Boy B

di MissBethCriss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 3: *** C’è sempre tempo per sperare ***
Capitolo 4: *** Once a Warblers, Always a Warblers ***
Capitolo 5: *** Boy B ***
Capitolo 6: *** When Jupiter Met Sapphire ***
Capitolo 7: *** La lista della spesa ***
Capitolo 8: *** Un sogno fatto di mogano ***
Capitolo 9: *** Un incontro inaspettato ***
Capitolo 10: *** Sono pronto a lasciar andare via tutto? ***
Capitolo 11: *** Per te ci sarò sempre, ricordatelo. ***
Capitolo 12: *** Non ci dobbiamo più vedere ***
Capitolo 13: *** E se tutto fosse sbagliato? ***
Capitolo 14: *** Ma ti sembra un’Annie lui? ***
Capitolo 15: *** Relief ***
Capitolo 16: *** Un weekend al lago ***
Capitolo 17: *** Non ti preoccupare, hai me ora ***
Capitolo 18: *** Write about us ***
Capitolo 19: *** We'd be allright ***
Capitolo 20: *** Home ***
Capitolo 21: *** Truth ***
Capitolo 22: *** Run faster, Time is running out ***
Capitolo 23: *** Millions of second of perspective later ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Boy B

.- Prologo -.

È strano come tutto può cambiare in un momento, passare dalla felicità più pura alla paura più nera. Sono strani anche gli scherzi che il destino ci gioca. Vi voglio raccontare la storia di due anime, alcuni di voi le potrebbero definire “anime gemelle”, quei sconosciuti che in un modo o nell’altro sono destinate a incontrarsi. È un po’ quello che succede a loro perché si incontrano per la prima volta in circostanze inusuali per un primo scambio di sguardi, ma bizzarro è anche il loro secondo incontro avvenuto dopo tanti anni, ma riuscendo sempre a riconoscersi. In questa storia è narrata anche le vicende di due migliori amici, che si conosco da sempre, arrivando a non ricordarsi più il giorno del loro incontro, perché hanno passato ogni instante della loro vita, fino a quel fatidico giorno di febbraio, sempre insieme, diventando uno il sostegno dell'altro. Man mano che crescono insieme la loro amicizia si trasformerà in qualcos'altro, diventando un altro tipo di affetto, sempre più forte e più profondo, ma che non è destinato a durare in eterno perché Amore non li ritiene giusti per quel ruolo. Purtroppo quel momento i cui tutto sembra perfetto è destinato a durare poco, forse troppo poco per i due amici, ma la loro vita è destinata a cambiare drasticamente in quel freddo febbraio del 1999, per colpa di un tremendo malinteso. Questo racconto è fatto di persone a cui il destino ha dato una seconda possibilità per rimediare ai loro errori, ad altri invece gli ha riservato una sorte buia, nella quale il personaggio viene risucchiato al centro delle ombre con la forza di un tornado. Le vite delle persone che popolano questa storia sono legate da un filo rosso. Rosso come la passione che anima i cuori di due amanti, ma anche rosso come il sangue che pulsa nelle vene.

L’Amore vero riuscirà a sconfiggere la Morte?

Note dell’Autrice
È la prima fanfic che scrivo e spero tanto che alla fine vi piacerà. Non so da dove ho tirato fuori il coraggio per pubblicarla, ma eccomi qui. Il titolo “Boy B” è ispirato al “quasi omonimo” romanzo intitolato “Boy A” di Jonathan Trigell. Il titolo fa riferimento all’identità usata nelle corti per salvaguardare gli accusati minorenni. Ma i fatti della mia storia non seguiranno l’andamento della storia originale. Premetto non ho letto il libro, ma ho visto il film diretto da John Crowley, quello in cui ha recitato Andrew Garfield. A me e alla mia beta è piaciuto, è una storia particolare, ed è proprio questo che mi ha fatto scattare quella scintilla che mi ha portato a pensare: “voglio scrivere qualcosa su questo”. Il romanzo si è ispirato ad un fatto realmente accaduto in Gran Bretagna nel 1993 (caso di James Bulger). Se volete potere vedere di cosa si tratta il caso, perché la mia storia è diversa sia dal libro/film sia per il fatto di cronaca realmente accaduto. Ma non lo consiglio per le persone troppo “sensibili” perché ciò che è accaduto veramente a quel bambino sfiora quasi la bestialità umana, ma forse la oltrepassa proprio, a me ha fatto un certo effetto.
 Dovrei pubblicare il primo capitolo o domani o sabato, in base alle persone che leggeranno la storia. Ho già alcuni capitoli pronti, ma per il momento penso che pubblicherò i capitoli ogni 10 giorni, fino a quando non ho tutti i capitoli pronti, per poi pubblicare una volta a settimana. Detto questo vorrei ringraziare la mia beta per avermi ascoltato e per aver definito la mia storia diversa.
Per qualsiasi cosa questo è il mio account di Twitter
Alla prossima
_Beth

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Capitolo 2
*** Un nuovo inizio ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di prorpietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

Boy B


.- Un nuovo inizio -.


Blaine odia quella stanzina grigia dove si incontravano i propri famigliari, non veniva mai nessuno a trovarlo, quindi stava delle ore lì seduto ad aspettare e quella tonalità di grigio sporco  lo asfissiava. Ma quella volta si poteva percepire qualcosa di diverso nell’aria, perché forse era l’ultima visita quella, lo voleva incontrare un tizio della “Protezione testimoni”, però a Blaine gli veniva solo da ridere, da quando lui era diventato un “testimone”?

Non fa in tempo ad entrare che subito un voce richiama la sua attenzione «Ciao! Sono William Schuester. Tu devi essere Blaine, vero? Devi sapere che  ci sono delle interessanti novità sul tuo caso, sei pronto ad incominciare la tua nuova vita?»

Nuova vita?” questo si che si preannuncia interessante.

 

Era già passata una settimana da quel incontro, e ora mi trovo dentro la macchina di Will, siamo fermi davanti ad una bella casetta nella periferia di Columbus, ho sempre amato questa città. Però mi preoccupa il dover incontrare una persona nuova, per lei potevo benissimo sembrare un rifiuto della società, forse poteva anche essere abituata ai mostri come me.

 «Dai su non ti preoccupare Tom andrà tutto bene, Shannon è fantastica! La conosco da sempre, fidati. Ti amerà ancor prima che le dici una parola». Quanto la faceva facile Will, certo i tipi come lui non si devono preoccupare di come potevano apparire agli altri.

«Tom ti prego prova a parlarle» sempre con quella storia odiavo quando incominciava, per tutta risposta esco dalla macchina, sbatto in modo non troppo delicatamente lo sportello alle mie spalle, e dopo prendo la mia valigia dal portabagagli, prima entro e prima potrò essere lasciato in pace. Io non è che devo provare a parlare, io non voglio parlare e basta, odio le domande stupide e banali che tutti ti fanno quando vengono a conoscenza del mio passato. Will ci mette più di me ad arrivare alla porta e per questo sono costretto ad aspettarlo, mi sembra di stare a fissare la porta da ore. Non mi va di entrare da solo, provo un certo timore nel bussare. Per fortuna suona lui e subito ci viene ad aprire una donna sulla quarantina dagli occhi color del ghiaccio, che mi colpisco subito. Ma questa ci stava aspettando da dietro la porta?

 Appena mi vede mi stritola in un abbraccio, ma non troppo forte da far male, mi abbraccia con fare quasi materno, dopo quando ha finito con me è il turno di Will, ma lui a differenza di me, ricambia il calore.

Scambiati i saluti ci fa accomodare in salotto. Mi piace il suo salotto ha i toni caldi dell’autunno. I mobili non sono molto ricercati. È quel tipico salotto degli anni ’50 rimasto invariato nel corso del tempo, forse quella casa apparteneva alla sua famiglia, mi piace come stile. Chissà quanti ricordi sono legati a quel posto…

Mentre lei va a preparare il tè Will coglie l’occasione ricordarmi per l’ennesima volta le nuove regole «Stammi bene a sentire Tom, ti devi sempre presentare a tutti come Thomas Garfield, non fare mai accenni al tuo vecchio nome o alla tua vecchia vita, fa conto che Blaine Anderson sia morto nel 1999 e ora tu devi dare una possibilità di farsi una nuova vita a Thomas Paul Garfield, chiaro?» io annuisco «Lei non ti chiederà mai il motivo per cui sei qui, non è la prima volta che accoglie gente in casa sua come te, non ti darà problemi. Mi devi chiamare per qualsiasi cosa, non fare cose stupide e non fare niente di testa tua, prima mi chiami e poi vediamo se puoi fare ciò che hai in mente. Chiaro? ». Mi parla così piano che faccio a fatica a capire quello che mi dice, ma mi ha ripetuto tutti i miei nuovi obblighi così tante volte che ormai le ho imparate a memoria. Non parlerò molto, ma non sono mica stupido, e visto che sento chiaramente che Shannon è indaffarata con qualcun altro, sembra che sta parlando al suo cane, decido che è il momento giusto per domandare una cosa a Will, visto che ora non mi può fare alcun tipo di scenata.

 «Voglio andare , mi avevi promesso che se non facevo alcun tipo di resistenza ci saremmo andati prima di passare qui, ma mi pare che questo non sia quel posto»

«Ma sei impazzito? Non possiamo andarci adesso! Ti collegherebbero a lui  prima di dire “hey”. Non possiamo correre il rischio, vedremo se ci potrai andare fra un po’, quando la situazione sarà migliore. Ora non è il momento. Mi ricordo quello che ti avevo promesso, ma la situazione è più complicata di quello che sembra Thomas»

“Ora non è il momento” nel vocabolario di Will corrispondeva a un “non ne voglio più parlare fino a quando non lo trovo necessario”, mi diceva sempre questo quando facevo troppe domande, quelle poche volte che succedevano, e dopo iniziava a parlare di cose senza senso che io puntualmente mi stufavo di ascoltare dopo due minuti. Infatti inizia subito a parlare di cose che non mi interessano, quanto non lo sopporto quando fa così.

Shannon fa il suo ingresso in salotto con in mano un vassoio sul quale ci ha appoggiato delle tazze per il tè e c’è anche qualcosa da mangiare. Mentre quei due parlano, io me ne sto per i fatti miei a giocherellare con il cane più grosso che abbia mai visto, un terranova.

A un certo punto vengo travolto da quella strana sensazione di oppressione, all’altezza della bocca dello stomaco, e non ce la faccio più a stare lì, mentre loro si divertono a ricordare vecchi aneddoti dei vecchi tempi, quindi con la scusa della stanchezza per il viaggio decido di andare in camera mia. Shannon mi mostra subito la mia camera, è una piccola mansarda. Apprezzo il pensiero di averla resa più accogliente, anche se l’odore di chiuso e di non vissuto è impregnato sui mobili, mi ricorda tanto la puzza della mia camera in riformatorio, ma almeno questa un giorno portò sentirla camera mia. La differenza più importante è che non è grigia, ma ha molti dettagli sul verde.

Shannon capisce subito che quello di cui ho bisogno ora di essere è di essere lasciato in tranquillità, per questo mi saluta con un tenero sorriso. Quando la porta viene chiusa alle sue spalle mi butto a peso morto sul letto, trovandolo molto comodo. Dopo un po’ sento le urla gioiose dei bambini, ma per le mie orecchie poco abituate a qualunque tipo di rumore, sono una tortura quei versi troppo acuti, il silenzio più assoluto è una costante che ha dominato la maggior parte della mia vita, è per questo ho incominciato ad odiare tutti i tipi di rumore. Decido di aprire la finestra che da sulla strada per dirgli di fare silenzio, ma quando mi fermo ad osservarli più attentamente mi sembrano così felici, così a loro agio mentre vengono assorbiti nel loro fracasso, che quasi li invidio perché a quell’età si ha ancora la capacità di sperare, hanno un futuro luminoso davanti a loro. Io invece cos’ho, un nome che non è mio e basta, non ho nemmeno un passato che posso ricordare, perché mi fa troppo male. Inizio a sentire gli occhi che mi pizzicano, ma ormai non sono più capaci di piangere, non ne hanno più la forza, perciò la mia mente si limita a torturarmi facendomi ricordare i tempi felici in cui anch’io sorridevo, mentre la prima foglia caduta di un albero mi ricorda la mia fragilità che mi perseguita da quanto lui non è più con me.

 

«Dai muoviti che se continuiamo con questo passo appena arriviamo in cima dobbiamo ritornare subito a casa. Lo sai com’è tuo padre... Coraggio Matisse!» non aspetta nessun tipo di risposta il bambino dai capelli scuri, ma si limita  a continuare la sua veloce corsa verso la sommità della collina.  «Non è colpa mia Bizet se io sono l’artista fra i due, ci sarà pur un motivo! No? E poi non sono io quello che fa parte del gruppo di atletica, come qualcun atro di mia conoscenza!» gli risponde l’amico dalla pelle nivea «Non ne farai parte, ma hai le gambe più lunghe delle mie. Non dovrebbe essere un fattore a tuo favore, Matisse?» il bambino più piccolo ride della sua stessa battuta, dopo anche una risata cristallina si mescola con la sua, creando la loro armonia perfetta. Entrambi amavano la risata dell’altro, ma ciò che li faceva stare veramente bene, e che sapeva curare anche un ginocchio sbucciato, era la sensazione di famiglia che sapevano trasmettere tramite un abbraccio. 

Come entrambi sapevano  il primo a toccare la sommità fu Bizet, e poi si mette in una posizione annoiata per far finta che stia  lì da ore ad aspettarlo, gli piace punzecchiarlo un pochino. Quando finalmente arriva il suo migliore amico non può far a meno di rider perché è arrivato con il  viso tutto rosso e lo trova così buffo. Ma gli va incontro e lo prende per la mano, e in quel piccolo contatto le loro gote ti tingono leggermente di rosso, gli piace farlo, e mano nella mano prendono posto sotto l’ombra di un albero.

 Rimangono così per un po’, senza parlare tutti attenti ad osservare le nuvole mosse da quella leggera brezza che preannuncia l’autunno, rendendo lento il loro percorso. Oggi è una giornata particolarmente serena, ma è ben altro che attira l’attenzione di Bizet, il cielo sarà pur bellissimo, ma non sarà mai interessante come i giochi di colore tipici del cielo primaverile nascosti negli occhi del suo Matisse.

 

Quella mattina di fine estate avevo 9 anni e già combattevo contro un mondo che mi vedeva diverso, perché anziché sporcarmi le mani con il fango passavo i miei interi pomeriggi a leggere o a suonare in compagnia del mio migliore amico, e colui che un tempo chiamavo padre mi ha sempre odiato per questo mio comportamento poco consone per un bambino, non ero il figlio perfetto come mio fratello, ma ci provavo ad esserlo, anche se non notò mai i miei sforzi, ovviamente era troppo dal suo lavoro. Prima che inizio a sfogare il mio odio verso mio padre sui mobili, decido che è l’ora di disfare i miei bagagli. Metto i vestiti con poca cura dentro ai cassetti del mobile di fronte al letto, ma metto più attenzione nel nascondere i miei diari, non voglio che per sbaglio la padrona di casa me li trova e che se li mettesse a leggere.

Non ho fame, quindi decido che per oggi posso anche rimanere nella mia stanza. Mi siedo ai piedi del letto e mi metto ad osservare il tramonto, ho sempre amato i colori che caratterizzano il cielo a quell’ora.

«You know— one loves the sunset, when one is so sad…»

«E cosa centra questo?» detto questo quella risata che tanto amava, rimasta invariata nel corso degli anni, riempì quel loro silenzio fatto sospiri e baci rubati.

«Non lo so B. Ma quando vedo un tramonto mi sento sempre un po’ triste.»

Non gli piaceva vederlo in quel modo, perché solamente se l’altro era felice lui poteva sorridere, alcune volte questo loro legame così forte lo spaventava.

Perciò fece l’unica cosa che sapeva era il rimedio perfetto per tutto.

 

 

TBC...

Note dell'Autrice:

Ecco il primo capitolo, spero che vi sia piaciuto! La frase "You know— one loves the sunset, when one is so sad…" ovviamente non è mia, ma è di Antoine De Saint Exupery ed è tratta dal Piccolo Principe, ho un legame paticolare con questo libro.

Per darvi un'idea più chiara dei due ambieti che ho descritto vi lascio i link (sperando che questa volta funzionino!) questo è il soggiorno di Shannon, invece questa è la camera di Blaine. I paragrafi in corsivo sono dei flashback .

Ringrazio la mia beta Anacleto_ per il sostegno che mi da. Grazie!

Ripubblico il mio account di Twitter visto che l'altra volta non ci sono riuscita.

Fatemi sapere cosa pensate del primo capitolo, fatelo per favore *occhi da cucciolo alla Darren*

Alla prossima,

_Beth J

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Capitolo 3
*** C’è sempre tempo per sperare ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di prorpietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

Boy B



.- C’è sempre tempo per sperare -.

 

Erano passati qualche giorni da quando avevo iniziato la mia nuova vita. Ma non mi sento meglio, ogni giorno quando mi guardo allo specchio vedo ancora il vecchio me, quello che non merita un futuro. Sto sempre rinchiuso in camera mia, non mi sento ancora pronto per ricominciare la mia vita. Alcune volte Shannon mi chiama per dirmi se mi serve qualcosa, è sempre così gentile con me, non mi ha mai chiesto niente o non mi ha mai sforzato di fare qualcosa. Ieri sera abbiamo addirittura visto un film insieme, era da un sacco di tempo che non ne vedevo uno. La sua compagnia non mi disturba quanto quella di Will, da quando sono qui non l’ho ancora chiamato, sarà molto probabilmente preoccupato, ma sinceramente non mi interessa.

Sono ancora disteso sul letto e ci vorrei restare per sempre, ma il mio stomaco mi ricorda che devo scende giù per fare colazione. Mentre scendo le scale mi accorgo che in casa non ci siamo solo io Shannon e Jup, ma c’è anche William, fantastico ora posso dire che la mia giornata è iniziata meravigliosamente, mentre prendo in considerazione l’idea di ritornare in camera mia una voce richiama la mia attenzione.

 «Buongiorno dormiglione! Per caso hai perso il telefono o non hai trovato il tempo per una chiamata nella tua routine piena di impegni?», le sue parole mi fanno bloccare sulle scale, e poi mi giro verso di lui molto lentamente. I suoi occhi mi fissano severi, forse era veramente preoccupato per me.

 «Scusami William, ma non l’ho trovato necessario. Sto bene». Detto questo il suo sguardo perde quella nota arrabbiata che prima glieli aveva animati. Entro in cucina e subito vengo accolto dal sorriso materno di Shannon, sorriso al quale sto imparando a rispondere senza farlo sembrare finto, prima di sedermi davanti a lei mi verso del caffè nella mia tazza, ma Will mi ferma prima di riempirla del tutto.

«Tu non fai colazione qui oggi, ti porto su un bar. Ti devo parlare», quando le persone mi devono parlare vuol dire solo una cosa: guai. Shannon che sembra aver intuito i miei pensieri mi stringe leggermente la mano per darmi forza.

«È una cosa importante Thomas». Mi limito ad annuire e mi dirigo in camera mia per cambiarmi.

Quando ho finito di prepararmi trovo solamente William ad aspettarmi e insieme ci dirigiamo verso un bar vicino a casa di Shannon, Will mi dice che in questo locale non ci sono mai tanti clienti e quindi è il posto perfetto per una chiacchierata.

«Will ma se la cosa è così importante perché andiamo su un bar? Non è più sicura la casa di Shannon?», mi guarda divertito e poi dice «Forse quello che dici tu è giusto, ma lì fanno il caffè più buono di tutta l’America!».

***********

È totalmente vero quando dice che qui fanno il caffè più buono di tutta l’America, anche i dolci non sono male per dirla tutta. Appena ci sediamo Will mi inizia a raccontare qualcosa di lui, cose del tipo che ha una moglie e un figlio, lei è una consulente scolastica, o qualcosa del genere, ma dopo poco inizio a perdermi in quel fiume in piena di parole. La mia mente si è catapulta in un'altra dimensione, fatta di verde e d’azzurro. Il primo domina sovrano su tutto, mi fa sentire al sicuro, anche se è una sensazione che cerca di contrastare ciò che l’azzurro cela, quel non essere riuscito a mantenere la promessa fatta, è un qualcosa che mi logora piano dentro, giorno dopo giorno

Ritorno nel mondo reale quando Will dice l’unica cosa in quella mattinata che mi interessa veramente. Sta parlando di musica. Mi dice che suo figlio faceva parte di un Glee Club al liceo, mi sarebbe piaciuto farne parte anch’io, ma il destino aveva un’altra strada da farmi fare.

«Sai ti aiuterebbe. Cantare e suonare. Aiutano molto e sono una buona valvola di sfogo» fa una pausa per prendere un sorso del suo caffè «E poi tu non facevi parte di un’orchestra nella tua città natale?». La sua è una domanda semplice, ma per me è cose mi avesse messo del sale su una ferita che è ancora fresca. Non so come rispondergli, quella è un’informazione della mia vecchia vita e ora siamo su un luogo pubblico. Sono indeciso, ma annuisco, farei di tutto per poter toccare solo una vota i tasti d’avorio di un pianoforte. Io già riesco a percepire quella sensazione di pace che avevo solamente quando suonavo. Sembrava che mentre suonavo tutte le mie preoccupazioni si facessero sempre più piccole, fino a scomparire nell’ultimo accordo suonato.

«Si lo sapevo che ti sarebbe piaciuta come idea. Ma ne dobbiamo parlare prima con il tuo psicologo».

Fermi tutti psicologo?

«Stai scherzando vero William? Non ne vedo l’utilità. Sono apposto così», non voglio che qualcuno mi analizza la mia mente, è l’unico posto veramente mio che mi sia rimasto.

«Thomas non fare lo stupido. Ti serve per poter andare avanti. Shannon mi ha detto che ogni notte ti sente urlare il suo nome durante la notte. Devi andare avanti Tom»

Mi viene da ridere, andare avanti? Ormai non sono più capace di sperare che tutto prima o poi si sistemi. Non voglio perdere tempo a parlare con uno psicologo che non risolverà mai i miei problemi del tutto. Gli incubi poi non sono un grane problema, ogni mattina quel verde brillante, che mi da il buongiorno, mi da la forza di sopravvivere a fino a sera.

«No»

«Thomas non hai scelta. Tu lì ci vai. Fine»

«Vuoi obbligarmi a fare una cosa? Non ho più 6 anni e tanto meno mi puoi dire cosa fare o non fare, grazie al cielo non sei mio padre»

«Ma ti stai comportando come un bambino di 6 anni che non capisce che sto facendo tutto questo per poterti aiutare. E grazie al cielo che non sono quell’uomo, a me mi importa di te! »

Come è possibile che a lui importi qualcosa di me. «Non farlo, non ne valgo la pena, non sono niente. Sono solo un mostro»

Ora non è più arrabbiato, ma cos’è quella pietà? «NO! Non sopporto che tu provi pena per me! Non guardarmi in quel modo William». Sto incominciando a tremare, mi sono anche alzato nel frattempo. Lui molto lentamente si alza anche lui e mi si avvicina e mi abbraccia. Mi sento vulnerabile adesso e non va bene, non posso far vedere agli altri le mie debolezze.

«Thomas non provo pietà per te. Sono solo triste perché per colpa di un malinteso tu hai dovuto affrontare cose alle quali alla tua età non dovevi nemmeno pensarci. Lui non è come tutti gli psicologi a cui non frega niente se tu guarisci o meno. Lui è diverso»

«Ma non ne valgo la pena, te l’ho già detto»

«Tu ne vali campione. Ora ti riaccompagno a casa»

Non parliamo durante il tragitto verso casa, e quando arriviamo a destinazione nemmeno ci salutiamo mi dirigo verso il portone di casa. Quando entro in casa decido di farmi un bel bagno caldo. Ho tutto il tempo che voglio per rilassarmi e togliermi questa sensazione che mi opprime sul petto.

Mentre mi sto asciugando Shannon mi informa che oggi è tornata prima e che si mette a preparare il pranzo. Mi chiede se voglio qualcosa in particolare, ma non ho molta fame.

Quando ho finito in bagno il pranzo è quasi pronto. E mi accomodo al mio posto.

«C’è qualcosa che ti turba, Thomas? Riguarda ciò che ti doveva dire Shue?». Annuisco. «Se ne vuoi parlare io sono qui, lo sai vero?». È da un po’ che non avevo qualcuno che stava lì per me. Forse a lei posso mostrare il Thomas vulnerabile. Perciò le inizio a raccontarle tutto ciò che mi ha detto Will.

*********

«E alla fine mi ha dato questo bigliettino da visita e mi ha detto che mi devo far trovar pronto mercoledì mattina alle 8. Mi viene a prendere e mi porta lì». Le porgo il biglietto.

«Sebastian Smythe. Lo conosco, è molto bravo per gli anni che ha. Dovrebbe avere la tua età, forse qualche anno di più»

«Potrà essere bravo quanto gli pare questo Sebastian Smythe. Ma tanto non ci sono più speranze per me»

«Sembri un disco rotto, Tom! Io faccio schifo, io sono un mostro, io quello, io quell’altro. Ma quanti anni hai? 23? »

«20»

«E ti sembra questa l’età per arrendersi? La vita è ingiusta per tutti Thomas»

«Lo so Shannon. Mi dispiace, ma sei stata tu quella che mi ha chiesto se c’era qualcosa che non andava. E io ti ho detto cosa è successo e ti sto spigando il motivo per cui non ci voglio andare»

«C'è sempre tempo per sperare, Thomas. Sei giovane e bello, datti la possibilità di vivere»

«E se non lo volessi fare?»

«Cosa?»

«Niente» abbasso la testa, sta diventando abbastanza scomodo come discorso.

«Thomas guardami e dimmi che non è come sembra!» Ma io continua a non incrociare il suo sguardo, sta alzando sempre un po' di più la voce, ha quel tono di voce che non riesco ad interpretare.

«Thomas non è come penso, vero?»

«Grazie per il pranzo Shannon è davvero delizioso, ma preferirei andare in camera mia adesso. Ho dormito poco e male, mi sta venendo la mia solita emicrenia terribile. Scusa.»

Mi alzo e non la guardo, ma il mio non-nome sussurrato in quel modo mi provoca una piccola fitta all'altezza del cuore. Non volevo farla preoccupare.

Rimango in camera mia per tutta la giornata, ho paura di incrociare il suo sguardo triste. Dopo qualche ora mi addormento, ma questa volta c'è un nuovo barlume di speranza che illlumina i miei incubi.

Forse hanno ragione quando dicono che non mi devo arrendere, ma è così difficile sperare a volte...

TBC...

Note dell'Autrice:

Vi  riauguro "Buona Seblaine Week" gente!

Non ho molto da dire su questo capitolo perché è un capitolo di passaggio che preannuncia l'entrata di Seb. Sì, in questa storia Seb deve essere più grande di Blaine perché lui non poteva stare troppi anni in prigione e Seb doveva avere un'età giusta per essere uno psicologo. 

Grazie a chi è rimasto e alla mia beta.

Fatemi sapere quello che pensate, amo anche le critiche!

Alla prissima

_Beth :)

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Capitolo 4
*** Once a Warblers, Always a Warblers ***


Blaine e Sebastian, come gli altri personaggi sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di prorpietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

Boy B



.- Once a Warblers, Always a Warblers -.


È buio, troppo buio. Non vedo niente. «Non conosco questa zona, torniamo indietro. Ti prego»

Era la decima volta che pronunciavo quella frase, perché non riusciva a sentirmi. Un altro urlo che squarcia il silenzio del bosco. «Non ci possiamo fermare.» Le mie grida si uniscono alle sue.

Sento mani che mi toccano, voci che mi chiamano. Ad un tratto un lampo di luce verde assorbe tutti gli strilli e poi il nulla.

 

«Thomas, svegliati! Thomas»

«Tom sei al sicuro ora, svegliati caro»

«Thomas ti devi svegliare, è tardi e dobbiamo andare da Bastian»

Ma perché tutte queste voci non mi lasciano in pace. Mi sento ancora come se fossi dentro all’incubo. Chi è questo Bastian?

E poi capisco. Sebastian Smythe ecco chi è Bastian.

«Fuori da qui, immediatamente» adesso ho capito chi mi stava chiamando, erano Will e Shannon. Non voglio nessuno dentro la mia camera, è il posto in cui mi sentivo più vulnerabile, era il luogo in cui avevo nascosto i miei ricordi. E loro non potevano averne accesso.

«Fai come ti pare Thomas, ma dobbiamo stare lì per le nove, fatti i tuoi conti. Lasciamo il burbero da solo Shannon»

Vorrei tanto tirargli un cuscino, ma non gli farei abbastanza male. Peccato. Le lancette della mia sveglia mi fanno notare che ho davvero poco tempo per mangiare, farmi la doccia e vestirmi. Ma nonostante tutto penso che altri cinque minuti spesi per dormire non cambieranno tanto le cose.

 

 

«Oh buongiorno dormiglione. Bel completo, vieni vestito così? Geniale, Bas ha un debole per Superman, come lo sapevi?»

Perché non sono sceso con i vestiti già addosso. Per tutta risposta prendo il mio caffè e qualche fetta di pane tostato, e decido di mangiare in camera mia.

«Thomas rimani con noi. Adesso William se la smette subito»  il suo tono di voce sembra ancora preoccupato, non è che sta pensando ancora alla chiacchierata di ieri, spero solo che non abbia detto niente a Shue. Mi siedo davanti a lei e provo a farle capire che sto bene, ma fallisco perché non ne sono pienamente convinto io stesso.

«Thomas sinceramente, i pantaloncini con il marchio di Superman è un gran tocco di classe. L’unico problema è che forse Sebastian ti classificherà come pazzo»

Ok, ne ho abbastanza. Mi alzo e mi vado a cambiare. Shannon dopo aver lanciato un’occhiata severa a Will mi segue.

«Thomas ho qualcosa per te, spero che siano ok»

«Per me?»  

«Certo, aspettami davanti alla porta. Lo vado a prendere!»

 Guardo Will per domandargli con gli occhi se lui sa qualcosa, ma mi fa cenno di no con la testa. Faccio come mi viene detto, ma lei è già lì ad aspettarmi. Ha un pacco enorme fra le braccia. Ma quando ha avuto tempo per comprarmi qualcosa?

«Spero che ti calzano bene. È uno stile molto semplice, non sapevo bene qual è il tuo. Mi sono fatta consigliare dal commesso»

Io non so veramente cosa risponderle, prendo in mano il pacchetto come se fosse fatto di cristallo. Mi siedo sul letto e svuoto completante il contenuto della busta su di esso. La prima cosa che noto sono dei jeans e una maglietta bianca. Sotto ad essi c’è una giacca in pelle.

«Io… Non posso. Non posso accettarlo. È troppo»

«Non essere sciocco. Certo che puoi è un regalo»

«Io l’accetterei Thomas, è sempre meglio di Superman, no?»

«WILLIAM! Almeno provali Thomas. È un giorno speciale oggi»

Oggi non è un giorno speciale, devo solo andare da uno che mi psicoanalizzerà il cervello. Annuisco e loro mi lasciano da solo. Mi faccio una doccia veloce, non ho tanto tempo ormai, e mi metto i vestiti nuovi, ma indosso anche la mia vecchia felpa aperta grigia col cappuccio, è perfetta per coprirmi il viso. Prima di scendere giù ho giusto il tempo per poter prendere il mio porta fortuna, è un ciondolo a forma di usignolo.

 

«Ciao che ci fai qui? Ci siamo già salutati ieri» è imbarazzato, come se mi volesse dire una cosa ma non ne ha il coraggio «Mi puoi dire tutto, lo sai. Coraggio» e gli sorrido per trasmettergli tutta la mia fiducia.

«Va bene, ma promettimi che non ridi» mi mostra il mignolo e io glielo stringo, a quel gesto lo vedo che si rilassa, sa che non romperei mai la promessa fatta coi mignoli.

«Ti ho fatto questo per Natale»

«Un regalo? Ma eravamo d’accordo che ce li saremo scambiati quando sarei tornato!»

«Lo so, ma tu parti e vai in montagna con i tuoi. E se incontri altri amichetti e ti dimentichi di me?»

«Mai»

Mi porge una scatolina piccola con decorazioni molto elaborate.

«Mi ha aiutato la mamma, la decorazione è bellissima vero? Le ho detto io come andava fatta , ma è lei quella che ha incollato i vari pezzettini e cose varie»

«Già è proprio bellissima»

 Mi fa cenno di aprire. Quello che trovo dentro è ancora più bello della scatola. È il nostro simbolo dell’amicizia.

«Sono due: uno per me  e uno per te. Papà mi ha inciso le nostre iniziali. È piccolo, ma così puoi portarlo sempre con te. Non è un gr-»

«Non dirlo, è perfetto»

Il “grazie” mi viene fuori strozzato, perché mi ritrovo fra le sue braccia e la mia faccia è sul suo collo.

«Sono così contento B! Così quando sentiremo la mancanza dell’altro ci sarà questo piccolo usignolo, e ti aiuterà a ricordarmi, anche se non mi penserai più tanto spesso quando ti ritroverai con i tuoi cugini»

«Starai sempre fra i miei pensieri. Non ci diremo mai - »

Un bussare alla mia porta mi desta dai miei ricordi.

«Thomas è ora, muoviti!»

«Arrivo, arrivo»

L’avere il mio ciondolo dentro la tasca della giacca mi da quella sicurezza necessaria per affrontare l’incontro con Sebastian Smythe.

 

 

«Sembra che stai andando al patibolo, Tom» e perché secondo lui tutti quelli che vanno al patibolo devo sentirsi come me? Perché non prende in considerazione il fatto che forse alcuni preferiscono la morte per impiccagione, o quant’altro, rispetto ad un soggiorno in prigione?

«No, in quel caso sarei più che felice» mi guarda male. Spero che con quello sguardo il discorso sia chiuso. Ma perché niente va come voglio io?

«Almeno togliti quel coso dalla faccia, Thomas. Sei ridicolo e poi non ti riconoscerà nessuno qui. Rilassati e respira dal naso, aiuta sai?»

Per tutta risposta mi faccio cadere ancora di più il cappuccio sulla faccia, beandomi dello sbuffo che esce dalla bocca di William. Rimaniamo in silenzio fino a quando un imponete palazzo fa il suo ingresso nel mio campo visivo.

«Siamo quasi arrivati»

«È quello il luogo, William?» Ti prego dì di no, no, no. Per favore…

«Sì. Bello, vero? L’affitto costa una fortuna, ma niente è mai costoso quando sei uno Smythe. Il pezzo forte è l’interno. È molto ricco ed elegante. Vedrai»

Nella mia testo il concetto di “elegante” non sta mai insieme nella stessa frase con il concetto di “ricco”, perché ci sarà sempre qualche elemento che stona con il resto messo lì solo per il nome famoso dell’architetto che ha ideato quel pezzo. Speriamo che non è il solito figlio di papà il mio psicologo. In quel caso potrebbe essere la volta buona che brucio i gilet di William.

«Dai scendi che siamo anche in ritardo»

All’entrata del palazzo c’è una guardia che controlla i nomi di chi entra nel palazzo, ci devono vivere anche dei pezzi grossi, oppure serve per controllare i pazzi che entrano per farsi analizzare non facciano casino?

«Non sta lì per te, Thomas. E tantomeno per voi “mostri” come piace tanto definirti, ma sta lì per via delle persone che ci abitano»

Ma come ha fatto a capirlo? Detto questo mostra il suo distintivo all’omone, sarà come minimo due volte più grosso di me. Ci lascia passare e non mi degna di un’occhiata.

«Perché non usiamo le scale?» non sopporto gli ascensori, sono degli spazi troppo piccoli e grigi.

«Per due motivi: primo perché non ci sono e secondo perché dobbiamo fare 15 piani a piedi e non mi sembra il caso»

Fantastico, oggi è proprio il mio giorno fortunato.

L’usare l’ascensore non mi da poi tanto fastidio una volta che mi sono abituato, ma non avevo previsto che il problema stava nello studio.

Aveva ragione William: quel posto era ancora più bello all’interno. Ogni particolare della stanza sembrava che mi urlava contro il mio passato, mi faceva ricordare il posto da cui ero stato ripudiato. Sembrava tanto la casa di quella persona che un tempo si faceva chiamare padre.

«Ben arrivato, signor Shuester. Le chiamo subito il signor Smythe»

Will le sorride e mi mette una mano sulla spalle per paura che me ne possa andare da un momento all’altro, ma le chiavi della macchina ce l’ha lui e non ho nemmeno un soldo con me.

Come potrei scappare?

«Signor Smythe, il signor Garfield è arrivato»

«Grazie Jud…»

Perfetto, sono fregato.


TBC...

Note dell'Autrice:

SCUSATEMI! Ora vi starete chiedendo: “Ma non ci doveva essere Bastian qui?”. No, non ci doveva ancora essere, ma prometto che nel prossimo ci sarà! A tutti capita di avere il momento “Darren”, sapete quel momento in cui vi dimenticate le cose che voi stesso avete scritto? Beh è quello che è successo a me! Mi ero confusa con la successione dei capitoli che avevo già fatti e sono veramente mortificata! Quindi per farmi perdonare aggiornerò anche domenica con il capitolo di Seb.

Per altro non ho molto da dire, aggiorno di fretta che oggi è il mio compleanno e non ho avuto un momento libero, quindi chiarirò alcuni dubbio sulle note del prossimo capitolo.

Ringrazio la beta per il lavoro che fa e anche nell’esserci per risolvere i miei dubbi!

Grazie anche a te che leggi e che sei rimasto.

Fatemi sapere cosa ne pensate (mi potete contattare anche per insultarmi, me lo meriterei visto quello che ho fatto!)

Alla prossima

_Beth 

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Capitolo 5
*** Boy B ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di prorpietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

Boy B

.- Boy B -.

Non ci posso credere che qualcuno lo abbia fatto veramente, ma con chi credono di avere a che fare, con un lecca-lecca? La mia testa sta cercando di formulare una frase da farmi pronunciare, ma è più difficile di quanto pensassi.

Ma alla fine riesco a trovare le parole giuste,e in un sussurro riesco a dire:

«Quante volte vi devo ripetere le regole. Non dovete rimare a dormire con me»

Pensavo di essere stato chiaro prima di far entrare quel ragazzino dello Scandals in casa mia. Non mi pare di avergli detto tante regole a quel principiante: la mia bocca è offlimits e non si deve rimare tutta la notte. Non è complicato! Non voglio aprire gli occhi, mi fa ancora troppo male la testa e il solo alzare le palpebre mi sembra uno sforzo enorme, ho esagerato troppo ieri, è una cosa che non faccio mai durante la settima, ma ho tutto il tempo che mi serve per indossare la mia maschera.

Alla fine cedo e li apro cautamente, sperando che almeno anche con la mente annebbiata dall’alcol ne abbia scelto uno decente, ma la luce del sole mi acceca.

Non hai chiuso le persiane, bella mossa Smythe.

Quando finalmente riacquisto l’uso degli occhi posso guardare in faccia l’ammiratore del mio collo, ma incontro l’unico sguardo che non avevo previsto. Sinceramente non avevo preso in considerazione questa eventualità: la lingua che mi lasciava tutte quelle scie bagnate sul collo non apparteneva ad un amante, ma ad una tenera birba maculata dagli occhi fatti di zaffiri. Mi viene da ridere.

«Buongiorno anche a te Sapphire! Dai scendi dal mio petto così ti do da mangiare. Dopo papà si va a fare una bella doccia», lei è l’unica tra i due che già di mattina presto è piena di energie, lei trotterella felice verso la cucina, è un po’ buffa perché non ha ancora acquistato l’eleganza tipica dei dalmata, ma è ancora un cucciolo dopotutto. Mi piace osservarla, i suoi occhietti celesti sono sempre così gioiosi, e mi fanno ritornare sempre il buon umore, anche nelle peggiori situazioni.

Come ogni mattina passo delle ore sotto il getto caldo della doccia, fino a quando non cancello completamente l’odore si sesso impregnato nella mia pelle, questa puzza mi fa odiare ancora di più me stesso, se è possibile, ma almeno per qualche ore non penso a niente, però mi fa sentire come se fossi un giocattolo nelle loro mani. Forse non ne vale tanto la pena perché quel vuoto mentale dura troppo poco per aiutarmi veramente.

È buffo come non riesco ad aiutarmi da solo. Dovrebbe essere il mio lavoro questo. Ma ogni mattina mi sveglio in un attico troppo grande per viverci da solo e mi sento sporco. Sporco non perché il mio letto è visitato quasi ogni notte da un uomo diverso, ma sporco perché non riesco ancora a cancellare ciò che mi si è marchiato a fuoco nella mente, quel fatto che è avvenuto in un freddo giorno di febbraio. Urla che mi accompagnano fino a che non mi sveglio, sperando ogni sera che non sia Morfeo colui che mi attira prepotentemente a se come due poli opposti di due calamite, ma che sia un altro tipo di forza che mi porti a non svegliarmi più.

Ogni mattina indosso il migliore dei miei sorrisi e lo abbino a un costoso completo. C’è solo una motivazione che mi spinge ad andare avanti. Lo faccio perché non voglio che qualcun altro debba compiere i miei stessi errori e rimare segnato per sempre come me. Nessuno si merita questo, io però me lo sono cercato, in parte è anche colpa mia. Non ho la presunzione di voler aiutare tutto il mondo con il mio lavoro, non ne sarei capace, ma devo fare qualcosa almeno per quelle persone che mi chiamano e mi chiedono una mano.  

Oggi è un giorno “speciale”, perché non capita molto spesso di lavorare con persone che vivono sotto la “Protezione testimoni”. Come sempre non mi sono  informato sul passato del mio paziente, in questo caso troveri solamente tante bugie, ma il motivo principale è che trovo più semplice sapere le informazioni che mi servono da lui, quelli sono solo dei fogli che celano la verità.

 

 

«Bonjour madame»

«Oh Sebastian buongiorno! Come stai?»

«Come sempre Judith, grazie»

«Ti preparo il mio caffè speciale? Sembri più triste del solito oggi…»

«Come posso rifiutare il tuo caffè speciale?» le risposi con un sorriso genuino sulla faccia.

Amo la mia segretaria, quasi quanto amo mia madre, sia ben chiaro. Lei mi tratta sempre come se fossi suo figlio, ma più che altro sono quel tipo di rimpiazzo che è piombato nella sua vita quando ha ricevuto quella terribile notizia, quella in cui le dicevano che suo figlio era morto per servire lo Stato. Morto in guerra. Onore per lo Stato, ma disgrazia per la famiglia. Una volta mi ha confidato che avrebbe preferito un figlio codardo, che un figlio eroe morto. Alcune volte le faccio compagnia, non mi piace l’idea si lasciarla sola. È come se facesse parte della mia famiglia ormai, la conosco da sempre. Suo figlio era uno dei miei più cari amici. Il passaggio da mamma-del-mio-migliore-amico a mia segretaria è stato breve. Io ero in cerca di una che mi aiutasse con gli appuntamenti e a lei serviva un posto dove non doveva affrontare i fantasmi della sua famiglia, le serviva una distrazione.

«Tieni Bastian»

«Grazie madame»

«Ti va di raccontarmi cosa ti turba? Il suo cliente ancora non è arrivato signor Smythe» sa quanto odio quando mi chiama in quel modo, mi fa sentire quel legame che c’è fra me e mio padre.

«La prossima volta signora Miller. Magari te lo potrei raccontare mentre mangio i tuoi biscotti deliziosi alle noci di macadamia, quelli che mi piacciono tanto. Mi potrebbero tirare su di morale», non mi andava tanto di parlare e so che non li fa mai tanto spesso, forse me la sarei cavata con quella richiesta assurda.

«Basterebbero solamente i miei biscotti per farti parlare monsieur Smythe? »>

«Cosa stai tramando Judith?»

Non mi risponde e mi lascia da solo nel mio ufficio. Perciò colgo l’occasione per sistemare gli appunti sul caso Thompson. È un caso particolare, ma quella bambina si merita tutto l’aiuto possibile.

«Signor Smythe? Guardi un po’, l’ho cucinati proprio ieri»

«Mi vizi più di mia madre lo sai questo? Ma preferirei non parlarne oggi Jud. Scusami»

«Non ti preoccupare, chiedevo soltanto. Ti vedo sempre così solo e triste»

«Ci sono abituato alla solitudine» aggiungo con una nota triste, non mi è mai piaciuto parlare della mia vita, anche con lei. «Sono buonissimi come sempre, grazie»

Mi sorride con uno di quei sorrisi dolci, che riservava solo a suo figlio. Mi dispiace rifiutare il suo aiuto, ma sono fatto così, non amo quando qualcuno mi offre una spalla su cui piangere, sono uno che è abituato a contare solo su se stesso.

Mentre aspetto il mio cliente, decido che forse è meglio se controllo i suoi dati. Devo sapere almeno il suo nome, oppure mi prenderebbe per un buono a nulla.

Thomas Paul Garfield.

È stato parecchio tempo in riformatorio e poi ha fatto qualche annetto nella prigione per i grandi. Tutto questo per un furtarello? Bugia n. 1. Dovrebbero fare dei profili più plausibili. Non è plausibile che si è fatto più di 12 anni per un furto che ha compiuto quando ne aveva 10. Mi fanno sempre ridere i profili assurdi di chi è sotto la “Protezione Testimoni”.

Non vedo l’ora di incontrarlo. I casi come i suoi mi incuriosiscono, e poi sono molto rari.

«Signor Smythe, il signor Garfield è arrivato»

«Grazie Jud, faccia entrare il gatto» le rispondo con il sorriso, sperando che lui non sia a portata d’orecchio.  Ma per mia sfortuna lo sento dire a Will:

«Gatto, William? Io lì non c’entro, non sono disposto ad essere preso in giro da una persona che nemmeno conosco»

«Non essere ridicolo Thomas, entra!»

Cerco di darmi una controllata, mentre girano la maniglia, tendo a togliere la mia maschera quando sto in compagnia di Judith, non ne ho bisogno. Il primo ad entrare ovviamente è il poliziotto.

«William che piacere rivederti! È sempre interessante lavorare con te, come stai? »

«Potrebbe andare meglio, ma non mi lamento> di sicuro si riferisce ai problemi che gli sta causando il suo amichetto contrariato all’idea di condividere anche l’aria con me.

«Invece come sta la tua dolce Emma? »

«Sempre meglio, sta facendo dei progressi. Ti porta i tuoi saluti»

«Mi fa piacere>. Il signorino invece rimane in disparte, con il viso coperto da un cappuccio enorme, e per non bastare ha anche la testa abbassa ed è in posizione di difesa. Sarà una bella salita con lui.

«Salve anche a te, Thomas. Io sono Sebastian Smythe»

Non mi risponde e se è possibile si nasconde ancora di più. Will mi guarda dispiaciuto, ma non sempre sorpreso dal suo mutismo. Mette una mano sulla spalla del ragazzo e con l’altra gli toglie il cappuccio dalla faccia. Thomas si gira arrabbiato verso di lui e si vedono benissimo tutti i muscoli del suo corpo che sono tesi, anche se la maggior pate sono coperti da strati di vestiti, si vede che sono pronti all’attacco.

«Io vi lascio da soli. In bocca in lupo Sebastian»

Detto questo si gira e si chiude la porta alle spalle, rimaniamo da soli e lui si ostina ancora a non guardarmi sulla faccia.

«Se vuoi ti puoi sedere, sono abbastanza comode queste poltrone ed è sempre meglio di rimanere sulla porta in piedi, non trovi?»

Non sono ancora riuscito a guardarlo in faccia, ma ho una completa visuale dei suoi ricci indomabili, e vorrei tanto passare una mano fra i suoi capelli per vedere se sono così morbidi come sembrano. Non capisco da dove venga questa voglia di toccarli, ma la caccio in un angolo remoto nella mia mente.

È il tuo paziente Sebastian, datti una controllata

Lui si avvicina molto lentamente alla sedia, con una lentezza calcolata, pensa che in questo modo io mi innervosisca. Quando si siede davanti a me si decide ad incontrare i miei. E nel momento in cui i nostri sguardi si fondano desidero che non l’avesse mai fatto, non può essere vero.

Sapevi che questo giorno sarebbe arrivato prima o poi.

Furto un cavolo.

Piacere Boy B, ne è passato di tempo.

 

 

TBC...

Note dell'Autrice:

 

Ecco a voi il capitolo di Seb! Spero che vi sia piaciuto!

Le note saranno un po’ lunghe, visto che dovevo chiarire anche delle cose del primo capitolo, mi scuso ancora ma l’altro ieri non sono stata un momento a casa. SCUSATEMI!

Allora io partirei con dei piccoli chiarimenti per il capitolo precedente. Allora la prima scena è una parte del solito incubo che Blaine rivive ogni notte, è un piccolo “assaggio” di quello che lui vede durante il suo sonno tormentato. Il titolo, non sarò stata molto originale, ma quando mi è venuta in mente la scena del flashback ho pensato che era quello giusto. Spero che sarete d’accordo con me quando più avanti sarà svelato il motivo dell’usignolo. Se lo state pensando sì mi venuto in mente all’inizio per via degli Warblers, che io adoro follemente, ma poi facendo alcune ricerche su questo tipo di volatile ho scoperto una cosa perfetta che mi servirà più avanti ;)

Poi per mettere un pizzico di quel calore famigliare, che Blaine purtroppo a vissuto poco, ho fatto quel piccolo scambio di battute sul indubbio gusto del cosiddetto pigiamino di Superman. * Riferimenti a Grant sono del tutto casuali *

Sul film il poliziotto regalava al personaggio di Andrew Garfield (sì, il cognome di Blaine viene da qui, non dall’omonimo gatto arancione nato dalla penna di Jim Davis, come pensa Sebastian) un paio di scarpe, io non volendo fare la scena completamente uguale ho optato per dei vestiti.

Adesso veniamo al capitolo si Seb * i cori dell’Alleluia si liberano nell’aria *

Non ho voluto cambiare del tutto la personalità del Sebastian che abbiamo conosciuto in Glee, quindi sarà il solito Bas quello che ne cambia uno al giorno, ma è anche quello che sa come rimediare ai suoi errori. E secondo dal mio punto di vista anche lui è un romanticone e aspetta solo l’uomo giusto per fidarsi e lasciarsi andare completamente a lui. Chi sarà mai? Boh!

Veniamo alla piccola Sapphire, che io la adoro! Amo i dalmata proprio come razza e l’ho scelta perché i dalmata, secondo me, sono i cani più eleganti quindi perfetti per il nostro francesino.

Da come si sarà capito anche Sebastian ha qualche scheletro nell’armadio che non gli danno tregua, a cosa sarà dovuto? E soprattutto, come fa ha conoscere che Blaine è Boy B? Di nuovo, boh!

Visto che anche la famiglia di Seb sarà poco presente, ho pensato che doveva avere un punto fisso. E la signora Miller mi è sembrata perfetta per calzare questo ruolo. Si conoscono da tanto tempo e per questo sanno in base al tono cosa l’altro pensa, è come una seconda mamma per lui.

Appuntatevi il cognome “Thompson” lo risentirete parlare :)

Gli aggiornamenti riprendo il loro ritmo e ci vediamo fra 10 giorni.

Spero che vi sia piaciuto e che non vi ho annoiato con queste note chilometriche.

Grazie a te che hai letto e grazie alla mia beta!

Grazie anche a chi è rimasto e a chi da fiducia alla mia piccola.

 

Per chi volesse ho anche scritto questa one shot “Darkness before the Limelight

 

Alla prossima

 

_Beth

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Capitolo 6
*** When Jupiter Met Sapphire ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono e sono di prorpietà del nostro zio

 pelatone Ryan, ma mi appartengo Sapphire e Jupiter, alla faccia tua Murphy!

Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

 

 

Boy B

 

.- When Jupiter Met Sapphire -.

 

Era ormai arrivato l’autunno quando un sabato mattina il mio guscio si iniziò a scheggiare.

 

«Tom! Potresti portare Jup a fare una passeggiata? Devo uscire e non faccio in tempo»

«Ok»

«Grazie! Ti ho lasciato qualche soldo sul mobile all’entrata, così se ti serve qualcosa lo puoi comprare»

«Quando trovo un lavoro ti restituisco tutto»

«Non ti preoccupare caro. Io vado, ciao!»

 

Quando chiuse la porta alle sue spalle mi ritrovai Jupiter davanti tutto agitato e con in bocca il suo guinzaglio, aveva capito già tutto. Invece di fare la solita passeggiata decido di portarlo al parco e farlo giocare un po’ lì, per sicurezza mi porto anche un libro.

Prima di andare al parco mi fermo su uno Starbucks e bevo il mio caffè lungo la strada. Appena metto piede al parco noto quanta moltitudine di gente si sia a quest’ora, ed è proprio per questo che mi metto il cappuccio della felpa in modo che mi copra la faccia il più possibile e scelgo anche l’albero più isolato. Quando l’ho individuato gli tolgo il guinzaglio e lo lascio libero di correre.

 

 

«Vediamo se questa riesci a prenderla. La lancio più lontano questa volta, ok?»

La vedo che sta aspettando il momento giusto e non riesce a stare ferma, è pronta per andare a ritrovare al pallina.

«Al mio tre. 1… 2… 3»

Non riesco a finire di pronunciare il 3 che già la pallina è in volo e lei è già alla sua ricerca. Però prima che lei riesca a prenderla un terranova le “ruba” la pallina, perché era arrivato prima di lei, e si mette ad inseguirlo

«Fermati Sapphire!»

Li vedo dirigersi verso la parte più appartata del parco e continuo ad urlale di fermarsi. Ad un certo punto vedo il cagnone che va addosso a uno che stava per i fatti sui a leggere, gli si è buttato completamente addosso, ma non sembra che si sia arrabbiato, anzi si mette a ridere e gli consiglia di prendere meglio la mira così la prossima volta riesce a fargli versare il caffè.

Quella voce, ha un suono così famigliare.

 

«Dai Marc torniamo indietro» ho ancora tutto quel sangue davanti agli occhi, così rosso e brillante, si poteva vedere chiaramente quella forza che sgorgava da quelle ferite, ma poco alla volta si affievolisce e ti succhia via la vita. «Possiamo ancora salvarla. Ti prego»

Perché non mi guarda, perché non capisce la gravità della situazione. «Potremmo fare la differenza, lo sai?» gli prendo un braccio per fermarlo e mi faccio guardare negli occhi, deve capire che anche se abbiamo una possibilità dobbiamo usarla, ma mi spaventano sono vuoti, come è possibile che non gli importasse nulla. «Stammi bene a sentire paladino delle cause perse: noi non abbiamo visto nulla, siamo solo passati per di qua, noi non centriamo nulla e non è affar nostro. Dimenticati tutto» provo a controbattere quando delle urla non attraversano tutto il bosco. Grida d’aiuto di persone che non sanno affrontare ciò che hanno davanti, perché troppo spaventate. Grida di persone che conosco e che non riuscirei a dimenticare. Alla fine c’è un unico urlo che predomina su quegli altri, che è più glaciale delle richieste d’aiuto perché questo ti canta la fine di una vita. Poi c’è un unico istinto, che sovrasta il mio volere di aiutarla, e mi porta a correre più veloce possibile per poter sfuggire da ciò che mi perseguiterà per sempre.

 

È quella stessa voce che mi desta dai miei più terribili ricordi, e non potrei essergli più grato, mi bastano già i miei incubi per ricordare.

«Hey tu. Non è che mi potresti togliere il tuo cane dal collo. E per la cronaca è riuscito nell’intento del mio cane» adesso la voce è più vicina e la distinguo chiaramente, l’avrò ascoltata per poco tempo l’ultima volta, ma il ricordo è ancora lì. Faccio finta di non averlo riconosciuto.

«Scusami, ma ha un ossessione per i colli. Sapphire smettila subito» mentre mi avvicino per toglierla il suo cappuccio viene fatto scivolare via dalla testolina di Sapphire. E i suoi occhi incrociano i miei come in quella sera d’inverno.

Perché devono essere sempre così spaventati?

 

 

Non oggi, ti prego. Non può essere lui. Ma a chi voglio darla a bere, riconoscerei la sua voce fastidiosa con quel leggero accento francese anche in mezzo ad altre mille altrettanto fastidiose. È possibile che non posso uscire tranquillamente almeno per una volta?

«Thomas»

Perché devi dire il mio nome in quel modo, e soprattutto perché devi stare così vicino a me in questo modo? E perché fra tutti i cani del parco il suo doveva avere una particolare dedizione al mio collo?

«Scusami veramente, è che la piccola qui ancora non salta così in alto come il tuo gigante. È arrivato prima di lei e l’ha inseguito. È il suo giocattolo preferito» mentre mi riferisce quelle informazioni superflue prende in braccio quel cucciolo che poi inizia a fissarmi con quegli occhietti dannatamente azzurri.  Non mi posso permettere di pensare a lui in questo momento.

«Non è mio, è di quella che mi ospita»

«Mi dispiace così tanto per il tuo caffè. Te ne posso offrire un altro?»

No, no, no, no «Grazie» stupido, stupido, stupido, stupido.

Mi tende la mano per aiutarmi ad alzarmi, ma io la rifiuto, mi è già bastato avere il suo respiro sul collo quando mi ha tolto da dosso Sapphire. Che nome strano, chissà perché ha scelto quel nome. Quando sono in piedi richiamo Jupiter che viene subito da me al primo richiamo e gli metto il guinzaglio, la stessa cosa la fa anche Sebastian.

«Dove preferisci andare a prendere il caffè?»

«Per me è uguale»

 

 

Lo rivedo che è rientrato nel suo guscio, per un momento mi era sembrato che non lo avesse più, mi ero illuso che forse era la volta buona per poter sapere un po’ di lui, ma è tornato ancora più spesso di prima. Mi metto a pensare a dove potremmo andare a prendere un caffè e poi mi viene in mente il bar vicino a casa mia. Meno tempo passiamo insieme e più lui sarà felice.

«Ho in mente il posto perfetto, seguimi»

Non mi aspetto una risposta, so già che non arriverà. Gli sembrerà già strano avermi detto più di due parole in fila. Non gli faccio domande e né lui le fa a me, ma questo silenzio dopo un po’ inizia a darmi sui nervi. Mi volto nella sua direzione e lo vedo assorto in chissà quali pensieri.

Pagherei oro per poter aver accesso ad un solo suo pensiero.

Però finalmente sorgo in lontananza l’insegna del mio solito bar.

«I cani purtroppo non possono entrare, puoi rimanere tu con loro? - annuisco - Che caffè preferisci?»

«Medium drip»

 

 

Alcune volte penso a come sia entrare su un posto e essere trattati come trattano lui, si vede che lui è un abituale, sembra uno di famiglia.

Deve essere bello.

Esce da lì con uno strano sorriso sulle labbra e uno sguardo molto imbarazzato, il che è strano per uno come lui. Mi chiedo cosa gli abbia detto di così sconvolgente il barista.

«Non farci caso, quello è più pettegolo di sua moglie, bella coppia quei due. Ti hanno scambiato per il mio ragazzo, solamente perché “non è possibile che tu prendi il caffè per un’altra persona, non lo fai nemmeno con Thad”»

Chi è questo Thad?

Scuote la testa e poi mi guarda e si mette a ridere, ha una risata strana un misto fra il divertito e il nervoso, dopo un po’ la sua risata mi contagia, perché effettivamente è alquanto improbabile che lui sia il mio ragazzo. Quando la mia si unisce alla sua mi guarda strano, come se avessi fatto qualcosa di veramente importante, come se l’avermi fatto ridere per lui sia un buon passo avanti. Ma è solo una risata alla fine, no?

Quando ritorna serio mi da il mio caffè e una bustina bianca con il marchio del bar disegnato sopra «Questo è stato gentilmente offerto da Charlie grazie al mio buon gusto» l’apro e vedo che c’è un solo biscotto, sembra che ha capito la mia nota confusa nel mio sguardo, infatti aggiunge «”Dovete dividerlo da bravi fidanzatini” un giorno o l’altro gli faccio assaggiare la furia di Sapphy»

«Dovrebbe tremare di paura allora»

E ritorniamo a ridere.

 

 

E questa da dove mi è uscita? È leggermente imbarazzato, ma lo maschera bene, ovviamente. Forse non è abituato a questo tipo di cose. Ma superato quel momento vedo che divide il biscotto e me lo porge. È al cioccolato, non è il mio preferito, ma spero che a lui piace. Sembra di si, si lecca leggermente le labbra prima di dare il primo morso al suo mezzo biscotto

«Abiti lontano?»

«No. Abito qui vicino. Tu, Thomas?»

«Io abito più in là del parco»

So che forse quello che sto per proporgli non lo farà mai, ma che perdo nel provarci?

«Will mi ha detto non dormi mai tranquillo. Se quando ti svegli e hai bisogno di parlare con qualcuno ti posso lasciare il mio numero. È il mio personale. Ci sarebbero dei medicinali che ti potrei prescrivere, ma tendo sempre ad usarli come ultimo rimedio. Fanno più male che bene alcune volte.»

Ad un certo punto ho paura che non accetterà mai il mio aiuto, ma poi mi allunga il telefono. Ma non mi salvo il suo, deve essere lui a chiamare.

 

 

È strano ciò che ho provato quando gli ho sfiorato la mano per prendere il mio telefono. Sembrava elettricità, chissà se anche lui l’ha sentita.

Mi fa un cenno col capo a mo’ di saluto e poi si dirige verso casa sua, mentre si allontana inizia a cantare a bassa voce, non riesco a riconoscere la canzone, ma riesce comunque ad attirare la mia attenzione e sento che mi è entrata dentro. Che si fa spazio fra i muri della mia fortezza.

E la cosa mi spaventa.

 

 

TBC...

 

Note dell'Autrice:

La data che noi gleeks abbiamo cancellato dal calendario è arrivata, purtroppo. *abbraccio di gruppo*

“COURAGE” ce ne servirà tanto…

Capitolo un po’ corto e titolo un tantino stupido, ma mi serviva una scusa per farli incontrare fuori dalle sedute e lo so è un cliché che loro si incontrano in un parco per via dei cani, ma mi sembra una scena carina, non trovate?

Passiamo al flashback, allora Marcus sarebbe il ragazzo, ormai uomo, che fu l’amico di Seb quello di cui ne parlava con Thad nel capitolo precedente. Voi stare pensando che Seb fu uno stupido quando fece quello, ma io non penso. Per chi ha visto il film sa com’era il loro legame, ma io non lo vedevo nemmeno a far del male a quella bambina. L’ho reso un spettatore, divorato dai sensi di colpa, di uno spettacolo disumano che gli si è impresso nella mente, forse questo è anche peggio. Essere impotenti nel fare una cosa o per salvare una vita deve essere molto brutto.

Blaine che si da dello stupido per andare con Bas a prendere un caffè mi sa tanto tenero, lui che vuole fare quello che non gliene frega niente, ma neanche lui riesce resistere ai suoi occhi (non sei l’unico Blaine, non sei l’unico…). Per uno come Blaine, che viveva per la musica, credo che non sia improbabile che si sia sentito toccato nel profondo quando ha sentito Bas cantare, anche se l’ha percepito come un sussurro e che il suo scudo si sia incrinato.

Non ho tanto da dire su questo capitolo, diciamo che ciò è dovuto dal fatto che sto in uno stato depressivo da quando ho sentito “Teenage Dream” versione acustica, ma anche da prima…

Per qualsiasi cosa mi potete trovare qui.

GRAZIE a te che hai letto e GRAZIE alla mia beta!

 

Al prossimo aggiornamento

_Beth  :)

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Capitolo 7
*** La lista della spesa ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di prorpietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

Boy B

.-La lista della spesa-.

 

«Vuoi che rimango?»

«No, grazie Will. Starò ok anche da solo»

Era la decima volta, da quando Shannon mi aveva detto che non sarebbe stata per pranzo, che William mi faceva la stessa domanda, e puntualmente riceveva la solita risposta.

«Se vuoi puoi venire da noi! Emma vorrebbe tanto conoscerti»

Voglio stare da solo, perché non lo capisce?

«William, veramente, starò bene! Posso anche prepararmi un pasto senza dare fuoco alla casa. Stai tranquillo e respira con il naso aiuta, sai?» a me il suo consiglio non mi era servito, chissà forse a lui può essere di aiuto.

«Molto divertente Thomas. Ma io sono serio, dai non è un problema un piatto in più»

«Ciao Will! Ci sentiamo presto» detto questo scendo dalla macchina e mi precipito alla porta con già le chiavi nelle mani. Non so se riuscirei a sopportare un altro invito. Non avevo nemmeno tanta fame, mi serviva solo il silenzio che ovviamente non potevo avere se passavo il pomeriggio con Will e la sua famiglia.

 

 

«Sto mangiando, Thad. Fai veloce!»

«Oh ciao Thad, come stai? Bene e tu Bas? Sto mangiando ovviamente, ma non ti preoccupare ho sempre tempo per il mio amicone. Dimmi tutto!» quanto non sopporto quando mi imita la voce in quel modo, non ho la voce così nasale, io.

«”Amicone”, Thad? Se devi farmi un’imitazione almeno fammela bene, io non ti ho mai chiamato in quel modo. Ne ho usati altri, ma mai questo»

«Ma che hai?»

«Niente»

«Sebastian»

«Non dire “Sebastian” in quel modo»

«E tu non dirmi che non hai niente quando hai qualcosa»

«Si può sapere perché hai chiamato “amicone”?» lo sento ridere dall’altra parte del telefono.

«Ok, non ne vuoi parlare. Tu ‘sta sera ceni da me. Non è un invito»

«Cosa ne pensa di questo invito la tua dolce metà?»

«Non lo sa. Ti devo parlare di lui. È importante»

Spero per la sanità, sia mentale che fisica, di quel cerebroleso di un Johnson che non gli abbia sfiorato un capello, ma dal tono di voce che ha usato Thad penso che la cosa non sia grave. Me lo auguro.

