It's time to fly

di xmiriam
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** why my heart is so broken? ***
Capitolo 3: *** My heart is race,she's turning around ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
Fly 
Open up the part of you that wants to hide away 
You can shine, 
Forget about the reasons why you cant in life, 
And start to try, cause it's your time, 

Time to fly.


 
Noa, mi chiamavo, Noa Campbell, un nome un po’ strano, non molto usato in Inghilterra; l’aveva proposto mio padre, il suo significato è donna senza tabù, ovvero una persona libera, che non ha pericolo di infrangere un tabù: una persona di nome Noa è una donna fortunata, è indipendente da ogni regola, è una donna privilegiata ed emancipata: libertà era la parola giusta, ma purtroppo era quello che mi spaventava di più: la libertà, l’indipendenza, la completa autonomia sulla propria vita, ma la mia era troppo pesante per essere contenuta in un corpo piccolo ed esile.
 Noa, conosciuta come la ragazza più brava della classe, brillante, intelligente, bella, dolce, simpatica, eppure io mi sentivo come una normale ragazza, con una normale famiglia, ma con una vita un po’ più complicata di qualsiasi altra teenager in piena adolescenza.
Ero una ragazza alta e magra, avevo i capelli biondi e gli occhi verdi. Mi piaceva stare a casa ad ascoltare la musica o a leggere un libro, di solito mi chiudevo e nessuno conosceva la vera me.
***
Zayn Malik, arrogante e presuntuoso, da sempre definito come il re della scuola, ma di nobile non aveva proprio niente; tutte le ragazze amavano il modo in cui si aggiustava i capelli e aspirava avidamente dalla sua sigaretta alla menta, ma io no; io odiavo tutti di lui: i suoi capelli corvini, il suo corpo imponente, la sua arroganza, io odiavo lui. Eravamo così diversi e non saremmo mai andati d’accordo.
«Dall’odio nasce amore» diceva sempre Alexis, la mia migliore amica che era la spettatrice di ogni mio litigio con Malik.
Dall’odio nasce amore? Che affermazione stupida, pensavo. Ma quella era una delle tante bugie che si stavano per trasformare in verità.
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Ciao! 

Questa è la mia idea, 
non so com'è venuto questo prologo, 
spero vi piaccia ahah
i versi che sono riportati all'inizio sono di una canzone di Hilary Duff 'Fly'.
Queste parole mi piacciono molto perché con questa canzone ci sono cresciuta!
Spero di aggiornare prestissimo, siate clementi, non sono molto brava a scrivere, ma tentar non nuoce!
Recensite per darmi un vostro parere su questo minuscolo capitolo.
Se mi cercate qui c'è
Twitter.
Un bacioo:)
Miriam.


Ecco Zaynnnn
 

E questa è Noa Campbell!

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Capitolo 2
*** why my heart is so broken? ***


Why my heart is so broken?
A loro, ai ragazzi, ai miei salvatori, 
che se non ci fossero stati loro la mia vita adesso sarebbe una rovina,
proprio come quella di Noa in questo momento;

a Harry, Liam, Louis, Niall e Zayn, perché senza di loro adesso non sarei qui a scrivere.
 
