Never Let Me Go

di never_letmego
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Memories ***
Capitolo 2: *** Destiny ***



Capitolo 1
*** Memories ***


                                                                
                                                                           

Con passo calmo si diresse verso il centro: lo stupore era tanto; l’adrenalina era a mille.

Sola, girovagava in cerca di ammalianti vetrine, mentre una dolce brina pungente accarezzava il suo viso. Le gocce via via ricoprivano le guance della ragazza, lentamente scivolavano sul mento ma e si sentiva come una bambina a Natale, mentre strappa la carta del regalo più grande: l’emozione era troppa, per farsi deconcentrare da ciò che accadeva intorno a lei, dalla gente che freneticamente spintonava a destra e sinistra per passare e imprecava a bassa voce, e soprattutto per arrabbiarsi per il solito temporale che la coglieva impreparata.

Era da sempre stata fin troppo ottimista per portare l’ombrello la mattina e, nonostante fosse ormai donna, non lo era ancora abbastanza per privarsi del piccolo piacere della pioggerellina sul viso.
L’atmosfera della città rendeva tutto così familiare, nonostante la frenesia, tutto così amichevole: nonostante per un momento si fosse dimenticata di tutto, i suoi occhi non mentivano: erano carichi e colmi di tristezza.

Dio soltanto sapeva quanto aveva lottato per essere lì, quanto aveva sofferto per ottenere la tanto desiderata e attesa libertà… “Nessuno sforzo è stato vano” si ripeteva, costantemente.
Da sempre il suo spirito e la sua anima la richiavano a quel sogno ed ora era semplicemente lì: soltanto credendo in ciò che sapeva fare era riuscita a raggiungere certi traguardi: non ci poteva fare nulla, era sempre stata testarda.

Entrò in un piccolo caffè, era ancora presto e poteva concedersi il lusso del caffè espresso dello “Sfizio Cafe” .
Dopo vari tentativi, era finalmente riuscita a trovare un bar in cui il caffè non sapesse di acqua sporca, ma fosse quanto meno bevibile.
Con il solito sorriso, chiese alla barista dai capelli biondi platino “Il solito” e le allungò una banconata da cinque, chiedendole del più e del meno, come faceva ogni mattina da ormai 5 settimane.
Prima di uscire e di avviarsi verso il suo destino, lesse come ogni volta  il meno del giorno, scoprendo che anche quel giorno per pranzo erano previste le lasagne.
Rabbrividii al sol pensiero ed istintivamente la sua mente tornò a quella sera, durante la cena con i suoi capi, durante la quale aveva finto per tutta la serata che quelle lasagne fossero la fine del mondo, dato che il ristorante era stato scelto dal capo più anziano, più importante.

Improvvisamente vide qualcosa che le sconvolse la giornata.


 Due ragazzi, un maschio ed una femmina, che scherzavano e ridevano mentre percorrevamo la via e la sua mente tornò indietro di un paio di anni… tornò indietro a quel 15 settembre del 2006, quando lo conobbe, quando parlarono la prima volta.
Si fermò di colpo… l’apparente gioia aveva lasciato posto alla crescente tristezza.. ripensò alla musica, alla loro canzone, quella che avevano scritto assieme..

“…sometimes, it’s so hard to say the truth… but maybe’s because you can be confused… “

Ripensò alle serate passate assieme, a guardare film dell’orrore e spaventare i loro amicip perchè loro due, il film, l'avevano visto la sera prima, tremando di paura e facendo volare per terra i pop corn che avevano preparato per la serata, ripensò alle giornate passate a scherzare e a ridere, a fingere che il mondo fosse un luogo perfetto, quando in realtà non c’era niente di perfetto.

E adesso invece?

Ormai lei era diventata come un'estranea, lui si era eclissato dal mondo, non sapeva nemmeno se l’avrebbe riconosciuto, se l’avesse visto in giro per la strada…
Erano passati ormai 6 anni dall’ultima volta in cui si erano sentiti, dall’ultima volta in cui si erano visti… era l’estate del 2010, l’estate che segnò la fine di tutto.
La fine della loro amicizia..
 

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Capitolo 2
*** Destiny ***


                                                           
                                                                        

“Cazzo, sono in ritardo”.
Come ogni mattina, lui aveva dormito troppo. Come ogni santo giorno rischiava di arrivare tardi a lavoro. Come ogni santa volta, si ripeteva che doveva andare a letto prima, alla sera.