«Ok. A ‘sta sera»

 

 

Una cosa che non ho mai odiato della mia permanenza in cella era il silenzio. Stavo in un’ala non molto trafficata. Ovviamente mi avevano messo più isolato perché ero troppo piccolo anche quando stavo al riformatorio, figuriamoci se stavo in cella con persone che erano grosse il triplo o il quadruplo di me, non sarei sopravvissuto un giorno lì dentro. Mi odiavano, ma non al punto di vedermi morto, dopotutto non avevano molte prove contro di me, però quella che avevano ovviamente era a sufficienza per rovinarmi la vita...

Non ho dato fuoco alla casa perché non ho cucinato niente, spero che quando Shannon arrivi mi porti qualcosa, forse lei potrebbe aver intuito che senza nessuno che mi controlli io non mangio. Ogni volta mangio poco, il problema è che non ho quasi mai l’appetito.

«Thomas sono tornata!»

«Ciao»

«Guarda cosa ti ho portato? Prima di tornare a casa sono passata in quel bar. Ti va di raccontarmi quello che è successo oggi?»

 

 

«E tu che diavolo ci fai qui?»

«Mi trovavo da queste parti. Non avevo lezioni oggi pomeriggio e ho deciso di farmi una bella passeggiata»

«Ma se tu vivi dall’altra parte della città?»

«Dettagli. Allora mi rispondi o no?»

«Non mi compri con così poco: cappuccino e i miei biscotti preferiti. E tra l’altro ci ha già provato Jud. E sopratutto ho un patto di riservatezza con le persone che vengono da me»

«Lo sapevo che c’entrava uno di loro. Altro che riservatezza! Ho capito quello che hai: ti rompe il fatto che non puoi portartelo a letto!»

«Hai un così bassa stima di me? Questo mi offende»

Ci guardiamo ed entrambi ci mettiamo a ridere, ma dopo poco io ritorno serio.

«Seb, dai scherzavo. Non ti comporti mai così quando si tratta di loro. Che ha lui che gli altri non hanno?»

Che ha lui che gli altri non hanno? E qui da dove comincio…

Mi avvicino a lui e gli sussurro «Thad, ti ricordi di Boy B?»

«Stai scherzando, vero? Non può essere quello nuovo. Ma che diavolo hai combinato contro il Karma?»

Il mio sguardo gli fa capire che non sto scherzando, non scherzerei mai su di lui.

«Non ci credo. È assurdo! ORA TU MI RACCONTI TUTTO!»

«Sali in macchina. Cambio di programma: cena a casa Smythe»

 

 

«È stato un totale disastro»

Dico mentre mi lascio cadere sul divano.

«Che è successo?»

«Niente. Ci siamo guardati e basta. Lui mi faceva delle domande e io puntualmente non rispondevo»

«Ma tu lì ci vai per parlare, Thomas»

«Lo so, ma-»

«Niente ma, Thomas. Tu ci devi provare almeno, non muori se parli con qualcuno»

«Alla fine però ho parlato»

«E cosa gli hai detto?»

 

 

«Dovevi vederlo, Thad»

«Perché tu ancora ti diverti con questi trucchetti stupidi?»

«Alla fine però ha parlato. È un progresso» dico tutto con orgoglio, non mi piace quando mi critica il mio lavoro, perché non ne capisce i risultati.

«Ma dai il trucco di: inizio a scrivere cose stupide su un foglio per farlo incavolare è ridicolo, anche per te»

 

 

«E cosa ha scritto su quel foglietto da farti arrabbiare così tanto?»

«Ha incominciato a scrivere un qualcosa, sembrava così assorto mentre lo faceva e il bello è che mentre scriveva mi osservava con così tanta attenzione. Ma anziché scrivere quello che diceva la mia faccia si era messo a scrivere una lista della spesa!» mi guarda e si mette a ridere.

«L’ho sempre detto che Smythe sa il fatto suo. È un genio!»

«No è solo stupido»

 

 

«È cambiato?»

«Ovviamente Thad. Ma gli occhi sono ancora quelli di una volta. Certo non hanno più la vecchia fiamma, ma quella c’è ancora da qualche parte. Bisogna solo trovarla» però è così nascosta.

Rimaniamo un po’ in silenzio mentre finiamo di preparare la cena.

«Riuscirai a farti perdonare quando saprà tutto?»

Le sue parole mi riecheggiano nelle orecchie, poi lo guardo e gli dico «Fosse l’ultima cosa che faccio»

 

 

«Però è strano»

«Cosa, Thomas?»

Non so bene come esprimere quella sensazione che non mi ha mai abbandonato da quando ho incontrato i suoi occhi.

«Sento che non è la prima volta che li vedo» faccio una pausa e la guardo «Mi riferisco ai suoi occhi. È più che altro una sensazione, forse quella tonalità di verde è la più banale e la più comune»

Peccato che non è né banale e né comune. Mi hanno subito ammaliato e forse sono gli occhi più belli che abbia mai visto.

«Come se già io e lui ci siamo incontrati. Ma è improbabile, William mi aveva detto che Smythe è cresciuto  in Francia e io non sono mai stato lì. »

«Sei cresciuto a Westerville, no?»

E questo cosa centra?

Annuisco.

«Lui ha vissuto lì per qualche anno, quando era più piccolo. Aveva dei problemi in Francia, ma non so quali. Poi però è dovuto tornare lì»

 

 

«Pensi che ti ha riconosciuto?»

«Non penso, quella notte era troppo preoccupato a correre per guardarmi in faccia, anche se io mi ricordo perfettamente che i nostri sguardi ci sono incrociati, anche se solamente per la durata della più bella frazione di secondo… Ma spero di no»

«Bas non è colpa tua»

«Sì invece! Se io lo fermavo in tempo tutto questo non sarebbe successo»

«Quello era un ragazzo con dei seri problemi, è colpa tua anche questo?»

Io penso che anche questa fosse colpa mia, era il mio migliore amico, dovevo capirlo che aveva dei problemi a casa. Ciò che successe quella sera fu il primo reato di una lunga serie, ma dopo quella sera io me ne ritornai in Francia e non lo incontrai più. Qualche volta mi capita di cercarlo su google, per sapere quello che combina.

«Bas ascoltami bene. Ti tormenti perché quella sera non sei riuscito a fare niente, avevi 13 anni e eri diventato dipendente da quello. Era tuo amico e tu eri il nuovo arrivato preso in giro da tutti e coi genitori che si facevano guerra. Avevi bisogno di lui. Ti ha chiesto scusa»

«Non è a me che deve le sue scuse. Le deve a quel povero angelo e a quei due che si sono prese le nostre colpe»

«Le sue colpe»

«C’ero anch’io quella sera»

«L’hai sfiorata?»

«No»

«Lui?»

«Sì. Ma non ho fatto niente per fermarlo»

«Ma non potevi farlo! Era fuori controllo quella sera. Provava così tanto odio quel giorno, sei tu quello che mi ha raccontato tutto. Mi hai raccontato di quella sera come se fosse accaduta il giorno prima. Il suo sguardo era disperato e pieno di quella rabbia cieca. Si faceva schifo per quello che doveva subire dal fratello e lei quella sera era troppo felice per i suoi gusti quel giorno, si è trovata nel posto sbagliato e nel momento sbagliato. Lui fa schifo a me adesso, ma non è la tua colpa»

«Non ti stanchi mai, eh?»

Non mi risponde ma mi viene incontro e mi abbraccia. E riesco sentire ancora quel legame che un tempo ci univa, quell’amore che per me era vita, che mi ha aiutato a pulire le mie ferite, ma non guarendole del tutto. Sono ancora lì in bella mostra sul mio corpo a ricordarmi quello che non sono riuscito a fermare.

«Mai» ecco ciò che mi sussurra in un orecchio «Prima o poi riuscirò a farti capire come sei veramente»

 

 

TBC...

Note dell'Autrice:

Ecco che gli scheletri di Seb vengono a galla, certo questo è solo un piccolo inizio. Ho voluto giocare subito la prima carta del suo passato perché non volevo far diventare troppo pesanti i prossimi capitoli, visto che alcuni saranno belli tosti già di loro…

Un capitolo a due voci. Alcuni si aspettavano il pov di Blaine, ma entrambi hanno avuto il loro spazio u.u mi piacciono gli incastri e spero che il risultato vi sia piaciuto anche a voi 

Diciamo che adoro i Thadastian e boh mi piace la loro amicizia e non potevo non mettere Thad dentro a questa storia. All’inizio lui aveva anche un ruolo non proprio carino, ma poi ho optato per altro e mi sono fatta perdonare da lui. E logicamente Thad sa quanto sa Seb. L’unico che non sa è il povero Blaine… 

Forse alcuni potranno pensare che è ridicolo e assurdo il fatto che due persone siano scambiate per altre e che quest’ultime prendono le loro colpe. Non è troppo assurdo. Per chi l'ha visto nel “Miglio verde” succede una cosa simile a John Coffey, alla fine però lui muore perché gli altri non capiscono che lui voleva solo aiutare quelle bambine, ma è arrivato troppo tardi ed è stato più che normale, per la mentalità di quel tempo, definire colpevole un gigante di colore perché era troppo diverso dai loro canoni. Alla fine quello che ci frega sono i pregiudizi che gli altri verso di noi.

Della serie: ho preso spunto da due libretti leggeri. Ma alla fine un po’ di “fluff” contagerà anche a me e spero che ne varrà la pena di aver affrontato tutte le cose che gli farò vivere. 

Non ho altro da dire e spero solo che questa storia vi piaccia!

GRAZIE a te che leggi e GRAZIE alla mia beta!

Alla prossima

_Beth :)

 

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Capitolo 8
*** Un sogno fatto di mogano ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di prorpietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

Boy B

 

.- Un sogno fatto di mogano -.

 

 

Ogni giorno percorreva una nuova via e quel giorno

scelse una  strada che diede una svolta decisiva alla sua vita,

per renderla migliore.

Ma lui ancora non lo sapeva.

 

 

Erano passati alcuni mesi dalla prima volta che incontrai Sebastian, e ad ogni nuova seduta mi abituavo sempre di più alla sua presenza, ma non riuscivo ancora a fidarmi del tutto, i suoi occhi avevano una luce strana ogni volta che si perdevano nei miei, come se nascondessero un qualcosa che non voleva far trapelare dalle sue iridi smeraldine e non sono riuscito a darle un significato, mai, è proprio per questo che non riesco ad essere tranquillo quando i suoi occhi sono fissi nei miei.

 I miei incubi mi continuavano a tormentarmi ma non c’è stata una volta che l’ho chiamato, ne sentivo sempre il dannato bisogno, ma non l’ho mai fatto perché non ho trovato mai la forza per chiamarlo, avevo paura di disturbarlo. Alcune volte quando l’incubo era abbastanza vivido, come se avessi rivissuto quella notte sulla mia pelle un’altra volta, e sentivo quella sensazione liquida di paura, che mi scorreva nelle vene e mi faceva mancare il respiro e me la portavo dentro fino all’incontro con Smythe, mi bastava quella luce verde nei suoi occhi, quella che prendeva più brillantezza quando incontrava i miei,  per sentirmi subito meglio.

Una volta ho avuto paura di formulare un’idea, perché non posso avere risposte o ho paura di chiederle. Quel suo verde somigliava tanto al verde brillante alla fine dei miei incubi, quella che mi annunciava il risveglio e che ingloba i miei incubi, facendoli diventare un ricordo lontano, ma non troppo per poi farli ritornare nel momento in cui chiudo gli occhi un’altra volta la sera.

Blaine, non fare lo stupido. È solo una stupida luce legata al tuo subconscio, non centra nulla quel francesino.

Oppure no?

Pian piano mi sono abituato anche al nuovo ritmo che scandisce la mia nuova vita, e non mi posso lamentare. Sto iniziando a capire quanto sono stato folle, solamente per aver pensato di compiere il suo stesso gesto. Ma ero già partito stanco nell’affrontare questo viaggio di rinascita, però adesso incontro dopo incontro, la mia voglia di scoprire cosa ha in serbo per me un nuovo giorno è tornata. Impercettibilmente, un po’ alla volta, ma anche lei riprendeva la vecchia forza.

Un’altra cosa a cui non ne posso fare a meno è quella di portare fuori Jupiter, occuparmi di un’altra vita mi faceva sentire meno “rotto”, come se fossi ancora utile.

Dava i suoi benefici anche l’arrivo della primavera, che già si sentiva nell’aria, quella bellissima sensazione di rinascita. La percepivo come elettricità, quella scossa che ti attraversa tutto il corpo, è come se ti facesse dimenticare i tuoi problemi facendoti perdere il contatto con te stesso per renderti una persona nuova.

«Buon giorno Shannon! Non è una giornata bellissima oggi?» la saluto con un sorriso a trentadue denti appena entro in cucina.

«Buon giorno anche a te caro. Hanno messo pioggia oggi, dove la vedi questo bella giornata?» mi dice sorridendo, con un tono da presa in giro, io non avevo veramente fatto caso a quelle nuvole in al lontananza. Sento quella strana sensazione di rossore che inizia a prendere spazio nella mia faccia, cosa che non sentivo da un po’. Il suo sorriso quando vede il mio imbarazzo diventa ancora più canzonatorio.

Segno che la mia maschera perde sempre spessore.

«No - non lo so, mi sento solo … Felice, credo. Come se le cose si stessero sistemando da sole senza che io me ne sia accorto. Mi sono svegliato bene oggi. – e aggiungo con un sussurro – era da un po’ che non succedeva»

«Non hai urlato stanotte» mi dice sussurrandolo.

«Scusami?»

«Da quando sei arrivato qui non c’è sta una notte che non hai urlato. Ogni notte. All’inizio erano così forti, così disperate, così impaurite che ogni volta ti volevo svegliate per non farti rivivere un’altra volta ciò che era successo. Ma non sentivi mai le mie carezze o i miei richiami. Ne ho parlato con Will ed entrambi abbiamo pensato che non c’era un modo per aiutarti, l’unico forse era mandarti da Bastian, perché anche se ti svegliavo ad un certo punto, tu lo avresti sognato ancora quando riprendevi a dormire. Mi sentivo così … Imponente, sai? Ma da quando vai Sebastian quelle urla hanno perso la loro potenza, ti dimeni sempre meno. E anziché urlare con tutti il fiato possibile il suo nome hai iniziato a sussurrarlo per tutto il tempo. Certo urli ancora tanto, ma non mi fai più tanta paura»

«Mi dispiace. Non pensavo che i miei incubi ti potessero far preoccupare così tanto. Fanno tanta paura anche a me, tanta. È come se rivivessi quel giorno ogni sera, ma ormai è diventato un pensiero fisso»

«Non è stato solo un furto, vero?»

«No, non è mai stato un furto. Un furto c’è stato, ma non nel senso in cui lo intende la legge. Non posso dirti a-»

«Lo so e io non voglio sapere. Spero che un giorno…»

«Non potrò mai dirtelo, mi odierai anche tu come hanno fatto gli altri prima di te. Anche quando finirà tutto e mi diranno che ho sempre avuto ragione quando dicevamo che cercavamo solo di sistemare l’irreparabile, però ci hanno etichettato come mostro lo stesso. Ho paura, Shannon.»

«Non lo farei mai, lo sai.»

«No lo farai anche tu. Come hanno fatto tutti. Anche mia madre non mi ha creduto! MIA MADRE! Ma noi non siamo i colpevoli.»

«Certo, tu non potresti fare mai qualcosa di così terribile. Sei puro dentro, anche se adesso ti vedi così sporco, beh non lo sei»

 E dopo mi abbraccia e io mi ritrovo a nascondere il viso nell’incavo del suo collo, mi sento gli occhi che mi fanno male, ma non voglio farle vedere che questa conversazione mi ha aperto quella vecchia ferita mai chiusa. Rimaniamo così fino a quando smetto di tremare.

 

 

Alcune volte è buffo come tutto quello che ti occorre per poter riunire insieme i pezzi della tua anima è il gesto più semplice. Quanti modi avrò tentato per risentirmi in questo modo, pensavo di esserci riuscito quel giorno, ma mi sbagliavo di grosso. Alla fine tutto quello che mi serviva era un abbraccio.

Un abbraccio in cui potevo sentirmi debole e non averne vergogna

Un abbraccio in cui potevo sentire il calore celato dietro ad una preoccupazione.

Un abbraccio in cui potevo sentirmi puro come un tempo.

Un abbraccio in cui mi sentivo protetto.

Un abbraccio che sapeva di Amore.

Ho sempre pensato che quello che ho sentito quel giorno poteva essere paragonato al modo in cui mi faceva sentire vivo il mio Matisse, non dico che fosse uguale, solo leggermente simile,  ma mai come adesso ho capito quanto in realtà mi sbagliassi, un’altra volta ancora. Ho sempre avuto questa stupida paura di ammettere che quello che provo è vero. Ma in quel suo abbraccio ho realizzato quanto amassi il mio Finck.

 

Rimaniamo così fino a quando smetto di tremare. Sono io a sciogliere l’abbraccio.

«Ho bisogno di schiarirmi la mente. Scusami, a dopo.»

Detto questo la saluto ed esco con Jup. Facendo attenzione a non liberare quella lacrima solitaria dalla sua prigione fatta di ciglia, ennesima prova che ormai la mia maschera sta cadendo a pezzi come il mio corpo.

E cosa farò a quel punto?

 

 

«Svegliati Bello Addormentato! Ti ho mai detto che sei adorabilissimo quando dormi. Sembri un bimbo. Quanto mi è mancato vederti in questo modo. Il mio piccolo Sebubu dormiglione.»

«Ti ho mai detto che di mattina presto non mi devi rompere? E poi “adorabilissimo”, per non parlare di “Sebubu”? Se è possibile mi viene ancora più voglia di prenderti a pugni. E non mirerei alla faccia, Thaddy»

«Siamo già acidi di mattina presto Sebby? Cos’hai? Sei andato in bianco sta notte?»

«Ricordami il motivo per cui ti ho dato le chiavi di riserva, non mi ricordo, forse ero veramente ubriaco quella volta ...»

«Come immaginavo. Perché primo sono il tuo Thad e secondo perché c’è stato un tempo in cui avevi bisogno di me. Alzati ora»

«Altri cinque minuti, è presto. Dobbiamo solo prendere un cavolo di anello. Poi sono anche chiuse a quest’ora»

Non ricevo una risposta, forse è la volta buona che posso ritornare a dormire. È così comodo il mio cuscino. Poi non è vero che sono andato in bianco questa notte, solo è da un po’ che il mio letto non è trafficato da altre persone che non sono io o Sapphire, ma non mi sto perdendo un granché.

Ma che diavolo di stregoneria mi hanno fatto gli occhi di Boy B? Perché ci sto ricascando come quella volta?

Stupido Smythe!

«Sei vestito, vero? No, non rispondere corro il rischio»

Il mio cervello è troppo assonnato per capire quello che sta succedendo intorno a me e non è riuscito a captare il pericolo, perché dovevo capire che stava tramando qualcosa. Infatti dopo pochissimo tempo mi ritrovo bagnato fradicio.

«Ma tu non puoi tirare dell’acqua a delle persone per farle svegliare. Quanti anni hai Harwood? Io te ne darei 6 solo per l’altezza, ma se parliamo di cervello allora ti devo dire 6 mesi.»

«Adesso se hai finito il tuo teatrino, vestiti! Poi era l’unico modo per farti alzare da quel dannato letto quando non hai voglia»

«Ti odio.»

«Oh ma anch’io ti voglio bene Bas. Ma te ne voglio ancora di più se ti muovi.»

 

 

«Rallenta il ritmo, Jup! Abbiamo tutta la mattina»

Questa mattina, quando mi ero svegliato, avevo in mente di andare a cercare un qualcosa da regalare a Shannon per ringraziarla, ha fatto così tanto per me e io l’ho ripagata facendola preoccupare fin troppo in questi mesi e io non me ne ero neanche accorto. Proprio per questo motivo mi ritrovavo a gironzolare per quelle vie di Columbus dove c’erano dei negozi in cui vendevano degli oggetti vintage, perfetti per casa sua, ma dovevo solo trovare il posto giusto. Cercavo qualcosa particolare per il suo arredamento anni ’50, anche se è più difficile di quanto aspettassi, non sapevo cosa cercare.

Era la decima volta che faccio avanti e indietro su quella via, perché nessun negozio mi attirava?

Avevo ancora la mente persa nella conversazione di oggi. Forse se ci fosse stato ancora lui con me adesso, avrei trovato l’idea per il regalo in un secondo …

 

«Mi devi aiutare» alzò gli occhi dal libro di favole che stava leggendo il bambino dagli occhi color del cielo, richiamato dalla voce del amico.

«Ciao anche a te, Bizet. Sto bene anch’io, grazie. Dimmi tutto» gli disse sagacemente il piccolo, come era suo solito fare.

«Non so cosa regalare alla mamma, tu che fai alla tua?» l’altro bambino non colse subito nella risposta un velata nota di sarcasmo, era troppo preoccupato del suo dilemma e per questo fece quello che gli aveva detto il suo migliore amici senza pensare che quello era un modo per fargli capire che doveva come minimo ricambiare il saluto. Ma il bambino dagli occhi celesti sapeva bene com’era fatto il suo amico, non ci diede troppo peso a quella sua svista e come al solito suo aiutò il suo adorato Bizet.

«Le voglio fare un disegno, non vuole cose troppo “vuote”, come qualcosa che si può comprare. Avvolte mi dice che un abbraccio e un “ti voglio bene” valgono più di mille regali» gli rispose con un sorrisone che gli illuminava il suo visino niveo, per poi continuare «Lo so che può sembrare poco, ma lo avrò affatto io e ci metterò dentro tutto il mio amore che provo per la mia mamma.»

«Hai avuto proprio un bella idea! Ma non so se alla mia mamma andrà bene … Però possiamo provare insieme! Disegniamo qualcosa insieme. Possiamo usare i miei pastelli, quelli che ti piacciono tanto e tu potresti portare i fogli magici di tua mamma.»

«Ok! Ti aspetto al nostro posto segreto fra mezz’ora»

 

Mi ricordo quel giorno come se fosse ieri. Ci divertimmo tanto, ma non disegnammo di mamme e figli e di quel tipo di amore che li lega, ma immaginammo posti fatati dove non tutti i principi volevano salvare una donzella in pericolo, ma di altri principi azzurri che preferiscono di gran lunga passare il loro tempo in compagnia del loro principe dei sogni. Mi manca tantissimo il mio principe.

Chissà dov’è ora…

E in quel momento quella leggera brezza primaverile, quella stessa brezza di cui ho letto tante volte, mi accarezzo i capelli in quella che per me è la più dolce fra le torture.

 

 

«Ti prego in ginocchio. Fermati su una dannata gioielleria, e datti una mossa tu adesso»

«È una cosa importante! Deve essere perfetto. Stai zitto e cammina»

«Ma se fai avanti e indietro per mille volte senza entrare mi dici a che serve? No, perché non ci arrivo»

«Hai ragione»

Quando mai ho torto?

«Cambiamo strada»

«No, dai questa è perfetta. Entriamo qui!»

«Conosco il posto perfetto»

 

 

È strano come ti ritrovi in un posto in cui non sapevi come esserci arrivato, ma eccomi qui, con la faccia appoggiata al vetro del Jull’s, ad ammirare quel posto magico animato dalla linfa vitale della musica. In quel negozio regnava un silenzio strano, fatti di strumenti che erano in attesa di essere suonati.

«Se vuoi puoi entrare, basta che non rompi nulla»

Mi giro verso quella voce, che aveva quel non so che di antico, come se avesse vissuto tante avventure, alcune belle, ma altrettante brutte. Era un signore che avrà avuto una settantina di anni, che ora mi sta fissando per capire se capisco la sua lingua oppure sono solo uno stupido. Ma io sto con Jup, non so se può entrare.

«Sono il proprietario del negozio, se vuoi puoi lasciarlo a me e se ti serve qualcosa mi chiami e lo leghi da qualche parte»

«Grazie»

Mi sembra un sogno, però può essere solo la realtà perché di solito le mie notti sono dominate dagli incubi, ma se fosse solo un sogno spero che nessuno mi svegli, non finché ho messo le mani su un pianoforte.

Quel negozio era un posto fuori dal tempo. Con i suoi strumenti fatti a mano e senza gli apparecchi moderni che si usano adesso per fare musica.

Ci sono tanti strumenti, ma l’unica cosa che ha attratto la mia attenzione è uno Steinway antico, fatto della più bella qualità di mogano, posizionato in parte appartata del negozio.

Non può essere vero. Uno Steinway,assurdo …

 

 

«Mi può dire di grazia perché siamo venuti in questo buco fatti di pezzi antichi e non siamo entrati in quel negozio nella civiltà?»

«Sebastian! Qui siamo nella civiltà quanto lo eravamo prima, ma mi serve qualcosa di più particolare per lui. Deve essere perfetto, perché non riesci a farti entrare questo concetto?»

Mi fermo un attimo e lo prendo per le spalle.

«Thad, fermati. Guardami. Al tuo uomo non interesserà nulla di come è fatto quel anello. Ma sai cosa gli interesserà veramente? – mi fa cenno di no con la testa – A lui gli interesserà ciò che sarete da quel momento in poi e se fa il contrario allora è l’ennesima prova che lui è un idiota.»

Si rilassa e mi sorride. È sempre stato così, doveva sempre trovare un modo per complicare le cose. Ma questo è sempre stato il suo modo di mostrare quanto teneva a una cosa, quanto erano importanti per lui.

«Come ci riesci a dirmi sempre la cosa giusta per farmi vedere le cose chiaramente?»

«Ti ricordo che questo è il mio lavoro»

Mi da una leggera spinta «Hey, mi fai male in questo modo – gli dico con finto tono ferito – Sono il tuo Bastian, ecco perché. Anche se tu ti sposerai con quello saremo sempre noi. Sarai sempre il mio primo Thad e voglio solo il meglio per te. – poi aggiungo in un tono più basso e vibrato –  Ma il problema è proprio questo: se sei stato con il mitico Sebastian Smythe come puoi pretendere il meglio, quando il meglio te lo sei già giocato?»

Questa volta il pugno che mi colpisce la spalla è più forte, ma non mi lamento ed entrambi ci mettiamo a ridere.

«E invece come va con il tuo paziente?»

Odio quando dice quella parola, perché lui lo sa che per me Thomas non è solo un paziente e non classifico nessuno dei miei con quel termine, perché sono solo persone che hanno bisogno di un aiuto per venir fuori dal loro tunnel, troppo buio, che non gli fa vedere con razionalità il mondo reale che li circonda. Paziente mi sa tanto da non curabile, e io li aiuterò fino a quando non saranno bene come prima.

Poi Tom non lo è mai stato dal momento in cui ho scoperto chi era in realtà, ciò da quando ho incrociato i suoi occhi per la seconda volta.

«Sta migliorando. Thad non chiamarlo mai più in quel modo, lui è diverso. Chiaro?»

«Seb tranquillo, lo so. Dicevo per dire»

«Proprio perché lo “dicevi per dire” non lo devi dire. La prossima volta filtra i tuoi pensieri prima di dargli fiato»

«Oh Dio, sono proprio uno stupido. Scusa, io prima di tutti lo dovrei sapere perché odi tanto quel termine. Io, veramente, scusami.»

«Questo negozio perfetto?»

 

 

Non avevo mai visto un pianoforte simile. Era meraviglioso. In stile vittoriano e i particolari erano perfettamente intagliati. Lo avevo riconosciuto subito, mio nonno avrebbe dato tutto quello che aveva per avere quel modello, ma erano una edizione limitata e chi lo possedeva non l’avrebbe mai venduto. Era un Centennial.

Se non lo vende, come mai sta qui?

Mi guardo in giro e noto che in questa zona rialzata non ci sono altri strumenti e c’è una tenda rosso veneziano, aperta per metà, che deve delimitare la stanza.

Forse io non dovrei stare qui.

Ma la voglia di poter sfiorare quei tasti e bearmi di quel suono meraviglioso è troppa. Alzo delicatamente il panno, della stessa tonalità di rosso delle tende, posto sopra i tasti e mi fermo ad osservare quei tasti leggermente ingialliti e consumati dal tempo. Le mani mi tremano per l’emozione e per la paura di poterlo danneggiare, ma le posiziono lo stesso sopra ad essa.

Col pollice faccio una delicata pressione sul Do, il suo suono esce leggero come una piuma per poi liberarsi nell’aria e si infrange con tutta la suo potenza nel mio cuore, dandogli una svegliata e il battito che riprende il suo vecchio e vivo ritmo fa quasi male.

Passato quel primo momento di timore, le mani iniziano a vagare per la tastiera da sole. Non seguono una melodia precisa, ma le lascio suonare un qualcosa che comprende un po’ tutto ciò che avevo imparato e quando non mi ricordo un pezzo parto con un altro, fino a quando non si può più distinguerli e creano una nuova armonia, con battute fra loro differenti, ma che sembravano essere nate per essere suonate da me il quel modo.

Sono talmente preso che non mi accorgo che il signore di prima sta entrando nel suo negozio e che molto probabilmente quando verrà qui dovrò sorbirmi una bella ramanzina, ma non mi interessa, non ora che mi sento così vivo. Però mi fermo nel momento in cui i suoi occhi scuri si posano sulle mie mani.

«Non farlo, continua per favore.»

«Mi dispiace veramente, signore. Non avrei dovuto entrare in questa stanza, ma sono stato ammaliato da questo bellissimo Centennial. Mi scusi ancora, tolgo subito il disturbo»

«Notevole ragazzo, non tutti lo riconosco, benché quello Steinway che stavi suonando, fu uno dei primi che siano stati costruiti di quell’edizione. Però prima ti ho detto di continuare, non di fermarti»

«Mi scusi ancora. Nonché l’avessi riconosciuto non sono riuscito a fermarmi in tempo per resistere all’impulso di suonarlo. È stato più forte di me.»

«Non tutti quelli che sanno apprezzare un bel strumento riescono a resistere al non provarlo. Cosa stavi suonando prima, non sono riuscito a dargli un nome. Quando lo riconoscevo, cambiava subito in altro. Forse è quella “musica” che amano tanto i giovani di questi giorni, in questo caso non la riconoscerei mai, ma questa aveva un non so ché di studiato.»

«Io non saprei, signore. È da troppo tempo che non studio più ormai. Ma le mani, sembravano che andavano per il loro conto, mosse da qualcosa che non posso controllare. Più che altro ho suonato vari pezzi che ho imparato quando ancora andavo alla scuola di musica.»

«Da quand’è che non suoni?»

«Da troppo, signore.»

«Chiamami James, “signore” mi fa sentire più vecchio di quanto lo sia. Com’è stato risuonare?»

«Era come se fossi tornato a casa, sig- James.»

 

 

«Ti consiglio di toglierti quella faccia, che se ti vede con quella si insospettirà e ti farà delle domande a cui non saprai non rispondere e gli spiffererai tutto.»

«Ma non è perfetto?»

«Sì, Thad è la perfezione guarda. Ma dacci un taglio, stai tendendo al ridicolo.»

«Lasciami godere questo momento!»

Ormai è diventato un caso disperato e l’unica cosa che posso fare è guardarlo in quello stato pietoso e assecondarlo. Ma visto che lo sto facendo da questa mattina mi metto a sedere su una panchina e finisco di bere il mio terzo caffè comodamente.

Ad un tratto una voce mi fa raggelare sul posto.

«Sebastian ma che ti è preso? Ti hanno sbagliato il caffè? Non è che ti hanno messo qualcosa che ti da allergia vero? Ma stai sbiancando, non gonfiando … Che diavolo ti è preso? SEBASTIAN!»

«Non urlare il mio nome! Siediti e facciamo finta di essere una coppia. Ora tu ti metti vicino a me e ti cingo le spalle con il braccio. Adesso!»

Apre la bocca ma quando incrocia il mio sguardo che non ammette alcun ma e prende posto affianco a me. Prima di poggiare la testa sulla mia spalle mi sussurra:

«Mi puoi spiegare il motivo?»

Io mi giro per lasciargli un leggero bacio fra i capelli e respiro il suo odore che anche oggi ha il potere di stordirmi.

«Davanti al Jull’s c’è Thomas. No ma sei proprio un deficiente! Non solo urli il mio nome, ma ti giri pure! Visto che ci sei, perché non mi metti un’insegna luminosa sopra la testa su scritto “Sebastian Smythe è qui”»

«Non me lo immaginavo così, sai. Sembra così felice. E bravo il mio Sebubu che aveva buon gusto anche quando era piccolo e stupido. I miei complimenti. Ma non ti preoccupare è talmente perso nel suo mondo che non si è accorto di niente»

«Quello è un negozio di musica. Certo che è felice!»

«Come fai a dire che è musicista se non te l’ha mai detto?»

«Non l’avrà fatto, ma lo si capisce. – poi mi guarda nel modo in cui ti fa capire che mi sta credendo neanche un po’ e vuole sapere la verità, perché lui sa quando mento – E va bene! Me l’ha detto William, contento?»

Prima di rispondermi, mi fa cenno di sì.

«Chissà cosa è successo da renderlo così. Per la cronaca si è allontanato»

Non fa in tempo a finire la frase che il mio telefono suona facendomi capire che mi è arrivato un messaggio e lo leggo subito.

«Lo vorrei sapere anch’io, ma credo che non devo aspettare molto prima di scoprire cosa sia accaduto»

Gli porgo il telefono e si mette subito a leggere quel breve messaggio. Alla fine il suo viso viene illuminato da uno strano sorriso.

 

Da: Thomas P. Garfield

Scusami, ma ho il bisogno di te. Sei libero per pranzo? Dimmi tu il luogo.

 

TBC...

Note dell'Autrice:

Ciao a tutti!

Piaciuta la sorpresa? Spero di si! Il banner è opera di quel genio di Ilarina ma non è meraviglioso? *feel like Thad Harwood* :’) Chi ha visto il banner in anteprima l’ha commentato così: “ohmydeargood **”, “IDIAXIIADISDI BELLISSIMO” e “è qualcosa di xfuvhtfguibhfgbh”. E poi ci sono io che ho fatto di peggio, perché ho adorato questo banner e lo trovo perfetto e ho “fangirlizzato” come poche volte! E a voi piace? 

Capitolo lunghetto, quasi lungo il doppio degli altri miei capitoli, ma è proprio ora che la storia sta prendendo il via, poi gli altri mi servivano per farvi entrare dentro alla storia, i prossimi saranno lunghi quanto questo, più o meno.

Visto che vi avevo accennato qualcosa sugli incubi di B mi sembrava giusto farvi “vedere” anche ciò che prova Shannon quando lo sente urlare in quel modo e non poter far niente per farlo star meglio la distrugge, ma non ha le capacità per aiutarlo veramente. Questa non sarà l’ultima volta che tratterò di questo argomento. Tutto ciò che riguarda il suo subconscio penso che sia importate.

Il fatto che Blaine/Thomas si senta meglio quando si prende cura di Jup è un fatto non è fantasia, si tratta della “Pet Therapy”. In poche parole si riesce a creare un collegamento tra uomo-animale-medico nei pazienti che non dimostrano una collaborazione spontanea, ma anche in altri casi, serve per farti aprire. Noi abbiamo un Blaine che si è chiuso dentro di sé e non voleva avere niente a che fare con le altre persone, adesso pian piano la sua maschera si sta sgretolando. Anche la scelta del Terranova non è dovuta dal mio amore verso questa razza, ma perché sono dei cani dediti al salvataggio, che si affezionano al loro padrone e sono perfetti per la pet therapy. Io credo anche nella musicoterapia, infatti da ciò è nato il Jull’s, gli dovevo dare un posto in cui potesse essere Blaine e non Thomas.

“E in quel momento quella leggera brezza primaverile, […] , mi accarezzò i capelli in quella che per me è la più dolce fra le torture.” Ricordatevi questa cosa della brezza. È importante, ritornerà più avanti.

Gli Steinway sono uno dei pianoforti migliori al mondo, se non il migliore in assoluto. Il pianoforte in questione è questo. Quando stavo facendo delle ricerche sul modello appena l’ho visto ho subito capito che era questo il pianoforte giusto, me ne serviva uno particolare, uno che ti salta subito all’occhio, uno che non vedi tutti i giorni. Il pianoforte del signor James non è per la vendita, è molto legato al suo piano e più avanti vi sarà rivelato il perché, sia il motivo per cui lo tiene lì e a chi apparteneva.

Thad e Sebastian :’) mi diverto tanto a scrivere di loro! Hanno il loro perché e mi piace questo loro legame che gli ho “creato”. Thad che impazzisce per un anello e Seb che da di matto perché ha visto Thomas. Non so se ciò fa parte di loro, ma mi sembrava giusto, è come se si stessero scrivendo da soli…

GRAZIE a te che hai letto e che sei rimasto fino a questo punto.

Un grazie va anche alla beta, per il lavoro che fa e per starci sempre.

Alla prossima!

_Beth

PS: *si inginocchia* mi potreste far sapere quello che ne pensate della mia bimba? Potete usare quello che vi pare: un piccione viaggiatore, o un bel usignolo, segnali di fumo, un rotolo di carta igienica con dentro un piccolo messaggio, messaggi privati, o un tweet, qualsiasi cosa! *puppy face* #hopelessnessmodeON Mi piacerebbe tanto sapere quello che pesante, veramente :)

 

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Capitolo 9
*** Un incontro inaspettato ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

 

Boy B

 

.-Un incontro inaspettato-.

 

«Mi dispiace, Thad»

«Non preoccuparti, vai da lui e poi chiamami ok? – fa una pausa e poi continua – stai tranquillo Bas, lo so che non ti aspettavi quel messaggio, ma forse non è niente»

«Mi puoi accompagnare fino a lì? Così ti puoi fermare da qualche parte e mi aspetti. Possiamo mangiare anche insieme dopo»

«Ti accompagno fino a lì, ma non mi fermo. Avrete da parlare e se rimani solo con lui forse è la buona volta che esce dal guscio.»

Annuisco. Forse è anche meglio così, se mai lui mi dovesse vedere con qualcuno non saprei come potrebbe reagire. Non gli piace avere troppa gente, che conosce o che sente che lo potrebbero giudicare, intorno quando deve parlare, il che è strano il fatto che ha accettato quando gli ho detto di incontrarlo su questo bar, di solito è come se gli altri lo innervosissero e irrobustissero la sua barriera. E non riesco neanche a capire il motivo per cui sono così agitato, forse sembrerò anche uno stupido, però ho paura che gli sia successo qualcosa. Forse il signore del negozio si è arrabbiato alla fine perché gli ha spiegato qualcosa del suo passato o forse l’ha riconosciuto. No, non è possibile questo.

«Dai su, Bas! Vedrai non è successo nessuna catastrofe che il tuo cervello sta prendendo in considerazione. Calmati siamo quasi arrivati»

 

 

Forse era meglio se non lo chiamavo, ma prima mettevo in chiaro questa situazione e meglio era. Forse, però lo posso anche aver disturbato, ma questa volta non è che mi interessa più di tanto.

Ma quanto ci mette?

E soprattutto perché ho scritto che ho il bisogno di lui, mi avrà scambiato per un pervertito o cose del genere.

E poi ecco che arriva, lo riconosco anche se è lontano dalla sua camminata elegante, è stretto in un abbraccio con un altro. Perché questa sua immagine felice insieme a quello mi sta procurando delle fitte atroci sull’addome?

Si lasciano prima di attraversare la strada, con un abbraccio e lui gli bacia la fronte. Forse hanno paura di andare troppo oltre in pubblico.

Oppure sono solo amici, Blaine. No, è impossibile visto il modo in cui si guardano.

Quella strana sensazione è rimpiazzata subito da una sorta di benessere quando Sebastian mi regala uno di quei sorrisi veri e splendenti, ai quali ormai rispondo genuinamente.

Prende posto davanti a me e mi dice.

«Hey Tomas. Come stai?»

«Sto bene. Scusa per il messaggio, ma mi serve il tuo aiuto. Prima risolvo questa cosa e meglio è …»

«Dimmi tutto»

Non so da dove partire, e tantomeno non so da dove tirare fuori il coraggio per potergli dire tutto.

E se dicessi qualcosa che non dovrei?

«Tom, puoi dirmi tutto. Se è un qualcosa di privato non lo verrà a sapere nessuno e se qui c’è troppa gente possiamo andare parlare a casa mia, siamo vicini.»

«Sono andato al Jull’s oggi. Sai cos’è?»

 

 

Quanto vorrei dirgli che certo che so cos’è il Jull’s l’ho visto uscirci da quel posto, ma prima di oggi non l’avevo nemmeno sentito nominare. Ma dopo mi prenderebbe per uno stalker. Quando ha detto la parola “Jull’s” è come se avesse ripreso a respirare, come se in quel posto avesse trovato quel qualcosa che gli mancava. Quel piccolo tassello che gli occorreva per chiudere con il suo passato e andare avanti. Mi limito ad annuire.

«Ho suonato.»

Me lo dice sussurrando, come se fosse un segreto. Ma lo dice anche in un modo dolce e vellutato, come se stesse pronunciando il nome del proprio amante.

«Eri un musicista, Tom?»

Sembra che si irrigidisce quando gli faccio questa domanda e mi trovo ad osservarlo più attentamente, sembra combattuto su quello che mi vuole rivelare. Come se stesse prendendo in considerazione l’idea di togliersi la sua maschera e mostrarsi per com’è realmente. Con mia somma gioia, opta per la mia seconda ipotesi.

«Avevo 4 anni quando ho visto per la prima volta una piano. Sembra strano che me lo ricordo così bene, ma quel coso, a quell’età non sapevo nemmeno leggere tanto bene figuriamoci se riuscivo a distinguere uno strumento da un altro – mi dice ridendo di se stesso, si vede che ha abbassato tutte le barriere e ora si sta rivelando per l’uomo spaventato e distrutto che è – Mi era sembrata la cosa più bella nella casa del nonno, non ci avevo mai fatto caso, forse anche perché non mi era permesso di girare per casa sua. C’erano tanti oggetti antichi e di valore e mia madre aveva paura che li potevo rompere. Ma quel giorno mi diedi all’esplorazione della casa, mentre lei stava parlando con qualcuna del suo stupido club, e mi ritrovai in quella stanza bianca dove al centro c’era uno Schimmel nero, non riuscivo nemmeno ad arrivare alla tastiera, ma mi innamorai all’instante. – questa scena me la potevo benissimo immaginare: un bimbo dagli occhioni verdi fusi nella più dolce qualità del miele, che osservavano attenti ogni minimo particolare del bestione che aveva di fronte e saltare per  ogni rumore. Che si avvicina pian piano allo strumento e che quando arriva al seggiolino ha il timore di respirarci sopra  per non lasciarci delle impronte – Ma per mia sfortuna mia madre finì quella chiamata nel momento sbagliato e quando mi vide in quella stanza iniziò a sgridarmi, sai mi ero avvicinato troppo per i suoi gusti e non voleva che rovinassi il pianoforte a coda del nonno. Penso che per quanto ha strillato forte tutti in casa vennero a conoscenza della mia piccola disavventura, ma venne il nonno in mio soccorso e mi disse che se volevo potevo suonarlo – è strano che quando parla del nonno si rilassa completamente e ha il viso illuminato dal suo ricordo, invece quando parla della madre irrigidisce tutti i muscoli, vorrei tanto sapere che gli ha fatto quella donna – e mi madre per tutta risposta fece una faccia contrariata degna di Oscar.  Ma cosa può fare un bambino piccolo quando la mamma gli dice che non può fare quella cosa? – non si aspetta una risposta, e continua nel suo discorso, come se avesse paura che una sola pausa gli potesse togliere la forza di continuare – Allora visto il mio timore, il nonno mi prese in braccio, sai era un uomo forte per l’età che aveva, era stato un militare, ma non so come mai il suo sguardo è stato sempre limpido e dolce a dispetto di tutte quelle vite che il suo fucile ha posto fine. E ci mettemmo a sedere sul seggiolino in pelle del pianoforte, beh io ero sopra alle sue ginocchia, e mi disse di chiudere gli occhi e di stendermi meglio sul suo petto e di abbandonarmi completamente alla musica. Ho sentito tanti cd di musica di mio padre, ma mai come quella volta ne rimasi incantato. La vidi come una magia che prendeva vita, il mio nonno era il miglior racconta storie della famiglia. Anche con gli occhi chiusi potevo immaginare le sue mani che danzavano leggere sulla tastiera. Era come se tutte le sue storielle prendessero forma davanti a me. Quando la musica si fermò, mi sentii un po’ vuoto e solo, era finita la magia, ma lei c’era ancora dentro di me. La sentivo che era potente e viva, che si faceva spazio dentro di me, anche se ero molto piccolo, penso che mi cambiò radicalmente e mi indirizzò verso di lei. Allora lui mi disse di fare qualcosa e io non sapevo cosa fare. – fa una pausa e poi dice – Quel giorno scoprimmo che avevo l’orecchio assoluto»

«Avevi quattro anni, Thomas. Come facevate ad esserne certi, dai»

«Con l’orecchio assoluto ci nasci. Certo, ci sono tanti esercizi che ti portano ad abituare l’orecchio a captare anche la minima sfumatura e darle un nome, ma non sarà mai perfetto. Ma più che altro lo capii lui, a me non mi interessava averlo o meno. A me basta suonare. Averlo mi aiuta solo a esprimermi con la musica senza barriere. Riuscivo a dare voce alle mie emozioni solo con la musica. C’è chi nasce per salvare le persone e chi invece è nato per essere salvato da qualcuno. A me la musica mi ha salvato e mi ha dato vita. Molte volte ho avuto voglia di mollare. Non mi piacevano i miei compagni di corso, non mi piaceva la mia professoressa, per lei eravamo tutte scimmiette che dovevano suonare senza sapere quello che realmente facevamo e io che tendevo sempre di fare di testa mia venivo sempre messo da parte, perché a me il solo fine di suonare lo spartito non mi bastava mai, e si arrabbiava sempre. Fortunatamente avevo mio nonno, che mi ha insegnato il significato più intimo di suonare. Perché è più di una successione o sovrapposizioni di note in armonia. È come se la musica è la tua amante e tu devi essere devoto solo a lei, la devi saper amare o lei non ti permetterà di suonarla. Ci sono state altre due volte che mi hanno portato a tradire questo legame, una volta perché mi vedevano come quello strano e non mi piacevano i loro sguardi, mi mettevano a disagio e quindi preferivo suonare da me. La seconda è stat-»

Però dopo si blocca, ed è come pietrificato, non sa come andare avanti.

«La seconda?»

Lo vedo che unisce le mani sopra il tavolo e abbassa il capo. Posso vedere chiaramente che sta tenendo fra le mani una catenina. Mi viene istantaneo prendergli le mani, per trasmettergli il mio calore, e lui mi stupisce ancora, perché invece di scansarsi la prende fra le sue e appoggia la testa sopra le nostre mani intrecciate. Dopo un po’ le sento che vengono bagnate e con la mano libera gli accarezzo i capelli e pian piano inizia a rilassarsi. Il suo respiro si fa più regolare e dai suoi occhi non esce più tristezza condensata in lacrime. Non l’ho mai visto piangere e non me lo aspettavo. Ma si sta aprendo e tutto quello che esce fuori va preso e messo su un piccolo scrigno, perché le sue emozioni durante questo cammino sono più che preziose.

«Hey è tutto ok adesso. Ci sono io.»

Alza la testa e la mia mano cade pesante sul tavolo e rimane vicino al suo braccio. Poi tira su con il naso rumorosamente, la cosa più adorabilmente schifosa che abbia mai visto, e ho convissuto con Thad, il che è tutto dire.

«Io. Scusami è stata una mattinata strana.»

«Stai parlando con me, puoi sentirti libero di dire qualsiasi cosa. Per quanto mi riguarda se ti fa star meglio mi potresti prendere anche a pugni.»

La cosa più bella di questa mattina, oltre alla fiducia che ha posto nelle mie mani, che è ancora legata fra le sue, è stata quella risata leggera che si è liberata per merito mio e quel sorriso che mi è arrivato caldo come oro fuso sul cuore lasciandomi una sensazione di calore bellissima dentro. E mentre mi beo della sua risata lui mi stringe ancor di più le sue mani sulla mia. In questo modo posso sentire chiaramente il piccolo ciondolo che aveva fra le mani.

«Che ne dici se ordiniamo? Io avrei un po’ fame. Ho dovuto sopportare il mio migliore amico nella ricerca dell’anello perfetto per il suo uomo e mi ha concesso solamente tre caffè»

«Lui è gay? E non ti da fastidio?»

«Sarebbe un po’ ipocrita, non pensi? Considerando che al liceo stavamo insieme»

La faccia che fa è da immortalare per poterlo prendere in giro a vita, la mascella quasi tocca il pavimento per quanto è spalancata.

«Poi nell’eventualità non sarei stato comunque un omofobo o uno che non si definisce tale ma che prova ribrezzo al solo pensiero di vedere due uomini che si amano. Ho imparato che in amore conta solo quello che provi per l’altro e poi chi sono loro per dirci chi è giusto amare?»

Ancora non parla, ma che gli è preso?

«Ti vedo stupito, perché Tom?»

«Diciamo che non ho mai avuto l’occasione di conoscere persone che la pensano come te»

Poi mi guarda ammirato, come se non se lo aspettasse. Ma poco dopo abbassa la testa e in un sussurro mi dice che anche lui lo è.

«Puoi anche guardarmi, Tom. Io non ti giudicherò mai»

E quando lo fa, mi guarda con uno sguardo nuovo, senza barriere. Finalmente. Potrei vedere tutto quello che gli passa fra la mente, perché l’ombra marrone che era solita ad oscurare le fronde degli alberi che dominano i suoi occhi era come sparita, lasciando spazio ad un verde strano che ti permetteva di decifralo. Assurdo dirlo, ma lo preferisco a quando si tingono d’ambra, perché è come se adesso non mi permette solo di vedergli le ferite, ma mi fa vedere l’uomo dietro la maschera.

«Grazie»

«Grazie a te per esserti esposto»

Arriva il cameriere a prenderci le ordinazioni e a mio malgrado sono costretto a liberare la mia mano dalle sue  dolcemente e mi rimane il ciondolo fra le mani, lui se ne accorge e si irrigidisce un po’, ma non sembra darci troppo peso. Quando il ragazzo ci ha preso l’ordini ho la possibilità di osservare meglio il ciondolo.

«Te l’ha regalato il tuo amico, vero? – mi rivolge uno sguardo strano, come a dire “ma tu come l’hai capito?!” – Shannon mi ha detto che sei solito ad urlare un nome durante i tuoi incubi e se la memoria non mi inganna, inizia per questa lettera. Non arrabbiarti con lei, era tanto preoccupata. Mi ha chiamato una volta, durante la notte peggiore che hai vissuto da quando stavi da lei. Era spaventata»

«Hai una buona memoria. E non mi sento ferito da lei, ha fatto bene. Avrei dovuto farlo anch’io …»

«Mi volevi parlare di lui?»

«Non mi sento ancora pronto, mi è difficile parlarne ancora. Mi manca troppo»

«Quando sarai pronto sai dove trovarmi – e mentre gli porgo il ciondolo gli dico – ma tu lo sai il significato dell’usignolo?»

Mi fa cenno di no.

«Allora quando sarai pronto di parlarmi di lui, ti racconterò la loro storia»

Arrivano i nostri piatti e ci mettiamo a mangiare senza parlare.

«Ma se non mi vuoi parlare di lui, perché mi hai mandato quel messaggio?»

«Il signore del Jull’s mi ha detto se voglio lavorare da lui. Ma io non sapevo che rispondergli. Ha bisogno di una mano, ma non penso che sono la persona giusta.»

«Ne abbiamo già parlato, Tom. Ti fa bene riprendere il contatto con la gente, in un posto dove non devi fingere di essere qualcuno che non sei, beh nel tuo caso puoi essere te in parte, ma ti farà bene.»

«Ho paura che quando lui saprà del mio passato ci ripenserà»

«Io non credo. Ho visto come ne parlavi prima. Per te è più che una passione, per te è vita. E forse ti aiuterà più di quello che potrò fare io»

Mi fa male ammettere questo, ma è vero. Una suonata ed ecco che la sua corazza cade, mesi e mesi passati con me e quello che ottengo è il completamento di una frase compiuta.

«Mi puoi accompagnare tu? Non ci voglio andare con William Lagna Shuester. Tu sei il mio psicologo»

Non sa quanto vorrei essere più che il suo psicologo, mi basterebbe essergli amico e stargli accanto fino alla fine.

«Quando?»

Il sorriso che mi regala mi fa capire che anche se mi chiedesse di andarci alle 3 di notte lo farei, senza pensarci o vedere i miei impegni.

«Il prima possibile»

Voglio controllare la mia agenda, perché ho un lavoro e non posso mancare degli appuntamenti, anche se lo faccio per lui.

«Mi sono scordato l’agenda a casa e Judith ha il giorno libero. Siamo chiusi il sabato. Ti faccio sapere io il prima possibile, ok?»

«Perfetto, grazie mille»

Rimaniamo per un po’ in silenzio fino alla fine del pranzo. Poi però è l’ora di andare via, purtroppo.

«Non ci provare offro io oggi. Pagherai tu la prossima volta»

Mi balbetta un grazie, e lo trovo ancora più adorabile. Mi vorrei schiaffeggiare da solo per quello che penso, ma è solo  colpa sua …

«Sai che ore sono?»

«Sono quasi le tre»

«Abbiamo parlato per così tanto? Scusami, ma devo scappare. Dovevo fare una cosa per Shannon. Aspetto un tuo messaggio»

«A presto»

Mi fermo ad osservarlo mentre corre lontano da me, mischiandosi fra le centinai di persone che in quel momento popolano le vie di Columbus. Lo vedo allontanarsi, ma lo sento ancora vicino a me, sento ancora le sue mani che stringono la mia.

Poi dopo anch’io mi metto a correre e mi dirigo da Thad.

E mentre mi dirigo verso casa sua penso a questo pranzo particolare in cui ho avuto modo di conoscere un suo fatto personale, mi ha reso complice di un ricordo così intimo.

 

Lo Smythe dannato che si è  innamorato, questo si che  passerà alla storia.

 

 

TBC...

Note dell'Autrice:

Ciao!

E finalmente Blaine sta venendo fuori dal guscio! Voglio fare una cosa graduata e farvi conoscere il passato di Blaine pian piano, non voglio affrettare le cose. Pensavate che era giunto il momento per raccontarvi la storia dell’usignolo? Mi dispiace ma dovrete aspettare, non è ancora il momento giusto questo …

Seb che si è innamorato? Sì, nella mia storia si. Tutti pensano che è solo uno stronzo, io no. Sarà stato anche il primo a mettersi fra la Klaine, ma io penso che se le persone si comportano così lo fanno per un motivo e non perché si sono svegliati la mattina così e hanno detto: incomincio a insultare la gente e a trattarla male. Vi dico questo per “giustificare” l’ultima frase …

Vorrei ringraziare quelle meravigliose persone che mi hanno recensita, veramente grazie. Ma vorrei dire grazie anche ai lettori silenziosi che leggo e basta, anche solo il fatto che la leggete è tanto per me. Grazie.

Un enorme grazie va anche alla beta che mi sopporta sempre e crede in me e alla storia.

Grazie a chi è rimasto fino a qui e rimarrà fino all’ultimo capitolo.

Alla prossima

 

_Beth  :)

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Capitolo 10
*** Sono pronto a lasciar andare via tutto? ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

Vi consiglio l'ascolto di questa canzone :)

vi aspetto nelle note dell'autrice.

Boy B

 

.- Sono pronto a lasciar andare via tutto? -.

 

In realtà non dovevo fare niente per Shannon, ma me ne dovevo andare il più lontano possibile da lui.

Dovevo allontanarmi, la sua presenza vicino a me mi confonde.

I suoi occhi troppo verdi, che ti osservano attentamente e che ti scavano nell’anima, mettendoti a nudo. Alcune volte ho questa sensazione strana che mi cresce dentro, è un presentimento più che altro, è come se riuscisse a vedere il vecchio Blaine che si nasconde dietro la maschera del nuovo Thomas.

Per non parlare dell’effetto che mi fanno le sue labbra perfette e troppo invitanti, sembrano nate per essere baciate …

…Da me.

Ma cosa mi salta in mente?!

Non succederà mai, perché ho paura di fare quella mossa, quel piccolo passo per accorciare quella distanza che c’è fra di noi, per poi rovinare tutto.

Con lui mi sento come se gli potessi dire tutto, ma no come psicologo, ma come amico.

O più di un amico.

Mi sento molto confuso.

Forse ci potevamo provare, ad essere amici, anche se odio dover entrare in quella stanza grigia e parlare di me, ma se chiudo gli occhi forse potevo immaginare di stare in un altro posto e sentirmi al sicuro. Però quel colore è così presente in quel edificio che è difficile da non notare, il grigio mi fa ricordare il riformatorio e non riesco ad essere me, perché in quel luogo io mi sono perso. Ma questa mattina mi era sembrato più che naturale parlagli di quelle cose, era come se eravamo solo Blaine e Sebastian, senza barriere e senza bugie, e no lo psicologo Sebastian Smythe e il rifiuto umano Thomas Garfield.

«Secondo te che mi tocca fare, Jup?»

Lui mi guarda coi suoi occhioni color cioccolato, così dolci, come per dirmi: “non lo so, ma ti starò vicino.”

Non ho voglia di ritornare a casa.

«Che ne dici se ritorniamo al parco?»

Gli dico con un po’ di entusiasmo e per risposta ricevo una strattonata molto forte in direzione del parco.

 

******

 

«Apri questa cavolo di porta, Harwood!»

Ma perché ci doveva mettere tutto quel tempo?

Click.

Finalmente il signorino si è deciso a venirmi ad aprire.

«Smythe, qual buon vento. Non hai proprio niente da fare di sabato pomeriggio?»

Non lui, non ora.

«Dov’è Thad, Jonhson?»

«In camera.»

«E tu non potevi venire prima ad aprire?»

Detto questo entro senza il suo permesso e mi dirigo in camera loro.

«Ci stavamo rivestendo, ok? – mi dice con un leggere imbarazzo, come se non sapessi quello che fanno – E poi, ehi amico. Fermati, in Francia non ti hanno insegnato che dovresti aspettare prima di entrare così in casa degli altri?»

«Ho anche le chiavi, ma ho avuto la decenza di bussare. Non chiamarmi “amico” e togli quella tua mano dal mio braccio.»

Ero arrabbiato con me stesso e non ci voleva che quello si mettesse a fare una scenata perché ero entrato in quel modo, Thad mi ha sempre detto di comportarmi come se fossi a casa mia. E un tempo lo era…

«Aspetta! Tu hai cosa?»

Non gli rispondo e busso alla porta della camera loro. E quando lo chiamo addolcisco leggermente il tono.

«Thad, posso?»

Lui mi apre subito e io rimango con il pugno a mezz’aria, pronto a bussare il secondo colpo. Mi viene quasi da ridere, perché le vecchie abitudini sono dure a morire. Ma quella leggera risata viene soppressa dal ribrezzo che sto provando verso me.

«Bas che è successo? È tutto ok?»

Esce dalla camera con la maglietta al contrario, i capelli arruffati e i pantaloni di due taglie più grosse, nella fretta si deve esser messo i vestiti di Jonhson per sbaglio. È preoccupato per me lo vedo da come mi guarda.

«Non lo so.»

Mi guarda per rassicurarmi come per dirmi che troveremo un modo per risolvere anche questa cosa e poi si avvicina al suo compagno e gli sussurra qualcosa all’orecchio, che sicuramente riguarda me, ma non riesco a capire cosa perché glielo sta sussurrando, Carl è un po’ contrariato a quel piano che gli sta esponendo, ma Thad riesce sempre a convincerlo alla fine, e la conferma sta in quel leggero bacio che gli lascia sulle labbra prima di allontanarsi da lui e ritornare da me.

«Ok. Io vado … Ehm penso che vado a farmi una passeggiata. Vi lascio soli. Devo comprare qualcosa, Thad?»

Lui ci pensa un po’ su e poi mi guarda.

«Rimani con noi Seb?»

Carl lo guarda un po’ male, diciamo che io e lui non andiamo molto d’accordo.

Quando mai mi interessa quello che pensa lui di me?

Annuisco. Spero di non disturbare troppo Thad.

«Allora non ti preoccupare, abbiamo tutto quello che ci serve.»

«Ok.»

Odio che per causa del mio comportamento dopo dovranno litigare, lui è estremamente geloso e mi odia, la cosa è reciproca, ma lo ama con tutto se stesso. E non potrei desiderare di meglio per il mio migliore amico.

 

«Mi dispiace.»

«Bas è tutto ok. Lui capirà – mi dice sorridendomi – da dove vuoi incominciare a raccontare?»

«Lui … beh lui … ehm … si è tolto la maschera.» dico con una faccia leggermente disgustata.

«Perché non sembri contento?»

«Perché forse non voglio più essere il suo psicologo

«Stai scherzando, vero? Vorresti buttare tutti questi mesi in attesa di questo giorno?»

«Non voglio essere solo uno psicologo. Voglio essergli amico. Quando vesto questi panni, lui riesce a mostrarsi per quello che è.»

«Dagli tempo.»

«Ho paura.»

«Ti stai innamorando di lui un’altra volta, non è così?»

«Non ho mai smesso di farlo, patetico non trovi?»

«Abbastanza. Che pensi di fare, Bas?»

«Lo aiuterò per quella cosa. Poi gli dirò che non lo vogli-che non lo posso più vedere.»

«Sebastian»

«Lo so quello che pensi. Non dovrei farlo. Ma non posso essere il suo psicologo quando sento questo dentro di me. Non ce la faccio.»

«Si che puoi.»

«NO»

«Fai come vuoi. Quando pensi di andarci al Jull’s?»

«Lunedì.»

«Così presto?»

Non gli rispondo. Non voglio nemmeno io che finisca così presto, l’ho appena ritrovato, ma non posso fare altrimenti.

«Oggi ha pianto.»

«Non è un buon segno questo? Ti ha detto anche il perché?»

«Certo che lo è! Solo per via di vecchie ferite che fanno male» dico accarezzandomi i polsi. Lui si accorge di questo mio piccolo gesto, come sempre, e mi prende le mani, mi trasmette quel calore che mi manca e mi fa sentire una persona migliore.

«Tu come stai?»

«Se possibile sto peggio di lui. Mi sento così incolpa.»

Sfuggo dalla sua familiare presa e mi prendo la testa fra le mani e i vecchi ricordi riprendono il loro posto nei miei pensieri. E ogni ricordo è come un pugno che ricevo nello stomaco, più vado avanti e più la forza del colpo aumenta.

Le urla.

Il sangue che schizza ovunque.

Il fiato che ti manca.

Il cuore che batte troppo forte.

Il buio che circonda tutto.

Il silenzio che è peggio di tutto. Perché segna la fine di tutto. La fine di te, di lei, di lui

La solitudine. Nella quale i tuoi incubi ti stanno di fronte e non puoi scappare da loro, perché sei caduto nella loro trappola e sai che ti meriti questo e di peggio. Per un momento ti senti anche fortunato per esserti “salvato”, ma non lo sei, hai solo firmato il cosiddetto patto con il diavolo, hai barattato la salvezza con il tormento eterno.

Pessima scelta.

Thad si mette davanti a me. Mi toglie la mani dalla faccia e mi alza il viso per farmi perdere nei suoi occhi scuri pieni di dolcezza. Mi guarda e non mi dice niente.

Sento gli occhi pizzicarmi, sento le mie ferite che hanno ricominciato a bruciarmi.

Chissà se lui sta rivivendo attraverso i miei occhi quel dolore che gli ho afflitto quando mi confidai con lui la prima volta. Lui c’è sempre stato. Lui ha sofferto con me, forse più di me, vedere la persona che si ama che si finisce di spegnere pian piano per dei ricordi che sono troppo forti di lui, e non poterlo aiutare, puoi solo sentirti impotente e stargli vicino fino alla vera fine.

«Io non mi merito di diventarci amico. Lo capisci perché non posso?»

«Tutti abbiamo bisogno di una seconda chance»

«Io no. Non da lui.»

«Tu non capisci quello che stai facendo e che hai fatto. Aiuti le persone con il fine di salvarle. Di credere in loro e non portarle a fare ciò che un giorno si pentiranno. Salvandole ti stai facendo perdonare. Stai ripagando i tuoi errori. E salvando lui, salverai anche te stesso»

«Sai quando scoprì che lui aveva preso il mio posto, gli volevo chiedere scusa. Volevo farmi avanti, prendere quel posto che era mio, ma non ho avuto il coraggio. Ero rimasto colpito dalla sua genuinità, è più piccolo di me, ma aveva quel non so ché negli occhi e aveva il sorriso più luminoso che abbia mai visto. Penso che mi innamorai di lui la prima volta che lo vidi. Nel cortile della nostra scuola. Ne avevo parlato con Marc e lui non voleva, aveva più paura di me nell’essere scoperto. Lui mi abbandonò e io mi sentii così solo. Convinsi mio zio a portarmi all’udienza, lo volevo vedere, volevo vedere se poteva farcela o se si era arreso. Lo vidi lì, seduto su quella sedia troppo grande per lui, con le gambe che penzolavano e seduto su quel cuscino enorme. Aveva ancora quello sguardo di chi è puro. Io lo vedevo chiaramente nei suoi occhi tristi, perché gli altri non ci hanno fatto caso? Quello era un particolare importante, si può dire che era una prova. Scambiava di continuo uno sguardo con il suo amico e loro riuscivano a sorridersi, credevano nella giustizia e loro erano nella ragione. Loro non l’hanno nemmeno sfiorata, erano innocenti. Ma quando iniziò divennero freddi e si misero a fissare un punto fisso davanti a loro e io rimasi a fissare i suoi occhi, fissavo quel bosco che segnò la nostra vita per sempre. Non ho fatto niente quella volta, anche se non mi legava più niente a Marc, ma non riuscì lo stesso a dire la verità e a dire: Ehi sono io quello che ha fatto la bella statuina mentre un bastardo l’ammazzava. Voi avete preso il nostro posto e mi dispiace, ma possiamo essere amici?” Non ho fatto niente, e questo è il mio più grande rimpianto.»

