Quando meno te l'aspetti

di _Agata_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Alessandro ***
Capitolo 2: *** II. Marta ***
Capitolo 3: *** III. Alessandro ***
Capitolo 4: *** IV. Martinelli ***
Capitolo 5: *** V. Guglielmo ***
Capitolo 6: *** VI. Alessandro ***
Capitolo 7: *** VII. Guglielmo ***
Capitolo 8: *** VIII. Alessandro ***
Capitolo 9: *** IX. Guglielmo ***
Capitolo 10: *** X. Alessandro ***
Capitolo 11: *** XI. Guglielmo ***
Capitolo 12: *** XII. Alessandro ***
Capitolo 13: *** XIII. Guglielmo ***



Capitolo 1
*** I. Alessandro ***


“A domani, Alessandro, e cerca di non passarci la notte, su quei compiti in classe!” lo salutò il professor Martinelli.

“A domani, buona serata!”

Il rumore di passi che si allontanavano rimbombò ancora qualche istante lungo il corridoio, poi la loro eco si spense; ed il professor Naldi rimase solo nella grande biblioteca dell'istituto. Erano da poco passate le due del pomeriggio, le lezioni erano terminate ma la scuola sarebbe rimasta aperta ancora qualche ora per le attività extra curricolari; così, lui avrebbe avuto il tempo di smaltire un po' di lavoro prima che le bidelle lo cacciassero fuori per chiudere i locali. Si mise all'opera, perdendo la cognizione del tempo che trascorreva.

Era ormai ora di uscire quando una voce dalla soglia lo interruppe:

“Alessandro, che ci fai ancora qui! Ma non ce l'hai una vita?”

“Guglielmo! Non mi dirai che ti sei fermato a scuola a studiare... Proprio tu...”

“Col cavolo! Sono passato per una... commissione, diciamo. Piuttosto, vieni a farti una canna con me, vedrai come ti riesce bene dopo correggere le verifiche...”

Alessandro sbiancò, appoggiando pesantemente la fronte sul palmo della mano:

“Chiudi la bocca, per l'amor del Cielo, se ti sentono dire una cosa del genere ti sospendono!”

Guglielmo rise, sfregandosi il dorso dell'indice sotto al mento, poi gli urlò allontanandosi:

“Ti aspetto in cortile fra un quarto d'ora, non farti pregare!”

Il professor Naldi, con un sospiro, si accinse a radunare tutti i fogli e riporli nella cartella.

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Capitolo 2
*** II. Marta ***


Povero ragazzo, pensò Marta vedendo Alessandro uscire dalla biblioteca mentre lei stava per andarlo a chiamare. Doveva avere ben poca compagnia, se restava sempre fino a quell'ora; che peccato, un tipo simpatico e piacevole come lui. E probabilmente non mangiava neanche abbastanza: chi mai poteva fargliene? Chiacchierando con le colleghe, nella guardiola all'ingresso dell'istituto, aveva scoperto -non che fosse un segreto- che il prof. Naldi, così carino e gentile con tutti, viveva a qualche centinaio di chilometri dal loro liceo di montagna, e che per non consumare il magro compenso da supplente aveva preso in affitto soltanto una stanzetta lì nei pressi. Probabilmente brutta, vecchia, fredda e umida, se preferiva stare a scuola tutto il giorno. Aveva una bella tempra per essere così giovane... Chissà se almeno nel fine settimana tornava a casa dalla mamma a fare una sana abbuffata.

Si era laureato in Filosofia con il massimo dei voti, dicevano, e aveva finito di studiare non più di un anno prima; che fosse una persona colta si vedeva, però non era spocchioso come certi altri docenti: salutava sempre, scambiava una parola con tutti, aveva sempre tempo per ascoltare. Si fermava se i ragazzi chiedevano di chiarire un concetto o risolvere un dubbio, anche se era già sulla porta dell'aula, se era già uscito tornava indietro; cioè, lei immaginava che lo avrebbe fatto, in realtà non aveva mai visto nessuno dei ragazzi fermare un insegnate dopo la fine delle lezioni.

