Gods Among Insects

di Mystica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 001 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 002 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 003 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 004 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 005 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 006 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 001 ***


“Questo non sono io”

Seduto da solo ai giardini pubblici di fronte a una scacchiera, di quelle a cui di solito giocano gli anziani la domenica mattina, Eric Lenscherr sentiva tutto a un tratto il peso dei suoi anni. Era il tramonto, e un vento freddo gli si insinuava fra le pieghe del cappotto facendolo rabbrividire, ma l’uomo sembrava non farci neppure caso. Niente meritava più la sua attenzione. Neppure, e soprattutto, se stesso.

Per decenni il suo unico scopo era stato quello di ritagliare uno spiraglio di speranza per i mutanti in un mondo dominato dal razzismo degli esseri umani. Dall’odio. Dalla paura. E adesso, in meno di un attimo, era divenuto ciò che detestava di più.

Il leader spregiudicato della Confraternita, il temuto e rispettato Magneto, era stato costretto ad abbandonare una causa in cui ancora credeva, per il semplice motivo che, adesso, non era più necessario lottare. Se fosse sempre stato umano, si sarebbe sentito allo stesso modo, triste e privo di obbiettivi, un vecchio seduto al parco davanti a una partita di scacchi contro sé stesso lasciata a metà?

Ancora più amara era adesso la sconfitta, ricevuta a freddo appena giunto a un passo dalla sua grande vittoria. Dopo aver sacrificato tutto, tutto ciò che ancora gli restava. E per questo ritrovandosi, ora, ancora più solo. Distrattamente, Eric prese a giocherellare con le pedine che gli stavano davanti. “Per prima cosa mandiamo avanti i pedoni”, aveva detto una volta. I suoi pedoni li aveva sacrificati uno per uno, senza rimorso. Ma non era stato sufficiente.

D’istinto, tese una mano verso il re nero. Quindici o venti grammi d’acciaio che un tempo avrebbe potuto spostare senza neppure dover allungare le dita. Un tempo, quando era ancora lui stesso, il re nero.

La mano strisciò lentamente lungo la scacchiera. A pochi millimetri dalla pedina, Eric si immobilizzò. Non avrebbe potuto giurarlo, ma gli era sembrato di sentire scorrere, attraverso il palmo della mano e dentro le ossa, una sorta di energia. La stessa che sentiva quando il suo potere si manifestava ancora.

Emozionato, tese le dita. Il re nero oscillò leggermente sul tavolo.

Eric ritirò appena la mano, e la pedina tornò immobile. Temendo di aver immaginato tutto, l’uomo tentò di ripetere l’esperimento, concentrandosi al massimo. Attese. Di nuovo quella ondata di energia, e un leggero, impercettibile movimento della pedina. Eric, la fronte corrugata, si concentrò maggiormente sul suo obbiettivo.

Una mano sottile, dalle unghie accuratamente laccate, dette un leggero colpetto al re nero, che cadde a terra. Una giovane donna dai lisci capelli corvini si sedette davanti a Eric, appoggiando il mento sul palmo della mano. L’uomo alzò lo sguardo, furente. Sul volto di lei era dipinto un sorriso sardonico.

- Raven…- mormorò lui, in un misto d’incredulità e collera. La donna sembrava perfettamente a suo agio, quasi divertita. Socchiuse gli occhi, lanciando a Eric un’occhiata penetrante.

Si fissarono, immobili, per qualche momento, poi Raven Darkholme parlò.

- E così ti sei perfettamente calato nella tua nuova parte, Eric.- era decisamente divertita- Adesso neppure tu servi più a niente.

Aveva fatto centro, si era presa la sua rivincita. Magneto l’aveva respinta, abbandonata quando lei aveva perso i suoi poteri e lei, da quel momento, era rimasta a scrutare da lontano, in attesa, come un corvo malvagio. Eppure, Eric era perfettamente consapevole che Raven non si sarebbe mai accontentata di una rivincita, per così dire, morale.

- Che cosa vuoi, Raven?- chiese, tentando di conservare il suo normale tono pacato.

Lei sorrise, non era facile ingannarla. Eppure, adesso sembrava essere sparita ogni traccia di derisione dal suo volto. Eric si chiese dove volesse andare a parare.

- Dopo tutto quello che hai detto, ti confesso che venire a cercarti ha costituito un’ulteriore aggressione al mio orgoglio. Ma la tua punizione l’hai avuta, siamo pari.

Sembrava sincera. Solo infondo al suo sguardo, brillava ancora una malizia che neppure la “Cura” era stata in grado di cancellare. Eric decise di ignorarla, sicuro che avrebbe saputo trarre qualche vantaggio dalla situazione. Sempre meglio che restarsene seduto al parco a rimpiangere il passato.

- Dunque, che cosa vuoi da un povero vecchio?- ripeté, l’angolo sinistro della bocca piegato in un amaro, ma ancora ironico sorriso. Raven lo osservò di nuovo, a lungo, prima di rispondere. Sembrava non avere fretta.

- Voglio sapere se hai intenzione di arrenderti, Eric. L’uomo non replicò. Cosa significava? Raven, per molto tempo, era stata un’abile alleata. Il suo braccio destro. Adesso, però, sembrava un’estranea a causa di quell’odio neonato che manifestava, così forte che a stento riusciva a nasconderlo, nei suoi confronti.

Non si era soffermato a interrogarsi sul “giusto” e lo “sbagliato”, quando stava inseguendo il suo ideale. Non lo avrebbe fatto neppure adesso, se non si fosse trovato in quelle condizioni. Tuttavia, alla luce dei fatti, com’era possibile non nutrire, infondo alla coscienza, la consapevolezza di aver agito in modo troppo avventato? Forte come non mai, Eric sentì il peso della sua improvvisa solitudine.

- Cosa stai cercando di dirmi?

Raven sorrise.

- Non posso raccontarti tutto, Eric. Non sei più il capo.

- Ma sei venuta qui a chiedere il mio aiuto.

Era una mossa azzardata, ma aveva fatto centro. Raven impallidì leggermente. Fino a quel momento, era stata lei a tenere le redini del gioco, fingendo di avere una soluzione infallibile a tutti i loro problemi; però, che senso aveva essere da sola in possesso di una soluzione, se per attuarla era necessario l’aiuto di lui?

- Dunque, ammettiamo che io non mi sia ancora arreso- continuò, con voce melliflua. Adesso aveva la situazione in pugno- cosa avresti da propormi?

- Ascolta. La “Cura” funziona come un vaccino. Se riuscissimo a invertire il potere del bambino che la produce, potremmo farla diventare un virus. Infondo, da secoli si parla della “malattia” dei mutanti.

Eric aveva drizzato le orecchie. L’idea era decisamente buona. Raven aveva imparato bene. Tuttavia, rimaneva un piccolo dettaglio. Naturalmente, esisteva anche la soluzione, ma perché rivelarla adesso?

- Come pensi di procurarti il bambino? Ti ricordo che adesso sei umana.

- Credi davvero di potermi ingannare? Sei stato il mio mentore, ma ciò significa anche che ho imparato a conoscerti. Non sei il tipo da starsene con le mani in mano, ti sarai accorto di stare lentamente recuperando i poteri.

Eric sorrise sinceramente.

- Sono ammirato, Raven.

Lei si chinò verso di lui, sorridendo a sua volta. Raccolse il re nero fra due dita, lo fissò per un attimo. Poi lo sollevò, rimettendolo in piedi sulla scacchiera.

- Per favore, Magneto, smettila di chiamarmi con quel nome.

***

La sede della Confraternita dei Mutanti era vuota, sinistra nella luce appena percettibile dell’alba.

Rimuginando sull’incontro della sera prima, Magneto non era riuscito a chiudere occhio. Aveva preso un libro da uno scaffale, ma l’aveva richiuso dopo essersi accorto di dover leggere tre volte ogni rigo prima di riuscire a porvi attenzione.

p>Verso le quattro e mezza si era alzato e aveva disseppellito dall’armadio la sua giacca nera. Riponendola il più lontano possibile dalla sua vista, aveva giurato a sé stesso che non l’avrebbe più indossata. Ma adesso era tutto diverso.

Domandandosi se per caso non stesse inseguendo un’utopia, aveva guidato fino al vecchio quatrier generale, un complesso di locali scavato nella roccia a picco sul mare. Dentro regnava il silenzio, eccezion fatta per le onde che si infrangevano contro gli scogli, parecchi metri più in basso.

Quello era il luogo dove aveva concepito progetti ambiziosi, a volte rasentando la fantasia. Dove aveva dato ordini, ricevuto informazioni, elaborato strategie affiancato da mutanti che condividevano il suo sogno.

