L'altro lato della medaglia

di Cabiria Minerva
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII. ***



Capitolo 1
*** I. ***


I.

I can't remember when it was good
Moments of happiness elude
Maybe I just misunderstood
All of the love we left behind
Watching the flash backs intertwine
Memories I will never find


 

Falling Away With You, Muse

 
 

Mentre le dita sinuose di Loki lasciarono la presa, i suoi occhi rimasero incatenati a quelli di Thor. Avrebbe preferito mille e mille volte cadere nel vuoto eterno piuttosto che rimanere un altro secondo a fissare quell'espressione piena di pietà, eppure non riuscì a volgere lo sguardo altrove. Si guardarono – il principe ereditario di Asgard e quell'intruso, ingannato sin dalla prima infanzia a credere di appartenere in un luogo che gli era nemico – finché il buio e l'eternità non li divisero completamente.

Senza più energie in corpo e spossato nell'animo, Loki si lasciò cadere. Stelle e galassie sfrecciavano accanto a lui; sfiorò una nebulosa senza nemmeno accorgersene. Quella era la fine di Loki Odins... Laufeyson. Per un istante si domandò se qualcuno avrebbe ancora pronunciato il suo nome nel regno di quello che aveva a lungo creduto essere suo padre. Suo padre, colui che non aveva esitato a ripudiarlo malgrado i suoi sforzi per dimostrargli che sarebbe stato un re migliore di Thor. Loki sentì la mascella irrigidirsi e una strana sensazione irradiarsi dalla bocca dello stomaco quando il suo pensiero si spostò su sua madre. La rivide mentre lo teneva in braccio, ancora bambino e, suo malgrado, fece fatica ad ignorare il nodo che gli si formò in gola.

Tutte quelle immagini, quei ricordi... Bugie, nient'altro che patetiche bugie. Bugie che fanno male, piccolo Loki, gli sussurrò una voce infida. Strinse i pugni cercando di allontanare i ricordi e quella vocina fastidiosa dalla propria testa. Ben presto, tuttavia, l'oblio divenne l'unica alternativa: la forza della caduta e la spossatezza che si era impossessata di lui ebbero la meglio, e Loki chiuse gli occhi.  


 

* * *


 

Se Loki fosse stato cosciente, l'impatto con il terreno lo avrebbe fatto soffrire anche solo per il rumore assordante. La superficie su cui cadde si sgretolò sotto di lui e profonde crepe si dipanarono lungo la strada, si tuffarono nella terra umida e morirono nelle acque gelide del Norskehavet. Quando il rumore della terra che si screpolava lasciò il posto al brusio delle onde il cielo era ormai diventato uno scuro drappo ricamato da milioni di puntini dorati.

Se Loki fosse stato umano, la sua pelle avrebbe reagito a contatto con la fredda aria notturna che lo aveva avvolto, e forse la sua schiena avrebbe iniziato a dolere a causa della degli spuntoni d'asfalto che premevano contro di essa. Ma Loki era un dio – o almeno quello che su quel pianeta insignificante chiamavano dio – e quel suo stato di sonno profondo lo riparava da tutto ciò che gli era attorno. Ancora poche ore e il suo corpo si sarebbe ripreso da quel viaggio durato centinaia d'anni luce; al suo risveglio avrebbe trovato non l'oblio, non il Walhalla. No, al suo risveglio Loki avrebbe visto la costa – ricoperta da una bassa vegetazione – e le onde del mare infrangersi su di essa. Avrebbe alzato lo sguardo e avrebbe visto pesanti nuvole grigie coprire il cielo, ed allora avrebbe capito qual'era il luogo che il fato aveva scelto per punirlo.

 


Piccolo avviso: il rating è verde, ma non avendo ancora scritto gli altri capitoli non posso promettere che non verrà alzato! :)
NB: come forse avrete già notato, questa fanfiction non prende in considerazione The Avengers (e tutte le informazioni da esso ricavate).

Buona lettura,
Cabiria Minerva

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Capitolo 2
*** II. ***


II.

Do you know what's worth fighting for?
When it's not worth dying for?
Does it take your breath away
And you feel yourself suffocating?
Does the pain weigh out the pride?
And you look for a place to hide?
Did someone break your heart inside?

You're in ruins

 

21 Guns, Green Day


 

Un mormorio soffocato sfuggi dalle labbra sottili dell'uomo – letteralmente incassato nella strada – quando Kaja cercò di trovarne il battito per controllare che fosse ancora vivo, e la giovane donna sobbalzò. Si guardò attorno, ma nessuno passava mai per quella strada. Solo lei. Volse nuovamente lo sguardo verso lo sconosciuto e, rassicurata dal leggero movimento del petto e da quei borbottii che di tanto in tanto uscivano dalla bocca socchiusa, si accucciò accanto a lui per osservarlo. Indossava strani abiti: una sorta di casacca di pelle nera partiva da poco sopra le clavicole ed arrivava a coprire parzialmente i pantaloni, anch'essi di pelle scura. Il mantello – ora aperto a ventaglio sull'asfalto – era simile agli altri vestiti ma con degli inserti di stoffa verde e dei ricami d'oro lungo i bordi. Attorno agli avambracci, invece, aveva dei bracciali a fascia finemente decorati.

La giovane allungò nuovamente una mano, sfiorando appena la pelle cerea del volto dello sconosciuto. Malgrado la temperatura dell'aria, che in quel periodo dell'anno raramente superava i cinque gradi, la pelle sotto le dita di Kaja era tiepida e sembrava quasi che reagisse al suo tocco, diventando vagamente rosata. Con un gesto più curioso che tenero scostò una ciocca di capelli – capelli neri come le pietre laviche che ogni tanto riscopriva in anfratti lungo la costa – per osservare meglio l'arcata formata dalle sopracciglia, le lunghe ciglia chiuse su occhi ancora incolori.

Quando un braccio dello sconosciuto scattò e le afferrò la mano Kaja spalancò gli occhi, sorpresa, ma dalla sua bocca non sfuggì nemmeno una suono. Si studiarono silenziosamente, le mani bloccate a mezz'aria, poi Loki volse lo sguardo verso le ripide rocce a picco sul mare, verso i cespugli e gli arbusti che si trovavano sopra ad esse, ed infine verso la distesa increspata del Norskehavet. Lasciò andare la donna mentre una triste consapevolezza si impossessava della sua mente. No, non poteva essere...

