Questioni d'onore

di V a l y
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ZORO ***
Capitolo 2: *** ZORO II ***
Capitolo 3: *** NAMI ***
Capitolo 4: *** NAMI II ***



Capitolo 1
*** ZORO ***


Se siete qui vuol dire che questa fanfiction ha in qualche modo catturato il vostro interesse. L'ho riletta, aggiustata, ho tolto e aggiunto qualcosa, e potando e piantando sono arrivata a questo.
Questa storia è talmente vecchia che quando la scrissi Franky neppure esisteva ancora come componente della ciurma. La timeline si aggira all'incirca dopo Alabasta, nel primo capitolo, continuando con riferimenti ad avanzare cronologicamente.
Buona lettura!


°°°°°°°



Bere non è un hobby. Bere non è neppure la soluzione di un disperato. Per me l'alcool è come lo spirito, l'essenza della vita, qualcosa che aiuta il corpo. Come il sonno. E' sacro e intoccabile, al pari del cibo per Rufy, del denaro per Nami e delle gambe e gonnelle per Sanji. Dio è cattivo a punire, perché non esiste uomo senza la propria ubbia. Se c'è qualcosa che odio è essere interrotto durante uno di questi miei capricci terreni.
"Zoro, chi ti ha dato il permesso di andartene senza dirmi nulla?!"
Non è neppure necessario riconoscere il timbro della voce di questa persona, perché la mia testa è abituata a identificarla quando viene picchiata da ella.
Nami.
Il mio buon liquore si rovescia fuori dal bicchiere a causa sua.
Insopportabile. Quella donna a volte ragazzina e a volte troppo donna mi ha sempre dato sui nervi. Capricciosa. Avara. Calcolatrice. Approfittatrice. Perché non mi sia mai andata a genio, perché io non sia mai riuscito dopo tutto questo tempo ad essermi almeno in parte abituato alla sua persona è una delle tante questioni a cui ancora non ho trovato risposta. Forse per il suo ideale di vita così contrario al mio, poco spirituale e troppo materiale. L'unica certezza è che una delle poche cose che ci accomuna morbosamente è la testardaggine. Questa fa conseguenza all'orgoglio. Le nostre ideologie lontane inevitabilmente di scontrano fino ad arrivare alla meta finale: la vittoria completa riuscendo a far sottomettere in qualche modo l'altro. Per mezzo di scontri verbali, per mezzo di scontri fisici. Queste sono le nostre questioni d'onore.
"Diamine, Nami. Ero solo andato a bere un bicchierino."
Sogghigna.
"Volevi per caso svignartela dal tuo dovere di portapacchi?!"
Odio anche fare il portapacchi. Ma lei ci riesce sempre. In qualche modo afferra un discorso, lo gira, lo rigira e lo travaglia come meglio le fa comodo. Un avvocato del diavolo. Poi viene anche il mio orgoglio: impossibile farlo ribellare a una questione apparentemente giusta, che non è altro che uno dei suoi tanti ragionamenti calcolati per riuscire in qualche modo a farle avere ragione su tutto. Ad esempio, questa volta io le avrei sporcato la giacca con il mio sake. Il fatto è che a rovesciarlo è stato Rufy. Tra i due quella che riesce ad averla vinta è quasi sempre lei.
"Sei fortunato che ti abbia ritrovato. Immaginando le tue conoscenze geografiche saresti tornato alla Going Merry tra tre giorni. Ringraziami anche per questo."
Ringraziarti? Avrei anche ragioni per ringraziarti? Semmai sono io a salvarti il sedere ogni volta!
"Ma sentila! Io non ho nessun tipo di ringraziamento da porti, tanto meno fare il secondo schiavo senza motivo!"
Lei, noncurante di ciò che ho detto, si siede sullo sgabello. Dopotutto, la situazione è sottomano solo a lei.
"A Weasky Peak ti sei seriamente impegnato, peccato che la cifra datami è stata appena un decimo di ciò che mi spettava. Il nostro era un accordo in comune..."
Sento puzza d'imbroglio, solo che non riesco a contraddire niente. Odio questo mio modo d'essere.
"Diciamo che se lavorerai per me per altre… novanta volte, sarò sul serio soddisfatta!"
L'oste porta il bicchiere di birra a Nami, che lo ringrazia con una gentilezza così cortese e così strana per me. Penso per un attimo che quando questi novanta favori sarebbero terminati, tutto sarebbe seriamente finito. Col cavolo, è solo un'illusione. Sarebbe bastato poco che si sarebbe trovata una scusa da sfruttare come nuovo motivo per incolparmi. Ho voglia di finire di sentirmi sottomesso, ho voglia di cambiare qualcosa. Per la prima volta il mio cervello pensa malignamente, come fa sempre lei.
"Che ne dici di una sfida di resistenza?"
Mi guarda stranita, forse perché rare sono le volte che ho iniziativa su di lei.
"Resistenza d'alcool? Sai benissimo di non poter competere!"
"Accettala, allora."
Sorseggia la sua birra, poi sorride come una volpe; come sempre, in queste occasioni.
"Se è una sfida per il vincitore ci sarà un premio, dico bene?"
Quanto me la immaginavo una risposta del genere. E stavolta ci avrei giocato tutto:
"Chi perde farà da schiavo al vincitore fino a quando Rufy non diventerà Re dei Pirati."
Sorride di nuovo, stavolta di più. Alza il braccio per richiamare l'oste. Chiede di portare tutta la birra del loro sgabuzzino al tavolo numero tre. E' sottinteso che avesse accettato.
Le prime volte il cameriere trasporta a ogni via vai due bicchieri per ognuno, ma man mano quel cameriere deve fare più veloce e più attenzione, perché nullafacenti, uomini distrutti e venuti a risollevarsi il morale alzando un po' il gomito o, la maggior parte di loro, fecce dell'umanità chiamati pirati aumentano di numero a ogni minuto che passa in preda alla curiosità per la nostra sfida. In quest'ultimo quarto d'ora i camerieri si sono triplicati così da avere meno intralcio al lavoro, in su e in giù per almeno una ventina di volte dalla cucina dell'osteria al tavolo numero tre. E io, come le piante dei piedi di quei camerieri, sono quasi arrivato al limite.
Qualcuno mi tira pacche dietro la schiena e sulle spalle per incitarmi a continuare, altri invece mi provocano; in un'altra situazione li avrei stesi per terra, ma il mio orgoglio è troppo preso in altre questioni: osservare il viso di Nami che ormai è agli sbocci. E' da molto che non sento sensazioni del genere, la paura e l'eccitazione al contempo mi prendono del tutto tralasciando il resto, come succede nei duelli. Credo che lo stesso valga per lei, che lascia perdere a sua volta i pirati che non nascondono stupore nel vedere una donna così poco femminile alzare il gomito come un maschio, e altri poco raccomandabili che, al contrario, commentano liberamente ad alta voce riguardo gocce di birra che si insinuano nel suo prosperoso petto.
"Te la cavi bene, spadaccino."
Il suo volto è esausto, ma non smetto di sopravvalutarla: conoscendola potrebbe trattarsi di un trucco.
"Sappi che sono solo alla metà della metà della metà della metà del mio massimo."
"E immagino il disgraziato che dovrà pagare il conto quando perderà!" sussulta una voce non identificabile tra la massa che ha accerchiato il tavolo numero tre. Ne segue una fragorosa risata. Così, anch'io dico la mia:
"Comunque vada io non ho neppure un Berry, amico!"
Di nuovo un forte e lungo schiamazzo da parte di tutti, eccezion fatta per Nami, che mi fissa con sguardo perso e pietrificato. Mi avvicina a lei afferrandomi per il bavero della maglia.
"Ascoltami bene! Adesso farò finta di svenire..."
Svenire? Divertente, anche se non ne capisco né il fine né il senso. Sarà perché, oltre a noi, c'è gente che urla e schiamazza come fossero dannati degli ultimi cerchi dell'Inferno, i più catastrofici, e non ho inteso il resto di ciò che mi ha detto; sarà che sono stanco e tremendamente provato; sarà che l'effetto dell'alcool dallo stomaco è riuscito ad arrivare fino al mio cervello e ad annebbiarmelo tutto. Mi sembra di vedere Nami ballare...
"Poi, distrarrò gli altri..."
Sta pensando a un piano, è certo. E' l'unica cosa che ho compreso di tutto.
"Al momento giusto ce la svignamo!"
Prende dalla gonna il suo sacco preferito, quello che contiene le sue pecunie. E' vuoto. Per quanto stanco, ubriaco e in mezzo al chiasso io sia, credo di aver afferrato il problema di tutto. Sicuramente quella scialacquatrice aveva regalato qualche ora prima i propri soldi in cambio di vestiti. Rimette il tutto a posto, poi, con teatralità, cade a terra.
"Zoro, sarai sempre tu il numero uno!"
Fa finta di disperarsi. Che carogna. Mi chiedo quante persone abbia fregato in questo modo in passato.
"Avete visto, uomini? Ve lo dicevo, io, una donna non potrà mai arrivare ai livelli di noi maschi!"
Questo è l'unico commento che riesco ad udire. Ci sono troppe persone e troppo rumore, e la mia testa sta scoppiando.
"Mio dio, cos'è quello?!"
Dopo aver urlato come un'ossessa, la ragazza della Going Merry punta il dito verso il soffitto. Pirati, uomini di mare e di terra seguono in un unico movimento il dito della mia compagna. Per un attimo sarebbero stati distratti da ciò. Che fosse questo il suo fantomatico piano di fuga? Lei mi prende la maglia da sotto il tavolo e mi trascina, sussurrando qualcosa:
"Come direbbe il nostro Sanji: siamo nella merda, se non l'hai ancora capito. Scappiamo adesso!"
Sì, era questo il momento di fuga tanto ingegnato da lei. La pensavo più furba e sofisticata. Peccato. Passiamo tra le gambe degli spettatori della nostra sfida, presi da un nuovo intrattenimento. Oltrepassiamo finalmente l'uscita di quella topaia, a un passo dalla libertà.
"Che sta succedendo qui?!"
Ci giriamo di scatto impauriti, spaventati dall'idea di essere stati scoperti.
"Ma io vedo solo una farfalla, non vedo altro."
"Possibile che le femmine abbiano paura anche delle farfalle oltre che degli insetti?!"
E io che credevo che ad essere patetico fosse stato il piano strategico di Nami. Quella alle nostre spalle è una masnada fi pirati ottusi e sempliciotti; se ne stanno lì, ancora fermi, a osservare il niente. Mi fanno tanto pensare al nostro capitano. Credo che anche Nami abbia elucubrato la stessa cosa, perché inizia a ridere. Cerca di soffocare i singhiozzi, ma ormai il tranello è stato scoperto:
"Che diavolo ci fate voi lì?"
Come direbbe il nostro Sanji: siamo nella merda, se non l'hai ancora capito. Scappiamo adesso!
Così facciamo. "Tu sei tutta scema!" urlo decisamente irritato.
"A dopo le discussioni!" mi risponde, incitandomi a seguirla. Corro come non avevo mai corso in vita mia. O è così o è una sensazione infondata ed è solo colpa dell'alcool se il fiato mi pesa tanto. Dopo varie indicazioni di Nami, la quale spesso mi richiama dicendomi che se avessi preso la via di destra e la seconda di sinistra sarei stupidamente ritornato all'osteria - ovviamente erano le strade che stavo prendendo quando mi trovavo davanti a lei - finalmente arriviamo in un viottolo vicino al mare. Lì è attraccata la nostra Going Merry. E quei bisbetici inseguitori non ci sono più. Comincia a girarmi la testa, in un tempismo quasi perfetto. Appoggio la mia schiena sulla parete di un muro, vicino a una rete piena di pesci. Nami segue i miei gesti, sedendosi completamente a terra. Nasconde il volto tra le braccia: sta ancora ridendo. Cerca di dire qualcosa tra un risolino e l'altro:
"L'abbiamo scampata per un pelo! Per fortuna che quella non era gente normale, altrimenti saremo già morti, credo!"
Sbuffo, perché è vero. Oltretutto la nostra sfida è stata interrotta che era ormai alla sua fine. E la situazione da me tanto detestata non sarebbe cambiata. Saremmo tornati sulla nave e tutto sarebbe rimasto come prima: lei che comandava, io che venivo comandato. Stavo già mandando al diavolo gli Dei, quando improvvisamente mi accorgo di un miracolo: la mia mano destra non ha ancora sganciato la presa da un bicchiere di birra. Quando Nami se ne avvede è troppo tardi, perché quel liquido è ormai in gola. Smette di ridere.
"Trentuno a trentadue".
Basta questa frase a farla sussultare e a farla sudare.
"Ehi, se avessi avuto la possibilità io ne avrei bevute altre cento. Non siamo più all'osteria, non vale!"
Il mio cervello ebbro ragiona senza morale, senza pensiero, ma con egoismo e calcolo, come quello di lei. Mi fa sorridere d'impertinenza e supponenza. Questo non le è piaciuto: deglutisce vistosamente. Non riesce neppure più a fingersi Regina dei Sette Mari come al suo solito, anzi sembra un piccolo volpacchiotto indifeso. E questo mi fa arridere ancor di più.
"Nei patti questo non era stato detto," le dico semplicemente. Sbianca, perché non trova niente su cui contraddire. Sicuramente si sta chiedendo da quando io sia diventato così intelligente. Le avrei risposto di aver imparato da lei. Per una volta da quando l'ho incontrata la situazione si è rovesciata. La sua sarebbe diventata una vita di sfinimenti eterni, mi sarei vendicato per bene.
La guardo con sorriso soddisfatto:
"E' tardi. Torniamo alla nave, schiava."

