturbo" sussurrai appena. Non mi ero ancora abituata alla servitù.

 

Lei mi fece un cenno del capo e mi invitò a sedermi all'enorme tavolo ovale, che regnava nella stanza.

 

Pochi minuti dopo, Dolores mi si avvicinò con una tazza fumante in mano, che invece del semplice latte che avevo chiesto, conteneva caffè.

 

"Ma..." cominciai a protestare.

 

"Non si preoccupi, le ho dato questo perché le sue occhiaie urlano talmente sono profonde." mi spiegò.

 

Io tentennavo ancora, sapevo come la pensasse Judy su certi argomenti, e ci tenevo a risparmiarmi una ramanzina di prima mattina.

 

"Su coraggio, beva. Deve mettersi in forze, non vorrà certo mangiare tutte quelle schifezze dietetiche di sua madre, vero? La coprirò io" aggiunse, sorridendomi complice.

 

Beh, se lei mi voleva dare una mano, chi ero io per rifiutare il suo aiuto?

Feci spallucce e trangugiai il caffè in un sorso.

Cavolo, se era buono!

 

"Grazie, Dolores" le dissi, sorridente.

 

"Di nulla" mi rispose lei, e salii di corsa in camera mia.

 

Mi infilai veloce le Converse, prima che avesse qualcosa da ridere anche su quelle, e presi tutto ciò di cui avevo bisogno.

Lo zaino, occhiali scuri, per mascherare le occhiaie, telefono, lettore mp3, cuffie e ovviamente, il mio skate, per andare a scuola.

 

Scesi le scale, ma appena stavo per mettere il piede fuori di casa, Judy mi fermò.

 

"Avril..."

 

"Che c'è, Judy?" le chiesi, scocciata.

 

"Io sono mamma per te, non Judy. Comunque, non è di questo che ti volevo che parlare"

 

"E di cosa, allora? Muoviti, devo andare a scuola, ricordi?"

 

"Certo che si. Solo che, mi chiedevo...cosa ci fai, con quello?" mi chiese, indicando lo skate.

 

"Mmh...pensavo di mangiarmelo, ma sai...troppe calorie, non fa per me" le risposi, sarcastica.

 

Lei mi schioccò un'occhiataccia, che mi costrinse a risponderle seriamente.

 

"Oh andiamo, cosa vuoi che faccia con il mio skate? Ci vado a scuola, genio"

 

"Tu...tu pensi veramente che andrai a scuola...con quello?"

 

"È quello che ho appena detto. Che c'è, sei sorda per caso?"

 

"Tu con quel coso non andrai proprio da nessuna parte. Ci sarà Paul, ad accompagnarti"

 

Oh, no!

Il pinguino dell'altra volta.

Ma perché la vita doveva essere così difficile con me?!

 

La stronza sorrise raggiante, conscia che adesso quella in difficoltà fossi io, e si allontanò.

Ero sicura che se avesse potuto ghignare maleficamente, l'avrebbe fatto.

 

Cazzo, cazzo, cazzo!

Non volevo che il primo giorno di scuola fossi accompagnata da un autista con limousine, per far vedere agli altri quanto la mia famiglia fosse schifosamente ricca.

Non doveva andare così, non stavolta.

 

Accecata dalla rabbia, salii ancora in camera, mi tolsi quella stupida divisa, la infilai nello zaino, e indossai un paio di shorts con una maglietta nera con il teschio.

Ecco, molto meglio.

 

Avevo ancora un paio di minuti, prima che Judy si accorgesse del mio piano.

Come il pomeriggio precedente, saltai da Alberello, uscii di casa, e incominciai a correre sul mio skate.

 

Destinazione: scuola.

Persona indesiderata: Evan Taubenfeld.

 

Pov Evan

 

 

Bip. Bip. Bip.

Allungai il braccio per spegnere con violenza la sveglia sul comodino, mentre continuavo inerme a fissare il soffitto bianco, con gli occhi sbarrati.

 

Come previsto, la notte era stata insonne.

Per alcune ore avevo cercato di dormire, cambiando anche posizione, pensando che potesse giovare al sonno.

Poi, mi ero arreso, avevo preso un libro e avevo incominciato a leggere.

Poche pagine, in realtà, perché l'irritazione aveva avuto la meglio e avevo chiuso frustrato il libro, continuando a pensare a lei per tutte le ore successive.

 

Cavolo, possibile che in così poco tempo, una ragazza mi avesse mandato in pappa il cervello?

Sempre che io ce l'avessi, un cervello...

 

Mi alzai, tanto comunque dovevo andare a scuola, e non volevo di certo sentire la voce di Annie che mi rompeva di prima mattina.

 

Andai in bagno, aprii le ante della doccia e incominciai a far fuoriuscire l'acqua, aspettando che il getto diventasse caldo.

Intanto, mi osservai lo specchio e scoprii con disgusto le occhiaie che mi si dipingevano sul viso.

Cazzo, si vedeva lontano un miglio che non avevo dormito!

 

Sospirai, e appena vidi la leggera nebbiolina appannare i vetri della doccia, mi ci infilai subito.

 

Il getto, come previsto, era caldo e rilassante, e sciolse tutti i muscoli, che per l'insonnia, erano contratti.

 

Mi insaponai per bene i capelli e il corpo, cercando di non farmi finire il sapone negli occhi.

Appena finii, mi avvolsi nel grande asciugamano e mi asciugai velocemente.

 

"Evan? Evan, ci sei?" sentii mio fratello chiamarmi dall'altra stanza.

 

"Cazzo vuoi, Matt?" gridai. Che fratello rompicoglioni che mi ritrovavo.

 

"Uh, nervosetti?" mi chiese.

 

"Con te, sempre" gli risposi.

 

Finii di asciugarmi e riposi l'accappatoio al suo posto.

Mi infilai i boxer e aprii il grande armadio. Per fortuna che a scuola si indossava la divisa, anche se mi sentivo una mummia imbalsamata.

Poi, improvvisamente, la porta si spalancò e ne uscì un Matt tutto sorridente.

 

"Ehi fratello, ma non sei ancora pronto? Noi andiamo, ma hai visto che ore sono?"

 

Che ore sono? E che ore potevano essere le 7...

Le 8....Le 8 e 20!

Cazzo, era tardissimo!

 

"Si si, voi andate...vi raggiungerò dopo" dissi, e mio fratello sparì, lasciandomi vestire in pace.

 

Ecco, un fratello che se ne andava, e una sorella che entrava.

 

"Ehm...Evan"

 

"Dimmi Annie, cosa c'è?" Non mi andava di essere scorbutico anche con mia sorella. Dopotutto, lei mi aveva aiutato...ieri.

 

"Ecco, mi chiedevo...non è che mi presteresti le chiavi della tua Ducati? Sai, io e Drew volevamo inaugurare così il primo giorno di scuola..."

 

"Si, certo" la rassicurai.

 

Presi velocemente le chiavi della mia moto, e gliele lanciai.

 

"Tieni. Riportatemela tutta intera, però" mi raccomandai, e uscii velocemente dalla mia stanza, non prima di aver preso lo zaino, e il mio skate nuovo di zecca.

 

Incominciai a correre, sforzandomi di non pensare il più possibile a lei, ma più mi concentravo, e più il mio cervello maledetto si soffermava sugli episodi della sera precedente.

Al solo pensiero che l'avrei rivista...

 

Arrivai a scuola di corsa, con il fiatone per la pura di aver fatto tardi.

Ed eccola, come se si sentisse chiamare, il mio incubo personale, colei che mi ha reso la nottata un inferno, andare in giro solo con degli shorts, che lasciavano ben poco all'immaginazione, una t-shirt nera e senza divisa, per giunta.

 

Mmh...ecco un ottima occasione per vendicarmi.

 

Mi avvicinai piano da dietro, come ieri, ma lei questa volta non si spaventò e si voltò verso di me.

 

"Taubenfeld, cosa vuoi da me?" mi chiese, acida, con le braccia incrociate al petto.

 

Solo in quel momento mi resi conto di averle bloccato il passaggio. I suoi occhi erano coperti da grossi occhiali scuri, che mi impedivano di verificarne lo sguardo.

Sorrisi maligno.

 

"Ehi, Mitchell, non puoi sempre fare quello che vuoi. La divisa dov'è, eh?"

Ha il capo chinato, le guance rosse, letteralmente in fiamme e le mani chiuse a forma di pugno lungo i fianchi.

 

"Non osare....non osare..." sibilò.

 

"Non osare cosa esattamente, Mitchell?"

 

"Non devi chiamarmi Mitchell, il mio cognome è Lavigne." disse, rialzando il viso e togliendosi gli occhiali, rivelando così il suo sguardo ma anche le sue profonde occhiaie.

Anche lei aveva dormito poco, evidentemente.

 

Continuai con la mia piccola vendetta. "Pff, come se me ne fregasse qualcosa. Io ti chiamo come mi pare! Piuttosto, mancano solo dieci minuti, e sei ancora senza divisa. Non vorrei che ti espellessero il primo giorno di scuola, sarebbe una vittoria davvero troppo facile, per me"

Mmh...forse, avevo un po' esagerato, ma d'altronde, era lei che aveva cominciato.

 

Strinse ancora di più i pugni, facendo sbiancare le nocche.

"Senti, se tu non mi avessi bloccata, a quest'ora io starei già con la mia divisa perfetta e in ordine a ritirare l'orario in segreteria. E io che ti do pure corda. Sei solo uno stronzo figlio di papà, perbenista e snob!"

 

Cosa?!

Cosa aveva detto?!

 

Mi avvicinai a lei, con i miei occhi lanciavano sguardi assassini dritti nei suoi.

Se prima avevo voluto solo vendicarmi, adesso volevo solo distruggere, distruggere lei e la sua reputazione.

 

La scuola era nel più assoluto silenzio.

Tutti i ragazzi aspettavano una mia reazione, che di certo non sarebbe tardata ad arrivare.

 

"Ti propongo una sfida, Lavigne..." dissi, cattivo.

 

Lei spalancò gli occhi, ma si riprese subito. "Che genere di sfida?"

 

"Una sfida in cui io sarò il vincente e tu, mia cara, la perdente".

 

 

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Capitolo 21
*** Skate war ***


Vorrei dedicare questo capitolo a E, perché senza i nostri scleri sui Minions e sui bambini-fantasma, le serate non sarebbero più le stesse. Grazie bro!

 

Salve a tutti! ^_^

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

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Ok, mancano solo due giorni al video di Rock N roll. *me felice*.

Qui c’è il terzo teaser----> http://www.youtube.com/watch?v=45qUNPkZMnM

 

Buona lettura a tutti!

                    

Muse – Supermassive Black Hole (aprire in un’altra scheda)

 

Pov Avril

 

Quando una giornata iniziava male, non poteva di certo migliorare con il passare del tempo.

Eccomi qua, incazzata nera a scuola, senza divisa e con gli occhi di tutti puntati addosso.

 

Il motivo?

Quel deficiente di Taubenfeld mi aveva apertamente lanciato una sfida, che però ancora non sapevo in cosa cavolo consistesse.

Una sfida in cui io sarò il vincente, e tu, mia cara, la perdente, aveva detto.

Che pallone gonfiato, se credeva che gliel'avrei data vinta così facilmente, nonostante non sapessi ancora cosa dovevo fare.

Dal tono in cui l'aveva detto però, traspariva chiaramente la sua sicurezza, e questo non faceva altro che aumentare la mia curiosità e incertezza allo stesso tempo.

 

"Parla chiaro, Taubenfeld. Di che sfida si tratta?" chiesi, impaziente.

 

Lui stava per rispondermi, ma fu interrotto da quella che pensavo fosse la sorella.

"Ehi Evan, le chiavi della moto" disse, e fece per lanciargliele, ma lui fece un gesto della mano, come a interrompere la sorella, e riprese a parlare.

 

"Non adesso, Annie. La nuova arrivata vuole sapere cosa ho in serbo per lei.

Bene, la tua curiosità sarà accontentata, Lavigne" fece un sorriso maligno, e continuò "Una sfida a skateboard. Il parcheggio della scuola. Adesso. Io e te"

 

"Ma tu sei solo pazzo!" dissi, per niente d'accordo all'idea. Avevo già troppi occhi puntati su di me, per essere solo il primo giorno.

 

"Che c'è..." disse, mettendosi lo skate sotto i piedi "hai paura?"

 

"Paura, ma per piacere! Non lo voglio fare, perché non vedo il motivo per cui dovrei sprecare le mie energie per batterti..." Incrociai le braccia al petto."E poi, chi decreterà il vincitore, tu?!" chiesi sarcastica.

 

"Sarebbe davvero troppo semplice, quindi no. Decideranno i nostri stessi compagni, in base al tifo che faranno per l'uno o per l'altra. Comunque, stavo pensando...perché non rendere le cose più interessanti con una piccola scommessa? Ci stai?"

 

Feci un cenno e del capo, buttai lo zaino per terra, mi misi anch'io lo skateboard sotto i piedi e dissi:"Se vinco io, la dovrai smettere di sfidarmi in questo modo. E, in più, ti darò uno schiaffo talmente forte, da farti venire le vertigini, Taubenfeld"

 

"Attenta a non scherzare con il fuoco, Lavigne, perché se vinco io...ti bacerò davanti a tutti in un modo così passionale, che mi pregherai di rifarlo" disse, con un ghigno sul volto.

 

"Certo, come no. Le mie labbra non toccheranno mai le tue, mettitelo in testa" Lo sfidai.

 

Lui si avvicinò al mio orecchio, e con voce maliziosa mi disse:"Sbaglio, o ci siamo già passati?" e prima che potessi rispondergli a tono, si allontanò da me correndo sul suo skate.

 

Appena cominciò la sua "esibizione", fece subito un kickflip, una mossa che consisteva nel ruotare lo skate da destra a sinistra, senza l'aiuto della mano.

Era una buona mossa per l'inizio, e soprattutto, credevo che fosse anche un messaggio che mi stava mandando, della serie "con me, non si scherza".

Poi, prese a fare lo slalom tra le varie auto e moto posteggiate lì nel parcheggio.

 

In effetti, sembrava molto sicuro di sè, e questo fece aumentare la mia preoccupazione.

Conoscevo le mie capacità, sapevo di poterlo battere. Ma lo potevo fare anche adesso, anche in queste condizioni?

 

Questa notte avevo fatto di tutto tranne che dormire - doppi sensi a parte - e le mie profonde occhiaie ne erano una testimonianza assicurata.

In più, le liti in casa con Judy e Phil, non avevano di certo contribuito a rendere il mio carattere più docile e gentile, anzi.

 

Non avrei sopportato altre umiliazioni, perché era quello che lui voleva fare. Umiliarmi.

In altre occasioni avrei potuto batterlo, e anche facilmente, direi.

Ma adesso? Ne ero davvero in grado?

 

La risposta mi sarebbe arrivata durante il secondo successivo, giusto in tempo per vedere la sua corsa che finiva con il suo piede destro che colpiva la parte posteriore dello skate, facendolo roteare su sé stesso. Un classico 360 flip.

 

Forse non lo avrei potuto battere, ma io non ero una che abbandonava così, senza neanche provarci.

 

Si avvicinò a me, con il suo skate in mano, e mi chiese ad alta voce:"Allora, che ne dici, Mitchell?"

 

Che bastardo. Gli avevo già detto cosa ne pensassi del mio cognome.

Bene, avrebbe avuto pane per i suoi denti.

 

"Mmh...niente male..." feci una pausa, giusto in tempo per vedere il suo viso trasformarsi in un ghigno vittorioso e continuai "...per un pivello!".

 

Non ebbi però il tempo di vedere la sua faccia, anche se avrei tanto voluto, che partii questa volta per la mia gara.

Sin dal primo istante capii che non si trattava più della sfida con Evan, ma con una sfida con me stessa.

Una sfida che dovevo vincere a tutti i costi per ritrovare quella che ero e la fiducia che avevo riposto in me stessa.

 

Iniziai subito con uno slalom molto stretto per impressionare gli studenti, in modo tale che si convincessero che la migliore, ero io.

Alcuni mi guardavano impauriti, altri estremamente stupiti per quello che stavo facendo.

Feci anch'io un kickflip e un 360 flip, perché volevo sia prenderlo un po' in giro, sia dirgli che in questa sfida non giocava soltanto lui, ma entrambi.

 

Ma non potevo continuare così.

Se volevo davvero batterlo, dovevo inventarmi qualcosa che lasciasse il segno, qualcosa che lasciasse tutti a bocca aperta. Soprattutto lui.

 

Osservai il grande edificio, era abbastanza grande e ampio, da poter fare qualsiasi cosa avessi voluto.

Già...ma cosa?

Poi, come se il destino mi avesse voluto dare un suggerimento, vidi un corrimano giallo in ferro battuto, che accompagnava l'enorme scalinata che dava l'accesso al piano inferiore.

Non ebbi alcuna esitazione nel voler tentare.

Avevo già provato quella mossa a Napanee, e mi era sempre riuscita.

 

Corsi verso la scalinata e, proprio quando ero a meno di un centimetro di distanza, feci pressione sulle mie gambe e spiccai un ampio balzo, sufficiente a farmi atterrare ancora sana e salva sul ferro del corrimano. Poi, in perfetto equilibrio, mi lasciai trascinare con lo skate sotto i piedi, e percorsi tutta la lunghezza del corrimano.

 

Quando il ferro finii, spiccai un altro salto e mi ritrovai di nuovo sullo skate, ma stavolta sulla terra ferma.

Intanto, tra tutti gli occhi che mi osservavano, ne vidi un paio non completamente sconosciuti.

La sorella di Evan, mi pareva che si chiamasse Annie, mi fissava completamente strabiliata, con un sorriso a trentadue denti sul volto.

Forse aveva trovato qualcuno in grado di tener testa al fratello....

 

Prima di lei, c'era parcheggiata una Ducati color rosso fiammante.

Annie, invece, aveva ancora in mano le chiavi della moto del fratello, quelle che aveva cercato di restituirgli prima della sfida.

Chissà se...

 

Corsi verso la moto, esercitando una pressione leggermente minore di quella che avevo usato poco prima, e superai con agilità la moto, sotto gli occhi stupefatti di tutti.

Poi, corsi verso la sorella di Evan, e senza mai fermarmi le sussurrai:"Le chiavi..."

 

Il suo sorriso si aprì ancora di più, mi diede senza alcuna esitazione le chiavi della moto, e mi diressi verso le scale, che poco prima avevo sceso in maniera non proprio ortodossa.

 

Le salii con lo skate in una mano e le chiavi nell'altra, sotto gli sguardi di ogni singola persona lì presente.

Non era una bella sensazione. Per niente.

 

Mi avvicinai piano a lui, pronta questa volta a riprendermi la mia rivincita.

 

"Queste devono essere tue..." dissi, mettendogliele nella mano destra.

 

La sua espressione parlava da sola.

Era sorpreso, arrabbiato e curioso allo stesso tempo.

Avrei voluto tanto ridergli in faccia, ma mi trattenni.

Io non ero come lui.

 

Poi, all'improvviso, tutti i ragazzi presenti si mossero.

All'inizio, credevo che si stessero avvicinando per decretare il vincitore -me, ovviamente-, ma non era così, perché invece di accalcarsi vicino a noi, la folla si diresse verso l'interno della scuola.

 

Non capii niente di quello che stava succedendo, fin quando qualcuno gridò "La Callingham! Sta arrivando la Callingham!"

 

"Merda. Questa non ci voleva" esclamò stizzito Evan.

 

Stavo per dare voce alla mia perplessità, quando una donna magra, slanciata, con i capelli biondi liscissimi e un decolté di cui non aveva nessun timore a mettere in mostra, mi precedette.

 

"Taubenfeld! Lei e la sua...amichetta nel mio ufficio! Subito!"

 

Brutta gallina vecchia e ignorante!

Come si permetteva di dirmi che ero la sua "amichetta" con quel tono cattivo e perfido?

Quanto avrei voluto spaccarle quella faccia sicuramente rifatta che si ritrovava!

E quanto avrei voluto avere un guantone sulla mia mano destra, adesso!

 

Poi, sentii la mano calda di Evan stringermi il polso, come a volermi fermare dai miei propositi omicidi.

Sgranai gli occhi e mi girai verso di lui, che capii appieno la mia incredulità, e mi spiegò:"Avril, lei è la vicepreside. Quindi ora te ne stai buona e zitta e non fai casini, chiaro?"

 

Non volevo che mi trattasse così. Non ero una bambina. "Ma..."

 

"No, niente ma. Non ti voglio fregare. Per una volta...fidati di me" finì, con una breve interruzione nella frase.

 

Appena dopo che finì di parlare, si incamminò dietro quell'oca bionda, trascinando dietro anche me, e riuscii per fortuna a raccogliere lo zaino che avevo buttato a terra.

Tra le sue mani teneva ancora il mio polso, con una stretta ferrea e salda, che faceva quasi male.

Per un istante mi sfiorò l'idea di liberarmi dalla sua presa e di andarmene per conto mio, ma, per non so quale motivo, volli fidarmi di lui e affidargli completamente la situazione.

Attraversammo veloci i corridoi ormai deserti, che venivano percorsi solo da quei pochi ritardatari che non erano ancora entrati nelle classi.

 

Evan allentò la presa sul mio polso solo quando entrammo nella segreteria, per poi dirigerci verso una porta a destra, la vicepresidenza.

Nicole Callingham, così recitava la targhetta sulla sua scrivania, ci fece accomodare nel suo ufficio, su delle eleganti poltroncine in pelle chiara.

Sicuramente non aveva arredato lei la stanza, troppo buon gusto. Giusto quello che le mancava nel vestirsi.

 

Mi rivolse occhiatacce infuocate per i primi cinque minuti che stemmo lì.

Va bene che non mi ero presentata nel migliore dei modi, ma proprio non capivo tutto quest'odio nei miei confronti.

 

Invece, lo sguardo che rivolse a Evan, era totalmente l'opposto.

Con lui aveva un'aria...adorante, come se pendesse dalle sue labbra, come se ogni suo gesto fosse dipeso da quello del ragazzo al mio fianco.

 

"Lei è?" mi chiese, sprezzante.

Credo che una gomma attaccata nei suoi orrendi capelli verrebbe trattata meglio.

 

"Avril Lavigne" rispondo, allo stesso tono. Se lei non era gentile, perché avrei dovuto esserlo io?

 

"È una studente, per caso?" disse, con l'incredulità sul viso perché non conosceva uno dei suoi studenti.

 

Al mio cenno di assenso con il capo, avvicinò la sedia al computer sulla scrivania, cominciando a battere infuriata le dita su quella povera tastiera che non aveva nessuna colpa.

 

"Lavigne? Non c'è nessuna Avril Lavigne iscritta qui."

 

"Ottimo, se non sono iscritta penso proprio che toglierò il disturbo. Buongior..."

 

"Siediti" sibilò Evan, interrompendomi.

 

Mi sedetti, se possibile ancora più incazzata di prima.

 

Nessuno in diciassette anni mi aveva mai messo a tacere con una parola, e lui ci era riuscito in due secondi!

 

"Signorina Callingham" si rivolse Evan alla vicepreside, con un sorriso tanto affabile quanto falso sul volto.

 

"Oh, dimmi Evan" disse lei, completamente imbambolata.

 

"Provi con Avril Mitchell" rispose, in tono mellifluo.

Lo guardai allibita. Quanto avrei voluto gridargli contro

Lui, probabilmente capendo le mie intenzioni, mi fece un sorriso dei suoi.

Non falso come quello che aveva rivolto alla vicepreside, no, questo era da tremarella alle gambe e da brividi dietro la schiena.

Ma che cavolo andavo a pensare!

Mi rimisi composta al mio posto, sperando che nessuno avesse notato la mia breve distrazione.

 

"Hai ragione. Avril Mitchell, figlia di Judy e Phil Mitchell, dico bene?"

 

"Si" grugnii.

 

"Ecco, Avril stava giusto andando a mettersi la divisa, ma ci siamo incontrati e ho voluto darle il benvenuto. Non è vero?" disse, rivolgendosi a me con il tipico sguardo "menti e pariamoci il culo a vicenda".

 

 "Esatto, è andata proprio così." confermai. In effetti, non era proprio una bugia, avevo solo omesso il fatto che avesse un modo tutto di suo di dare il benvenuto. "Io sono arrivata con il mio skate e stavo andando a cambiarmi, quando...Evan" che fatica pronunciare il suo nome invece del cognome "mi ha fermata per salutarmi. Infatti, ci siamo conosciuti ieri sera a casa di mia madre." aggiunsi.

 

"Capisco. Ma questo non giustifica nè il suo abbigliamento, signorina, nè tantomeno quello che avete fatto nel parcheggio. Cosa credevate di fare con quella sceneggiata da quattro soldi?"

Le sue parole intrise di disprezzo mi fecero stringere forte le braccia ai fianchi, e le avrei dato per la milionesima volta un pugno, se non avesse continuato a parlare.

"Naturalmente, dovrò avvisare i suoi genitori, signorina, e le farò sapere in cosa consisterà il suo castigo." Poi, cambiò tono. "Tu non preoccuparti Evan, lo so che sei stato provocato, quindi..."

 

Eh no, cavolo!

Dove era finito il "lei" per Evan?

Era riservato soltanto a me?

E poi, io ero la vittima, non il carnefice. Per cui era lui che doveva punire, io avevo soltanto risposto.

Non funzionava così nella democratica America!

 

"Nicole..." cominciò Evan. La cosa mi urtò moltissimo, ma non perchè chiamò la vicepreside con il suo nome di battesimo, ma perché il tono che aveva usato con lei era dolce, ipnotico quasi. "...Andiamo, non vorrai che l'intera scuola venga a sapere del nostro piccolo...inconveniente? E non vorrai di certo macchiare la reputazione dell'istituto, vero?" Alzò le sopracciglia, con fare eloquente. "Per il castigo...pensaci su, prenditi tutto il tempo che ti serve, e poi, con la massima tranquillità, decidi"

 

Certo, facile dirlo per lui. Tanto alla fine il castigo avrei dovuto sorbirmelo io!

 

"Mmh...credo che tu abbia ragione, come sempre." disse, facendogli un sorrisino. "Potete andare, ragazzi. Signorina Mitchell, vada in bagno a cambiarsi, subito, e poi mi aspetti in segreteria."

 

Non risposi neanche, uscii da quella stanza infernale e mi diressi verso il primo bagno che trovai.

Appena entrai un vago senso di nausea che mi prese allo stomaco. Cosa diavolo mi stava succedendo?

Poi, presa del tutto alla sprovvista, una lacrima scese piano sulla mia guancia. L’asciugai con rabbia, non potevo cedere! Io ero Avril Lavigne, una ragazza forte e combattiva, che non si arrendeva di fronte a niente.

Tu sei forte, tu sei forte mi ripetevo come un mantra, per auto convincermi che fosse così.

Io sola dovevo sapere la realtà, che in fondo ero come tutte le ragazze di questo mondo, un semplice e stupida ragazzina che credeva di essere grande.

 

Allacciai lentamente la camicia, bottone dopo bottone, io ero forte.

Lisciai con cura le pieghe della gonna, io ero forte . Mi chinai ad infilare le scarpe, io ero forte. Riposi l’I-pod e gli occhiali da sole nello zaino con i vestiti e le Converse, io ero forte. Mi guardai allo specchio e sfoggiai il mio migliore sorriso.

Nessuno avrebbe potuto, ma soprattutto dovuto mai intuire questo mio momento di debolezza.

 

Ecco, finalmente mi riconoscevo nell’immagine riflessa allo specchio. L’io che volevo essere.

Feci un respiro profondo e uscii dal bagno più serena di come ero entrata.

Stavo bene, dovevo stare bene e gli altri avrebbero visto quello che io volevo che vedessero.

 

Mi diressi spedita verso la segreteria, con i tacchi che rimbombavano sul pavimento lucido. Ma in che schifo di posto ero finita? Sembrava di essere dentro a quei telefilm dove i protagonisti erano tutti ricchi figli di papà.

Sorrisi della mia sbadataggine. Ogni tanto me ne dimenticavo, ma in questa merda io ora ci dovevo vivere, e questa adesso era anche la mia realtà.

 

Arrivai in segreteria e mi accomodai su una piccola poltroncina rossa, in attesa della vecchia gallina.

Mi stravaccai su di essa in cerca di una posizione comoda, del tutto introvabile. Forse erano fatte apposta per far sentire a disagio il povero mal capitato…

 

Quando sentii la porta scattare, mi diedi rapidamente un contegno e mi rimisi a sedere, composta.

Ma non era la persona che mi aspettavo. Infatti, entrò una donna alta, con un tailleur scuro elegante, e i capelli corti.

Tutta la sua persona emanò un’aurea di forte personalità. Nella mia mente si formò un solo pensiero: la preside.

Mi sentii in imbarazzo sotto il suo sguardo scrutatore, così abbassai il viso.

 

“Lei deve essere Avril Lavigne.” affermò sicura.

 

Alzai di scatto il viso e mi alzai in piedi, le dovevo rispetto anche solo perché mi aveva chiamato con il mio cognome.

Mi chiesi come facesse a conoscerlo, visto che mia madre mi aveva iscritta con il cognome del cetriolone.


“Sì, sono io.”


“Io sono la preside Alicia Kellington. Posso sapere che ci fa già il primo giorno in presidenza?”


“Ehm…la vicepreside mi ha chiesto di aspettarla qui per definire alcuni particolari.” risposi.

“Mmh, capisco...” assottigliò lo sguardo. “Ma adesso non dovrebbe essere a lezione?”

“Non ho ancora ricevuto l’orario.” Già, il mio orario, chissà che materie avrei dovuto frequentare.

“La signorina Callingham non gliel’ha dato? Al lunedì la segreteria apre alle 10, doveva venire venerdì.”


“Peccato che mi sia trasferita sabato.” dissi, più acida di quanto fosse consigliabile. Era la preside dopotutto, ma se Judy e la sua perfetta organizzazione non funzionavano, non era colpa mia.

 

La preside sorrise per la mia risposta , si spostò dietro il bancone della segreteria e armeggiò con il computer. Pochi minuti dopo la stampante era in funzione, e mi porse una serie di fogli...l’orario e una sfilza di moduli per le attività extrascolastiche.

Ne avevo due obbligatorie, ma almeno le potevo scegliere.

 

“È inutile che vada in classe, adesso. Aspetti qui fino alle 10.” disse, avviandosi verso il suo ufficio. “Ah, signorina Lavigne, gli insegnanti useranno il cognome di sua madre. Per favore, non risponda acidamente, non la voglio più vedere in questa stanza se non per iscriversi alle attività extrascolastiche. Arrivederci.”

“Arrivederci.” sussurrai, prima che la porta si chiudesse alle sue spalle e si aprisse quella della vicepresidenza.

 

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Capitolo 22
*** Why you have to make things so complicated? ***


Vorrei dedicare questo capitolo a una persona che è molto importante per me, ma che adesso sta poco bene. Spero che ti riprenderai presto.

Salve. Mi dispiace dirlo, ma sto avendo un problema in famiglia, per cui non so quando aggiornerò di nuovo. Spero comunque presto :)

Anyway, ringrazio chi ha messo questa ff tra:

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Allora…visto il video di Rock N Roll?

Io si. L’avrò fatto tipo 5 volte tutte di seguito.

Onestamente, non credo sia il migliore video che abbia fatto, ma sicuramente il più divertente, dopo Complicated (coincidenza?). Poi, sono scoppiata a ridere quando ha detto:”He was a boy…she was a girl” nella parte iniziale, quando ha fatto l’incidente con la macchina e quando ha combattuto contro il Bearshark. Anche il bacio non mi è dispiaciuto, perché comunque era presente nel fumetto a cui si è ispirata.

Quindi, assolutamente promosso, a pieni voti!

 

Ok, se volete ditemi le vostre impressioni a riguardo io sono qui, e per il capitolo, auguro una buona lettura a tutti!

 

Avril Lavigne – Complicated (aprire in un’altra scheda)                    

 

 

Pov Evan

 

Uscii dall’ufficio, seguito dalla vicepreside, e trovammo Avril in piedi vicino alle poltroncine, con alcuni fogli in mano. Alla fine, avevo cercato di convincere Nicole a non prendere provvedimenti contro la ragazza, perché infondo era mia la colpa e mi ero sentito stranamente in dovere di difenderla e proteggerla.

Eppure, nonostante tutto, sentivo una rabbia sempre maggiore crescere in me verso di lei.

 

"Chi le ha dato quei fogli?" Alzai gli occhi al cielo. La vicepreside non riusciva proprio ad essere gentile stamattina.

 

"La preside." Ah, e così Avril aveva conosciuto la signora Kellington? Avrei voluto assistere. La preside piegava chiunque con quel suo atteggiamento austero e severo da governante del 1800. Persino me.

 

Il tono di Avril era sprezzante e tagliente. L'odio tra le due era evidente e mi sentivo stranamente coinvolto in questo litigio, come se fossi il premio per la vincitrice.

Mah, che assurdità.

"Ehm...Avril..." balbettai a disagio per la situazione, cercando di spezzare la tensione.

Lei si voltò e mi sorrise smagliante. Non ci misi molto a capire perché mi irritava. Era il sorriso più falso che avessi visto sul suo viso, come se tra di noi ci fosse un cortese rapporto tra semplici conoscenti, come se ieri e stamattina fossero stati cancellati dalla sua memoria.

Mi farà impazzire con questa sua personalità multipla!

"Visto che c'è ancora mezz'ora prima dell'inizio della prossima lezione, saresti d'accordo se ti facessi vedere il tuo armadietto e le aule? Prendilo come un gesto di cortesia." In realtà, non si trattava di cortesia, ma di un forte istinto di fuga da quell'imbarazzante situazione.

 

"Volentieri. Lei permette, vero?" chiese sprezzante alla donna al mio fianco, sfoggiando un sorriso falsissimo che non arrivò neanche ai suoi bellissimi occhi.

Poi, senza nemmeno attendere la risposta, andò verso la porta, l'aprì di scatto e mi porse il foglio sul quale c'era scritto il numero del suo armadietto.

 

Notai che aveva una grazia innata nel camminare, anche con i tacchi.

Senza dire una parola l'affiancai, procedendo la sua figura nei corridoi.

Aveva l'armadietto lontano dal mio, peccato.

Avrei voluto essere vicino a lei per poterla osservare ogni mattina, ogni cambio dell'ora, ogni pomeriggio prima di tornare a casa.

Ero messo veramente male.

 

Girai la testa quel tanto che bastava per guardarla. Era bellissima. I lunghi capelli biondi le ricadevano sul viso. Fissava la punta delle sue Converse e ogni tanto sospirava, come se stesse pensando a qualcosa che la faceva preoccupare.

All'improvviso alzò gli occhi, guardando dritta di fronte a sé.

Sembrava....triste, persino i suoi occhi non erano più accesi da quella scintilla di rabbia che di solito emanavano.

Decisi che non l'avrei mai più vista triste, le avrei sempre risollevato il morale, a partire da adesso.

E, forse, sapevo anche come fare.

Continuai a cercare il numero del suo armadietto, e alla fine lo trovai.

 

"Eccoci qua...armadietto 439, è il tuo." Gran bella frase di cazzo, Evan. Complimenti.

 

"Già, è proprio il mio" concordò.

 

Feci un cenno del capo, in imbarazzo. Volevo mandare avanti la conversazione, ma non sapevo che cavolo dire.

 

Con mio grande sollievo, fu lei a parlare. "Grazie...si, insomma, per avermi accompagnata." disse, con un lieve rossore che le imporporava le guance.

 

"Di niente." risposi, sorridendole.

Anche lei mi sorrise timidamente, ma questa volta il sorriso era vero.

 

Bene, e ora? Cos'altro potevo dire?

Non mi ero mai sentito così impacciato con una ragazza in vita mia.

Oh andiamo Evan, la parte del ragazzo imbranato funziona solo per rimorchiare, ma poi bisogna agire. Forza!

Giusto, basta insicurezze.

 

Mi passai la mano destra tra i capelli e dissi:"Mi chiedevo se..."

 

"Cosa?" mi rispose, spostando lo sguardo dai moduli ai miei occhi.

 

Perfetto, avevo la sua attenzione. Era il momento di agire.

Mi parai davanti a lei e la intrappolai tra le mie braccia, proprio come avevo fatto la sera precedente. Sorrisi dolcemente."Si insomma, la scommessa è finita in un pareggio, per cui...perché non sfruttare la scommessa, ti pare?" Mi passai la lingua sulle labbra e mi avvicinai piano alle sue labbra, in modo che avesse la possibilità di allontanarmi.

 

Lei si morse il labbro inferiore con i denti, ma non si mosse. Non mi colpì, non mi allontanò, non mi sgridò. Niente.

Una nuova scintilla esplose letteralmente nei suoi occhi. Non era rabbia o rancore, piuttosto...eccitazione?

Ma lei non era fidanzata?

Oh chi se ne frega, fanculo il fidanzato!

 

Spostai la mano sul suo collo. Volevo toccarla, sfiorare la sua pelle.

Desideravo il contatto con il suo corpo più di ogni altra cosa.

Sentivo il suo cuore battere talmente forte, che temevo potesse avere un infarto.

Con estrema lentezza, mi avvicinai ancora, inalando il suo profumo. Sapeva di frutta, di dolce. Era buonissimo.

Il suo cuore sembrava impazzito, mentre il suo respiro era veloce e irregolare.

Mossi il mio viso sul suo, con più decisione, e la baciai.

 

Le sue labbra si modellarono sulle mie, e respirai il suo stesso respiro.

Era un bacio diverso da quelli che c'erano stati tra noi, e capii subito il perché.

Lei stava rispondendo al mio bacio. Ed era la prima volta che lo faceva.

Era l'emozione più forte che avessi provato in tutta la mia vita, non avevo mai sentito il mio corpo desiderare qualcosa in una maniera così sconvolgente.

Anche il mio battito era accelerato, e il mio respiro affannato.

Sentii le sue dita intrecciarsi ai miei capelli, stringendoli forte.

Le sue labbra si dischiusero, e il calore e il profumo del suo fiato inondarono ancora di più il mio respiro.

 

Forse, persi troppo presto qualsiasi contatto con la realtà, perché mi accorsi con estremo ritardo del fatto che lei si era improvvisamente allontanata e del gesto che si stava preparando a compiere.

 

Infatti, non vidi neanche la sua mano partire. Sentii solo un improvviso spostamento d'aria e un dolore acutissimo trafiggermi la guancia sinistra.

Barcollai all'indietro, talmente era forte.

Lei...lei mi aveva appena...preso a schiaffi!

 

"È finita in un pareggio. Giusto, Taubenfeld?" mi sorrise, schernendomi.

 

La campanella che annunciò la fine della prima lezione, ci salvò da un'altra litigata.

Mi voltai, stizzito per il suo atteggiamento irritante, e, con la mano sopra la guancia dolorante, andai al mio armadietto a prendere i libri per la lezione successiva.

Pov Avril

 

 

"Eccoci qua...armadietto 439, è il tuo."

 

"Già, è proprio il mio" E il premio per la risposta più fantasiosa dell'anno andava a...Avril Lavigne!

 

Lui fece un cenno del capo e ridacchiò. Per la prima volta, mi sentii in dovere di ringraziarlo veramente.

 

"Grazie...si, insomma, per avermi accompagnata." Sentii le guance andare a fuoco, ero sicura di essere arrossita. Maledette mie emozioni, perché mi dovevano smascherare così facilmente?!

 

"Di niente." Mi sorrise, risposi anch'io al suo sorriso e incominciai a fissare i moduli, cercando di capirci qualcosa.

 

Poi, qualcosa nel suo tono di voce cambiò. "Mi chiedevo se..."

 

"Cosa?" risposi automaticamente.

 

Si mosse repentinamente, e mi bloccò tra il suo corpo e la fila di armadietti che scorreva alle mie spalle, esattamente come ieri sera. Mi tolse letteralmente il fiato.

 

"Si insomma, la scommessa è finita in un pareggio, per cui...perché non sfruttare la scommessa, ti pare?" Si avvicino verso di me, e si passò piano la lingua sulle labbra. Lì,non capii più niente.

Ero così attratta da lui, che per la prima volta sentii l'esigenza di mandare a fanculo tutto e di buttarmi. Ma non potevo cedere alla tentazione. Mi morsi il labbro inferiore, per contrastare quello che il mio corpo mi diceva di fare.

Me ne stavo ferma e immobile, con tutta l'eccitazione che sentivo dentro crescere ad ogni secondo che passava.

Senza staccare gli occhi dai miei, alzò la mano destra, e la posò dolcemente sul mio collo. Sentivo il mio cuore battere all'impazzata, non so cosa avrei dato per rallentarlo.

Poi, si avvicinò ancora di più al mio viso, e finalmente posò le sue labbra sulle mie.

 

Non potei prevedere la mia reazione, perchè per la prima volta riuscivo davvero a baciarlo, senza esitazioni, e questo non fece altro che amplificare le sensazioni che provavo.

Sentii quasi bruciare le labbra, e il mio respiro si trasformò in un affanno ancora più incontrollabile.

Intrecciai le dita ai suoi capelli, stringendolo a me, e dischiusi le labbra per respirare il suo profumo.

 

Ogni tipo di razionalità presente nel mio cervello era andata perduta, in preda ai miei ormoni svalvolati.

Stavamo, o meglio stavo, perdendo ogni tipo di controllo, e questo non andava affatto bene.

Poi, per quel poco che conoscevo Evan, si sarebbe sicuramente montato la testa e avrebbe sfruttato l'occasione a suo vantaggio.

Se lui non si voleva fermare, l'avrei fatto io.

 

Mi staccai da lui, ancora ansante, e spostai talmente velocemente la mia mano, che non si accorse neanche che mi ero mossa.

Poi, quando se ne rese conto, barcollò all'indietro e sgranò gli occhi.

In un certo senso, mi dispiaceva averlo fatto, ma se volevo che restasse al suo posto, dovevo indossare ancora la maschera da dura.

 

"È finita in un pareggio. Giusto, Taubenfeld?" dissi, con la voce ancora leggermente traballante per la mancanza di fiato.

 

La campanella suonò all'improvviso, e si allontanò da me con la guancia sinistra arrossata.

Nel frattempo, il corridoio dove mi trovavo si riempì di un mormorio indistinto di chiacchiere e di voci.

Guardai l'orario sui fogli, in cerca della prossima lezione.

Oh no, trigonometria. La odiavo!

Però notai con piacere che la terza ora sarebbe stata letteratura inglese. Almeno...

 

Aprii il mio armadietto, con lo sportello che cigolava e sbatteva, facendo un fastidioso rumore metallico.

Chiusi irritata il mio, questa non era esattamente quella che si poteva definire la mia giornata.

Per di più, ricordai con rancore che Taubenfeld era talmente preso dalle mie labbra, che non si era nemmeno degnato di dirmi dove fosse l'aula. Idiota!

 

D'improvviso, sentii una voce squillante provenire dalle mie spalle. "Ciao!"

Sembrava proprio una scena di un film di quarta categoria, uno in cui la nuova arrivata della scuola trova una ragazza disponibile e gentilissima, che si offre di farle da guida.

 

Mi girai lentamente e mi ritrovai di fronte una ragazza, che avrebbe potuto fare proprio la parte dell'alunna appena descritta.

Alta, magrissima e con dei folti capelli lunghi marrone scuro, stava di fronte a me con un sorriso a trentadue denti.

Ero un po' in imbarazzo per la sua esuberanza e il suo modo gioioso di fare, e lei era così sorridente, che pensavo rischiasse una paralisi facciale.

 

"Ehm...ciao." le risposi, sperando che la cosa finisse lì. Grosso errore Avril, grosso errore.

"Io sono Danica Mckellar!" Una più triste alle dieci di mattina non potevo trovarla, vero?

"E tu sei Avril Mitchell, giusto?" disse, facendo un altro sorriso.

Non avrei voluto rovinarle l'umore, ma i miei nervi erano davvero sull'orlo della rottura.

"E tu come fai a sapere chi sono? Sono in questa scuola da solo un’ora."

 

"Oh, ma tutti sanno chi sei...e se non lo hanno ancora saputo, stai certa che a ora di pranzo tutti conosceranno l'episodio di stamattina. Sono pochi quelli che hanno il coraggio di sfidare un Taubenfeld, soprattutto Evan. Comunque, io ho trigonometria, tu?"

Ma bene, anche la lezione insieme. Perfetto. "Anche io. Ma non so dove sia l'aula." Il mio tono leggermente lugubre non le impedì di sorridere ancora e ci avviammo tra i corridoi, scansando i ragazzi. L'avevo detto io, paralisi facciale...

"Complimenti..."

"Per cosa?"

 

"Beh, devi essere o molto coraggiosa o molto stupida a sfidare Evan Taubenfeld..." La guardai interrogativa, non riuscendo a capire.

 

"Nessuno ha mai osato mettere in discussione la sua autorità o quella dei suoi fratelli tra gli studenti. Se nessuno ti rivolge la parola, o peggio, tutti ti evitano, è per lo spettacolo di stamattina, perché avere contro un Taubenfeld vuol dire morte sociale in questa scuola, e nessuno lo vuole, naturalmente. Se vuoi un consiglio, cerca di farti amica Annie, è la più socievole del gruppo ed è rarissimo che rifiuti a qualcuno la sua amicizia." disse, partendo a macchinetta e spiegandomi la situazione.

 

Solo in quel momento, notai le occhiatacce che gli altri studenti mi rivolgevano di sfuggita.

Non erano dovute al fatto che ero nuova in quella scuola, ma perché avevo rischiato di incrinare un rapporto precostituito.

Ecco spiegato il motivo della sicurezza, quasi arroganza, di Evan, nell'avere la certezza che avrebbe vinto lui. Nessuno, men che meno uno studente, gli si sarebbe messo contro.

 

Intanto le occhiatacce continuavano, e mi sentii a disagio ad essere al centro dell'attenzione.

Che merda, le chiacchiere su di me dovevano essere un piatto succulento in una noiosa mattinata di scuola.

"E tu come mai mi rivolgi la parola? Non hai paura che possa attaccarti la peste nera?"


Sorrise. "Oh no, io sono esentata dalla morte, perché sono una delle rappresentanti di istituto. È mio preciso dovere accogliere e dare le prime indicazioni ai nuovi studenti."

Entrammo in aula, ci sedammo a metà classe, né troppo avanti né troppo indietro e iniziò a prendere appunti.

Il resto della mattinata scorse tranquilla, tranne per le figure di merda che i vari professori mi avevano fatto fare, costringendo a presentarmi.

L'idea di essere invisibile agli occhi degli altri si stava rivelando impossibile da attuare.

 

Nel frattempo, mi stavo dirigendo a mangiare un boccone in mensa, da sola ovviamente.

Per fortuna Danica, da brava ragazza, mi aveva dato una piantina dell'edificio e mi aveva segnato i punti fondamentali: l'ingresso, la segreteria, il mio armadietto, la palestra e la mensa.

Mi fermai un attimo. La sfilza dei corridoi che si stagliavano davanti a me e quelli disegnati sulla piantina, non erano esattamente gli stessi. Per niente gli stessi.

Cazzo, dovevo essermi persa! Maledetto il mio pessimo senso dell'orientamento!

 

Non c'era anima viva in circolazione, dovevo essere proprio lontana dal luogo che volevo raggiungere.

E comunque, nessuno ti rivolgerebbe la parola. Morte sociale, ricordi? 

Già, infatti. Quello che mi aveva detto Danica mi stava facendo male.

All'inizio avevo fatto finta che non mi interessasse, ma la verità era che non sarei assolutamente riuscita a trascorrere un anno così, perché sarei diventata lo spettro di me stessa.

Mentre scacciai via quei pensieri tristi, stavo ancora guardando la cartina per cercare di trovarci un senso, quando sentii una voce provenire da una classe. Mi avvicinai per chiedere informazioni.

"Merda! Perché deve rendere le cose così complicate?!" riconobbi subito quella voce. Era...era Evan, e sembrava piuttosto arrabbiato e alterato.

