Innithivei promise vendetta

di phoenix_esmeralda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Odore di pesce ***
Capitolo 2: *** Il problema delle terme ***
Capitolo 3: *** Strategie di sopravvivenza ***
Capitolo 4: *** Se il tradimento non è consapevole, che tradimento è? ***
Capitolo 5: *** Kladius e Innithivei ***
Capitolo 6: *** La verità che non ho voluto vedere ***
Capitolo 7: *** La vendetta ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Odore di pesce ***


Ciao a tutti, prima di lasciarvi a leggere questo primo capitolo, ci tenevo a precisare che è la prima volta che faccio un tentativo pressoché "storico". Per i riferimenti storicimi sono rifatta principalmente al testo “Un giorno nell’antica Roma” di Alberto Angela, più alcuni siti trovati su internet, in particolare questo: http://www.romanoimpero.com/2009/09/romano-impero.html.

La storia non ha alcuna pretesa di veridicità, mi sono limitata a creare un contesto di verisimiglianza, senza tuttavia analizzare ogni aspetto del periodo storico (ad esempio dialoghi e parlata...). Il vero genere sarebbe romance, ma su efp non esiste questa categoria. Mi sono presa alcune libertà, nel corso della trama, come il fatto di indicare il“possesso di concubine” come indice del proprio status sociale. Non sono riuscita a trovare conferma né sconferma di questo consultando le mie fonti, ma siccome mi sembrava un concetto verosimile, l’ho mantenuto. Così come questa, mi sono presa altre piccole licenze letterarie, che confido non balzino troppo all’occhio nel corso della storia; per il resto ho cercato di documentarmi il più possibile!

Un ringraziamento particolare a OkinoLinYu, che ha ideato questo contest, queste sono le caratteristiche del personaggio che mi erano state fornite da lei:


Anagrafe: Innithivei cambiato in Germanica Pollia / schiava romana

Età: 27
Caratteristiche fisiche: pelle chiara e screziata di lentiggini, capelli rossi, occhi nocciola, longilinea e magra
Carattere: intrepida, con un forte desiderio di vendetta, provocatrice, ha paura che i suoi padroni possano ucciderla in qualsiasi momento, doppiogiochista, dolce e materna con i bambini
Background: catturata durante una spedizione in Germania dal generale Claudio Lucrezio Pollio, ne diviene la schiava personale oltre che la sua concubina preferita. La moglie del generale, Tullia Lucina, la detesta e non fa altro che umiliarla, sia in privato che in pubblico. Il nome le viene cambiato in Germanica e vive per dieci anni a Roma.
Prestavolto: Alicia Witt

INNITHIVEI PROMISE VENDETTA

Come non si può spegnere il fuoco con il fuoco, né asciugare l’acqua con l’acqua,così non si può eliminare la violenza con la violenza.
-Tolstoj

1

Avevo solo diciassette anni, quella notte.

Un corpo da donna, ma desideri da ragazzina; rossa di capelli - come quasi tutti tra la mia gente - agile di membra e snella nella corporatura, focosa come un dardo acceso e combattiva come il guerriero più tenace.

Ma non potei fare nulla, quando ci presero. Ci presero tutti, e Innithivei divenne Germanica e serva, concubina e schiava.

Sì, questo fu Germanica, per loro:

serva

concubina

schiava.

Ma Innithivei ardeva ancora illesa nel mio cuore.

***

Scivolo fuori dalla mia stanza con cautela, silenziosa come il serpente fra le rocce. Era piena notte quando Kládíus mi ha raggiunta e si è addormentato sul mio letto, scordandosi di rientrare nel suo cubiculum. Questo non piacerà a Tullia Lucina – non le piace mai – e ciò significa che io vorrò essere altrove, quando stamattina si leverà.

La casa è già in fermento, ma la padrona impiegherà ore a uscire dalla sua stanza: le schiave lavorano a lungo, al mattino, sul suo aspetto; Tullia Lucina nutre l’ambizione di abbigliarsi e acconciarsi non solo secondo l’ultima moda, ma anche seguendo bizze sue personali che le consentiranno, un giorno, di essere lei a dettare la moda stessa.

In silenzio, mi introduco nell’impluvium[1]deserto e siedo un istante a raccogliere le idee: stamattina Kladius sbrigherà i suoi affari fuori casa e ciò significa che mi troverò relativamente libera. Come fare a impegnarmi senza incrociare i miei passi con quelli della padrona?

-Germanica!

Quando è Kladius a chiamarmi in questo modo, rifiuto di voltarmi, ma la voce che raggiunge le mie orecchie è – con mio estremo sgomento – quella della signora.

Mi alzo in piedi di scatto e incontro i suoi occhi scuri, indagatori.Indossa solo una tunica semplice e i capelli corvini le ricadono in riccioli sciolti sulle spalle; se è uscita dal suo cubiculum prima ancora di essersi resa presentabile, il motivo non può essere che uno solo: la ripicca.

Tullia Lucina non è una donna priva d’attrattive: la sua figura risulta ancora armoniosa nonostante le tre gravidanze, ha la pelle olivastra, compatta, occhi espressivi, una chioma fluente e braccia eleganti. È il naso a danneggiare l’insieme, un naso decisamente troppo appuntito, una sorta di piccolo becco che sovrasta le labbra ben modellate e che rende il suo profilo affilato, sempre un po’ sospettoso.

Ma non è brutta, no. Solo... ordinaria.

Ordinaria rispetto alla mia pelle bianca, alla mia criniera infuocata e alle mie ossa sottili. Tullia Lucina è una donna romana in tutto e per tutto, mentre io sono... germanica, decisamente. Schiava personale di Claudio Lucrezio Pollio e preferita tra le sue concubine, delle quali attualmente l’unica; condizione che mi rende odiosa alla moglie del padrone... moglie tutt’altro che innocua.

-Germanica, intendo mangiare pesce, oggi. Recati immediatamente al Foro Piscario[2], scegli al mercato i pezzi migliori e poi puliscili prima di consegnarli alla cuoca.

Scuoto la testa, allibita.

-Signora, hai una schiava apposita che conosce alla perfezione il mercato e un’altra in grado di pulire il pesce nel modo più indicato. Io... non credo di esserne in grado, non saresti soddisfatta del mio lavoro.

Io non sono la tua schiava!

Tullia Lucina si morde il labbro e immediatamente comprendo di non avere scelta.

-Germanica, esci immediatamente e portami quel pesce ben pulito!

Chino la testa e soffoco l’odio nella mia gola, mentre obbedisco. Non ho scelta, Kladius desidera che rispetti sua moglie e che le sia devota, qualunque sia il prezzo da pagare.

Oh, la serpe è bene astuta! Andare al Foro Piscario e, in aggiunta, pulire lucci e orate, significa per me odorare di pesce per due giorni almeno. Kladius mi starà alla larga e questo non migliorerà il mio status. Ogni parola, ogni azione di Tullia Lucina mira a questo: separarmi da suo marito, mettermi in odio ai suoi occhi o, in alternativa, umiliarmi per semplice gusto di rivalsa.

E il suo disprezzo è ricambiato. Oh, se lo è!

Mentre Germanica obbedisce, Innithivei non dimentica.

Nulla.

***

Mi sono lavata quanto ho potuto e profumata fin quasi a svenire, ma il maledetto odore di pesce non svanisce. È talmente pervasivo che, se potessi, me lo strapperei di dosso assieme alla pelle. Il mio prossimo incontro con Kladius sarà così umilianteche al solo pensiero mi metterei a piangere.

-Germanica!

Claudia si guarda intorno, accertandosi che nel peristilium[3]non ci sia nessun altro – Inni... – prosegue, più tranquilla – Vengo per conto di mia madre. Voleva che appurassi che... tu maleodorassi.

-Bene, appuralo. Cosa ne pensi?

Claudia si avvicina, prende respiro e storce il naso.

-Hai addosso un miscuglio terribile di odori, Inni! Pesce e olio profumato e... essenza di rosa? Mio padre soffocherà, se cercherà di entrare nel tuo letto questa notte!
La schiettezza di Claudia mi fa sorridere. Ha dieci anni ed è la primogenita di Claudio Lucrezio Pollio, nonché l’unica figlia rimasta in casa. Gli altri, i due maschi, sono stati allontanati per venire educati alle armi fin
dalla giovane età.
Claudia era appena nata, quando venni condotta schiava alla casa di Kladius e, per forza di cose, finì per affezionarsi a me come a una sorta di zia. Badai spesso a lei, il padrone volle affidare a me i primi rudimenti della sua istruzione, e questo comportò il nascere di un certo affiatamento tra di noi. Certo, tutte le altre concubine scomparivano in un istante, io unica rimasi come punto fermo nella vita di Claudia.

Infatti, per lei mi spiacerà. Mi spiacerà eccome, quando sarò costretta a distruggere questa famiglia.

Vi stupiscono le mie parole? Già... non credo di avervelo detto.

La mia famiglia è stata sterminata dall’impero romano e io, catturata e ridotta in schiavitù, ho sopportato per anni prigionia e umiliazioni. È chiaro che nutro rancore.

È naturale che desideri vendetta.

Per cui, ciò che sta per accadere è questo: molto presto, a giorni, devasterò la carriera, l’onore e la vita stessa del mio padrone.

State un po’ a vedere.

[1 Impluvium: vasca quadrangolare a fondo piatto, progettata per raccogliere l'acqua piovana. Si trovava nell'atrio, un locale all'interno di una tipologia di abitazione (domus) diffusa tra i greci, gli etruschi ed i romani
2]Foro Piscario: era un'area dell'antica Romain cui avveniva il mercato del pesce. Si trovava a nord del Foro Romano, tra la Via Sacrae l'Argileto.

3]Peristilium: nell'architettura romana, era il portico che cingeva il giardinoo cortileinterno posto al centro della casa, ornato solitamente da alberi da frutto, giochi d'acqua e piccole piscine.

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Capitolo 2
*** Il problema delle terme ***


2

 

Mio padre morì durante l’attacco; quando i romani entrarono nella nostra abitazione, il suo cadavere era già freddo.