“Come un vecchio che ha bisogno di una ragione di vita”, pensò. Ma sapeva di essere diventato troppo severo con sé stesso. Stava condannando l’ambizione di tutta la sua esistenza solo perché adesso gli sembrava così difficile da realizzare.

“Dovrei fidarmi un po’ di più di Mystica” pensò fra sé “Oppure cominciare ad aspettarmi qualche vendetta veramente terribile”. Non potè fare a meno di sorridere a se stesso. Era qualcosa di misterioso come la mutante gli fosse ricomparsa davanti, d’improvviso, con le informazioni che aspettava, come ai vecchi tempi. Solo che stavolta lui non gliele aveva chieste, le informazioni. Dopo tutto quello che era successo, Magneto credeva di conoscerla bene, ma forse non era così.

L’attenzione dell’uomo fu attratta dalla scrivania, un colosso di legno scuro nel lato destro della stanza. Sul ripiano, abbandonati un po’ alla rinfusa, c’erano ancora tutti gli oggetti che, dopo gli ultimi eventi, non era mai tornato a prendere.

Tra questi, un vecchio pendolo di metallo, di quelli che servono a dimostrare la conservazione dell’impulso: l’urto tra le sfere, appese ad un asticella le une a fianco delle altre, trasmette il movimento attraverso tutte loro facendole rimbalzare. Un tempo, Magneto era in grado di imprimere il movimento a quella struttura con la sola forza del pensiero.

Un tempo, Magneto era in grado di piegare il metallo ma, ancora più importante, era in grado di piegare le menti degli uomini. Con una sola parola, smuoveva le masse. Sospirando, sedette alla scrivania, gli occhi puntati sul pendolo, in attesa. Non successe niente. Senza lasciarsi scoraggiare, l’uomo avvicinò il volto ancora di un palmo. Era così concentrato che neppure osava sbattere le palpebre. Gli occhi presero a bruciargli un po’, ma non ci fece caso.

Allungò una mano, arrivando quasi a sfiorare le piccole sfere argentate che, immobili, lanciavano luccichii beffardi in tutte le direzioni. Si lasciò sfuggire un’imprecazione a mezza voce. Poi, la fronte aggrottata per la concentrazione, mosse appena la mano tesa.

Il pendolo fu percorso da una lievissima vibrazione.

Magneto si allontanò di scatto, quasi intimorito. Mystica dunque aveva ragione. I suoi stessi occhi, quella mattina al parco, non l’avevano ingannato. Si sentiva nuovamente carico di energia, di speranza. Quasi che fosse in grado di percepire quelle emozioni, il pendolo sul tavolo prese a scuotersi, tintinnando.

L’uomo lo fissò per qualche istante, poi tese la mano in avanti: fermati. Non successe niente. Magneto aveva riacquistato parte del suo potere, ma non era in grado di controllarlo. Non sarebbe stato in grado di competere nemmeno lontanamente col vecchio se stesso. Perfino da adolescente, quando il suo dono si era appena manifestato, dominarlo si era rivelato più semplice di ora.

- FERMATI!

Con un brusco gesto del braccio, l’uomo colpì il pendolo violentemente, mandandolo a infrangersi contro il pavimento di pietra. Si accasciò sulla sedia, prendendosi la testa tra le mani. Sentiva il sangue ribollire nelle vene per la collera.

Era davvero giunto il momento di prendere una decisione.

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Capitolo 2
*** Capitolo 002 ***


Disclaimers dall'autice: In questo capitolo c'è una canzone (Secret World, di Peter Gabriel), quindi se volete potete definirlo una "song fic". Inoltre è decisamente più romantico degli altri, quindi anche la categoria è potenzialmente sbagliata. Dato che però l'intera fic non sarà incentrata sull'aspetto romantico (che comunque credo non mancherà), lascio la dizione così com'è, e me ne vado perchè sono già due ore che sto al computer!!! XD

***

- Non sei il solo ad avere difficoltà a recuperare i poteri, sai?

- Cosa ci fai qui?

- Non riuscivo a dormire. Così ho pensato di venire a dare un’occhiata. Forse immaginavo che ti avrei trovato qui…

- Sei insolitamente loquace, Mystica.

- Ci sono cose che vale la pena di dire.

Si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. Magneto non si era mai dato la pena di indagare la sua personalità, finché lei rispettava i patti. Qualcuno aveva detto che l’uomo teme ciò che non conosce: lui non era tipo da aver paura di qualcosa in modo irrazionale, ma sicuramente il carattere di lei lo lasciava assai perplesso.

Di scatto, Magneto si allontanò dalla scrivania e mosse qualche passo verso quel che restava del pendolo, sul pavimento. Mystica si limitò ad osservarlo raccogliere l’oggetto, per appoggiarlo di nuovo, delicatamente, sulla scrivania. Inesplicabilmente, riaffiorarono alla sua mente i ricordi degli ultimi eventi.

L’odio nei confronti di Magneto si andava ormai affievolendo, rimpiazzato da una sorta di invidia mista a rimpianto per aver buttato via tante occasioni. Aveva trascorso anni e anni al servizio del mutante, convinta di essere una sua alleata, per rendersi conto solo alla fine di essere sempre stata solo una schiava. E non era giusto. Era il momento della rivincita.

- Hai già contattato gli altri?

Mystica sussultò. L’improvviso allontanamento fra loro le aveva quasi fatto dimenticare che Magneto era in grado di capire al volo le sue intenzioni. Era il risultato di tanti anni di cooperazione.

Uno sguardo, e lei era certa di non correre rischi, lui e la Confraternita sarebbero accorsi in suo aiuto. Uno sguardo, ed era come se gli avesse raccontato tutto ciò che aveva visto. Uno sguardo le era bastato perfino per capire che era finita.

“La Confraternita non ha bisogno di te, Raven. Sei tu ad aver sempre avuto bisogno di noi” - Non ho idea di dove si trovi Toad, a momento.- rispose, brusca- Per quanto riguarda Sabretooth, non ci dovrebbero essere problemi. Verrà immediatamente.

Magneto le lanciò un’occhiata. In quel momento, avrebbe giurato di scorgere nel rapido sguardo un barlume dell’antico compiacimento che a volte il mutante rivelava di provare nei suoi confronti. Che non osasse considerarla ancora al suo servizio!

- Me ne occupo io- affermò con decisione, a scanso di equivoci.

Magneto rimase in silenzio, come soprappensiero, per qualche minuto.

- Non credevo che sarei tornato qui così presto- disse infine.

Sembrava insolitamente a disagio. Mystica non replicò, temeva che rimanere per troppo tempo accanto al mutante senza parlare di “affari” l’avrebbe portata, naturalmente, a perdonarlo. E lei non ne era intenzionata.

- Che intenzioni hai, Raven?

La domanda la colse alla sprovvista, così che Mystica esitò qualche istante prima di rispondere. Questa incertezza forse lasciò intuire qualcosa a Magneto, che si voltò verso la parete, sogghignando:

- Non importa. Non mi interessano le bugie.

- Vado a cercare Sabretooth, è meglio agire il prima possibile. Ti faccio avere notizie appena torno- e si allontanò.

Rimasto solo nella grande stanza vuota, Magneto rimase immobile per qualche tempo a fissare i resti di una piccola imbarcazione che lottavano contro il nero mare burrascoso, molti metri più in basso.

Le onde trascinavano il relitto verso gli scogli violentemente, accompagnando l’impeto dell’urto con raffiche di vento salmastro, che faceva schizzare lontano le gocce d’acqua e i frammenti di legno. Nel complesso, era una scena piuttosto deprimente.

Magneto non aveva voglia di filosofeggiare. Si allontanò dalla finestra a grandi passi, di nuovo immerso in un turbine di pensieri.

***

Mystica camminava a passo svelto nel buio, stringendosi nella lunga giacca di pelle. Da quando era diventata “umana”, non sopportava più il freddo. Imprecò a mezza voce urtando col piede una radice sporgente dal terreno che per poco non la fece inciampare. Non essere più mutante comportava ben più di qualche svantaggio.

Adesso, però, non cera tempo di pensare a queste cose: era essenziale concentrarsi; doveva trovare al più presto Sabretooth, e quanti altri ex-membri della Confraternita fossero stati disposti a seguirla.

Faticosamente, Raven riuscì a raggiungere lo sportello di quell’informe macchia nera che doveva essere la sua auto. A tentoni, infilò la chiave nella toppa, continuando a imprecare silenziosamente contro la propria condizione. Avviò il motore, poi alzò al massimo il volume della radio.

“I stood in this sunsheltered place

'Til I could see the face behind the face

All that had gone before had left no trace

Down by the railway siding

In our secret world, we were colliding

All the places we were hiding love

What was it we were thinking of?”

