Boy B (/viewuser.php?uid=148878) Lista capitoli: Capitolo 1: *** Prologo *** Capitolo 2: *** Un nuovo inizio *** Capitolo 3: *** C’è sempre tempo per sperare *** Capitolo 4: *** Once a Warblers, Always a Warblers *** Capitolo 5: *** Boy B *** Capitolo 6: *** When Jupiter Met Sapphire *** Capitolo 7: *** La lista della spesa *** Capitolo 8: *** Un sogno fatto di mogano *** Capitolo 9: *** Un incontro inaspettato *** Capitolo 10: *** Sono pronto a lasciar andare via tutto? *** Capitolo 11: *** Per te ci sarò sempre, ricordatelo. *** Capitolo 12: *** Non ci dobbiamo più vedere *** Capitolo 13: *** E se tutto fosse sbagliato? *** Capitolo 14: *** Ma ti sembra un’Annie lui? *** Capitolo 15: *** Relief *** Capitolo 16: *** Un weekend al lago *** Capitolo 17: *** Non ti preoccupare, hai me ora *** Capitolo 18: *** Write about us *** Capitolo 19: *** We'd be allright *** Capitolo 20: *** Home *** Capitolo 21: *** Truth *** Capitolo 22: *** Run faster, Time is running out *** Capitolo 23: *** Millions of second of perspective later *** Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
|
Capitolo 13
*** E se tutto fosse sbagliato? ***
Blaine
e Sebastian sfortunatamente
non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro "amato
troll" Ryan
Murphy; questa
storia è stata scritta senza
alcuno scopo di lucro. Buona
lettura. NdA:
Vi rubo solo un secondo. Questo capitolo si dividerà in tre
parti e
sono entrambe piene di angst, quindi preparatevi :) Boy B
.-E
se tutto fosse sbagliato?-.
Ma che mi era saltato in mente? Mi chiedo perché devo sempre
ricascarci. Non so niente di Sebastian e tanto mi è bastato
a fidarmi di lui,
mi ero aggrappato a lui come se lui fosse quel punto fisso che mi
serviva per
rialzarmi e rinascere. Dopo tutto quello che è successo ero
riuscito ad
abbassare completamente le mie barriere. Ho pianto con il viso nascosto
fra le
nostre mani di fronte a lui, ma non mi ero vergognato di quello che
stavo
facendo, anzi mi era sembrato la cosa più naturale al mondo,
a differenza di
quello che è successo con Shannon, che ho aspettato di
varcare la porta per
lasciarla andare. Ma che mi è saltato in mente quando
l’ho baciato? Non dovevo superare quel sottile
confine che c’era fra di noi. E come al solito ho rovinato
tutto. Ma che mi hanno fatto gli occhi di Smythe? Maledetto lui e i suoi occhi
dannatamente verdi. Per distrarmi un po’ decido di
prestare attenzione a questa parte di Columbus che conosco poco, ma era
meglio
che non l’avevo fatto. Mi sembrava l’ennesimo brutto scherzo
del destino, ovunque mi giravo vedevo un particolare verde. Le fronde
degli
alberi che costeggiano la strada. Alcuni oggetti nelle vetrine. Le
tende dei
bar. Tutto era verde, ma non si avvicinava neanche lontanamente ai suoi
occhi
però ogni particolare era lui. Mi sento di impazzire. Per fortuna sono vicino a casa e non
vedo l’ora di rinchiudermi dentro camera mia e di non uscire
per i prossimi cent’anni.
O forse non vedo l’ora di andare in camera mia per chiamarlo
e per dirgli che
voglio provare ad andare avanti con lui al mio fianco.. Apro la porta e non mi accorgo nemmeno
della macchina di Shannon parcheggiata, e quindi appena entro dentro mi
ero
illuso di poter stare in completa solitudine. Quando ho la porta chiusa
dietro
alle spalle mi lascio scivolare su di essa e mi prendo la testa fra le
mani
appoggiandola sui ginocchi. «Thomas?» «E se tutto quello che fai alla fine
è
sbagliato, anche se in quel momento ti sembrava così
giusto?» «Thomas, stai bene?» «Secondo te posso stare bene io? E che
diamine! Non mi hai di fronte? Non mi vedi?» «Thomas. Io-» Ormai era troppo tardi. Qualcosa
dentro di me, tenuto a riposo per troppo tempo, si è
svegliato ed è esploso con
la forza di mille bombe atomiche e io non ho la forza per contrastarlo.
Ho
incominciato ad urlare e sento che la rabbia che mi porto dietro da 10
anni mi
si stia scoppiando in pieno petto. Rabbia mista alla consapevolezza di
stare
andando avanti e di lasciare il suo ricordo ancorato ad un passato che
sono
stufo di ricordare. E questo non va affatto bene. Gli ho promesso che sarei andato avanti,
ma è così difficile farlo senza di lui. E poi mi viene in mente il viso
meraviglioso di Sebastian. E anziché tranquillizzarmi, mi fa
aumentare ancora
di più la collera che sto provando dentro. E questa volta non c’è modo di
poter
sfuggire all’esplosione. «Come potrei stare bene se per tutti
sono IL mostro, anche se non sapevano chi ero e tanto si erano sentiti
liberi
di giudicarmi. Anche se adesso loro non si ricordano, io comunque ho
questa
grossa insegna sopra la testa in cui c’è scritto:
“Sono io il bastardo che voi
avete identificato come l’assassino di Mary Ann. Io sono
qui!” e tutti sembrano
che se ne accorgono. Passo per strada e mi guardano strano, come se lo
sentissero a pelle. E lo sai perché? No? Perché
all’epoca, anziché giocare con
gli altri bambini e fare cosa da “maschi”, come le
chiamava sempre mio padre,
io preferivo giocare con il mio migliore amico e fantasticare con lui
su come
sarebbe stato bello vivere in un mondo dove un principe ci venisse a
salvare e
portare in quel posto dove è giusto poter essere se stesso.
A me mi è sempre
sembrato abbastanza ridicolo, perché ero un bambino che non
sapeva niente su
come funzionasse il mondo, ma per l’uomo che mi donato la
vita e per tutti coloro
che mi hanno incolpato quei comportamenti erano sintomo di una malattia
che non
esiste e tanto gli è bastato per metterci sotto la luce dei
cattivi della
situazione. Bambini di 10 anni, innocenti, furono visti come degli
assassini. Sono
sempre stato una delusione per mio padre e per mia madre, ma io avevo
il mio
nonno che mi ha procurava delle vie di fuga. E sai perché
nel giorno del
processo tutti quanti non si sono fatti scrupoli a incolparci?
Perché qualcuno
ci aveva visto che ci aggiravamo in quel posto, non l’abbiamo
mai negato era
vero quello era il nostro posto segreto, però ci aveva anche
visto baciare. Ma
io penso che c’è di male? Avevamo 10 anni come
facevamo a capire che quello era
sbagliato, quando tutti dicono che si può baciare chi si
ama, ma poi fu uno di quei
bacetti a stampo tipici dei bambini, quelli innocenti, quel leggero
sfiorare di
labbra, delicato come le ali delle farfalle. Perché sono
riusciti a macchiare
anche quel ricordo così puro e perfetto che mi era rimasto?
E quando hanno
visto che razza di lavoro avevano fatto a quella bambina quei pazzi non
ci
hanno messo tanto a classificarci come i figli del demonio,
perché solo delle
persone malate come noi potevano aver fatto quel gesto. Mi pare giusto!
Sai di
che furto parlavo l’altra volta? Del furto della nostra
innocenza e della
nostra vita. In un modo o nell’altro saremmo stati segnati a
vita, ma saremmo
stati uniti. E ora che mi rimane? Un ricordo sbiadito di un passato che
non ho
potuto vivere e una famiglia che non posso vedere fino a quando tutta
questa
faccenda sia finita, ma tanto per loro è uguale
perché non mi vogliono! Non
vogliono della schifosa feccia in casa loro.» «Thomas, basta.» «Sai di cosa quei pazzi ci hanno
ritenuti gli artefici? Di averla PICCHIATA A SANGUE, fino a farla
morire
dissanguata e per commozione celebrale, una bambina che avrà
avuto la nostra età,
picchiata con un bastone. Ma noi i bastoni non l’abbiamo mai
impugnati nemmeno
per giocare fra di noi, perché sapevamo che era pericoloso.
Io mi ricordo quel
bellissimo visino sfregiato, ce l’ho marchiato a fuoco nella
mente e ogni
fottuta notte mi viene in sogno e mi dice perché non
l’ho salvata, perché non
l’ho trovata prima, perché non ho fermato quei
bastardi, tanti perché ai quali
io non ho una risposta e ciò mi tormenta. Le sue urla! Tu
dici che le mie sono
agghiacciati? Hai mai sentito la disperazione nella voce di chi sa che
tutto è
finito? Che non può fare più niente per non
morire? Quel desiderio di chiudere
gli occhi per sempre solo per non sentire più il dolore, ma
comunque hai quella
voglia di vivere che sovrasta tutto e ti spinge ad imprecare un Dio che
non
esiste? Io si e anche quelle mi vengono a trovare ogni notte! Fra le
colpe
c’era anche quella che l’avevamo violentata. Due
bambini di 10 anni che
violentano un’altra bambina? Come se i miei che
già non avevano tempo per dirmi
“ciao” mi si erano messi a fare una lezione su che
cos’è l’amore e sapevo
quello che dovevo fare. A me non mi interessava più di tanto
saperlo a quell’età
ma per loro era logico che noi sapessimo tutto. Ma il bello
è che quello è
stato l’ennesimo errore! Tutto quel sangue che hanno trovato
era dovuto alle
varie botte che le hanno inflitto su TUTTO il corpo. Io mi
ricordo-» «Thomas, BASTA!» «No, lo devi sapere! Io lo so che lo
volevi sapere! Così capisci con chi hai condiviso il tetto
per tutto questo
tempo. La cosa più brutta erano i suoi occhi.
Così vivi ma allo stesso tempo
erano così morti. Aveva perso troppo sangue,
l’ambulanza non è arrivata in
tempo. Perché quei bastardi, oltre ad aver usato un bastone
avevano usato anche
un coltellino! Ti rendi conto di che tipo di matti hanno lascato
liberi?!» «THOMAS» Ma ormai l’argine del fiume si era
rotto e non c’erano possibilità di poter contenere
la sua potenza. Non esistono
dighe troppo resistenti per contenere tutta questa disperazione, quello
che
puoi fare è essere lo spettatore impotente che assiste alla
distruzione di un
equilibrio causata dalla sua forza distruttiva e aspettare che si calmi
da
solo, bisogna lasciarlo sfogare. Noncurante delle lacrime che ti
solcano il
viso, e di quelle che sta versando la persona che ti sta davanti. Vai
avanti,
nonostante il dolore che ti sta lacerando l’anima. Ancora. «Ma la cosa peggiore fra tutte che ho
commesso è che gli ho fatto vivere questo inferno da solo!
Il posto dove
l’avevano nascosto era peggio rispetto al posto che mi
avevano nascosto da me!
Pensavano che metterlo in un paesetto era meglio, ma si sbagliavano di
grosso.
Appena l’hanno trovato mi hanno spostato, io non ero a
conoscenza di ciò che
gli accadeva, quindi non avevo fatto troppe domande quando mi hanno
trasferito
qui. Sai quella gente non ha dimenticato, era troppo vicino alla nostra
città.
Lo sai che gli è successo?» «Sì, William me ne ha parlato.
Mi
dispiace Tom.» «A TE NON TE NE FREGA UN CAZZO!
FINISCILA DI FINGERE CHE TI FREGA! Il tuo dispiacere, come quello degli
altri,
non me lo riporterà indietro! Il tuo dispiacere non mi
permetterà di stargli
accanto quando più ne aveva bisogno. L’ho perso, e
non so quando mai lo potrò
rivedere. Il vuoto della sua presenza nella mia vita è
così pesante che alcune
volte non riesco a respirare. È come se mettessi di continuo
del sale nelle
ferite fresche, brucia, ma non puoi farci niente, perché sai
di meritarti quel
dolore.» La vedo avanzare e mi abbraccia. Io
rimango fermo al mio posto, non muovo nessun muscolo. Ma sento che
quella
rabbia ormai non c’è più, mi sento solo
tanto vuoto. «Mi manca. Io sarei dovuto stargli
vicino.» le dico con la voce incrinata dalle lacrime
finalmente libere di
uscire dalla mia prigione di ciglia. «Shh non puoi fare più niente
ora.» «Non mio hanno nemmeno dato
l’opportunità di dirgli addio, e se non avessi la
possibilità di rincontrarlo?» «Lui lo avrebbe voluto?» «No, perché questo non
è un addio. Mi
ha detto che era un arrivederci» «Lo rincontrerai, Tom.»
«Mi dispiace così tanto,
Shannon.» «Shh è finito. Non ti
preoccupare,
avevi solo bisogno di sfogarti.» «Non dirlo a William. Lui non
approverebbe»
«Non ti preoccupare, Boy B. il tuo
segreto è al sicuro con me» «Ma tu sapevi?» «Secondo te io faccio entrare gente in
casa mia così come capita? Mi danno il vostro vero profilo,
e poi io decido, ma
non devo parlare del vostro passato, se non siete voi a farlo. Non mi
è
permesso di fare troppe domande. Vi devo dare la speranza di una vita.
Puoi
farcela, lo sai?» «No» «Penso che faccia parte della
vita» «Il fatto che io sono un caso
disperato?» «No, sciocco. Il fatto di sbagliare
quando pensavi di stare nel giusto. Me ne vuoi parlare? Con calma
questa volta» «Perché hai detto di
sì a me? Pur
sapendo il mio passato?»
«Perché era come se sentivo
che avevi
bisogno di una seconda possibilità, qualcuno che non ti
giudicasse. Will mi
aveva anche garantito che avevano riaperto il tuo caso,
perché il tuo avvocato
aveva avanzato una proposta di revisione del tuo caso, visto che
eravate troppo
piccoli per essere giudicati da quel tipo di corte.»
«Non volevo gridare in quel modo,
prima, ma è stato più forte di me.
Scusami.» «Non ti preoccupare, è tutto a
posto.
Lo capisco – mi rivolge un sorriso dolce prima di continuare
– aspettami in
soggiorno, preparo un po’ di tè. Quando si
è triste qualcosa di caldo aiuta.» «Come
mai
sei triste?» «Non
sono
triste io.» «No?
E
allora perché stai piangendo.» «Io
non
sto piangendo. Gli uomini veri non piangono mai.» «Mio
padre
però ha pianto, quando la nonna morì. E lui
è l’uomo più forte che ci sia.
È il
mio papà.» «Non
è la
stessa cosa.» «Allora
spiegati, Bee.» «Lasciami
stare! È per colpa tua se il MIO papà mi odia!
Kurt lasciami stare e tanto meno
non provare a toccarmi.» E poi il
bambino dai ricci ribelli si girò verso il suo migliore
amico, pentito di
quello che aveva appena detto. Ma si sa, quando una cosa viene detta
non puoi
rimangiartela, anche se è stata dettata dell’odio
del proprio padre e non del
tuo. Se il bambino dagli occhi celestiali si è sentito
tradito, l’altro è come
se fosse stato colpito da mille lame appuntite, una per ogni sua
lacrima
versata. Lui grida il suo nome, per chiamarlo a se, ma lui è
già lontano, l’ha
sentito però non si è fermato lo stesso. Si sente
uno stupido il piccolo
Blaine, perché lui quelle cose non le pensa, ma era stufo di
tutto ciò che gli
diceva suo padre. Perciò ha preferito ferirlo, piuttosto che
fargli vivere nel
suo mondo, lui non lo merita. Ma questo pensiero dura un attimo,
perché già
sente la mancanza del suo
Kurt. Dopotutto sono amici da quando ne
ha memoria. Corre verso casa, più veloce che può,
e sa già come farsi perdonare
e sa anche dove deve andare. «Posso?» «Vattene
Blaine Devon Anderson! Non voglio parlare con te» «Lo
stai
già facendo, Kurt» «Allora
vattene e basta!» «Mi
dispiace! Io non le penso quelle cose! È mio padre, non
reggo ciò che mi dice.
Può insultare me, ma non si deve permettere di farlo anche
con il mio
Kurt.
Io ho pensato che se tu riuscissi ad odiarmi, forse saresti stato
meglio. Ma
non è ciò che visto nei tuoi occhi quando li ho
incrociati. Fra i due quello più
intelligente sei tu, io sono quello che fa sempre le cose nel modo
sbagliato.
Non lasciarmi, ti prego.» «Non
ho
voglia di parlare con te adesso.» «Ti
sto
pregando. Apri questa porta. Ti prego» Il
piccolo
Kurt, per quanto ci provava, non riusciva mai a resistere al tono
disperato
dell’amico, quindi aprì la porta e venne travolto
dalla gioia del suo amico. «Tu
non
sai quanto mi dispiace. Tu sei tutto per me. Con te posso essere me
senza dover
dimostrarti niente. Tu mi accetti per tutto. Io non lo penso, non
potrei mai
farlo. È come se perdessi un pezzo di anima, o di cuore. E
chi mai potrebbe
vivere senza un pezzo di anima? Ti voglio così bene, Kurt!
Ti prego, quando
sarò di nuovo stupido, non correre via da me, rimani. Fammi
quello che ti pare,
ma non lasciarmi mai più.» «Lo
prometto. E fino a quando avrai l’usignolo K starò
sempre con te, anche se non
mi vedi. Ci sarò» «Non
dirmi
mai addio» «Ti
perdono. Brutto stupido. Lo farò sempre. Ma non farlo mai
più. Fa tanto male,
detto da te.» «Per
me tu
sei perfetto. Sei l’amico più perfettissimo al
mondo.» «Io
sono
la cosa più lontana dalla perfezione che esista al
mondo» «Allora
sei l’essere più perfettamente imperfetto al
mondo» «Ti
voglio
bene, Warbler B. Grazie» «Grazie
a
te, per rimanere nonostante tutto. Warbler K» Rimasero
stretti in un abbraccio fino al tramonto, ed entrambi ne rimasero
ammaliati, e
quel giorno non gli sembrò poi così tanto triste,
ma sapeva di una amicizia che
rinasceva più forte di prima. Che è destinata a
durare fino alla fine, anche se
le situazioni non saranno delle migliori. Ma il
rosso caldo del cielo si trasformò ben presto in rosso
sangue. Le urla presero
il posto della quiete e il volto felice di Kurt si trasformò
nel viso sfregato
di quel piccolo angelo che ora stava in cielo. «Ti
sei
divertito a vedermi morire, vero?» Era una
delle domande che era più solita ha chiedere e ti guardava
con quei occhi privi
di vita, ma pieni d’odio. «Potevate
essere voi le persone che mi potevano aiutare. Ma eravate troppo presi
dalle
vostre faccende da abomini. Che schifo.» «Noi
ci
abbiamo provato.» Gli
rispose piangendo il Blaine da adulto. «Si,
a
farmi morire.» «E
ora ti
voglio far sentire ciò che ho provato io. Te lo meriti.
Brutto rifiuto umano.» Lei non
si
muove, ma il dolore che avverte è talmente devastante che
non si accorge
nemmeno di stare ad urlare. «Sebastian, scusami davvero per il
disturbo, ma abbiamo un problema.» Quelle parole mi riecheggiano per la
testa da quando Shannon mi aveva chiamato alle due di notte e facendomi
prendere un colpo. Thomas sta avendo un’altra di crisi, ma
era molto peggio di
tutte quell’altre. Le sue urla sono accompagnate da un tipo
di rabbia
distruttrice che ti porta a colpire tutto ciò che ti capita
sotto mano e se non
riusciamo a farlo calmare in tempo ho paura che non saranno solo i
mobili ad
essere rovinati. Mi ritrovo a guidare come un pazzo per
le vie deserte di Columbus, ma perché sembrava che il tempo
non passasse mai? Ero dannatamente preoccupato, in quei
5 minuti di conversazione sono stato messo a conoscenza di troppo cose
che non
mi sono piaciute. Mi ha detto che all’inizio si è
incominciato a dimenare
durante il sonno e urlò tutto il fiato che aveva nei
polmoni. Urla di dolore e
urlava ripetutamente di venire perdonato da Kurt. Poi ha incominciato a
colpire
ogni superficie della camera, dai mobili alle pareti. Ogni colpo
corrispondeva
ad un urlo, e a detta di Shannon erano tanti gli urli. Era in cerca di
qualcosa, ripeteva sempre che non gli perdonerà mai per
averlo perso, adesso
forse lo starà già odiando. Il non averlo
più significava con sé significava
dimenticarlo e lui non era ancora pronto. Ripeteva di continuo quanto
facesse
schifo perché lo sta dimenticando. E fu in quel momento che
la mia attenzione
fu attirata da un piccolo riflesso d’orato sul parquet e
notai il piccolo
ciondolo a forma di usignolo che lui porta sempre con se, con una
piccola K sul
petto e non mi ci è voluto tanto a fare tue collegamenti. Lo
deve aver lasciato
il giorno prima, quando era venuto da me, quel giorno in cui mi aveva
baciato.
Quel giorno in cui dormì un sonno quasi senza incubi fra le
mie braccia e io mi
sentii completo. Ma quello fu il giorno in cui scappò via da
me, si era
svegliato ed aveva avuto paura, e poi non l’ho sentito per
tutto il giorno, beh
fino adesso. Ma che hanno fatto durante la notte?
Hanno allungato la strada? Non mi sembrava mai finire, devo
raggiungerlo il prima possibile. «Finalmente Sebastian» «Dov’è
lui?» Mi sto comportando come un maleducato,
non l’ho nemmeno salutata, ma lui è più
importante, devo andare da lui prima di
tutto. Mi indica di salire e i rumori che vengono dalla camera sua si
possono
sentire anche da qui. «Preparagli un bel bagno caldo. Si
sarà fatto male e bisognerà disinfettargli le
ferite. Puoi portarmi
l’occorrente?» Non le do nemmeno il tempo di
rispondermi che già sono piombato sulle scale. Arrivato alla
porta bianca della
camera sua mi fermo un attimo prima di bussare. I rumori che provengono
da
dentro non preannunciano niente di buono. «Thomas, posso entrare.» Alle mie parole lo sento fermarsi. «Posso?» «Vattene» La sua voce mi distrugge. È
così roca
e così flebile e incrinata, dovuto al pianto che non riesce
a fermare e alle
troppe urla. «Thomas, per favore. Fammi
entrare.» «No.» Non mi fermo al suo no, provo ad
aprire la porta anche contro al suo volere, devo stargli vicino adesso
e lui è
troppo devastato per rendersene conto. Fortunatamente la porta
è aperta. Lo spettacolo che mi si pone di fronte
è agghiacciante. Mobili rovesciati, cuscini distrutti,
contenuti dei cassetti
sparsi per la camera senza un ordine e macchie rosse
sull’intonaco bianco
crepato. E poi lo vedo. Rannicchiato sul pavimento, il più
lontano possibile da me, nascosto nell’ombra. «Thomas» Mi esce in un sussurro. Amore celato
dietro ad una preoccupazione, accarezzo il suo nome come se stessi
parlando ad
un qualcosa di troppo delicato, che va protetto perché si
potrebbe rompersi ad
un leggero cambio d’aria. Ma a lui gli arriva al cuore la
nota d’amore e alza
gli occhi per puntarli nei miei. Non perdo mai il contatto visivo
mentre mi
avvicino a lui pian piano, non voglio turbarlo ancora di più
visto che il suo
tormento ora vive solo nei suoi occhi perfetti. Quando gli arrivo
davanti mi
fermo e mi abbasso con ancor più lentezza, non gli parlo e
non gli dico nemmeno
niente, deve essere lui a fare il primo passo. Anche se mi volesse dare
un
pugno, non mi sposterei nemmeno in quel caso. Quando ormai sono alla
sua
altezza lui mi viene addosso e porta le braccia dietro al mio collo, mi
tiene
stretto a lui e per un attimo ho pensato che saremo caduti. Sento il
suo
respiro irregolare che mi solletica il collo e io non faccio che
stringerlo
ancora più forte quando sento che lui fa lo stesso. Io gli
incomincio a
massaggiare la schiena con movimenti circolari e si inizia a rilassarsi
un
poco. Rimaniamo così per del tempo che mi sembra infinito,
ma è bello, vorrei
restare così per sempre. Ma dopo mi ritorna in mente il
piccolo ciondolo per
questo sciolgo la dolce morsa della sue braccia e gli prendo le mani
fra le mie
e gli porgo il piccolo usignolo. Osserva il suo piccolo tesoro e si
allontana
leggermente da me, ma posso sentire le nostre fronti sfiorarsi. «Lo devi aver dimenticato a casa mia
ieri.» Gli dico dolcemente e con un tono di
voce basso e gli vedo spuntare un’ombra di sorriso negli
occhi. «Non l’ho perso.» «No.» «Grazie.» «Usi il ciondolo per superare le
crisi, vero?» «Sì, è come averlo
ancora qui con me.» «Come pensavo» Mi alzo in piedi e gli offro la mia
mano che lui accetta senza esitazioni. Visto che si è
calmato forse ora
potrebbe ritornare a dormire. Lo faccio accomodare sul letto e gli
lascio un
leggero bacio sulla fronte per poi scendere sulle labbra, lasciandone
uno più
dolce. Sento che le sue labbra si incurvano in un sorriso e io non
potrei essere
più che felice. Mi alzo e mi avvio verso la porta, volevo
parlare con Shannon,
dirle che tutto è stato aggiustato. Ma lui mi blocca un
braccio e mi chiede con
gli occhi di non abbandonarlo e a me non mi è permesso
sfuggire al loro potere.
Prendo posto in quel piccolo letto, grande per uno, ma piccolo per due.
Forse è anche meglio, così
possiamo
stare più vicini. Mi sembra ridicolo inviare un
messaggio a Shannon quando sta di sotto, ma non voglio allontanarmi da
lui. Ora
non posso. Perciò mi stendo vicino a lui e apro
le braccia per farlo accomodare e stringerlo. E lui mi tiene stretto a
sé come
se avesse paura che io possa scomparire da un momento
all’altro. Mi metto a
giocare coi suoi ricci. «Shannon ti ha preparato un bel bagno
caldo. Mi permetti di curarti le ferite prima?» Gli dico sussurrandoglielo
nell’orecchio. Le sue mani mi stanno lasciando delle piccole
macchie rosse sulla
maglia e io vorrei farlo sentire meglio, deve soffrire molto, visto che
sono
così fresche. Forse quel “mi permetti di
curarti?” nella mia testa ha più il
suono di un “mi permettimi di amarti?”. Vedo Shannon alla porta che fissa
esterrefatta lo spettacolo grottesco che ha di fronte, le vedo anche le
lacrime
che sta trattenendo con molta difficoltà. Entra e mi lascia
il kit medico
vicino al letto. Io lo prendo e mi siedo con le gambe
incrociate sul letto e invito Tom a darmi le mani. «Shannon, potresti accendere la luce
quando vai via?» Non mi risponde, annuisce solo. Io mi metto a disinfettargli le ferite
e ad ogni piccolo lamento mi fermo e gli lascio un leggero bacio sulla
parte
più dolorante, l’alcool misto al sapore rugginoso
del sangue non sarà buono, ma
funziona come antidolorifico e questo mi basta. Quando ho finito di curarlo lo vedo
che è stremato, è stata una brutta notte per lui. Ritorniamo stretti in un abbraccio e
lui si aggrappa a me come se fossi il suo collante per tenere uniti i
suoi
pezzi, che ormai la maggior parte sono alla deriva, forse troppo
lontani per
ritornare completo come un tempo. «Prima di dormire vuoi farti il
bagno?» Scuote la testa e si fa più vicino a
me. «Mi vuoi raccontare del tuo
incubo?» «Possiamo parlarne domani?» «Possiamo farlo quando vuoi. Domani.
Fra una settimana. Mai. Ma sappi solo che io sono qui. Ok?» «Mi puoi solo stringere come
l’altra
volta?» «Certo. Prova a dormire un altro
po’, Tommy.
Ci sono io qui a sorvegliarti i tuoi sogni.» «Grazie, Bas» E si
addormentarono così, stretti nell’amore
dell’altro. Un Amore che la spettatrice
silenziosa della scena poteva leggere nei loro sguardi e nei loro
gesti, loro
invece lo capivano attraverso il battito del cuore dell’altro. TBC... Note dell'Autrice: Buona sera
e buon Gleestmas! Vi è piaciuto
il capitolo? Spero di sì :) Allora
“parte 1” cioè quella di Blaine. Vi
ho lasciato nel capitolo precedente con un Blaine che scappa da Bas
dopo che ha
dormito fra le sue braccia e dopo IL BACIO! In questo vediamo come
reagisce a
tutto ciò che gli è successo. L’ho
fatto scoppiare e spero di aver trattato
tutto nel modo giusto, spero che non vi è sembrato assurdo
questa sua reazione,
però ho pensato che era molto confuso e in conflitto con se stesso e in questi casi
ti basta poco per
esplodere. Il nome Mary Ann è inventato, non è
quello del caso perché nella
storia vera è un maschietto, però ciò
che le è successo è molto vicino a quello
che hanno fatto al piccolo. Io mi sono sentita malissimo quando
l’ho letto per
la prima volta e spero di averlo trattato adeguatamente. Voi che ne
pensate? Shannon
penso che sia la persona perfetta per stare al fianco di Blaine. Lei ti
sta
vicino e ti sa confortare io personalmente adoro il personaggio che
interpreta
la nostra Dot. Come Sebastian lei sa della “vera”
identità di Blaine,
sinceramente non so come funzionano queste missioni del
“proteggi il testimone”
diciamo che mi sono presa la licenza poetica. Ho amato scrivere la
conversazione fra di loro e dopo il racconto di Blaine era quello che
mi ci
voleva. “parte
2” il sogno/incubo. Dopo il
racconto ecco svelato anche il sogno tipico di Blaine. Come tutti ormai
avrete
capito l’usignolo gli è stato regalato da Kurt e
finalmente uso nomi e cognomi veri
nei flashback. Qui diciamo che il mio lato Seblaine veniva bellamente
picchiato
dal mio lato Klaine perché ho fatto comportare in quel modo
Blaine, se volete
picchiatemi pure voi, ma se fossi in voi io risparmierei le energie per
il
futuro ;) Gli ho fatto dire il nome completo di Blaine, ho fatto dire
da Kurt “Blaine
Devon Anderson” *il lato Klaine prende possesso della
tastiera* IO HO
FANTISTICATO SU QUESTA COSA IN MILIONE DI MODI, NON IN QUESTO CONTESTO,
MA WHO
CARES? L’HA DETTO! Ok me la finisco e ritorno
“seria”. Questo è un sogno che ha
alti e bassi inizia un po’ teso e poi arriva nel momento
della riunione dei due
amici nel loro posto segreto (non sono stati carini? Il mio piccolo
amore Blaine
già chiamava Kurt “il mio
Kurt” awwww)
per poi finire con la scena con la piccola Mary Ann. Questo
è uno dei tipici
incubi, però è il più frequente. “parte
3” quella di Bas. Qui abbiamo un
preoccupatissimo e tenero Sebastian, si lo so non è il
“tipico Sebastian” ma
spiegherò più avanti anche il perché
di questo capitolo, non farò come i RIB
che dicono solo che dopo un determinato fatto fanno diventare Bas buono
e lo
mettono nel dimenticatoio, date il tempo al tempo. Forse
avrò un po’ esagerato
con la crisi di Blaine, però per lui non è stata
una bella giornata e la sua
forza la trae dal suo ciondolo perché in quel piccolo
oggettino c’è la forza di
Kurt e a lui gli serve per rimanere in piedi. Prima l’ho
fatto sfogare con le
parole e dopo quando le parole non sono più sufficienti
l’ho fatto sfogare su
tutto ciò che gli capitava sotto tiro. Il passaggio da
“Blaine che scaraventa
in aria tutto” al “Blaine nel angolo”
è stato velocissimo e nel momento in cui
Seb ha aperto la porta. Io penso che come il ciondolo l’aiuta
a calmarsi così
ci riesce anche Sebastian, il loro amore che sta crescendo è
una buona cura a
tutto. Sebastian gli curerà non solo le ferite alle mani, ma
gli curerà anche
le ferite dell’anima che sono quelle più difficili
e così farà Blaine con lui. Penso che
sia tutto, per eventuali dubbi
non esitate a contattarmi, mi piacerebbe tanto sentirvi, sapere se vi
piace o
se mi merito di essere mandata via a calci da EFP, qualsiasi cosa. Per
favore Come
sempre vorrei ringraziare chi rimane,
chi ancora non ha abbandonato la lettura, grazie! Anche a chi legge
solo e a
chi mi recensisce, a voi che lo fate penso che non
ringrazierò mai abbastanza
sapete che il mio grazie viene dal profondo del mio cuore, mi fate
venire
sempre il sorriso. Grazie mille E un
grazie va anche alla beta per l’aiuto
che mi da, per credere nella nostra ff e per farmi vedere il bicchiere
mezzo
pieno. Grazie Al prossimo
aggiornamento _Beth :) |
Capitolo 14
*** Ma ti sembra un’Annie lui? ***
Blaine
e Sebastian sfortunatamente
non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro "amato
troll" Ryan
Murphy; questa
storia è stata scritta senza
alcuno scopo di lucro. Buona
lettura. Boy
B .-
Ma ti sembra un’Annie
lui? -. Ho passato il resto della notte in bianco perché mi ero imposto un incarico bene preciso: tenerlo lontano dagli incubi. Dovevo esser sicuro che lui stesse bene e di esserci per un’eventuale crisi. Ho odiato le prime luci del mattino perché lo stavano disturbano, ma nello stesso momento l’ho amate perché creavano dei bellissimi giochi di luci e mi mostravano il suo viso con una nuova bellezza. Shannon era venuta a controllarci verso le otto, prima che partisse, e le ho chiesto se poteva chiamare la mia segretaria per dirle che era successa un’emergenza e non potevo venire oggi, gli altri avrebbero capitolo la situazione, dopotutto Blaine è ancora un mio paziente. Mentre lo osservavo mi sembrava ancora assurdo pensare che proprio ieri mi ha baciato e con quel bacio ha dato il titolo ad un nuovo capitolo della nostra vita, spero che questo sia quel tipo di capitolo che anche a distanza di anni nessuno si dimenticherà. Mi fa strano fare certi pensieri io ero più il ragazzo dalla botta e via. Quello a cui nessuno avrebbe dato un po’ di fiducia, ma alla fine avevo incontrato Thad e lui mi aveva cambiato, mi aveva fatto scoprire il vero me. Però gli altri avevano ragione, io non ero nato per amare e avevo rovinato anche quello che c’era fra di noi per colpa di quella mia debolezza che mi accompagna da sempre. Ma con Thomas, beh con lui era diverso. Da quando l’ho incontrato non ho più incontrato nessuno, andavo lo stesso nei bar, ma non mi interessava più conquistare un uomo e portarmelo a letto. Quando li osservavo o avevano i capelli troppo lisci o troppo chiari, oppure erano o troppo bassi o troppo alti, nemmeno gli occhi sapeva catturarmi chi l’aveva troppo scuri, dovuti alla lussuria che li riempiva, oppure erano troppo chiari o troppo.. O troppo niente. Dalla seconda sera mi ero accorto che in ogni uomo che osservavo cercavo in lui i ricci di Thomas, il sorriso di Thomas, gli occhi di Thomas, cercavo perfino l’altezza di Thomas. Cercavo lui in tutti. E da lì ho capito che non ero riuscito a togliermelo dalla mente neanche dopo dieci anni e che forse quello che ho provato per lui era veramente quel tipo d’amore di cui tutti parlano. Più volte mi ero trovato ad accarezzargli i lineamenti e ogni qualvolta che lo vedevo agitarsi o sorridere nel sonno mi fermavo e ne rimanevo incantato. Grazie a questa notte ho capito che potrei passare una vita intera ad osservarlo senza mai rimanere sazio, perché ho la certezza che poteri trovare un nuovo piccolo particolare che mi porterebbe ad amarlo ancora di più. «Cosa guardi?» Stavo fissando da non so quanto tempo uno dei suoi ricci e non mi ero accorto che lui si era svegliato e mi sta osservando curioso. «Te.» «Me? Non sono così interessante da esser guardato per un’intera notte..» «Come fai ad esser sicuro che io ti ho osservato tutta la notte?» «Hai delle bellissime e profondissime occhiaie.» «Lo ammetto, ho passato tutta la notte a controllarti e a tenerti lontano gli incubi.» Detto questo il suo viso si apre in un sorriso e avvicina il viso al mio, con gli occhi mi chiede il permesso di baciarlo, ma non ne ha bisogno. È un bacio delicato dato con un filo d’imbarazzo, quasi timore, come se questa non fosse la situazione migliore, o forse è dato dal fatto che non abbiamo ancora avuto modo per approfondire meglio questo discorso. Però mi piaceva e mi faceva sentire bene con me stesso. «Buongiorno, Thomas.» «Buongiorno – e mi bacia una guancia – anche – mi bacia l’altra – a te – e lascia per ultima la bocca –, Sebastian.» Entrambi ridiamo a questo suo buongiorno, non sono abituato a questo genere di saluti. «Di solito una persona normale di mattina presto è intrattabile, tu invece sei così. Ma come fai?» «Ma io non sono normale, lo sai che vado da uno psicologo? Dicono che è “bravino”. E poi devo ammettere che non ho mai dormito così bene, ho dormito su un comodissimo “cuscino”.» «Bravino solo? Mi sa che lo conosco, a me hanno detto che è il più bello psicologo di tutti i tempi e dicono anche che è bello quanto bravo. Ma davvero?» «Davvero che hai il petto più comodo di tutti?» «No, che hai dormito bene.» «Si, non ho avuto incubi. Sai di solito quando ho le crisi in quel modo quando richiudo gli occhi non faccio mai sogni tranquilli. Il più ricorrente è io mentre corro verso un qualcosa che non so cos’è, mi fa star male questa cosa, mi mette tanta agitazione. Non arrivo mai alla fine, mi avvicino sempre, alcune volte sogno lui. Sogno di non fare in tempo a trovarlo, forse se stavo con lui non sarebbe successo quello che è accaduto. Oppure mi muovo verso la bambina, ma non riesco mai a salvarla. Non è che sogno sempre queste cose, ma le sensazioni sono sempre quelle. Sono un misto fra la paura e la consapevolezza che tu potevi fare la differenza ma alla fine non l’hai fatta. E prima che il sogno finisce tutto viene illuminato da una strana luce verde.» «Questo è interessante, ma sei mai stato rapito dagli alie- MA CHE FAI TI PARE IL MODO?!» «Si e la prossima volta non mirerò di certo alla testa stai pur tranquillo. Sto dicendo una cosa seria e tu ci scherzi sopra.» Fa per alzarsi ma lo blocco in tempo e lo faccio ritornare fra le mia braccia, dopo aver passato una notte con il suo respiro sul collo mi sembra assurdo pensarlo lontano da me ma lui fa di tutto per allontanarsi, perciò gli blocco le gambe con le mie per non farlo scalciare, dopo un po’ si calma e allento la presa di poco. «Ehi mi dispiace ok? Era per sdrammatizzare. Hai parlato di luce verde e boh ho detto la prima cosa che mi è venuta in mente. Scusa.» Mi mette il broncio e mi da le spalle, almeno ci prova perché non ha molto modo di spostarsi, ma non è offeso, lo vedo da come ha le spalle. «Non lo faccio più, farò il bravo ragazzo e me ne starò zitto, muto.» «Ma ieri me lo sono sognato o mi hai chiamato “Tommy” veramente?» «L’ho detto e tu mi hai chiamato “Bas”, suona bene. Ma, ehi, Tommy, hai delle spalle bellissime ma ti gireresti? E non essere arrabbiato con me, non volevo offenderti.» Sapevo che stava facendo finta e quando si gira ha lo stesso sorriso di questa mattina e si riposiziona con il viso vicino a me e fa sfiorare i nostri nasi, come per dirmi “ok, ti perdono.” Mi potrei anche abituare a questo tipo di risveglio. «Come vanno le mani?» «I tagli mi fanno ancora male, ma vanno meglio.» «Vuoi che te le disinfetto ancora? O forse potrei vedere se Shannon ha delle pomate specifiche. Potrei-» «Seb, non ce ne è bisogno. È normale ieri ho fatto un casino, guarda come ti ho ridotto la maglietta, e ora ne pago le conseguenze. Queste fortunatamente mi passeranno subito.» È strano il modo in cui mi parla, è come se fosse lui che deve consolare me e non il contrario. Lo stringo forte a me e ci godiamo il silenzio, che per una volta non è pesante. «Ho in mente il programma perfetto di questa mattina allora: tu ti lavi, ti fai un bel bagno caldo e ti rilassi mettendo nel dimenticatoio la serata precedente; poi portiamo Jupiter da me così prendiamo Sapphire e andiamo al parco. Però prima passiamo da Bob così abbiamo la colazione gratis pure oggi.» «Mi sento usato.» «Non esserlo ci guadagni anche tu alla fine. Può andare?» «Può- diamine! Che ore sono? Devo andare dal signor Brown!» Detto questo lui si alza e come una furia prende i primi panni che ha sotto mano e si cambia alla velocità della luce. «Tom.» Non mi sente. «Thomas.» Allora decido che devo fermarlo e farmi ascoltare. Come al solito gli prendo le spalle e a questo mio gesto lui si ferma subito. Mi guarda come se mi volesse dire: sono in un ritardo assurdo e tu mi fermi? Non capisci la situazione o alcune volte sei solo stupido? «Ho. Chiamato. Il. Signor. Brown. Prima. Tu. Non. Devi. Andare. Al. Lavoro. Ok?» «Tu cosa? Ma perché? È il mio primo giorno, non posso mancare già dal primo giorno. Non posso farlo! È il mio primo giorno lavorativo! Adesso fammi vestire e portami da lui. Muoviti!» «Ci vai dopo pranzo.» «Ma il mio turno è adesso!» «Il tuo turno è nel pomeriggio. Lui è il capo e così ha deciso.» «Allora ci vado a piedi.» «Dai su non fare il bambino testardo, lui ha detto che ci devi andare oggi pomeriggio e io mi sono preso la mattinata libera per un’emergenza, ho posticipato tutti gli appuntamenti nel pomeriggio. Non puoi preferire una mattinata con il signor Brown a una mattinata con me.» Quando ho finito di parlare rimaniamo a fissarci, non parliamo e vorrei capire quello che pensa. Poi, ad un certo punto, si gira verso il suo armadio e prende un cambio di vestiti, poi si dirige verso la porta, ma prima di uscire si volta verso di me. «Facciamo come hai detto tu, ma la prossima volta se vedi che faccio tardi svegliami, ok?» Gli sorrido a mo’ di conferma e poi rimango solo nella sua stanza, ci sono ancora i segni del giorno prima. Forse è meglio che sistemi un po’ l’ambiente, lui prima non ha fatto caso al disastro, ma non vorrei che vedendo tutti i segni possa ricadere in quello stato che l’ha portato a fare questo. Mi limito a sistemare i mobili perché sicuramente le macchie di sangue non andranno via facilmente e non ho molto tempo, e ripensandoci le ha già notate sulla mia maglietta e non gli hanno dato problemi perciò mi limito a riporre il contenuto dei cassetti, che era sparpagliato sul pavimento, vicino al letto e la mia attenzione viene attratta da una lettera un po’ sgualcita e da una foto nella stessa condizione, la metto al sicuro sopra il cuscino. Mi mancava quel suo sorriso che aveva prima di tutto ciò, mi manca il suo vecchio sorriso, quello che gli osservavo da lontano. Era il sorriso che aveva quando stava con il suo migliore amico, solo lui lo rendeva felice in questo modo. Per molto tempo sono stata geloso di lui. Poteva parlarci come e quando voleva, poteva tirarlo su di morale, abbracciarlo. Poteva essergli amico. Do un ultimo sguardo alla foto e poi mi metto a sedere sul letto, mi fa strano avere un qualcosa di suo di così intimo fra le mani, ha il suo odore. Chissà quante volte l’ha stretta al suo petto e quante volte ci ha pianto sopra. Sulla busta c’era scritto: “Al futuro Thomas, il tuo Matisse”. Matisse. Chi
è questo Matisse? «Sebastian?» La sua voce mi ha fatto prendere un colpo, non me lo aspettavo. Rimango fermo al mio posto, non so come muovermi senza fargli vedere cosa ho fra le mie mani. Mi uccide. Sono un uomo morto, beh almeno morirò felice dopo il risveglio di questa mattina. «Si, Thomas?» «Perché hai fra le tue mani la mia lettera?» Perfetto. «Non l’ho letta, ma l’ho trovata sul pavimento quando stavo mettendo a posto. Io, mi dispiace, ma giuro non l’ho aperta.» «Mi fido. Ma adesso dammela.» Il suo tono non ha vitalità, sembra piatto. Mi dovevo fare gli affari miei adesso è arrabbiato, no è deluso il che è anche peggio. «Thomas.. scusa.» «Fa niente. È tutto ok.» «Ho già fatto un mare di cavolate e non sono nemmeno le nove e mezzo di mattina, wow è un nuovo record.» Si avvicina piano a me e si abbassa fino a quando i nostri occhi sono sullo stesso piano e con la stessa lentezza mi sfila la lettera dalle mani per riporla nel primo cassetto in mezzo ad un libro insieme alla foto, poi mi prende le mani. «Quella lettera me l’ha scritta Kurt – gli spunta un sorriso tenero quando pronuncia il suo nome e i suoi occhi per un secondo si illuminano di luce propria – quando eravamo piccoli ci chiamavamo Matisse e Bizet. Per un motivo stupido, c’eravamo fissati con “Gli Aristogatti” e visto che lui era più l’artista e io il pianista abbiamo incominciato a chiamarci così. Diciamo che quella lettera ha ucciso le mie ultime speranze e non voglio che tu la legga, ci sono dentro cose personali. Ma potrai leggerla quando mi sentirò pronto ad affrontare questo argomento. Fino a quel giorno ti prego di non nominare l’esistenza della lettera.» «Ti posso chiamare Bizet?» «No.» «Ma a me piace.» «Solo lui mi può chiamare così.» «Ma-» «No.» «Mi accontenterò di “Tommy”.» «Bravo.» Ci scambiamo uno sguardo e ci mettiamo a ridere. Vedo che ha ancora quel velo di rabbia e tristezza legata alla lettera quindi provo a curargli questa ferita con l’unico rimedio che conosco. Lo bacio. Libero le mie mani dalla sua presa e le faccio passare fra i suoi ricci, ho sempre avuto un debole per loro già dal primo giorno in cui l’ho rincontrato. Sento che si rilassa e che i suoi muscoli perdono rigidità, poi che le sue labbra meravigliose si incurvano in uno sorriso. Preso da com’ero nel baciarlo non mi ero reso conto che avevo la testa appoggiata alla testiera del suo letto e che lui ora stava sopra a me. Ad un certo punto sono costretto ad allontanarmi per la mia necessità d’aria e lui prende a tormentarmi il collo. Perché lui riesce sempre a mandarmi il cervello in tilt? Fortunatamente ho ancora un briciolo di controllo mentale e riesco ad prendergli le mani così riesco a bloccarlo. Come lui non vuole affrontare il discorso di Kurt io non voglio spiegargli un qualcosa legato al mio passato. «Che c’è?» «Niente, è solo che se continuiamo così faremo tardi.» «Non abbiamo orari precisi per andare al parco.» «Sì, li abbiamo se non vogliamo che Sapphire ci distrugga l’attico.» «E se ti ripago i danni?» «Non sai di chi stai parlando.» «Dai altri cinque minuti, e poi la tua bimba è così piccola che non può fare tanti danni.» Al terzo tentativo da parte di Blaine mi alzo dal letto e lo lascio lì da solo. «Dai mettiti le scarpe io ti aspetto di sotto.» ***** Ma che gli è preso? È uscito dalla camera senza degnarmi di uno sguardo. Che ho fatto di sbagliato questa volta? Mi metto le scarpe velocemente e non do troppa attenzione nell’allacciarle. In realtà non lo faccio nemmeno ed ecco che per poco non mi uccidevo mentre facevo la scale. «Sta attento non voglio che mi muori per un laccio non messo bene.» «Scusa è che ero preoccupato. Ho fatto qualcosa che non andava?» «Tu? No, perché?» «Eri strano prima. Sei uscito così dalla stanza e boh ho pensato di aver fatto qualcosa che ti ha dato fastidio.» «Tu non centri, ma come tu hai le cose di cui non vuoi parlare anch’io ho le mie. E diciamo che non volevo superare questo limite oggi. Nemmeno io sono pronto.» «Io non lo sapevo.» «Non pensiamoci, dai.» Mi prende la mano e con nell’altra tiene il guinzaglio, ma quando usciamo dalla casa metto la mano nella tasca, non so se qui si può tenere per mano un ragazzo, non voglio mettermi in altri guai. Più resto nell’anonimato e meglio è. «Perché l’hai fatto? Mica ti devi nascondere.» «Lo so, ma non voglio dare troppo nell’occhio. Non voglio esser preso di mira.» Vedo che contrae la mascella e stringe di più il guinzaglio fino a fargli diventare le nocche bianche. «Non ti preoccupare, mi da fastidio il fatto che non ti senti libero di essere te stesso. Tutta per colpa loro.» «Ma io non sono nessuno.» «Tu sei Thomas Paul Garfield una delle persone più perfette di cui ho avuto l’onore di incontrare e non dovresti vergognarti di essere chi sei. Se tu sei il primo che disprezza se stesso come pretendi che le altre persone non fanno lo stesso?» «Non aiuti così, lo sai?» «Ma è vero, se tu non sei convinto di una cosa che fai gli altri a loro volta non si fideranno. Datti fiducia, sei fantastico.» «E tu di parte.» Fa uno sbuffo divertito e mi prende la mano, poi mi guarda per dire “e ora che fai?”. Semplice mi aggrappo con forza a lui e affronto il primo fantasma del mio passato. Stare
mano nella mano con un
ragazzo. In pubblico. «Perché non prendiamo la macchina?» «No, oggi prendiamo i mezzi. Devi abituarti a stare in mezzo alla gente.» Dopo che passi metà della tua vita in prigione penso che sia normale provare ribrezzo per i posti troppo pieni persone, prima mi piaceva stare in mezzo ai miei amici, però dopo quel giorno è come se qualcosa dentro di me si fosse rotto. Come un equilibrio che crolla. Io sono crollato e ne sono uscito spezzato. Mi avevano allontanato da lui, mi avevano tolto la mia unica ragione di vita, la mia anima, quel pezzo mancante che ti serve per vivere. Avevano distrutto anche lui e questa è stata la cosa peggiore, gli avevo promesso che tutto si sarebbe risolto, che ce l’avremo fatta, invece no. E poi quando pensavo che ero arrivato al punto d’arrivo ecco che incontro lui. Sebastian Smythe lo psicologo. Lui è come se mi avesse riportato un pizzico di luce che nel mio piccolo universo buio ha brillantato più del Sole. Se qualcuno mi chiedesse “come sei arrivato a questo punto?” io gli risponderei che non ne ho la minima idea. È successo, ma dopotutto non siamo noi che decidiamo quando innamorarsi. È un qualcosa che scatta dentro di te e dopo un po’ ti senti legato a quella persona, dopo uno scambio di sguardo un po’ diverso dagli altri ecco che senti un collegamento con quella persona, da quel momento in poi la tua vita viene legata alla sua con un filo rosso. Poi mi giro a guardarlo negli occhi e un’immagine prende vita nella mia mente. Domenica mattina.