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Capitolo 2
*** ZORO II ***


I miei occhi sudano. Difficile da dire, anatomicamente improbabile, ma i miei occhi sudano. Ogni qualvolta che termino esercizi la vista annebbia, perché gocce di sudore penetrano nei miei globi oculari. Credo siano state così tante le volte che è successo, che mi son scordato come possa piangere un occhio; non ricordo una tra le funzioni più importanti di quell'organo visivo. L'ultima volta che ho versato una lacrima fu molto tempo fa, non ne rammento il sentimento. Ma so quando è stato. Lo so e lo evoco ogni volta che mi guardo riflesso nello specchio. E la mia mano passa automaticamente sulla lunga cicatrice trasversale che sfregia il mio petto.
Allora mi blocco, sposto gli occhi verso me, il me riflesso, e penso: "Dove avrò sbagliato?"
Mondana notte, mondana domanda. Ancora non ho trovato risposta.

"Zoro, ma quelli sono cento chili di ferro?!"
Usop cerca in tutti i modi di sollevare l'enorme peso che da sempre mi porto dietro, prima e dopo ogni avventura. Non riesce neppure ad alzarne un quarto di parte. Tenta di scusare la sua scarsa potenza di braccia a causa di una maledizione di un orco invidioso che a ogni dì del 13 di ogni mese avrebbe diminuito la sua forza. Invano nei miei riguardi, vano nei riguardi di Chopper, che al solito lo osserva con orgoglio e splendore. Ma subito vengono distratti dall'odore del dolce al limone di Sanji per le due uniche donne di bordo, al momento intente a chiacchierare di roba mai sentita in vita mia: astronomia, strologi e stoicismi.
Le donne si divertono ad annoiare la vita con inutili chiacchiere...
Tra una distrazione e l'altra ognuno sulla Going Merry perde di vista il vero motivo per cui siamo tutti insieme. Mi chiedo se gli altri, guardandosi allo specchio, si ricordino il perché. L'unico a non dimenticare mai, neppure una notte, sono io. Solo io. E mentre gli altri si abbuffano di torte e battute, rimango lontano da loro, in mezzo alla mia solitudine.

"Dove sono Rufy e gli altri? E Robin?"
"Rufy e gli altri sono ancora dentro... Robin sarà da qualche parte..."
Un Usop decisamente entusiasmato mi parla agguantando una strana conchiglia. Un dial, mi pare: quegli strani affari che si trovano sull'isola del cielo. Adesso è lì che mi trovo. Dopo una guerra tra un Dio e il popolo, un lieto fine sovrana la situazione e una meritata ricompensa attende i nostri eroi: chili, quintali, tonnellate d'oro, trovate chissà come dentro lo stomaco di un biscione. Noi tutti stiamo assaporando al massimo la vista di quei bei gioielli luccicanti che ballano nei nostri occhi con effetti di luce dorata. Beh, non proprio noi tutti, visto che io me ne sto davanti alla bocca di quello strano rettile a spaccare massi con le mie katane. Oltre a questo c'è Usop, completamente svagato da questi suoi nuovi acquisti di Dial. Me ne mostra uno, poi un altro. Scherza. Ride. Infine se ne va, raggiungendo il gruppo. Ed io mi ritrovo nuovamente solo, con l'unica compagnia di tre spade e qualche roccia.

Ma va bene, così dev'essere. Da quel giorno, ho rammentato il mio vero obiettivo. Ho compreso quanto possa essere difficile raggiungerlo, ho capito quanto importanti siano questi allenamenti.
Affinché io batta Occhi Di Falco.
Affinché io mantenga una promessa.
Eppure, sento che qualcosa non va. So di esser migliorato, ogni allenamento di più, ma guardandomi allo specchio non provo gioia. Solo amara delusione. Insoddisfazione per qualcosa di incomprensibile per me. Non conoscendo la causa, posso solo sfogare la mia rabbia. Così, confido le mie ire con il primo che passa:
"Smettila di strillare, Sanji! Non vedi che sto dormendo?!"
Quello strano ragazzo urla sempre per due motivi: o Rufy e Usop hanno tentato di forzare il lucchetto del frigo in preda ad un raptus di fame, o gli erano passati davanti i corpi per lui da favola che si portano addosso Nami e Robin. Stavolta è toccato a Nami.
"Cos'hai detto, razza di spadaccino bifolco?!"
Il seguito vuole sempre che noi finiamo in una lite, e non solo verbale... Anche fare a botte con Sanji, in un certo senso, si può definire "allenamento".

Ormai è rimasto solo questo come metodo di approccio con gli altri. Il mio mutamento di carattere ha fatto imbizzarrire il mio animo, immagino lo sia anche per loro. Per questo, certe volte, mi sento spesso estraeniato...
"Un brindisi alla riuscita dell'impresa! E un doppio brindisi come augurio alla ricerca di un carpentiere coi fiocchi nella ciurma!"
"Hip hip, urrà!"
Vedo un focolare e sei persone sedute attorno. Ne manca una: io. Non bastano gli sfoghi con il cuoco della ciurma per ammansire la mia ira. Così, la mia frustrazione se la prende con colei che al momento, per uno scherzo del destino, è diventata la mia schiava:
"Prendimi quel pantalone verde sopra l'armadio."
La ragazza sbuffa scocciata alla mia richiesta, portando le braccia sulla vita: il suo modo di fare quando una situazione non le piace affatto.
"Capisco che io non mi debba lamentare, ma quest'armadio è troppo distante. Tu che sei più alto di me lo prenderesti subito!"
Nulla di lei è mutato da dopo la scommessa: è rimasta la sfacciata di prima. Anche adesso mi fissa con occhi orgogliosi e per nulla intimoriti. Le ho promesso che non l'avrei mai più minacciata con le mani... ricattarla in altri modi, però, è più che lecito nei nostri patti.
"E' che ho mal di schiena. Prendilo, altrimenti ti rovinerò la tua maglia blu e bianca che ti piace tanto."
Neanche a ripeterlo due volte che quella corre a prendere una sedia e la posa vicino l'armadio. Proprio un bel modo di incitarla; questione di due o tre secondi.
"Quando si parla di vestiti smetti improvvisamente di lamentarti, eh?!" la derido io, rimanendo seduto sul pavimento con le braccia sopra la mia testa e con la schiena appoggiata alla parete, contemplando mentalmente me stesso per essere così in vantaggio rispetto alla navigatrice. Non può dire niente, solo guardarmi disprezzata per questo mio nuovo potere che ho su di lei. Sbuffa soltanto, per non darmi ragione.
Dispone anche quest'ultimo indumento sopra gli altri per mandarli a lavare, quando la sua attenzione si sposta sulle mie tre katane.
"Di' un po': perché tieni ancora quella spada così sgualcita?!" mi chiede impertinente riferendosi senz'altro alla wado ichimonji.
"Perché sono cavoli miei!" rispondo io irritato da quell'antipatico questito. Questo perché è un mese che mi tormento a causa del mio passato e non ho voglia di rimembrarlo in alcun modo. "Ora va'!" finisco la frase incompleta di prima.
"E' un po' che ti vedo sempre scontroso..." commenta Nami riguardo la mia reazione poco garbata di prima. "Be', amico, datti una calmata o ti cacceremo da questa nave a suon di calci!"
Ride. La sua affermazione non era seria, ma solo un innoquo scherzo tra amici; apparentemente, perché bastò questo a sputarmi in faccia gli stessi timori che sentivo rimurginare nella mia testa con una noncuranza unica...
Al contrario di ciò che avrebbe previsto lei mi arrabbio, e anche molto:
"Cretina, ho detto di andartene!"
La spingo prepotentemente fuori da camera mia, facendo forza con le mani sulla sua schiena. Sbatto violentemente la porta, restando così da solo in quella stanza, per l'ennesima volta. Mi giro e ritrovo davanti il me stesso riflesso su uno specchio. Tiro un pugno e mi moltiplico a causa dei mille pezzi con il quale, adesso, si forma la mia specchiera, facendomi sanguinare le nocche.
Tutto questo perché mi detesto. Mi detesto soprattutto adesso, che mi sto arrendendo.

Centotredici, centoquattordici, centoquindici...
Termino così quel manchevole allenamento di pochi tre quarti d'ora, faticando miseramente. Di solito faccio almeno il doppio di alzate di pesi.
E' tutto qui ciò che sai fare, Zoro?!
Il tono di sfida della mia amica d'infanzia riecheggia nella mente, come fosse stata davvero presente in quel momento. Kuina, quanto mi mancano le tue sfide... Sembra che adesso io abbia perso tutta quella passione di spadaccino che un tempo condividevo insieme a te.
I miei bisogni fisiologici soprassalgono quel mio momento di nostalgia, chiedendomi quanto avrei dovuto ancora aspettare per la cena. Mantenendo la mano sopra il mio stomaco affamato, mi avvio verso la cucina, e me li ritrovo tutti lì, a mangiare e saziarsi a volontà: la ciurma di Rufy al completo.
"Oh, Zoro, sei venuto finalmente!" esclama felice la piccola renna. Ma io non mi scompongo neppure di un sorriso.
"Che sta succedendo?!" chiedo spiegazione con un tono di voce decisamente poco gradito.
"Come sarebbe a dire, sei cieco?! Abbiamo preparato la cena," sbuffa il cuoco, espirando fumo dalla solita sigaretta in bocca. Era appunto questa la cosa che tanto mi faceva adirare. Domando, quindi:
"Perché non mi avete avvertito?"
Nessuno dei presenti ha voglia di rispondermi, neppure quelli più chiassosi. Il capitano smette addirittura di abboccare quantità enormi di pollo, fermando così la sua sacra masticazione. Quel silenzio lo prendo male. Prima che qualcuno potesse per puro, assurdo caso rispondermi, io varco la porta, non scordandomi ovviamente di mandare in 'quel posto' Sanji.
"Si può sapere che diavolo ti prende ogni volta?!" mi tuona contro la ragazza dai capelli rossi.
L'avvocato difensore, Nami, esce dalla cucina subito dopo di me; poi viene seguita dal resto della combriccola. Mi fermo a guardare la sua figura esile contro il sole, schietta e felina, sempre così forte, nonostante il suo fisico gracile. Questa viene raggiunta per prima da cuoco, che la guarda preoccupato. Mi accorgo che Nami e Sanji si son sempre aiutati a vicenda, soprattutto se la questione dei loro litigi ero io. Credo che quei due se la intendono di nascosto, in segreto al resto della ciurma.
Ma di questo poco mi frega. La sfacciata osa sempre troppo, non l'ho mai sopportata.
"Che vuoi, Nami? E' tutto il giorno che non ti fai i fatti tuoi!" la schernisco io con voce alta. Lei continua per nulla intimorita:
"Smettiamola di litigare! E' già da qualche tempo che ti vedo sempre arrabbiato con noi. Dicci almeno il perché!"
Mi chiede il motivo, dunque. E di nuovo si tornerà alla questione della mia infanzia. Vuole che le dica la verità? Gliela rinfaccerò, allora, ma non tutta, solo quella più cattiva che una parte del mio animo si tiene dentro. Quella più astiosa che ho sempre avuto nei confronti lei. Resterà con l'amaro in bocca, non avrò pietà!
"La verità? La verità è che se ho una cicatrice che mi solca per metà è per colpa di una ragazzina avara e capricciosa. E sempre per colpa sua i miei sogni sono svaniti in un'attimo. Mentre questa ladruncola se ne stava a fare i dispetti alla ciurma, scappando con la nostra nave, io non ho avuto tempo di concentrarmi contro Occhi di Falco e ho perso il duello! Spero che questo ti basti come spiegazione e ti renda più tranquilla!"
Il mio ego urla parole di disprezzo assoluto, con un tale uso eccessivo di corde vocali da farle arrivare persino alle orecchie degli abitanti dell'Isola del Cielo. Segue nuovamente un silenzio assurdo, completamente in contrasto al mio strido precedente. Mi sarei aspettato un tentato omicidio da parte di Nami, una parola di difesa da parte di Sanji; ma neppure Rufy, il più chiassoso, ha proferito alcun suono. Dunque, erano talmente delusi di me da non tentare neppure di sgridarmi? In un certo senso, quest'ultima opzione sarebbe stata l'unica ancora di salvezza per mantenere un approccio con gli altri, ma nessuno di loro osa questa via. Se ne stanno tutti zitti, con gli sguardi verso pavimento, tranne quello di Nami, che mi osserva con pietà e amarezza, proprio la sensazione che volevo farle avere addosso, solo che adesso non sono più così contento come sarei dovuto essere. Me ne vado con passo veloce nella mia stanza.
L'ultimo metodo di contatto con gli altri è fallito e presto mi sarebbero mancati quei violenti litigi con la ciurma.

