L'inizio della fine

di The Edge
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Filosofia ***
Capitolo 2: *** Violenza. ***
Capitolo 3: *** Nuovo compagno di classe ***
Capitolo 4: *** Scoperte ***
Capitolo 5: *** Noia e nostalgia ***
Capitolo 6: *** Cosa..? ***
Capitolo 7: *** Rivelazioni ***
Capitolo 8: *** Grillo Parlante ***
Capitolo 9: *** Non ce la posso fare ***
Capitolo 10: *** Gelosia ***
Capitolo 11: *** Fuggitiva! ***
Capitolo 12: *** Novità ***
Capitolo 13: *** Nuovo prof e scoperte interessanti ***
Capitolo 14: *** Sorprese dall'Ucraina ***
Capitolo 15: *** Under pressure ***
Capitolo 16: *** Addio ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Filosofia ***


Guardo il professore di filosofia. Sta parlando di qualcosa di sconosciuto. Sbadiglio annoiata. Non ne posso più, voglio uscire da questo posto.
Manca solo un quarto d’ora e poi libertà!
Insomma, si fa per dire. Visto che a casa devo fare i conti con un uomo che picchia abitualmente me e mia mamma.
E pensare che questo tizio non è nemmeno mio padre.
Il mio vero genitore è morto quando ero piccola, vivevo ancora ad Odessa.
Qui a Los Angeles la vita è completamente diversa, anche se mi manca la mia terra natale.
Guardo l’orologio, manca solamente una manciata di minuti.
Inizio a preparare lo zaino, riordino vagamente il mio banco e per evitare di insospettire il prof, lo guardo negli occhi e mi fingo interessata alla sua morbosissima lezione.
Suona la campanella e mi fiondo fuori da questa classe infernale.

La luce del sole di mezzogiorno mi abbaglia, mi porto una mano davanti alla fronte e tento di fare un po’ d’ombra per i miei occhi.
Un ragazzo minuto, con i capelli scuri, appoggiato al muro di mattoni rossi cattura la mia attenzione.
E’ Dean, il mio migliore amico.
“Ciao Sonja. Vieni da me a mangiare?”
“Ciao… Grazie, accetto volentieri”
“Com’è andata la tortura?”
“Terribilmente noiosa. Durante l’ora di filosofia mi sono addormentata”
Dean ridacchia divertito “Accidenti! Deve essere stata davvero tremenda come lezione”
“Non immagini neppure. Sinceramente non so se sia peggio casa mia o la scuola.”
“Tra tutte e due… Tranquilla, ce ne andremo da qui. Promesso.”
“Voglio tornare a casa mia per un po’. Mi manca la mia Odessa”
“E’ tanto diversa l’Ucraina dall’America?”
“Parecchio. Los Angeles mi piace molto, l’unica nota dolente è quello sgorbio di Frank. Lo odio. Perché mia madre lo ha sposato?”
Dean non mi risponde, ma mi cinge le spalle con un braccio “Ti ho sempre detto che puoi venire da me quando vuoi”
“Grazie”

Arriviamo davanti a casa sua, ci apre sua madre, adoro quella donna.
“Ciao Dean, ciao Sonja” ci sorride affabile
“ ‘Giorno ma’”
“Buongiorno signora”
“Sonja cara, ti ho già detto mille volte che puoi chiamarmi semplicemente Sarah”
“Okay sign.. Sarah”
“Avete fame? Ho preparato la pasta al forno”

Sarah è una donna strepitosa. Cucina divinamente.
Lei, come mia madre, lavora tutto il giorno, con la piccola differenza che lei ha il tempo per lasciare il pranzo a suo figlio, mentre la mia mi lascia i piatti sporchi da lavare.
Dopo pranzo andiamo nella stanza di Dean e come ogni volta rimango incantata a guardare la sua immensa collezione di vinili. Rimarrei ore e ore ad ascoltare quelle meraviglie.

***

Come ogni volta che mi fermo dal mio migliore amico, il tempo passa velocemente, troppo.
Mi metto la felpa, saluto sua madre e mi avvio per le strade.
Casa mia è a due isolati dalla sua, è relativamente facile scappare da quella gabbia di matti e andare da lui.
Apro la porta, la casa è buia e silenziosa.
Frank non è ancora tornato, per fortuna.
Lo odio, con tutta me stessa.
Entro nella mia stanza e mi butto sul letto, affondo il viso nel cuscino e chiudo gli occhi.
Mi risveglio un’ora e mezza dopo. Con notevole pigrizia mi alzo e mi passo svogliatamente una mano nei miei corti, arruffati capelli biondo cenere.
Scendo le scale e sento il rumore del forno microonde.
Frank è in cucina e sta cucinando. Fatto strano, visto che normalmente sono io che sto ai fornelli.
“Sonja non ti abituare. L’ho fatto solamente perché stavi dormendo. Sappi che la prossima volta ti prendo a calci se ti addormenti nuovamente. Non voglio più tornare a casa e trovare tutto questo caos.”
Annuisco, preferisco non dire nulla, anche se il suo comportamento mi fa incazzare.
Mangiamo in silenzio e all’improvviso si alza, con voce incolore mi ordina di lavare i piatti.
Annuisco nuovamente, inizio a mettere le posate nel lavandino.
“Hai notizie di Kristina?”
“No.”
“Dove sei stata oggi pomeriggio?”
“Da Dean.”
“E chi sarebbe, di grazia?”
“Il mio migliore amico”
“Da quando TU hai degli amici, stupida bamboccia russa?”

Stringo le labbra e non gli rispondo. Frank ride e mi lascia da sola.
Mi da un notevole fastidio il fatto che effettivamente ha ragione.
Dean è l’unico amico che ho. Ci conosciamo da una vita.
Sua madre ha aiutato mia mamma con la lingua e lui si è dimostrato disponibile per giocare con me.
Dopotutto per giocare a pallone non c’è bisogno di parlare lo stesso idioma.
Io parlavo solo russo e lui mi insegnò l’inglese.
Gli voglio molto bene e se non fosse per lui, sarei completamente sola.

Una lacrima di rabbia mi scivola lungo la guancia, la sfrego via in fretta, non mi piace piangere.
Dopo aver asciugato l’ultimo piatto, torno nella mia stanza e chiudo la porta a chiave.
Apro velocemente l’armadio, tolgo l’anta che crea uno scomparto nascosto e tiro fuori la custodia della mia chitarra semiacustica.
L’amore della mia vita, lei.
La appoggio sul letto e nel frattempo tendo l’orecchio.
Frank odia la musica e guai se mi scoprisse… per fortuna ora sta guardando uno stupido programma in televisione.
Mi siedo per terra e la appoggio sulle mie ginocchia, inizio a pizzicare dolcemente le corde e intono a bassa voce una vecchia ninna nanna in russo che mi cantava mia nonna quando ero piccola.


Angolo dell'autrice:
Salve gente!
Questa storia è una specie di esperimento, dato che non scrivo molto spesso in prima persona.
se mi lasciate un commentino ne sarei felice.
Alla prossima!
The Edge

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Capitolo 2
*** Violenza. ***


Mi sveglio tutta intorpidita, mi sono addormentata sul pavimento, ho la schiena a pezzi.
Per prima cosa sistemo la mia chitarra nella sua custodia e la rimetto al sicuro nel mio armadio.
All’improvviso qualcuno bussa alla mia porta, apro e vedo mia madre. Il suo viso, così simile al mio, è più pallido del solito.
Frank l’ha picchiata di nuovo.
Mi abbraccia tremante, affonda il viso nel mio collo e sento le sue lacrime bagnarmi.
Detesto questi momenti, non mi piace quello che vedo.
“Mamma… perché lo hai sposato?”
Voglio saperlo. Non me lo ha mai detto.
Non mi risponde. Come sempre.
Cerco di scostarmi dal suo abbraccio “Devo andare a scuola”
Mia madre si stacca in fretta, cerca di ricomporsi e si passa una mano sul viso, asciugandosi gli occhi.
“Allora vai. Muoviti”
 
Aspiro una boccata di fumo e alzo lo sguardo al cielo.
Dean mi guarda e alza un sopracciglio sconcertato
“Da quando in qua mi scrocchi le sigarette?”
“Tranquillo, non capiterà più. E’ che sono nervosa… e fumare mi calma un po’, anche se odio farlo.”
“Cosa è successo?”
“Frank”
“Ancora?”
“Mia madre. L’ha picchiata di nuovo”
“Che paio di palle. E tu?”
“Non mi ha torto un capello, il che è strano. Pensa che ieri ha persino preparato la cena”
“Incredibile.”
“Già, mi sono anche azzardata a strimpellare la mia chitarra.”
“Sei a conoscenza del fatto che hai giocato con il fuoco, vero?”
“Sì.. Oggi dobbiamo andare a scuola per forza?”
“No, non direi. Io non ho nulla di importante da fare. Tu?”
“Nemmeno”
“Allora forza, andiamocene da qua”
 
Mezz’ora dopo siamo seduti su una panchina di un piccolo parco. Abbiamo scelto questo posto perché normalmente qui non viene mai nessuno, è il posto perfetto.
Non potrei chiedere di meglio.
Appoggio la testa sulla spalla di Dean, chiudo gli occhi perché mi sento prossima al sonno.
Il mio migliore amico è un cuscino fantastico, anche se non si direbbe, ossuto e mingherlino com’è.
“Comoda?”
“Parecchio”
“Hai fame?”
“No.. tu?”
“Un po’”
“Hai fatto colazione?”
“No.”
“Stordito”
“Andiamo a mangiare?”
Con un sospiro mi alzo dalla panchina e mi rimetto sulle spalle il mio zaino, Dean mi imita e assieme ci dirigiamo verso il microscopico bar del parco.
Facciamo colazione in silenzio, tra noi non c’è l’impellente bisogno di parlare in continuazione.
Ci basta la compagnia dell’altro.
 

***


Infilo la chiave nella serratura. E’ tardissimo.
Dopo aver passato l’intera giornata al parco a non fare nulla, sono andata a farmi un giro per Los Angeles, giusto per camminare un po’ e non ho guardato l’orologio.
Brava cogliona!
“Sonja sei in ritardo, lo sai questo brutta stupida?” mi domanda Frank.
“Capita a tutti di arrivare in ritardo, non credi?”
“Non lo metto in dubbio. Sai, mi ha chiamato la scuola… Mi hanno detto che oggi eri assente. Hai bigiato assieme a quel coglione del tuo amico dai capelli scuri?”
“No, ero da sola.” Mento in fretta, almeno Dean deve salvarsi la pelle.
“Bene. Sappi che se la tua merdosa scuola mi chiamerà ancora un’altra volta… Ti faccio tornare nel tuo paese, ma a pezzi.”
Deglutisco. So che Frank potrebbe benissimo farlo.
Non conosce il significato della parola pietà.
Abbasso lo sguardo e non mi accorgo del suo pugno che si abbatte sul mio viso.
Barcollo all’indietro, portandomi una mano in faccia ma non faccio tempo a scappare che un altro pugno mi colpisce, seguito dai calci e da manate violente sulla mia schiena.
Cado a terra e mi arriva in pieno stomaco un calcio, per fortuna non troppo forte.. dato che in quel preciso istante suonano al campanello.
Mi rialzo in fretta e corro nella mia stanza, al sicuro da quel bastardo.
“Guai a te se salti di nuovo scuola!” mi urla Frank dal soggiorno.
 
E’ passata una mezz’ora abbondante da quando Frank è uscito con i suoi amici ubriaconi.
Mia madre come al solito è al lavoro e io sono da sola.
Mi fa male dappertutto. La schiena in particolar modo.
Esco dalla mia stanza e mi dirigo verso il bagno, mi guardo allo specchio.
Il mio riflesso appare pallido e malaticcio, sulla mia guancia c’è un ematoma violaceo e alquanto doloroso.
Mi risciacquo velocemente il viso e mi cambio la maglietta, che oltre ad essere macchiata d’erba, è sporca anche di sangue. -Viva Frank e le sue dolci carezze! – penso con ironia mentre mi infilo una maglia nera pulita.
Mi metto la felpa e tiro su il cappuccio, in modo che mi faccia ombra e che mi nasconda un po’ il viso.
Esco dalla finestra e atterro in giardino con un balzo.
Cammino in fretta e in men che non si dica mi trovo davanti all’abitazione di Dean, faccio il giro della casa e mi avvicino alla sua finestra.
Busso nervosamente sul vetro e nel giro di mezzo minuto me lo trovo davanti.
Mi abbraccia senza che io dica nulla. A quanto pare i miei lividi parlano da soli.
Mi accarezza una guancia con delicatezza e mi fa sedere sul suo letto “Perché lo ha fatto questa volta?”
“la scuola lo ha chiamato e lo ha informato che oggi ho bigiato. Ho detto che ero da sola, non volevo mettere nei casini anche te”
“Non dovevi preoccuparti per me, me la sarei cavata. Ti ha usato come sacco da boxe.”

Mi alzo a fatica, mi sollevo sia la felpa che la maglietta.
Dean mi guarda sconvolto “Sembra un campo di battaglia” sussurra mentre mi risistemo gli abiti.
Gli occhi mi pizzicano, sento che potrei scoppiare a piangere da un momento all’altro.
Una lacrima scivola lungo la mia guancia sinistra e si perde nel mio collo. Dean mi abbraccia di nuovo, mi stringe forte a sé e appoggia le labbra sulla mia testa.
“Stanotte rimani pure qua, ti lascio dormire nel mio letto, io mi arrangerò”



Angolo dell'autrice:
Rieccomi da queste parti gente!
Gna, non so che altro dire.
YEAH ._.
Alla prossima!
The Edge

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Capitolo 3
*** Nuovo compagno di classe ***


Passi leggeri, strascicati.
Il rumore di una porta che viene aperta, il viso di mio padre mi sorride.
Sorrido di rimando, gli tendo una mano, gli faccio cenno di avvicinarsi… ma appena lui entra nella mia stanza cade a terra, il suo corpo comincia a liquefarsi, lui grida implorandomi di aiutarlo e …
Spalanco gli occhi, il mio cuore sta martellando nel petto, respiro affannosamente.
Maledetti incubi.
Mi giro faticosamente su un fianco e per un attimo mi trovo spaesata. Dove mi trovo?
All’improvviso ricordo tutto! I pugni, i calci, la mia schiena dolorante, Dean… io che piango.
Fin da bambina mi hanno imposto il divieto di piangere, visto che era da ‘deboli’, sono cresciuta con questa convinzione.
Mi viene quasi ribrezzo quando piango, la sento come una cosa sbagliata.

Mi metto a sedere sul letto, la microscopica sveglia sul comodino del mio migliore amico segna le due e mezza passate.
Dean si è addormentato con la testa appoggiata alla scrivania, attorno a lui sono sparsi fogli e matite… Come suo solito disegnava.
Deve essere scomodo dormire in quella posizione, okay che io ieri mi sono addormentata per terra con la chitarra… ma per lo meno il mio tappeto è abbastanza soffice.
Vorrei alzarmi e mettergli addosso la coperta, ma il mio corpo non reagisce, è ancora troppo dolorante dalle botte ricevute.
Sconfitta, appoggio nuovamente la testa sul cuscino e chiudo gli occhi.
 
Qualche ora più tardi vengo svegliata da Dean, che con una smorfia mi ricorda che dobbiamo andare a scuola.


***

Una delle tante cose brutte della scuola è che non sono in classe con il mio migliore amico.
Infatti mi annoio a morte. Siamo in venticinque e non c’è una persona che mi stia simpatica, dato che hanno tutti la puzza sotto il naso, e sono anche razzisti nei miei confronti.
Stranamente oggi c’è più calma del solito, il mistero viene svelato quando entra in classe il vicepreside, seguito da un ragazzino.
“Uhm, bene. Ragazzi vi presento il vostro nuovo compagno di classe. Mi aspetto che venga trattato con gentilezza.”

Osservo il nuovo compagno.
E’ parecchio alto, ha i capelli biondi con un’evidente ricrescita nera, indossa la maglietta dei Black Sabbath.
Sembrerebbe un tipo a posto.
Il professore di filosofia è leggermente ansioso, e balbetta un vago “Come ti chiami giovane?”
Il ragazzo sorride sornione “Alec. Alec Johnson”
“Bene… Johnson. Vai pure a sederti accanto a.. Sonja”
Sventolo la mano in segno di saluto “Sono io”
Il mio nuovo compagno di banco alza il pollice all’insù e mi sorride sincero.

