Think Angst

di Achernar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1) Vento ***
Capitolo 2: *** 2) se piangessi dichiarerei la mia sconfitta, e la compassione non fa per me ***
Capitolo 3: *** 3) Quod vides perisse perditum ducas ***
Capitolo 4: *** 4) War ***
Capitolo 5: *** 5) tu saresti in grado di rappresentare il sole per qualcuno? ***
Capitolo 6: *** 6) buio ***
Capitolo 7: *** 7) My shadow is the only one that walks beside me ***
Capitolo 8: *** 8) Malinconia ***
Capitolo 9: *** 9) Vicolo ***
Capitolo 10: *** 10) Angoscia ***



Capitolo 1
*** 1) Vento ***


Think angst (challenge)

Autore:  Achernar
Fandom:  Yu Gi Oh (manga)
Personaggio/Pairing:  Yuugi Mouto
Set  mix:  prompt vento

Warnigs: character’s death;  AU  (e forse lievemente OOC)

Piccola introduzione: La prima OS della sfida è venuta lunghetta e molto, molto, molto triste, siete avvisati, lo scenario e le dinamiche non sono ben precisate ma io l’ho immaginato intorno alla prima Guerra mondiale, in Europa però, ma poi vedete un po’ voi, si presta bene a qualunque scenario vogliate immaginare. Beh questo è quanto, buona lettura

 

 

<< Prima un piede..poi.. l’altro

Prima..un piede, poi.. l’altro >>

Un singhiozzo troncò i suoi pensieri, lasciando sospese nel nulla quelle frasi che si stava ostinando a non giudicare inutili, non doveva distrarsi, continua a pensare di camminare, continua a camminare, la sua già esile volontà stava vacillando. No, continua, devi andare avanti, si ripeteva. Non poteva fermarsi. Mai fermarsi. Lui non avrebbe voluto

<< Sì. Così. Pr-prima uno, poi l’altro.. >>

Bravo, si diceva, non fermarti, continua a camminare, vai avanti.

Avanti.

Ma come avrebbe fatto ad andare avanti adesso. Senza di Lui era impossibile. Chi voleva prendere in giro. 
Dovette fermarsi quasi subito, la testa rivolta verso il cielo: il viso non era più quello di un tempo, i lineamenti morbidi e quasi infantili erano scomparsi, divorati e cancellati dalla fame e dalla fatica. Gli occhi erano rimasti a lungo identici invece, quelle iridi viola acceso, sempre gentili e allegre, forse era quel briciolo di speranza che ancora abitava il suo cuore a mantenerle vive. Abitava. Ora se ne era andato, e temeva per sempre. Chi avesse guardato nei suoi occhi adesso li avrebbe trovati sbiaditi, consumati dal dolore e dal pianto, vuoti.

Il cielo era cupo, incolore, un manto, una cappa densa e pesante che sembrava voler precipitare su di lui e soffocarlo. Sarebbe stato meglio? Non avrebbe più sofferto?

Aprì bocca, nella sua mente apparve l’immagine di sé stesso, si vedeva quando da lì a poco avrebbe teatralmente urlato tutto il suo dolore al cielo, per poi infuriarsi, maledire il mondo, gridare una vendetta che ben sapeva non avrebbe mai avuto il coraggio di attuare, e poi sfinito dal parlare si vedeva già crollare a terra in ginocchio, la testa questa volta bassa, il mento sul petto, mentre fiumi di lacrime e singhiozzi gli impedivano di pronunciare qualunque altra inutile parola. Sarebbe stato tutto inutile, prendersela col cielo, inveire, augurarsi la morte...ma almeno si sarebbe liberato, almeno un po’...

Eccolo allora aprire di nuovo bocca, per rendere concreto ciò che aveva appena immaginato, ma non lo fece.

Freddo.

Cos’era? Cos’era quella sensazione improvvisa? Qualcosa stava interrompendo il suo sfogo di dolore, già mentalmente pianificato e per quanto inutile, ancora in programma. Era freddo, veloce, fischiava e ululava, lo colpiva, ora una carezza, ora uno schiaffo.

Vento.

Non poteva più parlare ormai, il vento gli aveva portato via le parole e quel poco di volontà rimasta per pronunciarle. Si era levato all’improvviso, così come all’improvviso Lui se n’era andato. Per sempre.

Ora sì che era solo, gli avevano portato via tutto, tutti i suoi affetti e ora chi per lui era quanto di più importante al mondo. E con Lui anche metà di sé stesso, della sua anima, era morta, andata via per sempre. Perché Lui era l’altro sé stesso, l’altra metà della sua anima. Del resto lo dicevano tutti che due come loro si completavano a vicenda, non funziona forse così con i fratelli, con i gemelli? Forse era per questo che si sentiva così nudo in questo momento, così inutile e solo, di fronte agli orrori di un mondo assassino e perfido, così insensibile da avergli portato via tutto ciò che era rimasto  nella sua vita.

A che serviva gridare adesso? Il vento aveva portato via quelle poche parole e non sarebbero tornate neanche loro, non così presto, sulle sue labbra. Si fermò semplicemente, immobile, occhi chiusi, respiro lento, in ascolto. Perché il vento aveva una sua voce e cosa avrebbe mai potuto dire di così terribile da smuoverlo dopo ciò che gli era appena successo, qualunque cosa avesse detto sarebbe stata positiva.

Un sussurro, flebile ma solenne, sembrava un lamento: il vento piangeva con lui? Voleva confortarlo? No, si concentrò di più, forse sperava di distrarsi per un po’.., erano voci, riusciva a distinguere delle voci, voci di anime disperse, disperate, chiamavano aiuto, dicevano vendetta, piangevano.

La voce del vento lo portò indietro, al suo fratello di tanti anni prima, Lui, il coraggioso dei due, che lo sfidava sempre a vincere le sue paure. Organizzava dei giochi speciali, solo per lui, lo metteva alla prova, ed era così fiero quando vedeva che diventava poco a poco più sicuro di sé e spavaldo; una notte lo aveva portato addirittura in un cimitero e avevano passato il tempo a raccontarsi leggende e storie terribili. Era stato così contento di non averlo deluso quella volta, non si era spaventato mai, neanche quando il vento gelido aveva spento il fuoco lasciandoli completamente al buio, la sinistra sagoma delle lapidi appena illuminata dalla sottile falce di luna e gli ululati del vento stesso che sembrava chiamare a sé le anime che riposavano in quel luogo. No, vicino a Lui non aveva paura.  

Era lo stesso vento, gelido messaggero, che ora gli parlava e gli sferzava il volto. Un flebile, timido sorriso, si fece spazio sul suo viso. Doveva molto a suo fratello. Era merito suo quello che era diventato, certo anche lui aveva fatto la sua parte, soprattutto nel placare quel temperamento così focoso che non ammetteva mai repliche. E ora... era successo tutto così presto, non si sentiva pronto, non poteva essere lasciato solo adesso, aveva così tanto da imparare ancora, Lui gli aveva promesso che avrebbero fatto qualunque cosa insieme, non lo avrebbe lasciato mai, che sarebbe sempre stato al suo fianco per aiutarlo e proteggerlo e la stessa cosa aveva giurato lui.

