L'amore più profondo non è sempre il più appariscente

di Angelique Bouchard
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Freddo che non sempre congela ***
Capitolo 2: *** Al cinema ***
Capitolo 3: *** Vicini, troppo vicini ***
Capitolo 4: *** Sonno agitato ***
Capitolo 5: *** Cambiamenti ***
Capitolo 6: *** Regali di Natale ***
Capitolo 7: *** Cena in famiglia, senza intrusi ***
Capitolo 8: *** La prima nevicata dell'anno ***
Capitolo 9: *** Black-out ***
Capitolo 10: *** Amicizia e gelosia ***
Capitolo 11: *** Anche se non l'avrei mai ammesso... ***
Capitolo 12: *** X agosto ***
Capitolo 13: *** Buon compleanno, Bulma ***
Capitolo 14: *** Nessun segreto ***
Capitolo 15: *** Quanto passa in fretta il tempo? ***
Capitolo 16: *** Responsabilità e orgoglio ***
Capitolo 17: *** Vicino agli occhi, lontano dal cuore ***
Capitolo 18: *** L'ecografia ***
Capitolo 19: *** Un cuore puro ***
Capitolo 20: *** FINE ***



Capitolo 1
*** Freddo che non sempre congela ***



1. FREDDO CHE NON SEMPRE CONGELA

 

Il vento freddo soffiava forte nel giardino della Capsule Corporation, facendo sbattere le persiane delle finestre aperte. Il signore e la signora Brief erano seduti nel salone sul divano, uno accanto all'altro a bere del tè bollente e mangiare biscotti, mentre guardavano fuori da una delle grandi finestre a doppio vetro.

 

"Roba da pazzi" disse sottovoce il signor Brief "insomma questi Sayan sono dei pazzi. Stare fuori in pantaloncini solo per allenarsi, con questo gelo, è impressionante!" aggiunse spalancando gli occhi incredulo. Poi scosse un pò la testa e sorseggiò il suo tè.

 

"Oh sì, caro, hai ragione. Comunque sai, a me non dispiace affatto che se ne stia sempre in pantaloncini. E neanche a Bulma, credo" disse compiaciuta la signora Brief, ridacchiando ammaliata.

 

"Ah moglie!" imprecò il signor Brief, dopo l'ennesimo futile commento "non cambierai mai..." aggiunse sconsolato.

 

La donna non ci fece caso e continuò a fissare Vegeta che si allenava imperterrito proprio nel giardino di casa sua.

 

 

 

Il Sayan era esausto e infreddolito, ma, a suo parere, non erano ragioni abbastanza valide per smettere gli allenamenti. Da alcune ore, infatti, non faceva che sferrare calci e pugni all'aria ghiacciata, quasi si stesse vendicando per quel gelo, prendendosela con la diretta responsabile. Tuttavia, dopo il millionesimo scossone causato dal freddo, ringhiò con forza e lasciò andare un pugno sul frigido terreno morto del giardino sul retro della grande casa. Restò a terra con un ginocchio alzato per diversi minuti, finchè non si ricordò perchè si stava allenando all'aperto anzichè nella stanza della gravità, costruita apposta per lui dal signor Brief.

 

Era guasta.

 

E qualcuno avrebbe dovuto aggiustarla. Qualcuno di estremamente fastidioso.

 

Dannata donna, pensò sprezzante Vegeta, immaginando quell'umana tranquillamente seduta in casa al caldo a far finta di lavorare, mentre lui doveva arrangiarsi lì fuori. Sbuffò forte, osservando per un momento il suo fiato che si condensò non appena uscì dalla sua bocca, poi si alzò deciso e si diresse verso la porta d'ingresso della grande casa.

 

Non appena entrò, la signora Brief gli volò quasi letteralmente addosso, cominciando a parlare freneticamente di dolci, di cena, di abiti e quant'altro, ma il Sayan se la scollò di dosso ringhiando piano e si diresse verso l'ala est dell'azienda, deciso a farsi sentire da quella terrestre che, ormai l'idea gli frullava in testa da un pò, sembrava si stesse prendendo gioco di lui, Vegeta, il Principe dei Sayan.

 

 

 

Bulma, dal canto suo, era estremamente infastidita dall'ingratitudine dal Sayan, ma, conoscendo la sua forza e soprattutto la sua spietatezza, non si sognava neanche di prendersi gioco di lui. Stava davvero tentando di riparare la stanza della gravità, ma aveva dei grossi problemi. Da quasi tre giorni non faceva altro che programmare e riprogrammare il computer di quella dannata stanza, ma ogni volta qualcosa andava storto e la macchina neanche si accendeva.

 

Era ancora una volta seduta sulla sedia girevole che stava di fronte alla scrivania del computer, con davanti pile e pile di fogli: i progetti della stanza della gravità, nella speranza di trovare l'ingrato bullone che aveva inceppato l'intero meccanismo. Si tolse la larga felpa grigia, rimanendo in maglietta a mezze maniche color salmone e fuseaux neri, arrotolati fino al ginocchio. A dispetto del vento artico che tirava fuori dalla finestra, in quella stanzetta il caldo era quasi afoso.

 

Vegeta entrò sbattendo la porta, burbero come al suo solito, ancora in pantaloncini.

 

Bulma alzò improvvisamente gli occhi che le bruciavano, quasi sbiaditi per la stanchezza, e li puntò sul Sayan.

 

"Potresti bussare una volta tanto" disse acida la ragazza soffermandosi appena sul corpo scolpito di Vegeta. Dopo due mesi si era abituata a vederlo sempre mezzo nudo, ma ciò non le impedì di arrossire lievemente. Cercò di mascherarlo togliendosi la fascia per capelli e facendoli ricadere riccioluti ai lati del viso, con le solite ciocche ribelli che le caddero sulle guance fiammanti. Poi tornò a sfogliare i suoi fogli.

 

Il Sayan era ancora sulla porta, lo sguardo più minaccioso del solito, gli occhi spietati puntati sul viso della donna. Quando però quest'ultima non lo degnò della minima attenzione si mosse. Fu più veloce del vento: aggirò la scrivania facendo volare qua e là numerose carte, ma prima che la ragazza potesse rendersi conto di cosa fosse successo, la sua sedia fu fatta girare bruscamente e si ritrovò col viso a una decina di centimetri da quello del Sayan. Le guance che prima si erano leggermente arrossate ora erano fiamme vive e il suo cuore batteva all'impazzata, come se volesse uscirle dal petto. Se fosse paura o attrazione ancora non sapeva dirlo.

 

"Stammi bene a sentire, donna" sputò l'ultima parola come fosse un insulto "sono stufo di stare ai tuoi comodi, voglio poter rientrare in quella stanza entro stasera, mi sono spiegato? Vedi di farla funzionare!" sussurrò.

 

Già, sussurrò. Vegeta non aveva urlato, ma il tono con cui aveva parlato era stato più agghiacciante e terrorizzante di qualunque grido di guerra.

 

Ma non per Bulma. Nella sua testa, le parole stufo di stare ai tuoi comodi vorticavano come un uragano e rimbalzavano sulle pareti del cranio, torturandola.

 

"Come hai detto?" ringhiò piano "Tu sei stufo di stare ai miei comodi???" ormai aveva perso le staffe e stava urlando. "Stammi bene a sentire brutto scimmione: sono tre giorni che dormo al massimo tre ore a notte per cercare un modo per riparare quest'aggeggio che TU hai rotto; mi bruciano gli occhi, mi fa male la testa, vorrei farmi una doccia di otto ore per potermi rilassare un pò e TU vieni a dire a ME che sei stufo di stare ai miei comodi??? Ma come diavolo ti permetti? Questa è casa mia dopotutto, io ti ho ospitato e tu per ringraziare non fai altro che distruggere ciò che ti costruisco per allenarti, pretendendo poi che lo riaggiusti in fretta! Sei un ingrato maleducato antipatico scimmione arrogante!" finì la sua sfuriata incrociando con forza le braccia. Vegeta intanto, che si era allontanato di vari passi quando Bulma si era alzata dalla sedia, la fissava con un misto di fastidio e antipatia, ma anche sorpresa e sbalordimento. Non era la prima volta che lo insultava per la sua ingratitudine, ma non era mai stata così seccata e così detestabile. Doveva essere quel periodo del mese.

 

"Grr" Vegeta ruggì piano infastidito, si voltò e fece per allontanarsi dalla stanza, ma si fermò dopo un piccolo strillo della donna alle sue spalle. Avrebbe voluto tagliarle la lingua una volta per tutte.

 

"Ma che ti sei fatto?" strillò ancora avvicinandosi al Sayan e prendendogli una mano tra le sue. Questa aveva dei tagli profondi sulle nocche che sanguinavano.

 

"Giu le mani, donna!" rispose brusco il Principe dei Sayan ritirando subito la mano. Non si era accorto che stavano sanguinando, ma ora che l'aveva notato gli bruciavano parecchio. Naturalmente non lo diede a vedere.

 

"Ma Vegeta stai sanguinando! Non sarai stato fuori tutto il giorno, vero?" l'espressione orgogliosa del Sayan era una piena conferma delle sue parole.

 

"Sei forse ammattito? Ti si sono spaccate le mani dal freddo!" e parlando si riavvicinò velocemente a lui. Fu molto veloce. Gli prese entrambe le mani e le tenne delicatamente, senza toccare le ferite.

 

L'istinto del Sayan gridò di tirarsi indietro da quel contatto, ma cercò di trattenersi o avrebbe detto addio alla sua camera gravitazionale. Sbuffò forte dalle narici e abbassò lo sguardo sulle mani. Per aver semplicemente preso a pugni l'aria, erano ridotte piuttosto male.

 

Bulma accarezzò piano le ferite, con dolcezza. Quel tocco fu tanto semplice quante piacevole. Vegeta si sentì scaldare, tutto il freddo patito durante il giorno era solo un brutto ricordo.  Le mani morbide e calde di quell'insopportabile terrestre lo fecero sentire meglio. Scacciò in fretta quel pensiero e ritirò piano le mani, voltandosi pronto ad andarsene.

 

"Aspetta! Devi fasciarle!" gli gridò Bulma dalla porta della stanza.

 

Ma Vegeta era già lontano. Svoltò l'angolo e si diresse nella sua stanza al primo piano. Non si sarebbe più fatto toccare da lei, di questo era certo.


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Capitolo 2
*** Al cinema ***


2. Al cinema
Il giorno seguente, Vegeta si alzò di buon'ora, come al solito. Indossò un paio di pantaloncini e una felpa con la cerniera, legò in fretta le scarpe da ginnastica, poi uscì dalla stanza da letto, diretto alla camera gravitazionale. Nonostante da tre giorni non funzionasse, la sua ormai era un'abitudine. Senza neanche pensarci raggiunse il portellone della camera e premette il pulsante con scritto "OPEN". Stava già per dirigersi verso il giardino sul retro della casa, quando con un leggero rumorino metallico, il portellone si abbassò. La sorpresa iniziale lasciò subito il posto alla soddisfazione.
Bene, pensò compiaciuto il Sayan, finalmente quella donna comincia a capire chi comanda.
Vegeta entrò nella camera e si guardò intorno. La stanza era stata, oltre che aggiustata, pulita e rimessa a nuovo. I suoi robot preferiti (quelli in grado di lanciare sfere di energia degne del Principe dei Sayan) erano in fondo, appoggiati alla parete, pronti per essere attivati. E probabilmente distrutti un'altra volta. 
Vegeta si tolse la felpa, ignorando il freddo pungente che gli pizzicava la pelle; presto si sarebbe scaldato. Si avvicinò al computer della stanza, lo accese e alzò subito la gravità. La discontinuità si fece sentire immediatamente. Dovette cominciare con 200° di gravità rispetto alla Terra, ma nel giro di un'oretta la alzò a 300°.
Si allenò tutta la mattina, senza mai fermarsi neanche per riprendere fiato, bere un sorso d'acqua o rilassare un momento i muscoli. Combattè contro i robot con così tanta energia che prima di pranzo due furono completamente ridotti in briciole. Una parte del suo cervello immaginò le urlate della ragazza quando se ne sarebbe accorta, ma non se ne preoccupò. Continuò ad allenarsi imperterrito, finchè fu distratto da un particolare che prima non aveva notato.
Le sue mani non sanguinavano più. Le sue mani erano state fasciate per bene, con bende linde e resistenti, infatti anche dopo diverse ore di lotta erano ancora intatte. Pagò cara quella piccola distrazione. Una sfera di energia fu scagliata da uno dei robot rimasti integri, dritta su di lui, che però non fece in tempo a scansarla. Lo colpì in pieno petto, mandandolo a cozzare contro la parete opposta della camera. Rimase sdraiato a terra, schiacciato dalla gravità e col petto dolorante. Vi posò una mano sopra: la benda fresca allievò la fitta al torace, dandogli energia per rialzarsi e ricominciare ad allenarsi.
Vegeta ancora non capiva da dove venisse quella forza nuova.
 
La sveglia di Bulma cominciò a squillare quando il sole era già alto nel cielo. Si alzò in fretta, si diede una rinfrescata, poi scese al piano terra e raggiunse i genitori nella sala da pranzo. Sua madre le preparò una colazione abbondante, come al solito e Bulma ne avanzò più di metà, come al solito. Sfogliò il giornale svogliatamente per qualche minuto, ascoltando appena i discorsi della madre che non faceva altro che parlare dei vestiti che aveva visto in alcuni negozi in centro.  L'orologio a muro battè le undici. Bulma si ridestò e interruppe la madre senza troppi complimenti.
"Senti mamma, io oggi non ci sono a pranzo" disse con un tono piuttosto annoiato. La madre, che non aveva minimamente colto la sfumatura nella voce della figlia, rispose allegramente.
"Oh giusto, oggi vai a pranzo fuori con Yamcha dico bene, cara?" squittì la signora Brief. Bulma rispose con voce piatta, per nulla entusiasta.
"Sì, infatti. Andiamo a pranzo dalla tua amica, non ricordo il nome..." Bulma si fece pensierosa.
"Da Kadiri? Oh, tesoro, è così tanto che non la vedo! Salutala da parte mia e saluta anche quel bel ragazzo di Yamcha!" strillò euforica la madre della ragazza. Lei invece si alzò e mugugnò un "Certo certo" senza troppa convinzione, poi risalì nella sua stanza, si cambiò, si pettinò, prese la borsa e il cappotto e si diresse verso l'uscita principale. Indossava un paio di blue jeans abbinati ad una camicia a maniche lunghe bianca e un paio di stivali neri con poco tacco, i capelli ricci le ricadevano dolcemente sulle spalle, mossi dal leggero vento freddo.
Mentre camminava verso la macchina nel garage pensava a Vegeta. Sapeva che non l'avrebbe ringraziata per aver riparato la camera gravitazionale, nè per avergli fasciato le mani sanguinanti.
Che zoticone, pensò acida. 
Raggiunse il bar alle 12,15 circa, l'appuntamento era alle 12,30. Si avvicinò al bancone e per scaldarsi mentre aspettava l'arrivo del fidanzato ordinò un tè caldo all'amica di famiglia, Kadiri. Chiacchierarono qualche minuto, Bulma la salutò da parte della madre poi lei tornò al lavoro. Si erano fatte le 12,35.
Bulma stava sorseggiando il suo tè, adirata. Ogni volta che dovevano vedersi, Yamcha arrivava in ritardo.
"Io non ero così paziente alla tua età" disse d'un tratto Kadiri, avvicinandosi alla ragazza con uno strofinaccio in mano per dare una pulita al bancone. Bulma alzò gli occhi e fissò la donna, che l'aveva presa alla sprovvista.
"Come hai detto?" chiese come se fosse cascata dalle nuvole. Kadiri sorrise amaramente.
"Voglio dire, con i ragazzi. Non aspettavo un'ora che si facessero vivi, anzi, di solito aspettavo 15 minuti, poi me ne andavo" rispose allo sguardo interrogativo di Bulma. Lei arricciò un angolo della bocca in un sorriso amareggiato, poi rispose con poco vigore.
"Non c'è mai stato qualcuno per cui valesse la pena di aspettare?" chiese. Kadiri strinse un pochino gli occhi, pensando alla risposta.
"Oh, certo. Un uomo per cui avrei aspettato anche un'intera notte al freddo, ma vedi: lui non si è mai fatto aspettare. E' così che funziona. L'uomo che aspetti non è mai quello giusto, mentre quello che è disposto ad aspettare te... Beh lui è quello giusto" rispose sorridente alla ragazza, prima di andare a servire una coppia appena entrata. Bulma rimase una manciata di minuti a pensare alle parole dell'amica, è proprio quando si convinse a levare le tende, ecco apparire Yamcha. Erano le 13, 50.
"Bulma!" ansimò il ragazzo. Aveva i capelli spettinati, le guance rosse per il freddo e gli occhi colmi di colpevolezza.
"Oh, Bulma sapessi quanto mi dispiace! Davvero, sono di nuovo in ritardo, lo so, ma questa volta giuro che non è stata colpa mia! Insomma, la macchina non partiva! Non si accendeva neppure!" piagnucolò prendendo tra le mani gelate quella calda della ragazza. Lei la ritirò in fretta.
"Ehi, non toccarmi, sei congelato!" sbuffò infastidita. Yamcha rimase a fissarla per qualche minuto, con il labbro inferiore che sporgeva leggermente. 
Tutte le volte finiva così. Anche quando era seriamente decisa a lasciarlo a piedi, Bulma s'inteneriva nel vedere quell'espressione da bambino sperduto. Così ogni volta gliela dava vinta.
"E va bene, non fa niente. Ti perdono" disse piano, rassegnata. Il ragazzo lanciò un urletto, poi si avvicinò, la prese in braccio e fece un giro completo sul posto.
"Grazie, Bulma! Sei davvero unica!" le disse stringendola ancora per la vita. Lei si divincolò di modo che Yamcha fosse costretto a metterla giu.
"Insomma! Un pò di ritegno sia in bar!" lo ammonì furibonda. Il ragazzo non si fece spegnere così, la attirò a sè e la baciò. Lei si tirò indietro quasi subito, non le piaceva fare certe cose in pubblico.
" Su, coraggio, siamo ancora in tempo per il cinema!" disse Yamcha entusiasta, la prese per mano e la tirò fuori dal locale.
Kadiri fissava l'amica scuotendo leggermente la testa.
 
Andarono a vedere un film romantico. La mia ragazza vive di me. Solo il titolo era nauseante. Yamcha si esaltò moltissimo e nelle poche scene un pò più noiose si voltava verso Bulma e le ripeteva qualche sdolcinatezza appena sentita. Lei faceva finta di nulla.
 La ragazza invece guardò poco del film, tanto che quando uscirono ricordava appena qualche scena e poche battute. Passò quasi tutto il tempo a pensare al suo discorso con Kadiri, finchè non decise di essere d'accordo con lei. Era stufa di dover aspettare tutte le volte che doveva uscire con Yamcha, stufa di cedere quando arrivava il momento di dirgliene quattro. Non voleva più stare ai suoi comodi.
Questo pensiero la riportò con la mente alla sera prima e a Vegeta. Era sicura che una volta tornata a casa avrebbe dovuto fare i conti con i suoi danni, ma questo non la infastidiva. Almeno non tanto quanto dava a vedere. Era pur sempre un'occasione per avvicinarsi un pò a lui ed era questo ciò che le importava. Si era promessa, quando lo aveva ospitato in casa sua, che lo avrebbe civilizzato e reso un essere umano, non una macchina da guerra. Doveva però ammettere che l'impresa era davvero ardua.
Quando il film finì e uscirono dal cinema Yamcha cominciò a soffermarsi sulle parti migliori, su quelle che non gli erano piaciute e su quelle più romantiche. Parlando di questo prese la ragazza per mano e si strinse a lei, che lo lasciò fare, nonostante fosse piuttosto a disagio. 
"Dovremmo venire più spesso al cinema, non credi?" le chiese lui all'improvviso. Presa in contro piede, si comportò un pò come faceva spesso con la madre. Sorrise e annuì.
"Oh sì, certo. Mi sembra un ottima idea in effetti. A patto che la prossima volta tu sia puntuale!" gli rinfacciò ridacchiando. Anche il ragazzo sorrise e rispose a tono.
"Puoi scommetterci, dolcezza, a costo di venire volando. Letteralmente" la prospettiva era interessante. Tuttavia Bulma sapeva che non sarebbe stato così semplice, che sarebbe arrivato ancora in ritardo, per un motivo o per un altro. Sospirò piano.
Yamcha intanto si era fermato, continuando a tenerla per mano e voltandosi verso di lei. Non fece in tempo a lamentarsi di nulla che il ragazzo la stava baciando. La baciava con passione, nonostante fossero in mezzo alla strada. Il cuore di lei iniziò a martellarle nel petto e le ricordò la sensazione provata la sera prima, quando si era ritrovata col viso a pochi centimetri da quello di Vegeta.
Quando Yamcha la lasciò andare e lei riaprì gli occhi fu quasi sorpresa di non trovarsi di fronte l'orgoglioso e arrogante Principe dei Sayan.

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Capitolo 3
*** Vicini, troppo vicini ***


3. Vicini, troppo vicini
Il viaggio verso la Capsule Corporation fu notevolmente breve. Bulma parcheggiò nel garage e si diresse verso la sua stanza, senza passare dalla sala. Non aveva voglia di incontrare i suoi genitori, specialmente sua madre. L'avrebbe tempestata di domande sulla sua giornata e i nervi della ragazza non avrebbero retto. 
Da quando Yamcha l'aveva baciata, non aveva fatto altro che pensare a Vegeta. Che strano. Si chiese persino cosa sarebbe successo se non avesse fatto la sua bella sfuriata la sera prima, se fosse stata bella e buona seduta sullo sgabello, con il viso del Sayan quasi a contatto con il suo. Avrebbe voluto incontrarlo, avrebbe voluto provare a parlare con lui di qualcosa che non fosse solo e unicamente la camera gravitazionale, i robot, le tute da combattimento o qualunque altra cosa che riguardasse gli allenamenti. Era decisa ad avvicinarlo in un modo o nel'altro. Avrebbe trovato una scusa.
Raggiunta la sua camera entrò subito nel bagno. Era stanca, il pomeriggio era stato davvero lungo, Yamcha più esuberante che mai, per non parlare del film. Si slacciò la camicia e si tolse i jeans, rimanendo in slip e reggiseno.  Rimase un momento davanti allo specchio con le mani sul viso, pensando e ripensando, mentre la vasca da bagno si riempiva di acqua bollente e bagnoschiuma profumato. Si sentiva confusa. Da un pò di tempo Yamcha non l'attraeva più, ma stava cercando di salvare la situazione; in fondo erano stati insieme per tanto tempo. Ma ciò che più la sorprese fu quell'improvviso interesse nei confronti del Sayan. Era iniziato tutto con quello sguardo, la sera prima. Possibile che quei pochi secondi l'avessero scombussolata in quel modo? Poteva davvero permettersi di provare anche solo una piccola attrazione nei confronti di un uomo (all'incirca) come Vegeta? Scacciò quei pensieri rinfrescandosi la faccia con l'acqua gelida, poi si spogliò completamente ed entrò nella vasca. Già dopo qualche secondo si sentì subito meglio, lasciando le varie angosce a più tardi.
 
Il sole si abbassava velocemente dietro l'orizzonte, colorando di oro, arancio e rosa tutto ciò che toccava, le cime degli alberi, l'acqua dei laghi, i tetti delle case. La quiete regnava sovrana in quel panorama affascinante. Fu proprio quando l'ultimo raggio di sole scomparve dietro le montagne che Vegeta uscì dalla camera gravitazionale. Era sudato come non mai, distrutto, i muscoli che dolevano e i nervi così tesi gli pareva dovessero spezzarsi da un momento all'altro. Non indossò nemmeno la felpa, era così accaldato che si accorse appena dell'aria fredda della sera. Entrò dalla porta sul retro nella speranza di non incontrare nessuno dei terrestri che vivevano in quella casa. Era meno in vena del solito, ma la fortuna era dalla sua parte. Salì in fretta le scale e si chiuse nella stanza che negli ultimi mesi era diventata sua.
Mesi. Ne erano già passati quattro da quando il ragazzo del futuro aveva annunciato l'arrivo dei Cyborg e lui ancora non era riuscito a trasformarsi in Super-Sayan. Kaaroth, invece, ci era riuscito. E da parecchio tempo ormai. Ma Vegeta non poteva accettarlo. Come poteva rassegnarsi al fatto che un suo suddito lo avesse superato? Come poteva essere successo? Lui era il Principe dei Sayan, il più forte, il più astuto, l'imbattibile. Era sempre stato così, fin da quand'era bambino. Perchè ora era tutto diverso? Perchè ora si sentiva così debole? Non riusciva a trovare risposta. E con questo pensiero fisso entrò nella doccia. Non ci rimase a lungo, aveva troppa fame. Non mangiava dalla sera prima e si sentiva completamente privo di forze. S'infilò una tuta, una canottiera nera e le scarpe, poi scese in sala da pranzo. Era persino disposto a sopportare i terrestri pur di mettere qualcosa sotto i denti. Ma la fortuna continuava ad assisterlo. Nella grande sala illuminata da un enorme lampadaro di cristallo, non c'era neanche l'ombra delle due insopportabili donne. C'era solo il marito della bionda, ma questi non gli avrebbe dato troppo fastidio. Per lo meno non tanto quanto le altre due.
"Oh, Vegeta!" lo salutò il signor Brief quando lo vide entrare. Era seduto al tavolo e stava rovistando tra alcuni fogli sparsi un pò ovunque, addirittura sulle sedie e sul pavimento. 
"Finalmente, sei stato chiuso lì dentro tutto il giorno! Avrai fame immagino" disse mentre raccoglieva in fretta e furia la carta intorno a sè. "Perchè non ti siedi, mia moglie ha lasciato qualcosa per te" e così dicendo si avviò verso la cucina, mentre Vegeta si accomodava al grande tavolo di legno di quercia. Vi appoggiò le braccia e si strofinò un pò gli occhi con le mani. Era davvero esausto, ma anche soddisfatto: la sua idea era che più si è stanchi più il lavoro è stato fatto bene.
Intanto l'uomo era tornato dalla cucina e certo non a mani vuote. Teneva un gran bel piatto di spaghetti con salsa di soia in una mano e nell'altra del pollo alle mandorle con un contorno di funghi. Lo stomaco del Sayan ruggì dolcemente a quella visione.
"Ecco qui" disse il signor Brief posando il cibo di fronte a Vegeta, il quale nemmeno si sognò di ringraziarlo. Stava per cominciare a mangiare quando l'uomo gli parlò di nuovo.
"Ehi, Vegeta, che ti sei fatto alle mani?" gli chiese leggermente allarmato. Vegeta non si scompose, ma qualcosa dentro di lui vibrò appena. Con una semplice alzata di spalle rispose al signor Brief, che non indagò oltre. Sapeva che le domande infastidivano il Sayan e lui non voleva certo dargli noia. Tornò ad osservare i suoi fogli al capo opposto del grande tavolo.
Poco più tardi Vegeta s'alzò, dopo aver mangiato a dismisura e si diresse spedito verso la sua camera, ignorando il signor Brief che gli augurava una buonanotte e scollandosi facilmente di dosso la moglie, che però non si lasciò guastare l'entusiasmo.
"Ci vediamo domani, bel ragazzone!" gli urlò dietro mentre lui quasi correva verso la sua stanza.
Quando arrivò al corridoio del primo piano sciolse le bende ormai lerce. Le ferite si erano già completamente rimarginate. Una volta giunto di fronte alla porta della camera, però, credette di essersi confuso. Controllò velocemente e corrugò le sopracciglia notando che la stanza era quella giusta, ma dentro c'era qualcuno che non avrebbe dovuto esserci. Percepiva la sua debole aura.
Dannata donna, pensò furioso. Mentre apriva con forza la porta cominciò a pensare al modo più lento e doloroso per ucciderla e ghignò malignamente quando la vide sussultare sentendo sbattere la porta contro al muro. Rimase a fissarla per un'eternità, gli occhi brucianti di rabbia puntati sulla sua figura impaurita.
"V-Vegeta... Ascoltami" provò lei. Se ne stava accanto alla finestra con in mano una tuta da combattimento, gli occhioni blu spalancati e i capelli svolazzanti. Le sue mani tremavano appena. 
"E' la seconda volta che entri nella mia stanza senza chiedermi il permesso, donna" ringhiò Vegeta buttando a terra le bende che si era appena tolto dalle mani. Bulma le guardò cadere sulla moquet beige prima di tornare a fissare il Sayan. 
"La tua stanza e sotto il mio tetto, perciò direi che posso entrarci come e quando voglio". La ragazza rispose a tono, com'era solita fare. Neppure uno spietato Sayan assassino riusciva ad intimidirla. Vegeta coprì la distanza che li separava con tre grandi passi e le si parò di fronte, tanto da sentire il dolce profumo alla pesca di cui sapeva la sua pelle chiara.
Bulma, dall'altra parte, alzò un pò la testa per poterlo guardare negli occhi e la sua bocca si schiuse appena quando una folata alla menta la travolse. Per un momento la mente di entrambi si annebbiò.
"Non m'importa che questa sia casa tua, insopportabile ragazzina viziata, ma ti avverto: se dovessi sorprenderti una terza volta qui dentro, di te non resterebbero altro che le briciole, mi sono spiegato?" chiese retoricamente il Sayan con voce tagliente e glaciale. 
Bulma sostenne il suo sguardo per tutto il tempo, gli occhi un poco stretti, come se volesse sfidarlo. Si mostrava forte, sicura di sè e per nulla impaurita, ma il suo cuore era un martello pneumatico, quel traditore. Batteva all'impazzava, sembrava lo sbattere le ali di un passerotto. Chiaramente Vegeta se ne accorse. 
Abbassò appena lo sguardo sul suo petto, per seguire la fonte del rumore. La ragazza indossava una leggera maglietta di cotone e un paio di pantaloncini, fasciando delicatamente il suo bel corpo. Vegeta squadrò quella figura tanto smilza quanto elegante e femminile per diversi secondi, facendo violentemente arrossire Bulma. I suoi occhi caddero sulle sue braccia nude, muscolose e forti come non ne aveva mai viste. I loro corpi erano vicinissimi, quasi si sfioravano.
"Volevo solo portarti la tua tuta" disse Bulma così piano che persino il Sayan -così vicino a lei- la sentì appena. Vegeta non rispose subito, il suo sguardo continuava a scivolare sul corpo perfetto della donna di fronte a sè. Quando incrociò di nuovo i suoi occhi e si decise a rispondere, la sua voce fu leggermente più calda, meno mordace.
"La prossima volta lasciala davanti alla porta" sussurrò con le labbra ad un centimetro da quelle di lei, alla quale stava cominciando a mancare il respiro. Deglutì cercando di rilassarsi, ma ora sentiva chiaramente anche il cuore del Sayan battere all'impazzata. Sembrava una gara a quale avrebbe resistito più a lungo. Inutile dire chi avrebbe vinto.
"Come vuoi" mormorò Bulma con dolcezza. Non riusciva a togliere gli occhi da dentro quelli del Sayan e allo stesso tempo non riusciva a guardarlo. Erano maledettamente vicini, troppo vicini. Vicini a qualcosa dal quale non sarebbero tornati indietro, qualcosa che li avrebbe cambiati radicalmente, dall'interno, sia una che l'altra. 
"Vattene" bisbigliò Vegeta. Il profumo alla menta investì la ragazza come un'onda sulla spiaggia, ma non si mosse. Il tono con cui Vegeta aveva parlato era stato molto diverso dal solito. Non era un ordine, sembrava più che altro una supplica.
Pagherai per tutto questo, stanne certa, pensò furente il Sayan, mentre incollava le sue labbra calde a quelle di lei, sottili e delicate, prima che questa potesse prendere qualunque decisione. Lui chiuse gli occhi e così la ragazza. Si lasciarono trasportare da quel tenue bacio, leggero, ma al tempo stesso passionale, ardente come il fuoco. Bulma posò cauta una mano sul suo petto, stringendo la canotta tra le sue dita, mentre Vegeta affondò piano una mano nella carne sui suoi stretti fianchi...
 
"Bulma! Dove sei tesoro?" la signora Brief era nel corridoio, se ne potevano sentire i passi sul pavimento di marmo freddo.
Vegeta e Bulma si staccarono di scatto e voltarono entrambi la testa verso la porta rimasta aperta...

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Capitolo 4
*** Sonno agitato ***


4. Sonno agitato
"Bulma! Dove sei tesoro?" la signora Brief era nel corridoio, se ne potevano sentire i passi sul pavimento di marmo freddo.
Vegeta e Bulma si staccarono di scatto e voltarono entrambi la testa verso la porta rimasta aperta...
 