Tutta la classe ci guarda con sdegno, ormai sono abituata.
Alec si siede accanto a me e mi porge una mano, la stringo senza esitazione “Piacere, Sonja”
“Piacere mio. Io sono Alec, come avrai capito dalla spassosissima conversazione con il prof.”
Il suddetto prof si schiarisce la voce e inizia a spiegare le sue stupide cose, non capirò mai perché si ostina a parlare quando nessuno lo ascolta.
Dovrebbero scrivere un libro intitolato ‘la psicologia inversa dei docenti’.
“Sei straniera?”
“Cosa te lo fa pensare?” domando con un sorrisetto divertito
“Beh, hai un nome strano, i tuoi lineamenti sono decisi, per niente morbidi. Inoltre hai gli zigomi alti, la pelle particolarmente pallida, i capelli biondi e gli occhi chiarissimi.”
Mi volto a guardarlo in faccia, è davvero un acuto osservatore “Complimenti, hai ragione. Non sono americana. Sono ucraina, sono nata ad Odessa”
“Dall’altra parte del mondo in pratica”
“Già”
“Non hai l’accento russo, sei qui da molto?”
“Mi sono trasferita qui quando avevo circa quattro anni”
“accipicchia.”
“Tu sei di qui?”
“Sono americano, se questo che intendi, ma mi sono trasferito a Los Angeles da una settimana… Prima abitavo nel Maine.”
“Wow…”
Alec sorride e con un cenno indica il resto della scolaresca “Sono sempre così distanti?”
“Sì, in particolare con chi è straniero come me”
“Davvero?”
“Certo, mi considerano un ‘nemico’ perché sono russa”
“Hanno la mente molto aperta eh?”
“Apertissima”

Passiamo il resto della mattinata a chiacchierare amabilmente. Mi piace come tipo, è simpatico ed è fornito di un inesauribile senso dell’umorismo.
Appena suona la campanella dell’intervallo buona parte dei miei compagni scende in cortile a fumare.
“Tu non vai di sotto?”
“No, preferisco rimanere in classe”
“Si vede che non sei ben ambientata.. Cioè, si vede che questi simpaticoni non ti reputano importante”
“Me ne frego. L’unica cosa che mi fa sopportare tutto ciò è il mio migliore amico, senza di lui sarei già impazzita da un pezzo”
“Frequenta questa scuola?”
“Sì, è nella classe di fronte alla nostra”
Appena finisco di parlare, Dean fa la sua entrata scenica in classe. Ha in mano due panini, me ne lancia uno.
“Cibati. Che non hai fatto colazione”
“Sì mammina
Rido di cuore alla vista della sua espressione esterrefatta “Scherzo Dean, comunque grazie”
“Prego… Ehm , tu sei?” domanda riferendosi al mio compagno di banco.
Alec gli porge la mano amichevolmente “Sono Alec, e sono nuovo.”
“Piacere, io sono Dean… e non sono sua mamma” 




Angolo dell'autrice.
Salve, ed eccomi nuovamente da queste parti!
Spero vi piaccia
le recensioni sono sempre gradite
Alla prossima
The Edge

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Capitolo 4
*** Scoperte ***


“Com’è questo Alec?” mi domanda Dean mentre camminiamo verso casa mia.
“Non è male. E’ simpatico ed è il primo americano oltre a te che mi tratta come se fossi una persona e non un mostro”
“Sembrerebbe un buon tipo, a pelle mi sta simpatico”

Arriviamo davanti a casa mia e il mio migliore amico mi saluta con una pacca sulla spalla “ a dopo”
Gli sorrido e chiudo la porta.
Frank non è qui, per fortuna. Salgo con fatica le scale e mi siedo per terra, sollevo il copriletto e sposto verso sinistra il materasso e con un leggero sbuffo estraggo una scatola.
Sul legno vi è inciso il mio nome in cirillico.
Tolgo la polvere che si è depositata sul coperchio e apro.
Al suo interno ci sono dei fogli, il mio tesoro più grande.
Sono le storie scritte da Andrej Michajlovna, mio padre.
Appoggio la scatola sulle mie ginocchi ed estraggo il plico di fogli. Passo le dita sopra la carta, accarezzo dolcemente i solchi provocati dalla penna e mi immagino mio padre seduto nel suo studio che scrive le sue storie.
Dispiego lentamente la prima pagina e incomincio a leggere. E’ grazie a questi scritti che ho mantenuto la capacità di leggere e scrivere in cirillico.
Mamma non ha mai voluto insegnarmi la lingua scritta, ogni tanto mi parla in ucraino, lo fa quelle rare volte che è a casa da sola con me.
Mi ricordo i primi tempi, quando eravamo appena arrivate a Los Angeles. Mi ostinavo a parlare solo il mio idioma, non ne volevo sapere di imparare l’inglese.
Tutto cambiò quando incontrammo Dean e sua mamma al supermercato. Sarah masticava un po’ di russo e riuscì a comunicare con mia mamma. Diventarono amiche e di conseguenza io e quello che sarebbe diventato il mio migliore amico passammo molto tempo insieme.
Mi insegnò lui l’inglese. Prima giocavamo in silenzio, però un giorno sentii il bisogno di ringraziarlo in qualche modo, biascicai un –grazie- a bassa voce. Dean mi guardò, mi sorrise e pronunciò correttamente la parola.
Continuai ad imitarlo fino a quando riuscii a dirla in modo corretto.
Lui mi abbracciò con slancio e mi disse –brava-.
Da quel giorno incominciammo le nostre ‘lezioni’ e nel giro di due mesi imparai a fare un discorso abbastanza sensato. Capivo quasi tutte le parole.
Sorrido al ricordo, rimetto i fogli al loro posto e nascondo nuovamente la scatola.
A volte mi capita che inizio a parlare in inglese e concludo in russo. Ogni volta che succede tutti mi guardano male.
Risistemo il copriletto e mi alzo.
Ho bisogno di uscire e di stare all’aria aperta.
 
Cammino tranquillamente per le strade, il tiepido sole primaverile scalda timidamente la terra. Mi dirigo verso il parco, supero le altalene e mi trovo nella parte più appartata.
Mi stendo sull’erba, incrocio le mani sotto la testa e guardo il cielo. C’è qualche piccola nuvola bianca che lo solca.
E’ rilassante stare sdraiati sul prato, è una bella sensazione.
“Sapevo di trovarti qui” mormora una voce che conosco bene
“Volevo stare tranquilla all’aria aperta”
Dean si siede accanto a me e inizia a giocherellare con i fili d’erba “Tutto bene?”
“Sì, prima mi sono riletta le storie che ha scritto mio padre”
“Davvero? Era da tanto che non le leggevi, vero?”
“Esatto, credo un anno o due. Mentre leggevo mi è tornato in mente il nostro primo incontro al supermercato”
Dean scoppia a ridere “Non mi toglievi gli occhi di dosso”
“E tu non ti scollavi dalla gonna di Sarah”
Ci guardiamo in faccia  e scoppiamo in una sonora risata.
Mi metto a sedere, appoggio la testa sulla sua spalla ossuta.
“Ti voglio bene Dean”
“Anche io. Come mai tutto questo affetto oggi?”
“Sentivo il bisogno di dirtelo” dico con semplicità
“Un po’ come il tuo famoso –grazie- di quando eravamo bambini?”
“Esatto.”
“Lo sai che sei una strana? Ma è bello che tu lo sia”
“Grazie”
Mi scosto dalla sua spalla e mi sdraio nuovamente sul prato “Mi sta venendo mal di testa” mormoro ad occhi chiusi.
Dean non mi risponde, è intento a cercare l’accendino nelle tasche dei jeans. Riapro gli occhi, mi giro su un fianco e appoggio il mento sul palmo della mano, ridacchio alla vista del mio migliore amico.
“Cosa ridi? Io sto cercando disperato il mio accendino e tu sghignazzi”
“Se sei buffo non è colpa mia” ribatto con un sorrisetto
“Ah si?”
Dean si getta su di me e incomincia a farmi il solletico.
Questo stronzo sa benissimo che lo soffro da morire, comincio a contorcermi dalle risate “basta, ti prego”
Lui si ferma solo cinque minuti dopo.
Cerco di calmare il mio respiro e di regolarlo “Sei un bastardo” mi rialzo
“Esagerata, tanto so che ti diverti”
“Non è vero”
“Allora spiegami il motivo del tuo sorrisetto idiota”
Un calore improvviso mi arrossa le gote, abbasso lo sguardo imbarazzata.
Dean mi guarda divertito “Ti vuoi mimetizzare con la maglietta?”
Indosso una maglietta rosso fuoco e quando me ne accorgo arrossisco ancora di più.
Dean ride, mi abbraccia da dietro e appoggia il mento sulla mia spalla “Tutto bene? E’ la prima volta che diventi così rossa. Sembri un pomodoro maturo”
“Tutto a posto, tranquillo”
Non capisco cosa mi sta succedendo. Perché sono così imbarazzata? Ho le guance in fiamme.
Sento il respiro caldo del mio migliore amico sul collo. E’ ancora abbracciato a me. Siamo seduti alla bell’e meglio sull’erba. Malgrado il mio imbarazzo sono contenta di essere qui.
Mi sfiora la guancia con un dito “A che ora devi essere a casa?”
“Penso per le sei. Devo arrivare prima di Frank”
“Capisco. Come va con quel mostro?”
“E’ stranamente tranquillo in questi giorni. Non urla più di tanto, non picchia più mia madre. Io lo ignoro e lui fa lo stesso con me.”
“Meno male, almeno non ti fa del male”
“Già. Adesso l’aria in casa mia è quasi vivibile”

 

***



Sto correndo come non ho mai fatto. Sono in ritardo, spero vivamente che Frank non sia a casa. Altrimenti è la volta buona che mi ammazza.
Apro la porta, il silenzio e l’oscurità regnano sovrani.
Mi dirigo in cucina e vedo un post it appiccicato sul frigorifero, riconosco la grafia tonda di mia madre.
Ci avvisa che non tornerà a casa, visto che rimarrà in ufficio tutto il giorno.
Grandioso, ciò significa che rimarrò nuovamente da sola con quell’odioso.
Mi verso un bicchiere d’acqua, ho ancora il fiatone.
Appoggio il bicchiere nel lavandino, lo laverò dopo.
Faccio per andare nella mia stanza, quando vedo un altro post it.
-Sonja devi fare il bucato. Non essere lavativa come tuo solito. Mamma-

Ah, e io sarei lavativa? Grazie mamma. Ti odio.
Afferro le lenzuola che la mia adorata mammina mi ha gentilmente lasciato e con una smorfia le infilo in lavatrice.
Ora mi toccherà anche cambiare il copriletto nella loro camera.
Con uno sbuffo mi trascino sulle scale, salgo l’ultimo gradino e mi giro a destra.
Apro lentamente la porta ed entro.
La camera di Frank e di mia madre è sempre un mistero.
E’… spoglia. Non c’è assolutamente nulla, è completamente anonima.
E’ la stanza di due sconosciuti che convivono sotto lo stesso tetto.
Sempre sbuffando mi avvicino al mobile dove mia madre tiene le lenzuola pulite. Lo apro e afferro le prime cose che trovo. Che si arrangino.
Sistemo alla meglio il letto e faccio per andarmene, quando una piccola scatola di latta attira la mia attenzione.
La afferro, è stranamente leggera.
La apro, non posso credere ai miei occhi!





Angolo della matta:
Eccomi qua, è passata più o meno un'eternità dall'ultima volta che ho oggiornato, scusate.
Spero di riuscire a pubblicare i prossimi capitoli con una regolarità maggiore.
Asd, spero vi piaccia!
Le recensioni sono sempre gradite.
a presto!
The Edge

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Capitolo 5
*** Noia e nostalgia ***


Sento un brusio di sottofondo, ciò significa che la lezione sta iniziando. Non me ne frega un accidente. Tengo gli occhi chiusi e cerco di tornare in quella dormiveglia che tanto amo.
“Buongiorno Sonja” esclama una voce calda
Apro lentamente un occhio e vedo Alec che mi sorride.
Potrebbe illuminare le stanze buie con quel sorriso che si ritrova “Ciao…”
“Mi sembri parecchio distrutta. Hai dormito?”
“Un pochettino, devi sapere che per me la prima ora è un suicidio. Sono sempre addormentata”
“Ti capisco, oggi è un caso che io sia così frizzante. Di solito sono uno zombie.”
Rido divertita, appoggio i gomiti sul banco e lo guardo negli occhi “Ti trovi bene qui a Los Angeles?”
“Sì dai, non è malaccio. Devo ancora abituarmi ai ritmi di questa città, ma mi trovo bene. Tu sei simpatica e quindi è anche piacevole venire a scuola. Anche se il resto della classe si fa un po’ desiderare.”

“Avete finito di parlare laggiù?” domanda stizzita l’insegnante di matematica.
Tu pensa, non mi ero nemmeno accorta della sua petulante presenza.
Alec ridacchia e si passa una mano nei capelli biondi, scompigliandoli ancora di più. Ha una matassa di capelli in testa, altroché!
La signorina McLilith si mette le mani sui fianchi e ci fissa malissimo, ma non dice nulla. Si siede e comincia a compilare il registro.
Con la punta dell’indice si spinge gli occhiali sul naso e con lo stesso dito scorre i nomi degli alunni, sta scegliendo chi interrogare.
Si ferma, fa un grosso sospiro e tenta di pronunciare il mio cognome. Ormai ho capito che quando gli insegnanti fissano il registro smarriti e biascicano lettere a casaccio, la vittima da interrogare sono io.
Mi alzo e Alec mi guarda come se fossi impazzita “Cosa diamine sta succedendo?”
“Devo essere interrogata.”
“E come fai a saperlo?”
“Vedi la prof? Sta cercando di pronunciare le varie lettere del mio cognome tutte insieme. Ergo so che tocca a me.”

La McLilith alza lo sguardo e vedo che è in leggero imbarazzo. Odia non riuscire a dire le parole straniere, e ogni volta che deve interrogarmi passa le ore a cercare di dire il mio nome nel modo corretto.
Volendo potrei anche dirle che può semplicemente chiamarmi Sonja, ma in fondo mi diverto parecchio a vederla dannare.
 
Ho rimediato un otto in matematica e non ho nemmeno aperto il libro. Passo attraverso le file di banchi, i miei compagni mi fissano con astio, soprattutto le secchione ai primi posti. Quasi nessuno riesce a prendere un voto così alto con la McLilith, ma io sono un caso a parte, visto che per me la matematica è facile come respirare.
Alec mi sorride e si complimenta con me per il mio esito “Brava, non ho seguito molto, visto che ho preferito dormicchiare, ma ho sentito le ultime cose che hai detto e devo dire che quell’otto te lo meriti tutto.”
“Grazie”
“Per me la matematica è incomprensibile, infatti ho sempre avuto debiti. Tu come fai?”
“Io non capisco perché tutti dicano che sia difficile, visto che a me viene naturale. Non l’ho mai studiata..”
“Beata te..”

Il tempo passa troppo lentamente per i miei gusti.
La McLilith sta ancora interrogando, e io riprendo a farmi i cazzi miei, come al solito. Il mio zaino si rivela un ottimo cuscino, appoggio la testa sopra e osservo i miei compagni.
Metà di loro cerca di nascondersi dalla vista della prof, l’altra metà, ovvero quella già stata chiamata alla lavagna, cazzeggia amabilmente, incurante dei richiami.
Che branco di stupidi.
Vorrei essere in classe con Dean, almeno avrei qualcuno con cui stare. Certo, Alec è simpatico, però… non sono ancora in confidenza con lui.
Come se mi avesse letto nel pensiero, il mio compagno di banco si gira verso di me “Ti va di uscire con me questo pomeriggio? Giusto per conoscersi un po’”
“Perché no? Per me va bene” accetto volentieri, mi sembra un bravo ragazzo, è la seconda persona che mi tratta con gentilezza e poi è uno dei pochi che ascolta musica decente in questo posto di merda.
Ieri aveva la maglietta dei Black Sabbath, oggi ne indossa una degli Iron Maiden, inoltre ho scoperto che quando è nervoso canticchia Marilyn Manson.
Insomma, nemmeno io arrivo a questi livelli!
Alec mi sorride entusiasta “Perfetto! Ci vediamo dopo scuola o ce ne andiamo appena usciamo?”
“Meglio dopo la scuola, così ho il tempo di mangiare e di tornare in quella prigione che è casa mia. Meno tempo sto li dentro, meglio sto. Soprattutto se sto lontana da quel bastardo di Frank”
Il mio compagno di banco alza un sopracciglio, inclina la testa di lato e mi domanda titubante “F.. Frank?”
“Il mio… patrigno. Un emerito coglione che passa le sue giornate a malmenare me e mia madre.”
“Oh. Mi.. spiace.” Balbetta imbarazzato
“Ormai ci sono abituata, questa cosa va avanti da anni ormai”
“e perché non.. fai qualcosa scusa?”
“Che senso avrebbe? Tra due anni me ne torno a casa.”
“Vuoi tornare nel tuo paese?”
“Sì. Io sono qui, ma il mio cuore e la mia famiglia è rimasta li.”
Alec annuisce e abbassa la voce per non farsi sentire dalla McLilith “Capisco, e perché vi siete trasferite qui?”
“Non lo so, mia madre non vuole dirmi niente”

“Voi due avete finito di fare conversazione?” domanda furente la prof.
Sbuffo contrariata, possibile che ogni volta deve mettersi in mezzo? Che paio di palle.
Sul viso di Alec si dipinge un sorriso da bravo ragazzo e con aria candida mormora “Ci scusi professoressa, faremo in modo di non disturbare in modo eccessivo la sua lezione. Potrebbe però farci la cortesia di abbassare la voce? Sa, qui io e la mia compagna di banco vorremmo finire il nostro discorso in pace”
La McLilith lo guarda scioccata e io scoppio a ridere.
Non ci posso credere! Non può aver detto una cosa del genere.
“Johnson fila subito in presidenza!” ordina quella donna inutile.
Alec mi fa un sorriso complice e ubbidisce, prima di varcare la porta esclama “Nuovo record! In presidenza dopo due giorni!”
 
Ora che il mio compagno di banco è dal preside, il tempo non passa davvero più.
E pensare che siamo solamente alla seconda ora. Infatti, si da il caso che oggi ci siano due ore consecutive di matematica.
Bella merda. Cioè, se la mia classe fosse composta da gente intelligente sarebbe anche piacevole seguire, ma visto che i miei compagni sono degli analfabeti e non capiscono niente… mi annoio.
Non sono una secchiona, anzi, tutt’altro. Spesso e volentieri lascio le verifiche in bianco perché non studio.
L’unica materia in cui vado bene è matematica, le altre sono quasi tutte insufficienti. Non me ne importa niente di tutto questo schifo. Voglio solo andarmene da qui, lontana da mia madre e da Frank.
Voglio andare a casa mia.
Finalmente suona la campanella, esco in fretta dalla mia classe e mi dirigo verso quella di Dean.
Mi stiracchio come un gatto e lo cerco con lo sguardo.
Non c’è.
Il suo banco è vuoto. Dove diamine è?

