Emotionless

di mieledarancio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Nothing ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Punishment ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Disease ***



Capitolo 1
*** Prologo - Nothing ***














"Senza emozioni, il tempo è solo un orologio che fa tic-tac".
(Equilibrium)









Prologo
- Nothing -









Un fantoccio bianco e senza vita che come un fantasma passa le sue giornate nella sala comune della Wammy's House, seduto nella sua solita posizione - la schiena ricurva in avanti, una gamba piegata contro il petto, l'altra abbandonata lungo il corpo -, troppo impegnato a completare uno stupido puzzle bianco per ricordarsi di vivere. Il viso inespressivo, gli occhi vuoti.
Near.
Un inutile pidocchio.
Più precisamente, il pidocchio migliore di tutto l'orfanotrofio: i suoi voti sono sempre eccellenti e il primo posto è perennemente occupato dal suo nome.
Io chi sono, invece? Il numero che lo segue. Un fottutissimo numero due.
Non importa quanto ostinatamente provi a superarlo: Near rimane sempre il numero uno; il più intelligente; il migliore; il futuro successore di L.
Bastardo...

«Ehi, Mello!». La voce di Matt distoglie la mia mente da questi pensieri irritanti.

Sbattendo più volte le palpebre, cerco di concentrare la mia attenzione su di lui e di lasciar perdere per un istante soltanto il mio rivale, che come ogni giorno è intento a giocare sul pavimento della sala comune con i suoi orrendi pupazzetti. Quasi con rabbia, mordo la tavoletta di cioccolato che stringo fra le mani e ne stacco un pezzo più grande del solito. Non voglio ammettere nemmeno a me stesso di essermi incantato per la millesima volta a guardare quel pidocchio. Il mio odio per lui mi induce a scrutarlo, a studiare ogni sua singola mossa, nonostante le conosca a memoria. Voglio cercare di capire se lui riesce a percepire i miei sentimenti. Sono sicuro che può, anche da questa distanza. Near sente i miei occhi su di sé, ma non reagisce in alcun modo.
Questo mi fa imbestialire.

«Stai ancora guardando Near?!», sbotta Matt sconvolto. «Amico, quando la smetterai di farti rovinare la giornata da quel tipo?».

Mai.
Near è il mio rivale. Non posso smettere di pensare a lui e ad un modo per superarlo. La sua sola presenza, la sua sola vista, il suo solo... odore mi nausea. Non lo sopporto, dannazione! Lui non può vincere!

«Hai ragione. Non ne vale la pena», mormoro con difficoltà.

Nascondere la verità a Matt è sempre difficile per me: lui è l'unico che considero amico, qui dentro. Non importa quante persone io abbia attorno, non importa se la mia popolarità mi ha permesso di avere a che fare con ragazzi che cercano continuamente di soddisfare ogni mio desiderio... Matt rimane l'unico degno della mia stima. Perché lui è la sola persona che si sia mai interessata veramente a me. Non perché sono il secondo della classifica, non perché sono popolare... Semplicemente perché sono io.
Ma ciò che riguarda Near non lo posso raccontare neppure a lui. È un sentimento particolare, un odio troppo profondo per essere espresso a parole. È una cosa mia.

Abbozzando un sorriso sbilenco, con i denti stacco un altro pezzo dalla mia cioccolata. «Programmi per oggi?», gli domando con la bocca piena.

Matt sembra felice di avere finalmente tutta la mia attenzione su di sé e non la smette neppure per un secondo di agitarsi sul posto. «Potremmo giocare a qualche videogame!», esclama con gioia. «Oppure fare una partita di calcio!».

In pochi secondi mi rendo conto di non averlo ascoltato neppure per un istante: il mio sguardo è di nuovo fisso su Near. Lo considero un essere ripugnante, eppure non posso far a meno di guardalo. Vorrei tanto capire il perché...
Lui continua a fare il suo puzzle, ignorando tutto e tutti. Il più delle volte mi viene da pensare che tenda ad estraniarsi in un mondo tutto suo - un mondo orribile, ovviamente -; non trovo altra spiegazione al suo comportamento. Non è possibile che un essere umano non provi alcuna emozione.
Da parte mia, non comprendo neppure il mio desiderio di ottenere una sua reazione. Forse lo faccio perché sono stufo di essere l'unico che si rode il fegato a causa sua. Per una volta soltanto, vorrei essere io quello che gode nel vederlo soffrire. Sono sicuro che lui lo fa sempre quando sono io ad infuriarmi.
Non avrò pace finché non sarò riuscito nel mio intento.

«E se invece ci divertissimo un po' con il pidocchio?». La mia voce si è fatta improvvisamente strana: c'è quasi una nota di malignità in essa. E in effetti è così.

Un ghigno si disegna sulle mie labbra e il sorriso di Matt scompare dal suo viso. Quando mi comporto così, sa che cercare di farmi cambiare idea è inutile. Sa che, quando il mio corpo freme per far del male a Near, è meglio non irritarmi con proposte del tutto diverse.

«Se è quello che vuoi...».

Sì, è esattamente quello che voglio. Oggi ho bisogno di sfogarmi su di lui.
Volto il capo e rivolgo nuovamente lo sguardo a quel pidocchio, l'espressione compiaciuta ancora presente sul mio viso. Lui è lì, tutto solo e indifeso, e non sa cosa lo attende. Mi viene quasi da ridere.

«Matt...».

Lui mi osserva, già consapevole di ciò che sto per dire.

«Raduna i ragazzi».









Nascosto dietro l'angolo insieme ai ragazzi, mi sento tutto un fremito. Questa è la sensazione che provo ogni volta che sto per pestare Near: un brivido mi attraversa la spina dorsale, il mio stomaco comincia a fare le capriole e gli angoli della mia bocca sono perennemente rivolti verso l'alto in un ghigno malefico.
Picchiarlo mi fa sentire... vivo.
Ad un tratto, da lontano riesco a sentire dei passi leggeri e in parte incerti: il pidocchio deve avere le gambe addormentate, dopo essere stato per ore seduto in quel modo assurdo. So per certo che è lui, perché quel suono potrei riconoscerlo anche ad un miglio di distanza.

«Mello, è il momento?», mi domanda Bruce, forse il ragazzo più violento del mio gruppo.

«Non ancora».

Devo aspettare che sia più vicino. Questa volta voglio vedere la sorpresa nei suoi occhi. Voglio vedere la paura. Voglio assaporare il gusto della vittoria.
Near si fa sempre più vicino e il mio cuore batte come un tamburo contro il petto, quasi volesse creare un buco e uscire. Devo controllarmi. Devo essere lucido.
Matt è al mio fianco, Bruce, Hugo, Rik e Gabe invece sono alle mie spalle e attendono il segnale per uscire allo scoperto e saltare addosso alla preda.

«Mello?», mi chiama Matt, ma io non lo ascolto.

So che a lui questo gioco non piace. Il più delle volte rimane semplicemente fermo a guardare, l'espressione del volto contrariata; proprio non riesce a comprendere il mio divertimento. Da parte mia, non lo obbligo a far nulla. È libero di scegliere.
Proprio quando Near sta per raggiungere il nostro nascondiglio, prendo una decisione: questa volta anch'io voglio semplicemente guardare. Voglio godermi lo spettacolo. Lascerò fare il lavoro sporco agli altri, ma avrò comunque ciò che voglio: la sofferenza del pidocchio.
Ed ecco che arriva il momento.

«È tutto vostro, ragazzi», mormoro con un ghigno malvagio dipinto sul volto.

Near volta l'angolo e potrei giurare di aver visto per una frazione di secondo i suoi occhi allargarsi leggermente, prima di tornare i soliti inespressivi di sempre. I miei compagni scattano in avanti, uscendo allo scoperto; Rik e Gabe lo afferrano per le braccia, bloccandolo, Bruce e Hugo gli si posizionano alle spalle. Il pidocchio non dà segno di essere spaventato, ma neppure sorpreso.
Come diavolo è possibile?! Lo odio, maledizione! Lo odio! Perché non reagisce?! Perché non prova a scappare, a difendersi a... fare qualcosa?! Qualsiasi cosa! Scommetto che aveva già previsto questo agguato, ma non ha comunque fatto niente per evitarlo; ed anche ora che ci è finito in mezzo è completamente indifferente. I suoi occhi sono vuoti, il respiro è lento e tranquillo, il corpo rilassato.
Non capisco.
Mi avvicino a lui, scrutando il suo viso in silenzio. Lo studio attentamente, ma non vedo traccia di quell'emozione che speravo di trovare. Avvicino il mio volto al suo, digrignando i denti.

«Sai cosa sta per succederti, vero?», gli chiedo minaccioso.

Lui lentamente annuisce, come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Fai pure», mormora apatico.

Dischiudo appena le labbra, basito. Non è umano.
I ragazzi aspettano il mio segnale per cominciare il lavoro, ma ancora non riesco a darglielo. Sono sconvolto.

«Va sempre a finire così, Mello», borbotta Matt alle mie spalle. «Non dirmi che non te l'eri aspettato. Ormai dovresti aver imparato».

Ha capito ciò che provo, ha capito la mia rabbia.
Dannazione, sì! Sapevo che sarebbe finita così anche questa volta, ma ho voluto comunque tentare, nella speranza che fosse diverso! La verità è che sono veramente stupido: non so quante volte questa scena si sia ripetuta, ma per mesi ho continuato a perseverare e a portare avanti questa cosa; spero sempre che Near reagisca e che il mio desiderio di vendetta si realizzi, ma non succede mai. Eppure continuo a provarci... Perché? Forse perché non riesco ancora a concepire il fatto che quel pidocchio sia così... vuoto?
Potrei fermarmi, arrivato a questo punto, tanto non avrei alcuna soddisfazione.

«Allora, Mello?», mi chiede Bruce, eccitato. Lui è sempre quello che non vede l'ora di agire.

Ma no... Non mi fermerò. Se sono destinato a sbagliare ogni volta, allora tanto vale sbagliare fino in fondo.
Distolgo lo sguardo e mi allontano.

«Procedete».

Il sospiro sconsolato di Matt, l'urlo di vittoria dei miei compagni, nessuna reazione da parte di Near. Ecco come finisce sempre la storia.
Il suono dei pugni e dei calci rimbomba per gran parte del corridoio a quest'ora deserto. Il pidocchio incassa i colpi silenziosamente e non un suono esce dalla sua bocca; si limita soltanto a stringere i denti e le palpebre; si limita a sanguinare e ad accettare i lividi sul suo corpo; si limita ad accasciarsi e a venire sorretto forzatamente dalle braccia di Rik e Gabe.
Io assisto alla scena, in silenzio. Matt, ad un certo punto, distoglie lo sguardo.
In teoria, dovrei provare pietà per quel fantoccio bianco che dopo poco viene lasciato cadere a terra stremato. In pratica, non ne provo affatto.
Per me, Near, non è niente.

