Perché?

Perchè doveva andare così? Perché Lui e non me?Perchè non tutti e due, non poteva vivere, andare avanti senza l’altro sé stesso.

“Ritorna,  ti prego”

sussurrò mentre una lacrima calda trovava la sua strada verso le labbra, lungo la guancia impolverata. 
Ma non arrivò mai alla bocca, il vento la portò con sé, insieme ad altre voci e alle parole appena bisbigliate da Yugi.

 

 

 

Vi avevo avvertito, è triste.
Piccola  nota: credo sia abbastanza chiaro, ma il fratello gemello sarebbe Atem (o Yami, è la stessa cosa); quando scrivo “Lui” mi riferisco ad Atem, “lui” invece è in genere Yugi, ho preferito non dare loro un nome fino alla fine. Non doveva proprio finire così, volevo continuarla un po', ma poi rileggendola mi sembrava che la fine col nome Yugi e il vento che asciuga la lacrima cadesse a pennello, speriamo..

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Capitolo 2
*** 2) se piangessi dichiarerei la mia sconfitta, e la compassione non fa per me ***


Autore:  Achernar
Fandom:  Yu Gi Oh (manga)
Personaggio/Pairing:  Yuugi Mouto; Yami no Yuugi
Set  mix:  prompt "
Se io piangessi dichiarerei la mia sconfitta, e la compassione non fa per me.”

Meno triste, sempre una sorta di monologo interiore di Yugi, forse un tantino OOC anche stavolta.
Yugi si chiede come possa l’altro sé stesso essere così insensibile (c’è anche il solito riferimento al duello con Kaiba)

 

 

 

Come poteva, come poteva condannare la gente senza battere ciglio. Essere sempre così imperturbabile. Quegli occhi erano rossi e vivi, crepitanti come il fuoco ma il suo cuore era di ghiaccio, nulla lo scalfiva, nulla lo toccava.

Eccolo lì, ancora una volta pronto a fare del male. Occhio per occhio, dente per dente. Era quella la sua filosofia, una filosofia che se inizialmente lo aveva confortato e fatto sentire al sicuro, ora lo spaventava. Non aveva il coraggio di opporsi però: come poteva contraddire l’unica persona al mondo che si preoccupava seriamente per lui? E poi, aveva troppa paura di una sua reazione. Ma più che paura ciò che animava il ragazzo era stupore. Come faceva? Come faceva, diamine, a essere così freddo e spietato con tutti. Era almeno umano? Buffo, chiedere a uno spirito se fosse umano. Sì, magari lo era stato, ma ora non più. Chissà se ai suoi tempi era ugualmente così duro, perfino crudele. Non era sicuro di volerlo scoprire, più andava avanti e minore era la sua volontà di scoprire chi fosse quello spirito che si impossessava del suo corpo, senza neanche chiedergli permesso, e lo utilizzava per amministrare la sua presunta giustizia, ormai, lo aveva capito, fatta di violenza e superbia, egoismo e orgoglio. Non poteva giudicare gli altri in quel modo, mettere in gioco la loro vita come se nulla fosse, anche se lo faceva per proteggere il suo ospite, che aveva preso a chiamare affettuosamente Aibou, compagno. Ecco, in quel momento, quando aveva ricevuto quell’epiteto che lì per lì gli era sembrato premuroso e amichevole, Yugi aveva sperato che qualcosa potesse cambiare, che quel suo cuore di ghiaccio si stesse sciogliendo, ma era stata tutta un’illusione. Falso, lo spirito era falso e ipocrita, o forse no, era davvero così, convinto di agire nel giusto e di compiacerlo.

Come aveva potuto chiamarlo Mou Hitori no Boku, lui non era insensibile e impassibile, no, ne era certo. Eppure avrebbe voluto, non voleva ammetterlo, ma in certi momenti, quando si approfittavano di lui, lo bistrattavano, avrebbe voluto. Così che potesse scivolargli tutto via, che nessuno lo attaccasse più.

 

Paura, stupore, invidia. Ecco cosa gli suscitava la vista dell’altro sé stesso, e quanto ci aveva messo ad ammetterlo. Dopotutto era vero, voleva diventare come lui per non dover dipendere più da lui, non sopportava di sentirsi così debole. Ma provava anche rabbia. Se solo lo avesse lasciato fare qualche volta, invece di prendere subito il controllo per agire secondo la sua presunta giustizia, se solo lo avesse lasciato fare... Ma se solo cosa? No, non sarebbe cambiato nulla, non poteva fare a meno dell’altro sé stesso, non più, non riusciva ad essere spietato e impassibile, soprattutto impassibile. Se ne vergognava ma spesso calde lacrime si accumulavano nei suoi occhi, offuscando quel viola così infantile. E poi, lentamente ma inesorabilmente, rivoli, fiumi di liquido salato rigavano le sue guance. Lo spirito no invece. Mai una lacrima, mai un velo di umidità aveva offuscato quelle iridi cremisi profondo: fuoco gelido. Neanche quella volta, la più dura di tutte, quando era riuscito, una sola volta, a impedirgli di compiere un altro dei suoi omicidi, quando lo spirito alla vita e alla sconfitta aveva preferito la morte e la vittoria. Era sconvolto, e credeva che anche l’altro sé stesso lo fosse, almeno un po’. Invece no, impassibile come sempre si era limitato ad andare avanti, guidato dal suo orgoglio e dalla sua presunzione.

Come faceva? Come era riuscito a non piangere? Yugi non aveva resistito, e spinto dalla curiosità aveva dovuto domandarglielo. Una risposta tagliente, se la aspettava del resto, ma rimase comunque senza parole, e in quel momento l’ammirazione cedette il passo alla paura:

“Se io piangessi dichiarerei la mia sconfitta,

  e la compassione non fa per me.”