«Ma adesso tu stai qui. Lui sta qui. ADESSO tu lo puoi aiutare e lui capirà.»

Ma io so che lui non capirà e che mi odierà. Preferisco scappare quando sono ancora in tempo prima che rivengo assorbito dalle tenebre.

Gli dirò addio, ma prima gli ridarò quella speranza di andare avanti con questa nuova vita.

Dopotutto gli devo una vita.

«Seb, guardami. Io e te ce la faremo. Ti starò vicino come ho sempre fatto, ma tu non fartelo scappare ok?»

«Ok.»

«Che vuoi fare con quel telefono?»

«Lo chiamo.»

«Bas …»

Gli faccio segno di fare silenzio con la mano.

«Ehi Thomas. Sono Sebastian Smythe. Ti volevo dire che sono libero lunedì mattina, per te va bene?»

-Ciao a te. Davvero?

«No guarda, mi piace darti falsi appuntamenti!»

Lo sento ridere. E il mio cuore perde l’ennesimo battito della giornata.

-Allora questo non dovevi dirmelo. Hai tolto tutto il divertimento!

«Hai ragione. Cos’è questo casino?»

-Sono ritornato al parco con Jup. Ma davvero ci andiamo così presto?

«Sì, certo che ci andiamo così presto, Tom. Prima è meglio è»

Dico mascherando la mia tristezza. Vedo Thad che mi guarda male, lui non appoggia questa mia decisione. Ma ormai ho deciso.

-Io non so come ringraziarti!

«Suonami qualcosa» gli dico con un tono dolce in un sussurro, voglio aver quell’ultimo ricordo di lui, prima di dirgli quello che gli dovrò dire.

-Ma è da tanto tempo che non studio. Non so che suonarti.

«Hai detto che non ti serve uno spartito, ti basta ascoltare che poi le mani fanno come vogliono. Non voglio qualcosa di difficile, mi basta vederti che suoni. Per quanto mi riguarda mi potresti suonare anche “Twinkle Twinkle Little Stars”»

Altra risata. Altro battito mancato.

-Quella non te la suonerei mai, ne va della mia reputazione. Anche se ci penso bene quella canzone ha ispirato anche i più grandi e forse ti riuscirei a stupire.

«Oh giusto, la tua reputazione. Sicuramente mi stupiresti, io non saprei nemmeno come si suona. Allora devi trovare qualcos’altro di fantastico, maestro.»

-Sarà fatto. Ti potrei insegnare io, certo dopo riaver ripreso un po’ di pratica …

«Potrebbe essere divertente, ci conto. Ti potrei passare a prendere verso le 9. Per te va bene?»

-Certo!

«Perfetto, allora. A lunedì»

-A lunedì

«Ciao»

-Ci- aspetta!

«Che c’è non ti va più bene?»

-No. Ti volevo dire grazie.

«Ciao Tom.»

 

Chiudo la chiamata e butto fuori l’aria che ho trattenuto per tutto il tempo, in un sonoro sbuffo e mi lascio cadere sul divano. Thad si mette vicino a me.

«Non dirmi niente. Lo so come la pensi.»

«Ti ho osservato prima. Perché ti vuoi togliere l’opportunità di essere felice con lui?»

«Io rovino le cose. Avevo te e ho perso anche te. Non voglio perdere anche lui»

«Non mi hai perso, sono sempre stato con te. Quella volta entrambi avevamo superato il punto di non ritorno.»

«Lui ne ha passate tante, non voglio essere l’ennesima delusione.»

«Tu pensi che facendo così non lo deluderai, ora che finalmente si è aperto?»

Non gli rispondo, forse non ha tutti i torti.

 

********

 

«Hai capito Jup? Lunedì andremo su quel posto!»

Mentre io stavo ancora metabolizzando la notizia delle note leggeri di una chitarra si liberarono nell’aria, era una melodia triste, ma allo stesso tempo aveva anche un tono dolce. La voce del cantante non era particolare, ma riusciva comunque a catturarti.

Per un momento mi era sembrato che quella canzone stesse parlando di me, non so se è una cosa possibile, perché sto provando ad andare avanti, con tanta fatica, ma voglio credere in un futuro migliore di cui ne parlano tutti. Oggi come non mai riesco a vederlo chiaramente, è come se mi stessi svegliando da un lungo incubo. La giornata di oggi è come quel momento in cui capisci che la vita, sì è andata avanti, ma comunque ti aspetta per rifarti cominciare una nuova vita, anche se gli anni che sono passati non li avrò indietro, ma non sono solo in questo cammino, non più.

Sebastian ci sarà sempre, non me l’ha mai detto, ma so che è così.

Era ora che incominciassi ad affrontare i fantasmi del mio passato che non mi danno tregua, era ora che qualcuno sapesse ciò che è successo.

Era ora che lui sapesse. So che di lui mi posso fidare.

Ma il problema è: riuscirò a trovare il coraggio per farlo?

Non posso semplicemente dirgli: ma ti ricordi quel fatto di cronaca avvenuto nel 1999, quello della bambina, si proprio lei! Lo sai chi era quel bambino che hanno accusato “ingiustamente”? Non lo sai? Beh sono io, ma io non centro nulla. Lo giuro!

Mi avrebbe preso per un pazzo e avrebbe detto alla polizia che gli dovevo stare a come minino qualche centinaio di kilometri di distanza, e non posso permettermi di perderlo. Ma forse è l’unico modo questo per andare avanti e mettere la parola fine al capitolo legato al mio passato.

Gli suonerò questa canzone, sperando di trovare il suo perdono in questo cammino che abbiamo incominciato insieme. Sperando che lui capisca.

Finita la canzone mi dirigo di corsa verso il Jull’s, devo arrivarci fino a quando ho questa canzone in testa.

 

Arrivo al Jull’s con il fiato corto e come questa mattina trovo il signor Brown a leggere il giornale. Mi fermo un attimo e provo a stabilizzare il respiro corto.

«Bentornato ragazzo! Come mai così di fretta?»

«Ciao James»

Stavo facendo una pazzia. Lo so, ma volevo questa canzone doveva essere perfetta.

«Fammi indovinare! Ti sei già chiarito le idee e non riuscivi ad aspettare un momento di più. Dico bene?»

«No, scusa, ma prima volevo confrontarmi con una persona.»

«Allora qual buon vento ti porta qui, ragazzo?»

«Lui mi ha chiesto se potevo suonargli qualcosa, e mentre stavo al parco ho trovato la canzone perfetta.»

Gli dico con un filo di emozione mascherato dal rossore dovuto alla corsa.

«Vorresti usare il piano?»

«Se per lei non è un problema.»

«No, è in buone mani con te.»

«Grazie mille.»

Gli lascio Jup e mi dirigo verso il pianoforte. Provo a concentrarmi sui suoi occhi o di quando le sue labbra si incurvano in un sorriso involontario quando mi osserva.

Chissà cosa vede in me lui?

Ho paura di questa cosa che mi sta crescendo dentro, questo legame che mi lega a lui, come se fossimo collegati da un filo, che non è né troppo erto e né troppo fino, non so bene quando si spezzerà e ho paura di rimanere solo io ferito.

Chiudi gli occhi e posiziono le mani sopra i tasti e immagino il calore delle sue mani sulle mie.

Mi ricordo della sua risata.

E poi inizia la magia.

 

******

«Buongiorno Shannon.»

«Buongiorno a te caro.»

Io adoro lavorare insieme a questa donna, ha sempre questo sorriso gentile anche di mattina presto.

«Si è svegliato Thomas?»

«Ancora no, è stata una nottataccia …»

«Che è successo?»

«I soliti incubi, purtroppo.»

Perché continua a non chiamarmi quando ha bisogno di qualcuno, dalla faccia di Shannon sembra che è stata una notte veramente pesante, ha delle profonde occhiaie.

«La prossima volta chiamami, anche se lui non vuole, ok?»

Annuisce.

Poi entra come una furia Tom, ancora in pigiama, sembra che non fa caso a me.

«Shannon, sono in ritardo lo so, quando arriva Sebastian gli dici che sono quasi pronto?»

«Buongiorno Tom.»

Si blocca nell’istante in cui apro bocca e poi se ne ritorna in camera sua a vestirsi. Poi mi rivolgo a Shannon.

«GLi dona Superman, ma mi è sembrato stanco.»

«Ci credo, non è stato tranquillo per tutta la notte..»

«Forse – abbasso il tono di voce per non fargli sentire niente – si sente solo in colpa perché sta andando avanti. È difficile farlo quando si è legati in questo modo con il passato. Lui vuole andare avanti, ma non può farlo se vive ancora nell’incubo e forse il sentimento che li lega è troppo forte e questo suo andare avanti lo prende come un dimenticarsi di lui e si punisce per questo.»

«Si merita di dimenticare e andare avanti, lui non ha fatto niente.»

«Non dimenticherà mai, non può farlo»

«SCENDO SUBITO SEBASTIAN. CINQUE MINUTI!»

Alcune volte è così buffo, non voglio affrettare le cose oggi forse è l’ultimo giorno in cui potremmo stare insieme e me lo voglio godere fino alla fine.

La conversazione con Shannon sembra essere finita, meglio non voglio preoccuparlo troppo, questo è il suo giorno in cui potrà ricominciare da capo e deve goderselo.

«Andiamo?»

Forse è di questo che stava parlando Thad ieri, dopo la cena.

Ero pronto a perdermi questo? Lo svegliarmi una mattina e vederlo così? Ancora con gli occhi velati di sonno e coi ricci che godono di vita propria?

Ero pronto a lasciare andare via tutto?

«Certo»

Prendiamo la mia macchina per andare al Jull’s e il viaggio in macchina è pesantemente silenzioso.

Forse non sarò mai pronto a lasciarlo andare, ma gli devo una vita migliore e non potrà averla fino a quando io starò al suo fianco. Io faccio parte di quel passato che deve lasciare alle spalle.

Quanto vorrei poter stare dentro la sua mente a vedere ogni suo pensiero, vorrei vedermi coi suoi occhi. Alla fine di questa giornata riuscirò a non farmi odiare da lui?

 

 

 “Maybe forgiveness will find me somewhere down this road

I'm movin' on…”

TBC...

Note dell'Autrice:

Salve!
E anche il 10 è andato! Come avevo detto ha Jade vi avrei spiegato un qualcosa in più. E ho voluto inziare con il passato di Bas, all'inzio ci doveva essere quello di Bee, ma ho optato di lascarmelo per ultimo, ma in parte si capisce anche qui. Io devo dire che adoro scrivere della Thadastian, anche se solo amici, sono una buona cura al mio cuore spezzate per via degli ultimi avvenimenti di Glee e per i nostri poveri Klaine :'( (Maledetto Murphy!). Ok, sto divagando...
La canzone! Si intitola "I'm movin' on", è una canzone che mi piace tanto e l'ho ritrovata mentre stavo cercando una canzone giusta per la situazione, non so se ho azzeccato bene, ma nella mia mente descriveva molto bene Blaine. E penso la versione del signorino Martin sia meravigliosa, per chi non l'avesse riconosciuto Eddy è il nostro Warbler Thad.
Per chi avesse letto l'omonina ff (I'm movin' on) sulla Thadastian, sì il video è lo stesso. E io nell'indicisione ho chiesto all'autrice () se potevo usarla. Mi era venuto il dubbio, si lo so è stupido, ma non sono molto pratica di EFP e mi ero immagina molti finali apocallittici...
Sia Blaine che Sebastian non sanno quello che gli sta succedendo, entrambi vorrebbero sapere quello che l'altro vede nei loro occhi e entrambi cercano il perdono dell'atro. Si stanno innamorando, o meglio Bee si sta innamorando, Seb non se l'è mai tolto dalla testa.
Non ho molto da dire e non ho molto tempo, scusatemi. Per degli eventuali dubbi non esitate a contattarmi, sono sempre qui per voi :)
Come sempre ringrazio la beta che mi aiuta sempre 
Grazie a te che sei un lettore silenzioso e grazie a chi mi concede un po' del loro tempo con un recenzione 
Spero che vi sia piaciuto e spero di sentire un vostro parere.
Grazie
Al prossimo aggiornamento

_Beth :)

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Capitolo 11
*** Per te ci sarò sempre, ricordatelo. ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

Boy B

 

.- Per te ci sarò sempre, ricordatelo. -.

 

 

«Ti sta suonando il telefono, Sebastian.»

«Come hai detto Blaine?»

«Il telefono, penso che ti sia arrivato un messaggio»

Ok, mi dovevo calmare e smettere di pensare a quello che ci sarebbe stato dopo.

 

Messaggio da Thad:

Sei ancora in tempo, non farlo. Datti tempo e parlaci dopo. Ti aspetto a cena. E Sebastian ti prego non fare il deficiente, ok?

 

«Chi era?»

«Thad.»

Mi devo calmare. Respira Sebastian, è semplice su …

Poi mi sento una mano che mi prende per un braccio.

«Sebastian, ma che hai? Fermati un attimo. Fermati. Ti prego. Di solito sono io quello che non parla o che si comporta in modo strano. Se ti da fastidio potevi anche dirmelo. Lo so che non è il massimo farsi vedere di fianco a uno con il mio passato..»

«Ehi, NO,  guardami – il brutto era realizzare attraverso i suoi occhi che lui veramente pensava a quello che mi aveva detto, sembravano così tristi, era ora che facessi da parte i miei problemi e farmi vedere forte per lui – non pensare mai più a questo. Ok? Io non mi vergogno per niente di te. Non pensarlo mai più. Sono onorato di camminarti a fianco e accompagnarti in questo tuo viaggio, ok? Ti starò per sempre vicino fino a quando me lo permetterai.»

«Davvero?»

Perché mi sembra un cagnolino abbandonato che hai appena trovato e con gli occhioni ti dice se veramente lo terrai con te e non lo abbandonerai come hanno già fatto tutti gli altri prima di te.

“Davvero?” detto in quel modo quanto può essere adorabile?

Me la devo smettere di fare certi pensieri …

«Si. Dov’è questo Jull’s?»

 

Messaggio per Thad:

Hai ragione, non lo posso fare. A sta sera.

 

Già mi immagino Thad che esulta a questo mio messaggio, ma ha ragione, non è ancora pronto, glielo leggo negli occhi che lui ha bisogno di avere qualcuno che ci sarà sempre per lui.

E io ci devo essere per lui.

«Qui vicino. Ci sono venuto a piedi solo una volta e non so se riesco ad orientarmi bene, mi sembra che devi girare su quella via, a destra, si si mi ricordo quel negozio.»

«Sì, signore! Svoltare a destra, ricevuto.»

Prima mi guarda stranito e poi si mette a ridere. Ride talmente tanto che mi ritrovo a pensare a un cos-

«Adoro la tua risata.»

Oh cazzo …

Non l’ho fatto.

No. No. No. No. No. No.

Dov’è il tasto “rewind” quando serve?!

Nonononononono.

Arrossisce, ma perché l’ho detto?

«Grazie, non so come fai, ma tu sei l’unico che è riuscito a farmi ridere ancora dopo quello che è successo. Era da tanto, troppo tempo che non lo facevo così spesso. Grazie veramente.»

Si può morire per una cosa che ti dicono?

Annuisco, non voglio dire altro che mi possa rendere ancora più ridicolo.

Rimaniamo in silenzio fino a quando lui mi dice che siamo arrivati al Jull’s.

 

 

«Buongiorno James!»

«Giovanotto, come stai?»

Come stai? Mi piacerebbe saperlo anch’io …

Quel piccolo avvenimento avvenuto poco prima mi ha confuso ancora di più.

«Bene.»

«Oh lui è la persona con cui volevi parlare, dico bene?»

«Salve. Sono Sebastian Smythe.»

«James Brown.»

Ok e adesso? Cosa succederà quando lui inizierà a raccontargli tutto?

Ho così tanta paura che tutto possa rompersi in ancora più piccoli pezzi, se anche questa mi va male allora che potrò fare? E se da questa sua scelta se accettarmi dopo che saprà la verità o cacciarmi dipendesse il fatto che Sebastian forse potrebbe non voler avere più nulla a che fare con me?

Mi sento abbastanza ridicolo a fare questo pensiero, ma è la verità. Ho bisogno della musica quanto ho bisogno di lui in questo cammino.

Lui crede in me.

È per questo che ho paura di perderlo.

Come sono arrivato a questo punto senza rendermene conto non lo so ma è quello che sento.

«Tom, andrà bene. Ci sono io con te, ok?»

Non gli rispondo e sento che la maschera che con fatica sono riuscito ad abbassare ora sembra che si sia presa il suo posto originale, ma anziché darmi sicurezza mi fa sentire ancora più debole. Sebastian mi prende per la spalla, fa una leggera pressione e mi invita ad incontrare i suoi occhi.

«Andrà bene. Questa non è la fine, ma un inizio. È il primo mattone della tua nuova vita, ti fidi di me?»

Mi perdo nel lago nei suoi occhi e annuisco.

«Adesso raggiungiamo James. Ci sta aspettando nel suo ufficio, ti ha visto strano e ci ha lasciato un po’ di tempo da soli. Ti faceva delle domande e tu non gli rispondevi. Mi hai fatto prendere un colpo.»

Con lo sguardo gli chiedo scusa, non ho la forza per parlare, mi sento come paralizzato..

La sua mano non si sposta dalla mia spalla per un’altra manciata di secondi poi la lascia cadere e la fa sfiorare con la mia mano, ma anziché continuare la sua caduta lui la fa fermare e me la stringe. Un leggero contatto, ma che ha la potenza di un uragano. Che mi riesce a trasmettere la sua fiducia e la sento che rompe la maschera.

E cosi ripresi a respirare.

 

 

«Ragazzo, come stai?»

Ci sediamo e la mano di Sebastian si riposiziona sulla mia spalla, mi volto verso di lui e con lo sguardo sembra che mi ripete quello che mi aveva detto poco fa e poi annuisce ai suoi stessi pensieri, come se si stesse convincendo anche lui.

«Meglio»

«Allora?»

«Signor Brown, prima la vorrei mettere a conoscenza della situazione di Thomas.»

«Partiamo per gradi: punto primo non mi piace essere chiamato in quel modo come ho già detto mi fa sentire vecchio e ci pensano già gli acciacchi dell’età a ricordarmelo; punto secondo non mi interessa.»

Cosa?

«Cosa non le interessa?»

«Sebastian, giusto? – annuisce – chi sei tu oltre ad essere un suo amico

Perché ha cambiato tono su “amico”?

«Sono il suo psicologo.»

«Ok. Non mi interessa sapere perché o cosa abbia fatto per venire da te. Ma io l’ho visto quando sfiorava quel pianoforte. Con quella dedizione che solo una volta ho visto in vita mia. Non mi interessa sapere il perché, non mi interessa sapere chi ama, non mi interessa sapere il suo passato da lei, signor Smythe.»

«Ma io credevo …»

«Cosa ragazzo? Non ti ho chiesto di mostrarmi niente. Ti ho chiesto solo un aiuto.»

«Io non so che dire …»

«Signor Smythe le posso fare una domanda?»

«Mi chiami Sebastian.»

«A lui ha fatto meglio una suonata di meno di 5 minuti o 5 mesi con te?»

Sento la sua mano che si allontana svelta dalla mia spalla, come se bruciasse e lui si fosse fatto male. Vedo la sua classica espressione fiera che pian piano di trasforma in una maschera di ribrezzo verso se stesso. So quello che sta pensando, si starà dicendo che non è all’altezza di aiutarmi. Quanto vorrei fargli capire che lui mi ha aiutato, più di quella suonata.

Gli prendo la mano.

«Mi ha dato la forza per stare qui.»

«Perché sembra arrabbiato?»

«Non lo sono. Sono solo stanco e non mi piace la perdita di tempo, tutto qui.»

«Non era nostra intenzione, signor Brown. Io e Thomas non volevamo farle perdere del tempo e credevamo di fare la cosa giusta.»

«Calmati.»

Si gira a guardarmi, si vede che è arrabbiato. Lo sa quanto ci tenevo a farmi accettare e avere qualcuno con me che mi aiutasse a dirgli tutto. Ma io riesco a capire in parte James, lui non voleva tutto questo lui mi stava dando la mia seconda opportunità alla cieca, si fidava di me.

Pian piano si tranquillizza. E poi prende un bel respiro profondo e ecco che riacquista il pieno controllo di se.

«Ci dispiace. Se l’offerta è ancora valida è un sì.»

«Bene, inizi domani. Ora ci lasceresti un attimo da soli? Devo chiarire con il tuo amico.»

«No. Io rimango.»

«Thomas, dai su. Non ci metteremo tanto. Per favore.»

Non rispondo e me vado, odio quando mi chiudono fuori.

Mi dirigo verso il pianoforte, voglio suonarlo, è l’unica cosa che posso fare che forse riesce a chiarirmi le idee.

 

 

«Mi dispiace, voi avevate delle buone intenzioni ma io sono uno che parla chiaro e quando una persona gli deve dire una cosa preferisce che gliela dica quella persona e no un altro.»

«Aveva paura, lei non lo conosce.»

«Secondo lui pensava che mi sarei ritirato indietro?»

«Non lo pensava, ne era più che sicuro.»

«Non lo avrei fatto.»

«Lui non ne poteva essere sicuro, te lo ripeto: non lo conosci non sai come pensa. Aveva paura, anche prima-»

Quella canzone.

No.

Perché oggi non ne va una giusta.

Quando pensi che non possa andare peggio, ecco che la sua voce si va ad unire alla melodia del piano.

È la prima volta che lo sento suonare e cantare.

«Sebastian che ti prende?»

Mi arriva la voce di James ovattata, è come se riuscissi a sentire solamente la voce di Blaine e mi ritorna in mente quell’occasione in cui l’ho sentita per la prima volta.

Mi alzo e seguo la sua voce, o dovrei dire anima? Adesso capisco ciò che ha spinto James a fidarsi di lui senza un perché.

Ha gli occhi chiusi, dai quali esce una sola lacrima, io vorrei tanto andare lì e baciargliela via.

Aspetto alla soglia della porta la fine, anche se non voglio che smetta. Mi sembra di essere un bambino a cui gli stanno raccontando una storia e lui sta lì a guardarti con gli occhi pieni di quella magia che tu stai narrando. Mi sento quel bambino, o forse mi sento il Thomas bambino, forse il talento di suo nonno scorre anche nelle sue mani. Mi sento leggero.

Mi sento vivo.

Ma mi sento anche devastato. Lui non può sapere che significato ha per me questa canzone. Lui non c’era, lui non conosce i miei fantasmi.

Ma forse capisco il significato che ci sta mettendo. Lui sta andando avanti, questa canzone è il suo primo mattone e so anche a chi è legato. Lui sta in quella lacrima che ancora non ha abbandonato il suo viso, sembra quasi che lo stia accarezzando.

Ma prima della fine succede una cosa che pensavo non potesse accadere.

Sbaglia.

Sbaglia a suonare e esce fuori un suono rotto, non saprei come altro definirlo.

Rotto come lui in questo momento, e non ne capisco il motivo.

Poi apre gli occhi e sembra spaventato.

Mi guarda perché vuole trovare un appiglio in me, ma io sono più devastato di lui, le miei ferite hanno ripreso a farmi male e non oso immaginare lui ora come sta.

«Scusatemi.»

E poi corre via.

«Ma che gli è preso? Ma che vi prende a tutti a due?»

Non gli rispondo e gli corro dietro.

Corro più veloce che posso, devo raggiungerlo.

Non voglio farlo allontanare troppo.

 

«THOMAS FERMATI!»

È la milionesima volta che glielo urlavo, lui correva veloce e io non riuscivo a reggere il suo passo.

È ora che ricomincio a correre per bene come al liceo..

Fermi tutti! Sta rallentando anche lui.

Non sto sognando vero?

E alla fine si ferma e io lo riesco a raggiungere. Arrivo da lui e lo avvolgo in un abbraccio da dietro, lo tengo stretto per non farlo scappare più. Lo sento che trema e io lo stringo ancora più forte. Appoggio la testa sulla sua spalla e il suo profumo mi stordisce un po’.

«Perché sei scappato? – gli dico dolcemente e poi aggiungo in un sussurro – ti prego non farlo più.»

«Ho sbagliato.»

«E con ciò?»

«Stavo suonando un qualcosa che parlava di un andare avanti con la propria vita, e io lo vorrei veramente ma – la sua voce si incomincia a incrinare – ma lui era lì con me. Io non posso dimenticare il mio passato perché non voglio dimenticare lui. Ma se continuo a vivere nel suo ricordo non potrò andare avanti. Mi sono illuso da solo e lui me lo ha fatto notare, facendomi sbagliare.»

«Lo pensi veramente?»

Annuisce e si gira in quel abbraccio e si aggrappa a me, mi stringe forte il collo e nasconde il suo viso nell’incavo del mio collo e per farlo stare un po’ più comodo mi piego leggermente verso di lui.

«Scusami, non dovrei piangere starò facendo la figura dello stupido.»

«Shh»

La sua voce mi arriva spezzata e il suo respiro mi fa solletico al collo, un piccolo sorriso spunta dalle mie labbra senza che io me ne accorga.

«Ma è vero.»

«Dopo quel giorno hai più pianto?»

«No.»

«Nemmeno quando ti è arrivata quella notizia?»

Scuote la testa.

«Hai tenuto tutte queste emozioni dentro di te per troppo tempo e quando finalmente ne hai lasciato andare una tutte le altre l’hanno seguita. Stai andando avanti anche se non lo pensi.»

«Ti è piaciuta la canzone?»

E adesso come gli rispondo?

«Si, mi ha tolto il respiro. Non sapevo che sapessi anche cantare»

«La conoscevi?»

Mi irrigidisco. Forse questo è il mio turno per parlagli di me. Ma se lo faccio vuol dire che non potremmo tornare più ad essere Thomas e lo psicologo Smythe.

Se io gli racconto di me dovrò chiudere tutti i contatti con lui come psicologo. E dopo cosa saremo?

«Si.»

«Come?»

«Ti ricordi Thad? – annuisce – Me la dedicò lui. Ero uscito da un periodo particolare della mia vita e lui c’era stato.»

«Che periodo?»

«Un periodo in cui …»

 

Ormai passavo tutti i giorni in questo stato. Non uscivo più e poteva capitare che passavo anche settimane senza lavarmi, mi ero lasciato andare e non c’era più verso di tornare indietro. Ormai ero morto dentro e non avevo più la forza per vivere. Nessuno si era accorto che c’ero ricaduto. Nessuno aveva capito che non era vero che avevo superato tutto, la prima volta mi sono graziato e non so come, non so se è un bene o un male. Forse più un male che un  bene visto lo stato in cui sono adesso. In questi ultimi giorni avevo ricevuto un sacco di chiamate, ma dopo la decima avevo preso un paio di forbici e avevo tagliato il filo del telefono. Per quanto riguardava il mio cellulare, beh lui si era andato a infrangere sul muro della mia camera dopo il quinto squillo in un minuto da parte di Thad. Mi ero chiuso in casa e la mia idea era quella di rimanerci fino a quando un vicino preoccupato e disgustato dalla mia puzza sfondasse la porta e poi sarebbe stato un problema suo, non più mio.

Mi sembrava un bel piano.

Ma io non avevo tenuto conto dalla pazzia e dall’astuzia di Thad …

«Tu, brutto deficiente che non sei altro. TI SEMBRA IL MODO QUESTO?! Sparisci così, non ti fai sentire, non rispondi e ti busso e non rispondi. Mi hai fatto preoccupare! PROVA A FARLO UN’ALTRA VOLTA E GIURO SU QUELLO CHE HO PIÙ CARO AL MONDO CHE TI MANDERÒ ALL’ALTRO MONDO CON LE MIE STESSE MANI! Ho lasciato correre per un po’ e poi mi è tornato in mente che avevo le chiavi. Non c’avevi pensato, eh brutto stupido?»

Sento che è preoccupato e arrabbiato però è come se non lo sentissi veramente. Come se lo stessi sentendo da lontano, i suoni mi arrivano ovattati. Come se … come se non stessi più sul mio corpo. Adesso che ci pensavo bene mi sentivo più … leggero.

Dopo quanto tempo si muore per disidratazione e per digiuno? Se poi contavo anche altri fattori forse i tempi si accorciavano.

Ci sono riuscito?

«Bastian. Che cazzo hai fatto? Ma mi senti? Brutto stupido! Ma che cazzo hai combinato? Svegliati mi hai capito? S-V-E-G-L-I-A-T-I! Amore non farmi questo!»

Amavo quando mi chiamava in questo modo, riusciva sempre a farmi sentire vivo. Forse non sono morto nemmeno questa volta, ma ci sono più vicino, però sentivo chiaramente le sue mani che mi scuotevano. Non avevo la forza per dirgli di lasciarmi stare, di lasciarmi andare una volta per tutte. Sentivo le sue lacrime che mi bagnavano le guance e sentivo le sue labbra e le sue mani che percorrevano la mia faccia.

Vorrei dirgli ti amo per l’ultima volta.

 

«Pronto 9-1-1 sono Thad Harwood. Sto a casa del mio ragazzo, ma le sembra il momento giusto per farmi la morale? Ottima scelta. Lui è-»

 

«Bas? Stai bene? Che c’è?»

«Scusami.»

«Brutti pensieri anche tu?»

Lo stringo più forte a me e sento che lui fa lo stesso con me. Entrambi sembra che abbiamo bisogno di un appiglio per rimanere interi.

«Me l’ha dedicata perché avevo da poco superato un brutto periodo della mia vita e con quella canzone, che lui ama, mi voleva dare un po’ della sua vitalità.»

«Era meglio che non la suonavo, non volevo farti rivivere i tuoi ricordi poco piacevoli.»

«Non pensarlo, ho amato la tua versione, ok? E poi tu non potevi sapere.»

«Mi avrà preso per uno stupido James.»

«Siamo in due, io mi sono comportato come te.»

E poi il suo stomaco fa un strano rumore, come un ruggito e scoppiamo entrambi a ridere.

«Mi sa che qualcuno qui ha fame, dico bene?»

Gli dico con un tono canzonatorio e lui si nasconde ancora di più in questo nostro abbraccio strano che nessuno dei due è intenzionato a sciogliere. Ma riesco a sentire il suo rossore attraverso la pelle.

«Dai su, mica è la fine del mondo. Sei scappato di corsa oggi senza fare colazione è ovvio che hai fame.»

Gli dico con leggerezza. Lui finalmente alza il suo sguardo e lo punta sul mio, è imbarazzato e si sta torturando le labbra.

Perché deve farlo? È troppo vicino.

Perché sono così vicine alle mie?

Aria. Sebastian respira, la distanza è poca ma lo rimpiangerai.

Prima che tutto possa degenerare in un qualcosa che entrambi vogliamo, ma che abbiamo troppa paura di muovere quel passo, lui si allontana e mette troppa distanza fra noi due e già mi manca. Mi manca il suo calore, sento quel freddo a cui sono abituato e che odio.

«Dove vuoi andare a fare colazione? Ho fame anch’io.»

«Al posto dell’altra volta?»

«Se per te va bene è ok.»

 

 

Il viaggio in macchina passa in silenzio come questa mattina. Ma questo è ancora più strano dell’altra volta. Non incrocia mai i miei occhi, guarda sempre dritto a se ed è perso nel labirinto della sua mente, vorrei sapere quello che pensa.

Ho paura che quel bacio non dato possa aver peggiorato le cose. Noi due ci stiamo avvicinando e non nel modo che dovrebbero fare uno psicologo e il suo paziente, e nemmeno come due amici.

«Tom? Siamo arrivati.»

«Oh scusa, mi ero perso nei miei pensieri.»

Mi sorride, in quel modo che è capace di illuminare anche la giornata più brutta, e come sempre i miei problemi mi sembrano più piccoli.

«Non ti preoccupare, io prendo i caffè e tu trova un posto. È sempre pieno a quest’ora.»

Il bar tranquillo dell’altra volta sembra esser stato sostituito da un chiassoso e affollato bar del centro. Trovare un posto libero non è molto difficile come avevo previsto perché la maggior parte delle persone consumano la loro colazione in piedi.

Io lo aspetto al tavolino davanti alla finestra e lo osservo da lontano. Osservo le sue espressioni rilassate quando parla con il barista, e vedo anche il leggero imbarazzo di Sebastian che ha quando lui si gira verso di me. Sembra che lo stia prendendo in giro.

«Spero di essermi ricordato il tuo caffè, medium drip, vero?»

«Hai una buona memoria»

«Bene. Ti devo portare qui più spesso, ogni volta che vieni qui Bob ci regala qualcosa da mangiare. Mi è andata bene oggi, sua moglie ha fatto i biscotti alle noci di macadamia. Ti piacciono? Se vuoi posso and-»

«Non ti preoccupare, non l’ho mai mangiati, ma vedo che ti piacciono tanto quindi devono essere buoni.»

Gli dico con un sorriso.

«Sono i più buoni»

«Tu che hai preso invece?»

«Un caffè normale, mi serviva qualcosa che mi svegliasse.»

«Dormito male?»

«No, poco. Avevo troppi pensieri questa notte.»

«Neanche la mia è stata piacevole..»

«Ne vuoi parlare?»

«Ma è solo un incubo, nulla di che..»

«Ma ti farebbe bene parlarne, fidati.»

«Io mi fido, è che.. ho paura di quello che possa succedere.»

Non voglio perderti aggiungo mentalmente.

«Lo sai che non ti lascerò mai da solo, starò con te fino a quando non ce la farai da solo, ma tu devi dirmi quello che ti preoccupa o ciò che ti porta ad urlare la notte e a dimenarti, così tu non mi permetti di aiutarti.»

«Te ne parlerò, ma non adesso.»

«Ok. Ti volevo ringraziare.»

«Per cosa?»

«Per prima, quando hai suonato. Mi era sembrato di vedere il vero Thomas, quello senza la maschera. È un buon passo avanti.»

«Suonare sembra essere l’unico modo che ho per essere me, vorrei potermi sentire così sempre. È meraviglioso, mi sento..libero»

Un’altra cosa che mi fa sentire me sono i suoi occhi.

«Ho visto, sei stato fantastico.»

«Grazie.»

Detto questo finiamo di mangiare in silenzio, ogni tanto alzavo lo sguardo per poterlo osservare, ma non ho avuto mai l’occasione di incrociare i suoi occhi, i quali rimanevano fissi a spezzettare il suo biscotto.

«Tom, scusa, io dovrei ritornare a casa. Ho lasciato Sapphire da sola e non vorrei ritrovarmi la casa distrutta»

Mi dice ridendo.

Perché se ne deve già andare? Siamo appena arrivati..

«Se vuoi puoi venire con me, se non ti va di stare a casa da solo. Mi farebbe piacere»

«Non disturbo vero?»

«Mai.»

 

TBC...

 

 

 

 

Note dell'Autrice:

Salve!

Capitolo bello pieno, eh? Più che altro per il ricordo di Bas, cosa sarà mai successo? Lo so forse quel “ti amo” è stato un colpo basso per chi shippa la Thadastian. *si scusa*

Le scene finali di Blaine e Sebastian, chi ha pensato “e bacialo!” oppure voleva stare lì per andare a sbattere contro loro casualmente per farli baciare? *alza la mano* però non l’ho fatto per una semplice ragione: non è ancora il momento, però ci siamo quasi..

Adesso devo dirvi una cosa, mi dispiace un sacco dirvela.. Allora sto avendo un brutto periodo, tra il PET (ho l'esame il 17 nooooooo D:), tra la scuola, tra compagni di classe che hanno come hobby quello di rovinarmi le giornate il capitolo 12 non è finito, ma è appena iniziato. Io non so se riesco a finirlo per il 24 e vi chiedo di avere pazienza, ma tanta. Quindi se non mi vedete fra 10 giorni, non pensate che ho deciso di non finire questa ff, avrà la sua fine. Mi prendo solo qualche giorno in più, per finire il 12 e per scrivere anche gli altri. Per gli amanti della Klaine, se ci siete, ho un qual cosina pronto per voi, che verrà a breve. Sì, non ho tempo per “Boy B”, ma l’ho trovato per loro. A mia discolpa vi dico che avevo bisogno di tanto fluff e avevo bisogno di scrivere questa cosa su di loro..

Mi dispiace veramente tanto.

Vorrei ringraziare chi mi ha recensito, ogni cosa che mi avete scritto mi ha riempito di felicità, perché non mi aspettavo niente del genere quando le leggevo ero tipo: “ma questa ha letto veramente la mia ff o si è sbagliata?”. Non smetterò mai di ringraziarvi! :')

Ringrazio anche i lettori silenziosi, sono una di voi gleeks, perché se non lasciate una recensione non vuol dire che non l’apprezziate, vi ringrazio per la costanza e per il tempo che le dedicate.

Un grazie va alla beta. Che mi sta sempre a sentire e a dirmi courage. Gli scleri per le recensioni sono fantastici, e vorrei dirvi che vi ringrazia anche lei e vi adora quando lo faccio io. Stiamo progettando delle statue in vostro onore.. *proud mamas feelings*

Vi saprò dare più informazioni per questa ff quando pubblicherò la Klaine, solo io posso parlare di loro nelle note della Seblaine, date la colpa alla beta è riuscita nel suo intento, è riuscita a convincermi a scrivere di loro.

Per chi non lo sapesse io ho scritto anche questa Seblaine se vi va di darci un’occhiata e dirmi se vi piace o no, sapete dove trovarmi (per chi non lo sa I'm here), la stessa cosa vale per questa :)

Ok me la finisco perché la sto facendo troppa lunga..

Grazie per la pazienza, spero di sentirvi presto

 

_Beth :)

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Capitolo 12
*** Non ci dobbiamo più vedere ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

Boy B

 

.-Non ci dobbiamo più vedere-.

 

«Tu abiti qui?»              

«Sì, regalo di papà Smythe»

«Perché lo dici come se fosse una vergogna?»

«Perché lui ha sempre misurato il suo volermi bene con i suoi soldi, non ha mai capito che i suoi regali costosi, che tra l’altro me li comprava la sua “segretaria”, non mi trasmettevano il suo amore. Quando avevo bisogno di una spalla su cui contare, o un consiglio, lui non c’era.»

«Anch’io non ho avuto un buon rapporto con mio padre. Pensa in dieci anni non mi è mai venuto a trovare, beh se è per questo nemmeno mia madre.»

«Mi dispiace.»

Parcheggio al mio solito posto e poi entriamo in uno dei più famosi e costosi palazzi di Columbus. Ma quando entriamo noto che si blocca. Odio non capire il mio motivo per questi suoi comportamenti, un momento prima mi sorride e un momento dopo è come distaccato dal mondo. Gli passo una mano davanti alla faccia e non fa una mossa. Perciò lo prendo dalle spalle e lo costringo a guardarmi in faccia, ha gli occhi persi, ma quando incontrano i miei sembra che riprendono vita.

«Che è successo?»

Dico scandendo bene le parole.

«Io, non lo so, mi era sembrato di vedere una persona che conoscevo e sono entrato nel panico, penso.»

«Non ti preoccupare, quando stai con me nessuno ti potrà far del male.»

Annuisce e mi sorride, ma il suo sorriso non riesce a contagiare anche i suoi occhi, infatti rimangono spaventati. Mi allontano lentamente e poi mi dirigo verso l’ascensore e aspetto che arrivi.

«Non ci sono le scale?»

«Io non ci arrivo all’ultimo piano a piedi, se lo vuoi fare tu, quelle sono le scale.»

«Sebastian..»

«Thomas questa ascensore è sicuro e ci sono così tanti piani. Se hai paura ti tengo la manina»

«Si, molto divertente, ma a me non piace prendere l’ascensore. Non mi piacciono gli ambienti piccoli e grigi

Quegli elementi mi fanno capire il motivo per cui ha così paura di entrarci, gli fanno ricordare il luogo in cui l’ha perso. Gli tendo la mano e lui l’afferra, gli sorrido.

«Facciamo così, noi prendiamo l’ascenso- non sbuffare e fidati! Concentrati sulla mia mano, chiudi gli occhi e cantami la canzone di prima. Concentrati sulla musica e saremo arrivati al mio piano prima che tu te ne accorga. Ti fidi?»

Annuisce ed ecco che un fastidioso suono ci avvisa che è appena arrivata l’ascensore.

 

*****

 

Perché prima mi era apparso di aver visto il mio migliore amico? Io so che non è nel modo più assoluto possibile.

E se mi avessero mentito?

Alla fine avevo solo una lettera che provasse quello che mi avevano detto, forse ho una possibilità, forse posso incontrarlo.  Forse posso ristringerlo fra le braccia.

Forse potrei..

No, Blaine non fare lo stupido, lo sai che quello che sta scritto sulla lettera è vero. Lui non ti mentirebbe mai.

«Thomas è arrivata, su entriamo. Andrà bene.»

Lui la fa semplice, lui l’avrà usata un trilione di volte! Prendo un bel respiro profondo, come se dovessi andare in apnea, chiudo gli occhi e mi affido a lui. Sento il calore della sua mano che mi da forza. Sento il suo pollice che traccia disegni invisibili sul mio dorso, con gesti circolari e regolari che mi rilassano. Dopo l’ennesimo respiro la mia voce riempie il piccolo spazio dell’ascensore, stranamente è chiara e forte, l’opposto di come io mi senta dentro, mi sento molto vulnerabile con gli occhi chiusi così. La cosa che mi stupisce è che al ritornello la voce di Sebastian si unisce alla mia.

Wow.

Non ho mai provato una cosa del genere in vita mia.

Non potevo vedere le sue espressioni, ma scommetto ciò che ho più caro al mondo che ora lui sta ridendo e che sente quello che sento io. Era come se per la prima volta lo vedessi veramente.

 

Il piccolo Blaine stava seduto sopra il seggiolino in pelle del pianoforte del nonno, aveva lo sguardo di chi è perso nei proprio pensieri. Nemmeno si accorse della figura che si era messa ad ascoltare quelle note messe lì, una dietro l’altra senza un ordine.

«Ehi campione, che hai?»

Gli disse suo nonno e a queste parole lui si svegliò da questo suo stato di.. tristezza? Nemmeno lui sapeva bene quello che aveva, dopotutto aveva sei anni e molte cose del mondo ancora non le sapeva.

«Niente nonno..»

«Lo sai che a me puoi dire tutto no?»

«Perché i principi non possono salvare altri principi?»

«Lo dice papà? – il piccolo annuì – ma loro possono. Ovvio! Però si dovrebbero salvare le principesse.»

«Perché?»

«I principi non hanno bisogno di essere salvati. Però possono volersi bene.»

«Ok.. quindi io posso voler bene al mio amico principe?»

«Ovvio. Mi prometti una cosa Devon? Quando ti capiterà di dover decidere basati su ciò che senti nel cuore, non badare a ciò che ti dice la testa – gli tocca il petto all’altezza del cuore – bastati su questo. Con gli occhi si vede male, ma con questo, vedi tutto l’essenziale, vedi il vero. Me lo prometti?»

Il piccolo era ancora più confuso, ma aveva capito che poteva voler bene al suo Matisse e questo gli bastava. Blaine sorrise al suo nonno e gli afferrò il mignolo con il suo più piccolo.

«Lo prometto nonno.»

Lo disse con un tono serio, perché tutti sanno che le promesse fatte con il mignolo sono le più importanti e non devono essere infrante..

 

Questo ricordo mi torna alla mente e io so cosa prova il cuore ora, ma resto fermo perché ho paura. Ora sono sprovvisto della vista, mi basterebbe solo aprire un occhio per capacitarmi che questo stia accadendo veramente, che quello che sto provando non me lo stia immaginando, ma non voglio rovinare questa atmosfera. Era come se fossimo collegati da un filo, da un filo rosso. Potevo sentire chiaramente il suo battito, che pulsa in armonia con il mio e pian piano mi avvicino a lui. Fino a quando non sento che il suo respiro mi accarezza la faccia.

Il tempo sembra essersi fermato e lo spazio sembra scomparso. Esistiamo solo noi che stiamo troppo vicini l’uno con l’altro, e la distanza si accorcia sempre di più, arriviamo talmente vicini e non ce ne accorgiamo nemmeno, basterebbe un niente per poterlo baciare..

Poi il suono dell’ascensore segna il nostro arrivo e ci allontaniamo come se fossimo due poli dello stesso segno, il freddo della parete a contatto con le mie braccia è come se mi schiarisse la mente e in questo modo riesco a riacquistare un minimo di controllo.

Sono il primo che esce dalla lì, il più veloce possibile, lui ci mette un po’ di più invece. Non mi guardo intorno, vado diretto all’unica porta del piano, e lo aspetto lì, dandogli le spalle. Quando lui mi arriva vicino i nostri corpi quasi si sfiorano, sento l’elettricità che li percorre, ma questa volta rimango al mio posto, sono come paralizzato. Gli tremano le mani e fa fatica a cercare le chiavi, ma dopo un po’ riesce finalmente ad aprire la porta scura. Non fa in tempo ad entrare che una piccola birba gli salta addosso.

«Oh piccola, quanto entusiasmo! Dai ora papà è tornato e ti da mangiare!»

«Papà?»

«Zitto, tu potrai essere un buon zio – mi dice con un sorriso – fai come se fossi casa tua, ti raggiungo subito. E Thomas togliti le scarpe, ho il parquet.»

Ha una casa meravigliosa, ma è come se fosse da esposizione. Ha dei mobili perfetti e si vede che lo stile è molto ricercato, ma è vuoto. E la cosa che mi salta subito all’occhio è la quasi assenza di foto, a parte qualche foto di lui insieme a sua sorella, presumo, hanno lo stesso sorriso, sembra più piccola, e hanno gli occhi dallo stesso taglio, ma di colore differente. Lei ha due pozze nere, dolci e sembrano magnetici, li potrei guardare per ore, proprio come quelli di Bas.

«Lei è la mia Antoinette, da come avrai capito è mia sorella. Ci corriamo due anni.»

«Perché hai solo foto sue?»

«Lei è la mia famiglia, ultimamente non ho un buon rapporto con i miei, anzi non ce l’abbiamo mai avuto.»

«Mi manca la mia famiglia.»

«Quando tutto questo finirà troverò un modo per farvi incontrare, lo prometto Thomas.»

«Tanto loro non mi vogliono.»

«Come fai a dirlo?»

«Mio padre ha incominciato ad odiarmi quando è venuta fuori questa cosa del processo e del fatto che mi piacesse il mio migliore amico; mia madre invece pensa solo ai suoi club e non andrebbe mai contro mio padre. Avevo un buon rapporto con mio fratello, è più grande di me e spesso mi prendeva in giro, ma gli volevo bene, gli voglio bene. Lui è sempre stato il figlio perfetto. Diplomato con il massimo dei voti, ha seguito per un po’ le orme di nostro padre, ma poi ha deciso di diventare un attore. Era bravo, ha sempre fatto parte di un gruppo di teatro, mio padre non voleva che perdesse tempo io non so come ha fatto ma è riuscito a convincerlo. Alcune volte penso che se ero più come lui forse ora non sarei qui.»

«Ti stai pentendo per il fatto di essere qui

«No, mi sto pentendo del fatto di non aver fatto niente per fermare tutto ciò.»

«Ma ormai è successo e sei arrivato in questo punto, ora devi solo rimboccarti le maniche e andare avanti.»

«Tu la fai sempre così semplice..»

«Perché lo è. Non devi pensare che le cose si sistemeranno subito, devi avere pazienza e vedrai che alla fine la vedrai come me.»

Annuisco e mi metto a sedere sul suo divano, ho passato una brutta notte e adesso la mancanza di sonno si fa sentire e questo divano sembra perfetto per chiudere un po’ gli occhi e per dormire. Dopo un po’ sento che il divano si abbassa sotto il peso di Sebastian.

«Perché sei stanco?»

«Non ho dormito molto.»

«Agitato per oggi?»

«No, per gli incubi.»

«Su cos’erano?»

«Sempre le solite cose: lei mi dice che non ho fatto niente, l’ultima litigata brutta che ho fatto con lui e sangue. E urla, e sangue ancora, tanto. Non ce la faccio più, Bas..»

Mi fermo un attimo. L’ho davvero chiamato Bas? E gli ho veramente raccontato i miei incubi? Lui mi sorride.

«Ti va di raccontarmi altro?»

Mi sta prendendo un po’ d’agitazione e metto le mani dentro le tasche in cerca del mio ciondolo. È solo una domanda. Faccio cenno di no con la testa e lui mi sorride ancora. Poi scende fra di noi uno strano silenzio e io punto lo sguardo in un punto davanti a me.

«Lo sai che l’usignolo è il simbolo dell’amore? E il suo canto è un inno alla libertà dell’uomo?»

Mi giro di scatto per osservarlo, ma sta bene?

 

*****

 

«Cosa?»

«Niente, ti vedevo più strano del solito e secondo me ti assomiglia.»

«Non ti seguo.»

«Tu sei ancora legato a lui e anche se sai che non lo rivedrai mai più tu continui ad amarlo, come quando facevi da bambino. Tu provi quel tipo d’amore eterno. È una cosa molto bella e l’ammiro molto. E la tua voce, ti ho sentito cantare due volte ed è stato magico. E penso che quando lui ti ha donato questo ciondolo pensava a questo, ti ha regalato il suo amore e la libertà. Prima sei scappato, secondo me dovevi restare e ricominciarla da capo. Tu hai pensato che ti voleva far notare uno sbaglio, ma non è così e la prova è il tuo ciondolo. Forse voleva che ti lasciassi andare.»

«Perché è un inno alla libertà?»

«È una leggenda giapponese, sai al liceo facevo parte di un gruppo, chiamato i Warbler e una volta abbiamo fatto una ricerca sul nostro nome, era il tema delle Sectionals e dovevamo basare la scelta delle canzoni sulle proprie origini. Mi ricordo che abbiamo anche cantato la prima canzone che i Warbler hanno fatto.»

«Come avete fatto? La prima?»

«Alla Dalton c’è una politica molto rigida e noi dovevamo fare sempre un verbale e doveva essere il più dettagliato possibile. E ne abbiamo scelta un’altra basandosi su delle vecchie leggende e quella che ci ha attratto era quella giapponese. Parla di una principessa, Splendore, era figlia di un imperatore superbo ed era circondata dalle ricchezze, ma lei si sentiva in gabbia. Allora pregò il Buddha affinché le concesse la libertà e per questo le concesse di trasformarsi per 100 lune in un uccello. Lei si sentiva libera e felice mentre volava nel cielo stellato, e cantava. Cantava la sua gioia. Ma ben presto suo padre venne a conoscenza di questo nuovo uccello dotato di un melodioso canto e visto che voleva tutte le cose migliori per lui ordinò ai suoi samurai di trovarglielo. Ma Splendore era furba e riusciva sempre a sfuggire, grazie anche al fatto che era un di piccole dimensioni ed era molto agile.  Ma suo padre si ammalò e lei non poteva vederlo in quello stato, non poteva vedere la persona che amava soffrire perché non poteva avere ciò che voleva. Allora disse al Buddha di toglierle questo suo dono per non farlo soffrire più, ma suo padre, anche se era circondato dalle sue premure e dal suo amore sognava l’uccello e questo lo consumò fino alla morte. Dopo la sua morte lei aprì le porte del palazzo a tutti e aiutò tutte le persone che avevano bisogno. Venne amata e adorata e per ringraziamento il Buddha popolò quell’isola degli usignoli e il loro canto, che si innalza a mezzanotte simboleggia la libertà dell’uomo, perché con quel suo gesto la principessa divenne libera.»

«Wow.»

«Bella eh? Quando l’abbiamo scoperta mi è talmente piaciuta che penso che me la ricorderò per sempre. Mi ha fatto sentire speciale, perché era come se anche il nostro canto simboleggiasse la stessa cosa.»

«Non hai tutti i torti, hai una voce meravigliosa.»

Mi disse con il più dolce fra i sorrisi. Quanto é bello quando sorride? Odio quando il suo viso è oscurato da quell’odiosa nuvola che è il suo passato.

Gli sorrido di rimando, sono abituato a vari apprezzamenti, ma non sono abituato dai suoi. Rimaniamo un po’ in silenzio, entrambi fissiamo un punto non definito davanti a noi e le nostre spalle quasi si sfiorano ad ogni respiro.

«Perché gli assomiglio?»

«Anche tu hai “sacrificato” la tua libertà per delle persone che non se lo meritavano - non sai quanto mi dispiace Blaine, non sai cosa darei per tornare indietro e farmi avanti dico fra me e ora devi solo lavorare più duramente per riottenerla. E alla fine anche tu sarai finalmente libero, proprio come Splendore. Sei stato prigioniero in una prigione argentata e ora stai sulla buona strada per andare avanti devi solo..»

«..lasciarmi andare. Dimenticare il mio passato e cambiare rotta.»

Finisce lui al posto mio. Ci scambiamo uno sguardo pieno di cose non dette. Pieno di paure, paura di essere scoperti, paura per i proprio fantasmi che ci tormentano e paura dei proprio sentimenti. E poi aveva un non so che negli occhi, gli brillavano più del solito, erano animati di una scintilla che non sapevo definire, ma che amavo totalmente.

 

*****

Lasciarmi andare.

È forse arrivato il momento?

Poi metto in pausa il cervello e non penso più, non penso più a ciò che potrà accadere, semplicemente non mi interessa. So che se non lo faccio adesso, forse non lo farò più... Accorcio quella maledetta distanza che ci stava facendo impazzire, almeno quello era l’effetto che faceva a me, e lo bacio. Lui da prima è sorpreso e rimane fermo al suo posto, è come paralizzato e ha gli occhi sbarrati, sembra che sta valutando se questa sia una buona o una cattiva idea. Ma dopo un po’ si rilassa anche lui, chiude gli occhi e si lascia completamente andare a questo sentimento che sta nascendo. Porto le mie mano dietro al suo collo e lui mi stringe la schiena per poi tirarmi a se, si stende un po’ per farmi stare più comodo e quando ho trovato la posizione comoda faccio passare una mano fra i suoi capelli, l’ho sempre voluto fare ed è fantastico. Sento che il cuore mi batte forte contro il suo e sembra che vanno allo stesso ritmo e pian piano ne prendono uno nuovo, il nostro ritmo. Non sento l’imbarazzo tipico del primo bacio è come se fossi nato per farlo, per trovarmi qui con lui.

Era come se fossi nato per amarlo..

Non abbiamo fretta, perciò assaporiamo ogni istante, che scorre lento e ci da il modo di conoscersi. Una cosa fastidiosa è il nostro bisogno d’aria, purtroppo per vivere abbiamo bisogno di respirare e la distanza fra le nostre labbra, anche se per poco, è devastante. Dopo un po’ anche le mani reclamano il loro diritto di scoprire il corpo dell’altro. Però Seb era strano, sembrava che anticipasse sempre tutti i miei movimenti, come se non mi permettesse di alzargli la maglia, nemmeno le maniche.. come se avesse paura di essere toccato. Poi lui mi prende le mani fra le sue e le porta all’altezza dei nostri cuori. Pian piano rallentiamo il ritmo e dopo un leggero bacio a fior di labbra ci allontaniamo, ma questa volta questo distacco è piacevole perché posso nascondere il mio viso arrossato nel posto che orami è diventato il mio rifugio, e così ho l’occasione di bearmi del suo dolce profumo. Rimaniamo così, stretti in un abbraccio che sa di casa.

Dopo un po’ sento il suo naso che mi accarezza la guancia e mi da dei piccoli baci che mi fanno il solletico, e mi ritrovo a ridere. Mi sento felice. Come se tutto avesse preso il suo posto, aveva ragione nulla è complicato, bisogna solo saper aspettare.

«Lo sai che ora sarà tutto diverso.»

Mi dice fra un bacio e un altro. Ha ragione, con questo mio gesto ho fatto crollare un equilibrio che si era consolidato. Ma forse entrambi sapevamo che questo sarebbe successo, era inevitabile.

«Dobbiamo trovare una soluzione?»

«Come prima cosa penso che non dovremmo più vederci.»

Questo mi fa raggelare al mio posto e mi allontano da lui e mi guarda sconcertato. Perché mi dice questo? Cos’ho sbagliato adesso? Mi ero fidato, mi aveva detto tante cose belle, tipo che non mi avrebbe mai abbandonato e cose così. Che è successo adesso?

«Perché?»

«Perché cosa, Thomas?»

«Questo. Per un bacio? No ti prego facciamo che non sia successo, è stato solo uno sbaglio, non lo farò mai più lo giuro, non so che mi è preso prima. Scusami, ma non abbandonarmi, non farlo anche tu.»

Alla parola sbaglio anche lui si ferma e gli occhi perdono quella scintilla gioiosa che aveva prima, si spengono. Si mette a sedere composto e poi si avvicina lentamente a me e mi prende le mani, poi se l’avvicina alla bocca e le bacia e io vengo attraversato dalla stessa elettricità di prima, quella che mi fa sentire vivo e amato. Quando ha finito con la mia mano inizia a fissarmi e in un sussurro mi dice:

«Per te io sono uno sbaglio? Questo secondo te mi può sembrare uno sbaglio?»

«Non lo so. Credo di sì.»

«Mi riferivo al mio lavoro, non credo che ci dovremmo vedere in quel senso. Non voglio che mi pagano per sentirti parlare, lo puoi fare quando vuoi. Per te il bacio è veramente solo uno sbaglio?»

Mi fissa con quegli stessi occhi vuoti, ma pieni di tristezza. Non gli rispondo, mi avvicino fino a quando le nostri fronti non si toccano e io rifaccio combaciare le nostre labbra in quel incastro perfetto. E la cosa che amo è sentirlo sorridere mentre mi bacia. Questa volta dura poco e quando ci stacchiamo i suoi occhi brillano più di due stelle.

«Deduco che non pensi che il bacio sia solo uno sbaglio.»

«Deduci bene, Watson.»

Entrambi ridiamo ormai la situazione si è alleggerita. Ha il sapore di un qualcosa che sta nascendo, però mi fa paura, perché non so cosa mi aspetterà domani. Per adesso mi faccio avvolgere dalle sue braccia, mi fa sentire protetto e il suo profumo mi culla verso il sonno. Mi sento ridicolo, in un momento del genere cosa mi prende voglia a me? di dormire, ovvio! Però mi si chiudo gli occhi, ed è colpa sua e dei suoi massaggi e i baci che mi lascia fra i ricci. E pian piano entro in un mondo popolato da sogni, dopo tanto tempo.

 

****

 

Guardarlo dormire era uno degli spettacoli più belli che avessi mai visto, sembrava più giovane e la tensione che regnava sul viso quando era sveglio era sparita. Aveva sempre paura di chiudere gli occhi, dormiva sempre il minimo indispensabile, odiava il fatto di rivivere quella serata ogni notte, ma fra le mie braccia era tranquillo. Aveva un sorriso rilassato di chi vive in un sogno. Potrei guardarlo per ore senza mai stancarmi. Ma dopo un po’ si inizia a muovere e inizia a dire: non ci possiamo vedere, no, no. E altre parole che non capisco, io provo a tranquillizzarlo, lo stringo più forte e gli bacio dolcemente le labbra, lui a questo tocco si sveglia. Si alza in piedi e mi guarda stranito, io faccio lo stesso e gli vado incontro, ma non sembra che mi voglia fra i piedi. Non è rimasto più niente di ciò che c’era prima. Mi mima uno scusa con le labbra e poi se ne va, ma io sono più veloce di lui e riesco ad afferrarlo per un braccio, mi faccio guardare e vedo che sta combattendo contro i suoi soliti fantasmi. E poi lo bacio, sento che si rilassa, ma non ha più il sapore di amore, ma ha quello salato della tristezza. Quando ci allontaniamo nei suoi occhi c’è quella voglia di stare un po’ da solo, so quello che significa per quanto puoi tenere ad una persona hai bisogno del suo tempo e io mi metto le mani nelle tasche dei jeans e faccio un passo in dietro per poi accompagnarlo alla porta.

«Ti chiamo presto»

A queste parole prende la direzione della rampa delle scale e mi lascia lì, con in bocca ancora il sapore di questo amore che è appena sbocciato.

 

 

TBC...

 

 

 

Note dell'Autrice:

Salve!

Sì, sono viva e in tremendo ritardo sono passati 10 giorni e già. 10 giorni, beh per essere pignoli ne sono trascorsi 9, ma non guardiamo il capello, sono in ritardo e mi dispiace, sono state delle settimane piene per me e per la beta, ma alla fine ce l’abbiamo fatta *parte la musica di Rocky e parte un grido* SEEEBLAINEEEE! Siamo in ritardo, ma che importa THEY KISSED! Il bacio è stata una dolce tortura perché non sapevo come scriverlo, c’ho messo più tempo per scrivere quella scena che l’intero capitolo, a detta della beta la scena è venuta bene. E voi che ne dite ho passato il primo esame? Il nostro Blaine ormai ha aperto il suo cuore a Sebastian e hanno superato quel piccolo confine che c’era fra di loro *le scende la lacrimuccia perché sono adorabili*

La leggenda. Ecco a voi la storia dell’usignolo, bella no? Io inizialmente avevo pensato di dire solamente il significato dell’usignolo, ma poi ho deciso di trattarlo in modo diverso e di dargli un significato più profondo. Ed ecco che mi imbatto nella meravigliosa storia di Splendore, l’ho amata all’istante e mi è sembrata perfetta.

Una precisazione forse vi stare chiedendo: “ma perché sta tizia prende sempre come esempio i principi? Ha una fissa o cosa?”; o forse non vi starete chiedendo niente, però lo chiarisco comunque: Blaine è stato accusato a dieci anni e quindi non è che ha avuto molto tempo per maturare questa sua identità e quando si è piccoli penso che si  da un’interpretazione di quello che si sa. Si, ok a dieci anni non è che conosci solo le favole, però uno a dieci anni è ancora piccolo e vive quella magia. Poi che lui è cresciuto troppo presto è un altro conto. E visto che parlo di principi non poteva mancare questa frase «[…] Quando ti capiterà di dover decidere basati su ciò che senti nel cuore, non badare a ciò che ti dice la testa – gli tocca il petto all’altezza del cuore – bastati su questo. Con gli occhi si vede male, ma con questo, vedi tutto l’essenziale, vedi il vero. Me lo prometti?». Chi l’ha riconosciuta? L’ho rifatto, ma ahimè ho uno stretto legame con questo libro (Il Piccolo Principe) ed è più forte di me, sono legata a lui con un filo rosso. Il nonno l’ha chiamato “Devon” per due motivi (uno stupido e uno serio): il primo è perché io amo nel modo più assoluto quel nome, mi sa perfetto per Blaine, e ne sono diventata dipendente; il secondo perché, nella mia mente malata, quel nome può essere quello del nonno e visto che dovevano fare una promessa con i mignoli ho pensato che doveva usare quello per sottolineare la serietà della situazione.

La scena dove Seb che chiede la manina a Blaine/Thomas per farlo stare tranquillo nell’ascensore o di quando lo bacia o di quando l’osserva dormire non le commento nemmeno potrei risultare troppo smielata. E no, non potevo essere così cattiva a farli separare subito, quella frase di Seb andava interpretata e le insicurezze di Blaine hanno vinto, ma alla fine tutto si è risolto perché seriamente quel bacio poteva essere uno sbaglio? Ovvio che NO! Forse lo sono stata un po’ nell’ascensore…

Penso che sia tutto, se avete dubbi non esitate a contattarmi, sono a vostra disposizione :)

Un grazie va a quelle persone che sono rimaste e che mi hanno aspettato con pazienza, state tranquilli il prossimo è sia finito e sia betato! Quindi la prossima volta saremo puntualissime! Vorrei ringraziare anche i nuovi lettori e quelli silenziosi, fate tanto per me anche solo leggendo la nostra bimba.

Grazie anche alla beta che finalmente fa parte della dark side aka Seblaine shipper fandom! Grazie per esserci e per sostenere la ff.

Spero di sentirvi presto.

Alla prossima

_Beth :)

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Capitolo 13
*** E se tutto fosse sbagliato? ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

 

NdA: Vi rubo solo un secondo. Questo capitolo si dividerà in tre parti e sono entrambe piene di angst, quindi preparatevi :)

 

 

Boy B

 

.-E se tutto fosse sbagliato?-.

 

Ma che mi era saltato in mente?

Mi chiedo perché devo sempre ricascarci. Non so niente di Sebastian e tanto mi è bastato a fidarmi di lui, mi ero aggrappato a lui come se lui fosse quel punto fisso che mi serviva per rialzarmi e rinascere. Dopo tutto quello che è successo ero riuscito ad abbassare completamente le mie barriere. Ho pianto con il viso nascosto fra le nostre mani di fronte a lui, ma non mi ero vergognato di quello che stavo facendo, anzi mi era sembrato la cosa più naturale al mondo, a differenza di quello che è successo con Shannon, che ho aspettato di varcare la porta per lasciarla andare.

Ma che mi è saltato in mente quando l’ho baciato?

Non dovevo superare quel sottile confine che c’era fra di noi. E come al solito ho rovinato tutto.

Ma che mi hanno fatto gli occhi di Smythe?

Maledetto lui e i suoi occhi dannatamente verdi.

Per distrarmi un po’ decido di prestare attenzione a questa parte di Columbus che conosco poco, ma era meglio che non l’avevo fatto.

Mi sembrava l’ennesimo brutto scherzo del destino, ovunque mi giravo vedevo un particolare verde. Le fronde degli alberi che costeggiano la strada. Alcuni oggetti nelle vetrine. Le tende dei bar. Tutto era verde, ma non si avvicinava neanche lontanamente ai suoi occhi però ogni particolare era lui. Mi sento di impazzire.

Per fortuna sono vicino a casa e non vedo l’ora di rinchiudermi dentro camera mia e di non uscire per i prossimi cent’anni. O forse non vedo l’ora di andare in camera mia per chiamarlo e per dirgli che voglio provare ad andare avanti con lui al mio fianco..