Tu e tuo marito siete costretti a lasciare le vostre
attività ricreative
tipiche di una pigra domenica mattina perché
vostro figlio vi sveglia perché vuole andare a
tutti i costi al parco
per giocare a baseball. Ovviamente vostro marito dice di si
perché “non è mica
colpa mia se nostro figlio ha i tuoi stessi occhi da cucciolo e lo sai,
non
posso resistere.”. Ma alla fine anche tu ami andare al parco
a guardarli
giocare, si guardarli. Perché tu non hai mai amato il
baseball, hai sempre
amato il football. Alcune volte ci provi, ma sia tuo figlio che tuo
marito ti
ricordano che no, non è il tuo sport ed è meglio
che rimani all’ombra del
vostro albero a comporre della musica. Poi ti viene in mente il titolo
perfetto
per una tua nuova sinfonia “E fu così che dopo
l’ennesima presa in giro mio
marito andò in bianco.” Si potrebbe funzionare ti
dici. Ma è quando stai lì con
la penna appoggiata in malo modo sopra l’orecchio e guardi
gli uomini più
importanti della tua vita che
ti senti
l’uomo più fortunato al mondo perché
sai che avrai per sempre al tuo fianco il
tuo Sebastian e la prova del vostro amore è il vostro piccolo Michael. «A cosa pensi?» «Io ehm.. niente.» «Quello non è un sorriso da niente, però.» «Penso a questo, a noi con le mani intrecciate di lunedì mattina che passeggiamo fra le strade di Columbus.» «Accompagnati da un bisonte al guinzaglio.» «Jup non è un bisonte.» «Lo so, ma ti volevo far ridere e ci sono riuscito.» «Come sempre.» **** Mi piaceva farlo ridere, mi faceva sentire utile e in un certo modo “perdonabile”. Per arrivare al mio palazzo dobbiamo prendere due diverse linee metropolitane e da lì poi dobbiamo camminare per un paio di isolati, chissà forse non arriveremo mai al parco, secondo me rimaniamo all’attico e come idea non mi dispiace per niente. «Non ho mai preso una metropolitana.» «Mai? Non ci credo!» «Sono serio. I miei genitori non sopportavano i mezzi pubblici quindi quando viaggiavo con loro usavamo sempre la nostra macchina. Però prendevo gli autobus con il Kurt, lo usavamo sempre per andare a scuola o nel nostro posto segreto.» «Posto segreto?» «Ovvio chi non l’ha mai avuto da bambino? Era il nostro fortino, era una vecchia costruzione, molto piccola, sarà stata grande come una stanza. Non c’era nessun tipo di mobilio dentro solo due cuscini e un grosso plaid per i pomeriggi più freddi, però avevamo un sacco di libri, fumetti e tanto altro. Mi manca quel posto..» «Ti ricordi dov’era?» «Ovvio, nei boschi vicino a-» In quel momento i ricordi di quel passato che si diverte a tormentarlo riaffiorano nei suoi occhi. Mi viene spontaneo il gesto di accarezzargli il viso e di lasciargli un leggero bacio a fior di labbra. Sapevo quel poco che mi bastava sul suo passato per capire il posto. Era vicino al posto dove tutto è finito. «Supereremo anche questa ok? Sei forte abbastanza, io credo in te.» «Com’è prendere la metropolitana?» «Penso che sia divertente per chi non l’ha mai presa.» ***** «Sai mi ero immaginato che tipo le persone mi guardavano male, oppure mi potessero riconoscere, invece no. Stavamo lì e parlavamo e nessuno ci dava fastidio. Ti stavo praticamente appiccicato perché non c’era spazio. Ma come fanno le persone a prenderla ogni giorno e devo stare vicini come delle sardine? E se gli capita vicino uno che puzza? Ma ti immagini? Voglio provare anche quello, come nei film! Sai dovremmo usare la metro più spesso è stato fantastico. Ma l’hai sentito il vento prima del suo arrivo? È stato.. wow! Certo, mi sentivo intrappolato, ma mi è piaciuto!» «Sai che sembri un bambino di 5 anni? » «No, 5 e mezzo.» «Oh scusa ti faccio sempre più giovane, mea culpa.» «E se rimaniamo qui? Ci potremmo vedere un bel film. Sono stato per troppo tempo in mezzo alla gente oggi, può anche bastarmi.» «Come preferisci tu, cerca un film se vuoi, li trovi tutti li.» Vicino alla libreria c’era un totem enorme pieno di dvd di ogni genere, la maggior parte dei titoli non li conoscevo e quelli che rimanevano non mi ispiravano. Bene.
Forse è meglio se mi
metto buono buono e l’aspetto, deciderà lui. Mi lascio cadere sul divano e la mia caduta non è attutita da uno dei cuscini ma da un oggetto scomodo e spigoloso. Ma
che è? The
Cathing Fire? Non
può essere. Lui? «Perché quella faccia?» «Ti facevo più lettore di classici.» «Ho i miei buoni motivi, poi è meraviglioso.» «Quali sono?» «Il mio motivo ha un nome: Annabel. È una piccola paziente che seguo, sta avendo dei problemi in famiglia. I suoi stanno divorziando e lei non lo sta prendendo bene, si è chiusa in un mondo tutto suo, in Panem. È il mio unico ponte di collegamento con lei, ho pensato che per aiutarla dovevo prima entrare nel suo mondo e pian piano riportarla qui. Però i bambini lo fanno, si creano spesso questo loro mondo immaginario, ma i suoi ne hanno fatto una tragedia e dando sempre la colpa all’altro e litigando molto frequentemente in sua presenza fortificano questo suo atteggiamento. Molte volte si da la colpa di questi loro comportamenti. È una bambina intelligente che capisce tutto, ma che si difende così. Io ci parlo, ma lo dovrebbero fare anche gli altri. Devi vederla è meravigliosa e mi dispiace che i suoi unici amici siano fatti di parole, beh tranne uno.» «Con chi è amica?» «Con Finnick. È l’unico personaggio di quei libri che ha incontrato.» «Sei serio?» «Ci stai parlando.» «Scusa?» «Pensa che io sia il suo Finnick, per via del mio aspetto.» «Ok. Che film vediamo? Io non li conosco alcuni.» «Prendine uno a caso.» Mentre io ne prendevo uno a caso lui si è seduto sul divano. Quando metto in play il film mi metto vicino a lui e mi lascio avvolgere dal suo profumo. Prima che il film inizia mi lascia un leggero bacio a fior di labbra e poi rimaniamo in silenzio. Dopo un po’ la calma e l’intimità di questo momento è rovinata dalla fastidiosa suoneria del suo cercapersone. «Scusami Thomas devo rispondere. Pronto?» -
Sebastian sono Jud, senti il
papà della tua piccola paziente è venuto lo
stesso e sta- «Non l’hai informati?» -
Si, ma c’è il padre e dice
che la madre non l’ha informato. Non è che
potresti venire? Mi dispiace lo so
che hai avuto questa emergenza, ma.. «No, ok vengo subito. Offrigli qualcosa mentre aspettano. A dopo.» «Devi andare?» «Emergenza. Mi dispiace tanto. Ti va di venire con me? Dopo devo venire da te per prendere la macchina. Mentre io mi cambio puoi chiamare un taxi?» «Ovvio.» ***** «Ci vorrà un’ora. Mi dispiace.» «Non ti preoccupare, hai il tuo lavoro e hai delle responsabilità.» «Buongiorno signor Smythe, e buongiorno anche a lei signor Garfield. Come mai qui?» «Ti spiego dopo.» Salutata la sua segretaria e rivolge uno dei sorrisi più dolci che abbia mai visto ad una bambina dai lisci capelli d’orati come il grano e lei ricambia il sorriso, quando si gira verso di lui vedo che con i suoi piccoli occhi verde chiaro sono fissi su di me. Sebastian nota che sta osservando un qualcosa alle suo spalle e si mette a vedere nella sua stessa traiettoria incontrando me. Dopo un po’ la piccola lo tira per la manica della giacca e gli sussurra qualcosa nell’orecchio e lui si mette a ridere. I suoi occhietti sono un po’ confusi mentre l’osserva. «Perché stai ridendo, la mia era una domanda seria!» «Annabel lui non è la mia Annie, ti sembra un’Annie lui?» «Si. Lo guardavi come guardi lei.» Adesso sono io il confuso. Chi
è questa Annie di cui
parlano tanto? «Ti spiego tutto dopo.» Detto questo prende per la mano la piccola Annabel e prima di chiudersi la porta alle spalle mi fa l’occhiolino. Poi rimango da solo con Jud. «Eri tu la sua emergenza?» «Ho avuto una crisi questa notte. L’ha chiamato Shannon.» «Sei fortunato, è un bravo ragazzo.» «Lo so.» Le dico con un sorriso. Lei non aggiunge altro, ma secondo me ha capito tutto lo capisco da come mi guarda. Ha una luce materna che le scalda gli occhi, forse fra lei e Seb c’è più di un legame lavorativo. Forse è una zia. Il
mio Sebastian è una delle
persone migliori in questo mondo. ***** «Ciao Annabel, arrivederci signor Thompson. Ci vediamo la prossima settimana.» «Ciao Finnick, mi saluti Annie?» «Certo Ann.» Ormai lui è diventato la mia Annie. Chissà cosa dirà quando scoprirà che lei non si riferiva a una donna ma si riferiva a lui. Non voglio perdermi l’espressione che farà. Quando esco dall’ufficio noto che Thomas e Judith stanno conversando, le ha offerto il suo caffè speciale. Mi perdo nell’osservarlo per qualche minuto, sembra così tranquillo, come un tempo. Ha le spalle rilassate e le labbra incurvate in un sorriso. Di solito ha sempre un portamento rigido e sempre in difesa, invece adesso sembra il Boy B di un tempo. «Ciao.» Appena lo dico lui si gira immediatamente verso di me e il suo viso si illumina sempre di più e ci perdiamo negli occhi degli altri, chissà quante cose gli avrà raccontato Jud. Lei dopo un po’ si schiarisce la voce. «Rimani con noi caro?» Noi? Lui sembra stupito quanto me. Oh no ha quel tipico sguardo da io-e-te-dobbiamo-fare-un-bella-chiaccherata. «Ehm.. no mi aspettano per pranzo, un’altra volta. Grazie.» «Ti accompagno alla porta.» «A presto signora Miller.» «Ciao Thomas.» Appena usciamo dal mio ufficio lo prendo per mano e lo fermo. «Che ti ha detto?» «Niente, stavamo parlando dei miei miglioramenti, lei mi vede più felice e mi ha detto che sono un ragazzo fortunato perché sei una bravo ragazzo. Oh e le ho anche parlato del mio nuovo lavoro.» «Ha capito tutto. Vuoi che ti chiamo il taxi?» «No, mi faccio una passeggiata.» «Come tu desideri.» «Chi è Annie?» «L’anima gemella di Finnick.» «E tu come fai ad amar- oh.» «Annabel capisce tutto come Judith.» Non pensavo di arrivare questo punto adesso, dire quelle cose, ma per me è sempre stato così. Lui non mi avrà mai notato, ma io l’ho fatto e ancora oggi ne sento gli effetti. «Lo pensi davvero?» «Penso che è ancora presto per dirlo. Però lei ci vede sempre bene. Diamoci tempo Thomas.» Mi sorride e io gli accarezzo la guancia, la lascio li e accorcio la distanza fra di noi. È un bacio lento, un bacio che sa di scoperta di se stessi. È un abbandono all’altro è come dire “ecco il mio cuore, è tuo, non deludermi.” Quando ci allontaniamo ha ancora gli occhi chiusi. «Potresti chiamarmi Devon.» «Scusami?» «Devon.» «Perché?» «Non mi piace che mi chiami con il mio non-nome. Lo possono fare benissimo gli altri, ma non voglio mentire a te. È il mio secondo nome. Non dovrei dirlo, lo so, ma..» «Ehi ehi non ti preoccupare, ho capito. Mi piace Devon. Grazie per la fiducia.» «Grazie a te. Adesso vado non voglio che Jud pensa che ti ho rapito o quant’altro.» «Starei in buone mani in quel modo.» Dopo l’ennesimo bacio prende l’ascensore da solo e io l’osservo scomparire fino a quando rimane solo il freddo metallo dell’ascensore. Appena rientro mi dirigo verso la stanzina di Jud e mi appoggio allo stipite della porta. «Mi piace.» «Lo so.» «Sono felice per te Sebastian, te la meriti un po’ di felicità.» «La merita anche lui, spero di non fare casini come mio solito.» «Ma l’hai visto come ti guarda? Fidati non puoi farlo questa volta, lui non lo permetterà – mi offre la mano e io gliela stringo forte – andrà tutto bene.» «Speriamo.» «Toglimi una curiosità, ma è lui vero? Il ragazzo di cui mi hai parlato tante volte vero?» «Proprio lui.» «Non c’è che dire il destino è veramente strano, prima vi fa quella disgrazia e poi vi fa rincontrare.» «Ma lui non sa chi sono io.» «Non ti ha riconosciuto?» «No.» «Dovrete fare un bel discorsetto voi due eh?» Abbasso la testa e non le rispondo. Come
si fa a dire alla persona
che si ama che sei la
causa della sua
sventura? TBC... Note
dell'Autrice: Buona vigilia a tutti! Vi avevo lasciato nel capitolo precedente con i due stretti in un abbraccio che sapeva di casa e qui non poteva mancare il risveglio. L’inizio è più riflessivo e si “entra” nella mente di Seb, si intravede il suo cambiamento. La lettera tenetela di conto così come Michael, ritorneranno, vi dico solo questo. La domenica mattina si è scritta da sola, diciamo così, sono arrivata in quel punto e mi è venuta questa idea, spero che vi sia piaciuta! Poi il fatto dei cani in metropolitana specifico, è una cosa che mi ha fatto notare la beta, loro posso entrare, almeno qui in Italia a condizione che i cani grossi portano la museruola e quelli piccoli siano al guinzaglio, non so se è così anche in America ma in quel momento non avevo pensato ai cani e mi avvalgo della licenza poetica, così come i vari cambi della metropolitana. La scena con la piccola Annabel è una delle prime scene che ho pensato, era in quel periodo dove tutti eravamo in fermento e pensavamo a chi potesse mai fare il nostro amato Finnick e poco dopo Grant mi ha dato la mazzata finale dicendomi un “fo real” e li tanti saluti a Beth, sono viva per miracolo. Per me Finnick è e rimarrà Grant, mi dispiace per Sam, ma che ci posso fare? Quindi questa cosa non poteva mancare, è più forte di me. Non ho altro da dire e visto che il capitolo è più lungo rispetto agli altri non vi rubo altro tempo. Per qualsiasi domanda/curiosità/sclero/quello-che-volete non esitate a contattarmi o via messaggi/recensioni o *here* Ringrazio chi legge e la beta, che mi ha fatto un betaggio super e spero di essere puntuale, questo capitolo è stato un parto perché ad un certo punto ho avuto il così detto blocco dello scrittore. Passate delle buone feste e che ne dite di farmi una piccola recensione come regalo di Natale? Alla prossima, _Beth :) |
Capitolo 15
*** Relief ***
Blaine
e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, vorrei dire meno male
per loro
visto questo capitolo, ma sono di proprietà del nostro "amato
troll" Ryan
Murphy; questa
storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Buona
lettura. NdL:
Ti rubo solo un
altro secondo. Ho trattato di una tematica delicata, molto delicata,
l’ho fatto
per motivi che poi ti spiegherò nelle note finali, quindi mi
scuso già da adesso. Se vuoi vivere questo capitolo come
l’abbiamo fatto io e la beta ti consiglio
l’ascolto di queste due canzoni *this*
e *this*.
Ci sentiamo alla
fine. Boy
B .-
Relief -. “Hell is empty. All the devils are
here.” William Shakespeare. Il primo istinto che ho è quello di coprirmi o meglio nascondermi. Mi sento vulnerabile sotto al suo sguardo che analizza ogni centimetro del mio busto scoperto, con fare preoccupato e pietoso. Odio quando incomincio a fare pena agli altri. E pian piano quella sensazione di ribrezzo verso me stesso si rifà spazio nel mio cuore e l’aria mi incomincia a mancare. Non mi sento pronto per affrontare questo, non mi sento pronto a perderlo. Perché mi vorrebbe ancora? Le forze mi mancano e cado sulle mia ginocchia. Non sento più Thomas, il rumore del bosco alle mie spalle e del vento che soffia sull’acqua. Sento solo dolore, quel tipo di dolore che brucia e che fa male come il sangue che pulsa dalle ferite. Non riesco ad incrociare i suoi occhi, li tengo ancorati al tappeto d’erba, sento come se non lo meritassi o forse io non sono mai stato degno di lui. Hanno ragione tutti: sono nato per rovinare le cose. «Sebastian, ti prego, guardami.» Scuoto la testa e mi piego ancora di più su me stesso. Guardarlo? Con che coraggio? Lo sento mentre si avvicina e avvolge il mio corpo con le sue braccia, quando la mia faccia poggia sulla sua spalla incomincio a tremare e mi libero di tutte quelle lacrime che non ho più versato da quel giorno. «Shh Bastian, ci sono io con te adesso.
Tranquillo. Sebastian io-» «Non dirlo, lo so quello che sono e non-
basta.» «Non posso trovare perfetto e
meraviglioso il mio ragazzo? Una volta mi
presi il compito di ricordare ad una persona quanto fosse perfettamente
imperfetto e non puoi vietarmi di farlo con te. Penso che sia arrivata
l’ora
della chiacchierata.» «No è arrivata l’ora
che io e te non ci sentiamo più ecco che è
arrivato. Scusami Thomas.» Mi rinfilo velocemente la camicia e corro verso la casa, più veloce che posso, ho bisogno di mettere un muro fra me e lui. Ma le gambe non stanno dalla mia parte, sono ancora deboli e cado poco dopo. Lui arriva e mi afferra prima che posso cadere. «Non farlo, ti prego. Non chiudermi
fuori. Non te lo permetto. Tu sei
sempre stato con me quando più ne avevo bisogno in questo
periodo, ora permetti
a me di curare le tue ferite. Non posso fare niente per quelle sulla
tua pelle,
ma proverò a curare le ferite che hai nel cuore. Non
abbandonarmi anche tu.» «Ma lo capisci che io non sono fatto per
stare con te? Che ti rovinerò
e ti deluderò prima o poi? Che arriverò al punto
che tu mi odierai? È meglio
finirla qui, prima che sia troppo tardi.» «Perché fai
così?» «Perché non voglio che la
gente provi pietà per me, voglio finirla qui
e ritornare il vecchio Sebastian che ne cambia uno a sera. Che se frega
degli
altri.» «Non è vero. Vedo di come
tratti Jud, Ann, i tuoi pazienti. Vedo che
sguardo hai mentre parli con Thad o quando mi racconti vecchi ricordi
del liceo
che hai con lui. A te è sempre importato degli altri, non
saresti uno psicologo
altrimenti, perché perdere tempo con dei casi persi allora?
Pietà? Tu dici che
io provo pietà? Vedendo quelle cicatrici, e soprattutto
quella che hai
sull’altezza del cuore, mi uccide dentro e non riesco a
pensare come tu ti sia
sentito in quel periodo. La mia non è pietà, la
mia è rabbia, o boh, non so
definirla. È rabbia che ho verso di me perché ho
creduto alla tua maschera di
ragazzo che non ha problemi, che sorride sempre e non ti ho mai chiesto
niente,
davo per scontato che tu stai bene. Rabbia verso chi non
c’è stato e odio verso
chi ti ha portato al limite e se né fregato delle
conseguenza. Puoi farti chi
ti pare, se questo che vuoi, ma a loro che favola racconti mentre ti
sbattono
al muro e vedono le cicatrici che hai? Eh? Incidente?» «Smettila, tu non sai niente. Non gli
racconto niente, non hanno il
permesso di baciarmi e il buio sta dalla mia parte, li scelgo
bene.» «So quello che significa arrivare al
punto in cui hai solo un pensiero
in testa e con un’unica via d’uscita che non
comprende un ritorno. So quello
che significa desiderare di chiudere gli occhi e di non sentire niente
e di non
aprirli più. E ora tu parli, perché ti stai
vergognando di quello che sei di
fronte al tuo ragazzo e voglio solo capire. Io, ti prego permettimi di
starti
affianco, permettimi di aiutarti nello stesso modo che tu hai fatto con
me. Ma
se non ne vuoi parlare ora ti capisco, se ti serve tempo te lo
darò ma non
dirmi “vattene” io non ho nessuno
all’infuori di te e stanne più certo, io non
ti abbandono.» Vorrei scappare, via da lui, via da tutti.
Perché proprio quel giorno
Thad è venuto a cercarmi, non poteva aspettare qualche ore o
qualche giorno? «Almeno guardami …» Quanto mi piacerebbe perdermi in quei labirinti
dorati, ma so che se lo
faccio dopo mi sarà impossibile lasciarlo andare. Ma io non
sono mai stato
forte e se c’è una cosa a cui non posso resistere
è lui che mi parla in quel
modo, con il tono che solo gli innamorati possiedono. «Devon, io..» Non ho parole e quelle che fuoriescono dal caos che
sto vivendo mi
muoiono in gola. Riuscivo solo a stringermi forte a lui e a sfogarmi
con il
pianto. «Non te ne ho mai parlato
perché credevo che dopo non mi volessi più,
che non saresti più riuscito ad amarmi con questa parte del
mio passato che
appartiene alle tenebre. Sai l’ho sempre visto come un modo
per alleviare
tutto il dolore, non sai quanto mi sbagliavo..» «Bas stai tremando, che ne dici se
entriamo e ti fai un bel bagno
caldo?» Annuisco sul suo collo e pian piano ci avviciniamo
alla casa, mi
sorregge sempre da un fianco e io mi aggrappo a lui, perché
quella sensazione
di debolezza si sta facendo strada fra le mie cicatrici fino ad
arrivare alla
testa, al mostro che per troppo tempo è stato in silenzio in
attesa di questo
momento. Lo sento che si è rafforzato, ma allo stesso tempo
non ha più la
stessa influenza su di me. Non voglio ricadere, ma ora ho lui, lui che
mi da
forza. Prima non avevo un motivo per stringere i denti e andare avanti,
per
vivere, ma adesso si e mi stava fissando con occhi impauriti. «Devon, mi dispiace così
tanto. Non lo dovevi sapere in questo modo.
Perdonami tu meriti di meglio.» «Non dire cose del genere, ho te e non
posso chiedere di meglio. Non
scusarti, non c’è bisogno.» Perché mi sto comportando
così? È solo il mio passato che è
venuto
fuori, ma fa così male il ricordo. Entriamo in silenzio in
casa e lo dirigo
verso il bagno. Quando entriamo mi lascio scivolare lungo il muro e
metto la
testa fra le gambe. Lo sento mentre prepara tutto il necessario, stando
attento
ai dettagli. Quando ha finito si avvicina verso di me e si mette a
sedere sul
pavimento davanti a me, mi prende le mani e aspetta fino a quando non
decido di
alzare il viso. Ora è imbarazzato. «Vuoi che rimango o…» «Ti da fastidio?» «Assolutamente no.» «Allora non ho nemmeno io dei problemi su
questo.» Mi sorride, un sorriso timido. Non sa come si deve
comportare in questi
casi, è normale. Non è una cosa di tutti giorni
venire a conoscenza, in questo
modo, del fatto che il proprio ragazzo era autolesionista. Se non mi
avessero
insegnato a riconoscere i comportamenti e a trattarli, e se soprattutto
non
l’avevo vissuto, forse mi sarei comportato peggio,
l’avrei messo in una brutta
situazione. Provo anch’io a sorridergli di rimando ma penso
che è più una
smorfia che altro. Mi tolgo i pantaloni con un movimento rapido, non mi
fa
paura, li sono più superficiali e si notano di meno, le mani
mi tremano mentre
mi avvicino ai bottoni della camicia è un
gesto che non so controllare, odio quando sono in bella
mostra, quando
gli altri posso vederli. Lui vede la mia
difficoltà, ma non sa cosa può
fare. «Seb ti..» «Non ho due anni, Devon. So come si
toglie una camicia.» Prendo un bel respiro profondo e cerco di calmarmi,
e funziona. Lui si
gira di spalle, vuole darmi il tempo di entrare in acqua, è
come se mi stesse
dando l’opportunità di nascondermi. «Puoi prenderti cura di me?» «Scusa?» «Puoi prenderti cura di me e del mio
cuore, Devon? Puoi prenderti
cura di un uomo rotto?» «C-Certo Seb, sempre.» Sembrerà un paradosso ma lo stare con
lui dentro la vasca in questo
modo mi fa sentire meno nudo di quanto lo ero prima. Poggio la schiena
sul suo
petto e rimaniamo così, in silenzio. Poi lui fa una cosa che
non mi sarei mai
aspettato: prende il mio bagnoschiuma, lo mette su una mano e con
quella libera
mi prende il braccio. Si perde un attimo nell’osservarli, si
perde in quel
reticolo di righe, dettate dalla paura, dalla ricerca si quel sollievo
che mai
mi hanno dato, era solo un’illusione in quel mare buio. «Sai, mio padre si è sempre
convinto che c’era un modo per cancellarli.
Ci ha provato sai? La seconda volta che sono andato
all’ospedale. C’è qui, un
nervo, vedi quel punto? Beh l’ho tagliato, penso, non mi
ricordo neanche più
quel giorno. E quindi dovetti fare un intervento e mio padre chiese al
dottore
se era possibile, lui gli
ha fatto “ci
proveremo”. Buffo no? Io che forse perdo un arto e mio padre
si preoccupa di
dover spiegare dei segni, tipico. Me lo ha raccontato Antoinette. La
seconda
volta mi trovò Thad, sembrava che mi ero ripreso, uscivo, i
miei voti
all’Università era perfetti, ma.. Un giorno, stavo
con Thad, sai era il nostro
anniversario, due anni, lo amavo così tanto che pensavo che
niente e nessuno mi
avrebbe più portato a terra. Quando si è
innamorati ti sembra avere il mondo ai
tuoi piedi, no? Ti senti forte e vivo. Ma non sei incolume ai demoni
del tuo
passato, saranno sempre più forti di te. Passammo su una
stradina poco
trafficata e ad un certo punto Thad vide che c’era del fumo
sul ciglio della
strada e che mancava un pezzo delle staccionata che delimita il bosco
allora ci
slacciammo le cinture di sicurezza e corremmo verso la macchina.
All’interno
c’era una donna e una bambina. La situazione della madre era
critica, aveva
sbattuto la testa e c’era sangue sul vetro, ma la piccola
stava dietro e aveva
questi due occhioni azzurri limpidissimi impauriti, tremava. Allora
mentre Thad
chiamava l’ambulanza io provai a entrare dentro, ci misi un
po’, ma alla fine
ci riuscii però trovai un altro problema: la cintura era
bloccata. Non sapevo
cosa fare allora incomincia a cercare qualcosa dentro alla macchina,
qualsiasi
cosa. E trovai dentro alla borsa della signora un coltellino con delle
mele, lo
presi subito e tagliai la cintura e presi la bambina fra le braccia. Mi
disse
che si chiamava Mary e che aveva paura. Si strinse tanto forte a me,
come se
aveva paura che da un momento all’altro la potevo lasciare.
L’ambulanza arrivò
subito e caricarono la donna dentro, la bimba restò un
po’ con noi, perché non
poteva entrare con la mamma e ci dissero di aspettare la polizia e poi
ci
avrebbero pensato loro. Thad s’inventò un gioco e
in quella mezz’ora lei non
pensò più alla macchina che si infrangeva su un
albero e le urla della madre
mentre realizzava quello che stava per accadere. Semplicemente rise.
Quando la
polizia arrivò ci fece un piccolo interrogatorio e poi
presero la piccola Mary
con loro. Era anche un po’ triste alla fine. Il giorno dopo
eravamo sui
giornali e una settimana più tardi mi arrivò una
lettera da parte di una Mary
Ann.» A quel nome i suoi movimenti si fermano,
così come il respiro. Sapevo
chi gli ricordava, avevano fatto lo stesso effetto a me. La prima volta
pensai
che era uno scherzo da parte di Marcus, che non so come era riuscito a
trovarmi, ma non lo era. Quella scrittura infantile e quel nome erano
reali, appartenevano
ad una bimba dagli occhi limpidi. Un nome marchiato a fuoco nella mia
mente. Un
nome che mi ritrovo anch’io ad urlare, un viso che
anch’io conosco troppo bene. «All’inizio pensavo che era uno
scherzo. Non conoscevo nessuna Mary
Ann. Poi l’aprì e c’era scritto:
“al mio angelo Sebatian, grazie per aver
salvato me e mamma. Ti voglio bene. La tua Mary.” Si senza la
s, non aveva
capito bene il mio nome. Poi c’ero io, con queste enormi ali
bianche al centro,
e lei che mi tiene la mano e mi sorride. Quello fu il momento in cui
quel
demone dentro di me rinacque. E da li ritornai nel vortice, ogni giorno
mi
portava giù, sempre più giù fino a
quando quella lametta, o un qualsiasi
oggetto taglienti riprese il suo vecchio fascino. All’inizio
fu ancora più doloroso
di quanto io mi ricordassi, ma la sensazione era la stessa. Era come
nuotare,
hai presente il lago? Inizi a camminare, e pian piano ti muovi verso il
centro,
e vai sempre più in profondità, ma non sai dove
vai, perché sotto la superficie
del lago ti è impossibile vedere, ed è quello che
ti fa il mostro, ti rende
ciechi, ti fa credere che sei uno schifo, che sei più mostro
di lui, che non
meriti di stare qui, allora continui a camminare, sperando che prima o
poi
anche l’udito si annulli. Ma non è
così, lui si fa più forte e tu continui, ma
hai perso l’orientamento ormai, non sai dove devi andare, ma
vai sempre più in
profondità. Poi hai un unico bisogno: respirare. Hai bisogno
di dare sollievo
ai polmoni. Quello era per me il tagliarsi. Sollievo. Per un
po’ non pensavo
più a niente, però pian piano mi consumava fino a
rendermi il fantasma di me
stesso. Non vidi più Thad, non andai più
all’Università e potevo perdere anche
l’anno, ma non mi importava più di niente ormai.
Ero stanco e per questo mi
feci trasportare in superficie, però era tardi. Almeno lo
speravo, ma ci pensò
Thad a trovarmi e lui invece mi riportò a vivere. Non mi
abbandonò un momento,
mi accompagnava alle terapie, o le altre cavolate che non mi hanno mai
aiutato
realmente, si trasferì da me, facevamo tutto insieme, a
momenti anche quando
andavo al bagno lui c’era. C’è sempre
stato, non c’è stato un giorno che mi ha
fatto pesare questa cosa. Dopo un primo momento ha imparato a guardarmi
con gli
occhi di un tempo. Era la mia forza e non mi ha mai dato fastidio la
sua
costante presenza. Ma fingeva anche lui, quando pensava che ormai io
stavo
dormendo, piangeva. Andava nel nostro soggiorno e piangeva. Era il suo
unico
momento dove poteva sfogarsi. E lì capì che io
potevo soffrire, star male quanto
volevo, ma non lui. Lui si meritava di meglio. Allora un giorno gli
dissi che
volevo andare a prendere una birra, come i vecchi tempi, gli dissi:
siamo stati
dentro casa per troppo tempo, è ora che tu inizi
a vivere. E poi lui mi
corresse che noi dovevamo farlo. Ci vollero qualche
mese per trovarlo,
ma alla fine si fece vedere. Un ragazzo che avrà avuto la
nostra età, o poco
più, aveva i capelli castano chiaro e gli occhi grigi. Ma
non era bello, o
aspetta, a detta di Thad è meglio di me, ma lui ha gli occhi
coperti dalla
benda dell’amore quindi non fa testo. Si trovai il futuro
marito a Thad. Vedevo
come cercava i suoi occhi, vedevo come si muoveva per trovare la giusta
posizione per osservarlo meglio, tanti piccoli dettagli che lui
notò poco, era
troppo preoccupato per me. Dopo due mesi lo vidi mentre andava al bagno
e lo
seguì. Ci parlai e lui mi odiava già, mi guardava
con certi occhi che ero
sicuro di morire, non voleva avere niente a che fare con me. Allora gli
parlai
di Thad, ma lui già lo conosceva facevano un corso di ballo
insieme, io gli
dissi che aveva poco tempo, che doveva uscire immediatamente dal bagno
offrirgli qualcosa, e se non lo faceva avrebbe perso la sua occasione.