Era passato un mese; il passaggio da un mese all’altro è molto importante per uno studente: l’interrogazione del mese, il compito del mese; i giorni passano velocemente, molto velocemente, un mese, trenta giorni composti da ventiquattro ore che a loro volta sono composte da sessanta minuti e sessanta secondi di un minuto, un tempo molto lungo, ma se pensiamo alle vite frenetiche dei ragazzi impegnati con la scuola, ma per me non fu così, quello fu il mese più lungo della mia vita, in cui furono successe tante di quelle cose che non saprei neanche spiegare come trenta giorni siano bastati per contenerle tutte.
Mio padre era andato via di casa, lo vedevo molto di rado; la mia migliore amica mi aveva lasciata sola, si era trasferita a Dublino, eravamo lontanissime e dal momento in cui se n’era andata non l’avevo più sentita e nemmeno io l’avevo cercata, perché si stava facendo una nuova vita e io non c’entravo niente.
Alla fine del mese di novembre mi ritrovai sempre più magra, si vedeva a vista d’occhio e anch’io lo vedevo: guardandomi allo specchio notavo che le scapole cominciavano a essere sempre più pronunciate e le gambe sempre più strette. Nessuno si prendeva più cura di me come una volta: a mia madre non interessava più se non scendevo in cucina per cena, o se non mi fermavo a fare colazione prima di andare a scuola.
Ero rimasta sola, con me non c’era più nessuno, facevo ormai fatica persino a parlare con le altre persone a mensa o a scherzare con i miei compagni di corso, avevo perso l’abitudine; usavo la voce solo per dire ‘io vado’ quando abbassavo la maniglia della porta principale per andare a scuola e ‘sono tornata’ quando rientravo a casa, dopo era tutto una noiosa routine: facevo i compiti, mi distendevo sul letto a fissare il soffitto bianco della mia camera aspettando con impazienza che il sole sparisse, come quella sera del primo giorno di dicembre: il sole aveva dato posto alle stelle. Mi alzai dal letto e mi affacciai alla finestra; il cielo sopra di me era ornato da piccoli puntini luminosi, qualcuno più brillante degli altri, ma ognuno di loro occupava un posto importante nel sistema, come ogni essere umano nel pianeta, ma il problema era proprio questo: c’era la piena certezza che io occupassi un posto importante nel mio sistema? Mi ero rassegnata e avevo abbandonato le speranze di ottenere la risposta certa a questa mia domanda, ma l’unica speranza che mi era rimasta era quella di sparire; sparire ogni volta che qualcuno mi guardava, sparire quando mia madre mi ignorava, sparire quando mi sentivo umiliata e mi vergognavo di ciò che ero.
Mi affacciai alla finestra aspettando che qualcuno venisse a salvarmi da quel tormento che era diventa la mia vita, aspettando che mia madre venisse a svegliarmi per far cessare quell’incubo e rassicurarmi dicendomi che era tutto okay, ma questo purtroppo non accadeva mai e dovetti accettare le cose come stavano.
Continuai a guardare imperterrita le stelle sopra la mia testa, non so neanche che ora era. All’improvviso scorsi qualcosa o meglio qualcuno; cercai di riconoscere l’identità e quando lo capii, scoprii di conoscerla fin troppo bene; con un corpo imponente, un ciuffo di capelli corvini perfettamente ritto sul capo e le mani nelle tasche dei jeans scuri: Zayn Malik era lì a guardare non so neanche cosa. Si guardò intorno furtivamente, poi prese una sigaretta, la incastrò tra le labbra e l’accese, e quando si accorse che lo stavo osservando andò via a passo svelto e deciso. Cosa ci faceva lui lì? Per la prima volta non mi sentii sbagliata, anzi l’errore lo riconobbi in un’altra persona e quella persona era Zayn che lì non c’entrava niente e io invece ero indispensabile in quel contesto – o forse no – perché quel luogo era pur sempre casa mia; ancora una volta io e il moro ci ritrovammo su due sponde completamente differenti, opposte, ma – comunque vada – legate tra loro, io ancora non avevo trovato una via di collegamento tra di noi, ed effettivamente non avevo torto: lui era il giorno e io la notte, lui era il caldo, io il freddo, lui era il Sole e io ero… una stella che ancora non aveva compreso di essere indispensabile nella sua galassia.
