La vita di un altro

di DaubleGrock
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo 1° parte ***
Capitolo 2: *** Prologo 2° parte ***
Capitolo 3: *** Prologo 3° parte ***
Capitolo 4: *** Prologo 4° parte ***
Capitolo 5: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo 1° parte ***


La vita di un altro






Una candela era posta sopra un mobile di mogano insieme ad uno specchi bordato d’oro con filamenti d’argento, un bauletto pieno di gioielli di ogni genere e una spazzola d’argento con il retro incastonato di smeraldi e rubini. La luce della candela riusciva ad illuminare vagamente la lussuosa stanza del castello. Davanti al mobile c’era una sedia con i rivestimenti di velluto rosso, il pavimenti della stanza era coperto da un tappeto di impeccabile fattura, sopra questo tappeto era posto un letto a baldacchino, e vicino a questi una culla. La stanza aveva tre alte finestre, ognuna di esse nascosta dietro delle tende rosse, una di queste si apriva su una larga terrazza.
Mentre tutti gli abitanti del castello si godevano il loro meritato riposo dopo un giorno di lavoro, in questa elegante stanza, una donna si preparava per fare il passo che le avrebbe cambiato la vita per sempre. Ci aveva riflettuto a lungo e alla fine aveva preso la sua decisione. La donna si muoveva da una parte all’altra della stanza per controllare se aveva preso tutto il necessario per l’eminente lungo viaggio, controllò nello zaino di pelle: un paio di brache, un corsetto, tre pagnotte di pane e della carne secca presa dalle cucine. Una coperta era legata sotto lo zaino, sembrava non mancar nulla. Lanciò uno sguardo verso il piccolo baule pieno di gioielli. Si avvicinò e lo aprì, era pieno di collane di perle, orecchini, anelli e chi più ne vuol più ne metta. Decise di prendere uno degli anelli doro, le sarebbe stato utile per le spese del viaggio.
Era tutto pronto. Indossò una cappa nera sopra i suoi abiti semplici, molto differenti da quelli che aveva indossato fino a poco tempo prima, elaborati dalle più raffinate ed esclusive sarte dell’impero. I suoi stivali producevano un rumore attutito a contatto con il grande tappeto mentre si avvicinava alla culla posta alla destra del letto. Quando i suoi occhi scorsero una piccola figura che dormiva placidamente sotto delle copertine di lana gialla, un sorriso le si formò sulle labbra. Un piccolo bambino di soli cinque giorni sonnecchiava tranquillo nella sua culla, ignaro di quello che si svolgeva attorno a lui. Un piccolo ciuffo di capelli era appena visibile, erano castani chiaro, quasi biondo, la sua pelle morbida emanava un leggero profumo di cannella. Proprio in quel momento il piccolo si destò dal suo sonno tranquillo, i suoi occhi penetranti possedevano tutte le sfumature possibili del castano e dell’oro. Il bambino allungò le braccia verso la madre. Lei lo prese con delicatezza e lo avvolse a mo’ di fagotto nella coperta, lui rise e la madre lo baciò sulla fronte. Poi si mosse verso il letto e prese la fune che aveva preparato, si mise lo zaino in spalla, si avvicinò alla candela e la spensa lasciando la stanza nel completo buio.
La donna si avvicinò alla finestra che sporgeva sulla terrazza, aprì la pesante tenda ed uscì all’esterno. Il posto era vagamente illuminato dalla luce lunare e dalle torce sottostanti. Davanti a lei si apriva un corridoio contornato di piante di ogni genere e statue di marmo. Con passo felpato, percorse il vialetto fino ad arrivare al corrimano, con cautela si sporse verso il basso notando con sollievo che non c’era nessuna guardia. Legò la fune al parapetto, e quando si assicurò che il nodo non si sciogliesse, prese il bambino con un braccio e si aggrappò alla fune con l’altra mano. Con un agile balzo scavalcò il parapetto e aiutandosi con i piedi scese fino ad arrivare al giardino. Si guardò in torno. Nessuno. Controllò che il bambino stesse bene scoprendo che si era riaddormentato.
Controllò che il sentiero che attraversava il giardino fosse libero e iniziò a correre verso i cancelli. Mentre correva gli vennero in mente i momenti felici trascorsi in quel giardino, in ogni momento c’era lui, Brom. Delle lacrime iniziarono a rigarle il volto. Era partito per una missione sei mesi prima e non era mai tornato. Solo da pochi giorni aveva appreso che non c’è l’aveva fatta, era morto. L’uomo sei mesi prima aveva ricevuto un messaggio da un certo Jeod Gambelunghe, nel quel affermava di aver trovato un passaggio segreto per entrare nel palazzo di Uru’baen per recuperare le tre uova di drago rimaste. Avevano avuto successo, ma sfortunatamente erano riusciti a prendere un solo uovo di colore rosso.  Misteriosamente, l’uomo che era riuscito a rubarlo, era scomparso senza lasciare traccia, Brom era scomparso poco dopo e secondo i Varden era morto. Poco dopo i ribelli avevano ritrovato l’uovo in uno dei loro nascondigli. Era subito stato messo davanti ad ogni bambino Varden e poi portato nella Du Weldenvarden girando in ogni città elfica senza però trovare il suo Cavaliere.
Lei per molto tempo aveva sperato, aspettato il suo ritorno, ma erano passate settimane e poi mesi. Quanto avrebbe voluto condividere la gioia nell’avere un figlio, una famiglia, con Brom. Aveva saputo un mese prima anche della morte di Morzan, ora poteva essere finalmente libera. Ma prima doveva scappare da quel castello, quel castello che era appartenuto all’ultimo rinnegato. Doveva andare a Carvahall da suo fratello Garrow, sua moglie Marian, ma soprattutto dall’altro suo figlio, Murtagh. Non lo vedeva da quattro anni. Era riuscita a tenere la sua gravidanza all’oscuro di Morzan, il padre del bambino. Era andata a Carvahall durante una missione, lì era stata per mesi fino a che non lo aveva messo alla luce, poi se ne era andata di gran carriera dicendo solo che il bambino doveva chiamarsi Murtagh. Suo fratello e sua moglie le avevano chiesto il perché di tanta fretta e perché non poteva portare il bambino con sé, lei aveva risposto solo che doveva. Era ritornata lì, ai piedi della grande dorsale, pochi mesi dopo, aveva conosciuto Brom. Si era spacciato come giardiniere, ma poi aveva scoperto che era venuto lì da parte dei Varden per ucciderla. Ironia della sorte era che si erano innamorati perdutamente l’uno per l’altra. Poco dopo aveva scoperto di essere incinta di Eragon. Si proprio così Eragon, il suo piccolo bambino, aveva deciso di dargli il nome del primo Cavaliere dei Draghi per fargli ricordare che era il figlio del più grande Cavaliere nella storia di Alagaësia. Aveva pensato ad altri nomi, ma dopo aver appreso la morte del padre gli era sembrato giusto chiamarlo così. Aveva deciso di andare a Carvahall per vivere il resto della sua vita con i suoi figli nella tranquillità di un piccolo villaggio lontano da magia, rinnegati, draghi e soprattutto lontano da Galbatorix. Perché era proprio da lui che stava scappando in quel momento. Aveva sempre saputo che Galbatorix la volesse come sua Mano Nera per svolgere i suoi loschi affari, ma non glielo avrebbe permesso, non questa volta. Fin dall’età di diciassette anni, quando credeva di essere innamorata di Morzan, aveva compiuto gli atti più inimmaginabili. Per quel pazzo amore si era allontanata dalla sua famiglia, non avrebbe ripetuto lo stesso errore, sapeva di aver sbagliato in passato, per questo voleva rimediare. Quando aveva conosciuto Brom, aveva iniziato a passare informazioni preziose ai ribelli. E dopo tanti sforzi non sarebbe ritornata dalla parte di quel pazzo di un tiranno.
Mentre rifletteva su questi pensieri si accorse di essere arrivata ai cancelli del palazzo. Stranamente erano aperti e non c’era nessuna guardia a sorvegliare l’entrata. La cosa iniziava a preoccuparla, C’era qualcosa che non andava, i cancelli erano sempre tenuti sotto stretta sorveglianza, perché quella volta non era così? Ma in quel momento non c’era tempo per pensarci. Senza rallentare la sua corsa attraversò l’entrata del castello dirigendosi verso la foresta che lo circondava. Appena inoltrata in essa, i rami e le foglie iniziarono a graffiarle le braccia, mentre i capelli si impigliavano in ogni dove. Cercò di tenere il viso del suo piccolo Eragon al sicuro tenendolo stretto contro il petto. La foresta era silenziosa come non lo era mai stata, non si sentiva nessun gufo o roditore, nemmeno il canto dei grilli. Qualcosa non andava. La paura iniziò a farsi strada nel suo animo mentre continuava a correre. Distrattamente sentì il fruscio di alcune foglie alla sua sinistra. Poco dopo si ritrovò in una radura. Al centro di essa c’era un uomo incappucciato. Le uniche cose che Selena poteva notare erano l’altezza e snellezza dell’uomo, se era un uomo, perché quando parlò, la sua voce sembrava il sibilo di un serpente.
“E così tu saresti la Mano Nero? La donna che ha fatto tremare centinaia di ribelli col solo nominarla? La più potente maga dell’impero?” chiese l’uomo con divertimento “Sinceramente mi aspettavo di più”
“Chi sei?” chiese Selena iniziando a indietreggiare, solo dopo pochi passi andò a sbattere contro qualcosa di duro. Si girò e con orrore scoprì, che quella cosa era un Urgali. Questi era alto ed aveva un corpo muscoloso. Dalle tempie uscivano due corna molto simili a quelle di un toro. Dalla sua grandezza, con sgomento Selena dedusse che fosse un Kull. Strinse Eragon più forte al suo petto.
“A quanto pare la nostra Mano Nera non è sola” disse l’uomo dietro di lei
Selena si girò “Chi sei?” chiese nuovamente ma con più enfasi.
L’uomo si mise a ridere. Aveva una risata glaciale, malvagia. “Chi sono?” chiese “Mia cara Selena, credimi in questo momento non ti interessa molto io chi sia, ma ti interesserà di più sapere che io sono qui da parte di Galbatorix, sai? Ti vuole incontrare, ha detto che ha un patto da proporti”
“Io non lavorerò più per voi!” urlò Selena cercando disperatamente una via d’uscita.
“Davvero? Ma che bel bambino, sarebbe un peccato se gli succedesse qualcosa. Come deve essere calda la sua pelle.” disse “Ma sappi questo: se non vieni di tua spontanea volontà, la sua pelle diverrà gelida.” aggiunse in tono minaccioso
Selena per poco non svenne alle parole dell’uomo, aveva capito cosa significava, se lei non avrebbe lavorato ancora una volta per loro, Eragon sarebbe morto. Nel frattempo il piccolo si era svegliato e spaventato dal tono dell’uomo aveva iniziato a piangere. Selena iniziò a cullarlo e dopo pochi secondi Eragon si calmò. L’uomo era rimasto nella posizione di prima senza proferir parola.
“Mi prometterete che non gli farete del male?” chiese lei ormai dichiarandosi sconfitta.
“Certo, ti prometto di più, potrai tenerlo con te, il re non vuole più mandarti in giro per l’impero come faceva quel Morzan, vuole solo tenerti sott’occhio ad Uru’baen in modo che tu non dia informazioni ai Varden. Potrai crescerlo, lavarlo, vestirlo, giocare con lui e ogni altra patetica cosa voi facciate.” Disse con una nota di disgusto nella voce.
“E sia, ma prima voglio la tua parola” disse Selena non vedendo altra scelta.
“Ti do la mia parola” disse nell’antica lingua
“Non mi hai ancora detto chi sei” disse Selena sempre in allerta. Aveva promesso che non avrebbe fatto del male ad Eragon, ma non voleva commettere lo sciocco errore nel caso in cui l’uomo trovasse un modo per sfuggire al giuramento. Per esperienza sapeva che era possibile mentire nell’antica lingua, bastava intendere una cosa per un’altra. E questo la spaventava non poco.
L’uomo si tirò giù il cappuccio del mantello ed in quel momento Selena smise di respirare. Davanti a lei c’era un volto scarno e pallido, sembrava un teschio su cui era stata messo un sottile strato di pelle, aveva occhi rossicci che mandavano bagliori minacciosi e poco rassicuranti e labbra fini e bianche, i suoi capelli, lunghi fino alle spalle erano cremisi come se fossero stati immersi nel sangue. Davanti a lei c’era uno spettro.
“Il nostro nome è Durza” disse e in quella voce Selena ne sentì molte altre, quello che prima le era sembrato il sibilo di un serpente ora sapeva che era la voce degli spiriti che abitavano quel corpo. E con quella voce Selena capì che il suo destino e quello di Eragon era segnato.