Le parole arrivavano a mala pena alla sua mente, che si era già messa in moto verso l’obbiettivo. Per prima cosa, sarebbe andata a cercare Sabretooth, sempre che si trovasse ancora lì. Lui forse avrebbe potuto dirle dov’era Toad. Infine, assieme ai due, avrebbe utilizzato la solita vecchia tattica, andando in cerca di mutanti insoddisfatti della propria situazione in giro per i bassifondi newyorkesi.

“So I watch you wash your hair

Underwater, unaware

And the plane flies through the air

Did you think you didn't have to choose it

That I alone could win or lose it

In all the places we were hiding love

What was it we were thinking of?”

“E finalmente potrò attuare la mia vendetta”

Tuttavia... Era davvero quello che voleva? Qualcosa, infondo alla sua mente, le suggeriva che, anche continuando a nutrirsi di quella convinzione, non sarebbe arrivata a niente. Erano successe troppe cose perché un piano così semplice potesse essere realizzato senza essere scoperto.

Soprattutto, di cose ne erano successe troppe anche perché un’idea del genere avesse bisogno di essere attuata. La verità, talmente difficile da ammettere, era che lei Magneto lo aveva già perdonato.

“In this house of make believe

Divided in two, like Adam and Eve

You put out and I recieve

Down by the railway siding

In our secret world, we were colliding

In all the places we were hiding love

What was it we were thinking of?”

Mystica spense la radio con un gesto rabbioso. “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, aveva detto qualcuno. A che cosa stava pensando? Non era il momento di lasciarsi prendere dal sentimentalismo, né dai rimorsi.

Voltò a sinistra, lasciando l’autostrada per imboccare una strada più stretta, che presto la condusse verso un sentiero in mezzo ai campi. Erano ormai quasi due ore che viaggiava così, in perfetto silenzio, senza osare riaccendere la radio per paura di trovare di nuovo una di quelle maledettissime canzoni che fanno riflettere. Il rumore delle ruote sull’asfalto, simile a un mantra meccanico, la stava facendo scivolare in un torpore che non prometteva niente di buono, così si concentrò sul paesaggio circostante. Aveva cominciato ad albeggiare. Il sole, spuntando da dietro i monti proprio alla sua sinistra, aveva diffuso attorno a sé un alone accecante di luce dorata, illuminando il cielo tutto intorno in una sciarada di colori improbabili. La shilouette della campagna si distingueva a malapena in tutta quella luce. Poi, improvvisamente, una casa.

Piccola, un po’ storta, infondo a un sentiero sterrato; una di quelle case che sembrano appena uscite da un vecchio film, con tanto di mura rivestite di legno, veranda e comignolo sul tetto. A completare il quadro, dal retro spuntavano i rami di un grosso melo.

Alcuni oggetti appoggiati al muro, tra cui una vanga e un ammasso metallico contorto che poteva essere un vecchio motore; una jeep parcheggiata fuori, con i parafanghi schizzati e il cofano leggermente ammaccato sulla destra. Raven parcheggiò accanto ad essa, sollevando una nuvola di polvere con una frenata.

Scese.

Tutto era silenzioso, le finestre chiuse, ma la mutante sapeva che l’occupante della casa era sveglio. Non poteva non aver fiutato la sua presenza, se lo conosceva come, in effetti, era convinta di conoscerlo. Si guardò attorno, cercando di scorgere un movimento che tradisse la sua presenza. Niente.

Allora si avvicinò alla porta. Sabretooth non avrebbe mai potuto riconoscerla, sotto quelle sembianze. Forse non le avrebbe creduto, ma era necessario provare: se fosse riuscita a convincerlo, si sarebbe certamente alleato senza pensarci due volte.

“Bisogna essere proprio disperati per andarsene in giro a implorare aiuto in questo modo” si disse, nervosa. Non sopportava di dover chiedere l’elemosina.

Mystica scrutò il muro accanto all’ingresso: niente campanello. Bussò energicamente con il pugno destro, chiuso. Nessuna risposta. Impaziente, bussò di nuovo. Dall’interno giunsero dei movimenti confusi, poi un chiaro rumore di passi sul pavimento di legno. Non era però possibile stabilire se si stessero avvicinando oppure allontanando.

“Adesso si tratta solo di tatto. E fortuna”

La porta si socchiuse. Raven sentì il rumore di un respiro trattenuto. Nella stanza buia, un uomo dall’aspetto truce scrutava fuori, i muscoli tesi e pronti all’attacco nel caso che l’ospite non fosse risultato gradito. Tuttavia, sembrò ritenerla innocua.

- Apri, Sabretooth. Non ho voglia di giocare- disse Raven, con la voce piatta.

L’uomo spalancò la porta. Era molto alto, e di corporatura solida ma asciutta. Raven, che era decisamente esile, sembrava minuscola accanto a lui. Folti capelli biondo cenere gli ricadevano sulle spalle scompostamente, simili al pelo di un animale. La barba era incolta e gli occhi neri come il carbone.

- Cosa ci fai qui, Raven?

Mystica sussultò. Come aveva fatto a riconoscerla? Fece per parlare, ma il mutante la anticipò:

- Non crederai mica di ingannarmi con un travestimento del genere, dopo tutto il tempo che abbiamo lavorato insieme?

Lei lo fissò negli occhi. Le parve di scorgere un barlume di divertimento: del tutto logico, visto il soggetto a cui si stava rivolgendo. Quella espressione così rilassata la fece sentire, in qualche modo, consapevole di quanto fosse misera la sua condizione in quel momento.

- Il punto è- disse, così piano da sembrare un sussurro- che questo non è un travestimento, Sabretooth.

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Capitolo 3
*** Capitolo 003 ***


Innanzitutto Mystica vuole ringraziare tutti quelli che hanno commentato la sua fic *me commossa*. Grazie di cuore per il supporto, è una spinta in più ad andare avanti! Continuate a seguire la mia storia! XD

Seconda cosa, comunico che ho in serbo ancora un capitolo e mezzo completi da postare, ma adesso vado in vacanza per 11 gorni e non potrò scrivere niente! Quindi fateveli durare!!!

***

Sabretooth fissò Raven per un momento, prima di rendersi conto del significato delle parole di lei. Poi, la risposta arrivò come una doccia fredda.

- Ti… ti hanno somministrato la “Cura”?

Mystica distolse lo sguardo, che fino a quel momento era riuscita a mantenere imperturbabile, per fissare un punto imprecisato del pavimento. Rimase un attimo in silenzio, cercando di decidere che cosa rispondere.

- Non proprio. Ma non mi va di parlarne.

Fece una pausa, continuando a fissare per terra con un atteggiamento abbattuto che Sabretooth non le aveva mai visto.

- Devi dirmelo, Raven. Come pensi che possa indovinare?

- Non credo che sia una storia piacevole.

Sabretooth la invitò a sedersi, ed estrasse dal frigo due bottiglie di birra gelata. Mentre lui prendeva gli ultimi bicchieri puliti da una mensola un po’ storta, Raven iniziò a raccontare. Era la parte più delicata del piano.

A voce bassa, Mystica spiegò di come il governo americano fosse riuscito a catturarla mentre lei cercava di impossessarsi di alcuni documenti importanti. Di come poi Magneto fosse accorso a salvarla, della guardia che aveva sparato e di ciò che era successo dopo. Tuttavia, la scaltra mutante si guardò bene dal dire che Magneto l’aveva abbandonata a se stessa proprio nel momento del bisogno, e anche che il Signore del Magnetismo in persona aveva perso i suoi poteri. Era tutto in programma.

“Adesso, Sabretooth si sentirà in dovere di appoggiare la causa dei suoi compagni. Non ha motivo per non farlo. E quando Magneto chiamerà in aiuto i suoi alleati, loro non potranno fare a meno di accorrere…”

- E così adesso ho perso i miei poteri- concluse Mystica.

- Ma…- esclamò Sabretooth, che aveva ascoltato in silenzio fino a quel momento- … avevano detto che la “Cura” sarebbe stata volontaria…

Raven lo fissò per un attimo, con un sopracciglio alzato, le labbra piegate in un sorrisetto sardonico.

- E tu ci hai creduto?

- Sporchi umani…!!!- Sabretooth sbatté violentemente un pugno sul tavolo- Sono ancora dei vostri, dunque. Qual è il piano?

- Innanzitutto- cominciò Mystica, prendendo in mano la situazione con fare manageriale- dobbiamo impedire che gli umani si riapproprino della fonte della “Cura”. Leech è allo Xavier’s Institute, ma non passerà molto tempo prima che il governo decida di riprenderselo. Dobbiamo fare in modo che ciò non accada.

