Façade [Prima stesura]

di holls
(/viewuser.php?uid=3882)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Quell'oca di Mary Sullivan ***
Capitolo 3: *** Le crepe di Mary Sullivan ***
Capitolo 4: *** Le lacrime di Mary Sullivan ***
Capitolo 5: *** La solitudine di Mary Sullivan ***
Capitolo 6: *** La derisione di Mary Sullivan ***
Capitolo 7: *** La gioia di Mary Sullivan ***
Capitolo 8: *** L'abbraccio di Mary Sullivan ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Façade
 
 

Mary Sullivan era perfetta.
Un viso d'angelo, due occhi azzurri e dai lineamenti morbidi,
lunghi capelli perennemente lucenti.
Vestiti diversi ogni giorno, sempre alla moda,
pantaloni a sigaretta che sembravano cuciti su di lei.
Massimi voti in ogni materia, ottima parlantina,
eccellenza perfino nello sport.
Mary Sullivan era davvero la perfezione.
E non c'era ragazzo nella scuola che non se ne fosse accorto, ovviamente.

Mary Sullivan aveva qualche difetto?
Sicuramente no.

...O almeno era quel che credevo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Quell'oca di Mary Sullivan ***


1. Quell’oca di Mary Sullivan
 
 
Sbuffo per l’ennesima volta.
Quell’oca di Mary Sullivan è ancora lì, in piedi accanto alla cattedra, intenta a intorpidire le nostre orecchie con la lettura del progetto.
Bla bla.
È la stessa zolfa tutti gli anni. La professoressa di scienze ci assegna una ricerca, mi metto in coppia con Monica e Lara, lascio a loro l’onere e l’onore dello svolgimento – ma questo non dovrei dirlo, vero? – e la solita oca starnazzante di Mary Sullivan ottiene il suo dieci fisiologico.
È un copione talmente trito e ritrito che posso anche permettermi di non ascoltare.
Mi volto verso Monica, seduta accanto a me, e butto un’occhiata alla pagina del suo quaderno. Sospiro notando la solita quantità spasmodica di appunti, ma mi sento anche sollevata: almeno lei sta seguendo.
Non che ne sia stupita, ovviamente.
 
Finalmente, dopo un fintissimo sorriso tra Mary e l’odiosa prof di scienze, dopo il quale mi sento ancora combattuta sull’assegnazione del premio falsità alle due partecipanti, il silenzio torna a regnare nella nostra aula. Mi volto ancora verso Monica, con la coda del lapis in bocca.
« Allora, che dobbiamo fare quest’anno? »
Monica sbuffa scocciata.
« Susy, sei incorreggibile! Ma perché non ascolti? »
Alzo le spalle.
« Perché tutti gli anni è la stessa storia e perché non mi interessa. Tanto sappiamo come andrà a finire. »
Monica scuote la testa.
« Magari, quest’anno, riusciremo a superare Mary! »
Mi lascio scappare una risatina, che non passa certo inosservata alle due paia di occhi di Monica.
« Niki, non abbiamo alcuna speranza di competere con degli adulti. »
Mi guarda stranita, non capendo dove voglio arrivare.
« È chiaro che non è lei, a fare la ricerca. Gliela farà uno dei suoi mille maggiordomi. »
« Quanto sei acida, Susy! »
Sono acida? Davvero? No che non lo sono. Mi fa solo rabbia. Perché se i meriti fossero suoi, potrei anche accettarlo. Ma sappiamo tutti che i professori si lasciano corrompere dal suo sorriso – voci maliziose insinuano non solo da quello – e che è una zucca vuota senza arte né parte. E non è nemmeno invidia, no: io ho le mie sufficienze, e sto bene così. E poi, chi mai vorrebbe una gloria che non gli appartiene?
 
Mary torna a sedere accanto alle sue amiche di sempre, altrettanto belle e ricche. Hanno una voce talmente stridula, che riesco a sentirle ridacchiare anche da qui. Sospiro, ringraziando il cielo di avermi donato una vita semplice e due ottime amiche come Monica e Lara.
Osservo ancora Mary e il suo viso imbrattato di fondotinta, tanto che lo stacco tra il viso e il collo è pressoché pauroso, e provo a immaginare di cosa mai potranno parlare lei e le sue amiche. Vestiti, ragazzi, moda.
Che barba.
Non fraintendetemi, eh, sono una sedicenne qualunque a cui piace parlare di vestiti, ragazzi e moda. Ma, non so perché, sono quasi certa che Mary Sullivan e le sue amiche lo facciano in modo davvero odioso. È un partito preso? Forse. Ma perché mai dovrei cambiare idea? A Mary Sullivan non interessa, né tantomeno a me.
Picchietto la spalla di Lara, seduta davanti a me, per chiederle se vuole unirsi al nostro gruppo. Sì, non ho ancora interpellato Niki sulla sua composizione, ma sono certa che accetterà la mia presenza. Anzi, forse non deve nemmeno accettare: è già stato scritto.
Ma proprio mentre Lara si gira, la professoressa prende la parola.
« Ragazzi, ragazze. Quest’anno c’è una novità. »
Mi ricompongo al mio posto, incuriosita e impietrita allo stesso tempo. Novità? Forse dovrò impegnarmi anch’io?
« Ritengo che gruppi di tre persone siano controproducenti. Sappiamo tutti che, nel migliore dei casi, due lavorano e il terzo si gira i pollici. »
Sento come se mi avessero scoccato una freccia in testa. Ho la coda di paglia, lo so. Sono una lavativa, lo so. Prometto di cambiare, ma non modificate la composizione dei gruppi, no! Perché lo so, è così, che Monica e Lara mi escluderebbero. Chi vuole un peso morto al suo fianco? È vero, preparo panini deliziosi, faccio battute simpatiche e allieto i pomeriggi, ma di fatto sono inutile. Inutile!
« Ho deciso, quindi, che i gruppi saranno formati da due sole persone. »
È la fine. Lo sento. Adesso posso solo pregare e aspettare un intervento divino. Peggio di così non poteva andare.
« E ho deciso, inoltre, che sarò io a formare questi gruppi. Prenderò il primo nome del registro e l’ultimo e procederò verso l’interno: queste saranno le coppie. »
Deglutisco. Chiamo alla mente il mio numero di registro: è il quarto, in quanto Susy Carlsson. Volo con la mente all’ultimo nome e provo a procedere a ritroso, ma è inutile: durante l’appello attendo di essere chiamata, e poi sono già pronta a distrarmi.
Incrocio le mani in una preghiera disperata, sperando che mi capiti un buon compagno.
La professoressa, intanto, comincia l’elenco delle coppie:
Allen, Zapster;
Bailey, Young;
Baker, Thompson.
È il mio turno. Trattengo il respiro. La professoressa apre la bocca per decidere del mio destino.
« Carlsson. Sullivan. »
Avverto un’altra freccia, dall’altra parte del capo. Fisso vacua la testa di Lara, davanti a me. Mi gratto un orecchio, perché forse non ho sentito bene. Alzo la mano.
« Scusi, professoressa, temo di non aver capito. Con chi sarei in coppia? »
La professoressa sbuffa, senza capire che, per me, è questione di vita o di morte.
« Signorina Carlsson, penso che brinderò, il giorno in cui starà attenta. Lei è in coppia con la signorina Sullivan. Mary Sullivan. Devo ripeterlo ancora? »
Mi volto verso Monica. Sto sbiancando, lo so. Lei mi guarda con occhi afflitti.
In coppia con Mary Sullivan. Quell’odiosa, oca, stridula Mary Sullivan. Chilo-di-cerone Mary Sullivan. Sono-bravissima-e-bellissima Mary Sullivan.
Voglio morire.
Aiuto.

 
 

Salve a tutti! Innanzitutti, voglio ringraziare Silvia per avermi dato la benedizione per questi primi capitoli e Marty per avermi aiutata a sistemare il prologo.
Come avete letto, la povera Susy è capitata in coppia con Mary. Potrà mai andarle peggio di così?
Ringrazio tutte le persone che hanno letto e recensito questo mio piccolo esperimento, mi hanno fatto molto piacere i vostri commenti. 
Visto che la storia è già terminata (sono 9 capitoli in tutto), penso che pubblicherò un capitolo al giorno, o con un altro ritmo se preferite.
Alla prossima, fatemi sapere cosa ne pensate ^__^

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Le crepe di Mary Sullivan ***


2. Le crepe di Mary Sullivan
 
 
« Senti, non complichiamoci troppo la vita: ci dividiamo gli argomenti e ognuno per conto suo, va bene? »
Ho abbandonato Monica e Lara per un faccia a faccia con Mary Sullivan. Devo ammettere che non ci siamo mai rivolte la parola. E, infatti, è piuttosto strano parlarle.
Lei mi guarda. Poi si porta una mano alla bocca e sghignazza.
« Oh no, cara Susy, non ci penso nemmeno. Verrai da me, oggi pomeriggio, e cominceremo a lavorare. »
Alzo un sopracciglio, confusa. Ha davvero parlato al plurale? Noi cominceremo a lavorare? Io e lei? Forse aveva davvero ragione Monica, a dire che sono troppo acida?
Dopo un primo momento di stupore, annuisco sorpresa.
« Va bene. Ci vediamo a casa tua, allora. Vengo verso le quattro, d’accordo? »
« Sì, perfetto. A dopo! »
Mary Sullivan si porta nuovamente una mano alla bocca, sghignazza ancora e poi cammina fitta fitta con le sue amiche. Non mi piace quella risata, neanche un po’. Ma devo smetterla di essere malfidata, giusto? Io e Mary Sullivan collaboreremo e, visto che è così brava, termineremo in fretta.
O almeno spero.
 
Torno dalle mie amiche, che mi guardano in attesa di una risposta. Decido di tranquillizzarle.
« Non preoccupatevi, è andato tutto bene. Oggi pomeriggio cominceremo a lavorare. »
Monica e Lara si scambiano uno sguardo sorpreso. Non saprei dire se sia a causa dell’incontro o del fatto che abbia messo “io” e “lavorare” nella stessa frase per la prima volta.
Esatto, ho intenzione di darmi da fare. Cerco forse di dimostrare a me stessa che non sono così inutile? Chissà. Intanto mostrerò a Mary Sullivan cosa significhi darsi da fare e ottenere la gloria con il sudore della propria fronte.
Lo so, lo so: non sono la massima esperta in materia. Ma, sicuramente, sono meglio di Mary Sullivan.
 
