Bleeding out

di Fflang
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Losing Your Memory ***
Capitolo 3: *** the world I used to know. ***
Capitolo 4: *** :Broken ***
Capitolo 5: *** 4. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

DoOrDie


Quando una persona scompare inizia una disperata corsa contro il tempo, contro qualcuno di cui nessuno conosce il volto o il nome, contro qualcuno che forse non troverai mai.

Il tempo passa, le speranze di ritrovare la persona amata diventano sempre meno e si inizia a pensare al peggio. 

Le persone che scompaiono si vedono portare via dalla propria vita senza poter fare niente, senza poter dire ''no, riportami a casa, voglio andare a casa''. E magari lo urlano, scalciano e si oppongono alle mani che le trascinano via. Ma sono forti e alla fine vincono. Vincono sempre. Hanno sempre vinto. 

Le persone che rimangono a casa pregano, piangono e fanno di tutto per trovarli. Pensano a tutto fuorché al fatto di non rivederli più. La famiglia, gli amici, i vicini di casa… tutti uniti per qualcosa probabilmente inutile. 

Se sparisci non puoi, non devi sperare di essere ritrovato, perché se vieni trovato non sei sicuro in quali condizioni succederà. Certe volte è meglio che non si sappia più niente, che il tempo passi senza nessuna traccia, che nessun corpo venga trovato. Puoi sempre illuderti che chi si è perso sta bene, che è felice dove si trova. 

 

Quando sono sparita. Quando mi hanno rapita. Non ero felice nella mia città, odiavo la mia vita e la famiglia. C'erano troppe bugie, troppe maschere sui volti delle persone che conoscevo, che amavo e che dicevano di amarmi. Sopratutto nella mia famiglia. Volevo andare via, credevo che sarebbe stato meglio. Ma poi quella sera, sono venuti a prendermi. 

Mi hanno portato via con la forza. Lui.

Lui si è avvicinato a me sorridendomi gentile e poi mi ha afferrato e mi hanno addormentata.

Sono stata caricata su una macchina scura e sono partiti ad alta velocità.

Nessuno mi ha più vista, nessuno sapeva dove fossi.

Quella sera non dormii a casa mia, e la mattina seguente mia madre non mi trovò nel mio letto. 

Non ero da nessuna parte ma allo stesso tempo ero ovunque. 

Denunciarono la mia scomparsa dopo 24 ore. Ero già troppo lontana perché qualcuno avesse potuto trovarmi.

Pensavano che una ragazzina di 15 anni, probabilmente da sola, non sarebbe passata inosservata. Pensavano male. 

Nessuno mi vide.

Iniziarono le ricerche.

 Iniziarono a scavare nella vita di tutti, nella mia e in quella di tutti quelli che mi conoscevano. 

 La mia scomparsa era a un punto cieco.

Vennero stampati dei volantini con la mia  foto e le cose che mi riguardavano, venni segnalata alle televisioni di tutto lo stato e a quelli vicini. 

Ci furono diverse segnalazioni, tutte false. 

Era come se fossi volata via. 

Ero un fantasma.

 

Se la polizia avesse scavato più affondo nella vita della mia famiglia, forse mi avrebbero trovata…

Forse. Forse no o forse si. Non lo sapremo mai. 

Avrebbero visto tanti scheletri nell'armadio da riempirci un cimitero. 

Ero cresciuta in una famiglia rispettabile pensavano tutti, lo pensavo anche io.  

Se mi avessero detto la verità FORSE questo non sarebbe successo, no?

Il tempo passava e tutti iniziarono a dimenticarsi di me.

Divenni ''la giovane ragazza scomparsa''.  

Di me rimase solo il ricordo di un vecchio volantino attaccato malamente a un palo della luce, o alla bacheca di un bar di città.

Tutti andarono avanti per le loro vite.  

Nessuno escluso. 

All'anniversario della mia scomparsa facevano una preghiera tutti insieme e poi tutti ritornavano alle loro vite. E si divertivano, giocavano e amavano.

Tutte cose che io non potevo fare. 

Non puoi rincorrere per sempre qualcosa che NON PUO' essere presa.

Ero come l'aria per loro.  

 

Mamma e papà ebbero un altro bambino, non mi fu mai detto come si chiamava. Oggi dovrebbe avere sei anni. Avevo sempre voluto avere un fratellino o una sorellina.

Quando tua figlia sparisce nel nulla ti senti incapace perché non sai dove sia e vorresti saperlo per andare a prenderla e tenerla stretta a te. 

Sapete, mamma e papà non avevano mai iniziato a cercarmi, era tutta una recita per gli altri;  non perché non gli mancassi o perché mi odiassero. Ma perché sapevano benissimo dove fossi e con chi fossi. 

Ma non potevano farci niente. 

Avrebbero perso tutto. 

Perché io non ero la loro bambina prodigio.

Non lo ero mai stata e  non lo sarò mai. 

Sono la bambina di qualcun'altro. E lo sarò per sempre.

 

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Capitolo 2
*** Losing Your Memory ***


Capitolo 1

5 Settembre 2007

Avevo compiuto quindici anni quell'inverno, a Gennaio. L'anno scolastico era stato un disastro, continuavo a stare male, ma per fortuna ero riuscita ad essere promossa. Ogni anno, nella mia città, davano una festa in tutto il paese: giostre e bancarelle. Io e la mia migliore amica ci andavamo sempre; e anche quell'anno ci demmo appuntamento sotto casa mia. Ero pronta, un paio di jeans e una canottiera comoda per poter salire sulle macchine giranti. Melissa passo a prendermi alle 21.30, sotto casa, con sua cugina. 

Appena sentii il campanello salutai i miei genitori e corsi al cancello dove mi aspettavano le ragazze. Sorrisi andandogli incontro. 

-Kali hai un elastico per i capelli, vero?- mi chiese prendendo le mie mani tra le sue, pregandomi. Risi e annuii passandoglielo. Si dimenticava TUTTO. Chissà se si è dimenticata anche di me.

