Life, what is it but a dream?

di Artemisia_Amore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pianissimo, appena accennato. ***
Capitolo 2: *** Antiorario ***
Capitolo 3: *** Il profumo delle fresie ***
Capitolo 4: *** Tempo I° ***
Capitolo 5: *** Ingranaggio ***
Capitolo 6: *** Il tradimento di Siegfried ***
Capitolo 7: *** Sostenuto ***
Capitolo 8: *** Quadrante ***
Capitolo 9: *** Galateo dei pegni d'amore ***
Capitolo 10: *** Risoluto ***
Capitolo 11: *** Lancette ***
Capitolo 12: *** Il sapore del miele ***
Capitolo 13: *** Arpeggiando ***
Capitolo 14: *** Sfalsato ***
Capitolo 15: *** Sul bel Danubio blu ***
Capitolo 16: *** Dissonanza ***
Capitolo 17: *** Gocce del Tempo ***
Capitolo 18: *** Le bosquet de la Reine ***
Capitolo 19: *** Intermezzo ***
Capitolo 20: *** Clessidra ***
Capitolo 21: *** Il vascello del commodoro ***
Capitolo 22: *** Pizzicato ***
Capitolo 23: *** Sincope ***
Capitolo 24: *** Seraphine ***
Capitolo 25: *** Precipitando ***
Capitolo 26: *** Inceppato ***
Capitolo 27: *** L'albero dei ricordi ***



Capitolo 1
*** Pianissimo, appena accennato. ***


{Nota introduttiva.
La trama di questa storia si svolge su due piani temporali. Il presente, indicato con questo colore, si intreccia continuamente con il passato, scritto in nero, dove è ambientata la maggior parte della narrazione. Naturalmente, nonostante la storia possa prendere le mosse da eventi realmente accaduti nel manga, l'intera trama è una nostra invenzione - un tentativo di dare voce a parole non dette, e che sarebbero forse potute esistere. Speriamo di riuscire a coinvolgervi in questo nostro mondo, raggiungibile solo quando si attraversa lo specchio. Vi aspettiamo dall'altro lato...}





Pianissimo, appena accennato



Nel caos del loro arrivo, non ho notato a chi appartiene questa stanza. Di certo non a una signorina, o probabilmente qualche trina l’avrei vista, e nemmeno ad Ada Bezarius, o avrei sentito l’odore dei suoi gatti. Sicuramente è un lettore che se ne intende. “Il Piccolo Principe” è sul comodino… Ho ancora un ricordo chiarissimo di come me lo abbia lanciato addosso una volta che cercai di distrarlo dai suoi pensieri e musi lunghi, con quella rabbia nello sguardo, quella tristezza e lontananza. E ora dorme lì, tranquillo, imbottito di ricostituenti un attimo prima che svenisse.

E’ buffo come siano diversi e complementari, quei due. Sharon-sama avrebbe bisogno di parecchi tranquillanti, in questo momento. Sospetto che sia perché è preoccupata per lui. Quando sono arrivati, non l’ha lasciato se non dopo averlo “consegnato” a me, e da allora non fa che ripassare…

… Appunto, non fa che ripassare per sapere come sta. Stai bene, vero, Xerx? Le rassicurazioni che ho ripetuto a Sharon-sama dovrei ripeterle anche a me stesso, vero? D’altronde, sono solo un topo di biblioteca, no? Non devo preoccuparmi per una vecchia volpe come te…

Impossibile. Non riesco a pensare a una vita senza di te, rumoroso e inopportuno. Sei diventato così diverso dall’uomo che ha varcato il cancello dei Rainsworth quel giorno di quindici anni fa. Tuttavia, nonostante il sorriso che hai imparato a dipingerti sul viso, qualcosa di quell’oscurità da cui sei emerso persiste in certi tuoi sguardi. Mi chiedo se ti sia reso conto di non saperla più mascherare come un tempo, ora che i tuoi occhi hanno smesso di vedere. A volte il tuo sonno è agitato, lo sai? E non riesco a immaginare la quieta disperazione dei tuoi risvegli, circondato ormai dal buio, che non svanisce più con gli incubi.

Mi domando che cosa ti porti dietro, Xerx. Che cosa ti fa gridare mezze parole che non comprendo, che cosa ti fa stringere i denti e serrare le labbra, ora che dovresti riuscire a dormire un sonno tranquillo. Ti ho scostato i capelli dalla fronte imperlata di sudore. Hai fatto una smorfia. Sembravi implorare che una qualche tortura finisse.

Sharon è tornata a chiedere di te. Sembra così grande nonostante il suo corpo abbia smesso di crescere. Ricorda tanto sua madre, nella cura che ha per te quando crede che tu non te ne accorga. Devo ricordarmi di raccontarti che cos’è successo quando siete arrivati qui. Lady Rainsworth ti ha affidato a Sharon-sama. Proprio così. L’ha guardata e le ha detto di badare a te. Aspetto di sentire la tua risata sincera, aspetto di subire i tuoi scherzi. Sono più gestibili, più familiari di questo tuo viso stanco. Mi fa paura pensare a quanto serbi nel tuo cuore, nei tuoi ricordi. Vorrei che mi considerassi un confidente, un amico, vorrei che ti liberassi dei fantasmi del tuo passato. E ti conosco al punto da sapere che ignoreresti il mio invito ad alleggerirti l’anima da quel peso, come se ti avessi semplicemente offerto una fetta di una torta che non incontra i tuoi gusti.

Sei stato il mio primo amico, Xerx. Anche se all’inizio ero solo io a considerarti tale. Poi, una sera, al mio stanco e solito invito a bere una camomilla prima di dormire, hai risposto di sì. Chissà se per te quel ‘sì’ ha lo stesso valore. Forse hai ragione a dire che sono troppo sensibile, perché vedere l’uomo che mi è stato vicino per tutti questi anni, qui, addormentato e sofferente--- Ho deciso che, quando tutto questo sarà finito, quando torneremo insieme a Reveille e alla Pandora, chiederò a qualcuno della divisione scientifica di studiare qualcosa per te, per i tuoi occhi. No, non mi rassegno. E credo che non ti dirò niente fino a che non avrò in mano qualcosa, o potresti prendermi in giro, ancora una volta.

Hare dice che stai viaggiando nel tuo sonno buio… Dove sei, Xerx?

Mi sono accorto di non aver mai avuto la giusta occasione per dirti--- non è vero. Di occasioni ce ne sono state, ma mi è mancato il coraggio. Alla festa di Isla Yura, ad esempio. Ammetto di averti dato il buon consiglio di parlare a Sharon-sama considerandola un’adulta senza realmente credere che mi avresti dato ascolto. E invece l’hai fatto, sfuggendo dalle mie dita prima che potessi rivelarti quelle parole, per andare da lei…

E ora? Io… Avrò occasione per dirti tutto prima che le cose cambino? Non so nemmeno se è già tutto diverso, se tu e Sharon-sama…

“C’è sempre posto per te”, mi hai detto, una volta. Non ho mai smesso di pensarci, di fare affidamento su questo pensiero, fermo e sicuro. A volte vorrei poter tornare indietro, vorrei poter avere il coraggio di guardarti negli occhi e dirti che sì, sei importante, e che anche per te ci sarà sempre posto, nel mio cuore.

Forse… Se ti svegliassi, adesso, se mi guardassi cercando la mia mano, proprio adesso, forse avrei il coraggio di sussurrarti quello che non ti ho mai detto. Sheryl-sama mi ha raccontato che cos’è successo con i Baskerville. Una volta ho letto che ci si accorge di tenere davvero a qualcuno quando lo si perde… Io ho avuto così paura di perderti che credo di aver realizzato tutto adesso.

Qui, ora, mi rendo conto di essere innamorato di te.





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Capitolo 2
*** Antiorario ***


Antiorario
 

E’ buffo che il primo e più vivido ricordo che ho di voi siano le vostre mani. Le dita affusolate, le unghie ben curate, la pelle morbida, morbidissima, della nobiltà. Tutto in quelle mani lasciava intravedere un frammento della vostra essenza. Danzavano con grazia sulla tela da ricamo. Indicavano con impudenza tutto ciò che attraeva la vostra attenzione. Ed erano delicate, appena un soffio o un fremito d’ali di farfalla, quando si posavano sui miei occhi. O sul mio occhio, per essere più precisi, ma a voi non importava che fossi sfigurato. Continuavate a coprirmi entrambi gli occhi, e sussurrarmi all’orecchio: “Una caramella per un tuo pensiero”.
 
Ricordo ancora il profumo di lavanda dei vostri polsi pallidi e sottili. E il sussultare del mio cuore, quando, alla risposta: “Pensavo… A voi…”, quelle dita fragili si trasformavano in elegante sensualità, insinuandosi tra i miei capelli, costringendomi a reclinare la testa fino a incontrare il vostro seno.
 
A me… A noi?”.
A voi. E alla bambina”.
 
Nonostante non potessi vedere, immaginavo vividamente la vostra espressione imbronciata. Sentivo il vostro corpo in tensione, le vostre dita piccate che mi stringevano i capelli, tirandoli in una vendetta infantile. Mi domando se lei si sia mai accorta di somigliarvi anche in questo.
 
E a noi non pensi, cavaliere?
Non è concesso, mia signora. Non oserei”.
 
Mi lasciavate andare, allora. Mi passavate davanti, e mi rivolgevate uno di quei vostri sorrisi misteriosi, minacciosi e dolcissimi allo stesso tempo. Poi vi sedevate ai miei piedi, posavate le dita lunghe e sottili sul dorso della mia mano, una leggera pressione, e d’un tratto vi avvolgevate col mio braccio, guardandomi negli occhi, sfidandomi.
 
E se fossi io a pensare a noi?”.
 
Mi mancava il coraggio per rispondervi con la verità che gridava il mio cuore. Tacevo, dunque, ma vi tenevo stretta.
 
Sharon sta giocando con Reim-kun nel giardino. In questa stanza esistono solo Shelly… E Xerxes…”.
 
Oh, quanto arrossisco, oggi, pensando al modo in cui avvampai, con gli occhi spalancati, disorientati.
 
X-erxes…?
E’ il nome che ho scelto per te. Ti piace, Xerxes? Hai detto di non essere più Kevin. Se Kevin è morto, mio cavaliere, è Xerxes ad abbracciarmi. E a lui è concesso”.
 
Non mi è più capitato di provare quel brivido, sapete? La sensazione di star per compiere un gesto estremamente proibito. Eppure Xerxes Break ne ha infranti, di tabù. Ma a quel tempo era Kevin a guardare il mondo, e ci sarebbero voluti ancora mesi, ancora un anno, prima che Xerxes prendesse il suo posto.
 
Vostro marito…
Mio marito, Xerx-kun? Mi detesti al punto da chiamarlo in causa?
 
Ed eccolo, il momento esatto in cui il cuore fermò i propri battiti. Le vostre labbra, di un rosa così seducente, vicine, troppo vicine all’angolo della mia bocca. Sentii la vostra mano sul mio petto, la strinsi nella mia. E rimanemmo immobili, a respirare un uguale respiro, a guardarci negli occhi e scambiarci domande mai proferite, tesi, sul punto di agire, sul punto di tirarci indietro. Poi iniziammo a tremare, e ad ogni lieve, lievissimo fiato corrispose un lieve, lievissimo movimento. Il desiderio di incontrarsi e la paura di farlo. Finché non accadde. Finché non ci imbattemmo l’uno nelle labbra dell’altra, timidamente, quasi per sbaglio, e fuggimmo, ci osservammo. E tornammo vicini, questa volta per assaggiarci. Di nuovo lontani. Di nuovo vicini, a rubarci l’anima a vicenda con un bacio.
 
Poi ci fermammo. D’un tratto, senza un perché. La punta delle vostre dita percorse la mia guancia, il vostro sguardo si fissò sul mio viso.
 
Il colore dei tuoi occhi… Mi ricorda che cosa provo…
Tormento… mia signora?"
 
Se solo avessi avuto un istante, un istante ancora. Avrei baciato la vostra bocca, vi avrei donato tutto il mio cuore. Vi avrei stretta tra le braccia e vi avrei sussurrato che il dolore sarebbe potuto finire, che insieme avremmo potuto ricominciare.
 
Ma le mie mani si sono allungate invano, nel vuoto. E quando ho riaperto gli occhi, c’era solo lui.





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Capitolo 3
*** Il profumo delle fresie ***


Il profumo delle fresie.

 
Quando sono entrata nella stanza di Darren Kensington, un compagno di corso di Ada-chan, le fresie coloravano la stanza proprio come avevo chiesto.

La nonna si è ripresa, i medici della Pandora hanno appurato che non è niente di grave. Sembrerebbe che il Duca Barma – o “Ru-kun”, come lo chiama la nonna – avesse considerato ogni minimo particolare. Sospetto che la nonna non ci abbia raccontato tutta la verità su lei e il Duca. Non mi proporrò in investigazioni. Non senza Break a reggermi il gioco.

Lui... Sembra passato così tanto tempo da quel giorno di quindici anni fa. Ricordo ancora la sciocca filastrocca per bambini che canticchiavo, quando lo vidi attraversare il Cancello.

Chissà se Xerx-niisan smetterà mai di considerarmi una bambina.

So per certo che è così che mi vede. Non aveva intenzione di raccontarmi niente dei suoi occhi, se non fosse stato per Reim-san. Eppure, dopo tanti anni insieme, dovrei essere la sua famiglia. Non può proteggermi in eterno. Deve lasciare che sia anche io a prendere un po’ del peso che porta con sé. Perché siamo “Break e Sharon-sama” per tutti, alla Pandora, tra i nobili, persino per la nonna. Ma non per lui. Lo so, so che cerca di tenermi lontana da ogni pericolo, da ogni sofferenza, per non lasciare che soffra, che mi preoccupi. Ogni cosa, di quel suo modo di fare, sembra dire che non sono cose a cui la sua ojou-sama dovrebbe pensare. Non sono una bambina. Posso prendermi cura di qualcuno.

Come dai Baskerville. Ho avuto paura. Paura di perderlo. In quegli interminabili attimi bui, ho visto il mio mondo cadere in pezzi, senza Eques, senza la nonna, e senza lui. Ho avuto il terrore che lo ferissero, che lo torturassero, che fosse troppo tardi. Mentre il mio aguzzino continuava a chiamarmi “signorina Trina” e a deridere la nonna perché nemmeno per un attimo ha perso la sua calma, io continuavo a pensare a lui, a chiedermi come stesse, cosa gli stessero facendo.

“Dovresti smettere di preoccuparti per quel vecchio pazzo, signorina Trina… Dovresti pensare alle tue sorti. Tu e i tuoi amici avete i giorni contati, ora che Glen-sama è tornato”

I miei amici…? Ricordo distintamente di aver avuto serie difficoltà a ricordare un solo nome, quando nella mia mente, solo il suo campeggiava.

Poi sono stata presa di peso, come una gentildonna non dovrebbe mai essere presa, perché “era il momento”. Perché dovevamo essere uccisi. Pagheranno anche per il dolore che ho provato quando mi hanno lasciato credere che per Break-san, ormai, non ci fosse più nessuna speranza…

E poi l’ho visto. Pieno di graffi, affaticato, sofferente. Ma vivo.

… Pensa ancora alla mamma. Se avessi saputo che anche per lui, la sua morte ha significato qualcosa di irreparabile, avrei provato a parlarne, in questi anni. Il suo nome è diventato un tabù, piano piano, giorno dopo giorno, a casa, e così ho smesso di chiedere. Ma se avessi saputo che per lui la mamma era così importante… Chissà, forse le cose sarebbero andate diversamente. Forse io sarei andata diversamente.

Sicuramente, non avrei rinunciato a proteggerlo. Odio i Baskerville e odio quello che gli hanno fatto in quel momento. Non ho pensato a niente, ho morso il braccio di chi mi teneva stretta e mi sono messa tra lui e quella mano che stava per colpirlo. Per poi sentirmi trattare ancora come una bambina. Ho avuto paura, in quel momento. Ma sembrava che non volesse cogliere cosa volessi dire.
“…Paura di perderti…”

Chissà se Xerx-niisan si è accorto che mi teneva stretta come i cavalieri tengono strette le principesse dopo averle salvate dal drago.
Chissà se Xerx-niisan ha mai intuito che arrossisco per causa sua e non perché penso ai personaggi dei miei romanzi.
Chissà se Xerx-niisan ha mai capito che non ero davvero ubriaca, quando gli chiesi se mi voleva bene.

E’ notte fonda quando finalmente riesco a cedere a Reim-san il comando per i preparativi per il viaggio a Sabrie. Mi hanno detto che Oscar-sama è morto, e ho visto che anche Oz-kun e Gil-kun non sono messi bene. Avrei dovuto accertarmi che fossero pronti, che fosse tutto preparato, e che i rapporti fossero inviati direttamente alla sede della Pandora, perché elaborassero un piano per rintracciare Glen Baskerville. Ma il primo vero momento di pausa, l’ho sfruttato per scappare nella camera di Darren Kensington, e inspirare il profumo delle fresie.
Volevo che le trovasse lì al suo risveglio, in quella camera che non gli è familiare, i cui colori non gli sono familiari, scelta a caso tra centinaia.

Una volta mi hai detto che ti piacevano, i fiori che ti portavo da bambina, e che il loro profumo ti faceva pensare a me. E’ per questo che ho scelto le fresie. Perché, prima ancora di svegliarti, pensassi a me, e ti sentissi al sicuro, a casa. 





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Capitolo 4
*** Tempo I° ***


Tempo I°
 
 
Lo ammazzo. Oh, se lo ammazzo. Lo uccido, lo stritolo, lo soffoco, lo riduco a pezzettini, lo… Lo… Gli farò trovare il the freddo, senza un briciolo di zucchero, e così imparerà, la prossima volta! Come-- ARGH! Come accidenti dovrei fare, io, adesso?! Ho un rapporto da consegnare entro due giorni, della contabilità da revisionare, senza contare tutte le annotazioni che devo registrare sul documento PA/943y del quarto scaffale, decima libreria, quinto corridoio della biblioteca dei Barma! Ma no, no! Lui queste cose non le prende in considerazione, Mr. Che-M’importa-Del-Tuo-Lavoro-Fintanto-Che-Non-Vengo-Chiamato-In-Causa! No, per lui sono bazzecole, ed ecco che puff! Ride pure dopo avermi messo in disordine i fogli per minacciarmi di seguirlo.
 
E io…
 
E io…
 
E io lo seguo. Chiaro. Evidentemente ci dev’essere qualcosa di sbagliato in me. Sono troppo accondiscendente, aveva ragione Sharon-sama.
 
“Consideralo aria, Reim-san, o non te ne sbarazzerai mai…”
 
Ma perché non le ho dato ascolto? Seriamente, perché continuo a lasciarmi coinvolgere in queste… Queste…
 
“Reim-kun, le lenti dei tuoi occhiali splendono. Puliscile un altro po’ e le corroderai!”.
 
“Oh, secondo me non è la pulizia a preoccupare Reim-kun, Oscar-sama, ma le fanciulle sul palco…”
 
Ah! Grandioso! Adesso fammi pure sprofondare in questo divanetto per la vergogna! Non so se hai notato che le suddette fanciulle indossano la biancheria, Xerx! LA BIANCHERIA! Oh, sì, ma tu l’hai notato, vero? Sei fin troppo a tuo agio in questo luogo. E la cosa non mi piace affatto.
 
“Claire! Da bere per me e i miei due ospiti, cara!”
 
Capisco. Quindi Oscar-sama è un habitué… E tu, Xerx? Vedo il tuo sguardo saettare da una ballerina all’altra, assorto e allo stesso tempo distratto e divertito. Mi domando che cosa direbbe Sharon-sama se sapesse dov’è che mi avete trascinato…
 
“Come mai quell’aria funerea, Reim-kun? Non ti piace il balletto?”
“B-balletto?! Questo lo chiami “balletto”?! Seriamente, Xerx, in fede mia… Non mi sarei mai aspettato che vi… ti… Dilettassi in certi luoghi disonorevoli!”
 
Ridi. Ti detesto quando ridi così e mi costringi ad abbassare lo sguardo.
 
“Disonorevoli, Reim-kun?”
 
Ti detesto anche quando mi guardi così. Avrai pur perso un occhio, Xerx, ma quello che ti resta mi fa rabbrividire quando mi fissa in questo modo, quando mi entra dentro, mi scava il petto, raggiunge l’anima e la stringe in una morsa.
 
“Donne che vendono le loro virtù – Riesco solo a borbottare – Non ti pare disonorevole?”
“Non più di quanto non lo sia un qualsiasi scambio di merci, Reim-kun. Il punto non è se sia disonorevole o meno frequentare queste case. Il punto è: riuscirai a portare a termine un baratto vantaggioso?”.
 
Non ti seguo, ed evidentemente me lo devi aver letto in faccia. Ti guardo scivolare nel divanetto e metterti più comodo, mentre con la testa rivolgi un cenno a una donna. Ma… Ma…! Che pessimi gusti, Xerx! E’ più vecchia di te!
 
“Sai chi è quella, Reim-kun?”.
“Una… Delle signore, presumo…”
“Madame Bourgogne. Hai idea di quante informazioni scomode abbiano ascoltato quelle orecchie mentre l’estasi degli amplessi confondeva i suoi clienti sprovveduti?”
 
Non. Fissarmi. Sento le orecchie andare a fuoco, le guance avvampare. Diamine, Xerx! Di tutte le parole che esistono al mondo…! Perché hai scelto proprio quella?! Oh… IO NON DOVREI NEANCHE ESSERE QUI!
 
“Rilassati. Imparare a stabilire da che lato dell’accordo vuoi mantenerti è di fondamentale importanza nel nostro mestiere, Reim-kun…”
 
Nel tuo mestiere, Xerx! Io dovrei essere alla Pandora, adesso, a riscrivere i tuoi rapporti disordinati. Perché è così che si lavora in un mondo civile: con ordine, metodo e dignit--- Chi è questa ragazza che ti sorride? Perché le sfiori la mano? Perché ricambi il suo sorriso e… ti… alzi…? No! Non---
 
“La sola cosa che conta, Reim-kun, è conoscere il prezzo di ciò che vuoi comprare”.




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Capitolo 5
*** Ingranaggio ***


Ingranaggio
 
 
La guardo scostare un velo di seta dorata, e sorrido, lanciandomi un’occhiata intorno. Lampade dalla luce soffusa che riflettono sulle pareti le ombre dei numerosi tessuti che ricadono dal soffitto formando curve sinuose, mentre un avvolgente profumo di spezie aleggia nell’aria, inebriante, unito a qualcosa di dolce, che mi porta alla mente il miele. Oro, nel complesso. Oro ovunque. E bronzo, e calore.
 
“Vedo che ti sei sistemata bene, Annalie. Le nuove stanze sono di tuo gradimento?”.
 
Lei ride, civettuola, e ruota la testa per guardarmi, con una sapiente cascata di morbidi riccioli bruni che in un attimo scivola dalla sua spalla, scoprendole la pelle chiara.
 
“Avresti dovuto vedere la sua faccia, Brea—“
 
Mi guarda, si copre le labbra con una mano, e sorride, facendomi l’occhiolino, le ciglia lunghe, scure, che mettono in risalto il nocciola brillante delle sue iridi.
 
“Ops… Volevo dire... Vincent…", si corregge in fretta, usando il falso nome con cui le ho imposto di chiamarmi in quel luogo: si sa, le pareti hanno orecchie. La guardo annuire, e lanciarmi un'occhiata ammiccante, prima di tornare a raccontarmi la causa di tanta eccitazione. "Oh, dovevi vederla! Quella smorfiosetta insulsa! E’ diventata verde di rabbia, ti dico, e ha protestato con Madame Bourgogne, ma niente! Mi sono aggiudicata il mio premio, le mie nuove stanze, il mio bel camerino, e… Oh, Vincent! Bal-le-rò! Basta servire ai tavoli, basta alcolizzati puzzolenti! Ballerò, al posto di quella cagna!”.
 
In punta di piedi, inizia a volteggiare, lasciando che la seta bronzea della sottoveste che indossa le accarezzi le gambe con delicatezza. E’ tutto molto interessante, ma adesso passiamo ai fatti. Avanzo di un paio di passi, le afferro i polsi, la guardo.
 
“Non ti sei dimenticata qualcosa, Annalie?”
 
Si imbroncia per un istante, poi mi sorride: “Grazie?”
 
Socchiudo gli occhi e la lascio andare, guardandola tornare al mobiletto delle candele. Ne accende una, e il profumo di cannella in breve tempo riempie la stanza.
 
“Oh, Vincent. Sei diabolico, lo sai? Sono arrivata a questa conclusione… Non puoi aver calcolato tutto, mi darebbe i brividi! L’unica risposta sensata è che tu sia tanto carino quanto diabolico. Sai predire il futuro, vero?”.
 
Non ci crede, glielo leggo in faccia, ma non pare minimamente interessata alle ragioni delle mie richieste, per quanto assurde le possano sembrare. E’ per questo che ho scelto di usare la sua carta: è una donna pratica, mira al suo scopo e si disinteressa del contesto. E in fondo ognuno ha un prezzo. Quello di Annalie è la vanità.
 
“Non mi inviti a sedermi?”, domando, posando lo sguardo sui morbidi cuscini ricamati con filo d’oro. Sono nuovi. Un regalo, forse? Ad ogni modo mi muovo, e prendo possesso di un divanetto, posandovi il soprabito e il bastone. Mi siedo, e subito la ragazza prende posto sul pavimento, su uno dei cuscini, tra le mie gambe, e si solleva appena, posando le mani sulle mie ginocchia. Non muovo un muscolo, e mi limito a guardarla. D’altro canto, possiedo io le redini. Sembra ricordarsene, perché inclina la testa, e mi osserva con gli occhi grandi, simili a quelli di un cagnolino che trattiene l’eccitazione.
 
“Che buon cliente che mi hai procurato, Vincent… Mi ha fatto dei regali, sai? Ti piacciono i miei orecchini? Me ne farà altri, se tornerò. E tu vuoi che torni, vero?”, ride, e preme la guancia sul mio ginocchio, lanciandomi un’occhiata complice.
 
“Dipende. Ne vale la pena, Annalie?”. Le rivolgo uno sguardo severo, pratico, in contrasto con il tono che uso. Modulo la voce per sembrare scherzoso, ma comincio ad averne abbastanza. Voglio i fatti. E lei pare intuirlo, perché si solleva e si siede più composta, abbandonando il contatto con le mie gambe e fissando lo sguardo su uno dei veli di chiffon dorato che scivolano giù dal soffitto.
 
“Non ho trovato chiavi, Vincent. Ho cercato ovunque, mi sono anche inventata di aver bisogno di preparare la camera da letto con speciali aromi afrodisiaci per rendere il suo amplesso più coinvolgente, ma niente. Ho guardato nei cassetti, dietro i quadri, ovunque. Ma di una cosa sono sicura. Ha una biblioteca, come avevi detto tu”.
 
Inclino la testa e la osservo. E’ un bene che racconti i dettagli. Ho avuto buon occhio: è una donna precisa.
 
“Quando sono arrivata alla villa, ho finto di essere una signora per bene… Ho rubato uno dei vestiti di Cynthia, tanto per farle capire da subito che i suoi tempi d’oro sono finiti, e sono iniziati i miei!”.
 
Che espressione volgare sul viso di una donna. Quanta malizia. Ma è esattamente ciò che mi serve.
 
“Beh, quindi ho chiesto a Gyre di farmi vedere la casa. L’ho inquadrato dal primo momento: è uno di quelli con quei complessi d’inferiorità, sai? Quelli che si eccitano come cagnolini scodinzolanti quando si sentono adorare da qualcuno. Con un paio di moine l’ho convinto a raccontarmi della sua grande famiglia e di una… Com’è che ha detto? Ah! ‘Una biblioteca in nostro possesso da generazioni da far invidia a quella dei Barma, glielo assicuro!’ – Mi guarda, sinceramente dubbiosa – Barma? Ho detto bene? Beh, comunque, ho finto di sapere di che cosa stava parlando e ho cercato di solleticare il suo ego per spingerlo a portarmi là, ma niente. Il grassone voleva passare al sodo, e il lavoro è lavoro, Vincent…”.
 
Notevole. La faccenda è interessante, ma questa sua testolina è furba. Capisco il suo gioco e la guardo, gli occhi brillanti accesi di una luce di sfida. Sollevo una mano, la lascio ricadere dolcemente sui suoi capelli. Scivolo piano sulla sua guancia, e lentamente l’accarezzo, costringendola un attimo dopo a sollevare il viso, con una lieve pressione sul suo mento.
 
“Non lo biasimo. Avrà fatto appello a tutta la sua forza di volontà per non portarti subito nel suo letto. Così bella, così seducente. Mi chiedo ancora come abbia fatto quella Cynthia a detenere il titolo di più bel Fiore del Deserto. Dovrebbe appartenere a te, al tuo bel viso, e alla tua giovinezza… - Le pizzico leggermente il naso, giocoso, e le sorrido, buttando là, tra le belle parole, la mia richiesta – Ma dimmi… Non ricordi se Gyre ha detto altro, sulla sua biblioteca? Magari quando ha nominato i Barma?”.
 
Mi guarda, con le labbra socchiuse, i seni morbidi che si alzano e si abbassano più velocemente, stretti nel corpetto, a ritmo col respiro. Oh, ti ho turbata? Ottimo. Adesso canta.
 
“Lui… Fammi pensare… Mh… Può aver detto qualcosa su degli ar—Archivi?”.
 
Annuisco. Oh, sì. Decisamente quello che voglio sapere. Mi avvicino un po’, fingo di lasciarmi estasiare dal suo profumo. Parla, ragazzina.
 
“Vediamo… Ha… Mh… Ha detto che i Barma – Ride, distraendosi – Questo nome mi fa ridere ogni volta! Non ti ricorda una gallina?”.
 
Stringo i denti, e allo stesso tempo i suoi capelli tra le dita, costringendola a reclinare la testa, a scoprire il collo. Avvicino le labbra alla sua pelle, e vi respiro sopra aria calda, raggiungendo l’orecchio.
 
“Con-cen-tra-ti”.
 
Lei socchiude gli occhi, si morde le labbra scure di rossetto. Poi finalmente mi guarda.
 
“Dice che quelli… Si vantano di avere i più antichi archivi in circolazione. Ma in realtà quelli dei Gyre risalgono ad ancor prima della tragedia di Sabrie… Non… Non ricordo altro…”
 
Oh, è abbastanza. Tu non lo sai, e non occorre che tu lo sappia. Ma è decisamente abbastanza. Mi alzo, quindi, e recupero le mie cose.
 
“Brava, Annalie. Sono piuttosto soddisfatto. Ti farò avere indicazioni, e farò sapere a Madame Bourgogne quanto i tuoi… servigi… Mi appaghino”.
 
Faccio per indossare il soprabito e uscire, ma sento le sue mani, all’improvviso, sulle mie spalle. E le sue labbra scure e morbide sul mio collo.
 
“Hai pagato per la notte. Non ti va del vino caldo speziato?”.
 
Fisso la porta di fronte a me, facendo due brevi calcoli. La sua mente distratta potrebbe avere ancora qualcosa da dirmi, se ben guidata.
 
 Va bene, ragazzina. Giochiamo al tuo gioco.




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Capitolo 6
*** Il tradimento di Siegfried ***


Il tradimento di Siegfried
 
 
Cento anni fa, quando l’intera società era fatta di uomini, e da uomini governata, le donne erano degli angeli, così puri e perfetti che nessuno avrebbe voluto che si sporcassero con la conoscenza. E così, mentre i giovani rampolli frequentavano i college, le signorine di buona famiglia prendevano lezioni di ricamo.
In questo ambiente, non dovevano certo esser viste di buon occhio, le Rainsworth, con il loro fermo e risoluto amore per l’indipendenza.
Non un solo uomo a occuparsi degli affari della famiglia, non un solo uomo a intrattenere relazioni diplomatiche. Non un solo uomo tra la servitù, a dire il vero: persino alle stalle c’erano solo donne. E dopo sessant’anni dalla Tragedia di Sabrie, qualcuno iniziava persino a spettegolare su una loro possibile affinità con la magia, e che fossero streghe in grado di procreare senza bisogno di nessun uomo…
Sciocchezze. A essere sinceri, il marito di Sheryl Rainsworth era anche parecchio affascinante, ma semplicemente… Nessuno ha mai brillato quanto loro, le signorine Rainsworth.
Perché vi racconto tutto questo? Perché serve a capire quanto sia grande l’orgoglio che ognuna delle Rainsworth ha. Sharon compresa.
 
Erano circa le sette del mattino quando, con svogliatezza e rassegnazione, la piccola miss Rainsworth aprì gli occhi su un’altra lunga giornata. Quello era il giorno della riunione mensile dei Quattro Duchi alla Pandora, e quello era anche il giorno in cui Raven sarebbe tornato dalla sua prima missione in compagnia di Oz-sama e Alice-chan… Sharon era semplicemente certa che Xerx-niisan li avrebbe chiamati lì, a villa Rainsworth, per farsi raccontare i dettagli di quel Chain.
 
“Miss Rainsworth?”
“… Miss Rainsworth…?”
 
Devo essermi persa tra le verdi colline d’Irlanda e gli occhi azzurri del giovane Edgar. Quando apro la porta della mia camera, Milly, la figlia della cuoca, sembra corrucciata. Non è certo colpa mia se Oz-sama ha lasciato qui la sua copia di Holy Knight. Non è colpa mia se ho già finito i miei romanzi… Tutti mentre aspettavo lui…

“Xerx-niisan è rientrato tardi, questa notte…?”

La giovane cameriera sembra non considerare la cosa un grande affare, perché scuote la testa, spiccia, e solo dopo aver portato in camera il catino di porcellana con l’acqua di rose, alza lo sguardo per dirmi che no, non è proprio rientrato.
Oscar-sama è un bambino troppo cresciuto; rubarle così il proprio servitore, per poter completare una relazione prima della riunione mensile… E poi, tutti sanno che Xerx-niisan non ha mai scritto una relazione. Nemmeno una!

“Cosa indossa, oggi, miss Rainsworth? Ha quella splendida camiciola di seta che ha portato ieri la modista!”

E sia, vada per la camiciola della modista. Mi chiedo però quante fossero le settimane mancanti nei rapporti di Oscar-sama, per tenerlo fuori tutta la notte. Sarà stanco… Una cioccolata calda, forse...?
 
“Ah! Milly, fa piano, questo corsetto è ancora troppo rigido!”

La nonna non era d’accordo che usassi corsetti col mio fisico… Ma sono una donna, che piaccia o meno all’Abisso. Io… Vorrei che si notasse, che sono una donna. Vorrei che lo notasse. E così sono già due mesi che lascio che Milly stringa una vita che non avrebbe bisogno di essere stretta, per rendere più femminili le forme di una bambina. E’ un peccato che lo specchio, ogni mattina, mi ricordi che mi sto solo prendendo in giro. Ma questo…
Arriva da oltremare, e la modista mi ha assicurato che è à la mode, e che le signore fanno a gara per averne uno così. Con questo anche un corpo da bambina come il mio potrà sembrare più femminile.
La vita dovrebbe essere circondata da due mani”, ha detto… Beh, se lo faccio stringere ancora un po’… Soltanto un pochino…

Mentre Milly va a prendere le spazzole, mi avvicino allo specchio, per guardarmi per bene, per cercare qualcosa per cui sentirmi bella. Non le gambe troppo corte, e nemmeno i fianchi troppo stretti. Forse la vita sottile. La camiciola di seta è perfettamente intonata alle calze, e quei fiocchi le legano ai mutandoni, appena sotto il pizzo valencienne. Mi piace, quel pizzo: l’ho fatto mettere anche sul corsetto, e anche sul fazzoletto… E anche sul fazzoletto di Xerx-niisan, solo che lui lo chiama “trinetta”. Se sapesse che ho fatto venire la sarta e la modista per ben cinque volte di seguito, per quella trinetta, solo per averla uguale…

“Ti sembro una vera donna, Milly?”
“M-miss Rainsworth? Lei è certamente una vera donna, signorina!”
“Si, ma una vera? Somiglio a una donna di cui un uomo potrebbe invaghirsi…?”

Chiaramente non ottengo risposta da quelle labbra ingenue tanto quanto le mie, e sospiro, lasciando che le sue mani piccole e un po’ troppo fredde sistemino la collatura della camiciola, prima di porgermi l’abito che ho scelto per oggi.

“Hai chiesto ad Albert alle stalle di avvisare quando Xerx-niisan sarebbe tornato? Bisogna preparargli una cioccolata calda, sarà stanco e infreddolito!”

E’ di broccato. Di un bel pervinca. A Xerx-niisan piace il pervinca. O forse piace a me, e lui lo indossa perché piace a me. E’ comunque un colore che gli dona. Dovrei chiedergli di indossare qualcosa che si intoni al colore del mio abito, quando sarà tornato.
Dovrei lasciarglielo intendere. Dirglielo apertamente sarebbe così imbarazzante, persino per me, che sono l’unica che non prende in giro. Sarebbe come dichiarargli apertamente che… Che…

“Miss Rainsworth desidera raccogliere i capelli in una coda, quest’oggi?”

Milly cara, se non ci fosse lei, probabilmente sarei persa nei miei pensieri sciocchi e senza un senso preciso. Dovrei pensare, piuttosto, a quegli articoli sul tavolino. A quel complotto di cui tanto mi ha parlato Xerx-nii. Potrei essere utile, come dovrebbe essere una Rainsworth.
… E’ la prima volta che li vedo, questi… Deve aver dimenticato i suoi appunti in mezzo ai documenti che mi ha lasciato, probabilmente nella fretta, quando Oscar-sama…
Miss A. … Archivio… Emily…
Sembra che Xerx-niisan sia criptico anche quando scrive gli appunti per sé. Milly mi guarda con aria interrogativa nello specchio… No, Milly, non rido per il modo impeccabile con cui mi hai intrecciato i capelli poco sotto il mio fiocco…
 
“Oh, Miss Rainsworth, siete proprio una bellezza rara… Sicuramente, se foste meno impegnata alla Pandora, avreste la fila di corteggiatori!”

Certo, e anche due o tre proposte di matrimonio… Per favore… Sto per risponderti, con uno di quei sorrisi, perché non ho voglia di spiegare niente, ma poi bussano di nuovo alla porta, ma questa volta so che sei tu. Riconosco il tuo modo di battere il tempo contro la porta bianca.

Hai un viso stanco, le occhiaie, e sei anche tutto spettinato. Di certo hai dormito alla Pandora, sempre che tu l’abbia fatto.

“La cioccolata, Milly”, sussurro, prima di avvicinarmi a lui e borbottargli che non dovrebbe fare le ore piccole a lavorare, è un uomo di mezza età, potrebbe stancarsi troppo. Mi piace vedere quella piccola ruga d’espressione, ogni volta che lo chiamo “uomo di mezza età”.
Chissà perché, però, non noto che, oltre a quella piccola ruga, c’è del dubbio sul tuo viso, quando ho parlato di lavoro. Ti giro intorno un paio di volte, ma poi mi rassegno. Sei troppo stanco, per notare il mio vestito, o forse sei già in astinenza da dolci.

E’ in questo momento che guardo l’orologio, il piccolo orologio a cucù che sta qui da quando c’era la mamma… Sono passate ben due ore e mezza, e… “Reim-san non è ancora passato per portarti il tuo rapporto giornaliero… Potrebbe essersi addormentato sui libri…?” Ridacchio quando parlo, secondo me è divertente pensare all’eventualità che sia successo davvero, ma tu rispondi con un ghignetto, uno di quelli di chi la sa lunga… Non indago, e mi ricordo di essere nella mia camera da letto…! Non… Dovresti stare lì, non quando ho appena finito di vestirmi e potrebbero esserci delle calze ancora in giro, o un corsetto… Così ti spingo via, intenzionata a seguirti anche io. In sala, la cioccolata sarà già stata servita.

“Cos’è quest’odore, Xerx-nii…?” ti chiedo, mentre ricaccio a stento uno starnuto. Hai addosso uno strano puzzo, di alcol, e qualche essenza che non capisco…

“Dev’essere qualcosa che Oscar-sama ha messo nella pipa la scorsa notte, ojou-sama…” mi rispondi, e la mia curiosità va oltre le tue parole, continuando a chiedermi cosa possa essere. In sala, mi porgi la tua mano per aiutarmi a sedere senza sprofondare nella crinolina, e poi ti siedi accanto a me, sul bracciolo. Ma a quel punto io scatto in piedi.
 
“E’ profumo da donna! Scadente e dozzinale, uno di quelli volgari di certo, ma è senza dubbio profumo da do--Perché hai del profumo da donna addosso, Xerx-nii…? Oscar-sama non metterebbe mai del profumo da donna nella sua pipa…” L’ultima frase la penso a voce alta, perché se all’inizio ti vedo sgranare gli occhi, poi ridi.
“E’ solo l’odore speziato degli incensi di cui ama circondarsi Oscar-sama, ojou-sama, misto al vino… Sa, a lui piace il succo di frutta un po’ forte…” Mi sorridi, e mi sciolgo. Dimentico persino di sedermi di nuovo, e così rimango lì, in piedi, a sorridere come una sciocca bambina.