Non se
lo fece ripetere due volte. Restai qualche minuto in più
dentro al bagno e
quando uscì li trovai a chiacchierare e a ridere, era come
se fosse riuscito a
fargli dimenticare i nostri problemi, quel ragazzo fu il Thad per la
piccola
Mary. Aveva il sorriso di quando stavamo bene, quel sorriso che mi
rubò il
cuore la prima volta che lo vidi. Prima che mi raccontò di
lui passarono
altrettanti mesi, dovevi vedere l’espressione che aveva
quando tornava da un
pomeriggio di “studio”. Pensavo che mi avrebbe
fatto più male sentire da lui
quello che stava vivendo, sentire l’amore che trapelava da
ogni suo parola,
quello suo sguardo che aveva solo per me. Mi fece l’effetto
contrario, sapevo
di aver fatto una cosa giusta e questa convinzione fece rabbonire il
mio
demone. Anche quando stavano insieme Thad volle restare da me, e questo
è uno
dei motivi per cui tizio mi odia tanto,
perché Thad mette me prima di
lui, se ho un problema non importa cosa sta facendo stai pur tranquillo
che lui
arriva. L’ha segnato molto quel giorno. E io imparai a vivere
ancora, ripresi
in mano la mia vita, ed eccomi qua, in un bagno, della mia casa al
lago, a
raccontare alla persona più importante per me, una delle
cose di me che poche
persone sanno, invece di fare altro e sfruttare la comodità
della vasca. » «Bastian, sei sempre il solito. Per
quanto ti può sembrare assurdo io
preferisco stare qui, a parlare, curarti, che fare quello,
ormai l’hai
capito che sono strano. – uno sbuffo divertito esce dalla mia
bocca, ci stava
riuscendo ancora – e non sai quanto avrei amato stare in quel
bar, cercarti e
sperare di poter parlare con te, o anche solo di perdermi per un
secondo nei
tuoi occhi. Osservare ogni minino movimento della tua camminata e
raggiungerti.
Ovviamente mi sarei fermato alla porta, per poi vedere con te quella
scenetta
che avevamo di fronte, guardarti e capire che forse stava succedendo a
noi la
stessa cosa, anche se non potevamo capirlo ancora.» «Forse era destino. Forse ci dovevamo per
forza incontrare e tutto
quello ci è successo ci ha portato a prendere determina
decisioni per arrivare fino
a qui.» «Non penso che una tua quasi morte sia
stata necessaria per questo.» «Perché scusa? Se non ero
arrivato a quel punto e se non mi era presa
l’idea di diventare psicologo, io e te non staremmo
qui.» «No
invece, ci saremo incontrati
in un modo o nell’altro lo stesso. Ma perché hai
avuto quella depressione
quando hai visto la lettera?» «Perché mi fece tornare in
mente la prima volta che lo feci. – per
parlare di questo mi serve più tempo, devo far mente locale,
devo stare attento
a non dire più del dovuto – Ehi che ne dici se
usciamo di qui? Stai tremando tu
ora. E non ti preoccupare, hai tutta la notte per sentirmi
parlare.» Come prima i nostri movimenti sono accompagnati dal
silenzio, però
questa volta i nostri occhi non perdono il contatto. Quando
siamo vestiti gli prendo la mano, ho
bisogno di sentire che lui è qui con me, ho bisogno del suo
calore per
combattere il mio gelo
interiore. La
luce è l’unico modo per sconfiggerlo. Lui stringe
forte la mia mano nella sua e
ci dirigiamo verso il soggiorno. «Seb, aspettami qui, vado in cucina e
faccio il tè.» Mentre mi sento sul divano provo a non ascoltare i
singhiozzi
trattenuti di Thomas, ma ognuno è come una piccola lama che
si infilza nel mio
cuore, e fa male. Non voglio che è così per causa
mia. **** Mi servono cinque minuti, solo cinque. Dove potevo
pensare da solo,
recuperare un po’ di forze, ora ero io quello che doveva
supportare l’altro,
infondergli quel calore per poter andare avanti. Respira
Blaine, vedrai andrà
bene. Tè. Concentrati sulle cose semplici.
Smetti di singhiozzare e focalizzarsi
sul leggero bollire dell’acqua, poi sul suono del fischio.
Respirando la dolce
fragranza della bevanda e poi niente. So che non ce la posso fare. Ogni
mio
pensiero appartiene a Sebastian. Poi un pensiero mi destabilizza. Due
ragazzini, simili ad altri
due per sembianze, ma allo stesso tempo così diversi, come
il sole e la luna,
nel cuore della notte. Un viso. Un viso angelico e con lo sguardo di
chi ha
molti sogni e come quello di chi sa di avere tutta la vita per
realizzarli.
Occhi vivi. Occhi impressi nella mia mente, ma non per la loro purezza,
ma per
il terrore della morte che li caratterizzò in quella notte.
Un’accusa
infondata. Due bambini pagano il prezzo di altre due persone. E poi un
altro
paio di occhi. Più maturi, più domati che ti
fissano da quando è iniziato il processo.
Dove ci potevi leggere il tormento di chi li possedeva, parlare o
rimpiangere
questo giorno per sempre, ecco ciò che stavano valutando.
Occhi verdi che ti
guardano colpevoli. Occhi verdi che ti chiedono scusa. Degli occhi
verdi che
sanno come andrà a finire. Occhi di un verde che hai visto
molte volte e che
sono sempre stati li per te. Un verde che ti da il risveglio ogni
mattina.
Quegli occhi di quella persona che ti aveva colpito dalla prima volta
che la
vidi. Occhi che incroci quel giorno, in tribunale, dopo che hanno
emesso la
sentenza. Occhi che non ti dimenticherai mai. «Non è possibile.
No.» Io e lui non ci possiamo esser già
visti, no? Lui non può essere quel lui. Pensa Blaine, pensa. «Sei cresciuto a
Westerville, no?» Facciamo
mente locale, lui è più grande di me di qualche
anno e- Ma
certo! Non può essere lui! È ovvio, di sicuro
l’avrò visto in giro e ormai è un
periodo in cui ogni particolare mi fa pensare a lui. Che stupido che
sono. Lui
non è quel lui che mi ha
rovinato la
vita. Sentir
pronunciare quel nome mi ha proprio mandato in tilt il cervello. Prendo
un ultimo respiro profondo prima di ritornare da lui e per una volta mi
metto i
panni di quello che è sicuro di se e che ha abbastanza forza
anche per aiutare
gli altri. Il
mio Sebastian aveva bisogno di me. **** «Et voilà ma
amour.» «”Ma”?
Qui ci vuole che qualcuno ti da ripetizioni
di lingua. Si dice “mon amour” no “ma
amour”. Però apprezzo
l’impegno.» «Non sono io quello che
è nato in Francia. C’ho
provato.» «Certo e sei stato
tenero, però, no.» «Voglio vedere cosa
farai quando ti metterò di
fronte un pianoforte, riderò io poi.» «Ti potrei stupire
sai?» «Se sai anche suonare
sei definitivamente l’uomo
perfetto, sai?» «Non lo sono
già?» «Oh si tu sei il mio
Sebby perfetto. Fatti dare un
bacio!» «Ma piantala tu! Stai
attento se ti muovi così
farai cadere il vassoio!» Era adorabile quando si
comportava così, quando
faceva lo stupido e lanciava in aria i baci, sembra calmo, ma
é solo una
maschera, la sua felicità non è riuscita a
contagiare anche gli occhi, sono
rimasti un po’ cupi. «Devon senti, stai
tranquillo, sto bene ora e
stiamo esagerando. Ho avuto quella reazione prima perché non
sapevo come
comportarmi e avevo paura delle conseguenze. Mi fa sentire a disagio.
Possiamo
archiviare questa “cosa”?» «Perché
scusa? Come dici sempre tu “puoi contare su
di me e ricordati il parlare è la migliore
medicina”. Ma se non ti va ci mettiamo
comodi su questo divano, ci vediamo un bel film e stiamo in
silenzio.» «Tutto oggi vuoi
sapere?» «Beh ho una vita per
conoscere ogni particolare
della tua, ma oggi siamo entrati in questo argomento..» «Ero piccolo la prima
volta che vidi l’America e ne
rimasi incantato, penso che ho passato la più bella estate
della mia vita in
quel posto, la passammo come una vera famiglia, avrò avuto
sei o sette anni. I
miei erano così tranquilli, non litigavano, si sorridevano e
mi era sembrato d
vedere qualcosa di diverso nei loro occhi in America. Da quel giorno
per me
divenne il posto dove accadeva la magia. Ci trasferimmo lì
nel ’98. Mi
dispiaceva lasciare la mia Francia, la mia casa, ma sapevo che
lì avrei trovato
la calma che poche volte regnava a casa mia. Non puoi sapere quanto mi
sbagliavo. Non trovai quel posto che mi lasciò senza fiato,
mi ritrovai in un
ambiente dove ero quello diverso, il francesino, quello che non
può stare con
gli altri solo perché non parla bene la lingua. Ma non
è che inizia per questo,
io e mia sorella ci spalleggiavamo a vicenda per superare i mesi fra i
banchi.
Mi mancava la Francia ogni giorno, mi sentivo fuori luogo in quella
cittadina
dell’Ohio, mi sentivo a pezzi. Iniziarono le portate in giro
e le spinte,
annessi gli scherzi stupidi. Ma un giorno tutto cambiò,
incontrai il mio
migliore amico. Si chiamava Marcus. Stavo poco lontano da scuola e quei
bulletti mi stavano seguendo, mi spinsero verso terra, volevano i
soldi. Rimasi
sdraiato senza fare niente, sapevo che avrei peggiorato solo lo cose.
Però
arrivò lui, il ragazzo del tuo corso di matematica, quello
che ti trasmette
forza soltanto dallo sguardo, ti fa capire che se non stai dalla sua
parte
avrai solo guai. Li fece scappare come bimbette e mi aiutò a
rimettermi in
piedi. Da quel giorno in poi
diventammo
inseparabili. Ci vedevamo ogni giorno, facevano delle lunghe
scampagnate e
rubavamo le caramelle, beh era quello che gli facevo credere io
ritornavo
sempre a pagarle dopo. Mentre io riacquistavo un mio equilibri i miei
perdevano
il loro, ogni giorno c’era una litigata nuova e
più andavamo avanti e più loro
si allontanavano. Passare del tempo con Marcus era come entrare in una
nuova
dimensione, dove tutto era al suo posto. E mi innamorai, non di lui,
anche se
fu grazie al mio migliore amico che capii che mi piacevano di
più i maschi
sotto quel punto di vista. Ok, avevo la classica cottarella che ti
viene sulla
prima persona che si prende cura di te, però era solo una
cotta. Gliene parlai
e a lui stava bene. Ero innamorato di un ragazzino più
piccolo di me, ero
innamorato di..» Quanto voglio dirgli che era lui, era lui quel
ragazzino che mi rubò il
cuore con il suo sorriso amichevole e splendente, ma non posso,
rovinerei tutto
e non posso permettermelo. «Non mi ricordo il
nome, ma ti posso assicurare che
era la persona più bella, sia dentro che fuori, che abbia
mai avuto la fortuna
di incontrare. Allora lui mi disse che mi avrebbe aiutato nel farmi
notare da
questo ragazzo, fingendo di amarmi. Ma non mi notò mai,
forse non sapeva
nemmeno della mia esistenza. Mio padre lo venne a sapere e qui fu la
fine del
nostro rapporto. Incominciò ad odiarmi, a insultare me, mia
madre e Marcus. Mi
definì in tutti i modi possibili, io provai a dire che era
tutta una falsa, che
stavamo scherzando, uno dei “stupidi passatempi”
che eravamo soliti a fare. Non
mi ha creduto, soprattutto mia madre, lei l’aveva capito che
io provavo un tipo
diverso di sentimenti. Marcus litigò con mio padre, me lo
ricordo bene quel
giorno, era febbraio e faceva tanto freddo. Quel giorno di parole ne
volarono e
non solo. Volevamo stare un po’ per conto nostro, andammo nel
bosco, al nostro
albero. Non parlammo tanto, lui si doveva sfogare ed era meglio
lasciarlo in
pace in quel caso. Ne aveva abbastanza di tutto, non era più
in se e fece una
cosa terribile. Ho giurato di non parlarne, non sai quanto mi dispiace,
ma non
posso rompere la promessa, non quella. Perdonami Dev.» «Non preoccuparti, va
bene, lo capisco.» Me lo disse con tono dolce, non
si sentiva offeso,
forse anche lui sapeva che prima o poi dirò tutta la
verità, ha imparato ad
aspettare. Però anche se lui capiva ciò mi fa
sentire in colpa. «E da quel punto in poi
fu tutta una caduta. Mi
sentivo una persona orribile perché io potevo fare la
differenza quel giorno,
però ero talmente stupido e inutile, a detta sua, questo mi
segnò, quella sera la
rivivo ogni volta che chiudo gli occhi. Mi sentivo in colpa
perché non avevo
capito che il mio migliore amico aveva dei problemi, ero troppo
focalizzato sui
miei. Non gli diedi una mano e lui fece il disastro. Io volevo parlare,
ma non
me lo permise e mi fece giurare di mantenere la bocca chiusa. Quella
promessa
fu la fine della nostra amicizia, si allontanò e mi
lasciò solo. Mio padre,
come i bulli che si rifecero vivi, non perdevano occasione di
sottolineare
questo. Mi serviva una via di fuga, qualcosa che mi alleviasse quella
sensazione di disgusto che provavo verso di me. Sai le parole hanno il
potere
di farti credere le cose, ti si instaurano nel cervello, ci mettono le
loro
radici, facendoti credere cose che non esistono. Trovai quella via di
fuga in
quella lametta che tracciava delle linee rosse sulla mia pelle.
Incominciai
perché trovai l’argomento
dell’autolesionismo su qualche articolo, mi pare,
quel periodo è così confuso nella mia testa e
feci delle ricerche e trovai
quello che cercavo. Giorno dopo giorno i tagli aumentavano, incomincia
sui punti
che si potevano nascondere bene e poi passai a dei punti un
po’ più visibili. I
miei non si accorsero mai di niente, almeno fino a che un giorno persi
mia
madre mi trovò con il braccio insanguinato e privo di sensi
nel bagno della mia
camera. Mi portarono in una clinica specializzata in Francia e li capii
quello
che volevo fare uscito da lì: aiutare le persone ad uscire
dai loro momenti
peggiori, fargli notare quella piccola luce alla fine del tunnel e per
concentrarsi su di essa per poi uscirne insieme. Trovai la forza in
questa
rivelazione e dopo un anno ero fuori. Decisi di tornare in America, da
mia
madre. Mi scelse una scuola con tolleranza zero verso ogni atto di
bullismo, la
Dalton. Lì incontrai Thad e ripresi a vivere nel vero senso
della parola. Avevo
un obbiettivo e avevo una persona che non mi abbandonasse mai e che mi
amasse
per quello che ero. Da li in poi la storia la sai.» Ora che sapeva la mia storia
quasi al completo mi
sento meglio, più leggero. Lui continua a non parlare, mi
tiene stretto nel suo
abbraccio e basta, con la testa appoggiata alla mia spalla e con il suo
respiro
che mi faceva il solletico sul collo. Non sapeva cosa dire, lo capivo.
Cosa si
può dire ad una persona dopo che gli hai raccontato una cosa
del genere? Cosa
gli puoi dire senza cadere in un cliché? «Ti amo.» Ecco cosa poteva dire. 5 lettere
che possono
sconvolgere il tuo mondo. Me l’ha detto come se fosse la cosa
più normale da
dire. Lui lo provava veramente. Anche qui, mi da i miei tempi, non va
nel
panico quando vede che la mia risposta tarda a venire, lui rimane
lì. Al mio
fianco, in silenzio. Poi mi giro verso di lui per guardarlo negli occhi
che mi
guardano attenti, come se volessero capire ciò che sto
pensando. Cerco di
scollegare il cervello, metterlo in pausa per focalizzarmi sul cuore,
prendo un
respiro profondo e lo lascio parlare liberamente. «Ti amo
anch’io, da sempre.» A queste parole il suo viso si
illumina e si forma
un sorriso che farebbe impallidire il sole e poi avvicina piano le mie
labbra
alle sue, donandomi tutto il suo amore in quel bacio. In quel bacio c’era la
tacita promessa di restare
al mio fianco sempre e di sorreggermi in questi momenti. E di amarmi
fino alla
fine dei nostri giorni, amando la mia parte migliore, ma soprattutto
quella
peggiore di me. Lui non aveva bisogno di parole, gli bastavano i gesti
per
farsi capire. Questa volta non ho paura di amare, perché so
che questo è il
momento per farlo. Quella
sera fu il ragazzo dai ricci
scuri come la notte che si occupò di proteggere i sogni
dell’amato,
accompagnandolo nel mondo dove entrambi sono sempre stati felici con il
suono
della suo voce, dicendogli con quel canto che lui non
permetterà mai più a
nessuno di ferirlo e che lui starà sempre al suo fianco. TBC... Note
dell'Autrice: Salve.
Non so da dove incominciare.
Ok, vorrei ringraziarti perché se stai leggendo questo vuol
dire che non hai
chiuso a metà, o anche prima il capitolo scaraventando tutto
in aria. A parte
questa piccola parentesi, ti porgo un’altra volte le mie
scuse se questo
capitolo ha urtato la tua sensibilità. Ti assicuro che prima
di scriverlo ho
fatto le mie ricerche, mi sono fermata a pensare e ho provato a dargli
il giusto
significato, è una tematica delicata e va presa con le
dovute precauzioni. Mi
sono meravigliata di tutto quello che ho trovato in giro e ho provato a
fare il
mio meglio. Ho dato il mio meglio e spero che alla fine il risultato
sia buono.
Partiamo dal titolo: Relief. Significa sollievo. Ho trovato un piccolo
testo
che parlava di questa via di fuga, quella di cui parla Sebastian,
ciò che è
alla base della sua vita. Gli ho fatto vivere questo perché
ho provato a
mettermi nei suoi panni e ho ripensato anche a quando Sebastian quando
scopre
che Dave ha provato a suicidarsi e lui subito ha cambiato
atteggiamento, come se
qualcosa dentro di lui fosse scattata, un ricordo che ha la potenza di
distruggerti, poi l’ho legato alla trama della ff. Ti
assicuro che andando
avanti capirai di più, perché lui non ti ha
raccontato tutto, manca sempre quel
piccolo tassello, il più importante e pericoloso di tutti,
quello che porterà la loro storia su
un’altra via. Adesso il filo rosso di cui ti ho parlato ha il
suo significato,
l’ho menzionato anche su altri capitoli, però qui
abbiamo il rosso sangue,
sembrerà strano, perché è molto breve,
ma nel prologo c’è tutto. Non ti
parlerò molto
del suo racconto qui, ti ha detto tutto lui e mi sembra
l’unica persona che lo
possa fare, dagli tempo,
ne abbiamo bisogno tutti. Una precisazione Sebastian chiama Blaine o
Thomas o
Devon a secondo del contesto: quando vuole mantenere le distanze usa il
nome
“finto” invece quando deve sentirlo vicino a
sé lo chiama Devon. Penso che
l’avrai capito, ma volevo chiarire questo alternarsi di nomi. Gli
ha anche detto "ti amo". Mi fermo qui, troppi feelings.
*lancia cuoricini e arcobaleni, poi ritorna seria* So come starai
adesso, dovevi vedere come ha reagito la beta, eravamo delle poltiglie
stese
sul pavimento piagnucolanti, scommetto che se abitavamo vicine ora non
ci
sarebbe stato più nessuno a continuare questa storia, mi
voleva dare “i morsi
della morte” (se non sei pratico di The Hunger Games
sarebbero quelle bacche
che se mangi ti ammazzano) carina eh? Ma concorderai con me che me lo
merito.
La citazione iniziale viene da “La Tempesta” di
William Shakespeare, l’ho
trovata mentre facevo le mie ricerche e l’ho trovata giusta
per questo
capitolo. Sparsi qua e là ci sono dei piccoli riferimenti
alle due canzoni e
poi niente, penso che non c’è
nient’altro da dirti. Spero che questo capitolo
non ti abbia fatto venir voglia di smettere qui, per qualsiasi cosa,
anche la
più piccola contattami. Se hai un dubbio, se mi vuoi
insultare o se vuoi sapere
dove abito per venire sotto casa mia per torturarmi, anche se
probabilmente non mi
troverai perché sono al sicuro nel mio bunker. Ti ho dato
del tu perché è un
capitolo particolare e volevo “parlare”
direttamente a te, a te che leggi e che
nonostante tutto sei arrivato qui. Scusa ancora se ho ferito la tua
sensibilità
e se nel capitolo ho trattato male l’argomento, ti prego,
fammelo sapere dalle
critiche si impara sempre, dal silenzio no. Detto ciò dico grazie alla beta per sopportarmi e per recuperare i miei ritardi, ultimamente ci metto tanto a scrivere, soprattutto questo. Grazie. Dal bunker
vi mando un forte abbraccio
_Beth :) PS: don't kill me, I'm nice! |
Capitolo 16
*** Un weekend al lago ***
Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Buona lettura.
Boy B
.- Un weekend al lago -.
Era ormai arrivata la primavera e io personalmente credevo che era ancora inverno. Vuol dire che ormai conoscevo Sebastian da quanto? Sei mesi? È tanto e mi sembra ieri la prima volta che l’ho incontrato in quella stanza troppo grigia per me. Sei mesi passati fra una risata e un bacio. Entrambi avevamo messo un tabù sul nostro passato eravamo giunti alla conclusione che ciò che importa è il nostro presente. Mi veniva spesso a trovare dal signore Brown, mi portava il caffè che ogni volta bevevamo nella stanza del pianoforte e poi ci perdevamo nella bocca dell’altro e ogni volta il povero James ci veniva a interrompere perché era arrivato un cliente, dopo la seconda volta non si è più scandalizzato. La prima volta è stata divertente.
«Pausa delle cinque e mezza.» sussurrò nell’orecchio di Blaine Sebastian lasciandogli un bacio alla base del collo. Il ragazzo dai capelli ricci era girato di spalle mentre cercava di sistemare dei dischi in vinile sul ripiano più alto dei mobili e per poco ecco che li faceva cadere. «Fortuna che ci sto io o a quest’ora dovevi ripagare questi dischi a James.» Entrambi risero. «Fortuna che ho te. Come stai?» «Ora bene.» Il signor James li guardava sbuffando da sopra il giornale, non riprendeva mai Thomas quando si perdeva in chiacchiere o era immerso nei suoi pensieri, lo lasciava fare ma certe volte quei due raggiungevano il suo limite di sopportazione. Fortunatamente lui se ne rimaneva sempre in silenzio lasciandosi fuggire degli sbuffi. «Voi due, che ve ne dite di andare nell’altra stanza? Così vi bevete il caffè in calma e io mi leggo il mio giornale.» Non bisogna dire che non se lo fecero ripetere due volte. Quando restarono da soli si poterono salutare come piaceva a loro. Quando finirono Thomas si mise a sedere sul seggiolino del piano e Bas sulla poltrona. Rimasero un po’ in silenzio mentre consumavano la bevanda non più molto calda che aveva portato il ragazzo dagli occhi verdi. E dopo un po’ Blaine iniziò a suonare una dolce melodia. Un sorriso prese posto sulla faccia di Sebastian e pian piano si avvicinò a lui e si sedette al suo fianco non facendolo finire. «Non c’è bisogno di suonarmelo per chiedermelo.» «Cos- Oh, non mi riferivo a niente, mi piace e basta! Ma che ti viene in mente. No.» «Scherzavo Dev, lo so. Però la canzone non stava dalla tua parte.» Thomas amava quando lo chiamava in quel modo, lo faceva sentire più vivo, come se ci fosse un piccolo posto per lui in questo mondo. Thomas non aveva mai dato importanza ai nomi, ma quando gli è stato tolto, come tutte le cose, ha preso la sua importanza e sentirsi chiamare in un modo diverso lo faceva sentire.. rotto. Ma quel “Dev” gli faceva sentire quel posto solo suo dove poteva essere il vecchio Blaine senza avere timore, il quale si nascondeva nel cuore di Sebastian e non poteva chiedere di meglio. Si avvicinò a lui e lo baciò. E fra un bacio e l’altro gli disse. «Non è vero perché non siamo a ottobre e non c’è la luna. Non è nemmeno autunno. Sei sempre il solito che si immagina le cose.» «E tu sei sempre il solito pignolo.» Fin qui può sembrare tenera la situazione, ma quando la vide il signor James, beh non sembrò proprio così, soprattutto c’era un altro spettatore. Una cliente. L’urlo che lanciò li fece allontanare e per poco ecco che Thomas sbatteva la testa sul pianoforte. Per come si è comportata la signora sembrava che aveva visto un topo e meno male che erano fuori dalla portata di quella borsa, sembrava pesante. Non tutti prendono la loro relazione come James o la signora Miller purtroppo e quel giorno persero un cliente. Poco male quella in fatto di gusti musicali faceva proprio accapponare la pelle al povero proprietario. Non vennero ripresi e lui non gli diede nemmeno delle regole di comportamento, erano adulti e si sapeva sapevano gestire, almeno lo sperava. Era stato giovane e innamorato anche lui un tempo e sa quello che ti porta a fare e la sua prova era in quella stessa stanza che i due amavano tanto.
«Pausa delle cinque e mezza. – disse e mi lasciò un bacio sulla guancia e poi si rivolse a James - Buon pomeriggio signor Brown.» Sebastian aveva qualcosa che mi doveva dire. Aveva uno strano sorriso, poi mi prese per mano e mi portò nel nostro posto. «Che mi devi dire?» «Ti va di venire con me al lago? Ci vado sempre in questo periodo ed è quello migliore!» «Non saprei..» «Un fine settimana e basta. Io non lavoro e tu nemmeno perché siete chiusi. È perfetto.» Non mi ispirava e qua vicino c’era un solo lago, e di certo io in quel posto non ci voglio tornare. Quella sera è impressa nella mia mente e non mi va di ritornare nel posto dove tutto è finito. «Ti prego, te lo voglio far vedere. Quella è l’unica casa che sento mia. Fidati amerai quel lago, tutti ne restano incantati.» No, perché non riesce a capirlo? Gli faccio cenno di no con la testa. «Perché?» «Il lago non mi piace.» «Fobia dell’acqua?» «No.» «Tranquilli non ci sono orsi o quant’altro, è un posto sicuro.» «Ti ricordi di quando ti parlavo del mi posto segreto? Beh sta vicino al lago..» «Sei originario di quelle parti? Non ti preoccupare la mia casa dista molto dal centro abitato, non corri rischi sotto questo punto di vista, staremo attenti. E poi avrai me, supereremo anche questo. Ti fidi?» «Mi fido. Vada per il lago.» Per il sorriso che mi ha rivolto penso che mi ha dato la forza necessaria e mi potrebbe portare a fare di tutto pur di vederlo sempre in questo modo.
****
È la sera prima della partenza e ancora non avevo avvisato Shannon e tantomeno William. Quando ho finito di preparare il mio bagaglio, che consiste nel mio solito zaino con qualche magliette e un paio di jeans, decido che è meglio che vado a parlare con la padrona di casa. Arrivato alla porta della cucina sento che sta parlando al telefono. «Mi preoccupa un po’, ultimamente è strano. Sta sempre fuori, mangia poco e parla ancora meno. No William, me ne parlerà lui. No io non lo costringo. Sono fatti suoi. Secondo me centra qualcosa Sebastian. Non darmi della pazza, l’hai visto anche tu come si guardano. Voi uomini sempre i soliti, secondo me centra lui, Thomas sembra più felice da quando lo conosce. Non puoi negarlo. Adesso ti lascio, quando vieni qui? Ok allora ti aspetto. Ciao.» Ma siamo così palesi? «Ciao Thomas.» «Ciao, scusa non volevo spiarti, ma quando sono sceso stavi già al telefono e non ti volevo disturbare.» «Non ti preoccupare.» Prendo una tazza e ci verso dentro un po’ della tisana che si era fatta e mi siedo davanti a lei. Non la guardo negli occhi, mi vergogno, dopo quella conversazione scommetto che lo capirebbe subito. Lei rimane in silenzio e mi aspetta, mi da il tempo che mi serve. «Hai ragione.» Glielo dico sussurrando. Come se fosse un segreto di Stato, come se non fossi sicuro di quello che sto per fare. «Su cosa?» «Lo sai.» «Dimmelo tu.» «Hai ragione su Sebastian. Hai ragione sul fatto che da quando ho conosciuto lui io sto meglio. Hai ragione quando dici che sono cambiato, ma nel meglio. Hai ragione che lo si potrebbe capire da come ci guardiamo, penso che nessuno mi ha mai guardato come fa lui. Mi fa sentire speciale, vivo. Ci hai visto giusto.» Si mise una mano sul cuore e fece il gesto di asciugarsi le lacrime. «Non fare così.» «Da quanto?» «Qualche mese..» «Io lo sapevo! L’avevo capito da quando era venuto qui, quella notte. Si vedeva che era innamorato perso. Povero chissà come sarà stato quando ti ha visto così..» «Vabenesevadoallagoconlui?» «Come scusa?» «Mi ha chiesto se vado con lui al lago, questo fine settimana, è un problema.» «Dobbiamo chiedere a William.» «Dobbiamo proprio?» «Si.» «Dovrei partire domani..» «Oh. Facciamo così: tu parti e poi ci penso io a Will. Ok?» «Grazie.» Non sapevo come ringraziarla, quindi mi sono limitato ad un semplice grazie.
**** «Buongiorno Dev!» Come faccio io ad essere sempre puntuale e lui sempre in pigiama? «’giorno. Come mai sei entrato?» «Mi annoiavo fuori da solo quindi ho pensato di entrare. Vuoi una mano?» «Non ti preoccupare, tanto ho finito. Dammi 5 minuti.» Da quando ero entrato Shannon mi sorrideva in modo strano. Che ha combinato questa volta Thomas? «Che c’è?» «Niente.» «Perché mi fissi in questo modo?» «Ieri Thomas mi ha parlato di voi.» «Oh.» «Non ti preoccupare, non sono contraria. Tutt’altro, lo rendi felice» «Gli devo molto sai? Pian piano è diventata la mia forza. È quel raggio di sole dopo la tempesta. Alcune volte ho paura di quello che sento, non mi sento degno di amarlo, ma è più forte di me. Non posso far meno della sua risata, della sua mano fra la mia o della sua voce. Tutte queste piccole cose mi fanno sentire vivo come non mai.» «Mi ha detto delle cose simili ieri. Proteggilo e stacci attento. Ti prego non deluderlo, ne ha già passate tante.» «Te lo prometto.» Dopo un po’ scende finalmente Thomas, con in spalle il suo solito zaino pieno di vestiti, e con il suo sorriso ritrovato sulle labbra, quello che tanto amo. Appena mi vede il suo sorriso per quanto sia possibile si fa ancora più splendente. E per risposta Shannon mi da un buffetto sulla spalla e uno sguardo a mo’ di avvertimento. «Partiamo?»
****
«Quanto manca ancora?» «Lo sai che ripeterlo ogni secondo non accorcia le distanze?» «Lo so sennò a quest’ora eravamo già arrivati!» «Fidati questa tortura verrà ripagata, è meraviglioso lì. Hai mai pescato? Non ho mai tempo per farlo e quando vengo qui amo farlo, mi rilassa. È una delle poche cose che facevo con mio padre. Qui il pesce è buonissimo. E poi potremmo fare una passeggiata qui intorno, conosco certi percorsi che non sono segnati e sono da togliere il fiato e po-» «Bas abbiamo due giorni non occorre che facciamo tutto oggi. Oggi mi puoi insegnare a pescare e poi domani mi porterai ovunque tu vuoi. E per quello che non facciamo oggi lo faremo la prossima volta.» «Si può fare.» «Come sta Ann?» «Meglio, molto meglio. Ho parlato anche con i genitori e con il loro aiuto passa più tempo nel nostro mondo che nel suo. È una fase che passano tutti sono ottimista e dico che è quasi finita.» «Sono contento per lei.» Finalmente si incomincia a intravedere il lago e Sebastian aveva ragione ti toglie il fiato. I pensieri di quella notte incominciano ad affiorare, ma li contrasto con la forza del suo sorriso e con quella che mi trasmette con quella leggera pressa che come sempre mi ancora al mio presente. Mi sono promesso di non pensarci più, mi voglio godere queste giornate. Come si può disattivare un cervello? La cosa che più mi stupisce è la sua casa. Questa sembra una casa, una vera. Quella di Columbus sembra appena uscita da una rivista, questa invece sembra uscita da un’altra dimensione. Non è come me l’era aspettata, me la credevo più grande e imponente che stonasse con l’ambiente, invece sembrava esser stata dipinta in mezzo a tutto quel verde, come se fosse nata insieme a quel lago. E aveva ragione a dire: quello è l’unico posto che sento casa, potevo vedere Bastian in ogni particolare. «Piace?» «Molto. L'hai fatta tu?» «L’ho fatta insieme ad Antoinette, beh l’abbiamo ristrutturata, lei ha fatto quasi tutto il lavoro, è più brava di me in queste cose. Però l’idea di base è la mia. Dentro è ancora più bella.» Prima di darci l’esplorazione del lago lasciamo le borse nella nostra camera, c’è stato un po’ d’imbarazzo nel decidere se dormire insieme oppure no. Quello più problematico ero io, perché diciamo che non riuscivo mai ad andare oltre, non riesco a spiegarmi questo fatto. Ma non ce la faccio. Ogni volta finisce con me fra le braccia di Bastian che mi accarezza i capelli e mi asciuga le lacrime che scendo per la rabbia. Era come se una forza più grande di me mi bloccasse, immobilizzandomi al mio posto. Sebastian non ci da mai peso e mi dice sempre che per adesso dormire fra le braccia dell’altro basta, il resto verrà da se. Poi il suo battito mi cullava fino a quando a quando non chiudevo gli occhi e lui proteggeva dagli incubi. ****
«Devi prendere un’esca e metterla qui, poi fai un lancio tipo questo e poi aspetti.» Si mette a sedere sul piccolo ponticello vicino alla casa e rimane in silenzio, in attesa che anch’io faccia lo stesso. alla fine non era così difficile come io pensavo. Ma dopo un po’ la cosa diventa noiosa, mi è sempre piaciuto il silenzio, ma da quando l’ho conosciuto non ha più la stessa bellezza. Mi piace il silenzio intervallato dai nostri respiri mentre ce ne stiamo a casa senza far nulla, ma questo no. «Seb?» «Shh spaventerai i pesci così.» «Bas dai è noioso, andiamo a fare un passeggiata?» «Stiamo qui da cinque minuti non puoi esserti già stufato.» Non si vuole smuovere da quel posto, mi devo inventare qualcosa. Mi viene in mente qualcosa e spero che l’acqua non sia troppo fredda. Mi alzo e senza far troppo rumore mi tolgo le scarpe e prendo la rincorsa. E poi è tutto blu e tutti i suoni sono ovattati. «Devon ma sei impazziti?» «No, sei tu il pazzo che stai ancora lì! È bellissima l’acqua!» «Dai esci da lì, non è sicuro il lago.» «Va bene Mr. Guasta-feste mi dai una mano?» Con questo mi ammazza, perché che c’è di male nel provarlo? Quando afferra la mia mano io anziché fare forza nell’uscire fuori dall’acqua lo spingo dentro con me. «Devon sei un uomo morto! E questo è uno dei più squallidi cliché, lo sai?» «Non fare così, non avevo ragione io?» Ce l’avevo e lo pensava anche lui, solo che alcune volte è troppo orgoglioso. Passiamo il resto del pomeriggio a rincorrerci. Quando ci sentiamo stanchi decidiamo che è l’ora di uscire. Il primo che tocco la riva è Sebastian e mi da una mano e questa volta ben volentieri mi faccio aiutare. Ci sediamo all’ombra di uno dei castagni che costeggiano il lago e visto da questa angolazione è ancora più bello. I pochi raggi del sole creano dei giochi di luce ipnotici e la prima brezza primaverile ci accarezza i capelli, in questo momento mi sento bene come poche volte. Fortunatamente non è una giornata fredda o la nostra nuotata nel lago ci sarebbe costata una bella febbre. Dopo un po’ decido di togliermi la maglietta , stava diventando fastidiosa, poi mi rimetto affianco di Sebastian. Rimaniamo in silenzio fino a quando lui non mi prende il viso fra le mani e mi bacia. Dopo un po’ provo a togliergli la camicia e stranamente ci riesco, di solito ci fermiamo un po’ prima. Quando la camicia tocca terra mi prendo un momento per guardarlo. Ma mai mi ero immaginato una cosa del genere. «Sebastian» TBC...
Note dell'Autrice: *scrive dal bunker* Salve come state? Questo è un capitolo più breve rispetto agli altri ed è di passaggio. È un capitolo incentrato su Blaine e il prossimo sarà tutto Sebastian perché vi racconterà la sua storia. Nelle note devo astenermi nel commentare l’enorme “elefante rosa” (cit. beta) a fine capitolo quindi non odiatemi per avervi lasciato così, avrete altri motivi per farlo più avanti :) La canzone di cui parlano s'intitola "Moondance" di Van Morrison, entrambi la conoscono, voi sapete com'è fatto il caro Sebastian e il testo era questo: “Well, I wanna make love to you tonightI can't wait 'til the morning has come And I know that the time is just right And straight into my arms you will run.” Ok, dopo questa mi vado a sotterrare definitivamente, non è colpa mia ma è colpa della colonna sonora di uno dei film che più amo e colpa della voce di Jonathan Meyers che la canta. Oh per chi quando ha visto il banner ha pensato “un ponticello e un lago? Ma che-” svelato il mistero. Sarà un posto speciale per i due *sparge cuoricini* Non ho nient’altro da dire su questo capitolo, se avete un dubbio o mi volete insultare per il finale potete farlo *here* oppure su una recensione, ve la consiglio perché non avete limiti di caratteri, ma a voi la scelta. Io sono sempre a vostra disposizione! Ringrazio chi rimane e chi la continua a leggerla e ringrazio chi dedica un po’ di tempo in più lasciandomi una recensione, non sono molte ma ognuna è perfetta. Grazie Un grazie enorme va alla beta che ha betato questo capitolo velocemente e ha fatto più del dovuto, purtroppo il mio pc è contro di me e sto avendo dei problemi e lei è stata bravissima. Grazie *si inchina* Al prossimo capitolo, |
Capitolo 17
*** Non ti preoccupare, hai me ora ***
Blaine
e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di
proprietà del nostro "amato
troll" Ryan
Murphy; questa
storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Buona
lettura.
Boy B
.-
Non ti preoccupare, hai me ora. -.
