The emerald tower

di Helmyra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amici che vanno ***
Capitolo 2: *** Il custode del gemello (prima parte) ***
Capitolo 3: *** Il custode del gemello (seconda parte) ***
Capitolo 4: *** Il custode del gemello (ultima parte) ***
Capitolo 5: *** Un consulto prezioso (prima parte) ***
Capitolo 6: *** Un consulto prezioso (ultima parte) ***
Capitolo 7: *** Scherzo della natura (prima parte) ***
Capitolo 8: *** Scherzo della natura (seconda parte) ***
Capitolo 9: *** Scherzo della natura (ultima parte) ***



Capitolo 1
*** Amici che vanno ***


“Lamenti il fatto che non comprendono, Aryon. E ancora una volta, ti concedo un'unica risposta: parli la loro lingua? Può darsi che tu abbia sfoggiato una forma impeccabile, il tono più consono, i ragionamenti più brillanti ed arzigogolati. Il tuo punto di vista, però, è lontano quanto Masser e Secunda lo sono da Tamriel. Ti scrutano dabbasso, osservando ogni nube che ti solletica il pallido volto, benché poi siano risoluti nel constatare la tua palese irraggiungibilità. Non chieder loro di attraversare gli spazi siderali e venirti incontro attraverso l'Ethereus. Quantomeno, dovresti esser tu ad illuminarli di bianca luce, facendo splender così degli intelletti del tutto smorti. Sono avvezzi alle vecchie vie, non aspettarti che diventino ciò che non sanno essere.”

Aryon ascoltò senza batter ciglio il consiglio del maestro, incerto se stesse ingoiando un'amara verità o se fosse una selce appuntita a trapassargli l'esofago. Per un attimo tornò ad essere l'apprendista impacciato con ancora molto da imparare: in un angolo appartato del piccolo studio, simile ad una nicchia o a un rifugio per volatili delle scarpate, Galos Mathendis assisteva a quella disfatta verbale, pietrificato. Il giovane ministro portò una mano alle tempie, e notò con disappunto che erano appena umide di sudore.

“Quindi... deduco che non appoggerete il progetto di fronte al Concilio. E che, nonostante ciò, non abbiate motivo per astenervi dal...”

“L'unica cosa dalla quale giammai mi asterrei, ragazzo mio, è un bel paio di gambe o dei fianchi prosperosi. È finito il tempo in cui ero il tuo mentore, la cura alle insicurezze, il risolutore di ogni dilemma. Sei talmente convinto di ciò che pensi? Ritieni che sia opportuno portare avanti questa... coesistenza con l'Impero e le altre casate? Bene, datti da fare. Sei stato educato come un Telvanni, e i Telvanni non chiedono gentilmente, agiscono. Non siedono e aspettano, ma lottano per ottenere ciò che desiderano. Non mi aspetto meno da te, hai conseguito un ruolo importante... è ora che cominci a camminare con le tue gambe. Basta con questi giochetti: la farai a qualcun altro, non a me.”

Una pessima figura, proprio davanti al proprio portavoce. Era rimasto l'unico a trattarlo come un moccioso, persino gli altri Consiglieri avevano accettato l'idea di riservagli maggiore deferenza.

Ah, che i Daedra ti portino via; avrebbe risposto... piuttosto che accettare un'amara ramanzina con aria corrucciata.

Si girò di scatto per librarsi giù, verso il corridoio del piano inferiore. Il maestro, alquanto contrariato, alzò una mano per fermarlo... ma non insisté nel trattenerlo più di tanto.

“E... e tu dove vai? Mi lasci così? Come ragazzini boriosi vi offendete se uno stregone più esperto tenta di ammonirvi su ciò che va fatto. Pure tu, fermati, dico!”

“Sono costernato, Maestro,” si scusò Galos, curvandosi in un inchino frettoloso, “se il padrone va, devo seguirlo. Vi auguro di passare una buona giornata, come sempre in buona compagnia.”

“Ah, maledetto, stammi a sentire! Ti ingiungo di restare!” Lampi e fulmini si propagarono per le pareti della stanza, imprigionando i presenti in una gabbia sibilante. Aryon si voltò indietro, a bocca aperta: Divayth gli riservò una risata divertita, sollevandosi da terra come sospinto da un vento di tempesta.

“Le maniere forti, ecco quello che ci vuole. Ti ho viziato, anzi... di svaghi te ne avrei concessi fin troppi; se non fossi così timido, a modo, riservato. Reclami favori e mi offendi nella mia stessa dimora, disdegni i consigli e il calore che le ragazze possono donarti...”

“Oh, ancora.” Aryon era stanco di quella storia. Erano anni che lo spronava a farlo. “Non avrò parte nell'esperimento, se è questo che intendete. So benissimo cosa desiderate, qualcuno che provi ad ingravidare quelle quattro fanciulle che chiamate figlie per comprendere se siano vive... come le altre. Girerebbero cattive voci sul mio conto, già mi è stato riferito che sono uno sbarbatello senza palle...”

“Ah, a quanto pare Neloth non ha perso tempo.” Sorrise Divayth, sedendosi a mezz'aria e ponendo una mano sotto al mento, “Non angustiarti, Aryon... è solo perché non ti divertono i soliti giochetti. C'è chi le figlie se le crea, chi ama rapire belle figliole. Sostiene che quando non sono consenzienti è più divertente. Io lavoro per la scienza, lui pure... solo che predilige anche altri aspetti. L'ossessione di provare un incantesimo su quella giovane Redoran, mi ha scritto, lo ha ispirato all'atto. Presumo che anni or sono Therana avesse pronunciato parole simili, prima che l'ossessione avesse la meglio su di lei.”

“Non fingete innocenza, so che entrambi siete in buoni termini.” Rispose con calma Aryon, lisciando le pieghe sulla veste cangiante. “Ammettete a voi stessi che le persone sono differenti, che i tempi cambiano. Appartenete alla vecchia scuola: siete talmente concentrati sui vostri studi da non comprendere quello che accade al di fuori delle torri. Isolatemi, certo; non piangete però se qualcuno decide di averne avuto abbastanza e si mette in testa di assassinarvi. Hlaalu, Indoril e Redoran sono stanche di tale atteggiamento, avremmo maggior successo con le negoziazioni e meno...”

“Forse sono un fallito come maestro.” Commentò Divayth, in una smorfia rassegnata. “Sei intelligente, Aryon, eppure ti perdi con facilità; quasi quanto un groviglio di alghe che galleggia senza meta verso il mare aperto. Ho investito anni di insegnamento su di te; provaci, allora. Valuterò una possibile presenza nel Concilio, casomai le cose si mettessero male. Non contarci, però. Ho vissuto a lungo e ho servito Telvanni con orgoglio... se l'ho fatto, tuttavia, è solo per preservare una certa indipendenza.”

“È l'essenza della casata... vivere al massimo, incuranti del resto.” Gli rispose, sistemando il pugnale daedrico alla cintura e stringendo bene le fibbie. “Per me siete come un padre: mi duole disturbarvi per queste faccende, ma ho a cuore anche il vostro benessere. Non m'importa molto degli altri, vorrei solo...”

“Ah, il tuo lato sensibile emerge... male.” Sorrise ancora, stavolta con benevolenza. “Ti sono grato per la considerazione, ma non ne ho affatto bisogno. Rifletti sul tuo lavoro, scrivimi una lettera in codice qualora non riuscissi a venirne fuori. Farò in modo... che nessuno ti danneggi.”

“Vi ringrazio.” Volle inchinarsi, poi si rese conto che sarebbe stato inopportuno. Non era più un ragazzino, o lo studentello in perenne debito morale. Ritenersi pari ad uno degli stregoni più anziani, potenti e stimati dell'intera casata lo riempiva d'orgoglio e lo sgomentava. Giorno dopo giorno meditava sulla reale importanza degli obiettivi che aveva conseguito... e quando l'ottimismo era dalla sua parte, si consolava al pensiero di esser destinato a nuovi traguardi.

Stava per riprendere la strada verso il molo, ma fu distratto ancora una volta dalla risata profonda e gutturale del maestro. Si chiese, allora, quale raccomandazione intendeva elargirgli; in modo da mettere a tacere le perplessità che lo tormentavano, i dubbi celati in certe affermazioni.

“Non temere, mai mi hai deluso, ragazzo mio.” Era come se potesse leggergli nel pensiero. “Stento ad immaginare ciò di cui sei capace, quando metti in moto il tuo lato oscuro. Non mi dispiace affatto questa finta modestia, soprattutto se la norma è lanciare aperte provocazioni e vantare conquiste su conquiste. Chissà se sarai tu a mettermi sottoterra! Per fortuna, la tua lealtà mi rincuora: la famiglia innanzitutto, vero? Vediamo che stratagemma escogiterai per liberarti degli ostacoli ed ottenere lo scopo. Sarai anche il più giovane... ma di sicuro sei il più subdolo.”

Aryon sbiancò, colpito da tanto cinismo. Era questo che pensava di lui?

Aveva fatto la figura dello sciocco, come sempre.

Gli rese omaggio, chinando il capo; poi mosse un passo e fluttuò via.

Rimpiangeva di non vivere su un'isola come Tel Fyr. Ricordava con malinconia i lussureggianti tramonti sul mare dell'est, le canne di marshmerrow che catturavano i raggi del sole... un'enorme sfera di fuoco, e gli ultimi giochi della giornata con le figlie di Divayth. Gothren l'aveva relegato di proposito verso il continente, con l'intento di allontanarlo da Sadrith Mora e rendergli difficili gli spostamenti. Non aveva messo in conto, però, che avrebbe sfruttato al massimo la distanza per agire con maggiore autonomia. Teletrasportarsi, o viaggiare via nave, non gli era gravoso. Quanto a diplomazia e buona disposizione nei confronti degli stranieri, invece, era di sicuro in netto vantaggio.

Galos sfilò la corda dall'anello metallico fissato al palo, un appiglio di fortuna per le poche imbarcazioni di ventura nei paraggi. Nel fare ciò appariva distratto, intento a combattere con se stesso una guerra di logoramento. Tenne ferma la barchetta con una mano e invitò il giovane padrone a bordo: una volta su, scostò la prua dalla piattaforma in legno, prendendo il largo.

“Cosa c'è che ti preoccupa?” Provò a domandare Aryon.

“Oh, padrone... niente di particolare.” La sua fronte era solcata da leggere rughe e contratta dallo sforzo. Fugò via ogni apprensione rivolgendogli un sorriso spento.

“Qualcosa ti turba.” Insisté, nella speranza di comprendere il suo stato d'animo.

“Si tratta del mio futuro,” iniziò a raccontare Galos, a voce tremante, “negli ultimi mesi molte cose sono cambiate. Credevo che la vita non mi lasciasse alternative, dopo anni trascorsi nelle stesse attività. Alzi lo sguardo, all'improvviso appare una stella ad illuminare la strada. Ti chiedi se stai seguendo il percorso giusto... per poi scoprire che, invero, non importa molto. La stella brilla imperterrita, diviene un sole splendente, a lei solo sei devoto. Il viaggio non finirà mai, ma essa è sempre lì, ferma in cielo. La ammiri, e ti senti infallibile... pronto al rischio.”

“Da quanto tempo avevi intenzione di mettermene al corrente?” Aryon udì il legno sussultare contro le vivaci onde e ogni certezza sgretolarsi sotto i piedi.

“Mesi, ormai. Da quando sono partito in missione verso Tel Branora, a reclamare per voi i tesori di un folle negromante. Dopo aver portato a termine il compito mi sono avviato verso la città, sfruttando l'ultima scintilla di vigore rimanente. Ero ferito: il duello col mago mi aveva prosciugato le forze e l'intera scorta di pozioni. Quando è accaduto, le lune erano alte in cielo: mi ero rassegnato a vagare per le strade, un aiuto tardava a giungere. Ah, quanto può essere diffidente la gente! Una sbirciata furtiva attraverso la porta socchiusa, e via a dormire, a bere... a fare chissà cosa, per gli dei! Non tolleravo più il dolore e finii a terra, stremato. Fui sollevato da quattro braccia che mi reggevano incerte, non abituate magari al peso di un elfo adulto. Mi adagiarono su un tappeto di canapa, percepii solo le rozze fibre del tessuto che mi tormentavano la schiena escoriata... ma fu il lento fluire di un fragrante unguento a donarmi pace. Aprii gli occhi per un istante, e scorsi il volto di chi mi aveva salvato: lineamenti raffinati ed abiti dall'aspetto comune. La residenza di quelle anime gentili era confortevole ed essenziale: la maggiore delle due elfe, una guaritrice, mi era rimasta accanto durante l'intera convalescenza.”

“Per superare il primo imbarazzo, avete cominciato a parlare...” suppose Aryon, guardando in basso, “e giorno dopo giorno, il legame si è solidificato. Avete scoperto di condividere tante, troppe cose. Presumo che adesso chiederai le dimissioni, affinché tu possa continuare la tua ricerca in modo indipendente.”

Pronunciò quella frase come se fosse la ricetta di un preparato alchemico, senza la minima emozione. Non gli interessava cosa avesse fatto Galos nel frattempo, eppure... bruciava perdere un fidato servitore e un'ottima spia, tutto per una sciocca vicenda personale.

L'altro annuì, continuando a remare.

“Ti dirò, non lo ritengo opportuno, vista la situazione politica attuale.” E si impegnò a mantenere un tono sereno e comprensivo; “Potrei impormi, ma non deciderò per te. Ti fa sentire meglio? Allora vai, non rimpiangere nulla. Ti sono riconoscente per il lavoro svolto finora, buona fortuna.”

Galos ringraziò, abbassando il capo. La chiglia della barchetta fendeva le onde e li conduceva verso il più importante avamposto Telvanni a Vvardenfell: un insieme di case-fungo, alimentate dal potere delle gemme d'anima e plasmate da abili stregoni. In cima ad un basso colle si ergeva Tel Naga, la dimora di Neloth. Il buonsenso gli suggeriva di far visita al rivale, ma l'umore non gli consentiva di salvare le apparenze: un pomeriggio maledetto, che gli avrebbe attirato ulteriori fastidi.

“Ho predisposto la partenza dell'Elf Skerring in modo che solo voi saliate a bordo della nave.” Gli comunicò l'altro, ancora costernato, “A Vos troverete una pattuglia di guardie che vi scorterà alla torre. È il minimo che possa fare, siete stato una guida eccellente. Resterò a Sadrith Mora finché non giungerà un allievo promettente, pronto a sostituirmi. Vi risparmierò tempo prezioso, occupandomi in prima persona della scrematura. Chissà se un candidato con un talento più brillante non sia fondamentale per risolvere i contenziosi con gli altri Ministri.”

“Preferisco un amico di vecchia data ad uno stregone sul piede di guerra. Cerco un confidente, non un cortigiano che assecondi i deliri di onnipotenza del suo signore.” Sbuffò, balzando giù dalla navetta con un'agilità insolita per chi trascorreva la maggior parte del tempo recluso in una torre. “Se ci ripensi, sarà come se questa conversazione non fosse mai avvenuta. Ma se insisti, farò costruire uno studio lungo le montagne centrali delle Grazelands, dove nessuno potrà disturbarti...”

“Padrone, sto invecchiando.” Lo interruppe, con fare benevolo. “Non sono più un ragazzo. Desidero avere un rifugio, una famiglia per gli anni a venire. Ho assistito alla vostra ascesa, ai vostri trionfi... per questo ritengo sia l'ora di farmi da parte. Non è saggio continuare a farvi da consigliere. Anzi, se permettete... l'ultimo suggerimento che vorrei offrirvi, e che non siete affatto obbligato a mettere in pratica, è quello di affidarvi ad una persona altrettanto giovane. Magari, persino più di voi. Entusiasmo... quello che manca a Telvanni, coinvolta solo in inutili faide. Potrebbe essere un punto di svolta, quando la saggezza porta a temporeggiare.”

“Ne terrò conto,” rispose, alquanto perplesso. “Sebbene ora sia difficile fare altrimenti.”

Galos non rispose: si curvò in una profonda riverenza ed imboccò il canaletto verso il centro della città. Quando la sua figura scomparve tra le prime ombre del crepuscolo, Aryon voltò le spalle alle alte corolle, alle torce ardenti lungo la strada che conduceva al forte, dirigendosi subito alla nave. Il mare era uno specchio placido che rifletteva il cielo notturno, rivelando al di sotto un manto blu lapislazzuli in frenetica attività. Alghe danzanti, gusci d'ostrica bianchi come ossa sbiadite, banchi di pesci curiosi che sfioravano con le pinne le fiancate, per poi sgattaiolare via, verso gli abissi più oscuri... Galos lo aveva convinto a viaggiare via nave, senza ricorrere alle formule di teletrasporto.

Anche lui pensa che io abbia bisogno di svagarmi, meditava tra sé, osservando le due lune che si arrampicavano alte in cielo. L'unica comodità di quell'imbarcazione erosa dalla salsedine e battuta dal vento era una piccola cabina, messa a disposizione dei passeggeri durante le traversate. Aryon si affacciò alla balaustra, convenendo con se stesso che non era poi così male sentire il vento che gli scompigliava i capelli; gioire dell'aria fresca, cristallina. Rimpiangeva giorni e giorni passati nella torre, su ribollenti elisir e trattati di magia, mentre la natura aveva ben altro da offrirgli.

Il timoniere gli si avvicinò a capo scoperto, tenendo tra le mani un rozzo cappello di tela.

“Signore, farò salpare la nave quando voi lo desiderate.” Disse l'anziano dunmer, anche lui in un breve inchino: un'ottima cura per la mancanza di autostima, almeno all'inizio. Col passar del tempo, invece, trovava imbarazzante sottoporsi ai rituali dell'etichetta.

Aryon tranquillizzò il vecchio con un fugace sorriso e gli ordinò di partire. Mentre lasciavano il porto fissò gli occhi all'orizzonte, oltre la distesa di isolotti che racchiudevano Sadrith Mora nel loro scrigno. Aveva la possibilità di farlo, se solo avesse voluto... viaggiare, andare lontano; vedere Morrowind ed accantonare i libri in un angolo. Aprire una vera finestra sul mondo, anziché accontentarsi delle testimonianze di chissà quale stregone errante, lette di notte e a lume di candela nel periodo d'apprendistato. Un impeto di libertà che richiamava numerosi doveri: la delega a un funzionario fidato del comando, la gestione di Tel Vos, i rapporti con gli altri Ministri...

Sospirò, frustrato. I veri schiavi del potere non erano i sottoposti, i lavoratori che ogni sera facevano ritorno alle loro case, ma i signori rassegnati a vivere in una prigione dorata; o i maghi soggiogati dal proprio spirito di rivalsa nei confronti degli avversari. Nobili esaltati, quelli che si consideravano inferiori solo agli Dei...

La traversata non fu breve: Aryon abbandonò a malincuore la vista del panorama per concentrarsi sullo studio di un progetto Dwemer che Galos aveva preso in prestito da Neloth. Come al solito, tante chiacchiere e poca sostanza: non differiva in nulla e per nulla dagli esemplari presenti nel suo piccolo museo.

A parte alcune irrilevanti modifiche, beninteso. Aveva corso inutili rischi per recuperare uno dei reperti più comuni. Una trappola del ministro, forse? Continuava a chiederselo, nel frattempo avrebbe riposto l'antica pergamena in un cassetto e dimenticato l'intera faccenda.

Turedus era ad attenderlo al porto, assieme a poche guardie. Approdò a Vos nel bel mezzo della notte, il momento migliore per passare inosservati: ordinò ai militari di accompagnarlo a Tel Vos, anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno. Desiderava raggiungere la torre al più presto, indossare la veste da camera e rimanere lì, solo, a meditare sull'immediato futuro.

Si librò in aria, voltando le spalle al compagno che frugava nella bisaccia, alla ricerca di una pergamena di levitazione. Turedus era un'ottima guardia del corpo, ma considerava la sua conoscenza approssimativa della magia abbastanza snervante. In certi casi, però, una buona spada batteva in efficacia un incantesimo sussurrato, soprattutto per dirimere certe contese: ecco perché non riusciva a farne a meno.

Salì le scale a passi veloci, impazienti: non aveva fatto altro durante quella forzata lontananza, se non agognare la scrivania stracolma di appunti e pergamene, i libri sugli sgabelli e nei bauli; ma soprattutto la quiete; la sensazione di sentirsi a suo agio, al sicuro, tra le mura della torre. Una parte di sé desiderava fuggire, l'altra di rimanere dove stava bene... Vvanderfell era vasta, talmente tanto da intimorirlo. La sua stanza, il suo mondo, lo accoglievano come la più chiassosa delle taverne. Gli sovvennero le parole di Galos riguardo ciò che consideravano un “rifugio”... E le insinuazioni non molto velate di Neloth.

Quante contraddizioni... e sentimenti contrastanti. Ambire a ciò che è fuori dalla propria portata, o che appare tale, una cosa talmente naturale... o senza speranza, più che altro.

Si gettò sul letto, rigirandosi una volta, e un'altra ancora. Quando chiudeva gli occhi, parole e immagini risonavano nella mente, come rinchiuse in una caverna senza via d'uscita. Provava a scacciarle, e queste tornavano più vigorose e pervicaci... per portarlo via con loro.

Ne ebbe abbastanza, paure e preoccupazioni gli negavano persino il riposo notturno. Anzi, non attendevano altro che rimanesse in solitudine, pronte per renderlo definitivamente folle.

Si ritrovò seduto sul materasso, con la mano destra in cerca della lampada ad olio, la sinistra artigliata sul lenzuolo stropicciato. Una notte insonne, proprio quello che ci voleva...

Le guardie finsero di non notarlo, mentre spalancava il portone della torre per calarsi lentamente giù, verso il corridoio del vecchio forte imperiale comunicante con il museo. Entrò all'interno della sala con l'incertezza di un ladruncolo alle prime armi, ma il centurione Dwemer lo accolse sulla soglia sprizzando gioia... o meglio, vapore, da ogni singola giuntura.

“Ehilà, chi si vede!” Esclamò allegro Aryon, passeggiando lungo i tavoli espositivi con al seguito una compagnia davvero insolita.

“Ci credi? Ho spedito il mio servitore in una missione che definirei suicida per rimediare uno straccio di pergamena. Niente di esaltante. Quanti ospiti ti hanno fatto visita, invece?”

L'automa Dwemer emise un rumore metallico, continuando a camminargli dietro con diligenza.

“Mm, giusto un paio, vero? I guardiani della sala non sono di molte parole. Credo che ti sorveglino in continuazione, affinché tu non prenda l'iniziativa e faccia mosse strane. Ti trattano come un oggetto troppo prezioso, temono per la tua incolumità. In tutta franchezza, sei capace di difenderti alla grande, però... non comprendono, perché ti reputano importante. Più di quanto tu ti ritenga tale. No, è quel che penso, sul serio. Spesso provo la stessa impressione, sai?”

Era impazzito, se cercava conforto in un oggetto privo d'anima. Non sarebbe stato né il primo né l'ultimo della casata, a scambiare qualche parola con evocazioni, esseri artificiali o... amici immaginari?

“Ti confesso una cosa, mi sento solo. Gli alleati prendono le distanze, uno ad uno, e la lotta contro il Concilio è resa dura da queste defezioni. I miei rivali si rafforzano... ed io sono qui, a rivolgerti la parola come uno stolto. Be', almeno non fai storie quando m'ascolti... secondo te, la sorte mi è favorevole, oppure non ho scelta... sono ormai solo?”

Il centurione scosse la testa, accasciandosi subito dopo sul pavimento, a corto di energie. Aryon scrollò le spalle, indietreggiò di qualche passo per poi tornare a dirigersi verso la porta, rammaricato.

“Un gesto conta più di molte parole, eh? Va bene, i discorsi campati in aria annoiano. Ti farò un favore e tornerò nelle mie stanze... buonanotte.”

Il tenue borbottio del soldato corazzato fu smorzato dalla porta che si chiudeva, e su cui reclinò la schiena, riluttante a far ritorno alla torre.

Sono solo, solo. Il presentimento si era avverato, alla fine. Avrebbe escogitato un modo per cavarsela, nonostante le spiacevoli notizie... e due persone care che lo avevano abbandonato a se stesso.

Cammina con le tue gambe. I Telvanni non chiedono gentilmente, agiscono. Hai conseguito un ruolo importante... Sei il più subdolo...

Anche Divayth Fyr avrebbe smentito certe affermazioni, se l'avesse visto proprio in quell'istante...

Mai mi hai deluso, ragazzo mio.

Gli aveva lanciato una sfida. Forse era giunta l'ora di mettere da parte i giochi, di dimostrare il proprio valore. Pazienza, il fulcro del piano... un nuovo servitore l'avrebbe trovato di sicuro. Bastava solo stare all'erta e saper attendere...

...Qualcuno disposto a dare la vita, pur di salvare la sua. Oh, che cosa nobile...

Rise, per quanto gli sembrò ardito il piano, disperata la situazione ed inarrivabile lo scopo principale.

Già, attendere...
 



 

Ho cominciato a scrivere una nuova storia. Come al solito, non riesco a concentrarmi su un'unica trama. E ho notato che in questa sezione non sono presenti molte storie su Morrowind. :( Sì, ci sono valide motivazioni: il gioco è vecchio, ormai per essere godibile e "moderno" ha bisogno di essere moddato abbestia, ma rimane sempre uno dei miei preferiti. Perché? Morrowind brulica di elfi oscuri... e gli elfi oscuri sono la mia razza preferita.
Be', andiamo al sodo con alcune precisazioni: a volte sostituisco la parola "Bocca" (Mouth) con "portavoce". In una storia in italiano, purtroppo, sembra che suoni meglio... almeno per me.
Il ministro Aryon è uno dei protagonisti principali della storia: sia lo scenario desolato di Vos che le chiacchiere degli altri Telvanni nel videogioco mi hanno spinta a creare un personaggio più riservato. Pensate ad una persona studiosa, introversa, che preferisce la compagnia dei libri per trascorrere qualche ora libera. O magari, il nerd che condivide i suoi interessi con una ristretta cerchia di amici. Ecco, avete capito il tipo. ;)
So che molti non amano le storie di magia, ma continuerò a scrivere comunque per piacere personale.
Alla prossima! :)


 

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Capitolo 2
*** Il custode del gemello (prima parte) ***


Galos era sceso a patti con se stesso, accettando di segregarsi tra le quattro mura della sala del Concilio finché non avesse trovato un degno sostituto. Batteva i piedi dall'alta loggia, incurante dei colleghi infastiditi da tanta insofferenza. Condivideva il punto di vista di Aryon: rimanere inerti per ore, sperando in una visita improvvisa, era solo uno spreco di tempo ed energie. I consiglieri più tradizionalisti erano convinti che disporre di un portavoce li rendesse degli eletti, immuni alle seccature e, soprattutto, esenti da compiti di poco conto che amavano delegare con sommo piacere.

Aryon era uno dei pochi ad occuparsi personalmente della burocrazia e a fissare incontri privati con chiunque desiderasse visitarlo: non come Therana, ovvio... quella pazza furiosa, che trattava i visitatori di Tel Branora alla stregua di ladri o spie, pronti a trucidarla a sangue freddo per portarle via le sue preziose uova di kwama.

Ci era passato anche lui: aveva fornito un'accurata dichiarazione, dimostrato di trovarsi lì per incontrare una cara amica e non sotto mandato del maestro. Tuttavia, la maga non fu contenta: trovò pace solo dopo aver ordinato ad un manipolo di dieci guardie di sorvegliarlo a vista. Una scorta numerosa era appannaggio esclusivo dei membri più insigni della casata, dunque accettò la cosa come se fosse un vanto: mai si era sentito così protetto in vita sua.

Sbuffò, preso da mille preoccupazioni. Frugò nelle tasche dell'ampio vestito per scoprire se vi fosse ancora del sujamma sul fondo della fiaschetta. Bere un goccetto gli avrebbe migliorato l'umore, all'inferno il resto.

“Se hai bisogno di una pozione per curare la febbre delle paludi, posso esserti d'aiuto. Tremi e non stai un attimo fermo, lascia che ti dia una mano.”

Arara Uvulas, per sua sfortuna, occupava il seggio accanto... trascorrendo gran parte del tempo a ricoprire di sarcasmo chiunque non le andasse a genio. Galos ci era abituato, qualsiasi parola gentile sulle sue labbra acquistava la vivacità di una litania per i defunti.

Tanto meglio, se si svagava nel rimbeccare le offese a suon di arguzie.

“Ti ringrazio, mia signora. Ma credo che Padron Neloth non ne avrà a piacere, soprattutto quando può sfruttare i talenti e le mani della sua diligente allieva per faccende di personale importanza.”

Non replicò, sdegnata. Che fosse una sporca allusione, questo era certo... che corrispondesse più o meno a verità, non molto. Peggio per lei, sarebbe stata capace di strappare una serie di improperi persino ad un cadavere.

Giusto un diversivo per passare il tempo. Negli ultimi giorni, a parte qualche mago ed un illusionista giunti a chiedere informazioni, aveva aspettato invano che si palesassero nuovi candidati.

Li aveva analizzati con attenzione: in essi traspariva ambizione, individualismo, voglia di emergere. Peccato che avesse notato anche slealtà ed opportunismo: avrebbero sfruttato il maestro, al solo scopo di attendere un'offerta migliore.

Dov'era un allievo che gli somigliasse? Un tipo paziente, riflessivo. Un mistico, piuttosto che un mago guerriero. Il ministro avrebbe dormito sonni tranquilli, in assenza di qualcuno a tenergli fiato sul collo...

Bisognava affrettarsi, prima che gli altri consiglieri scoprissero le sue intenzioni.

E mentre manteneva il segreto, si tramutava nella nemesi di se stesso, cedendo all'impulsività.

Di male in peggio...

La lastra di pietra scricchiolò, sotto le mani dell'ennesimo ospite. Poco più che un ragazzo dall'aspetto comune, gli occhi obliqui color lava a donargli un po' di carattere. I capelli, lunghi e ondulati, non facevano altro che sottolineare le guance alte ed il mento affilato.

Raggiunse il centro della sala, interdetto. Sia lui che le altre Bocche soppesarono la sua incertezza, in attesa della prima mossa.

No, non cerca me. Si mise l'anima in pace, ormai aveva smesso di crederci.

Si fece coraggio, riprendendo la marcia a passi cadenzati; uno scandire lento che seguiva il battito del proprio cuore.

“A quanto pare, oggi è il tuo giorno fortunato.” Quando celava disappunto, la voce di Arara assumeva un tono insopportabilmente mieloso, soprattutto se le toccava accettare il successo di un concorrente. Galos sospirò, rinfrancato: la situazione stava volgendo a suo vantaggio.

 

“Raldas Odrano. Vivevo a Balmora da ragazzino, i miei genitori erano comuni cittadini, dediti a lavori saltuari. Neanche l'influenza imperiale ha cambiato molto le cose... Tutto sommato, la città è rimasta la stessa di sempre: noiosa, a parte il gozzovigliare dei soliti ubriaconi e i funzionari Hlaalu a tenerli in qualche modo a freno. Unirmi alla Gilda dei Maghi mi avrebbe costretto ad accettare inutili limitazioni: non sono contro le alleanze di comodo, ma... i magister non amano molto chi prende l'iniziativa, ed io avevo bisogno di maggiore libertà. La mia frustrazione aumentava di giorno in giorno, dicevo a me stesso che stavo sprecando tempo: per questo ho abbandonato la gilda per dedicarmi totalmente alla causa Telvanni.

A Sadrith Mora non sono un volto conosciuto... studio presso Daris Adram di Vas, nelle isole Sheogorad. Di tanto in tanto, col benestare del maestro, svolgo qualche lavoro per i consiglieri... è lui che mi invoglia ad avanzare di rango, ad allargare il cerchio delle conoscenze. Se fosse per me incanterei oggetti per ore, o le trascorrerei esplorando gli isolotti più lontani. Ah, mi sono lasciato andare... scusate, signore.”

“Non preoccuparti.” Galos esaminava le vesti dimesse, i gambali sporchi di fango ed erba, i capelli incrostati di sale. Di sicuro reduce da un viaggio a piedi, e lunghe notti trascorse in compagnia di un fuoco da campo. Il suo modo di fare semplice e schietto lo incuriosiva.