Lottai con tutta me stessa, naturalmente, ma erano armati e impiegarono poco a sopraffarci. Violentarono mia madre riducendola in fin di vita e compresi dai loro gesti che a breve sarebbe toccato anche a me; ci ritrovammo legate, rinchiuse e prigioniere nella nostra stessa casa. Loro si aggiravano per la nostra misera abitazione di legno osservando ogni cosa, ridevano prendendoci in giro; non comprendevo le loro parole, ma le loro espressioni erano eloquenti, derisorie. Come li odiai, oh, quanto! Quanto, mentre osservavo l’abito a brandelli di mia madre e il suo corpo sanguinante.

- Devi vendicarci – mi sussurrava lei – Innithivei, sei l’unica discendente della nostra famiglia, la responsabilità della vendetta ricade su di te.

Stavo ancora annuendo, quando lui entrò nella nostra casa.

Claudio Lucrezio Pollio allora aveva solo diciotto anni ed era sposato già da tre, età precoce per un matrimonio; ma era un militare, allora, e voleva assicurarsi una discendenza prima che la guerra gli chiedesse la vita. Mentre quell’anno scorrazzava con gli uomini di suo padre attraverso le nostre terre, Tullia Lucina Pollia portava in grembo il germoglio della piccola Claudia.

Non sapevo nulla di tutto ciò, allora, quando attraversò la soglia della mia casa.

La sua statura, unita ai muscoli solidi, alla pelle olivastra e agli occhi svegli, indagatori, mi fece inquietudine. Coprii con il mio corpo quello debole, in fin di vita, di mia madre e lui notò il gesto; mi osservò da capo a piedi con uno sguardo penetrante e urlò qualcosa agli uomini che ci avevano imprigionate.

Non so come lo compresi, ma in quel momento seppi che sarei stata sua.

- Ricordati la tua vendetta, Innithivei, vivi per quella – sussurrò mia madre, con il suo ultimo alito di vita.

Morì quella notte e con lei l’ultimo brandello della mia esistenza precedente.

Divenni la schiava di Claudio il giorno dopo e lui mi ribattezzò Germanica.

Non gli rispondo mai, quando mi chiama in questo modo e mai l’ho chiamato con il nome che i suoi genitori gli hanno affidato.

Kladius è la traduzione del suo nome nella mia lingua madre. Non mi sono mai rivolta a lui in altro modo.

Vi sembra strano?

Molte altre cose potrebbero sembrarlo.

 

***

 

Kladius mi fa sapere che nel pomeriggio ci sposteremo tutti alle terme, ed è solo in quel momento che comprendo appieno il gesto di Tullia Lucina.

Naturalmente non posso oppormi, la mia vita è aggrappata a un equilibrio sottilissimo che potrei spezzare con il minimo gesto sconsiderato; sono la concubina preferita di Claudio Lucrezio Pollio da dieci anni, una quantità di tempo, a detta di tutti, impressionante, e sono consapevole che finora sia stato solo questo a salvarmi la vita. Nel periodo che ho trascorso come schiava presso questa famiglia, sono state numerose le concubine che hanno condiviso il letto con Kladius; tuttavia, ciascuna di loro perdeva attrattiva ai suoi occhi già dopo il terzo incontro. Ed era allora, in quel preciso momento in cui perdevano il favore del loro padrone, che Tullia Lucina interveniva. La maggior parte di loro veniva degradata a lavori umilianti o allontanata, ma le concubine più belle, quelle che avevano suscitato maggiori complimenti da parte di Kladius e maggiori invidie da parte di sua moglie, morivano avvelenate. Nessuno si sorprendeva o metteva in moto discussioni, Tullia Lucina decretava nel suo cuore la loro fine e questa si abbatteva senza requie sul corpo delle sventurate.

Non mi faccio illusioni: nel momento stesso in cui perderò il favore di Kladius, verrò uccisa.

Tra la mia gente non v’era nulla di simile, ma per i romani, per loro, non esiste differenza tra un carro e uno schiavo. Entrambi vengono modellati per loro comodità e utilizzo, entrambi vengono gettati o distrutti al termine del periodo d’impiego.

Il giurista Gaio scrisse nelle Istituzioni[1]:

Vi sono tre tipi di utensili:

quelli che non si muovono e non parlano,

quelli che si muovono e non parlano,

e quelli che si muovono e parlano”

I primi sono gli oggetti inanimati, i secondi gli animali e i terzi sono gli schiavi.

Sono io.

Dunque, la mia morte è sospesa ad ogni angolo di questa casa, da quando mi trovo qui.

Per questo non aprirò bocca, sorriderò a Tullia Lucina e me ne andrò alle terme.

 

***

 

Quando arriviamo alle Terme di Traiano, Kladius si reca immediatamente in una delle due palestre all’aperto insieme a Tullia Lucina, dove li attendono i conoscenti con i quali hanno appuntamento. Questo mi permette di tirare un sospiro di sollievo momentaneo, poiché il mio padrone ha l’abitudine di spogliarsi da solo e la palestra non prevede in nessun modo il mio intervento. Rimango in un angolo a osservarlo giocare a ludere expulsim[2], mentre Tullia Lucina, in un'altra area della palestra, si impegna in una partita a ludere datati[3] con Claudia e altre donne.

Anche quando Kladius accede al calidarium[4] e, in seguito, al frigidarium[5], riesco a tenermi a una distanza ragionevole; ma so che il momento temuto arriverà anche troppo velocemente. Il mio padrone e i suoi amici si ricongiungono alle mogli nella natatio, l’enorme piscina delle terme, mentre nella stanza accanto, alcuni conoscenti di Kladius si stanno già stendendo sulle tavole per il massaggio. Gli uomini più ricchi, come il mio padrone, non si avvalgono per questo compito di rozzi schiavi pubblici, siamo io e Valeria,  una schiava di Lucina Tullia, a occuparci di lui. E anche degli amici a cui, spesso, volentieri ci presta.

Infatti, in questo momento Kladius mi invita con un gesto del mento a raggiungere Horatio Cleio al suo tavolo; io afferro le boccette degli olii e mi avvicino a lui con il cuore che mi rimbalza in petto.

Inizialmente non succede nulla, Horatio Cleio accoglie con un sospiro di piacere il movimento delle mie mani e si abbandona rilassato sul tavolo. Ma, dopo alcuni istanti, mi accorgo del movimento a scatti delle sue narici. Sente un odore strano, cerca di evitarlo, spera che passi... ma non se ne va; a quel punto si alza in piedi all’improvviso e mi osserva con occhi sottili.

- Claudio, la tua serva manda cattivo odore! – esclama, sprezzante, mentre il mio padrone si avvicina a sua volta – Questo, da te, non me lo sarei davvero aspettato!                                                                  

- Cosa dici? – ribatte lui, sorpreso. Mi si accosta e immediatamente sussulta, arretrando.

- Uno schiavo ben trattato e a lungo sistemato presso la stessa famiglia finisce per adagiarsi – commenta Tullia Lucina, con finta indifferenza – Ti chiediamo scusa, Horatio Cleio, per tanta sconsideratezza. Sono certa che Claudio punirà adeguatamente la sua schiava.                           

Gli occhi del mio padrone sono colmi d’ira e di vergogna – Allontanati immediatamente! – sibila, nauseato – Aspettaci all’esterno. E tieniti distante dalla gente, che nessun altro venga a lamentarsi con me del tuo odore disgustoso.

L’odio mi infiamma la gola, devo soffocare le parole che ho sulla lingua, perché so – oh, lo so per certo - che se parlassi ora, non sopravvivrei fino a domani.

Esco, tremando di indignazione sotto decine di occhi sprezzanti; ho smesso di piangere da anni ormai, le umiliazioni sono il mio pane quotidiano... Eppure, eppure non riesco mai ad abituarmi, mai! Ogni altro schiavo si rassegna, il suo orgoglio si piega, tocca il pavimento con la fronte e lo lecca, se necessario; ma il mio no. Il mio orgoglio si innalza ad ogni sopruso, brillante e indignato, furibondo come un uomo alla guerra.

Ancora poco, ancora poco, canta.

Ancora poco e tutto questo finirà.

 

***

 

 

- Inni, questo è per te.

Claudia mi porge un boccettino in bronzo modellato a testa di donna, è pesante e ricolmo di un liquido rosso.

- Me l’hanno dato alle terme, ti toglierà di dosso quell’odore terribile, me l’hanno assicurato. Vedrai che, se stanotte mio padre ti troverà profumata e ben abbigliata, eviterà di punirti!

Gli occhi mi si riempiono di lacrime, perché la commozione è l’unica emozione che riesce ancora a farmi piangere. E mi succede talmente poco! E mi capita solo per l’affetto che mi dimostra Claudia.

L’abbraccio stretta, come facevo quando era più piccola e le sussurro all’orecchio mille ringraziamenti.

 




[1]Giurista Gaio... Istituzioni: Gaio fu un giurista romano, morto all’incirca nel 180 d.C. La sua eccezionale fama tra gli studiosi del diritto romano e del diritto in generale è dovuta al ritrovamento nel 1816 di un manoscritto contenente le Istituzioni, opera in quattro libri (o commentari) che il giurista aveva predisposto a fini didattici e che fotografa con impareggiabile nitidezza il quadro del diritto romano classico. Si tratta dell'unica opera del periodo classico ad esserci pervenuta direttamente, senza il tramite (e le interpolazioni) dei giuristi giustinianei.

[2] Ludere espulsim: una sorta di gioco del tennis, in cui però non si utilizzano racchette ma si colpisce la palla con i palmi delle mani.

[3] Ludere datatim: un antenato di palla avvelenata.

[4] Calidarium: la parte delle antiche terme romane destinata ai bagni in acqua calda e ai bagni di vapore.

[5] Frigidarium: la parte delle antiche terme romane dove potevano essere presi bagni in acqua fredda.

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Capitolo 3
*** Strategie di sopravvivenza ***


3

 

Kladius scivola nel mio cubiculum[1] senza preavviso, lo sento entrare mentre mi sto spazzolando i capelli per la notte.