E io che volevo sembrare una donna. Dovrei provare a truccarmi un po’. Magari, con un po’ di rosa sulle guance e di rosso sulle labbra… E sulla giacca.
 
“… Adesso mi dirai che Oscar-sama ha indossato il rossetto, dopo aver bevuto vino…?” Non ho il tempo di pensare a quale sia la reazione migliore. Non ho il tempo per pensare che una signorina per bene non si comporta così. Ho solo il tempo di tirarti il bavero della giacca, esponendo quelle labbra rosse stampate sulla stoffa. Di colpo, mi rendo conto che non hai dormito alla Pandora, Xerxes. E non hai nemmeno lavorato ai rapporti di Oscar-sama… E se sei stanco, non è perché non hai--Oh.
 
“Ch—Cosa? Ah…”, e sorridi, toccandoti il collo, “Non è come credete…”

Oh, no… Quando Siegfried, il principe dell’ultimo romanzo che ho letto, pronuncia questa identica frase alla sua amata Rosanne, in realtà, ha passato la notte in compagnia di due odalische, alla corte del Re del Deserto… D’un tratto mi sento così stupida, con quelle quindici stecche di balena addosso, solo per essere più carina…
 
“E com’è, Xerxes…? Hai detto che saresti andato da Oscar-sama a scrivere la relazione. Hai detto che saresti tornato tardi. Hai detto che Reim-san vi avrebbe sicuramente reso il lavoro più lungo del previsto. E torni due ore dopo la sveglia, con l’aria di chi non ha dormito, con del profumo mediocre addosso e con il segno di una bocca di un rosso indecente sul colletto della giacca.” Ti vedo, che mi guardi con uno sguardo strano, con quella tua espressione così… Così...
La cioccolata calda è rimasta lì, e adesso ho la netta sensazione che tu non abbia proprio fatto niente per meritartela. Niente.
Avrei dovuto prendere il ventaglio. Avrei dovuto, perché così adesso mi sentirei meglio. Perché i cucchiaini che ti ho appena lanciato addosso non sono abbastanza. Ti odio.

“Mi stai prendendo in giro, Xerxes? O sei troppo stanco? La tua signorina ti ha stancato troppo…?”
 “Lasciate che vi spieghi…”

Mi risiedo, e cerco di pensare a cosa farebbe una signorina per bene. A come reagirebbe la mamma. “Una Rainsworth ha l’orgoglio delle sue antenate che scorre nelle sue vene. Sii mite e fiera, e mantieni sempre un bel sorriso sul tuo viso, Sharon” dice sempre la nonna… Sorrido, e credo di aver anche tirato indietro la schiena.
 
E sia, principe Siegfried, spiegate. 




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Capitolo 7
*** Sostenuto ***


Sostenuto
 
 
Una giornata frenetica, non mi aspetto di meno. Ma io… Io vorrei restare a letto ancora un po’. E’ tutta colpa di queste dita così gentili, che mi tolgono gli occhiali appena indossati, e li posano di nuovo sul comodino. E’ colpa di queste labbra così dolci, così premurose, che baciano con una pressione leggerissima, appena appena umida, il segno arrossato che le lenti lasciano sul mio naso. E poi… Poi queste carezze, così silenziose ma decise, che mi dissuadono totalmente dall’intento di alzarmi, e mi trascinano lentamente verso l’oblio di ogni dovere, facendo sì che il mio corpo avverta solo luce, piacere, e solo ad altra estasi aneli. Ancora… Per favore… An—
 
Le sei. Diavolo, sarei dovuto essere in piedi da un’ora.
 
Ignorando le richieste del mio corpo, mi metto lentamente seduto, mi allungo per prendere gli orecchini sul comodino, e… Wooh… Con calma. Sospiro, premendomi forte i polpastrelli sulle tempie. Grazie, Xerx. Ti devo un mal di testa coi fiocchi. Sbadiglio, e faticosamente mi alzo, stiracchiandomi e guardandomi intorno. Devo rifare il letto. E devo decisamente stirare la divisa della Pandora. Le lancio uno sguardo pieno di compassione, e di nuovo sospiro. Mi domando perché accidenti si diverta tanto a mettermi in difficoltà. Non credo di aver fatto niente per meritarmi di essere la vittima dei suoi scherzi.
 
Raggiungo il mio piccolo bagno privato, e faccio scorrere l’acqua della doccia fino a che non vedo il vapore offuscare il mio riflesso allo specchio. Meglio così. Non ho voglia di guardarmi in faccia, non voglio leggere i segni di questa fastidiosa sensazione. Voglio lavarli via, voglio dimenticarli, voglio mettermi a lavorare col cuore in pace.
 
L’acqua è bollente, adesso. Mi piace. La testo con la mano, e mi lascio convincere a darle di più: un braccio, una spalla, i capelli, finché tutto il mio corpo non diventa prigioniero della sua tela di lacrime dolci. Penetrano fino all’anima. Le sento scaldarmi il sangue, e rinnovarmi. Forse è per questo che non mi importa più di tanto che alla Pandora non ci siano i fondi per installare vasche da bagno nelle camere dei dipendenti come me. L’acqua che scorre, dinamica, continua, mi aiuta a lavarmi di dosso i ricordi della notte, ricreandomi.
 
Apro la mia boccetta di sapone, e lascio che l’inconfondibile profumo di betulla raggiunga le mie narici. E’ pungente, amaro, come questo strano stato d’animo. S’intona perfettamente alla giornata. Sospiro, chiudo gli occhi, sollevo il viso per lasciarmi baciare dall’acqua, per sentirla scorrere sulle mie labbra, scendere sul collo, sulle clavicole, sul petto. Passo lentamente una mano sulla pelle, con le dita che giocano sulle onde appena accennate delle costole, sporcandole di sapone. Sono dimagrito. Beh, nessuna sorpresa, visto che continua a mangiarsi le mie porzioni di dolci. Rido, nonostante tutto. Sarebbe bello, per una volta, sapere che sapore hanno le meringhe per le quali la cuoca delle Rainsworth è tanto famosa.
 
Un altro sospiro, le mani salgono sul mio petto, lavando piano il cuore con quel profumo tanto pungente. E ogni carezza è una sofferenza, e ogni carezza è disperatamente dolce. Dolce come quella volta che non mi prese in giro, quando rovesciai il the sul protocollo YF702, e si prese la colpa, dicendo che aveva le vertigini per aver bevuto un the troppo amaro.
 
Sento una goccia d’acqua calda indugiare sulle mie labbra. Non la bevo, non la scaccio. Lascio che giochi con me, che mi dimostri un po’ d’affetto, prima di vederla sparire con le gemelle nel vortice oscuro ai miei piedi, mentre appoggio una mano sulle gelide mattonelle lisce, e la fronte sulle dita. Mi cade lo sguardo sulla cicatrice, quella piccola, quasi invisibile cicatrice accanto all’osso sporgente del bacino. Ricordo ancora quanto dovetti stringere i denti, da bambino, per non piangere di fronte a te. Di fronte a te che eri così grande, per me, così irraggiungibile. Un amico che avrei tanto desiderato conquistare, a cui avrei tanto voluto fare domande. Ma il tuo sguardo gelido mi costringeva al silenzio, e non osavo chiederti, non osavo parlarti, non osavo cercare di intrufolarmi nel mondo oscuro dei tuoi pensieri.
 
Eppure, quella volta mi sorprendesti… Caddi da cavallo, per imitarti. E tu non te la prendesti con me, non mi sgridasti. Sospirasti e mi sollevasti la camicia per constatare i danni, nonostante io continuassi a farfugliare che n-no, non era im-portante, st-stavo bene. E quando vedesti che l’urto con quella pietra mi aveva procurato una ferita, non te ne andasti, ma pulisti il mio taglio col fazzoletto, e mi dicesti che la letteratura mi si addiceva più del sangue.

Sfioro la cicatrice, mentre ricordo la delicatezza con cui le tue dita mi toccarono. Come se, nonostante tutto il gelo di quei giorni, non volessi affatto farmi del male. Come se avessi paura di ferirmi.
 
Chiudo gli occhi, e le mie dita incontrano la prima peluria, mentre il cuore ha inspiegabilmente iniziato a battere un ritmo troppo frenetico. Penso che è tardi, che dovrei sbrigarmi. Ma… In fondo… Potrei indugiare in quel sogno… Ancora per un po’…





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Capitolo 8
*** Quadrante ***


Quadrante
 
 
“Oh? Ha una così scarsa considerazione di me, ojou-sama?”, rido, scuotendo la testa. Che ragazzina testarda.
“Mi aspetto di tutto da uno come te”.
Uno come me non ha nessuna intenzione di ammalarsi di sifilide”.
 
La guardo negli occhi, sfidandola, e non riesco a trattenere un sorriso di pura vittoria quando la vedo imbronciarsi, e riflettere. Colpita e affondata. Non sa come ribattere. Sogghignando, mi alzo dal bracciolo della poltrona sulla quale la mia padroncina si è lasciata sprofondare con quell’arietta stizzita e impermalita, e noto solo in quell’istante l’arrivo di Reim sulla porta. Oh. Il mio sorriso si allarga.

“A differenza di qualcun altro, che invece sembra aver passato una nottata soddisfacente”. Osservo il suo viso luminoso, socchiudendo gli occhi. E’ il viso di chi ha conosciuto il piacere. Mi umetto le labbra, divertito, mentre quella luce appagata lascia il posto al rossore sulle guance di Reim. Borbotta qualcosa in risposta, ma per qualche motivo non voglio più guardarlo. Voglio una fetta di torta alla ciliegia. Sì, la voglio intensamente. Non mi interessa con chi ha passato la notte. Non potrebbe importarmi di meno. Mi interessa la mia torta, la crema dolce, i pezzetti di ciliegia che si sciolgono sulla lingua. E tuttavia lo guardo di nuovo, infastidito.
 
“Non--- Xerx--! Sharon-sama non… No! Non è come pensa!”.
“Oh, non è mai come penso, vero? Forse non dovrei nemmeno prendermi la briga di pensare, visto che non è mai—“, la guardo ricomporsi, sollevando il mento con un che di altero. “Bene, allora. Che cosa mi state nascondendo, voi due?”.
 
Afferro la mia tazza di cioccolata e mi siedo sul tavolo, accavallando le gambe. Poso il piattino laccato d’oro e di azzurro sul ginocchio, e i miei occhi si lasciano condurre dalle decorazioni sinuose al ricordo di un altro piattino come quello, caduto a terra, infranto in mille frammenti, quando Lady Shelly svenne, quel giorno…
Improvvisamente non ho più voglia di giocare, e mi limito a intingere l’indice nella cioccolata, e a leccarla via un istante dopo.
 
“Esistono i cucchiai per questo, te lo hanno mai detto?”, mi sussurra Reim all’orecchio, servendosi una tazza di tè con un’aria di rimprovero. Inarco un sopracciglio. Sei arrabbiato con me, Reim-kun? Lecco di nuovo via la cioccolata dalle dita. Oh, avanti. Impediscimelo.
 
“Break? Potresti almeno fare lo sforzo di rispondermi?”.
 
La guardo, e inclino la testa. Ha un’acconciatura nuova? Sì, sembra diversa. Forse dovrei distogliere la sua attenzione dall’argomento facendole un complimento. O forse dovrei raccontare loro i dettagli. O forse potrei semplicemente continuare a tenerli per me. Non occorre che sappiano. Non occorre che li esponga a questo. Sorrido, e rubo il cucchiaino di Reim un attimo prima che riesca a zuccherare il suo tè, imbrattandolo della mia cioccolata e infilandomelo in bocca. Oh, prova a ribattere, adesso. Non gli riservo che uno sguardo fugace e goliardico, e torno a rivolgere la mia attenzione a Sharon. Le sorrido, cercando di essere dolce.
 
“Reim-kun voleva a tutti i costi conoscere le spezie della notte. Non ha fatto che boicottare il lavoro mio e di Oscar-sama per tutta la sera, premendo per uscire, per provare, per andare in quel locale…”. Mi stringo nelle spalle, innocente.
“NON---! No! No, Sharon-sama, no! Non è affatto vero! Avrei passato la serata a compilare i documenti dell’archivio Scacchiera ben più che volentieri, se--- Se solo quei due---“
 
Lo guardo arrossire di nuovo, e faccio schioccare la lingua. Ho pronta una buona battuta per farti arrossire ancora di più, Reim-kun, ma…
 
“Break. Vatti a cambiare. Non intendo sottoporre la nonna a un simile odore sgradevole”.
 
Sbatto le palpebre, sorpreso. Dev’essere irritata.
 
“E’ un odore così insostenibile, ojou-sama?”. Sondo il terreno, mentre accarezzo la tazza calda, lentamente.
“Lo è. Cambiati.”
 
Mh. Questo è interessante. Socchiudo gli occhi, studiando il dardeggiare del suo sguardo. Che cosa ti irrita tanto? Mi alzo, e lascio la tazza di cioccolata calda ancora mezza piena sul tavolo. La troverò di certo fredda, al ritorno. Accenno un inchino, provocatorio, e mi allontano, lasciandoli soli per qualche minuto. Giusto il tempo di raggiungere le mie stanze, sbottonare la giacca della divisa e lanciarla sul letto. Faccio lo stesso con la camicia, e scuoto la testa, infastidito, quando noto il segno del rossetto sul colletto. Devo avere quella roba anche sul collo. Improvvisamente, sento il profondo, insistente bisogno di lavarmi.
 
Apro la porta del bagno un istante dopo, e lascio scorrere l’acqua nel lavandino. Mentre aspetto che si scaldi, sfioro con le dita il marchio del mio peccato sul petto. Ultimamente è un gesto che mi sorprendo a fare spesso. Stai diventando malinconico, Xerx-kun? Sorrido di me stesso, e mi sporgo verso lo specchio, cercando di esaminare la situazione, ma sono costretto a sbattere le palpebre più volte prima di riuscire ad avere un’effettiva percezione del segno sul mio collo. Sbuffo, contrariato. Odio quando la mia vista si annebbia per la stanchezza.
 
Deciso a non perdere più tempo del necessario, prendo il sapone e comincio a sfregarlo con forza sulla pelle, per cancellare quel bacio disgustoso. Osservo la schiuma sporca farsi trascinare via dall’acqua, e non appena il profumo della lavanda prende il posto del pungente aroma delle spezie del bordello, sorrido, soddisfatto. Ojou-sama sarà felice, adesso.
 
Pochi minuti dopo sono di nuovo nel corridoio con indosso una camicia pulita. Ne ho scelta una pervinca. Sogghigno, immaginando la reazione di Sharon. Non potrà controbattere la mia scelta: so che adora quando indosso colori abbinati ai suoi abiti. Sarei uno sciocco se non sfruttassi ogni mossa per farmi perdonare.
 
In realtà, ora che ci penso, mi chiedo per cosa mai dovrei farmi perdonare. Per essere rientrato tardi? Rido nel silenzio, suscitando un’espressione stupita sul viso di una cameriera. In effetti, “tardi” è un lieve eufemismo. Va bene, lo concedo. Sono rientrato a un orario indecoroso. Inclino la testa, svoltando a sinistra ed entrando nel salottino. A mia discolpa, però, posso dire che non avevo preventivato che Oscar-sama si mettesse a elargire titoli nobiliari alle fanciulle. Rido di nuovo, ma stavolta copro le labbra con la mano. Ah, caro Oscar, mi devi un favore…
 
“Sei pronto, Break?”.
 
La voce di ojou-sama è ancora risentita, e la cosa mi infastidisce. Non mi è mai piaciuto trattare con i bambini. Ma mio malgrado annuisco, e le rivolgo un sorriso gentile. Le tendo la mano, e l’aiuto ad alzarsi.
“La nonna ci riceverà nell’ala ovest, dopodiché andremo insieme alla Pandora. Mentre tu e Reim-san vi divertivate, hanno ritrovato i resti di due Chain, fuori Reveille. Stanno analizzando tutto già da ieri sera, per cercare di capire se appartenessero a dei Contraenti o se fossero solo... Beh, usciti dall'Abisso. In quel caso, c'è una fenditura che non abbiamo ancora scoperto..."
 
Oh? Improvvisamente, ha catturato tutta la mia attenzione. Lancio un’occhiata veloce a Reim, al mio fianco, e noto in lui la mia stessa espressione. Sorrido, sincero. Mi piace quello sguardo. Mi piace il modo in cui si illumina, vivace, non appena la sua mente si mette all’opera.
 
“E’ tutto scritto nella missiva mattutina…”
 
Comprendo la sottile stilettata e riconosco la mia colpevolezza limitandomi a mettermi in cammino, due passi dietro a lei. E mentre attraversiamo il corridoio in silenzio, noto i due fiocchi sui fianchi di ojou-sama. Li osservo, seguo con lo sguardo il loro fluido, morbido ondeggiare. Si tratta di un movimento elegante, appena appena accennato, e tuttavia è diverso dal solito, non… Non lo avevo mai notato. Lascio che lo sguardo indugi sulla sua schiena, e scivoli dolcemente sulle due curve ben delineate della vita. Sbatto le palpebre, sorpreso, ritrovandomi ad allentare il colletto della camicia. E quando mi volto, gli occhi di Reim incontrano i miei, penetranti, fin troppo perspicaci per i miei gusti.
Distolgo lo sguardo.
Smettila. Non puoi…
Tu… Che cosa ne sai dei miei pensieri…?





Illustrazione:

Artemisia & Amore on DeviantART



{Nota delle Autrici: Grazie per averci seguito fin qui! Nei prossimi giorni, tra feste e studio matto e disperatissimo, saremo probabilmente un po' assenti, ma riprenderemo presto la pubblicazione dei nuovi capitoli! Nel frattempo, non perdetevi la nuova raccolta di spin-offs basata su questa nostra storia! Il primo omake è il nostro augurio per voi, per un meraviglioso anno di festa, calore e amore! A presto~!}

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Capitolo 9
*** Galateo dei pegni d'amore ***


Galateo dei pegni d'amore


“Le carrozze con i bagagli sono pronte?”
“Pronte, Lunettes-san”
“E il cuoco? Avete avvisato il cuoco? Sapete bene che non possiamo far viaggiare dei nobili senza la speranza di mettere sotto i denti qualcosa di buono.”
“Il cuoco è stato informato, Lunettes-san, ha detto che partirà insieme a voi. Abbiamo anche preparato diverse cassette di primo soccorso, e anche due scatole di munizioni anti-Chain, Lunettes-san”
 
Lo vedo annuire, serio e compito, nonostante quei cerchi scuri intorno agli occhi. Gli occhiali sicuramente ingigantiscono il problema, ma sospetto che abbia dormito meno di me. Caro Reim-san… La nonna mi ha informata di cosa hai fatto per noi. Hai custodito, senza saperlo, la Chiave del nostro Cancello e hai fatto il possibile per ripristinarne il potere. Meriteresti un posto d’onore con noi in carrozza, meriteresti di riposare e recuperare le forze, dato che sei ancora pieno di bende. Ma sei testardo come solo una persona leale sa essere.
 
“Miss Rainsworth, dovrebbe riposare, miss, il viaggio sarà lungo e stancante, vi abbiamo preparato una camera al secondo piano dell’Accademia, avrete tutto il ristoro di cui necessit--“
“Non ho bisogno di ristoro. Portatemi acqua fresca in un catino e dei panni di cotone, per favore.”
“Ma miss, dove--? Cosa--?”
“Nella camera di Kensington, al primo piano, per favore.”
 
Non ho intenzione di dormire, non ho motivo per riposarmi. Sono perfettamente in grado di aiutare, qui. Se non fosse per i dodici strati di tulle che mi ingombrano il passo. Ho sentito parlare di crinolina armata, dalla modista… Dovrò ricordarmi di commissionargliene una, magari potrei essere più agile di così.
Busso, ma nessuno risponde da dentro la stanza. Mentre apro la porta, mi rendo conto di sorridere. Ti sei riaddormentato, Xerx-nisan? Sembri quasi un’altra persona, tutto rannicchiato in quel modo. Non è solo la stanchezza a farti dormire, Vero?
Il Cappellaio, i Baskerville, la tua salute… Tutto deve averti spossato troppo.

“Ti ho portato Emily-chan, Xerx-nii. La metto qui, sul comodino. Così sarà qui per quando ti sveglierai…”

Ti sveglierai, vero, Xerx-nii? Qualcuno, giù, ha insinuato che sarebbe il caso di partire anche senza di te. Oz-kun, suppongo. Ma a Oz-kun non sei mai stato veramente simpatico, sospetto che non veda l’ora di allontanarsi da te e dalle tue domande… Io non parto, senza di te.
 
Bussano. Hanno portato acqua e panni, così potrò rinfrescarti il viso. Sei caldo, anche se non hai la febbre.
 
“Quando tutto questo sarà finito, dovremo andare a quel salotto, Xerx-nii… Sono certa che troveresti esilarante il modo in cui le signorine dell’alta società si agghindano nella speranza che il fratello di qualcuna le noti e le sposi…” Sono certa, Xerx-nii, che cattureresti l’attenzione di più di una di quelle signorine. E sono certa che non le guarderesti nemmeno. Sono troppo sicura? Forse, ma ti conosco. Ormai ho imparato a conoscerti bene, e so chi sei, oltre quei sorrisi e quegli atteggiamenti da folle.

E’ un bene che tu stia dormendo, sai? Sarebbe imbarazzante se ti accorgessi che ho le maniche tutte arrotolate, per bagnarti la fronte. Questo non mi tratterrebbe dal continuare, sia chiaro, ma probabilmente arrossirei. Non ho più avuto occasione di sfiorarti il viso, da quando mi hai confessato di non vederci più. Se tu fossi sveglio, probabilmente non potrei accarezzarti gli occhi come invece sto facendo, e non potrei tirarti i capelli indietro senza che tu ti lamenti perché ti scoprono troppo. E non potrei pensare che hai la stessa espressione di quando ti sbirciavo dormire, sotto quella grande quercia, con la testa sul grembo di mia madre.
 
“Sai, Xerx-nisan, ricordo benissimo cosa mi hai detto quella volta, quando… Hai detto che non avremmo dovuto, che non avresti dovuto, e che non sarebbe successo ancora… “ Piano, mi allungo su di te, fino a sfiorare le tue labbra con le mie. Un attimo, e bagno di nuovo il panno, per poterti rinfrescare la fronte. “Questo non te lo ricorderai… “ sussurro.
 
“Ne siete certa, ojou-sama…?”


Quando ti guardo, con gli occhi sgranati, ne trovo un altro a fissarmi. E immagino anche di aver assunto una tonalità poco salutare. Ti odio. Fingevi di dormire. Stavi solo fingendo!
Non ho niente da rispondere, niente da dirti, per cui ti lancio il panno umido dritto sul viso, e torno a sedermi, affrettandomi a rimettere a posto le maniche. Una signorina per bene non mostra mai i gomiti. “Se sei in forze, sarà il caso di avvisare che partirai con noi. Credo che Oz-kun sarà lieto di saperlo…”
 
Ti sento ridacchiare, con una voce sottile, ma non sollevo lo sguardo per paura di trovarti ancora lì, immobile a fissarmi. Lo tengo basso, lo punto di lato, ovunque purché lontano dal letto. E così lo noto. Quel fazzoletto color glicine che sbuca dalla tasca interna del tuo cappotto. E’ appena una punta, ma l’ho notato. E se con la coda dell’occhio ti lancio un’occhiata ancora arrabbiata, con la mente sono già a quel momento - quanto tempo è già passato? - quando mi dicesti che era troppo frivolo, troppo femminile, e che probabilmente sarebbe stato un ottimo accessorio per la tavola di Emily. L’hai tenuto lì dentro, per tutto questo tempo…?

 
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“… «Gli accessori dell’uomo moderno»…” Un titolo promettente, mi dico, per cui sicuramente troverò un regalo adatto a Xerx-nisan, qui dentro.
Una vera e propria fortuna, che la Pandora abbia, nella propria biblioteca, anche testi di moda e società. Sicuramente, questo non è mai stato sfogliato.
 
“ «Gli oggetti da fumo»… Xerx-nii non fuma… «L’ombrello»… Che se ne fa di un ombrello se poi ha le mani impegnate a mangiare? … «L’orologio da ta--» Orologio da taschino! Gli piacerebbe sicura--“
 
Glielo hai già regalato a Natale, Sharon… Giusto, non posso certo regalargli un altro orologio.
Ci vuole qualcosa che gli faccia capire che non ce l’ho più con lui per quell’orrenda storia. Anzi, qualcosa che gli faccia capire che non voglio più sentir parlare di quell’oscena vicenda. Nemmeno un’ombra di rossetto rosso, nemmeno una. Quindi, ci vuole qualcosa che sia speciale…
 
«A completare il complesso degli accessori dell’uomo alla moda non può di certo mancare il fazzoletto…»
Il fazzoletto, certo! Uno dei miei fazzoletti di seta, da ricamo, con sopra ricamate le sue iniziali. Apprezzerà senza dubbio lo sforzo che farò ricamando apposta per lui. Capirà che voglio dimenticare tutto quanto. Dopotutto, sa quanto odio ricamare.
 
~
 
E’ tutto pronto. Ho messo il fazzoletto in una delle scatole più carine che ho trovato. L’ho comprata a Reveille, apposta per lui. E ho anche chiesto a Milly di arricciarmi un po’ i capelli. Non ha trovato la barbabietola rossa che le avevo chiesto, ma con un po’ di fortuna, la polvere di riso mi farà sembrare più bianca, e magari mi troverà più carina… La giovane Florine di “The Rose Garden“ conquista il suo cavaliere proprio con delle rose tra i capelli e quella polvere sul viso. Ho anche un vestito nuovo, e… Beh, tanto coraggio, immagino.
 
Lui dovrebbe già essere in sala, Milly mi ha detto che è tornato presto dalla Pandora e che ha detto che l’avrebbe aspettata lì, per cui non mi resta che aprire la porta ed entrare, e salutarlo e…
 
“Siete pallida, ojou-sama. State bene? Avete mangiato? Qui c’è una torta alle fragole che aspetta solo voi… O me, se non la volete!”
 
P-pallida…?! Fingo di non esserci rimasta molto male; dopotutto, non sa che ho passato ben dieci minuti a incipriarmi la faccia per somigliare alle signore dell’alta società.
 
“Va tutto bene, Xerx-nii. Mangia pure la torta, io aspetto il budino al cioccolato…”
“Già mangiato, ojou-sama, mentre vi aspettavo. Ci avete messo un sacco, ojou-sama, ed Emily si annoiava, così---“ Non dondolare sulla sedia in quel modo, per favore… Lo sai che non lo sopporto. E in più hai mangiato anche il mio budino.
 
“Come mai tutte quelle trine addosso? Aspettiamo qualcuno?”
 
Spero di non essermi agitata troppo nel rispondergli che “No, non aspettiamo nessuno, Xerxes”, perché avevo immaginato diversamente, il momento in cui gli avrei dato il mio regalo di riappacificazione. Ma ormai ha rovinato tutto, per cui tiro fuori la scatola che tenevo dietro la mia schiena, e la metto sul tavolino.
 
“Questo è per te… Beh, spero ti piaccia, Xerx-nii…”
 
Tu guardi me, non la scatola con il suo bel fiocco bianco latte. Guardi me in un modo strano, come se stessi cercando di leggere qualcosa scritto molto in piccolo, dentro i miei occhi. Non dici niente, e avvicini la scatola a te, finalmente.
 
“Sapete che giorno è oggi, ojou-sama…?”
“Venerdì, perché?”

Non rispondi, continuando a guardare me mentre agiti la scatola come solo un bambino potrebbe fare, sperando di sentire qualcosa rotolare, lì dentro. Alla fine ti decidi a sciogliere il fiocco, e molto prima che io possa spiegarti che è un segno di pace, il mio, tu sorridi. In un modo che non ho mai visto prima sul tuo viso.
 
Sharon ojou-sama ha regalato un fazzoletto a Break-san per il giorno di San Valentino~~
Arrossisco. Più di quanto possa pensare di poter arrossire, me lo sento. La tua bambola--tu--! Non dico niente, non importa quanto tu finga di rimproverarla, non importa, tu…
 
“Non è un fazzoletto, Emily-chan, è una tovaglia per il tavolino di Emily-chan! Molto grazioso, non vedi tutte quelle trinette?”
 
Avrei voluto davvero fare pace con te, Xerx-nisan, ma… Sei uno stupido, e ti odio. 





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Capitolo 10
*** Risoluto ***


Risoluto


Sono stato educato a essere preciso. Preciso e ordinato. Crescendo, ho scoperto che mi piaceva, e ho continuato ad applicare l’ordine in tutta la mia vita. Probabilmente, adesso che sono un uomo, sono un po’ troppo puntiglioso, il ché si traduce nell’essere un punto di riferimento per almeno metà dei membri della Pandora. Dovrei essere contento, di essere richiesto per la mia opinione. Dovrei essere contento, di ricevere le lodi dei Quattro Duchi, perché le mie relazioni sono le più complete - le mie e quelle di quell’impunito, visto che sono sempre io a scriverle - e dovrei essere orgoglioso di questa mia precisione. 

Solo che adesso sono qui, davanti a questo cancello di ferro battuto, con… Un vortice, sembrerebbe, inciso sulla piastra più grande che abbia mai visto sopra un cancello. Forma una G, a un certo punto del suo movimento, ed è sovrastato da aculei. Sospetto rappresentino dei raggi. Di certo, niente di così egocentrico avrebbe mai investito i miei occhi se non fosse stato per la mia precisione. 

Sei un gran pignolo, Reim-kun~”, mi sembra quasi di sentirlo, con quel tono di scherno e  con quella bambolina sulla spalla. Purtroppo, in questo momento non posso che dargli ragione. Se non fossi stato così ligio e attento, quando Stevenson dell’Archivio amministrativo mi ha detto di aver bisogno di un approfondimento sul rapporto F7-233bis, non avrei subito messo me stesso a disposizione. Avrei dovuto sapere che sarebbe andata a finire così. Avrei dovuto sapere che Stevenson se ne sarebbe lavato le mani, e avrei dovuto approfondire da solo. 

Freddo. Faceva decisamente freddo, fuori. E di certo, l’accoglienza non è stata delle migliori. Avevo appuntamento un’ora fa, e quando mi hanno finalmente fatto entrare, mi sembrava che il fiato fosse sempre più denso, ogni volta che espiravo volute di fumo davanti al mio stesso naso. Non avrei mai dovuto accettare l’incarico. Ma non potevo sapere che l’unico testo utile ad approfondire quella stupida questione non era nella biblioteca della Pandora. E’ la biblioteca più grande di Reveille. E infatti eccomi a Tor. 

“Voglia perdonare il padrone, Lunettes-san, ma è impegnato, e non può riceverla. Le manda a dire di accomodarsi nella biblioteca e di fare come se fosse a casa sua, però. Se ha bisogno di qualcosa, suoni il campanello nella sala di lettura, e qualcuno verrà sicuramente”

Quel maggiordomo ha tutta l’aria di prendermi in giro. Non ho visto nessuno nell’ingresso, il cancello si è aperto da solo e nemmeno l’ombra di un domestico in tutti e tre i lunghi corridoi che ho percorso. Qualcuno verrà sicuramente, dice… Poco male, se la biblioteca è a mia disposizione, troverò il modo di fare tutto da solo. Dopotutto, sono abituato alle bib-- 

Davanti ai miei occhi, quando il maggiordomo apre per me le spesse porte di legno, appare una sala inondata di luce solo grazie ai lucerna sopra gli scaffali più alti, luminosa e dorata come una città mitologica, e in ogni raggio di luce che colpisce gli scaffali, riesco a vedere i singoli granelli di polvere aleggiare nell’aria. Libri a perdita d’occhio. Il mio sguardo è guidato da leggi che non comprendo, fino al grande medaglione in cima alla sala finale, la più grande, uno specchio con lo stesso vortice forgiato nel ferro del cancello all’ingresso. Lungo il pavimento di una ceramica così fine da sembrare porcellana, un tappeto rosso scuro, che sembra fatto apposta per accompagnare lungo i tortuosi corridoi a destra e a sinistra. Libri, oltre le due grandi porte in fondo, ai lati della sala centrale. Libri, oltre gli scaffali gelosamente chiusi a chiave. Respiro, quando il maggiordomo si allontana, e in quell’istante mi rendo conto di aver trattenuto il fiato fino a quel momento. 

Beh, bisogna ammettere che forse una biblioteca così grande non l’avevo mai vista. Cercare il testo - un periodico di almeno cinquant’anni fa - è la mia priorità. Ma non rinuncerò di certo a visitare questo posto. Ho la sensazione di respirare la storia, qui dentro. 

~

“Un intero corridoio era dedicato alla letteratura orientale. Uno intero! I libri erano ordinati per autore, alfabeticamente, con una precisione da lasciare di stucco. Alla Pandora sono costretto a riordinare gli scaffali quasi ogni giorno. Trovare quel periodico è stato relativamente semplice, alla fine, e ammetto di aver provato una gioia sottile nel ripetermi la collocazione di quel libro, e trovarla esattamente dove doveva essere. Ho scoperto anche una piccola sala, che alla prima occhiata mi era sfuggita. Credo fosse una delle salette private dove i padroni leggevano e conservavano i loro testi più preziosi.

Avevo il permesso di fare come se fossi a casa mia, per cui sono entrato, e lì, è stato amore. 

Una lunga sala ovale, di legno scuro, lucido, senza un filo di polvere - non come certe ale della biblioteca della Pandora - e con un pavimento decorato. Di sicuro, quella era stata costruita in un periodo diverso. Ogni libro, lì, sapeva di storia. C’era persino la più antica collana di testi sulle arti e le scienze che io abbia mai visto.

Bene attento che non ci fosse nessuno in tutta la biblioteca, ho aperto una delle ante che proteggeva i libri e ne ho preso uno. Un’esperienza magica che ho provato solo la prima volta in cui ho passato una giornata in biblioteca. Era la biblioteca del Duca Barma, avevo sei anni e leggevo da appena un anno, ma me lo ricordo ancora. 

Ebbene, questo momento è stato ancora più mistico. La copertina aveva subito gli effetti del tempo, e quando ho sfogliato le prime pagine, l’odore della carta, della polvere, del tempo mi ha inondato le narici. Ho persino avuto paura, quando ho sentito la carta crepitare sotto le dita. Avrei potuto rovinare un libro di circa trecento anni fa, manoscritto!”

“E… Hai detto che lo studio di Lord Gyre era chiuso sia quando sei arrivato che quando te ne sei andato…?”

“Non ho proprio visto Lord Gyre. Te l’ho già detto Xerx. Quattro volte.”

“Si, ma ripetimelo ancora una volta. E’ così interessante, Reim-kun…”
I tuoi occhi sono così luminosi, Reim-kun~

Arrossisco appena, lo so, quando quella sua bambola dice la cosa sbagliata nel momento sbagliato.
“I miei occhi non sono luminosi, Xerx!” Sospiro, infine. “Beh, quando sono passato dal corridoio principale, il maggiordomo mi ha indicato una grande porta di mogano, con una maniglia che era una G. L’ho trovata un po’ troppo esagerata, ma la porta era chiusa. Quando sono andato via, la porta era ancora chiusa, Xerx. Non ho idea se Lord Gyre fosse o meno lì dentro…”

Vedo il suo sguardo guizzare da me alla mia scrivania alla mia valigetta, che ho lasciato cadere quando, entrando in camera, me lo sono ritrovato sul mio letto. Con un barattolo di caramelle, per di più, e una decina di incarti sul copriletto. Lo vedo, sorridere in quel suo modo distante.

“E hai passato un’intera giornata in compagnia dei tuoi amici libri senza accorgerti di niente? Oh, Reim-kun, sei proprio un dolce ragazzo” Quel suo tono di scherno mi infastidisce, e decido che ignorarlo è la soluzione migliore, cercando di concentrarmi su quella sensazione strana, che ho da quando ho iniziato a raccontargli la mia giornata. Ho avuto i suoi occhi addosso per tutto il tempo, e beh, probabilmente le mie orecchie erano rosse tanto quanto temo fossero le mie guance. 

“Non dire sciocchezze! C-certo che ho passato una giornata in biblioteca! Hai idea di quanto siano antichi tutti quei libri? Avresti dovuto vederli! Ti interessano, vero? Mi… Mi hai ascoltato senza prendermi in giro, per tutto il tempo…”

In fretta, le sue dita si uniscono, come se le battesse, senza un suono, e sorride, inquietante. C'è qualcosa che non comprendo, nei suoi occhi. “Oh, si… Sarebbe splendido, poterli vedere, Reim-kun… Non è che devi tornare lì? Magari questa volta, Lord Gyre sarebbe disponibile per ringraziarti personalmente per aver passato un giorno con i suoi libriccini, e per averli coccolati e accuditi…”
Reim-kun ama i suoi libri come se fossero una donna~ Reim-kun è strano~

E in quel momento capisco. Non mi ascoltava perché interessato alla mia giornata. Mi ascoltava per Gyre. Il perché lo ignoro, ma gli interessava lui.
Avrei dovuto immaginare, Xerx non ha mai mostrato interesse nei libri, e meno ancora ne ha mostrato per quello che avessi da raccontare. 

Non è vero, lo so. Lo penso solo perché… Sono arrabbiato.
Perché sono arrabbiato? Perché mi irrita che non sia interessato a quello che faccio? Forse perché per me, oggi è stata una bellissima giornata, forse perché…

Che importa? Gli lancio un’occhiata, mentre sembra completamente dimentico di me, e continua a mangiare caramelle. Impunito mi viene da pensare, ma alla fine tiro fuori i miei appunti dalla valigetta e li metto sulla scrivania. Ignorandolo, andrà via appena avrà finito le caramelle. 

“Non hai risposto alla mia domanda, Reim-kun…” Già, la sua stupida domanda. Ma quando mi volto per chiedergli di lasciarmi lavorare, non lo trovo sul letto. Perché è lì, a un passo dal mio viso, piegato in un modo che sfida le leggi della fisica, che mi guarda, e mi sorride. E sento di nuovo quella sensazione strana. Di colpo, sento qualcosa rimescolarsi nello stomaco, e mi costringo a deglutire, anche perché ho la bocca secca.

“L-la tua do-domanda…?”

“Ma si, Reim-kun… Mi porterai con te, la prossima volta che andrai a consultare un periodico nel Corridoio dell’Aquila della biblioteca dei Gyre…?”

I dettagli delle sue parole mi fanno appena sgranare gli occhi. “A-allora hai ascoltato quello che ho detto…? Credevo che… Fossi interessato solo al padrone della biblioteca… No, comunque, Xerx, non posso portarti con me.” Ti vedo sorridere, mentre scegli di ignorare le mie parole. 

“Oh, Reim-kun, così mi offendi. Io ascolto sempre quello che dici!”

Dopo tanti anni che ti conosco, mi sorprendo ancora di come quell’uomo riservato, schivo e un po’ scorbutico che le Rainsworth nascosero in casa loro per tutto quel tempo, sia potuto diventare l’insistente e fastidioso Pierrot che ho davanti al momento. Sto per dirtelo, sperando di cogliere nel segno e farti allontanare, ma tu ti avvicini ancora, e sento il tuo respiro a pochi centimetri dal mio orecchio, e io sento di avere il viso caldo, e lo stomaco completamente in subbuglio. E so perfettamente di aver appena capitolato. 

“Allora” bisbigli “Mi ci porterai…?”

“T-ti ci porterò.”






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Capitolo 11
*** Lancette ***


Lancette
 
 
Ricordo ancora con estrema chiarezza il viso abbronzato e segnato dall’inflessibile scorrere del tempo dello stalliere dei Sinclair. Era un uomo semplice, burbero, dalla risposta sempre pronta. Più di una volta mi aveva mandato al diavolo, quando gli ero finito tra i piedi o avevo rubato una fetta di pane dalla sua dispensa per il desiderio infantile di provare l’eccitazione di mettermi nei guai e trovare un modo per farla franca. E tuttavia, in quegli occhi azzurri, saggi e incontaminati dai vizi più oscuri del mondo, il mio cuore di bambino trovava in qualche modo un appiglio rassicurante. Non ho mai capito come riuscisse a leggermi dentro, il vecchio Thorney, ma aveva la sorprendente capacità di indovinare sempre la ragione dei miei scatti stizziti e furiosi. Odiavo non avere il bell’aspetto e i modi eleganti di Rowley. Odiavo che il Maestro lo preferisse a me. Odiavo che le mie dita venissero sferzate per ogni errore. Non ero stato io a scegliere la mia nascita, la mia famiglia, il sangue imperfetto che mi scorreva nelle vene. Ma volevo essere scelto. Ero disposto a sacrificare qualsiasi cosa –il mio sonno, la mia giovinezza, la mia dignità- pur di diventare il cavaliere del signorino. E ci sarei riuscito. “Il sole impiega un giorno a far nascere l’aurora”, mi ripeteva allora il vecchio, con quel suo modo divertito di guardarmi inforcare il fieno come se fosse stato il mio peggior nemico.
 
