Innithivei promise vendetta di phoenix_esmeralda (/viewuser.php?uid=178541)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Odore di pesce ***
Capitolo 2: *** Il problema delle terme ***
Capitolo 3: *** Strategie di sopravvivenza ***
Capitolo 4: *** Se il tradimento non è consapevole, che tradimento è? ***
Capitolo 5: *** Kladius e Innithivei ***
Capitolo 6: *** La verità che non ho voluto vedere ***
Capitolo 7: *** La vendetta ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Odore di pesce ***
Ciao
a tutti, prima di lasciarvi a leggere questo primo capitolo, ci tenevo
a precisare che è la prima volta che faccio un tentativo
pressoché "storico". Per i riferimenti storicimi sono rifatta principalmente al
testo “Un giorno nell’antica Roma” di
Alberto Angela, più alcuni siti trovati su internet, in
particolare questo: http://www.romanoimpero.com/2009/09/romano-impero.html.
La storia non ha alcuna
pretesa di veridicità, mi sono limitata a creare un contesto
di verisimiglianza, senza tuttavia analizzare ogni aspetto del periodo
storico (ad esempio dialoghi e parlata...). Il vero genere sarebbe
romance, ma su efp non esiste questa categoria. Mi sono presa alcune
libertà, nel corso della trama, come il fatto di indicare
il“possesso di concubine” come indice del proprio
status sociale. Non sono riuscita a trovare conferma né
sconferma di questo consultando le mie fonti, ma siccome mi sembrava un
concetto verosimile, l’ho mantenuto. Così come
questa, mi sono presa altre piccole licenze letterarie, che confido non
balzino troppo all’occhio nel corso della storia; per il
resto ho cercato di documentarmi il più possibile!
Un
ringraziamento particolare a OkinoLinYu, che ha ideato questo contest,
queste sono le caratteristiche del personaggio che mi erano state
fornite da lei:
Anagrafe: Innithivei cambiato in Germanica Pollia / schiava romana
Età:
27
Caratteristiche
fisiche: pelle chiara e screziata di lentiggini, capelli rossi, occhi
nocciola, longilinea e magra
Carattere:
intrepida, con un forte desiderio di vendetta, provocatrice, ha paura
che i suoi padroni possano ucciderla in qualsiasi momento,
doppiogiochista, dolce e materna con i bambini
Background:
catturata durante una spedizione in Germania dal generale Claudio
Lucrezio Pollio, ne diviene la schiava personale oltre che la sua
concubina preferita. La moglie del generale, Tullia Lucina, la detesta
e non fa altro che umiliarla, sia in privato che in pubblico. Il nome
le viene cambiato in Germanica e vive per dieci anni a Roma.
Prestavolto:
Alicia Witt
INNITHIVEI PROMISE VENDETTA
Come
non si può spegnere il fuoco con il fuoco, né
asciugare l’acqua con l’acqua,così non
si può eliminare la violenza con la violenza.
-Tolstoj
1
Avevo
solo diciassette anni, quella notte.
Un
corpo da donna, ma desideri da ragazzina; rossa di capelli - come quasi
tutti tra la mia gente - agile di membra e snella nella corporatura,
focosa come un dardo acceso e combattiva come il guerriero
più tenace.
Ma
non potei fare nulla, quando ci presero. Ci presero tutti, e Innithivei
divenne Germanica e serva, concubina e schiava.
Sì,
questo fu Germanica, per loro:
serva
concubina
schiava.
Ma
Innithivei ardeva ancora illesa nel mio cuore.
***
Scivolo
fuori dalla mia stanza con cautela, silenziosa come il serpente fra le
rocce. Era piena notte quando Kládíus mi ha
raggiunta e si è addormentato sul mio letto, scordandosi di
rientrare nel suo cubiculum. Questo non piacerà a Tullia
Lucina – non le piace mai – e ciò
significa che io vorrò essere altrove, quando stamattina si
leverà.
La
casa è già in fermento, ma la padrona
impiegherà ore a uscire dalla sua stanza: le schiave
lavorano a lungo, al mattino, sul suo aspetto; Tullia Lucina nutre
l’ambizione di abbigliarsi e acconciarsi non solo secondo
l’ultima moda, ma anche seguendo bizze sue personali che le
consentiranno, un giorno, di essere lei a dettare la moda stessa.
In
silenzio, mi introduco nell’impluviumdeserto
e siedo un istante a raccogliere le idee: stamattina Kladius
sbrigherà i suoi affari fuori casa e ciò
significa che mi troverò relativamente libera. Come fare a
impegnarmi senza incrociare i miei passi con quelli della padrona?
-Germanica!
Quando
è Kladius a chiamarmi in questo modo, rifiuto di voltarmi,
ma la voce che raggiunge le mie orecchie è – con
mio estremo sgomento – quella della signora.
Mi
alzo in piedi di scatto e incontro i suoi occhi scuri, indagatori.Indossa
solo una tunica semplice e i capelli corvini le
ricadono in riccioli sciolti sulle spalle; se è uscita dal
suo cubiculum prima ancora di essersi resa presentabile, il motivo non
può essere che uno solo: la ripicca.
Tullia
Lucina non è una donna priva d’attrattive: la sua
figura risulta ancora armoniosa nonostante le tre gravidanze, ha la
pelle olivastra, compatta, occhi espressivi, una chioma fluente e
braccia eleganti. È il naso a danneggiare
l’insieme, un naso decisamente troppo appuntito, una sorta di
piccolo becco che sovrasta le labbra ben modellate e che rende il suo
profilo affilato, sempre un po’ sospettoso.
Ma
non è brutta, no. Solo... ordinaria.
Ordinaria
rispetto alla mia pelle bianca, alla mia criniera infuocata e alle mie
ossa sottili. Tullia Lucina è una donna romana in tutto e
per tutto, mentre io sono... germanica, decisamente. Schiava personale
di Claudio Lucrezio Pollio e preferita tra le sue concubine, delle
quali attualmente l’unica; condizione che mi rende odiosa
alla moglie del padrone... moglie tutt’altro che innocua.
-Germanica,
intendo mangiare pesce, oggi. Recati immediatamente al Foro Piscario,
scegli al mercato i pezzi migliori e poi puliscili prima di consegnarli
alla cuoca.
Scuoto
la testa, allibita.
-Signora,
hai una schiava apposita che conosce alla perfezione il mercato e
un’altra in grado di pulire il pesce nel modo più
indicato. Io... non credo di esserne in grado, non saresti soddisfatta
del mio lavoro.
Io non sono la tua schiava!
Tullia
Lucina si morde il labbro e immediatamente comprendo di non avere
scelta.
-Germanica,
esci immediatamente e portami quel pesce ben pulito!
Chino
la testa e soffoco l’odio nella mia gola, mentre obbedisco.
Non ho scelta, Kladius desidera che rispetti sua moglie e che le sia
devota, qualunque sia il prezzo da pagare.
Oh,
la serpe è bene astuta! Andare al Foro Piscario e, in
aggiunta, pulire lucci e orate, significa per me odorare di pesce per
due giorni almeno. Kladius mi starà alla larga e questo non
migliorerà il mio status. Ogni parola, ogni azione di Tullia
Lucina mira a questo: separarmi da suo marito, mettermi in odio ai suoi
occhi o, in alternativa, umiliarmi per semplice gusto di rivalsa.
E
il suo disprezzo è ricambiato. Oh, se lo è!
Mentre
Germanica obbedisce, Innithivei non dimentica.
Nulla.
***
Mi
sono lavata quanto ho potuto e profumata fin quasi a svenire, ma il
maledetto odore di pesce non svanisce. È talmente pervasivo
che, se potessi, me lo strapperei di dosso assieme alla pelle. Il mio
prossimo incontro con Kladius sarà così umilianteche
al solo pensiero mi metterei a piangere.
-Germanica!
Claudia
si guarda intorno, accertandosi che nel peristiliumnon
ci sia nessun altro – Inni... – prosegue,
più tranquilla – Vengo per conto di mia madre.
Voleva che appurassi che... tu maleodorassi.
-Bene,
appuralo. Cosa ne pensi?
Claudia
si avvicina, prende respiro e storce il naso.
-Hai
addosso un miscuglio terribile di odori, Inni! Pesce e olio profumato
e... essenza di rosa? Mio padre soffocherà, se
cercherà di entrare nel tuo letto questa notte!
La schiettezza di Claudia mi fa sorridere. Ha dieci anni ed
è la primogenita di Claudio Lucrezio Pollio,
nonché l’unica figlia rimasta in casa. Gli altri,
i due maschi, sono stati allontanati per venire educati alle armi fin dalla giovane età.
Claudia era appena nata, quando venni condotta schiava alla casa di
Kladius e, per forza di cose, finì per affezionarsi a me
come a una sorta di zia. Badai spesso a lei, il padrone volle affidare
a me i primi rudimenti della sua istruzione, e questo
comportò il nascere di un certo affiatamento tra di noi.
Certo, tutte le altre concubine scomparivano in un istante, io unica
rimasi come punto fermo nella vita di Claudia.
Infatti,
per lei mi spiacerà. Mi spiacerà eccome, quando
sarò costretta a distruggere questa famiglia.
Vi
stupiscono le mie parole? Già... non credo di avervelo detto.
La
mia famiglia è stata sterminata dall’impero romano
e io, catturata e ridotta in schiavitù, ho sopportato per
anni prigionia e umiliazioni. È chiaro che nutro rancore.
È
naturale che desideri vendetta.
Per
cui, ciò che sta per accadere è questo: molto
presto, a giorni, devasterò la carriera, l’onore e
la vita stessa del mio padrone.
State
un po’ a vedere.
Impluvium:
vasca quadrangolare a fondo piatto, progettata per raccogliere l'acqua
piovana. Si trovava nell'atrio, un locale all'interno di una tipologia
di abitazione (domus) diffusa tra i greci, gli etruschi ed i romani
Foro
Piscario: era un'area dell'antica Romain
cui avveniva il mercato del pesce. Si trovava a nord del Foro Romano,
tra la Via Sacrae
l'Argileto.
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Capitolo 2 *** Il problema delle terme ***
2
Mio padre morì
durante l’attacco; quando i romani
entrarono nella nostra abitazione, il suo cadavere era già
freddo.