- Magneto sta cercando di entrare nella Scuola, fingendosi alleato degli X-Men. Loro credono che il Governo sia davvero intenzionato a mantenere la pace, ma io sono convinta che non possa durare. Stanno solo cercando di tenerci buoni.

- E che cosa ne faremo del bambino?- chiese Sabretooth. Mystica sorrise.

- Faremo in modo che non possa più costituire un pericolo per nessuno.

Sabretooth annuì, sogghignando.

Mystica era soddisfatta. Il suo unico timore, almeno per ora, era scongiurato: il mutante non aveva scoperto l’unica falla nel suo piano; sarebbe stata sufficiente una semplice domanda per far crollare tutto, ma quella domanda non era stata formulata.

“Perché il governo dovrebbe rinunciare a questa occasione di pace?”

D’altra parte, Sabretooth non era al corrente che i maggiori criminali del genere mutante erano già stati ridotti al silenzio. E nessuno di questi criminali era intenzionato a svelare la propria debolezza, almeno per ora.

***

Parecchie miglia più a est, in quel momento, un uomo vestito con un elegante completo grigio scuro suonava il campanello dello Xavier’s Institute for Gifted Youngsters.

- Cosa vuoi?- la ragazza che gli aprì la porta sembrava decisamente ostile.

- Vorrei parlare con la preside- rispose educatamente Magneto, con un mezzo sorriso.

La ragazza non si lasciò ingannare. Rimase in silenzio per parecchi secondi, scrutando l’uomo che le stava davanti con espressione torva, incerta se gridare o meno.

- Ti ho riconosciuto, sai- rispose alla fine- sei Magneto. E non sei il benvenuto qui.

Lui ebbe appena il tempo per lanciarle un gelido sorriso prima che una seconda voce si inserisse nella conversazione.

- Chi era alla porta Kitty?

Una giovane donna dalla pelle scura e i capelli argentati fece capolino dietro le spalle della ragazzina. Appena vide Eric, mosse istintivamente un passo indietro aggrottando le sopracciglia.

- Eric. Non credevo che ti saresti fatto vivo ancora.

- I casi della vita, eh- rispose lui, sogghignando.

- Spero che si tratti di ben più che un caso, o sarò costretta a cacciarti.- replicò lei, impassibile.

Magneto le lanciò un’occhiata penetrante, senza perdere la calma.

- Certamente questo non è il luogo adatto per trattare simili argomenti, Storm. Immagino che stessi per invitarmi ad entrare.

La donna mormorò qualcosa fra i denti, ma si spostò e, con un gesto, invitò Kitty di fare lo stesso. Scortò Magneto attraverso i lunghi corridoi della scuola, fino a raggiungere una stanza spaziosa e ben illuminata da una grande finestra sulla parete dietro la scrivania. Le altre pareti erano interamente ricoperte di scaffalature in legno, che contenevano una vastissima raccolta di volumi. Sul pavimento, un tappeto verde scuro che copriva quasi del tutto il parquet. Magneto attraversò la stanza senza fare rumore, e si sedette su una sedia di fronte alla scrivania.

Storm prese posto sulla poltrona che un tempo era stata di Xavier e, appoggiato il mento nel palmo di una mano, iniziò a fissare Eric con sguardo deliberatamente inquisitore. Lui rimase in perfetto silenzio.

- Perché sei venuto, dunque?- disse lei, alla fine.

Magneto rise fra sé, abbracciando con lo sguardo l’enorme stanza. Era incredibile come sembrasse diversa, adesso che Storm era la preside. Le caratteristiche principali dello studio di Charles erano ancora ben visibili, ma l’atmosfera che si percepiva entrando non era più quella calma silenziosa che sembrava avvolgere Xavier. Il dominio di Storm era fatto di cieli burrascosi e nuvole dalle forme bellissime, ma pronte ad esplodere in temporali da un momento all’altro.

“E’ ancora così giovane e inesperta… Non avrà la forza di rifiutare la mia proposta”

- Xavier ti ha lasciato un’eredità enorme, Storm- mormorò, quasi più a se stesso.

- Rispondi alla mia domanda.

Meglio evitare i giri di parole, dunque.

- Ci stavo arrivando. Ma, se vuoi, taglierò corto. La domanda è: sei in grado di gestire questo patrimonio?

- Cosa…?- La donna sussultò. Aveva fatto centro.

- Lo Xavier’s è pieno di sorprese, Storm. Ci sono segreti di cui nessuno di voi potrebbe neanche sospettare.

Segreti che sarebbero morti con Xavier, se…- Storm completò la frase per lui.

- … Se tu non l’avessi aiutato a realizzarli.

- Esattamente- Magneto si chinò leggermente in avanti sulla scrivania, con l’atteggiamento confidenziale di un negoziante che tenta di convincerti ad acquistare la sua merce.

- Scommetto che a voi questi segreti servono, vero? Silenzio.

- Io potrei rivelarti tutto, se solo me lo chiedessi.

La donna si allontanò di scatto.

“Ecco l’acquazzone”, pensò Magneto.

- Sapevo che ci saremmo arrivati. Certo, tu potresti rivelarmi tutto. Potresti far funzionare Cerebro, e Dio solo sa quanto ne avremmo bisogno! Ma… c’è un ma- pausa.

Storm fissò Magneto dritto negli occhi.

- Cosa vuoi in cambio?

Lui si alzò e mosse grandi passi verso la libreria. Il suo cuore era in tumulto, era ad un passo dalla vittoria. Tutto dipendeva da quel momento. Lei stava per cedere. Doveva cedere. Si voltò, e finse di consultare un libro, preso a caso dalla scaffalatura, per nascondere il ghigno che non riusciva più a trattenere.

- Adesso sono solo un povero vecchio, Storm- rispose, cercando di mantenere il tono di sempre- Che minaccia posso costituire?

Lei non rispose. Eric si voltò nuovamente a fronteggiarla.

- Permettetemi di rimanere qui. Vi insegnerò tutto. Storm non rispose.

- Pensaci. Se dico la verità, otterrai il pieno controllo su questa scuola. Se invece sto mentendo, cosa può mai fare un vecchio senza poteri contro una cinquantina di giovani mutanti?

Lei si alzò a sua volta, i palmi delle mani aperti sul legno della scrivania, quasi in cerca di un appiglio. Era protesa in avanti, i muscoli del collo tesi e le sopracciglia aggrottate. Magneto poteva sentire la tensione crescere dentro la stanza, e si chiese che cosa ne sarebbe stato di lui se lei non avesse accettato.

Poi si alzò il vento, che spazzò via il temporale.

In un attimo, la giovane donna parve rilassarsi. I lineamenti del volto tornarono a distendersi, e lei si accasciò di nuovo su una sedia, appoggiando la fronte alle nocche della mano. Ancora immobile in quella posizione, gli occhi puntati in basso, rispose semplicemente:

- Accetto.

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Capitolo 4
*** Capitolo 004 ***


Ok, capitolo abbastanza inutile in quanto ad azione. Prendetelo come una riflessione (l'ennesima!) riguardo ai sentimenti di Raven verso il mondo, se stessa e anche Magneto. Chissà che prima o poi non possa tornare utile? =3

***

- Chiudi quel finestrino.

Gli occhi fissi alla strada che si stendeva infinita di fronte a lei, Raven fece scivolare nervosamente i palmi delle mani lungo il volante. Sabretooth continuò imperterrito a canticchiare un jingle pubblicitario.

- Chiudi immediatamente quel finestrino, ho detto.

Il vento, provocato dallo spostamento d’aria, entrava prepotentemente nell’abitacolo dell’auto, con un sibilo penetrante e continuo. Il mutante obbedì, di malavoglia. Dopo un’intera mattinata trascorsa a guidare, Raven si sentiva decisamente di malumore. Le spalle cominciavano a intorpidirsi a furia di restare immobile sul seggiolino della macchina, e Sabretooth si era rivelato un passeggero decisamente poco socievole. Per tutto il tempo del tragitto, se ne era rimasto a fissare la campagna circostante, immerso in chissà quali pensieri.

Del resto, neppure Mystica si sentiva troppo in vena di chiacchiere. I campi di cereali e le distese verdeggianti dei pascoli avevano già da tempo lasciato il posto a un terreno più accidentato e sassoso, attraverso il quale la strada serpeggiava come il letto di un fiume in secca. Il cielo, all’orizzonte, scompariva fondendosi con l’ocra della terra. E non c’era anima viva che l’occhio potesse raggiungere.

- Ammetti che ci siamo persi.

Erano le prime parole che Sabretooth pronunciava dall’inizio del viaggio, parole che fecero immediatamente saltare i nervi a Raven.

- So perfettamente dove sto andando, grazie.