“Adram non ha una bella fama tra coloro che non comprendono gli usi dei Telvanni. A me non importa, sono chiacchiere, alla fin fine. Magari girano maldicenze persino sul mio conto, ed io sono uno dei pochi a non accorgermene.”

“Sì, ne sparlano in continuazione, come un sordido negromante... anche se non vive in maniera differente da altri stregoni. È l'unico punto di riferimento di cui dispongo, se ciò crea problemi...”

“Niente affatto,” lo interruppe, alzando la voce, “se Adram è in pericolo, può contare su di noi. Basta chiedere, i rinforzi non tarderanno ad arrivare. E dimmi, perché sei qui, a colloquio con me?”

Il giovane dunmer prese a giocherellare con l'amuleto appeso al collo, l'unico oggetto di valore che avesse con sé. Riprese la discussione, a voce incerta.

“Il maestro Aryon ha sempre bisogno di qualcuno che sbrighi commissioni per lui, mi è stato riferito... corrieri per le missive, cacciatori di tesori. Andare incontro al pericolo è un rischio accettabile, se ciò può servire a diffondere il mio nome... la fama del ministro. Sono qui per questo, qualsiasi mansione andrà bene. Affidatemi un compito, farò in modo che le vostre non rimangano semplici parole.”

Il rubino scintillava, catturando il riflesso del suo volto e parte della stanza come una sfera di cristallo. Galos faticò a non rimanerne soggiogato, mentre formulava nella mente la prossima domanda, i requisiti di cui accertarsi, e... che altro? Non ricordava.

“Ah, sì... certo.” Non appena interruppe il contatto visivo, gli parve di riacquistare di nuovo la sua individualità. La stanchezza si faceva sentire: doveva darci un taglio coi liquori, rinvigorire l'intelletto con una buona pozione. “Qual è il tuo rango attuale? Ti manderò in missione, non voglio però che tu sia impreparato.”

“Sono un Ufficiale, adesso. È il massimo che ho guadagnato, non credo proprio che otterrò altre promozioni.”

Per essere arrivato così lontano, vista l'età, avrà di certo delle ottime carte da giocare; pensò. Gli sembrava troppo bello per essere vero... valeva la pena tentare, non si sarebbe presentata un'occasione altrettanto propizia.

“Non sarei così disfattista, rammenta che un passo fiducioso in avanti è un passo verso la vittoria. Ascolta: negli ultimi tempi Aryon è impegnato ad espandere il museo privato di Tel Vos. La sua collezione è una delle più raffinate, i pezzi che possiede si distinguono per rarità e stato di conservazione. Tuttavia... la lotta è dura, pochi membri della fazione ignorano il prestigio che può derivare da un'esaltante scoperta. Non ti sto domandando di rinvenire l'artefatto che cambierà le sorti di Vvardenfell, ma... siccome conosci bene le Sheogorad, sarai di certo in grado di identificare delle rovine Dwemer mai violate da mago o esploratore. Porterai con te questa mappa, segnando con un punto quelle che intravedi durante il viaggio. Non esitare a varcarne i cancelli, quando l'istinto ti invoglia a scoprire i reperti al loro interno. Aryon apprezzerà l'idea di ampliare la ricerca fino al profondo nord. Di solito, pochi hanno il coraggio di addentrarsi nelle paludi infestate dai cliffracer, dove i servizi al viandante sono un'opinione.”

“Partirò seduta a stante, se è necessario. In caso non faccia ritorno entro tre mesi, molto probabilmente sarò morto tentando. Non importa, la strada verso la conoscenza, a volte, non è così diversa da quella dei guerrieri... insidiosa e cosparsa di sangue.”

“Prendi queste pozioni, ti aiuteranno a restare in vita ancora per un po'.” Scherzò Galos, prelevando alcune misture curative e distillati d'invisibilità tra quelli in bella vista sulla mensola. Era un azzardo, ma aveva le spalle al muro e il ragazzo gli sembrava promettente. Di solito non abbassava mai la guardia, però... gli ispirava una fiducia istintiva. Non seppe spiegarsi perché.

Raldas strinse le ampolle al petto, per evitare che cadessero. Adagiò le braccia sul tavolo della stanza dei servizi, e le boccette tintinnarono allegre nel momento in cui rilasciò la presa.

“Questa è una prova importante,” continuò Galos, “per ora non mi sbilancerò, ma ne terrò conto. Alcuni Telvanni si dimenticano di rendere i favori, ma ti assicuro che Aryon non la pensa allo stesso modo. E ora va', torna presto e portami buone notizie.”

Abbassò la testa, rimirando ancora un po' il seducente luccichio della gemma contro il bianco stinto della blusa di lino. Fu tentato, istigato a scrivere al maestro per liberarsi del suo scomodo compito e raggiungere Adrusa, la piccola casa di Tel Branora, il dolce profumo di spezie nella cucina e quello di lei, sulle lenzuola... in attesa che fosse notte.

Tornò di nuovo in sé, guardandosi attorno... una manciata di secondi perduti in svagatezze, ma sembravano ore. Si diresse nuovamente verso la mensola, risoluto.

“A noi due...” Disse ad alta voce, svitando il tappo dall'ampolla. Buttò giù lo sciroppo in un unico sorso, incurante del sapore amaro. Si gettò sulla sedia, sfinito, mentre la mistura gli ardeva in gola. Chiedendosi se stesse facendo la cosa giusta, o no...

Adesso va meglio, gli suggeriva l'amata in un caldo sussurro, un richiamo che lui soltanto avvertiva. Incrociò le braccia sul tavolo e crollò, sfinito.

 

Si svegliò nella stessa stanza, a notte fonda. Un sonno confuso, privo di interruzioni... quasi innaturale. Una serie di negligenze fastidiose: materializzarsi in tardo orario avrebbe di sicuro indisposto il maestro. Non poteva certo negargli il riposo, dato che aveva dormito a lungo, senza curarsi di fare rapporto.

Strinse i denti. Preferiva essere rimproverato, piuttosto: lanciò l'incantesimo e si augurò che tutto andasse per il verso giusto.

Le guardie non si allarmarono a vederlo apparire così tardi. Dopo essere stato annunciato, Aryon apparve sulla soglia dello studio in veste da camera, guardandolo con gli occhi lucidi di stanchezza.

“Spero sia importante.” Non scandì duramente quella frase, bensì attese con pazienza che Galos enunciasse il motivo di una visita alquanto inaspettata. Il portavoce si inchinò, più di quanto fosse uso fare.

“Un dunmer... ha chiesto di me, oggi, di fronte al Concilio.” Un discorso diretto, nonostante i preamboli, i giri di parole, la confusione regnante nei suoi pensieri. “Desiderava andare in missione per voi, io ho richiesto una mappa dettagliata delle rovine nelle Sheogorad. Si chiama Raldas Odrano, sostiene di lavorare al servizio di Daris Adram. Sono spiacente per il ritardo... adesso il suo rango è quello di Ufficiale...”

“Hai trovato il candidato, eh? È proprio vero che i tesori inestimabili vengono sepolti nei luoghi più remoti.” Tornò alla scrivania per contemplare una cornice di foglietti appuntati su una mappa Dwemer, ancora in fase di studio. “Non conosco bene Adram. È un eremita... un misantropo scontroso. Persino Baladas scrive qualche lettera, ma lui... non capisco come il ragazzo sia riuscito ad attirare la sua attenzione. Difficile assicurarsi che ne sia realmente l'allievo, finché non avremo delle prove lasceremo che gli eventi facciano il loro corso. Se la caverà? Chissà. Hai con te delle credenziali?”

“Ecco, io...” Ancora una dimenticanza, perché continuava a comportarsi da imbecille? Aryon scosse la testa.

Imperdonabile, un errore dopo l'altro. Stava mettendo a dura prova la sopportazione del ministro... tutta colpa di quel chiarore ormai sbiadito, acido e metallico quanto un grumo di sangue essiccato.

“La gemma...” blaterò, frugando alla rinfusa nelle tasche dell'abito. Qualcosa sfuggì via, un medaglione cesellato, che si aprì non appena toccò terra. Aryon lo raccolse e mirò gli occhi obliqui di un'attraente dunmer. Uno sguardo severo che celava un invito...

“È lei, vero? Hai sempre avuto gusti sopraffini, Galos. Complimenti.” Sorrise, porgendogli il prezioso monile. “A cosa ti stavi riferendo, prima?”

“Che ho detto?”

“Hai parlato di una gemma. Descrivila, dimmi di cosa si tratta.”

“Era... un rubino. Scuro, brunito. Lucido come carne viva, screziato come ruggine. Sarà la stanchezza, ma non ne sopportavo la vista. Se Adram è realmente il creatore di oggetti maledetti, allora esso ne è la prova...”

Aryon strinse gli occhi. “Attendiamo il ritorno dell'allievo. Nel frattempo, occupati della corrispondenza e segna un promemoria su carta. Con cura, mi raccomando: nulla è superfluo, in questo caso.”

“Come comandate, maestro.” Si inchinò ancora, prima di congedarsi... e svanì dalla torre, in una nebbia argentata.

Perché aiutare chi ti danneggia? Per fortuna, non era cinico quanto Divayth Fyr. Il ritiro di Galos stava diventando una faccenda sfibrante, persino per lui. Talmente innamorato da consolarsi con un'immagine dipinta. Che sciocchezza! Gli stava causando un'infinità di grattacapi, ma si sentiva in dovere di assisterlo.

Scostò di malavoglia il foglio del progetto Dwemer, tornando alla corrispondenza. Avrebbe scritto tre missive... due da spedire via terra, tramite corrieri differenti; l'ultima l'avrebbe serbata per sé, in attesa di farne buon uso. Ah, c'era anche Neloth; ovviamente aveva saputo del suo passaggio a Sadrith Mora. E con sommo disappunto, della mancata visita.

L'incipit era essenziale: limpido ed altisonante, evitando che apparisse come una sfacciata ammissione d'inferiorità o un blando panegirico. Aryon immerse la penna nell'inchiostro, vergando in una calligrafia elegante ed articolata.

Onorabile Maestro, sì... gli sembrava adeguato. Gran cosa quando ispirazione ed ironia si muovevano di pari passo. Già immaginava la scena, e il volto truce e smagrito del vecchio stregone rilassarsi in un trionfante autocompiacimento. Non era difficile, bastava immedesimarsi nell'individuo: in questo caso, facile da rallegrare quanto da indisporre.

Si fermò a riflettere, a valutare la situazione. Un po' di lusinghe a destra e a manca avrebbero sortito il giusto effetto, soprattutto quando si trattava di tenere a bada un branco di rabbiosi segugi Nix come gli anziani ministri Telvanni...

E sapeva bene che bestie selvagge ed iracondi si domavano allo stesso modo: con una ghiotta manciata di zucchero, e a ciascuno il suo.

 

Come sempre, Aryon si affaticò nel volare in alto, fino alla sommità di Tel Naga, per poi destreggiarsi nella folle ricerca dello studio di Neloth tra i numerosi corridoi della torre. Faceva parte del gioco, alla fine: superare gli ostacoli equivaleva ad esser degni della sua considerazione. Ammesso che ne valesse la pena. Un atleta che si definisse realmente tale avrebbe dovuto abbracciare la sfida almeno una volta nella vita. Perché no? Magari, in futuro, colloquiare con il ministro nella sua labirintica residenza sarebbe diventato uno sport nazionale.

Si godeva la vita, il vecchio sibarita. Amava lamentarsi più del dovuto, quando imputava ai dolori articolari la causa del proprio malumore. Soprattutto se non perdeva mai l'occasione di farsi coccolare dalla diligente portavoce, Arara Uvulas.

“No, non lì... più su, ho detto! La fonte del dolore arriva fin dentro le cosce. Sforza di più quelle mani, cos'hai al posto delle dita, pezzi di sughero? E attenzione a quelle unghie! Se avessi voluto farmi graffiare a sangue, mi sarei fatto massaggiare da uno schiavo Khajiit. Piano, piano!”

L'unguento scivolava sulla pelle e Arara penava parecchio ad assecondarlo, mentre reclinava la testa sullo schienale della sedia e fissava il soffitto, con espressione vacua.

Ah, so dove vuoi che metta le mani; pensò, ma si schiarì la voce per richiamare l'attenzione dell'elfo oscuro verso di sé.

“Oh, guarda chi è venuto a trovarmi, finalmente... Sbarbatello! Potrei piangere dalla commozione.”

Ne invidiava il portamento altezzoso e il fascino, benché non lo definisse un elfo prestante. Era vecchio per sua stessa ammissione, molti Telvanni lo descrivevano in maniera simile. Nei suoi occhi indagatori, brillanti ed obliqui, vibrava però un fuoco giovanile: essi riflettevano intrighi, passione, amore per i tesori preziosi, la bellezza delle forme. La durezza del volto era accentuata dalla barba brizzolata, tagliata in un artefatto disordine. Indossava una vestaglia di squisita manifattura; il taglio era all'antica, ma la ricchezza delle stoffe... ah, quella compensava la semplicità del modello.

La portavoce abbassò lo sguardo ed avvampò, imbarazzata. Neloth non sembrò farci caso e attese che il ministro più giovane gli porgesse i saluti, rimanendo fisso dov'era.

“Mi spiace disturbarvi. So che avete chiesto di me, eccomi qui. È un piacere farvi visita.”

“Non mentirmi,” sbottò lui, seccato. “se fosse stato un piacere, saresti giunto qui appena dopo lo sbarco a Sadrith Mora. Uno zombie privo di cervello inventerebbe una scusa migliore. Ma veniamo al dunque: ti ho convocato perché ho bisogno di scendere a patti. Una cosa tra vecchi amici, ci s'intende.”

“L'unico ad esser vecchio qui siete voi.” Scherzò Aryon, ma Neloth non apprezzò l'interruzione.

“Dicevo... mi hanno informato del tuo rinnovato interesse per il museo di Tel Vos. Anche io adoro collezionare, come ben sai... E sono giunto alla conclusione che dovremmo dividerci le sfere d'influenza. A me la costa d'Azura e l'est... a te l'ovest e le isole a nord. Con Gnisis, Ald Velothi e Khuul come territori neutrali.”

“Non è più una proposta, quando avete già deciso i termini dell'accordo.” Si lamentò, ben cosciente che lo stregone avesse reclamato per sé le terre migliori. “In tutto questo, non avete considerato Baladas: anche lui studia gli antichi Dwemer, e a quanto pare, da molto tempo addietro.”

“Parla per te, giovinastro!” Continuò Neloth, risentito. “Baladas di rado esce dalla sua torre, e avendo vissuto a lungo, si sarà accaparrato di sicuro i pezzi migliori. Non starei neanche a rimuginarci su. Prendere o lasciare. Avanti, voglio una risposta.”

“Se insistete tanto, sarò diretto. Credo che sia meglio che le cose rimangano così come stanno. Anche Gothren è sceso in campo, intraprendendo tutt'altra strada. È interessato alle ragioni storiche, ai fattori linguistici e alle vestigia documentarie, piuttosto che a gingilli di poco conto. Ognuno per se stesso, è quello che penso, ed io...”

“Gothren è indietro, molto indietro. Neanche sa da che parte cominciare, si limita ad immolare nuovi adepti alla sua ricerca. Sbagli, se ritieni che io condanni un atteggiamento simile, anzi! Per un alto obiettivo, vi è sempre un alto prezzo da pagare. Io intendo uscirne integro, procurandomi meno fastidi possibili. Che si diverta con le sue traduzioni, finora di questa fantomatica lingua non è stato rinvenuto neanche un misero testo di raffronto.”

“Perché nessuno si è sforzato... abbiamo messo in disparte l'entusiasmo, troppo presto... chiudendoci nello scetticismo accademico di chi non considera teorie e studi comparativi esterni alla materia. Se analizzassimo...”

“Sono in là con gli anni, Sbarbatello. Tu ne hai parecchi ancora innanzi, sai che dico? Se insisti, portala avanti tu, la dannatissima ricerca. Trovati un assistente disposto a rischiare il culo perlustrando rovine infestate da spettri ed aracnoidi metallici. E ah, aggiungerei, uno leale; che non ti lasci le briciole dopo aver venduto il resto al mercato nero. Avvisami se tutto fila liscio... potrei commissionargli qualche lavoretto anch'io. Il buon vecchio Galos non ha le palle, eh?”

Aveva superato la linea di confine: Aryon non riuscì a trattenersi; schiumava di rabbia dopo l'ennesimo, sfacciato oltraggio. Moriva dalla voglia di insultare quel fetido scarafaggio in tutte le lingue vive e morte che conosceva: gli sfuggì un sorriso storto, sollevò il petto e osò guardarlo dritto negli occhi.

“Naturale. Qualsiasi persona gentile che non sia un prevaricatore, un traffichino, una sordida sgualdrina... è indegna di considerazione. Non mi mischio a certa gente, Neloth. Voi utilizzate l'imbroglio, io prediligo l'ingegno. Controllate i cassetti in cui tenete serbati gli amuleti; contateli, ogni sera... ah, non sapete a quanto ammontano? Gli altri consiglieri si divertiranno di più a soffiarvi i vostri tesori da sotto al naso. In effetti, non ne uscite proprio integro. E ancora una cosa... non chiamatemi sbarbatello. Sono adulto, ormai... e casomai ve lo foste dimenticato, anche un vostro pari. Quel progetto tecnico di cui cantavate le lodi non è altro che carta per i tarli: un errore da principiante, e in questo campo lo siete. Dedicatevi ai bastoni, agli amuleti... ai libri, agli artefatti daedrici. Ma la storia dei Dwemer è perseveranza e, soprattutto, pazienza: ciò che vi manca! Insultate gli altri per nascondere le vostre debolezze. Perché è facile denigrare qualcuno, affinché l'altro venga distolto dal proposito di fare lo stesso.”

Furono attimi di prolungato silenzio; il volto del ministro prima impallidì, poi divenne una maschera di vene e rughe fremente d'ira. Neloth sfilò via il grosso pendente che sfoggiava al collo e cominciò a farlo vorticare in aria, come se fosse un cappio per legare una bestia.

“Sai qual è il bastone più prezioso, i gioielli che sono l'invidia di ogni mago di Morrowind?” Domandò incollerito, brandendo quell'arma di fortuna. “Quelli con cui sono nato, quelli che ho in mezzo alle gambe. Sei tutta accademia e sapienza, sbarbatello... non hai ancora imparato a dominare. Le elfe? Sfiancale col bastone. Gli elfi? Dimostra che sei tu quello che ce l'ha più grosso. Un dunmer che evita di imporsi e non usa i suoi gioielli è un perdente. Sei solo, Aryon. Persino le puttane in mezzo alla strada si farebbero pregare, in tua presenza. Non hai neanche un filo di barba sul mento, ragazzino... solo una moltitudine di ridicole lentiggini. Un topo da biblioteca non è fatto per comandare. Vai via, prima che te la faccia pagare.”

Aryon non si fece intimidire: alzò le mani, stando sulla difensiva... ma riuscì comunque a sorprenderlo.

“Vai via, ho detto!” Un meteorite verde smeraldo gli piombò addosso, la pietra bruciava come roccia fusa prima di raffreddarsi. Laddove l'aveva colpito, l'amuleto lasciò un alone nero sulle vesti, simile al cratere di un vulcano. Si tastò la spalla, colto da un'improvvisa fitta di dolore... e digrignava i denti, sentendosi avvilito.

Neanche lo salutò: mentre svaniva per raggiungere Tel Vos, le urla di Neloth si attutivano, simili alle voci dei suoi incubi, che svanivano al sorger del sole.

“Carta per i tarli, eh? E vorresti farla a me, che ho tre volte la tua età? Sei tu che devi smetterla di vantarti, ragazzino. Tu, ingenuo. Ti tollerano per il rispetto che portano al tuo maestro... perché è lui che temono. Taci, taci e vai via. Osa ancora inveire contro di me e giuro che ti riduco in cenere!”


 


Sono andata avanti con la storia, quindi ho aggiunto anche il secondo capitolo. Prima di pubblicare qualcosa di nuovo, mi assicuro di aver scritto un numero di pagine che mi faccia sentire "tranquilla". Sì, è strano... ma mi permette di fare le cose senza troppa ansia. Ho ritmi di narrazione un po' lenti, rispetto alla norma delle altre storie... quindi, prima di arrivare alla risoluzione di un evento, aspettatevi dialoghi e spiegazioni. Mi dispiace se per qualcuno non è il massimo, però...
...Ho presentato Neloth in questo capitolo. Magari per molti non è un nome nuovo, soprattutto se avete giocato Dragonborn. Ecco, Neloth era ministro dei Telvanni a Morrowind, prima che decidesse di trasferirsi a Solstheim. Nel corso degli anni, però, non è cambiato molto: sempre sarcastico, sfacciato e "grumpy" come suo solito. ;) Mi sono divertita molto a scrivere i dialoghi finali, giustificano il rating che ho scelto per la storia. :D
A presto! :)

 

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Capitolo 3
*** Il custode del gemello (seconda parte) ***


Con sommo fastidio, Galos udì ciarlare spesso dell'accaduto. Un alterco tra Neloth ed Aryon, proprio quello che la dormiente sede del Concilio attendeva per allietare le tiepide serate d'inizio autunno. Erano passate tre settimane, e l'apparente indifferenza con cui era stata accolta la notizia dell'ennesima baruffa tra maghi aveva ceduto il posto ad una morbosa curiosità.

“Aryon è risoluto ad impadronirsi dei tesori di Neloth. Credo che goda di ottima salute, ma lascia intendere a chiunque che sia afflitto da ogni sorta di male. Come Dratha, anche lui ricorre alla negromanzia, mi sembra chiaro. E il giovane ministro desidera seguire la stessa tendenza.”

“Manderesti in prigione un innocente, se la pensi così, Galar.” Rispose il monaco Hloris. “Neloth teme solo che l'avversario ottenga il sostegno delle altre casate e dell'impero, scalzando gli altri consiglieri. La faccenda delle collezioni private è un pretesto. È una lotta tra due visioni politiche differenti, vi sbagliate di grosso se immaginate che ci sia dell'altro, sotto.”

“Invece, sostengo sia Aryon l'insospettabile adepto negromante. Vive lontano da tutti, in una landa popolata da selvaggi... gioca tutto a suo favore. Magari, durante le notti in cui le lune rinnovano il ciclo, egli stesso si reca nelle prigioni di Tel Vos per recuperare materiale vivente adatto agli esperimenti. Finge di essere un santo, ma è tutta una finzione...”

La giovane incantatrice non ebbe modo di terminare quella frase.

“Adesso basta!” Tuonò Galos, facendo calare il silenzio in sala. Le altre Bocche, che fingevano di non ascoltare, si voltarono di scatto verso di lui. Proseguì oltre, deciso a non degnarli di uno sguardo.

Una calma insolita regnava al mercato, fuori al palazzo del Concilio: i venditori conversavano tra loro, non affatto entusiasti delle ultime leggi che limitavano la libertà di scambio. Il profumo di resina shalk e muschio Telvanni lo distrasse dai suoi pensieri, e senza che se ne rendesse conto si ritrovò di fronte la bancarella dello speziale a rovistare tra gli ingredienti. Elegal, un giovane Bosmer con la lingua sciolta, provò a propinargli un rimedio contro il mal di testa; ma ne aveva abbastanza di decotti, pozioni ed infusi portentosi. Una fiasca di sujamma, quella sì che avrebbe fatto il miracolo: si sarebbe sbronzato fino al punto di non ricordare più il suo nome.

Scusami, Adrusa. Anche se avesse continuato a sostenere Aryon, il tracollo era evidente. Sperava che a cedere fossero i suoi nervi, piuttosto che l'intera Tel Vos. Era una battaglia fatta di infime schermaglie, insulti e ruberie, atti a minare la credibilità della vittima. Tuttavia, gli anziani consiglieri erano d'accordo almeno su un unico punto: far fuori il giovane collega, al più presto.

Gli aveva preparato una pozione calmante, mentre cercava di medicarsi da solo le ferite. Molto probabilmente la cicatrice si sarebbe rimarginata solo in parte, ma era nello spirito a sentirsi umiliato. Nonostante gli avesse raccomandato di stare lontano dalla scrivania e dedicarsi alla lettura, firmava documenti passando ore curvo sulle traduzioni.

La spalla fasciata lo impediva nei movimenti, si impegnava a non darlo a vedere. Uno smeraldo dai riflessi color bile e i bagliori del fuoco, gli aveva raccontato... incastonato in un'eccessiva montatura d'oro rosso, sbalzata a punzone.

“Maestro, maestro. Mi sentite?”

Oh, quella voce. Erano passati un mese ed una settimana, possibile che avesse già fatto ritorno? Per Azura, almeno la giornata volgeva al termine recando una buona notizia.

Raldas gli sorrise, inclinando leggermente il capo. Sosteneva un fagotto colmo fino a squarciarsi da una specie di maniglia, una semplice corda di stoppa: gli oggetti all'interno emettevano un fragore metallico ogni volta che l'allievo faceva ondeggiare il grosso sacco. Se non gli fossero state note le vicissitudini del viaggio, se lo sarebbe figurato come un pellegrino giocondo che tornava dal tempio di Vivec con la borsa piena di regali.

“Non ti attendevo così presto, ma sono felice di rivederti.” Lo salutò. “Allora, cosa hai scoperto durante il viaggio?”

“Al contrario di quanto mi aspettavo, ci sono poche rovine sull'isola, e non particolarmente rilevanti sotto il profilo della ricercatezza dei reperti. Le due che ho esplorato mi erano già note: la prima è Mzuleft, non lontano dal villaggio di Dagon Fel... la seconda, Nchardahrk, si trova poco più a sud. Purtroppo ho solo questi...” e Raldas srotolò il fagotto, per rivelare alcuni recipienti, ingranaggi e tubi dalla forma stranamente arcuata, “non è il massimo, lo so. Dei vasi che ho trovato, questo è il più bello. Accettatelo, l'ho recuperato per farvene dono.”

“Ah, ti ringrazio!” Esclamò Galos, lieto per la considerazione. “Ma il ministro si aspetterà di sicuro una prova. Donarmi il pezzo più pregiato non è una scelta saggia, se il resto non desta meraviglia...”

“Non temete, per lui ho messo da parte questo.”

Tirò fuori da dalla copertina scucita di un vecchio libro a cui mancavano le pagine una pergamena antica, riposta in verticale per fare in modo che non si sgualcisse. Gliela porse, attendendo un parere. Galos non riuscì a reprimere lo stupore.

Uno scarabeo gigante... una replica di shalk, magari. Di squisita fattura, per giunta. Le linee blu e rosse sul foglio non suggerivano, tuttavia, la lucentezza viva del metallo, la leggera vibrazione di un battito d'ali... fu la sua immaginazione a risvegliare quella creatura artificiale dal suo sonno polveroso, ricordo lontano della mente geniale che aveva partorito tale beltà.

Si perse, sentì che si stava perdendo ancora. Di nuovo quel mal di testa... le linee sul foglio presero a vorticare come trombe d'aria, risucchiandolo al suo interno. Le ginocchia si fecero malferme, tutto a un tratto ebbe l'impressione di crollare a terra, di svenire.

“Maestro! Cosa vi succede?” Raldas lo sostenne per un braccio, impedendo la caduta. Aveva la gola stretta in un cappio di nervi e muscoli, e annaspava, soffocava. Affondando in uno stagno oscuro, acque gelide, contorte.

“Una pozione, una pozione!” L'allievo, non perdendosi in cerimonie, prelevò dal bancone a qualche passo di distanza alcune boccette di misture rinvigorenti. Il Bosmer gli lanciò un'occhiata astiosa, ma quando scorse il malato che arrancava a poca distanza, subito si diede da fare per sorreggerlo.

“Qualcosa non va. Pare che l'abbia colpito chissà quale maledizione. Al Concilio, al Concilio!” Urlò il mercante, anche se Raldas avrebbe preferito maggiore discrezione.

“Aiutami! Presto... non strillare in quel modo, attireresti altri guai!”

Adrusa. Adrusa... Delirava, mentre i due elfi lo portavano via, per condurlo nella familiare ala di servizio.

“Bevete,” gli consigliava la voce lieve di una figura sbiadita, dai contorni soffusi. In essa, Galos riconobbe l'amata, che lo accudiva nella sua stanza da letto a Tel Branora.

Fece come gli fu ordinato.

Gli arti immobili si distesero poco a poco: finalmente un po' di pace...

Riacquistò il controllo di sé, e si ritrovò di fronte il giovane Ufficiale, in ginocchio davanti a lui. L'altra persona sembrava svanita nel nulla.

Sono a terra, aah...

“Non sforzatevi, ve ne prego. A quanto pare, c'è della magia residua su quei manufatti. Anche se... è la prima volta che assisto a qualcosa del genere.”

“I Dwemer... proteggevano i loro segreti, legando una parte dell'anima del creatore ad essi. La rabbia e l'odio nei confronti dei profanatori si sono riversati su di me. E io sono debilitato, quindi non ho opposto resistenza alla magia. Dovrò avvisare Aryon, a proposito... ah!”

“Vi ho già detto di non sforzarvi, di lasciare che ritorniate in forze. Oh, non è un ordine, solo che...”

“Ragazzo, hai già fatto abbastanza. Non posso passare il tempo a... dormire, svenire, angustiarmi per la fatica. E di', hai parlato col tuo maestro? Hai svolto egregiamente il compito, dovrò spedire le tue credenziali ad Aryon.”

“Ah, sì! Eccole.”

Un documento spiegazzato, un pezzo di carta macchiato di gelatina di scrib, succo di mirtillo scuro, ricoperto da uno strato di polvere. Una scrittura nervosa e di difficile interpretazione testimoniava che Raldas Odrano era allievo ed apprendista di Daris Adram, occupante di Vas.

Galos tirò un sospiro di sollievo: sperava solo che non gli accadesse di peggio, ma ora che il nuovo pupillo era lì con lui si sentiva meno ansioso.

Avrebbe dovuto dubitare, controllare... però, tutto era a posto. Inutile preoccuparsi più di tanto.

“Farò avere il documento stasera stessa al ministro, per facilitarti le cose. Sarà ben lieto di accoglierti... sì, ti accoglierà come mio successore.”

“Maestro...” soggiunse l'allievo, in tono mite. “Forse sarebbe meglio se riposaste. Un giorno in più o in meno non farà differenza. Sarò qui ad assistervi.”

“Certo... mi assisterai. Naturalmente.”

“Bene, allora meglio cominciare subito. Mi occuperò delle futilità, mentre voi scriverete ad Aryon. Credo che mi toccherà pagare il mercante di pozioni, anche se per ogni cittadino è un onore servire i membri del concilio.”

“Giusto, meglio che Elegal riceva ciò che merita per il suo duro lavoro. Ti aspetterò... aspetterò qui.”

Vardas gli riservò una veloce riverenza, per poi prender congedo. Portò una mano alla fronte umida di sudore, e provò una spiacevole sensazione... quasi come se sfiorasse la pelle di un kagouti.

A quanto pare, i Dwemer non ci erano andati leggeri.

Cosa devo scrivere? Ah, ecco. Raldas resterà con me per qualche giorno, ho intenzione di metterlo alla prova con le faccende quotidiane. Dovrà accogliere i visitatori, preparare le pozioni. Eh sì, anche stilare un rapporto sulla missione nelle Sheogorad.

Scaturiva tutto dalla mente, senza un nesso. Ma una volta che le parole si succedevano l'una dopo l'altra, si riappropriavano del loro senso, esprimendo ciò che intendeva. Ah, che sollievo.

Mentiva di continuo a se stesso, negli ultimi tempi: prima di addormentarsi, provava un allucinante distacco. Era come se gli avessero rubato l'anima: cosa gli stava succedendo?

Una macchia d'inchiostro sporcò la pergamena: frugò in un baule per recuperarne una intonsa, e prese a copiare la lettera con ritrovata pazienza. Avrebbe accluso anche le credenziali fornite da Raldas, affinché Aryon potesse consultarle come meglio credeva.