Lottai con tutta me stessa,
naturalmente, ma erano
armati e impiegarono poco a sopraffarci. Violentarono mia madre
riducendola in
fin di vita e compresi dai loro gesti che a breve sarebbe toccato anche
a me;
ci ritrovammo legate, rinchiuse e prigioniere nella nostra stessa casa.
Loro si
aggiravano per la nostra misera abitazione di legno osservando ogni
cosa,
ridevano prendendoci in giro; non comprendevo le loro parole, ma le
loro
espressioni erano eloquenti, derisorie. Come li odiai, oh, quanto!
Quanto,
mentre osservavo l’abito a brandelli di mia madre e il suo
corpo sanguinante.
- Devi vendicarci –
mi sussurrava lei – Innithivei,
sei l’unica discendente della nostra famiglia, la
responsabilità della vendetta
ricade su di te.
Stavo ancora annuendo, quando
lui entrò nella
nostra casa.
Claudio Lucrezio Pollio allora
aveva solo diciotto
anni ed era sposato già da tre, età precoce per
un matrimonio; ma era un
militare, allora, e voleva assicurarsi una discendenza prima che la
guerra gli
chiedesse la vita. Mentre quell’anno scorrazzava con gli
uomini di suo padre
attraverso le nostre terre, Tullia Lucina Pollia portava in grembo il
germoglio
della piccola Claudia.
Non sapevo nulla di tutto
ciò, allora, quando
attraversò la soglia della mia casa.
La sua statura, unita ai
muscoli solidi, alla pelle
olivastra e agli occhi svegli, indagatori, mi fece inquietudine. Coprii
con il
mio corpo quello debole, in fin di vita, di mia madre e lui
notò il gesto; mi
osservò da capo a piedi con uno sguardo penetrante e
urlò qualcosa agli uomini
che ci avevano imprigionate.
Non so come lo compresi, ma in
quel momento seppi
che sarei stata sua.
- Ricordati la tua vendetta,
Innithivei, vivi per
quella – sussurrò mia madre, con il suo ultimo
alito di vita.
Morì quella notte e
con lei l’ultimo brandello
della mia esistenza precedente.
Divenni la schiava di Claudio
il giorno dopo e lui
mi ribattezzò Germanica.
Non gli rispondo mai, quando
mi chiama in questo
modo e mai l’ho chiamato con il nome che i suoi genitori gli
hanno affidato.
Kladius è la traduzione
del suo nome nella mia lingua
madre. Non mi sono mai rivolta a lui in altro modo.
Vi sembra strano?
Molte altre cose potrebbero
sembrarlo.
***
Kladius mi fa sapere che nel
pomeriggio ci
sposteremo tutti alle terme, ed è solo in quel momento che
comprendo appieno il
gesto di Tullia Lucina.
Naturalmente non posso
oppormi, la mia vita è
aggrappata a un equilibrio sottilissimo che potrei spezzare con il
minimo gesto
sconsiderato; sono la concubina preferita di Claudio Lucrezio Pollio da
dieci
anni, una quantità di tempo, a detta di tutti,
impressionante, e sono consapevole
che finora sia stato solo questo a salvarmi la vita. Nel periodo che ho
trascorso come schiava presso questa famiglia, sono state numerose le
concubine
che hanno condiviso il letto con Kladius; tuttavia, ciascuna di loro
perdeva
attrattiva ai suoi occhi già dopo il terzo incontro. Ed era
allora, in quel
preciso momento in cui perdevano il favore del loro padrone, che Tullia
Lucina
interveniva. La maggior parte di loro veniva degradata a lavori
umilianti o
allontanata, ma le concubine più belle, quelle che avevano
suscitato maggiori
complimenti da parte di Kladius e maggiori invidie da parte di sua
moglie, morivano
avvelenate. Nessuno si sorprendeva o metteva in moto discussioni,
Tullia Lucina
decretava nel suo cuore la loro fine e questa si abbatteva senza requie
sul
corpo delle sventurate.
Non mi faccio illusioni: nel
momento stesso in cui
perderò il favore di Kladius, verrò uccisa.
Tra la mia gente non
v’era nulla di simile, ma per
i romani, per loro, non esiste differenza tra un carro e uno schiavo.
Entrambi vengono
modellati per loro comodità e utilizzo, entrambi vengono
gettati o distrutti al
termine del periodo d’impiego.
Il giurista Gaio scrisse nelle
Istituzioni:
“Vi
sono tre
tipi di utensili:
quelli
che
non si muovono e non parlano,
quelli
che
si muovono e non parlano,
e
quelli
che si muovono e parlano”
I primi sono gli oggetti
inanimati, i secondi gli
animali e i terzi sono gli schiavi.
Sono io.
Dunque, la mia morte
è sospesa ad ogni angolo di
questa casa, da quando mi trovo qui.
Per questo non
aprirò bocca, sorriderò a Tullia
Lucina e me ne andrò alle terme.
***
Quando arriviamo alle Terme di
Traiano, Kladius si reca immediatamente
in una delle due palestre all’aperto insieme a Tullia Lucina,
dove li attendono
i conoscenti con i quali hanno appuntamento. Questo mi permette di
tirare un sospiro di sollievo
momentaneo, poiché il mio padrone ha l’abitudine
di spogliarsi da solo e la
palestra non prevede in nessun modo il mio intervento. Rimango in un
angolo a
osservarlo giocare a ludere expulsim,
mentre Tullia Lucina, in un'altra area della
palestra, si impegna in una
partita a ludere datati
con Claudia e altre donne.
Anche quando Kladius accede al
calidarium
e, in seguito, al frigidarium,
riesco a tenermi a una distanza ragionevole; ma so che il momento
temuto
arriverà anche troppo velocemente. Il mio padrone e i suoi
amici si
ricongiungono alle mogli nella natatio, l’enorme piscina
delle terme, mentre nella
stanza accanto, alcuni conoscenti di Kladius si stanno già
stendendo sulle
tavole per il massaggio. Gli uomini più ricchi, come il mio
padrone, non si
avvalgono per questo compito di rozzi schiavi pubblici, siamo io e
Valeria, una
schiava di Lucina Tullia, a occuparci di
lui. E anche degli amici a cui, spesso, volentieri ci presta.
Infatti, in questo momento
Kladius mi invita con un
gesto del mento a raggiungere Horatio Cleio al suo tavolo; io afferro
le
boccette degli olii e mi avvicino a lui con il cuore che mi rimbalza in
petto.
Inizialmente non succede
nulla, Horatio Cleio accoglie con un sospiro
di piacere il movimento delle mie mani e si abbandona rilassato sul
tavolo. Ma,
dopo alcuni istanti, mi accorgo del movimento a scatti delle sue
narici. Sente
un odore strano, cerca di evitarlo, spera che passi... ma non se ne va;
a quel
punto si alza in piedi all’improvviso e mi osserva con occhi
sottili.
- Claudio, la tua serva manda
cattivo odore! –
esclama, sprezzante, mentre il mio padrone si avvicina a sua volta
– Questo, da
te, non me lo sarei davvero aspettato!
- Cosa dici? –
ribatte lui, sorpreso. Mi si accosta
e immediatamente sussulta, arretrando.
- Uno schiavo ben trattato e a
lungo sistemato
presso la stessa famiglia finisce per adagiarsi – commenta
Tullia Lucina, con
finta indifferenza – Ti chiediamo scusa, Horatio Cleio, per
tanta
sconsideratezza. Sono certa che
Claudio
punirà adeguatamente la sua schiava.
Gli occhi del mio padrone sono
colmi d’ira e di
vergogna – Allontanati immediatamente! – sibila,
nauseato – Aspettaci
all’esterno. E tieniti distante dalla gente, che nessun altro
venga a
lamentarsi con me del tuo odore disgustoso.
L’odio mi infiamma
la gola, devo soffocare le
parole che ho sulla lingua, perché so – oh, lo so per certo - che se parlassi ora, non
sopravvivrei fino a domani.
Esco, tremando di indignazione
sotto decine di
occhi sprezzanti; ho smesso di piangere da anni ormai, le umiliazioni
sono il
mio pane quotidiano... Eppure, eppure non riesco mai
ad abituarmi, mai! Ogni altro schiavo si rassegna, il suo
orgoglio si piega, tocca il pavimento con la fronte e lo lecca, se
necessario;
ma il mio no. Il mio orgoglio si innalza ad ogni sopruso, brillante e
indignato, furibondo come un uomo alla guerra.
Ancora
poco, ancora poco, canta.
Ancora poco e tutto questo
finirà.
***
- Inni, questo è
per te.
Claudia mi porge un boccettino
in bronzo modellato
a testa di donna, è pesante e ricolmo di un liquido rosso.
- Me l’hanno dato
alle terme, ti toglierà di dosso
quell’odore terribile, me l’hanno assicurato.
Vedrai che, se stanotte mio padre
ti troverà profumata e ben abbigliata, eviterà di
punirti!
Gli occhi mi si riempiono di
lacrime, perché la
commozione è l’unica emozione che riesce ancora a
farmi piangere. E mi succede
talmente poco! E mi capita solo per l’affetto che mi dimostra
Claudia.
L’abbraccio stretta,
come facevo quando era più
piccola e le sussurro all’orecchio mille ringraziamenti.
Giurista
Gaio... Istituzioni: Gaio fu un giurista romano,
morto all’incirca nel 180 d.C. La sua
eccezionale fama tra gli studiosi del diritto
romano e del diritto
in generale è dovuta al ritrovamento nel 1816
di un manoscritto
contenente le Istituzioni,
opera in quattro libri (o commentari)
che il giurista aveva predisposto a fini didattici e che fotografa con
impareggiabile nitidezza il quadro del diritto romano classico. Si
tratta
dell'unica opera del periodo classico ad
esserci pervenuta
direttamente, senza il tramite (e le interpolazioni) dei giuristi
giustinianei.
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Capitolo 3 *** Strategie di sopravvivenza ***
3
Kladius scivola nel mio
cubiculum
senza preavviso, lo sento entrare mentre mi sto spazzolando i capelli
per la
notte.
- Germanica! – mi
chiama, con tono freddo e
perentorio e tuttavia io non rispondo. So di essere in fallo, di
trovarmi
sbilanciata sull’orlo di un precipizio senza fondo, ma
l’ostinazione è l’unica
qualità che finora mi ha reso salva la vita.