 
**************

 
Dodici anni dopo

“Eragon! Su svegliati è tardi o vuoi rimanere tutto il giorno a letto?” chiese una voce melodiosa.
Eragon si rigirò nel letto mettendo la testa sotto i morbidi cuscini, non aveva voglia di svegliarsi, voleva rimanere a letto. Sua madre lo faceva sempre alzare presto la mattina, ma non glielo avrebbe permesso, non nuovamente, non quella mattina. Vivevano in una piccola casa nella città di Uru’baen poco lontano dal castello. La casa era formata da sole tre stanze: l’ingresso che faceva anche da cucina e sala per accogliere gli ospiti, la stanza da letto di sua madre e la sua stanza. Ogni giorno lui aiutava sua madre a svolgere le faccende di casa oppure accompagnandola quando doveva andare al mercato, tutto il tempo lo passava con lei, non gli piaceva stare con gli altri bambini della sua età, loro lo avevano sempre preso in giro per il suo nome: Eragon. Era il nome del primo Cavaliere Dei Draghi, ma non era questo il motivo per cui lo schernivano, il motivo era che era il nome di un elfo. Da quel momento si faceva chiamare Valdor, solo sua madre lo chiamava con il suo vero nome e oramai tutti lo conoscevano con quel nomignolo. Non aveva mai visto un elfo, ma sua madre gli aveva sempre raccontato molte storie su di loro, il popolo leggiadro. Lei diceva che erano più belli di qualsiasi umano e che vivevano in una foresta ai confini dell’impero. Aveva sempre voluto viaggiare, incontrare persone nuove e popoli diversi, vedere luoghi, ma ogni volta che lo chiedeva a sua madre, lei diventava fredda e gli diceva che il mondo era un posto pericoloso non adatto a un bambino di soli dodici anni. Ma lui non credeva che fossero questi i motivi che gli negavano quello che voleva fare, aveva visto molte volte sua madre parlare con alcuni soldati di Galbatorix, oppure aveva visto i soldati osservare lei, la controllavano. Sua madre gli aveva raccontato molte volte che suo padre era stato un Cavaliere dei Draghi, Cavaliere della dragonessa Saphira, ma che era morto. Alcune volte gli diceva che lui aveva un fratello, anzi fratellastro perché figlio di un altro Cavaliere, un rinnegato, figlio di Morzan. Non sapeva molto di lui, solo che viveva in un piccolo villaggio insieme ai suoi zii e a suo cugino e che si chiamava Murtagh. Verso suo di lui provava sentimenti diversi, per una parte era felice di avere un fratello, ma per l’altra era geloso, perché sua madre lo aveva salvato da quella vita? Perché lui doveva vivere sotto il dominio di Galbatorix e suo fratello no? Non sapeva perché sua madre avesse scelto così e non aveva mai avuto il coraggio di chiederglielo.
Sentì qualcuno sedersi affianco a lui, strinse più forte le coperte nelle sue mani.
“Ti vuoi alzare o no?” chiese nuovamente Selena.
“No.” Rispose secco Eragon stringendo ancora di più
“A no?” chiese la voce con divertimento.
Sua madre si piegò in avanti e iniziò a fargli il solletico sui fianchi, Eragon iniziò a dibattersi nel letto mentre lasciava le coperte per proteggersi da quelle mani. Iniziò a ridere sonoramente e urlare a sua madre di smetterla. Aveva sempre sofferto il solletico e sua madre usava molte volte quella sua debolezza. Mentre Selena lo solleticava sotto le ascelle con una mano, tirò giù le coperte con l’altra.
“Non è giusto” protestò Eragon mettendosi a sedere.
“Come non è giusto? Se tu non ti alzi a chi lo darò questo?” chiese la madre prendendo da sopra il comodino un grosso libro.
Eragon sorrise raggiante mentre prendeva dalle mani della madre il tomo. Aveva sempre amato leggere, gli piaceva imparare, sapeva parlare due lingue: quella umana e l’antica lingua. Non sapeva perché sua madre lo avesse istruito così tanto, rispetto agli altri bambini di Uru’baen, la sua enciclopedia grammaticale poteva essere paragonata come quella di un principe a della plebe. Pochi bambini sapevano già leggere perfettamente e senza intoppi a dodici anni. Tutto quello però non gli dispiaceva affatto. Guardò affascinato l’antico tomo. Il libro era rilegato in pelle nera, Eragon fece scorrere le dita sulla copertina e ne assaporò la fredda levigatezza. Dentro, le lettere erano stampate in lucido inchiostro rossiccio.
“Domia abr Wyrda di Heslant il Monaco” lesse curioso “il Dominio del Fato”
“Lo puoi leggere solo quando sei da solo e non parlarne con nessuno, capito?” lo ammonì la madre.
“Si, grazie! Grazie! Grazie!” disse il bambino entusiasta alzandosi e dando un bacio sulla guancia della madre prima di aprire il libro e iniziare a leggere la prima pagina.
“Non ora! Dai forza vestiti, devo andare a fare alcune commissioni in paese, vuoi venire con me o resti qui?” chiese Selena, il bambino la guardò con occhi imploranti e lei sospirò “D’accordo, però prima di iniziare a leggerlo, lavati e vestiti.”
Eragon non se lo fece chiedere due volte, si alzò e si spogliò velocemente, si avvicinò ad un catino posto su un tavolo, prese la brocca piena d’acqua affianco ad esso e ne versò il contenuto nella ciotola. Velocemente si sciacquò il viso e si asciugò. Poi si vestì, si pettinò i capelli e ritornò a sedersi sul letto che sua madre nel frattempo aveva rifatto.
“Io vado” disse lei dandogli un bacio sulla fronte. Sentì vagamente i suoi passi che si allontanavano, lei che prendeva il suo cestino per le verdure e che si avvicinava alla porta per aprirla e chiuderla subito dopo. Oramai la sua attenzione era focalizzata solo sul libro davanti ai suoi occhi. Era scritto con un’elegante calligrafia rossiccia, interamente nell’antica lingua. Scoprì con stupore che parlava dell’arrivo degli elfi in Alagaësia, dei Cavalieri dei Draghi, dei loro Draghi, di magia e molte altre cose. Restò affascinato dai racconti della guerra dei draghi conto gli elfi, la Du Fyrn Skulblaka. Finalmente poteva sapere la vera storia del suo omonimo, di come aveva trovato l’uovo di un drago, della fine della guerra e cosa più importante del patto tra elfi e draghi. Con molto interesse lesse la descrizione di Ilirea, ora Uru’baen, scoprendo che prima era una città elfica.
Il tempo passava inesorabile ed Eragon continuava a leggere, poi sentì qualcuno entrare per la porta di casa. Non poteva essere sua madre era ancora troppo presto. I suoi dubbi furono confermati quando sentì i pesanti passi di uomini, almeno due. Velocemente nascose il libro sotto il letto cercando di non far nessun rumore che avrebbe svelato la sua presenza. Con passo felpato si avvicinò alla porta che portava nell’ingresso, si sporse oltre lo stipite e quello che vide lo lasciò con occhi sbarrati. Nella stanza c’erano due soldati e un altro uomo. I soldati indossavano delle armature di pelle scura con il simbolo di Galbatorix, una fiamma dorata, queste mettevano in risalto molto il loro corpi muscolosi e scolpiti, avevano dei guanti con delle borchie, un largo cinturone alla vita e un lungo mantello di lana nera sulle spalle larghe. Erano armati di tutto punto: una spada, una serie infinita di pugnali, un arco e una faretra piena di frecce a tracolla. Eragon sapeva che quelli non erano comuni soldati, ma bensì le guardie speciali di Galbatorix. Quegli uomini passavano la vita ad allenarsi continuamente per migliorare sempre di più. Erano scelti solo dalle famigli che il re considerava fiduciosi per avere “l’onore” di servirlo. La loro vita era votata alla lealtà verso di lui, quelle vite dopo il giuramento di fedeltà gli appartenevano, era lui a scegliere ogni loro cosa anche se dovevano vivere o morire.