La triste legge dell'escluso ha un doppio verso: essere ignorato e ignorare a sua volta. Per un po' non avrei più rivisto i miei compagni; mi sarei allenato di notte e avrei dormito di giorno, sperando un giorno in cui le acque si sarebbero finalmente calmate. Salgo le scale che portano alla piantagione di mandarini, il posto in cui ho dimenticato la sera scorsa i miei pesi. Una silenziosa figura si fa strada mentre raccolgo i miei strumenti d'allenamento, la stessa esile forma che quel maledetto dì si trovava in controluce del sole. Riconosco subito Nami, intenta a raccogliere i suoi mandarini. Avrei giurato di non vedere più nessuno per almeno una settimana e solo due ore dopo l'ultimo, cruento incontro con gli altri mi ritrovo la navigatrice lavorare per le sue piantagioni. Mi osserva nel buio della notte sorpresa e intimorita, restando immobile alla posizione in cui l'avevo trovata appena l'ho vista. Questa è una di quelle classiche situazioni in cui ci vorrebbe un bel sorriso di circostanza. Lascio perdere e faccio dietro front all'istante, senza aggravare maggiormente la situazione.
Sento un peso picchiarmi la testa. Vedo rotolare sul pavimento un mandarino...
"Ops, mi è scivolato di mano..."
Quella stupida non ha le mie stesse intenzioni, a quanto pare. Al contrario: se la ride addirittura. Inizio a innervosirmi parecchio:
"Insomma, cos-"
Mi tappa la bocca con un altro mandarino, prima che io riuscissi a finire la frase. Guardandomi con orgoglio, me ne dice lei un'altra:
"Zoro Rolonoa, ti sfido!"
"Cofhna?"
Era un "cosa?" con un mandarino in bocca. Lei mi toglie quel frutto da dosso.
"Logicamente useremo solo mani e piedi, sei troppo forte con la spada," mi spiega semplicemente, come a stare a parlare di qualcosa di naturalissimo, di tutti i giorni. C'è un trucco in tutto questo, sicuramente.
"Ma se ti sei messa a frignare perché non volevi che ti minacciassi!" la smaschero io, convinto di una reazione tradita da parte sua.
"Ah, ovviamente non c'è neppure bisogno di uccidere a sangue. Perde chi si arrende!" continua a dirmi con nonchalance, ignorandomi del tutto.
"Smettila di fare la mocciosetta! Credi di ingannarmi con così poco?!"
Ma lei prosegue con la sua solita calma fino a un certo punto, quando si gira di schiena a parlare da sola a voce alta, come a voler sorpassare la mia. Come i bambini quando chiedono assiduamente alla madre un palloncino.
"Che stupida... basta, io me ne vado!"
Non avevo voglia di farmi incastrare da quella strega. Appena volto le mie spalle, mi lancia nuovamente un mandarino sulla capa.
"Nami, hai veramente rotto le-"
Le mie parole si bloccano nuovamente, ma stavolta non per colpa del mandarino in bocca. Quella svitata compie un'azione che non mi sarei mai aspettato: mi tira un pugno in faccia e mi rovescia sulla piantagione.
"Così la smetti di urlare, scemo!" brontola la rossa avvinghiandosi a me, mantenendo il bavero della mia maglia con il pugno sinistro. "Non sarà che hai paura di me, Rolonoa?" mi schernisce divertita.
Ha toccato un tasto dolente: l'orgoglio. Il mio animo puerile mi porta a ragionare poco, seppure tutte quelle provocazioni erano state probabilmente frutto di un'ingegnosa trappola. Non ci penso due volte a lasciar stare etiche e virtù e a restituirle il favore con il medesimo servizio: un altro pugno, scaraventandola all'indietro. Mi guarda sbeffeggiando:
"Hai accettato la sfida. Non puoi più tirarti indietro!"
Mi si appiglia un'altra volta e mi tira di nuovo un pugno, facendomi ulteriormente salire l'adrenalina. Da quant'era che non succedeva? Così le vado addosso io, stavolta, bloccandole il polso e mantenendola addossata con il busto al pavimento. La ragazza comincia a frignare, gemendo di dolore. La mollo immediatamente a causa di un improvviso ritorno di pietà, ricordando l'equivoco successo l'altro giorno e la promessa che le feci.
"Scu-scusa, ti ho fatto male?" le domando io titubante. Questa mi risponde con un carico calcio in mezzo alle gambe. Mi accascio addolorato da questo violento colpo meschino.
"Un vero samurai non abbassa mai la guardia!" afferma l'imbrogliona.
La rabbia si fa risentire, la pressione continua a salirmi, il sangue mi bolle in tutto il corpo. Mi ritrovo di nuovo sopra di lei e insieme rotoliamo giù dalle scale. Da lì a mezz'ora non c'è stata sosta di colpi.

°°°

"E' stato divertente!" ammette la rossa ridendo forte, nonostante le dure botte subite.
Ci troviamo entrambi stesi sul pavimenti a pancia in su, con le braccia aperte, ansimanti di stanchezza ed esausti di quei continui colpi. Non ho avuto pietà nei confronti di quella femmina, visto che è stata stranamente lei a chiedermi di azzuffarmi, e neppure Nami ha avuto pietà nei miei confronti, la quale, oltretutto, è stata più violenta di me. Lasciamo perdere, per l'appunto, quei continui calci che mi ha dato là dove il sole non batte...
In ogni caso, ancora non comprendo il motivo per cui lei abbia voluto incitarmi a scazzottarci. La guardo e lei capisce che chiedo spiegazioni.
"Ti ho trasmesso qualcosa, Zoro?"
Un incognita molto originale! Non ne capisco il senso ed interpreto a modo mio:
"Certo: qualche botta in faccia, qualche livido, e tanti dolori alle mie parti basse..." rispondo con fare sarcastico. Lei sorride alla mia battuta, ma non era di certo questo ciò che intendeva. Si gira con la schiena contro di me.
"Il fatto è che non riesco più a comunicare con te. Ho tentato con quest'assurdo mezzo..."
Mi confessa i miei stessi timori. Comprendo, quindi, ciò che le era appena passato in testa. La ragazza si rannicchia su se stessa.
"Volevo solo dirti che capisco cosa si prova quando qualcuno ti sottrae un sogno."
Intuisco il riferimento della sua affermazione. Il destino ha voluto che noi tutti, pirati di cappello di paglia, non avessimo nulla in comune se non l'infanzia brutale ci è stata concessa.
"Non volevo rubartelo io..." finisce di dire Nami.
Ma la realtà è un'altra. Ho sempre saputo che la verità di quella parte cattiva del mio animo suggeriva solo una soluzione più facile e bugiarda. La colpa della sconfitta di Mihawk è stata solo mia e della mia inferiorità, ho fatto solo credere a me stesso che non era vero prendendomela con la navigatrice.
"Ero solo arrabbiato, non l'ho pensato seriamente."
La vedo alzarsi con fatica dall'innaturale posizione in cui si trovava, stravaccata sul il pavimento. Si trova in piedi, davanti me.
"Sai... dopo questo, ti chiederei prepotentemente perché eri arrabbiato, e tu, al solito, risponderai con il tuo raffinato 'cazzi miei' e ci ritroveremo un'altra volta a litigare. Facciamo che saltiamo tutta questa parte e che le botte di prima ti siano comunque servite come sfogo."
Barcolla verso la sua stanza e rimango perplesso su ciò che devo fare o dire. Eppure, con un'assurda normalità, forse a causa delle botte in testa, forse a causa di quella strana atmosfera, dalla mia bocca escono parole mai dette a nessuno:
"C'era una bambina che, quand'ero piccolo, mi ha regalato una spada, anche se non è del tutto giusto dirla così, visto che la spada la presi che era già morta..."
Barcolla un'altra volta, stavolta per lo stupore. Volge lo sguardo sui miei occhi, stanchi di essere malinconici, nostalgici...
"Ti sembrerà assurdo o irrazionale, ma facemmo la promessa che uno di noi sarebbe diventato il più forte del mondo. La spada che mi porto appresso ogni giorno è l'anima di questa bambina che mi segue fino a quando, insieme, non avremo sconfitto Mihawk."
E adesso capisco, comprendo tutto. Il motivo per cui la mia tecnica di spada è migliorata e il motivo per cui è peggiorata. Un ragazzo di gomma mi ha aiutato a credere dopo stenti di sofferenze vissute da solo ed ora, nuovamente in solitudine, non credo più a ciò che voglio. Mi ero perduto senza di loro... La verità vien fuori dalle mie labbra come un ordinario respiro:
"Voi mi avete abbandonato ed io non sono più riuscito nell'impresa..."
La ragazza fece uscire silenziosamente fiato da bocca, mantenendo il suo solito sorriso da regina dei sette mare. Mi avrebbe sicuramente risposto con convinzione e autorevolezza:
"Rufy ci ha raccontato di un tuo sogno impossibile da realizzare con il nostro intralcio. Nessuno di noi si è mai voluto azzardare ad interrompere i tuoi importanti esercizi quotidiani, neanche Sanji che tu credi ti odi tanto; per questo ti abbiamo sempre lasciato stare in disparte. Se l'ultima volta che abbiamo parlato tutti insieme nessuno ha risposto al tuo sclero era perché non potevamo contraddirti..."
Un equivoco. Uno stupido, piccolo, sciocco equivoco. Le persone che credevo non mi volessero nella loro ciurma erano coloro che più di tutti mi hanno aiutato nell'impresa. Ed io, silenzioso e imbecille quale sono, non mi sono mai fatto avanti, esprimendo i miei pensieri. Pretendevo solo di essere capito con nulla.
Sono cocciuto e fiero, ma ammetto sempre quando sbaglio:
"Scusami, non è colpa tua e neppure di Sanji, Rufy, Usop, Chopper o Robin. E' solo colpa mia..."
Una veloce risposta anima l'atmosfera che si era creata:
"Da non credere: Zoro sta chiedendo scusa!"
La rossa sgrana gli occhi felice. Due novità accadute in un sol giorno: la prima di aver raccontato a qualcuno la storia della mia infanzia, la seconda... di aver chiesto perdono. Nessuna delle due è da me. Cerco di salvarne almeno una:
"Be', anche tu prima hai chiesto scusa!"
"Non ho mai chiesto scusa, ho solo detto che non volevo essere io a rovinarti il sogno!"
Furba, testarda, beffarda e pure calcolatrice; non cambia neppure davanti a una situazione tragica. Ricominciamo a litigare, come se la confessione di prima non fosse stata altro che un'affermazione qualunque. Stavolta mi arrabbio con meno accanimento e lei mi picchia più dolcemente, anche se quest'ultimo aggettivo è decisamente poco consono al verbo al quale si riferisce...
"Ma tu guarda... ti sta venendo un occhio nero, Nami."
Si tocca e dalla bocca ne esce un gemito. Non le piace avere il viso rovinato, ma non è l'unica: colui che dispiacerà più di tutti sarà sicuramente Sanji.
"Non dire al cuoco che sono stato io, intesi?"
Dopotutto la responsabilità non era del tutto mia. Detto fatto...