***
 
Fisso il videocitofono della villa, che altri non è che la casa di Mary Sullivan. Una voce maschile chiede chi è.
« Sono Susy Carlsson, una compagna di Mary Sullivan. Sono qui per il progetto di scienze. »
Aspetto una risposta, invano, mentre il cancello comincia ad aprirsi. Ripenso con un sorriso ai miei pomeriggi a casa di Monica o Lara, dove, una volta suonato il campanello, sono sempre lì sulla soglia ad aspettarmi festose. Qui, forse, l’unico che mi degna di uno sguardo è il giardiniere. Sollevo la mano in qualcosa che somiglia a un saluto, per poi bloccarmi a mezz’aria quando noto che si gira, senza neanche farmi finire.
Maleducato.
Dev’essere questa casa che ti riduce così. Motivo per quale spero di starci il meno possibile.
Percorro il vialetto di ciottoli, circondato da un meraviglioso – devo ammetterlo – prato di siepi e aiuole di rose, fino a giungere davanti al portone. Sollevo lo sguardo e noto l’influenza corinzia sull’architetto, ma riesco a constatare che la vernice è troppo bianca perché l’effetto antichità funzioni. Sorrido, soddisfatta per essere riuscita a trovare un difetto in una qualsiasi cosa che riguardi Mary Sullivan.
Spingo il pulsante del campanello, ma per fortuna, stavolta, la risposta non tarda ad arrivare: mi apre una donna in livrea, probabilmente una domestica, che mi fa entrare e mi conduce verso il salotto.
Rimango lì, sola, a contemplare la stanza e i suoi numerosi soprammobili. Sembra tutto talmente antico e prezioso, che anche il solo sedermi sul divano mi provoca un’ansia pazzesca. Mi spingo così in avanti, rimanendo seduta sul divano quasi per miracolo.
Continuo ad aspettare, con la schiena dritta e le mani sulle ginocchia, in attesa che arrivi Mary Sullivan. Mi volto verso destra, e noto, accanto al divano, un piccolo tavolino intarsiato. Ha sottili e sinuose gambe di ferro e un piano d’appoggio in porcellana decorato con motivi floreali. Mi pare d’intravedere, sul tavolino, una specie di rilievo.
Lo ammetto, sono curiosa di toccarlo. Sarà un effetto ottico o è davvero rialzato?
In barba a tutte le raccomandazioni che potrei farmi, tra cui quella di non toccare niente, mi sporgo verso il curioso tavolino. Allungo una mano verso il bozzolo rialzato, a cui arrivo a malapena. Ancora un piccolo sforzo e ci sono!
Stiro un po’ il braccio per arrivare verso il mio obiettivo, ma-
Ahia!
Lo sapevo! Lo sapevo che non dovevo sedermi in quel modo! Stupida Susy, era palese che saresti caduta, no?
Mi volto verso il prezioso tavolino: è ancora integro. Per fortuna non ho avuto la bella idea di arregermici!
Dietro di me, sento una risata fin troppo conosciuta. Il ghigno di Mary Sullivan è davvero qualcosa di inconfondibile.
Mi alzo e mi ricompongo in fretta e furia, stirando i pantaloni con le mani.
« Che ci facevi lì in terra, Susy? »
Mary Sullivan continua a ridere. Se ci fosse una corda, in questa stanza, penso proprio che l’avrei già afferrata per strozzare quella gallina coccodè. Non devo darle spago, no. Alto profilo, Susy. Rispondi seriamente.
« Sono venuta per il progetto. »
Mary Sullivan ride ancora.
« Volevi scrivere sul tappeto? »
E ride, ride, ride. La odio, la odio!
In questo momento, vorrei tanto essere la protagonista di quei film per bambini, dove, tirando una fune, si innescano tutta una serie di trappole che si concludono con la caduta, in testa alla cattiva di turno, di un secchio di vernice. O d’acqua. O di qualsiasi cosa.
Basta far tacere quella gallinella!
Ma io sono solo Susy, la povera, piccola Susy che non ha alcun potere, né trappola da innescare. Posso solo aspettare che Mary Sullivan smetta di ridere.
E, finalmente, si zittisce. Esce dalla stanza e io, quatta quatta, la seguo.
Arriviamo in una grande sala, che forse catalogherei come sala da pranzo, occupata in gran parte da un lungo tavolo. Sopra di esso, ci sono già una pila di libri.
« Su, siediti. Non ti morde mica. »
Il mio respiro si gonfia, ma devo stare calma. Certo che non mi mangia, stupida oca, si chiama educazione! Oh, quanto vorrei risponderle a tono! Ma la ricerca ha la priorità, così come il ridurre al massimo la mia permanenza in questa casa.
Prendo posto a capotavola, vicino alla pila di libri, e aspetto che Mary Sullivan faccia lo stesso.
Solo che, come dire, non lo fa.
« Buona ricerca, Susy. A dopo! »
Rimango a bocca aperta, mentre la vedo allontanarsi sventolando la mano.
Sono allibita. Esterrefatta. Incredula!
E io che avevo provato a darle fiducia! Avevo ragione a essere acida nei suoi confronti! È una gallina, stupida, oca… ah, basta! Meglio non dire altro!
Ma se pensa che mi lascerò mettere i piedi in testa così, si sbaglia di grosso. Sarà dura, ma farò la ricerca per conto mio. Figuriamoci se voglio avere ancora qualcosa a che fare con quella.
Mi alzo, indispettita, e percorro all’indietro il percorso dell’andata. Ma, mentre procedo, degli strani rumori mi costringono a fermarmi.
Mi sporgo appena, aggrappata allo stipite della porta, e subito mi ritraggo, imbarazzata.
Sento le mie guance avvampare e un enorme senso di imbarazzo impossessarsi di me.
Ho appena beccato i genitori di Mary a limonare!
Che figuraccia! Certo che, anche loro, potrebbero essere più discreti, no? Dico, almeno chiudere la porta?
Aspetto ancora qualche secondo, ma i gemiti continuano.
Che sollievo! Non si sono accorti di me.
Senza farmi vedere, supero la porta dell’imbarazzo e raggiungo l’uscita.
L’ultimo episodio mi ha talmente segnata che ho quasi dimenticato la rabbia verso Mary Sullivan- l’approfittatrice.
Perché ci ho ripensato? I miei istinti di vendetta si sono risvegliati.
Me la pagherai, Mary Sullivan, questo è certo!
 
Esco da quella villa anonima, percorro nuovamente il selciato finché non scorgo una figura davanti a me. Si tratta di una giovane donna, alta, molto bella, dai lunghi capelli lucenti. Quasi come quelli di Mary Sullivan.
Non appena mi passa accanto, la donna mi sorride.
« Ciao! Sei un’amica di Mary? »
Dovrei sorridere, lo so, ma non ci riesco. Rimango con la mia espressione incupita.
« Sono una sua compagna di classe. Ero venuta qui per fare la ricerca, ma Mary Sullivan ha pensato bene di scaricare tutto sulle mie spalle. Me ne sto andando! »
Subito dopo aver finito, imploro il cielo di tagliarmi la lingua. Come mi è saltato per la testa di importunare così una sconosciuta?
La donna abbassa la testa e sorride appena, tornando poi a guardarmi.
« Devi perdonare mia figlia. A volte si comporta così, ma non è cattiva. »
Sono sicura che la donna, dopo “mia figlia”, abbia detto qualcos’altro. Cosa, non so. Perché mi imbambolo e spalanco gli occhi di fronte a quelle due paroline.
Ha detto davvero “mia figlia”?
Questa sarebbe la madre di Mary Sullivan?
E allora, la donna che ho visto prima, chi diavolo era? Possibile che il padre di Mary…?
« Devo andare, signora. È stato un piacere. »
Detto ciò, fuggo via.
 
Ho sempre pensato che Mary Sullivan fosse perfetta. Chi, in città, non conosce il dottor Sullivan? Credo che sia, praticamente, il primario più bravo del suo reparto. E tutti sanno quanto sia felice con la moglie, la signora Sullivan, che spesso rimane nell’ombra, ma che è descritta come moglie devota e affettuosa.
Ho davvero sempre pensato che la famiglia di Mary Sullivan non potesse essere che perfetta. Ho sempre immaginato la sua famiglia intorno a un tavolo, che fa colazione con gioia e affezione. “Mi passi il pane, cara?” “Ma certo, tesoro, prendi”.
Però, forse, quella famiglia non è così perfetta come vuole apparire.
Devo parlarne con Monica e Lara, subito.
Chissà se loro ne sanno di più?

 

Salve a tutti! Eccoci arrivati al secondo capitolo. Susy ha scoperto proprio una brutta verità... Chissà se Mary ne è a conoscenza? Che conseguenze avrà questa scoperta?
Lo scoprirete presto!
Alla prossima e grazie a tutti coloro che hanno commentato e messo la storia tra le seguite ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Le lacrime di Mary Sullivan ***


3. Le lacrime di Mary Sullivan
 
« Ve lo giuro! Il signor Sullivan stava limonando con un’altra donna! Mette le corna alla moglie, capite? »
Monica e Lara mi ascoltano rapite, a bocca aperta per la rivelazione.
« Ma tu sei sicura di quello che hai visto, Susy? Sarebbe un bel colpo! Uno a zero per noi. »
« Credimi, Lara, non sai come ci sono rimasta! Quella famiglia così perfetta… Non posso crederci. »
Monica si infila nuovamente gli occhiali, dopo averci alitato per poterli pulire.
« Non so perché, ma me lo aspettavo. Mary è troppo perfetta, oltre che terribilmente odiosa, è chiaro che da qualche parte c’è una crepa che si cerca di nascondere. »
Già, una crepa. Smetto di ascoltare per vagare nei miei pensieri. Non avevo mai pensato al fatto che Mary Sullivan potesse avere qualche difetto. E mi sto chiedendo, in questo momento, se lei sia a conoscenza della scappatella di suo padre.
Provo pena, per lei. Riesco quasi a dispiacermi. Anche se ciò non toglie che sia un’oca intollerabile e anche più falsa della sua faccia inceronata.
Ripensandoci, ho cambiato idea, non mi dispiace.
Però, forse,  mi dispiace.
Non mi dispiace.
Mi dispiace.
Non… oh, basta! Che mi importa di Mary Sullivan? È solo una stupida, una cosa del genere può solo meritarsela.
Aspetto che Monica e Lara finiscano le loro considerazioni, poi passo a raccontare loro la vicenda della ricerca di scienze. Ma mi accorgo che, di fronte alla bomba che ho sganciato poco prima, questa è davvero niente, in confronto.
Monica mi offre comunque conforto.
« Quella Mary è proprio imperdonabile, ma ce la farai, Susy, vedrai. Se poi hai bisogno, puoi sempre chiedere aiuto a me e Lara. »
Gli occhi mi brillano. Getto le braccia intorno al collo di Monica, felice.
« Grazie, grazie, grazie. È bello avere amiche come voi! »
Sorridente, torno al mio posto. Le lezioni ricominciano, ma mi sento piena di nuova speranza.
Ho delle amiche fantastiche, davvero. Mica come quelle di Mary Sullivan!
Butto un’occhiata verso il suo posto con l’idea di farle una linguaccia, quando mi accorgo che non c’è. Il posto di Mary Sullivan è vuoto.
Ero talmente presa dal racconto, che non mi sono nemmeno accorta della sua assenza. Che abbia scoperto della scappatella di suo padre? Chissà, magari adesso è a casa a piangere, disperata.
Mary Sullivan piange? Nah, che sto dicendo!
 