“Se stai cercando quello sfigato del tuo amico, oggi non c’è” mi informa molto gentilmente un tipo con il cervello più piccolo di una nocciolina.
“okay” mormoro a bassa voce mentre faccio dietro front.
Mi porto alla bocca l’indice e comincio a mordicchiare le pellicine, strappandole.
Sono… sorpresa. Di solito mi dice sempre quando balza oppure no.
Torno in classe e mi risiedo al mio banco. Alec non è ancora tornato dalla presidenza.
Guardo senza interesse la mia merenda, mi è passata la fame.
Dove sei Dean?



Angolo dell'autrice:
Rieccomi da queste parti. Che altro dire?
Sono parecchio demotivata, niente di che.
p.s. non mordo. RECENSITE per favore.
Merci
The Edge

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Capitolo 6
*** Cosa..? ***


Finalmente è finita! Posso tornare a casa. L’unica cosa negativa è che Alec deve rimanere a scuola, in punizione.
Cammino lentamente verso il portone, me la prendo comoda, visto che ci saranno tutti gli studenti ammassati desiderosi di uscire da questo posto.
Che fine ha fatto quel cazzone del mio migliore amico?

Ficco le mani in tasca e con passo lento e cadenzato mi avvio verso il lungo viale.
C’è molto caos a quest’ora, tutti quanti escono per andare a mangiare.
Non ho voglia di vedere il mio patrigno, non dopo aver scoperto il suo segreto.
Mi domando se mia madre lo sa. Non credo proprio, visto che passa sempre meno tempo a casa nostra.
 
Apro la porta di casa. Sento il rumore assordante della televisione. Stupido aggeggio.
“Sei in ritardo, stronza. Dov’eri?”
“A scuola magari?” domando con un pizzico di ironia
“Non fare la furba! Dov’eri?” ringhia Frank con rabbia
“Te l’ho detto. Ero a scuola. Sono uscita più tardi del solito, dovevo andare in bagno.”
“Balle. Eri a fumare con quel coglione del tuo amico!”
Fumare? Ma dove? Okay, fumo ogni tanto, e l’ultima sigaretta l’ho scroccata a Dean un paio di giorni fa.
“Ma ti pare? Oggi Dean non c’era a scuola e comunque non ho fumato”
“Non me ne frega un cazzo, fila nella tua stanza. Non ti voglio vedere.”
“Posso almeno pranzare?”
“Se proprio devi, prenditi un pezzo di pane. Non uscire dalla tua camera. Guai a te se ti becco a suonare la tua stramaledetta chitarra, se fosse per me la brucerei.”
Incomincio a sudare freddo.
La mia chitarra è il mio unico tesoro, non posso permettere che questo pazzo me la porti via.
“Non suonerò e non farò niente, contento?”
“Sarà meglio per te”

Mi preparo velocemente un panino al formaggio e corro nella mia stanza.
Ci sono troppe cose che non mi tornano.
Primo: Che fine ha fatto Dean?
Secondo: perché Frank è più stronzo del solito?
Terzo: perché mia madre lo ha sposato?
Quarto: Devo capire il motivo del… vizietto del mio patrigno.
Quinto: soprattutto devo capire se la cosa si sta facendo seria.

Mordo il mio pranzo e incomincio a masticare quel tocco di pane raffermo che mi tocca mangiare. Per fortuna che almeno il formaggio è buono.
Con notevole fatica ingoio l’ultimo boccone e mi basso velocemente una mano sulla bocca per togliermi i residui di farina.
Sento il rumore di qualcosa di metallico che cade.
Rimbomba.
Fanculo a quello che dice Frank, sono.. curiosa.
Apro leggermente la porta e mi sporgo oltre essa, guardo giù dalle scale.
Frank non può vedermi, mentre io posso osservare i suoi movimenti. Ruoto la testa di lato, non capisco che accidenti sta combinando.
Prima che si accorga della mia presenza, mi richiudo in camera.
Mi getto a peso morto sul letto e afferro il cellulare.
Non c’è nessun messaggio di Dean. Mi sto preoccupando.
Voglio uscire da qui, ma non posso ancora farlo.
Frank è qui, sta guardando la televisione e molto probabilmente sarà attaccato alla bottiglia di birra.
Esatto, il mio patrigno si sta dando ai vizi. Meglio così.
Che si mandi pure il fegato a puttane.
Mi alzo dal mio comodo e soffice giaciglio, mi rimetto le scarpe e rimango in ascolto.
Il rumore della televisione copre tutti gli altri suoni, perfetto.
Posso scappare con tutta tranquillità.
Apro la finestra della mia stanza e scivolo via con leggerezza. Atterro sul prato del microscopico giardinetto e comincio a correre a perdifiato.
Libertà!
 
Gira che ti rigira, mi trovo davanti all’abitazione di Dean.
Busso timidamente alla porta, mi apre una sorridente Sarah.
Mi abbraccia con slancio e mi accarezza una guancia “Ciao Sonja, che bello vederti! Sei venuta a trovare il malato?”
“m… malato?” balbetto mentre mi scosto gentilmente da lei
“Come, non lo sapevi? Dean è stato male ieri notte. Ha vomitato la cena e gli è salita una febbre da cavallo…”
“Ah, ecco perché non l’ho visto oggi a scuola”
“Non riesce nemmeno ad alzarsi, povero…Ehm, Sonja mi faresti un favore? Io ho chiesto il permesso di rimanere a casa questa mattina, ma ora devo andare al lavoro. Ti dispiacerebbe rimanere qua per un po’?” mi domanda timidamente.
“Non è un problema, rimango volentieri io con il malato.”
“Grazie mille e scusa il disturbo..”
 
 

                                           ***            

Chiudo la porta e mi dirigo nella camera del mio migliore amico.
Le tapparelle sono alzate per metà, Dean non riuscirebbe mai a dormire nel buio più totale.
Mi avvicino al suo letto e lo guardo. Dorme pacifico, ha la fronte leggermente sudata, i capelli castani gli incorniciano il viso, il suo respiro è profondissimo.
Lo invidio, io non riesco a dormire sonni così tranquilli nemmeno quando sono malata.
 
Do un’occhiata alla scrivania, che è sempre e perennemente disordinata. Fa quasi concorrenza alla mia.
“S…Sonja??” bofonchia mezzo addormentato il malato
“Dimmi”
“Cosa ci fai qua?”
“Sono venuta a trovarti, tua madre è andata al lavoro… e io sono rimasta”
“Grazie..”
Si alza faticosamente a sedere e mi sorride, come sempre.
“Come ti senti?”
“uno schifo totale.”
“Ottimo.” Ironizzo mentre mi siedo di fronte a lui, gli passo velocemente una mano sulla fronte: è bollente
“Vuoi qualcosa di caldo? Tipo un thè o che di simile?”
“No grazie… rischierei di vomitarlo. Ma grazie lo stesso”
“Però dovresti prendere almeno una medicina. Scotti come un fornellino elettrico.”
“Okay, okay.. non sto a discutere con te. Ubbidisco e basta”
“Bravo”
Vado in cucina, prendo un bicchiere d’acqua e la medicina.
Torno nella sua camera e lo trovo seduto sul letto.
Gli porgo il bicchiere e aspetto con pazienza che beva il medicinale.
Con una smorfia di disgusto ingurgita il tutto e appoggia il bicchiere sul comodino.
“A nanna, su.” Gli sorrido mentre lo costringo a sdraiarsi, mi sono accorta che continua a sbadigliare e che potrebbe addormentarsi da un momento all’altro.
Tenta di protestare, ma appena la sua testa si poggia sul cuscino, vedo che si rilassa.
Gli rimbocco le coperte e faccio per allontanarmi, quando con una mano afferra il mio colletto della camicia e mi trascina verso il basso. Fa cozzare le nostre labbra in un bacio veloce, prima che possa rendermi conto della situazione… il mio migliore amico scivola nel mondo dei sogni.

Mi guardo intorno imbarazzata, mi passo velocemente una mano sulla bocca e scuoto la testa.
Dean checcazzo fai? Non mi aspettavo un gesto del genere…però… devo ammettere che mi è piaciuto.
Mi porto le mani alla testa e faccio affondare le dita nei capelli, stringo lievemente le mie ciocche bionde e mi siedo per terra, appoggio la schiena sul muro.
Domani non si ricorderà niente, di sicuro. E io ci rimarrò male, vero Sonja? Sono una stupida idiota.
Un nodo mi stringe lo stomaco, porto le ginocchia al petto e appoggio il mento su di esse. Faccio quello che mi viene meglio: fingo di non esistere.
Da qui riesco ad osservare tranquillamente il mio migliore amico che dorme pacifico.
Beato lui.
 

***


Apro gli occhi e guardo la piccola sveglia.
Sono quasi le sette. Merda. Ciò significa che tra meno di due minuti mi devo alzare per andare a scuola.
Non ho fame, ho lo stomaco chiuso. Mi vesto con i primi vestiti che trovo nel mio armadio.
Mi infilo le scarpe, sistemo alla meglio le coperte e scendo le scale.
La casa è silenziosa, strano. Di solito Frank è molto mattiniero, ma visto tutto l’alcol che ha ingurgitato ieri sera… credo che dovrà smaltire la sbornia.
Afferro le chiavi appoggiate accanto al telecomando ed esco di casa.

Il caos cittadino è d’obbligo, il caldo anche.
Mi passo una mano sulla fronte e scosto una piccola ciocca ribelle che rimane appiccicata.
Saranno anche tanti anni che mi sono trasferita qui, ma non mi sono ancora abituata alle temperature soffocanti di Los Angeles. Odessa è molto più fresca.
“Sonja!” mi giro di scatto in direzione della voce.
Un Alec sorridente si avvicina e mi da un’amichevole pacca sulla spalla “Buongiorno compagna di banco! Ti vedo un po’ giù, tutto a posto?”
“Al solito..” mento senza guardarlo
“Sai che non si dicono le bugie?” mi rimprovera con un sorrisetto. Fingo di non capire e lo guardo con un espressione assolutamente innocente.
“Bugie? E’ la verità”
“Va là, si vede lontano un miglio che stai mentendo. Tutto bene?”
Chiudo gli occhi e tento di accontentarlo “Okay, okay. Hai vinto. Ho caldo e io lo soffro moltissimo. Mi prosciuga le energie e mi sembra di liquefarmi ogni minuto che passa.”
Non è la verità, ma almeno così dovrebbe star zitto.
Come volevasi dimostrare, beve alla grande la mia piccola menzogna e con voce sinceramente preoccupata mormora “Oh, mi spiace. Immagino che non sia facile vivere in una città come questa..”
“Già”
“Hai tanta voglia di andare a scuola?”
“Mica troppa.”
“Bigi con me?” azzarda mentre si passa una mano nei folti capelli ossigenati.
Lo guardo negli occhi stupita.
Da quanto è iscritto a questa scuola? Due, tre giorni? E già vuole bigiare? Mi sta simpatico ‘sto tizio.
La voglia di non andare a lezione è tanta. So bene che rischio parecchio, Frank mi ha minacciata più volte.
Ma non me ne frega un cazzo.
“Ci sto!”




Angolo dell'autrice:
TA DAAAAAAAN!!! Eccomi qua, nuovamente da queste parti.
Stranamente non ho nulla di speciale da dire °-°
Lasciatemi un commentino pliz
Grazie!
The Edge

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Capitolo 7
*** Rivelazioni ***


Cammino accanto ad Alec, ci stiamo dirigendo dalla parte opposta di Los Angeles.
“Andrai nei casini con i tuoi?” domando al mio nuovo compagno di avventure.
“No… loro sono talmente impegnati con il lavoro e se ne fregano altamente di me. Ne è la prova il fatto che mi abbiano costretto ad abbandonare il Maine e venire qua.”
“Ah, ti capisco perfettamente”
“E tu?”
“Mio padre è morto quando ero piccola, mia madre lavora tutto il giorno e fa il possibile per non essere mai a casa. Il mio patrigno è un soggetto molto particolare. Ci picchia abitualmente e se scoprirà che oggi ho bigiato, me ne darà di santa ragione.”
Alec si ferma in mezzo alla strada e mi guarda sconvolto “Perché hai accettato di venire con me se sai che questo pazzo ti farà del male?”
“Perché io mi ribello, l’ho sempre fatto e continuerò a farlo”
“Ma lui ti farà sempre male”
“Devo resistere ancora due anni, poi me ne andrò via di qua”
“Sei intenzionata ad abbandonare i tuoi amici e la città degli angeli?”
“Los Angeles la saluterò. Di amici ne ho pochissimi e Dean verrà con me in Ucraina”
“Come mai?”
“Sono anni che progetto la mia fuga. Lui l’ha scoperto e mi ha promesso che verrà con me”
“Si vede che siete molto legati”

A questa sua osservazione, arrossisco imbarazzata.
Alec nota il mio rossore e con un sorrisetto sussurra “A quanto pare ti piace parecchio il morettino, eh?”
“E’ l’unico amico che ho, gli voglio bene e..”
“Tranquilla, ho capito che questo argomento ti mette in difficoltà e in imbarazzo. Diciamo che gli vuoi taaaanto bene.”
Lo incenerisco con lo sguardo e lui sghignazza “Andiamo a far colazione, dai”
“Va bene, però io non conosco bene questa zona e…”
“Non preoccuparti, io vivo a due isolati da qui. Conosco bene il posto”

Dieci minuti dopo mi trovo davanti un’enorme brioche alla marmellata. Alec beve tranquillamente il suo cappuccino “Non hai toccato cibo, sicura di star bene?”
Annuisco “Sono semplicemente sovrappensiero. Ora mangio, stai tranquillo, sto benone.”
Per non destare altri eventuali sospetti, comincio a mangiare la mia colazione.
La brioche è davvero deliziosa, approfitto del silenzio che si è creato per riflettere. Il mio pensiero è rivolto a Dean e a quello che è accaduto ieri. Voglio capire se lo ha fatto per sbaglio oppure se aveva qualche secondo fine.
Sono consapevole di farmi mille castelli per aria, ma è più forte di me.
Bevo il mio cappuccino  e uno strano senso di malinconia si fa strada in me.
Finisco di fare colazione, alzo lo sguardo e noto di essere osservata.
“Il tuo sguardo è cambiato, si è intristito.”
Come cazzo fa a notare tutto?
“Sei parente di Sherlock Holmes?”
Ride e scuote la testa “No, però amo molto leggere, e sono un acuto osservatore. E ho notato che da un momento all’altro la scintilla che illuminava i tuoi occhi si è spenta.”
“Sono sorpresa, davvero.”
“Posso sapere cosa ti tormenta?”
Scuoto la testa timidamente “Non ora.”
“Va bene, so aspettare. Quando sarai pronta a parlarne, sappi che io ci sarò.”
 

***
 

Ho passato una bella mattinata con Alec, ho scoperto tante cose nuove su di lui.
Mi ha detto che da grande vuole diventare un artista, non sa ancora se vuole essere uno scrittore, un pittore o un musicista, lui vuole divenire un artista.
Sorrido mentre ripenso alla sua faccia mentre me ne parlava, aveva gli occhi brillanti.
Arrivo a casa, che è stranamente silenziosa.
Salgo le scale e mi butto direttamente sul letto a peso morto.
Abbraccio il cuscino e premo il viso contro di esso. Sento il mio cuore martellare nel petto.
Faccio per chiudere gli occhi e riposare, quando suona improvvisamente il campanello.
Con una smorfia corro giù per le scale e apro la porta.
Mia madre alza lo sguardo e incrocia gli occhi nei miei.
“Ciao Sonja”
“Mamma”
“Come stai?” mi domanda, mentre poggia la borsa sul tavolo.
Mi passo una mano nei capelli distrattamente “Come vuoi che stia? Non so se te lo ricordi, ma abbiamo un pazzo che vive con noi.”
“Smettila.”
“Di far cosa? Di dirti in faccia la verità? Adesso dimmi. Perché cazzo hai sposato Frank?”
Mamma si gira, mi osserva e stranamente mi sussurra in ucraino “L’ho fatto per te”

Questa rivelazione mi lascia inebetita e, sempre nel nostro idioma, le rispondo “come sarebbe a dire?”
“Volevo che ci fosse una figura paterna nella tua vita”
“Hai scelto proprio l’uomo giusto. E comunque, io una figura paterna l’ho avuta. Papà. Non ho bisogno di quel mostro.”
“Dici così perché sei arrabbiata”
“Io arrabbiata? No, sono furiosa. Mi hai portata via dalla mia, dalla nostra terra natale. Mi hai trascinata in questo posto, dove tutti mi discriminano perché sono russa. Sai, avrei preferito rimanere ad Odessa. Senza un padre, ma per lo meno sarei stata felice. Non come ora, dove mi trovo un patrigno violento e una madre che praticamente non esiste!”
Le sbatto davanti alla faccia la verità. Tutto l’odio che provo per lei, per Frank, per questa città e per questo paese.
Non ho mai amato Los Angeles. Anzi, l’unica persona che mi ha convinta ad abituarmi a questo posto è proprio Dean.
Mia madre accusa il colpo, si asciuga le lacrime e torna a parlare in inglese “Forse ho fatto tanti sbagli, ma io ero convinta di fare il meglio per te. Se odi così tanto questo posto, avresti dovuto dirmelo prima…”
“HO TENTATO di dirlo. Ma non ci sei mai. Dopo il matrimonio con Frank sei sparita dalla mia vita. Ti avviso, il giorno in cui compirò i diciotto anni, farò la valigia e tornerò a casa, ad Odessa. Senza di te. Tu resta pure in questa città, a farti picchiare da Frank.”
“Se questi sono i tuoi desideri, fa pure. Partirai e lascerai alle spalle tutte le persone che hai conosciuto?”
“Ma se le uniche persone che conosco sono Dean, sua madre Sarah e il mio compagno di banco! Dean verrà con me”
“Come sempre, vero? Non mi stupirei se un giorno vi troverete l’uno davanti all’altra all’altare”
Un lieve rossore mi colora le orecchie, le sento bollenti.
Mia madre se ne accorge e con un sorrisetto sussurra “Ho fatto centro, non è vero?”
“Non sono fatti tuoi”
“Tanto lo so che ti rifugi da lui quando Frank alza le mani”
“Già, perché tu non fai nulla per impedirlo”
Abbassa lo sguardo, timidamente si avvicina e prende il mio viso tra le mani, mi accarezza gli zigomi pronunciati e posa le labbra sulla mia fronte “Spero potrai perdonarmi un giorno. Non sono capace di proteggere mia figlia”

Chiudo gli occhi e passo un braccio attorno alla vita sottile di mia mamma, la stringo leggermente in un goffo abbraccio.
Forse, un giorno, saprò perdonarla. 