"Naaami caaara, chi ti ha rovinato così?!"
Sanji è la nostra quotidiana sveglia. Non abbiamo bisogno di comprarne una vera, perché lui, oltre a soddisfare la taccagneria di Nami, non necessita di pile. Alle sette in punto del mattino di ogni dì risuona in tutta la nave il suo grido. Questo succede a causa di Rufy che tenta di rubare cibo dalla dispenza, a causa di Chopper e Usop che combinano disastri, a causa di Robin che gli passa davanti - e nient'altro, solo questo, ma siccome è di sesso femminile basta e avanza come motivo - o, ricordiamoci, anche a causa mia. Insomma, esiste qualcuno nella ciurma che riesce a competere con le isterie di Nami. E stavolta è stata quest'ultima la causa. Il biondo urlò alle sette del mattino perché vide la navigatrice con un occhio nero.
"Non è nulla Sanji, son caduta dalla sedia".
La odo mentire dall'alto della Going Merry, la mia postazione preferita per dormire. Alzo il mio corpo pesante e ancora un po' ferito e lo trascino verso la combriccola di pirati in quel momento intenti a svuotare, tanto per cambiare, i rifornimenti della stiva. Varcando la porta, sento addosso i loro occhi; percepisco i loro sguardi perplessi. Sarebbe toccato a me parlare per primo, com'era giusto che fosse. Chiedere perdono, certo, non era per niente il mio forte. Parlo a loro con un inizio standard, chiamato il metodo 'come reagirebbe Zoro'.
"Vedo della verdura sulla tavola. Che schifo... io odio il cavolo!"
Il capitano ride. Ha avuto per primo il fiuto di comprendere un perdono da parte mia.
"Sai com'è: Rufy la scorsa notte si è finito tutto il pollo," afferma il cuoco. Il sorriso di cappello di paglia si muta subito in un espressione di disapprovazione.
"Eeehi, ma non sono stato io!" mente spudoratamente.
"Guarda che lo so perché me l'ha detto Usop," afferma il biondo.
"Usop, sei uno spione! Proprio tu che hai mangiato insieme a me!" risponde adirato il capitano, cadendo così nella palese trappola di Sanji.
"Ma Rufy, guarda che io non ho detto proprio nien-"
I due malfattori vengono presi in pieno dal calcio del mattino di Sanji, che solitamente avviene dopo qualche minuto de 'L'urlo del mattino' delle sette.
Così, Rufy e l'amico nasuto sono intenti a dare inutili spiegazioni a Sanji, Chopper prepara il materiale per una futura e alquanto prevista ferita da parte di qualcuno, Robin legge sorridente un libro e sposta l'attenzione meccanicamente su le urla di quei tre pazzi divertita. Tutto questo durante una mondana mattinata qualunque della Going Merry, ma stranamente mi sento come se oggi sia stato il primo giorno in cui sono entrato a far parte della ciurma di cappello di paglia. Un nuovo sentimento di nostalgia traspare nel mio animo, stavolta pieno di tenerezza.
"Va be'... in fondo non è così tanto male il cavolo..."
Chiedo, così, scusa a tutti loro.

Trecentoventiquattro, trecentoventicinque, trecentoventisei...
E non sono neppure stanco! Continuo interperrito i miei allenamenti mattutini, accorgendomi che quegli sforzi usati come metodo per non pensare ai propri problemi vengono impiegati in modo migliore a mente libera. Avrei continuato fino a quattrocento se un colpo dietro il capo non mi avesse colto alla sprovvista. Vedo rotolare un mandarino; una scena familiare...
"Ops, mi è scivolato di nuovo di mano..."
La piccola ladra mi caccia la lingua con fare indispettito e divertito. Percorre le scale in discesa senza smettere di insultarmi, di ridere, di sbeffeggiare... insomma, proprio lei, come sempre: Nami. Ed io la guardo senza proferire alcuna parola. Penso che quell'insopportabile strega non sia poi così insopportabile. Credo di starmi finalmente un po' abituando alla sua persona... osservo con furore la figura di lei perdersi in mezzo alle altre.





Fu quella la prima volta la guardai con occhi diversi.





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Capitolo 3
*** NAMI ***


"Ecco a te, Nami-san!"
Rimango malmostosa davanti all'orrida visione che mi si staglia davanti: succo d'arancia, zenzero, pomodoro e per finire in bellezza un bell'uovo fresco fresco appena comprato il giorno prima. Il tutto dentro a un bicchiere che mi ha posato Sanji sulla mia scrivania proprio cinque secondi fa. Lui: il miglior cuoco dei sette mari. Sicuri?
"Spero che sia uno scherzo!"
"Si chiama preriostèr ed è assolutamente invincibile contro un post sbornia."
Un post sbornia, dice; come fa ad esserne così sicuro? Anche se effettivamente i sintomi son quelli: mal di testa atroce, occhiaie profonde come caverne e una grossa dimenticanza di tutto ciò che avvenne da dieci ore ad adesso. Diamine, non è proprio da me rimanere ubriaca, nossignore!
"Tieni il naso tappato e bevi tutto in un sorso."
Mi porge il bicchiere come fosse un padre, ed io mi dimeno, proprio come una bambina. La sua, però, non è un'insistenza prepotente: da buon galantuomo qual è avvicina il bicchiere solo negli attimi in cui rimango quieta. Ma alla fine cedo: agguanto con forza quel preriostèr della malora e lo bevo tutto d'un fiato.
Che schifo.
La giornata mi è iniziata davvero male, e non credo possa peggiorarsi più di adesso.
Ma il seguito vuole che non sia così:
"To', Nami, che tempismo. Aiutami ad affilare le spade."
Osservo stranita lo spadaccino di bordo che mi ha appena imprecato parole autoritarie: Rolonoa Zoro sta dando ordini a me. E' impazzito?! Passi pure la spremuta alle quattro stagioni di Sanji, ma questo è davvero troppo.
"Ovvio che ti rispondo di no, Zoro. E me lo chiedi anche?!"
Nascondo con la mano una risata. Quel bisbetico ragazzo è ancora più bisbetico del solito, mi chiedo se non sia lui l'ubriaco che ha bisogno di un preriostèr!
"Ma io non te l'ho chiesto."
Non ha nessuna aspettata reazione negativa, al contrario mi fissa sorridente, lo stesso sorriso da volpe che io uso per lui. Ho sempre pensato che in quel ragazzo ci fosse qualcosa di misterioso... certo, a dirla così sembra quasi che sia un complimento. Affatto. Quel suo modo di stare sempre tra le sue, quel suo ossessivo desiderio di migliorarsi, quelle sue uniche volte che compiendo una bell'azione si scusa dicendo che ha solo obbedito ad un ordine del suo capitano... Zoro è buono, Zoro è cattivo? E' felice di stare con noi? Mi chiedo se nel corpo di Rolonoa Zoro esista un'anima.
"Davvero, non ho voglia di giocare. Lasciami passare, adesso!"
Apro la botola sul pavimento, ma lui me la chiude prontamente con il piede.
"Trentuno a trentadue, ricordi?"
Che ne dici di una sfida di resistenza? Chi perde farà da schiavo al vincitore fino a quando Rufy non diventerà Re dei Pirati
E' tardi. Torniamo alla nave, schiava!
Scossa da un improvviso ritorno di memoria, lascio che le parole parlino per me, farcite unicamente di qualche imprecazione più o meno inventata e censurabile persino dal peggiore scaricatore di porto di tutti e sette i mari.
Questo rende perfettamente l'idea dello stato d'animo in cui, adesso, mi trovo.
"Non puoi schiavizzare una femmina, Sanji si arrabbierebbe sicuramente."
Per fortuna la mia battuta è sempre pronta. Me la sarei cavata, come tutte le volte, d'altronde. Anche se mi sento più inquieta del solito è sempre stato così palese vincerlo a parole.
"E chi se ne frega di Sanji."
Poggia anche l'altro piede sulla botola.
"E va bene, tieniti quella stupida botola sotto i tuoi piedi, io me ne andrò fuori!"
Quel ragazzo impossibile mi ha appena fatto uscire di cervello. Non lo sopporto. In verità, non l'ho mai sopportato. Gli do la schiena e me ne vado dalla parte opposta.
Una giornata come tante, una litigata come tante, dopo non ci saremo più parlati per almeno dodici ore, come di consuetudine. Ma la reazione che tanto aspettavo da prima si manifesta solo ora, inaspettatamente. Quell'energumeno di persona mi afferra prepotentemente per il braccio.
Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
"Brutto imbecille, stavolta te la sei cercata!"
Faccio per tirargli un pugno sul viso, ma lui mi blocca anche l'altro braccio con una tale facilità che riesce a stupirmi senza riuscire a nasconderlo.
"Cretina, credevi davvero che io e gli altri subivamo involontariamente le tue manate?!"
La mia mente è disorientata per ciò che sta succedendo, le uniche parti del corpo che riportano me stessa alla realtà sono i polsi, mantenuti con una stretta che fa male.
"Non si ribellano a te perché sei gracile e debole, ma io non ne ho più voglia."
Mi gira con il busto schiacciato verso muro, facendo leva sul mio braccio sinistro. Non riesco a dimenarmi, non riesco ad urlare.
"Quindi obbedisci. Dopotutto sei tu che parli sempre di promesse da mantenere, giusto?"
Non lo sento più. Se ne è andato. Ed io rimango girata verso il muro, allibita. Per un attimo, per un solo attimo, mi è sembrato di trovarmi Arlong dietro la schiena.

"Non ci posso credere, Nami sta aiutando Zoro!"
Rispondo al piccolo Chopper facendo un cenno con la testa, ancora un po' intimorita. Sposto gli occhi sul proprietario delle spade che sto affilando. Se ne sta con lo sguardo vago, gioca con una cannuccia tra le mani, facendo finta di nulla.
Maledetto sfruttatore.
Ammetto che mai in tutto questo lungo viaggio sono andata d'accordo con quella persona, stavolta però sento che le speranze sono diminuite a zero. Pigro, maleducato, prepotente, cocciuto, sembra di vedere solo difetti in quel ragazzo. Odio quel ragazzo!
"Perché non diventi gentile anche con me, Nami? Preparami qualcosa da mangiare!"
Mancavano proprio le stupidaggini di Rufy a peggiorare la mia voglia di assassinare qualcuno. Adesso gli do una bella botta in testa...
"Cretina, credevi davvero che io e gli altri subivamo involontariamente le tue manate?!"
Blocco il mio braccio per aria e dei brividi iniziano a solleticare la mia schiena. Un tipo di solletico per niente piacevole. Che strano, eppure Rufy se ne stava già con le mani unite per coprirsi il volto da un probabilissimo pugno ferocemente assettato da parte mia. Il ragazzo con la cicatrice, non sentendo dolore, alza gli occhi verso di me:
"Nami?!"
Ma io ero già andata via, maledicendo mentalmente le mie stupide, vecchie paure da ragazza indifesa. Inizio ad aver timore riguardo al modo con il quale mi comporto quotidianamente con Rufy. Anche con Sanji. Ma più di tutti maledico me stessa per non fidarmi più di coloro che hanno messo a repentaglio la propria vita per salvare la mia.
Eppure, dopo i fatti di stamattina, comprendo che tutta quella sicurezza che viene fuori dalla mia sfacciataggine è solo apparenza. L'ho sempre saputo, ma stavolta mi rendo anche conto di essere debole, più di quel che pensavo. Ho creduto veramente che un uomo non potesse toccare in nessun modo una donna. Proprio io, che per anni ho avuto solo abusi da loro.