Tornare a casa dopo un weekend al lago mi era sempre piaciuto, la mia solita ruotine mi dava quella stabilità che mi è sempre mancata, ma non questa volta. Questa volta sarei restato per sempre lì, in riva al lago insieme a lui. Già mi manca. L’aver confessato qualcosa del mio passato, mettermi a nudo con le mie emozioni, mi ha legato ancora di più a lui. Quel ti amo ce l’ho ancora nelle orecchie, mi fa sentire vivo. Il click tipico che mi accoglie come sempre mi mette a disagio, mi fa sentire incompleto. «Bentornato! Ci sei mancato tanto!» Come apro la porta vengo travolto dalle sue braccia e una piccola birba mi da il tomento ai piedi e cerca di saltarmi addosso. «Thad! Mi hai fatto prendere un colpo! – poi aggiungo ridendo – E fammi respirare, ti prego!» «Scusami Sebby, pensavo che lo sapessi che stavo qui. Ero venuto per vedere come sta Sapphire..» «Oh giusto, grazie mille.» «Ehi, come stai? Sembri strano. . .» «L’ha scoperto.» «Scusami? Ha scoperto che lui è finito in prigione per colpa tua? E-e-e che è successo?» «No quello, non sono così stupido. Ci vuole tempo per quello, ha scoperto di questi.» Gli dico mostrandogli i segni sui miei polsi. Per un po’ si perde in quei piccoli tracciati rossi per poi rifugiarsi nei miei occhi stanchi, mi sorride. «E lui?» «Mi ha stupito ancora un’altra volta.» «È molto sensibile, sembra che capisce come si deve comportare in ogni situazione.» «Non so come si riesce. Mi ha stretto fra le sue braccia, per tutta la notte, mi ha detto ti amo, più volte, ci siamo baciati nelle acque del lago, mi ha curato, mi ha sfiorato ogni cicatrice, me l’ha baciata una ad una. Mi ha cullato nel sogno con la sua voce, è stata la mia cura. È il mio usignolo. Mi ha fatto sentire completo come poche volte. Ma era strano però al risveglio, come se fosse turbato da qualche pensiero. Mi ha detto che non era niente, mi ha detto di stare tranquillo, che erano solo i soliti vecchi pensieri che si fanno vivi di tanto in tanto. Oppure era solo preoccupato del nostro futuro, non lo so. Thad ho paura però, io devo dirgli anche quello. Ma non so con che coraggio.» «Capirà, forse all’inizio non ti vorrà più vedere per un po’, ma fidati non ti abbandonerà mai, ritornerà da te. Oppure tu troverai un modo per farti perdonare.» «Come fai a dirlo?» «Non lo so, ma devi avere speranza. Lo ami?» «Più della mia stessa vita.» «E lui ti ama, giusto? – annuisco, lo spero almeno – Tutto andrà per il meglio.» «Ho tanta paura però.» «Tranquillo.» **** Il
sole che ti riscalda il
viso, un raggio birichino che ti vuole rubare dai tuoi sogni, ma non
vedi l’ora
di riaprire gli occhi, non vedi l’ora di perderti negli occhi
del tuo amato,
anche se stai così bene nei tuoi sogni. Ma alla fine li apri
e ti ritrovi due
smeraldi che ti fissano attenti e ne rimani abbagliato per via della
loro
luminosità. Un “buon giorno amore” ti
viene sussurrato vicino all’orecchio e ti
chiedi se questo è il paradiso, forse è il tuo
piccolo paradiso in mezzo ad un inferno,
forse la realtà ora non ti sembra tanto male, ti aggrappi a
questa sensazione
di pace, ne hai bisogno per vivere. Rimani in silenzio in ascolto di
lui, del
suo respiro sulla tua pelle che ha il potere di rilassarti, non dici
una parola
perché hai paura di rovinare la magia che si è
creata. Ti rigiri nel vostro
abbraccio e lo stringi ancora più forte nascondendo il tuo
viso nel suo collo,
lui ride e tu ti ritrovi con un sorriso in viso a tua volta. Rimanete
così in
silenzio, alternando un sorriso ad un bacio, immersi nel vostro amore
illuminato dal sole. Le vostre mani cercano quelle del’altro
e pian piano i
vostri baci div- «Ehi ragazzo innamorato ritorna nel mondo reale, ci sono dei clienti.» «Scusa. . che hai detto?» «Clienti, dischi, tu, ora.» «Ovvio clienti! Vado subito!» Devo rimanere più presente mentre sto al lavoro, devo imparare a controllare questi pensieri, non vorrei avere dei “problemini” dopo. . . «Buongiorno signora, su cosa pos-» Lei? **** «Cosa hai pensato di fare, Seb?» Cosa? Non lo so. «Penso di invitarlo a cena, una romantica, rilassarci un pochino e poi. . .» «Lo sai che dopo le “coccole” non parlerai di quello vero?» «Ma come devo fare? “Ehi tesoro, ho assistito ad un omicidio e sono restato in silenzio mentre tu ti prendevi la colpa, oh non è che mi passi il sale? L’ho fatto un po’ sciapo ‘sto piatto, oh grazie mille amore.” Così?» «Sebastian..» «Non dire “Sebastian” così, ok? Se hai un’idea migliore sono tutto orecchi.» «Diglielo e basta. Senza troppi giri di parole.» «La fai facile tu. . .» «Smettila di fare la lagna, Sebastian. Hai cinque anni? Guarda che poi anche non dirglielo mai, lo sai? Potete passare una vita a fingere di essere Thomas Garfield, il ragazzo copertura del “mostro”, e Sebastian Smythe, lo psicologo amante segreto del “mostro”. Potrebbe funzionare sai? Ma ti piacerebbe vivere una finzione? Ti piacerebbe sentirlo chiamare papà Thomas, anziché papà B? Pensaci.» «Già pensi ai figli, Harwood?» «Ho fatto un esempio. Ti piacerebbe esser il ragazzo di Thomas, invece del ragazzo di B?» «Un nome non cambia quello che proviamo. “Cosa v'è in un nome? Quella che noi chiamiamo rosa non perderebbe il suo profumo se avesse un altro nome."» «Sebastian perché quando facciamo certi discorsi tu trovi sempre delle citazioni che sostengono la tua tesi? Sei insopportabile.» «Perché forse io ascoltavo durante quelle “noiosissime” lezioni di letteratura inglese.» «Ci rinuncio, tanto farai come ti pare, come tuo solito.» «Mi puoi aiutare lo stesso?» «Sempre.» **** Non era possibile, no. NO. Lei non poteva stare qui, non dopo dieci anni di silenzio. Non poteva starsene lì con il suo sorriso falso stampato in volto e con quell’espressione crucciata e con finto fare materno. Io non ho madre, come non ho padre. Non più. Almeno non da quando ho conosciuto Seb, mi possono mancare, questo non lo discuto, ma io non ho altra famiglia all’infuori di lui. Ho sempre aspettato questo momento e ora che mi si presenta di fronte sento tutta questa rabbia? Cosa c’è che non va in me. . . «Che. Ci. Fai. Tu – dico scandendo bene le parole e mentre lo faccio lei si avvicina sempre di più a me – NON MI DEVI TOCCARE, NON TI AZZARDARE! MI FA SCHIFO IL SOLO PENSIERO DI AVERTI QUI, FIGURATI L’ESSERE TOCCATO DA TE!» «Thomas, ma ti pare la maniera di trattare una cliente? Vattene di la, ci penso io qui. Poi io e te facciamo una chiacchierata, ma che ti hanno insegnato i tuoi?» «Mi credi Signor Brown, non può capire con quanta fatica ci abbiamo provato.» «CI AVETE PROVATO? E QUANDO DI GRAZIA? QUANDO STAVI AL TUO CLUB O DURANTE I MEETING DI PAPÁ? IO MI RICORDO SOLO IL NONNO E TANTE, TANTISSIME TATE.» «Lo vede? Gli dai i tuoi anni migliori e con che ti ripagano? “io stavo sempre con le tate!” Io non so che fare con te.» «Sai cosa puoi fare? Farti fare d-» «Thomas, di un’altra parola e sei licenziato.» A queste parole mi giro di scatto verso James, perché mi deve dire una cosa del genere? E perché ho tutta questa rabbia? Devo respirare, devo rilassarmi. Un incontro non può avere il potere di farmi reagire così. Ma la odio in questo momento. Solo tanto odio. Mi sono sentito abbandonato, tradito da lei e da tutti. Ho imparato a vivere con il pensiero di non avere una famiglia su cui contare, quella famiglia che ti manca da morire ma non si è mai azzardata di sentire come stavi. Tutta questa rabbia è odio puro. «Pronto Sebastian, disturbo? No mi chiedevo se potevi venire qui. Ecco, non so quello che ha. Sembra pazzo!» «Perché l’hai chiamato? Che senso ha?» «Perfetto, grazie mille. A dopo, ciao.» «Perché?» «Perché il tuo turno è finito.» «Non farmi questo.» «Non mi è piaciuto il tuo comportamento e non guardarmi così, hai esagerato e lo sai pure tu. Ora ti schiarisci le idee e poi domani ne riparliamo.» «Io in realtà ero venuta perché volevo parlare con te.» «Beh io no, non più. Ho aspettato dieci anni e ogni giorno speravo di poterti rivedere, di risentire la tua voce. Ma niente. Ora mi dispiace ma non voglio avere niente a che fare con voi. Non ho famiglia.» «Allora mi dispiace dirti che William mi ha detto che il tuo caso è quasi terminato, massimo una settimana e potrai tornare libero, potrai ritornare da noi. Metteranno la notizia anche sui giornali, così tutti sapranno. Il vero colpevole ha parlato, è andato dai poliziotti e ha detto tutto quanto, in ogni minimo particolare. E poi si è ucciso, un colpo alle tempie. È questione di giorni.» La notizia che aspettavo da una vita, una libertà che pensavo di non meritarmi più, stavano a portata della mia mano e non mi sentivo affatto bene. E quella piccola confessione che mi fa gelare il sangue nelle vene, lei aveva appena detto che una persona si era tolta la vita e non aveva mosso ciglio. Che le è successo? Ma è proprio vero che nel momento in cui non cerchi più delle determinate cose esse si fanno vive da sole. Ed eccole, davanti a me nella loro bellezza incompleta. Perché ora? William mi deve spiegare molte cose. Sono io il diretto interessato e perché non ne so nulla? Mi allontano piano da lei, mi sento come se mi avessero preso tutte le forze, non sento più il mio corpo. Mi dirigo verso la stanza del pianoforte e mi nascondo nel angolo più lontano dalla porta-tenda, non mi avvicino al pianoforte, mi sento talmente male che non riesco nemmeno a suonare. E poi mi metto in attesa di colui che potrei aspettare per tutta la vita. **** Odiavo quando altri chiamavano per conto suo, mi metteva sempre tanta agitazione addosso perché se non mi chiamava lui significa che stava avendo una crisi o quant’altro. Che sarà successo questa volta? Parcheggio la macchina senza farci molta attenzione e mi dirigo subito dentro. Non vedo Devon e la cosa mi preoccupa e mi solleva allo stesso modo, se sta da solo vuol dire che forse tanto male non sta. Trovo James a conversare con una donna minuta, dalla carnagione olivastra e dai capelli molto scuri, leggermente mossi, ha un sorriso strano e un atteggiamento freddo, altezzoso. Ma guardandola più attentamente mi sembra di notare alcuni particolari che richiamano Devon, non è possibile come cosa. Dovevamo dormire di più durante il fine settimana al lago. «James, dov’è Thomas?» «Nella stanza di Juls.» «Lei sarebbe l’amico di. . . Thomas» Come fa a conoscere il mio Devon? E perché usa quel tono? Nemmeno ci conosciamo. «Sì, signora. Lei?» «La madre.» Madre? Non dico altro e mi dirigo verso la stanza che mi ha indicato James e la cosa che mi stupisce è che Devon non si trovi sul pianoforte, già mi immaginavo lui mentre suonava. Invece eccolo lì, con la testa nascosta fra le braccia e il corpo tremante. «Ehi. . .» Lui di scatto si gira verso di me e punta i suoi occhi arrossati nei miei. E io lo raggiungo di corsa, stando attento a non calpestare alcuni dei suoi spartiti che gli sono caduti. Non faccio in tempo ad arrivar che già me lo ritrovo fra le braccia, lo stringo forte e gli accarezzo la schiena. «Tranquillo, ci sono io ora. Che è successo?» «Mia madre.» «L’ho vista prima.» «Insopportabile, eh?» «Se ti dico di si ti offendi?» «No, è la verità.» «Come mai questo comportamento, Dev? Non vedevi l’ora di incontrarli?» «Hai usato il tempo verbale giusto. Ma è da quando sono con te che non mi interessa tornare alla mia vecchia vita. Quella che ho con te è meglio, mille volte meglio.» «Ma che sarà mai? È solo un incontro, no?» «A detto che tempo una settimana e me ne ritorno a casa.» Ritornare a casa significava ad un addio. Ci rimaneva solo una settimana, quindi? Questo, non tanto piccolo, fatto è come se mi strozzasse, come se avessi un cappio intorno alla gola e si stringe sempre di più ad ogni ticchettio dell’orologio. «Io non me ne voglio andare Seb. Non voglio la mia vecchia vita, non voglio ritornare a fingere. Anche qui fingo, ma qui ho solo un nome che non è mio, io posso essere me stesso qui. Ho te. Ti prego fa qualcosa.» «Adesso calmati però, ok? Te l’ho detto, ci sono io ora. Andrà bene, fidati. Diremo che hai bisogno di più tempo, che devi stare qui ancora per un po’. A me darà retta, sono il tuo psicologo e so quello che potrebbe esserti utile, così guadagneremo tempo e ti prometto che tutto si sistemerà.» Lui si stringe ancora più forte a me come se avesse paura, che tutto questo è un sogno e che se si svegliasse si ritroverebbe nella stanza grigia della prigione nel tempo in cui lui era infelice e il futuro ormai era finito per lui. «Sai cosa ti farebbe calmare, Dev?» Mi fa cenno di no. «Suonare. Lo faresti per me?» «Scusa non ce la faccio Seb.» «Non ti preoccupare amore. Ti va di stare con me oggi? Ho degli appuntamenti durante il pomeriggio ma Jud non vede l’ora di abbracciarti. E poi concluderemo con una bella cenetta fatta da me. Che ne dici?» «Mi sembra perfetto.» Mi alzo e gli porgo la mano per aiutarlo. «Seb?» «Dimmi.» Afferra la mano e mi guarda, amo quando crea questa connessione fra di noi è come se le nostre anime si legassero. «Ti amo.» Lo faccio alzare, poi gli bacio la fronte e questa volta ho bisogno io di stringerlo forte per capire che questo è tutto reale e poi con un filo di voce gli dico: «Ti amo anch’io, sempre.» **** «Guarda chi abbiamo qui Jud!» «Oh Thomas caro è sempre un piacere vederti, come stai?» «Sono stato meglio. . .» «Sebastian quante volte ti ho detto che lo devi trattare bene!» Lui alza le mani al cielo e poi entrambi ci giriamo a guardarci e scoppiamo a ridere nello stesso istante. «Fidati, Seb non potrebbe comportarsi meglio.» «E qual è il problema caro?» «Mia madre.» «Scusatemi, ma io vi devo lasciare da soli. – si gira verso di me e mi lascia un bacio a fior di labbra – ci vediamo dopo.» Annuisco e mi sistemo meglio sulla poltroncina di Jud. Lei è rimasta in silenzio mentre lui mi baciava, mi guarda attentamente e sembra molto felice per noi. «L’amore è complicato e nello stesso tempo è anche semplice, Thomas. Prendiamo in esempio Sebastian, lo conosco da una vita, so quante ne ha passate ed è per questo che ho sempre pensato che forse avrebbe trovato difficoltà nel trovare una persona di cui fidarsi completamente. E poi arrivi tu, con il viso abbassato e coperto dal tuo cappuccio che lo ammali con i tuoi occhi un tempo tristi e con i tuoi modi di fare lo riporti alla luce. Io l’ho visto com’è cambiato e non ti ringrazierò mai abbastanza.» «Guarda che anche lui mi ha riportato alla luce..» «Vi siete salvati a vicenda, vi siete trovati quando ne avevate bisogno e vi siete riconosciuti. Sembrate due anime gemelle. Promettimi una cosa: non lo abbandonerai da un giorno all’altro, non sono pronta a rivederlo soffrire.» «Non è mia intenzione, né ora e né mai.» «Sono seria. Non dico che se mai un giorno non lo dovessi più vedere con gli stessi occhi o notate che non c’è più posto per un “noi” non dovete far finta di niente. Solo non abbandonarlo da un giorno all’altro.» «Non lo farò, giuro. Perché me lo chiedi?» «Perché Sebastian ha un brutto passato e non vorrei ch-» «So tutto.» «Oh. . .» «L’ho scoperto per caso al lago, mi ero tuffato e quando lui mi ha dato la mano l’ho attirato a me e poi quando siamo usciti gli ho tolto la camicia. Fa parte del suo passato e abbiamo deciso di non darci molta importanza. È una cosa di cui parleremo più avanti, con calma e quando lui avrà voglia. Pensiamo che non serve a niente perderci in un tempo che mai potremo cambiare, ci dobbiamo godere quello che abbiamo. Non permetterò che niente di questo accada un’altra volta.» «Sei un bravo ragazzo, è fortunato ad averti.» A queste parole arrossisco e rimaniamo in silenzio per un po’ di tempo, lei continua a fissarmi e io faccio la stessa cosa con il mio caffè. Non vedo l’ora che Sebastian finisca di lavorare per tornarmene a casa nostra. La definisco “nostra” senza pensarci, che buffo. L’unica casa che mai ho sentito veramente mia era quella del nonno, ma ne è passato di tempo da quel giorno. . . «Thomas, mi chiedevo, perché hai dei problemi con tua madre?» «Non voglio vederli, non ora.» «Ma è la tua famiglia, non ti piacerebbe rivederli?» «Certo, ma mi sono sentito abbandonato e. . . è difficile da spiegare.» «Da madre ti posso dare un consiglio? Perdonali. So che è difficile, ma rimpiangerai questa scelta prima o poi. Vivresti la tua vita con tanti “se” e non ne vale la pena. È la tua famiglia. Pensaci ok?» Annuisco solo e decido di aspettare Sebastian nella saletta d’attesa. Mi perdo nel profilo della città di Columbus sotto un cielo di un celeste che ti toglie il fiato velato di nuvole leggere. Con un cielo del genere mi è impossibile non pensare a lui e a quel giorno. «Ho paura
B. Non voglio andare in prigione, perché loro non capiscono
che noi non centriamo niente? Blaine di qualcosa. Sto impazzendo, fa
freddo.» Era impressionante
di come il ragazzino con il perenne sorriso che gli
illumina il volto si sia trasformato nella maschera fredda tipica del
padre.
Nemmeno il suo migliore amico riusciva a capire cosa gli stesse
passando fra la
testa. Non parlava, aveva gli occhi fissi in un punto, verso una stella
che si
intravedeva dalla piccola finestra. Sembrava morto. «B ti
prego..» Il tono di voce che
ha usato lo fece risvegliare dal torpore. Punta
subito i suoi occhi in quelli degli altri, realizzando che aveva perso
tempo
nell’ammirare quella stella, non sa quanto potrà
restare ancora con il suo Kurt
o potrà ancora guardare i suoi occhi. Alla fine quella
stella la potrà sempre
vedere, invece forse questa è l’ultima volta che
staranno faccia a faccia. Si
alza e va da lui, lo stringe forte fra le sue braccia e dopo un
po’ entrambi si
mettono a piangere. Piangono perché hanno paura e
perché sanno che questo è
l’ultimo momento prima dell’udienza in cui possono
sembrare due bambini
impauriti, in quella sala dovranno far vedere a tutti che niente e
nessuno li
può scalfire, perché loro sono innocenti. «Ne ho
tanta anch’io, K.» «Dopo che
ci faranno? Non mi piace qui, è tutto così buio e
ci sono dei
rumori strani. Se ci separano? Io non ce la faccio senza di te
qui.» «Guardami,
tu ce la farai anche senza di me. Tu sei forte Kurt e poi
troveremo un modo. Andrà tutto bene, te lo prometto. Ti
fidi?» «Sempre.
Non mi dirai mai addio vero?» «Mai. E se
dovesse accadere troverò un modo per trovarti e poi ti
porterò lontano da qui, in un posto dove nessuno ci
troverà mai e potremmo
vivere insieme. Però tu mi devi aspettare, devi essere
forte. Tutto andrà bene,
non permetterò agli altri di toccarti, ok?» Il bambino dagli
occhi cielo ci strinse ancora di più al suo amico, e
pianse, pianse fino a quando non aveva più le forze ed
entrambi si rifugiarono
nel mondo dei sogni per un ultima volta. Poi incominciò il
loro piccolo inferno
che raggiunse il culmine con l’arrivo di una lettera il cui
destinatario era un
certo Thomas. Blaine, tranquillo. Ciò che è successo a Kurt non accadrà anche a Sebastian. Gli ho fatto le stesse promesse, ma questa volta è diverso: so che non lo abbandonerò per alcuna ragione al mondo. Sono un adulto ora, ho lui forte al mio fianco, insieme possiamo tutto. Ero solo un bambino, impaurito che non riusciva a difendere nemmeno se stesso, come potevo salvarlo? E mentre io mi ricordavo di lui, il dolce rosso tipico del tramonto prendeva il suo posto nel cielo primaverile. **** «Per oggi abbiamo finito Ann, alla prossima settimana.» «Fick, mi saluti Annie?» «Se vuoi puoi farlo te, mi sta aspettando fuori.» «Non si deve mai far aspettare l’amore della tua vita, non lo sai? Mi meraviglio di te!» «Lo so piccola, ma si devono rispettare i propri impegni.» «Non di fronte a loro!» «Ok, Ann ho capito. Dopo mi scuso.» Quella bimba è più testarda di Devon quando si mette in testa una cosa. Appena apro la porta lei scatta via e corre verso il mio Annie. Le faccio strada da Jud, ma quando arriviamo mi accorgo che non c’è. Mi guardo strano intorno. «Sta nella sala d’attesa. Tranquillo è ok, solo aveva bisogno di stare un po’ da solo.» Nel frattempo io non mi accorgo che la piccola già l’aveva raggiunto. «Fick, secondo te perché Annie piange?» «Scusami? Chi piange?» Lei mi porta nell’altra stanza e mi indica Devon che sta piangendo piano per non farsi sentire da nessuno. Dico da Ann che è meglio se ci penso solo io, casomai dopo se non è già arrivato il suo papà lo saluterà anche lei. Mi siedo sulla sedia accanto alla sua e l’avvolgo con le mie braccia da dietro. Questa non deve essere la sua giornata. «Sebastian non dovresti perdere il tuo tempo con me.» «Devon stai avendo una giornata no, però ora basta. Tu non sei una perdita di tempo ficcatelo bene nella tua testolina riccia.» «Sono serio. Ho promesso la stessa cosa a Kurt e non voglio che succeda lo stesso.» «Non farò la sua stessa fine, lo prometto. E non è colpa tua ok? E niente sarebbe cambiato se tu stavi lì, se eri più forte o quant’altro che stai pensando. Non potevi fare niente. Adesso prendi un bel respiro profondo e asciugati le lacrime c’è la piccola Ann che ti vuole salutare.» Poi una piccola manina spunta all’improvviso e afferra la mano di Devon. «Perché piangi?» «Non sto piangendo Ann.» «Sei triste per via del tramonto allora, vero?» A quella piccola domanda entrambi sorridiamo, alcune volte i bambini hanno il potere di vedere nelle cose complicate quelle semplici e per un po’ riescono a farti dimenticare di ciò che ti rende triste. «Mi sa che hai ragione tu piccola, è colpa del tramonto.» Le sorride e lei si illumina. Aveva fatto felice uno dei suoi personaggi preferiti era una cosa di cui poteva andare molto fiera. Poi lui si gira a guardarmi e capisco che il tramonto di cui parla ha un nome: Kurt. «Annabel finalmente, dobbiamo tornare a casa, su saluta il signor Smythe.» «Oh ciao papà! Ma dobbiamo andare per forza?» «Lo sai come la pensa mamma.» La piccola mette un piccolo broncio e ci saluta a malincuore lasciando un bacio sulla guancia solo a Devon. Poi corre verso il suo papà il quale mi fa un cenno con il capo, sembra diverso dall’ultima volta che abbiamo parlato. Quando rimaniamo da soli ci sistemiamo meglio su quelle scomode sedie apro le braccia e lo stringo forte a me. «Giornataccia eh?» «Lo puoi ben dire, Seb. Mi sento così vulnerabile, confuso. Non so che fare. Ho la mente divisa. Sento come se dovessi chiarire ancora un qualcosa per poter andare avanti e per poter riacquistare una sorta d’equilibrio.» «Datti tempo, stai andando benissimo. È vero sei instabile, ma vedrai che con calma superermo anche questo.» **** Io mi fido di Sebastian e penso di sapere cosa devo fare per chiudere definitivamente con il mio passato. E la lettera che custodisco gelosamente nella tasca interna della giacca inizia a bruciare e il suo peso è diventato troppo pesante da poterlo sopportare ancora. Dovevo dirgli addio per poter andare avanti. «Sebastian, forse io. . .» «Ehi Dev, tranquillo a me puoi dire tutto.» Mi prese la mano fra la sua e iniziò a disegnare delle figure invisibili sul dorso. Chiusi gli occhi e presi un bel respiro profondo prima di prendere la lettera dal suo nascondiglio e gliela porsi. Mi guarda in modo strano, forse non se lo aspettava, ma quella lettera era la mia fuoriuscita dal mio inferno. Da lì lui avrebbe capito molto di più di me e dei miei comportamenti. In quella lettera ci sono cose di cui non riesco a formularne il pensiero senza sentirmi male, senza che mille lame mi trafiggano il cuore. Lì c’era tutto ciò che gli manca da sapere, c’è anche il mio nome vero. Chiede conferma per aprirla con gli occhi e io mi limito a posare la mia mano libera sul suo cuore, sento il battito che accelera sotto il mio tocco e ancora di più quando avvicino le mie labbra per un bacio lento. Dopo del tempo indefinito mi stacco piano da lui e appoggio la mia testa sul suo petto in attesa che apra la lettera e che l’inizi a leggere. «Dev sei sicuro? Non mettiamo altra carne al fuoco oggi, dai. Facciamo le cose con calma.» «Sono sicuro Sebastian, è l’unico modo. Lì c’è il mio ultimo tassello da lì possiamo costruire il nostro futuro senza il peso del mio passato sulle nostre spalle. Da qui potremmo pensare a cosa fare dopo, io so già una delle cose che voglio fare ma ho bisogno che tu legga questa lettera. Devo dire finalmente addio al mio passato.» Chiudo gli occhi e sento quello strano pizzicore che mi tormenta gli occhi. Sento il rumore che fa la busta della lettera mentre viene aperta, ha un po’ d’incertezza prima di aprirla per leggerla. «La leggi ad alta voce?» Non ricevo risposta e le parole che ormai sono scritte nella mia mente prendono vita grazie a lui. Caro
Blaine, Come
stai? Spero che dove sei tu ora
sia meglio di qui, ti meriti un bel posto. Hai visto? Ho finalmente
trovato un
modo per tenermi in contatto con te, anche se ormai è troppo
tardi. . . Ti ho
scritto questa lettera per un motivo preciso, ma non trovo le parole
per
dirtelo, perché so che ti spezzerà, come sta
spezzando me, mi sento così in
colpa, ma tu devi saperlo da me questa cosa, mi ha promesso Sue che non
ti dirà
niente e si limiterà a consegnarti la lettera. Qui fa tutto
schifo, mi hanno
trovato Blaine, non so come o perché ma hanno scoperto dove
mi hanno nascosto.
È un inferno qui ora, Blaine. . . TBC... Note
dell'Autrice: Salve.
Sono mortificata, tanto. Ho aggiornato con un
ritardo imbarazzante e veramente non so come scusarmi. Questo capitolo
l’ho iniziato
da capo più volte perché non sapevo bene come
comportarmi, mettere un seguito a
Relief è stato più difficile del previsto,
sembrerà assurdo ma è stato più
complicato,
spero di averlo fatto bene. La scena
della madre, penso che sia più che giusta, stare in attesa
per una parola da
una persona cara per tanto tempo e poi ritrovarsela d’avanti
così senza un
perché e con il suo solito comportamento freddo, secondo me
qualcosa dentro
scatta, sei prevalso da odio, e James ha fatto la scelta giusta,
l’ha chiamato
e ha fatto tranquillizzare Blaine. Il flashback è stata una
mazzata anche per
me, soffro anch’io con loro ormai e boh il mio cuore klainer
soffre. Sebastian
e Blaine, i miei cuccioli * lancia cuoricini * ci sono sempre
l’uno per l’altro
e penso che l’hanno capito tutti, e boh non riesco a
commentarli. Adoro Ann
come adoro Thad i miei piccoli shipper :’) La
lettera. NON AMMAZZATEMI, RISPARMIATE L’ENERGIE PER
QUANDO SARÁ COMPLETA, OK? Il capitolo scorso e anche questo
sono stati belli carichi
quindi ho pensato di dividere il tutto in più parti. La
lettera è stata una
delle prime cose che ho scritto e diciamo che la volevo tenere per la
fine, poi
ho pensato che forse il suo momento era arrivato e le carte sono
cambiate per
la trilionesima da quando ho iniziato a pubblicare. Non
ho nient’altro da dire, penso. . . Per gli
aggiornamenti spero di non fare peggio di così, non
è possibile, giusto? Però è
probabile che dovrete aspettare, mi dispiace tanto, ma la scuola
ultimamente è massacrante, ho avuto un periodaccio e dalla
settimana prossima i miei impegni a teatro si
triplicheranno. Scusatemi tanto. Un
immenso grazie va a chi è rimasto, grazie. Grazie alla
beta che mi ha corretto il capitolo subito e che mi vuole poco bene
dopo aver
riletto l’inizio della lettera. Mi
faccio un po’ di pubblicità: sto partecipando a un
contest con una ff che avevo già scritto si trova qui, se
l’avete già letta e
se vi è piaciuta potreste mettere un piccolo “mi
piace” qui? *here* la fanfic in
questione è in “The lovely Land of
Courage”. Grazie
:) Mi
potreste far sapere come avete trovato il capitolo?
Alcune volte mi sembra di sbagliare strada, come se non vanno bene e si
può
imparare soltanto dalle critiche. Se non volete lasciare una recensione
come come una persona che mi ha detto “ti scrivo qui
perché è troppo breve ciò che ti
volevo
dire” potete contattarmi anche qui
sentitevi liberi di farlo quando e come volete, io sono sempre qui per
voi. Spero
di sentirvi presto, alla prossima! Love
always, _Beth
:) |
Capitolo 18
*** Write about us ***
Blaine
e Sebastian sfortunatamente
non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro "amato
troll" Ryan
Murphy; questa
storia è stata scritta senza
alcuno scopo di lucro. Buona
lettura. Boy
B .-
Write about us. -. Caro
Blaine, Come
stai? Spero che dove sei tu ora
sia meglio di qui, ti meriti un bel posto. Hai visto? Ho finalmente
trovato un
modo per tenermi in contatto con te, anche se ormai è troppo
tardi. . . Ti ho
scritto questa lettera per un motivo preciso, ma non trovo le parole
per
dirtelo, perché so che ti spezzerà, come sta
spezzando me, mi sento così in
colpa, ma tu devi saperlo da me questa cosa, mi ha promesso Sue che non
ti dirà
niente e si limiterà a consegnarti la lettera. Qui fa tutto
schifo, mi hanno
trovato Blaine, non so come o perché ma hanno scoperto dove
mi hanno nascosto.
È un inferno qui ora, Blaine. Mi
devi promettere una cosa: non
dimenticarmi. Odiami pure se vuoi, non posso vietartelo, mi odio
anch’io in
questo momento, ma non
dimenticarmi, ti prego. Sai quella storia in
cui l’anima
di una persona riesce a continuare a vivere nel ricordo delle persone?
Adesso
non occupo più un piccolo posto nel cuore delle persone che
amo, oltre a te non
mi è rimasto più nessuno. Proteggi il mio ricordo
dentro al tuo cuore è l’unico
modo che mi è venuto in mente per mantenere fede a quella
promessa che ti feci
in quella notte maledetta, in cui tutto è cambiato. Quelle
urla ancora fanno da sottofondo
ai miei incubi e da colonna sonora alle mie giornate infernali. Mi
sento così
terribilmente incolpa per non essere riuscito a salvarla, era ancora
viva
quando l’abbiamo trovata. Mi ha scambiato per un angelo,
quando le altre
persone ci hanno etichettato subito come mostri, non facendoci dire
nemmeno una
parola per difenderci. È interessante l’essere
definiti mostri per aver cercato
di aiutare una povera persona che stava per morire, aiutarla a lasciare
questo
mondo infame felice, mi ricordo ancora la tua voce incrinata dalla
paura che si
univa alla mia mentre le cantavamo una canzone, chiuse gli occhi per
l’ultima
volta con un bel sorriso sul suo viso perfetto, anche se era stato
sfregiato da
qualche pazzo. Odio tutte quelle persone che ci hanno rubato la
spensieratezza
della nostra adolescenza, obbligandoci a viverla in una gabbia grigia. Li
odio con tutto il cuore, odio la
loro incompetenza, odio i loro pregiudizi. Si perché gli
strani eravamo noi.
Eravamo la mela marcia. Noi che non facevamo nient’altro che
stare passare del
tempo a divertici insieme, eravamo i figli del diavolo agli occhi loro
perché
ci amavamo, è per questo non trovarono difficoltà
a pensare che eravamo noi
l’artefici della sua morte. Scusami Blaine. Ma la cosa che
odio di più è il
fatto che mi hanno tolto te. Sue non mi ha detto il tuo nuovo nome, il
mio nuovo nome è Michael Kirk. È orribile lo so,
ma non l’ho voluto sceglierlo,
non mi interessava più vivere, e se ti scegli un nome
è perché hai ancora una
speranza che ti spinge a continuare a vivere, io l’ho persa
già da un po’. Io
non so il tuo nome, ma penso di sapere quale hai scelto: Thomas. Come
il tuo
inventore preferito. Mi dicevi sempre: “Io non ho
fallito. Ho solamente
provato 10000 metodi che non hanno funzionato”. Mi faceva sempre ridere questa frase,
perché usavi un tono buffo, da
“vecchio” che non ti addiceva. Ti offendevi per un
po’ e poi ricominciavi a
fare lo stupido un’altra volta. Mi manca tutto questo e
più di ogni altra cosa
mi manchi te. Mi mancano i tuoi occhi, la tua risata, la tua voce, il
tuo
odore, la tua mano nella mia. Mi manca la forza che sapeva dare solo il
tuo
sorriso, la mia unica ancora di salvezza durante gli anni del
riformatorio,
quel sorriso che mi regalavi di sfuggita mentre facevamo la fila per la
colazione, mi dava una carica che mi durava fino al mattino dopo,
quando me lo
ridavi un’altra volta. Questa
lontananza forzata mi ha fatto
capire che più cerco di dimenticarti e più
troverò un modo per ricordarti. Mi
sento vuoto e sporco senza di te, mi facevi sempre sentire completo,
ora sto
cadendo a pezzi, giorno dopo giorno e non riesco a rimetterli insieme,
tu ci
saresti riuscito. Come faccio a pensare di essere felice in un mondo
come
questo che brama la mia morte, ogni mattina fuori dalla porta
c’è qualcuno che
mi ricorda il che tipo di mostro sono, perché non capiscono?
Mi stanno cercando
un nuovo posto, ma devo aspettare che le acque si calmino
perché mi
ritroverebbero un’altra volta. Io voglio venire da te ma non
me lo permettono.
Ma io non ci andrò nel nuovo posto, almeno non da vivo. Ecco
siamo arrivati al punto al quale
non volevo arrivare, ma ormai l’ho scritto, è
più semplice ora che lo vedo nero
su bianco. Non fa così tanta paura sai? Quando leggerai
questa lettera sarò già
sotto terra a fare compagnia ai vermi come me. Non riesco
più a vivere Blaine.
Non ci riesco. Ho provato ad andare avanti, ma ogni volta che mi
svegliavo
speravo di stare all’inferno, sarebbe stato meglio. Mi sono
suicidato. Una
corda e una buona spinta mi regaleranno un biglietto solo andata verso
quel
posto che mi hanno detto che c’è un posto solo per
me. Non mi interessa cosa ci
sarà dall’altra parte, che sia buio o luce non
farebbe differenza. Blaine
sentimi bene tu devi andare
avanti, fallo per me. Vivi
per entrambi, fatti una famiglia, trovati il
tuo principe dagli occhi verdi. Si mi ricordo ancora del bel giovanotto
dagli
occhi verdi che tanto ti piaceva, no scusa non ti piaceva lui, ti
piacevano
solo i suoi occhi, te li sognavi ogni notte. Ma tu mi amavi di
più. Porta i
tuoi figli al lago, mostra la sua magia. Insegnagli come si suona
veramente,
col cuore e non con la mente. Prenditi cura di te, non arrenderti mai
starò
sempre vicino a te. Sarò quel primo raggio di sole che ti
sveglia la mattina,
sarò quella leggera brezza primaverile che ti tormenta i
ricci, sarò l’accordo
stonato di un brano perfetto. Non ti abbandonerò mai. “Non
definire un uomo felice finché non muore: tutt'al
più, egli è fortunato.” Io
ora sono finalmente felice, ma ti
prego tu cerca la tua felicità nella tua fortuna. Non
dimenticarmi. Ti amerò
anche dall’altra parte Tuo
per sempre, Kurt. **** La voce mi si era incrinata più e più volte, avevo la maglia zuppa delle lacrime di Devon. Voglio dire Blaine. Ecco il nome che cerco di ricordare da sempre. Blaine. Tremavamo entrambi, era una lettera piena di disperazione e di rabbia. Una lettera che segnava la fine di una persona. Ogni sofferenza che ha vissuto trapelava in ogni singola lettera, quella grafia che, pur rimanendo molto elegante, aveva un tratto calcato e c’erano molte sbavature, chiaro segno delle sue lacrime mischiate a quelle del nostro Blaine. Tutte le parole mi muoiono in gola, non so che dire. «Non gli ho mai detto addio. .
.» Ecco il tormento che lo divora da
sempre. Il suo amore adolescenziale che soffre lontano da lui senza
nessuno che
gli possa dare ascolto, che prova odio verso tutto e tutti, che
è cieco e non
riesce più a vedere la luce della vita, e lui non ha potuto
fare niente,
nemmeno dargli il suo ultimo saluto. «Non è colpa tua,
Devon.» «Potevo fare la differenza, aveva solo
me.» «Non potevi fare niente, amore. Dal
momento in cui vi hanno separato entrambi vi siete spenti, avete perso
la
fiducia nel mondo. Lui non ha avuto l’occasione di poter
ricominciare la sua
vita.» «Potevo ribellarmi. . .» «Amore, non farlo. Guardami. Tu non
hai colpe, se una persona non riesce a sopportare più una
situazione e decide
di togliersi la vita, tu non puoi fare molto.» «Si, ma quella sera io volevo uscire!
Io avevo bisogno di staccare dalla mia vita, ero io quello che aveva
litigato
con il padre. Ero io quello che meritava di morire, no lui.» «Ti prego, non dire così. .
.» I suoi occhi mi uccidevano e ogni sua
parola era un pugnale che squarcia la mia pelle. Non sopporto vederlo
così. Non
si merita tutto questo, dovrò tenermi il mio piccolo segreto
ancora per un
altro po’. Gli prendo il volto fra le mani, la lettera mi
cade dalle mani ma
non ce ne accorgiamo. Mantiene a fatica il mio sguardo, come se si
vergognasse
di se. «Sentimi bene, ok? Tu non puoi
incolparti di ciò che è accaduto a Kurt, ok?
Nessuno poteva fare niente per
fermalo, quando si supera quel confine, nessuna forza
riuscirà a riportarti
indietro. Niente. Ehi, no guardami e non fare così, stai con
il tuo Sebastian.
E poi nessuno si merita di morire, lui meritava di essere messo al
sicuro, era
suo diritto. Le parole hanno il potere di uccidere se usate in un certo
modo.» «Mi manca così tanto. .
.» «Lo amavi.» Era una semplice costatazione e il
piccolo sorriso che mi rivolse parla da sé. Forse lo ama
ancora, anche adesso,
anche quando sta fra le mie braccia o quando mi bacia. Forse tutte le
sue
insicurezze stanno proprio qui, come sempre ha ragione: bisogna mettere
da
parte il proprio passato per poter pensare al futuro. Ed eccolo qui
tremante a
raccontarmi di un passato che non gli da tregua, il suo ultimo tassello
perché
ormai tutto è collegabile al caso di “boy
A”, il suo Kurt, e il “boy B”, il mio
Devon. Forse questo è uno dei motivi per il quale mi sta
facendo leggere la
lettera, non tanto per mettermi a conoscenza di ciò che
è accaduto al suo
amico, ma per farmi capire cosa ha fatto di tanto brutto per meritarsi
di
vivere sotto una vita non sua. Ora mi chiedo cosa ha mai fatto di male
questo
essere perfetto per meritarsi me. «Capisci perché mi comportavo
così? Mi
sento come se non meritassi tutto questo, come se non meritassi di
essere
felice, avere te. Però quando si è dentro ad un
vortice tu puoi solo lasciarti
trasportare e seguire e fare tua la sua forza, ma non è mai
abbastanza, perché
anche lui ne ha bisogno ed entrambi dovete essere forte per
l’altro. Ti amo,
con tutto me stesso, ma non ti merito perché
finirà così anche con te, le
persone che mi amano veramente finiscono male e sicuramente
combinerò altri
casini. Alcune volte sento come lo stessi dimenticando e non posso
farlo,
capisci? Sta diventando il fantasma di un ricordo. Non gli ho detto
nemmeno
addio, ti rendi conto? Non ci sono stato nemmeno per quello.» Lui pensa che non mi merita quando è
il contrario. . . «Noi non finiremo male, fidati. Certe
persone sono impossibili da dimenticare, perché ti sono
entrate nell’anima e da
lì nessuno ricordo può essere cancellato.
Vivrà sempre dentro di te. Mi
chiedevo, sei mai stato. . . alla sua. . . ehm. . . tomba?» «No, la lettera mi è stata
recapitata
quando stavo ancora nel riformatorio in attesa di una nuova casa. Lui
era
uscito prima perché era di qualche mese più
grande e ha cambiato posto dopo
cinque giorni, l’hanno messo nell’unico posto dove
loro non hanno dimenticato
ed è successo un casino. È per questo che William
non mi ha permesso di andare
né ai funerali e né alla sua tomba. Mi avrebbero
scoperto subito. Avevano paura
che potessi fare la sua stessa fine, per quanto io c’abbia
pensato, non ho mai
pensato di morire, non ne avrei le forze. E se morivo io, lui non
avrebbe avuto
nessuno che lo ricordasse e non potevo ucciderlo, non
un’altra volta.» «Tu non avresti fatto la stessa fine,
per quanto potevano essere spenti i tuoi occhi la prima volta che ci
vedemmo
avevano ancora quella gioia della voglia di vivere, di scoprire il
mondo. E poi
dovevi incontrare me, no? Stavo pensando, che ne dici di andarci con
me?» «C-Certo.» «Sai
dov’è?» «Si.» «Che ne dici di domani?» «Ci andrei anche adesso. . . Secondo
te è troppo tardi?» «Beh tu ora verrai coccolato e
vezzeggiato dal sottoscritto come da programma. Hai aspettato tanti
mesi per
andarci, penso che un po’ di ore non faranno la differenza.
Oggi concentriamoci
sul suo ricordo, sulla lettera, domani gli diremo addio.» «Arrivederci.» «Come scusa?» «Gli dirò
“arrivederci”, non sarò mai
pronto per dirgli addio. Sa troppo di finito. . . non so se mi
spiego.» «Penso di aver capito, ti piace la mia
idea?» «Mi sembra un buon piano.» «Uno buonissimo aggiungerei.» «Grazie.» Gli sorrido e rispondo al suo grazie
con un bacio. Poi rimaniamo in silenzio, come piace fare noi. Quando si
ama veramente
le parole diventano inutili. . . «Non so in che condizione è la
casa,
Thad è peggio di un bambino quando ci si mette.» «E perché sta la?» «Sta facendo una sorpresa per il suo fiancé.
Non vuole fargli scoprire cosa quindi ha occupato una stanza per tempo
indeterminato.» «Ho sempre desiderato di conoscerlo
sai? L’ex del mio ragazzo, sarà strano. .
.» «Non penso, è come un fratello
per me
ora. Gli voglio molto bene, ma non l’amo. Parlando di persone
amate, e il
ragazzo dagli occhi verdi? Mi devo preoccupare?» Si è nascosto molto bene
nell’incavo
del mio collo ma riesco comunque a vederlo arrossare e poi ride
nervosamente
contro la mia pelle. Adesso sono curioso. «Non prendermi in giro, ok? È
stata
solo una cotta per un ragazzo di qualche anno più di me,
stava sempre con un
ragazzetto biondo. Sentivo molto spesso il suo sguardo su di me, ma era
solo
una mia impressione. All’inizio pensavo che eri tu,
sai?» Il respiro mi si blocca. Quindi mi
aveva notato? Potevo essere io, oppure no alla fine gli occhi verdi
mica sono
così rari e tutti possono avere un amico biondo. No? «Cosa ti ha fatto pensare al
contrario?» «Penso che se eri tu non ti avrei
fatto andar via. Avrei trovato un modo per farmi notare.» Oh, ci sei riuscito molto bene a farti
notare invece. . . «Eri solo un bambino che potevi
fare?» «Non lo so nemmeno io, ma avrei fatto
qualcosa.» «E se fossi io?» «Ti direi che è da tutta una
vita che
ti cerco.» Adesso mi guarda negli occhi, scruta
attentamente ogni piccolo particolare dei miei occhi, notando
ciò solo lui può
notare. Si avvicina piano a me e fa scontrare i nostri nasi. Rimane
così per un
po’ continuando ad osservarli. «Sai che quando sono stato a
Westerville rimasi anch’io stregato da due smeraldi? Ma loro
erano incastonati
nell’ambra.» Da quella frase lui capì.