- Innithivei –
sussurra allora lui e, quando mi
volto, lo trovo chinato sopra di me. Mi scoprirebbe ancora manchevole,
se non fosse
per Claudia e il suo unguento profumato, e questo innalza il mio debito
verso
di lei a livelli ancora più irraggiungibili di quanto
fossero precedentemente.
L’olio che mi ha
fornito ha cancellato ogni odore molesto e mi ha
permesso di stendere sulla mia pelle quelle essenze che Kladius tanto
gradisce.
-
Ti trovo meglio – commenta, infatti – Che cosa ti
è saltato in mente, oggi alle
Terme?
La
domanda mi fa infuriare.
Che
cosa mi è saltato in mente?
- Di puzzare, ovviamente
– rispondo. I miei occhi dardeggiano,
ne sono certa, e quando mi scosto da lui con rabbia ho già
capito che parlarne
si rivelerà una perdita di tempo.
- Mi hai fatto vergognare
profondamente – prosegue
lui – Dovrei frustarti a sangue.
-
Tua moglie mi ha costretta ad andare al mercato e a pulire il pesce!
– scatto,
irosa – L’ha fatto, sapendo perfettamente cosa
sarebbe accaduto.
Lui rimane immobile un
secondo, poi un sorriso gli si
disegna lentamente in volto – È riuscita a fartela.
Lo trova divertente, lui! Lui
che non ha mai piegato
il capo di fronte a nessuno. Lui, che mi ha sbattuta fuori dalle terme
come
un’appestata!
-
Vattene! – sibilo, oltraggiata – Per stanotte ne ho
abbastanza di te!
-
Non dire sciocchezze, Inni – sorride – Non sono io
lo schiavo.
Quando prende
quell’espressione, quando leggo la
derisione nei suoi occhi scuri, lo prenderei per quei capelli folti e
neri come
l’ebano e tirerei, tirerei fino a strappargli il cuoio
capelluto.
Mi alzo e faccio per
allontanarmi, ma lui mi
afferra il polso e mi fa ruotare fino ad appoggiare la schiena al suo
petto.
Slaccia lentamente la tunica, facendola scivolare quel tanto da
scoprire un
seno; mi dimeno quando lo sfiora, gli mordo la mano e lui mi molla
all’improvviso. Mi afferra una spalla, mi costringe a ruotare
su me stessa e mi
sbatte contro il muro; restiamo entrambi a fissarci con il respiro
corto, i
miei occhi nocciola, furibondi, dentro alle pozze nere dei suoi.
Il silenzio amplifica
l’ansimare delle nostre
bocche.
- Non ci provare –
sibilo.
- Gatta selvatica! –
ribatte lui, con una punta di
divertimento. Si abbassa a baciarmi e io gli mordo le labbra con
violenza. Non
è la prima volta che accade e non sarà
l’ultima, né lui ne rimane sorpreso. La
verità è che gli piace.
Gli
piace
che io gli resista.
Lo diverte.
È questo il vero e
unico segreto del mio successo
decennale.
- Questa notte non sei
dell’umore giusto per
ospitarmi nel tuo letto – commenta – Dormirai sola.
- Avrei dormito nel
peristilium, se avessi deciso
di fermarti! – ribatto, piccata.
Lui scoppia a ridere, i toni
bassi della sua voce
grattano il fondo del mio stomaco.
-
Smettila di soffiare, gatta scortese.
Sistemo
la
tunica rossa come meglio riesco e incrocio le braccia davanti al petto
– Buona
notte, signore – dico, e aspetto che se ne vada.
Lui
mi lancia un’ultima occhiata divertita ed esce dalla stanza.
Aspetto qualche
istante solo per accertarmi che non abbia intenzione di tornare, e poi
mi
lascio cadere sul letto, esausta.
Forse
ho scampato le frustate, l’ho divertito a sufficienza.
Sì, è
questo il segreto del mio successo decennale:
so resistergli. Gli piace inseguirmi, provarci, corteggiarmi o
ingegnarsi a
sedurmi; gli piace farlo ogni volta in modo nuovo, a seconda di
ciò che gli
suggerisce l’istinto e gli piace avere vita difficile.
E
con me ce l’ha dura, durissima!
Per questo io, Germanica
Innithivei, sono da dieci
anni la sua concubina preferita, per questo non mi ha mai sostituita
né messa
da parte, per questo lo affascino ancora oggi come quando ero una
ragazzina.
Sono brava a resistergli.
Sono vergine.
***
La prima volta che Claudio
Lucrezio Pollio venne a
farmi visita, dopo avermi presa come schiava, lo insultai nella mia
lingua dando
fondo a ogni epiteto di mia conoscenza. Mi aspettavo che mi avrebbe
violentata,
così come i suoi compagni avevano fatto con mia madre, ed
ero pronta a vendere
cara la mia verginità; ma quel padrone che mi aveva presa
per sé con tanta
decisione, mi si accostò con autentica gentilezza.
Non capivo le parole che mi
rivolgeva, ma la sua
voce mi raggiungeva tranquilla come l’erba di campo in
estate, i suoi gesti
erano misurati, trattenuti. Non mi si avvicinò neppure. Ero
stralunata.
La volta successiva
tentò di sedurmi, sempre con
gentilezza, mai di prepotenza; ma io gli sfuggi, mi difesi
rivoltandogli contro
la mia rabbia e lui rispettò il mio rifiuto. E
così andammo avanti nei giorni;
man mano che io imparavo parole nuove nella lingua di Roma, mi rendevo
conto
che il suo parlarmi era un tentativo di conquistarmi con ogni mezzo a
sua
disposizione: la sua voce, il suo corpo, la sua gentilezza. Ma, memore
di ciò
che era accaduto a mia madre, io non cedevo: sarebbe stato costretto
violentarmi, non mi sarei mai concessa spontaneamente a un romano. Mai,
fino
alla fine dei miei giorni!
Questo pensai i primi mesi di
prigionia, ed erano
pensieri di rabbia e di orgoglio; convinzioni a cui avrei tenuto fede
per ben
poco tempo, se non mi fossi resa conto di come funzionavano realmente
le cose
con Claudio.
Oh, sì: avrei
finito per cedergli; perché era abile
con le mani quanto lo era con la voce e, presto o tardi, in un istante
di
distratta debolezza, gli avrei offerto spazio nel mio letto.
Ma prima che questo potesse
anche solo pensare di
accadere, mi accorsi di quello che capitava alle altre concubine che si
succedevano nella sua famiglia: le usava una volta, due, al massimo
tre, e poi
le rispediva da dove erano venute, condannate a lavori ben
più umili, se non al
veleno silenzioso di Tullia Lucina. Loro, che gli cedevano
immediatamente
dandogli ciò che desiderava, venivano liquidate e sostituite
nello spazio di un
respiro, mentre io, io che lo insultavo e minacciavo di strappargli gli
occhi
mentre lo tenevo a distanza, io ero ancora lì dopo una
settimana, due, tre...
Claudio non accennava a ripudiarmi, tutt’altro: il mio
cubiculum era sempre il
più frequentato.
Fu così che
compresi come dovevo comportarmi per
restare in vita, per non finire sotto le grinfie della moglie gelosa e
per
poter mantenere, un giorno, la promessa di vendetta fatta a mia madre.
Dovevo tenere Claudio sul filo
dell’incertezza, in
bilico sempre, al centro del desiderio e a un passo -
un irraggiungibile passo – dal soddisfarlo.
Il mio comportamento lo
divertiva e lo stuzzicava,
e se non poteva sfogare su di me gli istinti che scatenavo in lui,
c’erano
sempre Tullia Lucia o le altre concubine pronte a rendersi palliativo.
Così, negli anni
rimasi. Mi presi cura della
piccola Claudia, quando Tullia Lucina era indaffarata, e accettai che
mi
venisse impartita un’istruzione. I costumi e le abitudini dei
romani divennero
i miei, così come gli abiti che indossavo, le acconciature,
il linguaggio, i
comportamenti.
Divenni romana in ogni mia
sfumatura, ma nessuno mi
toccò il cuore e ciò che custodiva non ebbe modo
di evolversi: vendetta avevo
giurato e vendetta sarebbe stata.
Vendetta sarà,
presto.
Talmente presto, che non
vedrò due nuove albe prima
che questo accada.
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Capitolo 4 *** Se il tradimento non è consapevole, che tradimento è? ***
4
- Hai bisogno di altro o ti
è sufficiente?
Cornelio Attico esamina
un’ultima volta le carte
che gli ho portato, le confronta con altre di sua proprietà,
corruga la fronte
nello sforzo di concentrazione e infine lascia trapelare un flebile
sorriso.
- È tutto a posto
– conviene – Con questi documenti
in mano ai gendarmi, Claudio Pollio non potrà salvarsi.
È in mio potere.
Chiudo gli occhi non appena mi
rendo conto della
portata delle sue parole. Trattengo il fiato.
“Ricordati
la tua vendetta, Innithivei, vivi per quella.”
Madre,
lo
sto facendo. Manca poco, manca talmente poco...
- Non mi tradirai, vero?
– domando, perché da dieci
anni non mi fido più di nessuno – Avrò
in cambio ciò che abbiamo pattuito.
Lui sventola una mano in aria,
come a dire: “Perché
insisti ancora con queste sciocchezze?”
Perché non sono
sciocchezze, naturalmente. Se fosse
uno schiavo, lo saprebbe.
- Vieni qui con la mocciosa,
quando sarà il momento
– si degna di rispondermi, alla fine –
Farò per voi quanto ho promesso.
Il pomeriggio trascorre lento,
si trascina in un
banchetto infinito di ore che Tullia Lucina ha insistito per
organizzare
all’ultimo momento. Quando ha saputo della cena programmata
da una delle rivali con cui compete
in fatto di moda,
ne ha immediatamente allestita un’altra alla stessa ora, solo
per il piacere di
rubare invitati alla sua avversaria.
Sono certa che Kladius
avrà la notizia durante
questo banchetto, Cornelio Attico si premurerà di fargli
sapere che molto
presto – questione di ore – la rovina si
abbatterà sulla sua casa.