"Le hai affilate da schifo!"
Un'ora intera del mio tempo sprecato per un idiota che neanche apprezza il mio lavoro. Allora, affilatele sa solo!, gli avrei voluto dire, ma di nuovo qualcosa non mi permette di far uscire parole dalle mie labbra. E cosa fa quello? Sogghigna, vedendomi abbassare lo sguardo verso il pavimento. Mai, in quella ciurma, mi son permessa di mostrare debolezze, tanto meno prostrarmi sconfitta davanti all'avversario più odioso della Going Merry. Sento un inefrenabile bisogno di sfogare queste mie ire...
"Nami, Sanji ha detto che il pranzo è pronto!"
Sarebbe proprio una liberazione, almeno per mandare via queste mie strane angosce.
"Nami?"
Un Usop decisamente preoccupato mi si avvicina per accettarmi che io stia bene. Ma la mia testa non ragiona....
Quel giorno l'ho pestato veramente a sangue.

"Ahia!"
"Sta' calmo, è solo un cerotto!"
"Non li avrei se non mi avessi ridotto così. Tu sei pazza!"
Sto seguendo le giuste conseguenze del mio gesto precedente. Effettivamente ho esagerato un po'.
"Ti ho già chiesto scusa."
Perché proprio con Usop? Forse per la sicurezza del fatto che lui è alla mia altezza i fatto di tecniche combattive, anche se lui reagisse, non mi sarebbe successo niente, o per lo meno ci sarebbero ugual probabilità di vincita o perdita. Perché è questa la mia nuova fobia. Inizio in un certo senso ad avvicinarmi alle sue stesse paure.
"Sai, Usop, in fondo la fifa è solo un mezzo di difesa."
"Che vuoi dire, che sono fifone?!"
Sbuffo. Non era una presa in giro. Neppure un complimento, però. Credo che in questo momento la persona che meglio mi somigli tra tutti fosse lui. Stacco l'ultimo cerotto dal pacchetto medico e lo passo sul suo viso. Poi, lo ringrazio per essersi affidato come aiuto e appoggio senza che io, ovviamente, abbia mai chiesto qualcosa ed abbia realmente avuto il suo consenso. Logicamente, lui mi risponde con espressione incognita.
Ma dopo quella tregua di panico avuta con Usop, l'agonia riprende presto il sopravvento nel mio animo. Mi giro sul mio letto molte volte, non riuscendo a trovare la posizione giusta. Quella giornata mi ha riempito di lavoro... certo, non che sia stato davvero tanto lavoro, ma molto rispetto all'ozio che quotidianamente trascorro nella Going Merry. Eppure non ho neanche un briciolo di sonno. Persino Rufy ed Usop si sono assopiti, gli ultimi del branco di ogni notte.
E quando è sera e sono sola, penso. Penso ai primi giorni trascorsi in questa nave. Uno spensierato ragazzino di paglia mi chiede di entrare nella sua ciurma di pirati. Io li odio i pirati, ma chissà perché, rispetto ad altre proposte avute, quel giorno ho sorriso tante volte. Noi tre, su una malandata barca da pescatore e un ragazzo che afferma a squarciagola di diventare il Re dei Pirati. E Zoro sorride alla tenerezza di cappello di paglia. Zoro Rolonoa...
Sicuramente è solo un suo brutto periodo, per questo oggi era così strano. Domani si scuserà, sicuramente. L'onore dei samurai vieta di usare violenza su qualcuno che non sia un suo nemico. Certo.
E finalmente Dio Morfeo passa anche su di me.

"Nami, svegliati. Affilami le spade."
Zoro mi strattona per un braccio. Lui, che mai si è permesso di entrare in camera mia nel cuore della notte, davanti al mio letto. Comunque, mantengo la calma e lo richiamo.
"Basta con questa buffonata. Giuro che non chiederò mai più favori neppure a te."
"Buffonata?"
Mi trascina con forza fuori dalla Going Merry. Ed io rimango sconcertata, perché di fronte a me si stagliano infinite piantagioni di mandarini.
"Zoro, dove diavolo mi hai portata?!"
Si porta un telo sulla fronte per asciugarsi il sudore.
"Zoro?"
Si avvicina a me.
"E chi diavolo sarebbe Zoro?!"
L'asciugamano copre ancora il suo viso, ma, volgendomi lo sguardo, riconosco da lontano gli indistinguibili occhi di Arlong. La paura mi sovrasta, non riesco a smettere di tremare. E quello ride, agguantandomi per il collo. La sua stretta si fa feroce.

Riapro ansimante gli occhi, col respiro contratto. Riconosco il soffitto della mia camera della Going Merry. Ci metto un po' per cimentarmi che quello di prima è stato solo un brutto sogno.

"Naaami caraaaa! Ti sei svegliata prestissimo, stamattina!"
Cado all'indietro a causa dello spavento: un Sanji urlante mi appare improvvisamente davanti.
"Ehm, Nami... tutto bene?"
"Sì, sì..."
Gli avrei dato un bel pugno in testa, quella volta. Strano, perché oltre a non reagire, mostro nei suoi confronti un'inaspettata gentilezza:
"Quanti piatti sporchi. Potrei aiutarti a lavarli."
Questa sì che è gentilezza gratuita, una definizione che nel mio vocabolario non è mai esistita prima d'ora.
"Se fa piacere a te, Nami..."
Risponde in tono affettuoso. Come sempre, ma solo un po' più meravigliato del solito. Ringrazio con tutto il cuore quella marmaglia di ciurma nella quale mi trovo che la sera precedente si è mangiata quantità di cibo al pari di dieci battaglioni di Marines, questo perché avrei avuto qualcosa da fare che non mi avesse fatto pensare troppo alle mie inquietudini.
"Nami, per caso ti è ritornata la febbre?"
Che c'entra la febbre, adesso? Perché lo sto aiutando senza chiedere nulla in cambio?
"No..."
"Sei un po' pallida."
Mi porta la mano sulla fronte. Sospira: ha preso un granchio. Di certo non mi sarebbe mai più tornata una febbre come fu a Little Garden. Ma il fatto che fossi pallida... quello lo ha azzeccato di certo. Il tepore delle sue mani delicate calmano un po' i miei nervi tesi, fino a quando non sento un inconfondibile rumore: il tintinnio di orecchini che sbattono tra loro.
Sembrava mi fosse apparso davanti l'Uomo Nero.
"Cuoco, ho fame. Prepara da mangiare!"
Lascio scivolare involontariamente il piatto dalla mia mano.
"Scu- scusami, Sanji."
"Non preoccuparti, Nami. Ti sei fatta male? Scommetto che è stata quella brutta faccia di uno spadaccino da quattro soldi a spaventarti, vero?"
Bingo. Due a uno per le questioni indovinate da Sanji, perchè il motivo era all'incirca quello.
"Cosa hai detto, ricciolo?!"
Litigano. Già, come ogni mattina i due svegliano tutto l'equipaggio. Ma questa volta è stata una fortuna per me: me la sarei svignata silenziosamente.
"Dove credi di andare, ladruncola?! Ho giusto due o tre cosette da farti fare..."
Va al diavolo, Zoro!
"Ti pare che Nami faccia dei favori a uno come te!?"
La situazione, così, peggiora e basta. Non voglio che gli altri sappiano che Zoro mi comanda. Tutta colpa di quella stupida scommessa. Tutta colpa mia, perchè ho accettato?!
Ma stavolta la Dea della fortuna posa le sue mani sopra di me:
"Terra in vistaaaaa!"
Il nostro caro capitan Rufy avvista una nuova isola dalla sua postazione preferita: la polena. Insolita distrazione, ma ha funzionato: i due litiganti escono dalla cucina, lasciando perdere le loro divergenze, probabilmente rimandate a dopo. Io, inatanto, me la sarei svignata.

Metto piede per prima sulla spiaggia sassolinosa della nostra nuova terra da scoprire. Un vento fresco accarezza il mio viso, riconosco a pelle l'aria autunnale di quest'isola, ambiente perfetto per calmare i miei spiriti bollenti. E non solo quelli. Oltre la rabbia, altre sensazioni sovrastano il mio animo: agonia, paura, tensione. Tutto questo sa di ricordi. Odio ricordare certi momenti della mia vita.
"Ecco la nostra cartografa preferita!"
Arlong?!
Forse convinco solo me stessa di ciò, per qualche secondo lo vedo davanti a me. Quella è la sua frase preferita. Detesto essere la sua cartografa e lui lo sa. Per qualche secondo, davanti a me si trova l'uomo pesce che mi ha rovinato la vita. Cado con il sedere per terra.
"Dio, come sei goffa."
Una mano afferra il mio braccio per farmi alzare. Ma quella mano non è di Arlong, bensì di Rolonoa Zoro. Mi dimeno da quella presa.
"Che fai?! Abbiamo una scommessa da mantenere, non vorrai svignartela ancora?"
Arlong. Zoro. Nonostante la persona fosse diversa, la paura rimane la stessa. Lui fa tre passi verso di me, io ne indietreggio di cinque.
Da qui in avanti è bastato poco perchè io inizi anche a scappare da lui. Corro verso la foresta, a due passi dalla spiaggia. Ho fatto di tutto per scansare Zoro, ma lui riesce sempre a starmi dietro. Questa di adesso sembra una fuga familiare. Molto familiare. Dieci sono stati gli anni in cui ho corso così tanto. Mille i pirati da cui sono sfuggita. Uno quello che uccise le mie speranze. Altri duemila quelli che hanno contribuito a rovinarmi l'esistenza. Sembra che adesso stia scappando da uno di quei tanti. Ma si sa, sfortunatamente i maschi hanno le gambe più lunghe di noi femmine.
"Presa!"
Mi afferra da dietro la maglia.
"E adesso smettila di fare i capricci."
Mi ritrovo di nuovo addossata, stavolta su un tronco di un albero.
"Ti farò compiere una delle poche cose che le donne odiano fare agli uomini se forzate."
Quello schifoso si toglie la maglia. E' questo il tuo vero volto, Rolonoa Zoro? Zoro è buono, Zoro è cattivo? E' felice di stare con noi? Solo ora capisco quanto poco, anzi, nulla di lui conosca. Ho sempre viaggiato con cinque persone care a me come una famiglia, più uno sconosciuto. Ed io che credevo di conoscere ogni cosa nella Going Merry.
Rimango immobile ad aspettare il resto della frase, anche se fosse abbastanza scontata. Ma il mio orgoglio non si sarebbe mai abbassato a farmi restare impotente. Quante volte l'ho già fatto, quante volte ne ho sofferto, ma a testa alta. Sono sempre stata così brava a recitare: sfilo anche io la mia maglia. Lui rimane perplesso; non gli darò la soddisfazione di storpiarmi.
"Che... che stai facendo?! No-non spogliarti!"
Mi mantiene appoggiando le mani al petto il reggiseno sganciato da me. Vuole spogliarmi lui stesso, strapparmi i vestiti come un animale? Vuole vedermi soffrire? Rammento solo adesso di quanto deludente e allo stesso tempo triste sia questa situazione. Ce la metto tutta, ma a quanto pare sono fuori allenamento, e la mia maschera di flemma si spacca in mille pezzi.
"Zoro... non... non..."
Scoppio a piangere.
"Non rovinarmi la vita, ti pregooo!"
"Che... che stai dicendo?!"
"Mi fai pauraaa!"
"Ma- ma quante storie. I-insomma, rivestiti!"
"Io ti odierò, ti odierò per tutta la vitaaa!"
"Ma son le regole: devi ubbidirmi sempre!"
"Ti detestoooo!"
"Se... se Sanji mi vede son guai. Nami, ti supplico, smettila di piangere! Tu mi vuoi morto!"
"Ti detesto, Zoro!"
"Solo per la lavarmi una maglia. Ma, insomma... non piangere! Non piangere!"