Lascio scattare la maniglia di bronzo, chiudendomi alle spalle la porta d’ingresso di villa Rainsworth, mentre un sorriso si tramuta presto in una risata, e la mia mano si insinua tra i capelli, scostandoli dall’occhio che nascondono, soltanto per un istante. Sarei davvero dovuto arrivare a quest’età per capire che cosa volessero dire quelle parole? Sarei davvero dovuto arrivare a quest’età per imparare a conoscere la pazienza? Inclino la testa, e mi ritrovo a essere osservato dal mio stesso sguardo, riflesso su uno dei lunghi specchi del corridoio principale, la pesante cornice dorata minuziosamente intagliata. Mi rivolgo un cenno e mi sorprendo nel vedermi rimandare indietro un’occhiata brillante, dolce, illuminata da una nostalgia opaca ma affettuosa.
 
“Il sole impiega un giorno a far nascere l’aurora”, mi sussurro, sorridendomi, e noto il tremito di pura gioia ed eccitazione che attraversa il mio sguardo. Reim è riuscito là dove Annalie non ha riportato che un magro successo. Allungo la mano verso il mio riflesso, finché la mia immagine non sfiora i miei polpastrelli, e l’uomo nello specchio non si fonde con me, diventando me, sdoppiato in due realtà. Chissà se, al di là dello specchio, ho percorso un’altra strada. Chissà dove sono arrivato. Chissà che genere di persona sono diventato. Sospiro. La sola cosa che conta, qui e adesso, è che Reim ha creato una nuova possibilità, un nuovo filo da seguire. Avrei dovuto ringraziarlo, ma ciò avrebbe significato spiegargli perché, oggi, sono così di buon umore. E l’uomo nello specchio mi osserva, silenzioso e curioso. No. No, non ho intenzione di raccontargli la verità. Allontano le dita dalla superficie fredda, deciso a rimanere nella mia realtà. Una realtà in cui voglio che Reim viva, e in cui non voglio che esistano pericoli per lui, né per ojou-sama. La mia storia appartiene a me solo.
 
Mi rimetto in cammino. Credo di aver voglia di un bicchiere di whiskey. Ho ormai appurato di essere incapace di provare l’ebbrezza che fa sì che Oscar-sama inizi a raccontarmi i dettagli più intimi della sua vita privata, ma non si sa mai. Magari stavolta potrei riuscire anche io a sentire qualcosa. Credo che un leggero fremito potrebbe bastarmi. Immagino che sia una sensazione dolce, come farsi cullare al seno di una madre, mentre il mondo si allontana, e nulla riesce a penetrare quel minuto ovattato durante il quale conta solo l’istante che si vive. Sorrido, scuotendo la testa. Ah, come corrono i miei pensieri, oggi. Non è forse vero che la maggior parte delle volte in cui si ubriaca, Oscar-sama dimentica la metà delle informazioni che mi ha rivelato? Premo le dita sul legno massiccio, aprendo la porta della Sala dei Lumi, e faccio schioccare la lingua. Non mi piacerebbe dimenticarmi di qualcosa che ho vissuto, in fin dei conti.
Sbatto le palpebre un paio di volte, lasciando che gli occhi si abituino all’oscurità. Rimango immobile per qualche secondo, poi mi addentro nella sala buia, osservando sul pavimento l’ombra bianca della grande finestra centrale. Dev’esserci una splendida, luminosa luna piena stanotte, per riuscire a dipingere sul tappeto una cornice così nitida. Sollevo lo sguardo, e mi fermo, sorpreso.
 
“Ojou-sama…?”
 
Attendo la sua risposta, ma la mia esile padroncina non si muove. Sono ancora troppo lontano perché questo mio occhio stanco riesca a distinguere i dettagli della sua persona, ma quando mi avvicino non riesco a impedirmi di sorridere. Si è addormentata, con una mantellina leggera sulle spalle e un libro appoggiato al suo petto, i capelli sciolti e morbidi che donano un lieve colore alle guance pallide. Prenderà freddo, così. Dovrei svegliarla. Ma la luce della luna le sta accarezzando le labbra, e la mia mano rimane ferma, a mezz’aria. Che cosa…? Distolgo lo sguardo, concentrando i pensieri e la mia attenzione sul libro che ojou-sama tiene stretto. Lentamente, il più delicatamente possibile, lo sottraggo alla presa leggera e addormentata delle sue dita sottili.
 
Lo scettro di alabastro, volume terzo”.
 
Chissà perché, ma ogni fibra del mio corpo prova repulsione nei confronti di questo romanzo. Mi basta sfregare le dita sulla copertina ruvida per essere più che certo del contenuto altamente sdolcinato di queste pagine. Non riesco a impedirmi di lanciare un’occhiata veloce alla mia ojou-sama addormentata. Mi domando seriamente come possano piacervi sciocchezze simili. Mi chiedo come possiate lasciarvi ingannare dalle belle parole di un autore… Ah, no, è un’autrice… Comunque sia, di una scrittrice che avrà sì e no pochi anni più di voi, e si diverte a giocare col vostro cuore, a raccontarvi di un amore che non esiste se non nelle favole. E’ meglio non avere a che fare con l’amore, credetemi. E’ semplicemente un pugnale crudele, ojou-sama, e così infimo da attendere il giorno in cui sarete disposta a dare la vita per qualcuno, soltanto per portarvelo via. Sospiro, e premo l’indice sulle pagine, lasciando che si aprano per me, per mostrarmi in quale modo subdolo sono riuscite a catturare la vostra attenzione.
 
“Fu così che Siegfried lasciò cadere il pugnale ai propri piedi e si inginocchiò di fronte a Rosanne. Non sarebbe mai, mai riuscito a portare a termine quella missione. Che cos’era la sabbia dorata del proprio regno, il sorriso dei suoi sudditi, le monete sonanti negli scrigni del palazzo reale, paragonati allo sguardo di quella donna? Più di una volta le sue labbra avevano pronunciato parole d’amore per lui. Più di una volta gli avevano confidato i più intimi segreti del suo cuore. Con quale coraggio, adesso, avrebbe dovuto ucciderla?
‘Alzati, Sief, te ne prego…’, mormorò dolcemente la fanciulla, mentre gli occhi d’ambra percorrevano, spaventati, la breve distanza tra la lama affilata e la mano dell’uomo. Eppure, c’era in quelle sue parole un tono che sembrava rivelare solo l’amore, e solo il perdono. Avrebbe accettato persino la morte, se avesse avuto lo sguardo di Siegfried.”
 
Scuoto la testa, e so di avere sulle labbra un ghignetto soddisfatto. Visto? Avevo ragione. Ecco qua un esempio di amore idealizzato. Chi mai sarebbe così stupido da lasciarsi ammazzare da un amante? E che razza di cavaliere accetterebbe mai di uccidere la propria amata? Sciocchezze su sciocchezze, e mentre lascio scorrere le pagine sotto al pollice, continuo a domandarmi come possano entusiasmarvi così tanto. D’un tratto, il suono piacevole della carta che viene sfogliata si interrompe, rivelando una margherita adagiata sulle parole stampate. Oh? Siete arrivata a leggere fin qua?
 
“…della propria pelle. Un calore improvviso si diffuse nel suo cuore, e tremò quando le labbra umide di Siegfried accarezzarono i suoi seni. Per la prima volta avvertì la pioggia bagnare il suo corpo. E per la prima volta la nebbia rossa scese sul mondo, facendo di loro un uomo e una donna, un’unica entità con un unico nome”.
 
“O-jou…sama…?!”.
 
Oh, questo è assurdo. Non… Perché diavolo sto arrossendo?! Oh, avanti. Nascondo il viso con la mano, posando questo stupido libro sul tavolino, e mi costringo a spostarmi, a raggiungere la finestra, a premere le guance sul vetro gelido. Che situazione ridicola. Non dovrei essere io ad arrossire. Dovrebbe… Dovrebbe essere lei! Non dovrebbe… Che accidenti di letture sono queste?! Una… Per una ragazzina, per di più! Non… Dove diavolo ha trovato un--- Non deve… Non…
 
Che cosa sto dicendo? Ricomponiti.
 
Eppure… Lei è lì. E dorme. E ha letto simili frasi. E se non è sconvolta, se non ha lanciato via quel maledetto libro, significa che non si è scandalizzata. E questo vuol dire che… Che conosce… La verità dietro quelle parole così… Sconvenienti… Ma non… Non può…
 
E’ solo una bambina…
 
E se fosse cresciuta, intanto, Kevin? La guardo, e d’improvviso la luna è troppo, troppo intima con lei, con la mia ojou-sama. D’improvviso quei baci mi infastidiscono, quelle carezze sono troppo private. Non ha il diritto di toccarla così. Non ha il diritto di fingersi un amante, e darle un piacere che non può garantirle. Lancio uno sguardo d’odio al cielo stellato, e mi avvicino alla mia padroncina, mettendomi tra lei e la finestra. Mi inginocchio ai piedi della poltrona, e percorro il suo viso così familiare con lo sguardo. Sembrate sempre più la mia signora, ojou-sama. Chiudo gli occhi, e premo la guancia sul dorso morbido della sua mano.
 
Che accidenti stai facendo?
 
Mi chiedo se…
 
Non pensarci. Non è per te, lei. Non puoi farle altro che male.
 
Mi alzo di nuovo. Devo andarmene. Devo decisamente andarmene. Sbottono lentamente la giacca della divisa, e mi piego per adagiarla delicatamente su questo corpo così minuto, così innocente, così attraente a sua insaputa. Ma adesso sono… Sono troppo vicino, dannazione. Sono… Riesco a sentire il suo profumo… Il profumo di gelsomino dei suoi capelli…
 
“Sharon… Smetti…”
 
Smetti di attrarmi. Smettila, ti prego. Il sapore della tua pelle è così dolce, così proibito… Così assuefacente che mentre allontano le labbra dal collo candido su cui ho impresso questo mio bacio impuro, cento dita crudeli affondano le unghie dentro il mio cuore.
Smettila.
Devo allontanarmi.
O sarà troppo tardi per tornare indietro.





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Capitolo 12
*** Il sapore del miele ***


Il sapore del miele
 
 
 
Dopo la Tragedia di Sablier, tra le famiglie nobili dell’epoca si diffuse la teoria secondo la quale il motivo per cui l’Eroe avesse scelto le famiglie Barma e Rainsworth come Custodi delle Chiavi dei Cancelli dell’Abisso fosse per contrastare gli asti frequenti tra il proprio casato e quello dei Nightray. Come due poli neutri, il loro compito era quello di rendere la collaborazione stabile. Voleva che il patto durasse, e ha scelto loro. La famiglia Rainsworth, tra l’altro, vanta una storia di assoluta neutralità in ognuna delle battaglie e delle guerre di conquista narrate nei manuali di storia e araldica. Ha mantenuto prestigio e fortuna con la diplomazia, non con le armi.
E questo solo grazie alle sue donne.
 
E’ per questo che nei saloni di villa Rainsworth non ci sono rappresentazioni violente, né armi appese alle pareti. E’ per questo che le statue che accolgono gli ospiti ai lati del grande cancello in fondo al viale alberato, raffigurano la Saggezza e l’Arte. Nessun leone in posizione d’attacco, nessun mostro gotico. Le duchesse Rainsworth sanno che le guerre si combattono con le armi, ma si vincono col cervello.
 
Sono cresciuta qui, circondata da giardini fioriti e profumi deliziosi. Mi è stato concesso di giocare come qualsiasi altra bambina a patto che fossi consapevole dei miei doveri. Sarei diventata una duchessa, e la cerimonia della maggiore età avrebbe sancito il passaggio nel mondo degli adulti. Per questo, tutto della mia istruzione era finalizzato alla perfezione.
Certo, se avessi saputo che a un soffio dalla cerimonia sarei rimasta intrappolata nel corpo di una bambina, avrei certamente evitato di prendere tutte quelle lezioni di ricamo perfettamente inutile. Non avrò nessun marito a cui ricamare le iniziali sulla giacca.
 
“Quindi, Alice-chan… Hai capito, adesso, perché la giovane serva Annette non poteva fare altro che desiderare il suo ricco signore da lontano?”

“Perché era una stupida?”
 
La carrozza di Xerx-nii mi ha distratta. Col mio romanzo in grembo, devo essermi persa nei miei pensieri fuori dalla finestra. Quando mi sono voltata, Alice-chan era di nuovo concentrata sul piattino di tartine che le ho fatto portare per conquistarmi la sua attenzione. Anche se è un Chain, questa ragazza ha bisogno di educazione. E in un mondo di uomini che d’amore non sanno niente, posso aiutarla soltanto io.
 
“Devi comprendere, Alice-chan, che una giovane donna deve essere come un fiore, per un uomo. Deve essere dolce e gentile, o non conquisterà mai l’uomo che ama”
 
La vedo, finalmente, interessata a quello che dico. Mi si riempie il cuore di gioia, al pensiero che forse potrebbe diventare una signorina per bene, che potrebbe abbandonare quei modi da maschiaccio. In fondo, non è certo colpa sua. Ha vissuto con i Chain per chissà quanto tempo, e quando ha finalmente stipulato un contratto… Che imbarazzo. E’ necessario il sangue del Contraente Illegale perché il contratto sia valido, ma… C’era proprio bisogno di ottenerlo in quel modo? La guardo, così ingenua, e un po’ la invidio. E’ gelosa di Oz-kun perché prova qualcosa per lui, ed è libera di esprimere i suoi sentimenti. Sarebbe bello, se tutti potessero essere così liberi.
 
“… Una signorina ha delle armi, Alice-chan, per conquistare l’amore della persona che ha impegnato il suo cuore.”
 
“Ancora con questo “amore”? Ma perché è così importante? E che armi possono servirmi? Oz-kun è già mio! E’ il mio servo, ha accettato di darmi tutto nel momento in cui ha stipulato con me il Contratto! Ve l’ho già detto, quel bac—“
 
“Quel fatto non è mai successo, Alice-chan! Non era un vero… Fatto. Ti insegnerò a ricominciare da capo, e a essere una signorina come piacciono a Oz-kun, fidati di Sharon-oneesama!”
 
Di nuovo quel guizzo di interesse nei suoi occhi. Ho fatto centro. E’ stata una vera fortuna che Xerx-nii portasse Oz-kun e Gilbert-kun alla Pandora, è un’occasione che non devo sprecare. Così le indico quelle belle scatole, e lei le guarda. Ma non è ancora abbastanza interessata.
 
Queste sono le armi che servono a una signorina. La femminilità, Alice-chan. Devi imparare a essere più femminile” Le mostro finalmente il mio tesoro. La nuova biancheria arrivata da oltremare, prendo una camiciola di seta e la spiego davanti ai suoi occhi. “Questa è l’ultima moda! Dovresti provare una di queste. E anche un bell’abito vaporoso!” La vedo guardare i suoi abiti e mi affretto a rispondere alla sua curiosità prima che si tramuti in parole.
 
“Quelli non sono veri abiti da signorina. Una signorina indossa il bustino, stretto in vita, e anche la crinolina, perché la gonna sia più ampia, e—“

“Ma con quel coso stretto sulla pancia non potrei mangiare tutta la carne che voglio! Non voglio certo somigliare a sua sorella, io!”
 
Ho gli occhi sgranati. O, meglio, devo averli per forza, perché Alice torna sui suoi passi istantaneamente, e borbotta qualcosa che non ho voglia di sentire. Le passo una camiciola senza guardarla, e le indico la porta in fondo alla stanza. “Indossa questa, e… Prendi anche quest’abito. Indossali, la tua onee-sama ti garantisce che sarai deliziosa! Ogni signorina indossa abiti alla moda, e prima o poi Oz-kun potrebbe trovarli interessanti, indosso a qualcun’altra…”

Finalmente ti ho convinta. Lo vedo dal passo deciso che hai e dal modo in cui chiudi la porta alle tue spalle. Un punto per la grazia delle Rainsworth. In fondo, non si può negare che questi pizzi sono squisiti, e che queste stoffe così delicate.
Me ne occorreranno di migliori, se voglio vincere il premio alla festa della Pandora. L’anno scorso non ho potuto nemmeno partecipare, e il premio è andato alla nipote del Marchese Quinsey.
Appena sarà reso noto il tema della festa, progetterò l’abito e sarà il migliore.
 
Il mio riflesso alla finestra è sempre più nitido, e il cielo oltre il vetro sempre più scuro.
 
“Non è possibile correre con questo vestito addosso, la gonna è troppo lunga, e mi si infila tra le gambe!”
 
Mi ritrovo a ridere prima ancora di essermi nascosta la bocca con la mano. Alice-chan è assolutamente fuori da ogni controllo, ma quell’abito la rende così diversa.
 
“Sei splendida! Sapevo che ti sarebbe andato bene! Adesso devi imparare a camminare, però. Non bisogna certo correre, con abiti così vaporosi. E poi, una signorina non corre mai, perché non ne ha motivo, Alice-chan”

“E se c’è della carne e quella stupida testa d’alga me la sta portando via?”
 
“N—non si corre, Alice-chan.”
 
Il mio sesto senso mi dice che con Alice-chan dovrò passare alle maniere forti. Per cui mi avvicino e le prendo una mano, come farebbe un uomo, per invitarla a danzare, e mi avvicino, come dovrebbe fare un uomo, per iniziare una danza.
 
“La danza è il modo migliore per unire i cuori di due persone. Danzando si sta vicini, e si può guardare negli occhi l’altra persona. E’ un momento magico, danzare con la persona che ti piace…”
 
“Tu hai danzato con la persona che ti piace?”


Quando l’unico argomento di discussione era come tirar fuori Oz-kun dall’Abisso, lessi un libro. Era un manuale illustrato da un artista straniero, con i passi di danza alla moda. Provai a far sapere del mio interesse per la danza, ma…
 
“Non ancora, Alice-chan… Ma parliamo di te. A volte scocca la scintilla, durante una danza” Ti vedo confusa, e sorrido. “La scintilla dell’amore, è ovvio! E quando la scintilla è scoccata, chi può dire cosa potrebbe succedere…”
 
E’ richiesto dal galateo che una signorina per bene impari a danzare già da piccola, sebbene non le sia permesso partecipare alle danze. Mia madre mi ha insegnato il valzer, definendolo melodia che risuona col cuore, e ho sempre immaginato che fosse perché la musica riusciva a entrare dentro, ma poi… I miei pensieri mi distraggono troppo, e non mi accorgo che l’interesse di Alice-chan scema pian piano.
 
“Non è bene che uomini e donne trascorrano il loro tempo insieme” Si, so perfettamente a cosa stai pensando. E si, il tempo che Oz-kun trascorre con Alice-chan non segue nessuna regola di comportamento. “E la danza… E’ un momento magico, perché…”


Sento che non hai compreso completamente quello che sto cercando di dirti.
Come posso spiegare che la danza è l’unico momento in cui poter stare a contatto con il proprio cavaliere, sentire il calore della sua mano sulla schiena, e… Come posso spiegare ad Alice-chan che due corpi non danzano, se non sono così vicini da diventare uno?
Se penso che ho un abito da ballo, mai indossato, nell’armadio, per il giorno in cui avrei potuto sentire la sua mano stringere la mia e portarmi al centro della sala, mi sento quasi una sciocca, perché per quante frecciatine abbia provato a lanciargli in questi anni, quel testone non mi ha mai invitata a danzare.
 
“Troppe regole. Io posso fare ciò che voglio con Oz, dal momento che è mio!”
 
Mi ritrovo a ridere. Ho perso questa battaglia, e ti faccio volteggiare fino alla finestra; lì fingo un inchino, e torno a sedermi sul mio divanetto.“Ai gran balli capita spesso che due persone che si piacciono finiscano con… Lo stare vicini, e il cuore delle signorine finisce sempre per esplodere di gioia, quando ricevono un delicato bacio sulla guancia dai loro cavalieri…”
 
“E’ così importante, baciarsi?”
 
“Certo che sì! E’ importantissimo, e per questo merita tanta attenzione, non è un passo che va fatto alla leggera!”
 
“Ma io e Oz… “ Devo aver avuto un’espressione talmente seria da costringerti a cambiar frase. “Come funziona, questo bacio?“
 
“E’ una magia sottile tra un uomo e una donna. L’uomo deve abbracciare la propria signorina, e tenere il suo viso almeno con una mano, come una carezza, e poi si chiudono gli occhi, e allora…”

Gli occhi li ho chiusi anche io, immaginando per un attimo il profumo di biscotti di cui ormai i suoi vestiti sono pregni, e quando li riapro il mio cuore batte più forte, ma Alice-chan non è per niente sognante come avrebbe dovuto essere.
 
“Si, ma… Com’è? Di che sa, quando non serve a un Contratto?”
 
Le mie certezze, in quel momento, vacillano. “Ho letto tantissimi romanzi in cui i protagonisti… Beh, ho letto alcuni romanzi in cui i protagonisti coronano il loro sogno d’amore con un bacio. E un bacio sa di rose e di primavera, e se dato alla persona del cuore, sa di tutta la felicità del mondo. Si sentono le campane, certe volte, mentre spesso si hanno le farfalle nello stomaco!”
 
“Farfalle? Ma è disgustoso!”
 
Rido. Forse l’immagine non è così romantica per Alice-chan, ma la sensazione sì che lo è. E’ la sensazione più romantica che si possa provare, immaginare che lui mi si avvicina, complimentandosi per come mi stanno bene i capelli quella sera, e mi sorride, in quel modo così insolito. E’ semplicemente perfetto, pensare a quanto vicini sono i nostri visi, e a quanto devono essere rosse ormai le guance. Mi sembra di poterle vedere, le farfalle.
 
“Oh no, Alice-chan, sono il preludio dell’amore vero e proprio. E’ il cuore che si agita, perché abbiamo vicino qualcuno di importante”
 
“Voi cos’avete provato, onee-sama?”
 
I-io?!
Io ho provato a non arrossire, immaginando il momento in cui mi avrebbe preso le mani e le avrebbe baciate. Non come il galateo impone, ma toccandole davvero con le labbra. Ma ormai riesco a distinguere nettamente che i battiti del mio cuore sono aumentati.
 
“Io ho letto tutto sull’argomento, Alice-chan. Non occorre che si provi una sensazione, per conoscerla. Posso insegnarti tutto, se avrai voglia di imparare”
 
Storce le labbra, probabilmente non convinta delle mie parole. Ma in fondo so di aver ragione.
 
“Quindi non avete mai baciato nessuno, onee-sama… Ma chi bacereste?”
 
“… Sicuramente, un principe bello come il Visconte di Pommern, o un avventuriero affascinante come il Mercante di spezie che ha viaggiato in Oriente, o—“
 
“Ma qualcuno di carne? Come Oz?”
 
La buona educazione impone a una signorina di non mostrare mai le proprie emozioni in pubblico. Per questo mi è stato insegnato a sorridere anche quando sono triste, o a parlare poco e ascoltare tanto. In questo momento, la nonna mi rimprovererebbe per il modo assolutamente poco elegante con cui mi sto mordendo le labbra.
Sto per rispondere che non è una domanda da farsi, e che non dovrebbe farla, nei salotti dell’alta società, quando Milly entra in salotto con un biglietto. Salvata da un messaggio. Che porta il sigillo della Pandora. Lo spezzo, sentendomi ormai al sicuro da Alice-chan, e apro il biglietto. Poche righe mi avvisano che i Quattro Duchi hanno fissato una riunione a cui parteciperanno i principali Contraenti di Pandora. Niente di importante, ma rileggo almeno altre due volte, per assicurarmi che quella domanda sia ormai morta nel silenzio.
 
“Rispondete che accettate solo se ci sarà quella deliziosa red velvet dell’altra volta, ojou-sama…”
 
Quando—? Non mi sono nemmeno accorta che fosse rientrato, non ho sentito la carrozza, non l’ho visto passare. Ho soltanto sentito la sua voce appena oltre la mia spalla, troppo vicina perché potessi evitare di trasalire. Sembra quasi che sia saltato fuori dal nulla, richiamato dalla mia mente, proprio in questo momento. Sento le guance calde, segno di essere diventata troppo rossa per negarlo. Spero solo che non comprenda che era lui il protagonista dei miei pensieri…
Ho appena il tempo di sollevare lo sguardo e già non è più lì, ha preso posto accanto alla finestra, con un biscotto in mano e il suo solito sguardo divertito. Dovrei impedirgli di entrare così di soppiatto. Cerco Alice-chan con lo sguardo, e devo essere molto contrariata nel vederla seduta così scomposta, perché lo sento ridere, mentre lei mi guarda, con gli occhi fissi e speranzosi, un sorriso sulle labbra, interessata come ho sperato di vederla per tutto il pomeriggio. Come se… Aspettasse ancora una risposta. In trappola, lascio il biglietto sul divanetto e mi alzo, raccogliendo il libro che ha fatto cadere per terra, e mi congedo, oltrepassando la porta in fondo alla stanza.
Lì trovo i vestiti di Alice-chan, in terra, e sospiro, rendendomi conto di aver tenuto il segno tra le pagine di quel romanzo. Lo riapro, distratta.
 
«…In quel momento, la sua mano percorse le gote di lei, mentre i suoi occhi sembravano due laghi pieni di amore. Quell’amore che lei aveva cercato per anni, e che adesso, le sue labbra sembravano pronte a donarle, sfiorando le proprie»
 
Nei miei pensieri, le sue mani sono ancora nelle mie, ma fallisco ugualmente il tentativo di non arrossire, avvampando mentre immagino che quelle labbra possano interessarsi a qualcosa di diverso delle mie dita, e lo sguardo possa focalizzarsi sul mio viso, e allora… Sentirei anche io le campane a festa, e avrei le farfalle nello stomaco. E il sapore del miele in bocca.




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Capitolo 13
*** Arpeggiando ***


{Nota delle Autrici. Salve a tutti, fedeli, appassionati, e casuali viaggiatori. Qualsiasi sia la ragione per cui siete arrivati fin qui, vi ringraziamo dal profondo del cuore per essere (ancora) con noi.
"Perché una nota introduttiva?", vi domanderete. "Che la storia stia finalmente giungendo al termine?".
No. 
Neanche per idea.
Siamo appena all'inizio.
Tuttavia, abbiamo pensato di utilizzare questo spazietto per fornire una semplice precisazione a coloro di voi che ci seguono da tempo, e possono non aver notato la legenda dei colori di questa storia, collocata nel primo capitolo. Vi invitiamo a spendere pochi secondi del vostro tempo per leggerla, o quel che seguirà potrebbe non avere più un senso.
Tutto il nostro amore,
Arte & Amore
}

 

 

Arpeggiando



“Non sono un bambino, sai?”
 
Il tuo sguardo canzonatorio mi trafigge, e sento ogni muscolo irrigidirsi, le mani ancora a mezz’aria, congelate nell’atto di posare la mia giacca sul tuo corpo ancora debole. Non volevo che prendessi freddo. Non volevo che ti ammalassi. Hai ancora la febbre e non—Oh, accidenti alle mie premure! Ti meriteresti uno stivale in piena faccia, altro che attenzioni.
 
“Sto bene. Tu, piuttosto, hai una pessima cera…”
 
Oh, certo. Come se potessi vedermi. Non mi prendo nemmeno la briga di risponderti: mi limito a tornare al mio posto, sedendomi di fronte a te. Questi cuscini scarlatti sono così comodi, così morbidi, che mi sfugge un lieve sorriso. D’un tratto capisco perché non perdi occasione di infilarti in una di queste carrozze. Quest’attutito, pigro dondolio è piacevole. Lascio che il mio sguardo, di minuto in minuto sempre più letargico, vaghi e si soffermi brevemente sui dettagli della campagna che stiamo attraversando, immortalata in effimeri, fuggevoli quadri dalla grande cornice del vetro leggero dei finestrini. Un campo. Un casolare. Un mulino. Due cani che corrono allegramente e abbaiano. Per fortuna il tempo sembra essere promettente. Sarebbe stato fastidioso viaggiare con la pioggia. L’aria è già abbastanza fredda senza ulteriore umidità. Un brivido improvviso mi percorre nel momento in cui la mia attenzione si sofferma concretamente su quel pensiero, e per un attimo guardo con infinito rimpianto la giacca che ho ceduto a te.
 
A te che non la stai neanche apprezzando. Non hai nemmeno fatto lo sforzo di tirartela addosso. Sospiro. Non sarai un bambino, Xerx, ma per trattare con te c’è bisogno della stessa pazienza che serve con i ragazzini, credimi. Allontano gli occhiali dal viso, cercando velocemente il mio fazzoletto nella tasca dei pantaloni, e mentre le dita puliscono le lenti con movimenti che non ho ormai più bisogno di seguire con lo sguardo, lascio che i miei occhi siano per te. Solo per te –mi ritrovo a pensare - e scaccio quel sussurro inappropriato dalla mente. Sono in questa carrozza per vegliare su di te, non per…
 
Sobbalzo all’improvviso. Le ruote a sinistra della carrozza devono aver incontrato un sasso sul sentiero. Dubito che l’impatto sia stato così violento come la mia reazione – d’altra parte, tu non ti sei nemmeno svegliato – e mi ritrovo ad arrossire. Mi vergogno. Trasalire in quel modo… Perché mi sono sentito… Colto in flagrante...? Distolgo velocemente lo sguardo, ma so che non può durare. Lo sento.
 
E infatti, eccomi di nuovo qui, con gli occhi prima sulle tue labbra, poi su quelle tue clavicole così indecentemente scoperte. Hai rifiutato tassativamente il cache-col, e non ho avuto cuore di importelo. Così come non ho potuto vietarti di sbottonare almeno il colletto della camicia. Sospiro ancora. Credo di invidiarti. Farei volentieri a meno delle costrizioni anche io. Tuttavia… In fondo siamo soli, in questa carrozza. Credo che potrei…
 
Sbottono i guanti sul polso e li sfilo lentamente. Le mie dita sono finalmente libere. Sorrido, le porto di fronte a me, premo l’aria secondo i tasti leggeri, lisci, lascivi del pianoforte della mia mente. E’ questa la libertà, non è vero? Ti guardo, Xerx, e ti sorrido. Ti prenderesti gioco di me se mi vedessi suonare la mia anima. Eppure… A me basta questo, per sentirmi vivo. Lego l’aria fresca intorno alle mie dita, finché il filo rosso della mia immaginazione non appare, collegandomi a te. Guardo la mia mano sollevata fingere di percorrere piano il tuo viso, indugiare sulle tue labbra, scendere sul tuo petto. Lì, premerei il mio palmo contro il tuo cuore. Mi domando che sensazione dia toccare la tua pelle senza che la stoffa dei guanti mi tenga separato da te, preservando la mia individualità. Che sapore avrebbe il tuo corpo sotto le mie dita? Sentirei le tue vene pulsare sotto i miei polpastrelli, emozionandosi? Mi basterebbe un contatto. Un solo, lieve, fugace contatto.

 
 
 
“Ehi, Reim-kun?”. Hai un sorriso strano, stanotte, Xerx. Guardi fuori dalla finestra della mia stanza senza riuscire davvero a contemplare le stelle. Poso la penna sulla carta intestata dei documenti di approvazione delle nuove candidature per la Sezione Scientifica. Qualcosa nel tuo tono ha attirato la mia attenzione. Una nota, forse, di…
 
“Ehi, Reim-kun. Com’è stato, morire?”
 
…profondo dolore…
 
 
 
Sbatto le palpebre, ritraggo le dita, e torno con la mente al presente, a quel lungo viaggio in carrozza che ci condurrà di nuovo a villa Rainsworth. Ti guardo, fulminato da quel ricordo improvviso, e sento il mio cuore agitarsi nel petto.
 
Terrore.
 
Ogni fibra del mio corpo mi spinge a sollevarmi, a raggiungerti, a toccare la tua pelle con la punta delle dita almeno una volta, prima che sia troppo tardi. Ma non mi muovo, gli occhi spalancati, sovrastato da un’angoscia troppo più grande di me. Ti guardo mentre finalmente ti decidi a coprirti con la mia giacca, ancora profondamente addormentato, profondamente stanco, e noto le tue dita stringere la stoffa come se si stessero aggrappando ad essa.
 
Che anche tu abbia paura, amico mio?
 
I miei occhi si soffermano sui lividi sul tuo volto, e sulla tua mano. Senza che riesca a evitarlo, la mia mente corre di nuovo a quegli istanti di infinito, straziante dolore, durante i quali ho pensato di averti perso per sempre. Nascondo la bocca con la mano, impedendomi di parlare, impedendomi di sentirmi male. Che cosa avrei fatto, se tu fossi morto, Xerx?
 
Chiudo gli occhi, trattenendo le mie lacrime, senza riuscire tuttavia a soffocare il mio senso di colpa. Non posso fare a meno di pensare che forse… Se allora avessi prestato più attenzione… Avrei potuto evitare tutto questo…

 
 
 
Giuro sul mio onore che la prossima volta presenterò un reclamo ufficiale a Oscar-sama. Non mi importa che Kyle sia “un amico di famiglia” o “un bravo scribacchino”. Rovesciare un’intera boccetta d’inchiostro è imperdonabile. Ha vanificato il lavoro di giorni—che dico?! Di settimane! Tre interi fogli—Ah, per non parlare poi della carta! Non ha idea di quanto abbia pagato quella carta, e di tasca mia! Ah, ma il ragazzo non ha ancora uno stipendio, nossignore. E non può –ovviamente!- ripagarla! Oh, certo. E intanto sarò io  a dover fare gli straordinari, e cercare di ricordare tutti i dati del rapporto Clarger.
 
Sospiro, e cerco di allentare la tensione delle labbra. Sto stringendo i denti troppo forte. Se non mi calmo mi verrà un mal di testa, giusto per concludere in bellezza questa serata. Fisso la moquet del corridoio e accelero il passo, bramando ardentemente la mia camera, il mio letto, e il silenzio. Ma quando, finalmente, raggiungo la mia porta, uno scintillio dorato attira la mia attenzione. Sollevo lo sguardo, e incontro il sorriso di Vincent-sama.
 
“Buonasera, Lunettes-san…”
 
I suoi occhi…  I suoi occhi mi fissano… Qualcosa… Mi mette a disagio…
 
“Ti è piaciuta la biblioteca dei Gyre?”




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Capitolo 14
*** Sfalsato ***


Sfalsato
 
 

Mi sento stanco.
 
Percorro lentamente il corridoio del secondo piano. Un passo dopo l’altro, un piede dopo l’altro, lo sguardo sulla moquet. Devo arrivare alle scale. Devo raggiungere l’uscita. Devo tornare a casa, e chiudermi in camera. Non voglio che—
 
Troppo tardi. Le pareti spariscono, e il mondo ruota, ruota troppo in fretta. Chiudo gli occhi, appoggio la schiena al muro, copro la mia bocca con la mano.
 
Avanti. Avanti, respira. Non puoi svenire alla Pandora. Non puoi.
 
Sento le orecchie fischiare, e quel buio doloroso penetrarmi le tempie, insinuarsi nella mia mente. E’ un’oscurità gelida, che mi afferra il cuore con dita graffianti, e mi spezza il fiato. Non voglio… Cedere… Non qui…
 
 
Mani.
 
Mia… Signora…
 
Sei solo un ragazzino.
 
“Giochiamo alle signorine, nii-san!”
 
Sangue.
 
Bianco.
 
“Kevin… Non andartene…”
 
 
Sussulto. Dove sono? Chi sono?
Sono io.
Io.
Lentamente, “Io” ha un corpo. Lentamente, “Io” ha delle dita. Delle dita che premono… Su qualcosa di morbido. Su… Della stoffa, forse? Oh. “Io” respira. “Io” è vivo. Dov’è “Io”?
 
Apro gli occhi. Sto fissando un soffitto. Un soffitto?
 
Chiudo gli occhi. Respiro. Sento il cuore battere dolorosamente. La Pandora.
 
Mi metto seduto di scatto, mi guardo intorno con gli occhi spalancati. Devo essere svenuto. Stringo i denti, costringo il mio corpo a rialzarsi, utilizzando la parete più vicina come punto d’appoggio.
 
Alzati, stupido. Alzati.
 
Ho bisogno di sentire le mie dita sul viso. Ho la fronte sudata. Sospiro, mentre avverto le gambe tremare. Non voglio che succeda così. Non voglio non essere in grado di controllarlo. Non voglio morire in questo modo estenuante, giorno dopo giorno, ogni secondo un soffio di più.
 
“Buona serata, Cappellaio-san…”
 
Questa voce. Questa voce sgradevole. Separo le dita che ancora mi nascondono il volto, e incontro gli occhi di Nightray. Che diavolo vuole?
 
“Stavi andando da Lunettes-san? Se fossi in te lo lascerei riposare…”
 
Lascio ricadere la mano lungo il mio fianco, e lentamente mi metto dritto con la schiena. Perché ha nominato Reim? Socchiudo gli occhi.
 
“Quando l’ho lasciato, era così… Stanco…”
 
Lo vedo sfiorarsi distrattamente le labbra col pollice, come per ripulirsi la bocca. Un istante dopo sbadiglia, e mi sorride. Che cos--?
 
“E lo sono anche io… Sono sfiancato… Sogni d’oro, Cappellaio-san…”
 
Lo seguo con lo sguardo senza dire una parola, finché non lo vedo svoltare per raggiungere la scalinata dell’Ala Est. Sto tremando. Sento dolore. Dolore dentro al petto. Dolore alle mani. Scuoto la testa e mi rendo conto di avere le unghie conficcate nei palmi. Riapro lentamente le dita, e fisso i segni violacei sulla pelle. D’un tratto mi sento attraversare da un brividio. Un brivido di disgusto. Un brivido di profondo disprezzo. Che cosa… Che cosa gli ha fatto…? Non… No. Reim non può… Non… Volontariamente… Non… Con lui…
 
Improvvisamente il mondo ruota di nuovo, ma stavolta non ho intenzione di cedere. Nightray, puoi benissimo andare al diavolo per quanto mi riguarda. Ma non devi… Non devi osare… Sbatto il palmo contro il muro, mi allontano di scatto dalla parete. Non devi osare sporcarlo. Non devi neanche lontanamente pensare di sfiorarlo. Ti ucciderò.
 
...
 
Reim.
 
Che accidenti hai fatto?
 
Percorro velocemente il corridoio, ignorando le vertigini, oscillando da una parete all’altra per trovare un appoggio momentaneo. E’ come danzare sul ponte di una nave che sta andando alla deriva, eh, Emily?
 
Reim.
 
Perché…?
 
Chiudo gli occhi, mi fermo davanti alla sua porta. Ho bisogno di premere la fronte contro il legno, di… Stringere le dita sulla mia camicia.
 
Perché sento… Che potrei non respirare mai più? Perché mi sento… Andare in frantumi…?
 
Busso. Tre volte. Solo io busso tre volte alla tua porta. Mi aprirai, vero, Reim?
 
“Oh, sei tu…”
 
Chi altri dovrei essere?
 
“Hai… Hai bisogno di qualcosa?”
 
“Non mi inviti a entrare?”
 
Ti vedo esitare. Rifuggi il mio sguardo. Questo… Significa che è… Tutto vero…?
 
“Mettiti pure comodo… C’è… Un po’ di disordine, Xerx… Non farci caso…”, ti affretti a mormorare, spostandoti di lato per lasciarmi entrare.
 
Disordine? Inarco un sopracciglio, mentre il mio sguardo percorre la tua stanza. A me sembra tutto al solito posto. Tutto tran---
 
Il tuo letto.
 
“Stavi dormendo? Ti ho disturbato?”
 
“No, no, affatto… Stavo sistemando degli appunti. V-vuoi un the?”, mi sorridi, dandomi le spalle così in fretta da causarmi un ennesimo brivido. Adesso ne sono certo. Stai nascondendo qualcosa.
 
“Sì, grazie”.
 
Non riesco a impedire ai miei occhi di tornare a fissare quelle coperte scomposte. Quelle coperte che sembrano aver vissuto una lotta. E se, invece, avessero vissuto… Un abbraccio?
 
All’improvviso ho bisogno di sedermi, e crollo accanto al tuo tavolo, lieto che tu non possa vedermi, ancora intento a far bollire l’acqua del the. Guardo la tua schiena, il modo nervoso che hai di ciarlare di documenti, inchiostri e di uno sbadato scribacchino.
 
Non mi interessa, Reim. Non mi interessa affatto. Che cosa hai fatto? E perché…? E se lo hai… Se lo hai voluto, io…
 
No.
 
Non voglio.
 
Non voglio che sia vero.
 
Premo la guancia sulla mia mano, fisso il pavimento senza più sentire le tue parole. Che cos’è questo vortice dell’anima, questo intenso, acuto grido che mi congela il sangue nelle vene?
 
“…a soqquadro. Mi chiedo che cosa stessero cercando. Non ho niente di valore in questa camera, in fondo…”
 
Che cosa hai detto?
 
D’improvviso, le tue parole catturano di nuovo la mia attenzione. Mi stai fissando, e non me n’ero reso conto. Mi stai fissando, e i tuoi occhi sono dispiaciuti. Forse… Sono imbarazzati.
 
“Erano ladri?”
 
Ho optato per una domanda abbastanza ambigua. Non voglio rivelarti di non aver ascoltato le tue parole. Ma voglio che tu mi ripeta ciò che ti ha fatto tremare la voce un attimo fa.
 