- Germanica! – mi chiama, con tono freddo e perentorio e tuttavia io non rispondo. So di essere in fallo, di trovarmi sbilanciata sull’orlo di un precipizio senza fondo, ma l’ostinazione è l’unica qualità che finora mi ha reso salva la vita.

- Innithivei – sussurra allora lui e, quando mi volto, lo trovo chinato sopra di me. Mi scoprirebbe ancora manchevole, se non fosse per Claudia e il suo unguento profumato, e questo innalza il mio debito verso di lei a livelli ancora più irraggiungibili di quanto fossero precedentemente.

L’olio che mi ha fornito ha cancellato ogni odore molesto e mi ha permesso di stendere sulla mia pelle quelle essenze che Kladius tanto gradisce.

- Ti trovo meglio – commenta, infatti – Che cosa ti è saltato in mente, oggi alle Terme?

La domanda mi fa infuriare.

Che cosa mi è saltato in mente?

- Di puzzare, ovviamente – rispondo. I miei occhi dardeggiano, ne sono certa, e quando mi scosto da lui con rabbia ho già capito che parlarne si rivelerà una perdita di tempo.

- Mi hai fatto vergognare profondamente – prosegue lui – Dovrei frustarti a sangue.

- Tua moglie mi ha costretta ad andare al mercato e a pulire il pesce! – scatto, irosa – L’ha fatto, sapendo perfettamente cosa sarebbe accaduto.

Lui rimane immobile un secondo, poi un sorriso gli si disegna lentamente in volto – È riuscita a fartela.

Lo trova divertente, lui! Lui che non ha mai piegato il capo di fronte a nessuno. Lui, che mi ha sbattuta fuori dalle terme come un’appestata!

- Vattene! – sibilo, oltraggiata – Per stanotte ne ho abbastanza di te!

- Non dire sciocchezze, Inni – sorride – Non sono io lo schiavo.

Quando prende quell’espressione, quando leggo la derisione nei suoi occhi scuri, lo prenderei per quei capelli folti e neri come l’ebano e tirerei, tirerei fino a strappargli il cuoio capelluto.

Mi alzo e faccio per allontanarmi, ma lui mi afferra il polso e mi fa ruotare fino ad appoggiare la schiena al suo petto. Slaccia lentamente la tunica, facendola scivolare quel tanto da scoprire un seno; mi dimeno quando lo sfiora, gli mordo la mano e lui mi molla all’improvviso. Mi afferra una spalla, mi costringe a ruotare su me stessa e mi sbatte contro il muro; restiamo entrambi a fissarci con il respiro corto, i miei occhi nocciola, furibondi, dentro alle pozze nere dei suoi.

Il silenzio amplifica l’ansimare delle nostre bocche.

- Non ci provare – sibilo.

- Gatta selvatica! – ribatte lui, con una punta di divertimento. Si abbassa a baciarmi e io gli mordo le labbra con violenza. Non è la prima volta che accade e non sarà l’ultima, né lui ne rimane sorpreso. La verità è che gli piace.

Gli piace che io gli resista.

Lo diverte.

È questo il vero e unico segreto del mio successo decennale.

- Questa notte non sei dell’umore giusto per ospitarmi nel tuo letto – commenta – Dormirai sola.

- Avrei dormito nel peristilium, se avessi deciso di fermarti! – ribatto, piccata.

Lui scoppia a ridere, i toni bassi della sua voce grattano il fondo del mio stomaco.

- Smettila di soffiare, gatta scortese.

 Sistemo la tunica rossa come meglio riesco e incrocio le braccia davanti al petto – Buona notte, signore – dico, e aspetto che se ne vada.

Lui mi lancia un’ultima occhiata divertita ed esce dalla stanza. Aspetto qualche istante solo per accertarmi che non abbia intenzione di tornare, e poi mi lascio cadere sul letto, esausta.

Forse ho scampato le frustate, l’ho divertito a sufficienza.

Sì, è questo il segreto del mio successo decennale: so resistergli. Gli piace inseguirmi, provarci, corteggiarmi o ingegnarsi a sedurmi; gli piace farlo ogni volta in modo nuovo, a seconda di ciò che gli suggerisce l’istinto e gli piace avere vita difficile.

E con me ce l’ha dura, durissima!

Per questo io, Germanica Innithivei, sono da dieci anni la sua concubina preferita, per questo non mi ha mai sostituita né messa da parte, per questo lo affascino ancora oggi come quando ero una ragazzina. Sono brava a resistergli.

Sono vergine.

 

***

 

La prima volta che Claudio Lucrezio Pollio venne a farmi visita, dopo avermi presa come schiava, lo insultai nella mia lingua dando fondo a ogni epiteto di mia conoscenza. Mi aspettavo che mi avrebbe violentata, così come i suoi compagni avevano fatto con mia madre, ed ero pronta a vendere cara la mia verginità; ma quel padrone che mi aveva presa per sé con tanta decisione, mi si accostò con autentica gentilezza.

Non capivo le parole che mi rivolgeva, ma la sua voce mi raggiungeva tranquilla come l’erba di campo in estate, i suoi gesti erano misurati, trattenuti. Non mi si avvicinò neppure. Ero stralunata.

La volta successiva tentò di sedurmi, sempre con gentilezza, mai di prepotenza; ma io gli sfuggi, mi difesi rivoltandogli contro la mia rabbia e lui rispettò il mio rifiuto. E così andammo avanti nei giorni; man mano che io imparavo parole nuove nella lingua di Roma, mi rendevo conto che il suo parlarmi era un tentativo di conquistarmi con ogni mezzo a sua disposizione: la sua voce, il suo corpo, la sua gentilezza. Ma, memore di ciò che era accaduto a mia madre, io non cedevo: sarebbe stato costretto violentarmi, non mi sarei mai concessa spontaneamente a un romano. Mai, fino alla fine dei miei giorni!

Questo pensai i primi mesi di prigionia, ed erano pensieri di rabbia e di orgoglio; convinzioni a cui avrei tenuto fede per ben poco tempo, se non mi fossi resa conto di come funzionavano realmente le cose con Claudio.

Oh, sì: avrei finito per cedergli; perché era abile con le mani quanto lo era con la voce e, presto o tardi, in un istante di distratta debolezza, gli avrei offerto spazio nel mio letto.

Ma prima che questo potesse anche solo pensare di accadere, mi accorsi di quello che capitava alle altre concubine che si succedevano nella sua famiglia: le usava una volta, due, al massimo tre, e poi le rispediva da dove erano venute, condannate a lavori ben più umili, se non al veleno silenzioso di Tullia Lucina. Loro, che gli cedevano immediatamente dandogli ciò che desiderava, venivano liquidate e sostituite nello spazio di un respiro, mentre io, io che lo insultavo e minacciavo di strappargli gli occhi mentre lo tenevo a distanza, io ero ancora lì dopo una settimana, due, tre... Claudio non accennava a ripudiarmi, tutt’altro: il mio cubiculum era sempre il più frequentato.

Fu così che compresi come dovevo comportarmi per restare in vita, per non finire sotto le grinfie della moglie gelosa e per poter mantenere, un giorno, la promessa di vendetta fatta a mia madre.

Dovevo tenere Claudio sul filo dell’incertezza, in bilico sempre, al centro del desiderio e a un passo -  un irraggiungibile passo – dal soddisfarlo.

Il mio comportamento lo divertiva e lo stuzzicava, e se non poteva sfogare su di me gli istinti che scatenavo in lui, c’erano sempre Tullia Lucia o le altre concubine pronte a rendersi palliativo.

Così, negli anni rimasi. Mi presi cura della piccola Claudia, quando Tullia Lucina era indaffarata, e accettai che mi venisse impartita un’istruzione. I costumi e le abitudini dei romani divennero i miei, così come gli abiti che indossavo, le acconciature, il linguaggio, i comportamenti.

Divenni romana in ogni mia sfumatura, ma nessuno mi toccò il cuore e ciò che custodiva non ebbe modo di evolversi: vendetta avevo giurato e vendetta sarebbe stata.

Vendetta sarà, presto.

Talmente presto, che non vedrò due nuove albe prima che questo accada.

 

 





[1]  Cubiculum : nella casa romana un piccolo ambiente destinato a camera da letto, generalmente affiancato da altri simili e dislocato intorno all'atrio

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Capitolo 4
*** Se il tradimento non è consapevole, che tradimento è? ***


4

 

- Hai bisogno di altro o ti è sufficiente?

Cornelio Attico esamina un’ultima volta le carte che gli ho portato, le confronta con altre di sua proprietà, corruga la fronte nello sforzo di concentrazione e infine lascia trapelare un flebile sorriso.

- È tutto a posto – conviene – Con questi documenti in mano ai gendarmi, Claudio Pollio non potrà salvarsi. È in mio potere.

Chiudo gli occhi non appena mi rendo conto della portata delle sue parole. Trattengo il fiato.

“Ricordati la tua vendetta, Innithivei, vivi per quella.”

Madre, lo sto facendo. Manca poco, manca talmente poco...

- Non mi tradirai, vero? – domando, perché da dieci anni non mi fido più di nessuno – Avrò in cambio ciò che abbiamo pattuito.

Lui sventola una mano in aria, come a dire: “Perché insisti ancora con queste sciocchezze?”

Perché non sono sciocchezze, naturalmente. Se fosse uno schiavo, lo saprebbe.

- Vieni qui con la mocciosa, quando sarà il momento – si degna di rispondermi, alla fine – Farò per voi quanto ho promesso.

 

Il pomeriggio trascorre lento, si trascina in un banchetto infinito di ore che Tullia Lucina ha insistito per organizzare all’ultimo momento. Quando ha saputo della cena programmata da una delle rivali con cui compete in fatto di moda, ne ha immediatamente allestita un’altra alla stessa ora, solo per il piacere di rubare invitati alla sua avversaria.

Sono certa che Kladius avrà la notizia durante questo banchetto, Cornelio Attico si premurerà di fargli sapere che molto presto – questione di ore – la rovina si abbatterà sulla sua casa.

