*_Once Upon Another Time_* di StarFighter (/viewuser.php?uid=120959)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nightmares & red roses ***
Capitolo 2: *** CHOICES ***
Capitolo 3: *** Hard To Say Goodby ***
Capitolo 4: *** Silent as a grave... ***
Capitolo 5: *** Here without you ... ***
Capitolo 6: *** Lies and betrayals ***
Capitolo 7: *** Finally you! ***
Capitolo 8: *** That damn cold night...beneath a moonless sky ***
Capitolo 9: *** You choose to turn the page and I make choices too... ***
Capitolo 1 *** Nightmares & red roses ***
Salve a te che stai
leggendo queste poche righe d’introduzione! Allora per
cominciare grazie di aver cliccato sulla mia storia;se l’hai
fatto sai già cosa aspettarti, ma se non è
così, fuggi via, perché se non hai visto LND
c’è uno spoiler grande quanto il mondo ad
attenderti! XD
Allora brevemente:
questa è una ff su quello che ,secondo la mia mente malata,
succede tra la fine del Phantom of the opera e l’inizio di
Love never dies. La storia sarà incentrata su Christine e
sui suoi dubbi amletici, ma ciò non toglie che poteri
aggiungere qualche parte in cui sono i pensieri di Erik a farla da
padrone. Il tutto dovrebbe concludersi nel giro di massimo 5 capitoli,
compreso il prologo, per la fine del mese.
Questo
è quanto … piccola premessa: è la
prima long fic che scrivo, quindi non aspettarti granchè e
sii clemente! *-*
PS: mi farebbe
piacere se a fine lettura lasciassi un piccola,miserrima recensione
… o anche un commento e sono ben accette anche le critiche
costruttive XD
Okay,
allora buona lettura… ;)
Prologo:
Nightmares and Red Roses
Le campane
della piccola chiesetta di campagna, appena fuori Parigi,che Christine
e Raoul avevano scelto per celebrare le loro nozze,suonavano a festa.
L’aveva scelta Christine, insistendo che il matrimonio si
celebrasse in un luogo lontano dalla città e con pochi
intimi, perché negli ultimi mesi i loro nomi erano passati
sulle bocche di mezza Francia. L’aveva scelta
perché le ricordava la chiesa di Perros, dove mamma Valerius
insisteva per portarla ogni domenica mattina di buon ora…le
ricordava tanto la sua fanciullezza. Non che fosse passata da molto in
effetti: aveva appena vent’anni! Ma la spensieratezza e la
gioia che l’avevano caratterizzata da bambina, ora non le
appartenevano più. Aveva fatto un viaggio andata e ritorno
per l’inferno e questo aveva spazzato via la sua innocenza e
,senza ombra di dubbio, aveva stravolto il suo spirito ingenuo.
I
ricordi e le immagini degli eventi di qualche mese prima non
l’abbandonavano mai, erano ormai suoi fedeli compagni in una
vita grigia,che si era spenta con l’incendio
dell’operà Garnier . L’enorme teatro era
stato divorato dalle fiamme, che non avevano risparmiato niente e
nessuno. Ma già da un po’ di tempo erano
cominciati i lavori di ricostruzione: non era cosa degna di una
città come Parigi, essere priva di un teatro
dell’opera!
Le mancava
quel posto, ma da quell’infausto giorno non c’aveva
più messo piede, anche perché Raoul glielo aveva
impedito: temeva che sarebbe scomparsa di nuovo nei meandri del grande
teatro. Ma nonostante lei lo avesse supplicato e gli avesse ripetuto
mille volte che non c’era nulla da temere poiché,
stando a quello che titolavano i giornali, il famigerato fantasma
dell’opera era morto, lui non aveva voluto sentir ragioni. In
effetti lei stessa non credeva a quello che diceva, ma pur di ritornare
in quella che era stata la sua casa per lungo tempo, avrebbe fatto
carte false. Eppure c’era stato un tempo in cui non avrebbe
voluto altro se non fuggire da quel luogo; ma ora i ricordi le
riempivano la mente.
Quel
posto era il paradiso dei cinque sensi,nessuno di questi veniva deluso.
Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a vedere i mille colori dei
costumi di scena,le sfumature dei fondali,l’andirivieni di
costumisti e truccatori, il rosso della platea e l’oro dei
palchi. Se invece ascoltava meglio riusciva a sentire le risatine delle
ballerine, lo scricchiolio delle assi del palcoscenico,il fruscio degli
spartiti, il chiacchiericcio che si alzava dalla buca
dell’orchestra, i richiami del maestro Reyeur, le bizze della
Carlotta e le conseguenti preghiere degli impresari e sopra ogni cosa
la musica che regnava sovrana. Ricordava anche la sensazione del tulle
e della crinolina che sfregavano sulla pelle,il sapore forte del
liquore che le ballerine più anziane le avevano fatto
assaggiare una volta e il dolce gusto dei macaron che rubavano dal
camerino della diva; l’odore del gas delle mille lampade che
illuminavano ogni angolo buio di quel tempio della musica, lo
scintillio dell’immenso lampadario …
l’odore acre del fumo, il rosso vivido delle fiamme che
avvolgevano ogni cosa, l’umido dei sotterranei che le entrava
nelle ossa e lo squittire degli abitanti di quel labirinto. Ma un suono
sopra tutti le sarebbe rimasto impresso a fuoco nella mente:
l’urlo disumano del suo maestro. “VA
VIA!”- le aveva urlato-“Fuggi e dimentica questo
angelo all’inferno”. Lei era fuggita via, sorretta
da Raoul, ma non aveva potuto dimenticarlo, ansi l’angelo
della musica continuava ad albergare in ogni suo pensiero.
Ecco la chiesa
era così vicina che riusciva a sentire il brusio degli
invitati stipati nelle panche,in attesa di vederla. La carrozza si
fermò e lei scese, aiutata dal valletto, con il suo vestito
bianco, il velo di pizzo e i guanti che le facevano sudare le mani.
All’entrata, ad aspettarla per condurla all’altare,
c’era l’unica persona della sua vecchia vita che le
era rimasta: Madame Giry,con il suo solito abito scuro e la treccia
stretta in una crocchia elegante. Era stata la prima ed unica persona a
cui aveva pensato per quel compito. Le porse il braccio e si avviarono
verso l’entrata: la chiesa era deliziosamente decorata con
fiori bianchi di centinaia di specie. Al suo ingresso gli occhi di un
centinaio di persone si voltarono verso di lei, e a quel punto tutta
l’emozione e l’imbarazzo trattenuti fino a quel
momento, fecero capolino sulle sue guance arrossate. Cercò
di non badare molto agli ospiti che Raoul aveva insistito per invitare,
ma si concentrò proprio su di lui che raggiante
l’aspettava in fondo alla navata. Quanto aveva aspettato quel
momento? Quante volte aveva sognato ad occhi aperti come sarebbe stato
quel giorno e con chi l’avrebbe condiviso! Tutto era
perfetto,fin nel più piccolo dettaglio. Eppure
c’era qualcosa che disturbava quella perfetta armonia di
colori ed emozioni … aveva come un peso
all’altezza dello stomaco, come quando si ha
l’impressione che stia per accadere qualcosa di
spiacevole, ma non si può fare nulla per fermare le cose,si
deve solo attendere che gli eventi si evolvano da soli e
stare a guardare cosa succederà.
Provò
ad analizzare quel sentimento: non era paura, perché ne
avrebbe dovuta avere; non era tristezza, nessuno più di lei
era felice in quel momento; no era panico e nemmeno ansia…
era…era senso di colpa! Si,si, non c’erano dubbi,
era proprio quella bestia nera del senso di colpa! Non se lo ricordava
più tanto lontana era l’ultima volta che
l’aveva provato: era successo quando aveva
all’incirca otto anni e aveva accidentalmente fatto cadere il
portaritratti con l’immagine della mamma e quando suo padre
si era arrabbiato, lei aveva incolpato Cherì , il
gatto che le aveva regalato mamma Valerius. Per colpa sua il povero
animaletto era rimasto due notti fuori casa, ed era stato in
quell’occasione che aveva avvertito quella strana sensazione,
che il padre aveva chiamato senso di colpa.
Si,
però perché provare quella cosa proprio nel
momento che una donna aspetta tutta la vita? Si guardò
intorno in cerca di una risposta, ma l’unica cosa che
riuscì a pensare fu … LUI! Come poteva fare
questo; come poteva costruire la sua felicità
sull’infelicità di qualcun altro, e quel qualcun
altro era stato come una famiglia per lei, e lei l’aveva
condannato alla solitudine più nera, abbandonandolo nel suo
inferno personale. Ecco cos’era quel buco che le si
era aperto nel petto … dopo tutto quello che le aveva fatto,
continuava a mancarle. In un momento così solenne non
riusciva a far altro se non pensare a quell’uomo, a colui che
l’aveva scottata con la fiamma della sua violenta passione,
l’ombra che l’aveva amata fino a morire: Erik.
Ecco che
madame Giry le lascia la mano e l’affida a Raoul, che
tremante d’eccitazione fa segno al parroco canuto di
cominciare. Il vecchio parla d’amore, fedeltà,
spirito di sacrificio ma ad un tratto le sue labbra non emettono
più suono,ma continuano nella loro corsa. Christine si volta
per vedere se qualcuno se n’è accorto, ma tutti i
presenti sono presi dall’orazione,che evidentemente solo lei
non riesce a sentire. Poi una richiamo spezza il silenzio che le tappa
le orecchie: la chiama, una voce suadente, e il suo nome rimbomba negli
angoli più remoti di quel luogo sacro. Sembra quasi una
preghiera sussurrata a fior di labbra… -Christine,
Christine, oh mia Christine!-ripete la voce di tenebra. Lei si gira
,alla ricerca della fonte di quel tormento. Nessuno vede il suo
turbamento, nessuno si è accorto del suo esitare: tutti,chi
più chi meno,pendono dalle labbra dell’officiante.
Sta per cedere alla tentazione di urlare quando un piccolissimo, quanto
insignificante particolare le salta agli occhi: tra i mazzi di fiori
bianchi spicca scarlatta come un rubino, una rosa rosso sangue.
Poi non un
suono né un colore. Tutto è nero. Ad accoglierla
con le sue fredde braccia c’è solo la notte,
pronta a consolare il malessere causato da un nuovo incubo …
L’angolino
di Farah: spero tanto che questo primo capitolo sia piaciuto a
qualcuno, o che almeno vi abbia incuriosito. Se così non
fosse potete anche dirmi che scrivere non è cosa che fa per
me! Comunque grazie per essere arrivati fino alla fine di questo
piccolo esperimento ;) Ci si legge al prossimo capitolo… XD
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Capitolo 2 *** CHOICES ***
Capitolo 2 : Choises
Christine
si svegliò madida di sudore e con il fiatone, come se avesse
corso fino ad un attimo prima. Si mise a sedere sull’enorme
letto, nell’oscurità della camera che le era stata
gentilmente concessa dalla famiglia di Raoul e si portò una
mano all’altezza del cuore: sembrava un cavallo lanciato al
galoppo,tanto batteva forte,che sarebbe potuto saltarle via dal petto
in qualsiasi momento. Prese fiato,si liberò delle coperte
leggere del letto e scese a piedi scalzi sul freddo pavimento di
marmo:quella sensazione di gelo che le si irradiava dalla punta dei
piedi e che si stava spargendo per tutto il corpo, le fece recuperare
un po’ della lucidità che aveva perso a causa di
quel sogno. Allungò una mano verso la poltrona dove prima di
addormentarsi aveva poggiato la leggera vestaglia di seta,la
indossò e si avvicinò alla portafinestra della
camera;scostò le tende e contemplò la notte che
avvolgeva ogni cosa : il giardino della residenza De Chagny era
immobile,non una foglia si muoveva e anche la fontana era muta. In
cielo la luna regnava sovrana ed illuminava con la sua tenue luce il
paesaggio circostante.
La tenuta De Chagny sorgeva immensa, immersa nella campagna parigina:
era un’enorme villa,di un bianco quasi accecante,circondata
da ettari di giardini, in cui crescevano decine di centinaia di specie
di fiori ed alberi diversi. Per Christine passeggiare in quel paradiso
di colori e profumi, significava perdere il conto del tempo per almeno
un paio d’ore. Da quando viveva lì non
c’era stato più un attimo di tempo per rimanere da
sola con i suoi pensieri: dal momento in cui apriva gli occhi, a due
minuti prima di addormentarsi era sempre circondata da decine di
persone; inoltre era marcata stretta da madame De Chagny, la madre di
Raoul,che non la abbandonava un secondo: le diceva cosa fare, quando e
come farlo, cosa doveva indossare, come doveva rivolgersi agli
inservienti o agli ospiti della tenuta,le aveva ordinato di non aprire
bocca durante i ricevimenti che dava quasi ogni settimana e sopra ogni
altra cosa le aveva impedito di cantare.
Christine si era prontamente accorta di non piacere affatto alla
padrona di casa, ma questo non le impediva di essere cortese, gentile e
carina con lei, nonostante questa fosse una vera e propria tiranna.
Faceva buon viso a cattivo gioco, per il suo bene, ma soprattutto per
non dispiacere Raoul.
A volte però la presenza della donna diventava
così insopportabile ed opprimente che Christine doveva
letteralmente scappare, e aveva trovato un comodo rifugio
nell’immenso parco che circondava la villa. Lì
rimaneva ad ascoltare il silenzio e se non c’era nessuno nei
paragi canticchiava a bocca chiusa le arie che aveva sentito infinite
volte all’operà populaire . Era il suo momento
privato, che non avrebbe condiviso con nessuno,nemmeno con Raoul,
perché durante quelle passeggiate ricominciava a sentire il
flusso ordinato dei suoi pensieri.
Ma quella notte, affacciata al balcone della sua stanza, i suoi
pensieri non le sembravano tanto ordinati, ma le apparivano come un
miscuglio di paure infondate e speranze deluse. Quel sogno
l’aveva scossa fin nel profondo della sua tenera anima e non
le aveva lasciato dubbi: provava qualcosa di più che affetto
per il suo mentore e dopo tutto quel tempo temeva ancora il suo
giudizio. Rabbrividì all’idea di averlo
abbandonato nel buio di quei sotterranei, a compiangere ancora una
volta la sua solitudine e ad alimentare l’odio verso se
stesso ed il suo aspetto. Solo ora se ne rendeva conto: aveva sbagliato
in tutto quello che aveva fatto fino a quel momento; non avrebbe dovuto
abbandonarlo, non avrebbe dovuto accettare la proposta di matrimonio di
Raoul e non avrebbe dovuto assolutamente permettere che qualcuno le
proibisse di fare la cosa che più le riusciva meglio.
In quel preciso istante prese una decisione che non sapeva le avrebbe
cambiato la vita: sarebbe andata a cercarlo,sapeva che non poteva
essere morto; nonostante tutto uno come lui era troppo
attaccato alla vita per lasciarsi morire così senza motivo.
Avrebbe chiesto informazioni a madame Giry,che era stata
l’unica persona a parte lei ad aver avuto contatti con lui; e
se si fosse dimostrata riluttante a parlare, le avrebbe estorto quello
che voleva sapere con le cattive maniere (non che fosse avvezza ad
usarle). Ma doveva sbrigarsi, le rimaneva poco tempo prima del
matrimonio, esattamente dieci giorni.
La decisione ormai era presa e niente e nessuno avrebbe potuto farle
cambiare idea. Le sembrava che il peso che le opprimeva il petto stesse
già diminuendo. Un lieve sospiro abbandonò le sue
labbra e poi pronunciò quel nome che poche volte aveva osato
pronunciare : “Erik…”-qualcuno le
rispose- “Christine…”-un brivido le
percorse la schiena e piano si voltò verso la fonte di
quella voce. C’era troppo buio,non riusciva a vedere nulla,
se non la sagoma del letto e i profili dei mobili. Forse
s’era solo impressionata,forse non c’era nessuno
lì con lei ,forse aveva solo immaginato che qualcuno la
chiamasse. Poi di nuovo: “Christine!” Non
poté evitare di emettere un piccolo squittio di puro
terrore. “Christine sono io, Raoul. Posso
entrare?”-tirò un sospiro di sollievo e si diede
mentalmente della stupida. Però perché Raoul era
sveglio a quell’ora tarda?! Si avvicinò alla porta
e fece girare la chiave per aprire.
-“Raoul che ci fai sveglio nel cuore della
notte?”
-“Non riuscivo a chiudere occhio e poi ti ho sentita: ti
lamentavi e parlavi con qualcuno, ma non sono riuscito a capire cosa
dicevi. Sai non è che stessi ascoltando di proposito, ma qui
le pareti sono molto sottili quindi …”- era
visibilmente imbarazzato e spostava il peso del corpo da un
piede all’altro.