 

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Capitolo 3
*** 3) Quod vides perisse perditum ducas ***


Autore:  Achernar
Fandom:  Yu Gi Oh (manga)
Personaggio/Pairing:  Yuugi Mouto; Atem
Set  mix:  prompt 
"Quod vides perisse perditum ducas"

 

 

 

A volte accadeva così, ogni tanto qualcosa riaffiorava, tornava a galla. Ricordi. Frammenti di una vita passata e terribilmente lontana. Come sapeva che era proprio lui la persona che vedeva continuamente in quei flash? Avrebbe potuto benissimo essere qualcuno che gli somigliava e basta. Lui non era più lui. Non quello di un tempo. Non più. La sua vita si era azzerata, la memoria era stata cancellata via, le emozioni, i sentimenti, le sensazioni... nulla, non provava più nulla. Aveva dovuto imparare poco a poco, attraverso il corpo di qualcun altro, era, insomma, vissuto due volte. Non aveva più nulla a che fare con il sé stesso del passato, quel misterioso re di tremila anni fa. Anzi, non lo amava neppure, era a causa sua che aveva sofferto e soffriva così tanto, e con lui chi gli stava intorno, sarebbe stato meglio essere morti e basta. Una mummia, vecchia di millenni, e basta così, nessuno spirito senza nome e identità a tormentarsi in un maledetto oggetto d’oro, fracassato in decine di pezzi, per secoli e secoli. Eppure anche quello che aveva trovato e imparato in questa seconda, breve, vita accanto al suo Mou Hitori no Ore non faceva che trascinarlo verso quella vecchia, chissà se anche allora agiva così? Chissà se provava le stesse emozioni? Aveva degli amici? Era come adesso? Si rendeva conto che la nuova identità che aveva ottenuto non andava bene, non era quella giusta. Non poteva separarsi dal sé stesso del passato e questo pensiero lo tormentava. Perché non poteva semplicemente lasciarsi tutto alle spalle, continuare la sua esistenza di adesso e lasciare tutti in pace, in primo luogo sé stesso. Inseguire i suoi ricordi era tempo sprecato, erano solo ricordi: passati.

Era un’illusione, il sé stesso del passato e le speranze che i frammenti di memoria riaffiorati ogni tanto gli davano, tutte chimere.

Stavolta però era stato anche peggio, era un ricordo così bello, così reale quello appena riaffiorato.

Era lì, correva per corridoi lunghissimi e colonne imponenti e minacciose, con la gola secca e il fiatone, ma continuava a correre più veloce che poteva, verso un’enorme porta. D’un tratto la luce lo investì, si portò una manina sugli occhi (chissà quanti anni aveva allora...) e si fermò alla vista di un uomo a cavallo, di fronte a lui. Aspetto regale, figura solenne e fiera, non sapeva come ma era certo di conoscerlo. Il piccolo sé stesso riprese a correre, tendendo le mani verso quell’uomo. Non poteva vederne il volto, per quanto si sforzasse era ancora avvolto come in una nebbia scura.

Il bambino era arrivato alle gambe dell’uomo, intanto sceso da cavallo, che lo abbracciava affettuosamente.

“Padre” disse prima di affondare la testolina nel petto di lui.

 

 Rabbia, rabbia e frustrazione. Era così atroce, non aveva una famiglia, non aveva una tomba su cui eventualmente piangere i suoi cari, non aveva nessun ricordo di loro, come se non fossero mai esistiti, e  l’unico, microscopico brandello di memoria di suo padre non faceva che farlo sentire ancora più solo, sconfortato e impotente. Era senza volto, lui era lì, aveva potuto toccarlo, rivivere quel momento, ma quell’uomo restava senza faccia, irriconoscibile, perduto per sempre nei meandri della sua amnesia, destinato a non avere mai un’identità. Neanche lui.

Perso, perso per sempre, morto insieme a anni e anni di vita, di esperienze e sentimenti smarriti in un passato lontano, che occasionalmente tornava a bussare alla sua mente già abbastanza tormentata e lo faceva soffrire, lo torturava, lo straziava con le sue false speranza, lo illudeva di poterlo raggiungere e riviverlo.

Ma era impossibile, quello che è perso, quello che è morto, non ritorna.




Quod vides perisse perditum ducas
è uno degli esametri più famosi di Catullo (quello che vedi morto\perso giudicalo perso\tale), ho cercato di seguire un po' le linee del carmen di cui fa parte, il primo verso infatti cita: Miser Catulle desines ineptire ossia misero Catullo smetti di tormentarti e infatti Atem non fa che tormentarsi con la sua mente e i suoi ricordi...

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Capitolo 4
*** 4) War ***


Autore:  Achernar
Fandom:  Yu Gi Oh (manga)
Personaggio/Pairing:  Yuugi Mouto; Atem
Set  mix:  prompt war

Warnings: AU

Triste anche questa, soprattutto se la immaginate come antefatto di “vento”, come ho fatto io, il che rende la prima storia ancora più atroce per il povero Yugi...

 

 

 

“Shh..”

 

Un dito sulle labbra del ragazzo, un sorriso triste pur di tentare di consolarlo, una mano sulla sua spalla per fargli forza, ma anche per sorreggere sé stesso.

Singhiozzi. Il ragazzo era in preda a convulsioni, le lacrime bagnavano il viso, correvano giù lungo le guance, fino al mento, e da lì numerose gocce erano già cadute in terra.

L’altro, identico l’aspetto eppure più composto nonostante il dolore, tentava di fargli forza

 

“Shh, Yugi. Ora basta” disse piano, con una dolcezza ammantata di tristezza, prima di stringerlo a sé, il viso di entrambi sulla spalla dell’altro, ora una lacrima aveva cominciato la sua discesa lungo il volto anche dell’altro ragazzo. Gemelli eppure avevano sempre avuto un modo diverso di esternare le proprie emozioni, lui tendeva a non mostrarsi mai debole, mai mosso da nulla. Ma questo era troppo anche per lui. Poco a poco da una lacrima divennero due, poi tre, infine anche lui, ancora stretto nell’abbraccio del fratello, strinse con più forza le braccia intorno alle spalle di Yugi e cominciò a piangere. Lentamente i due si accasciarono a terra, in ginocchio. Piangevano, il primo singhiozzava rumorosamente e continuava a mormorare frasi rotte e vuote, scuotendo la testa, il secondo silenziosamente, le sue lacrime cadevano senza quasi che se ne rendesse conto, lo sguardo perso davanti a sé, le iridi cremisi prive di un punto di riferimento.

 

Tanto, troppo tempo che quella stupida, orrenda guerra, aveva devastato le loro vite. Il villaggio in cui erano cresciuti era irriconoscibile, ridotto ormai a un cumulo di macerie, il bosco dove giocavano da bambini era stato sfigurato dagli incendi, e la loro casa ora non era altro che detriti e se non fosse stato per il fumo che ancora si innalzava al di sopra di essi, avrebbe potuto essere scambiata per le rovine di una qualche antica civiltà.

Ormai non gli era rimasto più nulla. Prima i loro parenti, poi i loro amici, ora la loro madre. Soli. Adesso erano davvero soli davanti a quel mondo crudele e spietato che continuava a giocare con le loro vite e a rendere le loro esistenze sempre più tormentate.

Il corpo esanime della donna era ancora in casa, nessuno dei due l’aveva tirato fuori. Yugi per paura di vedere in che stato fosse, dilaniato dalle fiamme e dalle pietre, e suo fratello Atem per paura di lasciare da solo Yugi anche soltanto per i pochi minuti necessari a liberare la spoglia dai resti di quella che era stata la loro casa. Erano semplicemente lì fuori, a piangere, fra i fumi di un incendio non ancora del tutto domato, i rumori assordanti e orribili dei cannoni e dei mitragliatori, il pungente odore di bruciato e zolfo e un senso assoluto di abbandono e sconforto.