Eragon si domandò se quell’altro uomo non fosse altri che Galbatorix in persona. Aveva il volto lungo e scarno, la fronte alta e il naso affilato; occhi duri come pietre, con poco bianco intorno alle iridi scure; la bocca alta e sottile con i bordi leggermente rivolti all’ingiù circondata da una barba corta e folta, nera. Dimostrava quarant'anni, aveva rughe profonde sulla fronte e ai lati del naso e la pelle abbronzata sembrava fragile, come se non avesse mangiato altro che carne di coniglio e rape per tutto l’inverno. Le spalle erano larghe e robuste e la vita stretta. Sul capo portava una corona di oro rosso tempestata di ogni genere inimmaginabile di pietre preziose. Indossava un lungo mantello nero di un materiale che Eragon non aveva mai visto prima, sembrava della pelle ma era più fino e lucido. Al fianco portava una spada di impeccabile fattura dal fodero bianco con un diamante limpido come acqua di sorgente incastonato nel pomolo e una guardia crociata di un bianco accecante. Ma che ci faceva il re dell’impero, il traditore dell’ordine dei Cavalieri dei Draghi, nonché ultimo di questi, in casa sua? Eragon a questa domanda non sapeva darsi risposta.
Il re si girò verso di lui ed Eragon sentitosi spaventato da quegli occhi penetranti fece un passo indietro. Galbatorix si avvicinò fino a trovarsi a pochi passi da lui, si inginocchio e lo guardò negli occhi. Il cuore di Eragon gli martellava nel petto come se volesse all’improvviso balzare fuori.
“Buongiorno, sai che non è educato far appettare gli ospiti?” chiese. Aveva una voce profonda, calda e piena di autorità. Non aveva mai sentito una voce come quella.
Eragon non rispose, ma continuò a guardarlo terrorizzato. Il suo corpo si rifiutava di muoversi, di rispondere ai suoi comandi. Cercò di farsi forza. “Chi è lei?” si riempì di orgoglio quando constatò che la sua voce non tremava minimamente.
“Chi sono io? Non riesci a immaginarlo da te?” chiese come se fosse ovvio “Comunque non sono venuto qui per questo. Volevo invitarti domani al mio castello, devo farti conoscere qualcuno e se gli piacerai potrai tenerlo con te.” Disse. La sua voce era melliflua, in grado di incantare chiunque. “Ti aspetto lì dunque” detto questo si alzò e si avviò verso la porta di casa. Le due guardie erano state tutto il tempo immobili, con la schiena dritta, le mani dietro di essa e le gambe leggermente divaricate. Quando il re si mosse loro lo seguirono senza fiatare. Dopo pochi passi però Galbatorix si fermò e si rivolse nuovamente a lui.
“Non dovresti leggere quei libri mio caro ragazzo” disse, c’era una nota minacciosa, irritata, nella sua voce che spaventò non poco Eragon. Con un gesto della mano, il re, fece fluttuare il Domia abr Wyrda difronte al dodicenne. Poi sussurrò una parola che Eragon sentì a malapena, brisingr, fuoco. Il libro fu avvolto da una fiamma color pece e in pochi attimi, di esso non rimase che cenere sul pavimento della casa. Sul volto di Eragon scese una lacrima, sua madre gli aveva detto di non far scoprire a nessuno che leggeva quel libro e lui l’aveva delusa.
Nel frattempo, Galbatorix, senza aggiungere una parola, uscì di casa. Eragon rimase a fissare il mucchietto di cenere sul pavimento senza vederlo.
“Buongiorno lady Selena” sentì dire alla voce melliflua del sovrano, poi si sentì un pesante cesto cadere ed il ragazzo vide sua madre entrare di corsa in casa, appena lo vide si buttò in ginocchio davanti a lui e lo abbracciò forte.
“Cosa ti ha detto?” chiese prendendogli il viso tra le mani “Cosa ti ha detto!” urlò poco dopo.
“Ha detto… che domani vuole che io vada al castello per farmi conoscere qualcuno, non so chi però” disse il bambino spaventato dalla reazione della madre.
Un pensiero iniziò a insinuarsi nella mente di Selena. Il re doveva fargli conoscere qualcuno, ma chi? E se fosse stato… No non era possibile. O forse sì? Al castello ne rimanevano due, uno era in mano ai Varden. Galbatorix credeva che suo figlio fosse degno per toccare… certo che ne era degno. Ma perché proprio lui? C’erano tanti bambini ad Uru’baen. Centrava forse il fatto che suo padre era… Dovevano andarsene. Se fosse accaduto quello che lei temeva, Eragon sarebbe stato schiavo di quel tiranno per l’eternità.
Si alzò, chiuse la porta di casa e si avvicinò alla finestra, spostò la tendina ricamata ai ferri e guardò fuori. Le due guardie erano rimaste lì. Non avevano via di fuga. Eragon continuava a guardarla con occhi vuoti.
“Cosa vuole da me Galbatorix?” chiese. Selena sospettava che la domanda fosse più per lui che per lei, ma rispose lo stesso.
“Non lo so” mentì.
Poi si avvicinò ad un angolo dalla stanza e prese la scopa, iniziò a spazzare la polvere dal pavimento.
“Mi dispiace” sentì sussurrare a suo figlio. Selena si girò sorpresa, Eragon la guardava implorante, gli occhi lucidi. Appoggiò la scopa al muro e si avvicinò a lui.
“Per cosa?” gli sussurrò dolcemente asciugandogli le lacrime dalla guance. Eragon la guardò.
“Non sono riuscito a nascondere in tempo il libro” disse posando gli occhi sulla cenere. Selena non si era nemmeno data la briga di capire cosa fosse quella cenere sul pavimento. Si girò verso il figlio, gli sorrise e gli diede un bacio sulla fronte.
“Non fa niente, l’importante è che tu stia bene, Eragon” gli disse.
Dopo aver pulito il pavimento, iniziò a preparare il pranzo, Eragon era seduto su una sedia con lo sguardo perso nel vuoto. E’ solo un bambino per i re caduti, perché deve sopportare una vita così? Si chiese. Eragon, insieme a Murtagh era stato il regalo più bello che la vita le avesse potuto offrire. Aveva un carattere dolce e sensibile ma allo stesso tempo era un ragazzo molto curioso che ficcava il naso da tutte le parti. Da quando c’era lui la sua vita aveva finalmente un senso, sapeva però di non avergli dato la vita che si meritava, di questo non si sarebbe mai finita di incolparsi. Era colpa sua se si stavano cacciando in questo guaio. Se solo dodici anni prima fossi stata più cauta… Ora invece Eragon stava per diventare… No, non era ancora detto, e poi stava parlando di questo come se fosse una maledizione, e forse lo era davvero, chi avrebbe mai voluto essere schiavo di uno come quel pazzo di un tiranno per una vita infinita? Da una parte era felice, se Eragon fosse stato scelto, sarebbe stata davvero fiera di lui, ma dall’altra preferiva che Eragon non divenisse speciale, unico. Poi suo figlio per lei era già unico nel suo genere, con quella sua generosità e quella sua infinita dolcezza era davvero un bambino speciale. Gli lanciò uno sguardo da sopra la spalla. Rise internamente, i suoi capelli castano-biondi erano sempre spettinati, gli davano un’aria selvaggia. Doveva ammettere che Eragon stava diventando proprio un bel ragazzo.
 