Le giostre erano vicino a casa mia, un centinaio di metri a piedi e ci ritrovammo in mezzo a famiglie, bambini e ragazzi della nostra età che passeggiavano divertendosi in mezzo ai tanti colori delle attrazioni. 

-Dici che lui è qui?- domandai preoccupata alla mia migliore amica. '

'Lui'' era il mio ex ragazzo, che amavo ancora. Lo avevo lasciato io un'anno prima. Non sapevo perché, lo amavo, ne sono sicura. Il problema è che mi sentivo strana, non riuscivo a stare bene con me stessa e di conseguenza con lui. Siamo tornati a parlarci l'inverno scorso ma poi abbiamo avuto delle divergenze di opinione (come dice Mel) e ora parliamo ogni tanto per SMS come se non fosse successo nulla. Lui sta con un'altra e sono felice per lui. E sono una bugiarda.

-Non me ne frega, e se solo si azzarda a rivolgerti la parola lo ammazzo di botte.- dice lei fulminando una bambina che le è andata addosso. Ridacchio, mi vuole bene. Tifava per noi, ma poi, dopo quello che ha detto, ha iniziato ad avercela con lui più di me.

-Oh ecco Emma…- dice indicando una nostra compagna di classe. Io mi guardo intorno e il mio sguardo si posa su un ragazzo poco lontano da noi che rida con una ragazza e l'abbraccia. Merda! Sbianco e Melissa mi guarda confusa fino a quando non segue il mio sguardo e la sua espressione diventa incazzata. 

-Io gli do fuoco.- dice agguantando l'accendino. La placco appena in tempo.

-Mel, no! Se ti fai vedere, vede anche me, e non voglio vederlo più di così.- dico facendole gli occhi dolci. Vorrei vederlo più di qualsiasi cosa al mondo, ma so che se mi parlasse scoppierei a piangere come una scema, lui capirebbe tutto un'altra volta e non avrei più scuse. 

-Eh va bene, andiamo a fare ''il Tappeto volante'' così ti distrai da quello stronzo deficiente.- dice incamminandosi, tirandomi per il polso. Rido e la seguiamo. 

Dopo essere scese andiamo a fare un giro per il piazzale per guardare chi c'è. 

Mentre stiamo camminando un uomo mi viene addosso, quasi cado, lui mi guarda e mi sorride. Non un sorriso gentile o di scuse, un sorriso cattivo e minaccioso. Il mio corpo mi dice di correre e scappare, i miei occhi mi dicono che lo conosco. 

Non riesco a muovermi, tutto intorno a me lo fa ma io no. Non vedo l'uomo andare via, non vedo nulla. 

Anzi, qualcosa vedo….

 

*Una stanza bianca, le pareti morbide e una piccola finestra da cui entra pochissima luce. Sono piccola e i miei capelli sono lunghi fino al sedere. Porto solo delle mutandine bianche e una maglietta dello stesso colore.

Sono seduta in un angolo della camera quando la porta si apre emettendo uno strano rumore. Un uomo, vestito di bianco, entra e mi sorride. So che non devo fidarmi. Mi ha fatto del male ma non posso scappare. Si inginocchia davanti a me e mi prende in braccio senza fare il minimo sforzo, sono molto magra. Usciamo dalla stanza. Ed è tutto bianco. Sento delle grida, ci sono altri bambini, e sono terrorizzata. C'è del fumo, e tanto caldo. Nessuno fa nulla e il dottore ride, ed io piango, piango e urlo. Urlo fino a quando tutto diventa nero.*

 

Quando mi rendo conto di non essere in quel posto sono già scossa dai singhiozzi e Melissa mi guarda preoccupata cercando di capire che cosa sia successo.

-Kali, che succede? Perché piangi?- mi domanda scuotendomi leggermente. Nego con la testa come se lei potesse capire come sto, sono nel panico più totale. So che quello che ho visto è successo davvero, me lo ricordo adesso. Quell'uomo è il dottore. Cosa fa qui? E se…

La paura si impossessa di me, inizio a guardarmi intorno cercando di vederlo ma c'è troppa gente. Ho paura. 

-Kali, rispondimi. Mi stai spaventando.- urla cercando di sovrastare la musica ma non riesco a parlare sto piangendo troppo. Non so cosa fare, aiuto. Aiutatemi.

-Ok, sei troppo agitata. Ora ti siedi.- dice afferrando la mia mano e guidandomi verso una panchina di legno dove mi fa sedere. 

Il mio telefono squilla. Chi è? Melissa risponde al messaggio guardandomi preoccupati. Non ho la forza di chiederle chi è.

Pochi attimi dopo sento qualcuno alla mia sinistra che mi chiama. 

Eccolo.

-Kali?- dice la sua voce, mi volto e lo vedo osservarmi preoccupato. Non so dove trovo la forza di alzarmi ma dopo pochi secondi sono tra le sue braccia che mi stringono e lì mi sento al sicuro.

-Quell'uomo,lo conosco, mi ha fatto del male. Ero una bambina. Lui mi prendeva e mi portava via. E faceva male. Bruciava. E gridavo e piangevo e non capivo perché nessuno sentiva. Mi dispiace Ty. Mi dispiace.- singhiozzo sulla sua spalla e non so se lui mi capisce ma sento le sue braccia stringermi forte come se potesse farmi dimenticare tutto. Dopo pochi minuti lo sento staccarmi da lui e prendermi il volto tra le mani, i nostri nasi si sfiorano e i suoi occhi verdi sono immersi nei miei, preoccupazione e paura.

-Chi è quell'uomo?- mi domanda serio. Singhiozzo.

-Era qui. L'ho visto, mi ha sorriso.- gli dico chiudendo gli occhi cercando di scacciare l'immagine di quel mostro dalla mia testa, inutile. Vedo il suo volto diventare livido di rabbia.