Oh, come reagirà Tullia Lucina! Quale espressione le si dipingerà in volto, quando saprà di avere perso ogni cosa? Dalla mia posizione, non ho modo di vedere il mio padrone in faccia, anche quando parla con Cornelio Attico, di loro non scorgo che le nuche.

Quando infine la luce del sole inizia a tingersi di oro caldo, gli invitati prendono a diradarsi ed io, rimasta fino ad allora in un angolo, mi sottraggo ai miei doveri per raggiungere il mio cubiculum.

Ed è allora che un brivido mi percorre la schiena arrivando a pizzicarmi il collo; mi giro appena in tempo per vedere Kladius avventarsi su di me. Mi spinge nel cubiculum, sbatte la porta dietro di noi e mi inchioda al muro.

- Tu! – sibila – Sei stata tu, vero? Nessun altro avrebbe potuto farmi una cosa simile, nessun altro sapeva dove tenevo quelle carte!

Ha gli occhi velati, le narici dilatate per la rabbia e il tremito delle sue braccia indica quale sforzo stia facendo per non strangolarmi. Esamina il mio volto alla ricerca di una colpa, di una bugia... di qualunque cosa possa svelare la mia colpevolezza o la mia innocenza. Ma io non intendo nascondermi, oh, no!

- Sì, solo io sapevo dove le tenevi e tu non ti sei dimostrato furbo a rivelarmelo!

Un singulto gli scuote le spalle.

 - Ti rendi conto di ciò che hai fatto? Di cosa significa per tutti noi? – Il suo sguardo incredulo mi fa comprendere che non ha capito, non ha affatto capito quanta premeditazione, quanto calcolo, quanto lavoro ci siano stati dietro a tutto questo. Lui crede che io, per avidità, abbia fatto un passo falso e abbia messo in pericolo tutta la famiglia. Per errore.

- Me ne rendo conto, Kladius. Sei rovinato! È questione di poche ore ormai, domattina, o forse questa notte stessa, verrai accusato di alto tradimento. I tuoi beni verranno confiscati, le tue cariche rimosse, ogni componente della tua famiglia ripudiato dalla vita pubblica. Tullia Lucina finirà su una strada, costretta a vendere il suo corpo o a morire di fame, mentre tu, tu mio signore, verrai imprigionato e condannato a morte. Sarai punito con la flagellazione e poi consegnato ai leoni che sbraneranno le tue carni!

Non possono restargli dubbi circa le mie intenzioni, vedo il suo sguardo oscurarsi, accusare il colpo e ritrarsi su se stesso. I suoi occhi scuri, quegli occhi scuri così belli, si tingono di delusione, tradimento, e un’emozione violenta pari a una grossa contusione.

- Perché? – sussurra, contratto – Perché, Germanica?

- Il mio nome non è Germanica! – urlo – Sono Innithivei, la sono sempre stata, sempre! La ero quando ho visto mia madre violentata dai tuoi uomini, quando è morta davanti ai miei occhi implorandomi di vendicarla! E la sono stata in tutti questi anni, questi anni in cui tua moglie non mi ha risparmiato una sola delle umiliazioni che godeva nell’infliggermi, in cui ho temuto in ogni istante per la mia vita, in cui ho subito i tuoi rimproveri, le tue mortificazioni! Ora sarai tu, Kladius, a venire spogliato dei tuoi beni, della tua libertà, della tua dignità. Ora capirai!

Sto tremando dalla testa ai piedi, non so più se per l’emozione di un desiderio che si avvera o per la paura della reazione di Claudio Pollio. Lui sembra diventato di marmo, il suo corpo incombe su di me, ma i suoi pensieri rimangono lontani.

- Potevi rifarti solamente su di me – bisbiglia alla fine, la voce roca, intrisa di emozione trattenuta – Lasciare in pace la mia famiglia. Che ne sarà di Claudia? Condannata anche lei a essere venduta come schiava? Come puoi farle questo, proprio tu? L’hai allevata come se fossi stata la sua seconda madre!

- I tuoi figli sono al sicuro – lo interrompo. Oh, non mi conosci ancora Kladius? Credi davvero che farei del male a Claudia? – I tuoi figli maschi resteranno nell’esercito, sono lontani, a loro non accadrà nulla. E Claudia verrà via con me.

- Con te? Che dici?

- Cornelio Attico mi affrancherà e io lavorerò in una delle sue taberne[1] del pane. Accoglierà sia me che Claudia e io baderò a lei. Dovrà lavorare, ma nessuno le farà del male.

Il sarcasmo gli fa inarcare la bocca in un sorriso amaro – Pensi che Claudia vorrà restare con te, dopo aver saputo ciò che hai fatto? Preferirà soccombere con la sua famiglia, piuttosto che fuggire con la donna che ha tradito suo padre e ha mandato in rovina sua madre!

- È per questo che tu non le dirai la verità – sorrido – Claudia non saprà mai che in realtà sei innocente, perché tu non glielo dirai. Ti crederà un traditore, ti disprezzerà e per questo non esiterà a venire con me. Dille la verità, Kladius, e condannerai tua figlia a una vita di schiavitù e miseria.

Lui rimane immobile, ma riesco a sentire il ritmo accelerato del suo respiro e la contrazione dei muscoli che gli irrigidisce le braccia, ancora appoggiate al muro, ai lati del mio corpo.

- Come puoi? – rantola, infine – Come puoi?

Mi afferra per le spalle e mi gira su me stessa, buttandomi sul letto. Con un unico gesto straccia in due la mia tunica, lasciandomi completamente nuda.

Chiudo gli occhi. Sapevo che questo sarebbe stato il prezzo da pagare.

Non può uccidermi, se vuole salvare sua figlia; ma può sfogare la sua furia facendo ciò che finora non ha mai fatto.

Ero pronta, sono pronta.

Sento le sue mani sul mio corpo, furibonde, e stringo i denti, preparata alla violenza.

Ma lui, invece, si tira indietro di scatto, ansimante.

I capelli scuri gli scendono selvaggi sugli occhi, mentre incrocia le braccia al petto, quasi a volersi imporre l’immobilità.

- Non mi farai diventare ciò che non sono – sussurra, rabbioso. Mi guarda un’ultima volta e poi mi volta le spalle e abbandona il mio cubiculum

 




[1] Taberna: il nome dei negozi, nell’antica Roma.

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Capitolo 5
*** Kladius e Innithivei ***


5

 

Entra all’improvviso nella mia stanza senza che io sia preparata a riceverlo; ho ancora le guance arrossate dalla vergogna, gli occhi pesti per il pianto e le guance bagnate di lacrime; l’unica cosa che posso fare è voltarmi di schiena e nascondermi.

- Vattene! – grido – Esci da qui!

So perfettamente che non si muoverà, non è certo uomo da prendere ordini dalla propria schiava.

- Stai piangendo? Per ciò che ha fatto Tullia Lucina? Sono passate ore, Germanica.

Il furore suscitato dalle sue parole frantuma il mio riserbo. Mi butto contro di lui e gli tempesto il petto di pugni.

- Ha invitato tutti quegli uomini a toccarmi, a palparmi come una giovenca al mercato! “Guardate il bottino di guerra di mio marito!” – scimmiotto, imitando la voce della padrona – “Toccate, esaminatela bene, non vi pare ottima merce?” – le parole mi si spezzano in un singhiozzo che avrei voluto a tutti i costi evitare.

Kladius non si è sottratto ai miei pugni, non credo neppure che li abbia sentiti. È forte, possente, abituato alla lotta e alle armi, mentre io sono uno scricciolo di diciassette anni che parla a malapena la sua lingua.

- Se tu fossi stata venduta al mercato degli schiavi, ti sarebbe toccato ben di peggio – mi dice, tranquillo – Saresti stata esposta, completamente nuda, alla mercé di qualunque compratore. Tullia Lucina non ha fatto nulla di sconveniente.

È sempre così, con lui; quel suo modo di ragionare assolutista, da padrone, mi lascia senza fiato, senza parole. Non capisce i miei sentimenti,  quasi fossero scritti in una lingua obsoleta.

Le lacrime sono l’unica risposta della mia rabbia impotente, ricominciano a scorrere cariche di furia, di velenoso disprezzo.

- Germanica...

- Non mi chiamo Germanica!

Lui si china su di me, mi stringe il viso fra le mani.

- Innithivei, devi rassegnarti ad alcune regole cui non verrò meno. Non ti difenderò mai da mia moglie, in pubblico, non lo farò, semplicemente. Non posso esporre Tullia Lucina all’umiliazione di vedersi ripresa in favore di una schiava.

- Lei mi detesta!

- Detesta tutte le mie concubine, tormentarle è una delle sue attività predilette e tu non ne sei esente.

Mi scosto da lui con energia, ma Kladius mi afferra per un polso.

- Smettila di piangere, facciamo un patto. Sopporterai le cattiverie di mia moglie, ma... diciamo, ogni dieci dispetti che riceverai da parte sua, io ti farò un dono. Potrai chiedermi di esaudire un tuo piccolo desiderio.

Di fronte a quel compromesso non so davvero cosa rispondere. Claudio Pollio è un padrone così bizzarro!

 

***

 

Infilo una nuova tunica e ripongo quella stracciata in un angolo della stanza, lego i capelli in un’unica grossa treccia e poi scivolo lentamente sul letto. Sono stanca, così stanca che potrei disintegrarmi qui, su questo giaciglio. Eppure gli occhi non mi si chiudono, non ne vogliono sapere di abbandonarsi all’oblio.

 

***

 

- Signore, temo che non ci sia nulla da fare, le probabilità che tua figlia passi la notte sono quasi nulle.

Ci aspettavamo entrambi quelle parole, eppure, quando calano nella stanza, sembrano raggelare le pareti, il soffitto, l’aria stessa che respiriamo.

Claudia ha solo quattro anni; piccola e scura, scompare nel fagotto di coperte in cui è avvolta. Mangiata dalla febbre, non riprende conoscenza da  più di dodici ore.