NdA: Salve a tutti! Sono emozionata se penso che questa è la prima long Mello/Near che scrivo e pubblico qui su EFP. Amo questa coppia e nelle ultime settimane non ho fatto altro che cercare e leggere fan fiction che la riguardassero. Sono fissata. Dopo "A red scarf around us" dovevo scrivere una long! Chissà se riuscirò a tirare fuori qualcosa di vagamente decente...
Allora... Che dire di questo prologo? Siamo soltanto all'inizio e, sì, non è proprio dei migliori... Però non si può avere tutto subito, no?
I prossimi capitoli saranno sicuramente più lunghi e più ricchi di dettagli. Descriverò meglio anche i singoli componenti del gruppo di Mello e darò molto più spazio a Near, che, poverino, in questo prologo le ha soltanto prese. ^^''
È sempre gradito un piccolo giudizio, positivo o negativo che sia.
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Punishment ***


Emotionless - Capitolo 1
Capitolo 1
- Punishment -









Come ogni giorno durante l'ora di pranzo, la mensa della Wammy's House è ghermita da bambini e ragazzi rumorosi, che dopo le lezioni mattutine pensano soltanto a gettarsi come animali affamati sul cibo, riunendosi a gruppi ai tavolini presenti nella stanza. Soltanto un tavolo, quello che solitamente viene occupato da una sola persona, è vuoto: il tavolo di Near.
Nonostante sia ben consapevole che non verrà, non riesco comunque a distogliere lo sguardo da quell'insulso pezzo di legno vuoto, con accanto una sedia altrettanto vuota. Ce n'è soltanto una, perché nessuno si siede mai accanto a lui. Near mangia sempre da solo. Mi sembra quasi di vederlo, bianco e apatico, impegnato a mangiucchiare con lentezza e poco interesse il suo misero pasto. Non mangia molto, in effetti; anzi, quasi niente. Fosse per lui, a mio parere, farebbe a meno anche di quelle poche briciole che assume a forza ogni giorno.
Near non conosce il significato della parola 'vivere'. Lui sopravvive e basta.
Ciò che odio di più è il fatto che, per quanto mi sforzi, non riesco a non pensare a lui e a non guardare quel dannato tavolino. La mia è un'ossessione, un'orrenda ossessione. Quel mostriciattolo è costantemente presente nella mia testa anche quando fisicamente è lontano metri e metri. Non credo di aver mai odiato così tanto una persona.

«Mello?».

Distolto dai miei pensieri, sbatto più volte le palpebre e cerco di mettere a fuoco la figura di Matt, seduto proprio di fronte a me. Mi sta fissando con un sopracciglio inarcato e un'espressione quasi rassegnata.

«Se te lo stai chiedendo, oggi Near non verrà», mi informa con serietà.

Lo so bene. Ieri ho fatto in modo che non potesse nemmeno camminare. I ragazzi ci sono andati pesanti, proprio come avevo ordinato loro.

Con una smorfia addento il mio panino. «Peccato. Oggi sarà una barba».

«Non ne hai abbastanza?».

«Non ne ho mai abbastanza».

Il mio sguardo è serio e cattivo. Ogni volta che penso all'indifferenza di Near e al fatto che lui sia lo studente numero uno di tutto l'orfanotrofio mi ribolle il sangue nelle vene.

Matt scuote leggermente il capo e si concentra sul proprio pranzo. «Contento tu...».

Il suo tono mi fa infervorare e non poco. Sembra quasi che mi stia compatendo, come se stesse dalla parte di quel mostriciattolo. Non l'ho mai costretto a fare nulla che non volesse, a differenza degli altri, che non possono permettersi il lusso di scegliere; loro devono sottostare al mio volere, ubbidire ai miei comandi e tacere. Disobbedire equivarrebbe a scavarsi la fossa da soli. Matt non è legato da questi vincoli; ecco perché il suo comportamento mi irrita tanto.

«Se ti preoccupi così tanto per Near, perché non passi dalla sua parte?», lo sfido con strafottenza, guardandolo con occhi che esprimono più delusione che rabbia.

Alza gli occhi al cielo, ignorando completamente la mia provocazione. «Ma per favore...».

È questo ciò che mi piace di più di Matt: non si fa spaventare da me, a differenza di tutti gli altri, che mi temono come se fossi il diavolo in terra; lui invece ha persino la capacità di tranquillizzarmi con la sua stessa calma. Potrei quasi definirlo un amico, anche se questa per me è una parola troppo grossa.
Nessuno è mio amico.
Il discorso a questo punto si interrompe e la pace viene ristabilita. Come sempre, del resto. Io e Matt non litighiamo mai.
Improvvisamente il nostro tavolo viene scosso dall'irruenza tipica di Bruce, che con nonchalance si siede con noi, seguito subito dagli altri ragazzi. Un grugnito esce incontrollato dalle mie labbra: detesto vederli così spesso - il solo motivo per cui sono costretto a passarci del tempo è perché senza il loro aiuto picchiare Near non sarebbe così divertente - e non sopporto il fatto che abbiano interrotto con noncuranza la mia pace personale.

«Ehi, ragazzi!», esclama dunque il ciccione, avvicinandosi irritantemente alla mia faccia. «Avete saputo? Stamattina Near non si è visto a lezione!».

«Lo sappiamo, Bruce», borbotta Matt, riprendendo a mangiare il suo pranzo.

Bruce, il più grosso e violento del gruppo, ma anche il più codardo, non si dà per vinto. «E non è nemmeno venuto a pranzo!».

«Non ce n'eravamo accorti...». Lo fulmino con lo sguardo e con i denti stacco un enorme pezzo dal mio panino.

Lui abbassa lo sguardo timoroso e si rimette al suo posto, allontanandosi finalmente dal mio viso. Mi scappa quasi da ridere: è buffo il modo in cui mi obbedisce, come un docile cagnolino. Bruce può spaventare gli altri, ma non me. Non è altro che un grosso e grasso giocattolino che potrei gettare nel bidone da un momento all'altro, se solo volessi. Spazzatura.
Hugo, a differenza sua, è più riservato ed evita di porgermi domande che sa potrebbero darmi fastidio. Sa stare al suo posto, devo dire. Fra quelli del nostro gruppo è il più grande e possente, ma anche il più moderato; quando si tratta di entrare in azione è efficiente, ma sa quando è ora di rivolgermi la parola e quando è meglio tacere. Lui è forse quello che mi dà meno grattacapi.
Rik e Gabe invece sono i gemelli omozigoti silenziosi e timorosi. Non mi rivolgono quasi mai la parola per paura di dover affrontare la mia ira, e si limitano semplicemente ad obbedire ai miei ordini. Il più delle volte se ne restano in silenzio, a fissarmi adoranti. Probabilmente mi considerano una specie di eroe.
Tutti loro, comunque, non sono altro che le pedine del mio gioco. Li manipolo a mio gusto e piacimento, e senza neanche troppa fatica. Quando ritengono che possano essermi utili, li chiamo a raccolta. Anche se la maggior parte delle volte non ce n'è neppure bisogno: la loro smania di starmi accanto è impressionante e schifosamente inquietante.

«Quindi oggi come ci divertiamo?», insiste Bruce, mettendo a dura prova il mio autocontrollo.

«Oggi ce ne stiamo buoni, imbecille. O vedi forse altre alternative?».

Cala immediatamente il silenzio, ed io ringrazio qualunque Dio esistente abbia deciso di ascoltare la mia richiesta di aiuto.
Non è giornata. Oggi potrei fare a pezzi qualcuno, se mi capitasse l'occasione. Non ne capisco il motivo. Dopotutto le cose sono andate esattamente come avevo desiderato... Ma qualcosa mi fa sentire quasi... vuoto. Senza uno scopo. Ora che Near è fuori gioco, non ho più niente a cui attaccarmi. Ed è proprio questa la cosa che più mi fa imbestialire. Perché tutto deve sempre ruotare attorno a lui?

Ad un tratto, accanto a me, Bruce sbarra gli occhi sconvolto, fissando un punto indefinito nella stanza; il suo braccio si solleva e con un dito indica incerto e tremante l'oggetto del suo turbamento. «Capo...», mugugna incredulo.

Scocciato, volto il capo nella direzione da lui indicata. I miei occhi si spalancano decisamente più dei suoi e per poco non mi strozzo con un pezzo di panino.
Non è possibile!
Quel tavolo che fino a pochi minuti fa era vuoto, ora sta per essere occupato dal suo legittimo proprietario. Una figura bianca e fin troppo familiare avanza incerta verso di esso, zoppicando e trascinandosi con stanchezza. È instabile Near, quasi non si regge in piedi. Una volta raggiunta la propria sedia, si lascia andare su di essa con il suo solito contegno. Chiunque altro, nelle sue condizioni, si sarebbe letteralmente stravaccato. E invece lui no: eccolo lì, una gamba piegata contro il petto e l'altra abbandonata lungo la sedia come sempre.

«Impressionante», commenta Matt con serietà.

«Near...». Il mio è un sussurro talmente basso che nessun altro può averlo udito.

È conciato male, e non sfugge allo sguardo di nessuno. Tutti gli altri ragazzi si voltano e gli rivolgono qualche occhiata sorpresa, sconvolta, confusa. I capelli sono più arruffati del solito, un livido scuro occupa buona parte del suo zigomo sinistro e una piccola crosta di sangue scarlatta spunta all'angolo della sua bocca pallida. È debole, si vede, ma al tempo stesso è forte.
Non molli mai, eh? Maledetto...

«Ma... Ma ci eravamo andati giù pesanti, proprio come ci avevi ordinato!», sbotta sconvolto Bruce, guardandomi intimorito.

Digrigno i denti e la mia mano si stringe a pugno. «Evidentemente non abbastanza, razza di idioti!».

Li vedo ritrarsi spaventati, consapevoli di essere in pericolo. Sono furioso.
Per quanti sforzi io faccia, non riesco mai a... piegarlo. Near non si spezza mai. Anche oggi si è dimostrato indirettamente superiore a me.
Forse, se ci avessi pensato io, ora non sarebbe seduto a quel fottutissimo tavolo.
Il panino stretto nella mia mano destra cade a terra in tanti piccoli pezzi, distrutto dalla mia furia.

«Calmati, Mello», mormora Matt, prendendo un sorso d'acqua dal suo bicchiere. A differenza di me e degli altri, lui sembra così tranquillo...

Lascio cadere a terra ciò che resta del mio pranzo - poco e niente - e rivolgo un'occhiata di fuoco a quel lurido pidocchio. Mi dà le spalle, ma sa che lo sto guardando. Lui sa sempre tutto.
E va bene, Near... Vediamo quanto puoi resistere ancora. Te la sei cercata.