«Dove mi trovo?» Loki si puntellò su un gomito per osservare meglio il paesaggio e la donna china sopra di lui. La sua voce tradiva non solo l'arroganza tipica di un principe, ma anche il tentativo di un ego ferito di riappropriarsi della propria potenza. La risposta di Kaja – che non proferì parola e chinò leggermente la testa da un lato come se lo stesse studiando – non fece che irritarlo ulteriormente. «Ti ho chiesto dove mi trovo, misera creatura mortale.» ripeté senza sforzarsi minimamente di celare il disprezzo che provava nei confronti di quelle creature dalla vita tanto breve, sprecata in inutili e vani gesti.

Kaja gli concedette un ultimo sguardo incuriosito prima di volgere gli occhi verso la linea dell'orizzonte. «Dove siamo...» Contemplò brevemente le onde più lontane, perdendovisi. «Siamo nelle terre di confine, nel luogo dove spiriti e vivi si incontrano, si scontrano. Siamo nelle terre dove solo i più coraggiosi hanno osato avventurarsi, ai limiti tra le lande ghiacciate e il mondo caotico.» Aveva una voce roca, quasi flebile, come se non fosse abituata a parlare. «Siamo nelle terre abbandonate.»

Loki la osservò inarcando un sopracciglio. Perfetto, caduto in questo misero mondo mortale, popolato da esseri inferiori, deboli. Non era una punizione abbastanza grande anche senza questa folle? Le lasciò andare la mano e si rimise in piedi, scrollandosi di dosso la polvere ed i detriti. Il nodo alla gola che l'aveva accompagnato durante la caduta ricomparve con più vigore, e Loki cercò di scioglierlo concentrandosi sul problema – decisamente più pressante – posto dal suo essere sulla Terra. Ma quel paesaggio, che ad altri avrebbe mozzato il fiato, non faceva che rendere più dolorosa ed umiliante la sua situazione. Si sentiva abbandonato, solo in quel mondo cui non apparteneva. Era un cumulo di rovine tenute assieme solo dalla rabbia, dall'odio che tingeva di nero quello che una volta era stato amore, affetto. Era un ammasso di macerie che lottavano contro l'inevitabile sgretolamento, e quel luogo... quel luogo non era che l'ennesima infida tormenta.

Se Loki non fosse stato un dio, sarebbe sicuramente crollato sotto lo sguardo attento di quella strana donna dagli occhi grigi. Se Loki non fosse stato un dio, si sarebbe gettato sugli scogli, tra le onde, sperando di trovare la pace. Ma Loki era un dio rinnegato: niente in quel gretto mondo avrebbe potuto dargli la pace. O la morte.

La voce – quasi impercettibile – di Kaja lo riscosse dai suoi pensieri tormentati: «Non passa mai nessuno da questa strada dimenticata dagli uomini e dagli dei.» Loki notò una sorta di tristezza sotto la superficie delle parole, eppure gli occhi grigi non ne mostrarono i segni. «Nessuno passa mai nella terra maledetta. C'è solo la mia casa, qui,» indicò con un gesto distratto un luogo dietro un promontorio. «e nient'altro per almeno tre giorni di cammino.» Il suo sguardo divenne vacuo, ma fu solo un istante. «Non passa mai nessuno.»

Loki la guardò, interdetto. Era forse un invito a soggiornare nella sua casa? Oppure una semplice osservazione, quasi un'espressione di stupore nel vedere un altro essere vivente? Per la prima volta nella sua vita, Loki si confrontava con una persona che non riusciva a leggere completamente, che non comprendeva appieno. Anzi, dovette ammettere con se stesso che quella donna gli sfuggiva come olio tra le dita. Le parole sibilline, la figura che quasi scompariva, inglobata nel paesaggio nordico... «Sei veramente umana?» Le parole gli sfuggirono dalle labbra quasi senza che se ne accorgesse. Anche questa domanda ricevette in risposta solo uno sguardo indecifrabile ed il silenzio interrotto dal rumore delle onde che s'infrangevano sulla roccia. Forse l'ho offesa, pensò tra sé e sé.

La donna si voltò con lentezza, quasi con grazia, e s'incamminò lungo la strada. I suoi movimenti erano strani: a Loki pareva che fossero fluidi, ma avevano, al contempo, qualcosa di innaturale; sembravano quasi impacciati, come se la donna non avesse potuto imparare come ci si muove, come si cammina, da altri esseri umani. Loki la osservò camminare qualche metro, poi si guardò attorno, leggermente confuso. Cosa avrebbe dovuto fare? Seguirla, o lasciarla in quel suo mondo di follia ed andare a cercare una soluzione al suo problema?

La risposta ai suoi dubbi, questa volta, arrivò ancora prima che le sue labbra potessero pronunciarli. La giovane si fermò e la sua testa si volse appena, lasciando intravedere la linea del volto attraverso la cascata di ricci fulvi. «La scelta è tua, uomo caduto dal cielo: puoi incamminarti verso sud e cercare le grandi città, popolate da una razza che tanto disprezzi. È quello che chiunque ti consiglierebbe.»

«È quello che mi consigli anche tu?» inquisì Loki.

Kaja increspò appena il labbro.

«Qual è l'alternativa?» chiese, ben sapendo la risposta.

I capelli della donna ondeggiavano pacatamente nel vento. «L'alternativa è la scelta che nessuno ti consiglierebbe: puoi seguire una Strega del Nord nella sua dimora ed attendere che il destino compia il suo corso.» Loki percepì ancora quella nota di tristezza che velava le parole della donna.

Una Strega del Nord? Le lanciò uno sguardo a metà tra lo stupito e lo scettico, ma i suoi piedi si mossero seguendo la direzione dettata dalla donna.

 



Bentornati a tutti! Sarà il sole, sarà il bel tempo, sarà... Non lo so, sarà quel che sarà, ma ultimamente mi sento piuttosto ispirata (e anche piuttosto lirica, chissà come mai!).
Dato che anche oggi è una giornata stupenda non mi dilungo troppo: spero solo vi siate goduti il capitolo ;)
A presto,

Cabiria Minerva

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Capitolo 3
*** III ***


III.

 

L'esperienza è ciò che ottieni

quando non ottieni ciò che vuoi.

 

 

La casa di Kaja era un piccolo cottage diroccato; le mura erano ricoperte da muschio e licheni, la porta di legno era scheggiata e il vetro delle finestre – benché spesso – era in più punti rattoppato con pietre o pezzi di legno. Loki, dopo essersi accomodato – aveva esitato, ma quella donna strana lo aveva fissato, in silenzio, finché non si era seduto – su una sedia traballante, si guardava attorno perplesso. Dalle assi del soffitto – a cui Loki gettava, di tanto in tanto, occhiate preoccupate, come se si aspettasse di vederle cedere da un momento all'altro – pendevano svariati mazzetti di erbe secche, fiori spinosi e radici dai colori forti. In alcune rientranze nel muro si accatastavano altri fasci odoranti, in altre si trovavano boccette dall'aspetto antico, in altre ancora libri giallastri, incartapecoriti.