-Merda.- dice e mi abbraccia ancora più stretto, poi si stacca da me incrociando le dita della mano alle mie. Guarda Melissa.

-Deve andare a casa. Subito.- dice. No. Non voglio andare a casa. Scuoto la testa tirando la sua maglietta. 

-Non voglio andare a casa.- gli dico seria. Lui mi guarda confuso ma poi annuisce.

-Deve dormire da me oggi.- dice Melissa guardandomi preoccupata, non capisce. 

-C'è qualcuno che può venire a prendervi qui?- domanda stringendomi a lui. Melissa nega.

-Siamo da sole, i miei sono via.- spiega confusa.

-Non dovete stare da sole.- dice tirando fuori il cellulare dalla tasca e iniziando a scrivere.

-Puoi andare a dormire da tua cugina?- le chiede e lei annuisce. 

-Tu stai da me.- dice guardandomi serio e baciandomi la fronte. Annuisco, sta facendo tutto lui e io non saprei come ribattere. 

-Mi spieghi cosa sta succedendo??- esclama Mel innervosita e io sobbalzo. Lui la guarda male. 

-Qualcuno vuole farle del male e non è sicuro stare da sole.- dice poi iniziando a camminare verso la strada, lo seguiamo. 

-Fatevi venire a prendere, io la porto a casa.- dice alzando una mano facendosi vedere da una macchina nera che si ferma davanti a noi. Apre lo sportello e mi fa salire senza dire una parola poi inizia a parlare con l'uomo davanti, suo padre. Melissa mi fa il gesto di chiamarla e io annuisco appoggiando la testa contro il finestrino. Chiudo gli occhi. 

 

Non so quanto ho dormito ma quando apro gli occhi è ancora buio e sono in braccio a qualcuno, è un uomo. Spalanco gli occhi preoccupata.

-Tranquilla, sono il padre di Tyler.- mi dice entrando in casa, mi siede sul divano e dopo avermi sorriso scompare alle mie spalle. Sospiro. Qualcosa di morbido si poggia sulle mie spalle, è una coperta.

-Lo troveremo, piccola. Promesso.- mi dice Lui stringendomi a se.

-Non sapete neanche il suo nome.- dico e una lacrima scende sulla mia guancia ancora umida. Lui mi stringe.

-Troveremo il modo.- dice serio. Annuisco chiudendo gli occhi e aspirando il suo profumo.

-Ti..ricordi qualcosa?- mi domanda. E' importante, lo so bene. Ma ho solo dei flash, un tesserino sul taschino. Mi irrigidisco e lo guardo.

-Volkov.- dico e lui annuisce Stranito. Non è un nome italiano. Ma non lo sono nemmeno io.

-Lo dirò a mio padre, ora devi riposare.- mi dice alzandosi e aiutandomi. Mi porta in camera sua e mi siede sul letto per poi accarezzarmi la testa dolcemente. Perchè fa così? Gli faccio pena, ecco perchè. E' sempre stato così.

-Ti presto una tuta e una mia maglietta, ok?- mi chiede e io annuisco soltanto, metterei anche un sacco della spazzatura, sono stanchissima. Mi passa i vestiti e poi esce dalla stanza per darmi il tempo per cambiarmi. 

Mi infilo quello che mi ha dato. Chiudo gli occhi; ogni cosa sta cambiando e non riesco a starci dietro. 
Non riesco a smettere di pensare alle voci di quei bambini, alle mie urla di quel giorno, al buio che tutte le notte mi inghottiva senza che potessi fare nulla.

-Entra.- lo chiamo e lui torna da me. Si mette davanti a me, mi accarezza la guancia e mi bacia la fronte. Amore mio..

-Dormo nell'altra stanza, se vuoi qualcosa chiamami e vengo subito.- mi dice sorridendomi dolce. No, non voglio che vada via. Non voglio stare solo con me stessa.

-Resta con me, per favore.- gli dico cercando di non piangere. E' combattuto ma poi cede e si alza annuendo senza spostarsi,rimane solo davanti a me a guardarmi.

-Grazie.- gli dico con il capo basso. 

-Te lo devo, Kali, te lo devo.- mi dice triste. Che sta dicendo? Non glielo chiedo resto zitta, come sempre.

Va dall'altra parte del letto e scosta le coperta mettendosi sotto poi batte il palmo aperto facendomi segno di raggiungerlo. 

Ci accoccoliamo stretti l'uno all'altra senza dire una parola. 

Ha iniziato a parlare di un film che ha visto, per farmi distrarre. Mi sono addormentata un'ora dopo. 

Ho ricordato tutto, ogni cosa che ho fatto, che mi hanno fatto. Ho sognato Loro e ora so. So che avrei voluto essere morta piuttosto che in quel posto.

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Capitolo 3
*** the world I used to know. ***


 

Do Or Die




Capitolo 2  The World I Used to Know.

PovTy   

E' stata la notte più brutta della mia vita. L'ho sentita agitarsi tutta la notte senza poter fare nulla se non stringerla a me e provare a tranquilizzarla come meglio potevo. Ha pianto ogni singolo istante da quando ha chiuso gli occhi. Quel figlio di puttana, l'ha distrutta. Ha distrutto la sua innocenza ancora prima di farla vivere. Mi alzo di scatto uscendo dalla stanza. Scendo le scale e trovo mio padre al telefono che appena sente la mia presenza si volta con una faccia da zombie. Che succede?

-E' arrivato. Ti farò sapere.- dice riattaccando al suo interlocutore e poggiando il cellulare sul tavolo. 

-Che succede?- domando nervoso.

-Sei sicuro che il nome che lei ti ha detto sia Volkov?- mi chiede ancora più nervoso di me. Annuisco, che cosa vuol dire quella faccia?

-Marco mi ha mandato delle foto…- dice aprendo il portatile. 

-Che foto?- domando avvicinandomi a lui.