Il resto della giornata passò in fretta, quando arrivò il momento di andare a dormire, Eragon non si mosse dalla sedia su cui era rimasto seduto per l’intero pomeriggio. Selena lo fece alzare e con delicatezza lo condusse nella propria stanza, non voleva farlo dormire da solo. Lo aiutò a spogliarsi e indossare il pigiama, gli rimboccò le coperte e si sedette affianco a lui carezzandogli la testa. Lui la guardò con occhi stanchi prima di sbadigliare. La madre emise una leggera risata.
“Dormi mio piccolo angelo” sussurrò prima di dargli un leggero bacio sulla fronte. Selena si alzò, si avvicinò al comodino e spense la lampada lasciando la stanza nella completa oscurità, così buia come i loro sogni di quella notte.
 
 
Angolo autrice

Mi è venuto in mente di scrivere questa storia quando ho letto per la quarantesima volta in Eldest il capitolo in cui Murtagh dice ad Eragon che al posto suo avrebbe fatto lo stesso ed Eragon che risponde: "forse". Io ho voluto, come dire, verificare questo scrivendo questa fanfiction. Ho deciso di intitolarla "La vita di un altro", fatemi sapere se ci sono errori e soprattutto cosa ne pensate e se è un'idea che vale la pena di portare avanti oppure no. I primi due o tre capitoli si svolgeranno prima degli avvenimenti del Ciclo dell'eredità. Poi continuerò da quando Arya viene catturata da Durza e così via fino alla fine dei quattro libri di Paolini. Un avviso per il lettori dell'altra mia fanfiction "The Story continues" : ho deciso di riniziarla, riguarderò i capitoli quando avrò un pò di tempo libero per correggere errori e aggiungere informazioni. Questo è tutto e fatemi sapere come vi sembra :)

DaubleGrock


 
 
 

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Capitolo 2
*** Prologo 2° parte ***


La mattina dopo

Eragon fu svegliato dallo forte bussare alla porta di casa, aprì lentamente gli occhi, rimase confuso quando capì che non si trovava in camera sua, era nella camera della madre, che ci faceva lì?
Dopo alcuni momenti i ricordi del giorno precedente assalirono la sua mente come una valanga, quel giorno sarebbe dovuto andare al castello di Galbatorix. Sentì la porta aprirsi e i passi di due uomini nell’ingresso, si alzò dal letto e si diresse verso la fonte del rumore. Le due guardie del giorno precedente stavano parlando con sua madre, il loro tono era burbero.
“…tra pochi minuti una carrozza sarà davanti la casa, vi condurrà al castello, tu e il moccioso dovrete salire senza fare storie”
La madre annuii “Saremo pronti”
Eragon corse in camera sua a vestirsi, era meglio affrettarsi, non voleva avere problemi con quei due, loro non scherzavano. Quando fu pronto andò in cucina solo per trovare la madre con la ciotola dei biscotti in mano.
“Vuoi fare colazione?” chiese con un sorriso forzato
“No” disse Eragon, non aveva fame, si sentiva come un nodo allo stomaco. La madre annuii e posò la ciotola sul tavolo. Aspettarono per diversi minuti prima di sentire il rumore degli zoccoli dei cavalli sulla strada di ciottoli fuori la casa. Eragon e Selena si guardarono prima di uscire di casa. Fuori, le due guardie si erano poste ognuno a un lato della porta come a voler formare un corridoio di cuoio e acciaio. Due roani erano legati vicino a un’elegante carrozza che attendeva poco lontano. Era di legno ciliegio con i bordi color oro, le finestrelle erano chiuse con delle tendine bianche, la porta era aperta lasciando intravedere i sediolini di velluto. Un cocchiere cercava dii tenere a bada i due grossi cavalli bianchi sul davanti della carrozza, spaventati dal fracasso della città. Le due guardie li spinsero verso la carrozza, rapidamente salirono e la porta fu chiusa subito dopo. Eragon sentì la carrozza traballare quando si mise in movimento, dalla finestrella di dietro poté vedere le due guardie seguirli sui roani. Dopo qualche minuto prese il coraggio per guardare fuori spostando una delle tendine. Stavano attraversando una parte della città che lui non aveva mai visto, sapeva che li vivevano i nobili e i ricchi commercianti. Tutte le persone, nessuna esclusa, indossavano eleganti ed elaborati vestiti insieme a preziosi gioielli. Quasi tutti avevano uno schiavo al loro seguito, esili e denutriti. Eragon provò un moto di rabbia verso quei nobili. Non era contrario alla schiavizzazione, sapeva che molte persone avevano bisogno di lavoro per vivere, ma quegli uomini venivano trattati come bestie per portare gli acquisti dei propri padroni. Decise che in futuro, se avesse potuto, avrebbe aiutato quelle persone.
Passò quasi un’ora prima che arrivassero a palazzo, Eragon era curioso di vederlo, aveva sentito che era immenso, dove viveva si vedeva poco o niente di esso. Ma in quel momento poté ammirare la potenza del palazzo di Uru’baen. Il castello si ergeva maestoso sul resto della città, era ornato di una serie di pinnacoli e parapetti, ma la cosa più impressionante era il cancello, formato da un arco colossale chiuso da due giganteschi battenti di ferro costellati la centinaia se non migliaia spuntoni acuminati, ciascuno grande quanto la testa di Eragon. Era uno spettacolo davvero impressionante ed il ragazzo non riusciva ad immaginarsi uno spettacolo meno ospitale di quello. Eragon e sua madre furono fatti scendere dalle due guardie, una di queste si diresse verso un portoncino stretto e buio, alla sinistra dell’immenso ingresso, quasi invisibile attraverso cui poteva passare a stento un uomo. Li dentro c’era una striscia di metallo più chiaro, larga forse tre dita e lunga forse il triplo. Quando la guardia si avvicinò, la striscia rientrò di mezzo pollice e scivolò di lato con uno stridio rugginoso.
“Chi va là?” domandò una voce boriosa dall’altra parte del portoncino “Dimmi cosa vuoi, altrimenti sparisci!”
“Calma Egan, lasciaci passare, il re li vuole vedere” disse la guardia
“Brutus? Dove sei stato tutta la notte, ti ho conservato un po’ di quell’ottimo idromele, per poco i ragazzi non se lo scolavano tutto.” Disse Egan mentre apriva il portoncino. Così quell’uomo si chiamava Brutus, un nome azzeccato pensò Eragon.
Dopo il portoncino si apriva un grande atrio, e dopo questo un vestibolo che proseguiva per circa un quarto di miglio e portava alle spalle di Uru’baen. In fondo c’era un altro portale massiccio come il primo, però coperto di pannelli d’oro che risplendevano alla luce di delle strane lanterne che si estendevano a intervalli regolari lungo le pareti, erano fatte di un singolo pezzo di vetro a forma di goccia, grande due volte un limone, ognuna di loro era di una tonalità di colore diverso, la luce non ondeggiava ne tremolava. Il vetro era racchiuso fra quattro sottili tralci di metallo, saldati in cima a creare un gancio e in basso a formare tre graziosi riccioli. Nell’insieme un oggetto molto raffinato. Da un lato e dall’altro si diramavano corridoi secondari più piccoli di quello principale. Ai muri ogni cento piedi erano appesi gli stendardi rossi con il ricamo della fiamma d’oro guizzante, l’emblema di Galbatorix. Per il resto il vestibolo era spoglio. La sala del trono molto probabilmente era dietro la porta dorata nel fondo del corridoio.
Eragon, Selena e le due guardie iniziarono a incamminarsi verso il portale, arrivati li Eragon poté studiarlo con più attenzione. Eragon studiò le decorazioni d’oro. Incisa a sbalzo sui battenti c’era una quercia a grandezza naturale, le cui foglie formavano una chioma arcuata che ricadeva fin sulle radici, tracciando intorno al fusto un grosso cerchio. Dal tronco, più o meno a metà, spuntavano due grossi rami, uno da una parte e uno dall’altra, che dividevano lo spazio circolare in quattro sezioni. Nel riquadro in alto a sinistra era raffigurato un esercito di elfi armati di lance che marciava in una fitta foresta. In alto a destra, umani che costruivano castelli e forgiavano spade. In basso a sinistra, delle creature che Eragon, dai racconti di sua madre, dedusse che fosse Urgali o Kull bruciavano un villaggio e uccidevano gli abitanti. In basso a destra, nani che scavavano gallerie ricche di gemme e metalli preziosi. Tra le radici e i rami della quercia Eragon scorse dei grossi gatti e dette strane creature con la schiena curva e forma vagamente umana. E, raggomitolato al centro del tronco, un drago con la punta della coda in bocca, come se si stesse mordendo da solo. Il portale era magnifico. In circostanze diverse sarebbe rimasto a guardarlo per ore.
I due uomini riuscirono ad aprire uno dei battenti. Dall’altra parte dell’arco cavernoso si apriva un’enorme sala in penombra.
“Il ragazzo deve entrare da solo” disse Brutus
La madre lo abbracciò, poi una delle guardie lo spinse dentro e il battente si richiuse con un tonfo.
Eragon non riuscì a valutare quanto grande la sala fosse perché le pareti erano nascoste dal velluto dell’oscurità. L’ingresso era fiancheggiato da file di quelle strane lanterne montate su aste di ferro, che riuscivano a stento a illuminare il pavimento a scacchi, mentre un tenue bagliore proveniva dai cristalli incastonati nel soffitto altissimo. Le due file di lanterne terminavano cinquecento piedi più avanti, alla base di un’ampia pedana dove si ergeva un trono. E lì sedeva una sagoma ammantata di nero, l’unica presenza in tutta la sala.
Con passo lento ma deciso, Eragon, si incamminò verso la sagoma. Dopo alcuni passi, Eragon riuscì a distinguere due piedistalli di marmo nero, uno alla destra e uno alla sinistra del trono. Avvicinandosi ancora un po’, notò che sopra di essi, poggiati su dei cuscini di velluto c’erano due pietre di diverso colore. Eragon sapeva, da quello che la madre gli aveva insegnato, che quelle due pietre erano in realtà uova, uova delle creature più antiche di tutta Alagaësia, due delle tre ultime uova di drago. Quella di sinistra era di un verde brillante screziato di bianco. Ma fu quella di destra ad attirare l’attenzione di Eragon. La sua superficie perfetta era di un blu intenso, venata di una sottile ragnatela di striature bianche, era poco più grande di quella verde, lunga più o meno un piede e di forma ovale. La pietra lo affascinava.
Arrivato a pochi passi dal trono, Galbatorix, si alzò e si rivolse a lui.
“Benvenuto nel mio castello, ragazzo” disse. La sua voce melliflua e calma quasi lo rilassò, quasi. “Non ho ancora avuto il piacere di sapere il tuo nome, tua madre non me lo ha mai detto. Come ti chiami?”
Eragon pensò velocemente, non voleva far sapere il suo nome a Galbatorix, in quel momento fece la sua scelta: avrebbe rivelato il suo nome solo a coloro cui dava la sua fiducia e questo certamente non includeva il re. Non sapeva cosa si aspettava, sicuramente niente di buono.
“Valdor” disse
Galbatorix sorrise “Ti avevo detto che ti avrei presentato qualcuno, vieni” con un movimento della mano gli fece cenno di seguirlo. Galbatorix lo condusse davanti al piedistallo con sopra l’uovo smeraldo. Con delicatezza, il re, lo prese in mano e glielo porse. Non sapendo cosa fare, Eragon rimase immobile.
“Prendilo” disse il re. Eragon lentamente lo prese, la sua superficie era fredda e liscia al tatto come seta solidificata. Pesava qualche libbra, ma era più leggero di quanto si fosse aspettato. Galbatorix osservò, in silenzio, per alcuni minuti la pietra come se stesse cercando di leggerne i pensieri. Dopo un po’, scosse la testa, prese la pietra dalle mani di Eragon e la ridepose sul piedistallo. Ancora una volta fece segno di seguirlo e si spostarono al secondo piedistallo. Come col precedente, Galbatorix gli porse l’uovo rimanendo concentrato su di esso per un po’. Dopo qualche attimo, un sorriso vittorioso si dipinse sul volto del re.
“Come promesso se gli saresti piaciuto avresti potuto tenerlo” disse sorridendo. Era il sorriso più cupo che Eragon avesse mai visto, un sorriso che era capace di far tremare chiunque.
Galbatorix gli prese nuovamente l’uovo dalle mani. Poi Eragon sentì una parola, Slytha, e tutto si fece buio.
 