Tullia Lucina l’ha vegliata per giorni e ora dorme, sfinita, in un angolo della stanza; alla fine la stanchezza ha prevalso, posticipando di un poco quel dolore che sembra stritolare all’improvviso le nostre ossa.

- Claudio Pollio, devi preparare la pira per la cremazione di modo che, appena tua figlia spirerà, tu possa offrirle un degno saluto. Prima che inizi a mandare cattivo odore. Fa molto caldo, sai.

A quelle parole, Kladius annuisce. I suoi occhi sono torbidi, le labbra serrate. Apre la bocca, poi la richiude; infine si avvicina a Claudia, della quale sto tenendo stretta una mano, e le sfiora la fronte con una carezza. Poi se ne va.

È bravo a trattenere il dolore, il mio signore. So che per Claudia nutre un affetto smisurato: è la sua prima figlia, la sua prediletta e beneamata, la sua gioia.

- Avanti, seguilo!

Sussulto, a quel comando improvviso. L’uomo che, per giorni, ha cercato di curare Claudia, ora mi sta facendo cenno di uscire dalla stanza.- Sei la sua schiava personale, no? Avrà bisogno di aiuto!

Esito al pensiero di lasciare sola Claudia, ma non posso disobbedire.

Il mio cuore sanguina come se fosse la mia, di figlia, a trovarsi in punto di morte; ho cullato Claudia in tenera età, mi sono presa cura di lei, l’ho nutrita e vestita, fatta giocare e un poco istruita. Non posso credere che domani non sarà più con noi.

Può forse crederlo Kladius?

Lo cerco per la domus, invano, sperando che non sia già uscito in città, ed è solo quando, ormai esasperata, arrivo nel peristilium, che lo trovo. La notte è inoltrata, ma la luce spettrale di una luna quasi piena mi permette di distinguere i contorni confusi della sua figura rannicchiata. È seduto sul muretto, raggomitolato su se stesso, abbozzolato in un’immobilità terrificante.

Si riscuote all’improvviso, quando sente i miei passi, e per un lungo istante rimane in silenzio, come se non mi riconoscesse.

- Si è svegliata Tullia Lucina? – mi chiede poi. La voce è talmente roca da sfiorare abissi di profondità mai toccati e, con un brivido di sgomento, mi rendo conto che forse, forse il mio impenetrabile e onnipotente padrone stava piangendo.  

- No, sta ancora dormendo – sussurro, a disagio.

- Meglio. Meglio, che possa rimandare ancora di un poco la consapevolezza della verità. Avrà bisogno di sostegno, quando saprà.

- Ne hai bisogno anche tu, credo – azzardo dire. In fondo ne ho bisogno anch’io, e non sono neppure parente lontana di Claudia.

- Io sono il pater familias – mi risponde, come se questo potesse salvarlo in qualche modo dal dolore.

“No, tu sei un ragazzo di ventidue anni”, vorrei rispondergli, “E stai per perdere la tua unica figlia”.

Ma non dico nulla invece, perché è vero che è il pater familias ed è vero che sua moglie si appoggerà a lui per sopportare il lutto, per affrontare i giorni futuri.

Si alza in piedi lentamente, a fatica; nonostante la luna, non riesco a scorgere chiaramente i lineamenti del suo volto. Fa per muoversi: un passo, due... Ma poi si ferma e all’improvviso si copre il viso con le mani.

- Non ce la faccio – mormora – Non ci riesco a organizzare il funerale di mia figlia, mentre è ancora viva. Non voglio prepararle la pira, non voglio bruciare il suo corpo! È Claudia, è il corpo di mia figlia. È mia figlia, Innithivei, ha solo quattro anni!.

Quando la sua voce si rompe, anche il mio animo si spezza.

- Allora non farlo, Kladius, non sei costretto! Claudia potrebbe ancora salvarsi, potrebbe guarire!

- Non illudermi – mormora, senza togliersi i palmi dalla faccia – Non posso... sperare...

Un singhiozzo si mangia il resto delle parole e a quel punto non posso più dubitare che stia piangendo. Claudio Pollio, ex generale militare, importante uomo politico di Roma, padrone assoluto della mia vita e della mia morte, soffoca tra le mani aperte il dolore atroce della perdita di una figlia.

- Io non voglio illuderti – sussurro – Ma hai ragione: non puoi preparare la pira per tua figlia che non è ancora morta.

Gli appoggio una mano sul braccio, lo sfioro in una carezza – Dovresti tornare di là e stare vicino a Claudia, perché in questo momento è ancora viva e respira.

- Ma io non ci riesco – allontana le mani dal viso e al chiarore lunare scorgo finalmente le lacrime, lacrime trasparenti e brucianti come quelle di un qualunque essere umano – Non sopporto di vedere il momento in cui morirà...di essere lì quando smetterà di respirare. Non ce la faccio.

Lo abbraccio di istinto e lui ricambia immediatamente, mi stringe forte a sé, quasi a tirarmi dentro di lui, affonda il viso nei miei capelli e le sue lacrime mi scorrono lungo il collo, fino alle spalle.

Non sembra provare vergogna, è solo un uomo in cerca di conforto; un conforto ben difficile da trovare, che io cerco di offrirgli con tutta me stessa.

Restiamo abbracciati nell’oscurità per un tempo talmente prolungato, che le lacrime sulla mia pelle si asciugano e i primi uccelli del mattino intonano il loro canto.

Al sorgere del sole, Claudia viene dichiarata fuori pericolo. Nemmeno due giorni dopo, Tullia Lucina annuncia la gravidanza del secondo figlio.

 

***

 

Mi giro e rigiro nel letto, senza riuscire a prendere sonno. Sono tesa, nervosa; ogni istante è buono, perché Kladius venga arrestato: può accadere fra molte ore o in questo stesso momento, e questo fa sì che non riesca a rilassarmi.

La luce di una luna quasi piena perfora la finestrella della stanza; una luna del tutto simile a quella dell’episodio che mi è appena tornato in mente, avvenuto sei anni fa, quando Claudia aveva rischiato di morire per una grossa infezione. Sarà un caso che questa luna sia così somigliante a quella di allora? Sarà un caso che stasera, negli occhi di Kladius, brillasse la stessa identica angoscia che gli lessi in volto allora, poco prima di uscire dalla camera di Claudia?

 

***   

 

Le mani di Kladius percorrono il mio corpo per tutta la sua lunghezza, accarezzandomi la pelle attraverso la stoffa, troppo spessa, della tunica. Devo impedirmi di ansimare, perché potrebbe credere che mi piace ciò che sta facendo, o peggio, che lo desidero; mentre ciò che deve accadere è del tutto diverso. Deve immediatamente togliermi le mani di dosso.

Apro la bocca per imporgli di lasciarmi, ma la le sue labbra la coprono e la divorano in unico movimento; le gambe iniziano a cedermi, a sentire il bisogno di un sostegno. Ma proprio quando sto per lasciarmi andare, un guizzo di consapevolezza mi permette di reagire, raddrizzarmi, liberarmi da quelle mani bramose.

- Smettila, lasciami andare! Non ti ho detto di sì!

Arretro fino a trovarmi con le spalle al muro, incrocio le braccia sulla tunica e invoco quel poco di lucidità che mi è rimasto, perché possa allontanarmi definitivamente da Kladius. Oggi siamo andati troppo oltre.

Anche per lui è difficile ritrovare il controllo e tuttavia ci riesce forse prima di me, scuote la testa come a scacciare gli ultimi pensieri sconvenienti.

- Mi è sembrato ti piacesse – esclama, con un guizzo negli occhi.

- Ti inganni. Come potrebbe piacermi, quando ho tanta rabbia in corpo da desiderare farti a pezzi?

Lui sorride – Questo per il comportamento di Tullia Lucina di oggi? Va bene. Siamo a dieci, giusto?

Non perde mai il conteggio ed è qualcosa che faccio fatica a spiegarmi: finché non mi vede arrabbiata, sembra che neppure noti gli atteggiamenti di sua moglie; eppure non ha mai sbagliato un conto.

Sono trascorsi sei anni da quando mi fece quella promessa, e da allora il conteggio è arrivato a dieci una serie infinita di volte. Ho chiesto oggetti personali, piccoli permessi, concessioni minime e sempre mi sono stati accordati, così come mi aveva promesso tanto tempo fa; ma ormai non so più cosa domandare, ho voglia di chiedere qualcosa di più, qualcosa di diverso.

- Hai già deciso cosa desideri?

Scuoto la testa – No, non saprei. Qualcosa di grosso, credo, per ciò che ho dovuto subire oggi; tua moglie è insopportabile.

-  Sono io quello insopportabile. Lei agisce di conseguenza.

Questo è tipico di lui, avere così tante concubine e sentirsi in colpa verso sua moglie in continuazione. Ma tutti i personaggi di spicco hanno concubine e lui deve mantenersi all’altezza del suo status; e poi, diciamolo fra noi, io dubito che andarci a letto, con queste concubine, sia poi così tremendo.

Tullia Lucina lo sa, lei stessa pensa che sia importante rispettare le convenienze, ma non può fare a meno di odiare tutto questo, me compresa.

Mi siedo sul letto stringendomi le ginocchia fra le braccia, riflettendo – Dovrebbe rassegnarsi – dico – Le cose stanno a questo modo da anni, è inutile che continui a soffrirci.

Si siede accanto a me e mi dà un colpetto su una spalla.

– Anche tu potresti rassegnarti al suo atteggiamento e smetterla di starci così male.

- È diverso – brontolo – Non ci si può rassegnare all’umiliazione continua.                                              

Mi stendo e mi concentro sul soffitto della stanza, non ho dimenticato che sono arrivata a dieci e che Kladius mi deve un dono; voglio pensare a qualcosa di diverso, a un regalo innovativo. Accanto a me, Kladius si sfila la toga restando solo con il subligaculum[1]. È il segno che intende trascorrere la notte nel mio letto e mi scosto in modo da fargli posto.

- Allora, Innithivei, che cosa vuoi in dono?