 

Non riuscii a correre via. Il mio cervello, maledetto lui, elaborò quello che sentì e invece di scappare, mi spinse ad avvicinarmi alla porta in punta di piedi.

Socchiusi la porta, che per fortuna era ben oliata, e vidi lui, intanto a prendere a pugni un armadio di metallo.

 

"Brutta..." un pugno violento "Stronza..." secondo pugno "Cinica e insensibile!" altro pugno con un calcio diretto all'anta sinistra.

Non era difficile capire a chi si stesse riferendo. Una lacrima scappò al mio controllo, ma la asciugai con rabbia.

Proprio quando il mio cervello si riattivò, spinto da uno scatto di rabbia improvvisa, e decise di lasciarlo stare, Evan, come se avesse percepito una presenza indiscreta, alzò lo sguardo e incontrò i miei occhi.

Non distolse lo sguardo dal mio, neanche quando altre lacrime sgorgarono dai miei occhi e scappai via.


L'unica nota positiva della faccenda fu che scappando, ero finita proprio nella mensa che cercavo.

Persi una decina di minuti per la fila che si era venuta a creare, presi un panino e una bottiglietta d'acqua velocemente, senza guardarmi attorno. Volevo solo andare fuori e sedermi da qualche parte.

Uscii sempre con lo sguardo basso e, sbadata com'ero, andai a sbattere contro qualcuno.

 

"Scusa..." Alzai lo sguardo solo per un istante, giusto per vedere a chi stessi rivolgendo la parola.

No. Non poteva essere!

Evan mi afferrò le braccia e mi guardò con intensità, serio. Mi divincolai dalla sua presa ferrea, piena di vergogna.

 

Non riuscii a dire una sola parola, erano tutte morte nella mia gola.

Così, senza dirgli niente, uscii all'esterno, prendendo una grande boccata d'aria.

Respirai a pieni polmoni, dovevo ritrovare la lucidità che davanti a lui perdevo sempre. Cercai, e trovai, un posto che non fosse all'ombra, mi ci voleva proprio un po' di sole.

Chiusi gli occhi, beandomi di quel calore che a Napanee non c'era mai.

Non avrei mai pensato di dirlo, ma mi mancavano le sue nuvole. Era proprio vero, che non ti accorgi mai di quanto sia importante qualcosa fin quando non la perdi per sempre.

 

Sfogliai l'elenco delle letture obbligatorie di letteratura inglese, volevo distrarmi e non pensare più a Evan in quella stanza. Come se fosse semplice.

Visto il tipo di scuola e visto come se la tiravano tutti lì dentro, mi aspettavo qualcosa di più difficile e interessante. Invece no, avevo già letto tutto: le sorelle Brontë, Jane Austen, Robert Frost...

All'improvviso, un'ombra impedì al sole di scaldarmi come prima e mi costrinse a distogliere lo sguardo dal foglio, per rivolgerlo alla figura che si trovava davanti a me.

 

 

 

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Capitolo 23
*** I'm sick of this shit. ***


Salve :)

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

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Auguro una buona lettura a tutti!

 

Avril Lavigne – What The Hell (aprire in un’altra scheda)

 

 

Pov Annie

 

Non ero ancora riuscita a parlare con Avril.

Sembrava che fosse sparita dalla circolazione, esattamente come il mio caro fratello.

Lui sapeva benissimo che disapprovavo il suo comportamento di stamattina, ma non voleva sentirselo dire. Sarei stata molto delicata...brutto stronzo! Ti sembra il caso di mettere nei casini quella ragazza? Si, si, il mio comportamento immaginario sarebbe stato perfetto, non avrei neanche alzato la voce più di tanto...

 

Si, decisamente gli conveniva starmi lontano.

Finalmente, dopo un paio di minuti, vidi Avril arrivare in mensa. Aveva lo sguardo basso e imbarazzato, sperai solo per il bene del mio fratellino che non fosse colpa sua.

Mi alzai dal tavolo che dividevo con gli altri miei fratelli e andai a fermare la ragazza, perchè volevo parlarle.

Sentii una stretta alla mano. Drew mi stava trattenendo, ma non mi dava affatto fastidio, anzi, adoravo sentire il calore che le sue mani mi trasmettevano.

 

"Aspetta, non vorrai parlarle qui davanti a tutti?"

 

"Le mie intenzioni sarebbero quelle." risposi.

 

"No, non è una buona idea, perchè non ti risponderebbe e ti manderebbe anche a quel paese, probabilmente." Aveva ragione. Come sempre, mi dava ottimi consigli.

"E che dovrei fare?" dissi, dando fiducia a lui e alle sue idee geniali. Mi affidavo sempre a lui, anche se non se ne accorgeva mai. Idiota.

"Prendi due caffè." disse, alzando leggermente le spalle, con fare quasi ovvio. 

 

Prendi due caffè, ma che cavolo di risposta era?!

E lui avrebbe idee geniali?!

Cazzo, mentre io e Drew discutevamo, Avril era quasi arrivata all'uscita.

Non sarei mai riuscita a fermarla, ma poi qualcuno ci pensò per me.

Evan le aveva preso le braccia e la teneva ferma, e anche da qui si poteva notare perfettamente il suo sguardo serio e penetrante.

 

Dopo il primo momento di smarrimento, lei si riprese immediatamente e si liberò dalla sua presa.

Una volta lasciata libera Avril, mio fratello alzò lo sguardo e il primo sguardo che incontrò fu il mio di totale disapprovazione. Sorrise, probabilmente della mia espressione, e quando ci ebbe raggiunti, si stravaccò sulla sedia che avevo lasciato libera, iniziando a giocare con il tappo della bottiglietta di limonata di Charlotte.

"Hai deciso di torturarla, per caso?" gli chiesi inviperita.

In qualche modo, sentivo che Avril sarebbe diventata la grande amica che non avevo mai avuto la fortuna di avere, e mi dispiaceva vedere come era trattata da mio fratello.

Infatti, questa mattina avevo chiesto a Danica di aiutarla ad ambientarsi e di assicurarsi che nessuno le desse fastidio nel suo primo giorno di scuola. Avevo voluto proteggerla...

"A chi ti riferisci?" Alzai gli occhi al cielo, che razza di deficiente. Sbuffò e proseguì. "E poi, non è necessario che tu la faccia seguire da Danica." Mmh, se l'aveva notato, voleva dire che aveva tenuto d'occhio Avril per tutta la mattina. "Se hai deciso di farci amicizia, dille che, la prossima volta, è meglio se si fa i cazzi suoi, grazie."

 

"Stronzo" borbottai tra me e me. Non sapevo cosa volesse dire con quella frase, ma restava sempre e comunque uno stronzo.

Uscii dall'edificio e la cercai nel giardino della scuola.

La vidi seduta sotto un albero a godersi il caldo sole del mezzogiorno, con gli occhi chiusi. Rientrai veloce nella caffetteria.

 

Pov Avril

 

Annie Taubenfeld era di fronte a me e mi stava facendo ombra con il suo corpo. Mi regalò un sorriso a trentadue denti. Sembrava proprio uno di quei personaggi sempre allegri degli anime giapponesi, con gli occhioni tondi e luccicanti, e un viso incorniciato da lunghi capelli marroni chiaro. 

"Ti va un caffè"?mi chiese gentilmente, porgendomi uno dei due bicchieri della caffetteria che aveva in mano.

La guardai con sospetto, cosa significa questo suo gesto?

Aveva forse mandato la sorella gentile a rimproverarmi?

 

"Possiamo parlare un attimo?" chiese, confermando i miei sospetti.

"E di che vorresti parlare?" le risposi scettica.

"Accetta il caffè e lo saprai!" Mmh...in fondo due chiacchiere non avevano mai ammazzato nessuno.

 

"Ok, dimmi pure."

"Ehm...ti va se ci sediamo su una panchina?"

 

Acconsentii, ridendo della sua faccia buffa. Mi alzai e mi sistemai la gonna, afferrando lo zaino e le scarpe e ci avviammo verso la panchina più vicina. Camminare a piedi nudi mi dava sollievo ai piedi, era piacevole sentire l'erba sotto di sé.

"Allora? Che hai di tanto importante da dirmi?" Danica mi aveva consigliato di farmela amica, ma in quel momento ero troppo nervosa per essere gentile.

"Voglio solo bere un caffè con te." Fece spallucce e mi porse il mio caffè. Intuii subito però che mi stava nascondendo qualcosa, come se avesse un piano segreto che mi riguardasse da vicino.

"Ah grazie, mi serviva proprio un caffè adesso." Troppo sincera Avril, troppo sincera.

"Allora, come è andato il primo giorno di scuola?" disse, girandosi verso di me. Con la sua aria gentile, sembrava veramente avere un'attenzione genuina per la mia giornata.

 

"Direi...non male" Ecco, altra grandissima cazzata! Sapevo bene che era stato un disastro assoluto, e lo sapeva anche lei.

"Davvero?" disse, alzando le sopracciglia, incredula. Non mi aveva creduto per niente. "Essere convocata dalla vicepreside appena arrivata è stato solo l'inizio, vero? Danica ti ha definito triste e mi ha detto che non hai parlato con nessuno."

 

"Capisco...e tutte queste cose te le ha dette lei, giusto?"

Lei annuì e continuai. " Non ti preoccupare, comunque. Domani andrà meglio." dissi a me stessa più che ad Annie.

 

"Scusa per Evan, ma lui di solito non si comporta così...sei andata a letto con lui?" mi chiese, diretta.

La sua domanda a bruciapelo mi lasciò senza parole. Fissò il suo bicchiere, come se fosse la cosa più importante del mondo, poi alzò gli occhi, implorandomi di dirle che non avevo fatto una cazzata del genere. 

"È un problema?" le chiesi, facendo una finta faccia dispiaciuta. Lei sgranò gli occhi e abbassò il capo, demoralizzata. A quel punto non resistetti più e scoppiai a ridere.

"No, tranquilla..." la confortai, facendomi pensierosa.

Quanto potevo dirle? Ma si, in fondo la figura di merda non la facevo io.

"Toglimi una curiosità. Tuo fratello è mai stato...rifiutato?" chiesi.

Al suo scuotere la testa, risi ancora di più. "Io l'ho fatto, per ben tre volte. Credo che questo sia stato abbastanza grave da meritarmi il suo odio." conclusi sarcastica.

 

Lei mi squadrò, sgranando gli occhi. "Stai scherzando? Evan rifiutato per ben tre volte? E chi se lo aspettava." disse, unendosi alla mia risata.

 

Il caffè finì in fretta, così come la pausa pranzo tra le risate. Mi sentivo più leggera, forse sarebbe andata veramente meglio. 

"Bene, adesso devo andare a lezione. Comunque, oggi pomeriggio, dopo le lezioni, ci sono i provini per le nuove cheerleaders. Ci serve una ginnasta con esperienza, e da quello che ho visto stamattina tu mi sembri perfetta per il ruolo. Poi devi scegliere due attività extrascolastiche, per cui..."

 

Spalancai gli occhi e stavo per dirle assolutamente di no, quando si incamminò verso l'entrata. "Alle 15 e 30 al campo di football. Ti aspetto." Urlò, alzando la mano in segno di saluto.

"No Annie, non vengo." le urlai in risposta, ma ormai lei era lontana e non mi sentì.

 O, forse, fece finta di non sentirmi.

Non avevo nessuna intenzione di passare dal campo di football, non ero una stupida ragazzina tinta senza cervello e che si credeva di essere chissà chi solo perché era una cheerleader.

Le lezioni erano finite e mi costrinsi a pensare positivo, facendo il giro delle varie sedi dei Club e Circoli dove si svolgevano le attività extra.

La lista era lunga e ordinata alfabeticamente ed eliminai subito quelli che sicuramente non avrei frequentato, cucito e cheerleaders in testa.

 

Poi, mi accorsi che, per andare alla sede di fotografia, dovevo per forza passare davanti al campo di football. Probabilmente c'era anche una strada alternativa, ma quella che ormai avevo intrapreso era la più veloce, e avrei tanto voluto non perdermi, per una volta.

Mi avvicinai, cercando di rimanere nascosta dalle gradinate.

 

La bionda figlia dei Taubenfeld, credevo che si chiamasse Charlotte, guardava malevola le candidate.

Va bene, alcune non avevano per niente il suo fisico, ma non vedevo il motivo di essere così perfide.

 

"La parola "cheerleaders" in questa scuola vuol dire eccellenza, perfezione, il meglio del meglio!" Alzai gli occhi. Porca miseria, quante arie che si davano. "La squadra di football è la migliore dello stato e si merita il tifo migliore, noi! Quindi, le selezioni saranno severe e gli allenamenti ancora più duri. Se pensate che un impegno costante e intenso sia troppo per voi, lasciate stare, il cheerleading non ha bisogno di scansafatiche. Soffrirete e vi ammazzerete di fatica in palestra, ma avrete anche tanto di vostri sacrifici. Annie."

Non ero tanto sorpresa dal suo discorso finale, né tanto meno che lei fosse la capo tifoseria. Incarnava perfettamente lo stereotipo della cheerleader:bionda ossigenata, un fisico da paura, popolare e ricca.

Dentro di me sogghignai, se gli stereotipi nascevano ci doveva pur essere un motivo.

Annie Taubenfeld prese la parola.

"Se non sapete fare questo..." disse, indicando una ragazza che fece una spaccata in salto "...potete anche lasciare tutto e andarvene. E non crediate che vi accetteremo tra di noi, se non siete capaci di fare anche questo." Due ragazzi fecero una serie di salti sui tappeti azzurri messi a bordo campo, davanti alla squadra. Erano davvero bravi.

 

Comunque, questo atteggiamento da parte di Annie, così freddo e sprezzante, non me lo sarei mai aspettato. Non era la stessa ragazza con cui avevo parlato a pranzo. Lentamente le aspiranti se ne andarono alla spicciolata, con le spalle curve per la delusione. Mio malgrado, ero rimasta ferma ad osservare la scena, con alcune ragazze che mi passarono accanto e mossero la testa, sconsolate.

 

Annie indicò un’altra serie di passi e acrobazie che avrebbero dovuto scoraggiare persino le ragazze più convinte. Ma non me.

Prese gli shorts che avevo messo nello zaino, li infilai sotto la gonna che tolsi insieme alle scarpe, slacciai i bottoni della camicia, e me la sfilai, fregandomene se qualcuno mi stesse guardando.

Il teschio sorrise beffardo, aveva ritrovato il suo posto su di me.

Non mi diedi pena di mettere le Converse, mi avvicinai ai tappetini direttamente a piedi nudi.

 

Per fortuna, l'attenzione dei ragazzi non era rivolta a me, e così ne approfittai, facendo una serie di salti mortali in avanti, alternando uno con le mani a uno senza, e concludendo con una ruota perfetta.

Vidi Annie saltellare sul posto tutta contenta, battendo le sue mani, eccitata.

Al contrario, Charlotte mi squadrò disgustata. Disprezzo che nascondeva ammirazione? Non ne ero proprio convinta, il suo era odio allo stato puro. Le sorrisi, ripagandola con lo stesso odio negli occhi.

"Bene, ora posso anche andarmene." dissi, andando verso gli spalti e riprendendomi lo zaino.

Mi rinfilai anche le Converse, non potevo di certo continuare ad andare in giro a piedi scalzi...

"Ehi, aspetta!" disse Annie, che era riuscita a raggiungermi con il suo passo svelto.

"Sei venuta alla fine. Sei stata grande, lo sapevo che avevi classe. Entra nella squadra, ti prego." disse, congiungendo le mani.

"Annie, toglitelo dalla testa." Non ero stata io a parlare, ma qualcuno mi aveva appena tolto le parole di bocca. Charlotte ci aveva raggiunte. "Scordatelo, non la voglio in squadra."

 

"E chi ti dice che io voglia entrarci?" le risposi a tono, mi stava sulle palle con quella sua aria da sostenuta. "Non è per niente difficile ballare quelle mosse idiote che fate." Mi rispose con un'occhiataccia. "Barbie, non guardarmi così, non credere che il mondo giri intorno a te, non funziona in questo modo. Non diventerò mai un'oca senza cervello!" dissi, ma quello che non riuscii a prevedere, fu la sua reazione.

 

Mi si avventò contro, ma quello che non sapeva era quanto fossi un asso nelle risse.

Lei continuava a colpire con furia cieca, senza senso, e riuscii facilmente a tenerle testa.

Più lei attaccava, più io ridevo e più ridevo, più lei si irritava e colpiva alla cieca. Sicuramente, dopo il nostro piccolo scontro, avrebbe dovuto rifarsi la piega. Per una ragazza tutta apparenza come lei era la cosa peggiore. 

"Char"! Annie cercò inutilmente di farci dividere, ma non ci riuscì finché non sentii delle braccia forti separarci.
Un altro Taubenfeld, Matt, teneva ferma Charlotte senza difficoltà. Lei si dimenava come una furia, ma lui era decisamente più forte.

 

Intanto altre braccia mi sollevarono da terra, dove ero rimasta seduta a ridere per la scena tra Matt e la bionda ossigenata.

Voltai appena il viso e vidi Evan. Con la divisa da football sta divinamente, è così...

Avril Ramona Lavigne! Basta con questi discorsi stupidi!

 

"Ma tu litighi sempre con tutti?" mi rimproverò, serio. "Sei una selvaggia." sussurrò al mio orecchio, facendomi rabbrividire. "Ah, gli spogliatoi esistono per un motivo preciso, anche se ho comunque apprezzato lo spettacolo." disse, ridacchiando.

Ops, avrei fatto meglio a controllare che non ci fosse nessuno in circolazione mentre mi ero cambiata.

Mi voltai piano verso di lui - non era affatto semplice, perché mi teneva stretta a sé - e lo volli stuzzicare un po'. "Sono contenta che ti sia piaciuto..."sussurrai maliziosa a pochi centimetri dal suo viso. "...ma la prossima volta sei pregato di non guardare!" conclusi glaciale, come sempre.

"Come hai fatto tu?" mi rispose, sarcastico. La bambina che era in me reagì e gli pestò un piede con forza. Lui, invece di lasciarmi andare, cosa che io speravo, mi attirò ancora più a sé. Sentii delle scosse che mi percorrevano la schiena, e la sua presa farsi quasi violenta e possessiva.

 

"Ehm...ragazzi..." La voce di Annie mi riportò alla realtà e lo allontanai con forza.

Presi lo zaino e mi diressi verso il Club di fotografia, cercando di riprendere un po' di lucidità.

La dovevo smettere di farmi fregare da lui, due volte in un giorno a poche ore di distanza era quasi da ricovero. Togliamo pure il quasi.

Alle cinque in punto, orario della fine della giornata scolastica, mi presentai in segreteria e consegnai i moduli per l'iscrizione alla squadra di atletica della scuola e al club di lettura, due cose semplici che rispecchiavano le mie passioni.

 

La segretaria mi restituì l'iscrizione ad atletica, dicendo che ero già iscritta nelle cheerleaders e che potevo partecipare ad una sola attività sportiva.

"Si sbaglia, non ho nemmeno fatto il provino..." provai a spiegarle.

"Annie Taubenfeld ha presentato la sua domanda ed è stata accettata." Il foglio tra le mie mani si accartocciò.

"Ritiro la mia iscrizione, va bene?" dissi, con la voce che tremava di rabbia repressa.

"Non è possibile, mi spiace." Certo, se lei era dispiaciuta, io ero una rockstar conosciuta in tutto il mondo!

Riprese a lavorare senza degnarmi di ulteriori sguardi e io uscii dalla segreteria sbattendo la porta. Andai verso il mio skate e lì trovai Annie.

"Che c'è, hai deciso di perseguitarmi?" le chiesi acida.

 

"No, voglio solo esserti amica." spiegò con un gran sorriso.

"E essere amiche vuol dire continuare a mettere lo zampino ovunque?" Non sopportavo chi entrava a gamba tesa nella mia vita. "Lo sai che non ci vengo agli allenamenti, vero?" L'ammutinamento mi sembrava la strategia migliore.

"Proposta! Stasera esci con me e vestiti comoda, perché ti porto a ballare." la guardai scettica. "Ti prego..." mi implorò con una vocina al limite delle lacrime.

 

Sbuffai. "Ok, ma dovrai passarmi a prendere e convincere Judy a lasciarmi uscire...sai ho il coprifuoco." conclusi sarcastica, ma con la segreta speranza che questa volta le regole di Judy mi salvassero in qualche modo.

"Oh, ma per quello non c'è problema. Mia madre ha chiamato la tua, dicendole della nostra uscita. Ciao, a stasera, alle 9 a casa tua!" disse, andandosene via.

Che piccolo essere perfido!

 

E se non mi fossi presentata, inventando una scusa all'ultimo momento?

Facile, Judy mi avrebbe cacciato di casa, pur di uscire con una dei fantastici ragazzi della famiglia Taubenfeld.

 

Annie mi aveva fregato. Merda!

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Capitolo 24
*** What happened to my... Monday? ***


Salve :)

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

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Allora, avete sentito la triste notizia?

La stessa Avril ha confermato che l’album sarà rilasciato ufficialmente il 5 Novembre :(

Invece, se lo volete pre-ordinare, lo potete fare dal 24 Settembre.

Mi chiedo chi abbia avuto questa brillante idea…*tutti pronti con i forconi?*

Ok, vorrà dire che aspetteremo fino a Novembre.

E chi ce la fa?! Bisogna solo pazientare!

Va beeene, auguro una buona lettura a tutti con questo capitolo a ben 3 Pov!

 

 

 

Pov Annie

 

Il mio piano era semplice, perfetto e diabolico, per certi versi.

Avevo chiamato Ami, pregandola di telefonare con una scusa qualsiasi alla signora Mitchell e di chiederle se per lei fosse un problema che sua figlia studiasse a casa nostra quella sera. Naturalmente, mia madre sapeva dove la volevo portare, ma dopo un paio di lamentele aveva accettato. Non amava conversare con Judy e non potevo di certo darle torto, quella donna trasudava ottusità da ogni singolo poro della sua pelle.

 

Avevo convinto mia madre dicendole che volevo essere amica di Avril, ma che lei era diffidente nei miei confronti. Volevo solo che quella ragazza fosse felice e così era anche per la mia dolce mamma, perché le aveva fatto una buona impressione a cena, ma aveva notato quanto i suoi occhi fossero tristi.

Avril aveva le mani legate, anche se avesse rifiutato il mio invito, sua madre l'avrebbe fatta uscire comunque. L'avrei portata al Passion Skate. Certo, Evan non avrebbe apprezzato, ma Avril doveva conoscere meglio il mio mondo, e soprattutto quello di mio fratello.

 

Tra di loro c'era una strana alchimia, si attraevano come due calamite, ma i loro caratteri forti li portavano sempre al contrasto. Per qualche strana ragione, il mio fratellino non ammetteva con sé stesso che gli piacesse Avril, e poi ad Evan avrebbe fatto sicuramente bene trovare qualcuno che gli tenesse testa.

Canticchiavo serena davanti al mio armadio, in cerca di qualcosa di carino per la serata. La porta della mia camera si aprì e si chiuse con un tonfo alle spalle di Drew.

"Non si usa più bussare?" gli chiesi, ma senza acidità, tornando a concentrarmi sul mio armadio.

"Potrei sapere che intenzioni hai?" Lo guardai, facendo la finta tonta.

 

"Non so a cosa ti riferisci." dissi, tornando a canticchiare e togliendo dei pantaloni dalla loro gruccia.

"Lo sai benissimo, Annie. Ho appena parlato con Ami." Ecco, e ti pareva che mamma non facesse la spia e si confidasse con il nipote...

 

"E allora, mamma ti ha chiesto di controllare le mie amicizie? Le ho chiesto solo di venire a ballare."

"No, Ami approva il tuo comportamento, ma hai perso la memoria?" disse, avvicinandosi e sedendosi sul mio letto. "Il lunedì si va tutti al Passion Skate a ballare e non credo che Avril sia quel tipo di ragazza e che tanto meno Evan approvi che tu la porti con te."

"Non mi interessa cosa pensa quello sfigato." Strinsi forte i pugni, mio fratello non poteva impedirmi di avere una nuova amica. Drew mi prese le mani tra le sue, facendole schiudere.

 

"Ti renderebbe felice avere Avril come amica?" mi chiese, e al mio accenno di assenso, continuò. "Ma puoi avere tutte le amiche che vuoi, perché ti fissi con lei?"

Tolsi immediatamente le mie mani dalle sue, scocciata.

"Ma si può sapere che avete voi uomini? Siete ciechi? Avril ha una personalità molto forte, ma è anche fragile, e le serve un'amica come me!" ribattei, sicura. "Voglio che lei sia felice, e io posso farla felice!" urlai, ormai in preda alla rabbia. "E poi, non hai visto l'attrazione che c'è con Evan? Io credo che anche lui finalmente possa essere felice con una ragazza che apprezzi la sua personalità!" dissi.

 

Drew si alzò dal mio letto e si voltò verso la porta. "Se basta questo a renderti felice..."disse, dandomi le spalle. Il suo tono era tagliente, freddo. Non era mai stato così con me.

"Certo che mi rende felice!"risposi di getto.

 

"Ma una volta tanto, non puoi fare qualcosa solo per te stessa e non per gli altri?" mi chiese, girandosi.

"Mi stai accusando di eccessivo altruismo?" ribattei, acida e sarcastica.

"No, dico solo che anche tu meriti una persona che ti ami." Rimasi completamente spiazzata da quelle parole. "Secondo me...devi amare una persona, prima di cercare di trovare la ragazza giusta per Evan."


"Non posso trovarla. Io amo già qualcuno." sussurrai triste. "Ma lui non lo vuole capire..."

 

"Che stupido." disse, girandosi verso la porta. La sua mano stava per abbassare la maniglia, e sentivo tutta la sofferenza, che avevo provato a nascondere nei mesi precedenti, crescermi dentro. Insomma, quanto poteva essere cieco? Possibile che non capisse?

 

"Già, sei proprio uno stupido!" Lui si fermò, impietrito dalla mia rivelazione, mentre le lacrime che avevo trattenuto per tutto quel tempo, iniziarono a scorrere veloci dai miei occhi.

 

"Annie, noi siamo fratelli...anche se non geneticamente, né legalmente." Infatti, lo sapevo che il mio amore fosse una cosa sbagliata, non c'era bisogno che me lo facesse notare anche lui. L'avevo sempre tenuto nascosto da occhi indiscreti, cercando di soffocarlo in tutti i modi, ma per quanto avessi provato, non ci ero mai riuscita.

 

"Oh, scusa se non posso comandare al mio cuore chi amare." dissi, con il sarcasmo che prese per un momento il posto della tristezza. "Tu non sei uno stupido, sei un'idiota senza cervello!"

 

Ero sicura che fosse uscito dalla mia stanza, perché avevo sentito il rumore della porta chiudersi. Così, mi sedetti sul letto e mi presi il volto tra le mani, piangendo senza nessuna remora. Poi, però, sentii il materasso sprofondare vicino a me e due mani toccare dolcemente le mie.

"Annie, guardami." Non riuscii a sollevare lo sguardo, ero piena di vergogna. "Annie! Guardami, per la miseria!" ripeté con autorità, riuscendo ad alzare il mio viso verso il suo.

 

"Annie, non puoi continuare così. Amarci è...sbagliato". Il suo volto era molto di più che sofferente, non avrei mai dovuto confessargli i miei sentimenti.

"Pensi che non lo sappia, o che non lo sappiano tua sorella e Matt? Ma loro non ci pensano e si amano lo stesso!" gli urlai in faccia.

"C... Cosa? La mia sorellina e Matt? Ma io a quello gli spacco la faccia!"disse, passando dalla sorpresa alla rabbia in un nanosecondo. Asciugai le ultime lacrime rimaste, mi ero sfogata abbastanza. Ci avrebbe pensato il cuscino, stanotte, ad accogliere il resto del mio dolore.

"Non lo sapevi? Credo che tu sia l'unico in casa."

"No... Ma comunque, parleremo dopo di loro, perché... Beh, ecco... Anch'io... "

 

"Anche tu, cosa?"

 

"Si, insomma... Anche io ti amo! Ecco, l'ho detto. Ti giuro, ho tentato in tutti i modi di amarti, ma anche solo di vederti, come una sorella, perché so che è sbagliato, stupido, immorale e..." Oh no, stava andando in iperventilazione, dovevo fermarlo.

 

"Drew... "

 

"Ho tentato di respingerlo, davvero, ma più ci pensavo e più mi faceva male. E poi... "

 

"Drew! Fermati!"

 

"... Io non voglio andare contro i nostri genitori, hanno fatto così tanto per me e per Char, ci hanno accolto da quando eravamo piccoli, e..."
Ok, la situazione stava precipitando di secondo in secondo.

Feci l'unica cosa possibile per fermarlo e per farlo riprendere. Gli tirai un ceffone.

 

Lui sgranò gli occhi e si portò la mano sulla guancia colpita. "Ma che ho fatto?"

 

"Innanzitutto, calmati... E poi, mi sono persa...Che stai dicendo? Anche tu..." Non ebbi il coraggio di finire la frase. Non avevo né la forza, né tantomeno la speranza di illudermi che anche lui potesse ricambiare i miei sentimenti.

 

"Sì" sospirò. "Anne Mary Taubenfeld, anche io ti amo. E... So per certo, che se adesso ti dicessi che ti amo solo come sorella, sminuirei tutto l'amore che un uomo prova per una donna, e tutto l'amore che io provo per te."

 

Era come se fossi divisa in due parti. La prima parte, quella pessimista, credeva, inconsciamente, di stare sognando. Quante volte avevo sperato che questo momento diventasse realtà? Sembrava troppo giusto, troppo perfetto, perché accadesse davvero.

L'altra parte invece, quella ottimista, stava già saltellando per la stanza e stava per andare in giardino ad accendere i fuochi d'artificio.

Sperai tanto che la parte ottimista avesse ragione.

 

"E allora, che problema c'è? Amiamoci!" dissi, sorridendo dolce e con semplicità. Mi sembrava una cosa talmente ovvia.

"Ma non possiamo, non capisci?" mi sussurrò, mettendo le mie mani sulle sue.

 

"Drew! Adesso basta! Tu puoi amarmi e io posso amarti, proviamoci almeno! Questo è il miglior giorno della mia vita, non rovinarmelo. Prometti che ti impegnerai per far funzionare la cosa?" chiesi, alzando il tono di voce.

 

"Va bene" disse, annuendo e sorridendomi, finalmente.

Si sporse verso di me, e piano le sue labbra furono sulle mie, gentili, delicate, in un bacio dolcissimo.
Mi strinse tra le sue braccia e mi accoccolai sul suo petto.

Mi sentivo felice, completa e amata, dopo tanto tempo.

Qualche minuto dopo, tutta l'aurea di felicità che si era venuta a creare, fu spazzata via velocemente dalla "furia Charlotte", che entrò in camera mia, spalancando la porta, senza nemmeno bussare.

Vedendoci così, arrossì di colpo e tentò di mettere insieme una frase. "Ecco... Si, io, insomma..."

 

"Che c'è sorellina, ti sei scandalizzata?" chiese divertito Drew.

 

"Che ne hai fatto del mio gemello, Annie? Questo non è lui..." disse, ritrovando la parola.  

Mi girai per guardarlo. Mi fece un sorriso tra l'allegro e il malizioso. Cavolo, era così dannatamente bello...

 

Per fortuna, Charlotte mi distrasse dalla mia crisi ormonale.

"Ho cambiato idea. Non rispondermi, non lo voglio sapere, la nuova versione di Drew va bene. Ora, caro fratellino, potresti gentilmente uscire che devo essere arrabbiata con la tua nuova ragazza, per favore?" disse.

E ti pareva che dovesse farmi anche la ramanzina!

 

Drew sospirò e mi baciò un'altra volta. Mmh, potrei anche farci l'abitudine...

Poi, oltrepassò Char, ma prima di uscire, si fermò e le disse:"Matt, eh? Io e te dobbiamo fare un bel discorsetto."

 

Lei sgranò gli occhi, ma non disse nulla e abbassò la testa, rossa in viso. Io, invece, fischiettavo tranquilla, mentre sceglievo cosa abbinare ai jeans.

"Annie...La felicità di vedere mio fratello finalmente felice con la donna che ama, non mi impedisce di essere arrabbiata. Non lo hai detto tu a Drew, vero?"

"Ehm...potrebbe essermi sfuggito." Mi lanciò una delle sue occhiatacce fulminanti. "E dai, Char. Sono felice! E innamorata!" dissi, sorridendole.

 

"Si, ok, va bene. Piuttosto, parliamo dei provini di stamattina."

 

"Perché?" le chiesi, sorpresa.

 

"Annie, è vero che ti avevo dato carta bianca...Ma far entrare in squadra quella idiota di Avril è troppo!"mi urlò in faccia.

"Ah, per quello... Beh,"è una brava ginnasta e ci serve per vincere. Non credo ci sia niente di male." dissi, scrollando le spalle.

 

"Sarà anche una brava ginnasta, ma non è una cheerleader. Non vuole entrare in squadra e ci darà un sacco di problemi."

 

"Oh, Char... Lo sai che non è tanto diversa da me e da te."

"No, non credo proprio. Le si legge in faccio il disprezzo per noi!"

"Mmh, che ne dici di questo abbinamento?" le chiesi, sovrappensiero.

 

"Cambia maglietta. E scarpe. Si va a ballare, mica a una sfilata."

 

"Sì, mi sa che hai ragione."

 

"Comunque, non cambiare discorso, Annie."

 

"Lei è come noi Char, non capisci?" le chiesi, aspettando impaziente la sua risposta.

 

"No, veramente no."

 

"Insomma, anche lei vuole essere amata!"esclamai, prima di dichiararmi soddisfatta della scelta dei vestiti per la serata.

Un semplice paio di jeans chiari, a cui avevo abbinato una maglietta senza maniche di un azzurro intenso, e le ballerine della stessa tonalità.

"Scusami, ma cosa..."

 

"No, niente ma Char! Ora scusami, ma ho un'ospite da andare a prendere."

 

Pov Avril

Scesi le scale proprio mentre suonavano alla porta.

“Vado io!” urlai, anticipando la cameriera, tanto sapevo perfettamente chi fosse.

Infatti, Annie mi sorrise raggiante, neanche fosse la mattina di Natale.

Judy fece la sua comparsa sulla porta, e proprio allora decisi che sarebbe stato il momento opportuno per levare il disturbo.

 

"Andiamo.” La spinsi fuori, mentre agitava la sua manina verso mia madre, che ci salutò.

“Buona serata, ragazze!” Non sprecai il mio fiato nemmeno per risponderle.

Era convinta che andassi da Annie a studiare. Invece, il programma era di andare a ballare. La piccola bugia mi serviva per due motivi. Il primo era per uscire, il secondo per evitare il coprifuoco, nonostante non mi facessi tanti problemi a mentire a Judy, comunque.

 

Non appena vidi la macchina di Annie, sgranai gli occhi.

Ma cosa cavolo erano i signori Taubenfeld, trafficanti di diamanti?

Prima una Ducati, ora una BMW...

Salii sulla macchina, cercando di nascondere l'irritazione.

 

"Allora, dove andiamo?” dissi, rompendo il silenzio che era sceso in macchina.

"Sorpresa!” mi disse, allegra.

 

"Io odio le sorprese." bofonchiai, sentendomi tanto il Puffo Brontolone.

 

“Oh andiamo, è un posto che frequentiamo io e i miei fratelli.” Peggio ancora!

 

Notando la mia faccia, si affrettò ad aggiungere:"Ma... sono sicura che ti piacerà, vedrai."

Mah, se lo diceva lei...

 

Eravamo alla periferia della città, e riuscì ad intravedere un ampio parcheggio verso cui Annie si stava dirigendo. Ampio ma tutto pieno.

 

“Annie...” dissi, tentando di farle notare che fosse una cosa totalmente inutile cercare un posto libero.

 

Lei invece, senza nemmeno guardarsi intorno, si diresse decisa proprio vicino all'ingresso dell’edificio e chissà come, trovò parcheggio. Mi nasceva un dubbio. Non è che il locale... Nah, non poteva essere.

 

Lasciai vagare lo sguardo per il parcheggio. In quanto a mezzi costosi, notai solo una Yamaha R1, nera e con la scritta oro, ma niente Ducati, per fortuna. Lui non c'era e potei respirare più facilmente. Non credevo di volerlo vedere, non dopo oggi.

“Vieni, gli altri ci aspettano.”

 

La voce squillante di Annie mi ridestò da ogni mio pensiero su di lui. “Gli altri?”dissi, fermandomi allarmata. Che ci fosse anche lui?

“E dai, muoviti!” disse, prendendomi per il braccio e  trascinandomi verso la lunga coda all’entrata del Passion Skate.

 

“Annie! Non entreremo mai!" mi lamentai, segretamente soddisfatta. Lei però mi sorrise furba e salutò con affabilità i buttafuori, Ben e Tyson.

Come mai li avevamo raggiunti così in fretta?

Semplice, la mia accompagnatrice aveva spintonato e chiesto con autorità permesso, tenendomi sempre il polso ed evitando che rimanessi indietro, mentre io, imbarazzatissima, chiedevo scusa a chi pazientemente aspettava il proprio turno.

 

Si perse in chiacchiere con i due omoni, sembrava davvero che li conoscesse bene.

Ci fecero passare subito, nessuno nella fila si lamentò, come se per loro fosse una cosa normale. Dopo il breve corridoio dell’ingresso, dove c’era il guardaroba, entrammo nella sala da ballo. La musica veniva mixata da un dj su una torretta in un angolo della sala, con le luci che si inseguivano e rendevano i ballerini colorati. Ballerini....ballerini di hip-hop!

 

Sul mio viso era dipinto un sorriso a trentadue denti, che si stava allargando secondo dopo secondo. Annie rise della mia faccia, e mi urlò nelle orecchie di chiudere la bocca. Forse la mascella mi toccava terra...

Dovevo ammetterlo, questa volta ero davvero piacevolmente stupita. Mi sentivo nel mio mondo, in qualcosa che conoscevo e amavo. La passione per la breakdance era nata quando avevo 12 anni, quando, all'entrata del parco cittadino, vidi dei ragazzi tutti tatuati volteggiare per aria ed eseguire delle mosse davvero spettacolari.

Mi colpì la loro leggerezza, la loro facilità nel compiere mosse che a me sembravano impossibili, ma soprattutto quel senso di libertà che emanavano.

Loro erano liberi, e avrei voluto tanto esserlo anch'io.

 

Ritornai al presente quando, come attratta da una calamita, spostai il mio sguardo verso il bancone del bar. Una gran folla, soprattutto donne, in realtà, vi erano accalcate e lo nascondevano quasi completamente. Cazzo, ma era lunedì, che ci facevano tutte quelle ragazze?

Alice seguì il mio sguardo e, da donna pestifera qual'era, mi trascinò per l'ennesima volta. La folla si aprì al suo passaggio, neanche fosse Mosè davanti al Mar Rosso. E io, naturalmente, avevo il polso imprigionato nelle sue grinfie. Questa ragazza aveva davvero una doppia personalità. Tanto gentile e dolce all’apparenza o quando ti offriva un caffè, quanto forte e determinata quando doveva torturare le future cheerleaders o quando doveva farsi largo tra la folla.

“Ehi Annie!” Anche se la musica mi stava rendendo quasi sorda, avrei riconosciuto ovunque quella voce. E adesso, si spiegava anche perché le donne erano il 99,9% della piccola folla riunita attorno al bancone. “Che ti offro?” Io ero rimasta dietro le spalle di Annie, e lui non mi aveva ancora visto. Non credevo proprio che avrebbe fatto i salti di gioia appena mi avesse visto.

“Due limoncelli!” Wow, mica ci andava leggera la ragazza. Venni trascinata in avanti con forza. Menomale che misi le mani avanti, altrimenti mi sarei già ritrovata all’ospedale con contusioni multiple per scontro con bancone di bar.

 

Evan aveva versato i limoncelli e mi guardò furente. Cosa avevo detto io? Salti di gioia... “Che ci fa lei qui?” sibilò, rivolto alla sorella, ma continuando a guardare me con i tratti del suo bel volto induriti dalla rabbia che, nonostante tutto, stava cercando di reprimere.

 

“È mia ospite, quindi non rompere!” gli rispose a tono Annie.

 

“E ora, signore e signori, è arrivato il momento tanto atteso!” disse il dj dall'alto.

“Io e te ne riparliamo a casa.” disse, portando la sua attenzione sulla sorella. “Ma mi raccomando, non farle fare casini.” C...Cosa? Ma come si permetteva quello stronzo? Io fare casini? Ok che facevo sempre qualche cazzata in qualsiasi posto andassi, ma la facevo solo se provocata! “Vado, Chad mi sta chiamando.”

 

“È il momento più atteso della serata, ragazzi e ragazze del Passion Skate! È l’assolo di Evan Taubenfeld!” Assolo?

Quello sfrontato di Evan salì in piedi sul bancone, mentre tutti attorno a me urlavano eccitati e si spostavano lontano da lì. Evidentemente, sapevano che avrebbe saltato, e non doveva essere neanche la prima volta. Odiavo ammetterlo, ma ero dannatamente curiosa. A scuola, nonostante tutto, si era mosso incredibilmente bene.

“Brody” Si rivolse ad un ragazzo che stava shakerando un cocktail "Ora hai tu il comando.” disse con tono scherzoso, ma allo stesso tempo autoritario.

Pff, patetico. Neanche fosse un Dio sceso in terra! Sbuffai irritata dal suo atteggiamento da padrone del mondo, mentre, con un salto mortale in avanti con capriola, atterrò proprio davanti a me.

“Piaciuto?” mi chiese, sorridendomi beffardo.

“Un po’ deludente.” gli risposi sarcastica, mentre in realtà era stato bravo. “Non sai fare altro?” lo provocai.

“SI!” Annie saltellò sul posto tutta contenta, battendo le mani. “Ottima idea!”

“Annie...Che diavolo stai dicendo?” le chiese Evan, confuso quanto me.

 

“Sfidatevi!” Eh? “Matt!” Il ragazzone, come evocato, comparve al suo fianco. Annie gli sussurrò qualcosa all’orecchio e lui ci osservò intensamente mentre il suo sorriso complice e cospiratore si fece sempre più ampio.

“A me quei due fanno paura.” sussurrai.

“Concordo.” Wow, avrei dovuto segnare la data! Evan Taubenfeld era d'accordo con me!

“Silenzio, gente!” Il vocione di Matt fece calare il silenzio all’istante. “Chad!”

 

“Che vuoi?” urlò il dj, abbassando la musica. Ora sì che il silenzio era assoluto, non volava una mosca nell’aria.

“C’è una sfida questa sera, gente!” Ero sempre più confusa. “Dai, non dirmi che non hai voglia di fargliela pagare per stamattina a questo stronzo!” Mmh, che bel fratello che si ritrovava Taubenfeld. Beh, se prima mi stava anche solo un po' simpatico, ora lo adoravo!


“Matt...” lo rimproverò Evan.

“E tu fratello, non avrai mica paura che questa ragazzina ti faccia fare la seconda figura di merda in meno di ventiquattrore, vero?” sghignazzò, divertito. Io lo ero un po’ meno.

“E il mio parere non lo chiedete neppure? E poi chi vi dice che io sappia ballare?”

“Semplice!” Annie trovava tutto un po' troppo semplice per i miei gusti. “I tuoi occhi si sono letteralmente illuminati quando sei entrata qui dentro, come se partecipassi ad ogni singola mossa dei ballerini in pista.” Merda, mi aveva capita meglio di quanto credessi. “E poi, come facevi a sapere che la sfida consistesse in un ballo?" Maledetta io e la mia boccaccia. “E per rendere il tutto più interessante, c’è il premio. Se vinci tu non sentirai più parlare di cheerleader.” Mmh, questo poteva essere interessante. Affidarmi alle mie capacità e alla mia buona stella poteva essere un buon modo per liberarmi dall'incubo cheerleaders. Certo, l’altro lato della medaglia era inquietante, perché, se avessi perso, sarei stata costretta a prendere parte della squadra.

“E io che ci guadagno?” Ecco, il solito approfittatore! Questo potrebbe essere un problema.

“Scegli tu!” Eh no, che cazzo! Non volevo assolutamente replicare l'episodio di stamattina.

 

“Fama eterna.” sussurrai ironica.

 

Lui però mi sentì, si chinò verso di me e mi parlò a pochi centimetri dal viso. “Quella c’è già.” E lui non era un essere presuntuoso? “E poi, un Taubenfeld non commette mai lo stesso errore due volte. Quindi...fatto!” disse, ridendo soddisfatto e senza rivelare la sua decisione. Potevo solo immaginare, da tanta ilarità, che la cosa non mi sarebbe piaciuta affatto.

“Bene gente! Si comincia!” Ancora una volta era Matt a dettar legge. “Dj! Qualcosa di appropriato, per favore!” Si interruppe un attimo per guardarci, sempre più divertito. “Si fa sul serio, quindi tappeti!” Sentii Evan mormorare afflitto "No, i tappeti no!", ma non avevo la più pallida idea a cosa si riferisse.

 

Il pubblico attorno a noi era sempre più entusiasta, mentre i gemelli Taubenfeld sollevavano dei pannelli mobili al centro della pista, rivelando dei tappeti elastici.

Li avrei sicuramente sfruttati al meglio, non ero una ballerina eccelsa, ma sapevo saltare come nessun altro!

Presi un bicchierino di limoncello e lo bevvi fino alla fine.

Cavolo se era buono!

Evan mi guardò impressionato, ma, se volevo ballare con lui, avevo bisogno di carica. Tracannai anche il secondo come se niente fosse, con una scrollata di spalle.


Non facemmo in tempo a portarci al centro della pista e a saggiare l’elasticità dei tappeti, che la musica risuonò a tutto volume e iniziammo a ballare. Era ora di dimostrare a Taubenfeld che anche io ero brava in qualcosa!

Cazzo, imprecai in tutte le lingue e in tutti i modi possibili, era davvero bravo! Volteggiava, volava, si muoveva con assoluta grazia, imprimendo allo stesso tempo ai suoi gesti forza, decisione e carattere. Era...perfetto. Dopo che ero rimasta immobile a guardarlo, mi incitò a farmi avanti, tendendo verso di me il braccio e l’indice che poi provocante ripiegò un paio di volte verso di sé. Accettai la sfida, non potevo fare altro.

 

Non pensavo a quello che stavo per fare, agivo e basta, lasciandomi trasportare dall'istinto. Saltai sui tappetini, appoggiando il piede sul bordo a destra, prima di lanciarmi di nuovo, decisa, sull’elastico e facendo finire il piede sul bordo a sinistra. Ricaddi ancora sul tappeto, ma questa volta in capriola, atterrando nello spazio tra i due tappeti. Mi voltai verso il mio sfidante, e allargai le braccia, per chiedergli se gli bastasse e, con una sicurezza che non possedevo, gli feci un cenno del capo, per fargli capire che era il suo turno.

 

Si muoveva preciso e sinuoso, avvicinandosi sempre di più a me. Eravamo vicinissimi e il ritmo si faceva più intenso man mano che i secondi passavano. I nostri occhi incatenati e i nostri sorrisi divertiti e sinceri escludevano totalmente il pubblico, ballavamo solo per noi. Ci allontanammo e il ritmo rallentò, permettendomi di fare alcuni passi in verticale, scendere in ponte, camminare all’indietro e rialzarmi. Mi lanciai decisa verso il centro della pista, saltai i tappeti con una ruota su una mano sola e oltrepassai l’ostacolo, scendendo in spaccata, mi raggomitolo su me stessa e sollevandomi su una vola mano, faccio girare le gambe. Quando mi rialzai, mossi le braccia in una sinuosa onda, seguendo il percorso con lo sguardo. Naturalmente, la conclusione del percorso furono la mia calamita personale, gli occhi di Evan, che, ne ero sicura, mi aveva osservata per tutto il tempo. Lo guardai ancora, sfidandolo per l’ennesima volta, e non se lo fece ripetere due volte.