Angolo autrice


Ecco un altro capitolo, solo è un pò piccolo :ehehe: è la seconda parte del prologo :laugh: voglio ringraziare ilArya01 per aver recensito la mia storia e tutti coloro che la hanno letta, fatemi sapere cosa ne pensate wink

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Capitolo 3
*** Prologo 3° parte ***


Lentamente Eragon aprì gli occhi per richiuderli subito dopo per la forte luce proveniente dalla grossa finestra alla sua sinistra. Si trovava in un comodissimo letto a baldacchino, sotto strati di coperte calde e morbide. Con cautela riaprì gli occhi, dalla posizione del sole dedusse che fosse metà pomeriggio. Ma se aveva dormito poche ore o giorni, Eragon non lo sapeva. Cercò di mettersi a sedere, ma si fermò quando scoprì qualcosa di duro appoggiato al suo fianco destro. Girando la testa vide che si trattava della pietra del giorno prima. Velocemente studiò la stanza in cui si trovava, era piuttosto elegante: numerosi quadri abbellivano le pareti bianche, un grosso armadio di mogano si trovava vicino un’ampia scrivania con sopra una penna e una boccetta di inchiostro, in un angolo era posto un piccolo tavolino con sopra un catino di porcellana, due comodini, uno a ogni parte del letto e un’elegante sedia, prima quasi certamente posta davanti alla scrivania, ora si trovava alla sua destra, e, sopra di essa, addormentata, c’era sua madre con una coperta di lana posta sulle gambe. Chissà da quanto temo è lì, si chiese Eragon.
Con una smorfia dovuta al forte mal di testa, Eragon, si mise a sedere facendo attenzione a non far cadere l’uovo di drago. Si sistemò meglio con la schiena contro i cuscini e iniziò a studiarlo accuratamente. Poté notare nuovi particolari che arricchirono ancora di più la bellezza e l’impeccabilità dell’uovo, le linee bianche seguivano una schema ben preciso e accurato, mettendolo alla luce del sole, il colore della pietra cambiava in diverse tonalità: dal celeste fino al blu profondo. La superficie era perfettamente liscia, senza nemmeno un’impurità o un’ammaccatura. In una sola parola era perfetta in tutti i suoi aspetti.
Ma perché Galbatorix aveva lasciato l’oggetto più prezioso dell’impero a lui? Non avrà mica creduto, che lui, Eragon, un semplice ragazzo, non meno umile del più umile dei contadini, potesse divenire Cavaliere dei Draghi? Era relativamente impossibile! O forse no?
“Eragon?” la madre, che nel frattempo si era destata dal suo sonno lo guardava.
“Mamma!” Eragon posò la pietra sul letto le saltò dalle braccia.
Selena lo strinse forte a se, aveva avuto paura di non rivedere più il suo piccolo angelo “Il mio piccolo Eragon…” mormorò tra le lacrime di gioia.
“Non sono più piccolo mamma” disse Eragon sciogliendo l’abbraccio e risedendosi sul letto portando le gambe al petto e la testa sulle ginocchia
La madre lo studiò attentamente prima di parlare “Lo so, lo so.” Sussurrò
“Cosa ci farà Galbatorix?” chiese Eragon pensieroso
“Niente, non preoccuparti, andrà tutto bene, vedrai” disse la madre dolcemente.
“Sai che non è così, vero?” disse Eragon accarezzando distrattamente l’uovo.
Selena sorrise tristemente non sapendo se essere orgogliosa del suo bambino ormai cresciuto “Sei sempre stato molto intelligente, Eragon. Quanto vorrei averti dato una vita migliore anni fa”
Eragon preso alla sprovvista da quell’affermazione si avvicinò alla madre e l’abbracciò forte. Ora sapeva che sua madre aveva cercato di salvarlo.
“Avrei tanto voluto darti una vera casa” disse singhiozzando, Eragon poteva iniziare a sentire la sua camicia umida. Un moto di compassione lo spinse a dire qualcosa che sapeva essere vero.
“La mia casa è ovunque, basta che ci sei tu”
 


**************************

 

I giorni si susseguirono lenti con sempre la stessa routine, tutto il tempo lo passava in quella stanza che aveva iniziato ad odiare, un’ora al giorno sua madre veniva a fargli visita accompagnata da Brutus. Colazione, pranzo e cene gli venivano portati da un’anziana cameriera di nome Lizzy. Era davvero una donna amabile e premurosa, portava sempre i suoi capelli grigi screziati di bianco in una crocchia ordinata. I suoi vesti erano umili e sopra di essi non mancava mai il suo grembiule bianco. Ogni volta che veniva da lui gli portava un biscotto al cioccolato preso di nascosto dalle cucine. Si era molto affezionato a lei e la considerava un po’ come una nonna, o almeno, era la figura più vicina ad esserlo.
I giorni ben presto si trasformarono in settimane senza nessun cambiamento degno di nota. Ma quasi allo scadere della quinta settimana…
Eragon stava osservando, come quasi tutti i giorni a quell’ora, lo brulicare della città sottostante dalla finestra della sua camera quando un squittio acuto lacerò il silenzio. Si girò di scatto credendo che qualcuno fosse entrato ma non c’era nessuno. Forse è un topo, pensò, ma ci ripensò subito dopo, era troppo forte per appartenere a un topo o a un ratto e dubitava che si potessero trovare nella parte alta del castello. Si avvicinò alla scrivania sobbalzando per un altro squittio acuto. Prese l’uovo da sopra la scrivania e iniziò ad accarezzalo distrattamente mentre esaminava la stanza. Un altro squittio gli trillò nelle orecchie e gli riverberò nella dita. In quel momento si accorse che proveniva dall’uovo. Possibile che si stesse… schiudendo?
Eragon lo posò delicatamente sul letto. L’uovo dopo diversi altri squittii ne emise un ultimo più sonoro degli altri e tacque. Passarono interi minuti ed Eragon stava quasi tornando ad osservare Uru’baen quando l’uovo iniziò a dondolare furiosamente, poi iniziò a squittire e vibrare più forte di prima. Ad un tratto, sulla superficie dell’uovo comparve una crepa. Poi un’altra e un’altra ancora. Affascinato, Eragon si chinò per osservarlo più da vicino. In cima dove s’incontrava la ragnatela di fessure, un piccolo frammento sussultò, come se fosse in equilibrio, si sollevò, e poi cadde sul letto. Dopo alcune serie di squittii dal foro sbucò una piccola testa color zaffiro, seguita da un corpo lungo e flessuoso insieme a un paio di large ali. In poco tempo, il drago, sgusciò del tutto fuori dall’uovo.
Passarono alcuni minuti, poi il drago iniziò a leccare la membrana dell’uovo dalle sue piccole e tenere ali. Nel frattempo Eragon lo fissò con più attenzione. Era lungo appena quanto il suo avambraccio, eppure aveva già un’aria nobile e dignitosa, le ali erano parecchie volte più lunghe del corpo, listate di sottili nervature d’osso che si estendevano dal bordo davanti, formando una serie di artigli distanziati. La testa del drago era triangolare; dalla mascella superiore spuntavano due piccole e bianche zanne affilate. Anche le unghie erano bianche come lucido avorio e ricurve. Lungo la spina dorsale della creatura, dalla base della testa fino alla coda, correva una cresta di punte acuminate. Dove le spalle si univano al collo, le punte erano più distanziate che altrove: lì lasciavano uno spazio vuoto. I suoi occhi erano azzurro ghiacciò e profondi come l’oceano.
Dopo aver leccato tutta la membra iniziò a muoversi traballante verso di lui inciampando ogni qual volta nelle sue ali. Eragon trovò talmente divertente quella vista che non poté far altro che ridere. Il drago si immobilizzò di colpo, i suoi occhi si fecero lucidi e assunse un’espressione indignata. Eragon lo guardò stupito.
Doveva anche capitarmi un drago orgoglioso pensò
“Mi dispiace, non dovevo ridere di te” disse. Il drago si girò dall’altro lato e lo ignorò.
Eragon sospirò “Grande e possente drago potrete mai perdonarmi” disse in tono adulatorio.
Il drago si rigirò verso di lui e riiniziò ad avvicinarsi cercando di non inciampare nelle sue grandi ali. Mentre osservava la piccola creatura, ad Eragon, gli sfuggì un sorriso di tenerezza. Tese la mano destra e tocco la fronte del drago.Un lampo di gelida energia gli trafisse la mano e gli percorse il braccio, bruciandogli le vene come fuoco liquido. Cadde all'indietro, lanciando un urlo. Un clangore metallico gli risuonò nelle orecchie, e sentì un muto grido di rabbia. Ogni parte del suo corpo bruciava di dolore. Provò a muoversi, ma non ci riuscì. Dopo quelle che gli parvero ore, il calore gli tornò formicolando nelle membra. Scosso da un tremito incontrollabile, si mise in ginocchio davanti al letto. Aveva la mano intorpidita, le dita paralizzate. Preoccupato, si guardò il palmo della mano: La pelle gli prudeva e bruciava come se fosse stato morso da un ragno. Il cuore gli batteva all'impazzata, al centro del palmo si stava formando un lucido ovale bianco.
Sapeva perfettamente cos’era, il Gedwéy ignasia, il palmo luccicante, il simbolo dei Cavalieri dei Draghi. Era un Cavaliere.