Adoro quando mi chiama con il mio nome; lo fa solo qui, in questa stanza,                               quando siamo soli.

Rimango in silenzio a riflettere e, nel frattempo, lui mi fa passare un braccio dietro la nuca, come sempre. Mi giro dalla sua parte e appoggio una mano sulla sua spalla nuda; i muscoli sodi e lisci delle sue braccia mi sorprendono ogni volta, li sento vigorosi sotto le mie dita.

- Dammi una prova della tua fiducia – dico all’improvviso.

Mi aspetto che chieda spiegazioni, che protesti, che si indigni di fronte alla richiesta sfacciata della sua schiava. Invece tace, come se la richiesta non gli sembrasse poi tanto illegittima; rimane in silenzio per un lunghissimo tempo.

- Kladius, ti sei addormentato?

Alla luce della candela, sento le sue labbra piegarsi in un sorriso assorto.

- Sto riflettendo sulla tua richiesta.

Trattengo il respiro e all’improvviso mi è chiaro che questo è il momento che ho atteso per anni, il momento in cui mi si sta aprendo finalmente uno spiraglio. Non mi ha ancora opposto rifiuto, per cui devo assolutamente insistere.

- Ti fidi di me, Kladius?

Silenzio.

- Credo che tu sia una brava persona, Inni – dice poi, lentamente - Claudia ti adora, stai facendo molte cose buone per lei.

- Allora, se hai fiducia in me, rivelami un tuo segreto.

- Perché?

Questo è il momento di giocarmi la partita.

 

“Devi vendicarci, Innithivei”

Lo farò, mamma.

 

Mi giro sulla schiena, fisso gli occhi al soffitto colorato di oro scuro e cerco di dare alla mia voce un’intonazione malinconica – Non è facile vivere in terra straniera, dove non puoi fidarti di nessuno e nessuno si fida di te; vivo qui da sei anni, eppure sono ancora considerata una nemica.

- Io non ti ho mai considerata una nemica.

- Allora dimostramelo.

Si gira su di un fianco, avvicina le labbra al mio orecchio e, in un sussurro, mi rivela il suo segreto. Tremo, mentre le parole cadono dalla sua bocca alla mia testa, tremo perché mi rendo conto che si fida davvero, tremo perché so – so con certezza – che questo atto di affidamento lo porterà prima o poi alla rovina.

Il futuro del mio padrone è legato a un fascicolo di carte, metà del quale contiene informazioni tali da portare il governatore ad accusarlo di alto tradimento. L’altra metà lo scagiona, mostrando come abbia lavorato in quanto spia a servizio del suo popolo.

Mentre mi rivela questo, riesco solo a pensare a cosa accadrebbe se una parte di quel fascicolo finisse in  mano alla legge e l’altra metà scomparisse nel nulla.

Sarebbe la rovina... Sarà la rovina quando, dovessi metterci anni, questo accadrà.

 

- Sei soddisfatta ora?

- Sì, grazie.

Si addormenta con il viso tra i miei capelli, mentre ancora i miei pensieri indugiano nella vendetta, nel tradimento, nella rivalsa. Infine appoggio la guancia alla sua e, dolcemente, lascio che il sonno mi prenda.

 

 

***

 

- Kladius, il governatore oggi verrà in visita. Quelle carte di cui mi parlavi sono al sicuro?

- Quali carte?

- Quelle che potrebbero farti incolpare di tradimento.

- Come fai a ricordartene? Saranno passati almeno quattro anni da quando te ne ho parlato.

- Ma le hai messe al sicuro?

- Sì, certo. Che ti prende Germanica? Il governatore non si metterà certamente a frugare in casa nostra.

- Non mi chiamo Germanica! E invece i suoi uomini potrebbero farlo, al mercato ho sentito che si sta facendo ospite in molte case, proprio allo scopo di introdurre i suoi schiavi nelle abitazioni che, durante i banchetti, passano in rassegna in cerca di indizi di tradimento. È un momento complicato questo, come puoi non saperlo?

- Inni, tu non vai al mercato, non è nei tuoi compiti!

- Spiegalo a tua moglie! Perché stai ridendo? Non mi diverte affatto, andare al mercato!

- Ne sono certo. Stai tranquilla, quel fascicolo, preso per intero, non può incolparmi. E in ogni caso è al sicuro nel mio cubiculum, nessuno riuscirà a entrarvi per trafugarlo.

- Se lo dici tu.

 




[1] Subligaculum: indumento di biancheria intima più comunemente indossato dagli antichi romani . Era costituito da una striscia di lino, una sorta di semplice perizoma avvolto intorno alle cosce e allacciato alla vita, e che poteva essere portato indifferentemente sia dagli uomini, al di sotto della tunica o della toga, che dalle donne, al di sotto della stola.

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Capitolo 6
*** La verità che non ho voluto vedere ***


6

 

È stabilito, questa notte non riuscirò a dormire. È risaputo come l’oscurità celi pensieri insidiosi che alla luce del sole non osano venire allo scoperto, ma che approfittano del silenzio delle tenebre per raggiungerti la testa, il cuore.

Mi sembra che voci invisibili sussurrino al mio animo in continuazione: le parole di mia madre riecheggiano come un’eco costante “Vendicaci, Innithivei. Il tuo dovere è vendicarci.”  Ma anche la voce di Kladius ritorna, insistente, fra le pieghe del mio cuscino.

Dovevo vendicare il mio popolo dalla furia del mostro, ma il mostro, negli anni, ha dormito nel mio letto senza sfiorarmi; ha aperto il suo cuore al mio, e, pur con tutti i difetti di un uomo che tratta in pubblico la sua schiava come un oggetto, ha saputo, in privato, mostrare un volto sensibile. L’ho visto vulnerabile, colpevole, insicuro. Forse sono l’unica ad aver guardato ogni sfumatura del suo viso, perché, per qualche motivo insensato, di me, il generale Claudio Pollio, si fida. Si fidava. La sua ingenuità è stata pari alla mia scaltrezza e questa notte che corona la mia gloria, si tinge nel mio animo del rosso di una colpa opprimente.

Non posso più restare qui, sdraiata ad ascoltare i miei demoni. E lo so che, da qualche parte in questa casa, anche Kladius è sveglio a guardare in faccia i suoi.

Da qualche parte della domus, che so quale parte sia; lo avverto per istinto.

Esco a piedi scalzi nel peristilium e seguo le orme di un percorso già compiuto anni prima, un percorso tinto di nera angoscia quanto allora.

Lo trovo là, come già sei anni fa, seduto sullo stesso muretto, sotto la luce spettrale dell’ennesima luna quasi piena. Ma non è raggomitolato su se stesso, stavolta fissa il cielo e il suo sguardo rimanda a pensieri cupi, ombrosi.

Dovrei temerlo, dopo quanto gli ho fatto; invece mi fermo accanto ai suoi piedi senza dire nulla, come se avessi ancora il diritto di condividere le sue ansie. Lui mi scruta senza alzarsi, nella semioscurità, cercando sul mio volto il motivo della mia presenza. Non sembra più arrabbiato, ma scorgo il dolore sul suo viso.

- Innithivei...

- Oh, adesso sono Innithivei? – replico di scatto; per agitazione, non per altro.

- Innithivei – ripete lui, piano – Almeno... porta con te anche Tullia Lucina.

È impazzito? Tullia Lucina? Non c’è persona della cui disfatta potrei godere con più soddisfazione!

- Non perderò un solo istante a preoccuparmi della sorte di tua moglie – rispondo – Sai perfettamente cosa penso di lei.

- È solo gelosa, esasperata; la sua colpa ricade interamente di me. Sono io che l’ho portata ad agire a quel modo e sempre io non ti ho mai difesa da lei. Lascia che la tua rabbia si sfoghi solo contro di me.

- Kladius, io non ho alcuna intenzione di portare con me tua moglie!

- È la madre di Claudia. Pensa almeno a lei.

Sa che questo è il mio punto debole, non può non immaginare quanto mi renda combattuta il pensiero di far soffrire sua figlia. Che soffrirà comunque, in ogni caso, per la sua bella casa che le sarà tolta, per la sorte di suo padre, torturato e ucciso come traditore, per la sua vita totalmente stravolta. Posso risparmiarle la madre? Almeno quello?

Il silenzio del giardino ingigantisce il rumore dei miei sensi di colpa.

- Ho giurato a mia madre che avrei vendicato la mia famiglia e il mio popolo – dico, sperando che ascoltare queste parole dalla mia stessa bocca dia consistenza a un odio che forse non provo più da tempo – È l’ultima cosa che mi ha chiesto prima di morire, la vendetta.

- Non ti chiedo pietà per me, Innithivei, te la chiedo per mia moglie che non ha mai avuto a che fare con ciò che è accaduto nelle tue terre. Ti chiedo solo di avere un po’ di pietà per lei, e per Claudia che la ama profondamente. Come io ne ho avuta per te.

- Per me? E quando mai?

Lui non risponde, la mia reazione gli ha fatto comprendere che in realtà ho capito. Ma non voglio sentire, non voglio pensarci, non voglio saperlo davvero. Questa consapevolezza ha fluttuato in me tra la coscienza e l’incoscienza per anni, latente, senza che io mai mi sia soffermata a esaminarla con giudizio.

Distolgo lo sguardo, ma i miei pensieri stanno già percorrendo il tempo, e allora ricordo.

Ricordo quel momento in cui il generale Claudio Pollio entrò nella nostra casa, dieci anni fa, mentre i suoi uomini, dopo aver goduto di mia madre, banchettavano con le nostre provviste.

Coprii il corpo di mia madre con il mio e lui ci osservò con uno sguardo che vide molte, molte cose, e poi parlò ai soldati nella sua lingua sconosciuta. Non potevo sapere, allora, quale significato preciso avessero le sue parole; non comprendevo quel linguaggio così diverso dal mio, ma la forma di quelle parole oscure rimase impressa a fuoco nella mia mente. Vi rimase impressa per mesi e non se n’era ancora andata quando, appresa finalmente la lingua dei miei nuovi padroni, potei comprenderne il senso. Rimase sospeso fra cielo e terra per molto tempo, quel significato, come se mi rifiutassi di farlo cadere sulla mia persona e assimilarlo.