“Te l’ho detto, non ne ho idea. So solo che qualcuno è entrato. Hanno rovistato tra i miei documenti. Quando sono entrato c’erano fogli dappertutto”.
 
Socchiudo gli occhi, mentre ti guardo prendere la teiera, e tornare da me. Versi lentamente un the scuro, dall’intenso profumo di cannella, nella mia sottile tazzina di porcellana, concentrandoti per non rovesciare neanche una goccia sul piattino.
 
“Non pensi che possa essere stato Nightray? L’ho incontrato nel corridoio…”
 
D’improvviso, la tazzina nella tua mano vacilla. Tremi. Trema. Cade a terra. S’infrange. Ti guardo avvampare, posare in fretta la teiera sul tavolo e piegarti a terra per raccogliere i minuscoli frammenti.
 
“Oh, n-no… Affatto… A-anzi… E’… E’ stato così… G-gentile… Mi… Mi ha aiutato… A rimettere tutto a posto… E… S-si è persino… Offerto per aiutarmi… Con quella ricerca dai… Dai Gyre, sai…?”
 
Sbatto le palpebre.
 
Dai Gyre…?
 
Stringo i denti, comprendendo in un istante il gioco di Nightray. Sei un bastardo. E te la farò pagare. Ma… Oh, come hai potuto? Come hai potuto trascinare lui in questa storia?
 
Mi piego per aiutare questo sciocco a raccogliere i resti della tazzina. Finalmente sento il cuore ricominciare a battere. Finalmente vedo i colori dipingere di nuovo la stanza. E… Oh, Reim. Accidenti a te. Sei un idiota. Sei un idiota fiducioso e indifeso, con questi tuoi occhi così puri, con questi tuoi occhi così terrorizzati che non osano rivelarmi i tuoi pensieri. Ti guardo, mentre le guance palesano ancora la tua vergogna per avermi dato un simile spettacolo di disordine, e scuoto la testa.
 
D’un tratto noto il livido sul tuo polso. Capisco. E sia, Nightray. La tua dichiarazione di guerra è stata accolta.
 
Allungo una mano, la poso sulle dita tremanti di Reim.
 
Non devi avere paura.




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Capitolo 15
*** Sul bel Danubio blu ***


Sul bel Danubio blu
 
La Pandora è un’Associazione che si regge sulla base delle donazioni dei Quattro Ducati. Ogni anno, secondo un ordinamento stabilito, uno dei Quattro Casati si occupa di finanziare e sostenere al meglio delle sue possibilità la Pandora. L’ultimo anno in cui toccò ai Barma, il Duca aumentò la portata della biblioteca di circa il doppio. Oscar Vessalius, lo scorso anno, si era limitato a far sparire dalla circolazione quei discutibili ritratti ai corridoi che Bernard Nightray aveva fatto appendere.
 
“Questo è l’anno delle Rainsworth.”
 
Forse l’ho detto a voce troppo alta, e ora tutte le cameriere mi guardano, ma che importa. Questo è l’anno in cui spetta a noi decidere quali provvedimenti sono più urgenti di altri, come gestire al meglio le risorse della Pandora, come provvedere a—
 
“Miss Rainsworth, azzurro o verde?”
“E’ pervinca, Madeleine, pervinca!”
 
Secondo la nonna, il segreto per amministrare gli affari come un uomo è non lasciare a intendere che ci sono cose che non saresti disposta a fare. Sto cercando di crescere, di migliorare, perché toccherà a me, tutto questo, un giorno. E voglio poter essere in grado di occuparmi di questioni come quella brutta storia di quei Chain fuori Revei—Ah!
 
“Mi dispiace, Miss! Sono mortificata! Va bene così?”
“S-si… Ancora un po’, forse…”
 
… Sedici persone attaccate e non hanno ancora trovato il Contraente che ha causato tutto quel trambusto. Chissà se Xerx-nii ne sa di più…
 
“Dov’è Break?”
“Oh, Miss, non è ancora rientrato, ma ha lasciato de—“
“Non…E’…?”
 
Ci risiamo. Se c’è di mezzo un ballo, Xerx-nii, fai di tutto per boicottarlo. Non questa volta, però. Non nell’anno delle Rainsworth. Non ho intenzione di presentarmi al Ballo della Pandora senza un cavaliere. Ti costringerò a venire anche se fossi costretto a cambiarti in carrozza!
 
~ ~ ~
 
Sapevo che sarebbe stata bellissima, ma la nonna ha davvero organizzato la Festa di Carnevale più bella di sempre. Tutto è perfetto, persino i profili di cobalto delle porcellane sono intonati ai delicati damaschi della sala da ballo della Pandora. Non l’ho mai vista così sfarzosa. Tutti ricorderanno questa festa, ne sono convinta.
 
La dama di Ernest Nightray non è la stessa della scorsa festa. E, a ben pensare, nemmeno la stessa che passeggiava per Reveille con lui la scorsa settimana. Sembra molto più grande di lui, e molto più… Beh, di certo quel corpo andrebbe mostrato con più grazia, ma né lei né il terzogenito del Duca sembrano preoccuparsi di come sia letteralmente strizzata dentro quel corpino. È così che dovrebbero essere le donne, probabilmente, per attrarre l’attenzione degli uomini…
 
Xerx-nii è sparito proprio quando la stanza si è riempita della squisita melodia degli archi e di meravigliose girandole di seta e taffettà colorata.
Certamente, ojou-sama” ha detto, quando gli ho chiesto se mi avrebbe invitata a danzare, ma avrei dovuto assicurarmi che rimanesse almeno accanto a me, come mio cavaliere.
Prendo dei dolci e torno” ha detto, quando gli ho chiesto di non andare via, ma avrei dovuto assicurarmi che non potesse scappare, e invece mi è sfuggito di nuovo.
Senza nemmeno portare i dolci.
 
Sapevo già, grazie alla nonna, che Reim-san avrebbe dovuto occuparsi della sicurezza della festa, ma ora che lo guardo, non avrebbe potuto essere diversamente: chi meglio del preciso, sicuro e affidabile Lunettes-san? Da bambino dicevi che l’unica arma per difendersi fosse la cultura, ma le cose sono cambiate, da allora. Se è necessario che otto guardie, escluso te, vigilino sui presenti, è perché il mondo non è più lo stesso posto di quando eravamo bambini, vero? Ognuno ha la propria mascherina di biscuit, ma sono tutti tenuti ad abbassarla, su richiesta. È perché tutti e quattro i Duchi sono lì, tutti e quattro mascherati e tutti e quattro scoperti? Oscar-sama ha avuto la deliziosa idea di vestirsi da… Pavone, a giudicare dal coloratissimo colletto con cui si annuncia senza parlare. È così divertente come creda davvero di non essere riconoscibile. Solo lui potrebbe essere così estroso da fare una cosa del genere, e solo lui è così biondo.
Ho rinunciato a trovare Xerx-niisan, ma non posso rimanere qui, seduta in disparte insieme a… Oh. L’anno scorso, ero in compagnia di dodici bambine, figlie dei nobili di Reveille, senza cavaliere. Quest’anno siamo solo in sette. Verrà il giorno in cui, probabilmente, ci sarò solo io.
 
No.
 
Mi alzo, non ho intenzione di pensare a cosa ho perso e a cosa non otterrò, non questa sera. Potrei chiedere a Reim-san di invitarmi a danzare, per vederlo arrossire, ma probabilmente lo disturberei soltanto dai suoi compiti, per cui raggiungerò da sola i dolci e mi servirò da sola di uno di quei pasticcini, dato che nessuno si è ancora presentato per portarmene un po’.
 
“Mi assicuri che il vino sia di quello buono…?”
“Certo, milady!”
“Ottimo, allora ne prendo due!”
 
Mi ritrovo a sorridere tra me, mentre penso che quello sia proprio un modo di fare strano. Chiunque sa che a quel genere di feste non viene certo servito del vino scadente… Ma non è certo la cosa più strana, in questo momento. Avverto qualcosa, nell’aria, che prima non c’era. Qualcosa di insolito, di… Scadente. E dozzinale. Ho già sentito quest’odore, ma non—
 
Xerxes.
 
Lui, aveva addosso lo stesso, identico, volgare profumo da donna, ecco dove ho già sentito questo odore, ma è impensabile che qui, proprio al Ballo della Pandora possa esserci quell’odore. Devo trovarlo, devo capire a chi appartiene. Ho un terribile presentimento, e se fosse come immagino, io… Io… Oh, accidenti a te, Xerx-nii, dove sei?
Non posso credere che tu… Che quell’odore appartenga a qualcuno che… Tu…
 
Passo in rassegna le donne lontane dalla zona di ballo, che chiacchierano, ridono, sventolano dei ventaglini di piume. Me ne serve una, soltanto una, ma non ho altro che un odore…
Mi sembra un’impresa troppo difficile, in mezzo a tutte quelle persone, ma poi eccolo. Dev’essermi passata accanto, perché lo sento distintamente nelle narici, acre e pungente, e finalmente riesco ad associarvi una soprana color cognac e delle piume di struzzo viola. Non mi resta che avvicinarmi. E’ un bell’abito, dopotutto, molto più raffinato di quel profumo che si porta addosso e, nel momento in cui mi avvicino abbastanza da distinguere i ricami sulla sua schiena, mi accorgo che chi lo indossa ha anche dei bei fianchi. Dei fianchi da donna, morbidi.
Non è il momento buono per distrarsi. Forse queste paure sono infondate, forse è un odore simile a quel profumo, forse dovrei lasciar perdere…
Sento la sua voce chiedere il passaggio, e faccio appena in tempo per scorgere una cascata di boccoli bruni sparire dietro una volpe e una farfalla. Sembra avere tutta l’intenzione di voler uscire dalla sala, e se così fosse, vorrebbe dire che uno dei due calici di vino che porta in mano è per qualcuno che in sala non c’è, e che l’aspetta, altrove. No, non ho il tempo per pensare che forse non c’è da preoccuparsi. Se rimanessi qui, in questa sala piena di gente e vuota dell’unica che sto cercando, sarebbe peggio, quindi sarà meglio assicurarsi che mi sbaglio.
 
Ci si rende conto della scomodità di un abito non quando lo si indossa, e nemmeno quando si danza, ma quando si cerca di non fare rumore. Queste balze sono così pesanti, e questa gonna così spessa che sono costretta a tenerla con entrambe le mani, stringendo coi denti la speranza che nessuno mi veda in questa indecorosa condizione. La nonna non approverebbe, e nemmeno io, se potessi vedermi con gli occhi di qualcun altro, ne sono certa. Ma sono stata brava, la donna dalle piume viola non mi ha notata, probabilmente perché è troppo impegnata a ridere. Quelli non devono essere gli unici due calici di vino che tocca, quella sera. Ha imboccato il secondo corridoio a destra e poi il primo a sinistra, come se conoscesse la strada…
 
Come se sapesse dove sta andando.
Come se qualcuno la stesse aspettando.
 
Oh, nessuno di estraneo alla Pandora conosce così bene questi corridoi, e questo non fa che rendermi più ansiosa. Non è proprio possibile che tu
La vedo, finalmente, fermarsi, e guardarsi intorno. Sono costretta a nascondermi dietro l’angolo, ma sento i cardini di una porta nel silenzio dei corridoi. Mi auguro che il mio cuore, che batte più forte di quel cigolio, non attiri l’attenzione. Chissà, forse è solo nella mia testa, ma mi sembra che gli sguardi dei ritratti di fronte a me mi stiano rimproverando, per quello che sto facendo. Ma ho bisogno di sapere. Lascio passare qualche minuto, per assicurarmi che non sia più in allerta, e mi affaccio. Ma ormai è sparita oltre una delle tre porte presenti, e non può più vedermi, per cui posso anche lasciare andare il mio vestito e avvicinarmi.
 
“Sala dei registri n°3”, campeggia in oro su una delle porte di legno massiccio, l’unica socchiusa. Perché una sconosciuta dovrebbe entrare nella sala dei registri, mentre c’è una festa meravigliosa nella sala da ballo? So di aver lasciato il senno in quella sala, insieme alle altre sei bambine sedute in disparte. Lo so, qualcosa dentro di me lo urla con forza. E se fosse paura di scoprire la verità…? Se non fosse senno, se avessi timore di vedere i suoi capelli, insieme a quei boccoli bruni, timore di trovare un’altra volta quell’odore sui suoi vestiti?
 
Coraggio, Sharon. Sei una Rainsworth, e le Rainsworth possono affrontare qualsiasi cosa. Ho una mano sulla maniglia quando mi fermo a pensare che potrei aver frainteso tutto. Che potrebbe non esserci niente che mi riguardi, lì dentro. Ed è con questa speranza nel cuore che scosto appena la porta. Non serve molto, appena appena, ho solo bisogno di vedere che non sia… Lui.
 
Mani fasciate da guanti da uomo, bianchi come il latte, hanno appena scostato una manica di quel vestito color cognac, scoprendo una porzione di pelle di un bel colore caldo. Una porzione che nessuno dovrebbe scoprire in pubblico. Il fruscio della stoffa che cede è suadente quasi quanto il leggerissimo sospiro che lo accompagna, e le piume della maschera, adesso non più sul volto della donna, creano un percorso immaginario che porta fino al viso di un uomo, senza maschera. Le debolissime luci accese in sala rendono fioco il colore della sua coda, di un castano ormai grigio, e riflettono la luce in un modo insolito sul panciotto, stirato al massimo delle sue capacità da quella figura non certo slanciata. Labbra rosse sul viso di lei scoprono i denti quando le dita del suo compagno le premono le guance, e lei canta, a tempo con le note distanti del valzer in sala. La festa è lontana, come pure i suoi colori. Solo bagliori dorati di damasco e mani ingorde, che profanano la seta e si insinuano, mostrando a occhi ancora più ingordi gambe così dritte da essere ingiuste. Ma non è abbastanza, sembrano dire quelle mani che accarezzano, pretendono, risalendo lungo la pelle troppo nuda…
 
Seguire quella mano mi ha restituito coscienza di cosa stessi facendo, e a cosa stessi assistendo. Troppo per le mie guance che avvampano, troppo per le mia mani che tremano, troppo per il mio cuore che… Scoppia, pieno di… Troppo.
 
Mi ritrovo di nuovo lungo il secondo corridoio senza ricordare di aver chiuso la porta, o ripreso il vestito in mano per non fare rumore. O anche solo di aver notato i ritratti lungo le pareti. Negli occhi, ho solo quelle mani, quei colori, quel.. Non è lui, e il mio cuore scoppia di gioia, ma subito la vergogna per ciò che ho fatto mi colpisce in pieno. Forse, l’unico modo per scacciarla è correre in sala, e magari prendere un po’ del vino che i camerieri in livrea nero pece continuano a servire a tutti gli ospiti della Pandora. Forse dovrei cercare Xerx-nii, ma il solo pensiero di poterlo guardare negli occhi è troppo imbarazzante, al momento.
Se lui non si fosse allontanato per nascondersi chissà dove, tutto questo non sarebbe successo.
Se lui non mi avesse lasciato da sola insieme alle bambine dell’alta società, non avrei avuto il bisogno di alzarmi e andare via.
Se lui non mi avesse ingannata promettendomi dei dolci che non sono mai arrivati, non avrei…
È tutta colpa tua, Xerxes.
 
~ ~ ~
 
Il dondolio della carrozza è così conciliante, a quest’ora della notte, e i sedili non mi sono mai sembrati così morbidi. Sento che potrei cedere al sonno che avanza sempre di più ma poi ti vedo, di fronte a me, con uno sguardo che ride molto più di quanto non facciano le tue labbra, e devo concentrare tutte le mie energie per non arrossire. Non davanti a te. Perché mentre io temevo che potessi aver trovato una compagnia migliore della mia, tu eri in terrazza, perché il suono dei violini infastidiva le tue orecchie. Non riesco a essere solidale con te, però, perché è tutta colpa tua.
 
“Ojou-sama sembra arrabbiata… Non vi siete divertita alla festa?”
 
Non ti rispondo, perché non voglio parlarti e voglio che tu lo capisca, per cui distolgo anche lo sguardo, fissando un indefinito nero oltre il finestrino della carrozza fino a che l’equilibrio non viene stravolto, e il dondolio si fa più forte per un attimo, e poi tutto torna come prima. Ma con te al mio fianco. Non ti guardo, perché non te lo meriti - e perché potrei arrossire - ma non riesco a resistere a lungo a quella tortura, così vicino a me. Mi lascio andare con la testa sulla tua spalla, senza dire una parola e, senza una parola, tu sposti la tua Emily, per me.
 
“Non ci credo, sai…?”
“A cosa, ojou-sama…?”
“Che sei stato in terrazza per tutta la sera. Non ci credo… “ Il tuo sorriso beffardo non scioglie affatto il mio broncio, che anzi è più marcato di prima. “Era pieno di bellissime dame, alcune anche troppo in mostra, come la compagna di Nightray… E tu? Non ne hai trovata nessuna che ti piacesse?”
 
Sei lì, sei accanto a me e sento che il tuo profumo dolce è sempre lo stesso, e qualcosa, oltre la voglia di farti sapere che mi hai fatto male, lasciandomi tutta da sola, ci tiene a dirmi che non dovrei dirti tutto questo, ma non riesco a fermarmi. Sento che prendi fiato, ma non voglio un’altra scusa.
 
“Magari sei andato anche tu in una sala dei registri, hai acceso poche luci e hai tolto la maschera a una bella donna…?”
“Ojou—?“
“… E magari le hai anche detto che aveva un buon profumo, mentre invece puzzava di profumo volgare?”
 
Provi a interrompermi, a bassa voce, ma nella mia immaginazione, gli eventi scorrono come un fiume.
 
“È così… Xerx-nii mi ha lasciata alla festa per andarsene anche lui in una sala dei registri. Non la terza, quella era occupata dal conte Gyre insieme alla dama con le piume viola, ma magari un’altra…? È così, Xerx-nii?”
 
Il dolore che quelle immagini nella mia testa provocano al mio cuore è reale. Solo pensare che potresti essere stato… Ti sento bisbigliare qualcosa, a un passo dal sonno, ma non distinguo che il mio nome.
 
“Sono molto stanca… Mi sembra addirittura di sentire la tua mano sui capelli…”
 
Ho gli occhi chiusi, e il tuo sussurro è una melodia che va oltre i giri di valzer che non ho avuto, e oltre i violini che risuonano ancora nella mia mente. Si mescolano alle luci dorate, alle mani avide della sala numero tre, alle dita gentili tra i miei boccoli, fino anche a sentirle su una guancia.
 
“… Ma non può essere il mio niisan… Lui non…”




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Capitolo 16
*** Dissonanza ***


Dissonanza

Sapevo che sarebbe andata a finire così. 
Era inevitabile, eppure - ingenuo me - avevo pensato che le cose avrebbero potuto prendere una piega differente, e che non avrei assistito a tutto… Questo

I marmi intarsiati ricoperti da ogni sorta di confetto. Agli angoli, decine e decine di coriandoli e i resti delle decorazioni colorate servite al loro scopo. Persino i preziosi corridoi, irriconoscibili. Calici, porcellane, tutto pericolosamente in bilico tra la normalità e il caos. 

Uno dei membri giovani della Pandora, in cima a una scala, ha appena rimosso dei nastri dal lampadario di cristallo. Dal lampadario. Inutile chiedersi come ci siano finiti. Oltrepasso un cumulo di macerie che solo poche ore fa era polvere di stelle misto a cocci di qualche bicchiere rotto, e sospiro. Quando ho accettato di occuparmi della sicurezza della festa da ballo, ho accettato anche di supervisionare tutto quello che sarebbe successo dopo, quella festa. E mi ero assicurato che tutto fosse così perfetto, così ordinato, che non avrei mai potuto immaginare che la sala sarebbe stata ridotta in questo stato. 

Ingenuo e idealista, come mi definisce qualcuno… 

“Lunettes-san, cosa dobbiamo fare con questo…?”

Quello che mi ritrovo tra le mani è un preziosissimo, unico e delizioso orecchino di smeraldi. Da come brilla, quelli che lo incorniciano si direbbero diamanti purissimi. Probabilmente da solo vale più del mio compenso annuale presso il Duca. Una autentica rarità, di quelle che non si vedono tutti i giorni.
“Insieme a tutte le altre chincaglierie smarrite, per favore.”

Devo controllare la terrazza. Ieri sera era troppo buio quando sono stato lì, non ho idea dello stato in cui versi, ma forse il freddo pungente ha tenuto lontane le dame e i cavalieri…
Meno uno. È riuscito a trascorrere tre ore al gelo, nella stessa posizione. Di certo, nessuno degli uomini moderni che conosco sarebbe in grado di tanto stoicismo. Per di più quando il fuoco del suo sguardo era Sharon-sama. Chiedergli perché fosse lì mi è valso un ghigno e una scusa talmente stupida che non mi ha preso in giro, ma ha crudelmente lasciato che mi sentissi un idiota. 

Ma, dato che non era lì solo perché l’aria calda della sala rischiava di far soffocare la sua bambola, era fin troppo ovvio che qualcosa dovesse avergli guastato l’umore. Ha iniziato a borbottare quando ha letto la lista completa degli invitati, nel pomeriggio. 

“Reim-san, cosa bisogna fare con le argenterie spaiate…?”

L’alta società di Reveille è molto raffinata, non c’è che dire. Qui nella capitale si trovano concentrati una innumerevole quantità di marchesi, baroni, conti, e persino una buona percentuale della nuova classe dei ricchi senza titolo di tutto il paese. Eppure, le posate d’argento continuano a sparire ogni anno. Magari, la nobiltà risiede altrove. 

Era tutto così perfetto, ieri, ogni cosa al suo posto, ogni colore abbinato, e ogni maschera riconoscibile e innocua. Adesso è un campo di battaglia, e a ogni corsa verso i rifiuti che vedo fare ai quindici di Pandora che stanno mettendo a posto, mi chiedo chi sia lo sconfitto, se la festa o noi. 

La terrazza è fortunatamente incolume. Tutto sembra come è sempre stato, e davvero, sembra che i suoi unici ospiti siano stati gli unici due così folli da star fuori in pieno inverno. Da fuori, oltre le vetrate del salone, è bello vedere l’operosità di tutti quei ragazzi. Dà uno strano senso di pace, vedere Corey suonare il clavicembalo dell’orchestra, ma non sentirlo affatto. 
Mentre rientro in sala, penso che bisognerà concordare con la compagnia perché vengano a riprenderselo; non sappiamo cosa farcene, di un clavicembalo, abbiamo già il nostro bel pianoforte nella sala dei Duchi.
Mi serve il mio fazzoletto, fuori era troppo freddo, dentro la sala si respira un’aria ancora così calda e accogliente che… Non posso lasciare che mi vedano con le lenti appannate, sarebbe troppo imbarazzante. Il mio fazzoletto… Che non è nelle mie tasche.

Al suo posto, ci sono le sue forcine. 
Di quello sciocco che non ha considerazione per le buone maniere. “Non trovi che sia una festa incantevole? Lady Rainsworth ha davvero organizzato una serata impeccabile…” ti avevo chiesto, sperando di comprendere perché nei tuoi occhi ci fosse, anche in quel momento, quell’ombra distante, ma mi hai rifilato un commento di quelli senza pensieri. Dovrei ritenermi lusingato che tu non l’abbia messo in bocca a Emily.

Vengo distratto da una melodia. Oltre al clavicembalo, qualcuno ha occupato le due viole e ha deciso di interrompere le pulizie. Beh, finché la musica è così dolce, non vedo perché chiedere loro di tornare a lavorare. Dopotutto, qualche minuto può solo renderli più produttivi, e concedere a me il privilegio di sedermi un attimo, con ancora le mani in tasca. 

Mentre mi rigiro queste forcine tra le dita, realizzo di essere davvero testardo, con te più che mai. Mi torna in mente la luce con la quale mi hai guardato, solo per un attimo, quando ti ho confessato che mi piacciono, in verità, le feste. Non ne ricordo molte a casa mia, e il Duca ne teneva di vietate ai bambini, per evitare che creassero scompiglio nell’élite di Reveille. Mettono allegria, però, con i loro rituali composti, prevedibili. Mi hai deliberatamente preso in giro quando ti ho fatto notare che, al terzo giro di valzer, anche chi non danzava, si muoveva per la sala in tre quarti. Mi hai convinto di infastidirti e disturbare i tuoi pensieri proprio un attimo prima di sorridermi e iniziare a toglierti quelle mollette che con fatica ero riuscito a infilzarti in quella tua testa selvaggia. “Xerx, non è educato, è una serata elegante…” ma tu hai sorriso. 

Non sei più abituato a portare i capelli legati, eh Xerx? Eppure, quando entravo di soppiatto nella tua stanza, per portarti un libro da leggere o per spiare quanto sangue fresco ci fosse sulle tue bende, non mancavi mai di tenerli stretti in quel nodo così complicato che a volte mi chiedo ancora come facessi a non stancarti. Era una parte di te, a oggi non credo di averti mai visto con i capelli sciolti. E fino a ieri, credevo che fosse perché te ne vergognavi, perché nessuno degli uomini presenti a villa Rainsworth li portava lunghi come i tuoi. Ieri sera, costruendo una struttura pericolante fatta di forcine proprio sulla balaustra, hai distrutto la mia convinzione. 

“Ai miei tempi…” Non dovresti mai usare frasi del genere per iniziare una frase Xerx, in fede mia, non sei credibile.

“… I capelli non erano un accessorio. Portarli corti era tipico degli uomini di mare.”  Probabilmente devo essermi toccato la nuca. Il pensiero di essere paragonato a un “uomo di mare” ha solleticato la mia ilarità quanto la tua, che hai riso del mio gesto forse troppo prevedibile.

“Per la cavalleria, invece, la regola era la stessa che per il matrimonio. Lunghi e stretti in code e nodi.” Hai posato l’ultima forcina, facendo crollare il castello precario, spargendole sul marmo. “Indicavano il vincolo che si aveva con qualcuno. Un consorte, un padrone…” La voce che avevi mentre mi parlavi aveva il tono della confessione. Qualcosa mi ha invitato a non farti altre domande. In cuor mio, sapevo che mi avevi concesso più di quanto non avessi fatto in tanti anni di amicizia… Ripensandoci, adesso è tutto più semplice. 

… Chiederti di legare i capelli per una festa, è qualcosa che non fa per te.

“Lunettes-san, abbiamo terminato di inventariare i servizi rotti.”

… È un peccato, perché i capelli legati ti stanno proprio bene. 

“E Kingley ha smontato le lanterne in cima al soffitto.”
Annuisco distrattamente, ancora aggrappato ai miei pensieri e alle immagini che ancora invadono i miei occhi. Adesso ho io queste forcine, perché era troppo pigro per metterle a posto da solo. Sto sorridendo, come uno sciocco, al divano. Non sono mai stato in grado di arrabbiarmi con lui. Xerx è sempre stato così… Riservato, isolato, chiuso in se stesso. Per quanto sorrida, non ride mai davvero, per quanto parli, non dice mai davvero quello che pensa. 

Annuisco ancora, senza rendermi conto del perché lo faccio: non ho sentito la domanda, ed è troppo imbarazzante ammettere di non prestare la minima attenzione a un compito così importante. 

Ero un bambino, quando mi facesti la prima confessione, Xerx, e forse non era nemmeno così importante, per te. Per me fu il primo segno di amicizia. Notasti che ero senza occhiali - rido, adesso, al pensiero di aver temuto che potessi rompere anche quelli - e mi dicesti che da dove venivi tu, gli occhiali non erano per niente usati, e che si preferiva andare in giro un po’ alla cieca. Ancora oggi, mi viene da ridere al pensiero di persone che camminano a tentoni. 

Com’era il mondo da cui sei arrivato? Com’era quella società per cui tu eri così importante, prima, e così temuto… Poi… È il caso che mi alzi, e che mi trovi anche io un compito in questa sala, pensare fissando una parete non è ciò che il responsabile della sala della festa dovrebbe fare. Ci sono le porcellane da riportare sotto chiave, vorrà dire che andrò io  nella sala sopra le cucine.

Mi fai male, Xerx. Amo il mio lavoro, ma quando riesci a infiltrarti così, nei miei pensieri, non riesco a fare altro che ritrovarti in ogni angolo della mia mente. E mi chiedo ancora quando tu sia diventato così… Importante, quando tu abbia iniziato a ossessionare i miei pomeriggi di studio. Portare lettere a Sheryl-sama per conto del Duca non era mai stato così piacevole, ricevere i suoi puntuali rifiuti e accettare una fetta di torta per merenda non era mai stato così dolce. Lady Shelly ti aveva riportato alla vita, e sulle tue labbra c’era un’ombra nuova, che le curvava all’insù, e mi faceva sempre arrossire, quando tornavo a casa con la carrozza che mi aspettava sempre troppo a lungo. 

Ottanta piatti piani bordati di cobalto e settantanove sottopiatti. Si, ne abbiamo perso uno, ma immagino abbia combattuto valorosamente contro l’orda dei partecipanti. Riprendo il mio carrello vuoto, e ripercorro i corridoi brulicanti di operosi colleghi, per tornare in sala. 

Ho provato per anni a chiedergli qualcosa del suo passato, penso svoltando lungo il corridoio degli archivi, per far prima, e per anni ho ricevuto sorrisi di circostanza e niente più. Per anni mi sono chiesto chi fossero i suoi padroni, se fosse felice di essere il loro cavaliere, se si sentisse a casa, se… Avesse più provato quella sensazione, insieme a loro….

Hai le mani di uno scrittore, con i calli nei punti sbagliati. Queste non sono mani per combattere” mi dicesti una volta, e ancora, guardando le mie dita ossute e così familiari, con quelle curve nei punti sbagliati, sorrido. Ora capisco cosa volevi dirmi. Non volevi che combattessi.
Spingo ancora il carrello, lo porto dentro e mi compiaccio di trovare la sala molto più in ordine di quanto non fosse poco prima. Sono proprio al centro, qui ieri danzavano coppie in incognito, e tu mi hai regalato qualcosa. Tiro fuori dalla tasca le forcine, e come un gioco, le incastro come facevi ieri. Hai voluto dirmi qualcosa, raccontarmi qualcosa di te dopo anni che avevo disperato, ma sei sempre il solito, Xerx. Non mi hai detto niente e mi hai lasciato con l’amaro in bocca. E no, Corey, non occorre che orienti i cuscini dei divani tutti a 37°, cederanno sotto il peso del primo avventore, ma non importa. Non in questo momento. Sono di nuovo seduto a quel tavolino, e ho ricostruito in parte il tuo castello di metallo. 

Cavalleria e matrimonio? Era un obbligo? O sentiva davvero quel legame? 
Oh, Xerx, quanto potremo sembrarti stupidi a curarci dell’estetica? Ma tu non l’hai mai fatto per l’estetica. L’hai fatto e continuerai a farlo per Sharon-sama, e forse un po’ per me, che provo ogni volta a ragionare con quelle ciocche troppo corte eppure troppo lunghe. 
… Chissà se l’hai mai davvero fatto per me. Una sciocchezza simile, per un uomo come me, non dovrebbe essere così importante, eppure… Pensarlo mi impedisce di smettere di sorridere. 

Il pendolo rintocca una volta. Dal rapido sguardo che ho dato solo qualche istante fa, direi che le cucine sono già state rifornite: un ottimo momento per prendere una bottiglia di latte senza che si noti la sua assenza. La sala è ormai come è sempre stata, come se la festa di ieri non avesse lasciato nessuna traccia visibile, forse potrei occuparmi dei sedici civili attaccati a nord di Reveille. Se nessuno ha ancora trovato il Contraente, dev’essere stato tralasciato qualcosa. 

“Lunettes-san, hanno appena portato questi dalla Guardia.” Corey ha appena mandato in fumo i miei progetti segreti, riempiendo il tavolo a cui mi ero momentaneamente seduto di tre pile di fogli, che hanno pericolosamente vibrato appena posati, rischiando di perdere la loro perfetta forma di gruppo. Ne sollevo uno, sospirando. Avrei preferito le cucine, avrei potuto nascondere i miei intenti prendendo uno di quei croissant che sfornano a quest’ora. 

Sorrido, poi, leggendo tre delle quarantuno righe di quel foglio.

Mi hanno portato le liste dei presenti e dei movimenti degli invitati, per cui posso rimanere qui, seduto, a leggere questi dati mentre qualcuno, senza che lo chiedessi, mi ha appena servito del the insieme a un piattino di biscotti. Il cielo si è aperto, e le nuvole che questa mattina incombevano sul Quartier Generale, hanno perso la loro battaglia contro il sole, che ha attraversato le vetrate e inondato i pavimenti chiari.

Come mosso da qualcun altro, non penso abbastanza da chiedermi perché, ma piego uno di quei fogli e me lo infilo in tasca, dove ho di nuovo raccolto le mie forcine, e supero Corey, rimasto lì immobile e attonito. Fuori dalla sala e nell’atrio, ci arrivo con un sorriso sulle labbra e nessun ricordo della strada percorsa. Quando mi rendo conto di aver dimenticato il cappotto, sono già salito sulla carrozza di servizio. 

“A villa Rainsworth, per favore.” 
Forse, in questi tempi, Xerx, i legami non si dimostrano con i nodi ai capelli.






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Capitolo 17
*** Gocce del Tempo ***


{Nota delle Autrici.
Eccoci qua! Siamo finalmente tornate da voi e, per festeggiare, ecco qua non solo il Capitolo 17, ma anche la prima di alcune novità!
Nel corso della lettura, incapperete in un'immagine e in un link. Per quanto riguarda l'immagine, cliccateci sopra e apritela in una nuova finestra: necessita di essere osservata in grande, o sarà impossibile leggerne i dettagli.
Per quanto riguarda il Link, ecco qua la novità! Da ora in poi troverete, di tanto in tanto, dei piccoli giochi interattivi all'interno delle nostre storie. In seguito ai commenti meravigliosi di voi, fantastici e adorati lettori che ci avete fatto sapere quanto coinvolti e appassionati siate alla trama, ci siamo chieste: "Perché non farli interagire con i personaggi?". Ed ecco quindi che vi presentiamo il primo dei nostri giochi...
In questo capitolo avrete l'occasione diiiii... *rullo di tamburi* Comunicare con Reim!
Cliccate sul Link e lasciategli un feedback: povero caro, si è tanto impegnato ad organizzare la festa del Capitolo 15! ;) Tutto ciò che dovete fare è immaginare di aver preso parte alla suddetta festa: vi è piaciuta? Vi siete divertiti? Che cosa vorreste lasciar detto a Lunettes-san, l'organizzatore? Oh, e sentitevi liberi di lasciare un messaggio interpretando il ruolo di voi stessi, o quello di un vostro OC o, perché no, un personaggio di Pandora Hearts! Qualsiasi cosa scegliate, non dimenticate di firmarvi!

E ora vi lasciamo alla lettura~}

 

Gocce del Tempo
  
 
Da dove dovrei cominciare?
 
Avvicino la mano al viso, e lascio che le dita guantate tamburellino sulle labbra. Ala Est? Ala Ovest? L’ultima volta Reim ha parlato di un corridoio che aveva a che fare con un qualche… Animale… Un falco, forse? Sospiro. Ho troppo poco tempo, ma devo farmelo bastare. Chiudo gli occhi, e l’odore della polvere invade le mie narici. Non è sgradevole, mi ritrovo a pensare. E’ frizzante. E’ opprimente. E’ stranamente familiare…
 
Da dove dovrei cominciare?
 
Anche la Tenuta aveva questo odore.
 
“Oh? E quindi che cosa dovremmo farne, secondo te?”. Lo sguardo che mi rivolse, chiudendo il vecchio compendio di medicina botanica in uno sbuffo di polvere, brillava di quella luce divertita che aveva sempre reso i suoi occhi un amuleto troppo potente perché non catturassero necessariamente l’attenzione di chiunque.
 
“Considerando l’argomento, suggerirei di usarlo per ravvivare il fuoco. Dovrebbe bruciare bene…”, risposi a tono, contagiato da quell’atmosfera di pura, spensierata goliardia che ci avvolgeva perennemente, innescata dalle perpetue provocazioni di Kenneth.
 
“Una risposta pratica da parte di un uomo pratico. Non mi sarei aspettato di meno da te, Kevin. Perciò, seguendo il tuo ragionamento…– agitò le dita in aria, mentre gli occhi vivaci puntarono, lontano, uno scaffale dell’imponente libreria del padre. Sorrise, trovando il titolo di cui era andato in cerca – Suppongo che non ci sia altro impiego per la filosofia se non lievito per il pane, dico bene?”.
 
“Potrebbe essere anche un concime niente male, per la verità. Dovreste proporlo a vostro padre: un dorato raccolto di grano cresciuto secondo i massimi sistemi dell’universo. Frutterebbe parecchio… E allontanerebbe il figlio dalla biblioteca, se mi è concesso”.
 
Mi lanciò uno sguardo ferito, tradito. Odiava che lo redarguissi, ricordandogli i suoi compiti di futuro Lord Sinclair. Sempre meglio me che vostro padre, pensai.
 
“I libri sono cibo per l’anima, Kev. Comprendo che ai tuoi occhi non valgano la pietra con cui affili la spada. Ma ogni lord che si rispetti… Anzi! Ogni uomo dovrebbe leg—“
 
“KENNIEEEE!”.
 
Lo guardai sussultare, travolto in pochi istanti dalla cascata di riccioli castani e vaporoso taffetà rosa che gli saltellò tra le braccia. Nascosi il mio sorriso nel rivolgere discretamente le spalle al mio signore, offrendo a lui e alla sorellina la loro intimità.
 
“Kennie! Che giorno è oggi?!”, domandò la bambina, le manine allungate a stringere i bottoni dorati del giustacuore damascato del fratello.
 
“Oggi? Mh… Vediamo… Che sia una ricorrenza importante? Sì? Vediamo, allora… Ah! Ma certo! E’ passato un mese da quando Herbert ha fiutato quella bellissima quaglia! Era deliziosa, vero? Era deliziosa, Kevin?”.
 
Mi coprii il viso con la mano: eccolo che ricomincia, pensai. Ah, ma stavolta non mi sarei lasciato tirare in ballo.
 
“Herbert è un cane!”, protestò la bambina, pestando i piedini sul gelido pavimento di pietra.
 
“Ma è comunque passato un mese… Dovremmo andare di nuovo a caccia… Dovremmo andare a caccia, vero, Kevin?”. Kenneth sollevò il viso, abbandonando il visetto della bambina per posare lo sguardo sulla mia schiena. Lo avvertii. Lo avvertii al punto che fui costretto a voltarmi.
 
“Kenneth-sama…”, cominciai, provando una vaga pietà per la piccola vittima del suo scherzo: aveva le guance rosse di disappunto. E tuttavia, una simile vista divertiva anche me.
 
Eravamo due ragazzini crudeli, vero, Kenneth?
 
“Sei cattivo! L’hai dimenticato…”.
 
Il mio signore rise e accarezzò il visetto della sorellina, puntando gli occhi nei suoi, azzurri e cristallini come lo spensierato cielo d’estate.
 
“Non potrei mai dimenticare il giorno più importante dell’anno. E’ il compleanno di Emily-chan…”
 
La bambina cinguettò, finalmente deliziata, e si slanciò tra le braccia del fratello.
 
“Padre ha detto che potevo scegliere il mio regalo! E io ho detto che voglio vedere la capitale, come Flo! E Padre ha detto che andava bene, però... Però ha detto che va bene solo se Kevin mi accompagna. Mi accompagni, Kevin?”
 
Inarcai un sopracciglio, stupito, spostando lo sguardo dalla bambina a Kenneth. Una richiesta insolita da parte di padron Roman, pensai. Insolita, ma non insensata. Era naturale che il padrone volesse sapere la propria bambina al sicuro. Annuii, quindi, incontrando gli occhi azzurri della piccola ojou-sama un istante prima che corresse via, emozionata, entusiasta, piena di vita. Kenneth mi raggiunse. Posò la mano sulla mia spalla.
 
“Buon lavoro, balia Regnard…”, mormorò, gli occhi brillanti come brandy d’estate.
 
Quando riapro il mio, una diversa, più chiara tonalità di brandy è intenta a fissarmi, severa, dietro sottili lenti incorniciate d’argento.
 
“Hai insistito tanto perché ti portassi in questa biblioteca per provare l’ebbrezza di dormire in piedi sul rosone dei Gyre?”.
 
Rosone?
 
Sbatto le palpebre, e mi ritrovo d’un tratto circondato da scaffali, pergamene, antichi tomi polverosi, luce dorata che filtra dall’enorme finestra che riesco a intravedere in fondo al corridoio.
 
“Parola mia, non ho mai visto così tanta ostentata opulenza. Tutti questi fregi… Gli intarsi sul legno… Tsk. Sono solo una copertura volgare per mascherare l’ignoranza!”
 
Inarco un sopracciglio, mentre osservo Reim allontanarsi di qualche passo, tornare indietro, allontanarsi di nuovo e infine sollevare il mento, stranamente altezzoso. No, non è altezzoso. Si direbbe, piuttosto, indignato…
 
“Oh? Credevo che ti piacesse questa biblioteca. Da come ne hai parlato l’ultima volta, pensavo che volessi chiederne la mano…”.
 