Doveva solo resistere, tener duro: il suo piccolo sogno lo attendeva al varco.



********

 

 

Mio illustre maestro,

 

Con gioia vi annuncio gli ultimi, lieti eventi riguardanti il vostro ed il mio futuro. L'allievo che sto seguendo ha appena fatto ritorno dalle isole Sheogorad. Sembra quasi che nessun pericolo lo turbi, che nessuna mansione lo metta in ansia. Accetta entusiasta qualsiasi sfida, il che è un bene.
Mi auguro che le vostre condizioni di salute siano migliorate.
È vero, non vengo a rendervi omaggio da giorni ormai, e me ne scuso. Tuttavia, sto cercando di plasmare una perfetta Bocca, che sarà in grado di...

 

Aveva letto abbastanza, e stentava a riconoscerlo. Il vecchio Galos non ci avrebbe girato troppo attorno, nonostante fosse campione di pazienza e fermezza. In quella lettera aleggiava una fredda cortesia, non la timida fiducia nei confronti di un maestro che avrebbe potuto avere l'età di un fratello minore... o di un figlio adottivo. Pregevole che dedicasse la maggior parte del tempo ad istruire il ragazzo, tuttavia aveva l'impressione che ci fossero delle deliberate omissioni nel rendiconto degli eventi. Saltò le inutili precisazioni, per desumere le notizie fondamentali.

 

...il progetto Dwemer è la rappresentazione di un insetto meccanico, mai rinvenuto in precedenza. Raldas stesso giungerà a Tel Vos per consegnarvelo assieme al rapporto del viaggio e, conversando del più e del meno, scambiandovi pareri e punti di vista, magari avrete l'occasione di costruire una solida alleanza. Nel frattempo, io svolgerò il normale lavoro alla sala conciliare. Se tutto va bene...

 

Altre frasi a vuoto. Aryon stava quasi cedendo alla tentazione di bruciare quella lettera avvalendosi di un incantesimo di piromanzia, ma spense i bollenti spiriti con un abbondante sorsata di tè. Apprezzava le lettere ricche di dettagli ed aneddoti peculiari, ma... sì, di sicuro mancava qualcosa, e in quel momento ne era più che certo.

E dopo altri paragrafi trascurabili, ecco le spiegazioni importanti.

 

Pensando di farvi cosa gradita, ho allegato assieme alla presente le credenziali di Raldas, firmate da Adram e approvate dal sottoscritto. Il ragazzo si scusa per il foglio sporco e spiegazzato, ma a Vas le materie prime scarseggiano, quindi...

 

Recuperò dal pacchetto un rotolo di carta sbiadita, assicurato da un elegante nastro argentato e da un sigillo in ceralacca. Una scrittura nervosa, vacillante... orme su sabbia, spazzate via dal vento. I corrieri che aveva spedito a Vas tardavano ancora a fare ritorno: non aveva ricevuto notizie da nessuno dei tre. Prima di prendere con sé l'allievo, avrebbe preferito discuterne di persona con Adram: si era procurato parecchi nemici, e privarlo di un sostegno gli sembrava azzardato, troppo azzardato.

Gli indizi si concatenavano a vicenda, la trama aveva senso. Eppure, qualcosa sfuggiva.

Rilesse di nuovo la lettera, in ogni sua parte. Non funzionava: la chiave era altrove.

Poggiò il gomito sul tavolo, la mano sotto al mento, e si fermò in contemplazione del documento.

Aveva posto sotto la tazza di infuso un cencio sbrindellato, per evitare che il tè di radice trama macchiasse irreparabilmente la copertina di N'gasta! Kvata! Kvakis!. Paragonata alla questione in corso, la lingua sload gli sembrava una piacevole scampagnata.

Esaminò sovrappensiero gli aloni scuri sul panno, di un bruno dalle gradevoli sfumature amaranto. E subito dopo, gli schizzi di succo di mirtillo e le sbavature di gelatina scrib presenti sulle testimonianze di Adram...

Notò che le macchie oscuravano l'inchiostro: si trovavano lì per distogliere l'attenzione di qualcuno dal motivo principale della loro presenza. Che senso aveva lasciare una testimonianza indispensabile su un tavolo da lavoro, a subire il caos generato durante i processi alchemici?

Una sbadataggine, questo era indubbio, ma le lampanti mancanze non giustificavano un comportamento privo di un apparente nesso logico.

A meno che la logica non sia capziosa, forzata. Quella di qualcuno che dissemina falsi indizi per inquinare le prove.

L'ombra di una possibile certezza si manifestò nella sua mente. Sospetto, ecco come la chiamava. Mancava ancora l'anello di congiunzione.

Recuperò una pergamena da un cassetto per esprimere le sue perplessità, sperando in una sorta di comprensione.

Un ennesimo invito, un appello formale rivolto ad un amico fedele, che aveva smarrito la strada. Aryon strinse i denti e scrisse, sebbene quelle parole ferissero anche lui che ne era l'autore.

Mai pensava che sarebbe arrivato a tal punto... gli bastava una risposta per capire come stavano i fatti.

Quante correlazioni. Forse, a monte di tutto, vi era un unico e sgradito inconveniente.



*********

 

 

Al mio fedele servitore,

 

 

Nonostante le gentili parole di cui sono stato oggetto nella precedente missiva, sarò breve. Quello che ti sto inviando è un appello senza mezzi termini, una richiesta formale a presentarti quanto prima possibile. Negli ultimi tempi ho notato la tua dedizione nei confronti del nuovo allievo: dimentichi, però, chi sia il primo a cui essa è dovuta. Ho esaminato le credenziali, trovandole soddisfacenti. Sarò disposto a colloquiare con il presunto sostituto non appena avrò avuto modo di accertarmi delle tue condizioni di salute. Sfortunatamente, lasciano parecchio a desiderare: il tuo operato ne risente, lo noto giorno dopo giorno.
Dalla decisione che prenderai dipenderà il futuro: non quello del ragazzo, beninteso. Sto parlando del tuo. Una presenza nel Concilio è sempre stata un sovrappiù, almeno secondo il mio modo di agire. Ti consiglio di rifletterci su, poiché come ricercatore indipendente ti offrirei uno stipendio che gioverebbe anche alla tua attuale compagna. Ammesso che tali condizioni vengano soddisfatte.

 

Ti porgo i miei saluti, M.A

 

Non pensava che quel giorno sarebbe arrivato. Per la prima volta, il maestro gli scriveva in un tono che non ammetteva repliche, dimostrando che cortesia e nobiltà ispiravano i peggiori ultimatum. Galos batté un pugno sul muro.

Una parte di lui lo esortava a partire, ma c'era qualcosa che lo tratteneva a Sadrith Mora. Un entità non definita: si dibatteva dall'interno e lo gettava nell'incertezza.

Raldas lo osservò, perso nei suoi dubbi: attendeva ordini, a mani giunte.

“A quanto pare sono stato richiamato a Tel Vos, sarò costretto a allontanarmi. Mi spiace trascurare la tua istruzione, ma non ho scelta.”

“Oh, non preoccupatevi, maestro.”

Un malessere generale lo perseguitava da giorni, ma leggere la lettera del maestro gli aveva acuito le fitte alla testa. Si accasciò su una panca, un atto di norma in quei giorni, sorbendo un sorso di porzione fortificante.

“Desiderate che vi accompagni?”

“Non crucciarti, ragazzo. Posso fare da solo... riguarda me e il ministro Aryon. Mi recherò là seduta a stante, per fortuna ho un incantesimo di richiamo che permette di materializzarmi nell'atrio della torre.”

“Quindi, la mia presenza non è necessaria. Va bene, vi attenderò qui.”

Che tortura è mai questa? Non comprendeva la ragione dei suoi mali... sentiva solo le ossa del cranio comprimergli il cervello, quasi a sconquassarlo. Portò le mani alla testa, in un gesto disperato... e nel vorticare della stanza attorno a lui, vide flaconi e costine di libri tramutarsi in tante stelle cadenti, in rotta di collisione verso un buco nero di proporzioni smisurate.

“No... io, io! Andrò da solo.” Il dolore gli diede una tregua, seppur breve. “Riceverai gli altri membri Telvanni, in mia assenza. Non attendermi, se dovessi tardare fino a notte inoltrata. Buona serata!”

Svanì, mentre tastava il muro cercando un immediato sostegno. Non appena scomparve nel vuoto, Raldas emise un sospiro di sollievo, per poi sistemarsi alla scrivania.

Di sicuro sarebbero stati degli attimi molto produttivi.

 

*******


Aryon non era abituato a ricevere più di un ospite allo stesso tempo. Quando Galos apparve nell'atrio, notò che le guardie si erano appartate nel sottoscala, a scambiarsi alcuni pareri.

“Uno dei corrieri è tornato. E forse è l'unico superstite.” Commentò Turedus, mentre altri due soldati si scambiavano occhiate eloquenti.

“Sarebbe il caso di indagare, dico bene?” Domandò uno di questi. Non ebbe l'opportunità di udire una risposta, giacché si trovava sotto l'arco di ingresso dello studio, ad attendere che gli si rivolgesse la parola.

La figura del maestro, posta di spalle, era illuminata dallo sfolgorio latteo di un incantesimo curativo. Il ferito, di sicuro il corriere di cui si parlava, tollerava a malapena il dolore e cacciò via dai denti un bavaglio di stoffa che ne placava le urla.

“Non solo mi toccherà medicare i tagli, ma anche correggere la posizione delle ossa. Proprio una brutta frattura, te la sei procurata opponendo resistenza?”

Il corriere, un corpulento dunmer con due braccia grosse quanto tronchi d'albero, annuì sommessamente.

Si voltò, osservando il portavoce in tralice.

“Giusto in tempo, Galos. Somministra a Hlentos una pozione calmante, nel frattempo recupero i trattati d'anatomia.”

“Cos'è successo?” Bisbigliò. Il volto tumefatto e coperto di ferite del corriere si contrasse in un sorriso amareggiato: socchiuse l'occhio privo di benda e raccontò la sua storia.

“L'onorevole ministro... ci ha spediti a Vas, per incontrare il maestro del nuovo servitore. A quanto pare, Zorbas è stato intercettato a metà strada: l'hanno rinvenuto i nomadi Ahemmusa con un pugnale ficcato dietro la schiena, riverso in una pozza di sangue. Selvaggi e bastardi – ho pensato – ad ucciderlo a sangue freddo per rubare i suoi averi. Mi sbagliavo! È un gesto premeditato: anche Ildram è morto: a detta delle guardie, gli hanno teso un agguato non appena si è allontanato da Vos. Se ne sono sbarazzati gettando il corpo in una miniera kwama, fottuti assassini!”

“Perdona la mancanza di tatto, ma... ce l'hai fatta, sei qui. Come mai?”

“Ah, io sono stato fortunato, per modo di dire.” Si fermò un attimo, a riprender fiato. “Il mio incarico è mettere spada ed incantesimi al servizio del ministro nelle Sheogorad. Sono sopravvissuto al viaggio solo perché mi sono materializzato in zona. Quando ho varcato l'ingresso della torre velothi, tre energumeni mi hanno scaraventato a terra; poi hanno cominciato a sfondarmi di calci, pugni, ad insultarmi. Attendevano proprio me! Grazie alle pozioni di riserva sono riuscito a resistere: un braccio era andato; il sinistro acciaccato ma ancora in sesto... Che disdetta, rendersi conto di aver a che fare con un mancino! Li ho spediti dritti all'Ethereus, una sfera di fuoco per arderli fin dentro le budella. Anche se la vista delle membra carbonizzate toglie il gusto di sputare sui cadaveri di quegli sporchi traditori.”

“L'accoglienza non è il massimo, soprattutto per un membro della casata Telvanni.” dedusse Galos, somministrando al paziente una copiosa dose d'elisir.

“Compagni? Affatto! Mercenari prezzolati, o lame della notte al soldo di qualche potente. La simpatica combriccola, però, occupava Vas da un paio di giorni. Se ne servivano per tendere in trappola i ficcanaso. Le vere uccisioni... erano state perpetrate da parecchio. Non ho trovato uno stregone in vita... persino Adram giaceva a capo chino sulla scrivania, come se non avesse avuto il tempo di reagire, di comprendere quanto disperato fosse l'attacco.”

“Può darsi che non se lo aspettasse... se una mano amica è quella che ha compiuto il delitto.”

Aryon ripose una pila di tomi sullo scrittoio e il legno della plancia stridé, oberato dal loro peso. Indugiò nella consultazione di un manuale di farmacopea applicato alla cura di gravi ferite: la pagina del libro mostrava un cerusico che ingabbiava un arto scomposto in una sorta di fasciatura; composta da uno strato di erbe medicamentose, garze di lino e un finimento di stringhe e placche di shalk.

“Non starete mica insinuando...”

“Si tratta di un'ipotesi, Galos: non per forza corrisponde alla realtà. Ho buoni motivi per ritenere che il nostro studentello sia dedito al doppio gioco.”

“Da... da cosa l'avete desunto?”

“Hlentos,” e il nerboruto mago guerriero abbassò il capo, benché afflitto dal dolore. “descrivimi lo studio di Adram nel momento in cui hai constatato il decesso. Non lesinare in dettagli.”

“La scrivania... era macchiata di sangue. Chiazze ovunque: sugli apparecchi alchemici, sull'occorrente da scrittura... per terra, fino a qualche passo di distanza. A quanto pare, un incantesimo di distruzione per attingere sangue dalla vittima. Daris Adram ha opposto vana resistenza, sconfitto dalla forza dell'avversario. Mi chiedo... certe magie si insegnano ad abili stregoni, non sono quei giochetti da strapazzo con cui si dilettano i bambocci dei signori Telvanni. Qualcosa non quadra.”

“Spesso, tra maestro e pupillo, sorge un affetto filiale. Magari, Daris è stato persuaso a fare sacrificio estremo della sua vita. E ha vergato a penna l'ultimo capitolo di essa, consegnando nelle mani dell'alunno le credenziali atte a celebrarlo... o ad incastrarlo.”

“Impossibile!” Tuonò Galos. “Che sia un ladro, che appartenga alla Morag Tong... sì, lo concedo. Ma un traditore! Qualunque accusa, fuorché questa...”

“Ricordi le credenziali che mi hai inviato, sì?” Aryon gli si avvicinò; le mani tremanti smentivano la sua apparente calma, rivelando rabbia e nervosismo. “Il foglio era macchiato, ciò è innegabile... l'inchiostro, tuttavia, risulta sbiadito e offuscato da chiazze rosse. Succo di mirtillo? A questo punto mi rifiuto di crederlo: quello è sangue. La dichiarazione gli è stata estorta con un incantesimo di persuasione, contro cui Adram ha eretto ben misere barriere. Hai notato la calligrafia? Zoppicante, stentata... come la mano di chi si destreggia tra la vita e la morte. La gelatina di scrib e le altre tracce presenti sono un diversivo per ingannare i malaccorti... perché in genere è l'autenticità di una testimonianza a parlare, più che il contesto che l'ha prodotta.”

Hlentos bloccò il polso del portavoce con la mano integra, stringendolo tra le dita tozze e nodose. Strinse le palpebre e gli espresse in tal modo pena e solidarietà.

“Signor Mathendis, vi assicuro... che i corpi senza vita di quei dunmer non lasciano molti dubbi. Una carneficina vera e propria, solo ad Adram è stata riservata una morte pari al suo rango.”

“No! Siete fuori strada, la colpa è dei Redoran, della gilda dei Guerrieri. Ma non Raldas! Lui è innocente.”

“Lo pensi davvero?” Aryon lo sovrastò in un portamento solenne, imperioso. In quel momento, la figura modesta e timida del giovane ministro acquistò vigore, irradiando risolutezza. Il tono della voce divenne deciso, tagliente. “Molto bene, allora. Vedrò il ragazzo domani e lo riceverò qui a Tel Vos da solo, senza la presenza delle guardie. Una conversazione amichevole aiuterà a far luce su questo mistero. Annunciagli che sei ufficialmente in ritiro con il mio benestare e che ti sarà riconosciuto un premio in denaro per i tuoi meriti. Non vedo l'ora d'incontrare il mio nuovo portavoce e di averlo a servizio fino a quando non deciderà altrimenti.”

“Potete spiegarmi le ragioni... di questo repentino cambio di giudizio?”

Aryon socchiuse le labbra, e Galos ebbe l'impressione che un piano insidioso lo spingesse a tentare il tutto per tutto.

“Forse l'ho mal giudicato. Lo sai bene anche tu, che hai servito il precedente ministro prima che io entrassi in carica. Da questo punto di vista hai molta più esperienza, ma... la fiducia e la diffidenza sono qualità che variano in misura a seconda degli individui: proprio perché sono l'ultimo arrivato mi dimostro sempre più cauto. Turedus, scorta Hlentos alla torre dei servizi e affidalo alle cure del mago altmer, mi assisterà più tardi nel sistemargli la frattura. No, Galos: tu resta qui.”

Il portavoce, a bocca spalancata, arretrò di un passo e prese posto sulla panca; occupata dall'altro dunmer pochi attimi prima. Aryon frugò nelle sacche del lungo abito elegante, di una sfumatura tra il blu notte e il verde muschio, e tirò fuori una minuscola provetta contenente un siero viscoso e denso. Somigliava a resina imbottigliata.

“Prendi questo. Non ti fornirò spiegazioni,” gli tese la fiala, sperando che la sua testardaggine non l'avesse vinta. “bevilo. Ti farà solo bene: se non sei tu a tutelarti in prima persona, tocca a me preoccuparmi della tua salute.”

Non riconosceva il composto, di certo doveva essere un rimedio speciale contro i malanni che lo assalivano di recente. La sostanza impiegò parecchio a riversarsi sulla lingua, ma quando la ingerì si accorse che l'emicrania e il bruciore di stomaco erano in parte svaniti.

“Va meglio, vero?” Sorrise, consegnandogli il resto del preparato in un'ampolla panciuta. “Stasera, prima di coricarti e domattina sveglio: non saltare neanche una dose. Ricorda che tu e il maestro Divayth siete la mia famiglia... ed io farei di tutto per assicurarmi che non v'accada nulla di male. Stanne certo.”

Di ritorno a Sadrith Mora, Galos fu oppresso da nuove supposizioni: era come se di colpo avesse riottenuto il libero arbitrio, la facoltà di discernere tra bene e male. La rivelazione di Aryon suonava come una promessa solenne, un progetto di vendetta.

Nello studio privato regnava una quiete immota, un'atmosfera meditabonda: Raldas di sicuro era nella sua stanza al Gateway Inn, a godersi una sana dormita... purtroppo, a lui spettava la corrispondenza, il registro giornaliero e la stesura delle sue dimissioni.

Abbandonare la vecchia vita lo rattristava, ma non avrebbe dimenticato il maestro: per lui era ancora il ragazzo impacciato e curioso, sempre in compagnia di un libro o delle sue gemme d'anima.

Poggiò la mano sul cassetto, per annullare l'incantesimo di protezione ed accedere ai preziosi documenti...

…E notò qualcosa d'insolito. Un'energia esterna, una sorta d'interferenza. Forse, una probabile effrazione: aveva l'animo in subbuglio, eppure stavolta non erano quei tediosi malesseri. Un sinistro presentimento lo esortò a tirare la maniglia, a passare in rassegna i resoconti ivi riposti. Controlla la sequenza, controlla il numero; ripeteva a se stesso... tutto in ordine, troppo in ordine.
Persino quella lettera che, deliberatamente, faceva sporgere dalla pila di fogli e ficcava sempre al contrario; per accertarsi che fosse l'unico a consultare l'archivio.
I pezzi del rompicapo combaciarono uno ad uno... si era fatto gabbare come uno sciocco. Altro che allievo diligente, aveva permesso che una spia si immischiasse negli affari del ministro!
L'avrebbe ripagato con la sua stessa moneta: si sarebbe impegnato a scoprire per conto di chi lavorasse, infiltrandosi di nascosto laddove era certo di scovare maggiori indizi.
E Aryon ne sarebbe stato messo al corrente, al più presto.


 




Mi dispiace se il capitolo è un po' lungo rispetto agli altri. Sto cercando di dividere la storia in modo che succeda sempre qualcosa, per rendere la lettura interessante. Ammesso che una storia di intrighi tra maghi sia movimentata.
Ho revisionato i primi due capitoli, correggendo qualche frase. Nulla di rilevante, però, rispetto al contenuto della storia.
Più vado avanti, più mi rendo conto che non ho mai scritto qualcosa del genere. Per fortuna, c'è sempre un'anima pia disposta a darmi dei consigli e a curare le mie insicurezze (vi ringrazio!). :)
A presto!

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Capitolo 4
*** Il custode del gemello (ultima parte) ***


Il giorno seguente, Raldas si alzò di buona lena: fischiettava allegramente, mentre legava con una fettuccia i libri ed infilava il resto delle sue cose in una bisaccia colma all'inverosimile. Gli avevano anticipato che sarebbe stato un gioco da ragazzi imbrogliare il ministro Aryon e quella testa di legno dell'assistente, Mathendis. La sorte era stata alquanto magnanima nell'indicargli il padrone giusto da servire, un modello di vita che avrebbe sempre elogiato. Controllò le tasche dell'elegante pantalone, la cintura e l'imbragatura nascosta sotto la blusa di seta: il suo doppio, riflesso allo specchio, lo osservava impettito; un sorriso sardonico ad illuminargli il volto compiaciuto.

Già, non molti sapevano affidarsi alle persone giuste...

Galos gli aveva fatto comunicare quella mattina stessa che, finalmente, Aryon si era deciso a concedergli udienza. Quale onore! Aveva barattato la sua promozione per un pezzo di carta ammuffito e qualche carabattola di metallo. No, al contrario degli altri stregoni Telvanni, lui non era interessato a certe piccolezze: si sarebbe garantito un futuro brillante come protetto del giovane ministro, almeno di facciata. E al sopraggiungere dell'attimo propizio, se ne sarebbe sbarazzato senza complimenti. Oh, immaginava quanto avrebbe fatto piacere al padrone...

Galos era un misto di cortesia, pacatezza e dabbenaggine; come al solito. Anche quella mattina l'aveva accolto con familiarità, sebbene apparisse stanco e segnato dall'incontro precedente con Aryon.

“Ah, ma che importa?” Gli rivelò, stringendo le dita sulla lunga casacca damascata. “È da anni che attendo di ritirarmi a vita privata. Alla fine, il mio desiderio può concretizzarsi.”

Si sentì in colpa, ma durò poco... Raldas inclinò il capo, e il contorno della sua figura, proiettato dal bagliore tenue delle candele sullo scaffale, si impresse sulla retina per l'ultima volta. Avrebbe avuto nostalgia, però, dell'odore erboso di muschio e radici; delle gocce di condensa che brillavano contro le pareti del piccolo rifugio, ricavato da un fungo di modeste dimensioni.

Non dubitare... si ripeteva; mentre camminava, anzi correva, fino a raggiungere il molo.

L'amicizia che nutrivano per lui lo feriva nel profondo.

Ora o mai più, e continuava a convincersi di quella verità. Il primo obiettivo era stato raggiunto brillantemente, spettava a lui fare in modo che il resto fosse all'altezza.

 

Andato.

Galos preparò due fiale di pozioni dell'invisibilità in caso ne avesse avuto bisogno: era sicuro che gli sarebbe bastato praticare un buon incantesimo d'illusione per accedere di soppiatto nella stanza della spia. Entrare in un alloggio per viandanti era ben diverso dal violare le difese di una magione con tanto di trappole e guardie. Sentì di avere la fortuna dalla sua parte, e prese ad ispezionare le varie stanze.

Non trovò nulla di rilevante nelle altre: il liuto di un bardo, biancheria femminile... Evitare il fantasma della torre sud fu rischioso, più volte aveva portato la mano sul pugnale incantato, ma lo spirito non sembrò notare la sua presenza.

La camera di Raldas era una delle ultime che dava sul corridoio sopraelevato, antistante l'atrio inferiore: Galos la trovò semivuota, il ragazzo non era tanto sprovveduto da lasciare tracce dietro di sé...

Smosse il materasso dalla branda, guardò nei cassetti dello scrittoio, sollevò i bauli e si ricordò di controllare persino sotto i tappeti: nulla che lo incriminasse.

Grugnì per la delusione, risoluto ad abbandonare la perquisizione... e guardando con la coda dell'occhio il muro opposto, proprio sotto un arazzo, scoprì un foglio accartocciato dietro una pianta. Magari, la brutta copia di una lettera rotolata via dalla scrivania, in maniera del tutto casuale.

Lo raccolse, e sebbene fosse pieno di cancellature, l'intestazione spiccava chiara e leggibile in cima.

Al custode del mio gemello.

Ah, un altro enigma: quindi, Raldas aveva un fratello? Questo spiegava molte cose, ma di chi mai si trattava? Un agente segreto, un membro Telvanni o forse un ostaggio nelle mani di qualcuno?

Maledizione, nuove supposizioni ad ingarbugliare la vicenda. L'avrebbe atteso a Tel Vos, per poi metterlo alle strette...

Doveva pur rimediare ai problemi che aveva causato, e risolvere quanto prima la faccenda.

 

Raldas s'inginocchiò di fronte al giovane maestro, e con eccessiva deferenza curvò la schiena fino a toccar terra. Aryon non ne fu impressionato, sebbene avesse notato quale cura nel vestire avesse riposto per rendersi presentabile al cospetto di un nobile Telvanni.

Quel viso ovale, dal mento appuntito e i lineamenti regolari, ricambiò il suo sorriso. I capelli lunghi, mossi e lucidi, erano trattenuti in un'ordinata coda da un nastro di seta con spirali dorate. Gli occhi, due braci incandescenti su quel volto di un pallido grigiore, si inclinavano verso le tempie; sormontati da un paio di sopracciglia sottili, scure come il carbone. In quei tratti squisiti, di un vigore signorile ed altero, Aryon riconobbe una somiglianza; lo stesso naso a punta dai contorni decisi. Con l'unica differenza che il giovane dunmer era piacente, richiamava a sé una fiducia istintiva. Riemerse per un attimo il ragazzo impacciato che era stato in passato, travolto da tanta sicurezza.

“Ministro...”

“Finalmente ci conosciamo, alzati.” Lo interruppe, ponendo subito fine alle scenette patetiche. “Galos mi ha parlato bene di te, e con immensa gioia ho ricevuto il tuo dono. Devo complimentarmi, hai svolto un lavoro eccellente nel recuperare un reperto simile. Mi riempie di soddisfazione sapere fino a che punto può spingersi il coraggio di un allievo Telvanni.”

Raldas ascoltò in silenzio e attese che finisse di pronunciare la frase per distrarlo con un inchino.

“No, basta.” E Aryon fece ondeggiare la mano in un cenno esasperato. “Non ho bisogno che mi si ricordi in continuazione chi comanda. Sempre che mi venga riservato rispetto, alla fin fine. Banale, non trovi? Non mi fa sentire speciale: quindi, credo che sorvoleremo sul vano servilismo, sì?”

“Ma...”

“Non preoccuparti, non ti farò punire per questo.” Scherzò lui, vagamente ironico. “A proposito, ho esaminato le tue credenziali. 'L'allievo conosce i rudimenti dell'Alterazione'; 'Sa compiere autonomamente una ricerca senza che gli vengano ricordate le fonti più importanti'; e una sfilza di piacevoli commenti a riempire il foglio. Ma è quel provetto illusionista a sorprendermi. Spicca rispetto ai restanti elogi, chissà come mai...”

“Be', Ministro...” Raldas si grattò il capo, imbarazzato. “In effetti, la materia mi incuriosisce parecchio. Mi affascina il potere di modificare l'aspetto delle cose, di cambiare la realtà circostante con la forza del proprio carisma. Magari, dal punto di vista di un incantatore o di un mistico, tale disciplina verrà ritenuta un mezzo, e non la chiave per svelare l'essenza dietro la materialità... Fatto sta che...”

Si schiaffeggiò la fronte a causa di quella strana emicrania, un dolore così acuto da trafiggergli il cervello. Cercò un punto d'appoggio, ma lottò con tutte le forze per combattere quello spirito malefico che intendeva insidiarsi nel suo corpo.

E recuperò il senno, ritrovandosi proprio di fronte a lui; faccia a faccia con l'istigatore di tale male.

“Ah, mi dispiace, mi dispiace per te...” Soggiunse Aryon, non aveva tempo da perdere. “Devo porgerti le più sentite condoglianze. Ho inviato dei corrieri a Vas, poiché era mio desiderio avere il beneplacito di Adram nella tua promozione. Purtroppo è venuto a mancare in circostanze ignote, e poco lascia intendere chi sia stato a...”

Una voce frenò il flusso di parole, vivida e stentorea, un'ingiunzione alla quale era tenuto a sottomettersi.

Vi sbagliate. Daris Adram è stato trucidato dalla Gilda dei Guerrieri; è colpa loro... loro...

“No!” Urlò Aryon, scoprendo i denti in atto di difesa come una belva feroce. “Fino a quando persisterai questo gioco perverso? Non ne hai abbastanza, vero?”

“Ministro?” Raldas sgranò gli occhi, inebetito, o fingendo sbigottimento.

“Sangue... ecco cosa ti incrimina. Sei tu! Sei stato tu ad uccidere Daris Adram, perché aveva scoperto tutto. Chi eri in realtà, forse... o piuttosto, un retroscena che ti riguarda. Per quanto tu possa essere attento, il sospetto è più forte... è il dubbio che salva l'autoconsapevolezza delle menti libere. Hai adoperato i tuoi trucchetti su di lui, hai ingannato la sua fiducia.”

“Uno stregone Telvanni non lancia in simili accuse, se non ha prove a suo carico. Maestro, vi prego, riconsiderate le vostre affermazioni, soprattutto adesso. Mettetevi nei miei panni, ho appena saputo della morte del mio mentore, ormai non può più proteggermi, e sono qui ad essere oggetto di dubbi e rancori...”

“Non prendermi in giro, per favore...” Aryon si sentì offeso, insultato nell'intimo. “Quando ho ricevuto le tue credenziali, la prima cosa che ho fatto è metterti alle calcagna una spia. Sì, qualcuno che padroneggia gli stessi incantesimi e alquanto smaliziato. Neanche Galos ne era al corrente, perché intendevo osservare anche il suo comportamento. E sai che mi hanno riferito?”

Si avvicinò al ragazzo, ma egli non indietreggiò... anzi, rimase fermo a ricambiare la sua rabbia con aria di sfida.

“Sei riuscito a plagiarlo. Vuoi che applauda e lodi tanta sagacia? Va bene, se ti fa sentire meglio... ma non hai né il potere né l'esperienza per praticare certe magie. Oh, certo... ti piacerebbe dimostrare a chiunque che sei il più forte, eh? Ma questo ti tradisce.” E Aryon indicò la gemma rubiconda, languida e fremente come non mai. “Questo amuleto, frutto di anni di sperimentazione, lezioso simulacro per l'anima lorda che infonde ad esso vitalità: quella di un venerabile ghoul di cenere. Non hai neanche idea di cosa porti appeso al collo, Raldas. Dammelo, e farò in modo che questa storia rimanga tra noi.”

“Mai e poi mai!” Il giovane dunmer strinse le mani attorno alla pietra, proteggendola da sguardi indesiderati. “Grazie ad esso sono quel che sono. È ciò che mi garantirà una vita eccellente. No, mi dispiace.”

“Dammelo.” Lo esortò, con fare titubante.

“Me lo dice in continuazione, il padrone. E continua a dirmelo anche ora... sono un buono a nulla, un fallito. Ma su una cosa ha ragione: ci sono elfi peggiori di me, in questo, e grazie a lui posso salvarmi. Mi ha detto: 'Se non riesci a convincerlo con le buone, versa il suo sangue'; ed è quello che farò anche con voi. Perché non avete ceduto, eh? Perché? Sarebbe andato tutto bene e avreste vissuto qualche mese in più. Invece, mi vedo costretto a togliervi la vita: sono addolorato, in fin dei conti siete una brava persona. Arrendersi ai sentimentalismi è però sbagliato: sarà un colpo secco, ambedue non avremo il tempo di realizzarlo.”