 

Lentamente come si erano accasciati, si risollevarono, prima Atem, poi Yugi, che ancora non riusciva a mantenere un respiro regolare e cercava inutilmente di impedire alle lacrime di bagnargli ancora il viso pallido e smunto

 

“C-che faremo adesso. Non c’è più ne-nessuno. Nessuno “ disse fra i singhiozzi che a stento riusciva a controllare

 

“Non è vero. Ricorda che non saremo mai soli” si sforzò di sorridergli Atem

 

“Mai, soli?”

“Tu avrai sempre me, e io avrò sempre te. Non saremo mai soli” stavolta il sorriso era più sincero, spontaneo, quelle poche parole fecero affiorare un flebile barlume di speranza in entrambi

 

“Lo giuri? Giuramelo.”

 

“Lo giuro, non ti abbandonerò mai, Yugi”

 

“E io giuro di starti sempre vicino. Sempre” suo fratello aveva ragione, finché c’era lui non sarebbe mai stato solo. Ora era lui la sua famiglia, i suoi amici, la sua casa. Tutto ciò che gli era rimasto nella vita.

 

“Andiamo ora” disse lentamente il ragazzo dagli occhi cremisi

 

“Dove?”

 

“Non lo so, lontano..”

 

“E...” Yugi non ebbe la forza di finire la frase: << E mamma ? >>, si limitò a indicare con il dito il cumulo di macerie annerite dal fuoco.

 

Atem si voltò, era vero, non potevano abbandonarla così, ma non poteva neanche lasciare suo fratello da solo per quel tempo che gli serviva a dare una sepoltura decente alla madre.

Mise una mano sulla spalla di Yugi e si avvicinò ai ruderi, il ragazzo lo seguiva titubante e visibilmente scosso. Atem afferrò con entrambe le mani un grosso pezzo di quello che un tempo era stato un muro per sollevarlo e cercare di liberare il corpo da sotto le macerie.

 

“Mi aiuti?” disse sorridendo tristemente prima di cominciare a smuovere la pietra.

 

Il ragazzo ebbe un attimo di esitazione, non voleva vedere cosa c’era là sotto, chi c’era là sotto, e non tanto per l’aspetto che poteva avere ma perché questo avrebbe significato che era davvero morta, persa per sempre. Ma non poteva tirarsi indietro, grazie a suo fratello era sempre riuscito ad affrontare le sue paure e decise di farlo anche stavolta.

 

“Certo” annuì cercando di mostrarsi il più convinto possibile, e si avvicinò afferrando un altro pezzo di mattone per fare leva.

 

 

Era notte adesso. Avevano ormai dato fondo a tutte le lacrime che avevano in corpo e in un modo o nell’altro erano riusciti ad arrangiare una piccola tomba per la donna e ad adagiarvi una croce di assi di legno in quello che un tempo era il loro giardino. Essere in piedi di fronte a una lapide era un’esperienza diventata di triste routine negli ultimi anni. Quando tutto questo avrebbe avuto fine? Il pensiero però che fossero ancora insieme li confortava, finché c’erano l’uno per l’altro avrebbero resistito, nonostante i colpi spietati della sorte.

 

“Atem...”

 

“Si?”

 

“Ricorda che hai promesso.” Disse Yugi, aveva bisogno di sentirsi confortato, che qualcuno gli dicesse che non era solo, di avere fiducia, ora che tutte le sue certezze si erano dissolte come i sogni poco prima dell’alba

 

“Non potrei mai dimenticarlo. Non ho intenzione di lasciarti da solo, né ora ne mai. Tu piuttosto hai giurato..”

 

“.. di starti sempre vicino e lo farò. Sarò la tua ombra” un timido sorriso sfiorò i volti dei due

 

“E poi, sai, io e te siamo come due metà della stessa anima: l’una non può esistere senza l’altra..” aggiunse Atem, quell’idea della stessa anima era di loro nonno e l’avevano sempre trovata perfetta per descrivere il loro rapporto

 

“.. e viceversa. Finché saremo insieme saremo completi, nessuno potrà abbatterci”concluse la frase nel modo in cui era solito dirla l’anziano uomo, tanti anni prima.

 

“Ben detto” sospirò il ragazzo. E in per quel breve momento, la nostalgia prese il posto della tristezza e del dolore.

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Capitolo 5
*** 5) tu saresti in grado di rappresentare il sole per qualcuno? ***


think angst 5 Autore:  Achernar
Fandom:  Yu Gi Oh (manga)
Personaggio/Pairing:  Atem
Set  mix:  prompt "tu saresti in grado di rappresentare il sole per qualcuno?"

Piccola nota:
nel manga non si spiega quando Atem salì al trono, io ho immaginato nella pre-adolescenza, dodici, massimo quattordici anni







Guardò ancora l’immagine riflessa nella superficie liscia e perfettamente lucida. A chi poteva mentire? Di certo non a se stesso: quello che vedeva era come appariva realmente, la sua essenza era messa a nudo lì, adesso, sulla piastra metallica finemente lavorata, e quello che vedeva non poteva che fargli ancora più male.
Occhiaie, capelli ancora più indomati del solito, persino pallore, nonostante il colorito bronzeo, tratto distintivo del suo popolo.

Ma quello non era il vero problema: presto i servi sarebbero entrati, lo avrebbero agghindato, vestito, preparato, nessuno sarebbe stato in grado a quel punto di accorgersi di tutte le ore di sonno che aveva perso nelle ultime settimane, dei pasti che aveva saltato...
No, il vero problema era un altro. E lo vedeva chiaramente, riflesso nell’oro.
Nonostante la vistosità della sua capigliatura, era un altro il tratto che lo aveva sempre distinto maggiormente, che colpiva subito della sua persona: gli occhi.
Occhi magenta, tra il cremisi e il viola, fieri, sicuri, profondi e forti. Occhi da sovrano. Così gli era sempre stato detto.
Ma non erano gli occhi di un sovrano che vedeva riflessi ora nello specchio. Erano gli occhi di un bambino spaurito, di  un figlio abbandonato, di un ragazzo impaurito e profondamente solo.
Erano occhi spenti e timidi quasi, privi di punti di riferimento, che sembravano aver perso la baldanza di un tempo...inesorabilmente? Aveva voglia di piangere, di urlare di rabbia e frustrazione, sbattere i pugni su quel metallo impietoso che si prendeva gioco di lui, correre fuori, davanti alla folla e gridare che era tutta una messa in scena. Chi era lui in fondo? Solo un ragazzo, praticamente ancora un bambino, che aveva appena perduto la persona più cara al mondo e senza possibilità di lamentarsi si era ritrovato all’improvviso a dover portare sulle sue spalle
, ancora esili, il destino di un intero, immenso regno, di cui lui doveva essere il punto di riferimento, il faro, la luce, il sole. Già, il faraone è l’incarnazione di Ra, il dio sole... ma in questo momento la luce non gli dava alcun conforto, avrebbe preferito continuare a sprofondare nel suo dolore in privato, al buio, logorarsi l’anima come negli ultimi settanta giorni ripetendosi che era tutto inadeguato, prematuro, ingiusto, che se lui doveva essere il sole dell’Egitto, la sua guida, chi avrebbe guidato lui, poco più di un bambino, ora che suo padre era morto.
Eppure non aveva scelta, se c’era una cosa che aveva imparato era che non bisogna mai arrendersi, continuare ad andare avanti e lottare, con tutte le proprie forze, fino all’ultimo.

