Assassin's Heart

di ArashiStorm
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Journal ***
Capitolo 2: *** Simply Human ***
Capitolo 3: *** A certain somebody ***
Capitolo 4: *** The Truth ***
Capitolo 5: *** When we meet ***
Capitolo 6: *** Dreams ***
Capitolo 7: *** Waking up ***
Capitolo 8: *** Memories ***
Capitolo 9: *** History Lesson ***
Capitolo 10: *** Revelation ***
Capitolo 11: *** Doubts ***
Capitolo 12: *** Hunting ***
Capitolo 13: *** What to do ***
Capitolo 14: *** What I aim for ***



Capitolo 1
*** The Journal ***


Sapevo che ci sarei caduta....dopo aver giocato ad Assassin's Creed III (che io ho apprezzato parecchio alla faccia di chi lo ha denigrato) non potevo non scriverci qualcosa e non è nemmeno una one-shot, no, perché sono folle e parto a provare con una multi chapter...mah speriamo piaccia. Aspettatevi molto Connor e Haytham e Ziio con un pizzico di Aveline (a questo proposito purtroppo non avendo la psvita non ho potuto giocare a Liberation, anche se mi sono documentata sulla storia, quindi la Aveline che trovate qui è una mia visione del personaggio, spero non sia troppo OC)
Se voleste farmi sapere che ne pensate lo gradirei molto, anche perché saprei se è il caso di continuare la storia o no XD




Assassin's Heart



1. The Journal

Chiuse il diario con lentezza. Le ultime parole scrittevi all'interno, su pagine ormai ingiallite, rimbombavano nella sua mente. Sul tavolo dove il diario era riposto piccolo gocce aumentavano di numero. Non gli fu difficile capire che altro non erano che lacrime che gli scendevano da occhi che pensava non fossero più in grado di piangere. Non dopo aver visto morire sua madre in un incendio che non avrebbe mai potuto dimenticare.

Eppure ora quelle lacrime non scendevano per sua madre, ma per qualcuno per il quale mai avrebbe pensato di poter anche solo credere di piangere. Connor Kenway stava piangendo per suo padre.

Lo aveva perso, anzi lo aveva ucciso lui stesso, poco più di un mese fa. Le sue mani potevano dirsi ancora bagnate del suo sangue, anche se non solo del suo, perché insieme a quello di Haytham Kenway, dalla lama celata che teneva al braccio, colava anche il sangue, ben più odiato, di Charles Lee. E se non provava nessun pentimento per quell'ultimo omicidio, lo stesso non poteva dirsi del macigno che sentiva nel cuore per l'uccisione del padre. Soprattutto ora che, dopo la lettura del suo diario, era riuscito, forse, a capirlo anche se ancora non sapeva se sarebbe riuscito a perdonarlo.

Si asciugò gli occhi, leggermente incredulo di come questi continuassero a lacrimare e si voltò di scatto, verso la porta della stanza, quando sentì un leggero bussare dall'altra parte del robusto legno.

Viveva da solo in quella grande magione che era stata la villa di Achilles Davenport e per questo motivo sapeva bene che una sola persona poteva trovarsi al di là della porta, la stessa persona che quella mattina si era presentata nella sua tenuta con il diario tra le mani.

"Entra pure" disse, notando come la sua voce fosse uscita roca e sofferente. Decisamente non era da lui. Cosa che pensò anche la ragazza che, entrando in silenzio, lo guardò a lungo prima di aprir bocca.

"Tutto bene?" chiese a mezza voce.

"Si, Aveline. Ti ringrazio." rispose alzandosi dalla sedia e andando a guardare il buio fuori dalla finestra. Aveva passato tutta la giornata a leggere il diario di suo padre e solo ora si rendeva conto che si era fatta notte.

"L'hai letto tutto?" domandò nuovamente la donna, rimanendo sulla soglia, con la porta aperta.

Un cenno del capo fu tutto quello che l'assassina di New Orleans ottenne, e sembrò bastarle. Connor però, dopo alcuni istanti, cercò di essere più esaustivo.

"Aveline" chiamò, sentendo la porta che stava per rinchiudersi. "Ti ringrazio per avermi portato il diario"

La ragazza stette in silenzio per alcuni secondi e poi rispose "Mi domando se ho davvero fatto bene a portatelo"

Il ragazzo si volse verso di lei, un mezzo sorriso sulle labbra.

"Me lo sono domandato anch'io - confessò - mentre lo leggevo, e ora, che l'ho finito, posso dirti che, si, hai fatto bene."

La ragazza sorrise, ma prima che potesse parlare, Connor tornò a voltarsi verso la finestra riprendendo la parola.

"Domani dovrò ricordarmi di ringraziare anche Achilles per averti chiamata e averti chiesto di tenermi d'occhio"

"Perché non facessi sciocchezze, mi aveva detto" concluse Aveline.

Connor sorrise. "Se fosse ancora vivo mi avrebbe sicuramente punito e ammonito per la mia imprudenza..."

"Più che imprudenza la chiamerei follia...Entrare nel quartier generale del nemico mentre viene bombardato dai propri alleati. Sei stato fortunato ad uscirne vivo."

"Hai ragione. Ma più che uscirne vivo dalle cannonate, ancor oggi mi domando come ho fatto ad uscir vivo dalla scontro con mio padre..."

Aveline rimase in silenzio.

"Ora mi domando se lui stesse davvero facendo sul serio..."

"Dunque anche tu te ne sei reso conto...." controbbattè la ragazza, testando il terreno.

Connor si volse verso di lei, sul suo volto un evidente segno di curiosità. Aveline tentò di spiegarsi meglio.

"Ho visto il vostro combattimento, vi ho raggiunto poco dopo aver trovato per caso il diario di tuo padre, quando una cannonata ha distrutto quello che probabilmente era il suo studio. Pensavo fosse una mia sola impressione, ma anch'io ho pensato che tuo padre non stesse facendo sul serio e non volesse ucciderti."

Connor la guardò sempre più pensieroso.

"Avrebbe potuto chiamare delle guardie, ma soprattutto mentre tentava di soffocarti, lo stavo guardando bene, pronta ad intervenire, avrebbe potuto usare la lama celata per tagliarti la gola, anzi, ero sicura che lo avrebbe fatto... Avrebbe potuto ucciderti facilmente, e invece..."

Calò un silenzio ancora più pesante, Connor si voltò nuovamente verso la finestra, una mano sulla lastra di vetro come per reggere il suo stesso peso contro di essa. Che fosse vero? si domandava. Che suo padre avesse intenzione di morire per mano sua dunque? O semplicemente non volesse davvero ucciderlo nonostante le sue ultime parole?

Connor era preso da mille dubbi e quasi sussultò quando Aveline chiamò il suo nome. Si voltò verso di lei aspettando che parlasse, la mano ancora sulla finestra.

"Mi rendo conto che tu abbia bisogno di tempo per digerire la faccenda, ma avrei bisogno che mi accompagnassi a New York domani. C'è qualcosa che faresti bene a vedere..."

Il ragazzo annuì e l'Assassina lo imitò di rimando "Bene, ci vediamo domani mattina allora" disse poi, prima di uscire nuovamente e chiudersi la porta alle spalle.

All'interno Connor sentì il portone chiudersi con un rumore sordo, mentre il suo sguardo si ripose nuovamente sul diario del padre. C'erano ancora delle pagine vuote, sul tavolo un calamaio e una penna sembravano aspettare solo di essere sollevati e usati. Connor si avvicinò al tavolo, si sedette e intinse la punta della penna nell'inchiostro. Forse gli avrebbe fatto bene ripercorre quei momenti sulla carta. Forse così, pensò, gli sarebbe sembrato di parlare con suo padre ancora una volta.
Sulle scale fuori dalla stanza Aveline nel frattempo si era volta verso la porta chiusa domandandosi se ciò che aveva pianificato di fare sarebbe stata una buona cosa o se avrebbe peggiorato la situazione ancora di più. L'indomani l'avrebbe scoperto...

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Capitolo 2
*** Simply Human ***


2. Simply human

La mattina dopo, all'alba, Aveline tonò a bussare alla porta della stanza di Connor ma non ottenne riposta né la prima, né la seconda volta che le sue dita toccarono il legno. Al terzo tentativo andato a vuoto entrò comunque, con circospezione, pronta ad ogni evenienza.

All'interno non notò nulla di sospetto a parte il fatto che di Connor non ci fosse nemmeno l'ombra. Sul tavolo il diario del padre era ancora aperto e la ragazza notò che sulle sue pagine ingiallite c'erano nuove parole scritte da poco. Non lesse nulla di ciò che vi era scritto, perfettamente conscia che quelle parole erano state messe su carta dallo stesso Connor la notte precedente, probabilmente dopo che lei lo aveva lasciato solo. E non volle quindi impicciarsi delle faccende di lui.

Si concentrò, però, per capire dove fosse, e si diede della sciocca quando riflettendo un attimo le fu facile intuire dove il suo fratello in armi potesse essere. Uscì dalla villa, più precisamente saltò giù dal balcone per fare prima e, come sospettato, trovò Connor davanti alla tomba di Achilles.

"Connor" lo chiamò con voce leggermente preoccupata. Il ragazzo si volse verso di lei e la donna fu felice di rivedere sul suo volto la stessa espressione di sempre, anche se forse ancora un po' velata. Probabilmente per via della mancanza di sonno, pensò.

"Hai dormito?" chiese dunque per assicurasi di aver intuito bene.

"No - rispose il ragazzo tornando a guardare la tomba del suo mentore - avevo molto a cui pensare"

"Capisco"

"Ci sono momenti in cui darei qualsiasi cosa per aver ancora Achilles con cui parlare. Sicuramente mi avrebbe già urlato contro per ciò che mi sono ritrovato a pensare, e probabilmente sentendo le sue parole avrei finito per sentimi meglio pensando che in fondo avesse ragione...invece ora..."

"E sentiamo...Cosa avresti pensato che avrebbe potuto farlo infuriare?"

La domanda aleggiò tra i due Assassini per un periodo che parve infinito ad entrambi e solo dopo qualche minuto Connor portò lo sguardo negli occhi di Aveline

"Che non l'ho mai conosciuto davvero, che l'ho giudicato male e che è troppo tardi per dirgli che mi dispiace"

Aveline resse lo sguardo del compagno e non ci fu bisogno che chiedesse a chi si stesse riferendo. Le fu fin troppo chiaro che Connor stesse parlando del proprio padre.

Rimasero a guardarsi finché una lepre non corse via in mezzo all'erba vicino ai loro piedi, per sparire in mezzo alla boscaglia poco lontano, seguita dagli sguardi di entrambi.

La ragazza colse l'opportunità per spezzare il silenzio.

"Sarà meglio preparare i cavalli" disse velocemente dirigendosi verso le stalle lì vicino. Connor la fermò prendendola per un braccio. "Pensi che sia un sentimentale?" chiese con un cipiglio arrabbiato, con lei o con sé stesso non seppe dirlo. Aveline non se ne curò in ogni caso, e gli ripose ponendogli una mano sul braccio che la tratteneva.

"Penso solo che tu sia un essere umano, e in questo non c'è nulla di sbagliato"

Connor la lasciò andare per un secondo spiazzato dal sorriso sincero che si stagliò sul volto di lei. Un sorriso che la ragazza mantenne anche una volta datogli le spalle, ora più fiduciosa di quanto non fosse prima per il loro viaggio verso New York.

Lasciarono la tenuta l'ora seguente, dopo aver caricato sui cavalli il necessario per il viaggio. Una volta usciti nella frontiera Connor si mise il cappuccio sulla testa, mentre Avelin si sistemò meglio il capello e entrambi partirono al galoppo nel mezzo della foresta.

Era mattina presto e la rugiada brillava ancora sulle foglie più basse della boscaglia. Intorno ai due Assassini solo il rumore degli zoccoli del cavallo e della corrente del fiume che scorreva sotto di loro. Non si sentivano nemmeno i tamburi delle onnipresenti truppe militari. Era cosa nota infatti che, anche se ora gli inglesi se ne erano andati sulla carta, questo non volesse dire che non ci fosse la possibilità di imbattersi in piccole truppe recidive più o meno organizzate. Alle volte Connor ricordava anche di aver assistito a schermaglie tra patrioti e giubbe rosse come se la guerra fosse ancora in corso nonostante la dichiarazione d'indipendenza fosse ormai stilata e approvata. Forse, la verità era che la rivoluzione, come era stata chiamata, non era poi davvero finita...

Il viaggio, in ogni caso, anche nelle ore successive, proseguì senza intoppi. I due non avevano parlato quasi per nulla durante la cavalcata e Connor non aveva ancora avuto modo di chiedere spiegazioni alla ragazza in merito all'incarico, o qualsiasi cosa fosse, che gli aspettava a New York. Ma, dopo qualche ora di vento sul volto, con la mente più lucida e sforzandosi di metter da parte le nuove rivelazioni apprese il giorno precedente, colse infine l'occasione per domandare.

"Cosa ci aspetta a New York? Hai detto che c'è qualcosa che devo vedere... è forse successo qualcosa?"

"Non è il caso di parlarne ora...tra qualche ora lo vedrai con i tuoi occhi" fu la risposta evasiva della ragazza.

Connor notò come lei non si fosse nemmeno girata nella sua direzione per rispondere e la cosa, non seppe perché, lo incuriosì e per alcuni versi lo preoccupò.

"Forse vuoi farmi vedere il nuovo mercato di schiavi che si è attivato. Purtroppo l'ho già saputo e prima che tu arrivassi mi stavo, in effetti, già domandando come agire."

"No, non è per quello, anche se sarebbe il caso di pensarci" rispose Aveline tirando le redini del cavallo quando i due si appressarono ad una locanda per far riposare gli animali.

La ragazza scese dalla sua cavalcatura e la legò al palo vicino all'entrata dell'edificio di legno.

"Hai qualche idea in merito?" chiese poi volgendosi verso Connor che la stava imitando legando anche il suo destriero allo stesso palo.

"Ho già chiesto a Doby di investigare, visto che stiamo andando a New York potrei contattarla per chiederle come procedono le indagini. Se riuscissimo a scoprire dove si nascondono i trafficanti..."

Aveline sembrò rifletterci mentre si incamminava verso la porta della locanda per chiedere rifornimenti e acqua per i cavalli.

"Potremo anche pensare di colpire i clienti, senza domanda non ci sarebbe nemmeno offerta" concluse la donna quando Connor le fu vicino.

"è un'idea azzardata - fece lui - c'è i rischio di uccidere anche persone che non lo meritano. Ci sono nobili che possiedono schiavi ma non li maltrattano e per quanto sia ingiusto é meno deprecabile di coloro che sottraggono i figli alle madri per farne della merce di scambio..."

Aveline lo guardò per un lungo attimo e Connor non poté che distogliere lo sguardo cercando di nascondersi ancor di più sotto il cappuccio.

"Lo so, pensi che sia troppo ingenuo e idealista nel pensarla così...ma ho imparato che non tutte le persone sono come sembrano..."

La ragazza lo zittì portandogli un dito alle labbra. "No, hai ragione" disse annuendo con sincerità ripensando con nostalgia al padre ucciso dalla sua matrigna "Non sei né ingenuo né idealista, come ti ho già, detto, sei solo un essere umano, forse anche più di quanto lo sia io. E in questo - sottolineò nuovamente prima che Connor potesse controbattere - non c'è davvero nulla di sbagliato, anzi..." concluse mentre apriva la porta, ritrovandosi inondata da un vociare allegro e in alcuni momenti anche volgare.

La locanda era piena, come è ovvio che fosse vista la posizione in cui era stata edificata, funzionale per ogni destinazione che ci si fosse prefissati.

La donna si fece largo tra i tavoli, seguita dal compagno, e entrambi si sedettero al bancone chiedendo i rifornimenti di cui avevano bisogno. Rimasero li il poco tempo necessario e senza mai fare una parola tra loro uscirono e poco dopo ripartirono verso la loro metà.

New York sarebbe stata la loro prossima tappa ed Aveline al pensiero di ciò che sarebbe potuto succedere si ritrovò a incitare il proprio cavallo per fare più in fretta noncurante del leggero tremore di preoccupazione delle sue mani mentre stringevano le redini.