“Ah...” Aryon sentì il cuore infrangersi, al sol pensiero che qualcuno avesse manipolato il ragazzo per vederlo morto. “La deferenza, la gentilezza... erano insincere recite, vero? Mi ero comunque stancato del tuo atteggiamento passivo-aggressivo.” E si rimboccò le mani della veste, pronto a sferrare il colpo in qualsiasi momento. “Hai lasciato che fosse il tuo maestro a chinarsi di fronte a te. Ebbene, io per anni ho venerato il mio. Anziché passare il tempo ad ordire sordidi intrighi, ho appreso da lui. L'ho ascoltato, ho cercato di comprenderlo persino quando i suoi rimproveri mi ferivano. Non hai appreso l'umiltà di fronte alla Scienza; solo così si raggiunge la vera conoscenza, che consente di ambire al meglio. No, non dire altro: ho scoperto il tuo piano; consegnati a me, prima che le conseguenze possano aggravarsi.”

Non ricevette una risposta: Raldas gli si lanciò contro urlando, lo afferrò per il collo e conficcò dita ed unghie lungo la trachea, cominciando a drenare sangue ed anima.

“Muori, muori! Maledetto!” Urlava in lacrime, allo stesso tempo pentito e deciso a colpire.

Aryon gli bloccò i polsi, prima serrandoli debolmente, poi lasciando che una scarica elettrica lo allontanasse da lui. Raldas cadde a terra, tramortito.

“Basta, ti prego.”

Tese una mano, un invito a rialzarsi... a dimenticare l'accaduto. Il ragazzo lo fissò sbigottito.

“Chi è stato, eh? Dimmi chi è stato. Cosa ti hanno promesso per ridurti in questo stato? Farò in modo che paghino.”

Fu tentato di stringergliela, ma si bloccò nell'atto: il rubino – infido, malevolo – risucchiava l'ultimo barlume di bontà rimastogli. Raldas sputò su quella mano che gli offriva il perdono.

“Allora è così.” Non pronunciò quelle parole con acredine, bensì con infinita rassegnazione. Lavò via la saliva con un fazzoletto e chiuse gli occhi.

“Guardie, scortatelo in prigione.”

Delle ombre sfocate, a poco a poco, tornarono a rendersi visibili attorno a lui: Turedus afferrò Ralvas per la collottola e lo spinse dritto verso gli stipiti della porta. In pochi attimi fu completamente accerchiato.

“Voi... voi non siete mai stato in pericolo e avete agito altrimenti, perché?”

“Io... volevo sincerarmi che non fosse come avevo immaginato. Che le mie impressioni erano dettate dal pessimismo, da una scena che tende a ripetersi di continuo. Ormai ho smesso di sorprendermi.”

“Dove... dove lo confineremo?” Domandò la guardia del corpo, interdetto.

“Nelle segrete in fondo al sotterraneo... ci sono ancora i daedra, vero?”

“Sì... attaccano a vista chiunque si infiltri nei corridoi.”

“Bene, gettatelo lì. Se sopravvive si sarà guadagnato la sua libertà, altrimenti avrà pagato col sangue.”

“No, i daedra no!” Ruggì Raldas, in preda ad una crisi isterica. “Non ho pozioni con me, non sono preparato! Mi dilanieranno, vi prego!”

“Dimostra che vali più degli altri, allora. Un altro Telvanni non ti avrebbe concesso una seconda possibilità: non ti punirò per questo, ho detto. Non sarò io a versare il tuo sangue, adesso dipende da te.”

Lo trascinarono via, e nell'udirne le grida disperate Aryon non era sicuro di aver fatto la scelta giusta. Si accasciò sulla sedia, risoluto a lasciarsi alle spalle quella storia al più presto.

“Maestro...” La voce modulata di Galos richiamò la sua attenzione.

“Ah, sei qui.”

“Vedete... mi dispiace. Assecondare il mio egoismo vi ha posto in grave pericolo, ed io mi sento responsabile. Sono pronto a fare ammenda in qualsiasi modo; cacciatemi via senza referenze, confiscatemi gli oggetti di valore...”

“Galos, io non intendo seguire la tradizione Telvanni in tal maniera, e credo che tu l'abbia capito. E non inizierò adesso: siediti, mi hai accennato che ci sono novità... sono tutto orecchi.”

“Ho perlustrato la stanza di Raldas stamattina e dopo vani tentativi, ho rinvenuto questo... nascosto dietro una pianta.”

“La bozza di una lettera, eh? Niente male, vediamo di cosa si tratta.”

“Ah, non è molto illuminante sotto certi punti di vista.” Galos continuò a tormentarsi le dita, con le mani giunte l'una nell'altra. “Ma è curioso l'appellativo rivolto al destinatario. Custode del mio gemello: avete idea chi ne sia il referente?”

La spia gli aveva riferito che lo scambio di informazioni avveniva tramite agenti diversi, mai era capitato che Raldas fosse avvistato con la stessa persona. Purtroppo, i pedinamenti non avevano portato ad una pista certa, poiché le spie erano altrettanto competenti nel camuffare il loro aspetto e far uso delle magie d'invisibilità.

“Ammesso che il gemello sia una persona: ti dirò, Galos... non so perché, ma sono convinto che si tratti di un gioco di parole. Se è così, faticheremo alquanto a venirne a capo. Potrebbe essere qualsiasi cosa.”

“Eppure, spesso appellativi e soprannomi vengono affibbiati in base ad elementi riconoscibili. Senza dubbio qualcosa di ovvio; solo che l'eccessiva pomposità fa pensare ad altro...”

Pomposità. La leva che mette in moto l'ingranaggio.

“Grazie, Galos. Mi hai aiutato più di quanto immagini, ma è giusto che tu ti riposi, adesso. Ecco, torna a Sadrith Mora o a Tel Branora se vuoi, ma resta sempre in attesa di ulteriori sviluppi. Proverò a decifrare il rebus, e casomai ci fossero dei risvolti positivi... ti farò sapere. Prendi la medicina solo a scopo preventivo, se non mostri sintomi strani entro le prossime quarantotto ore significa che ti sei pienamente ripreso.”

“Ha provato ad impadronirsi della mente... e quell'amuleto aveva davvero un incredibile ascendente su di me. Ringraziarvi adeguatamente mi è quasi impossibile, maestro. Soprattutto perché ho dubitato di voi, e ho sbagliato.”

“Non preoccuparti, torna a casa.” Lo rassicurò, sentendo che piano piano ogni cosa sarebbe tornata alla normalità.

 

 

Si accomodò alla scrivania, di fronte l'amuleto e la lettera incompiuta: credeva che avrebbe risolto in poche ore, ma erano già due giorni che persisteva in quella snervante routine. Si allontanava dallo scrittoio, camminando avanti e indietro per lo studio con una tazza di tè tra le mani, augurandosi di trovare la soluzione in un momento inatteso. Consultava un libro, si soffermava a decantare una pozione o a miscelare le spezie per preparare l'ennesima brocca d'infuso. Ma nulla, la sua buona stella l'aveva abbandonato.

Forse confidava troppo nel ripetersi di certe intuizioni, quando rilassava la mente e aveva modo di metabolizzare nozioni e formule: sì, le rivelazioni giungevano quando meno immaginava... disteso sul letto, ad occhi chiusi. Oppure, mentre era a tavola a consumare un frugale pasto.

Il finale non differiva mai: era costretto ad alzarsi e a tornare a lavoro, per mettere in atto le ritrovate idee.

Stavolta, l'enigma gli sottraeva sonno ed appetito.

Al custode del mio gemello.

Avevano ritrovato il corpo di Raldas dilaniato dai denti di daedroth e dagli artigli delle messaggere alate di Azura. Sembrava che il ragazzo avesse cercato di opporre resistenza; ma neanche l'amuleto, lo strumento che gli infondeva potere, era riuscito a salvarlo da una misera morte. Aryon non vide, lo seppe solo a fatto compiuto, quando Turedus gli riferì che le sue spoglie mortali riposavano sotto un cumulo di rocce e all'ombra di un albero, poco a largo della torre.

Il dolore fisico della ferita rinnovava quello emotivo del fallimento: invidiava la fermezza mentale degli ottenebrati, persi nel loro sublime fanatismo nei confronti del maestro. Chi aveva operato un simile condizionamento spirituale doveva essere esperto nel farsi ubbidire, quasi quanto nel comandare.

Si massaggiò il collo, per alleviare il bruciore dei graffi ancora presenti: aveva rifiutato di farsi fasciare, pagandone amare conseguenze. E dire che l'escoriazione causata dal pendente di Neloth era di lieve entità, rispetto al fastidio che era costretto a sopportare in quel momento...

Un dunmer che evita di imporsi e non usa i suoi gioielli è un perdente.

La soluzione era sempre stata ad un palmo di naso, e come uno sciocco non ci aveva riflettuto abbastanza. Si era tradito ancor prima di ordire lo spregevole inganno, aveva considerato altre strade per il semplice fatto che la corrispondenza apparisse fin troppo ovvia.

Banalità pretenziose e senza mordente in un romanzo da quattro soldi, in cui investigatori principianti ed ispettori disillusi affrontano il signorotto di turno, convinto di essere l'incarnazione del genio supremo. Non molti hanno l'immaginazione per trasporre in realtà la trama contorta di un mistero, e questo Aryon lo sapeva. In un ambiente chiuso pochi sono i colpevoli, spesso ridicola caricatura di loro stessi. E di misteri all'acqua di rose ed indagini tediose ne era piena l'intera casata Telvanni.

Un aruspice si sarebbe ritrovato con ben poco da prevedere: piuttosto, avrebbe cambiato professione emigrando verso nuovi lidi, dove i suoi servigi venivano pagati a peso d'oro.

Per fortuna, prediligeva la logica alle tetre visioni nel futuro.

Pensa alla cosa più ovvia, giudica dalle apparenze.

Ecco cosa avrebbe fatto, si sarebbe soffermato sull'aspetto dei due gioielli... e prese ad elaborare la sua teoria. Non faticò a ricavare una possibile interpretazione, questa volta.

Tuttavia, si sentì defraudato del gusto per l'ignoto.

 

“Oh, di nuovo tu. Cosa ti ho detto l'ultima volta? Se ci tieni a non diventare un cadavere carbonizzato che diffonde ai sette venti il prelibato lezzo di carne abbrustolita, modera le parole e comportati con deferenza. Sei un monellaccio dispettoso, ma la mia pazienza ha un limite.”

Aryon avrebbe aggiunto che anche l'indecenza non era da meno, ma preferì tener la bocca chiusa. Neloth si mostrò ospitale e rispettoso come sempre, presentandosi alla vista del giovane ministro in stivali di broccato, braghe di lino e veste da camera slacciata. Arara Uvulas, modello esemplare di timidezza e pudicizia, sviava lo sguardo dal petto nudo del maestro e dalla biancheria che aderiva alla sua muscolatura snella e asciutta.

“Ah, dunque non mi è concesso rivolgervi la parola, dopo il battibecco della scorsa volta? Peccato, e dire che intendevo porgervi le più sincere scuse.”

“Mph.” Neloth soffiò col naso come una belva infastidita, volgendosi di lato a braccia conserte. “Anch'io da giovane ero turbolento, impetuoso... ad esser franco, lo sono tuttora. Sì, suppongo che tu abbia imparato la lezione, hai il mio perdono. Mettiamo le cose in chiaro, però: vale sempre lo stesso discorso. Non provocarmi ed io sarò magnanimo. Intesi?”

“Come comandate, Ministro.” Sul volto di Aryon comparve un sorriso dolce, benevolo quanto Masser al primo quarto di luna.

“Ah, bravo ragazzo. Mi fa piacere che siamo giunti ad un'intesa. Adesso possiamo parlare.”

“D'accordo;” continuò l'altro, affettato. “smettetela, però, di affermare che siete anziano. Ho riflettuto a lungo sulle vostre parole, e ho dedotto che avete ancora il vigore per combattere, compiere grandi imprese ed affrontare il pericolo. E naturalmente, per amare e generare ancora una nidiata di piccoli dunmer.”

“Ha! Puoi metterci la mano sul fuoco. Di tanto in tanto mi cedono le ginocchia, ma di sicuro non mi tirerei indietro di fronte a certe proposte. La mano sapiente e l'occhio attento di un buon giardiniere rinvigoriscono pure le piante più avvizzite: orbene, a me piace pensare che il tocco delicato e timoroso di una fanciulla operi un simile miracolo persino su un corpo virile temprato da anni di fatiche. Sai cosa intendo, vero?”

“Certamente, ministro.”

“Non darmela a bere, te lo leggo in faccia. Quanto tempo è passato dall'ultima volta che sei stato con una donna? Ti capisco, comunque. Soffermarsi sulla prima a disposizione è deludente, bisogna aspirare al meglio. Chi sceglieresti, tra una cortigiana spudorata e il delicato fiore di una giovane signora Telvanni?”

“La giovinetta, per caso?”

“Per caso? È una scelta più che obbligata, ragazzo mio. E vuoi sapere perché? La cortigiana ti slaccia i pantaloni e predispone l'atto in modo che sia lei a gestire il tuo tempo. Per non parlare degli attributi! Un'infida servitrice, colei che ti fa credere di avere la situazione in pugno, ma dalla quale dipendi per la realizzazione dei desideri più segreti. Invece, la giovane nobile... si concede perché deve, la stessa famiglia la sprona a farlo nei confronti del suo signore e padrone. Tanta inesperienza può nuocere all'entusiasmo maschile, quando si è assaliti dagli scrupoli... ma un cuore indurito ne ricava il massimo profitto. E quando imparerà che non si ama solo coi baci... ti stupirà col proprio ardore. Pazienza, ragazzo: si dice sempre che le dunmer siano disinibite, in realtà la maggior parte di loro è un pozzo di diffidenza al quale puoi attingere solo con i mezzi giusti.”

Aveva portato il discorso nella direzione giusta: Arara Uvulas abbandonò la stanza, coprendo le gote arrossate con le maniche della ricca veste. Erano rimasti soli, lui e Neloth.

“Non lo metto in dubbio. A dire il vero, il motivo della visita è differente... ma non fraintendetemi, è una fortuna che dedichiate il vostro tempo per... uh, istruirmi in materie di vita così pregnanti.”

“Avanti, dimmi di cosa si tratta.”

“Be', ho qui per voi un regalo.”

“Mph. Per me? Devi esser impazzito. Cosa ti spinge a mostrarmi tanta cortesia?”

Fu solo al termine della domanda che Neloth intuì le implicazioni di un gesto fin troppo affabile.

Le labbra di Aryon si curvarono in un impercettibile manifestazione di sdegno, quando infilò le mani nelle tasche del prezioso abito di seta e ne tirò fuori il rubino, reggendolo per la catenella. L'oro della montatura riluceva di una minacciosa luce verdastra, che donava al lucido metallo una patina leggermente ossidata.

Senza troppi complimenti lo gettò a terra, ai piedi dell'interlocutore.

“Mi stai prendendo in giro, spero.”

“No, vi restituisco ciò che è vostro. Con l'ingiunzione a preservare per voi simili tesori.”

“Sragioni, ragazzo mio. Non comprendo ciò che intendi.”

“Volete che sia io a spiegare gli eventi per filo e per segno? Va bene. Raldas Odrano era una spia istigata contro di me, un giovane elfo oscuro troppo ambizioso che avete utilizzato per il vostro tornaconto personale. Ignoro se fosse già al servizio di Daris Adram, ma nell'intera faccenda questo non contava... finché lo stregone non ha scoperto che Raldas si serviva dell'amuleto per comunicare con voi ed alterare le menti dei poveri, ignari malcapitati. Sarebbe andata fin troppo bene, se non aveste commesso degli errori apparentemente irrilevanti.”

“Ah, bella questa. Quindi, io sarei il mandante di quel tirapiedi da strapazzo? Non farmi ridere. Questo è un amuleto come tanti e non prova alcuna colpevolezza. Rimangiati ciò che hai detto, Aryon. Altrimenti, sarò costretto a reclamare diritto di soddisfazione di fronte al Concilio.”

“Davvero? Per vostra sfortuna, abbiamo adoperato contro Raldas gli stessi mezzi di cui si era servito per tenderci il tranello. E sapete cosa abbiamo scoperto? Che esisteva un oggetto magico simile a quello che gli era stato donato, creato da uno stregone che ha infuso disprezzo e tracotanza nel cuore dell'incantesimo. Un mago è anche un abile pittore, non tralascia mai di firmare le opere di cui va fiero. E voi siete arrivato al punto di creare due oggetti simili, per fare in modo che l'anima del ragazzo si confacesse sempre più alla vostra. Esistono diversi metodi per ottenere un risultato apprezzabile... soprattutto se miravate a raggiungere una perfetta complementarietà.”

“Ti atteggi di nuovo a saputello, eh? Si vede che hai speso la maggior parte della tua vita sui libri. Avanti, a questo punto sono curioso di sapere dove vuoi arrivare.”

Al custode del mio gemello: è l'incipit di una lettera che Galos ha ritrovato nella camera d'albergo di Raldas. Il gemello in questione è il gioiello di famiglia che mi avete scagliato contro, quando ho provocato la vostra ira durante la scorsa visita. E sapete perché? Un mago provetto e un pittore sensibile alle bellezze della natura conoscono la forza intrinseca dei colori: più che gemello, direi che lo smeraldo che recavate con voi ne era l'opposto. Il metallo della montatura esplica, tuttavia, il legame tra i due talismani: il rubino ha una luminescenza verde, lo smeraldo un'aura infuocata. In questo modo, le gemme sono complementari e in qualche modo gemelle. È l'unica ragione plausibile per motivare le mie affermazioni... quanto al potere degli amuleti, posso dire che l'ho sperimentato sulla mia pelle.”

Neloth si accomodò a sedere e prese a battere le mani, sfoggiando un'espressione compiaciuta.

“Ti devo fare i miei complimenti, sbarbatello. Divayth Fyr è stato davvero lungimirante quando ha deciso di prenderti a servizio. In effetti, questo oggetto mi appartiene ed io ne sono il creatore, non ho remore ad ammetterlo.”

Aryon mosse un passo avanti, agitato da sentimenti contrastanti. Lo squadrava come se nulla fosse dal suo ricco seggio, del tutto impassibile a certi sentimenti che sentiva prendere il sopravvento su di lui: ira, rancore, frustrazione...

“Tuttavia, anche tu hai commesso un piccolo, irrilevante errore. La mia casa è aperta a tutti: stregoni, maghi, servi, belle signore... persino ladri. Desideravo riavere il rubino, ma il mago guerriero che ho assoldato sta ancora investigando sul furto. Invece, eccolo qui... il mio adorato gioiello.”

“Quindi... sostenete che vi è stato sottratto con la forza? Affatto! Posso affermare il contrario...”

“Difficile da dimostrare, a meno che tu non voglia spaccarmi in due in cranio a forza di tentare una lettura approfondita dei miei pensieri. Non te lo consiglio, poiché in quel caso saresti tu a non uscirne vivo.”

Era bastata una stupida giustificazione a smontare le sue deduzioni. Abbassò il capo e strinse i pugni, rivendicando la vita di un ragazzo di cui non conosceva neanche la reale identità. Alla fine, Raldas Odrano si era rivelato un nome fittizio.

“...Devo dire, però, che mi sono divertito a sentirti blaterare con convinzione tutte quelle congetture. Leggere troppi libri ti ha guastato il cervello: dovresti uscire da quella torre, ragazzo. Indulgere nell'ebbrezza dei liquori e della voluttà. Ah, non c'è molto da fare lì a Vos, vero? Come mi dispiace. Ti stai perdendo il meglio della vita, i giorni passano e la prospettiva del domani si riduce ad una visione inconcludente.”

L'alcol non l'avrebbe aiutato. Neanche il sonno, il gioco, o dormire tra braccia di una prostituta.

Lo schernivano, finché avevano la possibilità di preservare i loro interessi e di ottenere il supporto incondizionato dei propri vassalli. Era meglio chiudere la questione e lasciare una vittima impunita.

Gli rivolse un'ultima occhiata astiosa e svanì nel nulla, mentre una risata baritonale accompagnava la sua partenza.

 


Capitolo lungo, forse fin troppo... ma mi sembrava dispersivo frammentarlo ancora. Raldas è davvero la spia, purtroppo... spero di aver curato abbastanza il suo carattere, finché ha avuto un ruolo nella storia. :)
Vado molto a rilento negli ultimi giorni... non sono arrivata ad un punto morto, ho ancora delle idee, ma non riesco ad esprimerle come vorrei. I personaggi parlano troppo, forse dovrei impegnarli di più. Ho altro materiale pronto, da rileggere e revisionare. Prima di Natale potrei pubblicare un nuovo capitolo, giusto per velocizzare le cose. :)

Be', buone feste! :D

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Capitolo 5
*** Un consulto prezioso (prima parte) ***


A bordo dell'Elf Skerring, Galos si trastullò in una specie di sogno ad occhi aperti, una dolce aspettativa che saziava l'animo prima di pregustare la gioia più autentica. Pazienta quel che basta, carissima. Presto vivremo insieme, così come io e te abbiamo sognato.

Non capiva come la riconoscenza si fosse tramutata in stima, desiderio di protezione, affetto: quando lasciò la casa di Adrusa la prima volta, provò sì una strana sensazione di vuoto... ma non la smania di seguirla nelle piccole faccende quotidiane, di udire la sua voce mormorare una serafica cantilena e di sfiorare quelle labbra.

Bussò sulla lastra di pietra con il pomo del bastone, inspirando ed espirando fino allo spasimo. Avvertì dei passetti leggeri ed incerti farsi strada fino alla porta: immaginava la mano di lei posarsi sulla fredda arenaria per spalancarla con impazienza, invece socchiuse appena la lastra levigata; lasciando che un sottile lembo di luce rischiarasse la sua figura in penombra.

“Da quando in qua sei così guardinga?” Sogghignò, e nel riconoscere quella voce l'elfa emise un gemito di sorpresa.

“Sei... sei tu. Galos, finalmente! Credevo che avrei dovuto attendere per mesi...”

“Gli dei sono dalla nostra parte, se benedicono la nostra unione e avverano le nostre preghiere. Oh, Adrusa... non sai quanto mi sei mancata.”

Sigillò la porta e la prese per mano, per condurla al centro dell'atrio. Adrusa non proferì parola, ma egli leggeva sul suo volto trepidazione, entusiasmo. Sfiorò le guance alte e arrossate, e saggiò il contorno del suo viso ovale che culminava in un profilo elegante e volitivo. Lei lo trasse a sé, e quando la cinse in un abbraccio gli apparve ancor più sola e vulnerabile.

“Mia cara.” Adrusa schiuse le labbra, invitandolo a ricambiare il suo affetto con un semplice dono, bramato in attimi persi a riflettere, a sperare.

Posò un bacio fugace sulle sue labbra, augurandosi che la guaritrice non lo respingesse: lei serrò le palpebre e sorrise, accarezzandogli la barba incolta sul viso.

“Mi dispiace, da giorni non vedo il tocco del rasoio.” Scherzò, per nascondere l'imbarazzo.

“Ah, che ne sai? Potrebbe addirittura piacermi.”

Non avrebbe notato dettagli talmente futili, soprattutto se era lì per lei. Rammentava spesso il primo incontro, avvenuto in contingenze avverse: era combattuta tra la tipica indifferenza verso i forestieri ed i principi morali dettati dalla sua professione. E come sempre, vinceva il bisogno di recare sollievo ai mali della vittima. Non le importava se lo sconosciuto fosse un soldato, un funzionario o un famigerato tagliagole: aveva affidato il suo destino nelle mani di Azura, e la dea l'avrebbe protetta. O ricompensata, magari, per aver permesso che i suoi pazienti potessero riprendere in mano le redini delle loro esistenze.

Chi l'avrebbe mai immaginato che quel caso disperato, ricoperto di ferite sanguinolente dalla testa ai piedi e con le vesti di un afrore appestante fosse in realtà un pezzo grosso? Il portavoce del ministro Aryon, per giunta. Lì per lì immaginò che si trattasse di un lestofante pronto a sorprenderla con le bugie più assurde. Invece, il dunmer era realmente chi sosteneva di essere... l'aveva osservato in segreto, mentre sfilava da una lunga catenella l'anello con le insegne di Tel Vos per firmare una lettera. E aveva esaminato il suo bastone argentato, che somigliava in tutto e per tutto a quelli che, di consuetudine, i ministri Telvanni donavano ai loro protetti.

“E dimmi, come procede la vita?”

“Cosa vuoi che cambi? Finché Therana sarà a capo di Tel Branora, continueremo a lavorare per noi stessi evitando di immischiarci nei suoi affari. Una maga, lì fuori, s'è messa in testa di spodestarla definitivamente... ma non credo che accadrà. Ha una taglia sulla testa e presto il capo delle guardie, Mollimo, farà leva sulla cupidigia del primo avventuriero disponibile per liberarsi del sassolino nella scarpa. Purtroppo, non tutti gli avamposti Telvanni sono come Tel Vos... invidio la vostra guida, almeno fa qualcosa di concreto per la popolazione.”

“Sai, potresti abbandonare quest'isola e venire con me, che ne pensi?” Aveva riflettuto su come porle quella domanda, ma trapelò dalla mente come un'osservazione innocua.

“Galos, ho la mia casa qui... e un piccolo smercio di pozioni. Il mio passato è legato a questo luogo, sebbene il futuro non sia roseo. Lo faccio per me stessa, e per mantenere vivo il ricordo di mia sorella, suo marito... e dei miei genitori. Prego sulle loro tombe e spero che mi preservino. E poi c'è Perla: non sembra, ma mi dà tanto da fare. Per me rimane sempre la bambina da accudire e coccolare, nonostante sia ormai adulta. Finché non la saprò al sicuro, tra le braccia di un uomo o presa da un'occupazione che la rende felice, la terrò d'occhio. Ero solo un'adolescente, ma le ho fatto quasi da madre, sai? Credo che sia questo il problema, non accetto di separarmi da lei.”

“Ma adesso puoi vivere per te stessa, mia cara. Non per me... ammesso che la mia compagnia ti faccia sentire libera.”

“Io con te sono libera, Galos. Anzi, di più... mi sento speciale.”

Adrusa seppellì la testa nel solido petto del compagno, per nascondere il volto in fiamme per quel proposito audace. Era sempre stata presa dal lavoro, dai doveri imposti dalla tradizione... e mai aveva desiderato con forza di condividere una parte di sé con un uomo. Ah, Galos. Le aveva strappato il cuore e se n'era appropriato, avvinghiata dal violento richiamo della sua solerzia.

“Sarai stanco,” disse, e l'altro represse un sospiro. “lascia che ti offra qualcosa da bere.”

“Ho promesso a me stesso di smettere, prima o poi. Ma se insisti... sai bene che non posso rifiutare.”

Svitò il tappo da un piccolo otre in pelle di netch e riempì a metà un bicchiere di vetro.

“Bagna la lingua, sono molti gli aneddoti che dovrai raccontarmi. A proposito, che n'è stato di quell'assistente di cui mi hai accennato? Alla fine Aryon l'ha preso a servizio?”

“Ah.” Galos portò di nuovo la mano sul vetro soffiato, sicuro che un sorso di skein l'avrebbe aiutato a sciogliere il nodo alla gola. “No, purtroppo. Vedi... ho commesso un gravissimo errore, non ho proprio scusanti. Il ministro è stato parecchio reticente sulla questione, ma a quanto sembra ha un'idea chiara sull'identità del mandante. Ebbene, il mago era una spia... un ragazzo così giovane, posto sulla via della corruzione da uno stregone privo di scrupoli...”

“Non sai quanto io sia stata fortunata a trovare una guida come Seryne Relas... mi ha istruito in tutto ciò che so, richiedendo in cambio qualche visita per tenerle compagnia. Non ha mai accettato di entrare in politica, perché temeva che lo studio della magia diventasse esclusivamente uno strumento volto al perseguimento dei propri fini. Quando ero giovane, anch'io desideravo la popolarità, ma mi sono ricreduta ben presto. Tuttavia... ho spronato Perla ad entrare nei Telvanni, convinta che se la sarebbe cavata. Invece, è rimasta invischiata in un guaio più grosso di lei. Adesso non vuole più saperne, trascorre le giornate aiutandomi con gli ingredienti delle pozioni e fermentando erbe. Vedi, anch'io mi addosso la colpa di ciò che le ho procurato, e non ho il coraggio di consigliarle altrimenti. È l'affetto che nutre nei miei confronti che l'ha danneggiata... perché ha solo me ed io sono ciò che l'è rimasto della sua famiglia. Non sei l'unico, come puoi ben notare.”

“Mi capita di scorgerla di rado, quando sono in giro. E di', non è che per caso mi odia e io lo ignoro?”

“Perché mai dovrebbe? Secondo me... è imbarazzata. Fa di tutto per lasciarci da soli e non vuole disturbarci. Ma adesso è a caccia di piume di volatili delle scarpate. Tornerà al più presto, vedrai.”

“Mm... non me la figuro a farsi beccare da uno stormo di rumorosi uccellacci!” Rise Galos, mentre Adrusa prendeva posto accanto a lui sulla panca.

“Be', diciamo che lei fa come loro: vola in alto!”

“Pe... Perla sa levitare?” Le domandò, mentre gli balenava nel cervello un piano alquanto astruso...

“Certo! D'altro canto, come farebbe a stanare quelle perfide bestie dai nidi, sulle cime degli scogli? Seryne non ha trascurato la sua educazione, le ha insegnato un po' di questo e di quello: conosce le principali magie d'Alterazione, mastica qualche attacco elementale; ma è la più astratta delle discipline ad affascinarla. Secondo te, chi era a nascondere le scarpe a tua insaputa, a rubarti il cibo dal piatto e a far fluttuare i libri per la stanza? Per la barba di Sheogorath, quando ci si mette combina più scherzi di un bosmer. Sì, forse è al dio della pazzia che s'è consacrata!”

“Ah, buono a sapersi!” Esclamò il mago, vuotando il bicchiere e d'umore troppo risollevato per porre freno alla sete di liquore.

“Cosa? Ti fa piacere che mia nipote sia mezza matta?”

“Ma no, cara!” Sorrise, arrotolando una ciocca dei suoi capelli neri e lucidi attorno al dito. “Che sappia levitare. Per un mago che si possa definire tale è un requisito a dir poco fondamentale.”

 

Fissò gli occhi al cielo, verso le cime aguzze degli alti faraglioni di pietra che costeggiavano l'isola: era lì che gli uccelli maledetti avevano stabilito il loro covo, una postazione privilegiata per pescare ed assalire gli ignari naviganti.

Durante una tediosa lezione di storia, Seryne Relas le aveva raccontato che il Mundus è una creazione degli dei, e come tale è perfetta. Eppure, Perla non sopportava che creature ignobili ed infide come i volatili delle scarpate si avventassero con cattiveria contro ogni forma vivente che avesse gambe e zampe per camminare. Già, qualcosa non aveva funzionato nei piani delle divinità.

Esseri abietti, pensò, avvicinandosi alla battigia carica di risentimento.

Perlomeno, le piume sono utili per le pozioni di levitazione! In quel momento contraddisse se stessa: in qualche modo, le orride bestiacce arrecavano realmente dei benefici alla specie umana e mer... ma solo da morte.

Ignorò le questioni metafisiche e spiccò il volo, dirigendosi verso la tana dei predatori.

La reazione delle belve non si fece attendere: appena fu in linea d'aria con la cima più bassa degli scogli, delle ali enormi si spiegarono al vento e un canto sgraziato salutò il suo arrivo.

“Sì, bravi! Risparmiatemi il viaggio, venite giù... venite da me!” Esclamò, lanciando sfere di fuoco verso lo stormo, fermo sopra la sua testa.

“Tu, padre! Non vedrai crescere tuo figlio!” Chissà dove aveva letto quella frase d'effetto, forse in qualche racconto delle passate ere sull'epopea Velothi. Due fra gli aggressori più grossi stramazzarono rumorosamente sulla sabbia; mentre quattro figure più piccole, di sicuro le femmine e i loro piccoli, vorticavano a spirale in attesa di un passo falso.