-“Oh, non preoccuparti era solo un brutto sogno, ora sto
bene, puoi tornare a letto. Grazie per esserti preso il disturbo di
venire a controllare e non preoccuparti, so che non stavi
origliando.” Così dicendo Christine si
alzò sulle punte dei piedi e gli stampò un casto
bacio all’angolo delle labbra.
-“ Prego, cosa da nulla sai; infondo fra poco più
di una settimana sarai mia moglie, quindi dovrò prendermi
cura di te, sto solo facendo pratica!”
-“Già …”cercò di
sembrare il più lieta possibile e accennò un
sorriso. Ma se nelle settimane precedenti era stata eccitata fino
all’inverosimile per quelle nozze, ora che si avvicinavano
non riusciva a far altro che chiedersi se fossero la cosa giusta da
fare. Rimase in silenzio senza aggiungere altro,in evidente imbarazzo.
Raoul le sorrise di rimando e credendo che fosse imbarazzata per quella
situazione disdicevole ( due ragazzi non ancora sposati non sarebbero
dovuti rimanere da soli, di notte, in camera insieme!) la tolse
dall’impaccio.
-“Sogni d’oro dolce Lottie!” e
così dicendo si allontanò verso la sua stanza,che
era adiacente a quella di Christine.
-“Buonanotte Raoul …”- chiuse la porta e
tirò un lungo sospiro di sollievo, ma non avrebbe saputo
dire per quale motivo.
Ormai era fuori questione rimettersi a letto, non sarebbe riuscita a
riaddormentarsi. Le venne da sorridere: ormai era l’alba e
lei e Raoul s’erano augurati la buonanotte!
Scelse di prepararsi per la giornata che le si profilava davanti:
sarebbe dovuta andare in una delle più costose boutique
parigine per l’ultima prova dell’abito,con la
contessa De Cagny.
Ecco l’occasione giusta per mettere in pratica il suo piano:
avrebbe pregato la sua accompagnatrice di fare visita a madame Giry,
lei non si sarebbe neppure sognata di mettere piede nei sobborghi di
Parigi, e lei sarebbe stata libera di parlare con la sua vecchia
tutrice. Si sarebbe andata così … almeno sperava.
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La colazione venne servita come ogni mattina nella sala da pranzo,al
pian terreno: latte,frutta e marmellate di vari gusti da spalmare sul
pane caldo. In altre occasioni Christine avrebbe fatto un ricco pasto
mattutino, ma quel giorno avrebbe messo in pratica il suo piano e
l’ansia e l’agitazione le avevano chiuso lo
stomaco; riuscì a malapena a mandar giù una fetta
di pane e burro. La contessa la fissava insistentemente
dall’altro lato del lungo tavolo imbandito: da quando era
scesa nella sala non le aveva tolto un attimo gli occhi di dosso.
Christine sussultò quando la padrona di casa
osservò: “Mia cara, mi sembri strana
quest’oggi. Ti senti bene? Sei un po’ pallida
…”-“Grazie per la premura,madame. Sto
bene, sono solo emozionata per le nozze imminenti.”
-accampò una scusa banalissima, che però nel suo
caso poteva valere. Si,era emozionata, ma per tutt’altra
ragione. Di li a qualche giorno avrebbe, con un pizzico di fortuna,
rivisto il suo maestro. Christine trattenne un sorriso:
immaginò la faccia della donna se le avesse risposto che
stava pensando al ‘mostro sfigurato’ da cui
l’aveva salvata il figlio.
La donna sembrò soddisfatta della risposta e dopo aver
bevuto un ultimo sorso di latte chiamò a gran voce il
maggiordomo : “Bastian! Bastian!”
Il non più giovane Bastian arrivò trafelato dalle
cucine e dopo un piccolo inchino,aspettò con pazienza che la
contessa desse i suoi ordini: “ Va a dire allo stalliere di
preparare la carrozza. Fra mezz’ora io e madamoiselle Daee ci
recheremo a Parigi per delle commissioni.”-“Come
desidera madame.”- Bastian girò sui tacchi e corse
nelle stalle.
“Christine, mia cara, vi aspetto nell’atrio tra
mezz’ora. Non tardate, sapete quanto odio attendere
…”le lanciò un’occhiata in
tralice e lasciò la sala da pranzo.
Nello stesso istante in cui madame De Chagny usciva dalla stanza, vi
entrava Raoul. Salutò la fidanzata con un dolce sorriso ed
un bacio sulla guancia : “ Allora dolce Lottie ,
come hai dormito stanotte?” la domanda era ovviamente
retorica, ma Christine stette al gioco : “ Sicuramente molto
meglio di voi vicomte!” e gli rivolse un sorriso sincero.
In cuor suo Christine sapeva d’amare anche Raoul,
ma era un amore infantile, ancora acerbo: era stato fin da piccolo il
suo fidanzatino, quando poi s’erano persi, lei non aveva
fatto altro che sognare ad occhi aperti il giorno in cui
l’avrebbe rivisto e si sarebbero sposati. Ma quando si erano
ritrovati la sua situazione era un po’ più
delicata di quanto se la sarebbe immaginata: era letteralmente in
trappola,il suo angelo della musica l’aveva
imbrogliata e lei era caduta letteralmente nel tranello del
figlio del diavolo. Egli l’aveva ammaliata con la sua oscura
presenza,le aveva offerto fama e successo,le aveva messo a
sua disposizione tutte le sue conoscenze ed in cambio aveva chiesto
solo la sua fedele devozione. Come avrebbe potuto rifiutare una simile
offerta la piccola ed ingenua Christine? Infatti alla fine aveva
accettato ,aveva promesso al maestro di essergli fedele ed era
diventata la sua devota pupilla. Ma tutto questo era successo
prima di ritrovare il caro Raoul e lei non aveva fatto i conti con un
fattore molto importante: l’amore. Nei primi tempi era solo
un po’ distratta durante le lezioni private che
l’allora angelo della musica le concedeva; poi
però cominciò a saltarle per passeggiare con
Raoul, per passare un po’ di tempo insieme e questo non
piacque affatto al suo mentore, che non si fece sentire per lungo
tempo. Quando, dopo quel lungo periodo di silenzio, la sua voce la
chiamò nella cappella, Christine si sentì
rinascere e provò sollievo nel constatare che il suo adorato
maestro non era più in collera con lei … ma
questa sensazione durò solo il tempo di un battito di
ciglia: l’angelo si mostrò per quello che era in
realtà, un demonio. Le urlò contro tutto il suo
disappunto e la sua delusione, le disse che senza il suo aiuto lei
sarebbe stata ancora una ballerina tra tante nelle file del balletto
dell’operà, che l’aveva tradito e che
non si sarebbe più fatto sentire. Christine era terrorizzata
dall’idea di non poter più udire la sua voce e di
perdere quell’ultimo legame che aveva con il defunto padre.
Lo aveva supplicato di perdonarla per il suo comportamento indecoroso,
per la sua distrazione e per il suo tradimento. Aveva addirittura
chiesto un castigo, che però non era arrivato; al posto di
una punizione, l’angelo le aveva ordinato di dover recuperare
tutte le ore di lezione perdute. La giovane soprano fu lieta di
acconsentire a quella ragionevole richiesta, ma quando
l’angelo palesò la sua presenza e si
dimostrò essere il famigerato fantasma dell’opera,
Christine non pensò più che quella proposta fosse
ragionevole. Il fantasma le chiedeva di passare,in totale
serenità e senza alcun timore, due settimane della sua vita
nel suo rifugio nei sotterranei dell’opera. Christine aveva
esitato,poi come sotto effetto di una potente malia s’era
consegnata autonomamente nelle mani del suo maestro, riponendo in lui
una fiducia che nessuno mai prima di lei gli aveva accordato.
Consenziente si era consegnata a quella che presto si era rivelata
essere una prigionia a tutti gli effetti. Per due lunghe
settimane era stata occultata dal mondo, ed era stata trattenuta con
terribili minacce, in quella che essa stessa definiva una gabbia dorata
: in effetti s’era sentiva proprio come un usignolo in
gabbia.
In quelle due settimane aveva imparato a conoscerlo, non che parlasse
molto, ma tramite piccoli gesti e premurose attenzione nei suoi
confronti, Christine s’era resa conto che dietro le minacce,
dietro i suoi rimproveri, dietro quella maschera che si ostinava a
portare, si nascondeva un uomo solo, bisognoso di affetto, ma che,
nonostante ne fosse sprovvisto , ne sapeva anche donare. In quel lasso
di tempo aveva iniziato a provare affetto per quell’essere
che si nascondeva nell’ombra ed in seguito quel sentimento
era cresciuto ed era diventato qualcosa di più forte e
coinvolgente,qualcosa che le bruciava nello stomaco ogni volta che lui
la guardava, ogni volta che lui pronunciava il suo nome …
l’affetto s’era tramutato in attrazione. Christine
era ingenua ed era così giovane e inesperta che non sapeva
dare un nome a quella strana sensazione che la divorava. Solo alla
fine, quando quell’unico bacio che gli aveva dato aveva
sigillato il loro addio, aveva capito di amarlo. Ma nonostante questo,
Christine, dovendo scegliere tra una vita
nell’oscurità e una vita alla luce del sole con
tutti gli agi che un matrimonio con un nobile poteva darle, aveva
scelto la strada più semplice e scontata. E per questo si
malediva ogni giorno. Se solo avesse …
-“Piccola Lottie va tutto bene? Sei stranamente taciturna
stamane … di solito scambiamo almeno una decina di parole al
mattino. Oggi invece ne hai dette solo quattro!”
scherzò il visconte.
-“Oh è un nonnulla. Sono solo stanca, d'altronde
l’incubo di questa notte mi ha spossata. Inoltre sono
emozionata per le nozze … ma ci pensi? Fra meno di due
settimane saremo marito e moglie. Sembra passato una vita da quella
volta sulla spiaggia di Perros, quando recuperasti coraggiosamente la
mia sciarpa rossa dai flutti dell’oceano! E ora staremo
insieme per sempre …” l’entusiasmo si
smorzò a quest’ultima affermazione, ma Raoul non
sembrò accorgersene.
-“Mia cara, ora devo proprio andare . Ti auguro buona
giornata.”-fece per alzarsi però-“Ah
Lottie tutto quello che ti chiedo di fare è di non dare
ascolto a quello che dice mia madre; lei è troppo legata
all’etichetta e a tutto il resto …”
-fece un gesto eloquente con la mano- “mi rendo conto che per
te sia difficile abituarti al mondo dell’elite parigina, ma
non disperare, io sarò sempre al tuo fianco a
sostenerti.”e le prese la mano e la baciò
delicatamente.
Il sorriso che si aprì sul volto di Christine fu uno dei
più sinceri e genuini degli ultimi tempi;Raoul la spiazzava
sempre con certi discorsi, la colpiva nel profondo e la lasciva senza
parole, sicché l’unica cosa che riuscì
a dire fu semplicemente: “Grazie …”
Raoul la liberò dalla dolce morsa delle sue mani, si
alzò e dopo una piccola riverenza uscì dalla sala
da pranzo.
L’amore che provava per lui era quello che avrebbe
potuto provare per un fratello e non sapeva se questo, dopo il
matrimonio, sarebbe cresciuto fino a diventare l’amore
sincero ed incondizionato che una moglie prova per un marito
. E con questo peso sul cuore Christine lasciò a
sua volta la stanza.
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Dopo che Raoul se n’era andato, Christine era salita in
camera sua per recuperare alcune cose che le servivano per
l’uscita che si apprestava a fare con Madame De
Chagny. Come la padrona di casa aveva avvertito, la giovane
non si fece attendere, anzi anticipò la donna.
La prova dell’abito durò più del
previsto e questo scocciò molto la contessa, ma soprattutto
stancò Christine che fu costretta a rimanere in piedi di
fronte ad uno specchio per almeno tre ore. Alla fine quando uscirono
dalla prestigiosa boutique, la giovane espresse il suo desiderio di far
visita alla sua vecchia tutrice e come si aspettava, la donna
mostrò tutto il suo disappunto, concedendole la visita ma
affermando che non l’avrebbe accompagnata : “ Cara
io ho altre commissioni da sbrigare, per cui ti accompagnerò
e poi fra due ore il cocchiere tornerà a
prenderti.”
La lasciò proprio sull’uscio
dell’abitazione di madame Giry e poi la carrozza riparti al
galoppo tra le stradine della suburra parigina.
Christine bussò piano alla porta, pregando che vi fosse
qualcuno. Le sue preghiere non furono vane , poiché dopo
nemmeno un minuto la donna, che le aveva fatto da madre dopo che il suo
adorato padre era morto, aprì la porta. Sul volto di madame
Giry passarono in un secondo diverse emozioni : felicità,
sorpresa, rabbia, rimorso,delusione e molte altre.
-“Ch…Christine cosa ci fai qui?!”-
-“Madame credevo mi avreste accolta con più calore
… a quanto pare mi sbagliavo.”-disse la giovane
abbassando il capo.
-“Oh no non fraintendermi mia cara. Sono felicissima che tu
sia venuta qui a bussare alla mia porta, che tu non ti sia dimenticata
di me … è solo che non mi aspettavo una tua
visita, mi hai solo colta impreparata!” le fece un sorriso e
la invitò ad entrare.
Mentre la donna la faceva strada nella piccola casa , Christine prese
coraggio e disse : “Madame dobbiamo parlare!”
Madame Giry sobbalzò, come colta in flagrante :
“Di cosa mia cara?” temeva la risposta che le
avrebbe dato la giovane soprano, ma sapeva che quel giorno sarebbe
arrivato.
Christine fu lapidaria,laconica, un solo nome uscì dalle sue
labbra : “Erik…”
Angolino di Farah:
vedo con dispiacere che a nessuno è piaciuta la mia ff!
vabbè io non demordo e posto un nuovo capitolo. Spero che
almeno questo, anche se misero ed inconcludente possa interessare a
qualcuno. Come al solito vi invito a lasciare una piccola recensione.
Mi scuso per gli eventuali errori, ma non ho avuto tempo di rileggere.
A buon rendere quindi, ci si becca al prossimo capitolo XD
PS: so che i
dialoghi fanno un po’ pena e sono abbastanza scarsi, pardon!
È solo che ho poca fantasia … XP
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Capitolo 3 *** Hard To Say Goodby ***
Capitolo
3: Hard to say Goodbye
Mentre
la donna la faceva strada nella piccola casa , Christine prese coraggio
e disse : “Madame dobbiamo parlare!”
Madame Giry
sobbalzò, come colta in flagrante : “Di cosa mia
cara?” temeva la risposta che le avrebbe dato la giovane
soprano, ma sapeva che quel giorno sarebbe arrivato.
Christine fu
lapidaria,laconica, un solo nome uscì dalle sue labbra :
“Erik…”
Madame la
fissò con occhi sbarrati, con il cuore che le batteva a
mille, come una preda messa all’angolo dal cacciatore. La
determinazione di Christine la spaventava e non le faceva presagire
nulla di buono. Non rispose e cercò un modo per liquidarla,
ma la giovane la fissava intensamente in attesa di una sua replica.
-“
Non c’è nulla da dire … il povero Erik
è morto come ben sai. Il suo necrologio è apparso
sul Figaro’ non più di due mesi fa; tutta
Parigi sa che il Fantasma dell’opera è
passato a miglior vita! Mi meraviglio che tu venga qui a chiedermi sue
notizie, pensavo che …” cominciò a dire
la donna, che si torturava le mani nervosamente.
-“Madame
…”-la interruppe bruscamente Christine
–“sono cresciuta oramai, non credo più
alle vostre bugie! So per certo che lui non è morto, ma che
è ancora tra noi e calpesta la terra dei vivi! Ditemi dove
si trova!”-prese fiato, forse aveva alzato troppo la voce,
perché madame Giry era diventata bianca come un cencio.
La donna
abbassò il capo e poi con un riso cinico rispose :
“Perché?”- sussurrò, poi
alzò la voce colta da uno spasmo d’isteria :
“Perché continui a cercarlo? È comico e
allo stesso tempo egoistico da parte tua ,mia cara: l’hai
abbandonato di fretta e furia,l’hai tacciato dei
più terribili misfatti,l’hai condannato
all’inferno più buio ed ora vuoi sapere da me dove
si trova, forse per cercarlo, per chiedere il suo perdono?! Non ha
sofferto abbastanza a causa tua? Quanto ancora dovrà patire
per i tuoi capricci?”
Christine
ammutolì, non aveva mai pensato alla sofferenza che gli
aveva arrecato con la sua fuga, ma egoisticamente aveva sempre
rimuginato sempre e solo sul suo di dolore. Quelle parole dure gridate
con così tanta rabbia, ridussero il suo cuore,
già incrinato, in mille pezzi.