Solo poche ora dividevano i due Assassini da una certa rivelazione o forse sarebbe stato meglio dire da un certo qualcuno...

 

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Capitolo 3
*** A certain somebody ***


3. A certain somebody

Il sole iniziava a intraprendere la strada per inabissarsi nelle acque dell'oceano quando i due Assassini attraversarono la porta che conduceva a New York. In cielo bellissime sfumature colorate dipingevano un tramonto che alcuni pittori improvvisati tentavano di riportare su tela, seduti sul limitare del piccolo lago nelle vicinanze dell’entrata della città. Ai lati del portone, della strada e anche sopra la pesante recinzione di legno, patrioti in divisa osservavano con attenzione le persone che passavano loro vicino. Connor ebbe un momento di sconforto mentre si sistemò meglio il cappuccio sul capo. Sconforto nel pensiero che dovesse comportarsi in maniera circospetta e attenta anche ora che i britannici se ne erano andati. Rimanevano i patrioti, quelle stesse truppe che aveva aiutato in passato e che ora, nonostante tutto, se avesse fatto qualcosa al di fuori dalla norma, lo avrebbero fermato e, senza indugio, attaccato con gli stessi fucili che qualche anno fa stavano dalla sua parte. O forse sarebbe stato meglio dire che era Connor che si era portato dalla loro parte, nella speranza di ottenere quella assai agognata libertà che suo padre temeva tanto. Se quei ricordi non fossero così profondamente amari, quasi gli verrebbe da ridere al pensiero di quanta verità nascondessero quelle fredde e dure parole che Haytham gli aveva vomitato addosso sul tetto di una di quelle case in lontananza. Connor aveva colto quella verità ora, ma al tempo stesso non voleva accettarla. Sperava ancora e avrebbe sempre sperato che qualcosa, prima o poi, sarebbe cambiato in meglio, non importa quanti anni ci sarebbero voluti, Connor continuava a sperare, ma era indubbio che quella attesa facesse male. La stessa New York era per Connor un sinonimo di dolore. Per i ricordi che vi aveva del padre, per le delusioni che gli aveva mostrato la gente, perfino per l’ignavia che pareva aver colto anche il generale Washington che sempre più spesso vedeva lontano dai suoi doveri, e molto più interessato al suo gioco di bocce. Non che avesse rinnegato il suo appoggio a Washington, assolutamente no, chiunque per Connor sarebbe stato meglio di Charles Lee, però al tempo stesso il ragazzo non poteva non domandarsi che fine avrebbe fatto questa nuova America viste le premesse su cui si basava. Ma in fondo lui non era un politico e tutto ciò in cui voleva sperare era che prima o poi tutti, ma proprio tutti, sarebbero stati liberi di vivere secondo la propria volontà. Questa era la sua speranza, quella stessa che ogni volta che entrava a New York veniva sconquassata di incertezze, davanti alle macerie ancora bruciate e alla povertà che vi vedeva passeggiare sulle stesse strade che venivano percorse da nobili ben vestiti. Le persone erano nate per essere uguali eppure i cittadini che Connor vedeva dirigersi verso casa avevano mete ben diverse, c’era chi sarebbe arrivato in una vecchia casa diroccata della periferia e chi nello stesso momento avrebbe girato la maniglia di una lussuosa abitazione del centro. La loro, invece, di meta sembrò palesarsi velocemente quando Aveline non intenzionata ad seguire coloro che, più ricchi, si incamminavano verso il cuore della città, si fermò nei pressi di uno dei primi edifici della periferia.

Era una casa in legno, piuttosto logoro ma intatto, e dal tetto spiovente. Vicino, Connor notò una carrozza davanti all'ingresso e anche un piccolo campo di pomodori e alcuni animali, segno che la famiglia non era così povera, ma nemmeno abbastanza ricca da poter possedere più di quel che vedeva. Le luci all’interno erano accese e il cane sembrava dormire silenziosamente sul prato a lato della casa. Aveline scese da cavallo, legando l'animale alla piccola recinzione del giardino, subito imitata dal compagno che si meravigliò quando la donna non si curò di bussare alla porta principale. Si avvicinò, invece, ad un’altra piccola porticina, che dava l’accesso ad un’ala della casa dal tetto più basso rispetto l’edificio principale. Aveline si fermò davanti e si volse verso Connor. Nei suoi occhi il ragazzo lesse tensione e preoccupazione, ma non ebbe tempo di chiedere il perché di quelle emozioni che la ragazza lo degnò, finalmente, della sua voce.

“Ora penso che tu debba rimanere calmo… E promettimi che non farai nulla di irrazionale e sconsiderato quando aprirò questa porta”

Connor la guardò decisamente turbato da quelle parole.

“Si può sapere che sta succedendo?” chiese, portando la mano al tomahawk senza nemmeno rendersene conto.

La ragazza sospirò rumorosamente. “Vedi la cosa che dovevi vedere in realtà non è una cosa, ma è un certo qualcuno che probabilmente…” si fermò per cercare le parole adatte me sembrò non trovarle quando imprecò a mezza voce e si limitò ad aprire la porta e a togliersi dall’uscio, invitando Connor ad entrare.

“Sarà meglio che lo veda con i tuoi occhi…”concluse.

Il ragazzo avanzò con cautela verso la porta aperta senza però togliere gli occhi da Aveline, che dal canto suo, evitava di incrociarne lo sguardo sistemandosi la lama celata sul braccio. Connor dovette però alla fine cedere e portare la sua attenzione all’interno della stanza. Era buio, ma i suoi sensi allenati non fecero fatica a distinguere ciò che si nascondeva nell’oscurità. Vide un tavolino con uno sgabello. Sul muro alcune mensole su cui erano appoggiati vari utensili. Nell’angolo notò appoggiati delle scope e rastrelli. Lungo la parete destra sacchi e cesti, alcuni pieni, alcuni vuoti. In fondo alla stanza, riposta con cura, sotto la piccola finestra, c’era della legna del tutto simile a quella che aveva visto fuori accatastata, sicuramente pronta per l’inverno in arrivo. Insomma quella sembrava in tutto e per tutto una stanza che la famiglia della casa usava come ripostiglio per tutto cui aveva bisogno. Questo fu ciò che il ragazzo pensò prima di volgere l'attenzione al muro di sinistra. Lì vide una cosa che gli parve subito fuori luogo: un letto perfettamente in ordine.

“Che significa?” chiese, girandosi verso la ragazza ancora fuori. Connor notò come l’amica sembrò spiazzata dalla domanda e cercò di spiegarsi meglio.

“Qui non c’è nessuno …e a parte un letto in perfetto ordine, sembra un normale ripostiglio di una famiglia benestante”

“Come?” e questa volta la voce della compagna lo preoccupò all’istante. Aveline si fiondò all'interno della stanza setacciandone ogni angolo con lo sguardo.

“Dannazione” imprecò uscendo come una saetta, andando a bussare con insistenza all’uscio di casa. Connor la seguì e non gli sfuggì di notare come il cane continuasse a dormire nonostante il chiasso che la ragazza stava generando sbattendo con insistenza i suoi pugni contro il legno. Quando finalmente qualcuno aprì la porta l’Assassino aveva già appurato come il cane fosse addormentato un po’ troppo profondamente… La cosa lo mise ulteriormente in allarme e vedere Aveline che parlava animatamente con l’uomo che aveva aperto la porta non lo fece stare meglio. Aveva bisogno di risposte ed era intenzionato ad averle al più presto. Non si curò più del cane e si diresse con cipiglio verso la compagna, prendendola per le braccia e costringendola a dargli tutta la sua attenzione.

“Aveline!” - urlò esasperato - “che sta succedendo?!”

La ragazza lo guardò fino a che il  fiato sembrò tornarle di colpo. Sospirò rumorosamente mentre Connor ancora le stringeva con forza le braccia, notando come l‘uomo, con il quale stava parlando poco prima, stesse fissando il ragazzo con evidente comprensione.

“Hai ragione … sarà meglio che ti spieghi tutto” disse infine.

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Capitolo 4
*** The Truth ***


4. The Truth

«Mio padre???»
La ragazza annuì non curandosi del rumore della sedia di Connor che si ribaltava dietro di lui per la foga con cui il ragazzo si era messo in piedi. 
Jack, l'uomo che aveva aperto poco prima la porta, sobbalzò alla reazione del ragazzo. Era vero che, come amico di Aveline, quella non era stata la prima volta in cui il dottore si era ritrovato a dover aiutare la ragazza con le sue cure. Lei, però, lo aveva sempre tenuto il più possibile fuori dai problemi della confraternita, tanto che Jack non sapeva nemmeno chi fossero i templari e ancor più né lui né la sua famiglia avevano la minima idea che l'uomo che gli era stato chiesto di tener nascosto fosse il Gran Maestro dei templari delle Colonie.
Proprio per questo motivo quando Aveline si era ritrovata costretta a spiegare tutta la faccenda cercò di non far trapelare la vera identità di Haytham, ben sapendo che Connor avrebbe compreso la sua linea di pensiero. La spiegazione comunque si risolse essere una cosa piuttosto veloce in quanto Aveline era molto più preoccupata a pensare dove il fuggiasco potesse essere sparito rispetto a fornire un resoconto dettagliato dei ma e dei perché della situazione. In ogni caso, ben più in subbuglio, era la mente di Connor che, dopo il racconto, era rimasto ancora in piedi, teso come una corda di violino, con i pugni stretti così forte da imbiancarne le nocche. 

Suo padre era vivo. Salvato da Aveline poco dopo che lui lo aveva lasciato con una ferita mortale al collo. Salvato, da quanto aveva fatto capire la donna, per ottenere informazioni in primo luogo, ma non solo. Aveline non lo aveva detto, ma il ragazzo aveva intenso che il suo salvataggio era stato dettato anche dal poco convincente combattimento a cui gli occhi dell'Assassina avevano assistito. Glielo aveva detto anche l'altra sera. Haytham non sembrava aver fatto sul serio quella notte e se ciò corrispondesse al vero Aveline non era l’unica a voler sapere il perché di un tale comportamento.
«è inutile rimane qui a discutere. Dobbiamo trovarlo»

Connor si riscosse al suono della voce della sua consorella. Aveva ragione, Haytham andava trovato e alla svelta. Fortunatamente la sua fuga non doveva risalire a più di qualche ora fa in quanto il padrone di casa, che Connor aveva scoperto poco fa essere un dottore amico di Aveline, lo aveva visitato nel primo pomeriggio notando oltretutto una salute in netto miglioramento. E un Haytham in buona salute, gli Assassini lo sapevano bene, era una potenziale minaccia che andava fermata, o perlomeno arginata, al più presto.

«Ho un'idea di dove possa essere andato, ma potrei sbagliarmi quindi Aveline, troverai sicuramente Doby al Black Horse, fatti aiutare da lei e insieme agli altri adepti perlustrate New York da cima a fondo. Manda anche un gruppo a Boston anche se c'è meno possibilità che si sia diretto li, ma è meglio non lasciare nulla di intentato. Io mi occuperò della frontiera. Mio padre è un ottimo spadaccino e un uomo dalle mille risorse, ma l'inverno in avvicinamento rende la foresta un difficile luogo di adattamento anche per gente come lui.»

«Tu invece ti ci senti a tuo agio, giusto? D'accordo allora, lascia le città a noi. A te la ricerca tra gli alberi.»

«Quell'uomo è davvero così pericoloso come lo dipingete?» Chiese all'improvviso una voce femminile che apparteneva alla moglie di Jack seduta anch'ella nella stanza.

Connor non rispose, si limitò ad annuire, con quanta convinzione non lo sappe dire nemmeno lui.

«Però...» tentò di continuare la donna.

«Smettila Jenny, lo sai che non dobbiamo impicciarci degli affari di Aveline e dei suoi amici»

Connor si pietrificò al suono del nome della donna. Si volse verso di lei e si ritrovò a domandare un'ovvietà.

«Vi chiamate Jenny?»

La moglie guardò il ragazzo, ignorando il marito e annuì osservando con particolare attenzione il volto del giovane.

«Avete fatto la stessa espressione che Mr. Haytham mi ha riservato una volta saputo il mio nome...» aggiunse poi a mò di domanda implicita.

Connor colse quella curiosità nel tono della donna e portando lo sguardo al pavimento le rispose con voce calma e asciutta.

«Avete lo stesso nome di sua sorella...»

«Oh!ora capisco. Le deve essere successo qualcosa di brutto allora»

«Perchè dite questo?» chiese Connor alzando nuovamente gli occhi sulla signora.

«Perchè mi guardava spesso con un'espressione molto dolce e nostalgica. Per questo mi riesce difficile capire la preoccupazione con la quale sia voi che Aveline avete dimostrato alla sua scomparsa. Poi se non ho capito male, quell'uomo è vostro padre, non è forse così?»

«In effetti ho notato subito che vi assomigliate parecchio» aggiunse il marito di Jenny.

«Si, egli è mio padre» ammise Connor rivolgendo la sua attenzione al dottore.
In quei pochi attimi gli era sembrato di essere solo in quella piccola stanza e per questo sussultò quando Aveline gli mise una mano sulla spalla.

«Sarà meglio che ci sbrighiamo» gli disse, forse anche per aiutarlo ad uscire da un discorso che avrebbe potuto ferirlo in qualche modo. La donna sapeva che Connor aveva finito di leggere solo la sera prima le memorie del padre e immaginò che i suoi sentimenti in merito fossero ancora in fase di assestamento.

«Si» le rispose facendo un passo verso la porta. Ma ancora una volta la voce di Jenny lo fermò a pochi passi dall'uscita.

«Avete intenzione di ucciderlo?» chiese con un tono che malcelava dolore e sofferenza.

Connor non ebbe tempo di rispondere e nemmeno di pensare a cosa rispondere che la porta finora rimasta chiusa si aprì di colpo. Entrarono due bambini piuttosto piccoli che si avventarono contro l'Assassino. Erano un maschio e una femmina. La bambina era più piccola, attorno ai 5 anni, il ragazzino invece ne avrebbe potuti avere qualcuno in più. Connor avrebbe potuto azzardare un otto anni almeno, ma ciò che più gli saltò all'occhio era il cappello che il bimbo portava in testa. Lo avrebbe riconosciuto tra mille, era quello di suo padre!

«Non uccidete Mr. Haytham!!!Non è cattivo mi ha regalato il suo cappello» urlò il bambino sbattendo i piccoli pugni contro una gamba di Connor.

«A me ha regalato un cavallino fatto con il legno» gli fece eco la sorella tirando il cappotto bianco e azzurro del ragazzo.

«Mr. Haytham è buono. Non fargli male» finirono poi entrambi all'unisono ripetendo quella frase più e più volte.

Jack si avvicinò pochi attimi dopo, anche lui preso alla sprovvista dall'entrata dei due figli.

«Milly, Richard che ci fate qui? Vi avevo detto di andare a dormire!» li riproverò cercando di staccarli dai vestiti di Connor. «Non sono cose che vi riguardano» concluse.

Connor era impietrito, ma non abbastanza da non rendersi conto che i bambini avevano iniziato a piangere uno abbracciando il cappello blu del padre e l'altra stringendo forte il tessuto del suo vestitino rosso. Suo padre stava così a cuore a due anime innocenti come quei due bambini? Lo stesso uomo che aveva visto uccidere persone a sangue freddo senza provare un briciolo di rimorso? Lo stesso uomo che però, ora Connor sapeva, aveva salvato lui stesso da morte certa sul patibolo. Lo stesso uomo che aveva passato la vita a cercare l'assassino di suo padre. Lo stesso uomo che aveva mosso mari e monti per salvare la sorella prima e colui che era diventato il suo miglior amico poi. Lo stesso uomo che aveva lasciato andare due Assassini e non aveva cercato vendetta anche se uno di questi lo aveva ferito quasi a morte...

Haytham Kenway, chi era davvero suo padre?

Preso da mille dubbi Connor si sistemò il cappuccio sulla testa per nascondere il volto, mentre ai suoi piedi vide anche Jenny che si avvicinò nel tentativo di aiutare il marito a tranquillizzare i figli.
«State tranquilli bambini. Sono sicura che Connor voglia solo parlare con Mr. Haytham. Non ho forse ragione?» chiese poi alzando gli occhi verso il ragazzo.