Apro la porta e non mi accorgo nemmeno della macchina di Shannon parcheggiata, e quindi appena entro dentro mi ero illuso di poter stare in completa solitudine. Quando ho la porta chiusa dietro alle spalle mi lascio scivolare su di essa e mi prendo la testa fra le mani appoggiandola sui ginocchi.

«Thomas?»

«E se tutto quello che fai alla fine è sbagliato, anche se in quel momento ti sembrava così giusto?»

«Thomas, stai bene?»

«Secondo te posso stare bene io? E che diamine! Non mi hai di fronte? Non mi vedi?»

«Thomas. Io-»

Ormai era troppo tardi. Qualcosa dentro di me, tenuto a riposo per troppo tempo, si è svegliato ed è esploso con la forza di mille bombe atomiche e io non ho la forza per contrastarlo. Ho incominciato ad urlare e sento che la rabbia che mi porto dietro da 10 anni mi si stia scoppiando in pieno petto. Rabbia mista alla consapevolezza di stare andando avanti e di lasciare il suo ricordo ancorato ad un passato che sono stufo di ricordare. E questo non va affatto bene.

Gli ho promesso che sarei andato avanti, ma è così difficile farlo senza di lui.

E poi mi viene in mente il viso meraviglioso di Sebastian. E anziché tranquillizzarmi, mi fa aumentare ancora di più la collera che sto provando dentro.

E questa volta non c’è modo di poter sfuggire all’esplosione.

«Come potrei stare bene se per tutti sono IL mostro, anche se non sapevano chi ero e tanto si erano sentiti liberi di giudicarmi. Anche se adesso loro non si ricordano, io comunque ho questa grossa insegna sopra la testa in cui c’è scritto: “Sono io il bastardo che voi avete identificato come l’assassino di Mary Ann. Io sono qui!” e tutti sembrano che se ne accorgono. Passo per strada e mi guardano strano, come se lo sentissero a pelle. E lo sai perché? No? Perché all’epoca, anziché giocare con gli altri bambini e fare cosa da “maschi”, come le chiamava sempre mio padre, io preferivo giocare con il mio migliore amico e fantasticare con lui su come sarebbe stato bello vivere in un mondo dove un principe ci venisse a salvare e portare in quel posto dove è giusto poter essere se stesso. A me mi è sempre sembrato abbastanza ridicolo, perché ero un bambino che non sapeva niente su come funzionasse il mondo, ma per l’uomo che mi donato la vita e per tutti coloro che mi hanno incolpato quei comportamenti erano sintomo di una malattia che non esiste e tanto gli è bastato per metterci sotto la luce dei cattivi della situazione. Bambini di 10 anni, innocenti, furono visti come degli assassini. Sono sempre stato una delusione per mio padre e per mia madre, ma io avevo il mio nonno che mi ha procurava delle vie di fuga. E sai perché nel giorno del processo tutti quanti non si sono fatti scrupoli a incolparci? Perché qualcuno ci aveva visto che ci aggiravamo in quel posto, non l’abbiamo mai negato era vero quello era il nostro posto segreto, però ci aveva anche visto baciare. Ma io penso che c’è di male? Avevamo 10 anni come facevamo a capire che quello era sbagliato, quando tutti dicono che si può baciare chi si ama, ma poi fu uno di quei bacetti a stampo tipici dei bambini, quelli innocenti, quel leggero sfiorare di labbra, delicato come le ali delle farfalle. Perché sono riusciti a macchiare anche quel ricordo così puro e perfetto che mi era rimasto? E quando hanno visto che razza di lavoro avevano fatto a quella bambina quei pazzi non ci hanno messo tanto a classificarci come i figli del demonio, perché solo delle persone malate come noi potevano aver fatto quel gesto. Mi pare giusto! Sai di che furto parlavo l’altra volta? Del furto della nostra innocenza e della nostra vita. In un modo o nell’altro saremmo stati segnati a vita, ma saremmo stati uniti. E ora che mi rimane? Un ricordo sbiadito di un passato che non ho potuto vivere e una famiglia che non posso vedere fino a quando tutta questa faccenda sia finita, ma tanto per loro è uguale perché non mi vogliono! Non vogliono della schifosa feccia in casa loro.»

«Thomas, basta.»

«Sai di cosa quei pazzi ci hanno ritenuti gli artefici? Di averla PICCHIATA A SANGUE, fino a farla morire dissanguata e per commozione celebrale, una bambina che avrà avuto la nostra età, picchiata con un bastone. Ma noi i bastoni non l’abbiamo mai impugnati nemmeno per giocare fra di noi, perché sapevamo che era pericoloso. Io mi ricordo quel bellissimo visino sfregiato, ce l’ho marchiato a fuoco nella mente e ogni fottuta notte mi viene in sogno e mi dice perché non l’ho salvata, perché non l’ho trovata prima, perché non ho fermato quei bastardi, tanti perché ai quali io non ho una risposta e ciò mi tormenta. Le sue urla! Tu dici che le mie sono agghiacciati? Hai mai sentito la disperazione nella voce di chi sa che tutto è finito? Che non può fare più niente per non morire? Quel desiderio di chiudere gli occhi per sempre solo per non sentire più il dolore, ma comunque hai quella voglia di vivere che sovrasta tutto e ti spinge ad imprecare un Dio che non esiste? Io si e anche quelle mi vengono a trovare ogni notte! Fra le colpe c’era anche quella che l’avevamo violentata. Due bambini di 10 anni che violentano un’altra bambina? Come se i miei che già non avevano tempo per dirmi “ciao” mi si erano messi a fare una lezione su che cos’è l’amore e sapevo quello che dovevo fare. A me non mi interessava più di tanto saperlo a quell’età ma per loro era logico che noi sapessimo tutto. Ma il bello è che quello è stato l’ennesimo errore! Tutto quel sangue che hanno trovato era dovuto alle varie botte che le hanno inflitto su TUTTO il corpo. Io mi ricordo-»

«Thomas, BASTA!»

«No, lo devi sapere! Io lo so che lo volevi sapere! Così capisci con chi hai condiviso il tetto per tutto questo tempo. La cosa più brutta erano i suoi occhi. Così vivi ma allo stesso tempo erano così morti. Aveva perso troppo sangue, l’ambulanza non è arrivata in tempo. Perché quei bastardi, oltre ad aver usato un bastone avevano usato anche un coltellino! Ti rendi conto di che tipo di matti hanno lascato liberi?!»

«THOMAS»

Ma ormai l’argine del fiume si era rotto e non c’erano possibilità di poter contenere la sua potenza. Non esistono dighe troppo resistenti per contenere tutta questa disperazione, quello che puoi fare è essere lo spettatore impotente che assiste alla distruzione di un equilibrio causata dalla sua forza distruttiva e aspettare che si calmi da solo, bisogna lasciarlo sfogare. Noncurante delle lacrime che ti solcano il viso, e di quelle che sta versando la persona che ti sta davanti. Vai avanti, nonostante il dolore che ti sta lacerando l’anima. Ancora.

«Ma la cosa peggiore fra tutte che ho commesso è che gli ho fatto vivere questo inferno da solo! Il posto dove l’avevano nascosto era peggio rispetto al posto che mi avevano nascosto da me! Pensavano che metterlo in un paesetto era meglio, ma si sbagliavano di grosso. Appena l’hanno trovato mi hanno spostato, io non ero a conoscenza di ciò che gli accadeva, quindi non avevo fatto troppe domande quando mi hanno trasferito qui. Sai quella gente non ha dimenticato, era troppo vicino alla nostra città. Lo sai che gli è successo?»

«Sì, William me ne ha parlato. Mi dispiace Tom.»

«A TE NON TE NE FREGA UN CAZZO! FINISCILA DI FINGERE CHE TI FREGA! Il tuo dispiacere, come quello degli altri, non me lo riporterà indietro! Il tuo dispiacere non mi permetterà di stargli accanto quando più ne aveva bisogno. L’ho perso, e non so quando mai lo potrò rivedere. Il vuoto della sua presenza nella mia vita è così pesante che alcune volte non riesco a respirare. È come se mettessi di continuo del sale nelle ferite fresche, brucia, ma non puoi farci niente, perché sai di meritarti quel dolore.»

La vedo avanzare e mi abbraccia. Io rimango fermo al mio posto, non muovo nessun muscolo. Ma sento che quella rabbia ormai non c’è più, mi sento solo tanto vuoto.

«Mi manca. Io sarei dovuto stargli vicino.» le dico con la voce incrinata dalle lacrime finalmente libere di uscire dalla mia prigione di ciglia.

«Shh non puoi fare più niente ora.»

«Non mio hanno nemmeno dato l’opportunità di dirgli addio, e se non avessi la possibilità di rincontrarlo?»

«Lui lo avrebbe voluto?»

«No, perché questo non è un addio. Mi ha detto che era un arrivederci»

«Lo rincontrerai, Tom.»

«Mi dispiace così tanto, Shannon.»

«Shh è finito. Non ti preoccupare, avevi solo bisogno di sfogarti.»

«Non dirlo a William. Lui non approverebbe»

«Non ti preoccupare, Boy B. il tuo segreto è al sicuro con me»

«Ma tu sapevi?»

«Secondo te io faccio entrare gente in casa mia così come capita? Mi danno il vostro vero profilo, e poi io decido, ma non devo parlare del vostro passato, se non siete voi a farlo. Non mi è permesso di fare troppe domande. Vi devo dare la speranza di una vita. Puoi farcela, lo sai?»

«No»

«Penso che faccia parte della vita»

«Il fatto che io sono un caso disperato?»

«No, sciocco. Il fatto di sbagliare quando pensavi di stare nel giusto. Me ne vuoi parlare? Con calma questa volta»

«Perché hai detto di sì a me? Pur sapendo il mio passato?»

«Perché era come se sentivo che avevi bisogno di una seconda possibilità, qualcuno che non ti giudicasse. Will mi aveva anche garantito che avevano riaperto il tuo caso, perché il tuo avvocato aveva avanzato una proposta di revisione del tuo caso, visto che eravate troppo piccoli per essere giudicati da quel tipo di corte.»

«Non volevo gridare in quel modo, prima, ma è stato più forte di me. Scusami.»

«Non ti preoccupare, è tutto a posto. Lo capisco – mi rivolge un sorriso dolce prima di continuare – aspettami in soggiorno, preparo un po’ di tè. Quando si è triste qualcosa di caldo aiuta.»

 

 

«Come mai sei triste?»

«Non sono triste io.»

«No? E allora perché stai piangendo.»

«Io non sto piangendo. Gli uomini veri non piangono mai.»

«Mio padre però ha pianto, quando la nonna morì. E lui è l’uomo più forte che ci sia. È il mio papà.»

«Non è la stessa cosa.»

«Allora spiegati, Bee.»

«Lasciami stare! È per colpa tua se il MIO papà mi odia! Kurt lasciami stare e tanto meno non provare a toccarmi.»

E poi il bambino dai ricci ribelli si girò verso il suo migliore amico, pentito di quello che aveva appena detto. Ma si sa, quando una cosa viene detta non puoi rimangiartela, anche se è stata dettata dell’odio del proprio padre e non del tuo. Se il bambino dagli occhi celestiali si è sentito tradito, l’altro è come se fosse stato colpito da mille lame appuntite, una per ogni sua lacrima versata. Lui grida il suo nome, per chiamarlo a se, ma lui è già lontano, l’ha sentito però non si è fermato lo stesso. Si sente uno stupido il piccolo Blaine, perché lui quelle cose non le pensa, ma era stufo di tutto ciò che gli diceva suo padre. Perciò ha preferito ferirlo, piuttosto che fargli vivere nel suo mondo, lui non lo merita. Ma questo pensiero dura un attimo, perché già sente la mancanza del suo Kurt. Dopotutto sono amici da quando ne ha memoria. Corre verso casa, più veloce che può, e sa già come farsi perdonare e sa anche dove deve andare.

 

«Posso?»

«Vattene Blaine Devon Anderson! Non voglio parlare con te»

«Lo stai già facendo, Kurt»

«Allora vattene e basta!»

«Mi dispiace! Io non le penso quelle cose! È mio padre, non reggo ciò che mi dice. Può insultare me, ma non si deve permettere di farlo anche con il mio Kurt. Io ho pensato che se tu riuscissi ad odiarmi, forse saresti stato meglio. Ma non è ciò che visto nei tuoi occhi quando li ho incrociati. Fra i due quello più intelligente sei tu, io sono quello che fa sempre le cose nel modo sbagliato. Non lasciarmi, ti prego.»

«Non ho voglia di parlare con te adesso.»

«Ti sto pregando. Apri questa porta. Ti prego»

Il piccolo Kurt, per quanto ci provava, non riusciva mai a resistere al tono disperato dell’amico, quindi aprì la porta e venne travolto dalla gioia del suo amico.

«Tu non sai quanto mi dispiace. Tu sei tutto per me. Con te posso essere me senza dover dimostrarti niente. Tu mi accetti per tutto. Io non lo penso, non potrei mai farlo. È come se perdessi un pezzo di anima, o di cuore. E chi mai potrebbe vivere senza un pezzo di anima? Ti voglio così bene, Kurt! Ti prego, quando sarò di nuovo stupido, non correre via da me, rimani. Fammi quello che ti pare, ma non lasciarmi mai più.»

«Lo prometto. E fino a quando avrai l’usignolo K starò sempre con te, anche se non mi vedi. Ci sarò»

«Non dirmi mai addio»

«Ti perdono. Brutto stupido. Lo farò sempre. Ma non farlo mai più. Fa tanto male, detto da te.»

«Per me tu sei perfetto. Sei l’amico più perfettissimo al mondo.»

«Io sono la cosa più lontana dalla perfezione che esista al mondo»

«Allora sei l’essere più perfettamente imperfetto al mondo»

«Ti voglio bene, Warbler B. Grazie»

«Grazie a te, per rimanere nonostante tutto. Warbler K»

Rimasero stretti in un abbraccio fino al tramonto, ed entrambi ne rimasero ammaliati, e quel giorno non gli sembrò poi così tanto triste, ma sapeva di una amicizia che rinasceva più forte di prima. Che è destinata a durare fino alla fine, anche se le situazioni non saranno delle migliori.

Ma il rosso caldo del cielo si trasformò ben presto in rosso sangue. Le urla presero il posto della quiete e il volto felice di Kurt si trasformò nel viso sfregato di quel piccolo angelo che ora stava in cielo.

«Ti sei divertito a vedermi morire, vero?»

Era una delle domande che era più solita ha chiedere e ti guardava con quei occhi privi di vita, ma pieni d’odio.

«Potevate essere voi le persone che mi potevano aiutare. Ma eravate troppo presi dalle vostre faccende da abomini. Che schifo.»

«Noi ci abbiamo provato.»

Gli rispose piangendo il Blaine da adulto.

«Si, a farmi morire.»

«E ora ti voglio far sentire ciò che ho provato io. Te lo meriti. Brutto rifiuto umano.»

Lei non si muove, ma il dolore che avverte è talmente devastante che non si accorge nemmeno di stare ad urlare.

 

 

«Sebastian, scusami davvero per il disturbo, ma abbiamo un problema.»

Quelle parole mi riecheggiano per la testa da quando Shannon mi aveva chiamato alle due di notte e facendomi prendere un colpo. Thomas sta avendo un’altra di crisi, ma era molto peggio di tutte quell’altre. Le sue urla sono accompagnate da un tipo di rabbia distruttrice che ti porta a colpire tutto ciò che ti capita sotto mano e se non riusciamo a farlo calmare in tempo ho paura che non saranno solo i mobili ad essere rovinati.

Mi ritrovo a guidare come un pazzo per le vie deserte di Columbus, ma perché sembrava che il tempo non passasse mai?

Ero dannatamente preoccupato, in quei 5 minuti di conversazione sono stato messo a conoscenza di troppo cose che non mi sono piaciute. Mi ha detto che all’inizio si è incominciato a dimenare durante il sonno e urlò tutto il fiato che aveva nei polmoni. Urla di dolore e urlava ripetutamente di venire perdonato da Kurt. Poi ha incominciato a colpire ogni superficie della camera, dai mobili alle pareti. Ogni colpo corrispondeva ad un urlo, e a detta di Shannon erano tanti gli urli. Era in cerca di qualcosa, ripeteva sempre che non gli perdonerà mai per averlo perso, adesso forse lo starà già odiando. Il non averlo più significava con sé significava dimenticarlo e lui non era ancora pronto. Ripeteva di continuo quanto facesse schifo perché lo sta dimenticando. E fu in quel momento che la mia attenzione fu attirata da un piccolo riflesso d’orato sul parquet e notai il piccolo ciondolo a forma di usignolo che lui porta sempre con se, con una piccola K sul petto e non mi ci è voluto tanto a fare tue collegamenti. Lo deve aver lasciato il giorno prima, quando era venuto da me, quel giorno in cui mi aveva baciato. Quel giorno in cui dormì un sonno quasi senza incubi fra le mie braccia e io mi sentii completo. Ma quello fu il giorno in cui scappò via da me, si era svegliato ed aveva avuto paura, e poi non l’ho sentito per tutto il giorno, beh fino adesso.

Ma che hanno fatto durante la notte? Hanno allungato la strada?

Non mi sembrava mai finire, devo raggiungerlo il prima possibile.

 

«Finalmente Sebastian»

«Dov’è lui?»

Mi sto comportando come un maleducato, non l’ho nemmeno salutata, ma lui è più importante, devo andare da lui prima di tutto. Mi indica di salire e i rumori che vengono dalla camera sua si possono sentire anche da qui.

«Preparagli un bel bagno caldo. Si sarà fatto male e bisognerà disinfettargli le ferite. Puoi portarmi l’occorrente?»

Non le do nemmeno il tempo di rispondermi che già sono piombato sulle scale. Arrivato alla porta bianca della camera sua mi fermo un attimo prima di bussare. I rumori che provengono da dentro non preannunciano niente di buono.

«Thomas, posso entrare.»

Alle mie parole lo sento fermarsi.

«Posso?»

«Vattene»

La sua voce mi distrugge. È così roca e così flebile e incrinata, dovuto al pianto che non riesce a fermare e alle troppe urla.

«Thomas, per favore. Fammi entrare.»

«No.»

Non mi fermo al suo no, provo ad aprire la porta anche contro al suo volere, devo stargli vicino adesso e lui è troppo devastato per rendersene conto. Fortunatamente la porta è aperta.

Lo spettacolo che mi si pone di fronte è agghiacciante. Mobili rovesciati, cuscini distrutti, contenuti dei cassetti sparsi per la camera senza un ordine e macchie rosse sull’intonaco bianco crepato.

E poi lo vedo.

Rannicchiato sul pavimento, il più lontano possibile da me, nascosto nell’ombra.

«Thomas»

Mi esce in un sussurro. Amore celato dietro ad una preoccupazione, accarezzo il suo nome come se stessi parlando ad un qualcosa di troppo delicato, che va protetto perché si potrebbe rompersi ad un leggero cambio d’aria. Ma a lui gli arriva al cuore la nota d’amore e alza gli occhi per puntarli nei miei. Non perdo mai il contatto visivo mentre mi avvicino a lui pian piano, non voglio turbarlo ancora di più visto che il suo tormento ora vive solo nei suoi occhi perfetti. Quando gli arrivo davanti mi fermo e mi abbasso con ancor più lentezza, non gli parlo e non gli dico nemmeno niente, deve essere lui a fare il primo passo. Anche se mi volesse dare un pugno, non mi sposterei nemmeno in quel caso. Quando ormai sono alla sua altezza lui mi viene addosso e porta le braccia dietro al mio collo, mi tiene stretto a lui e per un attimo ho pensato che saremo caduti. Sento il suo respiro irregolare che mi solletica il collo e io non faccio che stringerlo ancora più forte quando sento che lui fa lo stesso. Io gli incomincio a massaggiare la schiena con movimenti circolari e si inizia a rilassarsi un poco. Rimaniamo così per del tempo che mi sembra infinito, ma è bello, vorrei restare così per sempre. Ma dopo mi ritorna in mente il piccolo ciondolo per questo sciolgo la dolce morsa della sue braccia e gli prendo le mani fra le mie e gli porgo il piccolo usignolo. Osserva il suo piccolo tesoro e si allontana leggermente da me, ma posso sentire le nostre fronti sfiorarsi.

«Lo devi aver dimenticato a casa mia ieri.»

Gli dico dolcemente e con un tono di voce basso e gli vedo spuntare un’ombra di sorriso negli occhi.

«Non l’ho perso.»

«No.»

«Grazie.»

«Usi il ciondolo per superare le crisi, vero?»

«Sì, è come averlo ancora qui con me.»

«Come pensavo»

Mi alzo in piedi e gli offro la mia mano che lui accetta senza esitazioni. Visto che si è calmato forse ora potrebbe ritornare a dormire. Lo faccio accomodare sul letto e gli lascio un leggero bacio sulla fronte per poi scendere sulle labbra, lasciandone uno più dolce. Sento che le sue labbra si incurvano in un sorriso e io non potrei essere più che felice. Mi alzo e mi avvio verso la porta, volevo parlare con Shannon, dirle che tutto è stato aggiustato. Ma lui mi blocca un braccio e mi chiede con gli occhi di non abbandonarlo e a me non mi è permesso sfuggire al loro potere. Prendo posto in quel piccolo letto, grande per uno, ma piccolo per due.

Forse è anche meglio, così possiamo stare più vicini.

Mi sembra ridicolo inviare un messaggio a Shannon quando sta di sotto, ma non voglio allontanarmi da lui. Ora non posso.

Perciò mi stendo vicino a lui e apro le braccia per farlo accomodare e stringerlo. E lui mi tiene stretto a sé come se avesse paura che io possa scomparire da un momento all’altro. Mi metto a giocare coi suoi ricci.

«Shannon ti ha preparato un bel bagno caldo. Mi permetti di curarti le ferite prima?»

Gli dico sussurrandoglielo nell’orecchio. Le sue mani mi stanno lasciando delle piccole macchie rosse sulla maglia e io vorrei farlo sentire meglio, deve soffrire molto, visto che sono così fresche. Forse quel “mi permetti di curarti?” nella mia testa ha più il suono di un “mi permettimi di amarti?”.

Vedo Shannon alla porta che fissa esterrefatta lo spettacolo grottesco che ha di fronte, le vedo anche le lacrime che sta trattenendo con molta difficoltà. Entra e mi lascia il kit medico vicino al letto.

Io lo prendo e mi siedo con le gambe incrociate sul letto e invito Tom a darmi le mani.

«Shannon, potresti accendere la luce quando vai via?»

Non mi risponde, annuisce solo.

Io mi metto a disinfettargli le ferite e ad ogni piccolo lamento mi fermo e gli lascio un leggero bacio sulla parte più dolorante, l’alcool misto al sapore rugginoso del sangue non sarà buono, ma funziona come antidolorifico e questo mi basta.

Quando ho finito di curarlo lo vedo che è stremato, è stata una brutta notte per lui.

Ritorniamo stretti in un abbraccio e lui si aggrappa a me come se fossi il suo collante per tenere uniti i suoi pezzi, che ormai la maggior parte sono alla deriva, forse troppo lontani per ritornare completo come un tempo.

«Prima di dormire vuoi farti il bagno?»

Scuote la testa e si fa più vicino a me.

«Mi vuoi raccontare del tuo incubo?»

«Possiamo parlarne domani?»

«Possiamo farlo quando vuoi. Domani. Fra una settimana. Mai. Ma sappi solo che io sono qui. Ok?»

«Mi puoi solo stringere come l’altra volta?»

«Certo. Prova a dormire un altro po’, Tommy. Ci sono io qui a sorvegliarti i tuoi sogni.»

«Grazie, Bas»

 

E si addormentarono così, stretti nell’amore dell’altro. Un Amore che la spettatrice silenziosa della scena poteva leggere nei loro sguardi e nei loro gesti, loro invece lo capivano attraverso il battito del cuore dell’altro.

 

TBC...

  

 

Note dell'Autrice:

Buona sera e buon Gleestmas! Vi è piaciuto il capitolo? Spero di sì :)

Allora “parte 1” cioè quella di Blaine. Vi ho lasciato nel capitolo precedente con un Blaine che scappa da Bas dopo che ha dormito fra le sue braccia e dopo IL BACIO! In questo vediamo come reagisce a tutto ciò che gli è successo. L’ho fatto scoppiare e spero di aver trattato tutto nel modo giusto, spero che non vi è sembrato assurdo questa sua reazione, però ho pensato che era molto confuso e in conflitto con  se stesso e in questi casi ti basta poco per esplodere. Il nome Mary Ann è inventato, non è quello del caso perché nella storia vera è un maschietto, però ciò che le è successo è molto vicino a quello che hanno fatto al piccolo. Io mi sono sentita malissimo quando l’ho letto per la prima volta e spero di averlo trattato adeguatamente. Voi che ne pensate? Shannon penso che sia la persona perfetta per stare al fianco di Blaine. Lei ti sta vicino e ti sa confortare io personalmente adoro il personaggio che interpreta la nostra Dot. Come Sebastian lei sa della “vera” identità di Blaine, sinceramente non so come funzionano queste missioni del “proteggi il testimone” diciamo che mi sono presa la licenza poetica. Ho amato scrivere la conversazione fra di loro e dopo il racconto di Blaine era quello che mi ci voleva.

“parte 2” il sogno/incubo. Dopo il racconto ecco svelato anche il sogno tipico di Blaine. Come tutti ormai avrete capito l’usignolo gli è stato regalato da Kurt e finalmente uso nomi e cognomi veri nei flashback. Qui diciamo che il mio lato Seblaine veniva bellamente picchiato dal mio lato Klaine perché ho fatto comportare in quel modo Blaine, se volete picchiatemi pure voi, ma se fossi in voi io risparmierei le energie per il futuro ;) Gli ho fatto dire il nome completo di Blaine, ho fatto dire da Kurt “Blaine Devon Anderson” *il lato Klaine prende possesso della tastiera* IO HO FANTISTICATO SU QUESTA COSA IN MILIONE DI MODI, NON IN QUESTO CONTESTO, MA WHO CARES? L’HA DETTO! Ok me la finisco e ritorno “seria”. Questo è un sogno che ha alti e bassi inizia un po’ teso e poi arriva nel momento della riunione dei due amici nel loro posto segreto (non sono stati carini? Il mio piccolo amore Blaine già chiamava Kurt “il mio  Kurt” awwww) per poi finire con la scena con la piccola Mary Ann. Questo è uno dei tipici incubi, però è il più frequente.

“parte 3” quella di Bas. Qui abbiamo un preoccupatissimo e tenero Sebastian, si lo so non è il “tipico Sebastian” ma spiegherò più avanti anche il perché di questo capitolo, non farò come i RIB che dicono solo che dopo un determinato fatto fanno diventare Bas buono e lo mettono nel dimenticatoio, date il tempo al tempo. Forse avrò un po’ esagerato con la crisi di Blaine, però per lui non è stata una bella giornata e la sua forza la trae dal suo ciondolo perché in quel piccolo oggettino c’è la forza di Kurt e a lui gli serve per rimanere in piedi. Prima l’ho fatto sfogare con le parole e dopo quando le parole non sono più sufficienti l’ho fatto sfogare su tutto ciò che gli capitava sotto tiro. Il passaggio da “Blaine che scaraventa in aria tutto” al “Blaine nel angolo” è stato velocissimo e nel momento in cui Seb ha aperto la porta. Io penso che come il ciondolo l’aiuta a calmarsi così ci riesce anche Sebastian, il loro amore che sta crescendo è una buona cura a tutto. Sebastian gli curerà non solo le ferite alle mani, ma gli curerà anche le ferite dell’anima che sono quelle più difficili e così farà Blaine con lui.

Penso che sia tutto, per eventuali dubbi non esitate a contattarmi, mi piacerebbe tanto sentirvi, sapere se vi piace o se mi merito di essere mandata via a calci da EFP, qualsiasi cosa. Per favore

Come sempre vorrei ringraziare chi rimane, chi ancora non ha abbandonato la lettura, grazie! Anche a chi legge solo e a chi mi recensisce, a voi che lo fate penso che non ringrazierò mai abbastanza sapete che il mio grazie viene dal profondo del mio cuore, mi fate venire sempre il sorriso. Grazie mille

E un grazie va anche alla beta per l’aiuto che mi da, per credere nella nostra ff e per farmi vedere il bicchiere mezzo pieno. Grazie

Al prossimo aggiornamento

_Beth :)

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Capitolo 14
*** Ma ti sembra un’Annie lui? ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

 

 

Boy B

 

.- Ma ti sembra un’Annie lui? -.

 

Ho passato il resto della notte in bianco perché mi ero imposto un incarico bene preciso: tenerlo lontano dagli incubi. Dovevo esser sicuro che lui stesse bene e di esserci per un’eventuale crisi. Ho odiato le prime luci del mattino perché lo stavano disturbano, ma nello stesso momento l’ho amate perché creavano dei bellissimi giochi di luci e mi mostravano il suo viso con una nuova bellezza. Shannon era venuta a controllarci verso le otto, prima che partisse, e le ho chiesto se poteva chiamare la mia segretaria per dirle che era successa un’emergenza e non potevo venire oggi, gli altri avrebbero capitolo la situazione, dopotutto Blaine è ancora un mio paziente. Mentre lo osservavo mi sembrava ancora assurdo pensare che proprio ieri mi ha baciato e con quel bacio ha dato il titolo ad un nuovo capitolo della nostra vita, spero che questo sia quel tipo di capitolo che anche a distanza di anni nessuno si dimenticherà. Mi fa strano fare certi pensieri io ero più il ragazzo dalla botta e via. Quello a cui nessuno avrebbe dato un po’ di fiducia, ma alla fine avevo incontrato Thad e lui mi aveva cambiato, mi aveva fatto scoprire il vero me. Però gli altri avevano ragione, io non ero nato per amare e avevo rovinato anche quello che c’era fra di noi per colpa di quella mia debolezza che mi accompagna da sempre. Ma con Thomas, beh con lui era diverso. Da quando l’ho incontrato non ho più incontrato nessuno, andavo lo stesso nei bar, ma non mi interessava più conquistare un uomo e portarmelo a letto. Quando li osservavo o avevano i capelli troppo lisci o troppo chiari, oppure erano o troppo bassi o troppo alti, nemmeno gli occhi sapeva catturarmi chi l’aveva troppo scuri, dovuti alla lussuria che li riempiva, oppure erano troppo chiari o troppo.. O troppo niente. Dalla seconda sera mi ero accorto che in ogni uomo che osservavo cercavo in lui i ricci di Thomas, il sorriso di Thomas, gli occhi di Thomas, cercavo perfino l’altezza di Thomas. Cercavo lui in tutti. E da lì ho capito che non ero riuscito a togliermelo dalla mente neanche dopo dieci anni e che forse quello che ho provato per lui era veramente quel tipo d’amore di cui tutti parlano. Più volte mi ero trovato ad accarezzargli i lineamenti e ogni qualvolta che lo vedevo agitarsi o sorridere nel sonno mi fermavo e ne rimanevo incantato. Grazie a questa notte ho capito che potrei passare una vita intera ad osservarlo senza mai rimanere sazio, perché ho la certezza che poteri trovare un nuovo piccolo particolare che mi porterebbe ad amarlo ancora di più.

«Cosa guardi?»

Stavo fissando da non so quanto tempo uno dei suoi ricci e non mi ero accorto che lui si era svegliato e mi sta osservando curioso.

«Te.»

«Me? Non sono così interessante da esser guardato per un’intera notte..»

«Come fai ad esser sicuro che io ti ho osservato tutta la notte?»

«Hai delle bellissime e profondissime occhiaie.»

«Lo ammetto, ho passato tutta la notte a controllarti e a tenerti lontano gli incubi.»

Detto questo il suo viso si apre in un sorriso e avvicina il viso al mio, con gli occhi mi chiede il permesso di baciarlo, ma non ne ha bisogno. È un bacio delicato dato con un filo d’imbarazzo, quasi timore, come se questa non fosse la situazione migliore, o forse è dato dal fatto che non abbiamo ancora avuto modo per approfondire meglio questo discorso. Però mi piaceva e mi faceva sentire bene con me stesso.

«Buongiorno, Thomas.»

«Buongiorno  – e mi bacia una guancia – anche – mi bacia l’altra – a te – e lascia per ultima la bocca –, Sebastian.»

Entrambi ridiamo a questo suo buongiorno, non sono abituato a questo genere di saluti.

«Di solito una persona normale di mattina presto è intrattabile, tu invece sei così. Ma come fai?»

«Ma io non sono normale, lo sai che vado da uno psicologo? Dicono che è “bravino”. E poi devo ammettere che non ho mai dormito così bene, ho dormito su un comodissimo “cuscino”

«Bravino solo? Mi sa che lo conosco, a me hanno detto che è il più bello psicologo di tutti i tempi e dicono anche che è bello quanto bravo. Ma davvero?»

«Davvero che hai il petto più comodo di tutti?»

«No, che hai dormito bene.»

«Si, non ho avuto incubi. Sai di solito quando ho le crisi in quel modo quando richiudo gli occhi non faccio mai sogni tranquilli. Il più ricorrente è io mentre corro verso un qualcosa che non so cos’è, mi fa star male questa cosa, mi mette tanta agitazione. Non arrivo mai alla fine, mi avvicino sempre, alcune volte sogno lui. Sogno di non fare in tempo a trovarlo, forse se stavo con lui non sarebbe successo quello che è accaduto. Oppure mi muovo verso la bambina, ma non riesco mai a salvarla. Non è che sogno sempre queste cose, ma le sensazioni sono sempre quelle. Sono un misto fra la paura e la consapevolezza che tu potevi fare la differenza ma alla fine non l’hai fatta. E prima che il sogno finisce tutto viene illuminato da una strana luce verde.»

«Questo è interessante, ma sei mai stato rapito dagli alie- MA CHE FAI TI PARE IL MODO?!»

«Si e la prossima volta non mirerò di certo alla testa stai pur tranquillo. Sto dicendo una cosa seria e tu ci scherzi sopra.»

Fa per alzarsi ma lo blocco in tempo e lo faccio ritornare fra le mia braccia, dopo aver passato una notte con il suo respiro sul collo mi sembra assurdo pensarlo lontano da me ma lui fa di tutto per allontanarsi, perciò gli blocco le gambe con le mie per non farlo scalciare, dopo un po’ si calma e allento la presa di poco.

«Ehi mi dispiace ok? Era per sdrammatizzare. Hai parlato di luce verde e boh ho detto la prima cosa che mi è venuta in mente. Scusa.»

Mi mette il broncio e mi da le spalle, almeno ci prova perché non ha molto modo di spostarsi, ma non è offeso, lo vedo da come ha le spalle.

«Non lo faccio più, farò il bravo ragazzo e me ne starò zitto, muto.»

«Ma ieri me lo sono sognato o mi hai chiamato “Tommy” veramente?»

«L’ho detto e tu mi hai chiamato “Bas”, suona bene. Ma, ehi, Tommy, hai delle spalle bellissime ma ti gireresti? E non essere arrabbiato con me, non volevo offenderti.»

Sapevo che stava facendo finta e quando si gira ha lo stesso sorriso di questa mattina e si riposiziona con il viso vicino a me e fa sfiorare i nostri nasi, come per dirmi “ok, ti perdono.”

Mi potrei anche abituare a questo tipo di risveglio.

«Come vanno le mani?»

«I tagli mi fanno ancora male, ma vanno meglio.»

«Vuoi che te le disinfetto ancora? O forse potrei vedere se Shannon ha delle pomate specifiche. Potrei-»

«Seb, non ce ne è bisogno. È normale ieri ho fatto un casino, guarda come ti ho ridotto la maglietta, e ora ne pago le conseguenze. Queste fortunatamente mi passeranno subito.»

È strano il modo in cui mi parla, è come se fosse lui che deve consolare me e non il contrario. Lo stringo forte a me e ci godiamo il silenzio, che per una volta non è pesante.

«Ho in mente il programma perfetto di questa mattina allora: tu ti lavi, ti fai un bel bagno caldo e ti rilassi mettendo nel dimenticatoio la serata precedente; poi portiamo Jupiter da me così prendiamo Sapphire e andiamo al parco. Però prima passiamo da Bob così abbiamo la colazione gratis pure oggi.»

«Mi sento usato.»

«Non esserlo ci guadagni anche tu alla fine. Può andare?»

«Può- diamine! Che ore sono? Devo andare dal signor Brown!»

Detto questo lui si alza e come una furia prende i primi panni che ha sotto mano e si cambia alla velocità della luce.

«Tom.»

Non mi sente.

«Thomas.»

Allora decido che devo fermarlo e farmi ascoltare. Come al solito gli prendo le spalle e a questo mio gesto lui si ferma subito. Mi guarda come se mi volesse dire: sono in un ritardo assurdo e tu mi fermi? Non capisci la situazione o alcune volte sei solo stupido?

«Ho. Chiamato. Il. Signor. Brown. Prima. Tu. Non. Devi. Andare. Al. Lavoro. Ok?»

«Tu cosa? Ma perché? È il mio primo giorno, non posso mancare già dal primo giorno. Non posso farlo! È il mio primo giorno lavorativo! Adesso fammi vestire e portami da lui. Muoviti!»

«Ci vai dopo pranzo.»

«Ma il mio turno è adesso!»

«Il tuo turno è nel pomeriggio. Lui è il capo e così ha deciso.»

«Allora ci vado a piedi.»

«Dai su non fare il bambino testardo, lui ha detto che ci devi andare oggi pomeriggio e io mi sono preso la mattinata libera per un’emergenza, ho posticipato tutti gli appuntamenti nel pomeriggio. Non puoi preferire una mattinata con il signor Brown a una mattinata con me.»

Quando ho finito di parlare rimaniamo a fissarci, non parliamo e vorrei capire quello che pensa. Poi, ad un certo punto, si gira verso il suo armadio e prende un cambio di vestiti, poi si dirige verso la porta, ma prima di uscire si volta verso di me.

«Facciamo come hai detto tu, ma la prossima volta se vedi che faccio tardi svegliami, ok?»

Gli sorrido a mo’ di conferma e poi rimango solo nella sua stanza, ci sono ancora i segni del giorno prima. Forse è meglio che sistemi un po’ l’ambiente, lui prima non ha fatto caso al disastro, ma non vorrei che vedendo tutti i segni possa ricadere in quello stato che l’ha portato a fare questo. Mi limito a sistemare i mobili perché sicuramente le macchie di sangue non andranno via facilmente e non ho molto tempo, e ripensandoci le ha già notate sulla mia maglietta e non gli hanno dato problemi perciò mi limito a  riporre il contenuto dei cassetti, che era sparpagliato sul pavimento, vicino al letto e la mia attenzione viene attratta da una lettera un po’ sgualcita e da una foto nella stessa condizione, la metto al sicuro sopra il cuscino. Mi mancava quel suo sorriso che aveva prima di tutto ciò, mi manca il suo vecchio sorriso, quello che gli osservavo da lontano. Era il sorriso che aveva quando stava con il suo migliore amico, solo lui lo rendeva felice in questo modo. Per molto tempo sono stata geloso di lui. Poteva parlarci come e quando voleva, poteva tirarlo su di morale, abbracciarlo.

Poteva essergli amico.

Do un ultimo sguardo alla foto e poi mi metto a sedere sul letto, mi fa strano avere un qualcosa di suo di così intimo fra le mani, ha il suo odore. Chissà quante volte l’ha stretta al suo petto e quante volte ci ha pianto sopra. Sulla busta c’era scritto: “Al futuro Thomas, il tuo Matisse”.

Matisse.

Chi è questo Matisse?

«Sebastian?»

La sua voce mi ha fatto prendere un colpo, non me lo aspettavo. Rimango fermo al mio posto, non so come muovermi senza fargli vedere cosa ho fra le mie mani. Mi uccide. Sono un uomo morto, beh almeno morirò felice dopo il risveglio di questa mattina.

«Si, Thomas?»

«Perché hai fra le tue mani la mia lettera?»

Perfetto.

«Non l’ho letta, ma l’ho trovata sul pavimento quando stavo mettendo a posto. Io, mi dispiace, ma giuro non l’ho aperta.»

«Mi fido. Ma adesso dammela.»

Il suo tono non ha vitalità, sembra piatto. Mi dovevo fare gli affari miei adesso è arrabbiato, no è deluso il che è anche peggio.

«Thomas.. scusa.»

«Fa niente. È tutto ok.»

«Ho già fatto un mare di cavolate e non sono nemmeno le nove e mezzo di mattina, wow è un nuovo record.»

Si avvicina piano a me e si abbassa fino a quando i nostri occhi sono sullo stesso piano e con la stessa lentezza mi sfila la lettera dalle mani per riporla nel primo cassetto in mezzo ad un libro insieme alla foto, poi mi prende le mani.

«Quella lettera me l’ha scritta Kurt – gli spunta un sorriso tenero quando pronuncia il suo nome e i suoi occhi per un secondo si illuminano di luce propria – quando eravamo piccoli ci chiamavamo Matisse e Bizet. Per un motivo stupido, c’eravamo fissati con “Gli Aristogatti” e visto che lui era più l’artista e io il pianista abbiamo incominciato a chiamarci così. Diciamo che quella lettera ha ucciso le mie ultime speranze e non voglio che tu la legga, ci sono dentro cose personali. Ma potrai leggerla quando mi sentirò pronto ad affrontare questo argomento. Fino a quel giorno ti prego di non nominare l’esistenza della lettera.»

«Ti posso chiamare Bizet?»

«No.»

«Ma a me piace.»

«Solo lui mi può chiamare così.»

«Ma-»

«No.»

«Mi accontenterò di “Tommy”.»

«Bravo.»

Ci scambiamo uno sguardo e ci mettiamo a ridere. Vedo che ha ancora quel velo di rabbia e tristezza legata alla lettera quindi provo a curargli questa ferita con l’unico rimedio che conosco. Lo bacio. Libero le mie mani dalla sua presa e le faccio passare fra i suoi ricci, ho sempre avuto un debole per loro già dal primo giorno in cui l’ho rincontrato. Sento che si rilassa e che i suoi muscoli perdono rigidità, poi che le sue labbra meravigliose si incurvano in uno sorriso. Preso da com’ero nel baciarlo non mi ero reso conto che avevo la testa appoggiata alla testiera del suo letto e che lui ora stava sopra a me. Ad un certo punto sono costretto ad allontanarmi per la mia necessità d’aria e lui prende a tormentarmi il collo. Perché lui riesce sempre a mandarmi il cervello in tilt?

Fortunatamente ho ancora un briciolo di controllo mentale e riesco ad prendergli le mani così riesco a bloccarlo. Come lui non vuole affrontare il discorso di Kurt io non voglio spiegargli un qualcosa legato al mio passato.

«Che c’è?»

«Niente, è solo che se continuiamo così faremo tardi.»

«Non abbiamo orari precisi per andare al parco.»

«Sì, li abbiamo se non vogliamo che Sapphire ci distrugga l’attico.»

«E se ti ripago i danni?»

«Non sai di chi stai parlando.»

«Dai altri cinque minuti, e poi la tua bimba è così piccola che non può fare tanti danni.»

Al terzo tentativo da parte di Blaine mi alzo dal letto e lo lascio lì da solo.

«Dai mettiti le scarpe io ti aspetto di sotto.»

 

*****

 

Ma che gli è preso?

È uscito dalla camera senza degnarmi di uno sguardo.

Che ho fatto di sbagliato questa volta?

Mi metto le scarpe velocemente e non do troppa attenzione nell’allacciarle. In realtà non lo faccio nemmeno ed ecco che per poco non mi uccidevo mentre facevo la scale.

«Sta attento non voglio che mi muori per un laccio non messo bene.»

«Scusa è che ero preoccupato. Ho fatto qualcosa che non andava?»

«Tu? No, perché?»

«Eri strano prima. Sei uscito così dalla stanza e boh ho pensato di aver fatto qualcosa che ti ha dato fastidio.»

«Tu non centri, ma come tu hai le cose di cui non vuoi parlare anch’io ho le mie. E diciamo che non volevo superare questo limite oggi. Nemmeno io sono pronto.»

«Io non lo sapevo.»

«Non pensiamoci, dai.»

Mi prende la mano e con nell’altra tiene il guinzaglio, ma quando usciamo dalla casa metto la mano nella tasca, non so se qui si può tenere per mano un ragazzo, non voglio mettermi in altri guai. Più resto nell’anonimato e meglio è.

«Perché l’hai fatto? Mica ti devi nascondere.»

«Lo so, ma non voglio dare troppo nell’occhio. Non voglio esser preso di mira.»

Vedo che contrae la mascella e stringe di più il guinzaglio fino a fargli diventare le nocche bianche.

«Non ti preoccupare, mi da fastidio il fatto che non ti senti libero di essere te stesso. Tutta per colpa loro.»

«Ma io non sono nessuno.»

«Tu sei Thomas Paul Garfield una delle persone più perfette di cui ho avuto l’onore di incontrare e non dovresti vergognarti di essere chi sei. Se tu sei il primo che disprezza se stesso come pretendi che le altre persone non fanno lo stesso?»

«Non aiuti così, lo sai?»

«Ma è vero, se tu non sei convinto di una cosa che fai gli altri a loro volta non si fideranno. Datti fiducia, sei fantastico.»

«E tu di parte.»

Fa uno sbuffo divertito e mi prende la mano, poi mi guarda per dire “e ora che fai?”. Semplice mi aggrappo con forza a lui e affronto il primo fantasma del mio passato.

Stare mano nella mano con un ragazzo. In pubblico.

«Perché non prendiamo la macchina?»

«No, oggi prendiamo i mezzi. Devi abituarti a stare in mezzo alla gente.»

Dopo che passi metà della tua vita in prigione penso che sia normale provare ribrezzo per i posti troppo pieni persone, prima mi piaceva stare in mezzo ai miei amici, però dopo quel giorno è come se qualcosa dentro di me si fosse rotto. Come un equilibrio che crolla. Io sono crollato e ne sono uscito spezzato. Mi avevano allontanato da lui, mi avevano tolto la mia unica ragione di vita, la mia anima, quel pezzo mancante che ti serve per vivere. Avevano distrutto anche lui e questa è stata la cosa peggiore, gli avevo promesso che tutto si sarebbe risolto, che ce l’avremo fatta, invece no. E poi quando pensavo che ero arrivato al punto d’arrivo ecco che incontro lui. Sebastian Smythe lo psicologo. Lui è come se mi avesse riportato un pizzico di luce che nel mio piccolo universo buio ha brillantato più del Sole. Se qualcuno mi chiedesse “come sei arrivato a questo punto?” io gli risponderei che non ne ho la minima idea. È successo, ma dopotutto non siamo noi che decidiamo quando innamorarsi. È un qualcosa che scatta dentro di te e dopo un po’ ti senti legato a quella persona, dopo uno scambio di sguardo un po’ diverso dagli altri ecco che senti un collegamento con quella persona, da quel momento in poi la tua vita viene legata alla sua con un filo rosso. Poi mi giro a guardarlo negli occhi e un’immagine prende vita nella mia mente.

Domenica mattina. Tu e tuo marito siete costretti a lasciare le vostre attività ricreative tipiche di una pigra domenica mattina perché  vostro figlio vi sveglia perché vuole andare a tutti i costi al parco per giocare a baseball. Ovviamente vostro marito dice di si perché “non è mica colpa mia se nostro figlio ha i tuoi stessi occhi da cucciolo e lo sai, non posso resistere.”. Ma alla fine anche tu ami andare al parco a guardarli giocare, si guardarli. Perché tu non hai mai amato il baseball, hai sempre amato il football. Alcune volte ci provi, ma sia tuo figlio che tuo marito ti ricordano che no, non è il tuo sport ed è meglio che rimani all’ombra del vostro albero a comporre della musica. Poi ti viene in mente il titolo perfetto per una tua nuova sinfonia “E fu così che dopo l’ennesima presa in giro mio marito andò in bianco.” Si potrebbe funzionare ti dici. Ma è quando stai lì con la penna appoggiata in malo modo sopra l’orecchio e guardi gli uomini più importanti della tua vita  che ti senti l’uomo più fortunato al mondo perché sai che avrai per sempre al tuo fianco il tuo Sebastian e la prova del vostro amore è il vostro piccolo  Michael.

 

«A cosa pensi?»

«Io ehm.. niente.»

«Quello non è un sorriso da niente, però.»

«Penso a questo, a noi con le mani intrecciate di lunedì mattina che passeggiamo fra le strade di Columbus.»

«Accompagnati da un bisonte al guinzaglio.»

«Jup non è un bisonte.»

«Lo so, ma ti volevo far ridere e ci sono riuscito.»

«Come sempre.»

****

 

Mi piaceva farlo ridere, mi faceva sentire utile e in un certo modo “perdonabile”. Per arrivare al mio palazzo dobbiamo prendere due diverse linee metropolitane e da lì poi dobbiamo camminare per un paio di isolati, chissà forse non arriveremo mai al parco, secondo me rimaniamo all’attico e come idea non mi dispiace per niente.

«Non ho mai preso una metropolitana.»

«Mai? Non ci credo!»

«Sono serio. I miei genitori non sopportavano i mezzi pubblici quindi quando viaggiavo con loro usavamo sempre la nostra macchina. Però prendevo gli autobus con il Kurt, lo usavamo sempre per andare a scuola o nel nostro posto segreto.»

«Posto segreto?»

«Ovvio chi non l’ha mai avuto da bambino? Era il nostro fortino, era una vecchia costruzione, molto piccola, sarà stata grande come una stanza. Non c’era nessun tipo di mobilio dentro solo due cuscini e un grosso plaid per i pomeriggi più freddi, però avevamo un sacco di libri, fumetti e tanto altro. Mi manca quel posto..»

«Ti ricordi dov’era?»

«Ovvio, nei boschi vicino a-»

In quel momento i ricordi di quel passato che si diverte a tormentarlo riaffiorano nei suoi occhi. Mi viene spontaneo il gesto di accarezzargli il viso e di lasciargli un leggero bacio a fior di labbra. Sapevo quel poco che mi bastava sul suo passato per capire il posto. Era vicino al posto dove tutto è finito.

«Supereremo anche questa ok? Sei forte abbastanza, io credo in te.»

«Com’è prendere la metropolitana?»

«Penso che sia divertente per chi non l’ha mai presa.»

 

*****

 

«Sai mi ero immaginato che tipo le persone mi guardavano male, oppure mi potessero riconoscere, invece no. Stavamo lì e parlavamo e nessuno ci dava fastidio. Ti stavo praticamente appiccicato perché non c’era spazio. Ma come fanno le persone a prenderla ogni giorno e devo stare vicini come delle sardine? E se gli capita vicino uno che puzza? Ma ti immagini? Voglio provare anche quello, come nei film! Sai dovremmo usare la metro più spesso è stato fantastico. Ma l’hai sentito il vento prima del suo arrivo? È stato.. wow! Certo, mi sentivo intrappolato, ma mi è piaciuto!»

«Sai che sembri un bambino di 5 anni? »

«No, 5 e mezzo.»

«Oh scusa ti faccio sempre più giovane, mea culpa.»

«E se rimaniamo qui? Ci potremmo vedere un bel film. Sono stato per troppo tempo in mezzo alla gente oggi, può anche bastarmi.»

«Come preferisci tu, cerca un film se vuoi, li trovi tutti li.»

Vicino alla libreria c’era un totem enorme pieno di dvd di ogni genere, la maggior parte dei titoli non li conoscevo e quelli che rimanevano non mi ispiravano.

Bene. Forse è meglio se mi metto buono buono e l’aspetto, deciderà lui.

Mi lascio cadere sul divano e la mia caduta non è attutita da uno dei cuscini ma da un oggetto scomodo e spigoloso.

Ma che è?

The Cathing Fire?

Non può essere.

Lui?

«Perché quella faccia?»

«Ti facevo più lettore di classici.»

«Ho i miei buoni motivi, poi è meraviglioso.»

«Quali sono?»

«Il mio motivo ha un nome: Annabel. È una piccola paziente che seguo, sta avendo dei problemi in famiglia. I suoi stanno divorziando e lei non lo sta prendendo bene, si è chiusa in un mondo tutto suo, in Panem. È il mio unico ponte di collegamento con lei, ho pensato che per aiutarla dovevo prima entrare nel suo mondo e pian piano riportarla qui. Però i bambini lo fanno, si creano spesso questo loro mondo immaginario, ma i suoi ne hanno fatto una tragedia e dando sempre la colpa all’altro e litigando molto frequentemente in sua presenza fortificano questo suo atteggiamento. Molte volte si da la colpa di questi loro comportamenti. È una bambina intelligente che capisce tutto, ma che si difende così. Io ci parlo, ma lo dovrebbero fare anche gli altri. Devi vederla è meravigliosa e mi dispiace che i suoi unici amici siano fatti di parole, beh tranne uno.»

«Con chi è amica?»

«Con Finnick. È l’unico personaggio di quei libri che ha incontrato.»

«Sei serio?»

«Ci stai parlando.»

«Scusa?»

«Pensa che io sia il suo Finnick, per via del mio aspetto.»

«Ok. Che film vediamo? Io non li conosco alcuni.»

«Prendine uno a caso.»

Mentre io ne prendevo uno a caso lui si è seduto sul divano. Quando metto in play il film mi metto vicino a lui e mi lascio avvolgere dal suo profumo. Prima che il film inizia mi lascia un leggero bacio a fior di labbra e poi rimaniamo in silenzio.

Dopo un po’ la calma e l’intimità di questo momento è rovinata dalla fastidiosa suoneria del suo cercapersone.

«Scusami Thomas devo rispondere. Pronto?»

- Sebastian sono Jud, senti il papà della tua piccola paziente è venuto lo stesso e sta-

«Non l’hai informati?»

- Si, ma c’è il padre e dice che la madre non l’ha informato. Non è che potresti venire? Mi dispiace lo so che hai avuto questa emergenza, ma..

«No, ok vengo subito. Offrigli qualcosa mentre aspettano. A dopo.»

«Devi andare?»

«Emergenza. Mi dispiace tanto. Ti va di venire con me? Dopo devo venire da te per prendere la macchina. Mentre io mi cambio puoi chiamare un taxi?»

«Ovvio.»

 

*****

 

«Ci vorrà un’ora. Mi dispiace.»

«Non ti preoccupare, hai il tuo lavoro e hai delle responsabilità.»

«Buongiorno signor Smythe, e buongiorno anche a lei signor Garfield. Come mai qui?»

«Ti spiego dopo.»

Salutata la sua segretaria e rivolge uno dei sorrisi più dolci che abbia mai visto ad una bambina dai lisci capelli d’orati come il grano e lei ricambia il sorriso, quando si gira verso di lui vedo che con i suoi piccoli occhi verde chiaro sono fissi su di me. Sebastian nota che sta osservando un qualcosa alle suo spalle e si mette a vedere nella sua stessa traiettoria incontrando me.

Dopo un po’ la piccola lo tira per la manica della giacca e gli sussurra qualcosa nell’orecchio e lui si mette a ridere. I suoi occhietti sono un po’ confusi mentre l’osserva.

«Perché stai ridendo, la mia era una domanda seria!»

«Annabel lui non è la mia Annie, ti sembra un’Annie lui?»

«Si. Lo guardavi come guardi lei.»

Adesso sono io il confuso.

Chi è questa Annie di cui parlano tanto?

«Ti spiego tutto dopo.»

Detto questo prende per la mano la piccola Annabel e prima di chiudersi la porta alle spalle mi fa l’occhiolino. Poi rimango da solo con Jud.

«Eri tu la sua emergenza?»

«Ho avuto una crisi questa notte. L’ha chiamato Shannon.»

«Sei fortunato, è un bravo ragazzo.»

«Lo so.»

Le dico con un sorriso. Lei non aggiunge altro, ma secondo me ha capito tutto lo capisco da come mi guarda. Ha una luce materna che le scalda gli occhi, forse fra lei e Seb c’è più di un legame lavorativo. Forse è una zia.

Il mio Sebastian è una delle persone migliori in questo mondo.

 

*****

 

«Ciao Annabel, arrivederci signor Thompson. Ci vediamo la prossima settimana.»

«Ciao Finnick, mi saluti Annie?»

«Certo Ann.»

Ormai lui è diventato la mia Annie. Chissà cosa dirà quando scoprirà che lei non si riferiva a una donna ma si riferiva a lui. Non voglio perdermi l’espressione che farà.

Quando esco dall’ufficio noto che Thomas e Judith stanno conversando, le ha offerto il suo caffè speciale. Mi perdo nell’osservarlo per qualche minuto, sembra così tranquillo, come un tempo. Ha le spalle rilassate e le labbra incurvate in un sorriso. Di solito ha sempre un portamento rigido e sempre in difesa, invece adesso sembra il Boy B di un tempo.

«Ciao.»

Appena lo dico lui si gira immediatamente verso di me e il suo viso si illumina sempre di più e ci perdiamo negli occhi degli altri, chissà quante cose gli avrà raccontato Jud. Lei dopo un po’ si schiarisce la voce.

«Rimani con noi caro?»

Noi? Lui sembra stupito quanto me.

Oh no ha quel tipico sguardo da io-e-te-dobbiamo-fare-un-bella-chiaccherata.

«Ehm.. no mi aspettano per pranzo, un’altra volta. Grazie.»

«Ti accompagno alla porta.»

«A presto signora Miller.»

«Ciao Thomas.»

Appena usciamo dal mio ufficio lo prendo per mano e lo fermo.

«Che ti ha detto?»

«Niente, stavamo parlando dei miei miglioramenti, lei mi vede più felice e mi ha detto che sono un ragazzo fortunato perché sei una bravo ragazzo. Oh e le ho anche parlato del mio nuovo lavoro.»

«Ha capito tutto. Vuoi che ti chiamo il taxi?»

«No, mi faccio una passeggiata.»

«Come tu desideri.»

«Chi è Annie?»

«L’anima gemella di Finnick.»

«E tu come fai ad amar- oh.»

«Annabel capisce tutto come Judith.»

Non pensavo di arrivare questo punto adesso, dire quelle cose, ma per me è sempre stato così. Lui non mi avrà mai notato, ma io l’ho fatto e ancora oggi ne sento gli effetti.

«Lo pensi davvero?»

«Penso che è ancora presto per dirlo. Però lei ci vede sempre bene. Diamoci tempo Thomas.»

Mi sorride e io gli accarezzo la guancia, la lascio li e accorcio la distanza fra di noi. È un bacio lento, un bacio che sa di scoperta di se stessi. È un abbandono all’altro è come dire “ecco il mio cuore, è tuo, non deludermi.”

Quando ci allontaniamo ha ancora gli occhi chiusi.

«Potresti chiamarmi Devon.»

«Scusami?»

«Devon.»

«Perché?»

«Non mi piace che mi chiami con il mio non-nome. Lo possono fare benissimo gli altri, ma non voglio mentire a te. È il mio secondo nome. Non dovrei dirlo, lo so, ma..»

«Ehi ehi non ti preoccupare, ho capito. Mi piace Devon. Grazie per la fiducia.»

«Grazie a te. Adesso vado non voglio che Jud pensa che ti ho rapito o quant’altro.»

«Starei in buone mani in quel modo.»

Dopo l’ennesimo bacio prende l’ascensore da solo e io l’osservo scomparire fino a quando rimane solo il freddo metallo dell’ascensore.

Appena rientro mi dirigo verso la stanzina di Jud e mi appoggio allo stipite della porta.

«Mi piace.»

«Lo so.»

«Sono felice per te Sebastian, te la meriti un po’ di felicità.»

«La merita anche lui, spero di non fare casini come mio solito.»

«Ma l’hai visto come ti guarda? Fidati non puoi farlo questa volta, lui non lo permetterà – mi offre la mano e io gliela stringo forte – andrà tutto bene.»

«Speriamo.»

«Toglimi una curiosità, ma è lui vero? Il ragazzo di cui mi hai parlato tante volte vero?»

«Proprio lui.»

«Non c’è che dire il destino è veramente strano, prima vi fa quella disgrazia e poi vi fa rincontrare.»

«Ma lui non sa chi sono io.»

«Non ti ha riconosciuto?»

«No.»

«Dovrete fare un bel discorsetto voi due eh?»

Abbasso la testa e non le rispondo.

 

Come si fa a dire alla persona che si ama che sei  la causa della sua sventura?

 

TBC...

  

 

Note dell'Autrice:

Buona  vigilia a tutti!

Vi avevo lasciato nel capitolo precedente con i due stretti in un abbraccio che sapeva di casa e qui non poteva mancare il risveglio. L’inizio è più riflessivo e si “entra” nella mente di Seb, si intravede il suo cambiamento. La lettera tenetela di conto così come Michael, ritorneranno, vi dico solo questo. La domenica mattina si è scritta da sola, diciamo così, sono arrivata in quel punto e mi è venuta questa idea, spero che vi sia piaciuta! Poi il fatto dei cani in metropolitana specifico, è una cosa che mi ha fatto notare la beta, loro posso entrare, almeno qui in Italia a condizione che i cani grossi portano la museruola e quelli piccoli siano al guinzaglio, non so se è così anche in America ma in quel momento non avevo pensato ai cani e mi avvalgo della licenza poetica, così come i vari cambi della metropolitana. La scena con la piccola Annabel è una delle prime scene che ho pensato, era in quel periodo dove tutti eravamo in fermento e pensavamo a chi potesse mai fare il nostro amato Finnick e poco dopo Grant mi ha dato la mazzata finale dicendomi un “fo real” e li tanti saluti a Beth, sono viva per miracolo. Per me Finnick è e rimarrà Grant, mi dispiace per Sam, ma che ci posso fare? Quindi questa cosa non poteva mancare, è più forte di me.

 Non ho altro da dire e visto che il capitolo è più lungo rispetto agli altri non vi rubo altro tempo. Per qualsiasi domanda/curiosità/sclero/quello-che-volete non esitate a contattarmi o via messaggi/recensioni o *here*

Ringrazio chi legge e la beta, che mi ha fatto un betaggio super e spero di essere puntuale, questo capitolo è stato un parto perché ad un certo punto ho avuto il così detto blocco dello scrittore.

Passate delle buone feste e che ne dite di farmi una piccola recensione come regalo di Natale?

Alla prossima,

_Beth :)

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Capitolo 15
*** Relief ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, vorrei dire meno male per loro visto questo capitolo, ma sono di proprietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura. 

 

NdL: Ti rubo solo un altro secondo. Ho trattato di una tematica delicata, molto delicata, l’ho fatto per motivi che poi ti spiegherò nelle note finali, quindi mi scuso già da adesso. Se vuoi vivere questo capitolo come l’abbiamo fatto io e la beta ti consiglio l’ascolto di queste due canzoni *this* e *this*. Ci sentiamo alla fine.

 

Boy B

 

.- Relief -.

 

 

“Hell is empty. All the devils are here.”

William Shakespeare.

 

Il primo istinto che ho è quello di coprirmi o meglio nascondermi. Mi sento vulnerabile sotto al suo sguardo che analizza ogni centimetro del mio busto scoperto, con fare preoccupato e pietoso. Odio quando incomincio a fare pena agli altri. E pian piano quella sensazione di ribrezzo verso me stesso si rifà spazio nel mio cuore e l’aria mi incomincia a mancare. Non mi sento pronto per affrontare questo, non mi sento pronto a perderlo. Perché mi vorrebbe ancora? Le forze mi mancano e cado sulle mia ginocchia. Non sento più Thomas, il rumore del bosco alle mie spalle e del vento che soffia sull’acqua. Sento solo dolore, quel tipo di dolore che brucia e che fa male come il sangue che pulsa dalle ferite. Non riesco ad incrociare i suoi occhi, li tengo ancorati al tappeto d’erba, sento come se non lo meritassi o forse io non sono mai stato degno di lui. Hanno ragione tutti: sono nato per rovinare le cose.

«Sebastian, ti prego, guardami.»

Scuoto la testa e mi piego ancora di più su me stesso. Guardarlo? Con che coraggio?

Lo sento mentre si avvicina e avvolge il mio corpo con le sue braccia, quando la mia faccia poggia sulla sua spalla incomincio a tremare e mi libero di tutte quelle lacrime che non ho più versato da quel giorno.

«Shh Bastian, ci sono io con te adesso. Tranquillo. Sebastian io-»

«Non dirlo, lo so quello che sono e non- basta.»

«Non posso trovare perfetto e meraviglioso il mio ragazzo? Una volta mi presi il compito di ricordare ad una persona quanto fosse perfettamente imperfetto e non puoi vietarmi di farlo con te. Penso che sia arrivata l’ora della chiacchierata.»

«No è arrivata l’ora che io e te non ci sentiamo più ecco che è arrivato. Scusami Thomas.»

Mi rinfilo velocemente la camicia e corro verso la casa, più veloce che posso, ho bisogno di mettere un muro fra me e lui. Ma le gambe non stanno dalla mia parte, sono ancora deboli e cado poco dopo. Lui arriva e mi afferra prima che posso cadere.

«Non farlo, ti prego. Non chiudermi fuori. Non te lo permetto. Tu sei sempre stato con me quando più ne avevo bisogno in questo periodo, ora permetti a me di curare le tue ferite. Non posso fare niente per quelle sulla tua pelle, ma proverò a curare le ferite che hai nel cuore. Non abbandonarmi anche tu.»

«Ma lo capisci che io non sono fatto per stare con te? Che ti rovinerò e ti deluderò prima o poi? Che arriverò al punto che tu mi odierai? È meglio finirla qui, prima che sia troppo tardi.»

«Perché fai così?»

«Perché non voglio che la gente provi pietà per me, voglio finirla qui e ritornare il vecchio Sebastian che ne cambia uno a sera. Che se frega degli altri.»