Madame
continuò con toni più pacati :
“Lascialo andare … perché ti ostini a
volerlo rivedere! Digli addio una volta per tutte, sarà
più facile per te e vivrai felice, sapendo che gli hai dato
l’opportunità di disintossicarsi dal tuo costante
pensiero …”
-“
Io… Io non riesco a lasciarlo andare, è
più forte di me. Quando sono fuggita via non pensavo sarebbe
finita così, con me che lo cerco e lui che si finge morto e
si da alla macchia. Non riesco a non pensarci,è come avere
una ferita che si rimargina e poi si riapre in un infinito ciclo
sadico. Tutto in me grida che lo rivoglio nella mia vita! Ho provato a
soffocare tutto questo, come si fa con la cenere ed il fuoco, ma ho
sortito l’effetto contrario, il fuoco
s’è ravvivato invece di spegnersi. E brucia,
brucia ogni qualvolta penso a lui e a quello che sarebbe potuto
accadere se non l’avessi lasciato!”- si
fermò, aveva esaurito tutto il fiato che aveva in
corpo. Aveva guardato madame Giry negli occhi e le aveva
aperto il suo cuore e la sua mente, aveva fatto straripare il flusso
dei suoi pensieri e li aveva riversati in quel discorso accorato. Si
rese conto che forse potevano sembrare quasi ridicole certe
affermazioni, dette da una ragazza di vent’anni che non aveva
mai conosciuto l’amore, quello vero, ne tantomeno la passione
che infiamma le membra di un uomo e una donna. Così
abbassò il capo e con voce flebile aggiunse : “ Mi
piacerebbe trovare un modo per cancellare tutto quello che è
stato, per cancellare la sua presenza ossessiva dalla mia mente, ma
è troppo difficile, anzi è impossibile. Non
è così facile come sembra per me dirgli addio
…”.
Madame Giry la
fissò per alcuni secondi senza sapere cosa dire, poi si
addolcì e indossò il sorriso materno che le si
addiceva di più. Poggiò la sua vecchia mano su
quelle lisce e giovani di Christine, che fino a quel momento le aveva
strette in grembo e le aveva torturate fino a farle arrossare :
“So che è difficile ma dovresti provarci, se non
per il suo bene, almeno fallo per te stessa. Ti autodistruggerai se non
smetterai di pensarci. Provaci …”
Christine si
fece rossa in viso e sfilò furiosamente le mani dalla calda
e rassicurante presa della donna : “ Ma vi ascoltate quando
parlate? Volete dar pace alla mia anima ma non vi accorgete che volete
solo porre rimedio a ciò che avete fatto … Si,
è colpa vostra se adesso mi trovo in queste condizioni; se a
suo tempo mi aveste tenuta lontana dall’angelo della musica
ora non sarei qui a chiedervi convulsamente sue notizie. E’
tardi ormai per trovare una panacea a questo male, a questa
intossicazione.”-si alzò di scatto dalla sedia
dove s’era accomodata all’inizio di quella
discussione e sovrastò con la sua statura la donna ancora
seduta, che ormai non sapeva più come dissuadere la giovane
dalla sua ricerca. Madame rimase immobile aspettandosi il peggio.
-“Vi
conviene dirmi dove si trova, altrimenti
…”-“Altrimenti cosa Christine?! Ti
recherai alla gendarmeria e chiederai aiuto a loro? Io sono
l’unica persona con cui puoi parlare di Erik, tutti gli altri
ti crederebbero pazza!”
-“
Tanto meglio, così quando mi toglierò la vita
gettandomi nella Senna, tutti crederanno che fossi pazza, ma
l’unica che saprà la verità sarete voi.
Il rimorso vi tormenterà finché
vivrete!”- la fissò per un istante :
“Certo questo accadrà solo se lascerete senza
risposta la mia richiesta.” Restò in attesa di una
reazione da parte della sua vecchia tutrice.
-“
Non oseresti tanto, sei giovane, impulsiva e impavida, ma non stupida
fino a tal punto … almeno spero!”
-“Lo
farò se non acconsentirete alle mie
richieste!”urlò esasperata, con le lacrime che
premevano per uscire. Un groppo le serrò la gola, era
sull’orlo di precipizio, non vedeva via d’uscita da
quella situazione : se madame non avesse parlato, se non le avesse
indicato il luogo in cui si nascondeva il suo adorato maestro,
l’avrebbe perso per sempre.
Madame Giry
sospirò rassegnata, capendo il terribile sconforto che
attanagliava l’animo della sua giovane figlioccia :
“ Dopo che sei fuggita dall’operà , Erik
era distrutto e anche lui per la verità voleva porre fine
alla sua miserevole vita. Venne a dirmi addio ed io lo persuasi a
lasciar perdere il suo folle intento. Dopo un’accesa
discussione circa i pro e i contro di una vita senza di te, senza la
tua voce a fargli compagnia, accantonò l’idea di
togliersi la vita. Ma indubbiamente qualcosa dentro di lui
s’era spezzato: non era più l’uomo
subdolo e furbo che avevo imparato a conoscere, non era più
l’oscura presenza che terrorizzava il teatro. Il signore
delle botole, il figlio del diavolo, il fantasma dell’opera
era morto lasciando spazio ad un uomo fiaccato nel corpo e
nello spirito. I suoi occhi, un tempo due tizzoni ardenti, erano
spenti, lontani, persi nel vuoto. Mi disse che avrebbe vissuto
nell’attesa perenne del tuo ritorno.”
Sospirò ripensando alla pena che aveva mosso in lei la vista
di quell’uomo diabolico messo al tappeto da una giovinetta
inesperta.
-“Disse
che sarebbe andato via dalla dimora sul lago, perché ogni
cosa lì gli ricordava i momenti passati con te …
mi informò di aver trovato un luogo poco fuori Parigi, dove
passare il resto della sua misera vita. Se non vado errato disse che si
trattava di una vecchia casetta di campagna abbandonata o del capanno
di un guardiacaccia. Il vecchio Erik però non era
definitivamente andato, perché spiegò la sua
scelta con il fatto che lì affianco ci fosse un cespuglio di
rose rosse. Questo è tutto quello che so. Da quella volta
non l’ho più rivisto e francamente non credo che
lo troverai nel luogo che ti ho indicato.”
-“Le
campagne che circondano Parigi sono immense, si estendono per decine di
chilometri! Deve darmi qualche altro indizio; non posso errare per
campi alla ricerca di un cespuglio di rose! Quale direzione devo
prendere, quanto tempo impiegherò a cercarlo, è
vicino a qualche provincia …”
Madame Giry la
interruppe nel bel mezzo di quella lista di domande :
“è sulla strada per Villemomble*, non puoi
sbagliarti, il paesino è piccolo e la sua dimora
è dimessa e in cattive condizioni. Lo troverai di
sicuro.”
In quel
momento, il silenzio che era calato tra le due donne, venne interrotto
da un lieve bussare alla porta. Madame si alzò per andare ad
aprire; Christine non le tolse un attimo gli occhi di dosso e si rese
conto che l’accesa discussione che avevano appena avuto,
aveva fiaccato la sua vecchia tutrice, che si mantenne per alcuni
secondi allo stipite della porta. Dopo nemmeno un minuto che era
scomparsa dalla sua vista, la donna tornò rinvigorita :
“è la tua carrozza. Devi andare!”
Christine si
affrettò verso la porta e si fermò sulla soglia :
“So che vi ho arrecato solo disturbo con la mia visita, ma
grazie infinite lo stesso.”e fece una piccola riverenza.
Madame Giry la fermò per una mano, prima che potesse uscire
dalla piccola casa,e l’attirò in un abbraccio
materno che commosse la giovane. Poi l’allontanò
da se quel poco che le permetteva di guardarla bene negli occhi,e la
tenne per le spalle : “Mi raccomando presta attenzione lungo
la strada. Il cammino che hai scelto non è certo facile da
percorrere, ma è ricco di insidie e turbamenti. Ricordati
che io ci sarò sempre per te, finché il buon Dio
mi darà la forza.”disse con tono grave, poi
l’accompagnò alla carrozza e restò
lì a fissare la vettura mentre girava l’angolo.
Poi mentre rientrava in casa, sperò con tutta se stessa di
aver fatto la cosa giusta.
Farah’s
corner : allooora ecco qui un nuovo capitolo! Per la verità
questo è un piccolo ma fondamentale capitolo di transizione
… Grazie a MARUSK ed _aris_ che, grazie alle loro
recensioni, mi hanno dato l’energia e
l’ispirazione per scriverlo! Cmq chissà
se Christine troverà Erik dove le ha indicato madame Giry
….mah! Il prossimo capitolo arriverà entro il
fine settimana o chissà, se gli impegni universitari me lo
consentiranno anche prima,e ci saranno rivelazioni e colpi di scena
quindi vi invito a seguire! Ci si vede al prossimo capitolo XOXO
PS: mi rendo conto
che forse qui Christine ha un carattere diverso rispetto al libro e al
film, ma l’ho inteso come un cambiamento dovuto a quello che
ha vissuto, quindi una crescita e una maturazione.
*Villemomble
è un piccolo comune alla periferia di Parigi, e dista circa
10-15 km. Non ha un significato particolare, ma l’ho scelto
semplicemente perché mi piaceva il nome e poi su google
maps, quando ho chiesto le indicazioni stradali, mi partiva da rue de
Rivoli (strada adiacente all’operà), quindi mi
è sembrato un segno e da qui questa scelta! So che non ve ne
può fregare di meno, ma io lo scrivo lo stesso XD
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Capitolo 4 *** Silent as a grave... ***
Capitolo 4: Silent as
a grave …
La
carrozza con il blasone della famiglia De Chagny viaggiava spedita per
le strade parigine, affollate di persone indaffarate. Christine,cullata
dall’andamento della vettura, pensava alle ultime parole che
madame le aveva detto: “Mi raccomando presta attenzione lungo
la strada. Il cammino che hai scelto non è certo facile da
percorrere, ma è ricco di insidie e turbamenti.”-
Sapeva che la sua vecchia tutrice non si riferiva alla strada per
Villemomble, ma che, sepolto sotto quella semplice raccomandazione, si
nascondeva un avvertimento in piena regola. Madame la stava mettendo in
guardia su Erik, su quello che avrebbe potuto fare nel momento in cui
se la fosse ritrovata davanti e sui rischi che correva se la famiglia
di Raoul avesse scoperto questa sua visita. Christine aveva imparato
tempo addietro come interpretare le frasi sibilline della vecchia
insegnante del balletto.
Scostò le tendine dal finestrino e sobbalzò
quando si rese conto che la carrozza stava passando su place de
l’operà: guardò
quell’imponente edificio,sulla cui cima, brillava al sole
primaverile la statua d’oro di Apollo con la lira. I ricordi
cominciarono a riaffiorare prepotentemente, nonostante li avesse chiusi
in un cassetto della sua mente. Lacrime salate le scivolarono come
perle lungo le guance; chiuse di scatto la tendina e si
abbandonò ad un pianto liberatorio,contro il sedile della
carrozza. Come poteva vivere con un tale peso sul cuore, come poteva
andare avanti a nascondere un tale segreto … doveva
assolutamente parlarne con qualcuno, ma con chi? Si rese
improvvisamente conto di essere sola. Nessuno poteva recare conforto al
suo cuore …né Raoul,né madame
Giry,né Meg,né tantomeno Madame De Chagny
…
L’unica persona che poteva guarirla da quel male
che la distruggeva dentro, era lui, Erik. Ma era anche
l’unica persona che in quel momento, da quanto le aveva detto
madame Giry, non voleva vederla … non c’era via di
scampo da quell’impasse!
L’unica cosa che forse poteva calmarle i nervi in quel
momento era una visita alla tomba dell’adorato padre.
Aprì il piccolo oblò che stava alle spalle del
cocchiere : “Maurice facciamo una deviazione, mi porti al
cimitero monumentale di Perè-Lachaise!”
-“Madamoiselle ho il preciso ordine di riportarla alla
residenza senza nessuna sosta o deviazione; ordini della
contessa!” rispose perentorio il cocchiere
attempato,girandosi per intimidire la giovane con lo sguardo.
-“Maurice, la prego, ne ho bisogno … infondo vado
solo a far visita alle spoglie di mio padre. Parlerò
personalmente con la contessa e le dirò che voi siete stato
ligio al dovere e che mi avete impedito di andare, ma che io ho
insistito! Non si preoccupi non farò nulla per compromettere
il suo lavoro …” e accompagnò queste
parole con un sorriso che avrebbe fatto sciogliere il più
gelido dei cuori. Il cocchiere la guardò e sorrise, infondo
Christine gli era simpatica : “A madame potremmo sempre dire
d’aver trovato un ingorgo di carrozze!”e le fece
l’occhiolino.
Christine sorrise di rimando : “Grazie mille!”
richiuse l’oblò e si riaccomodò sul
sedile.
La carrozza procedette a rilento per almeno un altro quarto
d’ora, poi accelerò l’andatura e
Christine seppe di essere quasi arrivata. Infatti la vettura correva
libera, senza ostacoli, lungo il viale d’accesso
dell’immenso cimitero.
Dopo poco Maurice arrestò la corsa dei cavalli, che
nitrirono contrariati, e venne ad aprire la porta.
-“Maurice tornerò fra breve, non si
preoccupi.”
-“ Faccia con calma madamoiselle, io sarò qui ad
aspettarla, intanto farò riposare i cavalli.”
Christine voltò le spalle al cocchiere e si avviò
all’interno; c’era un ricordo legato a quel luogo
che la disturbava: l’ultima volta che era stata lì
due degli uomini più importanti della sua vita
s’erano quasi uccisi a vicenda. Cercò
disperatamente di scacciarlo, ma rimase lì dinanzi ai suoi
occhi del nord. Vedeva lo svolgersi di quei funesti eventi, come
fossero in corso. Tornare lì era come rivivere quella fredda
mattina di dicembre in cui era andata sulla tomba del padre per
sbrogliare la matassa confusa dei suoi dubbi ed invece ,alla fine aveva
solo ingarbugliato di più la sua già delicata
situazione. Era come un deja-vu!
Quel posto incuteva un timore reverenziale : le tombe scure e
silenziose si ergevano verso il cielo, come a cercare il paradiso; i
fiori erano l’unica chiazza di colore in quel mare di bianco
e nero.
Si rammaricò di non aver nessun omaggio floreale da posare
sulla sepoltura paterna, ma rimediò quando passò
affianco ad un cespuglio di margherite selvatiche: ne raccolse un
piccolo mazzetto e lo legò con un nastrino blu che aveva al
polso. Sarebbero bastate per quella volta.
I piccoli sentieri tra le sepolture la portarono a destinazione. Si
avvicinò con rispetto al mausoleo dedicato al violinista
scandinavo, sul quale frontone campeggiava a chiare lettere il cognome
DAEE’.
Ricordi lontani le esplosero nella mente: il giorno del funerale del
padre,fu uno dei più terribili della sua giovane vita; il
cielo era cupo e sembrava volesse piangere la prematura scomparsa di un
così virtuoso musicista;al suo fianco c’erano solo
mamma Valerius e madame Giry, nessun altro piangeva la morte di Gustave
Daee’. Il padre non aveva molti amici e quei pochi che aveva
avuto, s’erano volatilizzati non appena lui era finito sul
lastrico. Il signor Daee’ era un uomo orgoglioso e non
avrebbe mai elemosinato nulla, quindi s’era rimboccato le
maniche e aveva fatto quel che poteva per crescere la sua unica figlia
in maniera quantomeno decorosa. Viveva alla giornata, di lavori
saltuari e quei pochi franchi che riusciva a racimolare erano destinati
unicamente alla sua piccola Lottie. Il giorno della sua morte non
c’erano nemmeno i soldi per i funerali, ma mamma Valerius,
borghese abbiente che aveva preso a cuore la sorte di Gustave e
Christine, volle dare degna sepoltura a quel pover uomo e gli
comprò una piccola cappella nel cimitero più
grande e famoso di Parigi. Christine non le sarebbe mai stata
abbastanza grata per quel gesto.
La giovane si inginocchiò sugli scalini del piccolo mausoleo
e cominciò a pregare per l’anima paterna.
-“Padre, cosa devo fare?”-chiese alla muta
tomba-“Devo seguire ciò che mi suggerisce la
società, ed avere una vita felice al fianco del caro Raoul,
o devo ascoltare il mio cuore ed inoltrarmi in territori sconosciuti,
dai quali non so se farò ritorno?” ovviamente
tutto rimase silenzioso ed immutato, non un rumore turbava la quiete
immortale di quel luogo.
-“Padre sono sola; anche madame Giry non mi è
più di alcun aiuto … ”
abbassò il capo e trattenne le lacrime, che ultimamente
facevano troppo spesso comparsa nei suoi occhi. Il padre non avrebbe
approvato questa sua condotta;le aveva insegnato ad essere forte e in
quel momento lei si sentiva tutt’altro che forte: si sentiva
come una bimba smarrita, alla ricerca di un caldo abbraccio in cui
infilarsi per farsi consolare.
-“Vorrei che tu e la mamma foste qui con me, a consigliarmi e
a confortarmi …mi manchi…” in quel
momento si sentì proprio una stupida: cosa poteva risolvere
quel discorso, anzi soliloquio, con la tomba del padre?