Guardò ancora la su immagine nello specchio d’oro appeso alla parete. Quegli occhi pietosi e tristi ora gli facevano pena, rabbia, schifo. Non poteva ridursi così, eppure sentiva semplicemente di non avere la forza di andare avanti, di chiudere il capitolo della sua vita da bambino, figlio, principe e aprire quello successivo, scriverlo, impersonando il ruolo di adulto, guida, re.
Sospirò, cosa avrebbe dato per un consiglio da suo padre, ma d’ora in poi sarebbe stato solo, e non sapeva per quanto. Dalla morte del padre sentiva come un vuoto intorno a lui, un baratro fra lui e la gente, e questo baratro si sarebbe allargato ulteriormente da lì a poche ore e non poteva farci niente. Fissò lo specchio di nuovo, cercando di sfoderare il suo sguardo più  sicuro, fiero, intenso di tutti...all’improvviso entrò qualcuno.

Atem si girò, disse all’uomo, che vedendo il suo principe si era prostrato, di alzarsi e gli domandò cosa volesse. L’uomo rispose che era tutto pronto, quando lo avesse comandato lo avrebbero preparato celermente e la cerimonia avrebbe potuto avere inizio:

“E da domani sarai il nostro nuovo sole, Luce dell’Egitto” si inchinò nuovamente e uscì a capo chino.

 Atem rimase immobile per qualche istante, riguardò la superficie dorata e lucida e l’immagine che essa offriva: il sé stesso spaurito e addolorato. Con quell’immagine, lo specchio sembrava lanciargli una sfida, a cambiare, a divenire il sole del suo stato. Ammiccò un sorriso, se si trattava di una sfida allora, avrebbe sicuramente vinto.

 

 

 


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Capitolo 6
*** 6) buio ***


Autore:  Achernar
Fandom:  Yu Gi Oh (manga)
Personaggio/Pairing:  Yuugi Mutou
Set  mix:  prompt buio

 

 

 

 

 

La stanza era ammantata dal silenzio e  la casa, la via non facevano eccezione. Gli unici suoni che ogni tanto, timidamente e con prudenza, spezzavano il silenzio, erano i suoi respiri cadenzati e quieti.  Yugi era seduto sulla sua scrivania, lo sguardo perso al di là dei vetri della sua finestra, in una posa caratteristica dell’altro sé stesso, considerato anche l’orario:  notte fonda. Un buio totale avvolgeva la sua camera, riusciva a malapena a vedere i propri pensieri in quell’assoluta assenza di luce, era come se quell’atmosfera lo soffocasse poco a poco.

Tenebre, tenebre e oscurità ovunque. Persino fuori, in strada, non c’era una sola luce, neanche di un’auto di passaggio, forse era troppo tardi anche per gli automobilisti.

Questa volta era riuscito a stare un po’ da solo, a pensare, aveva pregato il suo Mou Hitori no Boku di restare nel puzzle quella notte, di non vegliare su di lui come suo solito e lo spirito, nonostante molte riserve ed esitazioni, aveva acconsentito. Tirò un sospiro di sollievo al solo pensiero: quell’essere lo inquietava profondamente con la sua sola presenza, saperlo al suo fianco la notte non gli faceva affatto dormire sogni tranquilli, emanava come un’aura misteriosa, pericolosa, buia, e lui aveva sempre avuto paura del buio. Il buio dove non sai cosa stai guardando, il buio dove le parole restano soffocate in gola, il buio dove ogni speranza sembra svanire, divorata dalle tenebre. Eppure ormai avrebbe dovuto sentirsi a suo agio nelle tenebre, l’entità più tenebrosa che avesse mai conosciuto era al suo fianco, qualunque pericolo portato dal buio non sarebbe mai stato potente quanto colui che la gente chiamava Yami no Yuugi, Yugi delle Tenebre. Al solo pensiero però rabbrividiva, la paura si impossessava di lui e cominciava a tremare. Si era sempre odiato per essere così insicuro e pauroso ma stavolta non poteva biasimarsi, chiunque avrebbe avuto paura di un essere che era la personificazione stessa delle tenebre, e infatti tutti lo temevano, temevano la sua collera, la sua vendetta, i giochi delle tenebre e Yugi temeva persino la sua sola presenza, e le cose non miglioravano perchè lo spirito si era prefissato di proteggerlo da tutto e da tutti e quindi non lo lasciava mai solo, MAI . Aveva voglia di urlare, correre, si sentiva impazzire ogni secondo di più al pensiero che lui lo stesse osservando, perché era sicuro di non essere solo neanche in questo istante, un occhio magenta severo e indagatore, che lo scrutava continuamente, guardava dentro la sua anima anzi, ci viveva dentro la sua anima! E Yugi non aveva nulla in contrario, anzi. Era sempre gentile con tutti e si sentiva così solo che avere qualcuno con cui condividere tutto, anche la sua anima, non sarebbe stato un problema, ne sarebbe stato contento. Ma il suo Mou Hitori no Boku non era proprio un “qualcuno” né un “qualcosa”, lo stesso spirito doveva ancora capire cosa fosse e Yugi aveva la sua idea in proposito. Tenebre, oscurità, buio. E lui aveva sempre avuto paura del buio.

 

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Capitolo 7
*** 7) My shadow is the only one that walks beside me ***


Autore: Achernar
Fandom:  Yu Gi Oh (manga)
Personaggio/Pairing:  Yuugi Mutou, Yami no Yuugi
Set  mix:  prompt “
My shadow is the only one that walks beside me”

Nota: questa storia viene raccontata da due punti di vista:

Yugi

Atem

ed è una what if? perché si basa sull’eventualità che anche dopo aver completato il puzzle, Yugi resti senza amici.