Emily si è già fatta confezionare il vestito da damigella~”
 
Lo sguardo stizzito che mi lanci in risposta mi diverte. Che cosa ti avrà fatto cambiare idea? Dev’essere una ragione piuttosto seria, considerando come stai arrossendo. Perché sei così indispettito, Reim?
 
“Ci sono tredici false prime edizioni, Xerx. Tredici!”.
 
Lo fisso. Inclino la testa. Seriamente? Tutto qui?
 
“Copertine pregiate, anche acquistate a caro prezzo! Ah, ma sono copiate! Sono copiate da fonti di seconda mano e una… Xerx, una è addirittura un falso storico! Ed è messo là, in bella mostra, sul leggio!”.
 
Lo guardo sfilarsi gli occhiali e iniziare a pulire meticolosamente le lenti col fazzoletto della divisa. Non riesco a trattenere un sorrisetto che, mio malgrado, sfocia in una vera e propria risata. Oh, tutto questo è ridicolo. Non credevo che potesse infiammarsi tanto per una faccenda così frivola. Dopo tutto, sono solo dei libri. O forse… Socchiudo gli occhi, studiandolo. Che ci sia della competizione?
 
“Tredici false prime edizioni, un falso storico, e hanno pure il coraggio di fregiarsi del titolo di ‘Archivisti Minori’! Tsk!”.
 
Ecco qua. Come volevasi dimostrare.
 
“E’ proprio vero che alla nobiltà di nome corrisponde un alberello araldico che non vede nemmeno il cielo. Credimi, se non avessero avuto la fortuna di contrarre un bel matrimonio vantaggioso con una Baskerville, oggi i Gyre non sarebbero altro che degli antiquari col titolo di conti! Ma se vuoi sapere la mia opinione, Cynthia Baskerville non dev’essere stata un angelo del focolare davvero esemplare. Eccola che spunta dal nulla, nella genealogia dei Baskerville, e chissà… Forse c’era un bambino imprevisto a cui rimediare…”
 
Sono sconvolto. Davvero, lo sono. Sorrido, mi umetto le labbra, mi piego verso di lui, che ha appoggiato la schiena contro uno dei massicci scaffali, e lascio scivolare le mani sui fianchi, incrociando le caviglie.
 
“Non ti facevo così pettegolo…”
 
Avvampa, ed è quasi delizioso il modo in cui lo fa. Non ti sei accorto di aver lasciato la lingua correre, vero? Oh, ma hai detto qualcosa che mi interessa. Lancio una veloce occhiata alle copertine dei libri alle tue spalle. Trattati di astronomia. Nulla di più inutile. E sia, dunque. Tanto vale sfruttare questo punto debole. E pensare che non avrei mai creduto che potessi essere così competitivo…
 
“N-non sono pettegolo, Xerx! E’ una questione di morale, non… Non è deontologicamente corretto professarsi archivisti e rifilare prime edizioni che non sono tali! E’ come… Come… Come definirsi cavalieri e combattere con un liuto…”
 
“Ah, non sottovalutarlo. Può essere uno strumento alquanto doloroso se usato correttamente. In mano ad Alice-kun, per esempio, avrebbe un suono letale…”
 
Sorrido, leggero, mentre lo vedo sfilarsi di nuovo gli occhiali per tornare a pulire le lenti nervosamente. Ma stavolta non voglio aspettare di sentirlo replicare. Devo battere il ferro finché è caldo.
 
“Ad ogni modo, chi ti ha raccontato quella bella storiellina sui Gyre? Frequenti i circoli di ojou-sama, comare Lunettes?”
 
Reim-san ha una parrucca segreta e un vestito verde per il tea del venerdì~”.
 
“Oh, piantala!”. Si alza e mi dà le spalle, inforcando di nuovo gli occhiali. “L’ultima volta… Ho dato un’occhiata alla sezione araldica… Quelle maniglie dorate con il loro monogramma, tutta questa… ridondante ampollosità… Non ti pare eccessiva? Beh, per farla breve, mi sono chiesto che motivo avesse Gyre di ricordare a qualunque ospite che ogni cosa, qui, vale più oro di quanto non pesi, e sono giunto a due conclusioni…”
 
Solleva due dita, e d’improvviso ha tutta la mia sorpresa, divertita attenzione.
 
“O il suo ego è ridicolmente smisurato o, al contrario, ostenta una grandezza che non gli appartiene di diritto. Così… Ecco…”, abbassa lo sguardo, colpevole e tuttavia fiero, “Sono andato alla ricerca delle sue origini, e ho trovato l’albero genealogico dei Gyre, intrecciato a quello dei Baskerville…”
 
Lo fisso, e mi sento teso. Perché ho stretto il pugno? Potrebbe anche essere un buco nell’acqua. E se invece…
 
Accidenti, Reim, mostramelo. Mostrami quei documenti. Fallo.
 
Devo ricompormi. Non devo tradire il mio interesse.
 
“Ehi, Emily. Io dico che Reim-san è invidioso del conte Gyre e si è inventato questa diceria per screditarli… Tu che ne pensi?”
 
“Reim-san vorrebbe sposare una ricca vedova per ereditare i suoi soldi~”
“Oh? Dici che è addirittura così venale…?”
 
“Piantala!”
 
Mentre mi affronta, le sue guance avvampano. C’è orgoglio nei suoi occhi, che brillano di una luce fiera che… In qualche modo… Mi fa pensare al tradimento. Ti senti tradito da me, Reim? Perché fingo di non crederti?
 
“Controlla tu stesso, se non ti fidi di me! Terzo corridoio, svolta a sinistra, quinta libreria, decimo scaffale, lettera G”. Tende un braccio nella direzione che mi ha indicato, e non mi guarda. Dev’essersi offeso.
 
“Tu non vieni?”, domando, superandolo, trattenendo quasi il respiro, a un passo da una nuova, forse importante, forse vitale informazione. O forse non si rivelerà niente più che un dettaglio superfluo. Ma comunque sia, potrei sempre sfruttarlo a mio vantaggio. Sarà comunque un guadagno.
 
Lo guardo, scuote la testa. Solleva la valigetta della Pandora.
 
“Ho cose più importanti da fare che dimostrarti che puoi fidarti di me, Xerx. Devo leggere i commenti degli ospiti della festa…”
 
Perplesso, inarco un sopracciglio. I cosa…?
 
Sospira, Reim, e fa tornare gli occhiali, leggermente scivolati verso la punta del naso, nella loro corretta posizione, guidandoli con un dito.
 
“Suppongo che tu non abbia ascoltato una parola di quello che ho detto mentre venivamo qua, in carrozza, dico bene? Ma perché mi sorprendo, mi chiedo…”, Sospira di nuovo, e stavolta lo sguardo che mi lancia è tagliente. Devo essere sincero: mi dispiace non averti ascoltato. Semplicemente, avevo altro per la testa. Avevo…
 
Sei nella biblioteca dei Gyre. La biblioteca con i testi che precedono la Tragedia. Non gettare al vento quest’occasione…
 
“…quindi mi sono portato dietro il Libro degli Ospiti. Ho pensato di chiamarlo così… Insomma, ne ho il diritto visto che l’idea di lasciare un libro all’entrata della Pandora così da permettere agli ospiti di esprimere un’opinione sulla festa è stata mia. Mi chiedo se qualcuno avrà fatto appunti sull’organizzazione impeccabile…”
 
Mentre mi allontano, lo vedo sorridere, sognante, stringendosi al petto la sua preziosa valigetta. E quindi c’era un Libro degli Ospiti all’entrata? Un peccato che me lo sia lasciato sfuggire. Avrei potuto disegnare Emily sulle prime venti pagine. Sarebbe stato divertente
 
“Nascondere la mia spada e farmi andare all’adunata disarmato non è divertente, Kenneth-sama!”
 
“Ah, quante storie per una spada… E poi non hai prove che sia stato io!”. Diede un ultimo morso alla mela verdissima, fragrante nel suono che fece quando i denti affondarono nella polpa succosa. Profumava d’estate. Tutte le mele dell’albero su cui ci eravamo arrampicati profumavano sempre, invariabilmente, di sole. Guardai Kenneth lanciare il torsolo lontano, prendere un respiro profondo e poi, finalmente, guardarmi.
 
“Ti hanno rimproverato?”.
 
Sollevai la mano destra, i segni rossi della pelle spaccata dove la bacchetta aveva colpito con più forza ancora gonfi, doloranti.
 
“Mi dispiace… Forse avrei dovuto semplicemente sostituire la tua spada con un disegno fatto da Emily, tutto bello arrotolato, no? Avrebbero apprezzato di certo! Guai a chi critica l’arte della padroncina!”.
 
Sorrisi. Come facevi, Kenneth? Come riuscivi a profumare anche tu, come le mele, come il vento, come l’acqua splendente, di sole?
 
Ottavo… Nono… Decimo scaffale… Lettera… Lettera… Lettera G… Ecco qua. Afferro il pesante, voluminoso tomo polveroso. Devo sollevarmi sulle punte dei piedi per riuscire a sfilarlo dalla libreria. Ma riesco nel mio intento con un dignitoso indietreggiare di pochi passi, quando torno con i piedi per terra. Lancio una veloce occhiata intorno. Non c’è nessuno. Meglio così, non verrò disturbato. Adesso, vediamo…
 
G… Ga… Gef… Gil… Got… Gra… Gun… Gyl… Gyre.
 
Il mio sguardo scorre veloce, a partire dal fondo, dove troneggia il nome del padrone di casa, conte Walrus Gyre, fino a risalire i nomi maschili, uno per uno: Alberich… Ananias…
 
Oh? Si ferma qui?
 
Ananias che sposò… Cynthia Baskerville… Apparsa dal nulla nel frondoso, antico, imponente albero dei Baskerville, esattamente come diceva Reim.
 
Curioso. Mi chiedo se la sua teoria non fos---
 
Cosa…?
 
E’ un attimo, e cade a terra. Non riesco a impedirlo, non riesco a costringere le mie mani a mantenere la presa salda sul volume. Il mondo ruota d’un tratto, vortica, un abisso di nero si spalanca sotto ai miei piedi.
 
Kenneth…
 
Emily…
 
Florence…
 
 

La nausea mi assale mentre mi inginocchio a terra, mentre scorro frenetico le pagine per tornare al punto in cui il mio cuore ha saltato un battito. I nomi dei miei padroni, inaspettati, spiccano su quella pagina, sbiaditi, cancellati dal tempo, morti e immortali simultaneamente.
 
Mi copro la bocca con la mano, mentre la testa gira e le vertigini mi avvolgono nell’usuale gelo che precede la perdita dei sensi. No, non adesso. Ti prego, non adesso.
 
Premo le dita sull’inchiostro antico.
 
Resisti. RESISTI. Devi memorizzare. Imprimi ogni dettaglio nella mente.
 
Padron Roman…
 
Perché…?
 
Non è possibile, non…
 
Nei miei signori scorreva… Sangue Baskerville…



 

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Capitolo 18
*** Le bosquet de la Reine ***


Le bosquet de la Reine
 
 
Se c’è una cosa che odio dell’essere una signorina è non potermi “sporcare le mani”. Perché una donna possa uscire in missione, è necessario che siano previste delle pause regolari per poter riposare le gambe, ottenere almeno uno spuntino e dovrebbe indossare degli abiti comodi. Come si evince dai tre romanzi, appena letti, su quel tavolino e dal carrello di pasticcini quasi completamente svuotato, tutto questo non era previsto per la visita improvvisa che Xerx-nii ha deciso di fare alla biblioteca dei Gyre, scappando insieme a Reim-san. Lasciandomi qui. Seduta sul divano, ad attendere il loro ritorno come una principessa attende che il proprio valoroso principe abbia superato tutte le prove prima di poter tornare a dichiararle il suo amore. È imbarazzante, ammettere che certe volte non vorrei essere la principessa delle fiabe, quanto piuttosto il compagno d’avventure del principe. Forse è per questo che, in fondo, invidio un po’ Alice-chan.
 
Dopotutto, la festa della Pandora è stata un successo, e per quanto non abbia danzato per molto tempo - per quanto non abbia danzato affatto - non avrei potuto perdere riposo prezioso seguendoli. E non avrei potuto perdere nemmeno le madeleine appena sfornate quest’oggi. Sento le ruote della carrozza scalpicciare sulla ghiaia del vialetto. Sarà per un’altra volta, in fondo.
 
Dalle espressioni che hanno, si direbbe che Reim-kun e Xerx-nii abbiano passato un’orribile giornata. Forse sono vere le dicerie di famelici parassiti che popolano le biblioteche più antiche. Di certo, questi non trovano casa nella deliziosa biblioteca di villa Rainsworth, ma forse dove sono stati loro, qualcosa di terribile è successo.
 
“Ci sono le madeleine, Xerx-niisan, per quanto non avrei dovuto, te ne ho lasciate giusto un paio per rifocillarti prima del nostro impegno pomeridiano…” Da come mi guardi, deduco che te ne sei completamente dimenticato. Eppure sai che ci tengo tanto ad andare a vedere le fontane dei Giardini di Reveille di nuovo in funzione. Me l’hai promesso.
 
“Ojou-sama…?” Assente, ecco come definirei la tua voce. Forse quei parassiti ti hanno davvero sconvolto. “Non credo di ricordare a che ore fosse il nostro impegno…” Fantastico, Xerxes. Fingi di non ricordare un dettaglio così che io ti ricordi l’intero evento. Non questa volta.
 
Mi alzo, sorridendo, e spero tu abbia notato che non sto sorridendo affatto, e mi rivolgo a Reim, che forse avrà più buon senso da raccontarmi il perché di quelle espressioni attonite. E invece mi porge solo un elegante libro rilegato in pelle marrone. Uno di quelli seriosi e senza decorazioni, come quelli in cui sono racchiuse le relazioni mensili della Pandora. Senza capire, lo sfoglio, rendendomi conto che non sono relazioni, quelle, ma messaggi. Commenti, anzi, come… Poi leggo, in alto, che si tratta di un libro degli ospiti.
 
Questo mi fa tornare alla mente qualcosa che Reim-san deve avermi detto la mattina della festa e, forse, è per questo che mi sono seduta di nuovo. Anche io ho dimenticato qualcosa. Li sento discutere di cose che non conosco, nomi, luoghi, qualche data. Si, ho distintamente sentito che parlavano di qualcosa avvenuto prima della Tragedia, ma ad attirare la mia attenzione è stato altro. Quanti commenti ben ordinati, tutti entusiasti… Tranne uno. Mi ritrovo a sorridere pensando che, se Reim-san non avesse incaricato Wood di avere cura che nulla mancasse alla nonna, forse il Duca Barma non avrebbe avuto tanta acredine. Chissà.
Di certo, si spiega il perché di quel colorito spento, quasi cadaverico.
 
~~~
 
Partecipo a questo evento come rappresentante della famiglia Rainsworth, per cui era chiaro che ci mettessi almeno cinquanta minuti per scegliere l’abito adatto, e poco più di un’ora per decidere che pettinatura abbinarvi. Probabilmente, il silenzio in carrozza è il suo modo per punirmi per averci messo troppo. Ma non potevo rischiare che una sfumatura facesse sfigurare il casato. Anche se, solo pensare a una sciocchezza simile mi fa ridere. Bisogna che impari ad ammettere le mie colpe: mi piace metterci tanto, spero sempre che si accorga di qualcosa. Di cui invece non si accorge mai.
 
I Giardini. Ricordo che da bambina mi piaceva andarci, ricordo che l’unico a potermi portare era proprio lui, Xerx-nii, perché la mamma era sempre troppo fragile per respirare le centinaia di fiori presenti, e allora giocavo a far di lui il mio cavaliere. Gli chiedevo di portarmi a braccetto come quelle grandi e belle dame, e gli chiedevo che mi usasse la cortesia di inchinarsi, quando mi allontanavo per sedermi ai tavolini. Poi, dopo che la mamma…
Smisi di andarci. Seppi poi che un problema alle fontane ne aveva causato la chiusura, e per anni mi dimenticai di loro. Per questo fui così felice di ricevere quel compito, dalla nonna. Lei non aveva tempo, e forse nemmeno voglia, di partecipare alla riapertura dei Giardini, così ha dato l’incarico a me. Così ho potuto impiegare ben cinquanta minuti per scegliere un abito che ricordasse quelli che indossavo da bambina, e forse un po’ anche quelli che piacevano tanto a mia madre, e solo un’ora per decidere se fosse meglio che i boccoli in testa non ricordassero i parterre sui sentieri. Un tempo ragionevole, che però non è stato apprezzato.
 
“Ricordo a memoria ognuno di quei sentieri a Ovest, Xerx-nii. Ricordi che era lì che mi piaceva andare quando il sole riverberava sul selciato?”

Sono ricordi preziosi, per me, questi. Ognuno di quei sentieri ha un nome, che ho dimenticato, perché l’ho sostituito con un ricordo. C’è il sentiero in cui ho imparato a fare gli inchini come una signorina, mentre tu ridevi sperando non me ne accorgessi, e quello in cui ho imparato a leggere, perché non potevo rischiare che inventassi parole che non esistevano leggendo per me le targhe delle favole. Ora, quei sentieri sembrano molto più stretti e brevi, eppure il ricordo è ancora lì, in ognuno di essi. Quando sollevo lo sguardo su di te, mi aspetto di vederti almeno sorridere, ma la tua espressione è sempre la stessa, da quando siamo entrati in carrozza. Non puoi avercela ancora con me, non è giusto.
 
“Che ne dici di andare lì? Sembra ci sia tanta gente, probabilmente stanno per riaccendere le fontane!” Ti prenderei per mano, ma non ho più otto anni, e non posso permettermi di arrossire in pubblico, per cui lascio semplicemente che la distanza del mio passo si metta in mezzo, perché so che mi raggiungerai. Ho ragione io, le fontane hanno appena ricominciato a zampillare, e mentre tutti applaudono per quel magnifico spettacolo, io mi prendo la libertà di guardarti in viso, mentre tu guardi altrove. Sembri stanco, probabilmente cercare qualsiasi cosa tu stessi cercando in quel posto dev’essere stato faticoso, anche se…

“Sembra che tu non dorma da mesi, Xerx-nii… Qualcosa non va?”

“Niente di cui dobbiate preoccuparvi adesso, ojou-sama. Volevate godervi le fontane, no?”

Noto del disappunto nella tua voce, Xerxes. Possibile che non ti sia accorto nemmeno per un attimo che non faccio che guardare te? Sospiro, e insieme a quelle sulla gonna, con le mani cerco di scacciar via anche le pieghe dei miei pensieri, che probabilmente sono troppo contorte. Sei così strano, Xerx-nii. Il tuo sguardo sembra essere più che lontano… Trafigge ogni cosa per passare oltre. Mi chiedo se non sia stato un errore, portarti qui. Avrei dovuto rinunciare…?
 
“Miss Rainsoworth…? Posso presentarvi il baronetto Wetmore, miss? Suo nonno conosceva vostra madre, e sarebbe molto lieto di poter chiacchierare con voi.”

Chiacchierare? Con un baronetto? E Xerx-nii…? Mi volto cercandolo, ma è a più passi di distanza di quanto non mi aspettassi, completamente disinteressato. Sembra che stia… Osservando una magnolia. Sul serio, Xerxes? E va bene. Inchino, sorriso, e abbassare lo sguardo per non dar l’impressione di essere troppo sfacciata. Un’operazione meccanica, e spero tu abbia guardato verso di noi appena in tempo per vedere le guance del baronetto arrossire. O il suo braccio teso perché lo prenda per passeggiare. O il fiocco della mia gonna, che ondeggia mentre mi allontano accanto a lui. Secondo il Manuale della dama felice dovresti raggiungermi, scusarti con il baronetto e inventare un’urgenza che mi riguarda, portandomi via. Dovresti, al massimo prima che io abbia superato la Fontana di Bacco…
 
… O almeno quella di Apollo.
 
~~~
 
Non tornerò mai più ai Giardini di Reveille. Discutere di ognuna delle cinquecentotredici varietà di piante e fiori dovrebbe essere vietato dal Re.
 
~~~
 
“Vado a incipriarmi il naso.”
 
La scusa più antica del mondo, solo uno sciocco non avrebbe notato che non avevo niente in cui poter contenere qualcosa con cui incipriarmi il naso. Solo uno sciocco. Ma non ha detto niente, e io sono fuggita dentro la piccola residenza dei Giardini, per poi uscire di nuovo, dall’ala Est. Ci ho messo un’eternità a trovarlo, fino anche a pensare che fosse andato via, e che mi avesse lasciata lì, da sola.
 
“Sai, Xerx-nii, che esistono delle statue che non sono statue? Si chiamano «sculture naturali» e nelle grotte vicino il labirinto, ce ne sono tante! Mi ci porti?”
A ogni sentiero che imbocco, sembra di risentire la mia stessa voce ridere e torturare un pover’uomo costretto ad accompagnarmi in lungo e in largo per le mie fantasie.
Dove mi trovo adesso, non c’è nemmeno l’ombra di una fontana; sentieri bianchi che si incrociano e accolgono qualche busto. Mi sembra di riconoscere una dea antica, ma… Forse Afrodite, ma forse è solo una qualche eroina sconosciuta. Sono abbastanza lontana da tutta la folla accorsa per la riapertura dei Giardini da potermi permettere di togliere questo insopportabile cappellino: dopotutto, non è servito al suo scopo e nessuno, nonostante i mille complimenti del baronetto, ha notato che avessi un cappellino. Non ricordavo davvero che fosse tutto così grande, forse la sua presenza aiutava il mio cuore a sentirmi sicura. Adesso, da sola, ogni angolo potrebbe essere un vicolo cieco.
 
Non ci sono siepi troppo alte, e anche una come me può avere una visuale completa di questa piccola oasi. Conto gli alberi da qui, e vedrei se ci fosse qualcuno. Se mi sono addentrata in questo sentiero che profuma di erba appena tagliata è solo perché sono sicura di non aver ancora cercato, per cui è bene fare un tentativo.
 
“Ojou-sama…?”
Quella voce. Mi volto, ma non c’è nessuno. Eppure so di non averla immaginata. Mi schiarisco la voce e ti chiamo, ricevendo solo l’eco di un risolino, e sbuffo, ricordandomi che ce l’ho con te anche io, in fin dei conti.
 
Un albero. Salti giù da un albero e ti rimetti a posto la giacca. Siamo soli, e non sei tenuto a sorridere per cortesia. Siamo soli, e posso permettermi di guardarti in viso, senza dovermi affidare alle buone maniere. In quel momento, vedo che non ci sei. Non sei tu. Quei segni sotto le ciglia non sono stanchezza, vero Xerx-niisan…? No, non lo sono, o non mi avresti dato in fretta le spalle, sedendoti all’ombra di questa quercia. Ricorda un po’ quella che c’era a casa, sotto cui ti piaceva stare. Non occorre chiederti se la ricordi: quel velo che ti copre il tuo unico occhio ti fa somigliare così tanto a un ricordo sbiadito nella mia memoria, che mi sembra di essere tornata una bambina, di fronte al suo cavaliere arrivato dal nulla. Non c’è spazio, per me, sotto quella quercia, il modo in cui ti sei accomodato lo lascia trapelare, ma non importa. Ti vedo sobbalzare quando la nuvola di taffetà ti nasconde la visuale del giardino, ma non importa. Mi sono ugualmente seduta accanto a te.
 
“Il baronetto non è stato di vostro gradimento, ojou-sama…?”

Allora avevi sentito, vecchio sciocco. “Non più di quanto non lo sia questo caldo. Fortunatamente, sotto le querce l’ombra è piacevole…”
 
Non ti piace parlare di te, vero, Xerx-nii? Lo so, da sempre. Parlavi con lei, con mia madre, durante quei pomeriggi di fine estate, sotto quella quercia, ma io non sono mia madre, e tu non sei più quel cavaliere. Ti piace, questo mondo, Xerxes? Chiudo gli occhi, sono cieca, e lascio a te l’intimità di questo momento. Ma chissà se davvero è questo che vuoi. La tua missione, la Pandora, noi, me. Quanto il nuovo nome che mia madre ti ha dato è rimasto soltanto un nome, e quanto è diventato qualcos’altro?
 
D’un tratto, tutta questa giornata mi sembra inutile. Persino il corsetto con un doppio rinforzo che ho indossato - soprattutto quello - mi sembra inutile. Saluti, inchini, convenevoli, per un po’ d’acqua dalle fontane. Adesso che ti vedo, mi sento una sciocca.
 
“Ti ho trascinato qui contro la tua volontà, vero? Possiamo andare via, ne ho abbastanza.”

“Non è vero, ojou-sama. Adorate questi Giardini. A pochi passi da qui ci sono le vostre amate sculture naturali, sapete?”

“Ti sbagli, erano alla fine del labirinto, me lo ricordo ben--“

“Il labirinto è stato raso al suolo, ojou-sama.” Devi aver sentito il mio respiro rompersi. Adoravo quel labirinto. Hai rivolto il tuo sguardo su di me, lo sento senza nemmeno aprire gli occhi. Ho le guance rosse, non può essere altrimenti.
 
“Mi piaceva, è un peccato.”
 
“A volte, per poter costruire qualcosa, qualcos’altro dev’essere demolito.”
Ma parliamo ancora del labirinto…?
 
Non ti ho mai visto così lontano, Xerx-niisan. Non ti ho mai visto cambiare umore e pelle così rapidamente. Sembra passato un tempo infinito da questa mattina, quando il tuo sorriso sciocco ha fatto infuriare le cameriere, perché continuavi a dire di non aver avuto la tua colazione. Quando sei tornato da quella maledetta biblioteca, l’uomo che avevo di fronte era un’altra persona.
 
“Cosa ti è successo…?” Probabilmente mi stai ancora guardando. Probabilmente, hai sollevato un sopracciglio. Il sinistro. Sollevi sempre quello, perché credi che nessuno lo noti. Ma sono anni che so come leggere il tuo viso, anche se non ho le parole per descriverlo. “In quella biblioteca… Cosa ti è successo?” Spero di aver avuto un tono risoluto abbastanza da farti desistere dal raccontarmi altre frottole. Prendi un respiro profondo, lo sento, e spero vivamente che sia la volta buona.
 
“Oh, ojou-sama, non è come credete…” Ah no? E allora com’è? Riapro un occhio, per sicurezza, perché il silenzio che sento è durato più del solito, e ti vedo a fissare un busto di marmo, a metri e metri di distanza. Forse sei pronto a fidarti di me?
 
“Mi sembra fosse giugno, vostra madre aveva avuto una crisi molto acuta, ed era costretta a letto da giorni. Eravate una bambina, e quella situazione doveva pesarvi molto, per questo mi chiedeste di portarvi ai Giardini. Quello della villa non era abbastanza profumato e abbastanza grande, diceste, per la bella giornata appena sorta.” Cosa c’entra, tutto questo, con la tua biblioteca, però…? Non comprendo, ma non ho voglia di interromperti, così richiudo il mio occhio aperto e inspiro prendendo una boccata di fiori freschi che viene da chissà dove. “Proprio come oggi, il sole dava fastidio agli occhi, e ci rifugiammo in uno dei boschetti di fiori al limitare dei Giardini. Eravate ostinata, ojou-sama, e costringeste un povero vecchio a giocare a nascondino con voi.” Ricordo quel giorno, e l’unico vecchio con cui parlai eri tu. Stai manipolando i miei ricordi, antipatico. Ho il sospetto che non mi racconterai niente, di quella biblioteca.
 
“Era una magnolia, vero? L’albero su cui vi arrampicaste come una scimmietta, per poi scendere e correre da me con un fiore in mano…?” Una magnolia…? Prima, quando il baronetto mi ha importunata, stavi osservando una magnolia… Davvero ricordi ancora…? 
 
Emily ricorda ancora di aver visto i mutandoni di Sharon-chan, quella volta~
Devo essermi distratta anche troppo, per averti permesso di prendermi in giro così tanto. Tu e la tua bambola. Sei odioso, Xerxes. Credevo davvero che mi avresti raccontato il perché di quello stato d’animo. Perché avessi l’aria di chi è caduto da cavallo, perché… Ma sei sempre il solito.
 
Cosa mi stai nascondendo, e perché? Non credi che potrei tenere un segreto per te? Ne tengo tutti i giorni, con le cameriere, quando rubi i dolci dalle cucine, e ne terrei anche per qualcosa di più importante. Terrei in serbo ogni cosa, per te. Cosa c’è che non ho ancora fatto e che potrei fare per farti capire che vorrei solo… Proteggerti?
 
Questo pensiero mi ha spinto a sorridere, a un certo punto. Non per coraggio, ma nemmeno per follia. Eppure l’ho fatto, e ho sentito, al buio delle mie palpebre chiuse e piene di sole al tramonto, alcune dita sfiorare le tue nocche. Niente di più. Non ho potuto, perché le guance andavano a fuoco, e non potevo darti un altro elemento per prendermi in giro, ma…
 
Riapro gli occhi. Tu sei lì, a fissarmi, come avevo immaginato, e l’incanto si è rotto.
“Torniamo a casa, ho voglia di una cioccolata calda e di un bel bagno rilassante. Non c’è bisogno che tu rimanga ad aspettarmi.” Ho distolto immediatamente lo sguardo, lasciandomi sfuggire pochi sussurri che mi ero ripromessa di non dire, per paura di farti sentire debole. “Dovresti riposare…”
 
~~~
 
L’atmosfera cupa con cui è iniziata questa giornata sembra essere tramontata insieme al sole. Non sento più quell’angoscia che mi ha portato quasi a odiarti, oggi, per come mi hai trascurato. Ne approfitto, anzi, per lanciarti qualche occhiata mentre osservi dal finestrino della carrozza. Spero che un giorno mi considererai abbastanza forte da sostenere il peso delle tue confidenze, sempre che ci sia qualcuno che consideri tale. Sempre che ci sia qualcuno a cui vuoi farle, le tue confidenze, brutto testone. La mia risata ti coglie di sorpresa, mi guardi, incuriosito, ma non ottieni risposta, e quel sorriso appena accennato, stanco e strano che mi fai, mi fa sentire importante.
 
“Miss Rainsworth, Lady Rainsworth è nella sua stanza, vorrebbe vedervi”

Ti vedo già pronto a rimettere i panni del perfetto e mai stanco servitore, ma no, Xerx-nii, non occorre. “Vai a chiedere una cioccolata calda, ne ho proprio voglia…” Dopotutto, la nonna vorrà solo sapere se ho fatto per bene gli onori della famiglia, e che le racconti dei Giardini…
 
Anche se lo sguardo serio che mi ha rivolto non appena entrata non promette niente di buono. Non ha relazioni di Pandora sulla scrivania, non ci sono segni che sia successo qualcosa. Forse è solo stanca.
 
È un ronzio fioco, quello che sento nelle orecchie, ma sufficientemente forte perché perda metà delle parole che mi dice. Sfortunatamente, la metà che ho sentito, è stata chiarissima. “… Voci ovunque. Alla villa non si parla d’altro.”
 
“Xerx-nii… Sapete bene che lui è…”

“Lo so. Ma è forse un motivo valido perché la gente pensi a voi due non come la futura Duchessa e il suo servitore, ma come due amici o… Altro?”
 
“Ma nonna, non… Che importa delle voci? Sono grande abbastanza per poter decidere a chi dare la mia amicizia.” Tentenno, guardandola. “… No?”
 
“Non è bene, Sharon, non è decoroso.” Il decoro… Mai quanto adesso, il corsetto col doppio rinforzo e il cappellino e gli inchini e i baronetti mi sono sembrati tanto inutili. Provo ancora a riprendere fiato, provo ancora a farle capire che a dispetto di questo stupido corpo, non sono una bambina, ma distoglie lo sguardo, e a me non rimane che guardare l’opale dell’unico orecchino che riesco a scorgere.
 
“Sei una donna, Sharon. E proprio per questo, è bene che tu comprenda che una donna ha degli obblighi, molto più rigidi di quanto non li abbia una bambina.” Obblighi? Dove vuoi arrivare, nonna…? Il mio stomaco ha già iniziato a contrarsi, anche se non hai ancora finito di parlare. Non è un buon segno. “Sarebbe meglio se per un po’ Xerxes-kun ti accompagnasse meno durante le tue giornate.” Il ronzio è tornato, insieme allo stomaco ormai ridotto alla metà del suo volume, e al cuore che batte nelle mie orecchie. “Potrebbe essere l’occasione migliore per fugare i dubbi sulla vostra inseparabilità, e potrebbe aiutare me in alcuni casi che hanno destato il mio interesse.”

No. No… No.  Quell’odioso pizzicore appena sopra gli zigomi, se non faccio qualcosa, si trasformerà in lacrime, lo so. E non posso piangere adesso. Forte, devo essere forte. Non posso rifiutare, non posso oppormi, non posso proporre nient’altro. Non ha accennato a guardarmi negli occhi, non ha intenzione di lasciare che la muova a compassione. È definitivo. I tratti che vedo di fronte a me, il viso che osservo sono indistinti, mentre la saluto e mi dirigo fuori.
 
“Sharon…?” Mi fermo e torno a guardarla, con l’ultimo brandello di speranza che mi rimane completamente rivolto a lei. “Parlerò io con lui, tu… Limitati a stargli lontana.”
 
Fa male. Il cuore, di fronte a questo, fa troppo male. Sapere che è lì, con la mia cioccolata, che non berrò, aspettando che gli racconti di questo dialogo, e non potrò nemmeno dirgli addio, fa male.
 
Non le ho raccontato dei Giardini ma, come tutto il resto, non ha più importanza. 




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Capitolo 19
*** Intermezzo ***


Intermezzo
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Col senno di poi, tanti piccoli dettagli avrebbero potuto aprire questi miei occhi troppo distratti.
Col senno di poi, avrei potuto capire allora che lei era follemente innamorata di lui...
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** Clessidra ***


Clessidra
 
 
Se la distruzione di un intero mondo avesse un suono, di sicuro si tratterebbe di questo stesso silenzio che mi perfora le orecchie. Un silenzio impalpabile e placido, minaccioso, trionfante, beffardo. Ride di me, dall’alto della sua cristallina onniscienza. Ride del piccolo, misero mortale che sopravvisse, malgrado l’ombra nera del peccato cucita con il sangue e un ago grossolano alla sua schiena. Ebbene, un brindisi per te, codarda, effimera entità che tanto si è divertita a giocare col mio destino. Un brindisi per te, e che tu vada all’inferno.
 
Sollevo il bicchiere di claret e rivolgo un cenno amaro all’aria intorno a me. Poi bevo il vino tutto d’un fiato, e riempio di nuovo il bicchiere. Ho ripetuto questo gesto cinque volte. E per cinque volte ho assaporato il rosa scintillio fruttato che aveva un tempo colorato col suo tenue bagliore ogni mia cena nella sala grande della Tenuta. Non che mi fosse permesso bere, al tempo: il claret era destinato a Padron Roman e ai suoi aristocratici commensali, e nonostante venisse prodotto nelle terre che mi avevano dato i natali, su al Nord, dove le nuvole e la neve erano sorelle e si sorridevano e baciavano, scambiandosi di ruolo, confondendo il cielo con la terra, tuttavia non ne avevo mai bevuto neanche un sorso. Sorrido mestamente, facendo roteare il nettare color sangue nel suo limpido contenitore. Nonostante i cinque brindisi, nessuna estasi mi ha colto. Non ho il diritto di irretire i miei sensi, di dimenticare, di vagare per qualche ora – per una notte – nel dolce, oscuro oblio dell’alcool. Tutto ciò che riesco a percepire sul fondo del bicchiere è, invece, il suono di quelle fragorose risate quando Jener si esibiva nei suoi sciocchi spettacolini da buffone, e il sapore inebriante della selvaggina ancora intrisa del vago ricordo della vita. Bevo le trivialità dei cavalieri anziani che si scambiavano pacche sulla schiena e motti fin troppo audaci che facevano arrossire e allo stesso tempo gonfiare d’ammirazione ed emulazione noi giovani apprendisti. Bevo i suoi occhi. Gli occhi di Kenneth, brillanti di luce, brillanti di ogni significato il mondo potesse offrire.
 
L’animo umano è ridicolo. Sbuffo sprezzante contro il silenzio mentre mi ritrovo a considerare il mio patetico tentativo di riportare indietro il mio signore e la mia spensierata gioventù. Quando le finestre del cielo si sgretolarono, quando l’offerta fu pronunciata, quando il vincolo fu sancito, centosedici anime mi parvero un prezzo ragionevole. Un prezzo nauseante, che avrebbe ricoperto il mio nome e quello di mio padre e dei miei avi prima di me dello spregevole olezzo della vergogna. Un prezzo disgustoso, sì, ma ragionevole. Che cos’erano mai centosedici cadaveri e il sacrificio della mia vita, di fronte al lieve barlume di speranza di vederti respirare ancora? Che cos’era mai tutta questa farsa dell’esistenza intera di fronte al canto dolce di Florence nelle sue stanze di donna, alla nobile dignità degli occhi di Padron Roman, al tuo sorriso che gridava alla vita quale immenso, inestimabile, inenarrabile tesoro fosse svegliarsi ogni mattina?
 
Verso le ultime gocce di claret rimasto e mi sorprendo a fissare il minuscolo deposito che deve aver sonnecchiato per numerosi anni sul fondo della bottiglia. Galleggia sul vino terso, incurante del mio sguardo opaco. Mi fa venire in mente quel sogno. Il sogno che ha dato il via a questa mia folle, esasperata ricerca.
 
 
Estate. Sole. Brillante, troppo brillante.
Acqua che scintilla. Piccole onde. Non c’è vento.
Florence: “E’ una giornata deliziosa! La giornata perfetta per una gita in barca!”.
Emily, saltellando in preda alla gioia: “In barca! In barca! Kevin remerà!”
Kenneth, una spiga di grano in bocca. Sorride. I suoi occhi dicono: “Qui. Adesso. Viviamo”.
Barca che scivola sul fiume.
Profumo di iris.
Florence si adagia sulla prua. Una mano dipinge la nostra scia sull’acqua. L’altra stringe un ombrellino.
Emily cinguetta. Parla di biscotti.
Kenneth rema al mio fianco. Mi fissa. Mi sento osservato.
Kenneth: “Non ti senti schifosamente sporco, lurido assassino?”
La barca traballa. Una mano deturpata afferra un remo.
Mi sporgo. Dita. Volti mangiati dai pesci e dal tempo. A ogni cadavere manca l’occhio sinistro.
“Kevin Regnard…”, “Assassino…”
La barca traballa. Un’altra mano deturpata afferra la bambina.
Shelly-sama lascia volare via l’ombrellino.
“Dov’è Florence-sama?”, domando. Rispondono che è morta.
E’ morta di nuovo.
La barca traballa. La bambina sta per cadere in acqua.
Cerco di afferrarla.
Non portatemela via.
Non portate via…
Sharon.
 
Riapro lentamente il mio unico occhio. Da circa un anno, questo sogno mi perseguita quasi ogni notte. Non è sempre lo stesso. Non accade sempre nello stesso modo. A volte Kenneth e io stiamo cavalcando silenziosamente nel bosco, e i suoi occhi spalancati e muti non mi abbandonano mai. A volte Emily mi chiama nella camera della musica e strappa con forza le corde del liuto. Tutte meno una, e solleva lo sguardo sul mio viso, gli occhi, di nuovo, spalancati e muti. Poi parlano. Parlano entrambi, sia Kenneth che Emily, pronunciano sempre le stesse parole: “Florence è morta. E’ morta di nuovo”.
 
Poso il bicchiere sul pavimento e piego un ginocchio, offrendo un appoggio al mio gomito che presto sosterrà la mia fronte.
 
E’ morta di nuovo...
 
Florence morì quel giorno, quel maledetto, disgraziato giorno in cui accompagnai Emily alla capitale. Morì con la mia vita, col mio signore, col mio padrone. Morì in circostanze sospette, si disse, uccisa - come gli altri – da una banda di miseri banditi.
 
E morì di nuovo.
 
Nella nuova realtà che il mio folle, disgustoso peccato aveva plasmato a partire dal sangue e dalla carne di bambini, e donne, e anziani, e uomini innocenti, Florence venne assassinata. Fu l’unica a essere uccisa, l’unico bersaglio di un ignoto macellaio. Fu la ragione della follia di Emily e della conseguente estinzione dei Sinclair: a causa di quel singolo omicidio, la bambina sterminò i miei signori, offrendo il suo tributo a un Chain – o almeno, così riportano le cronache e le parole di Sheryl-sama.
 
Premo l’indice sulla tempia destra, tento invano di massaggiarla. Per un anno la mia mente ha spostato tasselli, ruotato il quadro e inserito nuovi dettagli nel mosaico. Per un anno intero ho inseguito senza successo quell’unica epifania donatami dai sogni: perché, nonostante il mio Contratto Illegale, nonostante le lancette siano state portate indietro, nonostante una nuova realtà sia stata creata per i Sinclair, Florence è morta due volte?
 
D’improvviso, il suono della chiave che fa scattare la serratura mi distrae da quei pensieri. Allontano la mano dal viso, sollevo lo sguardo verso Reim che entra nella propria stanza e che, trovandomi seduto sul pavimento in dolce compagnia del suo claret più datato e pregiato, mi rivolge uno sguardo interrogativo e allo stesso tempo, mi pare, irritato. Ah, sono contento che tu provi fastidio. Te lo sei meritato. Come ci si sente quando qualcuno ruba qualcosa che ti appartiene, Reim?
 