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Capitolo 3
*** III. Alessandro ***


Certe sciocchezze Alessandro non le aveva fatte neanche quando era lui che studiava al liceo, figurarsi se poteva aveva qualche buona ragione per farle dopo essere diventato insegnante.

Nel cortile della scuola a fumare una canna con uno dei ragazzi, si era mai vista una scempiaggine simile? Pessima, pessima idea, anzi peggio. Poco importava che il suddetto allievo avesse quasi la sua età (avendo ripetuto almeno due volte praticamente ogni classe); come diceva il prof. Martinelli, la gerarchia non era un'opinione e lui aveva delle responsabilità, educative e morali.

Non stava, si disse, andando a fumare con Guglielmo; stava andando ad assicurarsi che nemmeno lui lo facesse. Responsabilità, non solo didattiche, doveva aiutare gli studenti a diventare persone migliori, complete, appagate; e nulla del genere poteva trovarsi nei vizi così di moda. Doveva far capire loro che stavano sprecando tempo e salute. Che si stavano nascondendo dietro ad un dito per non affrontare la vita a testa alta, che si stavano appoggiando a stampelle destinate a dissolversi al primo accenno di vero bisogno.

Voleva far capire loro che non erano quelle le cose importanti, che c'era di più, che potevano fare di meglio e sentirsi meglio; che la misura di una vita non era quanto si possedesse ma cosa si fosse ottenuto, non la ricchezza di esperienze ma di esperienza, non di sensazioni ma di sentimenti.

Poi pensò al sorriso accennato di Guglielmo, ed affrettò il passo.

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Capitolo 4
*** IV. Martinelli ***


Martinelli, solido e tranquillo insegnante di matematica (e al momento vice-preside), che si era visto passare per le mani in quell'istituto una dozzina abbondante di classi, non riusciva a smettere di pensare al ginepraio in cui, senza rendersene ben conto, Alessandro si stava inesorabilmente infilando.

Dopo tutto era un ragazzo sveglio, brillante, magari un po' troppo idealista ma non uno stupido; perché, allora? Perché non se ne accorgeva?

Difettava di esperienza, ma compensava con la passione e la dedizione. Sarebbe diventato un ottimo insegnante, uno di quelli che i ragazzi ricordano, uno di quelli che riescono a trasmettere non solo una conoscenza, ma un senso. Doveva solo imparare a non farsi mettere i piedi in testa e ad imporre una disciplina. Ma possibile che fosse così cieco e non afferrasse l'evidenza?

Era lì da qualche mese, si era conquistato la simpatia di tutto il corpo docente e personale ATA, tanto che diverse delle insegnanti del liceo si sarebbero volentieri lasciate corteggiare da lui, più giovane di tutte loro di almeno qualche anno. E il professorino, invece di dedicarsi alle succulente conquiste, si era lasciato incantare niente meno che da quel figlio di papà di Guglielmo, ripetente patentato. Perché mai?

Un biondino svogliato, distratto, viziato, insopportabile; il classico scapestrato che ha avuto tutto quel che può volere, tranne la salutare razione giornaliera di calci nel sedere che serve a crescere dritti. Una pessima, pessima compagnia per Alessandro, che -già lo vedeva- si sarebbe lasciato trascinare in infauste spirali discendenti nel tentativo inutile di trarne fuori Guglielmo. Possibile che non capisse?

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Capitolo 5
*** V. Guglielmo ***


“Non ti sei fatto aspettare, eh, Alessandro?”

Guglielmo gli si fece incontro, aspirando una boccata dal rotolino che aveva fra le labbra. Poi si sfilò la canna dalla bocca, porgendola al professore, che però la respinse con la punta delle dita e lo riprese in tono severo:

“Guglielmo... Lo sai che non...”