Oh, come reagirà
Tullia Lucina! Quale espressione
le si dipingerà in volto, quando saprà di avere
perso ogni cosa? Dalla mia
posizione, non ho modo di vedere il mio padrone in faccia, anche
quando
parla con Cornelio Attico, di loro non scorgo che le nuche.
Quando infine la luce del sole
inizia a tingersi di
oro caldo, gli invitati prendono a diradarsi ed io, rimasta fino ad
allora in
un angolo, mi sottraggo ai miei doveri per raggiungere il mio
cubiculum.
Ed è allora che un
brivido mi percorre la schiena
arrivando a pizzicarmi il collo; mi giro appena in tempo per vedere
Kladius
avventarsi su di me. Mi spinge nel cubiculum, sbatte la porta dietro di
noi e
mi inchioda al muro.
- Tu! – sibila
– Sei stata tu, vero? Nessun altro
avrebbe potuto farmi una cosa simile, nessun altro sapeva dove tenevo
quelle
carte!
Ha gli occhi velati, le narici
dilatate per la
rabbia e il tremito delle sue braccia indica quale sforzo stia facendo
per non
strangolarmi. Esamina il mio volto alla ricerca di una colpa, di una
bugia...
di qualunque cosa possa svelare la mia colpevolezza o la mia innocenza.
Ma io
non intendo nascondermi, oh, no!
- Sì, solo io
sapevo dove le tenevi e tu non ti sei
dimostrato furbo a rivelarmelo!
Un singulto gli scuote le
spalle.
-
Ti rendi
conto di ciò che hai fatto? Di cosa significa per tutti noi?
– Il suo sguardo
incredulo mi fa comprendere che non ha capito, non
ha affatto capito quanta premeditazione, quanto calcolo,
quanto
lavoro ci siano stati dietro a tutto questo. Lui crede che io, per
avidità,
abbia fatto un passo falso e abbia messo in pericolo tutta la famiglia.
Per
errore.
- Me ne rendo conto, Kladius.
Sei rovinato! È
questione di poche ore ormai, domattina, o forse questa notte stessa,
verrai
accusato di alto tradimento. I tuoi beni verranno confiscati, le tue
cariche
rimosse, ogni componente della tua famiglia ripudiato dalla vita
pubblica.
Tullia Lucina finirà su una strada, costretta a vendere il
suo corpo o a morire
di fame, mentre tu, tu mio signore,
verrai imprigionato e condannato a morte. Sarai punito con la
flagellazione e
poi consegnato ai leoni che sbraneranno le tue carni!
Non possono restargli dubbi
circa le mie
intenzioni, vedo il suo sguardo oscurarsi, accusare il colpo e ritrarsi
su se
stesso. I suoi occhi scuri, quegli occhi scuri così belli,
si tingono di
delusione, tradimento, e un’emozione violenta pari a una
grossa contusione.
- Perché?
– sussurra, contratto – Perché,
Germanica?
- Il mio nome non è
Germanica! – urlo – Sono
Innithivei, la sono sempre stata, sempre! La ero quando ho visto mia
madre
violentata dai tuoi uomini, quando è morta davanti ai miei
occhi implorandomi
di vendicarla! E la sono stata in tutti questi anni, questi anni in cui
tua
moglie non mi ha risparmiato una sola delle umiliazioni che godeva
nell’infliggermi, in cui ho temuto in ogni istante per la mia
vita, in cui ho
subito i tuoi rimproveri, le tue mortificazioni! Ora sarai tu, Kladius,
a venire
spogliato dei tuoi beni, della tua libertà, della tua
dignità. Ora capirai!
Sto tremando dalla testa ai
piedi, non so più se
per l’emozione di un desiderio che si avvera o per la paura
della reazione di
Claudio Pollio. Lui sembra diventato di marmo, il suo corpo incombe su
di me,
ma i suoi pensieri rimangono lontani.
- Potevi rifarti solamente su
di me – bisbiglia
alla fine, la voce roca, intrisa di emozione trattenuta –
Lasciare in pace la
mia famiglia. Che ne sarà di Claudia? Condannata anche lei a
essere venduta
come schiava? Come puoi farle questo, proprio tu? L’hai
allevata come se fossi
stata la sua seconda madre!
- I tuoi figli sono al sicuro
– lo interrompo. Oh,
non mi conosci ancora Kladius? Credi davvero che farei del male a
Claudia? – I
tuoi figli maschi resteranno nell’esercito, sono lontani, a
loro non accadrà
nulla. E Claudia verrà via con me.
- Con te? Che dici?
- Cornelio Attico mi
affrancherà e io lavorerò in
una delle sue taberne
del pane. Accoglierà sia me che Claudia e io
baderò a lei. Dovrà lavorare, ma
nessuno le farà del male.
Il sarcasmo gli fa inarcare la
bocca in un sorriso
amaro – Pensi che Claudia vorrà restare con te,
dopo aver saputo ciò che hai
fatto? Preferirà soccombere con la sua famiglia, piuttosto
che fuggire con la
donna che ha tradito suo padre e ha mandato in rovina sua madre!
- È per questo che
tu non le dirai la verità –
sorrido – Claudia non saprà mai che in
realtà sei innocente, perché tu non
glielo
dirai. Ti crederà un traditore, ti
disprezzerà e per questo non esiterà a
venire con me. Dille la verità, Kladius, e condannerai tua
figlia a una vita di
schiavitù e miseria.
Lui rimane immobile, ma riesco
a sentire il ritmo
accelerato del suo respiro e la contrazione dei muscoli che gli
irrigidisce le
braccia, ancora appoggiate al muro, ai lati del mio corpo.
- Come puoi? –
rantola, infine – Come puoi?
Mi afferra per le spalle e mi
gira su me stessa,
buttandomi sul letto. Con un unico gesto straccia in due la mia tunica,
lasciandomi completamente nuda.
Chiudo gli occhi. Sapevo che
questo sarebbe stato
il prezzo da pagare.
Non può uccidermi,
se vuole salvare sua figlia; ma
può sfogare la sua furia facendo ciò che finora
non ha mai fatto.
Ero pronta, sono
pronta.
Sento le sue mani sul mio
corpo, furibonde, e
stringo i denti, preparata alla violenza.
Ma lui, invece, si tira
indietro di scatto,
ansimante.
I capelli scuri gli scendono
selvaggi sugli occhi,
mentre incrocia le braccia al petto, quasi a volersi imporre
l’immobilità.
- Non mi farai diventare
ciò che non sono – sussurra,
rabbioso. Mi guarda un’ultima volta e poi mi volta le spalle
e abbandona il mio
cubiculum
|
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Capitolo 5 *** Kladius e Innithivei ***
5
Entra
all’improvviso nella mia stanza senza che io sia preparata a
riceverlo; ho
ancora le guance arrossate dalla vergogna, gli occhi pesti per il
pianto e le guance
bagnate di lacrime; l’unica cosa che posso fare è
voltarmi di schiena e
nascondermi.
- Vattene!
– grido – Esci da qui!
So
perfettamente che non si muoverà, non è certo
uomo da prendere ordini dalla
propria schiava.
- Stai
piangendo? Per ciò che ha fatto Tullia Lucina? Sono passate
ore, Germanica.
Il furore
suscitato dalle sue parole frantuma il mio riserbo. Mi butto contro di
lui e
gli tempesto il petto di pugni.
- Ha
invitato tutti quegli uomini a toccarmi, a palparmi come una giovenca
al
mercato! “Guardate il bottino di guerra di mio
marito!” – scimmiotto, imitando
la voce della padrona – “Toccate, esaminatela bene,
non vi pare ottima merce?”
– le parole mi si spezzano in un singhiozzo che avrei voluto
a tutti i costi
evitare.
Kladius
non si è sottratto ai miei pugni, non credo neppure che li
abbia sentiti. È
forte, possente, abituato alla lotta e alle armi, mentre io sono uno
scricciolo
di diciassette anni che parla a malapena la sua lingua.
- Se tu
fossi stata venduta al mercato degli schiavi, ti sarebbe toccato ben di
peggio
– mi dice, tranquillo – Saresti stata esposta,
completamente nuda, alla mercé
di qualunque compratore. Tullia Lucina non ha fatto nulla di
sconveniente.
È sempre
così, con lui; quel suo modo di ragionare assolutista, da
padrone, mi lascia
senza fiato, senza parole. Non capisce i miei sentimenti, quasi fossero scritti in
una lingua obsoleta.
Le lacrime
sono l’unica risposta della mia rabbia impotente,
ricominciano a scorrere
cariche di furia, di velenoso disprezzo.
-
Germanica...
- Non mi
chiamo Germanica!
Lui si
china su di me, mi stringe il viso fra le mani.
-
Innithivei, devi rassegnarti ad alcune regole cui non verrò
meno. Non ti
difenderò mai da mia moglie, in pubblico, non lo
farò, semplicemente. Non posso
esporre Tullia Lucina all’umiliazione di vedersi ripresa in
favore di una
schiava.
- Lei mi
detesta!
- Detesta
tutte le mie concubine, tormentarle è una delle sue
attività predilette e tu
non ne sei esente.
Mi scosto
da lui con energia, ma Kladius mi afferra per un polso.
- Smettila
di piangere, facciamo un patto. Sopporterai le cattiverie di mia
moglie, ma...
diciamo, ogni dieci dispetti che riceverai da parte sua, io ti
farò un dono.
Potrai chiedermi di esaudire un tuo piccolo desiderio.
Di fronte
a quel compromesso non so davvero cosa rispondere. Claudio Pollio
è un padrone
così bizzarro!
***
Infilo una nuova tunica e
ripongo quella stracciata
in un angolo della stanza, lego i capelli in un’unica grossa
treccia e poi
scivolo lentamente sul letto. Sono stanca, così stanca che
potrei disintegrarmi
qui, su questo giaciglio. Eppure gli occhi non mi si chiudono, non ne
vogliono
sapere di abbandonarsi all’oblio.
***
- Signore,
temo che non ci sia nulla da fare, le probabilità che tua
figlia passi la notte
sono quasi nulle.
Ci
aspettavamo entrambi quelle parole, eppure, quando calano nella stanza,
sembrano raggelare le pareti, il soffitto, l’aria stessa che
respiriamo.
Claudia ha
solo quattro anni; piccola e scura, scompare nel fagotto di coperte in
cui è
avvolta. Mangiata dalla febbre, non riprende conoscenza da più di dodici
ore.
