Urla e sussurri

di kiku_san
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Messaggero ***
Capitolo 2: *** L' Ostaggio (Parte Prima) ***
Capitolo 3: *** L'Ostaggio (Parte seconda) ***
Capitolo 4: *** L'Ostaggio (Parte Terza) ***
Capitolo 5: *** La prigioniera (Parte Prima) ***
Capitolo 6: *** La Prigioniera (Parte seconda) ***
Capitolo 7: *** La Prigioniera ( Parte Terza) ***
Capitolo 8: *** La Guerra ***
Capitolo 9: *** La Trappola ***
Capitolo 10: *** La Cattura ***
Capitolo 11: *** La Guarigione ***



Capitolo 1
*** Il Messaggero ***


URLA E SUSSURRI


IL MESSAGGERO

Dopo un giugno freddo e piovoso, tanto da sembrare un’anticipazione d’autunno anziché l’inizio dell’estate, luglio signoreggiava trionfante. L’inverno era stato straordinariamente mite e la primavera altrettanto straordinariamente arida, ma ora la vegetazione era in pieno rigoglio, riscaldata dal sole e alimentata dalle piogge del mese precedente. La terra asciutta aveva assorbito avidamente l’acqua ed ora verdeggiava opulente. Le piante cariche di foglie e frutti si beavano al vento lieve e caldo che muoveva le fronde. Il cielo immutabile, di un azzurro cobalto, senza neppure una striatura bianca o una nuvola solitaria, era uniforme come una tavola.
Nasuada si affacciò alla balconata del palazzo, guardò lungamente il cielo perdendosi nella sua immobilità, rotta a tratti dal volo rapido di un uccello. Spostò lo sguardo ai boschi poco lontani che delimitavano il giardino e avvolta dal calore del vento del sud, rimase ad ascoltare il mormorio delle fronde mosse dalla brezza. Le giornate si susseguivano limpide, caldissime e pigre nel Surda.
Aspirò l’aria che entrò calda ed asciutta nei polmoni.
Si appoggiò alla balaustra pensosa. Fece scorrere lo sguardo sui profili delle colline, da quelle boscose davanti a se, alle ondulazioni azzurrine che si perdevano all’orizzonte.
In quel luogo la guerra sembrava lontana eppure era alle porte. Fra poco l’esercito dei Varden e di re Orrin sarebbero partiti per le Pianure Ardenti, dove si sarebbe giocata la battaglia finale. Le spie avevano riportato la notizia che Galbatorix stesse raccogliendo a Uru-baen un immenso numero d’uomini. Suo padre stava ancora aspettando l’arrivo di re Rothgar, ma il tempo ormai stava per scadere.
Nasuada fu riscossa dai suoi pensieri, da dei passi alle sue spalle.
“Il messaggero dell’Imperatore è giunto”
Nasuada si affrettò a raggiungere la sala del trono.
Galbatorix aveva inviato un messaggero con le sue richieste, Ajihad aveva garantito di ascoltarle.
Entrambi sapevano che non sarebbero venuti a capo di nulla, ma ad entrambi serviva tempo per studiare nuove strategie e organizzare l’esercito.
Nella sala, re Orrin di Surda stava seduto sul trono, Ajihad gli era accanto, seduto su di un seggio. Lei gli si accostò. Dietro ad Ajihad, in piedi, vi era Eragon, colui nel quale era riposta la speranza dei Varden.
Le porte si aprirono e il messaggero avanzò con passo sicuro fino a portarsi vicino al trono. Era racchiuso in un lungo mantello nero che lo ricopriva da capo a piedi. Il cappuccio calato fin sopra agli occhi avvolgeva il suo viso nell’oscurità.
Non si chinò, ne fece alcun segno di omaggio, scrutò invece per un lungo istante i presenti e Nasuada sentì su di se uno sguardo bruciante che sembrò trapassarla da parte a parte.
Con un gesto deciso l’uomo spinse indietro il cappuccio.
Era un ragazzo, il volto magro e pallido, capelli corvini che gli ricadevano sugli occhi in ciocche disordinate, occhi come lame d’acciaio: chiari, freddi, duri.
“Vengo da parte del mio signore l’Imperatore con un messaggio per te Ajihad” le parole uscirono ferme e decise.
“Chi sei?” rispose lui con lo stesso tono.
“Sono Murtagh figlio di Morzan”
Un brivido assalì i presenti, misto a stupore e rabbia. Tutti conoscevano Murtagh per fama, anche se nessuno lo aveva mai visto, perlomeno così da vicino.
Come osava presentarsi ad Aberon? E come mai l’Imperatore aveva mandato il suo braccio destro a parlamentare, anziché inviare un semplice messaggero? Certo la sua presenza doveva avere un altro scopo.
Murtagh era figlio di Morzan , ucciso da Brom, che così aveva pareggiato i conti con il Rinnegato. Si sapeva che Galbatorix da allora lo aveva allevato alla sua corte e che cresciuto, lo aveva istruito personalmente.
Leggende circolavano su Murtagh, sulla sua crudeltà, sulla sua sete di sangue che superava quella del padre e si diceva perfino quella dell’Imperatore.
“Qual è il tuo messaggio, dillo in fretta e poi vattene, la tua presenza non è gradita”
Murtagh sogghignò: “Il mio signore chiede che ritiri il tuo esercito e ti arrenda senza condizioni. Nella sua generosità concede a te e a re Orrin di passare la vita in cella anziché morire. Desidera la testa di Brom e la fedeltà di Eragon, promette inoltre che tua figlia…” e i suoi occhi si fissarono rapidissimi in quelli di Nasuada che rabbrividì involontariamente, ma che si costrinse a non abbassare lo sguardo, come invece avrebbe voluto.
Per una manciata di secondi lottò contro quegli occhi crudeli e beffardi che all’improvviso la lasciarono quasi esausta, per inchiodarsi di nuovo in quelli del capo dei Varden.
“… Che tua figlia non sarà data come preda di guerra ai soldati, ma arricchirà il suo harem”
“Sporco bastardo, come osi presentarti con questa richiesta” reagì rabbioso Eragon.
“Tu devi essere Eragon” sibilò Murtagh, “L’allievo di Brom”
“Sono io”rispose con rabbia il giovane mettendo mano alla spada.Un gesto di Ajihad lo fermò.
Murtagh rise di una risata sferzante: “Ci saranno altre occasioni per battersi non temere e allora ti ucciderò, ma solo dopo che avrai potuto vedere con i tuoi occhi, avverarsi tutto ciò che ho detto oggi”
Sembrò ai presenti che una folata di gelo li avviluppasse.
Nasuada si costrinse a non rabbrividire di nuovo.
Ajihad stava pensando convulsamente a quale scopo Galbatorix avesse mandato Murtagh, il suo prediletto, a portare una proposta inaccettabile.
“Le tue minacce non ci spaventano, perché sei venuto in realtà?” ribattè duramente.
Murtagh soffocò una risata: “Per portarti questo messaggio; forse ti sembrerà troppo duro, ma pensaci, l’alternativa è ben peggiore” le ultime parole le sibilò con un piacere perverso.
“Vattene e dì a quel traditore del tuo signore, che nessuno di noi lo teme”
“Lo immagino ma se non accettate, quando perderete, queste condizioni che ora vi sembrano così terribili, vi parranno pietose”
Nasuada non ascoltava, il suo sguardo non riusciva a staccarsi da Murtagh: era di una bellezza strana: i suoi capelli avevano qualcosa di troppo nero, gli occhi qualcosa di troppo calmo e freddo, la carnagione qualcosa di troppo delicato e bianco.
Forse lui si accorse dello sguardo di lei, perché spostò rapidamente il suo e silenziosamente la scrutò, finché sembrò a Nasuada che qualcosa si rompesse dentro di lei e che contemporaneamente negli occhi chiari di Murtagh si producesse un cedimento, subito seguito da un lampo di rabbia.
“C’è un’altra ragione per cui sono qui, ho chiesto io al mio signore di portare il messaggio”
“ Perché?”
“Volevo vedervi in faccia, da vicino, prima che i vostri volti siano stravolti dalla paura, dall’orrore, dal dolore”
“Non ne sarei così sicuro”replicò deciso Eragon “dovrai batterti con un Cavaliere dei Draghi”
Questa volta Murtagh rise, una risata aspra che subito gli morì in gola.
“Anch’io sono un Cavaliere”
A quelle parole lo stupore si dipinse sul volto di tutti i presenti. Nessuno lo avrebbe mai immaginato..
“ Menti” scattò Eragon.
“Vuoi vedere il marchio?” e così dicendo si sfilò i guanti di pelle e mostrò il gedwey ignasia che brillò lievemente, all’anulare splendeva un anello con incastonato un rubino, “Era di mio padre come la spada che ora possiedi tu. Ti giuro che però sarà ancora per poco, te la toglierò io stesso di mano, prima di strapparti il cuore” aggiunse stringendo le labbra e gli occhi divennero due fessure.
“Tu sei un rinnegato come tuo padre, come il padrone che servi” urlò Eragon.
“E’ questione di punti di vista. I Cavalieri erano finiti, corrotti, deboli, imbelli, parassiti che sopravvivevano senza più nessun potere”
“Come puoi dire una cosa del genere?”
“Se non avessi ragione, dimmi Eragon, come fu che nessuno riuscì ad opporsi a Galbatorix?”
Eragon si zittì.
Murtagh sogghignò: “Mi dispiace, hai scelto il maestro sbagliato. Io e Galbatorix siamo i veri Cavalieri”
“Odi Brom perché ha ucciso tuo padre”
Murtagh lo guardò fissamente: “Ti sbagli” disse con voce gelida “Non lo odio affatto, in realtà mi ha fatto un favore”
“Se sei un vero Cavaliere dovresti desiderare che il Consiglio venga di nuovo ripristinato” insistette Eragon.
Murtagh sputò: “Il Consiglio non esite più, ha fatto il suo tempo, ora può esserci solo l’Impero”
“Hai fatto ciò che dovevi: hai portato il messaggio e ci hai visti. Ricorda i nostri volti quando perderai la battaglia. E ora puoi andare, l’aria sta diventando irrespirabile, non voglio che la tua puzza impregni tutta la sala” intervenne Ajihad.
“Che cosa devo riferire al mio signore?”
“Riferisci che il destino di Alagaesia si giocherà sul campo di battaglia”
Murtagh non replicò, ma una smorfia crudele passò come un lampo sul suo viso. Rialzò il cappuccio e indietreggiò fino al portone. Prima che si voltasse per uscire, Nasuada sentì di nuovo una sensazione di bruciore sulla sua pelle. Cercò con gli occhi, il viso di Murtagh nell’oscurità del mantello, ma scorse solo per un attimo due lame di luce.


2. Nella sala calò il silenzio, solo dopo che l’eco dei passi di Murtagh si fu spento nei corridoi del palazzo, Ajihad parlò.
“ Qual è il vero motivo per cui Galbatorix ha mandato il suo favorito? Non riesco a capirlo, ma deve esserci una ragione valida e pericolosa, è una trappola”
“Che genere di trappola?” intervenne Eragon “Penso piuttosto che abbia voluto mostrare la sua spavalderia e la sua sicurezza per farci vacillare”
Ajihad pensava in silenzio, quando alzò gli occhi si rivolse a Nasuada.
“Che ne pensi?”
Nasuada si sentiva stranamente agitata; solitamente sapeva mantenere il suo sangue freddo e Ajihad ricercava il suo parere perché in qualunque situazione era in grado di analizzare gli eventi in modo chiaro e preciso, senza farsi ingannare dalle emozioni.
“Non riesco a capire padre, sono d’accordo con te, ci deve essere un motivo preciso, ma non riesco ad individuarlo”
Quando Murtagh l’aveva guardata negli occhi, aveva sentito dentro di se qualcosa muoversi e svilupparsi: rabbia, dolore, odio. Giurò che Murtagh l’avrebbe pagata, avrebbe pagato tutto ciò che aveva fatto.
“Voglio conoscere l’opinione di Brom. In ogni caso la guerra ci sarà e giunti a questo punto continuerà fino alla fine”
“Vinceremo padre” Nasuada gli si accostò accarezzandogli una spalla.
“O perderemo ma non possiamo più tirarci indietro, troppi anni sono passati aspettando questo momento, è giunta l’ora di concludere la partita”
Ajihad ricordava i giorni in cui Galbatorix aveva preso il potere, non li avrebbe mai potuti dimenticare. Tutta la sua vita era stata spazzata via in poche ore. Traditori avevano ucciso le guardie fedeli a suo padre, governatore di Dras-Leona, che era stato impiccato sulla pubblica piazza come un malfattore, insieme a tutti i funzionari che non avevano giurato fedeltà a Galbatorix.
Non voleva pensare alla fine che era stata riservata a sua madre, dopo così tanti anni respingeva il ricordo perché troppo doloroso. Lui era fuggito vestito da servo, avrebbe voluto combattere e morire con i suoi fidi, ma si era reso conto che l’unico modo per vendicarsi era cercare di restare vivo il più a lungo possibile. Per anni aveva vissuto nell’ombra, aveva conosciuto l’amore, anche se per breve tempo, sua moglie lo aveva lasciato morendo di parto, nel dare alla luce la figlia.
Solo in quel momento aveva capito che era giunto il tempo di fare qualcosa. Aveva cavalcato per giorni insieme con alcuni fedeli. Al fine avevano trovato rifugio nel Farthen-Dur.
I Nani che lo abitavano avevano permesso che i nuovi venuti vi trovassero riparo. Erano passati gli anni, Ajihad era sempre più deciso a cambiare di nuovo la storia. Poco per volta il loro rifugio era divenuto la meta d’individui, che come lui e i suoi compagni, non accettavano la tirannia e il terrore che Galbatorix usava per regnare. Era gente che sognava la libertà, la giustizia. Vecchi che ricordavano i tempi in cui i Cavalieri facevano d’Alagaesia un paese felice; giovani che sognavano quei giorni che conoscevano solo attraverso il racconto dei nonni.
Ben presto una nuova speranza si diffuse tra il popolo, se ne parlava piano, con frasi spezzate, a bassa voce, solo tra amici fidati: i Varden stavano sfidando l’Impero.
E così per vie traverse, gente sempre più numerosa affluì al Farthen-Dur e si crearono cellule ribelli in tutto il paese. Poi tutto successe più rapidamente di quanto ci si aspettasse: l’arrivo di Brom e soprattutto d’Eragon e di Saphira, gli Urgali che avevano attaccato il loro rifugio, la guerra imminente.


3. Murtagh cavalcò veloce nella sera, dirigendosi verso i confini del Surda. In un vecchio bosco accanto a delle rocce, smontò da cavallo e si guardò attorno. Il silenzio era rotto solo dai movimenti furtivi degli animali notturni.
“Castigo sono qui, fatti vedere”
Improvvisamente con uno schianto secco di rami, un drago rosso fuoco si fece strada tra le rocce e gli alberi.
“Finalmente sei arrivato, com’è andata?”
Murtagh sorrise tetramente.
“Bene naturalmente, tutto è andato secondo i piani dell’Imperatore”
“Nessuno ha sospettato di nulla?”
“No, neppure quell’idiota di Eragon” rise.
Velocemente salì in groppa a Castigo.
“Ed ora allontaniamoci da qui, dobbiamo trovare un posto dove poter aspettare senza farci scorgere, la tua presenza non deve essere ancora svelata”
“Quanto dovremo aspettare?”
“Non molto, domani la preda ci cadrà in bocca, noi dovremo solo raccattarla e portarla più in fretta possibile a Uru-baen”

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Capitolo 2
*** L' Ostaggio (Parte Prima) ***


L’OSTAGGIO (Parte Prima)

1.C’era caldo, molto caldo e lingue di fuoco ardevano accanto a lei, l’atmosfera era densa di vapori, davanti ai suoi occhi una sagoma prendeva sempre più consistenza: un drago rosseggiante l’aspettava immobile tra i fumi ardenti. Lo cavalcava un uomo coperto da un’armatura anch’essa rossa. Nasuada si avvicinò, con la sua spada sottile tra le mani. Eccolo! Finalmente avrebbe potuto trovare soddisfazione, placare quella sete di vendetta che la tormentava. Il Cavaliere l’aspettava immoto, quando lei fu vicina al punto tale da poterlo vedere in viso, alzò la celata dell’elmo e le sorrise, un sorriso beffardo che le fece venire la pelle d’oca…..
Nasuada si svegliò sudata e ansimante.
Era stato un sogno, ma sembrava che il sogno le fosse rimasto impigliato nella mente. Sentiva caldo come se avesse la febbre alta e contemporaneamente il suo corpo era scosso da brividi. Come in trance cercò le sue vesti e sopra di queste indossò l’armatura. In testa c’era un solo pensiero, doveva raggiungere Murtagh, sfidarlo e ucciderlo, solo in questo modo tutto si sarebbe sistemato.
Finalmente avrebbe pagato per tutto il male che aveva commesso, finalmente tanti suoi amici sarebbero stati vendicati e tra tutti il più caro: Kaled.
Lacrime le salirono agli occhi pensando a lui, erano cresciuti insieme nel Farthen-Dur, due bimbi della stessa età che avevano condiviso ogni momento della giornata: i giochi, gli scherzi, gli allenamenti. Si erano amati come fratelli, Kaled per lei era la persona più importante dopo suo padre. Lui era stato ucciso in uno scontro con i soldati dell’Imperatore. Murtagh avrebbe pagato anche per la sua morte.
Come spinta da una forza superiore uscì furtiva dalle sue stanze. Dalle stalle prese il suo destriero e si avviò verso l’ingresso custodito da due sentinelle. Quando queste la riconobbero, le lasciarono il passo senza fare domande.
Ed ora cavalcava nel vento della notte, la spada sulla sua schiena le dava un senso di freddo e nel contempo di forza. Non sapeva dove stava andando, cavalcava fidandosi del suo istinto, di una voce che la chiamava.
La notte passò e le stelle si spensero ad una ad una, anche la luna rimase opaca sospesa nell’alba. Nasuada non smise di galoppare, il cavallo mostrava segni di stanchezza, il mantello coperto di sudore, la schiuma alla bocca, ma lei non gli permetteva di rallentare l’andatura.
Si fermò solo quando il sole cominciò a dardeggiare a picco sul suo capo. Si sistemò tra una forra dove scorreva un rigagnolo fangoso. Fece dissetare il cavallo, lo lascio libero di pascolare, mentre lei in piedi scrutava l’orizzonte. Non vi era nessun pensiero nella sua mente, solo la smania di arrivare alla meta, qualunque essa fosse. La meta dove avrebbe incontrato Murtagh e lo avrebbe ucciso.
Nel pomeriggio riprese la corsa e fu solo verso sera che s’inoltrò in un bosco scuro di larici. Gli zoccoli del cavallo erano smorzati dal tappeto d’aghi secchi che si ammassavano sul terreno; ad un tratto in una radura rocciosa apparve il drago del sogno, Nasuada riconobbe Murtagh seduto sul dorso, che la osservava con un sogghigno.
“Ti aspettavo, hai fatto presto, meglio così”
Nasuada sguainò la spada e si avvicinò, la sensazione di calore crebbe.
“Scendi e combatti” gli urlò con la rabbia che aveva accumulato in tutti gli anni della sua vita.
Murtagh rise: “Non ho tempo per questi giochetti” e così dicendo pronunciò alcune parole nell’antica lingua. Fu come se le fosse inferto un colpo violento sulla testa, ebbe solo il tempo di scorgere il riso beffardo del Cavaliere e poi tutto fu oscurità.


2. Quando riprese i sensi si trovò in una cella buia e fredda. L’elmo e la spada chissà dov’erano finiti. Un dolore alla nuca, le ricordò il colpo che all’improvviso le aveva fatto perdere i sensi. Aveva i muscoli intorpiditi e la mente intontita, sospettò che l’avessero drogata.
Probabilmente si trovava a Uru-baen, nella dimora dell’Imperatore.
Rumori alla porta la distolsero da ogni pensiero. Due guardie entrarono e l’agguantarono malamente.
“Mettete giù le mani” imprecò rabbiosamente.
“Avete sentito Lady Nasuada” risuonò beffarda la voce di Murtagh. Era rimasto poco discosto dalla porta.
Si incamminarono lungo corridoi e rampe di scale. Alla fine entrarono in un ampia sala.
Tra un gruppo d’armati torreggiava un uomo. Alto, svettava sopra tutti gli altri, il fisico possente nonostante l’età, i capelli scuri con fili grigi lunghi fino alle spalle, un viso forte e virile con un naso diritto, labbra carnose, occhi magnetici, voce sonora e autorevole. Quell’uomo così affascinante poteva essere il nemico, poteva essere l’Imperatore?
Al suo ingresso le voci si spensero, i soldati fecero ala al suo passaggio. Murtagh posò un ginocchio a terra velocemente.
“Mio signore, ti ho portato la prigioniera che desideravi vedere”
“Voi dovete essere Galbatorix, vi riconosco dal fetore, lo stesso del vostro scagnozzo” disse con voce dura Nasuada, ma un manrovescio la colpì al lato destro della testa, così improvviso e violento da farla cadere a terra stordita.
Una mano ferma l’aiutò a rialzarsi, quella di Galbatorix.
L’orecchio destro le ronzava e la vista era sfocata.
“Murtagh non così, non è una serva ma la figlia di Ajihad, la principessa dei Varden”
Nasuada non potè fare a meno di notare l’evidente sarcasmo che impregnava quelle parole.
“Non sono una principessa lo so bene, ma so altrettanto bene che voi non siete un imperatore”
“Ma io ho un regno” rispose con bonaria pazienza Galbatorix.
“Cos’è un regno? Un regno è terre, palazzi, città, ricchezze? Allora è vero voi avete un regno e io no; ma se un regno è uomini e donne liberi, audaci, fieri, se un regno è formato da sudditi ubbidienti non per paura, allora siete voi a non avere un regno ed io a regnare sul migliore”
“Belle parole ragazza” l’Imperatore applaudì lievemente “Brava e bella ma assai sciocca, sei caduta nella trappola di Murtagh senza neppure rendertene conto”
“Trappola?”
“Ingenua! Non ti sei chiesta perché lo abbia mandato ad Aberon? Quale sia stata la causa del tuo comportamento incosciente, del tuo sogno assurdo di vendicarti di tutti i torti subiti, del tuo desiderio di affrontarlo?”
Nasuada era confusa: “Non capisco”
“Sapevo che saresti stata lì ad ascoltare il messaggio che portava, gli è bastato entrare un attimo nella tua mente ed usare le arti magiche, ricordati che è un Cavaliere”
Nasuada arrossì suo malgrado: “ Non sapete cosa state dicendo” mormorò.
“Oh sì certo. Sapevamo che l’odio ti avrebbe accecata, avrebbe offuscato la tua celebre chiarezza di mente. Sapevamo che avresti messo da parte la prudenza pur d’affrontarlo; Murtagh non ha dovuto far altro che alterare solo di un poco la tua mente, sovraccaricarla dell’odio che già provavi contro di noi, insomma gettarti in una situazione avventata, dalla quale non avresti avuto speranza di uscire viva”
“Allora il messaggio era tutta una scusa per avvicinarmi, per offuscarmi la mente e per farmi prigioniera?”
“Era il nostro scopo, appena Murtagh ti ha catturata, ti ha portato subito qui da me.”
Nasuada guardò Murtagh, il suo sorriso era beffardo e pieno di malizia.
Spostò lo sguardo sull’Imperatore, ora sì che lo vedeva per quello che era: un sorriso malvagio gli deturpava il bel volto, gli occhi erano diventati cupi ed oscuri, lascivi e biechi.
“Perché la mia cattura dovrebbe favorirvi? In battaglia mi sono sempre fatta onore, ma non sono insostituibile”
“Sei un ostaggio molto prezioso mia cara, sei l’unica figlia di Ajihad, accetterà le mie condizioni pur di riaverti indietro”
“Vi sbagliate” ribadì freddamente Nasuada “Lascerà che io muoia”
“Sì lo penso anch’io, ma io non voglio la tua morte. Lascerà che sua figlia divenga la baldracca dei suoi nemici?”
Nasuada sentì freddo, ma si sforzò di rispondere: “Mio padre non verrà mai a patti con voi”
“Vedremo. Sia che lo faccia oppure no, avrà sempre perso la stima dei suoi uomini. Quale padre lascia la figlia nelle mani del suo peggior nemico senza fare nulla? Murtagh voglio che tu custodisca questa ragazza con la massima cura possibile. Non le deve mancare nulla e…tu non la devi toccare neppure con un dito, ci siamo intesi? Non voglio che tu la perda di vista; quella stanzetta nei tuoi appartamenti potrebbe andare bene”
Murtagh l’afferrò per un braccio, la stretta era decisa, con il preciso intento di farle del male.
Salirono scale e percorsero corridoi, fino ad arrivare ad un portone sorvegliato da due guardie.
Murtagh l’aprì. Dentro, la stanza era ampia e confortevole.
“Ora ti comporterai bene e non ti succederà nulla”
“Il tuo padrone ti ha ordinato di non toccarmi, quindi non minacciarmi”
Murtagh la guardò con occhi socchiusi.
“A volte non resisto all’impulso di disobbedire” mormorò con voce carezzevole.
“E non temi che il tuo padrone ti punisca?”
“ A volte mi perdona, riconosce che ho disubbidito a ragion veduta, nel suo interesse; altre volte no…ma” rimase un attimo assorto, “Le sue punizioni spesso mi sono gradite quanto i suoi premi” il tono della sua voce era diventato sgradevole, pieno di sottintesi osceni.
Nasuada lo fissò freddamente con ribrezzo e per un attimo notò di nuovo nello sguardo di Murtagh un cedimento seppur brevissimo, che lasciò posto alla rabbia.
“Non fissarmi negli occhi, non mi piace”
Un rumore lo fece voltare, alcuni servi entrarono portando una tinozza che riempirono con acqua calda. Li seguiva un uomo molto alto, dalla corporatura muscolosa, con barba e baffi fluenti.
“Tornac” disse Murtagh “Lei è Nasuada. L’Imperatore me l’ha affidata. Tu sarai responsabile del suo benessere. Fai portare nella stanza” e così dicendo accennò con il capo ad una porticina nel muro di fronte, accanto all’enorme camino spento “Ciò di cui una donna può avere bisogno: coperte, cibo, vesti e fai preparare anche per lei un bagno”
Tornac abbassò il capo ed uscì. Murtagh dava le spalle alla ragazza e indifferente alla sua presenza cominciò a spogliarsi; si tolse per primi gli spallacci sbalzati e i bracciali di cuoio borchiati, si slacciò la pesante tunica di cuoio e fece cadere a terra con rumore la cotta di metallo, si sfilò infine una tunica leggera di lino.Sulla sua schiena biancheggiava una cicatrice, deturpandogliela.
Nasuada non riusciva a distogliere gli occhi da quel corpo alto e magro ma dai muscoli guizzanti.
Intuì che lui percepiva il suo sguardo e che n’era compiaciuto. Dopo essersi tolto i pantaloni, s’immerse nell’acqua della vasca.
Non si era girato, la ignorava volutamente.
In quel mentre entrò Tornac, seguito da servi che portavano coperte, un tavolo, vivande, vesti.
L’uomo aprì una porticina e fece entrare i servi. Dietro a tutti ciabattava una vecchia: piccola, sembrava una bambina infagottata in un vestito logoro e ruvido, la faccia rotonda come una mela avvizzita, gli occhi come spilli che si facevano strada tra mille ragnatele di rughe.
“La vecchia Cho sarà al tuo servizio” disse Tornac.
La vecchia sorrise a Nasuada con un sorriso sdentato e s’infilò nella porticina.
“Chiudila dentro, non la voglio tra i piedi” disse Murtagh senza neppure voltarsi.
Tornac indicò la porta, alla fanciulla.
Quando lei entrò si trovò in una stanza piccolissima, una vera e propria cella. Una feritoia in alto spandeva sul pavimento una lama di luce. Nella penombra vide un lettuccio che i servi stavano ricoprendo con delle coperte.Un tavolo e una sedia gli erano stati disposti accanto e alcune vivande spandevano un aroma fragrante, che però non riusciva a nascondere l’odore di cui era impregnata la stanza: un odore di paura e di sangue.
Quando tutti furono usciti, Nasuada sentì lo scatto di un catenaccio esterno.
La vecchia, rimasta con lei, guardava con avidità il cibo.
“Mangia mia signora, prima che si raffreddi”
“Mangia tu, io voglio riposare”
“I servi hanno portato una vasca piena d’acqua profumata, un bagno ti ristorerà”
Nasuada annuì, si spogliò aiutata dalla vecchia e cercò per un po’ di non pensare a nulla.
Pulita e rivestita, bevve del vino e si buttò sul letto.
“Vorrei restare sola”
“ Mi dispiace ma sono chiusa qui dentro come te, ma tu fai come se non ci fossi, la vecchia Cho non c’è mai per nessuno, nessuno si accorge di lei”
Nasuada sospirò, una lacrima le sfuggì.
“Dove dormirai?” le chiese.
“Sono abituata a dormire per terra”
“Tieni” le diede due coperte che la vecchia afferrò avidamente, quasi temesse che la ragazza la stesse prendendo in giro.
“Mangia” le ordinò Nasuada e Cho mangiò come chi ha dimenticato cosa sia mangiare.