 

Fece un gioco di gambe velocissimo, ruotò su se stesso e si lanciò in una capriola all'indietro. Quando riprese l'equilibrio, intrecciò le braccia in un groviglio impossibile da seguire, come se facesse e sciogliesse più volte un nodo. Poi, con un balzo, si arrampicò sul traliccio del dj e, con un'altra capriola all'indietro, atterrò sul tappetino preciso per la fine della canzone, incrociò le braccia e si portò una mano sotto il mento, strafottente. La folla esultò impazzita e lo acclamò come se fosse un Dio, alcuni lo sollevarono addirittura!

 

Io ero ancora ferma al mio posto. Tutti mi oltrepassavano, alcuni mi spintonavano anche, ma io guardavo solo lui. Ok, dovevo ammetterlo, sfidare Evan Taubenfeld nel suo territorio non era stata per niente una grande idea! Quando tutti i sogni di gloria venivano infranti, la ritirata era sicuramente la scelta migliore. Poco onorevole, ma dignitosamente di classe.

Pov Evan

Zio James mi si avvicinò con il suo solito sorriso untuoso, lo avrei preso a schiaffi davvero molto volentieri.

“Ottima performance, ragazzo.” si complimentò, falsamente. Per me poteva anche andare a quel paese, ma ero un ragazzo di classe e non volevo trattarlo male, visto che era l’unico membro della mia famiglia di origine.

“Grazie, James.” gli risposi, secco e viscido, ripagandolo con la sua stessa moneta. Lui era il fratello di mia madre e mi aiutava a gestire il locale. Ero pur sempre un diciassettenne che andava ancora a scuola e con molti progetti per il suo futuro, che non contemplavano la sola gestione di un locale.

“Lizzie sarebbe molto orgogliosa di te.” Già, ma non per merito tuo, caro zietto, o mia madre, prima di morire, avrebbe nominato te come mio tutore, non Mark.

Sorrisi. Lizzie era una donna saggia e conosceva bene il fratello. Infatti, da vero stronzo quale lui era, aveva tirato in ballo mia madre senza un motivo valido, pur sapendo che il ricordo di mia madre mi ferisse molto.

 

Senza degnarlo ulteriormente della mia attenzione, osservai la sala. Tutti erano tornati a divertirsi dopo la sfida tra me e Avril, e qualcuno doveva aver esagerato con l’alcool.

Tyson era stato bloccato da alcuni ragazzi che avevano deciso di prendersi a pugni, dovevano aver alzato troppo il gomito.

Accettavo tutto al Passion Skate, ma non disordini del genere. Appena vidi Ben, gli feci cenno di andare ad aiutare il compagno, in modo che la situazione non degenerasse e quegli idioti venissero sbattuti fuori.

 

Percorsi ancora una volta la sala con lo sguardo. I miei fratelli erano in pista che ballavano come dei matti a coppie, Charlotte e Matt, e Annie e Drew.

Sorrisi, volevo molto bene a tutti e desideravo con tutto il cuore che fossero felici. L'unica nota stonata era che non vedevo lei, la mia stella, doveva sicuramente essere uscita dalla sala.

Non avrebbe dovuto allontanarsi da sola, soprattutto in quel momento che non c’era nessuno all’ingresso, merda!

Il Passion Skate era un posto rispettabile, ma eravamo pur sempre alla periferia di Los Angeles. La cosa non mi piaceva per niente. Di solito, c’era sempre qualcuno che si assicurava che non accadesse niente ed ero tranquillo, ma adesso...provavo una strana ansia. Presi le chiavi della mia moto, il casco e il giubbino e veloce guadagnai l’uscita, ignorando chiunque mi salutasse.

 

Uscii nell’aria frizzante della notte, che, dopo il caldo soffocante del locale, mi faceva sentire stranamente vivo.

Appena fui fuori, i miei occhi, abituatisi al buio, misero a fuoco una scena che mi fece gelare il sangue nelle vene. Lasciai cadere tutto, casco, giacca, chiavi, ogni cosa.

La testa mi girò improvvisamente, e sentii tutto il mio corpo fremere per la tensione. Morii in quello stesso istante.

 

 

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Capitolo 25
*** Isn't anyone trying to find me? Won't somebody come take me home? ***


Salve :)

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

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Per questo continuo, vorrei che chiunque, mentre lo leggesse, ascoltasse I’m With You. Trovo che la canzone sia praticamente perfetta per il capitolo (per cui mi sono impegnata molto, tra l’altro) e penso che la musica lo renderebbe ancora più speciale.

 

Un grazie particolare a tutti quelli che lo faranno.

 

Avril Lavigne – I’m With You

 

 

Pov Avril

 

Ero uscita a prendere una boccata d’aria, cercando di controllare la delusione.

Che merda! La sconfitta, anche se mi costava ammetterlo, mi bruciava parecchio, sia per come era stata causata, ma soprattutto da chi era stata causata . Tirai un calcio violento ad una lattina abbandonata per strada, che razza di incivili!

Prendersela con gli altri era sempre un buon modo per sfogare la rabbia e non pensare a se stessi. La vidi rotolare distante da me e sbuffai, lasciandomi andare ad un'amara considerazione. Avrei dovuto immaginare da subito che quella fosse una sfida già persa in partenza, una trappola perfetta, o Annie non avrebbe neanche pensato di mettere in palio il posto nelle cheerleaders.

 

Sarei dovuta rientrare. Forse quella matta scatenata stava aspettando la sottoscritta per strapparmi un giuramento solenne, con tanto di firma con il sangue, sulla mia partecipazione agli allenamenti. Sarei anche dovuta andare a correre sul mio skate per molto, moltissimo tempo, per non correre il rischio di staccare la testa a quella smorfiosa di Charlotte. O forse, dovevo smetterla di irritarmi a morte con certi miei pensieri, di certo non del tutto consoni ad una ragazza pon pon per bene come me. Il mio viso si contrasse in una smorfia di puro disgusto. La cosa peggiore sarebbe sicuramente stata vedere la faccia di Judy, non appena avesse appreso la grande notizia. Come minimo, si sarebbe messa a piangere, emozionata. Come massimo...avrebbe fatto il giro di tutte le case di Los Angeles, dicendo che la figlia era entrata a far parte della squadra di cheerleaders della scuola.

Rabbrividii, e non solo per il freddo.

 

La temperatura si era abbassata parecchio e iniziavo a sentire brividi scorrermi lungo tutto il corpo. E io che pensavo che in California ci fosse sempre il sole! Mi ero totalmente persa nei miei pensieri e, camminando con lo sguardo rivolto verso terra, mi ero allontanata troppo dall'ingresso. Il parcheggio non era ampio, era decisamente enorme e il mio senso dell’orientamento non ne gioì affatto. C'erano moltissime macchine, di tutti i tipi e dimensioni. Alcune danneggiate, altre tirate a lucido, ma tutte disposte in ordine.

Alzai lo sguardo all’improvviso, presa dalla strana sensazione di essere osservata. Mi guardai attorno, leggermente spaventata, mentre mi ripetevo che era solo una stupida sensazione. Affrettai il passo, cercando di raggiungere l’ingresso del locale, e tenendo come punto di riferimento l’edificio. Inutile, più camminavo e più mi sembrava di allontanarmi.

 

“Ehi, dolcezza...” Alzai lo sguardo verso la voce. Alcuni ragazzi venivano nella mia direzione. Borbottai piano un "ciao", prima di invertire la direzione di marcia, sperando che la fortuna fosse dalla mia parte. A quanto sembrava, invece, il mio angelo custode era in vacanza. Da all'incirca diciassette anni.

“Dove scappi, tesoro?” Il tono languido e viscido del ragazzo che mi aveva rivolto la parola mi fece rabbrividire. Mi stava seguendo con un paio di altri suoi amici, che sghignazzavano perfidi. Aumentai il passo, ma non mi misi a correre. Non volevo dare l’impressione di stare scappando, anche se era così. La fuga era la tattica migliore in questi casi, e la periferia di una grande metropoli non era mai un posto sicuro.

 

All'improvviso, venni accecata da un’auto con gli abbaglianti accesi, che si fermò, inchiodando a pochi centimetri da me. Era superfluo dire che mi ero spaventata parecchio, credevo che non riuscisse a fermarsi quando avevo visto la macchina svoltare l’angolo a tutta velocità, derapando con un gran stridore di pneumatici. Battei un pugno sul cofano, incazzata, ma sperando segretamente che, chiunque fosse, mi togliesse da quella situazione del cazzo.

“Brutto figlio di puttana.” urlai, dando un calcio al paraurti dell’auto.

 

“Che termini, signorina.” L’uomo, che prima mi aveva rivolto la parola, era sempre più vicino.

 

“Concordo con te, Jack. Nessuno può insultare la mia mamma senza essere punito.” L’autista aveva aperto lo sportello e si appoggiava ad esso, osservandomi da capo a piedi.

Perfetto, il guaio diventava sempre più enorme, non solo quei due si conoscevano, ma le loro intenzioni non erano di certo delle più amichevoli. Mi guardai in giro, cercando una via di fuga. Intanto Jack si era fatto più vicino, mentre i suoi amici, che continuavano a ridere in un modo agghiacciante, si erano disposti in un semicerchio, intrappolandomi tra la macchina e Jack, e togliendomi qualsiasi possibilità di scappare. Angelo custode? Dove cazzo sei?

 

“Stammi lontano.” La mia voce, nonostante la paura fottuta che avevo in corpo, risultò bassa e salda.

 

“Non fare così, dolcezza.” disse, con un ghigno malefico che gli comparse in faccia. “Se fai la brava, possiamo divertirci tutti.” Chissà perché, ma non mi sentivo di far parte di quel tutti.

 

“Si certo, come no. Ma vaffanculo, coglione!”

 

“Mmh, questa ragazza ha gli artigli. Mi piace. Sarà decisamente più divertente di quella di tre giorni fa." Merda,non dovevo essere la sua prima preda.

Più lui si avvicinava, più io mi schiacciavo contro la macchina dietro di me. Due mani mi bloccarono le braccia, stringendole, e cogliendomi di sorpresa. Cercai di divincolarmi, ma era pur sempre un uomo grande e grosso, mentre io una stupida ragazzina che si cacciava sempre nei guai.

Cercai di fare mente locale, ma con la paura che mi sentivo addosso, non era facile. Regole fondamentali di autodifesa? Giusto, calciare nelle palle, pestare con il tacco il piede, e, se ti ha lasciato andare, girarsi e mettergli due dita negli occhi.

 

Il piano andava bene fino al calcio nelle palle, ma dopo avevo le mie Converse ai piedi, quindi niente tacco. Va bene. Urlare era il punto due, ma in quel momento mi sentivo paralizzata dalla paura e non ero sicura di riuscire ad alzare il volume della voce.

“Adoro le ragazzine coraggiose. È meglio, c’è più lotta.” Il moto di disgusto che provavo mi fece venire i brividi e per poco non mi vomitai. Mi agitavo sempre di più,nella vana speranza che mi lasciasse andare, e, per un solo attimo, sperai che fosse così.

 

“Ehi Eric, fai la cose con calma. Tanto, ce ne è per tutti...” Il terrore mi paralizzò sempre di più. La sua voce era vogliosa e malvagia, e aveva una strana luce di perfidia che gli animava lo sguardo. Jack era davanti a me, che mi guardava, languido e famelico, mentre portava le sue mani schifose sui miei fianchi. Feci l'unica cosa che potessi fare in quel momento, ma, forse, era anche la più stupida. Non tentai né di scappare, né di urlare, no, sarebbe stato troppo. Invece, chiusi gli occhi, per tentare di estraniarmi da quella situazione disgustosa, per sperare che non stesse accadendo a me, ma a qualcun'altro, e per cercare di respingere la violenza se non con il corpo, almeno con la mente. Ma non mi lasciarono nemmeno quel desiderio così innocente e stupido.

 

“Apri gli occhi!” Il tono era violento, perfido e cattivo. Mi diede uno schiaffo fortissimo, che bruciava sulla mia guancia. Il sapore del sangue in bocca mi diede subito il voltastomaco. Lo sputai, colpendo casualmente l’uomo davanti a me in faccia. Pensando che l'avessi fatto intenzionalmente, si pulì il viso, ghignando, e mi provocò altro dolore, dandomi una fortissima ginocchiata nello stomaco. Quasi barcollai all'indietro.

“Mossa sbagliata, bambolina. Mai, mai farmi incazzare.” Quasi non riuscii neanche a sentire le sue parole. I colpi di tosse che la ginocchiata mi provocò erano intensi, talmente tanto che per un paio di secondi non riuscii a respirare. Il sangue ritornò prepotentemente ad inondarmi la bocca, e, per liberarmene, gli sputai in faccia un’altra volta, con tutto il disprezzo possibile, e prendendo anche la mira per colpirlo in mezzo agli occhi.

“Brutta troia!” Non si pulì nemmeno la saliva mista a sangue dal volto, perché voleva colpirmi ancora. La sua mano era a mezz’aria, e chiusi istintivamente gli occhi, aspettando il colpo che, quando arrivò, era ancora più doloroso del primo.

“Ora, piccola stronza, che ne dici di fare la brava, eh?”  Avevo ancora gli occhi chiusi, mentre le sue mani alzavano lievemente la mia maglietta. Sentivo le sue dita sudaticce percorrermi lo stomaco, cosa che mi provocò altre ondate di forte dolore.

L'altro suo amico, Eric, si spostò e si avvicinò a me, toccando con la punta delle sue dita ghiacciate il lato destro del mio collo. All'inizio, non capii subito cosa volesse fare, ma ci arrivai due secondi dopo, quando la sua mano scese fino all'orlo dei miei jeans.

 

Eccola dunque, la fine. Solo di una ero certa. Non sarei sopravvissuta, dopo. Anche se mi avessero lasciata andare, dopo avermi rubato la verginità con la forza e il disprezzo, non avrei avuto abbastanza coraggio, per ricominciare tutto daccapo. Adesso che lo stavo provando, non lo auguravo a nessuno, perché nessuna donna o ragazza che sia è in grado di sopportare tutto quel dolore, indenne. Sperai solo che facessero in fretta, anche se sapevo che fare in fretta, adesso, era l'ultimo dei loro pensieri.

 

Poi forse, vista la gravità della situazione, il mio angelo custode aveva deciso di prendersi due minuti di pausa dalle sue belle vacanze e di aiutarmi, per una volta. Il potente rombo di un motore, sperai la mia ancora di salvezza, squarciò l’aria. La Yamaha R1 che avevo visto appena arrivata vicino all’ingresso, aveva rotto il semicerchio, in cui ero intrappolata, con un’impennata. Gli altri, presi dalla paura di essere investiti, si allontanarono velocemente dalla moto, lasciandomi, giusto per un paio di secondi, libera di scappare. Con tutta la velocità che le mie gambe mi consentivano, mi fiondai verso la moto, che nel frattempo si era abbassata e aveva fatto un giro su se stessa, sgommando.

 

“Sali!” Fu solo un ringhio, che però, in quel momento, mi parve il suono più dolce del mondo. Evan mi fissò per un secondo solo, prima di rivolgere lo sguardo davanti a sé, furioso. Feci appena in tempo ad allacciare le mie mani sul suo petto, che partì, impennando. Lasciai per un secondo i momenti trascorsi alle spalle, e mi concentrai solo sul ragazzo che mi stava aiutando. Era sicuro nella sua corsa veloce, preda di una strana frenesia che non riuscivo a capire. Le mie mani si stavano intorpidendo per il freddo, e così mi sporsi oltre la sua schiena dove, sentendomi al sicuro, avevo appoggiato la testa, riparandomi solo in parte dall’aria gelida. Sentire il suo torace alzarsi e abbassarsi con regolarità, mi donava una sensazione di tranquillità incredibile. Era una sensazione...strana.

 

Evan correva senza meta, veloce, non gli interessano i semafori e la segnaletica stradale, le macchine e il traffico. Era arrivato a 180 k/h, ma nonostante la velocità non mi spaventasse, eravamo entrambi senza casco, e la sua rabbia avrebbe potuto fargli commettere qualche errore di cui poi avrebbe potuto pentirsene.

 

“Evan!” cercai di chiamarlo, ma era difficile che mi sentisse, data la velocità. All'improvviso, iniziò a scalare le marce, per poi fermarsi del tutto poco dopo. Non sapevo dove ci trovassimo, forse un parco, visto che c'erano degli alberi poco distanti da noi. Con un piede mise il cavalletto alla moto, mentre io lo stringevo ancora a me. Non volevo perdere il contatto con la sua schiena rassicurante, non ero ancora pronta a lasciarlo andare.

 

“Avril...mi puoi lasciare, ora.”

 

Pov Evan

 

“Avril...mi puoi lasciare, ora.” Il mio tono era duro e irritato, non per il suo dolce, ma stritolante, abbraccio, ma per la scena a cui ero stato costretto ad assistere. Nessuno toccava le mie cose.

Sentivo ancora il suo corpo fragile e tremante stringersi a me.

Si era completamente affidata, mentre come un folle correvo tra il traffico di Los Angeles.

 Non sentivo il freddo o i clacson delle macchine che mi invitavano gentilmente ad andare a quel paese, perché l’adrenalina che scorreva ancora nelle mie vene compensava la mancanza di razionalità. Dovevo solo allontanarmi dal parcheggio, per scaricare la tensione del momento. Avevo avuto una paura fottuta che potessero farle seriamente del male. Raddrizzai la schiena, scosso, e lei seguì il mio movimento, senza staccarsi.

 

“Ehi...” dissi, parlandole più dolcemente questa volta, non volevo che fosse spaventata da me. Volevo solo scendere e andarle a prendere qualcosa per coprirsi, perché aveva le mani ghiacciate, peggio di un cadavere. Le presi tra le mie, facendole sciogliere dalla loro presa ferrea. Scesi dalla moto e mi voltai appena in tempo per afferrarla prima che cadesse. Era pallidissima, tremava e sembrava sul punto di svenire. 

“Avril...” Ero molto preoccupato che fosse sotto shock. Anche lei scese dalla moto e, come se fosse ubriaca, barcollò. Non riuscì però a trattenerla a me, perché mi allontanò con gesto secco e con una forza che non credevo avesse in questo momento. Alla fine, si appoggiò con una mano ad un albero poco distante da dove mi sono fermato, e vomitò.

“Avril! Cazzo!” Mi avvicinai immediatamente a lei e le misi una mano sulla fronte imperlata di sudore freddo, aiutandola mentre vomitava l’anima. Si rialzò, tremante, mentre barcollava ancora un po’, nonostante il suo volto non fosse più così pallido. Cercò nelle tasche qualcosa, ma non riuscì a trovarlo. Così, immaginando cosa fosse, le passai un fazzoletto, con cui si pulì la bocca.

 

“Di solito...di solito non mi succede...” spiegò con voce flebile. Stavo per dirle che non si doveva giustificare di niente, ma lei mi anticipò:“Ma tu...tu guidi veramente come un pazzo.” Rimasi completamente spiazzato. Cioè, lei non vomitava perché era sotto shock per quello che era successo, ma vomitava per la mia guida?!

 La guardai totalmente sconcertato. Possibile non facesse mai quello che mi aspettavo da lei?

 

“Stai bene?” chiesi, con una preoccupazione.

 

“Certo.” sussurrò, prima di girarsi e vomitare ancora.

 

“Certo.” le feci il verso, ma non mi allontanai da lei. Non appena smise, la feci sedere sul marciapiede, sperando che la nausea le passasse. “Metti la testa tra le gambe, aiuta.” le consigliai, mentre mi sedetti accanto a lei, guardando il suo torace alzarsi e abbassarsi ritmicamente. Prese dei grandi respiri, cercando di calmare sé stessa e il suo stomaco scombussolato.

 

“Va meglio.” disse, sospirando , ma tenendo ancora la testa tra le gambe. Ero sorpreso che avesse seguito il mio consiglio, che si fosse fidata di me un'altra volta.

 

“Te l'avevo detto.” La canzonai un po’, credendo che, alleggerendo la situazione, le fosse più facile rilassarsi. Il silenzio scese tra di noi.

 

"Ehm...io credo di...” tentennò.

 

“Di?” la incitai a continuare. In parte, volevo sentirglielo dire. In parte, volevo assicurarmi che fosse in grado di completare una frase senza vomitare ancora.

 

“Insomma...didovertiringraziare.” Disse le parole talmente tanto velocemente, che riuscii a capirle a fatica.

 

"Non ti preoccupare, va bene così.”

 

“No, sul serio. Ho pure vomitato. Ho sempre tollerato poco l’odore del sangue.” Solo in quel momento vidi il labbro spaccato, con la guancia che, evidentemente, non era rossa solo per il freddo. Una rabbia incredibile mi montò dentro, strinsi forte i pugni.

 

 “Ma tu...tu stai ancora male? Sei sotto shock?” Tremava come una foglia e questo non faceva altro che rendermi più ansioso. Le domande si rincorrevano veloci tra le mie labbra.

 

“Ehi, tranquillo.” Mi sorrise, per rassicurarmi, e mi accarezzò una guancia con la mano ghiacciata. Lei che voleva confortare me, semplicemente assurdo! “È solo il freddo. Sono sempre stata brava a dimenticare in fretta le cose spiacevoli.” disse, facendo spallucce, ma il suo viso si contrasse in una smorfia di dolore ben visibile.

 

“Vieni.” Mi alzai e le tesi la mano. “Forza, andiamo.” Lei l’afferrò, titubante. Era leggera come una piuma e la feci alzare facilmente, nonostante non fossi proprio sicuro che le sue gambe fossero ancora in grado di reggere il peso del suo corpo.

 

"Questa volta vai un po’ più piano, per favore?” Risi. Davvero la preoccupazione più grande che avesse in quel momento, era la mia velocità?

Le offrii la mano, per aiutarla a salire dietro di me. Lei, sbuffando più sonoramente, si issò sulla moto e si attaccò nuovamente a me.

 

“Perché qui?” si lamentò, piagnucolando come una bambina, mentre spensi la moto.

 

“Fammi pensare...perché si.” dissi, ridendo. Appena toccò terra, la presi per mano e la guidai verso l’entrata. Non volevo perderla di vista un solo secondo, così le strinsi le dita tra le mie, forte e possessivo. Osservai l'entrata, notando che i buttafuori erano lì. Esserci prima, no? Evitare una rissa all’interno aveva quasi permesso una violenza all’esterno.

 

“Evan.” Tyson mi chiamò come se fosse sorpreso e leggermente ansioso.

 

“Che c’è?”

 

“Ah, c’è anche la ragazza, per fortuna.” Lo fissai stranito, che cazzo era successo ancora? Forse era per il fatto che fossimo spariti? Possibile che...Comunicò via radio il nostro arrivo e in un batter d’occhio, Annie spalancò la porta, inferocita.

 

“Tu.” Mi indicò. Il tono di voce era basso e vibrante, ma ancora più terrificante. “E tu.” Il suo indice si spostò su Avril, pietrificata. “Sparite un’altra volta in questo modo e vi scuoio vivi! È una promessa.”  Sapevo per certo che lo avrebbe fatto sul serio.

 

“Calmati Annie, eravamo solo...” E ora che le raccontavo? Guardai Avril al mio fianco, ancora più spaesata di me, e scosse leggermente la testa, senza idee.  

 

“Eravamo solo andati a fare un giro in moto, non ti preoccupare. Ok?” Erroraccio, Avril, erroraccio. Stranamente, però, mia sorella si rilassò, come se fosse felice di qualcosa. “Senti Annie, non è che mi dai un passaggio a casa? Sono molto stanca...”

 

“Ti accompagno io.” dissi, intervenendo all’istante. Era strano, solitamente non portavo nessuno dietro di me e questo Annie lo sapeva.

 

“Ok.” Tyson si avvicinò a noi, e mi passò due caschi. Lo ringraziai con un cenno e aspettai che la mia stella si vestisse, prima di partire di nuovo nella notte.

 

Ero arrivato a casa Mitchell. Avril scese dalla moto e mi porse il casco.

“Tienilo, così potremo fare altri giri.” Wow, la stavo davvero invitando a venire in moto con me?

 

“Non è il caso. Non credo che Judy approverebbe, quindi...è meglio se lo tieni tu" disse, porgendomi il casco.

 

“Come vuoi.” dissi, scendendo e mettendo il cavalletto alla moto. Poi, lei esitò un secondo. “Che c’è? Sputa il rospo.”

 

“Ti dispiace se...insomma...se tutto il casino che è successo rimanesse tra noi?” Le sue guance si infiammarono, e abbassò gli occhi, imbarazzata, sulle mani, che si stava torturando.

 

“Non lo avrei detto a nessuno.” affermai, serio mentre lei mi sorrise, grata. Davvero un bellissimo sorriso. “Buonanotte, stel...Avril.”

 

"Buonanotte" disse, ricambiando il mio augurio. Raggiunse il cancello di casa sua e stava quasi per andarsene via, quando si fermò, corse a tutta velocità verso di me, e mi baciò. Per raggiungermi meglio, si alzò sulle punte, mentre io abbassai lievemente la testa. Il contatto con le sue labbra era qualcosa di...paradisiaco.  Strinse forte i miei capelli, mentre io posai la mia mano destra sul suo fianco sinistro, ricambiando appieno il bacio. Poi, a quel contatto appena accennato da parte mia, s'irrigidì e recise il bacio. "Devo andare."

 

"Va bene." sussurrai appena.

 

"Grazie. Per tutto." disse, ed entrò in casa, senza più guardarsi alle spalle.

Il mio cervello era completamente perso, annebbiato e scosso dalle emozioni che quel bacio aveva portato con sé.

La domanda, ora, era una sola. Che diavolo mi stava succedendo?

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Capitolo 26
*** S...Sorry ***


Salve :)

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Auguro una buona lettura a tutti!

 

Pov Avril

 

Questa mattina ero in un ritardo mostruoso per la scuola. Mi ero svegliata tardi, dopo una notte tormentata, fatta di pensieri, parziali pentimenti e, soprattutto, incapacità di capire le mie reazioni. Il problema era solo uno, in realtà. Dove cavolo era finito il mio cervello quando l'avevo baciato, alle Maldive?!

Questa volta, poi, era decisamente peggio delle altre, perchè lui non aveva fatto assolutamente niente di niente, nichts, nada, nothing! Ero stata io a prendere l'iniziativa.

Ergo, non potevo sfogare tutta la mia frustazione su di lui, perché la colpa era stata solo mia. All'inizio, mi ero giustificata, dicendomi che lo volevo solo ringraziare per quello che aveva fatto per me, per il fatto che mi avesse aiutato, e un bacio mi sembrava un grazie più che sufficiente. Ma poi, avevo capito che era una scusa totalmente campata in aria.

Lui non aveva chiesto niente, e io non dovevo dargli niente che non volessi. Ecco, questo, era esattamente il secondo problema, in ordine di gravità. Come gli altri baci precedenti, la cosa che mi spaventava di più era il fatto che io volessi totalmente ricambiare il bacio. Ancora una volta, non riuscii a capirne il motivo, e questo mi irritava a morte! Sperai solo che qualcuno da lassù mi illuminasse o mi schiarisse le idee, prima o poi.

Ehi, lassù! Nel caso qualcuno mi stesse ascoltando, possibilmente prima, grazie!

 

Comunque, avevo passato la notte a girarmi e rigirarmi nel letto, senza trovare una risposta e, tantomeno, senza chiudere minimamente occhio. Non avevo fatto colazione ed ero uscita di casa senza salutare nessuno, cercando di non farmi vedere.

A dire la verità, mi sentivo una ladra nella stessa casa di mia madre, ma il labbro spaccato, la guancia gonfia e il livido sullo stomaco sarebbero stati difficili da spiegare. Un vero mostro di Loch Ness, praticamente!

Sperai tanto che Annie non se ne accorgesse, e soprattutto, che non mi rompesse le palle per l'assenza che avrei fatto per le cheerleaders. Non avevo proprio voglia di gridare come un'oca mentre agitavo orribili pon pon rosa. Grazie, ma per oggi avrei volentieri passato.

 

Arrivai a scuola di corsa, e attraversai il corridoio (sempre di corsa, ovviamente)  per arrivare al mio armadietto. Lo intravidi verso la fine del corridoio, intento a parlare fitto fitto con la sorella. Presa da non sapevo quale entusiasmo, mi avvicinai.

 

"Ciao..." dissi, arrossendo. Il bacio di ieri sera bruciava ancora forte sulle mie labbra.

 

Appena sentì la mia voce, s'irrigidì e interruppe il discorso con la sorella. "Va bene, Annie, ci vediamo dopo. Mi raccomando." disse, lanciandole uno sguardo d'intesa.

Ma che cavolo...

 

Lei annuì, sbuffando platealmente. Poi, rivolgendomi un'occhiata di sfuggita, Evan girò i tacchi e se ne andò, senza neanche rispondere al mio saluto. Bel maleducato!

 

"Annie, ma cosa..."

 

"Scusa Avril, ma...devo andare ora. Ci vediamo." disse, interrompendomi e lasciandomi lì nel corridoio, da sola.

Beh, almeno lei mi aveva salutato...

 

Hai capito che razza di stronzo era Taubenfeld!

Io mi ero fatta mille problemi, avevo passato una notte insonne per lui, e lui, che faceva?! Se ne fregava altamente!

Bel comportamento del cazzo, davvero!

Accartocciai forte un foglio che avevo tra le mani, fin quando non mi accorsi che si trattava del mio orario. No, quello ancora mi serviva!

Lo allisciai immediatamente, cercando di eliminare tutte le piccole pieghe che avevo creato.

Maledetto Taubenfeld!

Prossima materia? Letteratura inglese.

Bene, almeno mi sarei distratta un po'.

Obiettivo principale? Avercela a morte con lui ed evitarlo a tutti i costi.

 

Ma che palle... Cos'è che avevo detto, distrarmi un po'?

Se l’elenco dei libri di letteratura inglese mi era sembrato banale, le lezioni erano noiose, scialbe e insulse. Eppure era la mia materia preferita e mi costrinsi a stare attenta.

Il professor...Tyler, mi sembrava, parlò a vanvera per la prima mezz'ora, per poi interrompersi alla fine della sua dettagliata spiegazione, perché aveva da comunicarci qualcosa di molto importante, secondo lui. "Ragazzi, nella mezz'ora rimanente, farete un test d'ingresso, giusto...per testare le vostre capacità iniziali. Ricordate che c'è in palio il passaggio nella classe successiva, per le lezioni avanzate."

 

Ovviamente, la classe insorse, ma il professore non se ne ,curò, e continuò. "Ehm...signorina...Mitchell, giusto?" disse, rivolgendosi a me.

 

"Si" dissi tra i denti.

 

"Ecco, lei sarebbe esentata dal test, in quanto è una nuova arrivata. Ma, se vuole, può completarlo lo stesso, per non annoiarsi."

 

"Va bene, professore." Tanto non avevo nulla da fare, a parte bestemmiare contro Taubenfeld, chiaro.

Distribuì le schede a tutti, me compresa, e il test cominciò.

In realtà, era molto semplice. Sul foglio vi erano scritte per metà delle citazioni famose, e tu dovevi completarle, inserendo anche l'autore e, se te ne ricordavi, il libro in cui era scritta.

 

Incominciai.

 

“Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni.”

E la nostra piccola vita è circondata dal sonno. William Shakespeare, Sogno di una notte di mezz'estate. Piuttosto elementare.

 

Passai alla seconda.

“Sono poche le persone a cui io voglio veramente bene e ancor meno sono quelle di cui io nutro una buona opinione.”

Più conosco il mondo e meno ne sono entusiasta: ogni giorno che passa mi conferma nel mio giudizio sull'instabilità dei caratteri e sullo scarso affidamento che va fatto su ciò che può apparire merito o ingegno. Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio. Quel libro l'avevo imparato a memoria, talmente erano le volte che l'avevo letto.

 

“È una verità universalmente riconosciuta che un uomo scapolo in possesso di una vasta fortuna debba essere alla ricerca di una moglie.”

Per questo, appena un tale uomo appare all'orizzonte, tutte le famiglie del vicinato lo considerano proprietà legittima delle loro figlie in età da marito. Ancora Jane Austen, ancora Orgoglio e Pregiudizio, soltanto che questa volta era l'incipit.

 

“Tutti gli animali sono uguali.”

Ma alcuni sono più uguali di altri. Orwell, la Fattoria degli Animali, motto finale.

 

Finii il test in cinque minuti scarsi, e lo consegnai al professor Tyler. Guardai gli altri ragazzi, pensando che avessero già finito, come me. Invece, alcuni di loro guardavano il loro test, disperati. Altri si mangiucchiavano la punta della penna e si grattavano il collo, in attesa di chissà quale illuminazione divina.

Ma dai, il test era di una semplicità assurda. Possibile che non le sapessero?

 

Ritornai a sedermi al mio posto, incrociando le braccia e chiudendo gli occhi. In fondo, due minutini di sonno non avevano mai fatto male a nessuno. Soprattutto a chi la notte non dormiva, come me...

 

“Signorina Mitchell!” Aprii gli occhi di scatto e alzai subito la testa. Merda, dovevo essermi addormentata sul banco senza accorgermene. A quanto pare, invece, sia il professore che la classe lo avevano notato, e bene anche, a giudicare dalle loro facce sconvolte.

Merda, merda, e ancora merda! Il mio vocabolario delle imprecazioni si era leggermente bloccato, tanta era la merda in cui ero immersa. Se mi mandava dalla preside, ero fregata.

 

“Sono esterrefatto, signorina Mitchell! Dalla preside, subito!” disse, scrivendo qualcosa su un fogliettino. Ecco, cosa avevo appena detto?

"Prenda anche la sua cartella e questo foglietto, prego.” Non solo dalla preside, ma anche cacciata dall’aula. Ma bene. Presi il foglietto che mi tese, ma non mi preoccupai neanche leggerlo, sapevo già che non era corretto addormentarsi in classe.

 

La segretaria mi annunciò alla preside, prima di farmi entrare.

“Signorina Lavigne.” La preside mi osservava dubbiosa. Perché? Ah, già, non voleva più vedermi in presidenza, grandioso. “A che debbo l’onore?” Il sarcasmo mal celato nella sua voce non mi fece presagire niente di buono. Le tesi il foglietto che avevo in mano, senza dire una parola. La vidi fissare quell’insulso pezzo di carta e sul suo volto comparvero mille espressioni. Rabbia, delusione, incomprensione, poi sorpresa, incredulità, per poi finire con la classica mimica facciale del preside, la faccia pensierosa.

“Mmh, capisco. Bene, sembra che ci sia una sorpresa, qui. Venga con me". disse, alzandosi e uscendo dal corridoio.

 

Mi alzai anch'io, e la seguii, non potevo far altro. Ma non capivo...dov'erano le occhiatacce, i rimproveri e le ramanzine? La preside adesso non aveva la faccia...da preside, ma aveva uno strano sorrisetto compiaciuto sulle labbra.

Imboccammo un altro corridoio stracolmo di aule, fin quando la preside si fermò e bussò ad una porta. Ovviamente, non aspettò di ricevere il permesso. Dopotutto, era la preside!

Entrò a passo svelto, per poi fermarsi e girarsi verso di me. "Su, entra!"

Chi, io?! E perché mai dovevo andare in una nuova classe? Non credevo facessero tutto questo casino solo perché un alunno si era addormentato durante la lezione. A saperlo prima...

 

"Professor Jones." salutò la preside.

 

"Signora preside" ricambiò il saluto.

 

“Sono felice di informarvi che avrete un nuovo elemento in questo corso, da oggi.” Eh? E chi sarebbe il nuovo elemento, io?! “Il professor Tyler mi ha caldamente consigliato di far cambiare classe alla signorina Avril Mitchell, a quanto pare sembra che la sua preparazione in letteratura inglese sia superiore alla media. Bene, vi lascio alla vostra lezione.”

E certo, io ora rimanevo qui a fare la figura della scema e lei se ne andava senza dirmi nulla. Bella merda, davvero.

 

"Bene, allora...benvenuta nel nostro umile corso, signorina Mitchell!" E che cazzo, anche il professore che voleva fare il simpatico, no!

“Vediamo, c'è un unico posto libero, quindi vada all'ultimo banco vicino a Taubenfeld, prego." Cosa?! No, no, no, no, non poteva davvero aver detto che...

"Su, signor Taubenfeld, aiuti la signorina, non faccia il maleducato, per una volta."

 

Ecco, appunto. Da quando in qua i maleducati venivano ammessi ai corsi avanzati? Di letteratura, per giunta!

Eppure lui era lì, bello come sempre, con i capelli biondi leggermente scompigliati e quegli occhi azzurri terribilmente attraenti.

In effetti, però, c'era qualcosa che non andava. I...i suoi occhi, erano diversi. Erano freddi, distanti e pieni di...rimprovero?

 

“Il signor Taubenfeld si premurerà di aiutarla con il programma dalla prossima settimana. Per oggi si limiti a seguire e a prendere appunti, se vuole.” disse il professore.

 

Mi sistemai al mio posto, mentre lui mi guardava di sfuggita e stringeva forte i pugni, di tanto in tanto. La prima mezz'ora la trascorsi così, tra lui che non spiccicava una parola, e me, che cercavo di concentrarmi su altro, a disagio.

Perché mi guardava così? Perché non mi parlava? E soprattutto, cosa diavolo gli avevo fatto per essere trattata così?

All'improvviso, durante uno dei miei molteplici spostamenti sulla sedia, per cercare la posizione migliore, un quaderno mi cadde e andò a finire direttamente tra lo spazio che ci divideva.

Mi chinai per raccoglierlo, ma lui ebbe la mia stessa idea.

 

Le motivazioni che l'avevano spinto a fare un gesto così improvvisamente cordiale, mi erano sconosciute. Sapevo solo che ero rimasta completamente ferma, immobile e paralizzata dai suoi occhi, mentre le nostre mani si sfiorarono appena.

"S..scusa" mormorai. Lui, come risvegliato da uno stato di trance, si ritirò velocemente dalla sua parte, senza dirmi nulla, per poi schizzare letteralmente fuori dall'aula quando suonò la campanella, senza nemmeno aspettarmi o salutarmi.

 

Che stronzo, ancora!

E così, lui non voleva parlarmi?

Bene, anche io sarei stata affetta da una grave forma di mutismo.

Se lui voleva la guerra, guerra sarebbe stata!

 

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Capitolo 27
*** Listen to your heart ***


Salve people!

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Come per l’altro capitolo, vorrei che tutti quelli che leggessero questo, ascoltassero Innocence, soprattutto per il Pov Evan. Grazie a chiunque lo farà. ^_^

 

Auguro una buona lettura a tutti!

 

 

Avril Lavigne - Innocence

 

 

Una settimana dopo...

 

Pov Annie

 

 

Mio fratello era un coglione.

Avril era una cogliona.

Possibile che fossi circondata da coglioni?!

Era da una, e sottolineo una, settimana che quei due non si parlavano.

Il motivo, poi, non l'avevo ancora capito.

Vedevo solo che se ne stavano ognuno per i fatti propri, senza parlarsi, senza guardarsi, facendo come se l'altro non esistesse.

La cosa più brutta, però, era che ci stavano male tutti e due, e mi chiedevo come cavolo facessero a non accorgersene da soli. Era così ovvio!

Mi ricordavo ancora benissimo cosa mi aveva detto Evan la settimana scorsa. Si era avvicinato, mi aveva preso per il braccio e mi aveva detto:"Annie, mi devi fare un favore."

 

"Certo." gli risposi.

 

"Va bene. Non devi più parlare, vederti o sentirti con Avril."

 

No, ma era matto?! Infatti, credevo che il mio quasi urlato "Cosa?!" avesse ben espresso tutta la mia incredulità.

 

"Ssh, abbassa la voce! Sì, ho bisogno di chiudere tutti i contatti con lei per un po'. E lo devi fare anche tu! Fallo per il tuo fratellino, ti prego. Me lo prometti?"

 

"Va bene...ma perché?!" chiesi, esasperata. Non mi rispose, perché esattamente in quel momento arrivò Avril, e, sia io che lui, la lasciammo lì, da sola.

La cosa che mi faceva più rabbia, però, era il fatto di non sapere niente. Almeno, se avessi fatto parte del segreto, me ne sarei fatta una ragione.

Invece niente, perché il mio carissimo fratellino non me lo voleva dire.

Avevo dei sospetti, e anche molto fondati, secondo me.

Per esempio, com'era finita la serata al Passion Skate.

Erano spariti tutti e due, facendomi preoccupare molto, per poi rientrare un'oretta dopo, dicendo che avevano fatto "un giretto in moto".

Punto primo, per fare un giretto ci volevano sì e no dieci minuti, o al massimo un quarto d'ora, ma non di certo sessanta minuti buoni. Doveva essere successo qualcosa!

Punto secondo, Evan che faceva fare un giretto ad una ragazza sulla sua moto?! Va bene che la ragazza in questione era Avril, ma nessun essere femminile sulla faccia della Terra, nemmeno io, era salito sulla sua Yamaha. Doveva essere successo qualcosa!

Punto terzo, quando erano tornati, Avril sembrava uno straccio. Era pallida, tremava e, per di più, aveva anche il labbro inferiore spaccato. Era successo qualcosa, che cazzo!

 

All'improvviso, sentii la porta di casa sbattere e dei passi salire velocemente le scale.

 

"Mamma? Sono a casa."

 

Perfetto! Questa volta il signorino non mi sarebbe sfuggito.

Uscii dalla mia camera e mi parai davanti a lui sulle scale. "Evan David Taubenfeld! In camera mia, ora!" dissi, trascinandolo direttamente e buttandolo sul letto.

 

"Allora?" gli chiesi, battendo il piede sul pavimento e incrociando le braccia.

 

"Allora cosa?" Come cosa?!

 

"Non c'é qualcosa che ti preoccupa?" Dolcezza, Annie, dolcezza.

 

"No."

 

"Quindi...tu stai...bene?"

 

"Si."

 

"E non c'é niente di cui tu vuoi parlarmi, giusto?"

 

"No."

 

"E dimmi, sai rispondere solo con i monosillabi?!" chiesi, al limite della disperazione.

 

"Forse..."

 

"Evan!"

 

"Ok, ok, scusa. Di che cosa vorresti parlarmi?"

 

Feci finta di pensarci un secondo. "Mmh, vediamo...per esempio, del fatto che non vuoi più rivolgere la parola ad Avril?!"

 

S'irrigidì e strinse i pugni. "No, non te lo posso dire."

 

"Perché non puoi?"

 

"Perché no." Ma che grandissima risposta del cazzo!

 

Mi sedetti accanto a lui sul letto, cercando di farlo ragionare. "Va bene, non me lo vuoi dire. Se la cosa riguardasse solo te, potrei anche farmi i fatti miei, ma visto che la cosa riguarda anche me, dato che mi hai fatto fare una promessa, lo voglio sapere!"

 

"No, Annie, non posso.."

 

"Ora!" gridai.

 

"Non posso dirtelo perché non lo so, ok? Non so più cosa mi stia succedendo, sono sempre più confuso..." Bene, almeno avevamo ingranato.

 

"Come confuso? In che senso?"

 

"Si, quando sto con lei. È come...se scollegassi il cervello dai comandi e...ho delle reazioni strane. Brividi, cuore impazzito, paura di sbagliare solo con un mio gesto..."

 

"E quindi, hai pensato che per non avere più queste "reazioni", non dovessi più avere nessun contatto con lei?" Ora riuscivo a capire meglio le cose... Lui...lui si era...

 

"Sì, esatto. Aiutami, ti prego, sono così confuso."

 

Gli stavo per rispondere, ma Matt entrò in camera mia, probabilmente attirato dalle nostra grida, e, con una strana busta gialla in mano, interruppe il discorso.

 

"Eilà fratelli. Cofa è fucceffo?" Che schifo, stava mangiando ancora quelle patatine disgustose. Possibile che pensasse sempre e solo a mangiare?

 

"Sono confuso, ok?" gli rispose stizzito Evan, mentre lui ingoiava le patatine.

 

Ovviamente, il povero, piccolo e microscopico cervello di Matt partì per la tangente e disse la cosa meno indicata per il momento, intrepretando a modo suo.

 

"Cosa?! No, non ci credo...Non stai parlando di salto della quaglia, altra sponda, cose del genere? Ti prego, non dirmi che sei gay, perché altrimenti..."

 

"MATT!" urlammo insieme.

 

Si interruppe subito e alzò le mani, come a chiedere scusa.

 

Infastidita da quell'atteggiamento, presi il mio stupido fratello sottobraccio, e gli sussurrai all'orecchio:"Matt, non fare il deficiente, per una volta! Credo che Evan si sia innamorato..."

 

Lui sgranò gli occhi, sorrise e puntò subito il dito contro Evan. "Cosa?! Tu...tu ti sei..."

 

Gli pestai accidentalmente un piede e cambiai immediatamente la frase. "Insomma, ti sei visto, eh? Non puoi andare in giro così, basta! Devi schiarirti le idee"

 

"E come faccio?" mi chiese, con i suoi occhi da cucciolo.

 

Mi addolcii all'istante e lo abbracciai, per fargli sentire la mia vicinanza. "Beh, una ricetta segreta non c'è, ma...io ti consiglierei di andare in un posto che ti piace, isolato da tutti e di fare chiarezza con te stesso."

 

"Giufto, fratello" aggiunse Matt, che nel frattempo stava masticando un'altra quantità immonda di patatine.

 

Mi avvicinai ancora di più a Evan, e gli sussurrai:"Ti do solo un consiglio, piccolo piccolo. Per una volta...ascolta il tuo cuore."

 

 

Pov Evan

 

 

Come sempre, parlare con Annie mi aveva fatto bene. E anche con Matt, in un certo senso.

Mi avevano fatto capire che la vita era troppo breve per trascorrerla in paranoie e pensieri ingarbugliati. Meglio essere diretti, ed andare dritti al punto.

Beh, perlomeno, con gli altri, questo discorso funzionava. Ma con me stesso?

Potevo anche essere sincero con me stesso, e capire quello che mi stava succedendo, mettendo a tacere tutte le mie chiacchiere interiori?

Forse, avrei potuto scoprirlo.

 

Il problema era che non sapevo dove andare, non sapevo cosa fare. Stavo solo correndo sulla mia moto, quella stessa moto con cui...l'avevo salvata, una settimana prima.

Quando la mattina dopo l'avevo vista a scuola, la guancia livida e il labbro tumefatto mi avevano fatto male, molto male. Avrei voluto toccarle il viso, con un tocco leggerissimo, per non farle provare altro dolore. Avrei voluto assaporare quelle labbra, nonostante la ferita che portavano, piano, per non farle male.

Avrei voluto aiutarla, dirle parole rassicuranti, assicurarle che tutto sarebbe andato per il meglio.

 

Tanti "avrei voluto", ma nessun "l'ho fatto".

Ho preferito scappare, essere un codardo, piuttosto che mettermi lì e capire il motivo di tutte quelle reazioni strane.

Improvvisamente, un raggio di luce di un lampione per strada, mi colpì. Ma…dov'ero finito?!

Mi guardai attorno, in cerca di un qualche segno di riconoscimento.

Era una spiaggia libera, e sembrava anche molto distante dal centro.

Parcheggiai, slacciai il casco, scesi dalla moto ed entrai.

Sembrava quasi...che ci fossi già stato lì, come se fosse un luogo che avessi già visto.

Poi, un flashback ritorno nella mia mente, prepotente, come se pretendesse di essere visto.

Ricordai tutto. Quella era la spiaggia dove andavo ogni estate da piccolo, quando i miei genitori erano ancora vivi.

Mi tolsi le scarpe da ginnastica, e provai quel piacere di camminare sulla sabbia bagnata a piedi nudi. Un piacere assopito per troppo tempo, forse.

 

Mi avvicinai al bagnasciuga, e vi stesi il mio giubbotto, in modo da non sporcarmi.

Mi piaceva venire qui. Mi piaceva avere la mente sgombra e libera da qualsiasi confusione.

