Every Rose Has His Torn

di Fflang
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Life After you ***
Capitolo 3: *** 2. Before you go ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

Every Rose
Has
His Torn



Ho imparato la lezione, ho distrutto ogni cosa che ero ed è troppo tardi per tirarmi fuori dalle fiamme. Me lo hai ripetuto fino alla nausea che se non avessi perdonato me stesso non avrei mai fatto nulla di buono, neanche se avessi salvato ogni innocente che mi avesse chiesto aiuto.
Tavoli rovesciati, bicchieri rotti e urla ed ero sempre io quello che andava a fuoco, come adesso. Ora che sono ferito,sdraiato sulla polvere circondato da spari, urla e l'unica cosa che vedo sono i tuoi occhioni azzurri che mi guardano e capisco, capisco che se non ho una meta è inutile che percorro la strada e, ora l'ho trovata, la meta. 
Tu. Tu sei l'unica cosa per cui valga la pena di combattere. Perchè solo ora capisco le parole di tuo fratello, solo ora che ti ho conosciuta, solo ora che mi sono accorto di essermi innamorato di te. Dopo tutto questo tempo. Sento le voci dei miei compagni, la voce del mio migliore amico che mi dice di tenere gli occhi aperti, di tenere duro e che andrà tutto bene. Davvero andrà tutto bene? Riuscirò a tornare a casa da te, a dirti Tutto?
Sto facendo del mio meglio per tenere duro ma poi chiudo gli occhi, vedo il tuo volto, e sto facendo proprio come hai detto che avrei fatto.
Ho ingoiato l’orgoglio, e sto tornando a casa. Sto tornando a casa da te.


Il tempo può guarire, ma le cicatrici possono nascondere come ti sei sentito.

Ed è dura dimenticare quanto tempo ti ho fatta aspettare, quante lacrime ti ho fatto sprecare per me. E' dura affrontare la paura che forse io da te non ci arriverò mai, perchè ho una fottuta paura che questo sia il mio ultimo giorno sulla terra e che, cazzo, non sono nemmeno riuscito a dire alla ragazza che amo che sono innamorato di lei. Ho paura che se riesco a farcela e arrivassi da te, tu mi dica che è troppo tardi e allora si che preferirei morire. Ma rischio, voglio giocarmi tutto per te, anche la vita se è necessario, per un noi che vorrei, per una volta, con tutto me stesso.
Apro gli occhi e sorrido a tuo fratello che mi urla strane cose mentre mi caricano su una barella, e non so quanto sono stato ad occhi chiuso ma vedo il suo volto riprendere colorito. Voglio vivere.
Se morirò oggi, quando tutto sarà stato detto avrò comunque dei rimpianti, perchè non sono stato io a dirti tutto ma qualcun'altro; perchè pensavo di potercela fare.
Tornerò.

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Capitolo 2
*** Life After you ***


Every Rose
Has
His Torn



Capitolo 1 Life After You

 

Ci sono delle notti in cui mi sveglio all'improvviso e credo che la mia vita sia stata solo un brutto sogno, dal quale, finalmente, mi sono svegliata. Poi gli occhi si adattano al buio, il buio della mia vita e a quello della mia stanza, e allora realizzo che è tutto vero. Che non sarà più come quando ero piccola, che le cose non andranno bene per magia, che le cicatrici che ho nel cuore continueranno sempre a fare male come se le ferite fossero ancora aperte e continuassero a sanguinare. 

Il sonno scompare e i pensieri iniziano a soffocarmi come se avessi un sacchetto sulla testa. Il respiro inizia a mancare e a volte vorrei davvero smettere di respirare perché il dolore al petto smetterebbe, ma alla fine il mio corpo si ribella a ciò che voglio fare e si alza dal letto all'improvviso.

Fuori dalla mia camera c'è il silenzio più assoluto, solo il rumore dei miei passi sul pavimento. E' una casa grande per tre persone, tra un po' quattro. Ma a papà piace. Piace a tutti. Per me è solo un posto dove stare.

Scendo le scale lentamente per non fare rumore e non svegliare gli altri. 

Mi dirigo verso la cucina, dopo apro il frigo e prendo il latte per poi versarmelo in un bicchiere. Guardo fuori dalla finestra e mi accorgo che non è poi tanto buio come mi aspettavo, il sole sta per sorgere. Esco dalla cucina, mi dirigo verso la terrazza e apro le finestre. Il freddo vento autunnale mi investe facendomi rabbrividire. Mi porto il bicchiere alle labbra e mi siedo sul dondolo guardando davanti a me.