3.Quando si svegliò, per un attimo non capì dove si trovasse. Il sonno era stato pesante e tenebroso, popolato da incubi di cui non ricordava nulla, ma che le avevano lasciato dentro un’angoscia persistente e profonda.
Sul tavolo Cho stava sistemando alcune vivande fresche: pane profumato, miele, dolci e latte.Il suo corpo aspirò prepotentemente il profumo del cibo, lo stomaco brontolò rumorosamente reclamando nutrimento, la sua bocca secca desiderò qualcosa di fresco e dissetante, ma nella sua anima c’era il vuoto ed era più forte di tutto ciò che il corpo reclamava; il vuoto s’impossessò di tutta se stessa, mise a tacere ogni esigenza, rimase solo e incontrastato.
Nasuada pensò che il vuoto era suo alleato, l’avrebbe aiutata a non nutrirsi, a farsi morire d’inedia, mandando così in fumo il piano dei suoi nemici. Se fosse morta, suo padre non avrebbe dovuto vivere con la colpa di aver deciso della sua sorte. Se fosse morta, suo padre avrebbe schiacciato l’Imperatore nel suo nome.
“Mangia mia signora” sussurrò Cho.
Nasuada scosse il capo.Bevve solo un bicchiere d’acqua. La vecchia non aspettò altro e cominciò a mangiare con voracità e mentre s’ingozzava, i suoi occhietti non smettevano di saettare dalla ragazza alla porta, per avere sotto controllo la situazione.
Le ore passarono lente.
Nasuada rimase con l’orecchio teso a captare qualsiasi rumore provenisse dalla camera di Murtagh, ma vi era solo silenzio come in una tomba.
“Cos’è questa stanza?” chiese ad un tratto.
La vecchia rincantucciata sul suo giaciglio di fortuna aveva gli occhi chiusi e sembrò non aver sentito.
“So che non dormi, rispondimi”
Gli occhietti a spillo della donna si aprirono immediatamente.
“E’ meglio non saperlo”
“Questo lo giudicherò io, dimmi quello che sai”
“Poco mia signora, non sono affari miei”
“Parla”
“Dicono che Murtagh ci porti le ragazze che gradisce”
“Qui? Ma è una prigione!”
Cho assentì.
Nasuada fu scossa da un brivido.
“Cosa fa alle ragazze?”
Cho scosse la testa: “E’meglio non saperlo mia signora”
“Non sono d’accordo, preferisco sapere con chi ho a che fare”
“Io non so, ma si dice che provi piacere nel far loro del male”
Nasuada provò un moto d’odio e ribrezzo.
“Cosa fa?”
“Non so, si sentono pianti e lamenti, gemiti, singhiozzi, a volte non si sente nulla e poi ad un tratto un urlo.Ti si ghiaccia il sangue”
“Dove le prende?”
“Sono prigioniere, serve, a volte i suoi uomini portano dalle loro scorrerie le ragazze più belle. I genitori pregano d’avere figlie brutte, molte ragazze vorrebbero essere come la vecchia Cho”
“Nessuno si ribella?”
“E’ un onore finire nell’harem dell’Imperatore e del suo Cavaliere. Come ci si potrebbe ribellare. I genitori ringraziano quando le loro figlie piangenti sono portate via”
“E’ assurdo”
“No, se non ringraziassero sarebbero considerati ribelli e allora loro e tutta la famiglia sarebbero sterminati”
Quando la porta si aprì, due servi tolsero i vassoi che avevano portato il mattino e li sostituirono con nuove vivande.
Doveva essere pomeriggio inoltrato. Nasuada non toccava cibo dal giorno in cui aveva lasciato Aberon, ma gli unici sintomi erano la bocca arida e la testa intontita. A volte i crampi allo stomaco riuscivano a prendere il sopravvento sul vuoto, ma poi tutto tornava come prima.
Quando Cho capì che neppure questa volta la ragazza avrebbe toccato cibo, bussò alla porta.Un rumore metallico e si stagliò davanti all’entrata la sagoma di Tornac. Cho uscì, il catenaccio si richiuse.
Solo dopo qualche ora l’uomo riaprì la porta ed entrò, Nasuada alzandosi ebbe un giramento di testa e si afferrò al braccio di Tornac. Si riebbe subito, alzò la testa fieramente ed uscì.
Era sera ma nella camera era stato acceso un solo candelabro, da un’alta finestra entrava una luce velata. Murtagh era lì accanto, in piedi.
Nasuada cercò di raccogliere tutte le sue forze, anche se si sentiva debole.
“E’ vero che non mangi da quando sei arrivata?”
“Sì”
“Hai deciso di farti morire di fame?”
“Sì”
Murtagh strinse le labbra per la collera.
“E’tutto inutile, ti costringerò”
“Vedremo”
“Sono un Cavaliere posso farti fare ciò che voglio, dovresti sapere come mi è facile entrare nella tua mente”
“Provaci di nuovo”
“Non sfidarmi principessa”
“E tu non vantarti Cavaliere”
C’era disprezzo e odio nella voce di entrambi.
“Come vuoi” la voce di Murtagh divenne ad un tratto vellutata.
La conoscenza dell’arte magica permetteva ai Cavalieri di penetrare nella mente altrui, di leggerne i pensieri e le intenzioni nascoste e di piegarle al loro volere.
Murtagh estese la sua mente come una ragnatela fino ad incontrare quella di Nasuada, ma con sua sorpresa, si trovò di fronte una fortificazione potente: cercò di aggirarla, di trovare un pertugio, una spaccatura, cercò di colpirla con potenza, di aprirsi un varco con la forza, ma nulla, le mura non cedevano.
Quando aprì gli occhi vide la fanciulla davanti a se: lo sguardo fisso, un pallore estremo sul volto solitamente dorato, le labbra bianche, il sudore che le imperlava la fronte.
Murtagh fu travolto dalla collera, allungò il braccio e strinse il collo sottile della ragazza in una morsa. Nasuada cercò di sottrarsi alla stretta, ma più si divincolava più Murtagh stringeva.
Alla fine con l’ultimo fiato lei sussurrò: “Stringi più forte, risparmiami la fatica di morire di fame”
Murtagh sembrò accorgersi solo in quel momento che stava rischiando di strangolarla, tolse la mano dal collo, la prese per i capelli e la colpì più volte. Nasuada non era una damigella delicata, fin da piccola era stata addestrata come un uomo: era, anche se piccola di statura, forte e agile, sapeva usare la spada,con l’arco era infallibile, nella lotta sfuggente e decisa. Cercò di ribellarsi, di ribattere ai colpi, ma era debole e Murtagh sembrava godere della sua resistenza, dei suoi tentativi di colpirlo a sua volta.
Alla fine la scaraventò contro una cassapanca, nelle mani gli erano rimaste alcune ciocche dei capelli della ragazza. Nasuada batté contro uno spigolo del mobile e rimase stordita, sentendo il sangue scorrergli dai capelli lungo il collo.
Quando la vista si schiarì, vide Murtagh accanto a lei, ansimante.
La sollevò come si solleva un pupazzo, le strinse il viso tra le dita: “Ora mangerai”
Nasuada si sentiva intontita e dolorante, ma si sforzò di sorridere mentre rispondeva flebilmente: “No”
Si preparò ad una nuova scarica di botte, ma Murtagh la lasciò.
“Riportala dentro” ordinò a Tornac.
Prima che la porta si richiudesse alle sue spalle, le mormorò con gelida rabbia: “Troverò il tuo punto debole, tutti hanno un punto debole, trovato quello il gioco è fatto, ognuno, anche il guerriero più eroico, diventa un agnellino; lo troverò brutta sgualdrina e allora farai tutto ciò che ti chiederò”
Finalmente la porta si chiuse, il tonfo fu un rumore grato alle sue orecchie. Si buttò sul letto, non si reggeva in piedi. Nel dormiveglia percepì Cho pulirgli la ferita alla testa e bagnarle con una pezzuola fresca il viso. Si sentiva fisicamente prostrata, senza forze, con il viso tumefatto, ma stranamente la mente acquistava sempre più chiarezza.
Brom diceva lo stesso a Eragon: “Ogni persona ha il suo punto debole, scoprilo e lo avrai in pugno”
Doveva scoprire qual era quello di Murtagh, prima che lui scoprisse il suo.
Si rese conto che la sua reazione alle botte lo aveva eccitato, come un gatto che si diverte solo se il topolino si dibatte tra i suoi artigli; probabilmente se il topo rimanesse immobile, il gatto smetterebbe di torturarlo.
Ancora le parole di Brom : “Non accettare le provocazioni, non farti dominare dalla rabbia, dall’odio, dalla paura; rimani concentrato su te stesso, tu sei il centro dei tuoi pensieri”
Era stato proprio lui ad insegnarle a schermare la mente. Lei era particolarmente predisposta e anche se non possedeva le abilità di un Cavaliere, aveva imparato a difendersi dagli assalti mentali. Lo stesso maestro era rimasto sorpreso dall’impenetrabilità delle sue difese.
Quello che era successo ad Aberon, quando Murtagh aveva influenzato i suoi pensieri, era potuto accadere perché lei non si aspettava nulla di simile, non era stata in guardia, nessuno sospettava che Murtagh conoscesse le arti magiche e fosse un Cavaliere e lui aveva potuto colpirla in un attimo, come un serpente che scatta per mordere la sua preda.
Murtagh era eccitato dai tentativi di ribellione della sua vittima così come dalla sua paura. Bene! Non avrebbe avuto più né una né l’altra da lei. Sarebbe stata come un bambù, si sarebbe piegata senza spezzarsi e dopo la bufera si sarebbe rialzata di nuovo.


Bilu_Emo: Grazie per l’attenzione.
Stefy_81: Spero che ti piaccia anche questo chap. Ho letto la ff What if ..( oltre a Il battito del cuore,come sai) e ti ho lasciato una recensione.A breve leggerò anche le altre, vedo che sei una scrittrice molto prolifica.

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Capitolo 3
*** L'Ostaggio (Parte seconda) ***


L’OSTAGGIO (Parte Seconda)

4. Quando si ridestò si trovò immersa nella penombra.
Quanto tempo era passato?
La sera prima lei e Murtagh avevano avuto il loro primo scontro. Quanto tempo aveva dormito? Avrebbe dovuto essere mattino, ma in quella cella, con quella flebile luce era difficile capire l’ora. Si guardò attorno: il tavolo era vuoto, nessuno aveva più portato del cibo. Chiamò Cho con voce sottile, ma non le rispose nessuno.
Era sola, anche le candele erano scomparse.
Si alzò a fatica, prese uno specchio di metallo lucidato posato sul tavolo e si mise sotto la feritoia da dove pioveva l’unica fonte di luce, rimanendo a guardarsi a lungo. Si ravviò alla meglio i capelli bruni che le scendevano lisci fino alle spalle, ma che ora apparivano spenti e secchi. Se li acconciò in una treccia. La pelle un tempo dorata, ora era pallida e grigiastra. I grandi occhi nerissimi e profondi, dalle ciglia lunghe e arcuate erano velati, quello destro era tumefatto come le labbra. I segni delle dita di Murtagh, avevano lasciato lividi violacei sul collo. Dopo poco il suono del chiavistello che scorreva la fece alzare dalla sedia nonostante la debolezza.
Tornac le ordinò di uscire.
La camera era vuota, la tavola imbandita. Era buio, la pioggia scrosciava lungo i vetri, lampi azzurrini illuminavano la stanza seguiti da boati lontani.
Lui entrò come evocato dal suo pensiero, le si avvicinò; era straordinariamente ben vestito e mostrava un contegno degno di un signore, solo negli occhi chiari brillava una selvaggia sfrenatezza.
“Ho finalmente capito il tuo punto debole principessa” gli sussurrò accostandosi ancora di più.
“Anch’io” rispose lei.
Quella risposta sembrò far vacillare la sicurezza di Murtagh, la guardò con uno sguardo pieno di sospetto, ma dietro a questo, Nasuada percepì un sentimento strano che non riuscì a identificare. Lui si soffermò ad osservare il suo viso deturpato dalle botte e per un attimo sembrò dimenticarsi di tutto il resto. Poi si riscosse.
“Siedi, mettiti comoda”
Lei si sedette al tavolo automaticamente, rigida e severa.
Lui la imitò, sedendosi di fronte a lei.
“Ed ora mangiamo”
“Non mangerò lo sai, puoi picchiarmi finché vuoi ma non cambierò idea”
“ Per nulla al mondo?” la canzonò Murtagh.
Lei non rispose.
Murtagh sussurrò qualche parola a Tornac, che uscì e rientrò poco dopo seguito da una fanciulla. Era poco più di una bambina, forse di dodici, tredici anni. Era graziosa con capelli lunghi biondi, occhi celesti, pelle delicata. Tremava, gli occhi erano spalancati e pieni di lacrime.
Nasuada rimase immobile guardando la giovanetta, poi spostò lo sguardo su Murtagh.
Lui si rivolse alla ragazzina.
“Come ti chiami?”
“ Teha” rispose lei con voce incrinata dal pianto.
Chiaramente la piccola era terrorizzata e di fronte a lui aveva assunto la postura di una schiava: testa bassa, occhi fissi a terra, spalle reclinate.
“Vedi Teha” continuò Murtagh con voce carezzevole “Lady Nasuada non vuole mangiare, il cibo che ti ho chiesto di preparare non è di suo gusto e questo è una grave mancanza da parte tua. Ogni servo deve saper accontentare il suo padrone, lo sai?”
La piccola non seppe far altro che annuire debolmente senza neppure sollevare la testa.
“Saprai anche che i servi che non soddisfano il loro padrone vengono puniti, vero?”
Thea cominciò a piangere, un pianto silenzioso che le scuoteva le spalle, non provò neppure a difendersi, sapeva che era inutile.
“Così piccola Thea verrai punita, qui ed ora”
Si alzò veloce, si avvicinò alla fanciulla e con una mossa decisa le strappò di dosso la tunica che indossava. La ragazza rimase nuda e cercò con goffo pudore di coprirsi con le mani.
Murtagh la osservò divertito: “Sei carina, mi dispiace rovinare la tua pelle così delicata” e così dicendo le accarezzò la schiena provocando un brivido di terrore nella fanciulla.
“Mi voglio divertire questa sera Teha, spero che sarai all’altezza della situazione; quale punizione ti meriti?”
Finse di pensare e intanto di sottecchi guardava il terrore dilagare nella mente di Thea.
Nasuada era impietrita, non riusciva a pensare lucidamente, non riusciva ad urlargli di smetterla, ne riusciva a rendersi conto fino in fondo che tutto ciò che accadeva era reale, le sembrava di essere capitata in un incubo orribile.
Murtagh aprì una cassapanca e ne tolse una verga, saggiandone l’elasticità.
“Dieci colpi potranno essere sufficienti, Tornac tienila ferma”
Il servo prese la piccola come se fosse una bambola, la gettò sul tavolo con la schiena rivolta in alto e passando dall’altro lato le afferrò le braccia in una morsa.
Nasuada vide il volto di Thea accanto al suo, gli occhi colmi di pianto, lo sguardo terrorizzato, il corpo tremante di terrore.
Non poteva credere che Murtagh lo avrebbe fatto.
Quando il primo colpo calò sulla schiena della ragazza lasciando una striscia rossa su quella pelle lattea e lei sentì l’urlo straziato uscirle dalla bocca insieme con un rantolo, capì che non era un bluff.
“Fermati basta, mangerò” riuscì a pronunciare con la voce flebile e la gola secca.
Murtagh sorrise di un sorriso maligno.
Fece un cenno a Tornac, che prese la ragazza e la condusse fuori della stanza.
“Non le farai più del male?”
“No, non per causa tua per lo meno” sorrise lui.


5. La mattina dopo Tornac aprì di nuovo la porticina e la fece passare nella camera di Murtagh. Lui era calmo e freddo. Ciò che in lui spaventava di più Nasuada, era proprio la sua freddezza.
“Siediti, mangia con me”
Nasuada ubbidì in silenzio.
Lui sorrise malevolo: “Hai visto? Ho trovato il tuo punto debole e non c’è voluto neppure molto”
“Anch’io l’ho trovato”
Murtagh la guardò con occhi duri, poi rise beffardo: “Non si direbbe: ti ho io nelle mie mani”
“Non hai nulla nelle tue mani”
“Ho la tua vita”
“Hai la mia morte, la mia vita è mia e non l’avrai mai”
“La tua morte è già sufficiente per me”
Lei non rispose, concentrò la sua attenzione sul piatto e sul cibo che masticava adagio; ad ogni boccone il suo corpo esultava, il vuoto si ritirava. Ma ora non n’aveva più bisogno e così lo lasciò andare.
“L’Imperatore questa sera ha organizzato un banchetto in tuo onore, sarai l’ospite di riguardo”
Nasuada lo guardò fisso negli occhi, provava odio nei suoi confronti e ribrezzo, ma oltre l’odio, oltre il ribrezzo c’era qualcos’altro che non riusciva a definire, cui non riusciva ad assegnare un nome.
“Cosa significa quello sguardo?” chiese lui.
“Sto cercando di capire cosa suscita dentro di me la tua presenza”
Murtagh sogghignò, ma Nasuada colse una nota stonata in quel sogghigno, poi si alzò di scatto e si avviò alla porta: “Sii pronta per questa sera, ti scorterò io al banchetto”
Si recò alla Torre dei Draghi. Lì erano collocate le dimore di Shruikan e di Castigo.
Trovò Castigo sdraiato sul suo giaciglio. La sella e i ricchi finimenti erano appesi ad una parete, accanto alla splendida armatura color rubino.
“Che cosa c’è?” gli chiese il drago appena entrò.
“Nulla, hai voglia di sgranchirti un po’ i muscoli?”
“Certo, mi sto annoiando”
“Bene, facciamoci un giretto”

Cavalcare Castigo era l’unico modo per rilassarsi quando era teso o preoccupato. Era uno dei momenti in cui stava meglio in assoluto, libero e pieno d’energie.
Perché in quegli ultimi giorni si sentiva invece nervoso e irrequieto? Tutto stava andando per il meglio: avrebbero vinto la guerra e il potere dell’Imperatore non sarebbe più stato messo in discussione, nessuno avrebbe più osato alzare la testa. Anche lui di conseguenza sarebbe diventato ancora più potente e temuto.
In realtà sapeva benissimo che la ragione della sua inquietudine era quella dannata ragazza. Lo sapeva perché aveva cominciato a sentirsi così dalla prima volta che l’aveva incontrata ad Aberon, da quando l’aveva guardata negli occhi e aveva appena sfiorato la sua mente per istigarla all’odio e alla violenza. In quel momento non aveva avuto il tempo di sondare in profondità i suoi pensieri, ma aveva ricevuto una sensazione che l’aveva sorpreso: era stato come immergersi, in una giornata di calura estiva, nell’acqua di un ruscello: cristallina, limpida, fresca. Quando aveva incontrato il suo sguardo era successo qualcosa dentro di lui che non sapeva spiegarsi e questo lo aveva spaventato: era come se gli occhi di Nasuada gli avessero fatto emergere sensazioni che lui non ricordava di aver mai provato; come se avesse ritrovato qualcuno d’importante che però non sapeva chi fosse. Da quando la teneva prigioniera era capitato di nuovo.
Due sere prima si era arrabbiato e aveva perso il controllo, quando cercando di sondarle di nuovo la mente, aveva trovato un muro a difenderla. Non avrebbe mai sospettato che lei avesse quell’abilità, ma non era per questo che si era infuriato, era stata piuttosto la frustrazione per non poter più rivivere quelle sensazioni che aveva provato la prima volta.
Mai nessuno prima d’allora l’aveva fatto sentire in quel modo: non gli piaceva, sentiva di non essere più completamente padrone di se stesso, ma soprattutto quello che lo mandava su tutte le furie, era la consapevolezza che per la prima volta qualcuno non era completamente in suo potere. La voleva a tutti i costi, ma era costretto a frenare i suoi impulsi per ubbidire all’Imperatore e questo lo rendeva nervoso e irascibile. Se avesse potuto disporre di lei liberamente avrebbe saputo come umiliarla e farle ingoiare quel suo stupido orgoglio, quella sua aria di superiorità con cui lo guardava. Sperò che Ajihad non accettasse la proposta dell’Imperatore, sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma quello era l’unico modo per poterla avere. Allora sì che si sarebbe divertito, si dilettò a pensare a lei in suo potere, a lei che lo supplicava di non farle del male, a lei che si dibatteva e cercava di difendersi con tutte le sue forze; il solo pensiero lo eccitava. Si costrinse ad allontanarlo dalla mente; ancora un po’ di pazienza e poi tutto sarebbe tornato come prima!
“Cos’ha quella ragazza di così speciale?” la voce di Castigo che risuonava nella sua mente, lo riscosse dai suoi pensieri.
“Niente”
“Niente? E’ un’ora che m’ignori e la tua mente è piena delle sue immagini e hai il coraggio di dirmi niente?”

Murtagh rise: “ Mi eccita molto, tutto qui”
Castigo per tutta risposta, emise un brontolio.
Era sera, Nasuada aveva indossato un abito di seta e broccato che la vecchia Cho le aveva portato.
Murtagh aprì la porta della sua prigione, anch’egli era vestito con ricercatezza, non aveva armi alla cintura, solo un pugnale con il manico d’oro tempestato di gemme e l’anello che rosseggiava al suo dito.
Scesero fino a trovarsi in un’ampia stanza arredata con fasto. Lunghi tavoli imbanditi erano disposti a ferro di cavallo. I fedeli dell’Imperatore erano riuniti al banchetto: uomini d’intrighi e politica, uomini d’armi, ricchi commercianti. Tra tanti uomini, risaltavano alcune dame: avvolte in sete cangianti e broccati preziosi, acconciate in modi fantasiosi e bizzarri, con trucchi pesanti che nascondevano le loro vere fattezze.
Le ampie e generose scollature, le loro risate sguaiate, i modi troppo confidenziali e volgari fecero capire a Nasuada di quali donne si trattasse. Murtagh, ad un cenno dell’Imperatore, la spinse al suo cospetto. Visto così, seduto su di un trono, pareva veramente degno degli antichi re del passato: possente e severo.
Lui la guardò con attenzione.
“Che cosa sono quei segni sul volto?”
La domanda era rivolta a Murtagh, la voce era dura.
“Si rifiutava di mangiare” si giustificò lui, ma senza tradire emozione.
“E per risolvere la situazione hai pensato bene di ucciderla di botte?”
“Non è morta mio signore e il problema si è risolto” rispose lui con l’espressione di un monello colto in fallo, che fa la faccia di circostanza contrita, ma in realtà non è per nulla pentito.
“Murtagh ha sempre la risposta pronta, ma in questo caso ti ha disubbidito” rimbeccò all’improvviso una voce alla sinistra dell’Imperatore.
Nasuada vide quasi emergere dalla stazza di Galbatorix, un ombra che prese le sembianze di un uomo, se così lo si poteva definire: alto, magro, viso scheletrico, pelle tesa e tirata, pallidissima, labbra quasi inesistenti, capelli rossi come gli occhi: Durza lo Spettro.
Murtagh gli rivolse uno sguardo d’odio profondo, che non sfuggì a Nasuada.
“L’Imperatore non ha chiesto il tuo parere Durza” disse aspro.
“Finitela voi due” tuonò Galbatorix.
“Se lasci che il tuo allievo ti disubbidisca cosa penseranno i tuoi sudditi? Si sentiranno autorizzati a fare altrettanto” bisbigliò Durza.
“L’Imperatore non ha bisogno di qualcuno che gli consigli cosa fare” ribadì sicuro di se, Murtagh.
“ Vi ho detto di finirla, mi state seccando. Mia signora siedi al mio tavolo, spero ti divertirai”
Fu fatta accomodare poco lontano dall’Imperatore, mentre Murtagh occupava posto alla sua destra.
Mano a mano che il banchetto procedeva, gli animi si accendevano riscaldati dal cibo e dal vino che scorreva a volontà. Al centro della stanza si esibivano buffoni, giocolieri, ballerine. Le donne diventavano sempre più audaci, gli uomini sempre più lascivi.
Due donne stavano intrattenendo l’Imperatore e il suo Cavaliere, che se le scambiavano ridendo. Il banchetto si era ormai trasformato in un’orgia. Nessuno aveva più ritegno o pudore, corpi nudi si agitavano sopra e sotto il tavolo in ogni accoppiamento possibile. Nasuada si guardò attorno disgustata e impaurita, sembrava però che nessuno facesse caso a lei e voltandosi si accorse che Tornac torreggiava dietro alla sua sedia, come un monito per chi si fosse avvicinato troppo. Poteva stare tranquilla, per ora perlomeno!
Cercò di non staccare gli occhi dal piatto e di rinchiudersi in se stessa, ma era difficile trovare il proprio centro in quella situazione. Di sottecchi non le sfuggirono gli sguardi che l’Imperatore e Murtagh si lanciavano. Sembrava che per entrambi le due ragazze fossero un trastullo senza importanza, qualcosa di temporaneo che servisse ad arrivare a ciò che era veramente importante. Ad un tratto l’Imperatore con uno schiocco delle dita fece allontanare la donna seminuda che lo baciava, seduta sulle sue ginocchia; anche Murtagh si alzò, spingendo bruscamente lontano da se la propria compagna. L’Imperatore gli si avvicinò scompigliandogli con un gesto affettuoso i capelli, poi entrambi uscirono dalla stanza.
Tornac si accostò all’orecchio di Nasuada: “Possiamo andare ora”
Lei si alzò non sapendo cosa l’aspettasse. Si tranquillizzò solo quando entrando nella camera di Murtagh la trovò vuota: la cosa peggiore era non sapere mai cosa potesse accadere, ogni istante era in balia d’individui per i quali la vita umana non aveva nessun significato, anzi per i quali la sofferenza altrui era motivo di divertimento.
Cosa c’era tra Murtagh e l’Imperatore? Nasuada intuiva che i due se n’erano andati per godere un’intimità che in pubblico ad entrambi non era consentita. L’intimità con Galbatorix era la punizione che Murtagh doveva scontare o un premio? Chiuse gli occhi, nauseata.
Tornac si era seduto davanti a lei impassibile, il suo sguardo non la perdeva di vista un istante.
“Servi il tuo padrone da molto?” gli domandò lei, non aspettandosi una risposta.
Con meraviglia l’uomo parlò: “Sono stato il suo maestro d’armi e la sua guardia del corpo da quando è nato. E’ stata sua madre ad affidarmi quest’incarico”
Nasuada notò un’incrinatura delicata nella voce, quando Tornac nominò la madre di Murtagh.
“Dov’è sua madre?”
“Era una donna molto bella e…triste, è morta da molti anni”
C’era nostalgia e dolore nella voce dell’uomo, ma anche la chiara volontà di non aggiungere altro.
“Non mi porti di là?” e fece un cenno alla porticina con il catenaccio.
“Il padrone non mi ha dato ordini in proposito, puoi stare qui finché non torna”
Nasuada si distese sul divano dove sedeva e chiuse gli occhi.
Furono delle voci a farla svegliare.
Murtagh era rientrato, si era tolto la giubba preziosa rimanendo con una tunica sottile, era disteso sul letto e gemeva tenendosi la testa tra le mani. Tornac lì accanto, teneva un secchio dove Murtagh vomitava ad intervalli brevissimi.
Si mise seduta, si accorse che la vecchia Cho era accanto a lei, rannicchiata contro il muro.
“Cosa succede?” le bisbigliò.
“Il signore sta male, non è la prima volta, soffre per crisi di mal di testa e vomito, di solito va avanti così per ore”
“Non avete rimedi?”
“Non c’è nulla che gli faccia cessare la crisi”
Nasuada si avvicinò, Murtagh aveva gli occhi chiusi e non si accorse di lei.
“Avete provato con un infuso d’erba stella?” bisbigliò.
Tornac la guardò inespressivo, Cho gracchiò: “Mai sentita”
“Non è possibile, è comunissima, si usa anche in cucina per insaporire la carne, assomiglia ad una mano”
“Vuoi dire la cinquina?”
“Mi pare la chiamino anche così”
“Non è un’erba medica”
“Portamene una manciata di foglie fresche e dell’acqua bollente”
Cho guardò interrogativamente Tornac, che le fece un cenno d’assenso.
Murtagh sembrava quasi incosciente; poco dopo Cho tornò con l’occorrente. Nasuada preparò la tisana.
Un profumo fresco e gradevole si sparse per la stanza, sembrava che una folata d’aria d’alta montagna fosse entrata dalla finestra.
Tornac abbozzò un leggero sorriso tra la folta barba, come se un dolore si fosse sciolto. Cho si sentì più giovane, una sensazione che neppure più ricordava.
“Dagliela da bere a piccoli sorsi” disse Nasuada porgendo la tazza a Tornac.
Lui la guardava sospettoso.
“Mio signore, la prigioniera ti ha preparato questo rimedio, dice che ti farà stare meglio”
Murtagh aprì gli occhi: “Vuoi avvelenarmi?” disse rauco.
Nasuada prese la tazza e ne bevve un sorsata: “Ti farà stare meglio”
Muratgh la soppesò lungamente, poi senza una parola ne bevve un goccio e poco dopo un altro, finché la finì. Sentì un calore diffondersi nello stomaco calmandone i crampi e poco per volta attenuarsi anche quel dolore martellante alla testa. Ma c’era dell’altro: una tranquillità che non ricordava d’aver mai provato e una sonnolenza dolce e pesante che lo avvolgeva con il suo tepore.
“Cambiagli la tunica e asciugagli il sudore, poi coprilo” suggerì Nasuada a Tornac.
Quando l’uomo gli tolse la tunica, Nasuada vide sulla schiena e sulle braccia di Murtagh lividi estesi che stavano diventando bluastri.

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Capitolo 4
*** L'Ostaggio (Parte Terza) ***


L’OSTAGGIO (Parte terza)

6. La mattina, al risveglio, Murtagh ci mise diversi minuti per capire cosa era successo. Era la prima volta che gli accadeva: da sempre dormiva come gli animali, di un sonno leggerissimo, con il corpo sempre all’erta, senza mai abbassare la guardia.
Si sentiva bene, in forma, lucido e scattante. Ad un tratto ricordò tutto. Si guardò attorno, Nasuada era seduta sul divano, Tornac era accanto a lei e stava riposando.
“Cos’era quella pozione, sei una guaritrice?” disse rivolgendosi alla ragazza.
“No, da noi tutte le donne la conoscono: serve contro i postumi dell’ubriacatura, per calmare il vomito, attenuare i dolori di testa; si usa anche con bambini perché abbiano un sonno tranquillo, senza incubi”
“Non sono un bambino”
“Lo sei mai stato?”
Murtagh rimase assente, come se inseguisse un ricordo.
Gli apparve l’immagine chiara di un sogno appena svanito: degli occhi profondi, molto simili a quelli di Nasuada, qualcuno che lo chiamava tendendogli le braccia e la sensazione di essere al sicuro, come se tutto in quel momento andasse bene.
“Era una stregoneria”
“No, te l’ho detto”
“Perché lo hai fatto, io sono tuo nemico”
“Questa notte non lo eri, eri solo una persona che stava male e io potevo aiutarti”
“Molto nobile da parte tua, ma non aspettarti lo stesso trattamento da me, quando tu starai male sarà per mano mia e per il mio divertimento”
Nasuada non ribadì, sarebbe stato inutile, non sarebbe mai riuscita a comprendere cosa spinge un individuo alla malvagità gratuita.
Cambiò discorso: “Avete mandato un messaggero da mio padre con le vostre richieste?”
“Sì certo, ci vorranno parecchi giorni perché ritorni con la risposta. Ancora per un po’ puoi stare tranquilla, poi tutto dipenderà dalla risposta di tuo padre”
“So già cosa risponderà mio padre”
“ Allora preparati al peggio”
“Lo sto già facendo”
“Bene, meglio per te” rispose Murtagh e fece per uscire.
“Il tuo padrone ti reclama?” sussurrò con disprezzo Nasuada.
“Non ho padroni”
“Neppure di notte?” chiese lei.
Murtagh la guardò freddamente: “T’interessa l’argomento”
“No”
“Allora vado, ho dei prigionieri che aspettano le mie cure, ho bisogno di sentirmi vivo”
“Che significa?”
“Il dolore e la morte degli altri provano che io esisto”


7. Quando Murtagh tornò era pomeriggio inoltrato, aveva la giubba e le mani sporche di sangue, alcuni schizzi avevano raggiunto il collo della camicia e il viso.
“Ora ho voglia di una donna, ti devo allontanare, ma potrai sentirmi nella tua stanzetta tutta sola e potrai immaginare di essere qui con me; non ti preoccupare è solo questione di giorni e poi ciò che temi o che speri si avvererà”
Nasuada non seppe cosa ribadire, si sentiva soffocare dalla rabbia e dalla paura.
“Da me non avrà né una né l’altra”cercò di ricordare a se stessa e di imprimere queste parole fortemente nella sua mente.
Nella stanzetta si addormentò a fatica, in compagnia di Cho. Ad un tratto il suo sonno agitato fu interrotto bruscamente; l’urlo che l’aveva fatta sobbalzare, acuto, terribile, stava spegnendosi, seguito da singhiozzi e gemiti. Nasuada si alzò dal letto, si avvicinò a Cho che aveva gli occhi aperti.
“Cosa è stato?”
“Non chiedere mia signora, il padrone si sta divertendo”
Ritornò a letto con l’orecchio teso, il cuore che batteva all’impazzata. Per lei era insostenibile non poter far nulla, se non stare a sentire lo strazio di un’innocente.
Murtagh l’aveva capito subito: quello era il suo punto debole.
I gemiti divennero sempre più flebili fino a scomparire. Passò del tempo e il sonno la riprese. Le sembrava di aver appena chiuso gli occhi, che un altro urlo la svegliò di soprassalto, seguito nuovamente da singhiozzi esasperati.
Andò avanti così fino all’alba.
Era mattina inoltrata quando Tornac le fece cenno di uscire.
Murtagh da qualche giorno chiedeva la sua compagnia quando mangiava.
Lui aveva il viso sbattuto ma soddisfatto.
“Sei stanca? Non hai dormito bene?”
“Mi hanno tenuta sveglia urla e singhiozzi”
“In effetti è stata una notte agitata”
“Non capisco come tu possa essere così! Anch’io ho ucciso, non ho passato i miei anni a ricamare o ad ascoltare poesie, so cosa significa la violenza, so cosa significa uccidere un uomo, ma quello che non capisco è come puoi essere così abbietto e crudele solo per divertimento; non ti pesano queste azioni terribili, sporche, sanguinose e senza gloria che tutti i giorni compi? Non puoi essere veramente così, avrai anche tu qualcuno che ami e che ti ha amato: tuo padre, tua madre….” quasi lo supplicò Nasuada.
Aveva bisogno di una conferma in tutto ciò che aveva sempre creduto: che in ogni essere umano c’è sempre un po’ d’amore.
“Quando avevo tre anni mio padre mi mise davanti un bambino di circa la mia età, tra le mani una spada e volle insegnarmi ad usarla, naturalmente seguendo un metodo di sua invenzione: se avessi colpito il mio avversario, lui lo avrebbe sgozzato davanti a me, se invece mi facevo colpire sarei stato io ad essere punito. Io ero terrorizzato, rifiutai e lui dalla rabbia, mentre cercavo di scappare, mi fece questa” si voltò e alzando la tunica, mostrò la cicatrice sulla schiena, “Fu un miracolo se riuscirono a salvarmi. Voleva uccidermi ma quella volta non ci riuscì”
“E’ orribile”
“No per niente, io avrei fatto lo stesso. Posso capire la sua delusione per un figlio vigliacco. Mi avrebbe ammazzato, se non che da lì a poco dovette partire per una missione dalla quale non tornò più. Capisci perché non odio Brom? Anche se involontariamente, uccidendo Morzan, mi ha salvato la vita. Come vedi non ho avuto molto amore da mio padre”
“Forse da tua madre?”
“ Mia madre non ha fatto altro per me che partorirmi. E’ morta più o meno quando mio padre ha lasciato il castello per cercare l’uovo di Saphira e di me non si è mai occupata. Veniva a trovarmi una volta ogni tanto, poi sparì per lungo tempo, quando tornò fu per morire per una strana malattia. Io ero piccolo non la ricordo neppure. Sicuramente era più interessata ad occuparsi di mio padre che di me.”
“Come sei finito qui?”
“L’Imperatore sapeva che Morzan aveva un figlio, era l’unico a conoscere questo segreto, che mio padre aveva tenuto celato a tutti. Mi portò alla sua corte e mi fece educare dai migliori maestri. A diciotto anni mi chiamò in udienza privata, non ero mai stato solo con lui. Mi spiegò il suo sogno: fare d’Alagaesia un paese ricco, prosperoso e in pace, sotto il suo comando.Da allora cominciò ad occuparsi personalmente d’alcuni aspetti della mia istruzione. Circa un anno fa uno delle uova di drago si schiuse alla mia presenza. L’Imperatore mi nominò Cavaliere e io gli giurai fedeltà e ubbidienza. Da quel giorno cominciò ad avviarmi all’arte magica; non sono giunto al suo livello, lui è molto geloso del suo sapere, ma sono sicuramente più esperto di Brom, Eragon e di tutti gli Elfi. Galbatorix ha superato da un pezzo le loro remore, ha varcato i confini di ciò che è proibito e ha acquisito un potere che nessuno può sfidare.”
Murtagh si accigliò per un attimo, poi un sorriso perverso gli accarezzò le labbra: “ Però ora che ci penso, da una persona ho avuto molto amore”
“Allora sai cosa significa?”
“Certo! Era la favorita dell’Imperatore. Il primo ricordo che ho di lei risale a quando avevo sette o otto anni. Io e lei a letto insieme. Il suo letto era grande e profumato, profumi forti e penetranti che m’intontivano. Mi aveva fatto bere del vino dalla sua coppa. Sentivo caldo e lei mi spogliò, poi lo fece anche lei, mi accarezzava e rideva. A quel punto entrò Galbatorix, vide la scena e si mise a ridere, poi mi cacciò dal letto e occupò il mio posto.Hai ragione quella donna mi amò molto, ci divertimmo molto insieme, finché un giorno, ero ormai un ragazzo, sparì. L’Imperatore alcuni anni più tardi mi disse che aveva dovuto eliminarla, era diventata troppo invadente, non aveva capito nulla, pensava di averci in pugno entrambi”
Nasuada non sapeva cosa pensare, quel racconto, narrato con calma e senza particolari emozioni, la sconvolgeva.
Lo guardò e suo malgrado finalmente capì cos’era ciò che in fondo sentiva per lui e ne rimase sorpresa e confusa. Come poteva provare ciò che provava per un essere come Murtagh?
Forse era questo che Brom tentava di insegnare ad Eragon.
“Cos’è quello sguardo?” la voce di Murtagh era pressante.
“Compassione credo” rispose quasi soprapensiero Nasuada.
“Compassione? Cosa significa?”
“Nessuno ti ha mai guardato così?”
“No e non mi piace, non farlo neppure tu se non vuoi che mi arrabbi”
“Non sai cos’è, perché dunque dovresti arrabbiarti?”
“Non mi piacciono le cose che non conosco, nascondono sempre un inganno”
“Sai cosa ho capito da tutto ciò che ti ho raccontato?” proseguì, appena lei distolse lo sguardo, “Non puoi fidarti di nessuno, non devi mai abbassare la guardia, non puoi mai pensare di essere al sicuro. I miei genitori mi hanno educato da schifo” rise “Ma non devi valutarmi con il tuo metro, tutti i miei legami si fondano sull’odio e sull’assassinio. Quando sono cresciuto tutti hanno cominciato a trattarmi con la stessa cautela che si adopera con una lama affilata, per trovare la forza di vivere mi era necessario uno scopo,tutti ne hanno almeno uno: potere, ricchezza, donne, felicità, conoscenza, gloria… Alla fine l’ho trovato: sopravvivere a tutti i costi, lottare soltanto per me stesso e vivere distruggendo chi si mette sul mio cammino.”
Nasuada scosse la testa: “Non posso credere veramente che la tua vita sia stata questa. Ci deve essere stato almeno un momento in cui hai provato amore per qualcuno”
Murtagh riandò al sogno della notte passata: quegli occhi profondi. Nel sogno si sentiva sicuro e provava sensazioni strane, che in realtà non ricordava di aver mai sperimentato.
Cancellò deliberatamente quelle immagini dalla sua mente.
“Ora ho Castigo, io e lui siamo una cosa sola”
“Gli vuoi bene?”
Murtagh scosse la testa: “Non puoi capire, non è bene, è qualcosa di diverso, se lui morisse morirei anch’io, e viceversa. Ci siamo necessari”
Si alzò e prima di uscire rivolse un sorriso ferino a Nasuada: “L’amore rende deboli, l’odio cura”