-“Nulla …”fu la risposta che si diede,
rispondendo ad alta voce ai suoi pensieri. Ormai era una donna, non
aveva bisogno che qualcuno la consigliasse o che la incoraggiasse, era
abbastanza matura da ponderare e fare le sue scelte.
Si alzò e salì i tre scalini di marmo nero che
portavano al piccolo cancello del mausoleo. Depositò il
piccolo mazzolino di margherite nell’inferriata e si fece il
segno della croce. –“Håll nära
mig till ditt hjärta”-‘tienimi vicina al
tuo cuore’ salutò il padre con una delle poche
cose che sapeva dire in svedese,era il loro saluto speciale. Se il
padre avesse potuto risponderle le avrebbe detto
‘Alltid’:sempre. Si voltò per tornare da
Maurice. Stava per scendere quei pochi gradini, quando qualcosa la
bloccò e le tolse il fiato: nell’esatto punto in
cui s’era inginocchiata per pregare, una rosa rossa,listata
di nero, giaceva abbandonata. Si precipitò a prenderla e si
guardò intorno: un’ombra nera scivolò
furtiva lontano. Christine cercò di seguirla, ma
l’ombra era già scomparsa.
-“Erik”- urlò, nella speranza che la
sentisse; sapeva che era ancora lì da qualche parte,
nascosto, da buon fantasma qual era, dietro qualche sepolcro.
–“Verrò a cercarti, ovunque tu ti
nasconda…”aggiunse poi, sussurrando.
S’incamminò, convinta ancor di più
della strada che aveva deciso di percorrere.
Corse verso l’uscita, verso Maurice, verso quella carrozza
che l’avrebbe portata tra le braccia premurose di Raoul
… braccia che purtroppo non erano quelle da cui voleva
essere stretta.
Farah’s
corner: comincio con il dire che questo capitolo è nato
sotto la stella della non-ispirazione. Infatti fa abbastanza pena, e
non aggiunge niente di che alla trama. Sinceramente non mi piace
nemmeno tanto Christine, che si piange addosso; insomma sono
insoddisfatta… Cmq spero lo stesso che leggiate e che alla
fine non mi maledirete per questo capitolo, che si è fatto
tanto aspettare ma che non è riuscito come volevo. Pardon!
Alla prossima volta ;)
Ps: credo che il prossimo capitolo sarà pov erik :D
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Capitolo 5 *** Here without you ... ***
Capitolo
5 : Here without you
-Pov
Erik-
Cinque mesi.
Cinque
mesi erano passati da quando l’aveva vista l’ultima
volta. Beh, da quando
l’aveva vista realmente, perché lui la vedeva ogni
notte nei suoi sogni, o
meglio incubi. Svegliarsi ogni giorno era come morire ripetutamente:
sognava di
stringerla tra le braccia, di baciare le sue labbra morbide,di averla
al suo
fianco, finalmente solo sua, di nessun altro… nessun
damerino sbarbatello tra i
piedi,nessuna madame Giry contrariata; solo lui e la sua musa. Ma al
risveglio,
lo scoprire che era tutto frutto, per l’ennesima volta, della
sua
immaginazione, lo uccideva. Era come ricevere infinite stilettate al
suo già
martoriato cuore. Lo starle vicino l’aveva reso debole, in
tutti i sensi. Non
aveva sue notizie da mesi:le ultime voci che erano giunte fin nel buio
del suo
nascondiglio, la volevano felicemente fidanzata con il rampollo De
Chagny e
prossima alle nozze. Tutto ciò voleva solo dire che lei
l’aveva dimenticato,
nonostante avesse promesso di non farlo. Le aveva offerto il suo cuore,
diviso
in quattro parti e lei l’aveva preso e l’aveva
usato finché le era piaciuto,
poi l’aveva buttato via. Ma nonostante tutto non serbava
rancore nei suoi
confronti , era solo seccato di quella situazione: prima
dell’arrivo di
Christine all’opera, la sua vita, seppur vissuta nei meandri
della società
parigina, era trascorsa al riparo dagli sguardi della gente , tra
un’azione
turpe ed un’altra … non s’era mai
preoccupato delle sue azioni. Ma da quando la
piccola Daee era entrata nella sua vita s’era sentito quasi
in dovere di
rendere conto della sua condotta a lei e ai suoi occhi limpidi come i
cieli
della Persia, che lo imploravano di non commettere più
atrocità. Ricordava
ancora come l’aveva guardato dopo la morte
“accidentale” di Joseph Bouquet : il
suo sguardo tradiva terrore nei suoi confronti, ma anche pena per la
sua anima,
che sicuramente, dopo essere uscita da quella orrenda prigione che
continuava a
chiamare corpo, avrebbe bruciato all’inferno per
l’eternità.
Il pensiero
costante di
Christine lo aveva spinto ad allontanarsi dal suo regno,almeno
finché non si
fossero calmate le acque: sulla sua testa pendeva ancora una taglia di
mille
franchi. Poi però l’annuncio della sua morte era
apparso sul giornale più letto
di Parigi, e i suoi problemi erano finiti: nessuno lo aveva
più cercato. Aveva
però, deciso comunque di andarsene. Tutto
all’operà le ricordava lei, la sua
voce, i momenti passati insieme a deliziarsi con la dolce musica, che
lui
scriveva solo per lei. Ma tutti gli sforzi che aveva fatto per
disintossicarsi
da lei, dalla sua costante presenza,non erano serviti a nulla.
L’aveva
estirpata dal suo cuore, come si fa con un’erbaccia, ma
quella aveva rimesso
radici dopo poco tempo. Non avrebbe mai trovato un rimedio a quel male
d’amore:purtroppo Christine era entrata nel suo cuore e non
se ne sarebbe più
andata.
Per distrarsi,
aveva
tentato di scrivere una nuova opera, ma ogni giorno ricominciava
daccapo,
poiché alla sera, prima di addormentarsi sfinito da qualche
parte, distruggeva,in
preda alla follia, ogni spartito.
Purtroppo, Orfeo
aveva
perso la sua amata Euridice. Lui, da sempre al servizio della
musica,non
riusciva più a comporre niente di decente, o che quantomeno
si avvicinasse alle
sue opere precedenti. L’ispirazione era andata via la notte
dell’incendio,insieme a Christine.
Ora viveva
nascosto dal
resto dell’umanità a Villemomble, in una vecchia
cascina abbandonata. Nessuno
aveva notato il suo insediamento in quella casa, nessuno se
n’era accorto: era
arrivato lì di notte, con il favore delle tenebre. Viveva in
quel buco già da
diversi mesi, ma non si sarebbe mai abituato a tutto quello:
l’agio e il
comfort della casa sul lago gli mancavano. Ora che non c’era
nemmeno più madame
Giry a procurargli di che vivere, s’era dovuto ingegnare.
Appena scendeva la
sera, piazzava delle piccole trappole tutt’intorno alla casa e al mattino
recuperava quelle
poche bestiole che, sfortunatamente per loro ,capitavano nei suoi
tranelli. Infondo
era sempre stato bravo con i nodi e i lacci.
Quello stesso
giorno, andando
alla sua solita visita alla tomba di Gustave Daee, l’aveva
vista e il suo
povero cuore aveva perso un battito: bellissima ed eterea come sempre,
ma con
un’infinita tristezza negli occhi. L’aveva
osservata per diversi minuti, in cui
lei aveva parlato con il padre, forse,ma la distanza che li separava
non gli aveva
permesso di ascoltare quello che diceva. Dalla sua faccia stravolta,
però,
aveva capito che doveva essere qualcosa di grave: sperò per
quello sciocco
damerino che non fosse colpa sua,altrimenti, l’avrebbe
raggiunto ovunque e
glie’avrebbe fatta pagare per ogni lacrima che la sua pupilla
aveva versato.
Quando Christine s’era alzata per avvicinarsi
all’entrata del mausoleo, lui,
fulmineo come un’ombra aveva depositato la rosa ,che aveva
raccolto dal roseto
vicino alla cascina, dove lei s’era inginocchiata. Poi,sempre
silenzioso come
un fantasma, aveva voltato le spalle al suo eterno amore e con l’anima
stretta in una morsa letale era
tornato sui suoi passi.
Ma
all’improvviso, un
grido aveva squarciato il perenne velo di silenzio che aleggiava su
quel luogo
solenne. Il suo nome era risuonato
nella
quiete eterna del cimitero, tra le lapidi grigie. S’era
fermato, con il cuore
che gli batteva nel petto come un forsennato, indeciso sul da farsi:
tornare
indietro o continuare per la sua strada?
Meglio per
entrambi se
non si fossero visti mai più, quindi aveva continuato a
camminare verso
l’uscita anteriore del cimitero. Se n’era pentito
subito.
Ma ora era
lì, fermo ad
osservare la lettera che madame Giry gli aveva fatto recapitare.
L’aveva letta
e riletta, per farsi entrare nella mente quelle parole, che per lui in
quel
momento non avevano senso: “Christine sta tornando da te! Sa
dove sei,verrà a
cercarti. A te la scelta…”
Come? Christine,
la sua
adorata musa, il suo angelo, tornava da lui, dopo averlo abbandonato?!?
Non
poteva essere, e poi perché? Sicuramente voleva il suo
perdono, voleva mettersi
l’anima in pace prima di convolare a nozze con il visconte
… forse voleva anche
la sua benedizione! Poi se ne sarebbe andata di nuovo e
l’avrebbe abbandonato come
un tempo; ma non sapeva se quella volta sarebbe riuscito a sopportare
tutto
quello che aveva passato negli ultimi mesi. Questa volta sarebbe morto
sicuramente … e poi lei lo cercava, ma lui non sapeva se
voleva vederla. Forse
questa volta sarebbe stato lui a ferirla, non si sarebbe fatto trovare!
Rimuginare sulle
cose non
era mai stato nel suo stile; forse a volte aveva meditato vendetta, ma
soffermarsi
troppo sul da farsi non era da lui … di solito agiva
d’istinto! I suoi pensieri
erano veloci e chiari, quanto il laccio del suo punjab era fulmineo e
letale.
Così
su due piedi decise
di dover abbandonare la cascina di Villemomble, madame gli aveva detto
che
Christine sapeva, quindi sarebbe venuta a cercarlo proprio
lì. Lui intanto sarebbe
tornato nel suo regno a prova di intrusi. Forse lì non
l’avrebbe cercato, ma
anche se fosse tornata nel luogo dove tutto era cominciato, avrebbe
trovato
solo distruzione e ciò l’avrebbe dissuasa
dall’avventurarsi nella dimora sul
lago. Sperava che le cose andassero così …
Racimolò
le poche cose
che aveva portato con sé, indossò la mezza
maschera, sua compagna di vita, e
poi sedette allo scrittoi e intingendo la penna nel calamaio scrisse
poche
righe a madame: << Il fantasma
dell’opéra è
tornato…>> la Giry
avrebbe capito.
Lasciò
,con il favore
della notte,Villemomble per tornare nel cuore della civiltà,
dopo mesi di
isolamento. Parigi, crogiuolo di tutti i vizi e le perversioni, lo
credeva
morto, ma non sapeva che, infervorato da quella lettera, lo spietato
figlio del
diavolo stava tornando!
Angolino
di Farah: allora che dire… nulla!
Nonostante sia breve questo capitolo mi piace e spero piaccia anche a
voi. Come
vedete Erik, mon amour, sta tornando all’attacco, beh per la
verità si sta
andando a nascondere per l’ennesima volta, ma non conosce
bene Christine, se
crede che si farà fermare da qualche specchio rotto e vecchi
mobili bruciati!
Cmq siamo vicini all’epilogo che, ispirazione permettendo,
arriverà entro
settimana! Buona lettura e spero che tu, caro lettore, lasci una
piccola
recensione! ;)
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Capitolo 6 *** Lies and betrayals ***
Capitolo
6: Lies and betrayals
-3
giorni al
matrimonio
Christine,
dopo una
settimana di preparativi per la sua “visita fuori
Parigi”, era pronta per
andare. Aveva detto a madame De Chagny che andava di nuovo da madame
Giry , e
questa coma la volta precedente non aveva nemmeno accennato ad andare
con lei.
Poi aveva convinto Maurice, dietro lauto compenso, ad accompagnarla a
Villemomlbe: il cocchiere s’era incuriosito e le aveva
chiesto spiegazioni.
-“Madamoiselle
cosa
ha da fare a Villemomle di così importante,da non potere
aspettare dopo le
nozze?”- di solito non si impicciava dei fatti dei padroni,
ma quella volta
volle fare un’eccezione, si preoccupava per la giovane Daee.
-“Vado
a trovare un
amico di mio padre, voglio informarlo delle mie nozze. Gli
farà sicuramente
piacere sapermi accasata con un nobile!”- Christine aveva
preparato una scusa,
così se Maurice avesse chiesto spiegazioni, non avrebbe
temporeggiato a
rispondere e quindi non avrebbe insospettito il cocchiere.
Erano
le dieci
precise, quando la carrozza varcò i cancelli della tenuta De
Chagny, diretta
verso la provincia parigina.
Affacciata
al
finestrino della carrozza, la giovane soprano vedeva scorrere davanti
ai suoi
occhi la campagna che si estendeva per decine di chilometri in ogni
direzione: i
fiori coloravano di mille sfumature i campi, le rondini tracciavano
infinite
spirali nel cielo terso, i cani delle fattorie vicine latravano in
amore. Il
sole illuminava quella giornata primaverile, così importante
per Christine, e
le accarezzava la pelle diafana, facendola arrossare un po’.
Respirò a pieni
polmoni quell’aria pura, carica di profumi e promesse.
Maurice
fischiettava
come al solito, qualche ballata che aveva ascoltato qua e là
nelle taverne che
frequentava assiduamente. Tutto quel sole, quella vita, le fecero venir
voglia di cantare : “We never said our love was evergreen,or
as unchanging as
the sea, but if you can still remember … stop and think of
me!”- poche battute,
di quell’aria che l’aveva consacrata alla fama. Maurice
taceva e anche la campagna tutt’attorno era muta:
tutto s’era fermato quando la prima nota era uscita dalle sue
labbra.
-“
Madamoiselle lei è
un angelo…”- Maurice era rimasto folgorato dalla
voce soave della giovane, d’altronde
non avendo mai goduto di una serata all’opera, era la prima
volta che ascoltava
qualcosa del genere.
-“Grazie
Maurice, lei
non è il primo a dirmelo …”- Christine
ricordava quando il suo mentore l’aveva
chiamata “mio angelo”. Quei tempi le sembrarono
così lontani, quasi
appartenenti ad un’altra vita. Ma fra poco
l’avrebbe rincontrato: sentiva che
il suo cuore saltava dalla gioia.
-“Secondo
lei si può
morire di gioia, Maurice?”- quella domanda esistenziale le
era uscita dalla
bocca senza pensare.
Il
cocchiere non
rispose, pensando ad una risposta da dare alla ragazza. Poi scoraggiato
rispose
: “ Non ne ho idea madamoiselle, ma so di un tizio che
è morto quando la moglie
gli ha detto di aspettare un figlio, quindi credo che si possa morire
per la
troppa felicità!”
Christine
rise a
quella risposta, Maurice le regalava quei pochi momenti di
spensieratezza che
le mancavano tanto. Oramai il vecchio cocchiere era quasi diventato
l’alter ego
di madame Giry.
Il
resto del viaggio
continuò così, tra una domanda ed un indovinello:
Maurice la faceva ridere, le
raccontava storielle e le poneva qualche enigma, non sempre semplice,da
risolvere.
Verso
mezzogiorno,
quando il sole era allo zenit, il cocchiere disse:
“Madamoiselle siamo quasi
arrivati a Villemomble, dove la devo portare?”
-“Maurice
non
dobbiamo entrare nel paese, ma appena vede una cascina malandata, con
un roseto
nei pressi, mi avvisi. È lì che dobbiamo
fermarci!”
-“Allora
credo che
siamo arrivati, lì guardi…”- Maurice
indicò alla ragazza un punto alla loro
sinistra: un enorme cespuglio carico di rose, era accostato al muro
ovest di
una vecchia cascina. Le rose rosse spiccavano sul bianco della pietra
della
casa.
-“Credo sia proprio questo il
posto. Maurice può
fermarsi anche qui, proseguirò a piedi!”
-“Madamoiselle,
ma
posso accompagnarla
fino alla porta se
vuole…”- il cocchiere non riusciva a capire,
perché fermarsi cento metri prima
della meta?
-“No!
Trovi un posto
all’ombra per i cavalli e si risposi. Farò
più in fretta possibile.”- si sbrigò
a dire.
-“Come
vuole
madamoiselle.”- Maurice non protestò
più e fece accostare i cavalli lungo il
ciglio della strada che conduceva a Villemomble.
Christine
scese senza
aspettare che il vecchio cocchiere le aprisse lo sportello.