 Tre anni. Sono a NewYork da tre anni. Tre anni che non torno a Londra. Tre anni che non vedo mia madre, mio fratello e i miei amici. Tre anni che Tu non ci sei più. Tre anni che sono scappata dal mio passato come una codarda. Tre anni che il mio passato mi insegue come un’ombra. Che schifo.

Sospiro. Chiudo gli occhi.

-Dovresti dormire, domani sarà una giornata lunga.- sorrido. 

O almeno ci provo. Stefanie, la moglie di papà. All'inizio non sapevo come comportarmi con lei. Si comportava come se dovesse prendersi cura di me solo perché stava con papà, solo perché le facevo pena. Poi un giorno mi ha preso in un angolo e ha iniziato a parlarmi come se fossi sua amica, voleva provare a capirmi. Voleva una famiglia unita. E così anch'io ho provato a capire lei. 

-Quella che dovrebbe riposare sei tu. Sei incinta.- le rispondo guardando il suo pancione di otto mesi. Lei ridacchia venendo a sedersi vicino a me, con non poca fatica. E' enorme e faccio seriamente fatica a pensare che lì dentro c'è ne sia solo uno. 

E' proprio perché sono incinta che non riesco a riposare. Tua sorella non ha fatto altro che muoversi e scalciare per le ultime due ore.- dice accarezzandosi la pancia dolcemente. Mia sorella. Chissà come sarà. Gli occhi azzurri di papà e i capelli biondi di Stefanie. 

-Allora sei eccitata per domani?- mi domanda lei indicando un punto indefinito davanti a noi. Scuoto la testa negativamente. 

-Non so ancora come mi sento.- rispondo sincera. Domani torno a Londra dalla mia famiglia. Jeremy, il mio fratellone, si sposa fra tre settimane, vorrebbe che ci fossi.

Credo che sia giusto, Stefanie e Papà potranno godersi la nuova arrivata come una vera famiglia senza avere casini per la testa. 

-Vedrai che andrà bene.- dice accarezzandomi la spalla. Le voglio bene. E non so come lei faccia a volerne a me con tutti i guai che ho causato da quando sono qui. Davvero è un mistero questa donna.

 

-Non mi sembra vero che tra poche ore non ti vedrò in giro per casa a ciondolare.- mi dice ridacchiando. Sorrido. 

-Io dico che ti piacerà un sacco.- dico ironica.

-Oh avanti, non è vero. Ti vogliamo bene, anche quando esci di casa senza dirlo, quando non ci torni per due giorni e quando fai danni a scuola.- dice imbronciandosi leggermente. Rido e dopo poco anche lei.

-Scusa.- dico facendomi seria. Lei mi sorride dolce.

-E di che? Movimenti le giornate, e anche se tuo padre non lo dice si diverte.- dice sorridente.

-Davvero?- domando confusa. Non mi sembra che ogni convocazione dal preside si presentasse ridendo, anche se dopo un po' ha smesso di chiedere cosa fosse successo e si scusava semplicemente.

-Beh no, ma immagino che lui facesse anche di peggio alla tua età.- mi risponde allegra. -E pensa che adesso arriverà un altro tornado a rompergli le scatole. Di questo passo gli diventeranno tutti i capelli bianchi- dice ridendo sguaiatamente. Povero papà. Le donne della sua vita lo uccideranno per i troppi colpi che gli faranno venire.

-Di pure che diventerà completamente calvo.- dico io ghignando.

-Che state facendo voi due qui fuori?!- urla guardandoci male. Noi ci voltiamo e lo osserviamo sorridenti. Lui scuote la testa e sospira. Bravo papà, sta imparando.

-Stavamo solo chiacchierando, Charlie.- dice Stefanie, alzandosi ad abbracciarlo. Lui le sorride e l'accarezza sul ventre tondo. 

-Alle cinque del mattino, si dorme. Inizio a pensare che voi non siate normali.- dice tornandosene dentro borbottando. Lei si gira ad osservarmi sorridente. Mi alzo anch'io e rientriamo in casa.

-Preparo la colazione, voi andate a vestirvi, tra tre ore hai l'aereo.- dice lei entrando in cucina, riferendosi a me. Annuisco e mi dirigo di nuovo in camera mia.

Le valige sono già pronte. I vestiti da mettere anche. E io? Io spero tanto di esserlo.

Sospiro entrando nel mio bagno per lavarmi. Ah se si potessero lavare via di dosso i ricordi! L'acqua diventa calda in pochi secondi. Prendo lo spazzolino e vi metto il dentifricio sopra, poi dopo essermi tolta il pigiama, entro nel box doccia infilandomi sotto il getto bollente dell'acqua.