La ragazza si svegliò di soprassalto e cadde dal letto. Non aveva ancora indossato il pigiama, aveva solamente una canottierina leggera e un paio di slip; in mano stringeva qualcosa: la tuta da combattimento di Vegeta. 
Quando sua madre aprì la porta senza neanche bussare era ancora un pò intontita, ma per lo meno era riuscita a rendersi un pò più presentabile. Seduta sul letto a gambe incrociate, la ragazza cominciò a ricucire un brutto squarcio su un fianco della tuta, anche se non era del tutto sicura che sarebbe stata ancora utilizzabile.
"Tesoro, guarda un pò qua!" strillò la signora Brief andandosi a sedere ai piedi del letto della figlia. In mano aveva un catalogo di una compagnia di cosmetici.
"Ci sono alcuni trucchi davvero strabilianti, cara, certi ombretti brillantinati che sono la fine del mondo, poi guarda questi rossetti!" cominciò a sproluquiare incessantemente e Bulma non dovette far altro che sorridere un pochino e commentare con alcuni "Wow" ciò che la madre reputava particolarmente entusiasmante. I trucchi di per sè non l'attiravano più di tanto, poi in quel momento si sentiva terribilmente distaccata da qualsiasi cosa. Aveva bisogno di restare un pò da sola e di riflettere.
"Mamma" disse con tutta la delicatezza che riuscì a trovare in sè "se non ti spiace vorrei andare a dormire. E' stata una giornata piuttosto lunga, sono stanca". 
"Certo, capisco. A proposito, cara, com'è andata oggi con Yamcha? Siete andati da Kadiri?" le chiese dolcemente. Bulma cercò di rispondere con un tono più entusiasta possibile.
"Oh sì, certo. E' andata bene, ci siamo divertiti. Kadiri ti saluta" rispose con un sorriso tirato.
"Bene, sono contenta. Allora buonanotte, figlia mia, ci vediamo domani" rispose la madre avvicinandosi per schioccare a Bulma un baciò sulla guancia. Poi si alzò e fece per uscire, ma Bulma la richiamò.
"Ehi mamma aspetta un momento!" le strillò dietro. La signora Brief si voltò sorpresa.
"Sì, tesoro?" chiese guardando la ragazza, che si morse un labbro, esitante.
"Ehm... Hai visto Vegeta oggi?" chiese cercando di trattenere l'interesse. Non guardò la madre negli occhi per paura di tradirsi.
"Vegeta, dici? Sì, certo. E' uscito da quella sua stanza piuttosto tardi, ha cenato e poi è andato a dormire, presumo. Perchè?" Bulma non si aspettava quella domanda. Ricominciò a cucire la tuta.
"Beh, volevo solo sapere quanti danni ha combinato lì dentro, visto che sarò io a dover sistemare" rispose mentendo spudoratamente. La madre ridacchiò piano, poi uscì e si chiuse la porta alle spalle.
Bulma si lasciò cadere sul letto buttando a terra la tuta del Sayan. Aveva la testa piena di immagini e sensazioni che, in un certo senso, non aveva mai provato. Non perchè non avesse mai baciato un uomo, ma perchè, ovviamente, non aveva mai concretamente baciato Vegeta. Eppure il contatto con le sue labbra calde le era sembrato così reale... 
Scacciò quei pensieri scuotendo la testa, tirò giù le coperte, s'infilò sotto al piumone caldo, chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, ma sapeva che sarebbe stato difficile prendere sonno.
 
Vegeta stava sdraiato a letto e fissava il soffitto. L'alba era vicina, i suoi sensi potevano percepirla. Teneva un polso appoggiato sulla fronte e con l'altra mano tamburellava nervoso sui suoi addominali scolpiti. Voleva alzarsi e correre nella camera gravitazionale per ricominciare ad allenarsi, voleva superare il limite, trasformarsi in Super Sayan e diventare l'essere più potente della galassia, così da conquistarla. Pensando agli allenamenti, la sua mente andò a quello che aveva combinato nella stanza: i robot era tutti completamente distrutti, il computer centrale era stato colpito diverse volte e ogni tanto andava in tilt. Il giorno prima aveva dovuto spegnere tutto e riaccendere quattro volte. Doveva avvertire la terrestre, dirle di sistemare la camera al più presto o non avrebbe di nuovo avuto modo di allenarsi come si deve; ma doveva cercare di dirglielo nel modo migliore possibile. Per quanto non sopportasse quella ragazza con quegli assurdi capelli, doveva ammettere -per lo meno a se stesso- che se si fosse stufata di fornirgli i mezzi per allenarsi sarebbe stato nei guai. Vegeta ne aveva assoluto bisogno. E come se non bastasse, lei faceva pure la strafottente. Il modo in cui gli teneva testa era tremendamente irritante, ma allo stesso tempo ne era quasi affascinato: non aveva mai conosciuto qualcuno che avesse il coraggio di sfidarlo a quel modo, persino Kaaroth aveva avuto qualche momento di esitazione durante il loro primo scontro. Lei invece no. Non aveva paura che Vegeta la uccidesse e questo lo infastidiva non poco. Avrebbe voluto insegnargli a rispettare i superiori, ma finchè gli sarebbe servita avrebbe dovuto adeguarsi. 
Pff, fece il Sayan mettendosi su un lato, io, il Principe dei Sayan, costretto a sottostare agli ordini di un'insulsa terrestre.
Questo sì che era insopportabile. Quasi quanto il vento freddo che si era appena alzato fuori dalla finestra e che filtrava nella stanza. Con un piccolo brivido, il Sayan si alzò dal letto e con indosso vestiti pesanti uscì nel corridoio e scese al piano terra. Era troppo presto perchè incontrasse qualche abitante della grande casa, così s'infilò in cucina e rubò qualcosa da mangiare dal frigorifero, poi si diresse verso la porta sul retro.
Quando passò davanti alla finestra qualcosa catturò la sua attenzione. La luce all'interno era accesa.
Maledizione, pensò furibondo. Finì il suo panino in un boccone, uscì e si diresse verso la camera gravitazionale che ancora masticava. Si sfregò un pò le mani, per scaldarle, spinse il pulsante "OPEN" e attese qualche secondo l'aprirsi del portellone. Può essere solo lei. I suoi genitori non entrano mai qui dentro, pensò infastidito Vegeta. Bene. Così non avrebbe dovuto impegnarsi per dirle del disastro là dentro.
Una volta dentro Vegeta rimase di sasso. La stanza era in ordine, come se nessuno ci entrasse da settimane, il computer centrale sembrava essere tornato a posto e due robot erano già attivi. Rimase qualche secondo a fissare la scena, poi vari rumori metallici attirarono la sua attenzione. Girò attorno al piano dei comandi, anche se poteva immaginare cosa stesse succedendo.
"Che diavolo ci fai tu qui?" disse Vegeta adirato e infastidito. Bulma alzò lo sguardo. Era inginocchiata a terra di fronte ad un robot ammaccato -altri tre erano stati sdraiati dietro di lei- i jeans macchiati di olio come la maglia grigia a maniche lunghe, bulloni, viti e cacciaviti erano sparsi ovunque e un maglione blu era appoggiato poco distante. Guardò Vegeta furiosa, lasciando cadere una chiave inglese e quando parlò sembrò che stesse sibilando.
"Buongiorno anche te, Principe dei miei stivali!" disse enfatizzando la parola principe. Recuperò la chiave inglese e ricominciò a lavorare, con troppa energia, tanto che il bullone che stava avvitando saltò via e finì al fondo della stanza. Bulma lo guardò rotolare sbuffando, ma prima che potesse alzarsi per andare a recuperarlo, una grande mano glielo stava porgendo.
La ragazza sollevò la testa con gli occhi sbarrati. Il Sayan non la stava guardando, fissava i robot già pronti con un ghigno sul volto. Bulma avvicinò piano la mano e prese il bullone. Nel farlo sfiorò appena la pelle di Vegeta. Si sentì avvampare, mentre nel punto in cui la mano di lei l'aveva sfiorato, al Sayan venne la pelle d'oca.
"Grazie" farfugliò la ragazza. Vegeta ritirò in fretta il braccio e mise la mano in tasca, voltandosi verso il lato opposto della camera. Improvvisamente gli venne un caldo tremendo.
Bulma guardò il suo lavoro. Ne aveva ancora per un bel pezzo prima che fosse finito, ma sapeva che Vegeta non avrebbe fatto aspettare i suoi allenamenti. E comunque non sarebbe più riuscita a concentrarsi con lui intorno. 
"Con questi dove ancora finire" disse piano, parlando più a se stessa che al Sayan. Lui comunque si girò a guardarla inarcando un sopracciglio. "Me li porto via, te li ridarò appena avrò finito" disse a voce più alta e cominciando a radunare i vari attrezzi. 
"Bene" rispose il Sayan sprezzante. Vegeta la guardava appena, senza mostrare particolare interesse. Stava esaminando i robot. La terrestre aveva apportato alcune nuove modifiche. La sentì raccogliere i pezzi da sistemare e poggiarli su un carrellino di un metallo, poi si diresse verso il portellone. Prima di uscire, però, si fermò un momento. Vegeta sentiva i suoi occhi perforargli la schiena e di nuovo sentì caldo, molto caldo.
 
"Accidenti!" strillò Bulma lanciando a terra un cacciavite. Era pomeriggio inoltrato e non aveva ancora pranzato. Tutto per quello scimmione arrogante, che non l'aveva neanche ringraziata per avergli aggiustato -per l'ennesima volta- i suoi robot. Era terribilmente stanca, affaticata e soprattutto stufa. Forse era proprio per questo che non riusciva a riparare l'ultimo aggeggio. Aveva già restituito a Vegeta gli altri tre -il quale le aveva solamente ringhiato contro per averlo interrotto- ma con quello non ci riusciva proprio. Stiracchiò un momento le braccia e bevve un sorso d'acqua. Forse una pausa l'avrebbe aiutata un pò.
Stava per uscire dalla stanza quando la porta si aprì senza che lei l'avesse toccata. 
Yamcha. Se ne stava impalato lì davanti, occupando tutto lo spazio, con un espressione così simile a quella solita di Vegeta che Bulma per poco non scoppiò a ridere. Non gli si addiceva per niente.
"Dove diavolo sei stata tutto il giorno?" chiese con tono infuriato. Bulma fece un passo indietro, impaurita. Yamcha non era mai così ostile. Tuttavia si riprese in fretta.
"Esattamente dove mi vedi ora!" rispose alzando la voce, incollerita. Perchè doveva comportarsi così?
"Tutto il giorno qui dentro? E a fare cosa?" la rabbia non lasciò del tutto il posto alla sorpresa, anzi, quando riprese a parlare sembrava più adirato di prima.
"Ah certo. Sei stata qui a lavorare per quel Mostro, non è vero?" disse fissandola negli occhi. Lei sostenne il suo sguardo, ma si sentì arrossire irrimediabilmente. 
"Ho provato a chiamarti mille volte e tu non hai mai risposto perchè stavi facendo la sua schiavetta? Dunque quel Sayan viene prima di me?" a questo punto stava decisamente urlando, avanzando velocemente verso Bulma, la quale non era seppure del tutto tranquilla. Questa volta Yamcha era davvero arrabbiato.
"Sì, è vero, ero qui a lavorare e allora? Cosa dovevi dirmi di così urgente?" gli chiese un tantino esasperata. Voleva fare una pausa, non accollarsi altri problemi.
"Volevo chiederti di uscire! Potevamo andare al centro commerciale o dovunque avessi voluto! Tu però eri troppo impegnata a riparare i suoi giocattoli!" le gridò in faccia. Per un momento Bulma pensò di sognare di nuovo. La situazione era molto simile, si trovava schiacciata contro il tavolo da lavoro, sovrastata e accusata. L'unica enorme differenza era Yamcha.
"Oh, stammi a sentire, sono stanca e non ho nessuna intenzione di discutere, chiaro? Se ti va ne parliamo domani, altrimenti non farti più vedere finchè non ti sei dato una bella calmata!" gli urlò contro tirandogli un pugno su un fianco per farlo spostare. La ragazza uscì così dalla stanza e percorse il corridoio per raggiungere le scale e salire in camera. Camminò pensando a quant'era appena successo; Yamcha si era comportato da bambino geloso e questo la infastidiva da matti. Avrebbe voluto tornare indietro e dargli un bel ceffone, rinfacciargli tutte le volte che lei lo chiamava e lui non rispondeva, o tutte le volte che si faceva aspettare per ore. Questa gliene avrebbe davvero dette di tutti i colori, ma era esausta.
Era decisa ad andare dritta in camera, ma improvvisamente si presentò un nuovo problema: aveva quasi paura di andare a dormire, specialmente, però, aveva timore di quello che la sua mente avrebbe potuto fruttare durante il sonno. Cercò di non pensare troppo alla notte precedente, al sogno che aveva fatto. Era qualcosa di veramente stupido, non poteva permettersi di provare certe cose, specialmente per certe persone. Ma quando svoltò l'angolo non era più così certa se si stesse riferendo a Yamcha o a Vegeta.
Una ventata fredda fece svolazzare i fiori sparsi per il corridoio, portando con sè un fresco odore di menta.

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Capitolo 5
*** Cambiamenti ***


5. Cambiamenti
Sono i nostri cuori che guidano le nostre menti,
non il contrario.
 
I giorni seguenti passarono lenti è sempre uguali. Tutte le mattine, Vegeta andava nella camera gravitazionale ad allenarsi come un forsennato, determinato -o intestardito- a diventare il leggendario Super Sayan. La sua fissazione veniva solo ed unicamente dal fatto che era stato superato da un essere inferiore a lui, un suddito, un guerriero di grado molto più basso di quello del Principe dei Sayan. E questo non poteva sopportarlo, non poteva accettarlo. Era un'umiliazione che aveva portato disonore al suo nome, al nome di suo padre e del suo pianeta. Vegeta, col suo essere inferiore a Kaaroth, aveva messo in ginocchio l'orgoglio della razza Sayan. Doveva rimediare assolutamente e riportare l'ordine nella sua vita. Una volta superato il limite e diventato il più forte in assoluto, avrebbe distrutto quei Cyborg che sarebbero arrivati circa due anni e mezzo più tardi, poi avrebbe distrutto l'intero pianeta con tutti i suoi abitanti e avrebbe cominciato con Kaaroth. Non ne avrebbe salvato nessuno, neanche uno. O una.
 
Bulma, invece, ormai passava le sue giornate tra il lavoro per la Capsule Corporation e quello per lo scimmione. Non passava giorno senza che lui le ordinasse di riparare qualche suo marchingegno, consapevole che la mattina seguente sarebbe stato da aggiustare un'altra volta. La ragazza, comunque, non si faceva strapazzare da lui come fosse una serva ai suoi comodi, oh no, opponeva una ferrata resistenza. Non accettava mai senza per lo meno battibeccare per un buon quarto d'ora o senza ricordargli che non era il padrone di casa, che era soltanto un ospite, pure indesiderato. Ogni volta, però, Vegeta le rispondeva con una frecciatina che, puntualmente, la zittiva definitivamente.
"Sei stata tu ad invitarmi qui, io non ti avevo chiesto nulla, donna" diceva compiaciuto all'idea d'incastrarla. Lei, infatti, non trovava più modo di ribattere e si limitava a pensare cose sel tipo chissà che avevo nella testa. Ogni volta era una lotta, ogni discussione una guerra senza armi, tanto frustrante quanto divertente. Per entrambi, infatti, stava diventando un vero e proprio passatempo punzecchiare l'altro con battutine e rispostacce per provocarlo. Persino Vegeta cominciò a fare una lunga pausa dagli allenamenti per l'ora di pranzo, così da infastidire la ragazza, che non si lasciava certo sottomettere a quel modo.
"Bene, allora. La tua camera gravitazionale è andata di nuovo in tilt, ma stavolta non te la riparo. Trova un altro modo per allenarti, non m'importa" gli aveva risposto un pomeriggio di fine novembre, quando, per la miliardesima volta, era andato da lei per intimarle di aggiustarla al più presto. A quel punto il Sayan decise di giocare d'astuzia. Per quanto odiasse ammetterlo, sarebbe stato inutile cercare di spaventarla con minacce varie, l'aveva già fatto mille volte e sempre gli aveva risposto "Tanto non mi ucciderai, se lo facessi non avresti più modo di usare quella stanza" e Vegeta sapeva che aveva maledettamente ragione. Perciò optò per il cervello, anche se non era la sua consuetudine. 
Una mattina andò nella sala da pranzo mentre la terrestre faceva colazione e cominciò a tamburellare forte sul tavolo di legno lucido. Subito Bulma cercò di ignorarlo, ma dopo una ventina di minuti cominciò ad innervosirsi. Per i suoi standar aveva resistito fin troppo a lungo.
"La vuoi finire?" gli aveva urlato contro esasperata. Il Sayan non aspettava altro. Alzò lo sguardo su di lei con fare strafottente e le rispose per le rime.
"Se non posso allenarmi devo pur trovare qualcosa da fare" disse secco, sottolineando con la voce le parole se non posso allenarmi. A quel punto Bulma, dopo averlo maledetto più volte sia a voce che nella mente, uscì di corsa dalla sala e quando Vegeta la sentì sferragliare nella camera gravitazionale ghignò soddisfatto.
 
La povera ragazza, oltre che dover sopportare l'esuberante Sayan, doveva anche vedersela con un fidanzato geloso e prepotente. Yamcha non si era più fatto nè vedere nè sentire dopo la litigata nel laboratorio di Bulma per tutta la settimana, ed era tornato il sabato pomeriggio più rilassato, deciso ad uscire con lei e sistemare le cose. 
Arrivò alla Capsule Corporation poco dopo l'ora di pranzo, congelato fino al midollo dal vento artico che tirava ancora fuori dalla porta. Era stato accolto dalla signora Brief in modo così caloroso che prima di andare da Bulma passò una buona mezz'ora, durante la quale il ragazzo mangiò pasticcini e biscotti a dismisura. Quando finalmente si liberò della madre di Bulma andò da lei. Era convinto di trovarla in camera sua, ma quando nessuno rispose dopo aver bussato a lungo, si decise ad andare a vedere in laboratorio. Per quanto potesse dargli fastidio era quasi certo che fosse lì. Infatti.
"Ehi, ciao bellissima!" disse allegro entrando nella stanza. Bulma era seduta alla scrivania del computer e scriveva freneticamente sulla tastiera, con un'espressione così corrucciata e concentrata che subito non si voltò neanche verso Yamcha. Solo quando lui la chiamò per nome lo guardò un momento.
"Oh ciao" disse con voce piatta, come se fosse entrato il postino. Yamcha stava iniziando a scaldarsi e cercò di non perdere le staffe sbuffando e guardandosi intorno. Fu allora che lo vide. Stava appoggiato al tavolo da lavoro con le braccia strette al petto nudo, indossava solo un paio di pantalocini aderenti, quelli che usava per allenarsi. Aveva uno sguardo a dir poco assassino e fissava Bulma con un'intensità che Yamcha si sentì terribilmente di troppo. Ma non era lui l'intruso, o almeno così credeva.
"Che diavolo ci fai tu qui?" urlò furioso contro il Sayan, che non lo degnò di uno sguardo e non si scompose. Bulma smise per un momento di battere sui tasti, alzando lo sguardo sui due.
"Ehi, scimmione, ti ho fatto una domanda! Sai solo ringhiare o sei in grado di rispondermi?" lo provocò ingenuamente. Per tutta risposta Vegeta scoprì i denti e dalla sua gola salì un ringhiò sommesso. Bulma ricomiciò a scrivere, cercando di ignorarli.
Sono adulti e vaccinati, pensò stressata, che se la vedano da soli. Ma quando vide Vegeta avvicinarsi con le mani strette a pugno verso Yamcha, si rese conto che probabilmente quest'ultimo non era così adulto. Per lo meno non quanto Vegeta.
"Se hai qualche problema, a me non interessa" gli sibilò contro con il volto incupito ad una spanna da quello dell'altro, che barcollò all'indietro, visibilmente spaventato. Bulma si alzò dallo sgabello, osservano la scena anche lei atterita. Sapeva che Vegeta non ci avrebbe pensato due volte se avesse seriamente deciso di ucciderlo.
"Vedi di sparire, prima che ti faccia sparire io" continuò il Sayan con i pugni così stretti che s'intravedevano i tendini. Yamcha, per quanto spaventato che fosse, si sentì ribollire nel sentire che quel mostro gli dicesse di andarsene e stare lontano dalla sua ragazza.
"Senti un pò, scimmione, io sono qui per vedere la mia Bulma, perciò sei tu quello che ora sparisce, hai capito?" sbraitò adirato. Bulma fece velocemente il giro della scrivania e posò una mano sulla spalla del ragazzo, cercando di tirarlo indietro.
"Ora basta Yamcha! Smettila di comportarti come un bambino!" strillò esasperata da quei comportamenti infantili. Vegeta la fissava mentre fingeva di essere preoccupata per quell'insulso essere umano, così sfruttò la cosa per punzecchiare ancora di più il ragazzo.
"Tsk, neanche lei ti vuole, per quale motivo sei ancora qui, piccolo insetto?" disse sprezzante, prendendosi gioco di lui. Bulma sbarrò gli occhi e fissò Vegeta per capire se si stesse divertendo a farla diventare matta, ma lui guardava Yamcha con gli occhi stretti e un mezzo ghigno stampato sulle labbra. Yamcha, dal canto suo, era irrimediabilmente furente. Con uno scossone allontanò Bulma dal suo braccio, facendola finire contro il tavolo dietro di lei. Non era certo un Sayan, ma in quanto a forza anche lui non scherzava.
"Come ti permetti, brutto mostro! Lei è la mia ragazza, è te che non vuole! La stai facendo impazzire con i tuoi allenamenti, i tuoi aggeggi e la tua dannata camera gravitazionale, razza di scimmia primitiva! Vedi di starle lontano e di lasciarla respirare un pò, altrimenti io..." ma Vegeta interruppe la minaccia del ragazzo.
"Tu cosa? Cosa credi di potermi fare?" gli ringhiò contro. Si stava stufando, il divertimento che aveva provato all'inizio nel punzecchiarlo si stava trasformando in furia omicida. Yamcha indietreggiò sotto il suo sguardo maligno.
"E tu vedi di finire in fretta quella roba, donna" ammonì la ragazza mentre apriva con forza la porta e usciva dal laboratorio, prima che uccidesse davvero qualcuno. Bulma era ancora appoggiata al tavolo, con il cuore che batteva come un forsennato per la paura. Da un pò di tempo non vedeva Vegeta così arrabbiato. Con un sospiro di sollievo andò a risistemarsi sullo sgabello, poggiando i gomiti sulla scrivania e prendendosi la testa tra le mani. 
Yamcha, invece, si riprese in fretta. Si voltò verso la ragazza incrociando le braccia al petto e rimase a fissarla qualche secondo, prima di scatenare la sua ira.
"Dunque? Tu che hai da dire in merito?" le chiese trattenendo a stento gli insulti. Bulma alzò lo sguardo su di lui. Si sentiva spaesata. Ora era colpa sua? Praticamente non aveva aperto bocca durante tutto il litigio.
"Che vuoi dire? Io che c'entro in tutto questo?" chiese ingenuamente. Era stato Vegeta a tirarla in ballo. Anche se una parte di lei dovette ammettere che effettivamente non era in vena di vedere Yamcha... Possibile che quel Sayan se ne fosse accorto?
"Avresti dovuto dirgli qualcosa! Insomma questa è casa tua o sua? Perchè non gli hai detto di andarsene? Hai lasciato che mi attaccasse senza dire una parola! Ti ringrazio!" Yamcha stava di nuovo urlando, questa volta contro di lei. Ma Bulma era furba, cercò di prendere un vantaggio su di lui.
"Dunque avresti preferito essere difeso da una ragazza? Avresti voluto che mi mettessi in mezzo dicendogli di lasciarti stare o non gli avrei aggiustato quei dannati cosi? Ti avrebbe umiliato a vita se l'avessi fatto, oppure te l'avrebbe tolta la vita!" urlò senza più la forza di trattenere nulla. Stava di nuovo litigando con Yamcha. Ormai accadeva ogni volta che si vedevano.
Il ragazzo intanto sbuffava arrabbiato e sconfitto al tempo stesso. Non avrebbe mai sopportato che Bulma l'avesse difeso di fronte a Vegeta, ma voleva disperatamente trovare il modo di far capire a quel Sayan chi era il benvenuto e chi non lo era. Tutto a un tratto però si rese conto che neanche lui era più il benvenuto. Forse la scimmia aveva ragione.
"Bene. Quindi è questo che vuoi? Vuoi che me ne vada?" le disse con tono altezzoso. Bulma lo odiava quando si comportava così. Cercò di respirare profondamente per non esplodere e dirgli esattamente di sparire una volta per tutte, di non farsi più vedere e di lasciarla vivere in pace. Non ce la fece.
"Ora basta, sono stufa! Vattene Yamcha! Non venire più a cercarmi, non ne posso più di te! Questo è veramente troppo! Negli ultimi mesi non hai fatto altro che torturarmi ogni qualvolta che ero un pò distratta, neanche fossimo sposati! E bene, togliamoci quest'impiccio una volta per tutte!" urlò distrutta. Aveva tenuto per sè tutti quei fastidiosi episodi, rinchiudendoli in una fortezza nella sua mente nella speranza che li dimenticasse, nella speranza che la situazione tornasse quella di un tempo, che Yamcha crescesse di cervello e la piantasse con le sue scenate di gelosia, così come lei aveva sorpassato tante volte sul fatto che lui guardasse perennemente altre ragazze. Ora però aveva raggiunto il limite. 
Yamcha era rimasto spiazzato. La fissava con gli occhi sbarrati e la bocca aperta, le braccia ciondolavano inermi lungo i suoi fiachi. Non si sentiva più nulla, era come se avesse ingogliato del piombo che ora gli pesava sullo stomaco, spingendolo verso terra, senza forza sufficiente per sostenersi, per restare in piedi. Avrebbe voluto uscire da quella stanza urlando, correre nella camera gravitazionale e prendere a pugni Vegeta, avrebbe voluto distruggere tutto ciò che vedeva di fronte a sè, ma non riusciva neanche a chiudere la bocca. Sentiva il desiderio di avvicinarsi alla ragazza, prenderla per le spalle e scuoterla fino a farla rinsavire, voleva gridarle che stava sbagliando, che dopo tutti quegl'anni la sua era una stupidaggine abnorme, ma non riusciva a ritrovare le gambe per poter camminare. 
"Mi... Mi stai lasciando?" chiese con voce tremante. Bulma non rispose, ma il suo sguardo era più che eloquente. 
Lo stava lasciando.
"Mi dispiace, Yamcha, ma le cose sono cambiate e non possiamo far finta di niente. E' da tempo che ci siamo allontanati, ormai" disse con voce molto più bassa e calma, ma il tono era dei più risoluti. 
Yamcha cercò di ritrovare il suo corpo. Ci vollero diversi minuti, ma alla fine riuscì a risentirsi gli arti, la faccia, lo stomaco pesante come il piombo... Anche il cuore. Lo sentiva dolere in modo anormale, come se fosse stato trafitto, lacerato. 
"Bene" disse infine. Non era per niente convinto che fosse un bene, ma che altro poteva fare? Bulma lo stava buttando fuori da quella stanza, da quella casa... Dalla sua vita, in pratica. L'unica possibilità era accettare quella scelta. Ma prima voleva sapere un'ultima cosa...
"C'entra lui, non è vero?" disse all'improvviso. Bulma fu presa in contro-piede. Alzò lo sguardo su Yamcha e lo vide sulla porta, gli occhi lucidi e una mano poggiata sulla maniglia, pronto a scappare da quella situazione così scomoda.
"Cosa?" chiese lei. Non era certa di aver capito il senso delle sue parole, ma Yamcha confermò i suoi sospetti.
"Vegeta. Lo so, in qualche modo c'entra con tutto questo. Te lo leggo negli occhi" rispose lui pacato, o forse rassegnato. Bulma si sentì scaldare. Possibile che fosse così semplice leggerle dentro? Era già la seconda volta quel pomeriggio.
"Tutto questo non ha niente a che fare con nessuno che non sia tu, Yamcha" rispose lei punta nel vivo. Stava cominciando a dargli davvero sui nervi. Lui non si scompose.
"Sì, certo. Come vuoi, allora. Forse ci vediamo in giro, o forse no" disse dopo averci pensato un momento. La ragazza non ebbe neanche il tempo di rispondere che se n'era già andato. Non sentì i suoi passi sul pavimento di marmo. Forse era volato fuori dalla finestra del corridoio.
 
Bulma era seduta in cucina di fianco al piano cottura, aspettando che l'acqua per il tè cominciasse a bollire. Aveva le braccia incrociate sul piano di marmo e la testa posata su di esse. Si sentiva a pezzi, nonostante fosse certa di aver preso la decisione migliore. Le sembrava di essersi spaccata. Una parte di lei era lontana, probabilmente sotto la pioggia gelida assieme a Yamcha, a vagare nella notte straziato dal dolore. Un' altra invece era nella camera gravitazionela assieme a Vegeta. Le ultime parole del suo ex-ragazzo -le faceva un effetto davvero strano chiamarlo così- l'avevano indotta a pensare. Aveva ragione? Lo stava davvero lasciando per Vegeta? Non se la sentiva di rispondere sì, assolutamente sì, ma le sembrava che anche un no, assolutamente no fosse fuori luogo. Era certa che il Sayan avesse un qualche effetto su di lei, ma non sapeva come definirlo. A volte le tornava in mente il sogno di alcuni giorni prima e si ritrovava a sospirare immaginando il profumo alla menta di lui, altre volte lo avrebbe volentieri fatto esplodere con la maledetta camera della gravità. Non era più certa di nulla.
L'acqua bolliva. Spense immediatamente il gas e prese una tazza dal mobiletto sopra la sua testa, ci verso l'acqua e vi immerse la bustina di tè, facendola ballonzolare con un cucchiaino d'acciaio. Guardò l'acqua colorarsi lentamente di scuro e paragonò quel fenomeno alla sua vita in quel momento. Fino a qualche mese prima era tutto limpido e trasparente, ora invece tutto stava diventando buio e profondo. Profondo, come i suoi occhi...
Un rumore alle sue spalle la fece sobbalzare e per poco non si rovesciò il tè sulla maglia larga che indossava su un paio di shorts. Si voltò per controllare, e sulla porta c'erano proprio quegl'occhi scuri come l'universo che la fissavano indigatori. Non gli rivolse la parola, tornò a punzecchiare la bustina di tè col cucchiaino. 
Lo sentì avvicinarsi a passi lenti verso il frigorifero, lo aprì e ne tirò fuori una bottiglietta d'acqua. Ne bevve metà, poi l'appoggiò sul piano cottura, poco distante dalla ragazza, mentre lei cercava di ignorarlo. D'un tratto, con la coda dell'occhio, lo vide sistemarsi contro il frigorifero a braccia conserte e non potè evitare di voltarsi verso di lui. Vegeta continuava a fissarla con quel suo cipiglio arcigno e curioso al tempo stesso.
"Che vuoi, Vegeta?" gli chiese allo stremo delle forze. Lui non rispose subito, si limitò a squadrare il suo abbigliamento e le sue gambe nude, prima di parlare con un tono che nascondeva qualunque emozione.
"Hai lasciato l'insetto" disse con voce sicura. Non era una domanda, ma una constatazione. Lo aveva visto volare via dalla finestra della camera gravitazionale e gli era sembrato letteralmente distrutto. Com' era anche lei in quel momento.
"Non sono affari tuoi, o sbaglio?" rispose lei infastidita. Non aveva nessuna voglia di discutere con lui. Specialmente con lui.
"Perchè?" insistè il Sayan, senza curarsi della risposta della ragazza. Voleva capire cosa le passasse per la testa, senza che nemmeno lui sapesse la ragione di tanto interesse.
"Che t'importa?" Bulma lo guardò scettica, posando la tazza sul piano. Vegeta catturò il suo sguardo, imprigionando gli occhi di lei nei propri. Era quello che aspettava. Sapeva che lei non gli avrebbe mai risposto con sincerità, perciò l'unico modo era capire da sè ciò che provava. Ma quello che vide lo sconvolse. Negli occhi -nei bellissimi occhi- di lei non c'era altro che innocenza, un pò di paura, tristezza e insicurezza. Per un momento sentì lo strano impulso di toccarla, di cancellare quel velo di angoscia e avvilimento che marcava i lineamenti delicati di quella terrestre. Cercò di scacciare quel pensiero, posando lo sguardo sulla tazza fumante di fronte a lei. 
Bulma tornò a sorseggiare lentamente il suo tè bollente, pensando a quell'istante in cui gli occhi di lei e di Vegeta si erano incrociati. Aveva sentito rimbombare le parole di Yamcha nella sua testa... 
C'entra lui, non è vero? Ebbene ora ne aveva la certezza. Sì, aveva a che fare con Vegeta. Era qualcosa di simile a ciò che aveva provato vedendoli fronteggiarsi nel laboratorio qualche ora prima. Vegeta era adulto, era uomo. Yamcha no. Yamcha era un ragazzino ancora, immaturo e spensierato. E lei era stufa di fare la ragazzina. Si sentiva troppo donna per evitare di comportarsi come tale. Una lacrima scivolò lenta sulla sua guancia sinistra, colando piano verso l'angolo della sua bocca. Non fece in tempo a posare la tazza che una ventata fredda alla menta le fermò il respiro. Si voltò veloce -anche se non abbastanza- verso il frigorifero, ma Vegeta era sparito. 
Si posò una mano sulla guancia. Era completamente asciutta.