8. Ad Aberon, nella reggia di re Orrin, scadeva l’ultimatum dell’Imperatore, il messaggero aspettava la risposta da portare ad Uru-Baen, non c’era più tempo per le incertezze.
Quando a palazzo si erano accorti della scomparsa di Nasuada era ormai troppo tardi, tutte le ricerche erano risultate infruttuose.
L’unica possibilità era che Nasuada fosse stata fatta prigioniera. Era viva cantava il cuore di padre di Ajihad, per poi precipitare dalla gioia al terrore, la ragione gli diceva che sarebbe stato meglio se avessero trovato il suo cadavere.
Poi era giunto l’ambasciatore inviato dall’Imperatore: Nasuada era a Uru-Baen, ostaggio di Galbatorix.
Ajihad aveva ascoltato imperturbabile il messaggio, poi quando l’uomo se n’era andato aveva dato sfogo alla sua rabbia.
Il suo primo impulso era stato quello di salvarla, avrebbe organizzato un piccolo gruppo scelto tra i migliori guerrieri, avrebbero raggiunto la capitale, sarebbero penetrati nel castello e l’avrebbero liberata. Sapeva già mentre esponeva il piano e s’intestardiva a organizzarlo nei dettagli, che aveva ragione Brom: nessuno sarebbe riuscito a raggiungerla.
Ajihad allora aveva deciso di accettare le richieste dell’Imperatore: si sarebbe consegnato nelle sue mani in cambio della libertà della figlia. Non poteva agire diversamente. Nessuno avrebbe potuto chiedergli tanto!
Brom si era dichiarato contrario, capiva il suo dolore, ma non era accettabile che lui accogliesse le richieste del nemico; nel momento in cui si era messo alla testa dei Varden, aveva assunto verso di loro delle responsabilità.
Che ne sarebbe stata della ribellione? Quanti uomini e donne e bambini erano e sarebbero morti inutilmente? Senza di lui, che era il capo carismatico di tutta quella gente, l’Imperatore avrebbe vinto; per questo chiedeva che lui occupasse il posto di sua figlia, sapeva che nessuno avrebbe potuto sostituirlo, neppure Brom, neppure Eragon, neppure Nasuada. Lui era il cuore e il cervello della rivoluzione, tolto di mezzo lui, la rivolta sarebbe morta.
Ajihad fece entrare il messaggero e mentre pronunciava le parole che condannavano sua figlia, cercò di impedire alla sua voce di tremare e al suo cuore di spezzarsi, lo riempì invece di vendetta, una vendetta spietata e senza freni. L’Imperatore e Murtagh sarebbero morti, lui stesso avrebbe strappato loro il cuore dal petto, dopo averli tormentati in mille modi. Avrebbe vinto perché voleva che Alagaesia tornasse ad essere un paese libero, ma ora soprattutto per vendicare la figlia.


9. Nasuada non riusciva a tenere il conto dei giorni della sua prigionia, sapeva solo che ormai era questione di poco e il messaggero sarebbe tornato con la risposta di suo padre. Passava la maggior parte del tempo nella sua cella in compagnia di Cho, solo il mattino e verso sera veniva fatta uscire ed era in quelle occasioni che incontrava Murtagh.
Quel giorno, ancora una volta, cercò di analizzare i suoi sentimenti. Si sentiva quasi in colpa perché più che odio, Murtagh gli ispirava pietà. In realtà lui era arrogante, crudele, sadico, senza scrupoli ne rimorsi, un individuo che poteva ispirare molti sentimenti ma non certo compassione.
Ma poi ricordava quello sguardo che così fermo e strafottente a volte si distoglieva dal suo come se qualcosa dentro di lui cedesse, rammentava la storia della sua vita e si chiedeva se veramente lui fosse così per sua natura o se qualunque essere umano sarebbe diventato uguale a lui, per sopravvivere. Se fosse toccato a lei la sorte di Murtagh, come sarebbe diventata?
Gli ispirava pietà il suo essere addirittura incapace di decifrare delle emozioni elementari che ogni essere umano sperimenta fin da piccolo: tenerezza, compassione, dolcezza, per lui erano vocaboli ai quali non sapeva far corrispondere nulla. Nessuno li aveva mai provati nei suoi riguardi, di conseguenza lui non aveva mai avuto modo di sperimentarli nei confronti di altri. Temeva ogni cosa che non conosceva, viveva sempre pensando che prima o poi qualcosa di brutto potesse accadere, doveva attaccare prima di essere attaccato.
Con questi pensieri in testa Nasuada si appisolò. Non era più nella stanzuccia ma stava cavalcando sulle pendici dei Monti Beor. Spronava il suo baio in salite e discese, con il vento nei capelli; poco più avanti Kaled la incitava a prenderlo, ridendo. Uno dei pochi momenti spensierati che ricordava, dove non c’era paura, ne prudenza, ne attenzione, ma solo la gioia infantile di sentirsi liberi, all’aria aperta anziché nascosti nelle grotte che avevano delimitato la sua infanzia e la sua adolescenza, di sentire il sapore del vento.
Quando entrò Murtagh l’incanto si ruppe e lei si ritrovò di nuovo prigioniera.
“Alzati, il messaggero è arrivato con la risposta di tuo padre, l’Imperatore richiede la tua presenza”
Nasuada sentì raggelarsi il sangue: alla fine il momento era giunto. Ora si sarebbe visto di che tempra era fatta, se gli insegnamenti di suo padre e di Brom erano serviti a qualcosa o se erano solo belle parole che lei non era in grado di mettere in pratica.
Si affrettò, seguendo Murtagh, che si era chiuso in un silenzio insondabile.
Fu fatta entrare al cospetto di Galbatorix.
“Vieni lady Nasuada, aspettavamo te”
Al suo fianco Durza era una figura demoniaca.
“Il mio messaggero mi ha appena portato la risposta. Mi dispiace, ma tuo padre non tiene alla tua salvezza”
“Non dispiacetevi, mio padre mi ama e niente di quello che direte mi farà cambiare idea”
“Ho chiesto a tuo padre uno scambio: lui al tuo posto; ti sembra una richiesta eccessiva? Quale padre non sacrificherebbe la sua vita per salvare quella del proprio figlio? Ebbene lui non ha accettato, preferisce rimanere al sicuro nel suo palazzo e lasciare te qui a soffrire e a morire: pensi ancora che ti ami?”
“Sì, mio padre ha promesso al suo popolo di portarli alla vittoria, di sconfiggerti, di ripristinare l’antico ordine, di riportare pace e libertà e spazzare via insieme con te paura, terrore e ingiustizie. Se si consegnasse a te la speranza del popolo andrebbe perduta. Io non valgo tanto, al suo posto avrei fatto lo stesso”
“Povera ragazza, come la follia di un padre può ripercuotersi amaramente sui figli. Cosa possiamo fare di te perché tuo padre si penta della sua scelta?”
“Dalla a me mio signore” disse con voce stridula Durza.
Nasuada non poté trattenere un brivido; si sentiva come un topolino in una riunione di gatti affamati e con gli artigli già sfoderati.
Murtagh avanzò di un passo: “Vorrei averla io mio signore, come premio per averla dovuta sorvegliare senza toccarla per tutti questi giorni. Vorrei potermi prendere finalmente ciò che mi è passato sotto il naso per così tanto tempo”
Galbatorix fece una smorfia: “Sei sicuro di essere stato così diligente, Cavaliere?”
“Ad eccezione di quel contrattempo iniziale, non l’ho mai toccata”
“Va bene te l’assegno, ma non sarà tua per sempre. Il popolo d’Alagaesia dovrà sapere che colui che si declama salvatore e liberatore: Ajihad il re dei Varden, ha condannato per codardia la propria figlia ad essere la puttana dei suoi nemici. Passerà di mano in mano, finché la sua presenza ci divertirà.Tienila e divertiti, ma non ucciderla ne rovinarla irrimediabilmente come fai di solito con i tuoi giocattoli”
Murtagh s’inchinò sogghignando in faccia a Durza, poi prese per un braccio Nasuada e la condusse nei suoi appartamenti.
“Tornac la ragazza è mia! D’ora in avanti alloggerà qui, nella stanzetta andrà la vecchia, le farà da serva, dille di preparala per questa notte. Mi voglio finalmente divertire, poi raggiungimi nella Sala d’Armi”
Tornac chinò il capo. La vecchia Cho già si era mossa per sistemare le coperte sul lettuccio che sarebbe stato suo, per lei la vita non era mai stata così bella.

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Capitolo 5
*** La prigioniera (Parte Prima) ***


LA PRIGIONIERA ( Parte Prima)

1. Murtagh era eccitato, già immaginava la scena. Il sesso era sempre un momento positivo dell’esistenza, ma toccava il suo punto massimo quando la donna non era consenziente. Quando supplicava di essere risparmiata. E quanto avrebbe supplicato lady Nasuada! Avrebbe chiesto pietà quando lui le avrebbe strappato le vesti. Non aveva mai stuprato una principessa prima d’allora e sebbene sapesse che l’atto in se stesso fosse uguale a quello delle altre donne, la consapevolezza della diversità del rango, lo stava straordinariamente stimolando. Inoltre Nasuada era molto bella, aveva osservato con accuratezza il suo corpo: piccolo ma armonioso. E il viso era incantevole: ovale, occhi neri e profondi da sembrare abissi nei quali sprofondare, labbra carnose, pelle dorata, naso piccolo e un’espressione quasi infantile eppure seria, una miscela di severità adulta e allegria infantile che gli faceva battere il cuore. E poi per finire c’era il suo carattere, non aveva mai abusato di una donna come lei: intrepida, coraggiosa, fiera. Sapeva che lei aveva paura, ma che lottava per tenerla sotto controllo, per non lasciarsi andare; Nasuada non dimenticava la sua posizione, non poteva permettersi di comportarsi come la figlia di un contadino. Sarebbe stato oltremodo divertente sfidarla su quel terreno; quella notte lei avrebbe chiesto pietà, avrebbe pianto e urlato e già il solo pensarlo gli procurava un’immensa soddisfazione.
Prolungò il suo allenamento nella sala di scherma, gli piaceva ritardare il momento fatidico, la vittima di solito si terrorizzava sempre più e questo pensiero non faceva che aumentare il suo piacere.
Quando rientrò nei suoi appartamenti Tornac aveva già predisposto tutto.
Dalla finestra aperta entrava la luce pallida della sera, che gettava chiaro-scuri nella camera. Nessuna candela era stata accesa. Murtagh amava l’atmosfera misteriosa e avvolgente della penombra. Il letto era stato preparato, le tende di mussola fluttuavano come vele gonfiate dal vento, grazie ad una leggera brezza che verso sera rinfrescava dalla calura estiva. Non c’era traccia della vecchia, sicuramente sonnecchiava nella stanzetta e neppure di Tornac; di certo era nella sua camera separata da quella di Murtagh solo da un pesante tendaggio. In questo modo Tornac poteva sentire tutto quello che succedeva quando non era presente ed intervenire in caso di pericolo. Nasuada era in piedi accanto alla finestra. I capelli pettinati con cura, una camicia bianca di mussola trasparente che lasciava ampiamente intravedere il suo corpo nudo. Il viso era pulito senza ombra di trucco; Murtagh amava le ragazze dall’aspetto il più possibile innocente e ingenuo, pulito e quasi monacale. Le dame che lo sollazzavano ai banchetti e in altre occasioni, dipinte e sfarzose non gli solleticavano nessuna tentazione.
Ignorò la ragazza e si diresse verso il letto, si spogliò lentamente, quando fu completamente nudo si accostò a lei che non si era mossa.
“Andiamo” le disse afferrandola per un braccio e indicandole il letto.
Si aspettava un tremito, un gemito o uno scatto di ribellione e invece Nasuada lo seguì senza proferire parola e senza opporre nessuna resistenza.
La riversò sul letto brutalmente ed ella cadde come una bambola senza volontà; la guardò in viso: era pallida ma gli occhi aperti erano asciutti e fermi, i muscoli del viso senza un tremito.
“Con quanti uomini sei stata?”
“Sei il primo” rispose lei con voce incolore.
Murtagh non trattenne una risata, la serata si stava mettendo per il meglio! Una vergine, per di più di sangue reale e che ostentava dignità e sicurezza erano un insieme di elementi che mai gli erano capitati tutti insieme. Si sarebbe divertito!
Cominciò ad accarezzarla in modo rude e violento, era sicuro che le sue carezze che diventavano sempre più intime avrebbe sortito una reazione, ma Nasuada restava immobile, non si ribellava, non piangeva ne urlava. Lo fissava con gli occhi spalancati cercando il suo sguardo. Lui lo distolse, in quel momento gli occhi della ragazza non gli interessavano per nulla.
“Cosa vuoi dimostrare?” la apostrofò brutalmente.
“Nulla” rispose lei in un soffio.
In realtà Nasuada avrebbe voluto urlare ma soprattutto combattere: prendere a pugni, a morsi, a schiaffi quell’uomo che la stava umiliando, ma riusciva, con un enorme sforzo di volontà, a controllare la sua rabbia e la sua paura. Sperava che fosse l’unico modo per non fare il gioco del suo nemico. Se voleva violentarla e torturarla, l’avrebbe fatto con il minimo piacere possibile. S’impose di staccare la mente dal corpo, cercò di pensare a se stessa in groppa ad un cavallo insieme a Kaled, il suo ricordo più felice. Cercò di far sì che il suo corpo non le appartenesse, che tutto ciò che accadeva in quella stanza non la riguardasse. Strinse i denti per non urlare e afferrò con violenza le coperte per tenere ferme le braccia, affinché non cercassero di bloccare quello che Murtagh stava facendo.
Lui brandì un pugnale e con quello tagliò la camicia della ragazza dal collo fino ai piedi. Lei era lì nuda, distesa sotto di lui che la sovrastava, senza difesa; poi gli si sdraiò sopra e cercò di baciarla ma trovò le labbra di lei implacabilmente sigillate.
“Non costringermi a farti del male” sibilò lui.
“Me lo stai già facendo”
Lui cercò di baciarla nuovamente, ma trovò nuovamente resistenza. L’unica cosa viva della ragazza era lo sguardo, che non lo lasciava un attimo. Si sentì trafitto da quegli occhi che sembravano scrutarlo fin dentro al suo intimo, lo esaminavano con accuratezza e non si ritraevano. Era uno sguardo che lui non riusciva a decifrare e questo lo rendeva irrequieto. Il suo vocabolario emotivo era limitato alle emozioni primarie legate alla sopravvivenza; per questo si sentiva a disagio, non capiva cosa c’era in quegli occhi: non terrore, non odio, non lussuria.
Era sconcertato e non gli piaceva per niente!
“ Se non vuoi baciarmi passeremo al resto, subito!”
Lei era lì totalmente succube e non si era mossa da dove l’aveva gettata, non aveva cercato di coprirsi, di nascondere la sua nudità, ma seppure completamente esibito il suo corpo sembrava coperto da un riserbo e da un pudore che lo rendeva assolutamente casto.
Murtagh era furioso, si stava accorgendo che non c’era più traccia dell’eccitazione che gli aveva scaldato il sangue per tutto il giorno. Cercò di ricordare le sensazioni che aveva provato pensando a Nasuada in suo potere, ma nulla stava accadendo come si era immaginato. Lei non urlava, non si dibatteva, non chiedeva pietà, non piangeva, non lottava come una belva in trappola.
Quell’immobilità, quella passività e quella fermezza lo spiazzavano completamente e soprattutto lo raffreddavano peggio di una doccia gelata.
Quando cercò di aprirsi un varco tra le gambe della ragazza si accorse che l’eccitazione lo aveva abbandonato del tutto e che in quelle condizioni gli sarebbe stato impossibile violentare chicchessia. Gli occhi di lei non abbandonavano i suoi, sempre indecifrabili.
Una rabbia sorda e violenta lo afferrò; era strano, da sempre la sua crudeltà, le sue efferatezze e i suoi odii non gli avevano mai fatto perdere il controllo; la freddezza era una delle sue armi vincenti. E invece lì, per colpa di una ragazzina, si sentì invadere da un ribollire di sentimenti che non riuscì più a tenere a freno. L’unico modo per sfogarsi era farle del male: la picchiò sul viso, la gettò per terra; sperava che questo riportasse la sua eccitazione ad un buon livello, ma le botte e la violenza non riuscirono ad infondergli neppure un briciolo di piacere: era stordito, arrabbiato, umiliato. Da Nasuada neppure un gemito, il silenzio più totale sembrava incombere nella stanza come una cappa: solo il rumore dei colpi e il suo ansimare.
Ad un tratto un dolore lancinante, come gli artigli di un grosso rapace, gli si ficcò nella testa. Era l’inizio di una crisi. Si fermò senza fiato sedendosi sul letto e tenendosi stretta la testa tra le mani, avrebbe voluto urlare, tanto il dolore era acuto.
Chiamò con voce rotta Tornac, finché apparve da dietro alla tenda.
“Porta la ragazza di là e fammi preparare quella tisana che ho preso l’ultima volta” riuscì a mormorare, prima di accasciarsi sul letto.


2. Quando Murtagh si svegliò, si accorse che ormai stava albeggiando, si era addormentato affranto dalla sofferenza, ma ora si sentiva meglio anche se il dolore non era del tutto scomparso, era cupo e sotterraneo ma sopportabile.
La camera era vuota, si alzò silenziosamente e dopo essersi vestito si recò alla Torre dei Draghi.
“Cosa ti è successo?” gli chiese Castigo.
“Nulla”
“Come hai passato la notte?”
la voce del drago gli rimbombava in testa.
“Bene”
“Sei strano da un po’ di tempo, sai che per me sei un libro aperto, è inutile che tenti di nascondere quello che provi”
“Se lo sai allora perché me lo chiedi?”
rispose sgarbatamente Murtagh. Era la prima volta che usava quel tono con il suo drago.
“Non sono stato bene” cercò poi di giustificarsi.
Castigo era arrabbiato e non gli rispose neanche.
“Avanti non fare l’offeso” cercò di rabbonirlo Murtagh.
“E’ tutta colpa di quella ragazza, da quando lei è arrivata al castello ti è successo qualcosa di strano”
“Che vai dicendo?”
cercò di bluffare il ragazzo.
Castigo emise un sordo brontolio.
La città, sotto di loro, era silenziosa, l’aria era fresca. Superatala in un batter d’ali, volarono sopra una prateria d’erba secca che si prolungava fino alla linea dell’orizzonte, dove s’intravedevano i profili delle prime colline, che costituivano il confine naturale con il Surda.
Murtagh cercò di concentrasi sul paesaggio, cercando di non pensare, ma fu inutile, i ricordi della notte appena trascorsa erano troppo chiari.
Si sentiva arrabbiato ed umiliato e odiava con tutto l’animo Nasuada, ma quando ripensava al suo corpo fresco e dorato, al suo viso pallido ma dignitoso, ai suoi occhi aperti su di lui e sul suo animo, strane e sconosciute emozioni lo turbavano.
Volarono finché il sole salì alto nel cielo, poi si fermarono accanto ad un gruppo d’alberi dove vi era un pozzo e poterono dissetarsi.
Castigo stava sulle sue, probabilmente era ancora offeso per la sua reazione.
Si diede dello stupido e cercò di riacquistare il suo sangue freddo, gli sembrava di essere su una barca sballottata da una tempesta, senza la possibilità di impostare la rotta. Tuffò la testa nel secchio dell’acqua fresca. Il dolore ormai era solo vago e remoto.
Ripensò con calma agli avvenimenti della notte.
Perché si sentiva agitato, con emozioni contrastanti che lottavano nel suo animo?
Forse perché per la prima volta le cose non erano andate come si era immaginato.
Aveva fantasticato tutto il pomeriggio su cosa sarebbe successo la notte, su quello che lui avrebbe fatto e soprattutto su come lei avrebbe reagito, ma niente di quello che aveva pensato si era avverato e questo lo sconcertava. Con le sue doti di Cavaliere, con le sue conoscenze dell’arte magica non si sbagliava mai sul conto delle persone; Nasuada era stata la prima a riuscire a non farlo penetrare nella sua mente, lui aveva sottovalutato quel particolare e aveva fatto male.Quando lei gli aveva assicurato che avrebbe scoperto il suo punto debole lui non gli aveva dato retta, era certo di non avere punti deboli, ma ora non n’era più così sicuro.
Cercò di tranquillizzarsi: la reazione di Nasuada l’aveva colto di sorpresa; non era mai successo, così come non gli era mai successo di non riuscire a portare a termine l’atto sessuale. Era stata soprattutto quell’umiliazione a fargli perdere il controllo. D’altra parte le botte anziché soddisfarlo almeno in parte, gli avevano lasciato l’amaro in bocca. Vedere soffrire un altro era il suo maggior diletto, si eccitava sempre, si sentiva veramente vivo in quei momenti e invece quella notte niente del genere era successo, anzi gli era rimasto dentro un vuoto orribile, un tremito che lo faceva sentire debole e un senso d’impotenza che lo spaventava. Però non doveva preoccuparsi, ora sapeva qual’era la strategia di Nasuada e non ci sarebbe cascato una seconda volta. Quando sarebbe rientrato al castello avrebbe rimesso a posto le cose.
“Allora ti sei calmato?” la voce di Castigo lo fece trasalire.
“Scusa per prima, sono stato male stanotte e ho ancora mal di testa”
“Certo e lady Nasuada non c’entra nulla in tutto questo”
“E’ andato completamente in modo diverso da come me lo ero immaginato”
rispose con una smorfia.
“Trovo tutto questo molto strano”
“Anch’io, ma ora è meglio rientrare”

Rimontò in groppa e il drago si lanciò in un volo radente verso la città.
Rientrò nel pomeriggio; appena varcato le porte del castello vide Tornac che lo aspettava accanto alle scuderie: “ Mio signore l’Imperatore ti cerca e richiede immediatamente la tua presenza”
“Mi hanno detto che sei uscito che albeggiava” Galbatorix era nei suoi appartamenti, stava leggendo un documento seduto alla scrivania e parlava con tono distratto, ma Murtagh riconobbe dietro quella calma apparente, un’irritazione ben controllata.
“Sì è vero mio signore, sono tornato ora e mi hanno detto che mi cercavi”
“Ti ho cercato nella mattinata, se il mio bisogno fosse stato urgente cosa avrei fatto Cavaliere?”
“Mi dispiace, non sapevo che oggi avessi bisogno di me, non c’è nulla d’urgente”
L’Imperatore battè una mano sulla scrivania con un colpo sordo.
“Ora sei tu che decidi cosa è urgente o no?”
Murtagh si rese conto di stare scivolando su un terreno pericoloso; sfoderò uno dei suoi sorrisi da bambino pentito: “Perdonami mio signore, hai ragione, non ho scuse, avrei dovuto avvertirti ma avevo bisogno di un po’ di moto”
“Non ne hai fatto a sufficienza stanotte, raccontami com’è andata con la ragazza”
Murtagh rise: “ Come avevo previsto, l’ho presa, era vergine, è stato eccitante”
“Lei come ha reagito”
“ Ha cercato di difendersi ma dopo che l’ho picchiata si è calmata”
“Hai concluso in fretta, prima del mattino”
“ Sì, mi aveva annoiato, sono stato un po’ con Castigo”
L’Imperatore lo guardò con uno sguardo penetrante, Murtagh lo sostenne cercando di mantenere un’ espressione naturale, se gli avesse scandagliato la mente avrebbe saputo tutto; l’Imperatore era l’unico che poteva scardinare le sue difese mentali.
Un dolore acuto alla testa lo fece barcollare all’improvviso, la vista si annebbiò, il dolore era così intenso che cadde in ginocchio.
“Questa è una piccola punizione per ricordarti che voglio essere informato dei tuoi spostamenti”
“Perdonami mio signore, non accadrà più” rispose con voce roca Murtagh alzandosi.
“Ora vattene”
“Di cosa avevi bisogno?”
“In realtà di nulla, ma tu non lo potevi sapere, ora non seccarmi più ho parecchio lavora da fare” Murtagh s’inchinò ed uscì.
Quando entrò nei suoi appartamenti, involontariamente cercò con gli occhi Nasuada e la vide seduta sotto la finestra con il capo chino su di un libro, i capelli le ricadevano ai lati nascondendo il volto. Non lo rialzò quando lui entrò e non si mosse, come se fosse stata sorda ad ogni rumore, lontana ed inaccessibile.
Lui si lavò e si cambiò mentre dei servi apparecchiavano la tavola.
Quando si sedette, la chiamò.
“Vieni!Voglio che tu mangi con me”
Lei chiuse il libro piano, si alzò e si sedette di fronte a lui, diritta e regale.
Ora lui poteva vedere bene il suo viso: gonfio e bluastro, un taglio sul labbro, un livido sullo zigomo, il segno delle dita sul collo e sui polsi sottili. Lei non li nascondeva, ma quasi li esibiva come trofei di guerra. Lo guardava negli occhi e quando lui incontrò il suo sguardo non vi scorse timore, ne vergogna, ne odio. Abbassò i suoi per primo. Di nuovo si sentiva strano e la sicurezza di qualche ora fa era sparita.
In quel momento mentre guardava i segni lasciati dalla sua rabbia, sentiva dentro di se qualcosa che non sapeva riconoscere. Sicuramente non si sentiva fiero né felice come di solito gli capitava guardando i risultati delle sue torture. Alzò gli occhi e osservò quel viso segnato che sembrava non portargli rancore. Sicuramente era un inganno, lei stava tramando qualcosa, doveva stare in guardia, attento.
La spiò di sottecchi mentre lei mangiava piccoli bocconi che masticava a fatica a causa del labbro ferito e un brivido interno lo spaventò. Forse era malato, quel volo durato ore doveva averlo stancato, forse aveva la febbre.
Lei non parlava. Erano soli.
Dalla finestra aperta entrava aria calda e umida, Agosto con il suo caldo afoso intervallato da temporali violenti era quasi all’inizio.Era facile ammalarsi di febbri malsane.
Perché si sentiva debole e incapace d’azione? Perché desiderava che quel momento in cui lui e Nasuada pranzavano in silenzio da soli, si dilatasse oltre misura, che non finisse mai?
Perché guardare il viso tumefatto della ragazza gli provocava una stretta allo stomaco e pensare di essere stato lui la causa gli creava una sensazione che non riusciva a decifrare? Niente a che vedere con il solito godimento, con l’eccitazione, con quel senso d’appagamento che gli lasciava la crudeltà soddisfatta.
La selvaggina arrosto che stava mangiando aveva perso il suo sapore, il vino non scaldava le vene. Lei era lì davanti a lui indifesa, poteva allungare un braccio e ghermirla. L’allungò, voleva scuoterla e renderla di nuovo viva e vicina, la sua lontananza gli era insopportabile. Lei si accorse del braccio che la stava afferrando e sussultò, ma non si allontanò. Con un dito Murtagh gli scostò i capelli e gli toccò delicatamente il livido sotto lo zigomo e il taglio sul labbro. Non sapeva neppure lui cosa stesse facendo. La sentì tremare impercettibilmente sotto il suo tocco e fu come se il suo cuore perdesse un colpo. Subito ritirò la mano, i suoi occhi involontariamente incontrarono quelli di lei profondi, notturni e interrogativi e li evitarono, si alzò ed uscì.
Andò a controllare la guardia imperiale, toccava a lui sorvegliare che gli uomini scelti per appartenere a quella compagnia fossero sempre pronti, ma i suoi pensieri erano altrove.
Pensava a cosa fare quella sera, quando sarebbe rientrato.
Le avrebbe parlato e ogni sua parola sarebbe stata una goccia di veleno che Nasuada avrebbe assorbito, in questo modo avrebbe indebolito la sua volontà e avrebbe finalmente gustato la sua sofferenza, era così tanto che aspettava!


Stefy_81 : grazie, sto leggendo la tua ff Impero,molto bella, ti lascerò sicuramente una recensione.
Bilu_Emo: ho scritto questa ff forse un paio d'anni fa, quando è uscito il film, adesso sto solo sistemandola un po'.Mi sono accorta anch'io della somiglianza ( non premeditata) tra il mio Murtagh e Gaara che tra l'altro è uno dei miei personaggi preferiti. Crudeli ma in fondo fragili.
Kia_do87: molto graditi i tuoi complimenti.Sappiamo entrambe che il mio Murtagh (per lo meno fisicamente) mi è stato ispirato dal protagonista del film più che dalla descrizione che ne fa Paolini.