“Oh, non ti ci mettere con le prediche. Non l'hai ancora capito che faccio quel che mi pare? E che nessuno mi viene a dir nulla perché nessuno vuol mettersi contro mio padre? Potrei coltivare maria nell'ufficio del preside e tutti farebbero finta di crederla una pianta ornamentale”.

Il professor Naldi gli piaceva; gli piaceva davvero. Aveva un viso ovale, delicato, i capelli di un castano così lucente da essere morbido persino alla vista. E gli occhi verdi, grandi e profondi come pozzi, occhi che si accendevano quando spiegava, o discuteva, come se non vi fosse nulla di più importante. Occhi che non lo scrutavano per trovare mancanze ma per cercare interesse; occhi buoni, curiosi, spalancati sul mondo e rivolti al di là. Era il primo professore di cui, a tratti, addirittura ascoltava le spiegazioni; il primo con cui avesse sfiorato la sufficienza prima del colloquio con i genitori.

Era probabilmente il primo insegnante che gli piacesse. Ed avrebbe voluto piacergli a sua volta. Solo che non sapeva come fare. Alessandro sembrava refrattario a tutto quello che i loro coetanei apprezzavano, a quello che lui padroneggiava: feste, sballi, sesso, denaro, potere. Se ne stava dentro una torre che lui non sapeva come raggiungere.

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Capitolo 6
*** VI. Alessandro ***


Guglielmo fece qualche passo avanti, ritrovandosi ad un paio di spanne dal professore, e riportando provocatoriamente la canna verso la propria bocca; ma Alessandro gli afferrò il polso prima che potesse fare un altro tiro, e lo tenne saldamente:

“Non ti fa bene fare così. Non ti fa affatto bene. Ti manca qualcuno che abbia la fermezza di guidarti attraverso una fase burrascosa. E se non c'è nessuno che abbia il coraggio di dirtelo in faccia e di prendersi questa responsabilità, lo farò io. Non m'importa se hai poco meno della mia età, e ancor meno m'importa di tuo padre”.

Lo stava continuando a stringere per il polso. Lo stava toccando. Non l'aveva mai fatto; come educazione prescrive, d'altra parte. Ma gli era venuto d'istinto. E aveva fissato gli occhi in quelli di Guglielmo, due specchi di ghiaccio, come per superare quella gelida superficie e giungere a ciò che doveva attendere lì sotto. Qualcosa si infranse.

Il sangue gli salì alle guance e gli crollò in fondo allo stomaco; il respiro si fece corto e il cuore accelerò i battiti. In quel momento ebbe la precisa percezione dell'altro di fronte a lui; in quel momento sentì il desiderio di ridurre la distanza, di avvertire il suo calore, di chiudere gli occhi e lasciarsi avvolgere dal profumo della sua pelle e dal leggero sentore di fumo che lo circondava.

No. No. Era pazzo, completamente pazzo. Niente del genere doveva succedere, niente del genere poteva succedere. Lui era l'insegnate, lui la persona seria matura e responsabile. Era contro qualsiasi straccio di deontologia professionale, un insegnate e un allievo. Mai, mai. Non doveva indulgere a simili pensieri, per nessuna ragione. E poi, Guglielmo era un maschio.  

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Capitolo 7
*** VII. Guglielmo ***


Quel gesto repentino sorprese Guglielmo, che non oppose resistenza. Lasciò che Alessandro lo trattenesse. Alessandro lo stava considerando; voleva che continuasse. Alessandro lo stava guardando; lo fissava negli occhi. Sostenne lo sguardo, e fu come se un filo invisibile li avesse legati. Percepì il corpo dell'altro reagire, pur senza rendersene conto coscientemente, e seppe che poteva osare. Lasciò trascorrere ancora diversi istanti, prima di sottrarsi alla presa. Senza scostarsi, aspirò una boccata. Poi si avvicinò di un passo al professore. Rapido, abbassò la canna, gli portò la mano libera alla guancia, posò le labbra sulle sue. Espirò il fumo sulla bocca dell'altro, delicatamente, in un filo sottile. Poi si staccò, si volse, si allontanò.