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Capitolo 6
*** Regali di Natale ***


6. Regali di Natale
Quando orgoglio e amore convivono in un unico corpo...

Le settimane seguenti passarono come fossero un uragano. La confusione era la regina delle sensazioni che svolazzavano per casa, da un abitante all'altro. Vegeta pensava spesso, troppo spesso, alla terrestre con quegl'occhi blu. Aveva cercato di capire cosa stesse provando la sera in cui aveva lasciato l'insetto, ma il modo in cui aveva esposto le sue domande non era stato proprio il migliore e lui stesso non era sicuro di ciò che stesse facendo. Si era sentito a disagio, non era certo un essere sensibile, non sapeva come comportarsi in certe situazioni. Ma era comunque un uomo. Certi istinti risalivano a galla prepotenti, facendosi largo tra i suoi pensieri fissi, come gli allenamenti. D'altra parte, lui non faceva che allenarsi per raggiungere i suoi scopi. Ma ora questi pensieri lo distraevano in maniera irreparabile. Verso la metà di dicembre aveva perso un'intera giornata di allenamento per tenere d'occhio quella terrestre, Bulma. L'aveva seguita per tutta la casa, ovunque andasse, qualunque cosa facesse; finchè non si era tirato uno schiaffo sulla fronte, maledicendosi per il tempo che stava sprecando, anzichè impegnarsi a diventare il più forte guerriero della Galassia. Si sentiva terribilmente perso, spaesato e confuso.
Il disordine più totale, però, era nella mente di Bulma. Da quando aveva lasciato Yamcha, quasi non usciva più di casa. Non faceva altro che lavorare e lavorare, un pò per l'azienda del padre, un pò per Vegeta. Già, Vegeta. Cercava di parlarci quando le portava i suoi disastri da risistemare, ma lui rispondeva sempre a monosillabi e ogni volta si impegnava a non guardarla e non sfiorarla. Lei non insisteva mai più di tanto, sapeva che Vegeta aveva poca pazienza, specialmente per le chiacchiere. Non sapeva esattamente cosa stesse cercando di fare, voleva solo avere un qualche contatto con lui. Non sapeva più cosa provava. Sentiva crescere l'interesse nei confronti del Sayan di giorno in giorno, ma non riusciva a gestirlo.
Persino il signore e la signora Brief erano spesso confusi e disorientati. Vedevano la figlia correre in giro per casa con le mani sempre piene di oggeti elettronici. La sua espressione sempre imbronciata era per loro una spina nel fianco. Cercavano disperatamente un modo per distrarla da qualunque cosa l'assillasse e la soluzione arrivò alla signora Brief una fredda mattina di inizio dicembre.
"Ho trovato, caro!" strillò d'un tratto mentre faceva la lista dei regali di Natale per amici e parenti. 
"Che cosa, moglie?" domandò sorpreso alzando lo sguardo dalla sua tazza di caffè. Erano solo le sette e mezza e Bulma stava ancora dormendo, mentre i genitori stavano già organizzando la loro giornata. 
"Porterò Bulma con me a comprare i regali di Natale, le è sempre piaciuto moltissimo, sono certa che la tirerà su di morale. Ultimamente è così triste..." commentò amareggiata la donna.
"Sì, è vero in effetti. Credo che abbia a che fare con Yamcha. Non lo si vede più in giro..." disse mescolando piano il suo caffè il signor Brief. Posò il cucchiaino e sollevò la tazza, cominciò a berlo mentre ancora pensava alla sua unica figlia. Le voleva un bene dell'anima, ma non era sicuro di come muoversi in situazioni del genere.
La signora Brief si alzò all'improvviso e comiciò a camminare su e giù per la cucina, torturandosi le mani, nervosa. Da un paio di settimane cercava continuamente di parlare con Bulma di ciò che stava passando, voleva aiutarla, ma lei rispondeva sempre "Tranquilla mamma, va tutto bene!" e scappava a lavorare. Era sicura che tutto quel lavoro servisse per distrarsi. Ma da cosa?
Passò una buona mezz'ora, nella quale i coniugi Brief continuarono a parlottare dei presunti problemi di cuore della figlia, finchè questa non comparve sulla porta. La signora Brief si voltò verso di lei e la fissò per qualche secondo.
Bulma aveva gli occhi leggermente gonfi, come se avesse pianto, la pelle del viso era tirata, i capelli aggrovigliati e il pigiama grigio era tutto stropicciato. Sembrava avesse passato una notte infernale.
"Oh buongiorno tesoro!" la salutò la madre con vigore. "Vuoi la colazione, cara?" le chiese mettendosi ai fornelli. La ragazza si sedette al tavolo di fianco al padre, che la salutò accarezzandole la mano.
"Buondì, figlia mia, come ti senti?" le chiese gentilmente. Bulma rispose con voce pastosa per il sonno e lasciò cadere la testa sul tavolo, con un grosso sbadiglio.
"Sono a pezzi" rispose con voce così stanca che il padre guardò la moglie preoccupato. La signora Brief si voltò appena verso la figlia, poi tornò a spadellare fischiettando. Cercava di mostrarsi allegra, nella speranza di contaggiare anche la ragazza.
"Ecco tesoro" disse poi mettendo due frittelle con lo sciroppo in un piatto e porgendole a Bulma, che ringraziò piano e cominciò a mangiare lentamente. La madre decise di esporre le sue intenzioni per quella giornata.
"Senti, cara... Oggi pomeriggio vado a fare spese. Sai tra poche settimane è Natale e devo ancora comprare molti regali. Ti andrebbe di venire con me?" chiese delicatamente sedendosi di fronte alla figlia. Lei smise un momento di mangiare per fissare la madre, poi bevve un sorso di caffè e riflettè qualche secondo, corrucciando le sopracciglia. Improvvisamente la signora Brief si sentì terribilmente in colpa.
"Se non hai voglia non fa nulla, cara..." cominciò, ma Bulma la interruppe.
"No, sono d'accordo. Ho bisogno di uscire un pò, in effetti... Sì, è una buona idea" sorrise alla fine. La signora Brief lanciò uno strilletto soddisfatto e anche suo marito sospirò sollevato, ricominciando a leggere il giornale.
 
Poco più tardi le due donne partirono alla volta del centro, vestite così pesantemente da sentirsi ribollire, ma solo finchè rimasero dentro. Una volta uscite, il signor Brief scese in cantina e tirò giù dagli scaffali alcuni scatoloni polverosi. All'interno c'erano tutte le decorazioni natalizie: l'enorme abete, le palline colorate, nastri luccicanti, ghirlande e oggetti vari da attaccare in giro per la grande casa. Era tornato in salotto e stava preparando la scala sotto al lampadario, quando d'un tratto sentì aprirsi la porta sul retro. Rimase un momento a fissare un punto indefinito verso la finestra che dava sul giardino, poi sentì dei passi alle sue spalle e si voltò.
"Oh, buongiorno Vegeta" disse pacato, iniziando a tirar fuori dagli scatoloni dei fili di lucine colorate. Vegeta lo osservava silenzioso. Aspettava che lo degnasse della sua attenzione come meritava. Il signor Brief, non sentendolo più muoversi, si voltò verso il Sayan. Indossava solo i pantaloncini e le scarpe da ginnastica, nonostante facesse un freddo polare.
"Hai bisogno di qualcosa Vegeta?" chiese lo scienziato posando le lucine sul divano. Sapeva che Vegeta non si presentava mai in casa se non aveva bisogno di aiuto.
Il Sayan si avvicinò al signor Brief mentre studiava con gli occhi la stanza e cercava di percepire qualcosa nel resto della casa.
"Lei dov'è?" chiese brusco come al solito. Il computer della camera gravitazionale era stato violentemente colpito da una sfera di energia scagliata da uno dei robot e non si accendeva più. Aveva bisogno che la terrestre l'aggiustasse in fretta.
"Bulma dici? E' uscita con sua madre, sono andate a fare compere. Se ti serve qualcosa puoi chiedere a me, comunque" propose cauto il signor Brief. Vegeta sbuffò infastidito. Avrebbe potuto chiedere alla scienziato, certo, ma sapeva che ci avrebbe messo il doppio del tempo rispetto alla ragazza. Digrignò i denti scocciato.
Il signor Brief non aspettava una risposta, sapeva che Vegeta preferiva farsi aggiustare la camera da Bulma e che non avrebbe accettato il suo aiuto. Ma non se la prese, anzi, ne era quasi contento. Ricominciò a sciogliere il filo di lucine da appendere al soffitto, ma fu richiamato dal Sayan.
"Cos'è tutta questa roba?" chiese con il suo solito tono burbero colorito da una sfumatura di curiosità. Il signor Brief si voltò ancora verso di lui e lo vide esaminare uno scatolone di nastri argentati e dorati da appendere all'albero.
"Sono decorazioni natalizie. Sai, ormai manca poco a Natale" rispose tranquillo il padre di Bulma. 
"Natale?" chiese Vegeta confuso. Non aveva idea di cosa stesse parlando, era completamente all'oscuro. Il signor Breif se n'era totalmente dimenticato. 
"Sì, Natale. E' una festa. A Natale si fanno regali alle persone care, alle quali si vuole bene. La Vigilia di Natale si fa un gran cenone con tutta la famiglia e queste servono ad abbellire la casa" disse indicando gli scatoli con gli addobbi. Vegeta si fece pensieroso. L'unica festa -se così si può chiamare- che conosceva era l'incoronazione del Re dei Sayan, alla quale, per altro, non avrebbe mai più assistito. Non era al corrente delle usanze dei terrestri e non gli interessava neanche conoscerle. Ma d'un tratto un'idea completamente folle gli riempì la mente...
"Regali hai detto?" chiese all'improvviso. Se ne pentì immediatamente. Non capiva cosa stesse dicendo, era come se un altro stesse parlando al posto suo. Anche il signor Brief rimase molto sorpreso.
"Sì, regali. Si fanno alle persone importanti, come una figlia, un padre o un caro amico. O un fidanzato, ma se ho capito bene Bulma non ha più questo problema..." riflettè, parlando più a se stesso che al Sayan. Vegeta ghignò appena nel sentire quelle parole. Ancora una volta, un'idea squilibrata gli si parò davanti agli occhi...
"Mi servono dei soldi" disse incrociando le braccia sul petto nudo e voltandosi verso il signor Brief. Questi lasciò cadere a terra le lucine che stava ancora districando, spalancando gli occhi puntati sul Sayan.
"Dei soldi?" ripetè sbalordito. In sei mesi che Vegeta abitava in quella casa non aveva mai chiesto dei soldi. Di solito pretendeva ciò di cui aveva bisogno e faceva in modo che gli venisse procurato al più presto. Il signor Brief pensò che forse era meglio chiarire quel punto.
"Vegeta, se ti serve qualcosa... Sì, insomma posso pensarci io, faccio un salto in città questo pomeriggio e..." ma Vegeta - o chi si era impossessato del suo corpo (era impossibile che fosse proprio lui a parlare, il Principe dei Sayan)- lo zittì prima che potesse aggiungere altro.
"Ti ho già detto cosa mi serve, vedi di fornirmeli il più in fretta possibile!" sbraitò contro il povero padre di Bulma. L'uomo sobbalzò spaventato e dopo aver mugugnato qualcosa si diresse al piano di sopra. Vegeta era certo che lo stesse accontentando. 
Il Sayan rimase nel salone in silenzio a curiosare tra i vari scatoloni. Non aveva idea di cosa stesse facendo, si credeva impazzito, o posseduto. Invece no, stava davvero pensando di andare a comprare un regalo per la terrestre. Non ne capiva il motivo, ma voleva farlo. Voleva avvicinarsi a lei, anche se ogni volta che s'incontravano cercava sempre di ignorarla. Si sentiva uno stupido, un ragazzino, cosa diavolo stava facendo? E perchè? Non aveva una risposta. Eppure gli capitava sempre più spesso di ritrovarsi a pensare alla ragazza dai capelli azzurri come il cielo, senza che potesse impedirle di fare breccia nella sua mente. Decise di lasciarsi guidare da quelle sensazioni, di lasciarsi andare, promettendosi però di non abbandonare i suoi allenamenti e di non sprecare il suo tempo. Ma se tanto la camera gravitazionale non funzionava...
Sentì la debolissima aura del signor Brief avvicinarsi e si voltò verso la porta. L'uomo entrò con in mano un portafoglio di pelle nera rigonfio, era certo che dentro ci fossero i soldi. Infatti, quando l'uomo si avvicinò, ne estrasse una bella mazzetta di bigliettoni.
"Ecco, prendi questi. Sono parecchi, non so a cosa ti servano, ma sono certo che ti basteranno. Equivalgono più o meno al reddito annuale di una famiglia media, perciò..." Vegeta non l'ascoltava più. Dopo aver preso i soldi si voltò e si diresse verso la sua stanza. Entrò nel bagno e fece una doccia veloce. Una volta finita, aprì l'armadio. Cercava di usare il meno possibile i vestiti che la terrestre gli aveva comprato al suo arrivo, ma ora ne aveva bisogno, per quanto li odiasse. Acchiappò un paio di jeans neri, una maglia a maniche lunghe blu scuro e un giubotto. Si era rifiutato di indossare ancora una volta vestiti di colore giallo o rosa, così Bulma si era decisa a comprare qualcosa di più adatto allo spirito del Sayan. Si vestì in fretta, mise i soldi in tasca e si lanciò dalla finestra. 
Sorvolò sulle grandi case di periferia, circondate da giardini ben curati, finchè non raggiunse i grandi palazzi grigi della città. Non sapeva dove stesse andando, nè cosa stesse cercando, perciò scese a terra -ignorando i mormorii sconvolti della gente intorno a sè- e cominciò a camminare per le strade della Città dell'Ovest. Era circondata di grandi negozi di tutti i tipi, la maggior parte non capiva cosa vendessero. Camminò a lungo, alla ricerca di chissà cosa, passanso davanti a vetrine colorate e illuminate da lucine simili a quelle che il signor Brief stava appendendo nel salone di casa. D'un tratto, un singolo raggio di sole fece capolino da dietro una nuvola grigia e si riflettè su qualcosa nella vetrina davanti alla quale stava passando Vegeta. Si voltò e la osservò. Era una gioielleria, non aveva dubbi. Aveva visto accessori nella stanza di Bulma e addosso a lei più di una volta, collane, orecchini, anelli... Provò a entrare. Era molto insicuro, non sapeva bene cosa fare, così comiciò a dare un'occhiata in giro. C'erano brillanti di tutti i tipi, pietre colorate, catenine in argento e oro, perle e altre cose simili. Vegeta gironzolava per il grande negozio senza un'idea precisa di cosa stesse cercando, finchè una donna non gli si avvicinò.
"Posso aiutarla?" chiese gentilmente con un sorriso. Vegeta si voltò verso di lei irritato. Aveva il cartellino sulla giacca del tailleur con scritto il nome, era una commessa. Non sopportava le persone invadenti e non avrebbe mai ammesso di aver bisogno di aiuto, ma dovette arrendersi. Era come cercare un ago in un pagliaio.
"Un regalo per una ragazza?" insistette lei. Vegeta stava per ringhiarle contro, ma si limitò ad un gesto di assenso del capo. La signorina rimase un pò scossa dal comportamento del Sayan, ma cercò di non farci troppo caso e di consigliargli qualcosa.
"Capisco. Cosa preferisce? Intendo, una collana? O meglio un paio di orecchini? Ne abbiamo di molto eleganti, come questi..." e cominciò a indicare gioielli ovunque. Vegeta la seguiva esaminando accuratamente ciò che la ragazza gli mostrava e storcendo il naso quando qualcosa non gli piaceva particolarmente. Passò un tre quarti d'ora, prima che il Sayan rimanesse incantato di fronte ad una vetrinetta al fondo del negozio: una catenina argentata, semplice e sottile, dalla quale penzolava un ciondolino quadrato bordato da diamantini con al centro incastonata una piccola pietra blu, se ne stava elegantemente posata in bella mostra, aspettando solo di essere comprata. Vegeta fu colpito dalla pietra che splendeva nel mezzo del ciondolo: un blu forte, come il mare in piena estate, come il cielo del primo pomeriggio, come gli occhi di lei...
"Molto bella, non è vero? E' uno zaffiro che arriva direttamente dall'Australia, molto pregiato" spiegò velocemente la signorina, mentre Vegeta neanche l'ascoltava. Improvvisamente una visione della terrestre con al collo quel diamante gli riempì la mente. 
"La compro" disse brusco alla ragazza. Lei rimase un momento interdetta, poi lo guardò scettica.
"Non vuole neanche sapere il prezzo?" chiese sbalordita. Vegeta tirò fuori dalla tasca la mazzetta che gli aveva dato il signor Brief e la mostrò alla ragazza con strafottenza.
"Questi le bastano?" chiese alzando un sopracciglio folto. La commessa spalancò un momento gli occhi, poi si ricompose e tirò fuori la chiave per aprire la vetrinetta.
"Oh sì" disse mentre tirava giù la collana dal suo piedistallo "e ne riporterà anche più della metà" concluse con un sorrisino sbalordito.
Vegeta pagò la collana e attese qualche minuto mentre la ragazza faceva il pacco, compreso di nastro, fiocco e quant'altro, poi uscì dal negozio -naturalmente senza ringraziare o salutare- e si diresse verso casa. Erano le tre e mezza passate e non aveva ancora pranzato. Stava diventando sempre più scorbutico per la fame. 
Arrivò alla Capsule Corporation in pochi minuti e andò direttamente nella sua stanza, passando dalla finestra, come aveva fatto per uscire. Si tolse il giubotto e lo sbattè sul letto, poi si sedette sulla poltroncina nell'angolo e studiò il pacchetto. Ora sì che si sentiva un idiota. Cosa stava facendo? Che aveva nella testa? Ora si metteva a fare regali? Che n'era stato dell'orgoglioso e spietato Principe dei Sayan? Non sapeva cosa rispondere. Si sentiva terribilmente confuso, come se un altro se stesso avesse preso vita dentro di lui. Si stava comportando come un terrestre rammollito e questo lo infastidiva non poco. Stava diventando come Kaaroth. Che orrore, com'era potuto accadere? Non poteva continuare così. Avrebbe ripreso immediatamente gli allenamenti, anche a costo di congelare nel giardino. Qualunque cosa pur di togliersi dalla testa l'immagine di quella donna insopportabile. Un improvviso ricordo di una sua lacrima scivolare lenta sulla sua guancia finchè lui non l'aveva fermata lo stordì. Sbattè due volte le palpebre e scosse forte la testa, ringhiando piano. Si alzò di scatto, aprì l'armadio e vi buttò dentro il pacco con la collana.
Non lo avrà mai, si promise.

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Capitolo 7
*** Cena in famiglia, senza intrusi ***


7. Cena in famiglia, senza intrusi
La mattina della Vigilia di Natale Bulma e sua madre si svegliarono all'alba, poco prima di Vegeta, mentre il signor Brief dormì beato fino a metà mattinata. Le due donne andarono subito in cucina e fecero una lunga e accurata lista della spesa per la cena che avevano progettato di preparare. Bulma -la quale aveva riacquistato un pò di vita dopo l'uscita con la madre di un paio di settimane prima- era seduta al piano cottura tamburellando con la matita su di un foglio ancora bianco, mentre la madre rovistava tra i mobiletti della dispensa per controllare ciò che mancava e cosa invece già c'era in casa. Fu così che le trovò il Sayan verso le otto del mattino. La signora Brief -già in fibrillazione per la serata- si entusiasmò così tanto che cominciò a saltellare per la cucina in cerca degli ingredienti per preparare la colazione a Vegeta, mentre Bulma la sostituiva nel controllo di ciò che era da comprare. Il Sayan si sedette al tavolo e cominciò a mangiare il suo enorme piatto di uova strapazzate, mentre Bulma e la madre parlottavano piano. Per lo meno, Bulma parlava piano.
"Tesoro, devi assolutamente segnare il latte, tre litri, sì, dovrebbero bastare..." strillò la signora Brief, mentre Vegeta la osservava quasi ad occhi sbarrati. 
"Ehm... Mamma, io credo che tre litri siano un pò troppi..." azzardò la ragazza, ma cambiò immediatamente idea sotto lo sguardo assassino della madre. Quando si trattava di preparare grandi pranzi, non ammetteva discussioni sulle sue decisioni. Bulma scrisse freneticamente sulla carta per un buon quarto d'ora, sotto dettatura della madre, che sembrava impazzita. Un paio di volte la figlia alzò lo sguardo per assicurarsi che la donna non stesse dando di matto. Una volta abbassandolo sul foglio incrociò gli occhi stralunati di Vegeta, che si stava dilungando fin troppo nella sua colazione, impegnato com'era a cercare di capire quell'insulsa donna bionda.
Tale madre, tale figlia, pensò ricordando quanto volte anche la ragazza diventava tremendamente isterica e incontrollabile. Aveva appena finito di mangiare e si stava alzando per andare ad allenarsi, quando si sentì chiamare dalla pazza più grande, come la definì nella sua mente.
"Oh Vegeta, tu ci sarai stasera, non è vero?" buttò lì mentre scendeva da una sedia che aveva usato per guardare in uno dei pensili più alti. Il Sayan fu preso in contro-piede e si fermò improvvisamente con una mano sulla porta, pronto a scappare se necessario. Bulma lasciò cadere la matita, fissando prima la madre, poi Vegeta. Non si erano praticamente più parlati da quando lui le aveva dato -per l'ennesima volta- la notizia del danno nella camera gravitazionale. La ragazza si era infuriata più del solito e Vegeta, il quale era già abbastanza adirato per il pomeriggio passato in centro alla ricerca di un regalo per lei, si era scaldato come mai da quando era arrivato in quella casa, nonostante non avesse -nemmeno quella volta- alzato la voce. La sua abilità nell'essere spietato nel sibilirare minacce era disarmante anche per Bulma. 
Ora, però, Bulma lo guardava con dolcezza, come se tutto ciò che desiderasse in quel momento fosse che lui accettasse l'invito della madre. Vegeta incrociò un momento il suo sguardo e inaspettatamente gli venne in mente il perchè avesse comprato quella collana. Si perse nel mare che erano i suoi occhi per quella che parve un'eternità...
"Allora Vegeta? Cenerai con noi per la Vigilia di Natale?" ripetè la madre di Bulma, richiamando la sua attenzione.
"Io verrò a mangiare, non m'importa chi ci sarà" rispose, tornando ai suoi modi burberi come quelli di un cavernicolo. Bulma si sentì il cuore più leggero. In fondo non aveva detto di no... 
 
Quando il signor Brief si svegliò, intorno alle undici, le due donne uscirono di casa per andare a far la spesa, lasciando ai due uomini il pranzo già pronto. Vegeta non uscì dalla camera gravitazionale fino all'una circa e dopo aver mangiato riprese immediatamente gli allenamenti. Aveva un disperato bisogno di tenersi occupato, di distrarsi da qualunque pensiero proibito. Tuttavia, l'unico pensiero proibito era Bulma. Si allenò anche tutto il pomeriggio, impegnandosi al massimo, con mente e corpo, fino allo stremo delle forze. Erano le sei passate quando si decise a uscire dalla camera della gravità, così distrutto che fece fatica ad arrivare in camera sua. 
 
La signora Brief e la figlia Bulma non stettero certo sedute sul divano tutto il giorno. Tornate dalla città si misero subito al lavoro nella grande cucina: prepararono così tanto riso thailandese che, secondo Bulma, lo avrebbero mangiato di lì a tre mesi. Anche considerando l'enorme capienza dello stomaco del Sayan, era davvero un'esagerazione. Prepararono ancora del pollo fritto con un contorno di insalata con funghi, carote, mais, pomodori, sedano e altri mille ingredienti diversi. Poi il Japanese Christmas Cake: un dolce di pan di spagna decorato con alberelli e fiorellini di zucchero e al centro una figura di Santa Claus a base di fragole e panna cotta. Una delizia solo a guardarla. 
Spadellarono tutto il pomeriggio, cucinando per un reggimento, con la signora Brief che non faceva che ripetere "Coraggio Bulma, stasera dev'essere tutto perfetto!". E la ragazza ci credeva. Si lasciò trasportare da quell'aria di festa che aleggiava nella casa colorata e decorata dal signor Brief, dimenticando completamente i suoi turbamenti e le sue preoccupazioni. Era solo un pò in ansia all'idea di cenare con Vegeta quella sera, ma cercò di non preoccuparsene con quattro ore d'anticipo.
 
Erano le sette meno cinque quando la signora Brief posò l'ultimo piatto lindo sul grande tavolo della sala da pranzo, prima di fare due grossi passi indietro e raggiungere la figlia e il marito sulla porta.
"Cielo, che meraviglia! E' tutto assolutamente perfetto!" disse ammirando la sala addobbata e decorata, con nastri luccicanti appesi a tutti i mobili del soggiorno e al soffitto, i fili di lucine elettriche illuminavano di una luce splendente l'intera stanza; il verde e il rosso erano i colori dominanti.
"Oh, guarda che ora si è fatta. La cena è pronta, ormai. Bulma, tesoro, vai tu a chiamare Vegeta?" disse la donna voltandosi verso la figlia con le mani che tremavano per l'eccitazione. Il cuore della ragazza, invece, saltò un paio di battiti. Era già abbastanza terrorizzata all'idea di cenare con lui: non era per niente certa di riuscire ad arrivare fino alla sua stanza, parlarci -senza litigare o cadere in silenzi imbarazzanti come al solito- e infine tornare di sotto tutto con le sue sole gambe. Chissà se Vegeta l'avrebbe portata in braccio se fosse svenuta... Le venne la pelle d'oca all'idea delle muscolose braccia del Sayan che la sostengono per non farla finire stesa a terra. E le venne anche il dubbio che si sarebbe divertito di più a lasciarla cadere.
"Bulma? Ti senti bene cara? Sei pallida" commentò il padre guardandola bene in viso. Bulma si riscosse un pò, sistemandosi i ricci capelli sulle spalle e lisciandosi il vestito. 
"Certo, sto benissimo" disse poi rivolgendosi ai genitori. Esibì il sorriso più smagliante possibile, poi si diresse a passo veloce verso la stanza di Vegeta. Mentre saliva le scale si torturava una ciocca di capelli, le gambe le tremavano appena e quando fu di fronte alla porta della sua stanza era tutta un fremito. Chiuse un momento gli occhi e respirò a fondo due volte. Sicuramente lui sapeva già che lei fosse lì. Improvvisamente si sentì una stupida. Da quando Vegeta era arrivato sulla Terra, non aveva mai avuto paura di lui, neanche quando era ancora uno spietato scimmione crudele. Perchè ora era così impaurita? Viveva in quella casa da sei mesi ormai, possibile che ora lo temesse più di allora? Ma forse non lo temeva. Forse si sentiva solo terribilmente a disagio quand'era in sua presenza. Il suo cuore iniziava a battere così forte che riusciva a contare ogni singola pulsazione, le sue guance prendevano fuoco e la sua mente si annebbiava, inebriata dal suo fresco profumo alla menta. Non era il momento di pensarci, però. Aprì gli occhi, espirò ancora una volta dalla bocca e bussò. Piano, due colpi leggeri.
Niente. Non una risposta. Attese ancora qualche secondo, poi ribussò. Altri due piccoli colpi. Ancora niente. Era sicura che non fosse ancora nella camera gravitazionale, l'aveva visto uscire quasi un'ora prima e non l'aveva più visto scendere. Forse se n'era andato dalla finestra. Decise di entrare. Abbassò la maniglia con fermezza, quasi certa che non ci fosse nessuno. Aperta la porta si bloccò di colpo.
Vegeta non era affatto uscito. Se ne stava impalato davanti alla finestra, di schiena alla porta, con le braccia conserte. Il cuore di Bulma si fermò all'improvviso. Per almeno cinque secondi non ricominciò a battere. Si sentì girare la testa, finchè non si accorse di aver smesso di respirare. Inspirò in fretta, prima di svenira sul serio. Vegeta rimase immobile. Indossava dei pantaloni di pelle neri, una maglietta anch'essa nera -il Sayan non faceva che ricalcare il suo orribile carattere, persino nel vestirsi- che fasciava i suoi muscoli in maniera stupefacente.
Bulma si appoggiò allo stipite della porta, estasiata. Per quanto fosse antipatico, scorbutico e arrogante era maledettamente affascinante: il suo fare misterioso, il suo sguardo sempre corrucciato, la sua aria orgogliosa. Nell'insieme era l'uomo più attraente che Bulma avesse mai visto.
In quel momento, Vegeta si voltò. Bulma non si scompose, rimase delicatamente appoggiata alla porta, spostando il suo sguardo in quello di lui. Non si mosse nemmeno quando gli occhi scuri e penetranti del Sayan esaminarono il suo corpo perfetto, fasciato da un attillato vestito rosso scuro che arrivava appena sopra le ginocchia candide, con una generosa scollatura che scopriva il collo liscio e le spalle sottili sulle quali ricadevano i ricci perfetti, mentre i sandali neri col tacco slanciavano le sue caviglie. Per qualche secondo, anche il cuore di lui smise di battere. 
Bulma, però, non resistì a lungo: si sentì terribilmente in soggezione e incrociò le braccia coperte dalle lunghe maniche dell'abito, assumendo il suo tipico atteggiamento leggermente strafottente, che, lo sapeva bene, infastidiva e affascinava al tempo stesso il Principe dei Sayan.
"Vieni a mangiare?" chiese Bulma delicatamente; il tono della sua voce non si addiceva al suo comportamento. Vegeta la fissò stringendo gli occhi. Gli sembrava strano che proprio lei desiderasse che ci fosse anche lui quella sera. Ultimamente andavano meno d'accordo -ed è tutto dire- del solito. Poi pensò a cosa lo aspettava di sotto e si accasciò contro la finestra, chiudendo gli occhi e sbuffando.
"Che ti prende?" gli chiese Bulma preoccupata. Per un momento pensò che si stesse sentendo male.
"Quali sarebbero le conseguenze" cominciò Vegeta con tono di lamentela "se stasera uccidessi tua madre?" concluse con un piccolo ringhio infastidito. Bulma, invece, scoppiò a ridere. Non avrebbe mai immaginato che il Principe dei Sayan si sarebbe fatto scrupoli se avesse deciso di uccidere qualcuno.
"Oh cielo" sospirò Bulma col fiato corto. I singulti le impedivano di parlare, mentre si lasciavano andare contro la porta, piegata in due dalle risate. Vegeta non era altrettanto divertito, però.
"Non c'è niente di divertente, donna, io parlavo sul serio!" ruggì arrabbiato. Bulma non si lasciò spaventare, anzi, si rilassò e mise a tacere le risa. Si risistemò in posizione eretta e rispose a tono.
"Ah davvero? E allora perchè mi stavi chiedendo il permesso?" disse facendosi beffe del Sayan. Vegeta sbuffò appena e alzò lo sguardo sulla ragazza con la solita espressione orgogliosa.
"Tsk, io non chiedo il alcun permesso a nessuno" rispose con superiorità. In un'altra occasione, Bulma si sarebbe imbestialita nel sentirlo parlare con quel tono. Ma non quella sera. Forse era l'aria natalizia che le dava più pazienza e più calma, o forse era solamente felice del fatto che stesse parlando con lui. Non se lo sapeva spiegare, ma vederlo -anche con la scusa più sciocca- la faceva stare bene. Sorrise.
"D'accordo" ricominciò la ragazza raddrizzandosi e pronta a scendere al piano terra "fa come vuoi. Ma se conosco anche solo un pò il tuo stomaco, sarai di sotto prima di me" lo punzecchiò ridacchiando. Vegeta la guardò sparire nel corridoio e con rabbia si rese conto che aveva dannatamente ragione. Non ci vedeva più dalla fame.
Con un ghigno schizzò fuori dalla stanza e svoltò a sinistra, verso le scale. Bulma era ancora alla seconda rampa. Vegeta le passò di fianco veloce come il vento e nel farlo le sfiorò il collo. A Bulma venne la pelle d'oca, ma sorrise soddisfatta per aver azzeccato la reazione di Vegeta. 
Ci mise qualche minuto a rendersene conto. Qualcosa di freddo ballonzolava tra le sue clavicole. Si portò una mano al collo e le sue dita sfiorarono qualcosa di sottile. 
Una catenina. 
Scese lungo quel piccolo serpente, fino ad arrivare al ciondolo. Si voltò di scatto verso la finestra del salotto. Era buio fuori, la sua immagine riflessa era molto sbiadita, ma non del tutto. Sul suo sterno qualcosa brillava. Lo sfiorò con le dita. Una grossa pietra blu, attorniata da pietruzze più piccole, ma altrettanto luminescenti. Rimase imbambolata davanti alla finestra per diversi minuti, finchè un sorriso euforico cominciò a farsi spazio sul suo viso, costringendola ad avviarsi verso la sala, dove la sua famiglia, senza intrusi, l'aspettava per la cena di Natale.