“E voi, figli! Non vivrete a lungo per seppellire i vostri genitori e piangere al loro capezzale!” La maestra Relas l'avrebbe senz'altro biasimata, se fosse stata spettatrice di una scena così ridicola.

Scomodare gli eroi per combattere i cliff racer. Assurdo!

Quando anche gli altri finirono al suolo, Perla scese in picchiata verso la riva e si chinò in basso, per strapparne le piume dalle ali e riporle in un fagotto di canapa.

“Pensa se fossi stato vivo. Che male, che male al sedere!” Rideva, compiendo l'ingrato compito, atteggiandosi in un'esternazione di finto compatimento.

“Allora, ho il marshmerrow, ho il riso salato, ho le piume... ho tutto.”

Ripassò a mente il promemoria, sperando che non si fosse dimenticata nulla, e riprese il viaggio verso casa; felice di aver portato a compimento i doveri della giornata. Mentre varcava il portale di Tel Branora le arrivò alle nari il prelibato sentore di patate delle ceneri e spezzatino di alit, condito dal fetore endemico di uova kwama andate a male. Pur di pernottare nella taverna più rinomata della costa di Azura, ovviamente dopo quelle della capitale Telvanni, i viaggiatori di turno erano disposti ad ignorare le stranezze della città, che in qualche modo la rendevano uno dei luoghi più insoliti dell'intera Vvanderfell.

Camminò a passo svelto sul lungo corridoio rialzato, fino a raggiungere la porta di casa. Era tornata prima del solito, e sicuramente la zia ne avrebbe gioito.

Spalancò la porta senza bussare, per poi appendere il fagotto ad un gancio di ferro inchiodato accanto ad un arazzo sbiadito.

“Sono a casa!” Esclamò, convinta di trovare sua zia al lavoro dietro alambicchi, storte e forni. Invece, era seduta accanto al suo amico, quel signore sconosciuto che avevano trascinato in casa circa un anno prima per salvarlo da morte certa. Galos, si chiamava: un elfo di una certa età, sicuramente più anziano della zia, ma non tanto da sfigurare in sua presenza. La prima impressione si dimostrò ingannevole: era piuttosto malconcio, per non dire con le ossa quasi rotte, sporco e delirante. Era stata la sua tutrice a metterlo in sesto, purificando la pelle da sangue e terra.

Allorché si riebbe, ebbe modo di rivederlo nel suo abbigliamento quotidiano da gran signore della nobiltà Telvanni. Prima che il bellimbusto svelasse la propria identità, la tediavano alquanto quelle occhiate furtive riservate alla zia: giaceva a letto, perdinci, ma non tralasciava nessun dettaglio della sua figura snella. Be', anche lui non era male, in tutta franchezza: un paio di occhi chiari e vivaci miravano l'elfa amata con sincerità e desiderio. I capelli, corti e castani, erano pettinati alla moda utilizzando una specie di sostanza brillante che li teneva in posa per l'intera giornata. Che elegantone.

Inoltre, il volto pulito, solcato da leggere rughe d'espressione ai lati della bocca e sulla fronte, culminava in un naso regolare e veniva valorizzato dalla linea delle labbra sottile e decisa. La zia diceva sempre che l'onore di un dunmer, e non l'aspetto, lo rendevano meritevole di fiducia: non negava, però, che il forestiero le avesse fatto breccia nel cuore anche grazie a quel profilo sfuggente.

Aveva reclinato la testa sulle sue spalle e appariva rilassata, a proprio agio: Galos le stringeva una mano, ma entrambi si voltarono verso di lei, forse aveva interrotto qualcosa...

“Ah, Sera! Non sapevo che foste qui. Siete sempre il benvenuto a casa Andrasi.”

“E io non intendo alterare le tue abitudini quotidiane, cara Perla. Siediti, è da tanto che non ci vediamo.”

Si comportava come se fosse un membro della famiglia... non le dispiaceva, in fin dei conti, ma prima o poi ci avrebbe fatto il callo... un elfo sotto lo stesso tetto, dopo anni di reciproco sostegno tra donne. Ricordava con vaghezza la presenza del padre e del nonno, come un sogno lontano, perso tra le pagine ingiallite di un vecchio diario.

E poi questo mago, che amava la zia e avrebbe garantito loro agiatezza e stabilità. Non era affatto il tipo da pensare ai pregi di una relazione vantaggiosa, eppure si sentiva quantomeno risollevata.

Si accomodò al lato opposto e sorrise impacciata: doveva avere un aspetto terribile, le ciocche dei capelli che zampillavano dalla crocchia, i pantaloni di cuoio incrostati di fango. Galos continuò a fissarla con interesse, come se fosse stata una specie animale in via d'estinzione.

“Magari sono stato precipitoso nel farti notare che potrei provocarti disturbo, cara. Tuttavia ci si incontra di rado, e spero che non hai nulla in contrario alle mie visite.”

“Ci... ci mancherebbe altro!” Balbettò, colta alla sprovvista.

“Ho raccontato a Galos che vai a caccia di volatili delle scarpate, e si è mostrato molto attento alle tue escursioni. Gradirebbe farti da guida, l'indomani, per assisterti e consigliarti nella raccolta degli ingredienti. Sono sicura che ti farebbe piacere!”

Già... come se fosse possibile rifiutare con leggerezza la richiesta di chi l'aveva trattata come una figlia! Si era fatta piccola piccola quando la maestra Relas le aveva dato della stupida zuccona, riguardo delle questioni che non aveva minimamente considerato.

Giri sempre attorno a tua zia, persino adesso che è in compagnia di quel dunmer. In che modo devo spiegarti che, quando stanno insieme, gli amanti desiderano rimaner soli? Evita di tornare a casa la sera, se è vostro ospite... di' ad Adrusa che le lezioni dureranno fino a notte inoltrata e che dormirai qui. O inventa qualsiasi scusa. Non chiedermi approfondimenti.

Immaginava che si trattasse di... quella cosa, che accadeva all'improvviso, almeno nei romanzi. Eppure, non ne sapeva molto: ciò che le interessava era stare lontana il più possibile dalla coppia felice, ignorando del tutto le dinamiche private.

“Ne... ne sarei immensamente lieta, Sera.” Rispose, ricordando che le avevano insegnato anche le buone maniere.

“Ah, perfetto. Alzati presto, domattina, e aspettami fuori la porta di casa. Non credo che la maestra avrà problemi a lasciarti andare, né Adrusa a fare lo stesso con me.”

Se n'è accorto, sbuffò Perla, portando una mano alle lunghe orecchie. Telvanni... Benché non tutti fossero dei pazzi misantropi alla stregua di Therana, ve n'erano molti che adombravano il carattere subdolo dietro una rassicurante cortesia di facciata. Per i suoi gusti, Galos era fin troppo perspicace, soprattutto se aveva capito in che punto cesellare un metallo malleabile, per modellarlo a proprio piacimento.

Si insospettì: che interesse aveva nel farle da segugio mentre si aggirava per l'isola? Si tormentava le dita nell'inutile tentativo di affermare qualcosa di intelligente, o di porgere una domanda riguardo a... cosa? L'andamento delle ricerche? La salute del ministro? O quando avrebbe avuto intenzione di trasferirsi... no, meglio non accennare alla relazione con la zia. Sebbene la maestra si fosse impegnata nell'istruirla nell'arte della conversazione, sulle domande personali, e quindi vietate, e quelle concesse ma ritenute troppo frivole; l'unica impressione che ne aveva ricavato era una gran confusione. Nel dubbio, pronunciò la prima frase che reputò opportuna.

“Mi auguro che il tempo sia bello! Spero che vi farà piacere osservarmi durante la raccolta di fiori ed ingredienti, ed insegnarmi qualcosa di nuovo. A lungo andare, la vita a Tel Branora può apparire noiosa, perciò...”

Galos aggrottò la fronte, poi comprese appieno la situazione.

“Mi spiazzi con la tua cortesia, Perla. Perdona la sfrontatezza, piuttosto, ma gradirei conoscere quali incantesimi padroneggi e quanto tempo la tua insegnante ha dedicato alla tua istruzione.”

“Le ho parlato di Seryne, cara.” Lo interruppe Adrusa, ma gli lanciò al contempo uno sguardo sconcertato, allarmata da un presentimento.

“La maestra sostiene che prima o poi qualcuno dovrà prendere il suo posto,” spiegò l'elfa. “quindi ha rivelato a me e alla zia ciò che sa in materia di Alterazione, Misticismo e Distruzione. Ha detto anche... che voi Telvanni non avrete nulla in contrario, casomai entrassi nel giro. Basta che la concorrenza sia leale; o meglio, che i prezzi siano a vostro favore.”

“Perla!” Adrusa avvampò, ma Galos non batté ciglio, anzi sorrise divertito.

“Oh, scusatemi! Comunque... sminuzzo erbe e raccolgo fiori da quando ero bambina. Ho cominciato ad affinare la mira con gli incantesimi a lungo raggio non appena adolescente, e... ho scelto di concentrarmi sugli arcani del Misticismo più o meno nello stesso periodo.”

“Hai letto il libro di Tetronius Lor?”

“Sì... ma gli inizi lasciavo parecchio a desiderare. Mi esercitavo spostando oggetti da un luogo all'altro, scovando la chiave della dispensa di dolci e materializzandomi all'improvviso per spaventare i clienti della maestra...”

“E scommetto che ti divertivi anche a nascondere le scarpe a tua zia. Dico bene?”

“Eh, sì.” Portò la mano del cuore ai lati della tempia ed essa scivolò fin sotto al mento, ritrosa. “Ma questo tanto tempo fa.”

“Immagino.”

Certo, trastulli infantili... Eppure, non aveva esitato a punirlo con scherzi della peggior risma per qualche innocuo segno d'apprezzamento nei confronti della zia. Bugiarda.

L'elfa fiutò il pericolo e finse un atteggiamento noncurante, sebbene avesse intuito a chi fosse riferita la precedente osservazione.

“Conosci il metodo per intrappolare l'anima di un essere vivente?” Non pretendeva che avesse la competenza di un esperto incantatore, ma gli bastava che fosse in grado di riempire le gemme: Aryon ne avrebbe tratto enorme giovamento, portando avanti gli esperimenti senza interruzioni.

Mostrava un carattere atipico per un mistico, e al contempo ne possedeva le caratteristiche peculiari: giocava con la fisicità del Mundus, si beffava delle leggi fisiche e sottometteva la realtà al proprio volere. Dietro la presunta bonarietà, però, vi era agitazione... per via del passato, magari. O di un futuro indecifrabile, di cui non riusciva a divenire l'artefice.

Indipendente, e altresì mite e legata al destino: Aryon avrebbe apprezzato, pizzicando le corde giuste non avrebbe faticato a farne un'ottima seguace. Un'elfa gli avrebbe allietato le giornate, rinfrancandolo con le sue movenze delicate e la voce ovattata: sebbene la nipote di Adrusa non avesse il rispetto esoterico dell'etichetta tipico delle signore Telvanni, avrebbe recuperato anni di negligenza in poche lezioni. D'altronde, sarebbe stato comunque un guadagno.

Si acquattò sul tavolo, reclinando la testa sul dorso della mano, e fissò il bordo della tenda ondeggiare, cullata da un lieve spiffero; poi gli rivolse la parola.

“Vendere gemme dell'anima fa parte del nostro sostentamento. Quindi, l'ho fatto perché serviva.”

“E riguardo le formule d'Illusione?”

“Qualcuna per illuminare le caverne, per perforare le tenebre.”

“Non è un problema, rimedieremo quando sarà possibile.”

“Galos, Perla ha già Seryne Relas che le insegna magia, ed è felice così.”

“È felice perché non può aspirare al meglio... perché è costretta ad accontentarsi. E a causa di una pessima guida, ha rinunciato ad una carriera nel casato Telvanni. E io non sono disposto a lasciare che...”

“Ne parleremo più tardi, io e te, da soli.”

La ragazza si fece indietro sulla sedia, e sfuggì a quella sorta d'inquisizione ritirandosi all'angolo del camino, accanto all'attizzatoio e alla spatola sporca di fuliggine. Una fiamma debole, sul punto di spegnersi... un'immagine calzante, rispecchiava la sua vita in quel momento, l'entusiasmo innocente di un apprendista sprofondato sotto un cumulo di terra brulla ed arida.

“Zia, ti preoccupi inutilmente, se pensi che io consideri di rischiare la vita, la reputazione... per il capriccio di un nobile. Resterò qui con te, perché la famiglia conta più d'ogni altra cosa.”

“Magari è ciò che pensa anche chi critichi senza conoscere. Provaci, Perla. Concediti almeno una possibilità.”

Una possibilità... come se fosse l'ultima cosa al mondo.

“Io... devo andare.”

Rimpianse la decisione subito dopo, ma era meglio troncare sul nascere qualsiasi illusione. Specie quelle nei confronti di se stessa. L'esperienza uccide l'entusiasmo, attraverso il confronto con l'amara realtà.

“Ti aspetterò davanti la porta. Semmai ci ripensassi, non precluderti la strada a priori. Si prenderà cura di te... è una brava persona.”

Finse di non ascoltare, e proseguì oltre.

Il tempo dei sogni e quello della fanciullezza era finito.



Ho promesso che avrei aggiornato prima di Natale. Ecco qui il capitolo, per tutti quelli che vorranno leggere.
Dopo una ventina di pagine, frammentate in quattro parti differenti... vi presento Perla, la protagonista di questa storia. Un nome particolare e non molto dunmer, questo è vero. Però, se la zia usa lo stesso soprannome che le hanno dato i suoi genitori, è per un motivo specifico. Nel corso della storia fornirò degli indizi, nel frattempo divertitevi ad immaginare perché. :)
Abitando in paese si diverte con poco... e ha un modo di fare abbastanza strampalato, che la metterà nei guai o le creerà un'infinità di equivoci. Ovviamente, imparerà a confrontarsi con tutti i problemi che derivano dall'essere un'apprendista Telvanni, lasciandosi alle spalle parte del buonumore che la caratterizza.
Spero solo di riuscire a descrivere bene i personaggi e a narrare al meglio la storia: vado un po' a rilento, nell'esigenza di variare situazioni, emozioni, dialoghi... non è sempre facile.
E ancora... buon Natale e buone feste! :)

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Capitolo 6
*** Un consulto prezioso (ultima parte) ***


La discussione iniziò quando Perla serrò la porta alle sue spalle, scossa per via dell'offerta che aveva osato rivolgerle. Era come gettar sale su una ferita ancora aperta: cosa le avevano fatto, per minare a tal punto la sua autostima? Adrusa non accennò alla vicenda, giacché ella stessa non ebbe l'ardire di interrogare la nipote riguardo le sue disavventure, quando tornò a casa dopo lunghi mesi d'assenza.

Aveva parlato di reputazione... magari, Therana le aveva affidato una missione ai limiti dell'impossibile? Poteva essere un'ipotesi.

L'elfa si comportò esattamente come aveva previsto: difese la nipote a spada tratta, addusse giustificazioni su giustificazioni per trattenerla accanto a sé, volle sapere perché insisteva tanto nel portargliela via.

“Non ti sto ricattando,” la rassicurò, seguendola avanti e indietro mentre consumava il pavimento ruvido della camera da letto come un'ossessa. “ma se vuoi che io viva con te... e costruire una famiglia, permetti che vada a servizio presso il Ministro. Passeranno altri mesi, dovrò scegliere e formare un nuovo sostituto, ingraziarmi gli dei e sperare che non vi siano guai. Mi fido ciecamente di Perla, dubito che troverò qualcuno più adatto al ruolo. Siamo un'orda di egoisti, dopotutto... separarci dalle persone amate è penoso. Entrambe, però, avete sacrificato le vostre aspirazioni per il bene comune: disponete di un'occasione per risolvere dilemmi annosi, per poi affermare 'È colpa di Galos, lui me l'ha proposto'. Né tu né lei siete coscienti di ciò che desiderate realmente.”

La guaritrice portò una mano alla fronte, crollando seduta a letto assieme ai suoi sensi di colpa. Possedeva il dono innato di saper interpretare l'animo, di leggere gli astri e rivelarne i segni attraverso le parole d'un oroscopo. Perla era una figlia per lei... ma amava Galos. Desiderava Galos.

Un solo anno con lui aveva riscattato il rimpianto di una fanciullezza sfiorita anzitempo.

Socchiuse le labbra, due petali rossi, vivaci fiori di felce nelle terre cineree.

“Mi tenti. Mi stai tentando... Il cielo sa da quanti anni lo desidero! Sì, sei nel giusto... non posso continuare ad attendere in eterno. E neanche rinunciare a mia nipote: promettilo. Prometti che starà bene, che si preserverà in salute. Oppure, otterrò rivalsa su questo Aryon. Promettimi che non la manderà a morire.”

“Non succederà mai.”

La fissità di quegli occhi chiari le provocò un brivido lungo la schiena, mentre i contorni del suo volto si spegnevano, si perdevano, nel pallido riverbero di un bagliore crepuscolare.

Tu hai un debito. Era legato a lei, a lei doveva la sua sopravvivenza. Fu la certezza che la sostenne, mentre le cingeva il petto ed assaporava la sua pelle, chino su di lei.

 

Una tiepida pioggerella bagnava l'alba del sud, da lontano il richiamo delle onde era vivo come non mai.

Fedele a quanto detto e in tenuta da viaggio, Galos imbracciò il bastone d'argento, in attesa che Perla si palesasse da un momento all'altro. Alcune guardie Telvanni, in lontananza, si congedavano a vicenda scambiandosi un saluto, dopo una lunga veglia notturna. Si sfilarono gli elmi di cefalopode, e risero con allegria avviandosi come vecchi compagni d'accademia verso la torre.

Lungo la piattaforma che conduceva ad ovest, una figura bardata di un mantello oleato e leggermente intirizzita avanzava verso di lui, con l'andatura ondeggiante di uno spettro in pena nella tomba di famiglia.

“Alla fine sei venuta. Ti ringrazio per la considerazione.”

Perla mormorò un veloce saluto, stringendosi ancor di più nel mantello e tremando per il freddo.

“Non ti sei coperta abbastanza? Capisco, hai i tuoi indumenti a casa. Se vuoi, puoi recuperare qualcosa...”

“Va bene così, Sera. Mi riscalderò camminando lungo la strada.”

Intendeva proseguire, creandogli il minor fastidio possibile... piccola orgogliosa. Sotto il cappuccio logoro della palandrana intravedeva un volto dalle guance piene e arrotondato, delle labbra morbide e un po' sporgenti. Nonostante avesse dei lineamenti delicati, non somigliava affatto a sua zia: Adrusa aveva un fisico snello, un portamento intrigante; spesso esaltava il punto vita sottolineandolo con cinture di metallo o abiti di velluto che aderivano al suo corpo longilineo. Perla, invece, indossava sempre i pantaloni e una camicia dalla foggia stravagante, non diversamente dai giovani stregoni Telvanni che popolavano Tel Branora.

Varcarono il portale verso la costa, allontanandosi dalla città fino a raggiungere la riva del mare. L'elfa alzò il mento in su, alla ricerca di volatili delle scarpate che nidificavano lungo le colonne di massi acuminati e gli scogli che spuntavano anch'essi come funghi lungo il perimetro dell'isola.

“Forse qui.” Si addentrò tra le canne di marshmerrow calpestando pozzanghere d'acqua e sabbia, fino ad incrociare un sentiero di terra battuta lungo il crinale di una scarpata, culminante in un alto strapiombo. Dalla ripida sommità, Galos puntò l'occhio verso le terre a nord, oltre i flutti che s'infiltravano tra le insenature rocciose.

“Laggiù, vedete? Quegli spuntoni in mezzo alle acque, coperti da foglie secche e sterpi. È lì che spesso tornano a rifugiarsi.”

“Sembra lontano da qui, cerca di stare attenta.”

“Ordinaria amministrazione. Se accadesse qualcosa, però, sono in buone mani.”

Coprì volando la distanza tra i nidi e la rupe, avvicinandosi a poco a poco, per non attirare l'attenzione dei volatili. E come di consueto, le creature si levarono in aria, stridendo con poca grazia mentre attaccavano in gruppo.

“Solita storia, eh? Non avete capito che con me non funziona?” Dardi infuocati turbinavano verso le belve volanti, alcuni schivavano i colpi, altri piombavano in mare esanimi. Erano troppi e l'effetto dell'incantesimo di levitazione stava svanendo.

Rimanevano solo due cliff racer, decisi ad avere la meglio su di lei: lanciò l'ultima sfera di fuoco, poi sentì il cuore in gola ed il vento scuoterle le vesti, mentre la gravità l'attirava verso il basso.

“No!” Urlò, mentre Galos da lontano reprimeva lo sgomento... ma tornò in volo, finendo le bestie con una tempesta di fulmini. Ne acchiappò uno, trascinandolo per il collo fin su la scogliera.

Un lavoro pulito, nulla da ridire. Tuttavia, lo stregone intendeva mettere alla prova le abilità della ragazza con un avversario più forte.

“Te la cavi con le magie a lungo raggio,” Si complimentò con lei, ma dal tono della voce lasciò intendere che non era abbastanza. “però, vorrei vederti in azione contro un kagouti.”

“Non so cosa farci della carne di quei mastini. Non doveva essere un'escursione in due?”

“Lo era. Ti sto sottoponendo ad un esame, se non te ne sei accorta.”

L'elfa lo fisso a bocca aperta, spiazzata dalla sua ostinazione.

“Ho già detto che non sono d'accordo. Preferisco non avere più nulla di che spartire coi Telvanni, credevo che voi foste l'eccezione che conferma la regola. Ebbene, mi sono ricreduta. State dettando le regole del gioco... che intenzioni avete?”

“I miei propositi sono alquanto limpidi.”

“Vi sbagliate, c'è qualcosa che non so. Cosa volete da me? Chi è questo Aryon? Parlatemi di lui. Voglio sapere perché devo essere io e non un altro.”

“Perla...” Si adagiò su una roccia, che gli avrebbe fatto momentaneamente da seggio. Aveva bisogno di rilassarsi, per affrontare una lunga battaglia verbale. “Su che piano la devo mettere? Convenienza? Sentimento? Affidabilità? Va bene, sarò diretto. Per vivere accanto a tua zia, qualcuno dovrà subentrare al mio posto. E nel momento in cui andrò via... Aryon avrà perso l'unico alleato su cui contare. Gli voglio garantire stabilità, perciò la mia scelta è ricaduta su di te. Credo... che abbia bisogno di un'elfa.”

“Cosa?”

“No, non fraintendermi! Dico... una presenza femminile, una sorta di rassicurazione. Il ministro non è un debole; ha una mente brillante, belle maniere e un animo gentile. Purtroppo, in questo momento i contrasti con gli altri consiglieri si sono acuiti, e temo per lui. Pensa, saresti una ventata di freschezza nelle sue giornate monotone. Potresti conversare, intrattenerlo mentre gli prepari il tè, leggergli qualche libro.”

“Avete così poca stima di lui da, da... propinargli una dama di compagnia?”

“Oh, no. È il lavoro che gli interessa, e tu potresti assicurarti un futuro. Ciò che non dici parla per te... tu vuoi lasciare quest'isola. Provi odio per questo luogo. Ti sei unita ai Telvanni per vedere il mondo... per questo hai accettato quella missione che ti ha affidato Therana. Solo che è andata male.”

“Co... come fate?” Non si era confidata né con sua zia, né con la maestra Relas. Forse sapeva?

“Non preoccuparti, non istigherò Adrusa ad estorcerti una confessione. Però, se ci tieni alla sua felicità, permetti che io viva accanto a lei. Provvederò ai suoi bisogni e ti sostituirò nella caccia ai cliff racer, garantito.”

“Se accetto, però... insegnatemi ad essere convincente.”

“Ne avremo il tempo, prima però dovrai superare l'altra prova. Non avevo detto che dovrai affrontare un kagouti?”

Ridiscesero il sentiero per raggiungere la riva, affondando i piedi nella sabbia fine e dorata, per poi lasciare che le onde li sospingessero verso un isolotto ad est. Un lembo di terra emersa dove la vegetazione faticava ad attecchire, disseminato di sassi, conchiglie e scaglie rigurgitate dal mare: in quei luoghi dimenticati dalle divinità, banditi, assassini e stregoni scriteriati accumulavano tesori su tesori; o rinunciavano ad ogni freno inibitorio per dilettarsi in torbidi supplizi, nell'umida oscurità di caverne naturali. Galos non era un codardo, ma evitava quei luoghi quando poteva farne a meno... gli erano bastati il negromante di Mawia e il suo farneticare convulso e farfugliante di fronte alla spada, l'arma che aveva reciso il labile filamento della sua lucidità.

Dietro un ammasso di rovi, una bestia si affliggeva nel suo spazio angusto: il recalcitrante kagouti schiumava rabbia, oppressione. Braccato dalla mancanza di cibo, obbligato a difendere la sua parte di territorio contro avversari altrettanto motivati.

Avrebbe attaccato a vista chiunque si fosse avvicinato. In condizioni simili, umani e Mer non si sarebbero comportati diversamente.

“È lui la tua preda. Avvicinati, coglilo di sorpresa. Niente incantesimi scagliati da lontano.”

Perla piegò le gambe in avanti e si acquattò dietro agli sterpi, finché questi le avessero offerto protezione. Badava a non smuovere pietruzze, a guardare dove metteva i piedi per non calpestare rami secchi, ma ben presto si ritrovò scoperta.

L'enorme ammasso di muscoli e zanne fiutò l'odore, avvertì la sua presenza affinando l'udito: le si avventò contro, turbini di fuoco e ghiaccio le erano vietati.

Si gettò a destra, evitando la prima, violenta carica. Il kagouti divelse il cespuglio alle sue spalle, e ritornò a puntarla quando riprese a correre, alla ricerca di una posizione decente per colpire.

Rotolando e saltando, mentre la fiera le sputacchiava addosso bava muschiata.

“Le gambe, Perla, le gambe!” Si spostò a destra e sinistra, arretrando quel tanto che bastava per evitarne le testate. Sbagliò i calcoli, terminando la corsa contro una parete rocciosa.

Avvertì una zanna affondarle nel braccio destro, per un attimo perse la lucidità e lasciò che la tramortisse ancora. Aveva sete... sete. E fu il proprio sangue ad irrorarle la gola.

“Rialzati, diamine!” Galos sarebbe giunto. Galos... era un esame. Del tutto inutile.

E trovò la forza per rialzarsi, affondando una stalattite nel petto della creatura che l'aveva sovrastata fino ad un attimo prima. Il kagouti mugolò di dolore, vibrando su se stesso come una libellula impazzita, a cui avevano mozzato le ali.

Cos'è più affilato? Il tuo dente, o questi strali di ghiaccio? Soffri. Voglio vederti soffrire.

Una vescica di liquido rosso esplose su quella pelle striata, vittima del proprio istinto animale. Perla si rialzò, stringendo le maniche della camicia per arginare la ferita.

“Ben fatto, ah. Ben fatto, carissima.” Le mani dello stregone irradiavano una luce calda e pura, bianco candore lunare. A ritmo accelerato, il sangue coagulò e un nuovo strato epiteliale emerse in superficie.

“Non pensavo che sarebbe stato così... sporco.” Commentò l'elfa, l'altro sorrise.

“Mi dispiace solo che non sia ancora finita. Prima di ritornare a Tel Branora, dovrai batterti contro un avversario di reale entità. Una sorta di iniziazione, che dimostrerà quanto sei adatta ad affiancare il ministro.”

“Non ci sono santuari daedrici a Tel Branora. Il più vicino è Bal Fell, ed è a leghe da qui.”

“Io non ho detto che proverai te stessa contro gli abitanti di Oblivion, Perla.” Continuò, articolando sillabe acute ed insidiose. “Rifletti su ciò che ho detto. Qualcuno di reale entità... cosa ti viene in mente?”

Sollevò il petto e trattenne il respiro, nell'incapacità di esprimere le sue impressioni.

“Già, proprio quello che pensi. Il tuo antagonista, stavolta, sono io.”

 

“Non ha senso.”

Recuperò il mantello, incagliato tra le spine dei rovi e ormai tutto inzaccherato. Il passato tornò alla luce, col suo bagaglio di colpe e pretenziose scuse. Aveva ucciso per legittima difesa, perché non poteva farne a meno. E aveva pagato: a trarla fuori dalle prigioni di Cheydinhal non fu la mediazione Telvanni, bensì uno speciale salvacondotto imperiale. Ancora non capiva perché una persona come lei destasse tanto interessamento.

Ne era uscita viva. Aveva rimesso piede a Vvanderfell dopo un travagliato viaggio di ritorno, e le bastava. Non avrebbe più utilizzato la magia contro qualsiasi esponente delle razze tamrieliche, umano o mer che fosse.

E mai avrebbe osato alzare la mano contro i propri cari.

“Ha senso, invece. Ha senso perché non affronterai i contendenti nell'arena di Vivec, per l'onore e la vittoria, ma per far rispettare il volere del tuo signore. Preparati a tutto: saranno i tuoi amici, saranno i tuoi parenti. E un ministro Telvanni esige obbedienza assoluta... una fedeltà che va oltre i principi morali. Alcuni tra essi sono negromanti. Per altri, la vita di un servo non ha alcun prezzo. Aryon non ti darà filo da torcere, ma... io credo che tu possa farcela. A superare quest'ultimo blocco mentale.”

“Non vi attaccherò, siete... mio amico.”

“Sono contento di sentirtelo dire, ma non è il momento.”

Perla strinse i pugni, tremando come una foglia. Aveva voglia di piangere, di scappare via.

“Pensa... pensa che io sia la persona che più odi.”

La prima vittima, il dunmer che si era professato suo alleato in terra imperiale. Colui che l'aveva denunciata alle autorità, per ottenere l'unico lascito dei suoi genitori naturali.

Un anello con un sigillo poco familiare, nulla che avesse importanza a Vvanderfell.

Mancò l'occasione giusta, per inquisire, per sapere.

“Sto aspettando.”

Rivisse lo sdegno, la bramosia famelica delle sue infiammate profferte. L'umiliazione del rifiuto, i propositi di vendetta.

E colpì.

Galos schivò un fendente maldestro, ostentando destrezza. Senza che lei se ne fosse accorta le fu alle spalle, e la immobilizzò con un incantesimo di paralisi.

“Difetti in convinzione, Perla. Non vuoi danneggiarmi seriamente. E dei tanti trucchi che conosco, questo è uno dei più banali. Rialzati e combatti!”

Si tirò su, appoggiando le mani a terra per assicurarsi che gli arti la sostenessero. Fuoco e veleno si propagavano per l'etere, ma lo stregone continuava a materializzarsi da un punto all'altro, sfuggendo agli elementi.

“Che spreco di magicka, ragazza. Utilizzi contro di me tecniche da caccia alla selvaggina, mi dovrei sentire offeso?”

Riapparve di nuovo alle sue spalle e la bloccò per i polsi: le membra si irrigidirono, acquisendo la consistenza della pietra. Il mago la lasciò andare, ma nulla era cambiato... non riusciva a muovere neanche un passo.

“Anche questo è un trucchetto da quattro soldi. Avanti, sembra quasi che mi prendi in giro.”

Incanalò le energie al massimo, per liberarsi del fardello spirituale tramite un incantesimo di agilità. Non un rimedio perfetto, ma riusciva a muoversi quel tanto che le occorreva per riprendere la lotta.

Ti risucchierò le energie, allora. Ti farò passare la voglia di essere così spiritoso.

Arrancò verso di lui, circuendolo mentre cambiava posizione di continuo: all'inizio Galos non si fece ingannare, ma alla lunga cominciò a stancarsi. Perla lo aggredì di fianco drenandogli le forze, ma stando ben attenta a non intaccare le funzioni vitali.

“Ah, cominci a capire come affrontare la sfida. Dovresti fare di più, comunque.”

Incantesimi di silenzio a distanza: bastava che uno di essi andasse a segno per vanificare qualsiasi tentativo di ripresa, in una lotta che escludeva l'uso delle armi.

Era troppo veloce, superiore per bravura ed esperienza. L'unica speranza sarebbe stata un colpo di fortuna... la fortuna del principiante.