Sole e stelle, ecco cosa eravamo, due elementi completamente differenti ma legati in qualche modo da qualcosa, forse dalle loro caratteristiche? Sì, il Sole brilla di luce propria e le stelle anche, ma cosa succede quando una stella si spegne? Quando si trasforma in un inutile buco nero? Quando si abbandona tra le braccia del buio diventando un tutt’uno con esso? Quando l’unica speranza per continuare a esistere è quella di vivere a spese altrui? Come un buco nero “risucchia tutto ciò che trova attorno a sé stesso”. Io stavo diventando un buco nero, o magari lo ero già diventata da un mese a quella parte, ma io non ero un buco nero, io non vivevo a spese degli altri, io non risucchiavo tutto quello che mi stava attorno; la verità è che il buco nero abitava dentro di me, sopravvivendo a mie spese, risucchiando tutto ciò che lo circondava: la mia vita.
Chiusi la finestra e ritornai a guardare la mia stanza, ma non appena lo feci, scorsi mia madre con la spalla appoggiata al cornicione della porta. Non l’avevo sentita entrare, la guardai interrogativamente, lei mi fissava per poi passare a osservare la mia stanza prima di «la tua stanza è stranamente ordinata oggi, Noa.» asserire e guardarsi intorno. Io alzai gli occhi al cielo; non aveva tutti i torti in realtà, perché io non ero per niente ordinata e la mia stanza era sempre una baraonda, era strano vedere la sedia sgombera di vestiti, i libri ben riposti sullo scaffale della libreria, il letto fatto; non c’era niente che stonava.
«Sei sicura di stare bene?» rise riferendosi sempre alla quiete e soprattutto all’ordine che regnava tra le quattro mura di quella camera. “Sei sicura di stare bene?”: aspettavo tanto quella domanda, l’avevo attesa con pazienza, ammazzando il tempo leggendo un libro, ascoltando la musica o fissando il soffitto com’ero solita a fare tutti i pomeriggi, e adesso era arrivata senza preavviso, nel momento meno opportuno. “No, sto malissimo, mi manchi, mi manca papà, mi manca quello che eravamo: una vera famiglia, mi manca tutto; ti prego, aiutami, ho bisogno di te; mamma, guardami, sono qui!” urlavo dentro di me, ma la mia testa mi fece articolare tutt’altra frase.
«Sì, sto bene.» sorrisi leggermente, mordendomi le guance per non sputare fuori tutto quello che stavo gridando tra me e me; sentii le gote andare a fuoco. Seguirono attimi di silenzio incolmabili, dove gli occhi erano gli unici a parlare – nel mio caso a gridare – i suoi vagavano nel nulla.
«Beh… ero venuta per dirti che la cena è quasi pronta» mi ammonì sorridendo appena, io annuii indecisa e mi sedetti sul letto, lei girò le spalle e fece per andarsene.
Non avevo intenzione di mangiare perché – come ogni sera – non ne avevo voglia né tanto meno di mangiare invano, perché una volta finita la cena, mi sarei chiusa in bagno con un solo scopo: quello di eliminare tutto il cibo che secondo il mio parere era superfluo.
Dopo una buona mezz’oretta mia madre mi chiamò dalla cucina, una volta, la seconda volta, la terza e poi si accorse che era inutile e smise di farlo.
Andai a letto; senza cena per la trentaquattresima volta, perché, sì, li contavo i giorni.
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Salve a tutti!
Scusate per il mio rovinoso ritardo, ma da quando è cominciata la scuola non ho avuto nemmeno un attimo di respiro,
sono qui con un nuovo capitolo in ritardo perché improvvisamente non ho più le idee chiare su questa fanfic!
Ci riuscirò? Speriamo di sì!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto,
se mi cercate sono su twitter
Spero recensiate,
Un bacio!
Miriam.