Le ore di lezione passano e nemmeno me ne accorgo. Sono troppo presa dai miei pensieri, questo è certo. Monica e Lara sostengono che Mary Sullivan sia perfettamente a conoscenza di questa donna misteriosa, ma io non ne sarei così sicura. Ha sempre e solo frivolezze per la testa; se sapesse la verità, non starebbe così.
E io lo so bene. Troppo bene, purtroppo.
Forse è questo che mi spinge a pensare a Mary Sullivan e a come può sentirsi. E a domandarmi perché non sia venuta a scuola.
Potrei chiedere alle sue galline – cioè, amiche – ma mi sentirei davvero sciocca. Mi riderebbero dietro e mi prenderebbero in giro, ne sono certa.
Però, è anche vero che tentar non nuoce, giusto? Potrei intercettarle alla ricreazione, magari in bagno. Ci vanno sempre, rigorosamente in tre.
Sì, sì.
Farò così.
 
Sembrerò banale, ma la ricreazione è il momento che preferisco. Anche solo per sgranchirmi le gambe! Comunico a Monica e Lara che, per quella volta, non andrò giù in cortile con loro. Mi guardano storto, cercano di capire perché, e mi limito a dire che ho un urgente bisogno di andare in bagno.
Mi credono, o forse fingono di farlo, e mi dirigo verso la mia meta.
Lo so, non avrei dovuto mentire alle mie amiche, ma non so come reagirebbero se scoprissero che mi sto preoccupando per quella là. Monica non le ha mai perdonato l’accusa di aver copiato il compito di matematica, e Lara non manda ancora giù che Mary Sullivan abbia rivelato i sentimenti della mia amica al ragazzo che le piaceva.
So che non sto facendo niente di male, ma come potrei giustificarmi dopo due precedenti così?
Arrivo di fronte al bagno delle tre grazie, e le sento starnazzare – cioè, sghignazzare. Entro con passo deciso, ma qualcosa mi ferma subito.
« Le sta proprio bene, a quella stupida. Così impara a credersi perfetta! »
E ridono ancora. Ma di chi stanno parlando?
« Povera Mary, » aggiunge un’altra, e il cuore perde un battito, « dev’essere stato un bel colpo, per lei, scoprire che suo padre ha un’altra. Povera, povera Mary. Sì, proprio poverina! »
E continua a ridere, ancora e ancora.
Parlano di Mary Sullivan, è chiaro. Ma non dovevano essere le sue amiche, quelle? Perché parlano così di lei? Ma soprattutto, come fanno a sapere del padre di Mary?
« Sto godendo proprio, ragazze. Finalmente abbiamo avuto la nostra vendetta! Per una volta non è più la reginetta che tutti invidiano! »
Mi sento triste per lei. Non ha senso, è vero. Ma immagino Mary che si sfoga con le sue amiche, loro che fanno finta di confortarla e che poi le voltano le spalle così. Che cosa starà facendo, adesso, Mary?
Mi fa pena pensare che sia così sola.
Forse dovrei andare a casa sua e dirle qualcosa?
 
Suonata l’ultima campanella, decido di seguire il mio istinto. Qualcosa, dentro di me, mi spinge a voler sapere come sta Mary e perché non è venuta a scuola. E poi, proverò a raccontarle delle sue galline-amiche.
Torno nuovamente davanti alla villa un po’ troppo nuova per sembrare vecchia, suono il campanello e aspetto che il cancello si apra. Una volta entrata, sbircio ai lati e noto il solito giardiniere, che stavolta, però, non degno di uno sguardo: se lo merita!
Giungo davanti al portone, mi faccio aprire e attendo in salotto, come l’altra volta. Aspetto l’arrivo di Mary – stavolta senza toccare niente, non sia mai –, ma di lei neanche l’ombra.
È già passato un quarto d’ora, ma ancora Mary non si è vista. Forse sta male?
E se…
No, Susy, levatelo dalla testa! Hai detto di startene qui, ferma, immobile per non combinare casini. Quindi resterai qui, intesi?
Oh, voce della coscienza! Come faccio a rimanere ancora seduta qui? Cosa potrà mai succedere se gironzolo per casa in cerca di Mary?
Sì, a volte parlo con la mia coscienza. Niente di grave, almeno spero.
 
Mi alzo impettita da quel divano – senza cadere, fortunatamente – ed esco dal salotto. Mi affaccio sul corridoio, constatando con orrore che, in fondo, c’è una rampa di scale. Mi ci vorrà più tempo del previsto, temo.
Provo a pensare un po’. Le camere da letto, generalmente, stanno ai piani più alti. Potrei saltare il piano terra e andare direttamente su. Sì, buona idea, Susy!
Mi dirigo verso le scale e salgo al piano superiore. Comincio a percorrere il corridoio, guardandomi intorno e cercando di non fare troppo rumore mentre calpesto il pavimento. Eh sì, l’interno sembra vecchio quanto le colonne corinzie – quelle vere! – e ogni passo è uno scricchiolio. Probabilmente, nemmeno il ladro più scaltro avrebbe scampo.
Alla fine, sulla sinistra, scorgo una porta diversa dalle altre: attaccato a un chiodo, sulla porta, c’è una piccola insegna di legno, con su scritto “Mary”. Mi sommergo di complimenti per la bella intuizione che ho avuto, decidendo di esaminare per primo il piano superiore e, intanto, raccolgo il mio coraggio.
Uno, due, tre.
Busso.
Aspetto un po’, pensando di essere cacciata via malamente, ma, invece, nessuno risponde.
Busso ancora.
Niente.
Deduco che non ci sia nessuno, ma non voglio mollare. Poso le dita sulla maniglia, l’abbasso e spingo piano. Poi intrufolo la mia testa tra la porta e lo stipite, sbirciando dentro.
« È permesso? »
È lì, distesa sul letto.
Mary scatta su, un po’ spettinata e con gli occhi gonfi. Poi li spalanca e, come una tigre infuriata, salta giù dal letto e corre verso di me.
« Vattene via! Vattene! »
Per poco non vengo colpita da un orsetto di peluche, che schivo con fare rocambolesco. Mi ritrovo faccia a faccia con Mary, che stringe i pugni.
« Chi ti ha dato il permesso di entrare? Che ci fai qui? Vattene via! »
Urla talmente tanto da farmi indietreggiare. Sembra un mostro indiavolato!
« Mary, calmati! Volevo solo sapere come stavi e… »
« Sì, certo! Sei proprio falsa, Susy! »
Aggrotto la fronte, senza capire.
« Ma di che parli? »
E, soprattutto: da che pulpito! Ma perché Mary si accanisce così verso di me? E io che ero venuta con le migliori intenzioni!
« Sei stata tu, lo so! Tu hai messo in giro quelle voci su mio padre! »
Mi fermo un attimo, e capisco. Ecco perché le tre grazie ne erano a conoscenza. Ma io sono ben conscia di non aver diffuso questa voce! E allora, chi è stato? Intanto, però, devo cercare di difendermi: Mary è più accanita che mai.
« È vero, ho raccontato questa storia alle mie amiche, ma solo a loro! E poi, perché avrei dovuto farlo? »
« Forse perché mi odi? »
Mi trattengo dall’impulso di rispondere “Ma se tutti ti odiano!” e mi fermo un attimo a pensare. Mary, intanto, sembra essersi calmata.
« Probabilmente, qualcuno ha sentito mentre lo raccontavo a Monica e Lara e ha diffuso la notizia. Io non c’entro, davvero! »
Mary incrocia le braccia e sorride a mo’ di beffa. Solo in quel momento gli occhi mi cascano sulla sua vestaglia, di lucente seta rosa e dalle finiture meticolose. È davvero bella e raffinata! La camera, però, è un po’ troppo piena di orsacchiotti per una sedicenne. Una sedicenne come Mary Sullivan, ovvio.
Intanto, come a farmi tornare in questo mondo, Mary ribatte.
« Sì, certo. Arrampicati pure sugli specchi, Susy. Ora dimmi cosa vuoi da me, e poi vattene. Vuoi forse dire a tutti che mi hai visto piangere? »
Io non me ne capacito. Cosa dovrei volere da lei?
« Mary, com’è possibile che tu sia così ottusa? Che sciocca, sono stata. Ero venuta qui, pensando che avessi bisogno di conforto. Avevo anche lasciato da parte i pregiudizi, pensando che tu fossi nel tuo letto a piangere per la scoperta di tuo padre, e invece sai solo gettarmi veleno addosso! Hanno ragione le tue amiche, sì! »
Faccio dietro-front, intenta ad andarmene, ma la mano di Mary mi afferra una spalla e mi ferma.
« Che c’entrano le mie amiche? »
« Scoprilo da sola! Addio! »
Scosto con decisione la sua mano dalla mia spalla, per poi correre via verso le scale.
Sento la voce di Mary che mi chiama, ma non ho alcuna intenzione di fermarmi.
Mentre corro, mi riempio di pugni in testa e di insulti. Cretina io e stupida lei! Ma come ho potuto pensare, anche solo per un momento, che Mary Sullivan fosse diversa da come l’avevo immaginata?
Certo, però, che sono stata davvero sciocca. Mi ha odiata fino al giorno prima, come potevo pretendere che volesse la mia spalla? E io, perché gliel’ho offerta?
Cretina, ecco cosa sono.
 