Certi cacciatori non hanno bisogno della forza bruta per cogliere in fallo le vittime, Perla: i più scaltri si traggono in disparte, approfittano della quiete del sottobosco e attendono... Il ragno tesse la tela e pazienta. Sai perché? Nessun avversario è infallibile... ogni insetto è preda, imperfetto e condannato a cadere in errore, grande o piccolo che sia. Quindi, ciò che intendo dirti è che devi essere un ragno, fare di tutto per somigliargli. Sfrutta il potere di chi attacca, sii strumento di ritorsione nei suoi confronti. Ci sono molte formule di Misticismo adatte al caso, ma la più potente...

La voce della maestra sfumò in un sibilo penetrante, una pioggia di particelle luminose scrosciava intensa attorno a lei, dietro la schiena, ai lati delle orecchie. Galos era risoluto come non mai nel metterla a tacere, nell'attimo in cui era sul punto di cedere per la fatica e il fiato corto...

Se vuoi vincere, fatti travolgere.

Investì le ultime risorse spirituali in una barriera riflettente, sapeva che non le avrebbe offerto una garanzia di successo. E andò incontro alla sorte.

Galos si strinse il polso destro con l'altra mano, in segno di difesa. Perla si avvicinò passo dopo passo, il sole in cielo, alto su di lei. Gli sfiorò il petto con un dito, per accrescere le proprie forze prelevandole dal corpo del dunmer.

“Va bene, va bene. Ho capito!” Scherzò, respingendola con una pacca sulla spalla. “Non c'è bisogno che tu faccia la prossima mossa. Mi hai impedito di pronunciare formule magiche, almeno lasciami l'energia spirituale necessaria per non tornare a nuoto!”

 

Campanelli e conchiglie danzarono sospinti da uno spiffero di libeccio, una ad una, piroettando attorno ai cavi di stoppa. La maestra Seryne aveva il dono di infondere un soffio vitale alle cose più neglette, di arrestare la decadenza ed esaltare la poesia dietro una forma grezza. La tenda all'ingresso, le cornici di canne intrecciate e i fiori secchi nei vasi, ritti come germogli in boccio, custodivano la loro algida bellezza dalle insidie della morte. Le pareti, ricoperte di arazzi e stoffe antiche, trasformavano la casa della maga in un tempio dove la natura aveva alterato le sue leggi.

La sedia accanto al tavolinetto nel corridoio, il calderone sempre sospeso su un fuoco scoppiettante, la cucina in religioso ordine e polvere di radice trama adagiata sul piatto della bilancia: amava quel luogo, l'avrebbe rivisto ancora una volta? Pianse in silenzio, consapevole della propria scelta, ponderata con logica. Ma erano le emozioni ad annichilirla, in quel momento.

Asciugò le lacrime sul mantello logoro, mormorando frasi indefinite.

“A quanto pare, finalmente ti sei decisa.” Seryne Relas l'abbracciò, accarezzando con le mani ruvide i suoi capelli.

“Non ancora.”

“Cara, ormai sei più che pronta. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, prima o poi. Sono contenta, alla fine la mia piccola Perla vedrà il mondo. E realizzerà i suoi sogni.”

Li aveva riposti in fondo ad un baule, quei sogni. E dimenticati, come le lettere di un amico malfidato.

Il volto della maga brillava di gioia... era un peccato scontentare un animo così sereno.

“Mi ha incastrata, ha fatto leva su mia zia. È uno stregone molto abile... perciò è il portavoce di un ministro Telvanni. Dice che sarò al sicuro, voglio fidarmi. Ma non sono pronta...”

“Devi spiccare il volo, spogliarti delle paure. Non è una questione di coraggio, figliola... io direi un sacrificio, piuttosto. Credi di fare violenza a te stessa, ma non sai cosa ti aspetta. Puoi sempre tornare indietro, troverai qualcuno che t'attende.”

“E otterrò questo... rinnegando la vecchia vita? Ciò che sono stata? Maestra, voglio rimanere come sono... non intendo trasformarmi in una signora arcigna e con la puzza sotto al naso. Io... sono la discepola che prenderà il tuo posto. Me l'hai detto tu stessa, e adesso vuoi che parta. Perché?”

La stanza profumava di torba, fiori d'erica e linfa di hackle-lo: un bastoncino d'incenso bruciava all'angolo della stanza, riposto all'interno di un bicchiere di ceramica. Il cuore dettava una ninna nanna lontana.

Seryne si allontanò per rimestare una pozione: soffiò sulla coppa del grosso mestolo e sorseggiò dal bordo, annuendo con approvazione. Si sedé su un basso sgabello, sormontato da un cuscino ricavato da numerosi ritagli di stoffa, invitando la fanciulla a fare lo stesso.

Perla si adagiò su una pila di quadrati e cerchi imbottiti, alla maniera dei nomadi nelle terre cineree. Incrociò le gambe, fissando il soffitto e le piume di cliff racer sospese in alto.

La vetrinatura opalescente della brocca scintillava alla luce del fuoco, e versando il tè per la maestra ricordò i pomeriggi d'inverno trascorsi distesa sul tappeto; leggendo un libro in attesa di conoscere nuovi aneddoti e segreti che l'avrebbero condotta lontano, con Seryne, almeno nella sua fantasia.

E quella sarebbe stata l'ultima volta.

L'anziana elfa sorrise, in pace con se stessa: la turbò quel chiarore terso nei suoi occhi... una felicità radiosa, la soddisfazione di aver vissuto abbastanza a lungo da assistere ad un nuovo traguardo.

Dopo ci sarebbe stata solo la certezza della morte... non tollerava che accadesse, non senza di lei...

“Interpreti le mie parole letteralmente, indaga sul significato, piuttosto. Sì, sarai tu ad ereditare la mia professione, ma... chi sono io, per obbligarti a restare a Tel Branora? Io, che ho percorso le strade di Vvanderfell da pellegrina, vagabondando di città in città? Ti voglio bene, piccola mia. Così tanto da mettere nelle tue mani ciò che so, di lasciare che tu ne disponga come meglio credi. Se dubitassi, verrei meno ai miei principi. Va', dunque. Ricorda di venirmi a trovare, una volta ogni tanto.”

“Più spesso di quanto immagini!” Esclamò in un singulto represso, desiderando che il gelo dentro di sé sublimasse al calore delle fiamme.

“Vedremo.” Rise, scostandole una ciocca di capelli dal viso. “Ho delle raccomandazioni per te: esegui gli ordini con precisione, non obiettare mai. Cerca di conoscere il tuo signore, e impara qualcosa sulla sua personalità. Non sciogliere mai i capelli, legali in una crocchia... indossa abiti sobri, che non siano alla moda. Potresti ritrovarti nei guai.”

“Ma non è gettare il guanto di sfida ai piedi di uno stregone, insultare un guerriero armato o infrangere la legge che... denota sfacciataggine?”

“Mia cara, hai ancora tanto da imparare... ma queste sono cose che non posso insegnarti. Limitati a seguire il mio consiglio, vedrai che non avrai di che lamentarti. A volte, i lunghi capelli di una dunmer provocano l'irrazionalità di un maschio. È una reazione... che non conosce spiegazioni.”

“È una reazione sciocca.”

“Vedremo anche questo.” Sussurrò, tirandole uno scappellotto affettuoso dietro la testa. “Non è saggio che tu rimanga qui. Più tempo trascorrerà, più ti angustierai nel lasciare la mia casa. Ricorda il nesso: le leggi del cosmo non sono assolute, bensì relative. La magia permette di disintegrare la materia, riportandola allo stato primordiale, quello delle masse d'energia. Disponi delle conoscenze per alterare il mondo fisico e penetrare l'essenza astratta degli elementi. Quando arrivi ad un punto morto, tienilo sempre presente. Trasforma te stessa nell'arnese che smonta gli ingranaggi del Mundus, per ricomporli secondo la tua volontà.”

“Cercherò di fare del mio meglio.”

“È questo che importa. E adesso vai, altrimenti tua zia e il suo compagno ti daranno per dispersa.”

Si voltò indietro non una, ma parecchie volte, battendo i piedi sulla radice del fungo adattata a piattaforma rialzata, tra le piccole case della città. Con l'ansia e l'incertezza del nuovo, custodendo la pergamena con le sue credenziali. La chiave d'accesso per il suo futuro.

E rivide i momenti della sua vita a Tel Branora brillare e scomparire alla vista come rifrazioni di un prisma: comprese, allora, quanto amore, quanta contentezza avesse riposto nelle piccole cose.

Tutto sarebbe cambiato.

Galos ricevé le sue referenze quella sera stessa, e notò la riluttanza dell'elfa a separarsi da un oggetto che rappresentava già il ricordo di una persona lontana: la tranquillizzò, il documento sarebbe stato al sicuro.

Si compiacque del risultato ottenuto: personalità gradevole e solidale, candida e determinata. Nutre una passione viscerale per le arti mistiche, il suo punto forte, ma non disdegna di impegnarsi nelle magie di Distruzione ed Alterazione. Ha bisogno di ulteriori approfondimenti in Illusione ed Incantamenti, sopperisce con buone capacità alchemiche. Formule e pozioni conosciute...

Eppure, qualcosa non andava... Galos rilesse il foglio tre volte di fila, per accertarsi che non si stesse sbagliando. Non credeva affatto ai suoi occhi!

Sorgeva un piccolo, bizzarro inconveniente: con che parole spiegare ad Aryon che anche la nuova candidata aveva un problema?

E che a macchiare una lusinghiera lista di belle virtù fosse solo un nome. Quel nome.
 



Ciao, ci si rivede dopo un po' di tempo. Avete passato buone feste? Com'è iniziato l'anno nuovo? Spero bene. :)
Ho pubblicato anche la fine di quello che è il terzo capitolo della storia, che ho preferito dividere in due parti per facilitare la lettura online. Continuo a chiedermi se è davvero conveniente mantenere questa narrazione "da libro". Più vado avanti, più mi rendo conto che può risultare pesante... ma spero che non ci siano problemi.
Come sempre, ringrazio Michiru che mi fornisce sempre un parere spassionato su ciò che va e cosa no, anche se nella maggior parte dei casi sono io a stravolgere le mie stesse storie e a sentirmi complessata. :)
E ovviamente, ringrazio anche chi continuerà a leggere la storia. Sto pensando di rigiocare Morrowind installando i face pack ed i replacer di Westly. Non li avete provati? Vi consiglio di darci un'occhiata, allora. Anche se forse in questo momento mi basta Arena, con i suoi scenari pixelosi, a tenermi impegnata.
Be', buona giornata! ;)


 

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Capitolo 7
*** Scherzo della natura (prima parte) ***


Il viaggio in nave durò due lune, trascorse in un costante stato di frenesia. Perla non riusciva a contenere l'entusiasmo: passeggiava avanti e indietro lungo il ponte della chiatta, col dito puntato verso terre lontane ed una spiccata parlantina, nel porre domande e chiedere spiegazioni.

Dopo il primo giorno, passato ad ammirare il profilo frastagliato della costa e ad illustrare la geografia del paesaggio, Galos si chiedeva se sarebbe mai sopravvissuto ad un ciclone del genere.

Proprio come una bambina, aveva bisogno di pregarla per fare in modo che stesse seduta: quindi, imbracciava un tomo di storia Dwemer e le mostrava progetti di antiche rovine e disegni di scheletri metallici, arricchendo le descrizioni con le teorie più attendibili riguardo la scomparsa degli antichi nani.

“Se i Dwemer si sono estinti, come mai non esiste un segno delle loro vestigia mortali? Intendo... se sono passati a miglior vita...”

“Ecco, hai colto il senso del dilemma prima ancora della mia risposta. A quanto pare, è possibile che i Dwemer non siano scomparsi in quel senso... semplicemente, hanno aperto un portale verso una nuova dimensione abbandonando per sempre il Mundus. Perciò, parlare di 'morte' sarebbe incorretto. Alcuni libri recano di certo testimonianze accurate, ma sono considerati rarità da museo.”

“E Aryon... non ne possiede uno, nella sua collezione?”

“Oh, non proprio. Diciamo... un reperto molto importante, ma non si tratta di un libro. Potresti aiutarlo a rimediarne altri, però.”

Adrusa li aveva accompagnati fino al porto, ed era rimasta lì fino a quando la nave non avesse preso il largo verso est. Si sentì il peggiore dei dunmer ad assistere a quel commiato: la zia abbracciava la nipote, giurandole che tutto sarebbe andato bene e che avrebbe avuto cura anche della vecchia Seryne. Perla versava in uno stato di prostrazione incredibile, che per fortuna aleggiò su di lei fino a quando la sua devastante curiosità non prese il sopravvento.

“Quella statua laggiù, arroccata in cima alle montagne, è il santuario di Azura... giusto?”

“Esatto.”

“Mi piacerebbe scalare la roccia ed osservare il panorama da lontano. E chiedere un favore alla Dea. Un giorno mi accompagnerete, Sera?”

“Forse più in là. Comunque, non chiamarmi 'Sera'; Galos va più che bene... quando non siamo a distanza udibile per gli altri membri del Concilio. Con le conoscenze che hai non avrai problemi ad avanzare i primi gradini della scala Telvanni. Però, dovrai eseguire i compiti che le Bocche ti affideranno: ricorda, la loro parola riflette quella dei ministri.”

“Va bene, Galos.”

Udire il suo nome, pronunciato da quella voce bassa, ma innocente, gli diede il buonumore. Non era male, tutto sommato: l'avrebbe tirata a lucido come un vecchio servizio di stoviglie in peltro, fino a farla splendere. Aryon ne sarebbe stato deliziato.

“Mi sono dimenticato di avvisarti che dormirai presso il Gateway Inn, com'è consuetudine dei nuovi allievi. Ho firmato per te un lasciapassare che ti permette di accedere ai servizi della locanda evitando di sbrigare le formalità burocratiche per dimorare a Sadrith Mora. Vedi... la nostra capitale è un centro esclusivo, per pochi eletti. Avere il permesso di alloggiare in città, anche per brevi periodi, è considerato un grande onore. Quindi, la prima cosa da fare sarà assicurarti un letto per la notte. Non credo che avrai problemi... almeno lo spero.”

Sarebbe stato inutile leggere il futuro in una sfera di cristallo, Galos non era un esperto di preveggenza, ma la razionalità l'aveva portato lontano nel corso degli anni.

Concesse qualche ora di libertà alla discepola, la quale vagò per la città alla ricerca di libri ed un paio di scarpe nuove, benché non le fosse possibile fare acquisti senza un soldo in tasca. Si divertì a fare domande sulla mercanzia, a toccare armature e spade sui banchi, per poi esser redarguita dai commercianti. Sadrith Mora le sembrava affollata, viva; un cumulo di funghi appena raccolti riposti uno ad uno in una gerla, pronti per essere cucinati. A sud-est sorgeva Wolverine Hall, presidio imperiale in un'area ostile, di sicuro mal tollerato per via dei servizi offerti all'interno.

Già, la concorrenza leale dei Telvanni.

Una taverna fatiscente e poco raccomandabile, file di negozi con stendardi sventolanti e casette dalle basse cupole aprivano la strada verso il centro città; una rumorosa orgia di bancarelle, carretti ambulanti, ciarlatani ed allibratori. Le urla e il chiacchiericcio erano assordanti, nonostante Perla amasse la varietà di suoni e colori. Si fermò di fronte al portale della Sala del Concilio, uno svettante sole dai mille raggi, ma si guardò bene dal varcarne il confine: doveva attendere il permesso di Galos.

Ritornò sui suoi passi, si sarebbe soffermata al Gateway Inn per una bevanda calda, spiando l'andirivieni dalla pensione seduta al tavolo, imitando le vere signore Telvanni.

E una mano sgarbata l'afferrò per la camicia, impedendole di salire le scale. Una nube di muschio e spezie, a confonderle ulteriormente le idee.

“Dove credevi di andare?” Il timbro della voce era vellutato, ma il modo di esprimersi minaccioso. Volse la testa, ritrovandosi a fissare un curioso paio di occhi verdi su un incarnato indefinito: quello di un dunmer, forse. Anche se...

“Ce... cercavo la mia stanza.”

“Nessuno ha il diritto di sostare qui, a meno che non abbia un permesso speciale... o una prenotazione. Documenti, prego.”

Perla gli spiegò in faccia la pergamena e il dunmer... già, quell'elfo oscuro dagli occhi strani, i lineamenti regali e troppo alto rispetto alla media, si risentì ancor di più.

“Hm. Cosa abbiamo qui? Una nuova arrampicatrice sociale. E ti aspetti che io creda alle tue fandonie?”

“Ma io ho un permesso!” Si difese, giungendo le mani e fissandolo con gli occhi umidi. “Firmato dal referente, Galos Mathendis. Se non ci credete...”

“Io sono abituato alle falsificazioni, più di quanto immagini. Sì, dietro a questa c'è la mano di uno bravo. Mettiamola così: venticinque pezzi d'oro per il foglio d'ospitalità ufficiale, e io dimenticherò l'intera faccenda. Altrimenti, puoi scegliere di abbandonare la città... ulteriori insistenze ti procureranno un'investitura speciale: saranno le guardie, però, a designarti paladina degli accattoni.”

“Dovete ascoltarmi, Sera!” Lo pregò invano. “Sono io la persona della prenotazione. Oh, il nome può trarre in inganno...”

“Che insolenza! Ho forse l'aria di uno che si lascia abbindolare da semplici scuse? O paghi, o farò rapporto alle guardie. A pensarci meglio, comunque... potremmo raggiungere un accordo.”

“Io non ho quella somma. Di quale accordo parlate?”

Angaredhel sentì che non stava abusando del suo potere... che poteva andare oltre. Era cosciente della sua audacia, ma... un elfo di sangue misto non avrebbe avuto altre possibilità. Detenere il titolo di Magistrato della Pace gli conferiva autorevolezza, avere una potente famiglia alle spalle aveva dei lati positivi... ma il suo aspetto insolito ripugnava le nobili signore. Restava pur sempre il frutto dell'unione tra un altmer ed una dunmer...

“Ora che ti guardo con più attenzione, non sei poi così male. Hai l'aspetto di un ragazzaccio, ma posso sorvolare, se ti facessi indossare un abito grazioso: cena con me stasera, trattieniti fino a tardi, ti canterò una canzone. E spero che non ti dispiaccia dormire... accanto a me.”

Definì i tratti del suo volto con un dito, e fu un tocco delicato, pieno di esaltazione: un antiquario di fronte alla statua più preziosa della bottega. Un brivido le percorse gli arti, ed avvertì la paura scuoterle le viscere.

“Lasciatemi in pace. Statemi lontano!”

“Non sono di tuo gusto, vero?” Il mezzosangue sobbalzò, sotto il fendente di una pugnalata invisibile. “Il modo in cui mi osservi lo conferma, l'occhio è un morboso indagatore, quando si tratta di indulgere nel bello o... non importa! Le guardie si prenderanno cura di te: non puoi girare per Sadrith Mora evadendo le finalità burocratiche!”

“Sera, perché siete mal disposto verso il prossimo?” Inflessibile, la corresse col pensiero: anni di scherni e canzoncine sarcastiche lo avevano temprato a dovere. “Mi trattate come una criminale, a nessuno importa qui dentro se agite secondo i vostri comodi, vero? Nessuno oserà contraddire certe decisioni. Riservate questo trattamento alle donne che incontrate? Suggerite... comportamenti peccaminosi, contrari al volere degli Dei. Io... io non posso.”

Si rabbonì, mentre la dunmer scandiva una risposta che trasudava rabbia, ma anche imbarazzo, ingenuità... l'aveva incatenato con poche parole. Era stato ammaliato con un incantesimo? Assurdo.

“Vieni, ti accompagno da Mathendis. Alla fine, anch'io ho commesso una scorrettezza a giudicarti su due piedi: mi saprò far perdonare, in caso tu avessi ragione.”

“No... non ve n'è bisogno.” Perla ripeteva tra sé la proposta del prefetto... dormire accanto. Magari aveva a che fare con l'avvertimento di Seryne. Persino Ilyan, lo stregone di corte del conte Indarys, prima di minacciarla a morte le aveva rivolto allusivi inviti. Cosa mai avevano notato in lei? E dire che portava i capelli legati in una contegnosa treccia. Percorrendo il corso principale fino alla piazza della Sala del Concilio, notò le guance del mezzosangue imporporarsi leggermente. Davvero, non riusciva a spiegarselo.

Qualcuno bussò alla porta, mentre era chino nel compilare la lettera di presentazione da inviare ad Aryon. Galos cercò d'ignorare quei colpi insistenti, ma fu vinto dal senso del dovere... occuparsi di Perla, che di sicuro gli avrebbe causato guai.

“Allora, cosa c'è? Non siamo neanche arrivati, che ti è successo?” Dietro al volto imbronciato dell'allieva torreggiava la figura a mezzo busto di Angaredhel, combattuto tra la solita alterigia e un barlume di costernazione.

“Costei... sostiene di vivere a vostro carico, Maestro.” Interruppe la solenne loquela con un inchino altrettanto rispettoso. Damerino. “Potrei esser portato a credere a tale... uhm, rivendicazione, solo se corrispondesse al vero. Invece, i documenti parlano chiaro, quindi...”

“Quindi...” continuò il portavoce, spazientito. “Metti in atto ciò che è scritto su quel foglio, e non disturbarmi per simili inezie. Sono stato chiaro?”

“Ma non è possibile!” Esclamò il prefetto. “Si tratta dell'ennesimo scherzo ordito ai miei danni, giusto?”

“No, è uno scherzo della natura. Hai trovato qualcuno capace di comprenderti, Angaredhel. Finalmente, il tuo primato di eccentricità è infranto. Non sei contento? Perla capirà le tue lagnanze, ha tutto il diritto per farlo, se hai letto bene quel certificato.”

“Che... che coraggio! Rovinare una leggiadra signora in questa maniera...” Finse di non aver visto le dita inanellate che lambivano la lunga treccia, cupide e languenti. Perla scosse la testa, tenendo la fronte bassa: così acconciati, i capelli volteggiarono in aria e le ricaddero sul petto, frenando ogni insidia. Galos represse un grugnito d'indignazione, non sopportava che le usasse siffatte attenzioni.

“Sì, e spero che tu non contribuirai a scempiarne la reputazione. Comprendi, nevvero?”

“Oh, ve lo assicuro!” Angaredhel fece un passo indietro, ricacciando in dentro la schiena e piegandosi come un fuscello.

“Bene. Mostra alla mia allieva la stanza in cui alloggerà, e ti prego... fa' in modo che non sia la stessa del suo predecessore.”

“Come comandate: avrà la camera più luminosa e confortevole di tutta la pensione.”

“Non sarai tu a stabilirlo. Ne risponderai per qualunque motivo d'indisposizione. E ora non farmi perdere altro tempo.”

Le escrescenze nodose dei palazzi viventi fremevano nella nebbia del vespro: il sole morente e le prime torce sfilavano in processione, fuochi fatui nell'umida bruma di un cimitero. Perla si strinse nel lungo pastrano di fustagno, sudando freddo. Il vapore si condensava sulla pelle, ebbe l'impressione che il proprio sé si dissolvesse in una corrente di impercettibili molecole.

Di granelli di sabbia, e sale sulle labbra.

Il mezzo dunmer dissipava il fiato in accurati aneddoti sulla città, sulla fondazione dell'albergo ed elogiò la sagacia, l'altezza di spirito dei signori Telvanni. Si mostrava spiritoso, ironico: doveva pur riparare all'increscioso equivoco. A malapena lo ascoltava, annuendo per semplice cortesia.

“Oh, e questa è la tua stanza. Bella, vero? C'è tutto: un baule per sistemare gli oggetti a te cari, una soffice trapunta di damasco verde, e la cassettiera lì in fondo. Sentiti libera di girovagare per la pensione, ma evita la torre sud, perché... ah, niente in particolare.”

“Cosa c'è nella torre sud?” Era l'unico spunto nell'intera conversazione che riuscì ad attrarre il suo interesse, ed era risoluta a non lasciarselo sfuggire.

“Bah. Prima o poi udiresti qualche voce di corridoio, tanto vale che sia io ad avvisarti.” Rastrellò la folta zazzera castana con la punta delle dita, una delle varianti di pettinatura in voga tra i nobili stregoni. “Uno spettro... appare e svanisce nell'alloggio lì in cima. Inutile placarlo con la violenza, o esorcizzarlo con le preghiere... continua imperterrito a manifestarsi, spaventando i clienti. Non so quanto tu sia abile in questo genere di cose, ma... ti sarei grato se potessi darmi una mano. Molto più grato di quanto non lo sia già, per aver evitato di screditarmi di fronte ad una Bocca. Mi chiedo perché tu non l'abbia fatto... Eppure, ne avevi il diritto.”

Perla osservò le spalle larghe, la figura slanciata e flessuosa piegarsi verso di lei. In effetti, era molto alto. Aveva ereditato i tratti più incisivi della sua persona dal padre altmer.

“Io... trovo che sia superfluo rinfocolare la colpa di chi è già disposto a fare ammenda. Parimenti inutile è usare vendetta a sproposito, per manipolare la psiche dell'antagonista. Per ottenere la fedeltà di un individuo è necessario il rispetto reciproco, per conquistarlo si elargisce il beneficio come emanazione della propria magnanimità. Si converte un nemico ad alleato aiutando chi offende, quando meno se lo aspetta. Per ottenere la sua stima, o lasciarlo marcire nell'ossessione, il sistema migliore è ostentare un atteggiamento contrario alle aspettative comuni. Da questo si può desumere se esso è meritevole di considerazione.”

“Le tue parole mi colpiscono. Non sai che le contese, per noi Telvanni, si dirimono con la magia? Con le sentenze di morte?” Infilava e ricacciava via un bottone bronzeo dall'asola della camicia ricamata, solleticando la fantasia.

“Con la morte si ottiene poco: si decimano i nemici, le popolazioni. Quando Essa è, dimora anche il nulla. Non ho fame di carne mortale e sete di anime come Molag Bal. Non so che farmene di insulse vendette. Sono i legami, le interconnessioni di menti, propositi ed obiettivi ad essere auspicabili.”

“Hm. Parli come se ne sapessi qualcosa, sembri un trattato d'etica.” Angaredhel la provocò, gettando discredito sulle sue affermazioni.

“L'ho letto da qualche parte, su un libro. Non può essere sbagliato.”

“Ecco il tuo punto debole, razionalizzi tutto. Dai per buono ciò che ti sembra ponderato, che si confà al tuo schema mentale. Ti consiglio di rivedere un paio di cosette, se non vuoi finire all'Ethereus prima del tempo. Ti ritroverai a battere più volte la testa su un muro. Eppure, non nego che rianimeresti un po' la situazione.”

“Non ho esperienza. Solo ore di letture alle spalle. Di eventi storici, aneddotica, teologia, strategie di guerra.”

“L'esperienza è un estratto del proprio intelletto, un surrogato delle emozioni, uno schematico canovaccio del vissuto condensato in pochi, impietosi attimi. Pensaci, Muthsera: solo gli stolti perdono tempo a limitare errori che avrebbero potuto evitare, ragionando in anticipo sulle conseguenze delle proprie azioni. E quanto all'altro tipo di esperienza, quella amorosa... è frutto della passione. In certe situazioni, essere abili non conta...”

“Si è abili... anche ad amare?” Perla non si rese conto di quanto allusiva, invitante e provocatoria fosse la domanda.

“Be', sì... se la metti in un certo modo. Ti consiglio una cosa, comunque: rifletti su ciò che i libri non ti dicono di fare. Cerca i testi proibiti, quelli rari, assenti nelle biblioteche delle dunmer timorate e dei seguaci accaniti della Dottrina. Modella il pensiero ambendo al punto di rottura. Assimila il positivo, il negativo. E sarai realmente te stessa.”

“Questo è un discorso generico.” Si diresse alla consolle, per ispezionare i cassetti.

“Il senso è... vivi, non un mucchio di esperienze, ma il senso del momento. E potrai scrivere il tuo diario, non leggere quelli altrui. Secondo me neanche hai cominciato a farlo. Approfittane, finché ti è concesso. Muthsera...”

Il fragrante effluvio di erbe e resina continuò a farle compagnia anche se non era più lì, a stimolarle le corde dell'animo con sapienti accostamenti. Perla si sedé sul letto, trattenendo il respiro e la misticità delle essenze.

Forse, il mezzo dunmer non era poi tanto vanesio: persino il profumo che indossava era un'inedita esperienza. Cosa le avrebbero riservato i prossimi giorni?

 

Aveva attraversato brutti momenti, ma con la freddezza di chi mantiene il controllo e medita, attuando un piano di difesa. La rovina l'attendeva nelle sembianze di un servo corrotto, abile nella rasatura quanto nel dare una morte pulita, implacabile e senza onore. Un principio di demenza, il seme germogliava ovunque: traeva forza dalla terra umida e scura, nella tomba anonima in cui sarebbe stato gettato. Pasceva vigoroso, attecchendo in profondità, attingendo ad un'inestinguibile ghiandola velenifera. Visioni fallaci, deliri convulsi, la consapevolezza di esser circondato da nemici; non importava quanto bene gli avessero fatto, no! Gli erano tutti contro, nessuno escluso.

Era solo.

Aryon non aveva accettato di aver perso la battaglia contro Neloth: era riuscito a preservarsi in vita, ma a costo del proprio prestigio. Lo avrebbero marcato stretto, inviandogli un nuovo sicario. O perché no? Un professionista della Morag Tong. Magari, lasciandolo in pace, sarebbero riusciti indebolirlo maggiormente, illudendolo di non poter fiaccare il suo baluardo.

Gli avrebbero concesso tempo.

Sfibrandolo notte dopo notte. E uno, due. Lo stormire del vento. Il cigolare di un'intercapedine di legno. Scalpiccio, sbadiglio della guardia, ronda attorno le scale. Uno, due, tre.

Tempo, mi serve tempo. E ristoro. Ma questo sonno vigile attenta alla mia pretesa saviezza.

Ho paura.

E vergò la missiva, non seppe quando e come, se nel cuore delle tenebre o sul far dell'alba. Disegnò simboli arcaici e sibillini su un foglio ingiallito, nel linguaggio che Divayth Fyr gli aveva insegnato.

Galos si presentò dopo un paio di giorni, aveva scelto di trascorrerli a Tel Branora, dalla sua dunmer. La felicità che gli aleggiava in viso lo irritò alquanto, risultando quasi offensiva: non si era di certo divertito a gingillarsi in ridicole stucchevolezze. Aveva recuperato la testimonianza di Hlentos sul viaggio da Sadrith Mora a Tel Vos, in barca, tra dolore e stordimento da magie curative. Dispensò un indennizzo ai familiari degli altri due sfortunati corrieri, per mettere a tacere le chiacchiere sulla loro misteriosa scomparsa.

E lui che faceva? Si materializzava all'ingresso quando più gli faceva comodo, latore di belle notizie che finivano col rivelarsi completi disastri.

Non stava diventando cinico... almeno, non quanto il vecchio maestro. No, non ancora.

“Ministro...” Continuava a sorridere come un beota. Incurante di quanto avesse penato per mantenere integro quell'assurdo guazzabuglio. “Ecco, per voi. Le credenziali della nuova sostituta. La nipote di Adrusa è un'allieva Telvanni, ed io lo ignoravo... fino a quando ha avuto occasione per parlarmene. Pensate un po'! Non dovrete perder tempo ad insegnarle le formule basilari, perché ha avuto un'ottima insegnante.”

“Mi mancava la tua franchezza.” Commentò, mentre riponeva il foglio nell'ampia tasca dell'abito. “Avanti, parlami di lei. Una donna, Galos. Ti rendi conto di quello che stai facendo?”

“Scusate, maestro, che differenza fa?” Aveva persino il coraggio di sollevare obiezioni. Davvero, non sapeva in che razza d'impiccio lo stava trascinando.

“Una donna... ha delle necessità. Dei... problemi. Non è sempre efficiente, fisicamente ed emotivamente. Capisci cosa intendo, vero?”

“Ah, certo. Ovvio. Ma anche un uomo ne ha, dico bene?”