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Capitolo 6
*** La Prigioniera (Parte seconda) ***


LA PRIGIONIERA ( Parte Seconda)

3. Arrivata la sera, mentre la vecchia Cho l’aiutava a svestirsi e ad indossare la camicia da notte, Nasuada cercò di scacciare la paura, s’illuse che forse Murtagh non sarebbe rientrato, che forse l’Imperatore l’avesse trattenuto, ma sapeva che la lotta sarebbe continuata fino alla sua distruzione. Era consapevole che non avrebbe retto ancora per molto, che prima o poi sarebbe crollata.
Ripensò a quella specie di carezza a tavola poco prima, n’era rimasta sorpresa e turbata più che se lui le avesse dato uno schiaffo. E quando aveva guardato nei suoi occhi chiari tra i ciuffi neri dei capelli, aveva intravisto uno strano smarrimento.
Si accorse che nel suo intimo, accanto alla paura si stava rinforzando la compassione per quello che Murtagh era dovuto diventare per sopravvivere. Cercò di scacciare quella sensazione, ricordando le imprese per le quali in tutta Alagaesia, il suo nome metteva i brividi. Non poteva giustificarlo, nulla poteva giustificare le sue nefandezze.
Ed eccolo, come chiamato dai suoi pensieri si materializzò alla porta.
Si avvicinò e lei involontariamente s’irrigidì.
“Stanno cominciando a giungere i rinforzi che aspettavamo, fra un paio di giorni quando saranno tutti radunati marceremo verso le Pianure Ardenti e finalmente spazzeremo via gli uomini di tuo padre”
“Quali rinforzi?”
“Ci sono stati nuovi reclutamenti in tutta Alagaesia, dovresti vederli accampati fuori dalle mura, le loro tende si stendono all’infinito, sono migliaia, vi annienteremo in un batter d’occhio”
In realtà il nuovo reclutamento non aveva dato i risultati sperati. Certo le guardie imperiali avevano battuto tutti i villaggi e le città per reclutare uomini. Ma la maggior parte di loro non erano soldati, non avevano mai preso in mano una spada, ma piuttosto una zappa o un martello.
Murtagh continuò con voce melliflua: “Moriranno tutti com’è morto il tuo amico del cuore, mi pare si chiamasse Kaled” a quelle parole gli sembrò che Nasuada avesse un sobbalzo, anche se non proferì parola. Era sulla strada giusta, avrebbe continuato in quel modo finché lei sarebbe crollata. “L’ho ucciso io. Vuoi sapere com’è morto?”
Vide la ragazza stringere le labbra.
“Quell’idiota mi ha sfidato, mi sono divertito con lui, avrei potuto ucciderlo dopo due minuti ma mi procurava gioia vedere i suoi penosi sforzi per parare i miei colpi.Non ho dovuto neppure usare la magia per avere la meglio su di lui. Ho deciso di prolungare il divertimento, l’ho fatto stancare. Avresti dovuto esserci, era sfiancato ma non voleva arrendersi. Quando mi sono stancato, con un colpo gli ho staccato un braccio, il sinistro per la precisione, volevo vedere se avrebbe continuato a combattere, ebbene è stato proprio così! Ho dovuto quasi staccargli anche l’altro per farlo smettere. Hai mai visto un uomo ridotto così? Io sì, ho ancora nelle orecchie le sue grida che mi chiedevano pietà. Alla fine gli ho tagliato la gola. Ci vuole qualche minuto per morire, alle grida sono subentrati i rantoli e il gorgoglio del sangue nei polmoni.”
Nasuada alzò il capo, aveva il viso bagnato da lacrime silenziose e la voce rotta quando parlò: “So che vuoi farmi del male, ci stai riuscendo, ma io non credo ad una sola parola di quello che mi hai detto perché so con certezza che Kaled non ti avrebbe mai chiesto pietà”
“Beh forse questa ce l’ho aggiunta io” sorrise Murtagh “Ma non devi piangere, il tuo amico era un inetto e ha avuto quello che si meritava”
Se avesse potuto Nasuada avrebbe ucciso Murtagh all’istante. Invece si voltò verso la finestra guardando la notte chiara e aspirando l’aria dolciastra della pianura.
“Sei un demonio!” mormorò tra se.
Murtagh l’udì: “E’ vero, sono un demonio perché ho sempre vissuto all’inferno”
Si sentiva finalmente vincitore, l’aveva ferita, aveva rotto quel muro d’imperturbabilità dietro al quale lei si era arroccata. Ora sarebbe stato facile farla crollare del tutto, lo sapeva per esperienza, basta aprire una breccia e il gioco è fatto.
L’indomani e i giorni seguenti sarebbe stato occupato ad organizzare i nuovi contingenti in arrivo, Galbatorix voleva chiudere il più presto possibile quella guerra; sarebbero partiti appena possibile, quindi doveva sfruttare assolutamente quella notte.
Ma perché mentre Tornac lo aiutava a svestirsi, non si sentiva felice ed eccitato?
Pensava a quel viso bagnato da lacrime silenziose, n’aveva visto migliaia ma nessuno gli aveva mai fatto quell’effetto.
Il senso di vittoria che aveva provato, si andava rapidamente spegnendo, lasciando solo una grande stanchezza; pensò a come sarebbe stato possederla, mentre lacrime silenziose le bagnavano il volto.
Quell’immagine gli provocò un gelo dentro il petto, che non sapeva spiegarsi.
Dov’era finito il desiderio di rivalsa di poche ore prima?
Suo malgrado dovette ammettere che non ce ne era più traccia, c’era solo freddo e stanchezza.
Decise di non toccare Nasuada finché non avesse capito quale strana malattia l’avesse colpito, non voleva di nuovo dimostrare la sua impotenza!
“Sono veramente malato” pensò e il pensiero gli fece paura, non lo era mai stato in vita sua.
S’infilò nel letto e Tornac tirò le tende leggere del baldacchino, poi se n’andò.
“Vieni ti aspetto o vuoi che ti venga a prendere io?”
Solo al suono di queste parole Nasuada si riscosse e si avviò verso il suo destino, pensava a Kaled bello come un dio e felice a cavallo, quel ricordo le avrebbe dato forza, anche se con tutta se stessa cercava di evitare che a quell’immagine si sovrapponesse quella in cui Kaled ridotto ad un troncone umano sanguinante, urlava di dolore. Si morse le labbra.
Scostò i veli e s’infilò sotto ad un lenzuolo sottile.
Murtagh era sdraiato su di un fianco.
“Sono stanco, voglio solo dormire e voglio che tu dorma con me. Non ho mai dormito con nessuno prima d’ora, ma non giocare scherzi, io ho il sonno leggero e mi sveglierei al minimo rumore”
Lei non si mosse, solo gli occhi guardavano quelli di lui ed erano immoti e stupiti.
“Perché continui a fissarmi? Ti sembra strano”
“E’ una prova?”
Lui rise sommessamente: “Diciamo così! Domani ho parecchio da fare, devo riposare. Ed ora dormi!”
Nasuada cercava di pensare a cosa stesse escogitando Murtagh. Voleva tranquillizzarla per poi gettarla maggiormente nel panico? Che cosa aveva in mente? Quale tortura, quale gioco crudele? Non riusciva a capirlo, decise di fingere di assecondarlo, ma i suoi occhi si rifiutavano di chiudersi e il suo corpo di rilassarsi.
Lui la guardava.
Dopo qualche minuto si mise a sedere: “Non stai dormendo, hai paura?”
Certo che aveva paura, ma non doveva dimostrarlo.
“Sono nervosa, non ho mai dormito con un uomo”
“Neppure io con una donna” ridacchio lui “Per questa notte non ti farò del male” soggiunse.
Nasuada si girò verso di lui, una parte di se pronta ad essere colpita, un’altra pronta a credergli. La tensione che provava era terribile, avrebbe preferito che lui la picchiasse di nuovo o la violentasse, piuttosto che questa incertezza mostruosa da sopportare.
Lui chiuse gli occhi e il suo respiro divenne regolare.
Fingeva?
Aspettava solo che anche lei chiudesse i suoi per prenderla all’improvviso, per spezzare le sue resistenze, per farle saltare i nervi?
Resistette per lungo tempo osservandolo quasi ipnotizzata. Lui dormiva apparentemente tranquillo, il respiro lieve, i capelli arruffati, senza muoversi.
Il tempo passava a goccia a goccia. Nasuada sentiva che i suoi occhi fissi su Murtagh diventavano sempre più pesanti. Si risvegliò di soprassalto quando si accorse di essersi appisolata, non sapeva per quanto. Lui non si era mosso. Forse era passato solo un minuto.
Scendere dal letto, allontanarsi da lì,divenne un bisogno quasi fisico. Quella situazione stava diventando sempre più intollerabile. Ad un tratto lui si mosse.
Decise che si sarebbe alzata e avrebbe svelato la trappola, lui avrebbe dovuto reagire in qualche modo. Ma non lo fece, al contrario la sua mano si allungò verso Murtagh, scostandogli un ciuffo di capelli sudati dal viso.
E allora successe un fatto che Nasuada non aveva previsto.
Lui sorrise.
Nasuada non sapeva se lo avesse fatto perché aveva percepito il suo gesto o perché stesse seguendo un sogno, ma il suo sorriso la immobilizzò, perché era leggero e fragile e subito sparì. Forse fu la stanchezza o questa flebile speranza che le nacque nel cuore, a far sì che il sorriso leggero di Murtagh fosse l’ultima cosa che ricordasse prima di addormentarsi.


4. Ad Aberon la notte era già inoltrata, ma Ajihad e il suo consiglio non dormivano.
Erano giunti alcuni ricognitori informandoli che ad Uru-Baen stavano giungendo dei rinforzi.
Era difficile pensare alla guerra, ai piani, alla strategia, quando la mente correva sempre a Nasuada. A volte riusciva a farsi coinvolgere dai discorsi del suo Consiglio e non ci pensava, poi quando automaticamente cercava con gli occhi lo sguardo della figlia per sapere la sua opinione e non lo trovava, come una mazzata giungeva la consapevolezza che lei non era lì con lui, che forse era già morta, che forse ….Non voleva pensarci, non voleva pensare che alla figlia fosse toccata in sorte una fine come quella che era toccata a sua madre.Lui era un ragazzino, ma si ricordava bene cosa era successo, non lo avrebbe mai più dimenticato, anche se pregava tutti i giorni che un dio misericordioso gli facesse perdere la memoria di quei momenti.
“Re Rotghar è arrivato, è di là che ti attende” fu riscosso dalla voce di Brom.
“Sì certo, ora vado, accompagnami”
“Sei pronto alla guerra?” gli chiese Ajihad, senza troppe cerimonie.
“Sai che non è stata una decisone facile, ma ora siamo con te.”
Ajihad sospirò: “Hai ragione, ci giocheremo il tutto per tutto, ma ormai non possiamo più tirarci indietro. L’unica speranza di vittoria è nella nostra alleanza. In questo modo forse potremo vincere”
“Potremo?”
“La vittoria non è mai certa, ma so che in molte città stanno scoppiando insurrezioni, questo ci potrebbe aiutare. Galbatorix sarà impegnato su più fronti.”
“Fra quanto pensi che ci darà battaglia?”
“Fra pochi giorni l’esercito di Galbatorix si metterà in marcia per le Pianure Ardenti. Questo è quanto ci hanno riportato le nostre spie”
“Per organizzare l’esercito e posizionare le nostre truppe avremo bisogno di più tempo”
“ Cercheremo di ritardare in qualche modo l’avanzata dell’esercito imperiale”
“Cos’hai in mente?”
“Attacchi a sorpresa, trappole…”
“Forse non sarà necessario” intervenne Brom, “Il tempo sta cambiando, sento odore di pioggia….”
Re Rotghar fece per girarsi e andarsene, poi si fermò, si girò e si accostò ad Ajihad.
“Ho saputo di tua figlia, mi dispiace, combatteremo per lei” mormorò imbarazzato.
Il capo dei Varden accennò un grazie con la testa, non riusciva a parlare di Nasuada, non voleva, non poteva pensare a lei ora!
Quando Rotghar uscì, Brom si avvicinò: “So che è dura, ma devi farti forza, il popolo ha bisogno del suo capo in questo momento, è quello decisivo”
“Lo so, le nostre spie non hanno scoperto nulla?”
Brom si allontanò, abbassando lo sguardo.
“Sai qualcosa? Dimmelo qualunque cosa sia”
“Non è certo, ma sembra che Nasuada sia stata donata dall’Imperatore a Murtagh”
Ajihad rimase muto per minuti interminabili.
Brom uscì, fra poco sarebbe sopraggiunta l’alba, si stiracchiò.
“E allora?” una voce lo fece trasalire.
“Eragon, non dovresti essere qui. I giorni che seguiranno saranno giorni interminabili, conviene che ti riposi, forse poi non n’avrai la possibilità”
“Si hanno notizie di Nasuada?”
“Sembra sia prigioniera di Murtagh”
“Lo ucciderò con le mie mani”
“ Tu farai quello che Ajihad ti ordinerà di fare e nient’altro, è chiaro Eragon? Questo è quello che ci distingue da loro, lo capisci?”
“Sì” mormorò il ragazzo stringendo i pugni.


5. Quando Murtagh si svegliò, ci mise poco più di un minuto per capire dov’era, si allarmò, non era mai successo: il suo sonno solitamente era così leggero da non fargli mai perdere il senso della realtà. Girandosi vide Nasuada addormentata.
Si riscosse immediatamente, poi avvertì un rumore sordo sui vetri delle finestre.
Pioveva, non una pioggerellina sottile e neppure un acquazzone violento di temporale che sarebbe presto cessato, era una pioggia forte e scrosciante che scendeva a catinelle come se dovesse farlo per sempre.
Questo avrebbe frenato i preparativi e l’arrivo delle truppe mancanti.
Si vestì velocemente per recarsi dall’Imperatore.
Lo trovò nella stanza del Consiglio di pessimo umore, i suoi ministri gli scodinzolavano tutt’intorno cercando di rabbonirlo.
“Finalmente sei arrivato, te la sei presa comoda Cavaliere” lo assalì appena ebbe messo piede nella stanza.
Murtagh non rispose, ma abbozzò un cesto di scusa con il capo.
“Questa maledetta pioggia non ci voleva, rallenta tutti i nostri piani”
Nessuno fiatò.
“Questo rende impossibile un attacco lampo come avevo progettato, quei bastardi ribelli avranno più tempo per organizzarsi”
“Il nostro esercito è più numeroso” affermò con sicurezza un capitano.
Galbatorix rimase a lungo assorto nei suoi pensieri.
“Non ci resta che aspettare che smetta di piovere e poi marciare a tappe forzate verso le Pianure Ardenti, ora vi mostrerò la strategia che ho progettato” concluse aprendo una mappa dettagliata del territorio.
Rimasero fino a tarda sera ad elaborare un piano militare che potesse abbattere le resistenze dei Varden.
Anche quella notte Murtagh fece dormire Nasuada nel suo letto, senza mai toccarla.
Era tutto molto strano, lui non fece neppure un gesto verso di lei, non diede nessuna spiegazione, non le parlò; la guardò solo mentre si cambiava e s’infilava sotto il lenzuolo, poi si addormentò. Nasuada invece rimase per ore con il cuore che le batteva in petto, sicura che quando meno se lo fosse aspettata, la trappola che certamente lui stava escogitando, sarebbe scattata. Non riusciva a capire che tipo di trabocchetto potesse essere, ma era sicura che dietro quell’apparente tranquillità, Murtagh stesse tessendo la sua tela pazientemente, come un grosso ragno nero che aspetta e aspetta, senza scomporsi nascosto in un buco, che la sua preda s’invischi nella tela e poi fulmineo esce, la intrappola e le succhia la vita. Si sentiva un moscerino che ben presto sarebbe stato succhiato e la cui carcassa svuotata, sarebbe stata poi gettata via, come un rifiuto ingombrante e fastidioso.


6. Il giorno seguente passò senza che lui si facesse vedere.
La sera quando Murtagh entrò, la sfiorò solo con lo sguardo poi si cambiò d’abito.
Scelse abiti eleganti e raffinati, poi le si avvicinò: “Questa notte potrai dormire tranquilla, ho voglia di donne, donne vere non come te, donne che mi possano scaldare il sangue mentre tu me lo raffreddi. Sono stanco di aspettare che la tua presenza in qualche modo mi possa divertire, passerò la notte nel mio harem”
Stranamente non c’era sarcasmo nella sua voce, una voce vacua come i suoi occhi.
Nasuada non replicò, ma guardando il vuoto negli occhi di lui, provò una stretta allo stomaco.
La notte tutta sola in quel letto che le era sempre sembrato uno strumento di tortura, il suo pensiero continuava ad immaginare cosa stesse succedendo nell’harem.
Pensieri contorti si materializzavano contro la sua volontà: perché Murtagh aveva sostenuto che lei non era una donna vera, che lei non lo eccitava?
Murtagh era andato da altre donne, mentre lei era stata nel suo letto per tre notti in sua balia e lui non era riuscito a combinare nulla. Era così brutta o fredda o repellente da non provocargli neppure un sussulto di desiderio?
“Dovresti esserne felice” si disse “Quel bastardo depravato chissà cosa starà facendo a qualche povera ragazza”
Ricordò la piccola Thea e gli urli di quella giovane che lei aveva sentito nella sua stanzetta.
Con questo pensiero cercò di spazzare via tutte le fantasie, ma un altro pensiero si era intanto insinuato nella sua mente: se Murtagh non la trovava di suo gusto, l’avrebbe data all’Imperatore o peggio a Durza.
Quell’ idea la fece rabbrividire e non valse a nulla che continuasse a ripetersi che uno valeva l’altro e che stare con uno dei tre era comunque una tortura. Il pensiero di divenire preda di Galbatorix la faceva sciogliere dalla paura e il pensiero di Durza le era insostenibile.


7. Quando lui rientrò nel pomeriggio, aveva gli occhi segnati da pesanti occhiaie, si recò nella stanza di Tornac e lei li sentì parlare a lungo.
Quando tornò nella camera, lei si accorse che oltre alle occhiaie, era più pallido del solito.
I servi portarono la cena, ma lui mangiò di malavoglia.
Finalmente le rivolse la parola: “Hai dormito bene senza di me?”
“Sì certo; tu a quanto vedo invece hai dormito poco”
“Hai indovinato, non sono andato nell’harem per dormire, mi sono divertito parecchio” ma il tono della sua voce sembrava contraddire il contenuto delle parole.
Nasuada prese il coraggio a due mani, doveva assolutamente uscire da quell’incertezza: “Che ne farai di me?”
Murtagh la guardò stupito: “Che vuoi dire?”
“Hai detto che non ti soddisfo, devi cercarti i tuoi piaceri da altre e allora cosa farai di me?”
Murtagh rise, una risata strana, quasi triste: “Hai qualche preferenza?”
Nasuada scose la testa: “Siete tutti uguali”
“Preferiresti Durza?” insistette Murtagh.
Nasuada chinò il capo, era stanca, avrebbe voluto addormentarsi per sempre: “Non sono nelle condizioni di decidere il mio destino, se potessi scegliere sarei al fianco di mio padre, pronta per la battaglia e tra me e voi tutti ci sarebbero non parole o minacce, ma solo la lama della spada”
Murtagh ebbe un gesto d’insofferenza: “Non mi hai risposto”
“E neppure ti risponderò” lo provocò Nasuada.
“Ti fa schifo la mia presenza? Dormire con me?” continuò con voce fredda.
Nasuada si sentiva in trappola: “Cosa vuoi che ti risponda, che sono felice della mia condizione?”
“Voglio che tu dica la verità”
“La verità è che non posso dormire con te accanto, perché temo che da un momento all’altro tu mi faccia del male”
Murtagh rimase perplesso, ma non rispose.
Più tardi si coricò e la chiamò nel suo letto.
“Perché vuoi che ti dorma vicino, ormai sono alcuni giorni che lo faccio, che senso ha?” riuscì finalmente a chiedergli lei.
“Semplicemente non ho mai provato a dormire con qualcuno, è una nuova esperienza” rispose velocemente Murtagh.
Durante la notte Nasuada si svegliò all’improvviso. Si accorse che nel sonno Murtagh gli si era accostato e con una mano sfiorava la sua.
Il giorno prima Tornac le aveva rivelato, che Murtagh non aveva mai dormito per tutta la notte così tranquillamente, come da quando dormiva con lei. Di solito aveva sonni agitati, disturbati da continui risvegli.
“Tu lo tranquillizzi” le aveva detto con la sua voce baritonale e per la prima volta Nasuada vi aveva letto un garbo e un rispetto che prima non c’erano.
Lei però non aveva voluto credere a quelle parole, ma guardandolo ora alla luce fioca che penetrava dalla finestra, aleggiava sul volto di Murtagh un’espressione rilassata che gli donava un aspetto diverso. Nasuada si perse in fantasie assurde: se lui fosse stato semplicemente un ragazzo e lei una ragazza, senza titoli, fazioni, storie e passati, stare così accanto a lui avrebbe potuto farle battere il cuore e alleggerirle l’anima. Ma lei era Nasuada figlia di Ajihad capo dei Varden e lui Murtagh figlio di Morzan, Cavaliere dell’Imperatore.

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Capitolo 7
*** La Prigioniera ( Parte Terza) ***


LA PRIGIONIERA ( ParteTerza)

8. La mattina svegliandosi, Nasuada non sentì più la solita fitta di paura nell’accorgersi dove si trovava e chi aveva a fianco, ma le sembrò che quella fosse ormai diventata la normalità. Si spaventò per questo suo pensiero, era per caso impazzita? Si ripetè che mai in tutta la sua vita avrebbe potuto fidarsi del figlio di un Rinnegato, del prediletto di Galbatorix!
Era passata ormai una settimana da che era entrata in “possesso” di Murtagh; Cho le aveva assicurato che non era mai successo che una favorita fosse ancora intera dopo tutto quel tempo.
Continuava inspiegabilmente a piovere senza sosta, una pioggia scrosciante che aveva reso il cortile un acquitrino e i campi in lontananza, una palude.
Nasuada sperava che questo inaspettato ritardo potesse giocare a favore dell’esercito dei Varden e l’inquietudine di Murtagh, che probabilmente rifletteva quella dell’Imperatore, gli confermava questa speranza.
Quando lo vide vestirsi in assetto da guerra rimase sorpresa e non potè fare a meno di chiedergli cosa stesse succedendo.
“Mi assenterò per qualche giorno, l’Imperatore mi ha affidato l’incarico di punire la città di Furnost, le nostre spie hanno scoperto che molti cittadini stanno sovvenzionando la ribellione”
Tornac si stava preparando quando lui gli ordinò di lasciar perdere, per quella volta non lo avrebbe seguito. Tornac lo guardò attonito.
“Tu rimani qui, sorveglierai lady Nasuada, nessuno la dovrà toccare, hai capito, neppure l’Imperatore. La voglio ritrovare qui al mio ritorno”
Uscì gettando uno sguardo a Nasuada, fugace e selvaggio.
Lei rimase impassibile, ma dentro si stava chiedendo il perché di quell’ordine.
Ricordava cosa aveva detto l’Imperatore il giorno in cui l’aveva consegnata a Murtagh. Lei non era sua, se la sarebbero spartita. Forse era giunto quel momento, ma allora perché lui non stava agli ordini. Come avrebbe potuto Tornac proteggerla dall’Imperatore?


9. Ajihad si staccò dal tavolo dove con i suoi uomini stava progettando la disposizione dell’esercito. Quella pioggia era stata una benedizione.La battaglia finale per il momento era stata rinviata, sarebbe stato impossibile combattere in quel pantano. Galbatorix sicuramente stava attendendo che il tempo migliorasse, per potersi mettere in marcia. Gli dei erano con loro, perché in questo modo il loro esercito avrebbe potuto attestarsi prima dell’arrivo di quello nemico e scegliere le postazioni migliori, certo erano inferiori di numero ma la differenza era che gli uomini dell’Imperatore per la maggior parte combattevano per paura, i suoi per essere liberi.
Avrebbe vinto, avrebbe ucciso Galbatorix e Durza ma non Murtagh, per lui aveva in serbo sofferenze senza fine, si sarebbe pentito di avere messo le mani addosso a sua figlia.
Chissà se Nasuada era ancora viva e se sì chissà in quale stato era ridotta. Strinse le mani a pugno così forte che le nocche sbiancarono. L’importante era che fosse viva, solo così la sua vittoria avrebbe avuto un senso.
Brom si avvicinò: “Abbiamo ancora qualche giorno per organizzarci al meglio, poi smetterà di piovere, aspetteremo che il terreno asciughi e finalmente potremo sferrare l’attacco.Amico mio ormai siamo quasi arrivati alla fine”
Ajihad annuì senza parlare.
“Stai pensando a tua figlia?”
“Sì, puoi dirmi se è ancora viva?”
“Ho provato a divinare, io penso di sì”
“Soffre?” la voce gli tremò.
“Ho avuto una visione ieri mentre scrutavo l’acqua…”
“E allora”
“Lei era in grande letto con delle tende di mussola bianche, accanto a lei c’era Murtagh”
Ajihad rimase zitto per qualche minuto: “Cosa faceva quel maledetto”
“Niente, dormiva”
“Dormiva?”
“Sì e Nasuada lo guardava inquieta”
“Come sta?”
“Era pallida e pensierosa…però non fidarti troppo di quello che ti sto dicendo, la chiaroveggenza a volte inganna, a volte si vede quello che si desidera vedere…”
“Fra poco tutto questo finirà, dovremo mandare gli uomini migliori a Uru-Baen, quando vinceremo dovranno liberarla immediatamente prima che le succede qualcosa”


10. Il terzo giorno dalla sua partenza, in una mattina grigia, Murtagh tornò.
Nasuada era alla finestra e lo vide cavalcare Castigo ed atterrare sulla Torre dei Draghi. Le squame del drago e la corazza del guerriero luccicavano sotto la pioggia che continuava a scendere, anche se ora era una pioggerellina sottile e fine che quasi non si sentiva.
Dopo un paio d’ore dal suo arrivo, Murtagh entrò nella stanza.
Quando Nasuada lo vide entrare si accorse che quei tre giorni aveva spesso pensato a lui e ora che era arrivato, si sentiva ridicolamente al sicuro.
Lui era inzuppato e stanco.
Fece un bagno caldo e poi si sedette a mangiare, non le chiese di fargli compagnia, l’aveva ignorata e continuava a farlo. Solo dopo aver mangiato le si sedette accanto.
“Sembra che voglia smettere di piovere, gli indovini prevedono che domani tornerà bel tempo, aspetteremo ancora un paio di giorni affinché il terreno asciughi e poi partiremo perle Pianure Ardenti”
“Cosa è successo a Furnost?” chiese lei fissandolo negli occhi e quando vi lesse il vuoto provò una stretta allo stomaco.
“Siamo arrivati senza preavviso, ho fatto muovere i miei uomini a marce forzate, li abbiamo presi di sorpresa, non avevano neppure approntato un sistema di difesa della città, siamo entrati quasi indisturbati. Abbiamo ucciso tutti gli uomini, abbiamo radunato tutti gli altri nella piazza principale del paese, prima ho lascito che i soldati si divertissero con le donne più giovani, poi abbiamo ucciso tutti, ho tenuto in vita solo un paio di ragazze per farne dono all’Imperatore, alla fine abbiamo dato fuoco alle case” mentre raccontava, Murtagh scrutava l’espressione sul volto di Nasuada. Non sapeva identificarla.
“Cosa stai pensando?” le chiese curioso.
Nasuada rimase silenziosa poi rispose: “Sono triste”
Triste? Che cosa significava? Murtagh non capiva.
“Perché?”
“Per tutti coloro che hai ucciso, per tutte le persone che non avevano colpa e anche per te…” lasciò la frase in sospeso.
“Per me?” continuava a non capire.
Nasuada scosse la testa: “Lascia perdere”
Murtagh ripensò a quello che era successo a Furnost: uccidere, torturare, violentare non gli avevano dato nessun piacere, i suoi pensieri erano rimasti a Uru-Baen, la sua unica preoccupazione era tornare il più in fretta possibile per assicurarsi che l’Imperatore non approfittasse della sua assenza per prendersi Nasuada.
E le notti si ripeteva il sogno fatto qualche giorno prima: degli occhi profondi e una voce che lo chiamava, delle braccia che si tendevano verso di lui e una calma e una sicurezza che in realtà non aveva mai provato.
“In questi notti ho sognato gli occhi di una donna, un sogno strano, confuso, potevano essere i tuoi ma sapevo che appartenevano a qualcun’altra, non so a chi”
“A tua madre” intervenne inaspettato Tornac, poi si bloccò quasi sorpreso della sua temerarietà e aggiunse: “Scusa padrone”
Murtagh gli andò vicino, lo sguardo ardente di rabbia: “Cosa stai farfugliando”
“ Perdonami mio signore, ho pensato che quegli occhi potessero appartenere a tua madre”
“Che storia è questa” sibilò Murtagh.
Tornac iniziò con una voce sorda e bassa, velata dai ricordi del passato e da nostalgia.
“Tuo padre vide tua madre in un piccolo villaggio e subito le piacque e lei lo ricambiò. Tua madre all’inizio era veramente innamorata di Morzan, non si mise con lui per avidità o desiderio di potere, lo amava, finché non lo conobbe veramente per quello che era. Ma allora fu troppo tardi. Lui l’aveva in suo potere. Morzan era spesso a Uru-Baen nella reggia dell’Imperatore e lasciava sola Selena, quindi mi chiese di starle vicino per proteggerla. Rimanemmo uno accanto all’altro per molto, lei cominciò a fidarsi di me e divenimmo amici.”
“Solo amici?” disse con sarcasmo Murtagh.
“Sì, eravamo entrambi soli, raccontandoci del nostro passato ci sentivamo meno isolati e lontani”
“Cosa successe poi?”
“Lei rimase incinta e nascesti tu, lei ti amò e tu diventasti l’unica ragione che aveva per vivere. Tuo padre si era stancato di lei, aveva trovato altre distrazioni, la teneva solo perché lei gli serviva per i suoi sotterfugi. Lei ti cullava e ti cantava canzoni della sua terra, aveva una bellissima voce. Ti teneva in braccio e t’accarezzava.Quando Morzan capì che lei si stava troppo attaccando a te, ti usò per ricattarla. Da quando tu eri nato lei non aveva più acconsentito ad essere lo strumento dei complotti di tuo padre. Così lui usò te per obbligarla a fare ciò che le chiedeva. La allontanò, le permise di vederti solo se avesse portato a termine ciò che lui le chiedeva di fare. Per amore tuo lei accettò. Aveva paura che in caso contrario, lui ti facesse del male.Quando avevi tre anni lei rimase di nuovo incinta, approfittò dell’assenza di Morzan e fuggì dal castello. Tornò dopo aver partorito, non mi disse che fine avesse fatto il nuovo nato, so solo che era un altro maschio. L’aveva fatto per proteggerlo dal padre, aveva visto cosa aveva fatto a te e non poteva permettere che anche l’altra sua creatura crescesse con un padre come Morzan. Quando tornò si ammalò. Non era una vera e propria malattia, ma il profondo dolore di aver commesso lo sbaglio di innamorarsi di tuo padre e il senso di colpa nei tuoi confronti. Si riteneva colpevole di aver permesso che Morzan ti avesse quasi ucciso e nello stesso tempo sapeva d’essere impotente a cambiare le cose. Nel giro di poco questo strazio interiore la portò alla morte. Bruciai il suo corpo e sparsi le sue ceneri nella prateria”
Murtagh rimase in silenzio, gli occhi bassi, toccandosi nervosamente i capelli.
“ Ho un fratello?”
“Sì, anche se non so che fine abbia fatto”
“Lo sa qualcun altro?”
“Selena non ha rivelato a nessuno, se non a me di essere incinta”
Il fatto di non essere solo faceva uno strano effetto a Murtagh, ma forse quel bimbo era morto già da molti anni oppure chissà dove si trovava ora.
“ Perché me ne parli adesso?”
“Pensavo che tu non ricordassi più niente di lei, quindi era inutile raccontarti storie di cui non serbavi neppure il ricordo, ma ora quando hai raccontato i tuoi sogni ho capito che qualcosa di lei ti è rimasto, mi è sembrato giusto che tu sapessi che la donna che sogni è veramente esistita, non è una tua fantasia, era tua madre e non ti ha abbandonato volontariamente come ti hanno fatto credere, ma è stata obbligata e per questo ha sofferto fino a morirne”
Quella notte Murtagh non riusciva a prendere sonno. Quando finalmente si addormentò si ritrovò di nuovo nel sogno, ma ora era tutto molto più chiaro, non vedeva più solo gli occhi della donna ma tutta la sua figura: era bella e dolce, ma nello stesso tempo fiera. Lo chiamava e la sua voce diventava gentile pronunciando il suo nome, lo prendeva tra le braccia e lo cullava. Lui era felice e protetto. Lei lo solleticava per farlo divertire e lui rideva, era così bello ridere insieme a lei. Si svegliò proprio in quell’attimo, accorgendosi di ridere veramente.
Nasuada lo guardava: “Hai fatto un bel sogno?”
“Sì” rispose lui, ma dentro sentiva forte un dolore, avrebbe voluto che il sogno continuasse, che non fosse scomparso all’improvviso, avrebbe voluto essere di nuovo con lei.
Poi si accorse che Nasuada lo osservava con uno sguardo simile a quello della donna del sogno. “Cosa significa quello sguardo?”
“In questo momento sei diverso dal solito, ti guardo con tenerezza perché qui ed ora non sei più Murtagh figlio di Morzan”
“Cosa sono?”
“Non so, un ragazzo che ride nel sonno” disse lei titubante.
Anche Nasuada non sapeva spiegarsi quello che provava, era difficile accettare che nel suo cuore ci fosse della tenerezza per quel mostro. Non sapeva cosa le stesse accadendo, sapeva però che non provava più paura nei suoi confronti e neppure odio e questo era male; si stava dimenticando di come lui fosse in realtà e anche questo era male; le sembrava che Murtagh fosse cambiato e che qualcosa di diverso stesse uscendo allo scoperto nel suo animo. Ricordò alcune frasi che un giorno Brom aveva detto a lei e a Eragon: “Siamo tutti capaci di grande pietà e amore ma anche di odio e di orrore. La cosa più triste è che possiamo trarre gioia da entrambe queste alternative”
Per Murtagh finora non era stato così, la sua gioia derivava solo dalla crudeltà. Non conosceva nulla dell’altra via, forse non sapeva nemmeno che esistesse. Di fronte alle emozioni era come un bambino, di alcune era assolutamente inconsapevole; per lui tenerezza, amore, dolcezza, compassione, non avevano nessun significato, non le aveva mai sperimentate, nessuno le aveva mai provate nei suoi confronti.
Era incapace di comprenderne persino il senso, come se ad un cieco si cercasse di spiegare i colori. Ma forse avrebbe potuto impararle se qualcuno gliele avesse insegnate.
Scosse la testa, si stava illudendo, Murtagh non era un bambino, era un ragazzo cresciuto fin dalla più tenera età in un mondo brutale e perverso, forse non era colpa sua, ma la sua vita non aveva mai incluso nulla di buono e di giusto.