Fissò lo sguardo
sulla vecchia casa abbandonata e un brivido le percorse la schiena. Era
così
vicina alla sua meta che non
riusciva a
crederci, era stato fin troppo facile trovarlo.
Si
voltò verso
Maurice e gli sorrise, come per dire “va tutto bene, torno
tra poco”. Il
cocchiere le restituì il sorriso e poi diresse la carrozza
non molto lontano
dalla cascina, all’ombra di una vecchia quercia nodosa.
Intanto
Christine
seguendo la strada era arrivata davanti alla porta: accostò
l’orecchio al legno
consunto dal tempo e dalle intemperie. Nessun rumore proveniva
dall’interno, ma
questo non la scoraggiò. Erik era sempre stato bravo ad
occultare la sua
presenza. Bussò, ma non appena le nocche toccarono la porta,
quella si aprì
come animata. Brutto segno. Entrò all’interno, con
passo incerto e timoroso, non
sapendo cosa aspettarsi.
Non
un rumore
spezzava la tranquillità della campagna. La casa era
apparentemente vuota,
nessuno viveva lì: la stanza al pian terreno era spoglia, ad
eccezione di un
vecchio tavolo traballante e di un divanetto rosso, che le ricordava
l’arredamento della stanza della musica, della dimora sul
lago. Tremò all’idea
di aver fatto tanta strada per nulla. Attraversò a grandi
passi la stanza e
salì le scale che portavano al piano superiore. Niente
nemmeno sopra, solo un
letto sfatto e brandelli di spartiti sparsi ovunque. Almeno quello era
il segno
del suo passaggio in quella casa. Ridiscese le scale e si
avviò verso la porta,
scoraggiata da quella scoperta. Un particolare colpì la sua
attenzione:
abbandonata sul tavolo c’era una lettera. La prese e appena
cominciò a leggere
le mani cominciarono a tremarle … non era la scrittura
elegante e curata di
Erik, ma quella incerta di madame Giry.
“Caro
Erik,
spero
tanto che questa mia
lettera ti trovi bene ed in salute. Quello che sto per dirti potrebbe
turbarti,
ma sappi che non è mia intensione turbare la tua vita e il
tuo cuore.
Conoscendoti e sapendo che le sorprese non ti sono gradite ti annuncio
una
cosa:Christine sta tornando da te! Sa dove sei, verrà a
cercarti. A te la
scelta …
Tua
serva, Therese Giry”
Quando
finì di
leggere quelle poche ma significative righe, Christine
accartocciò tra le mani
tremanti la lettera. Un grido di frustrazione le uscì dalle
labbra, mentre una
lacrima solitaria le scivolava verso il mento.
-“Maledetta,
maledetta … siate maledetta Madame!”- poi
uscì sbattendo la porta.
Evidentemente
Erik
aveva fatto la sua scelta: sapendo che lei sarebbe arrivata da un
giorno
all’altro, aveva preferito andarsene che attendere il suo
arrivo. Chiaramente
non voleva vederla! Ma quello che le faceva più male era che
la sua fidata
madame Giry, l’aveva tradita!
Nel
suo cuore, per la
prima volta si fece strada un nuovo sentimento: l’odio. A grandi passi, si
avviò verso Maurice che
stava riposando all’ombra e accarezzava distrattamente il
manto di uno dei
cavalli.
-“Maurice,
la prego
mi riporti a casa!”- stremata, con le guance in fiamme e gli occhi lucidi era
salita nella carrozza.
-“Madamoiselle,
tutto
bene? State male?”- si premurò di chiedere il
cocchiere.
-“No,
voglio solo
tornare a casa!”- mugugnò
la ragazza.
Maurice
salì in
cassetta e partì alla volta di Parigi.
Christine
aveva
ripetuto che voleva tornare a casa, si ma dove? La sua casa non era
villa De Chagny
… la sua casa era l’operà, dove tutta
quella storia aveva avuto inizio.
Un
idea le balenò
nella mente: se conosceva bene Erik quanto credeva, doveva essere
tornato per
forza lì, nel suo regno, dove poteva avere la situazione
sotto controllo. Ora
che la gendarmeria non lo cercava più, perché non
tornare nella propria casa?
Ed
era proprio lì che
Christine sarebbe andata, non appena si fosse calmata: al teatro
dell’Opera.
Angolino
di Farah: che dire, oggi mi sentivo ispirata,
sarà la primavera! Comunque qst capitolo è breve
come il precedente, ma è
importante per quello che verrà dopo. Christine è
furiosa e medita vendetta
contro quella volpe di madame Giry, che non sa proprio farsi i fatti
suoi !
Spero tanto che anche questo capitolino vi piaccia XD a la prochaine
fois ;)
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Capitolo 7 *** Finally you! ***
Capitolo
7: Finally you!
Quando
era tornata a villa De Chagny, aveva salutato
brevemente la madre di Raoul e poi accusando un malore s’era
rinchiusa in
camera sua. Raoul appena tornato da Parigi, era subito corso da lei,
preoccupato. Aveva bussato alla porta, ma Christine non
l’aveva lasciato
entrare.
-“Lottie
che ti succede? Cosa c’è che non va?”-
era
appoggiato allo stipite della porta e tendeva bene l’orecchio
per sentire cosa
succedeva nella camera.
-“Raoul
non è niente, ho avuto solo un piccolo capogiro,
adesso voglio solo riposare. Parleremo più
tardi!”- Christine seduta alla
specchiera fissava contemporaneamente il suo riflesso e quello della
porta.
Conoscendo Raoul, sapeva che non l’avrebbe forzata per farlo
entrare.
Un
sospiro rassegnato arrivò dalla porta: “Come vuoi
Christine, ti faccio portare la cena in camera!”
La
ragazza sentì distintamente i passi di Raoul che si
dirigevano alle scale. Non le era piaciuto il tono con cui
l’aveva chiamata
‘Christine’: che sospettasse qualcosa? No, era
impossibile! Lei non aveva mai
fatto trapelare nulla, s’era sempre dimostrata una fidanzata
premurosa e
devota. E poi Raoul era sempre fuori per lavoro e commissioni, non
poteva
conoscere tutti i suoi spostamenti, anche perché
l’unico a conoscere le
destinazioni delle sue uscite, era Maurice, al quale aveva chiesto il
massimo
riserbo. Forse era solo suggestione, o erano i sensi di colpa a farla
stare
all’erta!
Si
guardò allo specchio e quella che vide non fu più
la ragazzina timida che si acconciava i fiocchi nei capelli, no, quella
che
vedeva ora,era una donna matura ormai, stremata dagli eventi e
consumata dalla
paura e dalla passione, per un uomo che non voleva più
sapere nulla di lei.
Nonostante
fosse solo pomeriggio, si tolse i vestiti
castigati che aveva usato per quella giornata e indossò la
più comoda veste da
camera, quella che usava per dormire. Risedette al boudoir e
cominciò a
spettinarsi i lunghi capelli: il vento che aveva preso durante la corsa
in
carrozza le aveva scompigliato tutta l’acconciatura; con mani
esperte e con una
spazzola districò tutti i nodi. In quel momento avrebbe
voluto saper risolvere
altrettanto facilmente i nodi delle sue questioni in sospeso!
Più
tardi, quando fuori il sole era ormai alla fine
della sua corsa giornaliera, le venne portata la cena in camera. La
cameriera,
non aveva due anni in più di lei. Certo non conduceva una
vita agiata come la
sua, ma in quel momento Christine la invidiò: non aveva
certo i problemi che
aveva lei,non doveva combattere con i fantasmi del suo passato, non
doveva
seguire la rigida etichetta … Le sarebbe piaciuto essere al
posto di quella
ragazza in quel momento.
Quando
la giovane cameriera si chiuse la porta alle
spalle, Christine si avvicinò al tavolino dove era stato
poggiato il vassoio
con la cena: vellutata di verdure miste, spezzatino d’agnello
alle prugne e una
ciotola d’uva, il tutto accompagnato da un calice di vino
rosso. La cena era
molto invitante, ma lo stomaco della giovane soprano era ben lungi dal
voler
accogliere quelle prelibatezze. Non mangiò nulla, ma
piluccò pensierosa un po’
d’uva, finché il resto delle pietanze non si
freddò.
Distrutta e
spossata da tutte le emozioni provate in quella giornata, si distese
sul letto
e nel giro di qualche minuto, si abbandonò ad un sonno
agitato.
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.
-2
giorni alle nozze
Christine
venne svegliata dal chiacchiericcio dei
domestici nel cortile e l’andirivieni delle cameriere nei
corridoi:
parlottavano animatamente del matrimonio imminente, degli invitati e
della
fortuna sfacciata di Christine, presto accasata con uno dei rampolli
più
contesi di tutta Parigi.
La
giovane rimase immobile sul grande letto, a fissare
il soffitto affrescato con scene bucoliche: tutte quelle chiacchiere la
innervosivano, da come la descriveva mezza servitù, lei era
una poco di
buono,arrampicatrice sociale , che sposava il buon visconte solo per
interesse.
Avrebbe voluto urlare a quella gente di smetterla di parlare di lei, di
cambiare argomento; ma non sarebbe servito a nulla,quel matrimonio
aveva reso
euforici tutti, persino i domestici!
Si
alzò dal letto, si preparò alla toeletta, si
vestì
svogliatamente e condusse l’intera giornata come una
marionetta: Raoul la
chiamava da una parte e madame De Chagny la trascinava
dall’altra, e lei si
faceva condurre senza fiatare.
Quando
quella sera, dopo una cena alquanto silenziosa
animata solo dai convenevoli di rito, si ritirò nella sua
stanza, non poté fare
a meno di sospirare. Ancora un giorno e quella storia sarebbe finita.
Poi
come la sera precedente si abbandonò ad un sonno
non certo ristoratore,popolato di angeli, fantasmi e occasioni bruciate.
.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
-Il
giorno prima delle nozze -
Proprio
come se il Sole l’avesse richiamata dal suo
sonno, Christine si svegliò alle prime luci
dell’alba. Quella notte, mentre si
girava e rigirava tra le lenzuola, aveva sognato il di mettere in
pratica il
suo piano: l’aveva sognato, aveva sognato di rincontrarlo, di
parlargli, di
stringerlo a sé, di cantare ancora la sua splendida musica.
Non
c’erano scusanti, s’era lasciata andare agli
eventi e aveva sprecato solo tempo: quel giorno stesso avrebbe messo in
pratica
i suoi intenti! In quel momento non le importava del matrimonio, di
Raoul, di
madame De Chagny, né tantomeno di quello che pensava di lei
la servitù. Tutto
passava in secondo piano!
C’era
solo un piccolo quanto fondamentale problema da
risolvere : come sarebbe arrivata all’opéra
Garnier? Chiedere a Maurice era
fuori discussione, avrebbe destato troppi sospetti. Doveva trovare il
modo di
arrivarci da sola, si ma come!? Non poteva di certo prendere la
carrozza e
vagare per Parigi! L’unica alternativa era raggiungere il
teatro con il solo
mezzo che aveva a disposizione: un cavallo.
L’unica
volta in cui era andata a cavallo, era stato
quando Erik l’aveva condotta per la prima volta nei
sotterranei dell’opera. Non
era sicura di saper governare una tale fiera ed orgogliosa bestia. Non
era
tempo di farsi prendere dal panico, era tempo di agire!
Sgattaiolò nella camera
di Raoul e frugò nei cassetti alla ricerca di un paio di
pantaloni: di certo
non avrebbe potuto cavalcare con la gonna. Ritornò nella sua
camera e li
nascose sul fondo dell’armadio, pieno di vestiti sfarzosi e
ingombranti.
Stonavano quasi tra tutto quel tulle e quella seta!
Essendo
il giorno prima delle nozze, le avevano
lasciato la giornata libera da qualsiasi impegno, in modo che riposasse.
Scese nelle
scuderie della villa per osservare e assorbire quante più
nozioni possibili sul
conto dei cavalli. Maurice e il figlio Martin si stavano occupando
l’uno dei finimenti
e l’altro del foraggio. Martin era un giovinetto di appena
tredici anni con i
capelli biondo cenere e gli occhi scuri, che in pratica la venerava:
ogni volta
che la incontrava si prostrava in mille riverenze e le faceva sempre
dei
complimenti così dolci ed innocenti, che Christine
l’aveva preso in simpatia.
-“Madamoiselle
cosa vi porta nelle stalle? Non è certo
luogo adatto a lei!”- Maurice aveva finito con i finimenti e
si era avvicinato,
incuriosito da quell’incursione inaspettata.
-“Oggi
ho la giornata libera,ma non avendo nulla da
fare, sto semplicemente passeggiando. Il mio vagare
mi ha portata qui! Mi piacciono molto i
cavalli.”- mentì spudoratamente, in effetti quegli
animali la intimorivano, ma
Maurice fece finta di crederci.
-“
Come vuole madamoiselle, ma non si avvicini troppo.
Oggi sono un po’ irrequieti, colpa del tempo che sta
cambiando …sentono
arrivare la tempesta!”-spiegò il cocchiere.
‘Bene’pensò
Christine tra sé ‘ci mancava solo che
fossero nervosi’.
Martin
intanto aveva finito di foraggiare le bestie
agitate e si stava lavando le mani in un piccolo catino ricolmo
d’acqua. A
Christine venne un’idea: aveva notato che ai cavalli, quando
stavano nelle
stalle, venivano tolte tutte le imbrigliature; sapeva che era cosa
alquanto
impossibile cavalcare senza briglie né morso, e lei non
sapeva nemmeno da dove
cominciare per preparare un cavallo ad un uscita! Qui entrava in gioco
Martin.
Avrebbe usato tutto l’ascendente che aveva sul ragazzino per
farsi aiutare in
quell’impresa. Lo raggiunse e gli fece qualche domanda sui
cavalli, sul suo
lavoro nelle stalle e della sua vita alla villa. Il ragazzino dapprima
impacciatissimo, s’era sciolto quando aveva visto
l’interesse genuino che
brillava negli occhi della giovane soprano.
-“Martin
ho da chiederti un favore…”- disse Christine,
quando si rese conto d’aver messo a proprio agio il piccolo
stalliere.
-“Madamoiselle
sono al suo servizio. Se mi sarà
possibile l’aiuterò!”-
accompagnò quelle parole con una piccola riverenza.
-“Ho
bisogno che questa sera tu mi selli un cavallo,
il più veloce che hai. Dovrà essere pronto per
una lunga cavalcata. Non
chiedermi perché, tanto non te lo dirò, ma devi
assolutamente giurarmi di non
farne parola alcuna con nessuno, nemmeno con tuo padre. Dovrai essere
silenzioso e non dovrai farti scoprire: in caso venissi scoperto non
dovrai
fare il mio nome. Ne va del buon nome dei De Chagny. Me lo
prometti?posso
fidarmi di te?”- aveva assunto un tono di voce più
duro e serio, e aveva
assunto un atteggiamento cospiratorio. Non era da lei, non era brava a
fare la
parte della cattiva.
-“Madamoiselle,
farò come mi chiede. Può fidarsi di
me!”- Martin pendeva dalle sue labbra.
-“Bene
allora. Appena tutte le luci della villa
saranno spente, verrò qui a prendere il mio
cavallo.”- gli diede un piccolo
buffetto sulla guancia e poi lasciò le stalle, sotto
l’occhio sempre più
curioso di Maurice.
.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Il
resto della giornata passò tranquillamente, senza
che nulla turbasse la sua quiete. Alla sera, venne servita la cena e
conversò
amabilmente con i commensali, come non le capitava di fare da molto
tempo.
Augurò la buonanotte alla contessa e poi salì in
camera sua, scortata
sottobraccio da Raoul.
-“Sogni
d’oro dolce Lottie. Ti aspetto domani
sull’altare …Finalmente insieme per sempre, nulla
più potrà separarci!”- calcò
la voce su quelle ultime parole, prima di baciarla gentilmente a fior
di labbra.
Christine
chiuse la porta e subito venne pervasa da
una scarica di adrenalina: era arrivato il momento. Erano le dieci,
prima che
tutti gli abitanti della tenuta andassero a dormire e che tutte le luci
si
spegnessero, sarebbe passata un’altra ora. Spense le tre
lampade ad olio che
illuminavano la camera e cominciò a prepararsi alla sola
luce del camino, che,
nonostante fosse piena primavera, era stato acceso perché
quella sera l’aria
era più fredda.
Indossò
delle calze pesanti, poi i pantaloni che aveva
preso ‘in prestito’ da Raoul, sopra mise una
camicia bianca con delle rouche
sul collo e uno scalda cuore di lana azzurra. Infine indossò
le uniche scarpe
basse che potessero andar bene per quell’occasione e si
coprì con il mantello
blu scuro che aveva usato la notte in cui era scappata dal teatro.
Alle
undici precise, stava scendendo le scale che
portavano agli alloggi della servitù. Da lì
uscì nel cortile sul retro, sul
quale si affacciavano le stalle. Una piccola luce soffusa proveniva da
uno dei
box, Christine si avvicinò e trovò Martin intento
a fasciare gli zoccoli del
cavallo dal manto scuro, con degli
stracci.