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Capitolo 8
*** La prima nevicata dell'anno ***


8. La prima nevicata dell'anno 
Il bacio è un dolce trovarsi dopo essersi a lungo cercati
-Anonimo
 
La cena durò quattro ore. La signora Brief era in preda all'eccitazione, non faceva che parlare a velocità sovrumana, saltellare sulla sedia, mentre torturava tutti quanti di domande, alcune anche molto imbarazzanti. Il signor Brief e Bulma ridevano alle sue battute, mangiavano e bevevano allegramente. Era tutto perfetto, proprio come la signora Brief aveva immaginato.
Vegeta era impassibile. Mangiò tutto quello che gli misero davanti, senza lasciare briciole nei piatti, affamato come al solito e, anche se non l'avrebbe mai ammesso, era tutto squisito. Solo dopo tre abbondanti fette di torta potè dirsi sazio. Dopo aver mangiato rimase ancora a tavola, sapeva che la signora Brief lo avrebbe bombardato di domande e suppliche se avesse cercato di andarsene, e non aveva alcuna voglia di starla a sentire. E comunque, nonostante le continue frecciatine della donna, non aveva nulla di cui lamentarsi.
Bulma non lo perse d'occhio per tutta la sera. Gli lanciava continue occhiate indagatorie, finchè una volta non lo sorprese a fissare il ciondolo delicato che pendeva dal suo collo. Continuò ad osservarlo finchè Vegeta non alzò lo sguardo e incrociò i suoi occhi, rimanendo sorpreso nel vederla che lo fissava. Si scambiarono un'occhiata veloce, carica d'imbarazzo sia per uno che per l'altra, ma subito la madre della ragazza la chiamò strillando.
"Bulma, tesoro, perchè non bevi un altro pò di vino?" squittì. Stava cominciando a parlare a vanvera, aveva bevuto troppo. Rideva da sola per un non nulla, gironzolava a ritmo della musica per tutta la sala con un bicchiere in mano, mentre il marito cercava disperatamente di farla sedere.
"Non cambierà mai" sussurrò piano Bulma, più frustrata che imbarazzata. 
Verso mezzanotte meno un quarto erano tutti seduti sul divano nel salone -Vegeta ostinatamente distaccato- ad attendere gli ultimi minuti prima di aprire i regali. La maggior parte erano per Bulma dai suoi genitori, ma ce n'era anche qualcuno da Goku, Crilin e il genio e, suo malgrado, anche uno da Yamcha. 
Vegeta ringhiò piano quando lo vide. Bulma se ne accorse e si voltò leggermente verso di lui, che se ne stava seduto lontano da tutti a fissare i grandi pacchi sul pavimento con un espressione sorpresa. Neanche lui sapeva spiegarsi perchè avesse reagito in quel modo. Bulma sorrise compiaciuta.
A mezzanotte la signora Brief aprì ancora un'altra bottiglia di spumante -che in gran parte bevve da sola- e incitò Bulma ad aprire i regali.
"Va bene, va bene, calmati! Li sto aprendo!" La signora Brief era seduta accanto al marito gongolando per l'euforia, mentre la figlia allungava una mano per prendere un pacco argentato lungo e sottile, con un biglietto pinzato in un angolo. La ragazza lo lesse ad alta voce.
"Alla mia unica e splendida figlia Bulma, con tutto l'amore possibile per un felice Natale, mamma. Grazie" sorrise sinceramente alla madre che incrociava e scioglieva le dita per l'impazienza.
"Sì sì, avanti ora aprilo!" la incoraggiò su di giri. La ragazza l'accontentò e strappò in fretta la carta luccicante, gettandola a terra e scoprendo una lunga scatola bianca. Se la poggiò sulle gambe e, ignorando i mormorii di sollecitamento della madre, sollevò il coperchio, che subito le cadde dalle mani.
Bulma rimase un secondo immobile, ad occhi sbarrati e bocca semi-aperta, fissando il contenuto del pacco. Con mani tremanti lo tirò fuori e lo alzò stendendo le braccia. 
Un adorabile abito blu oltremare di seta lungo fino alle ginocchia, liscio, con lo scollo a V, le spalline legate dietro il collo, stretto in vita da una spessa cintura azzurra pallettata. Bulma rimase a fissare quella bellezza per diversi minuti, mentre tutti la fissava in attesa di una reazione. Persino Vegeta stava diventando impaziente. 
La ragazza stava andando in iperventilazione. Respirò a fondo, prima di fissare sua madre.
Poi cominciò a strillare. Si alzò dal divano e si buttò in braccio alla signora Brief, abbracciandola e baciandola. Le due donne strillarono a lungo, mentre Bulma ringraziava la madre per il regalo. Era il vestito che avevano visto diversi giorni prima e che Bulma aveva addocchiato, senza però osare chiederlo alla madre. Ma la donna, per quanto svampita che fosse, conosceva sua figlia meglio di chiunque altro.
Bulma passò la mezz'ora seguente a scartare pacchi senza sosta, sotto gli sguardi entusiasti dei genitori e quello sbalordito di Vegeta. Non aveva mai visto nulla del genere; sul suo pianeta non erano affatto soliti farsi regali a vicenda o ridere e scherzare spensierati come i terrestri. 
La ragazza aprì tutti i regali: quello di Goku e Chichi -una grossa coperta di lana colorata fatta a mano dalla donna e uno spesso bracciale di bronzo con una B intagliata da parte di Goku e del piccolo Gohan- quello di Crilin e del genio -Bulma fece una smorfia e arrossì violentemente guardando il bikini bianco a pois neri, sicurissima che l'avesse scelto il genio- quelli dei colleghi del padre e dei suoi amici del club di ginnastica, mentre abbandonò deliberatamente quello di Yamcha sul divano.
"Oh Bulma, non essere sciocca, apri quel pacco" disse sua madre prendendola in giro, mentre rimirava gli orecchini dorati che le aveva regalato il marito.
"Non m'importa, non avrebbe dovuto spendere soldi per me. Io non l'ho fatto per lui" sbottò adirata radunando i suoi regali in una pila da portare poi in camera. Ma lo scambio dei pacchi non era ancora finito...
"Quasi dimenticavo!" strillò Bulma alzandosi di scatto dal divano e uscendo di corsa dalla stanza.
"Chissà che le è preso..." biascicò stanco il padre. La madre, invece, era un pò brilla, gli occhi le si chiudevano e un sorriso ebete le aleggiava sul viso. Anche Vegeta era esausto, in fondo si era allenato tutto il giorno e solitamente a quell'ora era già a dormire da un pezzo, per essere sveglio all'alba la mattina dopo.
Bulma rientrò nel salone sorridente e con un pacco in mano, non troppo grande, ma incartato con cura, con tanto di fiocco. Si avvicinò al divano e lo posò sulle gambe di Vegeta, che per poco non lo scaraventò dall'altro lato della stanza. Cercò di restare calmo e immobile, prima di voltarsi verso la ragazza con un sopracciglio alzato e un'espressione a dir poco micidiale.
"E' un regalo per te. Aprilo" sorrise Bulma, incurante della furia dipinta sul volto del Sayan. Vegeta strinse pericolosamente gli occhi, poi incrociò le braccia assumendo la sua tipica facciata di superiorità.
"Non ho bisogno dei tuoi regali" disse alzando gli occhi al cielo, voltandosi dal lato opposto.
Bulma sbuffò, ma non se la prese più di tanto. Tolse il pacco dalle gambe del Sayan e cominciò a scartarlo al posto suo ridacchiando. Vegeta la guardava con la coda dell'occhio, infastidito, ma anche curioso. 
Chissà cosa s'è inventata, pensò.
Bulma aprì la scatola con le mani che tremavano e un sorrisino impaziente stampato in viso. Ridiede il pacco aperto al Sayan e attese. Ora Vegeta fissava il contenuto del pacchetto.
L'orgoglio lasciò completamente -o quasi- il posto alla sorpresa. Ben piegata, una tuta da combattimento blu elettrico splendeva leggermente sotto la luce forte del salone. Con mano insicura l'accarezzò piano, estasiato.
Era la sua tuta. Quella con cui aveva lottato la prima volta contro Kaaroth, quella con cui aveva lottato contro Freezer sul pianeta Namecc, quella che portava in segno della sua forza e potenza. Era la tuta che gli aveva donato il padre, il Re dei Sayan, quando lo aveva nominato, com'è logico, Principe Ereditario della Corona. Credeva che ormai fosse completamente distrutta. 
"L'ho rimessa a posto" disse Bulma delicatamente, osservando attentamente le reazioni di Vegeta. Il Sayan cercò di restare il più composto possibile, ma non nascose del tutto la meraviglia e la soddisfazione. Finalmente poteva indossare la sua tuta. La tirò fuori dalla scatola, e sotto il tessuto elastico c'era il suo busto di protezione. Anche quello completamente rimesso a nuovo.
"E' stata dura" cominciò Bulma a bassa voce "ma alla fine sono riuscita a ricreare un materiale simile a quello originale, anche se ora è più resistente e più flessibile" commentò soddisfatta. Anche Vegeta lo era, ma non lo avrebbe mai ammesso. Come poteva ammettere che fosse felicissimo di riavere la sua tenuta nuova di zecca? Come poteva ammettere di essere tremendamente grato a quella terrestre insopportabile? Non poteva. O sì?
"Bene" riuscì a dire rimettendo tutto dentro. La ragazza lo fissava con un'espressione innocente, che non chiedeva niente in cambio. Il suo sguardo cadde sulla collana. Bulma se ne accorse.
"Grazie" disse sfiorando piano il ciondolo. Vegeta non rispose, abbassò lo sguardo sulla scatola sulle sue gambe, arrossendò appena.
Bulma sospirò, guardando la finestra scura di forte a sè. Ci mise un momento ad accorgesene.
"Nevica!" strillò alzandosi dal divano. Vegeta sussultò, assortò com'era nei suoi pensieri, e seguì con gli occhi la ragazza correre verso la finestra. Aveva già visto la neve, nonostante sul pianeta Vegeta non avesse mai nevicato.
La signora Brief e il marito alzarono gli occhi verso la figlia, sbirciando dietro il doppio vetro della finestra. 
"Oh guarda caro! La prima nevicata dell'anno!" squittì allegra la donna, stringendo piano il braccio del signor Brief. L'uomo aveva ormai gli occhi chiusi, e borbottava appoggiato allo schienale del grande divano ad angolo del salotto.
Bulma appoggiò una mano sul vetro e rimase un momento estasiata a fissare i grandi battuffoli bianchi che scendevano fitti fitti da un cielo scuro con poche stelle dalla luce sbiadita. Prese in fretta il cappotto nero appeso all'attaccapanni di fianco alla porta principale e uscì che ancora se lo stava infilando. 
Camminò piano sul sottilissimo strato di candida neve fresca, aveva freddo alle gambe, ai piedi, ma non le importava. Era troppo euforica per potersi rintanare in camera a guardarla dalla finestra. Si fermò al centro del giardino, sollevando le braccia con i palmi rivolti verso l'alto, mentre una risata simile a un coro di campane saliva dalla sua gola.
Vegeta la seguì lentamente fermandosi sulla porta e chiudendosela alle spalle. Rimase imbambolato a guardare la ragazza girare su se stessa sotto la neve, appoggiandosi alla porta con le mani in tasca. Aveva solo la maglia nera a maniche lunghe, ma il freddo non lo sentiva neppure. Un nuovo calore si fece spazio nel suo petto, espandendosi fino a tutto il resto del corpo. Guardava i capelli azzurri della terrestre puntinarsi di bianco, il suo sorriso splendeva nonostante la sola luce proveniente dalla finestra del salotto, le rosse labbra carnose, le snelle gambe candide e gli occhi... Quei grandi occhi blu, lucenti di luce propria, brillanti, dolci...
Vegeta si raddrizzò di colpo, tirò fuori le mani dalle tasche e camminò dritto verso la ragazza. Non sapeva cosa stesse facendo, non sapeva perchè, ma voleva farlo. Coprì la distanza tra lui e la terrestre insopportabile che l'aveva accolto in casa sua, nonostante avesse cercato di uccidere tutti i suoi amici e l'intero pianeta Terra. A lei non era importato.
Si avvicinò a lei silenzioso come la notte, le mise una mano sulla vita e la fece voltare verso di sè. Bulma lo fissò meravigliata, gli occhi spalancati per la sorpresa, il cuore che martellava contro il petto del Sayan. Vegeta intrappolò il suo sguardo nel proprio, gli occhi scuri e penetranti bruciavano in quelli color del mare della ragazza che stringeva contro di sè con una mano dietro alla sua schiena. Le mani di lei appoggiate al petto del Sayan percepivano il cuore di lui battere forte quanto il suo, il respiro veloce, il dolce odore di menta...
Vegeta avvicinò il suo viso a quello di Bulma, così da sentire il profumo di pesca della ragazza, la bocca a un centimetro dalla sua. Bulma sorrise delicatamente quando un fiocco di neve le cadde proprio sul naso e arrossì violentemente quando Vegeta alzò una mano e gliel'asciugò con un dito, portando poi la mano dietro la sua nuca e tirandola a sè. Senza esitazioni la baciò.
Posò le sue calde labbra su quelle di lei, che subito si modellarono sulle sue. Bulma chiuse gli occhi lasciandosi trasportare da quel bacio, il fiato fresco del Sayan le solleticava la lingua, il cuore era ormai fuori controllo, sembrava dovesse esplodere da un momento all'altro. Fu un lungo bacio, tanto delicato quanto irruente, appassionato, molto meglio del sogno di Bulma di alcune settimane addietro. 
Questo era reale. 
Si lasciò trasportare da quella frenesia, allacciando le sue esili braccia alle possenti spalle di Vegeta, che la strinse dolcemente posando entrambe le mani sulla sua schiena, così fragile sotto le sue forti mani di Sayan. Restarono così abbracciati per un'eternità, con la neve che cadeva sempre più fitta sulle loro teste, ricoprendo pian piano il giardino di fronte a casa.
Vegeta la baciava con intensità, come non aveva mai fatto con nessuna prima di allora. C'era qualcosa in quella donna terrestre che avrebbe fatto invidia a qualunque donna Sayan: la sua pelle morbida, gli occhi chiari e angelici, le labbra calde e soffici come la neve che si posava leggera sui loro vestiti. Non se la sarebbe fatta portar via, ne era certo.
"Sapevo che sarebbe finita così" disse dolcemente la signora Brief sbirciando da dietro la tenda del salotto con il marito appoggiato al braccio, che si era alzato dal divano solo perchè la moglie l'aveva tirato a forza verso la finestra. 
"Beh, Vegeta è un tipo un pò fuori dal comune, anche perchè è un Sayan, ma credo che sia adatto a Bulma. Insomma, quella ragazza ha bisogno di qualcuno che le tenga testa, non come Yamcha, lui era troppo..." non concluse la frase, perchè la moglie le si era accasciata addosso, così la sostenne cingendola con un braccio per portarla nella loro stanza da letto.
"Hai scelto bene, bambina mia" sussurrò con dolcezza con un ultimo sguardo verso la finestra dove la figlia e il Sayan erano ancora allacciati uno all'altra sotto la neve che vorticava sulle loro teste, prima di dirigersi verso le scale per il primo piano.

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Capitolo 9
*** Black-out ***


9. Black-out
Bulma si svegliò nel suo letto ancora vestita dalla sera prima. Non aveva più il giubotto addosso, ma non sentiva freddo: la spessa coperta di lana, che di solito stava nel cassetto del suo armadio, la teneva al caldo. Sprofondò ancora di più nel materasso morbido, beandosi di quel momento di pace. Inspirò a fondo.
La menta le riempì i polmoni.
Improvvisamente un'ondata di ricordi le invasero la mente. La neve che cadeva lenta sui loro capelli, mentre le loro bocche erano dolcemente a contatto, i loro corpi intrecciati, come se non fossero abbastanza vicini, come se non fossero abbastanza legati l'uno all'altra, con anima e corpo. Era come se non avessero aspettato altro in tutta la vita, come se avessero passato l'esistenza alla ricerca lui di lei e lei di lui. Il tempo, lo spazio, il freddo... Tutto perse immediatamente significato, al mondo non esisteva nient'altro che non fossero loro due. Un bacio, un altro ancora, una carezza, un abbraccio... Ogni contatto, anche il più insignificante, era come un ferro rovente sulla loro pelle, nonostante la fredda notte di pieno inverno.
Bulma si sdraiò a pancia in su e allungò le braccia inarcando la schiena. Il vestito era tutto stropicciato, i capelli umidi un vero disastro; si passò una mano dietro il collo. Era leggermente sudata, ma non fu questo che attirò la sua attenzione.
Il suo collo era liscio, nudo. Mancava qualcosa.
"NO!" strillò disperata mettendosi a sedere sul letto. Si voltò verso il comodino per accendere la luce, ma prima di trovare l'interruttore tastò qualcos'altro.
La collana.
Sospirò. Si sentì così sollevata che si ributtò all'indietro con una mano sul petto. Credeva di averla persa. Vegeta l'avrebbe uccisa, letteralmente. Allungò una mano e prese il ciondolo dal comodino. La pietra brillava fiocamente alla luce soffusa che entrava dalla finestra. Doveva avergliela tolta quando l'aveva portata a letto -non ricordava di esserci arrivata da sola- per evitare che si strangolasse nel sonno.  
"Che tesoro" bisbigliò Bulma nel buio della camera da letto. Se il Sayan l'avesse sentita parlare di lui a quel modo...
 
Vegeta schivò un'onda di energia del robot che svolazzava per la camera gravitazionale, prima di ricadere verso il pavimento, fermandosi a mezzo metro da terra. Volare con la gravità a 400° rispetto quella terrestre non era proprio una leggerezza, ma doveva farcela. Si risollevò in aria pronto a un nuovo attacco, mentre le spalle gli si piegavano sotto quel peso. In più era esausto. La notte prima aveva dormito poco, e ora ne sentiva gli effetti. 
 
Qualche ora prima...
 
Posò dolcemente la ragazza sul letto: dormiva beata, con il sorriso sulle labbra. Le slacciò la collana e la ripose sul comodino, poi aprì l'armadio e ne tirò fuori una coperta pesante e dopo averla delicatamente appoggiata sul corpo snello di lei si avvicinò al suo viso. La fissò per qualche minuto, estasiato, prima di avvicinare le sue labbra alla sua guancia e posarvi un leggero bacio. Poi si dileguò oltre la finestra, per raggiungere la sua stanza al primo piano. Quando fu dentro rimase di stucco.
"Oh Vegeta" disse piano il signor Brief. Era seduto su una poltroncina affianco all'armadio e stava per addormentarsi, ma si alzò di scatto quando il Sayan entrò nella stanza.
"Che ci fai qua?" chiese adirato. Non sopportava che entrassero nella sua stanza, specialmente quando lui non c'era. Ma il signor Brief non si fece intimidire dal suo sguardo minaccioso.
"Senti un pò Vegeta" cominciò. Il suo tono non era di rimprovero, di lamentela o arrabbiato. Era solo una tranquilla chiacchierata. "Ho visto te e Bulma nel giardino" continuò guardando il Sayan di sott'ecchi.
Vegeta spostò lo sguardo. Si sentiva in imbarazzo a parlare di certe cose con quell'uomo, lo infastidiva e non poco. Il signor Brief se ne rese conto e cercò di alleggerire un pò la situazione con una risatina stanca.
"Non voglio i particolari, assolutamente. Solo... Beh, tratta bene mia figlia. Non so quanto te ne importi realmente di lei, se è solo un gioco oppure no, ma non voglio che lei soffra. Ha già sofferto per Yamcha e non voglio che la situazione si ripeta. Insomma, tu sei molto più maturo di lui, sono certo che capisci quello che ti sto chiedendo" disse tutto d'un fiato. Anche lui era un pò a disagio e voleva concludere il più in fretta possibile.
Vegeta però non se l'aspettava. Era certo che il vecchio fosse lì per urlargli contro di stare lontano da sua figlia, di non provare mai più a toccarla o lo avrebbe incenerito con qualche super-laser di sue invenzione o cose simili. Naturalmente, non era affatto preoccupato di quella possibilità, ma si aspettava una bella sfuriata. Invece era come se gli stesse dando il permesso, il via libera. Anzi, quel tu sei molto più maturo gli fece addirittura pensare ad un incoraggiamento. Che se lo stesse immaginando?
"Non le ho fatto niente" ribattè lui incamminandosi verso il letto. Era esausto, voleva andare a dormire.
"Certo, lo so, non è questo che intendevo. Vedi io..." ma il Sayan lo interruppe.
"Sì, so cosa intendevi" disse brusco. Aveva capito esattamente il messaggio implicito del padre di Bulma. Non parlava del farle male a livello fisico, ma a livello sentimentale, o morale, o spirituale. Non sapeva come definirlo. Il punto era: cosa stava facendo? Era solo un gioco, come aveva detto il signor Brief, o provava qualcosa per lei? Rabbrividì all'idea. Era un Sayan, anzi era il Principe dei Sayan, non poteva permettersi certe cose. 
Ma se non avesse avuto scelta?
Che casino, pensò Vegeta sedendosi sul letto.
"Beh, ora ti lascio andare a dormire, sarai stanco. Pensa a quello che ti ho detto, per favore" questa era una supplica. Il Sayan sbuffò, come se il pensiero non lo stesse torturando da giorni ormai.
Quando l'uomo uscì dalla stanza si lasciò andare sul letto così com'era, ancora vestito, non gl'importava. Voleva solo perdersi nel vuoto per qualche ora, lontano da qualunque problema, prima di riprende i suoi allenamenti per diventare il leggendario Super-Sayan.
 
Tornando al presente...
 
Vegeta attaccò un robot con tutta la forza che aveva in corpo, scaraventandolo sul soffitto della camera gravitazionale: lo scontro fu assordante, piovvero centinaia di pezzetti metallici. Il Sayan fece una smorfia immaginandosi la scenata che gli avrebbe fatto Bulma, ma non ebbe il tempo di preoccuparsi. Gli ultimi due robot rimasti integri erano tornati all'attacco e lanciavano onde di energia a tutto spiano. Si concentrò sul suo allenamento, rispondendo agli attacchi con tutte le sue energie, fino allo sfinimento.
 
Bulma stava facendo colazione -anche se ormai erano le undici e mezza- con una tazza di caffè e qualche biscotto integrale, quando sua madre scese in cucina.
"WAAAAAAA!!!" strillò vedendo la figlia seduta al piano cottura. Bulma per poco non rovesciò il caffè dallo spavento, poi si voltò verso la madre, proprio mentre la signora Brief le saltava al collo.
"Allora? Forza, racconta! Com'è stato? Oh cielo, cara! Allora?" la donna stava andando in iperventilazione, prendendo Bulma in contro-piede.
"Cosa? Di che stai parlando?" chiese, fingendo di non sapere davvero a cosa si riferisse. 
Ma tu guarda quest'impicciona, pensò scaldandosi, cominciando a capire che doveva averli spiati la sera prima.
"Oh avanti Bulma! Ti ho vista con Vegeta, non fare finta di niente!" trillò impaziente. Bulma si rassegnò. Non sopportava che sua madre ficcasse il naso nella sua vita privata, ma a questo punto non sarebbe riuscita a dissuaderla. Fece un respiro profondo e la guardò negli occhi.
In pochi minuti si ritrovò a raccontare alla madre ogni singolo istante di quel bacio, così perfetto, così improssivo, così dolce...
Rimasero sedute in cucina a spettegolare per un'ora buona, finchè il signor Brief non irruppe nella stanza, assonnato e affamato.
"Buongiorno tesoro!" salutò moglie e figlia dando a entrambe un bacio sulla fronte, prima di prendersi anche lui un pò di caffè. 
Le due donne smisero di chiacchierare, la signora Brief non fece parola del fatto che anche il padre di Bulma l'aveva vista con Vegeta e anche lui non si preoccupò d'informarla.
"Ehi, moglie! E' quasi l'una! Non hai intenzione di preparare il pranzo?" chiese il signor Brief sistemandosi su di uno sgabello, scuotendo il giornale che aveva raccolto nel giardino. 
La signora Brief guardò l'orologio come se fosse caduta dalle nuvole, poi si alzò di scatto e corse ai fornelli. La ragazza la seguì e le diede una mano a cucinare, parlottando e organizzando la giornata. Avevano intenzione di andare al centro commerciale a fare un pò di shopping, ma dovettero annullare i loro piani.
 
Un'esplosione terrificante fece vacillare la casa.
 
Il signor Brief cadde dallo sgabello, la moglie dovette reggersi al piano cottura per non finire a gambe all'aria, mentre Bulma andò a sbattere contro il frigorifero, allungando una mano per aggrapparsi al tavolo. Diversi oggetti -pentole, piatti, posate- caddero sul pavimento e andarono in frantumi, mentre la luce del lampadario cominciò a tremare. Lampeggiò per qualche secondo, poi si spense definitivamente.
Per un momento i loro occhi furono completamente ciechi; ci misero alcuni minuti prima di riuscire a vedere qualche sagoma poco distinta. La tenue luce che entrava dalla finestra non era abbastanza forte da illuminare la stanza: le nuvole pesanti coprivano totalmente il sole.
"Ma che è successo?" chiese il signor Brief rialzandosi a fatica da terra. Bulma si raddrizzò e si avvicinò all'interruttore della luce.
Niente. 
"Credo sia saltato il contatore" sussurrò camminando a tentoni verso il tavolo. La signora Brief aveva una mano sul cuore per lo spavento e per una volta era anche lei senza parole.
"E come ha fatto?" chiese sbalordito il signor Brief. "Insomma, non era mai successo prima..." cominciò a parlottare tra sè e sè lo scienziato.
Bulma si voltò verso la finestra per scostare le tende e far entrare quella poca luce che c'era fuori, ma qualcosa attirò la sua attenzione.
La camera gravitazionale stava fumando.
"Quel dannato Sayan! Non ci posso credere!" gridò uscendo a grandi passi dalla stanza, vedendo poco e niente di dove stava andando.
"Oh cara, non arrabbiarti troppo con lui!" strillò la signora Brief, più preoccupata che la figlia e Vegeta litigassero di quanto non lo fosse per il danno al contatore elettrico.
La ragazza percorse il corridoio che portava alla cantina, decisa a riparare il guasto per poter affrontare Vegeta guardandolo dritto negli occhi. Camminava con una mano appoggiata al muro per non andare a sbattere, così raggiunse la porta dello scantinato e tastò lo stipite in cerca della grossa chiave, ma quando trovò il chiodo al quale doveva essere appesa, si rese conto che non c'era. Si voltò per cercarla a terra -poteva essere caduta- ma con uno strillo si schiacciò contro la porta alle sue spalle.
Non aveva sentito passi dietro di lei mentre scendeva, ma una grossa sagoma scura ora la sovrastava. Strinse gli occhi terrorizzata, sebbene una piccola parte del suo cervello avesse già capito di chi -unicamente- poteva trattarsi.
Vegeta alzò una mano nel buio e le posò due dita su una guancia; Bulma si sentì scaldare, ma non dimenticò la rabbia che provava nei suoi confronti, a cui si era anche aggiunta quella per averla spaventata.
"Tu sei un pazzo" disse con forza. "Un giorno o l'altro mi farai morire d'infarto" lo accusò spietata. Non vedeva gli occhi scuri del Sayan, ma era certa che la stessero penetrando, un pò divertiti e un pò infastiditi, come al solito.
"Ma non stai mai zitta?" le sussurrò piano nell'orecchio.
Con un piccolo sbuffo esasperato, Vegeta avvicinò la sua bocca a quella della donna -che già stava per ribattere- e la baciò di nuovo. Fu un bacio più frettoloso di quello precedente, ma altrettanto focoso e piacevole. La baciava con passione, come se non riuscisse a trattenere tutto il suo desiderio di lei, ma al tempo stesso era delicato e attento per non sbriciolare le sue gracili braccia sotto la forza delle sue grandi mani calde.
La lasciò andare dopo pochi secondi, quando sentì il cuore di lei battere frenetico contro il suo petto ampio. Si divertiva nel farla andare in fibrillazione.
Bulma chiuse gli occhi e respirò a fondo prima di parlare.
"Non ho specificato come mi farai venire l'infarto" bisbigliò contro le sue labbra, col fiato corto e la mente leggermente annebbiata dalla smania del momento.
Lo sentì ghignare, prima che posasse la grossa chiave nella sua mano e volasse via, lasciandole un ultimo bacio leggero sulle labbra socchiuse.

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Capitolo 10
*** Amicizia e gelosia ***


10. Amicizia e gelosia
I mesi seguenti passarono veloci. Lasciarono poche tracce, la vita continuò leggermente monotona. Il signor Brief non faceva che lavorare per la Capsule Corporation, creare nuovi congegni e andare a riunioni e assemblee di lavoro; la signora Brief era sempre in giro per casa a riordinare le sale già perfettamente in ordine, cucinava a dismisura e tante volte, nel pomeriggio, sfornava biscotti di tutti i tipi o impastava torte, e quando le si chiedeva qual era l'occasione, la risposta era sempre la stessa: "Mi stavo annoiando e ho pensato di preparare qualcosina...". 
Bulma lavorava assieme al padre e passava ore e ore chiusa nel suo laboratorio a mettere a punto nuovi apparecchi elettronici e, come se non avesse abbastanza lavoro, a costruire o riparare i marchingegni che Vegeta usava per allenarsi, mentre questi se ne stava rintanato nella camera gravitazionale ad allenarsi come un forsennato. Ogni giorno era sempre più malridotto, lividi ovunque, tagli, graffi... Eppure ogni volta che Bulma cercava di dissuaderlo dal suo insano proposito diventava irascibile e non si lasciava neanche più curare le ferite, così che la ragazza dovette rinunciare a cercare di farlo rinsavire. 
Ammesso che sia mai stato sano, commentava mentalmente ogni volta.
Ma per i due, la situazione non avrebbe potuto essere più rosea. Tutte le sere, dopo la cena Vegeta andava in camera di Bulma, che l'aspettava sempre impaziente, si sdraiavano sul letto abbracciati e passavano diverse ore per lo più a fissarsi silenziosi e a baciarsi, parlando di rado.
 
Una sera di metà aprile Bulma era sdraiata su un fianco e con una mano accarezzava il petto coperto da una leggera canotta con il logo della Capsule Corp. di Vegeta che la teneva stretta a sè, quando le venne in mente qualcosa a cui pensava da tempo. 
"Com'erano le donne Sayan?" chiese piano, senza alzare gli occhi. A lei era sembrata una domanda innocente, ma quando sentì Vegeta irrigidirsi si sollevò su un gomito per poterlo guardare negli occhi, ma se ne pentì subito. Digrignava i denti, come quando la signora Brief lo seguiva per tutta la casa per un motivo o per un altro.
"Che c'è?" disse Bulma, che trovava quella reazione estremamente esagerata. Cosa poteva aver mai chiesto?
"Non sopporto le tue domande, lo sai" rispose Vegeta rude. La verità era che Bulma aveva una straordinaria capacità nel riportare i ricordi del Sayan in suerficie, anche quelli più antichi e dimenticati, nascosti in un cassetto nella sua mente, che si spalancava ogni volta che lei apriva bocca.
"Non ti ho chiesto niente di che" rispose lei secca. Non si lasciò scoraggiare dal suo comportamento, perciò si mise in ginocchio di fianco a lui e gli appoggiò le mani sul petto. Per un momento Vegeta provò l'istinto staccargliele.
"Allora?" continuò imperterrita. Vegeta sbuffò forte dalle narici. Non aveva nessuna voglia di parlare della sua vita prima di arrivare sulla Terra, tanto meno di parlare delle donne Sayan. Riusciva a immaginare dove volesse arrivare...
Con una mano tolse quelle della ragazza da sopra di lui e fece per alzarsi, ma Bulma non glielo permise. Lo afferrò per le spalle e si strinse al suo collo, appoggiando il mento sulla sua spalla destra. Vegeta trattenne il respiro e bloccò tutti i muscoli per non sbriciolarle le ossa, facendola ridacchiare. Lui, però, non si stava divertendo per niente.
"Lasciami" le ordinò con i pugni chiusi appoggiati sulle proprie gambe. 
"No" rispose lei arrogante. Vegeta girò la testa verso di lei e se la ritrovò più vicina di quanto avrebbe voluto: per quanto si mostrasse un essere dal cuore duro e freddo, la sua vicinanza gli dava alla testa.
"Cosa vuoi?" le chiese brusco cercando di non lasciarsi distrarre dal suo profumo alla pesca. Bulma sorrise.
"Che rispondi alla mia domanda" rispose con insolenza. Vegeta alzò gli occhi al cielo; se n'era quasi scordato. 
Prese i polsi di Bulma e sciolse la sua presa con facilità, poi se la sdraiò sulle gambe, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli. Bulma cominciò a carezzare un suo braccio, tracciando il profilo perfetto dei suoi muscoli. Vegeta sospirò piano: era esasperato, ma sapeva che se non l'avesse accontentata l'avrebbe torturato tutta la sera. 
Cercò una scorciatoia.
"Brune, occhi scuri, forti e con la coda" disse tutto d'un fiato, senza guardarla. Bulma strinse gli occhi.
"Non fare lo stupido" gli disse arrabbiata. Vegeta buttò la testa all'indietro. 
"Falla finita e arriva al sodo" disse allo stremo delle forze. Sapeva cosa voleva, sapeva perchè aveva fatto quella domanda e tutti quei giri di parole lo stavano innervosendo.
Bulma si sollevò e lo guardò dritto negli occhi con il viso a pochi centimetri da quello del Sayan. Faceva la sostenuta, ma la curiosità la stava consumando.
"Quanto donne hai avuto?" chiese alla fine. Si mordeva un labbro, non sapeva cosa l'avesse spinta a chiederglielo. Vegeta ghignò soddisfatto. Adorava quando riusciva a farla tribolare.
Alla fine la baciò. 
Inizialmente Bulma cercò di opporsi, era stufa di tutte le volte che le chiudeva la bocca in quel modo, ma non ce la fece. Anche se avesse veramente voluto, non sarebbe riuscita a fermarlo. E in ogni caso non voleva. Non avrebbe mai voluto.
 
Bulma era sdraiata sul divano del salotto con una rivista aperta appoggiata sul viso. Si stava prendendo una piccola pausa dai suoi mille lavori, aveva bisogno di rilassarsi. Indossava solo una camicia verde prato leggera e un paio di pinocchietto neri, il sole di fine giugno che entrava dalla finestra scaldava la stanza e un piacevole calore penetrava la pelle fino alle ossa. Ed era in casa, chissà se si fosse sdraiata sulla sedia pieghevole in giardino...
Il campanello.
Bulma battè forte una mano sul tavolino da tè, buttò a terra la rivista e per poco non cominciò a ringhiare. Stare con un Sayan la stava facendo diventare un animale. Sorrise a quel pensiero: stavano insieme...
Il campanello suonò di nuovo.
"Uffa!" strillò esasperata. "Non ne posso più!" continuò a gridare mentre correva verso la porta. Qualcuno teneva il campanello premuto. Stava per lanciare il giornale in faccia a chiunque fosse appena arrivato, ma quando aprì la porta le cadde dalle mani.
Yamcha.
Se ne stava lì impalato con la mano a premere quel dannato aggeggio, con un'espressione da bambino dipinta sul volto. Era sempre il solito ragazzino, quello che le aveva fatto una scenata perchè non aveva risposto al cellulare, quello che era sempre in ritardo, quello che guardava le altre ragazze e che si arrabbiava se lei usciva con un altro... Quello che aveva lasciato per Vegeta.
"Ehi ciao!" disse lui con un sorrisino infantile. Bulma era ancora scioccata, non si aspettava proprio una visita da parte sua.
"C-ciao" riuscì a dire alla fine. Era ancora ferma con una mano sulla porta, bloccando l'entrata. Yamcha si dondolò sui talloni, leggermente a disagio.
"Ehm... Non mi fai entrare?" chiese guardando dietro la ragazza. Bulma si riscosse e piegandosi a raccogliere il giornale mormorò un "prego" molto incerto. Non era sicura di volerlo in casa sua, ma non se la sentiva di mandarlo via.
Yamcha entrò e si diresse verso il salotto con Bulma al suo seguito. 
"Siediti" disse piano la ragazza, indicando il divano candido della sala. Il ragazzo si sedette e così anche Bulma, anche se un pò distante da lui.
Si guardarono imbarazzati per qualche minuto finchè Yamcha non ruppe il silenzio.
"Allora? Come stai?" chiese sfregandosi le mani. La ragazza lo guardò stiracchiando un sorriso.
"Bene" disse con voce roca. Cercò di schiarirsela. "Bene, grazie" non le venne benissimo. Yamcha annuì. Era strano stare nella stessa stanza e sentirsi così a disagio, così fuori posto. Erano stati insieme per tanti anni, sembrava quasi sbagliato.
"Ehm... allora, non hai niente da raccontarmi?" chiese Yamcha un pò più rilassato.
Bulma si sentì sprofondare. Non poteva certo dire che non fosse successo niente in quegl'ultimi mesi, ma non era il caso di andare a raccontarlo a Yamcha. Insomma, era il caso di dirgli che dopo averlo lasciato aveva baciato Vegeta e che ora stavano -o meglio così sembrava- insieme? Era il caso di dirgli che portava al collo il regalo di Natale del Sayan mentre il suo non lo aveva neanche aperto? No, non era il caso.
"Bhè, sai, qui le uniche novità sono le invenzioni di mio padre" cercò di tergiversare. Spostò lo sguardo verso la finestra.
"Oh avanti, non ci credo che non hai niente di nuovo da raccontarmi" insistettè Yamcha. Era tornato quello di sempre, si lasciò andare sul divano così familiare e sorrideva rilassato.
"Perchè non mi racconti qualcosa tu? Sono certa che hai più da dire di me, io sono sempre qui a lavorare" disse scocciata. Anche lei cominciava ad essere più serena, scoprendo di avere una gran voglia di chiacchierare un pò con qualcuno. E non aveva importanza che quel qualcuno fosse il suo ex-fidanzato.
"Se proprio vuoi saperlo... Vediamo" fece finta di pensarci un momento "ho comprato una macchina nuova, blu metallizzato, è una vera bomba" era entusiasta e cominciò a gesticolare fingendo di essere nell'auto e di andare a tutta velocità. Bulma riuscì a ridacchiare, sapeva bene quanto si elettrizzasse parlando di macchine super veloci.
"Davvero, sembra quasi di volare, credimi so quello che dico, Rika l'adora" continuò ridacchiando. A Bulma, però, non era sfuggito nulla.
"Rika?" chiese con un'ombra di sorpresa a scurirle il viso. Yamcha si morse un labbro, non voleva parlare con Bulma delle ragazze con cui usciva.
"Ehm, sì... Ci siamo visti un paio di volte... Ecco ogni tanto usciamo insieme, nient'altro" commentò con un'alzata di spalle. Bulma rise di cuore: era contenta che Yamcha fosse andato avanti, come d'altronde aveva fatto lei.
"Ehi, guarda che non devi darmi spiegazioni!" cinguettò lei allegra. Anche Yamcha ridacchiò, felice delle piega che stava prendendo la situazione.
"Bene, sono contento, insomma... Siamo ancora amici, no?" chiese preoccupato. Anche se ora non stavano più insieme, Yamcha ci teneva a lei e voleva essere sicuro che non serbasse rancore.
"Certo e sono felice che tu sia passato" rispose sincera. 
Senza preavviso Yamcha si avvicinò a lei e l'abbracciò. Lei rimase interdetta un momento, ma gli restituì l'abbraccio con calore. Si sentiva bene.
Rimasero stretti uno all'altra per diversi minuti, beandosi di quell'equilibrio ritrovato, finchè...
"Ehi, ciao Vegeta!" strillò Yamcha da sopra la spalla della ragazza.
 