Sera a tutti! Eccoci al terzo capitolo di Façade. Occupo questo spazio perché vorrei fare alcune considerazioni sulla storia (che cercherò poi di infilare nella stessa). Come avrete notato o noterete, le due adolescenti protagoniste sono un po' atipiche se paragonate a quelle dei giorni nostri. Infatti, anche se involontariamente, mi sono rifatta ai romanzi di fine Ottocento con bambini protagonisti (ho letto da poco Principessa Sara); quindi, da questa storia, aspettatevi pure sentimenti e personaggi un po' naif ^^ Se proprio volessimo ambientarla in un periodo più vicino al nostro, direi gli anni 90 (e questo perché ho citato i cellulari, sennò potevano benissimo essere gli anni 80). 
Ci tenevo a fare questa precisazione perché non vorrei che mi si dicesse che le adolescenti di oggi non pensano a queste cose e non parlano così XD Ne sono conscia, ma la mia storia voleva avere un "sapore" diverso. 
Detto questo, vi saluto e ringrazio tutte le persone che seguono questa storia ^^
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La solitudine di Mary Sullivan ***


4. La solitudine di Mary Sullivan
 

Mary è tornata a scuola. Mi fa un po’ strano rivederla dopo il nostro litigio di ieri. In realtà, mi fa più strano pensare che abbiamo avuto un litigio. Non ci eravamo mai parlate e mi rendo conto di non averla mai conosciuta davvero. Anche se, devo ammetterlo, quello che ho trovato non mi è piaciuto. D’altronde, se la odiavo, un motivo ci doveva pur essere!
Un particolare, però, mi balza subito agli occhi: Mary è da sola. Voglio dire, ha sempre le sue amiche sedute accanto, ma nessuna delle grazie le parla. Chiacchierano tra di loro, si raccontano chissà quali pettegolezzi, ma Mary è esclusa. Che succede?
Mi giro verso Monica, che da sempre, però, si professa superiore alle chiacchiere di corridoio, e puntello quindi la solita spalla di Lara, che si volta.
« Che è successo a Mary? Perché non la considerano? »
Lara spalanca gli occhi, eccitata.
« Ma come, non lo sai? Hanno litigato! Pare che sia stata una delle grazie a mettere in giro la voce sul padre di Mary, lei l’ha scoperto e si è arrabbiata tantissimo! Susy, non sai quanto sono felice! Finalmente ha quello che si merita. Tiè! »
Lara rivolge a Mary una linguaccia, poi sfodera un sorriso soddisfatto.
Mi volto nuovamente verso Monica, anche se non mi aspetto alcun tipo di commento. E, infatti, devo ricredermi!
« Sarò sincera, le sta bene. Con quell’atteggiamento, non poteva andare molto lontano. »
Sbarro gli occhi. Non credo di aver sentito mai, mai Monica sbilanciarsi così. Comincio a pensare, davvero, che siano tutti impazziti. Forse il mondo sta per finire! Dov’è finito il senno della razza umana?
 
La professoressa ha deciso di interrogare. Sono tranquilla, però: ho già sopportato il supplizio la settimana scorsa. La prof fa scorrere il dito su e giù per il registro – sadica! – finché non si ferma, puntando la vittima.
« Sullivan! Vieni. »
Mary è totalmente tra le nuvole. Scuote il capo come se fosse appena riemersa dai suoi pensieri, si alza e cammina verso la cattedra. Non sculetta come al solito, però. E, noto, ha gli stessi pantaloni di ieri. Imperdonabile, per lei! Dev’essere davvero impazzita.
Mary pone lo sguardo oltre la finestra davanti a lei, mentre aspetta che la professoressa le faccia una domanda. Che non tarda molto ad arrivare.
« Sullivan, dimmi l’imperfetto passivo del verbo moneo. »
Mary apre la bocca per dire qualcosa, ma non ne esce niente. Sta lì, zitta e ritta in piedi, senza proferire parola. La classe è col fiato sospeso. Dov’è finita Mary Sullivan con la sua super parlantina? Mary? Sveglia!
Sbirciando un po’ verso le tre grazie, noto che le stanno suggerendo qualcosa. Mary le guarda e, finalmente, parla.
« M-monebam… »
La prof batte un pugno sulla cattedra.
« Sullivan! Che stai dicendo? Ti ho chiesto l’imperfetto passivo. Forza, ancora. »
Mary gela le sue amiche con uno sguardo. Evidentemente, le hanno suggerito di proposito la risposta sbagliata. Se solo si girasse da questa parte! Ma lei si limita a sospirare. Poi posa lo sguardo sulla donna.
« Professoressa, non ho studiato. »
Gelo. Panico. Tutta la classe ha il fiato mozzato. Forse qualcuno è pure svenuto. Perfino la prof è rimasta a bocca aperta.
« Sullivan, che ti prende? »
« Non ho studiato. Mi faccia andare a posto. »
Dopo un primo momento di smarrimento, mi accorgo che metà classe sta sghignazzando. Molte compagne parlano con quella accanto, nascondendo le parole con la mano davanti alla bocca. Perfino Lara si gira, guardandomi incredula. Monica la ricambia anche.
Ma io, non so perché, non riesco a gioirne. Dopo averla vista ieri, con gli occhi gonfi e arrossati dal pianto, non riesco a godere all’idea che non abbia studiato.
Anche io smisi di studiare, per un po’. Ma ero più piccola, e mi causò meno problemi. Nonostante questo, riesco a capire come possa sentirsi e so bene che lo studio è l’ultima cosa su cui ci si possa concentrare.
La professoressa alla fine si rassegna. Le indica il posto, scuotendo la testa.
« Vai a posto, Sullivan. Ti interrogo un’altra volta. »
Sollevazione popolare. Chiara, una mia compagna, si alza e batte i palmi sul tavolo.
« Perché non le mette un tre come fa con tutti noi? Perché deve avere questo trattamento di favore? »
A rotazione, seguono le proteste di tutti i miei compagni, compresa Lara.
« Giusto, perché non le mette un tre? Non aveva studiato! »
Presto, la classe si trasforma in una piazza del mercato. Voci sovrastate, una sull’altra, incomprensibili. Mary guarda smarrita intorno a sé, senza sapere cosa fare.
« Silenzio! »
La professoressa prova a mettere ordine in quella caciara, riuscendoci. Con quella voce capace di spaccare bicchieri, anche io mi sarei zittita all’istante. I miei compagni si ricompongono, continuando a parlottare tra loro. La prof riprende la parola.
« Sono io l’insegnante e io decido. Questione chiusa. »
Inutile descrivere la collera dei miei compagni, i loro discorsi concitati, qualche parola grossa. Io, invece, riesco solo a guardare quella figura che si fa sempre più piccola.
Penso proprio che vorrebbe sprofondare.
 
Durante la ricreazione, Mary se ne sta seduta al suo posto. Con la scusa del bagno e dei miei incontrollabili problemi intestinali, mi sgancio da Monica e Lara che continuano a guardarmi in cagnesco. So che sospettano qualcosa, anche se forse non ne sanno la natura. Le guardo svoltare l’angolo, poi mi dirigo davvero verso il bagno – nel caso in cui tornassero indietro.
Come entro, qualcosa mi balza subito agli occhi. Qualcuno ha imbrattato i muri con un uniposca nero. Mi avvicino un po’ e mi indispettisco. Sul muro c’è scritto, infatti, qualcosa tipo “Mary Sullivan racchia”. Alzo gli occhi e mi accorgo che non è l’unica opera d’arte che ignoti hanno sfornato. Leggo ancora: “Mary Sullivan cocca dei prof” e una serie di altri epiteti poco carini accostati al nome di Mary.
Sono furiosa. Capisco la rabbia dei miei compagni, ma perché nessuno prova a capirla? È vero, in passato non ha mai fatto niente per rendersi adorabile agli occhi degli altri, però non riesco a essere così crudele.
Esco dal bagno contrariata, quando noto le tre grazie in corridoio. È vero, teoricamente sono due, ma ormai il loro titolo è ‘le tre grazie’, e tali rimarranno. Certo, potrei chiamarle ‘il duo di galline’, ma… ormai hanno già un nome. Questione chiusa, come direbbe la professoressa Clark.
La cosa che mi balza subito agli occhi, però, è la loro compagnia. Riconosco chiaramente un gruppetto di ragazzi della classe accanto alla nostra, e sono abbastanza certa che facessero tutti il filo a Mary! Assottiglio lo sguardo, perché c’è qualcosa che non va: uno di quelli, lo riconosco, è proprio il ragazzo con cui esce Mary! Che ci fa insieme alle grazie?
È una domanda forse retorica, me ne rendo conto. Mary, adesso, non è più perfetta e nessuna la vuole più. L’hanno gettata via tutti come uno straccio vecchio.
Passo accanto al gruppetto starnazzante e, come temevo, le tre grazie non fanno altro che spettegolare su Mary insieme ai ragazzi.
« L’abbiamo mollata, quella là! Lo dicevo, io, che non valeva niente! È solo una montata! »
« E pure stupida! »
Il repertorio delle grazie continua su questo filone, in mezzo a risate ocheggianti. Mi domando se abbiano avuto il coraggio di dirgliele in faccia, queste cose. Forse, conoscendole, è anche probabile. Chissà come si è sentita Mary, quando ha scoperto che le sue amiche la disprezzavano così. Se succedesse a me, di essere scaricata in questo modo, non so proprio come reagirei. Certo, qui è un po’ diverso: non sono soltanto le sue amiche a disprezzarla, ma l’intera scuola. Nei corridoi, mi accorgo, non si parla d’altro.
Dev’essere dura reggere un peso del genere, da sola. Un momento prima ti adorano, e quello dopo non esisti più.
Abbandonata, così.
Rientro in classe e noto che Mary è ancora lì da sola, al suo banco, a mangiare la colazione che qualcuno ha preparato per lei. Un panino al prosciutto cotto che mastica quasi controvoglia. Riesco perfino a vedere il boccone che scende a fatica.
Vorrei parlarle, ma cosa potrei dire senza sembrare banale? Me ne sto sulla soglia, a girarmi i pollici e rimuginare, finché non mi viene in mente qualcosa. Mi avvicino a lei a piccoli passi e soltanto quando le sono praticamente davanti si accorge della mia presenza. Non dice nulla, però. Mi guarda solo con quegli occhi pietosi.
« Ehm, Mary. Volevo dirti che oggi, se ti va, potremmo vederci per continuare la ricerca. »
Lei rimane impalata, con la bocca ancora intenta a strappare l’ennesimo morso. Mi fissa stupita e non risponde – nemmeno dopo aver liberato la bocca dal panino. Provo a ottenere una risposta.
« Facciamo verso le quattro, come l’altra volta? »
Non faccio in tempo a ottenere una risposta, che la campanella suona. Istintivamente mi dileguo e corro al mio posto. Mi accorgo però che è stato davvero un gesto stupido. Mary penserà che non voglio farmi vedere con lei.
Ma posso forse negarlo? La verità è che sono una codarda e mi vergogno. Se Monica e Lara mi vedessero in compagnia di Mary, come reagirei?
Tutti i miei compagni sono rientrati, comprese Monica e Lara che cominciano subito col terzo grado.
« Che ti succede in questo periodo, Susy? Non è che ci nascondi qualcosa, vero? »
Io ridacchio e scuoto la testa.
« Macché, figuratevi! Ve l’ho detto, non sto bene. »
Monica soffia col naso e lancia un’occhiata a Lara.
« Se lo dici tu. Scopriremo con chi ti vedi, sai? E se sarà un ragazzo con cui esci, non ti perdoneremmo mai di non avercelo detto! »
Ridacchio ancora, e sento che le guance si colorano di rosso. Non è certo l’imbarazzo per qualcuno con cui esco, ma la vergogna che provo per me stessa nell’aver messo su questo teatrino. È abbastanza convincente, però, per convincerle a non fare altre domande.
Io però comincio a vergognarmi davvero. Mi sto comportando male con tutti.
Spero che nessuna delle due parti scopra come mi sento.
Guardo verso il posto di Mary e vedo che anche lei è girata verso di me. Quel viso lugubre, però, improvvisamente si illumina con qualcosa: un sorriso. Piccolo, quasi impercettibile, ma sento che c’è. Poi si volta subito verso il quaderno davanti a lei.
Lo prendo come un sì alla mia proposta, Mary!
… Sperando di non aver cannato in pieno.
 