Semplicemente, mi piaceva assaporare quella libertà che il mare sapeva donarmi.

 

Mi ricordavo quando venivo qui con i miei, quando chiedevo a mia madre da dove venisse tutta quell'acqua, e lei mi rispondeva che era acqua piovuta dal cielo e dalle nuvole. O quando mi arrabbiavo, perché vedevo le onde crescere, senza fermarsi mai, e non capivo se l'onda nascente fosse già lì, o se io mi ero distratto un attimo e non l'avevo vista arrivare.

Sorrisi. Erano tempi passati, tempi che potevano essere solo ricordati con amarezza, e che non sarebbero tornati mai più.

Tempi più felici.

 

O forse...forse ero io che ero cambiato.

Forse, per ritrovare quella felicità che mi mancava, avrei prima dovuto ritrovare le persone giuste. O la persona giusta...

Ascolta il tuo cuore, ascolta il tuo cuore...

Ma cosa diceva il mio cuore?

Certamente, c'era qualcosa che mi legava a lei.

Amicizia, affetto, oltre ad uno strano senso di protezione e possessione.

Ma...ne ero davvero sicuro?

Ricordai la frase di un anonimo inglese dell '800, una delle tante citazioni lette su un libro di scuola: "L'affetto non è altro che un derivato, una forma diversa, dell'amore. Vengono chiamati con nomi differenti, ma uno è soltanto meno maturo e più instabile dell'altro."

 

Improvvisamente, il mio cervello si riattivò, i polmoni ricominciarono a filtrare aria fresca, e i miei occhi guardarono tutto da un 'altra prospettiva.

Avevo capito.

Non era affetto, non era semplice amicizia, ma qualcosa di più forte. Qualcosa che, appena incrociava il mio sguardo, mi faceva desiderare soltanto di immergermi nei suoi occhi e di non risalire mai più. Qualcosa che, appena illuminava le mie giornate con una sua risata, mi faceva battere il cuore a mille. Qualcosa che, ogni volta che la guardavo, mi faceva vedere una bambina piccola e fragile che voleva solo essere protetta da tutto e da tutti.

Inutile dire che il suo protettore, avrei desiderato esserlo io.

Una specie di Angelo custode, che avrebbe vegliato su di lei, sempre.

Sì, l'avrei fatto, fino a quando lei avrebbe voluto, e, fino a quando, avrebbe capito che il mio senso di protezione non era dovuto a un semplice atto di cortesia, ma a qualcosa di più forte e profondo, che non avevo mai creduto lei potesse risvegliare in me.

 

Ti amo, Avril. Finalmente, l'ho ammesso.

Dovevo dirglielo, al più presto. E, forse, sapevo anche come fare. Dopotutto, c'era ancora un premio da ritirare.

 

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Capitolo 28
*** Little monkey ***


Salve people!

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Tanti auguri a me! Tanti auguri a me!

E anche a tutte le altre "Marie" del mondo.

E già, è il mio onomastico ^_^ *della serie: non sono meganomale*

Ok, vorrei ringraziare Solluxy, che, senza volerlo, mi ha dato l’ispirazione per una frase. :)

Poi, per questo capitolo importante e molto fluffoso (ooohw) vi vorrei fare ascoltare un brano dei Boyce Avenue, una rock band americana che fa delle cover spettacolari, e questa è la mia preferita *_*.

Grazie a chiunque lo farà. ^_^

 

Auguro una buona lettura a tutti!

 

 

Boyce Avenue – A Thousand Years

 

 

Pov Avril

 

Mi ero addormentata da poco, il sonno non ne voleva proprio sapere di arrivare. Pensavo sempre a lui, ai suoi baci, ai suoi tocchi… e anche a quell'ultima settimana trascorsa. Ero molto confusa, in realtà.

All'improvviso, il mio maledettissimo telefono squillò, e nonostante nascosi la testa sotto il cuscino per non sentirlo, lo presi, guardando l’ora.

 

Era prestissimo e risposi molto incazzata. "Chi cazzo è che mi sveglia a quest’ora del mattino? Spero che chiunque tu sia, abbia un buon motivo, se non vuoi morire investito da un autotreno!"

 

“Ciao Avril, sono Evan” Era lui, con quella sua bellissima voce e... Avril!  

 

"Taubenfeld, come diavolo hai avuto il mio numero?" W l'acidità!

 

“Beh...è piuttosto imbarazzante da dire, ma ho pregato mia sorella di darmelo. Comunque, scusa se ti ho svegliata, ma...volevo chiederti scusa per...per come mi sono comportato nell'ultima settimana." disse, tutto imbarazzato. 

 

Ero rimasta spiazzata, non mi aspettavo che sotterrasse l'ascia di guerra così presto. Dov'era finito l'Evan arrogante che voleva vincere ad ogni costo? Decisi di rincarare un po' la dose.

"Sì, in effetti ti sei comportato propio di merda..."

 

"Ecco, io..."

 

"Sei stato uno stronzo con la "s" maiuscola..."

 

"Scusami, davvero, io non..."

 

"Ma cosa cazzo ti passava per il cervello?!"

 

"Avril! Basta, ok?! Così non fai altro che farmi sentire in colpa. Mi dispiace di essermi comportato in quel modo e ti chiedo scusa, non lo meritavi!" Mmh, però...Si era spinto molto più in là di quanto pensassi... "E..in più...no, forse è meglio di no."

 

"Dai, spara. In più cosa?"

 

"Beh, ecco...Volevo ritirare il mio premio."

 

"Ah..." Parlava della sfida dell'altra sfida della settimana scorsa, quella in cui avevo miseramente fallito. Il mio morale scese subito a picco. Per un momento, avevo creduto veramente che volesse scusarmi con me, ma, a quanto sembrava, la telefonata aveva solo fini egoistici. Che pezzo di...

 

"Pensavo di portarti in un posto, sai, per rivolgerti le mie scuse di persona"

 

"Che posto?" domandai subito, eccitata. Dopotutto, forse, non era così egoista come avevo pensato un secondo fa.

 

"È una sorpresa, sempre se decidi di venirci."

 

"Non mi dai neanche un indizio?" chiesi, con la voce più infantile che potessi fare.

 

"Ehm...No..."

 

"Neanche uno piccolo piccolo piccolo?" continuai.

 

"Ok, va bene. Allora...non fare colazione" Mah, che indizio strano.

 

"Mmh, non è che poi fai finta di niente e non mi rivolgi più la parola?"

 

"No, no, non ti preoccupare. Il mutismo è sparito." assicurò, ridacchiando. Oddio, la sua risata imbarazzata! Era da tempo che non la sentivo. Ero sicura che si stesse mettendo una mano nei capelli adesso, era davvero tipico di lui. Sembrava così dolce e...

"Allora?"

 

Cavolo, doveva avermi fatto una domanda, e io, da deficiente quel'ero, ero troppo impegnata a vaneggiare nella mia crisi ormonale, per sentirla!

"Ehm...Scusa, mi ero distratta un attimo. Puoi ripetere la domanda, per favore?" Cazzo, questa sì che era una grande figura di merda!

 

"Sì" disse, ridacchiando ancora. Però la colpa era anche sua, che cavolo! "Ci stai o no? Per questa piccola uscita, intendo..."

 

"Mmh...Dipende."

 

"Da cosa?"

 

"Dalla pazienza che ha l'accompagnatore ad aspettare che la sua donzella butti a terra il pigiama, e si presenti in abito da sera." dissi, e riattaccai.

 

Mi avviai di corsa in bagno e, man mano che camminavo, mi spogliavo, lasciando i vari pezzi lungo il percosso.

Aprii l’acqua e, mentre aspettavo che uscisse quella calda, mi guardai allo specchio.

Mamma mia! Ero davvero in uno stato pietoso, avevo delle occhiaie tremende per il sonno perso.

Mi infilai sotto la doccia e mi lavai velocemente. Appena uscii, mi avvolsi nell’asciugamano, mentre indossavo quella stupida divisa e, contemporaneamente, mi strofinavo i capelli per asciugarli il prima possibile.

Presi il telefonino, lo zaino e uscii di corsa dalla mia stanza.

Scendendo le scale di fretta, incontrai Dolores, con un vassoio pieno di cose buonissime.

 

"Signorina Avril! Ma...le stavo portando la colazione in camera e..."

 

"Grazie lo stesso, Dolores, ma non ho fame!" urlai, nella speranza che mi sentisse.

 

"Ma dove va così di corsa?"

 

"A scuola! Ci vediamo dopo!"

 

Aprii il cancello e, appena lo vidi, appoggiato alla sua moto, mi venne un colpo.

Mi bloccai per osservarlo. Dio, come era bello! 

Gli sorrisi e mi avviai verso di lui. Appena gli fui vicino, però, la mia goffaggine si fece avanti e inciampai nei miei stessi piedi.

Possibile che la figuraccia dovessi farla proprio adesso davanti a lui?!

Chiusi gli occhi, aspettando di sentire l'asfalto duro sotto il mio povero sedere, ma non accadde.

Mi ritrovai stretta tra le sue forti braccia.

 

Dischiusi gli occhi e ci fissammo. Sentivo il mio cuore battere forte ed avevo il terrore che  lui lo potesse percepire, che potesse sentire la reazione al suo tocco.

Ed eccomi qua, allacciata ai suoi occhi azzurri, totalmente incapace di parlare o di fare qualsiasi altra cosa che richiedesse l'impulso del mio cervello.

Come diavolo avevo fatto a privarmi di quella visione per tutto quel tempo?

 

"Ti sei fatta male?" mi domandò, con una voce dolcissima.

 

Terra chiama Avril. Ripeto, Terra chiama Avril. Sveglia, rispondi!

"No, niente per fortuna, grazie" gli risposi, imbarazzata. Slacciò il suo abbraccio e mi sentii improvvisamente vuota.

Mi diede il casco, e montò prima lui, per poi porgermi la mano e aiutarmi a salire.

 

"Dove mi porti?" gli chiesi.

 

"In una piccola pasticceria qui vicino. Vedrai, fa una torta buonissima ed una cioccolata calda da leccarsi i baffi"

 

"Lo spero per te, dopo che mi hai svegliata a quest’ora" gli dissi, sbadigliando.

 

"Scusami, ma ne varrà la pena!"

 

"D'accordo, mi fido" dissi, prima di allacciare le mie braccia alla sua schiena e di sentire la moto partire con un rombo forte e potente.

 

Arrivammo in pochissimo tempo, era proprio vicino. Scendemmo dalla moto ed entrammo nella piccola pasticceria, dove ci accomodammo e venne subito una cameriera a prendere le ordinazioni. Evan ordinò due cioccolate ed una fetta di torta.

Mentre prendeva gli ordini, la cameriera lo guardava e gli sorrideva maliziosa. Non sapevo perché, ma mi sentii gelosa delle sue attenzioni. Mi irritai, come in segno di possesso.

 

Cambiai subito discorso, per evitare di pensarci. "Perché non hai preso la torta anche per te?"

 

"Non ho molto appetito. Prendo solo la cioccolata"

 

Arrivarono le cioccolate e la torta. Appena le vidi, mi venne l’acquolina in bocca. Andavo matta per il cioccolato.

Infilai il dito nella panna: era buonissima. Lo guardai, e vidi che lui mi sorrideva. Era un sorriso sincero, ma...nervoso, anche. Non riuscii a capire il motivo.

 

"Allora, ti piace?"

 

"Mmh, a guardarla sembra buona, o almeno la panna lo è. L’assaggio e ti faccio sapere".Portai la tazza alla bocca e presi un sorso di cioccolata. Era favolosa.

Allontanai la tazza e notai che lui mi fissava e, cogliendomi di sorpresa, mi toccò il naso con il dito e poi se lo portò alla bocca, lasciandomi incredula per il gesto.

 

"Ecco...avevi un po’ di panna sul naso" si giustificò, imbarazzato. Sentii le mie guance andare a fuoco per l’imbarazzo.

 

 "Quindi? Responso finale?" mi chiese, fissandomi.

 

"La cioccolata è...buonissima, ma ancora non sei salvo, ora provo la torta." Presi il piattino della torta che, al solo guardarla, sembrava deliziosa, e l’assaggiai.

Quant’era buona. "Mmh! Buoniffima!" gli dissi, sorridendo, mentre stavo ancora masticando. Ops!

Ingoiai questa volta, prima di parlare. "Va bene, sei perdonato per avermi svegliato così presto. E anche per il comportamento della settimana scorsa."

 

"Grazie, davvero" mi rispose sorridendomi.

 

Quella torta era...deliziosa, a dir poco, e volevo che l’assaggiasse anche lui. Così, gliene porsi un pezzo. "No, no, grazie. Mangiala tu" mi disse.

 

"Per me è troppa. Dai, aiutami a finirla. Per favore." dissi, esponendo il labbro inferiore e pensando di fare una faccia tenera. Alla fine, lui si arrese, acconsentì e l'assaggiò.

 

"Si, avevi ragione. È proprio buona" concordò.

 

Nel frattempo, vedevo che non beveva la sua cioccolata "Non la bevi?" chiesi, indicandola.

 

"Cosa? Oh, ora la bevo" Prese la tazza e se la portò alla bocca.

 

Quando la posò, aveva un ciuffo di panna sul naso. Scoppiai a ridere, aveva una faccia troppo buffa, per pensare anche solo di rimanere seri.

Così, proprio come aveva fatto lui con me, lo ripulii, portando il mio dito alla bocca.

Mi guardò negli occhi, stupito. Forse non si aspettava quel gesto da me e, a dire la verità, nemmeno io.

 

Distolsi subito lo sguardo e sentii le mie guance andare a fuoco, un'altra volta. Ero sicura di essere diventata rossa come un pomodoro. Grazie, mie adorate guance, apprezzo molto il fatto che arrossiate, anche se io non voglia!

Ripensai a cosa avevo fatto, e capii che quello era un gesto molto intimo e riservato, ed io non sapevo ancora...cosa fossimo noi due, in realtà.

 

Finimmo le nostre cioccolate e mangiammo la torta assieme. Era veramente una fetta enorme, non ci sarei mai riuscita da sola. Stranamente, avevo lo stomaco chiuso, cosa molta insolita per me, che adoravo il cioccolato.

 

"Grazie...per questa piccola uscita." dissi, al limite dell'imbarazzo.

 

"Di niente." mi rispose, e fece un gesto del tutto inaspettato. Mi tocco piano il labbro inferiore, il labbro rotto dallo schiaffo che avevo ricevuto la settimana prima. Quando le sue dita lo sfiorarono, una forte brivido mi percorse la schiena, e lui, pensando che questo mi provocasse dolore, si allontanò immediatamente.

In realtà, non era affatto dolore. Sapevo benissimo che cos'era. Eccitazione. Eccitazione... solo perché mi aveva sfiorata in un modo dolce e innocente.

 

Quando uscimmo dalla pasticceria, lui mi accompagnò a scuola, in moto, e, mio malgrado, le nostre strade si divisero per tutta la giornata, per poi rincontrarsi all'ultima ora. Letteratura inglese.

Ci sedemmo all'ultimo banco, un po' più sorridenti rispetto all'ultima volta.

Il professor Jones iniziò a spiegare la vita di Shakespeare, e, malgrado fosse una storia già sentita e risentita, tutti stettero ad ascoltare.

Ci fu soltanto un momento di distrazione tra noi due. Verso l'ultimo quarto d'ora, mi passò un foglio, per non farsi beccare dal prof.

 

Ti va se stasera ti passo a prendere e ci mangiamo un gelato?

 

Ovviamente, risposi. Sembra tanto un appuntamento, Taubenfeld. Che c'è sotto?

 

Dai, è solo una semplice uscita.

 

Mmh...Non so. Il gelato è buono?

 

Il migliore che tu abbia mai assaggiato.

 

E allora, sono costretta a dirti di sì. Gli consegnai il foglio con un sorriso.

 

Ok. Alle otto?

 

Alle otto.

 

Sorrise anche lui, ma proprio mentre stava per ripiegare il foglio per buttarlo via, il professore vide il suo movimento, e si avvicinò al nostro banco.

 

"Taubenfeld! Mi faccia vedere subito cosa stava scrivendo!"

 

"I miei...appunti, professore?"

 

Ovviamente lui controllò, e non appena vide la trascrizione di tutti gli argomenti toccati durante la lezione, sussurrò:"Bene. Continuiamo, ragazzi."

 

Evan approfittò del fatto che il signor Jones gli desse le spalle, e infilò veloce il fogliettino in tasca. Poi, con un sorriso smagliante, si girò verso di me, e mi fece l'occhiolino, per poi tornare a seguire la lezione.

 

Ah, sarei morta giovane. Molto giovane.

 

La giornata a scuola, per fortuna, finì presto, e mi accompagnò a casa.

Appena arrivammo, spense la moto, mise il cavalletto, e scese, aiutando anche me. Solo alla fine, si tolse il casco.

 

"Sei proprio sicura di non volerlo tenere?" mi chiese, passandomelo.

 

"Si, sicuro. Tienilo tu." Glielo ripassai.

 

"Va bene, come vuoi."

 

"Allora...Alle otto?" dissi, chiedendo conferma. In fondo, poteva aver sempre cambiato idea.

 

"Alle otto." rispose sicuro, smentendomi immediatamente.

 

"Mi raccomando, non fare tardi." dissi, puntandogli un dito contro.

 

"Signorsì, signora!" Sorrise, si mise sull'attenti e fece il saluto militare.

 

"Scemo." Gli sorrisi anch'io, prima di abbassare gli occhi, leggermente imbarazzata. Mi piaceva questo modo di scherzare tra di noi, creava un'atmosfera serena e piacevole. Sembrava avesse perso quell'aurea da stronzo menefreghista che lo caratterizzava. Era più...felice, e per qualche strano riflesso, lo ero anch'io.

 

"Allora...ciao." mi disse, mettendosi le mani in tasca, forse più imbarazzato di me.

 

Mi alzai sulle punte, e gli diedi un leggerissimo bacio sulla guancia, prima di sussurrare un "Ciao" appena accennato e di far ritorno dentro casa.

 

Senza un motivo apparente, un grande sorriso mi si dipinse sul viso. Potevo quasi sentire gli uccellini cantare alti nel cielo azzurro...

Salutai perfino mia madre, cosa mai successa prima, che mi liquidò con un veloce:"Sì, ciao", non dandoci troppa importanza.

Questa inaspettata felicità, però, non sfuggì a Dolores, che, dapprima mi chiese se avessi fame, e, alla mia risposta negativa, mi chiese, con un gran sorriso:"A cosa deve tutta questa allegria, signorina Avril?"

 

"Mah...niente..." risposi, restando sul vago.

 

"Non m'inganni. Le è successo qualcosa, il suo sorriso parla chiaro." ribatté.

 

"Beh...potrei avere...una specie di appuntamento" dissi, con una scrollata di spalle.

 

"Mmh, mi lasci indovinare...È con il signorino Evan, giusto?"

 

Dovevo avere sicuramente la mascella a terra, perché restai totalmente di merda. Ma chi...cosa...quando?! "E tu...tu come..."

 

"Come l'ho capito? Beh, una governante se le sente certe cose, soprattutto se è attenta a tutti i particolari, come me. Ho visto come la guarda il signorino Evan, e anche come lei guarda lui. Ve lo si legge negli occhi che siete attratti l'uno dall'altra, peggio di due calamite." confessò, con un sorrisino soddisfatto sulle labbra.

 

Io ero rimasta ancora al "come" iniziale... "Ma tu...tu non lo dirai a Judy, vero?"

 

"Sembra che sua madre ignori totalmente il primo e unico dovere fondamentale che ha,  cioè quello di occuparsi di sua figlia. Per cui...non vedo perché dovrei dirglielo."

 

"Grazie, davvero." le risposi, riconoscente. Mi ero sbagliata su di lei, aveva colto molte più cose di quante ne avessi colte io, e, in fondo, sapeva essere una buona amica, a modo suo. In effetti, da quand'ero qui, mi ero sbagliata su un po' troppe persone...

 

"Su, su, non perda tempo con queste sciocchezze. Vada nella sua camera, chiuda gli occhi e si faccia un bel sonno ristoratore. Vedrà, la aiuterà molto." mi disse, facendomi l'occhiolino.

 

"Grazie...ancora."

Salii le scale di corsa, ed entrai dritta nella mia stanza.

Buttai lo zaino per terra, mi spogliai, m'infilai la tuta e mi fiondai sul mio bel lettone nuovo a due piazze. Uno dei tanti regali di Judy, per farmi addolcire un po'.

Puntai la sveglia del cellulare alle 18:45, così avrei avuto tutto il tempo di lavarmi e di scegliermi qualcosa di adatto per la serata.

All'improvviso, uno sbadiglio mi prese alla sprovvista. Cavolo, non mi ero accorta di essere così stanca!

L'aria di Los Angeles mi stava rammollendo, era senz'altro per quello.

E poi, c'era questo bel lettone gigante a farmi compagnia. In fondo, qualche ora di sonno, me la potevo anche concedere.

 

Quattro ore dopo...

 

Drin. Drin. Driiiiin.

Drin. Drin. Driiiiin.

 

Io...io avrei tanto voluto uccidere chi aveva inventato quei fottuti cellulari!

Ma stavo dormendo, che cazzo! Maledetta suoneria!

Presi il telefono bruscamente, e, senza neanche controllare il numero, risposi, con la voce ancora impastata dal sonno. "Chi cazzo sei e cosa cazzo vuoi da me?"

 

"Ehm...sono di nuovo io..."

Oh porco cazzo incazzato!

Ma allora ditemelo che sono le figure di merda che mi vengono a cercare!

Le mie funzioni neurologiche si riattivarono immediatamente.

"A quanto pare, sembra che io e i tuoi risvegli non andiamo molto d'accordo, eh?" disse, ridacchiando.

 

"In effetti..." Risi anch'io. "Ma...perché mi hai chiamata?"

 

"Volevo solo avvisarti che sono già di fronte a casa tua, tutto qui."

 

"Oh...Di già?"

 

"Beh...non manca poi molto." Eh, esagerato!

Che ore potevano essere?

Le 17...

O al massimo le 18...

In fondo, avevo puntato la sveglia, ed ero sicura al 100% che non fosse ancora suonata. Girai la testa verso destra, e guardai l'orologio sul comodino.

No...Non erano le 17. E neanche le 18.

Assottigliai lo sguardo, per cercare di vedere meglio. Le 19...le 19:50!

Porca paletta merdosa!

Mancavano solo dieci fottutissimi minuti, e la colpa era tutta di quella fottutissima sveglia del mio fottutissimo cellulare che non era suonata!

L'avevo detto io che avrei tanto voluto uccidere chi aveva inventato quei cosi.

 

"Ehm, Avril? Ci sei ancora?"

 

Cavolo, mi ero completamente dimenticata della telefonata ancora in corso.

Mi alzai subito dal letto, appoggiai il telefono tra l'orecchio e la spalla e mi tolsi subito la maglietta.

"Si, sono qui. Ho quasi finito di vestirmi, tranquillo."

 

"Mmh, sicura? Non è che stavi ancora sul letto, a sonnecchiare, magari con una bella tuta larga?" E lui chi era, il mago Merlino?

 

"No...Ti sbagli, Taubenfeld." Andai in bagno, aprii l'acqua calda e mi tolsi anche i pantaloni.

 

Ridacchiò. "Va bene, farò finta di crederci. Ti aspetto qui fuori, allora. E mi raccomando, puntuale." disse, facendomi il verso.

 

"Ah-ah, simpatico." dissi acidamente, e chiusi la conversazione.

 

Cazzo. Cazzo. Cazzo.

Avevo bisogno di un alleato, e subito.

"Doloreeeeeees!" urlai. "Vieni subito qui!"

 

Lei entrò subito in camera mia, e, probabilmente preoccupata dal grido che avevo emesso, urlò a sua volta:"Cos'è successo, signorina? Si è fatta male? Non si sente bene? Vuole che chiami un medico?"

 

"Ma che medico e medico!" dissi, sciogliendomi i capelli. "È molto peggio. Dolores. Mi devi dare una mano. Ho bisogno che tu mi trovi in due minuti qualcosa di anche solo lontanamente adatto per questo tipo di serata, ok?" Presi l'intimo pulito, andai in bagno, chiusi la porta, e mi spogliai completamente.

"Confido in te!" le urlai dalla doccia, lasciandola probabilmente più attonita di quanto non lo fosse già in partenza.

 

Mi lavai velocemente, e, appena uscita, mi avvolsi nell'accappatoio e mi infilai l'intimo.

Poi, con i capelli ancora bagnati, nonostante li stessi frizionando con l'asciugamano, uscii dal bagno, per vedere cosa poteva aver messo insieme Dolores.

Prima, vidi il suo ghigno trionfante, poi, i vestiti da lei presi.

Si trattava di una maglietta nera abbastanza lunga, con un teschio sorridente e con gli occhi a forma di cuore al centro, dei pantaloni neri aderenti, e delle ballerine nere, ovviamente.

"Mmh, mi piace. Fa molto stile dark. Li hai scelti per quello, vero?"

 

"No, li ho scelti perché il nero snellisce." disse, lanciandomi un'occhiataccia.

 

Beh, per me una cosa valeva l'altra. "Ok, ok, ho capito." Mi infilai veloce pantaloni, maglietta, scarpe e, per ultima, la mia immancabile collana a forma di teschio.

Mi guardai allo specchio, e il risultato sembrava essere appena appena sopra la decenza. Mi andava bene.

 

Diedi un bacio sulla a guancia a Dolores e, mentre scendevo di corsa le scale, le gridai:"Grazie Dolores. Ti devo un favore!"

 

Aprii il cancello e, proprio come quella mattina, appena me lo ritrovai di fronte, mi venne un accidente con la "a" maiuscola.

Se ne stava appoggiato alla sua Yamaha, con un giubbotto in pelle marrone, dei jeans scuri e, ovviamente, i capelli biondi scompigliati ad arte.

Ditemi che non sto sognando, vi prego!

Appena mi vide, i suoi occhi si illuminarono e mi salutò con un gesto della mano, che ricambiai prontamente.

Montò sulla moto e, quando gli fui abbastanza vicino, mi disse:"Sei bellissima stasera. Come sempre, d'altronde."

 

Guance mie, non arrossite. Guance mie, non arrossite. Guance mie, non...

Troppo tardi, ero già diventata rossa peggio di un semaforo.

 

"Grazie, anche tu." Inevitabilmente, abbassai leggermente la testa, in imbarazzo.

 

Sorrise, e, come era ormai sua consuetudine, mi porse la sua mano destra per aiutarmi a salire. "Niente casco?" gli feci notare.

 

"No, niente casco."

 

"Oh, va bene. Non superare i limiti, però, non voglio trasformarmi in un frullato di Yamaha." scherzai.

 

"Cosa c'è, non si fida della mia guida, signorina?" Si girò, e mi sorrise.

 

"Mmh, fammici pensare...No!" Scoppiammo a ridere entrambi.

"Allora, dove mi porti questa volta?" gli chiesi.

 

"È un piccolo chioschetto sulla costa. Ti piacerà. Solo che, è un po' lontano da qui, e andrò un pochino pochino più veloce, per cui...reggiti forte, scimmietta." disse, prima di dare gas e di partire.

 

Attaccai subito le mie braccia alla sua schiena, e strofinai il mio naso sul suo giubbotto. Mi piaceva l'odore che emanava. Sapeva di dolce, sapeva di uomo, sapeva di lui.

Eh già, mi sa proprio che la scimmietta stava ancora tranquilla e beata nel mondo dei sogni.

 

Pov Evan

 

Il vento mi scompigliava forte i capelli, facendomi sentire un senso di libertà mai provato prima.

Andare in moto mi era sempre piaciuto, ma adesso...beh, adesso era tutta un'altra storia.

Sentivo le sue piccole ed esili braccia stringermi forte la schiena, e non potei essere più felice.

Sentivo quel calore che riusciva a donarmi, era ben tangibile dentro il mio cuore.

Voglio solo proteggerti, piccola stella.

Voglio donarti quel cielo che forse non hai mai avuto.

Voglio abbracciarti, per far illuminare quegli occhi che so quanta meraviglia possono contenere al loro interno.

Ti amo, piccola stella. E questa sera finalmente lo saprai.

 

Finalmente, arrivammo al chioschetto.

Le onde del mare s'intravedevano all'orizzonte, che facevano aumentare d'intensità quella serata magica che stavamo vivendo.

Parcheggiai la moto e aiutai Avril a scendere.

Cavolo, vestita così mi aveva davvero fatta girare la testa, molto più di quanto un miserissimo "Sei bellissima stasera" potesse significare.

Ci avvicinammo ad un signore anziano con un grembiule bianco, doveva essere per forza un dipendente, e salutammo educatamente.

"Buonasera."

 

"Oh, due giovani ragazzi. Buonasera. Cosa vi posso offrire?"

 

Mi girai per un attimo verso Avril, e le dissi:"Prendiamo due coni giganti?"

Al suo gesto d'assenso, mi girai ancora verso l'anziano signore, che era pronto per prendere appunti, e confermai. "Vada per due coni giganti."

 

"Va bene. I gusti?"

 

"Per me panna, cioccolato e fragola" intervenne prontamente.

 

"Per me panna e pistacchio" conclusi.

 

"Va bene. Vado a prepararli." ci disse, con un sorriso, scomparendo sul retro.

 

Intanto che aspettavamo, mi volli togliere una piccola curiosità. "Scusami se te lo chiedo, ma...sapevi già che gusti prendere, o ci hai pensato soltanto adesso?"

 

Abbassò la testa, in imbarazzo. "Beh, no....In realtà, ordino sempre questo tipo di gelato da quando avevo 7 anni, quindi..."

 

"E non hai mai voluto cambiarlo?"

 

"No. Credo che sia il tipo di gelato più buono del mondo, senza offesa per il pistacchio, naturalmente." aggiunse, con un sorriso che ricambiai subito.

 

"Naturalmente."

 

Nel frattempo i gelati arrivarono, erano davvero grandi come me li ricordavo.

"Quant'è?" chiesi al gelataio.

 

"Tre dollari e cinquanta." disse.

 

Pagai, e lo ringraziai con un sorriso.

"Ti va se ci sediamo su quel parapetto?" chiesi, indicandolo.

 

"Sì, va bene."

 

Appena ci sedemmo, scambiai prontamente i due gelati, e diedi ad Avril quello con il pistacchio.

Ovviamente, se ne accorse subito. "Ehi Evan, il mio è quello con cioccolato e fragola, non quello al pistacchio."

 

"No." dissi, sorridendole e dando la prima leccata al gelato.

 

Ecco, questo forse non avrei dovuto farlo... "Taubenfeld! Dammi subito quel fottuto gelato!"

 

"E dai, non te la prendere." Altra leccata. "Voglio solo farti ricredere da uno stupido pregiudizio che hai, perché quel gelato" lo indicai "è buono quanto questo." Piccolo morso alla fragola.

 

"Ok, ma...se non mi piace?"

 

"Assaggialo almeno, e beh, se non ti piace, la prossima volta sarai sicura al 100% che quello al pistacchio ti farà schifo."

 

Fece una piccola e divertentissima smorfia, e diede anche lei la prima leccata al gelato.

Sul suo viso potevo distinguere chiaramente prima espressioni di incertezza, attesa e assaporamento, per poi passare a sorpresa, incredulità e gioia.

Mi sa che ci avevo azzeccato.

 

"Cavolo, è davvero buono." Diede un piccolo morso al pistacchio. "Ful ferio, non avrei mai penfato che poteffe effere cofì buono..."

 

Sorrisi apertamente. Era adorabile persino quando parlava con la bocca piena.

Lei se ne accorse, e ingoiò prima di sussurrare un flebile "Ehm...scusa..."

 

"Figurati."

 

Finimmo di mangiare i nostri coni giganti nel più assoluto silenzio. Ma non era un silenzio imbarazzante, di quelli che cerchi subito un argomento di cui parlare per non fare la figura dell'idiota, no. Era uno di quei silenzi...in cui le persone si trovavano a proprio agio, in cui anche ammirare il cielo stellato ti faceva sentire bene.

 

Poi, però, appena spostai lo sguardo su di lei, vidi che tremava.

 

"Hai freddo?" le chiesi, un po' preoccupato.

 

"N-no, davvero, non ti p-preoccupare."

 

Non la stetti a sentire, mi tolsi il giubbotto e glielo misi sulle spalle. "Va meglio?"

 

Sorrise. "Sì...grazie" disse, stringendosi al mio giubbotto. "Sai, all'inizio di tutta questa storia del trasferimento, ero convinta di...possedere certe idee, certe impressioni, ma poi...poi mi sono dovuta ricredere."

 

"Mmh...non parli solo del gelato, vero?"

 

"No." Fece un sorriso amaro. "Prendi la governante, Dolores, per esempio. All'inizio...mi era sembrata solo una stronza acida che doveva solo sottostare agli ordini di mia madre, ma poi si è rivelata un'amica, quasi." Mi fissò per qualche secondo negli occhi, per poi ritornare con il capo chino. "E poi..."

 

"Poi?" la incitai.

 

"Beh...il mio più grosso abbaglio sei stato tu."

 

Io?! "In...in che senso?"

 

"Non...non avrei mai immaginato che tu potessi essere capace di fare cose del genere per una ragazza, né che la tua stronzaggine iniziale potesse nascondere tanta dolcezza all'interno."

 

"Ehm...grazie per...il complimento, suppongo." Rise. "Ma, in realtà...ti avevo invitata qui per dirti una cosa, anche molto importante."

Era giunto il momento, il cuore mi batteva forte.

 

"Mi hai fatto passare una giornata fantastica, per cui dimmi quello che vuoi."

 

"Va bene, però devi promettermi una cosa, ok?" le chiesi, diventando improvvisamente serio.

 

Anche lei avvertì l'importanza della situazione, e divenne prudente. "Beh...dipende..."

 

"Prometti di ascoltarmi in silenzio, senza intervenire o andare via? Ho bisogno di dirti una cosa e vorrei che tu mi ascoltassi, seriamente però. Solo tre minuti." Avevo paura, temevo la reazione che avrebbe avuto appena le avessi detto quello che provavo.

Se mi avesse respinto, cosa molto probabile, mi sarei sentito assolutamente perso.

Nonostante tutto, però, dovevo rischiare, perché non resistevo più e dovevo confessarle ogni cosa, liberando il mio cuore.

 

"Ok, dimmi tutto."

 

Mi misi di fronte a lei, feci un bel respiro ed incrociai le dita.

 

"Per cominciare, volevo chiederti scusa per essermi comportato così all'inizio. Sono stato un vero coglione, e non lo nego. E...ti chiedo perdono ancora una volta per come ti ho trattato in tutti quei giorni in cui…non sapevo…di provare qualcosa per te" Mi fissò stranita, ma non disse niente, e continuai.

 

"Avril, senti. So che in me c'è anche lo stronzo che si è comportato male all'inizio, ma c'è molto di più di quello, credimi. Io provo per te qualcosa di veramente forte. So che per te i baci che ci siamo scambiati non hanno significato niente, ma per me, invece, sono stati diversi, sono stati importanti. E, anche se non mi crederai, ti assicuro che l'ultimo bacio è stato il più bello della mia vita. In quei pochi secondi in cui ci siamo baciati, mi sono sentito in paradiso. Ora, puoi non credere ad una sola parola di quello che ti ho detto, e se vuoi, puoi anche schiaffeggiarmi ed andartene però…Avril, tu mi piaci, e molto anche. E...vorrei tanto usare altre parole, ma ho l’impressione che ti spaventeresti."

 

"Sono confusa, credo di non aver capito" Era visibilmente sorpresa ed agitata, tanto quanto me.

 

"Avril, non so come dirtelo, perché non l’ho mai detto a nessuna, ma non ci riesco più a tenermelo dentro. Te lo devo chiedere. Poi, tu sarai liberissima di fare le tue scelte. So che è una cosa stupida o poco convenzionale, e, forse anche un po’ infantile, ma non riesco a trovare altri modi per chiedertelo"

Presi un grande respiro e continuai. "Vuoi diventare la mia ragazza?". 

 

Sgranò gli occhi, e si paralizzò. Si morse il labbro inferiore, sembrava confusa dalle mie parole. Dal canto mio, non riuscivo a muovere neanche un muscolo.

Il tempo sembrava essersi fermato, tutto era immobile attorno a me.

Aspettavo solo una sua parola che però tardava ad arrivare, perché tutto dipendeva da quello che mi avrebbe risposto.

Probabilmente ero stato un po’ avventato, troppo diretto, soprattutto ad usare le parole "la mia ragazza", così azzardate e strane anche per me. Forse le dovevo solo chiedere di mettersi con me, ma volevo farle capire che, con lei, avevo intenzioni serie.

 

Per me era la prima volta, mi sentivo un ragazzino alla prima cotta e non sapevo cosa dire o come comportami. Era tutto così nuovo, così assurdo, anche perché ero diventato insicuro di me.

L'unica cosa che sapevo era che lei era diversa da tutte. Un suo bacio era in grado di cambiare la mia vita. Nonostante non fossimo mai usciti insieme, sapevo di conoscerla sufficientemente: per me, lei era la persona giusta.

 

Dopo un tempo che mi sembrò interminabile per la tensione che mi attanagliava lo stomaco, interruppe il silenzio. "Taubenfeld, mi stai prendendo in giro?" mi domandò, guardandomi stranita.

 

Anche per lei era una cosa assurda, qualcosa a cui era difficile credere. "No Avril, non ti sto prendendo in giro. Io...io ti amo veramente." confessai alla fine, con una facilità che spiazzò anche me.

 

Alcuni ciuffi di capelli le ricadevano disordinati sul viso, e mi azzardai a scostarglieli, mettendoli dietro l’orecchio.

Non si scostò e mi lasciò fare, ma continuava a fissarmi senza parlare.

Allora cominciai a prendere ogni suo singolo dito e a baciarlo, con dolcezza, per farle sentire anche solo un po' del calore che volevo donarle.

Niente, non parlava ancora.

Tutto questo silenzio era opprimente, ma stava nascendo in me una piccola speranza: "chi tace acconsente".

Aveva gli occhi persi nel vuoto e si mordeva in continuazione quel povero labbro, martoriandolo.

 

Perché non diceva niente? Voleva lasciarmi morire dall’ansia?

 

Poi, finalmente, alzò il viso ed iniziò a parlare.

 

"Beh... Questo è un bel problema, allora... " disse, sussurrando appena.

Non mi guardò negli occhi, né ci fu qualche altro contatto tra di noi. Niente di niente. Pensavo di chiederle di ripetere, ma sapevo di aver sentito bene la sua risposta. Sarebbe stato inutile, avrei ferito solo i miei sentimenti da solo.

Che stupido, illuso ed egoista che ero stato!

 

Così, questa era una delusione? Questo era un cuore infranto che continuava a sanguinare, ma che non potevi guarire?

 

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Capitolo 29
*** Problem... ***


Salve people!

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

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Ok, auguro una buona lettura a tutti!

 

 

 

Avril Lavigne – I love you

 

 

Pov Avril

 

Aveva detto veramente ciò che le mie orecchie avevano sentito?

Ero senza fiato, lo guardavo imbambolata, non so se per la proposta totalmente assurda ed inaspettata, o se per via di quegli occhi azzurri che mi scrutavano così intensamente da stravolgermi.

Ero stupita, non avevo parole per la sua confessione, e anche per il fatto che una come me potesse piacergli.

 

Ed io…

Cosa provavo veramente per lui?

 

Provavo due sentimenti contrastanti: Mi piaceva da impazzire quell’Evan gentile, buono, che mi aveva aiutato fuori dal Passion Skate, quando ero stata in difficoltà.

 

Mi piaceva quell'Evan che mi baciava con una dolcezza assurda, senza pretendere nulla in cambio.

 

Mi piaceva quell’Evan che mi aveva fatto mangiare il mio dolce preferito, senza saperlo.

 

Mi piaceva quell’Evan che, pur di non farmi soffrire il freddo, mi aveva messo sulle spalle il suo giubbotto, con il risultato che poi s'infreddoliva lui.

 

Evan mi piaceva da matti, mi attraeva tantissimo, ma non sapevo cosa dire, cosa fare.

 

I suoi tentativi di conquistarmi mi lusingavano, mi facevano sentire apprezzata ed importante ma...avevo paura. Paura d'innamorarmi e di essere presa in giro da lui.

Così, glielo chiesi direttamente.

 

"Taubenfeld, mi stai prendendo in giro?" 

 

"No Avril, non ti sto prendendo in giro. Io...io ti amo veramente." Disse quelle parole con una disinvoltura ed una dolcezza assurda.

 

Fece battere forte il mio povero e tormentato muscolo cardiaco che andava sempre più per conto suo.

Prima mi scostò un ciuffo di capelli dal viso, poi afferrò le mie mani e se le portò alla bocca, cominciando a baciare ogni mia singola nocca. Sentivo il calore delle sue labbra sulla mia pelle e mi piaceva… mi piaceva troppo.

Il suo modo di guardarmi era palesemente carico d’amore. I suoi occhi, così dolci e sinceri, erano troppo intensi, il suo profumo era troppo inebriante. Per un attimo, non riuscii a respirare.

Lo guardai ancora in quei bellissimi occhi azzurri, e, in quel momento, crollò del tutto quella maschera di pacata tolleranza che avevo indossato fino a quell’istante.

 

Capii che lo desideravo anch’io, che mi piaceva davvero tanto e che volevo stare con lui.

Sapevo di provare qualcosa di veramente forte, viscerale, che nasceva da dentro di me, che riusciva a travolgermi, a frastornarmi, a confondermi e non farmi più ragionare con lucidità.

Lui mi amava e io lo desideravo.

Così, cercai di lasciarmi andare, di accettare quello che aveva da offrirmi senza pensare troppo, senza impormi stupidi limiti. Era giunto il momento di vivere veramente, di provare veramente delle emozioni.

 

"Beh... Questo è un bel problema, allora... "dissi, abbassando gli occhi e mordendomi il labbro inferiore.

Poi, li rialzai e allungai una mano e, senza accorgermene, gli stavo accarezzando il viso, totalmente impietrito dalla mia rivelazione.

Le mie mani viaggiavano sulla sua tempia, sulla sua guancia; sentivo sotto le mie dita la sua pelle calda, ruvida per via del sottile strato di barba.

Poggiò la sua mano sulla mia che stava sulla sua guancia. La trattene qualche istante, poi la prese e la spostò sulle sue labbra.

Mi baciò il palmo con dolcezza.

 

"Perché...credo di amarti anch'io."

Gli diedi il tempo di assimilare la notizia, ma lui mi sorprese.

Si avvicinò a me, mise le sue braccia attorno ai miei fianchi e mi abbracciò forte, sospirando e facendo aderire perfettamente il suo torace al mio petto. La sua faccia era immersa tra i miei capelli.

 

Il mio cuore cominciò a battere più velocemente, e lui poteva sentirlo martellare come io sentivo il suo.

Poi lo sentii muovere, sentii le sue labbra vicino al mio orecchio e mi sussurrò lievemente:"Avril, posso baciarti?"

 

"Sì."

Con dolcezza, spostò i miei capelli dietro le orecchie, si avvicinò lentamente e mi posò un bacio sulla punta del naso. Si allontanò e mi fissò negli occhi.

Ero completamente senza fiato.

 

Si riavvicinò nuovamente, sfiorandomi appena le labbra. Quanto desideravo baciarlo!

Poi, intensificò quel contatto, appoggiando le sue labbra calde sulle mie e dandomi un bacio dolce, casto, delicato.

Era la sensazione più bella che avessi mai provato. Non aveva nulla a che fare con i baci precedenti. Era qualcosa di totalmente diverso.

Rimase fermo sulle mie labbra per un lungo ed infinito istante, per poi allontanarsi di nuovo. Mi accorsi che il mio corpo non voleva più scostarsi da lui. Abbracciata così, mi sentivo bene, al sicuro, protetta. Mi sentivo in paradiso.

 

Evan avvicinò di nuovo le sue labbra alle mie e mi baciò. Il mio cuore riprese a martellare a contatto con le sue morbide e calde labbra. Mi stava scatenando una valanga di emozioni che mi sconvolgevano completamente.

Le sue labbra si tuffarono sulle mie, avvolgendole.

La sua lingua impetuosa entrò nella mia bocca. Mi abbandonai al suo bacio con altrettanto ardore. 

Le nostre lingue ormai avevano preso confidenza. Le mie mani si posarono sulle sue guance e gli sostenni il viso mentre ci baciavamo, beandomi del caldo contatto con la sua pelle.

Le sue mani salivano e scendevano lungo la mia schiena accarezzandomela dolcemente, facendomi fremere ad ogni passaggio.

Mi strinse forte a sé senza mai staccare il contatto delle nostre labbra . Le nostre lingue si cercavano e si scontravano dolcemente.

La vicinanza pressante dei nostri corpi mi fece ansimare e meravigliare di me stessa.

Perché ogni volta che Evan mi baciava, io non capivo più niente? Per quale ragione, ogni volta che le sue labbra toccavano le mie, il mio cervello si scollegava ed andava totalmente in blocco?

 

Le mie mani scivolarono sulla superficie muscolosa del suo petto. Non riuscivo a ricordarmi come fossero arrivate lì.

Lo volevo. Mi piacevano i suoi baci, mi facevano girare la testa.

Desideravo baciarlo ancora ed ancora. Avrei passato la mia intera vita a baciare quelle labbra, a sentirlo così vicino.

Per la prima volta, mi lasciai guidare dal mio istinto. Annullai la ragione e tutta la mia razionalità, per immergermi in quel mare di sensazioni che mi facevano finalmente sentire viva.

Alla fine, mi staccai un po' da lui, per cercare di riprendere fiato.

 

Mi guardò dritto negli occhi e avvicinò la sua fronte alla mia. "Fidati di me, ti proteggerò da tutti e da tutto. Avril, io ti amo".

 

"Anch'io ti amo." Fu l’unica cosa che riuscii a dirgli in quel momento.

 

Lui sorrise e mi baciò la fronte, con dolcezza, come si bacia una bambina.

 

"Dai, torniamo a casa."

 

Montammo sulla moto, e allacciai senza indugio le mie braccia alle sue, proprio come all'andata.

Mi sentii completamente al sicuro. Volevo credere ad ogni parola che aveva detto, volevo fidarmi ciecamente e lasciarmi cullare da quella sensazione di beatitudine.

 

 

Pov Evan

 

Dopo un viaggio che mi sembrò più breve dell'andata, arrivai a casa sua.

Il mio cervello era completamente in stand-by, perso, scollegato, per quello che era successo.

Non avrei mai creduto che mi potesse ricambiare, e soprattutto non con la stessa intensità. Ma, per fortuna, mi ero sbagliato.

Scesi dalla moto, e, ovviamente, aiutai a scendere anche lei.

La guardai negli occhi, quegli occhi che mi avevano conquistato sin dal primo momento.

Desideravo baciarla, non resistevo più. Le presi una mano tra le mie, era ghiacciata. Forse, anche lei come me, era agitata.

 

"Signorina Lavigne, potrei mostrarle cosa intendo fare adesso, prima di darle la buonanotte?" Cercai di sdrammatizzare, per alleggerire la situazione.

 

"Certo, signor Taubenfeld." mi rispose.

 

Mi avvicinai piano, lei mi guardò con dolcezza ed accennò un piccolo sorriso.

Il mio cuore sussultò. Mi stava sorridendo anche con gli occhi e subito io ricambiai quel sorriso, che era tutto per me.

Che stupido, sciocco innamorato che ero.

 

Le accarezzai il viso con il palmo della mano, mentre non smettevamo di fissarci negli occhi. Quelle sue bellissime pozze color cielo mi guardavano, e potevo vedere la mia stessa emozione riflessa.

Lentamente, avvicinai le labbra alle sue e le assaporai, trattenendole e mordicchiandole lievemente con le mie per poi baciarla dolcemente con un tenero e casto bacio.

Sentii le sue labbra schiudersi appena: era l’invito che stavo aspettando.