Capì che ero
io quel ragazzino che lo colpì con la stessa potenza di
quanto lui fece con me.
Nello stesso momento in cui lo realizzo ho paura, perché ho
paura che mi possa
collegare a colui che doveva stare al suo posto, che doveva prendere le
sue
colpe. È meglio non pensarci adesso. . . «Tu ti ricordavi di me?» «Ti ho riconosciuto dal primo giorno,
ma non pensavo che tu mi avessi mai notato. Ho preferito non dirti
niente.» «Quindi sapevi già
tutto?» «Sapevo poche cose. . .» «Ma io mi ricordo quegli occhi in
tribunale e anche nel luogo dove tutto è finito.» È forse arrivato il momento? «Che sciocco che sono, non è
possibile
vero?» Devo fare una scelta, ed è meglio che
mi sbrighi. «Seb?» «Io. . . no è impossibile, i
miei non
volevano che mi avvicinassi al lago dopo il tramonto. Però
c’ero in tribunale.
Avevo paura per te.» Ecco, l’ho fatto e questo
renderà, se
possibile, ancora peggio il giorno in cui gli dirò tutto. Mi
vorrei
schiaffeggiare. «Quella è stata una notte
bruttissima.» «Lo so amore, mi ricordo di come
fingevi di essere forte. Mi ricordo quel viso sempre gioioso
trasformato in una
maschera priva di vita. Non puoi capire quanta voglia avevo di
raggiungerti e
stringere forte fra le mie braccia, non ci conoscevamo nemmeno, ma mi
sembravi
così vulnerabile con quella tua maschera.» «Allora ho proprio fallito con il mio
intento, eh? Volevo sembrare quel ragazzino che non aveva paura di
loro.» «Forse eri così solo ai miei
occhi.» Uno schiarirsi di gola ci fa bloccare
e ci riporta nella realtà in cui non dovremmo parlare del
vero passato di
Devon. «Scusatemi, ma Sebastian dovrei andare
a casa e. . » «Certo, Jud. Scusaci non ci eravamo
accorti del tempo che è passato.» Mentre le dico questo Blaine si alza a
malincuore e mi offre la mano, ho imparato che in certi momenti ha
bisogno di
avere un punto da afferrare, ciò mi da forza e paura allo
stesso momento, ho
paura di non essere abbastanza. «Non preoccuparti caro.» «Domani pomeriggio è tutto
occupato?» «Un paio d’ore libere le
dovresti
avere, non mi ricordo bene chi ma qualcuno ha spostato il suo
appuntamento.» «Grazie mille Jud, buona
serata.» «Anche a voi.» **** «Sebbu era ora! Ma quanto c’hai
mes-
Oh.» «Thad lui è Thomas.» «Oh che piacere conoscerti! Il tizio
qui non fa che parlare di te, ma che gli hai fatto?» «Vorrei saperlo anch’io
Thaddy.» «Fa piacere anche a me
conoscerti.» Mi avvicino a Devon e gli dico
all’orecchio: “Fa conto che questa è
casa tua, puoi fare quello che vuoi ok? Io
sistemo delle cose con Thad così ritorna da quello e siamo
liberi, ok?” Annuisce e si dirige verso il salotto
seguito dalla piccola Sapphire, che è molto felice di
rivederlo. A Thad gli
faccio cenno di seguirmi nello studio. Mi affianca subito. Quando siamo dentro e ho chiuso la
porta mi lascio cadere sulla sedia con un sonoro sbuffo. «Com’è
andata?» Dopo aver raggruppato un po’ le idee
gli racconto brevemente il nostro pomeriggio, non tralasciando nessun
dettaglio. «Sei il solito deficiente.» «Thad. . .» «Ti ha offerto l’occasione
giusta!» «Non è ora.» «Non lo sarà mai!» «Come sta andando la tua
sorpresa?» Mi guarda male, ma poi mi risponde. «Bene, anche se prima o poi Nick mi
uccide.» «Carl ha richiamato lì? Ma ha
i
sensori?» «Non lo so ma sembra che gli manca
qualcosa sempre quando io non ci sono.» «Te l’ho detto io che la sua
abilità
sta nel rompere la gente e Nick ne è la conferma.»
«Sempre il solito tu, eh?» «Voglio solo il meglio per te, lo
sai.» «Sì, lo so e fidati
è lui. Io devo
andare, sennò questa è la volta buona che mi
ammazza.» «Prima passerà sul mio
cadavere,
stanne più certo.» «Siamo diventati dei sentimentaloni da
quando il tuo boy B – abbassa la voce
mentre lo chiama così – è rientrato
nella tua vita, eh?» «Probabile.» Gli dico con un sorriso. **** «Scusami Thomas se te l’ho
rubato per
così tanto.» «Oh non ti preoccupare, ho letto un
po’.» Ci scambio uno sguardo d’intesa e
capisco al volo il libro in questione. Si salutano con un cenno e poi
accompagno Thad alla porta, prima di uscire mi mima un “mi
raccomando”. «Ho capito Thad.» «Sei tonto e le cose te le devo
ripetere più volte sennò non capisci.» «Spiritoso.» «Ci sentiamo domani per quella
cosa?» «Va bene, ma domani pomeriggio ce
l’ho
pieno. . .» «Oh giusto! Ti chiamo la sera allora
così mi racconti tutto.» «Ok.» «Ciao Sebbu.» «A domani.» Mi dirigo verso il salotto e mi siedo
di fianco a lui e appoggio la testa sullo schienale. Lui nemmeno mi ha
degnato
di uno sguardo, decido di chiudere un po’ gli occhi. Dopo un
po’ sento il
leggero fruscio delle pagine mentre vengono chiuse e lo sento
accarezzarmi i
capelli mentre mi lascia un leggero bacio sulla guancia. «Se vuoi la cenetta la facciamo
un’altra volta.» A queste parole apro subito gli occhi. «Non sono stanco!» «Ma se ti stavi per
addormentare!» «Ho solamente chiuso gli occhi per
qualche secondo, nulla più.» «Se lo dici tu. . .» «Però non ho voglia di
cucinare, sono
un disastro.» «Non fa niente, possiamo sempre
ordinare qualcosa. Però la prossima volta voglio qualcosa
fatto da te,
d’accordo?» «Perfetto. Che ne dici del
giapponese?» «Si! È da un sacco di tempo
che non
mangio qualcosa del genere. Io prendo il sushi.» Non ci mette molto ad arrivare il cibo
ordinato e ci mettiamo a mangiare in salotto, Devon ha detto che se si
doveva
mangiare del giapponese andava fatto su un tavolino basso. Li non
è mancata una
mia battuta sulla sua altezza, perché forse aveva paura di
non toccare al
tavolo dei grandi in cucina e poi mi sono fatto perdonare ed
è una delle cose
che adoro di più e visto dalla sua reazione penso che lo
è anche per lui così.
Durante la cena parliamo delle rispettive giornate, anche se
c’è poco da dire
visto che l’abbiamo passata quasi tutta insieme, quindi ci
ritroviamo a parlare
del lago e ciò mi riporta alla memoria la lettera. «Il lago per noi era così
importante
perché ci piaceva la pace che ci regnava, ci sentivamo
liberi, là era il nostro
piccolo regno. È il luogo che sentiamo casa. E se te lo stai
chiedendo quel
giorno ho avuto quella reazione per il fatto che lui stava nel mio
accordo
stonato e quel pezzo parlava di noi. Mi ha fatto un certo effetto. .
.» «Mi stai imparando a leggere
eh?» «Me la cavo. . .» «Ti amo.» Quelle due piccole paroline erano
diventate la base del mio vocabolario, come passavano nella mia mente
eccole
che già vibrano nell’aria. Aveva proprio ragione
Thad nel dire che mi aveva
stregato. . . TBC... Note
dell'Autrice: Buonasera!
Ecco
a voi la lettera, è stata la prima cosa finita di
questa storia. Ho riscritto l’inizio più volte e
poi ecco che prende vita la
lettera. Non mi odiate, ok? È stato anche per me dura
scriverla, pensare a Kurt
in quel modo mi ha distrutto un po’. Non lo odio, non sembra
ma è uno dei
personaggi che più amo, ma ho dovuto farlo.
L’amico del protagonista nel
romanzo si suicida nello stesso modo, anche se lì si pensa
che l’hanno ucciso,
però muore. La stessa cosa succede al vero colpevole, ho
fatto questo
parallelismo perché è ciò che sta alla
base della mia storia. Finalmente
tutti i pezzi della storia di Blaine sono
al loro posto, adesso manca il tassello della vita di Sebastian che
penso che
ormai l’avete capito già da un bel pezzo,
però con loro me la prendo con calma. Scusate
oggi non sono di molte parole perché sono
stanchissima se non vi è chiaro qualcosa non esitate a
chiedere, se volete mi
trovate qui. Volevo
ringraziare chi continua a leggere e che è
rimasto dopo Relief, grazie anche a quella persona deliziosa che
recensisce
sempre. E grazie alla beta su cui posso sempre contare e che
c’è sempre,
grazie. Spero
di sentirvi presto, alla prossima! Love
always, _Beth
:) |
Capitolo 19
*** We'd be allright ***
Blaine
e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di
proprietà del nostro "amato
troll" Ryan
Murphy; questa
storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Sono
in un ritardo clamoroso, faccio schifo. Scusatemi Buona
lettura. ps:
vi consiglio questa canzone, sarà presente nel capitolo e mi ha dato l'ispirazione per il titolo. *here* Boy
B .-
We'd be allright. -. Mi dispiace svegliarlo, se fosse per
me lo lascerei riposare, ma se non ci sbrighiamo entrambi faremo tardi
e non
voglio farlo arrabbiare come l’altra volta. Prima di
svegliarlo lo stringo
forte a me per un’ultima volta e gli lascio un bacio sulla
nuca, visto che è
l’unica parte accessibile. Mi piaceva stringerlo mentre
dormiva e mi dice
sempre che quando lo faccio gli incubi non lo vengono mai a trovare,
ciò mi
faceva sentire bene. E ha ragione: posso dire quanto volte che non mi
importa
di nessuno ma non è vero. Lui mi ha dato molte prove per
farmelo comprendere.
Lo capisco quando vedo che i suoi occhi si riempiono di lacrime,
perché sta
ricordando un qualcosa dal suo passato e io devo farlo sentire amato
per fargli
dimenticare di tutto, di tutto il dolore che ha subito sulla sua pelle,
glielo
devo. Ho imparato che l’amore è la migliore delle
medicine grazie a lui. Lo
capisco anche quando non sta con me e mi manca, mi manca terribilmente
ed come
se mi mancasse un pezzo di cuore, lo cerco ovunque. Dopo questi mesi
non sarei
mai riuscito a tornare alla vita di prima fatta di incontri occasionali
e di
sentimenti vuoti. Mai. Sono in questi momenti che ringrazio il cielo
che lui
non mi abbia lasciato quel giorno, che sia andato oltre alla mia
maschera. Ne
aveva tutti i diritti il mio passato è duro da affrontare e
il suo peso è
enorme, almeno lo era. Lui con la sua pazienza è riuscito un
po’ a curarmi. Non
pensavo che l’amore ti facesse stare così bene,
vivo. È perché lui è
quello giusto. È quello che mi dicevo sempre dentro
di me. L’ho finalmente trovato. Ho finalmente trovato la
ragione per cui vale
la pena vivere, quella che cercavo tanti anni fa, quella che ho trovato
a
fatica dentro a fantasie. Ed è proprio per questo che ho
paura, lui con me è
stato sempre sincero, anche quando non avrebbe dovuto, io invece no.
Non gli ho
finito di raccontare della piccola Mary. Adesso mi trovo di fronte
un’altra
decisione: rovinare questa settimana con questa mia confessione o
restare in
silenzio e godere di ogni singolo istante. «Dove sono?» Ero talmente preso dai miei pensieri
che non avevo
notato che si stava
svegliando. Mi guarda un po’ confuso, ma quando mi mette a
fuoco mi sorride e
le mie labbra si piegano all’insù specchiando le
sue. Ha un sorriso talmente
meraviglioso che colpirebbe chiunque. «A casa. Ieri sera
abbiamo
visto un film, uno che hai scelto tu a caso e dopo la seconda scena
già dormivi
beatamente, sembravi un bambino, e pensare che ero io quello stanco.
Non ti ho
svegliato a fine film perché eri così bello
mentre dormivi che mi dispiaceva
farlo quindi ho tirato su meglio il plaid, non sai che fatica ho fatto
per non
disturbarti troppo, ti eri attaccato peggio di un. . . koala! Ecco! Ti ho stretto per tutta
notte, perciò non mi
posso lamentare. Fine. Lo sai che russi anche un
po’?» «Oh c’era un motivo per cui ho
dormito
così bene allora! Tu invece? E no, non russo io.» «Lo fai eccome invece! Dai è
un
russare. . . tenero, ok? Come ho dormito, mmm vediamo: ho fatto il
cuscino per
un individuo che peserà una sessantina di kili, che non sta
fermo manco quando
dorme perché scalcia e russa. Grazie al libro che stava
vedendo ieri ho la
schiena che è andata perché per non sentirlo sul
fianco mi sono messo in una
posizione molto, ma molto scomoda. E considerando il fatto che si dorme
meglio
sul letto posso dire di aver dormito decentemente perché ne
è valsa la pena.» «Come mai tutta questa
dolcezza?» «Sono solo felice di averti nella mia
vita, ho passato una notte in bianco e ho pensato molto. A noi, alla
lettera e
ad. . . altro. Voglio godermi questa settimana e poi si
vedrà. Sappi che non mi
importa cosa decideranno io non ti abbandono.» Si avvicina a me e mi lascia un bacio
leggero sussurrandomi un “ti amo” e poi mi afferra
la mano, disegnandoci sopra
qualche linea immaginaria che solo lui vede. Poco dopo viene attratto
dal mio
orologio e quando vede l’ora si alza in piedi velocemente e
continua a ripetere
“Siamo in ritardo, ma è possibile che quando sto
da te non arriviamo mai in
tempo? È tardi, troppo tardi!”. Mi sembra il
Bianconiglio di Alice e per questo
non riesco a trattenere una risata perché me lo sto
immaginando con il
panciotto e l’orologio gigante, però lui mi
fulmina con lo sguardo, odia essere
in ritardo. «Cosa trovi divertente, di
grazia?» «Tu con le orecchie giganti e un
panciotto che dici “è tardi”.» Mi guarda stranito, come se non avesse
capito il paragone. Poi apre la bocca e in quel momento capisce e butta
tutta
l’aria fuori prima di parlare. «Ma quanti anni hai? 4?» «No 5.» «Sebastian non abbiamo tempo, vestiti
e datti una mossa!» «Perché sei così
ossessionato dal
tempo? Attacchi alle nove e non mi ci vuole tanto a prepararmi,
tranquillo. Che
hai?» «Non abbiamo più tempo Seb,
ecco che
ho.» «Parli di quella cosa? Troverò
un modo
io, fidati.» «Non puoi rimediare a tutto,
Sebastian.» È rimasto vicino allo stipite con lo
sguardo fisso al pavimento. Io mi avvicino a lui e con la mano cerco di
fargli
alzare il volto per far scontare i nostri occhi. Non hanno
più quella dolcezza
di prima, si sono incupiti, pieni della paura di affrontare il suo
passato e
porci una fine, non sarà un vero addio ma ne avrà
il sapore e lui lo sa. Vorrei
togliergli tutte queste paure, se veramente abbiamo una settimana non
voglio
che ce la rovinano. Ho deciso di restare in silenzio proprio per
questo, se
veramente non lo potrò più vedere non voglio che
quando penserà a me mi associa
all’ennesima persona che l’ha deluso, non posso
farglielo. Ma se resterà
parlerò, non riuscirei a vivere nemmeno con la
consapevolezza di dovergli
mentire per tutta la vita sperando in un suo perdono, in entrambi i
casi sono finito. «Sentimi bene. Lo so che non sono
superman e che non posso aggiustare tutto, ci sono state delle persone
che si sono
affidate a me e che non sono riuscito a salvarle e saranno per sempre
dei miei
rimpianti. Ma la vita va avanti, no? E tutti ci dobbiamo rialzare e
questo sarà
uno dei tanti ostacoli che incontreremo nella nostra vita, ma tu non ti
devi
preoccupare, non ora, starò sempre al tuo fianco. Non mi
stancherò mai di
dirtelo ok? Io non ti abbandono, loro non possono dividerci adesso che
ci siamo
ritrovati, non permetterò a nessuno di farlo. Ho paura
anch’io non ti credere,
ma ce la faremo. E se tu dovessi ritornare a casa secondo te non trovo
un modo
per trovarti? In un modo o nell’altro ce la faremo. Fidati di
me.» «Scusami, lo faccio, ma. . .» «Niente
ma, Devon. Adesso ci prepariamo,
andiamo da Bob e ci diamo una svegliata con il suo caffè
forte, poi ti porto al
Jul’s e quando ho finito ti passo a prendere così
andiamo dal tuo amico. E nel
frattempo non dobbiamo pensare a questa settimana, pensiamo solo ad
oggi.» «Ci provo.» «Così ti voglio,
già dobbiamo
affrontare un bel pomeriggio tosto se tu ci metti anche un altro carico
sopra
non arriviamo nemmeno alla fine di oggi.» «Ok. Posso usare la doccia?» «Certo. Questa è come se fosse
casa
tua, te l’ho detto. Vuoi che ti presto dei vestiti? Dovrei
avere qualcosa. . .» «Grazie. Ehm Sebastian. . .?» «Dimmi.» «Mi piace quando parli di noi in
questo modo e mi dici che sto a casa. Non ho mai avuto un posto che
sapesse di
“casa”.» «Nemmeno io. Ma mi basta guardarti
negli occhi per capire quale sia il mio posto.» Gli lascio un bacio leggero sulle
labbra e poi vado a cercargli un cambio pulito mentre lui rimane a
vedermi scomparire
nella mia porta. Le poche persone che mi conoscono mi prenderebbero per
pazzo
se sapessero che aspetto il mio ragazzo fuori dalla doccia. Alla Dalton
mi ero
fatto un certo nome, ma rispettavo il suo “prendersela con
calma”, anche se
alcune volte era pesante e mi sarebbe piaciuto fare certe
cose da coppia.
Però più ci penso e più immagino che
ci sia qualcosa alla base di questo “blocco”,
ma non ne vuole parlare. So che la sua permanenza in riformatorio non
è stata
bella, lo capisco da come si irrigidisce e da come non mi guarda mai
negli
occhi, trema molto quando accenna qualcosa di quel periodo
però se gli hanno
fatto qualcosa hanno le ore contate. Hanno un codice tutto loro in
prigione e
le colpe che hanno attribuito a Devon e Kurt non stavano dallo loro
parte. Ho
paura che sia successo qualcosa, preferisco non affrettare le
conclusioni, se è
successo qualcosa me lo dirà. Almeno lo spero. Meglio che mi
concentro su
altro, non voglio rovinare questa giornata con i miei pensieri. Fortunatamente lui e Thad sono alti
quasi uguali, riesco a regolarmi bene su ciò che gli
potrebbe andare visto che
Thad si metteva più i vestiti miei che i suoi, non ho mai
capito perché facesse
così. Spero di trovare qualcosa di decente per lui. **** Coma fa a sembrare così tranquillo.
Perché sembra che solo io sono spaventato. Il tempo. Penso
di non averlo mai
odiato come in questi giorni, non gli avevo mai dato molta importanza,
l’ho
sempre trovato insignificante. In riformatorio non passava mai e alla
fine
imparai a non contare più i giorni. Ma ora mi preoccupa e
non faccio altro che
contare le ore. Sette giorni passano in fretta, anche se non lo si
vuole. Si da
un senso più profondo a tutto quando si realizza che 160 ore
da passare con una
persona sono poche, che non ti bastano per farle capire ciò
che realmente provi.
Nemmeno in un vita intera si potrebbe fare figuriamoci io con 160 ore.
Mi sento
uno stupido a fissarmi sul ticchettio fastidioso
dell’orologio anziché sul
battito del suo cuore, sembra stupido, ma sono stati i piccoli ritmi
che hanno
scandito la mia vita in riformatorio che mi hanno fatto impazzire. E 160 ore non ti bastano per
abituarti all’idea
di non vedere più quel sorriso che illumina la tua vita e
che ogni volta ti fa
mancare il fiato ogni giorno di più. Perché
entrambi sappiamo che andrà a
finire così, anche se lui lo nega, ma sicuramente come metto
il primo passo
nella casa dei miei ho già le valige piene e un biglietto
sola andata verso un
posto lontano da qui e ciò significherebbe dire addio
definitivamente a
Sebastian. Lui non può lasciare il suo lavoro da un giorno
all’altro per me,
abbandonare tutte le persone che si fidano di lui e con le quali sta
costruendo
delle nuove fondazioni alla base della loro vita, sono crollati per la
loro debolezza
e adesso hanno bisogno di lui, non posso essere così
egoista. Forse una
permanenza a Westerville potrebbe significare vedersi nei weekend,
appuntamenti
al tramonto nel nostro lago, lontano da tutti e dai loro pregiudizi, in
quella
piccola oasi solo nostra. È questo che mi fa paura,
è questo che mi blocca alle
porte del cimitero, il non sapere cosa mi accadrà nelle
prossime 160 ore. Il
mio futuro non mi preoccupa, so già che ha due vie: la prima
è quella legata a
Sebastian, quella felice, quella degna di essere vissuta;
l’altra è una via
triste, buia, senza di lui che ho paura di affrontare. Sto solo
all’entrata del
cimitero, gli ho chiesto di rimanere in macchina, dovevo affrontare
questo da
solo. Sono state le mie ultime parole prima di entrare in macchina, mi
sono
sentito un’altra persona per tutto il giorno. Tutti me
l’hanno fatto notare,
tranne lui. Lui rispetta sempre i miei ritmi, gliene sono molto grato.
Il
cancello del cimitero è aperto e si può vedere
quel bellissimo prato curato
tipico di quelli americani con le tombe bianche. Quando ero piccolo il
nonno mi
ci portava spesso, non riusciva a stare troppo lontano dalla nonna. Mi
ricordo
che le prendeva sempre delle rose rosse e delle rose gialle bordate
rosa,
entrambe simboleggiano l’amore, ma quelle gialle custodiscono
nel loro profumo
quell’amore nato per durare in eterno. Il nonno ci mise un
pomeriggio intero
per spiegarmi il senso delle loro rose. Un giorno lo vidi piangere in
giardino,
la cosa mi stupì molto, il nonno non piangeva mai, mi disse
che era per colpa
delle rose, avevano il suo profumo. Quel giorno non capii il suo
comportamento,
ma ora che sto davanti al cancello con l’odore di Sebastian
impregnato nelle
narici lo capisco perfettamente, sono le piccole cose che ti fanno
restare
unito e lui un po’ si era spento con lei. Alle mie spalle sento un portiera
aprirsi, è Sebastian. Esce dalla macchina e aspetta che io
mi giri, che lo
tranquillizzo. Quando mi volto verso di lui ci fissiamo e gli faccio il
gesto
che aspettava: allungo la mano verso di lui. Mi affianca subito. Per
ora si
limita a custodirla fra la sua, ma io ho bisogno di più. Lui
lo capisce e mi
stringe a se, mi sussurra un “andrà tutto bene,
non è un addio. Andrà tutto
bene”. Ma non mi tranquillizza nemmeno questo. «Ho solo una lettera che mi conferma
questo, una lettera che può essere benissimo una burla di
cattivo gusto. Ma lì
– indico il cimitero – lì
sarà tutto vero. Non potrò dire
“è tutto un falso” perché
sarà reale davanti ai miei occhi, ci sarà il suo
nome e quella maledettissima
data. Non ce la posso fare.» «Ce la farai, Blaine.» Non mi aveva mai chiamato
“Blaine”, in
effetti non sentivo il mio nome pronunciato in questo modo da tanto
tempo.
Sentirlo così vicino a me mi da la forza per muovere un
passo verso Kurt, non
sappiamo dove l’hanno collocato, ma fortunatamente
è molto piccolo. Quando
varco la soglia sfilo la mano dalla sua, pur restandogli molto vicino
è come se
tutto questo non fosse giusto. Odiavo il fatto che il mio cuore era
diviso in
due, dopo tutto questo tempo Kurt aveva lo stesso effetto su di me, ma
ora
provavo solo un sentimento di amicizia verso di lui, solo quello.
È sempre
stato molto geloso di me e ho paura che non gli piace il fatto che io
tengo per
mano un altro uomo. «Da dove potremmo iniziare?» «Non lo so. Forse sta vicino alla
madre.» «Gli è pure morta la
madre?» «Sì. Era piccolo, aveva otto
anni. Me
lo ricordo bene quel giorno. Era devastato, per non parlare di Burt,
suo padre.
Eravamo vicini di casa e quando Burt vedeva che la madre stava per
avere una
crisi o dovevano andare di corsa all’ospedale chiamava mamma,
era sempre
gentile con loro, capiva la situazione e sapeva che con me avrebbero
fatto lo
stesso. Stava peggio quel giorno, il cancro stava avendo la meglio su
di lei,
era una donna forte, ma alcune volte non basta per pareggiare la
malattia.
Considera che mi madre fece dei biscotti al cioccolato, i nostri
preferiti, ce
li faceva solo per occasioni speciali o per premiarci. Quindi era molto
strano
per noi, ma eravamo dei bambini, che ne potevamo sapere noi? Che quello
non era
un semplice gesto, ma nascondeva qualcosa di tremendo? Quel giorno lo
passammo
tutto insieme, dormì anche da noi. Sua madre morì
quella notte. Kurt se lo
sentiva, non riusciva a prendere sonno e perciò gli feci un
po’ di spazio nel
mio letto e lui mi strinse molto forte, mi disse “ho
paura”. Tremava e pianse
tanto. Non se lo sapeva spiegare. La mattina dopo arrivò suo
padre, con delle
profonde occhiaie e sembrava più vecchio. Mia madre sapeva,
aveva ricevuto una
telefonata strana la mattina. A Kurt gli bastò guardare
negli occhi del padre
per capire, corse verso di lui e pianse tutte le lacrime che aveva, era
disperato, non vederla al fianco di suo padre lo fece scattare. Ci
abbiamo
messo molto per farlo tornare il bambino felice di un tempo.
L’amore ha questo
potere, no? Era il mio migliore amico e lo volevo felice, se lo
meritava. Alcune
volte quando andavo a casa sua lo trovavo nell’armadio della
madre a piangere.
Mi sentivo così
inutile. Scusa.» «Per cosa?» «Non ne parlo mai e mi sono lasciato
trasportare, forse ho parlato troppo.» «Non ti preoccupare, ci sono abituato.
Dev va bene se parli con me, sono uno che ascolta e mi piace farlo.
Quando ti
va di sfogarti non farti problemi, lo dovresti sapere a questo punto,
no?» «Dovrei, ma è una cosa nuova
per me
quindi mi ci devo abituare.» «Hai tutto il tempo per abituarti,
Dev.» «No.» «Devon, non ricominciare.» «Dobbiamo andare per di là. Ha
una
statua vicino. Fra un po’ la dovremmo vedere.» Accelero il passo e lo sento sbuffare
dietro di me. Non mi piace farlo arrabbiare. Quando vedo la statua mi
sento
tremare le gambe. Sta lì. Sento che si ferma per lasciarmi
un po’ di minuti da
solo. Appena arrivo in quel punto vedo una persona piegata verso la
tomba di
Elizabeth, la pulisce con estrema cura. Indietreggio senza fare rumore,
penso
di sapere chi è. «Che è successo? Ci hai
ripensato?» «No, ma vedi quello? Penso che sia
Burt. Non può vedermi.» «Non penso che ti possa riconoscere,
sei cambiato molto.» «Ma se io porto dei fiori a Kurt mi
riconoscerà.» «Va bene, aspettiamo fino a quando se
ne va.» Ci nascondiamo per bene dietro ad un
albero, ma da qui ci è impossibile vedere Burt purtroppo.
Sebastian si siede
sul prato e mi inviata a fare altrettanto, ma non ce la faccio a
restare fermo.
Incomincio a camminare avanti ed indietro. «Ti prego fermati. Mi sta venendo il
mal di mare.» «Non ce la faccio. Oh guarda ha
fatto.» Corro verso di lui, non bado a ciò che
ho intorno esiste solo quel punto bianco che lo custodisce,
perciò vado a
sbattere contro qualcosa e da lontano sento la leggera risata di
Sebastian. Che c’è di tanto divertente? «Giovanotto perché non badi a
dove
guardi?» Quella voce. Era leggermente cambiata,
era aggravata dal peso dell’ennesima morte di una della
persona che più amava.
Ma aveva ancora quella sfumatura che sapeva di casa. Burt Hummel. Da
quanto
tempo che non lo vedevo, era come un padre per me. Sebastian mi
affianca subito
e mi mette una mano sulla spalla. «Mi scusi, signore.» Lui ci guarda strano, so che non lo fa
in un senso negativo. Forse vede in noi il futuro che poteva vivere
Kurt. Mi
sorride, come faceva sempre. «Non ti preoccupare, quando si
è innamorati
si vive in un’altra dimensione.» Io e Sebastian ci scambiamo uno
sguardo imbarazzato, non ce lo aspettavamo. «Mi ricordi mio figlio, avete gli
stessi gusti in fatto di fiori. Erano i suoi preferiti, mi diceva
sempre che le
amava perché il suo migliore amico profumava come le rose,
sai le curava
insieme al nonno.» Mi irrigidisco. Non so che dirgli. «Oh scusatemi, vi sto disturbando.
Sono solo un povero vecchio rimasto solo con il suo lavoro.» «Non si preoccupi, ci piace ascoltare
ciò che la gente ha il bisogno di dire.» Fortunatamente risponde Sebastian al
posto mio. Burt ci sorride. «Grazie. Sono Burt.» «Sebastian.» Si stringono la mano e io rimango
fisso a guardare il terreno. «Scusalo, è una giornataccia
per lui.
Siamo venuti a trovare una persona che gli è molto cara. Lui
è Thomas.» «Lo capisco. Io vengo qui ogni giorno
e ancora non mi capacito che è veramente accaduto.» «Tutti?» La mia voce mi esce terribilmente
fragile. Perché non riesco a controllarmi? «Certe persone rovinano la tomba di
mio figlio, alcune volte ci metto molto tempo per pulire tutto il loro
casino.
E mi mancano, vengo qui e mi sembra di averlo ancora vicino a me. Sai
cosa mi
aiuta? Parlarci. Affrontare la perdita di qualcuno è molto
difficile, Thomas.
Ma alla fine bisogna essere forti anche per loro, ho provato a farmi
una nuova
vita come mi ha detto mio figlio. Ma è difficile.
Però ho trovato una persona
che mi sta insegnando a vivere. Penso che il mio piccolo Kurt avrebbe
amato
Carol. Lo so quando una persona se ne va è come se portasse
via con se una
parte di te, ma qui sta il bello: ricostruire quella parte.
È l’unico modo per
andare avanti.» Finalmente alzo gli occhi e lo guardo.
Quando i nostri occhi si incrociano cambia espressione è
come se mi avesse
riconosciuto. Si avvicina a me e mi abbraccia. Non me lo aspettavo e
questo mi
fa sentire piccolo, come quel giorno dopo il processo. Anche quel
giorno mi
aveva stretto fra le braccia, visto che i miei se ne erano andati
subito dopo
la fine senza degnarmi di uno sguardo, solo mio fratello era rimasto un
po’ di
più. Mi godo questa sensazione fino a quando lui non si
stacca velocemente. «Scusami. Per un attimo ti ho
scambiato per quel ragazzo gioioso che è stato sempre vicino
al mio Kurt, ma
non puoi essere lui. L’hanno portato via come hanno fatto con
il mio Kurt,
l’hanno separati e ciò è quello che
l’ha distrutto. Spero che stia bene, è un
bravo ragazzo.» Vorrei potergli dire che sono io, che
sono quel ragazzo gioioso di cui parla. Mi limito a sorridergli. «Burt io scommetto che questo ragazzo
è in buone mani.» È quello che gli dice Sebastian, prima
di sorridermi. Già Burt, non potrei stare meglio. «Io devo andare ora, il lavoro mi
chiama. Grazie per il vostro tempo.» «Quando vuole, se la prossima volta ci
vede ci può fermare ancora, vero Thomas?» «C-certo.» Prima di avvicinarci a Kurt aspettiamo
che si allontana. «Sembra molto stanco.» «Ne ha passate tante, Dev. È
normale.
Sapere che tuo figlio si è tolto la vita e tu non hai potuto
fare niente per
salvarlo perché ti hanno vietato di vederlo è
devastante. Soprattutto dopo che
ha già perso la sua metà. Sei pronto?» Gli faccio cenno di sì con la testa,
anche se non lo sono. La tomba di Elizabeth è come me la
ricordavo, rispecchiava molto la sua semplicità. Ma
ciò che attirò la mia
attenzione era quella di Kurt. Era più lavorata e si
potevano vedere benissimo
i segni vandalici che Burt aveva provato a cancellare. Kurt Hummel. Mi faceva uno strano effetto leggere
la data della sua morte, lo faceva sembrare così. . . reale.
Sento che le gambe
non ce la fanno più a reggermi, cado e Sebastian resta fermo
a guardarmi. Non
mi accorgo nemmeno di aver iniziato a piangere, le lacrime scendono
copiosamente e non riesco a fermarle. Vorrei che ci fosse un modo per
tornare
indietro per trovare un modo per fermarlo, ci deve pur essere. Sto
provando
diverse emozioni, mi sento scoppiare. Ho il bisogno di urlare, ma non
voglio
farmi sentire dagli altri, mi sono esposto fin troppo con Burt non
posso
rischiare ancora. Le rose sono affianco a me, leggermente rovinate per
colpa
della caduta. «I believe that after
we're gone the spirit carries on.» «Che hai
detto?» «I believe that after
we’re gone the spirit carries on. Sta
scritto là. . . mi suona familiare.» «Sarà una di quelle frase
fatte, Seb.» «If I die tomorrow
I'd be allright because I believe that after we're
gone the spirit carries on. Ma
certo! Thad è fissato con questo gruppo,
c’è stato un periodo che sentiva solo i Dream
Theatre.» Mi ricordo questo nome. . . «Sono i preferiti di papà.
Ogni volta
che vado in officina li sente. Non è buffo?» «Forse, ma la musica fa questo effetto
a tutti no?» «Rende buffi?» «Ma no, Matisse! Rende. . .
com’è che
lo chiama papà. . . Dipendenti, ma non in senso brutto. Ha
un senso brutto?» «Non lo so. . . ma non penso se
è
riferito alla musica.» «Come si chiama la canzone che ha
reso. . . dipendente il tuo papà?» «Non lo so il titolo, la prossima
volta che vado in officina te lo faccio sentire. Mi ricordo solo il
nome del
gruppo “Dream Theatre”» «Dev, tutto bene? Sei diventato molto
pallido. . .» Era preoccupato, lo sentivo benissimo
anche se la sua voce mi arrivava ovattata. Mi prende il viso fra le
mani, sento
chi amaramente una piccola pressione sotto il mento. Non so che mi sta
capitando, perché mi sento così strano?
È così potente un ricordo? «Devon?» «Sto bene. . . mi è solo
tornata in
mente una cosa.» «Sei sicuro? Mi hai fatto prendere un
colpo.» «La cantava sempre.» «Kurt?» «Sì. Me la potresti
cantare?» «Non me la ricordo molto bene. .
.» «Nemmeno io, ma ti prego fallo per
me.» Non so perché gliel’ho
chiesto, forse
volevo solo provare a ricordare ancora. Era da un po’ che non
succedeva, prima
mi accadeva molto spesso. Lo sto forse dimenticando? Mi prende le mani, sa di come ho
bisogno di un contatto in questi momenti. E inizia a cantare, la sua
voce
all’inizio è molto bassa, come se non si volesse
farsi sentire dagli altri. Ma
ci siamo solo noi. Mentre canta chiudo gli occhi e pian
piano delle figure dentro alla mia testa prendono forma: un officina,
due bambini
che giocano dentro l’ufficio, il posto che è
più caldo e dove ti puoi riparare
meglio dalle giornate invernali di gennaio. Mi sento dentro a quella
scena, ma
allo stesso tempo è come se non ci fossi, come se fossi
aria, materia
intangibile. Parte la canzone che stava cantando prima Sebastian, ma
non è più
la sua voce che vibra accanto a me, ma una voce più da
bambino, che sfiora
l’angelico. Quanto mi era mancata la sua voce. Mi avvicino
sempre di più ai
bambini, quando apro la porta noto che non ci sono più in
quella stanza, tutto
sembra cambiato. Kurt sembra più grande, maturo. Non vedo
bene il suo viso
perché sta sulla scrivania e ha lo sguardo fisso verso un
foglio, noto che ha
la mandibola più marcata, più da uomo. Ha le
spalle basse, come se fossero
stanche e non ce la facessero più a sopportare tutto il peso
delle colpe che
gli hanno attribuito. È come se fosse arrivato al limite.
Anche la voce è
cambiata, è più stanca. Quando scriveva cantava
sempre quando non aveva a
disposizione uno stereo, mi sono sempre chiesto come ci riusciva. Poi
capisco,
è la sua stanza. La stanza che è stata la
silenziosa spettatrice della sua
fine. Vorrei stringerlo a me per fargli capire che non è da
solo, ma non ce la
faccio perché non riesco a muovermi è
come se avessi una barriera di fronte a me che mi tiene prigioniero.
Provo ad
urlare con tutto il fiato che ho in corpo, ma niente, lui non mi sente.
Continua a cantare e dopo aver fissato per un ultima volta la lettera
si alza,
si avvicina sempre di più e da questo punto mi posso perdere
in quel mare
tormentato nascosto dalle sue ciglia, ma lui non mi vede e non incrocia
i miei.
Si sistema la camicia di fronte a me, questo mi fa capire che forse
sono
intrappolato nel suo specchio. Ma che sta succedendo? Ad un certo punto alza gli occhi verso
di me e ora la voce è chiara e riesco a distinguere le
parole. «Move on, be brave.
Don't weep at my grave ‘cause I am no longer here. But please
never let our memory of me disappear.» Mentre canta questo pezzo i suoi occhi
si riempiono di lacrime provo ad allungare la mano ma sento solo il
freddo
vetro che mi tiene prigioniero al suo interno. «Ti prego, non dimenticarmi mai
Blaine.» Ha detto il mio nome. Perché non
riesco a farmi vedere. Sbatto forte i miei pugni sul vetro, ma niente.
E se
provassi a cantare con lui? Mi riuscirebbe a sentire? Ma non mi ricordo
come
fa. . . Lo vedo prendere la sedia della
scrivania e la
porta sotto al
ventilatore e solo in quel momento mi accorgo della corda. Vorrei
urlagli di
fermarsi, ma questo è solo un sogno e non posso fare niente.
Quando canta “If I
die tomorrow I'd be allright because I believe that after we're gone
the spirit
carries on” la sua voce è ancora più
ferma, come se ci credesse veramente. Mentre
lo vedo che si sistema il cappio sul collo mi sento morire, come se una
forza
invisibile mi stesse dilaniando il cuore e
per risposta ogni piccolo pezzo del mio corpo si stacca da
me. Non
farlo gli vorrei urlare. Ma ormai è troppo tardi.
Le lacrime continuano
ancora a cadere dal suo viso, non canta più ora. Prima di
far finire tutto
chiude gli occhi per un ultima volta e poi sussurra un “ti
amo, spero che non
mi dimenticherai ovunque tu sia. Addio Blaine”. Io a mia
volta gli mimo un
“arrivederci” che non vedrà mai. Poi un
salto prima del buio. ****** «Oh mio Dio, Devon! Meno male che ti
sei svegliato, mi hai fatto morire.» «Non dirlo.» «Dev?» «Non dire che ti ho fatto
morire.» «Dev è un modo di dire,
tranquillo.
Stai fermo adesso, sei svenuto, credo. Ad un certo punto ti sei
accasciato su
di me. Ti ho
riportato alla macchina per
stenderti.» «Scusa è la prima volta che mi
capita.» «Non ti preoccupare, il nostro
cervello reagisce in questi modi quando non riesce a reggere certe
emozioni, ti
fa distaccare con la realtà perché non riesce a
sopportarne il peso. Tranquillo
ora, ok?» «Allora penso che questa volta si
è
sbagliato. Ho fatto uno dei più brutti incubi della mia
vita, era così realistico
che pensavo di morire pure io.» «Pure tu? Chi altro è-
oh.» Mi guarda negli occhi e noto che sono
pieni di lacrime, gli apro le braccia e lui ci si rifugia subito. Mi
sento
impotente di fronte a questo suo dolore. Mi limito a fargli sentire la
mia
presenza vicino a lui, fargli capire che ci sono e che non lo
abbandonerò mai.
Ha rivissuto quella scena, beh una simile, come se l’immagina
lui, che lo ha
distrutto. Non so se vederla con i suoi occhi una cosa del genere gli
sia stato
d’aiuto, forse ora ha acquistato una nuova consapevolezza che
lo potrebbe
aiutare nel voltare pagina per poter vivere in pace con il ricordo di
lui. «Shh è tutto finito ora, Dev.
Tranquillo.» «Sembrava tutto così vero. La
sua
voce. Sembra di stare in un paradiso al centro dell’inferno.