Aryon si voltò di lato, imbarazzato. Finché si trattava di avere a che fare con un individuo di sesso femminile in contesti formali, e non in confidenza, si sentiva padrone di se stesso. Ma... una donna come assistente? Lo avrebbe messo a disagio. Giudicato in fretta, oppure... l'ultima cosa a venirgli in mente non era tanto sgradevole, in fin dei conti. Tuttavia, non conosceva neanche la fanciulla in questione.

“Hm. Che tipo è?”

“È giovane. Più giovane di voi, di una manciata d'anni. Una ragazza di campagna, cresciuta nel villaggio di Tel Branora, circondata da adulti e poche amiche. Un tipo che legge, un po' svita... vitale.”

“Ah, vitale? Strano aggettivo, Galos. Poi?”

“Credo che sia un tipo interessante. L'arma segreta per conquistare la benevolenza di Dratha, che detesta gli uomini. Negoziare con una come lei le andrebbe a genio.”

“Non dirmi... che sarà un clone di quella strega incartapecorita a farmi da assistente!”

“Oh, no!” Galos smentì, mettendo le mani avanti. “Anzi, ha degli occhi grandi e tondi. L'aspetto fresco, la figura morbida.”

“Non dicevo dal punto di vista fisico.” E portò una mano alla testa, contrariato. “Intendevo... non voglio una folle farneticante, qui a Tel Vos, qualcuno che attiri l'attenzione.”

“Se è per questo, Perla ha modeste origini...”

“Quello... è il suo nome?” Era come se un piccone avesse spaccato la pietra, per rivelare i preziosi giacimenti di ebano al di sotto. Sentì riaffiorare una speranza in lui.

“Be'... sì, diciamo. Allora, maestro... la prenderete a servizio, semmai riuscisse ad avanzare di grado?”

“Ho forse altra scelta?” E strinse il foglio sigillato, con una mano nella tasca e l'intenzione di esaminarlo in privato. “Sarò sincero, se non ti conoscessi da parecchio ti avrei spedito all'Oblivion con una maledizione, Galos. Io sono un ministro Telvanni. Capisci, no? Mi tocca mantenere un certo tenore, destare rispetto e reverenza nelle persone. Be', tutto fuorché questo, di recente. È la mia ultima possibilità, dovrei essere io a selezionare gli assistenti, ma...”

“Sono la vostra Bocca, e parlo per voi. Non v'è alcun bisogno d'abbandonare la torre, maestro. So che è difficile, dopo i guai che v'ho causato, ma abbiate ancora fiducia in me. Ne uscirete rafforzato.”

“A proposito...” Aryon recuperò la lettera in codice, sfilandola dall'ampia manica del vestito. “Questo è un messaggio per Divayth Fyr, a scopo preventivo. Ho bisogno del suo consiglio, ora più che mai.”

“Alla fine, vi siete deciso.”

“Già.” Ricordava gli attimi trascorsi nello studio dello stregone. “Se non puoi consegnarlo di persona, lascia che sia la ragazza ad impratichirsi un po'. Raccomandale di non mostrare il documento a nessuno, di non visionarlo senza il mio consenso. E poi... voglio vederla. Parlare con lei, scoprire cosa pensa e perché è intenzionata a mettersi al mio servizio.”

“Ho pensato io a convincerla. È molto riservata, a malapena intuisco i motivi che l'hanno spinta ad una vita noiosa, quasi da reclusa.”

Aryon sgranò gli occhi.

“Com'è possibile che una dama, piena di vita ed in età da marito, disprezzi l'estasi di mille occhi puntati su di lei; e la sensazione di sentirsi invincibile, di avere la vita in pugno?”

“Forse ha capito molte cose, prima del tempo. Sono desolato, maestro, ma mi toccherà andare. E grazie ancora per la vostra pazienza.”

“Non ce n'è bisogno. Vai, amico mio.”

L'assenza di presenze indiscrete pungolò l'interesse del ministro: aveva simulato un'eccessiva contrarietà per attenuare quella sensazione indefinita di trepidazione. Una persona giovane, una donna, per giunta. Completamente nelle sue mani, sotto la sua guida... un innegabile segno di autorevolezza. Era nella posizione di rivolgerle qualsiasi ordine, lei l'avrebbe seguito. Qualsiasi ordine...

E questo pensava della sua nuova allieva? Aryon fece ricorso al suo autocontrollo, anche se... desiderava che gli rivolgesse ammirazione, reverenza. Che lo venerasse e accudisse, consacrando a lui parte del suo tempo. Che diventasse il suo punto di riferimento, ma...

Il mento privo di barba, le lentiggini, le sottili increspature sulla sua chioma restituivano un'immagine scoraggiante. Ah, se solo avesse avuto un sembiante fosco, indecifrabile; la fierezza di Divayth, lo sdegno sussiegoso di Neloth, lo sguardo vigile ed accattivante di Gothren. L'avrebbe piegata al suo volere: sarebbe stato molto più semplice, e lei avrebbe ceduto, per deferenza o... Era questo ciò che voleva?

Si mise a sedere sul letto, tra una baraonda di libri aperti e pergamene srotolate. Tratteneva il foglio tra le dita, con delicatezza... stranito da quegli impulsi, fino ad allora estranei.

Seryne Relas: il nome non gli era nuovo, l'aveva scorto tra le pagine di un libro. Una maga girovaga, un'eccentrica. Com'era possibile?

 

Io, Seryne Relas, a mio nome e nel rispetto delle leggi terrene e divine, certifico di aver curato al massimo delle mie possibilità l'addestramento di...

 

Cos'era, uno scherzo? Si trattava sicuramente di un errore. Galos gli aveva enunciato tutt'altre premesse. Garbo, pacatezza, una dunmer nel fiore degli anni, dal carattere morigerato. Invece! Era bastato poco a mandare in frantumi l'idea che si era fatto. Provava quasi imbarazzo, gli aveva persino affidato il messaggio segreto che l'allievo... sì, perché di un allievo si trattava, doveva affidare al maestro. Non aveva nessun motivo per provare delusione, e diresse la propria rabbia verso quel nome... quel nome orrido e desueto. A meno che...

Quale genitore sarebbe stato così insensibile da rovinare un figlio in tal maniera? E se Perla e... quell'individuo, fossero la stessa persona? Una copertura, un travestimento?

Il linguaggio dell'attestato, volutamente neutro, non lasciava trapelare alcun indizio. Ecco perché il portavoce si era mostrato reticente nel rispondere a quella domanda scomoda: era evidente che vi fossero complicazioni.

Oh, perché toccavano sempre a lui i casi impossibili? Le pergamene gracchiarono sotto il suo peso, mentre teneva le braccia in su ed esaminava le referenze del misterioso pupillo. In fin dei conti non era importante, ma sperava vivamente che la descrizione fornita da Galos fosse quella veritiera.

Si trattenne in quella posizione ridicola, e gli parve di tornare indietro... alle avventure fantastiche della sua infanzia, alle prime passioni adolescenziali. Nobildonne leziose ed ambigue, fatte di carta ed inchiostro.

Era bastato un nome pretensioso a richiamare uno sciame di memorie dimenticate: ricamava un viso, una personalità... lasciava che l'immaginazione gli restituisse un confidente. Non un semplice attendente, però: qualcuno a cui rivelare voli di fantasia, che rispondesse in versi alle sue battute. Aveva sempre desiderato giocare, scrivere... rivedere una parte di sé in un altro, sin da bambino.

E poi, questa dunmer... si sarebbe fidato di lei? Nessuno doveva sapere, neanche lui, quanto volesse misurarsi con uno spirito affine... senza titoli, senza convenevoli, due semplici compagni.

Compagna. Quella parola, riferita ad una donna, lo sgomentò: ma era il gioco d'intesa che suggeriva a renderlo oltremodo felice.
 



Eccomi qui, in ritardo e dopo qualche inconveniente, ma non sto mollando! :)
Altro capitolo che ho pensato di dividere in più parti, per rendere la lettura più scorrevole e per lasciarmi il tempo di scrivere altre pagine, anche ne ho altre pronte da pubblicare. Mi concedo un po' di tempo per controllare e curare meglio la storia, magari per correggere ed aggiungere qualcosa in più.
In questa nota, volevo chiarire meglio la personalità della protagonista, e magari accennare all'età dei personaggi.
Perla ha ereditato il carattere in parte serio e in parte burlesco dalla sua maestra Seryne, con cui è stata in contatto per la maggior parte del tempo. Essendo lei un'eccentrica, anche l'allieva ne ha ereditato le caratteristiche. Mi sono ritrovata in difficoltà a scrivere il dialogo tra lei ed Angaredhel proprio per questo motivo... volevo fare in modo che apparisse altisonante, ma anche falsato e non veritiero. Come se parlasse come un libro stampato, appunto... perché tutta la conoscenza e la serietà le vengono trasmesse dai libri, in cui crede ciecamente.
Se fosse umana... Perla avrebbe quasi trent'anni, anche se ha degli atteggiamenti infantili. Ed Aryon più di trentacinque, Adrusa più di quarantacinque, Galos quasi sessanta. Precisazione inutile, perché essendo dunmer e vivendo più a lungo l'età potrebbe essere relativa, ma tant'è...
Spero di aver chiarito i vostri dubbi, semmai ve ne siano. E grazie per aver letto, per la pazienza. Per le recensioni, a chi ha letto... per tutto. :D
A presto! ;)

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Capitolo 8
*** Scherzo della natura (seconda parte) ***


Si sentiva una facchina, o una serva mandata a fare la spesa.

Nient'altro che una misera tirapiedi, a caccia di una promozione a destra e a manca. La vita dell'allievo Telvanni era di un tedio allucinante. Agli occasionali servitori venivano commissionate incombenze di poco conto: nessun membro del Concilio o mago d'alto rango si sarebbe abbassato a farsi vedere in giro a far incetta di razioni alchemiche ed oggetti incantati. Tuttavia, Perla si sorprendeva sempre di quanto fossero indispensabili le voci di corridoio, per prendere in contropiede gli avversari ed aggiudicarsi la merce migliore.

Cinque parti di spugna muck per Raven Omayn, ed altrettante di sapone sload per Arara Uvulas...

Con il denaro in sovrappiù, una mancia alquanto sostanziosa, aveva acquistato un nuovo paio di scarpe e rimpiazzato le vecchie in cuoio netch, decisamente troppo logore per quei viziati aristocratici, pronti ad arricciare il naso per qualsiasi cosa. Non si fece mancare nulla: investì il resto in una camicia celeste tutta seta e decori, e in un pantalone svasato che le nascondesse i fianchi larghi. Per evitare seccature si vestiva da bellimbusto e simulava una coda maschile, attorcigliando stringhe su stringhe attorno alla lunga treccia.

Galos reclinò la testa a lato e sorrise nel vederla entrare.

Adorava la sala del Concilio, le sfere di luce multicolore che si diffondevano nello spazio circolare attorno a lei. I cristalli a ridosso delle pareti risonavano allegri, quasi quanto la tenda di campanelle a casa della maestra. Ogni nervo del suo corpo vibrava in uno stato di benessere celestiale. Forse, alle Bocche costrette a star lì tutto il giorno, a lungo andare stancava; eppure avrebbe sborsato una cifra ingente solo per possedere un esemplare di modesta caratura.

Perla s'inchinò di fronte ad una signora dall'aria contrariata. L'avrebbe definita attraente, malgrado il carattere bizzoso. Era l'unica dunmer a servire uno stregone, Padron Neloth: le altre Bocche rispecchiavano il volere dei ministri dello stesso sesso, e forse sarebbe stata l'unica a darle i consigli giusti su come affrontare il primo colloquio.

“Hai portato ciò che ti avevo chiesto?” Le scagliò addosso quelle parole senza neanche salutarla. Perla annuì, tirando fuori il sapone dalla bisaccia.

“Ottimo, hai occhio per la buona merce. Mi fa piacere che sei veloce e scattante, spesso mi è toccato aspettare secoli per una commissione.”

Ed io aspetterò secoli prima che mi venga affidato un compito degno di nota; pensò, trattenendo uno sbuffo d'impazienza.

“Be', puoi andare... a meno che tu non abbia altro da chiedermi.”

“Ecco, io...” Non sapeva come porsi. Aveva in mente solo parole puerili, che giacevano pigramente sulla punta della lingua. Di sicuro la nobildonna avrebbe riso di lei, ma non aveva molte alternative.

Puntò sulla sincerità, sperando di non sbagliare.

“Presto – credo – dovrò confrontarmi coi ministri. Ammesso che ottenga la promozione...”

“Solo se ti balocchi in ciarle oziose e sprechi il tuo tempo ciò non avverrà mai.” Arara rise, per burlarsi di lei, magari per gioco. Quando la incontrò per la prima volta furono i suoi pensieri inaccessibili ad incuriosirla. Si mostrava scorbutica ed intrattabile, almeno così voleva apparire. Cercava di farsi detestare, di sembrare minacciosa. O forse sagace, chissà. Qualcosa le diceva che esagerasse quei tratti per ottenere rispetto, indossando quotidianamente una maschera che si era adattata completamente alle sue fattezze.

“Sono desolata. Non vorrei essere maleducata o invadente, ma... com'è servire Padron Neloth, quando di norma i ministri scelgono sempre candidati del proprio sesso a rappresentarli? Avete incontrato difficoltà? Vi siete inimicata gli invidiosi?”

Arara vagliò le occhiate incerte di Perla. Batteva le lunghe ciglia scure riservandole uno sguardo attento. Le palpebre carnose accentuavano il colore scuro delle iridi, carminio come il rossetto sulle labbra socchiuse. Doveva avere l'età della zia, ma aveva gusti più sofisticati...

Volò lontano con la fantasia, immaginando che fosse lo stesso Neloth ad arricchire il suo guardaroba.

“A-ha. Una domanda del genere non si pone a cuor leggero. Allora, vuoi servire anche tu un ministro? Arrivare lontano?”

“Penso che qualsiasi allievo Telvanni desideri contribuire al benessere del proprio casato.”

Perla alzò la guardia contro l'insidia, strusciando un piede a terra, avanti e indietro. Non doveva permettere ad una domanda innocente di rivelarsi un'arma a doppio taglio.

“Ti hanno obbligata a stare qui? Dunque, lo fai senza un briciolo di ambizione? Sei nel posto sbagliato. Finirai mangiata dai mostri cattivi. Comunque, preparati a divenire fervido materiale di discussione nelle osterie di Sadrith Mora. Sono solo una meretrice per certi stregoni: se una dunmer viene lodata per il suo valore, alla base non vi è altro che uno scambio di favori. Neloth si fida di me, a tal punto da concedermi l'onore di curare i suoi dolori. È questo ciò che conta.”

“E voi... non ne avete mai sofferto?”

Non si tirò indietro, ma proseguì a testimoniare come se stesse parlando di banalissime questioni.

“I primi tempi? Sì. Tornavo a Tel Naga e leggevo, per non lasciarmi condizionare. Tuttavia, le malelingue avevano insinuato in me il dubbio, difatti cominciai a credere di essere realmente la sgualdrina di Neloth. E sai che successe? Il maestro si palesò nella mia stanza, una sera in cui ero depressa per l'andamento della mia ricerca. Mi aggredì, sostenendo che solo i sempliciotti si lasciano turbare dalle parole, l'unico mezzo del codardo per ferire il nemico più forte. Aggiunse persino che – se gli fosse andato a genio – mi avrebbe fatto intendere il significato di un epiteto appreso per bocca altrui proprio lì, seduta a stante. Non fece nulla di tutto questo... un uomo d'onore non si abbassa al livello dei suoi accusatori, e bersagliavano me per danneggiare lui: se volevo proteggerlo, dovevo farmi forza.”

Perla aggrottò la fronte e serrò le labbra in un lungo arco, adirata per ciò che le si prospettava. Si dondolava sulle gambe, incapace di contenere i pensieri.

“Non è colpa vostra, avete agito con buonsenso. E non meritavate affatto la ramanzina... è naturale sentirsi feriti, quando sorgono fraintendimenti. Un elfo ed un'elfa sono in tutto simili, entrambi sono dotati di raziocinio. I ministri Telvanni si lasciano irretire da un istinto dominatore che estendono ad ogni terra e palazzo... perché si persuadono di poter blandire le colleghe con promesse e bugie, dico bene?”

“Parli troppo per i miei gusti, ma sei perspicace. Sì, le figlie dei nobili Telvanni sono merce di scambio per siglare accordi ed alleanze. O una conquista da sfoggiare in mezzo alle suppellettili incantate di casa. La pensiamo allo stesso modo. Non dovrei fidarmi, ma cominci a piacermi.”

Arara le allungò una specie di sacchetto ricamato, ricavato da un fazzoletto per signore assicurato da un lungo nastro. Perla tese le braccia in alto, verso la loggia, ma la mano mancò la presa e il piccolo involto piombò a terra, trillando.

Monete.

Un centinaio di septim, più di quanti ne avesse mai visti assieme. La guardò, spaurita, mentre si ficcava la discreta sommetta sotto il bavero della camicia.

“Procurami il bastone dell'alba argentata: Neloth è impaziente di aggiungerlo alla sua collezione. Un'incantatrice della Gilda si è rifiutata di vendermelo. Ancora non ti conoscono, potresti strapparglielo ad un prezzo vantaggioso. Sono ottocento septim... effettua la trattativa per me, e se avanza qualcosa tieni il resto.”

“Sarà fatto, maestra.”

Galos simulava uno spiccato disinteresse per la faccenda, ma in realtà si meravigliò in segreto della sua fortuna: scegliere Perla come futura Bocca era stata una mossa azzeccata, specie se era riuscita ad ispirare simpatia in Arara Uvulas, da sempre sospettosa e diffidente. In effetti non l'aveva mai presa per il verso giusto. Da bambina aveva già assorbito il carattere pignolo della madre, tramutandosi in una piccola sputasentenze. Proprio il suo esatto contrario, poiché proveniva da una famiglia benestante, non amante dei fasti. Aveva avuto come maestro Tilvur Valari, un ex-monaco del Tempio: sebbene fosse tornato alla vita secolare, lo aveva spinto ad abbracciare uno stile di vita frugale, quasi ascetico.

Richiamò la giovane con un cenno, ed ella si mise sull'attenti, di fronte al piedistallo.

“Sera...” Lo salutò come se fosse un estraneo.
“Vedo che hai fatto ritorno.” Galos adoperò un tono brusco per render credibile la messinscena. “Volevi fare un giretto per le isole ed esplorare i dintorni, hm? Ti do l'occasione che cercavi: consegna queste lettere a Divayth Fyr. Non devi assolutamente spezzare i sigilli, intesi? Tel Fyr è a sud-ovest di Sadrith Mora, basta che prendi quella direzione.”

Finalmente il primo lavoro di responsabilità: il ministro voleva metterla alla prova, saggiare la sua discrezione inviandola dallo stregone più anziano di Vvardenfell. Il legame tra Aryon e Padron Fyr le era comunque oscuro, anche se immaginava il nuovo tutore come un vecchietto gentile e dalla lunga barba bianca. Dicevano che fosse il mago più giovane del Concilio, ma... quando l'età media si aggira sui cinquecento anni, la differenza non è poi tanto notevole.

Si era procurata a buon mercato un astuccio di pelliccia, trattato con una mistura oleosa atta ad impermeabilizzarlo. Le precauzioni per una traversata marina non sono mai abbastanza, e così gli imprevisti, anche nelle cose semplici.

Braccia e gambe erano tese, faticava a muoversi per via dell'ansia. Si trattava di una passeggiata sull'acqua, ma aveva paura di fallire. Strinse i pugni per darsi un tono, e fece sparire il messaggio sotto la camicia, assieme alle monete.

“Sono convinto che nessuno ficcherà le mani lì... o morirà provandoci!” Rise Galos, sdrammatizzando la situazione.

“Vestire da uomo ha i suoi lati positivi.” Lo rassicurò, ben sapendo che nessuno aveva attentato alla sua persona, all'infuori del mezzo dunmer al Gateway Inn. “A proposito, vi ringrazio per avermi difesa, quel giorno. Non so quanti problemi vi continuerà a creare il mio nome...”

“Dovere, Perla. Ora capisco perché ti chiamano così. Spero solo che Angaredhel dia meno in escandescenze, e che non ti metta le mani addosso.”

“Alla fine è una brava persona, ha solo troppa esuberanza. Comunque... a chi devo recapitare la risposta del mago?”

Galos si strofinò il mento con l'indice destro, valutando se fosse fattibile presentarla ad Aryon, oppure attendere un valido pretesto. Era meglio avvisare il maestro, per prepararlo mentalmente all'incontro.

“Tel Vos è un avamposto di modeste dimensioni, e di sicuro mancherà qualcosa nelle dispense degli speziali. Ho qui un paio di pozioni che potresti recapitare alla torre dei servizi, però è opportuno che il ministro sappia, affinché sia nello spirito giusto per poter conversare con te.”

“Oh, è tanto impegnato? Intrattenere pubbliche relazioni e gestire una contea è un lavoro alquanto gravoso.”

Peccato che a metter in crisi Aryon fosse un'innocua fanciulla, piuttosto che un registro catastale o un breviario in aldmeris...

“No, è l'etichetta che regola il cerimoniale Telvanni. Organizza il viaggio a tuo piacimento, purché il sommo Divayth riceva il messaggio. Parti immediatamente, cosicché io possa far rapporto stasera stessa. E se ci sono problemi, accorrerò subito in tuo aiuto.”

 

Tagliò in diagonale la strada che conduceva a sud-est, e puntò dritta verso il molo. Il vento disegnava sulla rena solchi regolari, che si succedevano l'uno dopo l'altro come piume su ali d'uccello. Alghe e conchiglie venivano rigurgitate dalle onde impetuose, scoraggiando chiunque avesse intenzione di prendere il largo.

Perla portò una mano alla fronte e strinse gli occhi, mirando gli isolotti in lontananza. Galos le aveva donato alcune pozioni per camminare sull'acqua, ma preferiva conservarle in caso d'emergenza. Doveva decidere in fretta, aveva gli arti intorpiditi per il freddo e poche ore di luce ad illuminarle la via.

Il cielo plumbeo non prometteva nulla di buono. Calpestò i flutti, lingue di spuma ed acqua, e mantenne la rotta; ignorando il timore di venir inghiottita e cadere giù, tra dreugh e pesci assassini. Tornò ad indossare il vecchio mantello, l'unico indumento rimasto a ricordarle il passato a Tel Branora. Le spiaceva separarsene... era un regalo della maestra, e per entrambe aveva un immenso valore affettivo. Con lo stesso mantello, Seryne Relas aveva peregrinato sotto le stelle, invisibile e sempre vigile come un rapace notturno. Si era infilata negli angusti cunicoli delle grotte di Molag Amur e aveva marciato tra gli irti spuntoni di basalto che puntellavano la Montagna Rossa. Aveva persino sfidato gli atronach del monte Kand, fino ad arrampicarsi sugli alberi della paludosa costa a sud-ovest.

Perla decise che la rovina daedrica non costituiva una minaccia, anche se la geometria irregolare di quelle pareti destava in lei meraviglia e spavento. Una visione lugubre, accompagnata dal vento ululante. La trascinava indietro, verso l'isola maggiore.

Un groviglio di liane le afferrò il busto, fu incapace di procedere oltre: un'impietosa tenaglia ad impedirle la fuga in un abbraccio soverchiante. Ammesso che fossero liane...

...Ma non fu la forza degli elementi ad abbatterla, bensì la mano di un essere vivente: incappucciato, funesto. Perla adocchiò una coda dalle scaglie brillanti e poi il resto: una cotta di maglia leggera, tinta di nero, e una casacca del medesimo colore che copriva un elmo di netch malridotto, rattoppato in più punti da cuciture grossolane. Guardò in faccia la morte, un volto bizzarro e sfigurato.

“Dammi il messaggio, moccioso. Non ti conviene rifiutare, posso sempre ucciderti e recuperare quel che cerco quando sarai cadavere. Ti conviene collaborare, oppure questo mare diverrà la tua tomba.”

“Quel che cerchi... non ciò che vuoi. È un pezzo di carta, sai che non ne vale la pena.”

Temporeggiò: un argoniano, in una posizione che volgeva del tutto a suo favore. Solo acqua intorno, e non un posto per nascondersi. Se si fosse tuffata lui l'avrebbe inseguita, stanata. Non solo era per natura un provetto nuotatore, ma l'avrebbe costretta in apnea per lungo tempo.

Difettava in magie d'Illusione... se fosse stata in grado di rendersi invisibile, avrebbe cercato la colluttazione, in modo da distrarlo e sgattaiolare via. Invece si dimenava furiosa, mentre l'assassino le serrava ambo le mani dietro la schiena.

“Chi è che ti manda?” Chiese, sapendo di non avere molte possibilità.

“Sono il tuo regalo di compleanno. Non so se in anticipo o in tremendo ritardo, dipende da quanto tempo è passato. Che conta, ormai? Tanto questo è l'ultimo giorno della tua vita.”

“Buffone,” lo insultò, strattonandolo in avanti. “Hai riesumato dall'armadio la tua tenuta peggiore, di certo non sei a corto di buoni motivi.”

“Indovinato.” Una fila di denti aguzzi balenò dietro le fessure rammendate dell'elmo. Se la stava spassando alla grande. “Se ci tieni alla tua pellaccia morbida possiamo metterci d'accordo, non mi piace sgozzare i ragazzini. Quindi, o mi dai il messaggio o t'infilzo il collo.”

“Va bene, va bene. Hai vinto tu.”

Seppellì una mano nella bisaccia, di comune accordo con il rettile, che stringeva l'altra con le sue dita palmate. Rimestò all'interno, alla disperata ricerca di un'idea... un modo per cavarsi fuori dal pericolo.

“Niente trucchetti, sgancia il messaggio, prima che m'arrabbi sul serio.” Affondò gli artigli nella carne, e l'elfa represse un singhiozzo di dolore serrando le labbra. Voleva gridare, trascinarlo in acqua e sparire, mentre le slacciava la camicia di seta.

“Che bella sorpresa... hai il petto fasciato. Dunque, non sei un garzone come gli altri.”

“Non toccarmi!” Aveva superato il limite, scoperto il suo segreto. Ormai, solo un lembo di stoffa lo divideva dall'agognata lettera.

“Ci mancherebbe altro, mia cara signorina. Per chi mi hai preso? Noi Saxeel abbiamo un codice d'onore, non siamo mica come quelli della tua razza. Il vostro cinismo vi porterà alla rovina.”

“Ecco, questo è il foglio che cercavi. Adesso lasciami andare, hai quello che ti serve.”

“Hm.” Perla aveva capito che era troppo navigato per farsi raggirare in un modo così infantile. Tuttavia, l'assassino argoniano stette al gioco, le strappò il documento che aveva tirato fuori dalla bisaccia e srotolò la pergamena.

Nel frattempo, Perla indietreggiava di qualche passo, la distanza necessaria per tentare la fuga. Pochi secondi...

“Qui non c'è il sigillo di Tel Vos... A quanto pare, non sono stato abbastanza chiaro. Pazienza, non mi lasci altra scelta. Dovrò ucciderti per conoscere la verità.”

Sfilò un pugnale incantato da una guaina invisibile, nascosta chissà dove tra l'imbragatura al di sotto del mantello. Le si avvicinò minaccioso, tenendo bassa la lama, mentre lei lo studiava girandogli attorno, incapace di agire.

“Avanti, combatti con orgoglio. Voi dunmer non siete tenaci, integerrimi, pronti a tutto? Solo idiozie, allora. La morte sarà l'unica risoluzione per redimere i tuoi peccati.”

“Te la stai prendendo con la persona sbagliata.”

“Nessun uomo o donna che decida sua sponte di servire un ministro Telvanni è realmente innocente.”

L'elfa e il mare divennero una cosa sola, quando udì la voce gutturale dell'altro stemperarsi in un gorgoglio martellante: bolle d'aria risalivano in superficie, e cadeva verso il fondo, tra i banchi di coralli e la fitta foresta di alghe verdi.

Respirava sott'acqua, ma non poteva vederla: convogliò il primo barlume di lucidità rimasto in un incantesimo di visione notturna, e nuotò, nuotò... più veloce che poteva.

La tirò per il bordo del farsetto, e poi affondò la lama nella spalla.

Perla spalancò la bocca, e un fiotto d'acqua gelida le inondò la trachea. La paura e l'angoscia l'avevano in pugno, nelle sembianze di un sicario argoniano.

Non c'era più speranza, lo credeva fermamente. Pose le mani sul petto dell'assalitore e scatenò il proprio istinto di sopravvivenza in un bagliore di luce accecante.

Di primo acchito, il rettile si affidò al pugnale, che agitava a vuoto nel vano intento di abbatterla. Il metallo ben temperato ondeggiava come una foglia caduta dall'albero, priva di senso d'orientamento. E mentre procedeva a tentoni, si immerse tra un banco di alghe e fuggì a nuoto, guizzante e tenace.

Tel Fyr... Avvistò un crogiolo di spirali e liane a leghe di distanza, in un'esasperata corsa fino alla riva. Grumi di sabbia e sangue impressero tracce inequivocabili sul suo passaggio, ma era lo squarcio tra spalla e clavicola a destar preoccupazione.

Si gettò contro la porta in pietra e finì scaraventata a terra, sotto la spinta del proprio corpo. Era come se non le fosse rimasto neanche un osso intatto: un braccio avanti, l'altro al petto, per proteggere il messaggio.

Il messaggio... è ancora qui.

Lo disse a voce chiara, per tranquillizzare soprattutto se stessa. E non le venne in mente altro, mentre esalava un sospiro affannato, prima di perdere i sensi.

 

 

“Povera donzella. Smarrita in un sogno, un incubo; un atroce incubo. O confusa forse, inerme tra le braccia di Vaermina; boccheggiante, ansante. Se Mephala ti avesse benedetta col suo bacio, che mirabile concubina saresti. Prolunghi una sofferenza indesiderabile, o un suadente godimento, di giorno, di notte... o nell'intermezzo tra alba e tramonto, lo spartiacque tra Mundus ed Oblivion. Afflizione e sublime beatitudine si fondono l'un l'altra, non lo sai? Vivi, sei debitrice alla buona sorte. E tra i principi belligeranti, mi chiedo chi si sia mosso a pietà, chi ti abbia condotta qui.”

Perla mugolò, indolenzita, rasserenata. Qualcuno le accarezzava i capelli, vezzeggiandola con amabili monologhi. Un tocco affettuoso, morbido. Dilatò le narici e fece sue le corpose nubi d'incenso ed essenza di resina... un toccasana per l'anima.

“Nonno...” Lo rivide, con gli occhi appannati di lacrime. Una barba lunga, bianca, e dei capelli candidi e lisci... sottili fili d'argento. In apparenza sembrava molto anziano, e anche molto abbiente e sicuro di se stesso, se poteva permettersi di sfoggiare un'intera armatura daedrica con sincera indifferenza. Le dita sottili e nodose erano intrecciate alle sue, piccole e carnose. Non era da fanciulle dabbene trattenersi con uno sconosciuto in gesti troppo familiari, ma in quel momento si sarebbe prestata a qualsiasi cosa. Forse...

“Ah, dunque sono così vecchio? Se avessi qualche anno in meno...” A vederlo meglio non li dimostrava più di tanto. Non era un arbusto verde e fulgido, ma un albero con solide radici e rami robusti, frondosi. Un età indefinita...

“Serjo?” Le avevano sfilato la camicia ed esteso la fasciatura fino alla spalla ferita. Qualcuno che ci sapeva fare con gli incantesimi aveva rimarginato il taglio, disinfettandolo con un impacco di marshmerrow e riso salato.

“Se ti riferisci al fatto che sei quasi ignuda fino alla cintola, non son cagione di colpa, quanto di aver provveduto alla tua salvazione. Mi rincresce che le mie figliole t'abbiano portato via le vesti, eppure si sono adoperate nel soccorrerti alacremente. Se m'è concesso osare, damigella, vi preferisco ora, per quella che siete, e non camuffata da giovinetto. Rimanete con me, sostate qui sino a domattina. Sebbene collezioni artefatti e tesori rari, sono i racconti di avventure e misteri ad allettarmi di più.”