Angolo dell'autrice:
Sono viva e non mi sono dimenticata di questa storia, ma finalmente ce l'ho fatta ad aggiornare!
Ringrazio tutti quelli che la seguono, in particolare Alice -grazia caVa-

Spero di riuscire a scrivere il prossimo capitolo in fretta.
Ciao gente!

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Capitolo 8
*** Grillo Parlante ***


Il professore di filosofia continua imperterrito a spiegare.
Dove trovi la forza di volontà per farlo, è un mistero.
Oggi sono da sola, Alec ha bigiato di nuovo. Non me la sono sentita di rimanere assente per il secondo giorno di fila.
I miei compagni di classe sono totalmente disinteressati alla lezione, che novità.
Mi fa male dappertutto. Ieri sera è arrivato Frank, ubriaco marcio. Ha tentato di picchiare mia madre, ma poi ha visto me e ha deliberatamente deciso di prendermi a calci.
C’è di buono che mamma gli ha tirato una librata in faccia –un buon inizio, non c’è che dire- però quell’animale è comunque riuscito a farmi sanguinare di nuovo le gambe.
Dopo un tempo interminabile, la campanella si degna di suonare.
Per fortuna che l’ora dopo è scoperta. Manca l’insegnante di matematica.
Ho la possibilità di farmi un giro per la scuola, anche perché di starmene isolata mentre quei cazzoni dei miei compagni parlottano tra loro non mi va.

Con fatica mi alzo dalla sedia e mi dirigo verso la fine del corridoio.
Una mano mi afferra la spalla, mi volto di scatto e Dean mi sorride “dove scappi?”
“Stavo andando in cortile…” non riesco a guardarlo in faccia.
“Vengo anche io. Tutto bene?”
“Sì, tutto a posto.”
Ci incamminiamo nel minuscolo cortile del nostro liceo.
Ricaviamo un piccolo spazio e ci sediamo l’uno accanto all’altra sui gradini.
“Volevo ringraziarti per essere venuta a trovarmi l’altro giorno”
“Oh… fi..figurati” balbetto imbarazzata.
No, no, NO. Non ci siamo. Non devo comportarmi come una povera idiota innamorata. Peccato che lo sto diventando.
Sonja non arrossire, ti prego.


“Hai le guance rosse” osserva divertito Dean “Da quando ti faccio quest’effetto?”
“Solito egocentrico.” Lo redarguisco con un’occhiataccia.
Però effettivamente ha ragione. Da quando mi fa questo effetto?

L’attenzione del mio migliore amico si è spostata al mio braccio. Delicatamente lo afferra e lo ruota verso l’esterno, così facendo scopre un livido violaceo.
“Resisti” sussurra a bassa voce, mentre fa scivolare delicatamente un dito sulla mia pelle pallida.
“Sai, ieri ho scoperto il motivo per cui mia madre ha spostato quello stronzo di Frank”
Dean ruota la testa verso di me, i suoi occhi scuri sono colmi di curiosità “Seriamente?”
“Mi ha detto che l’ha fatto per me. Voleva che ci fosse una presenza maschile, una sorta di sostituto di mio padre, nella mia vita”
“Che cagata. Io sono senza padre e sto che è una meraviglia. Mia madre se la cava benissimo da sola. Mi ha cresciuto senza l’aiuto di nessuno.”
“Le ho detto che ha scelto proprio l’uomo giusto per crescere una figlia. Ho avuto mio padre, non voglio nessun’altro oltre a lui”
“Hai pienamente ragione. Io non ho mai conosciuto quell’idiota che ha messo incinta mia madre, visto che è scappato a gambe levate.”
“Tra tutte e due le situazioni, non so quale sia la peggiore”
“La tua, decisamente.”
Appoggio la schiena al muretto, sta suonando la fine dell’intervallo “Hai lezione adesso?”
“Sì. Tu no?”
“No, manca la prof di mate. Rimango qui”
“Da sola?”
“A quanto pare…”
“Ti faccio compagnia. Ho filosofia…”
“Allora fai bene, la lezione di oggi era ancora più assurda del solito.”
 

***



Sono a casa, da sola.
Ho appoggiato la mia amata chitarra sulle ginocchia, dolcemente pizzico le corde.
Mi metto a canticchiare una filastrocca russa, quando all’improvviso sento un discreto bussare provenire dalla porta d’ingresso.
Ripongo velocemente la chitarra nella custodia e la nascondo nell’armadio. Meglio prevenire che curare, visto che Frank sarebbe capace di distruggerla.
Scendo le scale, da dietro le tende riesco a scorgere quella pertica di Alec.
Sorrido e apro la porta.

Il mio compagno di banco ha un sorriso furbetto stampato sul viso “Buongiorno. Guardare il cellulare ogni tanto? Ti avrò mandato non so quanti messaggi.”
“Scusami”
“Va là, tranquilla. Ti va di venire con me al parco?”
“Perché no?”
Afferro le chiavi poggiate sul tavolo in soggiorno e chiudo la porta.
“Ti va un gelato?”
Drizzo le orecchie, faccio una smorfia e Alec scoppia a ridere “Dalla tua faccia direi che la risposta è sì”
Annuisco divertita, apprezzo sempre di più la sua compagnia. E’ simpatico e ha la capacità di mettermi di buon umore.
“Sai, stamattina, mentre tu eri a morire sui banchi di scuola, io mi sono mangiato una brioche alla crema che era la fine del mondo. Alla faccia tua!” mi fa la linguaccia mentre ride da solo.
“Io invece ho girato per la scuola in compagnia di Dean, mancava la McLilith e quindi avevamo ora buca”
Alec aggrotta le sopracciglia “Hai risolto col moretto?”
“No.”
“Brava idiota. Adesso andiamo a mangiare il gelato e vedi di far funzionare quel delizioso cervellino che hai dentro quella zucca russa”
Questa volta tocca a me alzare un sopracciglio e in tutta risposta lui si metta a sghignazzare.
Finisco di mangiare il mio gelato e mi passo il dorso della mano sulla bocca, per togliere le bricioline che sono rimaste appiccicate.
Siamo seduti sul prato, parliamo del più e del meno.
“Sonja”
“Dimmi”
“Dovresti dirglielo”
“Ma..”
“Niente ma. Lo devi fare e basta.”
Grandioso, il mio compagno di banco è deciso a farmi da Grillo Parlante.
“prima o poi glielo dirò.”
“Meglio prima che dopo. Ricordatelo”
 
Come sempre, il tempo con Alec passa in fretta e verso le sei e mezza mi dirigo verso casa. Sia mai che arrivi Frank.
Per ironia della sorte è proprio a casa.
Merda.
Sono nella merda più totale.


Angolo dell'autrice:
Incredibile ma vero, sono di nuovo qui.
Mi mancava questa storia, e ora mi sto dando da fare coi capitoli successivi.
A presto! :3

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Capitolo 9
*** Non ce la posso fare ***


“Sonja”
Frank si getta addosso a me, comincia a darmi calci e pugni su ogni centimetro del mio corpo.
Un colpo particolarmente forte si abbatte sul mio viso, il cinturino dell’orologio del mio patrigno sfrega contro il mio labbro, spaccandolo.
Inizia a sanguinare, cerco di tamponarlo con il bordo della maglietta mentre tento di scappare dalle grinfie di Frank.
E’ più forte di me, con un braccio solo mi immobilizza sotto di sé e con l’altra mano si sfila la cintura. La fa sibilare nell’aria e successivamente la fa sbattere con violenza sulle mie gambe e sulla schiena.
Non riesco a muovermi, tento di mordergli la mano che mi tiene ferma, ma con scarsi risultati.
Mi arriva una sberla in piena faccia.

All’improvviso si ferma. Getta a terra la cintura.
In un barlume di speranza credo che sia finalmente finita, ma Frank si siede a cavalcioni su di me.
Il suo peso mi opprime, è troppo pesante.
Incomincia a muoversi, fa strusciare il bacino contro la mia pancia.
Ho seriamente paura, il mio cervello è lucidissimo e capisco perfettamente le sue intenzioni.
Le dita grassocce di Frank si avvicinano pericolosamente alla mia cintura. Con un colpo secco apre anche i pantaloni.
Una mano sfiora le mie intimità da sopra le mutande.
Un dito si introduce all’interno dei miei slip.
Le lacrime incominciano ad allagarmi gli occhi.
Ho paura di quello che sta succedendo.
Sento di non potercela fare.

Continua imperterrito a sfiorarmi. Non voglio.
Mi fa schifo, non …
Si ferma.

Si alza improvvisamente, lasciandomi a terra.
“Ritieniti fortunata. La prossima volta andrò fino in fondo”
Prima di uscire di casa, mi da un altro calcio sul fianco.
Appena sento la porta sbattere, scoppio in singhiozzi.
Le lacrime scorrono copiosamente sulle mie guance.
Ora sono in camera mia, da sola.
Non ho la forza di andare da Dean, però lo chiamo.
Con voce tremante lo imploro di venire qui.
Getto il cellulare sulla scrivania.
Sto tremando come una foglia.
 
Dean scavalca la finestra e appena poggia i piedi sul pavimento, mi getto tra le sue braccia piangendo a dirotto.
Sto singhiozzando come mai ho fatto in vita mia, Dean è preoccupato. Non dice una parola, si limita ad abbracciarmi delicatamente per non farmi male.
“Mi sento sporca, dentro.”
Si irrigidisce alle mie parole “Dimmi che.. non ha fatto quello che temo”
“No, però c’è andato vicino. Si è fermato”
“Cazzo. Merda. Mi spiace. Senti, trasferisciti da me. Dormirò sul pavimento, non importa. Non voglio che ti faccia ancora del male. Te ne ha fatto fin troppo”

Affondo il viso nel suo petto, mi stringo a lui come se fosse la mia ancora di salvezza.
Tra i singhiozzi gli rivelo la mia paura, il terrore puro che ho provato in quegli interminabili momenti.
Sto continuando a tremare.
Le braccia di Dean mi avvolgono, posa il mento sulla mia testa e incomincia a cullarmi, come se fossi una bambina.
“Non so quanto possa confortarti, ma ci sono qua io”
Deglutisco, mentre tiro su col naso.
Non riesco a smettere di piangere.
Dean si stacca da me, mi afferra la mano e mi invita a sedermi sul letto.
Mi passa un braccio attorno alle spalle, in modo da attirarmi nuovamente su di sé.
“Col cavolo che ti lascio da sola questa sera” dichiara, mentre si sdraia.
Mi porge un fazzoletto e mi asciugo il viso.
Lo abbraccio di nuovo, come se ne valesse della mia vita.
Appoggio il viso sulla sua spalla e chiudo gli occhi.
E’ una fortuna che siamo entrambi mingherlini di costituzione, visto che occupiamo tutto lo spazio del letto.
In condizioni normali sarei arrossita come non so cosa, ma in questo momento non me ne importa nulla.

 
Mi sveglio all’incirca alle nove e mezza di mattina.
Qualcosa di caldo mi avvolge la vita, apro l’occhio sinistro e mi accorgo di essermi addormentata tra le braccia di Dean.
I ricordi di quello che è successo ieri sera sono ancora stampati nella mia mente.
Rabbrividisco, ho ancora una paura boia.
Non ce la faccio più con tutte queste violenze da parte del mio patrigno.
Se il mio migliore amico è disposto ad ospitarmi, ben venga.
Non voglio stare più qui. 



Angolo dell'autrice:
Ehm, capitolo un po' particolare, lo ammetto.
Spero di non aver fatto dei danni.
A presto gente!
The Edge

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Capitolo 10
*** Gelosia ***


E’ ormai mezzogiorno inoltrato quando mi alzo dal letto.
Sono tutta dolorante, il mio labbro si è gonfiato, mi fa un male cane.
Afferro una maglietta pulita e mi dirigo verso il bagno, ho bisogno di una doccia.
Dean dorme ancora, sembra un bambino.

Il getto dell’acqua mi colpisce dolcemente la nuca.
Incomincio ad insaponarmi, e con uno sguardo rassegnato osservo il mio corpo pallido.
E’ pieno di lividi, ematomi vari. Faccio fatica a piegare il ginocchio, mi fanno male le spalle.
Sfioro la pancia con la punta delle dita, se chiudo gli occhi posso sentire nuovamente il bacino di Frank addosso a me.
E’ una sensazione che mi da il voltastomaco.
Gli occhi mi pizzicano, ho l’impellente bisogno di piangere.

E’ assurdo, ho sempre odiato piangere e ora mi ritrovo a singhiozzare contro la porta della doccia.
“Sonja sei in bagno?” mi domanda Dean da dietro la porta
“Tutto bene? Appena esci ti preparo la colazione, o meglio, il pranzo”
“N.. non ho fame.” Biascico mentre mi strofino via il sapone dal viso.
Finisco di risciacquarmi i capelli e mi avvolgo con l’accappatoio.

Esco dal bagno, la maglietta dei Pink Floyd è abbastanza larga e non sfrega contro i lividi.
Dean mi osserva, è seduto sul letto a gambe incrociate.
“Hai pensato a quello che ti ho detto ieri? Verresti da me?”
Annuisco debolmente e accomodo accanto a lui.
Con una smorfia tento di muovere la gamba, ma mi duole tantissimo.
“Ho pensato che.. beh, sarebbe il caso di rimanere a casa per un po’, prima che qualcuno noti il tuo labbro spaccato”
“E se chiamano a casa?”
“Faccio rispondere mia madre. Le facciamo dire che hai, una non so quale malattia infettiva che ti costringe a stare a letto tutto il giorno.”
“Hai pensato proprio a tutto”
“Già, a volte anche io ho dei lampi di genio”
 
Le mie proteste non valgono nulla e Dean mi costringe a scendere in cucina. Non ho molta fame, però per farlo contento mangio un piccolo pezzo di formaggio.
All’improvviso suona il campanello, mi irrigidisco e il mio migliore amico va ad aprire.

“Ehilà”
Riconosco la voce, è Alec!
“Posso entrare? Sonja è in casa?” domanda educatamente rivolgendosi a Dean.
“Sì, è in cucina.”
Il mio compagno di banco varca la soglia della mia cucina con un sorrisetto, sorriso che si trasforma in una smorfia preoccupata quando nota in che condizioni è il mio viso.
“Buon dio, che diavolo ti è successo?”
“Frank” mormoro senza guardarlo.
“Mi spiace, dico davvero.”
Poggia una mano sulla mia spalla e mi regala un sorriso trentadue denti.
Dean è rimasto appoggiato sullo stipite della porta, sembra innervosito dall’arrivo di Alec.
All’improvviso si raddrizza e dichiara “Senti Sonja, io torno a casa. Mi faccio una doccia e torno, ok? Nel frattempo chiamo anche mia madre e le dico che rimango da te per un po’”

“E pensare che io ero venuto a trovarti per rimproverarti del fatto che mi hai lasciato da solo quest’oggi. Non avevo idea che…. Beh, fossi conciata così”.
“Non preoccuparti…”
“Mi prendi per il culo? Okay, ci conosciamo da poco, lo ammetto. Però dai, hai la faccia che è un livido ambulante, fai fatica a piegare la gamba e hai l’espressione di una che vorrebbe piangere per il resto della sua esistenza. Quindi IO mi preoccupo. Oh insomma.”
Non posso fare a meno di sorridere “Grazie”
“Figurati. Hai detto a Dean che ti piace?”
“No.”
“Dovresti farlo.”
“Perché?”
“Come perché! Insomma, tu sei carina e lui ti sbava addosso come se fossi una pizza capricciosa con doppia mozzarella”
Scoppio a ridere a questa sua dichiarazione “Dici davvero?”
“Mi domando cos’hai al posto degli occhi, delle brioches? Ti guarda adorante, ha il classico sguardo di uno che ti vuole bene e che ti vuol proteggere. Vuoi un invito scritto per fartelo capire?”
Arrossisco imbarazzata e lui se ne accorge. Avvicina la sedia alla mia e afferra le mie mani.
“Ascoltami una buona volta. Da quel che ho potuto capire, la tua vita non è particolarmente rosea. Hai un amico che si fa in quattro per te, tienitelo stretto. Gli piaci, e anche tanto.
Dovresti farti coraggio e tenerti stretta l’unica cosa bella che hai. Capisci? Inoltre è palesemente geloso.”
Alzo un sopracciglio in una domanda muta, lui ridacchia e fa “Dai, ce l’aveva scritto in fronte che era geloso come pochi.”
“E di chi, scusa?”
“Di me, ovvio.”
Non ci posso credere. Sarò anche ingenua come dice Alec, ma mi sembra assurdo. Dean geloso?
“Senti, ora vado. Non voglio disturbarti troppo. Vedi di riprenderti in fretta, perché rivoglio la mia compagna di banco.”
“Okay, aspetta un momento. Perché ti sta tanto a cuore… insomma, la faccenda tra me e Dean?”
Alec si alza in tutta la sua altezza e mi rivolge uno sguardo quasi paterno “Perché mi piace fare da Cupido”
 

***


Con fatica mi stiracchio, ho le spalle doloranti e intorpidite.
Ripongo con attenzione la mia chitarra nella custodia, mi rilassa suonare.
Dean non è ancora tornato, mi rende nervosa il fatto di essere a casa da sola.
Mia madre non si fa vedere da giorni, idem il mio patrigno.
Da una parte son contenta, meno lo vedo meglio sto, ma dall’altra ho paura.
Di solito quando manca tanto da casa, torna sempre completamente ubriaco.
Non voglio più avere a che fare con lui, mai più.
Giusto per confermare i miei sospetti, entro nella camera di mia madre e di Frank. Apro la cassettiera ed estraggo la scatola di metallo nascosta sotto alla pila di boxer.
La apro e noto che le bustine contenti eroina sono aumentate.
Ripongo la scatola esattamente dov’era prima, chiudo dietro di me la porta e scendo le scale.