11. Passò tutta la giornata rimuginando su quei pensieri.
La sera, quando Murtagh rientrò sembrava agitato e nervoso.
Si mise a scegliere un abito e si vestì in modo elegante.
Nasuada lo guardava e come al suo solito non parlava, aspettava che fosse lui a dirle cosa l’attendeva.
“Questa sera l’Imperatore vuole festeggiare, finalmente ha smesso di piovere e fra un paio di giorni, partiremo per la battaglia.”
“Devo venire anch’io?”
“No, non sei invitata, in realtà il festeggiato sono io”
“Cosa hai fatto per meritarti quest’onore?” c’era sarcasmo nella voce di Nasuada.
“Ho distrutto la città di Furnost, ho ucciso tutti i suoi abitanti, ogni traccia di ribellione è scomparsa nelle altre città dopo che la notizia si è diffusa. Ora l’Imperatore potrà combattere più tranquillo. Sa che nessuno oserà alzare il capo, mentre il suo esercito è impegnato in guerra”
“Qual è il tuo premio, solo il banchetto in tuo onore?”
“Anche le attenzioni dell’Imperatore”
Nasuada notò nella voce di Murtagh una malcelata irritazione, anziché la solita arroganza e ne fu sorpresa.
Non seppe cosa aggiungere, non voleva sapere nulla dei rapporti che interrcorrevano tra i due.
Fu lui a continuare, mentre si vestiva: “All’Imperatore piacciono le belle donne e i giovani ragazzi, ma tra noi esiste un rapporto speciale che va al di là di tutti gli altri”
Nasuada rimase in silenzio, sperando che Murtagh cambiasse discorso, non voleva sentire.
“A diciotto anni quando mi nominò Cavaliere, l’Imperatore mi chiese di diventare il suo amante. Ti sconvolge?”
“Niente di quello che fai può sconvolgermi. Non c’è perversione o orrore che tu non abbia sperimentato”
Murtagh sorrise: “Sono lusingato. Comunque io non amo gli uomini, quello che faccio con lui è un’ eccezione. Lui mi disse che solo in questo modo il nostro rapporto sarebbe diventato veramente indistruttibile e inscindibile”
“Vuoi farmi credere che lo fai per forza?”
“No non per forza, lo faccio perché lo considero un privilegio, perché in questo modo lui mi rassicura del suo favore nei miei confronti e anche perché, anche se non amo questo genere di rapporti, lui mi fa sempre godere” c’era una sfida nella sua voce ora.
“Non mi interessa cosa fai con Galbatorix, ma sappi che il rapporto tra un maestro e il suo allievo non prevede per nulla una relazione sessuale. Se lui ti ha fatto credere questo ti ha imbrogliato”
“Come puoi saperlo?”
“Tra Brom ed Eragon non c’è nessun rapporto particolare, ma un grande affetto e rispetto, un rapporto simile a quello tra padre e figlio”
Murtagh rise: “Non vorrei per nulla al mondo avere un rapporto del genere con l’Imperatore, un padre mi è bastato”
Nasuada capì che la realtà di Murtagh era del tutto speciale. Quando pensava a suo padre, lui pensava ad una persona che aveva manipolato sua madre, che aveva tentato di ucciderlo.
“Devo andare” disse lui stancamente.
“Non ne hai voglia?”
“Oggi no” confessò lui “Sono stanco, preferirei dormire”
“Perché non glielo dici”
Murtagh rise aspro: “Non si può non accettare le offerte dell’Imperatore”
Uscì.
Non era previsto che lui raccontasse quelle cose alla ragazza, ma sempre più spesso desiderava parlarle e starle accanto.
Pensò a quello che l’aspettava, avrebbe bevuto molto e poi avrebbe chiesto a Galbatorix di fargli respirare i fumi di alcune piante che rendevano la mente confusa e facevano perdere il controllo dei propri desideri e delle proprie azioni: in questo modo tutto sarebbe stato più facile e piacevole. In fondo si era sempre svagato, l’Imperatore lo conosceva bene sapeva cosa gli faceva piacere e cosa no. Si divertiva a dargli un po’ dell’uno e un po’ dell’altro.
Quando l’Imperatore lo condusse nella sua camera, era già sufficientemente ubriaco da non pensare più a Nasuada.


12. La Sala del Consiglio era gremita, tutto era pronto, l’indomani lui sarebbe partito con le truppe.
Stava per uscire, quando la voce di Galbatorix lo trattenne.
“Murtagh da quanto sta con te Lady Nasuada?”
Lui sobbalzò, cosa c’entrava ora: “Da circa quindici giorni”
“Mi sembra che tu ti sia divertito abbastanza con lei, questa notte manderò le mie guardie a prenderla, voglio godermela io, mentre tu combatterai per me”
Cos’era quel gelo che lo aveva avvolto a quelle parole, prima gelo e subito dopo una rabbia sorda e terribile.
Riuscì a mantenersi calmo, la sua voce risuonò apparentemente tranquilla: “Non mandare le guardie provvederò io stesso a lei, mio signore”
Lui gli fece un cenno d’assenso.
Uscì dalla sala con la testa in subbuglio.Lo sapeva che sarebbe arrivato quel momento, ma non aveva mai voluto pensarci.
Lei sarebbe stato di Galbatorix e poi di Durza.
Strinse i pugni, ancora un’ondata di rabbia lo travolse. No, non lo avrebbe mai permesso, Nasuada era sua e nessuno l’avrebbe toccata.
Era stufo di ubbidire, lo aveva fatto tutta la vita, era sempre stato fedele, non era giusto che dovesse sempre cedere. L’Imperatore non poteva portagli via la ragazza.
Si arrestò sorpreso.
Cosa stava capitandogli? Perché questa reazione, quando non ricordava più neppure quante ragazze aveva usato e gettato? Perché Nasuada avrebbe dovuto essere differente?
Non sapeva rispondere, sapeva però che per lui sarebbe stato intollerabile pensarla nelle mani di un altro, pensare che qualcuno le facesse del male.
Fu terrorizzato dai suoi pensieri, non gli era mai importato di nessuno, perché ora le importava di lei?
Non sapeva neppure quello, sapeva però cosa doveva fare. Non sarebbe servito a nulla chiedere all’Imperatore di donargli la ragazza per sempre; si sarebbe insospettito, avrebbe guardato nella sua mente e lui non voleva più che qualcuno gli frugasse tra i pensieri.
Entrò nei suoi appartamenti rapidamente, era pomeriggio inoltrato ma c’era ancora luce, anche se le ombre cominciavano a calare.
“Tu” disse rivolto a Cho “procurami un mantello scuro per lei, muoviti!”
La vecchia uscì in fretta.
Tornac entrò allarmato: “E’ successo qualcosa padrone?”
“Io devo andarmene, tu rimarrai qui, se arriveranno le guardie dell’Imperatore dì loro che sono nell’harem a godermi per l’ultima volta la prigioniera”
“Ma tu dove sarai?”
“E’ meglio che tu non sappia nient’altro”
Cho entrò con un mantello.
“Avanti indossalo, copriti il viso e seguimi” ingiunse a Nasuada.
“Che sta succedendo?” chiese lei.
“Ti spiegherò strada facendo, ora non parlare, seguimi ed esegui i miei ordini senza fiatare”
Nasuada non ribattè nulla, leggeva nella voce di Murtagh un’ impazienza che non aveva mai sentito.
Uscirono, superarono corridoi e sale, lui camminava a passo spedito tanto che lei faticava a stargli dietro. Nessuno di coloro che incontrarono li fermò, tutti si ritraevano quasi temessero di ostacolare il passaggio del Cavaliere. Nasuada capì che Murtagh era temuto non solo dai nemici, ma anche da tutta la corte.
Uscirono nel cortile ed entrarono nella Torre dei Draghi.
“Che cosa succede?” la voce di Castigo gli penetrò nei pensieri, un po’ inquieta.
“Ho bisogno di te Castigo”
“Cosa ci fa la ragazza qui?”
“Ho bisogno che tu la porti in groppa, dobbiamo allontanarci il più possibile da Uru- Baen”
“Cosa vuoi dire?”
“Devo farla fuggire”

Castigo emise un brontolio ringhioso.
“Sei impazzito, contro gli ordini dell’Imperatore?”
“Esatto”
“Perché?”
“ Non importa il perché”
“ Sai che noi non possiamo disubbidire all’imperatore”
“ Ho detto che avrei provveduto a lei e così faccio, non gli ho detto che gliela avrei consegnata”
“Questo è uno stupido giochetto di parole, pensi che Galbatorix lo accetterà?”
“Penso di no, ma in questo momento non m’interessa”
“Farò come vuoi ma non ne uscirà nulla di buono”
“Non ti preoccupare, l’Imperatore ha bisogno di noi”

Murtagh lo sellò, poi aiutò Nasuada a salire in groppa al drago. Lei non riusciva a comprendere cosa stesse succedendo, si faceva condurre senza fiatare. Ebbe timore quando dovette salire sopra il mostro rosso rubino, ma cercò di controllarsi.
Ed ecco Castigo prese il volo. Sorvolarono, nell’aria della sera che stava scurendo, praterie sconfinate d’erba che con le ultime piogge era cresciuta a dismisura. Le colline si avvicinavano sempre più. Nasuada era senza fiato; ritrovarsi all’aria aperta, sentire il vento sulla faccia, erano sensazioni che non sperava più di poter rivivere.
All’improvviso Castigo rallentò l’andatura, fino a volteggiare con ampi giri e poi a planare. Avevano ormai raggiunto i confini con il Surda.
Lui l’aiutò a scendere dalla groppa del drago che lì accanto a loro si limitò a sbuffare un soffio di fumo.
“Sei libera” disse lui semplicemente “Non hai molto tempo, io non ti posso portare più in là di così, dovrai cavartela da sola, sicuramente troverai qualche pattuglia di ricognizione dei tuoi uomini e allora sarai in salvo”
Nasuada rimase senza fiato, era ancora un gioco, terribile e sadico?
“Perché?”
“Oggi l’Imperatore mi ha ordinato di consegnarti a lui, questa notte voleva passarla con te” ridacchiò “Troverà una bella sorpresa”
“Perché non gli hai ubbidito?”
Murtagh la guardò fissamente. Era molto bella con i capelli scarmigliati dall’aria e il viso arrossato dal volo.
“Non voglio che nessuno ti tocchi, non tollererò che qualcuno ti faccia del male” disse lui semplicemente.
“Perché?” insistette lei con il cuore che le batteva.
“Non so il perché, ti dico solo quello che sto provando, non so cosa sia, non mi è mai capitato”
“Vieni con me da mio padre, lascia l’Imperatore, alleati con noi”
Murtagh rise: “No, non è possibile. Ho giurato fedeltà all’Imperatore nell’antica lingua, è un legame che nessuno può rompere, non lo tradirò e poi non penso che tuo padre sarebbe felice di avermi tra le vostre fila, non ho una buona reputazione tra di voi” rimase pensieroso un istante “In effetti non ho una buona reputazione tra nessuno.Un ultima cosa: non partecipare alla battaglia, non voglio vederti cadere, non voglio ritrovarti prigioniera, scappa e nasconditi in un posto sicuro” aggiunse frettolosamente.
“Tu ci sarai?”
“Certo”
“Ci sarò anch’io, il mio posto è lì”
“Come vuoi… il tuo amico Kaled” proseguì turbato “L’ho ucciso in un duello leale. Non è vero quello che ti ho raccontato. Nei duelli non baro mai e non commetto atrocità con chi si batte con coraggio, lui è stato uno di questi, volevo dirtelo”
“Grazie” sussurrò Nasuada. Sapeva che Murtagh le stava dicendo la verità.
“Ma cosa ti succederà se tornerai dall’Imperatore” aggiunse.
“Non ti preoccupare, lui ha bisogno di me, la punizione sarà lieve”
“Non voglio che ti succeda nulla” disse Nasuada e all’improvviso capì che quello che provava per lui non era solo compassione e riconoscenza. Lei se n’era innamorata, era assurdo anche il solo pensarlo ma era così.
Ci si poteva innamorare di un essere violento, crudele, senza scrupoli o morale, perverso e pervertito?
La ragione le diceva mille volte no, ma pensare che lui potesse soffrire per averla liberata la faceva stare male e ora lasciarlo la faceva sentire disperata, così come sapere che fra qualche giorno si sarebbero dovuti scontrare in battaglia.
Non sapeva come era potuto accadere, ma era accaduto.
Ricordò una frase di lui, forse se fosse cresciuta all’inferno anche lei sarebbe stata un demonio.
“Come puoi dire una cosa simile?” Murtagh era sconcertato “Hai tutto il diritto di odiarmi, di essere felice al pensiero dei miei tormenti, dei miei castighi, hai il diritto ora di sfogare tutta la tua rabbia, non ti biasimerò per questo. Non so cosa mi sta accadendo, so solo che non ho saputo resistere alla luce che mi ha illuminato il cuore quando tu sei arrivata da me, nella mia camera, sola”
“Io penso ti amarti” sussurrò Nasuada.
Murtagh spalancò gli occhi per la sorpresa, ma subito si riebbe: “Non mi devi niente, non ti serve a nulla mentirmi, non so neppure quello che tu vuoi dire”
“Voglio dire che in questo momento il tuo aspetto, le tue parole, i tuoi modi, le tue follie, i tuoi delitti si dileguano e davanti a me appare la tua vera anima, il tuo vero corpo. Nessuno ti ha capito ma io ti capisco, nessuno ti ha mai reso giustizia neppure tu, dentro di te c’è di più di quello che mostri o che pensi”
Si avvicinò e delicatamente lo baciò.
Murtagh rimase immobile, non cercò di abbracciarla né di stringerla a se, per un attimo la sorpresa lo paralizzò, poi ricambiò il bacio con titubanza e meraviglia.
Quel bacio era diverso da tutti i milioni di baci che aveva dato: baci da rapina, baci violenti, baci estorti, baci lussuriosi, baci appassionati, baci stanchi.
Quel bacio era profondo e intimo tanto da fargli male, quel bacio era dolce e fresco e pieno di tante emozioni, che lui cominciava solo da poco a conoscere.
Per un attimo si lasciò andare, perse il controllo della realtà, si sentì in pace con tutta la terra, per la prima volta non pensò a guardarsi alle spalle o ad inganni e tradimenti.
Si accorse di aver chiuso gli occhi, subito li riaprì e vide le lunghe ciglia di Nasuada solleticarlo.
La staccò da lui malvolentieri: “Devi andare non c’è molto tempo”
Nasuada annuì, si voltò e cominciò a correre raggiungendo in breve una macchia di alberi.
Solo quando la sua sagoma sparì, Murtagh balzò in sella a Castigo.
“Ritorniamo a Uru-baen”
“Non prevedo nulla di buono ragazzo, l’Imperatore non sarà per nulla contento di questo, ci siamo ribellati al suo comando.”
“ Non è la prima volta che faccio qualcosa di testa mia”
“Questa è insubordinazione, non la passerai liscia questa volta, non voglio che ti accada qualcosa di male”
“Lo so Castigo, ma ti preoccupi per niente, domani l’esercito si muoverà e io lo comanderò. Per Galbatorix questo è più importante di una ragazza che ormai non aveva più nessuna utilità”

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Capitolo 8
*** La Guerra ***


In questo capitolo sono presenti alcune descrizioni tratte dai libri “Eragon “ ed “Eldest”

LA GUERRA

Murtagh non aveva paura di ciò che gli sarebbe accaduto, era sicuro d’essere indispensabile all’Imperatore e quindi la punizione non sarebbe stata troppo dura.
Quello che sentiva dentro era però più doloroso della paura, era un vuoto pieno di buio. Ripensò al bacio di poco prima e provò di nuovo per un attimo un benessere che lo investì come un’onda improvvisa, ma come un’onda poi si ritirò trascinando con sé quella sensazione benefica.
Nasuada se n’era andata e con lei anche quella piccola luce, che gli sembrava gli si fosse accesa dentro.
La notte era inoltrata quando entrò nel castello.
Ad aspettarlo nel cortile vi era un manipolo di guardie imperiali.
Il capitano gli si avvicinò: “Cavaliere ho l’ordine di accompagnarti immediatamente dall’Imperatore”
Murtagh non potè fare a meno di notare come queste parole fossero pronunciate con gusto e soddisfazione dal graduato.
Sorrise amaramente tra se. Gli avvoltoi già roteavano sopra la sua testa. Si era già sparsa la voce che Galbatorix fosse in collera con lui.
“So dove si trova l’Imperatore, non è necessario che mi accompagni” mormorò freddamente.
“L’Imperatore me lo ha ordinato” replicò il capitano un po’ sorpreso dalla calma di Murtagh; avrebbe goduto nel vedere sul suo viso finalmente un po’ della paura, che era solito infliggere agli altri.
“Come vuoi”
Si incamminò lungo i corridoi verso la sala del trono, ma la guardia lo fermò.
“L’Imperatore ti aspetta nei suoi appartamenti”
Riuscì a mascherare la sorpresa e dal suo viso non trapelò nulla.
Quando il soldato lo fece entrare, la sua sorpresa aumentò.
Galbatorix era seduto sul suo scranno e accanto a lui c’era Durza.
Il capitano fu rapidamente congedato.
Murtagh rimase in piedi immobile con il capo basso e gli occhi a terra, ma con tutti i sensi all’erta. Percepiva una tensione nell’aria simile ad una scarica elettrica.
Il silenzio si protrasse per lunghi minuti.
“Cosa è successo?” chiese Galbatorix con voce calma e quasi suadente, “Ti aspettavo con la ragazza”
Murtagh rimase in silenzio.
Fu l’Imperatore a continuare.
“L’hai uccisa, le hai fatto del male dopo che ti avevo chiesto di averne riguardo?”
“No mio signore, la ragazza sta bene”
“E allora dov’è? Non è nei suoi appartamenti né nel tuo harem”
“ No, infatti”
“Aspetto una spiegazione”
“Prima che calasse la sera l’ho portata con me fuori dalla città, nei pressi del confine l’ho lasciata libera”
“Perché?”
“Non volevo dividerla con nessuno”
“Cavaliere tu sei pericoloso, sei inaffidabile, sei un traditore” sibilò Durza, “Hai disubbidito all’Imperatore, hai liberato un ostaggio di tua iniziativa, dove vuoi arrivare ancora?”
Murtagh non aveva sollevato la testa, ma si accorse che Galbatorix si stava alzando.
Non fece nessun movimento quando l’Imperatore gli si accostò, tanto da poterne sentirne il fiato sul collo.
“Abbiamo diviso tutto tra noi, mi fidavo di te più di chiunque altro e proprio tu mi hai tradito” sembrava ci fosse dolore nella sua voce.
“Non ti ho tradito mio signore, sono tornato, domani condurrò il tuo esercito alla guerra, combatterò per te come ho sempre fatto, se sarà necessario morirò per te”
“Come posso fidarmi, ti ho dato un ordine e tu lo hai ignorato. Perché non hai voluto condividere quella donna? Era più importante di me?”
Murtagh rimase zitto, non si era mai posto quella domanda.
“No” rispose con incertezza, “Ma era mia”
“Non c’è mai stato tra noi un mio e un tuo” rispose con irritazione Galbatorix.
Ad un tratto Murtagh sentì la sua mente invasa da un’altra presenza, la conosceva, era l’unica che potesse leggere i suoi pensieri. Cercò di nascondere il ricordo del bacio, il rammarico per quella luce che non brillava più nel suo intimo, ma le lunghe dita mentali non gli lasciarono scampo, entrarono con forza nei suoi pensieri e nei suoi ricordi, scardinarono le sue difese senza sforzo e lessero ogni cosa.
Quando la mente dell’Imperatore lo lasciò, si sentì pervadere da una spossatezza invincibile. Lui lo guardava con astio, come non lo aveva mai guardato.
“Così ti sei innamorato” sputò con disprezzo “Di quella puttana, ti sei fatto irretire da quella smorfiosa. Mi hai mortalmente deluso, dopo tutto quello che ti ho dato, ti sei fatto abbindolare da una piccola strega. Riceverai il castigo che ti meriti per questo, un castigo pari alla gravità della tua colpa. Ci penserà Durza”
“Durza?” rispose debolmente Murtagh. Non era possibile che il suo signore lo lasciasse in balia di quel verme schifoso.
Durza aveva sul viso una smorfia, che forse era un sorriso di trionfo.
“Non farmi questo mio signore” mormorò Murtagh.
“E’ ora che impari ad ubbidire, ho sopportato anche troppo le tue insolenze, quello che hai fatto oggi però supera ogni limite. Ed ora siedi” gli indicò una sedia di legno massiccio.
Si sedette senza opporre resistenza. Sarebbe stato del tutto inutile.
Poi Durza entrò in azione: si avvicinò e gli mise le dita scheletriche e gelide sulle tempie. Un orrore indescrivibile scese come una valanga dentro di lui. Buio, terrore, angoscia, panico lo investirono. Urlò e continuò ad urlare finché la gola gli si seccò. Durza riempiva la sua anima di buio e toglieva la vita; lui ne morto ne vivo si cibava dell’energia di coloro che vivevano e in cambio dava loro un po’ del suo mondo di terrore. Murtagh si rendeva conto vagamente di urlare, di dibattersi inutilmente, di piangere per la disperazione. Quello che tra tutto quell’orrore lo sconvolgeva di più era la consapevolezza che Galbatorix lo stesse osservando senza nessuna emozione, anzi con un sorriso di soddisfazione sulle labbra.
Lui era il suo maestro, il suo mentore, come poteva lasciarlo nelle mani di una creatura così immonda come Durza? Come poteva lasciare il suo Cavaliere in balia di quello Spettro?
Stordito e semisvenuto riuscì ad afferrare le parole che i due si scambiarono.
“Ora basta Durza, così lo uccidi”
“Potrei farlo, il bastardo ti ha tradito e lo farà ancora, è infido come un serpente, te l’ho sempre detto”
“Ho bisogno di lui, ho bisogno di un Cavaliere in battaglia, mi è indispensabile”
“Ancora per poco mio signore, se ci porterà Eragon e Saphira, non avrai più bisogno di lui”
L’Imperatore annuì: “Piegherò Eragon al mio volere, lo obbligherò a giurarmi fedeltà, poi ti potrai divertire con Murtagh. So di poter contare sulla sua fedeltà, me l’ha giurata nell’antica lingua ma non sopporto più il suo atteggiamento arrogante e le libertà che decide di prendersi appena gliene lascio la possibilità. Quando non sarà l’unico Cavaliere ai miei servizi, non mi sarà così indispensabile e allora potrai farne ciò che vuoi”
Il sorriso di Durza era raccapricciante.
“Gli farò passare la voglia di fare il superiore”
“ Dovrai solo farlo diventare più docile e meno arrogante ed orgoglioso, so che è tra i tuoi divertimenti preferiti, ti lascerò questo piacere, te lo sei meritato, ma prima devo avere il giovane Eragon”
“ Speriamo che non sia come suo fratello: testardo e disubbidiente”
“Sono fratelli quindi tutto è possibile, ma Eragon da quanto mi hanno riferito i Gemelli, è molto diverso”
Murtagh sentì tutto, anche se i due parlavano a bassa voce, sicuramente convinti che fosse incosciente.
Fratello di Eragon? Non era possibile, cosa c’entrava lui con quel insipido ragazzetto.
Ma sapeva che Galbatorix non si era mai sbagliato e così doveva essere.
Così era lui il figlio che sua madre era andata a partorire lontano dal castello di Morzan, per proteggerlo. Lo odiò per tutto quello che il fato aveva voluto risparmiargli, ma lo odiò ancora di più perché l’Imperatore lo voleva al posto suo.
E così l’unica persona alla quale si era sempre dimostrato fedele, era disposto a disfarsi di lui come di un vestito vecchio.
Il dolore dentro al petto si fece più acuto, non era Durza, ma qualcosa di diverso: la delusione profonda di chi perde l’unica fonte di fiducia e certezza, di che perde l’unico motivo per credere in qualcosa o in qualcuno.
Sentì l’Imperatore avvicinarglisi e con un gesto apparentemente affettuoso, scompigliargli i capelli sudati.
Sentì la sua voce chiamarlo, aprì gli occhi.
“Spero ti sia servito da lezione, ora mio Cavaliere il tuo servo di porterà nelle tue stanze, riposa, domani mi servirai nella tua forma migliore” gli sorrise amabilmente e Murtagh si chiese se per caso non avesse sognato il discorso di poco prima tra lui e Durza.


2. Dietro di lui l’esercito rumoreggiava come il mare in tempesta: piedi pesanti nella polvere, cavalli scalpitanti, armi sfoderate.Tra poco la battaglia avrebbe avuto inizio.
Di fronte a loro, Ajihad aveva disposto i suoi uomini.
Murtagh si trovava nella retroguardia dell’immenso esercito che Galbatorix aveva schierato. Il suo compito e quello di Castigo era di aspettare che la battaglia procedesse e poi sul finale di piombare come un fulmine improvviso: uccidere quanti più nemici poteva, distruggere, ma soprattutto trovare Eragon e ingaggiare con lui un duello. Lo avrebbe sicuramente sconfitto e allora avrebbe dovuto portarlo con la sua dragonessa a Uru- Baen per consegnarli vivi all’Imperatore. Questa era la sua missione.
I cavalli ansavano eccitati dai rumori e dall’atmosfera, gli uomini calavano sul viso le celate degli elmi. Ormai mancava pochissimo, erano gli ultimi minuti di calma quasi irreale che precedevano l’azione. Fra poco non ci sarebbe stato tempo di pensare, ci sarebbe stata solo l’eccitazione della carica e poi il rumore sordo dello scontro: sangue, urla e la volontà implacabile di farsi avanti a tutti i costi.
Dedicò il suo ultimo pensiero a Nasuada; finora si era costretto a non ricordarla, ma ora sentiva che per un attimo poteva permettersi quella debolezza, sperò ardentemente di non doverla incrociare in battaglia, era pronto a tutto anche a morire, soprattutto a morire, ma non a rincontrarla con le spade in pugno.
Quel giorno avrebbe combattuto come non aveva mai fatto prima, ma non per l’Imperatore che lo aveva tradito, non per il suo Signore che dopo la vittoria lo avrebbe dato in pasto a quel mostro di Durza; avrebbe combattuto per sé, solo per sé, per essere ricordato come un grande guerriero, il più grande tra tutti i Cavalieri.
Ecco la tromba che annunciava la carica; si trovò ad urlare ai suoi uomini e a trattenere Castigo che infiammato, avrebbe voluto subito lanciarsi in volo.
Finalmente giunse anche il loro momento, avvertì il vento sul viso, le squame rosse di Castigo sotto le mani e poi ci fu la battaglia.
Castigo volava radente il suolo, sputando fiamme infuocate che incenerivano uomini e macchine da guerra, il terrore alla loro vista era dilagato tra i Varden e tra i Nani.
Dietro la celata Murtagh sogghignò.
“Avanti Castigo facciamo vedere a tutti quanti che non esiste solo Eragon e Saphira, ci siamo anche noi e siamo molto più forti di loro. Dovranno piangere tutti e tremare davanti a noi, saremo veramente un castigo per chi ha deciso di mettersi tra noi e il piccolo Eragon e la sua dragonessa.”
“Non ti preoccupare ragazzo, nessuno è in grado di batterci, chi ci proverà se ne pentirà”
“Ricordati la nostra missione. Catturare Eragon e Saphira vivi, mi raccomando”
“ Non ti preoccupare, so quando è il momento di fermarmi. Sento però che la tua mente non è completamente concentrata sulla battaglia, cosa c’è che ti preoccupa?”
“Nulla”

In realtà Murtagh non aveva raccontato al suo drago, niente di ciò che era successo al suo ritorno dopo aver liberato Nasuada; tantomeno il discorso che aveva percepito tra Galbatorix e Durza. Non voleva che Castigo si preoccupasse per lui.
Castigo emise un sordo brontolio, quello tipico di quando non era per niente convinto di qualcosa.
“Non ti preoccupare, va tutto bene, ora concentriamoci sulla battaglia, fra poco dovremmo avvistare Eragon”
D’improvviso sembrò che la battaglia si fermasse e che tutti i suoni cessassero, tamburi cominciarono a battere cupi e da dietro all’altura che li celava comparve Castigo rosseggiante, tanto da sembrare circondato da fiamme e sulla sua sella Murtagh, rivestito da un armatura splendente.
“Piccolo mio guarda” la voce di Saphira raggiunse Eragon che era impegnato ad eliminare con la magia uno degli stregoni nemici.
Quando il ragazzo girò la testa non volle credere ai suoi occhi, eppure aveva sempre saputo che quel momento sarebbe giunto, fin da quando Murtagh era apparso in qualità di messaggero e aveva rivelato, tra la sorpresa di tutti, di essere un Cavaliere. Un cavaliere doveva necessariamente avere un drago. Una delle uova si era schiusa per lui e ciò che ne era uscito, ora era davanti a loro: un drago color del rubino, un poco più piccolo di Saphira, ma più robusto e poderoso.
“E’ arrivato il nostro momento Saphira, sei pronta?”
“C’è da chiederlo, non vedo l’ora di poter affrontare il traditore, colui che ha rinnegato il nostro onore , colui che serve l’uccisore dei nostri progenitori”
“Allora andiamo, ma stai attenta, Murtagh è stato addestrato da Galbatorix, non sarà un avversario da sottovalutare e neppure il suo drago”
“ Ma tu sei stato addestrato da Brom e da Oromis e io ho avuto Glaedr come maestro, non ti preoccupare piccolo mio”

Il tempo era fuggito in un balenio di immagini, rumori, urla, dolore e soprattutto sangue. Ed ora Eragon e Saphira erano bloccati dalla magia di Murtagh.
Dopo averli entrambi ridotti all’impotenza, Murtagh si era impossessato di Zar’roc e aveva pronunciato quelle parole inaccettabili.
“Siamo fratelli, mi dispiace ma anche nelle tue vene scorre il sangue del primo tra i Rinnegati, il sangue di Morzan; non sei meglio di me, non più ormai”
“Quello che ci qualifica è quello che facciamo, non il sangue che ci scorre nelle vene”aveva urlato Eragon, ma Murtagh sembrava non averlo neppure sentito.
Poi in modo del tutto inaspettato era risalito sul suo drago che sbuffava fumo e aveva riso di lui, prima di andarsene.
“Se è vero ciò che dici mi mostrerò clemente con te. Galbatorix mi ha ordinato di tentare di portarvi ad Uru-baen, vi vuole vivi, il suo sogno è costituire nuovamente una stirpe di Cavalieri. Dirò che ho tentato e così ho fatto. Ti voglio dare una nuova occasione Cavaliere, ma dovrai fare molto di più di quello che hai fatto oggi, se vuoi battermi e la prossima volta non sarò più così generoso”
In un batter d’occhio il drago rosso era sparito tra i fumi della battaglia ed Eragon e Saphira si erano finalmente sentiti liberi dai legami della magia, che li immobilizzavano.
Erano entrambi spossati, le numerose ferite sanguinavano indebolendoli ancora di più.
“Devo recuperare un po’ di energia, altrimenti non riuscirò neppure a curarti”
“Non ti preoccupare per me, posso resistere”
“Per quale motivo, secondo te, ci ha lasciati andare, perché non ha portato a termine la sua missione?”
“Non lo so, la sua mente è chiusa ermeticamente, non mi è stato possibile carpirne neppure la più piccola emozione”
“Non sarà stato sicuramente per pietà o per generosità come ha cercato di farci credere, ci deve essere qualcos’altro”

Intanto Murtagh stava sorvolando il campo di battaglia, allontanandosi dall’epicentro degli scontri.
“Che cosa è successo si può sapere? Hai di nuovo disubbidito all’Imperatore, questa volta non potrai cavartela così facilmente, la nostra missione era di vitale importanza e tu li hai lasciati andare quando ormai erano in nostro potere, perché? E poi cos’è questa storia che tu ed Eragon siete fratelli? Da dove ti è uscita questa invenzione e per quale scopo?” Castigo era furente, la sua voce un ringhio trattenuto a stento.
“E’ successa una cosa che non ti ho riferito”
Murtagh raccontò velocemente ciò che Galbatorix e Durza si erano detti, mentre lo credevano incosciente.
“Capisci, se portiamo Eragon e Saphira a Galbatorix, lui avrà un altro cavaliere al suo servizio e l’unico drago femmina che esiste al Alagaesia. Basterà farla accoppiare con Shruikan e avrà una nuova covata. A quel punto noi non saremo più indispensabile, sai cosa significa?”
“Credo di cominciare a capire, ma Galbatorix ti chiederà perché non hai ubbidito ai suoi ordini”
“Dovrà imparare a dare ordini più precisi, se vorrà essere ubbidito”