“Xerx… Che cosa ci fai qui? Dovresti essere a Vil---“.
 
“Dove l’hai portata?”.
 
“Cos---?”.
 
“Dove hai portato Sharon?”.
 
Indietreggi di un passo. Sembri intimorito. Ma non scappi. Ah, sei un servitore devoto, eh? Abbassi lo sguardo, ma non intendi cedere. Ti sistemi gli occhiali sul naso, prendi un respiro profondo, e assumi in un attimo quell’aria insopportabile, distaccata, professionale, che usi quando ti rivolgi ai membri della Pandora.
 
“Francamente, Xerx… Non… E’ più una faccenda… Di tua competenza…”
 




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Capitolo 21
*** Il vascello del commodoro ***


Il vascello del commodoro


 
 
“Era una nuvola di taffettà, non trovi?”
“Di certo non avrà avuto problemi a trovare un marito”


Limoge, madreperla e finissimo chiacchierino. E dipinti alle pareti risalenti a due secoli fa. Il calore di questa sala da the è senza dubbio un pregio.
 
“Non lo sapevi? Il giorno dopo il Commandeur Visser si è presentato all’alba da lei e le ha chiesto la mano!”
“E lei? Non dirmi che…?”


Chiudere gli occhi qui, seduta sulla mia poltrona fin troppo barocca, e dimenticare ogni preoccupazione.
 
“Macché! Certo che ha accettato! Si sposeranno in primavera, subito dopo la fioritura dei ciliegi!”
 
La voce chiara delle due cameriere che non smettono di chiacchierare mi piace. Probabilmente si sono trasferite a Reveille quando erano due bambine, e per questo sono così pratiche nell’uso di parole assolutamente inutili e leziose, ma non è servito a togliere loro quella leggera inflessione morbida e vagamente nordica delle loro terre d’origine. Mi ricorda qualcosa di antico, di piacevole e rassicurante.
 
Darjeeling…? Sei sicura? Non sarebbe stato meglio un Earl Grey, a quest’ora?”
“Non dirlo a me, ma miss Rainsworth ha insistito perché le fosse servito questo, anche se le avevo cons—“

Una cosa che non smette mai di farmi sorridere è lo sguardo colpevole che hanno quando si rendono conto che le sto ascoltando. Sono giorni che si sorprendono e si scusano, inchinandosi, e giorni che non smetto di trovarlo divertente. Non credevo che sarebbe stato tanto facile trovare qualcosa di esilarante da fare. Sul tavolino ricoperto di centrini preziosi c’è l’ultimo romanzo che ho preso dalla biblioteca. Un’avventura lunga quasi novecento pagine, in cui lei, la figlia illegittima di un principe decaduto, diventerà la concubina del Sultano dei Deserti ma, sterile, fuggirà alla sua condanna a morte trovando riparo tra le braccia di lui, il più temibile dei predoni d’Oriente. Ho appena scoperto che sotto il suo turbante si nasconde l’erede al trono, e sono in trepidante attesa di scoprire se si innamoreranno. Lo spero.
Le pagine erano piene di polvere, e sembrava trovarsi lì da chissà quanto, dimenticato su uno scaffale troppo in basso perché la normale curiosità e la ragionevole statura gli dessero una possibilità d’esser visto.
Essere bassi deve avere i suoi vantaggi.
 
Se Megan, la più piccola delle due cameriere che si prende cura di me, e certamente la meno disinibita, non avesse nominato il Commandeur, probabilmente adesso non starei pensando a flotte regie impegnate in battaglie epiche e mortali. Non mi sono mai piaciute le battaglie navali, somigliano a una danza dal macabro epilogo. “Prego, miss Rainsworth” la voce dell’altra giovane domestica mi distoglie proprio un attimo prima che la Garland affondasse nella mia mente, portandosi dietro il commodoro e tutto il suo equipaggio. L’aroma del the caldo e floreale allevia decisamente ogni dispiacere per la perdita. “Gradisce anche dei fiori freschi nella stanza, miss?”
Gradisco dei fiori freschi? Chissà che stagione è, adesso, per i fiori freschi… Chissà se è ancora tempo per dei… “Gelsomini, Anna…?”
“Oh, miss, mi dispiace, ma di recente ha grandinato, e… Gran parte dei gelsomini sono andati distrutti. Le porterò delle belle campanule, miss!”

Come se fossero la stessa cosa. Almeno il the è delizioso, e i biscotti all’anisetta sono così lontani da ciò a cui sono abituata da farmi dimenticare il motivo per cui mi ero indispettita… Ah, già, i gelsomini. Nemmeno cinque minuti più tardi - il grande pendolo Luigi XVI appeso alla parete potrà confermarlo - Abigail, di certo un nuovo acquisto data l’incertezza con cui si muove tra la mobilia, entra con uno splendido vaso di campanule. I decori sono in oro zecchino, come quelli della tazzina che mi riempie le mani. Arabeschi senza il minimo senso, così ipnotici da far correre l’occhio lungo tutta la superficie vellutata della porcellana. Il profumo delle campanule non mi piace, ma non è la prima cosa a cui mi abituo senza troppe remore. L’anisetta sul tavolino me lo ricorda a ogni respiro.
 
“Domani pomeriggio Lady Morris darà un tea-party nella sua residenza estiva, l’ho sentito dire da Abigail, perché sua sorella Adeline è a servizio da Lady Morris!”
“Che notizia fantastica! Credi che dovremmo proporre a miss Rainsworth…?”
 
Oh no, non dovreste disturbarvi a chiedermi se desidero partecipare a un the delle cinque in mezzo all’alta società. Potreste preoccuparvi di abbassare la voce, mi sembrerebbe di essere da sola. Da quando la servitù è così disinvolta?
 
“Sono giorni che è lì seduta ogni pomeriggio…” Questo perché questa sala mi dà sollievo, è una delle mie preferite, e gli arazzi alle pareti non sono invadenti come quelli della sala da lettura. In cuor mio mi chiedo come sia possibile rimanere concentrati su un romanzo con due enormi occhi intessuti nel damasco che ti guardano. Ma avrei dovuto cogliere segni di stravaganza già nelle uniformi piene di merletti delle domestiche. Troppi merletti. Qualcuno li troverebbe addirittura ridicoli…
 
“C-credo che andrò a fare una passeggiata in giardino!”
“Ma miss… Aspettate, vengo con voi!”
“No, Megan, so passeggiare da sola. Grazie”
 
Sarà meglio andare a sgranchirsi le gambe senza la compagnia di nessuno. I miei pensieri incessanti sono già abbastanza fastidiosi senza che altre voci contribuiscano a farmi perdere la rotta. Mentre chiudo la grande vetrata che mi separa dalle tre ragazze dalla pelle troppo chiara per essere del luogo e dalla lingua troppo sciolta per essere state bene istruite a servire, mi rendo conto di aver fatto male i miei calcoli: il giardino - una sconfinata distesa di pruni della varietà più tipica e dai toni così profondi - mi ricorda esattamente dove sono, e il perché.
 
Ho ripreso una frivola abitudine abbandonata da bambina, e ho ricominciato a scrivere il mio diario. Pagine pregiate, scritte con il migliore inchiostro di Reveille, su cui appaiono parole che non devono essere lette. Per questo le brucio, subito dopo averle scritte, prima ancora che l’inchiostro sia asciutto. Per questo chiedo sempre ad Anna che le mie stanze siano le ultime a essere riordinate. Ho bisogno che l’odore della carta bruciata si perda nell’aria, e non insospettisca nessuno. Non c’è spazio per domande alle quali non sarei in grado di rispondere senza creare altri sospetti. Mi piace, stare qui.
 
A occhio e croce dovrei aver raggiunto l’ingresso principale attraverso il giardino. Da una rapida occhiata alle ampie finestre che trovo alla mia sinistra, i visi familiari delle mie tre cameriere personali. Mi hanno seguita dall’interno, probabilmente, e restituiscono un sorriso che a me pare fin troppo pronto. Forse devo aver lasciato trasparire qualcosa dalla piega neutra che le mie labbra avrebbero dovuto avere. Forse si sono accorte che le ho scoperte proprio mentre parlavano di me, ancora una volta. Una folata di vento ha portato a me un aroma flebile, ma caldo e familiare. Gelsomini, quei pochi che il tempo non ha distrutto, probabilmente. Mi sento come loro. Incapace di raggiungere chiunque, troppo debole per oltrepassare i confini.
 
Sono ancora lì. Tutte e tre, in fila, a guardarmi da una finestra. Megan mi ha addirittura salutato con la mano come se fossimo grandi amiche. Quel gesto, nella sua inopportuna semplicità, mi fa quasi male, mi fa… Pensare. E non posso permettermi di pensare. Non davanti alle mie dame da compagnia e mie carceriere. Da giorni mi torna in mente una frase letta in una favola, tanti anni fa. Una storia totalmente assurda di una principessa vittima di un maleficio, costretta a vivere ogni giorno all’interno di un sogno, senza saperlo. Una di quelle storie che qualcuno troverebbe troppo assurda per poterla rapportare alla vita reale. «Ogni grado di libertà a me concessa era stato accuratamente pianificato da degli occhi nell’ombra, e mani silenziose avevano preparato per me ognuna delle possibilità che credevo di aver scelto. Avevo imparato ad accettare la realtà del mondo così come si presentava»
Qualcuno si stupirebbe di quanto queste parole mi sembrino adatte, adesso.
 
Dopo il secondo giro intorno al pruneto, direi che questo pomeriggio può concludersi così, accompagnato da un assolato tramonto che non fa che enfatizzare i colori che mi circondano. Il fato non mi ha assistito, e nessuna carrozza a me familiare ha battuto il selciato del viale principale. Non potrò fare le mie domande. Che non avrebbero comunque avuto risposta.
 
Sembrano leggere i miei pensieri, o forse sono solo così attente ai miei passi da prevedere le mie mosse, ma le mie tre cameriere sono già lì, una per ognuno dei tre gradini del portone principale, ad accogliermi con quel sorriso che… Inizio a detestare. Mi ricorda la compassione con cui mi guardano le signore al the delle cinque. La distanza che hanno quando si sforzano di conversare. Mi fa tornare in mente a quanto sia unica, e per questo sola, in una società che ha capito come andare avanti, e non ha intenzione di guardare cosa è disposta a lasciare indietro.
Cielo, se osassi dire a voce alta anche uno solo di questi pensieri, qualcuno riderebbe senza riserve. Ma se osassi farlo, accanto al mio Earl Grey avrei anche il mio solito éclair al cioccolato, e non dei biscotti all’anisetta.
 
“Vi siete riposata, miss?”
“Anne e io vi abbiamo preparato un bel bagno, miss, con i petali di rosa come piace a voi!”
 
Essenza e petali di rosa canina versati appena l’acqua raggiunge la sua massima temperatura, prima che si raffreddi, così che possa sprigionare il suo profumo e mantenerlo costante durante il bagno. Rimane sulla pelle, che profuma e somiglia a un petalo di rosa. È inebriante e persistente, come un roseto dietro casa… È mia nonna che ama il bagno con i petali di rosa, non io. Sorrido, oltrepassando il loro sguardo sorpreso nel vedermi un sorriso così imprevisto. Nessuno potrebbe comprenderne il motivo, in questo momento, ma l’incanto si è rotto. Mentre Megan riprende la sua posizione a guida di quella che sembra una processione verso la sala da bagno, vedo molto più chiaramente cosa mi circonda. Ognuno dei pizzi nelle mie stanze, dei piatti prelibati e delle decorazioni floreali più stravaganti, non sono per me. Non devono colpire me. Le vedo crollare davanti ai miei occhi come i piccoli frammenti di uno specchio.
L’aria di cui si riempiono i miei polmoni, d’un tratto è più pulita, mentre le cameriere iniziano a slacciarmi il corsetto. E se… “Potreste andare a prendere dei dolcetti? O anche… Beh, potreste far preparare una crème anglaise? La gradirei con dei lamponi sopra!” Quanta fatica nel fingere che mi importi qualcosa di ciò che chiedo mi venga servito. Vedo il disappunto sulle labbra di Abigail. So bene che non ci sono lamponi a meno di qualche paese di distanza da Reveille. Ho casualmente sentito delle voci risalire dallo scantinato, giusto stamani, parlare di disagi nel trasporto della frutta. Un Chain ha devastato le strade di collegamento e quindi niente merci fresche per qualche giorno. La ricerca di un lampone in lungo e in largo le terrà impegnate almeno un po’.
 