Ho bisogno di un buon libro per distrarmi, ma noto con un certo fastidio che tutti i miei libri preferiti sono magicamente scomparsi.
Momento di panico. Dove cazzo li ho messi?
Mi porto una mano tra i capelli e li arruffo ancora di più a causa del nervosismo.
“Cerchi qualcosa?”
Mi volto di scatto e vedo Dean appoggiato allo stipite della porta, ha uno strano sorrisetto dipinto sul viso.
“Sto cercando i miei libri”
“Stai facendo un buco nell’acqua. Te li ho presi io”
Aggrotto le sopracciglia “Come ti sei permesso? Brutto… sbarbatello che non sei altro”
Dean scoppia a ridere “I tuoi insulti sono i migliori. Li ho portati a casa mia, giusto per iniziare il tuo ‘trasloco’.”
“Potevi anche avvertirmi, no?”
“E perdermi la visione della tua faccia sconvolta? Ma neanche per idea”
Gli faccio una sonora pernacchia e gli volto le spalle, nascondendogli un sorriso.
E’ più forte di me, ma mi rendo conto che stare in sua compagnia mi fa stare bene.

“Alec?”
“E’ andato via da un pezzo”
“Cosa voleva?”
“Il suo obbiettivo principale era quello di rimproverarmi per via del fatto che l’ho lasciato da solo in balia della noia”
“Ah”
Piego la testa di lato e lo osservo. Si sta torturando le mani, tiene il capo chino e non mi guarda.
“Tutto bene?” domando ingenuamente.


“Sono fottutamente geloso”

 

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Capitolo 11
*** Fuggitiva! ***


Batto le palpebre un paio di volte.
Inghiotto la saliva e stringo leggermente le labbra.
Alec me l’aveva detto. Com’è che ‘sto ragazzo ha sempre ragione?
“Gelosia?”
“Sì, sono geloso.”
“E.. p-p-perché?”

Alza lo sguardo su di me, le sue guance, solitamente pallide, sono tinte di rosso.
“Perché da un po’ di tempo a questa parte tu stai molto tempo con lui. Bigiate assieme, so che è da stupidi, ma sono geloso. Insomma… siamo sempre stati assieme e da un girono all’altro arriva un tipo alto due metri che si mette in mezzo. Mi sono sentito… messo da parte”

Questa volta tocca a me arrossire. Non mi aspettavo un discorso del genere.
Mi gratto la guancia sinistra imbarazzata, il mio sguardo saltellava da una parte all’altra della stanza.
“Non potrei mai metterti da parte, e lo sai benissimo. Sei il mio migliore amico e …” sospiro, non riesco a dirglielo.
Chiudo gli occhi e a bassa voce mormoro “Abbracciami”
Le braccia di Dean mi avvolgono timidamente il busto, sento il suo respiro sul collo. Mi stringo a lui come se fosse l’unica persona capace di mettermi in salvo.

“Sonja?” sussurra mentre passa le dita tra le ciocche bionde dei miei capelli.
Deglutisco un’altra volta, mi impongo di aprire la bocca e parlare, ma non riesco ad emettere suono.
“S-sì?” domando con voce impastata, mi sento la gola secca. Le gambe mi tremano, come se fossero di gelatina.
Dean porta le mani attorno al mio viso, mi accarezza gli zigomi, le guance e la punta del naso.
Vinco la timidezza e lo guardo negli occhi, sono stranamente lucidi.
Appoggia la fronte sulla mia, un rossore bollente gli colora le guance. Se fossimo in un altro contesto sarei scoppiata a ridere da un pezzo. Ma vista la situazione, l’unica cosa che riesco a fare è tremare e tenere lo sguardo a terra.

“Credo di amarti” sussurra, ormai il suo viso ha assunto la tonalità di un pomodoro maturo.
Non riesco nemmeno  a rispondergli con un “anch’io” che le sue labbra sono sulle mie. Sono morbide come me le ricordavo.
Mi faccio coraggio e azzardo a passargli un braccio attorno al collo per attirarlo a me.
Dean si stacca dalla mia bocca e mi sorride impacciato “Tutto ‘sto casino per un bacio?” gli domando mentre gli sfioro un orecchio con la punta delle dita.
“Baciala tu la tua migliore amica, dopo quasi tredici anni che la conosci. E voglio vedere se non sei impacciata” mi rimprovera con un sorrisetto.
“Okay, mi arrendo. Ti amo anche io…”
Le parole sono scivolate via dallo scudo dei miei denti e finalmente dico le cose come stanno.

Dean mi sorride, gli occhi gli brillano e ha le guance rosse.
Ho mai detto che è bellissimo?
Mi abbraccia di nuovo e appoggia il mento sulla mia testa
“Ti prometto che appena diventiamo maggiorenni prendiamo il primo volo per l’Ucraina e scappiamo da questo posto. Non voglio che Frank ti faccia ancora del male…”
Già, il mio patrigno. Stringo i pugni, la paura è mista alla rabbia in questo momento.
“Devo farti vedere una cosa.” Dichiaro mentre mi allontano da lui. Gli faccio cenno di seguirmi e ci dirigiamo verso la camera da letto di mia madre e di Frank.
Apro la cassettiera ed estraggo la scatola contenente il nuovo vizio del mio patrigno.
“Qui dentro ci sono delle buste di eroina… Frank è diventato un tossico”
“Pure? Ricapitolando, è un tossico, ubriacone e fumatore. Se continua così, morirà presto!”
“E’ quello che spero. Almeno libererà il mondo dalla sua ingombrante presenza.”
Ho sistemato nuovamente il mobile e la famigerata scatola è al suo posto.

Dean è seduto sul pavimento e sta disegnando su dei fogli volanti. Ha la fronte aggrottata e una piccola ruga d’espressione si è formata in mezzo alle sopracciglia, segno che è concentrato.
Mi accomodo sul mio letto, con la chitarra appoggiata sulle ginocchia. Sfioro delicatamente le corde e le faccio vibrare impercettibilmente.
Dean alza lo sguardo dai suoi disegni, mi guarda e sorride “Suonami qualcosa”
Sorrido di rimando, afferro il manico della mia amata semiacustica quando sento chiaramente che la serratura della porta d’ingresso sta scattando.
Mi irrigidisco, incomincio a sudare freddo.
Dean si alza in piedi, è nervoso quanto me. Mi fa cenno di rimanere in silenzio ed immobile, mentre lui appoggia l’orecchio sulla porta della camera, in modo da origliare.

Un colpo secco mi fa capire che è Frank il visitatore poco gradito. Sta parlando al telefono e dal tono rabbioso che sta usando, deduco che dall’altra parte della cornetta ci sia mia madre.
La mia ipotesi viene confermata quando sentiamo l’urlo “KRISTINA NON OSARE CONTRADDIRMI. No. Tu e quella stronzetta di tua figlia non potete andare in vacanza nella vostra terra. Perché? Perché lo dico io. Giuro che se osate farlo, vi lego al letto e vi faccio davvero male. Ne sono capace. Sai una cosa? L’altro giorno ho messo le mani addosso a tua figlia e sai cosa le stavo per fare? Ho tentato di abusare di lei. Giuro che se mi fate incazzare, vi sfondo e poi vi ammazzo. Luride puttane”

Deglutisco, sto per sentirmi male. Sento di avere gli occhi pericolosamente umidi, una lacrima, poi un’altra, scivola lungo la mia guancia.
Il mio respiro è irregolare, il mio cuore sta battendo all’impazzata. Non riesco a reggermi in piedi, le mie ginocchia si piegano e scivolo inerme sul tappeto.
“Sonja calmati” Dean è inginocchiato davanti a me, afferra il mio viso tra le mani e con una carezza mi asciuga le gote.
“Respira con calma. Ci sono qua io. Lui ora non può farti del male. Shhh, calmati.”
Deglutisco e chiudo gli occhi. Mi impongo di inspirare ed espirare con regolarità.
“Brava, continua così” sussurra Dean, mentre mi accarezza la testa “Dobbiamo andarcene da qua. Non puoi continuare così. Appena quello stronzo se ne va, ti do una mano a preparare una borsa da portar via. Ti trasferisci da me per un po’, sapere che starai lontana da quel mostro mi tranquillizza.”
Annuisco debolmente, l’attacco di panico è scemato, ma in compenso mi è venuto mal di testa.
Riapro gli occhi e la prima cosa che vedo è il viso preoccupato di Dean che mi osserva “A volte mi piacerebbe sapere come mai ti toccano tutte queste sfortune. Sei una persona meravigliosa e devi vivere in questo modo, con un patrigno violento che odia sia te che tua madre. Per non contare delle continue discriminazioni per le tue origini.  Insomma, cosa hai fatto di male per meritarti tutto questo?”
“Non lo so, ma credimi. Mi piacerebbe saperlo, inoltre ho come l’impressione che le mie sfighe non siano finite qui.”
“Davvero? Speriamo di no, dai. Un po’ di ottimismo non guasta mai”
“Hai ragione, ma vedi…Il mio più grande desiderio è quello di tornare a casa mia, ma… lì non c’è mio padre ad aspettarmi. Mi manca Dean, non sai quanto. Ad Odessa ci sono i miei nonni, e non li sento da anni. Non so se sono vivi, se sono morti e se si ricordano di avere una nipote che abita dalla parte opposta del globo. Non so nulla.”
Lo sconforto mi assale, non so niente della mia famiglia.
Mia madre ha tagliato ogni tipo di comunicazione con i suoi parenti e con quelli di mio padre.
“Ehi, tutta questa malinconia? Non ci pensare, troveremo una soluzione anche per questo impiccio. Ora dobbiamo fare qualcosa di decisamente più importante. Ho già preso i tuoi libri preferiti, se mi dai anche la chitarra incomincio ad andare a casa mia. Mia mamma ti ha preparato la stanza degli ospiti, non è molto grande ma dovresti stare comoda lo stesso.” Dean ha assunto un tono pratico e ha appena chiuso la cerniera della custodia della mia semiacustica.
“O-okay. Allora incomincio a prendere un paio di vestiti di ricambio.”
“Va bene. Allora ti aspetto. Ci vediamo dopo”
Mi stampa un bacio sul naso e scende giù dalla finestra con un balzo “Ora passami la tua chitarra. Fai piano, che Frank è ancora in casa”

Sospiro, ho messo nel borsone gli ultimi pantaloni e le ultime magliette. Ho preso quasi tutto quello che mi serve.
Mi inginocchio accanto al letto ed estraggo la scatola che contiene le storie scritte da mio padre.
Accarezzo delicatamente il coperchio e senza esitazioni la metto nella tasca laterale della borsa.
Do un’ultima occhiata alla mia stanza, non la vedrò per molto tempo.
Chiudo a chiave la porta della camera, così Frank non potrà entrarci quando sarò via.
Il mio patrigno sta guardando la televisione, sento l’allegra musichetta di uno stupido programma che stanno trasmettendo. E’ un uomo così insulso, noioso ed ipocrita.
Mia madre ha avuto proprio tanto coraggio per voler sposare un tipo del genere.
Faccio un profondo respiro, mi sporgo dalla finestra e lancio il borsone sul prato. Atterra con un tonfo, mi assicuro che il mio patrigno non si sia accorto di nulla e successivamente esco anche io dalla finestra e la chiudo dietro di me.
Mi metto la borsa in spalla e comincio a camminare.
Ho ancora un po’ di mal di testa, ma non mi lamento.
Sono scappata da quella gabbia di matti.




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Capitolo 12
*** Novità ***


Busso alla porta della casa di Dean, le luci della cucina sono accese.

Sarah apre la porta e mi sorride dolcemente “Ciao Sonja, ben arrivata. Ho fatto in tempo a tornare per prepararvi da mangiare. Accomodati pure, ti accompagno nella camera degli ospiti.”

Attraversiamo l’intero appartamento e si ferma davanti ad una porta, la apre e mi fa cenno di consegnarle la borsa.

“Dean mi ha detto che… insomma, sei dovuta scappare da casa per via del tuo patrigno.”
“Sì, è così. Non ce la facevo più a sopportarlo”
“Io l’avevo detto a tua madre di non sposarlo… Tu e mio figlio eravate piccoli, per questo forse non te lo ricordi.”
“Davvero? Effettivamente non mi ricordo di questo particolare”
“Immaginavo. Frank è il classico uomo che all’inizio si comporta in modo affabile, è gentile e cordiale con tutti e poi si trasforma nel mostro che è. Mi piange il cuore a sapere che sei dovuta crescere con una creatura orribile come lui.”
“Poco importa, visto che ho intenzione di non rivederlo più. Non voglio più averci a che fare”
“Fai attenzione, mi raccomando. Il tuo patrigno è una persona vendicativa, ed è sicuro come l’oro che non lascerà impunita la tua fuga. Certo, farò il possibile per aiutarti, mi pare logico, ma ti prego: stai attenta. E’ pericoloso come persona.”
Annuisco, mi passo una mano sulla fronte e mi siedo sul letto davanti a lei “Okay, ti ringrazio.”
Sarah mi sorride e mi fa una carezza sulla guancia “Ah, mi sono presa il permesso di chiamare la scuola. Ho detto che hai avuto un’indisposizione che ti impediva di andare a scuola. Inoltre mi sono presa la libertà di dire che se devono chiamare a casa, di chiamare me. Così evitiamo il problema Frank. Che ne pensi?”
“Penso che sei davvero un genio. Grazie Sarah, grazie”
Sono commossa, mai nessuno aveva fatto tanto per me.
Mi sorride e mi porge una mano “Vieni a mangiare. Dean dovrebbe arrivare a momenti, l’ho spedito a far la spesa. Stamani ho dimenticato di comprare il latte e la carne e quindi ho mandato lui a prenderli.”

La cena è stata deliziosa, come sempre Sarah ha dimostrato di essere una cuoca eccellente.
Sto sparecchiando i piatti, mentre Dean lava le posate e sua madre sistema gli avanzi nel frigorifero.
“Dean, domani tu vai a scuola.” Dichiara Sarah intanto che mette sul fuoco la caffettiera.
“Perché?”
“Perché sei rimasto troppo tempo a casa. Sonja ha ancora i lividi ben visibili e quindi sarebbe meglio aspettare ancora un paio di giorni. Tu invece stai bene, e quindi devi andare. Non tanto perché è importante, perché so che sei un ragazzo intelligente e non mi serve la scuola che lo dimostri, ma per evitare sospetti. Insomma, correte il rischio che qualcuno dei vostri professori si accorga che siete stati assenti nello stesso arco di tempo. E noi non vogliamo altri casini. Hai capito figliolo?”
“Certo mamma.”
“Perfetto. Ragazzi volete un caffè?”

 

***


Sono sdraiata supina, le braccia incrociate sotto la testa.
Fisso il soffitto e penso. Vorrei che papà fosse qui.
Mai ho sentito la sua mancanza come adesso.
Fin dai primi tempi avevo compreso che qualcosa non andava. Un giorno papà c’era… e il giorno dopo no.
Mia madre ha organizzato il nostro trasferimento nel giro di due mesi. Non ho fatto in tempo a salutare i nonni.
Chissà se si ricordano di me. Non mi è dato saperlo.
Sospiro, mi manca la mia terra natale, i miei concittadini, la mia lingua, le strade di Odessa e il suo porto.
Voglio tornare a casa.

Qualcuno bussa alla porta.
“Avanti” mormoro mentre mi metto a sedere a gambe incrociate sul letto.
Un ciuffo di capelli castani fa capolino dallo stipite della porta “Tutto bene?”
“Più o meno”
“Posso entrare?”
“Yep, fai pure”
Dean si avvicina e si siede accanto a me “Come mai questa faccina triste?”
“Stavo pensando a mio padre. So che magari sembra sciocco, ma mi manca persino parlare in russo.”
“Ti capisco… Voglio dire, deve essere terribile il fatto di non poter parlare la propria lingua in terra straniera. Cerca di resistere. Due anni passano in fretta, anzi, fai conto un anno e mezzo. E’ ancora meno tempo di prima.”
Annuisco e poggio la testa sulla sua spalla “Sono così stanca di tutto questo. E pensare che ho appena sedici anni”
“Signorina, mi pare doveroso informarla che lei tra meno di un mese compie gli anni” dice Dean con una voce da bravo scolaretto.
Scoppio a ridere, è forse questa la cosa che amo di più del mio migliore amico. E’ capace di farmi ridere anche in un momento come questo.
Con una mano mi afferra la maglietta e mi trascina verso di sé, sento il suo respiro sul viso e appoggia delicatamente le labbra sulle mie. Spalanco gli occhi sorpresa, non me lo aspettavo proprio.
Schiudo leggermente la bocca, lasciando libero accesso alla lingua del mio migliore amico.