 

 

 

Eccomi qui, di nuovo solo come.. come..non lo so neanche io come: neanche il classico cane sarebbe più solo di me, ne sono sicuro. Almeno avrebbe un padrone, o altri cani con cui litigare, abbaiare alla luna, magari persino fare amicizia... forse è per questo che sono solo? Perso a cose assurde come i cani che fanno amicizia? Ormai ho smesso di chiedermelo, sto cominciando ad accettare la realtà, non è facile, neanche bello, ma almeno aiuta. ‘Yugi: sei solo. Accettalo, fattene una ragione e continua a vivere, smettila di prenderti in giro ripetendoti che non vivi in completa solitudine..’ però in effetti è vero: in effetti mi piace lamentarmi e annegare nel mio stesso sconforto, piangermi addosso, e così non vedo quello che ho. Perché mi sento solo? Perché non ho amici. Ma questo non vuol dire essere proprio soli, giusto? C’è sempre la mia famiglia. Certo, due persone... meglio di niente. E poi c’è lui. Lui, quello che mi sta guardando in questo momento con uno strano sguardo, che fluttua accanto a me, trasparente, incapace di toccare ed essere toccato, e che non mi lascia mai, nemmeno un istante, certo, a meno che non glielo chieda, è piuttosto educato devo dire, almeno con me: forse perché si sente a disagio a dover ‘vivere’ così come un parassita nel mio corpo. Ma a me non importa, può farci quello che vuole col mio corpo se gli va, magari avrà più fortuna di me. Lui non merita tutta questa solitudine a cui lo costringo, è l’unico con cui io possa parlare, che mi ascolta sempre, e sono sicuro che se potesse parlerebbe volentieri con qualcun altro per cambiare. Certo, se mi abbandonasse anche lui allora sarei davvero solo, ma non posso costringerlo a stare con uno come me. Andiamo: non ho una personalità così brillante, è stato sfortunato, poteva capitare meglio e invece gli sono toccato io che- perché ora mi fissa con quegli occhi così penetranti? Si sta avvicinando ancora di più, sembra preoccupato, triste... e questa cos’è? Una lacrima, una mia lacrima che è scesa dalla guancia, tanto per cambiare, non credevo di stare piangendo assorto com’ero nei miei pensieri. Scusa Altro Me, perdonami per essere così debole, meritavi di meglio di- e adesso? Io, lo sento: sento del calore! Mi- mi sta abbracciando...

 

 Eccolo lì, di nuovo assorto nei suoi pensieri, che si fa del male pensando a quanto sia inutile, a quanto sia solo, a quanto sia debole... perché ti fai questo Yugi? Perché non apri gli occhi? Lotta, combatti per la tua felicità, hai più forza di quanto non immagini e io lo so bene. Io, che vivo dentro la tua anima, come un clandestino, che non so chi sono, chi ero forse, che cos’è la mia vita, se la posso chiamare tale. Non ho risposte, gli altri mi vedono come un pericolo, una minaccia, eppure tu non hai esitato neppure un istante ad accogliermi, a donarmi tutto quello che avevi, a condividere con me ogni singolo momento. Non è coraggio questo? Non è stato un salto nel buio il nostro incontro? Eppure tu hai saltato, senza nessun dubbio, ti sei buttato nel vuoto, nell’oscurità dov’ero io. E dalle ombre mi hai tirato fuori, ecco, forse sono questo: un’ombra. Ma lascia che sia la tua ombra, sei l’unica persona di cui mi curi, sei così buono, così- perché quello sguardo triste compagno? Aibou, perché all’improvviso hai messo via il rompicapo con cui stavi giocando? Ti conosco, abbassare lo sguardo per non incontrare il mio non ti aiuterà: io so quello che stai pensando, quello che provi adesso. Ho visto quel lampo di colpevolezza nei tuoi occhi, quell’istante in cui hanno guardato i miei prima di voltarsi in terra. Di cosa ti senti colpevole Yugi? Nei miei confronti poi... chi dovrebbe essere in colpa sono io, è così ovvio. Sono piombato nella tua vita dal nulla, ti ho reso le cose ancora più difficili, certa gente pensa che tu sia pazzo quando parli con me, ma a te non importa perché fai di tutto per farmi sentire a mio agio, per farmi sentire una persona. Io ti devo così tanto, come puoi pensare di non aver fatto abbastanza per me- adesso stai piangendo, lo vedo bene. Non tutti hanno il coraggio di piangere; piangere non è una debolezza, anzi, le lacrime portano con sé il messaggio che tu tieni a quella cosa, a quella persona. Sono quanto di più sincero esista, sincere come te. Se solo potessi toccarti, vorrei farti sentire al sicuro, consolarti, ringraziarti. Non mi importa se non sentirai, non riesco a vederti piangere senza una spalla su cui appoggiarti.

 

“A-altro me: mi stai abbracciando. Mi-mi stai toccando davvero”. Lo spirito si ritrasse all’istante, lo sguardo in terra, desolato:

“Mi- mi dispiace Aibou. Non dovevo. Ma non riesco a vederti in quello stato, io-“

“Tu, mi stavi toccando. Fallo di nuovo. Per favore, dimmi che puoi farlo di nuovo”

“Non- non lo so”

 

Lo spirito esitava, si sentiva ancora in colpa per essersi preso la libertà di abbracciare il ragazzo, così, spinto dalla curiosità, Yugi sì avvicinò e gli sfiorò la mano. Era solida, beh, quasi. Una sensazione strana, percepiva solidità, come in un campo magnetico. Ma era più che sufficiente per lui, sorrise. Poi abbassò il capo, tornò triste come prima, forse credeva di aver annoiato lo spirito con i suoi modi infantili. L’altro se ne accorse e gli si avvicinò di nuovo:

 

“Perché pensi una cosa simile?”

“Cosa?”

“Lo sai, Yugi. Sono io che dovrei sentirmi in colpa, non tu.”

“Io non sono abbastanza. Mi dispiace, non ti è capitato un compagno molto-“

“Non voglio neanche sentire il resto della frase”. Yugi lo guardò negli occhi, temeva di averlo irritato, invece non era uno sguardo colmo d’ira quello che gli rivolse l’altro sé stesso:

“Sei la persona più bella che abbia mai conosciuto, la più coraggiosa, la più altruista, la più gentile. Io posso dire quello che provo per te solo con una parola, una sola, non è abbastanza ma è meglio di niente: grazie. Grazie per aver raccolto questa ombra e averle dato un posto nella tua vita, grazie di preoccuparti così tanto per me, più di quanto dovresti e di quanto io dovrei fare con te. Grazie, grazie infinite, perché sei il mio unico amico.”

 

Avrebbe voluto abbracciarlo di nuovo, ma non voleva sembrare troppo invadente, per fortuna ci pensò Yugi, che gli saltò quasi addosso, con gli occhi lucidi.

 

Chi l’ha detto? Chi l’ha detto che sono solo. Come ho potuto essere così stupido. Ho un amico anch’io, ed è il migliore che abbia mai sognato di avere. Dovrei essere io a ringraziare:

 

“Grazie Mou Hitori no Boku, grazie amico mio”.

 

 

 

 

Lo, so: dopo tanta tristezza ci ho inserito un quasi lieto fine. Assolutamente non puzzleshipping: sono solo amici.

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Capitolo 8
*** 8) Malinconia ***


Autore: Achernar
Fandom:  Yu Gi Oh (manga)
Personaggio/Pairing:  Yuugi Mutou, Yami no Yuugi
Set  mix:  prompt  malinconia

“La malinconia non è altro che un ricordo inconsapevole”

 

 

Sospirò.