-Quando gli ho raccontato quello che mi hai detto e il nome dell'uomo ha fatto delle ricerche. L'unico Volkov registrato nei nostri archivi è un certo Alexander Volkov. Era un genetista, dirigeva una compagnia farmaceutica in Russia una quindicina di anni fa.- mi spiega aprendo una cartella. Lo guardo senza capire.

-Non capisco…- gli faccio presente, e lui sospira demoralizzato.

-Voglio dire che spero vivamente che la tua amica non c'entri nulla con lui.- mi dice puntandomi gli occhi contro. E' serio e preoccupato, ora lo sono anche io. Chi diavolo è questo e cosa vuole da lei?

-Spiega.- dico sedendomi sulla sedia mentre lui apre le foto che il suo collega gli ha mandato.

-La compagnia non vendeva solo farmaci, o almeno per il mondo era quello che faceva. In realtà era una copertura per lavori più grossi. Fabbricavano armi, bombe e….facevano esperimenti sulle persone, Tyler. Sui bambini.- mi racconta mostrandomi una foto (chiavetta) mostra una ventina di bambini vestiti di bianco e due donne vestite da infermiere. Volti finti. 

-Il governo non aveva minimamente idea di quello che Volkov faceva nei suoi laboratori, faceva soldi a palate con quei medicinali e lo stato gli concedeva tutto ciò che voleva senza fare domande.- mi spiega mostrandomi una foto di quel bastardo e altri medici che a braccetto sorridono alla telecamera. Figli di puttana. Stringo i pugni.

-Dieci anni fa il governo russo aprì un fascicolo su di lui e iniziarono ad indagare. C'erano state delle soffiate da parte di inservienti che lavoravano lì. Per irrompere nel edificio dovevano avere delle prove concrete così un agente dei servizi segreti russi s'infiltrò all'interno del laboratorio. Raccolse immagini agghiaccianti su quei poveri bambini e riuscì a mandarle alla base ma lui non tornò mai. I militari non arrivarono mai in tempo. Volkov prese tutte le pratiche più importanti e fuggì con i suoi collaboratori dando fuoco a tutto.- finisce guardando la foto nello schermo. Dando fuoco a tutto.

-I bambini?- domando. So la risposta. 

-Bruciati vivi.- sussurra. 

-Dio mio.- non riesco a capacitarmi di cosa sia capace di fare una persona, quel figlio di puttana deve pagare. Ma se i bambini sono tutti morti allora Kali?

-Kali?- domando. Lui annuisce e apre una foto. 

-L'agente speciale riuscì a mandare un'altra foto. Di una bambina.- dice poi apre un file a parte. Una bambina con i capelli ricci biondi. Kali.  

-Perché lei sì e loro no?Cosa è successo dopo l'incendio? Chi l'ha portata in Italia?- chiedo. Cosa vuole da lei?

-Non lo so, non fece in tempo ad inviare altre informazioni.- mi dice dispiaciuto. Annuisco. Quel figlio di puttana vuole finire quello che ha iniziato.

Sto pensando a cosa fare, ma non ci riesco. Potremmo nasconderla, ma credo che ci abbiano già provato i suoi ''genitori'' e non è servito. 

Sto per chiedere a mio padre cosa fare ma dei passi dietro di me mi fanno girare. 

BUM. Il mio cuore ha smesso di battere non appena ho visto i suoi occhi. Terrorizzati a morte, spenti, morti. Gli occhi di chi in un attimo ha perso tutto. E' sconvolta e non riesco a crederci che la ragazza che amavo, sempre sorridente abbia passato tutto questo.

Cosa hanno comportato gli esperimenti sul suo corpo?

Forse è per questo che stava sempre male?

Il suo corpo ha sempre provato a dirle che c'era qualcosa che non andava, che qualcosa era stato dimenticato..

Mi avvicino ma si allontana. 

-Ho fatto un sogno.- dice guardandosi i piedi scalzi. Sospira.

-Mi ricordo tutto. Ogni singolo giorno passato lì dentro, anche quando hanno ucciso la mia vera mamma, avevo appena un anno.- dice stringendo i pugni,arrabbiata. Non riesco neanche ad immaginare quello che ha passato ed ha tutto il diritto di essere furiosa ma deve calmarsi. Sto per avvicinarmi ma papà mi precede posandole le mani sulle spalle.

-Kali, Volkov ti sta cercando. Per qualche motivo, per lui, sei speciale e non so perché ma so che dobbiamo impedirgli di avvicinarsi a te.- dice serio osservando il suo viso che diventa freddo. 

-Devo andare a casa mia.- dice solo come se non avesse sentito nulla di quello che il generale ha detto. 

-Ti accompagno.-le dico andando ad infilarmi le scarpe. Lei mi segue e all'improvviso mi abbraccia.

-Ohi.- le dico stringendola forte. E' sempre stata male e io non me ne sono mai accorto; le ho dato colpe che non aveva, l'ho accusata di cose che non aveva fatto mentre dentro di lei moriva.

 

Pov Kali  

Mi è mancato così tanto.. è ora lo devo lasciare di nuovo. 

''Buongiorno Bambolina, ti ricordi di me? Oh che sciocco, certo che ti ricordi! Bene, bene… mi sei mancata sai e ora che ti ho trovata non ti lascio più. Sai cosa significa? Che devi venire subito qui, nella tua graziosa casetta, prima che faccia saltare il cervello alla tua dolce mammina, di nuovo. Hai mezz'ora.''

-Non c'è bisogno che mi accompagni.- gli dico all'orecchio. Lui mi stringe. 

-Non ti lascio andare da sola.- ribatte pronto. Oh amore mio, ti prego, non farmi questo. Poso la mano sulla sua guancia calda e lui chiude gli occhi. Mi mancherà così tanto. Trattengo le lacrime.

-Ho chiamato mio padre, aspetterà in fondo alla via.- gli mento. Gli mento per il suo bene, e per il bene di tutti. So di cosa è capace quell'uomo, anzi mostro, e non voglio che faccia del male alle persone che amo.