Sai una cosa? Mi
ha detto addio. Prima di saltare ha fatto il mio nome. Io non ce
l’ho fatto a
dirgli addio. . .» «Gli hai detto
“arrivederci”, vero?» Annuisce contro il mio petto, ora
sembra più calmo. Gli lascio un bacio fra i suoi capelli
ricci prima di
rimanere in silenzio nei sedili posteriori della mia macchina. «Mi ha chiesto di non dimenticarlo, ma
ho paura che un giorno succederà. . .» «Non succederà invece. Sai
alcune
volte ho invidiato questo legame, è difficile competere con
una persona del
genere.» «Competere?» «Sono stupido, lo so. Ma la sua
presenza è molto presente nella tua mente e alcune volte mi
chiedo se anche la
mia è così. E alcune volte devo far in modo di
essere migliore.» «Non devi farlo.» «Lo so. Non lo farò mai
più, sono
sempre stato geloso di lui.» Alza il viso per far incrociare i
nostri occhi, ci fissiamo per del tempo che sembra infinito e poi mi
lascia un
leggero bacio sulle labbra. «Io amo te, ora.» «Anch’io ti amo.» Mi sorride, finalmente i suoi occhi
sono più liberi dello spettro del suo passato. Mi chiedo se
mai ritorneranno
limpidi come un tempo. Ma ci vuole pazienza, e fortunatamente ce
l’abbiamo
entrambi. «Torniamo a casa?» «Ai tuoi ordini. Rimani qui o vieni
davanti?» «Avanti è meglio, non mi sono
mai piaciuti
i taxi.» Mi dice ridendo. Esco dalla macchina e
lo vado ad aiutare, ho paura che è ancora un po’
debole. Gli apro lo sportello
e lo invito ad afferrarmi la mano, la stringe senza esitazioni. Mi
piace questo
modo che ha di fare, come se si fidasse ciecamente di me. «Guarda che sto bene, non
preoccuparti.» «Meglio non rischiare – gli
dico
sorridendo – non pensi?» Gli chiudo anche lo sportello e poi
ritorno al mio posto. Quando mi sono messo la cinta mi giro verso di
lui e lo
vedo pensieroso. «Secondo te è vero?» «Cosa?» Mi fa cenno di aspettare con la mano,
come se dovesse ricordare qualcosa che gli è appena sfuggita. «If I die tomorrow I'd be allright
because I believe that after we're gone the spirit carries on
– mi dice
cantando prima di aggiungere – secondo te lui sta
bene?» «Penso che ha finalmente smesso di
soffrire. Non credo molto in tutte queste cose religiose, tipo il
paradiso che
premia i buoni, non so se per il fatto che io sia gay quindi mi sono
sempre
sentito dire che finirò all’inferno,
però penso che qualcosa ci sia dopo. Non
mi piace l’idea che tutto possa finire, un qualcosa ci deve
stare. Forse si
incomincia tutto da capo, non saprei che dirti, ma ora lui non soffre.
Ti sei
fissato con quella canzone, vero?» «Un po’ – mi dice
imbarazzato – lo
spero anch’io.» mi sporgo verso di lui il più
possibile, ma con la cintura di sicurezza allacciato mi risulta tutto
scomodo,
fortunatamente lui capisce i miei piani e si avvicina lui. Questa volta
il
bacio dura di più, mi ha detto che l’amore riesce
a curare tutte le ferite e
spero un giorno di riuscirci con le sue. Metto una mano sulla sua
guancia e poi
mi allontano il giusto per poterlo guardare negli occhi. «Troverò il modo per sistemare
le
cose, staremo bene, ok? Non preoccupiamoci più.» «Mi fido di te.» Quando metto in moto sento come se
avesse deciso finalmente di mettere da parte il passato, tenersi
ciò che gli
sta più a cuore e dimenticare tutto ciò che gli
ha fatto male, almeno ci
proverà. La sua vita ricomincia con quel
arrivederci, grazie a quello è riuscito ad allontanarsi dal
suo passato per
concentrarsi sul suo presente. Per il futuro non abbiamo fretta, tutto
andrà
per il meglio, mi ci impegnerò per dargli tutto
ciò che merita e starà bene,
staremo bene. TBC... Note
dell'Autrice: Salve! Non so come scusarmi, sia con il
capitolo e sia con il ritardo schifoso con cui ho aggiornato. Mi
dispiace, ma
non ho mai tempo. Lo studio è massacrante in alcuni periodi
e il tempo libero
che mi rimane lo passo a teatro a provare. Questo è per
dirvi che il mese
d’aprile sarà ancora più incasinato
perché ho 5 date e abbiamo tre settimane
per provare e ciò vuol dire che passerò
più tempo a teatro che a casa e avrò
pochissimo tempo per scrivere, mi dispiace tantissimo. Scusatemi e
armatevi di
pazienza. Ok, me la finisco qui che ho poco tempo e devo parlare del
capitolo. * prende un respirone * VI PREGO NON
ODIATEMI TROPPO, HO DOVUTO FARLO. SCUSATEMI! All’inizio non
volevo trattare
del. . . suicidio di Kurt (mi fa un non so che scriverlo), volevo
limitarmi
alla lettera perché lo amo e scrivere questo mi uccide,
però si devono mettere
da parte i feelings per il fine della storia (SONO UN ESSERE IGNOBILE)
e l’ho
fatto. Ho pensato che Blaine che vedeva e sentiva con le sue orecchie
quell'addio, anche se lo immagina solo, poteva essere l'unico modo per
fargli
chiudere completamente con il passato. Ho compensato tutto questo angst
con la
fluffosità (?) e la perfezione di quei due cuccioli di Bee e
Bas. Visto che sto
in ritardassimo e mi devo sbrigare, prove anche oggi, me la finisco qua. Spero
che questo capitolo, che è uno di
quelli che ho molto a cuore, vi sia piaciuto e mi renderebbe molto
felice
sapere che ne pensate.
*occhi da cucciolo* Ringrazio le persone che hanno
recensito e che rimangono anche se sono una ritardataria cronica,
grazie
veramente.
Ringrazio la beta, oh e se per caso troverete delle cose strane sul capitolo, è lei. Si diverte a sclerare e aggiungere gli scleri alla ff. Chi ha letto l'ultima os che ho pubblicato, per chi non l'ha fatto la trovate *here*, si è imbattuto in un SOFFRO, SAPPILO. Questa cosa mi ha fatto ridere per giorni e giorni. Starò più intenta in futuro, ma se dovesse ricapitare, è una cosa normalissima :) Alla prossima e spero di fare presto questa volta! Love always, Beth :) ps: se vi interesa ora sono anche su tumbrl quindi se vi serve qualcosa potete contattarmi anche li :) |
Capitolo 20
*** Home ***
Blaine
e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di
proprietà del nostro Ryan
Murphy, pelatone fortunato; *sigh* Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro (mi fa sempre ridere scriverlo), ma è stata fatta solo per il puro piacere di scrivere di quei due baldracchi che mi hanno rubato il cuore.
Home. Casa. Per quante
volte avevo immaginato come ci si potesse sentire in un posto del
genere? O
quante volte nel freddo della mia camera nel riformatorio avevo pregato
quel
Dio che non mi ha mai ascoltato di farmi tornare a casa mia? Troppe, da
perderci
il conto. Mi immaginavo con i miei a fare le tipiche cose che fanno le
famiglie
americane tipo oppure mi iniziavo a ricordare dei piccoli concerti che
improvvisavo con Cop e Kurt, quest’ultimo ricordo faceva
male, forse era quello
più doloroso perché niente mi avrebbe mai
riportato indietro lui. Ma adesso
dopo dieci anni mi sentivo bene, mi sentivo vivo, mi sentivo forte come
non mai
e tutto questo lo devo a Sebastian che mi ha dato la forza per
affrontare la
morte di Kurt, di andare da lui, e adesso fra le sue braccia mi sento a
casa.
Lo avevo pregato di andare al lago, non mi andava di ritornare da
Shannon
perché non volevo stargli lontano, avevo bisogno di sentirlo
vicino, questa
sera come non mai, lui non se lo era fatto chiedere due volte e
anziché
prendere la strada che ci avrebbe portato a Columbus invertì
la rotta verso il
nostro posto. Prima di andare lì ci eravamo fermati a
prendere qualcosa da
asporto, la dispensa è sempre vuota visto che ci va molto
raramente. Da quando
avevamo lasciato il cimitero mi ero rinchiuso in quel silenzio che per
tanto
tempo ha fatto parte della mia vita. Sebastian di fianco a me si
limitava a
stringere la mia mano nella sua quando non gli serviva per i cambi e
pian piano
ci avvicinavamo al lago che ci aveva visto trovarci. Benché
avessimo preso da
mangiare nessuno dei due aveva fame, almeno non quel tipo che
può essere
saziata col cibo, mi sentivo strano. Appena fermò la
macchina ci dirigemmo
verso il ponticello, alzai lo sguardo verso la luna che brillava
maestosa fra
le stelle e poi mi girai verso di lui, lo trovai ancora più
bello, gli tesi la
mano e lui me l’afferrò, io appoggiai la testa sul
suo petto e le lacrime
incominciarono a cadere un’altra volta. «Dev, che
c’è?» «Niente.» «Non si piange per
i niente, Dev.» «Questa è stata
una giornata pesante e penso di realizzarla bene solo ora. Non pensavo
che
vedere il suo nome in quella lapide fredda mi potesse fare questo
effetto. Mi
sento più vivo rispetto alle altre volte visto che ora
possiamo accantonare
questo fatto e riniziare da capo, un’altra volta senza la
presenza del suo
fantasma nella mia testa, mi ha detto addio. E poi
c’è stato Burt, è stato come
un padre e ho odiato mentirgli. Però siamo qui ora ed
è quello che conta vero?» Mi fece
allontanare dal suo petto per potermi guardare negli occhi, mi sorrise
e allunga
la sua mano verso di me e strinse la mia fra la sua. «Piacere. Sono
Sebastian Smythe e penso di essere innamorato di te da sempre.
Tu?» «Sono Blaine, solo
Blaine. E tu sei anche il possessore del mio cuore.» Detto questo mi
riprecipito nel suo abbraccio e lui mi stringe a se ancora di
più, mi aggrappo
a lui come se da ciò dipendesse la mia vita. «Andrà
bene.» Disse sicuro fra i
miei capelli, poi incominciò a dondolare e poggiò
la testa sul incavo del mio
collo. Poi incomincia a sussurrarmi “it's a marvelous night
for a moondance
with the stars up above in your eyes. . .” e mi fece ridere e
lo strinsi ancora
più forte a me. Ero finalmente a casa. Con ancora il sapore delle sue labbra nella mente stavo suonando con gli occhi chiusi, visto che ultimamente venivano pochi clienti potevo liberamente stare li per conto mio e questo mi rattristava molto, era come se la magia della musica si stesse affievolendo, la gente passava senza degnare di uno sguardo il negozio. Questo era uno di questi giorni e ciò che lo rendeva ancora peggio era l’assenza di James. Aveva avuto un problema quel giorno e mi aveva lasciato la gestione. Il suono dei campanelli che prendono vita quando qualcuno entra nel negozio non mi distrae, troppo preso da questi ricordi. Entra una signora, sulla trentina, o meno, e dietro di lei nascosta dalla sua gonna c’era una bambina. La madre ha un sorriso dolce sul viso e accarezza dolcemente i biondi capelli della piccola, per tranquillizzarla. Mi osserva con occhietti rapiti, tirò piano la gonna della mamma e disse sussurrando. «Mamma ma lui è un angelo?» La madre rise e ciò mi fece fermare. Lei mi guarda rammaricata, non voleva farmi fermare. «Mi scusi molto signora, è da tanto che aspetta?» «No, siamo entrate adesso. Mi dispiace che ti abbiamo fatto fermare.» Sorrido e mi alzo dal seggiolino. «Sei un angelo?» Ciò mi fece bloccare suo posto, un angelo? Io? Mi abbass fino a quando non sto alla stessa altezza della bambina. «Piccola io non sono un angelo. Fra i due quello che lo potrebbe essere sei tu.» «Ma no! Tu lo sei!» «Scusala, è testarda. Beth perché non dici a. . .» «Mi chiamo Thomas, lei?» «Quinn. Tesoro digli cosa cerchi?» «Un violino!» Mi disse con quegli occhioni verdi che brillavano per quanto era felice. Una piccola musicista, spero che questa passione non l’abbandoni mai. «Un violino? Ti dico un segreto: qui abbiamo i violini più belli!» «Oh lo sappiamo vero piccola. Mi è stato detto che qui vado sul sicuro.» «Chi gliel’ha detto? Deve conoscere molto bene il Jul’s, il signor James ha un trattamento speciale per i violini. Se venite con me glieli faccio vedere.» Un giorno, quando James mi portò a vedere questa immensa stanza dove erano custoditi tutti i violini, io ne rimasi ammaliato e gli chiesi come mai ci stessero tutti questi violini, la risposta era una e semplice: per la sua Juliette. Era una violinista e fu per questo che lui si innamorò di lei, in quel pomeriggio d’autunno e da quel giorno in poi lui cercò un modo per entrare in contatto con lei, impegnandosi di più per farsi notare, ma non ne aveva bisogno perché con la sua musica era riuscita a toccare le corde del cuore di Juliette che nessuno, tranne lui, sapeva suonare. E quando morì divenne ossessionato dai violini, era un modo per sentirla vicino. «Sai non ci capita spesso di vedere dei piccoli musicisti, spero di trovare qualcosa.» «Perché no?» «Beh il posto non è molto a portata di mano, vengono qui solo chi conosce James.» Quando apro la porta dei violini sento la piccola Beth che trattiene il fiato per quanti ce ne sono, non ne aveva mai visti così tanti tutti insieme. «Mamma! Ce ne sono tantissimi!» Disse tutta agitata sbattendo le manine e poi iniziò a correre per tutta la stanza guardando ogni singolo strumento appeso al muro! «Beth calmati, romperai qualcosa così. Torna subito qui.» Ma non la sentiva, la capiva e sapeva che non si sarebbe fermata tanto presto. Presi uno dei violini appesi e mi misi ad accordare, poi iniziai a suonare una melodia che era sicuro che Beth conoscesse e ciò le fece fermare immediatamente. Lo guardò con un sorrisone gigantesco che mostra in bella vista il vuoto lasciato dalla caduta di un dente da latte. Poi la sua vocetta si unì al violino. «La conosco! Mamma sono gli Aristogatti! Do Mi Sol Do Do Sol Mi Do. Se buon musicista tu vuoi divetar.» Ora che avevo la sua attenzione potevo anche smettere. «Nooooo perché ti sei fermato?» «Il violino non è il mio strumento, non so suonarlo bene. Poi dobbiamo trovarne uno per te.» «Ok ma prometti che dopo la fai al piano?» Disse mostrandogli il mignolo e lo afferrai. «Promesso.» «Thomas, non devi veramente.» «Mi fa piacere, poi l’ho promesso!» «Mamma le promesse col mignolo non possono essere infrante!» In quel momento la piccola Beth gli ricordò lui, che durante i pomeriggi passati col nonno lo pregava sempre di poter suonare con lui, la capiva molto bene. Non ci volle molto per trovare il violino perfetto per lei, visto che appena lo vide se ne innamorò all’istante. Lo guardava con occhi adoranti e disse a Quinn: «Mamma vedi, non è la violinista che sceglie il violino, ma è il violino che sceglie la violinista. Non lo trovi bellissimimissimissimo?» Io e Quinn ci guardiamo contemporaneamente per poi scoppiare a ridere. Era una forza della natura quella bambina ed era abbastanza furba da cambiare le citazioni a suo favore, diventerà un bel tipetto da grande. «Tom andiamo al piano? Dai ti preeego.» «E va bene, ai suoi ordini principessa.» «Thomas prima posso pagartelo?» «Oh ma certo, ma non ti devi preoccupare puoi farlo anche dopo. Beth intanto vai nell’altra stanza e aspettaci la ok?» Lei va di corsa nella stanza del piano, tutta felice e la sentiamo mentre pigia alcuni tasti. Non deve aver ancora iniziato alcuna lezione di alcun tipo. «Lavori da molto qui?» «Oh no, solo da qualche mese.» «Non penso che aspiravi a questo dopo aver finito il college, vero?» Al sentire la parola “college” mi viene da ridere, considerando che non ho nemmeno finito il liceo. «Scusami, in realtà non ci sono stato.» «No? Credevo di sì da come suonavi.» «Mi piace solo la musica e imparo in fretta. Mi sta insegnando qualcosa James adesso.» «Mi dispiace, non volevo essere invadente.» «Non ti preoccupare.» Mentre digito il prezzo del violino sulla cassa noto l’ora. 18:30 È
passato veramente tutto
questo tempo? «Ecco fatto, se vuoi lo puoi lasciare qui. » «Grazie mille.» «È il mio lavoro Quinn, – le dico con un sorriso – veramente non ti devi preoccupare.» «Mi riferisco a Beth. Sai ne abbiamo passate tante e difficilmente si fida in questo modo di un adulto che non conosce.» «Mi dispiace.» «Non esserlo.» «La musica l’aiuterà, fidati. Anch’io ho incominciato da piccolino a suonare il piano, credo di esser nato con la musica nelle vene ed è stata quella costante a cui mi aggrappavo quando non ce la facevo più con le mie forze. È una bimba forte.» «Grazie.» Mi dice con un sorriso che ricambio di cuore. «Grazie a voi.» «THOOOOMAAASSS!» «Qualcuno reclama le mie attenzioni.» «Toc toc» «Avanti, Jud! Caffè! Sei una santa.» «No, ti conosco. Non ti sei fermato un attimo oggi. Guarda, non hai toccato cibo.» «Lo so. Stavo sistemando gli appunti di Thomas inesistenti visto che non l’ho mai presi con lui. William sarà qui a breve e tutto deve essere finito.» «Lo sai che molto probabilmente avranno già deciso il da farsi?» Poso la penna e finalmente la guardo. «Non si devono azzardare a portarmelo via. Lui resta qui anche a costo di rapirlo e andare in Sudamerica e metter su una fattoria di lama.» «Sebastian.» «Ha bisogno di me come io ho bisogno di lui per vivere. Non possono farcelo.» «Sai che questa cosa era destinata ad essere temporanea?» «Come so che non si doveva innamorare di me. Ma è successo, Judith.» «Questo non giocherà a vostro favore, potrebbero dire che sei troppo coinvolto nella situazione e che Thomas necessita di persone con un’alta professionalità.» «Io sono il meglio. Ma a lui non serve uno psichiatra che gli faccia il lavaggio del cervello annullando la sua personalità! A lui serve un amico di cui si può fidare!» «L’hai detto tu: amico.» «Da che parte stai tu?» «La tua.» «Non sembra.» «Mi preoccupo per te, Sebastian.» «Beh non ne ho bisogno. Grazie per il caffè ma se permetti devo stare da solo. Ho del lavoro da fare. Chiama quando viene Will.» Appena aver detto queste parole già me ne pento e mi basta guardarla per capire che l’ho ferita, mi odio per questo. Provo a fermarla ma è già fuori dalla stanza e la porta sbatte forte ed è l’eco di quel dolore che si fa spazio nel suo cuore per una seconda volta. Mi butto a capofitto nel caso Garfield stando ben attento a quello che scrivo, devo sembrare il più professionale possibile nel dire tutte le sue piccole vittorie che ha fatto in questo cammino con me, tralasciando tutti i baci e nottate passate a proteggere il suo sonno. Il tempo corre veloce e ben presto ecco che un leggero bussare mi distrae dai miei fogli. Merda. «Smythe?» «Entra William.» Mi alzo dalla sedie e sento le gambe che mi tremano ed è meglio che mi calmo, la mia agitazione farà solo danni. Mi avvicino alla porta e appena lo vedo gli sorrido stringendogli forte la mano a mo’ di saluto, la presa è ferma fortunatamente, poi gli faccio cenno di sedersi. «Allora come sta andando il nostro Thomas?» «Stai facendo dei grandi miglioramenti, ho parlato col signor James e mi ha detto che ogni giorno che passa sta diventando sempre più sorridente e chiacchierone con loro. Questo è strabiliante visto che le prime volte nemmeno guardava negli occhi la gente.» «Me lo ha detto pure Shannon che è cambiato.» «Un passo alla volta ed ecco che avviene la magia.» «Hai il materiale che ti avevo chiesto?» «Sì, lo stavo giusto ricontrollando prima e-» «C’è gente che vi ha visto insieme più di una volta Sebastian.» «Ovvio, lui qui non mi parlava quindi ho dovuto mascherare il mio lavoro con la forma di un’amicizia, lui si doveva fidare di me, era l’unico modo.» «Dicono che voi non sembravate tanto amici.» «Ti posso assicurare che non c’è niente fra di noi e se l’hanno notato allora posso pensare di fare richiesta per partecipare ad un corso di recitazione. I talenti non vanno sprecati.» Ogni parola era come un colpo al cuore, tante piccole schegge di vetro che lo facevano a brandelli. «Già. .» «E la sua famiglia cosa dice?» «Che finalmente se ne ritorna a casa e non vedono l’ora di poterlo vedere e di chiamarlo col suo nome.» «Deduco che rimarrà in cura da me.» «Deduci male. Ha già il biglietto pronto per andare in Inghilterra, dicono che è meglio se per un po’ cambi aria.» Devo
mantenere la calma,
Sebastian non fare il cretino proprio ora. «Non possono farlo, come suo psicologo posso dire che questo lo danneggerà e basta, annullerà tutte le fatiche che ha fatto fin ora. Dobbiamo arrivare alla fine insieme, William.» «A noi risulta che non sei più il suo psicologo dalla seconda seduta, Smythe.» Questo mi fa raggelare il sangue nelle vene. Non è possibile. Non
dovevo innamorarmi di lui. «Ho sempre fatto il mio lavoro, solo sotto diverse sfumature. Non possono farlo.» «Loro agisco per il bene di Thomas. Adesso devo scappare, scusa ma mi servivano questi documenti. Grazie.» Quando sono rimasto da solo mi metto le mani sui capelli e li stringo da far male, il pensiero che fra pochi giorni ci dividerà un oceano mi fa sentire male. Non è possibile. Mi sento scoppiare e senza rendermene conto vedo delle piccole lacrime che si vanno a posare sulla carta del mio blocco. Vorrei urlare via dai miei polmoni questa sensazione che mi sta dilaniando da dentro e che non mi permette di respirare, ma non posso. Sento delle braccia che mi avvolgo da dietro e mi infondono un po’ di calore, alzo il viso e vedo Jud. Mi alzo in piedi e ricambio l’abbraccio nascondendo il mio viso sul suo collo mentre lei mi accarezza i capelli nel modo che userebbe una madre per consolare suo figlio. «Mi dispiace per prima. Hai ragione, ho rovinato tutto. L’ho perso.» «Shh troverai un modo pure per questo. Vai in bagno ora e calmati ti aspetta un’altra seduta poi potrai andare da lui.» «Grazie. Ti voglio bene, posso essere stronzo alcune volte ma sei come una madre per me.» «E io ne voglio tanto a te. – mi dice accarezzandomi la guancia – andrà bene. Ora vai.» Vado in bagno e l’acqua fredda riesce a ridarmi l’autocontrollo che prima era crollato come un castello di carte che non riesce a sconfiggere il vento. L’ora passa troppo lentamente. Quando finisco l’accompagno alla porta per poter uscire pure io, saluto Jud con un bacio sulla guancia e poi di corsa raggiungo la macchina. È quasi l’ora di chiusura quindi passo prima da Bob per prendere dei caffè. Quando raggiungo il Jud faccio attenzione a non far troppo rumore, voglio fargli una sorpresa e sicuramente starà nella stanza del piano, ma quando arrivomi trovo di fronte ad uno spettacolo che non avevo previsto: Devon che fa delle facce strane con sulle ginocchia una bambina dai splendenti capelli color del grano che ride felice, sotto gli occhi della madre che canta con loro. Questa scena mi viene addosso con la potenza di un treno in discesa che non ha modo di frenare perché questa era la vita che poteva aver avuto se non mi avesse mai incontrato e se soprattutto io non fossi stato così infame da tener per me la verità. Poteva già essere padre di famiglia con una bellissima moglie e una figlia a cui poteva trasmettere la sua passione per la musica in modo tale da poter mantenere la promessa fatta a Kurt. Lascio il suo caffè sul tavolino in mezzo al negozio con un bigliettino. Scusa
per tutto. Addio. Poi chiudo la porta alle mie spalle con la consapevolezza di averlo chiuso anche dalla mia vita. Ma lui si merita il meglio e in Inghilterra potrà avere la vita che ha sempre sognato. Beth’s
Corner! Buona sera! Scusatemi per l’ora ma sinceramente non volevo sprecare un altro minuto il capitolo è fresco fresco dal betaggio e mi è mancato da morire mettere mano su questa storia e pubblicarla. Mi è mancata Boy B terribilmente e mi sono infinitamente mortificata per questo schifosissimo ritardo di non so quanto quanti mesi (siete liberi di rinfacciarmeli, non ho il coraggio per vedere quanti mesi sono passati). Vi avevo lasciato col capitolo dello svenimento di Blaine e ho riempito le note di “The Spirit Carries On” col la cosa con la “s” di Kurt e oggi vi lascio col messaggio di Sebastian. È tardissimo quindi me la finisco qui, sappiate solo che sono veramente molto mortificata e ritardi del genere cercherò di non farli più capitare, promesso! Grazie alla beta per tutto l’aiuto che mi da e grazie a chi, nonostante i miei mille ritardi, è rimasto. Spero di sentirvi presto. Alla prossima, love always Beth_ |
Capitolo 21
*** Truth ***
Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro Ryan Murphy, pelatone fortunato; *sigh*
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro (mi fa sempre ridere scriverlo), ma è stata fatta solo per il puro piacere di scrivere di quei due baldracchi che mi hanno rubato il cuore. Truth.
Successe tutto così velocemente che non ho nemmeno il modo di accorgermene: un momento prima sulle mie ginocchia si trova seduta la piccola Beth mentre le suono qualcosa e quello successivo sto già fuori, sulla strada correndo verso la persona più importante per me, con la porta del negozio chiusa a chiave alle mie spalle dopo aver fatto uscire di malo modo Quinn e sua figlia, ma non ho tempo, dovevo fare il più in fretta possibile e con quelle sue scuse che mi vorticavano in testa non riesco a pensare chiaramente, non capisco il motivo delle sue parole e tanto più non capisco il suo addio. Devo correre, non sono disposto a perderlo, non dopo tutto ciò che abbiamo affrontato. Ho la mente piena di domande. Che è successo? Corro verso un bar qui vicino perché so che lui parcheggia sempre la sua macchina là e spero che anche questa volta non sia da meno, devo vederlo il prima possibile, fermarlo e farmi spiegare tutto. Svoltato l’angolo del parcheggio incomincio a guardarmi in giro in cerca di lui e lo vedo mentre cerca di mettere in moto la sua macchina, senza riuscirci per via delle mani che tremano. Corro verso di lui e nel momento in cui mi vede cerca di sbrigarsi, questa volta le sue mani seguono bene le sue indicazioni, vuole scappare da me e io non capisco il motivo. Cosa mai gli avrà fatto scattare nella sua mente questa reazione? Ho sbagliato qualcosa? O mi sono dimenticato di un particolare? No, Sebastian non reagirebbe così se non fosse per un motivo più che valido e per una dimenticanza c’è sempre un rimedio. Era qualcos’altro, ma non riesco a capire. Devo bloccarlo perciò corro ancora più veloce per raggiungerlo e mi fermo davanti al suo parabrezza e lo fisso, ma lui ha gli occhi bassi che non gli permettono di incrociare i miei. “Perché?” Mi limito a dire e mi sento uno stupido, dovevo trovare qualcosa di meglio da dire. Ma non mi sente perché la mia voce è flebile e la musica dentro il piccolo abitacolo è troppo forte e mi sovrasta. “Perché?” Mi ritrovo a ripetere con voce più potente, sarò stupido ma è tutto ciò che ho bisogno di sapere in questo momento ed è ciò che continuerò a chiedere fino a ché non avrò fiato in bocca, finché lui non mi dia una risposta, ma lui continua a guardarsi le nocche che stanno diventando bianche per quando forte le stringe intorno al volante, mi sente ma continua a non rispondermi. Capisco che mi ha sentito da quel suo no che da movimento alla sua testa è una cosa che dura poco ma che non mi sfugge. Più non si degna di guardarmi e più la rabbia dentro di me cresce portandomi a dare un pugno al cofano della sua macchina, il colpo fa male e la mia mano pulsa, ma non mi interessa perché questo l’ha portato ad alzare il volto e finalmente i suoi occhi incrociano i miei. Quel mare smeraldino di solito sempre calmo ora è tormentato, nasconde una storia che mai mi ha voluto dire e mi spaventa. Forse non voglio più sapere questo ma è troppo tardi perché lui scende dalla macchina col respiro affannato e si mette di fronte a me, ha gli occhi gonfi. “Secondo te, perché?” Mi aspettavo delle urla ma tutto ciò che esce dalla sua bocca è un sussurro che sembra che nemmeno lui riesca a sostenere il peso delle sue stesse parole, ma ciò non blocca la mia rabbia. Niente potrebbe farlo ora come ora. “Se lo avessi saputo non te l’avrei chiesto, tu che dici?” “La risposta mi pare più che logica.” “Puoi illuminarmi? Devo essere molto stupido se non lo capisco.” “Vuoi sapere la verità? Sono stufo ok? Stufo della sensazione di oppressione che provo quando ti guardo negli occhi, stufo del sentirmi in colpa, stufo di essere la persona che è la causa di tutto il tuo male, sono stufo di sentirmi così. Capisci o continui a non arrivarci? Stufo di guardarti negli occhi e vedere di quante cose io ti abbia privato. Prima di te non mi ero mai sentito così, non sapevo che faccia avessi adesso e non sapevo dove stavi, ignoravo la meravigliosa persona eri diventato, finalmente dopo anni eri diventato un nessuno per me e stavo bene con la mia vita normale facendo un lavoro che amo e non l’avere legami con nessuno, il non amare o l’amare una notte mi bastava. Ma sei arrivato tu e mi hai sconvolto facendomi riaprire vecchie porte che avevo chiuso a più mandate nella mia mente, hai fatto riemergere quel passato da cui scappo da una vita e sono arrivato al punto in cui mi fa male vederti in volto e vedere tutto ciò che ti ho rubato: l’adolescenza, l’amore e la famiglia che potevi avere se non avessi passato anni in riformatorio. Ma io non voglio più farti del male, non ce la faccio più. Mio padre, mi definì molto bene una volta, mi disse che ero un granata, che prima o poi farò soffrire chi ho vicino a me e non voglio più farti soffrire, è inevitabile, è il mio fine, il mio unico scopo. Ho ferito loro quando aprii il mio cuore dicendogli chi ero veramente e ho ferito te, molti anni fa e non voglio farlo ancora. Quindi ti prego scansati da lì e permettimi di uscire dalla tua vita, lo dico per te. Ti prego.” Mi disse guardandomi negli occhi e passandosi una mano fra i capelli di tanto in tanto quando le parole non gli uscivano e non sapeva cosa fare, io mi ero limitato ad osservare il suo monologo non riuscendo a capirne il significato, o meglio penso di aver capito dove voglia arrivare, ma non voglio ammetterlo a me stesso perché io già l’avevo preso in considerazione ma non accettavo l’ennesima persona falsa che popola la mia vita. Lui non poteva essere come gli altri, lui è il mio Bas, il mio cervello non riesce ad accettarlo e ora sono più che sicuro che non voglio sentire il fine di questo discorso, ma caccio via questo mio pensiero, la metà di me che non accetta questa possibilità vuole sapere ed è più forte di quella che è spaventata. “Io non mi sposto. Questa è la mia vita e sono in grado di subire le conseguenze delle mie azioni. Tu credi che non l’averti più nella mia vita mi farebbe sentire meglio? Ti sbagli, renderà tutto peggio. Tu non sei una granata, le granate non salvano la gente e finché mi permetterai di restare al tuo fianco non mi ferirai, devi fidarti di me ok? E perché darti la colpa di ciò che è accaduto dieci anni fa, la colpa è di due pazzi, non tua. Che volevi fare? Eravamo dei bambini, non potevamo fare niente. E ora tu mi spieghi il perché di questa tua reazione. Voglio capire. E tutti i tuoi starò vicino a te finché me lo permetterai dove li hai buttati? Dove? Fai l’uomo e affronta le paura, non scappare come un codardo lasciandomi un biglietto. Sei stufo di tutto e di me?” Voglio solo capire, me lo devi.” ____________________________________________________________________________ Il suo “me lo devi” mi fa bloccare con i miei occhi fissi sui suoi e finalmente vedo quel suo sguardo così disperato che ferisce il mio cuore con la stessa forza di mille coltelli affilati e in quel momento capisco che ora sono diventato come tutte le persone che hanno vissuto vicino a lui e non posso farglielo. Rientro in macchina e afferro fortemente il volante posando la faccia sul voltante. Vorrei urlare, ma non mi esce la voce. Lui voleva capire ed io gli dovevo una spiegazione, volevo vedermi fuori dalla sua vita per concedergli un futuro migliore e la verità non poteva che aiutarmi. La macchina ora è ferma e lui sfrutta quest’occasione, lo sento che apre lo sportello del guidatore e mi afferra una spalla come un invito a guardarlo, ma non posso, il segreto per riuscire a fare tutto è non guardarlo negli occhi, l’ho capito prima tastando la forza che hanno su di me e non essere soggetto a quella forza che mi lega a lui, è la via che porterà fuori dalla sua vita. E poi ho paura che tutti i miei scheletri siano troppo in bella mostra nei miei occhi, capirebbe tutto. Ce la posso fare. Ce la devo fare. Ma lui è testardo, più di me, e fa scorrere la sua mano lungo tutto il mio braccio fino ad arrivare alla mia mano facendomi allentare la presa sul volante, la prende e la stringe forte. Mi invita ad incrociare i suoi occhi alzando il mento con l’altra sua mano e io sotto quel suo tocco maledetto non mi sento più il controllore del mio corpo perché riconosce in lui quella forza che mi farebbe fare di tutto, ma riesco ancora a tenergli testa. “Perché fai così? Guardami, Sebastian.” Continuo a non rispondere, sento come se stessi entrando in un guscio o in una bolla dove a lui è negato l’accesso, più che altro le emozioni sono vietate. Come quando stavo riprendendo controllo delle miei azioni dopo quella brutta ricaduta di dieci anni fa, azzerai le emozioni, per lo meno quelle che mi recavano più problemi. Ma quella sensazione di non essere abbastanza, di essere la causa del dolore delle persone che amo si sta facendo spazio nel mio cuore, un’altra volta, il mostro si sta svegliando e soffia sulle ferite che incominciano a bruciare, per colpa del veleno che il mostro mi soffia addosso. Thad mi diceva sempre che in questi momenti dovevo pensare ad un’ancora che mi tenesse con i piedi fermi, che mi tenesse al suo fianco non permettendo al mostro di portarmi a fondo con se, ma cosa potevo fare ora che stavo fuggendo dalla mia ancora? “Sebastian, guardami. Io non ti capisco.” Nemmeno io mi capivo, sapevo solo due cose: la prima era che tutto ciò di brutto che era capitato a Blaine era per colpa mia e la seconda era che l’unico motivo che metterà in mezzo fra di noi un oceano è quel maledetto sentimento chiamato amore che non mi rende qualificato di prendermi cura del mio ragazzo che verrà spostato in un centro di riabilitazione dove gli faranno un lavaggio del cervello. La sua mano stringe ancora la mia e sento i suoi occhi sulla mia nuca, la fissa con una tale forza che se me la perforasse non ne sarei sorpreso. Dopo un po’ la lascia andare e mi ritrovo con il mio volto appoggiato sulla sua spalla e le sue braccia mi avvolgono, stretto in quella presa che sapeva di casa mi sento come se finalmente riuscissi a respirare e mi appoggio su di lui lasciandomi cullare e ricambiando la presa con altrettanta forza. “Scusami.” continuo a ripetere come se fosse il mio nuovo mantra. “Va tutto bene, tranquillo. Ci sono io.” Mi dice ad ogni mia scusa. Rimaniamo stretti in quell’abbraccio per altri cinque minuti che mi servono per racimolare le forze per poterlo guardare negli occhi. Mi sorride e mi rassicura. Vorrei chiedergli: ce la faremo a risorgere dalle nostre ceneri? Lui ci sta riuscendo, ma io? Ne sto prendendo coscienza in questo periodo e questa consapevolezza mi mente una strana agitazione addosso, sto iniziando ad avere paura e ciò accade quando si è già arrivati così terribilmente vicino alla vera fine e hai il timore di riprovare tutta quella sofferenza sulla tua pelle, un’altra volta, hai paura che questa volta potrebbe essere fatale. Lo vedo anche da come ultimamente mi basta poco per ricadere giù, da quando ho visto lui che affrontava ad uno ad uno i suoi mostri che dominavano i suoi incubi trionfando guadagnando dei sogni senza oscurità ho pensato molto al mio modo di affrontarli e mi sono vergognato di me: scappare. Vedevo il problema e lo sconfiggevo non pensandoci, me ne andavo, intraprendevo viaggi, mi nascondevo nell’università, poi ho incominciato a lavorare nello studio e scappavo dai miei problemi risolvendo quelli degli altri. Ma tutto questa illusione di star bene che mi ero costruito intorno a me non cancellava dalle mie mani quel mio restare fisso a guardare un pazzo, che un tempo stato il mio migliore amico, mentre toglieva la vita ad una bambina, colpo dopo colpo. Lei continua ad essere morta anche se passavo giorni a non pensare a quel maledetto giorno, di lei come urlava basta e anche il folle accecato dalla rabbia continua ad essere morto con un foro sulla testa come risultato del suo ultimo atto. E da qui ho capito che il non pensarli rende solo i tuoi incubi più grandi e più forti. Non ce la possiamo fare, io non posso. “Ce la possiamo fare.” Ribatte lui come se riuscisse a leggermi nel pensiero e annuisce a sé stesso. “I ruoli sembrano essersi invertiti, non trovi? Non ero io quello che rimaneva sempre in silenzio guardando nei tuoi meravigliosi occhi verdi?” Mi viene da ridere, le labbra si tengono in un sorriso vuoto. “Oh okay, okay, hai ragione, mi limitavo a fissare la tua bellissima scrivania, però ti guardavo nel momento in cui tu non prestavi attenzione.” “Perché sei ancora qui?” Mi viene naturale da chiedere. Perché lui è rimasto con me, anche quando ha visto il mio lato più nascosto e più attaccato dalle dolci tenebre. “E dove dovrei stare Bas?” Mi chiede lui confuso. “Lontano da me.” Ribatto con ovvietà. Si appoggia sul mio petto sbuffando e scuotendo di un po’ il viso. “Quanto durerà questa fase? – si avvicina al mio viso e muove la testa di qua e di la, in cerca di qualcosa che solo lui conosce – Ehi alieni all’interno di Sebastian quando posso riavere indietro il mio ragazzo dal sorriso mozzafiato in dietro prima che parto? Cosa ti hanno fatto, Smythe?” “Questo non è un gioco, Dev.” “Volevo smorzare un po’ l’atmosfera, ma sono serio sulla parte del rivolere indietro il mio ragazzo. Ti va di parlarne? Non sopporto vederti in questo stato.” “Sali in macchina.” Sale sulle sue punte e mi lascia un bacio leggero sull’angolo della bocca strappandomi un piccolo sorriso, ma questa volta vero che mi porta ad odiarmi ancora di più me stesso perché non riesco a capire cosa abbia fatto per meritarmi una seconda opportunità per poi farla finire in questo modo. ______________________________________________________________________________ “Dov’è la mia ragazza preferita?” Dico come metto piede dentro all’appartamento e vedo la piccola Sapphire venirci incontro. “Almeno qui c’è qualcuno che apprezza le mie visite!” Dico a Sebastian voltandomi verso di lui mentre lui chiude la porta. “Come se io non ti apprezzassi.” Mormora a mezza voce. “Che devo dire? Mi hai visto con in braccio una bimba e hai dato del pazzo e volevi investirmi prima, conta come benvenuto poco caldo?” Scuote la testa e fa segno di lasciar perdere con la mano, gli sorrido. “Vuoi qualcosa da bere?” “No, grazie. Voglio solo sapere cosa accade alla tua testolina machiavellica, credo che si inceppa qualche volta, le sinapsi funzionano a scatti qualche volta.” “Cosa centra Machiavelli?” “Vuoi arrivare ad un fine che vedi solo tu fregandotene di ciò che perdi o di ciò che devi fare per raggiungere quel fine. Non fa molto Machiavelli?” “Questo lo prendo come voglio qualcosa da bere e anche qualcosa da mangiare almeno chiudo la bocca e non mi riempi delle tue, come chiamarle, interpretazioni? Ok?” “Basta che quando io ho la bocca piena di cibo tu parli.” Annuisce per poi sparire in cucina, io intanto mi siedo sul grande divano con affianco la dalmata di Sebastian. “Ma che ha papà Sebastian oggi, si può sapere?” Le chiedo e lei alza la sua testolina verso di me per poi continuare a fissare un punto fisso davanti a se mentre la sua coda continua imperterrita a muoversi prima a destra e poi a sinistra. “Allora visto che forse a breve dovrai andare in Inghilterra e sono le 17-” “Non sono le 17, Bas.” “In Inghil-” “Nemmeno là, mi dispiace, amore.” “Ok, ti dovrai abituare a bere tè e biscotti, i biscotti è l’unico cibo da non cuocere che ho al momento e spero che siano di tuo gradimento, l’ha fatti Jud.” “Come potrei rifiutarli allora?” Si siede vicino a me e posa il vassoio sul tavolino davanti al divano, rimane in silenzio per tutto il tempo che impiega a bere il suo tè senza zucchero e con troppo latte da farmi chiedere che razza di tè era abituato a bere in Francia, secondo me lo corregge con qualcosa, non ci sono altre spiegazioni. “Ricominci?” “Cosa?” “Il silenzio, Bas.” “Ok, hai ragione.” Dice posando la sua tazza per poi girarsi verso di me, questa volta mi guarda negli occhi, come se gli fosse necessario di fare questa piccola azione, vedo che le sue mani gli tremano e ha gli occhi spaventati, come se avesse paura di quello che da un momento all’altro mi dirà. Gli afferro le mani, incoraggiandolo, come lui ha sempre fatto con me. Ma ad un certo punto si alza di scatto dal divano e va verso il suo studio, lasciandomi senza parole e mi chiedo se è meglio che lo aspetto qui o andare da lui. Fortunatamente dopo una manciata di minuti ritorna da me con in mano uno strano quaderno dalla copertina rigida verde scuro, lo tiene di riguardo, come