Tullia
Lucina l’ha vegliata per giorni e ora dorme, sfinita, in un
angolo della
stanza; alla fine la stanchezza ha prevalso, posticipando di un poco
quel
dolore che sembra stritolare all’improvviso le nostre ossa.
- Claudio
Pollio, devi preparare la pira per la cremazione di modo che, appena
tua figlia
spirerà, tu possa offrirle un degno saluto. Prima che inizi
a mandare cattivo
odore. Fa molto caldo, sai.
A quelle
parole, Kladius annuisce. I suoi occhi sono torbidi, le labbra serrate.
Apre la
bocca, poi la richiude; infine si avvicina a Claudia, della quale sto
tenendo
stretta una mano, e le sfiora la fronte con una carezza. Poi se ne va.
È bravo a
trattenere il dolore, il mio signore. So che per Claudia nutre un
affetto
smisurato: è la sua prima figlia, la sua prediletta e
beneamata, la sua gioia.
- Avanti,
seguilo!
Sussulto,
a quel comando improvviso. L’uomo che, per giorni, ha cercato
di curare
Claudia, ora mi sta facendo cenno di uscire dalla stanza.- Sei la sua
schiava
personale, no? Avrà bisogno di aiuto!
Esito al
pensiero di lasciare sola Claudia, ma non posso disobbedire.
Il mio
cuore sanguina come se fosse la mia, di figlia, a trovarsi in punto di
morte;
ho cullato Claudia in tenera età, mi sono presa cura di lei,
l’ho nutrita e
vestita, fatta giocare e un poco istruita. Non posso credere che domani
non
sarà più con noi.
Può forse
crederlo Kladius?
Lo cerco
per la domus, invano, sperando che non sia già uscito in
città, ed è solo
quando, ormai esasperata, arrivo nel peristilium, che lo trovo. La
notte è
inoltrata, ma la luce spettrale di una luna quasi piena mi permette di
distinguere i contorni confusi della sua figura rannicchiata.
È seduto sul
muretto, raggomitolato su se stesso, abbozzolato in
un’immobilità terrificante.
Si
riscuote all’improvviso, quando sente i miei passi, e per un
lungo istante
rimane in silenzio, come se non mi riconoscesse.
- Si è
svegliata Tullia Lucina? – mi chiede poi. La voce
è talmente roca da sfiorare
abissi di profondità mai toccati e, con un brivido di
sgomento, mi rendo conto
che forse, forse il mio impenetrabile e onnipotente padrone stava
piangendo.
- No, sta
ancora dormendo – sussurro, a disagio.
- Meglio.
Meglio, che possa rimandare ancora di un poco la consapevolezza della
verità.
Avrà bisogno di sostegno, quando saprà.
- Ne hai
bisogno anche tu, credo – azzardo dire. In fondo ne ho
bisogno anch’io, e non
sono neppure parente lontana di Claudia.
- Io sono
il pater familias – mi risponde, come se questo potesse
salvarlo in qualche
modo dal dolore.
“No, tu
sei un ragazzo di ventidue anni”, vorrei rispondergli,
“E stai per perdere la
tua unica figlia”.
Ma non
dico nulla invece, perché è vero che è
il pater familias ed è vero che sua
moglie si appoggerà a lui per sopportare il lutto, per
affrontare i giorni
futuri.
Si alza in
piedi lentamente, a fatica; nonostante la luna, non riesco a scorgere
chiaramente i lineamenti del suo volto. Fa per muoversi: un passo,
due... Ma
poi si ferma e all’improvviso si copre il viso con le mani.
- Non ce
la faccio – mormora – Non ci riesco a organizzare
il funerale di mia figlia,
mentre è ancora viva. Non voglio prepararle la pira, non
voglio bruciare il suo
corpo! È Claudia, è il corpo di mia figlia.
È mia figlia, Innithivei, ha solo
quattro anni!.
Quando la
sua voce si rompe, anche il mio animo si spezza.
- Allora
non farlo, Kladius, non sei costretto! Claudia potrebbe ancora
salvarsi,
potrebbe guarire!
- Non
illudermi – mormora, senza togliersi i palmi dalla faccia
– Non posso...
sperare...
Un
singhiozzo si mangia il resto delle parole e a quel punto non posso
più
dubitare che stia piangendo. Claudio Pollio, ex generale militare,
importante
uomo politico di Roma, padrone assoluto della mia vita e della mia
morte,
soffoca tra le mani aperte il dolore atroce della perdita di una figlia.
- Io non
voglio illuderti – sussurro – Ma hai ragione: non
puoi preparare la pira per
tua figlia che non è ancora morta.
Gli
appoggio una mano sul braccio, lo sfioro in una carezza –
Dovresti tornare di
là e stare vicino a Claudia, perché in questo
momento è ancora viva e respira.
- Ma io
non ci riesco – allontana le mani dal viso e al chiarore
lunare scorgo
finalmente le lacrime, lacrime trasparenti e brucianti come quelle di
un qualunque
essere umano – Non sopporto di vedere il momento in cui
morirà...di essere lì
quando smetterà di respirare. Non ce la faccio.
Lo
abbraccio di istinto e lui ricambia immediatamente, mi stringe forte a
sé,
quasi a tirarmi dentro di lui, affonda il viso nei miei capelli e le
sue
lacrime mi scorrono lungo il collo, fino alle spalle.
Non sembra
provare vergogna, è solo un uomo in cerca di conforto; un
conforto ben
difficile da trovare, che io cerco di offrirgli con tutta me stessa.
Restiamo
abbracciati nell’oscurità per un tempo talmente
prolungato, che le lacrime
sulla mia pelle si asciugano e i primi uccelli del mattino intonano il
loro
canto.
Al sorgere
del sole, Claudia viene dichiarata fuori pericolo. Nemmeno due giorni
dopo,
Tullia Lucina annuncia la gravidanza del secondo figlio.
***
Mi giro e rigiro nel letto,
senza riuscire a
prendere sonno. Sono tesa, nervosa; ogni istante è buono,
perché Kladius venga
arrestato: può accadere fra molte ore o in questo stesso
momento, e questo fa
sì che non riesca a rilassarmi.
La luce di una luna quasi
piena perfora la
finestrella della stanza; una luna del tutto simile a quella
dell’episodio che
mi è appena tornato in mente, avvenuto sei anni fa, quando
Claudia aveva
rischiato di morire per una grossa infezione. Sarà un caso
che questa luna sia
così somigliante a quella di allora? Sarà un caso
che stasera, negli occhi di
Kladius, brillasse la stessa identica angoscia che gli lessi in volto
allora,
poco prima di uscire dalla camera di Claudia?
***
Le mani di
Kladius percorrono il mio corpo per tutta la sua lunghezza,
accarezzandomi la
pelle attraverso la stoffa, troppo spessa, della tunica. Devo impedirmi
di
ansimare, perché potrebbe credere che mi piace
ciò che sta facendo, o peggio,
che lo desidero; mentre ciò che deve accadere è
del tutto diverso. Deve
immediatamente togliermi le mani di dosso.
Apro la
bocca per imporgli di lasciarmi, ma la le sue labbra la coprono e la
divorano
in unico movimento; le gambe iniziano a cedermi, a sentire il bisogno
di un sostegno.
Ma proprio quando sto per lasciarmi andare, un guizzo di consapevolezza
mi
permette di reagire, raddrizzarmi, liberarmi da quelle mani bramose.
-
Smettila, lasciami andare! Non ti ho detto di sì!
Arretro
fino a trovarmi con le spalle al muro, incrocio le braccia sulla tunica
e
invoco quel poco di lucidità che mi è rimasto,
perché possa allontanarmi
definitivamente da Kladius. Oggi siamo andati troppo oltre.
Anche per
lui è difficile ritrovare il controllo e tuttavia ci riesce
forse prima di me,
scuote la testa come a scacciare gli ultimi pensieri sconvenienti.
- Mi è
sembrato ti piacesse – esclama, con un guizzo negli occhi.
- Ti
inganni. Come potrebbe piacermi, quando ho tanta rabbia in corpo da
desiderare
farti a pezzi?
Lui
sorride – Questo per il comportamento di Tullia Lucina di
oggi? Va bene. Siamo
a dieci, giusto?
Non perde
mai il conteggio ed è qualcosa che faccio fatica a
spiegarmi: finché non mi
vede arrabbiata, sembra che neppure noti gli atteggiamenti di sua
moglie;
eppure non ha mai sbagliato un conto.
Sono
trascorsi sei anni da quando mi fece quella promessa, e da allora il
conteggio
è arrivato a dieci una serie infinita di volte. Ho chiesto
oggetti personali,
piccoli permessi, concessioni minime e sempre mi sono stati accordati,
così
come mi aveva promesso tanto tempo fa; ma ormai non so più
cosa domandare, ho
voglia di chiedere qualcosa di più, qualcosa di diverso.
- Hai già
deciso cosa desideri?
Scuoto la
testa – No, non saprei. Qualcosa di grosso, credo, per
ciò che ho dovuto subire
oggi; tua moglie è insopportabile.
- Sono
io quello insopportabile. Lei agisce di
conseguenza.
Questo è
tipico di lui, avere così tante concubine e sentirsi in
colpa verso sua moglie
in continuazione. Ma tutti i personaggi di spicco hanno concubine e lui
deve
mantenersi all’altezza del suo status; e poi, diciamolo fra
noi, io dubito che
andarci a letto, con queste concubine, sia poi così
tremendo.
Tullia
Lucina lo sa, lei stessa pensa che sia importante rispettare le
convenienze, ma
non può fare a meno di odiare tutto questo, me compresa.
Mi siedo
sul letto stringendomi le ginocchia fra le braccia, riflettendo
– Dovrebbe
rassegnarsi – dico – Le cose stanno a questo modo
da anni, è inutile che
continui a soffrirci.
Si siede accanto a me e mi dà un
colpetto su una spalla.
– Anche tu
potresti rassegnarti al suo atteggiamento e smetterla di starci
così male.
- È
diverso – brontolo – Non ci si può
rassegnare all’umiliazione continua.
Mi stendo
e mi concentro sul soffitto della stanza, non ho dimenticato che sono
arrivata
a dieci e che Kladius mi deve un dono; voglio pensare a qualcosa di
diverso, a
un regalo innovativo. Accanto a me, Kladius si sfila la toga restando
solo con
il subligaculum.