Al termine delle lezioni mattutine, la maggior parte dei ragazzi si riunisce nel grande giardino dell'orfanotrofio e continua la propria giornata come meglio crede: c'è chi gioca a pallone, chi a nascondino, chi si siede sotto un albero a leggere, chi a parlare... L'intera struttura della Wammy's House si svuota del tutto in quelle ore. O quasi.
Io ho sempre preferito chiudermi nella mia stanza o in biblioteca a studiare, o anche soltanto per restare solo. Oggi più che mai è una di quelle giornate in cui il contatto con qualcun altro potrebbe urtarmi a tal punto da diventare violento con chiunque mi capiti a tiro. Meglio isolarmi, come un animale pericoloso chiuso in una gabbia.
Studiare non rientra nelle mie priorità: la mia mente non è sufficientemente libera per permettermi di assimilare qualsiasi cosa. Il pensiero di quel pidocchio è come un chiodo che lentamente viene conficcato a colpi di martello nel mio cervello. Mi impedisce di pensare, di fare qualsiasi altra cosa che non sia angustiarmi per il fatto che ancora cammini sul mio stesso terreno.
È una condanna, la peggiore che potesse capitarmi in sorte.
Il mio fiato caldo lascia un alone sul vetro della finestra da cui stavo scrutando gli altri correre dietro ad un pallone quasi distrutto. Mi allontano, lasciandomi condurre dalle mie stesse gambe senza avere in mente una meta precisa. O forse il mio corpo inconsciamente sa già dove vorrebbe essere, chissà... Infatti non mi meraviglio più di tanto quando mi ritrovo quasi per caso davanti alla porta aperta della Sala Comune. È apparentemente vuota, ma so per certo che se mi avvicinassi ancora un po' alla soglia e guardassi dentro, in un angolino troverei la solita figura bianca che tanto disprezzo: Near trascorre i suoi pomeriggi così, componendo puzzle. Mi chiedo quando trovi il tempo per studiare. È così disumano da non dormire nemmeno? Effettivamente, se ci penso bene, non mi pare di averlo mai visto chiudere gli occhi per più di cinque secondi.
Avanzo ancora un po', mi fermo sulla soglia e estraggo dalla tasca una barretta di cioccolata. Appoggiandomi allo stipite inizio a morderla, guardando non dentro alla stanza, ma un punto fisso sul soffitto. Non ho bisogno di cercarlo con gli occhi, quando posso sentire la sua presenza e il suo respiro quasi inesistente anche a metri di distanza.
Il mio corpo reagisce in modo strano quando è vicino a lui. Lo sente anche se non lo vede.
Vorrei soltanto sapere se anche per lui è lo stesso... Se davvero non proferisce parola perché non si è accorto della mia presenza, o semplicemente perché non gli importa. Ma è improbabile che non mi abbia realmente notato. I miei morsi diventano sempre più rabbiosi, non sentirli è quasi impossibile.

Dopo attimi di interminabile silenzio, sbotto spazientito: «Come diavolo fai a stare ancora in piedi?».

Nessuna risposta, ovviamente.
Tipico.

Finisco la cioccolata, mentre le mani prendono a formicolarmi fastidiosamente. È come se il sangue scorresse improvvisamente più velocemente nelle mie vene. Accartoccio la carta e la lancio via con rabbia. Quando finalmente mi volto verso di lui, lo ritrovo inginocchiato sul suo solito puzzle bianco, la schiena un po' più curva del solito, il volto più emaciato. Con passo spedito mi avvicino, come se volessi saltargli addosso e sfogare la mia rabbia; invece no, mi fermo davanti a lui, i pugni stretti e il volto contratto dall'ira.
Near solleva gli occhi, quei pozzi scuri e vuoti che ogni volta mi fanno rabbrividire. Non che abbia avuto l''onore' di osservarli così spesso: è raro che mi guardi così apertamente.
Mi scruta, aspetta. Che diavolo vuoi, Near?!

«Vuoi finire il lavoro?», mi chiede quasi con indifferenza, come se mi stesse chiedendo di passargli un pezzo di pane.

Le mie mani si stringono ancora di più a pugno. «Mi stai forse chiedendo di farlo?».

«No. Mi chiedevo solo per quale motivo fossi venuto qui».

Il suo dannato volto, così apatico, tranquillo, il suo tono di voce...

«'Fanculo, Near!». È un ringhio che mi esce dalla gola quasi strozzato, mentre le mie mani si chiudono attorno al suo collo e lo sollevano con una forza insolita. Non che pesasse più di tanto comunque...

Le sue dita lasciano andare le tessere del puzzle, ma la sua espressione non cambia. Perché non ha paura? Perché, qualsiasi cosa io faccia, non dimostra una fottutissima emozione, qualunque essa sia? Potrei aprirgli il petto seduta stante e far schizzare il sangue su tutti i muri, ma lui non batterebbe ciglio comunque!
Mi fa... imbestialire.

«Vorrei ammazzarti... Io non so se esiste un limite all'odio, ma se dovessi esprimere quello che provo io nei tuoi confronti, credo che non ne sarei capace!», gli urlo in faccia, mentre sento le mie guance andare in fiamme.

Forse la mia stretta attorno al suo collo così delicato al tatto si intensifica troppo, fatto sta che le sue piccole mani si posano sulle mie senza opporre resistenza. Ma stanno lì, congelandomele con quel leggero tocco. Non è un contatto voluto, nemmeno sentito, ma c'è.

«Se mi odi così tanto... perché non riesci a starmi lontano?».

È come un fulmine, come una scarica elettrica che parte dalle mie mani e mi invade tutto il corpo. Mi schianta, mi annienta. Non posso più reggere il contatto con lui: lo lascio andare, come se mi fossi appena reso conto di aver toccato la Morte. Lo osservo accasciarsi a terra, i miei occhi sbarrati, vuoti, congelati.
Che... Che diavolo ha detto?
Non sento più le forze, nemmeno l'equilibrio necessario per reggermi in piedi.
Io... dipendente... da... lui.
No. Mai.

Near rialza il volto e mi osserva quasi con una punta di curiosità. «Come puoi inseguire qualcosa che odi?».

È morto.
Una furia assassina mi invade dalla punta dei capelli a quella dei piedi e mi induce a mandare all'aria il suo puzzle e ad afferrarlo per un braccio con violenza, tirandolo di nuovo in piedi, verso di me. Lo voglio uccidere, ma so che non posso farlo... Non lì almeno.
Comincio quasi a correre, non mollandolo mai, costringendolo a star al mio passo e a seguirmi per tutti i corridoi, per tutte le scale, strisciando quasi, urtando ovunque. Non gli do pace finché non arriviamo alla porta che dà sul giardino; a quel punto lo afferro per il colletto della camicia e immergo i miei occhi nei suoi.

«Questa volta, Near, se non sarà qualcun altro a fermarmi, io non lo farò».

Lo getto oltre la soglia, giù per la breve scalinata. Lo vedo rotolare finché non raggiunge l'erba verde e baciata dal sole.
Gli altri ragazzi interrompono subito le loro attività, accorrono per vedere, rimangono pietrificati. Altre volte avevano assistito alle torture inferte a Near da parte dei miei 'scagnozzi', ma mai prima d'ora avevano visto me massacrarlo di botte.
Dovevo punirlo. Dovevo fargliela pagare per quello che aveva osato insinuare.
Scendo la scalinata, lo raggiungo e lo sollevo a forza. La ferita sul suo labbro si è riaperta, sanguina, i vestiti bianchi sono sporchi di terra, d'erba, di sangue... Ma la sua faccia - quella dannatissima faccia d'angelo - non esprime alcuna sofferenza. Forse un po' la sua bocca, piegata in una piccola smorfia.
Stai soffrendo, Near? Ti fa male?
Lo spingo di nuovo a terra, gli mollo un calcio.

«Mello!». Sento la voce di Matt, vedo arrivare Bruce e gli altri e improvvisamente comincio a vedere tutto rosso.

Sto impazzendo.
C'è chi mi incita a continuare, chi osserva paralizzato, chi - come Matt - mi intima di fermarmi. Avverto le sue braccia attorno al mio corpo, nel tentativo di placarmi. Ma non ho pace, o almeno non ne avrò finché non vedrò quel pidocchio frantumato in mille pezzi. Mi libero bruscamente dalla sua presa, mi avvento ancora e ancora su Near. Lui non fa altro che chiudersi a riccio, portandosi le mani alla testa in un misero tentativo di difesa, ma non urla, non geme, non implora pietà.
Perché non lo fa?!

«Basta, Mello! Così è troppo!».

«Con lui non è mai troppo», sibilo fuori di me.

Non riesco a fermarmi, non ci riuscirei nemmeno se lo volessi veramente. Near si è spinto troppo oltre questa volta, ha liberato la bestia che è in me.
Sollevo in aria il pugno chiuso, pronto a colpirlo ancora una volta, ma inaspettatamente lui allontana una mano dalla sua testa e la posa sul mio petto in un tocco leggero, debole.
Mi blocco.
Perché? Che cosa significa?
Si scopre il volto scorticato, pieno di lividi, e mi guarda con gli occhi socchiusi. Non ha forze, non ce la fa più. È quasi... più morto del solito. Ma ha ancora la forza per allungare quella mano e toccarmi. Non mi sta chiedendo di fermarmi, no. Prova pietà per me forse. Forse...
Avvolto in quella bolla isolata da tutti gli altri, la risata inconfondibile di Bruce mi giunge quasi lontana. I miei occhi sono ancora incatenati a quelli di Near, non riesco a non guardarlo. E non riesco nemmeno a sferrargli quel pugno che a poco a poco si sta abbassando da solo.

«Ti aiuto io, capo!».

Una secchiata d'acqua gelida investe Near e alcuni schizzi si infrangono anche sul mio viso. Non realizzo subito. Vedo solo gli occhi di Near chiudersi lentamente e il suo corpo rilassarsi sul terreno. La bolla si infrange.
Rialzo lo sguardo e ritrovo Bruce in piedi al mio fianco, un secchio gocciolante in mano e un sorriso idiota stampato su quella sua faccia grassa e orrenda. Il silenzio cala, pesante, fastidioso. Torno a guardare Near inerme e fradicio, gli occhi chiusi. Privo di sensi.

«Chi diavolo ti ha chiesto di intervenire, razza di idiota?», sibilo irritato.

Il sorriso sul viso di Bruce scompare, e il suo corpo indietreggia un poco, tremando.

«Questa era una questione tra me e lui».

«C-Capo... Volevo solo-».

«Sparisci!».

Lascia cadere il secchio a terra e si allontana con la coda tra le gambe. Inutile montagna di lardo...
Il mio sguardo incrocia per caso quello di Matt, davanti a me. Sembra deluso. È come se mi stesse dicendo: "Questa volta hai esagerato, Mello".