Infilai la mia lingua in quella fenditura, piano, e cominciai ad esplorare la sua bocca. Muovendo lentamente la mia lingua, andai alla ricerca della sua. Non appena la trovai, cominciai ad accarezzarla dolcemente e lei rispose alle mie carezze.

Cazzo, avevo il cervello completamente in tilt. Era meraviglioso!

Persi completamente la cognizione del tempo e, quando ci staccammo, mi resi conto che quel bacio era stato straordinario. Come il precedente, non l’avrei mai dimenticato.

 

La fissai ancora negli occhi, prima di accarezzarle dolcemente la guancia, e di sussurrarle:"Buonanotte."

 

"'Notte." mi rispose, dopo essersi alzata sulle punte, ed avermi soltanto sfiorato le labbra.

 

Dopo che mi fui assicurato che fosse entrata, me ne ritornai a casa mia.

Feci meno rumore possibile, e, forse, riuscii a non svegliare nessuno.

Mi svestii velocemente e mi buttai sul letto, allegro come non mai.

 

Poteva un cuore solo contenere tanta felicità?

Beh, non mi restava che scoprirlo.

 

 

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Capitolo 30
*** Insecurity ***


Salve people!

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

-        i preferiti: AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel - Beliectioner_FE_love_FE  - Glaphyra - Look_at_the_sky -  RamonaLBS-     Solluxy

-        i ricordati:- Look_at_the_sky - avrilismylittleangel

-        i seguiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel -  Brazza - Hakkj -  icon of the darkness - itwasworthallthewhile -  Look_at_the_sky Mary_Malik RamonaLBS

Allora, brutta notizia.

Sabato 14 mi è incominciata scuola.

Questi capitoli erano già pronti da un pezzo, e quindi è per questo che non ho avuto problemi a postarli.

Da questo in poi, però, spero solo di riuscire a postare con regolarità i miei soliti due capitoli a settimana, anche se lo trovo un po’ difficile, facendo il liceo classico.

Va bene, nel caso dovessi avere problemi, voi sarete i primi a saperlo, ovviamente.

 

Auguro una buona lettura a tutti!

P.S. Vorrei ringraziare quella razza di metallara di Glaphyra, per sopportarmi ogni sera in cui sclero, per accompagnarmi nella nostra – non facile – vita scolastica, per accontentarsi dei miei piccolissimi spoiler su questa storia (però anche tu, che cavolo!).

Insomma, grazie per essermi accanto da 3 anni, con tutto il cuore!

Spero che l'immagine ti piaccia bro! <3

(Ah, e viva Bruto! Ma quello è un classico…)

 

 

 

 

 

Pov Avril

 

Appena entrai nella mia stanza, mi abbandonai sul letto, appoggiando la testa sul cuscino, sospirai ed accostai le mie mani sul petto, cercando di far rallentare i battiti del mio cuore.

Cavolo, era successo tutto così in fretta!

Non potevo ancora crederci. Avevo un ragazzo e...sentivo già che non potevo più fare a meno di lui.

Volevo solo ascoltare il mio cuore, volevo abbandonarmi completamente e non pensare a niente, perché lui...lui mi piaceva da morire.

Nonostante ci fossimo appena lasciati, il mio cuore continuava ancora a battere talmente forte, che sembrava volesse uscirmi dal petto. Possibile che mi facesse quell'effetto?

Sentivo già la sua assenza, mi mancava il suo abbraccio, i suoi baci, il suo profumo intenso…

Non mi sarei mai abituata a quella sensazione meravigliosa che provavo quando mi stringeva forte a sé, ai suoi baci così dolci che poi si riempivano di passione e mi facevano girare la testa. Avrei potuto continuare a baciarlo all'infinito.

Sospirai, chiudendo gli occhi e ripensando alle sue labbra. Erano così dolci, morbide e calde, che mi venivano i brividi per le sensazione forti che riuscivano a trasmettermi.

Non c’era niente che potesse reggere il confronto. Erano talmente da capogiro da farmi mancare l’aria, ed era la sensazione più bella al mondo.

 

Improvvisamente, sentii squillare il telefono e lo presi, impaziente.

Solo in quel momento, capii che volevo avere qualcuno con me, a farmi compagnia.

Mi sentii vuota come se la lontananza da Evan mi facesse sentire sola.

Era una sensazione che non avevo mai provato prima. Certo, ero stata spesso sola ma, il vuoto che sentivo ora, era completamente diverso.

Era lui, la sua distanza, la mancanza del suo corpo a farmi soffrire.

Controllai il cellulare, era arrivato un sms. Lo aprii e si materializzò il messaggio.

Era suo. Il mio cuore cominciò battere a forte.

Lo lessi. "Sono passati pochi minuti da quando ci siamo lasciati e già mi manchi da morire. Non vedo l’ora di rivederti, e di averti tra le mie braccia."

 

Mi sentii felice e gli risposi immediatamente. “Ti può sembrare strano, ma anche tu mi

manchi” ed inviai.

 

Un minuto dopo risuonò il mio telefono, era di nuovo lui. “Ti amo Avril. Ci ho messo un po' a capirlo, ma voglio che tu lo sappia.”

 

Sapevo di nutrire per lui un forte sentimento che mi travolgeva e che mi lasciava senza fiato, e sapevo anche qual'era il suo nome. Amore.

All'inizio, credevo di conoscere cosa fosse. L'avevo letto mille volte tra le righe di una poesia o di un libro, e l'avevo sentito mille volte tra le parole della gente o tra le note di una canzone. Ma ora...era molto più forte, come se fosse mille volte amplificato.

Il perché, era semplice. Adesso quel sentimento mi apparteneva, era mio. Mio e della persona che amavo.

 

Così, gli risposi subito. "Adesso lo so che mi ami, scemo. E sai perché lo so?" Sorrisi del gioco di parole. "Perché ti amo anch'io."

 

"Non sai quanto sia bello per me anche solo leggerlo. Ti vengo a prendere domani mattina, così andiamo insieme a scuola?"

 

Ahi, argomento delicato. "Ehm...scusa, ma preferirei andarci da sola. Mia madre fin'ora non ha fatto domande, ma potrebbe incominciare a insospettirsi."

Sperai tanto che non se la prendesse troppo.

 

"Oh...okay, va bene. Allora ci vediamo direttamente a scuola. Non vedo l'ora che sia domani."

 

La delusione nel suo sms era evidente, nonostante l'ultima parte.

Dispiaceva anche a me non vederlo a pochi minuti dal mio risveglio, ma volevo evitare che Judy mi facesse migliaia di domande, altrimenti la situazione sarebbe stata davvero insostenibile.

"Sì, anch'io." Ed era vero. Ero impaziente di rincontrarlo, perché mi piaceva quando le sue mani mi toccavano e i suoi baci mi incantavano, quando il suo abbraccio mi faceva sentire al sicuro e i suoi occhi mi facevano sciogliere, per non parlare della sua voce che mi stregava.

Lo desideravo, sentivo dentro di me un desiderio viscerale di lui e dei suoi baci.

 

"Buonanotte e sogni d'oro."

 

Risposi subito. "Buonanotte anche a te. Spero di sognarti." scrissi, spegnendo poi il cellulare.

Sorrisi. La vecchia me non avrebbe neanche pensato di mandare un messaggio del genere a qualcuno, ma adesso ero cambiata. Mi sentivo in qualche modo cresciuta, avevo un ragazzo ed ero felice di essere così smielata.

Non ero mai stata la classica ragazza che voleva a tutti costi vivere una storia d'amore, ma adesso che avevo un ragazzo (e stentavo ancora a crederci, nonostante tutto), ragionavo su molte altre cose.

Per esempio, poteva rappresentare per me Evan la persona da amare, che mi facesse stare bene e di cui potermi fidare ciecamente?

Era lui la mia anima gemella, il mio Romeo, l'altra metà della mela, come diceva Platone?

Poteva rappresentare lui tutto questo?

Il cuore diceva di sì. Il cervello...che avrei avuto modo di scoprirlo, soltanto vivendo i giorni a seguire.

 

Poi, dopo un paio di minuti, il sonno mise momentaneamente a tacere sia il cuore che il cervello, e, con un sorriso sulle labbra, mi addormentai.

 

Il mattino dopo...

 

Toc! Toc!

"Noooo...la porta...vattene..." sussurrai ancora mezz'addormentata.

 

Toc! Toc! Toc!

"Aaaah, lasciatemi dormire..." Mi misi il cuscino sopra le orecchie, cercando di coprire quel rumore insopportabile.

 

Toc! Toc! Toc! Toc!

"Insomma, chi cazzo è?!" gridai, incazzata nera.

 

"Signorina Avril, sono io, Dolores! Le volevo far notare che sono già le 08:00 e lei non è ancora pronta per la scuola."

 

Aprii gli occhi di scatto.

I ricordi ritornarono prepotenti nella mia mente, invadendola per qualche istante.

La nostra uscita, i gelati, il parapetto sul mare, poi lui, i suoi occhi, la sua dichiarazione e il nostro bacio, ed infine il ritorno in moto ed un altro bacio, quello della buonanotte. Un sorrisetto comparve sul mio viso.

Sorriso, che, ovviamente, scomparve appena ricordai la seconda parte della frase di Dolores.

Cazzo, le 8!

Cazzo, cazzo, cazzo.

Scattai come un fulmine dal letto, facendo cadere tutto il lenzuolo per terra.

Merda, mi dovevo mettere la divisa!

Merda, mi dovevo lavare i denti!

Merda, mi dovevo aggiustare i capelli!

Ma perché nelle mie mattinate vedevo solo e soltanto merda?!

Non capii come, ma riuscii a fare tutto e ad arrivare a scuola cinque minuti prima del suono della campanella.

 

Appena arrivai al mio armadietto, mi piegai sulle ginocchia, in cerca di aria.

Proprio lì, incontrai Annie. "Ciao Avril! Mi dispiace per il mutismo della settimana scorsa, ma avevo ricevuto ordini precisi e non potevo trasgredire! Non sai come mi sono sentita triste per te, ma adesso sono tornata felice e allegra come sempre! Però, sembri avere un'aria stanca! Dormito bene? Tutto a posto? Vuoi che ti dia una mano a portare i libri?"

 

Ma...io mi chiedevo... Come diavolo faceva ad avere tutta questa gioia di vivere alla mattina?!

Io mi ero svegliata appena da cinque minuti e già non mi reggevo in piedi! E che cazzo!

"Ciao...Io bene...Solo stanca...Perdonata, non preoccuparti per me..." dissi, col fiatone.

 

"Oh, sicura che non vuoi aiuto?"

 

"No, grazie...Una cosa...Tuo fratello...Dov'è?"

 

"Chi, Matt? Beh, sarà al distributore automatico di patatine, come sempre. O forse con Charlotte. Sì, mi sa che è più probabile questa, ultimamente quei due stanno sempre insieme, come appiccicati. Credo che l'amore faccia brutti scherzi, sai com'è, non c'è solo amore fraterno tra quelli lì. È un po' come l'ape e il fiore, non so se riesci a capirmi, ma quei due..."

 

"ANNIE!" gridai.

 

"Che c'è?" chiese, con faccia stupita.

 

"Non Matt, Evan. Io parlavo di Evan."

 

"Evan? Ooooh, Evan, certo, ho capito..." disse, parlando più con se stessa.

 

"Sì, sai, è tuo fratello, biondo, occhi azzurri. Sai dov'è?"

 

Fece un sorrisetto che non prometteva niente di buono, e disse compiaciuta:"No..non so proprio dove sia...Ora scusami, ma devo andare a lezione, altrimenti sarò in ritardo. Ci si vede più tardi!" e mi lasciò sola.

 

Bene. Fantastico.

Giornata di merda 1, Avril 0.

Grandioso, davvero.

Strano...avevo la classica sensazioni di sentirmi...osservata. Guardai sia alla mia destra che alla mia sinistra, ma non vidi nessuno, il corridoio era deserto.

Aprii la piccola anta dell'armadietto, facendola sbattere per il nervosismo.

Presi tutti i libri che mi servivano per affrontare la giornata, quando, improvvisamente, mi sentii toccare alle spalle e feci cadere tutte le mie cose per lo spavento.

 

"Scusami, non volevo spaventarti." disse Evan, abbracciandomi da dietro.

 

Un sorrisino mi si dipinse sul viso e mi girai appena, giusto per sussurrargli all'orecchio:"Non ci riprovare, Taubenfeld."

 

Anche lui sorrise, mi fece girare e mi spinse dolcemente verso la fila di armadietti, prima di bisbigliare:"Agli ordini." e di baciarmi.

 

Trovai le sue labbra morbide e calde, quasi fossero pronte per me. Insinuai la mia lingua nella sua bocca e anche lui divenne partecipe al bacio.

Ci baciammo con foga e desiderio. Assaporavo il suo sapore, respirando il suo profumo, che mi inebriava.

 

La campanella suonò, decretando l'inizio delle lezioni.

Mi staccai malvolentieri da lui, e raccolsi velocemente tutti i libri sparsi per terra.

Prima che potessi allontanarmi, però, mi afferrò per un braccio, e mi sussurrò:"Ehi, ti devo chiedere una cosa. In che aula sarai verso l'una?"

 

"In biologia, mi pare..."

 

"Va bene. Ti aspetterò in corridoio."

 

"Mmh...okay, a dopo."

 

Feci per andarmene, ma mi fermò un'altra volta, attirandomi verso di sè e facendo sfionare pericolosamente i nostri nasi.

"Attenta a non finire nei guai, Lavigne...perché aspetterò con impazienza che quella dannata campanella suoni ancora".

 

Poi, se ne andò, lasciandomi lì, da sola, con il batticuore e ancora totalmente ipnotizzata dai suoi occhi azzurri.

Giornata di merda 1, Avril 1.

Palla al centro.

Pov Evan

Entrai in classe con lo zaino in mano, lo sguardo basso e le spalle ricurve.

Passai davanti ad Annie, che, vedendomi così, mi sussurrò:"Fratello, che succede?", ma non le diedi la minima considerazione. Lei non poteva capire.

Andai a sedermi al mio posto e, quasi fosse un gesto automatico, appena il professore iniziò a spiegare, la mia mente iniziò a vagare.

 

Ripensai alla sera precedente e a quello che aveva significato per me.

Quando mi aveva detto che era un "bel problema" che io l'amassi, mi era preso un colpo!

Non ero molto sicuro che lei ricambiasse i miei stessi sentimenti, e quella frase non aveva fatto altro che stroncare ogni mia possibilità per svariati minuti.

Mi aveva toccato il viso con la sua mano piccola e calda, e pensavo fosse un modo per rendere meno aspra la sconfitta, fino a quando...anche lei, anche lei mi aveva detto che mi amava.

L'aveva detto, cazzo!

Mi ero sentito come un uomo appena riportato in vita dopo la sua morte.

 

Solo che...ieri sera avevo solo pensato a cogliere il momento che lei mi aveva offerto, dando per scontato parecchie cose.

Cose che oggi avrei voluto chiarire.

Per esempio, ci aveva ripensato riguardo noi due, nonostante i baci di questa mattina?

E adesso, la situazione come cambiava? Non eravamo nulla o...eravamo...qualcosa di più?

Dio, che confusione nel mio povero cervello!

Non ero mai stato così insicuro su qualcosa, ma credevo che davanti ad una importante come questa tutto veniva messo in discussione.

 

Misi da parte i miei mille problemi mentali per un po' di tempo e guardai il grande orologio appeso al muro di fronte a me.

Cavolo, mancava meno di un minuto alle tredici. Infilai velocemente i libri nello zaino, in modo da non fare tardi al mio "appuntamento".

Diedi ancora un'occhiata all'orologio. Mi sembrava che la lancetta dei secondi lo facesse apposta a ritardare il suo corso, che cavolo!

 

Poi, il suono della mia salvezza. Driiiiiiiin!

 

Scattai in piedi meglio di Speedy Gonzalez e mi diressi fuori dall'aula con lo zaino in spalla.

Centinaia di studenti si riversarono nei corridoi ampi della scuola, sollevando un mormorio e un chiacchiericcio abbastanza fastidioso.

Insomma, già c'è la mia testa che mi ronza parecchio, non metteteci anche voi, ragazzi!

Mi districai tra quella massa informe di ragazzi e giunsi davanti alla classe di biologia.

La porta era ancora chiusa, accidenti! E io che avevo fatto tutta quella corsa!

Andai ad appoggiarmi al muro proprio di fronte all'aula, battendo il piede nervoso.

Dopo un paio di minuti, la porta si aprì, e gli studenti incominciarono ad abbandonare la classe.

Mi sporsi per riuscire a vedere se anche lei fosse nel gruppetto che stava uscendo, ma non la individuai.

Alla fine, tutti i ragazzi, compreso il professore, se ne andarono, lasciandomi da solo con mille pensieri.

Perché non era uscita?

E se le fosse successo qualcosa?

E se si fosse sentita male e fosse tornata a casa senza avvisarmi?

 

Spinto da un moto di preoccupazione, entrai nell'aula, fregandomene di quello che avrei rischiato se qualcuno mi avesse visto in una classe non mia.

Mi calmai all'istante. Lei era lì, che cercava di infilare velocemente tutti i libri in uno zaino troppo pieno e, nello stesso tempo, cercava di sistemarsi i capelli biondi dietro l'orecchio, ma quelli le ricadevano sempre davanti al viso.

 

"Posso aiutarla, signorina?" sussurrai.

 

Come risvegliata da un sogno ad occhi aperti, alzò la testa e, alla mia vista, sgranò gli occhi.

 

"E-Evan...che ci fai qui?"

 

"Beh..." dissi, avvicinandomi. "Ho visto che non uscivi dalla classe e ho pensato di venire a controllare." Le sfiorai il viso, con le nostre bocche pericolosamente vicine. "Ma, se vuoi, posso sempre andarmene."

 

Allacciò le sue mani al mio collo e sorrise. "Mmh, in effetti, avevo proprio bisogno di un cavaliere che aiutasse una povera donzella in difficoltà."

 

Mi fissò negli occhi e poi avvicinò le sue labbra alle mie, ma senza toccarle. Stavamo a pochi millimetri l’uno dall’altro. Sentivo il suo respiro sulle mie labbra e chiusi gli occhi,

restando in attesa di quel bacio sospeso.

Dapprima, le sue labbra sfiorarono solo le mie, poi le sentii premere ed avvertii la pressione della sua lingua che chiedeva l’accesso per incontrare la mia.

Dischiusi le labbra per lasciarla entrare. Oddio, quelle labbra erano qualcosa di

stupefacente!

Le presi il viso saldamente tra le mani e risposi a quel bacio con tutta la passione che avevo dentro.

Non credevo fosse possibile, eppure ogni volta che ci baciavamo, era sempre diverso.

Lei riusciva a rendere tutto così unico, così straordinario.

Era come se non ci fosse niente di reale, come se fosse tutto un sogno.

Era semplicemente tutto troppo fantastico, troppo bello per essere vero.

L’Edward insicuro, purtroppo, si rifece avanti, e non potei fare niente per fermarlo.

Con uno sforzo enorme, mi staccai dalle sue labbra e la guardai in quei suoi magnifici occhi, capaci di trasmettere sempre emozioni diverse e

intense.

Mi allontanai da lei e mi persi tra i miei pensieri.

Basta, Evan! Insomma, finiscila con queste paranoie.

 

"Ehi...cosa c'è che non va?" mi chiese, notando il mio cambiamento d'umore.

 

"No, niente" risposi, evasivo.

 

"Non è che per caso riguarda la domanda che dovevi farmi?"

 

Ok, come diavolo aveva fatto?! "No, davvero..."

 

"Dai, forza. Dimmi tutto."

 

"Ecco...insomma...dopo quello che è successo ieri sera...io ti considero...la mia...ragazza. Tu sei...d'accordo, vero?" le chiesi, con lo sguardo basso. Ero diventato l'essere più insicuro sulla faccia della Terra.

 

Mi prese il mento con un dito e mi guardò dritto negli occhi."Certo che sì, scemo. Come potrei non esserlo?" Sorrise. "Voglio baciarti, voglio abbracciarti, voglio tenerti la mano, voglio prendere miliardi di gelati con te e cambiare gusto ogni volta, voglio inviarti degli sms stupidi a tarda notte, voglio giocare con i tuoi capelli fino a vederteli tutti spettinati. Semplicemente...voglio te."

 

Le mie labbra si posarono immediatamente sulle sue, per poi spostarsi verso il suo collo e scendere fino alla base. Le lasciai una scia di piccoli baci senza tralasciare neanche un centimetro del suo candito collo.

La sua pelle aveva un odore che mi faceva impazzire, e reclinò la testa all'indietro per

lasciarmi tutto il posto per muovermi. La sentii fremere sotto di me, e dei piccoli gemiti uscirono dalla sua bocca, facendomi eccitare.

All'improvviso, la campanella suonò, e ci staccammo, malvolentieri.

Appoggiai la mia fronte sulla sua, e, ancora leggermente ansante per la mancanza di fiato, sussurrai:"Andiamo in mensa assieme?"

 

"No." disse, allontanandosi da me. "Io finisco di sistemare qui, e poi ti raggiungo, ok?"

 

"Va bene. Ti aspetto."

 

Uscii dall'aula ed andai in mensa con il cuore stracolmo di felicità.

Era la prima volta in vita mia che mi impegnavo seriamente in qualcosa.

La volevo, sentivo di aver finalmente ottenuto la sua fiducia e, davanti a me, ora vedevo solo una meritata felicità.  

Pov Avril

Appena finii di sistemare tutti quei dannati libri nello zaino, mi diressi in mensa, andando subito verso il bancone delle vivande.

C’era una vasta scelta di pietanze dall’aspetto appetitoso, ma non avevo molta fame.

Avevo lo stomaco chiuso.

Presi il vassoio e lo riempii con un’insalata, una mela ed una bottiglietta

d’acqua.

Mi girai col vassoio per cercare un tavolo libero, ma mi ritrovai la faccia sorridente di Annie davanti.

 

"Ehi, ciao Avril! Cosa fai, cerchi un tavolo? Non ce n'è bisogno, siediti con noi!" disse, indicandomi il tavolo, con Danica, Drew, Matt, Charlotte e...Evan.

"Dai, dai, siediti qui." Mi spinse verso l'unico posto libero, proprio di fronte al suo.

M'irrigidì, non volevo che gli altri notassero niente.

 

All'inizio, quando Evan stette al di fuori del discorso, parlammo del più e del meno, o di cose che riguardassero la scuola.

Poi, però, appena si risvegliò dal suo torpore e iniziò a parlare, m'irrigidì ancora di più e, questa volta, fu il mio turno di tacere.

In compenso, ebbi la possibilità di osservarlo per bene.

Era davvero stupendo con quei jeans neri e quella camicia nera.

Stava seduto con le spalle appoggiate allo schienale, con il corpo leggermente scivolato, e le sue gambe erano stese sotto il tavolo con i piedi accavallati.

Era veramente da violenza!

Lui si girò improvvisamente, e per un attimo ci fissammo.

Fece un sorriso dolcissimo che poi sparì immediatamente, come se se ne fosse pentito.

Era una sofferenza fare finta di niente.

Abbassai gli occhi, rattristata. Avevo voglia di mettermi a parlare con lui, e non poterlo fare, mi faceva male.

 

"Ehi, Avril, che ti prende?" mi chiese Annie, fissandomi.

 

"Niente." risposi tutto d’un fiato, mentendo.

 

Lei, poi, continuò a parlare con Charlotte, e non mi chiese altro.

Improvvisamente, il mio cellulare vibrò. Alzai lo sguardo, per vedere se fosse lui, e, effettivamente, mi fece l'occhiolino.

Abbassai lo sguardo, sorridendo. Era proprio un pazzo!

Presi dalla tasca il cellulare ed aprii il messaggio, notando che il destinatario fosse lui.

 

"Che dici se oggi pomeriggio compriamo qualcosa da mangiare e andiamo da qualche parte?"

 

Gli risposi. "No, oggi pomeriggio devo recuperare molti compiti arretrati." Nonostante non lo mettessi in bella mostra, ero una ragazza studiosa. "Facciamo domani?"

 

Sollevai lo sguardo, e vidi che stava con il capo chino, probabilmente per digitare la risposta. Appena finì di farlo, cambiò posizione.

Ora se ne stava seduto con le gambe piegate, il petto vicino al tavolo, i gomiti appoggiati, le mani sotto il mento, con il telefono ben visibile, racchiuso in un pugno, e mi fissava con i suoi splendi occhi azzurri.

 

Una nuova vibrazione mi ridestò da quello sguardo così penetrante. Avevo sempre la sensazione che quando lui mi guardava, non si soffermasse mai solo sul mio corpo ,ma

riuscisse a scorgere anche la mia anima ed i miei pensieri.

 

"Oh, va bene, come vuoi. Ti va il cinese?"

 

"Ok." scrissi, ed inviai.

Lo fissai, aspettando una reazione alla mia risposta.

Poco dopo, i nostri sguardi si incatenarono.

Un lieve sorriso piegò le mie labbra e, con mia sorpresa, venni subito ricambiata dal suo, che sprigionava dolcezza.

 

Alla fine, tutti, compresa io, finimmo di mangiare.

Poi, proprio mentre stavamo uscendo dal cancello principale, Annie mi raggiunse e mi disse:"Avril, sei pronta per domani?"

 

Non riuscii a capire. "Domani? Che intendi?"

 

"Ma sì, domani. Il tuo primo allenamento da cheerleader ufficiale!" mi rispose, con fare ovvio.

 

"No, Annie, non puoi farmi questo!" La mia esasperazione raggiunse le stelle.

 

"Eh no, signorina! Hai già saltato la lezione della settimana precedente, non puoi anche saltare questa."

 

Mmh, qui dovevo giocarmi l'ultima carta. Sporsi in avanti il labbro, e sussurrai dolce:"Per favore?"

 

"Aaaaw, sei adorabile con quel faccino!" Sgranai gli occhi, speranzosa. "...Ma no! Tu domani vieni agli allenamenti. Punto e basta."

 

Brutta peste... "Va bene." le dissi, triste. "Ci vediamo domani."

 

Mi avviai verso casa, con le spalle ricurve.

La notizia di Annie mi aveva fatto scendere il morale a picco.

Non mi andava proprio di scodinzolare come un cane che vedeva per la prima volta il padrone.

Beh...la colpa è solo della piccola Taubenfeld, mi suggerì la coscienza.

Infatti. Era lei che si sarebbe trovata una sorella senza testa, mica io!

 

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Capitolo 31
*** I'm his girlfr... Ops! ***


Salve people!

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

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Allora, la canzone di oggi è “Girlfriend”, e l’ho scelta più che altro perché è abbastanza azzeccata per il capitolo. Sinceramente, la trovo abbastanza commerciale, e non riesco nemmeno a paragonarla a canzoni come I’m with you, Losing Grip, My Happy Ending, When you’re gone, Innocence o Slipped Away. Semplice constatazione ^_^

Auguro una buona lettura a tutti!

 

Avril Lavigne - Girlfriend

 

 

Pov Annie

 

L’allenamento era iniziato da un bel po’ di tempo, e io saltellavo sul posto, inquieta, guardandomi attorno.

 

“È in ritardo, Annie.”

 

“Lo so anche io, Char!” le risposi, stizzita ed irritata. “Vedrai che arriverà...prima o poi.”

Avril era in un gigantesco, enorme e colossale ritardo.

Se non la avessi conosciuta bene, avrei detto quasi che ritardasse di proposito per irritare Charlotte. Quasi.

Finalmente, dopo una decina di minuti, la vidi arrivare, tutta trafelata, con la maglietta sottosopra e le scarpe ancora da infilare.

 

"Sei in ritardo." commentò Char, laconica e sprezzante.

Per fortuna, si era trattenuta a quell'unica frase, e non era andata oltre.

Il rapporto tra le due non era di certo dei migliori, ma almeno non si erano ancora scannate come il primo giorno.

 

“Scusa, bionda. Mi sono persa.”

A quella ragazza serviva veramente un corso intensivo di orienteering.

Scossi la testa, sconsolata. Nonostante tutto, non riuscivo ad arrabbiarmi davanti al suo volto dispiaciuto.

 

“Mi dici che hai, Avril? In questi giorni mi sembri un po’...assente, come se avessi la testa tra le nuvole.” le chiesi, preoccupata.

Ci spostammo sul prato, per fare un riscaldamento adatto, in vista degli allenamenti.

 

“Per caso mi hai chiesto qualcosa?” disse, girandosi verso di me.

 

“Avril! Ma mi stai ascoltando?!" le chiesi, incazzata nera. Non ricevetti nessuna risposta.

Sbuffai, spazientita. Odiavo quando venivo ignorata, soprattutto da lei.

In poco tempo, era diventata davvero la mia migliore amica, e insieme avevamo costruito un bellissimo rapporto.

Però...C’era qualcosa che nascondeva, un segreto che non voleva rivelare a nessuno.

Me lo sentivo.

La fissai intensamente, cercando di captare quella cosa che mi sfuggiva tanto.

Profonde occhiaie le segnavano il viso pallido, più pallido del solito.

Nella pausa pranzo non mangiava più di un panino o di una mela. Mi stavo sinceramente preoccupando per la sua salute.

Chissà, magari se l'avessi portata fuori...

“Stasera vieni a ballare? Andiamo al Passion...”

 

Non mi fece neanche finire la frase, che mi zittì con un gesto fulmineo della mano. “No!"

 

La guardai stranita. Per quale diavolo di motivo non poteva venire?

 

Vide la mia espressione, e cambiò subito il tono di voce. "Voglio dire...no, Annie, non posso." disse, abbassando lo sguardo.

 

E no, se pensava di chiudere così il discorso, si sbagliava di grosso!

"E perché non puoi venire?" insistetti.

 

"Ehm...Beh, ieri notte sono andata a letto alle due per finire i compiti, e vorrei tanto non replicare."

 

La nostra conversazione venne interrotta dal richiamo di Char, che ci fece provare la sua ultima coreografia. Prevedeva sia una parte di ballo, le cui figure ed evoluzioni principali vennero affidate a me e a quella smorfiosa di Caroline Mocciary*, la troia di tutta la scuola, che aveva una fastidiosissima erre moscia, sia una di sole acrobazie, in cui la mia amica aveva un ruolo importante, essendo la più brava.

Nonostante la sua bravura, però, Avril dovette farsi spiegare più volte i passi, non era ancora entrata del tutto nella logica delle cheerleaders.

Ripensandoci, però, forse non era l'unica che non era entrata bene nel nostro gruppo, perché tutte le volte che dovevo fare un passo, mi ritrovavo di proposito Carolina in mezzo ai piedi.

Tra un po’ l'avrei uccisa, che stronza!

Mi stava facendo diventare una pessima persona, perché IO non avevo mai avuto progetti violenti per la testa!

 

Per fortuna, Charlotte oggi era poco tollerante e la riprese più volte, mentre io esultavo nella mia mente, felice come una bambina.

Ero io la vice capo tifoseria, come si permetteva questa cogliona di pestarmi i piedi?

 

"Va bene, ragazze, facciamo cinque minuti di pausa." disse Char, facendo il gesto del timeout.

 

Proprio in quel momento, mi si avvicinò Caroline. “Comunque, ragazzina, non ti esaltare troppo. Qui lo sanno tutti che sei la vice per via della tua parentela con Charlotte, quindi smettila di darti tante arie, chiaro?”

 

Ma che voleva da me questa gallina?

Stavo per risponderle a tono, quando le si illuminarono improvvisamente gli occhi, e un sorriso le si dipinse su quel viso di plastica che si ritrovava.

“Oh, ma c’è Evan!”

 

Mi girai, ed effettivamente lo vidi appoggiato al tronco del grande albero al centro del prato della scuola.

Strano, molto strano. Perché era qui, se oggi la squadra di football non aveva gli allenamenti?

Alla parola "Evan", si girò di scatto anche Avril, che lo osservò per un minuto scarso, per poi ritornare con lo sguardo basso che aveva prima.

Mmh, qui qualcosa non quadrava.

 

"Oh mio dio, quant'è sexy! Voglio proprio andare a salutarlo." disse la smorfiosa, approfittando del fatto che il "sexy quarterback" fosse lì e andò verso di lui.

 

Ovviamente, per me era solo il mio fratellino, il mio fratellino idiota e pallone gonfiato, ma per Caroline rappresentava la via per quella popolarità che agognava da tempo, ma che tutti le negavano, essendo appunto una troia con la "t" maiuscola.

 

"Ma che ha intenzione di fare quella lì? Guardate come muove il culo, è una cosa...indecente!" commentò Avril, indicandola.

 

Quando Caroline gli si avvicinò, Evan cercò in tutti i modi di staccarsela di dosso, ma lei voleva dargli a tutti i costi un bacio sulla guancia.

Avril tentò di fare l'indifferente per i primi minuti, ma persino io potevo scorgere le occhiate di ira pura che i suoi occhi stavano lanciando.

Così, presa da chissà quale rabbia, si diresse a passo di carica verso la smorfiosa.

 

"Ehi, togli le tue manacce schifose da lui. Non hai capito che ti vuole fuori dalle palle?!" gridò.

 

"Sentiamo, e tu chi saresti per dirmi quello che posso o non posso fare con lui?"

 

"La sua ragazza, grandissima testa di cazzo!" No, no, no, no! Un attimo! Fate un rewind, per favore!

Lei...lei era la sua ragazza?! E da quando?!

 

Sia Evan che Caroline sgranarono gli occhi, ma la smorfiosa si riprese subito.

"E cosa vorresti fare, picchiarmi con il tuo skateboard, ragazzina?" la provocò, sprezzante, avvicinandosi alla mia amica.

 

"No, lo rovinerei, ma posso sempre fare questo." le rispose.

 

Alcuni ragazzi si avvicinarono, incuriositi dalla scena.

E no, cacchio, non riuscivo a vedere cosa le avesse fatto Avril!

Mi avvicinai, spostando i corpi dei ragazzi, e vidi che le aveva...

Cazzo, le aveva appena tirato un pugno!

 

Caroline indietreggiò di alcuni passi, barcollante, e io e alcune ragazze la portammo subito in infermeria.

Il sangue le scendeva copioso, e l'infermiera le diede subito un impacco con del ghiaccio per fermare il flusso.

Per fortuna, alla domanda come te lo sei procurato?, la smorfiosa rispose che era inciampata sul prato della scuola, cadendo.

Ero sicura che, come lei, anche gli altri si sarebbero accodati e non avrebbero fatto il nome di Avril.

Ora che tutti avevano visto cosa il suo gancio destro era capace di fare, la paura di beccarsi un pugno in faccia, era troppa.

 

Ripensai a quella frase urlata, al fatto che avesse praticamente gridato di essere la ragazza di mio fratello.

Quanto c'era di vero in quella risposta?

E, se fosse stato vero, da quanto tempo andava avanti la loro relazione?

Come aveva fatto Evan a fare breccia nella dura e spessa corazza formata da stupidi pregiudizi che la mia amica aveva in serbo per lui e per il nostro mondo?

Dovevo investigare, e mi serviva Drew, il mio tenero, dolce e molto persuasivo amore!  

Non sapevo ancora come, ma avrei scoperto ogni cosa, era una promessa!

E Annie Marie Taubenfeld mantiene sempre le promesse.

 

 

Pov Avril

 

“Oh, ma c’è Evan!” commentò una ragazza, che a prima vista sembrava del tutto antipatica e priva di cervello, ma ben fornita riguardo a tette e sedere.

 

Come se fosse un impulso naturale del mio cervello, guardai anch'io verso il punto in cui si soffermarono gli occhi della ragazza, e lo vidi.

Se ne stava appoggiato ad un albero, con lo sguardo basso e la sua classica mano pronta a scompigliare i capelli.

Appena notò il mio sguardo su di lui, mi sorrise ampiamente, contagiando anche i suoi splendidi occhi azzurri.

Mamma mia, quanto volevo baciarlo!

Abbassai lo sguardo, e tornai a fissarmi le scarpe.

Controllo, ci voleva controllo!

Dovevo assolutamente ricordarmi che non ero sola in quel momento, altrimenti gli sarei volentieri saltata addosso per appoggiare le mie labbra sulle sue.

 

"Oh mio dio, quant'è sexy! Voglio proprio andare a salutarlo." rincarò la dose la ragazza.

 

Brutta gallina e ochetta da quattro soldi, non ti azzardare neanche a muovere un solo dannato passo verso la sua direzione!

Ovviamente, non ascoltò i miei pensieri, anzi, andò con passo veemente verso di lui, agitando quelle brutte chiappe che si ritrovava.

 

"Ma che ha intenzione di fare quella lì? Guardate come muove il culo, è una cosa...indecente!" dissi ad alta voce, puntandole un dito contro.

Strinsi forte i pugni, e una scossa di pura rabbia e gelosia si impossessò di me, facendomi andare verso la brutta gallina che voleva a tutti i costi dare un bacio al MIO fidanzato.

Nessuno poteva toccare le mie cose!

 

"Ehi, togli le tue manacce schifose da lui. Non hai capito che ti vuole fuori dalle palle?!" le urlai contro.

 

"Sentiamo, e tu chi saresti per dirmi quello che posso o non posso fare con lui?"

 

Brutta puttana! "La sua ragazza, grandissima testa di cazzo!" Oh no, non potevo averlo detto davvero! Gli altri non potevano, non dovevano capire...

 

"E cosa vorresti fare, picchiarmi con il tuo skateboard, ragazzina?" Ma senti questa stronza...

 

"No, lo rovinerei, ma posso sempre fare questo." le risposi, e le tirai un pugno forte e ben assestato sul naso.

Ovviamente, la gallina fu costretta ad andare in infermeria, e tutti, forse per paura, o forse perché lo "show" fosse finito, se ne andarono, lasciandomi sola con...lui.

Abbassai subito lo sguardo, vergognandomi per quello che avevo fatto.

Avevo agito solo badando all'istinto, con impulsività, ovviamente sbagliando.

E poi...quella frase. Ora tutti sapevano, ora tutti erano a conoscenza di un segreto che volevo rimanesse solo...nostro.

Sentii il suo corpo che si avvicinava al mio, ed improvvisamente avvertii il calore della sua mano che mi sollevava il mento, costringendomi a guardarlo negli occhi.

 

"Ehi...Cosa c'è che non va?"

 

"E me lo chiedi?! Sono...una stupida."

 

"Scherzi?!" mi chiese con voce sorpresa. "Sei stata...assolutamente grandiosa! Quello sì che era un gancio destro. Mai pensato di partecipare ad un torneo di boxe?" mi chiese, con un sorrisino.

 

Fantastico, non solo lui non era arrabbiato con me, ma trovava anche che avessi fatto la cosa giusta e mi prendeva pure in giro. Perfetto!

 

Mi scostai dalla sua mano, seccata. "Non mi prendere per il culo, Evan. Quella frase su noi due...non dovevo dirla, ecco."

 

"E dai, non fare così. A dire la verità, io ero venuto qui proprio per parlarti di questo. Lo so che è successo tutto molto in fretta, ma il fatto che nessuno sappia di noi due non mi va più bene." Mi fissava con quegli occhi così intensi, che era impossibile replicare e non pendere dalle sue labbra. "Io...io voglio gridarlo al mondo intero che tu stai con me, voglio che tutti lo sappiano, anche per evitare problemi come questo." disse, con un risolino. "Sei stata fantastica, fidati. E poi, potrei anche aver apprezzato lo spettacolo." Avvicinò sempre di più le sue labbra alle mie. "Si dice che la gelosia...sia il più forte sintomo dell'amore."

 

Le sue labbra si posarono sulle mie, dolci e delicate, e mi diede un casto bacio, che via via si fece più intenso. La sua lingua cercò la mia e la trovò immediatamente, dando vita a quei mille brividi che solo lui sapeva provocarmi.

Ci staccammo dopo un po', per riprendere fiato, e, con un sorriso smagliante, mi chiese:"Allora, andiamo?"

 

Lo guardai perplessa. "Ehm...Dove?"

 

"Come dove, al cinese! Dai, ho la moto parcheggiata."

 

"Oh, al cinese, giusto" dissi, mettendomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Ma...Non posso, devo andare a casa a cambiarmi e..."

 

Mi mise un dito sulle labbra, sussurandomi:"Sssh, non c'è bisogno. Tu sei sempre bellissima."

 

Automaticamente, la mia timidezza venne a galla, e abbassai lo sguardo, sentendo le mie guance riscaldarsi.

 

"Quindi...andiamo?"

 

"Ehm...andiamo." gli confermai, un po' incerta. In risposta, lui mi regalò un altro bellissimo sorriso, uno di quelli da tremarella alle ginocchia, da brividi lungo la schiena, e che mi portava a farmi ogni volta la stessa domanda.

Come cazzo facevo ad essere fidanzata con uno come lui?

 

 

Pov Evan

 

Finalmente, il viaggio in moto finì, e raggiungemmo il parcheggio del ristorante cinese nel cuore della città.

Era stata sicuramente una lunga giornata e, nonostante fossimo stati sempre insieme da quando eravamo usciti da scuola, il mio unico desiderio era quello di guardarla negli occhi e abbracciarla forte.

Così, tentennai un momento, ma appena scesi dalla moto, mi avvicinai e la baciai su quelle labbra così delicate. Non avrei resistito un attimo di più.

"Dai, entriamo" le dissi, prendendola per mano. Inutile dire che il cuore mi si riempì di felicità solo per quel piccolo e banale gesto.

 

Il ristorantino era decorato con insegne rosse e con i tipici ideogrammi cinesi in rilievo in oro.

"Allora...cosa ti prendo? Hai delle preferenze?" le chiesi.

 

"Scegli tu. Solo...solo una cosa. Niente roba tanto strana, tipo meduse, cavallette, scarafaggi, vermi e cose del genere. Grazie!»

 

"Avril...ma sei mai entrata in un ristorante cinese?" le domandai, con fare divertito.

 

"Beh, no, a dire la verità." mi confessò, abbassando lo sguardo. "Ma sai com'è, la prudenza non è mai troppa."

 

"Ti prendo le cose che piacciano a me. Nulla di tanto stravagante, sono certo che ti piaceranno." la confortai, con un sorriso.

Le diedi un bacio a stampo e mi avvicinai al bancone. Ordinai gli stessi piatti che prendevo io, e la raggiunsi all'uscita, accanto alla moto. Aprii la sella della mia Yamaha e ci misi le buste dentro. Diedi gas e partii, ma non avevo la minima idea di dove portarla.Dopo un paio di mie proposte mentali, scartate velocemente, un dejá vù mi colpì, e capii all'istante che quello sarebbe stato il posto giusto.

C'erano delle panchine, lì vicino, e così, da grande calaviere quale speravo di essere, aprì la sella e presi in mano anche la sua busta, invitando la mia stella a sedersi.

 

"Dai vieni, qui ci venivo sempre con i miei genitori..." le confidai.

Mangiammo, guardando le onde infrangersi ripetutamente sugli scogli, e ridendo l’uno dell’altro.

Lei non sapeva usare le bacchette ed io la prendevo in giro, perché partiva sempre con una grossa quantità di spaghetti, ma alla fine alla sua bocca non arrivava mai niente.

Perdeva tutto per strada, ma per fortuna ricadevano nel cartoccio e poteva sempre rimendiare.

 

"Però, che cavolo Evan, ti potevi anche far consegnare una forchettina di plastica. Sai, le danno al posto di queste...cose infernali" mi disse, sbuffando.

Non ci potevo credere. Era adorabile persino quando faceva il broncio!

 

"Apri la bocca" dissi, ridendo di me stesso e avvicinando il cartoccio con le mie bacchette piene di riso.

Aprì la bocca e la imboccai. Fece una faccia soddisfatta, doveva aver gradito il riso alla cantonese.

 

"Comunque...scommetto che tu hai preso il riso perché non sai mangiare gli spaghetti!" mi accusò, rimproverandomi con un dito.

 

Alzai il sopracciglio e le feci un sorrisino furbetto. "Cosa vuoi scommettere?" la sfidai.

 

"Quello che vuoi" mi rispose, sicura. "Sentiamo, cosa vorresti da una povera donzella come me?"

 

Ci pensai su. "Sai cucinare?" le chiesi, dopo un po'.

 

"Certo, quando abitavo con mio padre cucinavo sempre io." affermò, con una scrollata di spalle.

 

"Allora se vinco io, mi farai una bella frittata di patate!" conclusi.

 

Mi guardò torva, forse per lei poteva apparire una richiesta strampalata.

 

"Una...frittata?" obbiettò infatti, confusa.

 

"Si, Avril. Una semplice frittata di patate. E’ uno dei miei piatti preferiti, solo che nessuno me la cucina, ed io sono negato ai fornelli" le spiegai.

 

"Ok...ci sto" replicò, dubbiosa "Ma non mi chiedi cosa voglio, se vinco io?" domandò.

 

"Qualsiasi cosa, tanto non hai speranze di vittoria!" affermai convinto. Alzai la mano con cui tenevo le bacchette e le feci dischiudere

e congiungere, per poi continuare "Io sono il mago delle bacchette."

Presi le bacchette ed il cartoccio, catturai un’abbondante porzione di spaghetti e li portai alla bocca con disinvoltura.

Era stato tutto fin troppo semplice. Avevo vinto io, ed avevo avuto la conferma che lei non sapeva resistere alle provocazioni, specialmente alle mie.

 

"Va bene, hai vinto!" mi concesse, sbuffando e facendo il broncio.

Beh...bisognava dire che aveva perso vergognosamente.

Appena finii di masticare, mi misi a ridere, posai le bacchette ed avvicinai la mano al suo viso, in una carezza delicata e dolce.

 

"Mi fai impazzire quando fai questo broncio" le rivelai, accostando le mie labbra alle sue, e depositandoci poi un bacio.

Continuammo a mangiare e io, dolcemente, la imboccavo, dato che era proprio negata con le bacchette.

Di secondo, avevo preso pollo alle mandorle, pollo in agrodolce e involtini primavera.

Era tutto buonissimo, ma il cibo mi interessava relativamente. La cosa importante era stare con lei.

Eravamo sazi, avevamo mangiato tantissimo. Raccolsi tutte le carte

e le misi nel sacchetto. Appena finii di sistemare, però, notai che mi stava fissando insistentemente, per poi scuotere la testa.

"Che c'è?" le chiesi.

 

"No, niente."

 

"Dai, lo sai che mi puoi dire tutto."

 

"No, c'era una domanda che volevo farti, ma...non è niente d'importante."

 

"Sul serio, mi farebbe tanto piacere scoprire cosa pensi in quella testolina."

 

"D'accordo. Tu...tu prima hai detto che venivi qui con i tuoi genitori, giusto?"

 

"Sì, è vero." le risposi, confuso. Non sapevo dove volesse andare a parare.

 

"Va bene, ma...perchè hai detto venivi? Voglio dire, i tuoi sono molto impegnati o sei tu che non puoi..." cercò di spiegarsi.

 

Ah, ecco cosa voleva sapere.

Le era sembrato strano quel mio parlare al passato, e adesso giustamente si chiedeva il perché. Chiaro.

"Avril...Mark ed Ami...non sono i miei veri genitori..." dissi, con una certa difficoltà.

 

Lei sgranò gli occhi per qualche secondo, e potevo benissimo vedere il suo cervello che tentava di rimettere insieme i pezzi.

"Cioè...tu sei stato...adottato?"

 

"Sì, come tutti noi ragazzi Taubenfeld, tranne Matt."

 

"Wow...questa sì che non me l'aspettavo." disse, annuendo con il capo con fare pensieroso.

 

L'aria si fece subito più pesante, e la conversazione ne risentì.

Per un po' ce ne stemmo ognuno rintanato nel suo silenzio, ma poi, guardando il mare, un pensiero mi attraversò la mente.

"Avril, dimmi la verità. C'è qualcos'altro che vuoi sapere?"

 

"No...cioè sì, ma se per te è troppo difficile non..."

 

"Tu vuoi sapere perchè...perchè sono stato adottato, vero?" Abbassò gli occhi, ed al suo piccolo cenno d'assenso, continuai.