Ci metto molto a capire come stavano realmente le cose: la grande punizione di Rolonoa Zoro era quella di farmi lavare tutti i suoi indumenti. Era questa la fantomatica cosa che noi donne odiavamo tanto fare agli uomini se forzate...
"Nami, ascolta, capisco che forse l'altro giorno ho esagerato a minacciarti..."
Mi parla ancora con il reggipetto agguantato tra le sue mani. Cerca di agganciarlo, ancora di fronte a me; se si fosse girato sarebbe caduto. Tenta, ma proprio non ne è capace. Io ero intenta a fare altre cose.
"I- insomma, smetti per una buona volta di piangere! Ma cosa pensavi, che io volessi... volessi...?"
Blocca le sue parole. Gli tremava la voce.
"Non mi è mai passato in testa neppure una volta di oltraggiare una donna! Ti pare che lo facessi proprio a te?! Ci vedi uno come me che fa una cosa simile?"
Mi continuo a coprire il volto con le mani. Non mi è mai piaciuto piangere davanti a qualcuno.
"Io volevo solo un po' vendicarmi per come ti comporti sempre tu..."
Smetto per un attimo di strillare o, per lo meno, calmo un po' quelle lacrime che mi escono copiose dagli occhi.
"Se... se una donna non vuole essere toccata, io non la tocco. Non la toccherei mai una donna che non vuole essere toccata....."
Riesco finalmente a far uscire qualcosa dalla mia bocca:
"...E' tutta colpa tua che parli sempre con doppi sensi. Mi vien voglia di picchiarti!"
Sbuffa esausto, agitato e spaventato. Anche un po' impietosito.
"Va bene, picchiami pure. Ma solo una volta."
Gli do un calcio sulla terza gamba. Lo prendo proprio bene, perché piega se stesso molto in avanti, ma non può coprirsi, perché mi sta ancora tenendo il reggiseno.
"U-uno basta e avanza...."
Gli trema di nuovo la voce. Per il dolore, per l'imbarazzo, sia per il fatto che una donna, che sarei stata io, si concedesse così esplicitamente a lui, sia perché non era ancora riuscito nell'impresa di chiudere quel ferretto che mi reggeva il petto.
"Insomma, agganciati questo maledetto coso!"
Mi metto di nuovo a frignare, stavolta da vera bambina. Lui continua a implorare perdono, anche se neppure sa il perché. Zoro non c'entra nulla, al contrario mi ha molto rassicurata. Forse questo piagnisteo è solo un capriccio per non essere stata abbastanza all'altezza della situazione, uno scoppio interiore di paura, uno sfogo che non ho avuto per ben due giorni nel picchiare gli altri, un grido di rabbia nei riguardi di quei dannati pirati di tre o quattro anni fa che spero adesso vivano eternamente sotto terra, vicino allo sguardo di Satana.

Alla fine, il mio reggiseno si è agganciato. Per mano mia, ovviamente. Se si continuava con lui, avremo finito tra dieci anni. Nel migliore dei casi. E mentre mi infilo la maglia, con la coda dell'occhio guardo l'uomo che mi ha vista piagnucolare come un pargolo. Quanto mi vergogno. Dio solo sa quanto mi vergogno! Mostrare la me stessa debole a qualcuno...
"Certo che sei proprio una maliziosa... ma non ti vergogni?!"
Lo sapevo. Un nuovo argomento da mettere nella lista alle "prese per il culo per Nami".
"Comunque, io... prometto che non userò più le mani. Tu però dovrai sempre obbedirmi."
Rispondo con un mugolio, ancora un po' stizzita per quella scommessa. D'altronde, questi sono i patti. E' proprio come dice lui: son sempre io che parlo di promesse da mantenere.
"Andiamo."
Si avvia per primo, rimanendo cinque metri davanti a me. Camminiamo insieme verso la nostra casa, la nostra famiglia: la Going Merry. Un innaturale mutismo accompagna i nostri pensieri, solo i nostri passi provocano rumore.
"Nami."
Mi chiama ancora girato di schiena, rompendo il silenzio. Si gratta la testa.
"Se mai... sì, insomma, se mai ci fosse qualcuno che ti fa qualcosa di brutto... tanto lo sai che... che alla fine sono sempre io a salvarti il sedere."
Rimango stupita: a modo di Zoro mi son sentita dire una delle più belle frasi della mia vita. E' solo questo che mi serviva, più fiducia. Con solo qualche parola, è riuscito a togliermi tutte le paure.

Ancora girato di schiena, lui non può vedermi. Per fortuna, perché adesso sto nuovamente coprendomi il volto da un altro pianto.
Stavolta un silenzioso pianto di commozione.