«Non è vero. Vedo di come tratti Jud, Ann, i tuoi pazienti. Vedo che sguardo hai mentre parli con Thad o quando mi racconti vecchi ricordi del liceo che hai con lui. A te è sempre importato degli altri, non saresti uno psicologo altrimenti, perché perdere tempo con dei casi persi allora? Pietà? Tu dici che io provo pietà? Vedendo quelle cicatrici, e soprattutto quella che hai sull’altezza del cuore, mi uccide dentro e non riesco a pensare come tu ti sia sentito in quel periodo. La mia non è pietà, la mia è rabbia, o boh, non so definirla. È rabbia che ho verso di me perché ho creduto alla tua maschera di ragazzo che non ha problemi, che sorride sempre e non ti ho mai chiesto niente, davo per scontato che tu stai bene. Rabbia verso chi non c’è stato e odio verso chi ti ha portato al limite e se né fregato delle conseguenza. Puoi farti chi ti pare, se questo che vuoi, ma a loro che favola racconti mentre ti sbattono al muro e vedono le cicatrici che hai? Eh? Incidente?»

«Smettila, tu non sai niente. Non gli racconto niente, non hanno il permesso di baciarmi e il buio sta dalla mia parte, li scelgo bene.»

«So quello che significa arrivare al punto in cui hai solo un pensiero in testa e con un’unica via d’uscita che non comprende un ritorno. So quello che significa desiderare di chiudere gli occhi e di non sentire niente e di non aprirli più. E ora tu parli, perché ti stai vergognando di quello che sei di fronte al tuo ragazzo e voglio solo capire. Io, ti prego permettimi di starti affianco, permettimi di aiutarti nello stesso modo che tu hai fatto con me. Ma se non ne vuoi parlare ora ti capisco, se ti serve tempo te lo darò ma non dirmi “vattene” io non ho nessuno all’infuori di te e stanne più certo, io non ti abbandono.»

Vorrei scappare, via da lui, via da tutti. Perché proprio quel giorno Thad è venuto a cercarmi, non poteva aspettare qualche ore o qualche giorno?

«Almeno guardami …»

Quanto mi piacerebbe perdermi in quei labirinti dorati, ma so che se lo faccio dopo mi sarà impossibile lasciarlo andare. Ma io non sono mai stato forte e se c’è una cosa a cui non posso resistere è lui che mi parla in quel modo, con il tono che solo gli innamorati possiedono.

«Devon, io..»

Non ho parole e quelle che fuoriescono dal caos che sto vivendo mi muoiono in gola. Riuscivo solo a stringermi forte a lui e a sfogarmi con il pianto.

«Non te ne ho mai parlato perché credevo che dopo non mi volessi più, che non saresti più riuscito ad amarmi con questa parte del mio passato che appartiene alle tenebre. Sai l’ho sempre visto come un modo per alleviare tutto il dolore, non sai quanto mi sbagliavo..»

«Bas stai tremando, che ne dici se entriamo e ti fai un bel bagno caldo?»

Annuisco sul suo collo e pian piano ci avviciniamo alla casa, mi sorregge sempre da un fianco e io mi aggrappo a lui, perché quella sensazione di debolezza si sta facendo strada fra le mie cicatrici fino ad arrivare alla testa, al mostro che per troppo tempo è stato in silenzio in attesa di questo momento. Lo sento che si è rafforzato, ma allo stesso tempo non ha più la stessa influenza su di me. Non voglio ricadere, ma ora ho lui, lui che mi da forza. Prima non avevo un motivo per stringere i denti e andare avanti, per vivere, ma adesso si e mi stava fissando con occhi impauriti.

«Devon, mi dispiace così tanto. Non lo dovevi sapere in questo modo. Perdonami tu meriti di meglio.»

«Non dire cose del genere, ho te e non posso chiedere di meglio. Non scusarti, non c’è bisogno.»

Perché mi sto comportando così? È solo il mio passato che è venuto fuori, ma fa così male il ricordo. Entriamo in silenzio in casa e lo dirigo verso il bagno. Quando entriamo mi lascio scivolare lungo il muro e metto la testa fra le gambe. Lo sento mentre prepara tutto il necessario, stando attento ai dettagli. Quando ha finito si avvicina verso di me e si mette a sedere sul pavimento davanti a me, mi prende le mani e aspetta fino a quando non decido di alzare il viso. Ora è imbarazzato.

«Vuoi che rimango o…»

«Ti da fastidio?»

«Assolutamente no.»

«Allora non ho nemmeno io dei problemi su questo.»

Mi sorride, un sorriso timido. Non sa come si deve comportare in questi casi, è normale. Non è una cosa di tutti giorni venire a conoscenza, in questo modo, del fatto che il proprio ragazzo era autolesionista. Se non mi avessero insegnato a riconoscere i comportamenti e a trattarli, e se soprattutto non l’avevo vissuto, forse mi sarei comportato peggio, l’avrei messo in una brutta situazione. Provo anch’io a sorridergli di rimando ma penso che è più una smorfia che altro. Mi tolgo i pantaloni con un movimento rapido, non mi fa paura, li sono più superficiali e si notano di meno, le mani mi tremano mentre mi avvicino ai bottoni della camicia è un  gesto che non so controllare, odio quando sono in bella mostra, quando gli altri posso vederli. Lui vede la mia difficoltà, ma non sa cosa può fare.

«Seb ti..»

«Non ho due anni, Devon. So come si toglie una camicia.»

Prendo un bel respiro profondo e cerco di calmarmi, e funziona. Lui si gira di spalle, vuole darmi il tempo di entrare in acqua, è come se mi stesse dando l’opportunità di nascondermi.

«Puoi prenderti cura di me?»

«Scusa?»

«Puoi prenderti cura di me e del mio cuore, Devon? Puoi  prenderti cura di un uomo rotto?»

«C-Certo Seb, sempre.»

Sembrerà un paradosso ma lo stare con lui dentro la vasca in questo modo mi fa sentire meno nudo di quanto lo ero prima. Poggio la schiena sul suo petto e rimaniamo così, in silenzio. Poi lui fa una cosa che non mi sarei mai aspettato: prende il mio bagnoschiuma, lo mette su una mano e con quella libera mi prende il braccio. Si perde un attimo nell’osservarli, si perde in quel reticolo di righe, dettate dalla paura, dalla ricerca si quel sollievo che mai mi hanno dato, era solo un’illusione in quel mare buio.

«Sai, mio padre si è sempre convinto che c’era un modo per cancellarli. Ci ha provato sai? La seconda volta che sono andato all’ospedale. C’è qui, un nervo, vedi quel punto? Beh l’ho tagliato, penso, non mi ricordo neanche più quel giorno. E quindi dovetti fare un intervento e mio padre chiese al dottore se era possibile, lui  gli ha fatto “ci proveremo”. Buffo no? Io che forse perdo un arto e mio padre si preoccupa di dover spiegare dei segni, tipico. Me lo ha raccontato Antoinette. La seconda volta mi trovò Thad, sembrava che mi ero ripreso, uscivo, i miei voti all’Università era perfetti, ma.. Un giorno, stavo con Thad, sai era il nostro anniversario, due anni, lo amavo così tanto che pensavo che niente e nessuno mi avrebbe più portato a terra. Quando si è innamorati ti sembra avere il mondo ai tuoi piedi, no? Ti senti forte e vivo. Ma non sei incolume ai demoni del tuo passato, saranno sempre più forti di te. Passammo su una stradina poco trafficata e ad un certo punto Thad vide che c’era del fumo sul ciglio della strada e che mancava un pezzo delle staccionata che delimita il bosco allora ci slacciammo le cinture di sicurezza e corremmo verso la macchina. All’interno c’era una donna e una bambina. La situazione della madre era critica, aveva sbattuto la testa e c’era sangue sul vetro, ma la piccola stava dietro e aveva questi due occhioni azzurri limpidissimi impauriti, tremava. Allora mentre Thad chiamava l’ambulanza io provai a entrare dentro, ci misi un po’, ma alla fine ci riuscii però trovai un altro problema: la cintura era bloccata. Non sapevo cosa fare allora incomincia a cercare qualcosa dentro alla macchina, qualsiasi cosa. E trovai dentro alla borsa della signora un coltellino con delle mele, lo presi subito e tagliai la cintura e presi la bambina fra le braccia. Mi disse che si chiamava Mary e che aveva paura. Si strinse tanto forte a me, come se aveva paura che da un momento all’altro la potevo lasciare. L’ambulanza arrivò subito e caricarono la donna dentro, la bimba restò un po’ con noi, perché non poteva entrare con la mamma e ci dissero di aspettare la polizia e poi ci avrebbero pensato loro. Thad s’inventò un gioco e in quella mezz’ora lei non pensò più alla macchina che si infrangeva su un albero e le urla della madre mentre realizzava quello che stava per accadere. Semplicemente rise. Quando la polizia arrivò ci fece un piccolo interrogatorio e poi presero la piccola Mary con loro. Era anche un po’ triste alla fine. Il giorno dopo eravamo sui giornali e una settimana più tardi mi arrivò una lettera da parte di una Mary Ann.»

A quel nome i suoi movimenti si fermano, così come il respiro. Sapevo chi gli ricordava, avevano fatto lo stesso effetto a me. La prima volta pensai che era uno scherzo da parte di Marcus, che non so come era riuscito a trovarmi, ma non lo era. Quella scrittura infantile e quel nome erano reali, appartenevano ad una bimba dagli occhi limpidi. Un nome marchiato a fuoco nella mia mente. Un nome che mi ritrovo anch’io ad urlare, un viso che anch’io conosco troppo bene.

«All’inizio pensavo che era uno scherzo. Non conoscevo nessuna Mary Ann. Poi l’aprì e c’era scritto: “al mio angelo Sebatian, grazie per aver salvato me e mamma. Ti voglio bene. La tua Mary.” Si senza la s, non aveva capito bene il mio nome. Poi c’ero io, con queste enormi ali bianche al centro, e lei che mi tiene la mano e mi sorride. Quello fu il momento in cui quel demone dentro di me rinacque. E da li ritornai nel vortice, ogni giorno mi portava giù, sempre più giù fino a quando quella lametta, o un qualsiasi oggetto taglienti riprese il suo vecchio fascino. All’inizio fu ancora più doloroso di quanto io mi ricordassi, ma la sensazione era la stessa. Era come nuotare, hai presente il lago? Inizi a camminare, e pian piano ti muovi verso il centro, e vai sempre più in profondità, ma non sai dove vai, perché sotto la superficie del lago ti è impossibile vedere, ed è quello che ti fa il mostro, ti rende ciechi, ti fa credere che sei uno schifo, che sei più mostro di lui, che non meriti di stare qui, allora continui a camminare, sperando che prima o poi anche l’udito si annulli. Ma non è così, lui si fa più forte e tu continui, ma hai perso l’orientamento ormai, non sai dove devi andare, ma vai sempre più in profondità. Poi hai un unico bisogno: respirare. Hai bisogno di dare sollievo ai polmoni. Quello era per me il tagliarsi. Sollievo. Per un po’ non pensavo più a niente, però pian piano mi consumava fino a rendermi il fantasma di me stesso. Non vidi più Thad, non andai più all’Università e potevo perdere anche l’anno, ma non mi importava più di niente ormai. Ero stanco e per questo mi feci trasportare in superficie, però era tardi. Almeno lo speravo, ma ci pensò Thad a trovarmi e lui invece mi riportò a vivere. Non mi abbandonò un momento, mi accompagnava alle terapie, o le altre cavolate che non mi hanno mai aiutato realmente, si trasferì da me, facevamo tutto insieme, a momenti anche quando andavo al bagno lui c’era. C’è sempre stato, non c’è stato un giorno che mi ha fatto pesare questa cosa. Dopo un primo momento ha imparato a guardarmi con gli occhi di un tempo. Era la mia forza e non mi ha mai dato fastidio la sua costante presenza. Ma fingeva anche lui, quando pensava che ormai io stavo dormendo, piangeva. Andava nel nostro soggiorno e piangeva. Era il suo unico momento dove poteva sfogarsi. E lì capì che io potevo soffrire, star male quanto volevo, ma non lui. Lui si meritava di meglio. Allora un giorno gli dissi che volevo andare a prendere una birra, come i vecchi tempi, gli dissi: siamo stati dentro casa per troppo tempo, è ora che tu inizi a vivere. E poi lui mi corresse che noi dovevamo farlo. Ci vollero qualche mese per trovarlo, ma alla fine si fece vedere. Un ragazzo che avrà avuto la nostra età, o poco più, aveva i capelli castano chiaro e gli occhi grigi. Ma non era bello, o aspetta, a detta di Thad è meglio di me, ma lui ha gli occhi coperti dalla benda dell’amore quindi non fa testo. Si trovai il futuro marito a Thad. Vedevo come cercava i suoi occhi, vedevo come si muoveva per trovare la giusta posizione per osservarlo meglio, tanti piccoli dettagli che lui notò poco, era troppo preoccupato per me. Dopo due mesi lo vidi mentre andava al bagno e lo seguì. Ci parlai e lui mi odiava già, mi guardava con certi occhi che ero sicuro di morire, non voleva avere niente a che fare con me. Allora gli parlai di Thad, ma lui già lo conosceva facevano un corso di ballo insieme, io gli dissi che aveva poco tempo, che doveva uscire immediatamente dal bagno offrirgli qualcosa, e se non lo faceva avrebbe perso la sua occasione. Non se lo fece ripetere due volte. Restai qualche minuto in più dentro al bagno e quando uscì li trovai a chiacchierare e a ridere, era come se fosse riuscito a fargli dimenticare i nostri problemi, quel ragazzo fu il Thad per la piccola Mary. Aveva il sorriso di quando stavamo bene, quel sorriso che mi rubò il cuore la prima volta che lo vidi. Prima che mi raccontò di lui passarono altrettanti mesi, dovevi vedere l’espressione che aveva quando tornava da un pomeriggio di “studio”. Pensavo che mi avrebbe fatto più male sentire da lui quello che stava vivendo, sentire l’amore che trapelava da ogni suo parola, quello suo sguardo che aveva solo per me. Mi fece l’effetto contrario, sapevo di aver fatto una cosa giusta e questa convinzione fece rabbonire il mio demone. Anche quando stavano insieme Thad volle restare da me, e questo è uno dei motivi per cui tizio mi odia tanto, perché Thad mette me prima di lui, se ho un problema non importa cosa sta facendo stai pur tranquillo che lui arriva. L’ha segnato molto quel giorno. E io imparai a vivere ancora, ripresi in mano la mia vita, ed eccomi qua, in un bagno, della mia casa al lago, a raccontare alla persona più importante per me, una delle cose di me che poche persone sanno, invece di fare altro e sfruttare la comodità della vasca. »

«Bastian, sei sempre il solito. Per quanto ti può sembrare assurdo io preferisco stare qui, a parlare, curarti, che fare quello, ormai l’hai capito che sono strano. – uno sbuffo divertito esce dalla mia bocca, ci stava riuscendo ancora – e non sai quanto avrei amato stare in quel bar, cercarti e sperare di poter parlare con te, o anche solo di perdermi per un secondo nei tuoi occhi. Osservare ogni minino movimento della tua camminata e raggiungerti. Ovviamente mi sarei fermato alla porta, per poi vedere con te quella scenetta che avevamo di fronte, guardarti e capire che forse stava succedendo a noi la stessa cosa, anche se non potevamo capirlo ancora.»

«Forse era destino. Forse ci dovevamo per forza incontrare e tutto quello ci è successo ci ha portato a prendere determina decisioni per arrivare fino a qui.»

«Non penso che una tua quasi morte sia stata necessaria per questo.»

«Perché scusa? Se non ero arrivato a quel punto e se non mi era presa l’idea di diventare psicologo, io e te non staremmo qui.»

«No  invece, ci saremo incontrati in un modo o nell’altro lo stesso. Ma perché hai avuto quella depressione quando hai visto la lettera?»

«Perché mi fece tornare in mente la prima volta che lo feci. – per parlare di questo mi serve più tempo, devo far mente locale, devo stare attento a non dire più del dovuto – Ehi che ne dici se usciamo di qui? Stai tremando tu ora. E non ti preoccupare, hai tutta la notte per sentirmi parlare.»

Come prima i nostri movimenti sono accompagnati dal silenzio, però questa volta i nostri occhi non perdono il contatto.  Quando siamo vestiti gli prendo la mano, ho bisogno di sentire che lui è qui con me, ho bisogno del suo calore per combattere il mio  gelo interiore. La luce è l’unico modo per sconfiggerlo. Lui stringe forte la mia mano nella sua e ci dirigiamo verso il soggiorno.

«Seb, aspettami qui, vado in cucina e faccio il tè.»

Mentre mi sento sul divano provo a non ascoltare i singhiozzi trattenuti di Thomas, ma ognuno è come una piccola lama che si infilza nel mio cuore, e fa male. Non voglio che è così per causa mia.

 

****

 

Mi servono cinque minuti, solo cinque. Dove potevo pensare da solo, recuperare un po’ di forze, ora ero io quello che doveva supportare l’altro, infondergli quel calore per poter andare avanti.

Respira Blaine, vedrai andrà bene.

Tè. Concentrati sulle cose semplici. Smetti di singhiozzare e focalizzarsi sul leggero bollire dell’acqua, poi sul suono del fischio. Respirando la dolce fragranza della bevanda e poi niente. So che non ce la posso fare. Ogni mio pensiero appartiene a Sebastian.

Poi un pensiero mi destabilizza.

Due ragazzini, simili ad altri due per sembianze, ma allo stesso tempo così diversi, come il sole e la luna, nel cuore della notte. Un viso. Un viso angelico e con lo sguardo di chi ha molti sogni e come quello di chi sa di avere tutta la vita per realizzarli. Occhi vivi. Occhi impressi nella mia mente, ma non per la loro purezza, ma per il terrore della morte che li caratterizzò in quella notte. Un’accusa infondata. Due bambini pagano il prezzo di altre due persone. E poi un altro paio di occhi. Più maturi, più domati che ti fissano da quando è iniziato il processo. Dove ci potevi leggere il tormento di chi li possedeva, parlare o rimpiangere questo giorno per sempre, ecco ciò che stavano valutando. Occhi verdi che ti guardano colpevoli. Occhi verdi che ti chiedono scusa. Degli occhi verdi che sanno come andrà a finire. Occhi di un verde che hai visto molte volte e che sono sempre stati li per te. Un verde che ti da il risveglio ogni mattina. Quegli occhi di quella persona che ti aveva colpito dalla prima volta che la vidi. Occhi che incroci quel giorno, in tribunale, dopo che hanno emesso la sentenza. Occhi che non ti dimenticherai mai.

«Non è possibile. No.»

Io e lui non ci possiamo esser già visti, no? Lui non può essere quel lui.

Pensa Blaine, pensa.

«Sei cresciuto a Westerville, no?»
E questo cosa centra?
A
nnuisco.
«Lui ha vissuto lì per qualche anno, quando era più piccolo. Aveva dei problemi in Francia, ma non so quali. Poi però è dovuto tornare lì.»

Facciamo mente locale, lui è più grande di me di qualche anno e-

Ma certo! Non può essere lui! È ovvio, di sicuro l’avrò visto in giro e ormai è un periodo in cui ogni particolare mi fa pensare a lui. Che stupido che sono.

Lui non è quel lui che mi ha rovinato la vita.

Sentir pronunciare quel nome mi ha proprio mandato in tilt il cervello.

Prendo un ultimo respiro profondo prima di ritornare da lui e per una volta mi metto i panni di quello che è sicuro di se e che ha abbastanza forza anche per aiutare gli altri.

Il mio Sebastian aveva bisogno di me.

 

****

 

«Et voilà ma amour.»

«”Ma”? Qui ci vuole che qualcuno ti da ripetizioni di lingua. Si dice “mon amour” no “ma amour”. Però apprezzo l’impegno.»

«Non sono io quello che è nato in Francia. C’ho provato.»

«Certo e sei stato tenero, però, no.»

«Voglio vedere cosa farai quando ti metterò di fronte un pianoforte, riderò io poi.»

«Ti potrei stupire sai?»

«Se sai anche suonare sei definitivamente l’uomo perfetto, sai?»

«Non lo sono già?»

«Oh si tu sei il mio Sebby perfetto. Fatti dare un bacio!»

«Ma piantala tu! Stai attento se ti muovi così farai cadere il vassoio!»

Era adorabile quando si comportava così, quando faceva lo stupido e lanciava in aria i baci, sembra calmo, ma é solo una maschera, la sua felicità non è riuscita a contagiare anche gli occhi, sono rimasti un po’ cupi.

«Devon senti, stai tranquillo, sto bene ora e stiamo esagerando. Ho avuto quella reazione prima perché non sapevo come comportarmi e avevo paura delle conseguenze. Mi fa sentire a disagio. Possiamo archiviare questa “cosa”

«Perché scusa? Come dici sempre tu “puoi contare su di me e ricordati il parlare è la migliore medicina”. Ma se non ti va ci mettiamo comodi su questo divano, ci vediamo un bel film e stiamo in silenzio.»

 

«Tutto oggi vuoi sapere?»

«Beh ho una vita per conoscere ogni particolare della tua, ma oggi siamo entrati in questo argomento..»

«Ero piccolo la prima volta che vidi l’America e ne rimasi incantato, penso che ho passato la più bella estate della mia vita in quel posto, la passammo come una vera famiglia, avrò avuto sei o sette anni. I miei erano così tranquilli, non litigavano, si sorridevano e mi era sembrato d vedere qualcosa di diverso nei loro occhi in America. Da quel giorno per me divenne il posto dove accadeva la magia. Ci trasferimmo lì nel ’98. Mi dispiaceva lasciare la mia Francia, la mia casa, ma sapevo che lì avrei trovato la calma che poche volte regnava a casa mia. Non puoi sapere quanto mi sbagliavo. Non trovai quel posto che mi lasciò senza fiato, mi ritrovai in un ambiente dove ero quello diverso, il francesino, quello che non può stare con gli altri solo perché non parla bene la lingua. Ma non è che inizia per questo, io e mia sorella ci spalleggiavamo a vicenda per superare i mesi fra i banchi. Mi mancava la Francia ogni giorno, mi sentivo fuori luogo in quella cittadina dell’Ohio, mi sentivo a pezzi. Iniziarono le portate in giro e le spinte, annessi gli scherzi stupidi. Ma un giorno tutto cambiò, incontrai il mio migliore amico. Si chiamava Marcus. Stavo poco lontano da scuola e quei bulletti mi stavano seguendo, mi spinsero verso terra, volevano i soldi. Rimasi sdraiato senza fare niente, sapevo che avrei peggiorato solo lo cose. Però arrivò lui, il ragazzo del tuo corso di matematica, quello che ti trasmette forza soltanto dallo sguardo, ti fa capire che se non stai dalla sua parte avrai solo guai. Li fece scappare come bimbette e mi aiutò a rimettermi in piedi. Da quel giorno in  poi diventammo inseparabili. Ci vedevamo ogni giorno, facevano delle lunghe scampagnate e rubavamo le caramelle, beh era quello che gli facevo credere io ritornavo sempre a pagarle dopo. Mentre io riacquistavo un mio equilibri i miei perdevano il loro, ogni giorno c’era una litigata nuova e più andavamo avanti e più loro si allontanavano. Passare del tempo con Marcus era come entrare in una nuova dimensione, dove tutto era al suo posto. E mi innamorai, non di lui, anche se fu grazie al mio migliore amico che capii che mi piacevano di più i maschi sotto quel punto di vista. Ok, avevo la classica cottarella che ti viene sulla prima persona che si prende cura di te, però era solo una cotta. Gliene parlai e a lui stava bene. Ero innamorato di un ragazzino più piccolo di me, ero innamorato di..»

Quanto voglio dirgli che era lui, era lui quel ragazzino che mi rubò il cuore con il suo sorriso amichevole e splendente, ma non posso, rovinerei tutto e non posso permettermelo.

«Non mi ricordo il nome, ma ti posso assicurare che era la persona più bella, sia dentro che fuori, che abbia mai avuto la fortuna di incontrare. Allora lui mi disse che mi avrebbe aiutato nel farmi notare da questo ragazzo, fingendo di amarmi. Ma non mi notò mai, forse non sapeva nemmeno della mia esistenza. Mio padre lo venne a sapere e qui fu la fine del nostro rapporto. Incominciò ad odiarmi, a insultare me, mia madre e Marcus. Mi definì in tutti i modi possibili, io provai a dire che era tutta una falsa, che stavamo scherzando, uno dei “stupidi passatempi” che eravamo soliti a fare. Non mi ha creduto, soprattutto mia madre, lei l’aveva capito che io provavo un tipo diverso di sentimenti. Marcus litigò con mio padre, me lo ricordo bene quel giorno, era febbraio e faceva tanto freddo. Quel giorno di parole ne volarono e non solo. Volevamo stare un po’ per conto nostro, andammo nel bosco, al nostro albero. Non parlammo tanto, lui si doveva sfogare ed era meglio lasciarlo in pace in quel caso. Ne aveva abbastanza di tutto, non era più in se e fece una cosa terribile. Ho giurato di non parlarne, non sai quanto mi dispiace, ma non posso rompere la promessa, non quella. Perdonami Dev.»

«Non preoccuparti, va bene, lo capisco.»

Me lo disse con tono dolce, non si sentiva offeso, forse anche lui sapeva che prima o poi dirò tutta la verità, ha imparato ad aspettare. Però anche se lui capiva ciò mi fa sentire in colpa.

«E da quel punto in poi fu tutta una caduta. Mi sentivo una persona orribile perché io potevo fare la differenza quel giorno, però ero talmente stupido e inutile, a detta sua, questo mi segnò, quella sera la rivivo ogni volta che chiudo gli occhi. Mi sentivo in colpa perché non avevo capito che il mio migliore amico aveva dei problemi, ero troppo focalizzato sui miei. Non gli diedi una mano e lui fece il disastro. Io volevo parlare, ma non me lo permise e mi fece giurare di mantenere la bocca chiusa. Quella promessa fu la fine della nostra amicizia, si allontanò e mi lasciò solo. Mio padre, come i bulli che si rifecero vivi, non perdevano occasione di sottolineare questo. Mi serviva una via di fuga, qualcosa che mi alleviasse quella sensazione di disgusto che provavo verso di me. Sai le parole hanno il potere di farti credere le cose, ti si instaurano nel cervello, ci mettono le loro radici, facendoti credere cose che non esistono. Trovai quella via di fuga in quella lametta che tracciava delle linee rosse sulla mia pelle. Incominciai perché trovai l’argomento dell’autolesionismo su qualche articolo, mi pare, quel periodo è così confuso nella mia testa e feci delle ricerche e trovai quello che cercavo. Giorno dopo giorno i tagli aumentavano, incomincia sui punti che si potevano nascondere bene e poi passai a dei punti un po’ più visibili. I miei non si accorsero mai di niente, almeno fino a che un giorno persi mia madre mi trovò con il braccio insanguinato e privo di sensi nel bagno della mia camera. Mi portarono in una clinica specializzata in Francia e li capii quello che volevo fare uscito da lì: aiutare le persone ad uscire dai loro momenti peggiori, fargli notare quella piccola luce alla fine del tunnel e per concentrarsi su di essa per poi uscirne insieme. Trovai la forza in questa rivelazione e dopo un anno ero fuori. Decisi di tornare in America, da mia madre. Mi scelse una scuola con tolleranza zero verso ogni atto di bullismo, la Dalton. Lì incontrai Thad e ripresi a vivere nel vero senso della parola. Avevo un obbiettivo e avevo una persona che non mi abbandonasse mai e che mi amasse per quello che ero. Da li in poi la storia la sai.»

Ora che sapeva la mia storia quasi al completo mi sento meglio, più leggero. Lui continua a non parlare, mi tiene stretto nel suo abbraccio e basta, con la testa appoggiata alla mia spalla e con il suo respiro che mi faceva il solletico sul collo. Non sapeva cosa dire, lo capivo. Cosa si può dire ad una persona dopo che gli hai raccontato una cosa del genere? Cosa gli puoi dire senza cadere in un cliché?

«Ti amo.»

Ecco cosa poteva dire. 5 lettere che possono sconvolgere il tuo mondo. Me l’ha detto come se fosse la cosa più normale da dire. Lui lo provava veramente. Anche qui, mi da i miei tempi, non va nel panico quando vede che la mia risposta tarda a venire, lui rimane lì. Al mio fianco, in silenzio. Poi mi giro verso di lui per guardarlo negli occhi che mi guardano attenti, come se volessero capire ciò che sto pensando. Cerco di scollegare il cervello, metterlo in pausa per focalizzarmi sul cuore, prendo un respiro profondo e lo lascio parlare liberamente.

«Ti amo anch’io, da sempre.»

A queste parole il suo viso si illumina e si forma un sorriso che farebbe impallidire il sole e poi avvicina piano le mie labbra alle sue, donandomi tutto il suo amore in quel bacio.

In quel bacio c’era la tacita promessa di restare al mio fianco sempre e di sorreggermi in questi momenti. E di amarmi fino alla fine dei nostri giorni, amando la mia parte migliore, ma soprattutto quella peggiore di me. Lui non aveva bisogno di parole, gli bastavano i gesti per farsi capire. Questa volta non ho paura di amare, perché so che questo è il momento per farlo.

Quella sera fu il ragazzo dai ricci scuri come la notte che si occupò di proteggere i sogni dell’amato, accompagnandolo nel mondo dove entrambi sono sempre stati felici con il suono della suo voce, dicendogli con quel canto che lui non permetterà mai più a nessuno di ferirlo e che lui starà sempre al suo fianco.

 

TBC...

  

 

Note dell'Autrice:

Salve. Non so da dove incominciare. Ok, vorrei ringraziarti perché se stai leggendo questo vuol dire che non hai chiuso a metà, o anche prima il capitolo scaraventando tutto in aria. A parte questa piccola parentesi, ti porgo un’altra volte le mie scuse se questo capitolo ha urtato la tua sensibilità. Ti assicuro che prima di scriverlo ho fatto le mie ricerche, mi sono fermata a pensare e ho provato a dargli il giusto significato, è una tematica delicata e va presa con le dovute precauzioni. Mi sono meravigliata di tutto quello che ho trovato in giro e ho provato a fare il mio meglio. Ho dato il mio meglio e spero che alla fine il risultato sia buono. Partiamo dal titolo: Relief. Significa sollievo. Ho trovato un piccolo testo che parlava di questa via di fuga, quella di cui parla Sebastian, ciò che è alla base della sua vita. Gli ho fatto vivere questo perché ho provato a mettermi nei suoi panni e ho ripensato anche a quando Sebastian quando scopre che Dave ha provato a suicidarsi e lui subito ha cambiato atteggiamento, come se qualcosa dentro di lui fosse scattata, un ricordo che ha la potenza di distruggerti, poi l’ho legato alla trama della ff. Ti assicuro che andando avanti capirai di più, perché lui non ti ha raccontato tutto, manca sempre quel piccolo tassello, il più importante e pericoloso di tutti, quello che porterà la loro storia su un’altra via. Adesso il filo rosso di cui ti ho parlato ha il suo significato, l’ho menzionato anche su altri capitoli, però qui abbiamo il rosso sangue, sembrerà strano, perché è molto breve, ma nel prologo c’è tutto. Non ti parlerò molto del suo racconto qui, ti ha detto tutto lui e mi sembra l’unica persona che lo possa fare, dagli  tempo, ne abbiamo bisogno tutti. Una precisazione Sebastian chiama Blaine o Thomas o Devon a secondo del contesto: quando vuole mantenere le distanze usa il nome “finto” invece quando deve sentirlo vicino a sé lo chiama Devon. Penso che l’avrai capito, ma volevo chiarire questo alternarsi di nomi. Gli ha anche detto "ti amo". Mi fermo qui, troppi feelings. *lancia cuoricini e arcobaleni, poi ritorna seria* So come starai adesso, dovevi vedere come ha reagito la beta, eravamo delle poltiglie stese sul pavimento piagnucolanti, scommetto che se abitavamo vicine ora non ci sarebbe stato più nessuno a continuare questa storia, mi voleva dare “i morsi della morte” (se non sei pratico di The Hunger Games sarebbero quelle bacche che se mangi ti ammazzano) carina eh? Ma concorderai con me che me lo merito. La citazione iniziale viene da “La Tempesta” di William Shakespeare, l’ho trovata mentre facevo le mie ricerche e l’ho trovata giusta per questo capitolo. Sparsi qua e là ci sono dei piccoli riferimenti alle due canzoni e poi niente, penso che non c’è nient’altro da dirti. Spero che questo capitolo non ti abbia fatto venir voglia di smettere qui, per qualsiasi cosa, anche la più piccola contattami. Se hai un dubbio, se mi vuoi insultare o se vuoi sapere dove abito per venire sotto casa mia per torturarmi, anche se probabilmente non mi troverai perché sono al sicuro nel mio bunker. Ti ho dato del tu perché è un capitolo particolare e volevo “parlare” direttamente a te, a te che leggi e che nonostante tutto sei arrivato qui. Scusa ancora se ho ferito la tua sensibilità e se nel capitolo ho trattato male l’argomento, ti prego, fammelo sapere dalle critiche si impara sempre, dal silenzio no.

Detto ciò dico grazie alla beta per sopportarmi e per recuperare i miei ritardi, ultimamente ci metto tanto a scrivere, soprattutto questo.  Grazie.

Dal bunker vi mando un forte abbraccio

 Al prossimo capitolo,

_Beth :) 

PS: don't kill me, I'm nice!

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Capitolo 16
*** Un weekend al lago ***


 

banner della storia.

 

 

Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

 

Boy B 

 

.- Un weekend al lago -.


 

Era ormai arrivata la primavera e io personalmente credevo che era ancora inverno. Vuol dire che ormai conoscevo Sebastian da quanto? Sei mesi? È tanto e mi sembra ieri la prima volta che l’ho incontrato in quella stanza troppo grigia per me. Sei mesi passati fra una risata e un bacio. Entrambi avevamo messo un tabù sul nostro passato eravamo giunti alla conclusione che ciò che importa è il nostro presente. Mi veniva spesso a trovare dal signore Brown, mi portava il caffè che ogni volta bevevamo nella stanza del pianoforte e poi ci perdevamo nella bocca dell’altro e ogni volta il povero James ci veniva a interrompere perché era arrivato un cliente, dopo la seconda volta non si è più scandalizzato. La prima volta è stata divertente.

 

«Pausa delle cinque e mezza.» sussurrò nell’orecchio di Blaine Sebastian lasciandogli un bacio alla base del collo. Il ragazzo dai capelli ricci era girato di spalle mentre cercava di sistemare dei dischi in vinile sul ripiano più alto dei mobili e per poco ecco che li faceva cadere. «Fortuna che ci sto io o a quest’ora dovevi ripagare questi dischi a James.» Entrambi risero. «Fortuna che ho te. Come stai?»

«Ora bene.»

Il signor James li guardava sbuffando da sopra il giornale, non riprendeva mai Thomas quando si perdeva in chiacchiere o era immerso nei suoi pensieri, lo lasciava fare ma certe volte quei due raggiungevano il suo limite di sopportazione. Fortunatamente lui se ne rimaneva sempre in silenzio lasciandosi fuggire degli sbuffi.

«Voi due, che ve ne dite di andare nell’altra stanza? Così vi bevete il caffè in calma e io mi leggo il mio giornale.»

Non bisogna dire che non se lo fecero ripetere due volte. Quando restarono da soli si poterono salutare come piaceva a loro. Quando finirono Thomas si mise a sedere sul seggiolino del piano e Bas sulla poltrona. Rimasero un po’ in silenzio mentre consumavano la bevanda non più molto calda che aveva portato il ragazzo dagli occhi verdi. E dopo un po’ Blaine iniziò a suonare una dolce melodia. Un sorriso prese posto sulla faccia di Sebastian e pian piano si avvicinò a lui e si sedette al suo fianco non facendolo finire.

«Non c’è bisogno di suonarmelo per chiedermelo.»

«Cos- Oh, non mi riferivo a niente, mi piace e basta! Ma che ti viene in mente. No.»

«Scherzavo Dev, lo so. Però la canzone non stava dalla tua parte.»

Thomas amava quando lo chiamava in quel modo, lo faceva sentire più vivo, come se ci fosse un piccolo posto per lui in questo mondo. Thomas non aveva mai dato importanza ai nomi, ma quando gli è stato tolto, come tutte le cose, ha preso la sua importanza e sentirsi chiamare in un modo diverso lo faceva sentire.. rotto. Ma quel “Dev” gli faceva sentire quel posto solo suo dove poteva essere il vecchio Blaine senza avere timore, il quale si nascondeva nel cuore di Sebastian e non poteva chiedere di meglio. Si avvicinò a lui e lo baciò. E fra un bacio e l’altro gli disse.

«Non è vero perché non siamo a ottobre e non c’è la luna. Non è nemmeno autunno. Sei sempre il solito che si immagina le cose.»

«E tu sei sempre il solito pignolo.»

Fin qui può sembrare tenera la situazione, ma quando la vide il signor James, beh non sembrò proprio così, soprattutto c’era un altro spettatore. Una cliente. L’urlo che lanciò li fece allontanare e per poco ecco che Thomas sbatteva la testa sul pianoforte. Per come si è comportata la signora sembrava che aveva visto un topo e meno male che erano fuori dalla portata di quella borsa, sembrava pesante. Non tutti prendono la loro relazione come James o la signora Miller purtroppo e quel giorno persero un cliente. Poco male quella in fatto di gusti musicali faceva proprio accapponare la pelle al povero proprietario. Non vennero ripresi e lui non gli diede nemmeno delle regole di comportamento, erano adulti e si sapeva sapevano gestire, almeno lo sperava. Era stato giovane e innamorato anche lui un tempo e sa quello che ti porta a fare e la sua prova era in quella stessa stanza che i due amavano tanto.

 

«Pausa delle cinque e mezza. – disse e mi lasciò un bacio sulla guancia e poi si rivolse a James - Buon pomeriggio signor Brown.»

Sebastian aveva qualcosa che mi doveva dire. Aveva uno strano sorriso, poi mi prese per mano e mi portò nel nostro posto.

«Che mi devi dire?»

«Ti va di venire con me al lago? Ci vado sempre in questo periodo ed è quello migliore!»

«Non saprei..»

«Un fine settimana e basta. Io non lavoro e tu nemmeno perché siete chiusi. È perfetto.»

Non mi ispirava e qua vicino c’era un solo lago, e di certo io in quel posto non ci voglio tornare. Quella sera è impressa nella mia mente e non mi va di ritornare nel posto dove tutto è finito.

«Ti prego, te lo voglio far vedere. Quella è l’unica casa che sento mia. Fidati amerai quel lago, tutti ne restano incantati.»

No, perché non riesce a capirlo?

Gli faccio cenno di no con la testa.

«Perché?»

«Il lago non mi piace.»

«Fobia dell’acqua?»

«No.»

«Tranquilli non ci sono orsi o quant’altro, è un posto sicuro.»

«Ti ricordi di quando ti parlavo del mi posto segreto? Beh sta vicino al lago..»

«Sei originario di quelle parti? Non ti preoccupare la mia casa dista molto dal centro abitato, non corri rischi sotto questo punto di vista, staremo attenti. E poi avrai me, supereremo anche questo. Ti fidi?»

«Mi fido. Vada per il lago.»

Per il sorriso che mi ha rivolto penso che mi ha dato la forza necessaria e mi potrebbe portare a fare di tutto pur di vederlo sempre in questo modo.

 

****

 

È la sera prima della partenza e ancora non avevo avvisato Shannon e tantomeno William. Quando ho finito di preparare il mio bagaglio, che consiste nel mio solito zaino con qualche magliette e un paio di jeans, decido che è meglio che vado a parlare con la padrona di casa. Arrivato alla porta della cucina sento che sta parlando al telefono.

«Mi preoccupa un po’, ultimamente è strano. Sta sempre fuori, mangia poco e parla ancora meno. No William, me ne parlerà lui. No io non lo costringo. Sono fatti suoi. Secondo me centra qualcosa Sebastian. Non darmi della pazza, l’hai visto anche tu come si guardano. Voi uomini sempre i soliti, secondo me centra lui, Thomas sembra più felice da quando lo conosce. Non puoi negarlo. Adesso ti lascio, quando vieni qui? Ok allora ti aspetto. Ciao.»

Ma siamo così palesi?

«Ciao Thomas.»

«Ciao, scusa non volevo spiarti, ma quando sono sceso stavi già al telefono e non ti volevo disturbare.»

«Non ti preoccupare.»

Prendo una tazza e ci verso dentro un po’ della tisana che si era fatta e mi siedo davanti a lei. Non la guardo negli occhi, mi vergogno, dopo quella conversazione scommetto che lo capirebbe subito. Lei rimane in silenzio e mi aspetta, mi da il tempo che mi serve.

«Hai ragione.»

Glielo dico sussurrando. Come se fosse un segreto di Stato, come se non fossi sicuro di quello che sto per fare.

«Su cosa?»

«Lo sai.»

«Dimmelo tu.»

«Hai ragione su Sebastian. Hai ragione sul fatto che da quando ho conosciuto lui io sto meglio. Hai ragione quando dici che sono cambiato, ma nel meglio. Hai ragione che lo si potrebbe capire da come ci guardiamo, penso che nessuno mi ha mai guardato come fa lui. Mi fa sentire speciale, vivo. Ci hai visto giusto.»

Si mise una mano sul cuore e fece il gesto di asciugarsi le lacrime.

«Non fare così.»

«Da quanto?»

«Qualche mese..»

«Io lo sapevo! L’avevo capito da quando era venuto qui, quella notte. Si vedeva che era innamorato perso. Povero chissà come sarà stato quando ti ha visto così..»

«Vabenesevadoallagoconlui?»

«Come scusa?»

«Mi ha chiesto se vado con lui al lago, questo fine settimana, è un problema.»

«Dobbiamo chiedere a William.»

«Dobbiamo proprio?»

«Si.»

«Dovrei partire domani..»

«Oh. Facciamo così: tu parti e poi ci penso io a Will. Ok?»

«Grazie.»

Non sapevo come ringraziarla, quindi mi sono limitato ad un semplice grazie.

 

****

«Buongiorno Dev!»

Come faccio io ad essere sempre puntuale e lui sempre in pigiama?

«’giorno. Come mai sei entrato?»

«Mi annoiavo fuori da solo quindi ho pensato di entrare. Vuoi una mano?»

«Non ti preoccupare, tanto ho finito. Dammi 5 minuti.»

Da quando ero entrato Shannon mi sorrideva in modo strano. Che ha combinato questa volta Thomas?

«Che c’è?»

«Niente.»

«Perché mi fissi in questo modo?»

«Ieri Thomas mi ha parlato di voi.»

«Oh.»

«Non ti preoccupare, non sono contraria. Tutt’altro, lo rendi felice»

«Gli devo molto sai? Pian piano è diventata la mia forza. È quel raggio di sole dopo la tempesta. Alcune volte ho paura di quello che sento, non mi sento degno di amarlo, ma è più forte di me. Non posso far meno della sua risata, della sua mano fra la mia o della sua voce. Tutte queste piccole cose mi fanno sentire vivo come non mai.»

«Mi ha detto delle cose simili ieri. Proteggilo e stacci attento. Ti prego non deluderlo, ne ha già passate tante.»

«Te lo prometto.»

Dopo un po’ scende finalmente Thomas, con in spalle il suo solito zaino pieno di vestiti, e con il suo sorriso ritrovato sulle labbra, quello che tanto amo. Appena mi vede il suo sorriso per quanto sia possibile si fa ancora più splendente. E per risposta Shannon mi da un buffetto sulla spalla e uno sguardo a mo’ di avvertimento.

«Partiamo?»

 

****

 

«Quanto manca ancora?»

«Lo sai che ripeterlo ogni secondo non accorcia le distanze?»

«Lo so sennò a quest’ora eravamo già arrivati!»

«Fidati questa tortura verrà ripagata, è meraviglioso lì. Hai mai pescato? Non ho mai tempo per farlo e quando vengo qui amo farlo, mi rilassa. È una delle poche cose che facevo con mio padre. Qui il pesce è buonissimo. E poi potremmo fare una passeggiata qui intorno, conosco certi percorsi che non sono segnati e sono da togliere il fiato e po-»

«Bas abbiamo due giorni non occorre che facciamo tutto oggi. Oggi mi puoi insegnare a pescare e poi domani mi porterai ovunque tu vuoi. E per quello che non facciamo oggi lo faremo la prossima volta.»

«Si può fare.»

«Come sta Ann?»

«Meglio, molto meglio. Ho parlato anche con i genitori e con il loro aiuto passa più tempo nel nostro mondo che nel suo. È una fase che passano tutti sono ottimista e dico che è quasi finita.»

«Sono contento per lei.»

Finalmente si incomincia a intravedere il lago e Sebastian aveva ragione ti toglie il fiato. I pensieri di quella notte incominciano ad affiorare, ma li contrasto con la forza del suo sorriso e con quella che mi trasmette con quella leggera pressa che come sempre mi ancora al mio presente. Mi sono promesso di non pensarci più, mi voglio godere queste giornate. Come si può disattivare un cervello?

La cosa che più mi stupisce è la sua casa. Questa sembra una casa, una vera. Quella di Columbus sembra appena uscita da una rivista, questa invece sembra uscita da un’altra dimensione. Non è come me l’era aspettata, me la credevo più grande e imponente che stonasse con l’ambiente, invece sembrava esser stata dipinta in mezzo a tutto quel verde, come se fosse nata insieme a quel lago. E aveva ragione a dire: quello è l’unico posto che sento casa, potevo vedere Bastian in ogni particolare.

«Piace?»

«Molto. L'hai fatta tu?»

«L’ho fatta insieme ad Antoinette, beh l’abbiamo ristrutturata, lei ha fatto quasi tutto il lavoro, è più brava di me in queste cose. Però l’idea di base è la mia. Dentro è ancora più bella.»

Prima di darci l’esplorazione del lago lasciamo le borse nella nostra camera, c’è stato un po’ d’imbarazzo nel decidere se dormire insieme oppure no. Quello più problematico ero io, perché diciamo che non riuscivo mai ad andare oltre, non riesco a spiegarmi questo fatto. Ma non ce la faccio. Ogni volta finisce con me fra le braccia di Bastian che mi accarezza i capelli e mi asciuga le lacrime che scendo per la rabbia. Era come se una forza più grande di me mi bloccasse, immobilizzandomi al mio posto. Sebastian non ci da mai peso e mi dice sempre che per adesso dormire fra le braccia dell’altro basta, il resto verrà da se. Poi il suo battito mi cullava fino a quando a quando non chiudevo gli occhi e lui proteggeva dagli incubi. 

****

 

«Devi prendere un’esca e metterla qui, poi fai un lancio tipo questo e poi aspetti.»

Si mette a sedere sul piccolo ponticello vicino alla casa e rimane in silenzio, in attesa che anch’io faccia lo stesso. alla fine non era così difficile come io pensavo. Ma dopo un po’ la cosa diventa noiosa, mi è sempre piaciuto il silenzio, ma da quando l’ho conosciuto non ha più la stessa bellezza. Mi piace il silenzio intervallato dai nostri respiri mentre ce ne stiamo a casa senza far nulla, ma questo no.

«Seb?»

«Shh spaventerai i pesci così.»

«Bas dai è noioso, andiamo a fare un passeggiata?»

«Stiamo qui da cinque minuti non puoi esserti già stufato.»

Non si vuole smuovere da quel posto, mi devo inventare qualcosa. Mi viene in mente qualcosa e spero che l’acqua non sia troppo fredda. Mi alzo e senza far troppo rumore mi tolgo le scarpe e prendo la rincorsa. E poi è tutto blu e tutti i suoni sono ovattati.

«Devon ma sei impazziti?»

«No, sei tu il pazzo che stai ancora lì! È bellissima l’acqua!»

«Dai esci da lì, non è sicuro il lago.»

«Va bene Mr. Guasta-feste mi dai una mano?»

Con questo mi ammazza, perché che c’è di male nel provarlo? Quando afferra la mia mano io anziché fare forza nell’uscire fuori dall’acqua lo spingo dentro con me.

«Devon sei un uomo morto! E questo è uno dei più squallidi cliché, lo sai?»

«Non fare così, non avevo ragione io?»

Ce l’avevo e lo pensava anche lui, solo che alcune volte è troppo orgoglioso. Passiamo il resto del pomeriggio a rincorrerci. Quando ci sentiamo stanchi decidiamo che è l’ora di uscire. Il primo che tocco la riva è Sebastian e mi da una mano e questa volta ben volentieri mi faccio aiutare. Ci sediamo all’ombra di uno dei castagni che costeggiano il lago e visto da questa angolazione è ancora più bello. I pochi raggi del sole creano dei giochi di luce ipnotici e la prima brezza primaverile ci accarezza i capelli, in questo momento mi sento bene come poche volte. Fortunatamente non è una giornata fredda o la nostra nuotata nel lago ci sarebbe costata una bella febbre. Dopo un po’ decido di togliermi la maglietta , stava diventando fastidiosa, poi mi rimetto affianco di Sebastian. Rimaniamo in silenzio fino a quando lui non mi prende il viso fra le mani e mi bacia. Dopo un po’ provo a togliergli la camicia e stranamente ci riesco, di solito ci fermiamo un po’ prima. Quando la camicia tocca terra mi prendo un momento per guardarlo.

Ma mai mi ero immaginato una cosa del genere.

«Sebastian»


TBC...

  

 

 

Note dell'Autrice:

*scrive dal bunker* Salve come state? Questo è un capitolo più breve rispetto agli altri ed è di passaggio. È un capitolo incentrato su Blaine e il prossimo sarà tutto Sebastian perché vi racconterà la sua storia. Nelle note devo astenermi nel commentare l’enorme “elefante rosa” (cit. beta) a fine capitolo quindi non odiatemi per avervi lasciato così, avrete altri motivi per farlo più avanti :)

La canzone di cui parlano s'intitola "Moondance" di Van Morrison, entrambi la conoscono, voi sapete com'è fatto il caro Sebastian e il testo era questo: “Well, I wanna make love to you tonightI can't wait 'til the morning has come And I know that the time is just right And straight into my arms you will run.” Ok, dopo questa mi vado a sotterrare definitivamente, non è colpa mia ma è colpa della colonna sonora di uno dei film che più amo e colpa della voce di Jonathan Meyers che la canta.

Oh per chi quando ha visto il banner ha pensato “un ponticello e un lago? Ma che-” svelato il mistero. Sarà un posto speciale per i due *sparge cuoricini*

Non ho nient’altro da dire su questo capitolo, se avete un dubbio o mi volete insultare per il finale potete farlo *here* oppure su una recensione, ve la consiglio perché non avete limiti di caratteri, ma a voi la scelta. Io sono sempre a vostra disposizione!

Ringrazio chi rimane e chi la continua a leggerla e ringrazio chi dedica un po’ di tempo in più lasciandomi una recensione, non sono molte ma ognuna è perfetta. Grazie

Un grazie enorme va alla beta che ha betato questo capitolo velocemente e ha fatto più del dovuto, purtroppo il mio pc è contro di me e sto avendo dei problemi e lei è stata bravissima. Grazie  *si inchina*

Al prossimo capitolo,

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Capitolo 17
*** Non ti preoccupare, hai me ora ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

 

 

 

Boy B

 

.- Non ti preoccupare, hai me ora. -.

 

Tornare a casa dopo un weekend al lago mi era sempre piaciuto, la mia solita ruotine mi dava quella stabilità che mi è sempre mancata, ma non questa volta. Questa volta sarei restato per sempre lì, in riva al lago insieme a lui. Già mi manca. L’aver confessato qualcosa del mio passato, mettermi a nudo con le mie emozioni, mi ha legato ancora di più a lui. Quel ti amo ce l’ho ancora nelle orecchie, mi fa sentire vivo. Il click tipico che mi accoglie come sempre mi mette a disagio, mi fa sentire incompleto.

«Bentornato! Ci sei mancato tanto!»

Come apro la porta vengo travolto dalle sue braccia e una piccola birba mi da il tomento ai piedi e cerca di saltarmi addosso.

«Thad! Mi hai fatto prendere un colpo! – poi aggiungo ridendo – E fammi respirare, ti prego!»

«Scusami Sebby, pensavo che lo sapessi che stavo qui. Ero venuto per vedere come sta Sapphire..»

«Oh giusto, grazie mille.»

«Ehi, come stai? Sembri strano. . .»

«L’ha scoperto.»

«Scusami? Ha scoperto che lui è finito in prigione per colpa tua? E-e-e che è successo?»

«No quello, non sono così stupido. Ci vuole tempo per quello, ha scoperto di questi.»

Gli dico mostrandogli i segni sui miei polsi. Per un po’ si perde in quei piccoli tracciati rossi per poi rifugiarsi nei miei occhi stanchi, mi sorride.

«E lui?»

«Mi ha stupito ancora un’altra volta.»

«È molto sensibile, sembra che capisce come si deve comportare in ogni situazione.»

«Non so come si riesce. Mi ha stretto fra le sue braccia, per tutta la notte, mi ha detto ti amo, più volte, ci siamo baciati nelle acque del lago, mi ha curato, mi ha sfiorato ogni cicatrice, me l’ha baciata una ad una. Mi ha cullato nel sogno con la sua voce, è stata la mia cura. È il mio usignolo. Mi ha fatto sentire completo come poche volte. Ma era strano però al risveglio, come se fosse turbato da qualche pensiero. Mi ha detto che non era niente, mi ha detto di stare tranquillo, che erano solo i soliti vecchi pensieri che si fanno vivi di tanto in tanto. Oppure era solo preoccupato del nostro futuro, non lo so. Thad ho paura però, io devo dirgli anche quello. Ma non so con che coraggio.»

«Capirà, forse all’inizio non ti vorrà più vedere per un po’, ma fidati non ti abbandonerà mai, ritornerà da te. Oppure tu troverai un modo per farti perdonare.»

«Come fai a dirlo?»

«Non lo so, ma devi avere speranza. Lo ami?»

«Più della mia stessa vita.»

«E lui ti ama, giusto? – annuisco, lo spero almeno – Tutto andrà per il meglio.»

«Ho tanta paura però.»

«Tranquillo.»

 

****

 

Il sole che ti riscalda il viso, un raggio birichino che ti vuole rubare dai tuoi sogni, ma non vedi l’ora di riaprire gli occhi, non vedi l’ora di perderti negli occhi del tuo amato, anche se stai così bene nei tuoi sogni. Ma alla fine li apri e ti ritrovi due smeraldi che ti fissano attenti e ne rimani abbagliato per via della loro luminosità. Un “buon giorno amore” ti viene sussurrato vicino all’orecchio e ti chiedi se questo è il paradiso, forse è il tuo piccolo paradiso in mezzo ad un inferno, forse la realtà ora non ti sembra tanto male, ti aggrappi a questa sensazione di pace, ne hai bisogno per vivere. Rimani in silenzio in ascolto di lui, del suo respiro sulla tua pelle che ha il potere di rilassarti, non dici una parola perché hai paura di rovinare la magia che si è creata. Ti rigiri nel vostro abbraccio e lo stringi ancora più forte nascondendo il tuo viso nel suo collo, lui ride e tu ti ritrovi con un sorriso in viso a tua volta. Rimanete così in silenzio, alternando un sorriso ad un bacio, immersi nel vostro amore illuminato dal sole. Le vostre mani cercano quelle del’altro e pian piano i vostri baci div-

«Ehi ragazzo innamorato ritorna nel mondo reale, ci sono dei clienti.»

«Scusa. . che hai detto?»

«Clienti, dischi, tu, ora.»

«Ovvio clienti! Vado subito!»

Devo rimanere più presente mentre sto al lavoro, devo imparare a controllare questi pensieri, non vorrei avere dei “problemini” dopo. . .

«Buongiorno signora, su cosa pos-»

Lei?

 

****

 

«Cosa hai pensato di fare, Seb?»

Cosa? Non lo so.

«Penso di invitarlo a cena, una romantica, rilassarci un pochino e poi. . .»

«Lo sai che dopo le “coccole” non parlerai di quello vero?»

«Ma come devo fare? “Ehi tesoro, ho assistito ad un omicidio e sono restato in silenzio mentre tu ti prendevi la colpa, oh non è che mi passi il sale? L’ho fatto un po’ sciapo ‘sto piatto, oh grazie mille amore.” Così?»

«Sebastian..»

«Non dire “Sebastian” così, ok? Se hai un’idea migliore sono tutto orecchi.»

«Diglielo e basta. Senza troppi giri di parole.»

«La fai facile tu. . .»

«Smettila di fare la lagna, Sebastian. Hai cinque anni? Guarda che poi anche non dirglielo mai, lo sai? Potete passare una vita a fingere di essere Thomas Garfield, il ragazzo copertura del “mostro”, e Sebastian Smythe, lo psicologo amante segreto del “mostro”. Potrebbe funzionare sai? Ma ti piacerebbe vivere una finzione? Ti piacerebbe sentirlo chiamare papà Thomas, anziché papà B? Pensaci.»

«Già pensi ai figli, Harwood?»

«Ho fatto un esempio. Ti piacerebbe esser il ragazzo di Thomas, invece del ragazzo di B?»

«Un nome non cambia quello che proviamo. “Cosa v'è in un nome? Quella che noi chiamiamo rosa non perderebbe il suo profumo se avesse un altro nome."»

«Sebastian perché quando facciamo certi discorsi tu trovi sempre delle citazioni che sostengono la tua tesi? Sei insopportabile.»

«Perché forse io ascoltavo durante quelle “noiosissime” lezioni di letteratura inglese.»

«Ci rinuncio, tanto farai come ti pare, come tuo solito.»

«Mi puoi aiutare lo stesso?»

«Sempre.»

 

****

 

Non era possibile, no.

NO.

Lei non poteva stare qui, non dopo dieci anni di silenzio. Non poteva starsene lì con il suo sorriso falso stampato in volto e con quell’espressione crucciata e con finto fare materno. Io non ho madre, come non ho padre. Non più. Almeno non da quando ho conosciuto Seb, mi possono mancare, questo non lo discuto, ma io non ho altra famiglia all’infuori di lui.

Ho sempre aspettato questo momento e ora che mi si presenta di fronte sento tutta questa rabbia? Cosa c’è che non va in me. . .

«Che. Ci. Fai. Tu – dico scandendo bene le parole e mentre lo faccio lei si avvicina sempre di più a me – NON MI DEVI TOCCARE, NON TI AZZARDARE! MI FA SCHIFO IL SOLO PENSIERO DI AVERTI QUI, FIGURATI L’ESSERE TOCCATO DA TE!»

«Thomas, ma ti pare la maniera di trattare una cliente? Vattene di la, ci penso io qui. Poi io e te facciamo una chiacchierata, ma che ti hanno insegnato i tuoi?»

«Mi credi Signor Brown, non può capire con quanta fatica ci abbiamo provato.»

«CI AVETE PROVATO? E QUANDO DI GRAZIA? QUANDO STAVI AL TUO CLUB O DURANTE I MEETING DI PAPÁ? IO MI RICORDO SOLO IL NONNO E TANTE, TANTISSIME TATE.»

«Lo vede? Gli dai i tuoi anni migliori e con che ti ripagano? “io stavo sempre con le tate!” Io non so che fare con te.»

«Sai cosa puoi fare? Farti fare d-»

«Thomas, di un’altra parola e sei licenziato.»

A queste parole mi giro di scatto verso James, perché mi deve dire una cosa del genere? E perché ho tutta questa rabbia?

Devo respirare, devo rilassarmi. Un incontro non può avere il potere di farmi reagire così. Ma la odio in questo momento. Solo tanto odio. Mi sono sentito abbandonato, tradito da lei e da tutti. Ho imparato a vivere con il pensiero di non avere una famiglia su cui contare, quella famiglia che ti manca da morire ma non si è mai azzardata di sentire come stavi. Tutta questa rabbia è odio puro.

«Pronto Sebastian, disturbo? No mi chiedevo se potevi venire qui. Ecco, non so quello che ha. Sembra pazzo!»

«Perché l’hai chiamato? Che senso ha?»

«Perfetto, grazie mille. A dopo, ciao.»

«Perché?»

«Perché il tuo turno è finito.»

«Non farmi questo.»

«Non mi è piaciuto il tuo comportamento e non guardarmi così, hai esagerato e lo sai pure tu. Ora ti schiarisci le idee e poi domani ne riparliamo.»

«Io in realtà ero venuta perché volevo parlare con te.»

«Beh io no, non più. Ho aspettato dieci anni e ogni giorno speravo di poterti rivedere, di risentire la tua voce. Ma niente. Ora mi dispiace ma non voglio avere niente a che fare con voi. Non ho famiglia.»

«Allora mi dispiace dirti che William mi ha detto che il tuo caso è quasi terminato, massimo una settimana e potrai tornare libero, potrai ritornare da noi. Metteranno la notizia anche sui giornali, così tutti sapranno. Il vero colpevole ha parlato, è andato dai poliziotti e ha detto tutto quanto, in ogni minimo particolare. E poi si è ucciso, un colpo alle tempie. È questione di giorni.»

La notizia che aspettavo da una vita, una libertà che pensavo di non meritarmi più, stavano a portata della mia mano e non mi sentivo affatto bene. E quella piccola confessione che mi fa gelare il sangue nelle vene, lei aveva appena detto che una persona si era tolta la vita e non aveva mosso ciglio. Che le è successo?

Ma è proprio vero che nel momento in cui non cerchi più delle determinate cose esse si fanno vive da sole. Ed eccole, davanti a me nella loro bellezza incompleta. Perché ora? William mi deve spiegare molte cose. Sono io il diretto interessato e perché non ne so nulla? Mi allontano piano da lei, mi sento come se mi avessero preso tutte le forze, non sento più il mio corpo. Mi dirigo verso la stanza del pianoforte e mi nascondo nel angolo più lontano dalla porta-tenda, non mi avvicino al pianoforte, mi sento talmente male che non riesco nemmeno a suonare. E poi mi metto in attesa di colui che potrei aspettare per tutta la vita.

 

****

 

Odiavo quando altri chiamavano per conto suo, mi metteva sempre tanta agitazione addosso perché se non mi chiamava lui significa che stava avendo una crisi o quant’altro.

Che sarà successo questa volta?

Parcheggio la macchina senza farci molta attenzione e mi dirigo subito dentro. Non vedo Devon e la cosa mi preoccupa e mi solleva allo stesso modo, se sta da solo vuol dire che forse tanto male non sta. Trovo James a conversare con una donna minuta, dalla carnagione olivastra e dai capelli molto scuri, leggermente mossi, ha un sorriso strano e un atteggiamento freddo, altezzoso. Ma guardandola più attentamente mi sembra di notare alcuni particolari che richiamano Devon, non è possibile come cosa. Dovevamo dormire di più durante il fine settimana al lago.

«James, dov’è Thomas?»

«Nella stanza di Juls.»

«Lei sarebbe l’amico di. . . Thomas»

Come fa a conoscere il mio Devon? E perché usa quel tono? Nemmeno ci conosciamo.

«Sì, signora. Lei?»

«La madre.»

Madre?

Non dico altro e mi dirigo verso la stanza che mi ha indicato James e la cosa che mi stupisce è che Devon non si trovi sul pianoforte, già mi immaginavo lui mentre suonava. Invece eccolo lì, con la testa nascosta fra le braccia e il corpo tremante.

«Ehi. . .»

Lui di scatto si gira verso di me e punta i suoi occhi arrossati nei miei. E io lo raggiungo di corsa, stando attento a non calpestare alcuni dei suoi spartiti che gli sono caduti. Non faccio in tempo ad arrivar che già me lo ritrovo fra le braccia, lo stringo forte e gli accarezzo la schiena.

«Tranquillo, ci sono io ora. Che è successo?»

«Mia madre.»

«L’ho vista prima.»

«Insopportabile, eh?»

«Se ti dico di si ti offendi?»

«No, è la verità.»

«Come mai questo comportamento, Dev? Non vedevi l’ora di incontrarli?»

«Hai usato il tempo verbale giusto. Ma è da quando sono con te che non mi interessa tornare alla mia vecchia vita. Quella che ho con te è meglio, mille volte meglio.»

«Ma che sarà mai? È solo un incontro, no?»

«A detto che tempo una settimana e me ne ritorno a casa.»

Ritornare a casa significava ad un addio. Ci rimaneva solo una settimana, quindi? Questo, non tanto piccolo, fatto è come se mi strozzasse, come se avessi un cappio intorno alla gola e si stringe sempre di più ad ogni ticchettio dell’orologio.

«Io non me ne voglio andare Seb. Non voglio la mia vecchia vita, non voglio ritornare a fingere. Anche qui fingo, ma qui ho solo un nome che non è mio, io posso essere me stesso qui. Ho te. Ti prego fa qualcosa.»

«Adesso calmati però, ok? Te l’ho detto, ci sono io ora. Andrà bene, fidati. Diremo che hai bisogno di più tempo, che devi stare qui ancora per un po’. A me darà retta, sono il tuo psicologo e so quello che potrebbe esserti utile, così guadagneremo tempo e ti prometto che tutto si sistemerà.»

Lui si stringe ancora più forte a me come se avesse paura, che tutto questo è un sogno e che se si svegliasse si ritroverebbe nella stanza grigia della prigione nel tempo in cui lui era infelice e il futuro ormai era finito per lui.

«Sai cosa ti farebbe calmare, Dev?»

Mi fa cenno di no.

«Suonare. Lo faresti per me?»

«Scusa non ce la faccio Seb.»

«Non ti preoccupare amore. Ti va di stare con me oggi? Ho degli appuntamenti durante il pomeriggio ma Jud non vede l’ora di abbracciarti. E poi concluderemo con una bella cenetta fatta da me. Che ne dici?»

«Mi sembra perfetto.»

Mi alzo e gli porgo la mano per aiutarlo.

«Seb?»

«Dimmi.»

Afferra la mano e mi guarda, amo quando crea questa connessione fra di noi è come se le nostre anime si legassero.

«Ti amo.»

Lo faccio alzare, poi gli bacio la fronte e questa volta ho bisogno io di stringerlo forte per capire che questo è tutto reale e poi con un filo di voce gli dico:

«Ti amo anch’io, sempre.»

 

****

 

«Guarda chi abbiamo qui Jud!»

«Oh Thomas caro è sempre un piacere vederti, come stai?»