Durante il suo ultimo viaggio sulla Terra, il principe asgardiano non aveva avuto molto tempo per concentrarsi sulle popolazioni che l'abitavano – era stato troppo indaffarato nel tentativo di assicurarsi che Thor vi fosse relegato a vita, senza più alcuna possibilità né desiderio di ricongiungersi al suo regno e alla sua famiglia. Tuttavia ricordava di aver intravisto panorami ben diversi: i terrestri non gli erano apparsi creature tra le più intelligenti, e neppure tra le più evolute, ma aveva scorto una certa tecnologia primitiva, una sorta di rimpiazzo della magia e del potere che per un asgardiano come lui erano la norma. In quella catapecchia, invece, tutto sembrava in procinto di cadere a pezzi, e Loki non riuscì ad avvistare nulla che potesse sembrare anche solo lontanamente evoluto.

Con un sospiro che tradiva una certa frustrazione, il giovane uomo volse lo sguardo verso la sua ospite. La osservò trafficare con barattoli di legno, muovendosi con una certa grazia tra i vari oggetti e fasci di erbe che penzolavano dal soffitto. Una Strega del Nord? Il quadro che si offriva al suo sguardo poteva far pensare ad una matta, forse ad un'emarginata, una reietta che si ritrovava a vivere in un luogo sperduto che il tempo – e, apparentemente, l'evoluzione della sua specie – non era mai riuscito a raggiungere.

Loki aggrottò la fronte, intento a studiare la donna. Non c'erano molte streghe, ad Asgard, ma quelle poche che aveva visto non trovavano riscontri in Kaja, che con quelle movenze particolari, lo sguardo indecifrabile e quella marea spettinata di capelli ramati sembrava più una bambina particolarmente alta. Le streghe di Asgard indossavano delle tuniche molto semplici, i cui colori e forme variavano, leggermente, a dipendenza della Setta d'appartenenza – ricordava vagamente una lezione sulle varie Sette di Asgard, ma erano passati anni e, non avendovi mai dato particolare importanza, Loki ricordava ben poco. Malgrado la tunica, le streghe di Asgard erano donne bellissime, eteree e seducenti; più di una volta a palazzo erano girate storie riguardanti relazioni più o meno lecite tra uomini – e a volte anche donne – importanti e streghe. E, naturalmente, le streghe di Asgard avevano un potere unico: la preveggenza. Era questo loro dono – un dono raro persino tra popolazioni in cui magia e potere erano nella norma – che le aveva rese famose in tutti i regni, ma erano poche le persone che s'arrischiavano a chiedere i loro servigi, ben consci che il prezzo di uno stralcio di futuro avrebbe potuto essere troppo grande. Tuttavia di tanto in tanto, i più disperati – o i più folli, come era solita ripetere sua madre – si presentavano alla porta di una Setta, accecati da qualsiasi emozioni li avesse avvolti, e sacrificavano i beni più preziosi, quelli che non avrebbero mai potuto riavere indietro o riguadagnare.

In un pigro pensiero, Loki si chiese se anche quella donna, quella Strega del Nord, chiedeva un pagamenti di quel genere. Da quel che riusciva a vedere, nella casa erano presenti pochi coltelli, e nessuno d'essi sembrava anche solo lontanamente paragonabile ad un coltello sacrificale. Oltretutto la donna non sembrava possedere la freddezza tipica delle streghe di Asgard, perciò l'uomo dubitava che sarebbe stata capace di prendersi il pagamento che le spettava.

«Le streghe di Asgard sono molto diverse da te, Strega del Nord.» Dichiarò, con una certa pomposità, attirando su di sé lo sguardo curioso di Kaja. «Sembrano più potenti, vedono il futuro...» si accarezzò distrattamente il mento. «Qual'è il dono che vi contraddistingue dal vostro genere?»

Kaja sorrise mestamente. «Nel nostro mondo le streghe non divulgano i loro segreti.» Volse nuovamente la propria attenzione al bollitore che aveva posto su una minuscola stufa a legna.

«Non vedo coltelli sacrificali.» continuò Loki, deciso a scoprire chi – o cosa – fosse quella donna. «E nemmeno vestiti da cerimonia, altari o brocche piene d'acqua pura per sciacquare le impurità dei sacrifici o delle consultazioni.» Sì, quella donna mostrava ben pochi segni che gli avrebbero permesso di riconoscerla come strega. «Per non parlare delle giare contenenti il sangue dei pa–» La donna si mosse così velocemente che il giovane principe, scioccato, non riuscì nemmeno ad alzare le braccia davanti a sé, impedendole di avvicinarsi troppo.

«Non devi parlare delle giare, asgardiano.» La voce della donna era un sibilo che gli strisciò nelle ossa, mentre gli occhi grigi – che si trovavano ad una distanza minima dai suoi – erano ora venati di nero, e a Loki sembrò di scorgervi un abisso che lo metteva a disagio. Inghiottì silenziosamente, sperando di non lasciar trapelare il suo turbamento. «Non devi parlarne mai. Mi hai capito?» Poteva sentire l'alito tiepido della donna sfiorargli il volto e accompagnare quella voce così particolare nel viaggio verso le sue orecchie.

Lo sconcerto che quella reazione veemente gli aveva provocato, impedì a Loki di notare immediatamente un dettaglio molto particolare. Solo dopo aver annuito ed aver passato svariati secondi in un pesante silenzio, il principe asgardiano si ricordò di non aver reso la donna partecipe dei particolari delle sue meditazioni riguardanti le streghe di Asgard; non le aveva descritto gli abiti, né le aveva parlato dei vari riti a cui aveva partecipato o che conosceva grazie alle descrizioni di terzi. E sicuramente non aveva mai – mai – accennato alle giare in cui le streghe asgardiane conservavano il sangue – puro ed innocente, l'unico che avrebbero potuto utilizzare per i loro rituali più importanti e segreti, gli stessi che davano loro il dono per cui erano conosciute.

«Come fai a sapere delle giare, terrestre?»