«Fate largo!».

Improvvisamente la massa di ragazzi comincia a disperdersi un po', in modo da permettere a Roger di passare tra loro e di raggiungerci. Qualcuno deve averlo chiamato, o forse ha notato o sentito qualcosa dall'interno dell'orfanotrofio.
Quando i suoi occhi si ritrovano a guardare quel corpo bianco immobile a terra, il suo viso diventa improvvisamente pallido. Si piega su di lui, allunga una mano e accarezza i capelli fradici.

«Near...», mormora con un sospiro.

Alza lo sguardo, guardandomi con tristezza e delusione. È un contatto che dura soltanto un istante, ma è abbastanza per svuotarmi di qualsiasi cosa.
Roger raccoglie Near e lo solleva con le sue vecchie e gracili braccia. Non deve pesare molto, ma gli risulta comunque faticoso. Fa per voltarmi le spalle e andarsene, probabilmente verso l'infermeria, ma non senza prima avermi lanciato un'altra occhiata.

«Da te non me lo sarei mai aspettato, Mello. Pensavo fossi migliore di così». Il tono della sua voce è pacato, ma capace di perforarmi il corpo come tante piccole lame.

Mi sono davvero spinto così oltre questa volta?

«Stasera ti voglio nel mio ufficio».









Non ho mai temuto le autorità, men che meno Roger. Non è certamente la persona più temibile che abbia mai conosciuto, anzi; a volte fatica persino a fingere di essere il capo all'interno di questa struttura. Però sa farmi sentire in colpa anche quando non dovrei. Ha uno strano potere, quello di ammonire semplicemente con lo sguardo. Mi trasmette persino un senso di inquietudine a volte... Forse è per questo che lo rispetto così tanto.
Mentre spalanco lentamente la porta del suo ufficio, sento le sue dita battere sulla tastiera di un computer e ciò mi mette addosso ancora più ansia. Sicuramente Roger ha intenzione di punirmi in qualche modo; non che l'idea di essere punito mi spaventi, ma a volte le sue decisioni non sono poi così... piacevoli. Specialmente per me.

«Vieni pure avanti, Mello».

Entro e richiudo la porta alle mie spalle. Estraggo dalla tasca dei pantaloni la terza confezione di cioccolata del giorno e l'addento nervoso. Roger alza lo sguardo e si aggiusta gli occhiali sul naso.
Iniziamo pure.

«Mello... non ti chiederò di darmi una spiegazione per quel che è successo oggi, perché so già da tempo che fra te e Near non c'è mai stato... rispetto? O almeno da parte tua...».

Sbuffo una risatina, riavvolgendo la cioccolata nella carta stagnola e rimettendola in tasca.

«Però il tuo gesto non è comunque giustificabile».

«Mi ha provocato».

Lo vedo inarcare leggermente un sopracciglio. «Near?».

Probabilmente non mi crede e mai lo farà. In fondo è difficile pensare che Near, per com'è fatto, possa anche solo pensare di 'provocare' apertamente qualcuno. Ma per me la sua insinuazione è stata peggio di una provocazione. Ha praticamente affermato che io sono dipendente da lui. Mai offesa più grande mi è stata fatta.
Ovviamente non lo dirò a Roger. Sarebbe un'ulteriore umiliazione.

Dopo pochi istanti di silenzio, lo sento sospirare sconsolato. «Gli hai incrinato due costole, Mello. Per non parlare del resto...».

Deglutisco nervosamente. Per quanto possa farmi piacere sapere che ora Near prova un qualche tipo di dolore, seppure fisico, questa volta mi sono messo veramente nella merda. Le conseguenze non saranno piacevoli.
Forse Roger si aspetta delle scuse, ma non ho intenzione di piegarmi a tale bassezza. Quindi lascio che il silenzio cali ancora fra noi, finché lui non si decide a parlare di nuovo.

«Potevo sopportare la vostra rivalità quando si trattava soltanto di decidere chi fosse lo studente migliore fra voi due, ma questo è troppo, Mello. Non hai idea di che cosa significhi la parola 'rispetto'».

«Nemmeno lui lo sa!», sbotto furioso.

Se me la prendo tanto con lui, un motivo c'è: quel pidocchio in un modo o nell'altro riesce sempre a farmi perdere le staffe. Se le cerca!

Roger mi scruta per qualche istante, il volto impassibile. Poi finalmente introduce la sua decisione. «Allora forse è arrivato il momento che entrambi lo impariate».

«Che vuoi dire?».

Un brivido mi attraversa la schiena. Sento che non mi piacerà affatto.

«Near avrà bisogno di essere seguito da qualcuno durante la sua guarigione, di essere aiutato. Ovviamente non potrà fare più di tanto per il momento... Voglio che tu, da domani, passi la maggior parte del tuo tempo con lui, momenti di studio compresi, e che ti prenda cura delle ferite che tu stesso gli hai procurato finché non sarà di nuovo autosufficiente».

Spalanco gli occhi, sconvolto. Non può farmi questo. «No, Roger-».

«Gli unici momenti in cui potrai separarti da lui saranno quelli dedicati al riposo, al pranzo e alla cena e all'igiene personale. I tuoi 'amici' non potranno avvicinarsi a Near, mai, a meno che non siano ben intenzionati ovviamente. Dovrai imparare a convivere e a condividere con lui. Ogni sera controllerò che tutto stia procedendo come mi aspetto che proceda, e se dovessi accorgermi che qualcosa di ciò che ti ho appena detto non viene rispettata... L sarà per te soltanto un lontano ricordo».

Il mio castello di certezze e sicurezze crolla in un batter d'occhio. Non ho via di fuga, sono in trappola. Roger sa perfettamente dove andare a parare per convincermi a fare come vuole lui... Non può privarmi di un sogno che sto rincorrendo da tutta una vita. E non può nemmeno costringermi a passare tutte le mie giornate con una persona che vorrei morta. Non può! Ma come faccio ad oppormi quando in gioco c'è così tanto?
La mia mano si stringe a pugno, fino a conficcarmi le unghie nella carne.
Maledizione!

«Qualcosa da obbiettare, Mello?».

Vorrei esplodere, buttare tutto all'aria, arrabbiarmi... Ma non posso.
Scuoto soltanto la testa, incapace di proferire parola.

Roger annuisce soddisfatto e socchiude gli occhi. «Bene. Puoi andare».

































NdA: Dunque... Che dire? Mi vergogno di aver fatto passare così tanto tempo - un anno e mezzo?! - prima di aggiornare questa fanfiction. Non ho scuse. È stato un lungo periodo in cui un po' di cose sono cambiate, io in primis, e purtroppo la mia ispirazione per qualsiasi cosa è scomparsa. Sarò sincera: mi ero un po' persa. Ho abbandonato tutto ciò che avevo iniziato, non sono più riuscita a concludere un bel niente... Nell'ultimo periodo, però, mi sono un po' ritrovata e la mia voglia di scrivere è tornata finalmente. Ho in mente così tante cose... Mi sembrava giusto ripartire con questa fanfiction, che cercherò d'ora in poi di aggiornare in tempi brevi. Non succederà una seconda volta che passi così tanto tempo tra un capitolo e l'altro. E poi con il prossimo inizierà la parte che più preferisco.
Spero che avrete ancora voglia di seguire questa storia e che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
A presto - stavolta sul serio però ;) - !

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Disease ***


Capitolo 2
- Fear -










«E così il vecchio ti ha incastrato, eh?» Matt ridacchia divertito, prendendo un ultimo tiro dall'ottava sigaretta della giornata. Sono solo le sette del mattino e già un pacchetto è andato. I suoi poveri polmoni un giorno o l'altro gli chiederanno pietà... «Sei fregato, amico mio.»

«Quel...» Distruggo la barretta di cioccolato che tengo fra le mani e digrigno i denti. «Quel pidocchio...»

Roger ha scelto alla perfezione la mia punizione. Non avrei potuto chiedere di peggio. Io e Near a stretto contatto per un'intera giornata, io a fargli da balia, io a studiare e a curarlo, io al suo servizio... Impossibile. Questo deve essere un incubo o direttamente l'Inferno in terra.

«Io rischio di ammazzarlo, Matt», mormoro scuotendo la testa e fissando un punto indistinto fra l'erba. «Hai visto fino a che punto mi sono spinto ieri... Se voglio posso arrivare ad ammazzarlo.»

Il giardino della Wammy's House è deserto, soltanto io e Matt occupiamo uno dei gradini vicino all'entrata principale. Le lezioni inizieranno tra breve, ma non so quanto sia in vena di frequentarle oggi. Potrei entrare in classe, prendere un banco e scaraventarlo contro una finestra in preda ad un raptus, se non riesco a calmarmi entro il suono della campana. Il fatto è che non riesco ad accettare questa punizione. Non esiste. Non posso entrare nella stanza di Near e non mettergli le mani addosso. Va contro la mia natura.
Inoltre ho già trasgredito alle regole imposte da Roger: prima delle lezioni sarei dovuto passare da quel pidocchio per accertarmi del suo stato. In poche parole, ora dovrei essere da lui. Ma non ho intenzione di andarci. Non adesso.

«Non fare stronzate, Mello», sospira Matt, gettando il mozzicone di sigaretta sull'erba e fissandomi con serietà. «Cerca di non commettere azioni di cui potresti pentirti.»

«Far soffrire quell'ameba inutile potrebbe solo darmi tanta gioia.» Ricambio il suo sguardo e un sorriso malizioso si dipinge sul mio viso. «Però saprò controllarmi, non temere. O almeno tenterò.»

Lo vedo scrutarmi per un istante, in cerca di qualcosa di cui persino io sono all'oscuro, poi alzarsi e pulirsi il fondoschiena con le mani. Il suo sguardo si perde lontano, rifiuta di incrociare ancora una volta il mio.

«Sarò sincero, Mello...»

Alzo la testa, aspetto, ma lui non continua subito. È come se stesse cercando le parole giuste, quelle che non faranno esplodere la bomba già attivata.

«Ho paura», conclude alla fine. «Ho paura di quello di cui potresti essere capace.»

Continuo a fissarlo, ma non proferisco parola.

«Non provo simpatia per Near, sia chiaro... Ma non vorrei comunque svegliarmi un giorno e venire a sapere che ti sei trasformato in un assassino. Forse sto esagerando... Ma certe volte vedo una strana luce nei tuoi occhi, specialmente quando si tratta di lui. Non la riesco ad interpretare... e mi spaventa.»

Non saprei nemmeno cosa rispondergli. Forse anch'io mi faccio paura certe volte. Non comprendo i miei sentimenti verso Near, non so cosa mi spinga ad odiarlo così intensamente e totalmente... E non so fin dove potrei spingermi.
Questa situazione, in realtà, mi terrorizza a morte.