-“Cosa
stai facendo Martin?”- chiese allarmata.
-“Madamoiselle,
credo d’aver capito che questa uscita
deve essere tenuta segreta, quindi mi premuro di non farla scoprire. Il
suono
degli zoccoli sul selciato, sveglierebbe tutta la villa. In questo modo
attutirete il rumore.”- Martin le sorrise, per farle capire
che nonostante
tutto non avrebbe fatto parola con nessuno di tutto quello.
-“Grazie,
Martin. Sei più sveglio di quanto
credessi!”- detto questo gli scoccò un bacio sulla
guancia paffuta ancora da
bambino.
Martin
poi, l’aiutò ad issarsi sul dorso del cavallo e
l’accompagnò al cancello secondario della villa.
Durante il breve percorso,
rendendosi conto che la giovane era alquanto inesperta ed impreparata,
le
spiegò brevemente come governare il cavallo.
Dopo
le ultime raccomandazioni, Martin le indicò la
strada da percorrere per Parigi e scoccò una pacca
all’animale, che partì al
galoppo, con una spaventata Christine sul dorso.
.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Christine
aveva fatto un breve calcolo mentale,
sarebbe dovuta arrivare a Parigi in mezz’ora,
un’ora al massimo. Poi avrebbe
impiegato un po’ di tempo per trovare la strada per
l’opéra.
Mentre
cavalcava spedita verso la città, si rese conto
che la campagna scura e silenziosa era spaventosa. La luna in cielo,
era
coperta da grosse nuvole scure che preannunciavano la tempesta di cui
aveva
parlato Maurice. Sperò solo che non cominciasse a piovere,
altrimenti il
cavallo l’avrebbe disarcionata.
I
suoi calcoli non erano errati: arrivò nel centro di
Parigi, quando il grande orologio del palazzo di giustizia scoccava la
mezzanotte.
A
dispetto di quanto credeva, riuscì subito a trovare
la strada per il teatro e in men che non si dica si ritrovò
in rue de Scribe,
dove sapeva esserci un’entrata per la dimora sul lago.
Scese
con difficoltà dal cavallo e si sgranchì le
gambe indolenzite dalla lunga cavalcata. Quando la notte
dell’incendio era
fuggita, era uscita proprio da una delle grate che davano su rue de
Scribe. Non
ricordava quale fosse e così cominciò a scuoterle
una per una, fino a trovarne
una che si mosse sui cardini come una piccola porta.
Senza
esitare scese nell’oscurità di quel passaggio e
proseguì a tentoni, tenendo le mani attaccate alle pareti
del tunnel. Faceva
piccoli passi, timorosa di trovare una delle tante trappole piazzate da
Erik
per tenere lontani i ficcanaso. Fortunatamente per lei, i tranelli
dovevano
essere già scattati in precedenza, quindi il suo cammino non
venne intralciato
da nessun ostacolo.
In
poco tempo era arrivata sulle sponde del lago
sotterraneo,dove stranamente aveva trovato la barca che Erik utilizzava
per
spostarsi da una parte all’altra. Tentò di
raggiungere la piccola imbarcazione,
immergendosi fino alla vita nell’acqua: benedisse mentalmente
i pantaloni
leggeri che aveva indossato; con la sottana e la gonna sarebbe andata a
fondo!
L’acqua
era fredda e scura, alla stregua di una
palude, come c’era da immaginarsi d’altronde:non un
caldo raggio di sole
penetrava laggiù.
Una
volta raggiunta la barca, si issò goffamente a
bordo e trovato i remi sul fondo, li raccolse e riportando alla mente i
movimenti del suo maestro, cominciò, seppur in modo
scoordinato,a remare. Ogni
remata le costava un’immensa fatica, i muscoli delle braccia
le dolevano e le
bruciavano per lo sforzo, dopotutto il suo corpo non era abituato.
Sorrise fra
sé: quella era solo un’altra prova da superare per
raggiungere la tanto
agognata meta … per raggiungere lui!
Dopo,
non sapeva nemmeno lei quanto tempo fosse
passato, raggiunse la sponda della dimora sul lago: un silenzio
inquietante
s’era impadronito di quel posto, che di solito risuonava dei
più meravigliosi
virtuosismi musicali. Di lui, come doveva aspettarsi,nemmeno
l’ombra. Dove
prima regnava sovrana la musica, ora tiranneggiava un indicibile caos:
gli
specchi che circondavano le pareti semicircolari della casa, erano
stati
distrutti in centinaia di pezzi: l’immagine distorta di
Christine si rifletteva
dovunque, dando a quel posto già tetro,
un’atmosfera inquietante. Intere risme
di spartiti erano sparse per terra, alcuni bruciati, altri insozzati
dall’acqua
del lago, altri ancora strappati in piccoli pezzettini e sparpagliati a
mo di
semina; i minuziosi modellini del teatro e delle invenzioni di Erik,
erano
stati gettati nell’acqua bassa della riva, e a causa del
tempo trascorso
lì,avevano perso quasi del tutto il colore. Tale scempio
della genialità del
suo maestro, le fecero salire le lacrime agli occhi: quanto crudele e
bestiale
può essere l’animo umano!?
Scese
dalla barca e arrancò fino alla riva: da vicino
quello spettacolo era ancora più tremendo.
Dopo
aver fatto una decina di passi in quello sfacelo,
fu quasi tentata di tornare indietro: come avrebbe potuto Erik vivere
in un
tale stato di abbandono e degrado? Forse non era lì come
aveva sperato fin
dall’inizio, forse era andato via da Villemomble per
raggiungere un altro
luogo, lontano da lei e dai ricordi del passato; forse addirittura non
era più
in Francia!
In
preda allo sconforto più totale cominciò a
vagare,
come un cane in gabbia, nel resto della casa: entrò nella
stanza della musica,
dove le si parò di fronte lo stesso spettacolo della stanza
precedente; poi
varcò la soglia della stanza Luigi Filippo e rimase con
occhi sgranati a
fissare, quella che per due settimane era stata la sua camera da letto:
le lenzuola
pregiate erano state strappate a forza dal grande letto a baldacchino,
le tende
che lo incorniciavano erano solo un vago ricordo, ora giacevano a
brandelli sul
pavimento. I cassetti erano stati divelti dalla struttura del grande
comò che
occupava una delle pareti, ed ora gli abiti che aveva indossato un
tempo,
giacevano in terra.
Indietreggiò
con le lacrime agli occhi,
spaventata da tanta
efferatezza . Andò a
sbattere contro qualcosa, si voltò per uscire, ma colui che
le si parò innanzi
la inchiodò con lo sguardo: i suoi occhi, che divampavano
come braci nella
notte, la trafissero.
Solo
una persona le sarebbe potuta arrivare alle
spalle, muovendosi così silenziosamente da non farsi
sentire: LUI.
Finalmente
era riuscita a trovarlo, ma la gioia per
quel momento venne smorzata dalla tono di voce brusco con cui si
rivolse a lei
: “Cosa ci fai TU qui?”
Angolino
di Farah: sinceramente non ho nulla da dire su qst
capitolo… forse che è un po’ troppo
lungo, che non è il finale che avevo
promesso, che sto allungando il brodo ecc. ma non potevo saltare alcuni
particolari! Il prossimo capitolo sarà quello che tutti
aspettano, compresa
io:That night beneath a moonless sky! Cmq spero vi piaccia e che dopo
la
lettura lasciate una minirecensione! Quindi buona lettura fedeli
lettori ;)
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Capitolo 8 *** That damn cold night...beneath a moonless sky ***
Capitolo
8:That damn cold night… beneath a moonless sky!
N.d.A:
questo capitolo è dedicato a due persone: alla grande Aris,
mon ami, che ha seguito la storia fino a questo punto, che mi ha
incoraggiata, che mi ha aperto gli occhi su molte cose,che ha
sopportato i miei scleri quotidiani,che mi ha consigliato su film e
musica e che mi ha fatto scoprire il mondo di Harry ti presento Sally
XD grazie ma cher… ;)
La seconda persona a cui è dedicato questo capitolo,
è qualcuno a cui tengo molto e a cui purtroppo ho
fatto molto male,senza volerlo. So che non leggerà mai
questa dedica, ma vorrei trovare il coraggio di dirgli che credo ancora
nella nostra amicizia.
Okay dopo il momento di riflessione/ dedica, ringrazio tutti quelli che
anche se non hanno recensito, hanno seguito la storia come lettori
silenziosi. Buona lettura! Spero vi piaccia.
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Se gli sguardi avessero potuto uccidere, Christine sarebbe morta. Erik
la guardava come avrebbe guardato un qualsiasi altro intruso, che si
fosse avventurato nel suo regno: si sentì fortunata a non
avere ancora un cappio attorno al collo!
Le era spuntato alle spalle, silenzioso come un’ombra e
letale come la morte.
Il suo sguardo, saldamente puntato negli occhi della giovane soprano,
tradiva una miriade di emozioni:sorpresa, sospetto, rabbia…e
qualcosa di più profondo ed ancestrale dell’ira.
Qualcosa che Christine non riusciva ad identificare.
-“Cosa ci fai qui?”- le pose di nuovo la stessa
domanda. La ragazza trasalì: non si aspettava certo di
essere accolta a braccia aperte, dopo che l’aveva
abbandonato, ma non si sarebbe nemmeno aspettata tanta freddezza da
parte sua. Era costernata da tanta rabbia!
-“Io..io…”- non riusciva ad articolare
una frase di senso compiuto; se prima la sua mente era piena di
domande, di dubbi, di mille cose da dire, ora era vuota,svuotata da
quegli occhi indagatori.
-“Allora? Cos’è,Christine, hai perso la
tua bellissima voce?”- interruppe quel legame di sguardi,che
si era venuto a creare nel silenzio dell’attesa. Le
voltò le spalle e si diresse nella camera della musica.
Christine rimase immobile per alcuni minuti, indecisa sul da farsi:
cosa le stava succedendo? Fino a qualche ora prima era stata
l’essenza stessa del coraggio e della spavalderia, ed ora che
se lo ritrovava davanti, non riusciva a spiccicare parola!
Lo seguì e lo trovò intento a raccogliere quei
pochi spartiti rimasti integri. Gli si inginocchiò accanto e
fece per raccogliere un foglio pentagrammato, fitto di note, ma venne
bloccata improvvisamente dal suo maestro.
-“Non toccare…non sei più degna della
mia musica!”- le parole erano uscite accompagnate da un
sibilo ferino. Non l’aveva guardata, l’aveva solo
fermata e aveva continuato a fissare in terra.Impassibile. Poi le aveva
lasciato il braccio.
Il cuore di Christine aveva perso un battito, quelle parole
l’avevano spezzata irreparabilmente. Come poteva dire una
cosa del genere? La sua musica era fatta su misura per lei, nessun
altro l’avrebbe mai potuta cantare. Solo lei era capace di
scendere in quel girone infernale che erano le sue composizioni, e poi
riuscirne indenne.
Un sospiro rassegnato la fece voltare: “Devi andartene, non
sei più la benvenuta qui…”- Erik si era
alzato. Non le aveva dato nemmeno il tempo di replicare, che
l’aveva presa per un braccio e l’aveva trascinata
bruscamente fuori dalla stanza della musica, verso la sponda del lago.
-“Prendi la barca e tornatene da dove sei venuta!”-
adesso le aveva urlato contro, non era riuscito a trattenersi.
Il cuore gli martellava in petto,aveva il fiato corto e i lineamenti
del volto erano alterati dalla collera. Sapeva di non essere un bello
spettacolo in quelle condizioni, e sperò che la
ragazza,impaurita, se ne andasse. Purtroppo per lui, non accadde.
La lasciò lì, senza degnarla di uno sguardo, e
poi si diresse verso il grande organo, unico oggetto miracolosamente
scampato all’ira della folla, la notte del Don Juan.
Christine, con i piedi nell’acque bassa della riva,era
paralizzata.
La osservò di sottecchi: era fradicia dal busto in
giù, i pantaloni e la leggera camicia che indossava,
lasciavano intravedere le sue forme, più di quanto non
avessero mai fatto le ampie gonne che indossava di solito; i capelli
disfatti, somigliavano ad un pagliericcio umido e tremava. Ma
nonostante tutto era bella oltre ogni dire, avrebbe quasi potuto
paragonarla ad una visione: le guance imporporate, le labbra rosse e
piene, il petto che si alzava ed abbassava al ritmo del suo respiro,
gli occhi luminosi. Non era mai stata tanto incantevole.
Scosse la testa, come a voler cacciar via un pensiero indesiderato. Non
doveva lasciarsi ammaliare dalla sua antica musa … doveva
disprezzarla, non desiderarla!
-“Sei ancora qui!? Dimmi ,Christine, quale parte della
frase,va via non sei più la benvenuta, non hai
capito!”- si era seduto allo strumento e sfiorava i tasti
d’osso bianco, come se stesse sfiorando la guancia di una
persona amata. Non una nota usciva, ma la musica suonava nella sua
testa. Si rese stranamente conto, che il rancore che provava nei
confronti della giovane che aveva davanti, si stava tramutando in note,
pause e accordi . L’arrivo di Christine aveva portato una
ventata di nuova ispirazione. Nonostante tutto , la sua
presenza aveva un influsso positivo su di lui e sulla sua musica.
La giovane non poteva credere a quello che stava accadendo: aveva
rischiato di farsi scoprire dai De Chagny, aveva circuito un ragazzino,
aveva vagato per le campagne parigine per trovarlo, aveva minacciato di
gettarsi nella Senna se non avesse avuto sue notizie ed ora, ora che se
lo ritrovava davanti,i suoi piani s’erano sciolti come neve
al sole!
No, non si sarebbe fatta cacciar via così facilmente:
avrebbe prima dovuto ascoltare tutto quello che aveva da dirgli, poi
avrebbe potuto anche ucciderla!
Gli si stava avvicinando, silenziosa come il cacciatore che si avvicina
alla preda, ma Erik la prese alla sprovvista: “Non
avvicinarti Christine, ti avverto, altrimenti non risponderò
delle mie azioni!”- aveva puntato di nuovo il suo sguardo
sulla sua figura esile.
-“Devo temerti,Erik?”- stavolta non s’era
lasciata intimidire dal suo sguardo ammaliatore, ma la rabbia per
quelle parole, le aveva fatto sputare fuori quella frase con tono
velenoso.
-“No, fin quando non ti avvicinerai a me. Ma se resti qui un
altro po’, potresti pentirti di non essertene andata
… potresti scoprire una parte di me che, ne sono sicuro, non
ti piacerebbe affatto.”- una scintilla di malizia si accese
nei suoi occhi,già luminosi come fuochi nella notte.
-“Non oseresti…”- Christine
tremò al solo pensiero.
–“Tu dici?A te la scelta!”- le propose
con tono di sfida.
-“Già… scelta! La stessa che ti ha
proposto madame Giry, non è vero?”- Christine non
era mai stata tanto sfrontata in vita sua, ma in quel momento si rese
conto che le parole potevano colpire più di una qualsiasi
arma.
Infatti alle orecchie di Erik quelle stesse parole giunsero taglienti,
più affilate di una lama. Come poteva sapere della lettera
di madame Giry? Maledetta fretta, l’aveva dimenticata nella
cascina di Villemomble… certamente Christine
l’aveva letta!
Ignorò bellamente la domanda-“Non si
fruga tra le cose degli altri…non te l’ha
insegnato nessuno?”- il tono da paternale non gli si
addiceva,ma d’altronde con i bambini come si deve
trattare…
-“Sono spiacente ma sei in errore; era
lì,abbandonata sul tavolo e l’ho letta…
mi hai lasciato tu un indizio per trovarti.”- la ragazza gli
rivolse un sorriso sornione.
-“Mmm,touchè.”-continuava a non
guardarla, come se fosse invisibile, come uno dei tanti fantasmi del
suo passato con cui conversava di solito. La solitudine può
giocare brutti scherzi.
La giovane era spazientita: lo osservò per alcuni minuti,
che sembrarono infiniti, continuare a percorrere avanti e indietro i
tasti dell’organo, senza che da esso uscisse alcun suono. Poi
cominciò con la sua filippica: “So
d’aver sbagliato,mi pento ogni giorno che passa, delle mie
scelte… credo dovremmo chiarire e …”
-“Non c’è nulla da chiarire mia cara,hai
fatto le tue scelte ed ora è troppo tardi per cambiare idea.
Và, hai la mia benedizione,vivi la tua vuota vita da
viscontessa e sii felice!”- disprezzo e astio trapelavano
dalla sua voce.