***
 
Ormai su questo divano dovrebbero scriverci il mio nome. Proprio qui, su questi dieci centimetri quadri dove poggio le mie chiappe ogni volta. Come al solito, non tocco nulla.
So che mi state guardando, cari oggetti antichi e delicati, ma non vi sfiorerò nemmeno con un fiore! Non riuscirete a farmi combinare disastri, nossignore!
Sto parlando con gli oggetti? Ok, va tutto bene. Forse.
Mary arriva e io sobbalzo, presa com’ero a minacciare gli oggetti – in particolar modo, un candelabro dall’aspetto molto delicato.
Mi aspetto il suo sguardo di sufficienza e le sue battute acide, ma niente. Mary mi fissa, semi-nascosta dalla porta.
« Sei venuta davvero. »
Sbatto le palpebre, cercando di capire quel sussurro. Faccio spallucce, arresa.
« Certo che sono venuta. Te l’avevo detto, no? »
Lei sorride appena, aprendo un poco la porta.
« Vieni, andiamo in camera. »
La vedo sparire dietro la porta, e io quasi corro per raggiungerla. E, devo ammetterlo, per poco non inciampavo sul portariviste. Lo guardo minacciosa. Ci hai provato, eh?
Smetto di parlare con gli oggetti e seguo Mary.
 
Camera sua è davvero accogliente. La prima volta l’avevo vista di sfuggita, ma, adesso che ho occasione di guardarla meglio, mi accorgo che è davvero piena di ogni cosa. Decorazioni al muro, centinaia di peluche, giocattoli e, per finire, un meraviglioso letto a baldacchino al centro della stanza.
Quasi come una bambina piccola, gongolo e guardo con occhi sognanti quel letto che sembra comodo e morbidissimo. Mary se ne accorge e mi fa cenno di sedermi. Io non me lo faccio ripetere due volte.
« Wow, è davvero morbido! Dev’essere fantastico dormirci su. »
« Sì, è comodo. E poi è grande, vedi? C’entrano anche due persone. »
Mary si ferma un attimo, poi accarezza la trapunta in seta del letto. Noto solo adesso le unghie curatissime che ha, e d’istinto nascondo la mia mano che, invece, le ha tutte mangiucchiate.
« Perché lo hai preso così grande? »
Mary smette di accarezzare la coperta e abbassa lo sguardo.
« Ho insistito tanto per farmelo comprare così. Speravo di dormirci con un’amica, un giorno. Immaginavo di stare con lei a raccontarci i segreti e i pettegolezzi. »
Scruto i suoi occhi e leggo solo tanta tristezza. Ripenso ai pigiama party con Monica e Lara, ai cuscini che ci siamo tirate, ai calci durante la notte. Poi guardo questo letto, così grande e così freddo. Solo. Una piazza che non è mai stata riempita. Sento che quella di Mary è una confidenza molto intima, e mi domando perché la stia facendo a me, che fino a ieri la detestavo. C’è qualcosa di strano in tutto questo, qualcosa che non riesco ad afferrare. La guardo ancora mentre i suoi occhi si perdono sull’altra piazza del letto.
Provo a cambiare argomento.
« Hai tantissimi peluche! Anche io li avrei voluti, ma i miei non me li compravano mai. Quanto ti invidio! »
Mary ridacchia e sbatte le palpebre in modo irregolare. Mi sembra quasi di notare un po’ di lucidità nei suoi occhi, come se stesse ricacciando le lacrime. Si alza e afferra uno di loro, portandolo poi qui sul letto.
« Sai, Susy, quando ero piccola speravo che i peluche potessero parlare. Allora chiedevo a mio padre di comprarne tanti, perché sognavo che si risvegliassero tutti, un giorno, e mi tenessero compagnia. È solo da qualche anno che ho smesso di sperarci. Sono stupida, vero? »
« Non sei stupida! È un pensiero molto dolce. »
Ok, non è la cosa migliore che potessi dire. Ma solo ora mi accorgo che Mary mi sta aprendo il suo cuore, con sincerità, e io mi sento tanto in imbarazzo per il doppio gioco che sto conducendo.
Con le mie amiche potrò usare la scusa della ricerca, ma per quanto? E dopo, cosa accadrà? La mollerò come se non ci fossimo mai conosciute?
Dovrei avere il coraggio di dire a Monica e Lara che mi sento vicina a Mary, e che il mio sentimento è sincero. Ma non l’accetterebbero mai, lo so.
« Ti andrebbe di rimanere questo pomeriggio? »
Mary mi guarda sorridente, poi corre a fissarsi i piedi.
« Che intendi? »
« Lo so che non sei venuta per la ricerca. Grazie, Susy. Sono felice che tu sia qui. »
Lei mi guarda e sorride. Anzi, sono i suoi occhi che sorridono. Per la prima volta, dopo tutto questo tempo, intravedo un sorriso sincero in lei.
« Allora, rimani? »
Rifletto un attimo. Posso rimanere, no? In fondo c’è una ricerca da fare.
Sono patetica. Me lo dico anche da sola. Ma per ora provo a sbrogliare così la situazione. Poi ci penserò.
La gamba mi vibra; qualcuno mi sta chiamando.
« Scusa un attimo. »
Detto ciò, prendo il telefono per rispondere e mi sento scossa da un tremito. È Lara.
« Pronto? »
« Susy! Ma dove sei finita? »
Sento che dovrei avere paura. Ho dimenticato qualcosa.
« Perché? »
« Come sarebbe ‘perché’? Avevamo detto di vederci da Monica, oggi! Non te ne sarai mica dimenticata? »
« No, no! Certo che no! »
Certo che sì, in realtà. Ormai dovrebbero conoscermi.
« E allora che aspetti? Dai, vieni. A dopo! »
« Lara, aspetta! Non posso, oggi. Ho la ricerca da fare. »
Dall’altro capo, sento Lara scoppiare a ridere fragorosa.
« Dai, Susy! Da quando ti interessa lo studio? Molla la ricerca e vieni! »
Capisco che avrei dovuto inventare un’altra scusa. In effetti, quella dello studio non regge molto.
« Lara, io… »
« Susy, non rovinare tutto! O forse ci stai davvero nascondendo qualcosa? »
« Figurati, ma che stai dicendo! Arrivo subito, dai. »
Lara mi saluta e riattacca, e io a malapena riesco a sibilare un ‘ciao’. Senza rendermene conto, ho appena rifiutato l’invito di Mary. Sento una morsa stringermi il cuore. Abbasso lo sguardo perché non ho il coraggio di guardare il suo, che fino a poco fa era sull’orlo delle lacrime. Forse, per la prima volta, aveva un’amica da invitare a casa, e io la mollo così. E tutto questo per cosa? Per la mia stupidità, ecco!
Quanto vorrei rimanere con Mary! Ma ormai ho rifiutato. Mi odio. Vorrei sparire.
« Vai, Susy. Le tue amiche ti aspettano. »
Non c’è rancore nella sua voce. Forse un po’ di malinconia e di apparente felicità. Alzo gli occhi e lei mi sorride ancora.
« Scusa. »
« E di cosa? Ti ho solo fatto un invito e non puoi, tutto qui. »
Vorrei dirle che lo sappiamo entrambe che non è così. Ho preferito le mie amiche a lei. Non ho avuto il coraggio di farmi valere. Provo a rimediare.
« Sarà per un’altra volta. Rimarrò volentieri. »
Lei tira il sorriso da una parte.
« Vai, ora. Non farle aspettare. »
Mi alzo, continuando a fissare quella creaturina che, in questo momento, mi appare così fragile. Lei mi fa ‘ciao’ con la mano, mentre mi avvio verso la porta.
E così la lascio lì, seduta su quel letto troppo grande per lei, circondata da tanti pupazzi che non potranno mai parlare.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La derisione di Mary Sullivan ***


5. La derisione di Mary Sullivan
 

Sono con Monica e Lara, le mie amiche di sempre. Eppure non mi sto divertendo. Non riesco a togliermi dalla testa gli occhi di Mary, che sembravano quasi implorarmi di restare, nonostante le sue parole. Sapevo che lo avrebbe voluto, eppure l’ho tradita così! Se penso che poco prima mi aveva confessato di essere felice della mia visita! Mi sento una persona orribile. Forse lo sono.
Io e Lara, intanto, aspettiamo che Monica si provi un paio di pantaloni. Guardo il mio riflesso nel corridoio dei camerini e noto la mia faccia scura.
« Tutto bene, Susy? È un po’ di giorni che sei strana. »
« Sì, sto bene. »
Ma Lara non è cretina e non ci casca. Lo vede che non sono esuberante come al solito, segno che qualcosa non va. Non posso fare a meno di essere un libro aperto per chiunque, purtroppo. Chissà se Mary avrà letto il dispiacere nel mio sguardo. Spero proprio di sì.
« Ah! Non ti ho detto cosa abbiamo fatto oggi io e Monica, mentre eri chissà dove. »
Lara tira fuori dalla borsa un uniposca nero e me lo sventola sotto al naso.
« Abbiamo scritto sui muri del bagno! Tante belle frasi sulla nostra adorata Mary… vero, Monica? »
Lei si affaccia dal camerino e sorride soddisfatta.
« Sì, proprio così. Lara mi ci ha trascinato. »
« Non dire scemenze, anche tu eri contenta all’idea! »
Scoppiano a ridere. Io mi uniformo per non destare sospetti. Ecco, allora, chi sono le autrici di quelle frasi poco eleganti su Mary. Le avrà lette? E cosa avrà pensato?
Mi chiedo da quando le mie amiche siano diventate così. Sapevo che odiavano Mary, ma non immaginavo che fossero così meschine. Forse non sono vere amiche come credevo? Forse sono io quella sbagliata e fuori posto?
Lara ripone il pennarello in borsa.
« Comunque, lo ripeto: sei strana, Susy. Non ti starai mica stancando di noi? »
« Ma che stai dicendo? Come potrei! »
« Perfetto! Allora, domani, ti unirai alla nostra retata contro Mary Sullivan. »
Torno sul pianeta Terra e spalanco gli occhi.
« Cosa? »
« Sì, carina, e stavolta non ti dilegui! Prendi qualche farmaco, se stai male! »
Noto una punta di acidità nella voce di Lara. Il battito del mio cuore accelera, e so anche perché. Temo che abbiano intuito qualcosa su me e Mary. Effettivamente, sono diventata strana da quando è scoppiato lo scandalo.
Mi chiedo in cosa consista questa ‘retata’ contro Mary. Cosa dovrò fare?
Monica esce dal camerino col suo paio di pantaloni, pronta a pagarli.
E io continuo a seguirle, come un’ombra segue il proprio padrone.
 