Come avevo in sostanza già deciso, alla fine non mi sono presentato a lezione. Ho vagato per buona parte della mattinata per i corridoi della Wammy's House, evitando accuratamente quello in cui si trova la stanza del pidocchio. Ho bisogno di stare da solo, di cercare di mettere a tacere la bestia dentro di me che potrebbe indurmi ad atti avventati. Forse Matt ha ragione... In questo momento sono pericoloso.
La verità è che non sono pronto per trovarmi faccia a faccia con Near, solo io e lui, in una situazione completamente diversa dal solito. Se oggi fosse stato un giorno come un altro, in questo momento lo starei cercando, quel pidocchio, per dargli una lezione; invece mi ritrovo ad evitarlo come la peste.
Perché mi sono dovuto cacciare da solo in questa situazione? No, un momento... Non sono stato io. Near mi ha provocato! Quel gran...
Un rumore improvviso interrompe il flusso dei miei pensieri e in un batter d'occhio mi rendo conto di dove mi trovo: nel corridoio in cui si trova la stanza di Near. Rimango impietrito. Fino a questo momento sono riuscito a stargli alla larga, ma ora improvvisamente mi ritrovo qui. Le mie gambe, proprio quando la mia testa ha cominciato a fare pensieri cattivi su di lui, mi ci hanno portato. Il mio corpo reagisce male, non riesco a controllarlo ormai.
Sto impazzendo. Lui mi fa impazzire.
Lancio uno sguardo in fondo al corridoio: una ragazza, probabilmente una di quelle che si occupa di servire i pasti a Near, sta sistemando su un carrellino una ciotola fumante e delle posate; ma improvvisamente si blocca, forse accorgendosi della mancanza di qualcosa. Fatto sta che la vedo allontanarsi di corsa. Quando la vedo scomparire dietro l'angolo, decido di avvicinarmi a quel carrello. Il pranzo di Near: zuppa.
La porta della stanza è chiusa e dall'interno non proviene alcun rumore. Nulla di strano comunque, mi sarei stupito del contrario piuttosto. Sto per andarmene quando improvvisamente qualcosa sul carrello colpisce la mia attenzione.
No... No, Mello. Vattene da qui subito.
Guardo ancora quel fottutissimo barattolino e rileggo più volte la scritta 'sale' che vi è sopra. Fisso la porta chiusa, poi il corridoio vuoto, poi la zuppa, poi il barattolo, poi di nuovo la zuppa...
No!
La voce di Matt mi risuona ancora nelle orecchie, dicendomi di non fare cazzate. Però... Un po' di sale non lo ucciderà, giusto? Gli ho fatto di peggio.
Afferro con decisione il barattolo, lo apro e lo verso quasi completamente nella ciotola con la zuppa.
Ghigno e mi allontano di corsa. «Buon appetito, pidocchio.»









«Capo, questa è un'occasione più unica che rara! Vero che gli darai del filo da torcere? Vero?»

La mensa è così rumorosa, così affollata... Il mio umore è nero, e non so precisamente perché ho deciso di pranzare oggi. Avrei preferito la tranquillità a questo fracasso e a questo branco di facce di merda. Specialmente quelle del mio piccolo e ridicolo gruppo - che io non ho mai voluto avere, per la precisione! -. Come se non bastasse, quel pezzente di Bruce continua a tartassarmi di domande sulla mia punizione. La cosa sembra divertirlo parecchio, tanto da riempirmi di gomitate nei fianchi, in cerca di complicità. Beh... a me non diverte per niente.

Improvvisamente la mia mano afferra un coltello dal tavolo, puntandolo direttamente verso la faccia di quel grassone sudaticcio. «Dammi ancora una gomitata e questo coltello finirà dritto in mezzo ai tuoi occhi», sibilo con i denti di fuori.

Lo vedo tremare e alzare le mani in aria in segno di resa. «Scusami, capo, scusami!»

Ridicolo lardone...

Lascio andare il coltello e torno a fissare senza appetito la mia ciotola di zuppa fumante. La stessa zuppa che è stata servita a Near. Forse adesso capisco perché non ho tanta fame...

«Che hai?»

Strabuzzo gli occhi, preso contropiede dall'improvvisa domanda di Matt. Lo fisso confuso.

«Stai sorridendo in modo strano», precisa lui con un'espressione fin troppo seria.

Non me ne ero accorto... Ma so una cosa per certo: comincio ad averne abbastanza di questo comportamento inquisitorio di Matt. Mi controlla forse? Non ho più la libertà di fare quello che mi pare quando mi pare?

«Piantala di farmi la paternale!», sibilo stringendo gli occhi e alzandomi dalla sedia.

Non ne posso più. Voglio andarmene da qui. Ne ho abbastanza di tutti!

«Ah, Mello!» Una mano si chiude sulla mia spalla e in un batter d'occhio mi ritrovo a fissare lo sguardo severo di Roger.

Perfetto...
Gli altri si voltano a fissarci, curiosi di sentire ciò che ha da dirmi. Qui nessuno si fa mai gli affari suoi. Oppure sono io ad aver a che fare con una banda di completi idioti.

«Oggi non ti ho visto a lezione... Immagino fossi con Near.»

Il suo sguardo perforante sembra voler scavare attraverso i miei occhi per leggere la verità. So che sa che non ci sono andato. Forse ha controllato di persona, forse ha direttamente parlato con Near... Ma lo sa. Mi sta solo mettendo sotto pressione. Vuole farmi capire cosa c'è in gioco: l'obbiettivo della mia vita, L.
Mentirò.

«Certo», mormoro con tono inespressivo, sostenendo il suo sguardo.

Continua a scrutarmi, lo fa ancora per un po'; poi scuote impercettibilmente il capo, lancia uno sguardo al nostro tavolo e se ne va senza proferire alcuna parola. Io resto impietrito sul posto, fissando le sue vecchie spalle allontanarsi.
Sto sbagliando tutto... vero?
Una sedia si sposta, una mano si appoggia ancora sulla mia spalla. Matt.

«Passa da lui. Non hai altra scelta, Mello», mi sussurra piano.

No. Non ne ho.









Alla fine sono veramente qui, davanti alla sua fottutissima porta chiusa. Il respiro è diventato improvvisamente affannoso e mi tremano le mani, mi formicolano. Sento il viso in fiamme, il corpo scosso dai brividi.
Sto male. Lui mi fa stare male.
Perché devo farlo, perché? Non lo voglio vicino, non lo voglio! Potrei aprire questa porta e non essere più padrone delle mie azioni. Potrei fargli male... molto male.
Appoggio una mano sulla maniglia e trattengo il fiato. Non sono sicuro di essere pronto. Anzi, non lo sono e basta. Che cosa farò una volta entrato? Che cosa dirò? Un flusso di domande mi invade la mente, quasi non riesco più a sentire i miei stessi pensieri da quanto gridano forte. E si sovrappongono, mentre la mia mano abbassa la maniglia e la porta si apre lentamente, quasi a rallentatore.
Trattengo il respiro.
Mello, non fare cazzate. Qualunque cosa dica, qualunque cosa faccia... non fare cazzate.
Chiudo gli occhi, stringo le palpebre. La porta si apre. Apro gli occhi.
Vuota. La stanza è... vuota.
Non so come, ma riprendo a respirare, lascio andare un gemito.
Lui non c'è.
Roger mi ha voluto fare uno scherzo? Ha forse voluto mettere alla prova la mia resistenza, i miei nervi? Perché questo gioco non mi piace, non mi piace per niente.
«N-Near...?» Quasi non riconosco più la mia voce quando questa esce soffocata dalla mia bocca.
Nessuna risposta. Nessun rumore.
Senza pensarci un secondo di più, indietreggio, volto le spalle alla stanza e faccio per andarmene di corsa. Voglio fuggire. Ma ecco che un suono strano arriva alle mie orecchie, una specie di tonfo. Mi blocco sul posto. Che diavolo è stato?

«C'è nessuno?», domando incerto, tornando a fissare l'interno della stanza.

Il letto disfatto è vuoto, le coperte toccano il pavimento da un lato. Avanzo lentamente, entro dentro. Sulla sinistra c'è il piccolo bagno che ogni bambino della Wammy's House possiede nella propria stanza e la porta è aperta. Sento un fruscio, un suono che assomiglia tanto a una persona che striscia per terra, poi degli strani gemiti. Non faccio in tempo ad avvicinarmi all'entrata che subito una visione sconvolgente mi pietrifica sul posto.
La sensazione che provo ora... credo di non averla mai provata in tutta la mia vita. Le voci nella mia testa riprendono a gridare e a sovrapporsi, insieme a una marea di immagini indistinte. Sento Matt, mentre mi prega di non fare niente di cui potrei pentirmi. Sento me stesso, mentre rido sguaiatamente davanti alla visione celestiale di Near a terra mentre viene pestato dagli altri. Sento Roger, mentre mi ripete di prendermi cura di Near, mentre mi parla di L. Sento i miei pensieri confusi... Qualcuno mi dice di fare qualcosa, qualcun altro di godermi lo spettacolo che ho davanti: Near, a terra, in preda ai conati di vomito, il viso tendente ad un colorito rosso fuoco. Sta tossendo, mentre il suo corpo viene scosso dagli spasmi. È a pancia in alto, ma non dà segno di volersi spostare da quella posizione.
Si sta soffocando.
Non so che espressione abbia ora la mia faccia, non sento altri suoni se non quelli emessi da Near e quelli nella mia testa. Cosa devo fare? Cosa?
È la scena che ho sempre sognato di vedere: Near a terra, sofferente, sul punto di lasciare questo mondo, e io in piedi sopra di lui, a ridere a squarciagola. È ciò che ho sempre desiderato, ma...
Ma.

«Girati...». La mia voce esce da sola, soffocata, stridula. È più un gemito.

Near continua a tossire e ad emettere suoni spaventosi dalla bocca, in preda all'agonia. Ma non fa niente. Perché non fa niente? Non ha mai vomitato in vita sua?

«Girati», ripeto forse con più decisione.

Non so perché non muovo un passo per far qualcosa. Non ci riesco. Non lo voglio... toccare. Ma lui non ascolta, forse non mi sente nemmeno. No, un momento... forse non vuole sentirmi. Non mi sta ascoltando come al solito!

«Idiota...» Iniziano a tremarmi le mani e la mia espressione si tramuta in una maschera di rabbia. «Ti ho detto di girarti!»

Il mio corpo si muove da solo, scatta in avanti. Lo afferro per una spalla e con violenza lo obbligo a girarsi su un fianco. Lui finalmente riesce a rigettare ciò che lo stava strozzando sul pavimento. Il mio respiro è accelerato, ma la mia mano non vuole staccarsi dalla sua spalla: la tiene stretta, bloccandolo in quella posizione. L'odore che mi pervade mi fa girare la testa e i suoni che sento mi impressionano, forse troppo.
Che schifo...
Quando finalmente sembra essersi calmato, con la stessa violenta con cui l'ho girato sul fianco lo induco a rimettersi a pancia in alto.