Se ne sarebbe dovuto andare in quel momento. Era così che si faceva. Mai farsi vedere intrigati, emozionati, ma sempre freddi e distanti e noncuranti. Solo così le persone si sarebbero piegate, avrebbero pensato di poter soltanto acconsentire; solo così poteva tenerle in pugno, restare nella posizione di forza. Ma non voleva andare via, voleva restare con Alessandro, non voleva essere solo, voleva lui. Sentiva lo sguardo dell'altro puntato in mezzo alla schiena, come se lo volesse trafiggere.

Andò a sedere su un basso muretto a pochi metri, aspirò qualche volta, e solo dopo tornò a guardare il professore:

“Allora... piaciuta? Fai un tiro?”

Alessandro non rispose, immobile come una statua. Guglielmo attese qualche istante, poi riprese:

“Usciamo stasera?”

Solo allora il professore si riscosse:

“No. Non esco con gli alunni. Vado a casa. E smettila di farti del male”.

“Nessuno può dirmi di no, qui; nemmeno tu. Ma se non vuoi uscire, sta bene. Resteremo qui, a scuola. Ho le chiavi e una riserva ben nascosta di birre e sigarette. Ci divertiremo”.

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Capitolo 8
*** VIII. Alessandro ***


Non usciva con gli allievi; non li frequentava al di fuori delle lezioni e non instaurava rapporti affettivi al di là di quello che la professione consentisse. Non si faceva canne, non fumava, non abusava di alcol; e non si tratteneva a scuola oltre gli orari di chiusura, trattandosi a tutti gli effetti di effrazione, reato perseguibile anche penalmente.

E non aveva ragione di essere scosso: Guglielmo non aveva appena fatto qualcosa di dannatamente simile a baciarlo, e soprattutto a lui non era piaciuto. Perché lui non usciva con gli uomini. Eppure sentiva qualcosa ribollirgli dentro, e temeva di intuire di cosa si trattasse. Guglielmo era il classico bello e dannato, alto, biondo, lineamenti affilati, sempre vestito da fotomodello, il modo di fare di chi ha in pugno il mondo. Il discolo che fa una sciocchezza dietro l'altra e finisce per rovinarsi la vita a forza di eccessi. E qualcosa in tutto ciò lo attirava oltre ogni ragionevolezza.

Lui, Alessandro, era sempre stato invece un bravo ragazzo, in ordine, puntuale, morigerato, attento, studioso, obbediente. Aveva sempre messo prima il dovere, aveva sempre riflettuto con cura sulle conseguenze, era sempre stato attento a non commettere imprudenze e a non dare dispiaceri. La sua vita sentimentale era scivolata piana e placida, tanto da poterla quasi definire desertica: solo un paio di brevi storie poco impegnative e nemmeno così soddisfacenti.

Il coinvolgimento era arrivato dove e quando non lo aspettava, nel contesto più sconveniente e con la persona più complessa; non si sentiva disposto ad assecondarlo, ma neanche a rinunciarvi.

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Capitolo 9
*** IX. Guglielmo ***


Alessandro restava fermo, come di sale. Non si avvicinava, non se ne andava, non strepitava, non sbuffava; nulla di nulla, nessuna reazione. Che accidenti non stava funzionando? Era come se la sua mente se ne fosse sparita da qualche altra parte, lasciandosi dietro un corpo inerte. Non poteva essere così turbato per quell'aborto di bacio a fior di labbra, no? Aveva la sua età, caspita, non era un'educanda tredicenne, non era credibile che una cosa così banale lo sconvolgesse...

Il problema doveva essere altrove. Lui non gli piaceva? Impossibile, lui piaceva a tutti. Non usciva coi maschi? Dettagli tecnici irrilevanti. Non voleva restare a scuola? Che assurdità, ci passava tutto il giorno. Non gli piaceva la birra?