Si fermò. La punta delle sue scarpe non era quanto di più interessante avesse mai visto, ma guardare verso il basso lo aveva sempre fatto sentire tranquillo, non c’è nulla lì in basso che possa farti del male, ci sei solo tu. Guardando in alto invece, avrebbe visto il cielo, e si sarebbe sentito a disagio perché non era il suo posto, non di lui; se guardava avanti a sé, avrebbe dovuto affrontare le sue paure, guardare alla vita e andare avanti, verso il futuro... restava il guardare indietro, ma sapeva già cosa avrebbe visto dietro le sue spalle: il passato, ricordi, emozioni, persone. Oh, in effetti tra la punta delle sue scarpe e le sue spalle preferiva queste ultime, cosa avrebbe dato per tornare indietro, rivivere tutto un’altra volta, altre cento, mille, ma erano passati tanti anni ormai. Il passato non ritorna. Mai più. In un modo o nell’altro era andato avanti, la vita continua e se ne era dovuta costruire una tutta sua, con le sue sole forze. Lui gli aveva detto che era sicuro che fosse pronto per farcela, ecco perché se n’era andato, era tempo per entrambi di vivere la propria vita indipendentemente. Beh, questo non era proprio vero: Atem non aveva una terza vita da vivere, per lui era finita e basta, cosa poteva pretendere lui, Yugi? Meritava di riposare in pace finalmente, dopo tutto quello che aveva fatto per lui e tutto quello che avevano passato...

Sospirò di nuovo.

Ecco, ci stava pensando ancora, stava di nuovo per tuffarsi nel mare dei ricordi, delle avventure, dei fasti del passato... perché era così difficile? Persino quando era morto suo nonno era riuscito ad accettarlo: era una persona anziana dopotutto. È così che va il mondo: si nasce, si vive, si muore. Punto. Aveva vissuto la sua vita e semplicemente era giunto anche il suo momento di andarsene. Certo, gli mancava anche lui, gli aveva voluto bene, davvero, ma riusciva a farsene una ragione, ad accettarlo. Perché con Atem era diverso? Perché, anche se era vecchio di tremila anni, sembrava un ragazzo pressappoco della sua età e quindi non riusciva a credere che avesse vissuto la sua vita e fosse giunto il suo momento? Sì, forse... sperava che col passare degli anni non avrebbe più dovuto porsi queste domande ma a volte, ogni tanto, sentiva di nuovo quel vuoto dentro di sé, quella parte di anima che non c’era più. E allora eccolo lì, riaffiorava come un ricordo mai sbiadito nella sua mente, gli occhi forti e decisi, quel sorriso particolare, di sfida, le sue parole e soprattutto quel giorno, il loro addio, quello non avrebbe mai potuto dimenticarlo, lo sapeva. Glielo aveva promesso. E insieme a quel ricordo avrebbe sempre portato quella sensazione di vuoto, quella nostalgia e quella tristezza che ogni tanto riaffioravano con più forza e che lo costringevano a camminare, come ora, per la città, a notte fonda, alla sciocca ricerca di altri ricordi e alla ricerca, stavolta disperata, di qualche segno di lui. Dell’altro sé stesso.

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Capitolo 9
*** 9) Vicolo ***


Autore: Achernar
Fandom:  Yu Gi Oh (manga)
Personaggio/Pairing:   Yami no Yuugi
Set  mix:  prompt  vicolo

Sorta di diario interiore di Atem durante la sua prigionia nel puzzle, l’ultimo ricordo è un riferimento a Kuru Elna

 

Sono qui. Perché io sono, vero? Non saprei dirlo, mi piace pensare che esisto davvero, ma non so niente né di me né di questo posto: da quando sono qui, perché, né cosa sia realmente questo luogo. Però so come è: è freddo, buio, inospitale, mi odia almeno quanto io odi lui. Ovunque mi giri vedo solo vicoli, corridoi interminabili, scale, porte, l’opera d’arte di un folle architetto che si è divertito a rendere questa mia prigione un labirinto dove orientarsi è impossibile, e questo mi fa rabbia. Mi fa rabbia perché in tutto questo tempo non ho fatto che vagare di stanza in stanza, scendere e salire milioni di gradini e aprire migliaia di porte e ogni volta che pensavo di trovare qualcosa dietro di esse, c’erano solo tenebre, ombre, solitudine. Le ombre ridono di me, le sento, le mie uniche compagne, è divertente vedermi vagare senza meta, perché io dopotutto non ho una meta: vago e basta, per i meandri di questo orribile posto, disperato e alla ricerca di qualcosa che non so neanche io. L’ho detto, è una ricerca senza speranza, come farò a riconoscerlo quando l’avrò trovato, se non so cos’è che sto cercando? Però continuo.

~∙∞∙ ж ∙∞∙Ж∙∞∙ ж ∙∞∙~

Ora ho qualche idea su cosa sto cercando, non ne posso più di sentire le tenebre che ridono di me, mi seguono ovunque, si prendono gioco di me perché non sono nessuno. È vero, non so cosa sono, chi sono, perché sono qui, da quanto... sembrano millenni... e allora ho deciso, voglio aprire tutte le porte perché spero di trovare le risposte alle mie infinite domande dietro una di esse. Non so quanto ci metterò, ma devo tentare.

~∙∞∙ ж ∙∞∙Ж∙∞∙ ж ∙∞∙~

Ho perso il conto delle porte che ho aperto da allora, tante, tantissime, eppure ce ne sono sempre di più, sembrano moltiplicarsi, non ce la farò mai... Non ho trovato nessuna risposta dietro di esse, solo dolore. Dolore, freddo, buio, a volte grida, minacce... mi sento soffocare, non so se siano le ombre che si divertono ancora con me o altri spiriti, ho paura, ogni volta che avvicino la mano a una maniglia sento un brivido dentro di me, mi manca il respiro, cosa troverò là dietro? mi domando, e forse preferirei non darmi una risposta se ripenso alla sofferenza che ho già incontrato, ma devo continuare.

~∙∞∙ ж ∙∞∙Ж∙∞∙ ж ∙∞∙~

Ho una strana sensazione da un po’ di tempo, la percezione di me, qualcosa dentro che mi dice che io sono un’anima. Ma allora è qui che si radunano le anime dopo la morte? perché io ho dei ricordi di cosa sia la morte anche se non so perché. Devo essere stato un’anima davvero scellerata per meritare tutto questo, nessuno è vicino a me a condividere la mia pena, solo le ombre, ma loro non sono anime, ne sono certo, quindi solo io ho fatto qualcosa di tanto spaventoso da dover soffrire questo supplizio, nessun altra anima è qui con me dunque nessuno ha peccato quanto ho peccato io. Sono un essere orribile. Devo aprire le porte, nascondono minacce e dolore, ma dietro di esse ci deve essere il ricordo della mia colpa, devo sapere cos’è.