Mossa astuta, ojou-samaE se ripiegassero su qualcosaltro?
Mi par di sentirne la voce, mentre mi perdo a osservare il cancello al limitare dell’immenso giardino ormai imbrunito. Il ferro battuto è lavorato con attenzione, chissà da quanti secoli è lì, incurante del tempo, delle epoche e dei padroni che ha protetto, immutabile e pronto ad accogliere ospiti e carrozze come adesso, grandi e illuminate da tante luci quanti sono gli angoli impunturati di metallo… Ma due soli cavalli, segno che, in questo caso, non si tratta certo di nobiltà. Odio il buio di cui si è tinto il panorama oltre la finestra, mi impedisce di avere una visuale completa, ma sono quasi certa di sapere a chi appartiene quella tipica sfumatura di capelli, anche se alterata dalla luce delle lampade a petrolio. Se le finestre fossero aperte, potrei quasi sentirne l’odore pungente, ma non mi distoglierebbe da ciò che ho visto. Mi guardo intorno e sono compiaciuta nel constatare che nessuna crème anglaise è apparsa sul tavolino di fine ciliegio. Molto bene, farò in tempo a rivestirmi. E guadagnerò minuti preziosi se eviterò di indossare il corsetto. Nessuno lo nota mai, e di certo è un vezzo che non mi gioverebbe, adesso.
 

~~~


 
Se non fossi impegnata nel non far sapere a nessuno che non sono nella stanza da bagno insieme a dei petali di rosa che non ho chiesto, probabilmente mi soffermerei su quanto sono stata brava nell’evitare quelle due grandi statue di bronzo cesellato alla fine delle scale. Solo una persona dal pessimo senso dell’umorismo avrebbe potuto scegliere due mostri come quegli uccelli stravaganti come guardiani dei piani superiori.
 
Mi aspettavo di trovare tutto buio, e invece le luci della sala da lettura sono accese, un bagliore fioco arriva fin nel corridoio. Non posso rischiare di non raggiungere la mia destinazione, avrei dovuto già esserle di fronte, se non fosse stato per quello stupido tappeto di velluto che chissà chi ha deciso di togliere proprio questa sera: spero che i miei passi non abbiano risuonato troppo lontano per le stanze.
 
Evitare la luce della sala da lettura e procedere oltre. Questo mi ripeto mentre avanzo tastando con la mano destra il muro. Se le luci fossero accese sembrerei una sciocca, ma è l’unico modo che ho per evitare di inciampare. Evitare la luce della sala da lettura. Eppure dovrei sincerarmi che nessuno sia in ascolto, e che tutto sia come dovrebbe essere. Come se miss Rainsworth stesse facendo il bagno immersa in meravigliosi petali di rosa canina che mia nonna avrebbe apprezzato senza dubbio… Eccolo. Concentrato su un volume grande il doppio del suo avambraccio, rannicchiato in un modo poco consueto per lui, col viso adombrato dalle stesse pagine che legge. Troppo concentrato per accorgersi di me, una figura che passerà oltre la porta in fretta. Penserà a uno scherzo dei suoi occhi, quando noterà in ritardo un’ombra che infrangerà il fascio di luce appena percepibile oltre la porta. E procedere oltre. Se il tappeto - un altro - fosse ancora qui il mio stupido tacco non avrebbe prodotto nessun suono. Nessuno. E invece adesso temo sia tutto perduto. Dovrei correre. Potrei togliermi le scarpe e scappare verso la fine del corridoio. Potrei metterci non più di tre minuti, per percorrere quelli che potrebbero essere meno di quattro metri.
 
E se foste stata scoperta, ojou-sama?
Se fossi stata scoperta dovrei giustificare la mia presenza al piano terra, in direzione dell’uscita. E non mi viene in mente niente che suoni anche solo intelligente. La mia crème anglaise dovrebbe essere dalla parte opposta. Sarà meglio controllare di non aver dato nell’occhio. Anche se adesso… Ora si che, se le luci fossero accese, sembrerei una sciocca, accovacciata in un angolo, a sbirciare dalla porta che tutto sia come prima del mio passaggio. Chissà se i battiti del mio cuore si sentono così forte anche da fuori il mio petto…
 
Un ricco rivestimento di damasco, da questa prospettiva, mi si mostra in tutto il suo splendore. Rosso e oro, così carico da ricordare il Natale, e così soffocante da desiderare di essere altrove. Poco più in là, altro rosso ingombra il tavolino - di ciliegio anch’esso - disegnando ricami di pizzo all’uncinetto. Odio l’uncinetto quasi quanto odio ricamare, ma non ho tempo per crogiolarmi nel suo disprezzo, ora. Una poltroncina identica a quella su cui ho passato giorni interi, foderata di pesante velluto cremisi, piena solo di un ventaglio a me familiare, sta di fronte alla sua gemella, occupata da lui. Deve aver alzato lo sguardo sulla porta quando ho fatto rumore, perché le due ciocche rosse sulla sua spalla sono diventate una sola, e quell’antenna è appena scivolata verso il basso. Va bene così, finché rimane concentrato sul suo… Trattato damor cortese. Dovrò ricordarmi di questa scena per quando dovrò riferirla. So che lo farò, e so che questa immagine sarà motivo d’ilarità per settimane. O forse mesi. O magari… No.
 
Il mio cuore esploderà, me lo sento, ma sono costretta a correre più in fretta e a percorrere il corridoio in meno, molto meno dei tre minuti che mi ero data, con le scarpe in una mano e l’eccesso di gonna nell’altra. Spero che non mi abbia vista, spero che i suoi occhi grigi non abbiano davvero guardato me quando si sono sollevati all’improvviso da quelle pagine. Spero che non abbia capito e che sia tornato alla sua lettura, rannicchiato in quel modo strano sulla sua poltroncina, dondolando un piede che sbuca da chissà che groviglio di stoffa e carne. Spero che non abbia deciso di seguirmi, perché nessuna persona che adora stare lì fuggirebbe sgattaiolando al buio per i corridoi, cercando chissà cosa. Ho paura che lo direbbe alla nonna - lo farebbe senza dubbio - e lei saprebbe perché l’ho fatto. Anche senza conoscere i dettagli, saprebbe per chi l’ho fatto.
 
Le luci della carrozza sono ancora accese, ma è stata spostata verso le stalle, per dare ai cavalli il giusto ristoro. Potrei raggiungerla, e sperare che sia ancora lì… Sull’erba fresca il suono delle mie scarpe non sarà un problema, per cui posso anche rimetterle senza problemi.
 
“Miss Rainsworth…?”
Un colpo al cuore. E scenari impressionanti in cui accampo scuse poco plausibili si fanno strada nella mia mente, annebbiando ogni ragionevole capacità di giudizio. Persino la mia capacità di riconoscere le voci, persino la mia volontà nel voltarmi e guardare in volto chi ha rovinato così il mio piano perfe—tu.
 
Evito di sollevare lo sguardo, ma in un momento non molto preciso devo aver trovato il coraggio per voltarmi, e in quel momento ho riconosciuto i bottoni troppo lucidi della divisa della Pandora. In tutta l’organizzazione, soltanto una persona riesce a mantenerli lucidi come specchi.
 
“Reim-san!”
“Cosa ci fate qui fuori…?”
 
Lo vedo arrossire al buio, rischiarato appena dalle luci del patio dell’immensa Villa Barma alle sue spalle. Sento una parte del mio cervello chiedersi il perché, ma tutto il resto è concentrato nel dare una buona risposta.
 
“Dov’è?”
“Chi, miss Rainsworth…?”
Smettila. Sai benissimo chi. “Dov’è? Come sta, almeno…?”

Sento il mio cuore battere così forte che spero solo di aver pronunciato bene le mie parole, il suono dei miei battiti sovrasta ogni cosa.
 
“B-bene, sta… Bene”
 
Bene? Significa che sono l’unica a pensarci notte e giorno, e a illudermi che stupidi pruni troppo rossi e sciocche cameriere troppo allegre possano distrarmi? Sta bene, Reim-san? Devo aver chiuso gli occhi, e probabilmente ho anche tremato, perché ho sentito la sua giacca sulle mie spalle. Non ho mosso un dito per aggiustarmela addosso, ho solo sperato che continuasse a parlarmi. “Dov’è? Ti avevo implorato di lasciarmelo vedere, e avevi detto che avresti fatto il possibile per… Credevo fossi sincero. Da quando sei diventato come tutti gli altri, Reim-san…?”
 
Ottima mossa, ojou-sama. Reim-sensibile-Lunettes è un morbidone che soffre di sensi di colpa
Spero di non aver sorriso troppo vistosamente. Non so dove ho trovato il coraggio per guardarlo negli occhi, non so come ho potuto immaginare di averti al mio fianco, e imitare la posa perfetta di una principessa disperata. Hai sempre detto che non sono una brava attrice. Beh, Reim-san mi ha fatto credere il contrario, proprio in questo momento, mentre i suoi occhi si sono spalancati e le sue mani strette a pugno.
 
“È… In missione, miss Rainsworth. Non… Con Oz-sama e Raven. Anche Alice-san è con loro, e… Non torneranno prima di qualche settimana. Un Chain, molto pericol—No, non molto a dire il vero, è… Apparso al confine con il vecchio centro di Lebleux, dopo la ferrovia, e…”
 
Oh, Reim-san mente, ojou-sama. Sentite come gli trema la voce mentre parla? Emily lo riconosce, lei è la sua fidanzata, sa bene quando mente!
Come dare torto a Emily, in fondo. “Reim-san, so che probabilmente hai inventato tutto. In questo momento” Decido di essere temeraria, e mentre stai per interrompermi, scuoto la testa. “La tua voce, trema. Stai mentendo. Sei l’unica persona che conosco, qui, che può darmi sue notizie…”
 
“Ma qui avete tutto ciò che vi occorre, miss. Ho anche chiesto che vi fossero portati i migliori romanzi della biblioteca direttamente in camera, e non… Vi prego, cercate di ragionare, non dipende da me…”
 
I migliori libri in camera…? Mi stai dicendo che il romanzo che ho iniziato non ha un finale degno di un buon romanzo…? Questo non migliora il mio umore, di certo.
 
“Non mi importano i romanzi, e nemmeno tutto ciò che mi occorre, Reim-san. L’unica cosa che voglio non è con me, dove dovrebbe essere. Due giorni, Reim-san” Vedo una luce diversa nei suoi occhi. Terrore, o forse solo le poche nuvole che hanno scoperto la luna. “Se non avrò notizie di Xerxes entro due giorni… Potrei raccontare al Duca Barma quanto odiavi portare lettere a villa Rainsworth, quando eravamo bambini…” Chissà da dove mi è venuta, questa minaccia senza il minimo senso… Se non altro, per me, visto che di fronte ai miei occhi, sembra essere caduto un pezzo della sua armatura di finto coraggio.
 
“Al più presto” e “vi accompagno” sono le uniche cose chiare che sento nel balbettio che segue in risposta, e forse il sorriso sulle mie labbra è appena più pieno, e più vero. Mi sento più leggera, tanto da dimenticare il mio bagno - ma non i petali di rosa - e la crème anglaise e lamponi che probabilmente non arriverà mai, e decido di seguirlo mentre mi riporta al piano di sopra. Sembra un calore reale, quello che mi scalda il cuore in un attimo quando, con la sua giacca addosso, riesco a sentire il tuo profumo su quella stoffa. Fingerò di averne ancora bisogno, e non gliela restituirò quando sarà sulla porta. Voglio portarti con me, voglio sognarti ancora…
 
Quando mi saluta, con quell’inchino composto che mi ha sempre fatto ridere da bambina, provo compassione per lui. Sono tentata di sorridergli, ma non posso lasciare che pensi che ho cambiato idea…
 
“Buonanotte, miss Rainsworth…”
“… Due giorni, Reim-san”
 
Richiudo la porta poco alla volta, vedendolo scomparire dietro il primo snodo del lungo corridoio del primo piano.
 
Che colpo basso, ojou-sama
Sorrido ancora, tra me, sperando di poter cantare vittoria al più presto.




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Capitolo 22
*** Pizzicato ***


Pizzicato


 
 
"È una faccenda della massima riservatezza, Lunettes-san, spero tu possa comprenderlo..."
 
A distanza di così tanti giorni che ho smesso di contarli, più che le parole, è il tono della voce di Lady Rainsworth a tornarmi in mente. Dopo tutti gli anni che la conosco - ed eseguo i suoi ordini a dispetto della livrea che indosso - ricordo solo un'altra occasione in cui dalle sue parole non traspariva nessuno spiraglio, nessun cavillo a cui aggrapparsi.
Le lettere di Barma-sama sono tutte andate perdute, infatti.
 
"... Ma miss Rainsworth potrebbe non gradire di non ricevere nessuna spiegazione, Lady--"
"Sciocchezze, Reim-kun. Mia nipote è già stata informata, e concorda con me che sia la soluzione più ragionevole."
 
Oh, sapevamo entrambi che non era questa la verità, ma lei non aveva intenzione di agire diversamente e io non avevo l’autorità per mettere in discussione la sua parola. Questo è quello che si definirebbe un atteggiamento codardo. O prudente?
In fondo, che potere ho per rifiutare un ordine diretto di uno dei Quattro Duchi, Lady Sheryl Rainsworth, in persona? Io, che sono un semplice membro di Pandora, assegnato agli archivi perché ci ho messo ben sei mesi prima di impugnare in un modo plausibile una pistola, e che sembra proprio non sia in grado di far valere la mia autorità se non con quello sciocco di un apprendista che non fa che sgualcire la carta ogni volta che rifornisce le sale di scrittura. Non avevo  speranze di fronte a una donna così integra, non avevo speranze di fronte al suo comando, anche se questo significava separare i miei due migliori amici. Così, adesso lo so, mi sono ingenuamente limitato a illudermi che fosse per un tempo breve, paragonabile a un battito di ciglia, e che tutto si sarebbe tornato a posto, in qualche giorno al massimo.
Questo più di un mese fa.
 
"Ru-kun è già stato informato, per cui non dovrai preoccuparti di niente più che accompagnare Sharon a Villa Barma e..." Nei suoi occhi c’era forse un'ombra di consapevolezza, in quel momento? Così mi è parso di notare. "Assicurati che stia bene, e che non le manchi niente. Rufus ha un concetto singolare di necessità, temo."
Probabilmente, quando ha deciso di mandare Sharon-sama dal Duca, deve aver pensato che fosse una decisione saggia, affidare la futura custode delle Chiavi del Cancello Rainsworth a un uomo che ama dilettarsi con le più vanesie illusioni. Non che non apprezzi la sua immensa cultura e il suo delizioso modo di farti amare i libri. Rufus Barma sembra conoscere ogni testo scritto negli ultimi secoli - e forse è davvero così - ma… Lady Sheryl avrebbe dovuto sapere che sarebbe stato un ospite fuori dal comune. Mi chiedo perché qui, perché non altrove, allora…
 
Forse, perché questo è lunico posto dove lui non avrebbe mai cercato di intrufolarsi.
 
Scioccamente, ho ritenuto che la soluzione migliore fosse allora quella di allontanare entrambi da me. Per poter tenere fede alla mia parola data a Lady Sheryl, mi sono detto all’inizio.
Per puro terrore delle conseguenze e senso di colpa, mi rendo conto adesso. Dovrei rivedere il mio concetto di coraggio, di certo io sono lontano anche solo dall’ombra di ciò che dovrebbe davvero essere. Di certo, il coraggio non dovrebbe far sentire così soli, né dovrebbe farmi provare questo strano senso di disagio ogni volta che incrocio lui - che ormai non mi rivolge la parola da giorni - nei corridoi o lei - che ho evitato con tutte le mie forze da quando mi ha dato il suo ultimatum, disatteso già tre giorni fa - nei giardini della Villa o nelle sale da lettura.
 
Non che questo implichi che non so cosa succede a Sharon-sama durante il giorno. Magra consolazione, ma non posso pensare di non esserne informato. Xerx mi ucciderebbe - cosa che credo già voglia fare da un po’.
Ho quindi una conoscenza indiretta di ciò che Sharon-sama mangia a colazione, e a pranzo e cena. Che non mangia, per essere corretti. Se l’ultima volta che ho visto Xerx era in uno stato che ricordava da vicino il burbero cavaliere che mi è costato tre paia di lenti in soli due mesi, miss Rainsworth sembra una di quelle eroine dei romanzi che le piacciono tanto - è imbarazzante ammettere di aver letto i titoli delle sue letture recenti per sincerarmi che andasse tutto bene. È dimagrita in breve tempo, e l’unica cosa che sembra mangiare durante il giorno sono i dolcetti e il the che Rufus-sama serve per quello che sembra essere un pomeriggio di chiacchiere. Ogni giorno, alle 17 in punto, si ritrovano nella piccola saletta in cui il mio padrone adora conservare i volumi più pregiati, e il piccolo tavolino viene imbandito con pasticcini e dolcetti che Xerx divorerebbe con gli occhi.
 
Quello di una volta, perlomeno. L’uomo che siede ogni pomeriggio sul davanzale della sala comune del Quartier Generale di Pandora, in silenzio e con lo sguardo perso nel vuoto, con una mano sempre sulla spada e l’altra stretta a pugno, di certo non proverebbe nessun sentimento verso zucchero a velo o marmellata. Ne ho la certezza dopo averlo visto trangugiare con una voracità inaudita l’arrosto di manzo del venerdì, al Refettorio Grande. Ripensandoci, non so se fosse più animale il suo sguardo o quello che aveva nel piatto.
 
“Ho saputo che hai apprezzato molto «I giardini della Regina», Sharon-chan”
“Certamente, Barma-sama. La vostra biblioteca contiene una selezione di volumi di sicuro interesse in ogni genere letterario”
“Sono lieto di sentirtelo dire, mia cara… Gradiresti ancora uno di questi pasticcini al limone e zenzero? Ho sentito dire che sono i tuoi preferiti…” I suoi preferiti? E da quando…? Torta al cioccolato con al massimo qualche nocciola all’interno, questo è il dolce preferito di Sharon-sama dall’età di nove anni. Prima era la meringa alla fragola.
“Volentieri, Barma-sama, grazie”
 
Mi chiedo cosa ci faccia, io, qui. Di solito è la servitù a tenere compagnia al mio padrone e a Sharon-sama durante quest’incantevole danza di convenevoli, e sto bene attento a evitare di farmi trovare in questa saletta per quando le cameriere iniziano a portare da mangiare e i piccoli passi di Sharon-sama iniziano a sentirsi per il corridoio, ma… Devo essermi perso nell’analisi del glifo X32b8 contenuto in quella stele antica ritrovata nei recenti scavi sotto Lebleux e di cui il mio padrone custodisce gelosamente una riproduzione miniata nella sua saletta dei tesori, perché quando ho visto lo sguardo di Sharon-sama penetrarmi da parte a parte, era ormai troppo tardi per dileguarmi senza salutare, così ho tentato di accampare un impegno urgente a Pandora. Ma Rufus-sama ha chiesto che rimanessi, dato che io e Sharon-sama eravamo amici.
 
Così amici che i suoi occhi mi avrebbero bruciato vivo, se solo avessero potuto.
 
“Ho avuto notizie della figlia del Conte di Ulaidh, ha organizzato un the delle cinque per riabilitare la sua reputazione dopo lo scandalo dell’abito al suo debutto…”
“Dev’essere dura dover fingere di non provare vergogna, allora…”
“Mia cara, gli scandali sono una cosa a cui i nobili sono abituati. Dimenticano in fretta se viene loro offerto del buon cibo e qualche altro scandalo.” Le solite chiacchiere sterili. Non ho davvero interesse per acquisire queste informazioni, eppure so che, mio malgrado, sono già lì, memorizzate da qualche parte nella mia testa. Occupano inutilmente spazio prezioso.
 
“Sai, nel nostro mondo le notizie diventano vecchie in fretta, purché ci sia qualcos’altro di cui parlare.”
“E Barma-sama sarà sicuramente al corrente di ogni notizia circoli a Reveille.”
Ho incrociato lo sguardo di Sharon-sama e ne sono stato trafitto in più punti.
Distinguo perfettamente il velo che separa il suo finto interesse per una conversazione che non è mai salpata e il risentimento - lodio? - con cui guarda me. Per questo ho deciso di concentrarmi su questi glifi nella speranza - vana, devo constatare - che possano portarmi altrove.
Quand’è che mi sono trasformato nel nemico principale delle persone a me più care? Nessuna delle due sembra comprendere che non avevo alcuna scelta.
 
 
“Non me ne vanterò di certo, mia cara. I salotti pullulano di voci. E tuttavia preferisco prestare orecchio solo quando i soggetti sono persone di mia intima conoscenza…”
“Comprendo. Qualche notizia interessante, dunque?”
“… Ernest Nightray ha ufficialmente rotto il suo fidanzamento, per sospetta impurità della sua promessa. Come abbia fatto a scoprirlo, sospetto sia altrettanto impuro. Il mio nome—” So che ha sollevato lo sguardo su di me, sento bruciare la fronte nel punto in cui i suoi occhi mi fissano. “—è quieto e in silenzio come al solito, e i Vessalius non fanno più notizia da quando Oscar ha rinunciato al buon senso in cambio di uno stile di vita alquanto… Bohémien.”
 
Dato il silenzio calato nella saletta come una coltre di pece, ho temuto e desiderato sollevare lo sguardo, e ciò che ho visto era esattamente ciò che le mie orecchie avrebbero potuto comunicare.
Nulla. Lo stallo tra una piccola figura in un abito sontuoso che attende e la sicurezza di chi pretende una domanda diretta. Che tarda ad arrivare. Qualcosa, nell’aria, è elettrica. Senza rendermene conto, mi sono ritrovato a rivolgere lo sguardo su entrambi, come se stessi seguendo un incontro di scherma, come se stessi cercando di capire, dai loro occhi, chi avrebbe fatto la prima mossa.
 
Poi, Sharon-sama è arrossita.
 
“Tua nonna è sempre stata molto accorta che niente di non convenzionale trapelasse dalle mura di Villa Rainsworth, eppure, la sua giovane nipote ha fatto a lungo parlare di sé…”
Silenzio, e le sue guance si colorano di un più vivido rosso.
“… Sebbene non come unica protagonista. Si dice in giro che leggere ti piaccia talmente tanto da aver costretto il tuo servo” In un attimo ho sentito anni di disprezzo in un solo appellativo. “—ad appassionarsi a sua volta alla lettura. Si dice che ti legga personalmente i romanzi…”
“Ho imparato a leggere e far di conto all’età di cinque anni, Barma-sama, e sono perfettamente in grado di leggere i miei romanzi preferiti senza l’aiuto di nessuno. Inoltre, Xerxes-san non condivide la mia passione per la letteratura femminile, se è a lui che alludete.”
 
Attraverso un viso che non è mai cambiato negli ultimi anni, riesco a scorgere una donna fatta e finita. Solo Lady Sheryl avrebbe saputo rispondere meglio a una simile domanda. Lei non avrebbe ottenuto un criptico sorriso in risposta, di certo.
 
“Quanta foga, Sharon-chan. Ambasciator non porta pena, ho solo riferito quanto sentito in giro. Personalmente, non credo che un uomo tanto rude potrebbe mai apprezzare la finezza di certe descrizioni. Leggerà sicuramente il quotidiano e qualche rivista triviale, immagino…”
“Al contrario, Barma-sama, Xerxes-san legge spesso anche libri presi in prestito dalla biblioteca di Pandora, trattati di storia delle arti e degli uomini, e anche qualche libro di cucina!”
 
Xerx? Libri di cucina? Probabilmente era per corrompere qualche cuoca a farsi preparare chissà che diavoleria esotica. Non sarebbe in grado di cuocere nemmeno un uovo.
 
“«Trattati di storia delle arti e degli uomini», dici? Mi sorprende, forse rimpiange i suoi meschini trascors—“
“Xerxes-san è la più nobile tra le persone che conosco, Barma-sama, non… Se volete sapere la mia opinione, niente di lui è meschino.”
 
Un altro sorriso sulle labbra del mio padrone. I glifi? Oh, avevo già rinunciato a decifrarli, ma ho anche smesso di guardarli da quando l’argomento di discussione è diventato lui.
 
“Di certo lo conosci molto bene, Sharon-chan, non è vero…? Sai, c’è qualcosa che non ti ho detto sugli scandali e le chiacchiere di salotto… C’è sempre un fondo di verità…”
“Non capisco a cosa vi riferiate. Xerxes-san e io condividiamo la passione per la lettura, per questo siamo spesso insieme in biblioteca, e per le passeggiate, motivo per cui mi ha accompagnato volentieri alla riapertura dei Giardini di Reveille. E’ il mio servitore. Immagino che sappiate che starmi accanto è uno dei suoi compiti, oltre a risolvere perfettamente i casi che Pandora gli ha assegnato.” Perfettamente non è la parola che avrei usato io, Sharon-sama, e nemmeno il mio padrone, a giudicare dalla smorfia sarcastica che ha assunto. Xerx è… Opportunista. Così tanto che se non mi fosse sempre accanto, probabilmente finirei col fare favori a chiunque senza rendermene conto.
 
E questo mi ricorda che devo coprire i turni di Cooper, Eriklag e Johnson, questa settimana. Tutto per colpa sua.
 
“Hai equivocato le mie intenzioni, mia cara. Sono dalla tua parte, e so bene che un servo deve tener fede ai suoi compiti.” Questa volta non ho fatto in tempo a deviare lo sguardo e li ho visti, oltre che sentiti, i suoi occhi su di me. Sospetto che sia perfettamente a conoscenza di quanto odi la posizione che ho in questo momento. “Sei molto fortunata, condividi molto con lui. Un vero peccato, non condividere le stesse passioni nello stesso modo, deve mancarti qualcuno con cui discutere di ciò che leggi…”
“Oh, no, cerco di raccontargli spesso dei miei romanzi preferiti, anche se non sembra gradirli. Così a volte cerco di imparare da lui e chiedo che mi riassuma le sue ultime letture!” L’ho vista arrossire di nuovo, probabilmente ha temuto di essersi esposta troppo. Ha evitato anche il suo sguardo, oltre che il mio, per un po’. Anche se non con lo stesso disprezzo.
“… Degno della futura Duchessa Rainsworth. E cos’hai appreso dai suoi riassunti…?”
La vedo abbassare i suoi occhi grandi sulle sue manine piccole più del consueto tempo necessario a una risposta di cortesia.
 
“Che gli uomini amano farsi la guerra, e che qualcuno sostiene che gli esseri umani discendano tutti dalle scimmie, Barma-sama.” Qualunque fosse la reazione del Duca Barma in quel momento, ero troppo occupato a nascondere una risata dietro il mio taccuino per vederla.
 
“Qualcuno deve essere rimasto ancorato ai suoi discendenti, forse.” Lo sento borbottare, più sbrigativo e brusco del solito, come se volesse continuare a cogliere l’attimo. “Se il tuo servo rimane ad ascoltarti mentre riporti le storie d’amore di quei deliziosi romanzi, deve tenere molto ad ascoltarle dalla tua voce… “
 
Arrossisce di nuovo, e io ho definitivamente rinunciato a capire quale sia, ammesso che esista, lo scopo di questa conversazione. Nonché della mia presenza.
 
“Mi… Piace credere che in fondo, un po’ gli piacciano, Barma-sama…”
“Non ne dubito, mia cara. Sicuramente grazie a te ha sviluppato un interesse profondo per le storie personali dei personaggi a cui tieni. Magari vorrebbe anche scoprire da dove discendono, dovresti chiederlo a lui, ma—oh, mi dispiace.”
 
Servo lealmente il Ducato Barma da quando sono nato, e non contravverrei mai a un ordine del mio padrone. Lo rispetto e lo considero tra le menti più geniali del nostro secolo. Un uomo come pochi.
Ma nessun signore dovrebbe infierire su una signorina così. Chiunque in questa città sa che quei due sono inseparabili, e parlarle così proprio adesso che non possono vedersi…
 
“Qualcosa non va, Lunettes? Hai trovato una traduzione interessante della stele di Lambért?”
“I-io… N-no, signore s-sono…” Solo uno stupido.
“Dalla tua espressione esterrefatta avrei detto che i Barma fossero vicini a ottenere un nuovo riconoscimento umanistico da affiggere nel corridoio del terzo piano.”

Se sono qui è solo per mimetizzarmi con la tappezzeria, e fingere di essere un arabesco, e non per chiudere di scatto i libri e tenere la bocca aperta a sproposito. Devo averlo fatto senza pensare. Da quando sono così impulsivo?
Abbassando lo sguardo sui miei piccoli segni antichi da decifrare, mi sembra di riconoscere i contorni di una sagoma umana, impiccata.
 
 
“Dicevo…” Un’altra occhiata verso di me, di rimprovero. “Sicuramente, grazie a te avrà sviluppato interessi letterari di più alto livello. Sicuramente, la tua adorabile vicinanza potrebbe rendere qualsiasi persona più colta e garbata, e sicuramente… Anche un uomo senza nessun talento potrebbe appassionarsi, grazie a te…”
“B-Barma-sama, non… Xerxes-san è un uomo migliore di quanto crediate.”
“Lo conosci bene, non è vero?”
“Certamente, Barma-sama.”
“Ti racconta ciò che fa?”
“C-certamente, Barma-sama. Lavoriamo entrambi ai casi di Pandora, è ovvio che io sappia cosa fa.”
 
«Inganno». Ecco la traduzione corretta dell’uomo impiccato.
“Questo non vuol dire che ti racconti tutto ciò che fa quando non è a Pandora…” Sharon-sama ha già idee confuse su dove passi la notte Xerx certe volte, se il Duca continua con queste allusioni… Perché continua con queste allusioni?
Che interesse ha nello screditare - ulteriormente - la reputazione di Xerx? Come se fosse alla ricerca di qual—
Sta cercando qualcosa.
 
“La gioventù porta con sé tanti punti di forza e altrettante debolezze, come fidarsi delle persone. Dovresti essere accorta, mia cara.”
“Conosco Xerxes da quando sono una bambina, Barma-sama, ho deciso con cura di fidarmi di lui.”
“Ed è grazie alla tua fiducia che è diventato abile a vivere in società, io credo. Per di più, appassionandosi ad argomenti così squisitamente colti… Tutto grazie a te.”
“I-io…”
“Oh, suvvia, non avrebbe mai avuto possibilità a Pandora se non come tuo servo istruito. Sembra che tu lo abbia reso più… Raffinato” Qualcosa, nelle immagini della mia memoria recente, mi ricorda che forse ha ragione. Forse vederlo indossare la stessa camicia da due settimane, o forse vederlo sbranare carne come un reduce di un naufragio. O entrambi. “… Da non accontentarsi più del ruolo che ricopre.”
 
Vedo le guance di lei imporporarsi di nuovo, proprio adesso che erano tornate al candido pallore tipico della sua permanenza a Villa Barma. “N-non capisco a cosa vi rifer—“
“Oh, mia cara, è semplice. La parte del servo sta stretta a un cavaliere dal passato abominevole. E la tua compagnia sarebbe deliziosa per chiunque. ”


Sharon-sama ha già abbassato lo sguardo, in preda a quello che sembrerebbe puro imbarazzo. Sono tentato di riportare l’attenzione su di me. Potrei far cadere qualcosa, potrei… Non essere perdonato per una seconda interruzione. Non dopo aver visto chiaramente lo sguardo fisso e penetrante che il mio padrone ha su quella creatura fragile. “Dove vuole arrivare, Sharon?”


“«D-dove», Barma-sama…? Non—“
“L’uomo che risponde al nome di Xerxes Break è capace di qualsiasi cosa, e dio solo sa i mezzi illeciti che è disposto a sfruttare per i suoi scopi…” Silenzio, in risposta. “Credi di aver compreso chi sta cercando di raggiungere…?”

Stiamo ancora parlando di Sharon-sama…? Libri, scandali, e… Anche il mio padrone sa che Xerx non è un arrampicatore sociale. Non lui. Quindi… Chi sta cercando di raggiungere?
Gyre.
Deve averlo saputo in qualche modo. Non avrebbe dovuto accompagnarmi in quella biblioteca, così non ha firmato nessuno dei rapporti e delle relazioni ma…
 
“Va’ a chiamare Abigail.”
 
In qualche modo, il mio padrone deve averlo saputo.
 
“Reim? Va’ a chiamare Abigail perché venga a sparecchiare.”
 
Quanto tempo è passato? Spero di non aver avuto la bocca aperta di fronte alla replica della stele come uno stupido. Il mio padrone non ha mai perso le redini della situazione. Non mi piace pensare che abbia organizzato tutto questo solo per ottenere informazioni su di lui. Non che Sharon-sama l’abbia notato. Fortunatamente sospetto creda ancora che l’argomento di discussione fossero i sentimenti, e dubito che, in ogni caso, si sarebbe lasciata sfuggire qualcosa. Se anche l’avesse saputa.
 
Ormai ho completamente perso di vista il senso di ognuno di quei glifi, perché in ognuno di essi vi rivedo loro. Lui, lei, e me.  «Inganno» riguarda il Duca Barma? O forse me…? Solo un uomo incredibilmente meschino avrebbe potuto acconsentire a gettare entrambi in pasto ai pescecani.
Non ho nessuna intenzione di tornare alla mia traduzione, ma non voglio più eseguire ordini che non mi piacciono. Non dopo aver scorto il suo viso rigato di lacrime, fuori dalla porta di quella saletta. Ha resistito incredibilmente bene alle sue allusioni, ma parlare di Xerx deve esserle costato molto. Ho sentito dire alle cameriere che non parla mai di casa, né di quello che faceva prima del suo “soggiorno”. E’ troppo, per lei, me ne rendo conto solo adesso che mi passa davanti, senza nemmeno accorgersi di me, smunta e pallida - sono occhiaie, quei cerchi scuri che ha intorno agli occhi.
 
Saresti in grado di difendere la piccola ojou-sama, se io fossi in missione lontano, nanerottolo?
Sono un uomo al pari tuo, ormai. Non lascerei mai che qualcuno le facesse del male!
 
La causa della mia nausea perenne dev’essere il ragazzino di dodici anni che ha pronunciato questa promessa tanti anni fa che si rivolta dentro di me, orripilato da quanto ho fatto.
Proprio io l’ho ridotta così.
 
Non è ancora troppo tardi. Posso ancora rimediare. E c’è solo un modo in cui posso farlo.
 
C’è un passaggio segreto che collega il terzo corridoio seminterrato alla piccola cascina oltre la collina. Nessuno lo usa più da decenni, ma da bambino mi nascondevo lì quando non volevo essere trovato. Xerx dovrà entrare da lì.




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Capitolo 23
*** Sincope ***


Sincope

 

Nubi. Fitte nubi bianche su un cielo ancor più gelido e candido. Volute di aria calda che si congela a ogni respiro. Silenzio. Questo silenzio disumano che tuttavia non mi infastidisce. Fa appello a qualcosa di profondamente sepolto dentro di me. Dolore, forse? Mi sento nostalgico.

Tic.

Tic tic.

Tic.

Il primo rumore che riesce a catturare la mia attenzione. Da quanto tempo sto fissando il cielo?

Tic tic.

Abbasso lo sguardo. Cerchi perfetti di sangue scarlatto imbrattano la neve che sommerge le mie caviglie. Sono ferito, dunque? Ruoto la mano, osservo il palmo ricoperto dalla stoffa bianca. Scie cremisi l’hanno solcato, rotolando giù lungo il polso, l’avambraccio, la spalla. Sono stato colpito alla spalla, quindi. Lascio ricadere la mano lungo il fianco. Tic. Tic. Tic. Non m’importa.

Avanzo lentamente di qualche passo, e mi vedo presto costretto a muovere faticosamente le braccia nel tentativo di spostarmi. La neve rallenta i miei movimenti, e comincio ad avvertire la sgradevole sensazione del ghiaccio che scivola dentro gli stivali e raggiunge i miei piedi. Sto cominciando a perdere sensibilità. Sento dolore. Posso facilmente immaginare che le dita siano ormai diventate blu. Respiro - ghiaccio pungente che si diffonde nei polmoni - e mi chino per afferrare la testa mozzata dell’ultimo Tramp che ho abbattuto. Il suo cadavere giace poco più avanti, accasciato a terra sul suo stesso fumante sangue viola. Che visione volgare. Eppure basta quel pensiero per farmi inarcare le labbra in un sorriso di puro sarcasmo. Oh, quanta voglia di ridere. L’avevano definita “una situazione senza controllo” e “una missione suicida”. E alla fine non riesco più a trattenermi, e rido. Oh, rido a squarciagola mentre lancio la testa grondante sangue sulla pila di cadaveri dei sette Chain sterminati. Che basti un po’ di neve innocua a scoraggiare gli agenti della Pandora? Appoggio la schiena contro il tronco solido di un abete e mi lascio crollare a terra, le gambe ricoperte di fiocchi bianchi.

No. La verità è che non è cambiato niente, in fondo. Oggi come allora, questo posto dimenticato da dio rimane la fucina dell’inferno.

“Regnard?”

“Quei Regnard? I Regnard di Alaistar?”

“Non porterà niente di buono. Questo marmocchio dovrebbe spalare letame nelle stalle!”

“Perché accidenti l’hanno mandato qui?”

Otto anni. Un’età splendida per imparare il mestiere dell’assassino. Non che ci voglia molto, dopotutto, quando si è nati ad Alaistar. Tutto ciò che occorre è una buona dose di disprezzo da instillare nel cuore di un bambino imperfetto. Con i miei occhi dello stesso colore del sangue, con i miei capelli dello stesso colore della neve, ero per tutti l’incarnazione del Male, il genere di demone che può crescere solo nel grembo di Alaistar, in cima alle montagne, dove gli uomini scavano rifugi nella roccia, e le donne adempiono al loro compito di riproduttrici.

Avevo una sorella. Anche lei era una riproduttrice. Il suo sangue macchiò la neve là dove un mercenario decise di profanare il suo ventre. La pietra che scagliai contro la testa dell’uomo fu la prima arma che utilizzai per uccidere.

“Il bambino è vostro, mio signore. Vi servirà fedelmente”.

Ceduto. Regalato. Venduto. Mio padre aveva servito i Sinclair per tutta la vita. Era giunto il momento di offrire un dono ai signori. E quale dono avrebbe mai uguagliato la creatura per tutti nata col solo istinto di uccidere?

E poi una mano. Una mano gentile sui miei capelli di ghiaccio.

“Tu e mio figlio avete quasi la stessa età. Comportati bene, e diventerai il suo cavaliere. Ne sarai in grado?”

Amore. Per la prima volta da quando le montagne mi avevano regalato il loro gelido soffio di vita, mi sentii amato. Voluto. Desiderato. Roman Sinclair credeva in me. Per lui avrei dato la vita. Per il mio signorino, Kenneth, avrei persino venduto l’anima.

Quando riapro gli occhi, il candore del cielo è ormai diventato un inerme testimone del violento incendio del tramonto. Stringo le mani a pugno, cerco di muovere i piedi. Comincio ad essere vecchio per tutto questo gelo. Non sono più abituato a sentire il cuore stretto in questa prigione di ghiaccio. Non dopo che il fuoco, dopo anni, ha trovato un modo per scioglierlo; non dopo che il calore ha iniziato a insinuarsi nelle vene, circolando in tutto il mio corpo, ricordandomi perché sono ancora vivo, e per chi lo sono.

Mi rimetto in piedi e raggiungo il cavallo. La missione è completata, ho annientato i nemici che gli altri membri della Pandora avevano troppa paura di affrontare, nelle montagne infernali che gli altri membri della Pandora avevano troppa paura di sentir nominare. E’ sempre un piacere tornare a casa, mi ritrovo a pensare, mentre le vette innevate alle mie spalle si allontanano lentamente nel più ovattato silenzio. Il bacio d’addio che Alaistar riserva alle mie labbra non è altro che misera desolazione. Solo tre ore più tardi mi rendo conto di aver sottovalutato i tranelli della mia terra natia.

La nebbia ha avvolto la realtà, occultando il sentiero a questo mio occhio stanco. Secondo i miei calcoli, dovrei essere in prossimità di Villeich, ma non riesco a scorgere la luce delle lanterne. Nessun odore di pane caldo e birra nell’aria. Nessun suono di risate ubriache. Ovunque mi volti, riesco a percepire solo il boato costante del vento che scava cunicoli in questa coltre opprimente. Poi, improvvisamente, qualcosa striscia al mio fianco, sfregando inavvertitamente contro il mio piede. Porto la mano alla spada, la sfodero, ghigno. Questo alito fetido ti tradisce, stupido Grim. Fatti avanti, forza. Lanciati all’attacco, la mia lama ti attende.

Ma lo stupido verme non avanza. Al contrario. Sento le foglie sul terreno scricchiolare, come se il corpo flaccido del Chain stesse arretrando, animato da una qualche frenetica emozione. Paura? Rido. E da quando i Grim hanno paura del loro spuntino? Non ho intenzione di lasciarti scappare e darti l’occasione di trovare una preda più innocua. Mi getto in un galoppo cieco, sfidando il velo della nebbia, la sete di sangue che ancora brucia nella mia gola. Il primo affondo della lama è uno sfogo alla rabbia di essere stato allontanato da lei. Il secondo affondo è vendetta per la fiducia mal riposta in quel pezzente di Lunettes. Il colpo con cui decapito Grim è invece per me, per ricordare il disprezzo che ha sempre accompagnato questa mia esistenza che porta solo sciagura. Guardo la testa del verme volare, cadere a terra, urtare un masso, rotolare per qualche metro. E quando sollevo lo sguardo dalla scia di sangue viola sul suolo, il castello dei Sinclair, muto e diroccato, mi osserva, disapprovando il mio operato.

Come… come sono finito qui? 

Sento un dardo trafiggermi il cuore, una mano stringerlo, affondandovi dentro le unghie taglienti come lame. Sento il sangue sgorgare da esso, zampillare in tutto il mio corpo, offrendo in sacrificio dolore, colpa, dolore, amarezza, dolore, la più profonda disperazione. Riesco a malapena a smontare da cavallo, a ricordare come si mette un piede di fronte all’altro per camminare, e quando raggiungo il portone divelto, le gambe tremano, le dita pure. Non riesco ad accarezzare se non con lo sguardo lo stemma dei miei signori, mentre un silenzio di morte avvolge il luogo dove un tempo sono stato felice.

Avanzo di pochi passi, e mentre i tacchetti dei miei stivali risuonano sui lastroni di pietra che migliaia di ombre ormai dimenticate hanno calpestato, il buio lascia spazio ai colori là dove il mio sguardo vibrante di lacrime si posa. Le scale. Quelle scale che ho corso e percorso innumerevoli volte, l’ultima delle quali mi ha condotto tra le braccia del mio padrone esangue. Il corridoio. Il lungo corridoio dove risuonava il canto semplice e gentile delle donne che ricamavano con la piccola Emily. Lo studio di Kenneth. Quello studio dentro il quale avevo conosciuto la vita, per la prima volta, e il calore aveva iniziato a sciogliere le stalattiti che trafiggevano il mio cuore atrofizzato. La camera di Florence-sama, il cui profumo di camelie raggiungeva i miei polmoni anche quando la porta era chiusa e la padroncina non era in casa. Sento i denti affondare nelle labbra per impedire loro di gridare con tutto il fiato che ho in corpo. Quel profumo. E’ come se quel profumo aleggiasse ancora nell’aria, sfidando il tempo, sfidando la morte. Non riesco a impedirmi di premere le dita sul legno consumato dai tarli della porta, e così entro, senza permesso, nella camera della signorina. Un sorriso amaro, e scuoto la testa per scacciare in fretta questo pensiero: mi ha ricordato un cuscino che mi è stato scagliato contro da una signorina ben più vivace e che non mi è più concesso proteggere.

In questa realtà non ci sono schizzi di sangue a imbrattare le pareti. In questa realtà, Florence-sama non ha lottato per la sua vita, mandando in frantumi lo specchio nel tentativo di ostacolare i suoi aggressori. In questa realtà, Florence-sama non è morta qui dentro, ma nella sua carrozza, a poche miglia da Ébauche. Le mie dita percorrono il mobile da toletta della padroncina, lasciando alle loro spalle una scia netta e precisa nella polvere accumulatasi in tutti questi anni. Ne osservo la consistenza filamentosa sui miei polpastrelli. Come si saranno spiegati la mia assenza, in questo mondo? Mi avranno detestato? Kenneth-sama… mi avrà mai perdonato per non essere stato al suo fianco?

Chiudo gli occhi, mentre il profumo di camelie che impregna i miei ricordi si fa sempre più opprimente, soffocandomi nel rancore, nell’odio per tutte le promesse che non sono riuscito a mantenere, nella consapevolezza di non essere stato all’altezza della fiducia accordatami da Padron Roman. Devo uscire di qui. Devo tornare alla Pandora, devo fare rapporto, devo affogare il mio dolore in qualsiasi cosa sia in grado di annebbiare la vivida luce della mia memoria, sia essa oppio o morfina. Mi volto di scatto per dirigermi verso la porta, ma un vago dolore alla coscia richiama la mia attenzione. Mi rendo conto di aver sbattuto contro un cassetto lasciato evidentemente aperto da qualche ladruncolo in cerca degli ultimi tesori di una nobiltà sprofondata nell’oblio. Sbuffo, disgustato dalla grettezza dell’animo umano, e mi piego a terra per raccogliere una scatolina che non avevo notato al mio ingresso. Che strano. Non può essere caduta dal mobile, non l’ho urtato con così tanta violenza. Sollevo lo sguardo per analizzare meglio la traiettoria, e scorgo un ingegnoso intreccio di fili sotto la base del cassetto. Inarco un sopracciglio e  faccio scorrere lentamente la scatolina tra i fili di seta. Oh. Davvero scaltro, Florence-sama. Un nascondiglio perfetto per un ricordo prezioso. Non posso impedire alle mie labbra di inarcarsi in un sorriso divertito. Stavate cercando di nascondere a vostro padre il pegno d’amore di uno spasimante? Perché questa dev’essere la natura del ciondolo levigato che lascio scorrere tra le dita: una goccia di resina dentro la quale riposa una farfalla, eternamente fragile, eternamente giovane. Stringo il ciondolo al cuore, e vi chiedo perdono, mia signora, ma porterò questo pegno d’amore con me.
 

***


“E’ sporco di sangue?!”

“Da quando non serve più le Rainsworth si è trasformato in un animale…”

“E’ il quarto bicchiere di vino che trangugia…”

“Non si è nemmeno preso la briga di andare a cambiarsi…”

“Puzza di Chain…”

“Non lavorerei con lui neanche se mi pagassero il triplo…”

Quanti brusii fastidiosi. Non ho voglia di alzare lo sguardo dal mio bicchiere di vino per intimare il silenzio a questi bambini. Che ne sapete, voi, della morte? Siete così giovani. Che ne sapete, voi, della lealtà? Sareste disposti ad abbandonare il vostro signore tra le fauci della morte, pur di non ferirvi quelle guance imberbi. Il sangue sul mio volto vi disgusta? E’ il sangue dei Chain che ho ammazzato per voi. Dovreste essermi grati: vi ho risparmiato un viaggio verso le montagne da cui non sareste sicuramente tornati indietro.

Butto giù d’un fiato il vino rimasto, e mi decido ad alzarmi. Ne ho abbastanza del vostro disprezzo. Il mio è sufficiente, e decisamente più impietoso del vostro sguardo nauseato. Attraverso la sala comune e spalancate gli occhi quando il mio sguardo si posa, ad uno ad uno, sui vostri visi. Che cosa c’è, pensavate che fossi stupido? Che fossi sordo? Le vostre parole senza soggetto raggiungono le mie orecchie: avreste bisogno di ben altri metodi per parlare alle mie spalle senza che lo venga a sapere. Ma sono veramente troppo stanco per pensare a voi. Raggiungo il corridoio proprio mentre la testa ha ricominciato a vorticare. Ho bisogno di un bagno caldo, devo sciogliere la prigione di ghiaccio che ha inevitabilmente preso possesso di tutto il mio corpo.

“Dovresti cambiarti, Xerx. Non puoi certo presentarti così…”

Reim. Metto a fuoco il suo viso, le sue labbra tirate in una smorfia di severa disapprovazione. Vorrei condividere il sangue che ho addosso con te, macchiarti la faccia solo per farti un dispetto, solo per nausearti e ridere del tuo animo debole. Sei un traditore. Sei la peggiore feccia esistente al mondo. Dopo di me, s’intende.

“Dico sul serio, Xerx. Lavati la faccia. Posso prestarti la mia divisa. Non può vederti così…”

“Che accidenti vuoi?”

Ti avvicini al mio orecchio. Contrariamente a quanto mi aspettavo, non noto smorfie sul tuo viso. L’odore di morte che impregna i miei abiti non ti tocca.

“Sharon-sama. Ho trovato un modo. Ma non abbiamo tempo. Usa la mia stanza, lavati e seguimi. Ti porto da lei”.

Spalanco gli occhi, e una scaglia di ghiaccio pare staccarsi dalla superficie pulsante del mio cuore. Quando cade nell’abisso oscuro della mia disperazione, i suoi frammenti tintinnanti rimbombano di speranza. Sei… dalla mia parte… Reim?

 

***


E’ quando inciampo per la terza volta nei pantaloni che mi hai prestato che sono felice di essere alle tue spalle. Stupido quattrocchi spilungone. Dovevi proprio essere così alto? Stringo i denti e qualcosa nella mia dignità di uomo manda segnali di minaccia al mio cervello mentre mi piego per arrotolare i pantaloni fino alle caviglie. Non molto virile, lo ammetto, ma quantomeno eviterò di essere rallentato da un dettaglio così infimo. Dopotutto, mi hai concesso solo due ore da quando abbiamo lasciato la Pandora. Devo sfruttare ogni secondo che mi è rimasto.

“Non preoccuparti della servitù. Quando Barma-sama non è in casa, si rintanano tutti nelle loro stanze a riposare. Adesso va’. Troverai la finestra del balcone aperta. Non sono mai riuscito a convincerla a chiuderla. Dice che le dà una parvenza di libertà…”

Ojou-sama. Come ho potuto permettere che tutto questo accadesse? Come ho potuto permettere che sperimentassi la prigionia?

“Xerx! Hai poco più di un quarto d’ora! Muoviti!”

Le parole di Reim mi scuotono. Un quarto d’ora? Farò sì che duri una vita intera, a costo di impedire alla luna di raggiungere lo zenith! Mi sporgo dalla finestra del corridoio per analizzare la situazione. Reim ha davvero superato se stesso con questa storia del suo “passaggio segreto”. Sorrido. Bene, meno di due metri per raggiungere il balcone di ojou-sama. Pochi punti d’appoggio. Posso farcela. Posso farcela nonostante il dolore alla spalla che non sono riuscito a medicare. Posso farcela nonostante la stanchezza che mi attraversa le ossa. Posso farcela, e ci riuscirò.

Mi accovaccio sul davanzale, e calcolo la distanza che mi separa dal primo appiglio. Dovrei raggiungerlo con uno slancio non troppo energico. Prendo un respiro profondo e abbandono la pietra solida e liscia a favore della roccia ruvida e irregolare della parete esterna di villa Barma. Chiudo gli occhi mentre le dita fanno leva sul porta asta del vessillo dei Barma. Sono tentato di sfilare lo stendardo e scagliarlo a terra con tutta la forza che ho in corpo. O, in alternativa, potrei sputarci sopra. Ma, per quanto si possa essere indignati, sputare controvento non è mai stata una buona idea.

Stringo i denti e mi impongo di ignorare la sensazione sgradevole della ruggine che sfrega contro il mio palmo e lo graffia mentre mi lascio dondolare per acquistare più velocità. Poi, finalmente, arriva il momento di sostituire il primo appiglio con una delle colonne levigate del balcone. A questo punto, tirarsi su è una mera questione di addominali. Che cercano di ribellarsi e tremano di dolore dopo le fatiche della giornata, ma sono sordo alle loro suppliche. Tutto ciò che conta è la mia ojou-sama. La mia…

“Sharon…”

La chiamo non appena atterro sul balcone, in ginocchio per attutire l’energia del mio slancio. Vedo la sua sagoma sottile sollevare la testa oltre le tende bianche che danzano nell’aria, secondo il ritmo dolce e misterioso del vento della sera.

“X-xerx…?”

Percepisco le lacrime nella sua voce e, per la prima volta, non mi infastidiscono. Al contrario, scivolano giù lungo la parete di ghiaccio del mio cuore, sciogliendola gentilmente, carezza dopo carezza.

“Ojou-sama… State… state bene, vedo…”

Che cosa sto dicendo? Perché non riesco a muovermi? Con le spalle rivolte alla finestra da cui sono entrato, fisso la mia padroncina, più magra, più pallida, più spenta, e tuttavia non avanzo. Rimango immobile, incapace di sollevare una mano per sfiorare il suo viso, incapace di allargare le braccia per stringerla a me. Non potrei, dopotutto. Sarebbe inopportuno.

“Xerx… Io… S-sì, immagino di sì. Anche… anche tu stai bene, sì?”

Decisamente. Sarebbe decisamente inopportuno. La sua voce distaccata, il suo sguardo che non incontra il mio, tutto nel suo portamento rivela quanto la mia visita le sia sgradita. Forse… Forse non avrei dovuto disobbedire agli ordini di Lady Sheryl. Forse avrei dovuto capire prima che ojou-sama è una donna, una donna rispettabile. Le attenzioni innocue che avevo per la bambina che era non sono più accettabili adesso che ho di fronte il bocciolo di una donna. Forse… ojou-sama è giunta a questa stessa conclusione. Forse ha deciso di essere pronta… per uno sposo.

“Meravigliosamente, ojou-sama. E’ stato bello rivedervi…”

Rivolgo un largo sorriso da pagliaccio alla bambina che mi ha offerto un fiore per alleviare le ferite del mio animo oscuro, e mi inchino. Qui cade l’ultima goccia di serenità che aveva reso la mia esistenza finora sopportabile. E tuttavia, mi ritrovo a pensare, tuttavia fa meno male di quel che credessi. Forse perché amare qualcuno significa lasciarlo libero di seguire il proprio cammino, di realizzare i propri sogni. Annuisco a me stesso, chiudo gli occhi, mi volto.

“Addio, ojou-sama… Siate felice…”

Mi allontano, raggiungo le tende bianche, vaglio l’ipotesi di gettarmi dal balcone e porre fine a questa farsa tragicomica che osano chiamare “vita”. Ma poi mi ritrovo a sorridere. Sento il calore tornare a scorrermi dentro le vene, frizzante di follia, frizzante di desiderio e autodistruzione. Non mi importa. Non mi importa che sia inappropriato. Non mi importa che sia inaccettabile. Non mi importa che desideri uno sposo.

Mi volto di scatto, percorro in pochi passi veloci la distanza che mi separa dalla mia ojou-sama. Non le concedo il tempo di parlare, di trasporre in parole che mi trafiggeranno inevitabilmente il cuore ciò che i suoi occhi grandi e lucidi gemono, paralizzati. Avvolgo la sua vita tra le braccia. E’ sempre stata così piccola, la mia ojou-sama? E’ sempre stata così fragile? Chiudo gli occhi, respiro il profumo di glicine dei suoi capelli ramati, mentre i fiori raggiungono il mio stomaco e lì sbocciano, tutti insieme, frenetici, innumerabili. Piego appena la testa, costringo la mia ojou-sama a sollevarsi, a incontrare le mie labbra disperate, che baciano le sue come se dal suo respiro dipendesse la mia vita. La stringo forte contro il mio petto e le impedisco di scappare mentre bevo la sua bocca piena e rosea, l’unico rimedio alla sete voluttuosa che mi consuma.




 