-“Cosa?la tua benedizione? Credi davvero che io sia
venuta fin qui per questo?”- era proprio sorpresa. Dopo tutto
quello che c’era stato, credeva sul serio che lei fosse
così insensibile –“Non sono
così meschina!”-
-“Meschina? Credimi, definirti tale è un
eufemismo…”- un sorriso perfido gli
increspò le labbra –“sei una piccola
formichina in balia del vento, mia Christine, inerte di fronte alle
convenzioni della società. Non puoi niente, non sta a te
decidere, loro hanno già scelto per te.”-
-“Non mi aspettavo certo che mi avresti accolta a braccia
aperte, ma tanta scortesia,addirittura paragonarmi ad una formica, non
è da te … a quanto pare hai scordato le buone
maniere!”- nessuna risposta,nemmeno uno sguardo.
-“deve essere passato troppo tempo. Il ricordo che avevo di
te era quello di un gentiluomo,ma la mia mente doveva essere
annebbiata, per pensarlo:infondo non sei stato mai niente
più che un assassino, sadico e
vendicatore!”-continuò imperterrita.
Erik non si scompose più di tanto, infondo nella sua
miserevole vita era stato apostrofato anche più aspramente:
però, non poteva certo dire che le parole uscite dalle
labbra di Christine non l’avessero colpito. Lo stava
apertamente provocando,ed era proprio curioso di sapere dove volesse
andare a parare quella sciocca ragazzina!
La giovane gli si avvicinò con studiata lentezza, e
parandosi alle sue spalle fece qualcosa di rischioso e ardito allo
stesso tempo: fece scorrere le dita sulla sua schiena, curvata
sull’organo,lentamente e con malcelata malizia; ma neanche
questo sembrò scomporlo poi molto: Christine si accorse
solo, di un breve tremito delle mani sospese a mezz’aria sui
tasti dello strumento.
Poi l’ira la divorò. Gli pose le mani sulle spalle
e si abbassò all’altezza del suo orecchio. Come se
gli stesse rivelando un segreto, gli sussurrò, con voce
lieve,parole colme di rancore: “Ricordi quel giorno a Pere-
Lachaise, quando Raoul stava per porre fine alla tua penosa vita? Io lo
fermai, convinta che in fondo al tuo cuore ci fosse qualcosa di
più che l’odio. Quanto mi sbagliavo …
avrei dovuto lasciare il suo braccio, avrei dovuto lasciare che ti
trapassasse da parte a parte. Avremmo sofferto entrambi di meno ed
io…”-Christine venne interrotta dal suono distorto
dell’organo. Erik si alzò e la prese per le spalle.
-“Insomma Christine,cosa vuoi da me? Cosa sei tornata a fare
qui? Non mi hai arrecato già abbastanza dispiacere? Sei
venuta qui per infierire ancora una volta, per darmi il colpo
di grazia?Non potevi semplicemente lasciarmi in pace,condurre la tua
vita e abbandonare i ricordi alle spalle!”- ruggì
di frustrazione.
Prima che l’eco di quelle parole si spegnesse, Christine si
liberò da quella morsa in cui l’aveva costretta :
“è così difficile da capire? Sono
tornata per te … ”-con un tono di voce
più basso, confessò davanti a lui, quello che non
aveva ammesso nemmeno a se stessa.
Una risata, cinica e roca, abbandonò la gola del suo
maestro: quel suono aveva qualcosa di sinistro ma allo stesso tempo
affascinante per Christine:non l’aveva mai sentito ridere, ma
l’unica volta che un sorriso s’era aperto sul suo
volto, aveva appena consumato uno dei tanti omicidi di cui si era
macchiato.
-“Per me ?!… e cosa ,mia dolce Christine, ti ha
spinta a tornare da me, dal tuo maestro, abbandonato così
sollecitamente? Cosa ti mancava … questo posto, il teatro,
l’emozione di sentirti la dea del canto, lo scrosciare degli
applausi …”-le si stava avvicinando piano, a
piccoli passi.
-“TU! Mi mancavi tu …”- calde lacrime di
umiliazione cominciarono a bagnare gli occhi della giovane soprano. La
voce s’era alzata di un’ottava, segno che la rabbia
per quella situazione l’aveva divorata completamente.
-“Cosa ti mancava…”-con una lunga
falcata la raggiunse, le si parò davanti e la
immobilizzò per un polso -“QUESTO!”- con
l’altra mano si strappò via la mezza maschera
bianca, l’unica cosa che nascondeva le sue terribili
fattezze. Christine aveva lo sguardo inchiodato sulla parte di volto
deturpata dalla natura.
Quando, la prima volta che ingenuamente gli aveva tolto la maschera ed
aveva posato gli occhi su quello che a suo tempo le era sembrato un
aborto di natura, ne era rimasta sconvolta, disgustata.
Lui l’aveva pregata di riuscire a scorgere l’uomo
che si nascondeva dietro il ‘mostro’ , un mostro
che anelava alla bellezza. Non c’era riuscita, erano dovuti
passare mesi, prima che riuscisse a guardarlo senza ripensare a quello
che si nascondeva dietro quel pezzo di porcellana bianca.
Poi un giorno, come se non fosse mai successo nulla, le si era rivelato
per quello che effettivamente era: solo un uomo, rifiutato dal genere
umano, umiliato dalla natura, allontanato dalla vita.
Ora,per lei, non c’era nulla più che il suo viso:
non vedeva più la deformità,né la
carne martoriata e piagata. Vedeva solo il volto dell’uomo
che amava.
-“Smettila! smettila di nasconderti dietro questa maschera,
il tuo volto non mi provoca più nessun orrore
…”- strappò via il proprio polso dalla
stretta soffocante della mano di Erik.
I loro sguardi s’incatenarono: stelle infuocate nei cieli
azzurri del nord. Nessuno dei due si muoveva e
l’unico rumore che spezzava il silenzio, calato dopo
quell’affermazione, era il respiro accelerato di Christine.
Erik invece non batteva ciglio,ma il suo cuore aveva perso un battito,
quando la giovane gli aveva ripetuto le parole di quella fatidica
notte.
-“Sette anni fa,”-cominciò piano la
ragazza, con voce tremante-“ entrai per la prima volta in
questo teatro. Ero distrutta, a dir poco, avevo perso l’unica
persona importante della mia vita: mio padre si era spento tra le mie
braccia,lasciandomi sola a questo mondo.”- mandò
giù quel nodo di nostalgia che le si era formato in gola,
che le impediva quasi di parlare. Sospirò.
-“Mi disse che non sarei rimasta da sola,
perché,una volta in cielo, mi avrebbe mandato un angelo
…”-gli prese la mano, guantata di nero, e la
strinse tra le sua piccole mani bianche. Rimase per un istante a
fissare quell’intreccio di colori così
contrastanti,poi puntò i suoi occhi luminosi in quelli
dell’uomo -“… l’angelo della
musica. E’strano come le sue parole si siano
avverate.”-
La mano libera cominciò a salire lieve verso il viso di
Erik. Lui non la fermò, ma fissò quella mano come
se fosse ardente, temendone il contatto.
-“Ti prego…”-la voce uscì
strozzata-“non farlo!”-mai in vita sua aveva
pregato qualcuno, anzi, erano sempre stati gli altri a pregar lui di
risparmiarli dalla sua folle bramosia di sangue. Ma Christine
restò sorda a quella richiesta:la sua mano si
fermò proprio sulla parte del volto, sempre coperta dalla
maschera.
Il palmo della mano della giovane era piacevolmente fresco e liscio,
contro la carne calda e ruvida del suo volto. Era un tocco a lungo
desiderato, come la pioggia nel deserto: inaspettata e rinfrescante.
Non si sarebbe mai aspettato, di poter desiderare così tanto
la vicinanza di un altro essere umano: aveva sempre fatto a meno di
tutti, rifuggendo anche il più semplice sguardo di
pietà. Ma ora, ora che la donna che non aveva mai smesso di
amare era lì,viva e bella di fronte ai suoi occhi, stretta a
lui, non desiderava altro che stringersi a lei e non lasciarla andare
mai più.
Chiuse gli occhi,desiderando che quel momento non finisse mai;
inclinò il capo verso quella carezza così dolce,
e una piccola lacrima scintillante sfuggì al suo
autocontrollo. In quell’istante sarebbe anche potuto morire
Poi accadde quello che aveva sognato centinaia di volte, quello che non
si sarebbe più aspettato potesse accadere.
Le labbra di Christine si posarono delicate sulle sue, e
quell’unione lo riportò alla realtà.
Aprì gli occhi e il cuore gli balzò in gola: era
tutto vero, non stava sognando,come aveva pensato fino a quel momento.
Christine era calda e viva tra le sue braccia: gli occhi chiusi, le
ciglia folte e lunghe che le accarezzavano le guance arrossate,due
piccole lacrime agli angoli degli occhi,come due gemme preziose. Come
poteva fare una cosa del genere ad una creatura tanto celestiale?
La allontanò da sé quel poco che bastava per
guardarla negli occhi. Lei, sorpresa, lo fissò con uno
sguardo interrogativo.
-“N-non posso…”-abbassò gli
occhi,incapace di reggere la vista della ragazza.
-“Cosa? Ti stai prendendo gioco di me?!”- era
davvero sorpresa, non riusciva a credere alle proprie orecchie
–“qualche mese fa saresti stato pronto a
seppellirmi viva qui,lontana dalla luce del Sole,lontana dal mondo,con
solo la tua musica a farmi da compagnia. Ed ora, ora che sono io a
voler rimanere qui con te ,tu non puoi farlo!?”-
-“Ma alla fine ti ho lasciata andare. Non potevo tenerti qui
con me: un bocciolo di rosa ha bisogno di luce ed amore per crescere;
io t’avrei fatta appassire prima di sbocciare, nutrendoti di
tenebre e follia!”- con il dorso della mano le
accarezzò una guancia bianca e liscia: “non puoi
rimanere qui, non posso farti questo…”
-“Ma questa volta sono io a voler restare!”- lo
scosse per le spalle,come a volergli far tornare il senno :
“non posso tornare lassù, capisci, il buio della
tua anima ha infettato anche il mio cuore, non posso tornare alla luce
…ho bisogno dell’oscurità, ho bisogno
….di TE!”-
-“Ma …”-venne subito zittito.
-“Niente più ma,né ripensamenti
… non rimpiangerò le mie scelte!”-
-“E il visconte?”-chiese con fare interrogativo.
-“Non ho mai amato Raoul, come egli spera che sarà
dopo il matrimonio. Me ne sono accorta solo ora: pensavo che stando
vicina a lui, avrei recuperato un po’ della gioia e della
spensieratezza delle nostre estati a Perros, in compagnia della musica
di mio padre. Ma mi sbagliavo, stavo inseguendo i ricordi di un passato
che non potrà mai tornare! Il mio posto non è a
villa De Chagny, non lo è mai stato e mai lo
sarà. La mia casa è sempre stata questo teatro e
voglio che continui ad esserlo!”-
-“NO!”- un secco diniego che fece tremare Christine.
Ma la giovane non si fece intimorire e con voce calma e controllata gli
disse: “Ora Erik, ti metterò io davanti ad una
scelta: di’ che non m’ami e io me ne
andrò, sconfitta ma con il cuore leggero; nel caso contrario
rimarrò per sempre con te, ed il passato sarà
solo un brutto ricordo da cancellare…”-
-“Oh Christine … io non ti amo e non ti ho mai
amata; eri solo un’ossessione passeggera!”- le
voltò le spalle, per non lasciarle vedere il dolore, che
provava nel dirle quelle cose.
Un grido di frustrazione lasciò la bocca della giovane
soprano, che lo strattonò fino a farlo voltare verso di se :
“Bugiardo! Tu menti! Dimmelo di nuovo, ma questa volta
guardandomi negli occhi…”- lo aveva spiazzato,
glielo si leggeva in faccia.
Come era possibile che lui, il figlio del diavolo, si facesse trattare
così da una appena donna, che si trovasse impreparato di
fronte a tanta determinazione.
-“io… ti amo, ma è meglio che tu te ne
vada! Credimi, lasciarti andare per l’ennesima
volta sarà fatale per me, ma mai quanto lo sarebbe per te se
ti permettessi di rimanere qui.”- l’aveva fissata
dritta negli occhi, sbarrati per la troppa emozione , e le aveva aperto
il suo cuore.
Infervorata da quella confessione, la giovane si impossessò
di nuovo delle sue labbra, e se il bacio precedente era stato qualcosa
di dolce e lieve, come un soffio su una ferita, ora quel bacio era
qualcosa di struggente, qualcosa che divampava come un incendio in una
foresta. In quel contatto, c’erano nascosti tutti i
sentimenti soffocati fino a quel momento da entrambi: dolore,
tristezza, amore, gioia, ma soprattutto desiderio l’uno
dell’altra.
Erik non la allontanò da sé, non ne aveva la
forza, e nemmeno voglia: si chiese, perché,dopo tanto
soffrire, non avrebbe dovuto accettare un barlume di
felicità. E quello spiraglio di luce nelle tenebre della sua
esistenza, glielo stava offrendo proprio Christine.
Ricambiò il bacio con veemenza, con tanta foga da far
vacillare Christine, che si aggrappò a lui come se fosse
l’unico elemento fermo in quel momento, in quel mondo che le
vorticava attorno. Lui la strinse a sé, conscio solo della
ragazza tra le braccia e delle sue labbra ardenti che non abbandonavano
le sue: tutto il resto attorno scivolò nell’oblio
dell’ indifferenza: il mondo sarebbe anche potuto finire in
quel preciso instante, e loro non se ne sarebbero accorti.
Nessuno dei due osava interrompere quel legame. Fu solo la mancanza
d’aria, a costringerli a doversi separare. Ma quello scambio
di sentimenti, non terminò con il bacio: infatti, i loro
sguardi intrecciati, dicevano e dichiaravano molto più di
cento discorsi accorati.
Christine ripensò alla domanda che aveva posto a Maurice
qualche giorno prima: si può morire di felicità?
Il vecchio cocchiere non aveva saputo rispondere, ma ora la risposta
era chiara alla giovane. Sì, si può morire per la
troppa gioia:lei stessa sarebbe morta se non ci fosse stato Erik a
sorreggerla.
Il tempo di prendere fiato, che Christine gli rubò un altro
bacio, come a conferma della scelta che avevano fatto entrambi.
Ma, prima che quel bacio si inoltrasse in territori più
oscuri ed immorali, Erik la fermò.
-“Sei sicura della tua scelta?”- non era certo, che
Christine avesse capito a cosa si riferiva.
-“Si, non me ne pentirò
mai…”-gli disse con voce carezzevole.
-“Ma tu…”- non sapeva come dirglielo.
A differenza di quello che pensava Erik, Christine non era una piccola
ingenua che viveva nel mondo delle favole, conosceva quello che stava
per accadere, ma per pudore non ne aveva mai fatto parola con nessuno.
Per un lungo momento restò ferma, come davanti ad un
precipizio, indecisa se saltare e sentire la libertà che si
impossessava di lei, o fare un passo indietro. La sua scelta
l’aveva già fatta, doveva solo andare fino in
fondo.
-“Sono già tua, ma fa che ora lo sia per
davvero... Insegnami”- lo sussurrò convinta, con
voce ricca di segrete promesse.
Per Erik fu come ricevere una scarica elettrica:i sensi gli si
annebbiarono per alcuni secondi, e poi , quando fu sicuro di aver
capito bene, travolto dalla potenza dei propri sentimenti, la
attrasse a se con impetuosità e la baciò.
Poi colto da un’improvvisa frenesia,la condusse per mano
nella stanza Luigi Filippo e lei, da brava allieva, si
lasciò guidare docilmente.
Quella notte sarebbe appartenuta solo a loro e a nessun altro.
Niente e nessuno avrebbe potuto rovinare quel momento così
magico: si mossero insieme, in perfetta armonia, come se già
si conoscessero a memoria; il dolore lasciò
lentamente il posto ad un calore crescente che si
impadronì di entrambi e gli tolse il respiro.
Il dolore, i dubbi, i loro sospiri, e tutti i pensieri del mondo,
scivolarono via dal corpo di Christine e la giovane
sentì che al mondo non vi era nulla, tranne lei ed Erik, e
il desiderio e il fuoco che li consumava.
E mentre Parigi dormiva coperta da una coltre di nuvole,
l’unico testimone di quell’unione, fu un cielo
senza Luna.
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Angolino
di Farah: inizio con il dire che questo capitolo è stato un
parto plurigemellare…c’ho lavorato per
più di un mese e sinceramente il risultato finale mi
soddisfa. Ora mi sento completamente realizzata e posso rilassarmi.
Questo capitolo mi ha tenuta sulle spine fino all’ultimo,
perché fino ad un certo punto sapevo come dover raccontare
quello che succedeva, ma arrivata alla fine sono andata nel panico: non
ho mai scritto qualcosa di spinto e non volevo che fosse questo il
caso. Infatti spero di aver fatto in modo che la situazione si capisca,
ma che non scada nell’indecente! Volevo che
l’ultima parte fosse qualcosa di intimo e dolce, qualcosa che
non fosse volgare, ma che lasciasse un senso di appagatezza alla fine.