Mi sento le guance in fiamme, ma non sono mai stata così bene. E’ come se tutto quanto fosse messo in secondo piano: le mie paure, i miei timori, Frank, mia madre… Non ci sono più. Ci sono solo le labbra di Dean che sfiorano gentilmente le mie in un bacio.

“Posso considerarti ufficialmente la mia ragazza?” sussurra a bassa voce, ciuffetti di capelli castani gli nascondono gli occhi.
“Direi proprio di sì, non ti pare?” anche in questi momenti, ho il romanticismo di un sasso.
Informo Dean di questo mio pensiero e lui scoppia a ridere divertito. Scuote la testa e mi da un bacio sulla guancia “Buonanotte”
 

***


Il mio cellulare sta squillando.
Apro gli occhi assonnata. Sono pur sempre le nove e un quarto del mattino! E io ho ancora tanto sonno.
Chi mi sta chiamando deve essere proprio intenzionato a voler parlare con me.
Tasto alla cieca il comodino e finalmente trovo il mio telefono.
“Pronto?”
“Sonja dove sei?”
“Mamma?”
“Sono io, rispondi.”
“Sono a casa di Dean.”
“Come sospettavo. Beh, fai attenzione. Frank si è accorto della tua fuga.”
“C’era da aspettarselo.”
“Ah… senti, volevo dirtelo l’altro giorno, ma tu eri già andata via… Beh, stavo tentando di organizzare una vacanza ad Odessa. Era un.. tentativo di riallacciare i rapporti con te, ma il tuo patrigno mi ha scoperto e mi ha impedito di fare qualsiasi cosa. M-mi dispiace” sussurra con voce rotta.
Sono stupita, non mi aspettavo un gesto del genere da parte di mia madre “Apprezzo il pensiero. Con Frank tra i piedi è praticamente impossibile persino andare in bagno.”
“Adesso devo andare, mi raccomando fai attenzione.”

Chiudo la telefonata e mi ributto sul letto.
Tentare di riaddormentarmi è un’impresa degna di Eracle.
Mi tolgo il pigiama e mi vesto con degli abiti normali e scendo a far colazione.
Sono da sola, Sarah è al lavoro e Dean è a scuola.
Afferro una tazza dal ripiano e la riempio di latte.

 

***


Sono passati tre giorni da quando sono scappata da casa mia. E’ tempo che io torni a scuola, i lividi sul mio viso sono quasi del tutto scomparsi.
Io e il mio migliore amico ci avviamo a passo di lumaca alla nostra scuola.
Mi sembrano passati secoli dall’ultima volta che ci ho messo piede.
Con uno sbuffo entro nella mia classe, i miei compagni non mi degnano di uno sguardo, come al solito.

“SONJA” urla gioioso Alec, il quale non mi da tempo di sedermi che già mi abbraccia. Ricambio goffamente la stretta “Ciao”
“Sei viva! Finalmente sei tornata! Devo raccontarti un sacco di cose che sono successe” Alec è eccitato come un bambino al luna park, continua a saltellare sul posto.
Mi siedo al mio banco e osservo di sottecchi il mio amico, il quale fa un profondo respiro “Dunque, il marito della McLilith è morto”
Strabuzzo gli occhi “La McLilith era sposata?”
“A quanto pare sì. Comunque, lei è distrutta. Poverina. Si è licenziata”
“C-cosa?” sembra assurdo tutto ciò. La McLilith sposata, e che si licenzia dopo la morte del marito. Troppe cose tutte insieme.
“Hai capito benissimo cara mia. Oggi dovrebbe arrivare il nuovo prof”
“Fantastico…” mormoro a bassa voce. Mi scompiglio i capelli come d’abitudine e mi stiracchio come un gatto al sole.




Angolo dell'autrice:
Ho fatto un paio di calcoli, ho sistemato l'ordine dei capitoli e sono giunta a conclusione che dovrei scrivere ancora sei capitoli e poi la storia si concluderà.
ARGH D;
Va bon, spero vi piaccia.
A presto!
The Edge

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Capitolo 13
*** Nuovo prof e scoperte interessanti ***


E’ appena entrato il vicepreside. Indossa un completo verde vomito. Dove trovi il coraggio per andare in giro conciato come un ramarro, lo sa solo lui.
Accanto a lui c’è il nostro nuovo professore. E’ alto e slanciato, ha i capelli rossi, il viso è ricoperto da una moltitudine di lentiggini. La pelle è talmente pallida e delicata che sembra porcellana.
Aggrotto le sopracciglia, questo tizio ha un che di familiare.
Lo osservo e non presto attenzione al vicepreside che tenta di richiamare gli studenti all’attenzione.
Questo che di familiare sono i tratti del viso, che sono tipicamente dei paesi dell’Europa dell’est.
Gli zigomi pronunciati e i lineamenti squadrati sono esattamente come i miei, come quelli di mia madre, mio padre, di tutte le persone russe.

“Volete stare in silenzio sì o no?” Sbraita alterato il vicepreside. Quando si arrabbia, la sua voce si fa particolarmente acuta, e suscita un’incredibile voglia di ridere.
Finalmente il silenzio, quegli idioti dei miei compagni si degnano di chiudere quelle bocche e finalmente il ramarro può parlare “Dunque, questo accanto a me, è il vostro nuovo docente di matematica. Il suo nome è Aleksander Poljk. Comportatevi bene, che non mi costa nulla sospendervi e mettervi il voto insufficiente in pagella”

Il vicepreside, contento dell’effetto delle sue parole, esce dall’aula a grandi falcate.
Il nostro professore ci sorride, poggia la borsa sulla sedia e lui si accomoda con nonchalance sulla cattedra.
“Buongiorno ragazzi, come avrete capito, io sono il nuovo prof di mate. Sinceramente oggi non ho voglia di far lezione, preferisco conoscere voi prima di iniziare a spiegare. Ah, una cosa abbastanza importante. Potete darmi sia del tu che del lei, per me è assolutamente indifferente.”

Ha la voce chiara, pulita. E’ piacevole ascoltarlo.
Ho come l’impressione che d’ora in poi starò sempre attenta alle lezioni di matematica.
Addio pisolini!

“Bene, che dite di fare l’appello?” sorride con tranquillità.
Credo che sia il primo professore che sorrida così tanto nell’arco di pochi minuti.
La McLilith non sorrideva mai, aveva sempre una smorfia di insofferenza stampata sul viso scarno.

Lentamente comincia a fare l’appello, ad ogni persona chiede qualcosa, qual è il suo colore preferito, se ha fratelli, sorelle, cose così.
Si avvina la lettera “M” e sono curiosa di sapere cosa mi chiederà.
“Michajlovna Sonja” esclama a gran voce, alza il viso dal registro e osserva attentamente la classe.
Alzo la mano per farmi riconoscere.
Sono sorpresa. Ha pronunciato correttamente il mio nome, con tutti gli accenti giusti.
“Quali sono i tuoi hobby?” mi domanda gentilmente
“Mi piace suonare la chitarra” borbotto a mezza bocca.
C’è qualcosa che non mi convince del tutto.
“Molto bene Sonja, ti ringrazio. Passiamo al prossimo nome”

Continua a fare l’appello e finalmente arriva alla fatidica “W” che è l’ultima lettera del nostro registro di classe.
“Ora che vi siete presentati voi, dirò qualcosa di me. Dunque, mi chiamo Aleksander Poljk. Il diminutivo del mio nome è Sasha, ma ormai nessuno lo usa più. Sono nato in Ucraina, un paese dell’Est Europa. La mia città natale è Odessa, che è un porto molto importante. Qualcuno di voi è mai stato in Ucraina?”


Non ci posso credere.
Alzo la mano e lui mi fa cenno che posso parlare “Io ci sono nata ad Odessa”
Il prof sorride sorpreso “Ma davvero? Michajlovna, giusto?”
Annuisco, sento di avere le labbra secche. Sembra assurdo tutto ciò.
“Beh sì, effettivamente è un cognome tipicamente russo. Aspetta un momento, tuo padre si chiamava Andrej, per caso?” domanda gentilmente. Noto che è impallidito leggermente mentre parlava.
“Sì” rispondo in fretta.
C’è qualcosa che non quadra, come diavolo fa a sapere il nome di mio padre?

“Oh, capisco. In questo caso, ti dispiacerebbe aspettare un paio di minuti dopo il suono della campanella? Vorrei parlare con te”
“Per me va bene” acconsento immediatamente.
Voglio capire, voglio sapere. Sono un po’ preoccupata.

Alec al mio fianco mi osserva, mi da un pugno leggero sul braccio “Mancano due minuti all’intervallo. Dopo raccontami quel che ti dice”

Suona la campanella liberatrice e tutta la classe si alza in fretta dai banchi. Il professore saluta amabilmente gli studenti e nel giro di pochi secondi rimaniamo solo io e lui.
“Avvicinati per cortesia, vorrei mostrarti una foto” mi ordina mentre cerca qualcosa nel portafoglio.
Ubbidisco e aspetto.

“Guarda qui. Quello a sinistra sono e quello a destra è…”
“Papà” mormoro scioccata. Alzo lo sguardo e guardo negli occhi il prof, il quale mi sorride timidamente “Io e tuo padre eravamo grandi amici, siamo stati compagni di banco per tutto il liceo.”
Questa è bella, il mio nuovo insegnante di matematica era amico di mio padre. Questa scoperta mi fa… piacere.
“Lo hai conosciuto Andrej?” mi domanda incerto
“Sì. Ero piccola quando è morto, ma mi ricordo tutto di quel periodo.”
“Era uno scrittore, lo sai?”
“Sì, mi ha lasciato una scatola piena dei suoi racconti. E’ grazie a quegli scritti che ho mantenuto la capacità di leggere e scrivere in cirillico”
“Non parli ucraino a casa?” domanda stupefatto
“Lo parlo raramente con mia madre. Il mio patrigno non… apprezza particolarmente il fatto di venire escluso nelle conversazioni, come se parlassimo”
Alla notizia del mio patrigno, aggrotta le sopracciglia rosse “E così Kristina si è risposata…”
“Prof, conosci anche mia mamma?” sono davvero meravigliata e non posso fare altro che fare altre domande.

Il prof mi sorride e inaspettatamente comincia a parlare in ucraino. La sua parlata è dolce e fluida, quasi come quella inglese.
Mi racconta molte cose su mio padre, di quando era un ragazzo e di tutti i guai che hanno combinato assieme.
E’ bello poter dialogare di nuovo nel mio idioma, per un momento mi sembra di essere a casa.

Con la cosa dell’occhio mi accorgo che Dean e Alec sono accampati dietro la porta e osservano la scena.
Il prof tossicchia e torna ad utilizzare l’inglese “Bene, mi ha fatto piacere conoscere la figlia del mio migliore amico. Sappi che… beh, se vuoi sapere altro su Andrej, farò il possibile per accontentarti”
Non so cosa dire, mi limito a sorridere commossa.

 

***


“Pretendo, anzi, esigo sapere cosa ti ha detto.” Alec non molla, è deciso a sapere cosa sia successo e Dean non è da meno. Trovo comica la cosa. Prima il mio migliore amico non poteva vedere il mio compagno di banco, ora si alleano per estorcermi i fatti.
Ridacchio divertita a questa considerazione e faccio un profondo respiro “In pratica il nostro nuovo prof di mate era amico di mio padre, lo conosceva e tiene nel portafoglio una foto scattata con lui.”
Alec ha lo sguardo meravigliato “Ma tu pensa, queste cose succedono una volta sola nella vita. Accidenti, e ti ha detto qualcosa di particolare?”
“Mi ha raccontato di alcuni episodi, tipo quando gli ha detto che avrebbe voluto fare lo scrittore.”
“Vedi che te lo dicevo io? Tu darmi retta mai, eh?” borbotta Dean fingendosi offeso.
Alzo un sopracciglio in una domanda muta, mi sono persa qualche pezzo.
Alec ci guarda e ride “Siete una coppia fantastica voi due.”
Sia le mie orecchie che quelle di Dean si arrossano e il mio compagno di banco ride ancora più forte.

***


Il nuovo professore è un tipo in gamba, spiega con chiarezza e cosa più impressionante di tutte, l’intera scolaresca rimane attenta per tutti e cinquanta i minuti di lezione. Un successo incredibile.
La routine scolastica è ripresa abbastanza bene, ogni pomeriggio studio assieme ad Alec e a Dean. Passiamo le ore pomeridiane assieme, andiamo al parco e stiamo lì fino a quando non diventa buio.
Eppure non mi sento tranquilla.
Ogni giorno vado al bar dove va di solito Frank e chiedo al barista se lo ha visto. La risposta è sempre la stessa “No”
C’è qualcosa che non quadra affatto. Sono certa che quel mostro sta architettando qualcosa di strano.
Mia madre mi manda un messaggio ogni quattro giorni, mi chiede se sto bene. Anche questa è una bella novità. Sta cercando di recuperare i rapporti e devo dire che mi fa davvero molto piacere. Non le ho detto del professor Poljk, non me la sento ancora di affrontare questo argomento.

Sbadiglio come un orso, le ore di filosofia sono sempre le peggiori. Il prof è peggio di un narcotico. Appena inizia a parlare, mi viene un sonno tremendo.
Appoggio la testa sul banco e guardo fuori dalla finestra.
Come sempre, in strada c’è il vecchietto che porta a spasso il suo cane, e come ogni giorno, la bestiola comincia a strattonarlo per fargli aumentare il passo.
Piego le labbra in un sorriso, mi è mancata questa routine.
In fondo è anche abbastanza piacevole stare qui, lezioni di filosofia a parte.
Alec dorme come un sasso, i capelli biondi gli ricadono davanti al viso, scoprendo delle ciocche di capelli neri.
Continua a dirmi che deve rifarsi la tinta e io ogni volta gli dico che sta bene anche così. Il che è vero, ma non mi da retta.
Tra lui e Dean le cose vanno sempre meglio. Uno ha capito che non deve essere geloso del mio compagno di banco, e l’altro si dimostra sempre affabile e gentile.
Insomma, stanno diventando amici e la cosa mi rende felice.
Nonostante tutti i vari problemi con quel mostro del mio patrigno, ora sto bene. Sarah è sempre gentile con me, da quando mi sono trasferita da Dean, lei cerca sempre di essere presente a cena. E riportando le sue parole –Ti faccio un po’ da mamma, visto che Kristina ha fallito anche su questo- Io apprezzo molto quello che ha fatto per me. E so che in fondo vuole bene anche a mia madre, nonostante tutti i pasticci che ha combinato da quando ha lasciato l’Ucraina.

Guardo l’orologio al polso del mio compagno di banco.
Mancano pochi minuti alla fine dell’ora.
Dopo c’è religione e io ho il permesso di andarmene a casa.
Sono ortodossa e quindi posso evitare di frequentare quest’ora. Alec è ateo, idem il mio migliore amico ed entrambi escono dall’aula.
Inoltre tutti e tre usciamo alla stessa ora, quando c’è religione. Infatti, il preside quando ha deciso gli orari delle lezioni, ha imposto che tutte le terze liceo abbiano religione all’ultima ora del giovedì. E siccome buona parte degli studenti non frequenta la lezione, c’è sempre un via vai di gente al giovedì dopo l’intervallo.

Finalmente suona la campanella!
Libertà! Non ne potevo più di sentir blaterare il professore.

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Capitolo 14
*** Sorprese dall'Ucraina ***


Dean è andato in piscina per sfuggire dalla calura.
Io sono rimasta a casa a leggere, ma c’è qualcosa che mi rende insofferente, non riesco a stare ferma. Devo uscire, per forza, o altrimenti divento matta.

Mi avvio verso la biblioteca, è da troppo tempo che non ci vado. Come sempre la bibliotecaria mi rivolge un sorriso trentadue denti “Buongiorno cara”
“Salve Miss Margaret” la saluto, è sempre gentile con me, forse anche perché sono l’unica ragazza che frequenta questo posto.
Sono affezionata a Miss Margaret, è stata lei a dirmi che leggere amplia la mente e che potevo prendere quanti libri volevo. Mi è sempre piaciuto accomodarmi sul piccolo divano a divorare volumi.
Ormai conosco ogni singolo granello di polvere di questo luogo così… magico, oserei dire. Conosco a memoria ciascuno dei miei testi preferiti, ho letto moltissime enciclopedie e ho scoperto una moltitudine di cose. Mi piace studiare quello che voglio io, infatti a scuola ho dei voti quasi al limite del dramma, perché quello che spiegano è sostanzialmente inutile. Invece qui ho la possibilità di conoscere quello che desidero e ogni cosa che apprendo non la dimentico più.