“Beh, se la birra è troppo volgare per i tuoi gusti, ho anche una scorta di amari, grappe, qualche bottiglia di vino... Basta chiedere”.

“Vai a casa” fu tutto quel che il professore rispose.

Evidentemente il problema non era nemmeno la birra. Guglielmo rimase in silenzio, sperando che prima o poi l'altro desse voce, in qualche modo, al suo disappunto. Allora avrebbe saputo cosa fare. Riprese a fumare, con calma, guardando il cielo che iniziava a farsi scuro. E l'aria fredda, rifletté, era ora di andare al coperto. Gettò a terra il mozzicone, che schiacciò con la punta della scarpa, poi si avvicinò nuovamente ad Alessandro e gli passò un braccio attorno alle spalle:

“Dai che ci andiamo a guardare un qualche film in sala multimediale...” e lo sospinse verso un ingresso secondario. L'altro, inaspettatamente, non oppose resistenza.

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Capitolo 10
*** X. Alessandro ***


Non poteva... Cielo no, non poteva... Era professionalmente inopportuno, eticamente scorretto, moralmente discutibile... Ma la sua determinazione era già fiaccata, e la vicinanza di Guglielmo l'aveva vinta del tutto; così lo aveva seguito senza nemmeno provare ad opporsi. Era cosciente di star camminando dritto nelle fauci della perdizione, era terrorizzato da quello che sarebbe potuto succedere eppure non era in grado di tirarsi indietro. Poteva anche non succedere assolutamente nulla, cercava di convincersi, poteva anche essere solo una provocazione, anzi senz'altro era così... Potevano guardarsi un film e andarsene a casa, e basta. Ovvio che potevano.

Ma Alessandro sentiva il sangue pulsare nelle vene e il respiro uscire in soffi spezzati, sentiva un fremito nelle membra, l'adrenalina scorrere in tutto il corpo, e qualcosa in lui pretendeva quell'emozione, pretendeva che la lasciasse scatenare... Pretendeva l'ebbrezza del desiderio, l'impeto della passione, la vita di quel corpo stretto al suo. Non importava se era il corpo di un altro uomo, era il corpo che lo aveva infiammato e che lo avrebbe placato, questo importava.

Non ricordava di essersi mai sentito così. Aveva paura di quel che avrebbe potuto fare. Aveva paura di lasciarsi andare, non lo faceva mai. Aveva paura di perdere il controllo e non essere più lui. E poi, se avesse frainteso tutto? Se Guglielmo non avesse avuto nessun interesse nei suoi confronti? O nessun interesse di quel genere, almeno...

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Capitolo 11
*** XI. Guglielmo ***


“Accidenti, quanto sei bello, prof...” sussurrò Guglielmo all'orecchio di Alessandro.

Era da un'ora che guardavano un improbabile film su Giordano Bruno, tanto per restare in ambito squisitamente didattico ed inevitabilmente noioso. Problema da poco però, l'attenzione che non dedicava al video la rivolgeva tutta all'altro; aveva studiato ogni suo tratto, ogni movimento, la linea del collo e il profilo delle mani, il naso, le labbra, il mento... aveva anche azzardato qualche carezza tra i capelli. Gli piaceva, avrebbe voluto trascorrere del tempo con lui, conversare, ridere, ascoltarlo, parlare... E baciarlo. Erano così invitanti le sue labbra, tutte le volte che lo vedeva spiegare pensava a quanto gli sarebbe piaciuto accostare la bocca alla sua e infilarvi qualcosa di più interessante che Kant...