Per tutta risposta, Loki ottenne uno sguardo furente e, per un momento, temette di vedere nuovamente le striature nere farsi largo nel grigio dell'iride della donna. Quando fu chiaro ad entrambi che Kaja non avrebbe risposto a questa domanda e che Loki non avrebbe insistito oltre – non ora, perlomeno... – la tensione che vibrava nell'aria del piccolo cottage diroccato si affievolì, e la giovane ritornò a trafficare attorno al bollitore e ad alcune tazze che mostravano i segni di consunzione – Loki dovette trattenere una smorfia di disgusto nell'osservare alcuni dei vecchi, malridotti utensili che la donna afferrava e riponeva con brevi scatti. Quando, finalmente, la donna volse nuovamente l'attenzione su Loki, nelle mani teneva due delle tazze adocchiate poco prima dall'uomo, da cui si levavano fili di vapore.

Loki portò la propria tazza al viso, annusandola con sospetto. L'odore emanato dalla sostanza – di un giallastro poco invitante – era stranamente piacevole. Loki non sapeva se le spezie e le erbe terrestri fossero simili a quelle di Asgard, ma gli parve di riconoscere il profumo di una spezia che più volte aveva insaporito i suoi pranzi a palazzo. Inspirò una seconda volta e chiuse gli occhi nel riconoscere anche l'odore di un fiore dai petali azzurro pallido che cresceva in un prato poco lontano dal lago dove lui e suo fra–, lui e Thor andavano spesso a nuotare. Socchiuse gli occhi per controllare che anche la strega bevesse e, una volta constatato che quel liquido sembrava essere innocuo, si rilassò e bevve un lungo sorso.

Non dovette aspettare molto prima che la vista cominciasse ad annebbiarsi. Sbatté le palpebre più volte, nel vano tentativo di diradare quell'improvvisa nebbia, ma invece anche i suoni cominciarono a giungergli in modo quasi ovattato. Malgrado sentisse il suo intero corpo appesantirsi – provò inutilmente a sollevare una mano – Loki tentò di dire qualcosa, sforzandosi per trascinare le parole fuori dalle sue labbra – che cosa mi succede? Che cosa mi hai fatto?! – con scarsi risultati.

Poco prima di cadere – ancora! – nel buio più profondo, il principe asgardiano intravide il volto sfocato di Kaja, un sorriso, forse, e sentì lontane parole di conforto accompagnarlo mentre il mondo svaniva.


 



Chiedo venia per il ritardo, ma come chi già sa chi segue le mie ff nel fandom di Harry Potter, ho avuto un periodo un po' stressante.. Ora Santa Ispirazione sembra essersi decisa a ritornare, quindi speriamo in bene.. ;)

A presto!

Cabiria Minerva

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Capitolo 4
*** IV. ***


IV.


 

And what am I to do
Just tell me what am I supposed to say
I can't change the world
But I can change the world in me
If I rejoice
Rejoice...

 

Rejoice, U2

 

 

Per quanto Loki fosse ben conscio del fatto che rimettere l'intero contenuto del suo stomaco non fosse un comportamento appropriato per qualcuno del suo rango, le sue viscere in subbuglio non gli lasciarono molta scelta. Con uno scatto si piegò in avanti, una mano appoggiata ad un muro di marmo nero, giusto in tempo per deviare il getto di vomito da sé e dai suoi vestiti. Inspirò ferocemente cercando di riprendere controllo della situazione e maledicendo mentalmente quella dannata donna. Gliel'avrebbe fatta pagare cara, ed avrebbe imparato che nessuno – nessuno! – poteva permettersi di trattarlo in quel modo. Nemmeno una maledettissima Strega del Nord, o come diamine si chiamava la sua infida razza.

«Mio signore?»

Loki si volse verso l'origine di quella flebile voce, ed i suoi occhi si spalancarono sorpresi quando incontrarono un giovane servo della famiglia reale di Asgaard. Sentì il proprio cuore battere più velocemente, mentre il pensiero di esser stato tradito da quella donna che, evidentemente, l'aveva attirato nella sua casa per drogarlo e per riportarlo quindi nel mondo in cui era cresciuto, strisciava nelle sue vene, provocandogli dei brividi freddi.

«Mio signore, sta bene?» La voce incerta lasciava ora trapelare una certa preoccupazione, sicuramente causata dallo strano comportamento del giovane principe che, il volto cinereo, sembrava essersi appena risvegliato da un brutto sogno.

«Come sono arrivato fin qui?» mormorò il principe asgardiano, trapassando il giovane con lo sguardo. «Come ha fatto...» Le parole gli morirono in bocca. Aveva la gola chiusa, stretta in una morsa molto simile a quella che l'aveva accompagnato durante la sua caduta sulla Terra.

Il servo aggrottò la fronte. «Non capisco di cosa stia parlando, mio signore. È sicuro di sentirsi bene?» Arrossì un poco, probabilmente maledicendosi per la sua sfacciataggine nei confronti del proprio principe. «Vuole... vuole dell'acqua?»

«Non voglio dell'acqua!» ringhiò Loki. «Voglio sapere come ha fatto quella strega a riportarmi qui.»

«Strega?» Il giovane respirava velocemente, spaventato dai farfugli del proprio sovrano. «Io... io temo di non capire di cosa stia parlando, mio signore. Da dove sarebbe dovuto tornare?»

Con uno scatto Loki agguantò il collo del servo, chiudendo le dita sulla pelle sottile che sfuggiva dal colletto di pelle nera della divisa. «Sai benissimo di cosa sto parlando! Come faccio ad essere tornato qui, ora che il Bifrost è stato distrutto da quell'inetto di mio fratello?»

«La prego, signore... Mi lasci... Mi lasci andare...» annaspò il servo, mentre il colore iniziava a svanire dal suo volto. «Non capisco di cosa sta parlando... Il Bifrost è perfettamente in funzione...» Loki mosse lievemente le dita, per rafforzare la presa, e l'altro cercò di approfittare dello spostamento per inghiottire un po' di aria. «E lei... Lei non ha mai lasciato Asgaard dalla morte di suo padre. E non ha... non ha mai avuto fratelli, mio signore.»

A quest'ultima affermazione Loki si immobilizzò. «Che cosa hai detto?» domandò, la voce ridotta a un sibilo.

«Non ha... non ha fratelli, mio signore.»

«Non dire idiozie.» Strinse nuovamente la presa, irato. «Thor, mio fratello Thor, l'inetto, tronfio, arrogante primogenito di Odino.» Specificò con tono gelido, quasi sillabando le parole, come se stesse parlando con una persona un po' ritardata, ma lo sguardo che ottenne in risposta fu di vago stupore – e di terrore a causa delle sensazioni ovattate dovute al lento, inesorabile strangolamento. «Tu veramente non sai di chi sto parlando, non è vero?» inquisì, gli occhi ridotti a due fessure.