"Beh...hai ragione. Per me è difficile...parlarne o discuterne...come se fosse una cosa normale.

Anzi, non lo è affatto. Non è una favola, non ci saranno principi che salvano principesse e le portano nei loro castelli. La vita con i miei veri genitori non ha un lieto fine, ma...ho seriamente paura che, raccontandoti questa storia, scapperai via da me."

 

 

*Capiscimi bro!

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Capitolo 32
*** Dance ***


Salve a tutti!

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

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La canzone di oggi è “Wherever You Will Go” dei The Calling. Questa canzone è del 2001, ma io l’ascolto ancora oggi. Ogni volta che parte, mi fa sempre piangere un casino T.T. Comunque, non la troverete prima dell’inizio del primo Pov, ma nell’ultimo, il Pov Evan. Ascoltatela, perché ci sarà una scena di un ballo (come da titolo) e quindi vi potrete anche immedesimare meglio. Però ora non andate a spiare, mi raccomando u.u *e fu così che tutti andarono a leggere*. Ma così non capireteeee!

Va bene, schizzi a parte…buona lettura!

 

 

 

Pov Evan

 

"I miei veri genitori sono...sono morti." confessai sottovoce, con la voce rotta e tremolante.

Il mio viso si trasformò in una maschera di dolore e i miei occhi si posarono sull'orizzonte che si stagliava di fronte a me.

Vedevo nubi tempestose ed un mare agitato, con il vento che si era intensificato e faceva volare dei piccoli pezzi di carta. Mi perdetti nei miei ultimi ricordi felici. Li custodivo con gelosia, perché nessuno era in grado di vedere, né tantomeno di comprendere il mio dolore.

Feci un’altra breve pausa, per cercare le parole giuste, poi continuai.

"All'inizio eravamo una famiglia benestante, sai? Mia madre era casalinga e sognava di fare la cantante, ma mio padre era un noto chirurgo, stimato da tutti e che eccelleva nel suo lavoro.

Tutto sembrava andare per il meglio, avevano appena comprato casa, i soldi non mancavano di certo, e tra i miei sembrava che l'amore continuasse e si rafforzasse nel tempo. Ovviamente, mi sbagliavo. Era tutto troppo bello, troppo perfetto...per credere che potesse andare avanti. L'ospedale dove lavorava mio padre chiuse, e la banca chiedeva sempre più insistentemente i soldi del mutuo da pagare.

Improvvisamente, la nostra bolla di felicità scomparse, e mio padre, disperato, incominciò a bere. Prima un bicchiere, poi due, poi tre...fino a ritornare ogni sera ubriaco. Ma, la cosa peggiore, era che ogni maledettissima volta che beveva, sfogava tutta la sua frustrazione su mia madre.

Ricordo solo le loro grida, i piatti rotti e le porte sbattute con violenza, per non parlare dei pianti e delle lacrime versate da mia madre.

Lividi, escoriazioni...tutti coperti da trucco, una bugia e un sorriso. Ma quella sera non andò così. Avevamo ricevuto un atto di sfratto esecutivo, e di lì a una settimana dovevamo lasciare tutto.

Sei solo una puttana, hai visto che cosa hai fatto?! Sei un'illusa che non farà mai niente nella vita! Questa è tutta colpa tua, tua e dei tuoi fottuti sogni!, le urlò.

La picchiò a sangue, le tirava tutto quello che teneva sotto tiro, fino a quando non si rese conto di averla uccisa. Allora, totalmente perso nei sensi di colpa e nel rimorso, prese dal tiretto del comò la pistola che teneva per le emergenze, la avvicinò alla tempia, e si sparò. Io assistetti a tutta la scena, ma per fortuna, non ricordo molto, ero solo un bambino.

Questo è tutto quello che ho saputo da Mark, prima che, allarmato dal fatto che il suo migliore amico non rispondesse al cellulare, sfondò la porta di casa e si prendesse cura di me e di Annie.

Ovviamente, lei non sa niente di questa storia. Le abbiamo sempre raccontato che morirono in un incidente d'auto, per un pirata della strada.

Ho sempre...cercato, di non farle provare lo stesso dolore che mi porto dentro ogni giorno."

 

 

 

Pov Avril

 

I suoi occhi avevano uno sguardo sofferente ed erano così lucidi che sembrava si dovesse mettere a piangere da un momento all’altro.

Sembrava un uomo divorato dalle fiamme, e con la mia stupidissima domanda l’avevo solo fatto soffrire e mi maledissi mentalmente in tutti i modi possibili per la mia boccaccia.

"Scusami tanto Evan, io non...non sapevo. Ti prego, perdonami se puoi".

Allungai la mano per accarezzargli il viso. Lui posò la sua mano sulla mia e piegò la testa per accogliere meglio la mia carezza. Adesso era così diverso, dolce, sensibile…

I sensi di colpa per la mia mancanza di tatto e di sensibilità incominciarono a infierire pesantemente su di me.

Mi sentii talmente triste per lui, che mi venne un groppo alla gola, mi si sciolse il cuore ed iniziai a piangere silenziosamente.

Un fulmine irruppe nel cielo, illuminando il suo viso, e vidi una lacrima scendere, lenta e inesorabile, sulla sua guancia.

 

Riportò il suo sguardo su di me e nei suoi occhi c’era gentilezza, unita a sofferenza e tristezza.

Vendendo le mie lacrime, allungò l’altra mano per asciugarle, domandandomi:"Avril, perché piangi?"

 

"Perché sono una grandissima cogliona. Ti ho ferito solo per soddisfare una mia stupidissima curiosità, perché volevo provare a capire un po' di più il tuo mondo. Sono stata un’egoista" mormorai, distrutta nell’animo.

Sentivo il suo sguardo su di me, ma non avevo il coraggio di guardarlo, fino a che non sentii una sua mano accarezzarmi una guancia con dolcezza.

"Avril, tu non mi hai ferito. Sono solo ricordi che...non mi piace...tirar fuori. Diciamo che...è stato troppo per il mio lieto fine, ecco. E poi, non hai bisogno di provare a capire il mio mondo. Tu ne fai già parte."

 

Passò le sue dita sulla mia bocca, seguendo la linea delle labbra.

Il mio sorriso si intensificò tra le sue dita

 

"Grazie, è molto importante per me." gli dissi. "Sento che voglio stare con te, che voglio vivere questa nostra storia con tutta me stessa"

Non riuscii a resistere, mi avvicinai a lui e gli posai baciai teneramente le labbra. Lui mi

strinse forte a sé, rispondendo al mio bacio, con dolcezza.

Dischiusi la bocca e la sua lingua entrò, facendomi sentire tutto il suo sapore.

Mentre continuavamo a baciarci, mi portò sulle sue gambe, e allontanò il viso

dal mio. Lo fissai in quei suoi bellissimi occhi azzurri.

 

"Mmh, ora che ci penso... perché non vieni a casa mia per cena, stasera?"

 

Cosa?! Io...a casa sua?! "Annie, Drew, Char e Matt sono al Passion Skate, e i miei sono fuori città per un convegno. Ho casa libera." mi disse, con una scrollata di spalle.

 

Ecco, questo era già più rassicurante, ma...era comunque casa sua! "Non...non vorrei disturbare." gli risposi, abbassando lo sguardo.

Ma da quando ero diventata così timida e insicura di me stessa?

 

"E dai, così mi prepari la tua fantastica frittata. Per favore..." Sporse in avanti il labbro, e mi guardò con quei suoi occhioni, così profondi da spiazzarmi.

Ma, io...non dovevo...non potevo...

Oh, al diavolo, come si poteva resistere ad un ragazzo così tenero?!

 

"Ehm...va bene, ma a patto che mi accompagni a casa presto a cena finita, d'accordo?"

 

"D'accordo." disse, sorridendomi ed accarezzandomi il viso.

 

Avvicinai di nuovo le mie labbra alle sue e gli diedi un casto bacio. Sorrise sulle mie labbra e mi baciò a sua volta.

Mi sollevai e mi misi a cavalluccio su di lui, in modo da stare uno di fronte all’altro.

Mi avvolse con le sue braccia in un grande abbraccio. Le sue mani scorrevano sui miei fianchi e sulla mia schiena, facendomi sentire mille brividi di piacere. Ci baciammo a lungo, senza sosta.

Mentre continuammo a baciarci, il suo...amichetto si risvegliò.

Lui si irrigidì, ma io cercai di tranquillizzarlo, e pensai che, in fondo, non c'era niente di male ed erano cose naturali.

Avrei dovuto preoccuparmi se la cosa non fosse capitata.

Continuai a baciarlo, facendo finta di niente.

Improvvisamente, cominciò a farmi il solletico e mi staccai dalle sue labbra, cominciando a contorcermi su di lui.

Evan ridacchiava divertito, continuando a torturarmi con il solletico.

Stava cercando di stemperare la situazione. Mi mancava il respiro, e cercai di reagire, ripagandolo con la sua stessa moneta.

Allungai le mie mani e le infilai sotto la sua camicia, cominciando a fargli il solletico di rimando. Sembravamo due bambini che giocavano felici.

 

Feci uscire le mani dalla camicia, gli presi il viso e non potei fare a meno di baciarne ogni singola parte.

Mi strinse più forte a sé, ricambiando ogni mio singolo bacio. Ero totalmente persa di lui.

Evan guardò l’orologio, buttò tutte le carte in un cestino lì vicino, e, mentre mi alzavo dalla panchina facendo leva sulle sue braccia, disse:"Dai, andiamo. Ti voglio portare in un posticino, prima."

 

Salimmo sulla sua Yamaha e partì.

Portai la punta del mio naso sulla sua schiena, e lo strinsi forte a me.

Stavamo andando verso una zona piena di negozi di tutti i tipi, dall'abbigliamento agli alimentari.

Improvvisamente, si fermò vicino all' entrata di un negozio. Scesi e osservai l'insegna per capire cosa fosse.

"E quindi, il posticino...sarebbe un supermarket?" gli chiesi, accigliata.

 

"Beh...si. Non ho la minima idea di cosa serva per fare una frittata, quindi mi sa che tocchi a te provvedere." rispose, grattandosi la testa con fare imbarazzato.

Entrammo ed acquistammo tutto il necessario. Poi, Evan mi guardò, esitante. "Ehm...visto che siamo qui, potresti prenderti qualcosa che ti piace per quando stai da me, no?"

 

Lo guardai perplessa, "In che senso?"

 

"Non lo so, ma ho l’impressione che tu sia una da schifezze. Compriamo dei pop-corn per quando guarderemo un film, del cioccolato, delle caramelle. Quello che vuoi, così ti sentirai a tuo agio quando e se deciderai di ritornare a casa mia."

 

Che gesto dolce!

Il fatto che pensasse sempre ad evitare di farmi sentire a disagio, mi faceva capire quanto lui tenesse a me.

Gli schioccai un bacio a stampo ed accettai. "Ok, se mi prometti che dividerai con me le scorpacciate.»

 

"Ci sto! Sai, credo che comincerò ad apprezzare molto di più il tempo passato

a casa e non avrò più tutta questa smania di uscire."

Pagammo la spesa e ci dirigemmo verso casa sua.

 

 

Pov Evan

 

Il pomeriggio che avevamo passato insieme era stato molto piacevole.

Era strano per entrambi vivere questi momenti di vita quotidiana, perché fino ad ora il nostro rapporta era stato tutto fuorché ordinario.

Dovevamo abituarci ad un sacco di novità ma, accanto a lei, tutto sembrava estremamente facile e naturale.

Tutte le paure e le incertezze stavano sparendo e cominciavo a sentirmi libero di parlare, senza l’incubo di un suo ripensamento.

All' inizio, ero certo che ogni occasione sarebbe stata buona per lasciarmi, o per trovare qualche scusa per troncare sul nascere la nostra storia.

Adesso, invece, il nostro rapporto aveva superato quell’enorme scoglio, quello del mio passato, e ne era uscito più forte e robusto.

Ero al settimo cielo. Tutto quello che volevo e desideravo era stare con lei.

Per la serata, volevo solo che tutto fosse perfetto.

 

Arrivati a casa, entrammo ed indicai alla mia stella la via per la cucina, memtre io allestivo il tutto.

Anche se avevo già in mente il tutto, ero un po’ nervoso, e quando pensai di aver finito, mi resi conto di essere ancora più agitato.

 

Mi ero impegnato, e speravo solo che apprezzasse il mio impegno.

Era la prima volta che facevo una cosa del genere per una ragazza.

Era la prima volta che lo facevo in assoluto, ma volevo che fosse speciale.

 

"Ecco, la frittata è...pronta."

 

Non mi aspettavo che finisse così presto, e così, quando entrò in salotto, mi prese in contropiede.

"Beh, ecco..." Alzai la mano ad indicare il tavolo ed abbassai gli occhi. "Sorpresa!"

 

Era rimasta a bocca aperta.

Non volevo una cena ordinaria, così avevo apparecchiato l’ampio tavolino del salotto.

Niente di che, sia chiaro. Avevo solo messo dei piatti bianchi su una tovaglia blu,

circondato il tavolo da dei cuscini rossi ed acceso il camino di fronte a noi, che adesso scoppiettava.

 

"Evan... è… bellissimo, ma hai fatto tutto tu?" Annuii e lei posò i piatti sul tavolo, avvicinandosi a me ed abbracciandomi forte.

 

"E’ veramente tutto perfetto, grazie! Mi hai fatto una meravigliosa sorpresa, Spero solo che...questa cosa...sia all’altezza."

 

Andai allo stereo e scelsi un mix di canzoni.

Per quella serata qualcosa di soft andava molto bene.

Quando ebbi finito, mi avvicinai al frigo, presi due lattine di coca-cola e le stappai.

"Che ne dici, se per iniziare, facciamo un bel brindisi?" le dissi, passandole la lattina.

 

"Perfetto… a noi!" rispose, alzandola.

 

"A noi." risposi, brindando.

Ne bevvi un sorso, e le lanciai un sorriso.

Oltre alla frittata, aveva preparato anche un piccolo antipasto, dei piccoli crostini con pomodoro e prosciutto.

Era tutto buonissimo e, cenammo tranquillamente, assaporando tutto.

 

"Avril, ti devo fare i complimenti. E’ tutto molto buono. Non pensavo sapessi cucinare così bene."

 

"Non è che mi sia sprecata tanto. Alla fine, gli ingredienti erano tutti pronti, ma cucinare mi piace."

 

"Io sono abituato a mangiare quasi sempre fuori o al massimo con il cibo da asporto. Una cena così per me è il massimo, e se poi so che l’hai preparata tu, tutto diventa più buono."

Finita la cena, rimanemmo seduti e ci accomodammo tra i cuscini, chiacchierando finalmente tranquilli, bevendo un po’ di coca-cola.

Era tutto talmente bello da non sembrarmi vero.

Non c’era nessuna fretta, nessuna ansia, solo io e lei e la nostra curiosità reciproca.

Scoprire che parlare per ore, solo tenendosi per mano e giocherellando con

le nostra dita davanti al camino, era una cosa piacevole e meravigliosa, mi dava la possibilità di apprezzare di più quello che la vita mi dava.

 

Come ultima sorpresa, avevo pensato al dolce. Mi ricordai che mia madre aveva preso una torta al cioccolato dalla piccola pasticceria dell'altro giorno, e, con la panna montata avevo scritto sopra For my love!.

Quando l'avevo servita a tavola, lei si era sorpresa e, subito dopo, imbarazzata.

"Grazie, mi metti in imbarazzo. Hai fatto così tanto per rendere tutto speciale. Io ti ho fatto una semplice frittata, non è giusto. Ero io quella che doveva pagare il pegno della

scommessa."

 

"Ma non ti rendi conto? Tu mi hai fatto il dono più speciale, sei qui! A me basta questo."

Si alzò in ginocchio dal cuscino ed iniziò a baciarmi con dolcezza, prendendomi il viso tra le mani.

Io l’avvolsi nel mio abbraccio e l’attirai a me, portandomela in braccio.

Ci sistemammo tra i cuscini e ci baciammo, senza fretta.

Era tardissimo quando ci alzammo. "Devo proprio riportarti a casa? Non puoi rimanere qui da me? I miei fratelli torneranno talmente ubriachi che non si accorgeranno neanche di te." chiesi speranzoso.

 

"E’ meglio di no, non vorrei correre troppo" rispose, imbarazzata,abbassando lo sguardo.

 

"Non farei mai nulla per metterti in imbarazzo. Farei il cavaliere, ti cederei la mia stanza. Io dormo sul divano, non c’è problema." proposi.

 

"No, tranquillo, ti lascio il tuo letto. È meglio se me ne torno a casa."

 

Aveva ragione ma, una parte di me, ancora sperava accettasse di rimanere.

Proprio in quel momento, iniziò una canzone. Mi piaceva molto e le parole si addicevano a noi, neanche a farlo apposta.

L’abbracciai stretta e le sussurrai all’orecchio:"L’accompagno alla sua dimora, signorina, ma prima…mi concede un ultimo ballo?"

 

Lei mi guardò, sorpresa. Poi, sorridendo mi rispose. "Con piacere!"

 

Le feci un inchino ed iniziammo a ballare stretti l’uno all’altra.

Le parole della canzone mi vorticavano nella testa e gliele canticchiavo, sussurrandogliele all’orecchio.

 

So lately, I've been wonderin'
Who will be there to take my place
When I'm gone, you'll
need love
To light the shadows on your face
If a great wave should fall
It would fall upon us all
And between the sand and stone
Could you make it on your own

If I could, then I would
I'll go wherever you will go
Way up high or down low
I'll go wherever you will go

And maybe, I'll find out
The way to make it back someday
To watch you, to guide you
Through the darkest of your days
If a great wave should fall
It would fall upon us all
Well I hope there's someone out there
Who can bring me back to you

If I could, then I would
I'll go wherever you will go
Way up high or down low
I'll go wherever you will go

Runaway with my heart
Runaway with my hope
Runaway with my love

I know now just quite how
My
life and love might still go on
In your heart, in your mind
I'll stay with you for all of time

If I could, then I would
I'll go wherever you will go
Way up high or down low
I'll go wherever you will go

If I could turn back time
I'll go wherever you will go
If I could
make you mine
I'll go wherever you will go.

 

 

Così ultimamente mi sono chiesto
chi sarà lì per prendere il mio posto
quando me ne andrò avrai bisogno d'amore
per illuminare le ombre sul tuo viso.
Se una grande onda dovesse cadere
si getterebbe su entrambi
e tra la sabbia e le rocce
potresti farcela da sola.

Se potessi, allora lo farei
andrò ovunque tu andrai
in alto o in basso
andrò ovunque tu andrai.

E forse scoprirò
il modo per tornare indietro un giorno
per vederti, per guidarti
attraverso il più buio dei tuoi giorni.
Se una grande onda dovesse cadere
si getterebbe su entrambi
bene, spero che ci sia qualcuno là fuori
che possa riportarmi da te.

Se potessi, allora lo farei
andrò ovunque tu andrai
in alto o in basso
andrò ovunque tu andrai.

Fuggi con il mio cuore
fuggi con la mia speranza
fuggi con il mio amore.

Ora so quasi perfettamente come
la mia vita e il mio amore potrebbero ancora andare avanti
nel tuo cuore, nei tuoi pensieri
resterò per sempre con te.

Se potessi, allora lo farei
andrò ovunque tu andrai
in alto o in basso
andrò ovunque tu andrai.

Se potessi riportare indietro il tempo
andrò ovunque tu andrai
se potessi farti mia
andrò ovunque tu andrai.

 

Quando la canzone finì, vidi calde lacrime rigarle il viso. Speravo avesse capito finalmente quanto tenessi a lei.

"Ti amo, piccola stella.".

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Capitolo 33
*** Innocent ice-cream ***


Salve a tutti!

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

-        i preferiti: AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel - Beliectioner_FE_love_FE  - Glaphyra - Look_at_the_sky - nunueroby(grazie ancora ^_^) -RamonaLBS - Solluxy

-        i ricordati:- Look_at_the_sky - avrilismylittleangel

-        i seguiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel -  Brazza - Hakkj -  icon of the darkness - itwasworthallthewhile -  Look_at_the_sky Mary_Malik RamonaLBS SaraHappenin

 

Scusate, non badate a me… sono askdlfkflaffkjs per i leaked del nuovo album che sono stati messi online! (Anche se così l’album potrebbe vendere di meno…Dannati conflitti interiori!)

Qui trovate la mia “classifica” dei piccoli brani in base all’ordine in cui li ho posizionati, ovviamente con i relativi link ^_^

Give You What You Like - http://www.youtube.com/watch?v=SbAzD_tYJj8

 

Let me go - http://www.youtube.com/watch?v=glqUcy60LEo

 

Sippin On Sunshine - http://www.youtube.com/watch?v=JLsIQKEi-Ts

 

Allora… come state?

Scommetto che la scuola vi sta già uccidendo, vero?

Anch’io faccio parte del gruppo, purtroppo, *affoga nei compiti* e quindi sono riuscita ad aggiornare solo oggi.

Questo capitolo non mi piace molto, se devo essere sincera. È stato davvero un parto, non finiva più. (E Glaphyra mi può capire, VERO? <.<)

Ok, dopo quest’interessaaaante conversazione (?), vi lascio al capitolo.

Buona lettura a tutti!

26 Settembre

 

Pov Evan

 

Il vento forte mi scompigliava i capelli, mentre il classico senso di libertà s'impossessava di me.

A scuola la giornata era stata pesante, per non parlare poi del pomeriggio.

Le ore scorrevano lente, quasi immutabili, mentre la mia voglia di rivederla cresceva di secondo in secondo.

Non potevo farci niente.

Sapevo che non volesse far sapere di noi due a sua madre. In fondo, neanche io l'avevo  ancora detto alla mia famiglia, ma volevo farlo il più presto possibile.

Sapevo di invadere i suoi spazi facendo così, ma, come diceva Oscar Wilde, il modo migliore per resistere alle tentazioni, è cedervi.

Arrivai vicino a casa sua, e parcheggiai la moto, impaziente.

Presi i libri che mi ero portato dietro, e andai a suonare il campanello.

Cercai di sistemarmi alla bene e meglio i capelli.

Ah, perché dovevano sempre essere così disordinati?

 

Sentii dei passi avvicinarsi alla porta, e una voce femminile parlare.

"Sì, lo so Jean-Claude, ma diciott'anni si compiono una sola volta nella vita..." Fece una breve pausa, e continuò:"Beh, io veramente pensavo ad una collana di perle, o qualcosa del genere." Per poi gridare:"Come sarebbe a dire che non conosco abbastanza mia figlia?! È il suo primo compleanno qui, ma credo di avere tutto il diritto di decidere per lei!"

A quel punto, la porta si aprì, e la signora Mitchell, senza badare molto a chi fosse la persona sull'uscio di casa sua, ovvero io, rispose:"Può andare, non ci serve niente."

 

Fece per chiudere la porta, ma misi prontamente un piede a bloccarla. "Signora Mitchell, sono io, Evan Taubenfeld."

 

La signora si immobilizzò per qualche secondo, per poi dire al suo interlocutore al telefono:"Jean-Claude, devo riattaccare. Ti richiamo io."

Alzò per la prima volta lo sguardo su di me, e mi sorrise. Un suo classico sorriso, viscido e che non mi dava alcun tipo di emozione.

"Oh, mio caro Evan, che piacere. Come mai sei qui?"

 

Recitai la parte che ormai avevo imparato a memoria. "Devo studiare con sua figlia, signora, e ci siamo dati appuntamento qui, a casa sua." Le mostrai subito i libri, per avvalorare la bugia. La mia intenzione non era di certo quella di studiare!

 

"Capisco, ma... non so, Avril non mi aveva avvisato." disse, palesemente in difficoltà.

Probabilmente non voleva ritrovarmi in mezzo ai piedi e aveva già qualcosa da fare.

Così, mi giocai l'ultima carta. Avevo un bisogno viscerale di vederla. 

 

"Va bene, come vuole lei. Peccato però, mia madre aveva intenzione di ricambiare l'invito invitandola a cena casa nostra, ma se è così... sarà per la prossima volta." Ti prego! Abbocca, abbocca, abbocca!

 

"Beh, ripensandoci...credo che un pomeriggio di studio insieme non faccia male a nessuno, in fondo." Perfetto, aveva abboccato!

 

"Grazie. Lei è davvero molto gentile, signora." Non aspettai un secondo di più, ed entrai.

Avevo già avuto il piacere di conoscere la strada per arrivare alla sua camera.

 

"Ma Evan, e per la cena?" chiese, mentre io stavo salendo ormai le scale.

 

Cavolo, e ora come me la toglievo di torno? "Sì, certo, la cena..Ehm, la chiamerà direttamente mia madre per mettersi d'accordo, non si preoccupi!"

 

Salii gli scalini a due a due, per evitare che quell'approfittatrice di cene a case altrui mi fermasse di nuovo, e bussai con due colpi secchi alla porta della camera di Avril.

 

"Oh insomma Judy, si può sapere che cazzo vuoi anc-"disse, aprendo in contemporanea la porta.

 

"Ehm... Si può?" sdrammatizzai, per toglierla dal momento imbarazzante.

La mia piccola sgranò gli occhi, e si fiondò letteralmente tra le mie braccia.

 

"Evan! Ma cosa...quando...?"

 

"Ssh, prima i gesti, poi le parole. Oggi ho anche aspettato troppo." le sussurrai piano, baciandola.

Appoggiai le mie labbra che, in modo dolce e lento, accarezzarono le sue.

Prima di staccarsi da me, però, mi tirò dentro la sua stanza e chiuse la porta.

 

"Allora? Come hai fatto ad entrare? E perché sei venuto qui?" mi domandò.

 

"Beh, la prima risposta è molto semplice, in realtà. Ho suonato il campanello e tua madre mi è venuta ad aprire." dissi, con una scrollata di spalle.

 

"C...Cosa? Judy?! E tu...tu le hai detto di noi?" chiese, spaventata.

 

Posai le mie mani sulle sue spalle e la guardai negli occhi. "Ehi, Avril, calmati. Non le ho rivelato niente, sta' tranquilla. Le ho solo detto che dovevamo studiare insieme, tutto qui." Appoggiai i libri sulla sua scrivania e abbassai lo sguardo, triste. Come avevo detto prima, ero a conoscenza del fatto che non volesse mettere al corrente i suoi della nostra relazione, ma...continuavo a sentirmelo dire, più faceva male.

 

Lei, probabilmente notando il mio cambio di umore, cercò di cambiare subito discorso.

Apprezzavo anche questo tratto di lei.

Mi capiva con un solo sguardo, e anche con una semplice frase era in grado di farmi sentire un po' più felice.

"Non hai risposto alla seconda domanda, però..." esitò, mordendosi il labbro.

 

"Una domanda così stupida richiede una risposta altrettanto stupida." le risposi, sorridendo. Le presi il viso tra le mani, cercando di comunicarle anche con gli occhi, quello che con le parole mi risultava difficile fare. "Avevo voglia di vederti. E questa mia voglia, assolutamente e totalmente insensata e priva di qualsiasi razionalità, mi ha fatto correre da te ed essere qui. L'unico posto in cui sono adesso, e l'unico posto in cui vorrei essere." Annullai la distanza tra le nostre bocche, e la baciai, di nuovo.

 

La mia lingua trovò subito la sua, e continuammo a baciarci con sempre più passione.

La spinsi dolcemente sul letto e lei andò con la sua testa sempre più verso il cuscino, mentre io la seguivo con il mio corpo.

Riprendemmo a baciarci, con più trasporto di prima.

I miei jeans incominciarono a farsi più stretti e mi irrigidì di rimando.

Non volevo rovinare il momento romantico con la mia stupida erezione!

Le morsi delicatamente il labbro inferiore, e un gemito uscì dalla sua bocca.

Mi strinse forte i capelli, facendo diventare i miei jeans sempre più stretti.

"Mmh...Evan..." mi sussurrò all'orecchio, eccitandomi ulteriormente.

Cercò di togliermi la maglietta che indossavo, e mi allontanai per un attimo da lei per facilitare la cosa, ma un improvviso bussare alla porta ci bloccò.

 

"Ragazzi! Posso entrare?"

Sgranammo gli occhi entrambi, e ci staccammo subito l'uno dall'altra.

Avril si alzò di scatto dal letto e io mi ci stesi sopra a pancia in giù, per non far notare il mio piccolo...ehm...problemuccio alle parti basse, appena un secondo prima di vedere la signora Mitchell, che, senza aspettare una nostra risposta, aveva fatto irruzione nella camera.

 

Ti prego, fa che non si accorga della mia erezione e che non faccia domande. Ti prego...

"Oh...Ma che stavate facendo?" Appunto. Cazzo. Cazzo. Cazzo.

 

"Ehm...lui...stava cercando..." Di portarmi a letto e di fare l'amore insieme...Ma che vai a pensare, pervertito! "La mia penna!" dichiarò.

 

Cosa?! "La tua penna?" le chiesi. Ma che cavolo stava dicendo?

 

"Sì! La MIA penna, quella che mi è caduta un attimo fa, e che tu ti sei offerto di recuperare!" Era una mia impressione o il suo sguardo era leggermente assassino?

 

Dopo un istante di tentennamento, capii. "Oh, già, la tua penna." dissi, facendo finta di stare a cercare qualcosa. "Sì, infatti, volevo dirti che qui non c'è. Deve esserti caduta dall'altro lato del letto."

 

"Avril, ma insomma! Si trattano così gli ospiti? Sei sempre la solita sbadata! Evan, caro, se vuoi cerco io la penna di mia figlia per te..."

 

"NO!" rispondemmo insieme io e Avril.

 

"No mamma, non ce n'è bisogno."

 

"Infatti, signora Mitchell. Non si preoccupi, la cerco io." la convinsi, facendole un piccolo sorriso.

 

"Va bene. Comunque, ero solo salita per chiederti se rimarrai a cena da noi, Evan."

 

"Ma mamma, non..."

 

"Volentieri!" intervenni.

 

"Perfetto, allora. La casa offrirà un buon gelato tutto da gustare. Non preoccupatevi, vi verrò io a chiamare tra poco." disse, con una voce talmente acuta, da procurare un quasi certo perforamento ai timpani. Per fortuna, fece per andarsene, ma all'ultimo, come se si fosse ricordata di qualcosa, si girò ancora verso di noi, e parlò alla figlia. "Ah Avril, ricordati poi di chiamare Jean-Claude. Ti vuole parlare."

 

"Va bene, va bene, ho capito." le rispose lei, scocciata.

 

"Mi raccomando, non dimenticartene." concluse, e chiuse la porta.

 

Quando fummo certi che fosse andata effettivamente al piano di sotto, ci ricomponemmo, e tirammo entrambi un sospiro di sollievo.

 

"Una penna, eh? Beh, potevi sempre dire che stavo cercando un'astronave o un oggetto non identificato!" esclamai io, sarcastico.

 

"È stata la prima cosa che mi è venuta in mente." mi rispose, con una scrollata di spalle. "E poi, qui se c'è una persona con un cervello limitato, beh...quello sei tu!" aggiunse, facendomi la linguaccia.

 

Cosa?! Lei che faceva la linguaccia a me?!

"Stia attenta al suo comportamento, signorina Lavigne..." dissi, avvicinandomi lentamente e facendola indietreggiare sul letto "perché...potrebbe pentirsi... molto amaramente... delle conseguenze!"

 

Saltai anch'io sul letto, e incominciai a solleticarla da tutte le parti, scoprendo con mia grande sorpresa che soffriva particolarmente il solletico ai fianchi.

Ovviamente, da vero bastardo, insistetti su quel punto.

 

"Ahahah...Evan...ti prego...basta!"

 

"Prometti che non mi farai più una linguaccia?"

 

"S...sì..."

 

"Come? Non ho sentito bene!"

 

"Sì, sì, va bene, te lo prometto. Ma adesso lasciami!"

 

Staccai subito le mie mani da lei. Avevo ottenuto ciò che volevo, e, cosa più importante, avevo scoperto un suo punto debole che poteva sicuramente tornarmi utile. Il solletico ai fianchi.

 

Si rannicchiò contro di me, e appoggiò la sua testa sulla mia spalla.

"Sai...ho sempre adorato il tuo profumo." mi confessò, un po' imbarazzata.

 

"Oh...beh...spero di non profumare come una discarica, allora." ci scherzai su.

 

"Ma no, scemo! Lo sai che non è quello che intendevo. Mi sono sempre sentita in qualche modo legata a te, e ora ne conosco il motivo. Credo di essermi innamorata di te da quella sera in cui sei salito qui in camera mia." disse, guardandomi negli occhi, improvvisamente seria.

 

"Ecco, a proposito di quella sera..." esordii.

 

"Sì?"

 

Oh, quant'ero stupido! Era passato molto tempo, e tutto era cambiato da allora. Che senso aveva chiedere chiarimenti su una cosa ormai lontana da noi anni luce?

"No, no, niente, non preoccuparti."

 

"Dai, su, dimmi. Cosa volevi chiedermi?" mi chiese, incuriosita.

 

Dannata curiosità!

"Ehm... Beh, quella sera...tu...hai parlato al cellulare con qualcuno, ricordi?"

 

Rimase visibilmente spiazzata da quella domanda, ma rispose ugualmente. "Oh, si, mi ricordo. Ma...questo che c'entra con..."

 

Presi un respiro profondo, e le dissi a bruciapelo:"Vorrei sapere chi è quel qualcuno, se non ti dispiace."

 

"Ok, ma...perché?"

 

"E me lo chiedi, Avril? Io ti avevo appena chiesto se fossi fidanzata, tu non mi rispondesti affatto, e in più squillò anche il cellulare, con il tuo misterioso interlocutore che non faceva altro che farti ridere e illuminarti gli occhi di gioia. È per questo che me ne sono andato così, perché ho pensato che tu avessi già un fidanzato, ecco tutto."

 

Mi fissò per un attimo con quei grandi occhi azzurri, adesso così vuoti e inespressivi, mentre tentavano di registrare e di capire le mie parole. Poi, un sorriso sempre più ampio comparve sul suo viso, contagiando anche i suoi splendidi occhi.

 

"Tu...tu sei geloso?"

 

Mi incazzai ancora di più. "Beh, scusa se sono geloso della mia ragazza!"

 

"Non ci credo, tu sei geloso!"

Niente, ormai era andata. Non faceva altro che ridere e a ripetere quella stupida frase.

 

"Mi dici cosa ci trovi di tanto divertente?!"

 

"Ahahah...il fatto...è che...tu sei geloso...di mio padre Jean-Claude!" disse, ridendo a crepapelle.

 

Ci mesi ben oltre un minuto per ricollegare il cervello.

"Vuoi...vuoi dire...che quello al telefono...era tuo padre?"

 

"Sì, proprio lui!"

 

Oh, cazzo! Maledetta mia boccaccia! Ma perché non mi stavo mai zitto?!

 

"Ragazzi, è pronto!" gridò nel frattempo Judy al piano di sotto.

 

"Arriviamo!" urlò di rimando la mia stella.

 

Ci alzammo entrambi, con la mia tristezza che era un po' più visibile rispetto a prima.

 

Aprì la porta, e mentre si stava incamminando per scendere le scale, si fermò. "Dai Evan, non prendertela, vedi il lato positivo della cosa. Almeno questa volta la figura di merda l'hai fatta tu, e non io!" disse, prima di farmi un'altra linguaccia e di scendere a tutta velocità le scale.

 

Ci accomodammo al grande tavolo della sala da pranzo, e, ovviamente, io e lei ci sedemmo vicini.

All'inizio, per rompere il ghiaccio con i genitori, parlammo un po' della scuola e del comportamento che dovevamo tenere durante le ore scolastiche.

 

Pian piano, i signori Mitchell parlarono tra di loro, e la mia stella, per non farsi beccare, mi parlò all'orecchio.

"Che serata noiosa! Che ne dici se la ravviviamo un po'?"

 

La guardai, confuso. "E che vorresti fare ad una cena allo stesso tavolo con i tuoi, scusa?"

 

Nel frattempo, Dolores servì le coppe del gelato in argento, tutte rigorosamente pulite e lucide.

 

"Per esempio...potremmo riprendere il discorso dell'altra sera..."

 

Ero sempre più confuso, non riuscivo a capire dove volesse andare a parare.

"Ma che vuoi dire? Non ti st..."

Mi interruppi bruscamente, perché sentii il contatto della sua piccola mano calda lungo la parte superiore della mia gamba.

Ah, ecco cosa intendeva!

 

"No, Avril, non puoi! Smettila subito, non possiamo rischiare di..."

 

"Evan, caro!" mi chiamò dall'altro lato del tavolo la signora Mitchell.

 

"S..sì? Mi...mi dica..." Riuscii a malapena a balbettare, perché la sua mano stava pericolosamente raggiungendo la zona X.

 

"Sai, l'altro giorno, ho letto un articolo su una rivista."

 

"Aaaah!" Cazzo, era arrivata...lì! Ma perché aveva avuto quest'idea perversa?

 

Vidi la signora Judy che mi fissava stranita, e solo allora mi accorsi di aver dato troppa enfasi alla mia "esclamazione".

 

"Voglio dire, ah, interessante?"

 

"Molto, caro. In quest'articolo, si diceva che dal modo in cui una persona mangia un gelato, si può capire molto della sua personalità. Vorrei sapere anche il vostro parere in merito." ci chiese, con fare pacato.

Ingoiai a vuoto, cercando di calmarmi e di mettere insieme una frase di senso compiuto. Una cosa era certa. Avril me l'avrebbe pagata cara.

"Beh, non so... Io lo... Mordo... Credo."

 

"E tu, Avril?"

 

"Oh no, io no, ho i denti sensibili. Riesco solo a leccarlo." Rivolse lo sguardo verso di me, mentre la sua mano mi stava facendo perdere completamente la ragione, prima di continuare. "Il gelato."

 

"Beh, è una cosa senz'altro interessante. Non trovi, Phil?"

 

"Cosa? Oh, certo, certo." rispose il marito, praticamente assente dalla nostra conversazione.

 

Avril finì di mangiare la sua porzione di gelato, ritirò improvvisamente la mano, e, facendo finta di stiracchiarsi, disse:"Scusatemi, vado un attimo in bagno."

 

Quella piccola strega...

 

"Ehm, perdonatemi, ma non credo di sentirmi molto bene. Vado a fare due passi." E il premio per la peggiore scusa dell'anno va a...Evan Taubenfeld! Grandissimi complimenti!

 

Mi allontanai, con un piccolo grande problema in corso.

Mi aveva ripagato con la mia stessa moneta, ed era per questo che adesso volevo trovarla.

Finalmente, dopo un paio di giri, riuscii a scorgere il bagno, e mi ci fiondai dentro.

Lei era lì, pronta per me e per le mie labbra, che volevano baciare incessantemente le sue.

 

"Ti sembra giusto quello che fai?" le chiesi, con voce arrocchita dal desiderio.

 

"Ssh,sta' zitto e baciami."

 

Ci baciammo con una passione sempre più crescente, fino a quando lei non sgusciò via da me e mi sussurrò:"Raggiungimi tra un po', e...calma i bollenti spiriti.", prima di sparire del tutto.

 

Come suggerito da lei, cercai di calmarmi e, dopo due minuti buoni, ci riuscì.

Ritornai nella sala da pranzo, dove mi accolse Judy, con una faccia preoccupata.

 

"Evan, caro, tua madre mi ha chiamato, chiedendomi dove fossi, e io le ho detto che avevi cenato da noi e che stavi rientrando subito. Spero non ti dispiaccia."

 

"No, non si preoccupi, signora Mitchell. Stavo proprio per venire..." Guardai Avril solo per un secondo."...a dirvelo."

 

"Va bene allora, sarà meglio che ti avvii."

 

"Sì. Grazie della splendida serata, signora Mitchell."

 

"Oh, che ragazzo gentile ed educato. Avril, prendi i suoi libri e accompagnalo alla porta."

 

"Certo." rispose la mia stella.

 

Mi imcamminai con passo spedito, e, sull'uscio, prima che lei potesse chiudere la porta, le dissi:"La prossima volta non mi sfuggirai."

 

Si alzò sulle punte, e mi sussurrò all'orecchio:"Non vedo l'ora."

 

Quelle sue parole, appena accennate, mi rimasero impresse per tutto il viaggio di ritorno, da casa sua fino alla mia.

Una volta buttato sul letto, feci un rapido rewind della serata.

Nonostante avessi ricordato tutto con assoluta meticolosità, sentivo che c'era qualcosa su cui non mi ero soffermato abbastanza, c'era qualcosa che mi sfuggiva.

 

Improvvisamente, ricordai una frase che la signora Mitchell aveva pronunciato, e a cui inizialmente non avevo dato molto peso.

"Sì, lo so Jean-Claude, ma diciott'anni si compiono una sola volta nella vita...

Io pensavo ad una collana di perle, o qualcosa del genere...

È il suo primo compleanno qui..."

Quindi...questo voleva dire che...domani era il compleanno di Avril!

E...io...non sapevo come organizzarmi, cosa regalarle...

 

Cercai di pensare alla cosa con un briciolo di lucidità, e mi venne in mente anche una buona idea.

Mandai subito un messaggio a Chad.

"Ehi C., per caso il tuo studio è aperto domani pomeriggio?"

 

Mi arrivò la risposta qualche minuto dopo.

"Certo, il mio studio è sempre aperto per te!"

 

Perfetto!

Sapevo cosa regalarle.

Ora non restava che scoprire se il regalo avrebbe avuto l'effetto desiderato.

Sperai di sì, con tutto il mio cuore.

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Capitolo 34
*** To ignore ***


Buonsalve, little black stars!

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

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-        i ricordati:- Look_at_the_sky - avrilismylittleangel

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Ecco qua un altro capitolo!

Va bene, devo dire che originariamente doveva essere più lungo, ma l’ho diviso in due perché altrimenti non finivo più e.e

Allooooora, AVETE SENTITO LET ME GO?

Quella canzone è davvero fantastica, non mi stancherò mai di ascoltarla. La voce di Chad è qualcosa di askfjskajfjd.

Poi, un’altra cosa. È uscita la “cover” del singolo, ma non si sa se sia quella ufficiale o meno.

Io, sinceramente, spero di no.

Per carità, è molto bella, ma è troppo “sofisticata”.

Avril sembra una statua di cera, anzi, a dirla tutta, non sembra neanche lei T.T

Ok, era un mio parere personale ^_^

Buona lettura a tutti!

 

 

Avril Lavigne ft. Chad Kroeger – Let Me Go

 

Il giorno dopo…

 

Pov Avril

 

 

 

"No, Phil, no!"

 

"Su, non fare tanto la difficile."

 

"E dai Phil, smettila, non vorrei che ci scoprisse." Un...un attimo. Sentivo le voci della stronza e del cetriolone. Ma perché? Stavo per caso sognando?

 

"Dai amore, neanche le cannonate riuscirebbero a svegliarla. Solo un altro bacio, ti prego." Ok, doveva essere per forza un sogno. Ma che sogno strano!

 

"Ma qui, così...davanti a lei, non possiamo."

 

"Ma sì che possiamo, Judy. Dai, solo un altro."

 

E insomma, basta. Ero nella mia stanza, nel mio letto, e io volevo anche un po' dormire! Così, infastidita dalle voci che sentivo vicine, aprii gli occhi di scatto.

Forse...troppo di scatto. Meglio richiuderli, così forse la scena in cui vedevo un chilometro di lingua del cetriolone entrare nella bocca di Judy, sarebbe andata via.

Riprovai a sbattere le palpebre. No, l'orripilante scena era sempre lì.

 

"Ehm ehm..." mi schiarii la voce.

 

La testa di Judy si girò piano verso di me, mentre i suoi occhi si sgranarono dalla sorpresa di vedermi sveglia. Allontanò di scatto il cetriolone, e con fare allegro, dissero in coro:"Buon Compleanno!"

 

Cavolo, ma perché avevano dovuto ricordarmelo?!

 

Poi, con mio grande piacere, Judy si allontanò definitivamente da lui, e venne verso il mio letto. "Ehm...sai, io e Phil stavamo parlando e...uhm...Comunque, non sei contenta che siamo saliti in camera tua per farti gli auguri?" mi chiese, sviando il discorso.

 

"Sì certo, come no, ho visto in che modo stavate parlando." commentai sarcastica, roteando gli occhi. 

 

"Ehm,sì...Ecco a te il tuo regalo!" affermò, porgendomi un inquietante pacchetto color confetto.

Non sapevo se fosse più preoccupante il colore della carta da regalo, o la sua faccia esagitata che mi fissava, aspettando una mia qualsiasi reazione.

Sospirai, e, facendomi coraggio, aprii il mio regalo.

Ecco...ora avevo una risposta per la domanda precedente. Tra il colore della carta da regalo e la faccia esagitata di Judy, il contenuto del pacchetto era senz'altro peggio.

Una vistosa collana di perle grigie mi si stagliò davanti agli occhi, lasciandomi completamente...senza parole.

 

"Ehm...credo di...doverti ringraziare...?" le dissi, con un tono di voce a metà fra una domanda e un'affermazione.

 

"Oh, non fa niente. Questo ed altro per la mia bambina." mi rispose, tirandomi un pizzicotto sulla guancia e stritolandomi nel suo abbraccio.

Peccato che ricordasse di fare queste cose solo quando le conveniva, e non nei momenti in cui ne avevo davvero bisogno.

 

"Judy...lasciami...così...m-m...mi fai male!"

 

"Scusami!" mi disse, allontanandosi immediatamente. "Dai, adesso io e Phil ce ne andiamo, e tu ti prepari per la scuola. Ci vediamo dopo." E con questa sua massima, uscì dalla mia stanza, con il cetriolone alle calcagna, neanche fosse un cane da riporto.

 

Quindi...in fin dei conti...lei mi aveva regalato una collana!

Beh, fantastico. Molto più che fantastico, oserei dire.

Mi alzai dal letto e scostai malamente quelle povere coperte che, con la mia rabbia, non c'entravano proprio nulla.

Guardai per un attimo fuori dalla finestra, osservando il cielo che si mostrava in tutta la sua maestosità.

Azzurro. Qui il cielo era quasi costantemente e inspiegabilmente azzurro.

Come faceva ad avere sempre la forza di spazzare via le nuvole e di splendere in quel modo?

A Napanee, no. Tutto questo azzurro accecante e noioso era coperto da soffici e perenni nuvole.

Mi piacevano, mi facevano sentire...protetta.

 

Ritornai per un attimo con la mente al passato, e ripercorsi tutti i compleanni passati in Canada.

Sin da piccola, non mi piaceva affatto né festeggiare i compleanni, né tantomeno ricevere regali. Proprio per niente.

Il primo motivo era semplice. Non ci trovavo niente di divertente nel constatare come il tempo passasse e rendesse più acide le persone, inclusa me.

Il secondo motivo era, se possibile, ancora più naturale del precedente. Ogni maledetto anno in cui festeggiavo o ricevevo auguri di buon compleanno, puntualmente mi venivano fatti dei regali più disparati. Non che non apprezzassi la loro buona volontà, ma...semplicemente, tutti i regali venivano presi e messi in cantina, perché non mi piacevano.

Quindi, perché fingere di apprezzare un regalo, quando il primo pensiero che si formava nella mia mente era quello di cercare di immaginare dove avrei potuto buttarlo?

 

L'unico regalo che avevo davvero amato è stata la chitarra di papà.

Quel regalo era il solo che mi era rimasto dentro.

Scacciai via il groppo in gola che mi si era formato, e ritornai subito con la mente al presente. Dovevo sbrigarmi e arrivare puntuale a scuola.

Provai a chiamare Evan, per chiedergli un passaggio.

Con il mio skate non sarei mai arrivata in orario, ma forse con la sua moto...

Composi il numero e aspettai impaziente.

Uno, due, tre squilli...Niente.

Chiusi la chiamata e riprovai due minuti più tardi.

Battei il piede sul pavimento, fino a quando, al quinto squillo, la linea cadde.

Sgranai gli occhi, e allontanai il cellulare dal mio orecchio, per controllare che non si fosse spento.

