°° Siguiriya °°

di Jessy87g
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Madrugada ***
Capitolo 2: *** Reyerta ***
Capitolo 3: *** Fuego Y Hielo ***
Capitolo 4: *** Retratos ***
Capitolo 5: *** Hijo de la Luna ***
Capitolo 6: *** Nocturno ***
Capitolo 7: *** Libertad ***
Capitolo 8: *** Ayuda ***
Capitolo 9: *** El Chantaje ***
Capitolo 10: *** Tormento y Deseo ***
Capitolo 11: *** De Profundis ***
Capitolo 12: *** Indiferencia ***
Capitolo 13: *** Confrontación ***
Capitolo 14: *** Venganza ***
Capitolo 15: *** Llanto para una inocencia perdida ***
Capitolo 16: *** Predicción ***
Capitolo 17: *** Recuerdo y Pasado ***
Capitolo 18: *** Historia de un amor ***
Capitolo 19: *** Cuerpo presente ***
Capitolo 20: *** Soledad y Celosía ***
Capitolo 21: *** Ilusión ***
Capitolo 22: *** Orgullo ***
Capitolo 23: *** También se muere el mar ***
Capitolo 24: *** Castigo ***
Capitolo 25: *** El angél y la gitana ***
Capitolo 26: *** Bodas de sangre ***
Capitolo 27: *** Adios de lo pasado ***
Capitolo 28: *** Alma Ausente ***



Capitolo 1
*** Madrugada ***




.SIGUIRIYA.



CAPITOLO 1.

“Madrugada”


“Entre mariposas negras,
va una muchacha morena
junto a una blanca serpiente
de niebla.

Tierra de luz,
cielo de tierra.

Va encadenada al temblor
de un ritmo que nunca llega;
tiene el corazón de plata
y un puñal en la diestra.”



( “Tra nere farfalle
una bruna ragazza cammina
con un bianco serpente di nebbia.

Terra di luce,
cielo di terra.

Cammina incatenata al fremito
di un ritmo che non finisce mai;
ha il cuore d'argento
e nella destra un pugnale.” )




Faceva terribilmente caldo.
L’aria di quella torrida estate era quasi irrespirabile e pareva incendiarsi al solo contatto con la pelle sudata. Solo ogni tanto una timida brezza carica di umidità faceva sbattere le cigolanti finestre di legno dipinto della città addormentata.
Erano già le cinque di mattina e di lì a poco il sole avrebbe iniziato ad illuminare, con i suoi timidi bagliori rossastri, le bianche facciate delle case e i selciati di terra battuta; dando così inizio a una nuova giornata di lavoro sotto quella implacabile canicola.
Solo i galli quella mattina parevano più pigri del solito e non risvegliavano ancora, con le loro acute grida, gli assonnati abitanti di Jerez.