«Sono stato meglio. . .»

«Sebastian quante volte ti ho detto che lo devi trattare bene!»

Lui alza le mani al cielo e poi entrambi ci giriamo a guardarci e scoppiamo a ridere nello stesso istante.

«Fidati, Seb non potrebbe comportarsi meglio.»

«E qual è il problema caro?»

«Mia madre.»

«Scusatemi, ma io vi devo lasciare da soli. – si gira verso di me e mi lascia un bacio a fior di labbra – ci vediamo dopo.»

Annuisco e mi sistemo meglio sulla poltroncina di Jud. Lei è rimasta in silenzio mentre lui mi baciava, mi guarda attentamente e sembra molto felice per noi.

«L’amore è complicato e nello stesso tempo è anche semplice, Thomas. Prendiamo in esempio Sebastian, lo conosco da una vita, so quante ne ha passate ed è per questo che ho sempre pensato che forse avrebbe trovato difficoltà nel trovare una persona di cui fidarsi completamente. E poi arrivi tu, con il viso abbassato e coperto dal tuo cappuccio che lo ammali con i tuoi occhi un tempo tristi e con i tuoi modi di fare lo riporti alla luce. Io l’ho visto com’è cambiato e non ti ringrazierò mai abbastanza.»

«Guarda che anche lui mi ha riportato alla luce..»

«Vi siete salvati a vicenda, vi siete trovati quando ne avevate bisogno e vi siete riconosciuti. Sembrate due anime gemelle. Promettimi una cosa: non lo abbandonerai da un giorno all’altro, non sono pronta a rivederlo soffrire.»

«Non è mia intenzione, né ora e né mai.»

«Sono seria. Non dico che se mai un giorno non lo dovessi più vedere con gli stessi occhi o notate che non c’è più posto per un “noi” non dovete far finta di niente. Solo non abbandonarlo da un giorno all’altro.»

«Non lo farò, giuro. Perché me lo chiedi?»

«Perché Sebastian ha un brutto passato e non vorrei ch-»

«So tutto.»

«Oh. . .»

«L’ho scoperto per caso al lago, mi ero tuffato e quando lui mi ha dato la mano l’ho attirato a me e poi quando siamo usciti gli ho tolto la camicia. Fa parte del suo passato e abbiamo deciso di non darci molta importanza. È una cosa di cui parleremo più avanti, con calma e quando lui avrà voglia. Pensiamo che non serve a niente perderci in un tempo che mai potremo cambiare, ci dobbiamo godere quello che abbiamo. Non permetterò che niente di questo accada un’altra volta.»

«Sei un bravo ragazzo, è fortunato ad averti.»

A queste parole arrossisco e rimaniamo in silenzio per un po’ di tempo, lei continua a fissarmi e io faccio la stessa cosa con il mio caffè. Non vedo l’ora che Sebastian finisca di lavorare per tornarmene a casa nostra. La definisco “nostra” senza pensarci, che buffo. L’unica casa che mai ho sentito veramente mia era quella del nonno, ma ne è passato di tempo da quel giorno. . .

«Thomas, mi chiedevo, perché hai dei problemi con tua madre?»

«Non voglio vederli, non ora.»

«Ma è la tua famiglia, non ti piacerebbe rivederli?»

«Certo, ma mi sono sentito abbandonato e. . . è difficile da spiegare.»

«Da madre ti posso dare un consiglio? Perdonali. So che è difficile, ma rimpiangerai questa scelta prima o poi. Vivresti la tua vita con tanti “se” e non ne vale la pena. È la tua famiglia. Pensaci ok?»

Annuisco solo e decido di aspettare Sebastian nella saletta d’attesa. Mi perdo nel profilo della città di Columbus sotto un cielo di un celeste che ti toglie il fiato velato di nuvole leggere. Con un cielo del genere mi è impossibile non pensare a lui e a quel giorno.

 

«Ho paura B. Non voglio andare in prigione, perché loro non capiscono che noi non centriamo niente? Blaine di qualcosa. Sto impazzendo, fa freddo.»

Era impressionante di come il ragazzino con il perenne sorriso che gli illumina il volto si sia trasformato nella maschera fredda tipica del padre. Nemmeno il suo migliore amico riusciva a capire cosa gli stesse passando fra la testa. Non parlava, aveva gli occhi fissi in un punto, verso una stella che si intravedeva dalla piccola finestra. Sembrava morto.

«B ti prego..»

Il tono di voce che ha usato lo fece risvegliare dal torpore. Punta subito i suoi occhi in quelli degli altri, realizzando che aveva perso tempo nell’ammirare quella stella, non sa quanto potrà restare ancora con il suo Kurt o potrà ancora guardare i suoi occhi. Alla fine quella stella la potrà sempre vedere, invece forse questa è l’ultima volta che staranno faccia a faccia. Si alza e va da lui, lo stringe forte fra le sue braccia e dopo un po’ entrambi si mettono a piangere. Piangono perché hanno paura e perché sanno che questo è l’ultimo momento prima dell’udienza in cui possono sembrare due bambini impauriti, in quella sala dovranno far vedere a tutti che niente e nessuno li può scalfire, perché loro sono innocenti.

«Ne ho tanta anch’io, K.»

«Dopo che ci faranno? Non mi piace qui, è tutto così buio e ci sono dei rumori strani. Se ci separano? Io non ce la faccio senza di te qui.»

«Guardami, tu ce la farai anche senza di me. Tu sei forte Kurt e poi troveremo un modo. Andrà tutto bene, te lo prometto. Ti fidi?»

«Sempre. Non mi dirai mai addio vero?»

«Mai. E se dovesse accadere troverò un modo per trovarti e poi ti porterò lontano da qui, in un posto dove nessuno ci troverà mai e potremmo vivere insieme. Però tu mi devi aspettare, devi essere forte. Tutto andrà bene, non permetterò agli altri di toccarti, ok?»

Il bambino dagli occhi cielo ci strinse ancora di più al suo amico, e pianse, pianse fino a quando non aveva più le forze ed entrambi si rifugiarono nel mondo dei sogni per un ultima volta. Poi incominciò il loro piccolo inferno che raggiunse il culmine con l’arrivo di una lettera il cui destinatario era un certo Thomas.

 

Blaine, tranquillo. Ciò che è successo a Kurt non accadrà anche a Sebastian. Gli ho fatto le stesse promesse, ma questa volta è diverso: so che non lo abbandonerò per alcuna ragione al mondo. Sono un adulto ora, ho lui forte al mio fianco, insieme possiamo tutto. Ero solo un bambino, impaurito che non riusciva a difendere nemmeno se stesso, come potevo salvarlo?

E mentre io mi ricordavo di lui, il dolce rosso tipico del tramonto prendeva il suo posto nel cielo primaverile.

 

****

 

«Per oggi abbiamo finito Ann, alla prossima settimana.»

«Fick, mi saluti Annie?»

«Se vuoi puoi farlo te, mi sta aspettando fuori.»

«Non si deve mai far aspettare l’amore della tua vita, non lo sai? Mi meraviglio di te!»

«Lo so piccola, ma si devono rispettare i propri impegni.»

«Non di fronte a loro!»

«Ok, Ann ho capito. Dopo mi scuso.»

Quella bimba è più testarda di Devon quando si mette in testa una cosa. Appena apro la porta lei scatta via e corre verso il mio Annie. Le faccio strada da Jud, ma quando arriviamo mi accorgo che non c’è. Mi guardo strano intorno.

«Sta nella sala d’attesa. Tranquillo è ok, solo aveva bisogno di stare un po’ da solo.»

Nel frattempo io non mi accorgo che la piccola già l’aveva raggiunto.

«Fick, secondo te perché Annie piange?»

«Scusami? Chi piange?»

Lei mi porta nell’altra stanza e mi indica Devon che sta piangendo piano per non farsi sentire da nessuno. Dico da Ann che è meglio se ci penso solo io, casomai dopo se non è già arrivato il suo papà lo saluterà anche lei.

Mi siedo sulla sedia accanto alla sua e l’avvolgo con le mie braccia da dietro. Questa non deve essere la sua giornata.

«Sebastian non dovresti perdere il tuo tempo con me.»

«Devon stai avendo una giornata no, però ora basta. Tu non sei una perdita di tempo ficcatelo bene nella tua testolina riccia.»

«Sono serio. Ho promesso la stessa cosa a Kurt e non voglio che succeda lo stesso.»

«Non farò la sua stessa fine, lo prometto. E non è colpa tua ok? E niente sarebbe cambiato se tu stavi lì, se eri più forte o quant’altro che stai pensando. Non potevi fare niente. Adesso prendi un bel respiro profondo e asciugati le lacrime c’è la piccola Ann che ti vuole salutare.»

Poi una piccola manina spunta all’improvviso e afferra la mano di Devon.

«Perché piangi?»

«Non sto piangendo Ann.»

«Sei triste per via del tramonto allora, vero?»

A quella piccola domanda entrambi sorridiamo, alcune volte i bambini hanno il potere di vedere nelle cose complicate quelle semplici e per un po’ riescono a farti dimenticare di ciò che ti rende triste.

«Mi sa che hai  ragione tu piccola, è colpa del tramonto.»

Le sorride e lei si illumina. Aveva fatto felice uno dei suoi personaggi preferiti era una cosa di cui poteva andare molto fiera. Poi lui si gira a guardarmi e capisco che il tramonto di cui parla ha un nome: Kurt.

«Annabel finalmente, dobbiamo tornare a casa, su saluta il signor Smythe.»

«Oh ciao papà! Ma dobbiamo andare per forza?»

«Lo sai come la pensa mamma.»

La piccola mette un piccolo broncio e ci saluta a malincuore lasciando un bacio sulla guancia solo a Devon. Poi corre verso il suo papà il quale mi fa un cenno con il capo, sembra diverso dall’ultima volta che abbiamo parlato.

Quando rimaniamo da soli ci sistemiamo meglio su quelle scomode sedie apro le braccia e lo stringo forte a me.

«Giornataccia eh?»

«Lo puoi ben dire, Seb. Mi sento così vulnerabile, confuso. Non so che fare. Ho la mente divisa. Sento come se dovessi chiarire ancora un qualcosa per poter andare avanti e per poter riacquistare una sorta d’equilibrio.»

«Datti tempo, stai andando benissimo. È vero sei instabile, ma vedrai che con calma superermo anche questo.»

 

****

 

Io mi fido di Sebastian e penso di sapere cosa devo fare per chiudere definitivamente con il mio passato. E la lettera che custodisco gelosamente nella tasca interna della giacca inizia a bruciare e il suo peso è diventato troppo pesante da poterlo sopportare ancora. Dovevo dirgli addio per poter andare avanti.

«Sebastian, forse io. . .»

«Ehi Dev, tranquillo a me puoi dire tutto.»

Mi prese la mano fra la sua e iniziò a disegnare delle figure invisibili sul dorso. Chiusi gli occhi e presi un bel respiro profondo prima di prendere la lettera dal suo nascondiglio e gliela porsi.

Mi guarda in modo strano, forse non se lo aspettava, ma quella lettera era la mia fuoriuscita dal mio inferno. Da lì lui avrebbe capito molto di più di me e dei miei comportamenti. In quella lettera ci sono cose di cui non riesco a formularne il pensiero senza sentirmi male, senza che mille lame mi trafiggano il cuore. Lì c’era tutto ciò che gli manca da sapere, c’è anche il mio nome vero. Chiede conferma per aprirla con gli occhi e io mi limito a posare la mia mano libera sul suo cuore, sento il battito che accelera sotto il mio tocco e ancora di più quando avvicino le mie labbra per un bacio lento. Dopo del tempo indefinito mi stacco piano da lui e appoggio la mia testa sul suo petto in attesa che apra la lettera e che l’inizi a leggere.

«Dev sei sicuro? Non mettiamo altra carne al fuoco oggi, dai. Facciamo le cose con calma.»

«Sono sicuro Sebastian, è l’unico modo. Lì c’è il mio ultimo tassello da lì possiamo costruire il nostro futuro senza il peso del mio passato sulle nostre spalle. Da qui potremmo pensare a cosa fare dopo, io so già una delle cose che voglio fare ma ho bisogno che tu legga questa lettera. Devo dire finalmente addio al mio passato.»

Chiudo gli occhi e sento quello strano pizzicore che mi tormenta gli occhi. Sento il rumore che fa la busta della lettera mentre viene aperta, ha un po’ d’incertezza prima di aprirla per leggerla.

«La leggi ad alta voce?»

Non ricevo risposta e le parole che ormai sono scritte nella mia mente prendono vita grazie a lui.

Caro Blaine,

Come stai? Spero che dove sei tu ora sia meglio di qui, ti meriti un bel posto. Hai visto? Ho finalmente trovato un modo per tenermi in contatto con te, anche se ormai è troppo tardi. . . Ti ho scritto questa lettera per un motivo preciso, ma non trovo le parole per dirtelo, perché so che ti spezzerà, come sta spezzando me, mi sento così in colpa, ma tu devi saperlo da me questa cosa, mi ha promesso Sue che non ti dirà niente e si limiterà a consegnarti la lettera. Qui fa tutto schifo, mi hanno trovato Blaine, non so come o perché ma hanno scoperto dove mi hanno nascosto. È un inferno qui ora, Blaine. . .

 

TBC...

  

 

Note dell'Autrice:

Salve. Sono mortificata, tanto. Ho aggiornato con un ritardo imbarazzante e veramente non so come scusarmi. Questo capitolo l’ho iniziato da capo più volte perché non sapevo bene come comportarmi, mettere un seguito a Relief è stato più difficile del previsto, sembrerà assurdo ma è stato più complicato, spero di averlo fatto bene. La scena della madre, penso che sia più che giusta, stare in attesa per una parola da una persona cara per tanto tempo e poi ritrovarsela d’avanti così senza un perché e con il suo solito comportamento freddo, secondo me qualcosa dentro scatta, sei prevalso da odio, e James ha fatto la scelta giusta, l’ha chiamato e ha fatto tranquillizzare Blaine. Il flashback è stata una mazzata anche per me, soffro anch’io con loro ormai e boh il mio cuore klainer soffre. Sebastian e Blaine, i miei cuccioli * lancia cuoricini * ci sono sempre l’uno per l’altro e penso che l’hanno capito tutti, e boh non riesco a commentarli. Adoro Ann come adoro Thad i miei piccoli shipper :’)

La lettera. NON AMMAZZATEMI, RISPARMIATE L’ENERGIE PER QUANDO SARÁ COMPLETA, OK? Il capitolo scorso e anche questo sono stati belli carichi quindi ho pensato di dividere il tutto in più parti. La lettera è stata una delle prime cose che ho scritto e diciamo che la volevo tenere per la fine, poi ho pensato che forse il suo momento era arrivato e le carte sono cambiate per la trilionesima da quando ho iniziato a pubblicare.

Non ho nient’altro da dire, penso. . . Per gli aggiornamenti spero di non fare peggio di così, non è possibile, giusto? Però è probabile che dovrete aspettare, mi dispiace tanto, ma la scuola ultimamente è massacrante, ho avuto un periodaccio e dalla settimana prossima i miei impegni a teatro si triplicheranno. Scusatemi tanto.

Un immenso grazie va a chi è rimasto, grazie. Grazie alla beta che mi ha corretto il capitolo subito e che mi vuole poco bene dopo aver riletto l’inizio della lettera.

Mi faccio un po’ di pubblicità: sto partecipando a un contest con una ff che avevo già scritto si trova qui, se l’avete già letta e se vi è piaciuta potreste mettere un piccolo “mi piace” qui? *here* la fanfic in questione è in “The lovely Land of Courage”. Grazie :)

Mi potreste far sapere come avete trovato il capitolo? Alcune volte mi sembra di sbagliare strada, come se non vanno bene e si può imparare soltanto dalle critiche. Se non volete lasciare una recensione come come una persona che mi ha detto “ti scrivo qui perché è troppo breve ciò che ti volevo dire” potete contattarmi anche qui sentitevi liberi di farlo quando e come volete, io sono sempre qui per voi.

Spero di sentirvi presto, alla prossima!

Love always,

_Beth :)

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Capitolo 18
*** Write about us ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Buona lettura.

 

 

 

Boy B

 

.- Write about us. -.

Caro Blaine,

Come stai? Spero che dove sei tu ora sia meglio di qui, ti meriti un bel posto. Hai visto? Ho finalmente trovato un modo per tenermi in contatto con te, anche se ormai è troppo tardi. . . Ti ho scritto questa lettera per un motivo preciso, ma non trovo le parole per dirtelo, perché so che ti spezzerà, come sta spezzando me, mi sento così in colpa, ma tu devi saperlo da me questa cosa, mi ha promesso Sue che non ti dirà niente e si limiterà a consegnarti la lettera. Qui fa tutto schifo, mi hanno trovato Blaine, non so come o perché ma hanno scoperto dove mi hanno nascosto. È un inferno qui ora, Blaine.

Mi devi promettere una cosa: non dimenticarmi. Odiami pure se vuoi, non posso vietartelo, mi odio anch’io in questo momento, ma non dimenticarmi, ti prego. Sai quella storia in cui l’anima di una persona riesce a continuare a vivere nel ricordo delle persone? Adesso non occupo più un piccolo posto nel cuore delle persone che amo, oltre a te non mi è rimasto più nessuno. Proteggi il mio ricordo dentro al tuo cuore è l’unico modo che mi è venuto in mente per mantenere fede a quella promessa che ti feci in quella notte maledetta, in cui tutto è cambiato.

Quelle urla ancora fanno da sottofondo ai miei incubi e da colonna sonora alle mie giornate infernali. Mi sento così terribilmente incolpa per non essere riuscito a salvarla, era ancora viva quando l’abbiamo trovata. Mi ha scambiato per un angelo, quando le altre persone ci hanno etichettato subito come mostri, non facendoci dire nemmeno una parola per difenderci. È interessante l’essere definiti mostri per aver cercato di aiutare una povera persona che stava per morire, aiutarla a lasciare questo mondo infame felice, mi ricordo ancora la tua voce incrinata dalla paura che si univa alla mia mentre le cantavamo una canzone, chiuse gli occhi per l’ultima volta con un bel sorriso sul suo viso perfetto, anche se era stato sfregiato da qualche pazzo. Odio tutte quelle persone che ci hanno rubato la spensieratezza della nostra adolescenza, obbligandoci a viverla in una gabbia grigia.

Li odio con tutto il cuore, odio la loro incompetenza, odio i loro pregiudizi. Si perché gli strani eravamo noi. Eravamo la mela marcia. Noi che non facevamo nient’altro che stare passare del tempo a divertici insieme, eravamo i figli del diavolo agli occhi loro perché ci amavamo, è per questo non trovarono difficoltà a pensare che eravamo noi l’artefici della sua morte. Scusami Blaine. Ma la cosa che odio di più è il fatto che mi hanno tolto te. Sue non mi ha detto il tuo nuovo nome, il mio nuovo nome è Michael Kirk. È orribile lo so, ma non l’ho voluto sceglierlo, non mi interessava più vivere, e se ti scegli un nome è perché hai ancora una speranza che ti spinge a continuare a vivere, io l’ho persa già da un po’. Io non so il tuo nome, ma penso di sapere quale hai scelto: Thomas. Come il tuo inventore preferito. Mi dicevi sempre: “Io non ho fallito. Ho solamente provato 10000 metodi che non hanno funzionato”. Mi faceva sempre ridere questa frase, perché usavi un tono buffo, da “vecchio” che non ti addiceva. Ti offendevi per un po’ e poi ricominciavi a fare lo stupido un’altra volta. Mi manca tutto questo e più di ogni altra cosa mi manchi te. Mi mancano i tuoi occhi, la tua risata, la tua voce, il tuo odore, la tua mano nella mia. Mi manca la forza che sapeva dare solo il tuo sorriso, la mia unica ancora di salvezza durante gli anni del riformatorio, quel sorriso che mi regalavi di sfuggita mentre facevamo la fila per la colazione, mi dava una carica che mi durava fino al mattino dopo, quando me lo ridavi un’altra volta.

Questa lontananza forzata mi ha fatto capire che più cerco di dimenticarti e più troverò un modo per ricordarti. Mi sento vuoto e sporco senza di te, mi facevi sempre sentire completo, ora sto cadendo a pezzi, giorno dopo giorno e non riesco a rimetterli insieme, tu ci saresti riuscito. Come faccio a pensare di essere felice in un mondo come questo che brama la mia morte, ogni mattina fuori dalla porta c’è qualcuno che mi ricorda il che tipo di mostro sono, perché non capiscono? Mi stanno cercando un nuovo posto, ma devo aspettare che le acque si calmino perché mi ritroverebbero un’altra volta. Io voglio venire da te ma non me lo permettono. Ma io non ci andrò nel nuovo posto, almeno non da vivo.

Ecco siamo arrivati al punto al quale non volevo arrivare, ma ormai l’ho scritto, è più semplice ora che lo vedo nero su bianco. Non fa così tanta paura sai? Quando leggerai questa lettera sarò già sotto terra a fare compagnia ai vermi come me. Non riesco più a vivere Blaine. Non ci riesco. Ho provato ad andare avanti, ma ogni volta che mi svegliavo speravo di stare all’inferno, sarebbe stato meglio. Mi sono suicidato. Una corda e una buona spinta mi regaleranno un biglietto solo andata verso quel posto che mi hanno detto che c’è un posto solo per me. Non mi interessa cosa ci sarà dall’altra parte, che sia buio o luce non farebbe differenza.

Blaine sentimi bene tu devi andare avanti, fallo per me. Vivi per entrambi, fatti una famiglia, trovati il tuo principe dagli occhi verdi. Si mi ricordo ancora del bel giovanotto dagli occhi verdi che tanto ti piaceva, no scusa non ti piaceva lui, ti piacevano solo i suoi occhi, te li sognavi ogni notte. Ma tu mi amavi di più. Porta i tuoi figli al lago, mostra la sua magia. Insegnagli come si suona veramente, col cuore e non con la mente. Prenditi cura di te, non arrenderti mai starò sempre vicino a te. Sarò quel primo raggio di sole che ti sveglia la mattina, sarò quella leggera brezza primaverile che ti tormenta i ricci, sarò l’accordo stonato di un brano perfetto. Non ti abbandonerò mai.

“Non definire un uomo felice finché non muore: tutt'al più, egli è fortunato.”

Io ora sono finalmente felice, ma ti prego tu cerca la tua felicità nella tua fortuna. Non dimenticarmi. Ti amerò anche dall’altra parte

Tuo per sempre,

Kurt.

 

****

 

La voce mi si era incrinata più e più volte, avevo la maglia zuppa delle lacrime di Devon. Voglio dire Blaine. Ecco il nome che cerco di ricordare da sempre. Blaine. Tremavamo entrambi, era una lettera piena di disperazione e di rabbia. Una lettera che segnava la fine di una persona. Ogni sofferenza che ha vissuto trapelava in ogni singola lettera, quella grafia che, pur rimanendo molto elegante, aveva un tratto calcato e c’erano molte sbavature, chiaro segno delle sue lacrime mischiate a quelle del nostro Blaine. Tutte le parole mi muoiono in gola, non so che dire.

«Non gli ho mai detto addio. . .»

Ecco il tormento che lo divora da sempre. Il suo amore adolescenziale che soffre lontano da lui senza nessuno che gli possa dare ascolto, che prova odio verso tutto e tutti, che è cieco e non riesce più a vedere la luce della vita, e lui non ha potuto fare niente, nemmeno dargli il suo ultimo saluto.

«Non è colpa tua, Devon.»

«Potevo fare la differenza, aveva solo me.»

«Non potevi fare niente, amore. Dal momento in cui vi hanno separato entrambi vi siete spenti, avete perso la fiducia nel mondo. Lui non ha avuto l’occasione di poter ricominciare la sua vita.»

«Potevo ribellarmi. . .»

«Amore, non farlo. Guardami. Tu non hai colpe, se una persona non riesce a sopportare più una situazione e decide di togliersi la vita, tu non puoi fare molto.»

«Si, ma quella sera io volevo uscire! Io avevo bisogno di staccare dalla mia vita, ero io quello che aveva litigato con il padre. Ero io quello che meritava di morire, no lui.»

«Ti prego, non dire così. . .»

I suoi occhi mi uccidevano e ogni sua parola era un pugnale che squarcia la mia pelle. Non sopporto vederlo così. Non si merita tutto questo, dovrò tenermi il mio piccolo segreto ancora per un altro po’. Gli prendo il volto fra le mani, la lettera mi cade dalle mani ma non ce ne accorgiamo. Mantiene a fatica il mio sguardo, come se si vergognasse di se.

«Sentimi bene, ok? Tu non puoi incolparti di ciò che è accaduto a Kurt, ok? Nessuno poteva fare niente per fermalo, quando si supera quel confine, nessuna forza riuscirà a riportarti indietro. Niente. Ehi, no guardami e non fare così, stai con il tuo Sebastian. E poi nessuno si merita di morire, lui meritava di essere messo al sicuro, era suo diritto. Le parole hanno il potere di uccidere se usate in un certo modo.»

«Mi manca così tanto. . .»

«Lo amavi.»

Era una semplice costatazione e il piccolo sorriso che mi rivolse parla da sé. Forse lo ama ancora, anche adesso, anche quando sta fra le mie braccia o quando mi bacia. Forse tutte le sue insicurezze stanno proprio qui, come sempre ha ragione: bisogna mettere da parte il proprio passato per poter pensare al futuro. Ed eccolo qui tremante a raccontarmi di un passato che non gli da tregua, il suo ultimo tassello perché ormai tutto è collegabile al caso di “boy A”, il suo Kurt, e il “boy B”, il mio Devon. Forse questo è uno dei motivi per il quale mi sta facendo leggere la lettera, non tanto per mettermi a conoscenza di ciò che è accaduto al suo amico, ma per farmi capire cosa ha fatto di tanto brutto per meritarsi di vivere sotto una vita non sua. Ora mi chiedo cosa ha mai fatto di male questo essere perfetto per meritarsi me.

«Capisci perché mi comportavo così? Mi sento come se non meritassi tutto questo, come se non meritassi di essere felice, avere te. Però quando si è dentro ad un vortice tu puoi solo lasciarti trasportare e seguire e fare tua la sua forza, ma non è mai abbastanza, perché anche lui ne ha bisogno ed entrambi dovete essere forte per l’altro. Ti amo, con tutto me stesso, ma non ti merito perché finirà così anche con te, le persone che mi amano veramente finiscono male e sicuramente combinerò altri casini. Alcune volte sento come lo stessi dimenticando e non posso farlo, capisci? Sta diventando il fantasma di un ricordo. Non gli ho detto nemmeno addio, ti rendi conto? Non ci sono stato nemmeno per quello.»

Lui pensa che non mi merita quando è il contrario. . .

«Noi non finiremo male, fidati. Certe persone sono impossibili da dimenticare, perché ti sono entrate nell’anima e da lì nessuno ricordo può essere cancellato. Vivrà sempre dentro di te. Mi chiedevo, sei mai stato. . . alla sua. . . ehm. . . tomba?»

«No, la lettera mi è stata recapitata quando stavo ancora nel riformatorio in attesa di una nuova casa. Lui era uscito prima perché era di qualche mese più grande e ha cambiato posto dopo cinque giorni, l’hanno messo nell’unico posto dove loro non hanno dimenticato ed è successo un casino. È per questo che William non mi ha permesso di andare né ai funerali e né alla sua tomba. Mi avrebbero scoperto subito. Avevano paura che potessi fare la sua stessa fine, per quanto io c’abbia pensato, non ho mai pensato di morire, non ne avrei le forze. E se morivo io, lui non avrebbe avuto nessuno che lo ricordasse e non potevo ucciderlo, non un’altra volta.»

«Tu non avresti fatto la stessa fine, per quanto potevano essere spenti i tuoi occhi la prima volta che ci vedemmo avevano ancora quella gioia della voglia di vivere, di scoprire il mondo. E poi dovevi incontrare me, no? Stavo pensando, che ne dici di andarci con me?»

«C-Certo.»

«Sai dov’è?»

«Si.»

«Che ne dici di domani?»

«Ci andrei anche adesso. . . Secondo te è troppo tardi?»

«Beh tu ora verrai coccolato e vezzeggiato dal sottoscritto come da programma. Hai aspettato tanti mesi per andarci, penso che un po’ di ore non faranno la differenza. Oggi concentriamoci sul suo ricordo, sulla lettera, domani gli diremo addio.»

«Arrivederci.»

«Come scusa?»

«Gli dirò “arrivederci”, non sarò mai pronto per dirgli addio. Sa troppo di finito. . . non so se mi spiego.»

«Penso di aver capito, ti piace la mia idea?»

«Mi sembra un buon piano.»

«Uno buonissimo aggiungerei.»

«Grazie.»

Gli sorrido e rispondo al suo grazie con un bacio. Poi rimaniamo in silenzio, come piace fare noi. Quando si ama veramente le parole diventano inutili. . .

«Non so in che condizione è la casa, Thad è peggio di un bambino quando ci si mette.»

«E perché sta la?»

«Sta facendo una sorpresa per il suo fiancé. Non vuole fargli scoprire cosa quindi ha occupato una stanza per tempo indeterminato.»

«Ho sempre desiderato di conoscerlo sai? L’ex del mio ragazzo, sarà strano. . .»

«Non penso, è come un fratello per me ora. Gli voglio molto bene, ma non l’amo. Parlando di persone amate, e il ragazzo dagli occhi verdi? Mi devo preoccupare?»

Si è nascosto molto bene nell’incavo del mio collo ma riesco comunque a vederlo arrossare e poi ride nervosamente contro la mia pelle. Adesso sono curioso.

«Non prendermi in giro, ok? È stata solo una cotta per un ragazzo di qualche anno più di me, stava sempre con un ragazzetto biondo. Sentivo molto spesso il suo sguardo su di me, ma era solo una mia impressione. All’inizio pensavo che eri tu, sai?»

Il respiro mi si blocca. Quindi mi aveva notato? Potevo essere io, oppure no alla fine gli occhi verdi mica sono così rari e tutti possono avere un amico biondo. No?

«Cosa ti ha fatto pensare al contrario?»

«Penso che se eri tu non ti avrei fatto andar via. Avrei trovato un modo per farmi notare.»

Oh, ci sei riuscito molto bene a farti notare invece. . .

«Eri solo un bambino che potevi fare?»

«Non lo so nemmeno io, ma avrei fatto qualcosa.»

«E se fossi io?»

«Ti direi che è da tutta una vita che ti cerco.»

Adesso mi guarda negli occhi, scruta attentamente ogni piccolo particolare dei miei occhi, notando ciò solo lui può notare. Si avvicina piano a me e fa scontrare i nostri nasi. Rimane così per un po’ continuando ad osservarli.

«Sai che quando sono stato a Westerville rimasi anch’io stregato da due smeraldi? Ma loro erano incastonati nell’ambra.»

Da quella frase lui capì. Capì che ero io quel ragazzino che lo colpì con la stessa potenza di quanto lui fece con me. Nello stesso momento in cui lo realizzo ho paura, perché ho paura che mi possa collegare a colui che doveva stare al suo posto, che doveva prendere le sue colpe. È meglio non pensarci adesso. . .

«Tu ti ricordavi di me?»

«Ti ho riconosciuto dal primo giorno, ma non pensavo che tu mi avessi mai notato. Ho preferito non dirti niente.»

«Quindi sapevi già tutto?»

«Sapevo poche cose. . .»

«Ma io mi ricordo quegli occhi in tribunale e anche nel luogo dove tutto è finito.»

È forse arrivato il momento?

«Che sciocco che sono, non è possibile vero?»

Devo fare una scelta, ed è meglio che mi sbrighi.

«Seb?»

«Io. . . no è impossibile, i miei non volevano che mi avvicinassi al lago dopo il tramonto. Però c’ero in tribunale. Avevo paura per te.»

Ecco, l’ho fatto e questo renderà, se possibile, ancora peggio il giorno in cui gli dirò tutto. Mi vorrei schiaffeggiare.

«Quella è stata una notte bruttissima.»

«Lo so amore, mi ricordo di come fingevi di essere forte. Mi ricordo quel viso sempre gioioso trasformato in una maschera priva di vita. Non puoi capire quanta voglia avevo di raggiungerti e stringere forte fra le mie braccia, non ci conoscevamo nemmeno, ma mi sembravi così vulnerabile con quella tua maschera.»

«Allora ho proprio fallito con il mio intento, eh? Volevo sembrare quel ragazzino che non aveva paura di loro.»

«Forse eri così solo ai miei occhi.»

Uno schiarirsi di gola ci fa bloccare e ci riporta nella realtà in cui non dovremmo parlare del vero passato di Devon.

«Scusatemi, ma Sebastian dovrei andare a casa e. . »

«Certo, Jud. Scusaci non ci eravamo accorti del tempo che è passato.»

Mentre le dico questo Blaine si alza a malincuore e mi offre la mano, ho imparato che in certi momenti ha bisogno di avere un punto da afferrare, ciò mi da forza e paura allo stesso momento, ho paura di non essere abbastanza.

«Non preoccuparti caro.»

«Domani pomeriggio è tutto occupato?»

«Un paio d’ore libere le dovresti avere, non mi ricordo bene chi ma qualcuno ha spostato il suo appuntamento.»

«Grazie mille Jud, buona serata.»

«Anche a voi.»

 

****

 

«Sebbu era ora! Ma quanto c’hai mes- Oh.»

«Thad lui è Thomas.»

«Oh che piacere conoscerti! Il tizio qui non fa che parlare di te, ma che gli hai fatto?»

«Vorrei saperlo anch’io Thaddy.»

«Fa piacere anche a me conoscerti.»

Mi avvicino a Devon e gli dico all’orecchio: “Fa conto che questa è casa tua, puoi fare quello che vuoi ok? Io sistemo delle cose con Thad così ritorna da quello e siamo liberi, ok?”

Annuisce e si dirige verso il salotto seguito dalla piccola Sapphire, che è molto felice di rivederlo. A Thad gli faccio cenno di seguirmi nello studio. Mi affianca subito.

Quando siamo dentro e ho chiuso la porta mi lascio cadere sulla sedia con un sonoro sbuffo.

«Com’è andata?»

Dopo aver raggruppato un po’ le idee gli racconto brevemente il nostro pomeriggio, non tralasciando nessun dettaglio.

«Sei il solito deficiente.»

«Thad. . .»

«Ti ha offerto l’occasione giusta!»

«Non è ora.»

«Non lo sarà mai!»

«Come sta andando la tua sorpresa?»

Mi guarda male, ma poi mi risponde.

«Bene, anche se prima o poi Nick mi uccide.»

«Carl ha richiamato lì? Ma ha i sensori?»

«Non lo so ma sembra che gli manca qualcosa sempre quando io non ci sono.»

«Te l’ho detto io che la sua abilità sta nel rompere la gente e Nick ne è la conferma.»

«Sempre il solito tu, eh?»

«Voglio solo il meglio per te, lo sai.»

«Sì, lo so e fidati è lui. Io devo andare, sennò questa è la volta buona che mi ammazza.»

«Prima passerà sul mio cadavere, stanne più certo.»

«Siamo diventati dei sentimentaloni da quando il tuo boy B – abbassa la voce mentre lo chiama così – è rientrato nella tua vita, eh?»

«Probabile.»

Gli dico con un sorriso.

 

****

 

«Scusami Thomas se te l’ho rubato per così tanto.»

«Oh non ti preoccupare, ho letto un po’.»

Ci scambio uno sguardo d’intesa e capisco al volo il libro in questione. Si salutano con un cenno e poi accompagno Thad alla porta, prima di uscire mi mima un “mi raccomando”.

«Ho capito Thad.»

«Sei tonto e le cose te le devo ripetere più volte sennò non capisci.»

«Spiritoso.»

«Ci sentiamo domani per quella cosa?»

«Va bene, ma domani pomeriggio ce l’ho pieno. . .»

«Oh giusto! Ti chiamo la sera allora così mi racconti tutto.»

«Ok.»

«Ciao Sebbu.»

«A domani.»

 

Mi dirigo verso il salotto e mi siedo di fianco a lui e appoggio la testa sullo schienale. Lui nemmeno mi ha degnato di uno sguardo, decido di chiudere un po’ gli occhi. Dopo un po’ sento il leggero fruscio delle pagine mentre vengono chiuse e lo sento accarezzarmi i capelli mentre mi lascia un leggero bacio sulla guancia.

«Se vuoi la cenetta la facciamo un’altra volta.»

A queste parole apro subito gli occhi.

«Non sono stanco!»

«Ma se ti stavi per addormentare!»

«Ho solamente chiuso gli occhi per qualche secondo, nulla più.»

«Se lo dici tu. . .»

«Però non ho voglia di cucinare, sono un disastro.»

«Non fa niente, possiamo sempre ordinare qualcosa. Però la prossima volta voglio qualcosa fatto da te, d’accordo?»

«Perfetto. Che ne dici del giapponese?»

«Si! È da un sacco di tempo che non mangio qualcosa del genere. Io prendo il sushi.»

Non ci mette molto ad arrivare il cibo ordinato e ci mettiamo a mangiare in salotto, Devon ha detto che se si doveva mangiare del giapponese andava fatto su un tavolino basso. Li non è mancata una mia battuta sulla sua altezza, perché forse aveva paura di non toccare al tavolo dei grandi in cucina e poi mi sono fatto perdonare ed è una delle cose che adoro di più e visto dalla sua reazione penso che lo è anche per lui così. Durante la cena parliamo delle rispettive giornate, anche se c’è poco da dire visto che l’abbiamo passata quasi tutta insieme, quindi ci ritroviamo a parlare del lago e ciò mi riporta alla memoria la lettera.

«Il lago per noi era così importante perché ci piaceva la pace che ci regnava, ci sentivamo liberi, là era il nostro piccolo regno. È il luogo che sentiamo casa. E se te lo stai chiedendo quel giorno ho avuto quella reazione per il fatto che lui stava nel mio accordo stonato e quel pezzo parlava di noi. Mi ha fatto un certo effetto. . .»

«Mi stai imparando a leggere eh?»

«Me la cavo. . .»

«Ti amo.»

Quelle due piccole paroline erano diventate la base del mio vocabolario, come passavano nella mia mente eccole che già vibrano nell’aria. Aveva proprio ragione Thad nel dire che mi aveva stregato. . .

 

TBC...

  

 

Note dell'Autrice:

Buonasera!

Ecco a voi la lettera, è stata la prima cosa finita di questa storia. Ho riscritto l’inizio più volte e poi ecco che prende vita la lettera. Non mi odiate, ok? È stato anche per me dura scriverla, pensare a Kurt in quel modo mi ha distrutto un po’. Non lo odio, non sembra ma è uno dei personaggi che più amo, ma ho dovuto farlo. L’amico del protagonista nel romanzo si suicida nello stesso modo, anche se lì si pensa che l’hanno ucciso, però muore. La stessa cosa succede al vero colpevole, ho fatto questo parallelismo perché è ciò che sta alla base della mia storia.

Finalmente tutti i pezzi della storia di Blaine sono al loro posto, adesso manca il tassello della vita di Sebastian che penso che ormai l’avete capito già da un bel pezzo, però con loro me la prendo con calma.

Scusate oggi non sono di molte parole perché sono stanchissima se non vi è chiaro qualcosa non esitate a chiedere, se volete mi trovate qui.

Volevo ringraziare chi continua a leggere e che è rimasto dopo Relief, grazie anche a quella persona deliziosa che recensisce sempre. E grazie alla beta su cui posso sempre contare e che c’è sempre, grazie.

Spero di sentirvi presto, alla prossima!

Love always,

 

_Beth :)

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Capitolo 19
*** We'd be allright ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro "amato troll" Ryan Murphy;

questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Sono in un ritardo clamoroso, faccio schifo. Scusatemi

Buona lettura.

ps: vi consiglio questa canzone, sarà presente nel capitolo e mi ha dato l'ispirazione per il titolo. *here*

 

 

 

Boy B

 

.- We'd be allright.  -.

 

 

Mi dispiace svegliarlo, se fosse per me lo lascerei riposare, ma se non ci sbrighiamo entrambi faremo tardi e non voglio farlo arrabbiare come l’altra volta. Prima di svegliarlo lo stringo forte a me per un’ultima volta e gli lascio un bacio sulla nuca, visto che è l’unica parte accessibile. Mi piaceva stringerlo mentre dormiva e mi dice sempre che quando lo faccio gli incubi non lo vengono mai a trovare, ciò mi faceva sentire bene. E ha ragione: posso dire quanto volte che non mi importa di nessuno ma non è vero. Lui mi ha dato molte prove per farmelo comprendere. Lo capisco quando vedo che i suoi occhi si riempiono di lacrime, perché sta ricordando un qualcosa dal suo passato e io devo farlo sentire amato per fargli dimenticare di tutto, di tutto il dolore che ha subito sulla sua pelle, glielo devo. Ho imparato che l’amore è la migliore delle medicine grazie a lui. Lo capisco anche quando non sta con me e mi manca, mi manca terribilmente ed come se mi mancasse un pezzo di cuore, lo cerco ovunque. Dopo questi mesi non sarei mai riuscito a tornare alla vita di prima fatta di incontri occasionali e di sentimenti vuoti. Mai. Sono in questi momenti che ringrazio il cielo che lui non mi abbia lasciato quel giorno, che sia andato oltre alla mia maschera. Ne aveva tutti i diritti il mio passato è duro da affrontare e il suo peso è enorme, almeno lo era. Lui con la sua pazienza è riuscito un po’ a curarmi. Non pensavo che l’amore ti facesse stare così bene, vivo.

È perché lui è quello giusto.

È quello che mi dicevo sempre dentro di me. L’ho finalmente trovato. Ho finalmente trovato la ragione per cui vale la pena vivere, quella che cercavo tanti anni fa, quella che ho trovato a fatica dentro a fantasie. Ed è proprio per questo che ho paura, lui con me è stato sempre sincero, anche quando non avrebbe dovuto, io invece no. Non gli ho finito di raccontare della piccola Mary. Adesso mi trovo di fronte un’altra decisione: rovinare questa settimana con questa mia confessione o restare in silenzio e godere di ogni singolo istante.

«Dove sono?»

Ero talmente preso dai miei pensieri che non  avevo notato che si stava svegliando. Mi guarda un po’ confuso, ma quando mi mette a fuoco mi sorride e le mie labbra si piegano all’insù specchiando le sue. Ha un sorriso talmente meraviglioso che colpirebbe chiunque.

«A casa. Ieri sera abbiamo visto un film, uno che hai scelto tu a caso e dopo la seconda scena già dormivi beatamente, sembravi un bambino, e pensare che ero io quello stanco. Non ti ho svegliato a fine film perché eri così bello mentre dormivi che mi dispiaceva farlo quindi ho tirato su meglio il plaid, non sai che fatica ho fatto per non disturbarti troppo, ti eri attaccato peggio di un. . . koala! Ecco!  Ti ho stretto per tutta notte, perciò non mi posso lamentare. Fine. Lo sai che russi anche un po’?»

«Oh c’era un motivo per cui ho dormito così bene allora! Tu invece? E no, non russo io.»

«Lo fai eccome invece! Dai è un russare. . . tenero, ok? Come ho dormito, mmm vediamo: ho fatto il cuscino per un individuo che peserà una sessantina di kili, che non sta fermo manco quando dorme perché scalcia e russa. Grazie al libro che stava vedendo ieri ho la schiena che è andata perché per non sentirlo sul fianco mi sono messo in una posizione molto, ma molto scomoda. E considerando il fatto che si dorme meglio sul letto posso dire di aver dormito decentemente perché ne è valsa la pena.»

«Come mai tutta questa dolcezza?»

«Sono solo felice di averti nella mia vita, ho passato una notte in bianco e ho pensato molto. A noi, alla lettera e ad. . . altro. Voglio godermi questa settimana e poi si vedrà. Sappi che non mi importa cosa decideranno io non ti abbandono.»

Si avvicina a me e mi lascia un bacio leggero sussurrandomi un “ti amo” e poi mi afferra la mano, disegnandoci sopra qualche linea immaginaria che solo lui vede. Poco dopo viene attratto dal mio orologio e quando vede l’ora si alza in piedi velocemente e continua a ripetere “Siamo in ritardo, ma è possibile che quando sto da te non arriviamo mai in tempo? È tardi, troppo tardi!”. Mi sembra il Bianconiglio di Alice e per questo non riesco a trattenere una risata perché me lo sto immaginando con il panciotto e l’orologio gigante, però lui mi fulmina con lo sguardo, odia essere in ritardo.

«Cosa trovi divertente, di grazia?»

«Tu con le orecchie giganti e un panciotto che dici “è tardi”.»

Mi guarda stranito, come se non avesse capito il paragone. Poi apre la bocca e in quel momento capisce e butta tutta l’aria fuori prima di parlare.

«Ma quanti anni hai? 4?»

«No 5.»

«Sebastian non abbiamo tempo, vestiti e datti una mossa!»

«Perché sei così ossessionato dal tempo? Attacchi alle nove e non mi ci vuole tanto a prepararmi, tranquillo. Che hai?»

«Non abbiamo più tempo Seb, ecco che ho.»

«Parli di quella cosa? Troverò un modo io, fidati.»

«Non puoi rimediare a tutto, Sebastian.»

È rimasto vicino allo stipite con lo sguardo fisso al pavimento. Io mi avvicino a lui e con la mano cerco di fargli alzare il volto per far scontare i nostri occhi. Non hanno più quella dolcezza di prima, si sono incupiti, pieni della paura di affrontare il suo passato e porci una fine, non sarà un vero addio ma ne avrà il sapore e lui lo sa. Vorrei togliergli tutte queste paure, se veramente abbiamo una settimana non voglio che ce la rovinano. Ho deciso di restare in silenzio proprio per questo, se veramente non lo potrò più vedere non voglio che quando penserà a me mi associa all’ennesima persona che l’ha deluso, non posso farglielo. Ma se resterà parlerò, non riuscirei a vivere nemmeno con la consapevolezza di dovergli mentire per tutta la vita sperando in un suo perdono, in entrambi i casi sono finito.

«Sentimi bene. Lo so che non sono superman e che non posso aggiustare tutto, ci sono state delle persone che si sono affidate a me e che non sono riuscito a salvarle e saranno per sempre dei miei rimpianti. Ma la vita va avanti, no? E tutti ci dobbiamo rialzare e questo sarà uno dei tanti ostacoli che incontreremo nella nostra vita, ma tu non ti devi preoccupare, non ora, starò sempre al tuo fianco. Non mi stancherò mai di dirtelo ok? Io non ti abbandono, loro non possono dividerci adesso che ci siamo ritrovati, non permetterò a nessuno di farlo. Ho paura anch’io non ti credere, ma ce la faremo. E se tu dovessi ritornare a casa secondo te non trovo un modo per trovarti? In un modo o nell’altro ce la faremo. Fidati di me.»

«Scusami, lo faccio, ma. . .»

 «Niente ma, Devon. Adesso ci prepariamo, andiamo da Bob e ci diamo una svegliata con il suo caffè forte, poi ti porto al Jul’s e quando ho finito ti passo a prendere così andiamo dal tuo amico. E nel frattempo non dobbiamo pensare a questa settimana, pensiamo solo ad oggi.»

«Ci provo.»

«Così ti voglio, già dobbiamo affrontare un bel pomeriggio tosto se tu ci metti anche un altro carico sopra non arriviamo nemmeno alla fine di oggi.»

«Ok. Posso usare la doccia?»

«Certo. Questa è come se fosse casa tua, te l’ho detto. Vuoi che ti presto dei vestiti? Dovrei avere qualcosa. . .»

«Grazie. Ehm Sebastian. . .?»

«Dimmi.»

«Mi piace quando parli di noi in questo modo e mi dici che sto a casa. Non ho mai avuto un posto che sapesse di “casa”.»

«Nemmeno io. Ma mi basta guardarti negli occhi per capire quale sia il mio posto.»

Gli lascio un bacio leggero sulle labbra e poi vado a cercargli un cambio pulito mentre lui rimane a vedermi scomparire nella mia porta. Le poche persone che mi conoscono mi prenderebbero per pazzo se sapessero che aspetto il mio ragazzo fuori dalla doccia. Alla Dalton mi ero fatto un certo nome, ma rispettavo il suo “prendersela con calma”, anche se alcune volte era pesante e mi sarebbe piaciuto fare certe cose da coppia. Però più ci penso e più immagino che ci sia qualcosa alla base di questo “blocco”, ma non ne vuole parlare. So che la sua permanenza in riformatorio non è stata bella, lo capisco da come si irrigidisce e da come non mi guarda mai negli occhi, trema molto quando accenna qualcosa di quel periodo però se gli hanno fatto qualcosa hanno le ore contate. Hanno un codice tutto loro in prigione e le colpe che hanno attribuito a Devon e Kurt non stavano dallo loro parte. Ho paura che sia successo qualcosa, preferisco non affrettare le conclusioni, se è successo qualcosa me lo dirà. Almeno lo spero. Meglio che mi concentro su altro, non voglio rovinare questa giornata con i miei pensieri.

Fortunatamente lui e Thad sono alti quasi uguali, riesco a regolarmi bene su ciò che gli potrebbe andare visto che Thad si metteva più i vestiti miei che i suoi, non ho mai capito perché facesse così. Spero di trovare qualcosa di decente per lui.

 

****

 

Coma fa a sembrare così tranquillo. Perché sembra che solo io sono spaventato. Il tempo. Penso di non averlo mai odiato come in questi giorni, non gli avevo mai dato molta importanza, l’ho sempre trovato insignificante. In riformatorio non passava mai e alla fine imparai a non contare più i giorni. Ma ora mi preoccupa e non faccio altro che contare le ore. Sette giorni passano in fretta, anche se non lo si vuole. Si da un senso più profondo a tutto quando si realizza che 160 ore da passare con una persona sono poche, che non ti bastano per farle capire ciò che realmente provi. Nemmeno in un vita intera si potrebbe fare figuriamoci io con 160 ore. Mi sento uno stupido a fissarmi sul ticchettio fastidioso dell’orologio anziché sul battito del suo cuore, sembra stupido, ma sono stati i piccoli ritmi che hanno scandito la mia vita in riformatorio che mi hanno fatto impazzire. E  160 ore non ti bastano per abituarti all’idea di non vedere più quel sorriso che illumina la tua vita e che ogni volta ti fa mancare il fiato ogni giorno di più. Perché entrambi sappiamo che andrà a finire così, anche se lui lo nega, ma sicuramente come metto il primo passo nella casa dei miei ho già le valige piene e un biglietto sola andata verso un posto lontano da qui e ciò significherebbe dire addio definitivamente a Sebastian. Lui non può lasciare il suo lavoro da un giorno all’altro per me, abbandonare tutte le persone che si fidano di lui e con le quali sta costruendo delle nuove fondazioni alla base della loro vita, sono crollati per la loro debolezza e adesso hanno bisogno di lui, non posso essere così egoista. Forse una permanenza a Westerville potrebbe significare vedersi nei weekend, appuntamenti al tramonto nel nostro lago, lontano da tutti e dai loro pregiudizi, in quella piccola oasi solo nostra. È questo che mi fa paura, è questo che mi blocca alle porte del cimitero, il non sapere cosa mi accadrà nelle prossime 160 ore. Il mio futuro non mi preoccupa, so già che ha due vie: la prima è quella legata a Sebastian, quella felice, quella degna di essere vissuta; l’altra è una via triste, buia, senza di lui che ho paura di affrontare. Sto solo all’entrata del cimitero, gli ho chiesto di rimanere in macchina, dovevo affrontare questo da solo. Sono state le mie ultime parole prima di entrare in macchina, mi sono sentito un’altra persona per tutto il giorno. Tutti me l’hanno fatto notare, tranne lui. Lui rispetta sempre i miei ritmi, gliene sono molto grato. Il cancello del cimitero è aperto e si può vedere quel bellissimo prato curato tipico di quelli americani con le tombe bianche. Quando ero piccolo il nonno mi ci portava spesso, non riusciva a stare troppo lontano dalla nonna. Mi ricordo che le prendeva sempre delle rose rosse e delle rose gialle bordate rosa, entrambe simboleggiano l’amore, ma quelle gialle custodiscono nel loro profumo quell’amore nato per durare in eterno. Il nonno ci mise un pomeriggio intero per spiegarmi il senso delle loro rose. Un giorno lo vidi piangere in giardino, la cosa mi stupì molto, il nonno non piangeva mai, mi disse che era per colpa delle rose, avevano il suo profumo. Quel giorno non capii il suo comportamento, ma ora che sto davanti al cancello con l’odore di Sebastian impregnato nelle narici lo capisco perfettamente, sono le piccole cose che ti fanno restare unito e lui un po’ si era spento con lei.

Alle mie spalle sento un portiera aprirsi, è Sebastian. Esce dalla macchina e aspetta che io mi giri, che lo tranquillizzo. Quando mi volto verso di lui ci fissiamo e gli faccio il gesto che aspettava: allungo la mano verso di lui. Mi affianca subito. Per ora si limita a custodirla fra la sua, ma io ho bisogno di più. Lui lo capisce e mi stringe a se, mi sussurra un “andrà tutto bene, non è un addio. Andrà tutto bene”. Ma non mi tranquillizza nemmeno questo.

«Ho solo una lettera che mi conferma questo, una lettera che può essere benissimo una burla di cattivo gusto. Ma lì – indico il cimitero – lì sarà tutto vero. Non potrò dire “è tutto un falso” perché sarà reale davanti ai miei occhi, ci sarà il suo nome e quella maledettissima data. Non ce la posso fare.»

«Ce la farai, Blaine.»

Non mi aveva mai chiamato “Blaine”, in effetti non sentivo il mio nome pronunciato in questo modo da tanto tempo. Sentirlo così vicino a me mi da la forza per muovere un passo verso Kurt, non sappiamo dove l’hanno collocato, ma fortunatamente è molto piccolo. Quando varco la soglia sfilo la mano dalla sua, pur restandogli molto vicino è come se tutto questo non fosse giusto. Odiavo il fatto che il mio cuore era diviso in due, dopo tutto questo tempo Kurt aveva lo stesso effetto su di me, ma ora provavo solo un sentimento di amicizia verso di lui, solo quello. È sempre stato molto geloso di me e ho paura che non gli piace il fatto che io tengo per mano un altro uomo.

«Da dove potremmo iniziare?»

«Non lo so. Forse sta vicino alla madre.»

«Gli è pure morta la madre?»

«Sì. Era piccolo, aveva otto anni. Me lo ricordo bene quel giorno. Era devastato, per non parlare di Burt, suo padre. Eravamo vicini di casa e quando Burt vedeva che la madre stava per avere una crisi o dovevano andare di corsa all’ospedale chiamava mamma, era sempre gentile con loro, capiva la situazione e sapeva che con me avrebbero fatto lo stesso. Stava peggio quel giorno, il cancro stava avendo la meglio su di lei, era una donna forte, ma alcune volte non basta per pareggiare la malattia. Considera che mi madre fece dei biscotti al cioccolato, i nostri preferiti, ce li faceva solo per occasioni speciali o per premiarci. Quindi era molto strano per noi, ma eravamo dei bambini, che ne potevamo sapere noi? Che quello non era un semplice gesto, ma nascondeva qualcosa di tremendo? Quel giorno lo passammo tutto insieme, dormì anche da noi. Sua madre morì quella notte. Kurt se lo sentiva, non riusciva a prendere sonno e perciò gli feci un po’ di spazio nel mio letto e lui mi strinse molto forte, mi disse “ho paura”. Tremava e pianse tanto. Non se lo sapeva spiegare. La mattina dopo arrivò suo padre, con delle profonde occhiaie e sembrava più vecchio. Mia madre sapeva, aveva ricevuto una telefonata strana la mattina. A Kurt gli bastò guardare negli occhi del padre per capire, corse verso di lui e pianse tutte le lacrime che aveva, era disperato, non vederla al fianco di suo padre lo fece scattare. Ci abbiamo messo molto per farlo tornare il bambino felice di un tempo. L’amore ha questo potere, no? Era il mio migliore amico e lo volevo felice, se lo meritava. Alcune volte quando andavo a casa sua lo trovavo nell’armadio della madre a piangere. Mi sentivo  così inutile. Scusa.»

«Per cosa?»

«Non ne parlo mai e mi sono lasciato trasportare, forse ho parlato troppo.»

«Non ti preoccupare, ci sono abituato. Dev va bene se parli con me, sono uno che ascolta e mi piace farlo. Quando ti va di sfogarti non farti problemi, lo dovresti sapere a questo punto, no?»

«Dovrei, ma è una cosa nuova per me quindi mi ci devo abituare.»

«Hai tutto il tempo per abituarti, Dev.»

«No.»

«Devon, non ricominciare.»

«Dobbiamo andare per di là. Ha una statua vicino. Fra un po’ la dovremmo vedere.»

Accelero il passo e lo sento sbuffare dietro di me. Non mi piace farlo arrabbiare. Quando vedo la statua mi sento tremare le gambe. Sta lì. Sento che si ferma per lasciarmi un po’ di minuti da solo. Appena arrivo in quel punto vedo una persona piegata verso la tomba di Elizabeth, la pulisce con estrema cura. Indietreggio senza fare rumore, penso di sapere chi è.

«Che è successo? Ci hai ripensato?»

«No, ma vedi quello? Penso che sia Burt. Non può vedermi.»

«Non penso che ti possa riconoscere, sei cambiato molto.»

«Ma se io porto dei fiori a Kurt mi riconoscerà.»

«Va bene, aspettiamo fino a quando se ne va.»

Ci nascondiamo per bene dietro ad un albero, ma da qui ci è impossibile vedere Burt purtroppo. Sebastian si siede sul prato e mi inviata a fare altrettanto, ma non ce la faccio a restare fermo. Incomincio a camminare avanti ed indietro.

«Ti prego fermati. Mi sta venendo il mal di mare.»

«Non ce la faccio. Oh guarda ha fatto.»

Corro verso di lui, non bado a ciò che ho intorno esiste solo quel punto bianco che lo custodisce, perciò vado a sbattere contro qualcosa e da lontano sento la leggera risata di Sebastian.

Che c’è di tanto divertente?

«Giovanotto perché non badi a dove guardi?»

Quella voce. Era leggermente cambiata, era aggravata dal peso dell’ennesima morte di una della persona che più amava. Ma aveva ancora quella sfumatura che sapeva di casa. Burt Hummel. Da quanto tempo che non lo vedevo, era come un padre per me. Sebastian mi affianca subito e mi mette una mano sulla spalla.

«Mi scusi, signore.»

Lui ci guarda strano, so che non lo fa in un senso negativo. Forse vede in noi il futuro che poteva vivere Kurt. Mi sorride, come faceva sempre.

«Non ti preoccupare, quando si è innamorati si vive in un’altra dimensione.»

Io e Sebastian ci scambiamo uno sguardo imbarazzato, non ce lo aspettavamo.

«Mi ricordi mio figlio, avete gli stessi gusti in fatto di fiori. Erano i suoi preferiti, mi diceva sempre che le amava perché il suo migliore amico profumava come le rose, sai le curava insieme al nonno.»

Mi irrigidisco. Non so che dirgli.

«Oh scusatemi, vi sto disturbando. Sono solo un povero vecchio rimasto solo con il suo lavoro.»

«Non si preoccupi, ci piace ascoltare ciò che la gente ha il bisogno di dire.»

Fortunatamente risponde Sebastian al posto mio. Burt ci sorride.

«Grazie. Sono Burt.»

«Sebastian.»

Si stringono la mano e io rimango fisso a guardare il terreno.

«Scusalo, è una giornataccia per lui. Siamo venuti a trovare una persona che gli è molto cara. Lui è Thomas.»

«Lo capisco. Io vengo qui ogni giorno e ancora non mi capacito che è veramente accaduto.»

«Tutti?»

La mia voce mi esce terribilmente fragile. Perché non riesco a controllarmi?

«Certe persone rovinano la tomba di mio figlio, alcune volte ci metto molto tempo per pulire tutto il loro casino. E mi mancano, vengo qui e mi sembra di averlo ancora vicino a me. Sai cosa mi aiuta? Parlarci. Affrontare la perdita di qualcuno è molto difficile, Thomas. Ma alla fine bisogna essere forti anche per loro, ho provato a farmi una nuova vita come mi ha detto mio figlio. Ma è difficile. Però ho trovato una persona che mi sta insegnando a vivere. Penso che il mio piccolo Kurt avrebbe amato Carol. Lo so quando una persona se ne va è come se portasse via con se una parte di te, ma qui sta il bello: ricostruire quella parte. È l’unico modo per andare avanti.»

Finalmente alzo gli occhi e lo guardo. Quando i nostri occhi si incrociano cambia espressione è come se mi avesse riconosciuto. Si avvicina a me e mi abbraccia. Non me lo aspettavo e questo mi fa sentire piccolo, come quel giorno dopo il processo. Anche quel giorno mi aveva stretto fra le braccia, visto che i miei se ne erano andati subito dopo la fine senza degnarmi di uno sguardo, solo mio fratello era rimasto un po’ di più. Mi godo questa sensazione fino a quando lui non si stacca velocemente.

«Scusami. Per un attimo ti ho scambiato per quel ragazzo gioioso che è stato sempre vicino al mio Kurt, ma non puoi essere lui. L’hanno portato via come hanno fatto con il mio Kurt, l’hanno separati e ciò è quello che l’ha distrutto. Spero che stia bene, è un bravo ragazzo.»

Vorrei potergli dire che sono io, che sono quel ragazzo gioioso di cui parla. Mi limito a sorridergli.

«Burt io scommetto che questo ragazzo è in buone mani.»

È quello che gli dice Sebastian, prima di sorridermi.

Già Burt, non potrei stare meglio.

«Io devo andare ora, il lavoro mi chiama. Grazie per il vostro tempo.»

«Quando vuole, se la prossima volta ci vede ci può fermare ancora, vero Thomas?»

«C-certo.»

Prima di avvicinarci a Kurt aspettiamo che si allontana.

«Sembra molto stanco.»

«Ne ha passate tante, Dev. È normale. Sapere che tuo figlio si è tolto la vita e tu non hai potuto fare niente per salvarlo perché ti hanno vietato di vederlo è devastante. Soprattutto dopo che ha già perso la sua metà. Sei pronto?»

Gli faccio cenno di sì con la testa, anche se non lo sono.

La tomba di Elizabeth è come me la ricordavo, rispecchiava molto la sua semplicità. Ma ciò che attirò la mia attenzione era quella di Kurt. Era più lavorata e si potevano vedere benissimo i segni vandalici che Burt aveva provato a cancellare.

Kurt Hummel.

Mi faceva uno strano effetto leggere la data della sua morte, lo faceva sembrare così. . . reale. Sento che le gambe non ce la fanno più a reggermi, cado e Sebastian resta fermo a guardarmi. Non mi accorgo nemmeno di aver iniziato a piangere, le lacrime scendono copiosamente e non riesco a fermarle. Vorrei che ci fosse un modo per tornare indietro per trovare un modo per fermarlo, ci deve pur essere. Sto provando diverse emozioni, mi sento scoppiare. Ho il bisogno di urlare, ma non voglio farmi sentire dagli altri, mi sono esposto fin troppo con Burt non posso rischiare ancora. Le rose sono affianco a me, leggermente rovinate per colpa della caduta.

«I believe that after we're gone the spirit carries on.»

«Che hai detto?»

«I believe that after we’re gone the spirit carries on. Sta scritto là. . . mi suona familiare.»

«Sarà una di quelle frase fatte, Seb.»

«If I die tomorrow I'd be allright because I believe that after we're gone the spirit carries on. Ma certo! Thad è fissato con questo gruppo, c’è stato un periodo che sentiva solo i Dream Theatre.»

Mi ricordo questo nome. . .

 

«Sono i preferiti di papà. Ogni volta che vado in officina li sente. Non è buffo?»

«Forse, ma la musica fa questo effetto a tutti no?»

«Rende buffi?»

«Ma no, Matisse! Rende. . . com’è che lo chiama papà. . . Dipendenti, ma non in senso brutto. Ha un senso brutto?»

«Non lo so. . . ma non penso se è riferito alla musica.»

«Come si chiama la canzone che ha reso. . . dipendente il tuo papà?»

«Non lo so il titolo, la prossima volta che vado in officina te lo faccio sentire. Mi ricordo solo il nome del gruppo “Dream Theatre”»

 

«Dev, tutto bene? Sei diventato molto pallido. . .»

Era preoccupato, lo sentivo benissimo anche se la sua voce mi arrivava ovattata. Mi prende il viso fra le mani, sento chi amaramente una piccola pressione sotto il mento. Non so che mi sta capitando, perché mi sento così strano? È così potente un ricordo?

«Devon?»

«Sto bene. . . mi è solo tornata in mente una cosa.»

«Sei sicuro? Mi hai fatto prendere un colpo.»

«La cantava sempre.»

«Kurt?»

«Sì. Me la potresti cantare?»

«Non me la ricordo molto bene. . .»

«Nemmeno io, ma ti prego fallo per me.»

Non so perché gliel’ho chiesto, forse volevo solo provare a ricordare ancora. Era da un po’ che non succedeva, prima mi accadeva molto spesso.

Lo sto forse dimenticando?

Mi prende le mani, sa di come ho bisogno di un contatto in questi momenti. E inizia a cantare, la sua voce all’inizio è molto bassa, come se non si volesse farsi sentire dagli altri. Ma ci siamo solo noi.