«N–no.» ansimò il servo mentre macchie nere e gialle gli annebbiavano la vista. «La... la prego...»

Con una smorfia disgustata – i servi erano creature così deboli! – ritrasse la mano, ed il giovane cadde bocconi sul pavimento di pietra.

«Grazie, mio signore... Grazie...» mormorò, la testa china.

«Togliti dalla mia vista.» Fece un cenno di disprezzo con una mano e si guardò attorno per la prima volta. Sono sicuramente ad Asgaard, ma... Se questo servo dice il vero... «Aspetta.» intimò al giovane, che stava arrancando lungo il corridoio e che si bloccò con un'espressione di puro terrore dipinta sul volto. «Mio padre... hai detto che è morto?» Inarcò un sopracciglio con aria scettica.

Il giovane deglutì. «Sì... Sì, mio signore.»

«Come è morto?»

Loki osservò il servo aggrottare nuovamente la fronte – probabilmente chiedendosi come fosse possibile che un figlio dimenticasse la morte del proprio genitore, mordersi la lingua per non dar voce ai propri pensieri, ed infine rispondere alla sua domanda, lo sguardo sempre rivolto verso il pavimento. «Era malato, mio signore. Dopo l'ennesimo, spaventoso attacco si è semplicemente addormentato. E non si è più risvegliato...» Al giovane sovrano parve di vedere gli occhi del giovane inumidirsi. «Vostra madre non si è mai ripresa, come ben sapete.» Aggiunse un mio signore appena sussurrato.

«E sono l'unico erede, giusto?» Un sorriso malizioso cominciò a spuntare sulle sue labbra sottili.

«Esatto, signore. L'unico e vero erede al trono di Asgaard.» recitò come una marionetta le cui battute erano le stesse da tempi immemorabili.

«Benissimo, puoi andare.»

Il giovane servo scomparve dalla vista di Loki troppo in fretta perché potesse accorgersi dell'espressione di estatico trionfo che questi aveva dipinta in volto.

«Sono il legittimo sovrano di Asgaard.» mormorò Loki, rompendo il silenzio del corridoio. «Sono il re


 

* * *


 

Kaja sospirò e bevve una lunga sorsata di tè alle erbe, inclinando un poco il collo e guardando il giovane principe – che giaceva su una vecchia sedia di paglia come una bambola di pezza abbandonata – in tralice. Se non fosse stato per il regolare movimento del suo petto e per i guizzi dei suoi muscoli, Loki avrebbe tranquillamente potuto sembrare morto.

«Hai così tanto da imparare, giovane asgardiano...» mormorò tra sé e sé, sperando di aver fatto la scelta giusta. Malgrado la sua chiara appartenenza ad una razza di streghe, Kaja non amava utilizzare la magia. Sapeva qual era il suo costo e, come i suoi predecessori, preferiva usarla solo in casi estremi. Come questo, si ripeté sconfortata mentre lanciava un'occhiata fugace al piccolo contenitore di terracotta da cui aveva prelevato la goccia di sangue necessaria alla pozione che aveva somministrato a Loki.

 



Buonsalve a tutti! Dalla canicola (anche se credo che quello che per la Svizzera è canicola per l'Italia è una giornata tiepidina.. XD) con furore, ecco a voi il nuovissimo, caldissimo (nel senso che mentre lo scrivevo mi stavo sciogliendo) capitolo!
Spero sia stato di vostro gradimento :)

Approfitto per ricordarvi la mia pagina Facebook, aqui!

A presto!

Cabiria Minerva

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Capitolo 5
*** V. ***


V.


 

Fragments, shells of a long ago lifetime
Faces that once were mine,
thrown down by the sea

If I walk away, Josh Groban

 

 

Per quanto fosse seccante ammetterlo, c'era qualcosa in quel panorama a prima vista idilliaco – soprattutto grazie all'assenza di Thor e dei suoi amichetti importuni – che turbava profondamente Loki. Aveva passato almeno tre ore a vagare per le stanze del palazzo, osservando ogni particolare, soprattutto le assenze: quella che, in un'altra vita, era stata la camera da letto di suo fratello, era svuotata da ogni oggetto che gli apparteneva; i ritratti di famiglia erano privi di quel ragazzino dai capelli biondi; il Mjolnir sembrava non essere mai esistito.

Sebbene all'inizio la cosa l'avesse intimamente rallegrato – un mondo senza quell'inetto, sbruffone, attaccabrighe di Thor? Qualcosa che nemmeno nei suoi sogni più feroci, quelli che strisciavano nella sua mente subito dopo che il fratello era riuscito a mettere nei guai anche lui con una delle sue bravate, aveva mai osato immaginare – qualcosa stonava.

«Mio signore...»

Si voltò a guardare il servitore, un piccolo omuncolo dall'aspetto un po' gracile che non ricordava d'aver mai visto prima. «Che cosa c'è?»

«Mi dispiace disturbarla, mio signore, ma è l'ora dell'Accoglienza.»

Ah, l'Accoglienza. Allora non tutto era cambiato, pensò mentre si apprestava a raggiungere la Sala del Trono.

L'Accoglienza... mentre una serva gli sistemava il mantello sulle spalle e controllava che non ci fossero pieghe o macchie sui suoi vestiti, Loki si ritrovò a pensare ai giorni in cui era Odino a sedersi sul trono e ad accogliere doni, domande, a volte semplici lodi. Lui e Thor, molti anni prima, si nascondevano dietro una delle grosse colonne portanti e osservavano gli asgardiani prostrarsi ed allungare stoffe, oggetti intagliati o cibarie di ogni genere – le sedute più divertenti erano certamente quelle in cui al re venivano offerti animali vivi che, non di rado, fuggivano qua e là per la sala, costringendo le guardie reali a rincorrerli.

Con un cenno distratto allontanò da sé questi pensieri. A chi importava, ormai, di quei ricordi inutili? Eppure... Eppure nulla! Quello era il suo regno, e non ci sarebbero state contraddizioni alle sue parole.

Inspirò profondamente, godendo della sensazione che entrare in quella sala come re e non più come bastardo gli arrecava. Oh, se solo suo padre e suo fratello avessero potuto esser lì, vederlo in quelle sue nuovi vesti...

Mi divertirò immensamente.


 

* * *


 

Mi annoio...