«Sei così idiota da riuscire a soffocarti con il tuo stesso vomito?!», gli grido in faccia allucinato.

Lo vedo aprire gli occhi lentamente, mentre il suo viso assume un colorito verdastro e il suo petto continua ad alzarsi e ad abbassarsi con foga. Quei pozzi febbricitanti mi scrutano, ma non mostrano alcuna emozione. Anche in situazioni come queste, Near riesce ad essere di ghiaccio.
Improvvisamente mi rendo conto di avere ancora la mia mano stretta attorno alla sua spalla. Una scarica elettrica risale lungo il mio braccio, arrivando alle spalle e alla schiena.
Lo. sto. toccando.
Lascio andare la presa e mi rialzo di scatto, quasi come se qualcuno mi avesse dato una spinta violenta. Lui non smette di fissarmi intensamente e io non riesco a staccare gli occhi dai suoi.
Poi un suono di passi frettolosi raggiunge le mie orecchie e mi obbliga a voltarmi verso l'entrata della stanza. Roger entra con gli occhi sbarrati, il fiato grosso, e si ferma proprio vicino a me.

«Che sta succedendo?», mi chiede in un soffio. I suoi occhi si posano su Near e lo vedo diventare pallido. «Near! Che cos'hai? Non stai bene?»

Si fionda su di lui e con delicatezza lo tira su da sotto le ascelle, mettendoselo poi sottobraccio e trascinandolo lentamente verso il bagno. Near sembra un lenzuolo bianco, privo di peso, così debole e... piccolo. Anche Roger sembra aver paura di toccarlo e di fargli male quando apre il rubinetto del lavandino e comincia a pulirgli il viso. Solo allora, quando lo volta verso di me e fa per trascinarlo lungo la stanza fino al letto, noto veramente i segni che io stesso gli ho lasciato: il labbro inferiore è rotto e due lividi violacei occupano il lato della bocca e la parte sotto l'occhio destro; sotto la camicia da notte bianca intravedo una fasciatura che gli avvolge tutto lo stomaco e probabilmente anche il petto. Non sembra capace di reggersi in piedi da solo.

«Mal di stomaco», esordisce con voce roca quando Roger lo mette a letto, sistemandogli il cuscino dietro la schiena.

«Come?», gli domanda lui confuso. «Mal di stomaco? Cos'hai mangiato che ti ha fatto star male?»

Mi si chiude improvvisamente la gola, la mandibola si contrae e finalmente capisco: la zuppa. Sono stato... io.

«La mia zuppa oggi era troppo salata... Anzi, in realtà sapeva solo di sale.» Mentre parla, Near non mostra alcun risentimento o fastidio. Racconta semplicemente i fatti con tranquillità, con la sua solita pacatezza. E mi fissa.

Sospetta forse qualcosa? Perché mi guarda così intensamente?

«Ma perché l'hai mangiata se era troppo salata? E poi... com'è possibile? Mi sono raccomandato in cucina di prestare attenzione al tuo pranzo e la zuppa che è stata servita alla mensa non aveva nulla che non andava!». Roger sembra capire sempre meno.

«Non volevo che andasse sprecata. Ormai era stata preparata.»

Non ho mai sentito nulla di più assurdo. Che razza di idiota! Io credevo che avrebbe digiunato, piuttosto che mangiarsi quella schifezza! Non può esserne normale.

«In ogni caso non capisco ancora come possa essere successo.» Roger si volta improvvisamente verso di me, fissandomi con sospetto. È come se avesse il radar per le mie malefatte. «Mello...», comincia lentamente. «...sei stato-»

«È colpa mia.» La voce di Near mi blocca il respiro.

C-Cosa?
Roger torna a fissarlo con gli occhi sbarrati, chiedendo spiegazioni.

Near abbassa lo sguardo, portando una mano ai capelli e iniziando a giocherellare con una ciocca bianca. «Ho aggiunto io troppo sale.» Non si dilunga in altre spiegazioni, dice solo questo.

Io mi rendo conto di star tremando. Non so perché, non so come...
Non ha detto nulla. Ha mentito, piuttosto. Eppure so che lui non ha alcun dubbio riguardo a chi sia stato a salare quella zuppa. Lo so. Poteva dirlo e mettermi nei guai... ma non l'ha fatto.
Improvvisamente lo vedo rialzare gli occhi e puntarli nei miei. Mi sento sopraffatto, sconvolto. Nessuno riesce a farmi tremare con uno sguardo come riesce lui. Nessuno. E non so... il perché.
Perché... Near?
Roger si schiarisce la voce, quasi come se potesse percepire la strana carica che si è instaurata fra noi e non sapesse come mettersi in mezzo. Qual è il suo ruolo in questa stanza, esattamente? Perché al momento riesco a percepire solo Near. Non c'è nient'altro attorno a noi.

«Beh... ehm... Bene. Devo chiamare... qualcuno che pulisca il pavimento.» Continua a fissarci, sentendosi a disagio. Io so solo che non riesco a staccare gli occhi da Near. «Mello, tu puoi andare a dormire. Qui ci penso io per oggi, ok? Domani mattina però voglio che passi a controllarlo.»

Near distoglie di nuovo lo sguardo. Io sbatto le palpebre confuso, finalmente libero da quello strano incantesimo che mi impediva di guardare qualsiasi altra cosa in questa stanza. Fisso Roger deglutendo e annuisco insicuro. Lui mi fa un cenno di approvazione e io sento il mio corpo muoversi quasi da solo verso la porta.
La mia testa è un casino. Quello che sento è un casino. Non capisco... Sono confuso... Non so cosa stia succedendo dentro di me, che cosa sia questa sensazione... Mi sento solo privo di forze.
Near mi ha strappato ogni energia.









Le 6:00 del mattino. Di solito sono abituato ad alzarmi presto, ma non dopo aver passato una notte in bianco. Non ricordo esattamente di essermi appisolato ad un certo punto, ma so che tutto ciò che vorrei fare in questo momento è staccare a morsi il braccio che mi sta scrollando come se l'intero orfanotrofio stesse andando a fuoco.
Perché, Roger? Perché mi odi così tanto?

«Mello, c'è bisogno di te!», continua a sbraitare come un ossesso. «Near ha la febbre alta!»

Ancora. Ancora quel fottutissimo pidocchio.
Non solo non ho dormito a causa sua - per qualche motivo non voleva andarsene dalla mia testa, quel bastardo -, ma ora riesce anche a rovinarmi la mattinata! Non c'è altra soluzione: devo ammazzarlo.

«Devi andare da lui, Mello!»

«Neanche pagato. È troppo presto, Roger. Lasciami dor-»

Non so se recentemente Roger abbia iniziato ad andare in palestra né cosa diavolo mangi la mattina al posto dei cereali, fatto sta che non ho mai visto una persona della sua età riuscire a sollevare completamente qualcun altro semplicemente tirandolo per un braccio. E nessuno, nemmeno Matt, riesce a farmi alzare in piedi in quel modo con tanta facilità.

«Andiamo!», esclama il vecchio, prima di iniziare a tirarmi per lo stesso braccio fuori dalla mia stanza e poi per tutto il corridoio.

Giuro che se fosse stato un altro, a quest'ora l'avrei già ridotto con la faccia spalmata contro il muro. Ma non ho altra scelta, no? In fondo è colpa mia se mi ritrovo a correre mezzo nudo in giro per la Wammy's House a quest'ora del mattino, per soccorrere la persona che più detesto al mondo. È colpa mia se quel pidocchio maledetto è nato apposta per rovinarmi l'esistenza ogni santo giorno.
'Fanculo.









Da venti minuti siamo entrati in questa fottutissima stanza che profuma fastidiosamente di pulito e da venti minuti Roger continua a caricarmi di raccomandazioni su raccomandazioni, di orari da rispettare per medicinali e quant'altro, di nomi e cognomi di persone che ho già dimenticato e che dovrei chiamare nel caso la situazione dovesse peggiorare...
Nel mentre Near se ne sta sdraiato sul suo letto, coperto fin sotto al mento, gli occhi chiusi e il respiro apparentemente inesistente.
Più morto che mai.
Ma cerco di guardarlo il meno possibile: non è una vista che mi mette di buon umore, il che è strano, perché vederlo soffrire, nella mia testa, mi ha sempre provocato una gioia e una goduria immensa; evidentemente il piacere non è lo stesso se provocato da fattori esterni o da qualcuno che non sono io.
Peccato.

«Hai capito, Mello?», conclude finalmente Roger, dopo essersi dilungato in un discorso che non ho ascoltato nemmeno per metà.

Mi limito a sbuffare seccato. Voglio che se ne vada. La mia giornata è già stata rovinata abbastanza. Ma lui non sembra concordare con me, infatti non perde l'occasione per ricordarmi quanto io sia nella merda.

«Non scherzare, ragazzo. Ricordati che cosa c'è in ballo.» E con uno sguardo a metà tra il truce e il rassegnato, abbandona finalmente questa stanza.

'Fanculo, Roger... So benissimo che cosa mi sto giocando. E so benissimo che dal momento in cui mi volterò e guarderò quel pidocchio orrendo nascosto sotto quintali di coperte dovrò trattenere l'istinto omicida che mi accompagnerà per tutta la giornata. Ma prima o poi devo farlo, no? Prolungare l'agonia non ha senso, quindi mi volto. Mi volto e lo vedo lì, immobile e quasi imbalsamato nel suo rifugio di coperte bianche, esattamente come lui.
Non è la prima volta che entro nella stanza di un malato: solitamente uno strano tanfo invade ogni angolo più remoto, come se la malattia avesse un odore, un odore acre che ti entra nelle narici e che ti si attacca ai vestiti. Questa stanza invece profuma. Profuma di qualcosa che non credo di aver mai sentito da nessun'altra parte e non so cosa sia. Anzi, forse lo so, ma non voglio ammetterlo, perché sarebbe come confessare che quell'odore, quel dannatissimo profumo delicato e leggermente dolce, mi piace.
E mi piace tanto.
Mi avvicino al letto, scorgendo qualcosa di più di qualche ciuffo di capelli bianchi. Credevo che non stesse respirando, da lontano sembrava così, e invece lo sta facendo eccome: è un respiro pesante, irregolare, spezzato. Le guance solitamente pallide ora sono di un colore rosso intenso, nemmeno roseo, e la sua fronte è completamente imperlata di sudore, i capelli umidi gli coprono quasi gli occhi.
Perché non sento quella goduria che mi ero immaginato? Perché non mi provoca piacere vederlo inerme e in quelle condizioni nel letto? Perché mi dà quasi fastidio che una stupidissima febbre gli faccia più male di quanto gliene possa fare io ogni giorno?
Non l'ho mai visto così conciato male, eppure non provo niente di confortante. Forse sento soltanto rabbia dentro di me e voglia di prenderlo e risvegliarlo e picchiarlo violentemente per essere lì con gli occhi chiusi e non considerarmi come suo solito.
Dio, Near... Come puoi farmi incazzare anche in questo modo?