Mentre canta chiudo gli occhi e pian piano delle figure dentro alla mia testa prendono forma: un officina, due bambini che giocano dentro l’ufficio, il posto che è più caldo e dove ti puoi riparare meglio dalle giornate invernali di gennaio. Mi sento dentro a quella scena, ma allo stesso tempo è come se non ci fossi, come se fossi aria, materia intangibile. Parte la canzone che stava cantando prima Sebastian, ma non è più la sua voce che vibra accanto a me, ma una voce più da bambino, che sfiora l’angelico. Quanto mi era mancata la sua voce. Mi avvicino sempre di più ai bambini, quando apro la porta noto che non ci sono più in quella stanza, tutto sembra cambiato. Kurt sembra più grande, maturo. Non vedo bene il suo viso perché sta sulla scrivania e ha lo sguardo fisso verso un foglio, noto che ha la mandibola più marcata, più da uomo. Ha le spalle basse, come se fossero stanche e non ce la facessero più a sopportare tutto il peso delle colpe che gli hanno attribuito. È come se fosse arrivato al limite. Anche la voce è cambiata, è più stanca. Quando scriveva cantava sempre quando non aveva a disposizione uno stereo, mi sono sempre chiesto come ci riusciva. Poi capisco, è la sua stanza. La stanza che è stata la silenziosa spettatrice della sua fine. Vorrei stringerlo a me per fargli capire che non è da solo, ma non ce la faccio perché non riesco a muovermi  è come se avessi una barriera di fronte a me che mi tiene prigioniero. Provo ad urlare con tutto il fiato che ho in corpo, ma niente, lui non mi sente. Continua a cantare e dopo aver fissato per un ultima volta la lettera si alza, si avvicina sempre di più e da questo punto mi posso perdere in quel mare tormentato nascosto dalle sue ciglia, ma lui non mi vede e non incrocia i miei. Si sistema la camicia di fronte a me, questo mi fa capire che forse sono intrappolato nel suo specchio.

Ma che sta succedendo?

Ad un certo punto alza gli occhi verso di me e ora la voce è chiara e riesco a distinguere le parole.

«Move on, be brave. Don't weep at my grave ‘cause I am no longer here. But please never let our memory of me disappear.»

Mentre canta questo pezzo i suoi occhi si riempiono di lacrime provo ad allungare la mano ma sento solo il freddo vetro che mi tiene prigioniero al suo interno.

«Ti prego, non dimenticarmi mai Blaine.»

Ha detto il mio nome. Perché non riesco a farmi vedere. Sbatto forte i miei pugni sul vetro, ma niente. E se provassi a cantare con lui? Mi riuscirebbe a sentire? Ma non mi ricordo come fa. . .

Lo vedo prendere la sedia della scrivania  e la porta sotto al ventilatore e solo in quel momento mi accorgo della corda. Vorrei urlagli di fermarsi, ma questo è solo un sogno e non posso fare niente. Quando canta “If I die tomorrow I'd be allright because I believe that after we're gone the spirit carries on” la sua voce è ancora più ferma, come se ci credesse veramente. Mentre lo vedo che si sistema il cappio sul collo mi sento morire, come se una forza invisibile mi stesse dilaniando il cuore e  per risposta ogni piccolo pezzo del mio corpo si stacca da me. Non farlo gli vorrei urlare. Ma ormai è troppo tardi. Le lacrime continuano ancora a cadere dal suo viso, non canta più ora. Prima di far finire tutto chiude gli occhi per un ultima volta e poi sussurra un “ti amo, spero che non mi dimenticherai ovunque tu sia. Addio Blaine”. Io a mia volta gli mimo un “arrivederci” che non vedrà mai. Poi un salto prima del buio.

 

 

******

 

«Oh mio Dio, Devon! Meno male che ti sei svegliato, mi hai fatto morire.»

«Non dirlo.»

«Dev?»

«Non dire che ti ho fatto morire.»

«Dev è un modo di dire, tranquillo. Stai fermo adesso, sei svenuto, credo. Ad un certo punto ti sei accasciato su di me.  Ti ho riportato alla macchina per stenderti.»

«Scusa è la prima volta che mi capita.»

«Non ti preoccupare, il nostro cervello reagisce in questi modi quando non riesce a reggere certe emozioni, ti fa distaccare con la realtà perché non riesce a sopportarne il peso. Tranquillo ora, ok?»

«Allora penso che questa volta si è sbagliato. Ho fatto uno dei più brutti incubi della mia vita, era così realistico che pensavo di morire pure io.»

«Pure tu? Chi altro è- oh.»

Mi guarda negli occhi e noto che sono pieni di lacrime, gli apro le braccia e lui ci si rifugia subito. Mi sento impotente di fronte a questo suo dolore. Mi limito a fargli sentire la mia presenza vicino a lui, fargli capire che ci sono e che non lo abbandonerò mai. Ha rivissuto quella scena, beh una simile, come se l’immagina lui, che lo ha distrutto. Non so se vederla con i suoi occhi una cosa del genere gli sia stato d’aiuto, forse ora ha acquistato una nuova consapevolezza che lo potrebbe aiutare nel voltare pagina per poter vivere in pace con il ricordo di lui.

«Shh è tutto finito ora, Dev. Tranquillo.»

«Sembrava tutto così vero. La sua voce. Sembra di stare in un paradiso al centro dell’inferno. Sai una cosa? Mi ha detto addio. Prima di saltare ha fatto il mio nome. Io non ce l’ho fatto a dirgli addio. . .»

«Gli hai detto “arrivederci”, vero?»

Annuisce contro il mio petto, ora sembra più calmo. Gli lascio un bacio fra i suoi capelli ricci prima di rimanere in silenzio nei sedili posteriori della mia macchina.

«Mi ha chiesto di non dimenticarlo, ma ho paura che un giorno succederà. . .»

«Non succederà invece. Sai alcune volte ho invidiato questo legame, è difficile competere con una persona del genere.»

«Competere?»

«Sono stupido, lo so. Ma la sua presenza è molto presente nella tua mente e alcune volte mi chiedo se anche la mia è così. E alcune volte devo far in modo di essere migliore.»

«Non devi farlo.»

«Lo so. Non lo farò mai più, sono sempre stato geloso di lui.»

Alza il viso per far incrociare i nostri occhi, ci fissiamo per del tempo che sembra infinito e poi mi lascia un leggero bacio sulle labbra.

«Io amo te, ora.»

«Anch’io ti amo.»

Mi sorride, finalmente i suoi occhi sono più liberi dello spettro del suo passato. Mi chiedo se mai ritorneranno limpidi come un tempo. Ma ci vuole pazienza, e fortunatamente ce l’abbiamo entrambi.

«Torniamo a casa?»

«Ai tuoi ordini. Rimani qui o vieni davanti?»

«Avanti è meglio, non mi sono mai piaciuti i taxi.»

Mi dice ridendo. Esco dalla macchina e lo vado ad aiutare, ho paura che è ancora un po’ debole. Gli apro lo sportello e lo invito ad afferrarmi la mano, la stringe senza esitazioni. Mi piace questo modo che ha di fare, come se si fidasse ciecamente di me.

«Guarda che sto bene, non preoccuparti.»

«Meglio non rischiare – gli dico sorridendo – non pensi?»

Gli chiudo anche lo sportello e poi ritorno al mio posto. Quando mi sono messo la cinta mi giro verso di lui e lo vedo pensieroso.

«Secondo te è vero?»

«Cosa?»

Mi fa cenno di aspettare con la mano, come se dovesse ricordare qualcosa che gli è appena sfuggita.

«If I die tomorrow I'd be allright because I believe that after we're gone the spirit carries on – mi dice cantando prima di aggiungere – secondo te lui sta bene?»

«Penso che ha finalmente smesso di soffrire. Non credo molto in tutte queste cose religiose, tipo il paradiso che premia i buoni, non so se per il fatto che io sia gay quindi mi sono sempre sentito dire che finirò all’inferno, però penso che qualcosa ci sia dopo. Non mi piace l’idea che tutto possa finire, un qualcosa ci deve stare. Forse si incomincia tutto da capo, non saprei che dirti, ma ora lui non soffre. Ti sei fissato con quella canzone, vero?»

«Un po’ – mi dice imbarazzato – lo spero anch’io.»

mi sporgo verso di lui il più possibile, ma con la cintura di sicurezza allacciato mi risulta tutto scomodo, fortunatamente lui capisce i miei piani e si avvicina lui. Questa volta il bacio dura di più, mi ha detto che l’amore riesce a curare tutte le ferite e spero un giorno di riuscirci con le sue. Metto una mano sulla sua guancia e poi mi allontano il giusto per poterlo guardare negli occhi.

«Troverò il modo per sistemare le cose, staremo bene, ok? Non preoccupiamoci più.»

«Mi fido di te.»

Quando metto in moto sento come se avesse deciso finalmente di mettere da parte il passato, tenersi ciò che gli sta più a cuore e dimenticare tutto ciò che gli ha fatto male, almeno ci proverà.

La sua vita ricomincia con quel arrivederci, grazie a quello è riuscito ad allontanarsi dal suo passato per concentrarsi sul suo presente. Per il futuro non abbiamo fretta, tutto andrà per il meglio, mi ci impegnerò per dargli tutto ciò che merita e starà bene, staremo bene.

 

TBC...

  

 

Note dell'Autrice:

Salve!

Non so come scusarmi, sia con il capitolo e sia con il ritardo schifoso con cui ho aggiornato. Mi dispiace, ma non ho mai tempo. Lo studio è massacrante in alcuni periodi e il tempo libero che mi rimane lo passo a teatro a provare. Questo è per dirvi che il mese d’aprile sarà ancora più incasinato perché ho 5 date e abbiamo tre settimane per provare e ciò vuol dire che passerò più tempo a teatro che a casa e avrò pochissimo tempo per scrivere, mi dispiace tantissimo. Scusatemi e armatevi di pazienza. Ok, me la finisco qui che ho poco tempo e devo parlare del capitolo.

* prende un respirone * VI PREGO NON ODIATEMI TROPPO, HO DOVUTO FARLO. SCUSATEMI! All’inizio non volevo trattare del. . . suicidio di Kurt (mi fa un non so che scriverlo), volevo limitarmi alla lettera perché lo amo e scrivere questo mi uccide, però si devono mettere da parte i feelings per il fine della storia (SONO UN ESSERE IGNOBILE) e l’ho fatto. Ho pensato che Blaine che vedeva e sentiva con le sue orecchie quell'addio, anche se lo immagina solo, poteva essere l'unico modo per fargli chiudere completamente con il passato. Ho compensato tutto questo angst con la fluffosità (?) e la perfezione di quei due cuccioli di Bee e Bas. Visto che sto in ritardassimo e mi devo sbrigare, prove anche oggi, me la finisco qua.

Spero che questo capitolo, che è uno di quelli che ho molto a cuore, vi sia piaciuto e mi renderebbe molto felice sapere che ne pensate. *occhi da cucciolo*

Ringrazio le persone che hanno recensito e che rimangono anche se sono una ritardataria cronica, grazie veramente. 

Ringrazio la beta, oh e se per caso troverete delle cose strane sul capitolo, è lei. Si diverte a sclerare e aggiungere gli scleri alla ff. Chi ha letto l'ultima os che ho pubblicato, per chi non l'ha fatto la trovate *here*, si è imbattuto in un SOFFRO, SAPPILO. Questa cosa mi ha fatto ridere per giorni e giorni. Starò più intenta in futuro, ma se dovesse ricapitare, è una cosa normalissima :) 

Alla prossima e spero di fare presto questa volta!

Love always,

Beth :)

ps: se vi interesa ora sono anche su tumbrl quindi se vi serve qualcosa potete contattarmi anche li :) 

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Capitolo 20
*** Home ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro Ryan Murphy, pelatone fortunato; *sigh*

Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro (mi fa sempre ridere scriverlo), ma è stata fatta solo per il puro piacere di scrivere di quei due baldracchi che mi hanno rubato il cuore.






Home.

 

Casa. Per quante volte avevo immaginato come ci si potesse sentire in un posto del genere? O quante volte nel freddo della mia camera nel riformatorio avevo pregato quel Dio che non mi ha mai ascoltato di farmi tornare a casa mia? Troppe, da perderci il conto. Mi immaginavo con i miei a fare le tipiche cose che fanno le famiglie americane tipo oppure mi iniziavo a ricordare dei piccoli concerti che improvvisavo con Cop e Kurt, quest’ultimo ricordo faceva male, forse era quello più doloroso perché niente mi avrebbe mai riportato indietro lui. Ma adesso dopo dieci anni mi sentivo bene, mi sentivo vivo, mi sentivo forte come non mai e tutto questo lo devo a Sebastian che mi ha dato la forza per affrontare la morte di Kurt, di andare da lui, e adesso fra le sue braccia mi sento a casa. Lo avevo pregato di andare al lago, non mi andava di ritornare da Shannon perché non volevo stargli lontano, avevo bisogno di sentirlo vicino, questa sera come non mai, lui non se lo era fatto chiedere due volte e anziché prendere la strada che ci avrebbe portato a Columbus invertì la rotta verso il nostro posto. Prima di andare lì ci eravamo fermati a prendere qualcosa da asporto, la dispensa è sempre vuota visto che ci va molto raramente. Da quando avevamo lasciato il cimitero mi ero rinchiuso in quel silenzio che per tanto tempo ha fatto parte della mia vita. Sebastian di fianco a me si limitava a stringere la mia mano nella sua quando non gli serviva per i cambi e pian piano ci avvicinavamo al lago che ci aveva visto trovarci. Benché avessimo preso da mangiare nessuno dei due aveva fame, almeno non quel tipo che può essere saziata col cibo, mi sentivo strano. Appena fermò la macchina ci dirigemmo verso il ponticello, alzai lo sguardo verso la luna che brillava maestosa fra le stelle e poi mi girai verso di lui, lo trovai ancora più bello, gli tesi la mano e lui me l’afferrò, io appoggiai la testa sul suo petto e le lacrime incominciarono a cadere un’altra volta.

«Dev, che c’è?»

«Niente.»

«Non si piange per i niente, Dev.»

«Questa è stata una giornata pesante e penso di realizzarla bene solo ora. Non pensavo che vedere il suo nome in quella lapide fredda mi potesse fare questo effetto. Mi sento più vivo rispetto alle altre volte visto che ora possiamo accantonare questo fatto e riniziare da capo, un’altra volta senza la presenza del suo fantasma nella mia testa, mi ha detto addio. E poi c’è stato Burt, è stato come un padre e ho odiato mentirgli. Però siamo qui ora ed è quello che conta vero?»

Mi fece allontanare dal suo petto per potermi guardare negli occhi, mi sorrise e allunga la sua mano verso di me e strinse la mia fra la sua.

«Piacere. Sono Sebastian Smythe e penso di essere innamorato di te da sempre. Tu?»

«Sono Blaine, solo Blaine. E tu sei anche il possessore del mio cuore.»

Detto questo mi riprecipito nel suo abbraccio e lui mi stringe a se ancora di più, mi aggrappo a lui come se da ciò dipendesse la mia vita.

«Andrà bene.»

Disse sicuro fra i miei capelli, poi incominciò a dondolare e poggiò la testa sul incavo del mio collo. Poi incomincia a sussurrarmi “it's a marvelous night for a moondance with the stars up above in your eyes. . .” e mi fece ridere e lo strinsi ancora più forte a me. Ero finalmente a casa.

 

Con ancora il sapore delle sue labbra nella mente stavo suonando con gli occhi chiusi, visto che ultimamente venivano pochi clienti potevo liberamente stare li per conto mio e questo mi rattristava molto, era come se la magia della musica si stesse affievolendo, la gente passava senza degnare di uno sguardo il negozio. Questo era uno di questi giorni e ciò che lo rendeva ancora peggio era l’assenza di James. Aveva avuto un problema quel giorno e mi aveva lasciato la gestione. Il suono dei campanelli che prendono vita quando qualcuno entra nel negozio non mi distrae, troppo preso da questi ricordi. Entra una signora, sulla trentina, o meno, e dietro di lei nascosta dalla sua gonna c’era una bambina. La madre ha un sorriso dolce sul viso e accarezza dolcemente i biondi capelli della piccola, per tranquillizzarla. Mi osserva con occhietti rapiti, tirò piano la gonna della mamma e disse sussurrando.

«Mamma ma lui è un angelo?»

La madre rise e ciò mi fece fermare. Lei mi guarda rammaricata, non voleva farmi fermare.

«Mi scusi molto signora, è da tanto che aspetta?»

«No, siamo entrate adesso. Mi dispiace che ti abbiamo fatto fermare.»

Sorrido e mi alzo dal seggiolino.

«Sei un angelo?»

Ciò mi fece bloccare suo posto, un angelo? Io? Mi abbass fino a quando non sto alla stessa altezza della bambina.

«Piccola io non sono un angelo. Fra i due quello che lo potrebbe essere sei tu.»

«Ma no! Tu lo sei!»

«Scusala, è testarda. Beth perché non dici a. . .»

«Mi chiamo Thomas, lei?»

«Quinn. Tesoro digli cosa cerchi?»

«Un violino!»

Mi disse con quegli occhioni verdi che brillavano per quanto era felice. Una piccola musicista, spero che questa passione non l’abbandoni mai.

«Un violino? Ti dico un segreto: qui abbiamo i violini più belli!»

«Oh lo sappiamo vero piccola. Mi è stato detto che qui vado sul sicuro.»

«Chi gliel’ha detto? Deve conoscere molto bene il Jul’s, il signor James ha un trattamento speciale per i violini. Se venite con me glieli faccio vedere.»

Un giorno, quando James mi portò a vedere questa immensa stanza dove erano custoditi tutti i violini, io ne rimasi ammaliato e gli chiesi come mai ci stessero tutti questi violini, la risposta era una e semplice: per la sua Juliette. Era una violinista e fu per questo che lui si innamorò di lei, in quel pomeriggio d’autunno e da quel giorno in poi lui cercò un modo per entrare in contatto con lei, impegnandosi di più per farsi notare, ma non ne aveva bisogno perché con la sua musica era riuscita a toccare le corde del cuore di Juliette che nessuno, tranne lui, sapeva suonare. E quando morì divenne ossessionato dai violini, era un modo per sentirla vicino.

«Sai non ci capita spesso di vedere dei piccoli musicisti, spero di trovare qualcosa.»

«Perché no?»

«Beh il posto non è molto a portata di mano, vengono qui solo chi conosce James.»

Quando apro la porta dei violini sento la piccola Beth che trattiene il fiato per quanti ce ne sono, non ne aveva mai visti così tanti tutti insieme.

«Mamma! Ce ne sono tantissimi!»

Disse tutta agitata sbattendo le manine e poi iniziò a correre per tutta la stanza guardando ogni singolo strumento appeso al muro!

«Beth calmati, romperai qualcosa così. Torna subito qui.»

Ma non la sentiva, la capiva e sapeva che non si sarebbe fermata tanto presto. Presi uno dei violini appesi e mi misi ad accordare, poi iniziai a suonare una melodia che era sicuro che Beth conoscesse e ciò le fece fermare immediatamente. Lo guardò con un sorrisone gigantesco che mostra in bella vista il vuoto lasciato dalla caduta di un dente da latte. Poi la sua vocetta si unì al violino.

«La conosco! Mamma sono gli Aristogatti! Do Mi Sol Do Do Sol Mi Do. Se buon musicista tu vuoi divetar.»

Ora che avevo la sua attenzione potevo anche smettere.

«Nooooo perché ti sei fermato?»

«Il violino non è il mio strumento, non so suonarlo bene. Poi dobbiamo trovarne uno per te.»

«Ok ma prometti che dopo la fai al piano?»

Disse mostrandogli il mignolo e lo afferrai.

«Promesso.»

«Thomas, non devi veramente.»

«Mi fa piacere, poi l’ho promesso!»

«Mamma le promesse col mignolo non possono essere infrante!»

In quel momento la piccola Beth gli ricordò lui, che durante i pomeriggi passati col nonno lo pregava sempre di poter suonare con lui, la capiva molto bene.

Non ci volle molto per trovare il violino perfetto per lei, visto che appena lo vide se ne innamorò all’istante. Lo guardava con occhi adoranti e disse a Quinn:

«Mamma vedi, non è la violinista che sceglie il violino, ma è il violino che sceglie la violinista. Non lo trovi bellissimimissimissimo?»

Io e Quinn ci guardiamo contemporaneamente per poi scoppiare a ridere. Era una forza della natura quella bambina ed era abbastanza furba da cambiare le citazioni a suo favore, diventerà un bel tipetto da grande.

«Tom andiamo al piano? Dai ti preeego.»

«E va bene, ai suoi ordini principessa.»

«Thomas prima posso pagartelo?»

«Oh ma certo, ma non ti devi preoccupare puoi farlo anche dopo. Beth intanto vai nell’altra stanza e aspettaci la ok?»

Lei va di corsa nella stanza del piano, tutta felice e la sentiamo mentre pigia alcuni tasti. Non deve aver ancora iniziato alcuna lezione di alcun tipo.

«Lavori da molto qui?»

«Oh no, solo da qualche mese.»

«Non penso che aspiravi a questo dopo aver finito il college, vero?»

Al sentire la parola “college” mi viene da ridere, considerando che non ho nemmeno finito il liceo.

«Scusami, in realtà non ci sono stato.»

«No? Credevo di sì da come suonavi.»

«Mi piace solo la musica e imparo in fretta. Mi sta insegnando qualcosa James adesso.»

«Mi dispiace, non volevo essere invadente.»

«Non ti preoccupare.»

Mentre digito il prezzo del violino sulla cassa noto l’ora. 18:30

È passato veramente tutto questo tempo?

«Ecco fatto, se vuoi lo puoi lasciare qui. »

«Grazie mille.»

«È il mio lavoro Quinn, – le dico con un sorriso – veramente non ti devi preoccupare.»

«Mi riferisco a Beth. Sai ne abbiamo passate tante e difficilmente si fida in questo modo di un adulto che non conosce.»

«Mi dispiace.»

«Non esserlo.»

«La musica l’aiuterà, fidati. Anch’io ho incominciato da piccolino a suonare il piano, credo di esser nato con la musica nelle vene ed è stata quella costante a cui mi aggrappavo quando non ce la facevo più con le mie forze. È una bimba forte.»

«Grazie.»

Mi dice con un sorriso che ricambio di cuore.

«Grazie a voi.»

«THOOOOMAAASSS!»

«Qualcuno reclama le mie attenzioni.»

 

 

«Toc toc»

«Avanti, Jud! Caffè! Sei una santa.»

«No, ti conosco. Non ti sei fermato un attimo oggi. Guarda, non hai toccato cibo.»

«Lo so. Stavo sistemando gli appunti di Thomas inesistenti visto che non l’ho mai presi con lui. William sarà qui a breve e tutto deve essere finito.»

«Lo sai che molto probabilmente avranno già deciso il da farsi?»

Poso la penna e finalmente la guardo.

«Non si devono azzardare a portarmelo via. Lui resta qui anche a costo di rapirlo e andare in Sudamerica e metter su una fattoria di lama.»

«Sebastian.»

«Ha bisogno di me come io ho bisogno di lui per vivere. Non possono farcelo.»

«Sai che questa cosa era destinata ad essere temporanea?»

«Come so che non si doveva innamorare di me. Ma è successo, Judith.»

«Questo non giocherà a vostro favore, potrebbero dire che sei troppo coinvolto nella situazione e che Thomas necessita di persone con un’alta professionalità.»

«Io sono il meglio. Ma a lui non serve uno psichiatra che gli faccia il lavaggio del cervello annullando la sua personalità! A lui serve un amico di cui si può fidare!»

«L’hai detto tu: amico.»

«Da che parte stai tu?»

«La tua.»

«Non sembra.»

«Mi preoccupo per te, Sebastian.»

«Beh non ne ho bisogno. Grazie per il caffè ma se permetti devo stare da solo. Ho del lavoro da fare. Chiama quando viene Will.»

Appena aver detto queste parole già me ne pento e mi basta guardarla per capire che l’ho ferita, mi odio per questo. Provo a fermarla ma è già fuori dalla stanza e la porta sbatte forte ed è l’eco di quel dolore che si fa spazio nel suo cuore per una seconda volta. Mi butto a capofitto nel caso Garfield stando ben attento a quello che scrivo, devo sembrare il più professionale possibile nel dire tutte le sue piccole vittorie che ha fatto in questo cammino con me, tralasciando tutti i baci e nottate passate a proteggere il suo sonno. Il tempo corre veloce e ben presto ecco che un leggero bussare mi distrae dai miei fogli.

Merda.

«Smythe?»

«Entra William.»

Mi alzo dalla sedie e sento le gambe che mi tremano ed è meglio che mi calmo, la mia agitazione farà solo danni. Mi avvicino alla porta e appena lo vedo gli sorrido stringendogli forte la mano a mo’ di saluto, la presa è ferma fortunatamente, poi gli faccio cenno di sedersi.

«Allora come sta andando il nostro Thomas?»

«Stai facendo dei grandi miglioramenti, ho parlato col signor James e mi ha detto che ogni giorno che passa sta diventando sempre più sorridente e chiacchierone con loro. Questo è strabiliante visto che le prime volte nemmeno guardava negli occhi la gente.»

«Me lo ha detto pure Shannon che è cambiato.»

«Un passo alla volta ed ecco che avviene la magia.»

«Hai il materiale che ti avevo chiesto?»

«Sì, lo stavo giusto ricontrollando prima e-»

«C’è gente che vi ha visto insieme più di una volta Sebastian.»

«Ovvio, lui qui non mi parlava quindi ho dovuto mascherare il mio lavoro con la forma di un’amicizia, lui si doveva fidare di me, era l’unico modo.»

«Dicono che voi non sembravate tanto amici.»

«Ti posso assicurare che non c’è niente fra di noi e se l’hanno notato allora posso pensare di fare richiesta per partecipare ad un corso di recitazione. I talenti non vanno sprecati.»

Ogni parola era come un colpo al cuore, tante piccole schegge di vetro che lo facevano a brandelli.

«Già. .»

«E la sua famiglia cosa dice?»

«Che finalmente se ne ritorna a casa e non vedono l’ora di poterlo vedere e di chiamarlo col suo nome.»

«Deduco che rimarrà in cura da me.»

«Deduci male. Ha già il biglietto pronto per andare in Inghilterra, dicono che è meglio se per un po’ cambi aria.»

Devo mantenere la calma, Sebastian non fare il cretino proprio ora.

«Non possono farlo, come suo psicologo posso dire che questo lo danneggerà e basta, annullerà tutte le fatiche che ha fatto fin ora. Dobbiamo arrivare alla fine insieme, William.»

«A noi risulta che non sei più il suo psicologo dalla seconda seduta, Smythe.»

Questo mi fa raggelare il sangue nelle vene. Non è possibile.

Non dovevo innamorarmi di lui.

«Ho sempre fatto il mio lavoro, solo sotto diverse sfumature. Non possono farlo.»

«Loro agisco per il bene di Thomas. Adesso devo scappare, scusa ma mi servivano questi documenti. Grazie.»

Quando sono rimasto da solo mi metto le mani sui capelli e li stringo da far male, il pensiero che fra pochi giorni ci dividerà un oceano mi fa sentire male. Non è possibile. Mi sento scoppiare e senza rendermene conto vedo delle piccole lacrime che si vanno a posare sulla carta del mio blocco. Vorrei urlare via dai miei polmoni questa sensazione che mi sta dilaniando da dentro e che non mi permette di respirare, ma non posso. Sento delle braccia che mi avvolgo da dietro e mi infondono un po’ di calore, alzo il viso e vedo Jud. Mi alzo in piedi e ricambio l’abbraccio nascondendo il mio viso sul suo collo mentre lei mi accarezza i capelli nel modo che userebbe una madre per consolare suo figlio.

«Mi dispiace per prima. Hai ragione, ho rovinato tutto. L’ho perso.»

«Shh troverai un modo pure per questo. Vai in bagno ora e calmati ti aspetta un’altra seduta poi potrai andare da lui.»

«Grazie. Ti voglio bene, posso essere stronzo alcune volte ma sei come una madre per me.»

«E io ne voglio tanto a te. – mi dice accarezzandomi la guancia – andrà bene. Ora vai.»

Vado in bagno e l’acqua fredda riesce a ridarmi l’autocontrollo che prima era crollato come un castello di carte che non riesce a sconfiggere il vento. L’ora passa troppo lentamente. Quando finisco l’accompagno alla porta per poter uscire pure io, saluto Jud con un bacio sulla guancia e poi di corsa raggiungo la macchina. È quasi l’ora di chiusura quindi passo prima da Bob per prendere dei caffè. Quando raggiungo il Jud faccio attenzione a non far troppo rumore, voglio fargli una sorpresa e sicuramente starà nella stanza del piano, ma quando arrivomi trovo di fronte ad uno spettacolo che non avevo previsto: Devon che fa delle facce strane con sulle ginocchia una bambina dai splendenti capelli color del grano che ride felice, sotto gli occhi della madre che canta con loro. Questa scena mi viene addosso con la potenza di un treno in discesa che non ha modo di frenare perché questa era la vita che poteva aver avuto se non mi avesse mai incontrato e se soprattutto io non fossi stato così infame da tener per me la verità. Poteva già essere padre di famiglia con una bellissima moglie e una figlia a cui poteva trasmettere la sua passione per la musica in modo tale da poter mantenere la promessa fatta a Kurt. Lascio il suo caffè sul tavolino in mezzo al negozio con un bigliettino.

Scusa per tutto. Addio.

Poi chiudo la porta alle mie spalle con la consapevolezza di averlo chiuso anche dalla mia vita. Ma lui si merita il meglio e in Inghilterra potrà avere la vita che ha sempre sognato.

 

Beth’s Corner!

Buona sera! Scusatemi per l’ora ma sinceramente non volevo sprecare un altro minuto il capitolo è fresco fresco dal betaggio e mi è mancato da morire mettere mano su questa storia e pubblicarla. Mi è mancata Boy B terribilmente e mi sono infinitamente mortificata per questo schifosissimo ritardo di non so quanto quanti mesi (siete liberi di rinfacciarmeli, non ho il coraggio per vedere quanti mesi sono passati). Vi avevo lasciato col capitolo dello svenimento di Blaine e ho riempito le note di “The Spirit Carries On” col la cosa con la “s” di Kurt e oggi vi lascio col messaggio di Sebastian.

È tardissimo quindi me la finisco qui, sappiate solo che sono veramente molto mortificata e ritardi del genere cercherò di non farli più capitare, promesso!

Grazie alla beta per tutto l’aiuto che mi da e grazie a chi, nonostante i miei mille ritardi, è rimasto. Spero di sentirvi presto.

Alla prossima,

love always

Beth_

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Capitolo 21
*** Truth ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro Ryan Murphy, pelatone fortunato; *sigh*
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro (mi fa sempre ridere scriverlo), ma è stata fatta solo per il puro piacere di scrivere di quei due baldracchi che mi hanno rubato il cuore.





 
Truth.
 
 
Successe tutto così velocemente che non ho nemmeno il modo di accorgermene: un momento prima sulle mie ginocchia si trova seduta la piccola Beth mentre le suono qualcosa e quello successivo sto già fuori, sulla strada correndo verso la persona più importante per me, con la porta del negozio chiusa a chiave alle mie spalle dopo aver fatto uscire di malo modo Quinn e sua figlia, ma non ho tempo, dovevo fare il più in fretta possibile e con quelle sue scuse che mi vorticavano in testa non riesco a pensare chiaramente, non capisco il motivo delle sue parole e tanto più non capisco il suo addio. Devo correre, non sono disposto a perderlo, non dopo tutto ciò che abbiamo affrontato.
Ho la mente piena di domande.
Che è successo?
Corro verso un bar qui vicino perché so che lui parcheggia sempre la sua macchina là e spero che anche questa volta non sia da meno, devo vederlo il prima possibile, fermarlo e farmi spiegare tutto. Svoltato l’angolo del parcheggio incomincio a guardarmi in giro in cerca di lui e lo vedo mentre cerca di mettere in moto la sua macchina, senza riuscirci per via delle mani che tremano. Corro verso di lui e nel momento in cui mi vede cerca di sbrigarsi, questa volta le sue mani seguono bene le sue indicazioni, vuole scappare da me e io non capisco il motivo. Cosa mai gli avrà fatto scattare nella sua mente questa reazione? Ho sbagliato qualcosa? O mi sono dimenticato di un particolare? No, Sebastian non reagirebbe così se non fosse per un motivo più che valido e per una dimenticanza c’è sempre un rimedio. Era qualcos’altro, ma non riesco a capire.
Devo bloccarlo perciò corro ancora più veloce per raggiungerlo e mi fermo davanti al suo parabrezza e lo fisso, ma lui ha gli occhi bassi che non gli permettono di incrociare i miei.
“Perché?”
Mi limito a dire e mi sento uno stupido, dovevo trovare qualcosa di meglio da dire. Ma non mi sente perché la mia voce è flebile e la musica dentro il piccolo abitacolo è troppo forte e mi sovrasta.
“Perché?”
Mi ritrovo a ripetere con voce più potente, sarò stupido ma è tutto ciò che ho bisogno di sapere in questo momento ed è ciò che continuerò a chiedere fino a ché non avrò fiato in bocca, finché lui non mi dia una risposta, ma lui continua a guardarsi le nocche che stanno diventando bianche per quando forte le stringe intorno al volante, mi sente ma continua a non rispondermi. Capisco che mi ha sentito da quel suo no che da movimento alla sua testa è una cosa che dura poco ma che non mi sfugge. Più non si degna di guardarmi e più la rabbia dentro di me cresce portandomi a dare un pugno al cofano della sua macchina, il colpo fa male e la mia mano pulsa, ma non mi interessa perché questo l’ha portato ad alzare il volto e finalmente i suoi occhi incrociano i miei. Quel mare smeraldino di solito sempre calmo ora è tormentato, nasconde una storia che mai mi ha voluto dire e mi spaventa. Forse non voglio più sapere questo ma è troppo tardi perché lui scende dalla macchina col respiro affannato e si mette di fronte a me, ha gli occhi gonfi.
“Secondo te, perché?”
Mi aspettavo delle urla ma tutto ciò che esce dalla sua bocca è un sussurro che sembra che nemmeno lui riesca a sostenere il peso delle sue stesse parole, ma ciò non blocca la mia rabbia. Niente potrebbe farlo ora come ora.
“Se lo avessi saputo non te l’avrei chiesto, tu che dici?”
“La risposta mi pare più che logica.”
“Puoi illuminarmi? Devo essere molto stupido se non lo capisco.”
“Vuoi sapere la verità? Sono stufo ok? Stufo della sensazione di oppressione che provo quando ti guardo negli occhi, stufo del sentirmi in colpa, stufo di essere la persona che è la causa di tutto il tuo male, sono stufo di sentirmi così. Capisci o continui a non arrivarci? Stufo di guardarti negli occhi e vedere di quante cose io ti abbia privato. Prima di te non mi ero mai sentito così, non sapevo che faccia avessi adesso e non sapevo dove stavi, ignoravo la meravigliosa persona eri diventato, finalmente dopo anni eri diventato un nessuno per me e stavo bene con la mia vita normale facendo un lavoro che amo e non l’avere legami con nessuno, il non amare o l’amare una notte mi bastava. Ma sei arrivato tu e mi hai sconvolto facendomi riaprire vecchie porte che avevo chiuso a più mandate nella mia mente, hai fatto riemergere quel passato da cui scappo da una vita e sono arrivato al punto in cui mi fa male vederti in volto e vedere tutto ciò che ti ho rubato: l’adolescenza, l’amore e la famiglia che potevi avere se non avessi passato anni in riformatorio. Ma io non voglio più farti del male, non ce la faccio più. Mio padre, mi definì molto bene una volta, mi disse che ero un granata, che prima o poi farò soffrire chi ho vicino a me e non voglio più farti soffrire, è inevitabile, è il mio fine, il mio unico scopo. Ho ferito loro quando aprii il mio cuore dicendogli chi ero veramente e ho ferito te, molti anni fa e non voglio farlo ancora. Quindi ti prego scansati da lì e permettimi di uscire dalla tua vita, lo dico per te. Ti prego.”
Mi disse guardandomi negli occhi e passandosi una mano fra i capelli di tanto in tanto quando le parole non gli uscivano e non sapeva cosa fare, io mi ero limitato ad osservare il suo monologo non riuscendo a capirne il significato, o meglio penso di aver capito dove voglia arrivare, ma non voglio ammetterlo a me stesso perché io già l’avevo preso in considerazione ma non accettavo l’ennesima persona falsa che popola la mia vita. Lui non poteva essere come gli altri, lui è il mio Bas, il mio cervello non riesce ad accettarlo e ora sono più che sicuro che non voglio sentire il fine di questo discorso, ma caccio via questo mio pensiero, la metà di me che non accetta questa possibilità vuole sapere ed è più forte di quella che è spaventata.
“Io non mi sposto. Questa è la mia vita e sono in grado di subire le conseguenze delle mie azioni. Tu credi che non l’averti più nella mia vita mi farebbe sentire meglio? Ti sbagli, renderà tutto peggio. Tu non sei una granata, le granate non salvano la gente e finché mi permetterai di restare al tuo fianco non mi ferirai, devi fidarti di me ok? E perché darti la colpa di ciò che è accaduto dieci anni fa, la colpa è di due pazzi, non tua. Che volevi fare? Eravamo dei bambini, non potevamo fare niente. E ora tu mi spieghi il perché di questa tua reazione. Voglio capire. E tutti i tuoi starò vicino a te finché me lo permetterai dove li hai buttati? Dove? Fai l’uomo e affronta le paura, non scappare come un codardo lasciandomi un biglietto. Sei stufo di tutto e di me?”
Voglio solo capire, me lo devi.”
____________________________________________________________________________
Il suo “me lo devi” mi fa bloccare con i miei occhi fissi sui suoi e finalmente vedo quel suo sguardo così disperato che ferisce il mio cuore con la stessa forza di mille coltelli affilati e in quel momento capisco che ora sono diventato come tutte le persone che hanno vissuto vicino a lui e non posso farglielo. Rientro in macchina e afferro fortemente il volante posando la faccia sul voltante. Vorrei urlare, ma non mi esce la voce. Lui voleva capire ed io gli dovevo una spiegazione, volevo vedermi fuori dalla sua vita per concedergli un futuro migliore e la verità non poteva che aiutarmi.
La macchina ora è ferma e lui sfrutta quest’occasione, lo sento che apre lo sportello del guidatore e mi afferra una spalla come un invito a guardarlo, ma non posso, il segreto per riuscire a fare tutto è non guardarlo negli occhi, l’ho capito prima tastando la forza che hanno su di me e non essere soggetto a quella forza che mi lega a lui, è la via che porterà fuori dalla sua vita. E poi ho paura che tutti i miei scheletri siano troppo in bella mostra nei miei occhi, capirebbe tutto. Ce la posso fare.
Ce la devo fare.
Ma lui è testardo, più di me, e fa scorrere la sua mano lungo tutto il mio braccio fino ad arrivare alla mia mano facendomi allentare la presa sul volante, la prende e la stringe forte. Mi invita ad incrociare i suoi occhi alzando il mento con l’altra sua mano e io sotto quel suo tocco maledetto non mi sento più il controllore del mio corpo perché riconosce in lui quella forza che mi farebbe fare di tutto, ma riesco ancora a tenergli testa.
“Perché fai così? Guardami, Sebastian.”
Continuo a non rispondere, sento come se stessi entrando in un guscio o in una bolla dove a lui è negato l’accesso, più che altro le emozioni sono vietate. Come quando stavo riprendendo controllo delle miei azioni dopo quella brutta ricaduta di dieci anni fa, azzerai le emozioni, per lo meno quelle che mi recavano più problemi. Ma quella sensazione di non essere abbastanza, di essere la causa del dolore delle persone che amo si sta facendo spazio nel mio cuore, un’altra volta, il mostro si sta svegliando e soffia sulle ferite che incominciano a bruciare, per colpa del veleno che il mostro mi soffia addosso. Thad mi diceva sempre che in questi momenti dovevo pensare ad un’ancora che mi tenesse con i piedi fermi, che mi tenesse al suo fianco non permettendo al mostro di portarmi a fondo con se, ma cosa potevo fare ora che stavo fuggendo dalla mia ancora?
“Sebastian, guardami. Io non ti capisco.”
Nemmeno io mi capivo, sapevo solo due cose: la prima era che tutto ciò di brutto che era capitato a Blaine era per colpa mia e la seconda era che l’unico motivo che metterà in mezzo fra di noi un oceano è quel maledetto sentimento chiamato amore che non mi rende qualificato di prendermi cura del mio ragazzo che verrà spostato in un centro di riabilitazione dove gli faranno un lavaggio del cervello. La sua mano stringe ancora la mia e sento i suoi occhi sulla mia nuca, la fissa con una tale forza che se me la perforasse non ne sarei sorpreso. Dopo un po’ la lascia andare e mi ritrovo con il mio volto appoggiato sulla sua spalla e le sue braccia mi avvolgono, stretto in quella presa che sapeva di casa mi sento come se finalmente riuscissi a respirare e mi appoggio su di lui lasciandomi cullare e ricambiando la presa con altrettanta forza.
“Scusami.” continuo a ripetere come se fosse il mio nuovo mantra.
“Va tutto bene, tranquillo. Ci sono io.”
Mi dice ad ogni mia scusa.
Rimaniamo stretti in quell’abbraccio per altri cinque minuti che mi servono per racimolare le forze per poterlo guardare negli occhi. Mi sorride e mi rassicura.
Vorrei chiedergli: ce la faremo a risorgere dalle nostre ceneri?
Lui ci sta riuscendo, ma io?
Ne sto prendendo coscienza in questo periodo e questa consapevolezza mi mente una strana agitazione addosso, sto iniziando ad avere paura e ciò accade quando si è già arrivati così terribilmente vicino alla vera fine e hai il timore di riprovare tutta quella sofferenza sulla tua pelle, un’altra volta, hai paura che questa volta potrebbe essere fatale. Lo vedo anche da come ultimamente mi basta poco per ricadere giù, da quando ho visto lui che affrontava ad uno ad uno i suoi mostri che dominavano i suoi incubi trionfando guadagnando dei sogni senza oscurità ho pensato molto al mio modo di affrontarli e mi sono vergognato di me: scappare. Vedevo il problema e lo sconfiggevo non pensandoci, me ne andavo, intraprendevo viaggi, mi nascondevo nell’università, poi ho incominciato a lavorare nello studio e scappavo dai miei problemi risolvendo quelli degli altri. Ma tutto questa illusione di star bene che mi ero costruito intorno a me non cancellava dalle mie mani quel mio restare fisso a guardare un pazzo, che un tempo stato il mio migliore amico, mentre toglieva la vita ad una bambina, colpo dopo colpo. Lei continua ad essere morta anche se passavo giorni a non pensare a quel maledetto giorno, di lei come urlava basta e anche il folle accecato dalla rabbia continua ad essere morto con un foro sulla testa come risultato del suo ultimo atto. E da qui ho capito che il non pensarli rende solo i tuoi incubi più grandi e più forti.
Non ce la possiamo fare, io non posso.
“Ce la possiamo fare.”
Ribatte lui come se riuscisse a leggermi nel pensiero e annuisce a sé stesso.
“I ruoli sembrano essersi invertiti, non trovi? Non ero io quello che rimaneva sempre in silenzio guardando nei tuoi meravigliosi occhi verdi?”
Mi viene da ridere, le labbra si tengono in un sorriso vuoto.
“Oh okay, okay, hai ragione, mi limitavo a fissare la tua bellissima scrivania, però ti guardavo nel momento in cui tu non prestavi attenzione.”
“Perché sei ancora qui?”
Mi viene naturale da chiedere. Perché lui è rimasto con me, anche quando ha visto il mio lato più nascosto e più attaccato dalle dolci tenebre.
“E dove dovrei stare Bas?”
Mi chiede lui confuso.
“Lontano da me.”
Ribatto con ovvietà.
Si appoggia sul mio petto sbuffando e scuotendo di un po’ il viso.
“Quanto durerà questa fase? – si avvicina al mio viso e muove la testa di qua e di la, in cerca di qualcosa che solo lui conosce – Ehi alieni all’interno di Sebastian quando posso riavere indietro il mio ragazzo dal sorriso mozzafiato in dietro prima che parto? Cosa ti hanno fatto, Smythe?”
 “Questo non è un gioco, Dev.”
“Volevo smorzare un po’ l’atmosfera, ma sono serio sulla parte del rivolere indietro il mio ragazzo. Ti va di parlarne? Non sopporto vederti in questo stato.”
“Sali in macchina.”
Sale sulle sue punte e mi lascia un bacio leggero sull’angolo della bocca strappandomi un piccolo sorriso, ma questa volta vero che mi porta ad odiarmi ancora di più me stesso perché non riesco a capire cosa abbia fatto per meritarmi una seconda opportunità per poi farla finire in questo modo.
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“Dov’è la mia ragazza preferita?”
Dico come metto piede dentro all’appartamento e vedo la piccola Sapphire venirci incontro.
“Almeno qui c’è qualcuno che apprezza le mie visite!”
Dico a Sebastian voltandomi verso di lui mentre lui chiude la porta.
“Come se io non ti apprezzassi.”
Mormora a mezza voce.
“Che devo dire? Mi hai visto con in braccio una bimba e hai dato del pazzo e volevi investirmi prima, conta come benvenuto poco caldo?”
Scuote la testa e fa segno di lasciar perdere con la mano, gli sorrido.
“Vuoi qualcosa da bere?”
“No, grazie. Voglio solo sapere cosa accade alla tua testolina machiavellica, credo che si inceppa qualche volta, le sinapsi funzionano a scatti qualche volta.”
“Cosa centra Machiavelli?”
“Vuoi arrivare ad un fine che vedi solo tu fregandotene di ciò che perdi o di ciò che devi fare per raggiungere quel fine. Non fa molto Machiavelli?”
“Questo lo prendo come voglio qualcosa da bere e anche qualcosa da mangiare almeno chiudo la bocca e non mi riempi delle tue, come chiamarle, interpretazioni? Ok?”
“Basta che quando io ho la bocca piena di cibo tu parli.”
Annuisce per poi sparire in cucina, io intanto mi siedo sul grande divano con affianco la dalmata di Sebastian.
“Ma che ha papà Sebastian oggi, si può sapere?”
Le chiedo e lei alza la sua testolina verso di me per poi continuare a fissare un punto fisso davanti a se mentre la sua coda continua imperterrita a muoversi prima a destra e poi a sinistra.
“Allora visto che forse a breve dovrai andare in Inghilterra e sono le 17-”
“Non sono le 17, Bas.”
“In Inghil-”
“Nemmeno là, mi dispiace, amore.”
“Ok, ti dovrai abituare a bere tè e biscotti, i biscotti è l’unico cibo da non cuocere che ho al momento e spero che siano di tuo gradimento, l’ha fatti Jud.”
“Come potrei rifiutarli allora?”
Si siede vicino a me e posa il vassoio sul tavolino davanti al divano, rimane in silenzio per tutto il tempo che impiega a bere il suo tè senza zucchero e con troppo latte da farmi chiedere che razza di tè era abituato a bere in Francia, secondo me lo corregge con qualcosa, non ci sono altre spiegazioni.
“Ricominci?”
“Cosa?”
“Il silenzio, Bas.”
“Ok, hai ragione.”
Dice posando la sua tazza per poi girarsi verso di me, questa volta mi guarda negli occhi, come se gli fosse necessario di fare questa piccola azione, vedo che le sue mani gli tremano e ha gli occhi spaventati, come se avesse paura di quello che da un momento all’altro mi dirà. Gli afferro le mani, incoraggiandolo, come lui ha sempre fatto con me. Ma ad un certo punto si alza di scatto dal divano e va verso il suo studio, lasciandomi senza parole e mi chiedo se è meglio che lo aspetto qui o andare da lui. Fortunatamente dopo una manciata di minuti ritorna da me con in mano uno strano quaderno dalla copertina rigida verde scuro, lo tiene di riguardo, come se da un momento all’altra potesse rovinarsi.
Che tiene al suo interno?
Mi chiedo, lo tiene fra le braccia con troppa cura. Poi prende posto accanto a me.
“Ti ricordi di quella volta al lago in cui scoprì uno dei miei più brutti segreti? E ti ricordi anche della cicatrice che ho sul cuore vero?”
Come potevo scordarmela? Sembrava un cuore rotto fatto a pezzi con una grande croce su di esso come se volesse annullarlo, mi sono sempre chiesto perché mai si fosse fatto una cosa del genere, doveva essere volontaria.
“A mente fredda dopo che le ferite si curavano e dopo che nella mia testa ci fu quel piccolo barlume di luce che mi mostrava la fine di quel tunnel, che mi aveva annientato, mi fermavo molte volte ad osservare il mio corpo pieno di segni che mi ero fatto e mi soffermavo sempre sul petto. Quelli non erano segni a caso, volevo lasciarmi qualcosa sulla pelle, come eterno promemoria, e anche se adesso con delle cure i segni si notano molto di meno però se ci passi sopra la mano puoi ancora sentirlo. Doveva essere una M, venuta male, ma la si può benissimo scambiare con un cuore, tu quello c’avevi pensato vero? Ma alla M non ci eri arrivato. Ti dice niente? Certo che sì, la piccola Mary Ann, chi altri? La conosci bene pure tu vero? Un piccolo angioletto dai capelli biondi, capitata nel momento tremendamente sbagliato nel luogo sbagliato fra le mani di un pazzo. Apri questo quaderno.”
Ora sono io quello che rimane pietrificato fissando un punto davanti a sé, non poteva essere. Quell’opzione che io avevo messo da parte a priori perché non poteva essere il mio Bas colui che ha inflitto tutto quello a quella povera bambina .
No.
Non voglio aprire, cosa ci terrà dentro? Tutte le persone che sono finite nei guai per colpa sua? Le sue vittime?
“Sono articoli di giornale, cose che si dicevano in giro, frasi dette in tribunale. Il raccogliere informazione mi faceva sentire meno male, come se riuscissi ad intrappolare fra le pagine di quel quaderno tutti i miei sentimenti. Sai perché ti ricordavi i miei occhi? Perché io c’ero e non solo perché dovevo assicurarmi di vedere il ragazzo che aveva attirato su di lui tutta la mia attenzione, ma volevo vedere se avevo le palle per dire la verità. Il problema è che non le ho avute. Voi siete stati incastrati e io non ho avuto le palle per difendere il ragazzo che amavo. Ci hanno visto e voi calzavate appieno le nostre caratteristiche, tu eri un po’ più basso di Marcus, ma a loro serviva un colpevole e di certo non tennero conto del metro. Non persero nemmeno tempo a guardarvi negli occhi dove la verità era in bella mostra.”
“Aspetta, tu mi stai dicendo, che-che eri tu?”
“Mi hai visto nel bosco no?”
“Cred-credo di sì, ho sempre pensato di averti già visto, ma tu mi hai detto del tribunale e non può essere. No Bas, dimmelo.”
“Voi stavate correndo verso la bambina, vero? – annuisco, mi ricordavo d’aver visto un paio di occhi spaventati, molto simili ai suoi – dopo che è stata torturata da Marcus.”
“E te.”
“Io non l’ho sfiorata con un dito.”
“Brutto stronzo quindi l’hai lasciata morire?!”
“Ero nel bel mezzo di un attacco di panico, non sapevo cosa fare, cosa stava succedendo. Ero pietrificato. Non è una cosa che si vede ogni giorno.”
“La stava uccidendo, Sebastian. Lo capisci? AVEVA I TUOI STESSI ANNI E UN’INTERA VITA DAVANTI A SE’ E TU L’HAI LASCIATA MORIRE COME UN CANE.”
“Blaine tu-tu non c’eri okay? Non l’avevo mai visto in quello stato. Sembrava pazzo, totalmente fuori controllo.”
“SOLO SEMBRAVA?”
“Blaine, io-”
“Ma non ti vergogni?”
“Ogni giorno della mia vita ho convissuto con l’odio che provo verso me stesso. Per un periodo vedevo quei occhi ovunque, sto pagando per quello che ho fatto. Non puoi capire.”
“Credi? Io ho convissuto con l’odio dell’altra gente che mi ha definito con i modi peggio, ogni dannatissima notte vedevo il suo viso angelico sfregato. Non posso capire? Chi pensi che ha avuto la peggio?”
“Non è una gara, Blaine.”
“Però scommetto che per quello stronzo era un gioco, la vita di quella bambina.”
“La vita di una persona non è mai un gioco.”
“MA SI VEDE CHE A TE NON IMPORTA DELLA VITA DELLE PERSONE DA COME TI SEI COMPORTATO.”
Mi alzo in piedi come se non riuscissi a sopportare la sua presenza fianco a me. Lui non mi ama io ero solo un mezzo per pareggiare i conti col passato, se riusciva ad aiutarmi allora avrebbe avuto la coscienza pulita. Mi aveva fregato due volte: la prima rubandomi la libertà e ora mi aveva rubato pure il cuore. Si alza anche lui e prova ad avvicinarsi a me.
“Non provarci, non ti voglio vicino a me. Mi fai schifo.”
“Blaine ti prego.”
“Mi hai sempre e solo mentito.”
“Solo su questo, Blaine.”
“Solo?”
“Sono sempre stato quel tipo persona che fugge dai sentimenti, ma alla fine ho trovato te e sul mio amore non ti ho mai mentito, nemmeno una volta. Posso non averti detto una cosa sul mio passato, ma avevo paura. Avevo paura di questo.”
“Ti rendi conto di cosa è successo? Due persone si sono prese la vostra colpa, un ragazzo è morto perché non ce la faceva più a sopportare il peso di aver visto una ragazzina morire e di esserne preso la colpa. Due ragazzini hanno passato la loro adolescenza in prigione dove venivano derisi da tutto, tutti li odiavano. Mi hanno preso tutto Sebastian, tutto. Ho passato notte insonne per paura di essere toccato ancora e contavo i giorni che mi separavano dalla libertà, tutto questo mentre i veri colpevoli facevano la bella vita fuori, nel mondo reale. E tutto questo? Perché tu sei rimasto a guardare, io mi fidavo di te. Una bambina è morta, aveva tutta una vita davanti a lei, che spreco. Quante occasione mancate, quanti posti non visti. Mi repelli.”
“Blaine io non ho passato una bella vita, lo sai. E non c’è stato un solo fottuto giorno in cui non ho rimpianto quel mio restare fermo e mi dispiace talmente tanto che non so come farai a perdonarmi.”
“Io non voglio avere più  niente a che fare con te, mai più.”
Sentivo una strana rabbia percorrermi le vene, questa rabbia era talmente forte che riusciva a coprire il mio amore che provavo per lui e grazie a questo annebbiamento riesco ad avvicinarmi alla porta, ma non l’apro, per quello non ho la forza.
L’uscire da quella porta mi farebbe uscire anche dalla sua vita e non so se sono pronto, anche se lo odio, una piccola parte di me appartiene a lui, per sempre.
Ma ora è troppo tardi.
Lui si avvicina a me ma io gli faccio segno di fermarsi.
“Blaine devi ascoltarmi e devi fidarti di me, ok? Ti ho tenuto nascosto questo fatto perché mi immaginavo questa reazione e volevo evitarla, fra poco te ne andrai e io-”
“Mi avevi detto che avresti trovato un modo per farmi restare, te lo ricordi? Mentivi pure in quell’occasione?”
“No, ho provato ha farti rimanere, ma William mi ha detto che sapeva io non ero più il tuo psicologo, ero ben altro e la sfera emotiva e quella lavorativa non possono combaciare. Me l’ha detto questa mattina. Lo vedi di come io sono la causa di ogni tuo male? Avevo paura di questo, di ammetterlo, di farlo diventare. . . reale. Dirlo a voce alta mi avrebbe impedito di dirmi che ce la posso fare a continuare in questo stato, ma in realtà sono debole e tu ti meriti di avere al fianco persone che non ti deludano e non ti trattano come ho fatto io. È per questo che ti ho detto addio.”
“Mossa astuta quella di usare un bigliettino in linea con la tua vena da codardo, i miei complimenti.”
“Mi dispiace, B.”
“Vai a scusarti con Mary Ann o con Kurt, oh no aspetta sono morti. E vorrei esserlo pure io almeno non avrei avuto il grande onore di incontrare il famoso e illustrissimo Sebastian Smythe che si occupa di pazzi quando il primo caso umano è lui e la sua codardia. ”
“Non puoi darmi anche la colpa della morte di Kurt, non c’entro niente con quella.”
“Dici? Se tu dicevi tutta la verità in tribunale ora noi avremmo solo degli incubi che popolano i nostri sogni e non alle spalle la colpa di un omicidio che non abbiamo commesso e tutto quello che ci fecero in prigione non sarebbe mai accaduto. Una volta uno mi disse: sai cosa si prova quando si è indifeso e non puoi fare niente? Io non seppi che rispondere quel giorno e quel tizio mi picchiò, a sangue, lo sai? Mi fece tutto ciò che voi avete fatto a quella bambina, lo sai? Mi ha messo le sue mani ovunque, se te lo stai chiedendo sì, era per quello che non riuscivo a farmi toccare da te. Mi ricordavano tanto le sue mani, ma pian piano col tuo amore ho acquistato sempre più fiducia in te e avevo incominciato ad amare il tuo tocco delicato, mi hanno detto che certi ricordi si curano solo con l’amore e avevano ragione. Mi hanno assegnato una psicologa, che mi ha aiutato a riacquistare il controllo quando stavo in mezzo a troppa gente, c’è stato un periodo in cui avevo paura di tutto e non dormivo mai, avevo paura che sarebbe ritornato. Mi ci vollero sette anni per ritrovare e mettere da parte tutti i miei pezzi della mia anima, l’ho tenuti nascosti in attesa di uscire dall’inferno o di trovare una persona che mi aiutasse a risorgere, avevo trovato te, ma anche tu sei stato un’illusione di benessere. L’ennesima illusione. Ma Kurt ne è uscito distrutto, aveva perso le speranze, non aveva nessuno perché quando il tuo amichetto ha confessato tutto e ci hanno fatto uscire ci hanno separato, per ‘proteggerci’. E io mi chiedo perché non ha fatto anche il tuo nome, quanto ha sganciato il tuo paparino, eh Sebby?”
 
“Blaine ora tu sei arrabbiato e non pensi chiaramente, possiamo fare un discorso da adulti domani a mente fredda?”
“Perché tu pensi che io voglio passare altro tempo con te?”
Ora si limita a fissarmi senza parole, capisco dal suo sguardo che lui a questa cosa ci aveva già pensato ma non aveva preso in considerazione l’eventualità che io la dicessi veramente.
“È finita, quando varcherò la soglia sarà finita. Contento?”
Non riesco a credere a ciò che ho detto, non posso averlo fatto seriamente. Ma ciò che lui ha fatto mi fa sentire tradito, io mi fidavo e sì, la cosa ci è sfuggita dalle mani. Però una cosa è sicura per un po’ non voglio avere a che fare con lui, almeno fino a quando non mi passa.
Sebastian abbassa la testa e io appoggio la mano sulla maniglia della porta spingendola piano verso il basso. Ora la porta è aperta e io ho un solo piede fuori dalla soglia. Lui alza di scatto lo sguardo e in un battito di ciglia mi ritrovo fra le sue braccia, il mio corpo si irrigidisce, ma è solo una questione di secondi perché non riesco a non contraccambiare quella presa che mi fa sentire al sicuro, anche ora, anche quando lo odio, tutt’ora riesco a sentire quel filo che tiene il mio cuore legato al suo e sarà sempre suo, ma ora non è più il nostro tempo, ma non ho la forza per allontanarmi da lui perché so che è la mia ultima volta in compagnia sua.
Ascolto per l’ultima volta il suo cuore e mi lascio stringere per un’ultima volta, lui strofina il suo naso fra i miei capelli ed è come se stesse memorizzando ogni mia cosa, ogni traccia di me, sa che questa sarà la sua ultima occasione. Dopo un po’ mi afferra il mento per potermi guardare, smeraldi che si specchiamo nell’ambra per un’ultima volta. Le nostre bocche sono troppo vicine e lui si sta avvicinando pericolosamente alle mie, ma io mi lascio baciare, non mi scanso, , io mi lascio baciare, non mi scanso, non ho la forza di muovere un singolo muscolo. Come se il mio corpo non riuscisse a sottrarsi da lui.
Quando si stacca da me io mi avvio verso la porta e subito sono fuori, dalla sua casa e dalla sua vita, lui continua a fissarmi e io pian piano chiudo la porta di fronte a me, poi appoggio la mia testa sopra il legno scuro, Sebastian fa lo stesso dall’altra parte, non riesco a dare il comando di muoversi da lì alle mie gambe che non reggono più il mio peso e mi lascio scivolare ritrovandomi con la schiena poggiata sulla porta e la testa fra le mani.
Ho un solo pensiero che mi vortica in testa.
È finita.
Il mio ragazzo è rimasto fermo a guardare una bambina che moriva per mano di un pazzo.
Io ho vissuto per dieci anni la colpa del mio ragazzo.
Il mio ragazzo è rimasto fermo a guardare una bambina che moriva per mano di un pazzo.
Ho riposto la fiducia nella persona sbagliata, un’altra volta ancora.
Il mio ragazzo è rimasto fermo a guardare una bambina che moriva per mano di un pazzo.
Il mio migliore amico è morto perché non riusciva più a sopportare le accuse che appartengono al mio ragazzo.
Il mio ragazzo è rimasto fermo a guardare una bambina che moriva per mano di un pazzo e io non ci voglio credere.

 
Rettifico il mio ex-ragazzo non ha mosso un capello di fronte ad un assassinio.
E ora ho solo tanta voglia di raggiungere quella persona che non mi ha mai mentito e che c’è stata sempre per me.

Ma sono disposto a perdere tutto per farlo?
 

TBC...
  
 
Beth’s Corner
Salve. Voi direte: ma questa con che faccia pubblica 'sto capitolo dopo mesi e mesi? Io sto ancora aspettando di trovare una risposta. Quest'estate è stata problematica: con tutti quei prompt supermeravigliosi delle domeniche e mi sono fatta prendere troppo la mano, lo ammetto, e mi era andata in vacanza pure la beta e per restare in linea questo è stato un betaggio molto problematico caratterizzato da mancanza di tempo e mancanza di wifi (che tu sia maledetta oh connessione baldracca). Ma ora siamo tornate e ho preso finalmente la decisione dire stop alle domeniche e sì a Boy B perciò per chi segue F is for Family dovrà aspettare per il prossimo capitolo della raccolta con quei quattro scemi (<3) l'epilogo di Boy B che arriverà esattamente fra due aggiornamenti, ebbene sì il prossimo capitolo sarà l'ultimo *piange in un angolino e prende i fazzoletti*. E tanto per esser chiari il prossimo aggiornamento di F is for Family riprenderà il via col prompt di questa domenica che era: raffreddore (E is for Etciù). Prima di arrivare a parlare di questo capitolo vi devo dire un'ultima cosa alternerò gli aggiornamenti di F is for Family con quelli di una long che doveva essere in origine una os, ma il Road Trip di Sebastian e Blaine era infinitamente lungo e necessitava di una long, sono pessima lo so, preparatevi a queste 3140 miglia insieme. Adesso vedrò quando e come li potrò aggiornare. Stay tuned.
Ora veniamo al capitolo.
Vi avevo lasciato con quel bigliettino solitario al Jul's che è stato quella scintilla che ha fatto scoppiare tutto quel castello fatto di bugie che si erano costruiti, Sebastian ha tessuto il suo passato con bugie. Chi di voi non ha mai detto la frase: sono stufo di esser...; a me capita spesso e in questo capitolo mi sono messa nei panni di Seb (che mi stavano grossi perché a differenza sua sono alta un metro e un libro ma shh) e ho pensato che quando lui si trovò di fronte a quell'ipotetico futuro che Blaine poteva avere se lui avesse confessato tutto perché vede Quinn che ha più o meno l'età di B, poteva essere felice e con famiglia perciò il vedere il suo Blaine che suonava qualcosa alla piccola Beth è stata quella piccola goccia che l'ha fatto traboccare. A me questa è sembrata l'unica reazione “logica” secondo il suo punto di vista, spero che per voi sia così. Ora Sebastian ha ottenuto finalmente quello che voleva: uscire dalla vita del suo Blaine, ma quanto durerà questa distanza? E l'odio di Blaine è veramente più forte dell'amore che nutre verso quel babbeo di un francese? Tutto questo sarà svelato nel prossimo capitolo che risponderà anche alla domanda del prologo.
Detto questo ci sentiamo fra dieci giorni, ci starò anche a costo di non dormire la notte o di pubblicare il capitolo non betato. Il tempo dei ritardi è finito e non mi scuserò mai abbastanza con voi.
Boy B a me era mancato e benché questo capitolo fosse carico di angst per è stata una boccata d’aria fresca. #sonostranaloso
Per chi è rimasto con me, per chi mi ha aspettato devo dire una singola cosa: grazie. Soprattutto per la pazienza che avete. Grazie.
Grazie a chi a letto tutto e grazie alla beta che ci sta sempre e che mi fa capire che ha (finalmente) betato questa storia dal carico di insulti e di odio che mi riempiono la chat.
Forse vi dovevo dire altro ma non mi ricordo ora, se mi ritorna in mente me lo scrivo e ve lo dico fra dieci giorni.
Alla prossima!
Love always,
Beth

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Capitolo 22
*** Run faster, Time is running out ***


                                                    Run faster,
                             
                                                       Time is running out.