-Sei sicura?- domanda, so che non vuole, che appena uscirò dalla porta mi correrà dietro. 

-Lasciami andare.- gli dico sorridendogli dolce, non riesco a staccarmi da lui.

-Mi fido di te, quindi ti prego, appena arrivi a casa chiamami.- mi sussurra sulla bocca e poi mi bacia. Le sue labbra toccano le mie dopo un anno. Stai facendo di tutto per farmi restare ma non posso.

Annuisco sorridendogli poi mi infilo le ballerine che avevo la sera prima ed esco dopo aver salutato con la mano suo padre. Appena sono certa che non possano vedermi corro verso casa, veloce come non ho mai fatto. 

Nel preciso momento in cui sto per attraversare un enorme SUV nero inchioda davanti a me e un ragazzo scende insieme ad altri due. Mi guarda sorridente, come se avesse trovato un tesoro. No!

-Ciao Kali, è ora di andare.- mi dice il ragazzo. Non mi muovo, credevo di avere più tempo. Di poterli salutare. L'altro uomo, un uomo molto grosso viene dentro di me e mi spinge verso i sedili posteriori senza dire una parola, non chiude lo sportello infatti il tizio che guidava l'auto si mette di fianco a me accarezzandomi i capelli lentamente, poi si avvicina ghignante.

-Vedrai che ti piacerà con il tempo.- mi dice e poi mi morde il lobo lascivamente. Brutto schifoso. Sto tremando e lui se n'è accorge.

-Sei molto nervosa, vero?- dice ovviamente. Allunga la mano verso il suo gorilla che senza farsi dire nulla gli passa una piccola siringa con un liquido rosso. Spalanco gli occhi, che cosa vogliono fare?

-Shh, è solo qualcosa per farti dormire, principessa. Starai una favola, vedrai.- e senza darmi il tempo di emettere un altro respiro l'ago è già nel mio collo. In pochi attimi gli occhi iniziano ad annebbiarsi, le orecchie fischiano e la bocca si asciuga. Gli occhi si chiudono. Mi sbilancio fuori dalla macchina e lui mi afferra senza farmi cadere. 

-Brava principessa, ora dormi. Starai molto meglio.- sono l'ultime parole che sento poi il vuoto. 

 

Sono stata portata via senza neanche sapere se erano salvi. Senza neanche dirgli addio. Perché era un addio. 

 

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Capitolo 4
*** :Broken ***


Capitolo 3  Broken.

"Nessuno ci fa del male. 
Siamo noi che ci facciamo del male 
perché facciamo cattivo
uso del grande potere che abbiamo,
quello di scegliere."

Russia, 1995.

-Spingi, spingi forza!! Ancora un piccolo sforzo e vedrai la tua bambina!- dice un'infermiera al mio orecchio. La mia bambina? no, io non credo. E' la sua bambina. Un urlo straziante esce dalle mie labbra e poi un pianto si diffonde in tutta la stanza e il dottore sorride vittorioso alzando la bambina che piange tra le sue mani. Così piccola e già così importante. L'infermiera mi sorride e mi asciuga il sudore dalla fronte, penso che sia l'unica persona buona qui dentro. Penso che pochi sappiano chi io sia e chi sia la bambina che ora urla la sua presenza. Chiudo gli occhi.

-E' bellissima.- mi dice gioiosa all'orecchio. Oh lo so che è bellissima. Il dottore è intento a pesare la bambina quando Lui entra nella saletta e velocemente si avvicina alle spalle dell'uomo.

-Allora?- domanda quasi preoccupato. Sembra quasi un papà che non vede l'ora di sapere se la sua piccola sta bene. Sembra. 

Il dottore si volta con la neonata avvolta in un lenzuolo bianco e gliela porge. Lui l'afferra lentamente e poi la stringe piano. 

-E' perfetta.- dice quasi commosso. Il dottore annuisce sorridente. La bambina allunga le mani verso il suo viso e lui ridacchia.

Si volta verso di me e si avvicina.

-Dovresti essere fiera di questo miracolo. Lo sai vero?- mi guarda orgoglioso poi mi allunga la piccola e io la prendo automaticamente. Sono sconvolta. E' così piccola che ho paura di romperla. Ma non potrei mai.

La piccola spalanca gli occhini grigi e mi guarda attentamente. 

-Ciao.- le dico, una lacrima scende dai miei occhi. Lei sorride come se potesse capirmi. Lei capisce. Guardo Alexander confusa e lui sorride.

-E' perfetta.- ripete poi la riprende tra le sue braccia e la porta via.

 

Russia, 7 Settembre 2007.

Sento delle voci soffocate e distorte intorno a me ma non riesco a capire cosa dicono. Ho già sentito questa lingua e queste voci. Provo a muovermi e ci riesco mi sento tutta indolenzita, come se fossi stata nella stessa posizione per ore. Sollevo il braccio e apro gli occhi guardandomi intorno. E' una stanza con le pareti grigie, un piccolo armadio e il letto in un angolo su qui sono stesa. Mi tiro su a sedere e le voci spariscono. C'è uno grande vetro oscurato alla mia sinistra, ricopre tutta la parete. 

-E' sveglia.- sussurra una voce. Mi volto verso la voce. Ci sono sei persone che mi osservano dall'altro capo del vetro. Le vedo offuscate ma so che ci sono. Mi alzo lentamente e con passi decisi arrivo a sfiorare lo specchio. Sono spaventati, sorrido. Alzo una mano e tocco lo specchio che si crepa. 

-Kali.- la voce di Alexander Volkov parla attraverso un microfono.

-Cosa vuoi?- dico fredda. Lo sento, ha paura.

-Voglio te.- mi dice altrettanto freddo.

-Non ho intenzione di stare in questo posto un minuto di più.- dico spingendo la mano ancora di più, un altro po' di pressione e questo stupido specchio non ci sarà più.

-Dimmi, vuoi bene ai tuoi amici e ai tuoi genitori?- mi domanda sadico. Annuisco. Bastardo.