***
 
La retata è cominciata. Siamo nascoste dietro a un muro, con un paio di uova in mano. Sì, uova. Scopo della retata: rompere un uovo per terra e far scivolare Mary. Poi, se non saranno soddisfatte, lanceranno il rimanente addosso.
Sto cercando un modo per sfuggire a tutto questo, ma non lo trovo. Monica e Lara sono troppo insospettite dal mio recente dileguarmi, non mi permettono di allontanarmi in alcun modo. Che cosa posso fare?
Io e Lara abbiamo un uovo ciascuna. Monica fa da vedetta e ci segnala il momento buono, quando sarà. Il cuore mi batte a mille e le gambe mi tremano.
All’improvviso, Monica si volta verso di noi, eccitata.
« Sta arrivando! Sta arrivando! »
Mi affaccio ed è proprio così: Mary cammina da sola, in mezzo al corridoio, sotto gli occhi di tutti. Io stringo la mano intorno all’uovo: non ce la faccio. Come posso gettarlo a terra per farla scivolare? È più forte di me. Devo trovare una via d’uscita!
Mary si avvicina sempre più, Lara si volta verso di me e mi fa cenno di gettare l’uovo a terra. Io la guardo impietrita, mentre lei mi fissa sicura di sé.
« Forza, Susy. Prima tu. »
Devo fare qualcosa. Ma cosa? Mary arriva e io non riesco a muovere un muscolo. Non ci riesco. No.
Lara si volta ancora verso di me, sbuffa e scuote il capo, con sguardo sprezzante.
« Sei proprio una cacasotto. »
E getta l’uovo a terra. Alla mia sinistra spunta Monica e fa altrettanto. Da quando aveva un uovo?
Do una sbirciata verso Mary, che è stata intercettata da alcune ragazze. La trattengono, le dicono qualcosa e lei torna a camminare, sovrappensiero.
Mary, sveglia! Guarda in basso! È scivoloso, Mary!
Perché non riesco a urlarlo? Perché non ho il coraggio di uscire da questo nascondiglio e dire a Mary del pericolo che sta correndo? Perché sono così codarda?
Vorrei strapparmi i capelli, cadere in ginocchio e piangere. Mi odio.
Osservo Lara e Monica sogghignare e mi sento male. Odio anche loro!
Come Mary si avvicina al luogo dello scherzo, sento il mio cuore battere sempre più forte. Un passo, un battito in più.
Ma non riesco a gridare.
Eccola.
Ha lo sguardo perso.
Scivola.
Cade malissimo e fa un tonfo inaudito, coperto dalle risate di Monica e Lara e da quelle di altri ragazzi, venuti apposta per assistere alla scena.
Sento i miei occhi che si riempiono di lacrime, mentre osservo Mary totalmente imbrattata da quella roba appiccicosa. Si scrolla le mani, cercando di liberarsi dall’albume colloso, ma ormai anche i suoi vestiti sono rovinati.
Ho sempre odiato Mary. Ho sempre odiato i suoi vestiti alla moda, diversi ogni giorno, così eleganti. Forse perché erano l’opposto dei miei. Forse perché, in fondo, volevo essere un po’ come lei. Ma adesso so che, probabilmente, lei vorrebbe essere un po’ come me. Non è quella che sembra, ma nessuno riesce a capirlo. Nessuno tace di fronte a Mary che trattiene le lacrime per le vessazioni che sta subendo.
Nessuno tace. Tutti ridono.
E io li odio.
Comprese le due ragazze al mio fianco, che mi straziano con le loro risate.
 
Dopo essersi pulita, Mary si guarda intorno. Vuole vedere chi sono i responsabili, fisici o morali, di questa atrocità.
I nostri occhi si incrociano, ma i miei la supplicano. Forse come i suoi hanno supplicato me, ieri pomeriggio.
Mary se ne va, senza dare alcuna soddisfazione a questo branco di idioti, nel quale forse ci sono anch’io.
Sono livida di rabbia. E, stranamente, il mio uovo è ancora stretto nella mia mano, intero.
Faccio qualche passo verso il corridoio. Mi volto verso Lara, e lei, di rimando, mi guarda senza capire.
Alzo il braccio.
Lo lancio in avanti.
E, nel frattempo, lascio l’uovo.
Si spiaccica completamente sulla faccia di Lara, incollandole i capelli.
Faccio appena in tempo a vedere i suoi occhi sbarrati e la sua bocca spalancata, prima di fuggire via nella stessa direzione di Mary.
 
Lei non c’è. Ho cercato dappertutto, ma non la trovo. Entro in bagno, dove campeggiano quelle scritte su Mary a caratteri cubitali e tiro fuori dalla tasca un pennarello nero. Il piano di Lara e Monica prevedeva anche questo: aumentare il repertorio di graffiti encomiabili.
Stappo il pennarello e mi avvicino alla prima scritta.
“Mary Sullivan racchia”.
Con una calligrafia ancora più grande, se possibile, aggiungo sotto ciò che avrei voluto dire da troppo tempo.
“Stupide!”
Decoro le restanti scritte con quell’unica parola. Una volta terminato, faccio qualche passo indietro e ammiro il mio lavoro. Non servirà mai a cancellare la mia colpa, ma mi sento meglio. Sento di aver fatto qualcosa per Mary, anche se piccola.
Un singhiozzo.
Mi volto istintivamente, cercando di capirne la provenienza. Viene da uno dei bagni, ne sono certa. E se fosse Mary? Ma mica posso chiedere “Scusa, sei Mary? Sono Susy!”. Devo cercare di essere più anonima.
Tossicchio.
« Ehm, chi c’è? Tutto bene? »
Il mio piano deve aver funzionato, perché la porta, piano piano, si apre. E mi bastano quelle poche ciocche bionde per capire che quella chiusa dentro è proprio Mary.
Faccio qualche passo verso di lei, che quasi richiude la porta.
« Mary, aspetta! Sono Susy! »
Ma lei chiude, senza darmi la possibilità di fare altro.
« Mary, ti prego, apri. Mi dispiace da morire, perdonami! Perdonami, Mary! »
Lei apre la porta. Il riflesso della luce mi permette di vedere la scia che le lacrime le hanno lasciato sul viso. Mary abbassa lo sguardo.
« Dov’è il tuo uovo? »
« L’ho gettato addosso a Lara! Mi dispiace, Mary, perdonami! »
Senza neanche accorgermene, mi ritrovo inginocchiata davanti a lei, con le mani incrociate. Non credevo che avrei mai supplicato qualcuno di perdonarmi. Sicuramente non Mary Sullivan, questo è certo.
« L’hai gettato addosso alla tua amica? »
« Sì! È una stupida! »
Mary socchiude appena la bocca. Probabilmente è stupita da quanto ho detto. Ma è la verità: Lara è una stupida. E Monica con lei.
« Alzati, Susy, dai. »
Quel tono di voce quasi sussurrato, così dolce e rassicurante, mi tranquillizza e mi culla. Mi alzo in piedi e, in barba allo sporco, la abbraccio.
Stringo le mie braccia intorno al suo corpo così esile e sento che, timidamente, anche lei ricambia. Prima piano, poi stringe sempre più. E stringo anch’io.
I suoi capelli mi solleticano la guancia e mi ci tuffo ancora di più: sono talmente morbidi e lisci! Sono così belli che vorrei accarezzarli tutto il giorno, vorrei pettinarli e acconciarli.
Le mie mani sfiorano il suo maglioncino e non posso fare a meno di notare quanto sia morbido. È sicuramente molto costoso, perché i miei, dopo un paio di lavaggi, sono già diventati tutti stoppacciosi e hanno già fatto una quantità inimmaginabile di pallini.
Non so perché mi stia perdendo in pensieri tanto sciocchi. Forse perché oggi, dopo tanto tempo, mi sento in pace. Con me stessa e col mondo. Sto stringendo Mary, abbiamo fatto pace e sono felice.
Ci sciogliamo dall’abbraccio e lei sorride. Allunga una mano verso i miei capelli, per poi ritrarla con qualcosa tra le dita.
« Avevi un po’ di guscio. »
Ridacchiamo insieme, io e Mary. Sono così felice!
Mary strappa un po’ di carta igienica e si pulisce l’ultimo rimasuglio di uovo dai vestiti. Per i capelli, purtroppo, c’è poco da fare. Non che siano granché sporchi, ma nella caduta le punte si sono inzuppate nel lago.
« Sai, Susy, fino a pochi minuti fa pensavo che questo fosse il compleanno più orribile della mia vita. Adesso, invece, credo che sia il più bello. Ci sei tu! »
Rimango sorpresa.
« È il tuo compleanno, Mary? »
Lei annuisce. Io continuo a domandare, incuriosita.
« Farai una festa? »
Le sue labbra si schiudono in un sorriso, ma i suoi occhi non mentono.
« In realtà pensavo di farla domani. Ma adesso è inutile prepararla, non verrebbe nessuno. »
« Io sì! »
Mary sorride talmente tanto che, se potesse, quel sorriso le occuperebbe tutta la faccia.
« Davvero? Davvero verrai? »
« Ma certo! »
Mi abbraccia ancora, questione di un attimo, ma riesco a percepire tutta la sua gioia.
« Sono così felice! Grazie, grazie, Susy! »
 
***
 
Ho riaccompagnato Mary a casa. Siamo state brave a non farci vedere dalle nostre compagne! E siamo anche riuscite a scampare alle domande di suo padre, confidandoci con la domestica – che, per la cronaca, si chiama Clarissa.
Ho raccontato a Mary della mia personale guerra col giardiniere ed è scoppiata a ridere. È stato bello vederla così felice, nonostante i capelli zozzi e i vestiti da lavare. Sembrava che non le importasse nulla di quello che era accaduto a scuola. E pensare di essere riuscita a tirarle su il morale mi rende molto felice!
Mi ha riferito, comunque, che il giardiniere è scorbutico di suo. Non ci si può far niente, però lavora bene, a quanto pare.