Connor la guardò da sotto il tessuto del cappuccio e si ritrovò ad annuire con più convinzione di quanto credesse. Quelle parole stranamente lo calmarono. Si, in fondo avrebbe solo dovuto parlare con lui e forse tutto si sarebbe sistemato.

Si abbassò a livello dei ragazzini e mise una mano sulla testa di entrambi accarezzando loro i capelli dolcemente.

«Non voglio fargli del male - disse- voglio solo fargli qualche domanda»

I due bimbi lo guardarono, le lacrime ancora visibili sui piccoli volti paffuti. 

«Davvero?» chiesero pulendosi il naso con i dorso della manina.

«Certo» rispose lui con un sorriso e i ragazzini si guardarono prima di mimare un sorriso a loro volta.

«Hai il suo stesso sorriso!» esclamarono entrambi indicando il giovane Assassino.

«Ma Mr. Haytham è più bello!» aggiunse la bambina con cipiglio.

Aveline sorrise mentre Jenny cercò di nascondere la risata rimproverando la figlia con pugnetto scherzoso sulla testolina bionda.

«Milly, non è carino da dirsi per Connor»

«Ma è vero» si difese la ragazzina.

Aveline si avvicino e anche lei si abbassò a livello della bimba.

«Ma lo sai che Mr. Haytham è vecchio forse più del tuo papà?» chiese con tono ilare.

«E allora? anche il mio papà è bello infatti!» decretò con soddisfazione Milly guardando il proprio padre ancora in ginocchio vicino a loro.

«Quindi Mr Haytham è meglio anche di me?» chiese Jack fingendo tristezza e delusione.

La bambina scosse violentemente la testa e si buttò tra le braccia dell'uomo. « No No!! Il mio papà è il più bello e il migliore del mondo!» Urlò stringendo forte il padre tra le piccole braccine.

Jack sorrise contraccambiando l'abbraccio e sia Jenny che Aveline notarono come lo sguardo di Connor si fece dolce e sofferente allo stesso tempo mentre guardava padre e figlia abbracciati e sorridenti. Ma Aveline sapeva che non c'era tempo per rimanere li a farsi prendere dai sentimenti, quindi si fece forza e mise nuovamente una mano sulla spalla di Connor per spronarlo ad andare. Il ragazzo si volse verso di lei e annuì con prontezza, alzandosi in piedi seguito subito dalla sua consorella. Fece un passo verso la porta ma dovette fermarsi nuovamente quando sentì il cappotto tirare alla base. Guardo in basso e la manina di Milly teneva forte il tessuto, sul volto un'espressione decisa che poco sembrava quella di una bambina. Connor le sorrise e le accarezzò nuovamente la testa, guardò anche Richard e annuì ad entrambi.

«Non gli farò nulla» ribadì e si sorprese di sentire così tanta convinzione e sincerità nella sua stessa voce.

I bambini colsero quella sincerità e mentre Milly lasciò il cappotto, Richard annuì con forza al ragazzo come a dargli la sua approvazione.

Connor uscì dalla casa poco dopo seguito da Aveline. Saltò sul cavallo dopo aver dato alla compagna le ultime raccomandazioni sulla ricerca da imbastire e partì al galoppo verso la frontiera.

Si sentiva più leggero e tranquillo di prima. Grazie a quei due bambini ora era più sicuro dei suoi sentimenti e forse anche più pronto ad affrontare un padre che credeva di aver ucciso con le proprie mani. Un padre che, sperava, avrebbe ritrovato in tempo per un nuovo inizio.

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Capitolo 5
*** When we meet ***


Ecco il nuovo capitolo. Mi scuso con i lettori, soprattutto con le uniche due ragazze che recensiscono sempre, per la grande attesa tra un capitolo e l'altro ma real life docet. Spero che la storia continui a piacervi. Buona lettura. Edit: mi son resa conto che avevo usato la seconda persona con Connor nei confronti di Haytham...(sono troppo abituata a giocare e a leggere in inglese XD) ho corretto facendogli usare il "Voi". Scusate la svista.


 5. When We Meet


Ormai si era fatta buio, la foresta si nascondeva nelle tenebre mentre Connor vi si immergeva al galoppo, spronando il cavallo a fare in fretta. Era vero che avesse un'idea di dove suo padre potesse essersi diretto, ma era anche vero che tale ipotesi era piuttosto irreale, eppure, senza capire il perchè, si sentiva sicuro nella sua intuizione.

Mentre cavalcava, certo della direzione nonostante l'oscurità, si ritrovò a pensare che era assai probabile che poche ore prima, mentre lui e Aveline si avvicinavano a New York, nello stesso momento Haytham stesse facendo il percorso contrario. Non si erano incrociati però, Connor se ne sarebbe accorto, quindi l'unica opzione possibile era che suo padre si fosse allontanato dai sentieri segnati per gettarsi nel folto della foresta, lontano da occhi indiscreti di viaggiatori e soldati. La cosa, non aveva timore ad ammetterlo, lo preoccupava non poco. Era consapevole di come Haytham, nonostante l'età, fosse ancora perfettamente in grado di badare a se stesso, ma al tempo stesso sapeva che l'uomo era senza armi in quanto le sue gli erano state tolte e ora giacevano sotto chiave a casa di Jack. Non aveva nemmeno la lama celata, di cui ora Connor conosceva la provenienza, poiché quella era riposta sul tavolo nei sotterranei di villa Davenport. Senza armi nella natura selvaggia...se un lupo, o peggio ancora un orso, avesse dovuto attaccarlo non avrebbe nemmeno avuto la possibilità di parlargli prima di doverne accertare la morte, questa volta con sicurezza.
A quel pensiero gli tornò in mente il loro scontro a Fort George. Più ci pensava più si rendeva conto di quanto Aveline avesse ragione. Non aveva combattuto sul serio, l'Haytham, quello vero, avrebbe avuto facilmente la meglio su un ragazzo ferito quale era lui in quel momento. Poco importa quanta determinazione avesse, era ferito, arrabbiato e poco lucido, eppure...suo padre non aveva azionato la lama celata quando lo aveva messo al tappeto, e non lo aveva preso alle spalle quando all'inizio ne aveva avuto tutto il tempo. No, si era annunciato decretando la fuga di Lee e mettendosi lui stesso tra Connor e il suo secondo in comando. Se fino a qualche giorno fa avrebbe potuto dire che suo padre avesse voluto ancora una volta tentare di portarlo dalla sua parte, oggi invece, dopo aver letto il suo diario, Connor sapeva che Haytham era perfettamente conscio che non sarebbe mai riuscito a fargli cambiare idea e che se si fossero affrontati uno dei due sarebbe morto. E Connor, ora, poteva dirsi certo che suo padre avesse già deciso a chi dei due sarebbe toccato quel destino.
Provò rabbia a quel pensiero, si disse che era perché si sentiva preso in giro e truffato in qualche modo, eppure sotto sotto, nel suo cuore c'era altro, un sentimento ben diverso dalla rabbia derivata da un inganno, era un sentimento molto più subdolo e doloroso e che, più il tempo passava, più assomigliava a quello che tanto, troppo tempo fa, aveva provato vedendo sua madre sparire sotto un muro di fuoco.

Scosse la testa nel tentativo di allontanare tutti quei pensieri dalla sua mente. Non era quello il momento di rimuginare sul passato. Era nel bel mezzo della frontiera, in piena notte e alla ricerca di tracce che sapeva bene suo padre avrebbe cercato di nascondere. Sfortunatamente per Haytham però, Connor era molto più abile del padre nella caccia e gli fu relativamente facile riuscire a trovare indizi utili nella sua ricerca che, come si era aspettato, lo aveva condotto al luogo in cui fin dall'inizio era certo di trovare il genitore.
Arrivò al suo villaggio natio con l'alba che si stiracchiava stanca aldilà delle montagna, donando al mondo una luce ancora fioca e debole, molto più debole del fuoco che Connor vide acceso al centro del villaggio. Vicino a quella piccola fonte di calore, un uomo gli dava le spalle, seduto con la schiena dritta. Sulla testa nessun cappello...il suo in fondo era tra le mani di un bambino a New York.

Connor scese da cavallo e si avvicinò piano.

«Charles è morto» disse l'uomo senza voltarsi. Connor annuì con un si che non tradì rimorso alcuno. «Per mano mia» aggiunse. E  questa volta fu Haytham ad annuire in silenzio.

«Sei venuto per assicurarti di non lasciare il lavoro a metà una seconda volta?»

«Non voglio uccidervi»

Haytham si voltò, e per la prima volta dopo Fort George i suoi occhi incontrarono nuovamente quelli di suo figlio. Connor vi lesse sincera sorpresa che lo indusse a fermare quel contatto visivo portando lo sguardo al terreno.

«Non ho mai voluto farlo in realtà» continuò poi, mentre la sua mano teneva ancora le redini del cavallo.

Haytham non rispose. Si prese del tempo per continuare ad osservare il figlio. In quegli anni in cui aveva avuto modo di conoscerlo, capì  di non averlo mai guardato abbastanza. Era vero che gli era bastato uno sguardo per capire che fosse figlio suo, i lineamenti dei Kenway e gli occhi di Ziio erano inconfondibili sul volto del nativo, ma Haytham non aveva mai posto tanta attenzione su quanto quel ragazzo fosse, beh, un ragazzo appunto. Era giovane eppure sulle sue spalle gravava un fardello che anche un adulto avrebbe faticato a reggere. Era giovane, ma indossava una maschera da adulto. Haytham chiuse gli occhi e sospirò riconoscendo in suo figlio la sua stessa maledizione, quella che ti costringe a crescere senza un'infanzia normale, circondato da intrighi, tradimenti e sangue. Forse la si sarebbe potuta chiamare la maledizione dei Kenway.

L'uomo tornò ad osservare le fiamme che s'alzavano e s'abbassavano. Lanciò un altro pezzo di legno tra le braci e riprese la parola notando come suo figlio fosse rimasto immobile nello stesso punto senza aggiungere altro alla sua ultima frase.

«Perché sei venuto allora Conn...» si fermò «no, anzi non dovrei chiamarti così...non è il tuo vero nome, dico bene?»

Il ragazzo sussultò alzando nuovamente gli occhi sul padre. «Come lo sapete?» chiese, si era detto sempre sicuro che sua madre non avesse mai avuto contatti con Haytham dopo la sua nascita e che quindi non gli avesse mai rivelato di aver avuto un figlio e ancor meno quale fosse il suo nome.

«Ci pensavo qualche ora fa, in realtà...» rispose Haytham, ignaro delle ipotesi che si susseguivano nella mente di Connor «un nome inglese, anzi americano lo si direbbe ora, beh ... tua madre non lo avrebbe mai scelto. Invece mi è tornato alla mente ... il figlio di Davenport...lui si chiamava Connor. È stato il vecchio Achilles a darti quel nome vero?» chiese infine l'uomo voltandosi quel poco che bastava a permettergli di vedere la reazione del figlio.

Connor annuì, stringendo le redini del cavallo senza nemmeno accorgersene e senza capirne il motivo.

«Dunque come ti chiami...figliolo?» aggiunse quell'ultima parte con cautela quasi fosse in punta di piedi su un precipizio senza fondo.
Connor rimase in silenzio per alcuni istanti, poi si lascio scappare un leggero sorriso.

«Non sapreste comunque pronunciarlo» dichiarò con ilarità.

Haytham sbuffò tra l'offeso e il divertito. «Beh che dici di mettermi alla prova, potrei stupirti»

Il ragazzo lo guardò a lungo, poi distolse lo sguardo e sputò il suo nome pronunciandolo volutamente veloce.

«Ratonhnakè:ton»

Ci fu silenzio. Haytham si prese alcuni istanti prima di cercare di riprodurre quel suono che alle sue orecchie non poteva nemmeno essere definita come parola di senso compiuto. Ci provò più volte, ma ogni tentativo era accolto con uno scuotimento della testa del figlio segno inequivocabile dell'errore nella pronuncia.

«Aaah è inutile» decretò dopo almeno una decina di tentativi «se pensavo che il nome di tua madre fosse complicato, il tuo è proprio impronunciabile. Non riesco a capacitarmi di come voi possiate capirvi con quella strana lingua.»

«Ve l'avevo detto che non sareste riuscito a pronunciarlo» concluse il ragazzo avvicinandosi al genitore.

«Vorrà dire che continuerò a chiamarti Connor, in fondo è il nome che ti ha dato tuo padre»

Connor si fermò di colpo, guardando Haytham con uno sguardo perplesso e leggermente ferito.

«Achilles non era mio padre!» ribatté il ragazzo con una decisione e un tono tale da far voltare Haytham in modo brusco. In quelle parole aveva sentito non solo irritazione ma anche una vena di sofferenza e delusione che non si sarebbe aspettato nella voce del figlio.

«Che voi lo vogliate o no, siete voi mio padre!» aggiunse Connor sempre mantenendo lo stesso strano tono.

«Pensavo fossi tu a non volerlo»

Connor sussultò. Non lo voleva? c'era forse mai stato un momento in cui aveva voluto dimenticarsi del fatto che Haytham Kenway era il suo vero padre? Forse l'unico istante in cui avrebbe dato qualsiasi cosa per non averlo avuto come genitore era stato quello in cui si era visto costretto ad infilargli la lama celata alla gola. Si, in quel momento avrebbe voluto che quell'uomo, dallo sguardo triste e risoluto allo stesso tempo, fosse stato solo il gran maestro templare delle colonie. Se così fosse stato Connor avrebbe archiviato la sua morte insieme a tutte le altre di cui le sue mani si erano sporcate e invece quella era probabilmente una delle poche, se non l'unica insieme a quella del suo amico Kanen'ton:kon, che gli pesava sul cuore. Non poteva infatti negare che la notizia di saperlo ancora in vita avesse alleggerito quel peso in modo quasi irritante.

«Achilles è stato il mio mentore, è stato importantissimo per me. Mi ha insegnato tanto, mi ha cresciuto quando mia madre se ne andata, ma per quanto io gli sia grato e lo ricordi con immensa sofferenza...Egli non è mio padre. Non lo è stato e non lo sarà mai. Quella seccatura è soltanto vostra»

«Seccatura? Averti come figlio non è mai stata una seccatura. Un problema forse, una preoccupazione anche, ma mai una seccatura. Non ho mai avuto intenzione di rinnegarti ma ho sempre pensato che fossi tu a non considerarmi tuo padre»

Connor si rilassò tirando un lungo sospiro mentre oltre le montagne il sole cominciava a regalare più luce costringendo il ragazzo a portare una mano alla fronte per proteggersi dai tiepidi raggi che gli colpivano gli occhi.

«Ricordate quando mi sono dovuto procurare quel travestimento per entrare nella birreria mentre inseguivamo Church?» chiese spostandosi leggermente dalla zona colpita dal sole.

Haytham annuì seguendo con cura gli spostamenti del figlio.

«Mi annunciaste come vostro figlio quella volta...Ne fui sorpreso...»

«Sono stato incauto, avrei dovuto pensare che non avresti vol...»

«Ne sono stato felice» lo interruppe Connor «li per li non capii come mai, ma le vostre parole mi fecero felice. Ora penso di aver capito perché»

Haytham scoppiò a ridere «Beh se stai cercando di commuovermi caschi cale...figliolo» disse intercalando alla risata qualche colpo di tosse improvvisa.

Connor si irritò. Era ancora ingenuo per riuscire a comprendere quel magro tentativo di sviare il discorso da parte di Haytham. Eppure l'uomo si diede dello stupido per non aver immaginato che quelle sue parole avrebbero irritato Connor, certo, ma non lo avrebbero convinto ad allontanarsi. Al contrario infatti, il ragazzo allungò il passo con intenzioni che ben presto cambiarono quando gli occhi del giovane poterono vedere dove la mano sinistra del padre era sempre stata premuta fino ad ora.

Il sole aveva ormai illuminato tutto il villaggio ma tutto quello che Haytham sentì prima che si facesse nuovamente buio fu la voce del ragazzo, spaventata, come solo quella di un figlio poteva essere.