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Capitolo 24
*** Seraphine ***


Seraphine
 
Avevo tredici anni - i miei veri tredici anni - quando lessi per la prima volta «Storia di un amore incantato». Era un regalo della nonna per il mio compleanno, e ricordo ancora il risolino della mamma che scuoteva leggermente i voiles di seta della coperta sulle sue gambe. Diceva che era troppo “romantico” per una signorina della mia età, ma che sicuramente mi avrebbe aiutato a capire cosa succede quando si vive un amore incantato. Per dieci anni ho memorizzato i gesti da compiere, e ho creduto a ogni singola descrizione sulle delicatissime emozioni e sensazioni dell’amore. Il senso di leggerezza, il batticuore, il sorriso che nasce spontaneo, la sensazione magica di fluttuare nel tempo e nello spazio e le farfalle nello stomaco. Oh, le farfalle nello stomaco.
 
 
Non c’è niente di delicato in quello che provo in questo momento. Niente di più lontano dalla composta leggerezza che avvolgeva la protagonista di quel libro. Seraphine non diceva niente a proposito di una morsa selvaggia che ti avvolge e ti paralizza, e niente sulle vertigini che capovolgono il soffitto e mettono a soqquadro l’anima. No, qualcosa deve essere andato storto, perché… Perché… In questo momento ho solo voglia di fermare il tempo.
 
Fermare quest’attimo, per l’eternità
 
Mentre sento le sue mani sui miei fianchi, mi rendo conto di possederli e di averli persi in questo stesso istante, perché sono diventati suoi. Mi rendo conto di avere delle mani che tremano, sfiorando la stoffa di quella giacca di una taglia troppo grande per lui… Sento di avere delle labbra, ma non so quando finiscono le mie e quando iniziano le sue. Avevo sempre fantasticato su come la sua bocca morbida avesse il sapore di tutte le centinaia di torte e dolcetti che mangia ogni giorno, eppure… E’ salata e ruvida e fredda, e tuttavia non avrei voluto niente di diverso. Riconosco il suo sguardo, su di me, solo su di me, nel momento stesso in cui sento qualcosa scivolarmi tra le dita, e le sue labbra creare di nuovo una dolorosa distanza dalle mie. Mi guarda come non mi ha mai guardata, e mi rendo conto di essere ben al di là del rossore considerato decoroso per una signorina rispettabile. Non importa.
 
Da qualche parte, nella mia mente, una voce mi ricorda che avevo memorizzato i gesti da compiere, ma ho comunque sbagliato tutto. Non ho chiuso gli occhi, non ho preso nessun respiro profondo e non ho inclinato di qualche grado la mia testa di lato. Ho continuato a fissare il suo occhio per tutto il tempo, ho lasciato che i nostri nasi si scontrassero e ho lasciato che l’aria abbandonasse il mio corpo troppo presto. Dev’essere per questo che sul suo viso non c’è espressione.
 
Forse stringere la mia vita non dà alcuna soddisfazione, forse le mie labbra non sono abbastanza invitanti, forse le mie forme non ricordano nemmeno un po’ quelle di una donna. Forse ha realizzato che sono solo una bambina. Fa un passo indietro, e il mio cuore sussulta. Dev’essere deluso, dispiaciuto, pentito. A cosa pensi, Xerx-nii? Sono solo l’ombra di qualcuno che avresti voluto al mio posto…? No. No, non devo pensare adesso.
Una Rainsworth sa bene quando è il momento di ragionare sul da farsi e quando invece, bisogna solo lasciar parlare il cuore.
 
Sento il mio cuore battere di nuovo all’impazzata, ma forse è il rumore dei tacchi delle mie scarpe che hanno coperto quella misera distanza che c’era tra noi. Riconosco il suo sguardo sorpreso, e gli sorrido. Questa volta, Xerx-nii, farò le cose per bene, e per arrossire avrò tempo più tardi.
 
“Non andartene…” è l’unica cosa che gli sussurro un attimo prima di sollevarmi sulle punte più che posso, ancora troppo in basso per raggiungerlo, e tirargli il fazzoletto male annodato per chiamarlo a me. E lo bacio come la bella Seraphine sarebbe fiera di vedere. Inclino la testa, prendo un respiro profondo, chiudo gli occhi. Ma, ancora una volta, sentire la sua pelle sulla mia mi fa dimenticare ogni regola, e l’enfasi con cui sento di premermi su di lui è pura gioia, emozione, e quel pizzico di peccato che mi fa avvampare quando sento il mio bustino così incollato al suo petto da sentire il suo cuore battere insieme al mio. Ogni singola fibra di me sembra volerti stare vicino, sembra non voler più nessuna distanza, e le mie mani hanno smesso di formicolare solo quando hanno incontrato il tuo viso e l’hanno accarezzato, richiedendoti ancora per me, solo per me, soltanto noi
“Ojou-sama, io…” Tu…?
 
“Xerx, accidenti a te, il quarto d’ora è passato dieci mi—“
 
Una volta, avevo sette o otto anni, correndo per raggiungere Reim che non voleva leggermi un romanzo d’amore perché troppo imbarazzante, inciampai sul tappeto e ruppi un bel vaso di porcellana dipinto a mano. Ricordo il suono dei mille frantumi cantare mentre scivolavano lungo il pavimento. Mille e mille ancora piccoli pezzettini di porcellana che tintinnavano. Proprio adesso, Reim è la piccola me maldestra, e il nostro bacio il vaso di finissima porcellana. Non posso trattenere la stoffa e il fazzoletto mi scivola tra le dita, non posso mantenere l’equilibrio sulle punte e sono costretta a tornare dieci centimetri più in basso, non posso tenerlo ancora accanto a me, perché si è già allontanato e il momento perfetto è già svanito.
Accidenti a te, Reim Lunettes, e al tuo pessimo, pessimo tempismo!
 
“M-miss R-Rain—Xer—Io—“
Non so chi dei tre sia più rosso e in imbarazzo, ma so per certo di non aver mai visto le guance di Reim di questo colore così malsano. Sembrano dipinte con del trucco da donna di scarsa qualità, e da qualche parte dentro di me, ne sono fiera. Non avrebbe dovuto irrompere così in camera, non avrebbe proprio dovuto farlo. Ma poi lo vedo avvicinarsi a lui a capo chino, e sussurrargli qualcosa all’orecchio che gli fa sgranare il suo occhio che ormai non è più solo per me. Cerca di rimettere il fazzoletto dentro la giacca, ma è tutto sbagliato, e la giacca non sta come dovrebbe. Quando abbasso finalmente lo sguardo, mi rendo conto del perché. La piccola spilla su cui è appeso l’orologio da taschino della divisa che indossa porta incise due lettere, “R.L.” e mi ritrovo a sorridere fissando la nuca di Reim. “Due giorni, Reim-san” e due giorni dopo, l’ha portato da me.
 
“Ojou-sama, devo proprio andare. Se il Duca Antenna mi scopre qui, passeranno settimane, forse mesi prima di poter rivedere quelle favolose tuiles al cioccolato di villa Rainsworth.” Le tue parole sono le stesse di sempre, Xerx-nii, ma il tuo sguardo no. Ora che guardi di nuovo me, mi rispecchio in qualcosa di nuovo e bellissimo. “Vi lascio a Reim-san. Sapete che non ha mai scritto nemmeno una lettera a Emily? Deplorevole, non trovate?”
Vuoi il mio sorriso, Xerxes? Beh, è tutto per te, come solo tu sai farlo affiorare sulle mie labbra.
 
“Xerx, vengo con te, asp—“
Per la prima volta in giorni e giorni, ho riso di cuore nel vederlo correre sul terrazzino della torre e arrampicarsi fino alla grondaia due piani più in basso e saltare giù. Quando mi sono affacciata per cercarlo, era già un puntino vicino al cancello dei giardini, appena visibile.
 
“Sharon-sama, io… Sono mortificato, non potevo… Non immaginavo che…”
Che cosa, Reim-san…? Non avresti dovuto vedere ciò che hai visto…”
“I-io…” Mi sto accanendo su di lui con una punta di divertimento di troppo. Che mi stia vendicando…?
 
Sento la mia stessa risata rompere il silenzio. Non riesco a contenermi, non riesco a essere composta o educata, né tantomeno riesco ad avercela ancora con lui. So che è stato lui a farci incontrare, e senza di lui, non… Quando gli prendo le mani e le stringo nelle mie, solleva di scatto lo sguardo e arrossisce. Il caro Reim, non ha mai smesso di arrossire ogni volta che finivamo vicini, quando giocavamo da piccoli. Gli sorrido ancora, e le prime parole che gli rivolgo sono mischiate ai sospiri. “E’ stato magnifico!”


“C-come, Sharon-sama…?”
“Il bacio, Xerx-nii, tutto, è stato magnifico! Avresti dovuto vederlo… Avresti dovuto vedere come mi ha raggiunto e baciata. Ho sognato per anni che mi stringesse la vita in quel modo, ma ora che è successo… E’ anche meglio di come me lo ero immaginato!
“Sharon-sama, io non…”
“Oh, credi che sia stata brava?” Non è il momento di arrossire, Reim, ti prego! “Era la prima volta che baciavo qualcuno, e… E’ stato strano, all’inizio, sai.” Lascio andare le sue mani e inizio a giocare con un boccolo. In men che non si dica mi ritrovo a volteggiare in camera. Qualcosa mi dice che sia fuori luogo, ma non riesco a smettere. “Mi ha stretta forte e le sue labbra… Oh, sono salate, sai? Ero convinta che sapessero di spuma al cioccolato, e invece… Sono le più buone del mondo, però!”

“Sharon-sama, non credo che…”
“Oh, Reim, smettila. Ho bisogno del tuo aiuto.” Devo capire, in fondo, se posso davvero andar bene a un uomo come Xerxes anche così, anche con questo corpo piccolo e incompleto. Devo aver abbandonato ogni imbarazzo, perché prendo Reim per una mano e lo attiro in una pallida ombra dell’abbraccio che solo pochi minuti prima era stato mio e di Xerxes. “Mi ha stretta così, e io mi sono tirata sulle punte più che ho potuto, per baciarlo ancora. E lui… Mi guardava, non ha mai chiuso gli occhi.”
“Xerx—“
“Come lo so? Beh, ho sbirciato! E poi ha fatto una cosa strana con la bocca, come se volesse schiuderla per parlarmi, ma non ne è uscito nessun suono, e io… Forse non gli è piaciuto?”
Lo sguardo di Reim vaga ovunque tranne che sui miei occhi. Accidenti, Reim-san, guardami, sono qui, in basso, tra le tue braccia! “Hai baciato molte donne, Reim-san? Pensi che volesse dirmi che non gli piaccio…?”

“I-io… Cre-do di dover andare, miss R-Rainsworth…”
 
Sento di non poter insistere oltre, per il momento. Il suo viso, le sue orecchie e persino i suoi polsi che sbucano fuori dai guanti sono così rossi da farmi credere che potrebbe esplodere. Chissà perché non cambierà mai…
“Oh, senza nemmeno rispondermi? Ha proprio ragione Xerx-nii, è deplorevole il modo in cui tratti le fanciulle come me o Emily!” Gli sorrido ancora, lasciandolo andare. “Promettimi che domani mi porterai tu la colazione. Due fette di torta al cioccolato e nocciole e una tazza di Earl grey servita con latte a parte. E…”
 
“E…?”
“Grazie.”
 
Trattengo a stento un’altra risata quando lo vedo uscire con quell’andatura goffa e malferma, lui che sembra sempre così controllato e sicuro. Forse è davvero dispiaciuto di aver interrotto quel momento, forse è solo in imbarazzo per aver visto quel bacio…
 
Il bacio più bello del mondo. Non vedo l’ora di tornare a casa per poter leggere tutte le mie descrizioni preferite. Sono certa che nessuna potrà mai superare il mio primo bacio. Ah… Se solo potessi tornare indietro nel tempo e ricominciare a baciarlo.
 
Il riflesso nello specchio  mi restituisce l’immagine di me stessa, così familiare e conosciuta, ma non sono più io. Qualcosa nei miei occhi brilla come non ha mai brillato. La mamma diceva che una donna innamorata è la più bella donna del mondo. Sono quindi la più bella?
Lei era bellissima anche quando non sorrideva, e Xerxes le era accanto sempre, anche quando non era perfetta. Chissà se avrebbe preferito baciare lei…
 
“No, Sharon, no.” Mi rimprovero allo specchio come un’eroina fantastica di un bel romanzo di poche pagine, e mi torna il sorriso. Qualunque cosa avesse voluto fare, ha baciato me, Sharon, la sua ojou-sama, e adesso non vedo l’ora di poterlo baciare ancora.
 
Baciarlo… Di nuovo…
 
Come farò a resistere alla tentazione di baciarlo ancora quando lo rivedrò? Riuscirò a stargli lontana…? Dovrei iniziare a scrivere un diario, e la prima pagina potrebbe essere oggi, il giorno più bello della mia vita, quello in cui ho baciato te…
 
Ho passato così tanti anni a mettere barriere e a cercare di darmi un contegno che adesso che gli argini si sono distrutti per sempre, non so come farò a non saltargli al collo la prossima volta che ci incontreremo. Quando ci incontreremo…? Ho già voglia di rivederti, ho già voglia di stringere ancora le tue mani e sentire i tuoi capelli solleticarmi la fronte e le guance. Ricomincerò a passeggiare nel giardino di Barma-sama e accetterò i suoi inviti a cena, e mangerò di più e converserò con le dame più frivole ospiti del Duca, se sarà necessario. Implorerò la nonna,. Qualsiasi cosa, pur di riaverti accanto a me.
 
Fuori dalla finestra c’è un pallido spicchio di luna e centinaia di stelle. Le stai guardando, Xerx? Non ti sembrano più luminose e grandi, questa sera…?




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Capitolo 25
*** Precipitando ***


Precipitando
 

Un’istantanea offuscata del soffitto avorio della mia stanza, e, un momento dopo, intorno a me è il buio. Il buio e il caos, mentre premo ancora più forte il polso sopra i miei occhi, mentre i denti affondano nelle labbra, mentre il cuore rimbomba nelle orecchie e la voglia di gridare squarcia il mio torace.

Ho paura.

Ho paura e non capisco.

Perché sto piangendo?

“Mi ha stretta forte e le sue labbra… Oh, sono salate, sai?

Calmati. Fai un respiro profondo, rilassati. Ciò che sta accadendo è una reazione naturale alla tensione. E’ pura e semplice adrenalina: il cuore che aumenta i battiti, il sangue bollente che scorre, le pupille che si dilatano, il corpo che si prepara a scappare o combattere. Il Duca sarebbe potuto tornare in ogni istante. Chiunque sarebbe potuto entrare in quella camera. Scarica l’agitazione, siediti, bevi un bicchiere d’acqua, respira.

Respiro.

“Mi ha stretta così…”

Sento d’un tratto i polmoni fallire il semplice compito di soffiare l’aria. Sento il cuore staccarsi dalle arterie che lo incatenano e rimbalzare, scalmanato e irragionevole, contro ogni angolo del mio petto. Fa male. Fa così disperatamente male.

“Hai baciato molte donne, Reim-san?” 

Premo il palmo contro la bocca, soffoco un gemito di sordo dolore. I miei occhi si stanno ammutinando, le lacrime scorrono senza che possa evitarlo. Perché… questa domanda, Sharon? Perché… proprio lui?

Mi lascio ricadere sul materasso duro del mio letto. Dopo tutti questi anni, non sono ancora riuscito ad abituarmi al fastidioso scricchiolio del legno. Premo i polpastrelli sugli zigomi, costringo le lacrime a inondare le mie dita anziché le guance. Poi, finalmente, apro gli occhi. Finalmente sospiro.

Perché?

Perché fa così male?

Sfioro il velluto verde scuro della mia veste là dove il tuo corpo si è premuto al mio. Risalgo lungo il torace, premo la punta gelida delle dita sulla gola, scivolo verso l’orecchio. Ho sentito il tuo respiro caldo proprio qui, così inaspettato, così intimo. Per un istante ho rischiato di perdere lucidità. Ho rischiato di compiere gesti imperdonabili. Ho rischiato di rovinare tutto.

Sospiro ancora, e una voce dietro i miei occhi si lamenta. Vorrei non essere me. Vorrei non essere un tale vigliacco. Vorrei aver avuto il coraggio di stringerti, di premerti contro il mio petto, di essere selvaggio, di respirarti, di scoprire la natura di questo sentimento che mi rende irrequieto, che mi inonda lo spirito e il corpo di pensieri confusi e crudeli che facilmente potrebbero spingermi persino a tradire gli amici pur di dissetarmi.

Perché vi vedo ancora insieme? Perché, se chiudo gli occhi, le vostre bocche si divorano l’un l’altra, si chiamano, si uniscono ancora? Siete ovunque, ovunque guardi: tra le mie dita, sul palmo della mano, sui miei polsi, sul soffitto, su ogni parete. Siete un incubo che mi rincorre, una prigione da cui non potrò mai scappare. Uscite dalla mia testa. 

No!

No, vi prego, non fatelo!

Non andatevene, stavo… Non ero in me, ho parlato senza pensare.

Bravo, Reim, così. Chiudi gli occhi e sorridi. Sorridi nonostante le lacrime che hanno ripreso a scorrere brucino la pelle. Sorridi e ignora il calore insopportabile che si sprigiona dai punti in cui il suo corpo ha incontrato il tuo. Dimentica queste sensazioni. Non chiederti altro, non indagare la loro natura. Dimentica e basta.

Mi rannicchio come un bambino mentre combatto contro me stesso, mentre trattengo i pensieri e…

Inevitabilmente…

Fallisco.

Un ricordo improvviso sta avanzando dentro il mio cuore. Lo sento. E’ dolce e terribile, spaventoso. Si fa strada con le unghie e con i denti, aprendo una breccia nella carne, nei muscoli, nei tendini. Rivedo lo scintillio caldo e pericoloso di un vino borgogna colpito dal sole. Respiro un profumo di menta, di glicine, di lavanda, di fiori, d’estate. Lo sento scorrere sotto la superficie sottile della mia pelle, lo sento raggiungere il cervello e comandare al mio sangue di scorrere ancora, più velocemente, più velocemente. Vedo quel sorriso, quelle labbra, così pallide, così perfette che potrei morire solo nel tentativo di tracciarne il contorno con la punta delle dita. Oh, e il mio cuore grida, grida ancora più forte mentre allungo in aria la mano e desidero, fremo con tutto me stesso per schiudere quella bocca, per essere io — io! — a rubare quel bacio.

IO!

Ma… che cosa sto dicendo?

Il braccio ricade al mio fianco. Osservo la mano inerme, il respiro si calma. I miei occhi sono secchi, ma non ho nessun interesse a battere le ciglia. Che mi importa? La vista si offusca e mi ripeto che non sono state le mie labbra ad assaporare quel bacio. Non lo saranno mai.

Sospiro. Tutto questo non ha senso. E’ tutto profondamente sbagliato.

Tiro via gli occhiali dal viso, li lascio cadere a terra senza curarmi del danno che potrei procurare loro. Che le lenti vadano in frantumi. Che vada in frantumi il mondo intero.

Ditemi la verità, vi prego, sull’amore.



 


Nota dei Narratori

Amati lettori,
perdonateci questa nota: dobbiamo implorare la vostra pazienza ancora una volta. Stiamo attraversando un periodo abbastanza fastidioso che rende la casa dove abitiamo un luogo che non concilia esattamente la creatività. Tuttavia, speriamo di poter presto tornare ad aggiornare questa storia con la frequenza con cui abbiamo iniziato questo lungo racconto.
Siete ancora con noi? Se sì, grazie davvero, dal profondo del cuore.

Uh, un altro piccolo appunto a margine: l'ultima frase pronunciata da Reim deve la sua vita alla splendida poesia di Auden "O Tell Me The Truth About Love". Speriamo che il capitolo, sebbene più breve rispetto ai nostri standard, possa piacervi e non deludere troppo le vostre aspettative.

Con tutto l'amore,

i Narratori

 






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Capitolo 26
*** Inceppato ***


Nota di Amore.
Questo capitolo tratta di tematiche sensibili. Poiché il rating della storia è Arancione, abbiamo ritenuto fondamentale non soffermarci su nessun dettaglio. Inoltre, le scene in questione sono state evidenziate con diversi colori, così da permettere ai lettori più giovani (o a chiunque non si sentisse a proprio agio nel leggere di questi temi) di saltare alcuni passaggi. Il senso della narrazione risulterà comunque inalterato.


Inceppato

 

Faccio scattare la serratura della porta, abbasso la maniglia e finalmente entro in camera. Mi guardo intorno lentamente, respirando a pieni polmoni questo profumo familiare. Avverto un sorriso improvviso incresparsi spontaneo sull’angolo della mia bocca. Da quanto tempo non entro in questa stanza? Quand’è stata l’ultima volta che ho dormito su questo letto? Avanzo di pochi passi e inizio a sbottonare la giacca della divisa. E’ pesante, mi ritrovo a pensare. Probabilmente dipende dalla quantità di stoffa che la sartoria ha dovuto utilizzare per vestire quello spilungone di un quattrocchi. Sorrido di nuovo, incapace di rimanere serio mentre il mio cervello sussurra ironia. 

Oggi è una splendida giornata. Oggi… sono felice di essere vivo.

Lascio cadere i pantaloni sul materasso e muovo i miei passi affaticati in direzione del bagno. Tremo, ma il brivido che mi attraversa è piacevole se paragonato al gelo che mi ha penetrato le ossa durante la missione, e abbasso lo sguardo sui miei piedi nudi. Hanno lasciato un’impalpabile scia di calore là dove sono entrati in contatto con il marmo del pavimento. Mi piego, sfioro le dita del piede sinistro. Nonostante le abbia fasciate solo poche ore fa sono di nuovo ricoperte di sangue. Un sospiro, e mi sollevo per preparare la vasca da bagno. A quanto pare sto invecchiando. Un tempo lesioni così banali non avrebbero destato in me nessun interesse. Adesso, invece, stringo i denti e sussulto non appena mi immergo nella vasca, permettendo all’acqua bollente di leccare i lembi ricuciti alla bell’e meglio della ferita sulla mia spalla. E tuttavia non riesco a impedirmi di ridere. Mi lascio sprofondare sul fondo della vasca, chiudo gli occhi, li riapro, schiudo le labbra mentre l’acqua dal sapore pian piano sempre più ferroso si prende cura di me come un’amante.

Amante.

Come sono riuscito a cacciarmi in questa situazione? Ha dell’assurdo, parola mia. Eppure… Percorro il mio corpo dolorante con la punta delle dita e di nuovo tremo, di nuovo sorrido. La mano si ferma sul cuore, lo protegge con il palmo. Sta battendo ancora così forte. Non ha smesso neanche per un istante? 

Divertito, scuoto la testa e muovo le dita bagnate tra i capelli per pettinarli. Finalmente scopro la fronte e l’aria umida del bagno si posa delicatamente su quello zigomo che perennemente nascondo alla vista del mondo. Riapro gli occhi. Riflesso nell’acqua, un mostriciattolo sfigurato mi fissa. Gli rivolgo un sorriso sarcastico mentre lo osservo simulare con le dita la forma di quell’occhio che ho perduto. Di tanto in tanto ne sento la mancanza. Oggi, per esempio. Oggi avrei voluto avere entrambi gli occhi per poter imprimere nelle mie iridi il suo sguardo, il suo viso, le sue labbra. 

Un gemito sottile sfugge alla mia volontà mentre avverto il cuore sussultare; inevitabilmente, finisco col ridere di sincera serenità. Ah, non sono abituato a questi sentimenti così improvvisi e prepotenti che mi fanno sentire così spensieratamente giovane. Mi ero ripromesso di rimuoverli, di non permettere mai più alla mia coscienza di sperimentare tutto questo. Avevo giurato di dimenticare per sempre l’amore.

 

“Non avere paura…”

La sua voce raggiunse le mie orecchie come il più sottile battito d’ali di una farfalla. Impercettibile e tuttavia udibile. Piena di grazia e tuttavia irremovibile. Mi piegai una seconda volta per incontrare le sue labbra morbide. Non esisteva altro che il profumo della sua pelle.

“Shelly-sama…”

Sorrise sotto la mia bocca, sollevò le mani per accarezzarmi i capelli.

“Tagliarti i capelli ti ha reso più audace, Xerxes? Finalmente hai smesso di chiamarmi ‘mia signora’…”.

Sentii le guance arrossire per la sfacciataggine del mio gesto. Avrei dovuto essere più formale? Non mi sarei dovuto permettere di…

“Ho… Ho pensato che… l’attuale situazione… richiedesse una forma di cortesia… più intima…”

Rise di nuovo, soffocando i suoni sulla mia spalla nuda.

“Stavo solo scherzando, cavaliere impettito…”

Arrossii di nuovo e nascosi il viso tra i suoi capelli. Liberi dalle costrizioni, sfrontatamente sparsi sul cuscino, profumavano d’ambra e di proibito. Ne strinsi una ciocca tra le dita, mentre le mani della mia signora percorrevano la mia schiena, soffermandosi su ogni cicatrice.

“Come ti sei procurato tutte queste ferite? Devi essere stato un cavaliere piuttosto impacciato. Cadevi da cavallo?”

Baciai, respirai, lappai il suo collo come un cucciolo devoto. La sua pelle aveva il sapore del miele, il profumo del latte, la consistenza di qualcosa che urlava al mio cuore il bisogno, totale e irresistibile, di sfamarmi di lei.

“Ero un cavaliere indisciplinato. Sono stato punito innumerevoli volte durante l’addestramento…”

Sorrise mentre le sue unghie sfioravano la curva della mia schiena, scivolando lentamente sui miei fianchi.

“E oltre alla guerra, sei stato addestrato anche all’amore…?”

Premetti le dita sulle sue labbra, mi bloccai. Quella domanda…
 

“Allora, Kev? Sei stato finalmente iniziato alle gioie della camera da letto o hai fatto voto di morire illibato?”.

Lanciai a Kenneth uno sguardo divertito. In qualche modo dovevo pur nascondere la ferita che quelle parole stavano incidendo nel mio cuore.

“Naturalmente, Kenneth-sama. E’ parte del nostro addestramento familiarizzare con le contadine…”

Mi lanciò un’occhiata indecifrabile, gli occhi color del brandy intenti a soppesare la mia risposta. Poi, d’improvviso, mi voltò le spalle per affacciarsi alla finestra della camera, la vestaglia di velluto che rifletteva il calore del caminetto in guizzanti scintille dorate. Abbassai lo sguardo, allungai le mani verso il fuoco tenue nel tentativo di scaldarmi. D’un tratto…

“Hai una favorita?”

“Che cosa?”

“Ne hai una?”

Si voltò a guardarmi, il veleno nel brandy dei suoi occhi. Distolsi lo sguardo, decidendomi a dar finalmente voce al tormento che mi stava consumando l’anima.

“Si sposerà…”

Kenneth spalancò gli occhi. Lo sentii fissarmi di rimando mentre il mio sguardo  impudente indugiava sui suoi capelli intrecciati che lo decretavano un promesso sposo. 

“Kev…”

“Devo tornare alla camerata, Kenneth-sama…”

La sua mano forte sul mio polso. Le sue dita inflessibili sui miei capelli. I suoi occhi che capivano ciò che non avrei mai potuto pronunciare.

“Dormi qui, stanotte”.
 

Annuii lentamente. Non avrei potuto mentire su questo. Distolsi lo sguardo per non permettere alla mia signora di cogliere il dolore della mia perdita, ma le sue mani delicate mi costrinsero a incontrare le sue labbra ancora una volta.

“Perché stai tremando, allora?”

Sorrisi, impedii ai ricordi di insinuarsi in quel momento così follemente pericoloso, così follemente emozionante.

“Non sono così esperto come credete, mia signora…”

La sentii rilassarsi tra le mie braccia, invitarmi delicatamente ad abbracciarla, a baciarle le fronte e le guance con delicatezza. E di nuovo l’incantesimo del suo profumo avvolse i miei sensi, prese totale possesso della mia mente. Smisi di respirare mentre, lentamente, la mia mano trovò il coraggio di percorrere le forme del suo corpo, di soffermarsi sul suo seno, di premersi sul suo fianco. Avvertii il cuore rimbombare nelle orecchie mentre la mia bocca così impura stampava baci traboccanti di devozione su quel ventre prezioso dentro cui avrei voluto far sbocciare una nuova vita che fosse nostra e nostra soltanto. Se solo il tempo non fosse stato nostro nemico… Se solo il destino non l’avesse strappata dalle mie braccia. Se solo…
 

Sorrido mentre sollevo la mano sopra il viso, le gocce d’acqua che ricadono lentamente sulla punta del mio naso, sulle labbra, sul mento. Dev’esserci qualcosa di sbagliato in me. Forse a un figlio di Alaistar non è concesso di sperimentare un amore che non sia perverso. Forse il mio sangue e le mie origini mi impongono il ruolo dell’amante, del clandestino. Forse è persino un bene che il demone dagli occhi cremisi non possa in alcun modo lasciare una progenie di mostri in eredità al mondo.

Scoppio a ridere, mi copro la bocca con le mani ed esco dalla vasca un momento dopo. Che razza di pensieri idioti. Non rivolgo neanche uno sguardo allo specchio e decido di coprirmi per puro decoro nei confronti della mia piccola Emily. Sola e abbandonata, è seduta sul mobiletto del mio letto da così tanto tempo…

Da quando, in effetti?

Oh, adesso ricordo. Da quando hanno portato via la mia ojou-sama.
 

“Xerxes…?”

Le labbra della mia signora sfiorarono il mio collo. Percepii il tremito che l’attraversò e la strinsi più forte contro il mio petto. Nella prima luce del mattino, vidi le sue labbra sorridermi, colpevoli e spaventate. Pensai che si fosse pentita del gesto appena compiuto. La strinsi ancora, prendendomi in giro, fingendo con ogni fibra del mio essere che potesse essere mia.

“Mi ami, Xerxes?”

Baciai piano le sue palpebre mentre i capelli fradici sulla mia fronte sudata si lasciavano domare dalla sua mano delicata. Mi lasciai scoprire l’occhio sinistro, lasciai che mi guardasse senza nascondermi. Poi, lentamente, le sorrisi.

“Con tutto il mio cuore, Shelly-sama…”

La guardai scivolare debolmente sotto le lenzuola e premere la guancia sul mio petto fresco. Aveva la fronte calda di febbre, il respiro stanco per uno sforzo troppo prolungato. Ma sorrise a sua volta, gli occhi chiusi e stanchi.

“Ami la mia bambina?”

Sentii la sua voce tremare. Le accarezzai i capelli senza fare domande. Non ricordavo il calore della donna che mi aveva messo al mondo, ma potevo intuire il disperato amore che lega una madre al proprio cucciolo.

“Certo, mia signora…”

“Se non dovessi vivere abbastanza da vederla diventare una donna… Resterai al suo fianco per me…?”

Sentii una lama di vetro affondare nel cuore. Non volevo perderla. Non volevo perdere anche lei. Avvolsi la sua vita sottile nel mio abbraccio, e giurai solennemente di amare le mie signore fino al giorno del mio ultimo respiro.
 

La spalla decide di lanciare una scossa di puro dolore al mio cervello nel momento esatto in cui mi sdraio sul letto. Stringo i denti, lentamente sfioro i punti disomogenei. Se solo Reim avesse avuto dell’unguento cicatrizzante… Ma temo di non potermi aspettare troppo da un archivista. Sghignazzo e chiudo gli occhi, lasciando defluire l’aria dai miei polmoni nel sospiro più lungo e rilassato degli ultimi giorni. Non devo essere ingiusto. Piuttosto, dovrei essergli grato. Se non fosse stato per lui non avrei mai…

Non avresti mai… che cosa?

Arrossisco. Arrossisco come non mi succedeva da anni mentre mi trovo messo alle strette dalla mia stessa coscienza, a cui non posso più nascondere i battiti alterati del mio cuore al solo pensiero di quella bocca così piccola eppure familiare, di quegli occhi così grandi e assetati. Riconosco la natura di questi sentimenti, e ormai non posso più mentire a me stesso.

“Sharon…”

Sussurro il suo nome nel buio della mia mente e d’improvviso il pensiero prende forma mentre nuvole di glicine e lillà si fondono nelle forme deliziose del suo viso. Rivedo l’ombra della mia signora in lei, eppure ciò che provo non è semplice nostalgia. E’… curiosità. E’…

Profondo desiderio.

Spalanco gli occhi di fronte alla sfacciataggine di un simile pensiero. Come mi è saltato in mente? Come potrei…? Scuoto la testa, mi rimetto seduto. Basta così. Smettila d’indagare, Xerxes. Smettila di cercare il termine appropriato con cui classificare ciò che senti. Non farai altro che peggiorare le cose.

Annuisco a me stesso e lascio che il mio sguardo annebbiato vaghi distratto sulle mie gambe, sul piede ferito, sulla divisa di Reim a pochi centimetri da me. D’un tratto la consapevolezza di avere qualcosa d’importante a cui prestare attenzione si insinua prepotentemente nella mia mente. Mi sono rilassato fin troppo, in effetti. Recupero il gilet e frugo nel taschino alla ricerca del ciondolo di Florence-sama.

“Quindi eravate innamorata, padroncina? Lo eravate anche nella mia realtà?”

Sorrido mentre mi rigiro tra le dita il piccolo ovale di resina. La farfalla al suo interno mi rivolge uno sguardo muto, le ali bianche che brillano per un istante quando la luce della candela le illuminano.

“Se vostro padre vi avesse scoperto, il poveretto in questione avrebbe fatto una brutta fine, ne sono sicuro… Aveva così tanti progetti per voi, per la sua primogenita.”

Stringo il ciondolo nel palmo della mano, prima di avvolgerlo in uno dei miei plastron di seta e nasconderlo tra le piume del mio cuscino. Qua dovrebbe essere al sicuro…

“Fintanto che Emily farà la guardia sarà sicuramente al sicuro~”

Guardo la bambola, le accarezzo un piedino, e in un attimo un sospiro mi riporta alla realtà delle cose. Sharon non è più con me.

“Ci ridurremo a farci compagnia a vicenda, Emily-chan?”

“Emily apprezza la compagnia di Xerxes-ojisan~”

Scuoto la testa, sospiro di nuovo. Non è divertente. Se non posso far sorridere la mia ojou-sama, dare voce a Emily è solo uno spreco di fiato. Devo riaverla. Devo riaverla ad ogni costo.

“E che cosa farai? Andrai dalla Vecchia Strega e le dirai: ‘Buonasera! Sono innamorato di sua nipote! Me la dia in dono!’?~”

Il mio occhio stanco si spalanca. Che cosa ho appena detto…?

Innamorato.

Sono… innamorato…?

Mentre il mio cervello scoppia in una risata incredula e crudelmente sarcastica, il mio cuore accelera i suoi folli battiti al punto da farmi mancare il fiato. Cado in ginocchio sul pavimento, premo le dita sul petto. Che cosa sono queste vertigini? Perché mi sento sollevato e, allo stesso tempo, sull’orlo di un baratro? Perché una voce insistente mi ripete che sarei disposto a versare fino all’ultima goccia del mio sangue pur di ricevere ancora un bacio da quelle labbra, durasse anche il fugace tempo di un respiro?

Improvvisamente stringo il pugno sul pavimento. Ritrovo il mio contegno e lentamente mi rialzo, lentamente mi rivesto. Finalmente ho preso la mia decisione.

Esco dalla mia camera e percorro a grandi passi il corridoio. L’oscurità sembra tremolare, intimidita, quando la luce fioca della mia candela la dissolve. Inarco un sopracciglio mentre mi ritrovo a osservare come la mia vista stia sensibilmente peggiorando. Ormai quando cala la sera riesco a distinguere solamente i contorni degli oggetti che mi circondano. Sfrego gli occhi con la mano e proseguo alla cieca. In fondo sono abituato a questo percorso: lo seguo ogni giorno per fare rapporto a Sheryl-sama. Piuttosto, dovrei preoccuparmi di come introdurre l’argomento.

“Ridatemi Sharon!”

Mh. Fuori questione. Finirei licenziato.

“Vostra maestà desidera vivere una lunga vita gioiosa?”

Xerxes, ti sei bevuto il cervello, vero? Ricevere una scossa d’emozione ti ha reso improvvisamente stupido?

“Sheryl-sama, mi permetta di restare al fianco di Sharon ojou-sama. Non mi renda un bugiardo, costringendomi a infrangere la promessa fatta a lady Shelly…”

Meglio. Molto meglio. Punterò sull’amore filiale: funziona sempre. Oppure potrei…

“Sheryl-sama, la ringrazio per avermi ricevuto a quest’ora, con così poco preavviso…”

Mh? Riapro gli occhi e inarco un sopracciglio. Di fronte a me, la porta socchiusa dello studio di lady Sheryl traccia una scia di luce ambrata sulla moquette del corridoio. Mi sposto nell’ombra, incuriosito dalle parole di Reim. Che ci fa qui a quest’ora? Che sia venuto… A intercedere per me…?

“Ti ascolto, Reim-kun. Di che cosa si tratta?”

Vorrei potermi avvicinare e sbirciare nella stanza, ma un ulteriore movimento rivelerebbe la mia presenza. Non posso che tendere l’orecchio e limitarmi a…

“Sheryl-sama, io… sono venuto a chiedere la mano di vostra nipote.”






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Capitolo 27
*** L'albero dei ricordi ***


L’albero dei ricordi
 


Quel periodo dell’anno, per la famiglia Rainsworth, era sinonimo di centinaia di lettere e inviti a feste e importanti cerimonie tenute da nomi minori in cerca di visibilità. Non succedeva di rado infatti che le piccole signore della media nobiltà si cullassero nel vano desiderio di avere loro ospite la sempre giovane e deliziosa miss Rainsworth, quando ormai avevano perso le speranze di veder partecipare l’austera e saggia Lady Rainsworth.
 
“… La marchesa di  Bluelake è onorata di invitarVi alla festa da ballo che si terrà in onore del quindicesimo compleanno della marchesina presso la residenza estiva del” Sospiro mantenendo lo sguardo fisso di fronte a me, e rimetto l’invito in mezzo alle altre decine aperte solo nelle ultime ore, senza nemmeno averlo letto del tutto. Esattamente come mia nonna, non ho nessun interesse nel partecipare a questi eventi. Mi allungo sul tavolino delle lettere, le scanso e riprendo la mia tazzina di Darjeeling alle rose. Con gli occhi socchiusi, mi rendo conto che quello che manca a questo pomeriggio è un buon dolcetto.
                  
“Ricordi le tortine alla ciliegia rinforzata di Oscar-sama? Stavo pensando che adesso ne assaggerei volentieri una…” Se qualcuno notasse lo sguardo che ti ho appena rivolto, ne sono certa, lo troverebbe estremamente inappropriato. “E invece non c’è niente se non dei biscotti al burro, Xerx-nii. Dovrei lamentarmi con le cucine da parte di entrambi.” I leggerissimi movimenti del tuo corpo sotto le coperte sono molto più interessanti di queste stupide lettere, per questo continuo a guardarti. Emily sta sicuramente pensando che sono una sciocca a parlare con te mentre dormi. Il suo sorriso riesce a contagiarmi pur rimanendo muto, e i miei occhi tornano a te. Quand’è che la tua Emily è entrata nella tua vita? Scuoto la testa, prendendo un’altra lettera, più voluminosa della precedente. Per quanto mi sforzi, non riesco proprio a ricordare quando è apparsa sulla tua spalla per la prima volta.
 
“… Siamo lieti di invitare Miss Sharon Rainsworth alla… Oh, perché dovrei trovare entusiasmante rincorrere un maialino ingioiellato, fa così secolo scorso!”
“Perché porta un gioiello al collo, ed è quello che ogni miss desidera…” Mi volto e ti sento ridacchiare sotto le lenzuola di cotone candido. “Un gioiello, Xerxes…? Davvero?” Scuoto la testa, ritrovandomi a ridere con in mano l’ennesimo spreco di pergamena, ridendo. “Da quanto sei sveglio?”
“Abbastanza da poter sentire tutti i vostri capricci… Non troverete marito, ojou-sama, continuando così!”
Il sorriso sulle mie labbra si fa più stizzito, e ti risponderei volentieri che non ho bisogno di gioielli o maialini, ma le labbra non collaborano, e quando faccio per aprirle, il tuo respiro è tornato regolare, segno che sei di nuovo caduto tra le braccia di Morfeo. Il mucchio di lettere che ricopre il tavolino è ancora alto, e inizio a pensare di buttarle via senza aprirle. Non ho bisogni così frivoli e mondani. «L’ingresso nell’età adulta è contrassegnato dal cinismo». Non ricordo più dove l’ho letto, ma mi sorprendo di come mi trovi d’accordo in questo momento. Tutti i medici di Reveille, ormai, mi hanno assicurato che questo sonno continuo è segno della tua debole convalescenza, ma davvero, vorrei che ti svegliassi e mi tenessi compagnia come una volta. Emily, senza di te, sente terribilmente la tua mancanza, seduta tutta da sola sulla tua poltroncina.
 
Credo che dovrei prendermi una pausa. Questo pomeriggio si è trasformato in un incubo di stupide perdite di tempo macchiate di inchiostro. Potrei finire di leggere quel romanzo che ho portato a casa dalla biblioteca di villa Barma. Dovrei, prima che il Duca si accorga che manca uno dei suoi preziosi volumi dalla sua preziosa collezione.
… E invece sono qui, in piedi a spiarti mente dormi. Sai, Xerx, questo vizio non l’ho mai davvero perso…. Quando mia madre ti sorprendeva a fissare l’orizzonte dal giardino di casa, e tu finivi col raccontarle di un passato di cui non hai mai voluto parlarmi, io ero lì, nascosta dietro i cespugli di ciclamini, a spiarti quando ti addormentavi sul suo grembo, e lei continuava imperterrita ad accarezzarti quei tuoi capelli lunghi e fuori dal tempo. Ti sei mai chiesto perché ti portassi sempre mazzolini di ciclamini al risveglio? Sorrido, allontanandomi prima che all’immagine delle dita di mia madre sui tuoi capelli si sovrappongano le mie, troppo audaci adesso. La quercia è ancora lì, fuori dalla tua finestra, imponente e secolare come lo era quando ero poco più che una bambina. Vorrei poter tornare a quei giorni. Tutto profumava di estate e possibilità, e niente sembrava più difficile di un’arrampicata verso il sole…

 

“Ti prego, Xerx-nii!”
“Assolutamente no, ojou-sama… Se Shel—vostra madre vi vedesse adesso, non credo che—“
“Oh, sciocchezze! E chiamami Sharon, Xerx. Che senso ha che io ti chiami “niisan” se per te sono sempre “ojou-sama”? Per favore…”
“D’accordo, Sharon,” quel sorriso beffardo che volevai provocare sbuffi e borbottii, “ma se non scendete da quell’albero, sarete “ojou-sama” a vita.”
 
Mia madre non avrebbe potuto vedermi in quel momento; colpita da una febbre crudele per la terza volta in quel mese, passava le sue giornate a riposo, con l’assoluto divieto di uscire di casa anche solo per una passeggiata in giardino. Sapevo che era una messinscena, eppure il pensiero di non ottenere nemmeno un po’ della sua confidenza mi fece ripercorrere a ritroso quasi due metri del tronco nodoso di quell’albero monumentale che avevo a fatica conquistato.
 
“Volevo solo riuscire a vedere Reveille dall’alto…” Da quando Xerxes aveva imparato a sorridere di nuovo, raramente aveva smesso e, anche in quel momento, mi guardava con un luccichio estremamente divertito. Cercai di spiegare la gonna sgualcita e con qualche strappo e tentai invano di apparire più donna di quanto non fossi, sostenni il suo sguardo, ma fui sconfitta dal suo occhio, e girai sui tacchi piena di dispetto. “Molto bene, allora tornerò in casa.”

“Potrei mostrarvi io, Reveille dall’alto…” Cosa?! Non ebbi il coraggio di chiedere, ma nemmeno la forza per proseguire sui miei passi, così mi ritrovai a fissarlo attonita. “Beh, quando eravate una bambina vi portavo sulle spalle e vi mostravo Reveille…”
Fu come sentire una morsa stringere lo stomaco in un solo attimo, il cuore in gola e la vista annebbiata. “Non potrei mai salirti sulle spalle! Non… Sarebbe decoroso, io… Non sono più una bambina, ho compiuto13 anni la scorsa settimana!”
 
Sorrideva ancora, di certo sorpreso, e teneva la testa inclinata. Nonostante l’imbarazzo, sentii le guance andare in fiamme. Più vicino a me di qualche passo, aveva piegato le ginocchia e i suoi occhi erano ormai dritti di fronte a me. “Avete proprio ragione, ojou-sama. Ora che me lo fate notare, siete parecchio più alta!” Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, quel giorno. Stizzita, non gli rivolsi che uno sguardo che speravo fosse il più gelido possibile, e lo ignorai dandogli le spalle per rientrare alla villa.
 
Orgogliosa come solo una giovane fanciulla può essere, era impensabile credere che Xerx-niisan non si fosse accorto che ero cresciuta. Avevo cambiato il taglio degli abiti e avevo ottenuto il permesso da mia madre di portare poche gocce di profumo. Mi era stato persino concesso di indossare pochi centimetri di tacco ai piedi.
Xerx-niisan doveva essere proprio uno stupido per non accorgersi di tutto questo. Che assurdità, pensare di prenderla sulle spalle come se fosse… Una bambina!
 

 
Sto ridendo come una signorina per bene non dovrebbe mai fare. Di gusto, allegra e senza pensieri. Mi chiedo come potesse sopportare la piccola e viziata ragazzina che ero. E allo stesso tempo mi chiedo come potesse non accorgersi che ognuna delle cose che facevo per diventare donna, le facevo per sembrarlo ai suoi occhi. Sfioro i contorni della mia - nostra - quercia con le dita sul vetro della finestra, ma non smetto di sorridere. Tredici anni erano davvero troppo pochi per capire come funziona il mondo, ma erano abbastanza per provare dei sentimenti forti e sinceri. E lui adorava prendermi in giro per vedere fino a che grado di rosso le mie guance potessero arrivare. Nel voltarmi ancora verso di te, lo sguardo cade sull’interminabile pila di lettere. So che non è possibile, ma sembrano essere cresciute negli ultimi minuti. Mia nonna è sempre stata molto più brava di me nel leggere e rispondere alla corrispondenza, e da quando ho deciso di assumermi io questo onere, Xerxes è sempre stato accanto a me, alleggerendo ogni notizia con i suoi consigli sulla risposta più affilata da recapitare.

“Forse è per questo che, mia cara Emily, ti ho voluta al posto d’onore… Il nostro Xerx-nii non vuole saperne di aiutarmi e io…” Lo guardo ancora, non riesco proprio a smettere, cercando il suo nuovo risveglio. “Ho proprio bisogno di qualcuno che condivida con me questi stupidi annunci.” Ne prendo uno dalla cima del cumulo e lo agito davanti al letto. “Vedi, Xerxes? Non c’è gusto a leggere queste sciocchezze da sola…” Una volta aperta, però, devo ricredermi sul contenuto di quella specifica lettera. Non è un invito a chissà che festa, bensì una copia del rapporto ufficiale dello scontro con i Baskerville. “Due settimane fa, questo rapporto era in ritardo di due giorni e, senza nessuno di valido a sollecitarne l’invio, ho dovuto attenderne altri tre prima di poterlo leggere…” La piccola Emily mi guarda muta in risposta al mio disappunto, ma so che, se potesse, mi direbbe che nessuno sa sollecitare i rapporti come Break-san… O lo avrebbe chiamato semplicemente Xerxes…? Oh, accidenti, Xerx-nii, non posso certo ricordare nella mia mente la voce della tua bambola in eterno. Dovresti guarire e riprenderti in fretta! “Emily ha bisogno di te! Tutti… Abbiamo bisogno di te…” Sospiro, sfogliando le pagine di quel rapporto tanto atteso per scoprire che ci sono più di un’incongruenza, più di un dettaglio mancante e che, definitivamente, sembra che a scriverlo sia stato qualcuno che passava di lì per caso o, anche peggio, qualcuno che non è mai stato lì.
 
“È davvero inaudito che… Questo rapporto non si regge in piedi, non…” Sbuffo, ma nessuno può rimproverarmi per averlo fatto, e metto da parte il rapporto. Finire di leggerlo non mi porterà giovamento, e potrò capire perché sono state scritte così tante inesattezze solo quando andrò alla Pandora. Il piccolo orologio a pendolo che ti ho costretto ad appendere in camera mi dice che non manca molto prima che la carrozza venga a prendermi. Sempre che tu dia la carica al tuo orologio, Xerxes… Coraggio, se non altro, la carrozza mi sottrarrà a questa montagna di lettere, e nonostante ciò, ho ancora tempo per leggerne ancora una… “… Con gioia e onore… Invitiamo Miss Sharon Rainsworth… Le nozze… Baronetto Wetmore” Richiudo l’invito con un sorriso incerto. Il baronetto Wetmore si sposa in pompa magna? Mi rendo conto di fissare il tuo corpo sotto le coperte senza battere le palpebre, così piano piano, la vista mi si annebbia. Se avessi accettato la sua corte, quel pomeriggio ai Giardini di Reveille, avrei potuto essere io a… Scuoto la testa, riprendendo il controllo dei miei occhi. No. Di certo no. Fuori dalla finestra, il sole si sta abbassando, e la quercia è entrata nella stanza, disegnando ombre contorte. Non io.
 
 

Il sole aveva appena iniziato la sua discesa oltre l’orizzonte: quello era il mio momento preferito per farmi abbracciare dalle antiche radici del grande albero in compagnia di un romanzo. Quando l’età mi consentì di comprendere completamente ciò che i romanzi d’amore descrivevano tra quelle parole dolci, feci di essi il mio genere preferito. Ma c’era un libro che, su tutti, amavo leggere, e che avevo letto ormai così tante volte che le pagine erano logore e gli angoli della copertina, di pelle marrone, smussati e consunti. Il titolo, però, quel pomeriggio brillava ancora come se fosse stato appena acquistato. “Lo stagno fatato” era lì, a coprire con la sua vecchia copertina il mio piccolo corpo di fanciulla addormentato, come quasi ognuno di quegli assolati pomeriggi.
                                            
Il sole aveva da poco smesso di trafiggere le mie palpebre, segno che mancava poco al tramonto, quando una mano mi sfilò il libro dal petto, svegliandomi.
“Non credevo che vi interessaste ancora a questo genere, ojou-sama…” Avevo richiuso gli occhi nel preciso istante in cui alla sorpresa per il risveglio era seguita la sicurezza delle sue dita leggere. “Quello è il mio libro preferito, lo sai… Anche se non mi piace, la fine.” Incoraggiata dal suo silenzio, aprii gli occhi e proseguii. “Il principe non avrebbe dovuto sposare la principessa. È così ingiusto che non si sia nemmeno accorto che tutte le parole che gli diceva venivano dalla sirena. Voglio riscrivere la favola.” Ricordo la vitalità con cui mi alzai e lo guardai dal basso. Sorrisi, quando mi accorsi che in mano portava un panino dolce, per me. Mi sollevai sulle punte, cercando di mantenere la schiena dritta, e trattenni il fiato sfiorando le punte dei suoi capelli, morbidi e sottili. I battiti del mio cuore correvano veloci, ma il rossore sul mio viso fu ancora più veloce. 
 
“Se solo mia madre non ti avesse tagliato i capelli, saresti stato perfetto per il principe, in una recita” Lui impallidì appena, e si toccò i capelli proprio nel punto in cui poco prima le mie dita avevano indugiato. “Un principe, ojou-sama…?” Annuendo, sorrisi, coi capelli baciati dall’ultimo sole della giornata. “Nella mia favola, il principe sposerebbe la sirena, ne sono sicura.” Se solo quel giovane cavaliere avesse immaginato quanti sogni a occhi aperti avevo fatto sugli errori che il principe aveva commesso nella sua vita di carta e inchiostro, probabilmente avrebbe capito quanto fosse importante per me quel personaggio.
 
Ma non lo sapeva, e rimase a ragionare sul perché la sirena avrebbe dovuto essere un partito migliore della principessa per un minuto di troppo. Continuavo a guardarlo, in silenzio, in attesa che dalle sue labbra uscisse qualcosa di acuto, di memorabile, ma il suo silenzio mi convinse che non voleva partecipare a quelle fantasie. Come una danzatrice al termine della musica, tornai coi piedi per terra, davanti al primo rossore del cielo, gli strappai dalle mani il mio bel libro datato e lo lasciai lì, immobile e incredulo.
 


“Quel pomeriggio, non ho trovato il coraggio di confessarti che in quella recita, io avrei voluto interpretare la sirena…” Le mie dita scorrono implacabili sul sottile cerchio d’oro intorno al mio anulare, e i miei occhi cadono sull’intricato gioco di perle che incornicia il piccolo zaffiro color porpora. “… Sarebbe stato il matrimonio più bello… Della storia del teatro!” Che senso ha tenere quell’anello al dito quando sono da sola? L’abitudine ha preso il sopravvento e ha sconfitto il mio astio nei confronti dei gioielli, anche i più delicati e raffinati. Potrei toglierlo e lasciarlo qui, accanto alle lettere, al tè che non ho finito di bere e a questi biscotti poco graditi, e nessuno se ne accorgerebbe.
 
Due colpi alla porta mi riportano alla realtà, e la maniglia si muove, aprendo gli orizzonti della camera con uno scatto deciso. “La carrozza è arrivata, miss Rainsworth. Lunettes-san vi aspetta di sotto…”
 
Lunettes-san.
Rinuncio ai miei propositi di libertà e mi alzo senza il minimo riguardo per la taffettà color lavanda del mio nuovo abito. La piccola Emily ha bisogno di nuovi abiti, dovrò ricordarmi di commissionargliene uno di questo stesso tessuto, davvero incantevole. La riporto sul tuo comodino, Xerx-nii, perché sembra attendere solo te per potersi prendere di nuovo gioco di chiunque, in questa villa, me compresa. I suoi boccoli sono sempre pettinati e in ordine, e uno le adorna il viso in un modo davvero delizioso. Te l’ho sottratta senza permesso per poter avere un po’ di te sempre vicino. L’ultima conversazione che abbiamo avuto in questa casa è stata così scarna che mi sembra di non averla mai avuta.
 
La mia mano destra si è avvicinata alla tua senza controllo, mentre tu, addormentato, forse non te ne rendi conto. “Al tuo risveglio, ti prometto un’intera torta al cioccolato, tutta per te!” Te lo prometto e lo prometto a me stessa. Vorrei chiederti di svegliarti, di sorridermi come quella volta sotto la quercia, o come tutte le altre volte che il tuo sguardo si è posato su di me. Mi manca il tuo viso, e credo che non rendersi conto di ciò che si ha finché non lo si perde è una nuova e più dolorosa perdita. Ma tu sei qui. Mi piego appena su di te, costringendo il mio corpo a non superare quel limite, e ti sfioro ancora i capelli, come quel pomeriggio di troppi anni fa, e poi ti lascio andare. Sono convinta che al mio ritorno, ti troverò sveglio, a lamentarti della posizione di Emily troppo leziosa per una signorina moderna come lei.





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