Era passata meno di un'ora da quando Loki si era seduto sul trono, e la sua pazienza era agli sgoccioli. Sinceramente, da bambino si divertiva molto di più. Allora gli sembrava quasi una festa, ma ora...

Ora qualcosa era cambiato. Gli asgardiani erano scontenti e, per quanto cercassero di celarlo, la loro infelicità li avvolgeva come un manto nero e pesante che li soffocava, stringendoglisi addosso sempre più strettamente. Come diamine era possibile una cosa simile? Lui era un buon re, ne era certo. Era intelligente ed astuto, perciò doveva essere un buon re. Ne era sempre stato certo, e se solo Odino se ne fosse accorto in tempo, non sarebbe dovuto arrivare a quel punto. Non avrebbe dovuto scatenare una guerra contro il fratello, nessuno sarebbe dovuto morire inutilmente e il Bifrost sarebbe stato ancora integro.

Si levò di scatto, lasciando il mantello sul trono.

«Sono stanco. Fateli tornare in un altro momento.» disse alle due guardie ai lati dello scranno, mentre a passi lunghi usciva dalla sala, diretto verso i giardini del palazzo. Lì aveva sempre potuto pensare in santa pace, tranne quando Thor e i suoi amichetti decidevano di mantenere le loro missioni un po' più casalinghe – cosa che, stranamente, capitava sempre subito dopo una delle loro marachelle e della conseguente tirata d'orecchi da parte di Frigga. E proprio lì Frigga gli aveva insegnato tante cose... Passando accanto ad una panca in marmo, fredda e sporca di terra portata dal vento, quasi rivide il piccolo se stesso, i capelli scompigliati e le manine che tentavano di rubare un libro dalle mani della donna. Inconsciamente passò le dita sulla pietra, quasi una carezza distratta.

Alzò lo sguardo tra le fronde degli alberi, gli stessi su cui Thor si arrampicava sempre quando erano bambini, istigando il fratello a seguirlo, distraendolo così dallo studio. Chiuse gli occhi.

Ovunque guardasse immagini del suo passato lo seguivano. Immagini sbiadite, lontane. Immagini spezzettate che creavano un mosaico di ricordi che non sapeva spiegarsi.

Perché. Perché continuava a vedere, a sentire, malgrado la perfezione di quel mondo in cui lui era re, in cui tutto era perfetto?

Lì, proprio lì, a pochi passi da sé, vedeva i suoi genitori passeggiare, un sorriso, una parola sussurrata. E dietro... dietro di loro, quasi nell'ombra, c'era Thor. E Loki. Poco più che bambini, forse con il loro tutore.

Chiuse gli occhi. Dannazione!

Con una veemenza dettata dalla frustrazione, Loki attraversò il giardino cercando di ignorare le ombre, le figure che lo seguivano. Sicuramente non erano che degli sciocchi prodotti di un sentimentalismo che non sapeva di possedere, e quattro passi nel suo regno, nella sua Asgard, sicuramente l'avrebbero distratto abbastanza da dimenticare quelle ridicole, patetiche scenette.

 



Chiedo immensamente scusa per questi mesi di pausa, ma purtroppo tra una cosa e l'altra e il continuo rimandare a domani, ho un po' perso la cognizione del tempo.. E grazie a chi, malgrado la lunga attesa, leggerà anche questo capitolo. :)

A presto,
Cabiria Minerva

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Capitolo 6
*** VI. ***


VI.

 


 

Le grandi aspettative sono il preludio
delle grandi delusioni.

 

Cecilia Dart-Thornton

 
 

Le strade, i palazzi, persino i monumenti erano gli stessi.

Alte costruzioni bianche e argentate, le superfici lisce scintillanti sotto la luce del sole. Le aiuole nelle piccole piazze, con quei fiori scuri e dai petali carnosi che non esistevano in nessun altro mondo. La statua di Odino nel mezzo della piazza principale, quella che ritraeva il vecchio sovrano nella sua armatura, usata in così tante guerre.

Le strade, i palazzi, persino i monumenti erano gli stessi. Ma la città... la città era diversa.

Non era l'Asgard in cui era cresciuto, l'Asgard su cui suo pad–, Odino aveva regnato. La città che gli occhi di Loki stavano studiando era vuota, silenziosa. I pochi abitanti che camminavano per strada, la testa bassa e lo sguardo vacuo, erano grigi. Grigia la pelle, come se fossero malati, e grigia l'espressione – non aveva mai pensato che un'espressione potesse avere un colore, prima d'allora.

Era quello che Loki aveva sempre voluto... o no? Un popolo piegato al suo volere. Sì, ma era veramente così che se l'era immaginato?

Certamente no. Che soddisfazione poteva dare quel popolo morto, che appagamento avrebbe dovuto sentire girando per quella Asgard silenziosa che se non fosse stato per le ombre degli abitanti sarebbe sembrata una città fantasma?

Dov'era finito il lustro di Asgard? La folla del mattino, tempo di mercato, e i vestiti ricchi e colorati dei suoi abitanti? Un tempo quelle strade sarebbero state piene di vita ed opulenza, di bambini che correvano.

Ma ora c'era solo desolazione.

Non era questo che volevo, realizzò Loki mentre la spiacevole sensazione di aver fallito s'insinuava nella sua mente. Che cosa era andato storto? Era sicuro che sotto il suo controllo Asgard avrebbe prosperato, invece la città davanti ai suoi occhi sembrava essere appassita.

Che cosa era andato storto? 


 

* * *


 

Kaja lasciò cadere alcune gocce di tisana alle erbe tra le labbra del giovane asgardiano. Nelle ultime cinque ore aveva osservato le emozioni che erano apparse sul volto di Loki – stupore, soddisfazione, subito sostituiti da confusione e rabbia, delusione – e l'aveva mantenuto idratato, conscia delle energie richieste al suo corpo da quello stato di trance.

Certo, sarebbe stato meglio se Loki avesse capito velocemente la lezione che la strega gli stava impartendo, ma certo non sembrava il tipo da accettare anche solo l'idea di essersi sbagliato.

Con un sospiro si rimise a sedere, lo sguardo sempre fisso sul giovane addormentato. Non era totalmente sicura di come le cose stavano andando, in quella specie di sogno che aveva creato. Nell'incantesimo aveva solo dato alcuni elementi fondamentali, come l'assenza di Thor e la desolazione di Asgard, ma il contorno, le sensazioni e i particolari... quelli scaturivano da Loki, dal suo subconscio e dalle sue paure – quelle che nemmeno lui sapeva d'avere.