«Voi siete ferito!!»

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Capitolo 6
*** Dreams ***


Eccoci al nuovo capitolo. Se devo essere sincera speravo che l'ultimo capitolo dove i due si incontrano nuovamente sarebbe piaciuto di più. Non che mi lamenti ma spero solo che le poche letture e i pochi commenti non significhino che ai lettori non sia piaciuto come ho mosso i personaggi. In ogni caso ecco il nuovo capitolo, non vi spaventate se lo trovate strano XD
Enjoy!



6. Dreams


«Padre!»

«Padre!»

Haytham faticò ad aprire gli occhi. Le immagini erano sfuocate e il dolore all'addome gli pareva si stesse intensificando. O forse erano solo fitte intervallate nel tempo. Quando finalmente riuscì a focalizzare l'immagine si trovo a tu per tu con due occhioni grandi e neri. Un bambino di una decina d'anni, dall'aspetto familiare.

«Padre!» esclamò il bambino tornando a saltare sulla pancia dell'uomo sdraiato a letto. Haytham sbattè gli occhi, più volte, ma l'immagine non cambiava, il bambino era sempre li.

«Connor...?» domandò allora con un filo di voce, incredulo lui stesso della cosa, ma al tempo stesso non vedendo altre possibilità nell'identificazione del piccolo indiano che gli era seduto sullo stomaco.

«No, Ratonhnakè:ton. Dovresti impare il suo vero nome invece di usare quel vostro nomignolo inglese»

«Non è inglese mamma, è americano! E a me Connor piace come nome» trillò il bambino sbuffando un poco.

Haytham si voltò verso qualla voce femminile, si disse fortunato ad essere ancora disteso, altrimenti sarebbe caduto sul pavimento seduta stante. Sulla porta, appoggiata allo stipide, c'era Ziio, in tutta la sua ruvida bellezza.
Haytham si alzò piano a sedere, ancora più incredulo di prima. Doveva essere un sogno, non c'era altra spiegazione, pensò in un attimo di lucidità, ma questa scoparve quando lei avanzò verso il letto. Sorriso sulle labbre e occhi indecifrabili da fiera che studia la sua preda.

«Ziio»

«Non riesci a pronunciare il nome di tuo figlio, ma almeno quella di tua moglie potresti anche sforzarti...»

Haytham non la ascoltò, le prese il polso non appena gli fu a portata di mano e la trascinò a se. La baciò con passione, noncurante del bambino che li guardava.

«Haytham che fai?» disse lei, quasi imbarazzata e sicuramente presa alla sprovvista.

«Ti amo!»

E questa volta Kaniehti:io arrossì sul serio. Mai Haytham le aveva detto quelle parole, non che lei le bramasse, ma sentirsele dire certo non le dispiaque. Solo, furono così improvvise che la colsero davvero senza una riposta pronta, riuscì solo a guardare loro figlio che si era coperto il viso con le mani e li guardava di nascosto, osservandoli tra un dito e l'altro.

Haytham non se ne curò. Che quello fosse un sogno, un'illusione, o che altro non gli importava al momento. Voleva solo che Ziio sapesse che l'amava, nonostante tutto quello che era successo, per lui non era stata una cosa frivola. Provava davvero qualcosa per quella donna tanto bella quando indomabile.

«Non so come si dica nella vostra lingua, ma ...»

«Konoronkhwa»

I due adulti si voltarono all'unisono verso il figlio che aveva parlato, ancora con il viso nascosto dalle piccole mani.

«Konoronkhwa...significa ti amo» spiegò il bimbo un po' imbarazzato.

Haytham sorrise e si voltò nuovamente verso la donna.

«Konoronkhwa» disse cercando di ripete al meglio che poteva quel suono che aveva sentito dalla bocca del piccolo Connor.

Ziio sbuffò, ma il sorriso che ne uscì subito dopo sembrò illuminare tutta la stanza.

«Forse dovrei lascire che sia Ratonhnakè:ton a insegnarti la nostra lingua. L'hai detto perfettamente»

«Perchè c'ha messo il cuore» proruppe una nuova voce che alle orecchie di Haytham suonò tristemente familiare. Il suo, di cuore, perse un battitto, infatti, quando sulla porta vide il padre, invecchiato, ma sempre e innegabilmente l'Edward che aveva idolatrato da bambino.

«Padre...» disse a voce bassa, così bassa che gli sembrò strano di sentire qualla stessa parola urlata nelle sue orecchie.

«Padre!»

«Bentornato figliolo» lo salutò Edward con un cenno della mano, prima di rivolgersi al nipote «Ehi Connor, che dici...ho rovinato il tubamento dei piccioncini?»

Connor rise e saltò giù dal letto correndo incontro al nonno che lo prese e se lo tirò in braccio. Poi entrando tornò a guardare il figlio.

«Allora...» chiese in tono più serio «com'è andata nelle colonie?»

«Colonie?» domandò lui, ancora spaesato. Non era forse ancora nelle colonie? Eppure in effetti quella gli sembrava la sua vecchia casa di Londra. Cosa stava succedendo?

«Resisti padre!»

«Mi sembri ancora un po' confuso eh» constatò il vecchio Assassino rimettendo a terra il nipote. «Hai avuto a che fare con qualche templare? Non mi dire che Birch era li?»

«Reginald...perchè mai...?»

«Tesoro, non nominare quel nome in questa casa, per favore» e con questa nuova voce Haytham rischiò veramente di restarci secco. Era anch'essa familiare, anch'essa così notalgica da perdersi quasi nell'oblio della memoria.

«Perdonami Tessa, ma devo sapere se...»

«Lo chiederai dopo» rispose lei facendosi avanti nella stanza e fermandosi davanti al letto del figlio. Si abbassò leggermente e gli baciò la fronte, come faceva quando era piccolo. «Bentornato tesoro!»

«Madre...» Haytham non se ne rese conto, ma una piccola lacrima scese lungo la guancia. Sua madre fu l'unica ad accorgersene, ma l'asciugò con un sorriso e non disse nulla.

«Una bella rimpatriata nella stanza del mio fratellino. Bhe, se non vi dispiace ci aggiungiamo anche noi. Mio marito sarebbe felice di salutare il suo miglior amico»

E questa fu la volta di Jenny che entrò con la schiena dritta, bella come Haytham la ricordava e dietro di lei Jim Holden.

«Benritrovato signore» lo salutò, togliendosi il cappello e facendo un piccolo inchino, mentre Jenny si avvicinava al fratello con passo sicuro.

«Allora marmocchio, com'è andata la traversata? Ti vedo pallido...»

«Ha perso moltissimo sangue. La situazione è critica»

«...mi sa che hai bisogno di una buona colazione. Anzi direi che tutti qui ne abbiamo bisogno.» constatò la giovane donna battendo le mani.

«Jenny ha ragione» le fece eco Tessa raddrizandosi «Vado a chiedere che la preparino per tutti. Jenny, Mr Holden gradireste accompagnarmi?»

«Con molto piacere signora. Signor Haytham è stato un piacere rivederla, ci sentiamo dopo. La lascio prepararsi come le si conviene per la colazione.»

«Grazie Holden, anche per me» rispose il giovane Kenway mettendo in quel ringraziamento tutto il cuore e il sentimento che la voce poteva esprimere.

Non appena Tessa fu fuori dalla porta Edward si ribbassò a livello di Haytham, tenendo un braccio appoggiato allo stipide del letto.

«Voglio un rapporto completo di ciò che è successo nelle colonie più tardi, d'accordo. Ti ho mandato li per studiare la situazione, ma se ti sei imbattutto in qualche templare o peggio ancora in Birch stesso dobbiamo parlarne. Forse sono stato azzardato a mandarti da solo. Da quelle parti siamo stati decimati.»

Haytham lo guardò interrogativo e Edward colse quello sguardo al volo.

«Non hai trovato nessun nostro confratello vero? Per quanto tu sia abile, un Assassino da solo non avrebbe potuto fare molto, quindi se non hai avuto successo nella missione non dartene peso.»

Haytham trasalì...la sua bocca non proferì parola ma nella sua mente la confusione continuava ad aumentare.

«Io...un Assass...?» non finì la frase che i suoi occhi colsero solo in quel momento una veste blu, con risvolti rossi, appesa all'armadio davanti al letto. Una veste che gli ricordava quella di ....

«...Connor, resta con lui, io vado a prendere dell'acqua fresca. Sta sudando per la febbre.»

«Dottore pensa che ce la farà?»

«Probabilmente si. Si vede che è tuo padre, ha la tua stessa pellaccia dura!»

«Haytham?»

No, non era possibile. Lui era un templare. Era il Gran Maestro delle Colonie. Non poteva essere un Assassino, tutto quello era un'illusione...

«Haytham stai bene?»  

Cominciò a sudare, la voce di Edward e poi quella di Ziio si facevano lontane. Si guardò attorno. Le sagome si stavano facendo più ofuscate. Vicino al letto riusciva ancora a distinguere suo figlio, così piccolo come non lo aveva mai visto. I capelli fino alle spalle e quella piccola treccia su un lato. Ormai riusciva a vedere solo lui... e a sentire solo lui....

«Padre?» una voce preoccupata, flebile...

«Padre» e ora più forte e adulta. Chiuse gli occhi e quando cercò di aprirli ancora, tutto era nuovamente cambiato...

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Capitolo 7
*** Waking up ***


7. Waking up

Sbatté gli occhi con lentezza. Faceva fatica a distinguere l'ambiente attorno a lui, ma era conscio di essere disteso su un letto.

«Padre»

La voce di Connor gli arrivò lontana ma la riconobbe all'istante. Quella voce gli aveva più volte fatto visita nei suoi sogni, accompagnata da una voce femminile, roca e tanto amata, che ogni volta che si alzava pensava di aver dimenticato. E invece lei si ripresentava sempre, alle volte lo accusava, altre invece gli sussurrava parole dolci e gentili. La voce di Ziio era la sua ninna nanna e la sua sveglia più implacabile allo stesso tempo. Ma questa volta lei non c'era, era solo la voce di Connor a farsi largo nella sua testa. Gli ci volle ancora qualche minuto per rendersi conto che quella volta la voce non gli arrivava da un sogno, ma il suo proprietario era li accanto a lui, in carne ossa e preoccupazione. Questa era la realtà.

Haytham volse la testa in direzione di quella voce e ai suoi occhi apparve una sagoma sfuocata ma che indubbiamente riconobbe come suo figlio.

«Connor, dove....»

«…al sicuro» rispose evasivo il ragazzo.

«Mi hai riportato da quella famiglia. Stupido!» ringhiò all'improvviso, con quanta rabbia gli fosse rimasta in quel corpo stanco e provato dalle ferite.

«Devo andarmene. E' troppo pericoloso... i ragazzini... quella donna...non posso rimanere...»

«Che volete dire?» Domandò il ragazzo portando un pezza bagnata sulla fronte del genitore.

Haytham scacciò la mano con astio e si puntellò sui gomiti cercando di alzarsi. «Non capisci, se scoprissero che sono ancora vivo e mi trovassero qui, li accuserebbero di avermi nascosto. Non so cosa potrebbero fare. Nessuno di loro sa nulla di me, i ragazzini in particolare ... loro non devono...» gridò in preda ad un panico che Connor stentò a riconoscere nella voce del padre.

«Calmatevi!» gli intimò con voce ferma, tentando di non sembrare però troppo brusco «non siete dal signor Jack.» aggiunse poi con più tranquillità una volta che Haytham fermò le sue parole.

L'uomo sembrò tranquillizzarsi di colpo, si lasciò cadere nuovamente sul letto, il respiro che riprendeva il suo ritmo normale.

«Dove siamo allora?» domandò dopo alcuni istanti, lasciando che Connor questa volta gli asciugasse il sudore dalla fronte.

«Ve l'ho detto... al sicuro. Nessun templare verrà a cercarvi qui.»

«E gli Assassini?»

«Beh...loro sono parecchi da queste parti»

Haytham capì. Connor lo aveva portato alla sua tenuta, nel bel mezzo dei suoi nemici giurati.

«Sei impazzito? Mi hai portato tra la tua gentaglia?»

«Cosa avrei dovuto fare? Mi siete svenuto davanti agl'occhi!»

«Io ti avrei lasciato li»

«Si come no!»

«Ti ricordo che ho firmato la tua condanna a morte qualche anno fa!»

«…e poi mi avete salvato tradendo quel vostro stesso ordine»

Haytham si zittì di colpo. Il diario…lo aveva letto.

«Lo hai letto...» disse semplicemente, distogliendo lo sguardo. Non aveva programmato questo, o forse soltando non sapeva come gestire la cosa. Sinceramente si domandò anche come suo figlio avesse potuto esserne in possesso. Ricordava di aver scritto quelle ultime pagine nel suo studio, poco prima dell'attacco a Fort George. Ricordava di aver dibattutto con sè stesso se portarselo appresso durante il combattimento e rendere più facile il suo ritrovamento da parte di Connor o se abbandonarlo li, sulla scrivania lasciando al destino il compito di decidere se quelle pagine dovessero davvero essere lette dall'Assassino. 

«E' stata Aveline a portarmelo. Lo trovò tra le macerie del vostro studio, poco prima di trovare Voi...» spiegò Connor strizzando la pezza con un po' troppa forza sopra il catino.

L'uomo annuì dentro di sè. Dunque il destino aveva usato quella giovane Assassina come portavoce del suo volere. Ironico come quella donna quella sera avesse salvato le sue memorie e la sua vita in un solo colpo, senza nemmeno sapere se ciò che stava facendo fosse un bene o un male. Tipico agire degli Assassini, nessun calcolo, nessun pensiero per i risvolti delle loro azioni, solo puro istinto...

«Non era così che doveva andare.» commentò con amarezza il vecchio Templare «Dovevo essere morto e sepolto quando tu avessi letto quelle pagine...così non...»

«Così cosa?» chiese il ragazzo con rabbia, gettando nell'acqua la pezza appena strizzata. Questa cadde nel catino spargendo spruzzi fin sul pavimento.

«Così sarei potuto vivere con il rimorso di avervi ucciso con le mie mani? Con la certezza di aver deluso non solo mia madre, ma anche mio padre? Con la convinzione di essere stato l'artefice della mia solitudine.»

«No» rispose Haytham matenendo la calma nonostante la comprensibile frustrazione del giovane seduto vicino a lui. «Era proprio questo che temevo. Questo tuo incolparti per ciò che non è stato dipeso da te. Speravo che dopo la mia morte avresti compreso.... che non eri stato tu ad uccidermi...»

Connor si irrigidì, alzò la testa e i suoi occhi cercarono con lentezza quelli del padre, trovandoli calmi e pronti ad accettare qualsiasi reazione.

«Dunque Aveline aveva ragione...» replicò piano il giovane mantenendo le pupille fisse in quelle del templare alla ricerca di qualcosa a cui nemmeno lui avrebbe potuto dare un nome «Voi...vi siete fatto uccidere da me...»

Haytham chiuse gli occhi in un tacito assenso.

«Perchè?» urlò Connor alzandosi in piedi di colpo, prendendo suo padre per il bavero della camicia ancora sporca di sangue, noncurante delle condizioni precarie del genitore.

L'uomo tossì alcune volte. Connor non mollò la presa fino a che Haytham non riprese a parlare.

«Perchè nessun padre...- disse con il fiato corto, ma con voce ferma - dovrebbe seppellire il proprio figlio»

Connor spalancò gli occhi per un brevissimo istante, per poi richiuderli con forza, quasi a farsi male. Haytham sentì anche le mani stringere più forte sulla sua camicia mentre il ragazzo voltava e abbassava leggermente la testa. Adagiò il padre sul letto con gentilezza, poi gli diede la schiena e si avviò verso la porta.

«Vado a chiamare il dottore» disse solamente prima di uscire, chiudendosi la porta alle spalle.

Haytham si domandò se dietro quel grande portone di legno Connor stesse piangendo, o se, anche lui, in quella guerra senza senso, avesse guadagnato un cuore tanto arido da non permettere più nemmeno lo scorrere delle lacrime.