se da un momento all’altra potesse rovinarsi. Che tiene al suo interno? Mi chiedo, lo tiene fra le braccia con troppa cura. Poi prende posto accanto a me. “Ti ricordi di quella volta al lago in cui scoprì uno dei miei più brutti segreti? E ti ricordi anche della cicatrice che ho sul cuore vero?” Come potevo scordarmela? Sembrava un cuore rotto fatto a pezzi con una grande croce su di esso come se volesse annullarlo, mi sono sempre chiesto perché mai si fosse fatto una cosa del genere, doveva essere volontaria. “A mente fredda dopo che le ferite si curavano e dopo che nella mia testa ci fu quel piccolo barlume di luce che mi mostrava la fine di quel tunnel, che mi aveva annientato, mi fermavo molte volte ad osservare il mio corpo pieno di segni che mi ero fatto e mi soffermavo sempre sul petto. Quelli non erano segni a caso, volevo lasciarmi qualcosa sulla pelle, come eterno promemoria, e anche se adesso con delle cure i segni si notano molto di meno però se ci passi sopra la mano puoi ancora sentirlo. Doveva essere una M, venuta male, ma la si può benissimo scambiare con un cuore, tu quello c’avevi pensato vero? Ma alla M non ci eri arrivato. Ti dice niente? Certo che sì, la piccola Mary Ann, chi altri? La conosci bene pure tu vero? Un piccolo angioletto dai capelli biondi, capitata nel momento tremendamente sbagliato nel luogo sbagliato fra le mani di un pazzo. Apri questo quaderno.” Ora sono io quello che rimane pietrificato fissando un punto davanti a sé, non poteva essere. Quell’opzione che io avevo messo da parte a priori perché non poteva essere il mio Bas colui che ha inflitto tutto quello a quella povera bambina . No. Non voglio aprire, cosa ci terrà dentro? Tutte le persone che sono finite nei guai per colpa sua? Le sue vittime? “Sono articoli di giornale, cose che si dicevano in giro, frasi dette in tribunale. Il raccogliere informazione mi faceva sentire meno male, come se riuscissi ad intrappolare fra le pagine di quel quaderno tutti i miei sentimenti. Sai perché ti ricordavi i miei occhi? Perché io c’ero e non solo perché dovevo assicurarmi di vedere il ragazzo che aveva attirato su di lui tutta la mia attenzione, ma volevo vedere se avevo le palle per dire la verità. Il problema è che non le ho avute. Voi siete stati incastrati e io non ho avuto le palle per difendere il ragazzo che amavo. Ci hanno visto e voi calzavate appieno le nostre caratteristiche, tu eri un po’ più basso di Marcus, ma a loro serviva un colpevole e di certo non tennero conto del metro. Non persero nemmeno tempo a guardarvi negli occhi dove la verità era in bella mostra.” “Aspetta, tu mi stai dicendo, che-che eri tu?” “Mi hai visto nel bosco no?” “Cred-credo di sì, ho sempre pensato di averti già visto, ma tu mi hai detto del tribunale e non può essere. No Bas, dimmelo.” “Voi stavate correndo verso la bambina, vero? – annuisco, mi ricordavo d’aver visto un paio di occhi spaventati, molto simili ai suoi – dopo che è stata torturata da Marcus.” “E te.” “Io non l’ho sfiorata con un dito.” “Brutto stronzo quindi l’hai lasciata morire?!” “Ero nel bel mezzo di un attacco di panico, non sapevo cosa fare, cosa stava succedendo. Ero pietrificato. Non è una cosa che si vede ogni giorno.” “La stava uccidendo, Sebastian. Lo capisci? AVEVA I TUOI STESSI ANNI E UN’INTERA VITA DAVANTI A SE’ E TU L’HAI LASCIATA MORIRE COME UN CANE.” “Blaine tu-tu non c’eri okay? Non l’avevo mai visto in quello stato. Sembrava pazzo, totalmente fuori controllo.” “SOLO SEMBRAVA?” “Blaine, io-” “Ma non ti vergogni?” “Ogni giorno della mia vita ho convissuto con l’odio che provo verso me stesso. Per un periodo vedevo quei occhi ovunque, sto pagando per quello che ho fatto. Non puoi capire.” “Credi? Io ho convissuto con l’odio dell’altra gente che mi ha definito con i modi peggio, ogni dannatissima notte vedevo il suo viso angelico sfregato. Non posso capire? Chi pensi che ha avuto la peggio?” “Non è una gara, Blaine.” “Però scommetto che per quello stronzo era un gioco, la vita di quella bambina.” “La vita di una persona non è mai un gioco.” “MA SI VEDE CHE A TE NON IMPORTA DELLA VITA DELLE PERSONE DA COME TI SEI COMPORTATO.” Mi alzo in piedi come se non riuscissi a sopportare la sua presenza fianco a me. Lui non mi ama io ero solo un mezzo per pareggiare i conti col passato, se riusciva ad aiutarmi allora avrebbe avuto la coscienza pulita. Mi aveva fregato due volte: la prima rubandomi la libertà e ora mi aveva rubato pure il cuore. Si alza anche lui e prova ad avvicinarsi a me. “Non provarci, non ti voglio vicino a me. Mi fai schifo.” “Blaine ti prego.” “Mi hai sempre e solo mentito.” “Solo su questo, Blaine.” “Solo?” “Sono sempre stato quel tipo persona che fugge dai sentimenti, ma alla fine ho trovato te e sul mio amore non ti ho mai mentito, nemmeno una volta. Posso non averti detto una cosa sul mio passato, ma avevo paura. Avevo paura di questo.” “Ti rendi conto di cosa è successo? Due persone si sono prese la vostra colpa, un ragazzo è morto perché non ce la faceva più a sopportare il peso di aver visto una ragazzina morire e di esserne preso la colpa. Due ragazzini hanno passato la loro adolescenza in prigione dove venivano derisi da tutto, tutti li odiavano. Mi hanno preso tutto Sebastian, tutto. Ho passato notte insonne per paura di essere toccato ancora e contavo i giorni che mi separavano dalla libertà, tutto questo mentre i veri colpevoli facevano la bella vita fuori, nel mondo reale. E tutto questo? Perché tu sei rimasto a guardare, io mi fidavo di te. Una bambina è morta, aveva tutta una vita davanti a lei, che spreco. Quante occasione mancate, quanti posti non visti. Mi repelli.” “Blaine io non ho passato una bella vita, lo sai. E non c’è stato un solo fottuto giorno in cui non ho rimpianto quel mio restare fermo e mi dispiace talmente tanto che non so come farai a perdonarmi.” “Io non voglio avere più niente a che fare con te, mai più.” Sentivo una strana rabbia percorrermi le vene, questa rabbia era talmente forte che riusciva a coprire il mio amore che provavo per lui e grazie a questo annebbiamento riesco ad avvicinarmi alla porta, ma non l’apro, per quello non ho la forza. L’uscire da quella porta mi farebbe uscire anche dalla sua vita e non so se sono pronto, anche se lo odio, una piccola parte di me appartiene a lui, per sempre. Ma ora è troppo tardi. Lui si avvicina a me ma io gli faccio segno di fermarsi. “Blaine devi ascoltarmi e devi fidarti di me, ok? Ti ho tenuto nascosto questo fatto perché mi immaginavo questa reazione e volevo evitarla, fra poco te ne andrai e io-” “Mi avevi detto che avresti trovato un modo per farmi restare, te lo ricordi? Mentivi pure in quell’occasione?” “No, ho provato ha farti rimanere, ma William mi ha detto che sapeva io non ero più il tuo psicologo, ero ben altro e la sfera emotiva e quella lavorativa non possono combaciare. Me l’ha detto questa mattina. Lo vedi di come io sono la causa di ogni tuo male? Avevo paura di questo, di ammetterlo, di farlo diventare. . . reale. Dirlo a voce alta mi avrebbe impedito di dirmi che ce la posso fare a continuare in questo stato, ma in realtà sono debole e tu ti meriti di avere al fianco persone che non ti deludano e non ti trattano come ho fatto io. È per questo che ti ho detto addio.” “Mossa astuta quella di usare un bigliettino in linea con la tua vena da codardo, i miei complimenti.” “Mi dispiace, B.” “Vai a scusarti con Mary Ann o con Kurt, oh no aspetta sono morti. E vorrei esserlo pure io almeno non avrei avuto il grande onore di incontrare il famoso e illustrissimo Sebastian Smythe che si occupa di pazzi quando il primo caso umano è lui e la sua codardia. ” “Non puoi darmi anche la colpa della morte di Kurt, non c’entro niente con quella.” “Dici? Se tu dicevi tutta la verità in tribunale ora noi avremmo solo degli incubi che popolano i nostri sogni e non alle spalle la colpa di un omicidio che non abbiamo commesso e tutto quello che ci fecero in prigione non sarebbe mai accaduto. Una volta uno mi disse: sai cosa si prova quando si è indifeso e non puoi fare niente? Io non seppi che rispondere quel giorno e quel tizio mi picchiò, a sangue, lo sai? Mi fece tutto ciò che voi avete fatto a quella bambina, lo sai? Mi ha messo le sue mani ovunque, se te lo stai chiedendo sì, era per quello che non riuscivo a farmi toccare da te. Mi ricordavano tanto le sue mani, ma pian piano col tuo amore ho acquistato sempre più fiducia in te e avevo incominciato ad amare il tuo tocco delicato, mi hanno detto che certi ricordi si curano solo con l’amore e avevano ragione. Mi hanno assegnato una psicologa, che mi ha aiutato a riacquistare il controllo quando stavo in mezzo a troppa gente, c’è stato un periodo in cui avevo paura di tutto e non dormivo mai, avevo paura che sarebbe ritornato. Mi ci vollero sette anni per ritrovare e mettere da parte tutti i miei pezzi della mia anima, l’ho tenuti nascosti in attesa di uscire dall’inferno o di trovare una persona che mi aiutasse a risorgere, avevo trovato te, ma anche tu sei stato un’illusione di benessere. L’ennesima illusione. Ma Kurt ne è uscito distrutto, aveva perso le speranze, non aveva nessuno perché quando il tuo amichetto ha confessato tutto e ci hanno fatto uscire ci hanno separato, per ‘proteggerci’. E io mi chiedo perché non ha fatto anche il tuo nome, quanto ha sganciato il tuo paparino, eh Sebby?” “Blaine ora tu sei arrabbiato e non pensi chiaramente, possiamo fare un discorso da adulti domani a mente fredda?” “Perché tu pensi che io voglio passare altro tempo con te?” Ora si limita a fissarmi senza parole, capisco dal suo sguardo che lui a questa cosa ci aveva già pensato ma non aveva preso in considerazione l’eventualità che io la dicessi veramente. “È finita, quando varcherò la soglia sarà finita. Contento?” Non riesco a credere a ciò che ho detto, non posso averlo fatto seriamente. Ma ciò che lui ha fatto mi fa sentire tradito, io mi fidavo e sì, la cosa ci è sfuggita dalle mani. Però una cosa è sicura per un po’ non voglio avere a che fare con lui, almeno fino a quando non mi passa. Sebastian abbassa la testa e io appoggio la mano sulla maniglia della porta spingendola piano verso il basso. Ora la porta è aperta e io ho un solo piede fuori dalla soglia. Lui alza di scatto lo sguardo e in un battito di ciglia mi ritrovo fra le sue braccia, il mio corpo si irrigidisce, ma è solo una questione di secondi perché non riesco a non contraccambiare quella presa che mi fa sentire al sicuro, anche ora, anche quando lo odio, tutt’ora riesco a sentire quel filo che tiene il mio cuore legato al suo e sarà sempre suo, ma ora non è più il nostro tempo, ma non ho la forza per allontanarmi da lui perché so che è la mia ultima volta in compagnia sua. Ascolto per l’ultima volta il suo cuore e mi lascio stringere per un’ultima volta, lui strofina il suo naso fra i miei capelli ed è come se stesse memorizzando ogni mia cosa, ogni traccia di me, sa che questa sarà la sua ultima occasione. Dopo un po’ mi afferra il mento per potermi guardare, smeraldi che si specchiamo nell’ambra per un’ultima volta. Le nostre bocche sono troppo vicine e lui si sta avvicinando pericolosamente alle mie, ma io mi lascio baciare, non mi scanso, , io mi lascio baciare, non mi scanso, non ho la forza di muovere un singolo muscolo. Come se il mio corpo non riuscisse a sottrarsi da lui. Quando si stacca da me io mi avvio verso la porta e subito sono fuori, dalla sua casa e dalla sua vita, lui continua a fissarmi e io pian piano chiudo la porta di fronte a me, poi appoggio la mia testa sopra il legno scuro, Sebastian fa lo stesso dall’altra parte, non riesco a dare il comando di muoversi da lì alle mie gambe che non reggono più il mio peso e mi lascio scivolare ritrovandomi con la schiena poggiata sulla porta e la testa fra le mani. Ho un solo pensiero che mi vortica in testa. È finita. Il mio ragazzo è rimasto fermo a guardare una bambina che moriva per mano di un pazzo. Io ho vissuto per dieci anni la colpa del mio ragazzo. Il mio ragazzo è rimasto fermo a guardare una bambina che moriva per mano di un pazzo. Ho riposto la fiducia nella persona sbagliata, un’altra volta ancora. Il mio ragazzo è rimasto fermo a guardare una bambina che moriva per mano di un pazzo. Il mio migliore amico è morto perché non riusciva più a sopportare le accuse che appartengono al mio ragazzo. Il mio ragazzo è rimasto fermo a guardare una bambina che moriva per mano di un pazzo e io non ci voglio credere. Rettifico il mio ex-ragazzo non ha mosso un capello di fronte ad un assassinio. E ora ho solo tanta voglia di raggiungere quella persona che non mi ha mai mentito e che c’è stata sempre per me. Ma sono disposto a perdere tutto per farlo? TBC... Beth’s Corner Salve. Voi direte: ma questa con che faccia pubblica 'sto capitolo dopo mesi e mesi? Io sto ancora aspettando di trovare una risposta. Quest'estate è stata problematica: con tutti quei prompt supermeravigliosi delle domeniche e mi sono fatta prendere troppo la mano, lo ammetto, e mi era andata in vacanza pure la beta e per restare in linea questo è stato un betaggio molto problematico caratterizzato da mancanza di tempo e mancanza di wifi (che tu sia maledetta oh connessione baldracca). Ma ora siamo tornate e ho preso finalmente la decisione dire stop alle domeniche e sì a Boy B perciò per chi segue F is for Family dovrà aspettare per il prossimo capitolo della raccolta con quei quattro scemi (<3) l'epilogo di Boy B che arriverà esattamente fra due aggiornamenti, ebbene sì il prossimo capitolo sarà l'ultimo *piange in un angolino e prende i fazzoletti*. E tanto per esser chiari il prossimo aggiornamento di F is for Family riprenderà il via col prompt di questa domenica che era: raffreddore (E is for Etciù). Prima di arrivare a parlare di questo capitolo vi devo dire un'ultima cosa alternerò gli aggiornamenti di F is for Family con quelli di una long che doveva essere in origine una os, ma il Road Trip di Sebastian e Blaine era infinitamente lungo e necessitava di una long, sono pessima lo so, preparatevi a queste 3140 miglia insieme. Adesso vedrò quando e come li potrò aggiornare. Stay tuned. Ora veniamo al capitolo. Vi avevo lasciato con quel bigliettino solitario al Jul's che è stato quella scintilla che ha fatto scoppiare tutto quel castello fatto di bugie che si erano costruiti, Sebastian ha tessuto il suo passato con bugie. Chi di voi non ha mai detto la frase: sono stufo di esser...; a me capita spesso e in questo capitolo mi sono messa nei panni di Seb (che mi stavano grossi perché a differenza sua sono alta un metro e un libro ma shh) e ho pensato che quando lui si trovò di fronte a quell'ipotetico futuro che Blaine poteva avere se lui avesse confessato tutto perché vede Quinn che ha più o meno l'età di B, poteva essere felice e con famiglia perciò il vedere il suo Blaine che suonava qualcosa alla piccola Beth è stata quella piccola goccia che l'ha fatto traboccare. A me questa è sembrata l'unica reazione “logica” secondo il suo punto di vista, spero che per voi sia così. Ora Sebastian ha ottenuto finalmente quello che voleva: uscire dalla vita del suo Blaine, ma quanto durerà questa distanza? E l'odio di Blaine è veramente più forte dell'amore che nutre verso quel babbeo di un francese? Tutto questo sarà svelato nel prossimo capitolo che risponderà anche alla domanda del prologo. Detto questo ci sentiamo fra dieci giorni, ci starò anche a costo di non dormire la notte o di pubblicare il capitolo non betato. Il tempo dei ritardi è finito e non mi scuserò mai abbastanza con voi. Boy B a me era mancato e benché questo capitolo fosse carico di angst per è stata una boccata d’aria fresca. #sonostranaloso Per chi è rimasto con me, per chi mi ha aspettato devo dire una singola cosa: grazie. Soprattutto per la pazienza che avete. Grazie. Grazie a chi a letto tutto e grazie alla beta che ci sta sempre e che mi fa capire che ha (finalmente) betato questa storia dal carico di insulti e di odio che mi riempiono la chat. Forse vi dovevo dire altro ma non mi ricordo ora, se mi ritorna in mente me lo scrivo e ve lo dico fra dieci giorni. Alla prossima! Love always, Beth |
Capitolo 22
*** Run faster, Time is running out ***
Run faster,
Time is running out.
Arriva un momento nella tua vita in cui occorre che tu corra, il più veloce possibile.
Perché devi raggiungerlo. Corri e non si deve sprecare nemmeno un secondo, potrebbe essere quello fatale. Perché devi salvarlo. Corri e ti troverai a rompere il silenzio irreale che si crea dopo la catastrofe, anche urlando se devi. Perché devi farti sentire. Corri e fargli ricordare di come batte il cuore. Corri e fargli ricordare cosa vuol dire vivere. Salvalo amandolo perché devi credere che l’Amore vero riuscirà a sconfiggere la Morte per riuscirci. Corri e fargli ricordare cosa vuol dire esser amati. E corri veloce, il tempo sta finendo. *****
“Sebastian scus-” “Che gli hai fatto?” Chiese James dopo aver azzittito Judit ed entrando di malo modo posizionandosi proprio di fronte a me sbattendo il suo pugno sulla mia scrivania. Non sbatto ciglia, non voglio iniziare alcuna conversazione, se non strettamente necessaria, perciò rimango col mio sguardo fisso sui suoi occhi pieni di rabbia e preoccupazioni sperando che prima o poi la sua collera scemi. “Che. Cosa. Gli. Hai. Fatto?” Mi chiede scandendo bene ogni singola parola, come se fossi stupido o come se non avessi capito la domanda. “Fatto cosa a chi?” Gli chiedo rimanendo col tono piatto e monotono di chi non vuole parlare, questi toni di solito urtano la gente e annullano in loro tutta la voglia di continuare col loro discorso. Ma non con James. Ma io non ho voglia di avere grana in questi giorni, perché non capisce? Voglio solo starmene il più tranquillo possibile, senza nessuno intorno a me. Come diceva Thad da due giorni stavo entrando nella fase dell’autocommiserazione avanzata e in questi casi era sempre meglio che stavo da solo. “A Thomas, stupido. Cosa gli hai fatto?” Ecco di certo non volevo parlare proprio di quello in questo preciso instante. Giro la testa verso sinistra e noto che oggi è il giorno prima della partenza, ciò mi fa star male. Oggi è l’ultimo giorno a mia disposizione per andare da lui e provare a chiarirsi, domani forse è troppo tardi o semplicemente ho perso il mio treno per il perdono troppo tempo fa e prima me ne farò una ragione e prima potrò ritornare a star meglio. Abbasso gli occhi sui miei fogli per riordinarli, è l’ora di chiusura e sono felice che James abbia avuto un po’ di decenza nel aspettare. “Ragazzo stammi a sentire e rispondimi.” “Non gli ho fatto niente. Ci siamo solo lasciati. È finita.” Dico come se niente fosse, anche se dentro di me mi sento terribilmente vuoto, e il colpo alla testa non tarda ad arrivare, sapevo che mi avrebbe colpito da come stringeva il bastone. Era arrabbiato come me, solo non capivo perché mai Blaine gli stesse così a cuore, non erano parenti. Poso una mano sul punto colpito, fa male, ma è un nulla rispetto al dolore che provo dentro l’anima. “Che dovevo fare?” “Rimanere al suo fianco forse?” “Guarda che è lui che mi ha lasciato. Alcune verità sono difficili da sopportare.” “Sai che per te lui sarebbe arrivato alla fine dell’Universo pur di farti felice? Le verità ‘difficili’, come le chiami tu, si superano con tanta pazienza e forza, sono più vecchio di te e queste cose le ho vissute sulla mia pelle. Ci vuole tempo, ma voi giovani di oggi volete tutto e subito e al primo ostacolo vi girate dall’altra parte.” “Mi ha lasciato lui.” “Guarda che a me non interessa chi a lasciato chi. Ti aspetto fuori, hai un minuto per prepararti. Voglio parlarti, è importante.” ___________________________________________________________________________________________________________________________________________ L'ascesa all'incubo era incominciato da quella chiacchierata con James davanti ad una tazza fumante di caffè. Mi aveva parlato di come aveva visto il cambiamento radicale di Blaine, partito dai suoi occhi dorati da come era vuoti e privi di quella scintilla gioiosa che tanto amavo. Mi disse che un giorno entrò al negozio e lo trovò con lo sguardo perso, seduto dietro al balcone con il gomito sul piano e col mento appoggiato alla mano. Era strano, spento, e per due tre giorni non si avvicinò al pianoforte e né si spostò da dietro al bancone, salvo quando occorreva mostrare qualcosa ai clienti o James gli chiedeva di fare delle commissioni, perciò gli disse di prendersi qualche giorno di pausa per riprendersi, Blaine non sbatté ciglio e come era arrivato alla mattina del quarto giorno se ne ritornò a casa rimanendo nella sua stanza fino al ritorno di Shannon in compagnia di Jupiter che teneva posato il suo musone sul suo addome, almeno quello era il modo in cui li trovò la padrona di casa quando torno e dopo chiese spiegazioni a James perché si meravigliò di trovarlo già a casa, di solito i due pranzavo insieme perché a Blaine non piaceva immaginarselo a mangiare da solo. Quando sentii quello la mia bocca si tirò un sorriso pallido per via del fatto che il moretto che aveva rubato il suo cuore doveva trovare sempre un modo per far felice l’altro, ma tutta questa debole allegria durò un attimo perché tutto ciò che era accaduto nei giorni precedenti gli piombò addosso con ancora più forza. Erano passati solo tre giorni e già mi mancava, per via di quel pensiero volli tanto darmi un calcio, ma non volevo passare per un folle sotto gli occhi di James. Dalle sue parole capì che era ritornato al periodo in cui si rinchiudeva in se stesso e la cosa non mi piacque perché per colpa della mia boccaccia avevo mandato all’aria tutti quei mesi passati a lavorare su di lui e sulla fiducia verso gli altri. Avevo rovinato tutto. Io invece era da tre giorni che stavo da Thad, aveva paura che potessi fare qualche stupidaggine e per un po' mi voleva tenere sott'occhio. Dormivo poco e male la notte perché ogni qualvolta che chiudevo gli occhi vedevo il suo visetto sfregiato e lo sguardo accusatorio di Blaine, non so cos'era peggio. Immerso nei miei pensieri non mi accorgo della presenza di Thad fino a quando, dopo essersi seduto fianco a me, mi passa una mano fra i capelli e con l'altra mi porge una tazza fumante di tè. "Come va?" "Ti dico che sto okay, anche se non sto okay. Ma devo esserlo, me lo dovevo immaginare." "Dagli tempo Seb. Vedrai questa lontananza vi farà solo che bene." "Ha passato dieci anni a odiarmi, Thad. Non credo che qualche mesetto passato ad amarmi possa fargli dimenticare tutto ciò che è accaduto quella notte." "No, ma l'amore può curare anche le più brutte ferite, tu lo sai. Abbi fede." "È come se mi avesse strappato una parte di me e ora fa tutto terribilmente male. E le sue parole? Lame affilate alla perfezione. - lo guardo e mi scappa uno sbuffo divertito - Ma mi senti? Sono ridicolo. Sto qui a compiangermi come se facendolo lo potessi far ritornar da me. Sono un cretino." "No, sei innamorato e sì, te lo rinfaccerò a vita, mammoletta." "Johnson se vuoi vengo lì e ti faccio vedere chi alla fine sarà una mammoletta quando pregherà Thad di far fermare il francesino." "Smythe ti vuoi umiliare ancora di più questa sera?" "Tu mi sottovaluti." "Bambini basta." Ci riprende Thad perché aveva un limite di sopportazione molto basso quando si parlava dei battibecchi che avvenivano ogni qualvolta che il suo compagni stava nel largo di qualche metro. Prendo il mio tè e lo sorseggio lentamente, mi appoggio meglio su Thad posando la mia testa sulla sua spalla. Patrick odia quando mi avvicino troppo e mi beo dei suoi sguardi assassini, almeno i suoi sono buffi. Quando Patrick se ne va Thad scuote un po’ la testa per poi avvicinare il suo viso al mio orecchio. “Comportati bene, è anche casa tua e se ti sbatte fuori non posso oppormi più di tanto. Intesi?” “Non è colpa mia se hai deciso di sposarti un cretino.” “Non è un cretino, Seb.” “Okay, giusto inversamente intelligente.” “Seb!” Mi dice dandomi un pugno sulla spalla. “Vado a preparare i popcorn che saranno cotti alla perfezione quando tu avrai finito di bere il tè e Back to the Future è già pronto, lì sul tavolino, per essere visto. Finalmente dopo tanti mesi ho il mio migliore amico che mi fa compagnia quando il mio compagno fa il turno di notte.” “Che ne dici di una maratona di telefilm? Non mi sento in vena di quel film.” “Ma ti mette sempre di buon umore guardarlo.” “Lo so, ma passo.” “L’hai visto anche con lui vero?” “Abbiamo fatto un sacco di serate film, non potevo non faglielo vedere.” “Uno Smythe innamorato è il peggior spettacolo che abbia mai visto, peggio di quella volta in cui Thad mi ha portato a vedere lo spettacolo finale di danza dei piccolini. – mi dice mentre si sistema la divisa, mi parla fissandomi con i suoi occhi chiari dallo specchio e poi aggiunge con u nghigno – Ma ti ha preso pure le palle quello?” A quel punto mi alzò e gli vado vicino prendendolo per il colletto, il gioco è andato fin troppo per le lunghe, ma lo lascio andare subito. Le parole di Blaine sono ancora ancorate ai miei pensieri. Lui continua a guardarmi male, fastidio misto alla paura di ricevere un colpo che mai sarebbe arrivato. Me ne ritorno al mio posto e solo in quel momento Thad ritorna a respirare per poi dirigersi in cucina. Rimango per un po’ da solo. “Thad non è incline a pagare per i cofanetti di telefilm dice che si possono benissimo vedere ad una buona qualità anche in streaming, però è disposto a pagare soldi per i film, lui dice che sono due cose differenti, credo di morire ignorando la differenza tra le due cose. Ti lascio questo che è uno dei miei telefilm preferiti ed è l’unico che piace anche a Thaddy.” Mi lascia i cofanetti delle varie stagioni di The Big Bang Theory sul basso tavolinetto di fronte a me e prima che si tiri su lo prendo delicatamente per un braccio. “Scusa per lo scatto di prima, sono giorni pesanti.” “Colpa mia, ti ho provocato. So cosa significa venir lasciati dalla tua persona, lo so. Con Thad voi due non vi siete propriamente lasciati mi pare di aver capito da quel poco che mi ha raccontato su di voi.” “Non è stato un taglio netto fra di noi, semplicemente il nostro amore si è affievolito, giorno dopo giorno, alla fine ci potevi scambiare benissimo per fratelli di sangue, ma non per amanti. È il mio migliore amico, perciò – con la testa gli indico l’anello – feriscilo e ti vengo a cercare.” “Me lo hai già detto.” “Il mio è solo un promemoria.” “Non è mia intenzione. Adesso lo vado a salutare da dietro la porta del soggiorno da dove ci sta guardando in questo momento – in quello stesso istante lo si sente ridere da dietro quel punto – visto?” Detto quello gli lascio il braccio e giro la testa per vedere Thad, ma lui è troppo preso a sorridere al suo Patrick, gli va incontro e gli prende il viso fra le mani per baciargli le labbra. Non sento cosa gli dice ma la sua bocca che si apre in quel sorriso del “ti amo” non è difficile immaginarselo. Quando lo lascia andare e si mette in spalla la sua borsa lasciandoci soli, Thad mette sul tavolino la ciotola gigante per i popcorn e prende in mano il primo dvd della prima stagione, poi si mette fianco a me con la sua testa posata sul mio braccio. “Visto? Non è poi così male. . .” “Sì, lo ammetto però nei giorni dispari rimane pur sempre un cretino.” “Bas!” “Inversamente intelligente, Thad, inversamente intelligente.” ___________________________________________________________________________________________________________________________________________ “Bontà divina Smythe, spegni quel dannato telefono o giuro che te lo faccio mangiare!” Biascica Thad mentre mi lancia un cuscino del divano per poi girarsi di spalle continuando a dormire. “Pro-pronto parla Smythe.” Dico sbadigliando. “Sono William, ci sono problemi con il caso 140-B.” Il caso 140-B era quello di Blaine e se lo chiamava così significava che stava ancora in stazione e non poteva permettersi di chiamarlo col suo nome. Questo aumenta la mia preoccupazione facendomi diventare incredibilmente sveglio. Che gli sarà successo? “Puoi venire in stazione?” “Parto subito.” Scuoto Thad, non ho la mia macchina con me e mi serve la sua per poter raggiungere Will. “Thad alzati, devo andare alla stazione di polizia quelle quarantesima. Ti prego.” Continuo a ripetere e dopo un po’ ottengo finalmente l’effetto desiderato. “Che è successo?” Mi chiede con un pizzico di lucidità quando capisce che qui la situazione è grave e inizia a cercare le scarpe. “Non lo so, ma da come ha chiamato il caso di Blaine credo che la situazione è estremamente grave. Aiutami.” “Dammi cinque minuti e partiamo.” ****
Mi faccio lasciare da Thad davanti all’entrata per poi correre come una scheggia nell’ufficio di William che si trovava infondo al corridoio. So dove devo andare e nessuno lì mi ferma o mi richiama per il fatto che stia correndo, ci deve esser stato un passa parola che mi permette di arrivare nella sua stanza in men che non si dica.Quando sono arrivato nemmeno busso. “Che è successo?” Dico col respiro affannato. “Lui è scappato. Ieri pomeriggio era passato da me, era strano, ci teneva tanto a salutarmi, ad abbracciarmi prima che andasse via. Io gli continuavo a dire che ci saremmo visti il giorno successivo all’aeroporto, non c’era bisogno di salutarci adesso. L’ho lasciato per qualche minuto da solo, dovevo rispondere alla chiamata di mio figlio, Emma stava in cucina e non si è accorta di niente. Sapevo che non dovevo farglielo vedere. Poi alle due mi arriva una chiamata da Shannon, che mi dice che è scappato e lì capisco tutto. Io sono così mortificato Sebastian, non potevo sapere che-” “Cosa gli hai fatto vedere?” “Dove lascio la mia pistola.” “No.” Dico indietreggiando, mi sento le gambe cedere e per poco ecco che cado. La Terra ha perso la sua consistenza sotto ai miei piedi. Non può essersi tolto la vita. “Non si è ucciso, se è quello che stai pensando, no, però non sappiamo se è mentalmente stabile, in molti l’hanno visto più strano rispetto al solito e con visto che è anche armato no sappiamo quanto lui possa essere pericoloso, occorre trovarlo.” “Dovete trovarlo il prima possibile, ma perché hai chiamato me? Non ci parliamo più da giorni, non posso esservi d’aiuto.” “Sta arrivando Shannon e ha una lettera per te.” Il fatto che mi abbia scritto una lettere fa aumentare la preoccupazione dentro di me e inizio a pensare al peggio, è inevitabile che lo faccia. William mi fa segno di aspettarla fuori e mi inviata a sedermi su una delle sedie che costeggiano il muro, ma non ce la faccio a star fermo e inizio a fare avanti e indietro su per il corridoio. Mentre cammino incomincio a dipingere nella mia testa ogni tipo di scenario, di come Blaine usando una pistola si potesse uccidere o far qualche stupidaggine che gli costerebbe cara. Perché qualcosa ci deve pur fare o sennò non l’avrebbe presa. Prendo in considerazione anche la possibilità di vedermela puntata contro, non so con quanto odio nei miei confronti abbia avuto a che fare durante gli anni in riformatorio. Incomincio ad avere paura. ****
Come Shannon arriva mi viene incontro e mi stringe forte fra le sue braccia, mi abbraccia e appoggio la mia testa sulla sua spalla ricambiando forte la stretta. Come alzo lo sguardo sul suo viso vedo che ha gli occhi rossi e leggermente gonfi.“Come stai?” “Preoccupato, ho paura che possa fare qualcosa. Te?” “Continuo a dirmi che se mi svegliavo un po’ prima tutto questo forse non sarebbe mai successo. Ha lasciato un lettera anche a me.” Alla parola lettera le si rompe la voce in gola, chissà cosa ci avrà scritto su quella lettera. “Su questa c’era il tuo nome, scusa se è un po’ accartocciata. . .” “Non ti preoccupare.” Prendo la lettera fra le mie mani quando me la passa e con un gesto della testa mi scuso e vado il più lontano possibile da tutti. Ho bisogno del mio spazio e quando sento di stare abbastanza da solo mi perdo nel percepire la consistenza della carta e sento che dentro c’è più di un foglio. Seguo tutta la linea di inchiostro blu del mio nome, nella sua calligrafia frettolosa, e poi me la porto al naso per vedere se ci siano ancora delle tracce del suo odore. Apro attentamente la busta e con ancora più calma tiro fuori la lettera, ho paura di quello che potrei trovar scritto. Quando ce l’ho fra le mani cautamente l’apro e esce fuori un biglietto solitario che cade sul pavimento, l’afferro subito. “Amore mio, dove tutto è iniziato finirà. Ti amo. –B” Più lo leggo e più mi sembra che abbia scritto quel bigliettino con l’intento di farsi trovare, forse non tutto è perduto. So dove devo andare per trovarlo. Trovo Thad che aspetta appoggiato alla sua macchina mentre cerca con tutte le forza di non dormire, gli prendo le chiavi dalle mani e lui mi guarda subito storto. “Che fai?” “So dove si trova, ti prego non odiarmi ma mi devi prestare la macchina, devo andarci da solo. Entra dentro e cerca una certa Sophie, dille che sei mio amico e che ti deve portare da William per il caso 140-B, che è importante. Io devo andare, ha un vantaggio su di me di non so quante ore, devo sbrigarmi.” “Ma sono le tre di mattino non puoi metterti in viaggio! E cos’è quella lettera?” “Devo andare da lui okay? Lui voleva farsi trovare non mi avrebbe mai lasciato questo biglietto, sapeva che mai avrei letto la lettera per paura di leggere su carta quella parole che mi aveva detto dopo che se ne è andato, sapeva che non avrei voluto leggere per un’altra volta quel addio che entrambi detestiamo. Devo andare, capisci?” “Sei pazzo, non puoi.” “Mi dispiace, ti riporto la macchina sana, promesso. Se ti fa stare più tranquillo ti chiamo appena arrivo al lago, così saprai che non mi sono addormentato per strada e che non ho fatto nessun incidente, okay? E chiedi sempre a Sophie se ti fa un caffè o una coperta se vuoi dormire, o fatti portare a casa da loro non so quanto potrebbe essere felice Patrick di non trovarti a casa o chiamalo, vedi te. È una cara ragazza che mi deve un favore.” “Perché proprio al lago?” Mi urla contro dopo esser entrato e messo in moto, abbasso il finestrino per farmi sentire chiaramente. “Perché è il luogo dove tutto è incominciato e dove tutto finirà, io devo impedirgli di far finire il tutto. Ti chiamo più tardi.” ****
Era quasi l’alba quando arrivo alla casa sul lago, non c’era alcun segno del suo passaggio e per un momento la mia convinzione di poterlo salvare perché sapevo dove era andato vacillò. Mi fermo sul pontile ad osservare di come il sole inizi a sorgere timido dalle montagne tingendo delle più belle tonalità d’arancione le acque del nostro lago e lì capisco.Dove tutto era iniziato. Che stupido che sono stato, era ovvio che non l’avrei trovato dentro alla casa chiara, ovvio che no. Non si riferiva alla nostra permanenza volta alla tranquillità e a curare vecchie ferite di un uomo rotto, no, ma qualcosa avvenuta dieci anni fa. Ora dovevo correre. Perché quel bosco stava qui vicino ma lui poteva esserci già arrivato e aver già fatto ciò che voleva, forse sono arrivato troppo tardi o ho ancora una manciata di minuti, ma devo sbrigarmi in entrambi i casi. Ogni momento potrebbe essere quello che metta la fine e non posso permettermelo. Devo salvarlo. Corro verso il bosco, più velocemente che posso, verso quel luogo dove era avvenuta la disgrazia. E i ricordi incominciano a sovrapporsi a questa corsa, ma con la differenza che ora non scappavo da quella realtà che volevo evitare a tutti costi, ma ci andavo incontro, pronto a cambiarla. Ad un certo punto mi fermo per rifare il fiato e mi guardo in giro, qui ogni punto di assomiglia e ho paura di essermi perso, di esserci già passato per quel sentiero. Mi muovo lentamente e inciampo su una radice, sbatto col gomito su un albero e il colpo fa male che devo far forza con la mano sinistra appoggiata su un albero per potermi rialzare. Come alzo lo sguardo noto un’incisione, scorro la mano lungo il legno ruvido e intaccato. Ma non è quel cuore con dentro quelle due iniziali a farmi più male, ma un proiettile che ha finito la sua corsa proprio su quel albero, fianco a quel “K+B”. Passo un dito sul foro e sento che è ancora caldo, è stato Blaine. In quel momento incomincio a guardare in ogni angolo in cerca di qualche traccia di sangue, mi sento un pazzo mentre controllo ogni singolo filamento di erba e ogni sasso e su ogni ramo le sue foglie. Ma non trovò niente, forse è stato un colpo a vuoto o forse ci ha provato ma non ci è riuscito, questo mi solleva e preoccupa allo stesso momento perché forse ci vorrà riprovare e non può, non lo accetto. Sbatto un pugno contro la corteccia, più e più volte, fino a che le nocche non incominciano a sanguinare e poi mi fermo. Mi lascio scivolare sul tronco e chiudo gli occhi, forse non sta troppo lontano o forse sta ritornando qui e potrei sentirlo e da lì ci metterei un secondo a trovarlo. Una folata di vento mi accarezza il viso e respiro l’aria pulita a pieni polmoni cercando di tranquillizzarmi. Poi sento un urlo e riconosco la voce, già questa mi fa saltare in piedi e cerco di capire da dove provenga per poi seguirlo prima che si disperda nel silenzio del bosco. Poi uno sparo squarcia la calma e le mie gambe si mettono in moto, più veloce di prima, ma quando sento un altro urlo questo mi da speranza, forse non ci è riuscito nemmeno questa volta. Forse ho ancora tempo. Ma dopo un urlo c’è sempre un altro sparo che mi echeggia dentro la testa e che mi porta a correre più forte. Non può essere. No. Ho passato metà della mia vita a cercare di salvare la gente perché con lui non ci sono riuscito? Continuo a correre mentre compongo il numero del pronto soccorso, so che è troppo tardi ormai, ma voglio sperare che non si sia colpito in un punto vitale, forse lo posso ancora salvare. Arrivo alla raduna spettatrice della sua sparatoria, lo vedo come sta ancora in posizione eretta con in mano la pistola, gli urlo di fermarsi mentre gli corro incontro. Lui si gira verso di me e mi sorride. Si porta vicino al viso la pistola e preme il grilletto. TBC. . .
. . .FOR THE VERY LAST TIME. . . Beth’s Corner Buonasera, ebbene sì questo è l’ultimo capito e il prossimo sarà l’epilogo. Mi viene da piangere. Pensavate: ma guarda questa c’aveva detto fra dieci giorni e nemmeno si è vista. Malfidati. È ancora il 30 e siamo in orario, però come sapete la scuola è una brutta bestia e per sopravvivere occorre studiare tanto e io e la beta ne sappiamo qualcosa. E io ho appena finito di ripassare. . . Sempre caro mi fu quest'ermo col- Sto divagando per non parlare del finale? Acuti, molto acuti. Il finale. Come scena è stata una delle prime che ho pensato, ho iniziato questa storia con quest’immagine negli occhi, come se fosse una spada di Damocle che incombeva su di loro, non importava cosa ci mettevo in questi vent’uno capitoli tutto mi avrebbe portato qui. Ora non so quanti siano delusi per questo finale non finale, perché c’è sempre l’epilogo che ci attende, però il film finisce così e a me piace tenermi quel 2% alla trama del film. Però io mi sono sempre chiesta: ma dopo il salto che succede? Alcune volte penso che si salva, altre che non salti proprio. E Blaine? Lui è una storia diversa. Il prossimo capitolo sarà. . . particolare e spero che vi piacerà, lo spero tanto. Grazie mille a tutti che sono rimasti e mi hanno fatto compagnia con la loro lettura per ogni aggiornamento, grazie. Mi piacerebbe sapere che ne pensate di questo capitolo e se volete sapete dove cercarmi, sono sempre disponibile. Alla prossima, buona notte a chi legge ora, buongiorno a chi leggerà domani mattina e, okay me la smetto qui. :) Love always, Beth <3 Ps: DFTBA. (Don’t Forget To Be Awesome.) |
Capitolo 23
*** Millions of second of perspective later ***
Blaine
e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di
proprietà del nostro Ryan
Murphy, pelatone fortunato; *sigh* Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro (mi fa sempre ridere scriverlo), ma è stata fatta solo per il puro piacere di scrivere di quei due baldracchi che mi hanno rubato il cuore.