Il mutante si strinse nelle spalle, e ricominciò a canticchiare come se la cosa non fosse affar suo. Per qualche minuto ancora, il viaggio continuò senza che nessuno aprisse bocca. E il paesaggio era sempre lo stesso, monotono susseguirsi di rocce e erba arsa dal sole.

Raven frenò bruscamente.

- Passami la cartina.

Con un ghigno, Sabretooth obbedì. Secondo lo stradario, quella che stavano percorrendo era l’unica via possibile per ritornare alla civiltà. Probabilmente, nel giro di un’ora o due avrebbero cominciato a scorgere qualcosa di simile ad una città.

Imprecando, Raven si domandò perché mai gli esseri umani devono rendere tutto così complicato. Col jet della Confraternita, in un paio d’ore lei e Magneto avrebbero potuto raccogliere un centinaio di mutanti da tutti gli angoli degli Stati Uniti. Ma adesso non bisognava assolutamente dare nell’occhio…

- Adesso guido io, hai l’aria di chi non dorme da giorni- disse Sabretooth, aprendo lo sportello dalla parte dell’autista e infilandosi nell’abitacolo. Raven non oppose resistenza, si sentiva veramente molto stanca.

- Cerca di guidare in maniera decente, però. Questa macchina costa un sacco di soldi.- si limitò a replicare.

***

- Sei sicura della tua scelta, Ororo?

- Non mi sembra che restino molte altre possibilità, Logan. Il professor Xavier e Jean non ci sono più, e né tu né io abbiamo idea di come utilizzare Cerebro.

- Ma… si tratta di Magneto, accidenti!

- Si tratta di Eric. Magneto non esiste più, almeno secondo i medici che hanno inventato la Cura.

- Io terrò comunque gli occhi aperti.

***

Qualche ora dopo, come previsto, il brullo paesaggio circostante aveva iniziato a cedere il posto a piccoli gruppi di case, che si facevano più numerosi col passare dei minuti. La strada, dal sentiero male asfaltato che era, si era fatta più larga e dritta, con qualche abbozzo di cartello stradale ai lati.

- Credevo che non avremmo più incontrato forme di vita intelligente.

Sabretooth si limitò a scuotere la testa, continuando a guardare avanti. Un segnale, che pendeva storto sulla cima di un’asta di ferro, dichiarava coraggiosamente che erano appena entrati nel distretto di N…

Le case erano ormai numerose, intervallate da negozi e piuttosto curate. Un anziano, seduto su una sedia a dondolo sulla veranda, osservava il passaggio delle rare automobili fumando la pipa. Alcuni bambini si cimentavano in una partita a pallone che assomigliava di più ad una rissa, nel cortiletto di una scuola.

Sabretooth inchiodò di fronte a un piccolo Supermarket, e scese dalla macchina sbuffando per il caldo. Il sole era già alto nel cielo, e l’aria era intrisa di un’umidità che faceva incollare i vestiti sulla pelle.

- Che cosa, fai?- chiese Raven, con un sopracciglio alzato.

- Rifornimento- si limitò a replicare lui, senza voltarsi.

Aveva già cominciato ad avviarsi verso l’ingresso, e a Mystica non rimase altro da fare che seguirlo all’interno. Il locale era malandato e caldo, evidentemente il proprietario non guadagnava abbastanza da potersi permettere un condizionatore. Sugli scaffali, disposti in vago ordine, c’erano soltanto cibi in scatola o preconfezionati.

- Vediamo di trovare qualcosa da mettere sotto i denti. Quanto tempo è che non mangi?- chiese Sabretooth, osservando Raven con sguardo critico.

Lei si strinse nelle spalle: era poi così importante? Gli affari degli ultimi tempi l’avevano distolta da faccende banali come mangiare e dormire. Lo sguardo le cadde sulla propria immagine, riflessa sul vetro della porta. Quanto detestava quel volto!

Era pallida, stanca e appariva molto nervosa. Nonostante il suo aspetto umano fosse decisamente avvenente, Raven provò un moto di disgusto verso la donna che le restituiva lo sguardo, al di là dello specchio. Uno sguardo che, a prescindere da tutto ciò che era accaduto, conservava quella scintilla di spavalderia che era stata di Mystica. Quello che le mancava, per sentirsi completa, erano i suoi poteri. Il suo vero io da cui, prima di incontrare Magneto, sarebbe volentieri fuggita, era adesso per lei motivo di rimpianto.

- Raven!- Sabretooth la risvegliò bruscamente dai suoi sogni ad occhi aperti, sventolandole sotto il naso un sacchetto di merendine – Hai deciso di lasciarti morire di fame?

Lei gli rivolse un’occhiata raggelante, che voleva significare “non sono affari tuoi”, ma ugualmente prese ciò che lui le porgeva.

- Non c’era proprio niente di meglio?- chiese all’uscita, brandendo il misero acquisto.

- Avevano finito il caviale e lo champagne, ma era comunque rimasta parecchia birra, e a me basta- rispose Sabretooth, aprendo una lattina e porgendola a lei.

Raven, inconsciamente, si concesse un mezzo sorriso che non sfuggì al mutante.

- Brava… tanto vale godersi questa scampagnata, non ti pare?

***

- Posso vedere Cerebro?

Era la prima domanda che era sorta sulle labbra di Magneto, appena Storm aveva rimesso piede nell’ufficio. Una mossa assai scocca, da parte della ragazza, lasciarlo solo in quella stanza. Voleva forse dire che si fidava di lui a tal punto?

Le rosee prospettive che Magneto aveva congetturato, tuttavia, sembrarono rivelarsi del tutto infondate nel momento in cui anche Wolverine, con i soliti jeans malandati e il sigaro in bocca, comparve dietro di lei sulla porta. La sua assenza era servita a Storm soltanto per aumentare la sorveglianza.

- Puoi vederlo, se ci tieni tanto. Ma, per evitare qualsiasi rischio, chiederemo a Leech di accompagnarci, che ne dici?

Magneto non perse tempo a rispondere. Sorrise, semplicemente, con un sorriso forse un po’ troppo freddo per essere rassicurante, ma che voleva comunque essere amichevole.

- Non sforzarti troppo, Eric. Tu non sei simpatico a noi, e noi non lo siamo a te.

- Cercavo solo di non rendere tutto più difficile, Logan- replicò l’uomo, diplomaticamente.

Il gruppo stava intanto avviandosi per i corridoi sotterranei dello Xavier’s Institute, un luogo off-limits per la maggior parte dei mutanti.

“Devo essere impazzita” pensava Storm fra sé. Eppure, nonostante tutto, quella sembrava essere l’unica soluzione “C’è bisogno di nuovi insegnanti, qui. E, magari, anche di un preside che sia all’altezza del suo ruolo”

E l’unico modo per averli, è chiaro, era ricorrere a Cerebro. Una mente elettronica talmente potente da essere in grado di uccidere chiunque non avesse avuto un potere sufficiente da poterlo usare. Uno strumento che rendeva possibile l’identificazione di tutti i mutanti, oppure tutti gli umani, presenti sul Pianeta.

Il corridoio si interrompeva bruscamente, dopo un rettilineo, con una porta rotonda di metallo modellato a formare il logo dello Xavier’s: una X inscritta in un cerchio. Al lato della porta, un bambino piuttosto sottile e dall’aspetto spaventato se ne stava in piedi, la schiena un po’ appoggiata al muro.

Era abbastanza alto, ma decisamente magro. I suoi capelli, un tempo rasati quasi a zero, avevano ora ripreso a crescere piuttosto disordinatamente. Gli occhi, chiarissimi, erano velati da un’ombra di terrore che neppure i giorni felici allo Xavier’s erano stati in grado di estirpare.

Era vestito piuttosto semplicemente, e teneva le mani in tasca e la testa leggermente china da un lato. Appena Storm si avvicinò, tuttavia, sollevò lo sguardo fino a incontrare quello di lei, e sorrise.

- Credo che ormai tu conosca bene Leech, Eric.

***

“Devo smetterla di pensare a Magneto”

Aveva ripreso a guidare, Sabretooth russava sul sedile al suo fianco. Anche a lei sarebbe piaciuto riuscire a rilassarsi.

- Godersi la gita!- ringhiò a mezza voce.

Come se fosse stato facile! Godersi la gita avrebbe significato dimenticare la strada illuminata dai lampioni, lo stomaco che brontolava di nuovo dopo le tante ore alla guida, il freddo pungente della notte e le case, adesso così alte, che sembravano sorgere dai lati della carreggiata come giganti minacciosi, pronti a balzare sull’auto che sfrecciava avanti, sempre più veloce.