3. Eragon e Saphira stavano sorvolando il campo di battaglia che nel frattempo era quasi cessata, cumuli di cadaveri ricoprivano il campo, il terreno era una fanghiglia insanguinata, gemiti, urla, grida rompevano l’aria tetra e pesante. Solo qualche gruppetto di armati continuava lo scontro. Ad un tratto l’attenzione di Eragon fu richiamata da un manipolo di soldati che cercavano di resistere, di fronte alla furia di un cavaliere nero.
Con apprensione Eragon si accorse che Nasuada comandava quel manipolo e che era proprio lei, ricoperta dalla sua leggera armatura e con la sua spada affilata e sottile come la falce della luna, che stava combattendo contro l’avversario coperto da una armatura oscura.
“Dobbiamo andare a soccorrere Nasuada, non può resistere ancora per molto”
Saphira cercò di dare fondo a tutte le sue energie, quelle che le erano rimaste.
Atterrò poco lontano da dove si stava svolgendo il duello, dietro ad una piccola altura dalla quale uscivano fumi maleodoranti, per rimanere celati alla vista dei duellanti.
Eragon riconobbe immediatamente nell’avversario di Nasuada, lo Spettro Durza, non lo aveva più dimenticato dal loro ultimo scontro a Gil’ead.
Al braccio portava un piccolo scudo rotondo anch’esso nero e un mantello di pelle di serpente gli ricadeva sulle spalle, i suoi capelli rossi svolazzavano come fiamme dell’inferno intorno al suo viso scarno e cadaverico, distorto da un ghigno malevolo.
Gli uomini del drappello di Nasuada giacevano intorno ai due contendenti, morti. Lei cercava di resistere, ma Eragon capì che era allo stremo delle forze e che Durza era un avversario troppo forte per lei.
In un attimo la spada della ragazza fu scagliata lontana e Nasuada si trovo ansimante e disarmata di fronte al suo nemico.
“Eccoci di nuovo a tu per tu, Lady Nasuada, ora sarai finalmente mia” sibilò Durza.
“Non mi avrai mai” Nasuada estrasse rapidamente un coltello dalla cintura e se lo portò alla gola, ma Durza fu più veloce di lei, sussurrò alcune parole e il coltello volò lontano, scaraventato via dalla magia.
“Non fare troppo la schizzinosa, so che con Murtagh non lo hai fatto, penso di meritarmi almeno lo stesso trattamento, non ti pare”
Nasuada si guardò attorno disperata, non poteva permettere che succedesse di nuovo, che di nuovo venisse presa prigioniera.
“E’ inutile che cerchi qualcuno, nessuno verrà ad aiutarti e Murtagh è occupato altrove, deve portare a termine la missione che l’Imperatore gli ha affidato”
“Ti sbagli, qualcuno c’è “ Eragon uscì dal nascondiglio, in mano aveva una spada insanguinata presa al cadavere di un soldato, dietro di lui troneggiò la sagoma di Saphira.
“Che ci fai tu qui, Murtagh aveva il compito di catturare te e il tuo drago. Quell’incapace ha fallito di nuovo” un sorriso agghiacciante gli stirò le labbra sottili “vorrà dire che toccherà a me occuparmi di voi due, non ci metterò molto”
Eragon impugnò con entrambe le mani l’elsa della spada; il fendente con cui Durza colpì la lama che Eragon portò in posizione di parata, fu così potente da rischiare di mandarla in frantumi.
“E’ troppo forte Saphira e io non ho più energie, ma non ho scelta se non quella di affrontarlo”
“Ti darò tutta l’energia che mi è rimasta, non è molta ma ti aiuterà, forza piccolo non disperare”

Eragon avvertì improvvisamente un aumento delle forze che prima si stavano spegnendo, con rinnovato ardore parò i fendenti che in rapida successione Durza gli stava infliggendo, costringendolo ad arretrare.
“Spero che non usi la magia, non potrò reggere su quel piano” pensò rapidamente Eragon.
Ad un tratto l’attenzione di entrambi fu attirata da un ombra che improvvisamente oscurò il cielo. Alzando gli occhi videro un drago rosso planare poco lontano da loro, sulla sua sella sedeva un cavaliere.
“Murtagh, cosa ci fai qui, il tuo compito era quello di catturare questo inetto e il suo drago e portarli a Uru- baen, non dirmi che hai di nuovo disubbidito all’Imperatore? Se è così, hai segnato la tua fine, mi divertirò con te a palazzo, ora ho un compito da portare a termine, non ci metterò molto. Siete veramente fratelli voi due, entrambi orgogliosi e arroganti ma in fondo così deboli e incapaci. Lady Nasuada è qui, anche lei in mio potere, vuoi assistere a come mi divertirò con lei?”
Murtagh lanciò un occhiata alla figura che era accasciata a terra, Durza non stava bluffando, riconobbe Nasuada solo sfiorandogli la mente; perché non gli aveva dato ascolto, perché aveva deciso di affrontare la battaglia?
Nasuada alzò la testa, scorse Castigo e riconobbe Murtagh, nel cavaliere ricoperto dall’armatura.
“Ti prego Murtagh, aiuta Eragon” si alzò urlando.
Durza allargò il palmo della mano nella sua direzione e una luce accecante se ne sprigionò, colpendo Nasuada che cadde a terra priva di sensi.
Murtagh fece per scendere da Castigo, ma si trattenne. Rimase immobile ad osservare il duello.
Eragon sentiva svanire rapidamente anche quel briciolo di forza che Saphira gli aveva donato. Gli occhi gli bruciarono, lacrime silenziose gli scorsero sulle guance impolverate. Non era giusto che tutto finisse così, che con lui morissero tutte le speranze di Alagaesia, ma non aveva nessuna possibilità: anche se fosse riuscito per miracolo a sconfiggere Durza, rimaneva sempre Murtagh che sembrava aspettare solo il suo turno per attaccare.
Sotto un ultimo fendente, inciampò e cadde nella polvere, la spada era divenuta troppo pesante anche solo per essere sollevata.
Durza incombeva su di lui, con i suoi occhi rossi e il suo ghigno crudele, pregustando già la sua sconfitta. Lo avrebbe intrappolato con la magia e condotto a Uru-baen e Saphira sarebbe stata costretta a seguirlo.
Ad un tratto una sferzata di energia raggiunse Eragon, inaspettatamente.
“Muoviti, colpiscilo ora” una voce raggiunse la sua mente.
Non perse tempo a riflettere, la spada gli sembrò leggera e il colpo che piantò nel cuore di Durza una cosa ovvia e naturale.
Durza spalancò gli occhi sorpreso. La sua pelle si increspò e divenne ancora più spettrale, finchè si ruppe come una pergamena troppo vecchia, ne uscì un alito fetido e oscuro che si disperse nell’aria. Eragon si alzò ancora intontito.
Guardò Murtagh sbalordito, non poteva sbagliarsi era stato lui a trasmettergli parte della sua energia.
“Perchè l’hai fatto?” urlò stupefatto.
“Lo odiavo, non avrei potuto ucciderlo io, era un alleato potente del mio signore, non avrei mai potuto farlo, sarebbe stato contrario al mio giuramento di fedeltà, hai fatto tu ciò che desideravo da tempo”
Castigo sbattè le ali, e si alzò in volo e Murtagh lanciò un’ultima occhiata al corpo di Nasuada a terra. Non era morta, percepiva la vita dentro di lei, questo era ciò che contava maggiormente.

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Capitolo 9
*** La Trappola ***



LA TRAPPOLA

1.“Dobbiamo ad ogni costo eliminarlo” la voce di Ajihad era calma ma irrevocabilmente ferma.
“Non sarà facile, Murtagh è molto potente, Galbatorix ha avuto modo di addestrarlo bene, conosce la magia e soprattutto ha imparato ad usare le parole che non si possono pronunciare. Non possiamo neppure supporre cosa l’Imperatore abbia scoperto sulla magia segreta, quella che gli Elfi hanno deciso di dimenticare, perché troppo pericolosa” Brom era scuro in volto, nessuno aveva sospettato che Murtagh avesse imparato così tanto e che fosse così potente.
“Non dovete preoccuparvi, quando mi ha sconfitto la situazione era nettamente in suo favore, io e Saphira eravamo stanchi, avevamo combattuto per molte ore, lui era fresco e riposato. Quando ci rincontreremo non mi farò più sorprendere, statene certi”
Eragon si sentiva avvilito, aveva la sensazione sgradevole di aver deluso le aspettative di tutti quanti.
Nessuno naturalmente gli aveva espresso un minimo rimprovero, però ugualmente continuava a biasimarsi nel suo intimo. Le parole appena pronunciate, erano più che altro un tentativo di rassicurare prima di tutto se stesso.
“Arya?” Ajihad guardò la giovane Elfa con una domanda nello sguardo.
“Eragon ha avuto un ottimo addestramento, ma da quello che ci ha raccontato del duello, Galbatorix deve aver progredito moltissimo sulla strada proibita e Murtagh sta seguendo le sue orme. Sono due avversari temibilissimi, non sono sicura che Eragon possa avere la meglio in un nuovo scontro”
Eragon si sentì ferito da quelle parole, proprio Arya era la prima a non avere la minima fiducia in lui? Sentì la delusione e la rabbia riempirgli l’anima.
“So di avervi deluso ma non succederà mai più, avete la mia parola di Cavaliere” pronunciò queste parole con ira mal trattenuta.
“Non ci hai deluso, sappiamo che tu hai fatto tutto quello che era in tuo potere ed è stato molto, Eragon Ammazzaspettri”
“Come mi hai chiamato, Brom?”
“Ti chiamano tutti così ormai”
Arya gli si avvicinò, gli posò una mano affusolata sulla spalla.
“Siamo tutti fieri di te Cavaliere, ma siamo anche preoccupati, nessuno di noi vuole che tu affronti uno scontro che potrebbe determinare la tua sconfitta; se cadi tu, tutte le nostre speranze cadranno con te”
Eragon capì che Arya pensava a lui come al Cavaliere dei Draghi, l’unica speranza per sconfiggere Galbatorix e non come a Eragon, il ragazzo che aveva cercato in mille modi di farle capire il suo amore.
“Devo smetterla di pesare ogni parola che dice Arya come un complimento o un insulto a me, lei cerca solo di trovare le soluzioni migliori affinché i nostri tentativi di abbattere il tiranno, sortiscano i migliori effetti”
L’esercito dei Varden, di Re Orrin e dei Nani era schierato ai confini del Surda. Ci si aspettava che Galbatorix attaccasse proprio da lì, sicuramente non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di eliminare i suoi oppositori e di conquistare il Surda, che ormai non poteva far leva sulla sua neutralità.
“Con molta probabilità cercheranno di entrare da qui” Brom con un dito segnò alcuni punti su di una carta militare.
“Dobbiamo cercare una soluzione per mettere fuori gioco Murtagh, sarebbe un duro colpo per Galbatorix se anche il suo Cavaliere, dopo Durza, venisse sconfitto”
“La regina Islanzadi ha inviato un esercito da Ellesmera in nostro aiuto, sicuramente tra loro ci saranno alcuni sapienti esperti nelle arti magiche, io penso che dovremo aspettare il loro arrivo prima di agire”
“Quando pensi che arriveranno? Sai che l’Imperatore potrebbe attaccarci da un momento all’altro” Aijhad si rivolse ad Arya.
“Tra breve”
“E poi, cosa dovrei fare io?” Eragon si intromise, non gli andava a genio quel discorso.
“Avanti piccolo, sai benissimo che quello che stanno facendo non è per scarsa fiducia nelle tue possibilità, ma per garantirti le maggiori possibilità di successo, non essere arrabbiato con loro”
Saphira intervenne, stava seguendo attraverso il contatto mentale con Eragon, tutto il discorso che si teneva all’interno della tenda da campo.
“E’ necessario che quando tu affronterai Murtagh, abbia l’appoggio di tutti noi, solo in questo modo potrai vincerlo; sebbene potente non è ancora in grado di reggere un confronto con te sostenuto dagli stregoni elfici, da me e da Arya.”
“Cos’hai in mente Brom, io non accetterò mai di combattere in modo sleale, anche se con un verme come Murtagh”
Eragon si accorse che non riusciva a pensare a Murtagh come suo fratello. Riteneva inaccettabile quello che il Cavaliere gli aveva rivelato, sapeva che era vero, lui glielo aveva ripetuto nell’antica lingua, ma la sua ragione si rifiutava di prendere consapevolezza di questa tremenda verità. Quando lo aveva riferito al consiglio, un gelo era sceso su tutti loro, ma poi Aijhad aveva posto fine ad ogni congettura.
“Non importa di chi sei figlio Eragon, ne di chi sei fratello, tu non hai mai dovuto, per tua fortuna, subire l’influsso ne di Morzan ne di Galbatorix, questo ti rende completamente diverso da Murtagh”
“E’ vero” aveva continuato a ripetersi il ragazzo tra se, “mio padre è Garrow, lui mi ha cresciuto e mio fratello è Roran, questa è la mia storia e non ne accetterò un’altra”
Orik a nome del popolo dei Nani gli aveva donato un’ altra spada, forgiata per lui: il metallo brillava di una tenue luce azzurra e sull’elsa uno zaffiro enorme rifrangeva la luce, scomponendola in mille sfumature.
“Zar’roc è tornata nelle mani di un traditore, tu meriti una spada tutta tua, sarai tu a forgiarne la storia, a farla diventare leggenda” gli aveva detto il nano nell’offrirgliela.
Eragon si riscosse e si concentrò sulle parole di Brom: “Non sarà un duello sleale, tu affronterai Murtagh da solo, ma noi saremo accanto a te e interverremo per darti energia o per aiutarti nel caso lui riuscisse a sopraffarti”
“Appunto, questo è sleale!”
“Non abbiamo altra scelta Eragon” intervenne Aijhad “ oppure preferisci essere battuto di nuovo, preferisci cadere tu e Saphira nelle mani dell’Imperatore, preferisci mandare in frantumi tutte le nostre speranze, tutte le speranze di fare di Alagaesia un paese di nuovo libero?”
“Hanno ragione piccolo mio”
“Lo so, so che è giusto così, ma vorrei poterlo battere da solo”
“Forse ci riuscirai, ma è meglio coprirsi le spalle , se tu dovessi avere difficoltà i tuoi amici saranno al tuo fianco per sostenerti, vedila in questo modo”

“D’accordo, accetterò il vostro aiuto, capisco che Murtagh è più potente di me nell’uso della magia, è giusto che accetti tutto l’aiuto che potete darmi, ma dimenticate un particolare”
“Quale?”
“ Murtagh non è uno sciocco, sarà difficile trascinarlo in una trappola, sospetterà di sicuro qualcosa”
“Hai ragione” lo interruppe Brom “ dobbiamo buttargli un’esca”
“Un’esca? Che vuoi dire?” intervenne Aijhad.
“Qualcosa alla quale non possa resistere”
“ Eragon è il suo obiettivo”
“Certo, ma sarà guardingo e non accetterà lo scontro se non quando si sentirà al sicuro, è necessario che qualcosa intervenga e lo faccia agire senza riflettere”
“Hai in mente qualcosa Brom?” Arya lo guardò con un’ espressione pensosa.
“Sì”
Lo sguardo di Brom si andò a posare su Nasuada che per tutto quel tempo era stata in silenzio, inquieta.
“Che hai in mente Brom?” la voce di Aijhad era pericolosamente allarmata.
“Ascoltate, quello che ci ha raccontato Nasuada su come Murtagh l’ha trattata, su come l’ha liberata è sicuramente molto strano, ci ho pensato e non sono riuscito a trovare una ragione, una sola per spiegare il suo comportamento”
“Non possiamo entrare in quel cervello perverso, chissà cosa aveva in mente” sussurrò Aijhad.
“Io penso che tua figlia, sia per lui un richiamo irresistibile e..”
“Brom ti avverto, non pensare neppure di mettere in mezzo mia figlia”
“Padre ti prego lascialo finire” per la prima volta, da quando era iniziata la riunione Nasuada parlò.
“Lei sarà la nostra esca, lei sarà alla testa dei suoi uomini; quando Murtagh e il suo drago entreranno in scena, dovrà cercare di attirare la loro attenzione, fingere di trovarsi in difficoltà, fuggire, allontanarsi dalla battaglia e cercare di condurlo in un luogo isolato dove noi lo attenderemo”
“Non è uno stupido e poi perché dovrebbe seguire Nasuada” Aijhad sentiva che mettere di nuovo a repentaglio la vita di sua figlia, metterla di nuovo nelle mani di quel mostro, era per lui inaccettabile.
“Io penso che Murtagh abbia un certo interesse per te, non è così” Brom si rivolse direttamente alla ragazza.
Nasuada si sentì arrossire, abbassò gli occhi; che poteva dire: non certamente del bacio che c’era stato tra loro, non di sicuro delle parole che lei gli aveva detto; sarebbe apparso a tutti assolutamente assurdo.
“Penso di piacergli” disse.
Aijhad strinse la mano destra intorno all’elsa della sua spada.
“Lo penso anch’io, anche se non posso comprendere cosa significhi per uno come lui; comunque che ne pensi del mio piano, potrebbe funzionare, lui ti seguirebbe se ti vedesse fuggire?”
“Penso di sì, ma non posso esserne sicura”
“Lo penso anch’io, non rinuncerebbe a riprenderti”
“Se voleva Nasuada perché l’ha liberata?” intervenne Eragon, “questo comportamento non ha senso”
“Per come la vedo io Murtagh vuole tutta per se Nasuada, quando la vedrà penserà che potrebbe riprendersela e riportarla ad Uru- baen insieme a te e a Saphira, a quel punto l’Imperatore sarebbe quasi costretto a fargliene dono per ricompensarlo”
“Dovrei ingannarlo?” sussurrò Nasuada.
“Ingannarlo? Non direi che è il termine giusto” re Orrin intervenne sbalordito.
“ E’ una trappola” continuò Nasuada “ e io dovrei farcelo cadere dentro, non è così?”
“ Proprio così” Brom la scrutò con espressione vigile.
“ Io non posso fargli questo, non dopo che mi ha liberata, ve lo state dimenticando tutti ma se non fosse per lui io sarei ancora nelle mani dell’Imperatore e poi ve l’ho detto, lui non mi ha mai fatto del male” Nasuada sapeva che questa era una bugia, ricordava ancora la paura, il terrore e le botte dei primi giorni della sua prigionia, ma ora non riusciva più a collegare quelle orribili sensazioni con Murtagh, ora lui era un altro, ne era sicura.
“Gli stregoni mi hanno assicurato che su di te non è stato fatto nessun sortilegio, altrimenti sentendoti parlare in questo modo penserei che non sei più tu” Aijhad scrutava la figlia ansiosamente.
“ Nasuada capiamo che saresti tentata di essere riconoscente a Murtagh perché ti ha liberato, ma sicuramente avrà avuto le sue buone ragioni, non l’ha fatto per bontà, neppure per pietà, è un mostro, tutte le sue azioni lo stanno a dimostrare e tu come tutti noi le conosci bene: violenze, omicidi, stragi di persone innocenti, stupri … devo continuare? Preferisci che i nostri sforzi falliscano, per non essere sleale con un individuo come Murtagh?”
Nasuada girò intorno lo sguardo, fermandosi sul viso di ciascuno, sapeva che ciò che aveva appena finito di dire Brom, rispecchiava il pensiero di ciascuno dei presenti.
“D’accordo farò ciò che mi direte di fare”


2. Galbatorix era furente, Murtagh non lo aveva mai visto così.
Rimase immobile e apparentemente impassibile di fronte a lui.
“Vuoi dirmi che non sei riuscito a sconfiggere Eragon, che hai fallito la tua missione e che Durza è morto, è questo che stai cercando di dirmi Cavaliere???”
“Mi dispiace ma Durza ha voluto fare tutto da solo, quando sono arrivato, Eragon stava combattendo con lui per difendere Lady Nasuada. Io gli ho detto di lasciare fare a me, ma lui non ha voluto, mi ha insultato, ha detto che poteva benissimo sbrigarsela da solo. Eragon lo ha ucciso, poi sono arrivati Brom e quell’Elfa in suo aiuto e lo hanno portato in salvo, non ho potuto fare niente”
Murtagh guardò diritto negli occhi Galbatorix, diede al suo sguardo tutta la credibilità di cui era capace, per lui era un gioco da ragazzi, si era allenato tutta la vita a mentire e ad ingannare. Sperò che l’Imperatore non decidesse di ispezionare la sua mente, cercò di nascondere i ricordi più compromettenti sotto quelli che avrebbero coinciso con il suo racconto, sapeva però che contro l’Imperatore le sue difese non erano abbastanza potenti, aveva bisogno di Castigo, ma non osava chiamarlo, temeva che Galbatorix se ne accorgesse e si insospettisse.
Era necessario distrarre l’Imperatore.
Si avvicinò maggiormente al suo Signore, solo pochi centimetri li separavano. Con quel suo sguardo chiaro era l’immagine dell’innocenza e del rammarico.
“So di avervi deluso mio Signore” il suo viso assunse un’espressione terribilmente mortificata.
“So di avervi disubbidito, prima con quella ragazza e ora non portando a termine la missione che mi avevate affidato, avrei dovuto tentare e magari morire nel tentativo, ma l’unico motivo che mi ha spinto a desistere è che in questo modo la prossima volta potrò soddisfare tutte le vostre richieste, non vi deluderò più, chiedo il vostro perdono”
Si inginocchiò ai piedi dell’Imperatore, gli abbracciò le ginocchia, si lasciò sfuggire un singhiozzo. Galbatorix rimase immobile per un istante, poi si chinò e lo sollevò.
I loro visi erano vicini, molto vicini.
“Sono sicuro che saprai farti perdonare Cavaliere” un dito andò a carezzare mollemente il contorno del viso di Murtagh e si soffermò delicatamente sulle sue labbra che tremarono a quel tocco.
“Castigo, muoviti, aiutami ad occultare i miei ricordi, sbrigati non ho molto tempo”
“Ti aiuterò come posso”

Murtagh sentì che nuovi muri e barriere si ergevano sui ricordi compromettenti, con l’aiuto di Castigo forse avrebbe potuto ingannare l’Imperatore.
Galbatorix indugiò un attimo sulle labbra del giovane, che le schiuse leggermente. L’Imperatore sorrise lascivamente e con il dito carezzò le labbra al loro interno soffermandosi agli angoli della bocca.
“Cavaliere pensi che io debba fidarmi di te?” la sua voce risuonò sarcastica, ma contemporaneamente melliflua.
“ So di non meritarmi la tua fiducia, scruta nella mia mente ti prego, non potrei sopportare un tuo dubbio sulla mia condotta”
Come uscivano sincere e imploranti quelle parole, con un tono lievemente addolorato.
“Farò quello che mi chiedi, sai bene che la prima regola che ti ho insegnato è ‘Non fidarti di nessuno, neppure di te stesso”
Murgah sentì la mente dell’Imperatore penetrare nei suoi ricordi, cercare avidamente tra gli anfratti dei suoi pensieri. Quasi senza avvedersene si avvicinò anche di più all’Imperatore, come se volesse mettersi completamente nelle sue mani, un sorriso impercettibile errava sulle sue labbra e negli occhi brillava una luce di innocenza mista ad una scintilla di malizia. Proprio quello che piaceva a Galbatorix. I loro corpi si toccavano, la mano dell’Imperatore scese ad accarezzargli la nuca, a scompigliargli i capelli, un fremito attraversò la schiena di Murtagh e strappò un sorriso all’Imperatore.
I ricordi di Murtagh combaciavano con il suo racconto. Distratto dalla vicinanza del ragazzo, dal colore che emanava il suo corpo e dalla sua disponibilità, non scavò in profondità, ma si accontentò di ciò che la mente del cavaliere gli mostrava, sapeva che non vi era nessuno in tutta Alagaesia che sarebbe riuscito a nascondergli qualcosa.
“Bene ragazzo, questa volta devo darti atto di lealtà, non ho trovato tracce di menzogna in te”
Murtagh abbassò leggermente il capo in un cenno di ringraziamento.
Galbatorix gli sollevò il viso con una mano: “Trattieni i tuoi desideri Murtagh, ora sono troppo occupato per soddisfarli, ma non ti lascerò aspettare a lungo ed ora vai a riposarti, domani penseremo al nuovo piano d’attacco”
Murtagh si ritirò nei suoi appartamenti, si gettò sul letto vestito, togliendosi solo la spada, si sentiva spossato.
“ Castigo, è stato solo grazie al tuo aiuto che non si è accorto di nulla”
“Hai rischiato grosso, non so per quanto potrà andare avanti questa storia”
“Non andrà più avanti, la prossima volta sconfiggerò Eragon e lo portarò a Uru-Baen”
“Ne sei sicuro?”
“Certo! Non ho nessun motivo per non farlo, ora che quel lurido verme di Durza è morto. Abbiamo bisogno entrambi di dormire un po’, buona notte”
“Buon riposo ragazzo”

Buon riposo? Era un’utopia pensare che sarebbe riuscito anche solo a chiudere gli occhi.
La sua mente era piena di immagini, di sensazioni ma soprattutto di rabbia e di… Quel brivido che aveva provato sotto le carezze dell’Imperatore e che il suo Signore aveva interpretato come un fremito di piacere, in realtà era stato ribrezzo e repulsione. Si sentiva la gola secca e gli occhi umidi.
Si alzò e bevve del vino, poi andò alla finestra, forse un po’ d’aria l’avrebbe aiutato a respirare meglio.
Solo il suo autocontrollo gli aveva impedito di indietreggiare, di urlargli in faccia il suo disprezzo, il suo disgusto.
Era nei guai, queste emozioni prima o poi sarebbero uscite fuori, Galbatorix se ne sarebbe accorto, per lui sarebbe stata la fine!
Doveva calmarsi! Si sdraiò di nuovo, l’immagine di Nasuada a terra nella polvere, gli fece stringere lo stomaco, l’avrebbe voluta accanto a se, sdraiata al suo fianco, con il suo profumo che rimaneva sulle lenzuola per tutto il giorno e che lui si era sorpreso ad annusare con piacere, appena sveglio. Doveva smetterla con quella storia, ne avrebbe ricavato solo del male. Doveva tornare ad essere quello che era sempre stato, quando tutto era semplice e lineare.


3. L’esercito di Galbatorix stava attaccando e cercando di penetrare nelle linee difensive dei Varden. Erano passate alcune ore da quando la carica era stata impartita, le azioni si erano susseguite rapidamente fino a confondersi.
Muratgh sulla groppa di Castigo sorvolava il campo di battaglia tenendo aperta la mente, cercando di captare anche il più piccolo indizio di Eragon. Dentro la sua testa si confondevano migliaia di emozioni di dolore, paura, rabbia, odio, terrore: le emozioni dei combattenti che si battevano, venivano feriti, morivano.
“Senti qualcosa Castigo?”
“Nulla, forse non è venuto in battaglia”
“No, di sicuro è da qualche parte, dobbiamo scovarlo”
“Se c’è, la sua mente è completamente chiusa”
“Dobbiamo avere pazienza prima o poi si tradirà”

Ad un tratto la mente di Murtagh fu sfiorata da una presenza familiare, girò lo sguardo cercando di localizzarla.
All’ estremità dell’ala destra dell’esercito di Galbatorix, si stava svolgendo uno scontro tra un gruppo di soldati e dei Varden. Nasuada era a capo del manipolo e combatteva senza sottrarsi agli scontri violenti.
“Perché mi fa questo?” mormorò Murtagh tra i denti.
“Cosa?” rispose Castigo.
“Esporsi in questo modo, le ho chiesto di rimanere fuori dalla battaglia, a che scopo l’avrei salvata se poi cerca in tutti i modi di farsi ammazzare?”
“Hai detto che la storia con lei era chiusa, ricordi? Ora il nostro obiettivo è Eragon non scordartelo”
“ Me lo ricordo bene, ma di Eragon non c’è traccia e pertanto finchè non si fa vivo, sono libero di agire come mi pare”

Nasuada alzò la testa e intravide avvicinarsi la sagoma del drago rosso, avrebbe voluto che questo non succedesse, aveva pregato e sperato che Murtagh e lei non si rincontrassero. Invece lui era lì a poca distanza . Chiamò a raccolta i suoi uomini e iniziò una manovra di ritirata.
I soldati dell’Impero li inseguirono. Arrivati ad un bivio, la ragazza con uno strattone trattenne il suo cavallo e mentre i suoi uomini continuavano retrocedere inseguiti dai nemici, lei pungolando la sua cavalcatura con i talloni nei fianchi lo fece scartare e inerpicarsi su una china rocciosa.
“Che cosa sta facendo, è una strada troppo ripida, finirà per uccidersi” nella voce di Murtagh trapelava ansia e irritazione, “stagli sopra Castigo, non voglio che le capiti nulla”
Improvvisamente Nasuada girò il cavallo verso un gruppo di alberi che occupava l’orizzonte sulla destra. Arrivata in prossimità del boschetto lanciò il cavallo al galoppo, cercando rifugio sotto le fronde.
“Vattene, non seguirmi, vattene”
La mente di Murtagh raccolse il pensiero di Nasuada: era una supplica, una richiesta impellente.
“Hai sentito Castigo? Cosa significa?”
“Mi sembra un avvertimento, forse è una trappola!”

Le parole del drago rosse non si erano ancora spente nella sua mente, che un rumore di rami schiantati li fece entrambi sobbalzare. Saphira ed Eragon sulla sua groppa, erano usciti da dietro gli alberi, dove probabilmente li stavano attendendo.
“La ragazza ci ha teso una trappola”
“Non importa, probabilmente è stata costretta e poi ha cercato di avvertirci, comunque ci ha fatto un piacere, cercavamo Eragon e lei ce lo ha portato su un piatto d’argento”
“Stai in guardia ragazzo, ho un brutto presentimento”
“Di che ti preoccupi? Tutto va come deve andare; sai che siamo più forti di loro, Durza è morto e l’Imperatore non potrà più usarlo contro di me, eseguirò i suoi ordini, mi riprenderò la sua fiducia, sarò sempre io il primo Cavaliere”

Saphira si lanciò contro Castigo, i due draghi si scontrarono furiosamente librati in aria, i lunghi e flessuosi colli attorcigliati, le fauci spalancate pronte a dilaniare, le zampe posteriori che scalciando, cercavano di infliggere qualche colpo mortale nel ventre dell’avversario.
“Non usare il fuoco Saphira, sarebbe uno spreco inutile di forze, sappiamo che Murtagh è in grado di proteggersene senza fatica”
“Aggrappati bene piccolo mio, ora voglio sperimentare una mossa che mi ha insegnato Glaedr”

Saphira sgusciò tra le zampe di Castigo con una mossa serpentina, si alzò in volo, sovrastandolo solo di poco e con un colpo d’ali che fece fischiare l’aria, si posizionò dietro all’avversario. Castigo nel tentativo di non farsi attaccare alle spalle, istintivamente si girò, ma per un breve istante scoprì il fianco e il ventre; Saphira fulminea lo artigliò proprio nel punto dove le squame erano più tenere. I suoi artigli penetrarono nella carne lasciandovi una lunga e profonda ferita.
Castigo cercò di mantenersi in volo a fatica.
“Scendi Castigo, ti curo in un attimo”
Toccato terra, Murtagh scese con un balzo avvicinandosi alla ferita, Eragon non gli lasciò il tempo di pronunciare nessuna formula magica ma gli si avventò contro con la spada alzata, Murtagh rispose ai fendenti.
“Lascia che curi Castigo, poi sarò tutto tuo”
“Mi dispiace Murtagh, ma non commetterò lo stesso errore due volte”
Pronunciare queste parole fu un vero dolore per Eragon, capiva perfettamente la preoccupazione di Murtagh per il suo drago, ma si sforzò di restare sordo alla pietà che provava.
“Vedo che i tuoi amici ti hanno forgiato una nuova spada, ma non ti servirà a nulla”
Mormorando a fior di labbra alcune parole Murtagh fece volare via dalla mano di Eragon l’arma, Eragon la richiamò a sé rapidamente.
La lotta continuò implacabile alternando il duello con la spada a quello di magia.
Murtagh era sicuramente più potente, le sue formule magiche erano rapidi ed efficaci, Eragon cominciò a sentire un calo d’energia, ma subito nuove forze gli giunsero dagli stregoni elfici, che stavano poco lontani, protetti dagli alberi. Murtagh si accorse di loro quando intervennero in aiuto del fratello.
“Sei un codardo, ti sei portato degli aiutanti, non è così? Comunque non importa, li eliminerò tutti e ti porterò da Galbatorix”
“Risparmia la voce, fra poco avrai bisogno di tutte le tue forze”
Il tempo passava lentamente, dilatato oltre misura.
Murtagh cominciava a sentire le forze venire meno, nonostante i suoi poteri. Eragon aveva un energia inesauribile e un potere aumentato dall’apporto degli altri. Percepì la mente di Brom e quella di alcuni elfi. Quello che però l’angosciava di più, era percepire il dolore di Castigo, che stava sdraiato su di un fianco, impotente, mentre dalla ferita continuava a scorrere sangue.
“Resisti Castigo, ancora un attimo e sarà da te”
“ Sono in molti, anche per la tua magia sono in troppi e io non ti posso aiutare , mi dispiace ragazzo”
il brontolio del drago divenne quasi un rantolo.
Murtagh sentì mancargli il respiro.
Si scostò meccanicamente i capelli dagli occhi,impastati di polvere e sudore e sangue, si accorse tra la nebbia della stanchezza che i nemici erano usciti dal loro nascondiglio, lo stavano accerchiando e il cerchio si stringeva anche se impercettibilmente sempre di più.
“Arrenditi” una voce ferma e stranamente pacata lo colpì, facendogli girare impercettibilmente il capo. Alla sua destra era apparso Brom.
“Brom, combatti con onore io e te da soli, se ne hai il coraggio, morirò felice dopo averti scannato” rise Murtagh.
Il vecchio scosse il capo.
“Non accetto sfide da te e non parlarmi d’onore, tu che non sai neppure cosa significhi. Tu sei il secondo che cadrà dopo Durza, ma non sei ciò che desidero, quello che cerco è una preda ben più importante di te, quello che cerco è il vecchio lupo non il suo cucciolo”
“Vuoi uccidere Galbatorix? Tu sei pazzo vecchio, oppure questa è una scusa perché hai paura di trovarti faccia a faccia con me?”
“Ragazzo sei presuntuoso e arrogante, come il tuo maestro d’altronde. Eragon saprebbe batterti anche senza il nostro aiuto ma è assurdo rischiare quando in gioco c’è la libertà della nostra terra.”
Un lampo di luce accecante lo colpì facendolo cadere a terra. Cercò di rialzarsi, ma si accorse di essere troppo debole. Sorrise, questa era la fine.
Quanti uomini aveva ucciso?Aveva ormai perso il conto, sicuramente moltissimi ed ora toccava a lui, aspettò con ansia il colpo mortale, ma il colpo tardò a venire e invece ad un tratto arrivò il dolore di uno spasmo atroce di Castigo.
“Castigo, mi dispiace, mi dispiace tanto”
Non era così che doveva andare, furono i suoi ultimi brandelli di pensiero, non era questa la morte che aveva sognato.