 

Cosa succederà quando l'aereo atterrerà? Cosa risponderò quando mi chiederanno come sto? 

 

Qui è sempre stato facile. Nessuno sapeva,a scuola sono sempre stata per conto mio, niente amici, solo conoscenti con qui stare durante la pausa pranzo e uscire qualche volta. Nessuno sapeva, nessuna faceva domande, io stavo meglio, se stare così poteva definirsi meglio. 

Risciacquo i capelli dallo sciampo e chiudo il rubinetto uscendo gocciolante dalla doccia avvolgendomi solo in un piccolo telo. 

Mi guardo allo specchio. Cazzo, sono stravolta. 

Scuoto la testa e decido di non guardarmi più allo specchio. Prendo i miei vestiti e li indosso velocemente. Qualcuno bussa.

-Avanti.- dico cercando le mie scarpe sotto il letto. Le prendo.

-Bea..- mi chiama mio padre. Alzo la testa, torno in piedi sedendomi sulla sedia della scrivania.

-Che succede?- chiedo guardandolo. Siamo più simili di quanto credevo. E'  preoccupato. 

-Sei sicura di voler andare? Voglio dire, puoi stare cui, se ti fa star bene.- mi dice mettendosi la mano tra i capelli. Mi alzo ancora senza una scarpa e mi avvicino a lui. 

-Mi manca la mamma, e Jeremy si sposa, voglio esserci per lui.- Annuisce incerto. 

-In qualsiasi momento, chiamami, e torni a casa. Capito?- mi dice poggiandomi le mani sulle spalle. Annuisco.

-Fa la brava, ti prego, non voglio rischiare di perderti ancora.- mi sussurra all'orecchio. Oh papà. 

-Ti voglio bene anch'io.- gli dico per poi staccarmi e iniziare a mettermi l'altra scarpa. Non lo guardo. Lo sento semplicemente sospirare, i suoi piedi dirigersi verso la porta che si chiude lentamente.

 

Sono pronta. Pronta per partire, pronta per rientrare a casa. 

 

Nella terra di Dei e Mostri, Io ero un Angelo che viveva nel giardino del Diavolo.

 

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Capitolo 3
*** 2. Before you go ***


Capitolo 2 

Tre anni Prima. 29 Settembre.

 

Pioveva. E faceva freddo. Come tutte le mattine di Londra d'autunno. Mi sfregai le mani tra loro per provare a scaldarle. Dannata sveglia che mi faceva svegliare in ritardo. Dannati guanti finiti chissà-dove ma non nelle mie mani. Sbuffo e mi stringo nel cappotto. Mi guardavo intorno. C'erano altri ragazzi in divisa, come me, che aspettavano la metro, un signore elegante, una nonnina vestita di viola e poi c'era Lui. Lo vedevo ogni mattina stava seduto in disparte appoggiato alla colonna grigia e sporca con le cuffie nelle orecchie, il cappuccio nero sulla testa e le mani nella tuta. Guardava in basso,   non voleva essere notato e nessuno lo faceva. Eccetto me. Non so cosa mi spingeva a guardarlo. Sembrava così solo, così indifeso... 

Il giorno che incominciò tutto, la scuola era iniziata da poco, e come al solito ero alla fermata della metropolitana che maledicevo tutti per il ritardo di quell'aggeggio e di conseguenza il mio. Sbuffai per l'ennesima volta e mi guardai intorno. Non c'era nessuno. Lui non c'era. Chissà che faceva. Chissà con chi era.

-Cerchi qualcuno?- domando una voce alle mie spalle. Mi spaventai, non conoscevo quella voce, ma mi era sembrata così bella. Mi voltai. Era lui. Era bello come la sua voce. 

-Chi sei?- domandai stranita, sarà pure bello, ma non lo conosco, pensai.

-Dovrei chiedertelo io, mi fissi. Ogni giorno.- mi dice, ghignando. Arrossisco. 

-Io non...mi dispiace, non volevo infastidirti.- gli dissi chinando la testa. Rise. 

-Non importa. Vieni.- mi disse. Alzai la testa confusa.

-Non ti conosco e devo andare a scuola.- risposi osservandolo scioccata. Non lo conoscevo neppure, non mi conosceva e mi chiedeva di andare con lui. Questo ragazzo non aveva capito proprio nulla.

-Oggi non passa la metro, non qui, almeno. C'è stato un problema nel tunnel e lo devono riparare.- mi disse vittorioso. Sbuffai. 

-Merda.- sussurrai.

 -Le ragazze non dicono parolacce.- disse arrogante. 

-E i ragazzi non dovrebbero importunarci.- risposi a tono.