-Allora, fossi in te, farei quello che dico.- mi dice e poi se ne va insieme a tutti gli altri e io rimango da sola.

 

Sospiro.

Hanno distrutto tutto ciò che avevano costruito per me.

Non sono altro che un esperimento per loro. Un miracolo per lui.

Ogni cosa che ho fatto è stata premeditata da lui. Lui ha fatto in modo che scappassi quell'inverno, e lui mi ha affidato ai miei genitori. Sono sempre stata tenuta sotto controllo. Ogni secondo della mia vita sono stata in trappola e non lo sapevo. Mi domando come mi sia anche potuta permettere di pensare di essere libera. Non lo sarò mai finché lui sarà vivo. Mi ha in pugno e lo sa benissimo. Fin dalla nascita sono stata sua, sono la sua bambina, la sua creatura. Ogni cosa che ho fatto, che farò è stata già pianificata. Ancora prima che nascessi. 

Ho freddo. Guardo il mio corpo indosso un pigiama di cotone bianco e una felpa con la cerniera grigia, i piedi scalzi. Torno sul letto e stringo le ginocchia al petto. 

Ricordo la donna che mi ha fatta nascere. Quando sono nata mi ha guardata come solo una mamma può fare e io l'ho amata ancor prima di vederla. Lui mi ha guardata come si guarda un animale raro, come un diamante prezioso e mi ha portata via da lei. 

Mi ha affidata a una donna dai capelli bianchi e gli occhi stanchi. 

A tre mesi camminavo perfettamente, parlavo. 

A sei mesi sapevo leggere e scrivere.

A un anno sapevo già parlare due lingue. Ero una bambina speciale dicevano tutti. 

Lui mi guardava da oltre quel vetro e applaudiva ogni volta che facevo qualcosa di bello.

-Sempre più perfetta.- diceva e dopo andava via. 

Ogni mese per una settimana veniva a prendermi e mi portava nella stanza blu con tante luci e mi faceva una visita completa. Aghi, siringhe con liquidi strani. 

Sapevo che nella struttura c'erano altri bambini li sentivo oltre la porta quando passavo e sentivo il personale che ne parlava. Erano bambini senza genitori che venivano presi perché tanto nessuno li avrebbe mai cercati. Cavie da laboratorio usate per sperimentare medicinali.

Ero una bambina intelligente e con capacità fuori dal comune, riuscivo a spostare gli oggetti col pensiero e altre cose così. 

Mi insegnarono a combattere a controllare le mie capacità. 

Poi quando avevo quasi due anni Volkov mi portò da mia madre. Diceva che ero stata brava e che voleva premiarmi. La verità era che voleva testare le mie capacità. 

La mamma stava in una stanza dall'altra parte del complesso, simile alla mia. Era bellissima come la ricordavo ma era magra e pallida, era malata. Quando mi vide entrare dalla porta mi sorrise raggiante e tentai di avvicinarmi a lei ma Alexander mi afferrò per la spalla destra e mi trattenne. Si inginocchiò dietro di me e le sorrise cattivo.

-La tua bambina è cresciuta tanto vero, Alya?- le disse. Lei annui spaventata. Non riuscivo a capire cosa stava succedendo.

-E' bellissima, proprio come te.- continuò accarezzandomi la guancia. Non mi mossi. 

-Vorresti abbracciarla?- le chiese cordiale, lei tentenno ma poi annui comunque incerta. Lui mi lasciò e mi spinse delicatamente in avanti.

-Saluta la tua mamma Kali.- mi ordinò ed io corsi tra le braccia della mia mamma che mi strinse a se. Ricordo ancora il suo profumo di gigli e credo che lo ricorderò sempre.

 Passarono esattamente due minuti poi lui mi chiamò.

-Kali, torna qui.- mi chiamo e io obbedì, le diedi un bacio sulla guancia e lei mi sorrise dolcemente accarezzandomi una ciocca di capelli, proprio come i suoi. Tornai da lui che mi prese in braccio, baciandomi la fronte. Poi si volto verso la mamma rimettendomi per terra.

-Vedi questo braccialetto che ha alla caviglia?- le chiese indicando la mia gamba sinistra. Mamma fece sì con la testa.

-Da una scossa elettrica di 200kv se disubbidisce a ciò che le dico. Questo non è mai successo, ma se ciò dovesse accadere sarebbe così forte da rischiare di ucciderla.- le disse, era una bugia. Non mi avrebbe mai uccisa, ma mamma non lo sapeva. Le lacrime iniziarono a uscire dai suoi occhi come se avesse capito quello che stava per succedere; io la guardai e tentai di avvicinarmi per consolarla.

-No!Non ti avvicinare!- mi urlò con la voce rotta dal pianto, guardai confusa la mamma.

Volkov mi strinse la spalla e poi mi passò una pistola, no, la sua pistola. Era fredda e pesante.

-Sparale.- ordinò. La mamma singhiozzò coprendosi la bocca con la mano. Non mi mossi. Avrei potuto buttare la pistola per terra, avrei potuto salvarci tutti. Non lo feci, non ero stata addestrata per quello, non mi avevano insegnato la pietà o l'amore. 

Guardavo la pistola e poi mia madre indecisa su cosa fare. 

-Kali, sparale. C'è solo un colpo e sarà meglio che vada a segno.- disse freddo. Ma non feci nulla, finché lei non parlò.

-Bambina mia, fa quello che dice. Ascoltalo.- mi disse singhiozzando. La mia mano si mosse da sola puntando verso la sua testa. Non volevo farlo, non avrei mai dovuto fare una cosa del genere. Avevo solo due anni.

Una lacrima scesa dai miei occhi che chiusi non appena il dito premette il grilletto. 

-Ti voglio bene.- poi lo sparo.

Silenzio. La pistola cadde sul freddo pavimento insieme al corpo ancora caldo di mia madre.