Bulma si sentì gelare il sangue nelle vene. Avrebbe potuto sopportare che Yamcha l'abbracciasse fino a farla soffocare, che la stringesse per ricordarle quanto le volesse bene, quanto le fosse ancora vicino nonostante le cose tra loro fossero molto cambiate, ma non davanti a Vegeta. Questo era troppo. Non tanto per se stessa quanto per lui. Se aveva capito un minimo di quel Sayan, si sarebbe infuriato e avrebbe cercato di uccidere Yamcha.
Bulma si staccò subito dal ragazzo e si voltò verso Vegeta. Era anche peggio di quanto avrebbe potuto immaginare nei suoi incubi più terrorizzanti. Sembrava l'alieno che era arrivato sulla Terra alcuni anni prima, il mostro che aveva cercato di uccidere Goku, lei e i suoi amici e tutti i terrestri. Una furia omicida lo inchiodava lì dov'era, gli occhi intrisi di una collera spietata la trapassavano da parte a parte. Dopo tanto tempo che viveva in quella casa aveva davvero paura di lui.
"Che c'è Vegeta, qualcosa non va?" chiese Yamcha ingenuamente, fece per alzarsi e andargli incontro, ma Bulma si ridestò e lo trattenne per un braccio.
"NO! Fermo, non muoverti!" gli intimò Bulma mettendosi tra lui e il Sayan furioso.
"Sta' tranquillo, è solo... N-non preoccuparti, ci penso io" gli assicurò prima di voltarsi e fare pochi passi per raggiungere Vegeta, o chiunque lo stesse possedendo.
"Ti prego, dimentica quello che hai visto, hai frainteso, più tardi ti spiego tutto, è passato a salutarmi, non sta facendo niente di male e io neanche, ti prego, ti imploro, lascia perdere" sussurrò tutto d'un fiato e quasi con le lacrime agl'occhi.
Vegeta aveva uno sguardo assassino, gli occhi la penetravano come fossero una lama affilata.
"Per favore, tra poco se ne va, per favore" lo supplicò ancora. Vegeta arricciò un labbrò, stava per ringhiare, stava per esplodere, stava per uccidere, ma...
"No, ti prego, calmati, fallo per me..." sussurrò Bulma disperata. Una lacrima stava per sfuggire al suo controllo, così come tutta la situazione del resto.
Vegeta strinse gli occhi. Respirò a fondo, rilassò i muscoli uno ad uno, distese piano le dita delle mani e quando fu certo che non avrebbe staccato la testa a quell'insetto deplorevole si voltò, camminò verso le scale e salì in camera sua.
"Bhè? Che gli prende?" chiese Yamcha che aveva capito pochissimo dello scambio tra i due. Bulma si sentì il cuore più leggero, anche se sapeva che con Vegeta non era ancora finita. Decise di preoccuparsi di un uomo alla volta.
"Niente, sta' tranquillo, è sempre nervoso" cercò di sorridere la ragazza.
 
Yamcha si trattenne più a lungo di quanto Bulma avesse immaginato: lei cercò di sorridere sempre, di essere allegra e spensierata come avrebbe fatto con qualunque altro amico, ma non potè che essere felice quando Yamcha decise che era ora di andare a casa. Lo accompagnò alla porta e lo salutò cercando di evitare grandi abbracci. 
"Ci vediamo Bulma, verrò a trovarti ancora" disse fiducioso il ragazzo. Bulma lo guardò terrorizzata solo a sentire quelle parole.
"Certo" rispose con una maschera rilassata "ma ricorda che ho molto lavoro, perciò vedi di non irrompere qui tanto spesso, eh?" disse scherzosa, ma con un tono autorevole. Yamcha se ne accorse appena, rise, le scompigliò i capelli e se ne andò. La ragazza lo guardò sparire sul suo bolide, poi...
 
Bene, ora sono morta, pensò richiudendo la porta d'ingresso e appoggiandosi ad essa. Prese numerosi respiri profondi, cercando di rilassarsi e di restare calma, ma fu tutto inutile.
Quando si raddrizzò per dirigersi al primo piano, tremava come una foglia in una fredda sera d'autunno.

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Capitolo 11
*** Anche se non l'avrei mai ammesso... ***


*Vegeta*
11. Anche se non lo avrei mai ammesso...
Il quarto asciugamo che avevo trovato in bagno si sfibrò completamente e lo gettai sul pavimento, davanti alla porta che dava sul balcone i cui vetri erano appena andati in frantumi sotto le mie dita che tamburellavano furiose. Mi voltai e cominciai a camminare avanti e indietro per la stanza, torturandomi le mani per evitare di distruggere tutto ciò che mi capitava sotto tiro.
Quel verme viscido era ancora nel salotto. Continuava a parlare di chissà quali cazzate, sembrava non avesse intenzione di andarsene. Diverse volte uscii nel corridoio deciso a sbatterlo fuori a calci, a riempirlo di cazzotti fino a fargli sputare sangue, ad ucciderlo. Ma tutte le volte rientrai sbattendo la porta alle mie spalle, non perchè non volessi comportarmi come lo scimmione che ero fin dalla nascita, non perchè mi sarei sentito in colpa di aver ucciso quello schifoso parassita, non perchè fossi intenzionato a trasformarmi in un essere umano civilizzato. C'era un'unica ragione, una sola.
 
Bulma.
 
Com'era possibile che anche in quel momento di cieca rabbia, i miei pensieri tornassero a lei? Perchè anche in quel momento che avrei voluto sbriciolare a mani nude quell'insulso pianeta che mi stava rovinando, i miei pensieri tornavano a lei? Perchè? Perchè perchè perchè maledizione? Conoscevo la risposta, ma la mia mente orgogliosa di Sayan -di Principe dei Sayan- si ostinava a tenerla nascosta nei meandri più incassati della mente. Non era possibile, non era ammittibile... 
 
Sentii la porta d'ingresso sbattere. Finalmente se n'era andato. Infatti eccolo lì, correva sull'acciottolato per raggiungere la sua macchina disgustosa e inutile, proprio come lui. Quel momento era perfetto. Alzai una mano nella sua direzione, stava aprendo la portiera, mi concentrai. Una pallina di luce si accese nel mio palmo puntato dritto su di lui, intensa e potente, distruttiva, micidiale. 
 
Uno barlume di ragione mi riempì la mente. Un paio di occhi blu come il mare mi supplicarono, mi pregarono, mi scongiurarono. Cercai di ignorarli, ma fu come tentare di ignorare l'istinto di risalire a galla dopo un periodo prolungato sott'acqua.
L'energia che stavo per scagliare contro l'insetto si dissolse nell'aria. Non avrei potuto distruggerla in quel modo. 
Sempre per quel motivo che la mia mente mi teneva nascosto.
 
La sua aura -ancora più debole a causa della paura, della rabbia, della frustrazione- si stava avvicinando con una lentezza snervante: avrei voluto correrle incontro, avrei voluto urlare, avrei voluto lasciare libero sfogo ai miei muscoli contratti dall'ira.
Era dietro la porta. Non si mosse per diversi minuti, respirava in modo strano, a fatica. Stava male? Per un secondo fui invaso dal panico. Avrei messo da parte l'orgoglio, l'onore e qualunque altra idiozia che mi avrebbe trattenuto in quella stanza, lontano da lei. 
E tutto per quella ragione che ancora mi era oscura.
Un leggero bussare mi ricordò quanto fossi incazzato. Non stava male, era perfettamente in grado di muoversi di parlare e di dare spiegazioni. Incrociai le braccia al petto, sentii le mie sopracciglia crucciarsi, i miei occhi stringersi e i miei denti digrignare. Da troppo non mi sentivo così furioso, era come se un animale dentro di me fosse uscito dal letargo.
La ragazza aprì la porta. Uno spiraglio di luce illuminò una parte del letto al centro della stanza, poi la porta si spalancò. Forse si aspettava che non ci fossi, perchè quando mi vide sussultò. Mi fissò con l'espressione che avevo sempre adorato vedere sulle mie vittime, il puro terrore, la consapevolezza che la fine era arrivata. Ero felice che si sentisse così, avrei voluto gridarle tutto l'odio che provavo, farle capire quanto avrei voluto schiacciare la testa di quel misero essere insignificante tra le sue mani, ma non riuscivo a parlare. Non trovavo le parole.
Fece un passo avanti, verso di me: era incerta, le gambe le tremavano. Cercò di rilassarsi, di respirare profondamente e camminare in linea retta. Barcollò fino ad arrivare a pochi centimetri da me, si mordeva le labbra. Quelle labbra rosse... Sbuffai forte dal naso. Non volevo distrarmi, volevo sfogarmi. E alla fine mi sfogai, ma non certo nel modo che avevo immaginato.
Bulma mi aveva baciato. Si teneva stretta al mio collo, intrecciando le sue mani ai miei capelli, bagnandomi di lacrime, le stesse che -ne ero certo- aveva trattenuto tutto il pomeriggio.
Non resistetti. Sciolsi le braccia e le attorcigliai alla sua schiena, per impedirle di allontarsi. Mi baciava con foga, sentivo tutta la sua paura frantumarsi contro le mie labbra, i suoi muscoli rilassarsi poco a poco, le sue lacrime fermarsi.
Anch'io ero quasi del tutto calmo, ma sentivo l'animale dentro di me ruggire ancora. Non ero soddisfatto, anzi, ero distrutto, ero arrabbiato, volevo sfogare la mia rabbia con la forza.
Sciolsi la presa attorno alla sua schiena e posai le mani sui suoi fianchi, la sollevai senza sforzo e l'appoggiai al muro affianco alla porta del bagno. Bhè, più che appoggiarla la sbattei. La sentii gemere per il dolore, ma feci finta di niente. Non m'importava. Le bloccai le braccia lungo il suo corpo, tenendola per i polsi, parandomi a pochi centimetri da lei. Ringhiavo.
"Smettila" sbottai furibondo; non sopportavo che mi abbindolasse in quel modo.
"Tu con me lo fai sempre" rispose lei secca. Ci vidi rosso per la rabbia, e senza rendermene conto le strinsi più forte i polsi. Frignò come una bambina, così allentai appena la presa. 
Ero stufo di tutti quei giochetti, pretendevo una stramaledetta spiegazione. E l'avrei ottenuta.
"Perchè quel miserabile era in questa casa?"chiesi in fretta, senza giri di parole. Ogni mia parola era un ringhio soffocato, ogni ringhio equivaleva a dieci frenetici battiti del suo cuore. 
"Perchè è ancora un mio amico" sussurrò lei spaventata. Aveva paura, ma non voleva darlo a vedere. Come se potesse ingannarmi in quel modo.
"Se lo vedo ancora qui dentro..." cominciai ma m'interruppe, mettendo da parte il terrore e alzando la voce di un paio d'ottave.
"Stammi a sentire" cominciò dimenandosi "questa è ancora casa mia e decido io chi ci entra e chi no, non m'importa che ti dia fastidio, Yamcha è mio amico e se vuole venire a trovarmi può farlo benissimo, non sarai tu a impedirlo!" mi strillò addosso, cercando ancora di contrarre le braccia per liberarsi. Ma non la lasciai.
"Lui no," ruggì quando finalmente si zittì "lui non ci entrerà più qui, hai capito? La prossima volta lo uccido, parlo sul serio, mi sono spiegato?" sibilai furioso. Mi sentivo bruciare dentro, le fiamme mi divoravano gli organi vitali, un dolore lancinante al petto mi straziava, mi lacerava, mi sentivo come se fossi imprigionato in una gabbia infuocata, dove la mia forza di guerriero Sayan era del tutto inutile. Non sapevo come uscirne, come liberarmi.
Per tutta risposta alla mia minaccia, lei rise. Era una risata isterica, per niente divertita. La fulminai.
"Sei geloso Vegeta?" mi prese in giro. Un secondo dopo aver sentito le sue parole pensai al modo più lento e doloroso per ucciderla. Ma quando mi rimbombarono nella testa, sentii la gabbia che mi costringeva raffreddarsi lentamente, le fiamme spegnersi un pò per volta, ma senza lasciare distruzione dietro di loro. Anzi, un calore piacevole si diffuse pian piano nel mio corpo, rasserenandomi.
Ero geloso. Non sopportavo che quel ragazzo le girasse intorno, lui era storia passata, lei non avrebbe più dovuto avvicinarlo. E sapevo perchè ero geloso, la mia mente lasciò improvvisamente libera quella piccola consapevolezza che pesava come una montagna. 
 
L'amavo.
 
Lei era mia.
 
Sentii i miei muscoli rilassarsi, le mie mani allentare la presa sulle sue, la mia mente si svuotò. Dunque era questo il problema. La gabbia che m'imprigionava non era rabbia verso il ragazzo, non era furia verso quel momento a cui avevo assistito nel pomeriggio. Era gelosia. E ora che lo sapevo, mi sentivo libero. Il problema era stato ammetterlo, ammetterlo a me stesso.
La guardai un momento negli occhi. Lei mi fissava con aria interrogativa, aspettava una reazione, di qualunque tipo. Non potevo dirglielo. Non potevo dirle cosa provavo per lei, non potevo abbassarmi in quel modo, non potevo distruggere la mia dignità. Non potevo ammetterlo di fronte a lei, era già troppo saperlo. Dirglielo era fuori questione.
Ma non potevo starle lontano.
La presi e l'avvicinai a me. Mi mise subito le braccia al collo, sollevata di come si fosse risolta la cosa. Io non lo ero, ma non lo diedi a vedere. Ero io quello che aveva un problema, non doveva pagarne lei. L'abbracciai tenendomi i polsi dietro la sua schiena, stringendola contro il mio petto. Mi fissava con gli occhi dolci, un mezzo sorriso sereno le brillava sul viso.
Questa volta fui io a baciarla. Le posai le labbra sulle sue con delicatezza. Fu diverso dal solito. Fu completamente nuovo, e non solo per me. Anche per lei. Lo sentivo. La sentivo. Ed ero di nuovo al centro della gabbia infuocata, ma questa volta il calore non bruciava, non ustionava. Perchè questa volta ero con lei, e la sua aura splendente attutiva l'impatto con le fiamme.
 
L'amavo, anche se non l'avrei mai ammesso...
 
 
 
Chiedo scusa per la volgarità, ma credo che fosse necessaria... Spero siate soddisfatti e, visto che di solito non scrivo al fondo dei capitoli, ne approfitto per ringraziarvi di cuore per il vostro sostegno, la vostra gentilezza e l'euforia che dimostrate quando recensite. Continuate così, vi prego...
<3 VI ADORO <3

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Capitolo 12
*** X agosto ***


12. X agosto
Luglio passò come un fulmine. Fu come se qualcuno avesse inserito un disco con un'unica canzone, che una volta arrivata al termine ricominciava da capo. Così passavano le giornate: ogni giorno era uguale al precedente, faticoso, monotono e caldo. Soprattutto caldo. Il termometro per ambienti nella cucina di casa Brief segnava perennemente 40°. Non era normale, di solito il periodo più caldo dell'anno era agosto, e comunque non superava mai i 30°. Era un'estate torrida, insopportabile, tanto che Bulma aveva cominciato a lavorare in pantaloncini e cannottiera in cotone leggero. Nel suo laboratorio un grande ventilatore era acceso ventiquattr'ore su ventiquattro, le tapparelle sempre abbassate per evitare che il sole entrasse dalla finestra. Usciva di rado, l'aria afosa rendeva impossibile respirare all'aperto, mai un filo di vento a smuovere un pò quell'atmosfera così carica, così opprimente, soffocante. 
I coniugi Brief erano sempre rintanati in cucina, la stanza meno esposta al sole, dove circolava un minimo d'aria. Tutte le mattine la donna bionda si alzava di buon'ora e spalancava le finestre per far entrare quel pò d'aria fresca della notte, ma il sole sorgeva presto, così che verso le sei era obbligata a richiudere tutto. 
 
Una mattina di inizio agosto, la famiglia Brief era nella cucina a fare colazione. Bulma, che da un pò non dormiva bene per il caldo, era accasciata sul piano cottura con indosso un top grigio e un paio di pantaloncini bianchi, affianco alla madre, che cercava di preparare qualcosa da mangiare con le braccia pesanti per il caldo. Era un brutto periodo, erano sempre tutti senza energie. Il signor Brief entrò nella stanza con il giornale in mano: indossava una larga camicia violetta, un paio di pantaloni leggeri e le infradito. Non lo riteneva un abbigliamento adeguato a un uomo della sua età e del suo calibro, ma erano gli unici vestiti con i quali non si sentisse sciogliere come un panetto di burro fuori dal frigorifero. Si sedette al tavolo e appoggiò un gomito per posarvi la testa. Quando notò la figlia, sbattè la mano aperta facendo sussultare la moglie che gli stava portando una tazza di caffè.
"Per l'amor del cielo, Bulma, vuoi smetterla di andare in giro così?" le urlò contro. La ragazza si voltò. Il caldo la rendeva ancora più irascibile del solito e l'espressione che rivolse al padre gli fece sbattere le palpebre spaventato.
"Lasciami in pace, papà, credi che mi diverta ad andare in giro mezza nuda?" chiese retoricamente scendendo dallo sgabello e aprendo il frigorifero per tirarne fuori una bottiglietta d'acqua. Ne bevve una buona parte, incurante delle gioccioline che le colavano lungo il collo, mentre il padre sospirava, quasi comprensivo nei confronti della figlia. Lo sguardo dell'uomo si posò un momento sulla finestra con la tenda ben tirata, ma dalla quale si vedeva bene la camera gravitazionale.
"Non posso credere che Vegeta si stia allenando, voglio dire, come può sopportare questo caldo?" chiese a nessuno in particolare aggiungendo del latte freddo al suo caffè. Bulma digrignò i denti. Il caldo era l'ultimo dei problemi del Sayan, e non perchè kui -il Principe dei Sayan- fosse disposto a sopportare qualunque condizione climatica pur di diventare un Super Sayan, ma perchè la ragazza aveva installato nella sua dannata camera gravitazionale un condizionatore con il quale potesse allenarsi senza doversi preoccupare del caldo. Subito dopo se n'era pentita. Da quando l'aveva installato, Vegeta restava chiuso lì dentro anche quando non si allenava, spesso ci dormiva, per non dover sopportare l'afa che c'era sempre fuori, notte e giorno. Solo la sera usciva per rimpinzarsi a dovere -dato che ormai quasi tutti i giorni saltava il pranzo- farsi una doccia e stare un pò con Bulma. Puntualmente, però, i due non facevano che litigare. Bulma era sempre scocciata per il fatto che Vegeta fosse perennemente rintanato nella camera gravitazionale e non faceva che lamentarsi, mentre lui cercava o di ignorarla o di zittirla come solo lui sapeva fare. Anche se ormai era in pace con se stesso su cosa provasse per lei, la trovava ancora estremamente insopportabile.
"Sei stanca, è meglio se dormi" le diceva quando non ne poteva più, convincendola che fosse troppo esausta per sostenere una conversazione. E così la lasciava sola nel letto, dopo un ultimo bacio, prima di sparire oltre la finestra. 
 
Il dieci agosto, quando Bulma si svegliò era più allegra del solito. Sapeva bene perchè. La notte del dieci agosto è la notte delle stelle cadenti. La notte dei desideri. Era decisa a stare in piedi fino a tardi, così da poterne vedere qualcuna, perciò non lavorò tutto il giorno per non stancarsi ed essere arzilla quando sarebbe scesa la notte. Fece colazione in maglietta e pantaloncini -cercò di non farsi guastare l'umore dal caldo- poi andò in salotto e decise di guardare un film.
 
Rimase tutta la mattina sul divano, chiamando un paio di amiche per spettegolare di questo e quell'altro, finchè la madre non la chiamò per il pranzo. Si diresse in cucina, dove il signor Brief era già seduto di fronte a un piatto ancora vuoto, mentre la madre era ancora ai fornelli e, con enorme stupore della ragazza, anche Vegeta attendeva il pranzo.
"Oh, ma guarda chi si vede" bisbigliò passandogli accanto. Aveva uno strano sorriso sulle labbra, difficile dire se fosse davvero contenta o se il suo fosse sarcasmo. Il Sayan alzò appena lo sguardo, con aria leggermente colpevole. Stava per farla infuriare a dovere...
"La camera gravitazionale è di nuovo in tilt" mormorò in risposta, sporgendosi appena verso di lei, seduta al suo fianco. Bulma si voltò di scatto verso Vegeta, con gli sbarrati e il labbro superiore arricciato per la rabbia.
"Te lo riparata una settimana fa, maledizione!" borbottò quasi ringhiando. Vegeta corrugò la fronte. I suoi modi di fare non avevano un bell'effetto sulla ragazza. 
Bulma sbuffò e scosse il tovagliolo con eccessiva forza, prima di stenderselo sulle gambe nude. Gli occhi del Sayan scivolarono su di esse...
"Ti odio" sibilò la ragazza, riportando la mente di Vegeta alla realtà. Quando si rese conto delle parole di lei, ghignò.
"Sì, certo" sussurrò, troppo piano perchè Bulma lo sentisse.
I coniugi Brief non avevano fatto caso allo scambio tra i due e la donna posò in tavola una grossa casseruola di insalata di riso. Cominciò a servire e, prima di sedersi a mangiare anche lei, corse al mobiletto del telefono e tornando diede alla figlia un pezzetto di carta scritto di fretta. La ragazza lo guardò scettica, poi si rivolse alla madre con sguardo interrogativo.
"Questa mattina ha chiamato Yamcha" disse lei con leggerezza.
 
Un orribile rumore stridente interruppe il discorso della signora Brief.
 
Tutti si voltarono immediatamente verso la fonte del rumore; Vegeta stringeva un pugno così forte che erano ben visibili tutte le vene bluastre dell'avambraccio. Incastrata nella mano, la forchetta ormai deformata scricchiolava sotto i suoi muscoli.
"Tutto bene Vegeta?" chiese insolente il signor Brief. La moglie lo guardava sorridente, come se fosse felice di quella reazione.
"Smettila" ruggì Bulma infastidita. Lui la guardò un momento fulminandola con lo sguardo, poi lasciò andare i resti d'acciaio di quella che era stata una forchetta e uscì dalla stanza, dimentico della fame che gli attanagliava lo stomaco. 
Quando il Sayan fu lontano, la signora Brief scoppiò a ridere e così il marito. Bulma era più furiosa che mai.
"Accidenti, quel Vegeta è proprio geloso, eh cara?" bisbigliò la donna poggiando le mani sulle spalle della figlia. Lei se la scrollò di dosso e dopo aver borbottato a vuoto uscì anche lei dalla stanza, diretta in camera sua, scordandosi della chiamata di Yamcha.
 
Il pomeriggio fu molto lento. Bulma lo trascorse sdraiata a letto, pensando e ripensando, rigirandosi tra le mani la collana che Vegeta le aveva regalato per Natale. Non l'aveva mai tolta da quel giorno, ma in quel momento aveva una gran voglia di gettarla via. Non sopportava che Vegeta si comportasse a quel modo: prima era geloso, poi l'allontanava, poi si arrabbiava se Yamcha la chiamava, poi però la lasciava sola mentre lui s'allenava per ore e ore... Avrebbe voluto capirci qualcosa di più, voleva capire cosa Vegeta provasse per lei. Ma soprattutto, voleva capire cosa lei provasse per lui. Era certa che fosse molto più che qualche bacio, molto più che un modo per passare il tempo, per sfogarsi -da parte di entrambi. Aveva bisogno di chiarire la situazione, di chiarire il loro rapporto. 
E avrebbe trovato un momento, si promise, ma quando il sole cominciò ad abbassarsi dietro l'orizzonte decise di non pensarci più per quella sera e di dedicarsi completamente al cielo.
 
Se ne stava sdraiata su un lettino pieghevole sulla terrazza della grande casa, quando una stella si lanciò dal cielo e volò per un secondo sopra la sua testa, prima di sparire nello spazio scuro e infinito. Erano circa le undici e mezza, aveva visto già tre o quattro stelle cadenti e ogni volta aveva riso -da sola, sentendosi tremendamente stupida- ed espresso sempre lo stesso desiderio.
Vorrei essere felice, trovare la persona giusta per me e avere una vita piena d'amore.
Forse la sua era una richiesta troppo impegnativa, ma non poteva rendersene conto. Tutta la vita era stata abituata ad avere sempre tutto ciò che voleva, dalle cose più costose o rare a quelle più comuni. Era troppo giovane per percepire la differenza tra le sue tante richieste e quella singola di quella notte.
Un soffio di vento le fece venire i brividi alla schiena, ma si accorse subito di cosa fosse. Quel forte profumo di menta...
"Che diavolo fai qui?" le chiese Vegeta con un tono che era tra il rimprovero e il divertito. Era dietro di lei, inginocchiato all'altezza del lettino per poterle sussurrare all'orecchio.
Il fiato fresco di lui le fece venire la pelle d'oca sul collo, costringendola a piegare la testa per cercare di respingere i nuovi brividi. Cercò di rispondergli a tono, ricordando di essere ancora arrbbiata con lui per la scenata del pomeriggio, ma quando parlò, la sua voce era dolce, un pò delusa e al tempo stesso speranzosa.
"E' la notte delle stelle cadenti. Quando ne vedi una esprimi un desiderio. Ne ho già viste tre" disse soddisfatta, anche se le aspettative erano state molto più alte.
Vegeta alzò lo sguardo verso il cielo. I terrestri erano così ingenui: esprimere un desiderio a una stella cadente? Ma perchè? Che senso aveva?
"Non sono altro che detriti dello spazio, come possono esaudire un desiderio?" chiese più a se stesso che alla ragazza. Lei sbuffò. Si voltò verso di lui e lo guardò con aria seccata.
"Sei insensibile, Vegeta. Sei senza cuore" disse asciutta. Il Sayan fu colpito in pieno da quelle parole. Se era senza cuore, come poteva sentire un dolore così atroce al petto in quel momento? Possibile che Bulma non lo sentisse -il suo cuore- battere frenetico solo al pensiero del dolce profumo della sua pelle? Avrebbe voluto farglielo capire, avrebbe voluto prenderle una mano e posarsela sul petto per dimostrarle che un cuore ce l'aveva. E che apparteneva a lei.
Rimase immobile a fissarla anche quando lei si voltò ancora verso il cielo e ricominciò a scrutarlo con attenzione. Era così bella: i capelli mossi sciolti lungo le spalle, le braccia sottili scoperte, le gambe nude accavallate, il suo corpo perfetto elegantemente sdraiato su quel lettino...
"Eccola!" strillò la ragazza dopo un buon quarto d'ora. Vegeta staccò velocemente gli occhi da lei, ma era troppo tardi. La stella era già scomparsa.
Tornò in fretta con lo sguardo a Bulma e la vide con gli occhi stretti e le mani giunte verso il cielo. Stava esprimendo il suo desiderio.
Vorrei essere felice, trovare la persona giusta per me e avere una vita piena d'amore.
Vegeta la fissava estasiato, con la testa inclinata da un lato. Non aveva idea di cosa stesse chiedendo al nulla -a parere del Sayan- ma nemmeno gl'importava. In quel frangente, sentì solo il bisogno di averla tra le sue braccia, di stringerla, di baciarla, di sentirla. Senza pensarci si sollevò sulle ginocchia e passò un braccio dietro la sua nuca e uno sotto le sue ginocchia candide, sollevandola e portandosela in braccio, lì a terra, di fianco al lettino.
Bulma era rimasta interdetta da quel gesto improvviso, ma quando Vegeta posò la bocca sulla sua, smise di pensarci. Immediatamente si rese conto di qualcosa: quella sera aveva sprecato un mucchio di tempo. Cos'aveva desiserato? Felicità? Amore? La persona giusta?
Che sciocca. Aveva già tutto. La sua vita era felice, dei bravi genitori, un buon lavoro e tanti amici; l'amore ce l'aveva eccome, sia da dare che -anche se magari poco- da ricevere, tutto dalla persona che ora la teneva stretta tra le sue braccia forti e muscolose. Era lui la persona giusta, per quanto potesse sembrare assurdo. Vegeta era l'uomo che amava, l'uomo che aveva desiderato tutta la sera, senza rendersi conto che fosse -anche se a momenti- già suo.
 
Vegeta assaporava la donna che teneva in braccio con tutti i suoi sensi, cercando di non perdersi niente di quel contatto con lei. Passarono diversi minuti prima che si lasciassero, anche solo per riprendere fiato. Vegeta la guardò a lungo negl'occhi senza fiatare, con un'intensità che, se tutt'intorno fosse esploso, non se ne sarebbe neanche accorto.
Poi alzò lo sguardo verso il cielo. Non sapeva cos'aspettarsi da lui, ma proprio mentre sollevava il capo, una luminosa stella cadente sorvolò per un attimo quella parte di atmosfera. Vegeta ghignò.
Tsk, pensò compiaciuto, non mi serve niente da te.

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Capitolo 13
*** Buon compleanno, Bulma ***


13. Buon compleanno, Bulma
La sveglia di Bulma suonò alle sette del mattino come al solito, ma in maniera diversa. Non era la stessa suoneria di sempre, era molto più allegra, più vivace. Allungò una mano nel buio della stanza e spinse il bottoncino per spegnerla, poi aprì lentamente gli occhi. La lucina verde, oltre che l'orario, indicava anche la data.
3 aprile.
La ragazza saltò giù dal letto e si precipitò ad aprire le tendine chiare della finestra, facendo entrare tutta la luce del primo mattino. Si stiracchiò le braccia e le gambe mentre dava un'occhiata al giardino. La luce della camera gravitazionale, naturalmente, era già accesa. 
Eppure lui sapeva che era il suo compleanno, ne avevano parlato la sera prima. Si voltò sbuffando e incrociando le braccia al petto, un gesto che le ricordò molto i modi di fare di Vegeta. Tuttavia si ritrovò molto più sorpresa che arrabbiata. Da mesi non litigavano e battibeccavano anche molto di meno. Era una bella sensazione, insomma, le sembrava quasi di stare con un uomo civilizzato e non con un cavernicolo. Sorrise tra sè. 
Andò in bagno per farsi una doccia veloce, aveva voglia di uscire, di vedere i suoi amici, di festeggiare. Non era il tipo di ragazza che si abbatteva ad ogni compleanno, preoccupandosi delle rughe, dei capelli bianchi... Sapeva di essere ancora bella e giovane, di avere ancora diversi anni prima di iniziare a tormentarsi, perciò tanto le bastava.
Asciugò con cura i capelli, passandoci la piastra così da allungarli fino alle spalle, si vestì con una maglietta color avorio scollata davanti e un top nero sotto, una gonna di jeans a metà coscia; si truccò con un pò di matita blu dentro l'occhio e il mascara, senza esagerare, poi tornò in camera. Si diresse verso l'armadio per scegliere un paio di ballerine, ma qualcosa catturò la sua attenzione. Un foglietto, piegato per bene e appoggiato sulla scrivania di legno di noce. Si avvicinò curiosa, prese il foglio in mano e lo aprì.
Due parole, nient' altro.
 