Ma da quando viveva da solo, aveva così tante cose da fare, oltre il lavoro, che non sapeva più minimamente come stare dietro a tutto: oltre alla cura della casa, alla quale contribuiva anche Elisa, la sua compagna, doveva dare lezioni di oboe 2 volte alla settimana ai bambini dell’Istituito, aveva le lezioni di spagnolo al lunedì ed il mercole e gli altri giorni aveva una compagna con cui passare un po’ di tempo.
Come diavolo poteva fare tutto quanto in 7 giorni ancora non lo aveva capito, eppure ci riusciva..
“E pensare che, fino a poco tempo fa, il mercoledì era il giorno dedicato ai film horror più brutti e peggio fatti del secolo..” pensò Matteo, mentre si infilava, sogghignando, il maglioncino di cotone nero, forse diventato un po’ corto a causa dell’inesperienza di Elisa nel fare le lavatrici, “ora lo passo a imparare lo spagnolo. Io, che so a malapena l’italiano” .

A quel punto si ricordò che era giovedì, quindi poteva dedicare tutta la sua serata alla sua Elly,  e che il giorno dopo sarebbe stato il primo di maggio, eppure gli sembrava tutto così freddo, lì intorno. Ma lui sapeva benissimo perché sentiva quel freddo dentro: ultimamente ci pensava spesso a lei.

Aveva visto sua sorella diverse volte e tutte le volte in cui le chiedeva come stesse sua sorella, rimaneva molto vaga. Non avevo ancora capito se non ne volesse parlare con me, oppure se fosse un tasto dolente… ciò che ero riuscito a scoprire, era che dopo 1 anno e mezzo disastroso trascorso in Francia, assieme ad un centro Eric, aveva deciso di cambiare completamente aria e aveva capito, come ormai sapeva già dai tempi delle superiori, che lei e tutto ciò che riguardava la Francia (soprattutto il francese…) non andavano molto d’accordo.
Perciò si era trasferita in una piccola casetta nella periferia di Londra, precisamente non ricordava il nome del posto, assieme ad un cane ed una serie di vicini scassapalle e lavorava come traduttrice in un centro congressi di Londra. 

Laura aveva ottenuto tutto ciò che voleva dalla vita… e lui invece?

Aveva il suo lavoro da responsabile amministrativo in una piccola azienda di booking online, aveva un buono stipendio, ma non aveva ancora capito se quello sarebbe stato o meno il lavoro della sua vita, nonostante fossero ormai 3 anni che faceva sempre lo stesso lavoro. Aveva Elisa, l’unica certezza della sua vita, aveva i vecchi amici, che bene o male erano rimasti sempre gli stessi, aveva i suoi hobby e le sue passioni. Ma poi, oltre a questo, cosa aveva?

Si infilò la giacca primaverile di tutta fretta, e addentò al volo un pezzo di torta sfornata la sera prima, mentre scendeva velocemente le scale e si stringeva la cravatta al collo e mentre cercava di sfuggire dalla tomella giornaliera della signora Girotti, la sua vicina di casa 80enne, che stravedeva per lui da quando la aveva accompagnata a far la spesa in un giorno di neve.
Mentre saliva sull’auto nuova, praticamente appena uscita dalla carrozzeria, il suo telefono iniziò a squillare.

“ Porca miseria, io e sta cavolo di ventiquattro ore… ma come faranno mai le donne a trovare le loro cose nella borsa? – imprecò, mentre cercava il telefonino all’interno della valigetta. Non appena riuscì a trovarlo e controllà la schermata, stentò a crederci.” +44… è il prefisso dell’Inghilterra… Laura…” – tremava al pensiero di rispondere e sentire la sua voce.
Inspirando ed espirando un paio di volte, premette il tasto “ACCETTA” sul suo telefono e, quasi urlando, rispose con un sonoro “Pronto”.
  • Salve , sono Diana Master, mi scuso per la telefonata a quest’ora, ma purtroppo non ho potuto fare altro, vista l’urgenza..
  • Mi scusi – disse Matteo con il suo inglese maccheronico mentre si malediva per averlo sempre studiato poco – può parlare più lentamente? Non parlo molto bene la Sua lingua
  • Mi scusi – disse la donna, in maniera molto distaccata – la chiamo dal St. Thomas Hospital di Londra , ho visto che il suo era uno degli ultimi numeri chiamati dal signor Giacomo e pertanto ho ritenuto più opportuno avvisare lei, piuttosto che la famiglia.. sa, non sono mai stata brava in certe cose.
  • Avvisare me? Avvisare me di che cosa mi scusi? E cosa c’entra Giacomo? – chiese, mentre l’ansia continuava a crescere dentro di lui - Giacomo non è a Londra, Giacomo è a Bologna, a cercare di prendere la sua straccio di laurea in giurisprudenza.
  • Purtroppo mi duole comunicarLe che invece era proprio qui... volevo avvisarla che stamattina abbiamo trovato il suo amico, Giacomo… in una pozza di sangue, nella sua stanza d’albergo, al Kingston Hotel  … è stato portato in ospedale, ma purtroppo non c’è stato niente da fare… il suo amico, Giacomo, è morto questa mattina….  
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