“Siete delle bestie”, erano state le parole di Claudio Pollio a quegli uomini, quando ci aveva viste “Non azzardatevi più a toccare quella donna. E la ragazza la prenderò per me!”

“La ragazza è per il comandante Cornelio Attico”, aveva ribattuto uno degli uomini. “Intende godere del suo corpo fino al nostro ritorno in patria e poi venderla al mercato degli schiavi. Si vendicherà su di te, se gliela porterai via; non è un uomo che dimentica. Prima o poi dovrai vedertela con lui.”

“La ragazza è mia.”

Quelle erano state le sue parole, le parole che per anni hanno rimbalzato fra i miei pensieri, mentre io rifiutavo di comprenderle, e meditavo la mia vendetta.

Ma adesso che sono costretta a pensarci, a renderle reali, a capirle... adesso e solo adesso mi rendo conto di quello che ho veramente fatto.

Apro la bocca e la richiudo immediatamente.

Cornelio Attico.

Cornelio Attico, l’uomo a cui ho consegnato quelle carte, è il comandante da cui mi ha salvato Claudio.

Le gambe mi cedono all’improvviso e io crollo in ginocchio di fronte a lui, all’improvviso sto boccheggiando.

- Ho evitato che tua madre subisse ulteriori violenze – mormora Kladius – Solo per questo, ti prego di avere pietà di mia moglie.

- Sì – rispondo con voce strozzata, mentre pensieri frenetici si rincorrono nella mia testa. Oh madre mia, oh madre mia!, non faccio che ripetermi. Erano di Cornelio Attico gli uomini che l’hanno violentata, e, da lui, Kladius mi ha salvata.

- Sono stato ingenuo a credere che tu ti fossi abituata a questa vita – sta dicendo lui – Mi sono chiesto per tutti questi anni perché mi resistessi. Percepivo il tuo desiderio fisico e mi domandavo come potessi, solo per orgoglio, continuare a respingermi. Non avevo capito quanto ancora mi odiassi, non sapevo che non avevi mai smesso di tramare vendetta. Sei stata abile, ben più di molti comandanti romani.

Mi rendo conto con lentezza del significato delle sue parole. Ecco, ora crederà che lo stavo irretendo, quando gli ho offerto conforto per la malattia di sua figlia. Penserà che fossero finzione le volte in cui ho dormito sulla sua spalla sentendomi protetta, le volte in cui ho riso con lui, quelle in cui l’ho ascoltato con interesse.

E io stessa non credevo che fosse tutta finzione, in fondo? Me lo raccontavo, ma forse lo dicevo a me stessa solo come si racconta una fiaba a un bambino.

Impiego davvero tanto a rendermi conto del significato ultimo delle sue parole.

Alzo gli occhi di scatto e cerco i suoi tra i ghirigori di una luce sfocata.

- Kladius, io non ti ho mai ceduto per timore di venire accantonata; non c’entravano i miei propositi di vendetta! Ogni concubina con cui giacevi veniva abbandonata immediatamente dopo e io... dovevo preservarmi! Se avessi perso il tuo favore, sai quanto avrebbe impiegato tua moglie ad avvelenarmi? Sarei morta nel passare di una notte!

Lui scuote la testa, sembra confuso. Forse non conosce neppure se stesso?

- Non dirmi che non ti divertiva cercare di sedurmi!

- Sì, mi divertiva... all’inizio. Ma nessun uomo è contento di desiderare una donna per dieci anni senza mai averne nulla di più di un bacio, sarebbe stato meno frustrante disinteressarsi di te, credimi!

- Ma non l’hai fatto.

- No, non l’ho fatto – stringe le nocche della mano sinistra nel pugno destro, si morde il labbro – Non l’ho fatto, perché altrimenti Tullia Lucina ti avrebbe avvelenata; non l’ho fatto, perché era comunque piacevole stare con te... Perché credevo fossi mia amica.

Perdo il fiato all’improvviso.

- Tua... amica?

- Mi hai sempre ascoltato, consigliato... Ho pianto davanti a te, Inni! Credi che lo faccia con tutti? Pensavo che... che ci fosse amicizia fra noi, certo, non un’amicizia ordinaria, perché eri la mia schiava e non potevo trattarti in pubblico come una pari, ma... Ma pensavo che fra noi ci fosse un tacito accordo di amicizia, per questo... sei sempre rimasta la mia favorita. Non certo perché mi piaceva desiderarti senza mai ottenere nulla!

Abbassa le spalle in un moto di sconfitta.

- Mi hai incastrato come un idiota, invece. Credevo di essere un buon generale, di avere l’astuzia dalla mia parte; ma evidentemente merito, per la mia stoltezza, questa fine.

La sua amarezza è fiele che mi riempie la bocca. Ingoio saliva e dispiacere e mi accorgo con orrore di avere voglia di piangere.

Io, io che dovrei toccare, in questo istante, le vette dell’ebbrezza. Ho vinto, dopotutto. Ma vinto su chi?

Vinto cosa?

Pensavo di dover risvegliare il suo interesse ogni volta che si infilava nella mia camera, mentre lui cercava in me un legame sincero.

Ora, mentre cerco i suoi occhi, mi chiedo cosa penserò di me, domani. Come farò i conti con il resto dei miei giorni.

L’alba non è poi così lontana.

- Kladius... hai paura?

Lui non risponde. So che vorrebbe dirmi di no, che non teme nulla, che è un generale e la sofferenza e la morte non lo spaventano. Ma il suo destino è atroce e lui, al mio contrario, non riesce a comportarsi da bugiardo.

Così tace e distoglie lo sguardo; e io mi domando come affronterà tutto ciò che deve venire.

Cerco di immaginarlo durante la flagellazione pubblica, le sue carni martoriate dalla frusta, il suo sangue che scorre sul pavimento. Io stessa sono stata  punita con la sferza in passato, ma era solo qualche frustata dimostrativa, per impartire una lezione, ben diversa dai trentanove colpi di rito.

 Kladius è stato in guerra, è rimasto ferito, è avvezzo ai disagi, ma il pensiero di ciò che lo aspetta mi fa ribrezzo.

Lo immagino solo, ferito, di fronte alle belve inferocite che lo faranno a pezzi fino a ridurlo in nulla. E me ne esco in un gemito di sgomento che gli fa alzare gli occhi sui miei. Non so perché, ma allora gli prendo la faccia fra le mani e lo bacio; penso, con un istante di ritardo, che ora la mia persona potrebbe dargli repulsione, ma non riesco a staccarmi, perché lui invece si avvinghia a me, artiglia le dita alla mia schiena e mi bacia con una foga in cui riconosco tutto il terrore che sta provando. Sfoga la sua paura su di me e, solo dopo lunghissimi istanti, stacca la bocca dalla mia e affonda il viso nella mia spalla, tremando furiosamente.

Lo abbraccio e, finalmente, decido di seguire i miei sentimenti.

- Kladius... Claudio, vieni con me.

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Capitolo 7
*** La vendetta ***


7

 

Quando entriamo nel mio cubiculum, lui non fa domande. Da quando ho accettato di aiutare sua moglie, ha abbandonato ogni combattività, precipitando in una triste rassegnazione. Potrebbe sembrare insensata questa sua assenza di rabbia nei miei confronti, ma Claudio è un ex militare: si è trovato in guerra, ha guidato spedizioni e razzie, ha contribuito a conquistare terre e schiavi. È consapevole del significato di onore e di vendetta e dell’esasperazione e del sacrificio che il mio popolo mette al loro servizio. Non può odiarmi per aver cercato di compiere il mio dovere, detesta piuttosto se stesso per non essere stato sufficientemente scaltro.

Un respiro vagamente accelerato è l’unico segnale di nervosismo che tradisce in questo momento, mentre si guarda attorno con aria assente nel mio cubiculum. Non nota i miei movimenti, mentre rimesto tra le pieghe del mio giaciglio; è solo quando mi paro davanti a lui con delle carte in mano che sembra tornare a offrirmi un po’ di attenzione.

- Naturalmente non mi fido del tutto di Cornelio Attico – gli dico, stringendo a me il malloppo – Mi sono limitata a offrigli la possibilità di arrestarti, senza dirgli che eri in realtà innocente e che esistono prove che possono dimostrarlo.

Quando inizia a intuire il significato delle mie parole, rimane senza fiato. Ne approfitto per proseguire.

- Se, una volta che ti avessero arrestato, non avesse mantenuto la promessa, lo avrei minacciato di farti scarcerare con le carte che mi restavano. Così, come vedi, queste sono ancora in mano mia.

I suoi occhi si fermano fissi sul fascicolo che tengo in mano; vedo la sua mascella serrarsi, il corpo intero irrigidirsi. La flagellazione, la caduta della sua famiglia, la condanna a morte, all’improvviso non sono più un destino certo; diventano solo una possibilità e una possibilità remota.

Un silenzio profondo penetra i muri della casa, un silenzio denso e oleoso, che per qualche istante sembra destinato a farci affogare in esso. Poi, io sussurro – Voglio trattare con te.

- Che cosa vuoi?

Questa conversazione è una farsa, è evidente. Sono sola di fronte a lui, piccola e minuta, quanto lui è alto e forte. Siamo chiusi in questa stanza, in una casa in cui lui è padrone assoluto e io la schiava al suo servizio. Potrebbe riprendere le sue carte in un istante, usando la forza o anche solo la sua autorità; invece sceglie di lasciarmi spazio, come se davvero esistesse una possibilità di mercanteggiare.

- Voglio la mia libertà – dico, alzando su di lui uno sguardo fiero – La stessa che mi aveva offerto Cornelio Attico: voglio venire affrancata e lavorare da liberta.

- Sì, va bene.

La sua arrendevolezza mi fa sussultare.

- Va bene?