Oh, al suo risveglio sarebbe stato confuso, furente. Magari l'avrebbe minacciata – avrebbe anche potuto ucciderla, per quel che ne sapeva, e i suoi poteri non avrebbero potuto aiutarla. Di certo avrebbe faticato a capire il motivo che aveva spinto una strega reietta a gettarlo in quello stato di trance, in quel sogno che lo stava angosciando. Persino Kaja faticava a comprendere i motivi del suo gesto. Si era ripromessa che non avrebbe avuto più niente a che fare con Asgard, con i suoi abitanti, con le sue streghe. Era stata esiliata – perché avrebbe dovuto importarle di cosa accadeva in quel mondo a cui non apparteneva più?

Una mano corse a stringere qualcosa in una tasca. Un pezzo di carta spiegazzata. Parole scritte in una lingua che pensava di aver dimenticato. Una ciocca di capelli fulvi come i suoi. Una voce, silenziosa, risuonò dentro di lei. Sì, era una Strega del Nord. Lo era stata per così tanti anni da essersi convinta di essere solo quello. Ma un tempo Asgard era la sua casa, e il benessere dei suoi abitanti era ciò per cui viveva. Un tempo, lontano, prima che si rifiutasse... Prima che l'esiliassero.

Strinse le labbra. Non le faceva bene pensare a ciò che era successo. Aveva accettato di fare quell'ultimo favore a sua so–, a Kahlea, e non appena il giovane principe si fosse svegliato e avesse compreso ciò che doveva comprendere, sarebbe potuta tornare alla sua solitudine.

Non rimaneva che aspettare.

 



Et le voilà! Purtroppo è un capitolo un po' corto, ma al momento le mie energie devono suddividersi in più fandom - e nella scuola.. soprattutto nelle cose da fare per scuola.. Spero apprezzerete lo stesso questo capitoletto :)
Grazie mille a tutti voi che leggete malgrado tutto e a presto,
Cabiria Minerva

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Capitolo 7
*** VII. ***


VII.

 

 

Bring me home in a blinding dream
Through the secrets that I have seen
Wash the sorrow from off my skin
And show me how to be whole again
Cause I'm only a crack in this castle of glass
Hardly anything there for you to see.

 

Castle of glass, Linkin Park


 

Si era chiuso nella stanza che, un tempo, in un'altra vita, conteneva le reliquie del passato – trofei di guerra, regali proveniente da altri regni. Ricordi. Forse era per questo che Loki aveva sperato di trovarvi un poco di conforto. Ricordi. Ricordi di un'esistenza prosperosa, di guerre da cui gli asgardiani erano usciti vittoriosi, di un regno che Loki aveva sempre considerato suo da governare. Ricordi di un'Asgard che non ritrovava nel grigiore di quella città di cui era sovrano in questo mondo dove non esistevano altri principi all'infuori di lui. Ricordi che erano svaniti, rimasti nell'Asgard originaria, lasciando una camera vuota, spogliata di storie da raccontare. Al loro posto, ora, si trovavano solo pochi mobili scuri – la stanza in cui i due figli di Odino avevano passato interi pomeriggi ad ascoltare racconti di battaglie e di nemici lontani non era ormai che un mero spazio vuoto in un palazzo silenzioso, usato forse per riporre temporaneamente cose che non servivano più a nessuno.

Qui, Loki sentì la frustrazione accumulata durante quella giornata montargli dentro, ribollire e fargli fremere le dita. Strinse i pugni, e l'aria attorno ad essi tremò, satura del suo potere. Con la coda dell'occhio coglieva scorci del suo mondo: fantasmi, ombre, lampi di colore fugaci. Ma ogni volta che si voltava per raggiungerli sparivano, lasciandolo solo in quel regno che non poteva essere il suo. Il suo regno sarebbe stato grande, anche più maestoso di quello di Odino, e lui, Loki di Jotunheim, sarebbe stato un grande re.

Sei nostro figlio, Loki...

La voce di Frigga risuonò nelle sue orecchie, riempendo il silenzio stantio di quelle camere che non avevano mai conosciuto la loro vera essenza. Loki chiuse gli occhi, cercando di scacciare il nodo alla bocca dello stomaco. Erano solo parole. Lui era Loki di Jotunheim, un gigante di ghiaccio, e non si sarebbe certo lasciato intenerire da stupidi sentimentalismi.

e noi siamo la tua famiglia.

«Basta!» Con uno scatto tirò un pugno al muro spoglio e l'energia che in quei minuti si era condensata attorno alla sua pelle esplose. Tirò un secondo pugno, ed un terzo, e poi ancora ed ancora, finché la mano non cominciò a pulsare dolorosamente e una crepa raggiunse il centro del soffitto.

Loki di Jotunheim. Loki di Asgard.

Qual era la differenza? Cosa importava, in quel suo regno smorto, pallido? Ora che Thor era finalmente assente dal gioco e lui era l'unico principe, il trono di cui era l'unico erede non valeva nulla. Era un trono inconsistente, svuotato della grandezza che lo aveva distinto nella realtà di cui era originario. Perché mandarlo lì? Perché quella dannata strega lo aveva drogato, spedito in un mondo a cui non apparteneva e che sembrava volerlo torturare con quelle ombre sfuggenti?

Avrei potuto farcela, padre. Per te. Per tutti noi.

Sì, avrebbe potuto farcela. Era degno di quel trono – di quello reale, quello su cui ancora sedeva Odino, dimentico del piccolo gigante che aveva cresciuto come un figlio – e aveva cercato così ardentemente di dimostrarlo, di dimostrare il suo valore, le sue capacità.

No.

Ma aveva fallito. Non aveva mai avuto la possibilità di mostrarsi all'altezza, un degno eguale del fratello, e come egli un degno erede al trono, perché non aveva mai avuto un trono a cui ambire. Non ad Asgard, non a Jotunheim. Era cresciuto nelle bugie, nella speranza che – malgrado le palese preferenze di Odino nei confronti del primogenito – un giorno il padre sarebbe stato fiero di entrambi i suoi figli in egual modo, e che il trono sarebbe stato destinato al principe che si fosse dimostrato meritevole – un guerriero, ma anche uno stratega. Era stato doppiamente ripudiato.

Chiuse gli occhi, cercando di trattenere quella nuova ondata di rabbia che già gli faceva tremare le mani.