Se gli faceva impressione essere attratto da un uomo? No. O non molta, almeno. Aveva provato abbastanza cose e si conosceva abbastanza da intuire che non poteva fare tutta questa differenza, stringere a sé un morbido corpo di donna o un saldo corpo di uomo, purché gli trasmettesse quel calore capace di cacciare lontano il gelo della solitudine. Agli occhi della gente, poteva essere sconveniente, sbagliato, depravato... ma lì non c'era nessuno a guardarli, erano solo loro due e il loro desiderio di essere più vicini... O solo il suo forse, non sapeva cosa Alessandro pensasse, se avesse capito, se sentisse la stessa emozione... Era serio, composto, assorbito dal film... Qualsiasi cosa gli passasse per la testa, era schermata dietro ad un atteggiamento distante e professionale. Forse avrebbe dovuto farlo bere, farlo fumare, così magari si sarebbe sciolto e sarebbe stato più facile intuire... Invece era un rebus impenetrabile.

Gli sfiorò appena l'orecchio con le labbra.

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Capitolo 12
*** XII. Alessandro ***


Era riuscito a dominarsi fino a quel momento. Il rischio di aver travisato, di essere rifiutato, era valso a frenarlo. Era riuscito a starsene seduto a modo sulla sua sedia e dedicare la più assoluta concentrazione ad un film che conosceva praticamente a memoria. Poi Guglielmo aveva iniziato a fissarlo, a carezzargli i capelli, e la sua saldezza era vacillata; quando gli aveva fatto quell'innocente complimento, carezzandogli l'orecchio col respiro e con la bocca, i suoi propositi si erano dileguati. Si era voltato di scatto, l'aveva afferrato per le spalle, aveva stampato le labbra sulle sue; ed era rimasto lì. Un attimo. Un altro. Cazzo. Aveva frainteso. Era la rovina.

Poi Guglielmo gli aveva preso il viso fra le mani, e la sua lingua aveva iniziato a lambirgli le labbra; aveva cercato la sua, l'aveva trovata, pronta ad assecondarlo. Si era sentito spingere indietro, con garbo ma con fermezza, dal peso del corpo dell'altro contro al proprio. Un braccio gli aveva cinto la vita, stringendolo. Una mano era corsa al primo bottone della camicia, per slacciarlo, poi si era infilata al di sotto, a carezzargli il petto.

Solo allora Alessandro si riscosse. Pensò che avrebbe dovuto fermarlo, era un suo studente. Realizzò che non se la sentiva di andare oltre, era un uomo. Poi decise che non gli importava, per una volta. Fece scivolare le mani dalle spalle di Guglielmo fino ai suoi fianchi, lo strinse, lo attirò verso di sé.

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Capitolo 13
*** XIII. Guglielmo ***


Guglielmo quasi non ci credeva. Lo aveva baciato... un bacio vero, profondo, non un bacio rubato o imposto. Era abituato ad avere tutto quel che gli piaceva e tutti quelli che sceglieva; ma non ad avere ciò che voleva davvero. E Alessandro ricadeva proprio in questa categoria. Seppe che avrebbe lottato per non perderlo, come non aveva mai fatto. Seppe che si sarebbe esposto, messo in gioco. Seppe che si sarebbe dato senza riserve. Anche se era pericoloso; anche se poteva ferirlo.

Si alzò, senza smettere di baciarlo, e tirò in piedi il professore. Fece aderire il proprio corpo al suo. Gli sfilò la giacca, finì di slacciare la camicia. Guidò le mani di Alessandro alla propria, e mentre l'altro l'apriva a sua volta, riprese a carezzarlo. Fra i capelli, sul viso, sul collo, sulle spalle. Lo voleva; lo voleva subito. Le camicie di entrambi caddero a terra. Le sue mani scesero sui fianchi, sul sedere. Lo strinse. Pelle contro pelle, labbra contro labbra. Sentiva le loro eccitazioni premere l'una sull'altra attraverso la barriera dei vestiti. Lo sospinse verso il tavolo in fondo alla sala; lo fece distendere, si adagiò sopra di lui. Le scarpe erano già sparite, in qualche istante non meglio precisato dei minuti precedenti. Ancora baci, carezze, fremiti, sospiri. Le mani alla cintura. Alessandro si irrigidì solo un istante, poi lo strinse più forte.

Lontano, come da un altro luogo, Giordano Bruno parlava, inascoltato.

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