Afferro un paio volumi e mi sistemo sul divano accanto alla finestra e mi immergo nella lettura.
Le ore passano senza che io me ne accorga, mi rendo conto che ormai sono le sette e mezza passate quando il mio cellulare incomincia a vibrare.
“Pronto?”
“Sonja dove sei?” sibila Dean innervosito
“In biblioteca, non hai visto l’SMS che ti ho mandato?”
“Ehm, no. Il mio cellulare è scarico. Ti sto chiamando da casa”
“Ho visto. Comunque adesso arrivo, finisco di leggere l’ultima pagina e poi esco dalla biblioteca”
“Va bene” 


Mio malgrado devo abbandonare questo posto.
Saluto Miss Margaret, la quale mi sorride con gentilezza e mi accompagna alla porta.
Mi ritrovo in strada e comincio a camminare a passo spedito, meglio se torno alla base in fretta.
Los Angeles, come ogni metropoli che si rispetti, pullula di gente. Il che è sia un bene che un male.
Un brivido mi corre lungo la schiena, c’è qualcosa che non mi convince affatto.
Per paura mi metto a correre a perdifiato, e nel giro di pochi minuti mi trovo davanti alla casa di Dean.
Il mio migliore amico è sulla porta “Perché corri? Il pavimento scotta?”
“Prendimi per paranoica, ma sinceramente mi turba alquanto girare per la città sapendo che Frank potrebbe comparire da un momento all’altro.”
“Capisco…. Dai, entra”

 
***

Esco dalla doccia e mi avvolgo con l’accappatoio. Mi strofino con forza i capelli con l’asciugamano. Mi guardo allo specchio: sembra quasi che io abbia un porcospino sulla testa.
Un’improvvisa sonnolenza mi coglie, comincio a sbadigliare come un orso. Mi infilo la maglietta, che dopo un brutto incidente in lavatrice, si è allargata talmente tanto che potrebbero starci dieci persone.
Mi passo nuovamente l’asciugamano sulla testa e strizzo i capelli, asciugandoli immediatamente. Passo le dita tra le ciocche bionde e metto i pantaloni del pigiama.
Non ho nemmeno tanta fame e per questo mi butto a peso morto sul letto. Mi rannicchio accanto al cuscino, lo abbraccio e chiudo gli occhi.
Sto per addormentarmi quando qualcuno spalanca la porta “ Si cena! Mia madre ci ha lasciato il pollo arrosto da scaldare. E’ pront… Sonja tutto bene?” esclama il mio migliore amico sedendosi sul letto.
Mugolo parole senza senso, ho sonno e vorrei dormire.
Dean non demorde, quanto è testardo quel ragazzo!
“Sai vero che io ho l’ordine del capo supremo, mia madre, di riempirti lo stomaco? Su, alzati”
Non rispondo, sono decisa a farmi una sana dormita, e non sarà di certo un pollo arrosto a farmi alzare dal letto.

“Non ho fame” sussurrò a bassa voce, con il viso premuto sul cuscino.
Dean sospira e afferra la mia mano sinistra, la stringe tra le sue “Cosa ti è successo? E’ da quando sei tornata che sei… strana”
“Sono semplicemente stanca. Voglio farmi una  dormita di quelle colossali.”
Mi giro supina per guardarlo in faccia, mi sorride e scuote la testa “E va bene, per questa volta ti lascio riposare. Se cambi idea, in cucina c’è un pollo arrosto che è una meraviglia.”
“Va bene.”
Dean si china su di me e mi da un leggero bacio a stampo sulle labbra.
 Possibile che ogni volta che mi sfiora, io devo arrossire come un pomodoro maturo?


***
 

Il professor Poljk è appena uscito dalla classe.
Abbiamo fatto la verifica e secondo il mio punto di vista, era anche facilissima, quasi banale.
Ma dall’espressione di panico di Alec, ho dedotto che per lui fosse bella tosta.

L’insegnante di scienze è in ritardo, strano. Di solito quella donna è puntuale come la morte. Che agghiacciante paragone. 

Alec è nervoso, si sta mangiando le unghie delle mani e ha un tic alla gamba.
Lo guardo di sottecchi “Che succede?”
“Non lo so. Stamattina mi sono svegliato col piede sbagliato e ho l’impressione che stia per succedere un qualcosa di poco piacevole.”
“Dici?”
“Sì. E’ una sensazione orrenda.”
 

La nostra conversazione viene interrotta dall’insegnante di scienze, che finalmente si degna di muovere il suo enorme fondoschiena e viene in classe a fare il suo lavoro.
Non si è nemmeno seduta che incomincia già col suo monologo che deve interrogare. Come se non lo sapessimo!
Ormai non spiega nemmeno più, interroga e basta.
Un vero suicidio e una vera noia.

L’ora non passa più. Quasi quasi mi faccio una pisolata, non mi importa niente di tutto questo.
Il mio compagno di banco è ancora parecchio nervoso, non riesce a stare fermo e per sua sfortuna, anche la prof se ne accorge “Signor Johnson vorrebbe darsi una calmata? O giuro che le farò passare un pomeriggio d’inferno, tanto che le torture dell’Inquisizione Spagnola le sembreranno dei massaggi.”

Suona la campanella. La prima ora con questa matta è finita. Ne mancano solo altre due.
Giuro che se trovo l’idiota che ha deciso di farci fare tre ore di scienze di fila… lo faccio a fettine con il righello.
Poggio la testa sul banco, non ce la faccio più. Perché le lezioni di matematica sono così piacevoli? Passano decisamente troppo in fretta. Mentre scienze sembra che non finisca mai.

“Signorina Michajlovna esca interrogata.” Dichiara quella balena spiaggiata.
“Prof sono impreparata” rispondo con voce incolore. È  vero, non ho studiato e non me ne importa più nulla. Che si fottano tutti.
“Sa vero che ciò che mi ha appena detto equivale ad un due sul registro?”
“Certo”
“Va bene. Mi dica, ha intenzione di farsi bocciare quest’anno?”
“Può darsi. Per quello che mi importa...”
“Sta dicendo che secondo lei la scuola è una perdita di tempo?”
“Non l’ho detto io, ma bensì lei”

La prof stringe le labbra in una linea sottile, freme dalla rabbia “Fuori”
Con un sorrisetto mi alzo, do una pacca sulla spalla ad Alec per fargli cenno che sto movimentando la lezione ed esco dalla classe.
Una volta in corridoio comincio a camminare, mi dirigo verso il bagno delle ragazze. E’ stranamente deserto, di solito a quest’ora c’è sempre un andirivieni di gente.
Mi risciacquo la faccia e rimango impressionata dal mio riflesso nello specchio. Ho delle occhiaie da paura, sono dimagrita tantissimo. Solo ora mi accorgo che effettivamente i vestiti mi stanno larghi e che ho il viso più smunto del solito.

Torno in corridoio e mi siedo di fronte alla porta della mia classe. Che noia. Per lo meno sono riuscita a scampare un po’ di tempo lontana dalla balena e dalle sue stupide interrogazioni.
E’ vero, rischio l’anno. L’unica materia sufficiente è matematica mentre le altre sono al limite del dramma.

La porta si apre improvvisamente e la balenottera mi ordina di entrare di nuovo in classe e di comportarmi bene.
Di malavoglia ubbidisco e vado a sedermi al mio banco.
Alec accenna un sorrisetto “Che fine ha fatto la Sonja tranquilla che conoscevo?”
“E’ andata momentaneamente in vacanza. Le ore di scienze mi fanno un pessimo effetto.”
“Ho notato” il mio compagno di banco ridacchia sottovoce e mi da una gomitata amichevole.
Gli faccio una linguaccia e apro la finestra alla mia sinistra.
Piuttosto che ascoltare la prof, guardo la strada. È di sicuro più interessante.
All’improvviso noto una persona che riconoscerei anche ad occhi bendati. Cosa ci fa lui qui?
Sono impaziente di uscire.

 
***

E’ appena suonata l’ultima campanella. Afferro lo zaino ed esco di corsa dalla classe, senza nemmeno salutare Alec, che mi guarda perplesso. Non mi fermo davanti a niente, continuo a correre verso l’uscita.
Una volta fuori faccio vagare il mio sguardo e appena trovo il mio obbiettivo, ricomincio a correre.
Sento delle voci che mi chiamano, molto probabilmente saranno Dean e Alec, ma non riesco a dar loro retta.
Lui è qui.
Non ci posso ancora credere, ditemi che non è un’illusione.
“NONNO!” urlo a gran voce in ucraino.

Il padre di mio padre si volta, sorride e allarga le braccia pronto ad accogliermi in un abbraccio senza fine.
Lo stringo forte, come per accertarmi che sia tutto vero e non uno scherzo della mia mente.
“Bambina mia, ma quanto sei cresciuta?” mi domanda commosso. Quanto mi è mancata la sua voce!
Sento che in questo momento potrei morire dalla felicità.
Mio nonno Misha è qui con me.
“Sei proprio la copia di Andrej…” sussurra con un sorriso mentre mi accarezza la testa.
“Cosa ci fai qui a L.A. nonno?” domando incuriosita.
Nonno sospira e scioglie l’abbraccio per potermi guardare in faccia “Sono qui perché dovevo convincere tua madre a partire immediatamente per l’Ucraina. A casa ci sono troppe faccende da risolvere ed è ora che Kristina impari a fare il suo dovere. No tesoro, non puoi venire anche tu. Odessa al momento non è il posto adatto per una ragazzina.
Se tua madre non fosse scappata con te dopo la morte prematura di Andrej, tutto questo non sarebbe mai accaduto.”

Non ci posso credere “Ti prego nonno, portami via da qui. Voglio tornare a casa mia.
“So bene che vuoi tornare in patria, assomigli moltissimo a tuo padre in questo. Anche lui amava la sua terra natale. Ma ti prego, credimi. Devi pazientare ancora un paio di anni. Sai, se fosse per me ti porterei volentieri. Primo aereo che passa e poi finalmente a casa, ma non posso.”
Abbasso lo sguardo a terra “E dimmi, quanto tempo dovrà stare via mia madre?” domando a mezza bocca.
“Sarò sincero. Non lo so ancora di preciso, tutto dipende da lei. Adesso sta facendo le valigie di nascosto da suo marito. Le ho chiesto di dirmi il nome della tua scuola perché volevo rivedere la mia amata nipotina almeno una volta” mormora con le lacrime agli occhi.
Mi abbraccia di nuovo e mi bacia la testa “Mi sei mancata tanto in questi anni. Ti prometto che farò il possibile per farti tornare a casa entro due anni”

All’improvviso il suo cellulare comincia a squillare.
Il mittente della chiamata è mia madre, di sicuro.
Mio nonno risponde in russo, ma con mia somma sorpresa, parla in dialetto strano, che non riesco a comprendere.
Aggrotto le sopracciglia, riesco a captare delle parole “fuga” “arrabbiato” “Sonja” “pericolo”

Non mi ci vuole molto per capire che Frank è arrabbiato e che io sono in pericolo, visti i precedenti del mio patrigno.
L’unico tassello che non comprendo è “fuga”.
Chi deve scappare? Io o mia madre? O entrambe?
Spiegatemi! Vi prego.
 

***

Nonno è andato via. È andato a prendere mia madre e adesso si stanno dirigendo verso l’aeroporto di Los Angeles.

Ormai in questa strada davanti al mio liceo non c’è nessuno. Tutti quanti sono andati a pranzo, come giusto che sia.


“Sonja”
Mi giro in direzione delle voci e vedo Alec e Dean che sono seduti sulla panchina.
Sorrido impercettibilmente, sono una coppia assurda quei due. Ma sono contenta che mi abbiano aspettata.
“Ciao ragazzi” tento di mascherare il mio nervosismo, ma il mio compagno di banco fa una smorfia poco convinta “Ti ho già detto che non puoi mentire, o meglio, non ne sei capace. Allora, che succede?”
Dean gli lancia un occhiataccia e Alec gli fa la linguaccia “E’ inutile che mi guardi male, entrambi vogliamo sapere cosa sia successo, ergo lasciamola parlare.”
Sospiro e alzo gli occhi al cielo “Mio nonno mi ha detto che ci sono dei problemi a casa e che mia madre deve andare assolutamente in Ucraina.”
“Oh merda. Ma problemi di quale genere?” domanda stupefatto Dean, anticipando Alec.
Scuoto la testa “Non ne ho idea. Fatto è che mia madre e mio nonno sono partiti. E io sono qui. Con Frank alle calcagna. Da quello che ho capito, non l’ha presa affatto bene.”




Angolo dell'autrice
Buonasera gente, finalmente torno ad aggiornare!
Questa domenica parto per il mare e non so quando potrò aggiornare nuovamente. Ma credo che entro agosto/primi di settembre la storia sarà bella e conclusa.
Ad occhio a croce direi che mancano quattro capitoli, epilogo compreso.
Spero che vi sia piaciuto.
A presto!
The Edge

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Capitolo 15
*** Under pressure ***


Sono passati all’incirca tre giorni da quando mia madre è partita. O forse dovrei dire che è scappata.
Non sono stupida. Ho capito benissimo che lei è fuggita per sempre dall’America e da Frank.
Non tornerà più a L.A., poco ma sicuro. Visto come ci trattava il mio patrigno. Peccato che mi abbia lasciato qui.
E’ così ingiusto.

Mi sto chiudendo in me stessa, più del solito. Sia Dean, che Sarah che Alec se ne sono accorti.
In fondo mi dispiace comportarmi così, soprattutto con le persone che amo, ma… Ormai il danno è fatto.
Odio mia madre.

Una sensazione di fastidio nasce nel mio stomaco, e sale fino alla gola. Una forte nausea mi artiglia e mi sento improvvisamente debole.
Mi trascino verso il bagno e mi chino sulla tazza del water.
Il cibo ripercorre la strada fatta solo poche ore fa, e vomito anche l’anima.
Ho sempre odiato vomitare, ho un terribile saporaccio in bocca. Mi rialzo traballante e mi risciacquo la faccia.
Alzo lo sguardo e osservo il mio riflesso pallido sullo specchio. A causa dello sforzo mi si sono rotti i capillari attorno agli occhi, adesso ci sono una moltitudine di puntini rossi attorno alle orbite.

Qualcuno bussa alla porta del bagno “Sonja tutto a posto?” mi domanda gentilmente Sarah.
Le apro e la faccio entrare “Insomma… Sono stata meglio”
“Effettivamente hai una faccina stravolta. Dovresti dormire un po’, è la migliore medicina. Dean mi ha raccontato quello che è successo e … tua madre è venuta a farmi visita, prima di partire. Kristina mi ha detto che molto probabilmente non tornerà mai più in America.”
“Lo immaginavo. Ha trovato la prima opportunità e se l’è svignata. Ovviamente mi ha lasciata qui” mormoro a denti stretti.

Una smorfia dispiaciuta compare sul suo viso e mi posa gentilmente una mano sulla spalla.
“Non preoccuparti. Dimenticala, fa finta che non sia mai esistita. Ci siamo qua io e mio figlio. Non sei da sola”
La abbraccio di slancio, lei e Dean sono state le prime persone americane che mi hanno voluto bene e sono davvero gentili con me.

  ***     
          
Apro gli occhi, sbadiglio vistosamente. Ho passato l’intero pomeriggio a dormire dopo l’allegra vomitata.
La casa è stranamente silenziosa, apro la porta della stanza e sento una voce che riconoscerei, mio malgrado, ovunque.
E’ Frank.

Deglutisco. Cosa ci fa lui qui?
Cammino in punta di piedi, fortuna che sono leggera e non faccio troppo rumore sul tappeto.
Mi nascondo dietro il mobile che c’è all’ingresso e rimango in ascolto.
Il mio patrigno sta parlando con Sarah, la quale stringe la mano di suo figlio con forza.

La voce strascicata ed odiosa di Frank riprende a parlare “So che la mia figliastra è qui. Consegnatemela”
“Non ci penso neanche” dichiara Dean
“Attento ragazzino. Non so se hai idea di cosa io sia capace di fare. Consegnatemi la figlia di quella puttana russa”
“No.” Risponde Sarah con calma e decisione “Da questo momento in poi Sonja è sotto la mia sorveglianza e se torni a tormentarla chiamerò la polizia”
“Non me ne frega un cazzo. Io la ammazzerò quella stupida ragazzina. E farò secca anche sua madre. Ha osato disobbedire ai miei ordini. E’ partita con quel vecchio per la sua stupida terra.”
“Hai una mentalità chiusa ed antiquata. Come solo pensi di proibire ad una persona di non poter tornare a casa?” ribatte con forza Sarah
“Persone? Loro due sono delle cagne, luride e bastarde. E voi non siete da meno. Attenzione, potrei farvi del male, visto che tenete in casa quella nullità della mia figliastra.”

Ho sentito abbastanza, sto per sentirmi male un’altra volta.
Torno di soppiatto nella mia stanza e mi rannicchio sul letto, porto le ginocchia al petto e appoggio i gomiti di esse.
E’ venuto fin qui a cercarmi.
Mi vuole morta.
Ma perché? Che male ho fatto? Sinceramente non mi importa se mi farà secca o meno, mi importa più che altro che non faccia del male a Dean e a sua madre.
Loro non c’entrano in questa faccenda, non devono soffrire.

Sento la porta di casa che viene sbattuta.
Deglutisco un’altra volta.
Devo trovare il modo per far sì che Frank la smetta di tormentare tutte le persone a cui voglio bene.
Che senso ha continuare a vivere per me?
Devo assolutamente trovare una soluzione.

Sono persa nelle mie riflessioni quando mi accorgo che Dean ha appena fatto partire il suo vecchio giradischi.
Una melodia che conosco bene comincia a riempire la casa.
E’ ‘Romeo and Juliet’  dei Dire Straits. La mia canzone preferita.
Tremo leggermente, con che coraggio lo guarderò in faccia? Dopo che il mio patrigno è venuto qui, a casa sua a minacciare lui e sua madre.
Mi vergogno profondamente.
Devo sparire, almeno così nessuno soffrirà più.

La voce calda di Mark Knopfler mi attira come le api al miele. Apro la porta e mi avvio verso la stanza di Dean.
Mi appoggio sullo stipite della porta e rimango in ascolto.
Il mio migliore amico mi da la schiena, è chino sui suoi disegni e non si è accorto della mia presenza.
Lo osservo e mi rammarico del fatto che anche con il lui il destino è stato particolarmente crudele.
Non ha mai conosciuto suo padre, visto che se l’è data a gambe appena Sarah gli ha detto che era incinta.
Anche lui, come me, ha avuto una vita difficile. Siamo cresciuti insieme e so bene quanto abbia sofferto. E per questo non voglio assolutamente che stia ancora male per causa mia.