Spero d’aver soddisfatto il vostro bisogno giornaliero di
zucchero e derivati XD
Comunque questo
è l’ultimo capitolo, ma credo che
inserirò un epilogo, perché non mi piace finirla
così ;) Un bacio a tutti voi lettori,ci si legge al prossimo
capitolo!
Ps:
l’espressione di Christine
‘insegnami…’ è ripresa dal
libro della Kay che ho nominato nel precedente capitolo. Nel libro
Christine dice: “Take me!” she whispered
“Teach me…” sicuramente in inglese ha un
impatto più forte, ma a me piaceva questa metafora
dell’insegnante e dell’allieva e quindi…
il ‘prendimi’ era troppo,come posso dire, eccessivo
per i miei gusti quindi ho preferito non inserirlo! XD
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Capitolo 9 *** You choose to turn the page and I make choices too... ***
You
choose to turn the page and I make choices too…
Quando,
nel bel mezzo della notte, il maggiordomo lo venne a
svegliare, mentre riposava sotto una coltre di coperte e fumo di
sigari,
sobbalzò per la sorpresa: “Chi diavolo
è a quest'ora?!"- biascicò con la
bocca impastata, con lo strano accento che si portava dietro da un bel
po' e
che non era riuscito a far sparire nonostante vivesse a Parigi da
più di dieci
anni.
-"è un uomo signore...dice che è importante. La
aspetta nello
studio."- disse con calma l'inserviente, che come il suo padrone non
vedeva l'ora di tornare nel suo agognato letto.
-"Non ha detto
il suo nome? Insomma vengo svegliato nel cuore della notte...vorrei
almeno
sapere chi attenta al mio riposo!"- il daroga stava perdendo la
pazienza,
mentre si infilava la vestaglia e le pantofole.
-"è
un uomo strano... Non ha voluto nemmeno darmi il
soprabito. É coperto da capo a piedi da un mantello nero
e..."- l'uomo
venne interrotto.
-"non c'è bisogno che tu aggiunga altro... Anzi, torna a
dormire. Me la
caverò anche senza i tuoi servigi."- sbuffò e
recuperando la pipa dal comò
uscì dalla camera da letto seguito dal maggiordomo, che
tornò di buona voglia a
dormire.
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Erik si guardò attorno mentre aspettava con impazienza che
il daroga lo
ricevesse: lo studio in cui l'inserviente l'aveva fatto accomodare, era
abbastanza grande con una grande finestra alle spalle del tavolo
dov'era seduto
e due grandi scaffali di legno scuro pieni di libri dalle coste
variopinte e
impolverate, che occupavano due lati della stanza. Lo stile parigino
imperava,
ma ad un occhio più attento, non potevano di certo sfuggire
i particolari
orientali: i tappeti persiani, le sciabole appese sul camino e un
copricapo di
foggia indi poggiato sul capo di un busto marmoreo.
Certo, il lusso di quella stanza o di quella casa, non potevano di
certo essere
paragonati alla magnificenza della corte dello scià, dove i
pasti venivano
consumati in piatti d'oro e si vestiva con seta e gemme preziose, ma in
fin dei
conti il daroga non se la passava tanto male.
Lo sentì aprire la porta e venire verso di lui: non
gli piaceva che gli
si arrivasse alle spalle, così si alzò in piedi e
si voltò verso il suo
ospite.
-"Le cattive maniere sono dure a morire a quanto vedo... Chi ti ha
insegnato a svegliare la gente nel bel mezzo della notte? Cosa
c'è di tanto
urgente da non poter attendere domattina?"- mise la pipa in bocca e
premette il tabacco dentro, in attesa di una risposta ed infine si
accomodò
sulla sedia difronte a lui.
-"Me ne sto
andando. "- lasciò quella frase in sospeso, aspettando che
Nadir la
raccogliesse e ne capisse il significato.
-"Cosa
vuol dire me ne sto andando? O meglio che
significa?"-
-"Significa che metterò quanta più distanza
possibile tra me e Parigi, tra
me e l'Operá, tra me e Christine..."- l'ultima parte fu
quasi un
sussurro.
-"Non avevi già chiuso con madamoiselle Daee?!"- chiese
l'altro
curioso.
-"Credevo fosse così ma...c'è stata una svolta
inattesa, non pensavo
potesse finire così!"- la voce gli tremava e il daroga
cominciò a
preoccuparsi.
-"Così come?"- si mosse veloce sulla sedia, tenendosi ai
braccioli si
sporse verso Erik.
-“È
tornata da me
stanotte. Ho cercato di mandarla via, ma lei mi ha supplicato di farla
restare
e alla fine ho ceduto... L'ho fatta mia."
-"Erik! Come hai potuto? Hai oltraggiato la virtù di quella
povera
ragazza!"- Erik rise fra se a quell'affermazione: povera ragazza? Ma se
era stata lei a convincerlo a fare quello che avevano fatto!
-"Hai
capito male. L'ha voluto lei!"- lo disse con
calma, ma l'affermazione successiva del daroga lo seccò.
-"Non
avresti dovuto permetterle di compiere un tale
gesto..."
-"Sotto questa maschera si nasconde un uomo come tutti gli altri,
Nadir,
schiavo delle passioni e con l'orecchio affilato, pronto ad accogliere
il
richiamo della carne! Come pensi che avrei potuto tirarmi indietro dopo
tutto
quello che è successo, dopo tutto quello che ho passato per
lei? Era lì, così
bella e giovane davanti ai miei occhi, ed era consenziente, non l'ho
trascinata
io laggiù; mi sorrideva e non piangeva come l'ultima volta
che l'ho vista!
Nemmeno nei miei sogni più sfrenati ho immaginato quello che
è successo
poi..."- lasciò il discorso in sospeso, senza aggiungere
altro: sapeva
che, da uomo di mondo qual era, il daroga avrebbe capito.
Infatti
Nadir non disse nulla in proposito e si limitò a
fissarlo, assorto, mentre aspirava dalla pipa. Preferiva di gran lunga
i
sigari, ma sapeva che l’odore dolciastro infastidiva oltre
ogni dire Erik.
Dopo
un paio di minuti di silenzio, scandito solo dalla
pendola nel salotto dietro la porta, il daroga si affrettò a
parlare: “Beh alla
fine hai avuto quello che volevi... Lei ormai è tua."
-"No,
ho avuto solo un assaggio del tormento infinito
che mi sarà inflitto.”- rise cinico, sapendo che
d’ora in avanti avrebbe
sofferto ancora di più per la separazione; ma cosa poteva
farci, l’aveva voluto
lui, da perfetto masochista qual era.
-“Insomma
non riesco a capire! Perché mai te ne stai
andando? Lei vuole stare con te, non è quello che hai sempre
voluto?”- chiese
interrogativo il daroga, alzando un sopracciglio folto e nero.
-“Si,
ma come avrei mai potuto tenerla con me nei
sotterranei dell’opera? Che futuro avrebbe avuto al mio
fianco? Non posso
permettere che viva in quell’ambiente malsano, a contatto con
i topi. Perirebbe
in poco tempo e io mi ritroverei più sventurato e distrutto
di come sono ora!”-
il suo sembrava quasi un lamento di frustrazione.
-“Quindi?
Cosa intendi fare?”-
-“Sono
disposto a lasciarla andare, a lasciare che sposi il
visconte: so che ama me, ma lo faccio solo per lei. Nadir, devo
chiederti un
favore. Questa è l’ultima volta che mi vedrai: con
quest’ultima azione pagherai
il tuo debito nei miei confronti!”-
-“Di
cosa stai parlando?”-
-“Hai
forse dimenticato di esser stato tu a condurre il
visconte giù nel mio nascondiglio? Hai avuto salva la vita
solo perché una
volta fosti tu a salvare la mia…”- per un attimo
il suo tono di voce s’incupì
tornando quello di sempre.
-
“D’accordo. Dimmi pure.” - Nadir non
aveva scelta.
-“Chrisitne
è ancora lì. Crede che al suo risveglio mi
troverà ad attenderla per condurla ovunque io voglia, ma non
sarà così. Devi
dirle che me ne sono andato e che non tornerò mai
più a rovinarle la vita.
Riaccompagnala a casa, dai De Chagny, prima dell’alba: oggi
si celebreranno le
nozze e se quei nobili dovessero venire a conoscenza della sua fuga
notturna,
la getterebbero in mezzo alla strada, senza preoccuparsi più
di tanto della sua
sorte.”- prese fiato –“Fallo per me
Nadir, poiché non ho la forza di farlo da solo.”-
dicendo questo si alzò, avviandosi alla porta e Nadir lo
seguì fin sull’uscio
di casa.
-“Buona
fortuna Erik.”- disse mentre il fantasma dell’opera
si inoltrava nell’aria fresca della notte.
Erik
si voltò a guardarlo e sorridendogli mestamente, scomparve
nell’ombra.
Quella
fu l’ultima volta che il daroga lo vide.
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Un
senso di beatitudine ed appagamento, cullavano Christine,
che riposava nell’enorme letto della stanza Luigi Filippo.
Nella sua mente si
affollavano centinai di domande: come avrebbe dovuto comportarsi al suo
risveglio? Cosa avrebbe dovuto dire? Erik sarebbe ancora stato
d’accordo a farla
rimanere?
Quei
pensieri erano così insistenti che la costrinsero a
svegliarsi, per renderli certezze. Nella stanza, regnava un
inspiegabile
silenzio e nemmeno dal resto della dimora sul lago provenivano suoni o
rumori;
una sola candela bruciava e spandeva la sua tenue luce sui contorni
sfocati del
mobilio. Provò a chiamarlo, ma nessuno rispose.
Si
alzò preoccupata dal letto e avvolgendosi nelle lenzuola
scure, prese la candela e cominciò ad ispezionare la dimora.
Niente. Nessun
segno. Stava per cadere preda dell’inevitabile sconforto,
quando, tornando
nella stanza Luigi Filippo, notò sul piccolo comodino dove
era poggiata la
candela, una busta da lettere bianca, con un sigillo di ceralacca rosso.
La
prese: sul dorso c’era scritto il suo nome, vergato nella
fluente ed elegante grafia di Erik.
Tremando,
si accomodò sulla sponda del letto e alla luce
della candela, l’aprì e cominciò a
leggere.
Amata
Christine, ti starai chiedendo dove sono e perché non sono
al tuo fianco a
dirti che andrà tutto bene. Beh la risposta è che
non ce l’ho fatta, sono
andato via. Non avrei potuto lasciare che tu sprecassi la tua giovane
vita per
me, con me. Ti lascio perché ti amo troppo e sapere che
avrai una vita felice
al fianco del visconte, alla luce del sole, mi rende allo stesso tempo
felice e
disperato. Vivrai più a lungo lontano da me e dalle tenebre
che mi porto
dietro, all’ombra della mia follia saresti perita in un
battito di ciglia e io
mi sarei ritrovato più sofferente di prima, sapendo che la
tua infelicità era
causa mia.
Ti
starai anche chiedendo come ho potuto abbandonarti dopo quello che
è successo e
non posso fare a meno di pensare che crederai che io sia un bieco
usurpatore,
che si è approfittato impunemente di te. Sappi che quello
che è avvenuto tra
noi è stato dettato semplicemente dall’amore, non
dalla lussuria o dalla
passione, ma solamente dal profondo sentimento che nutro per te e che
sempre
nutrirò. Rimarrai sempre nei miei pensieri mio piccolo
angelo, non dimenticherò
mai la voce e il volto della donna che mi ha accompagnato verso la luce.
Spero
tu comprenda il mio punto di vista e che non mi maledica per le mie
azioni.
Addio
Christine, abbi cura di te.
Per
sempre tuo, Erik.
Continuò
a leggere e rileggere quella lettera per
comprenderne il senso, finché le lacrime non le riempirono
gli occhi e le
offuscarono la vista. Il lamento di disperazione si
trasformò lentamente in un
pianto incontenibile: violenti spasmi la scuotevano e il respiro le
usciva
irregolare, con piccoli rantoli. Si accasciò
sull’enorme letto meditando sul da
fare, mentre brividi e convulsioni febbrili la sconquassavano come un
vento
tempestoso che si abbatte su un albero già mezzo sradicato.
Si
calmò solo molto dopo e alzandosi come un marionetta
mossa da fili invisibili, si avviò verso il lago, decisa a
farla finita con
quella vita così dolorosa e complicata, che non le lasciava
nemmeno il tempo di
respirare che le si avventava contro.
A
piedi nudi sulla terra battuta e polverosa dei
sotterranei, si accostò all’acqua paludosa con
occhi vacui, persi lontano, nei
ricordi felici della sua infanzia: il padre la salutava dalla spiaggia
di
Perros e il vento trasportava la voce dolce della madre, che le cantava
una
dolce ninnananna.
Non
si accorse nemmeno che un passo dietro l’altro era entrata
fino al busto nel liquido scuro del lago: solo un altro passo, sarebbe
sprofondata e non si sarebbe sottratta alla stretta letale della morte
che le
succhiava via l’aria dai polmoni.
-“Madaoiselle
Daee!”- una voce la riscosse dai suoi pensieri
fatali.
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Dieci
anni erano passati da quella maledetta notte buia e
senza luna. Il daroga, Nadir, l’uomo che l’aveva
fatta desistere dal togliersi
la vita e che in seguito l’aveva riportata a villa De Chagny,
le aveva
confermato ulteriormente le decisioni di Erik e le aveva augurato ogni
bene,
sparendo nella bruma delle prime luci dell’alba. Da quel
lontano giorno non
aveva rivisto né lui né il suo maestro.
Alla
fine aveva sposato Raoul, ignaro del suo tradimento, e
la loro vita matrimoniale era trascorsa tranquilla, allietata dalla
nascita di
un figlio nove mesi precisi dopo il giorno delle nozze, instillando in
Christine
il dubbio sulla paternità del bambino.
Gli
ultimi due anni però, erano stati terribili: la famiglia
De Chagny aveva perso gran parte del suo patrimonio e le
attività familiari non
fruttavano più quanto si sperava. Raoul era diventato sempre
più dispotico e
nervoso; la vecchia contessa De Cagny deperiva a vista
d’occhio a causa di
quella situazione e Gustave, il piccolo erede, viveva in quel luogo
desolato,
assorbendo il peggio dei familiari.
Un
giorno, qualche mese prima, era giunta l’occasione per
rimpolpare il conto che i De Cagny tenevano sotto chiave alla Banca
Centrale:
un imprenditore americano, aveva appena fatto costruire il nuovo teatro
dell’opera di New York e voleva che Christine, insieme ad
altre stelle della
lirica mondiale, inaugurasse l’immensa sala con la sua voce.
Raoul
aveva accettato per lei e poi aveva fatto pervenire un
telegramma all’imprenditore, che da parte sua aveva inviato i
biglietti per il
viaggio transatlantico.
Mancava
un giorno alla partenza: quella stessa sera avrebbero
preso un treno alla Garde du Nord per raggiungere la costa atlantica e
da lì
avrebbero preso poi la nave che li avrebbe portati a New York.
Christine
era intenta a sistemare i bagagli per il lungo
viaggio e il piccolo Gustave, girava entusiasta in biblioteca alla
ricerca di
un libro da portare con se per passare il tempo, quando Raoul giunse
trafelato
a richiamarli: “Insomma Christine, sei pronta? La carrozza
è pronta e non
possiamo tardare più…Gustave!”-
chiamò il bambino che, spaventato dalle reazioni
paterne, accorse subito.
-“Sei
pronto tesoro?”- gli chiese la madre amorevolmente.
-“Si,
maman.”-
-“Allora
possiamo andare. Va a salutare la nonna e poi
scendi giù.” - il bambino obbedì celere
ed uscì dalla stanza, mentre il
maggiordomo entrava per raccogliere le valigie e portarle nella
carrozza.
Raoul,
dopo tanto tempo, prese sotto braccio la moglie e
l’accompagnò giù per lo scalone
centrale e poi alla carrozza. Gustave arrivò di
corsa e saltò su, sotto lo sguardo severo del padre:
“Non vedo l’ora di
salpare!” - sorrise svelto alla madre e abbassò
veloce lo sguardo quando il
padre gli rivolse un’occhiata in tralice.
-“Si tesoro,
anch’io.”- Christine sorrise al figlio e si
voltò un’ultima volta a guardare la grande villa
bianca alle sue spalle con la
strana sensazione che non l’avrebbe più rivista.
THE
END
AngolinodiFarah: no
comment su questo capitolo che arriva
dopo tipo quattro mesi di silenzio stampa; avevo promesso che sarebbe
finita
entro febbraio 2013 ed invece me la sono trascinata dietro quasi un
anno questa
ff…comunque avevo detto che non l’avrei lasciata
incompiuta e così è stato.
Grazie a tutti quelli che hanno letto e recensito, anche quelli che ho
perso
per la strada, e a quelli che amo definire lettori silenziosi. Alla
prossima
storia! ;)
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