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Capitolo 8
*** Memories ***


8. Memories


Quando il dottore arrivò nella stanza Haytham quasi non lo vide. Il suo sguardo caddè subito su Connor che seguiva il medico a qualche passo di distanza. Al vecchio templare non sfuggì l'alone arrossato che circondava gli occhi del figlio e per qualche strana ragione fu sollevato nel sapere che Connor fosse, in fondo, ancora in grado di piangere. Non gli importava che quella per alcuni potesse essere una debolezza, ai suoi occhi era solo una prova di quanto suo figlio fosse ancora un essere umano e non una macchina per uccidere come troppo spesso i suoi fratelli templari gli avevano fatto notare.

Era perso in questi pensieri mentre il dottore lo visitava e gli cambiava le fasciature sulle ferite. Lo aveva riconosciuto quasi subito. Era Lyle White. A Boston il suo nome non era certo portatore di buon augurio, ma Haytham ora capì che quelle dovevano essere solo dicerie. Il dottore sapeva fare il suo mestiere, questo era certo visto che lo aveva salvato da ciò che credeva essere stato un viaggio di solo andata per l'inferno.

«Come vi siete ferito?» domandò l'uomo mentre fissava l'ultimo bendaggio.

«Un orso...non avevo armi e lui aveva denti e artigli non indifferenti»

«Siete sopravvisuto all'attaco di un orso senza armi con voi? Non solo avete la stessa pellaccia dura di vostro figlio, ma anche la sua stessa avventatezza a quanto pare. Ho perso il conto di tutte le volte che ho dovuto ricucire Connor come sto facendo ora con voi»

«Vi ringrazio per le vostre cure» commentò l'uomo.

«Non dovete ringraziare me. Non avrei curato un Gran Maestro Templare se non fosse stato per vostro figlio»
  
«Infatti, vi ringrazio per le cure prestate a mio figlio, non per le mie...»

Lyle si alzò e riprese i suoi arnesi. «Per quello non servono ringraziamenti. Qui tutti noi siamo in debito con Connor...In ogni caso ora siete un mio paziente e, fossi dannato per aver curato un templare di Boston, vi rimetterò in sesto, quindi riguardatevi. Non alzatevi dal letto se non strettamente necessario e mangiate qualcosa al più presto. Siete stato in uno stato di semi incoscenza per quasi una settimana. Avete bisogno di nutrimento per riprendervi.»

Haytham annuì  e poco prima che Lyle uscisse dalla stanza lo chiamò «Mr White?»

L'uomo si voltò incuriosito e un po' stupito nel sentire il suo nome pronunciato da una persona a cui non si era presentato.

«Le voci sul vostro conto non sono altro che fandonie. Siete un ottimo medico, Vi ringrazio.»

Il dottor White sbuffò e chiuse la porta con un piccolo accenno di ringraziamento che non sfuggì a Connor.

Quando il dottore uscì l'Assassino rimase un momento a guardare la porta chiusa, non sapendo bene cosa dire. Si diresse verso la finestra. Fuori l'inverno cominciava a dare i primi segni. La brina quella mattina era più visibile del solito. Gli alberi sembrano tenersi strette quelle ultime foglie sui lunghi rami e il cielo era coperto di nuvole di ogni sfumatura di grigio.

«Un orso eh.» disse il ragazzo ad un certo punto voltandosi verso il padre sul letto «Cosa Vi è saltato in mente di aggirarvi nella frontiera senza armi? E di notte oltretutto...»

«Se non ricordo male il mio equipaggiamento mi è stato sotratto»

Connor sbuffò, roteando gli occhi in aria. «Volete farmi credere che non avreste potuto rubare una qualsiasi spada al primo soldato che vi sarebbe potuto presentare a tiro?»

«Connor...» fece Haytham stupefetto, mescolando al suo tono una buona dose di ironia «non mi starai forse incitando al furto. E' esecrabile...»

«Non prendetemi in giro. Sapete cosa intendevo...»

L'uomo lo fermò alzando un mano intimandolo a fare silenzio.

«Si, lo so. Diciamo che non lo reputavo così importante...avere un arma per difendermi intendo. Probabilmente non volevo nemmeno difendermi quando ho deciso di salire su quel cavallo, non avevo nemmeno idea di dove andare. Senza contare che volevo passare il più inosservato possibile, non potevo rischiare che un soldato mi riconoscesse. Sai tuo padre è piuttosto conosciuto a New York...»

«Anche vostro figlio se è per questo...»

«Oh si, per certi versi hai ragione.» commentò con un mezzo sorriso.

«Siete stato fortunato ad uscirne vivo contro un orso»

«Mi ha solo preso di striscio con una zampata. Tuo padre è ancora abbastanza agile da salire su un albero fuori dalla portata di un orso poco volenteroso di salire a sua volta.»

Il ragazzo lo guardò incredulo. «Voi? Su un albero?»

«Beh? Che significa quell'espressione?» domandò l'altro alzando un sopracciglio leggermente irritato.

«Mia madre mi ha raccontato di come voi eravate in grado di saltare da grandi altezze e di arrampicarvi sui qualsiasi edificio, ma al tempo stesso non riuscivate a scalare un albero.»

«Ah...grazie tante Ziio. Sono migliorato rispetto a quel tempo. Ne devo dedurre che tua madre ti abbia raccontato solo delle mie mancanze dunque...»

Il giovane nascose un sorriso abbassandosi il cappuccio e tornando a guardare fuori dalla finestra.

«No. Mi ha anche raccontato di quanto voi eravate forte e di quanto le davate sicurezza quando era con Voi.»

Haytham rimase in silenzio, ascoltava senza commentare, perso anche lui come il figlio in ricordi dolci e amari allo stesso tempo.

Ricordava gli anni in cui soleva passare più tempo tra le selvagge terre della frontiera rispetto ai brevi periodi negli agi della città. Era strano ma non una sola volta in quei momenti aveva rimpianto un materasso morbido o delle mura solide, quelle mancanze non erano un problema perchè erano colmate da una presenza ben più importante. Ricordava Haytham, ricordava il corpo di Ziio abbracciato al suo, le goccie di sudore che imperlavano la sua pelle scura e forte. I lunghi capelli neri che vedeva sciolti solo in quelle occasioni e che le ricadevano sulla schiena come la folta criniera di un cavallo, elegante e selvaggia come quella di uno stallone indomabile. E indomabile fu proprio come Ziio rimase fino alla fine. Nemmeno quello che Haytham era arrivato a considerare amore era bastato a domare quella donna tanto bella quanto ostinata e irremovibile. Era stata lei a lasciarlo, ad ordinargli di andarsene per essere più precisi.

«Vattene! Vattene da questo luogo e non tornare mai più. Perchè, se lo farai, ti strapperò il cuore con le mie stesse mani e lo darò in pasto ai lupi»

Gli avevano fatto male quelle parole, più di quanto potesse ammettere. Aveva tentato di spiegarle, ma non c'era stato verso. «Tra noi è finita» gli aveva urlato in faccia prima di voltargli le spalle per sempre. Quella fu l'ultima volta che la vide. Con il cuore in gola se n'era andato, per non tornare come lei aveva chiesto, ignaro che nel ventre di Ziio una vita si stesse formando. Una vita a cui lui aveva dato una parte di sè, la stessa vita che ora gli stava davanti, forte, risoluta e testarda come la madre che lo aveva messo alla luce. Haytham si rattristò nel rendersi conto di non poter avere nessun ricordo di suo figlio da bambino, i suoi primi passi, le sue prime parole, che sicuramente  non avrebbe compreso. Tutte tappe a cui ogni padre dovrebbe poter assistere, ma non lui, non la sua famiglia. Poteva poi quella chiamarsi famiglia? si domandò. Probabilmente no, ma Haytham era certo che non avrebbe cambiato Ziio o Connor con nessun altro al mondo. Avrebbe tanto voluto domandare a suo figlio di raccontargli qualcosa della sua infanzia, di farlo partecipe anche se in ritardo. Forse anche Connor sarebbe stato curioso di sapere di più di Ziio, come fosse stata la sua vita prima di diventare madre. Chissà forse un giorno anche loro due avrebbero trovato il coraggio di scambiarsi i ricordi che tenevano nei loro cuori. E quando Connor riprese la parola, Haytham si domandò, se in quel momento di silenzio, anche suo figlio si fosse perso in penseri simili ai suoi.

«Quando ero solo un bambino e l'occhio dell'aquila si risvegliò in me - continuò il ragazzo - Ista mi spiegò che quello strano modo di vedere era una capacità straordinaria che avevo ereditato da mio padre. E che ne sarei dovuto essere orgoglioso, anche se non avrei mai dovuto parlarne con nessuno.»

«Ne stai parlando con me...»

«Penso che voi sappiate anche più di quanto ne sappia io su Assassini e Templari e sulla loro storia, dico bene?»

Haytham sospirò. «In effetti, non penso che Achilles abbia avuto molto tempo per raccontarti migliaia di anni di storia, sotterfugi, tradimenti e sangue.»

«Mi ha raccontato quanto basta.» sottolineò il ragazzo con una punta di acidità nella voce.

«Ma non sei curioso?» chiese l'uomo, noncurante del tono poco amichevole del figlio «Posso raccontarti, se vuoi...» propose.

«La storia degli Assassini dalla bocca di un Templare... posso solo immaginare come ne possiamo venir dipinti...»

«Ti assicuro che sarò oggettivo. Mi limiterò ai fatti senza aggiungere commenti. Poi forse ti stupirai nel sapere che per un certo periodo la vostra visione del mondo era molto più vicina alla mia...»

Connor lo guardò a lungo, poi si avvicinò, prese una sedia e vi si sedette appongiandosi allo schienale.

«D'accordo. Forza, Vi ascolto...»

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Capitolo 9
*** History Lesson ***


9.‭ ‬History Lesson

Haytham si sistemò meglio sul letto,‭ ‬cercando una postura che gli permettesse di sentire meno dolore.‭ ‬Si schiarì la voce e iniziò...

‭«‬La nascita di entrambe le nostre organizzazioni risale a migliaia di anni fa.‭ ‬E quello che non sai è che all'inizio i nostri scopi si dice fossero gli stessi.‭ ‬Condividevamo gli stessi ideali,‭ ‬gli stessi sogni e le stesse speranze per l'umanità.‭ ‬Tra i templari queste voci sono sempre più spesso dimenticate perché credute fasulle,‭ ‬anzi c'è chi dice che siano informazioni che gli Assassini stessi abbiano infiltrato segretamente per convincerci a cambiare i nostri dettami.‭»

«E Voi non‭ ‬lo credete possibile‭? ‬Non si sa quasi nulla degli Assassini prima del‭ ‬465‭ ‬a.C.‭ ‬quando si ritrovò la prima vittima della lama celata‭»

Haytham addocchiò il figlio guardandolo con comprensione.

‭«‬Dunque Achilles qualcosa è riuscito ad insegnartela.‭ ‬Già,‭ ‬come‭ ‬dici tu,‭ ‬la morte del re archemenide Serse I da parte dell'Assassino persiano Dario è la prima vera prova dell'esistenza della tua organizzazione.‭ ‬La prima prova,‭ ‬la prima uccisione...‭ ‬ironico per chi proclama di essere dalla parte della giustizia,‭ ‬non trovi‭?»

«Non mi pare che la perdita di un re iracondo quale era Serse I possa aver provocato gravi danni all'umanità‭»

«Ne convengo...‭ ‬Sta di fatto che a quel tempo,‭ ‬circa,‭ ‬sembrano risalire anche le notizie più attendibile delle operazioni templari.‭ ‬Ma non‭ ‬è certo se Serse I o suo padre fossero templari,‭ ‬ma è molto probabile che dietro di loro,‭ ‬di Dario il Grande soprattutto, ci fossimo noi.‭ ‬Mi riferisco principalmente a quando Dario riuscì a rovesciare l'usurpatore e prendersi il trono che gli spettava.‭»

«Non c'è trono che possa spettare ad una sola persona‭»

«Non se questa persona non è in grado di mantenerlo infatti,‭ ‬e dubito che il tuo Washington sia in grado di farlo‭»

«Washington non è un re‭»

«Oh certo,‭ ‬forse non di nome,‭ ‬ma...‭»

«Padre...‭»‬ lo avvertì Connor.

‭«‬D'accordo,‭ ‬d'accordo.‭ ‬Allora ti farò l'esempio di un re giusto,‭ ‬forte,‭ ‬intelligente,‭ ‬amato...e templare.‭»

«Alessandro Magno‭»‬ dissero i due insieme.

‭ «‬Precisamente‭ ‬-‭ ‬continuò Haytham indicando il figlio che aveva conserto le braccia al petto‭ ‬-‭ ‬non vorrai forse dirmi che Alessandro Magno non è stato un buon re‭?»

«Secondo gli scritti aveva soggiogato il suo impero grazie ad uno di quegli strani arnesi che voi templari cercate con tanto fervore‭»

«è vero,‭ ‬certi scritti riportano che fosse in possesso di un bastone dell'Eden‭ ‬-‭ ‬confermò l'uomo‭ ‬-‭ ‬ma anche se fosse‭?‬...ha riunito popoli diversi.‭ ‬Ha lasciato loro quel tanto di libertà che bastava a poter vivere in pace,‭ ‬senza dover costringere la popolazione ad affrontare guerre ulteriori.‭ ‬Ha divulgato‭ ‬scienza e portato benefici a città e persone.‭ ‬Il suo unico peccato è stato quello di morire giovane...ucciso da un Assassina con il veleno,‭ ‬non ritieni questo un atto di vigliaccheria‭?»

«Io lo vedo come un atto di libertà...Ilenni era una schiava,‭ ‬voleva solo essere libera.‭»

«Libera da cosa‭? ‬Libera di essere rivenduta e di diventare nuovamente merce di scambio e poi probabilmente schiava di un altro re,‭ ‬e questa volta magari violento e dittatore.‭ ‬Connor la schiavitù c'è ancora,‭ ‬la reputo anch'io una cosa esecrabile per come solitamente vengono trattati gli schiavi,‭ ‬ma non per il fatto che esista.‭ ‬Gli uomini malvagi non finiranno mai di sottomettere i più deboli se qualcuno non sottometterà prima loro‭»

«Ma vi sentite‭?! ‬Come potete pensare che la soluzione sia usare la stessa barbaria su altri.‭ ‬Non è costringendolo ad ubbidire che farete di qualcuno un uomo migliore.‭ ‬E‭' ‬vero la libertà ha un prezzo e conseguenze pericolose alle volte,‭ ‬ma sono rischi secondari rispetto alla perdita del libero arbitrio.‭»

«Alle volte‭? ‬Sempre Connor‭! ‬Sempre‭! ‬Secondo la vostra idea la storia dovrebbe averci ormai insegnato come agire,‭ ‬ma invece continuiamo a fare gli stessi errori.‭ ‬L'umanità non imparerà mai da sola,‭ ‬ha bisogno di essere salvata da se stessa o andrà incontro al disastro.‭ ‬Non ora,‭ ‬non tra mille anni,‭ ‬ma prima o poi accadrà.‭»

«Siete troppo pessimisti,‭ ‬voi...‭»

«No,‭ ‬Connor‭! ‬Noi siamo solo realisti,‭ ‬siete voi ad essere troppo idealis...‭»

«Basta‭!!!»‬ si infuriò il ragazzo alzandosi dalla sedia,‭ ‬dando un colpo con il braccio di fronte a sè,‭ ‬come se volesse scacciare quelle parole che ancora aleggiavano in aria.‭ «‬Sbaglio o avevate detto che non avreste commentato...‭»‬ aggiunse poi con voce più pacata ma altrettanto irritata.

Haytham sospirò.‭ ‬Urlare gli aveva provocato nuovo dolore alla ferita,‭ ‬ma tentò di non darlo a vedere mentre osservava suo figlio che cercava di mantenere la rabbia sotto controllo.‭ ‬Probabilmente se non fosse stato a letto ferito,‭ ‬ora sarebbe a terra con un pugno piantato in faccia.‭ ‬Suo figlio sapeva essere più irruente di lui in certi casi.