 

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Capitolo 3
*** My heart is race,she's turning around ***


My heart is race,she's turning around
Erano solo le cinque e mezza del mattino e il sole cominciava a spuntare dietro le montagne e ad illuminare la città di Bradford. Io mi svegliai proprio a quell’ora; ricordo di essermi svegliata di soprassalto, sentivo gridare qualcuno il mio nome. Misi una mano sopra gli occhi e sbadigliai, levai le mani dagli occhi e mi guardai intorno, tutto era al suo posto, come l’avevo lasciato la sera prima, tutto era in ordine, tranne il mio cellulare, quello l’avevo lasciato sul comodino prima di andare a dormire e adesso era sulla scrivania, avevo acceso il display e avevo digitato il codice di blocco prima di poggiare la testa sul cuscino e cadere in un sonno profondo: aggrottai le sopracciglia, mi alzai dal letto e lo presi, lo sbloccai e osservai il display ma non c’era niente di sbagliato, premetti un’altra volta il tasto di blocco e lo posai.
Era molto presto ma decisi comunque di prepararmi. Misi una felpa grigia, un paio di jeans e delle Converse bianche, poi indossai dei bracciali e degli anelli. Mi truccai come ogni mattina: matita e mascara e un velo di lucidalabbra. Poi pettinai i miei lunghi capelli biondi e li legai con un elastico nero.
Appena finii scesi in cucina e aprii il frigo, presi un bicchiere e il latte e lo versai; mi sedetti e bevvi il contenuto dentro il mio bicchiere, guardai l’orologio che segnava le sette e mezza: possibile che ogni mattina ci mettevo così tanto a prepararmi? Facevo tutto con una lentezza disarmante, perché non avevo voglia di andare a scuola e quindi cercavo di rallentare il tempo rallentando i miei modi di fare.
Alla fine uscii di casa alle otto meno un quarto e ci misi più o meno dieci minuti ad arrivare a scuola.
Varcai il cancello di ferro e mi guardai intorno e la solita, noiosa, scena mi si parò davanti agli occhi: Malik circondato da cheerleaders. Feci una faccia disgustata quando Zayn alzò lo sguardo e lo posò su di me; lui scosse la testa e rise beffardo e io alzai gli occhi al cielo. Ero al limite della tolleranza e feci un lungo e rumoroso sospiro quando mi ricordai che l’avrei dovuto sopportare ancora e ancora perché non eravamo compagni solo nel corso di Algebra, ma anche in quello di Inglese, Chimica, Letteratura, Educazione Fisica e Storia e ogni giorno andava così, lui ormai era nella mia noiosa routine: mi alzo, mi preparo per andare a scuola, arrivo a scuola, litigo con Malik, entro in classe, litigo con Malik, continuo a litigare con Malik; e andava avanti così.
Entrai nell’aula di Chimica sbuffando leggermente e poggiando violentemente i miei libri sopra l’ultimo banco della fila di sinistra, accanto alla finestra.
Dopo di me entrò anche Zayn che si sedette nel banco alla mia destra; lo guardai interrogativamente e poi mi girai dalla parte opposta a quella del moro poggiando la mia testa su una mano.
La professoressa di Chimica entrò con il suo solito sorriso stampato sulle labbra: ci guardò e poggio le cartelle da lavoro sulla cattedra.
«Buongiorno ragazzi!» disse aspettando che gli alunni si alzassero, e, in effetti, lo fecero, ma io no, ero troppo impegnata a guardare fuori dalla finestra e poiché stavo all’ultimo banco, nessuno si sarebbe accorto di niente.
«Bene, oggi spiegherò un nuovo argomento, quindi esigo la massima attenzione» annunciò alzandosi in punta di piedi per guardare gli alunni degli ultimi banchi tra cui io.
Quando iniziò a spiegare cercai di prestarle attenzione per un poco ma con scarsissimo risultato perché mi ritrovai a pensare ad altro quindi mi rassegnai e guardai altrove: inizialmente guardai alla mia destra, dove un  ragazzo moro, con dei lineamenti duri e un alto ciuffo di capelli sul capo ascoltava la lezione, o meglio faceva finta di ascoltare; inizialmente continuai ad osservarlo, poi quando Zayn girò la testa dalla mia parte feci finta di niente e mi concentrai sul paesaggio fuori dalla finestra: il cielo era grigio, quasi nero e si potevano scorgere alcune goccioline di pioggia battute sul vetro della finestra.