Arriva un momento nella tua vita in cui occorre che tu corra, il più veloce possibile.
Perché devi raggiungerlo.
Corri e non si deve sprecare nemmeno un secondo, potrebbe essere quello fatale.
Perché devi salvarlo.
Corri e ti troverai a rompere il silenzio irreale che si crea dopo la catastrofe, anche urlando se devi.
Perché devi farti sentire.
Corri e fargli ricordare di come batte il cuore.
Corri e fargli ricordare cosa vuol dire vivere.
Salvalo amandolo perché devi credere che l’Amore vero riuscirà a sconfiggere la Morte per riuscirci.
Corri e fargli ricordare cosa vuol dire esser amati.
E corri veloce, il tempo sta finendo.
                                                               
 
*****
 
 
“Sebastian scus-”
“Che gli hai fatto?”
Chiese James dopo aver azzittito Judit ed entrando di malo modo posizionandosi proprio di fronte a  me sbattendo il suo pugno sulla mia scrivania. Non sbatto ciglia, non voglio iniziare alcuna conversazione, se non strettamente necessaria, perciò rimango col mio sguardo fisso sui suoi occhi pieni di rabbia e preoccupazioni sperando che prima o poi la sua collera scemi.
“Che. Cosa. Gli. Hai. Fatto?”
Mi chiede scandendo bene ogni singola parola, come se fossi stupido o come se non avessi capito la domanda.
“Fatto cosa a chi?”
Gli chiedo rimanendo col tono piatto e monotono di chi non vuole parlare, questi toni di solito urtano la gente e annullano in loro tutta la voglia di continuare col loro discorso.
Ma non con James.
Ma io non ho voglia di avere grana in questi giorni, perché non capisce? Voglio solo starmene il più tranquillo possibile, senza nessuno intorno a me. Come diceva Thad da due giorni stavo entrando nella fase dell’autocommiserazione avanzata e in questi casi era sempre meglio che stavo da solo.
“A Thomas, stupido. Cosa gli hai fatto?”
Ecco di certo non volevo parlare proprio di quello in questo preciso instante. Giro la testa verso sinistra e noto che oggi è il giorno prima della partenza, ciò mi fa star male. Oggi è l’ultimo giorno a mia disposizione per andare da lui e provare a chiarirsi, domani forse è troppo tardi o semplicemente ho perso il mio treno per il perdono troppo tempo fa e prima me ne farò una ragione e prima potrò ritornare a star meglio. Abbasso gli occhi sui miei fogli per riordinarli, è l’ora di chiusura e sono felice che James abbia avuto un po’ di decenza nel aspettare.
“Ragazzo stammi a sentire e rispondimi.”
“Non gli ho fatto niente. Ci siamo solo lasciati. È finita.”
Dico come se niente fosse, anche se dentro di me mi sento terribilmente vuoto, e il colpo alla testa non tarda ad arrivare, sapevo che mi avrebbe colpito da come stringeva il bastone. Era arrabbiato come me, solo non capivo perché mai Blaine gli stesse così a cuore, non erano parenti. Poso una mano sul punto colpito, fa male, ma è un nulla rispetto al dolore che provo dentro l’anima.
“Che dovevo fare?”
“Rimanere al suo fianco forse?”
“Guarda che è lui che mi ha lasciato. Alcune verità sono difficili da sopportare.”
“Sai che per te lui sarebbe arrivato alla fine dell’Universo pur di farti felice? Le verità ‘difficili’, come le chiami tu, si superano con tanta pazienza e forza, sono più vecchio di te e queste cose le ho vissute sulla mia pelle. Ci vuole tempo, ma voi giovani di oggi volete tutto e subito e al primo ostacolo vi girate dall’altra parte.”
“Mi ha lasciato lui.”
“Guarda che a me non interessa chi a lasciato chi. Ti aspetto fuori, hai un minuto per prepararti. Voglio parlarti, è importante.”
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L'ascesa all'incubo era incominciato da quella chiacchierata con James davanti ad una tazza fumante di caffè. Mi aveva parlato di come aveva visto il cambiamento radicale di Blaine, partito dai suoi occhi dorati da come era vuoti e privi di quella scintilla gioiosa che tanto amavo. Mi disse che un giorno entrò al negozio e lo trovò con lo sguardo perso, seduto dietro al balcone con il gomito sul piano e col mento appoggiato alla mano. Era strano, spento, e per due tre giorni non si avvicinò al pianoforte e né si spostò da dietro al bancone, salvo quando occorreva mostrare qualcosa ai clienti o James gli chiedeva di fare delle commissioni, perciò gli disse di prendersi qualche giorno di pausa per riprendersi, Blaine non sbatté ciglio e come era arrivato alla mattina del quarto giorno se ne ritornò a casa rimanendo nella sua stanza fino al ritorno di Shannon in compagnia di Jupiter che teneva posato il suo musone sul suo addome, almeno quello era il modo in cui li trovò la padrona di casa quando torno e dopo chiese spiegazioni a James perché si meravigliò di trovarlo già a casa, di solito i due pranzavo insieme perché a Blaine non piaceva immaginarselo a mangiare da solo. Quando sentii quello la mia bocca si tirò un sorriso pallido per via del fatto che il moretto che aveva rubato il suo cuore doveva trovare sempre un modo per far felice l’altro, ma tutta questa debole allegria durò un attimo perché tutto ciò che era accaduto nei giorni precedenti gli piombò addosso con ancora più forza.
Erano passati solo tre giorni e già mi mancava, per via di quel pensiero volli tanto darmi un calcio, ma non volevo passare per un folle sotto gli occhi di James. Dalle sue parole capì che era ritornato al periodo in cui si rinchiudeva in se stesso e la cosa non mi piacque perché per colpa della mia boccaccia avevo mandato all’aria tutti quei mesi passati a lavorare su di lui e sulla fiducia verso gli altri.
Avevo rovinato tutto.
Io invece era da tre giorni che stavo da Thad, aveva paura che potessi fare qualche stupidaggine e per un po' mi voleva tenere sott'occhio. Dormivo poco e male la notte perché ogni qualvolta che chiudevo gli occhi vedevo il suo visetto sfregiato e lo sguardo accusatorio di Blaine, non so cos'era peggio. Immerso nei miei pensieri non mi accorgo della presenza di Thad fino a quando, dopo essersi seduto fianco a me, mi passa una mano fra i capelli e con l'altra mi porge una tazza fumante di tè.
"Come va?"
"Ti dico che sto okay, anche se non sto okay. Ma devo esserlo, me lo dovevo immaginare."
"Dagli tempo Seb. Vedrai questa lontananza vi farà solo che bene."
"Ha passato dieci anni a odiarmi, Thad. Non credo che qualche mesetto passato ad amarmi possa fargli dimenticare tutto ciò che è accaduto quella notte."
"No, ma l'amore può curare anche le più brutte ferite, tu lo sai. Abbi fede."
"È come se mi avesse strappato una parte di me e ora fa tutto terribilmente male. E le sue parole? Lame affilate alla perfezione. - lo guardo e mi scappa uno sbuffo divertito - Ma mi senti? Sono ridicolo. Sto qui a compiangermi come se facendolo lo potessi far ritornar da me. Sono un cretino."
"No, sei innamorato e sì, te lo rinfaccerò a vita, mammoletta."
"Johnson se vuoi vengo lì e ti faccio vedere chi alla fine sarà una mammoletta quando pregherà Thad di far fermare il francesino."
"Smythe ti vuoi umiliare ancora di più questa sera?"
"Tu mi sottovaluti."
"Bambini basta."
Ci riprende Thad perché aveva un limite di sopportazione molto basso quando si parlava dei battibecchi che avvenivano ogni qualvolta che il suo compagni stava nel largo di qualche metro. Prendo il mio tè e lo sorseggio lentamente, mi appoggio meglio su Thad posando la mia testa sulla sua spalla. Patrick odia quando mi avvicino troppo e mi beo dei suoi sguardi assassini, almeno i suoi sono buffi.
Quando Patrick se ne va Thad scuote un po’ la testa  per poi avvicinare il suo viso al mio orecchio.
“Comportati bene, è anche casa tua e se ti sbatte fuori non posso oppormi più di tanto. Intesi?”
“Non è colpa mia se hai deciso di sposarti un cretino.”
“Non è un cretino, Seb.”
“Okay, giusto inversamente intelligente.”
“Seb!”
Mi dice dandomi un pugno sulla spalla.
“Vado a preparare i popcorn che saranno cotti alla perfezione quando tu avrai finito di bere il tè e Back to the Future è già pronto, lì sul tavolino, per essere visto. Finalmente dopo tanti mesi ho il mio migliore amico che mi fa compagnia quando il mio compagno fa il turno di notte.”
“Che ne dici di una maratona di telefilm? Non mi sento in vena di quel film.”
“Ma ti mette sempre di buon umore guardarlo.”
“Lo so, ma passo.”
“L’hai visto anche con lui vero?”
“Abbiamo fatto un sacco di serate film, non potevo non faglielo vedere.”
 “Uno Smythe innamorato è il peggior  spettacolo che abbia  mai visto, peggio di quella volta in cui Thad mi ha portato a vedere lo spettacolo finale di danza dei piccolini. – mi dice mentre si sistema la divisa, mi parla fissandomi con i suoi occhi chiari dallo specchio e poi aggiunge con u nghigno – Ma ti ha preso pure le palle quello?”
A quel punto mi alzò e gli vado vicino prendendolo per il colletto, il gioco è andato fin troppo per le lunghe, ma lo lascio andare subito. Le parole di Blaine sono ancora ancorate ai miei pensieri. Lui continua a guardarmi male, fastidio misto alla paura di ricevere un colpo che mai sarebbe arrivato. Me ne ritorno al mio posto e solo in quel momento Thad ritorna a respirare per poi dirigersi in cucina.
Rimango per un po’ da solo.
“Thad non è incline a pagare per i cofanetti di telefilm dice che si possono benissimo vedere ad una buona qualità anche in streaming, però è disposto a pagare soldi per i film, lui dice che sono due cose differenti, credo di morire ignorando la differenza tra le due cose. Ti lascio questo che è uno dei miei telefilm preferiti ed è l’unico che piace anche a Thaddy.”
Mi lascia i cofanetti delle varie stagioni di The Big Bang Theory sul basso tavolinetto di fronte a me e prima che si tiri su lo prendo delicatamente per un braccio.
“Scusa per lo scatto di prima, sono giorni pesanti.”
“Colpa mia, ti ho provocato. So cosa significa venir lasciati dalla tua persona, lo so. Con Thad voi due non vi siete propriamente lasciati mi pare di aver capito da quel poco che mi ha raccontato su di voi.”
“Non è stato un taglio netto fra di noi, semplicemente il nostro amore si è affievolito, giorno dopo giorno, alla fine ci potevi scambiare benissimo per fratelli di sangue, ma non per amanti. È il mio migliore amico, perciò – con la testa gli indico l’anello – feriscilo e ti vengo a cercare.”
“Me lo hai già detto.”
“Il mio è solo un promemoria.”
“Non è mia intenzione. Adesso lo vado a salutare da dietro la porta del soggiorno da dove ci sta guardando in questo momento – in quello stesso istante lo si sente ridere da dietro quel punto – visto?”
Detto quello gli lascio il braccio e giro la testa per vedere Thad, ma lui è troppo preso a sorridere al suo Patrick, gli va incontro e gli prende il viso fra le mani per baciargli le labbra. Non sento cosa gli dice ma la sua bocca che si apre in quel sorriso del “ti amo” non è difficile immaginarselo.
Quando lo lascia andare e si mette in spalla la sua borsa lasciandoci soli, Thad mette sul tavolino la ciotola gigante per i popcorn e prende in mano il primo dvd della prima stagione, poi si mette fianco a me con la sua testa posata sul mio braccio.
“Visto? Non è poi così male. . .”
“Sì, lo ammetto però nei giorni dispari rimane pur sempre un cretino.”
“Bas!”
“Inversamente intelligente, Thad, inversamente intelligente.”
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“Bontà divina Smythe, spegni quel dannato telefono o giuro che te lo faccio mangiare!”
Biascica Thad mentre mi lancia un cuscino del divano per poi girarsi di spalle continuando a dormire.
“Pro-pronto parla Smythe.”
Dico sbadigliando.
“Sono William, ci sono problemi con il caso 140-B.”
Il caso 140-B era quello di Blaine e se lo chiamava così significava che stava ancora in stazione e non poteva permettersi di chiamarlo col suo nome. Questo aumenta la mia preoccupazione facendomi diventare incredibilmente sveglio.
Che gli sarà successo?
“Puoi venire in stazione?”
“Parto subito.”
Scuoto Thad, non ho la mia macchina con me e mi serve la sua per poter raggiungere Will.
“Thad alzati, devo andare alla stazione di polizia quelle quarantesima. Ti prego.”
Continuo a ripetere e dopo un po’ ottengo finalmente l’effetto desiderato.
“Che è successo?”
Mi chiede con un pizzico di lucidità quando capisce che qui la situazione è grave e inizia a cercare le scarpe.
“Non lo so, ma da come ha chiamato il caso di Blaine credo che la situazione è estremamente grave. Aiutami.”
“Dammi cinque minuti e partiamo.”
****
 
 Mi faccio lasciare da Thad davanti all’entrata per poi correre come una scheggia nell’ufficio di William che si trovava infondo al corridoio. So dove devo andare e nessuno lì mi ferma o mi richiama per il fatto che stia correndo, ci deve esser stato un passa parola che mi permette di arrivare nella sua stanza in men che non si dica.
Quando sono arrivato nemmeno busso.
“Che è successo?”
Dico col respiro affannato.
“Lui è scappato. Ieri pomeriggio era passato da me, era strano, ci teneva tanto a salutarmi, ad abbracciarmi prima che andasse via. Io gli continuavo a dire che ci saremmo visti il giorno successivo all’aeroporto, non c’era bisogno di salutarci adesso. L’ho lasciato per qualche minuto da solo, dovevo rispondere alla chiamata di mio figlio, Emma stava in cucina e non si è accorta di niente. Sapevo che non dovevo farglielo vedere. Poi alle due mi arriva una chiamata da Shannon, che mi dice che è scappato e lì capisco tutto. Io sono così mortificato Sebastian, non potevo sapere che-”
“Cosa gli hai fatto vedere?”
“Dove lascio la mia pistola.”
“No.”
Dico indietreggiando, mi sento le gambe cedere e per poco ecco che cado. La Terra ha perso la sua consistenza sotto ai miei piedi.
Non può essersi tolto la vita.
“Non si è ucciso, se è quello che stai pensando, no, però non sappiamo se è mentalmente stabile, in molti l’hanno visto più strano rispetto al solito e con visto che è anche armato no sappiamo quanto lui possa essere pericoloso, occorre trovarlo.”
“Dovete trovarlo il prima possibile, ma perché hai chiamato me? Non ci parliamo più da giorni, non posso esservi d’aiuto.”
“Sta arrivando Shannon e ha una lettera per te.”
Il fatto che mi abbia scritto una lettere fa aumentare la preoccupazione dentro di me e inizio a pensare al peggio, è inevitabile che lo faccia. William mi fa segno di aspettarla fuori e mi inviata a sedermi su una delle sedie che costeggiano il muro, ma non ce la faccio a star fermo e inizio a fare avanti e indietro su per il corridoio. Mentre cammino incomincio a dipingere nella mia testa ogni tipo di scenario, di come Blaine usando una pistola si potesse uccidere o far qualche stupidaggine che gli costerebbe cara. Perché qualcosa ci deve pur fare o sennò non l’avrebbe presa. Prendo in considerazione anche la possibilità di vedermela puntata contro, non so con quanto odio nei miei confronti abbia avuto a che fare durante gli anni in riformatorio.
Incomincio ad avere paura.
 
****
 
Come Shannon arriva mi viene incontro e mi stringe forte fra le sue braccia, mi abbraccia e appoggio la mia testa sulla sua spalla ricambiando forte la stretta. Come alzo lo sguardo sul suo viso vedo che ha gli occhi rossi e leggermente gonfi.
“Come stai?”
“Preoccupato, ho paura che possa fare qualcosa. Te?”
“Continuo a dirmi che se mi svegliavo un po’ prima tutto questo forse non sarebbe mai successo. Ha lasciato un lettera anche a me.”
Alla parola lettera le si rompe la voce in gola, chissà cosa ci avrà scritto su quella lettera.
“Su questa c’era il tuo nome, scusa se è un po’ accartocciata. . .”
“Non ti preoccupare.”
Prendo la lettera fra le mie mani quando me la passa e con un gesto della testa mi scuso e vado il più lontano possibile da tutti. Ho bisogno del mio spazio e quando sento di stare abbastanza da solo mi perdo nel percepire la consistenza della carta e sento che dentro c’è più di un foglio. Seguo tutta la linea di inchiostro blu del mio nome, nella sua calligrafia frettolosa, e poi me la porto al naso per vedere se ci siano ancora delle tracce del suo odore. Apro attentamente la busta e con ancora più calma tiro fuori la lettera, ho paura di quello che potrei trovar scritto. Quando ce l’ho fra le mani cautamente l’apro e esce fuori un biglietto solitario che cade sul pavimento, l’afferro subito.
“Amore mio, dove tutto è iniziato finirà.
Ti amo. –B”
Più lo leggo e più mi sembra che abbia scritto quel bigliettino con l’intento di farsi trovare, forse non tutto è perduto.
So dove devo andare per trovarlo.
Trovo Thad che aspetta appoggiato alla sua macchina mentre cerca con tutte le forza di non dormire, gli prendo le chiavi dalle mani e lui mi guarda subito storto.
“Che fai?”
“So dove si trova, ti prego non odiarmi ma mi devi prestare la macchina, devo andarci da solo. Entra dentro e cerca una certa Sophie, dille che sei mio amico e che ti deve portare da William per il caso 140-B, che è importante. Io devo andare, ha un vantaggio su di me di non so quante ore, devo sbrigarmi.”
“Ma sono le tre di mattino non puoi metterti in viaggio! E cos’è quella lettera?”
“Devo andare da lui okay? Lui voleva farsi trovare non mi avrebbe mai lasciato questo biglietto, sapeva che mai avrei letto la lettera per paura di leggere su carta quella parole che mi aveva detto dopo che se ne è andato, sapeva che non avrei voluto leggere per un’altra volta quel addio che entrambi detestiamo. Devo andare, capisci?”
“Sei pazzo, non puoi.”
“Mi dispiace, ti riporto la macchina sana, promesso. Se ti fa stare più tranquillo ti chiamo appena arrivo al lago, così saprai che non mi sono addormentato per strada e che non ho fatto nessun incidente, okay? E chiedi sempre a Sophie se ti fa un caffè o una coperta se vuoi dormire, o fatti portare a casa da loro non so quanto potrebbe essere felice Patrick di non trovarti a casa o chiamalo, vedi te. È una cara ragazza che mi deve un favore.”
“Perché proprio al lago?”
Mi urla contro dopo esser entrato e messo in moto, abbasso il finestrino per farmi sentire chiaramente.
“Perché è il luogo dove tutto è incominciato e dove tutto finirà, io devo impedirgli di far finire il tutto. Ti chiamo più tardi.”
 
****
 
Era quasi l’alba quando arrivo alla casa sul lago, non c’era alcun segno del suo passaggio e per un momento la mia convinzione di poterlo salvare perché sapevo dove era andato vacillò. Mi fermo sul pontile ad osservare di come il sole inizi a sorgere timido dalle montagne tingendo delle più belle tonalità d’arancione le acque del nostro lago e lì capisco.
Dove tutto era iniziato.
Che stupido che sono stato, era ovvio che non l’avrei trovato dentro alla casa chiara, ovvio che no. Non si riferiva alla nostra permanenza volta alla tranquillità e a curare vecchie ferite di un uomo rotto, no, ma qualcosa avvenuta dieci anni fa.
Ora dovevo correre.
Perché quel bosco stava qui vicino ma lui poteva esserci già arrivato e aver già fatto ciò che voleva, forse sono arrivato troppo tardi o ho ancora una manciata di minuti, ma devo sbrigarmi in entrambi i casi.
Ogni momento potrebbe essere quello che metta la fine e non posso permettermelo.
Devo salvarlo.
Corro verso il bosco, più velocemente che posso, verso quel luogo dove era avvenuta la disgrazia. E i ricordi incominciano a sovrapporsi a questa corsa, ma con la differenza che ora non scappavo da quella realtà che volevo evitare a tutti costi, ma ci andavo incontro, pronto a cambiarla.
Ad un certo punto mi fermo per rifare il fiato e mi guardo in giro, qui ogni punto di assomiglia e ho paura di essermi perso, di esserci già passato per quel sentiero. Mi muovo lentamente e inciampo su una radice, sbatto col gomito su un albero e il colpo fa male che devo far forza con la mano sinistra appoggiata su un albero per potermi rialzare. Come alzo lo sguardo noto un’incisione, scorro la mano lungo il legno ruvido e intaccato. Ma non è quel cuore con dentro quelle due iniziali a farmi più male, ma un proiettile che ha finito la sua corsa proprio su quel albero, fianco a quel “K+B”. Passo un dito sul foro e sento che è ancora caldo, è stato Blaine. In quel momento incomincio a guardare in ogni angolo in cerca di qualche traccia di sangue, mi sento un pazzo mentre controllo ogni singolo filamento di erba e ogni sasso e su ogni ramo le sue foglie. Ma non trovò niente, forse è stato un colpo a vuoto o forse ci ha provato ma non ci è riuscito, questo mi solleva e preoccupa allo stesso momento perché forse ci vorrà riprovare e non può, non lo accetto. Sbatto un pugno contro la corteccia, più e più volte, fino a che le nocche non incominciano a sanguinare e poi mi fermo. Mi lascio scivolare sul tronco e chiudo gli occhi, forse non sta troppo lontano o forse sta ritornando qui e potrei sentirlo e da lì ci metterei un secondo a trovarlo. Una folata di vento mi accarezza il viso e respiro l’aria pulita a pieni polmoni cercando di tranquillizzarmi.
Poi sento un urlo e riconosco la voce, già questa mi fa saltare in piedi e cerco di capire da dove provenga per poi seguirlo prima che si disperda nel silenzio del bosco.
Poi uno sparo squarcia la calma e le mie gambe si mettono in moto, più veloce di prima, ma quando sento un altro urlo questo mi da speranza, forse non ci è riuscito nemmeno questa volta.
Forse ho ancora tempo.
Ma dopo un urlo c’è sempre un altro sparo che mi echeggia dentro la testa e che mi porta a correre più forte.
Non può essere.
No.
Ho passato metà della mia vita a cercare di salvare la gente perché con lui non ci sono riuscito?
Continuo a correre mentre compongo il numero del pronto soccorso, so che è troppo tardi ormai, ma voglio sperare che non si sia colpito in un punto vitale, forse lo posso ancora salvare.
Arrivo alla raduna spettatrice della sua sparatoria, lo vedo come sta ancora in posizione eretta con in mano la pistola, gli urlo di fermarsi mentre gli corro incontro.
Lui si gira verso di me e mi sorride. 
Si porta vicino al viso la pistola e preme il grilletto.

 
TBC. . .
. . .FOR THE VERY LAST TIME. . .
 
 
Beth’s Corner

Buonasera, ebbene sì questo è l’ultimo capito e il prossimo sarà l’epilogo. Mi viene da piangere. Pensavate: ma guarda questa c’aveva detto fra dieci giorni e nemmeno si è vista. Malfidati. È ancora il 30 e siamo in orario, però come sapete la scuola è una brutta bestia e per sopravvivere occorre studiare tanto e io e la beta ne sappiamo qualcosa. E io ho appena finito di ripassare. . .
Sempre caro mi fu quest'ermo col-
Sto divagando per non parlare del finale? Acuti, molto acuti.
Il finale.
Come scena è stata una delle prime che ho pensato, ho iniziato questa storia con quest’immagine negli occhi, come se fosse una spada di Damocle che incombeva su di loro, non importava cosa ci mettevo in questi vent’uno capitoli tutto mi avrebbe portato qui. Ora non so quanti siano delusi per questo finale non finale, perché c’è sempre l’epilogo che ci attende, però il film finisce così e a me piace tenermi quel 2% alla trama del film. Però io mi sono sempre chiesta: ma dopo il salto che succede?
Alcune volte penso che si salva, altre che non salti proprio. E Blaine? Lui è una storia diversa. Il prossimo capitolo sarà. . . particolare e spero che vi piacerà, lo spero tanto.
Grazie mille a tutti che sono rimasti e mi hanno fatto compagnia con la loro lettura per ogni aggiornamento, grazie. Mi piacerebbe sapere che ne pensate di questo capitolo e se volete sapete dove cercarmi, sono sempre disponibile.
Alla prossima, buona notte a chi legge ora, buongiorno a chi leggerà domani mattina e, okay me la smetto qui. :)
Love always,
Beth <3
 
Ps: DFTBA. (Don’t Forget To Be Awesome.)

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Capitolo 23
*** Millions of second of perspective later ***


Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro Ryan Murphy, pelatone fortunato; *sigh*

Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro (mi fa sempre ridere scriverlo), ma è stata fatta solo per il puro piacere di scrivere di quei due baldracchi che mi hanno rubato il cuore.






Millions of second of perspective later. . .
 
 
You can't know what an experience will mean to future you
 until you are future you.
You need millions of second of perspective.
(John Green)
 
 
“Sveglia sveglia campione! Dobbiamo fare tante cose oggi.”
Disse il padre scuotendo delicatamente la piccola spalla del figlio che come sentì il padre alzarsi per andare dalla sorella richiuse gli occhietti per ritornare a dormire. Durante le vacanze provar a far alzare i suoi figli ad un orario decente era un’impresa che sfiorava la soglia dell’impossibile. Ma quel giorno ricorreva un anniversario, che era legato ad un promessa fatta anni fa, perciò non poteva tardare.
Guardò l’orologio a forma di Buzz Lightyear del figlio e constatò che all’ora dell’atterraggio del marito mancavano ancora circa tre ore, ce la poteva fare, dopo tutto era stato due settimane senza la sua presenza poteva farcela, solo un ultimo piccolo sforzo, mancava poco ormai e non vedeva l’ora di poter riabbracciarlo un’altra volta, di baciarlo e. . .
“Papà?”
“Dimmi tutto principessa.”
Le disse prendendola fra le braccia per poi lasciarle un tenero bacio sulla fronte per darle il buongiorno e la piccola ricambiò subito dandogliene uno sulla guancia per poi scoppiare a ridere per via della barba di due giorni che gli decorava il viso.
“Perché dobbiamo passare nel posto che ti rattrista sempre prima di andare a prendere dada?”
“Perché ho promesso ad una persona speciale che ci sarei andato, ad ogni anniversario, alle undici spaccate e sai che mantengo sempre le promesse.”
Lei le sorrise e poi fece segno di farla scendere e andò dal fratello che ancora dormiva sperando di riuscire a farlo svegliare. Lui la guardò fino a quando non scomparì sotto le coperte del fratello, gli voleva fare uno scherzo e il padre semplicemente rimase lì, fermo ad osservarli perché mai avrebbe immaginato un futuro del genere, mai avrebbe immaginato di poter dire di stare bene con se stesso. Di dire “sono felice” senza avere paura perché ad un certo punto capisci che il passato è solo. . .passato, non puoi cambiarlo perché non puoi tornare indietro e darti uno schiaffo pur di fermarti nell’istante in cui prendi quella decisione che cambierà tutto. Non puoi, devi solo imparare a conviverci. Ci mise troppo tempo a comprenderlo, ma ora che aveva loro sapeva che niente lo avrebbe più portato affondo.
Quando sentì delle risate provenire da sotto le coperte capì che la sua piccola era stata più brava di lui nella sveglia, il solletico era sempre un’arma micidiale, e per questo si incamminò tranquillo verso la cucina, ma prima di uscire doveva dire quelle paroline magiche che avrebbero fatto alzare presto dal letto il figlio anche di domenica mattina.
“Vado a riscaldare i muffin al cioccolato bianco e pere.”
Non finì di dire la parola bianco che già la sua piccola furia si era lanciata da fuori le coperte per dirigersi in cucina. Padre e figlia si guardarono per poi scoppiare a ridere.
 
****
“Quanto manca?”
Il padre guardò il figlio dallo specchietto retrovisore e gli uscì uno sbuffo divertito dalla bocca.
“Tesoro chiedermi ogni minuto quanto manca non accorcia la strada, purtroppo occorre andare un po’ fuori città ma ci siamo quasi, un altro po’ di pazienza.”
“Papà perché non ci hai mai portato lì?”
“Perché non è un bel posto.”
“Perché?”
“Perché lì è in bella mostra tutto ciò che hai perso nel corso del tempo, poi non è un posto adatto per bambini piccoli.”
“E perché oggi?”
“Perché noi non siamo più bambini piccoli, abbiamo sette anni e tre quarti, siamo grandi.”
“Oh certo campione, ma come mai tutte queste domande?”
“Dada dice che non si deve rispondere con una domanda.”
Disse risoluto il figli e quando il padre alzò gli occhi verso di lui vide lo sguardo che aveva sempre il marito quando lo riprendeva, scollò la testa ripensando al vecchio detto: “tale padre tale figlio”.
“Oggi perché non c’era nessuno disposto a farvi da babysitter e comunque prima o poi dovevate fare la sua conoscenza.”
“Ma la conoscenza di chi?!”
“Una persona speciale per me, molto speciale.”
“Ma non è dada la tua persona speciale?”
“Quel lui è stato la mia prima persona speciale, piccola.”
“No, non è vero. – disse alzando la voce in tono indignato la bambina puntatogli contro il suo ditino – Non  può esistere una persona più speciale di dada.”
Il padre fermò la macchina al semaforo rosso e si girò per guardare la figlia, le sorrise teneramente. La piccola aveva un debole particolare per suo marito.
“Allora diciamo che lui è stata la mia persona quasi-speciale e che prima di capire cosa fosse realmente una persona speciale ho dovuto aspettare dada. Può andare?”
Le chiese sornione il padre e la piccola annuì.
Arrivarono alla meta dopo che il quattordicesimo “ma siamo arrivati?” venne chiesto.
*****
“Bambini ritornate qui subito! Prendete la mia mano e fate i bravi, non è un parco a tema questo, abbiate rispetto. Su da bravi venite qui.”
Con un po’ di difficoltà il padre riuscì a farli star buoni e riuscirono ad arrivare alla tomba vicino all’angelo, non seppe come riuscì a prendere la mano del figlio tenendo nello stesso tempo le rose gialle e rosse senza farle cadere o rovinarle, ma quando si trovò di fronte la sua lapide si lasciò sfuggire un sospiro sollevato perché gli iniziava a far male la mano e finalmente poteva posare da qualche parte i fiori. Si inginocchiò e passò una mano delineando ogni lettera dorata in rilievo, delicatamente.
“Ne è passato di tempo eh? Mi dispiace ma come vedi ho lo mie buone motivazioni: due pesti.”
Disse il papà alla lapide come se stesse parlando ad un vecchio amico di fronte ad una tazza di tè nel soggiorno di casa sua.
I bambini guardarono attentamente quella lastra di pietra con delle lettere sopra e si scambiarono uno sguardo perché loro non avevano mai sentito quel nome tranne che. . .
“Ma è il nome di uno dei principi delle tue storie!”
Disse la bambina che riconobbe quel nome, le piaceva molto il suono il suo papà aveva un modo tutto suo di dirlo, sembrava che assaporasse ogni lettera, le piaceva come risuonasse nella loro stanzetta illuminata dalla lucina vicino al suo lettino. Il padre si girò verso di loro e le sorrise annuendo. Quello era uno dei metodi che aveva adottato per farlo continuare a vivere attraverso i ricordi. Il maschietto, che era rimasto in disparte, si avvicinò piano alle spalle del padre perché voleva vedere a quale principe si trovavano di fronte.
“Ma perché ha il mio secondo nome, papà?”
L’uomo aprì le sue braccia per invitare il figlio a venire ancora più vicino a lui, il padre sapeva che quel giorno prima o poi sarebbe arrivata perché per quanto non si poteva pensare al proprio passato esso ti veniva a cercare e non poteva pensare ad altrimenti visto che aveva messo proprio quel secondo nome al figlio.
“Vi abbiamo raccontato di come siamo divenuti una famiglia, vero?”
“Sì, quando è nato il cuginetto la cicogna aveva con se anche noi perché aveva trovato i due papà migliori a questo mondo disponibili a prenderci con loro.”
Disse la bambina che si aggrappò forte al braccio del padre posando la sua testolina piena di ricci sulla sua spalla.
“Esatto, ha trovato noi. Quando ti vidi per la prima volta sai cosa ho pensato, piccolo? ‘Ecco, qui c’è lo zampino del mio migliore amico, non ci sono dubbi. Lo si può definire un miracolo?’ Non credevo a ciò che avevo di fronte, i tuoi occhietti mi catturarono già dal primo sguardo, erano dei piccoli frammenti di cielo, molto simili ai suoi. In quel momento pensai che avrei fatto di tutto pur di vedervi felici, io e tuo padre ci eravamo sposati da pochi anni e raramente avevamo pensato di allargare la famiglia, ma stranamente il momento in cui meno te lo aspetti diviene il ‘momento perfetto’. Eravamo pronti a diventare papà. Così al nostro duo si aggiunsero anche quei due pargoletti chiamati Andrew Kurt e Emily Elizabeth Smythe-Anderson.”
Gli diede un bacio sulla loro testolina fra i ricci rossicci dopo aver detto i loro nomi. I bambini non capirono tutto ciò che gli avesse detto il padre, ma una cosa era certa.
Papa forse questo Kurt era un persona più che quasi-speciale se ci ha portato da voi.”
Disse la piccola Emily facendo commuovere suo padre che liberò dalla presa delicata il suo braccio solo per poter stringere entrambi forte a se, stretti vicino al suo cuore. Ed era quando si trovavano stretti in quegli abbracci che sembravano non finissero mai che Blaine ringraziava quella forza invisibile che quel giorno lo aveva avuto tra le sue grazie e che gli aveva dato una seconda possibilità.
Gli aveva dato la possibilità di risorgere dalle sue paure diventando un uomo migliore, capace di pensare al passato senza provare delle fitte allucinanti all’altezza del cuore. Non fu un cammino facile, passò dei mesi in cui non riusciva a immaginare un domani, un futuro, benché Sebastian ogni giorno, finito il suo turno, lo andava a trovare, ma Blaine non gli permetteva mai di entrare e forse fu questo uno dei suoi sbagli peggiori. Perché fu quando lasciò la porta aperta al biondo che gli sembrò di tornare a respirare ancora.
Quel giorno non poteva immaginare quante cose meravigliose avrebbe perso fino a quando non le conquistò.
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Lui si gira verso di lui e gli sorride. 
Per un’ultima volta.
Si porta vicino al viso la pistola e preme il grilletto.
Poi lo preme ancora, ma a vuoto per la seconda volta di fila.
Perciò ci prova un’altra volta, ma niente ancora, continua a premerlo benché non ci fossero più dei proiettili a disposizione. Sembra un pazzo, cieco di disperazione.
Lancia la pistola con un gesto rabbioso lontano da lui.
Si accascia a terra urlando e piangendo. Urla che non vuole più far parte di questo mondo e vorrebbe che quelle maledette porte di quell’inferno che gli hanno promesso si aprissero sotto ai suoi piedi.
E Blaine urla, tanto da fargli male la gola.
Urla finché non la sente che brucia.
Urla e non percepisce nemmeno le braccia di Sebastian che gli avvolgono il busto, che lo fa dondolare avanti e indietro per farlo tranquillizzare. Non sente nemmeno tutti i “si sistemerà tutto, te lo promesso”, “ce la faremo”, “io non ti abbandono”, “andrà per il meglio” di Sebastian perché è troppo forte l’oscurità che lo circonda. Le lacrime continuano a cadere copiose sul braccio di Sebastian, scivolano veloci sulla sua pelle per poi finire la loro corsa sul prato morbido. Sebastian lo tiene stretto a se  fino a quando le urla si affievoliscono e le lacrime incominciano a seccarsi, pian piano in quella piccola raduna ritorna il silenzio che è intervallato solo dai respiri pesanti di Blaine.
Sebastian lo tiene stretto fino a quando Blaine non decide di alzarsi, lo guarda e nel suo viso non traspare alcuna emozione e in quel momento il francese capisce che il proiettile non sarà andato non avrà colpito la sua carne, ma qualcosa dentro di lui si è rotto uccidendolo un poco e per rimettersi in piedi ci impiegherà più di quanto immaginasse.
Sebastian lo ristringe fra le sue braccia e Blaine risponde alla sua stretta aggrappandosi a lui con se avesse paura che da un momento all’altro non potesse fare che frantumarsi in mille piccoli pezzi, si sente così debole. Anche Sebastian si aggrappa a lui, per paura, per paura di perderlo un’altra volta. Gli bacia la fronte bagnata come muta promessa di restare per sempre al suo fianco, non l’avrebbe riabbandonato un’altra volta e in cuor suo sa che sì, ci vorranno mesi, anni, prima di ritornare alla normalità ma un giorno il sole ritornerà a risplendere nella sua vita. Necessiteranno di molta pazienza, ma alla fine sa che ne sarà valsa la pena.
 
*******
 
Papa mi prendi in braccio e mi metti sulle tue spalle? Ho paura che daddy poi non vede il cartellone!!”
“Vieni qui, Andrew. Anche se non so quanto dada ti possa essere d’aiuto per sembrare più alto.”
Disse scherzando sulla sua altezza e poi con un movimento fluido se lo mise sulle spalle e il bambino incominciò ad agitare le sue gambine colpendo di tanto in tanto il colpo del padre.
“Calma campione che così mi giochi lo sterno.”
Gli disse bloccandogli le gambine e per poi massaggiarsi il petto.
“Scusa papa.”
Fece il bambino con tono triste per poi appoggiare il suo mento sopra alla testa del padre incominciando a giocare con i suoi ricci mettendo il broncio, odiava restar immobile per troppo tempo, con l’altra mano metteva in bella mostra il cartello che aveva fatto per Sebastian. Ma quando vide che dall’uscita del gate si incominciarono a vedere i volti dei passeggeri Emily e Andrew incominciarono a battere le mani e a urlare il nome nel padre e Blaine scommetteva che a fine giornata si sarebbe ritrovato con tutto il petto abbozzato.
“Andrew. Stai. Fermo. O. Ti. Metto. Giù.”
Gli disse a denti stretti senza ottenere alcuna risposta e quando gli prese le braccia sottili si bloccò come intravide la sagoma del marito che avanzava verso di loro facendo slam fra la gente, Andrew come vide che l’altro suo papà li aveva visti fece di tutto pur di ritornare con i piedi per terra per poi corrergli incontro affiancato dalla sorella. Sebastian come li vide posò le valige a terra, si inginocchiò per poter stare alla loro altezza e aprì le braccia come invito per fiondarsi su di lui e i gemelli non se lo fecero ripetere due volte. I due si aggrapparono al suo collo e lo ricoprirono di baci e si “mi sei mancato tanto daddy”, Sebastian li strinse forte a se e rimasero in quella posizione fino a che i gemelli pensarono di aver dimostrato al loro papà quanto gli era mancato, nel frattempo Blaine si era avvicinato lentamente al resto della sua famiglia, guardando suo marito con quella luce negli occhi tipica di chi si è appena innamorato, prese la valigia del marito e si beò di quella scenetta che riscaldava il cuore a tutti coloro che gli passavano vicino e si fermavano a guardarli. Quando i bambini lasciarono la presa sul collo del padre questo fu finalmente libero di respirare a pieni polmoni ancora e poté alzare lo sguardo sul marito, Sebastian si alzò di scattò e si perse nei suoi occhi che per due settimane aveva visto solo attraverso lo schermo del suo computer. Rimasero fermi fino a quando di colpo Blaine non fece cadere le valige che aveva da poco preso in mano e ricoprì la distanza che li separavano in due falcate e ben presto si ritrovò fra le braccia del marito.
Sebastian gli lasciò una scia di piccoli baci umidi su tutta la sua mandibola fino a che non arrivò al suo orecchio per sussurragli che gli era mancato e Blaine lo strinse più forte.
“Ehi sono tornato, vacci piano, non me ne vado più via.”
Gli disse gentilmente Sebastian facendogli allentare di poco la presa sulla sia vita chiedendosi da dove venisse tutta questa necessità di stringerlo così forte e poi gli venne in mente che giorno era quello e capì il motivo perciò gli lasciò un bacio veloce e delicato sulla labbra, che passò inosservato agli occhi di tutti tranne quelli degli figli che incominciarono a ridere. Sebastian appoggiò la sua fronte su quella del marito ignorando i risolini dei figli.
“Come stai?”
“Ora bene.”
“Sicuro?”
“Sì, tutta passa quando sto con voi. Tranquillo.”
“Okay. Torniamo a casa?”
Gli chiese Sebastian accarezzandogli delicatamente la guancia ruvida per via della barba non fatta.
“Torniamo a casa.”
“Finalmente.”
Disse Sebastian con un sorriso sulle labbra che ancora a distanza di anni faceva fare delle capovolte allo stomaco di Blaine che si chiese se prima o poi questo effetto potesse scemare mai, ma quando Sebastian sorrise ai figli, capì che no, non gli sarebbe mai passato.
I bambini gli presero le mani lasciando da parte Blaine con le valigie, Sebastian girò la testa verso suo marito alzando le spalle a mo’ di scuse mentre Emily continuava a parlare di quello che avevano fatto nella sua assenza e Andrew gli chiedeva se era riuscito a leggere il suo “DADA SEBASTIAN. Bentornato!!!!” e tutto allo stesso tempo, il genitore francese si ritrovò ad annuire senza sapere a cosa annuiva, confidava che si sarebbe fatto raccontare tutto più tardi, nella tranquillità della loro casa, aveva bisogno di calma e del suo adorato divano, il jet lag incominciava a farsi sentire e incominciò ad odiare ancora di più quel convegno a Berlino.
*******
Se Sebastian credeva che i figli gli lasciassero cinque minuti di pace per poter respirare si sbagliava e di grosso. I gemelli fecero vedere al padre tutti i disegni che avevano fatto quella settimana, Andrew fece sentire al padre quello che Blaine gli aveva insegnato a suonare quella settimana e così fece Emily e poi venne l’ora della merenda e i bambini pregarono in tutte le lingue del mondo il padre di cucinare i pancake e invano andò il fiato dei genitori che gli ricordavano che quello si mangiava a colazione e ora non era colazione, ma Sebastian non riuscì ad essere fermo come sempre, per via della stanchezza e degli occhi che si facevano pesanti, perciò dopo aver bruciacchiato un pancake servì ai figli quella colazione che gli era mancata tanto perché Blaine era si un bravo papà ma i pancake di Sebastian erano Buonissimi, con la b maiuscola, come diceva Andrew. Quando ebbero la pancia piena Sebastian guardò con occhi sognati quel divano che spiccava invitante e comodo dal soggiorno chiaro e pian piano si mosse nella sua direzione, ma i bambini lo ripresero per mano per portarlo nella loro stanzetta perché gli voleva far provare il loro nuovo gioco che Blaine gli aveva comprato. Sebastian maledisse mentalmente suo marito e si lasciò trascinare  nella loro cameretta a giocare alla nuova versione del Monopoli con i personaggi del nuovo cartone che tanto piaceva ai figli e che mai si sarebbe ricordato il nome. Quando Blaine finì di pulire la cucina e dopo aver messo il voto agli ultimi compiti, che ancora gli mancavano da correggere, andò a fare compagnia al trio sperando di trovare il marito con gli occhi ancora aperti e vide che Sebastian aveva gli occhi che si stavano per chiudere, ma era anche nel pieno del gioco e mai avrebbe venduto ad Andrew quella proprietà che valeva un sacco di soldi.
“Ma dai che è un affarone papà!!”
“Andrew con la tua proprietà, che vale un quarto della mia, cosa ci dovrei fare? E perché dovrei comprartela?”
“Perché sono tuo figlio e vuoi il mio bene?”
Chiese con ovvietà il piccolo facendo ridere il genitore riccio che prese posto alle spalle di Sebastian che come se lo sentì dietro rilassò la schiena facendola aderire al petto di Blaine che gli lasciò un bacio sul collo.
“Bravo papa distraimelo che così mi vende la proprietà.”
“Andrew!”
Disse in coro in due genitori.
“Che c’è è vero! Papa continua!!”
“Questo è stampo Smythe, mio caro.”
Gli sussurrò il moretto e rimase fermo al suo posto stringendo a se Sebastian e osservò il gioco da sopra della spalla del marito e quando i battibecchi sulla proprietà cessarono e ritornarono ad un gioco tranquillo, Blaine senza accorgersene si ritrovò a baciargli il collo, mordicchiandogli la pelle di tanto in tanto distraendo completamente Sebastian dal gioco che si bloccò con i dadi a mezz’aria quando sentì la mano di Blaine che stava scendendo sempre giù. In quel momento la distanza in quei giorni si fece sentire ancora di più e il sangue gli fluì in posti in cui non doveva fluire in quel particolare modo di fronte ai figli.
Daddy? Ma stai bene? Ti stai gonfiando, non è che non eri più abituato ai pancake e ti stanno facendo la bua?”
Blaine immediatamente si bloccò e guardò prima il collo arrossato di Sebastian e poi il rigonfiamento che diceva la loro Emily, che non era dovuto a nessun pancake, e veloce andò a prendere un cuscino per far coprire il marito, quando riprese il suo posto Sebastian gli diede una gomitata che fece star buono Blaine per il resto della partita.
“Ti sei messo d’accordo con Drew a chi mi fa più male?”
Gli sussurrò dopo aver ricevuto il colpo.
“Cosa mi dici sempre?”
Gli chiese a denti stretti.
“Non di fronte ai bambini, lo so, lo so. Ma. . .”
“Lo so, lo so. Ma ora stai buono. E non distrarmi, voglio vincere.”
 
*******
“Oh bontà divina!”
Borbottò Sebastian prima di buttarsi a peso morto  sul letto andando a nascondere la sua testa sotto al cuscino di Blaine.
“Non devi provare a ridere o fare quella faccia, Anderson.”
Blaine tossì per camuffare la risata e ritornò a sbottonarsi la camicia per mettersi la t-shirt reduce dagli anni all’Università che aveva frequentato dopo essersi ripreso dal suo periodo più buio. A Blaine piaceva accerchiarsi di tutto ciò che costituiva la sua ripresa e non lo faceva per vanità, come per metter in mostra la sua forza, per lui era come un promemoria di tutto ciò che poteva non aver vissuto e un giorno, quando sarà anziano, si sarebbe guardato indietro e avrebbe visto che tirando le somme tanto male nella sua vita non l’aveva fatto, che aveva vissuto una vita senza rimpianti, piena di amore, che legava il suo cuore a quello del marito e a quello dei figli con un doppio filo rosso, che mai si spezzerà, piena di esperienze che l’hanno fortificato rendendolo ciò che è adesso. Gli aveva promesso che avrebbe vissuto anche per lui e mai avrebbe mancato la parola ad una promessa data.
“Che faccia?”
“Quella da ‘ mio marito è adorabile quando gioca con i bambini e anche quando è stanco e uh-oh sedere’. Quella faccia.”
“Era da tanto che non mi chiamavi Anderson.”
“Non cambiare il discorso.”
“Però è vero sei adorabile quando giochi con i bambini.”
Gli disse sorridendogli sornione e per tutta risposta ricevette un rantolo proveniente da sotto al cuscino, Sebastian odiava quando passava per quello ‘adorabile’.
“E quando sei stanco.”
Blaine si mise la maglietta e con un gesto rapido si tolse i pantaloni per poi sedersi a gambe incrociate di fianco a Sebastian passandogli una mano fra i capelli.
“Non pensavo di avere una faccia speciale per il ‘uh-oh sedere’.”
Gli disse dopo essersi abbassato per poterglielo sussurrare direttamente sull’orecchio facendogli anche  un po’ di solletico.
“Arricci le labbra in un sorriso strano e gli occhi ti si scuriscono sempre, l’ho notato parecchi anni fa quando ti trovai imbambolato e col tempo l’ho imparata a riconoscere perché la fai sempre.”
Blaine rise e scosse un po’ la testa per poi mettersi a cavalcioni sopra a Sebastian incominciando a massaggiargli la schiena, il francesino come sentì le mani del ricciolo che si muovevano esperte si rilassò completamente affidandosi a lui.
“Ma che hai fatto 16 ore di aereo? Senti te come sei teso.”
“Ho fatto uno scalo lungo a Francoforte, non da meno è stato quello di Chicago. Odio quelle sedie nella sala d’attesa. Per non parlare dei bambini.”
“Gli sei mancato, non sono abituati a starti lontano per così tanto tempo.”
“E tu?”
“Oh ma io non vedevo l’ora che partissi per Berlino, sono stato a meraviglia!”
Disse scherzando Blaine e il calcio da parte di Sebastian non tardò a venire, per via del colpo il moretto perse per un attimo l’equilibrio e si ritrovò sopra al marito mentre si toccava il punto dolorante.
“Ma ti pare il modo?”
Gli chiese mugugnando contro la sua spalla.
“Non è una cosa da dire quella che hai detto.”
“Ma ti sei rincretinito in queste settimane o è il jet lag che non ti fa capire il sarcasmo? E poi come diamine ci sei riuscito a colpirmi il fianco?”
“Ho le gambe lunghe.”
Fu la sua giustificazione. Poi Blaine rotolò su di un fianco e fece per alzarsi quando Sebastian lo bloccò per un braccio.
“Scusa per prima, non volevo farti male e-”
“Mi hai dato un calcio.”
Ribatté Blaine.
“Non fare il bambino piagnone, killer. Rimani qui, non ti alzare per favore, non volevo farti andare via.”
E Blaine si sciolse sotto lo sguardo di quegli occhi dispiaciuti e appannati per la troppa stanchezza, perciò si ristese al suo fianco poggiando la testa sul suo petto e stettero in silenzio per un po’. Blaine si fece cullare dal battito del suo cuore finché non iniziò a fargli delle domande.
“Che hanno detto i bambini quando gli hai portato i fiori per l’anniversario?”
“Emy inizialmente era tipo ‘non esiste persona più speciale di daddy, cosa stai dicendo papà?’ –disse Blaine imitando la voce di quel personaggio di quella serie che andava di moda negli anni ’80 – però quando gli ho spiegato il perché abbiamo scelto proprio Elizabeth e Kurt come loro secondi nomi Emy mi ha detto che se lui li aveva guidati fino a noi forse un po’ speciale lo era.”
“Non ti hanno chiesto nient’altro?”
“Emily voleva sapere il perché di ‘Elizabeth’. Sai per il fatto di sua madre, si chiamava così e diceva sempre che se mai avesse avuto un figlia l’avrebbe chiamata così, già da piccolino lo sapeva. Sai a nove anni gli nacque una cuginetta e passammo un’intera giornata insieme a Burt a trovare un nome, se ne uscì con quel nome e lo incomincia ad amare.”
“Anche a me è sempre piaciuto.”
“Infatti quello fu l’unico nome che impiegammo poco tempo a raggiungere un accordo.”
“Tu e il tuo Philippe.”
“E allora il tuo Theodore?”
Ribatté Sebastian.
“Era bellissimo.”
“Si poi ci mancava che nascesse con la voce da scoiattolo e avremmo fatto una fortuna!”
“Chipmunk, sono chipmunk. Theodore è un nome bellissimo. Theodore Smythe-Anderson.”
“Ma Andrew ancora di più.”
“Infatti alla fine mi hai convinto.”
Poi un altro silenzio cadde fra i due, Blaine voleva chiedergli una cosa, ma non trovava la forza per aprire la bocca. Per un po’ si limitò a disegnare dei cerchi immaginare sull’avambraccio di Sebastian.
“Ti capita mai di pensare a quante cose potremmo aver perso se quel giorno io. . .se quel giorno io, mi hai capito, vero?”
Sebastian prese dei bei respiri profondi e poi si tirò un po’ su facendo girare dalla sua parte Blaine, aveva parlato sempre con lo sguardo fisso sul muro, gli accarezzo delicato la guancia e stirò la sua bocca in sorriso sottile prima di aprire la bocca.
“Ci penso spesso, è più forte di me. Ormai è l’unico incubo che mi fa compagnia di notte, di tanto in tanto, però quando apro gli occhi e ti trovo al mio fianco mi sento subito meglio e ritorno a respirare. Sai per un secondo ho avuto una specie di sparo nelle mie orecchie che mi ronzava in testa, ma era più un flebile eco della catastrofe che essa stessa, credevo veramente di averti perso, per sempre. Perché me lo chiedi?”
“Perché io alcune volte non riesco a pensare ad altro. Ci sono giorni in cui mi salta alla memoria e riesco a pensare solo a quello.”
Sebastian gli prese il volto fra le sue mani e premette le labbra sulla sua fronte, rimasero così per un po’.
“Ne abbiamo già parlato, amore, non c’è niente di cui dover parlare ormai. Sei qui ed è quello che conta, lo so che giorni come oggi sono pesanti per te, ma cosa abbiamo detto una volta che abbiamo deciso di riprovare ad essere un noi?”
“Archiviamo il passato, non pensiamoci più e annulliamolo costruendoci sopra una nuova vita insieme.”
“Conta solo quello che abbiamo ora, conta solo il nostro amore, lo senti? – gli chiese portando la sua mano sul cuore per fargli percepire il battito che palpitava – contano i nostri figli. Hai visto? Gente che credeva che non potevamo avere una famiglia tutta nostra, ma non ce la stiamo cavando male e la dimostrazione sta in ogni loro sorriso. Non è più il tempo per pensare ai nostri sbagli o alle nostre colpe o a ciò che pensiamo che avremmo potuto fare, okay? Non possiamo tornare indietro, non abbiamo alcuna possibilità di cambiare il passato. Però possiamo decidere se passare la nostra vita a pensarci e a riempirci di se o fare qualcosa che ci permetta di alleggerire il peso che grava sulle nostre spalle. Ci siamo salvati a vicenda, due barche alla deriva che si incontrano in mare aperto e unendo la forza sono riuscite a tornare sulla riva. Siamo qui, ora, pensa a questo e non tormentarti ancora, non voglio perderti un’altra volta.”
“Non l’ho mai fatto.”
“Ti ho perso nel momento in cui ti ho detto la verità, qualcosa si era rotto, B.”
“Ti avrò pure detto delle cose che ti potevano ferire, ma non pensare per nemmeno un secondo che io non ti avrei più voluto al mio fianco. Lo sai.”
Sebastian annuì e Blaine se ne ritornò fra le sue braccia, Smythe lo strinse ancora più forte di prima a se, come se avesse paura si avere fra le braccia un sogno, qualcosa di non tangibile e che poteva scomparire in un battito di ciglia. La mano di Blaine era salda sul braccio di Sebastian come se la sensazione di stare alla deriva fosse ancora viva dentro si se e aveva bisogno di un’ancora a cui aggrapparsi. Stretti in quel abbraccio chiusero gli occhi aspettando la venuta di Morfeo, ma ben altri bussarono alla loro porta socchiusa. La testolina dei bambini spuntò dalla porta e aspettarono che i genitori gli dicessero qualcosa. Blaine teneva ancora gli occhi chiusi, come se fingesse di star dormendo anche se il sorriso che aveva lo tradiva, Sebastian invece puntava i suoi smeraldini che si erano addolciti come videro i ricci rossi dei figli emergere dalla porta, strinse a se il moretto e lo scosse un po’.
“Abbiamo ospiti.”
Gli disse nell’orecchio Sebastian per poi lasciargli un bacio svelto sulla guancia e con un movimento della mano fece capire ai figli che potevano entrare. I bambini come arrivarono davanti al loro letto incominciarono a darsi delle gomitate e si scambiarono degli sguardi per mettersi d’accordo su chi doveva parlare e nessuno dei due era deciso a fare il primo passo.
“Ci chiedevamo se. . .”
Incominciò Emily.
“. . .possiamo dormire nel lettone con voi.”
Finì per lei Andrew, i genitori si guardarono e si sorrisero.
“Le sapete le regole bambini: ognuno dorme nel proprio lettino.”
“Ma-ma Emy ha avuto un incubo!”
Ribatté Andrew e per tutta risposta Emily gli colpì la spalla.
“Non si fa quello Emily!”
La ripresero i genitori all’unisono.
“Ma non è giusto! Dice che sono sempre io che ho paura!”
“Ma sei una bambina tu, ovvio che hai paura!”
Daddy! Papa! Non è vero che ho paura.”
“Chiedetevi scusa a vicenda.”
“Ma-”
“Niente ma. Non si danno né i pugni né si dicono quelle cose.”
I bambini si guardarono e sbuffarono.
“Scusa!”
Dissero in coro per poi mettere il broncio. Sebastian rise e aprì il braccio, che non faceva d’appoggio alla testa di Blaine, e si spostò un po’ più a destra per far spazio ai gemelli, per far capire ai bambini che avevano il loro consenso di salire sopra il letto e i due non se lo fecero ripetere due volte. Emily prese possesso del lato destro del corpo di Sebastian e Andrew invece si mise in mezzo ai suoi due papà e felici i gemelli si strinsero forte a lui.
“Se quando ritorno mi riempite di così tanti abbracci vado via più spesso!”
Disse scherzando Sebastian suscitando negli altri tre tutt’altro che ilarità.
“No.”
Gli disse Blaine fulminandolo con lo sguardo dandogli un sbuffetto sulla nuca.
Papa non si danno le botte. . .”
“E dada non si dicono certe cose!”
Li ripresero i bambini per poi mettersi a ridere e si dettero il cinque, i genitori si guardarono e alzarono le spalle come per dire ‘ce la siamo cercata’.
I bambini sbadigliarono e si accomodarono meglio al fianco di Sebastian, Blaine guardò prima i gemelli e poi il marito e si sorrisero ed entrambi pensarono alla stessa cosa: non c’era bisogno di pensare al passato ormai, non da quando hanno loro che riempiono ogni momento libero della giornata. E Sebastian sotto questo punto di vista aveva ragione.
“Non vi state dimenticando una cosa, piccoli? – Andrew e Emily lo guardarono confusi così come Sebastian – il bacio a papà.”
Detto questo gli porse le guance e insieme i gemelli lo assalirono e Blaine fu rapido a prenderli per la vita nel momento in cui se li trovò su di lui, lo riempirono di piccoli bacetti e quando finirono il loro papà gli lasciò un bacio sulla fronte e poi se ne ritornarono a dove si trovavano prima. Sebastian accarezzò la schiena della figlia prima di stringerla più forte a se e così fece pure con la spalla di Blaine, quest’ultimo invece passò il braccio prima sopra al fianco sottile del figlio per posare la mano su quello di Sebastian e stretti in quell’abbraccio si addormentarono.
La stanza rimase per un po’ immersa nel silenzio che veniva rotto solo per via dei respiri che man mano si facevano più profondi e regolari, ma era un silenzio che era destinato a non durare ancora per molto.
“. . .Bas?”
“Mhm.”
Blaine fece forza sul suo fianco per poter alzare il busto fin quanto gli bastava per avere libero accesso alla labbra di Sebastian e si scambiarono un bacio che dapprima era solo un semplice sfiorarsi ma dopo si fece più profondo volto a riscoprirsi, un’altra volta. Quando si staccarono avevano gli occhi lucidi e avevano il cuore più leggero.
“Ti amo, Bas.”
Gli disse a mezza voce Blaine.
“Ti amo anch’io, killer.”
 
***********
 
Vedete quei due uomini che tengono per mano due gemelli, un maschietto e una femminuccia? Che di tanto in tanto si scambiano sguardi di nascosto e osservano l’altro quando questo non presta attenzione?
Vedete la loro felicità nel loro sguardo?
Vedete nei loro occhi quel luccichio che caratterizza il primo incontro, quello del colpo di fulmine?
Vedete  nei loro sorrisi quella felicità che ti pervade quando sai che sei arrivato quasi in cima e che manca poco oramai prima che tutto si prospetta sotto ai tuoi piedi?
Vedendoli pensate che in loro c’è qualcosa di rotto, qualcosa di accomodato a fatica e sangue?
Ovvio che no. Ora li vedete felici e guardandoli attentamente non siete capaci di catturare quella flebile ombra in fondo allo sguardo del tuo psicologo, colui che ti ha sempre aiutato a a venir fuori dai tuoi incubi e mai credereste che proprio lui è uscito da pochi anni dal suo. Lui è colui che ti sta aiutando e in un certo modo ti sta salvando, e mai nei suoi modi potreste capire che proprio quella persona così sicura di se una volta vide le sue certezze crollare, una ad una. Colui che salva vite di continuo un giorno credette di non aver saputo trovare un modo per salvare l’unica persona che abbia mai amato.
Oppure mai potreste immaginare che proprio quel tuo professore un po’ pazzo e un po’ troppo euforico e logorroico per un periodo della sua vita ha vissuto nell’ombra e non parlò per un po’. Se te lo raccontasse gli rideresti in faccia perché non ti sai immaginare quel viso eclissato del suo sorriso dolce.
Sapete qual è il loro segreto? Sapete come riescono a non far trapelare niente di loro ad occhi indiscreti?
Con l’Amore.
È così semplice?
Oh no, loro ci hanno messo mesi a capirlo. Comprendessero che l’unico modo per superare il loro passato era aprirsi totalmente all’altro, senza veli di bugie che li proteggessero. E oltre all’amore ovviamente si dovevano armare di perdono perché ci sono determinate cose che sono difficili da riuscire a perdonare, ma l’amore è più forte di qualunque colpa.
L’Amore non sempre riesce a salvarti, per quanto tu ami non puoi sottrare qualcuno dalla presa della Morte. L’Amore non sconfiggerà mai la Morte, ma le sa tener testa. Quello sì.
A quei due uomini gli venne concessa una seconda opportunità perché quel giorno il proiettile che bramava di sentir bruciare sulla sua pelle fu proprio quello che si conficcò nella corteccia di un albero. Le seconde opportunità non vanno né bruciate né sprecate, vanno tenute al sicuro. E loro non sprecarono nemmeno un secondo di quella vita che gli fu concessa di passare al fianco dell’altro.
Vedete quella famigliola, un po’ atipica, giù al parco in quel bellissimo pomeriggio di primavera? Loro in questo preciso instante sono la felicità.
Ogni piccolo avvenimento che si sono imbattuti lungo la strada che li portò fino a quel punto solo ora li si possono capire, dal modo in cui hanno influenzato il loro futuro perché non puoi capire quanto un’azione possa influire sul tuo flusso temporale finché un giorno realizzi che tutto è servito per portarti a dove sei ora. Il passato assume connotazioni diverse dalle quali non vuoi più scappare e ci impari a convivere.
Quei due uomini condividono segreti che mai verranno svelati ad altri, ma hanno trovato un modo per poter insegnare ai loro figli come comportarsi in determinate situazioni, nel più semplice dei modi: raccontandogli la storia di coloro che riuscirono a sconfiggere la Morte col fiore dell’Amore, non scappando dai loro sbagli ma affrontandoli.
Perché solo nelle favole l’Amore, quello vero, sconfiggerà la Morte, ma crederci non fa mai male. No?
 
THE END.
 
Beth’s Corner
Buona sera folks! Non ci sto prendendo gusto ad aggiornare a pochi minuto allo scoccare di mezzanotte è che la beta è stata per un intera settima senza pc e la stesura di questo capitolo mi ha preso più tempo del previsto, poi tra un laboratorio e lo studio il tempo per loro si accorcia sempre di più e mi dispiace, ma ahimè è la dura legge per la sopravvivenza scolastica dicono. Chiudo qui questa parentesi e veniamo a noi, che è meeglio!
"THE END". Non pensavo che sarebbe stato così difficile scrivere queste due parolone a fine capitolo e non da meno è stato spuntare la voce "Completa", è sempre duro chiudere un capitolo, porci una fine, ma come ho detto la settimana scorsa ogni cosa ha il suo tempo.
Chi ci era arrivato? Che “F is for Family” era un post-BoyB? Chi l'ha fatto complimenti a breve vi arriverà un Grant (Darren è mio #Iamnotevensorry) a casa vostra quindi affrettatevi a dirmi chi l'ha pensato! In quella raccolta ho sparso di qua e di là dei rifermenti a loro, molti riferimenti. E no, benché avessi pensato subito alle ultime parole dell'ultimo capitolo ho totalmente stravolto l'epilogo, in origine c'era un piccolo James, omaggio al buon signore del Jul's che li aiutava di più a far chiarezza nei loro cuori, poi sono arrivati i miei gemellini per via  di un prompt della Seblaine Week e ho subito realizzato che era questa la vita che volevo per i miei Sebastian e Blaine dopo lo sparo. Li volevo felici e avevo trovato la ricetta per la felicità (no nella Coca-Cola!!) in quella massa di ricci ramati e nei loro occhi cielo. Spero di non avervi delusi con scelta, ma veramente non sono riuscita a tenermi per me questa famiglia, non ce l'ho fatta, ve li ho fatti conoscere a poco a poco come mi piace fare, io non ce la faccio a far morire Blaine, non dopo tutto quello che gli ho fatto. Gente che avete riposto la vostra speranza nell'epilogo posso dire una cosa: AVETE FATTO BENISSIMO! Sono un mostro, ma fino a un certo punto.
Emily Elizabeth e Andrew Kurt (amo i loro nomi completi e non potete immaginare la fatica nel non poterli usare nella raccolta, fino ad oggi *balla conga*) vi ricordate che alla fine dell'os AU!Disney (Thanks for being the loved merman to my prince) vi avevo detto che li avresti rivisti? Mi riferivo a questo, non alla raccolta, la raccolta è venuta dopo.
Credo di non avere altro da dire, solo che sono una persona molto, ma molto triste, non so a voi ma a me mi mancherà Boy B, certo ci sarà ancora per un po' FifF, ma non è la stessa cosa. Adesso per voi quella famiglia non ha più segreti ormai, ma spero che non perderà il suo fascino.
Ho citato John Green all’inizio per un semplice motivo, oltre al fatto che lo amo tantissimo anche se per via dei suoi libri mi ha fatto soffrire tantissimo, quella frase mi è rimasta in teste per giorni, ancora oggi mi sento la sua voce che mi ricorda che tutto ciò che faccio ora a una conseguenza nel mio futuro, mi ha fatto pensare molto . Chi vuole vederlo ecco a voi il link a Perspective.
Vorrei ringraziare chi ha seguito questa storia dal primo capitolo fino ad oggi, chi ha scovato per caso questa storia e l'ha incominciata a metà strada o giù di lì. Ringrazio chi ha letto. Ringrazio chi mi ha fatto compagnia con le loro recensioni, le ho amate, dalla prima all'ultima e vi ringrazio ad una ad una. Grazie dal profondo del mio cuore.
E te, cara beta, mica mi son dimenticata di te, a te ti dico solo una cosa: grazie per tutto. Sai a cosa mi riferisco con "tutto", solo non ho abbastanza spazio per scriverlo e nemmeno troppo tempo perché sto quasi fuori tempo.
Alla prossima.
Love always,
Beth <3

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