È il segno che intende trascorrere la notte nel mio letto e
mi scosto in modo
da fargli posto.
- Allora,
Innithivei, che cosa vuoi in dono?
Adoro
quando mi chiama con il mio nome; lo fa solo
qui, in questa stanza,
quando
siamo soli.
Rimango in
silenzio a riflettere e, nel frattempo, lui mi fa passare un braccio
dietro la
nuca, come sempre. Mi giro dalla sua parte e appoggio una mano sulla
sua spalla
nuda; i muscoli sodi e lisci delle sue braccia mi sorprendono ogni
volta, li
sento vigorosi sotto le mie dita.
- Dammi
una prova della tua fiducia – dico all’improvviso.
Mi aspetto
che chieda spiegazioni, che protesti, che si indigni di fronte alla
richiesta
sfacciata della sua schiava. Invece tace, come se la richiesta non gli
sembrasse poi tanto illegittima; rimane in silenzio per un lunghissimo
tempo.
- Kladius,
ti sei addormentato?
Alla luce
della candela, sento le sue labbra piegarsi in un sorriso assorto.
- Sto
riflettendo sulla tua richiesta.
Trattengo
il respiro e all’improvviso mi è chiaro che questo
è il momento che ho atteso
per anni, il momento in cui mi si sta aprendo finalmente uno spiraglio.
Non mi
ha ancora opposto rifiuto, per cui devo assolutamente insistere.
- Ti fidi
di me, Kladius?
Silenzio.
- Credo
che tu sia una brava persona, Inni – dice poi, lentamente -
Claudia ti adora,
stai facendo molte cose buone per lei.
- Allora,
se hai fiducia in me, rivelami un tuo segreto.
- Perché?
Questo è
il momento di giocarmi la partita.
“Devi
vendicarci, Innithivei”
Lo farò,
mamma.
Mi giro
sulla schiena, fisso gli occhi al soffitto colorato di oro scuro e
cerco di
dare alla mia voce un’intonazione malinconica – Non
è facile vivere in terra
straniera, dove non puoi fidarti di nessuno e nessuno si fida di te;
vivo qui
da sei anni, eppure sono ancora considerata una nemica.
- Io non
ti ho mai considerata una nemica.
- Allora dimostramelo.
Si gira su
di un fianco, avvicina le labbra al mio orecchio e, in un sussurro, mi
rivela
il suo segreto. Tremo, mentre le parole cadono dalla sua bocca alla mia
testa,
tremo perché mi rendo conto che si fida davvero, tremo
perché so – so con
certezza – che questo atto di affidamento lo
porterà prima o poi alla rovina.
Il futuro
del mio padrone è legato a un fascicolo di carte,
metà del quale contiene
informazioni tali da portare il governatore ad accusarlo di alto
tradimento. L’altra
metà lo scagiona, mostrando come abbia lavorato in quanto
spia a servizio del
suo popolo.
Mentre mi
rivela questo, riesco solo a pensare a cosa accadrebbe se una parte di
quel
fascicolo finisse in mano
alla legge e
l’altra metà scomparisse nel nulla.
Sarebbe la
rovina... Sarà la rovina quando, dovessi metterci anni,
questo accadrà.
- Sei
soddisfatta ora?
- Sì,
grazie.
Si
addormenta con il viso tra i miei capelli, mentre ancora i miei
pensieri
indugiano nella vendetta, nel tradimento, nella rivalsa. Infine
appoggio la
guancia alla sua e, dolcemente, lascio che il sonno mi prenda.
***
- Kladius,
il governatore oggi verrà in visita. Quelle carte di cui mi
parlavi sono al
sicuro?
- Quali
carte?
- Quelle
che potrebbero farti incolpare di tradimento.
- Come fai
a ricordartene? Saranno passati almeno quattro anni da quando te ne ho
parlato.
- Ma le
hai messe al sicuro?
- Sì, certo.
Che ti prende Germanica? Il governatore non si metterà
certamente a frugare in
casa nostra.
- Non mi
chiamo Germanica! E invece i suoi uomini potrebbero farlo, al mercato
ho
sentito che si sta facendo ospite in molte case, proprio allo scopo di
introdurre i suoi schiavi nelle abitazioni che, durante i banchetti,
passano in
rassegna in cerca di indizi di tradimento. È un momento
complicato questo, come
puoi non saperlo?
- Inni, tu
non vai al mercato, non è nei tuoi compiti!
- Spiegalo
a tua moglie! Perché stai ridendo? Non mi diverte affatto,
andare al mercato!
- Ne sono
certo. Stai tranquilla, quel fascicolo, preso per intero, non
può incolparmi. E
in ogni caso è al sicuro nel mio cubiculum, nessuno
riuscirà a entrarvi per
trafugarlo.
-
Se lo dici tu.
|
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Capitolo 6 *** La verità che non ho voluto vedere ***
6
È stabilito, questa
notte non riuscirò
a dormire. È risaputo come l’oscurità
celi pensieri insidiosi che alla luce del
sole non osano venire allo scoperto, ma che approfittano del silenzio
delle
tenebre per raggiungerti la testa, il cuore.
Mi sembra che voci invisibili
sussurrino al mio animo in continuazione: le parole di mia madre
riecheggiano
come un’eco costante “Vendicaci, Innithivei. Il tuo
dovere è vendicarci.”
Ma anche la voce di Kladius ritorna,
insistente, fra le pieghe del mio cuscino.
Dovevo vendicare il mio popolo
dalla
furia del mostro, ma il mostro, negli anni, ha dormito nel mio letto
senza
sfiorarmi; ha aperto il suo cuore al mio, e, pur con tutti i difetti di
un uomo
che tratta in pubblico la sua schiava come un oggetto, ha saputo, in
privato,
mostrare un volto sensibile. L’ho visto vulnerabile,
colpevole, insicuro. Forse
sono l’unica ad aver guardato ogni sfumatura del suo viso,
perché, per qualche
motivo insensato, di me, il generale Claudio Pollio, si fida. Si
fidava. La sua
ingenuità è stata pari alla mia scaltrezza e
questa notte che corona la mia
gloria, si tinge nel mio animo del rosso di una colpa opprimente.
Non posso più
restare qui, sdraiata ad
ascoltare i miei demoni. E lo so che, da qualche parte in questa casa,
anche
Kladius è sveglio a guardare in faccia i suoi.
Da qualche parte della domus,
che so
quale parte sia; lo avverto per istinto.
Esco a piedi scalzi nel
peristilium e
seguo le orme di un percorso già compiuto anni prima, un
percorso tinto di nera
angoscia quanto allora.
Lo trovo là, come
già sei anni fa,
seduto sullo stesso muretto, sotto la luce spettrale
dell’ennesima luna quasi
piena. Ma non è raggomitolato su se stesso, stavolta fissa
il cielo e il suo
sguardo rimanda a pensieri cupi, ombrosi.
Dovrei temerlo, dopo quanto
gli ho
fatto; invece mi fermo accanto ai suoi piedi senza dire nulla, come se
avessi
ancora il diritto di condividere le sue ansie. Lui mi scruta senza
alzarsi,
nella semioscurità, cercando sul mio volto il motivo della
mia presenza. Non
sembra più arrabbiato, ma scorgo il dolore sul suo viso.
- Innithivei...
- Oh, adesso sono Innithivei?
–
replico di scatto; per agitazione, non per altro.
- Innithivei –
ripete lui, piano –
Almeno... porta con te anche Tullia Lucina.
È impazzito? Tullia
Lucina? Non c’è
persona della cui disfatta potrei godere con più
soddisfazione!
- Non perderò un
solo istante a preoccuparmi
della sorte di tua moglie – rispondo – Sai
perfettamente cosa penso di lei.
- È solo gelosa,
esasperata; la sua
colpa ricade interamente di me. Sono io che l’ho portata ad
agire a quel modo e
sempre io non ti ho mai difesa da lei. Lascia che la tua rabbia si
sfoghi solo contro
di me.
- Kladius, io non ho alcuna
intenzione
di portare con me tua moglie!
- È la madre di
Claudia. Pensa almeno
a lei.
Sa che questo è il
mio punto debole,
non può non immaginare quanto mi renda combattuta il
pensiero di far soffrire
sua figlia. Che soffrirà comunque, in ogni caso, per la sua
bella casa che le
sarà tolta, per la sorte di suo padre, torturato e ucciso
come traditore, per
la sua vita totalmente stravolta. Posso risparmiarle la madre? Almeno
quello?
Il silenzio del giardino
ingigantisce
il rumore dei miei sensi di colpa.
- Ho giurato a mia madre che
avrei
vendicato la mia famiglia e il mio popolo – dico, sperando
che ascoltare queste
parole dalla mia stessa bocca dia consistenza a un odio che forse non
provo più
da tempo – È l’ultima cosa che mi ha
chiesto prima di morire, la vendetta.
- Non ti chiedo
pietà per me,
Innithivei, te la chiedo per mia moglie che non ha mai avuto a che fare
con ciò
che è accaduto nelle tue terre. Ti chiedo solo di avere un
po’ di pietà per
lei, e per Claudia che la ama profondamente. Come io ne ho avuta per te.
- Per me? E quando mai?
Lui non risponde, la mia
reazione gli
ha fatto comprendere che in realtà ho capito. Ma non voglio
sentire, non voglio
pensarci, non voglio saperlo davvero.
Questa consapevolezza ha fluttuato in me tra la coscienza e
l’incoscienza per
anni, latente, senza che io mai mi sia soffermata a esaminarla con
giudizio.
Distolgo lo sguardo, ma i miei
pensieri stanno già percorrendo il tempo, e allora ricordo.
Ricordo quel momento in cui il
generale Claudio Pollio entrò nella nostra casa, dieci anni
fa, mentre i suoi
uomini, dopo aver goduto di mia madre, banchettavano con le nostre
provviste.