I miei occhi ancora chiusi, serrati. Non volevo aprirli, per nessuna ragione al mondo avrei visto cosa c'era davanti a me.

Un applauso. 

-Bravissima principessa, per un attimo ho pensato che non avresti mai sparato ma mi sorprendi sempre.- disse ridacchiando. Si inginocchiò davanti a me, le sue mani ai lati della mia testa.

-Apri gli occhi, Kali.- ordinò. Li aprì e lui sorrise. Mi prese in braccio e nascosi il viso nel incavo del suo collo e piansi come non avevo mai fatto, piansi perché avevo ucciso la mia mamma, piansi perché mio padre mi aveva ordinato di uccidere la donna che amava e rideva, piansi perché non avrei mai smesso di farlo, piansi perché era l'unica cosa che potevo fare, piansi perché non mi avrebbe mai sentito nessuno e nessuno sarebbe mai venuto a salvarmi e non avrei mai dimenticato il mio compleanno.

 

E' tornato tutto come quando ero bambina e i ricordi affiorano tutti insieme e mi colpiscono come un pugno nello stomaco.
Mi asciugo la guancia e poi la porta si apre e l'uomo che mi è venuto a prendere in Italia entra tutto sorridente nella camera.

-Buongiorno bambolina.- mi saluta venendo verso di me sorridente.
-Cosa vuoi?- domando senza guardarlo.
-Parlare.- mi risponde sedendosi davanti a me guardandomi attentamente.
-Beh io no, quindi vattene.- rispondo scontrosa voltandomi dall’altra parte.
-Kali so che sei arrabbiata…- inizia a dire ma mi volto di scatto.
-Lo sai?!- urlo -No, tu non sai nulla. Chi cazzo sei? Cosa cazzo vuoi?!- urlo e le lacrime rompono gli argini dei miei occhi iniziando a scendere sulle guance. All’improvviso appoggia le mani sulle mie spalle e mi spinge verso il suo petto stringendomi forte.
-Andrà bene, fidati di me. Ti prego, Kali. Non ti meriti tutto questo, lo so, ma non posso farci nulla per adesso. Devi solo fare quello che dicono. Sarà sempre più difficile ma ti DEVI fidare di me.- mi disse accarezzandomi i capelli e non so perché ma sentivo che potevo fidarmi, che c’era qualcosa in lui che mi impediva di odiarlo, qualcosa di familiare, qualcosa che mi ricordava me.

Rimasi stretta a lui per ore a sentire il suo respiro tra i miei capelli senza muovere un solo muscolo, non capivo cosa stesse succedendo ma poi col passere dei giorni, dei mesi e infine degli anni tutto iniziava a diventare più chiaro. Non scegliamo dove nascere, con chi nascere ma possiamo scegliere come crescere. Io volevo scegliere chi essere. 



Scrivete cosa ne pensate, ciao :) 

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Capitolo 5
*** 4. ***


 

Capitolo4 TEMPO.

Cinque anni dopo

Ho aspettato. Sono passati cinque anni da quando sono tornata in questo posto; sono stata addestrata, sono cambiata in ogni cosa senza neanche accorgermene o volerlo ma è così. Ho detto che avrei aspettato che mi sarei fidata aspettando un cambiamento che non è mai arrivato e ora sono stanca. Stanca di obbedire a ordini che non fanno altro che farmi del male, stanca di fare il bravo soldato. Io non sarò mai quello che lui vuole che io sia e non m’importa di quello che pensano. 

Non voglio più passare le notti a guardare un soffitto di cemento senza mai vedere fuori. Voglio vedere le stelle, voglio respirare l’aria del mare e vedere la neve d’inverno.

Voglio amare come le ragazze della mia età anche se non sono come loro e so che non potrò mai farlo. 

 

Sto osservando il soffitto della mia stanza, ma so che sta notte cambierà tutto, riuscirò a cambiare il mio futuro perché se c’è una cosa che ho imparato stando qui è che si può cambiare…Sempre. Sono qui da otto ore ormai, cercando di calcolare quanto tempo ci voglia per il cambio della prossima guardia. 

10…9…8…7…6…5…4…3…2…1….0… mi alzo velocemente dalla branda ed estraggo la chiave della mia cella rubata oggi durante la pausa pranzo. Esattamente cinque minuti dopo sono fuori dalla zona dei dormitori e mi guardo intorno alla ricerca di guardie armate ma non individuo nessuno. Bene. Corro verso la porta che da sul corridoio principale il più velocemente possibile ma non appena apro la porta mi ritrovo due uomini di fronte che non appena si accorgono della mia presenza sfoderano le pistole senza aspettare un attimo. Li guardo sorridente e in pochi attimi li disarmo e gli sparo un colpo in fronte ad entrambi. Senza pensarci, senza pietà. Raccolgo le pistole da terra e scappo verso l’uscita. Verso la libertà. Da sola. Ci sono altri ragazzi qui, li sento e li vedo passare certe volte; ma non riesco a pensare a qualcosa o qualcuno che non sono io. Sono diventata egoista e auto-conservatrice, ogni cosa che faccio la faccio solo ed esclusivamente per me. In tutti questi anni ho preparato questa notte senza pensare a quanti avessero perso la vita a causa mia, non mi interessa. Se lo meritano, ogni cosa orribile che hanno fatto a me o ad altre persone la pagheranno con gli interessi. Vendicherò me e mia madre. Mi riprenderò la mia vita e quello che mi spetta con la forza.

So che molto probabilmente la ragazza che ero sei anni fa non avrebbe pensato queste cose, che non avrebbe ucciso due uomini il doppio di lei a sangue freddo, ma la verità è quella ragazza non ero io. Ogni cosa che Lui ha fatto per me, che Loro hanno preparato per la mia nascita, gli addestramenti speciali, l’Italia… ogni cosa è stata fatta per farmi essere come sono adesso, ma deve essere andato storto qualcosa perché a quanto sembra io non sono come loro avevano progettato, io non ubbidisco a quello che vogliono.