- Non è la prima volta che ci penso, Inni. Mi sono già detto tante volte che ti avrei affrancata, e prima o poi l’avrei veramente fatto. Semplicemente... mi spiaceva non averti più per me, nella mia casa, nella mia vita. Se avessi immaginato che la tua rabbia non nascondeva solo un orgoglio ferito, ma il desiderio vivo di essere indipendente...

- Se tu l’avessi immaginato? – trasecolo – Claudio, io sono nata libera! Non sono fatta per essere una schiava!

Sorride.

- Lo so. Ma tu sai, invece, quanto riesco a essere egoista.

Questo non è del tutto vero: tanti padroni finiscono con l’affrancare gli schiavi a cui più si affezionano, ma questo non è un dovere cui devono attenersi. È solo... una delle possibilità che hanno, come signori, di decidere della vita dei loro servitori.

- E la tua vendetta? – mi chiede.

- Mandare all’aria la vendetta di Cornelio Attico sarà la mia.

Gli porgo le carte e lui si affretta a controllarle, quando si è rassicurato circa il loro contenuto, le piega e le infila nella tunica, al sicuro.

- Non credevo me le avresti ridate così... senza avere prima un’assicurazione della mia parola – commenta.

- Mi fido di te – ribatto, con una punta di acidità – Tu non sei un bugiardo, al contrario di me.

Gli do le spalle con una certa asprezza, imbarazzata dalle mie stesse parole e da quanto ho appena fatto, ma Claudio mi afferra per un polso impedendomi di allontanarmi.

- Inni... – comincia. Si interrompe immediatamente però, come se non trovasse il modo di proseguire. Riesco a comprenderlo perfettamente, non ci sono parole per esprimere ciò che proviamo l’uno per l’altra, per raccapezzarsi nel viluppo contraddittorio in cui ci siamo ingarbugliati.

So che l’ho ferito profondamente con il mio tradimento e che ora, invece, l’ho salvato rimangiandomi il mio stesso imbroglio. Sono la persona che ha graziato, che ha catturato, davanti la quale ha pianto. La persona che ha tramato contro la sua vita e che, tuttavia, alla fine si è dimostrata degna di fiducia.

Mentre lui rimane il mio aguzzino, il mio padrone despota; ma resta anche l’uomo che ha avuto pietà di me e di mia madre, che mi ha asservita come schiava, ma mai violentata; l’uomo che mi considera un’amica e che mi ha appena promesso la libertà.

Tutto questo, fra di noi, è troppo. Troppo pesante, troppo denso, inaffrontabile; ci vuole tempo perché le nostre ombre si riaccostino l’una all’altra tornando a creare un’immagine omogenea che ci permetta di rapportarci fra di noi con coerenza.

Per adesso resta solo questo silenzio corposo, imbevuto di emozioni confuse.

Così la sua mano fa pressione sul mio polso e mi spinge a voltarmi verso di lui; Claudio mi tira verso di sé e mi stringe con forza al suo petto. Istintivamente mi aggrappo alla sua schiena e affondo il viso contro di lui, godendo di quell’abbraccio forte, mozzafiato. Credo che potrei restare così per ore, aspirando conforto, pace, calore e cedendone altrettanti a lui; ma dopo pochi istanti il rumore del batacchio della porta pervade il silenzio in colpi ritmici e concitati.

Ci stacchiamo, fissandoci negli occhi, mentre nella domus gli schiavi si svegliano e iniziano a mettersi in moto, turbati, per rispondere alla visita notturna inattesa.

- Sono qui per arrestarmi – dice Claudio, e la sua mano corre istintivamente al petto, dove, sotto la tunica, ha nascosto le carte.

- Ti rilasceranno subito.

- Sì, lo so.

Dovrebbe uscire dalla stanza e raggiungere gli schiavi alla porta, ma esita. Il destino che avrebbe potuto essere, di distruzione e dolore, vergogna e morte, gli sfiora per un istante lo sguardo.

- Mi dispiace – dico – Mi dispiace di aver pensato di consegnarti a loro.

Lui scuote la testa, assorto; poi fa per muoversi.

- Claudio...

Si volta.

- Volevo dirti... che ho apprezzato il tuo tentativo di salvare Tullia Lucina e non te stesso, non sei egoista quanto credi. Tua moglie dovrebbe smettere di essere gelosa, tu sei innamorato di lei, in fondo.

Lui respira profondamente, esita.

- Sai – mormora infine – Penso che, una volta che te ne sarai andata, non prenderò più concubine. È ora di smetterla con questa farsa, non giova a nessuno.

- Niente concubine? Ma saprai resistere?

Lui accenna a un sorriso – Credo di averti dimostrato il mio autocontrollo.

Ora, rumori di passi nervosi riecheggiano nel corridoio. Un’ultima volta, Claudio appoggia la mano là, dove tiene le carte; mi lancia uno sguardo ambiguo, acceso di un sorriso obliquo, e poi esce dalla stanza.

Ha fatto la mia scelta, le cose non si possono più cambiare.

Mamma, riposa in pace. Non ci sarebbe stato onore nel vendicarsi su di lui.

 

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


8

Epilogo

 

Le terme sembrano un luogo completamente nuovo, ora che ci vado da liberta. Passo da una vasca all’altra con lentezza studiata, godendo della mia possibilità di scegliere: il frigidarium, il calidarium, la palestra...  Questo è un luogo dove l’intero popolo romano si riunisce: uomini importanti e commercianti, schiavi e liberti; ma quando ci arrivi condotta dal tuo padrone, sai perfettamente che per te non ci sarà soddisfacimento.

Oggi, invece, la mia visita si risolve nel pieno appagamento.

Verso la fine della giornata, vengo raggiunta da una voce nota quanto cara.

- Inni! Inni!

Claudia si avvicina e mi getta le braccia al collo; ora può farlo liberamente, senza essere frenata dall’immediata disapprovazione di Tullia Lucina.

- Inni, ho saputo che ti sposi!

Mi afferra la mano e osserva l’anulus pronubus[1] che Fabrizio mi ha donato il mese scorso. Lavoro ormai da un anno presso un pomarius[2] cui mi ha presentata Claudio: il padrone del negozio era morto di malattia e la moglie e il figlio trentenne non riuscivano da soli a occuparsi di tutto. Così, dopo l’affrancamento, mi sono trasferita da loro e il rapporto tra me e Fabrizio si è fatto in tempi brevi molto stretto.

Il lavoro è duro, la casa piccola e scomoda; ma questa vita si avvicina molto gradevolmente al mio modo d’essere. Così sarebbe stata anche nella mia terra: faticosa e libera.

- Faremo un banchetto modesto – dico – Ma se tu e la tua famiglia ci farete l’onore di venire, ne sarò felice.

- Verrò, certo che verrò! Anche papà e mamma non mancheranno, mamma ha persino già pensato a un dono per te!

Sorrido, pensando al mutato atteggiamento di Tullia Lucina. Dopo aver saputo del mio imminente affrancamento, aveva cessato all’istante ogni ostilità; il giorno che me ne sono andata mi ha ringraziata per l’aiuto offertole con Claudia e ora... persino un dono di nozze!

Certo, il suo umore e la sua stessa esistenza devono essere migliorate notevolmente dopo la mia partenza: Claudio è stato di parola e non ha preso con sé altre concubine. E Tullia Lucina è nuovamente incinta.

Presto la sarò anch’io, se la sorte non vorrà essermi avversa.

Fabrizio è un uomo pratico, un lavoratore instancabile, solido, ma è anche una persona di buon cuore, integra, e non dubito della sua capacità di educare i nostri figli in modo sano, onesto.

È impensabile come Roma, all’improvviso, sia diventata un luogo piacevole in cui vivere. I miei capelli, i miei tratti rivelano le mie origini straniere, ma gli usi e i costumi di questo luogo ormai mi appartengono; il mio futuro marito è un romano e romani saranno i miei figli. Non credo che mia madre pensasse a un futuro simile per sua figlia e dubito che lo approverebbe, ma lei è nata e vissuta nella nostra terra, non ha mai toccato con mano questo luogo in cui io, ormai, ho trascorso un terzo della mia vita.

- Vieni a salutare papà? – mi chiede Claudia.

Giro lo sguardo per la stanza e lo vedo, Claudio Lucio Pollio, in piedi presso una delle vasche. Mi sta fissando e un sorriso gli dipinge il bel viso maschio.

- Un’altra volta – rispondo. Non voglio indisporre Tullia Lucina, ora che sembra aver suggellato la pace fra noi.

Ma ricambio il sorriso di Claudio, perché il calore che vi trovo è lo stesso che provo nei suoi confronti. Una fruttivendola germanica e un importante, ricco romano non hanno nulla a che spartire l’uno con l’altra; ma la nostra amicizia ha valicato i confini consueti ormai da molto tempo.

So che Claudio ci sarà, quando mi troverò in difficoltà; e lui sa, sa che potrà sempre aprirmi il suo cuore, e la sua vecchia schiava sarà pronta ad ascoltarlo.

Certe cose non cambiano, non cambiano mai e io ne sono felice.

Faccio un cenno di saluto a Claudio con il capo e lui ricambia, poi torna alle sue occupazioni.

Eccomi qui, Innithivei, ex concubina vergine, attualmente promessa in sposa.

La mia vita continua.




[1] Anulus pronubus: anello di fidanzamento. Quest' anello non era un semplice regalo, ma svolgeva una funzione simbolica ben precisa: esso era una sorta di "catena" simbolica attraverso cui lo sposo legava a sé la sposa, rivendicandone il pieno possesso. Di conseguenza, una volta infilato l'anulus al dito, la ragazza manifestava concretamente il suo impegno a rispettare il patto di fedeltà nei confronti del fidanzato

[2] Pomarius: negozio di frutta.

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Ed eccoci arrivati alla fine!
Volevo spendere due righe per ringraziare tutte quelle persone che hanno messo questa storia nelle Seguite, Ricordate e Preferite, e ,in particolare, quelle che hanno sempre fedelmente recensito. Le vostre parole sono importanti per me, sappiate che lasciare una recensione non è mai una perdita di tempo! :)  Grazie di cuore... e alla prossima!

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