Coprii il corpo di mia madre
con il
mio e lui ci osservò con uno sguardo che vide molte, molte
cose, e poi parlò ai
soldati nella sua lingua sconosciuta. Non potevo sapere, allora, quale
significato preciso avessero le sue parole; non comprendevo quel
linguaggio
così diverso dal mio, ma la forma di quelle parole oscure
rimase impressa a
fuoco nella mia mente. Vi rimase impressa per mesi e non se
n’era ancora andata
quando, appresa finalmente la lingua dei miei nuovi padroni, potei
comprenderne
il senso. Rimase sospeso fra cielo e terra per molto tempo, quel
significato,
come se mi rifiutassi di farlo cadere sulla mia persona e assimilarlo.
“Siete delle
bestie”, erano state le
parole di Claudio Pollio a quegli uomini, quando ci aveva viste
“Non
azzardatevi più a toccare quella donna. E la ragazza la
prenderò per me!”
“La ragazza
è per il comandante Cornelio
Attico”, aveva ribattuto uno degli uomini. “Intende
godere del suo corpo fino
al nostro ritorno in patria e poi venderla al mercato degli schiavi. Si
vendicherà su di te, se gliela porterai via; non
è un uomo che dimentica. Prima
o poi dovrai vedertela con lui.”
“La ragazza
è mia.”
Quelle erano state le sue
parole, le
parole che per anni hanno rimbalzato fra i miei pensieri, mentre io
rifiutavo
di comprenderle, e meditavo la mia vendetta.
Ma adesso che sono costretta a
pensarci, a renderle reali, a capirle... adesso e solo adesso mi rendo
conto di
quello che ho veramente fatto.
Apro la bocca e la richiudo
immediatamente.
Cornelio Attico.
Cornelio Attico,
l’uomo a cui ho
consegnato quelle carte, è il comandante da cui mi ha
salvato Claudio.
Le gambe mi cedono
all’improvviso e io
crollo in ginocchio di fronte a lui, all’improvviso sto
boccheggiando.
- Ho evitato che tua madre
subisse
ulteriori violenze – mormora Kladius – Solo per
questo, ti prego di avere pietà
di mia moglie.
- Sì –
rispondo con voce strozzata,
mentre pensieri frenetici si rincorrono nella mia testa. Oh
madre mia, oh madre mia!, non faccio che ripetermi. Erano di
Cornelio Attico gli uomini che l’hanno violentata, e, da lui,
Kladius mi ha
salvata.
- Sono stato ingenuo a credere
che tu
ti fossi abituata a questa vita – sta dicendo lui –
Mi sono chiesto per tutti
questi anni perché mi resistessi. Percepivo il tuo desiderio
fisico e mi
domandavo come potessi, solo per orgoglio, continuare a respingermi.
Non avevo
capito quanto ancora mi odiassi, non sapevo che non avevi mai smesso di
tramare
vendetta. Sei stata abile, ben più di molti comandanti
romani.
Mi rendo conto con lentezza
del
significato delle sue parole. Ecco, ora crederà che lo stavo
irretendo, quando
gli ho offerto conforto per la malattia di sua figlia.
Penserà che fossero
finzione le volte in cui ho dormito sulla sua spalla sentendomi
protetta, le
volte in cui ho riso con lui, quelle in cui l’ho ascoltato
con interesse.
E io stessa non credevo che
fosse
tutta finzione, in fondo? Me lo raccontavo, ma forse lo dicevo a me
stessa solo
come si racconta una fiaba a un bambino.
Impiego davvero tanto a
rendermi conto
del significato ultimo delle sue parole.
Alzo gli occhi di scatto e
cerco i
suoi tra i ghirigori di una luce sfocata.
- Kladius, io non ti ho mai
ceduto per
timore di venire accantonata; non c’entravano i miei
propositi di vendetta!
Ogni concubina con cui giacevi veniva abbandonata immediatamente dopo e
io...
dovevo preservarmi! Se avessi perso il tuo favore, sai quanto avrebbe
impiegato
tua moglie ad avvelenarmi? Sarei morta nel passare di una notte!
Lui scuote la testa, sembra
confuso.
Forse non conosce neppure se stesso?
- Non dirmi che non ti
divertiva
cercare di sedurmi!
- Sì, mi
divertiva... all’inizio. Ma
nessun uomo è contento di desiderare una donna per dieci
anni senza mai averne
nulla di più di un bacio, sarebbe stato meno frustrante
disinteressarsi di te,
credimi!
- Ma non l’hai fatto.
- No, non l’ho fatto
– stringe le
nocche della mano sinistra nel pugno destro, si morde il labbro
– Non l’ho
fatto, perché altrimenti Tullia Lucina ti avrebbe
avvelenata; non l’ho fatto,
perché era comunque piacevole stare con te...
Perché credevo fossi mia amica.
Perdo il fiato
all’improvviso.
- Tua... amica?
- Mi hai sempre ascoltato,
consigliato... Ho pianto davanti a te, Inni! Credi che lo faccia con
tutti?
Pensavo che... che ci fosse amicizia fra noi, certo, non
un’amicizia ordinaria,
perché eri la mia schiava e non potevo trattarti in pubblico
come una pari,
ma... Ma pensavo che fra noi ci fosse un tacito accordo di amicizia,
per
questo... sei sempre rimasta la mia favorita. Non certo
perché mi piaceva
desiderarti senza mai ottenere nulla!
Abbassa le spalle in un moto
di sconfitta.
- Mi hai incastrato come un
idiota,
invece. Credevo di essere un buon generale, di avere
l’astuzia dalla mia parte;
ma evidentemente merito, per la mia stoltezza, questa fine.
La sua amarezza è
fiele che mi riempie
la bocca. Ingoio saliva e dispiacere e mi accorgo con orrore di avere
voglia di
piangere.
Io, io che dovrei toccare, in
questo
istante, le vette dell’ebbrezza. Ho vinto, dopotutto. Ma
vinto su chi?
Vinto cosa?
Pensavo di dover risvegliare
il suo
interesse ogni volta che si infilava nella mia camera, mentre lui
cercava in me
un legame sincero.
Ora, mentre cerco i suoi
occhi, mi
chiedo cosa penserò di me, domani. Come farò i
conti con il resto dei miei
giorni.
L’alba non
è poi così lontana.
- Kladius... hai paura?
Lui non risponde. So che
vorrebbe
dirmi di no, che non teme nulla, che è un generale e la
sofferenza e la morte
non lo spaventano. Ma il suo destino è atroce e lui, al mio
contrario, non
riesce a comportarsi da bugiardo.
Così tace e
distoglie lo sguardo; e io
mi domando come affronterà tutto ciò che deve
venire.
Cerco di immaginarlo durante
la
flagellazione pubblica, le sue carni martoriate dalla frusta, il suo
sangue che
scorre sul pavimento. Io stessa sono stata
punita con la sferza in passato, ma era solo qualche
frustata dimostrativa,
per impartire una lezione, ben diversa dai trentanove colpi di rito.
Kladius
è stato in guerra, è rimasto ferito, è
avvezzo ai disagi, ma il pensiero di ciò che lo aspetta mi
fa ribrezzo.
Lo immagino solo, ferito, di
fronte
alle belve inferocite che lo faranno a pezzi fino a ridurlo in nulla. E
me ne
esco in un gemito di sgomento che gli fa alzare gli occhi sui miei. Non
so
perché, ma allora gli prendo la faccia fra le mani e lo
bacio; penso, con un
istante di ritardo, che ora la mia persona potrebbe dargli repulsione,
ma non
riesco a staccarmi, perché lui invece si avvinghia a me,
artiglia le dita alla
mia schiena e mi bacia con una foga in cui riconosco tutto il terrore
che sta
provando. Sfoga la sua paura su di me e, solo dopo lunghissimi istanti,
stacca
la bocca dalla mia e affonda il viso nella mia spalla, tremando
furiosamente.
Lo abbraccio e, finalmente,
decido di
seguire i miei sentimenti.
- Kladius... Claudio, vieni
con me.
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Capitolo 7 *** La vendetta ***
7
Quando entriamo nel mio cubiculum,
lui
non fa domande. Da quando ho accettato di aiutare sua moglie, ha
abbandonato
ogni combattività, precipitando in una triste rassegnazione.
Potrebbe sembrare
insensata questa sua assenza di rabbia nei miei confronti, ma Claudio
è un ex
militare: si è trovato in guerra, ha guidato spedizioni e
razzie, ha
contribuito a conquistare terre e schiavi. È consapevole del
significato di
onore e di vendetta e dell’esasperazione e del sacrificio che
il mio popolo
mette al loro servizio. Non può odiarmi per aver cercato di
compiere il mio dovere,
detesta piuttosto se stesso per non essere stato sufficientemente
scaltro.
Un respiro vagamente
accelerato è
l’unico segnale di nervosismo che tradisce in questo momento,
mentre si guarda
attorno con aria assente nel mio cubiculum. Non nota i miei movimenti,
mentre
rimesto tra le pieghe del mio giaciglio; è solo quando mi
paro davanti a lui
con delle carte in mano che sembra tornare a offrirmi un po’
di attenzione.
- Naturalmente non mi fido del
tutto
di Cornelio Attico – gli dico, stringendo a me il malloppo
– Mi sono limitata a
offrigli la possibilità di arrestarti, senza dirgli che eri
in realtà innocente
e che esistono prove che possono dimostrarlo.
Quando inizia a intuire il
significato
delle mie parole, rimane senza fiato. Ne approfitto per proseguire.
- Se, una volta che ti
avessero
arrestato, non avesse mantenuto la promessa, lo avrei minacciato di
farti
scarcerare con le carte che mi restavano. Così, come vedi,
queste sono ancora
in mano mia.
I suoi occhi si fermano fissi
sul
fascicolo che tengo in mano; vedo la sua mascella serrarsi, il corpo
intero
irrigidirsi. La flagellazione, la caduta della sua famiglia, la
condanna a
morte, all’improvviso non sono più un destino
certo; diventano solo una
possibilità e una possibilità remota.
Un silenzio profondo penetra i
muri
della casa, un silenzio denso e oleoso, che per qualche istante sembra
destinato a farci affogare in esso. Poi, io sussurro – Voglio
trattare con te.
- Che cosa vuoi?
Questa conversazione
è una farsa, è
evidente. Sono sola di fronte a lui, piccola e minuta, quanto lui
è alto e
forte. Siamo chiusi in questa stanza, in una casa in cui lui
è padrone assoluto
e io la schiava al suo servizio. Potrebbe riprendere le sue carte in un
istante, usando la forza o anche solo la sua autorità;
invece sceglie di
lasciarmi spazio, come se davvero esistesse una possibilità
di mercanteggiare.