La donna si rigirò nel letto, sbuffando: neanche quella notte era riuscita a dormire.
Maledetto…maledetto caldo infernale.
In effetti, rimuginò tra sé e sé gettando lontano con un calcio il sottile lenzuolo di lino che le ricopriva appena le gambe nude, non era una novità che in Spagna il sole fosse così implacabile; ma quell’anno aveva davvero dato il peggio di sé.
“Amore, cosa c’è?” Le domandò insonnolito, voltandosi appena con gli occhi socchiusi, l’uomo che le stava steso accanto.
“Cosa vuoi che ci sia?” Gli rispose, stizzita, la compagna; irritata di dover ogni volta ripetere le stesse parole “Non riesco a dormire, come al solito! Continua a farlo tu che ci riesci.”
L’uomo non replicò, né sembrò alterarsi per il tono con il quale la compagna gli si era rivolta; ma tornò, con un sospiro, all’attività che aveva malvolentieri interrotto.
La donna scivolò silenziosa dal letto e, stiracchiandosi, andò ad aprire le imposte dall’altra parte della stanza per cercare un po’ di refrigerio. In effetti, se si escludeva una piccola sala adiacente che fungeva da cucina e sala da pranzo, quei pochi metri quadrati componevano tutta la loro abitazione.
Ma a lei poco importava: non amava né il lusso né la ricchezza: era una gitana e le vere ricchezze erano ben altre.
Un debole ma prezioso alito di vento le scompigliò i lunghi e folti capelli di un nero lucente, che ricadevano mollemente sulle lisce spalle olivastre. Socchiuse gli occhi, avida di godersi il più a lungo possibile quell’adorato refrigerio.
Maledizione quanto era stanca!
Poco male, si disse allungando il corpo indolenzito. Sarebbe tornate a letto qualche ora più tardi; quando le campane della chiesa avessero avvertito le pie donne devote che era l’ora di recarsi a messa.
Sorrise compiaciuto: si, quello era uno dei vantaggi di essere gitani; niente costrizioni né regole.
Il semplice fatto di non essere costretta a compiere quegli inutili rituali ogni giorno ed essere vincolata, solo per mostrarsi rispettabile davanti all’intera società severa e reazionaria, a trascinare i propri passi in quel luogo che pareva essere il ritrovo della mondanità, piuttosto che della fede; la rendeva orgogliosa del proprio stato.
Trovava ogni giorno più insopportabili alla vista quegli ipocriti che vedendola passare storcevano scandalizzati il naso e la apostrofavano con parole sprezzanti; mentre la sera, non visti dalle proprie mogli, le inviavano fiori e denaro, affascinati da quella creatura libera e fiera.
Tuttavia, in quel paese così simile a un sonnolento spettatore, qualcosa era cambiato negli ultimi anni; qualcosa che aveva sconvolto fin nel profondo quelle immutate tradizioni secolari e aveva messo in dubbio anche ciò che fino a poco prima veniva considerato un dogma assoluto.
1808. Quella data. Era stata l’inizio della fine.
Le truppe francesi, ancora inebriate dall’esperienza rivoluzionaria, avevano invaso la Spagna: la religione di stato abolita…i beni della chiesa confiscati…l’estatica percezione che qualcosa stava cambiando. Nell’aria era iniziato a spirare una nuova, sconosciuta, irresistibile brezza che portava il nome Libertà.
E lei ci aveva anche creduto! Entusiasmata all’idea del cambiamento, irretita da sogni irrealizzabili aveva dimenticato per un momento che ogni Idea, anche quella più nobile, sfiorata dalle mani dell’uomo, si corrompe, si incrina e infine si sgretola.
Così in effetti era stato.
Ed era cominciato l’orrore.
Esecuzioni, fame, stragi, povertà: la debole, prigioniera Spagna era nuovamente in ginocchio; forse più ferita e agonizzante di prima.
Fortunatamente, con l’arrivo degli inglesi nell’agosto della stesso anno, e, soprattutto, grazie all’insurrezione dell’intero popolo spagnolo, gli invasori avevano iniziato, con senza grandi difficoltà, a ritirarsi e l’ordine precedente era stato ripristinato.
In effetti la guerriglia finanziata dagli inglesi, che preferivano tenersi il più possibile a distanza da quelle vere e proprie azioni di brigantaggio, aveva messo in ginocchio le odiate truppe francesi.
La donna sorrise soddisfatta: in fondo era soprattutto grazie ai suoi compagni, che conoscevano come le proprie tasche ogni piccolo sentiero tra le aride montagne - essendo per lo più contrabbandieri - , i colpi erano andati quasi sempre a segno e le perdite erano state esigue.
La Spagna doveva loro parte del merito della sua libertà; ma naturalmente non avrebbero ricevuto nessun ringraziamento.
Non appena gli inglesi se ne fossero andati e il paese fosse riuscito e rimarginare le sue innumerevoli ferite, tutto sarebbe tornato come prima. Nulla sarebbe cambiato e presto si sarebbe affievolito anche il prezioso ricordo di quei drammatici momenti.