Un allarme inizia a suonare non appena spalanco la penultima porta che mi separa dall’esterno. Solo una. Sorrido vittoriosa e corro ancora più veloce stringendo la pistola nella mano destra. L’allarme non smette di suonare e so per certo che ho pochi minuti prima che l’intero corpo di guardia mi circondi. 

 

Corro per i corridoi ma non incontro nessuno e poi, finalmente,  arrivo nell’atrio completamente bianco della base. Nessuno. Aggrotto la fronte sospettosa cercando di capire cosa sta succedendo. Chiudo gli occhi e provo a concentrarmi per sentire qualcosa ma nulla.

 

-Kali..- dice una voce alla mie spalle, Michael è alle mie spalle e mi guarda dispiaciuto. Ricambio il suo sguardo, mi sento in colpa. E’ vestito come sempre da quando lo conosco, con il suo completo elegante e rigorosamente scuoro.

-Mike.- dico iniziando ad indietreggiare verso l’uscita. E’ da solo perché vuole provare a farmi ragionare, a convincermi a tornare buona buona in camera mia, so perfettamente che tiene a me ma la sua fedeltà per Alexander è tale che se io scappassi da qui lui mi verrebbe a cercare in capo al mondo per farmi fuori, sono questi gli ordini.

-Torna in camera tua bambina, ti prometto che dimenticherò questa tua bravata e non ne farò parola con Lui, ti prego torna in camera tua.- mi dice scendendo uno scalino lentamente, come se fossi un cerbiatto indifeso e lui il cacciatore che ha paura di farmi scappare, ma io non sono un cerbiatto e lui non ha paura. Faccio l’ennesimo passo in dietro e mi ritrovo con la schiena contro la porta. Lo guardo a testa bassa. 

-Mi dispiace gli dico, non ci riesco.- stringo la pistola e mi volto dandogli le spalle.

-Kali, se apri quella porta dovrò spararti. Ti chiedo per l’ultima volta di tornare indietro, dammi tempo lo convincerò ma pensa bene a ciò che scegli.- la sua voce diventa sempre più fredda e… delusa. Lo so che lui credeva che avrei resistito di più e altre cazzate ma sono stufa di tutto questo, sono stufa perfino di me stessa.

La mia mano si allontana dal mio corpo fino a posarsi sulla maniglia del portone. Nel istante in cui la mia mano si abbassa per spingere la porta il dito di Michael Volkov preme il grilletto della sua pistola e il proiettile va a conficcarsi direttamente nel mio fianco. Urlo dal dolore e sento il sangue iniziare a fuoriuscire dalla ferita e inzuppare la mia maglietta ma un pensiero si fa strada nella mia testa, non vuole uccidermi. Pessima scelta. Apro la porta con uno strattone talmente forte da farla rimbalzare sul muro e in pochi secondi i miei piedi nudi entrano in contatto con la lunga scalinata esterna; purtroppo non posso ancora cantar vittoria perché davanti ai miei occhi c’è l’intero corpo di guardia che mi punta ogni arma possibile addosso. Il mio viso non è di dolore bensì freddo come questo posto, è il viso di un’assassina. Mi fermo un momento per guardare ognuno di loro e mi accorgo che non li conosco ma l’unica cosa che vedo nei loro occhi è sorpresa. Sono sorpresi di vedere una ragazza, lo so. Nessuno sa di me in questo schifoso manicomio, nessuno se non i più stretti collaboratori di Alexander. Approfitto della loro sorpresa e faccio un passo avanti e uno di loro impaurito preme il grilletto senza aver ricevuto ordine dall’uomo che ormai è a meno di cinquanta metri da me. Sento Michael irrigidirsi e urlare il mio nome e in pochi secondi il proiettile e conficcato nel muro alle mie spalle. Sorrido e continuo a camminare verso quel centinaio di uomini che ormai non sanno cosa fare. Avanti Michael, parla. Di loro di sparare alla tua cara sorellina. Ridacchio e volto il viso verso di lui.

-Paura?- ghigno e so che lo farò scattare, infatti ringhia arrabbiato. 

-Sparatele.- ordina e i suoi soldatini non se lo fanno ripetere due volte. Chiudo gli occhi e sento gli scoppi dei fucili scattare uno ad uno fino al completo silenzio esattamente due minuti dopo. Silenzio. Sento solo due respiri, il mio e quello di Michael. 

-L’hai voluto tu, loro sono morti per causa tua.- gli dico iniziando a camminare nella notte e sotto la neve che ha ricominciato a cadere.

-Sbagli. Tu sei l’assassina.- mi urla contro. M’irrigidisco e mi volto di scatto verso di lui.

-Io?! Mi avete creata voi! Mi avete addestrata, mi avete torturata, mi avete portato via ogni cosa. Voi mi avete fatto diventare così…- singhiozzo reggendomi il fianco che inizia a farmi male, vedo sfuocato, barcollo e lui lo nota. 

-Ti avevo chiesto di aspettare, ti avrei portata via.- mi risponde avvicinandosi di parecchi metri ma io retrocedo tenendolo d’occhio. Respiro profondamente.

-Quanto mi avresti fatto aspettare?Uhm? Non voglio morire lì dentro. Non ci sto!- urlo guardandolo dritto negli occhi.

-Se scappi ora, scapperai per sempre. Non potrai mai farti una vita, o amare qualcuno. Saranno sempre in pericolo stando con te.- mi dice, freddo.

-Non se vi distruggo.- 

-Morirai provandoci.- 

-Sempre meglio che morire senza averlo fatto.- gli dico poi senza dargli altro tempo impugno la pistole premo il grilletto mirando alla sua gamba e alla spalla senza ferirlo gravemente. Urla e si accascia a terra in una pozza di sangue. 

Gli concedo un ultimo sguardo conscia che la prossima volta che lo rivedrò lui sarà li per uccidermi e non mi sparerà al fianco ma al cuore. 

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