«Acqua...» È un mugugno appena udibile, talmente inaspettato da far perdere al mio cuore un battito. Non credo di averlo nemmeno visto muovere le labbra.

Near non apre gli occhi, ma finalmente si muove leggermente, consolandomi del fatto di non essere completamente impazzito. Ha detto davvero qualcosa, è sveglio.

«Acqua...», ripete, questa volta con un tono più comprensibile.

Acqua? Mi sta davvero chiedendo di muovermi per prendergli da bere?
Controllati, Mello. Ricordati le parole di Roger. Ricordati cosa rischi di perdere.
Cercando di obbligare le mie mani ad afferrare le coperte e non direttamente il suo collo, lo scopro con rabbia e lo lascio in balia di quella che per lui deve essere una scarica di brividi insopportabile, perché lo vedo irrigidirsi e tremare come una foglia.

«Non hai più la capacità di usare le gambe?», gli sbotto contro. «Prenditela da solo.»

Rivolgendogli un'ultima occhiata truce, gli do le spalle e incrocio le braccia al petto. Dovessi lasciarlo patire la sete per un'intera giornata, non mi abbasserò a servirlo come un cameriere. Roger vuole che io lo faccia, ma non intendo...
Un tonfo alle mie spalle mi fa sobbalzare e voltare istintivamente: il letto... è vuoto.
Non. ci. posso. credere.
Near è rannicchiato sul pavimento, vicino alle mie gambe, il corpo piccolo ma apparentemente troppo pesante per lui. Punta le mani contro il parquet, la testa a ciondoloni, i capelli sul viso e il respiro accelerato.
Si è letteralmente buttato giù dal letto.
Lo guardo incredulo. Quanto può essere perseverante un esserino del genere? Pensavo che sarebbe rimasto a letto a patire davvero la sete... e invece mi ha ascoltato. Vuole prendersela da solo, l'acqua.
Ansima più forte, come se cercasse invano di far entrare aria nei polmoni.
Dovrei lasciarlo lì. Ma se lo facessi sul serio...

“Ricordati che cosa c'è in ballo.”

Al diavolo.
Mi piego su di lui e porto le braccia sotto le sue ascelle, sollevandolo senza alcuna fatica.
Non pesa. Near non ha peso.
Voglio alzarlo e metterlo a letto, ma lui improvvisamente e per qualche assurdo motivo che non riesco a spiegarmi si libera dalla mia presa, cadendo contro di me e avvolgendomi i fianchi con tutte le braccia, premendo il viso contro il mio stomaco in quello che sembra essere un goffo abbraccio. Ma dura un istante, perché preso in contropiede perdo l'equilibrio e barcollo fino a finire in ginocchio, con Near accasciato completamente contro di me.
Non so come, non so perché... qualcosa ha fatto sì che le mie braccia si siano andate a chiudere attorno al suo corpo. Forse stavo cercando un appiglio, forse è stato solo un caso, ma lo sto stringendo. Ed è come avere addosso una palla di fuoco rovente, che mi brucia la pelle, i muscoli e le ossa. Magari è soltanto la mia mente confusa da quel contatto troppo ravvicinato, o il fatto che toccare Near per me sia esattamente come infilare due dita in una presa di corrente, ma non riesco a realizzare immediatamente di avere ancora le mie braccia attorno a lui. Posso soltanto concentrarmi sul fatto che è bollente.
Lo afferro per le spalle, allontanandolo per guardarlo in volto, ma la sua testa continua a ciondolare verso il basso, gli occhi coperti dai ciuffi di capelli.

«Ehi!» Lo scuoto vigorosamente, ma non ricevo alcuna risposta.

Gli sollevo il volto con una mano e gli tiro uno schiaffo, forse troppo forte, ma non mi importa.
Near non reagisce. Non è più cosciente.
Lentamente il panico comincia a farsi strada nel mio corpo. Non so cosa fare. Non ricordo neanche più chi dovrei chiamare. So solo che in questa fottutissima stanza ci sono soltanto io, lui dipende da me, e se non faccio qualcosa...
Non ho altra scelta.
Lottando persino contro me stesso, riesco a trovare la forza per stringerlo a me ancora una volta e sollevarlo da terra, mentre il suo viso si va a posare contro il mio collo. Posso sentire il suo flebile respiro contro la pelle e se da una parte questo mi consola, dall'altra mi provoca una scarica di brividi lungo tutta la spina dorsale.
Ma non ho tempo per pensare a questo. Ho già appurato che Near, in qualsiasi modo, è in grado di mandarmi in confusione.
Mi viene in mente soltanto una cosa che potrei fare per farlo rinvenire e abbassargli la temperatura: lo porto in bagno e lo faccio sedere dentro la doccia. Non sono un medico, non so se gli sto facendo più bene che male, ma voglio che in qualche modo riapra quei fottutissimi occhi scuri e scacci via la paura che mi ha improvvisamente invaso dalla testa ai piedi.
Paura di cosa poi? Che non si svegli più? Perché dovrebbe importarmene davvero in fondo? Per L?
Sono troppe domande, troppe per me che in questo momento sono in grado a malapena di respirare.
Apro al massimo il rubinetto dell'acqua fredda e lascio che l'acqua scorra su di lui e anche su di me, inginocchiato davanti al suo corpo privo di vita.
Ma non serve a niente.
Near non apre gli occhi e il colore del suo viso sta diventando sempre più chiaro, sempre più pallido.

Una risata nervosa mi sfugge dalla gola, ma è talmente lugubre che quasi non sembro io a parlare. «Non ti azzardare a prendermi in giro, bastardo!»

Con una mano gli schizzo l'acqua in faccia, senza rendermi conto di star tremando come una foglia. Ma non sento freddo... Non riesco a sentirlo in questo momento. Ho una vaga idea di quanto sia gelata l'acqua, ma la mia testa e tutti i miei sensi riescono soltanto a concentrarsi su ciò che sta accadendo. O che non sta accadendo, per meglio dire, perché Near continua a non aprire gli occhi e il panico mi sta divorando vivo.
Mi immobilizzo come una statua di cera, mentre i capelli fradici mi coprono per metà la vista. Non sta scherzando. Ma non può essere vero!

«Cazzo, svegliati!», gli urlo contro, quasi gettandomi addosso a lui, afferrandogli il volto e sollevandoglielo fino ad averlo davanti al mio.

Non reagisce. A nulla serve l'acqua gelata che ci sta cadendo addosso, i miei schiaffi sul suo viso e gli insulti. Sembra quasi... morto.

«Lo stai facendo sul serio?!», grido con tutta la voce che ho in corpo, afferrandolo per il colletto del pigiama. «Me la stai dando vinta?!»

Niente.
Il mio volto, anche se non posso vederlo, deve essere l'immagine del terrore. Non posso credere che Near lo stia facendo sul serio. Non... non può!

«E finisce così?! Sul serio?!»

Non so cosa mi prende, ma inizio a picchiarlo con tutte le mie forze, a dargli schiaffi su tutto il viso, pugni sulle spalle, a gridargli di svegliarsi. Sembro pazzo. Dovrei chiamare aiuto, ma ho paura che se me ne vado da qui... anche lui se ne va. È un pensiero che non ha senso, ma in questo momento cosa ha senso? Non so nemmeno perché io abbia totalmente perso il controllo in questo modo, perché abbia così tanta paura... So solo che vorrei che riaprisse quei fottutissimi occhi neri.
Smetto di schiaffeggiarlo e tenendo saldamente il suo viso fra le mani mi fermo a guardarlo. Non l'ho mai visto in quel modo, non gli sono mai stato così vicino... Non l'avevo mai toccato veramente.
Mai.
La mia mano incontrollata si muove da sola, si posa sulla sua fronte e sposta i ciuffi di capelli fradici dai suoi occhi.
Aprili, pidocchio.

«Near...» Non ho mai sentito la mia voce così piena di dolore. È più simile a un lamento, a una preghiera.

Sì, lo sto pregando, e non so nemmeno perché!
Ma questa volta, forse, mi ascolta davvero: le sue palpebre si muovono appena, la sua bocca si schiude e finalmente quei fottutissimi occhi scuri si riaprono lentamente e mi guardano.
Non so come reagire, non so cosa pensare. Per un attimo non riesco nemmeno a ricordare il mio nome. Lo guardo con gli occhi sbarrati e ansimo forte, incapace di fare qualsiasi cosa.
Near non dice una parola, si limita soltanto a fissarmi e a respirare faticosamente. Non so se mi sta vedendo sul serio, ma è sveglio, e questo mi basta.

«Non ti azzardare mai più a-» La voce mi si mozza in gola, quasi come in un singhiozzo.

Non sto piangendo... o forse sì? Non lo so, il mio viso è bagnato, io sono bagnato, e non capisco che cazzo mi prenda. Sto impazzendo probabilmente. Ho ancora tanta rabbia addosso, tanta paura. E improvvisamente inizio a rendermi conto di star tremando, e anche Near se ne accorge e sembra che mi voglia dire qualcosa, ma non ci riesce.

«Pidocchio.» È un sussurro, una parola appena percettibile che non sono sicuro nemmeno io di aver pronunciato.

E poi non so perché, non so come... Lo attiro a me e lo stringo con tutte le mie forze, intrecciando le dita di una mano con i ciuffi dei suoi capelli. In quel momento lo sento lasciarsi scappare un gemito soffocato, e forse è la prima volta che lo sento emettere un suono di dolore. Near non si è mai lamentato di nulla.
Non ho idea di cosa io stia facendo, ma l'unica cosa che in questo momento riesce a riscaldarmi è il suo corpo contro il mio, anche se il suo è molto più freddo di quanto lo sia il mio. Sento le sue fragili ossa scricchiolare appena, ma non mollo la presa, anzi... lo stringo più forte, disperatamente.
Non voglio che se ne vada ancora.
La mia mente oggi riesce soltanto a formulare pensieri insensati e vergognosi, di cui mi pentirò per mesi probabilmente, ma adesso voglio solo tenerlo così. E la cosa strana è che se prima anche solo l'idea di sfiorare la sua pelle mi ripudiava, adesso non posso fare a meno di toccarla. Come una calamita. Non sono mai riuscito ad entrare in contatto con lui in tutti questi anni, ma ora che posso sentire concretamente la consistenza del suo corpo con le mie mani è come se in qualche modo riuscissi a rendermi conto che Near, in realtà, non è soltanto un incubo ad occhi aperti che mi perseguita giorno e notte, un fantasma che mi appare davanti per rovinarmi l'esistenza. È fatto di carne, è morbido, e... profuma.