Non l’avrebbero presa! Nessuno sarebbe riuscito a interrompere la sua corsa, nessuno. Nemmeno la loro voce. La voce di quei giganti di cemento, insistenti, che nella testa continuavano a dirle “stai fingendo. Non hai bisogno di una vendetta. Fermati, e tutto il resto verrà da sé”. Ma non l’avrebbe ascoltate. Non avrebbe ascoltato quelle case, dai tetti che si fondevano col nero del cielo, le finestre chiuse come occhi che non vedono, le porte come bocche che non hanno bisogno di parlare, perché ciò che hanno da dire giunge alla mente senza bisogno di essere udito.

- Vendetta!

- Perdono!

- Sei debole! Sei inutile! Non vali niente…

- … senza di lui.

Con una frenata che fece stridere le ruote sull’asfalto, Raven fermò la vettura. Il rumore e la brusca incollata destarono Sabretooth, che balzò sul sedile imprecando. Mystica lo ignorò deliberatamente.

Quel frenetico stream of conciousness l’aveva resa esausta e irritabile, e adesso desiderava soltanto raggiungere in fretta la sua meta.

- Non vedo perché complicare così le cose- brontolò il mutante, stiracchiandosi.

Mystica scese dalla vettura con un balzo, e sbattè la portiera alle proprie spalle. Non aveva voglia di voltarsi, cercare di essere diplomatica, mettere Sabretooth a parte di quel piano così elaborato da essere in gran parte un mistero anche per lo stesso Magneto. Era la “sua” vendetta, e non c’era bisogno che altri ne fossero al corrente.

Mosse alcuni passi verso il fondo della strada, lottando contro l’impulso di girarsi a fissare il mutante che, ancora, aspettava spiegazioni. Poi, esasperata, sbottò:

- Perché gli ordini sono ordini, Viktor. E tu sei soltanto una pedina, come tutti noi.

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Capitolo 5
*** Capitolo 005 ***


- Allora, il Fast Food dovrebbe essere questo.

Sabretooth, a qualche passo di distanza da un’ancora troppo nervosa Raven, fissava un’insegna con le sopracciglia aggrottate. Era un vecchio cartellone luminoso, appeso storto, che recava la scritta “Fast Meals” e il disegno di un Hamburger stilizzato.

- Perché dobbiamo capitare sempre in posti così squallidi?

Mystica non rispose. Si limitò ad avviarsi verso la porta a vetri e spingere la maniglia verso il basso. Nonostante l’ora tarda, il fast food era ancora aperto, e almeno una dozzina di avventori stava seduta attorno ai tavoli.

- Non voglio sapere come facevi ad essere al corrente del fatto che Toad lavora in questo posto- disse Mystica, storcendo il naso.

Al bancone, tre camerieri con la divisa del locale – camicia rossa e pantaloni blu scuro – erano occupati a riempire di patatine fritte alcuni contenitori. Uno di loro era, inequivocabilmente…

- Toad! Eccolo lì!

Mentre Sabretooth si sedeva a un tavolo piuttosto vicino alla cassa, in modo da restare a portata d’occhio, Raven si avvicinò al banco con un sorriso che ricordava assai un ghigno.

Toad, dalla sua postazione, già da un po’ di tempo si era messo in ascolto. Aveva interrotto il suo lavoro, e guardava la manovra di avvicinamento di Sabretooth e Mystica con evidente diffidenza. Tuttavia, non poteva far altro che aspettare.

- Desidera?- chiese, la voce che un po’ tremava, quando Raven appoggiò i gomiti al bancone, a qualche centimetro da lui. Gli lanciò un’occhiata penetrante, che lo fece rabbrividire.

- Non fare finta di niente Toad. Lo so che ci hai riconosciuti.

Il mutante lanciò un’occhiata nervosa agli altri camerieri, in cerca di aiuto, ma questi sembravano del tutto indifferenti alla conversazione.

- Non vi ho mai visti prima- esalò infine.

- Ma dai- sorrise Raven, avvicinandosi ancora un po’- Dovremo rinfrescarti la memoria!

Così dicendo, si fece un po’ da parte e fece cenno a Sabretooth di raggiungerla.

- Che cosa volete da me?

- Noi non vogliamo assolutamente niente. È la Confraternita ad aver bisogno di te.

- No…

Toad mosse qualche passo indietro, istintivamente, nella speranza che quella semplice parola potesse essere sufficiente a fargli da scudo contro la disarmante verità.

- Tu sei uno di noi, Toad. Lo sei sempre stato, quando pensavi che l’attacco fosse la miglior difesa. E adesso… adesso che non hai più bisogno di difenderti, sei disposto ad abbandonare tutto?

- Io…- protestò debolmente il mutante.

Raven lo fissò, furente, per qualche istante.

- Non riesci proprio a capire che questa non è la fine della guerra? È solo una pausa fra due battaglie, e non ci vorrà molto prima che si riaprano i conflitti. Tu da che parte stai?

La mano di lei, adesso, stringeva il colletto della camicia di lui, spasmodicamente. Era chiaro che Raven avrebbe desiderato, in quel momento, stringere il suo collo.

La donna non si aspettava una simile reticenza. Sapeva che era sempre stato un pavido, e che il sapore della normalità è una promessa allettante per tutti gli insicuri. Ma sapeva anche che la paura è un’arma vincente.

- Non credere di poterci rinnegare! Farai presto i conti con la verità, se scegli la strada che adesso i sembra più facile…

- Mortimer, ci sono problemi con la signorina?

Un ragazzo dallo sguardo gentile fece capolino dalle cucine sul retro, un’espressione dubbiosa dipinta in volto. Sembrava piuttosto imbarazzato, sicuramente perché pensava di non avere il diritto di impicciarsi in quello che sembrava un problema personale di Toad.

Raven si allontanò di scatto dal compagno, che riuscì a tirar fuori un sorriso tirato.

- Tutto a posto, Ant, grazie. Ti spiace se stacco un po’ prima, stasera?

Il ragazzo sorrise caldamente di rimando.

- Non c’è problema. Ti meriti una pausa.

- Già, vieni a fare un break con noi, Mortimer- sogghignò Sabretooth, scortando l’amico fuori dal locale.

***

Nel corridoio faceva freddo. La porta metallica si aprì, scivolando silenziosamente da un lato. Le luci si spensero lentamente, mentre quelle della stanza si facevano più vivide.

La stanza, se così si può definire, era un’enorme struttura sferica con una passerella sospesa al centro. Questa specie di corridoio conduceva ad una piattaforma circolare, esattamente al centro, con un sedile.

Le pareti, rivestite con decine e decine di lastre metalliche, davano all’intera sala l’aspetto di una gigantesca prigione futuristica.

- Cerebro…- mormorò Magneto.

Quella costruzione era probabilmente la creazione più grandiosa mai realizzata da un mutante, e fungeva essenzialmente da catalizzatore per i poteri di Xavier. Eric ricordava benissimo i mesi dedicati alla sua costruzione, quando lui e Charles erano poco più che ragazzi, e non si erano ancora accorti che la loro divergenza di idee era troppo profonda per poter cooperare.

- E’ passato talmente tanto tempo…

- Non sei qui per un viaggio sentimentale, cocco- tagliò corto Wolverine, riportando bruscamente Magneto alla realtà – Spiegaci come usare questo giocattolo e smamma.

***

Toad non era affatto felice della situazione in cui si era improvvisamente venuto a trovare. Durante l’intero tragitto dal fastfood alla sua malridotta dimora, si limitò a camminare senza voltarsi, seguito a pochi passi di distanza da Sabretooth e Mystica.

- Hey, amico, piantala di tenerci il muso!- gli gridò Victor, spazientito.

Toad non rispose. Era giunto di fronte ad un portone scuro, incassato in una facciata di mattoni rossi e crepati. Ma anziché estrarre una chiave, Mortimer spiccò un salto e si aggrappò con le mani ad un’asta di ferro, sospesa a un paio di metri dal suolo. Sotto il suo peso, una scala antincendio iniziò ad allungarsi, cigolando, finchè non ebbe toccato terra. Sabretooth e Mystica si scambiarono un ghigno.

- Si fa quello che si può- si giustificò Toad, stringendosi nelle spalle.

In silenzio, il gruppetto si arrampicò su per la scala fino ad una portafinestra al quinto piano. Il vetro era a pezzi, e dall’interno della stanza si sentivano provenire il suono di una chitarra e il ronzare monotono di un televisore.

- I ragazzi sono in casa!- esclamò Toad, con una smorfia di disappunto.

I suoi compagni lo fissarono interrogativi.

- I miei… “coinquilini”- spiegò Toad – Mutanti anche loro. Viviamo qui in attesa di trovare una sistemazione migliore. Chiederò loro di lasciarci soli.

Sabretooth annuì, e stava per dire qualcosa, quando Mystica lo interruppe.