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Capitolo 10
*** La Cattura ***



LA CATTURA

1.Erano passati forse tre giorni da che si trovava in quella cella, non sapeva nulla dell’esito della battaglia. Non aveva visto nessuno, se non una guardia che gli aveva portato ad intervalli regolari cibo e acqua, senza proferire parola.
Aveva cercato di fare ricorso alla magia, ma non c’era riuscito, qualcosa gli impediva di prendere contatto con quella parte della sua mente dove erano riposte tutte le formule magiche, qualcosa gli rendeva impossibile usare anche i più semplici “trucchi”. Sicuramente era stato drogato.
Si sentiva inerme senza le sue facoltà, in balia degli eventi, che non poteva neppure riuscire a decifrare o tentare di interpretare.
Poteva dedurre che l’Imperatore avesse perso, altrimenti non si sarebbe trovato prigioniero, ma era un pensiero assurdo.
Forse l’Imperatore si era ritirato e stava meditando una nuova strategia, non poteva neppure pensare che fosse stato definitivamente sconfitto.
Le torce gettavano bagliori nel corridoio e arrivavano ad illuminare debolmente parte della cella. Murtagh seduto sulla panca che gli serviva anche da letto, era immobile, la schiena appoggiata al muro che trasudava umidità. Nella sua mente c’era il vuoto, così come nel suo cuore.
Un rumore impercettibile attirò la sua attenzione. Seguì il silenzio e poi dei passi cauti nel corridoio. Ad un tratto apparve di là dell’inferriata, una figura piccola e minuta coperta da un mantello scuro che si confondeva con il buio del sotterraneo.
La sua voce era un sussurro, ma ancora prima che parlasse, ancora prima che gli comparisse davanti, Murtagh seppe che era Nasuada. Lo seppe dal battito del suo cuore che ad un tratto accellerò e dal suo corpo che contro la sua volontà, si alzò di scatto e si avvicinò alle sbarre. Con uno sforzo si ritrasse, placò il cuore e cercò di ricreare quel freddo dentro di se, che gli era così familiare.
Nasuada si aggrappò con le mani alle sbarre. Il suo viso era segnato dalla stanchezza, occhiaie scure e profonde si disegnavano sotto i suoi occhi.
“Murtagh” la sua voce era un sussurro, “Solo ora sono riuscita a trovare il modo per vederti, mio padre mi fa sorvegliare”
Murtagh sogghignò suo malgrado.
“Sei passata da una prigione all’altra” la beffeggiò.
Lei sembrò non accorgersi del suo tono di scherno.
“Domani sarai giustiziato, io non so come impedirlo, le guardie che mio padre ha messo a vigilarti sono fidate ed incorruttibili”
“Non sei stata tu a mettermi in questa situazione, non sei stata tu a ingannarmi?” sbuffò Murtagh.
Nasuada lo guardò con uno sguardo addolorato.
“Hai ragione, ti ho ingannato, ho dovuto scegliere tra te e tutto il resto: mio padre, la mia terra il mio popolo, la libertà per la quale combatto da tutta la vita.”
“Certo, non devi giustificarti, sono abituato agli inganni ed ora cosa vorresti fare?”
“Vorrei liberarti, come tu hai fatto con me”
“Se questo ti può far sentire meglio, non mi devi niente, non l’ho fatto per poi avere un tornaconto”
“Lo so” rispose timidamente Nasuada.
“Tu non sai niente” la voce di Murtagh era sferzante, “Perché pensi che lo abbia fatto?”
“Dimmelo tu” le parole di Nasuada erano titubanti e timorose.
“E’ stato per il mio desiderio di possesso. E’ sempre stato così: ciò che è mio è mio, non amo condividerlo con nessun altro, non potevo tollerare che qualcosa di mia proprietà passasse nelle mani di quello scherzo della natura di Durza, sarebbe stato inaccettabile”
“Mi hai liberato solo per questo?”
“Per cosa altrimenti?” la schernì.
“Non è vero tu menti, se fosse così perché non mi hai mai fatto del male? Perché non mi hai mai toccata?”
“Te l’ho già spiegato, non mi eccitano le donne come te, mi divertiva di più vederti addormentata accanto a me, con la paura che da un momento all’altro ti avrei assalita. Quello era l’unico eccitamento che sapevi darmi”
Nasuada lo guardò furente.
“E quel bacio?”insistette.
“Il bacio….” Murtagh sembrava non ricordare, poi s’illuminò, “ baci bene. Ed ora scusa ma questa conversazione mi sta annoiando. Non perderti lo spettacolo domani” e con queste parole si girò dandole le spalle, “penso che potremo concludere qui”
“Cosa ti ha fatto Galbatorix?” insistette lei.
Lui si girò lentamente, gli occhi chiari luccicavano nella penombra. Ridacchiava.
“Mi pare di avertelo già detto, a volte le punizioni dell’Imperatore mi risultano più gradite delle ricompense”
Nasuada lo guardò sbalordita.
“Perché fai così?”
“Non dimenticarti con chi stai parlando Nasuada: io sono Murtagh il figlio di Morzan, Cavaliere dell’Imperatore”
Si girò di nuovo e Nasuada seppe che la conversazione era finita.
Si rialzò il cappuccio del mantello, trattenendo a stento le lacrime. Voleva aggiungere qualcosa, voleva poterlo toccare, se fosse venuto vicino forse avrebbe letto la verità nei suoi occhi, ma lui era in fondo alla cella e ciò che lei poteva osservare era solo la sua schiena.
Si era sbagliata?
Il suo cuore aveva preso un abbaglio?
Il sentimento che stava nascendo per lui era solo un’assurdità? Pensare che lui fosse diverso era stata una stupidaggine?
Il suo cuore le diceva di no, assolutamente ed inequivocabilmente, ma la reazione di Murtagh non lasciava dubbi, era quello che aveva conosciuto i primi giorni della sua prigionia: freddo, crudele, senza emozioni ne sentimenti.
Si voltò e se ne andò.
Appena i passi di Nasuada si spensero nei corridoi, da un anfratto in ombra uscì una figura.
Anch’egli si avvicinò alle sbarre della cella.
Senza alzare lo sguardo Murtagh mormorò: “Che ci fai qui Brom?” e il suo tono era glaciale.
“Ho seguito Nasuada e ho ascoltato il vostro discorso”
“Non ho avvertito la tua presenza”
“Lo so, la tua magia è tenuta sotto controllo da una droga”
“Me ne sono accorto, che è successo all’esercito dell’Imperatore?”
“Abbiamo ottenuto una vittoria schiacciante. Galbatorix è fuggito, nessuno sa dove per ora, però non potrà sfuggirmi per sempre. Come vedi il tuo signore ti ha abbandonato al tuo destino. Sei stato sfortunato, il maestro che hai avuto è stato un cattivo maestro”
Murtagh sorrise malignamente.
« Ho avuto il maestro che meritavo »
“Spesso i nostri meriti non c’entrano, entra in gioco la fortuna”
“E allora diciamo che non sono stato fortunato, non ho potuto scegliermi ne il padre ne il maestro, ma non rinnego ciò che ho fatto”
“Dovresti, se ti rimanesse un po’ di umanità”
“Sono quello che sono” rispose bruscamente Murtagh, con un gesto di fastidio, “cosa sei venuto a fare, non mi pentirò della mia vita, non chiederò pietà ne perdono”
“Non sono venuto per questo”
“E allora che vuoi?”
“Volevo sapere cosa c’era tra te e Nasuada”
La risata di Murtagh avrebbe voluto essere sprezzante, ma si ruppe debolmente.
“Puoi scrutare i miei pensieri”
“Sì, ma non lo farò se tu non vuoi”
“Non voglio”
“Non ne ho bisogno comunque, mio giovane cavaliere, hai ingannato lei ma non me”
“Che vuoi dire?” Murtagh era sulla difensiva.
“E’ stato facile per me percepire cosa provi in realtà per lei”
“Non sai nulla vecchio. Tu non mi conosci”
“E’ vero, per questo ho seguito Nasuada. Mi sono accorto che lei prova qualcosa per te ma non riuscivo a concepire come fosse potuto accadere. Volevo capire meglio. Non riuscivo a concepire come LEI potesse provare qualcosa per un essere come te. Sono stato stupido, sono caduto nell’errore più madornale, il primo che tentiamo di estirpare dalla mente dei nostri allievi: nessuna realtà è mai tutta bianca o tutta nera. Ognuno di noi è un impasto che dà origine a milioni di sfumature. Nasuada ha scorto in te, ciò che tu stesso non sai di avere”
“Basta sciocchezze” sbuffò Murtagh “lasciami morire in pace e vattene. Non dimenticare con chi stai parlando”
“Me ne vado, ma la tua sceneggiata di poco fa, è la prova che l’Universo ti ha voluto fare un grande regalo: conoscere l’amore prima di morire. Ho percepito chiaramente che le tue parole erano false, dettate unicamente dal desiderio che lei ti giudicasse un essere abietto e non soffrisse vedendoti morire e ti dimenticasse in fretta. Ho percepito chiaramente, nascosto sotto il tuo atteggiamento sprezzante, il tentativo di proteggerla dal dolore e il desiderio di abbracciarla e di tenerla stretta. Questo mi ha fatto capire che anche in un individuo corrotto come te, ci può essere un soffio d’amore”
Murtagh si avvicinò alle sbarre e le strattonò con rabbia.
“Un regalo dell’Universo dici? Ti sbagli, questa è stata una punizione”
“L’amore non è mai una punizione”
“Invece sì. L’odio ti rende forte, l’amoralità ti permette di osare ogni cosa, la crudeltà soddisfa ogni tuo desiderio senza coinvolgimenti. L’amore rende deboli. Odio sentirmi così, a causa dell’amore ho tradito il mio imperatore ed ora temo il domani per lei, temo il suo dolore, mi è insostenibile pensare che possa soffrire. Ero inattaccabile, ora sono debole e spaventato”
“ Ti sbagli Cavaliere, prima eri una marionetta legata a dei fili, ora sei un uomo libero.Una scintilla piccolissima brilla in te, dovresti morire contento”
Brom fece il gesto di andarsene, poi si girò : “ Avresti potuto essere un bravo Cavaliere”
“Io sono un Cavaliere, non scordartelo”
“Tu sei stato solo una pedina nelle mani di Galbatorix. Ti ha solo usato. Quando non gli saresti più servito ti avrebbe gettato via”
Murtagh girò il viso di scatto. Brom aveva ragione, ma in fondo non era così che funzionava la vita? Non era tutto un utilizzarsi a vicenda, pronti a sacrificare ciò che un momento prima era necessario, se mutavano le condizioni?
Lui aveva sempre agito così, tutti coloro che conosceva avevano sempre agito così. C’era forse un modo diverso di vivere?
Ripensò a Nasuada: con lei quella regola non aveva funzionato, non era riuscito a metterla in atto, perché?
Era questo ciò che chiamavano amore?
Non l’avrebbe mai saputo: l’indomani tutto sarebbe finito.
Non rimpiangeva nulla della sua vita, non era pentito, era ancora convinto che il mondo fosse un posto oscuro dove bisognava addentrarsi guardinghi e attenti ma senza paura, prendendo tutto il possibile e dando il meno che si poteva.
Solo quando pensava a Nasuada la sua fede incrollabile sul senso della vita, vacillava e le sue certezze diventavano dubbi. Solo con lei si era sentito insicuro e nello stesso tempo tranquillo, come non lo era mai stato.
Brom lo scrutava, lui gli voltò le spalle scocciato. Non avrebbe tollerato che potesse leggere sul suo viso o nella sua mente, quello che sentiva in quel momento.
“ Se solo avessi avuto un maestro diverso, avresti visto la vita con occhi diversi”
“E’ inutile stare a parlare di cose che non si possono cambiare, io sono quello che sono, se potessi uscire di qui e sfidarti, ti ucciderei senza neppure pensarci un attimo”
“Non lo metto in dubbio” sospirò Brom.
“E tu vuoi dare la caccia a Galbatorix ed ucciderlo?”
“Sì, lo scoverò e lo ucciderò”
“Sei troppo sicuro di te, Galbatorix è il miglior cavaliere di tutta Alagaesia, nessuno può rivaleggiare con lui”
“E’ vero, ma giungerà il momento in cui Galbatorix pagherà per tutto il male che ha fatto”
Murtagh sbuffò sogghignando: “ Belle parole, raccontale a Eragon, forse lui ci crederà, ma non dirle a me. Sappiamo entrambi che lui è fuggito per farsi inseguire da te. Ti affronterà sul suo terreno, quando vorrà e nel modo che riterrà vincente e tu morirai”
“Hai molto da imparare giovane Cavaliere, peccato che tu non ne abbia il tempo” scosse la testa, sembrava realmente rattristato.
“Un’ ultima cosa” la voce di Murtagh si velò di dolore.
“Dimmi”
“Che ne è di Castigo?”
“I nostri guaritori stanno cercando di curagli la ferita, ma quando tu morirai per lui sarà la fine. Noi umani riusciamo a sopravivere alla morte del nostro drago, sebbene la ferita della loro perdita non si rimargini mai, ma loro muoiono senza di noi”
Murtagh strinse i denti.
Brom lo guardò e nei suoi occhi brillò per un attimo della pietà, sapeva bene come doveva sentirsi il giovane in quel momento, poi se ne andò.
“Spero che tu trovi Galbatorix .Ti ucciderà e vincerà ancora lui” gli gridò Murtagh dalle sbarre e nel suo grido c’era rabbia e dolore.


2.Era una bella mattina per morire, il cielo dopo giorni di pioggia e di intemperie era tornato sereno. Il Surda era un paese magnifico, ma quello non era il momento adatto per ammirare il paesaggio. Murtagh con i ceppi alle mani camminava lentamente, circondato dalle guardie scelte di Aijhad. Intorno a lui una folla scalmanata sbraitava e urlava insulti. Le guardie faticavano a tenere a bada la gente che avrebbe voluto arrivare a lui, per potersi fare giustizia da sola.
Il sole, l’aria calda, il cielo azzurro, i profumi portati dal vento, le urla e gli insulti della folla, il peso delle catene ai polsi, tutto questo non toccava, se non marginalmente, Murtagh.
Non aveva paura, aveva sfidato la morte troppe volte per averla, oggi che il giorno era giunto era quasi una liberazione. La sua forza risiedeva nel fatto che per lui, a diversità di quasi tutti gli esseri umani, la morte non era un evento temibile: era solo uno dei moltissimi avvenimenti che potevano capitare e che bisognava mettere in conto.
Guardò con uno sguardo di disprezzo quella folla puzzolente che si accalcava accanto: non c’era nessuna emozione nel suo cuore. Il pensiero di Nasuada l’aveva racchiuso nel più profondo del suo animo e lo aveva scacciato dalla sua mente, così come il dolore per Castigo. Si accostava al patibolo come si sarebbe accostato ad un banchetto.
Gli fecero salire alcuni scalini di legno. Il ceppo dove avrebbe appoggiato la testa era al centro del palco. Il boia con la spada sguainata era pronto.Gli seccava dover morire in ginocchio, ma in fondo non aveva molta importanza. La sua testa tra qualche minuto sarebbe stata impalata in cima al una lancia e si sarebbe seccata lentamente al sole.
Davanti al palco, sopra le prime mura del castello, vide Aijhad circondato dai suoi fedeli. Quando si accorse della presenza di Nasuada, distolse gli occhi, ma la sua mente percepì un’ondata di dolore provenire da lei, che quasi lo fece barcollare.
La voce di Aijhad si alzò sopra il tumulto.
“Murtagh figlio di Morzan, per i tuoi crimini contro il popolo di Alagaesia noi ti condanniamo a morte per decapitazione.Quello che oggi è la tua sorte, ben presto sarà anche quella del tiranno Galbatorix, che vigliaccamente è fuggito. Che questo ti possa far comprendere quale codardo hai servito finora. La battaglia è stata vinta. Alagaesia è tornata ad essere un paese libero, però prima dobbiamo far pulizia degli obbrobri di una era che vogliamo dimenticare. Tu sei il primo, ma non certo l’ultimo che pagherà. Galbatorix morirà come te, senza onore”
Murtagh rise divertito: “Non lo hai ancora preso e ti illudi di aver già vinto, sei un povero sciocco. L’Imperatore è invincibile. Prevedo che il tuo regno avrà vita breve ” la sua voce vibrava di disprezzo.
Poi abbassando lo sguardo sulla folla, sputò con disgusto. Questo gesto scatenò maggiormente la rabbia del popolo.
“Mio figlio viveva a Furnost con la sua famiglia, sono stati tutti uccisi e bruciati” urlò una donna cercando di farsi avanti. Molti si scansarono per lasciarle libero il passaggio.
“Aijhad tu sai le atrocità che questo demonio ha compiuto. La tua giustizia è troppo dolce, riceverà una morta rapida a differenza delle sue vittime, non è giusto, dallo a noi” e così dicendo con la voce che era diventata stridula, cercò di avvicinarsi ancora di più al palco.
Le guardie serrarono le fila. La folla cominciò a rumoreggiare.
“Ho fatto quello che dovevo, siete solo animali” urlò di rimando Murtagh, conservando anche in quella situazione una freddezza che rendeva surreale tutta la situazione.
Queste parole nuovamente di spregio, furono come l’innesco di una miccia. Voci di uomini e donne si unirono alla prima.
“Dallo a noi!”
“Mostro devi soffrire ciò che hai fatto subire agli altri”
“Vogliamo Murtagh”
“Vogliamo giustizia”
Aijhad urlò anch’egli per farsi sentire.
“Non siamo come lui, non possiamo agire come avrebbe fatto Galbatorix, altrimenti cosa ci contraddistingue da loro?”
“Ricorda Furnost”
“Mia figlia è stata rapita”
“I miei campi distrutti”
“ Il nostro villaggio bruciato”
“Non ha mai avuto pietà e ora non la merita”
La folla ora era inferocita, le guardie non riuscivano a bloccare la fiumana umana che spingeva per arrivare al palco.
Murtagh in piedi, non batteva ciglio. Sembrava indifferente a quello che stava succedendo a pochi metri da lui. Le guardie furono sbaragliate. Uomini infuriati salirono sul palco e lo agguantarono.
Nasuada guardava terrorizzata.
“Fermatevi, vi prego” si trovò ad urlare inutilmente, “padre, Brom, vi prego intervenite!”
“In che modo? Devo ordinare alle guardie di uccidere degli innocenti, per salvare un colpevole che comunque dovrà morire?”
“ Ma non così!”
“ Ha fatto troppo male, non posso dar loro torto” rispose Aijhad a bassa voce e poi alzandone il tono, “ “ Popolo di Alagaesia, il prigioniero è vostro, mi inchino alla vostra richiesta, nessuno meglio di voi potrà fare giustizia”
A quelle parole le guardie si allontanarono.
Murtagh non si vedeva, schiacciato da una moltitudine di individui in preda ad un furore cieco e omicida.
Nasuada chiuse gli occhi, una mano le toccò gentilmente la spalla, si voltò e vide Eragon.
“Vieni entriamo, non sarà un bello spettacolo” le disse lui.
Lei si lasciò condurre come una sonnambula nel castello.


3. “Come puoi permettere che gli facciano questo?” Nasuada urlava tra le lacrime.
Eragon le era vicino e le teneva una mano posata leggermente sul braccio. Aijhad le era di fronte, scuro in volto. Fuori si udivano le urla della folla che stava linciando Murtagh.
“Cosa ci distingue daGalbatorix?” urlò di nuovo Nasuada piena di rabbia.
“Sai che non volevo che si arrivasse a questo. Certo quando tu eri sua prigioniera avrei voluto averlo tra le mani per farlo morire goccia a goccia, ma poi quando è stato catturato ho capito che la vendetta non mi avrebbe soddisfatto e che l’unica strada era la giustizia. Ma poi, hai visto anche tu, il popolo non la pensa come me e in tutta onestà non so dare loro torto”
“Non parlare così, lui mi ha salvata”
Il viso di Aijhad si contrasse in una smorfia di rabbia.
“Ti ha salvata………...Cosa stai dicendo? Da quando sei fuggita non sei più la stessa, mi chiedo se quel bastardo non ti abbia fatto un incantesimo” gettò uno sguardo a Brom che ascoltava poco lontano e che scosse il capo.
“Non sono fuggita, lui mi ha fatto fuggire”
“Oh sì certo! Dopo averti tenuta prigioniera e prima ancora ingannata con un trucco mentale, dopo averti fatto subire chissà cosa”
Nasuada stava per interromperlo, ma il tono di voce del padre divenne più alto: “Tu lo hai detto: ti tenuta prigioniera, hai dovuto subire la sua presenza giorno e notte o non è così?” il suo sguardo era furente.
Nasuada si controllò come meglio poteva: “ Sì, all’inizio è stato così, ma poi è cambiato non mi ha mai fatto veramente del male: avrebbe potuto ma non lo ha fatto e alla fine mi ha fatto fuggire, se non fosse stato per lui chissà dove sarei ora”
“Non conosco le ragioni che lo hanno portato a comportarsi così con te, ma sicuramente facevano parte di un piano”
“Quale piano?”
“ Non lo so, sicuramente qualcosa che non aveva nulla a che fare con la pietà o il rimorso o il senso di colpa!”
“Come puoi dirlo?”
“Ti senti? Sai di chi stai parlando? Murtagh figlio di Morzan; vuoi parlare con i sopravissuti di Furnost, con i genitori delle fanciulle rapite, violentate, torturate per il piacere di quel pervertito? La pietà è fuori luogo con uno come lui. In fondo ha la fine che si merita. Morire in battaglia per un verme come lui, sarebbe stato un onore immeritato e la decapitazione una fine pietosa, sprecata per chi non ha mai conosciuto la pietà”
Si alzò e uscì dalla stanza. Brom lo seguì.
Nasuada rimase sola con Eragon. Il silenzio calò su di loro, come silenziose erano le lacrime della ragazza, che scorrevano sul suo volto. Eragon si allontanò imbarazzato, si affacciò alla finestra e se ne ritrasse disgustato. Lo spettacolo lì fuori non era piacevole. Finalmente parlò, cercando di dare alle sue parole una pacatezza esteriore, per nascondere le sua agitazione interna.
“Nessuno di noi avrebbe voluto che finisse così, ma tuo padre ha ragione, se le guardie si fossero opposte sarebbero successi dei tumulti e qualcuno avrebbe potuto morire, qualcuno innocente, qualcuno del popolo per cui abbiamo combattuto”
Nasuada sembrava non ascoltarlo, le lacrime le si erano asciugate, il respiro poco per volta ridiventava calmo e regolare.
“ Stai dicendo che in fondo era assurdo rischiare un tumulto, per evitare il linciaggio di un condannato a morte?”
“Sì proprio così” rispose Eragon con impazienza “Soprattutto se il condannato è Murtagh, sembra che tu non ti renda conto di chi stiamo parlando”
“E tu lo conosci bene, per poterlo giudicare?”
“Non mi interessa conoscerlo, di lui parlano la sua crudeltà, i suoi stermini, la sua ferocia, il suo sadismo”
Nasuada si lasciò cadere su una sedia, nascondendosi il viso tra le mani, sembrava in preda ad un’ansia incontenibile. Quando parlò la sua voce era un sussurro, tanto che Eragon dovette avvicinarsi, per poter sentire meglio.
“E’ vero hai ragione, so chi è, l’ho potuto vedere con i miei occhi torturare prigionieri inermi, ragazze innocenti, l’ho visto uccidere divertendosi, ho sentito le sue parole terribili senza il barlume della pietà o della compassione, senza un minimo di senso di colpa. Ho sperimentato su me stessa il suo sadismo e la sua sete di violenza. So che tutti voi avete ragione: lui merita questa fine e tutta quella gente è solo esasperata per aver dovuto sopportare per anni terrore e paura. Tu non sai quante volte mi sono ripetuta nella testa queste parole, ho richiamato alla mente immagini che vorrei dimenticare, ho cercato di rivivere le mie paure nell’essere in balia della sua follia. Ma è tutto inutile” disse alzando la voce e guardando negli occhi il ragazzo.
“Cosa vuoi dire?”
“ Io ne sono innamorata” mormorò.
“Cosa?” Eragon pensò di non aver sentito bene.
“”Hai capito bene”
“Stai scherzando?” Nasuada lo guardò dritto negli occhi e il ragazzo si sentì stupido. Come avrebbe potuto scherzare in quel momento.
“Non sai quello che dici…”
“Può darsi ma è così”
“ No tu stai male, ti hanno fatto qualcosa”
“Eragon ti prego, almeno tu” disse stancamente Nasuada e gli tese la mano.
Eragon le si avvicinò, gliela prese delicatamente.
“Sono spaventata anch’io” riprese Nasuada, “ma è successo, non so neppure come, ma è successo appena l’ho visto qui a palazzo, quando è venuto come messaggero. Allora naturalmente non lo sapevo, provavo disgusto per lui, odio, ribrezzo, ma nascosto sotto tutto questo io ero attratta da lui e più ne ero attratta più cercavo di odiarlo con tutta me stessa. Quando mi sono trovata in sua balia a Uru’baen e ho potuto vedere con i miei occhi e sentire sulla mia pelle la sua crudeltà e le sue nefandezze, la paura e l’orrore sono stati così forti da seppellire completamente quel sentimento di attrazione. Lo temevo e lo odiavo. Lo odiavo soprattutto perché mi aveva costretta a temerlo, io che pensavo di non aver paura di nulla; la sua presenza invece mi rendeva fragile e timorosa come una qualsiasi ragazza. Per questo più di tutto l’odiavo, perché mi aveva fatto conoscere una parte di me che non volevo ammettere che esistesse. Ho avuto paura, di lui e di ciò che poteva farmi. Ma scavando tra la paura e il timore c’era qualcosa che mi sfuggiva, non capivo di cosa si trattasse, era qualcosa di così impalpabile da non essere neppure del tutto cosciente, qualcosa che quando lo guardavo mi dava un colpo al cuore e che non era paura: solo alla fine ho capito, era pietà, compassione per lui, per com’era, per come era cresciuto. La compassione è poi diventata tenerezza, forse per certe sue ingenuità o piccoli gesti che rivelavano che dietro a Murtagh figlio di Morzan, forse c’era un altro Murtagh di cui lui stesso non era consapevole, che voleva uscire allo scoperto, che voleva vivere. Di quel Murtagh mi sono innamorata, di un uomo che non ha chiesto di nascere da un padre simile, che non ha chiesto o scelto di avere un maestro simile, ma che ha seguito una strada già tracciata per lui, senza la possibilità di sapere che ne esistevano altre”
“Questo può assolverlo da tutte le crudeltà commesse? Lo assolve dal piacere sadico nel fare soffrire?”
“No, ma lui non è solo questo”
“Ma è anche questo e se tu lo ami devi accettare anche questa parte di lui”
“Se avesse potuto avere una possibilità forse avrebbe rinnegato quella parte”
“Non ha rinnegato Galbatorix”
“Non poteva, gli ha giurato fedeltà nell’antica lingua”
“Lo ha fatto di sua spontanea volontà, nessuno lo ha obbligato”
“Era cresciuto allevato da lui, credeva in lui, era il suo maestro, come per te lo è Brom”
Il silenzio calò tra loro. Solo dopo alcuni minuti Nasuada parlò e la sua voce era ferma.
“Eragon devi aiutarmi”
Il giovane Cavaliere seppe immediatamente che ciò che Nasuada gli avrebbe chiesto sarebbe andato contro tutti i suoi principi.


4. Murtagh, scosso da un dolore che si diffondeva dai polsi e dai piedi e gli percorreva le braccia e le gambe, aprì gli occhi ed emise un grido.
Le sue braccia erano spalancate e inchiodate alle sbarre di legno di un cancello. Il sangue gocciolava dalle ferite, le punte di ferro dei chiodi gli sgretolavano le ossa dei polsi. Tentò di raddrizzare le gambe per alleviare la tensione delle braccia bloccate, ma una sofferenza lancinante gli esplose in tutto il corpo e lo fece urlare di nuovo. Anche i piedi erano stati inchiodati al cancello. Il sole metteva a nudo in modo drammatico le sue condizioni, gli feriva gli occhi e gli faceva scoppiare la testa per il caldo. Era stato agguantato da mani artigliate, picchiato, urtato, spintonato, fatto cadere a terra, preso a pugni e calci. Non si era difeso, con le mani legate e i poteri magici offuscati dalla droga, non avrebbe potuto fare granché. Ricordava la puzza di quella marmaglia: sudore e odio, così intensa da confondergli i sensi.
C’era stato dolore, ma soprattutto l’umiliazione di essere malmenato da zotici animali: lui un Cavaliere.
Questo era difficile da sopportare, per questo non si era difeso, non aveva neppure alzato le braccia per proteggersi il viso dagli sputi e dalle percosse. Era caduto e la folla sopra di lui era stata l’ultima cosa che aveva visto.
Ed ora si trovava lì inchiodato ad una palizzata. Dovevano essere passate alcune ore, la folla si era dispersa, le guardie facevano la ronda, alcuni individui poco lontani lo osservavano. Sentiva il loro odio sommergerlo, gli giungevano attutite, risa di scherno. Il dolore arrivava ad ondate, raggiungeva il picco quando cercava di muoversi. Era così violento che doveva mordersi le labbra per non urlare, ma si era imposto di non farlo a qualunque costo, di non dare a nessuno questa soddisfazione. Chiuse stancamente gli occhi, la morte sarebbe giunta lentamente, forse durante la notte. Aveva crocefisso molte persone, sapeva cosa lo aspettava. Era pronto, non aveva rimpianti se non uno: avrebbe voluto avere Nasuada, ma non come aveva avuto tutte le altre donne. Avrebbe voluto possederla in modo diverso, anche se non sapeva come. Si leccò le labbra sanguinanti, gonfie e si illuse di sentire il sapore delle labbra di Nasuada. Le voci di scherno, le risa si smorzarono, rimase solo il calore che lo prosciugava e il dolore che a tratti si affievoliva, per poi aumentare fino a diventare insopportabile.
Era notte fonda..
Murtagh era ormai quasi del tutto incosciente. A tratti si risvegliava e percepiva la sua bocca secca, il sangue rappreso sul viso e tra i capelli, il dolore sordo alle mani e ai piedi che si trasformava in una scarica acuta ogni volta che tentava di muoversi e il peso al torace, che ad ogni respiro sembrava schiacciarlo, dovuto sicuramente a delle lesioni interne e a delle costole rotte.
“Vieni morte, vieni veloce” cercò di formulare nella testa questo pensiero con molta fatica. Un vento caldo gli bruciava la carne viva.
Stava ripiombando nell’incoscienza quando sentì dei rumori affievoliti. Cercò di aprire gli occhi gonfi. Si profilarono tra le ombre due figure scure, che cautamente gli si avvicinarono. Forse avrebbero messo fine alle sue sofferenze.
Una figura era molto alta, l’altra più bassa.
Quest’ultima si avvicinò e con una tenaglia gli tolse i chiodi.
Murtagh voleva urlare per il dolore, ma dalla gola secca uscì solo un rantolo smorzato. Sarebbe caduto nella polvere, se la figura più grande non lo avesse sorretto e poi preso tra le braccia come un bambino. Gli sembrò che le costole rotte gli bucassero i polmoni, boccheggiò senza successo per cercare l’aria che non veniva, poi perse definitivamente i sensi.