‭«‬Mille scuse.‭ ‬Non hai torto‭»‬ disse mentre la mano sotto le coperte andava a toccare le fasciature dove il dolore si stava ripresentando.

Connor si tranquillizò e tornò a sedersi.

‭«‬Meglio finirla qui‭ ‬-‭ ‬concluse poi con un sospiro‭ ‬-‭ ‬non oso pensare cosa riuscireste a dire di Altaïr Ibn-La'Ahad e di Ezio Auditore da Firenze...‭»

«Ti direi che son stati grandi uomini...‭»‬ rispose Haytham spiazzando completamente il figlio.

Connor rimase senza parole per qualche secondo,‭ ‬rivolgendosi verso il padre con espressione interrogativa a dir poco.

‭«‬Scusate‭?»‬ chiese con sincera sorpresa.

‭«‬Hai capito bene‭ ‬-‭ ‬lo assicurò il genitore‭ ‬-‭ ‬i due che hai citato sono tra i pochi Assassini che meritano lodi per il loro operato sotto certi punti di vista e per motivi diversi‭»

Il suono del vento che attraversa i rami quasi spogli fu l'unico rumore che,‭ ‬per i minuti seguenti,‭ ‬si percepì nella stanza dopo quella frase.‭ ‬Connor non aveva dato segni di riposta all'esternazione del padre.‭ ‬Troppo esterefatto da quelle parole anche solo per commentarle,‭ ‬se ne stava li,‭ ‬in attesa che Haytham argomentasse la sua precedente affermazione.‭ ‬Il vecchio templare dal canto suo non sembrava intenzionato a proferire verbo,‭ ‬sicuro che ben‭ ‬presto sarebbe stato suo figlio stesso a rimangiarsi l'intenzione di finire lì il discorso.

E non dovette aspettare nemmeno molto.‭ ‬Il ragazzo si riebbe qualche istante dopo.‭

«Che intendete dire‭?»‬ chiese con una punta di sospetto nella voce.

Haytham cercò di nascondere un sorriso beffardo prima di alzare il volto verso il ragazzo.

‭«‬Semplicemente quello che ho detto.‭ ‬Sono stati grandi uomini degni di lode,‭ ‬entrambi con meriti e colpe,‭ ‬come ogni grande uomo.‭»

«Sinceramente sono spaventato dal chiederVi di spiegarVi meglio,‭ ‬ma giunti a questo punto non dovrei stupirmi più di nulla,‭ ‬quindi andante avanti‭»‬ concluse mentre tornava a sedersi con le braccia incrociate sul petto,‭ ‬in chiara attesa di ascoltare le spiegazioni del padre,‭ ‬un templare che diceva di tener in buon conto due dei più grandi Assassini del passato.

‭«‬è presto detto.‭ ‬Entrambi furono in grado di utilizzare la mela per il bene dell'umanità.‭ ‬Altaïr Ibn-La'Ahad ne studiò a fondo la struttura e i poteri,‭ ‬riuscì a controllarla e ad utilizzarla e per questo è degno di lode e ammirazione.‭ ‬Ezio Auditore da Firenze invece fu colui che chiuse il capitolo più deprorevole della storia dei templari,‭ ‬quello che viene definito il periodo oscuro.‭ ‬Nessun templare lo ammetterebbe mai ma io non nego che la famiglia Borgia abbia macchiato la nostra organizzazione con le loro macchinazioni e la ricerca del potere personale.‭ ‬Non erano quelli i dettami e gli scopi per cui i templari sono nati e lavorano tutt'ora.‭»‬

Connor rimase in silenzio durante il discorso del padre,‭ ‬notando come l'uomo avesse iniziato a stringere con forza il lenzuolo.‭ ‬Il ragazzo comprese da quel semplice gesto quanto Haytham credesse sul serio in ciò che stava dicendo e che soffrisse per certi versi per quanto i Borgia avessero,‭ ‬a suo dire,‭ ‬macchiato l'ordine.‭ ‬Per il giovane Assassino era difficile capire la differenza tra i templari ai tempi dei Borgia e quelli attuali,‭ ‬eppure quel templare che gli stava davanti proclamava che essi erano diversi come il giorno e la notte.‭ ‬Connor non capiva ma forse,‭ ‬pensò,‭ ‬semplicemente,‭ ‬era solo quel singolo uomo,‭ ‬nato assassino e cresciuto templare ad essere l'unico in grado di vedere le cose con due occhi diversi.

‭«‬State dicendo che approvate le scelte di vita di Ezio Auditore‭?»‬ chiese quasi solo per spezzare il silenzio.

Haytham scosse la testa.‭ «‬No,‭ ‬certo che no.‭ ‬Ezio Auditore tenne la mela per sé,‭ ‬la utilizzò per i suoi scopi e poi ne rinchiuse i poteri lontano da altre mani.‭ ‬Avrebbe dovuto sfruttarne il potere per fare da guida a coloro che si erano persi.‭ ‬Il vostro voler lasciare troppo spazio al libero arbitrio anche a coloro che non lo meritano.‭ ‬Ecco il vostro sbaglio.‭ ‬No,‭ ‬non approvo le sue scelte,‭ ‬quello che voglio dire è che se fossi vissuto nel suo periodo,‭ ‬davanti ad una tale degenerazione dell'ordine templare,‭ ‬allora,‭ ‬forse,‭ ‬anch'io avrei scelto di essere un Assassino.‭ ‬Mi domando però se la vostra confraternita avrebbe accolto anche le mie idee e il mio libero arbitrio.‭»

«Noi chiediamo solo che vengano seguite‭ ‬3‭ ‬regole‭»

Haytham piegò le labbra verso sinistra‭ ‬in un veloce sbuffò,‭ ‬andando a coprire la voce del figlio con le stesse parole:

«‬Mai nuocere ad un innocente.‭ ‬Agire sempre con discrezione.‭ ‬Mai compromettere la confraternita‭»‬ dissero i due all'unisono.‭ ‬Il templare però continuò subito dopo.

‭«‬...ma al tempo stesso portate avanti dei paradossi incomprensibili.‭ ‬Gli assassini promuovono la pace,‭ ‬ma praticano l'omicidio.‭ ‬Gli assassini promuovono il libero arbitrio,‭ ‬ma obbediscono a regole severe.‭ ‬Gli Assassini promuovono il rifiuto ad una fede cieca,‭ ‬ma sono i primi a praticarla.‭ ‬Spiegami che senso ha‭?»

«La spiegazione è semplice‭ ‬...‭ ‬Nulla è reale,‭ ‬tutto è lecito‭»‬ rispose il ragazzo come se si aspettasse quella domanda,‭ ‬in quanto,‭ ‬non lo avrebbe mai ammesso con il genitore,‭ ‬ma lui stesso l'aveva posta ad Achilles molti molti anni fa ricevendo come spiegazione la stessa che ora lui stava dando al padre.‭ ‬Ciò che però fu diverso rispetto a quella volta fu che Haytham non accettò tale risposta come verità,‭ ‬ma sospirò gettando le braccia all'aria perdendo per un‭ ‬secondo la sua tipica compostezza britannica.

‭«‬Non ha senso.‭ ‬Non capirò mai...‭»‬ concluse facendo ricadere le braccia sul materasso.

‭«‬Eppure mio nonno ci credeva‭»

Haytham guardò il figlio e chiuse gli occhi ricordando quel poco che la sua memoria gli donava della figura del padre.‭ ‬Ciò che non ricordava comunque l'aveva poi scoperta in un secondo momento.

‭«‬Tuo nonno era un Assassino,‭ ‬è vero.‭ ‬Ma non era nato tale,‭ ‬era caduto nella vostra rete senza nemmeno accorgersene,‭ ‬mi sono spesso domandato se fosse stato realmente conscio di ciò che significava essere un Assassino.‭ ‬Forse non lo sai ma uno dei suoi mentori era un templare,‭ ‬per non parlare di Birch...‭ ‬da che sono nato,‭ ‬lui mi era sempre stato presentato come amico.‭ ‬La nostra casa era sempre aperta a lui‭ ‬e mio padre era pronto a dare in sposa sua figlia al Gran Maestro Templare Britannico prima di sapere chi lui fosse...‭»

Haytham si fermò e Connor notò nuovamente come le mani del genitore stessero stringendo il lenzuolo così forte da imbiancarne le nocche.‭ ‬Per il giovane non fu difficile indovinare a cosa l'uomo stesse pensando,‭ ‬i ricordi del diario erano ancora ben fissi nella sua mente,‭ ‬ma nonostante tutto si stupì quando sentì la sua stessa voce rompere il silenzio con un frase che pensava non avrebbe mai avuto il coraggio di pronunciare.

‭«‬Padre...pensate davvero che Templari e Assassini non possano trovare un punto d'accordo per convivere pacificamente‭?»


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Capitolo 10
*** Revelation ***


E dopo aver platinato sia Liberation che Rogue posso finalmente riprendere in mano questa storia...che ci sia qualcuno che la sta ancora seguendo mi domando? XD speriamo di si!
Per voi, eccovi il prossimo capitolo, sperando di poter aggiornare con più velocità in fututo...


10.‭ ‬Revelation



Haytham non ebbe modo di rispondere che dalla porta della stanza giunse un lieve bussare.‭ ‬I due si ridestarono come da un torpore in cui non si erano resi conto di essere caduti e Connor si alzò per andare ad aprire.

Oltre la porta Aveline gli si presentò con un sorriso e una grossa zuppiera tra le mani.‭

«è per tuo padre‭ ‬-‭ ‬disse porgendogliela‭ ‬-‭ ‬da parte di Mrs Corinne‭ ‬.‭ ‬A quanto pare il dottore è passato alla locanda ordinando di preparare qualcosa per il misterioso malato che nascondi nella tua dimora.‭»

Connor annuì prendendo la zuppiera e lasciando la porta aperta, permettendo ad Aveline di entrare.‭ ‬La donna seguì il confratello all'interno della stanza chiudendosi il portone alle spalle.‭

Sul letto vide subito la figura di Haytham,‭ ‬più in forma di quanto si aspettasse,‭ ‬sicuramente in condizioni migliori dell'ultima volta che lo aveva visto.‭ ‬La scena le ricordò suo padre e il suo cuore si strinse un poco nel pensiero di aver lasciato il suo veccho genitore solo nel suo letto di morte.‭ C‬hissà forse era stato per quel ricordo del suo subconscio che aveva salvato Haytham quella notte a Fort George.

‭«Miss Aveline de Grandprè presumo?» chiese lui con un inchino della testa nel momento in cui la vide. Lei annuì con distacco.

«Devo dunque a Voi la mia vita.‭ ‬Vi porgo i miei ringraziamenti‭»

La ragazza se ne uscì con un sorriso sarcastico,‭ ‬portandosi le mani ai fianchi.‭

«Sto ancora valutando se ho fatto bene a salvarvi oppure no‭»

E Haytham avrebbe riso,‭ ‬probabilmente anche di gusto a quella risposta,‭ ‬se la voce di Connor non fosse intervenuta un millisecondo dopo quella della donna.

‭«Hai fatto bene!» lo disse con naturalezza, senza volerci dare troppo peso mentre era impegnato a riempire un piatto con la zuppa di Mrs Corinne.

Gli altri due occupanti della stanza lo guardarono sorpresi,‭ ‬Aveline poi si lasciò scappare un sorriso,‭ ‬mentre sul volto di Haytham permase un puro sbigottimento che scomparve solo quando il figlio gli piazzò il piatto pieno tra le mani.

‭«Mangia» disse. Dopodichè uscì dalla stanza lasciando dietro di sé solo il suono dei suoi stivali che scendevano le scale.

Aveline aspettò che anche quel suono sparisse al suo udito e poi intensificò il sorriso sul suo volto.‭

«Era imbarazzato.‭ ‬Un aspetto di Connor che non avevo mai visto.‭»‬ commentò con un nota ilare.

Haytham voltò la testa verso di lei,‭ ‬incuriosito.‭ ‬La donna notò quella sua curiosità e si sedette vicino a lui.

‭«A quanto pare deve essersi reso conto di ciò che ha detto e sottinteso...e la cosa forse lo ha spaventato oltre che imbarazzato.»

Haytham abbassò il cucchiaio e sembrò riflettere su quelle parole, mentre osservava la zuppa fumante nel piatto

‭«Più resto qui più mi accorgo che Connor è molto più sensibile di quanto si direbbe a prima vista» aggiunse poi Aveline accavallando le gambe una sull'altra.

‭«Forse troppo» commentò l'uomo riprendendo a mangiare con lentezza.

‭«O forse siete Voi a risvegliare la parte più fragile di Connor. Siete suo padre in fondo.»

«Che importanza può avere un padre che non è esistito fino ad ora.‭»

«Per un figlio i genitori esistono sempre,‭ ‬anche quando non sono presenti.‭ ‬In un modo o nell'altro nel nostro cuore loro esistono.‭»

Il templare immerse nuovamente il cucchiaio nel piatto silenziosamente,‭ ‬mentre i suoi occhi si posavano sulla donna sedutagli ancora accanto.‭ ‬Haytham stava diventando vecchio,‭ ‬ma questo non significava che non riuscisse più a cogliere certe venature nella voce e nei lineamenti di un volto.‭ ‬Venature che cercavano di nascondere tristezza,‭ ‬dubbi e amarezza profonde.‭ ‬Erano tratti che non avrebbe confuso con niente altro,‭ ‬visto che erano anni che li rivedeva anche sul suo stesso volto.‭ ‬Per quello decise di indagare più a fondo.

‭«Che mi dite dei Vostri genitori?»

La ragazza ebbe un sussulto dal quale si riebbe solo dopo alcuni istanti.‭ ‬Si lasciò poi sfuggire uno sbuffo.‭

«Non verrò certo a parlare di mia madre con un Gran Maestro Templare‭ ‬-‭ ‬rispose‭ ‬-‭ ‬ma mi stupisco che non sappiate già di mio padre...Ucciso per mano di un vostro pari...avvelenato dalla sua stessa moglie,‭ ‬colei che io pensavo una matrigia premurosa...Quanto ero sciocca‭»

«Dunque era come temevo‭ ‬-‭ ‬commentò l'uomo facendosi forza nell'ingoiare un po‭' ‬di zuppa prima che diventasse fredda‭ ‬-‭ ‬Mrs de L'Isle ha ucciso vostro padre‭»

«Mi state forse dicendo che non lo sapevate‭?»‬ chiese lei sinceramente sorpresa.‭

«Anche se siamo parte delle stesso ordine non significa che le informazioni siano così semplici da reperire.‭ ‬Senza contare che dal mio ritorno nelle colonie avevo smesso di focalizzarmi sui quei dannati reperti e su coloro che li cercavano.‭»

«Intendete quello strano disco...‭»‬ la donna si zittì di colpo,‭ ‬rendendosi conto solo in quel momento di ciò che stava rivelando.

Haytham sorrise.‭ «‬Lo avete Voi dunque,‭ ‬non era difficile immaginalo visto e considerato la morte di Mrs.‭ ‬deL'Isle...Siete stata Voi,‭ ‬dico bene‭?»

«Ha ucciso mio padre‭!‬ Mi ha allontanata dalla mia vera madre e ha finto di volermi bene‭! ‬Meritava di morire anche solo per quello.‭»

«Pensate davvero che abbia finto‭?»

«Mi ha trattata come uno strumento,‭ ‬mi è stata vicina solo per confondermi le idee,‭ ‬ha tentato di portarmi nell'ordine...‭»

«Avrebbe potuto uccidervi quando voleva...ma non lo ha fatto,‭ ‬a questo non pensate‭?»‬ chiese l'uomo ripensando a tutte le volte in cui lui stesso avrebbe potuto uccidere Connor e liberarsi di un nemico scomodo all'ordine.

‭«Non lo ha fatto perché le servivo! - La voce della ragazza si alzò all'improvviso e Haytham si riscoprì a notare quando lei e il suo figlio per certi versi si assomigliassero- Lei stessa ha detto che il mio talento le serviva.»

«Forse voi Assassini siete troppo svelti nel giudicare...‭»‬ aggiunse poi il templare,‭ ‬con voce lieve che mal si sposava con il tono usato poc'anzi dalla sua interlocutrice.‭ ‬Aveline cercò di controbattere ma Haytham fermò le sue parole con le proprie.