- Falli restare. Potremmo aver bisogno anche di loro. Come si suol dire, più siamo…

***

- Perfetto. Non è cambiato molto dall’ultima volta che sono stato qui.

Magneto si voltò verso Storm, distogliendo lo sguardo da Cerebro dopo una minuziosa analisi. Lei rimase in silenzio, in attesa. Anche Eric era silenzioso, come soprappensiero.

- Avete un telepatie in questa scuola?- chiese, dopo una pausa.

Storm esitò un momento a rispondere, passando mentalmente in rassegna tutti gli studenti dello Xavier’s.

- Ci sarebbe Vera Langton, ma ha solo sei anni e…

- Sarà sufficiente.

- Che cosa dovrà fare?

- Le insegnerò come utilizzare Cerebro per pochi secondi. Basteranno per contattare un telepate esperto, che possa cavarsela da solo. È l’unica possibilità.

- Potrei imparare io…

Magneto fissò Storm con un misto di compassione e incredulità.

- Tu? Se tu, o io, o un qualunque altro essere privo di poteri telepatici, tentasse di utilizzare Cerebro… beh, diciamo che non avrebbe modo di raccontarlo.

Lei si limitò ad annuire.

- Perfetto. Potrei…

- Un momento- intervenne Logan, brusco- E’ il momento di stabilire qualche punto fondamentale. Per prima cosa, finchè avrai a che fare con Cerebro non potrai uscire dallo Xavier’s se non accompagnato da me o Storm.

- Mi sembra giusto- concesse Magneto.

- Secondo- continuò Wolverine- Non ti sarà permesso di utilizzare il telefono, o qualsiasi altro mezzo di comunicazione, se non sotto stretta sorveglianza.

- Giusto anche questo.

- Terzo. Non ti sarà permesso di avvicinarti a nessuno, e ripeto nessuno degli alunni. Durante le sessioni di “allenamento” di Vera, un supervisore controllerà che tu non le metta in testa strane idee. Tutto chiaro?

- Lampante- replicò Magneto, con un sorriso forse un po’ troppo simile ad un ghigno.

***

- Ragazzi, questi sono Mystica e Sabretooth.

Un gruppetto di sei o sette giovani, equamente divisi tra un vecchio divano in ombra e un tappeto davanti al televisore, si voltarono quasi simultaneamente. Toad mosse qualche passo nella stanza, seguito a breve distanza dagli altri due, che si guardavano attorno incuriositi.

Il locale era decisamente malridotto, e dal soffitto pendeva un lampadario privo di lampadina. Eccezion fatta per il tappeto, il divano e la televisione, nella stanza non c’era niente. Il vano di una porta, di cui rimanevano solo i cardini, immetteva in un’altra stanza.

- Benvenuti. Non è una reggia, ma è casa- disse Toad ai suoi improbabili ospiti.

Un ragazzo dai capelli verdi si alzò dall’angolo buio, appoggiando la chitarra sul pavimento. Si avvicinò a Toad in silenzio, gli girò attorno e rimase in piedi, immobile, di fronte ai nuovi venuti. La sua espressione era decisamente ostile.

- Come sappiamo che possiamo fidarci, Toad?- chiese.

- Sono vecchi amici, Zeno. Hanno un affare da proporci.

Il ragazzo si voltò e tornò al suo posto. Gli altri avevano smesso di dedicarsi alle precedenti occupazioni, e adesso tutti gli occhi erano fissi sulla scena che si stava svolgendo fra Zeno e i nuovi venuti.

- Sentiamo cos’avete da dirci, dunque.

***

***

Mystica è riuscita a terminare il capitolo 5!* Dopo la lunghissima pausa vacanziera, riprendere il ritmo è quasi impossibile! In questo chap e nei prossimi presenterò alcuni OC (original characters), a cominciare da Vera (la ragazzina telepate) e Zeno (il mutante con i capelli verdi). Zeno ha il controllo sulle piante. Spero di aver occasione di dirlo nei prossimi capitoli! Questo personaggio mi piace molto, il nome è quello di un santo tipico della mia città, ma mi piaceva troppo! (così potete indovinare dove abito! ^^) P.S.: Forse il capitolo 6 tarderà un po' ad arrivare... ho il blocco dello scrittore sull'ultima pagina... XD...*Mystica svanisce in una nuvola di fumo nero*

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Capitolo 6
*** Capitolo 006 ***


- E così dovremmo dare una mano a questo Magneto, se ho capito bene.

Una ragazza con occhi e capelli scuri, che si stava divertendo a intrecciare i fili del logoro tappeto, alzò lo sguardo. Due grandi ali da pipistrello spuntavano dalla sua schiena, cosicché era stata costretta a praticare dei fori sul retro dalla maglietta che stava indossando.

- Non siete obbligati, certo- replicò Mystica- ma non mi sembrate messi troppo bene nell’attuale situazione.

Questo commento le fece guadagnare un’occhiataccia da parte della ragazza-pipistrello, che grugnì qualcosa in risposta e riprese a giocherellare coi fili del tappeto.

- Io sono d’accordo con loro!- intervenne un tipo mingherlino con i rasta e un paio di ray-ban- Voglio dire, neanche noi siamo troppo contenti di come gira il mondo, no? Continuiamo a vivere in questo porcile ripetendoci che “è una sistemazione provvisoria”, ma intanto le cose non cambiano e, nonostante tutto, la gente continua a guardarci storto come prima.

- Quello è perché hai l’aspetto di un drogato, Luc- rispose la ragazza-pipistrello sgarbatamente.

- Oppure perché all’homo sapiens non piace che sia un mutante a insegnare ai loro figli, o a progettare le loro case, o…

- Smettila!- esclamò Zeno, facendo un cenno volgare in direzione del mutante di nome Luc. Poi, rivolto a Mystica- Come facciamo a sapere che possiamo fidarci? Tu vieni a dirci che attaccare altri mutanti è il primo passo per ottenere diritti che gli umani stanno tentando di toglierci.

- Esattamente- rispose lei, tranquillamente- Perché è fra mutanti, ovvero alla scuola di Xavier, che si trova la chiave di tutto. Vedete, allo Xavier’s è custodita la fonte di tutte le controversie degli ultimi tempi, nonché la soluzione ai nostri problemi. Magneto ha ragionevoli motivi di pensare che il sangue di Leech, o se preferite la Cura, possa essere usato tanto sui mutanti per renderli umani, quanto sugli umani…

- Per renderli mutanti!- completò Zeno, battendo il pugno sul pavimento con entusiasmo.

- Basterà qualche goccia del suo sangue nelle condutture idriche. Il resto potete immaginarlo.

I ragazzi presero a parlottare fra loro, concitatamente. Ogni tanto dal brusio confuso si levavano un’esclamazione o una risata.

“Sarebbe un piano meraviglioso, se solo potesse funzionare” pensò Raven, sogghignando fra sé e sé. L’idea era ottima, e probabilmente il gene mutante si sarebbe radicato nel DNA umano con maggior efficacia rispetto alla “Cura” originaria. Mentre sui mutanti il vaccino aveva l’aria di avere effetto solamente temporaneo, poiché serviva ad eliminare qualcosa di già presente, gli umani sarebbero stati “contagiati” da qualcosa che non erano in grado di debellare. A questo, ovviamente, Magneto aveva pensato.

Tuttavia, Magneto non poteva sapere che qualcos’altro avrebbe interferito con i suoi piani.

“Non t’immagini nemmeno, Eric, che tutta questa messinscena è stata creata solo perché io potessi compiere la mia vendetta”

Sembrava tutto così semplice, adesso! Davanti a Mystica, seduti in cerchio, tutti quei ragazzini pendevano dalle sue labbra, ancora facile preda per le utopie e le illusioni. Raven era lì per nutrire la loro voglia di ideali, farne una squadra di soldati pronti a morire per un’idea. Un’idea dal suono talmente bello, perché avente implicito il prezioso concetto del “noi facciamo qualcosa per cambiare”, da diventare irrilevante in sé.

“A questi ragazzini non importa per cosa combattono. A loro è sufficiente essere convinti di fare qualcosa per migliorare il mondo” sogghignò la scaltra mutante, appoggiando il mento sul palmo di una mano.

- Ma la parte interessante del piano viene solo adesso. – esordì con voce melliflua, avvicinandosi ai suoi interlocutori in un fare cospiratorio – Vi piacerebbe essere voi stessi i padroni del nuovo mondo che deve venire...?

 

Magneto guardava fuori dalla finestra della sua nuova stanza allo Xavier’s, e ancora stentava a credere che Storm fosse stata così sciocca da credergli. Certo, le condizioni poste dagli X-Men erano molto restrittive, e sarebbe stato assai difficile avvicinare gli alunni della scuola senza essere scoperto, ma Magneto aveva ben più di un asso nella manica, e lei avrebbe dovuto saperlo.