Buon compleanno
 
Due semplici parole che le scaldarono il cuore. E non aveva dubbi su chi avesse lasciato il foglio. La scrittura era grezza, disordinata, niente a che vedere con la precisione di suo padre o con i ghirigori assurdi della madre. Sembrava che una mano grossolana e poco allenata avvesse impugnato una biro come fosse una spada e l'avesse premuta sul pezzo di carta, lasciando piccole sbavature e chiazzette d'inchiostro.
Bulma aveva le lacrime agl'occhi. Non si era affatto dimenticato del suo compleanno. Semplicemente, per quanto potesse essere evidente quanto gli piacesse stare con lei, non le avrebbe mai detto, in faccia, qualcosa di così dolce. Ma alla ragazza non importava questo, era sufficiente sapere che se lo fosse ricordato, che la pensasse anche quando non stavano insieme, come lei faceva perennemente ormai. E non se ne vergognava, o no, da alcuni mesi, il suo cervello aveva accettato la cosa. Bulma, per quanto consapevole della stranezza, del pericolo, dei pregiudizi, era follemente e totalmente innamorata di Vegeta. Di questo era certa e non poteva continuare a far finta di nulla. Inoltre sapeva che, anche se lui sì che avrebbe fatto finta di nulla, anche lui l'amava. Forse non tanto quanto lei, forse non con tutto il cuore come faceva lei, forse non sarebbe stato disposto a tutto per lei, ma un pò l'amava. E questo, ancora una volta, le bastava.
 
Scese di corsa le scale, quasi volando, con un sorriso a trentadue denti stampato in viso e un foglietto ripiegato infilato in tasca. Aveva scelta delle scarpette nere, semplici, con un laccetto di perline argentate all'altezza dell'attaccatura delle dita. Arrivò in cucina saltellando come una bambina, canticchiando e ridacchiando. La prima persona che incontrò fu sua madre.
"Tesoro!" trillò la donna appena la vide.
"Auguri amore mio, buon compleanno!" e così dicendo le corse incontro per abbracciarla, stringendo tra le mani un sottilissimo pacco violetto.
"Oh grazie mamma!" rispose allegra Bulma. Si staccò da sua madre e la guardò un momento, per notare che piccole lacrime le si erano accumulate agli angoli degl'occhi. 
"Mamma! Dai smettila di piangere!" disse con forza Bulma. Non voleva che sua madre piangesse, era un giorno di festa, non triste. Le prese entrambe le mani e le strinse con calore.
"D'accordo, cara, la smetto. E solo che... Insomma, la mia bambina..." e le diede un grande bacio sulla fronte, mentre la ragazza l'abbracciava.
"Ehi! Apri questo, tesoro!" si riscosse la madre porgendole il piccolo e sottile pacchetto. Bulma l'aprì con la curiosità alle stelle e quando capì di cosa si trattava lanciò uno strillo acuto. Era una Carta Regalo per il negozio più alla moda del centro: 1000 yen da spendere unicamente in vestiti, scarpe e accessori vari.
Quando il signor Brief entrò in cucina trovò le due donne che ancora ridevano e urlavano. Bulma gli saltò al collo mentre le dava il suo regalo e per poco non svenne quando lo aprì. Era un sottile schermo piatto non troppo grande che fungeva da cellulare, computer, Ipod... Poteva usarlo praticamente per qualunque cosa che riguardasse la tecnologia.
Una mezz'oretta più tardi abbandonò i genitori alle prese con i soliti lavori domestici e si diresse verso la camera gravitazionale. Spinse qualche bottone accanto al portellone, poi attese mentre questo si abbassava per farla entrare.
 
Vegeta si stava allenando già da diverse ore, era stanco, aveva fame, ma era ancora troppo presto per andare a mangiare. Teneva duro, spronava i muscoli affinchè non lo abbandonassero.
Non aveva ancora raggiunto il livello del Super-Sayan. Perchè? Non riusciva a darsi risposta. Da più di un anno non faceva che allenarsi come un matto, dal mattino alla sera, spesso anche la notte, eppure ancora niente. Si sentiva un debole, un perdente. Suo padre sarebbe stato disgustato se lo avesse saputo, se avesse saputo che suo figlio, il Principe dei Sayan, si era lasciato superare da un combattente di grado inferiore come Kaaroth. Sarebbe stata una vergogna.
Stava caricando una potente sfera di energia, quando all'improvviso cominciò a sentirsi più leggero. Pian piano, il peso che gli schiacciava le spalle venne a mancare, finchè non si ritrovò a librarsi comodamente nella camera senza alcuna fatica.
Quando sentì il portellone aprirsi scese lentamente a terra, incrociando le braccia e assumendo un'espressione furiosa. Non sopportava che interrompessero i suoi allenamenti.
 
Bulma entrò saltellando nella camera gravitazionale, incurante della rabbia che aveva provocato al Sayan. Gli andò incontro raggiante, leggera come una farfalla, i capelli che ballonzolavano sulla sua schiena. Incrociò gli occhi di Vegeta e il suo sorriso si aprì ancora di più, costringendo l'espressione dura di lui a sciogliersi leggermente. Per quanto odiasse fermare i suoi allenamenti, quella visione lo ammorbidì non poco. Anzi, fin troppo.
"Grazie" disse delicatamente la ragazza tirando fuori dalla tasca il suo biglietto. Il Sayan alzò gli occhi al cielo, piegando appena un angolo della bocca. Si voltò e si avvicinò al frigorifero per prendersi una bottiglietta d'acqua.
"E' un pezzo di carta" replicò piano, come se reputasse eccessiva la felicità di Bulma. Comunque, lei la pensava diversamente.
"Invece no" disse con voce tremante di gioia appoggiandosi al piano dei comandi, accanto a Vegeta. Lui la guardò dritto negli occhi con un sopracciglio alzato. Bulma sorrise.
"Scritto da te, è molto di più" aggiunse con strafottenza mista a una dose incredibile di dolcezza. 
Per il Sayan era troppo. Non sopportava quella amabilità di cui erano intrise le sue parole, era già troppo dover sopportare le proprie fantasie sdolcinate, non poteva mettercisi anche lei. La quale, per altro, aveva previsto tutto.
Vegeta buttò a terra la bottiglia e allungò una mano verso la ragazza, che però svicolò veloce e agile. Si spostò di lato ridendo e prima che il Sayan potesse fermarla, gli schioccò un tenero bacio sulla guancia, per poi scappare di corsa e ancora ridacchiando. Vegeta sbuffò, divertito e infastidito al tempo stesso, come ogni volta che stava con quella ragazza. Scosse piano la testa e quando il portellone si richiuse ricominciò ad allenarsi, con una nuova energia che sembrava arrivare proprio dal punto in cui le labbra dolci di lei l'avevano sfiorato.
 
Quel pomeriggio Bulma stette fuori tutto il giorno. I suoi amici del club di ginnastica le aveva preparato una festa a sorpresa con musica, regali, una bellissima torta alla frutta e tanta, tantissima allegria. Si divertì come non accadeva da troppo tempo, eppure si sentiva incompleta. Era come se mancasse qualcosa. 
O qualcuno.
Quando tornò a casa erano le dieci di sera ormai. Trovò i genitori seduti sul divano del salone a guardare un programma televisivo, ma quando entrò la madre le corse incontro dicendole di chiamare Yamcha.
"A telefonato mentre tu eri alla festa, gli ho detto che l'avresti chiamato appena tornata" la informò la signora Brief. Bulma fu felice di risentire il suo amico -ormai non avevano più alcun tipo di problema, la loro era storia passata- anche se all'inizio dovette combatterci un pò.
"Perchè non mi hai invitato? Credevo fossimo amici!" la rimproverò il ragazzo. Bulma ci mise parecchio per spiegargli che era stata una festa organizzata dai suoi amici e non da lei, ma a parte questo risero e scherzarono per una buona mezz'ora, approfittandone per raccontarsi gli avvenimenti dell'ultimo periodo. Da un pò di tempo non si vedevano ed entrambi avrebbero voluto incontrarsi.
"Mmh... Non saprei, ho molto lavoro..." cercò una scusa la ragazza. La verità era che la spaventava la reazione che avrebbe avuto Vegeta. 
"E va bene, quando sei libera fammi sapere, così ci vediamo" disse speranzoso Yamcha. Ogni tanto sembrava che volesse ancora stare con lei.
"Certo, appena avrò un momento libero" gli assicurò Bulma. 
Poco dopo riattaccò e salì veloce in camera sua. Aveva voglia di un bagno caldo, ma dovette rinunciare quando entrò nella stanza.
 
Vegeta era sdraiato sul letto della ragazza, senza maglia, indossava solo un paio di jeans scuri. La ragazza rimase un momento interdetta nel trovarlo lì, ma poi richiuse la porta, prima di voltarsi verso di lui.
"Che stai facendo?" gli chiese, mentre andava a posare la borsa e le scarpe nell'armadio. Non era arrabbiata, era solo curiosa. 
Come al solito non lo sentì avvicinarsi, ma si accorse di un paio di forti braccia stringerle la vita e un fresco sussurro nell'orecchio.
"Dove sei stata?" bisbigliò. La sua voce era tranquilla, ma velava una nota strana, sembrava...
"Sei geloso, Vegeta?" ridacchiò Bulma. 
Il Sayan la voltò con forza, incrociando le mani dietro la sua schiena per impedirle di scappare, con il viso a pochi centimetri da quello delicato della ragazza.
"Non ti permettere..." sussurrò. Questa volta il tono che usò era dei più delicati e dolci che Bulma gli avesse mai sentito usare. Non era una minaccia. Era... Pura gelosia.
In fondo, si disse Bulma, è un uomo anche lui.
Lo baciò. All'iniziò fu dolce, delicato, leggero. Man mano divenne sempre più irruente, passionale, focoso. Bulma intrecciò le mani ai capelli del Sayan, inarcandosi contro il suo ampio petto, mentre lui la stringeva con forza, ma attento a non spezzarle le ossa. Rimasero così allacciati per diversi minuti, finchè d'un tratto Vegeta perse ogni controllo. 
Si lasciò andare completamente, baciando il collo liscio della ragazza senza mai allontanare le labbra dalla sua pelle candida. Era come se avesse mollato ogni freno, come se tutte le mura che aveva costruito nella sua testa intorno a certi pensieri fossero improvvisamente crollate. E conosceva benissimo la causa.
 
Bulma.
La sua pelle morbida.
Il suo profumo di pesca.
I suoi occhi color del mare.
 
Con una mano scese lungo la sua coscia, prendendole il ginocchio e posizionando la sua snella gamba sul proprio fianco, sollevando delicatamente la ragazza e poggiandosela sul petto. Risalì lentamente la sua giugulare, piegando la testa all'indietro per poter baciare le labbra carnose di lei.
Bulma aveva il fiato corto, le mani le tramavano leggermente e si sentiva accaldata come in un pomeriggio d'estate. Il profumo fresco di lui le riempiva i polmoni, il tocco delicato e deciso al tempo stesso le dava alla testa e poi il sapore... 
Senza preavviso, qualcosa le fermò il cuore. Un sussurro, un mormorio dolce e soave, proprio accanto al suo orecchio.
"Buon compleanno, Bulma" bisbigliò Vegeta.
 
Tutto intorno sparì.
In quel momento, per Bulma non esisteva che Vegeta e per lui niente contava che non fosse lei.
Un bacio un altro ancora e dopo... Come descrivere due corpi che si intrecciano? Come parlare di due mondi che si uniscono? Non lo so fare, eppur son qui per raccontare della prima di una serie di un milione di un miliardo di volte...
 
 
 
 
Nota dell'autrice...
Eccomi! Tanto per cominciare voglio chiedere umilmente perdono per la mia assenza, ma ho iniziato una nuova storia che riguarda Harry Potter (se volete darci un'occhiata vi adorerei più di quanto non faccia già <3) e in ogni caso, spero che con questo capitolo sia riuscita a farmi perdonare, ma devo comunicare che non posterò più di frequente come all'inizio. Comunque i capitoli arriverranno AL MASSIMO ogni 3-4 giorni, ve lo prometto. E poi, un pò di suspance invoglia di più a leggere, no? Spero che saprete perdonarmi *.*
<3 Lady Johanna <3
P.S. Le ultime due righe sottolineate sono state prese dalla canzone "La prima volta" di Pierdavide Carone.

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Capitolo 14
*** Nessun segreto ***


14. Nessun segreto
Una leggera arietta entrava dalla finestra socchiusa della camera di Bulma. Regnava il silenzio, disturbato solo da respiri lenti e profondi, i respiri del sonno. La luce della luna che entrava dalla finestra era debole, appena sufficiente a delineare i contorni della stanza.
Un movimento.
Una gamba bianca e liscia, che spuntava da sotto il lenzuolo lilla, si contrasse leggermente. Una mano sottile si strinse a pugno sul cuscino. Brividi ovunque, pelle d'oca.
 
Una folata di vento, gelida, ma deliziosa, poi i brividi sparirono.
Una folata di menta.
Menta.
Menta.
 
Bulma aprì piano gli occhi, lentamente. Si sentiva al caldo, al riparo, protetta da due possenti braccia che si chiudevano intorno a lei. Si strinse di più nel lenzuolo, respirando forte e riempiendosi i polmoni del suo fresco profumo. Sorrise leggermente.
Improvvisamente le due braccia si strinsero, schiacciondola su un petto roccioso, ma caldo. Serrò gli occhi e respirò più lentamente.
 
"So che sei sveglia" disse una voce profonda e bassa, proprio nel suo orecchio, solleticandole la pelle col respiro freddo.
Il suo sorriso si allargò veloce, tradendola, mentre gli occhi si serrarono con più forza. La pelle sembrò bruciare sotto la stoffa leggera delle lenzuola, ogni contatto era come un ferro rovente, in più l'arietta che entrava dalla finestra era sparita. La sorpresa la obbligò ad aprire gli occhi.
La finestra era chiusa.
Con lentezza snervante, Bulma si voltò fino a poggiare entrambe le spalle sul materasso, girando appena la testa.
Due occhi scuri perforarono i suoi, come a leggerle nella mente.
 
 
L'esile corpo della ragazza si mosse piano tra le braccia di Vegeta, che non smise di stringerla neanche quando la sua testa -incorniciata da spettinati capelli azzurri e lunghi- arrivò a voltarsi completamente verso di lui. La guardò intensamente negl'occhi, respirando piano e regolarmente. Le emozioni sul suo viso erano molte, complesse e il Sayan non sapeva dare un nome a tutte.
Soddisfazione, gioia, un pò di stanchezza e... Un'altra. Qualcosa che le faceva brillare gli occhi, qualcosa che le colorava il viso di rosso, non per l'imbarazzo, non per la rabbia. Qualcosa di più intenso, qualcosa che aveva colpito anche lui, alcuni mesi prima.
 
Amore.
 
Vegeta alzò una mano, togliendola dalla vita sottile di lei, per spostare una ciocca di capelli che le cadeva sugl'occhi, coprendoli quasi del tutto. I suoi occhi blu come il mare, così belli, così espressivi... Quelli di cui Vegeta si è innamorato mesi prima.
Senza pensarci si avvicinò e la baciò. Fu un bacio tenero, delicato. Sembrava impossibile che fosse il bacio di un Sayan, del Principe dei Sayan, eppure era proprio così. Durò diversi secondi, secondi che parvero l'eternità, carichi di un'emozione forte, potente. Quando si allontanarono di pochi centimetri, avevano entrambi il fiato corto.
"Che bel risveglio" disse dolcemente la ragazza, mostrando un sorriso estasiato. 
Vegeta la guardò per qualche istante, un angolo della bocca leggermente sollevato. Poi aggrottò le sopracciglia.
"Perchè" cominciò con tono duro "hai da ridire su come ti sei addormentata?" finì la frase allontanandosi da Bulma indispettito, ma la ragazza si strinse al suo petto ridacchiando e impedendogli di allontanarsi.
"No, certo che no" rispose poi con un sospiro beato. Vegeta la strinse passandole una mano sulla schiena nuda.
 
Passarono diversi minuti, in cui i due rimasero abbracciati stretti, facendo sì che i loro respiri s'incrociassero più volte, tra un bacio e l'altro, mentre i loro petti rimanevano incollati. 
D'un tratto Bulma s'irrigidì, staccandosi decisa da Vegeta. Lui la fulminò con lo sguardo.
"Devo farti una domanda" disse secca la ragazza, senza troppi giri di parole. Vegeta si lasciò cadere sul cuscino, portando una mano a coprire gli occhi mentre mormorava qualcosa esasperato.
"Odio le tue domende, lo sai vero?" le chiese retoricamente. Bulma non gli diede retta e si sollevò per poggiarsi sull'ampio petto di lui. Vegeta abbassò il braccio e le rivolse uno sguardo rassegnato.
"Che vuoi?" le chiese senza preoccuparsi di essere troppo dolce. La ragazza non si lasciò ferire dal suo tono di voce, ormai lo conosceva abbastanza da capire quand'era veramente arrabbiato e quando faceva solo il duro. Anzi, ormai lo conosceva alla perfezione, bene quanto se stessa perciò, dopo quella notte, non aveva più segreti per lei.
"Quand'è il tuo compleanno?" chiese poi con vivo interesse nella voce. 
Vegeta le lanciò uno sguardo truce. Odiava parlare del suo passato e di lui in generale, ma quella ragazza sembrava avere una lista degli argomenti che più gli premeva di evitare, perchè ogni volta ne azzeccava uno.
"Oggi è il tuo, quindi non ha importanza" le rispose serio e con un piccolo sbuffo.
"Veramente, oggi è finito da un pò ormai, dopo esser stato il giorno migliore della mia vita, certo, però..." replicò con un sorriso beffardo, lanciando un'occhiata alla sveglia sul comodino.
Vegeta la guardò stringendo gli occhi pericolosamente, ma lei continuava a sorridere. Era inutile cercare di spaventarla, non c'era modo per zittirla. O meglio, un modo c'era, ma se ci avesse provato l'avrebbe fatta imbestialire per bene.
Sbuffò ancora, prima di voltare la testa verso la finestra con espressione di resa.
"Il 26 ottobre" disse tutto d'un fiato e senza guardare la ragazza.
Bulma ci riflettè qualche minuto, poi lo guardò contrariata.
"Perchè non me l'hai detto? Potevamo fare una festa, anche solo qui in casa!" disse poi con aria offesa.
A quel punto Vegeta non potè evitare di voltarsi per fissare gli occhi nei suoi e squadrarla con le sopracciglia alzate.
"Stai scherzando, vero?" le chiese con aria disgustata. L'idea di una festa era già abbastanza terribile per il Sayan, figurarsi una festa in cui l'ospite d'onore era lui. Roba da pazzi.
Bulma alzò gli occhi al cielo scuotendo leggermente la testa, ma all'improvviso le venne in mente un'altra domanda. Una che gli aveva già fatto senza aver ottenuto risposta.
"Quante donne hai avuto?" chiese mordendosi un labbro. 
Vegeta la guardò per alcuni secondi, come soppesando la risposta. Poi, senza preavviso, strinse la mano che poggiava sulla schiena di Bulma schiacciandola contro il suo petto e con un movimento fulmineo capovolse la situazione. 
Bulma si ritrovò di nuovo sulla schiena, costretta tra il materasso morbido e il petto duro del Sayan che, nonostante fosse premuto sopra il suo, aderiva perfettamente senza schiacciarla. Vegeta si teneva con una mano per non pesarle addosso. La fissò per pochi istanti, godendo nel vederla logorarsi per l'impazienza. 
Poi la baciò con irruenza. Un bacio prepotente, infuocato ed eccitante. Un bacio che durò a lungo, prima che Bulma lo allontasse -anche se piuttosto controvoglia- e lo fissò dritto negl'occhi. Vegeta sospirò.
Testarda, pensò con un ghigno.
"Mi rispondi?" chiese la ragazza con gli occhi luccicanti per l'attesa. 
O forse per la passione con cui Vegeta l'aveva baciata, difficile dirlo con certezza.
"Tante" rispose lui evasivo. Cercò di baciarla ancora e lei lo lasciò fare, ma non approfondì il bacio.
Era interdetta, sorpresa e forse anche delusa. Che sciocca, poteva mica pensare che l'avesse aspettata per tutta la vita. Neppure lei l'aveva fatto, però... Si sentì bruciare il petto in maniera atroce.
"Oh" riuscì solamente a dire. Vegeta la fissò in silenzio, continuando a fissarla con pazienza, sicuro che aveva ancora qualcosa da dire. Infatti...
"Troppe per poterle contare?" chiese con un filo di voce la ragazza, evitando il suo sguardo.
"Decisamente" rispose Vegeta spietato. Sapeva che le stava facendo male, ma sapeva esattamente come rimediare, perciò la fissò ancora con l'ombra di un ghigno sulle labbra.
"D'accordo" disse alla fine Bulma sospirando e... Trattenendo le lacrime? Accidenti.
Vegeta le posò delicatamente le labbra sulle sue, in un contatto leggerissimo, prima di ricominciare a parlare con voce tanto dolce da farsi venire il voltastomaco da solo. Però era necessario...
"E' così, non te lo nascondo, sono stato con innumerevoli donne" disse pianissimo contro le sue labbra. Bulma respirò a fondo per non urlare, ma Vegeta le impedì di parlare.
"E di tutte, tu sei la prima che si risveglia tra le mie braccia. E sarai per sempre l'unica" respirò così piano -e pieno d'imbarazzo- che persino Bulma lo sentì appena. 
Ma lo sentì, eccome se lo sentì.
Si aprì in un sorriso radioso e passò immediatamente le braccia attorno al suo collo per stringerlo a sè e ricominciare a baciarlo con un'intensità che, se avesse iniziato a nevicare proprio in testa a lei nemmeno se ne sarebbe accorta. Vegeta rispose al bacio con la stessa passione e in un movimento deciso portò una mano sotto il lenzuolo, ad aprirle piano le gambe. 
 
Entrò in lei ancora una volta, senza mai smettere di baciarla, accarezzarla, morderla con delicatezza...
Solo quando il sole sorse lentamente venne, ancora una volta, ancora in lei, sospirando e lasciandosi scappare un basso gemito di piacere, mentre Bulma gli baciava il collo con dolcezza.
Si posò poi sul materasso affianco alla ragazza, passandole le braccia attorno alla vita per tenerla stretta a sè -sapeva quanto le piacesse sentirlo così vicino- e posando la testa contro la sua. Lei l'abbracciò dalle spalle e cominciò a tracciare linee immaginarie sulla sua schiena, certa di quanto quel semplice gesto lo rilassasse e gli piacesse. 
Avevano imparato a conoscere i punti deboli e i punti di forza l'uno dell'altro, le tentazioni, i piaceri ai quali non sapevano resistere, scoprendo che non differivano di troppo dai propri. Non avevano più nessun segreto.
 
Si addormentarono di nuovo in pochi minuti, entrambi con la consapevolezza di risvegliarsi con il profumo dell'altro ancora nei polmoni e il calore del suo corpo ancora accanto al proprio.
 
 
 
 
Nota dell'autrice...
Mi spiace, sono di nuovo in ritardo. Ho deciso che non dirò più con esattezza quando posterò, perchè non mi piace non rispettare la parola data. Spero comunque di essermi fatta perdonare con questo capitolo, che non è lunghissimo, ma credo sia piuttosto importante per capire meglio cosa provano i due protagonisti l'una per l'altra. 
Aspetto i vostri commenti,
ne approfitto anche per dirvi che vi adoro *.*
<3 Lady Johanna <3

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Capitolo 15
*** Quanto passa in fretta il tempo? ***


15. Quanto passa in fretta il tempo?
 
Il tempo passa. 
Alle volte sembra passi più velocemente, altre che non passi mai, ma in realtà lui scorre sempre alla stessa maniera. A lui non interessa del volere degli altri, non presta ascolto a chi gli chiede di fermarsi o a chi prega che si sbrighi, lui passa. 
Porta buone notizie? E chi lo sa. Guarisce una ferita? Forse.
Ci sono periodi lunghi che passano come fossero pochi giorni e periodi più brevi che passano come fossero un anno. Ma a che gioco gioca il tempo? E' sleale? 
No.
E' solo una percezioni di tanti, forse di tutti, ma lui non imbroglia. 
Lui passa.
Quanti sono ventotto giorni per il tempo? Tanti? Pochi? 
E per una donna? Quanti sono ventotto giorni per una donna? Sono troppi.
La domanda è... Troppo tanti o troppo pochi?
 
 
 
Il sole era già alto nel cielo azzurro, terso e perfetto, senza nuvole ad intralciare il cammino di quell'enorme e bellissima stella infuocata.
Casa Brief era silenziosa, i coniugi erano in giardino a godersi il tepore di quel primo pomeriggio.
 
Il signor Brief se ne stava beatamente sdraiato su di una sedia con lo schienale regolabile e le braccia incrociate dietro la nuca, fumando una sigaretta mentre il suo bel micetto nero gli dormiva sul petto. Per quel giorno aveva deciso di lasciar perdere il lavoro, così anzichè indossare il suo solito camice bianco, portava una camicia giallo canarino abbinata a dei pantaloni piuttosto larghi, lunghi fino al ginocchi e beige. Teneva gli occhi chiusi dietro gli occhiali spessi e ascoltava il canto degli uccellini che svolazzavano nel cielo allegri e spensierati.
 
La signora Brief stava esaminando attentamente un catalogo di abiti da sera sdraiata sull'erba fresca a pancia in giù, come una bambina, incurante delle macchie verdi che già aveva procurato alla canotta di cotone rosa pallido e ai pantaloncini grigio chiaro. Sfogliava avidamente le pagine del giornale e solamente quando notò un bell'abito azzurro e lungo ebbe come una rivelazione.
"Caro, credi sia il caso di svegliare Bulma?" domandò al marito con voce un pò preoccupata.
Da un pò di tempo, infatti, la loro unica figlia adorata non faceva che dormire. Dormiva fino a tardi la mattina, tornava a letto subito dopo pranzo e come se non bastasse alle nove, dieci di sera al massimo era di nuovo a dormire. Certo, i suoi genitori non avevano idea che da quando si ritirava nella sua stanza a quando si addormentava passavano tre o quattro ore, tuttavia dormiva davvero tanto. Troppo.
 
Il signor Brief aprì gli occhi e li puntò sulla moglie, senza però vederla davvero. Pensava alla sua bambina e a quanto fosse strana negli ultimi tempi.
"Non saprei" le rispose dopo qualche minuto. Ed era vero, non sapeva come comportarsi. 
Ritornò ad osservare il cielo con la fronte corrugata per la preoccupazione, ignorando due passeri che giocavano proprio di fronte a lui.
 
Intanto, nella camera gravitazionale, Vegeta non faceva che allenarsi. I muscoli tesi e pronti a scattare per scagliare o evitare sfere di energia dai robot poco potenti che il signor Brief gli costruiva. Ormai era sempre lui che li sistemava dopo un solo giorno di esercizi, perchè Bulma non si vedeva praticamente più in giro. Non aveva mai tempo per nulla, se non per dormire, mangiare e soddisfare i suoi desideri -di Vegeta- più virili la sera tardi. Non che gli dispiacesse, era senza dubbio felice di potersi allenare in pace, senza quella testa azzurra a girargli intorno, però la sentiva agitata, anche quando avrebbe dovuto essere rilassata e coi nervi distesi. Quando non dormiva o non facevano l'amore era sempre nervosa.
Una sfera di energia lanciata dal robot che svolazzava vicino al piano dei comandi lo colpì in pieno stomaco, facendolo finire contro la parete. Rimase a terra qualche minuto, gli occhi chiusi e il respiro veloce, il nervi scossi come se qualcuno stesse giocando al tiro alla fune.
Come se non bastasse, una nuova idea gli martellava nel cervello. Gli era venuta quella mattina quando si era svegliato, all'alba, e ancora non gli dava tregua. 
Era passato un altro mese, ma stavolta non gliel'avrebbe data vinta alla sua donna, oh no. Stavolta avrebbe fatto di testa sua, che a lei piacesse o no. Gl'importava ben poco.
E con questi pensieri in testa, srotolò piano la lunga e robusta coda scura, lanciando sguardi desiderosi verso la finestrella della camera gravitazionale, come se sperasse di veder sorgere la Luna da un momento all'altro.
 
 
***
 
Era sera ormai, il cielo cominciava a farsi più scuro e gli ultimi raggi di sole lasciavano il posto a un primo spicchio di Luna. Bulma stava seduta al davanzale della sua finestra con le ginocchia strette al petto e la testa appoggiata su queste, mentre dondolava piano avanti e indietro e sbadigliava. Si era appena svegliata e mancava poco prima che sua madre la chiamasse per la cena. Normalmente l'aiutava ad apparecchiare e a lavare i piatti, ma da alcune settimane non se la sentiva più; faticava persino a mangiare. Aveva sempre il senso di nausea.
 
Guardava stancamente le prime stelle che si affacciavano timide in una volta ancora troppo celeste per farle risplendere a dovere, quando sentì aprirsi la porta. Si voltò confusa, da un pò nessuno entrava più nella sua stanza. Era sempre troppo irascibile per essere trattata, solo Vegeta ci riusciva, anche se non più di tanto.
Ed eccolo lì, proprio lui se ne stava appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate sulla maglietta scura e la studiava con le sopracciglia corrugate.
"Ciao" disse piano la ragazza, tornando poi a guardare fuori dalla finestra. 
Non lo sentì avvicinarsi, come al solito. Sentì solamente le sue braccia forti che la sollevavano con facilità per posarsela sulle ginocchia una volta sedutosi sul davanzale. Bulma poggiò la testa sul suo petto caldo e ampio e chiuse gli occhi. 
In quei momenti si sentiva estremamente al sicuro, ma da un pò non si trovava più a suo agio nemmeno con Vegeta. Si sentiva come se ci fosse qualcosa che non andava, come se ci fosse qualcosa in lei che...
"Si può sapere che diavolo hai?" chiese d'un tratto il Sayan. 
Le sue intenzioni erano buone, voleva davvero capire che le prendeva in quell'ultimo periodo, ma il tono che usò non era proprio dei più dolci. Bulma sbuffò infastidita e si divincolò dal suo abbraccio per andare a stendersi sul letto, voltandogli le spalle.
"Non fare il furbo con me, vai a tagliarti la coda" disse quasi più brusca di lui e cambiando argomento. 
Vegeta non fece una piega e lei continuò.
"So ancora contare" disse pensando al mese precedente, quando aveva tentato di fregarla per l'ennesima volta.
 
Improvvisamente qualcosa in quella frase le suonò terribilmente sbagliato. Sapeva contare? Certo che sì. 
Eppure qualcosa non quadrava...
 
Si alzò svelta e corse verso la scrivania. Buttò all'aria diverse carte, penne e matite sotto lo sguardo confuso di Vegeta e si fermò solo quando trovò ciò che cercava. 
Si risedette sul letto con il calendario tra le mani e tornò indietro di una pagina, di un mese. 
Osservò il 30 aprile, l'ultimo giorno.
Era cerchiato in rosso.
Controllò l'inizio della pagina. Il 2 aprile, il giorno prima del suo compleanno -della notte del suo compleanno- era cerchiato in rosso.
Tornò avanti di una pagina, di un mese.
9 maggio, quel giorno era il 9 maggio.
9 maggio.
30 aprile, 9 maggio.
30 aprile, 9 maggio.
9 maggio, nove giorni.
 
Nove giorni.
 
Nove giorni.
 
Nove giorni...
 
La nausea s'impossessò maggiormente di lei e la testa iniziò a girare vorticosamente; il calendario le scivolò dalle mani improvvisamente deboli e cadde sul pavimento con un piccolo tonfo, mentre nel suo cervello un unico pensiero la faceva da padrone.
 
Nove giorni, aveva un ritardo di nove giorni...
 
 
E quella sera, l'ultima cosa che vide Bulma furono un paio di grandi mani che l'afferravano mentre il pavimento della sua stanza si avvicinava a velocità impressionante al suo viso sconvolto.
 
 
 
Nota dell'autrice...
Salve a tutti! Sono di nuovo qui, tuttavia non mi trattengo a lungo. Il capitolo non è molto lungo, ma come vi sarete accorti è assolutamente essenziale =D
Spero comunque che sia di vostro gradimento e che mi perdoniate in caso di eventuali errori (od orrori) di grammatica come a volte accade... *.*
Aspetto con ansia i vostri commenti e giudizi.
Un abbraccio,
<3 Lady Johanna <3

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Capitolo 16
*** Responsabilità e orgoglio ***


16. Responsabilità e orgoglio
 
Le lancette dell'orologio appeso al muro si muovevano freneticamente. Sembrava una gara, anche se nessuna delle due avrebbe mai vinto. E c'era solamente Vegeta ad osservare quella corsa forsennata, mentre il martellare costante della pioggia fuori dalla finestra si univa al ticchettio delle lancette che gareggiavano instancabili. Tutto sommato era un rumore piacevole che intimava la calma, come se richiamasse gli animi tempestosi perchè si acquietassero.
Purtroppo non vi riusciva.
Il cuore del Sayan pompava sangue ad una velocità spaventosa, i nervi tesi quasi a spezzarsi e le ossa tremanti d'impazienza. Nella testa uno sciame d'api ronzava indisturbato, facendo un fracasso assordante e ogni tanto qualcuna pungeva pure, provocando dolorose fitte al cranio di lui. 
Gli occhi saettavano costantemente dall'orologio che stava di fronte al divano su cui era seduto, alla porta alla sua sinistra, che celava il corridoio che portava alle sale adibite a ospedale.
Le dita tamburellavano fastidiosamente sulle braccia incrociate al petto, le gambe tremavano nervose.
La coda -che alla fine aveva dimenticato di tagliare- si attorcigliava alla sua vita per poi ridistendersi, rendendo Vegeta ancora più irrequieto, senza che si accorgesse che, anche se inconsciamente, era lui a muoverla.
Digrignava i denti da più un'ora e una parte di lui era stupita del fatto che ancora non si fossero spezzati o che ancora non gli fosse caduta la mascella.
Un altro sguardo alla porta odiosamente chiusa.
 