‭«...ma ha ucciso vostro padre e vi ha allontanato da vostra madre, questo, comprendo, giustifica la sua morte per mano vostra. L'odio per chi uccide una persona amata è qualcosa che si può comprender solo provandolo» concluse mentre alla sua mente tornava il volto morente di Reginald. Ancora oggi gli rodeva non essere stato lui a fendere il colpo mortale contro colui che gli aveva portato via il padre e quell'infanzia che, forse, l'avrebbe reso, magari non migliore, ma sicuramente diverso. Meno solo ... avrebbe voluto sperare per lo meno.
Ma non aveva senso comunque pensarci ora.‭ ‬Il passato non si cambia e questo Haytham Kenway lo sapeva fin troppo bene.

Aveline nel frattempo era rimasta in silenzio.‭ ‬Le ultime parole del templare l'avevano fatta riflettere,‭ ‬non sapeva cosa si nascondesse nel passato di quell'uomo,‭ ‬ma vendendolo e sentendo quelle parole non gli fu certo difficile capire che anche lui avesse perso qualcuno di amato.‭ ‬Si domandò chi fosse,‭ ‬ma non ebbe il coraggio di chiedere,‭ ‬in fondo non erano fatti suoi.‭ ‬Era li solo per assicurarsi che l'uomo mangiasse quella dannata zuppa che gli avevano chiesto di consegnare e Aveline decise che era il momento di eseguire l'ordine.‭ ‬Con un sonoro sospiro prese il piatto vuoto dalle mani di Haytham e tornò a riempirlo.

‭«Basta con queste chiacchiere deprimenti - decretò - ora pensate solo a mangiare che altrimenti il dottore poi se la prende con me.»

Haytham sorrise.‭ «‬Agli ordini‭»‬ ripose con un abbozzò di ilarità,‭ ‬riprendendo a tuffare il cucchiaio nel piatto.

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Capitolo 11
*** Doubts ***




 
11. Doubts


Connor se ne stava seduto alla scrivania. Davanti a sè il libro contabile della tenuta, in mano la penna, ma sulla punta l'inchiostro era ormai secco e il foglio ancora bianco.

«Hai fatto bene!»

Lo aveva detto d'impulso, senza riflettere e questo lo spaventava alquanto. Significava quindi che lo pensava veramente? Dopo la lettura del diario di Haytham aveva appurato che la morte del padre era, anzi, sarebbe stata uno sbaglio. Era felice di sapere le sue mani monde del sangue di un padre che pensava di conoscere ma che invece ogni giorno si scopriva essere una persona diversa, un persona, stentava a crederlo, migliore.

Sospirò. Lo faceva fin troppo volte ultimamente. Il suo cuore di figlio lo stava davvero rammollendo così tanto? La mancanza dell'autorità di Achilles e delle sue parole, a cui credeva con tutto se stesso, lo stavano facendo vacillare a tal punto? Dove era finito il Connor risoluto e determinato di un tempo?

«Che mi sta succedendo?» si chiese con un filo di voce posando la penna.

«Connor?»

La voce greve di Aveline, lo fece sussultare leggermente. Si voltò verso di lei vedendola avanzare nella sua direzione.

«Tutto bene?» chiese preoccupata, non voleva farlo capire ma aveva colto l'ultima frase del confratello e non poteva fare a mene di preoccuparsi. Connor era diventato la guida degli Assassini della zona dopo la morte di Achilles, un suo cedimento sarebbe potuto essere un cedimento della confraternita intera.

Aveline era pronta a indagare fino a che il ragazzo non avresse ceduto, parlandole dei suo dubbi o problemi, quindi si stupì quando Connor non finse di star bene e anzi non mascherò nemmeno la preoccupazione sul suo volto.

«Non lo so» rispose portando una mano al viso «La realtà è che non capisco più nemmeno me stesso.»

La ragazza gli si inginocchiò di fronte prendendogli la mano che ancora gli nascondeva il volto. « È normale che tu sia felice di riavere tuo padre. Io darei qualsiasi cosa per poter riavere il mio»

Connor districò la mano da quella della ragazza e scosse il capo con forza. «Non è la stessa cosa. Tuo padre non ha cercato di ucciderti, Tuo padre non era un templare...» - e poi gli ritornò alla mente di quando Aveline gli aveva raccontato della sua matrigna. «sarebbe come se tu fossi felice di riavere la tua matrigna»

Aveline si levò nuovamente in piedi. Lo sguardo duro sul suo volto. «No sbagli - disse con fermezza nella voce - c'è un differenza fondamentale tra Madeleine e tuo padre»

«A cosa ti riferisci?» chiese il giovane Assassino sinceramente, alzando lo sguardo su di lei.

«Tuo padre ti ama sul serio!»

Connor continuò a fissarla mentre il viso di Aveline si rilassava in un sorriso, poi distolse lo sguardo, andando a fissare i suoi stivali. Non che Connor non credesse nelle parole della consorella, anzi, dopo la lettura del diario si poteva dire praticamente certo dell'amore che il padre provasse per lui. Un amore strano e mascherato fin troppe volte, eppure sincero, così come lo era il suo del resto.

Aveline lasciò a Connor ancora qualche minuto per rielaborare le sue parole prima di appoggiarsi alla scrivania e spezzare nuovamente il silenzio.

«Sai, poco fa è stato proprio tuo padre a domandarmi se l'amore di Madeleine nei miei confronti fosse davvero finto come credevo. E' stato in quel momento che mi sono accorta della differenza tra lei e Mr. Haytham. Gli occhi con cui mi guardava lei, sono completamente diversi da quelli con cui lui guarda te. Quella luce l'ho vista solo negl'occhi di mio padre e in quelli di mia madre.»

Il ragazzo ascoltava, le mani strette una nell'altra e lo sguardo sempre ancorato al pavimento. Rimase lì fermo a pensare fino a che non sentì una mano sulla sua spalla.

«Achilles mi ucciderebbe se sapesse che sto ospitando Haytham Kenway nella sua casa.» disse lui in risposta a quella stretta.

Aveline alzò lo sguardo al soffitto. «è per quello che lo hai sistemato nella tua stanza al piano di sopra invece che in quella più comoda al piano di sotto?»

«Questa qui sotto era la stanza di Achilles, non potevo certo mettere a dormire sul suo letto il suo più acerrimo nemico»

«Capisco» rispose lei allontanando la mano e incrociando le braccia al petto.

«Ti ricordi che una volta mi dicesti che tu credi solo nelle tue mani?»

E Connor spalancò gli occhi per un secondo, alzando finalmente la testa. Lei lo guardò e gli sorrise ironicamente.

«Allora continua a farlo! Non guardare al passato, ma al futuro. Anche se Achilles non c'è più non sei da solo!»

«Puoi ben dirlo!» una terza voce di unì in quel momento. I due Assassini si voltarono all'unisono verso la finestra, entrambi pronti a far scattare la lama celata al loro polso.

Ma quando Myriham si mostrò i due si rilassarono all'istante.

«Myrhiam!» esclamò il ragazzo con un tono quasi di rimproverò mentre si alzava andando verso la finestra.

 «Che succede?»  chiese poi porgendosi sul davanzale.

La donna se ne stava in piedi con l'impugnatura del fucile dietro il collo e la canna dritta lungo le spalle con una mano appoggiatasi sopra. Alla cintola il suo coltello preferito, un regolo di Norris, il vestito sgualcito e i capelli un po' in disordine.

«Mi domandavo se non ti andrebbe di venire a caccia. L'inverno si avvicina e siamo un po' a corto di risorse. E poi... non voglio impicciarmi nella vostra conversazione ma da quel poco che ho colto hai bisogno di un po' di svago Connor!»

Il ragazzo rimase perplesso per qualche secondo prima di scoppiare in una sonora risata. Sbatté una mano sul davanzale e una volta che la risata si spense sorrise verso Myriham.

«Hai ragione. Cacciare mi farà bene!» decretò sistemandosi il tomahawk alla cintola e girandosi verso l'interno della casa per andare a prendere l'arco.

«Oh e Connor...» lo chiamò la cacciatrice prima che lui sparisse dietro l'angolo «sinceramente non voglio impicciarmi nei vostri affari, ma quella che ha detto la bellezza qui a fianco - disse indicando Aveline - è vero. Non sei da solo, qualsiasi cosa tu decida qui siamo tutti dalla tua parte. Ricordalo!»

Connor sorrise, un po' imbarazzato. «Grazie» rispose grattandosi la guancia, come avrebbe fatto un ragazzino più giovane di quanto lui non fosse. Poi si volse verso Aveline e con il sorriso ancora sul volto indicò la foresta con un cenno del capo.

«Che dici? Ti unisci a noi?»

Lei lo guardò e sfilò la sua arma dalla cintola facendola roteare tra le mani. «Perché no?» disse e seguì il confratello per prepararsi alla caccia, mentre fuori Myriham li attendeva sistemando il suo inseparabile fucile. 

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Capitolo 12
*** Hunting ***


12. Hunting

Gli era mancata la foresta di notte. Il vento che ne portava alle narici tutti gli odori. I suoni più lievi che risuonavano alle sue orecchie. I colori delle foglie che anche nelle tenebre si distinguevano nelle loro scure sfumature. Era abituato Connor ad osservare al buio, spesso non aveva nemmeno bisogno di servirsi dell’occhio dell’Aquila per potersi orientare. Cosa che, pensò, invece non fosse vera per Aveline. La vedeva piuttosto concentrata. Sapeva che per lei quella peculiare visone non era stata un dono naturale, ma una dote appresa con assidui allenamenti. Eppure lui si senti quasi orgoglioso di come lei riuscisse a seguirlo di ramo in ramo, senza dover chiedere nessun aiuto. Myriham invece era più lenta e circospetta, ma non certo meno letale e sicura nei suoi salti. Erano rimasti all’interno della tenuta, per Myriham sarebbe stato troppo pericoloso avventurarsi nella frontiera di notte, era una cacciatrice esperta, ma non aveva una preparazione da Assassino e Connor sapeva che un confronto con un orso non era cosa da prendere alla leggera. La riprova di ciò era pensare suo padre, uno dei migliori avversari che avesse mai incontrato, salvo per miracolo dopo un tale incontro.
Scosse la testa. Suo padre era ritornato nei suoi pensieri anche durante la caccia, nonostante avesse accettato di partecipare proprio per poter allontanare per un po’ quei pensieri che lo attanagliavano da giorni.

«Dannazione!» imprecò sottovoce, saltando su un grosso ramo.

«Connor!» la voce della cacciatrice sotto di lui lo riportò alla realtà. Gli stava indicando una volpe in lontananza. Una preda piccola ma come primo bottino poteva andare bene. La donna imbracciò il fucile pronta a far fuoco ma Connor riuscì a intercettare lo sguardo di Aveline spiegandole con gli occhi il da farsi. La ragazza lo capì al volo e saltò in direzione della cacciatrice arrivandole abbastanza vicino da posare una mano sulla canna del suo fucile abbassandolo in silenzio. Le due donne si guardarono e Aveline scosse la testa leggermente per poi indicare Connor sopra di loro che stava già tendendo l'arco. Myriham notò solo in quel momento che la freccia non era però indirizzata verso la piccola volpe che stava grattando sul terreno con le zappette rosse sporche di terra. No, la freccia puntava dietro l'animale, verso un cespuglio piuttosto folto da cui la donna non sembrava riscontrare nessuna anomalia. Eppure lo sguardo di Aveline volto in quella direzione e la freccia tesa sull'arco di Connor le indicavano ben diversa valutazione. La cacciatrice dunque si zittì, senza fare domande, rimase ferma, notando come Aveline vicino a lei avesse portato una delle mani all'impugnatura del suo macete. Connor nel frattempo era una statua, immobile sul ramo, con la freccia pronta a fendere l'aria. Scoccò all'improvviso mandandola dritta tra le foglie. La volpe corse via impaurita mentre Myriham notò un movimento nel momento in cui la freccia toccò l'arbusto. Vide uscirne in riposta qualcosa che i suoi occhi non riuscirono a definire, ma che sentì conficcarsi nel legno dove Connor era stato appollaiato fino ad un attimo prima. Il ragazzo infatti aveva evitato il dardo, conficcatosi nel tronco, saltando giù dal ramo e gettandosi verso il cespuglio. Ne uscì rotolando, e le due donne videro subito che il compagno di caccia stava lottando con una preda ben diversa da quella per cui i tre si erano inoltrati nella foresta.

Era un uomo piuttosto robusto e ben addestrato visto le difficoltà che Connor sembrava avere nel tenergli testa. I due rotolarono tra terra e foglie ancora per qualche metro prima che Aveline si muovesse in soccorso del confratello. Con uno sguardo rapido intimò alla cacciatrice di non muoversi e poi balzò anch'ella giù dall'albero più basso, su cui era stata in osservazione fino ad ora. Pensò di sparare al nemico, ma i due uomini si muovevano troppo velocemente per darle la certezza di non rischiare di ferire anche Connor. Si avvicinò ancora un po' e nel momento in cui i due si separarono, scattò con più decisione, impugnando la frusta. Vide l'uomo riuscire a strattonare Connor di lato e cogliere l'occasione per prendere fiato mentre l'altro si rialzava. Il templare tentò di riandargli contro ma in quel momento sentì il piede bloccato, gli occhi si volsero prima verso di esso e poi seguendo la frustra legatavi attorno colsero Aveline, che prontamente tirò l'altro capo dell'arnese facendogli perdere l'equilibrio. Si ritrovò a terra, non ebbe tempo di pensare ad un contrattacco che l'indiano gli si avventò addosso portandogli il tomahawk alla gola, mentre Aveline estraeva la pistola puntandogliela contro.

Stava diventando vecchio... pensò, mentre si preparava ad esalare il suo ultimo respiro. Ma la pistola non fece fuoco e l'arma sulla sua gola rimase li ferma senza affondare oltre.   

«Chi sei templare?»  La voce di Connor si era fatta dura e ferma, come quella che Aveline ricordava qualche anno prima in una foresta innevata.

L’altro sembrò ne scomporsi, ne tanto meno spaventarsi al tono dell‘Assassino. Si limitò ad alzare gli occhi verso di lui come a sfidarlo con lo sguardo. Connor colse quell’intenzione ma decise di non farsi coinvolgere. Resto fisso a guardare il suo nemico, Aveline al suo fianco, in attesa di capire cosa il mentore delle Colonie avesse intenzioni di fare, teneva il dito sul grilletto della pistola.

«Non te lo chiederò una seconda volta»  il tono questa volta accompagnato da una leggera pressione dell’arma sulla pelle dell’uomo a terra. Un rivolo di sangue si fece largo sul collo del templare, che rimase sempre comunque con gli occhi fermi sul ragazzo sopra di lui.

«Sono un tuo nemico, dovresti capirlo … L’aura rossa che emano dovrebbe essere evidente…»

Connor non riuscì a nascondere la sua sorpresa a quelle parole. Sapeva dell’occhio dell’aquila? Si chiese stringendo più forte il manico duro del tomahawk.

«Anche tu sei decisamente …rosso ai miei occhi, Assassino…»  aggiunse poi l’uomo con un sogghigno non troppo velato.

Questa volta fu Aveline a prendere l’iniziativa. Aveva notato l’espressione ancor più stupefatta del compagno e temendo che il nemico volesse approfittare della cosa, si mosse velocemente rifoderando la pistola. Prese una fune che teneva alla cintola e legò le mani del templare strette dietro la sua schiena. L’uomo si sorprese per un istante sentendosi strattonare e si diede dello sciocco per essersi dimenticato della presenza di lei. Ma d’altronde sapeva benissimo che la voglia di vendetta fin troppo volte ti costringe ad errori grossolani come quello. Erano passati parecchi anni, ma in certe situazioni era ancora una testa calda come un tempo. Pensò che Haytham lo avrebbe sicuramente rimproverato se fosse stato ancora in vita, e quel pensiero gli infiammò ancora di più l’animo ricordandogli perché si era addentrato nella tenuta Davenport.  