I sei minuti scadono e la canzone finisce. Il silenzio regna sovrano.
Dean si alza dalla sedia, si gira di fianco per far ripartire il disco “Vedo che sei ancora sensibile ai Dire Straits” sussurra a bassa voce, mentre Mark ricomincia a cantare.
Abbasso lo sguardo, non riesco a guardarlo in faccia.
Si avvicina e intreccia le dita con le mie “Immagino che tu abbia sentito Frank prima”
Annuisco. Mi sento terribilmente in colpa “Scusa per tutti i fastidi che do a te e a Sarah.” Mormoro a mezza bocca.
Una mano mi afferra il mento e lo solleva, sono costretta a guardarlo.
I suoi occhi scuri, color cioccolato fondente sono limpidi.
Non c’è nessuna traccia di rabbia, rancore o qualche altro sentimento simile. Vedo solo tanta tenerezza.
Com’è possibile? C’è un pazzo maniaco che provoca la sua famiglia e lui non fa una piega?
“N-non sei arrabbiato con me?” balbetto stupita.
“Perché mai dovrei esserlo? Mi domanda gentilmente
“I-il mio patrigno vi ha minacciato e sembra che a te non importi. Dopotutto è colpa mia se…” mi interrompe, posa un dito sulla mia bocca “Ssh. Non è affatto colpa tua. Non sono arrabbiato con te, come potrei esserlo? Mi importa del fatto che tu stia al sicuro, quello sì”

Le sue dita sono ancora intrecciate alla mia mano e sembra che non voglia allontanarsi da me.
“Sapevo che eri sgattaiolata fuori dalla stanza e ci stavi ascoltando. Ti conosco e so che hai il sonno leggero. Sapevo anche che ti saresti chiusa a riccio nella tua stanza e per questo ho tirato fuori i vinili dei Dire Straits. So bene quanto li ami e … diciamo che ho giocato d’astuzia. Infatti eccoti qua. Sono o non sono un genio?” mi domanda con un sorrisetto divertito, mentre mi posa un bacio sulla fronte.
Timidamente gli sorrido di rimando “Beh, effettivamente mi conosci proprio bene”

 
***

Alec è fermo davanti all’entrata della scuola, si sta muovendo in modo strano, a scatti. Che sia impazzito di colpo?
Inarco un sopracciglio “Si può sapere cosa diamine stai facendo?”
Lui sorride e indica col pollice il portone della scuola “Il professore di filosofia non c’è e noi abbiamo ben due ore buche, visto che la balena di scienze è rimasta a casa. Da quel che ho capito sua figlia sta male ed è troppo piccola per stare da sola.”
“Capisco. E tu cosa stavi facendo?”
Alec mi guarda come se la risposta fosse ovvia “La danza da guerra.”
Scoppio a ridere e scuoto la testa. In fondo è bello avere un compagno di banco completamente matto.
“Ehi che dici di bigiare le prime due ore? Non abbiamo nulla da fare.” Mi domanda esaltato il biondino ossigenato.
Scuoto la testa “No, oggi no.”
Dean, che fino a quel momento era rimasto zitto, mi guarda sconvolto e posa una mano sulla mia fronte “Sei sicura di star bene?”
Anche Alec è stupefatto “Oddio, è malata. Fratello portala in infermeria! Potrebbe essere più grave di quel pensiamo”
Lancio un’occhiataccia ad entrambi “Sto benissimo, grazie. Devo parlare con una persona.” È vero. Voglio parlare col prof Poljk, devo chiedere consiglio a lui.

Alec guarda prima me e poi il mio ragazzo e alza le spalle “Va bene, io vi saluto, vi auguro tempo asciutto e vado a far colazione. A dopo!” fa un piccolo inchino e se ne va sghignazzando. 

A quanto pare, buona parte dei miei compagni di classe hanno avuto la stessa idea di Alec, infatti appena entro in classe vedo una moltitudine di banchi vuoti. 

I pochi ragazzi che ci sono mi guardano con sdegno e se ne vanno.
Solo sola in classe. Non che mi aspettassi di avere chissà quale compagnia… In fondo è meglio così.
Suona la prima campanella e io esco fuori dall’aula diretta in sala insegnanti.
Busso leggermente e il professor Poljk mi fa cenno di entrare “Hai bisogno di qualcosa?” mi domanda gentilmente.
“In realtà sì. Mia madre è partita, per non dire scappata, ed è andata a casa. Mio nonno non ha voluto dirmi il motivo per cui è dovuta andar via” le parole mi escono senza che io possa fermarmi.

Il prof è serio, mi ha ascoltata attentamente mentre gli raccontavo ogni singola cosa che mi aveva detto il nonno.
“Stavo pensando che effettivamente tuo padre non mi aveva mai parlato di cose simili, la sua, la tua famiglia non ha mai avuto problematiche del genere. Quindi non saprei cosa dirti, mi pare molto strano tutto ciò. Tuo nonno è sempre stato una persona molto decisa, e il suo comportamento attuale non lo so decifrare. Insomma, mai e poi mai avrebbe lasciato sua nipote da sola, in un paese straniero. E’ contro la sua morale, sia lui che Andrej erano molto patriottici. E’ davvero tutto molto strano. Mi dispiace Sonja, ma non saprei come aiutarti.”

Io e il prof abbiamo continuato a parlare, mi ha raccontato moltissime cose. Cose che mi hanno fatto pensare e riflettere. Mia mamma non mi aveva mai raccontato e fatto accenni al suo rapporto con mio padre, diceva che le faceva troppo male parlarne.
Scuoto la testa per allontanare il pensiero di mia madre.
Mi ha profondamente delusa.


Cammino da sola per i corridoi, non c’è l’ombra di nessuno. Mette un po’ d’ansia questa scuola, me ne rendo conto solo ora.
C’è di buono che posso fare le mie considerazioni in santa pace, senza che nessuno mi disturbi.
Ho finalmente capito che io devo sparire, devo morire, in modo da liberare sia Dean, che sua madre.
Senza di me Frank non ha più motivi per odiare tutti e fare del male agli altri.
E’ questa la giusta soluzione.
Devo morire.




Angolo dell'autrice:
Rieccomi qua!
La storia si sta praticamente concludendo, mancano pochi capitoli alla fine.
E niente, lascio a voi i commenti.


Ah, già che ci sono, faccio un po' di pubblicità ad una mia nuova storia, si intitola "So far away from us" e mi piacerebbe che la leggeste, così per farmi sapere se vi piace o meno.

Grazie mille!
Alla prossima!
The Edge

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Capitolo 16
*** Addio ***


Facile a dirsi, ma devo trovare il modo adatto.
Non voglio morire inutilmente, voglio che Frank la paghi per il male che ha fatto.
L’unica soluzione che mi rimane per far sì che lo incolpino è l’eroina. Devo iniettarmi una dose talmente forte da uccidermi immediatamente.
Un brivido mi corre lungo la schiena, è la prima volta che penso effettivamente al suicidio.
Non vedo altre risoluzioni.
La cosa più difficile non sarà iniettarmi l’ago in vena, ma bensì dire addio a Dean.
Mi viene il magone solo a pensarci. Eppure lo devo fare.
Ho sempre pensato che ci sia qualcosa di sbagliato dentro di me. Ora ne ho la conferma.
Scuoto la testa, ormai ho deciso.
Devo farlo.


 
Sono a casa di Dean, come sempre. Pizzico leggermente le corde della chitarra e sospiro.
È tutto così difficile. Perché? Perché a me?
Avere una vita normale è davvero proibito per la sottoscritta?
Chiedo forse troppo? Avere un padre, una madre… insomma,  una famiglia.


“Ehi, che succede?” sento le mani di Dean posarsi sulle mie spalle.
Deglutisco e faccio finta di niente “Tutto bene, non preoccuparti.” Poggio la chitarra sul pavimento e mi alzo per abbracciarlo.
Voglio imprimermi nel cervello il suo odore, così da non poterlo dimenticare.


L’idea del suicidio ormai è impressa nella mia mente.
Solo ora mi rendo conto che, inconsciamente, ho sempre pensato che non sarei mai arrivata all’età adulta.


Perché devo vivere se fino ad adesso ho ricevuto solo odio, botte, violenza e abbandono?
Che senso avrebbe continuare se… La felicità non fa parte della mia esistenza?
Non ho la forza di continuare così.
Mia madre se n’è andata, mio nonno mi ha tradita, mio padre è morto, il mio patrigno mi odia e vorrebbe farmi ancora del male.
La mia vita è un inferno.
Perché devo andare avanti? Voglio fermarmi.
Voglio essere in pace con me stessa.
 


“Dean…” sussurro contro la sua spalla.
“Dimmi.”
“Ti amo.” Per una volta non sono imbarazzata, ma lo dico con naturalezza. Amo il mio migliore amico, e mi rendo conto che è sempre stato così.
Sono stata un’idiota a rendermi conto solo ora di ciò.
È come se avessi perso del tempo prezioso da passare con lui.


Dean sbuffa divertito e mi stringe forte “Tutto questo romanticismo da dove vien fuori?”
“Non posso dirtelo?”
“Razza di idiota, non mi offendo se me lo ripeti.”
Rido davanti alla sua naturale dolcezza, e affondo il viso nel suo petto. Riesco a sentire il battito del suo cuore, è regolare come il pendolo di un orologio.
Dean poggia una guancia sulla mia testa, i suoi capelli scuri mi solleticano il viso.
Come posso rinunciare a tutto questo? Come posso lasciarlo?
Sono divisa a metà.
Da una parte non voglio andare avanti, voglio fermarmi. Morire e stare finalmente bene, senza dover soffrire ancora a causa del mio patrigno.
Dall’altra voglio stare accanto a Dean, perché lui è tutto quello che mi è rimasto.
Non credo di poter sopravvivere ancora, sapendo che respiro la stessa aria di Frank.
Mi vengono i brividi.
Ho deciso.


***


Dean dorme pacifico, il suo viso è rilassato.
Mi scosto gentilmente dal suo abbraccio e mi alzo tremando leggermente.
Noto che il lenzuolo si è sporcato di sangue, dovevamo aspettarcelo, dopotutto.
Recupero sia le mutande che il reggiseno, anche se effettivamente è inutile che io lo indossi, visto che sono piatta come una tavola da surf.
Infilo i jeans e le scarpe da ginnastica, raddrizzo la maglietta dei Sonata Arctica che avevo prima e la metto.
Mi sento… colpevole.
Ho fatto l’amore con il mio ragazzo per la prima e ultima volta della mia vita.


Prima di andarmene, voglio lasciargli un biglietto.
Facendo attenzione a non svegliarlo, cerco nel cassetto della sua scrivania un foglio pulito.
È un’impresa degna di Ercole, dato che il mio migliore amico disegna su qualsiasi foglio gli capiti a tiro.
Ho trovato un pezzo di carta spiegazzato, dovrò arrangiarmi con questo.


“Dean, ti prego di scusarmi, ma io non ce la faccio più.
Ho paura, tanta paura.
Frank potrebbe fare del male a te e a tua madre, e io non voglio che questo accada.
Se io morirò, tutto si risolverà, perché lui non potrà più toccarvi.
Non mi importa più di nulla, sono stanca di soffrire continuamente.
Andrò da mio padre, finalmente potrò riabbracciarlo.
Mia madre e mio nonno mi hanno delusa tantissimo.
Ma, nonostante tutto, mi sento lo stesso un po’ in colpa, perché ho sempre causato un sacco di problemi, sia a te, che a tua madre. E voi non vi meritavate tutto questo. Voi siete i migliori, e vi meritate le cose più belle di questo mondo.
Io non ne faccio parte.
Avrei voluto dirti che ti amavo tempo fa, mi sarebbe piaciuto renderti felice, e invece ho fatto il contrario.
Mi sento una persona orribile.
Tu non hai colpe per la mia decisione, davvero.
Sei una persona meravigliosa, sei un amico e un ragazzo stupendo, sia dentro che fuori.
La colpa è del mio patrigno, solo sua.
Ti chiedo un ultimo favore: cerca di fare il possibile per far arrestare quel bastardo di Frank.
Ah, e ti prego, realizza il nostro sogno.
Dimenticavo una cosa, vorrei che tu mi riportassi ad Odessa, a casa mia.
Sono nata in Ucraina e voglio che le mie ossa tornino nel mio paese.
Ti amo davvero tanto, sei una persona con un cuore veramente grande.
Addio Dean.

Sonja”


Mi asciugo le lacrime con la manica della maglietta, mi sento sempre più in colpa.
Sarebbe stato meglio che io non fossi mai nata.
Questo è poco ma sicuro.
Mi avvicino di nuovo al mio ragazzo, e gli do un bacio sulle labbra morbide.
Mi mancherà.


Esco di casa e corro verso la mia vecchia abitazione.
Frank è in giardino, mi faccio vedere e lui mi manda a fanculo, per poi gettare via l’insetticida che aveva in mano e corrermi dietro.
Salgo in fretta le scale, e mi chiudo nella camera che Frank condivideva con mia mamma.
La porta è chiusa a chiave, molto probabilmente il mio patrigno la tirerà giù a forza di spallate.


Cerco la famosa scatola di latta, c’è dentro tutto l’occorrente.
Non mi sono mai bucata, ma so quel che c’è da sapere.
Faccio scaldare il cucchiaio, assorbo l’eroina con un po’ di ovatta e filtro nella siringa.
Faccio un respiro profondo.


Ormai non posso tirarmi indietro.
Frank sta urlando come un pazzo, pazzo che è in realtà.
Mi sta urlando i peggiori insulti, ma io non li sento.


Appoggio la siringa sul braccio, l’ago è piatto contro la pelle.
Faccio un altro respiro, infilo l’ago nel braccio e premo lo stantuffo. 




Angolo dell'autrice
Perdonate l'immenso ritardo, ma questo capitolo mi ha dato non pochi problemi.
Oddio, questo è effettivamente l'ultimo.
Nei prossimi giorni pubblicherò l'epilogo, perché è già scritto da mesi, ormai.
Perdonate la mia eccessiva crudeltà.
A presto!
The Edge

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Capitolo 17
*** Epilogo ***


Sono quindici giorni che mi alzo piangendo. Non vado più a scuola, mangio sempre meno.
Perché Sonja? Perché?


Mi manca da morire. La colpa è tutta di quel bastardo di Frank. Ha continuato a tormentarla fino all’ultimo. E io non ho saputo proteggerla.
Ho lasciato che le facesse ancora del male.
Ora lei non c’è più.


Mi manca la sua voce, la sua risata, il suo sorriso, il modo in cui mi abbracciava. Mi mancano i suoi baci timidi, le sue occhiatacce e il modo in cui si arruffava i capelli.
Mi manca tutto di lei, mi manca lei.


Ho mal di testa, non riesco a smettere di piangere.
Mi sento così solo…. Sono completamente vuoto senza Sonja.


Il mio stomaco si contrae, mi viene da vomitare, ma non ho nulla da rigettare.
Singhiozzo ancora più forte.
“Ti avevo promesso che sarei rimasto sempre al tuo fianco. Tu però mi hai abbandonato. Ti amo Sonja, l’ho sempre fatto. Perché ti sei uccisa amore mio?” mormoro ad occhi chiusi, mentre le lacrime scorrono impetuose sul mio viso.


Deglutisco un paio di volte e afferro il mazzo di fiori che mamma ha comprato per lei.
Vado al cimitero a trovarla.
Fa male vedere la sua tomba, è straziante.


Le strade di Los Angeles sono affollate come sempre e nessuno fa caso a me, un ragazzo pallido e magro, con il viso stravolto dal dolore e un mazzo di fiori in mano.


Il cimitero è silenzioso, mi fa venire i brividi.
Il mio sguardo si posa sulla nuova lapide posta a sinistra.
Il viso sorridente di Sonja mi guarda dalla foto.
Era così bella… I miei occhi scuri, che tanto le piacevano, si riempiono nuovamente di lacrime.


Poso il bouquet appena sotto la foto e mi siedo sul prato, di fronte a dove riposa la mia ragazza.
“Mi manchi Sonja. Tantissimo.” Tiro su col naso, ormai tentare di non piangere è inutile “Io ti ho sempre voluto tanto bene. Ti amo brutta testona. Sai, Frank è andato in prigione. Quando ci sarà il processo, andrò a testimoniare. Deve pagare per tutto il male che ti ha fatto. Mia madre ha tentato più volte di chiamare Kristina, ma non risponde. Il tuo amico professore viene a trovarmi quasi tutti i giorni. Quante cose gli hai raccontato su di me…. Mi manchi. Avrei voluto dirti quanto sei importante per me. Io ho bisogno di te, la mia migliore amica, la mia ragazza, il mio… tutto. Non hai idea di quanto faccia male essere qui senza di te. Mi manchi da impazzire.”


Sto singhiozzando disperato, stringo i pugni dalla rabbia.
Perché? Perché? Non riesco a capacitarmi che sia successo davvero.
Perché proprio lei?
Ha sofferto per tutta la vita, non aveva il diritto di essere felice?


Inghiotto la saliva, mi alzo e poso le labbra sul marmo. Una lacrima scivola e forma un cerchio perfetto.
Esco dal cimitero correndo, non riesco a stare in un mondo senza di lei.
Mi fermo in mezzo alla strada, alzo lo sguardo al cielo e sussurro “Sonja, amore, aspettami. Sto arrivando”.


Riprendo a correre e mi dirigo verso il primo incrocio.
Le macchine sfilano a gran velocità.
Faccio un altro passo e chiudo gli occhi.



Angolo dell'autrice.
Finita.
Questa storia è ufficialmente conclusa.
Come avete notato, la narrazione è passata a Dean, il quale si suicida anche lui.

Ringrazio tutte le persone che si sono prese la briga di leggere la mia storia, tutte le persone che hanno messo la storia nei preferiti e nei seguiti.
Grazie, grazie anche a chi si è limitato a leggere e basta.
Un grazie particolare a Silvia, a MangAnime, a Conny Guitar e a tutti gli altri autori che mi hanno lasciato un commento.
Vi chiedo un ultimo favore, vorrei che mi lasciaste una recensione anche all'epilogo, ne sarei davvero felice.
Grazie ancora.
The Edge

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