Aveva portato Bulma di sotto volando, mentre la sua donna respirava a fatica tra le sue braccia. Il signor Brief non aveva tardato ad arrivare quando lui l'aveva chiamato con un'urgenza nella voce da far spaventare il vecchio scienziato, il quale aveva immediatamente chiamato il medico di famiglia mentre Vegeta adagiava la ragazza sul divano bianco del salotto. Era rimasto in piedi affianco a lei fino all'arrivo del dottore che l'aveva poi portata nelle stanze indicate dal signor Brief, oltre quella dannata porta che non accennava ad aprirsi.
Ora, però, se ne stava seduto rigido sul divano rendendosi conto -per la prima volta in vita sua- di cosa fosse la paura. Si sentiva lo stomaco contorto, continuava a deglutire a vuoto e aveva male all'interno delle guance a forza di mordersele per trattenersi dal gridare.
Non faceva neppure più caso ai bisbigli preoccupati dai coniugi Brief seduti sul divano accanto alla finestra, neanche troppo lontani da lui. Aveva chiesto loro diverse volte quanto ancora ci volesse, ma non avevano saputo rispondergli.
Voleva solo vedere quella porta aprirsi e vederne uscire la sua bella donna con un sorriso smagliante, di quelli che gli facevano percepire chiaramente ogni battito del proprio cuore accellerato, come se volesse scoppiare.
 
 
 
 
"Dottore, dica qualcosa" implorò Bulma con le lacrime agl'occhi, nonostante fosse ben attenta a non lasciarsele sfuggire. Stava seduta sul lettino ancora fatto dalle lenzuola bianche e guardava il medico seduto accanto a lei esaminare le rigide carte nere dell'ecografia. 
Bulma era certa di cosa avesse causato lo svenimento e di cosa le provocasse quella nausea continua, perciò non si era opposta quando, al suo risveglio, il dottore le aveva chiesto di potergliene fare una -di ecografia- anche se era terrorizzata.
Ora se ne stava con le ginocchia strette al petto e le braccia a circondarle, posandovi sopra il mento. Si mordeva il labbro inferiore dalla preoccupazione e ogni tanto tirava su col naso, come una bambina spaventata.
E lo era, eccome se lo era. Non aveva mai immaginato di avere un bambino, e non perchè non lo volesse. Semplicemente non le era mai venuto in mente di quella possibilità, ma ora si sentiva incredibilmente stupida per non averla considerata.
 
Il medico corrugò le sopracciglia e le ridistese, arricciò le labbra e le rispiegò, facendo fremere la ragazza dall'impazienza incontrollabile. L'uomo sollevò un sopracciglio e strinse gli occhi, annuendo piano col capo. 
Pochi minuti dopo, la ragazza esplose.
"Dottore, dannazione, dica qualcosa!" strillò esasperata dal comportamento di lui. Il dottore sobbalzò appena al suo grido, ma si alzò dalla sedia con le mani in alto come in segno di resa. Si avvicinò al letto e parlò lentamente e con voce bassa.
"Cosa vuole che dica, Bulma?" disse gentilmente, fissando gli occhi lucidi della ragazza. Non ne conosceva il motivo, ma leggeva chiaramente in quelle grandi iridi blu che la conferma di ciò lei già sapeva -perchè era certo che lei già lo sapesse- l'avrebbe distrutta.
Bulma lo fissò torturandosi ancora il labbro, mentre una lacrima che non era riuscita a controllare scivolava lenta verso il suo mento. L'uomo sospirò posandole una mano sulla spalla fragile che sembrava stesse sostenendo l'intero pianeta e anche con molta fatica.
"Vado a chiamare i suoi genitori" aggiunse infine, alzandosi per raggiungere la porta bianca e richiudersela alle spalle una volta fuori.
 
 
 
 
*Bulma*
 
Respiro profondo. 
Respiro profondo. 
Respiro profondo.
 
Non ce la facevo. Non riuscivo a parlare. Avevo la gola troppo secca per far sì che emettesse alcun suono. Cercai di mandar giù la saliva per inumidirla il più possibile, mentre Vegeta sbuffava per l'ennesima volta.
"Pensi di farcela a parlare, donna?" domandò brusco e stufo.
Fantisco, era persino tornato a chiamarmi "donna".
Presi un ultimo respiro profondo e parlai veloce, tutto d'un fiato.
"Sonoincinta" uno sbuffo, basso e impercettibile persino per me. 
Vegeta sbuffò prima di sbottare:
"Ti spiacerebbe alzare un pò la voce?" chiese con tono falsamente dolce. Mi veniva da piangere, gli occhi bruciavano, i palmi delle mani prudevano e tremavo.
Ma non potevo continuare così, dovevo farmi forza e parlare chiaro, guardandolo dritto negl'occhi. Non avevo mai avuto paura di niente, perchè tutto d'un tratto ero così terrorizzata? Dov'era finito il mio intrepido carattere?
Un movimento poco distante mi diede la risposta e alzai lo sguardo per vedere Vegeta stringersi la coda in vita. 
Ecco da dove veniva tutta quella paura. 
Vegeta era un Sayan. Un Sayan che aveva cercato di uccidere il mio migliore amico Goku per poi distruggere l'intero pianeta Terra, compresa me. In quell'anno e mezzo era sicuramente cambiato, ma dentro di lui restava sempre una parte invariabile, un angolo del cuore ancora ghiacciato. Di questo ne ero certa. Un essere cresciuto con la sola forza dell'odio e il solo amore per la guerra e la distruzone non poteva cambiare così radicalmente. Per niente al mondo e, con mio rammarico, neanche per nessuno. 
Nemmeno per me, nonostante io l'amassi.
 
Respiro profondo. 
Respiro profondo. 
Respiro profondo.
 
Saltai giù dal letto e coprii in fretta la distanza che c'era tra noi, ignorando tutti i pensieri che mi avevano appena affollato la mente. Non m'importava nulla del suo angolo di cuore ghiacciato, lo amavo e lui amava me, anche se non totalmente e incondizionatamente, ma forse abbastanza da accettare un bambino -un suo bambino- da me.
Gli strinsi le braccia al collo e lo baciai con foga, impaziente e anche impaurita. Lo sentii irrigidirsi un momento, ma ci mise poco a posarmi le mani sulla schiena e stringermi a sè. E non solo le mani...
Quasi scoppiai a ridere sentendo la robusta coda stringersi sotto le sue mani e legarmi a lui...
Mi staccai dalle sue labbra dopo almeno un minuto, senza però allontanare il viso. Posai la fronte sulla sua e guardandolo dritto negl'occhi parlai.
"Sono incinta"
Un altro sussurro, ma 'sta volta ben udibile e ben scandito. Altrimenti non avrei percepito chiaramente il suo corpo tramutarsi in pietra -come se già non lo fosse- e le sue mani stringersi a pugno sulla mia schiena.
Non staccò gli occhi dai miei nemmeno per un istante e perciò fui costretta a vederli mentre si riempivano di... 
Odio.
Odio puro.
Era odio nero quello in cui sguazzavano le sue iridi, mentre le mie annegavano nell'orrore. Orrore per ciò che vedevo scritto nei suoi occhi, orrore per ciò che sentivo sulla schiena e orrore per ciò che udivo chiaramente.
Un ringhio sordo e cupo, a pochi centimetri dal mio viso.
Eppure non riuscivo a staccarmi da lui, le mie braccia restavano inequivocabilmente allacciate al suo collo, il mio petto sdraiato sul suo mentre il mio cuore si restringeva notevolmente ad ogni battito tetro del suo, che restava regolare mentre pompava veleno che di lì a poco mi avrebbe riversato addosso.
Infatti.
Neppure mi accorsi delle sue braccia che si staccavano dalla mia schiena con rapidità, percepii solo la sua coda farsi strada tra i nostri corpi per poi spingere indietro il mio con forza. Troppa forza.
Rimasi in piedi per miracolo, ma andai dolorosamente a sbattere contro il letto un paio di metri più indietro. Vegeta si avvicinò come un serpente e mi sovrastò, mentre io lo fissavo ad occhi sgranati.
"E adesso?" mi chiese con strafottenza dopo avermi guardata negl'occhi per diversi minuti. Aspettai che continuasse, ma lui non lo fece.
"E adesso... Cosa?" sussurrai incapace di tirar fuori la voce.
Lui ghignò. Un ghigno amaro, di quelli che da tanto tempo non gli avevo più visto fare. 
Io mi sentii morire.
"E adesso ti aspetti che ti baci, che ti abbracci e che ti dica che sono felice?" continuò con una smorfia ironica dipinta in volto.
E' ciò che spero, avrei voluto rispondergli. Lui sembrò capire su che lunghezza d'onda fossero i miei pensieri.
"Ti sbagli" sputò con rabbia, mentre io mi sentii morire ancora una volta.
"Ti sbagli, questi sono affari tuoi, non miei. Non me ne importa niente di tuo figlio" mi sbattè in faccia mentre si raddrizzava e si dirigeva verso la porta.
 
E in quel momento ci vidi rosso per la rabbia e ritrovai tutto il coraggio che credevo d'aver perso. Mi raddrizzai anch'io e feci un passo nella sua direzione.
"Tu, brutto bastardo, cos'hai detto?" gli urlai contro quando aveva già posato una mano sulla maniglia. Si voltò a guardarmi con le sopracciglia alzate per il tono che avevo usato, ma poco m'importava. Continuai a fissarlo, furiosa come non lo ero da tempo.
"Come mi hai chiamato?" mi chiese calmo, ma stupefatto dal modo in cui mi ero rivolta a lui. 
"Mio figlio? Mio figlio? E solamente mio figlio?" gli chiesi retoricamente e iniziando ad urlare ancora più forte, ignorando la sua domanda "Credi che sia incinta grazie allo Spirito Santo? Schifoso di un verme, è anche tuo figlio!" urlai lottando contro le lacrime rabbiose che ancora una volta non vedevano l'ora di sgorgare dai miei occhi. 
Vegeta ghignò ancora, alzando le spalle come se stessimo parlando del tempo.
"Credi che sia il primo? Credi che tu sia la prima? Di donne ne ho avuto a decine e non ho mai neanche visto un loro figlio" disse con leggerezza. 
Sentii il disgusto fluire nella bocca prima che lo sputassi fuori con le parole.
"Non me ne importa niente di quelle sgualdrine, io sto parlando di nostro figlio! Se con loro l'hai fatto non m'importa, ma non ti libererai di tutte le tue responsabilità verso di lui!"gli sputai in faccia posandomi le mani sulla pancia ancora piatta.
"Responsabilità? Te lo scordi, stupida ragazzina, io sono responsabile solo di me stesso. Non m'importa nulla di tutti gli altri" rispose guardando di sbiego e con disprezzo il mio ventre.
 
"Non è vero" riuscii solamente a dire. Avevo abbassato la voce, stavo sussurrando, terrorizzata all'idea che invece fosse proprio vero.
Si avvicinò di nuovo a me, rimanendo comunque ad almeno un metro di distanza, incrociò le braccia al petto e sibilò un frase con un ghigno.
"Stai cercando di auto-convincerti?" chiese con quella smorfia amara sulle labbra. 
Quelle labbra che sapevano essere così dolci e delicate, ma che da una mezz'ora non facevano che ferirmi. Sentii gli occhi pizzicare e il labbro inferiore cominciare a tremare, così lo morsi con forza per farlo stare fermo. Avrei voluto correre via da quella stanza, voltarmi per non vedere quegl'occhi pieni di odio e disgusto nei miei confronti, mentre si erano riempiti di sollievo neanche un'ora prima, quando mi aveva vista dopo che il dottore se n'era andato. Mi sentivo lo stomaco rigirarsi, le braccia e le gambe molli, senza forze, mentre il cuore voleva rifiutarsi di battere per il dolore. Era come se qualcuno l'avesse preso in mano e stritolato proprio davanti ai miei occhi, con l'intento di distruggermi.
Ed era proprio così infatti che era andata.
Ed era stato Vegeta a stritolarlo senza ritegno, senza rimorso, con completa indifferenza. La stessa che ostentava ancora mentre mi guardava con aria di superiorità.
"Lui è tua responsabilità, non mia. E non mi importerebbe se decidessi di non tenerlo" disse con calma e con un'altra alzata di spalle, come se mi stesse dicendo che non gl'importava se avessi tenuto una vecchia maglietta oppure no.
E io ero scandalizzata, così ricominciai a urlare.
"Come può non importarti?" strillai con voce tremante "è tuo figlio, dannazione, sangue del tuo sangue!" mi arrampicai sugli specchi bisognosa della più tenue speranza.
Grandissimo errore, gigantesco.
Mi si avvicinò furibondo come l'avevo visto poche volte e strinse il pugno per non prendermi per la gola.
"No, non è sangue del mio sangue. Il suo sangue sarà contaminato dal tuo" sibilò con rabbia, sdegno e disgusto, sputando l'ultima parola.
Contaminato. A lui importava solo della sua razza, dei Sayan. Aveva sempre disprezzato il piccolo Gohan perchè era figlio di Chichi, una terrestre. Lo riteneva indegno, una vergogna. 
Vegeta mi guardò ancora per qualche minuto interminabile, poi si voltò e fece per andarsene, ma dopo appena un passo lo costrinsi a fermarsi, solo con le parole.
 
"Codardo" dissi con ripugnanza. Vidi chiaramente i muscoli della sua ampia schiena irrigidirsi e le mani tremare impercettibilmente e quasi mi venne da ridere, ma mi obbligai a continuare.
"Sono tutte fesserie. La verità è molto diversa e anche molto più semplice" sibilai malignamente, decisa a fargli male quanto lui ne stava facendo a me. Era un comportamento da bambina, lo sapevo bene, ma sapevo anche che solo puntando sul suo orgoglio avrei ottenuto qualcosa.
O meglio, potevo sperare di ottenere qualcosa.
Mi avvicinai lenta ma decisa e mi fermai di fianco a lui incrociando le braccia sotto al seno e lo guardai dritto in viso, anche se lui teneva lo sguardo fisso sulla porta. La mascella che scattava impercettibilmente ogni secondo.
"Tu hai paura" sussurrai avvicinando appena il viso al suo.
Ecco, ora l'hai fatto davvero infuriare, mi disse una vocina nella testa, un secondo prima che la mano di Vegeta si posasse sul mio sterno schiacciandomi dolorosamente al muro e sovrastandomi. 
Di nuovo.
 
"Non.Ti.Permettere." parlò a scatti e fissandomi negli occhi, ma stavolta nei suoi non vi lessi solamente odio. C'era qualcos'altro, qualcosa che li faceva tremare, qualcosa che era come una muta richiesta d'aiuto, che mai e poi mai avrebbe accettato.
Paura. Solo paura. 
E c'era ancora quella scintilla quando si allontanò da me veloce come il vento e uscì dalla finestra della stanza, incurante della pioggia che ancora cadeva là fuori.
*Fine Bulma*
 
 
 
Vegeta correva sull'erba fradicia alla velocità dei lampi che di tanto in tanto squarciavano il cielo nero, mentre enormi goccioloni ghiacciati non facevano che scivolargli sulle spalle nude, tra i capelli e sul viso stravolto. 
E proprio su quel viso l'acqua piovana scorreva insieme a una che era molto più calda e salata.
Ma nessuno l'avrebbe notato, nessuno sarebbe stato in grado di distinguere le lacrime dalla pioggia. 
Solamente lei, così come solamente lei avrebbe potuto asciugarle, lei che era la stessa che le aveva causate.
 
 
 
 
 
 
Nota dell'autrice...
Gente, gente, gente, giuro che scrivere questo capitolo mi ha stremato! Spero che in ogni caso sia di vostro gradimento, che sia "scritto in italiano" e che sia comprensibile XD
Spero anche di veder presto dei vostri commenti... Possibilmente commenti in cui non esprimiate la vostra voglia di uccidermi, anzi no, torturarmi!!! E' disgustoso quanto tempo vi ho fatti aspettare, mi dispiace da morire... ='( 
Spero che sia riuscita a rifarmi con lo scritto... =D
Un bacio, 
<3 Lady Johanna <3

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Capitolo 17
*** Vicino agli occhi, lontano dal cuore ***


17. Vicino agli occhi, lontano dal cuore


Ci sono abissi che l’amore non può superare, nonostante la forza delle sue ali

-Balzac, Honorè
 

La signora Brief posò il secondo piatto colmo di ravioli di carne davanti alla figlia. Bulma sbuffò e lo allontanò con un colpo secco della mano, ancora intenta ad inghiottire l’ultimo boccone del piatto precedente.
 
“Mamma ora stai esagerando!” urlò esasperata rivolgendo alla madre uno sguardo furioso. La donna non la guardò neanche e continuò invece ad aggiungere zucchero in un’enorme casseruola dove aveva tagliato due o tre chili di frutta.
 
“Bulma Bulma Bulma” mormorò con voce enfatica. Portò a tavola la macedonia appena preparata e dopo aver tolto i ravioli da di fronte la figlia e porse una scodella ricca di frutta.
 
“Tesoro” cominciò con aria stanca, come chi ripete per l’ennesima volta lo stesso concetto “smettila di lamentarti. Ora devi mangiare per due e ricordati che il picoletto –o la piccoletta- per metà è un Sayan! Hai ben presente quanto mangiano i Sayan, vero cara? Quindi” e le avvicinò un cucchiaino “non fare troppe storie” concluse cominciando anche lei a mangiare la sua porzione di macedonia.
 
Durante il battibecco, il signor Brief rimase in silenzio, alzando gli occhi al cielo di tanto in tanto e rivolgendo alla figlia sguardi supplichevoli come a volerle dire “Mangia, solo così la smetterà”.
 
Bulma sbuffò ancora una volta prima di rassegnarsi e iniziare a mangiare la frutta decisamente troppo zuccherata, mentre il suo sguardo cadeva oltre la finestra della cucina, quella che dava sul giardino sul retro.
 
Fissò i lampi di luce che saettavano davanti alla piccola finestrella rotonda della camera gravitazionale per quella che parve un’eternità, finchè la finta tosse di suo padre non la riportò con la testa nella stanza.
 
Un sospiro. Non si concesse di più, per lo meno non di fronte ai genitori.
 
Era un mese, ormai, che la situazione non cambiava di una virgola. Aveva deciso –nonostante non avesse mai preso in considerazione l’altra opzione- di tenere il bambino, indipendentemente dalle reazioni –effettivamente quasi nulle dopo la prima scenata- di Vegeta.
 
Il Sayan, intanto, si comportava come se nulla fosse successo, con l’unica differenza che, per lo meno all’apparenza, per lui Bulma non esisteva praticamente più. In casa ci entrava solamente la notte, quand’era certo che la ragazza fosse a dormire, e parlava solo più con il signor Brief, il quale, inizialmente, era molto propenso a tentare un omicidio, ma che aveva dovuto desistere davanti alle preghiere di Bulma.
 
Sì, perché, nonostante il dolore che la ragazza provasse ogni volta che lo vedeva anche solo di sfuggita, lei voleva averlo vicino, almeno vicino agli occhi, in quanto i cuori erano incredibilmente distanti. A volte nel pomeriggio si perdeva ad osservarlo attraverso la finestra della camera della gravità, certa che lui l’avesse notata benissimo, consapevole delle atrocità che avrebbe subito quando lui l’avrebbe ignorata deliberatamente, ma dipendente dal suo bisogno di vederlo. Per cosa, non lo sapeva neppure lei stessa, ma voleva così, aveva bisogno di vederlo per ricordarsi come, quando e perché si fosse innamorata di lui.
 
 
 
L’inizio è dolce, assurdo e felice.
L’intreccio pieno di buona volontà, forte e carico di tensioni.
La fine una lacerazione.
-Nuria Barros


 
Un leggero venticello caldo smuoveva pigramente le fronde degl’alti alberi, il cielo era ancora troppo chiaro per poter definir notte l’ora piuttosto tarda, mentre il sole non si decideva a sparire definitivamente dietro l’orizzonte.
 
Bulma era nella sua ampia stanza, colorata recentemente di bianco. Aveva convenuto che era ora di darci un taglio con i poster di attori e cantanti, con le vecchie foto di lei e i suoi amici e con tutto ciò che avrebbe potuto ricordare la camera di una ragazzina spensierata.
Ormai era cresciuta, presto sarebbe diventata mamma e doveva diventare responsabile e adulta.
 
Se ne stava davanti all’armadio aperto mentre sceglieva i vestiti che avrebbe dovuto indossare la mattina dopo, quando sarebbe andata a una riunione di lavoro con il padre.
 
Guardava con una smorfia un classico taller grigio chiaro che sarebbe stato divinamente con i suoi capelli e con i suoi occhi, rimpiangendo di aver dato via la maggior parte dei suoi abiti sportivi o quelli che sua madre aveva bellamente definito “da sgualdrina”.
 
Con uno sbuffo schifato, perciò, lanciò la gonna sul letto, tirando fuori da un cassetto una camicia bianca che avrebbe indossato sotto la giacca ed entrambe finirono sbattute affianco alla gonna.
 
Richiuse stizzita le ante dell’armadio e si fermò ad osservare il suo riflesso allo specchio che era appeso sul guarda-roba.
 
Aveva i capelli legati in uno chignon malfatto, con diversi ciuffi che le ricadevano ai lati del viso leggermente pallido e sciupato, gli occhi spenti. Portava solamente una leggera maglietta verde chiaro molto larga e un paio di aderenti culotte nere.
 
Senza che potesse evitarselo si girò di profilo e sollevò la maglia. Il ventre era ancora piatto e liscio, niente lasciava intravedere il mostriciattolo brontolone che di lì a qualche mese avrebbe starnazzato a tutte le ore del giorno e della notte.
 
Si passò sue dita sulla pancia, sovrappensiero, mentre immaginava il suo bambino.
 
O bambina, certo, ma sperava in un maschietto. Sperava che assomigliasse il più possibile al padre, che ogni cosa del bimbo ricordasse il bel Principe dei Sayan, senza che neppure lei sapesse esattamente il motivo. Sicuramente per lei sarebbe stato meno doloroso se non fosse stato troppo simile a Vegeta, eppure voleva così. Forse nella speranza che diventasse forte e sano come lui, che fosse determinato e sicuro di sé com’era il Sayan, ma anche dolce come solo lei aveva avuto il piacere di vederlo.
 
Sorrise triste. Triste, sì, perché le mancavano immensamente quei momenti di dolcezza dai quali lei e Vegeta si lasciavano travolgere ogni tanto, dopo un’infuocata notte d’amore. Le mancava il suo sguardo esasperato e divertito quando lei s’arrabbiava con lui per qualche disastro che aveva combinato, le mancavano quegl’occhi scuri e penetranti che le scavavano l’anima, le mancavano le sue labbra dolci, il suo profumo di menta.
 
Una solitaria lacrima calda rigò silenziosa la sua guancia, proprio mentre il suo sguardo catturava un’ombra scura dietro di sé.
 
Un’ombra che avrebbe riconosciuto tra mille.
 
Non riuscì a voltarsi subito, timorosa che l’ombra sarebbe scomparsa. Preferì assaporare quella sensazione di pace che la pervadeva mentre osservava attentamente la linea dei muscoli definiti del collo, le spalle forti e spigolose, per scendere sui pettorali ampi che, a dispetto di quel che sembrava, erano incredibilmente caldi e comodi, come Bulma aveva constatato più d’una volta.
 
 
Vegeta se ne stava accovacciato sul davanzale esterno della finestra di Bulma, osservando ogni sua mossa. L’aveva vista che si accarezzava il ventre con sguardo perso, sereno e al tempo stesso nostalgico. Strinse automaticamente un pugno. Era colpa di quel mostro se non poteva più stare con lei come faceva fino al mese prima.
 
Poi la vide alzare gli occhi su di lui, o meglio, sul suo riflesso nello specchio. Non mosse un muscolo, forse perché una parte di lui aveva sperato che lei s’accorgesse della sua presenza e magari che lo invitasse a entrare, conscio del fatto che avrebbe dovuto rifiutare.
 
Come aveva potuto legarsi così a quella donna? Non avrebbe mai dovuto avvicinarsi a lei, avrebbe dovuto lasciarla perdere sin dall’inizio, sfruttarla per gli allenamenti e niente di più.
 
Perché ora ci soffriva. Ora che la realtà lo aveva bruscamente richiamato a sé ci soffriva come mai gli era successo in vita sua. Avrebbe dato la sua coda per starle accanto, per stringerla e baciarla, per fare l’amore con lei e stuzzicarla per farla innervosire e poi riaddolcirla seducendola.
Il problema stava proprio nel fatto che avrebbe anche dato la sua coda, ma non il suo orgoglio. Non avrebbe mai accettato un mezzosangue come figlio, non avrebbe mai infangato l’onore della sua stirpe con un ibrido. Mai.
 
Bulma si avvicinò alla finestra e senza esitazione l’aprì, riportandolo alla realtà e distogliendolo da pensieri che rischiavano di distruggere quell’esserino che ancora neanche si era formato.
 
Portò gli occhi scuri in quelli di lei e, seppur per un momento, si sentì in pace.
E così anche Bulma.
 
“Ciao” tentò la ragazza. Aveva voglia di parlare con lui, di baciarlo e abbracciarlo, di qualunque contatto, ma lui non rispose al suo timido saluto.
 
Continuò a nuotare nell’oceano che erano i suoi occhi per quella che gli sembrò un’eternità, finchè l’occhio cadde sul ventre di lei, ora di nuovo coperto dalla maglia larga.
 
Lo fissò con tanta intensità che per un momento i suoi occhi parvero scintillare e Bulma portò istintivamente le mani sulla pancia, con fare protettivo.
 
Quel gesto ridestò Vegeta che la guardò disgustato, arricciando le labbra in un debole ringhio. La coda iniziò ad ondeggiare pericolosamente dietro di lui e i suoi occhi continuavano a lampeggiare, mentre Bulma lo fissava leggermente spaventata, ma soprattutto addolorata.  Avrebbe dato qualunque cosa per vedere Vegeta sorridere guardando il ventre pieno di suo figlio, del loro figlio, per vederlo felice come l’aveva visto tanto volte, quand’erano insieme.
 
Un’altra lacrima silenziosa bagnò la sua guancia accaldata dalla paura e dal dolore. Per l’ennesima volta, nell’ultimo mese, nonostante l’uomo –più o meno- che amava fosse così vicino, lo sentì terribilmente e irrimediabilmente lontano.
 
E qualcosa, ne fu assolutamente certa, si spezzò nel suo petto quando con una spinta Vegeta si lanciò dal davanzale della finestra e volò lontano, in quel cielo che ormai era completamente nero, come se riflettesse il dolore atroce che invase la ragazza mentre si lasciava vincere dai singhiozzi e dalle fitte lancinanti che le trapassavano cuore e cervello.
 


***
 

 
La terra riarsa e coperta di rocce ormai completamente sgretolate tremò per l’ennesima volta. L’aria fredda della notte tirava instancabile, le luminose stelle brillavano nel cielo nero, ma sembravano terribilmente pallide in confronto alla luce bianca della Luna Piena, che si rifletteva vanitosa nello specchio che era il lago poco distante da quell’improvvisato deserto.
 
L’ennesima pestata potente scosse di nuovo il suolo terrestre, ma le mastodontiche zampe ricoperte di peluria scura non smettevano di calpestare il terreno morto.
 
Un verso acuto e penetrante squarciò quella quiete già profanata, liberando un immenso dolore che rasentava la follia.
 
In quello stesso istante, l’enorme creatura -che altro non era che una gigantesca scimmia imbestialita- rovinò a terra, mentre la coda della stessa continuava a sferzare furiosamente l’aria. Un altro lamentò si levò da questa, proprio mentre una debole luce arancione faceva capolino dietro le immense montagne, facendo impallidire la piccola Luna che fino a poco prima si pavoneggiava con le stelle.
 
A questo punto, come se un qualche mago avesse gettato un incantesimo, la creatura cominciò a ritirarsi in se stessa, diventando sempre più piccola e più spoglia della pelliccia. Con un ultimo lamento, la scimmia divenne un uomo: i possenti muscoli della schiena si rilassarono di poco una volta terminata la trasformazione, ma non accennò a raddrizzarsi, anzi, si lasciò crollare a terra a pancia in giù, ignorando le pietruzze appuntite che neppure scalfivano i suoi allenati addominali.
 
Dopo pochi minuti di meditazione –se così si può chiamare- Vegeta lasciò che qualche salata lacrima scendesse sul suo viso smunto, vergognandosi immensamente della sua debolezza e invocando mentalmente il perdono di suo padre –il Re dei Sayan- di fronte a un simile oltraggio nei confronti della sua stirpe.

 
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice…
… Su, da bravi, posate quei forconi!!! Insomma, smettetela di lanciare pietre, vi prego!!! Perdono, perdono, v’imploro, perdono!!!
 
Okay, a parte questa patetica sceneggiata… Scusatemi!!! Perdonatemi!!! Non so come chiedervi scusa per questa mostruosissima attesa!!!
Il capitolo non è neanche dei migliori, perciò non so proprio che fare… Vi do il permesso di uccidermi d’insulti nelle recensioni!!!  D:
Un bacio (vi prego, non pulitevi la guancia schifati!),
Lady Johanna

 

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Capitolo 18
*** L'ecografia ***


18. L’ecografia
 


 

 

*Bulma*

 


Sembrava impossibile che fosse passato un anno. Sembrava impossibile che così tante cose fossero cambiate in solo dodici mesi. Vegeta neanche mi guardava più in faccia, non sapevo se perché fosse disgustato da me o dal bambino. La mia pancia era ormai cresciuta parecchio ed era impossibile nasconderla, ma neppure ci provavo. Anche se l’uomo che amavo e il padre del bambino non voleva avere nulla a che fare con quell’esserino che portavo in grembo, io già lo adoravo. Era mio figlio, e neanche l’opinione del Re della Terra* avrebbe potuto farmi cambiare idea. Avrei dato la vita per il mio bambino, senza pensarci due volte.
Me ne stavo, dunque, seduta su una sedia pieghevole di plastica bianca dove avevo appoggiato una coperta trapuntata, indossavo una bella vestaglia, non troppo pesante, di seta arancione e tenevo le mani poggiate sul rigonfiamento del mio ventre, non esageratamente ingrossato, ma neanche troppo piccolo.
Non riuscivo a capacitarmi del fatto che esattamente un anno prima fossi stata seduta su quella stessa sedia, non mi capacitavo del fatto che esattamente un anno prima avevo chiesto alle stelle cadenti di farmi trovare l’amore della mia vita per far sì che fossi felice. Mai mi sarei aspettata che il mio desiderio si avverasse, per poi essermi strappato di mano con la forza di un ciclone. Mi sentivo proprio come se improvvisamente un tornado avesse stravolto la mia vita, capovolgendo ogni cosa e portandosi via tutto ciò che per me era vitale, lasciandomi poi in preda alle convulsioni causate da pianti su pianti che non riuscivo a fermare per via della disperazione. E poi, in fin dei conti, ciò che per me era vitale non era poi molto. Era semplicemente Vegeta. Mi sentivo una stupida per aver riposto tutto il mio amore e la mia felicità in mano a un algido Sayan. Eppure, finchè era durato, mi ero sentita la donna più felice del mondo, la più fortunata, la più amata. Ciò che più mi disturbava era che forse lo ero stata davvero: il cambiamento di Vegeta era stato causato dal fatto che aspettassi un bambino. Sarei stata abbracciata a lui, su quella stessa sedia, a guardare le stelle, se quel piccolo mezzo Sayan che portavo in grembo non fosse mai esistito? Forse sì. Ma per quanto potesse farmi male l’idea che Vegeta non mi avvicinava più in alcun modo, quel dolore era niente paragonato a quello che, lo sapevo, avrei provato se non fossi rimasta incinta. Poco importava che il padre non lo volesse. Poco importava che lo insultasse e lo disprezzasse. Io lo avrei amato per tutti e due, forse anche di più, e avrei fatto tutto ciò che in mio potere per evitare che sentisse la mancanza di un padre. Quella notte giurai a me stessa che avrei fatto rimpiangere a Vegeta la sua decisione di abbandonarci.
I miei piani di vendetta, però, furono interrotti da una piccola, velocissima e brillante stella cadente.
Rimasi diversi minuti ad osservare la scia luminosa che si era lasciata dietro, e nella mia mente la rivedevo mentre solcava il cielo indisturbata, causando sospiri e gridolini di gioia in tutto il mondo. Cominciai poi a pensare al mio desiderio.
Cosa avrei potuto chiedere?  L’ultima volta non mi era andata troppo bene. O meglio, all’inizio era stato perfetto, ma poi tutto era andato in mille e più frammenti, così tanti che anche con l’eternità a disposizione sarebbe stato impossibile rimetterli insieme.
Avrei potuto chiedere che Vegeta si accorgesse dell’enorme sbaglio che aveva fatto e che tornasse da me, inginocchio e magari piangente, implorando il mio perdono. Che visione assurda; per far sì che si avverasse un episodio del genere ci sarebbe stato bisogno che un fulmine lo prendesse in pieno e lo stordisse completamente. E forse neppure quello sarebbe bastato.
Avrei potuto chiedere di tornare indietro nel tempo per evitare di stringere alcun tipo di legame con il Sayan, cominciando da quando lo avevo invitato a casa mia. Che pazzia; anche se avessi mai potuto cambiare il passato, mai avrei fatto una scelta simile. Amavo il mio bambino, indipendentemente da ciò che ne pensava Vegeta.
Avrei potuto chiedere d’incontrare un altro uomo che mi amasse e che accettasse sia me che il piccolo, nonostante non fosse figlio suo. Impossibile; ero incondizionatamente innamorata di Vegeta e nessun altro uomo mi avrebbe mai potuto rendere felice. Mi sarei sempre sentita fuori posto e sbagliata.
A conti fatti, avrei potuto chiedere e desiderare milioni di idiozie, che mai e poi mai si sarebbero avverate. Ogni scelta mi sembrava sempre più assurda della prima, tanto che mi ritrovai a sbuffare, sola come una stupida, a prendermela con le stelle. Alla fine, perciò, chiesi l’unica cosa che mi sembrava intelligente chiedere.
«Ti prego – fu solamente un bisbiglio- fa che sia un maschietto» mormorai con gli occhi lucidi e la voce appena tremante, per una volta di felicità.
 
 
 
 


 

A volte ci accorgiamo troppo tardi degli errori che commettiamo
e pur essendone consapevoli
ci convinciamo che sia colpa di qualcun altro e non nostra.