No...era ancora perfettamente funzionante.

Allora...allora c'era solo un'altra e unica spiegazione.

Mi aveva appena riattaccato! Aveva rifiutato la mia chiamata senza che riuscissi nemmeno a dirgli "ciao".

Una forte scarica di rabbia mi assalì. Se oggi fossi entrata in ritardo, la colpa sarebbe stata solo sua!

 

Afferrai il cellulare, il mio zaino e lo skate, uscii da casa e incominciai a correre più veloce che potei.

Ovviamente, arrivai a scuola con dieci minuti di ritardo, e ricevetti un richiamo, purtroppo solo verbale, dalla preside.

Peccato, almeno la giornata sarebbe stata un po' più movimentata.

Di ora in ora mi spostavo in aule diverse, rendendo il mio corpo partecipe alla lezione, ma il cervello completamente scollegato.

Non stavo minimamente attenta a nulla che avvenisse intorno a me, anzi, pensavo a tutt'altro.

Perché non mi aveva risposto?

Ma soprattutto, perché aveva riattaccato?

Poteva avere un impegno...

O poteva aver fatto scivolare erroneamente il suo dito sul tasto rosso invece che sul tasto verde...

Oppure...poteva essere arrabbiato con me per come mi ero comportata ieri sera. Certo, forse avevo un po' esagerato, ma la serata stava diventando così tanto noiosa.

E poi, credevo che in qualche modo lui avesse anche apprezzato, ieri sera.

Quindi, perché prendersela in questo modo il giorno dopo?

 

Piena di domande, arrivai finalmente all'ultima ora, letteratura inglese.

Ecco, il primo barlume di fortuna nella giornata.

Avrei potuto avere tutte le risposte che cercavo direttamente da lui.

Lui non era ancora entrato in classe, e così mi accomodai al nostro solito ultimo banco, prima vuoto.

Appoggiai lo zaino ed aspettai pazientemente il suo arrivo.

Finalmente, dopo due minuti d'orologio, lo vidi arrivare con un grande sorriso sul volto.

Ma allora non era arrabbiato!

E io che mi ero fatta tutte quei mille problemi mentali!

Non si accorse di me, ma fece per venire verso la mia direzione, e così alzai la mano, a mo' di saluto, facendo un gran sorriso di rimando.

...Sorriso che scomparve un secondo dopo, quando lo vidi sedersi a due banchi di distanza, vicino a Chad.

Ma...perché?

Mi sembrava di essere ritornata a settimane fa.

 

Osservai il suo comportamento per tutta l'ora, fregandomene altamente della lezione in corso.

Chiacchierava e rideva allegramente con Chad, e alcune volte alzava la testa per seguire il professor Jones.

Ad un osservatore esterno, non poteva neanche venire in mente l'idea che ce l'avesse con me o con qualcun altro.

Ma io sapevo benissimo cosa stava facendo.

Mi stava ignorando.

Non mi aveva rivolto neanche uno sguardo, neanche per sbaglio.

Eppure sapeva che ero dietro di lui, doveva saperlo!

Ebbi un'ulteriore conferma delle mie supposizioni quando, a fine lezione, si diresse, senza voltarsi indietro, in mensa.

Mi alzai anch'io, lentamente, mentre percorrevo il corridoio che mi avrebbe portato nella sua stessa direzione, stringendomi nel mio giubbotto.

Che grandissima giornata del cazzo! Dopotutto, era il mio compleanno.

Va bene che qui non lo sapeva nessuno, ma un po' di gentilezza non avrebbe di certo guastato!

 

Arrivai finalmente nell'ampia sala, e presi soltanto un succo di frutta. Ovviamente, non avevo molta fame.

Mi diressi, senza neanche perdere il mio tempo a cercare un tavolo disponibile, verso una panchina, distante da tutto e da tutti.

L'unica cosa buona di quella panchina vecchia e malridotta era la visuale che avevo da lì.

Infatti, con mio grande piacere, potevo osservare tutta la mensa, e non ci misi molto a scegliere quale sarebbe stato il mio obiettivo.

Lo individuai subito, vedendolo seduto ad un tavolo accanto alla piccola finestra che dava sull'esterno.

Qualunque forma di tristezza, che pensavo lo avrebbe contagiato in mia assenza, era sparita dal suo volto, che, anzi, era allegro e sereno come sempre, o forse anche di più rispetto alle altre volte.

Esattamente come durante letteratura inglese, parlava e rideva frequentemente con Chad, con il quale si scambiava anche delle amichevoli pacche sulle spalle.

Cavolo, sembrava quasi che fosse Chad la sua fidanzata, e non io!

Insomma, perché con lui rideva e scherzava, e a me invece neanche salutava?

No, non era affatto giusto. [N.D.A. Ciccia! Chi segue Titeuf mi capirà u.u. Ok, riprendiamo]

Mi soffermai a guardarlo, lanciandogli occhiatacce.

Per un attimo, e solo per un attimo, i suoi occhi incrociarono i miei.

Sì, esatto, guardami.

Ti sei accorto che esisto?

Perché non mi parli?

Perché mi stai ignorando?

Abbassò subito lo sguardo, facendo un irritante sorrisino e alzandosi dalla sedia.

 

 

Ma che cazzo aveva da ridere?

Mi alzai anch'io da quella stupida panchina e, con il mio zaino, mi diressi verso l'uscita.

Mi aveva ferita, ma la cosa più grave era il fatto che non se ne rendesse conto.

Appena fuori dall'uscita principale, vidi uno strano ragazzo che si guardava intorno, ansioso.

Era strapieno di tatuaggi e piercing, e questa cosa m'incuriosiva molto.

Voglio dire, chi mai sarebbe venuto in una scuola di perbenisti figli di papà conciato in quel modo?

Mi avvicinai allo strano ragazzo, che, appena mi vide, sgranò gli occhi, e mi fermò con un braccio.

 

"Ehy...ehy, sei tu la ragazzina che ha dato spettacolo qui con il suo skate il primo giorno?" Ma che cacchio...?

 

"Sì, sono io. Tu, chi sei? Perché mi cerchi?"

 

"Ehy, ehy, ragazzina, calmati. [N.D.A. Senti cosa, intanto ti calmi xD] Io sono Gabriel, piacere di fare la tua conoscenza." disse, porgendomi la mano.

 

Che c'è, prima mi chiamava ragazzina e adesso voleva presentarsi? No, grazie. "Non posso dire la stessa cosa, Gabriel."

 

"Ah no? Beh, sono sicuro che cambierai idea, appena ti avrò detto cosa ci faccio qui."

 

"Ecco, bravo. Fai in fretta." dissi, incrociando le braccia al petto. Ma che voleva da me 'sto tipo?

 

"Va bene, vado subito al sodo. In questa zona, sono io quello che organizza le gare clandestine di skateboarding, e...visto che ti muovi bene, mi chiedevo se volessi partecipare anche tu."

 

Cosa? Una gara clandestina?

E io che pensavo che si facessero solo a Napanee.

 

"Beh, ci devo pensare. Così, su due piedi, mi è un po' difficile risponderti."

 

"Va bene, facciamo così." disse, prendendo una penna dalla tasca dei jeans e iniziando a scrivere sulla mia mano. "Questo...è...il mio numero. Nel caso volessi ricontattarmi."

 

No, dico, ma era scemo?!

Mi aveva appena scritto sulla mano!

Notando la mia faccia sbalordita, scrollò le spalle, e, con fare innocente, disse:"Che c'è? Sai, mi stai simpatica, ragazzina. Hai carattere, e questo è molto importante, quando si vogliono vincere delle sfide."

 

Stavo per rispondergli a tono, ma lui mi anticipò. "Anzi, fai una bella cosa, già che ci sei. Porta anche il tuo amichetto biondo dell'altro giorno. Sembra che anche lui se la cavi, e più siamo, meglio è."

 

Ma guarda tu...amichetto biondo?!

"Ok, ok, ci penserò. Ora devo andare." aggiunsi, e mi allontanai in fretta.

Poteva anche essere una proposta interessante...peccato che lui non sapesse che il mio "amichetto biondo", per qualche strana ragione, avesse incominciato deliberatamente ad ignorarmi!

Entrai nel parcheggio praticamente vuoto, e intravidi la sua moto.

Lui, però, non c'era.

Chissà, forse era andato a limonare con Chad!

Stavo quasi per superare la sua Yamaha, quando sentii due braccia forti bloccarmi da dietro.

Iniziai subito a dimenarmi e ad urlare, ma poi avvertii la sua voce calda e dolce che mi sussurrava:"Ssh, sono io. Buon compleanno!"

 

Cosa?! Mi girai di scatto e lo guardai negli occhi, vedendo finalmente il suo bellissimo sorriso. "Ma...ma come fai a saperlo?"

 

"Eh, è una storia lunga, troppo lunga. Ma...aspetta, prima devo fare una cosa."

 

"Che co-"

Non mi diede il tempo di finire la domanda, che prese il mio viso tra le mani e sentii le sue labbra, morbide e calde, sulle mie.

 

"Ok. Adesso...girati, e soprattutto, non fare domande!" mi ordinò, con tono autoritario.

 

"Va bene, papino." lo presi in giro, girandomi.

 

All'improvviso, sentii qualcosa venire a contatto con la mia pelle, e persi del tutto la vista. Nel vero senso della parola.

"Evan, ma...perché mi hai bendata?"

 

"Ssh, cosa ti ho detto prima? Niente domande! Su, ora muoviti e sali sulla moto."

 

"Ma come faccio a salire sulla moto?! MI HAI BENDATA!"

 

"Uuh, quante storie per una benda. Aspetta, ti guido io."

 

Dopo cinque minuti, in cui il mio povero corpo si era letteralmente sfracellato sotto la guida di Evan, riuscii a salire sulla Yamaha."

 

"Dai, stella, allacciati a me."

 

Lo feci immediatamente e, maledicendo la mia curiosità, gli chiesi:"Allora, ho capito che non devo fare domande, ma almeno dove stiamo andando...me lo puoi dire?"

 

"Certo che posso. Qui c'è una piccola stella ancora senza regalo, o sbaglio?"

 

 

 

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Capitolo 35
*** I choose you because I love you ***


Buona domenica, little black stars!

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

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Allora…Devo ancora associare queste tre parole…

-Martedì

-Video

-Let Me Go

(Glaphyra non mi uccidere! So che vorresti farlo, ma non lo fare u.u)

Ok, sono akslflskaksf.

Bene, andiamo avanti.

Per il capitolo…eheheh, posso solo dirvi di prendere un mega-estintore, perché oggi non se ne esce vivi, vi avviso.

Spero di aver fatto un buon lavoro.

Va bene, auguro una buona lettura a tutti!

 

 

 

 

Pov Avril

 

 

Avevo una benda sugli occhi, non sapevo che regalo mi avesse fatto Evan né tantomeno dove mi stesse portando, ma nonostante questo, mi sentivo benissimo.

Ero completamente allacciata alla sua schiena, e non perché avessi paura di cadere dalla moto o altro, ma perché cercavo continuamente il contatto con lui.

Il suo corpo mi attraeva, e la sua vicinanza mi rassicurava. Bastava questo, per rendere un momento perfetto.

Mi aveva chiesto, o meglio ordinato, di non fare domande, ma...ce n'era una che, come una fastidiosa e stupida zanzara, mi ronzava nella mente, e non voleva proprio saperne di andarsene.

 

"Evan?"

 

"Sì?" mi chiese, girandosi leggermente.

 

"Ehm...Stamattina...avevi qualche impegno, per caso?"

 

"No...ma perché me lo chiedi?"

 

"Ecco, io avevo provato a chiamarti, ma-"

 

"Oh, sì, ti riferisci alla tua chiamata. L'avevo vista, non preoccuparti."

 

"Ok, quindi tu...hai chiuso di proposito?"

 

"Sì."

 

"Ah."

Non riuscii a dire altro. Provai una strana fitta al cuore, un misto tra amarezza e delusione. Non mi ero mai sentita così.

Certo, avevo immaginato che avesse rifiutato la chiamata, ma sentirselo dire così tranquillamente da lui, era tutta un'altra cosa.

Diventai improvvisamente triste, e non riuscii a fare niente per impedire ad una lacrima solitaria, lenta e inesorabile, di oltrpassare la benda e di solcare la mia guancia.

Dei singhiozzi leggeri incominciarono a scuotermi il petto.

Che senso aveva farmi un regalo, se poi non voleva neanche sentire la mia voce al telefono?

 

"Eccoci, siamo arrivati." disse, fermando la moto e accostando.

Mi aiutò a scendere, e intrecciò la sua mano con la mia.

La sua vicinanza mi destabilizzò completamente, e tirai su con il naso. Non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi piangere.

"Ehi piccola stella, che ti prende?"

 

No. Non poteva farmi questo. "Sì, certo, come se di me t'importasse qualcosa. E poi, non chiamarmi così!"

Staccai la mia mano dalla sua, e cercai di allontanarmi da lui. Stupida benda, ma perché me l'aveva messa?!

 

"Avril! Avril, aspetta!" Lo sentii correre verso di me, e velocemente i suoi passi mi raggiunsero, bloccando ogni mia possibilità di fuga.

Fuga per altro ancora più impossibile, perché non vedevo un accidente.

Le sue mani mi alzarono delicatamente la benda, facendomela scivolare sulla fronte.

No, non volevo che lo facesse.

Avrebbe visto l'Avril debole che cadeva ad ogni difficoltà, avrebbe visto l'Avril ferita che piangeva per lui.

Non volevo che mi vedesse così.

Abbassai immediatamente lo sguardo, per non fargli notare quanto i miei occhi fossero arrossati dalle lacrime.

 

"Ehy..." disse, facendomi alzare il viso, e puntando i suoi occhi nei miei. "Perché piangi?"

Troppa dolcezza nei suoi gesti, troppa preoccupazione nelle sue parole, troppo dolore nel mio cuore.

 

"Beh, non lo so, dimmelo tu. Prima dici che hai rifiutato una mia chiamata, poi a scuola mi vedi, ma non mi parli, ignorandomi totalmente, e adesso mi chiedi che succede?!"

 

Fece uno sguardo stranito, come per dire ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?

"Non penserai che l'abbia fatto di proposito, vero? Avril...non capisci? Io ho dovuto ignorarti!"

Mi sa che qui, se c'era qualcuno che non sapeva quello che stava dicendo, quella persona era lui.

 

Le lacrime di delusione, che cercavo di trattenere, si trasformarono presto in lacrime di rabbia. Ma...che cavolo stava dicendo?

"Parla chiaro, Evan. Quello che dici non ha senso."

 

"Va bene, parlerò chiaramente, ma tu, almeno...prometti di non arrabbiarti ulteriormente con me?"

 

"Questo non mi aiuta però..."

 

"Ok, tu ascolta e basta. Poi, se vuoi arrabbiarti, fallo." Prese un bel respiro, e incominciò a parlare.

"Allora, tu sai che adesso riceverai un regalo da parte mia, vero?"

Gli feci un cenno di assenso con il capo, e lui continuò.

"E sai anche che questo regalo è molto importante sia per te che per me, vero?"

 

"Sì, ma questo che c'entra con-"

 

"Fammi finire. C'entra, perché, sin da ieri sera, morivo letteralmente dalla voglia di dirti di cosa si trattasse, e sapevo che se solo fossi stato accanto a te anche solo per un attimo, ti avrei detto tutto. Non volevo rovinarti la sorpresa, ma conosco i miei limiti, e sapevo che se tu me l'avresti chiesto, avrei vuotato il sacco. Così, per non cadere in tentazione, ho pensato di starti lontano in tutti i modi possibili, fino a quando non ti avrei almeno accompagnata qui. Ora...tu non mi consideri uno stupido solo perché ho fatto tutto questo, vero?"

 

 

"Quindi...fammi capire bene. Tu hai rifiutato una mia chiamata, facendomi pensare le peggiori cose del mondo, mi hai fatta arrivare tardi a scuola, mi hai ignorata sia in classe che in mensa, e mi hai fatto piangere adesso...tutto perché...PERCHÉ AVEVI PAURA DI RIVELARMI IN COSA CONSISTESSE IL MIO FOTTUTISSIMO REGALO?!"

 

"Beh, tecnicamente non sono io che ti ho fatto arrivare tardi a-"

 

"RISPONDIMI!"

 

"Va bene, sì, se la metti su questo piano, hai perfettamente ragione."

 

"Certo, no... tu non sei uno stupido, no, tu sei solo un idiota, coglione e deficiente che invece di dirmi le cose come stanno, le complica ulteriormente."

 

"Ma...non pensavo te la saresti presa così tanto. Scusa, io l'ho fatto solo per te." disse, abbassando lo sguardo, dispiaciuto.

 

"Infatti, questa è l'unica cosa che mi fa stare meglio. Quindi, prima che un attacco di isteria mi prenda, andiamo finalmente a prendere questo dannato regalo!"

 

"Ai suoi ordini, mademoisielle." mi rispose, facendo una brutta copia di un inchino. "Ma prima...la benda!" La abbassò sui miei occhi e mi spinse dolcemente in avanti.

 

"Certo, sarebbe un evento catastrofico se potessi camminare senza una stupida bandana che mi copre tutto, vero?" commentai, sarcastica.

 

"Assolutamente sì. Un vero spreco di energie." ribatté, con un risolino. Sentii una porta metallica aprirsi e dei passi avanzare verso di noi.

 

"Evan, spera solo che questo regalo sia al di sopra di ogni mia aspettativa, perché altrimenti..."

 

Non riuscii a finire la frase, che la voce calda e allegra di Chad mi interruppe.

"Ehy, ragazzi. Ce ne avete messo di tempo per arrivare, eh?"

 

Aprii la bocca, ma Evan mi precedette. "Sì...Ho voluto fare le cose per bene, per una volta."

Però, campioni di gentilezza 'sti due, non mi avevano fatto spiccicare una frase. Complimenti.

 

"Ok...Ciao Avril!"

 

Questa volta potei rispondere al saluto.

"Ciao Chad."

 

"Bene...adesso...aspetta che ti porto di là..." Mi prese per un braccio e guidò. Ma dove cavolo mi voleva portare?

 

"Ma...Chad, non mi fai assistere?" A cosa?

 

"No, amico, la ragazza ha bisogno di tranquillità adesso, ed è meglio non stressarla. Tu siediti lì e aspetta." gli disse, e chiuse la porta con un gran tonfo.

Ma aspettare quanto?

Quanto tempo ci voleva per darmi un piccolo pacchettino?

La cosa iniziava seriamente a preoccuparmi.

Se solo avessi potuto togliere questa cosa da sopra gli occhi, forse avrei capito qualcosa in più...

 

"Ehm...Chad, posso togliere la benda ora?"

 

"Non chiedermi il perché Avril, ma quel pazzo del tuo fidanzato mi ha pregato di non fartela togiere per tutta la durata dell'intervento. Mi dispiace, ma non puoi."

No, un attimo, aveva...aveva detto intervento?!

"Ora...stenditi qui sul lettino...bravissima...e stai tranquilla, non pensare a niente. Tra un'oretta al massimo sarà tutto finito."

 

Fu l'ultima cosa che sentii, prima di provare un immenso dolore al polso del braccio sinistro.

 

 

Pov Evan

 

Tic, tac, tic, tac...

Battei il piede sul pavimento, impaziente.

Perché cavolo ci metteva così tanto?

Va bene che tutto doveva essere perfetto, ma così...A questo punto facevo prima ad entrare e a mandare all'aria tutto.

Se penso che ero arrivato addirittura a farla piangere...

Che stupido, pazzo e innamorato che ero.

Finalmente, dopo un'attesa interminabile, la vidi varcare la soglia della grande porta che divideva lo studio di Chad dall'improvvisata "sala d'attesa".

Aveva ancora la benda addosso, e sembrava parecchio disorientata.

Feci un cenno a Chad, come a dire me ne occupo io, e la guidai verso la moto.

 

"Ehy, piccola stella, tutto bene?"

Sorrisi leggermente. Adesso, quest'espressione era diventata, se possibile, ancora più perfetta per lei.

Si limitò ad annuire con la testa, senza dar voce ai pensieri che, ne ero sicuro, le stavano frullando in mente.

"Dai, cinque minuti d'orologio, e potrai avere tutte le spiegazioni che vorrai, va bene?"

Altro cenno di assenso, ma nessuna risposta concreta.

Diedi gas alla moto, e partimmo.

Sgombrai la mia mente da qualsiasi pensiero inutile, e limitai i miei occhi ad osservare il paesaggio circostante, sempre badando però all'asfalto.

Dal canto suo, era allacciata a me, ma sembrava che, oltre alla sua mente, anche il suo corpo fosse da tutt'altra parte.

Che era scombussolata, era chiaro.

Doveva averle fatto davvero male, per avere una reazione del genere.

Improvvisamente, mi ritrovai a chiedere se ne fosse valsa davvero la pena.

Insomma, a lei poteva anche non piacere, e io mi sarei ritrovato come il ragazzo dispotico che non aveva chiesto anche la sua opinione.

Ero stato così preso dall'organizzazione di questa cosa, che non avevo ragionato su una cosa basilare.

Cosa avrei fatto se a lei non fosse piaciuto?

Non era una maglietta, che si poteva portare indietro e cambiare ad un negozio, anzi...era qualcosa di assolutamente indelebile, e che, sperai, avrebbe gradito.

La aiutai a scendere e la condussi vicino al grande portone.

Poi, presi le chiavi dalla tasca destra dei jeans, e aprii la porta.

 

"Ma...siamo a casa tua?" mi chiese, probabilmente riconoscendo il rumore metallico delle chiavi.

 

"Sì. Sta' tranquilla, comunque. A quanto ne so io, in casa non c'è nessuno."

 

"Oh...ok."

 

Poggiai le chiavi nel posacenere all'ingresso e feci entrare Avril nel salotto, richiudendo delicatamente la porta alle sue spalle.

 

"E-Evan...che cosa mi ha fatto Chad?" mi chiese, con voce appena tremante.

 

"Secondo te cosa ti ha fatto?" ribattei incuriosito, incrociando le braccia. Volevo assolutamente conoscere le teorie strampalate che si era sicuramente fatta. Ero poco più che sicuro, che non si sarebbe neanche avvicinata a quello che avevo progettato per lei.

 

"Beh, non lo so...Mi ricordo che mi sono stesa su un lettino e ad un certo punto...ho sentito un ago sulla pelle. Ma non mi stava entrando dentro, no...era più come se ci stesse disegnando sopra. Potrebbe essere...un tatuaggio?"

 

...No, ma dai!

Come diavolo aveva fatto a capirlo?

Così mi aveva rovinato tutta la sorpresa, che cavolo!

Cercai di moderare la delusione nel mio tono di voce. "Perché non lo scopri tu stessa?" le chiesi, avvicinandomi verso di lei, togliendole la benda e gettandola per terra.

 

I suoi occhi ignorarono i miei, e andarono direttamente alla parte arrossata del braccio sinistro, quella parte su cui io avevo deciso di porre un segno indelebile che caratterizzasse me stesso.

Sgranò gli occhi, e dischiuse leggermente la bocca da quella che speravo fosse sorpresa.

 

"Allora? Ti piace?" chiesi, con l'emozione a mille.

 

"Evan, ma...mi hai fatto tatuare...una stella nera?" Ignorò completamente la mia domanda precedente.

E adesso? Come dovevo interpretare la cosa?

Le era piaciuto?

Le faceva schifo?

Mi dovevo far ricoverare in qualche clinica psichiatrica?

Optai per la terza ipotesi.

 

"Sì...è asimmetrica e nera. Tutte le stelle sono bianche e perfettamente simmetriche, ma questa no...Questa è diversa, perché tu sei diversa. Non hai cerchi un cielo oscuro per illuminarti. Il tuo cielo sei sempre e solo tu, non c'è nient'altro di cui tu abbia bisogno."

 

Puntò i suoi immensi occhi blu nei miei.

"In realtà, c'è una cosa di cui ho bisogno adesso..."  

Si alzò sulle punte e arrivò con le labbra ad un millimetro dalle mie, disse:"Te..."

E finalmente, mi baciò.

 

Pov Avril

 

Non riuscii più a resistere e lo baciai.

Le sue labbra erano morbide, calde...da sogno.

Era da una mattinata intera che sognavo di farlo.

La sua reazione a quel bacio fu rapidissima. Mi prese per i fianchi e mi spinse delicatamente contro il muro.

 

Mi allontanai impercettibilmente dalle sue labbra e gli sussurrai:"Ti amo."

Mi era uscito dal cuore, e avrei voluto urlarlo al mondo.

Lui si bloccò, forse un po' sorpreso di sentirmelo dire con tutra quell'intensità.

Glielo ripetei un secondo dopo.

"Ti amo, Evan."

 

I  suoi occhi si riempirono di una bellissima luce. mi strinse forte a sé e ad ogni bacio che mi regalava, mi sussurava a sua volta:"Ti amo."

 

Le sue mani mi accarezzavano tutto il corpo, facendomi fremere letteralmente.

Allacciai le mie gambe ai suoi fianchi, per essere alla stessa altezza. Mi fissò negli occhi, mentre mi chiedeva silenziosamente il permesso per sfilare la maglietta.

Feci un lieve cenno d'assenso con la testa, e me la tolse, mentre anch'io buttai con molta meno pazienza la sua.

La nostra pelle era finalmente a contatto.

Si spostò a baciarmi la clavicola, scese per le spalle e arrivò vicino al pizzo del mio reggiseno.

 

"Evan..."

 

"A-Avril...sei sicura?" mi chiese, quasi imbarazzato.

 

"Sì. Non c'è nient'altro che vorrei fare, adesso." gli risposi, sicura.

 

Mi slacciò il gancetto e mi guardò negli occhi. "Sei bellissima..."

 

Il suono eccitato della sua voce non fece altro che far aumentare i battiti del mio povero cuore.

 

Si avvicinò lentamente a me, e mi baciò, di nuovo.

Era...incredibile.

Riusciva a farmi eccitare e perdere i sensi con un solo semplice bacio.

 

Mi morsi nervosamente il labbro inferiore finché la sua mano non mi toccò il viso e mi incatenò con i suoi occhi azzurri. Sentivo battere furiosi i nostri cuori ed il mio respiro, come il suo, era affannoso.

 

"Aspetta...ti prego, ascoltami. Io voglio rendere la nostra prima volta speciale, e qui non c'è nulla di speciale!"

 

"Qui è tutto speciale. Tu sei speciale, insieme siamo speciali e questo a me basta."

 

"Ma Avril..." Non lo lasciai finire.

 

"Ssh, smettila. Non sono più la ragazzina che ero quando sono arrivata. Con te sono diventata donna, ed ora ti voglio e scelgo te perché hai reso migliori le mie giornate…

 

Io scelgo te perché sei salito in camera mia solo per farmi sentire meglio…

 

Io scelgo te perché non ti sei mai arreso, anche quando ti trattavo male...

 

Io scelgo te perché quella notte mi hai salvata…

 

Io scelgo te perché hai affrontato mia madre solo per farmi felice…

 

Io scelgo te perché hai voluto farmi un regalo così splendido…

 

Io scelgo te perché mi fai sentire migliore e amata incondizionatamente….

 

E io scelgo te perché ti amo…" dissi, liberando il mio cuore e facendogli capire quello che provavo.

 

Mi baciò come non aveva mai fatto prima.

Mi prese in braccio, mi portò nella stanza da letto e mi depositò delicatamente sul materasso. Mi sistemai seduta, mentre lui si mise accanto a me in ginocchio sul letto.

Mi avvicinai, mettendomi in ginocchio per raggiungere meglio le sue labbra. Lo baciai con calma e delicatezza, facendogli sentire tutto l'amore che provavo per lui.

Lui mi strinse a sé, spogliandomi del tutto, e togliendosi anche i suoi ultimi vestiti rimasti.

I nostri corpi, finalmente liberi da impedimenti, potevano aderire l’uno all’altro.

Potevo sentire chiaramente il battere fragoroso del suo cuore sul mio petto.

Cominciai a baciargli il viso, la fronte,  gli occhi, il naso, le guance fino ad arrivare al suo orecchio, per bisbigliargli:"Ti amo."

 

Lui afferrò il mio viso e, fissandomi negli occhi, mi disse:"Grazie, Avril. Grazie di amarmi. Grazie di essere mia."

Si sdraiò cautamente sopra di me, aiutandosi con le braccia per non schiacciarmi, e lentamente, entrò in me.

 

Mi lasciò completamente senza fiato. Rimasi immobile per quella presenza, per quella invasione.

Lui se ne accorse e si fermò a fissarmi dubbioso.

 

"Avril...posso...posso continuare?" mi chiese, con un filo di voce. Io non gli risposi a parole, ma glielo feci capire, avvicinando il mio bacino al suo.

 

Rassicurato, cominciò a mordicchiarmi il collo.

Le mie mani stringevano forte i suoi capelli, sia come segno di possesso, sia come segno delle fantastiche emozioni che mi stava facendo provare.

Non smettevamo di fissarci negli occhi, accarezzandomi con dolcezza il viso.

Eravamo un solo essere, un solo corpo, una sola anima.

Lo sentii fremere. Prese le mie mani con le sue, intrecciando le nostre dita proprio come quella mattina e raggiungemmo insieme l'apice del piacere, sussurrandomi ancora “Ti amo”.

 

Ogni singola cellula del mio corpo, era andata a fuoco, per poi toccare la vetta più alta del paradiso.

Avevamo ancora le nostre mani intrecciate ed i nostri respiri erano frenetici.

 

Mi diede, con tenerezza, un bacio sulla fronte, e si spostò, sdraiandosi accanto a me. Mi abbracciò in modo tale che i nostri corpi fossero completamente fusi uno con l’altro, con le gambe allacciate.

Improvvisamente, si mise a ridacchiare. Lo guardai, incuriosita e perplessa.

 

"Tu hai idea di quello che mi hai fatto provare?" mi chiese, stringendomi forte a lui.

 

"Penso di si. Spero sia la stessa cosa che tu hai fatto provare a me." gli risposi.

 

"Non immagini neanche come mi senta in questo momento." mi disse, prendendo il mio viso tra le sue mani.

 

"Credo di sì, invece. Ti rendi conto di essere felice all’inverosimile. Senti il tuo cuore battere così forte che pensi possa scoppiarti nel petto, e...e vorresti che quel momento non finisse mai." gli confessai, fissandolo negli occhi, imbarazzata.

 

"Si Avril, proprio così." mi disse, appoggiando le sue labbra sulle mie.

 

Mi abbracciò stretta a sé, e mi ritrovai a fissare la mia nuova stella sul polso.

Dopo un po’, ci addormentammo in quella posizione, stretti l’uno all’altra, nella consapevolezza di essere uno parte dell’altra.

 

 

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Capitolo 36
*** Life's like this ***


Buona domenica sera, little black stars!

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

-        i preferiti: AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel - Beliectioner_FE_love_FE  - Curly_Boy14 - Glaphyra - Look_at_the_sky - Mirianalol -nunueroby -RamonaLBS - Solluxy

-        i ricordati:- Look_at_the_sky - avrilismylittleangel-     nunueroby

-        i seguiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel -  Brazza - Hakkj -  icon of the darkness - itwasworthallthewhile -  Look_at_the_sky Mary_Malik MirianalolnunuerobyRamonaLBS SaraHappenin

 

Pensavate che fossi sparita, eh?

E invece no! Sono ancora qui! (Per vostra sfortuna…)

Allora, visto il video di Lei Me Go?

È…una…cosa…FANTASTICA!

Molto più bello rispetto a HTNGU o RNR, e molto più maturo, anche.

A me è piaciuto tantissimo.

Ok, se volete lasciarmi commenti, io sono qui.

Passando al capitolo…ho preso spunto dal video di Complicated, come potete vedere dal titolo, ma non ci saranno tutte le scene, e alcune sono state modificate.

Ok, detto questo, auguro una buona lettura a tutti!

P.s. Se volete contattarmi o parlarmi, ho aggiunto il bottone facebook sulla pagina dell'autore di efp.

 

 

Pov Evan

 

Mi svegliai con i raggi del sole che filtravano dalla finestra e illuminavano tutta la stanza. Guardai la sveglia sul comodino, erano le 8:43 di Domenica.

Stringevo la mia stella tra le braccia, mentre era ancora addormentata profondamente.

Era accoccolata su un fianco, con il viso appoggiato sul mio petto.

I suoi capelli erano sparsi tutto attorno al suo viso, creando una nuvola di capelli biondi sul cuscino.

Sentivo il suo respiro caldo sul mio collo, sentivo il suo torace alzarsi e abbassarsi placidamente. Sembrava un angelo, il mio angelo.

Riflettei un attimo sugli avvenimenti accaduti, cercando di trattenere un urlo di gioia.

Svegliarmi così era un sogno ad occhi aperti. La sera prima avevamo fatto l’amore, ed era stato unico.

Per la prima volta in vita mia, mi ero sentito davvero bene, mi ero sentito completo.

Era come se avessi passato una vita intera fuoriposto, e adesso avessi capito quale fosse il mio posto nel mondo.

Tutto questo, era successo grazie a lei.

Lentamente sfilai il braccio da sotto il suo corpo, e mi alzai, senza svegliarla.

Volevo farle una sorpresa e prepararle la colazione, per quanto le mie doti culinarie me lo permettessero. Per questo motivo, andai in cucina, e mi diedi subito da fare.

 

Preparai delle fette biscottate con la nutella, e misi sul fuoco il latte per prepararle la cioccolata calda.

Ero intento a fissare attentamente la cioccolata, per evitare che scoppiasse una bomba atomica dovunque mettessi mano, quando la sentì entrare in punta di piedi.

 

"Evan?" mi chiamò.

 

Mi girai immediatamente a guardarla.

Era bellissima con quei capelli tutti arruffati, mentre si strofinava gli occhi e si stiracchiava.

Aveva la faccina di una bambina che appena sveglia che non aveva più trovato la sua mamma accanto a sé nel letto.

"Ehi, vieni qui." le dissi, allargando le braccia.

Si avvicinò a me e la strinsi forte, dandole un bacio sulla sua piccola testolina.

 

"Mmh, che buon odore! Ma cos'è, ciocc-"

 

"Ah, no no no, signorina" le dissi, mettendole le mani sulle spalle e accompagnandola verso l'uscita della cucina. "Adesso lei va di là, si rilassa e aspetta pazientemente, mentre io le preparerò un'ottima colazione."

 

"Va bene, mammina." mi rispose, facendomi la linguaccia e chiudendo la porta.

Roteai gli occhi, e mi rimisi al lavoro.

Versai la cioccolata e nelle tazze, le posai sul vassoio insieme alle fette biscottate, e ritornai da Avril, sedendomi accanto a lei.

Facemmo colazione insieme, sorridendo per quanta poca nutella avevo messo sulle fette biscottate.

Ero proprio un pessimo cuoco.

 

"Grazie Evan." mi disse con un sorriso a trentadue denti, riempiendomi il cuore di felicità.

 

"Sono felice che ti sia piaciuta...nonostante tutto fosse appena commestibile."

 

"Mmh, allora...che facciamo di bello oggi?" mi chiese, mettendosi seduta e fissandomi con quei suoi splendidi occhi.

 

"Beh, potremmo andare da qualche parte...o rimanere in questo bel lettone grande..." le risposi, avvicinandomi sempre di più alle sue labbra.

 

"Credo che accetterò la seconda proposta." sussurrò, prima di annullare la distanza e baciarmi.

Intrecciò le mani dietro il mio collo e continuò a baciarmi sempre con più passione.

La situazione si faceva sempre più bollente, fino a quando...fino a quando sentimmo uno scatto alla serratura della porta, che si aprì e si richiuse due secondi dopo.

Sgranammo gli occhi entrambi e si allontanò un poco da me, spaventata.

 

"Ma Evan...chi può essere?" sussurrò.

 

Io ero ancora più confuso di lei. "Non lo so, non mi aspettavo nessuno in casa per quest'ora." le risposi, sempre a bassa voce.

 

"E allora...che facciamo?"

 

"Tu stai qui, io vado a vedere." mormorai, alzandomi piano dal letto, e andando nel salotto.

Mi avvicinai sempre in punta di piedi all'entrata, facendo attenzione a non inciampiare in niente.

 

"Evan...aspettami!" mi sentì chiamare da dietro.

 

Mi girai di scatto verso di lei. "Avril! Ti avevo detto di stare di là!"

 

"Lo so, ma non mi andava di lasciarti solo... Scusa."

 

"Va bene, va bene. Adesso però stai dietro di me e non muoverti, chiaro?"

Mi raggiunse velocemente e mi fece un cenno d'assenso.

Ripresi a camminare lentamente, scorgendo una sagoma scura che stava girata di spalle.

 

"Chi...chi è?" chiesi, con voce tremolante.

Mi pentii un secondo dopo aver detto quella frase. Se fosse stato un ladro, non avrebbe certo risposto signor Taubenfeld, non si preoccupi, le sto solo svaligiando casa!

 

La sagoma si girò verso di me, e con voce seccata, disse:"E chi altri può essere, razza di scemo?"

Sia io che Avril tirammo un sospiro di sollievo.

 

"Annie! Ma, insomma, da dove salti fuori? Ci hai fatto prendere uno spavento!"

 

"Sono andata fuori con Drew, non vedo quale sia il problema." mi rispose, con una scrollata di spalle. "E poi...ci?" Sollevò il sopracciglio, con fare sospetto.

 

Oh oh. Quant'ero idiota! "Ecco, sì, con me c'è anche...Avril." dissi, facendomi un po' più avanti, in modo da lasciarle spazio.

 

"Ciao Annie." la salutò, tutta imbarazzata.

Ero. Un. Deficiente.

 

"Aaaaaah, Avril!" urlò Annie, andandola ad abbracciare. "Ma perché non mi hai detto che eri qui?!"

Ero. Un. Grandissimo. Deficiente.

 

"Ehm, sai, io e Evan...stavamo..."

 

"Oh, non m'interessa se vi stavate sbaciucchiando amabilmente, adesso l'importante è che sei quiiii!" strillò, stritolandola un'altra volta.

Ma che aveva detto?!

 

"Annie...io e Avril non ci stavamo sbac-" cercai d'intervenire.

 

"Sì, sì, fratellone. Puoi anche smetterla di fingere, tanto ormai lo sa tutto il vicinato che voi due siete fidanzati."

Vidi Avril appoggiarsi al divano, per evitare di cadere dalla sorpresa.

"Anzi, sapete che faccio? Adesso chiamo Char, Matt e Drew, e organizziamo una bella uscita a sei per fare shopping!" gridò, e incominciò a battere le mani come una bambina.

 

"Ma Annie...shopping...no!" urlai, più forte di lei.

 

Alzò la testa, e, con fare altezzoso, fece un gesto della mano, come per zittirmi.

"Ssh, taci, plebeo. È tutto perfetto, il centro commerciale apre tra mezz'ora. Adesso vado a chiamare il mio amore, e ci organizziamo."

Estrasse il telefono dalla borsetta e compose un numero in fretta e furia.

"Pronto, Dreeeeew?" e sparì in cucina.

 

Fissai Avril, ancora completamente scioccata dalla scena a cui aveva assistito.

Come me, d'altronde.

"Ti prego, ti prego! Posso non venire con voi?" le chiesi, quasi in ginocchio.

 

"E lasciarmi da sola nelle grinfie di tua sorella? No, grazie. La vita è così. Io ti amo, tu mi ami. Io sono felice, tu sei felice. Io devo subire una lunga e lenta tortura a base di shopping, e tu..."

 

"E io devo subire una lunga e lenta tortura a base di shopping, ho capito. Comunque, è meglio se ci andiamo a preparare. Non credo che accetterà un rifiuto così facilmente." dissi, sbuffando.

Mia sorella era proprio una rompipalle quando ci si metteva.

Va bene...lo era sempre.

 

Esattamente alle 09:01 ci trovammo tutti e sei all'entrata del centro commerciale, "pronti" per entrare.

Alcuni (Annie e Char) erano più allegri di altri (io con i miei fratelli e Avril).

Le ragazze, nonostante andassero a visitare i negozi assiduamente quasi ogni settimana, si comportavano come se non facessero shopping da mesi.

Man mano che il tempo passava, si introducevano sempre più disperate, trascinando anche Avril, in sempre più boutiques, andando alla ricerca del vestito perfetto tanto agognato.

Ovviamente, noi ragazzi eravamo gli addetti alle buste o, più semplicemente, i portaborse.

Ci dirigemmo verso un negozio di scarpe, dove all'esterno trovammo la prima panchina libera.

Neanche fossimo degli assetati che scorgevano un'oasi nel deserto, corremmo tutti e quattro, buste comprese, verso la panchina.

"Vi prego, basta." disse Matt.

 

"Sì, infatti, non ce la faccio più." gli fece eco Drew.

 

"Ma di che vi lamentate voi?! Almeno non vi hanno vestito e rivestito dieci miliardi di volte peggio di un bambolotto!" si lamentò Avril.

 

"Certo che quelle due sono proprio perf-"

 

"Ehm ehm..." Le voci di Char e di Annie giunsero alle nostre spalle, facendo interrompere la frase di Matt immediatamente.

"Matt, Drew, dovete aiutare me e Annie a scegliere le scarpe più alla moda."

 

"No!"

 

"Nooo, ma perché noi due?" chiese Drew.

 

"Perché sì. E adesso muovetevi, forza!" ordinò Annie, autoritaria.

 

I due poveretti, non vedendo altre vie d'uscita, si alzarono laconicamente dalla panchina, e seguirono le ragazze.

Beh, almeno io e Avril eravamo soli, adesso.

 

"Allora, che si fa? Li aspettiamo fino a quando e soprattutto SE usciranno vivi da quell'inferno?" mi chiese, appoggiando la testa sulla mia spalla.

 

"Mmh, in realtà...io un'idea ce l'avrei."

 

"Cioé?" mi guardò interrogativa.

 

"Seguimi. Andiamo a divertirci per conto nostro." le risposi, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi.

 

"Ma Evan...Matt, Char, Annie e Drew...non possiamo lasciarli qui."

 

"Preferiresti continuare a passare un pomeriggio intero tra tacchi e borsette?"

 

Rabbrividì e mi rispose due secondi dopo. "No no, accetto la tua proposta. Andiamo"

Le passai il braccio attorno alla vita e ci incamminammo per la nostra strada.

Non avevo idea di cosa avremmo fatto, ma volevo solo passare un pomeriggio in pace, lontano da insanità mentali e shopping sfrenato.

Vidi l'insegna luminosa di un ristorante, il "Bonita Cocina", con un ragazzo vestito da hot dog gigante che, all'esterno del locale, vendeva degli assaggini gratis.

Andammo verso la sua direzione, e prendemmo in mano degli assaggini.

Solo che, invece di mangiarli, li tirammo addosso al povero ragazzo, che, cercando di difendersi, cadde a terra rovinosamente!

Si rialzò due secondi dopo, quando, resosi conto della figuraccia che gli avevamo fatto fare, iniziò a chiamarci con i peggiori appellativi del mondo e a rincorrerci.

 

Ci rifugiammo in un negozio di articoli sportivi nelle vicinanze.

Ero sicuro che Mr. Hot Dog gigante non sarebbe mai venuto lì a cercarci .

Passammo davanti a dei manichini, e mi venne un'altra idea.

 

"Ti va una scommessa?"

 

Si girò a guardarmi e alzò un sopracciglio. "Che tipo di scommessa?"

 

"Devi dare un pugno a mani nudi sulla faccia di quel manichino." dissi, indicandolo.

"Se perdi...dovrai fare un dispetto a delle guardie che ho visto prima."

 

"E se vinco?" domandò, incrociando le braccia, divertita.

 

"Decidi tu, tanto so già che sarà impossibile." ribattei, sicuro.

 

"Mmh, vediamo...dovrai provare dei vestiti orrendi nel primo negozio in cui siamo andati con Annie e Char!"

 

"No, ti prego, il "Fashion City", quello con le commesse snob?" chiesi, scioccato.

 

"Esatto, proprio quello. E comunque, non deve preoccuparsi che io vinca, signor Taubenfeld, tanto sa già che sarà impossibile." mi disse, facendomi il verso.

 

Impugnò un guantone da box rosso e, in men che non si dica, lo buttò giù, come se niente fosse.

Si girò verso di me, con un ghigno trionfante sul viso.

"Hai visto? Ce l'ho fatta!" mi disse, euforica.

 

"Già, niente male...peccato che io avessi detto a mani nude." le ricordai.

"Quindi, il vincitore sono io!"

 

"Ehi, la scommessa riguardava il pugno e il manichino, e io, come puoi ben vedere, l'ho steso in meno di un secondo."

 

"Sì, ma io avevo detto..."

 

"Ok, ok, facciamo così. Paghiamo pegno tutti e due. Prima i tuoi splendidi vestiti, e poi il mio dispetto alle guardie."

 

"Ma io..."

 

"Ssh, niente ma. Andiamo!" Chiuse ogni mia possibilità di fuga e mi trascinò verso l'odiato negozio.

 

Maledetta la mia boccaccia! Ma perché perdevo sempre una buona occasione per stare zitto?

Entrammo nel negozio dall'inquietante insegna rosa.

Avril si rivolse alle commesse, e chiese:"Scusate, dov'è il reparto uomini?"

Prima di rispondere, ci squadrarono per due minuti buoni dalla testa ai piedi, e alla fine, ci dissero, quasi disgustate per il nostro cattivo gusto:"Da quella parte."

La mia stella non perse il suo tempo in ringraziamenti inutili, e mi tirò nella direzione indicata.

 

"Ah, ecco i camerini. Tu siediti sui divanetti, che io intanto scelgo i vestiti." mi disse, allontanandosi.

Roteai gli occhi, scocciato.

Conoscendola, sapevo a quali tipi di vestiti avrebbe puntato.

Ritornò cinque minuti dopo, con delle cose...veramente orribili.

 

"Non...non dirmi che mi devo provare questa roba!" gridai.

 

"Perché no? Starai...bene." mi rispose, prendendomi per il culo. "Dai, vai, infondo non è niente di così tragico." Mi spinse nel camerino, ridendo.

 

Presi il primo...abito.

Ovviamente, era un vestito da donna.

Che peste!

Si trattava di una lunga vestaglia bianca, con un cappellino marrone scuro e uno scialle azzurrino chiaro.

"Avril...devo proprio uscire?" la pregai.

 

"Certo, voglio vedere come ti stanno."

 

"Ma...è da donna!" dissi, tentando di farla ragionare.

 

"E allora? Ti starà benissimo."

Perfetto, altra presa per il culo, altro giro.

Nascondersi nel camerino era inutile, tanto valeva togliersi subito il dente.

Così, presi un bel respiro, mi feci coraggio, ed uscii.

Almeno questa tortura sarebbe finita prima.

 

Alzai lo sguardo verso Avril, e con voce ferma, quanto incazzata, le dissi:"NON. RIDERE."

 

"N-no, no...non voglio...ehm...ridere." mi rispose, facendosi scappare un risolino.

 

"Va bene, ora posso andarmi a provare l'altro?"

 

"Sì, certo...SIGNORA TAUBENFELD!"

 

"Avril...me la pagherai cara..."

 

"Non vedo l'ora, amore."

 

Ritornai nel camerino, e provai il secondo abito.

Beh, almeno questo era da uomo.

Uscii, e mi preparai a vedere la sua faccia.

...Purtroppo, nessuna delle mie previsioni eguagliò la realtà.

Scoppiò a ridere due secondi dopo avermi visto.

 

"Ahahahah, oddio, con quel cagnolino sul maglioncino nero sembri un pensionato il giorno di natale! Ahahahah."

 

E no eh! Adesso basta!

Mi rivestii in fretta, e le dissi:""Ah si? Adesso ti faccio vedere io chi è il pensionato!"

La presi dalla pancia, e me la caricai sulle spalle, portandola verso l'uscita.

Inutile descrivere il modo in cui ci guardarono le commesse.

 

"No...basta Evan. Ahahahah, mettimi giù!" mi implorò.