«Mi odi davvero così tanto?»

...Cosa?
È un mugugno appena percettibile contro il mio petto, ma la sua è una domanda diretta, improvvisa, posta senza esitazione, come se tutto questo casino non fosse mai successo. Come fa ad avere questo controllo? Può essere reale? E soprattutto, perché mi fa questa domanda adesso?
Io non ti capirò mai, Near.

«Mello...» La sua voce diventa più sicura e leggermente la sua testa si alza, ma non si libera dalla mia morsa. «Ti sei mai chiesto perché io cerchi così assiduamente la morte?»

Quella domanda mi gela il sangue nelle vene. Che sta dicendo? È la febbre a parlare? Io non sapevo che lui volesse... morire. Non riesco a pensare o fare qualsiasi cosa. Ma non credo che Near si aspetti una risposta da me.

«Perché so che poi arrivi e mi salvi. E sai perché?»

No, Near, non lo so. So solo che mi stai facendo paura, che quello che mi hai detto non ha senso e che... non capisco. Sta delirando, non c'è dubbio. Ma perché, pur sapendolo, riesce comunque a paralizzarmi in questo modo?
La sua testa si riabbassa e si preme di nuovo contro il mio petto. Lo sento sospirare forte.

«Pensaci.»

Il suo corpo diventa improvvisamente pesante e si accascia completamente contro il mio. Forse è tornato nel mondo dei sogni... Io non so cosa stia succedendo, ma tutto questo non ha senso. Cosa dovrei pensare? Non riesco a ragionare. Tutto questo mi ha completamente... devastato.
'Fanculo, pidocchio.
Con tutta la rabbia che ho in corpo lo spingo via, contro il muro, lasciandolo lì privo di sensi. Io mi allontano schifato e mi accascio più in là, guardandolo con odio. Come ho anche solo potuto pensare di fare quello che ho fatto? Come ho potuto preoccuparmi per un essere del genere, il cui unico intento è umiliarmi e confondermi le idee? Chi ti ha dato il permesso di dire simile stronzate, Near? Chi?!
Vorrei andarmene da qui, ma mi rendo conto di non avere nemmeno la forza per farlo. Ciò che è successo mi ha persino tolto la capacità di intendere e di volere. L'unica cosa che riesco a fare ora è chiudere gli occhi. Per non pensare più, per non vederlo più, per... dimenticare tutto questo.

“Perché so che poi arrivi e mi salvi.”

Le sue parole mi rimbombano nella testa. Che cosa vuoi da me, Near?

“Pensaci.”









Mentre le mie palpebre si sollevano lentamente, un odore delicato mi entra dentro e mi riempie i polmoni. Il suo odore. Ma è così strano sentirlo adesso, dal momento che addosso mi rendo conto di avere soltanto una triste coperta verde. È quella del suo letto, la riconosco, ma lui non c'è. Resta soltanto quel profumo impresso ovunque, nella coperta, nei miei vestiti, persino nella mia pelle.
E la cosa me lo fa odiare ancora di più.
Scosto la coperta e mi alzo, fermandomi sulla soglia del bagno quando lo vedo seduto sul letto, la testa posata contro il muro e gli occhi chiusi. Addosso ha ancora il suo pigiama umido. La coperta che lui stesso deve avermi messo addosso mentre stavo dormendo è stretta da un angolo nel mio pugno e se fosse viva probabilmente starebbe urlando di dolore. La mia rabbia cresce a quella vista, come l'umiliazione che a poco a poco ha iniziato ad invadermi, facendomi sentire quasi nudo e sporco. Sporco di lui, di quell'orribile essere che per qualche strano motivo poche ore prima ho desiderato ardentemente stringere forte a me.
Mi vergogno. Mi vergogno di aver fatto una cosa del genere, di aver pianto addirittura, di avergli permesso di dirmi quelle cose e di averle ascoltate. Tutto ciò che è successo oggi... è stato uno sbaglio. Near mi ha umiliato. E il modo in cui lo ha fatto mi sta facendo venire voglia di strapparmi la pelle di dosso con le mie stesse mani.
Lo vedo aprire gli occhi, fissarmi con quel viso di porcellana e non battere ciglio. Probabilmente non stava nemmeno dormendo, ma soltanto ascoltando il mio respiro affannato, cercando di capire il flusso dei miei pensieri. So che può sentirli.
I nostri sguardi per l'ennesima volta si incatenano, ma giuro che da oggi in poi non permetterò più che ciò accada. Voglio solo che quest'ultima volta capisca quanto la sua esistenza mi stia angosciando e umiliando.
Mi avvicino di qualche passo, lanciandogli la coperta addosso. Lui non si muove.

«Io non so esattamente cosa ti passa per la testa... Non so perché tu mi abbia detto quelle cose prima e non voglio nemmeno sapere se eri sincero o delirante.» La mia voce è stranamente ferma, mentre dentro mi sento morire. «Una cosa però è certa.»

Posso solo sperare che ciò che gli sto per dire sarà per lui tanto umiliante quanto ciò che lui ha fatto oggi lo è stato per me. Ma non vedo nessun interesse da parte sua, nessun cambiamento nei suoi occhi. Deglutisco a fatica, come se stessi trattenendo un magone enorme in gola.

«Tu per me sei l'equivalente del nulla più totale.» La mia voce trema per un istante, esita, ma non mi fermo perché la mia rabbia è più forte. «Sei soltanto l'unico ostacolo a ciò che desidero di più, una seccatura che prima o poi riuscirò a togliere di mezzo in qualche modo.»

I suoi occhi si chiudono leggermente in uno sguardo più intenso, ma a me sembra soltanto più vuoto. Sì, non c'è niente lì dentro. Sono io... ad averlo svuotato?

«Nulla di più.»

Forse altre volte gli ho detto queste parole... ma credo che soltanto ora stiano facendo effetto. Magari perché è la prima volta che mi prende sul serio, o perché non sto gridando come un ossesso, o forse perché io gliele sto dicendo credendoci veramente. E lui lo sente. Solo... vorrei non sentire questo magone in gola.
Per fargli male, posso solo fare questo: togliergli l'unica cosa che in qualche modo lo fa sentire non del tutto morto. E lo devo fare, perché fino ad oggi l'unico che ha sofferto sul serio sono stato io.

«Quando tutto questo sarà finito, per me diventerai un semplice fantasma che si aggira fra queste mura, qualcosa privo di valore e di senso, che cercherò a tutti i costi di evitare con tutto me stesso. Se prima il mio interesse era quello di renderti la vita impossibile, adesso sappi che cercherò in tutti modi di far sì che diventi completamente insignificante. Esattamente come te.»

Il mio sguardo vorrebbe essere minaccioso, ma sa solo trasmettere frustrazione. E lui, per quanto voglia farmi credere di non sentire niente, mi sta comunicando la stessa identica sensazione. Cos'è quello sguardo, Near? Mi stai forse... pregando?
Nella mia testa visualizzo le immagini di quella giornata e improvvisamente torno a sentire quell'odore odioso addosso a me, come se lui fosse ancora stretto fra le mie braccia. La mia mano si stringe a pugno e le unghie si conficcano nella carne per la rabbia.

«Se non vuoi morire... non ti azzardare mai più ad umiliarmi in quel modo.»

Gli do le spalle e mi avvio verso la porta, ignorando i suoi occhi fissi su di me, i miei doveri nei suoi confronti, qualsiasi cosa. Poi, improvvisamente, la sua voce rimbomba ancora una volta nella mia testa: “Mi odi davvero così tanto?”. Quella domanda che mi aveva fatto poche ore prima...
Sorrido appena, ma non si può davvero definire un sorriso, e mi fermo soltanto per un istante.

«La mia risposta alla tua domanda, comunque, è ovvia. Prova a immaginarla da solo.»

Non voglio più vederlo. Non voglio più nemmeno sentirlo respirare. Mi volto e chiudo la porta alle mie spalle.
Sì, Near. Io ti odio.
































NdA: Eccomi qua, come al solito in ritardo. Mi scuso ancora per la mia indecenza. Questa volta però ci ho messo tanto per un motivo preciso, che mi sembra giusto esporvi con sincerità, perché potrebbe interessarvi dal momento che seguite questa fanfiction. Ci ho pensato e ripensato più volte in questi mesi e per poco non prendevo la decisione di interrompere la storia ed eliminarla dal sito. Il motivo è che purtroppo non riesco più a trovare l'ispirazione per portarla avanti o, se la trovo, è veramente sporadica e non dà buoni risultati. È come se non la sentissi più mia e di conseguenza non riesco a metterci più tanto sentimento, e sono sicura che questo si vede. Non so quanto possa arrivarvi... Però, riflettendoci meglio, ho realizzato che ci sono delle persone che ci tengono veramente tanto, soprattutto una, che con tanta pazienza mi aspetta sempre e ogni tanto mi invia anche qualche messaggio per incitarmi a continuare. Ho pensato di dedicare a lei questo capitolo, perché probabilmente se la storia e l'aggiornamento ora sono qui, è tutto merito suo e del suo 'rompermi le palle', come dice lei. Quindi grazie, Crazy Sisters. Non so quante volte abbia scritto e cancellato questo capitolo... Non mi piaceva mai. Anche per questo ci ho messo tanto a pubblicarlo. Comunque la mia decisione finale è questa: 'Emotionless' rimane qui dov'è e verrà anche conclusa; magari ridurrò il numero di capitoli che avevo previsto di scrivere - 10 - a 7, ma cercherò comunque di renderli belli corposi e pieni di avvenimenti. Ho raccolto un po' di idee e forse posso dire di sapere come mandarla avanti.
Un'altra cosa: questo al momento è il terzo capitolo, ma quando arriverà il prossimo aggiornamento più avanti, ho deciso che questo capitolo verrà incorporato con il secondo, perché a mio parere ha più senso, soprattuto per come ho in mente di procedere. Avrei dovuto presentarli insieme in un unico secondo capitolo, ma come ho già fatto intendere le mie idee erano parecchio confuse e non ho agito bene. Quindi voi aspettatevi la prossima volta il terzo capitolo - comunque non eliminerò niente, semplicemente unirò due capitoli -. Forse sarebbe stato più giusto eliminare tutto e ripartire da capo, ma sinceramente non mi andava proprio a genio l'idea. Quindi questa è la soluzione che ho trovato. Spero che vi faccia piacere comunque.
Beh, che dire... Spero che tutto sommato vi sia piaciuto. Cercherò di tornare il prima possibile. Grazie mille per la pazienza e l'affetto che mi dimostrate. Alla prossima, un bacio!


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