 

 

 
 

*Vegeta*


 

 
Era inutile cercare di allenarmi se nella testa avevo una tormenta che si agitava. Ero uscito dalla camera gravitazionale poco dopo il tramonto, avevo cenato –per fortuna la terrestre madre continuava a lasciarmi i pasti in cucina- e poi mi ero chiuso in camera mia per farmi una doccia.
Ero steso sul mio letto con le braccia piegate sotto la testa, che mi girava terribilmente. Probabilmente era colpa della sfera di energia che quel dannato robot mi aveva lanciato dritta sulla nuca. C’era anche da dire, però, che se non mi fossi distratto l’avrei parata. Ecco qual’era il problema! Ero distratto, perennemente distratto! Mannaggia a me, a quell’insulsa donna e a quel mezzosangue di suo figlio. Ecco scoperto da dove veniva quel vortice che mi scombinava tutti i neuroni.
Era colpa sua. Sua, di lei, sempre e comunque.
Certo, colpa sua. Infatti e lei che ti ha abbandonato, no? Che ingrata, che approfittatrice, che…
Cazzo, ci mancava pure la coscienza. Ma quando mai ne avevo avuta una? Neppure sapevo cosa fosse la coscienza mentre sterminavo decine e decine di pianeta, mentre ammazzavo qualsiasi tipo di essere vivente solo per dimostrare la forza di un Sayan. Come maledizione era possibile che me l’avesse tirata fuori in quel modo? Com’era possibile che stessi così male per lei? Non era altro che un’inutile umana, pure rompiballe. Bella. Dolce. Testarda. Orgogliosa. Coraggiosa. Perfetta.
Mi ero innamorato di lei dopo sei mesi che vivevo in quella casa, come diamine era possibile? Perché, poi? Io avrei dovuto approfittare di quei tre anni per allenarmi e poi allearmi con i Cyborg per far fuori Kaaroth una volte per tutte e invece… invece sapevo benissimo che non ci sarei mai riuscito. E non c’entrava un bel niente il fatto che quel plebeo potesse trasformarsi in Super-Sayan. Ne ero certo solamente perché immaginavo l’espressione disgustata che avrebbe avuto Bulma se l’avessi fatto. Non ero sicuro che l’avrei sopportata.
Una luce illuminò un momento la stanza. Mi voltai appena in tempo per vedere una di quelle che i terrestri chiamavano stelle cadenti. Era passato un anno. Era passato un anno da quella meravigliosa notte eppure sembrava fosse passato un secolo. Un anno prima ero sulla terrazza della Capsule Corporation con la mia donna tra le braccia, a ghignare in direzione di quei detriti che non potevano certamente portami niente di meglio di ciò che avevo giù. In quel momento, invece, ero appoggiato al davanzale della finestra a scrutare attentamente il cielo trapuntato di stelle che ogni tanto venivano giù a velocità supersonica.
Ho bisogno di lei.Fu l’unica pensiero che mi passò per la testa: non era un desiderio, non era una richiesta, non era niente. Era semplicemente ciò che da mesi ormai non facevo che ripetermi.
 

***

 
 
«Bulma! Tesoro, vuoi muoverti?»
La signora Brief era sulla porta di casa da dieci minuti e batteva ritmicamente il piede a terra, chiaramente impaziente. Il marito della donna era affianco a lei, ma indossava il suo solito camice bianco: non era lui a dover uscire.
«Arrivo mamma!» strillò Bulma dal piano dal salotto. Dio solo sapeva a fare cosa poi!
La signora Brief guardò il marito esaspera, stringendo in mano il giubbotto di pelle nera della figlia, quando finalmente la vide arrivare di corsa.
Beh, dire che era arrivata di corsa era del tutto sbagliato: a passo svelto, ecco, era meglio. Era fine ottobre ormai, e la gravidanza procedeva perfettamente. Era arrivata al sesto mese, perciò era ora di scoprire il sesso del piccolo o della piccola!
«Eccomi» disse allegra Bulma, posizionandosi di fronte alla madre che le tendeva la giacca. La donna la fulminò con lo sguardo, ma non riuscì a trattenere un sorriso. Finalmente la sua Bulma era di nuovo felice, non si curava più del fatto che Vegeta l’avesse bellamente abbandonata con un figlio in grembo.
Le due donne salutarono il padre e si avviarono verso il garage, salirono in macchina e partirono alla volta dell’ospedale, mentre l’uomo urlava loro mille raccomandazioni.
Una figura scura osservava la scena dalla finestrella rotonda della camera gravitazionale.
 
 
 
 


 

Ci sono momenti in cui la felicità raggiunge un livello che si credeva irraggiungibile,
portandoci in un vortice di colori che riconosciamo come casa, come pace.

 


 
 
Il dottor Satou aveva delicatamente cosparso il ventre della giovane donna di una crema fredda, ma Bulma era troppo su di giri per rendersene conto. Si sentiva accaldata, il cuore che batteva a mille; non si sarebbe stupida se fosse andato in fibrillazione da un momento all’altro.
Il ginecologo stava premendo una miriade di bottoni per preparare la macchina, e Bulma non riusciva a preoccuparsi di cosa stesse facendo. Stringeva la mano destra in quella della madre, mentre la sinistra era poggiata a lato del pancione. Un sorriso a trentadue denti le illuminava il viso, i capelli azzurrissimi le arrivavano alle spalle ed erano lisci, con frangetta non troppo lunga a coprirle la fronte, gli occhi blu mare accesi come non lo erano mai stati in vita sua.
Il dottore si voltò sorridente con in mano la rotella che avrebbe dovuto passare sul ventre della ragazza per poter attuare l’ecografia. Quando l’aveva conosciuta l’aveva trovata giù di morale, sciupata e immensamente triste; niente a che vedere con la donna fiera che ora lo fissava impaziente.
Il ginecologo cominciò a passare lentamente la rotella sulla pancia scoperta di Bulma, che intanto stringeva in una morsa d’acciaio la mano di sua madre. Ci vollero pochi minuti, in cui le immagini scure sul proiettore si modificarono più volte, a seconda dei movimenti del dottore. Finchè non si fermò e…
«Congratulazioni –disse con un sorriso smagliante- è un maschio»
Il cuore della giovane donna mancò un battito. Era un maschio. Un maschio, proprio ciò che aveva sempre sognato!
Uscì dall’ospedale saltellando, nonostante le condizioni in cui si trovava, mentre la madre le urlava dietro mille raccomandazioni di ogni tipo. Ma lei in testa aveva un unico pensiero.
E’ maschio.
 
E furono queste le due semplici parole che scrisse con mano tremante su un foglietto bianco che lasciò nella sua stanza.
Non aveva resistito. Quand’era tornata a casa, il suo pensiero che da un’oretta circa era diventato fisso aveva subito una piccola modifica.
E’ maschio. E’ un Principe.
Vegeta si stava ancora allenando nella camera gravitazionale, nonostante fossero le sette di sera, ora di cena, così Bulma era corsa nella sua stanza, al primo piano, e aveva lasciato il piccolo pezzetto di carta sul letto, dov’era sicura l’avrebbe visto.
Non aveva sentito il bisogno di stringere la forte mano di lui durante l’ecografia, ma sentiva che doveva saperlo, che doveva condividere con lui quella notizia. Era giusto che fosse così, che a lui importasse o no.
Bulma era di nuovo in piedi davanti allo specchio, di profilo e con la maglia alzata, Si passava due dita sul ventre ingrossato dal suo bambino, ammirando il suo riflesso con dolcezza, con amore.
Era felice e nessuno, neppure quello scorbutico di Vegeta, poteva intaccare quell’estasi in cui si sentiva da quel pomeriggio.
Per questa ragione, quando vide un’ombra oscurare la luce arancione del tramonto, si voltò decisa e camminò con poche difficoltà verso la finestra e l’aprì di scatto. Per un momento i suoi occhi videro quella stessa scena, ma al passato, quando lui aveva guardato con disgusto il suo ventre. Si obbligò a chiudere tra quattro mura di cemento il finale di quell’ultimo incontro e lo fissò negl’occhi.
Non era arrabbiata, non triste, non era sorpresa. Era felice.
Non era arrabbiata, non triste, non era sorpresa. Era felice. Vegeta l’aveva vista così gioiosa poche volte da quando viveva in quella casa, e dovette ammettere, almeno con se stesso, che l’euforia che traspariva dai suoi occhi la rendeva ancora più bella del solito. Meravigliosa, semplicemente.
La fissò negl’occhi a lungo, sembrò un’eternità, tanto che il sole quasi scomparve dietro l’orizzonte prima che lo sguardo acceso di lei si posasse sulla mano con cui Vegeta si teneva alla cornice della finestra.
Teneva in mano il biglietto che lei aveva lasciato nella camera da letto. E Bulma non potè evitare di sorridere mentre rialzava lo sguardo su di lui. Era una minuscola dimostrazione del fatto che, al contrario di ciò che diceva sempre o che faceva capire, di suo figlio gli importava. Almeno un po’.
E il cuore di Vegeta si sciolse. Da quanto tempo non la vedeva più sorridere così? Specialmente a lui? Quante notti aveva passato in bianco a elemosinare un suo semplice sorriso? Di quelli che fin dai primi tempi gli toglievano il respiro, di quelli che gli faceva quasi rimangiare tutti gli insulti che aveva sputato sui terrestri.

E non si trattenne.

Si sporse verso di lei, che rimase immobile.

Posò una mano dietro al suo collo, mentre lei continuava a sorridere, con gli occhi lucidi di gioia.

Avvicinò i loro volti finchè entrambi respirarono il profumo dell’altro, dopo averlo agognato come l’aria, anche di più.

La fissò ancora negl’occhi.

E la baciò.

L’amava, anche se non l’avrebbe mai ammesso…
 
 
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice…
Chiedo scusa per il super-ritardissimo e per i possibilissimi errori, specialmente nell’ultima parte che non ho riletto… Sono di corsissima, giuro che appena ho tempo rileggo tutto e correggo…
Spero che comunque siate soddisfatti, aspetto le vostre recensioni e chiedo ancora SCUSA!!!
Un bacio a chi commenterà, a chi leggerà senza farsi scoprire e a chi mi segue dall’inizio, senza punirmi per questi mostruosi ritardi,
<3 Lady Johanna <3

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Capitolo 19
*** Un cuore puro ***


19. Un cuore puro




La luce del sole di quella nuova mattina illuminava l'intera città, i raggi dorati riscaldavano tutto ciò che incontravano e il cielo azzurro faceva da tetto sicuro alle persone che, all'alba delle otto, già correvano a lavoro, a scuola; uomini e donne di tutte le età erano impegnati nelle più differenti attività quotidiane, i rumori della città eccheggiavano fino alle colline; i clacson delle auto, i fischi dei treni nelle banchine, lo sbuffare delle fabbriche e gli schiamazzi della gente.
Il frastuono era senza dubbio assordante, ma al contempo era segno di pace, tranquillità; nessun urlo di terrore causato da mostruosi individui dalle forme più strambe, nessuna esplosione causata dai colpi che i duellanti si sarebbero lanciati. Nessun'ombra oscurava il cielo del suo male, nessun odio, rancore o sete di potere impregnava le giornate ancora assolate di fine dicembre.
In pochi potevano dunque vedere le ombre che incombevano all'orizzonte, così che sembravano fumo nero pronto ad avanzare e ad intossicare qualunque forma di vita avesse incontrato sul suo cammino. Perfino nella sconfinata campagna verdeggiante era tangibile -non per tutti, certo- quella patina di orrore misto ad adrenalina e paura che ricopriva qualunque cosa, come un velo scuro steso su di un prato, una macchia nera che copre l'erba fresca e bagnata di rugiada.
Per questo motivo, tre individui erano già da qualche ora nel bel mezzo di un acceso combattimento, che per quanto terrificante potesse sembrare, non era altro che una simulazione.
Goku volava veloce come il vento tra le candide nuvole bianche, voltandosi di tanto in tanto per lanciare un attacco verso i suoi inseguitori e cambiando traiettoria ogni quanto, per evitare che venisse colpito dalle onde energetiche del piccolo Gohan o del potente Junior.
Il bambino era ormai cresciuto, i capelli nerissimi gli eran cresciuti fino a metà schiena e qualvolta lo distraevano dal combattimento, ma restava comunque sempre in allerta e s'impegnava al massimo in ciò che faceva, ovvero allenarsi per essere più forte, più veloce, più pronto ad affrontare i Cyborg che di lì a pochi mesi sarebbero stati attivati e avrebbero certamente cercato di distruggere il pianeta, così come il ragazzo del futuro aveva detto quasi tre anni prima.
Junior inseguiva padre e figlio a velocità supersonica, lanciando di tanto in tanto attacchi speciali che i due non conoscevano e che erano tipici dei Namecciani; schivava ogni risposta di Goku o di Gohan ancor prima che questa venisse lanciata, approfittando dei suoi sensi maggiormente sviluppati e dei suoi riflessi super allenati. Gli capitava, a volte, di distrarsi nell'ammirare il piccolo Gohan, complimentandosi segretamente con il ragazzino per la forza che mostrava ogni giorno nell'alzarsi all'alba e nell'addestrarsi tutto il giorno, subendo le sgridate della madre che gl'imponeva di fare i compiti e di studiare. Gohan lavorava sodo per essere all'altezza di ciò che stava per accadere, così come suo padre Goku, Junior e tutti gli altri loro amici.
La mattina passò in fretta, tra un'esplosione e un'onda energetica, giunse finalmente l'ora di pranzo.
«Urca, ragazzi! Che ne dite di tornare da Chi-Chi? Io ho una fame!»
Era una caratteristica tipica dei Sayan essere sempre affamati, ma Goku era al di sopra. Non passava troppo tempo senza pensare al cibo, e una volta cominciato a mangiare sarebbe andato avanti anche per ore, se non fosse per il senso di decenza che albergava nella moglie che, ad un certo punto, si vedeva costretta a togliergli i piatti da davanti.
Gli altri si fermarono a mezz'aria, voltandosi quasi contemporaneamente nella direzione di Goku, che agitava un braccio per attirare la loro attenzione e nel frattempo si massaggiava lo stomaco con l'altra mano.
Junior lo guardò un momento, poi scosse il capo rassegnato. «Non cambierà mai» mormorò all'indirizzo del piccolo Gohan, un sorriso che timido che aleggiava sulle labbra verdi. Il piccolo Sayan rise di gusto, poi anche il suo stomaco e brontolò e, sotto lo sguardo esasperato di Junior, si affrettò a raggiungere il padre che era già un pezzo avanti, con il Namecciano al seguito.

«Eccoci, cara!»
Goku spalancò la porta con una manata, riprendendola appena in tempo prima che sbattesse disastrosamente sulla parete. Il cuore della povera Chi-Chi sobbalzò terrorizzato, la donna sbuffò il fiato forte dalle narici, indecisa se arrabbiarsi o meno. Optò per un respiro profondo e per il meno. Non aveva voglia di litigare. Si voltò lentamente e immediatamente vide i lunghi capelli neri del figlio volarle addosso in un abbraccio che, appena più accennato, le avrebbe frantumato tutte le ossa, adocchiando suo marito già seduto a tavola e Junior ancora sulla porta, indeciso. Ormai erano quasi tre anni che, quasi tutti i giorni, andava a pranzare a casa  loro e a lei la sua presenza non dava fastidio. Inizialmente ne era spaventata; non aveva dimenticato che Goku avesse combattuto più volte contro Junior, ma di recente si sentiva tranquilla sul conto del muso verde.
 «Accomodati, Junior, che aspetti lì?» disse con un mezzo sorriso, mentre spingeva affettuosamente il figlio verso il tavolo. Junior mosse velocemente il capo in un cenno di ringraziamento e si affrettò a prender posto vicino a Gohan, mentre Goku ridacchia e parlava a raffica di chissà cosa  e Chi-Chi serviva le portate. La mole disumana di quella di Goku era impressionante.
Il Sayan iniziò subito a mangiare gli spaghetti e da quel momento si zittì. Solitamente nessuno fiatava mentre mangiavano, a parte qualche commento della donna sul fatto che Gohan passasse troppo tempo ad allenarsi e stesse trascurando i suoi compiti e lo studio; diversi minuti e qualche sfuriata erano sempre necessari per farla calmare e per ricordarle che di lì a poco sarebbero stati in grave pericolo e avevano dunque bisogno di tutto l'aiuto possibile. Ormai era fine dicembre e mancavano pochi mesi al fatidico 12 maggio e al momento il cui Trunks, il ragazzo venuto dal futuro, sarebbe tornato da loro per aiutarli a sconfiggere i Cyborg. Quel pensiero se ne tirò dietro un altro, mentre si riempiva il piatto di ravioli di carne.
Chissà se è già nato il piccolo Trunks...
Un sorriso spontaneo e leggermente scettico, nonostante lui sapesse del nascituro da quasi tre anni, gli si aprì sul viso e fu difficile farlo sparire per un bel pò.



***



Bulma se ne stava sdraiata nella sua stanza con le cuffie nelle orecchie e un Walkman poggiato sul cuscino, affianco alla sua testa. La signora Brief le concedeva di muoversi un pò soltanto nel pomeriggio, quando faceva più caldo, giusto per farle evitare che le si fermasse la circolazione, ma quando lo riteneva opportuno (nessuno sapeva in base a quale criterio) la costringeva a tornare in casa e non fare più alcun tipo di sforzo. Era tremendamente stufa di starsene a letto senza poter fare nulla, ma sua madre le aveva impedito di alzarsi; le portava ogni pasto in camera, un bel vassoio pieno di cibo che puntualmente poi avanza.
Avanzava, nonbuttava.
Nell'ultimo mese eran state piuttosto frequenti le comparizioni di Vegeta. Arrivava di soppiatto, solitamente all'ora di pranzo, e s'intrufola nella camera di Bulma attraverso la finestra; si stendeva accanto a lei e sgranocchiava placidamente ciò che a lei non era andato più. Non parlavano granchè, Vegeta non sembrava troppo convinto di quel riavvicinamento e sembrava sempre sul punto di scappare. Per questo Bulma cercava di non allontanarlo, lasciandolgi i suoi spazi, rispettando i suoi silenzi. Sapeva che non era come all'inizio, sapeva che il suo Sayan era ancora distante e riluttante al ritornare da lei, ma non voleva costringerlo, per tanto si sarebbe accontentata. Continuava a sperare, sperando che bastasse.
Un fruscio la distrasse dai suoi pensieri. Sentì il lenzuolo correrle sulle gambe, sul ventre rigonfio, per fermarsi sulle spalle. Rimase immobile, gli occhi ancora chiusi e le labbra leggermente tirate in un sorriso. La musica ancora rimbombava nella sua testa svuotata di ogni pensiero, di ogni preoccupazione, piena solo di lui. Il leggero rimbalzare del materasso le fece capire che qualcuno si era appena "dolcemente" adagiato sul letto, affianco a lei, nonostante il contatto fosse inesistente.
Già, perchè Vegeta -dopo quel bacio che le aveva dato quando avevano scoperto il sesso del bambino- non l'aveva praticamente più toccata, forse solo per sbaglio. Non le stava più alla larga come fosse la peste, ma non era neanche così propenso a tornare ad essere con lei com'erano prima; lei e lui, quell'assurdo loro. Sentiva il profumo della donna arrivarle gentile e leggero, le palpebre abbassate per la stanchezza, la testa abbandonata sul cuscino che odorava così tanto di lei, dei suoi capelli, della sua pelle. Avrebbe voluto avvicinarsi di più e sentire quella dolce essenza direttamente dalla sua fonte, ma si trattenne. Da un pò lo faceva, ormai. Vegeta non voleva nessun impegno, nessuna responsabilità, nessun dovere che non fosse quello di diventare sempre più forte. Ma allo stesso tempo non voleva rinunciare cmpletamente a lei, perciò si concedeva qualche momento di debolezza e le stava vicino, come in quel momento, con quello spicchio di Luna che brillava lieve al di fuori della finestra. Un movimento accanto a lui lo costrinse ad aprire gli occhi.
Bulma si era tolta le cuffie e si era sporta verso il comodino per poggiare il Walkman sul ripiano, poi si era voltata verso di lui. Trovandolo con gli occhi aperti a fissarla ricambiò lo sguardo decisa, rilassata.
Ma Vegeta aveva altro per la testa. I suoi allenamenti erano sempre più duri ed estenuanti, sempre più difficoltosi, intensi, eppure... Eppure ancora niente. Ancora non era riuscito a trasformarsi nel leggendario Super-Sayan, così come aveva fatto Kaaroth.
Perchè? Perchè non ci riusciva? Erano quasi tre anni che si poneva sempre la stessa domanda, ma ancora non aveva trovato una risposta. Cosa c'era in lui che non andava? Cosa gli impediva di raggiungere quel livello tanto agognato? Non lo sapeva. C'erano scuramente molte, anzi, moltissime differenze tra lui e Kaaroth, ma in fondo erano entrambi Sayan, no? Kaaroth non era così tanto più potente di lui, o sì? C'era davvero un abisso così grande tra di loro? Davvero non poteva raggiungerlo?
E poi c'era il ragazzo del futuro. Anche lui era un Super Sayan, ma come? Gli unici due Sayan dal sangue puro rimasti in vita erano lui e l'odiato Kaaroth. Chi era quel terzo ragazzo così potente? Perchè era un Super Sayan? E perchè lui ancora non lo era?
Stanco di porsi sempre le stesse domande, stanco di arrovellarsi per trovare una risposta decise -o forse non lo decise, fu solo l'istinto- di cercare la soluzione al di fuori di sè.
«Perchè non riesco a trasformarmi?»
Parlò in un sussurro, incapace di tirar realmente fuori la voce. Bulma lo stava già guardando prima che parlasse, così il Sayan potè vedere chiaramente le pupille dilatarsi leggermente per la sorpresa e un momento dopo i denti bianchi della ragazza che andavano a cercare famelici il labbro inferiore di lei. Non era per nulla sicura di voler davvero dire a Vegeta il motivo per cui lui falliva dove Goku era riuscito, e al tempo stesso non voleva mentirgli. Ma come lo avrebbe ridotto la verità? Dubitava fortemente che Vegeta avrebbe preso bene la cosa. Il suo atteggiamento nei confronti del bambino era un chiaro segnale, come se fosse una lampadina al neon che brillava per farsi notare, un’insegna che diceva chiaramente NON HO UNA COSCIENZA, NE’ PIETA’. Dunque no, non poteva dirgli la verità, si sarebbe infuriato. Era decisa, non l’avrebbe fatto, non avrebbe scatenato un mostro contro il resto del mondo, non avrebbe innescato la bomba, non poteva dirgli che…
«Per trasformarti in Super Sayan devi avere un cuore puro, Vegeta»
Ecco fatto. Idiota, cretina, deficiente; nessun insulto sembrava riflettere appieno il modo in cui si sentiva i quel momento: forse colpevole, perché sapeva che centinaia di persone sarebbero morte a causa sua, anche pazza ci stava bene, perché la sua doppia identità aveva preso il sopravvento e la sua parte incosciente non aveva taciuto per lasciare il tempo a quella responsabile di inventare una menzogna efficace che avrebbe tenuto a bada la collera del Sayan. O forse, più semplicemente, l’amore aveva prevalso sulla ragione.
Intanto Vegeta la fissava. Le sopracciglia ancora più corrugate del solito, l’espressione arcigna resa appena più dolce dal turbamento, gli occhi pieni di… disperazione? Nervosismo?... Paura? Lui neppure sapeva cosa fosse un cuore puro. Chi possedeva un cuore puro? Kaaroth. E contro ogni logica si mise ad esamire il suo eterno nemico.
Kaaroth era… un rammollito.
Che però ti ha superato
Karroth era odioso.
Eppure tutti lo adorano
Karroth era un eroe da quattro soldi.
Che però ha salvato centinaia di vite
Kaaroth era un fallito.
Che però, oltre ad averti superato, è felicemente sposato, con un bel mezzo Sayan che lo adora ed è circondato da amici che lo rendono felice.
Ecco. Kaaroth era felice. Fedele. Leale. Buono. Puro.
E Vegeta era esattamente l’opposto. Turbato. Malvagio. Approfittatore. Malvagio.
Sporco. Sporco dentro, nell’anima. Nel cuore.
Guardò Bulma dritto negl’occhi per quella che parve un’eternità, incapace di allontanarsi da lei, lei che era l’unica cosa che, anche se poco, lo rendeva più simile a Kaaroth e lo faceva stare bene, lo rendeva umano.
Non si allontanò da lei quella notte. Non l’abbandonò. Rimase steso sul suo letto a guardarla anche dopo che lei si fu addormentata, le sfiorò la pelle morbida con le dita, respirò il suo profumo e si beò del suo viso. E si sentì bene. Ancora una volta, ancora con lei. Solo con lei.
 
 
UNA SETTIMANA PIU’ TARDI…
 
 

*Vegeta*

 

 
Era appena tornata dall’ospedale. Suo padre era andato a prenderla con la macchina ed erano tornati appena prima di cena, ma io non mi feci vedere. Rimasi ostinatamente rinchiuso nella camera gravitazionale a fare nulla, non avevo nessuna voglia di allenarmi. Mi sembrava anche stupido a dire il vero. Per diventare un Super Sayan avrei dovuto avere un cuore puro. Io. Roba da pazzi. Insomma, quanto può essere puro il cuore di un assassino? Perché quello significava avere un cuore puro: essere giusti, buoni, eroi, vomitevoli come Kaaroth. E dunque perché massacrarmi di allenamenti? Non serviva a un accidente.
Sentivo le risate arrivare dalla casa. Che nervoso, c’era pure Yamcha che giocava col mostriciattolo, nonostante non fosse esageratamente entusiasta della cosa, anzi. E quella donna rideva, spensierata e allegra come mai. Per cosa, diamine? Un bambino significava solo tante rotture di scatole, tipo svegliarsi a tutte le ore della notte, essere sempre vigili per evitare che si frantumasse il cranio cadendo dalla culla, pulire vomito e sorbirsi piagnistei. Era felice di tutto questo? Allora forse non era così furba come immaginavo.
E l’aura di quell’essere non era neanche percepibile. Sarebbe diventato un rammollito, non sarebbe neppure stato in grado lanciare una parvenza di sfera di energia, nessun attacco, nessun arte marziale. Nulla. Inutile e incapace. Avrei impedito a quell’altra di andare in giro a dire che fosse mio figlio, parola mia. Come potevo io, il Principe dei Sayan, lasciare che mi sputtanasse in quel modo? No, non l’avrebbe fatto.
Però avevo una fame assurda, che cavolo. Tutta quella gentaglia era sicuramente nel salotto a ciarlare inutilmente e parlottare come dei malati mentali intorno ad un fagotto di tre giorni che non capiva un piffero, ma io dovevo passare, cavolo. La finestra della cucina era sempre chiusa a chiave –Dio solo sapeva perché da un po’ era sempre sigillata- e forzarla non era proprio una grande idea. Però avevo fame, così mi alzai e uscì dalla camera gravitazionale, diretto alla porta principale. Faceva un freddo allucinante, nevicava come al Polo Nord, ma non me ne curai affatto. Mi fermai un momento per prendere un respiro profondo, ma mi accorsi subito che qualcosa non andava. Le risate, infatti, non venivano dal pian terreno, ma da sopra. Non mi fermai ad ascoltare, o almeno non intenzionalmente. Ma quelle poche parole che mi giunsero all’orecchio mi obbligarono a librarmi nell’aria fredda e a sollevarmi fino ad una finestra del secondo piano.
La camera di Bulma era leggermente diversa: la maturità che aveva dimostrato negli ultimi mesi ora si vedeva chiaramente in quella stanza, a partire dalla pareti bianche decorate solo con qualche quadro, per finire con i mille e più fogli e carte sulla grande scrivania affianco alla porta del bagno. Proprio accanto al letto c’era una nuova parte di mobilio: una culla tutta azzurra, piena di tuller svolazzante a destra e a manca, le tendine trasparenti aperte per permettere ai quattro citrulli di vedere bene la bestiola. Rigirai gli occhi digustato, ma di nuovo le parole della madre di Bulma mi bloccarono dov’ero.
«E’uguale a suo padre»
Ignorai il tono sdolcinato che aveva usato e mi concentrai sulle parole. E così mi assomigliava, eh? Forse in quanto ad aspetto fisico, perché per il resto ero certo che fosse  una mezza calzetta. Non era degno di essere il figlio di un Sayan.
«Dai, mamma, non è proprio uguale. Certo, però sono molto simili»
Il tono di Buma era smielato, mai avrei pensato di sentir parlare lei, proprio lei, in quel modo. Bleah, che schifo. Era di nuovo bella, molto più magra, meno tirata, anche se c’era ancora qualche accenno alla spossatezza. Non avevo nemmeno idea di come fosse andato il parto. Chissà se mi avesse cercato… Bhè, meglio che si abituasse al silenzio, perché da quel momento avrebbe potuto scordarsi la mia più piccola attenzione. E mentre la guardavo un'ultima volta prima di andare finalmente a mangiare, la ragazza fece qualcosa di molto normale, ma che mi colse totalmente impreparato. Si allungò sulla culla e prese tra le mani il marmocchio, facendogli posare la testolina minuscola –evitai di chiedermi perché diamine avesse i capelli viola (non poteva essere un Sayan, perché loro avevano i capelli rigorosamente neri)- e lo sbirciai un momento, così, per curiosità.
Il piccolo mostro –Trunks, da quel che avevo sentito- aveva il viso pieno che nascondeva dei lineamenti marcati, le sopracciglia lilla piegate in una smorfia che mi colpì come una frusta –troppo, troppo simile alla mia- e poi… Poi alzò gli occhi. Si era accorto di me? Quel vermiciattolo, come aveva fatto? Eppure doveva avermi davvero sentito, perché mi fissava da sopra la spalla della madre, uno sguardo troppo sveglio per essere un neonato di tre giorni. Aveva gli occhi azzurro mare, identici ai suoi. Quegl’occhi che mi avevano stregato anni prima, quegl’occhi che mi scrutavano e mi capivano, quegl’occhi che erano la mia porta che conduceva a lei, al suo cuore.
E qualcosa nel mio petto si sciolse, si squagliò, andò in briciole mentre guardavo Bulma e gli altri camminare verso la porta della camera, pronti a scendere per non sapevo cosa. E lui allungò un braccino minuscolo, la mano aperta e le dita che afferravano l’aria tra di noi, come a volerla aspirare per avvicinarci. E neppure mi accorsi della mia mano appoggiata al vetro che premeva su di esso. Un altro attimo e l’avrei buttato giù, mentre il piccolo spariva dietro la porta, con la mano ancora tesa in avanti, verso… me
 
Non è possibile, continuavo a dirmi mentre volavo alla velocità della luce senza una meta, nel buio di quella notte senza luna, in cui la neve cadeva a fiocchi enormi sulla città. Ma i non sentivo più il freddo, sentivo un caldo micidiale bruciare nel petto –sì, all’altezza del cuore- e propagarsi in tutto il resto del mio corpo, in ogni fibra del mio essere, ogni tessuto, anche nel sangue, che ribolliva nelle vene assieme all’adrenalina. Un calore che non avevo mai provato ardeva dentro di me, senza però bruciarmi davvero, tutto mentre pensavo disperatamente a lui, a lei, a loro. Possibile che avesse capito chi fossi? Possibile che avesse sentito quella strana forza invisibile in mezzo a noi, così come l’avevo sentita io? Forse sì. Forse mi aveva davvero conosciuto come suo padre, cosa che perfino io ancora faticavo a credere.
E fu con quel pensiero in testa, il pensiero di mio figlio, che sentì quel calore nel petto esplodere con la potenza di un meteorite, illuminando la notte nera con la luce di mille soli, sciogliendo i fiocchi di neve che avevano la disgrazia di sfiorarmi.
E fu con quel pensiero in testa, il pensiero di mio figlio, che mi trasformai nel leggendario Super Sayan.

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Capitolo 20
*** FINE ***




FINE


 
Accidenti, che strano effetto essere di nuovo qui dopo tantissimo, ma proprio tantissimo, tempo!
Per non illudervi, comincio con lo specificare che questo non è un nuovo capitolo; anzi, non ve ne saranno più per questa storia. Mi dispiace molto, so bene di aver specificato che sarei arrivata sino alla sconfitta di MajinBu, ma numerosi e piuttosto gravi problemi familiari mi hanno completamente assorbita, impedendomi ogni tipo di scritto, non solo per questa storia. E col tempo che passava, purtroppo ma inevitabilmente, l'ispirazione è andata a farsi f******. È triste, molto, perchè ci tenevo a questa storia, era inoltre la prima che scrivessi e mi ci ero affezionata, ma non si può cambiara ciò che è successo, purtroppo è andata così. Forse ho anche sbagliato io nell'essermi posta un obiettivo tanto arduo da raggiungere, insomma, dai Cyborg a MajinBu non è proprio una passeggiata! In ogni caso, purtroppo è andata così, è anche se mi sento davvero in colpa per aver lasciato che vi illudeste, per così tanto tempo, che avrei continuato, non mi pare di abbandonarvi: una conclusione l'abbiamo raggiunta, Vegeta si è trasformato in SuperSaiyan dopo aver visto suo figlio, è comunque un piccolo traguardo raggiunto. 
Immagino, almeno in parte, di avervi deluso; spero di non ricevere troppe recensioni con insulti in svariate lingue perchè mi dispiacerebbe davvero troppo, perchè a tutti voi che mi avete seguita ci ho sempre tenuto moltissimo, e il fatto che condizioni esterne mi abbiano distolta da questa storia tanto da rubarmi anche l'ispirazione mi intristisce davvero moltissimo. 
Se può consolarvi, sempre che non abbiate perso totalmente fiducia in me, ho intenzione di iniziarne un'altra; non dico a breve, ma penso che non si farà attendere troppo a lungo. Ora ho davvero parecchie nuove idee e non vedo l'ora di metterle per iscritto; spero che ci sarete ancora una volta per sostenermi :)
Un bacio grandissimo a tutti quanti, sincere scuse, e una lieve speranza di rivedervi,

Angelique

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