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Capitolo 4
*** NAMI II ***


Dopo la Red Line, il destino di ogni nave è dettato unicamente dal Log Pose. La strada viene scelta da sé, e nessun navigatore, anche il più eccelso, può tracciare sulla cartina il proprio itinerario. E, modestamente a parte, se la Going Merry non ci riesce neppure con me che sono la migliore nel mio campo, quel che si dice al di fuori della Rotta Maggiore è ineluttabilmente vero.
È stato solo un caso se il Log Pose ha deciso di portarci a Rue du Peche, una delle isole più conosciute persino nel Mar Orientale. Non che come lo One Piece o altre isole simili abbia la fama di essere una pericolosa dimostrazione di coraggio per l'avventuriero che la trova, allestita da trappole e pericoli del millenario ingegno umano e divino; e non è neppure l'alcova di alcun tesoro segreto che farebbe andare in pensione anche pirati poco più che ventenni assicurando loro un futuro benestante degno di un pascià di sangue blu; semplicemente, è la meta più rappresentativa del filibustiero in vacanza. Si può dire che se mai avessero inventato un parco giochi unicamente per loro, Rue du Peche sarebbe senz'altro quello più azzeccato.
Ogni casucola fatiscente, stradina acciottolata zeppa di folla ubriaca fin dal mattino, odore di alcol che si propaga lungo ogni viottolo trasuda lo spirito stesso dei pirati. Le uniche attività che mandano avanti l'economia dell'isola sono taverne, armerie e bordelli.
Quando abbiamo attraccato la Going Merry nel porto più traboccante di vele e scafi che abbia mai visto (talmente tanto che per trovare un posto in cui ormeggiare abbiamo dovuto zigzagare lungo le banchine per un'ora intera, ringraziando il fatto che la nostra nave è molto più piccola di tanti maestosi vascelli che imperversano nel porto), Sanji è stato, guarda caso, il primo a notare le donne succinte della città. Come lui riesca ad accorgersi di certi particolari è un mistero per tutti, dal momento che la banchina del porto e le case più vicine distanziano di almeno un chilometro, ma quando si tratta del gentil sesso il suo sguardo può diventare più preciso ed efficiente di un radar della Marina.
Dopo essere sceso dalla nave roteando su se stesso come una trottola, il resto della ciurma l'ha seguito senza nascondere una certa eccitazione a quella nuova meta raggiunta.
Comparando le abilità di Rufy a quelle di Sanji, le bravure di entrambi gareggiano nell'essere portentose, ma i loro interessi sono completamente distanti. Se l'abilità di Sanji è di tipo visiva, si può dire che quella di Rufy sia totalmente olfattiva, e anziché amare le donne predilige esclusivamente il cibo.
Appena messo piede sulla terraferma, le narici del capitano si sono allargate fino a diventare ampie come quelle di un ippopotamo, riuscendo a captare almeno dieci diversi odori in tutto il raggio della vallata.
Usop e Chopper sono stati calamitati dalla furia allegra di Rufy e l'hanno seguito senza pensarci due volte cercando di tenergli il passo invano, intralciati da una buona calca di pirati di tutti i tipi che si affollano per ogni strada, ghigni lunghi e storti, cicatrici che solcano di traverso facce orribili e poco raccomandabili. Un bel cocktail di spaventosi e loschi figuri che ha risvegliato la natura fifona e autoconservatrice dei miei due amici, i quali si sono nascosti più volte dietro i barili e nei vicoli delle case perdendo inesorabilmente di vista il capitano.
Ed ora ecco qui finalmente io, all'ingresso della città e con già più della metà della ciurma dispersa per chissà dove. Sbuffo, cingendomi i fianchi.
“Possibile che ogni volta che si approda in una nuova isola succede questo? Mai che mi ascoltino davvero quando dico di stare tutti insieme!”
Robin sorride. Zoro invece, da che siamo usciti dalla nave, non ha ancora smesso di stiracchiarsi.
“Visto che ne parliamo e quasi tutta la ciurma si è sparpagliata, che ne dici se anch'io mi avvio per la mia strada?” chiede Robin. “Ho sentito che a Rue du Peche esiste una specie di banco dei pegni dove i pirati lasciano oggetti rubati. Potrei trovare qualche interessante trattato di archeologia.”
“Ma sì, uomo più uomo meno...” acconsento. In fondo me l'ha chiesto, e a questo punto diventa più semplice dividerci per i propri interessi. I miei sono altri.
“No.”
Mi giro verso Zoro.
“Come?” gli chiedo interdetta.
“Hai capito perfettamente, navigatrice. Ti conosco troppo bene: la tua natura spilorcia diventa improvvisamente generosa quando si tratta di vestiti da comprare. E tu hai un sacco pieno di soldi. Perciò no, non ti accompagnerò anche stavolta a fare shopping.”
Bingo. Peccato che è bastata qualche occhiata per capire che in questa città non esistono negozi d'abbigliamento.
“Che malpensante che sei. Io penso sempre prima di tutto alla Going Merry!”
Lo sguardo di Zoro dice tutto. Un misto tra ho davvero sentito quel che ho sentito? e mi stai prendendo per i fondelli.
“Ad ogni modo,” soggiungo più seria possibile, “ci mancano cannoni e la polvere da sparo, e ci servirebbe del legno per riparare le balaustre della nave.”
In effetti avevo davvero pensato a questo. L'avrei fatto dopo aver comprato una dozzina di capi vestiari nuovi, ma ci avevo pensato.
Ci dirigiamo nella prima armeria delle vicinanze e chiediamo al proprietario una ventina di palle di cannoni e un sacco di polvere da sparo.
“1034 Berry in tutto.”
“Così tanto?!” esclamo con studiata teatralità, poggiando le mani sulle guance. “La prego, signore, ci faccia uno sconto...”
E quello, una specie di gorilla dai riflessi lenti e intontito, forse anche a causa di sentirsi dare del lei dalla sottoscritta (in fondo siamo a Rue du Peche, ed è già tanto se ti senti chiamare col nome proprio rispetto agli epiteti pirateschi poco educati che si aggirano per queste strade), mi studia con devota precisione.
“Be', sventola,” e appunto ecco arrivato il primo epiteto, “non si fanno sconti se non si dà qualcosa in cambio.”
I gorilla come lui alludono sempre a una sola cosa. E io sto al gioco.
“E più è alto lo sconto, più lo scambio è succulento,” propongo io avvicinandomi al bancone. “A quanto me lo fai?”
“600 Berry... se mi, come dire, dai tutta te stessa.”
“Così mi tenti...” sussurro io sorridendogli maliziosa.
“Che diavolo fai?!” mi urla praticamente in faccia Zoro, frapponendosi tra me e il bancone.
“Stavo... mettendomi d'accordo col signore...” mormoro io cercando di sorridere e rimanere il più contegnosa possibile alla strana improvvisata del mio amico.
“I soldi ce li abbiamo. Tieni,” dice Zoro al negoziante rubandomi dalla cintura il sacco con le monete e buttandolo sul bancone. “Si paga cifra tonda.”
“Che diavolo fai tu!” sussurro a Zoro di soppiatto reprimendo per quanto posso il nervosismo e la rabbia.
“Grazie e arrivederci!” esclama lo spadaccino prendendosi il resto e trascinandomi letteralmente fuori dal locale.
“Stupido microcefalo dalla testa verde!” urlo in mezzo alla folla inviperita come una iena che non mangia da due settimane. “Stavo per avere un bello sconto!”
“E per averlo dovevi fare... quelle cose?!”
“Gli avrei detto di farle, mica le avrei fatte d'avvero! Gli allupati come lui son tutti ingenui, gli fai un'occhiata complice e sensuale, quelli ci cascano, lasci il numero della locanda in cui non hai mai alloggiato in vita tua e, puf!, bussano che probabilmente si trovano un altro allupato senza cervello!”
“Non mi piace,” dice solo Zoro, scontrosamente.
“Cosa non ti piace?! L'ho sempre fatto e non mi hai mai detto nulla!”
Lo sguardo che mi lancia sa di rivelazione. Per qualche secondo mi osserva negli occhi e basta, come se non riuscisse a trovare le parole. O forse non ha nulla da dire, forse per lui si spiega tutto da sé. Zoro è sempre stato il membro della ciurma più criptico di tutti.
E poi, non gliel'avevo mai visto quello sguardo. È come... imperscrutabile.
“Be'?” lo incalzo io.
“Io non voglio che tu...”
Si blocca, forse per soppesare meglio le parole. “Non ti dà fastidio... umiliarti così?”
Oh, già. L'onore virile dei samurai. Che ne può sapere lui? Parla di principi brandendo tre spade e sconfiggendo nemici nel giro di un minuto. Io che non posso, che non sono mai stata forte, che non ho mai potuto difendermi, è così che ho sempre vissuto. È solo così se sono ancora viva. Posso sfruttare solo la mia intelligenza e un po' del mio corpo. Non ci vedo niente di male a usare le mie capacità.
Perché adesso, solo adesso, mi sta giudicando?
In un moto di spregio volgo lo sguardo a terra. “Non capisci mai niente, idiota.”
Mi aspetto una reazione a catena, psicologicamente pronta a un litigio che sarebbe smesso solo quando le corde vocali di uno dei due avessero chiesto pietà (succede sempre così con lui, quasi ogni giorno mi sgolo per sputargli sentenze e rispondere alle sue), e di certo a nessuno dei presenti in strada tangerà, visto che saranno abituati a liti più violente e sanguinose.
Alza una mano, e non so perché, aspettandomi un colpo in viso, d'istinto mi arcuo in avanti e chiudo gli occhi. Ma la sua mano rimane a mezz'aria. Mi sfiora appena il mento.
“Sei tu che non capisci mai niente...”
Si volta dandomi le spalle. “Vado a comprare una pietra diamantata per affilare le katane. Tu sta' qui. E questo è un ordine. In fondo rimani ancora la mia schiava, no?”
Se ne va, senza aspettare neppure che io risponda. Sbuffo. Su una cosa ha ragione: non ho capito un fico secco di che cavolo gli è passato in quella testa verde.
Quel moralista! Non è colpa mia se a volte sfrutto la mia arte di bugiarda truffatrice finta ragazza facile. Anche se a pensarci quella di prima non era affatto una situazione da potersi definire “di sopravvivenza”. Mi divertivo con quello scimmione per il gusto di prenderlo in giro e per il mio personale tornaconto di ragazzaccia avara quale sono. Tutti noi abbiamo la nostra imperfezione. Rufy, ad esempio, quando mangia nelle taverne si scorda sempre di non avere soldi e scappa via come Usop scapperebbe da qualunque pericolo. Quelli come Zoro, quelli coraggiosi e impavidi in ogni momento, non possono capire cosa sia il pericolo.
Rimango appoggiata con la schiena alla parete di una casa di legno, e con disinteresse seguo le faccende dei passanti. Molti sono in gruppo a tracannare boccali di grog, probabilmente pirati, mentre altri tentano di agganciare bottone con le poche donnacce in strada, le quali aprirebbero le orecchie, e probabilmente pure le gambe, se solo anziché sentire inutili chiacchiere vedessero qualche soldo vero.
I miei occhi si fermano su un individuo diverso dagli altri. Indossa abiti vistosi, quegli abiti che a primo attrito gli conferiscono l'aria del capitano, e alla cintura porta diverse armi da lama e da fuoco. I suoi occhi socchiusi sono ispidi e sembrano ispezionare ogni centimetro della strada. Si gira verso di me, e mi sento mancare l'aria. Conosco quell'uomo.
Quando metto a fuoco la sua immagine, lui non c'è più. Forse è stato solo un abbaglio. Il ritorno improvviso di un brutto ricordo.
Il mondo del Grande Blu non può essere così piccolo...
Una morsa feroce al braccio, simile a quella di un aquila che afferra un topo, mi trascina nel vicolo buio adiacente. Le mie gambe cozzano su alcuni barili lasciati a terra ed inciampo, ma la persona che mi stringe il braccio riesce ad alzarmi in tempo.
“Oh, ma io ti conosco...” fa una voce nell'ombra del vicolo, suonando rauca e lugubre nel più adatto degli ambienti bui e puzzolenti in cui ci troviamo. “Un fiorellino così bello come faccio a dimenticarlo?”
Solo ora riesco a mettere a fuoco l'immagine dell'uomo davanti a me. Un brivido mi assale per tutto il corpo. Pensavo di aver avuto solo un abbaglio.
“E tu ti ricordi di me?”
“...No...” mento, e lo dico in un singulto. Neppure un ingenuo come Rufy mi crederebbe. Ed è strano, visto che come riesco a recitare io non ci riesce neppure un attore con un bagaglio professionale trentennale.
“Ma davvero?” chiede lui. “Forse dovrei morderti il collo per ricordartelo. O forse strapparti direttamente i vestiti. Che ne dici?”
Rabbrividisco. L'affanno si fa pesante.
Potrei urlare e da un momento all'altro Zoro verrebbe in mio soccorso.
Perché non ci riesco?
“Penso che anche la mia ciurma si ricordi ancora di te, sai, Nami? È un nome così delizioso. Sta a pennello su un fiore come te. Non si dimentica mica.”
“Ti prego...” sussurro soltanto. Perché sto supplicando. Cosa supplico? Forse di non farmi ricordare il mio passato. Non voglio ricordare niente. Ho una nuova vita, dei ricordi dolci e caldi, la girandola di Genzo, i tatuaggi di Nojiko, i sorrisi di Bellmer. Non voglio ricordare altro.
“Hai sempre e saputo dire solo ti prego,” ride l'uomo. Quell'uomo di cui non ricordo il nome, ma di cui vorrei dimenticare anche la faccia. Ce l'ho sempre messa tutta, ma non sono mai riuscita a scordare le facce dei pirati che mi hanno strappato via le speranze e mi hanno umiliato fino a farmi dimenticare cosa sia la gioia e la dignità. Che mi hanno lasciato lividi lungo tutto il corpo. Che mi hanno strappato la verginità.
“Vedo con gioia che sei arrivata fino a qui, dove pochi uomini riescono ad arrivare. Forse hai derubato tutti i pirati del Mare dell'Est e non sai più dove mettere le mani? O forse quelli del Grande Blu hanno le tasche più piene e sono più abbordabili?”
Si avvicina a me accostando il suo corpo al mio.
“O forse sei diventata la prostituta di qualche rinomata ciurma?”
“Smettila,” riesco a dire trovando non so dove il coraggio e la voce. “Io non sgraffigno più, non frego più la gente, non... mi do a nessuno. I miei compagni sono diversi... Hanno battuto Arlong e liberato Coco.”
In tutta risposta, parte una risata colma di derisione e ironia. “Arlong era una mezza sega. Qualunque pirata del Grande Blu sarebbe riuscito a batterlo. Ma lui era furbo. Non voleva lo One Piece, si accontentava di un'isola sotto dittatura e dei favoritismi della Marina, ingraziandosi i pirati più forti come noi regalando oro e qualche favore. E sai bene a quale favori mi riferisco...”
Mi mette una mano sulla coscia. La sua bocca che puzza di alcol si accosta al mio orecchio.
“Sai, eri la favorita di Arlong, e anche la nostra. Sei diventata proprio una bella donna... anche se per me, già a quindici anni, eri perfetta per noi.”
Ho paura. Una paura inspiegata che mi blocca i muscoli. Il bastone è a portata di mano. Basterebbe allungare le dita, ma qualcosa mi frena.
Ricordo quella ciurma di animali spietati. Quei pirati che mi hanno fatto credere per anni che se esisteva una feccia e una piaga nel mondo erano loro. Quei pirati così diversi da Rufy, la persona più buona e più saggia che abbia mai conosciuto.
Nella mente riaffiora una scena atroce. I pirati mi tenevano forzatamente sdraiata a pancia in su, schiacciando le mie braccia sulla terra.
“Prima il capitano,” aveva detto lui sorridendo e abbassando i pantaloni.
Una fitta mi percorre il ventre, assalita dalla sensazione di rivivere quel momento. Chiudo gli occhi, stringendo le cosce.
“Nami?”
È Zoro. È qui e finalmente può aiutarmi. Allora perché non voglio che rimanga a vedermi così?
“Lui è uno di quelli che ha ucciso gli uomini pesce di Arlong?” chiede staccandosi da me.
“E tu chi sei?” chiede Zoro imbracciando il fodero e alzando con la pressione di un dito l'elsa della katana.
“Perché non glielo dici tu, Nami?”
Zoro mi guarda interrogativo.
“Andiamocene...” sussurro, ma non riesco a divincolarmi dall'uomo.
“Conosco Nami da molto prima di te, anche se era già una signorina...” racconta il pirata che non mi dà pace. “Direi che la conosco intimamente.”
“Basta!” urlo con tutto il fiato che in corpo, dandogli una spinta. “Basta...”
Continuo a ripeterglielo, prostrandomi a lui in ginocchio e con le spalle a terra. Sembro una serva, un patetico bruco che striscia per terra. L'uomo ride.
“Ci rivedremo, fiore. Rue du Peche è piccola, sai?, e anche il Grande Blu.”
Se ne va, e tutto il peso che mi comprimeva la schiena e l'anima svanisce in un attimo. Torno a respirare con regolarità, e inevitabilmente (prima o dopo sarebbe successo) guardo Zoro. È stranito. Meravigliato, o deluso. Difficile dirlo. Di sicuro è sorpreso nel vedermi così, la grande Nami, regina dei sette mari, la navigatrice più orgogliosa, arrogante e che ha tenuto testa persino a un Dio despota su di un'isola nel cielo ora sta strisciando come un verme. Trattengo le lacrime e guardo a terra come una codarda.
Non voglio che Zoro e gli altri sappiano delle amarezze con cui mi sono scontrata in passato. Voglio che il rapporto con la mia ciurma rimanga immacolato e senza macchie. Voglio che mi guardino con gli stessi occhi di sempre. Che mi chiamino strega e taccagna, che pensino che io sia solo una calcolatrice ruba-tesori sempre con la risposta pronta e viziata dalle carinerie di Sanji. Mi manca lo sguardo di Zoro di prima, che mi ha giudicato per aver approfittato dell'ingenuità di un negoziante.
Lo spadaccino si inginocchia di fianco a me.
“Ti ha fatto qualcosa?”
Non rispondo. Non voglio rispondere.
“Posso farlo a fette in tre secondi,” mi dice, quasi scherzando. Può farlo davvero, in effetti. Poche sono le persone che tengono testa a Zoro. Ma quel che ricava da ciò che ha enunciato è solo uno sguardo a metà tra lo sprezzante e il disperato che gli lancio da dietro la spalla.
Lo vedo, mi guarda frastornato più che preoccupato. Non sa cosa mi sta prendendo. Non lo so neppure io.
Una mano si posa sulla mia schiena, forse per consolarmi. È solo un attimo, e torna alle katane in un moto automatico e involontario.
“Allora dimmi cosa posso fare per farti stare meglio...”
“Niente, non puoi fare niente!” sbraito io prendendolo per il bavero. “A meno che tu non possa prendere a calci fino a renderli informi e invertebrati come una gelatina tutti e i mille pirati che fin da piccola hanno cercato di ostacolarmi in tutti i modi!”
“Era... uno di loro?”
“Sì! Ma a quanto pare, come dice lui, il Grande Blu è più piccolo di quel che credessi! Chissà con mia somma gioia quanti ne incontrerò ancora!”
“Quando accadrà li ucciderò con le mie mani.”
“Tu la fai facile! Non sai cosa mi hanno fatto passare!”
“No, non lo so!” esclama Zoro urlando quasi quanto me. “Perché non me lo dici anziché fare la misteriosa?! Ti hanno inseguita e derubata dopo che hai dato loro il numero di una camera sbagliata di una locanda?!”
Senza pensarci, in un raptus di rabbia improvviso, gli lancio uno schiaffo. Lo colgo alla sprovvista.
Perché mi punisce ancora per quella storia?
“Sei uno stronzo! Uno stronzo senza speranza!”
“Scusa, io non voglio che...”
Me ne vado via e, quando mi trovo in mezzo alla folla, scoppio in un pianto disperato.