“Voi... voi siete Divayth Fyr?” Le parve una domanda retorica, visto che il dunmer che aveva di fronte a sé rappresentava appieno l'immagine che si era fatta di un ammirevole mago Telvanni.

“In persona. Con chi ho il piacere di discorrere?”

“Io... ah, non importa. Tutti mi chiamano Perla. Sono la nuova allieva di Galos Mathendis.”

“Dunque, il momento è giunto. Il mio Aryon avrà una nuova assistente, e che gradevole presenza! Carne, carne giovane. Uno sprone in più a tirar fuori la grinta. E tu sarai solo sua, nevvero, donzella? Ottima scelta, Mathendis. Proprio ottima!”

I nobili Telvanni erano dei gran folli, nessuno escluso: il mago s'atteggiava a dotto, parlandole come un libro stampato. Era adagiata su un materasso di vimini e paglia, simile a quelli nei sanatori del Tempio. Non si mosse, intenta com'era ad osservare i repentini cambi d'espressione su un volto di pietra e gli sfavillii di fuoco sull'armatura, che strideva ad ogni movimento.

“Venerabile maestro, io ho un messaggio per voi. Da parte del ministro Aryon: l'ho riposto in un astuccio di pelliccia, credo che mi sia stato portato via assieme agli abiti.”

“Oh, intendi questa pergamena, forse?” Divayth staccò il sigillo proprio in quell'istante, e Perla ebbe l'impressione che non attendesse altro che il suo risveglio. “Mm. E riguardo la ferita alla spalla?”

Pulsava e lacerava la pelle, nel punto in cui si era conficcata la lama. Si morse il labbro, tentando di sollevare almeno il busto, ma s'eclissò in un ruggito di rabbia. Prima di dormire avrebbe rivolto una speciale preghiera alla dea, perché era stata graziata. E viveva, per un misero rivolgimento della sorte.

“Mi hanno attaccata.” Pronunciò parole scarne, inadeguate al ceto del suo interlocutore. “Non so chi l'ha mandato. Era un argoniano, voleva che gli consegnassi il messaggio.”

“Ponderato in un lasso di tempo alquanto modesto, affinché non abbia scampo. Ah, povero figliolo, cosa gli si prospetta!”

Perla aggrottò la fronte, non se lo figurava come un poppante bisognoso di cure e privo di difese . Aveva intenzione di sfruttare l'ospitalità del nobile per farsi rivelare qualche informazione sull'elfo oscuro che l'aveva introdotta tra i suoi accoliti. Era giusto che sapesse...

“Ma... Aryon non dovrebbe essere svezzato, oramai abituato ad assalti ed atti di sedizione? Perdonate l'insolenza, ma non è uguale a voi?”

“A me? Birbante, ti sollazzi alle mie spalle, eh?” Divayth riempì la sala con una risata bassa e roca, mentre teneva le mani sui fianchi e sollevava il capo in un movimento aggraziato.

“Io son un esemplare quanto mai unico, ed Aryon è un giovincello a confronto, non per modo di dire. Cosa mai credevi, di ritrovarti a far da serva ad un vecchio bacucco? Qual spregio!”

“Mi dispiace, signore. Non volevo.”

La intimidì sfoggiando un sorriso suadente,una giovialità non comune per uno del suo calibro. Aveva superato la prova del tempo mantenendo inalterato il gusto dell'ironia, proprio come un buon vino; irrobustitosi attraverso un'accorta disciplina mentale, in modo da non inacidire.

“Oh, questa sì che è bella. Un tentativo di sedizione, peccato per la vocale sbagliata... per nuocere al mio figlioccio ed alla sua futura protetta. Aspetta che posi l'occhi su di te, donzella. Non gli verrà più il ghiribizzo d'indirizzarmi lacrimevoli missive.”

“Di... di cosa state parlando?”

“Lingua daedrica. Un tributo alle usanze autoctone. Di' al ragazzo che non posso accettare.”

“Ma...”

“No, donzella, non indurmi a riconsiderare le decisioni prese. Sai che non potrei resistere ad una supplica, pronunziata da labbra sì dolci ed invitanti.”

Aprì una cassetta adagiata su un basso tavolinetto, tirando fuori una piuma nera e delle pergamene decorate: lo stemma di Tel Fyr spiccava raggiante, circondato da alcuni simboli astrusi. Agitava il pennino con l'abilità di un provetto calligrafo, e l'elfa constatò che le vecchie abitudini erano dure a morire, nonostante gli accordi con l'Impero.

“Con questa non riconsidererò la mia scelta, è ufficiale.” L'inchiostro rosso sgorgava copioso, inesorabile. Standosene zitta avrebbe vanificato gli sforzi del ministro e reso la missione completamente inutile. L'incertezza la incitò a starsene in disparte, ma non doveva cedere... era parte della fazione di Tel Vos, ormai. Nel bene e nel male, anche il più piccolo gesto poteva rivelarsi decisivo.

“Venerabile maestro,” disse, a voce tremante. “Non comprendo le ragioni che vi hanno portato a rifiutare l'aiuto ad Aryon, però credo che abbia bisogno di voi. Io sono una pedina della scacchiera, ma vi chiedo di ripensarci. Mi lancerete addosso sfere di fuoco, è comunque il rischio che corro da messaggera. Oh, non so perché desideri un consulto, magari vi considera degno di fiducia! E la fiducia è un potere: egli ha messo nelle vostre mani i suoi timori, voi custodite le sue idee, le paure che non confesserebbe a nessun altro. Non traditelo, allora!”

S'impadronì del suo sguardo, avvicinandosi a lei in quella stanza ampia ed ospitale: sugli scaffali giacevano alcune boccette di pozioni, dei libri, delle gemme dell'anima... e persino un teschio. Si chiedeva dove mai l'avesse raccolto; se fosse il macabro trofeo di un nemico caduto in battaglia, o il funesto lascito di un servo dei principi d'Oblivion. La fisiognomica era una scienza complessa, tuttavia era meglio se certi aneddoti restassero oscuri.

Quanta forza emanava lo stregone: le prese la mano, stringendola ancora. Perla sbiancò, espirando sgomenta.

“Sono stato un padre per Aryon, che ho accolto nel peggiore dei momenti. L'ho tratto in salvo per onorare una promessa e tirato su assieme alle mie figliole. Loro sono... una parte di me. Esseri viventi, sì... ma pur sempre un esperimento. Benché il vincolo sia tuttora saldo, e le memorie vive, mi son deciso a trarmi in disparte. Possiede un'arma migliore.”

“Quale sarebbe?”

Le sfiorò il petto, lungo la linea dello sterno. E un brivido le percorse le membra.

“Di vanagloriosi cialtroni ve ne sono a bizzeffe, ma gli anni che ho vissuto motivano le mie supposizioni. Aryon ancor non sa cosa vuol dire comandare: s'è attorniato di amici, e un amico non istiga al dominio, bensì al rispetto. Da un servitore ci si aspetta l'obbedienza, la sua dedizione alimenta l'ego del padrone, lo rende sempre più affamato di compiacenza. Hai tutte le doti per compiacere, donzella... e quel candore che confina con la spudorata insolenza. Il potere si basa sugli istinti primari; è difesa dei propri beni, un moto totalmente irrazionale. Prevedo già come andrà a finire... sì, il ragazzo diverrà un temibile signore, e son certo che non tornerà indietro.”

Servire. Non aveva considerato le sfaccettature meno ovvie, l'obbligo di accettazione totale.

Di accettare qualunque cosa, anche ciò che andasse contro i suoi principi. Sudò freddo.

“Mm. Da come m'adocchi, pare che tu abbia ancora parecchi quesiti in sospeso.”

Non li avrebbe ingannati, mai. Nessuno di loro.

“Sì.” Rispose, in un falso cinguettio. “Quanti anni avete, signore, per sostenere d'essere quasi infallibile?”

Egli rise, ricambiando la sua pretesa esuberanza.

“Quasi quattromila, direi. Eh, se ne avessi qualcuno in meno... continuo a ripeterlo. È un tarlo, ragazza mia. Su, ora dormi. Rigenerati in fretta: dovrai esser in grado di reggerti in piedi e levitare, se desideri incontrare il tuo maestro.”
 



A volte ritornano. Come promesso, ecco la seconda parte del capitolo dopo... tre mesi d'attesa? Sì, sono imperdonabile, anche se non avevo mai avuto intenzione di abbandonare questa storia. Anzi, diciamo che le idee per sviluppare personaggi e situazioni ci sono!
Torna Divayth Fyr, con le sue perle di saggezza e l'aria accattivante. Finalmente succede qualcosa, e il capitolo non è solo uno scambio di battute tra personaggi... almeno per voi lì dietro lo schermo, amanti dell'azione. Perla stava per avere la peggio e, nonostante sia una schiappa in Illusione, ha proprio utilizzato un incantesimo di questa scuola per liberarsi del sicario argoniano.
Sembra scontato, ma per me non lo è affatto: ringrazio chi ha aspettato così tanto per leggere questo capitolo, e chi sopporta le imperfezioni. :) Quanto al ritmo di scrittura, dovrei proprio darmi una mossa, anche se sto scrivendo un'altra one-shot ambientata a Cyrodiil, sempre un'idea che avevo in mente da tempo (oh, no! Ci è ricascata).
A presto! :)

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Capitolo 9
*** Scherzo della natura (ultima parte) ***


Non avrebbe commesso lo stesso errore.

Sprofondato nella panca, aspirava da un lungo narghilè; il fumo setoso spargeva intorno aromi di hackle-lo, wickweat e fiori delle rocce. Galos scosse la testa nel vederlo in quelle condizioni.

La lettera: sicché, il vecchio si era tirato indietro per l'ennesima volta. E accanto a sé una fiasca di mazte e le credenziali del nuovo mago, che non promettevano nulla di buono.

Una sparuta peluria scura sul volto, capelli in disordine ed una veste da camera allentata condivano l'immagine disinvolta che si era creato.

“A quanto pare, Neloth è diventato arbitro di stile.” Commentò il portavoce, ponendo le mani sulla cintola.

“Taci. Non ti riguarda oramai, non sei ben lieto di riabbracciare la tua donna a Tel Branora? So perché sei qui, lo vedrò per la prima volta.”

“Esatto. Ben lungi dal porgervi una critica, ministro... ma sarebbe opportuno darvi un tono. È una persona comprensiva, ma credo che non sia il modo appropriato per cominciare.”

“La dissolutezza, Galos, e un fiato pestilenziale di liquori e fumo. Bastano pochi accorgimenti per farsi temere, con la buona educazione non si va mai da nessuna parte.”

“Fingere di essere ciò che non siete peggiorerà la situazione.”

“Mm. Che vuoi saperne tu, mica hai sulle spalle una contea! Il mio fallimento ti tange solo in parte.”

Era il giuramento a Tel Vos, però, a cui Galos doveva rispondere. L'aveva visto maturare, facendogli quasi da padre: sotto la sua ala protettrice aveva eretto Tel Vos e strappato alle paludi i terreni circostanti. Era fiero del suo ragazzo, mite e cordiale, talmente in gamba da aver partecipato ad un feroce attacco contro uno dei massimi congiurati nella lotta per il magistero.

Possedeva indubbiamente buon cuore, poiché decise di graziarlo risparmiandogli la morte, a fronte di una soffiata sui traffici illeciti intrattenuti dal vecchio padrone.

Non doveva nulla a Dramos, signore delle terre di Uvirith. Nel conflitto che ne scaturì, il suo quartier generale venne raso al suolo, fatto implodere in se stesso e traslato in un piano dimensionale estraneo al Mundus. Galos non trovava attendibili le facezie di mercanti ed alchimisti, che raccontavano di fulmini, cancelli infuocati e frottole d'infima specie.

Gothren era l'unico a sapere com'erano andate le cose, perché egli stesso aveva aperto il portale. Il braccio destro di Dramos, detentore di Tel Aruhn, era stato assassinato per mano di Aryon e col tacito appoggio dei restanti membri della fazione, disposti a tutelare esclusivamente l'immobilità delle loro vite quotidiane.

Nello studio del giovane ministro dimorava la quiete, le fresche pareti della torre erano lisce al tatto, sprigionavano un odore di terra e foglie bagnate tipico del sottobosco, o degli organismi vegetali in piena crescita. I vivaci tappeti in seta e i cuscini sparsi sul pavimento facevano da contrappunto al legno scuro del soppalco in cui amava ricevere gli ospiti. Aryon si era occupato di persona della crescita del fungo, per far sì che il progetto seguisse l'ispirazione, le novità della sua linea politica. Purtroppo, non ricorrere ad uno specialista gli riservò subito amare sorprese: il forte imperiale in disuso, che doveva esser inglobato da radici e volute, finì per sostenere il gambo al centro della corte, diventandone la base portante. Per evitare che le radici danneggiassero le fondamenta, ridusse la dimensione della torre e preferì valorizzare ciò che restava ancora in piedi.

Quello che aveva fatto, tuttavia, lo doveva solo a se stesso. Si irrobustiva, giorno dopo giorno, come il fungo che era divenuto la sua casa.

“È vero, siete voi che comandate queste terre... ma la gente vi vuole bene. Se abbiamo scelto di starvi accanto è perché nutriamo fiducia. Non confidavate in me nei primi tempi, ricordate? Avete riconfermato la mia posizione, nonostante appartenessi alla fazione di Dramos. Vi dirò una cosa, Perla non è entusiasta del nuovo compito e ricambia la vostra diffidenza. Pur di recapitarvi il messaggio ha corso il rischio di essere assassinata: mi è arrivata la lettera per voi, con le ragioni del suo ritorno attardato. Divayth ha anche scritto che vi ha difeso, sebbene non vi conoscesse, per favorire la vostra causa. Per il dovere, capite?”

“Perché parli di Perla? Non mi tocca ricevere un uomo?”

“Pensavo che aveste capito: la chiamano tutti in quel modo per nasconderle l'imbarazzo di sentir pronunciare il suo vero nome. In effetti... è cacofonico, orribile. Magari potreste scucirle la verità, quando sarete il suo padrone.”

Assassinata. Quindi era già risaputo, quel segreto da cortigiana... sulla bocca di tutti ma taciuto solo in apparenza. Bisognava metterla in guardia al più presto...

Eppure, pensava soltanto allo stato pietoso in cui versava. Aveva mandato via i servitori, desiderava rimanere solo. Da giorni non si radeva, e come un bullo di bassa lega della Camonna Tong si era fatto crescere la barba per impressionare il presunto nuovo venuto.

“Maledizione!” Urlò, gettando a terra il narghilè.

“Comprendo la vostra agitazione. A quanto pare, gli avversari sono al corrente delle nostre mosse.”

“Non posso permettere che Tel Vos diventi un lazzaretto.” Commentò Aryon, risoluto. “Galos, recupera due ampolle di pozioni rinvigorenti, fra quelle che ho distillato tre giorni fa. Ah, e in caso sia possibile... chiedi all'alchimista se ha ancora del muschio Telvanni da qualche parte.”

“Perdonate, signore...” pronunziò l'altro, incerto. “a cosa serve il muschio, se bisogna praticare una magia di guarigione?”

“Mm.” Il ministro tentennò, troppo a disagio per spiegare. “Il muschio è per me. Se non posso mostrarmi in ordine di fronte ad una dunmer... tanto vale provarci, almeno!”

 

Se lo figurava esagitato, davanti allo specchio e con le mani impasticciate di gelatina, mentre recuperava in fretta le pozioni, la nipote acquisita e... già, il muschio Telvanni. Un bell'aspetto comportava sacrifici, resi di sicuro più accettabili se erano colonie di shalk ad esser immolate alla causa. Cacciare gli scarabei del fuoco tra le rocce laviche era un lavoro che fruttava abbastanza bene, anche se la distillazione del balsamo più ricercato dalla nobiltà di Vvanderfell richiedeva una massiccia dose di resina ed erbe officinali. Un noto speziale, che ricavava ed investiva i proventi dei suoi commerci in materie prime di pregio, gli aveva raccontato delle lunghe battute di caccia nelle terre cineree. Settimane estenuanti trascorse in accampamenti spartani a ridosso dei crinali delle montagne, per difendersi dal vento: i cacciatori partivano al levar del sole e facevano ritorno al tramonto con il bottino della giornata. Gli insetti venivano infilzati uno ad uno e conficcati sulla punta acuminata di una canna essiccata a fuoco, tra le sottili giunture dell'esoscheletro; per facilitare il trasporto fino alla base. Invece, l'estrazione della resina avveniva nei laboratori delle torri, e l'intero processo era sottoposto alla supervisione dei funzionari a palazzo.

A far lievitare il prezzo era la manodopera: invece, le tasse imposte dal casato erano quasi sempre accettabili. La sostanza ambrata macerava per giorni in un brodo di oli e spezie, per ottenere la consistenza pastosa tipica del muschio Telvanni.

Aveva lasciato Perla nella torre dei servizi a leggere un libro, schiena al muro, e la ritrovò intenta a discutere con Milar ed Andil sulla flora del bacino di Niben. Parlava di alberi lunghi centinaia di piedi, di prati bagnati da rugiada: Andil aveva viaggiato nella provincia imperiale, e lamentava la mancanza di pini e querce nelle terre riarse di Morrowind.

“La nostra cultura è basata sulla mancanza: per noi dunmer, la sobrietà dei costumi e il minimalismo degli arredi riflettono l'ambiente. I Nord sono un popolo fiero, sprezzanti e diretti quanto le bufere di neve della loro terra natale. Noi siamo stati forgiati dal fuoco della Montagna Rossa, ed esaltiamo gli sprazzi di vita che la natura ci offre nelle piccole cose. Il legno è merce rara, lo utilizziamo con parsimonia per costruire navi e arredi. Gli imperiali hanno introdotto le case imbiancate di malta ed intonaco, sostenute da tavole e tralicci di legno. La pietra dura di più, e resiste alle intemperie: sfido io, a costruire una costruzione simile ad Ald-Ruhn!”

Milar dissertava con foga, e gli altri due erano assorbiti dal suo discorso, finché il loro sguardo non incrociò quello di Galos.

“Qual è l'argomento di oggi, naturalismo indigeno?” Domandò, sdrammatizzando la cosa.

“Io direi, piuttosto, non ho bisogno di graziosi fiorellini per migliorarmi la vita.”

“Utilizzare boccioli di lino, al posto di cuori di Daedra e sali di vuoto per le pozioni magicka, la rende di sicuro più facile!” E Milar portò il dorso della mano sotto il mento, in attesa di confutare le affermazioni di Perla.

L'erborista dunmer ed Andil, il collega altmer, conducevano ricerche sulle proprietà benefiche delle piante patrocinati da Aryon. Erano convinti che sarebbero riusciti a conquistarsi l'approvazione degli imperiali sperimentando nuove ricette, favorendo in tal modo la vendita di pozioni al di fuori della ristretta cerchia del casato. Una relazione commerciale, un timido inizio per intraprendere un dialogo fondato sui reciproci bisogni, e creare nuove alleanze.

“Come va la spalla? Andil ti ha cambiato le bende?”

“Non ancora.” Rispose Perla, allargando le braccia in fuori. “Mi ha detto di conferire con Aryon e poi di tornare qui. A proposito, si è offerto di andare di persona a consegnare le pozioni. Spero che sappia cosa fare.”

“Certamente!” La tranquillizzò, scostandole una ciocca dalla fronte. “Mi raccomando, chiamalo Ministro... e comportati da signora. Tieni a freno la lingua, niente cadute di stile. Intesi?”

L'elfa oscura abbassò lo sguardo, nervosa. Dondolava la gamba, sfiorando il pavimento con la suola delle scarpe di cuoio: lo faceva in continuazione quando si sentiva a disagio.

“Andil, due ampolle di pozioni di guarigione e del muschio Telvanni.”

Si allontanò con la circospezione di un topo di campagna, ospite indesiderato nella ricca dispensa di una taverna. Non era sua abitudine chiedere, per fortuna. Rimaneva impassibile, senza lasciar trapelare la benché minima emozione.

Si trattenne nell'ala dei mercanti, concedendo al maestro il tempo necessario per prepararsi; per meditare ed assumere la regalità di un mago acclamato. Un grande cambiamento, ponderato nelle piccole cose. Presagi che si sarebbero avverati, se avesse accantonato l'inquietudine in cui l'aveva gettato il tradimento di Raldas.

La ragazza era un baule vuoto da riempire: la conduceva per mano, mentre volavano verso la torre... non sapeva se le stesse facendo del male; aveva deciso per lei, obbligandola a rinunciare alla sua allegria.

La stava trasformando, su di lui incombeva l'ombra del pentimento. Era l'uomo politico che aveva preso il sopravvento.

 

Tel Vos era un posto strano, quanto il suo signore. Una muraglia in pietra circondava le abitazioni preesistenti, accostate l'una sull'altra in maniera disordinata. Riempirono lo stomaco con un tozzo di pane e una zuppa di marshmerrow, serviti alla porta da una contadina khajiit. Aveva decorato il pergolato con un tessuto a fantasie floreali, tinto a cera e pigmenti: ben s'intonava con la vegetazione delle Grazelands, una rada distesa di erba ingiallita e spighe dal profumo di fieno seccato al sole. Un pezzo di Elsweyr a Vvanderfell: esibiva le tradizioni delle sue terre con orgoglio, per protesta, forse? La sua cordialità lasciava intendere tutt'altro.

Aveva insistito che visitasse la torre, la residenza di colui che si prendeva cura di loro con paterno affetto.

“Sha'zari non mente. Sha'zari ha visto il fungo crescere coi propri occhi. Il ministro ci ha donato la dignità di vivere da cittadini, qui dove il vento e la malattia prosciugano l'anima. Vedi la torre, dico. Ha sconfitto la siccità, ci recherà benessere.”

Verde smeraldo. Lucente e punteggiato da uno stuolo di gocce d'acqua e granelli di sabbia bagnata. Le radici affondavano in un tappeto di muschio e pietra, un forte che la legione imperiale aveva abbandonato dopo aver perso la battaglia contro la natura inospitale.

Dove sono i cristalli? Quando l'ansia aveva la meglio ondeggiava la testa, immaginava il vibrare languido del quarzo nella Sala del Concilio. Aveva sentito dire che le onde sonore emesse dalle pietre stimolavano le piante ad una crescita sana, composta. Magari, nel sottosuolo...

Tirò fuori il libro, mentre Galos scambiava notizie con un mercenario imperiale, un uomo dal collo e le braccia solcati da cicatrici bianche e frastagliate. Indossava un'armatura di metallo pesante e un guanto daedrico lustrato, in bella mostra sull'avambraccio sinistro. Si soffiava il naso camuso, riponendo ogni volta il fazzoletto in una cintura a tasconi, da cui pendeva anche il fodero della spada.

“Mi sono buscato un malanno, gli Zainab non collaborano e siamo al punto di partenza. Quei selvaggi si ostinano a mandarci via, dicono che non hanno bisogno di nulla!”

“Difendono il loro territorio e attaccano a vista gli invasori. Ci mandano via illesi perché sanno che non gli torceremo un capello, ma... sono dei conservatori, temono che potremmo condizionare la gioventù ad abbandonare le usanze secolari della tribù. Gli agi della vita urbana corrompono le virtù del guerriero... è questo che pensano.”

Non parlò ancora, ma rivolse lo sguardo verso un soldato in cima alle scale, che fece cenno di salire. La guardia imperiale chinò il capo, e Perla seguì lo zio acquisito fissando i gradini.

La stanza profumava d'incenso... inebriante incenso. Le nuvolette di fumo giallastro avvolgevano le piante, gli arazzi color terra bruciata. Un uomo di statura modesta armeggiava alla scrivania, in piedi, forse riponeva alcune gemme spirituali in un cassetto. Brevi ticchettii, un sordo tonfo e il fruscio della lunga veste da camera, adagiata sulle spalle come un mantello.

Perla trattenne il respiro, tesa quanto la corda di un arco. Avrebbe visto il suo signore, il giovane ministro che sarebbe stato un padre, per lei. Sì, l'avrebbe servito come un genitore... una mano gentile ad accarezzarle i capelli, parole confortevoli, dal sapor di crema di riso. Ogni sera, prima d'addormentarsi, aveva immaginato un elfo di mezz'età: occhi allegri, ridenti; incorniciati da sottili grinze. Quasi una copia di Galos, ma più compassato... il tepore lieve di una giornata d'autunno.

“Eccoti qui, Azarpar. Sono Aryon, ministro di Tel Vos, e lieto di averti qui a palazzo... sì, potrei patrocinare la tua carriera, se dimostrerai d'esser all'altezza.”

“Ah.”

Da secoli non sentiva pronunciare il suo nome. Era davvero così brutto? Così gutturale e ridicolo? Forse le aveva lanciato un incantesimo paralizzante, perché non riusciva a muoversi. A pensare qualunque cosa. Nulla stava andando secondo i piani... e poi Aryon era realmente giovane. Una via di mezzo tra la sua età e quella della zia...

Galos le piantò un piede dietro le ginocchia e finì a terra, prostrata di fronte a lui. Il ministro non lo trovò divertente: la degnò soltanto di una fredda indulgenza, quasi avesse messo in conto di ritrovarsi una goffa provinciale tra gli ospiti.

“Inchinati, per gli dei. E fa' come ti ho detto!” Sibilò sottovoce lo zio.
Perla si piegò in un drammatico inchino, osò alzare la testa per lampeggiargli un'occhiata veloce: si sarebbe messa l'anima in pace, se l'avesse fraintesa per un attimo di esitazione...

Invece, incontrò il suo sguardo perplesso, le iridi scarlatte contornate da occhiaie. Accorciò le distanze, attratta da un profumo piacevole a lei sconosciuto... ed invitante.

“Rialzati.” Le ordinò lui, con riluttanza. “Galos, non c'è bisogno di trattarla in questo modo. Col tempo si abituerà.”

Era infagottato in una ricca stoffa lucida, con dei ricami geometrici a rilievo. Blu oceano su una camicia di lino, e dei pantaloni alla zuava infilati in un paio di stivali in cuoio annerito. Si trovava abbastanza in basso da poter notare che la pelle di netch era stata bucherellata e bruciata in alcune zone per delineare un disegno astratto, onde e fulmini, forse. Anche i capelli erano mossi, donavano esuberanza ad un volto dai tratti affilati, ricoperto da lentiggini chiare.

Se non fosse stato un ministro nessuno l'avrebbe preso sul serio: le ricordava molto Gils Drelas, quel ragazzino che tutti gli elfetti del circondario chiamavano il devastato, semplicemente perché il suo incarnato somigliava ad una carta geografica.

“Siete troppo gentile, ministro. Non vorrei essere insolente, ma preferisco Perla al mio nome reale. È imbarazzante.”

“Non sono d'accordo.” Le sue labbra pallide e piene si schiusero in un sorriso altezzoso. “È il nome con cui sei nata. Meno vorrai udirlo e meno te ne farai una ragione.”

“Più l'ascolto e più l'odio.” Rispose di rimando, con una smorfia.

“Perla! Anzi no, Azarpar... cosa ti avevo detto?”

“Lasciaci soli, Galos.” Soggiunse seccamente, agitando in aria una mano snella. “Ora che è qui desidero farle alcune domande. Meglio se in privato, specie se sarò io a guidarla.”

Il portavoce abbandonò la stanza, senza fiatare. All'improvviso le mancò la forza di affrontarlo, ma non doveva desistere. Si trattava di una prova di fermezza, nervi saldi.

“Sarò chiaro sin da subito, donna. Se preferisci sentirti tale, dato che indossi abiti maschili... ti tocca fare il callo a molte cose, il tuo nome sarà il male minore. Capisci cosa intendo?”

“Sì.” Rispose, con le mani che le prudevano per la rabbia.

“Purtroppo, ti ritrovi a pagare gli errori di un'altra persona. Ed io ho una reputazione da mantenere, giochiamo a carte scoperte, in modo da venirci incontro. Il nome è un male minore: dovrai mentire, rubare, uccidere. Fare il lavoro sporco, ciò che i tuoi superiori definiscono gavetta. Il labirinto in cui ti stai addentrando potrebbe portarti via il senno. Sei un'elfa spensierata, anche se hai l'età per metter su famiglia: ti fingi adulta, ti fingi uomo. Sai mentire, bene. È un passo avanti.”

Gli avrebbe tirato un calcio in mezzo alle gambe, magari avrebbe avuto un assaggio della sua presunta virilità. Ma ascoltò in silenzio, in catene. Ah, il profumo...

“Mi ero sbagliato su di te; volevo essere gentile, ma ho cambiato idea. Basta solo una parola.”

“Giusto, una parola.” Lo incalzò Perla, in piedi e seguendolo con attenzione, costretta dalla luce, come un girasole. “Giocare a carte scoperte? D'accordo. Lo sto facendo per mio zio, Galos: mi ha detto che vi prenderete cura di me, ma mi è bastata una parola... una sola, banale parola, per rendermi conto che era in buona fede. È una brava persona.”

“Lo conosco da anni, ormai. Non c'è bisogno che tu me lo ricordi.” La interruppe, ghignando. “Avanti, continua pure.”

“Siete giovane, ma anche presuntuoso. Il potere vi ha dato alla testa; tuttavia, sono io a condurre il gioco. La pedina, la goffa apprendista che è crollata di fronte a voi come un peso morto. Se io rifiutassi non avrei nulla da perdere. Ma voi? Siete sospettoso, signore... ma questo non vi rende lucido, vi estrania dalla realtà. Avevate una certezza oggi: se andrò via rimarrete solo. Tornerete al punto di partenza.”

“Un servo vale l'altro.” Commentò, indifferente.

“Il tempo è vostro nemico.”

“Il tempo è nemico di se stesso, nella sua stessa clessidra.” Contrattaccò Aryon, a braccia conserte. “Non sei male, hai spirito. Questo te lo concedo.”

Azarpar spalancò la bocca, a quanto pare non si trattava di una lotta verbale. Sciocca, sciocca.

“Io... pensavo che mi steste insultando. Nei libri che ho letto... accade così.”

“La vita è un romanzo scontato.” Rispose, facendosi più vicino. Quale fragranza indossava? Poteva essere... quell'essenza costosa, col potere di rendere tutti inermi e consenzienti? Sentì un nodo allo stomaco e la gradevolissima sensazione di separarsi dal proprio corpo, di raggiungere il paradiso.

Non si era rasato, la barba spiccava appena sul mento lentigginoso, a ciuffi radi. Le faceva tenerezza, non sapeva perché... forse le sembrava un ragazzino.

“Mi sento... strana.” Gli afferrò il bavero della veste da camera, e la cintura si slacciò sotto la pressione delle sue piccole mani. Ah, non capiva... non capiva nulla.

“Non sei granché come illusionista, devo ammettere. E che stupido io, ho esagerato con questa roba.” La prese in braccio, evitando che cadesse. Per fortuna non l'aveva udito inveire contro se stesso. “Galos, abbiamo un problema qui. A quanto pare la tua parente se la cava. Purtroppo, nessuno resiste al muschio Telvanni.” E rise, stringendola a sé mentre l'adagiava sulla panca.
 



Finalmente, ecco la parte finale di questo capitolo. Anche queste pagine sono tra quelle che avevo già scritto mesi fa, ho deciso di pubblicarle lo stesso perché non so quando troverò la concentrazione per scrivere... e non volevo che trascorresse troppo tempo tra un aggiornamento e l'altro.
Sì, questa parte è un po' lenta, ma spero che vi piaccia lo stesso. Ho provato a descrivere a modo mio alcune situazioni quotidiane a Morrowind, ad inventare un antefatto per la casata Telvanni prima dell'ascesa di Gothren. Forse questo non è importante, ma potrebbe esserlo in seguito.
Alla fine, il mistero del nome reale di Perla è svelato... in una maniera un po' improvvisa, volevo che fosse così. :D Il primo incontro tra Aryon e l'apprendista è pieno di alti e bassi, ovviamente entrambi hanno molto da attingere, l'uno dall'altra.
Grazie a chi mi segue con pazienza, nonostante la mia lentezza. A presto!

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