 

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Capitolo 4
*** Prologo 4° parte ***


Eragon carezzava delicatamente le scaglie lucenti del suo drago mentre questi sonnecchiava con la sua piccola testolina appoggiata sulla sua gamba. Ogni tanto i suoi artigli di avorio stringevano le coperte del suo letto e dalle sue narici usciva un piccolo sbuffo di fumo, Eragon non aveva mai visto creatura più straordinaria. Ancora non poteva crederci, se qualcuno il giorno prima gli avesse detto che sarebbe divenuto Cavaliere lo avrebbe preso per matto.
Lentamente il sole iniziò a tramontare ed Uru’baen si tinse di un tenue rosso, quando anche gli ultimi raggi erano vagamente visibili, Brutus, entrò di gran carriera nella sua stanza. Lanciando un’occhiata al drago si rivolse a lui in tono burbero, ma stranamente triste.
“Il re vuole vederti” disse
In quel momento il draghetto si accorse della presenza dell’uomo e lo guardò con curiosità piegando la testolina prima da un lato e poi da un altro senza però mai allontanarsi da Eragon.
“Anche lui” disse Brutus indicando il drago.
Eragon si alzò dal letto, prese il suo drago imbraccio e seguì l’uomo. Durante il tragitto, Eragon vide anche Tilly (è il nome della cameriera, prima l’avevo chiamata Lizzy, però non mi piaceva tanto e non andava tanto bene per lei quindi ora ho cambiato in Tilly) con delle lenzuola pulite sotto braccio, molto probabilmente stava svolgendo le sue mansioni giornaliere. Con sorpresa di Eragon, Brutus e Tilly si scambiarono un cenno d’intesa.
Strano Brutus non ha proprio degnato di uno sguardo gli altri servi, cosa tiene di speciale Tilly?
Mentre pensava questo sentì anche un senso di accordo provenire dalla mente del suo drago che lo stava guardando con i suoi liquidi occhi color zaffiro.
Dopo una buona mezz’ora di cammino, finalmente, arrivarono davanti alle grandi porte d’oro della sala del trono. Anche questa volta Eragon ne rimase affascinato dalla loro complessità. Davanti ad esse c’erano due guardie, una a ogni lato dei battenti. Avevano delle lance in mano che in quel momento tenevano incrociate davanti le porte e lo sguardo fisso davanti a loro, sembravano non respirare. Quando Brutus si fermò davanti alle porte, esse ritirarono le lance e aprirono i battenti. Come la volta precedente, Eragon fu preso dal panico nell'incontrare nuovamente Galbatorix, ma entrò comunque. Nulla era cambiato dall'ultima sua visita, solo che questa volta nella sala c'era solo un unico piedistallo e su di esso l'uovo color dello smeraldo. Galbatorix era davanti ad esso intento ad osservarlo con sguardo pensieroso.
"Benvenuto Valdor" disse senza degnarlo di uno sguardo "ma soprattutto benvenuta a te giovane dragonessa" disse spostando nuovamente gli occhi sul suo drago.
Dragonessa? si chiese Eragon. Un cenno affermativo gli arrivò dalla coscienza del drago o meglio dragonessa.
"Puoi lasciarci Brutus" disse il re facendo un gesto non curante verso l'uomo. Brutus fece un profondo inchino e lasciò la sala. Una piccola parte di Eragon ebbe ancora più paura quando l'uomo se ne andò, non voleva rimanere solo con l'essere più pericoloso del regno.
"Avevo ragione, sapevo che saresti diventato Cavaliere. Proprio come tuo padre Morzan. E proprio come lui tu mi servirai e mi giurerai fedeltà." disse
Se prima Eragon era spaventato, era un eufemismo dire che ora era terrorizzato. Giurare fedeltà era una cosa che non aveva proprio immaginato di fare e per di più a Galbatorix. Ma come poteva tirarsi indietro? Non aveva modo di contrastare i poteri del re. Non ci era riuscito Vreal, che possibilità aveva lui? Ma non poteva nemmeno cedere, non avrebbe giurato fedeltà all'uomo più pericoloso di Alagaësia, non senza almeno lottare.
"Tu mi giurerai fedeltà." disse nuovamente il re. Sembrava molto sicuro di se stesso e molto probabilmente non avrebbe accettato un no come risposta. Ma...
"No" rispose Eragon facendo un passo indietro. La dragonessa tra le sue braccia cigolò.
"No?" chiese Galbatorix divertito, ci fu un movimento alle sue spalle. La dragonessa iniziò a ringhiare contro le alte tende nere dietro il trono. Eragon guardò con più attenzione e dopo pochi secondi esse si sollevarono e quelle che prima Eragon credeva che fossero tende, in realtà era ali, grosse, immense ali nere come la pece. Quando si furono sollevate comparve un occhio dall'iride azzurrissima quasi trasparente in netto contrasto con le sue squame nere. Il drago sollevò la sua gigantesca testa ed annusò la piccola dragonessa mentre lei ed Eragon rimanevano completamente immobili. Quando ebbe finito sbuffò, mise la testa sulle sue zampe anteriori e chiuse gli occhi.
Eragon portò nuovamente la sua attenzione su Galbatorix che lo guardava soddisfatto.
"Allora?" chiese il re sorridendo maligno.
"No" ripeté Eragon
In quel momento il sorriso di Galbatorix si affievolì "Durza!" chiamò
Un uomo alto e snello si fece avanti dall'ombra, appena lo vide Eragon rabbrividì, non aveva mai visto un uomo simile.
"Credo che questo moccioso debba imparare un po’ come comportarsi" disse
"Certo sire" rispose Durza compiaciuto
 