«Sono venuto a vendicare il mio Gran Maestro»  disse con ira, prima di sentire un colpo alla base della nuca e tutto attorno a lui farsi nero come la notte che lo circondava.

Quando si risvegliò capì ancor prima di aprire gli occhi di essere legato ad un palo, attorno a lui però non sentiva più gli aliti del vento e il gelo della notte. Anzi era un tepore piuttosto piacevole quello che percepiva nelle vicinanze e quando finalmente riuscì a mettere a fuoco il luogo in cui si trovava capì che era un piccolo focolare quello che emanava la calda sensazione.
Era in una stalla, dietro di lui alcuni cavalli erano chiusi nelle loro posizioni e davanti, seduti di fronte al fuoco c’erano Connor e la donna di cui non conosceva il nome. Dell’altra donna, che aveva notato prima nascosta nella foresta, non c’era più traccia.

«Sono ancora vivo? Perché?” la domanda a voce alta fece volgere i due Assassini verso di lui. Connor non parlò, restò a fissarlo per alcuni minuti valutando la legittima domanda del templare.

«Perché vogliamo sapere chi sei.»  disse Aveline tornando a puntargli la pistola in faccia. Connor spostò gli occhi sulla compagna per una frazione di secondo per poi tornare a fissare il prigioniero.

Il templare sorrise. «Hope sarebbe stata fiera di te se ti avesse conosciuta»  disse con sincerità e  una punta di nostalgia.

Il grilletto scattò e una pallottola si infossò sulla trave di legno proprio sopra la testa dell’uomo. I cavalli alzarono tutti un nitrito e alcuni scalciarono un poco. La pistola ancora fumante e il suono dello sparo ancora nelle orecchie dei tre seduti uno vicino all’altro.

Il templare alzò lo sguardo sopra di lui e poi guardò con disprezzo i due Assassini, prima di emettere un lungo sospiro.

«Shay Patrick Cormac. Maestro Templare. Discepolo del Gran Maestro Haytham Kenway. L‘uomo che voi avete ucciso e di cui io reclamo vendetta.»

Shay vide i due Assassini irrigidirsi di colpo e voltarsi uno verso l’altro, poi, con sua grande sorpresa, la donna abbassò l’arma…

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Capitolo 13
*** What to do ***


What to do?


“Mah… la situazione sta prendendo una piega inaspettata” commentò Aveline mentre controllava con noncuranza la propria pistola non più puntata verso il templare legato al palo.

Shay sembrò sorpreso del cambiamento nell’atteggiamento della donna, ma la sua esperienza gli stava dicendo di non abbassare la guardia…per quanto legato com’era avesse ben poco potere nel tenerla alta.

“Che vogliamo fare Mentore?” chiese ancora la donna volgendosi al confratello.

Connor non le rispose subito e Shay notò, nonostante la poca luce del fuoco, che i lineamenti sul viso dell’indiano si erano fatti addirittura più tesi e lungo i fianchi le mani erano chiuse in pugni stretti, tanto da imbiancarne le nocche.

Stavano nascondendo qualcosa, era palese, ma cosa fosse il templare non riusciva a decifrarlo.

Connor all’improvviso tirò un lungo sospiro e si levò in piedi. Gli occhi di Shay e Aveline lo seguirono ma lui voltò lo sguardo verso la grande villa poco lontana.

Shay avrebbe giurato che stesse guardando verso la finestra più luminosa della magione. Aveline invece era semplicemente sicura che Connor stesse guardando proprio verso quella finestra e non si stupì quando lui si voltò verso di lei con uno sguardo che parlava senza bisogno di voce.

Aveline annuì guardandolo allontanarsi a lentamente non prima di aver dato un’ultima occhiata verso il templare. Shay dal canto suo sorresse con sfida e curiosità lo sguardo che l’indiano gli scoccò prima di vederlo volgersi verso la grande residenza e sparire nel buio della notte.

“Che intenzioni avete?” chiese l’uomo cercando di sciogliere i nodi che gli legavano mani e piedi.

Aveline si alzò e strinse con più forza le corde. “Non pensar di poter liberarti facilmente da queste corde…sono nodi fatti da un uomo di mare…”

Shay sbuffò. “Riconosco certi nodi, donna. Non pensare di aver davanti uno sbarbatello”

La donna sorrise con un certo divertimento. “Non lo penso affatto, per quello sto stringendo i nodi…”

Il templare rimase interdetto per un secondo e poi gli sfuggi una breve risata. “Interessante…quindi non avete intenzione di uccidermi?”

La domanda aleggiò tra i due nemici per alcuni istanti prima che Aveline potesse rispondere lanciando uno sguardo fugace verso la casa.

“Dipende da lui…e da cosa deciderà” rivelò solamente, ma a chi fosse riferito quel “lui” non avrebbe saputo dirlo nemmeno lei stessa.

---



Connor avanzò un piede avanti l’altro. Il breve tragitto dalla stalla alla casa non gli era mai sembrato così breve. Era già arrivato al portone e nella sua testa le domande si erano centuplicate.

Cosa doveva fare? Avrebbe dovuto far sapere a suo padre che uno dei suoi allievi si era spinto fin qui per vendicarlo? Avrebbe dovuto dire a quell’uomo che il suo Gran Maestro che era ancora vivo? Oppure doveva ucciderlo e chiudere li la questione?

Connor scosse la testa.

Odiava ammetterlo ma quel Shay non gli sembrava un uomo cattivo. Per certi versi gli ricordava suo padre e per altri, che Achilles lo perdonasse, gli ricordava se stesso. Ucciderlo a sangue freddo non gli era parsa una buona idea. In fondo aveva ucciso fin troppo in quegli anni. Si era macchiato di tanto di quel sangue, tra cui anche quello di innocenti come Kanen‘tò:kon. Ed era servito a qualcosa? La guerra era finita, ma il suo popolo era stato scacciato, la schiavitù si espandeva a macchia d’olio… Davvero il suo intervento nella guerra aveva portato aiuto, davvero aveva scongiurato un futuro ancora peggiore come quello che gli era stato mostrato nella visione della sua gioventù? Davvero poteva esserci qualcosa di peggio di ciò che aveva dovuto già sopportare?

Quante domande nella sua testa. Troppe sicuramente per la sua giovane età. Era Mentore di nome ma non certo di fatto. Achilles lo avrebbe deriso per questa sua debolezza di spirito. Achilles sicuramente gli avrebbe detto di uccidere quel templare, di non farsi ingannare da sentimentalismi inutili… Dio, lui lo aveva praticamente costretto ad uccidere il suo stesso padre, lui che aveva perso la sua famiglia e che doveva ben sapere cosa significasse il legame di sangue.

Connor si bloccò all’improvviso. La mano sulla maniglia della porta della residenza. Non è che…Achilles lo avesse usato per aver la sua vendetta su Haytham? No,no, non era possibile. Achilles non avrebbe fatto una cosa tanto subdola, non avrebbe mai potuto usarlo in quel modo no? No, certo che no…Se Achilles voleva Haytham morto era solo perché lui era il capo dei templari e la sua morte avrebbe accelerato la fine della guerra e quindi avrebbe portato a meno vittime. I templari erano portatori di sofferenza e costrizioni, per quello dovevano soccombere. Per quello Achilles gli avrebbe detto di uccidere anche questo nuovo templare che gli era capitato a tiro, anche se sembrava diverso dagli altri, diverso come lo era sua padre. Già, suo padre…lui  invece, cosa avrebbe detto…?

Connor fece leva sulla maniglia e aprì la porta.






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Capitolo 14
*** What I aim for ***



What I aim for…


La residenza era immersa nel buio, ma gli occhi allenati di Connor non si fecero sfuggire la sagoma che sembrava aspettarlo appoggiata alla ringhiera a metà strada sulle scale.

“Padre! Che fate in piedi e fuori dal letto? Siete ancora convalescente.”

Haytham si raddrizzò, colpito nel vivo dal quel commento che lo faceva sembrare un vecchio moribondo. Scacciò comunque subito quel pensiero guardando Connor raggiungerlo dopo i primi scalini.

“Chi è?” chiese quando il figlio gli fu più vicino.

Il ragazzo si immobilizzò. Avrebbe dovuto immaginare che suo padre avesse notato il prigioniero alla stalla.

“Per farla breve…. un templare venuto a vendicarVi”

Haytham sembrò pensieroso. I due Kenway si guardarono per un lungo momento, Connor avrebbe giurato che non fossero passati più di 2 minuti da quando Haytham tornò a parlare, ma ad entrambi sembrò un istante lungo un giorno.

“Che hai intenzione di fare con lui?” chiese quindi senza distogliere lo sguardo dal figlio.

Era una bella domanda, la stessa che Connor avrebbe voluto fare al padre, per essere onesti. Ed infatti si ritrovò a ribattere proprio in quella direzione.

“Voi che fareste?”

“Non ti è stato insegnato che non si risponde ad una domanda con una domanda? A maggior ragione se è la stessa…”

“Non ho avuto un’educazione inglese” ribattè stizzito il giovane assassino, incrociando le braccia al petto.

“Non è questione di educazione inglese o meno, si tratta di educazione e basta…ma evidentemente Achilles aveva altro da insegnarti…”

“Avete intenzione di ritornare su quel discorso? Sapete bene che…”

Haytham alzò la mano che aveva tenuto sulla ferita per tutto quel tempo in piedi e bloccò sul nascere l’autocelebrazione della confraternita che sarebbe scaturita dalle labbra di Connor.

“D’accordo, d’accordo. Evitiamo! Piuttosto non hai pensato che non sia solo? Trovo davvero strano che un templare sia venuto nella tana del nemico da solo. Senza contare che scarseggi in previdenza se uno dei miei uomini ha trovato il vostro quartier generale con questa facilità.”

Connor non colse le varie accuse e frecciate sulle sue scarsi doti di leader, si limitò invece a uno sbuffò vigoroso, appoggiandosi con la schiena sulla ringhiera delle scale producendo un certo fastidioso rumore di legno piegato.

“Vi assicuro che è solo. Ho controllato personalmente ogni angolo della tenuta mentre Aveline lo teneva sotto controllo durante il tempo in cui era svenuto. L’unica cosa che è sospetta è una nave ferma al largo ma ho già mandato Mr Faulkner a indagare a bordo dell’Aquila.”

“Una nave? Un’attimo, quel templare…non sarà mica Shay?”

Connor squadrò il padre dalla testa ai piedi ma non fece cenno di muoversi dalla sua posizione.

“Dunque lo conoscete…”

“Shay Patrick Cormac…certo che lo conosco. Uno dei miei uomini migliori che ti dovrebbe essere di grande esempio.”

Quest’ultimo commento e la visibile stima che si leggeva nell’intonazione di Haytham portò Connor ad alzare un sopraciglio con fare curioso, mentre si spostava dalla sua posizione notando che il padre stava tornando verso la camera da cui era uscito.

Connor lo seguì mentre il vecchio templare riprendeva gli scalini uno a uno con più stabilità e facilità di quando Connor avesse pensato suo padre potesse invocare nelle sue condizioni.

“Che intendete dire?” chiese quando i due arrivarono al piano superiore. Haytham si fermò all’entrata della stanza che un tempo era di Achilles e senza chiedere il permesso girò la maniglia entrando.

Connor sbiancò seguendo il padre e raggiungendolo in due falcate all’interno della camera.

“Nessuno Vi ha dato il permesso di entrare qui!” lo fulminò con voce e sguardo.

Haytham non sembrò ascoltarlo e Connor fu costretto a strattonare il padre per una spalla per costringerlo ad ascoltarlo.

“Avete sentito ciò che Vi ho detto?”

“Achilles è morto Connor…” gli disse l‘uomo, prendendo con delicatezza il polso del ragazzo e allontanandolo dalla propria spalla. “non ha senso tenere sigillata questa stanza. Questa dovrebbe essere la stanza del mentore della confraterniata, la tua stanza Connor. Ma la verità è che tu non sai quasi nulla di coloro che ti hanno preceduto nel ruolo che ti sei imposto di prendere”

“Cosa..?” ma ancora una volta Haytham riprese parola senza permettere una risposta al figlio

“Per prima cosa perché non porti qui Shay e lo inviti a dirigersi nella stanza di Achilles? Posso scommettere che arriverà qui senza che tu gli dica dove andare.”

“Cosa volete dire?” Connor cominciava a scambiare quella sorta di irritazione nel vedere il padre a proprio agio nella stanza di uno dei suoi peggior nemici, con una più marcata preoccupazione per le parole che aveva appena ascoltato.

“Ogni cosa a suo tempo figliolo. Per prima cosa e bene che Shay sappia che io sono ancora vivo. Averlo come nemico non è cosa saggia. Portalo qui e ti spiegheremo alcune cose”

Connor non si mosse. Rimase fermo in mezzo alla stanza, quasi senza rendersi conto di quando il padre gli lasciò andare la presa al polso per permettergli di scendere al piano inferiore.

“Beh che succede? Io ti aspetterò seduto qui. Su forza… vai” agitò la mano il templare andando a sedersi su una della poltrone posizionata vicino ad un tavolo.

“Non mi fido a lasciaVi qui dentro da solo”

Haytham si posizionò meglio sulla poltrona, una delle mani andò involontariamente a riposare li dove la ferita ancora si stava rimarginando.

“Connor, pensi davvero che io in questi giorni non sia mai venuto qui dentro?”

Il ragazzo si irrigidì. Era stato uno stolto, aveva pensato che suo padre non sarebbe riuscito a muoversi, oppure era solo che voleva fidarsi di lui o ancora che semplicemente e ingenuamente Connor non considerasse suo padre un nemico.

La realizzazione lo spaventò. E quel sentimento doveva essere ben evidente sul suo volto anche in quella timida luce lunare che entrava dalla finestre visto che Haytham si ritrovò a sospirare rumorosamente.

“Rilassati Connor. Non ho nessuna intenzione di distruggere ciò che hai creato dal suo interno. Ammetto di aver cercato e trovato alcune informazioni qui dentro… ma non ho intenzione di usarle contro di te se la cosa può farti stare più tranquillo…”

“Come potrei fidarmi di un Gran Maestro Templare?” chiese lui mettendo mani all’elsa del tomahawk legato alla cintola.

“Nessuno te lo chiede infatti. Io ti chiedo di fidarti di tuo padre” rispose l’altro, senza abbandonare lo sguardo sul ragazzo di fronte a lui.

Connor sembrò riflettere per alcuni minuti, poi la mano lascio l’elsa e il braccio tornò a distendersi lungo il fianco. Ad Haytham comunque non sfuggì la mano ancora stretta in un pugno.

“D’accordo” disse con un filo di voce il ragazzo “ma se verrò mai a scoprire che state seguendo degli scopi a beneficio dei templari, non fermerò la mia mano”

Haytham si concesse un mezzo sorriso. “Non preoccuparti figliolo. In questa mia seconda vita ho solo uno scopo”

Connor lo guardò “E sarebbe…?” chiese.

“Te ne parlerò quando sarà il momento”

“…questo non lo è?”

“Questo è il momento che tu vada a prendere Shay, prima che riesca ad averla vinta sulla tua amica assassina”

“Non sottovalutare Aveline”

“E tu non sottovalutare Shay…”

Connor si strizzì, ma l’ultimo commento lo convinse a girare i tacchi e a uscire dalla stanza e poi dalla villa con più rapidità di quanto pensasse di avere.

Solo quando la porta della villa si chiuse alle spalle dell’Assassino, Haytham si volse verso uno delle finestre da cui si vedeva fin troppo bene la luna. La luce chiara gli illuminava il grembo dove riposavano le sue mani. Le guardò notando come avessero cominciato a perdere tono muscolare. Le mosse piano, quasi non fossero parti del suo corpo e rimase per un attimo ad osservarne i palmi.

“Se non ti confido il mio vero scopo Connor è perche non mi crederesti…ma spero che tu Ziio, almeno tu” pensò ripiegando, soltanto allora le dita in pugni “ possa credere nei pensieri di questo vecchio corpo scampato alla morte più volte di quanto abbia meritato. L’unica cosa che voglio è poter essere il padre che non ho potuto essere. Che ci possa riuscire o no, Ziio, questo non so proprio dirlo…”





 







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