Presto sarebbero cominciati gli “allenamenti” della piccola Vera con Cerebro: si trattava soltanto di giocare bene le sue carte, di convincere la bambina della propria onnipotenza. A quel punto lei, lusingata e inorgoglita, sarebbe stata un giocattolo nelle sue mani.

Lo sguardo del mutante scivolò sul giardino fuori dalla finestra, che si stava facendo sempre più buio a mano a mano che il sole scivolava dietro i grattacieli. Lo spettacolo del tramonto tingeva il cielo di un rosso talmente cupo da far sembrare che la shilouette della città, stagliata contro quel mare di colore, stesse andando a fuoco.

O come se fosse immersa nel sangue”, pensò Magneto quasi malinconicamente.

Nell’attuale situazione, in effetti, c’era poco da stare allegri. Non c’erano certezze, era quasi prigioniero. Per un tipo come lui, quattro mura e un cancello erano un confine assai stretto, soprattutto in un momento come quello. Per un attimo, gli sembrò di essere tornato qualche anno indietro, quando le sue “quattro mura” erano state quelle della “Prigione di Plastica” e la sua unica compagnia una guardia ritardata di nome Laurion, o qualcosa di simile.

In quel momento, tuttavia, sapeva che Mystica e i suoi sarebbero arrivati a liberarlo. Non c’era neanche bisogno di preoccuparsi, di pensare. Era sufficiente sedersi in attesa, di fronte alla scacchiera. Chissà se quegli idioti di incarceratori si immaginavano che Magneto stava usando quell’innocente gioco da tavolo come una mappa strategica, programmando le prossime mosse? Era un criminale incallito, lui, o più probabilmente un utopista spietato.

Il buio ormai era quasi totale nella stanza, e fuori la città si stava illuminando a immagine e somiglianza del cielo stellato.

“Gli umani si divertono a giocare a fare Dio” pensò Magneto “Ma non sono altro che insetti. Sono insetti che tentano di emulare gli dei. E noi mutanti, a loro confronto, noi siamo dei fra gli insetti.”

 

- Quali sono gli ordini, Mystica?

Nessuno dei giovani compagni di Toad, adesso, sembrava avere più dubbi riguardo alla giustizia della nuova causa. Zeno, primo fra tutti, che all’inizio era così scettico, adesso giurava che le idee per così dire “rivoluzionarie” dei nuovi venuti fossero ciò in cui aveva sempre creduto.

Raven si guardò attorno per qualche istante, passando in rassegna le truppe: c’era Zeno, in grado di controllare le piante; Lilith, la ragazza-pipistrello; Luc, che poteva creare una nebbia molto simile ai gas fumogeni. C’erano poi altri quattro, forse cinque mutanti di età compresa fra i quindici e i venticinque anni, tutti di livello piuttosto basso.

“Nessuno di loro sarebbe in grado di affrontare una vera battaglia, ora come ora” pensò Raven “Per prima cosa, dobbiamo cercare altri rinforzi”.

- Adesso facciamo un giro- annunciò- e scoviamo quanti più mutanti possibile. C’è bisogno di un esercito, per cominciare una battaglia!

L’affermazione fu accolta con un boato di approvazione.

 

- Sentiamo, hai un piano da propormi per realizzare il tuo assai visionario progetto, Mystica?

Con un sopracciglio leggermente sollevato, lo scherno chiaramente visibile sull’anziano volto espressivo, Magneto si era seduto alla scrivania facendo un cenno a Raven perchè si accomodasse anche lei.

La mutante aveva preso posto su una delle comode sedie di fronte al suo interlocutore, un sorriso più simile al ghigno sulle labbra accuratamente truccate.

- Naturalmente qualche idea ce l’ho, Eric, altrimenti non sarei neppure venuta a parlarti. Non sei forse stato tu a insegnarmi che un valido progetto è alla base di una buona strategia?

Socchiuse gli occhi.

Magneto sorrise a sua volta, annuendo; adesso, aveva cominciato a sentirsi più a proprio agio di fronte a quella donna dal volto così imperscrutabile. Niente che non avesse già visto, tuttavia... non era abituato a scorgere simili espressioni su di lei.

- Entrerai allo Xavier’s institute facendoti credere pentito per ciò che sei stato. E’ chiaro che hai perduto i poteri, loro ti hanno visto umano e ferito sul campo di battaglia e non esiteranno a credere in ciò che dici – di nuovo un lampo negli occhi azzurro ghiaccio. Raven provava una gioia folle, nel fargli notare quanto fosse apparso miserevole allora.

- Per questo motivo, ovviamente, è di basilare importanza che tu non faccia niente per riacquistare i poteri da mutante prima di essere entrato nella scuola ed aver guadagnato la loro fiducia. Da quel momento, e solo da allora, ti allenerai per tornare ciò che eri.

“ In questo modo avrò del vantaggio su di te, Eric. Riesco a mantenere la mia forma originaria per più di un’ora, ormai, e ad assumere i tratti somatici delle persone che ho visto almeno una volta, anche se non posso più trasformarmi completamente in loro.”

Magneto la osservava, ammirato. Era forse diventato così sciocco da non capire quanto lei lo stesse prendendo in giro? O forse le credeva tanto ciecamente da fidarsi del suo piano, non sospettando neppure di un tradimento da parte della sua pupilla?

Questo pensiero le faceva male. Meglio era credere che lui avesse un qualche asso nella manica, una carta da giocare in occasioni come quella, qualcosa che gli permettesse di continuare ad essere l’incontrastato signore degli animi mutanti...

- Quando avrai trovato un telepate, l’addestrerai ad utilizzare Cerebro. Nel frattempo parlerai con Leech, e lo convincerai ad aver fiducia in te. Fa come vuoi, digli che sei cambiato, costringilo a venerarti come un Dio... questo non ha importanza. Quello che conta è che lui abbia stima di te, e pensi che tu sia cambiato.

Riprese fiato; Magneto l’ascoltava in silenzio, apparentemente sorpreso dall’elaboratezza di un simile progetto.

- Insegnerai al telepate a cercare me. Devi farlo senza che gli altri se ne accorgano, senza risvegliare il sospetto in nessuno, comportandoti come un premuroso signore che non vede l’ora di dare una mano. Dirai che gli hai fatto contattare un telepate più forte. Io saprò che è il momento, e verrò allo Xavier’s col gruppo di mutanti raccolti nel frattempo.

- Ci sarà una battaglia, tu fingerai di stare dalla parte di Storm e gli altri, noi attaccheremo e tu potrai approfittarne per fuggire. Porterai Leech con te, con qualunque mezzo, inosservato.

- E chi mi assicura che allo Xavier’s mi lasceranno passare? – chiese Magneto, leggermente scettico, eppure senza abbandonare la sua espressione di tranquilla solidarietà – Sono pur sempre il loro nemico giurato, non è così?

Con un movimento rapido, Raven si alzò dall’ampia sedia scura e raccolse la propria giacca dallo schienale.

- Oh, chiunque ti conosca ha almeno un buon motivo per odiarti, Magneto. Tuttavia, in tempi come questi, le menti sono accecate ed è difficile come non mai riuscire a distinguere il “bene” dal “male”.

Allontanandosi a passo spedito dalla stanza di Eric Lensherr, i tacchi che risuonavano ritmicamente sul freddo pavimento di marmo, Raven si soffermò per un attimo incerta se varcare la soglia o voltarsi indietro un’ultima volta.

Quelle ultime, ciniche parole piene di astio... più che per i mutanti della scuola, la ex-mutante dai capelli corvini le aveva pronunciate per se stessa.

 

***

Chiedo venia!!! letteralmente passate ere geologiche dall’ultima volta che ho postato un capitolo di “Gods” ^^” La verità è che la passione per X-men è un po’ andata a scemare [ almeno, la passione per questa storia in particolare, a cui non avevo dato alcun credito ]. Il fatto è che scrivevo tanto per fare, credendo che non sarebbe piaciuta a nessuno... poi torno qui dopo tanto tempo, e leggo i vostri commenti entusiasti... T_T Mi sono commossa, davvero. Ho ripescato la vecchia cartella di “Gods”, ho riletto tutto e ho ripreso a scrivere.

E’ bello sapereche qualcuno aspetta il “prossimo capitolo”, e mi scuso con tutti per avervi fatto attendere così tanto!!! Sarò buona d’ora in poi, promesso XD

*Mystica tenta di far funzionare la nuvola di fumo nero, che dopo tutto questo tempo ha preso la polvere!* XD

 

 

 

 

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