          ***********
 
Uno, due, tre, quattro. Un passo, due passi, tre passi, quattro passi....
Brutus sospirò e si lasciò scivolare contro il muro del corridoio umido e maleodorante. Mise la testa tra le mani cercando di pensare ad altro mentre sentiva le grida strozzate di un ragazzo di appena dodici anni. Questo era troppo anche per lui. Dodici anni! Non si era arruolato per questo. Non aveva scelto di partecipare alla missione per questo. Erano ormai sei ore che quel ragazzo era nella stanza della tortura con quel maledetto spettro. Anche se non l'avrebbe mai ammesso quel ragazzo gli piaceva. Dopo che Durza lo aveva portato li, Brutus era stato convocato dal re per "badare" al cucciolo di drago che in quel momento stava grattando la porta della stanza delle torture con gli artigli emettendo lamenti disperati. A quanto pare il ragazzo non voleva cedere, non voleva giurare fedeltà al re.
Dopo quelli che parvero secoli, finalmente le urla cessarono, ma Brutus non sapeva se esserne felice e terrorizzato. Non sapeva quanto oltre si era spinto lo spettro.
Durza uscì dalla stanza, la sua tunica marrone era imbrattata di sangue fresco, come anche le sue mani. Se ne andò senza guardarlo o rivolgergli alcuna parola. Brutus si alzò ed entrò cauto nella stanza avendo paura di cosa avrebbe trovato. La stanza era scarsamente illuminata da uno stoppino di candela su un tavolo in un angolo, diversi attrezzi erano poggiati su di esso, la maggior parte coperti di sangue, una brace con dei tizzoni stava vicino al tavolo. Il drago già si era precipitato dentro ed in quel momento stava cercando di saltare sul tavolo delle torture senza esito. E su quel tavolo c'era il corpicino immobile del giovane ragazzo. Stava respirando affannosamente, aveva gli occhi chiusi e alcune lacrime gli scendevano da sotto le palpebre scavandosi una via tra la sporcizia e il sangue rappreso. Il suo torso era pieno di graffi e scottature e si potevano anche vedere alcuni lividi che andavano dal violaceo al verde-giallo. Della sua maglia non rimanevano altro che brandelli. Era a malapena cosciente. Non aveva mai visto uno spettacolo più orribile.
Facendo passare un braccio sotto la testa e uno sotto le gambe Brutus lo sollevò con delicatezza. Il drago seguiva i suoi movimenti attentamente con i suoi occhietti intelligenti. Camminando lentamente, seguito dal drago, Brutus, si avviò verso le stanza del ragazzo rallentando ogni qual volta egli emetteva un gemito.
"Tilly! Tilly!" urlò quando arrivò in prossimità della camera. La donna uscì di gran carriera da uno dei corridoi laterali e quando vide il ragazzo si coprì la bocca con una mano.
"Presto portiamolo dentro" disse frettolosamente.
Entrarono nella stanza e con cura adagiarono il ragazzo sul letto. Il drago si accoccolò affianco a lui.
"Prendimi dell’acqua e dei panni, devo pulirgli le ferite se no si infetteranno!" disse Tilly
"Certo” disse Brutus correndo verso le cucine dove sapeva che avrebbe trovato l'occorrente anche in piena notte.
 Quando tornò in camera scoprì che c'era anche una altra persona che riconobbe come la madre del ragazzo. Lei era accovacciata al lato del letto stringendogli una mano tra le sue mente singhiozzava silenziosamente.
Brutus passò il secchio d'acqua e le bende a Tilly che si mise subito all'opera. Quando ebbe finito, l'acqua nel secchio, si era tinta di un color rosso acceso ed il torso del ragazzo era completamente fasciato da garze immacolate con qualche macchiolina cremisi qua e là.
"Ho fatto tutto quel che potevo" disse Tilly coprendo il ragazzo con una coperta di lana. "Solo il tempo potrà fare il resto"
"Grazie" disse la madre continuando a stringere la mano del figlio.
Brutus sapeva che però quello era solo l'inizio per il ragazzo, l'inizio del suo inferno.

Angolo autrice

Finalmente ho finito l'ultimo capitolo del prologo :laugh: Ci ho messo tanto tempo per vari motivi, per una settimana sono stata a Milano, poi quando sono ritornata ho dovuto riformattare il pc per un errore, poi ci è stato un black-out per tre giorni, poi word non funzionava più e l'ho dovuto reinstallare un miliardo di volte prima che rifunzionarsse, stavo quasi per arrendermi e stavo quasi per "uccidere" il mio pc, ma finalmente ce l'ho fatta :laugh: Fatemi sapere com'è, soprattutto nell'ultima parte che credo di aver esagerato un pò :sleep: e quelli che aspettavano l'incontro tra il re ed Eragon sono finalmente accontentati. Ciao :)

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Capitolo 5
*** Capitolo 1 ***


Eragon si abbassò per evitare un fendente che mirava al suo collo per rialzarsi subito dopo. Era una tiepida mattina di inizio autunno. Gli alberi avevano perso quasi del tutto le loro foglie che ora giacevano sul prato una volta verdeggiante ora multicolore. Sulle scale che portavano verso l’interno del palazzo c’erano sedute due donne, sua madre, che stava leggendo un libro, e Tilly che stava lavorando i ferri. Entrambe stavano parlando amabilmente come due grandi amiche, e lo erano realmente. Il cielo era di un blu intenso con alcuni ciuffi di nuvole sparse qua e là in lontananza si poteva intravedere un grosso stormo di rondini migrare verso sud. Quanto avrebbe voluto andare con loro. Infine, nel centro del giardino, sotto i raggi del sole, era sdraiata la creatura più bella di Alagaësia, la sua Saphira. Quanto era cresciuta in quegli ultimi tre anni, dalla grandezza di un micetto a quella di quattro cavalli messi uno sopra l’altro. Saphira insieme a sua madre rappresentavano tutto il suo mondo, la loro sicurezza era la sua più grande priorità, non gli interessava che la sua vita sarebbe per sempre legata a Galbatorix, l’unica cosa importante era che i suoi cari sarebbero stati al sicuro. Il cortile centrale del palazzo di Uru’ baen, in un’altra qualsiasi giornata, sarebbe potuto sembra il luogo più tranquillo del regno, ma non quel giorno. Davanti a lui c’era un uomo che, anche se negli ultimi tre anni, era invecchiato non poco, era comunque un avversario formidabile, anche per le sue doti elfiche. Ebbene sì, lui era un mezzelfo, e lo era grazie alla sua dragonessa. Le torture subite da Galbatorix per fargli giurare fedeltà erano state talmente dure che aveva rischiato di morire diverse volte. Saphira, non sapendo come, gli aveva dato la “forza” per superarle trasformando in un mezzelfo. Pochi giorni dopo Galbatorix era entrato nella sua mente ed aveva scoperto il suo vero nome e, minacciando di farlo torturare nuovamente, teneva sotto scacco Saphira e sua madre.
“Più veloce Valdor!” gridò Brutus facendolo indietreggiare.
Eragon cercò di parare i continui fendenti provenienti da ogni direzione, destra, sinistra, sopra, sotto. Erano due ore che andavano avanti così e le sue braccia sembrava che se ne volessero cadere da un momento all’altro.
Certo che non scherza questo disse mentalmente a Saphira, dalla dragonessa gli arrivò il suo divertimento.
Ma guardate, un ragazzo, nel pieno delle sue forze, per altro Cavaliere, che viene battuto da un vecchietto sogghignò la dragonessa
Non è divertente Saphira disse Eragon indietreggiando ancora dipiù.
Si che lo è insistette la dragonessa.
No e poi non sono stato ancora battuto si difese Eragon ferito nell’orgoglio, ma non finì la frase che Brutus con una stoccata al polso lo disarmò e gli puntò la lama alla gola.
La dragonessa iniziò a ridere in quel suo strano modo draconico fatto di sbuffi e schiamazzi.
Saphira! La rimproverò Eragon, ma la dragonessa era come non lo sentisse tanto persa nella sua ilarità.
“Devi migliorare Valdor, io non ci sarò sempre a difenderti” disse serio Brutus
“Ci riuscirei sicuramente se non tenessi un drago che ride ad ogni mio fallimento” sussurrò a denti stretti Eragon
“Cosa?” chiese Brutus
“Niente” si affrettò a rispondere Eragon
“Cavaliere!” una voce affannata provenne da dietro di lui, Eragon si girò e scoprì che la voce proveniva da una guardia reale che correva verso di loro. “Il re richiede urgentemente la vostra presenza” disse appena poté riprendere fiato.
“Gli dica che lo raggiungerò immediatamente” disse Eragon, la guardia fece un inchino e se ne andò.
Cosa vorrà questa volta? Chiese Eragon a Saphira
Non lo so ma ogni volta che quel pazzo ti fa chiamare è sempre urgente disse Saphira
Infatti
Forza vai piccolo mio, sai cosa succede se lo fai attendere, il re non è una persona molto paziente.
Va bene. Ah, Saphira, che ne dici di fare un voletto dopo? Sono due giorni che non voliamo insieme.
Certo piccolo mio, non vedo l’ora di volare con te, poi potremo andare in un posto che ho scoperto qualche giorno fa!
Dove?
Non te lo dico è una sorpresa
Eragon cercò di guardare nei suoi ricordi ma Saphira gli teneva una parte della sua mente nascosta e dopo un po’ si arrese.
Nemmeno una sbirciatina?
No curiosone
Curiosone a chi?
Naturalmente a te
Eragon sbuffò spazientito, alcune volte Saphira era proprio irritante.
D’accordo mi arrendo, ci vediamo dopo Saphira
 
**********
 
Eragon entrò nella sala del trono, il re lo aspettava girato di schiena guardando un punto indefinito al di fuori delle grandi finestre della sala.
“Maestà” disse Eragon inchinandosi
“Valdor, come stanno andando aventi i tuoi allenamenti con Brutus?” chiese il re
“Bene mio re” disse Eragon
“Ne sono compiaciuto” disse Galbatorix
“Mi ha fatto chiamare per questo?” chiese Eragon
Mi ha fatto camminare per quasi un’ora per arrivare qui per chiedermi come va il mio addestramento? Si chiese Eragon spazientito
Forse anche per qualcos’altro disse la voce della sua coscienza: Saphira
“No, c’è dell’altro” disse il re con un luccichio poco rassicurante
Sentito? Disse Saphira
E d’accordo hai avuto ragione
Io ho sempre ragione
Che vanitosa
Saphira sbuffò mentalmente ed Eragon rivolse nuovamente il suo sguardo al sovrano di Alagaësia.
“Quasi un mese fa, Durza,” Eragon strinse i denti a quel nome “ha intercettato i tre elfi che si occupavano di trasportare l’uovo di drago, rubato a me anni or sono, dai Varden agli elfi. Purtroppo prima di riuscire a prenderlo un elfo è riuscito a mandare il mio tesoro (forse troppo Gollum?) chi sa dove” Eragon vide il re stringere i pugni finché le nocche delle mani non divennero bianche “da allora Durza sta cercando di estorcere le informazioni dell’elfo, purtroppo gli altri due sono morti”
“Cosa c’entro io con questo? Se posso chiedere” chiese Eragon cauto
“Voglio che tu vada a Gil’ead e cerchi di guadagnarti la fiducia dell’elfo” ordinò il re
“Certo sire, quando posso partire?”
“Domani all’alba” detto questo il re si girò e continuò a guardare Uru’baen dall’alto.
Eragon fece dietro front ed uscì dalla sala. Non sapeva cosa avrebbe affrontato a Gil’ead, ma una cosa era certa, non avrebbe potuto scoprire cosa aveva trovato Saphira.
 