Poi cominciò a piovere sempre più forte e l’acqua scivolava con disinvoltura sul vetro, come se quelle gocce avessero un’anima, una vita, come se stessero aspettando il momento giusto per scivolare sempre più in fondo, fino a diventare sempre più forte, fino a unirsi con le sue gemelle.
Passavano i minuti ed io guardavo sempre quelle gocce che scorrevano indisturbate sul materiale liscio che formava la finestra.
Le guardavo perché ero sicura di non averne mai abbastanza, le guardavo perché mi piaceva.
Ero concentrata, quando: «signorina Campbell?» mi chiamò la professoressa, io distolsi di scatto lo sguardo dal vetro.
«Il suo compagno per il progetto sarà Malik» annunciò in tono gioviale.
Zayn Malik? Perché proprio io?
«Ma professoressa, perché io con lui?» chiesi spiegazioni gesticolando un tantino.
«Non lo so, Campbell, chiedilo al destino» sorrise e ritornò sui suoi fogli.
‘Chiedilo al destino’ cosa dovevo chiedere al destino? Perché mi aveva messo con un idiota?
Lo guardai sbuffando e alzando gli occhi al cielo e prima che lui potesse sbottare, la campanella suonò: raccolsi tutti i miei libri e uscii in fretta e furia da quell’inferno ritrovandomi alle calcagna il mio “compagno di progetto”. Mi camminava accanto cercando di attirare la mia attenzione; dopo due minuti buoni gli prestai attenzione guardandolo e incrociai le braccia al petto.
«Che ci vuoi fare? Non è colpa mia» obbiettò ridendo sotto i baffi; io sbuffai e continuai a camminare.
«Dove ci vediamo? A casa mia o tua?» mi chiese cercando di cambiare discorso, facendo sì che io mi alterassi ancora di più: gli puntai un dito contro facendolo indietreggiare notevolmente.
«Stai alla larga da me?» sbottai e ricominciai a camminare a passa svelto per i corridoi.
«Oh, no che non lo faccio, non voglio prendere una F» si giustificò continuando a sostenere il passo;
«Non mi interessa della tua stupida F, ognuno fa le cose per conto suo, non intendo perdere del tempo con te» ammisi alzando un tantino la testa con aria di superiorità.
«Senti» cominciò, bloccando la mia camminata frenetica, io, dal canto mio, mi fermai, anche perché il suo sguardo era alquanto supplichevole.
«…facciamo questo progetto insieme e poi quando avremo finito, ognuno tornerà per la propria strada, okay?» continuò mettendo le sue mani su tutte e due le mie spalle per fermarmi. Ci pensai un per un po’, lo guardai negli occhi, ambrati quasi quanto la sua pelle, e sospirai rassegnata.
«E va bene» acconsentii e anche lui sospirò di sollievo sorridendo.
«Ma promettimi che non mi farai fare tutto da sola» aggiunsi ridendo, lui rise anche e annuì energicamente.
«Alle quattro a casa mia: porta il libro di Chimica e vedi di non fare tardi!» lo ammonii sempre sorridendo, perché, sì, lui era un vero ritardatario.
«A dopo, Campbell» mi salutò prima di allontanarsi e sparire nella folla di adolescenti che correvano di qua e di là.

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Ciao a tutteee!
Questo è il mio nuovo capitolo!
Ammetto che è veramente uno schifo, lo so, ma come vi ho già detto nello scorso, vado al liceo classico, mi caricano di compiti e non ho mai tempo per scrivere!
Comunque spero che vi piaccia lo stesso: questo è un nuovo inizio sia per Noa che per Zayn, il destino ha deciso di metterli insieme? E allora perché non assecondare le sue scelte?;)
Lasciate una piccolissima recensione? Mi fate un favore se esprimete il vostro parere su questa storia, perché mi aiuta a crescere!
Se mi cercate sono su Twitter che potete trovare
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Non ho altro da aggiungere, per oggi è tutto, ci si vede al prossimo capitolo :)
Un bacio<3
Miriam.

 

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