***

Dopo aver girovagato per tutto il pomeriggio, con gli occhi rossi dal troppo sforzo di lacrimare, mi avvicino alla baia e, scendendo per una scalinata di pietra che porta direttamente al mare, mi accuccio, unisco le mani a mo' di calice e mi sciacquo la faccia. È sera, non ho luce sufficiente per appurare che il mio viso sia fresco e rosa come al suo solito, ma con la compagnia dei miei amici e un po' di rum tutto tornerà come prima.
Per fortuna, prima che tutti si separassero come di buona norma accade ogni volta che approdiamo in una nuova isola, ho dato istruzioni a Sanji (colui che più mi ascolta di tutti, visto l'interesse nei riguardi del gentil sesso) di alloggiare per una notte nella locanda più vicina al porto.
Non è stato difficile trovarli, infatti. I miei ragazzi sono tutti lì, a brindare un nuovo giorno, una nuova partenza e una nuova avventura. Vederli spensierati mi addolcisce il cuore e cancella ogni risentimento e tristezza avuti quella mattina.
Guarda caso, come sempre, è Sanji il primo della ciurma a notarmi.
“Nami caraaaa!” urla trottando verso di me con abili slalom tra i camerieri e i clienti della taverna. “È buio e tu ancora non tornavi. Ci hai fatto preoccupare.”
La solita galanteria eccessivamente apprensiva del cuoco. Però gli sorrido, sinceramente grata.
“Namiiiii!” urla Rufy, salutandomi sventolando un cosciotto di chissà quale gigantesco esemplare di mammifero. “Siccome pensavo che non saresti tornata stasera, ho mangiato la tua parte di cena!”
“Che fesserie vai dicendo?!” strilla Sanji assettandogli un calcio sulla testa.
“No, Sanji, Rufy era appena guarito dalle mie cure!” si dispera Chopper esasperato aprendo il kit medicinale che si è portato nello zaino, sicuro che sarebbe di certo servito anche quella sera.
Questa è la mia ciurma. Sgangherata e un po' pazza, ma l'unica al mondo che riesce a scaldarmi così.
Appena mi siedo, noto che Zoro si è appostato al lato opposto del tavolo. Abbassa lo sguardo appena incrocia il mio, ed io faccio altrettanto. Forse dovrei dargli delle spiegazioni. Sono combattuta.
E quando quello sembra il problema più grosso, in uno scherzo poco divertente del destino, l'uomo di stamani entra nella taverna. Il sangue mi si raggela di nuovo.
“Ragazzi...” dico nascondendomi dietro la schiena di Robin, “credo di essere un po' stanca...”
“Non vuoi neppure un po' mangiare, Nami?” chiede Sanji preoccupato.
“Ma proprio neppure un po'?” chiede Rufy con la gioiosa e ovvia speranza di potersi davvero dedicare a tutta la mia parte di cena.
“Siete gentili, ma... davvero, è meglio che vada...”
Alzandomi, mi scontro con lo sguardo di Zoro. Non dice nulla, né mi fa un cenno di saluto. Avrà notato anche lui il nuovo arrivato?
“Ehilà, ciurma!”
È lui. Di sottecchi, lo vedo sedersi accanto al capitano.
“Ehilààà!” urla Rufy. “Quella carne sul piatto è per caso tua?”
“Perché, la vuoi tu?”
Rufy neppure risponde. La divora nel giro di dieci secondi.
“Fei proprio gentile, pirata!” esclama a bocca piena.
“È che è da molto che sono qui, e ho notato i vostri visi nuovi, perciò speravo di offrirvi qualcosa e brindare insieme,” dice pagando all'oste e riferendogli: “Servi finché non saremo tutti sazi!”
La mia ciurma esulta al nuovo arrivato. Sciocchi e creduloni. Si accontentano di essere serviti, ignari di quel che mi ha fatto passare quell'uomo.
Per un secondo la paura che lui racconti tutto di me mi immobilizza le ossa, ma pensandoci più razionalmente questo non sarebbe affatto un problema. Lui è uno sconosciuto venuto da chissà dove, mentre io sono la loro capitana. Crederebbero senz'altro più a me.
Mi accingo a salire le scale che portano alle camere, e nella confusione nessuno nota la mia marcia più agitata e veloce del consono.
“Ah!” urla l'uomo di stamani, “ma io offro solo alla ciurma intera! Siete al completo?!”
“Manca Nami!” esclama Chopper ridendo e chiamandomi, credendo di farmi un favore.
“Eccola!” esulta Sanji indicandomi. Maledetto lui e quell'occhio da lince che individua qualunque femmina nel raggio di un chilometro.
“E così si chiama Nami!” esclama gioioso e sornione l'uomo che vorrei non aver mai incontrato in vita mia. “Perché non ti siedi con noi?”
Mi volto a guardarlo. Gode a distruggermi la psiche, ma ancora non me ne configuro il motivo. Uomini come lui, che sottomettono e giocano coi sentimenti altrui, non dovrebbero esistere. La maggior parte della sofferenza che c'è nel mondo è a causa loro.
Chiudo le mani in due pugni e mi giro senza elargire neppure un sorriso. Al contrario, lui mi guarda arridendomi in quella sua maniera viscida e crudele con cui mi violentava anni prima.
E poi, un cazzotto lo butta del tutto a terra. Arriva inaspettato persino per lui.
Sgrano gli occhi verso colui che si è macchiato del misfatto.
Zoro si accarezza il pugno (forse perché ha usato troppa forza) e il suo sguardo vago rappresenta il totale disinteresse per le occhiate incredule della ciurma.
“Che cazzo ti è saltato in testa, marimo?!” gli urla addosso Sanji avvicinandosi minacciosamente a due centimetri dalla sua faccia.
“Rufy!” lo chiama Zoro ignorando il cuoco. Il capitano si gira con la forchetta in bocca, anche lui non del tutto divertito dalla bravata del suo compagno nei confronti del loro benefattore di cibi e bevande.
“Gli ho dato un cazzotto,” dichiara a gran voce zittendo le lamentele della ciurma, “perché ha detto che il tuo cappello di paglia fa schifo!”
Gli occhi di Rufy si colorano di rosso. “Come hai osato?!” bisbiglia nel delirio dell'ira, e prima che l'uomo si riprenda, è già a terra per colpa di un altro cazzotto.
Al secondo affronto, la ciurma della mia vecchia conoscenza scorre verso il nostro tavolo in cerca di vendetta. Sono all'incirca una trentina di uomini contro cinque. Ma i miei ragazzi, anche coi nemici in sovrannumero come spesso succede, riescono a tenere la situazione sottomano. Tre pirati sono già volati oltre le vetrate della finestra, due sono rimasti misteriosamente appesi al lampadario sul soffitto. Nel caos e nella mischia, tra tavoli ribaltati, confusione e altri pirati che si sono aggregati alla lite per puro divertimento, neppure io riesco a capire la sequenza esatta delle vicende.
Un piatto vola addosso in faccia a un filibustiere qualche tavolo più lontano. Di tutta risposta, prende quello del vicino e lo tira addosso ai miei compagni; di tutt'altra risposta, il vicino di colui che ha appena tirato il piatto ancora pieno di carne succulenta prende un altro piatto e glielo spiattella in faccia per ripicca.
Un concatenamento di strani eventi porta tutta la taverna a menarsi di brutto senza cognizione di causa, compresi i camerieri. Sorrido, preparando il mio bastone. Mischiarsi nella masnada sarà divertente, soprattutto se la punta del mio bastone arriverà dritta nei denti della mia vecchia conoscenza.
Ma nella mischia, evitando un calcio qui e un cazzotto lì, non riesco a localizzare la mia preda. Appena mi pare di vederla, un uomo grassoccio e rosso in viso esce da una stanza al primo piano e urla sull'attenti a tutti.
Non so come, ma la sua carica voce è riuscita davvero a fermare tutti.
“Chi ha osato distruggermi il locale?! Chi di voi è lo sciagurato che ha fatto cominciare la rissa?!”
“È stato lui!” ammette candidamente Rufy indicando Zoro.
“Razza di stupido spione che non sei altro!” urla lo spadaccino prima di scappare inseguito dal padrone e tutti i camerieri. Sanji e Robin gli fanno da scudo mettendone alcuni K.O., e grazie a qualche colpo basso di Usop che ne stordisce altri con della salsa piccante lanciata con la fionda, Zoro riesce a svignarsela dal locale. Esco per appurarmi che sia davvero riuscito nell'impresa, quando lo vedo tornare dal lato opposto.
“Che diavolo stai facendo?!” strillo prendendolo per il polso. “Vuoi farmi credere che il tuo senso dell'orientamento farebbe così schifo da farti correre attorno al perimetro della locanda senza accorgertene?!”
Zoro, colto in fragrante, non emette alcun suono. L'evidenza parla da sé.
Appena vedo alcuni camerieri lanciarsi fuori dal locale, trascino Zoro con me in un vicolo buio, percorrendo stradine sempre più strette e nascoste all'occhio di tutti. Ora che è notte, e le luci dei lampioni sfavillano solo nei viali principali, è difficile anche per me vedere dove sto mettendo i piedi. Alcuni acciottolati sono più spessi e alti di altri, e mi fanno incespicare; talvolta, le pozzanghere mi bagnano le scarpe aperte lasciandomi un senso di fredda viscosità.
Man mano che avanziamo, le urla e il trambusto urbano si affievoliscono sempre più, fino a quando non sento null'altro che il rumore delle onde marine che scrosciano sulla banchina del porto.
Non sono più brava a correre come una volta. Le gambe cedono e il fiato diventa insopportabilmente pesante. Cado a terra, vicino a un tombino, e Zoro mi segue accasciandosi a una rete da pesca ammassata.
Aspetto che il fiato riprenda il suo dolce e regolare ritmo prima di voltarmi verso il mio compagno. Anche lui, a modo suo, mi ha lasciato senza respiro.
“Qualunque cosa ti abbia fatto quell'uomo...” dice lo spadaccino ancora in preda al fiatone, “qualunque cosa... io gliel'ho fatta vedere. L'ho steso con un solo pugno.”
Poi si gira verso di me, ghignando soddisfatto. “Adesso ne mancano solo novecentonovantanove. Il Grande Blu è piccolo, l'hai detto anche tu. Sarà un gioco da ragazzi.”
Mi copro la bocca con la mano per nascondere un singhiozzo. Zoro, lo stupido bifolco della ciurma, mi ha di nuovo inaspettatamente commossa.
Scoppio a piangere, stavolta con più partecipazione di stamattina. Mi accascio con il volto a terra, senza strisciare come un verme per supplicare qualcuno.
Ed ora, non so perché, il grande macigno che schiacciava la mia anima esce di nuovo con una facilità strabiliante e inaspettata.
“Quell'uomo... mi ha violentato...” riesco a dire con voce rotta. “Con tutta la ciurma... E non è il solo pirata ad averlo fatto... anche tanti altri incontrati nel mare l'hanno fatto, e la Marina di Nezumi, e Arlong... a volte facevo finta di prostituirmi per ingannare me stessa di non essere succube a queste violenze... Questa era la mia vita prima di incontrare voi...”
Non guardo Zoro neppure una volta. Non voglio sapere quale sia la reazione che lo sta scuotendo. Non so neppure perché gli stia dicendo queste cose. Forse perché Zoro è diverso.
Zoro mi ha letto più volte dentro.
Non è vero che non ha mai capito niente.
Una mano si posa sui miei capelli. Si è avvicinato senza che me ne accorgessi.
Mi prende il volto tra le mani. Stavolta non indugia, né mi sfiora solamente o ritrae le dita.
“Io... ti renderò così felice che nessun vecchio pirata ti farà più piangere.”
Sgrano gli occhi. Le sue parole hanno qualcosa di diverso, un suono più intenso e caldo.
Trasudano di una passione pericolosa.
Mi stringe a sé. Per la prima volta affondo in un abbraccio che non sia quello di Genzo, o Nojiko, o Bellmer. Spesso ne ho avuti anche con la ciurma, ma erano diversi, più distanti, come quando tieni a braccetto qualcuno per festeggiare una vittoria o una nuova avventura.
Cingo Zoro a mia volta. Il suo profumo è quello del mare. Chiudo gli occhi, e rimango lì a farmi cullare.
Quando l'alba giunge e il sole bacia coi suoi raggi i primi tetti, abbandono le mie forze e mi lascio andare in un sonno rigenerante.

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