Angolo autrice

ringrazio tutti coloro che fin'ora hanno commentato, spero che questo capitolo vi sia piaciuto anche se non è molto lungo commentate e fatemi sapere cosa ne pensate

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Capitolo 6
*** Capitolo 2 ***


Non si era mai sentito più libero come in quel momento, poteva sentire il vento tra i capelli e sul viso. Finalmente era lontano da tutto e da tutti, ma soprattutto lontano da Galbatorix.
Aveva sempre amato volare con la sua Saphira, sentirsi libero, anche perché era l’unico momento in cui potevano esserlo. Erano partiti due giorni prima da Uru’baen ed in quel momento Gil’ead era in vista.
Se Eragon avrebbe dovuto descrivere la città con una sola parola, avrebbe detto sudicia. E lo era in tutti i sensi. Saphira atterrò davanti alle porte di Gil’ead perché la città era troppo piccola per accogliere un drago. Eragon la salutò e si addentrò in essa.
Le strade erano sporche, piene di fango e del resto dei vasi da notte il che le rendeva molto scivolose, la maggior parte della gente appena lo vide si barricò in casa.
Paura pensò Eragon
Prova tu a vivere nella stessa città dove vive anche uno spettro gli puntualizzò Saphira
Eragon rabbrividì alla prospettiva
Arrivato nella piazza principale fu accolto da diverse bancarelle e nel centro una pedana, sopra la pedana c’era un uomo che teneva per un braccio una giovane donna.
“Gli schiavi migliori di Alagaësia, comprate, ad un prezzo vantaggioso, l’affare migliore che abbiate mai fatto” gridava
Molte volte Eragon aveva visto i mercanti di schiavi, ed ogni volta aveva provato l’impulso di ucciderli e liberare i prigionieri, ma sapeva che prima o poi li avrebbero riacciuffati.
Eragon stava quasi per andarsene, quando ad un tratto un ragazzino gli tagliò la strada seguito a ruota da un mercante.
“Fermati moccioso” gridò
Ma il bambino che non poteva avere più di dieci anni continuò a correre, purtroppo addentrandosi in una via laterale si trovò davanti un muro.
La curiosità di Eragon lo vinse ed iniziò a avvicinarsi, nella via laterale si poteva ancora sentire l’eco delle urla del mercante di schiavi e il vociare delle persone.
“Hai pensato di rubare le mie mele, vero? Ma tu sai cosa succede a chi ruba? Perde una mano.” Disse il mercante con tono minaccioso
Il bambino lanciò un urlò quando il mercante lo prese per un polso ed Eragon vide una mela cadere a terra. Quando il mercante alzò un pugnale decise di intervenire.
“Mi dispiace interromperla, ma le consiglio di lasciarlo” disse Eragon
“Non sono affari vostri, andatevene” disse il mercante arrabbiato per essere stato interrotto
“Io le consiglio di lasciarlo prima che qualcuno si faccia male”
Il marcante rise ed il bambino lo guardò con curiosità.
“Dice sul serio?” lo derise il mercante
“Forse, ma si faccia una domanda, vi sembro qualcuno con cui scherzare?” disse Eragon con un misto di divertimento e tono omicida.
Da quel momento il mercante fu più attento.
“Mi ha rubato una mela” disse sulla difensiva
“Quanto l’avrebbe pagata quella mela?” chiese Eragon
“Due corone di rame” rispose il mercante
Eragon annuii “Queste bastano?” disse cacciando la cifra da sotto il mantello
Il mercante, che si aspettava che nessuno avrebbe sborsato una cifra simile per un’unica mela rimase zitto per alcuni secondi, poi, “Si ma deve comunque pagare per i suoi crimini” disse il mercante risoluto
Eragon sospirò stizzito “Lo guardi, è più secco di un fuscello, secondo lei procurarsi da mangiare quando non si ha niente è un crimine?”
Il mercante non seppe dare risposta, ma lasciò la presa sul polso del ragazzo, si girò e se ne andò.
“Come ti chiami?” chiese Eragon al ragazzo dopo pochi secondi.
Il ragazzo lo guardò a lungo senza sapere se rispondere o no. “Henry” disse alla fine
“Io mi chiamo Valdor. Allora Henry, lo sai che non bisogna rubare?” chiese Eragon con tono dolce inginocchiandosi davanti al ragazzo.
“La mia famiglia muore di fame, mia madre è malata e mio padre è morto” disse il bambino con gli occhi lucidi.
Eragon si chinò, raccolse la mela, la pulì e la consegnò al bambino. “Che ne dici se andiamo a vedere se possiamo fare qualcosa per tua madre?”
Il bambino annuì felice, lo prese per una mano e lo iniziò a trascinare per gli stretti e sporchi cunicoli di Gil’ead.
Lo sai che Galbatorix non tollera ritardi nei suoi piani disse Saphira
Sinceramente non mi interessa niente di quel vecchio pazzo
Vedi di non metterci troppo però, non sai di cosa sarebbe capace quello che tu chiami vecchio pazzo
Veramente lo so
Piccolo mio
Nel frattempo Henry lo aveva portato davanti all’entrata di una piccola casetta. Le mura esterne di pietra erano in pezzi ed intervallate da travi di legno marcio. La porta consisteva in un telo appeso con dei chiodi allo stipite. Eragon lo spostò ed entrò. Dentro c’era una donna pallida sdraiata sotto moltissime coperte ed una ragazzina di non più di cinque anni che era seduta accanto a lei e le passava uno straccio bagnato sulla fronte.
La bambina appena li vide corse dal fratello e lo abbracciò.
“Annabeth, questo signore dice che curerà mamma” disse felice Henry
La bambina lo guardò con curiosità “Davvero?”
“Se posso” disse Eragon.
Lentamente si avvicinò al lettino dove era sdraiata la donna, il suo viso era pallido ed aveva una aspetto malaticcio con delle larghe occhiaie scure sotto gli occhi. Eragon si inginocchiò davanti ad essa e le mise una mano sulla fronte. Aveva la febbre alta, di questo ne era certo.
“Quando ha iniziato a stare così?” chiese distrattamente ai due bambini
“Non lo so” rispose Henry “la mamma un giorno è tornata a casa con il braccio fasciato ed il giorno dopo stava così”
“Che intendi con il braccio fasciato?”
“Aveva detto di essere caduta a lavoro”
“Che lavoro fa tua madre?”
“Lavora per il padrone”
“Il padrone? Che intendi?” chiese curioso
“Il padrone, il signore di Gil’ead”
“Ce l’ha un nome questo signore?” chiese Eragon dolcemente
“No, non voglio dirlo, gli altri bambini dicono che se si pronuncia il suo nome poi lui ti viene a rapire mentre dormi.”
“Non ti succederà niente Henry”
“Ha ragione, è molto cattivo, dicono che tiene un’elfa come schiava” disse Annabeth
“Un’elfa?”
Il padrone di cui parlano è sicuramente Durza disse Saphira
A quanto pare non gode di ottima reputazione
“Si, la mamma era la guaritrice della prigione, dove sono tutti i cattivi, e ha detto che una volta ha curato anche l’elfa” continuò la bambina
Eragon annuì e si rigirò verso la donna, abbassò le coperte fino al busto e sollevò la manica della veste. Come aveva previsto sul braccio c’era un lungo taglio infetto.
Non consumare troppe energie, piccolo mio. Mi viene il prurito alle squame a pensare che tu dopo dovrai incontrare quel maledetto spettro stanco del viaggio e della guarigione.
Non preoccuparti Saphira, andrà tutto bene, non è un taglio troppo profondo.
Tu fa’ attenzione lo stesso
“Waise heill” sussurrò
La ferita iniziò a rimarginarsi fino a richiudersi completamente. Dopo un po’ Eragon si alzò e si rivolse ai due bambini che erano rimasti a guardarlo a bocca aperta.
“Io ora devo andare, tornerò tra due giorni per vedere se vostra madre starà meglio, nel frattempo tenetela al caldo e non fatela alzare dal letto, intesi?”
I due bambini annuirono, Eragon sorrise, scompigliò i capelli ad Henry ed uscì fuori cercando di ricordare come ritornare nella piazza per dirigersi verso il castello, dove sapeva che non avrebbe proprio avuto una grande accoglienza.



Angolo autrice

Non mi ricordo nemmeno quando è stata l'ultima volta che ho postato un capitolo, comunque eccovene un'altro, anche se non ha molto senso e non risponde a molte delle domande, ma non avevo molto tempo per continuarlo e quindi diciamo che questa è la prima parte del secondo capitolo. Fatemi sapere cosa ne pensate.
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito la ff fin'ora ed anche i lettori silenziosi
Ciao
e buon Halloween (anche se in ritardo:)

DaubleGrock

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