 

"Assolutamente no. Dopo aver provato questi vestiti orribili, la mia fedina penale sarà irrimediabilmente compromessa. Ho detto che me la pagherai...e adesso, con quella guardia, lo farai."

La misi giù, e indicai i due uomini in divisa.

"Li vedi quei due? Ecco, il tuo pegno consiste nel rubare la stecca di cioccolato al poliziotto che sta mangiando."

 

"Ma...mai sei pazzo? L'hai visto? Sarà almeno...il doppio di me!"

 

"Ti devo ricordare il modo in cui mi hai fatto vestire?"

 

"Va bene, vado, non c'è bisogno."

 

La vidi avvicinarsi ai due, con aria apparentemente tranquilla.

Poi, però, appena si avvicinò all'uomo che le avevo indicato, rubò la stecca di cioccolato, e corse via.

Il poliziotto, appena capì cosa aveva fatto, le si scagliò contro e incominciò a inseguirla dappertutto.

 

"Vieni da questa parte!" le gridai, mentre correvamo entrambi per non farci prendere.

Salimmo velocemente le scale mobili, stando attenti a non inciampare.

Nonostante tutto, il poliziotto era ancora alle nostre calcagna.

"Avril, ho un'idea! Io prendo la bici, tu quel go-kart. Così andiamo più veloce e riusciamo a seminarlo."

 

Si fiondò sul go-kart, mentre io incominciai a pedalare verso l'uscita.

Le sue capacità automobilistiche erano innegabili.

Andava a sbattere contro qualsiasi cosa, sia che fosse un muro, sia che fossero delle scatole.

Non so come, arrivammo all'uscita e abbandonammo i nostri "mezzi di trasporto".

Decidemmo di ritornare verso casa a piedi, una piccola passeggiata mano nella mano non ci avrebbe fatto di certo male.

All'improvviso, però, il suo telefono squillò, e lesse velocemente un messaggio.

Quando rialzò la testa, non aveva più la stessa espressione felice e spensierata di prima.

Sembrava che volesse dirmi qualcosa...e questa cosa, non sapevo ancora perché, non mi sarebbe piaciuta.

 

"Ehm...Evan...ti posso dire una cosa?"

 

"Sì, certo. Dimmi."

 

"Sai, ieri all'uscita di scuola ho incontrato un ragazzo che mi, o meglio ci ha, proposto una cosa. Lui ci aveva visto il primo giorno di scuola, con gli skateboards, ti ricordi?"

 

"Sì, certo che mi ricordo. Ma che c'entra questo?"

 

"Beh, lui mi aveva chiesto se io e te volessimo partecipare ad una gara."

 

"Che genere...di gara?" La fissai negli occhi, sapendo già dove volesse andare a parare, ma sperai fino all'ultimo che non lo dicesse.

 

"Una gara...clandestina." mi rispose, abbassando lo sguardo.

 

La presi per le spalle, e quasi gridai:"No, Avril, no!"

Sgranò gli occhi, probabilmente perché non si aspettava una reazione del genere da parte mia, ma non me ne curai e continuai il mio discorso. "Non voglio che partecipi a questo genere di cose, può essere pericoloso."

 

"Ma...io ci andavo già a Napanee, e non mi ê mai successo niente."

 

"Ma una volta non è uguale all'altra! Chi ti dice che se a Napanee non ti è mai successo qualcosa, non ti accadrà niente anche a questa gara? Basta, non voglio andarci e tantomeno voglio che ci vada tu. Il discorso è chiuso."

 

Mi fissò negli occhi, si liberò dalla mia presa e abbassò lo sguardo, prima di sussurrare:"Va bene, non ci andrò." e di camminare un po' più avanti rispetto a me.

 

Quella frase, anziché rassicurarmi, mi destabilizzò ancora di più.

Perché sapevo che non sarebbe andata così?

Perché sapevo che mi stava mentendo?

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Capitolo 37
*** I'm losing my grip ***


Buona domenica mattina, little black stars!

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

-        i preferiti: AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel - Beliectioner_FE_love_FE  - Curly_Boy14 - Glaphyra - Look_at_the_sky - Mirianalol -nunueroby - Solluxy

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Uhm…uhm…Allora, ho sentito i leak del nuovo album.

So già qual è la mia canzone preferita, Hush Hush.

Non dirò niente, non voglio rovinare l’attesa a quelle persone che stanno aspettando l’uscita ufficiale per sentire le canzoni.

Se volete chiedermi parere sull’album, inviatemi un messaggio in privato, e io vi risponderò ^_^.

Detto questo, auguro una buona lettura a tutti, ci vediamo giù!

 

 

Pov Avril

 

Me ne stavo seduta a gambe incrociate sul letto, vedendo la mia camera illuminata dalla tenue luce del giorno.

Guardai l'orario sul comodino. Erano le 10:19 di Domenica mattina.

In casa regnava il silenzio, non c'era neanche un piccolo fruscio di vento a farmi compagnia.

Era quello il momento che odiavo di più, durante le giornate.

Il silenzio.

Quel momento in cui nessuno sembrava notarmi, in cui le emozioni si facevano più intense e travolgenti, in cui restavo da sola, con i miei pensieri che diventavano sempre più incontrollabili.

La mia mente si era unicamente focalizzata su quello che mi aveva detto Evan, quando eravamo usciti dal centro commerciale.

 

"Non voglio che partecipi a questo genere di cose, può essere pericoloso."

 

"Chi ti dice che se a Napanee non ti è mai successo qualcosa, non ti accadrà niente anche a questa gara? Basta, non voglio andarci e tantomeno voglio che ci vada tu. Il discorso è chiuso."

 

Sospirai, avvicinando le ginocchia al petto.

Giusto due secondi prima di avere questa discussione, mi era arrivato un messaggio da Gabriel.

"Ciao, sono io. Volevo dirti che la gara è domani alle 11, allo Skateboard Ramp Rental, e spero che tu parteciperai. Non ero presente quel giorno a scuola, ma da quello che mi hanno raccontato, devi essere davvero forte. Devi avere il coraggio di combattere per le tue passioni, fallo per te stessa!"

 

Quel messaggio mi aveva veramente colpito.

Aveva perfettamente descritto la mia situazione in un solo messaggio.

Sapevo già che non avrebbe mai accettato, ma avevo provato lo stesso a fare un tentativo.

Volevo che lo sapesse, perché volevo condividere una delle mie passioni con lui, per costruire insieme un legame ancora più profondo.

No.

Per lui non si poteva fare, diceva che era troppo pericoloso.

Non riuscivo proprio a capirlo.

Cosa c'era di male nell'andare lì e nel provarci?

"Ma dai, non lo fa per cattiveria. Lo fa solo per te, per proteggerti." avevo pensato durante la notte passata insonne, cercando di auto-convincermi che fosse così.

Alla fine, ero arrivata ad un'unica conclusione.

Forse intenzionalmente, forse no, cercava di difendermi a modo suo, tenendomi sotto una campana di vetro impenetrabile e indistruttibile.

 

Pensavo che mi sarebbe piaciuto sentire questo senso di protezione su di me, ma mi sbagliavo.

L'unico desiderio che provavo adesso era di infrangere le regole, di evadere, di tornare a concentrarmi sulle mie passioni.

Da quando ci eravamo fidanzati avevo sempre pensato a noi due come una cosa sola, come un'unica entità, trascurando anche un po' me stessa.

Egoista?

Forse, ma non m'importava.

In fondo, che c'era di male nel comportarsi come la ragazzina ribelle che ero sempre stata soltanto per un giorno?

Niente, mi diceva il cuore.

Tutto, suggeriva invece il cervello.

Sospirai ancora, guardando il cielo azzurro che si poteva scorgere dalla mia finestra.

Dannati conflitti interiori.

Sorrisi leggermente.

Una volta non ci avrei pensato neanche due volte, prima di prendere lo skate e correre.

Adesso...Beh, adesso era tutto diverso.

Dovevo ammetterlo, ero cresciuta. E non parlavo della mia statura, per quello non c'era già più speranza da parecchi anni ormai.

Parlavo del mio carattere che si era fatto più forte, dei miei pensieri che, in qualche modo, si erano fatti più maturi.

Ero cambiata, d'accordo, ma quanto potevo sbagliare nell'infrangere una piccola promessa e nel voler ritornare per poche ore com'ero prima?

Dov'era finita la vecchia Avril?

La risposta era una sola. Alla rampa.

 

**

 

Correvo veloce, superando tutte le macchine che suonavano impazzite il clacson dietro di me.

I capelli erano completamente in balia del vento, mentre le mie orecchie erano totalmente rapite da una canzone mai sentita prima.

 

Sei consapevole di come mi fai sentire, baby?

Ora mi sento invisibile per te, come se non esistessi

Non mi hai sentito stringere le mie braccia attorno a te

Perché te ne vai?

Qui c'è quello che devo dirti

Sono stata lasciata qui a piangere, aspettando qui fuori

Bruciando con uno sguardo perso

Fu allora che decisi.

Perché dovrei preoccuparmi?

Perché tu non eri qui quando ero spaventata

Ero così sola.

Tu, tu devi ascoltarmi

Sto andando fuori di testa, sto perdendo il controllo

E sono sola in questa situazione

E sono solo una ragazzina che tu hai messo accanto a te

Per prendere il posto di qualcun'altra

Quando ti volti puoi riconoscere la mia faccia

Eri abituato ad amarmi, eri abituato ad abbracciarmi

Ma non era questo il caso

Niente era okay

Sono stata lasciata qui a piangere, aspettando qui fuori

Bruciando con uno sguardo perso

Fu allora che decisi.

Perché dovrei preoccuparmi?

Perché tu non eri qui quando ero spaventata

Ero così sola.

Tu, tu devi ascoltarmi

Sto andando fuori di testa, sto perdendo il controllo

E sono sola in questa situazione

Piangere senza farsi sentire

Sto piangendo senza farmi sentire

Piangere senza farsi sentire

Sto piangendo senza farmi sentire

Apri gli occhi

Apriti completamente

Perché dovrei preoccuparmi?

Perché tu non eri qui quando ero spaventata

Ero così sola.

Perché dovrei preoccuparmi?

Perché tu non eri qui quando ero spaventata

Ero così sola.

Perché dovrei preoccuparmi?

Se tu non ti preoccupi allora neanche io mi preoccupo

Non andremo da nessuna parte.

 

 

Certo, adesso ero sola, senza che nessuno sapesse dove mi trovavo o che cosa stessi facendo.

Stavo perdendo il controllo di me stessa?

Potevo o dovevo farlo, solo per qualche ora?

Stavo infrangendo tutte le regole, persino quelle più basilari, ma non m'importava.

Per poco tempo, volevo di nuovo ritornare ad essere la ragazza spregiudicata che ero stata.

Prima di trasferirmi qui.

Prima di incontrare lui.

Quella stessa persona a cui ero grata, e che adesso stavo tradendo.

Quella stessa persona a cui avevo fatto una promessa, che mi pesava mantenere.

Dopo qualche minuto, arrivai alla rampa, trafelata per la corsa che avevo fatto.

Proprio all'entrata, incontrai Gabriel.

 

"Ciao skater, sapevo che saresti venuta!"

 

Non avevo proprio voglia di fare conversazione. "Sì, certo, ma se te lo chiede qualcuno... Io non ho mai messo piede qui, chiaro?"

 

Mi sorrise, e fece finta di chiudersi la bocca come se fosse stata una zip.

 

"Bene. Dove devo andare?" gli chiesi.

 

"Lì, alla linea di partenza." mi rispose, indicandomi con un dito l'enorme striscione bianco. "Preparati, tra cinque minuti si inizia." disse, facendo l'occhiolino, e andando verso altri ragazzi.

 

Raggiunsi una delle tanti postazioni presenti, e posai il mio skate per terra.

Sentivo già l'adrenalina scorrermi nelle vene.

Per distrarmi un po', accesi il cellulare, giusto per vedere se qualcuno si era accorto della mia assenza.

Inutile dire che il mio pensiero andò subito ad una persona in particolare.

 

Appena il mio telefono riprese vita, trovai subito delle chiamate e dei messaggi.

17 chiamate perse e 4 messaggi non letti.

Era tutta roba sua.

Beh, almeno lui se n'era accorto.

Decisi di dare uno sguardo ai messaggi.

I primi erano abbastanza tranquilli, ma man mano che le parole scorrevano, si alzavano i toni.

 

"Ehi, sono io. Scusami per ieri, ho esagerato. Che ne dici se ci incontriamo e facciamo pace?"

 

"Ho provato a chiamarti, ma non mi rispondi. Ti prego, mi dispiace, lo so che sei arrabbiata, ma almeno non farmi stare in pensiero."

 

"È da due ore che provo a mettermi in contatto con te. Ora basta, non ce la faccio più."

 

"Ho chiamato i tuoi, non riuscivo più a resistere. Mi hanno detto che a casa non ci sei, e che non sanno dove tu possa esserti cacciata. TI PREGO, TI SCONGIURO, NON ANDARE LÌ! Fallo per noi... Fallo per me."

 

Troppo tardi, adesso... pensai, prima di spegnerlo definitivamente, e di concentrarmi sulla gara a cui stavo partecipando.

Osservai prima di tutto il tracciato.

C'erano molti ostacoli, alcuni anche difficili da superare, se non si prestava la dovuta attenzione.

In altri punti, invece, c'era un ampio margine di distanza tra un ostacolo e l'altro, e questo significava che potevo dare più spinta con il piede, ed andare più veloce.

Anche qui, però, dovevo stare attenta. C'era stato un violento acquazzone durante la notte, il che rendeva tutto più scivoloso.

Chiusi gli occhi, ed espirai profondamente.

Il cuore mi batteva forte, come non aveva mai fatto prima. Persino senza appoggiare la mano al petto, riuscivo a sentirlo.

Le mie mani incominciarono a sudare, e strinsi i pugni, mentre il respiro si faceva sempre più irregolare.

Ma che mi stava succedendo? Non mi ero mai sentita così prima di una gara.

Inspirai ed espirai più volte, cercando di calmarmi.

Tentativo totalmente inutile.

Aprii gli occhi di scatto, e puntai lo sguardo sulla grande bandiera a scacchi che si apprestava ad essere abbassata, ignorando tutta l'ansia che si agitava dentro di me.

Caricai la gamba destra, per avere uno slancio maggiore, in modo da staccare già in partenza gli altri.

 

La bandiera toccò finalmente terra, e partii un secondo dopo.

Solo altri due partecipanti avevano avuto la mia stessa prontezza di riflessi, ed ero leggermente dietro di loro.

Altri, per loro sfortuna, non erano stati altrettanto pronti, e potevo anche non considerarli più. Non ce l'avrebbero mai fatta a superarmi.

Non conoscevo bene la rampa, e così seguì per un po' i ragazzi che erano di fronte a me. Superai un paio di ostacoli veramente elementari, proseguendo il percorso.

 

Imboccai una curva, secca ed improvvisa, attraverso cui riuscii a passare all’interno della traiettoria del primo skater davanti a me che, preso in contropiede, non era riuscito ad ostruirmi il passaggio.

Bene, fuori uno. Grazie, piccola stella.

 

Adesso si trattava solo di superare l'altro, e di passare in testa.

Prima curva. Gli ero sotto, stavo quasi per superarlo, ma poi recuperò qualcosa tra una curva e l’altra.

Non mi diedi per vinta, ovviamente. Alla seconda curva, infatti, riuscii ad infilarmi, superandolo.

Non gioii, la strada era ancora tanta da fare e lo skater potrebbe giocarmi un tiro mancino in qualunque momento, in un qualunque punto del percorso.

Dopo qualche minuto mi affiancò, ma riuscii a staccarlo un po’.

Per le restanti curve, cercò di sorpassarmi, e ci riuscì nel punto più alto, prima della discesa.

 

Eravamo all’ultima curva prima dell’arrivo, qui si sarebbe decisa la gara.

Non ero ancora riuscita a superarlo, anche se comunque gli stavo davvero alle calcagna.

Improvvisamente, vidi che, invece di continuare ad andare dritto, che sarebbe stata la via più breve per arrivare primi, girò verso sinistra, allungando, e non di poco, il percorso.

Invece di cantare vittoria, ci riflettei un attimo.

Lo skater, chiunque fosse, si era dimostrato davvero bravo.

Aveva un ottimo controllo della tavola e del proprio corpo, quindi... perché scegliere la via più lunga, quando davanti a te hai un pass diretto per la gloria?

Alzai lo sguardo, per vedere cosa mi aspettasse a quell'ultima curva.

Oh. Ecco perché.

Eccolo lì, l'ultimo ostacolo, che aveva fatto scappare persino quello che mi era sembrato il corridore più forte.

Davanti ai miei occhi, si stagliava una rampa di scale, con un corrimano grigio e arrugginito, e c'era un solo modo in cui poteva essere superato.

Inutile dire che una forte sensazione di dejà-vù mi colpì in pieno.

Solo allora mi resi conto che, per quanto il mio desiderio di voler ritornare alle origini si fosse avverato, sarebbe rimasto incompleto, spezzato a metà.

Lui non c'era, ed io stavo affrontando questa gara da sola.

Una gara che, però, avrei sicuramente vinto.

 

Come a scuola, corsi verso la scalinata e feci un’ultima pressione sulle mie gambe, sufficiente a farmi fare un ampio balzo, e a farmi scivolare sul ferro del corrimano.

In un primo momento mi lasciai trascinare dal mio skate, ma poi... qualcosa cambiò.

 

Il corrimano, reso scivoloso dalla pioggia caduta nella notte precedente, fece slittare le ruote con un rumore assordante, facendomi mancare improvvisamente l'equilibrio.

Il mio skate schizzò via, in avanti, mentre, proprio come il peggiore degli incubi, caddi a terra rovinosamente, urtando la schiena contro la strada. Soffocai un urlo.

Bastò un secondo, solo uno.

Senza avere la possibilità di mettere le mani davanti, per proteggermi anche solo un poco dalla caduta, battei il retro della mia testa contro l'asfalto duro e freddo della rampa.

 

Alcuni ragazzi si avvicinarono, probabilmente attirati dal rumore, ma non riuscivo a distinguere i loro visi.

Tutto davanti a me incominciò ad offuscarsi, a mischiarsi, a confondersi.

Riuscii a distinguere solo alcune grida ovattate, soffuse, come se stessi pian piano abbandonando questo mondo.

 

Tutti si meritavano di avere una seconda possibilità.

Tutti dovevano avere l’opportunità di rimediare agli errori commessi.

A tutti, almeno una volta nella vita, doveva essere data l’occasione di rialzarsi e di affrontare le difficoltà della vita, andando avanti e superandole.

A tutti, mi dicevo, ma non a me.

Non potevo essere così fortunata, mi dicevo, perché adesso, guardando la mia piccola stella nera sul polso sinistro, stesa a terra, capivo quanto io potessi essere stata stupida e superficiale.

Perché lui me l’aveva detto, lui mi aveva avvertito.

E io, nel più stupido dei modi, gli avevo fatto una promessa, che sapevo fin dall'inizio non sarebbe mai stata mantenuta.

Ma le promesse erano fatte per essere infrante, no?

No.

Le promesse, quelle fatte con il cuore, andavano sempre mantenute e rispettate.

Improvvisamente, sentii una voce, la sua, chiamarmi.

“Avril! Avril!”

Eccolo, lo sentivo. Era incredibile quanto potessi riuscire a sentirlo vicino.

“Sei qui…” mormorai appena.

“Si amore, sono qui, sono qui…”

“Ti amo…” ebbi solo la forza di dirgli.

Poi, finalmente, il buio calò su di me.

 

Alla fine, il controllo, l'avevo perso davvero.

 

 

…Ok, non mi scannate! Siate buoni… Allora, vi spiego. Non so se a questo punto sarà chiaro, ma tutta la ff in realtà dura pochissimo. Dal primo capitolo, è partito tutto un luuuunghissimo flashback, che si conclude qui, in pratica. Sono partita da questo punto specifico, per poi sviluppare tutti i capitoli.

Bene, ultima cosa.

Voglio ringraziare tantiiissimo una ragazza, Anna, per i complimenti dolciosi che mi fa ç__ç

Mi raccomando, iscriviti presto che voglio vedere il tuo nome sulle recensioni che leggo.

Bueno (?), evaporo.

Buona giornata!

Cruel Heart.

 

P.S. Ribadisco, se volete contattarmi tramite facebook, potete farlo con il link che ho aggiunto alla pagine dell’autore di efp.

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Capitolo 38
*** When you're gone ***


Buon giovedì, little black stars!

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

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Alluora, per il nuovo album… mi sono innamorata anche di Falling Fast, non so se l’avete sentita anche voi.

E’ bellissima *-*

Poi, passando al capitolo.

Scusatemi, ma è venuto uno schifo, e in più è più corto rispetto agli altri, causa compito di filosofia T.T (Glaphyra, mi dici in cosa consiste la filosofia eraclitea? xD)

Non sono riuscita a fare di meglio.

La canzone sarà When You’re Gone (pianti tra 3…2…1…), ed è importantissimo che la ascoltiate!

Questa, però, non sarà la versione normale, ma una versione maschile *-*

Fate finta che sia Evan, così sarà ancora più commovente ç.ç

Il cantante ve lo dirò alla fine, così non vi rovinerò la sorpresa.

Buona lettura!

                                       

Avril Lavigne – When You’re Gone (Male Version)

 

 

 

Due mesi dopo...

 

Pov Evan

 

 

 

La solita fredda e dura sedia di plastica accoglieva il mio corpo, vuoto da più di due mesi ormai.

Le tenevo la mano, come sempre, accarezzandone dolcemente il dorso con il pollice.

La sua pelle era ancora liscia e profumata, ma, adesso, completamente priva di una qualsiasi forma di vita.

Quella vita che mi aveva permesso di conoscerla, quella vita che mi aveva permesso di ammirarne pregi e difetti, portandomi ad aprirle tutto il mio cuore e a confessare i sentimenti che provavo per lei.

Quella stessa vita che, adesso, era appesa ad un filo.

Un filo sottile, invisibile, quasi lacerato, come la mia anima, che non trovava pace tra le fiamme insuperabili che il destino aveva posto sul nostro cammino.

Era bastato un minuto, uno solo, per rovinare tutto.

In fondo, cosa rappresentava, per me, un minuto?

Era solo una stupida unità di misura, inventata da chissà chi, chissà quando e chissà dove, in cui l'essere umano non poteva svolgere una determinata attività, perché il lasso di tempo era troppo breve.

Avrebbe potuto essere una buona risposta, se non fosse stato per il fatto che fosse completamente sbagliata.

In quella stupida unità di misura, tutto era cambiato.

In quel lasso di tempo troppo breve, il mondo mi era crollato addosso, senza che me ne accorgessi.

 

Fissai, ma solo per un attimo, il piccolo monitor che segnava le funzioni di Avril, e che scandiva ogni pulsazione del suo piccolo cuore con un "bip".

Ricordavo ancora quel dannatissimo giorno in cui successe tutto.

Era scolpito nella mia memoria.

Ogni volta che quei secondi mi ritornavano in mente, cercavo di scandirli, immagine per immagine, fotogramma per fotogramma, affinché la vista di ogni maledettissimo frammento mi perforasse la pelle del petto come un coltello e mi facesse male.

Perché, dopotutto, la colpa era solo mia.

Perché, nel più stupido dei modi, non ero riuscito nell'unico compito che mi ero ripromesso di adempiere.

Quello di renderla felice.

 

La caduta dal corrimano all'asfalto era stata breve, ma era il modo in cui aveva subìto l'impatto, che rendeva la situazione critica.

Il verdetto dei medici era stato uno solo: trauma cranico dovuto ad un danno celebrale grave.

Tempo previsto per la guarigione: indefinito.

Esito finale: dal recupero completo di tutte le funzioni, fino alla disabilità permanente oppure... alla morte .

Deglutii a vuoto, stringendo forte il lenzuolo verde scuro che contrastava con il bianco pallido e marmoreo della sua pelle.

No, non dovevo neanche pensarla una cosa del genere.

Non sapevo se credere alla speranza, che mi diceva che tutto sarebbe andato per il meglio.

Non sapevo se credere a tutte le persone che mi stavano vicine, che mi dicevano che non dovevo mai smettere di avere fiducia in un possibile miglioramento.

Oppure, non sapevo se credere a quell'entità malvagia e crudele che era la realtà, che mi ricordava di secondo in secondo, di minuto in minuto, di giorno in giorno, che la mia piccola e dolce stella, nonostante tutto, stesse ancora in quello stato di coma.

Incrociai le braccia sul lettino, continuando a tenerle la mano con la sinistra e appoggiando placidamente la testa sulla destra.

Chiusi per un attimo gli occhi, nella speranza che la mia mente si liberasse da tutti i pensieri e mi lasciasse un po' riposare.

Negli ultimi mesi, l’insonnia era diventata la mia unica compagna di viaggio.

Un viaggio che speravo potesse concludersi il più presto possibile...o che poteva durare per tutta la vita.

 

Quando te ne sei andata, i pezzi del mio cuore hanno sentito la tua mancanza.

Quando te ne sei andata, mi è mancato il volto che conoscevo ed amavo.

Quando te ne sei andata, mi sono mancate le parole che avevo bisogno di sentire per farmi andare sempre avanti fino alla fine della giornata.

Mi manchi, Avril.

 

***

 

Tutto a un tratto spalancai gli occhi, poiché avevo sentito di un forte rumore dietro di me. Sembrava come se una porta fosse stata chiusa.

Mi resi conto di essermi addormentato, e alzai di scatto la testa.

Mi guardai intorno, e vidi mia sorella Annie che, alle mie spalle, mi fissava addolorata, più alcuni medici, dall'aria comprensiva, ma allo stesso tempo molto distaccata.

 

"Signor Taubenfeld, io e la mia squadra dovremmo effettuare dei controlli sulla signorina Lavigne."

 

Feci un profondo respiro ed espirai lentamente, lasciando che il mio sguardo percorresse il corpo di Avril.

Strinsi forte la sua mano nella mia, sperando che, all'ultimo secondo, potesse ricambiare la mia stretta.

Speranza che, naturalmente, non si avverò.

Mi alzai lentamente dalla sedia, con le gambe che mi formicolavano, per il molto tempo ero rimasto lì seduto nella stessa posizione.

Abbassai la testa, e, avviandomi verso l'uscita, sussurrai con la poca voce che mi era rimasta:"Bene. Vi lascio soli."

 

Uscii da quella stanza infernale, con gli occhi che incominciarono a pizzicare, mentre mi aggrappavo alla mano che mia sorella mi stava tendendo.

 

 

 

Pov Annie

 

Evan, negli ultimi mesi, era stato travolto da una molteplicità di emozioni e sentimenti totalmente contrastanti, che lo avevano portato a passare varie fasi.

All’inizio, fu la negazione a sovrastarlo. Tentava di negare l'accaduto.

Si chiedeva spesso se la causa del mancato risveglio di Avril fosse l'intervento sbagliato dei medici, o di farmaci non idonei, o ancora del modo, secondo lui "sgarbato e privo di tatto", con cui i medici la trattavano.

 

Poi era comparsa la rabbia e la paura. Si condannava per quello che aveva fatto.

A volte se la prendeva con me, con Matt o con chiunque gli capitasse a tiro, e non sapevamo come calmarlo.

Spesso si era chiesto perché era toccato proprio a lui, perché il destino si fosse accanito  così tanto contro di loro.

 

Finita la fase della rabbia e della negazione, comparve un forte senso di sconfitta, di rifiuto e la chiusura in sé stesso. Aveva preso consapevolezza del corpo di Avril e del suo stato di salute, e si rendeva conto che, contro quel male, non aveva nessun potere decisionale.

Aveva capito che la ribellione era inutile, e che niente dipendeva da lui.

Per questo, tutta la rabbia che aveva dentro, venne sostituita dal senso di abbattimento e dalla depressione.

 

Ora, era nella fase di accettazione. Era consapevole di ciò che le stava accadendo, e alternava spesso momenti di silenzio e riflessione con se stesso, a momenti di comunicazione con me e Matt, che eravamo le persone più vicine a lui.

Con questi suoi continui sbalzi di umore, era impossibile capire in pieno quello che stava pensando, malgrado vivessi tutto il suo dolore direttamente con lui.

 

Volevo iniziare un discorso, ma mandò all'aria tutto, poggiandosi sulla mia spalla, e cominciando a singhiozzare pesantemente per un paio di minuti.

 

"Ehi, Evan, basta piangere." sussurrai.

 

 

Pov Evan

 

"Evan, basta piangere. Non ti devi arrendere, trova la forza in te stesso per andare avanti. Fallo per te. Fallo per lei." disse, facendomi sollevare la testa dalla sua spalla.

"Asciuga quelle lacrime, lei non avrebbe mai voluto vederti così.

Devi essere forte.

Devi lottare per tutti e due e superare quest'ostacolo grazie all'amore che vi ha unito e che vi unisce tutt'ora.

Continua a tenere duro, perché sai che ce la farà, e che ce la farai anche tu.

Non sei solo, e non lo sarai mai.

Siamo insieme, ed io sarò al tuo fianco. Sempre."

 

All'improvviso, nella stanza, vidi i medici farsi sempre più irrequieti, più agitati, più frenetici nei loro movimenti...

Non sapevo il perché, ma continuavano a fissare il monitor che segnava le funzioni vitali di Avril

 

Poi, lo capii, il motivo.

Tutto...era diventato così semplicemente surreale. Solo in quel momento, mi resi conto di cosa fosse davvero la vita.

Un bip...più lungo degli altri.

 

La vita era un dono.

"Dottore, presto! È in arresto cardiaco!"

 

La vita era un regalo inaspettato e non richiesto.

"Datemi un defibrillatore, ora!"

 

Era una farfalla che, se non l'acchiappavi in tempo, ti sfuggiva tra le dita.

"Libera!"

 

Era un'esperienza meravigliosa, che si meritava soltanto giorno dopo giorno.

"Ancora, libera!"

 

Azione dopo azione.

 

"Dottore, la stiamo perdendo…Faccia qualcosa!"

 

Lacrima dopo lacrima.

 

 

 

Allora, se siete ancora vivi dopo questa fine, vi dico chi è il cantante.

Il cantante…è…Avril!

La versione era l’originale di WYG, ma l’audio è stato modificato e abbassato di qualche ottava, per rendere la voce maschile ^_^

Ok, ci vediamo al prossimo capitolo, perché la ff non è ancora finita!

Preparatevi psicologicamente, la canzone del prossimo sarà Slipped Away.

Non mi scannate!

Cruel Heart.

P.s. Anna, viva le cime di rapa! (?)

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Capitolo 39
*** Slipped away ***


Buon sabato a tutti!

Ringrazio chi ha messo questa ff tra:

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Allora, vi volevo parlare brevemente dei ringraziamenti di Avril nel booklet.

Ho sentito molte polemiche, specialmente sul fatto che non ha speso ringraziamenti per noi fans. Addirittura ci sono persone che non vogliono più comprare l’album per questo.

La mia opinione è che la musica di un cantante, se piace davvero, deve essere supportata sempre, indipendentemente dal comportamento che quest’ultimo ha.

Non volete comprare l’album? Bene, sappiate solo che così le vendite scenderanno e Avril non verrà di certo chiedervi scusa perché si è dimenticata di inserirci tra i ringraziamenti.

Well, mi sono sfogata.

Passando al capitolo… pronti per la “male version” di Slipped Away?

Io no D:

Ok, prima di lasciarvi, chiedo scusa a tutte le persone che ho fatto andare in analisi (?) con gli ultimi capitoli, me compresa.

Buona lettura.

 

Avril Lavigne – Slipped Away (Male Version)

 

 

 

Pov Evan

 

No... N... Non poteva essere... Non poteva essere vero!

Mi mancava l'aria, non riuscivo più a respirare...

Le gambe, le braccia, tutto mi tremava... ma dovevo fare qualcosa, dovevo sapere.

Mi fiondai come un forsennato nella piccola stanza da cui ero appena uscito, e osservai il suo corpo steso sul lettino.

I medici si muovevano frenetici, senza sosta. Le loro grida si accalcavano l'una sull'altra, si confondevano, si mischiavano...

Continuavo a sentire solo un unico, pressante e maledettissimo suono. Quel bip così lungo, così soffocante, che se l'era portata via.

Mi lasciai prendere dalla rabbia, dalla paura, dall' orrore di averlo persa per sempre.

Ebbi la strana sensazione di non percepire più niente e nessuno. Mi sembrava di essere uscito dal mio corpo e tutto intorno a me era ovattato.

Degli spasmi di pianto mi fecero tremare convulsamente.

Ti prego, Avril, ti prego. Non lasciarmi.

Dovevamo invecchiare insieme.

Dovevamo amarci fino alla fine.

Dovevo darti dei figli.

Non lasciarmi.

Mi misi ad urlare, senza avere la possibilità di fare altro. "Aiutatela, aiutatela!"

Sentii aprire la porta e qualcuno mi si avvicinò, prendendomi dal busto, ma io protestai, scalciando e tentando di liberarmi da quella presa ferrea. Non volevo allontanarmi da quel letto, non potevano portarmi via da lei.

"Evan." Una voce calda e comprensiva mi parlava. Sapevo che si trattasse di mio fratello Matt, ma la mia mente non riusciva ad elaborare nessun pensiero logico. La mia mente pensava solo ad Avril.

Mi sentii trascinare fino alla sedia, ma il mio corpo, che non controllavo più, cadde a terra. Vidi delle mani toccare il suo collo, e poi una mano si posò sul suo corpo. Sul suo cuore.

Le stavano controllando con lo stetoscopio se ci fosse un qualche segno di vita, ma sapevo che ormai mi aveva lasciato. Lei se n'era andata.

Il mio pianto si fece sempre più disperato, man mano che la mia mente rielaborava tutto quello che stava accadendo.

Sentii altri passi dietro le mie spalle. "Dottor Tennant?" Era una voce femminile.

"Rose, non serve il carrello delle emergenze. La signorina è deceduta" rispose la prima  voce.

Sapevo che era morta, ma quando quella voce diede la conferma a tutti i miei pensieri, mi sentii come se mi fossi rotto in milioni di piccoli pezzi. Un'unica parola, mi confermò che la mia vita era finita con quella del mio angelo.

Urlai disperato. "Avril, no!"

"Evan, alzati. Ti prego, fatti forza." mi disse mio fratello. Feci di no con la testa.

"Signor Taubenfeld... A mio parere, deve essere contento per lei."

Ma che cazzo stava dicendo quella voce? Come potevo essere felice... se Avril era morta!

Preso da una forte scarica di adrenalina, mi alzai di soprassalto, e cercai di andare verso quella feccia. "Io ti spacco la faccia, pezzo di merda!"

Anche questa volta, fui bloccato dalle braccia forti di Matt, che mi trattennero al mio posto. "Si calmi, Evan, so come ci si sente. La signorina Lavigne aveva un trauma cranico molto grave, e il coma sarebbe potuto durare molto di più di due semplici mesi. Lo so che adesso sta soffrendo, ma pensi anche a lei. Ora non soffre più. Dov'è andata starà bene."

Mi rifiutai categoricamente di dare ragione a quelle parole pazze e senza senso.

Ora lei non soffriva più, ma ero io quello che stava male. Ero egoista, la volevo ancora accanto a me, avrei voluto stringerla ancora, volevo baciarla, volevo vedere i suoi occhi che si aprivano, volevo che mi tenesse stretto tra le sue braccia e mi dicesse che sarebbe andato tutto bene.

Ma non era così. Ero solo, sentivo freddo, e non c'era nessuno che avrebbe potuto consolarmi, e quel pensiero mi spaventava più di qualunque altra cosa.

"Evan, se le posso dare un consiglio... stia accanto a lei, le tenga la mano... almeno fin quando ne ha la possibilità." disse quella stessa voce di prima.

"Rose, mi  porti qualcosa per calmarlo ed avverta i signori Mitchell".

"Subito, dottor Tennant" rispose la voce femminile.

Avevo difficoltà a respirare, completamente attanagliato dal dolore. Tremavo, singhiozzavo, non avevo nessun controllo del mio corpo. Quella figura maschile si inginocchiò accanto a me, e mi mise le mani sulle spalle, ma l'unica cosa che sentivo era il freddo della morte che aleggiava in quella stanza. "Evan, lei si deve calmare."

Di nuovo?! Ma che cosa stava dicendo? Come facevo a calmarmi? Non era lui che aveva perso l'amore della propria vita.

Sentii ancora quei passi di donna. "Dottor Tennant, i signori Mitchell stanno arrivando. Erano già in viaggio quando li ho chiamati. Tenga."

"Grazie, Rose." disse alla donna, per poi rivolgersi a me. "Evan, le sto facendo una puntura, è solo per calmarla." disse quella voce.

Non reagii, non dissi niente nemmeno quando sentii l'ago entrarmi nel braccio.

Non avevo né la forza, né la volontà di protestare. L'unica cosa che i miei occhi riuscivano a vedere tra le lacrime che scendevano senza sosta, era la figura immobile e priva di vita di Avril, mentre sentivo un leggero dolore al braccio incominciare a diffondersi.

Mi accompagnarono da lei e io mi sedetti sulla mia sedia, quella in cui avevo passato ore ed ore negli ultimi mesi.

Strinsi per l'ultima volta la mano del mio angelo. Le accarezzai le guance e le baciai per l'ultima volta le labbra.

Due forti braccia mi presero e mi scostarono improvvisamente dal letto. Non riuscii a protestare, forse per l'effetto del calmante.

Mi appoggiai a Matt e gli circondai le spalle con le mie braccia, premendo il mento contro la sua scapola.

Lui mi abbracciò forte quasi da spezzarmi in due.

Stavo soffrendo, e avevo il cuore trafitto da un dolore infinito. Avril mi aveva lasciato. Mi aveva lasciato solo ad affrontare la mia vita. Lei, che era stata la mia stella, e che aveva illuminato le mie notti buie e solitarie, adesso si era spenta, ed ero circondato solo da oscurità.

Mi sentivo senza forze e le gambe non mi reggevano più. Se non fosse stato per le forti braccia di Matt, sarei caduto sicuramente a terra. All'improvviso, cominciò a girarmi tutto e vedevo delle strane luci davanti agli occhi, mentre sentivo un forte torpore penetrarmi fin dentro le ossa.

"Dottor Tennant. Evan sta male." disse Matt, mentre mi circondava la vita con un braccio e metteva il mio braccio sinistro sulle sue spalle.

"Stia tranquillo, è l'effetto del sedativo."

Adesso capivo perché mi sentissi così sereno. Poi non sentì più niente, e venni avvolto dal buio, ma...era una sensazione strana.

Non si trattava di un indebolimento, o di uno svenimento. Direi quasi... di un risveglio.

Sì, sentivo che il torpore che mi circondava le ossa stava sparendo, e veniva sostituito da un formicolio che, partendo dalla mano sinistra, si stava diffondendo in tutto il corpo, soprattutto nelle gambe e nel collo.

Sentivo che le forze che stavo perdendo, mi stavano pian piano ritornando, rendendomi più vivo.

Poi, una voce leggerissima e quasi inudibile mi chiamò. "Ev...n. E...an"

No... non poteva essere. Questa... questa era la sua voce! Ne ero sicuro, l'avrei riconosciuta tra mille.

L'ansia tornò a colpirmi, più forte di prima.

Cosa significava questo? Ero morto anch'io?

Anch'io, come Avril, avevo definitivamente abbandonato la mia vita?

Sperai di sì con tutto me stesso. Non potevo vivere in un mondo dove lei non esisteva.

Il formicolio alla mano si fece sempre più forte, sempre più pressante, come se qualcuno me la stesse toccando insistentemente.

Fu quella la spinta che aspettavo. Il mio cervello emise il primo impulso, quello di  farmi aprire gli occhi. Scoprii di trovarmi nella stessa posizione in cui mi ero addormentato, con il capo piegato, la testa poggiata sulla mano destra e la mia mano sinistra che racchiudeva protettiva quella di Avril.

Ecco spiegato il dolore al collo.

Poi, le mie orecchie riascoltarono il suono più dolce che potesse esistere.

Il mio nome detto dalle labbra di Avril, accompagnato dai bip regolari del suo cuore che la macchina registrava.

Alzai piano la testa, seguendo la provenienza del suono.

Se quest'ultimo mi era sembrato la cosa più dolce che avessi mai sentito, non poteva neanche essere paragonato alla visione che mi ritrovai di fronte.

Avril, sullo stesso lettino del sogno.

Con la sua mano ancora stretta nella mia che cercava di svegliarmi.

Ma soprattutto, viva! Viva e con quei fantastici occhi blu, che mi erano mancati tanto, e che pensavo di aver perso per sempre.

 

 

Non vi preoccupate, la situazione si chiarirà nel prossimo, nel caso non fosse chiara.

Cruel Heart.

 

P.S. Spam moment: ho scritto una nuova ff se Avril e Chad. Se volete, dateci un’occhiata. Remember me.  

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Capitolo 40
*** Forever, little black star ***


Buona domenica a tutti.

Io non dico niente, ci vediamo giù.

 

Avril Lavigne – Black Star

 

 

 

 

Dieci anni dopo...

 

 

Pov Evan

 

 

"Prima di cominciare, vorrei pregarti di non prendermi in giro nei giorni a seguire.

Vorrei che ricordassi questo momento per l’emozione che ti ho provocato, e non per la mia voce tremolante o le mie mani sudate.

D’accordo? Abbi pietà di me.

Va bene, la finisco con queste preghiere e cominciamo.

 

La mia vita è cambiata quando ti ho conosciuta.

È una frase che si dice spesso, lo so, ma è vera.

Quando pensai di andarmi a fare un giro sullo skateboard quel giorno, di certo non mi aspettavo di conoscere la persona della mia vita! E che bel tipetto di persona!

Ricordo ancora come mi trattasti quel pomeriggio in cui ci incontrammo per le strade di Los Angeles.

Te ne stavi lì, ad osservare il mio skate, come se nulla fosse.

Perché, diciamocelo, era un gran fico come il proprietario!

Mi avvicinai lentamente, ed appena i nostri occhi si incrociarono, si creò subito un legame profondo. Talmente profondo... che il secondo dopo la mia lingua era già in avanscoperta. E non provo nessun tipo di vergogna nel dirlo, non so proprio dove sarei arrivato i piccoli dentini di qualcuno non mi avessero fermato.

 

E così, il grande Evan Taubenfeld, colui che faceva cadere decine e decine di ragazze ai suoi piedi, era stato rifiutato, perché una ragazza appena conosciuta aveva tirato fuori gli artigli.

Mi trattasti malissimo, lo sai vero?

Ma, per tua sfortuna, mi piacesti all’istante.

E da quel giorno?

Quante me ne hai fatte passare?

Lo schiaffo che mi hai dato dopo il bacio è senza dubbio il ricordo che preferisco.

Non solo ti avevo reso partecipe del bacio più bello e focoso che avessi mai dato, ma mi avevi anche rifilato una bella cinquina alla fine!

Dimmi tu se si può.

E quella volta che c'era tua madre e stavamo per farlo nella tua c…

No, forse questo è meglio se lo teniamo per noi.

 

Comunque, il succo è che, io, Evan David Taubenfeld, mi innamorai.

Mi ci volle molto prima di capirlo, prima di accettarlo. Perché, donare completamente il mio cuore a qualcuno, rappresentava un rischio che all'inizio non volevo correre.

Troppo complicato, troppo doloroso. Come puoi provare un sentimento così

forte per qualcuno, se sei certo che quel qualcuno in realtà ti odi?

Ma si sa, al cuor non si comanda.

Accettai quell’amore e mi convinsi che era giusto. Perché lo era, e lo è ancora adesso.

Quando quella sera di dieci anni fa tu entrasti in coma, per me la vita era finita, ed era incominciata la sopravvivenza.

 

Sopravissi nella paura, Avril. Nella paura più totale di perderti per sempre, e di non poter ascoltare più il tuo cuore che batteva.

 

Sopravissi nel dolore.

Vederti così, apparentemente senza vita tra le mie braccia giorno dopo giorno, era quanto di più doloroso avessi mai provato.

Rischiai di cadere più volte, ma mi rialzai.

Mi rialzai, perché sapevo che ormai ero diventato il tuo unico appoggio. E non potevo permettere che tu cadessi inerme sul pavimento come le tante lacrime che ho versato.

 

Sopravissi nella rabbia.

Lo ammetto, ero arrabbiato con te.

Ero arrabbiato con il mondo.

Ed ero arrabbiato con Dio che ti stava portando via da me.

La rabbia, ecco cosa non ho mai saputo affrontare.

Mi rese egoista, ed era proprio lei che mi impediva di vedere la realtà.

Di vedere la tua realtà.

Avrei dovuto capire quante energie stavi consumando per ritornare da me, quanto stanca fossi di combattere.

E forse, nel profondo, sapevo che sarebbe stato meglio se ti avessi lasciata andare.

 

Ma sai una cosa? Sono felice, anzi, sono strafelice di non averlo fatto.

Perché sei qui con me, ora, davanti ad all'uomo più fortunato della Terra, che ti sta parlando in ginocchio, mentre tu stai consumando tutti i fazzoletti che abbiamo in casa per le troppe lacrime che stai versando.

 

La nostra storia non è una storia come le altre.

Stava per concludersi nella paura, nel dolore e nella morte.

E forse è assurdo, ma sono convinto che questi tre elementi abbiano reso l’amore che proviamo verso l’altro il più vero di tutti.

Ci hanno resi forti e ci hanno legati indissolubilmente.

Non c’è più niente al mondo che noi due non possiamo affrontare insieme, piccola stella nera.

 

E sono queste le parole magiche.

Abbiamo vissuto nella paura, nel dolore e nella morte, ma abbiamo superato tutto perché quella piccola stella ci ha tenuti uniti, e lo saremo per sempre.

È questa la mia promessa.

“Finché morte non ci separi” dice la formula che, se accetterai questa mia proposta, ti renderà mia moglie, ma io non sono d’accordo.

Il nostro amore… durerà anche oltre.

 

È per questo, che, adesso, con le ginocchia che mi fanno male e con la gola secca per il lungo discorso che ho fatto, ma soprattutto, facendoti dono di questo anello, ti chiedo finalmente: Avril Ramona Lavigne. Vuoi sposarmi?"

 

"Certo che s-sì, brutto... coglione... che... mi... ha... fatto... piangere... dall'inizio alla fine!"

 

 

-FINE-

 

 

Ok… respiro… espiro… respiro… espiro…

Non potete neanche immaginare il mio stato emotivo in questo momento!

Ho scelto il verde perché è stato il colore della mia prima introduzione quando ho postato, quindi… mi sembrava carino rifarlo.

*Respiro profondo*

Bene. Come sapete e come avrete senz’altro intuito, questo è l’ultimo capitolo di Little Black Star.

Cavolo… ma come è possibile?

Me lo sto chiedendo da quando ho iniziato questo capitolo.

Non so davvero cosa dire, se non un immenso GRAZIE.

Grazie alle 812 persone che fino ad adesso hanno letto il primo capitolo e a tutte quelle che hanno seguito con piacere questa ff, a Glaphyra per sopportarmi qui su efp e anche in tutti i giorni della vita reale (W la cicciona cadavere), grazie ad Anna che mi ha riempito sempre di complimenti che non meritavo (W le cime di rapa), grazie a Solluxy (e Giovanni) che mi ha recensito sempre con le sue recensioni kilometriche sin dal capitolo 16 e non ha mai più smesso, grazie comunque ad Hakkj, che è stata la mia prima recensione positiva, grazie a avrilismylittleangel, nunueroby, Ramona LBS, AliceKeepHoldingOn, Curly_Boy14 e Look_at_the_sky per aver recensito più o meno quasi tutti i capitoli.

E l’ultimo grazie va a quella nana malefica e al suo ex-chitarrista skater, per tutte le canzoni fantastiche che hanno suonato insieme.

Che dire… ci vedremo presto!

(Tradotto, vi romperò ancora le bollas MUAHAHAH)

Per l’ultima volta in questa ff, evaporo.

Cruel Heart.

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