~∙∞∙ ж ∙∞∙Ж∙∞∙ ж ∙∞∙~

Non voglio più continuare. Non voglio più. Sono accucciato in un vicolo della mia prigione, sento ancora le urla nella mia testa, mi fa male, rimbombano. Ho le mani sugli occhi ma vedo ancora sangue, sangue dappertutto. Sto tremando. Perché, perché? Stavo camminando di nuovo per i cunicoli di questo carcere, a ogni passo aprivo una porta, ormai sono abituato a trovarvi dietro immagini dolorose e sentimenti terribili, quindi non ho più paura. Almeno credevo. C’erano dei gradini davanti a me, li salgo, conducono a una porta, me lo aspettavo. Sento delle voci, mi volto ma non c’è nulla dietro di me, solo buio, eppure sapevo che non erano le ombre. La mia mano trema mentre si avvicina all’uscio, ma devo aprire. Non avrei mai creduto di trovare una cosa simile lì dietro. Fiamme, un incendio, un terribile odore di carne bruciata, corpi, decine, centinaia di corpi, si contorcevano dal dolore, dilaniati, scorticati, in fiamme, urlavano in modo straziante, grida così acute da far tappare le orecchie e correvano in ogni direzione, alcuni non potevano correre, erano senza gambe, sanguinavano, e si trascinavano per terra lottando per non venire avvolti dalle fiamme. Tanti bambini, che piangevano disperati attaccati alle loro madri o a quello che restava dei loro corpi martoriati. E poi c’erano soldati, brandivano spade che luccicavano alla luce delle fiamme, e strappavano via i bambini dalle braccia dei genitori con ferocia, gettando urla disumane mentre si avventavano su quei corpicini inermi e li facevano a pezzi. E poi sangue, sangue ovunque, schizzi di liquido rosso e caldo che zampillava dalle ferite di quella povera gente, che colava dalle armi di quegli uomini senza cuore, che si inebriavano alla sua vista e si accanivano con ancora maggiore crudeltà e violenza contro di loro. E io non riuscivo a muovermi, non ho potuto aiutare nessuno, quella gente che urlava disperata lanciandomi occhiate imploranti e grida di soccorso, io ero immobile, incapace di muovere un muscolo e di aprire bocca, pietrificato anche quando un vecchio mi ha afferrato la gamba cercando aiuto e riparo dall’uomo che subito dopo lo strappò da me e lo sgozzò davanti hai miei occhi.  Non ho fatto niente per fermarlo, ho assistito e basta senza battere ciglio, finché anche l’ultimo bambino non ha subito la sorte del vecchio e la sete di sangue e morte dei soldati si è saziata. Poi è svanito tutto, lasciandomi solo fra il ribrezzo e la nausea per quanto avevo appena visto.

Forse è questa la mia colpa, sono un assassino, un’anima senza cuore, senza pietà, e la cosa più terribile è che mentre sono qui a tremare per il freddo e la paura, c’è una voce dentro di me che mi dice che quello che ho appena visto è solo un ricordo di un evento vero, tutt’altro che irreale.

 

 

 

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Capitolo 10
*** 10) Angoscia ***


Autore:  Achernar
Fandom:
 Yu Gi Oh (manga)
Personaggio/Pairing:
 Yami no Yuugi
Set
 mix:  prompt angoscia’ 

Nota dell'autrice: la storia racconta il momento in cui Yami si ritrova nel Puzzle del Millennio, privato di tutti i suoi ricordi 




Apr
ì gli occhi. Aveva degli occhi? Coserano, oltretutto? Ricordava vagamente: occhi... una parola... servono per vedere. E vedere... che voleva dire? Immagini... vedere le immagini intorno a te. Ma intorno a lui non cera niente.

Era davvero sicuro di aver aperto gli occhi? La sua mente non avrebbe saputo rispondere ma il suo istinto gli diceva di sì. Le palpebre erano così spalancate da fargli quasi male. Eppure non era cambiato niente. Chiusi o aperti la vista non cambiava. Tutto intorno a lui, qualunque cosa fosse quel... posto e qualunque cosa fosse lui, era nero. Completamente buio. Un ricordo, vago, impercettibile, lo folgorò. Buio... il buio è assenza di luce. La luce... una sensazione di tepore, una sensazione dolce e delicatissima gli attraversò la mente, non avrebbe saputo spiegarlo, ma sapeva cosera la luce. Sapeva che gli piaceva, o che gli era piaciuta, e che qui non ce nera traccia. E sapeva unaltra cosa: gli mancava. Tantissimo.

Unemozione nuova, non ricordava di aver mai provato emozioni, neanche di sapere cosa fossero, lo scosse. Rabbrividì. Cosera questansia? Questangoscia e questo improvviso bisogno di luce, di stringersi intorno a sé, trovare un luogo sicuro, restare immobile e non muoversi? Paura... dimprovviso lo pervase la paura. Nera come il luogo dove si trovava, e distinto si abbracciò il petto. Non riusciva a vederlo però, non vedeva neanche le sue braccia, né le gambe. Altri ricordi... corpo. Cera ancora il suo corpo? Era cambiato? Cosera successo. Perché non riusciva a vederlo?

La paura divenne sempre più potente, cominciò a tremare, lentamente si accasciò, si lasciò cadere, toccò il suolo. Per un attimo si sentì sollevato: cera un pavimento, questo spazio non era infinito, il buio non era infinito. Ma poi fu assalito da una nuova scarica di sentimenti ed emozioni, sconosciuti, eppure così familiari: angoscia, solitudine, smarrimento, rabbia, freddo, dolore: si sentiva perso, abbandonato, terrorizzato. Chiuse gli occhi. Non cera differenza tra il tenerli aperti o chiusi. Ma almeno tenendoli chiusi poteva negare la realtà al di là di loro, fare finta di essersi sbagliato, che lo spazio intorno a lui era mutato e che se li avesse riaperti avrebbe visto che loscurità era sparita. Una misera, vana, lievissima speranza. Unillusione. Tutto ciò che gli restava.

Tempo. Cosera il tempo? Non lo sapeva, ma cominciò a pensare che doveva esserne passato tantissimo, o forse poco? Come faceva a dirlo? Non sapeva, non sapeva niente. E questa consapevolezza amara non faceva che aumentare la sua angoscia. Domande. Centinaia, migliaia di domande si affollavano in lui. Se ricordava la luce, allora la realtà che lo circondava non era sempre stata così, non era sempre stato tutto così buio e freddo, così vuoto. Tempo. E da quanto era così? E perché? Lui centrava qualcosa? Poteva fare qualcosa? Forse doveva aspettare. Non sapeva neanche cosa aspettare, tutto ciò che conosceva era una sottile reminiscenza della luce. Avrebbe aspettato quella, lì, immobile, nel silenzio, nel vuoto, nel freddo, nel buio più assoluti. Ma sarebbe mai venuta?

In quel momento un concetto, terribile e remoto, riaffiorò nella sua mente: eternità. La sua neonata, flebile speranza svanì e lasciò il posto alla paura più grande che potesse immaginarsi: sarebbe rimasto lì per sempre.

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