Sì, voleva essere re. Era suo diritto esserlo. Ma non in quella realtà: essere re in un mondo dove Thor non era mai esistito, dove non aveva dovuto combattere contro la cecità di Odino, non avrebbe mai potuto essere soddisfacente. No, perché in quella realtà lui stesso sarebbe stato un altro Loki: senza un fratello spavaldo e irruento che attirasse le attenzioni del padre, non aveva dovuto sviluppare le sue capacità illusorie, né la sua mente. Non aveva avuto motivi di frustrazione – senza Thor non c'erano state bagarre tra fratelli, litigi, sfide, lotte per apparire importante agli occhi di Odino. Era probabilmente stato tutto troppo facile, troppo scontato, e Loki non aveva avuto la necessità di dimostrare il proprio valore.

Quasi a malincuore, l'asgardiano dovette ammettere che l'esistenza di Thor era stata il motore del suo perenne tentativo di raggiungere mete sempre più ambiziose, di padroneggiare la sapienza tramandatagli da Frigga, di affinare la sua intelligenza. Era a causa della costante sensazione di non essere considerato bravo tanto quanto Thor che aveva studiato per mesi, anni.

Che lo volesse o meno, il motore della sua infinita ambizione era il desiderio di essere considerato eguale a Thor, non quello di sedere sul trono di Asgard. Quello era arrivato dopo, quando alle infantili gelosie fraterne si era aggiunta la brama di potere. Ma l'inizio di tutto era riconducibile a Thor – lo sapeva, lo aveva sempre saputo, e avrebbe dovuto capire che gioire della sua assenza sarebbe stato da stupidi – e a Odino, a quel loro rapporto privilegiato che gli era precluso.
 

* * *


«È tempo.» La strega appoggiò la scodella che teneva tra le mani accanto alla vecchia sedia su cui Loki, la fronte aggrottata e le palpebre agitate, era bloccato nel suo sogno. Raggiunse il contenitore di terracotta con mani tremanti. Aveva dovuto andarsene da Asgard a causa di giare come quella – giare molto più grandi, il cui ricordo la faceva sempre rabbrividire – ed aveva giurato che non vi avrebbe mai più posato occhio. Una lacrima scivolò sul suo viso mentre, con dita incerte, toglieva per l'ultima volta (ah, illusa, anche nell'ultimo rituale prima della fuga aveva pensato di potersi lasciare alle spalle quella magia) il sigillo purpureo che, non appena venne rimosso, lasciò che le voci delle vittime sacrificali il cui sangue aveva riempito quel piccolo contenitore le risuonarono nelle orecchie.

Kaia chiuse gli occhi. Per lei era sempre stata una tortura. Le sue sorelle, le sue compagne, potevano rimanere intere giornate in compagnia delle giare aperte e della loro maledizione, ma lei... lei era dovuta fuggire, incapace di sopportare le urla silenziose di centinaia di bambini, sacrificati nell'oscurità per permettere ad Asgard i suoi rituali e le sue cerimonie. Versò velocemente una goccia in una tazza, nella quale versò quindi una sostanza giallastra simile a quella che aveva trascinato Loki in quel sonno profondo. Con una smorfia richiuse la piccola giara, scacciando i sensi di colpa, i ricordi. Un ultimo sacrificio per Asgard, per riportarvi la pace. Poteva sopportarlo.

Con un profondo sospiro ripose il contenitore su uno scaffale in penombra, dietro a barattoli di vetro straboccanti di erbe secche, tornò accanto al principe asgardiano e, lentamente, versò tra le sue labbra il contenuto della tazza.

 

* * *

 

Nei minuti che Loki impiegò ad abbandonare quel mondo capovolto e distorto e a risvegliarsi nella capanna della strega, Kaja si preparò all'inevitabile ira che l'avrebbe travolta. Sapeva che Loki aveva dovuto imparare una lezione – Kahlea era stata molto chiara, chiedendole di trattenerlo in quel sogno per un certo numero d'ore («Non è necessario che tu sia precisa nel costruirlo, il figlio di Laufey è molto perspicace, capirà da sé ciò che necessita d'imparare. Ti basti sapere che è necessario che comprenda. Quest'inutile guerra deve finire. Ora.») – ma non era sicura quale fosse, la lezione.

Quando Loki aprì gli occhi, di scatto, fissando il soffitto – probabilmente cercando di mettere nuovamente a fuoco la visione del suo mondo – Kaja sobbalzò, preoccupata. L'uomo volse allora il volto verso di lei, le labbra increspate in un sorriso malizioso. «Devono averti dato informazioni sbagliate su di me, strega. Non sono solito usare violenza per inezie simili.» Si massaggiò il collo indolenzito. «Anche se ammetto che l'avermi lasciato in una posizione così scomoda per... quanto? Tre, quattro ore?, mi irrita abbastanza.»

Kaja indietreggiò, quasi più per un istinto di sopravvivenza innato che per paura – d'altronde vivere, morire... per chi aveva vissuto ciò che aveva vissuto lei il male minore era sempre difficile da definire.

«Oh, non ti preoccupare. Non sono arrabbiato, anzi... Il tuo trucchetto mi ha fatto cambiare prospettiva.» Il sorriso si trasformò in un ghigno. «Anche se non credo che la prospettiva sia quella auspicata dalle tue compagne...» Con grazia raccolse il proprio mantello da terra, dove era scivolato mentre dormiva. «Ma dì pure loro che grazie a questo escamotage ho capito l'importanza che persino un essere grezzo e apparentemente inutile come mio fratello può avere. Senza di lui non sarei mai potuto diventare ciò che sono. Potrei anche decidere di graziarlo, una volta che il trono sarà mio.» Si avvolse nel mantello. «E ora scusami, strega, ma nel mio lungo sonno ristoratore ho pensato a molti modi in cui riappropriarmi di ciò che mi spetta di diritto, e non vorrei perdere tempo.» Si inchinò beffardamente. «Ti ringrazio per i tuoi servigi, strega, e per la tua gentilezza nel sacrificare quel poco di pace che ti restava per dar nuovo vigore ai miei desideri.»

Oltrepassò la porta cigolante e Kaja lo guardò sparire nella notte nordica, la realizzazione dell'inutilità del suo sacrificio pesante e nera dentro di sé.

 


Ed ecco l'ultimo capitolo di questa mini-long post-Thor. Mi dispiace veramente molto di averci messo così tanto, ma purtroppo negli ultimi mesi ho avuto pochissimo tempo libero (che di norma passo a collassare sul letto..). Vorrei ringraziare chi, malgrado le attese, ha continuato a leggere (e spero ad apprezzare) questa storia :)
Se avete commenti, domande, critiche, una scatola di cioccolatini che volete regalarmi, potete contattarmi qui o su facebook!
A presto,
Cabiria Minerva

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