- Voglio la mia
libertà – dico,
alzando su di lui uno sguardo fiero – La stessa che mi aveva
offerto Cornelio
Attico: voglio venire affrancata e lavorare da liberta.
- Sì, va bene.
La sua arrendevolezza mi fa
sussultare.
- Va bene?
- Non è la prima
volta che ci penso,
Inni. Mi sono già detto tante volte che ti avrei affrancata,
e prima o poi
l’avrei veramente fatto. Semplicemente... mi spiaceva non
averti più per me, nella
mia casa, nella mia vita. Se avessi immaginato che la tua rabbia non
nascondeva
solo un orgoglio ferito, ma il desiderio vivo di essere indipendente...
- Se tu l’avessi
immaginato? –
trasecolo – Claudio, io sono nata libera! Non sono fatta per
essere una
schiava!
Sorride.
- Lo so. Ma tu sai, invece,
quanto
riesco a essere egoista.
Questo non è del
tutto vero: tanti
padroni finiscono con l’affrancare gli schiavi a cui
più si affezionano, ma
questo non è un dovere cui devono attenersi. È
solo... una delle possibilità
che hanno, come signori, di decidere della vita dei loro servitori.
- E la tua vendetta?
– mi chiede.
- Mandare all’aria
la vendetta di
Cornelio Attico sarà la mia.
Gli porgo le carte e lui si
affretta a
controllarle, quando si è rassicurato circa il loro
contenuto, le piega e le
infila nella tunica, al sicuro.
- Non credevo me le avresti
ridate
così... senza avere prima un’assicurazione della
mia parola – commenta.
- Mi fido di te –
ribatto, con una
punta di acidità – Tu non sei un bugiardo, al
contrario di me.
Gli do le spalle con una certa
asprezza, imbarazzata dalle mie stesse parole e da quanto ho appena
fatto, ma
Claudio mi afferra per un polso impedendomi di allontanarmi.
- Inni... –
comincia. Si interrompe
immediatamente però, come se non trovasse il modo di
proseguire. Riesco a
comprenderlo perfettamente, non ci sono parole per esprimere
ciò che proviamo
l’uno per l’altra, per raccapezzarsi nel viluppo
contraddittorio in cui ci
siamo ingarbugliati.
So che l’ho ferito
profondamente con
il mio tradimento e che ora, invece, l’ho salvato
rimangiandomi il mio stesso
imbroglio. Sono la persona che ha graziato, che ha catturato, davanti
la quale
ha pianto. La persona che ha tramato contro la sua vita e che,
tuttavia, alla
fine si è dimostrata degna di fiducia.
Mentre lui rimane il mio
aguzzino, il
mio padrone despota; ma resta anche l’uomo che ha avuto
pietà di me e di mia
madre, che mi ha asservita come schiava, ma mai violentata;
l’uomo che mi
considera un’amica e che mi ha appena promesso la
libertà.
Tutto questo, fra di noi,
è troppo.
Troppo pesante, troppo denso, inaffrontabile; ci vuole tempo
perché le nostre
ombre si riaccostino l’una all’altra tornando a
creare un’immagine omogenea che
ci permetta di rapportarci fra di noi con coerenza.
Per adesso resta solo questo
silenzio
corposo, imbevuto di emozioni confuse.
Così la sua mano fa
pressione sul mio
polso e mi spinge a voltarmi verso di lui; Claudio mi tira verso di
sé e mi
stringe con forza al suo petto. Istintivamente mi aggrappo alla sua
schiena e
affondo il viso contro di lui, godendo di quell’abbraccio
forte, mozzafiato.
Credo che potrei restare così per ore, aspirando conforto,
pace, calore e
cedendone altrettanti a lui; ma dopo pochi istanti il rumore del
batacchio
della porta pervade il silenzio in colpi ritmici e concitati.
Ci stacchiamo, fissandoci
negli occhi,
mentre nella domus gli schiavi si svegliano e iniziano a mettersi in
moto, turbati,
per rispondere alla visita notturna inattesa.
- Sono qui per arrestarmi
– dice
Claudio, e la sua mano corre istintivamente al petto, dove, sotto la
tunica, ha
nascosto le carte.
- Ti rilasceranno subito.
- Sì, lo so.
Dovrebbe uscire dalla stanza e
raggiungere gli schiavi alla porta, ma esita. Il destino che avrebbe
potuto
essere, di distruzione e dolore, vergogna e morte, gli sfiora per un
istante lo
sguardo.
- Mi dispiace – dico
– Mi dispiace di
aver pensato di consegnarti a loro.
Lui scuote la testa, assorto;
poi fa
per muoversi.
- Claudio...
Si volta.
- Volevo dirti... che ho
apprezzato il
tuo tentativo di salvare Tullia Lucina e non te stesso, non sei egoista
quanto
credi. Tua moglie dovrebbe smettere di essere gelosa, tu sei innamorato
di lei,
in fondo.
Lui respira profondamente,
esita.
- Sai – mormora
infine – Penso che,
una volta che te ne sarai andata, non prenderò
più concubine. È ora di
smetterla con questa farsa, non giova a nessuno.
- Niente concubine? Ma saprai
resistere?
Lui accenna a un sorriso
– Credo di
averti dimostrato il mio autocontrollo.
Ora, rumori di passi nervosi
riecheggiano
nel corridoio. Un’ultima volta, Claudio appoggia la mano
là, dove tiene le
carte; mi lancia uno sguardo ambiguo, acceso di un sorriso obliquo, e
poi esce
dalla stanza.
Ha fatto la mia scelta, le
cose non si
possono più cambiare.
Mamma,
riposa in pace. Non ci sarebbe stato onore nel vendicarsi su di lui.
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Capitolo 8 *** Epilogo ***
8
Epilogo
Le terme sembrano un luogo
completamente nuovo, ora che ci vado da liberta. Passo da una vasca
all’altra
con lentezza studiata, godendo della mia possibilità di
scegliere: il
frigidarium, il calidarium, la palestra...
Questo è un luogo dove l’intero
popolo romano si riunisce: uomini
importanti e commercianti, schiavi e liberti; ma quando ci arrivi
condotta dal
tuo padrone, sai perfettamente che per te non ci sarà
soddisfacimento.
Oggi, invece, la mia visita si
risolve
nel pieno appagamento.
Verso la fine della giornata,
vengo
raggiunta da una voce nota quanto cara.
- Inni! Inni!
Claudia si avvicina e mi getta
le
braccia al collo; ora può farlo liberamente, senza essere
frenata dall’immediata
disapprovazione di Tullia Lucina.
- Inni, ho saputo che ti sposi!
Mi afferra la mano e osserva
l’anulus
pronubus
che Fabrizio mi ha donato il mese scorso. Lavoro ormai da un anno
presso un
pomarius
cui mi ha presentata Claudio: il padrone del negozio era morto di
malattia e la
moglie e il figlio trentenne non riuscivano da soli a occuparsi di
tutto. Così,
dopo l’affrancamento, mi sono trasferita da loro e il
rapporto tra me e
Fabrizio si è fatto in tempi brevi molto stretto.
Il lavoro è duro,
la casa piccola e
scomoda; ma questa vita si avvicina molto gradevolmente al mio modo
d’essere.
Così sarebbe stata anche nella mia terra: faticosa e libera.
- Faremo un banchetto modesto
– dico –
Ma se tu e la tua famiglia ci farete l’onore di venire, ne
sarò felice.
- Verrò, certo che
verrò! Anche papà e
mamma non mancheranno, mamma ha persino già pensato a un
dono per te!
Sorrido, pensando al mutato
atteggiamento di Tullia Lucina. Dopo aver saputo del mio imminente
affrancamento, aveva cessato all’istante ogni
ostilità; il giorno che me ne
sono andata mi ha ringraziata per l’aiuto offertole con
Claudia e ora...
persino un dono di nozze!
Certo, il suo umore e la sua
stessa
esistenza devono essere migliorate notevolmente dopo la mia partenza:
Claudio è
stato di parola e non ha preso con sé altre concubine. E
Tullia Lucina è
nuovamente incinta.
Presto la sarò
anch’io, se la sorte
non vorrà essermi avversa.
Fabrizio è un uomo
pratico, un
lavoratore instancabile, solido, ma è anche una persona di
buon cuore, integra,
e non dubito della sua capacità di educare i nostri figli in
modo sano, onesto.
È impensabile come
Roma,
all’improvviso, sia diventata un luogo piacevole in cui
vivere. I miei capelli,
i miei tratti rivelano le mie origini straniere, ma gli usi e i costumi
di
questo luogo ormai mi appartengono; il mio futuro marito è
un romano e romani
saranno i miei figli. Non credo che mia madre pensasse a un futuro
simile per
sua figlia e dubito che lo approverebbe, ma lei è nata e
vissuta nella nostra
terra, non ha mai toccato con mano questo luogo in cui io, ormai, ho
trascorso
un terzo della mia vita.
- Vieni a salutare
papà? – mi chiede
Claudia.
Giro lo sguardo per la stanza
e lo
vedo, Claudio Lucio Pollio, in piedi presso una delle vasche. Mi sta
fissando e
un sorriso gli dipinge il bel viso maschio.
- Un’altra volta
– rispondo. Non
voglio indisporre Tullia Lucina, ora che sembra aver suggellato la pace
fra
noi.
Ma ricambio il sorriso di
Claudio,
perché il calore che vi trovo è lo stesso che
provo nei suoi confronti. Una
fruttivendola germanica e un importante, ricco romano non hanno nulla a
che
spartire l’uno con l’altra; ma la nostra amicizia
ha valicato i confini
consueti ormai da molto tempo.
So che Claudio ci
sarà, quando mi
troverò in difficoltà; e lui sa, sa che
potrà sempre aprirmi il suo cuore, e la
sua vecchia schiava sarà pronta ad ascoltarlo.
Certe cose non cambiano, non
cambiano
mai e io ne sono felice.
Faccio un cenno di saluto a
Claudio
con il capo e lui ricambia, poi torna alle sue occupazioni.
Eccomi qui, Innithivei, ex
concubina
vergine, attualmente promessa in sposa.
La mia vita continua.
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