Millions of second of perspective later. . .
You can't know what an experience will mean to future you
until you are future you. You need millions of second of perspective. (John Green) “Sveglia sveglia campione! Dobbiamo fare tante cose oggi.”
Disse il padre scuotendo delicatamente la piccola spalla del figlio che come sentì il padre alzarsi per andare dalla sorella richiuse gli occhietti per ritornare a dormire. Durante le vacanze provar a far alzare i suoi figli ad un orario decente era un’impresa che sfiorava la soglia dell’impossibile. Ma quel giorno ricorreva un anniversario, che era legato ad un promessa fatta anni fa, perciò non poteva tardare. Guardò l’orologio a forma di Buzz Lightyear del figlio e constatò che all’ora dell’atterraggio del marito mancavano ancora circa tre ore, ce la poteva fare, dopo tutto era stato due settimane senza la sua presenza poteva farcela, solo un ultimo piccolo sforzo, mancava poco ormai e non vedeva l’ora di poter riabbracciarlo un’altra volta, di baciarlo e. . . “Papà?” “Dimmi tutto principessa.” Le disse prendendola fra le braccia per poi lasciarle un tenero bacio sulla fronte per darle il buongiorno e la piccola ricambiò subito dandogliene uno sulla guancia per poi scoppiare a ridere per via della barba di due giorni che gli decorava il viso. “Perché dobbiamo passare nel posto che ti rattrista sempre prima di andare a prendere dada?” “Perché ho promesso ad una persona speciale che ci sarei andato, ad ogni anniversario, alle undici spaccate e sai che mantengo sempre le promesse.” Lei le sorrise e poi fece segno di farla scendere e andò dal fratello che ancora dormiva sperando di riuscire a farlo svegliare. Lui la guardò fino a quando non scomparì sotto le coperte del fratello, gli voleva fare uno scherzo e il padre semplicemente rimase lì, fermo ad osservarli perché mai avrebbe immaginato un futuro del genere, mai avrebbe immaginato di poter dire di stare bene con se stesso. Di dire “sono felice” senza avere paura perché ad un certo punto capisci che il passato è solo. . .passato, non puoi cambiarlo perché non puoi tornare indietro e darti uno schiaffo pur di fermarti nell’istante in cui prendi quella decisione che cambierà tutto. Non puoi, devi solo imparare a conviverci. Ci mise troppo tempo a comprenderlo, ma ora che aveva loro sapeva che niente lo avrebbe più portato affondo. Quando sentì delle risate provenire da sotto le coperte capì che la sua piccola era stata più brava di lui nella sveglia, il solletico era sempre un’arma micidiale, e per questo si incamminò tranquillo verso la cucina, ma prima di uscire doveva dire quelle paroline magiche che avrebbero fatto alzare presto dal letto il figlio anche di domenica mattina. “Vado a riscaldare i muffin al cioccolato bianco e pere.” Non finì di dire la parola bianco che già la sua piccola furia si era lanciata da fuori le coperte per dirigersi in cucina. Padre e figlia si guardarono per poi scoppiare a ridere. **** “Quanto manca?” Il padre guardò il figlio dallo specchietto retrovisore e gli uscì uno sbuffo divertito dalla bocca. “Tesoro chiedermi ogni minuto quanto manca non accorcia la strada, purtroppo occorre andare un po’ fuori città ma ci siamo quasi, un altro po’ di pazienza.” “Papà perché non ci hai mai portato lì?” “Perché non è un bel posto.” “Perché?” “Perché lì è in bella mostra tutto ciò che hai perso nel corso del tempo, poi non è un posto adatto per bambini piccoli.” “E perché oggi?” “Perché noi non siamo più bambini piccoli, abbiamo sette anni e tre quarti, siamo grandi.” “Oh certo campione, ma come mai tutte queste domande?” “Dada dice che non si deve rispondere con una domanda.” Disse risoluto il figli e quando il padre alzò gli occhi verso di lui vide lo sguardo che aveva sempre il marito quando lo riprendeva, scollò la testa ripensando al vecchio detto: “tale padre tale figlio”. “Oggi perché non c’era nessuno disposto a farvi da babysitter e comunque prima o poi dovevate fare la sua conoscenza.” “Ma la conoscenza di chi?!” “Una persona speciale per me, molto speciale.” “Ma non è dada la tua persona speciale?” “Quel lui è stato la mia prima persona speciale, piccola.” “No, non è vero. – disse alzando la voce in tono indignato la bambina puntatogli contro il suo ditino – Non può esistere una persona più speciale di dada.” Il padre fermò la macchina al semaforo rosso e si girò per guardare la figlia, le sorrise teneramente. La piccola aveva un debole particolare per suo marito. “Allora diciamo che lui è stata la mia persona quasi-speciale e che prima di capire cosa fosse realmente una persona speciale ho dovuto aspettare dada. Può andare?” Le chiese sornione il padre e la piccola annuì. Arrivarono alla meta dopo che il quattordicesimo “ma siamo arrivati?” venne chiesto. ***** “Bambini ritornate qui subito! Prendete la mia mano e fate i bravi, non è un parco a tema questo, abbiate rispetto. Su da bravi venite qui.” Con un po’ di difficoltà il padre riuscì a farli star buoni e riuscirono ad arrivare alla tomba vicino all’angelo, non seppe come riuscì a prendere la mano del figlio tenendo nello stesso tempo le rose gialle e rosse senza farle cadere o rovinarle, ma quando si trovò di fronte la sua lapide si lasciò sfuggire un sospiro sollevato perché gli iniziava a far male la mano e finalmente poteva posare da qualche parte i fiori. Si inginocchiò e passò una mano delineando ogni lettera dorata in rilievo, delicatamente. “Ne è passato di tempo eh? Mi dispiace ma come vedi ho lo mie buone motivazioni: due pesti.” Disse il papà alla lapide come se stesse parlando ad un vecchio amico di fronte ad una tazza di tè nel soggiorno di casa sua. I bambini guardarono attentamente quella lastra di pietra con delle lettere sopra e si scambiarono uno sguardo perché loro non avevano mai sentito quel nome tranne che. . . “Ma è il nome di uno dei principi delle tue storie!” Disse la bambina che riconobbe quel nome, le piaceva molto il suono il suo papà aveva un modo tutto suo di dirlo, sembrava che assaporasse ogni lettera, le piaceva come risuonasse nella loro stanzetta illuminata dalla lucina vicino al suo lettino. Il padre si girò verso di loro e le sorrise annuendo. Quello era uno dei metodi che aveva adottato per farlo continuare a vivere attraverso i ricordi. Il maschietto, che era rimasto in disparte, si avvicinò piano alle spalle del padre perché voleva vedere a quale principe si trovavano di fronte. “Ma perché ha il mio secondo nome, papà?” L’uomo aprì le sue braccia per invitare il figlio a venire ancora più vicino a lui, il padre sapeva che quel giorno prima o poi sarebbe arrivata perché per quanto non si poteva pensare al proprio passato esso ti veniva a cercare e non poteva pensare ad altrimenti visto che aveva messo proprio quel secondo nome al figlio. “Vi abbiamo raccontato di come siamo divenuti una famiglia, vero?” “Sì, quando è nato il cuginetto la cicogna aveva con se anche noi perché aveva trovato i due papà migliori a questo mondo disponibili a prenderci con loro.” Disse la bambina che si aggrappò forte al braccio del padre posando la sua testolina piena di ricci sulla sua spalla. “Esatto, ha trovato noi. Quando ti vidi per la prima volta sai cosa ho pensato, piccolo? ‘Ecco, qui c’è lo zampino del mio migliore amico, non ci sono dubbi. Lo si può definire un miracolo?’ Non credevo a ciò che avevo di fronte, i tuoi occhietti mi catturarono già dal primo sguardo, erano dei piccoli frammenti di cielo, molto simili ai suoi. In quel momento pensai che avrei fatto di tutto pur di vedervi felici, io e tuo padre ci eravamo sposati da pochi anni e raramente avevamo pensato di allargare la famiglia, ma stranamente il momento in cui meno te lo aspetti diviene il ‘momento perfetto’. Eravamo pronti a diventare papà. Così al nostro duo si aggiunsero anche quei due pargoletti chiamati Andrew Kurt e Emily Elizabeth Smythe-Anderson.” Gli diede un bacio sulla loro testolina fra i ricci rossicci dopo aver detto i loro nomi. I bambini non capirono tutto ciò che gli avesse detto il padre, ma una cosa era certa. “Papa forse questo Kurt era un persona più che quasi-speciale se ci ha portato da voi.” Disse la piccola Emily facendo commuovere suo padre che liberò dalla presa delicata il suo braccio solo per poter stringere entrambi forte a se, stretti vicino al suo cuore. Ed era quando si trovavano stretti in quegli abbracci che sembravano non finissero mai che Blaine ringraziava quella forza invisibile che quel giorno lo aveva avuto tra le sue grazie e che gli aveva dato una seconda possibilità. Gli aveva dato la possibilità di risorgere dalle sue paure diventando un uomo migliore, capace di pensare al passato senza provare delle fitte allucinanti all’altezza del cuore. Non fu un cammino facile, passò dei mesi in cui non riusciva a immaginare un domani, un futuro, benché Sebastian ogni giorno, finito il suo turno, lo andava a trovare, ma Blaine non gli permetteva mai di entrare e forse fu questo uno dei suoi sbagli peggiori. Perché fu quando lasciò la porta aperta al biondo che gli sembrò di tornare a respirare ancora. Quel giorno non poteva immaginare quante cose meravigliose avrebbe perso fino a quando non le conquistò. _______________________________________________________________________________________ Lui si gira verso di lui e gli sorride. Per un’ultima volta. Si porta vicino al viso la pistola e preme il grilletto. Poi lo preme ancora, ma a vuoto per la seconda volta di fila. Perciò ci prova un’altra volta, ma niente ancora, continua a premerlo benché non ci fossero più dei proiettili a disposizione. Sembra un pazzo, cieco di disperazione. Lancia la pistola con un gesto rabbioso lontano da lui. Si accascia a terra urlando e piangendo. Urla che non vuole più far parte di questo mondo e vorrebbe che quelle maledette porte di quell’inferno che gli hanno promesso si aprissero sotto ai suoi piedi. E Blaine urla, tanto da fargli male la gola. Urla finché non la sente che brucia. Urla e non percepisce nemmeno le braccia di Sebastian che gli avvolgono il busto, che lo fa dondolare avanti e indietro per farlo tranquillizzare. Non sente nemmeno tutti i “si sistemerà tutto, te lo promesso”, “ce la faremo”, “io non ti abbandono”, “andrà per il meglio” di Sebastian perché è troppo forte l’oscurità che lo circonda. Le lacrime continuano a cadere copiose sul braccio di Sebastian, scivolano veloci sulla sua pelle per poi finire la loro corsa sul prato morbido. Sebastian lo tiene stretto a se fino a quando le urla si affievoliscono e le lacrime incominciano a seccarsi, pian piano in quella piccola raduna ritorna il silenzio che è intervallato solo dai respiri pesanti di Blaine. Sebastian lo tiene stretto fino a quando Blaine non decide di alzarsi, lo guarda e nel suo viso non traspare alcuna emozione e in quel momento il francese capisce che il proiettile non sarà andato non avrà colpito la sua carne, ma qualcosa dentro di lui si è rotto uccidendolo un poco e per rimettersi in piedi ci impiegherà più di quanto immaginasse. Sebastian lo ristringe fra le sue braccia e Blaine risponde alla sua stretta aggrappandosi a lui con se avesse paura che da un momento all’altro non potesse fare che frantumarsi in mille piccoli pezzi, si sente così debole. Anche Sebastian si aggrappa a lui, per paura, per paura di perderlo un’altra volta. Gli bacia la fronte bagnata come muta promessa di restare per sempre al suo fianco, non l’avrebbe riabbandonato un’altra volta e in cuor suo sa che sì, ci vorranno mesi, anni, prima di ritornare alla normalità ma un giorno il sole ritornerà a risplendere nella sua vita. Necessiteranno di molta pazienza, ma alla fine sa che ne sarà valsa la pena. ******* “Papa mi prendi in braccio e mi metti sulle tue spalle? Ho paura che daddy poi non vede il cartellone!!” “Vieni qui, Andrew. Anche se non so quanto dada ti possa essere d’aiuto per sembrare più alto.” Disse scherzando sulla sua altezza e poi con un movimento fluido se lo mise sulle spalle e il bambino incominciò ad agitare le sue gambine colpendo di tanto in tanto il colpo del padre. “Calma campione che così mi giochi lo sterno.” Gli disse bloccandogli le gambine e per poi massaggiarsi il petto. “Scusa papa.” Fece il bambino con tono triste per poi appoggiare il suo mento sopra alla testa del padre incominciando a giocare con i suoi ricci mettendo il broncio, odiava restar immobile per troppo tempo, con l’altra mano metteva in bella mostra il cartello che aveva fatto per Sebastian. Ma quando vide che dall’uscita del gate si incominciarono a vedere i volti dei passeggeri Emily e Andrew incominciarono a battere le mani e a urlare il nome nel padre e Blaine scommetteva che a fine giornata si sarebbe ritrovato con tutto il petto abbozzato. “Andrew. Stai. Fermo. O. Ti. Metto. Giù.” Gli disse a denti stretti senza ottenere alcuna risposta e quando gli prese le braccia sottili si bloccò come intravide la sagoma del marito che avanzava verso di loro facendo slam fra la gente, Andrew come vide che l’altro suo papà li aveva visti fece di tutto pur di ritornare con i piedi per terra per poi corrergli incontro affiancato dalla sorella. Sebastian come li vide posò le valige a terra, si inginocchiò per poter stare alla loro altezza e aprì le braccia come invito per fiondarsi su di lui e i gemelli non se lo fecero ripetere due volte. I due si aggrapparono al suo collo e lo ricoprirono di baci e si “mi sei mancato tanto daddy”, Sebastian li strinse forte a se e rimasero in quella posizione fino a che i gemelli pensarono di aver dimostrato al loro papà quanto gli era mancato, nel frattempo Blaine si era avvicinato lentamente al resto della sua famiglia, guardando suo marito con quella luce negli occhi tipica di chi si è appena innamorato, prese la valigia del marito e si beò di quella scenetta che riscaldava il cuore a tutti coloro che gli passavano vicino e si fermavano a guardarli. Quando i bambini lasciarono la presa sul collo del padre questo fu finalmente libero di respirare a pieni polmoni ancora e poté alzare lo sguardo sul marito, Sebastian si alzò di scattò e si perse nei suoi occhi che per due settimane aveva visto solo attraverso lo schermo del suo computer. Rimasero fermi fino a quando di colpo Blaine non fece cadere le valige che aveva da poco preso in mano e ricoprì la distanza che li separavano in due falcate e ben presto si ritrovò fra le braccia del marito. Sebastian gli lasciò una scia di piccoli baci umidi su tutta la sua mandibola fino a che non arrivò al suo orecchio per sussurragli che gli era mancato e Blaine lo strinse più forte. “Ehi sono tornato, vacci piano, non me ne vado più via.” Gli disse gentilmente Sebastian facendogli allentare di poco la presa sulla sia vita chiedendosi da dove venisse tutta questa necessità di stringerlo così forte e poi gli venne in mente che giorno era quello e capì il motivo perciò gli lasciò un bacio veloce e delicato sulla labbra, che passò inosservato agli occhi di tutti tranne quelli degli figli che incominciarono a ridere. Sebastian appoggiò la sua fronte su quella del marito ignorando i risolini dei figli. “Come stai?” “Ora bene.” “Sicuro?” “Sì, tutta passa quando sto con voi. Tranquillo.” “Okay. Torniamo a casa?” Gli chiese Sebastian accarezzandogli delicatamente la guancia ruvida per via della barba non fatta. “Torniamo a casa.” “Finalmente.” Disse Sebastian con un sorriso sulle labbra che ancora a distanza di anni faceva fare delle capovolte allo stomaco di Blaine che si chiese se prima o poi questo effetto potesse scemare mai, ma quando Sebastian sorrise ai figli, capì che no, non gli sarebbe mai passato. I bambini gli presero le mani lasciando da parte Blaine con le valigie, Sebastian girò la testa verso suo marito alzando le spalle a mo’ di scuse mentre Emily continuava a parlare di quello che avevano fatto nella sua assenza e Andrew gli chiedeva se era riuscito a leggere il suo “DADA SEBASTIAN. Bentornato!!!!” e tutto allo stesso tempo, il genitore francese si ritrovò ad annuire senza sapere a cosa annuiva, confidava che si sarebbe fatto raccontare tutto più tardi, nella tranquillità della loro casa, aveva bisogno di calma e del suo adorato divano, il jet lag incominciava a farsi sentire e incominciò ad odiare ancora di più quel convegno a Berlino. ******* Se Sebastian credeva che i figli gli lasciassero cinque minuti di pace per poter respirare si sbagliava e di grosso. I gemelli fecero vedere al padre tutti i disegni che avevano fatto quella settimana, Andrew fece sentire al padre quello che Blaine gli aveva insegnato a suonare quella settimana e così fece Emily e poi venne l’ora della merenda e i bambini pregarono in tutte le lingue del mondo il padre di cucinare i pancake e invano andò il fiato dei genitori che gli ricordavano che quello si mangiava a colazione e ora non era colazione, ma Sebastian non riuscì ad essere fermo come sempre, per via della stanchezza e degli occhi che si facevano pesanti, perciò dopo aver bruciacchiato un pancake servì ai figli quella colazione che gli era mancata tanto perché Blaine era si un bravo papà ma i pancake di Sebastian erano Buonissimi, con la b maiuscola, come diceva Andrew. Quando ebbero la pancia piena Sebastian guardò con occhi sognati quel divano che spiccava invitante e comodo dal soggiorno chiaro e pian piano si mosse nella sua direzione, ma i bambini lo ripresero per mano per portarlo nella loro stanzetta perché gli voleva far provare il loro nuovo gioco che Blaine gli aveva comprato. Sebastian maledisse mentalmente suo marito e si lasciò trascinare nella loro cameretta a giocare alla nuova versione del Monopoli con i personaggi del nuovo cartone che tanto piaceva ai figli e che mai si sarebbe ricordato il nome. Quando Blaine finì di pulire la cucina e dopo aver messo il voto agli ultimi compiti, che ancora gli mancavano da correggere, andò a fare compagnia al trio sperando di trovare il marito con gli occhi ancora aperti e vide che Sebastian aveva gli occhi che si stavano per chiudere, ma era anche nel pieno del gioco e mai avrebbe venduto ad Andrew quella proprietà che valeva un sacco di soldi. “Ma dai che è un affarone papà!!” “Andrew con la tua proprietà, che vale un quarto della mia, cosa ci dovrei fare? E perché dovrei comprartela?” “Perché sono tuo figlio e vuoi il mio bene?” Chiese con ovvietà il piccolo facendo ridere il genitore riccio che prese posto alle spalle di Sebastian che come se lo sentì dietro rilassò la schiena facendola aderire al petto di Blaine che gli lasciò un bacio sul collo. “Bravo papa distraimelo che così mi vende la proprietà.” “Andrew!” Disse in coro in due genitori. “Che c’è è vero! Papa continua!!” “Questo è stampo Smythe, mio caro.” Gli sussurrò il moretto e rimase fermo al suo posto stringendo a se Sebastian e osservò il gioco da sopra della spalla del marito e quando i battibecchi sulla proprietà cessarono e ritornarono ad un gioco tranquillo, Blaine senza accorgersene si ritrovò a baciargli il collo, mordicchiandogli la pelle di tanto in tanto distraendo completamente Sebastian dal gioco che si bloccò con i dadi a mezz’aria quando sentì la mano di Blaine che stava scendendo sempre giù. In quel momento la distanza in quei giorni si fece sentire ancora di più e il sangue gli fluì in posti in cui non doveva fluire in quel particolare modo di fronte ai figli. “Daddy? Ma stai bene? Ti stai gonfiando, non è che non eri più abituato ai pancake e ti stanno facendo la bua?” Blaine immediatamente si bloccò e guardò prima il collo arrossato di Sebastian e poi il rigonfiamento che diceva la loro Emily, che non era dovuto a nessun pancake, e veloce andò a prendere un cuscino per far coprire il marito, quando riprese il suo posto Sebastian gli diede una gomitata che fece star buono Blaine per il resto della partita. “Ti sei messo d’accordo con Drew a chi mi fa più male?” Gli sussurrò dopo aver ricevuto il colpo. “Cosa mi dici sempre?” Gli chiese a denti stretti. “Non di fronte ai bambini, lo so, lo so. Ma. . .” “Lo so, lo so. Ma ora stai buono. E non distrarmi, voglio vincere.” ******* “Oh bontà divina!” Borbottò Sebastian prima di buttarsi a peso morto sul letto andando a nascondere la sua testa sotto al cuscino di Blaine. “Non devi provare a ridere o fare quella faccia, Anderson.” Blaine tossì per camuffare la risata e ritornò a sbottonarsi la camicia per mettersi la t-shirt reduce dagli anni all’Università che aveva frequentato dopo essersi ripreso dal suo periodo più buio. A Blaine piaceva accerchiarsi di tutto ciò che costituiva la sua ripresa e non lo faceva per vanità, come per metter in mostra la sua forza, per lui era come un promemoria di tutto ciò che poteva non aver vissuto e un giorno, quando sarà anziano, si sarebbe guardato indietro e avrebbe visto che tirando le somme tanto male nella sua vita non l’aveva fatto, che aveva vissuto una vita senza rimpianti, piena di amore, che legava il suo cuore a quello del marito e a quello dei figli con un doppio filo rosso, che mai si spezzerà, piena di esperienze che l’hanno fortificato rendendolo ciò che è adesso. Gli aveva promesso che avrebbe vissuto anche per lui e mai avrebbe mancato la parola ad una promessa data. “Che faccia?” “Quella da ‘ mio marito è adorabile quando gioca con i bambini e anche quando è stanco e uh-oh sedere’. Quella faccia.” “Era da tanto che non mi chiamavi Anderson.” “Non cambiare il discorso.” “Però è vero sei adorabile quando giochi con i bambini.” Gli disse sorridendogli sornione e per tutta risposta ricevette un rantolo proveniente da sotto al cuscino, Sebastian odiava quando passava per quello ‘adorabile’. “E quando sei stanco.” Blaine si mise la maglietta e con un gesto rapido si tolse i pantaloni per poi sedersi a gambe incrociate di fianco a Sebastian passandogli una mano fra i capelli. “Non pensavo di avere una faccia speciale per il ‘uh-oh sedere’.” Gli disse dopo essersi abbassato per poterglielo sussurrare direttamente sull’orecchio facendogli anche un po’ di solletico. “Arricci le labbra in un sorriso strano e gli occhi ti si scuriscono sempre, l’ho notato parecchi anni fa quando ti trovai imbambolato e col tempo l’ho imparata a riconoscere perché la fai sempre.” Blaine rise e scosse un po’ la testa per poi mettersi a cavalcioni sopra a Sebastian incominciando a massaggiargli la schiena, il francesino come sentì le mani del ricciolo che si muovevano esperte si rilassò completamente affidandosi a lui. “Ma che hai fatto 16 ore di aereo? Senti te come sei teso.” “Ho fatto uno scalo lungo a Francoforte, non da meno è stato quello di Chicago. Odio quelle sedie nella sala d’attesa. Per non parlare dei bambini.” “Gli sei mancato, non sono abituati a starti lontano per così tanto tempo.” “E tu?” “Oh ma io non vedevo l’ora che partissi per Berlino, sono stato a meraviglia!” Disse scherzando Blaine e il calcio da parte di Sebastian non tardò a venire, per via del colpo il moretto perse per un attimo l’equilibrio e si ritrovò sopra al marito mentre si toccava il punto dolorante. “Ma ti pare il modo?” Gli chiese mugugnando contro la sua spalla. “Non è una cosa da dire quella che hai detto.” “Ma ti sei rincretinito in queste settimane o è il jet lag che non ti fa capire il sarcasmo? E poi come diamine ci sei riuscito a colpirmi il fianco?” “Ho le gambe lunghe.” Fu la sua giustificazione. Poi Blaine rotolò su di un fianco e fece per alzarsi quando Sebastian lo bloccò per un braccio. “Scusa per prima, non volevo farti male e-” “Mi hai dato un calcio.” Ribatté Blaine. “Non fare il bambino piagnone, killer. Rimani qui, non ti alzare per favore, non volevo farti andare via.” E Blaine si sciolse sotto lo sguardo di quegli occhi dispiaciuti e appannati per la troppa stanchezza, perciò si ristese al suo fianco poggiando la testa sul suo petto e stettero in silenzio per un po’. Blaine si fece cullare dal battito del suo cuore finché non iniziò a fargli delle domande. “Che hanno detto i bambini quando gli hai portato i fiori per l’anniversario?” “Emy inizialmente era tipo ‘non esiste persona più speciale di daddy, cosa stai dicendo papà?’ –disse Blaine imitando la voce di quel personaggio di quella serie che andava di moda negli anni ’80 – però quando gli ho spiegato il perché abbiamo scelto proprio Elizabeth e Kurt come loro secondi nomi Emy mi ha detto che se lui li aveva guidati fino a noi forse un po’ speciale lo era.” “Non ti hanno chiesto nient’altro?” “Emily voleva sapere il perché di ‘Elizabeth’. Sai per il fatto di sua madre, si chiamava così e diceva sempre che se mai avesse avuto un figlia l’avrebbe chiamata così, già da piccolino lo sapeva. Sai a nove anni gli nacque una cuginetta e passammo un’intera giornata insieme a Burt a trovare un nome, se ne uscì con quel nome e lo incomincia ad amare.” “Anche a me è sempre piaciuto.” “Infatti quello fu l’unico nome che impiegammo poco tempo a raggiungere un accordo.” “Tu e il tuo Philippe.” “E allora il tuo Theodore?” Ribatté Sebastian. “Era bellissimo.” “Si poi ci mancava che nascesse con la voce da scoiattolo e avremmo fatto una fortuna!” “Chipmunk, sono chipmunk. Theodore è un nome bellissimo. Theodore Smythe-Anderson.” “Ma Andrew ancora di più.” “Infatti alla fine mi hai convinto.” Poi un altro silenzio cadde fra i due, Blaine voleva chiedergli una cosa, ma non trovava la forza per aprire la bocca. Per un po’ si limitò a disegnare dei cerchi immaginare sull’avambraccio di Sebastian. “Ti capita mai di pensare a quante cose potremmo aver perso se quel giorno io. . .se quel giorno io, mi hai capito, vero?” Sebastian prese dei bei respiri profondi e poi si tirò un po’ su facendo girare dalla sua parte Blaine, aveva parlato sempre con lo sguardo fisso sul muro, gli accarezzo delicato la guancia e stirò la sua bocca in sorriso sottile prima di aprire la bocca. “Ci penso spesso, è più forte di me. Ormai è l’unico incubo che mi fa compagnia di notte, di tanto in tanto, però quando apro gli occhi e ti trovo al mio fianco mi sento subito meglio e ritorno a respirare. Sai per un secondo ho avuto una specie di sparo nelle mie orecchie che mi ronzava in testa, ma era più un flebile eco della catastrofe che essa stessa, credevo veramente di averti perso, per sempre. Perché me lo chiedi?” “Perché io alcune volte non riesco a pensare ad altro. Ci sono giorni in cui mi salta alla memoria e riesco a pensare solo a quello.” Sebastian gli prese il volto fra le sue mani e premette le labbra sulla sua fronte, rimasero così per un po’. “Ne abbiamo già parlato, amore, non c’è niente di cui dover parlare ormai. Sei qui ed è quello che conta, lo so che giorni come oggi sono pesanti per te, ma cosa abbiamo detto una volta che abbiamo deciso di riprovare ad essere un noi?” “Archiviamo il passato, non pensiamoci più e annulliamolo costruendoci sopra una nuova vita insieme.” “Conta solo quello che abbiamo ora, conta solo il nostro amore, lo senti? – gli chiese portando la sua mano sul cuore per fargli percepire il battito che palpitava – contano i nostri figli. Hai visto? Gente che credeva che non potevamo avere una famiglia tutta nostra, ma non ce la stiamo cavando male e la dimostrazione sta in ogni loro sorriso. Non è più il tempo per pensare ai nostri sbagli o alle nostre colpe o a ciò che pensiamo che avremmo potuto fare, okay? Non possiamo tornare indietro, non abbiamo alcuna possibilità di cambiare il passato. Però possiamo decidere se passare la nostra vita a pensarci e a riempirci di se o fare qualcosa che ci permetta di alleggerire il peso che grava sulle nostre spalle. Ci siamo salvati a vicenda, due barche alla deriva che si incontrano in mare aperto e unendo la forza sono riuscite a tornare sulla riva. Siamo qui, ora, pensa a questo e non tormentarti ancora, non voglio perderti un’altra volta.” “Non l’ho mai fatto.” “Ti ho perso nel momento in cui ti ho detto la verità, qualcosa si era rotto, B.” “Ti avrò pure detto delle cose che ti potevano ferire, ma non pensare per nemmeno un secondo che io non ti avrei più voluto al mio fianco. Lo sai.” Sebastian annuì e Blaine se ne ritornò fra le sue braccia, Smythe lo strinse ancora più forte di prima a se, come se avesse paura si avere fra le braccia un sogno, qualcosa di non tangibile e che poteva scomparire in un battito di ciglia. La mano di Blaine era salda sul braccio di Sebastian come se la sensazione di stare alla deriva fosse ancora viva dentro si se e aveva bisogno di un’ancora a cui aggrapparsi. Stretti in quel abbraccio chiusero gli occhi aspettando la venuta di Morfeo, ma ben altri bussarono alla loro porta socchiusa. La testolina dei bambini spuntò dalla porta e aspettarono che i genitori gli dicessero qualcosa. Blaine teneva ancora gli occhi chiusi, come se fingesse di star dormendo anche se il sorriso che aveva lo tradiva, Sebastian invece puntava i suoi smeraldini che si erano addolciti come videro i ricci rossi dei figli emergere dalla porta, strinse a se il moretto e lo scosse un po’. “Abbiamo ospiti.” Gli disse nell’orecchio Sebastian per poi lasciargli un bacio svelto sulla guancia e con un movimento della mano fece capire ai figli che potevano entrare. I bambini come arrivarono davanti al loro letto incominciarono a darsi delle gomitate e si scambiarono degli sguardi per mettersi d’accordo su chi doveva parlare e nessuno dei due era deciso a fare il primo passo. “Ci chiedevamo se. . .” Incominciò Emily. “. . .possiamo dormire nel lettone con voi.” Finì per lei Andrew, i genitori si guardarono e si sorrisero. “Le sapete le regole bambini: ognuno dorme nel proprio lettino.” “Ma-ma Emy ha avuto un incubo!” Ribatté Andrew e per tutta risposta Emily gli colpì la spalla. “Non si fa quello Emily!” La ripresero i genitori all’unisono. “Ma non è giusto! Dice che sono sempre io che ho paura!” “Ma sei una bambina tu, ovvio che hai paura!” “Daddy! Papa! Non è vero che ho paura.” “Chiedetevi scusa a vicenda.” “Ma-” “Niente ma. Non si danno né i pugni né si dicono quelle cose.” I bambini si guardarono e sbuffarono. “Scusa!” Dissero in coro per poi mettere il broncio. Sebastian rise e aprì il braccio, che non faceva d’appoggio alla testa di Blaine, e si spostò un po’ più a destra per far spazio ai gemelli, per far capire ai bambini che avevano il loro consenso di salire sopra il letto e i due non se lo fecero ripetere due volte. Emily prese possesso del lato destro del corpo di Sebastian e Andrew invece si mise in mezzo ai suoi due papà e felici i gemelli si strinsero forte a lui. “Se quando ritorno mi riempite di così tanti abbracci vado via più spesso!” Disse scherzando Sebastian suscitando negli altri tre tutt’altro che ilarità. “No.” Gli disse Blaine fulminandolo con lo sguardo dandogli un sbuffetto sulla nuca. “Papa non si danno le botte. . .” “E dada non si dicono certe cose!” Li ripresero i bambini per poi mettersi a ridere e si dettero il cinque, i genitori si guardarono e alzarono le spalle come per dire ‘ce la siamo cercata’. I bambini sbadigliarono e si accomodarono meglio al fianco di Sebastian, Blaine guardò prima i gemelli e poi il marito e si sorrisero ed entrambi pensarono alla stessa cosa: non c’era bisogno di pensare al passato ormai, non da quando hanno loro che riempiono ogni momento libero della giornata. E Sebastian sotto questo punto di vista aveva ragione. “Non vi state dimenticando una cosa, piccoli? – Andrew e Emily lo guardarono confusi così come Sebastian – il bacio a papà.” Detto questo gli porse le guance e insieme i gemelli lo assalirono e Blaine fu rapido a prenderli per la vita nel momento in cui se li trovò su di lui, lo riempirono di piccoli bacetti e quando finirono il loro papà gli lasciò un bacio sulla fronte e poi se ne ritornarono a dove si trovavano prima. Sebastian accarezzò la schiena della figlia prima di stringerla più forte a se e così fece pure con la spalla di Blaine, quest’ultimo invece passò il braccio prima sopra al fianco sottile del figlio per posare la mano su quello di Sebastian e stretti in quell’abbraccio si addormentarono. La stanza rimase per un po’ immersa nel silenzio che veniva rotto solo per via dei respiri che man mano si facevano più profondi e regolari, ma era un silenzio che era destinato a non durare ancora per molto. “. . .Bas?” “Mhm.” Blaine fece forza sul suo fianco per poter alzare il busto fin quanto gli bastava per avere libero accesso alla labbra di Sebastian e si scambiarono un bacio che dapprima era solo un semplice sfiorarsi ma dopo si fece più profondo volto a riscoprirsi, un’altra volta. Quando si staccarono avevano gli occhi lucidi e avevano il cuore più leggero. “Ti amo, Bas.” Gli disse a mezza voce Blaine. “Ti amo anch’io, killer.” *********** Vedete quei due uomini che tengono per mano due gemelli, un maschietto e una femminuccia? Che di tanto in tanto si scambiano sguardi di nascosto e osservano l’altro quando questo non presta attenzione? Vedete la loro felicità nel loro sguardo? Vedete nei loro occhi quel luccichio che caratterizza il primo incontro, quello del colpo di fulmine? Vedete nei loro sorrisi quella felicità che ti pervade quando sai che sei arrivato quasi in cima e che manca poco oramai prima che tutto si prospetta sotto ai tuoi piedi? Vedendoli pensate che in loro c’è qualcosa di rotto, qualcosa di accomodato a fatica e sangue? Ovvio che no. Ora li vedete felici e guardandoli attentamente non siete capaci di catturare quella flebile ombra in fondo allo sguardo del tuo psicologo, colui che ti ha sempre aiutato a a venir fuori dai tuoi incubi e mai credereste che proprio lui è uscito da pochi anni dal suo. Lui è colui che ti sta aiutando e in un certo modo ti sta salvando, e mai nei suoi modi potreste capire che proprio quella persona così sicura di se una volta vide le sue certezze crollare, una ad una. Colui che salva vite di continuo un giorno credette di non aver saputo trovare un modo per salvare l’unica persona che abbia mai amato. Oppure mai potreste immaginare che proprio quel tuo professore un po’ pazzo e un po’ troppo euforico e logorroico per un periodo della sua vita ha vissuto nell’ombra e non parlò per un po’. Se te lo raccontasse gli rideresti in faccia perché non ti sai immaginare quel viso eclissato del suo sorriso dolce. Sapete qual è il loro segreto? Sapete come riescono a non far trapelare niente di loro ad occhi indiscreti? Con l’Amore. È così semplice? Oh no, loro ci hanno messo mesi a capirlo. Comprendessero che l’unico modo per superare il loro passato era aprirsi totalmente all’altro, senza veli di bugie che li proteggessero. E oltre all’amore ovviamente si dovevano armare di perdono perché ci sono determinate cose che sono difficili da riuscire a perdonare, ma l’amore è più forte di qualunque colpa. L’Amore non sempre riesce a salvarti, per quanto tu ami non puoi sottrare qualcuno dalla presa della Morte. L’Amore non sconfiggerà mai la Morte, ma le sa tener testa. Quello sì. A quei due uomini gli venne concessa una seconda opportunità perché quel giorno il proiettile che bramava di sentir bruciare sulla sua pelle fu proprio quello che si conficcò nella corteccia di un albero. Le seconde opportunità non vanno né bruciate né sprecate, vanno tenute al sicuro. E loro non sprecarono nemmeno un secondo di quella vita che gli fu concessa di passare al fianco dell’altro. Vedete quella famigliola, un po’ atipica, giù al parco in quel bellissimo pomeriggio di primavera? Loro in questo preciso instante sono la felicità. Ogni piccolo avvenimento che si sono imbattuti lungo la strada che li portò fino a quel punto solo ora li si possono capire, dal modo in cui hanno influenzato il loro futuro perché non puoi capire quanto un’azione possa influire sul tuo flusso temporale finché un giorno realizzi che tutto è servito per portarti a dove sei ora. Il passato assume connotazioni diverse dalle quali non vuoi più scappare e ci impari a convivere. Quei due uomini condividono segreti che mai verranno svelati ad altri, ma hanno trovato un modo per poter insegnare ai loro figli come comportarsi in determinate situazioni, nel più semplice dei modi: raccontandogli la storia di coloro che riuscirono a sconfiggere la Morte col fiore dell’Amore, non scappando dai loro sbagli ma affrontandoli. Perché solo nelle favole l’Amore, quello vero, sconfiggerà la Morte, ma crederci non fa mai male. No? THE END.
Beth’s Corner Buona sera folks! Non ci sto prendendo gusto ad aggiornare a pochi minuto allo scoccare di mezzanotte è che la beta è stata per un intera settima senza pc e la stesura di questo capitolo mi ha preso più tempo del previsto, poi tra un laboratorio e lo studio il tempo per loro si accorcia sempre di più e mi dispiace, ma ahimè è la dura legge per la sopravvivenza scolastica dicono. Chiudo qui questa parentesi e veniamo a noi, che è meeglio! "THE END". Non pensavo che sarebbe stato così difficile scrivere queste due parolone a fine capitolo e non da meno è stato spuntare la voce "Completa", è sempre duro chiudere un capitolo, porci una fine, ma come ho detto la settimana scorsa ogni cosa ha il suo tempo. Chi ci era arrivato? Che “F is for Family” era un post-BoyB? Chi l'ha fatto complimenti a breve vi arriverà un Grant (Darren è mio #Iamnotevensorry) a casa vostra quindi affrettatevi a dirmi chi l'ha pensato! In quella raccolta ho sparso di qua e di là dei rifermenti a loro, molti riferimenti. E no, benché avessi pensato subito alle ultime parole dell'ultimo capitolo ho totalmente stravolto l'epilogo, in origine c'era un piccolo James, omaggio al buon signore del Jul's che li aiutava di più a far chiarezza nei loro cuori, poi sono arrivati i miei gemellini per via di un prompt della Seblaine Week e ho subito realizzato che era questa la vita che volevo per i miei Sebastian e Blaine dopo lo sparo. Li volevo felici e avevo trovato la ricetta per la felicità (no nella Coca-Cola!!) in quella massa di ricci ramati e nei loro occhi cielo. Spero di non avervi delusi con scelta, ma veramente non sono riuscita a tenermi per me questa famiglia, non ce l'ho fatta, ve li ho fatti conoscere a poco a poco come mi piace fare, io non ce la faccio a far morire Blaine, non dopo tutto quello che gli ho fatto. Gente che avete riposto la vostra speranza nell'epilogo posso dire una cosa: AVETE FATTO BENISSIMO! Sono un mostro, ma fino a un certo punto. Emily Elizabeth e Andrew Kurt (amo i loro nomi completi e non potete immaginare la fatica nel non poterli usare nella raccolta, fino ad oggi *balla conga*) vi ricordate che alla fine dell'os AU!Disney (Thanks for being the loved merman to my prince) vi avevo detto che li avresti rivisti? Mi riferivo a questo, non alla raccolta, la raccolta è venuta dopo. Credo di non avere altro da dire, solo che sono una persona molto, ma molto triste, non so a voi ma a me mi mancherà Boy B, certo ci sarà ancora per un po' FifF, ma non è la stessa cosa. Adesso per voi quella famiglia non ha più segreti ormai, ma spero che non perderà il suo fascino. Ho citato John Green all’inizio per un semplice motivo, oltre al fatto che lo amo tantissimo anche se per via dei suoi libri mi ha fatto soffrire tantissimo, quella frase mi è rimasta in teste per giorni, ancora oggi mi sento la sua voce che mi ricorda che tutto ciò che faccio ora a una conseguenza nel mio futuro, mi ha fatto pensare molto . Chi vuole vederlo ecco a voi il link a Perspective. Vorrei ringraziare chi ha seguito questa storia dal primo capitolo fino ad oggi, chi ha scovato per caso questa storia e l'ha incominciata a metà strada o giù di lì. Ringrazio chi ha letto. Ringrazio chi mi ha fatto compagnia con le loro recensioni, le ho amate, dalla prima all'ultima e vi ringrazio ad una ad una. Grazie dal profondo del mio cuore. E te, cara beta, mica mi son dimenticata di te, a te ti dico solo una cosa: grazie per tutto. Sai a cosa mi riferisco con "tutto", solo non ho abbastanza spazio per scriverlo e nemmeno troppo tempo perché sto quasi fuori tempo. Alla prossima. Love always, Beth <3 |