Sono sulla via del ritorno ed è quasi sera. Mary mi è sembrata davvero felice riguardo al suo compleanno di domani. Probabilmente ci sarò davvero solo io, ma sono certa che ci divertiremo.
Il mio telefono squilla ancora. Lo tiro fuori dalla tasca: è Monica.
Titubante, premo il tasto verde e porto il cellulare all’orecchio.
« Susy? »
Il modo in cui dice il mio nome mi fa tremare.
« Sì, dimmi. »
So che vorrà dirmi qualcosa riguardo all’uovo che ho tirato in testa a Lara.
« Se pensi che vogliamo scaricarti, non è così. Ti diamo un’opportunità per farti perdonare. »
Dovrei sorridere, ma non ci riesco. A malapena contraggo i muscoli del viso. Monica continua.
« Domani pomeriggio, Lara darà una festa. Vieni e falle un bel regalo, e ti perdoneremo. Altrimenti… »
« Altrimenti cosa? »
La sento emettere un risolino.
« Ti conviene venire, Susy. Non vorrei essere al tuo posto, sennò. Ciao ciao! »
Monica mi riattacca in faccia. Nemmeno il tempo di salutare o di ribattere.
Sono preoccupata.
Che cosa mi accadrà se non andrò alla festa di Lara?
Ma soprattutto, come faccio a tradire Mary ancora una volta, dopo quell’abbraccio sincero che ci siamo scambiate?
Si tratta di scegliere con chi voglio stare. Si tratta di scegliere a chi sono più legata.
È la resa dei conti.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** La gioia di Mary Sullivan ***


6. La gioia di Mary Sullivan

 

Alla fine, ho preso la mia decisione. Ho capito a quale compleanno non potevo assolutamente mancare.
Ecco perché mi trovo qui, seduta intorno a un tavolo, con una tazza di cioccolata calda in mano. E gli immancabili capitelli simil-corinzi a farci da cornice.
Mary indica un’aiuola davanti a noi.
« E quelle sono viole. Ho chiesto a Tom di piantarle in modo che formassero un cuore. Però si vede solo dall’alto! »
Bevo un sorso di cioccolata, dopodiché rizzo il capo per curiosare.
« Quando farà un po’ più caldo, sarò proprio curiosa di farmi un giro in questo bel giardino! »
Eh già, perché io e Mary siamo due grandi pigrone e freddolose, e preferiamo rimanere qui sotto la veranda, ammirando il giardino da lontano.
Guardo Mary sorridere felice. Forse non ha mai raccontato a nessuno del suo giardino.
Voglio sorprenderla; così, mentre non guarda, tiro fuori un piccolo pacchettino, dal sacchetto che ho in mano. Lo avvicino a lei che, quando si gira e lo nota, rimane a bocca aperta.
« Buon compleanno, Mary! »
Lei lo afferra famelica, lo accarezza, lo guarda da più angolazioni, se lo mangia con gli occhi. Tira via il fiocco che lo racchiude senza esitazione, stacca lo scotch con cui ho chiuso il pacchetto e ne tira fuori il contenuto.
Sul suo viso c’è un sorriso a mezz’asta, che non sa se richiudersi o aprirsi del tutto. Tiene la scatolina sul palmo della mano, come se volesse goderne ogni attimo, imprimerlo nella memoria perché non sfugga.
Poi, finalmente, solleva il coperchio. Il sorriso si apre del tutto, e così anche il mio. Con due dita afferra il contenuto della scatola, poi si aiuta con l’altra mano per goderselo al meglio.
« Susy è… è bellissimo! »
« Ho pensato a un regalo che ci tenesse unite. Però forse è un po’ banale… »
« Susy, non dire sciocchezze! È meraviglioso! Voglio indossarlo subito. Ma io quale devo tenere? »
Mi avvicino verso la sua mano e le rubo il pezzo incriminato.
« Tu terrai la S, mentre io terrò la M. È come se ci scambiassimo un pezzetto del nostro cuore! »
Mary continua a studiarlo sognante, accarezzandone ogni millimetro col pollice.
« Lo custodirò gelosamente, Susy. »
La guardo ancora mentre custodisce quel ciondolo come un tesoro, e intanto sbircio l’ora. Non me ne sono accorta, ma si è già fatto tardi.
« Devi andare, Susy? »
Abbasso lo sguardo, imbarazzata. Sento che questo pomeriggio non è abbastanza per riscattarmi di tutto il male che le ho fatto.
Mi viene un’idea.
« Mary, senti… Che ne diresti se io, insomma, rimanessi a dormire qui? »
La vedo alzarsi di scatto dalla sedia, mollando il ciondolo sul tavolo, e fare il giro, finché non è davanti a me. Mi butta le braccia al collo, stringendole forte.
« Sono così felice, Susy! »
Anche io sono felice, Mary. Felice di averti strappato un sorriso in un periodo così orribile. Vorrei dirglielo, ma le parole non mi escono. E allora le sorrido, e in quella smorfia ci siamo dette già tutto.
 
***
 
Lo sapevo! Questo letto è super morbido! E questi cuscini in seta, potrei morirci! Addio mondo crudele, me ne vado con questi cuscini deliziosi!
Sì, be’, dicevamo?
Ah, sì.
Sono nel letto di Mary. È così morbido! Così comodo! E se salti non cigola! Mica come il mio, che dopo un po’ senti pure le molle che si ribellano.
Mary mi ha prestato uno dei suoi pigiami, e non sto a descrivere quanto sia morbido e comodo. Riesco a usare solo queste due parole, lo so, ma tutto ciò che è in questa stanza è assolutamente paradisiaco!
In questa semi-oscurità, riesco a scorgere appena il viso di Mary, che però appare piuttosto divertita per il mio bizzarro interessamento. Mica capita tutti i giorni di sentirsi una principessa!
« Mi piace tantissimo questo letto! Come sei fortunata, Mary! »
Lei non risponde e, probabilmente, continua a godersi la mia faccia buffa. Ma, mentre ridacchio, mi interrompe.
« Posso raccontarti un segreto, Susy? »
Smetto di dimenarmi nel letto e mi metto sul fianco, verso di lei.
« Un segreto? Va bene. »
Sento che lei si avvicina. Si sistema nel letto, più vicino a me che può.
« Sapevo già di mio padre. Lo so da due anni. I miei continuano a far finta di essere una famiglia perfetta, ma in realtà mia madre vive altrove già da un anno e mezzo. »
Mary fa una pausa. Sospira. Poi riprende.
« Odio la nuova compagna di mio padre. Si è già portata via la mia famiglia, non voglio che mi porti via anche lui. Non so cosa fare. »
La sua voce trema. Mi afferra una mano, portandola verso di sé.
« Non voglio rimanere sola, Susy. »
E poi le vedo. Intravedo il riverbero della luce sulle sue lacrime; le vedo solcarle il viso, bagnarle la punta del naso e cascare, poi, su quel cuscino da principessa.
Stringo la sua mano, e poi stringo lei. I suoi singhiozzi mi scuotono e l’abbraccio ancora più forte, come per contenerli.
« Vorrei tanto un’amica, Susy. »
Le accarezzo i capelli, scostandole due ciocche dal viso, rimaste attaccate alla sua guancia rigata.
« Non sei sola, Mary. Ci sono io. »
I suoi singhiozzi crescono. Prova a calmarli, poi tira su col naso.
« Davvero vorresti essere mia amica? »
« Ma certo, Mary. »
Ci stringiamo ancora, e lei continua a piangere, ma poco alla volta si calma. Si asciuga le lacrime con il lenzuolo, scatenando l’ilarità di entrambe, che si traduce in una risata appena abbozzata.
« Sei la mia prima amica, Susy. »
« Anche tu per me. »
Ed è vero. Di certo, non considero quelle stupide come amiche. Chi ha trattato male Mary, non può essere mia amica.
« E Monica e Lara? Loro non sono tue amiche? »
Scuoto il capo.
« Non dopo quello che ti hanno fatto. »
Mary mi stringe la mano. Mi guarda sorridente, e io ricambio. Continua a fissarmi, finché non parla.
« Hai già dato il tuo primo bacio, Susy? »
Che domanda è, così all’improvviso? Arrossisco, lo sento! Sapendo tutte le esperienze che ha già avuto Mary, mi sento tanto in imbarazzo. Ma, in fondo, posso anche risponderle sinceramente.
« In realtà, no. Com’è? »
Lei ridacchia, lascia la mia mano e abbraccia il cuscino.
« Secondo segreto: in realtà non ho ancora baciato nessuno. »
Non ci posso credere! Ma com’è possibile? E tutte quelle voci, quei racconti?
Mary sembra percepire il mio disappunto e mi sorride.
« Sono tutte voci stupide, quelle. Ma la cosa buffa è che le ho messe in giro io. »
« Perché? »
« Quando sono arrivata alle superiori, ancora una volta, ero circondata da pupazzi che non mi parlavano. Non erano peluche, ma persone, ma era la stessa cosa. Volevo tanto che quei pupazzi prendessero vita e mi parlassero. Volevo attirare la loro attenzione, e così ho messo in giro quelle voci. Sono accorsi a frotte, sono diventata popolare… Ma ho attirato solo stupidi, persone a cui non importava niente di me. »
Osservo Mary, e vedo una ragazza tanto sola. Una ragazza che tende la mano al mondo, sperando che qualcuno l’afferri. Finora, nessuno aveva preso la sua mano, lasciandola nell’oblio della solitudine.
« Sapevo che quell’amicizia che mi davano non era sincera, ma ho preferito così. Ero talmente affamata d’amore da non avere la pazienza di aspettare la persona giusta… l’amica giusta. Grazie, Susy. Grazie di essere qui, in questo letto, con me. Grazie di essere mia amica. »
La mia risposta è un sorriso. Un sorriso grande, aperto e sincero. Lei si stringe a me, e io a lei.
« Ti voglio bene, Susy. »
Non pensavo che lo avrei mai sentito uscire dalla sua bocca, né avrei mai pensato di ricambiare questo sentimento così sinceramente e intensamente.
« Anche io, Mary. »
Il tarlo della curiosità, però, mi rode. C’è una domanda sciocca che vorrei fare a Mary, ma non ne ho il coraggio. In fondo, però, in questa atmosfera rilassata, posso anche provare.
« Hai anche un terzo segreto? »
Lei scoppia a ridere, ma la sua voce non mi sembra più stridula come un tempo. Anzi, la trovo dolce e a tratti melodica. Mi piace molto ascoltarla.
« Sì, Susy. E ora te lo dirò. Mi piace un ragazzo. »
Vengo subito divorata dalla curiosità.
« Chi è? Ma non sei fidanzata con Mark? »
« Mark è solo uno sciocco. Vuole da me solo una cosa, e non importa che ti dica quale. Il ragazzo che mi piace è un altro. Sta nella classe accanto alla nostra. È alto, con gli occhi scuri e poi è tanto timido. Ho provato a parlargli, qualche volta, ma era sempre imbarazzato. »
« Perché non provi a parlargli nuovamente ora? »
Mary sbuffa.
« Dopo quello che è accaduto, non mi considererà di certo. »
« Se è un ragazzo intelligente, vorrà conoscerti, ne sono certa. »
La sua risposta è un mugugno incomprensibile.
Vedo la testa di Mary sprofondare nel cuscino. I suoi occhi sono chiusi, le sue labbra sono piegate in un sorriso. Io faccio altrettanto, sistemandomi sul mio cuscino da principessa.
« Buonanotte, Mary. »
« Saremo amiche per sempre. »
La sua voce è un sussurro. Sbadiglio. Poi mi poso nuovamente sul guanciale e sussurro anch’io per non svegliarla.
« Certo che saremo amiche per sempre. Cosa può separarci, ora? »
E, con questa promessa, chiudo gli occhi anch’io.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** L'abbraccio di Mary Sullivan ***