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Capitolo 11
*** La Guarigione ***


ULTIMO CAPITOLO ( I SALUTI A DOPO )

LA GUARIGIONE

1. Le due figure entrarono cautamente in una stanza accanto alle stalle, il tremolio di una lanterna, tenuta da Nasuada, li accolse. La ragazza si avvicinò all’alta figura.
“Eragon, Tornac, finalmente! Stendilo qua sopra, Tornac” indicò un giaciglio di fortuna, “delicatamente mi raccomando.”
Una donna si staccò dall’ombra e si accostò a Murtagh.
Gli tagliò la tunica lacerata e incrostata di sangue e cominciò ad esaminarlo attentamente, toccandolo con mani esperte. Murtagh sembrava morto, solo un respiro corto e flebile stava a dimostrare che in lui c’era ancora un alito di vita.
“Allora Angela?” chiese Nasuada con apprensione.
La donna scosse la testa: “Mi dispiace io non posso fare nulla, ha delle lesioni interne che io non posso curare, mi spiace ma fra breve morirà.”
Nasuada trattenne un singhiozzo, si avvicinò a Eragon che stava accanto alla porta, sorvegliando che nessuno si avvicinasse.
“Eragon, hai sentito?”
“Sì, te l’avevo detto che sarebbe stato inutile, è già tanto se è ancora vivo”
“Eragon tu puoi guarirlo”
Il giovane posò il suo sguardo limpido sulla ragazza scuotendo la testa.
“Non erano questi i patti, ti ho promesso che ti avrei aiutata a staccarlo da quella palizzata, non puoi chiedermi nient’altro”
“Eragon tu hai il potere di curarlo, lo puoi salvare”
“Io non voglio salvarlo”
“E’ tuo fratello” mormorò Nasuada.
Eragon si rabbuiò e allontanò il suo sguardo da lei.
“Non devi ricordarmelo, lui non è mio fratello, Roran è mio fratello, lui è un nemico, il mio peggior nemico con Galbatorix”
“Non puoi fare finta che non sia vero, lui è tuo fratello, non puoi lasciarlo morire”
Eragon scosse violentemente il capo.
“Ho fatto già abbastanza per lui”
“Eragon sei in debito con Murtagh” la voce di Saphira gli giunse da poco lontano.
“Che stai dicendo?”
“Lui ci ha lasciato liberi, quando ci ha sconfitti nella battaglia delle Pianure Ardenti e con il suo aiuto hai potuto sconfiggere Durza”
“Dovrei salvarlo?”
“Fai solo quello che ti ha chiesto Nasuada e lascia che sia il destino poi a decidere la sua sorte”
“Va bene, non voglio che muoia pensando che gli sia debitore”

“D’accordo ci proverò” disse rivolgendosi a Nasuada.
Si accostò a Murtagh e mise le mani sul suo corpo, rimase così per più di un’ora. Alla fine si ritrasse pallido e sudato, al limite delle forze.
“Sono riuscito a bloccare le emorragie interne e a sanarne le lesioni. Ho fatto tutto quello che potevo, ora non chiedermi altro, non so se riuscirà a sopravvivere, ma non è più affar mio”
Nasuada lo abbracciò stretto.
“Ti ringrazio Eragon, sarò sempre in obbligo con te”
“No, l’ho fatto perché io ero in debito con Murtagh, con questo ho saldato il mio conto, fa che non lo ritrovi più sul mio cammino”
Così dicendo uscì dalla stanza.
“Dobbiamo caricarlo sul carro e uscire dalla città”
A queste parole Tornac si accostò al giovane e lo adagiò con cautela su di un carro, nascondendolo poi tra sacchi di provvigioni.
Angela salì a cassetta prendendo le redini.
“Aprimi le porte Tornac” disse all’uomo, “e tu non sperare troppo, non ti garantisco nulla, non possiedo le arti magiche, sono solo una guaritrice, farò quello che posso” concluse rivolgendosi a Nasuada.
Il carro uscì nell’oscurità prendendo una strada che conduceva alla porta est di Aberon, quella meno sorvegliata.


2. La prima cosa fu un rumore leggero, ma continuo. Aprire gli occhi gli costò uno sforzo di volontà enorme, le palpebre sembravano piombo e non volevano saperne di alzarsi. Rinunciò al tentativo e rimase in ascolto: il rumore era simile allo scorrere di un torrente. Si accorse di essere sdraiato, la testa appoggiata ad un cuscino. Era morto? I pensieri faticavano a costruirsi nella sua testa. Solo l’udito e il tatto sembravano fornirgli qualche indicazione. Al rumore di fondo, si sovrappose ad un tratto una voce di donna, che canticchiava una canzone. Cercò di muovere il proprio corpo, ma un dolore improvviso al torace lo fermò. Senza accorgersene risprofondò nell’incoscienza. Fu solo molto più tardi che un nuovo rumore lo fece sussultare. Il tempo non aveva senso, si sentiva galleggiare in un eterno nulla. Un cavallo si stava avvicinando. Due o tre voci lontane si mescolarono, erano sommesse, solo bisbigli. Ad un tratto, il rumore di una tenda che veniva scostata e una luce che lo colpì e fece baluginare di scintille rosse il buio che invadeva la sua vista, lo fecero trasalire.
Avvertiva una presenza accanto a sé, si sforzò di nuovo di aprire gli occhi. Le palpebre risposero ai suoi comandi e si sollevarono, anche se a fatica. La luce lo abbagliò, poi lentamente le cose intorno a lui acquistarono una forma. La prima cosa che mise a fuoco fu il viso di una donna: un viso tondo, incorniciato da una matassa di ricci scuri. Sullo sfondo una porta aperta, da cui entrava la luce.
La donna gli sorrise bonariamente e senza timore.
“Bene, alla fine ti sei svegliato. Ce ne hai messo di tempo, ormai pensavo che non ce l’avresti fatta. Sarebbe stato un peccato dopo tutto il tempo e l’energia che ci ho messo.”
Murtagh voleva dire qualcosa, ma le parole non ne volevano sapere di uscire e i pensieri di acquistare un senso compiuto .
“Mi chiamo Angela” disse la donna chinandosi su di lui e mettendogli il palmo della mano sulla fronte. Era tiepida e morbida.
“Non hai più la febbre, questa è una bella notizia. Ti senti debole vero?”
Murtagh non potè far altro che guardarla.
“Il peggio è passato. Ti porto qualcosa da bere”
Scomparve dalla sua vista e Murtagh si guardò cautamente in giro.
Era disteso su di un lettino. C’era una tenda tirata a lato, che separava il letto dal resto della stanza. Le pareti erano di legno, probabilmente era una casa di povera gente. Dalla porta aperta e da una finestra entrava una luce che, se all’inizio gli era sembrata accecante, ora gli appariva morbida. Angela ritornò con una scodella. Il profumo invitante gli solleticò le narici. Si accorse in quel momento di avere sete e fame.
Guardò se stesso: era coperto da un lenzuolo di tela grossa. Non sentiva il suo corpo, come se non esistesse. Cominciò ad avere paura. Cercò di schiarirsi la voce.
Angela prese un secondo cuscino e glielo sistemò dietro alla spalle, facendo scivolare il lenzuolo fino a metà del torace di Murtagh, che era fasciato con bende strette. Ora capiva perché aveva la sensazione che quasi gli mancasse il respiro.
La donna si sedette accanto a lui, su uno sgabello e gli porse un cucchiaio di brodo. Murtagh tenne la bocca chiusa.
“Avanti, avrai sete,questo brodo è caldo e nutriente. Ti darà energia. Forse domani potrai magiare qualcosa, vedremo. Ma ora apri la bocca e non fare troppe storie.”
Aprì le labbra secche e il brodo gli scorse lungo l’esofago fin nello stomaco, tiepido e saporito. Finì il contenuto della scodella. Angela gli tolse il cuscino e gli alzò il lenzuolo, fino a coprirgli le spalle.
“Ora riposa” disse mentre spariva dietro alla tenda, che tirò completamente.
La terza volta che aprì gli occhi, si sentì subito meglio. Mosse le braccia e riuscì ad abbassare il lenzuolo che lo copriva. Il torace e le mani erano fasciate. Alzando un po’ la testa, si accorse di essere nudo e che anche i piedi erano bendati. Per il resto il suo corpo era segnato dappertutto da lividi, graffi, ferite superficiali e alcune più profonde, che erano state ricucite. Si ricoprì, anche il suo cervello si stava rimettendo al lavoro e la memoria gli offrì i suoi ultimi ricordi: inchiodato allo steccato.
Come aveva fatto ad arrivare lì? Chi era Angela? Galbatorix lo aveva liberato? Un sorriso cinico e tirato gli sfiorò le labbra. Galbatorix aveva sicuramente meglio da fare che liberarlo.
Un rumore di passi lo mise in guardia. Dalla tenda sbucò il volto di Angela.
“Allora mi sembra che stai meglio oggi”
Murtagh riuscì a far funzionare le corde vocali.
“ Sì “ disse in un soffio, “puoi spiegarmi cosa ci faccio qui?” cercò di dare alla sua voce un tono sicuro e feroce, ma i risultati non furono incoraggianti.
Angela sorrise: “Non ti sforzare di farmi paura, è tempo sprecato ragazzino”
Ragazzino? Come osava chiamarlo in quel modo. Come osava farsi beffe di lui.
Aveva tra le mani una ciotola.
“Avanti ti aiuto a sollevarti”
Le sue mani erano forti ed esperte. Lo sollevò e come la volta precedente lo imboccò: era una zuppa dolce che Murtagh ingoiò con avidità.
“Mi sembra che tu abbia appetito, è buon segno”
“Rispondi alla mia domanda” replicò lui testardo.
Angela sbuffò: “ Mentre ti cambio la fasciatura, odio perdere tempo in chiacchere”
Prese bende pulite e un unguento dall’odore acuto. Cominciò a sfasciargli la mano destra. Quando la benda fu tolta, Murtagh vide il buco lasciato dal chiodo, che lentamente stava cicatrizzandosi.
Angela con tocchi rapidi spalmò la ferita e si apprestò a rifasciarla con le bende pulite.
“Sei a poche miglia da Aberon, nella foresta dei Sempreverdi. Io sono una guaritrice. Sei qui più o meno da dieci giorni. Ancora qualche curiosità?”
I suoi occhi ridevano divertiti. Murtagh si sentì in imbarazzo sotto quello sguardo.
“Sai chi sono?” disse debolmente.
“Certo che lo so”
“Chi mi ha portato da te?”
“ Alcune persone”
“Chi?” la voce vivrò d’ansia.
“Lo saprai, ma non ora”
“Avrei dovuto essere morto, mi cercheranno”
“Ajihad ha dichiarato la tua morte per tenere buona la popolazione, ma sa che non è vero e ti cerca”
“Non sono al sicuro così vicino ad Aberon”
“ Se vuoi nascondere un albero nascondilo in un bosco, nessuno ti cercherà qui”
“Devi dirmi chi mi ha aiutato” un movimento brusco gli strappò un gemito di dolore.
“Ora basta, ho parlato anche troppo. Stai tranquillo altrimenti ti tornerà la febbre e tutta la mia fatica andrebbe sprecata. Sarebbe seccante non trovi. Hai tre costole rotte, ci vorrà del tempo prima che si sistemino”
“Che ne è di Castigo?” la voce di Murtagh tremò.
“Castigo? Chi è?”
“Il mio drago”
“Non so nulla di draghi”
Murtagh strinse i denti e ricacciò indietro le lacrime, che sentiva pungergli negli occhi.
I giorni seguenti cercò di porre altre domande ad Angela, ma si trovò di fronte un muro impenetrabile.
Fu forse dopo un'altra settimana passata a letto, che Angela gli diede il permesso di alzarsi. Murtagh lo fece con molta cautela. In posizione eretta gli girava la testa e dovette appoggiarsi ad un bastone. Fece qualche passo aiutato da Angela, fino a raggiungere l’uscita. Fuori l’aria era fresca, non lontano un torrente scorreva, occhieggiando tra le piante che diventavano più fitte. Stava riacquistando le forze ma lentamente, avrebbe potuto accelerare il processo di guarigione facendo uso della magia, ma non riusciva ad utilizzarla. Era come se il suo uso non gli fosse mai appartenuto. Non ricordava neppure le parole più semplici, non era in grado di esercitare neppure il più elementare potere: leggere nella mente, percepire oltre i sensi, divinare, curare, usare la forza mentale come un’arma.
“Voglio sapere cosa succederà quando sarò guarito” a mano a mano che stava meglio la sua freddezza e la sua protervia stavano tornando a galla, ma Angela non sembrava preoccuparsene.
“Non lo so, non dipende da me, non so neppure se ti avrei curato” sbuffò.
“E cosa avresti fatto?” sogghignò con astio Murtagh.
“Ti avrei lasciato morire? Può darsi, tu che dici?”
“ Dico che tu non sai con chi stai parlando, io sono un Cavaliere”
“Eh no” la voce di Angela si alzò di tono stizzita, “tu non sei più nulla Murtagh. Non hai più l’arte magica, non hai più una spada, non hai più un maestro….non hai più un drago. Non sei più niente. Questo è importante che tu lo tenga ben presente d’ora in poi.”
“Come fai a saperlo, hai detto che non sai nulla di draghi”
“Non so nulla di draghi, ma so un sacco di cose su di te. So che hai un’anima oscura che ti occupa quasi interamente, so che c’è una piccola luce in tutto quel buio, so che dipenderà da te alimentarla o farla spegnere per sempre”
Murtagh chinò la testa e rimase in silenzio.
Angela gli si avvicinò e fece il gesto di toccargli una spalla. Murtagh alzò la testa di scatto e le afferrò il polso con forza, nonostante la mano ferita.
Angela ebbe un moto di sorpresa, poi si divincolò.
“Sei come una bestia ferita e spaventata, morsichi ogni mano che vedi, senza distinguere quale ti vuole fare del male e quale accarezzare” scosse la testa, “penso che tu sia irrecuperabile. I cani idrofobi devono essere uccisi, non c’è nessuna cura”
Stava per allontanarsi, quando un rumore di zoccoli la fece fermare, anche Murtagh alzò la testa fremendo. Una figura minuta si fece strada tra gli alberi. Era Nasuada, non poteva sbagliarsi. Angela le andò incontro.
“Eccolo, è lì” le disse accennando col capo in direzione di Murtagh, che intanto si era alzato faticosamente in piedi, “stai attenta, morde” aggiunse poi, “lo preferivo prima, quando era troppo debole per parlare”
Nasuada gli si avvicinò. Lui era di fronte a lei, pallido e magro, ma vivo. L’istinto l’avrebbe portata a cercare rifugio nelle sue braccia, a stringerlo forte, ad accarezzare i suoi capelli e a baciarlo di nuovo, ma invece gli si avvicinò con cautela.
“ Sei stata tu a liberarmi?” chiese sorpreso lui.
“ Ho pregato Eragon di aiutarmi a farlo”
“Eragon?”
“Sì, con lui c’era anche Tornac”
“Non è morto?”
“No è stato fatto prigioniero in battaglia, ora è al mio servizio. Ti abbiamo liberato e portato da Angela. Pensavamo che non ce la facessi. E’ un miracolo che tu sia vivo”
“Tuo padre lo sa?”
“No, naturalmente e neppure Brom, anche se sicuramente sospettano qualcosa, venendo qui sono stata seguita, ma ho fatto perdere le mie tracce”
“Perché Eragon ha accettato di aiutarmi?”
“E’ mio amico e aveva un debito con te” disse semplicemente Nasuada.
“Che ne è di Galbatorix?”
“Dopo la sconfitta è fuggito con Shruikan e delle armate scelte, Brom ed Eragon sono partiti alla sua ricerca, ma sembra scoomparso”
“Che ne è di Castigo, è ancora vivo?”
“Sì, i nostri guaritori sono riusciti a curarlo, lui però non voleva più vivere, pensava che tu fossi morto, non ti sentiva più. Ho cercato di parlargli ma è stato inutile, solo l’intervento di Saphira lo ha salvato”
“Saphira? Che c’entra?”
“Lei gli ha parlato, gli ha raccontato di come ti avevamo liberato, che eri vivo.Lui le ha creduto, ha ricominciato a vivere, purtroppo è imprigionato.”
“Tuo padre immagino?”
“Cosa avresti fatto tu al suo posto? Non può permettersi che tu e Castigo vi riuniate.”
“Certo, capisco benissimo. E tu non hai paura che questo possa succedere? Perché mi hai liberato?”
“L’ho fatto perché ti amo” Nasuada arrossì violentemente mentre pronunciava quelle parole. Non avrebbe dovuto scoprirsi così, porsi inerme e senza difese, ma la frase le uscì d’impeto, prima che potesse bloccarla.
Murtagh con un gesto di imbarazzo fece per aprire la bocca.
“No” Nasuada si avvicinò e gli posò una mano sulle labbra.
A quel contatto lui sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Un profumo sottile e fragrante gli solleticò le narici, avvertiva il corpo di Nasuada accanto al suo e la sua vicinanza all’improvviso rianimò quella scintilla di luce che in quelle settimane aveva seppellito nell’oscurità e in batter d’occhio la trasformò in una fiamma calda che lo riempì, scacciando il buio e il freddo.
Quando la mano di lei fece per staccarsi dalle sue labbra, la fermò prendendola delicatamente tra le sue.
La fiamma non scaldava più ma bruciava, divampava con forza e potenza. Nonostante il desiderio si facesse impellente rimase fermo, non sapendo cosa fare.
Che idiota. Sembrava assurdo ma era la verità. Aveva avuto così tante donne da averne perso il conto, ma ora non sapeva come comportarsi con lei. Temeva di compiere anche solo un gesto che potesse ferirla o spaventarla o ricordarle in realtà chi fosse lui.
“Cos’hai?” la voce di lei era tenera, ma incerta.
“Tu non sai cosa stai facendo” si costrinse a dire Murtagh.
A dire il vero quelle parole forse si adattavano meglio a lui: non sapeva veramente cosa stava capitandogli. Aveva sperato che quelle sensazioni strane che l’avevano sorpreso a Uru’baen, fossero passeggere. Aveva sperato che rivederla gli sarebbe stato indifferente, aveva sperato di non dover sentirsi più come si sentiva in quel momento: confuso, smarrito, incerto.
Il fuoco che ardeva dentro di lui era amore? Il cuore che batteva , il calore in tutto il corpo, la testa che non voleva più ragionare ma che era stranamente leggera, il respiro corto, la paura che lei solamente andandosene avrebbe fatto calare di nuovo su di lui il gelo e il buio: tutto ciò era amore?
“Dimmelo tu” replicò lei.
Cercò le parole, la voce faceva fatica ad uscire.
“Da quando ti conosco i miei pensieri che prima mi sembravano grandi, mi sembrano abbietti. Vedo chiaramente come sono: so cos’è il male, ho mentito, rubato, ucciso, ingannato, sono stato preda di ira, lussuria, desideri che non oso neppure confessarti. Sono stato avido, crudele, infido, malvagio. Ho convissuto con infamia, odi, meschinità. Le mie parole sono state pericolose e mortali per molti. Non ho mai badato a cautele o minacce di castighi.Tutti mi hanno rinnegato e li ringrazio perché sono più forte di quanto lo sarei se mi avessero accettato. Tu sai tutto ciò eppure dici di amarmi, ma io non so neppure cosa significhi”
“Lascia allora che te lo insegni” sussurrò Nasuada avvicinandosi di più.
I due corpi si toccarono, le labbra di lei si posarono sulle sue. Murtagh ricambiò il tenero bacio, ma poi cercò di nuovo le sue labbra e la sua bocca per un bacio più intenso che Nasuada ricambiò. In quel momento il mondo scomparve, c’era solo lei tra le sue braccia. Non c’era dolore, paura, diffidenza, solo una sensazione di completezza, di benessere che non aveva mai sperimentato. Toccò i capelli di lei, setosi tra le sue dita, sfiorò il suo viso e il suo collo. Sentì il corpo di lei contro il suo e desiderò che quel momento non finisse mai. Lei lo stringeva con tenerezza e rispondeva alle sue carezze con gioiosa arrendevolezza.
Quando si staccò, lei sussurrò: “Mi ami anche tu, non mi sbagliavo”
Murtagh cercò di riprendere il controllo della situazione.
“Sto impazzendo, solo così si spiega ciò che mi sta capitando. Nasuada io dovrei essere morto e probabilmente fra poco lo sarò. Tu sei la figlia del nuovo re di Alagaesia, io un nemico del popolo da eliminare. Non c’è nulla che ci leghi. Tu sai come sono, io non sono cambiato, anche se quello che provo per te è amore, quello che provo per il resto del mondo è lo stesso disprezzo e la stessa diffidenza di prima”
“Io vedo in te ciò che tu non sai di possedere. Sei stato schiavo della violenza e dell’egoismo del mondo che ti ha circondato finora. C’è un mondo diverso che tu non conosci, se vuoi ti aiuterò a scoprirlo”
“ Non mi interessa il mondo, tu sola mi interessi ed è per questo che ti dico di andartene ora, prima che sia io ad impedirtelo”
“Me ne andrò per oggi. Tornerò quando ti sarai ristabilito del tutto e sarà per stare con te”
Murtagh rise.
“Sogni! Non c’è un posto in questo mondo per noi due, te ne rendi conto?”
“Lo inventeremo, tu non sarai più Murtagh figlio di Morzan ne io Nasuada figlia di Ajihad capo dei Varden”
“E cosa potremo essere?”
“Due persone che si amano”
“Io non ho niente da perdere, tu tutto”
“Se perdo te perdo tutto” gli rispose lei accarezzandolo con lo sguardo,“Ora devo lasciarti, guarisci e riprendi le forze e lascia fare a me”
Con un bacio leggero si accomiatò e Murtagh la vide sparire tra gli alberi.
Passarono parecchi giorni da quell’incontro. Murtagh ormai si era ripreso Riusciva a camminare senza l’aiuto del bastone, Angela gli aveva tolto le bende che gli comprimevano il torace e le costole gli davano solo un lieve dolore quando faceva qualche movimento brusco. Sui piedi e sulle mani le cicatrici biancheggiavano indelebili. Con le forze sperava che riapparissero i suoi poteri mentali, ma di quelli neppure l’ombra.
“L’effetto della droga che ti ho somministrato dura per lungo tempo, dovrai aspettare ancora un po’ e poi vedrai che lentamente i tuoi poteri ricompariranno” gli disse un giorno Angela indovinando i suoi pensieri.
“Non ti fidi di me?”
“Direi proprio di no e a ragione”
“Che vuoi dire” chiese lui bellicoso.
“Il fatto che Nasuada ti ami e che forse tu la ricambi non vuol dire che sei diventato una persona diversa, se vuoi avere la mia fiducia dovrai meritarla”
“Non mi importa della tua fiducia, ne faccio anche a meno” rispose lui rabbioso.
“Sentendoti parlare così, mi convinco di aver fatto bene a drogarti, se solo avessi potuto ti avrei cancellato definitivamente i tuoi poteri”
“Non mi servono, sono in grado di sconfiggere ciascuno di voi anche senza bisogno di magia”
“Sei pericoloso” borbottò Angela allontanandosi.
Murtagh rimase da solo sotto alle fronde di un albero: era ora che quella donna l’avesse capito, in questo modo avrebbe smesso di trattarlo come un ragazzo, avrebbe avuto rispetto e timore. Se ne era approfittata per il fatto che lui stesse male e fosse troppo debole per reagire, ma ora era giunto il momento di rimettere a posto le cose. Era stufo di restare in quel posto senza sapere cosa succedeva nel mondo,ma soprattutto era stufo di aspettare che Nasuada tornasse. Le mancava così tanto da esserne spaventato. Non gli era mai mancato qualcuno, non c’era nessuno di indispensabile nella sua vita, nessuno di insostituibile, uno valeva l’altro.
Il desiderio di lei era così pressante da fargli passare in secondo piano qualsiasi altro problema: come avrebbe potuto liberare Castigo? Dove si era rifugiato Galbatorix? Brom ed Eragon erano riusciti a rintracciarlo? Come era cambiata Alagaesia? Che fine avrebbe fatto se i soldati di Ajihad lo avessero trovato? Che futuro poteva sperare di avere?


3. Fu solo qualche giorno dopo, che Nasuada tornò. Era vestita con abiti da viaggio e portava tre cavalli, uno dei quali carico di bisacce.
Appena scesa lo abbracciò senza neppure parlare e lo baciò. Nelle intenzioni di Nasuada doveva essere un bacio di saluto veloce, era venuta per comunicare a Murtagh notizie importanti e che non tolleravano ulteriori perdite di tempo, ma lui rispose a quel bacio in modo così appassionato e senza freni, che lei subito si ritrovò immersa in un fiume di sensazioni così intense da non avere la forza di dominarle. Murtagh la stringeva con forza, poteva sentire le sue braccia muscolose circondarla, le sue mani accarezzarle la schiena, poi le sue dita intrecciarsi nei suoi capelli e risalire seguendo i contorni del suo viso fino a fermarsi lungo il profilo del collo.
Un tossicchiare insistente li ripiombò nella realtà.
Nasuada senza fiato e con le guance arrossate si girò verso Angela.
“Scusate se vi interrompo, odio fare la guastafeste in queste circostanze, ma non c’è molto tempo”
Murtagh si accorse che mentre parlava, gettava occhiate scrutatrici verso il fitto della boscaglia.
“Hai ragione Angela” rispose la ragazza.
“Che succede?” chiese Murtagh, gettando un occhiataccia ad Angela.
“I sospetti di mio padre stanno diventando certezze, temo che entro breve possa scoprire il tuo nascondiglio. Dobbiamo partire immediatamente. Ho portato un cavallo per te, sull’altro c’è è tutto quello che ci può servire nel viaggio. Qui dentro ci sono dei vestiti da viaggio. E’ meglio che ti affretti a cambiarti”
“Partire per dove?”
“Non lo so, per ora dobbiamo allontanarci rapidamente da qui, poi decideremo la direzione”
“ Tuo padre dove si trova?”
“ Fin’ora è rimasto qui Aberon, ospite di Re Orrin, ma fra qualche giorno si sposterà. Ha deciso da fare tappa nelle varie città di Alagaesia per verificare di persona la situazione e poter insediare i nuovi governatori: si fermerà a Melian, Belatona, Dras-leona, Kuasta, Teirm, Gil’ead e finalmente arriverà a Uru’baen. Ci vorranno parecchi mesi e intanto nella capitale già sono iniziati i lavori per abbattere ogni cosa ricordi Galbatorix e ricostruire un nuovo palazzo. Penso che ci convenga uscire dal Surda evitando le strade più battute, potremo costeggiare il lago Tudosten e proseguire in direzione di Uru’baen, girandogli naturalmente al largo e dirigerci verso la Lunga Dorsale, troveremo qualche villaggio in quei luoghi dove non abbiano mai sentito parlare, se non nei racconti, della guerra, di me e di te, lì potremo vivere”
“E’ un lungo viaggio, come potremo sopravvivere?”
“Ho portato con me del denaro, andremo in città solo per procuraci lo stretto indispensabile, per un paio di mesi possiamo contare ancora su un clima mite e quindi potremo dormire nei boschi e cacciare per nutrirci”
“Sei pazza, tu sei la figlia di Ajihad,il nuovo signore di Alagaesia, cosa posso offrirti io: un letto di foglie, cacciagione, freddo e fatica, per poi arrivare a che.. Quale sarà il nostro futuro in questo villaggio di cui parli, cosa potrei fare io?”
“Ci penseremo, non mi importa come vivremo, quello che mi importa è vivere accanto a te”
“Vivremo sempre col terrore che ci scoprano, che mi catturino di nuovo”
“Ci nasconderemo bene”
“Tu non c’entri, non hai fatto nulla per doverti nascondere, dovresti anzi essere acclamata e riverita”
“Ne posso fare anche a meno. Ora basta! Quello che voglio sapere è se tu sei convinto o hai un’alternativa al mio piano”
“Di che alternativa stai parlando?”
“Potresti metterti alla ricerca di Galbatorix e tornare ad essere il suo Cavaliere”
“Non lo farei mai, lui ha tradito la mia fiducia, non gli è mai importato nulla del mio destino, mi ha solo usato”
“Allora tu vuoi partire con me e scomparire dal mondo che finora abbiamo conosciuto?”
“Io voglio restare con te” disse semplicemente Murtagh, “ma non è così facile, non dimenticarti che ho giurato fedeltà all’Imperatore, se dovessimo rincontrarci, non potrei fare altro che tornare a servirlo, anche se è l’ultima cosa che vorrei fare. E poi tu sai del legame che unisce un cavaliere al suo drago, non posso lasciare Castigo imprigionato, devo scoprire dove lo tengono e devo liberarlo, io e lui ci apparteniamo”
“Dobbiamo sperare che Galbatorix venga ucciso, così sarai finalmente libero, per ora cercheremo di scomparire anche per lui. Per tutta Alagaesia tu sei morto, non ti cercherà. So bene del legame tra cavaliere e drago, non dimenticarti che Eragon e Saphira sono legati allo stesso modo, per questo ho scoperto dove tengono Castigo, sarà la nostra prossima tappa” sorrise Nasuada, “ed ora non ci resta che partire. Cambiati, io intanto saluto Angela”
Mentre Murtagh entrava nella capanna, Nasuada si avvicinò ad Angela che seduta poco lontano dall’uscio, stava prelevando alcune erbe da un cesto ai suoi piedi.
“Siamo pronti”
“Spero che tu sappia cosa stai facendo”
“Lo so”
“Murtagh non è cambiato, è sempre lo stesso: la stessa rabbia, lo stesso rancore, la stessa violenza nei confronti del mondo, solo tu ne sei immune, questo lo sai?”
“Lo so, ma cambierà, bisogna dargli tempo”
“Non ne sarei così sicura e se non cambiasse?”
“Lo amerei comunque”
“E’ la risposta che temevo, bene allora buon viaggio”
Nasuada si chinò a baciare leggermente Angela su una guancia.
“Grazie di tutto”
“Cosa sono queste attenzioni? Così mi farai commuovere, comunque sappi che l’ho fatto solo per te”
Murtagh uscì con indosso abiti da viaggio.
“Hai portato delle armi?” chiese a Nasuada.
“Ho la mia spada e due archi e poi ho questa”
Lentamente aprì un telo scuro e pesante, avvolta con cura c’era Zar’roc.
Murtagh tremò a quella vista, non potè resistere e la impugnò, facendola brillare nell’aria .
“Come hai fatto ad averla?”
“Mio padre l’ha conservava nel bottino di guerra, pensavo che per te sarebbe stato importante averla”
Nasuada salì a cavallo.
“Vieni è ora”
Murtagh rimase un attimo soprapensiero, poi si avvicinò a passi lenti ad Angela che continuava a selezionare le sue erbe.
Murtagh la sovrastava con la sua statura, Angela non alzò neppure gli occhi.
“Il ragazzo si schiarì la voce: “Volevo dirti che lo so che non mi puoi soffrire e che se fosse stato per te mi avresti lasciato morire, comunque mi hai salvato la vita e io… dovrei..”
“Dillo e vattene”
“Ti ringrazio” sussurrò Murtagh, poi si allontanò e i due si inoltrarono nella foresta.
Angela li guardò finché scomparvero.
“Forse c’è una piccola speranza” scosse i suoi riccioli e sorrise tra se, rimettendosi al lavoro.
Mentre il sentiero si inoltrava nella foresta, Murtagh fermò nuovamente il cavallo.
“Devi capire bene una cosa Nasuada prima che tutto abbia inizio, ora che sei in tempo a cambiare idea e a tornartene da tuo padre: io ti amo e tu sei più importante della mia vita, ma io non sono un’altra persona, rimango sempre io con il mio passato e con il mio presente. Non mi sento migliorato, ti posso solo promettere che non farò mai nulla che ti possa recare dispiacere. Ma se guardo dentro di me, vedo solo una piccola luce in un mare di oscurità.”
“Vorrà dire che per ora, faremo in modo che questa oscurità ci faccia sentire a casa”



Lo so che questo finale lascia aperte molte questioni:
1. che fine ha fatto Galbatorix,
2. quale sarà il suo piano per riacquistare il potere,
3. che risultato avrà la ricerca di Brom ed Eragon,
4. riuscirà Murtagh a liberare Castigo,
5. quale sarà il futuro di Nasuada e di Murtagh.
Ho deciso di lasciare per ora senza risposta questi dilemmi.
C’è abbastanza materiale per un sequel, che ne dite?


E ora passiamo ai ringraziamenti:
Grazie a chi ha letto, grazie soprattutto a chi ha recensito:egwine, kia_do87, ambretta peperina, Ifigenia.
Un ringraziamento very special a stefy_81 e a bilu_emo per avermi seguito in questa ff con costanza e incoraggiamento.

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