-Non ti sto importunando. Ti ho solo dato un indicazione.- risponde sorridendomi.

-Sei uno sconosciuto e io non ti ho chiesto nulla, di conseguenza mi stai importunando.- rispondo incrociando le braccia sotto il seno e dirigendomi verso le scale d'uscita.

-Se non ti avessi parlato saresti ancora li ad aspettare qualcosa che non sarebbe mai arrivata.- mi risponde seguendomi. Sospiro e mi fermo sull'uscita e lui di fronte a me. Gli altri passanti continuano a camminare spediti verso le proprie direzioni senza curarsi minimamente di noi.

-Ora che cosa vuoi, sconosciuto?- gli domando, sono in un mostruoso ritardo, farei meglio a tornare a casa. 

-Sono Chris. E vorrei offrirti la colazione.- mi risponde sorridente porgendomi la mano. Spalanco gli occhi scioccata. Scoppio a ridere. 

-Non ci penso neanche a venire con te, Chris.- gli rispondo iniziando a camminare verso casa. Lo sento alle mie spalle.

-Ehi. Mi sono presentato.- mi dice confuso e ...oltraggiato.

-Oh e con questo?- gli domando seria. 

-Dovresti dirmi il tuo nome.- dice imbronciato. Sospiro, i ragazzi non crescono più dopo i tre anni di vita, al massimo solo di altezza.

-Mi chiamo Beatrice, e non voglio venire a fare colazione con te.- gli risposi riniziando a camminare più velocemente. Lui mi corse dietro, ancora.

-Eddai, andiamo dove vuoi tu, promesso.- mi dice facendo gli occhi dolci e alzando le mani in alto. Sorrido.

-E va bene.- rispondo annuendo. Lui esalta alzando un pugno in aria.

-Grande!- esclama seguendomi sorridente. -E' stato facile...- dice poi gongolando.

-Se non la smetti torna ad essere un No.- gli dico seria. Lui scoppia a ridere.

-Non vale, ormai hai detto si.- mi dice tutto contento, sbuffo scuotendo la testa esasperata.

 

Andammo in un parco minuscolo vicino a delle case diroccate, disse che abitava li vicino, lo capi quando chiunque ci vedesse lo guardava e lo salutava con un pugno-pugno. 

Non sapevo come comportarmi mi guardavo intorno senza sapere cosa fare poi mi lui mi spintono leggermente e scoppio a ridere.

-Dai vieni, ti faccio vedere una cosa.- disse sorridendomi malizioso.

-Non ci vengo in posti strani con te.- gli dissi sulla difensiva, imbronciandomi e con la voglia di scappare di nuovo a casa.

-Oh andiamo, non ti faccio nulla, non m’interessano le ragazzine!- esclamo prendendomi in giro.

-Ragazzina? Di sicuro non sarai tu l’uomo, anzi.- lo schernii offesa e incrociando le braccia sotto il seno. Lui sorrise in modo strano e si avvicino fino a sfiorarmi con il suo petto, non riuscivo neanche a respirare da quanto mi ero irrigidita. Lui lo notò e sorrise vittorioso e si porto alle mie spalle avvicinando la bocca al mio orecchio; il suo respiro mi fece venire la pelle d’oca e mi sentii come se fossi nuda davanti ai suoi occhi e… in un certo senso lo ero, lui mi aveva vista, mi aveva vista come nessuno era mai riuscito a fare.

-Dimenticali, dimenticali tutti, vieni con me dove non dovrai mai, mai più pensare alle cose dei grandi..- lo disse con la voce più dolce che avessi mai sentito, era una frase famosa, una frase che prometteva tante cose che imparai ad amare per lui. Risi e mi voltai verso di lui senza smettere e poi lui si unì a me prendendomi per mano, lo seguì e non mi importava che 

-Dove mi porti?- era bastato così poco a convincermi, i suoi occhi e la sua voce, dio non lo conoscevo neanche e mi ero già innamorata di lui

-Su una stella.- rispose e avrei dovuto capirlo che mi avrebbe ucciso l’anima, perché quando ami una persona la ami con tutto te stesso; con il corpo, con il cuore, con gli occhi e con l’anima e quando tutto di questa persona scompare tu scompari con lui. 

Lui è stato come un terremoto, è arrivato all’improvviso e ha distrutto tutto ciò che conoscevo senza lasciarmi scelta, poi mi ha aiutato a ricostruire partendo dalle macerie ma non hanno retto molto, giusto il tempo per tirare un sospiro di sollievo e tutta ha ricominciato a tremare cadendomi addosso e soffocandomi. 


Buon Natale a tutti :) Fatemi sapere per favore :(

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