7. L’abbraccio di Mary Sullivan
 

È la domenica più straordinaria della mia vita. Non è accaduto nulla di speciale, ma forse è la presenza di Mary a renderla tale. Abbiamo cominciato con una fantastica colazione, io e lei, sedute sul letto a ridere e scherzare; siamo poi andate a fare shopping insieme, e ho trovato l’entusiasmo chissà dove; infine, adesso, siamo intorno al famoso tavolo dove mi mollò la prima volta.
« Perdonami, Susy. Ero solo una stupida. »
« Se ci ripenso, non posso fare a meno di ridere. Sembra passato un secolo. »
Lei annuisce ed entrambe scoppiamo a ridere.
Non penso di essere mai stata più felice.
 
Rimango sorpresa nell’osservare Mary che si districa così bene tra i libri che abbiamo preso in biblioteca. Le basta una lettura rapida per capire subito cosa può essere utile e cosa no, evidenzia i passaggi più importanti e li rielabora con una fluidità estrema.
Io riesco solo a guardarla imbambolata, a passarle i libri su sua richiesta e fare un cenno col capo quando mi legge i passaggi.
Dopo circa mezz’ora di silenziosa contemplazione, Mary lascia la penna e alza i pugni al cielo.
« Sì! Abbiamo finito! »
Esulto anch’io, con meno entusiasmo.
« Non sei felice, Susy? »
« Sì, sì. Certo. Però io non ho fatto niente. »
Lei ridacchia.
« Non preoccuparti. A me piace molto fare le ricerche. »
Sposto lo sguardo verso il primo oggetto nel mio campo visivo: un centrotavola bianco e finemente ricamato.
Con tutta la vergogna possibile, ammetto le mie colpe.
« Ho sempre pensato che qualcuno le facesse al posto tuo. »
« Lo so, Susy. Non preoccuparti. »
Lei non dice altro, riordina i fogli con le mani e chiude i libri, impilandoli uno sull’altro. Poi torna a sorridermi.
« Quando hai molto tempo da passare da sola, in casa, i libri sono l’unica cosa in cui puoi rifugiarti. »
Io non so che rispondere, e mi limito ad annuire. Ripenso ai pomeriggi passati con Monica e Lara. Mi mancano? Forse un po’. Fino a ieri erano mie amiche e oggi non più. Mai più, probabilmente.
« Pensi a loro? »
Faccio spallucce.
« Sì, ma va bene così. Non erano vere amiche. »
« Spero di poter essere una buona sostituta. »
Scuoto il capo.
« Tu non sei la sostituta di nessuno. »
Mary abbassa lo sguardo, per poi mettersi i capelli dietro le orecchie. Mi sembra quasi di scorgere un lieve rossore, su quelle guance prive di trucco.
All’improvviso, qualcuno bussa alla porta. La maniglia si abbassa e cigola e, dalla porta, spunta un uomo dall’aria familiare.
Non entra nemmeno in sala e subito si rivolge verso Mary.
« Tesoro, potresti venire un momento? Devo parlarti. »
Mary si volta verso di me.
« Arrivo subito. »
La vedo alzarsi con quella grazia che l’ha sempre caratterizzata, con quel modo un po’ buffo di sollevare la sedia per non fare rumore e con quell’ abitudine di sistemarsi i vestiti. E pensare che un tempo mi sembravano gesti a dir poco odiosi!
Mary si alza, lasciandomi sola in sala.
Mentre aspetto che torni, mi metto a contemplare il grande lampadario che scende imponente dal soffitto, che pare interamente affrescato. Se penso a come guardavo gli oggetti di questa casa, la prima volta che sono venuta qui! Ricordo ancora le minacce, le occhiate, gli agguati.
E invece, adesso, sono in pace con questa casa.
Contemplo la vernice del tavolo, accarezzandone la superficie con un polpastrello, quando Mary fa ritorno.
Scorgo una nota di tristezza, subito rimpiazzata da uno dei suoi grandi sorrisi.
« Tutto bene? » chiedo.
Lei annuisce e si avvicina a me. Non si siede.
« Susy, purtroppo devo chiederti di tornare a casa. Mio padre ha bisogno di me. »
« Ma certo! Non preoccuparti. Tanto ci vediamo domani, no? »
Lei mi tende la mano.
« Vieni, ti accompagno all’uscita. »
Non capisco. Ormai conosco bene la strada e lei lo sa. Inoltre, mi dispiace trattenerla se suo padre ha bisogno di lei. Taccio e le tendo la mano, lasciando che mi guidi in quel corridoio che ormai ho imparato a conoscere. Siamo davanti alla porta e ancora i nostri palmi sono uniti. Sento la sua mano stringere la mia, non capisco. Mary mi squadra da capo a piedi, come se volesse fotografare ogni mio dettaglio.
« A presto, Susy. »
Le nostre mani si staccano, ma lei mi abbraccia. Sento l’argento del ciondolo che le ho regalato sfiorarmi la pelle, e rabbrividisco. Il nostro abbraccio è fatto solo di attimi: nessuna parola, nessuno sguardo, nessun movimento. Sembriamo due statue scolpite, imprigionate per sempre in questo intreccio che ha un sapore d’addio.
Poi, come animate da un incantesimo, riusciamo a plasmarci in modo diverso, guardandoci negli occhi.
« A domani. Sono certa che la nostra relazione sarà la migliore di tutte! »
Con un sorriso, apro la porta e sventolo la mano, salutandola. Scendo la piccola scalinata antistante la porta e mi volto indietro, di tanto in tanto, per salutarla ancora. Lei ricambia, finché non scompare dietro la porta.
Non vedo l’ora che sia domani.
 
***
 
Mary non c’è. Il suo banco è vuoto e nessuno sa il perché della sua assenza. Ho provato a mandarle un messaggio sul telefono, ma non ha risposto. Non risponde neppure alle chiamate.
Che è successo?
Comunque, per la cronaca, Monica e Lara non mi hanno fatto proprio un bel niente. Mi sarei aspettata colla sulla sedia, puntine, tempera. Invece niente, si limitano a non parlarmi. Pace.
Ma Mary che fine ha fatto?
 
***
 
Mary non viene a scuola da tre giorni. Le tre grazie non sanno niente di lei, dov’è, se sta bene. E io sono qui che mi logoro, pensando a lei.
Perché mi evita così? E perché anche a casa sua non vogliono dirmi dov’è?
Mary, perché non vuoi più vedermi?
 
***
 
Sto tornando da scuola. È una settimana, ormai, che Mary è scomparsa. O meglio, che non viene più a scuola. Chissà se sta bene? Cosa stai facendo, Mary?
Arrivo a casa e intrufolo la mano nella cassetta delle lettere.
Sfoglio volantini, bollette, richieste di donazioni.
Poi, lì, la vedo.
Una lettera.
Da parte di Mary.
Famelica, la apro. Ma, già dalle prime righe, inondo di lacrime quella calligrafia piccola e sinuosa.
 
Cara Susy,
scusa se sono sparita. Mio padre ha ricevuto un'offerta di lavoro lontano da qui, e io sono dovuta partire con lui.
Perdonami se non ti ho detto niente. Non volevo farti soffrire.
Non ti dimenticherò mai, Susy. Sei stata la mia prima e unica amica, nonché la più preziosa. Nessuno potrà mai sostituirti, amica mia.
Non so se ci rivedremo mai, ma avrò sempre una parte di te, nel mio cuore.
Addio, Susy. Ti voglio bene.
 
Mary
 

Eccoci arrivati in fondo! A breve pubblicherò anche l'epilogo, ma di fatto la storia è finita. Spero che questo piccolo racconto, in qualche modo, vi abbia emozionato o che semplicemente vi sia piaciuto.
Ringrazio tutte le persone che mi hanno seguito e quelle che hanno commentato, grazie davvero!
A presto ^___^

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Epilogo ***


Epilogo
 

Mary mi lasciò così, in un mite pomeriggio di novembre. La nostra amicizia si consumò in un battito di ciglia, com’era prevedibile che fosse. Io le scrivevo spesso, ma lei non rispondeva mai. Piano piano, smisi di scriverle anch’io.

Questa era la facciata di Mary Sullivan. Una ragazza popolare, piena di amiche, circondata da tanti ragazzi.
Ma una volta scalfito il muro e spezzata la maschera, sotto quella facciata altro non c'era che una ragazza terribilmente sola, con gli occhi lucidi che imploravano di non piangere più, che aspettava che qualcuno le tendesse una mano sincera.
 
Non ho più rivisto Mary. Ma, mentre scrivo, il ciondolo con la sua metà ondeggia avanti e indietro, talvolta sfiorandomi la pelle.
E un brivido, lo stesso brivido di quel pomeriggio, riaffiora.
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2270665