Si appoggiò con i gomiti sul davanzale, reprimendo a stento uno sbadiglio; mentre il sole, quasi del tutto sorto, illuminava con i suoi bagliori sanguigni la stanza e si infrangeva contro il suo bel viso abbronzato.
“Rin, se fai entrare la luce non riesco a dormire!” Si lamentò l’uomo alzandosi malvolentieri dal letto e tentando di aprire i pesanti occhi assonnati.
“Ma quanto ti lamenterai, Koga?!” Ridacchiò la giovane, avvicinandosi al compagno per posargli un bacio a fior di labbra; certa che con quello si sarebbe fatta perdonare il tono, tutt’altro che gentile, con il quale gli si era rivolta poco prima.
Il demone le sorrise con dolcezza carezzandole una guancia, senza smettere di guardarla. Era così difficile credere che una donna come lei, bella, fiera e selvaggia, avesse accettato di sposarlo!
Il solo fatto di averla accanto lo faceva sentire orgoglioso, anche se non lo abbandonava mai la dolorosa certezza di essere inadeguato a lei: la forza di quel carattere sfacciato e indomabile lo metteva in soggezione e faceva pendere l’equilibrio della bilancia del loro matrimonio perennemente verso di lei.
“Quello è una donna che tutti vorrebbero avere come amante, ma nessuno come moglie.”
Questo gli avevano sempre ripetuto i suoi compagni.
Ma lui aveva sfidato tutti.
Era riuscito, senza sapere come, a sposarla e non l’avrebbe mai lasciata andare.
Non sapeva se lei provasse una affetto sincero nei suoi confronti, né se avesse degli amanti. Ma in fondo questo non era importante.
Lui l’amava e lei continuava a stargli accanto: questa era l’unica cosa che contava.

Ormai abbandonata completamente la speranza di protrarre il suo riposo per qualche ora, afferrò i vestiti poggiati sulla sedia e iniziò, lentamente, quel rituale mattutino.
Si infilò i soliti pantaloni scuri, macchiati e scuciti per la lunga usura; poi fece scivolare la leggera camicia di lino sul torace accaldato e iniziò ad abbottonarsela, maledicendo il tempo e l’aria irrespirabile; infine si legò i lunghi capelli d’ebano dietro la nuca e appese l’inseparabile pistola alla cintura.
Rin lo osservava in silenzio, poggiata al muro, con le mani incrociate dietro la schiena.
Tra poco più di un mese sarebbero stati due anni. Due anni di matrimonio. Due anni che viveva con quell’uomo.
Aveva sempre impresso nella mente il momento in cui il membro più anziano della comunità dei gitani di Jerez, del quale, a dir la verità, neanche si ricordava il nome, aveva lasciato cadere il fatidico vaso.
Otto cocci si era sparsi per terra. Otto sarebbero stati gli anni che gli sposi avrebbero dovuto passare insieme.
Rin aveva atteso quel verdetto con una tranquillità che sfiorava quasi l’indifferenza; come se quella che si stava per sposare non fosse lei ma una perfetta sconosciuta.
In verità se qualcuno le avesse chiesto il motivo per il quale aveva accettato la proposta di Koga, non avrebbe saputo cosa rispondere. Non ci aveva pensato. Aveva seguito l’istinto, come sempre, ed aveva acconsentito, senza il minimo entusiasmo, ad unirsi a lui.
Una cosa era certa: non lo amava.
Sì certo, era carino e gentile: ma questo non bastava, soprattutto a lei.
Probabilmente, si era detta, uno spirito libero e incostante come lei non sarebbe mai riuscito a provare un sentimento impegnativo e totalizzante come l’amore. Al massimo sapeva cosa fosse la passione. Ma questa, come un incendio improvviso, divampa in un attimo, arde velocemente e subito si spegne.
Così aveva accettato di sposare un uomo che l’amava sinceramente e al quale, volente o nolente, col tempo si era affezionata.
“C’è del lavoro da fare?” Gli chiese, vendendolo caricare il fucile che portava raramente con sé.
“Sì.” Le rispose senza interrompere la sua occupazione “Un intero carico di armi. Dobbiamo farlo arrivare in Portogallo; sperando che gli inglesi non lo intercettino. Sono molto più svegli dei cari dragoni spagnoli, quei maledetti.”
“Dopo averli aiutati a cacciare i francesi…bel ringraziamento. Prima ci pagano e poi, quando non gli serviamo più, cercano di ammazzarci.”
“Aspetta a dirlo. Qualche roccaforte francese tiene ancora duro. Vedrai che quando ne avranno bisogno torneranno a chiedere il nostro aiuto.”
Rin stava di nuovo per rispondere, quando tre pesanti colpi alla porta le fecero morire le parole in gola. “Chi può essere così presto?” Chiese più a se stessa che al marito, con una punta di preoccupazione nella voce, mentre si avviava ad aprire la porta.

Cinque soldati, armati fino ai denti, stavano davanti alla sua soglia.
Divise rosse…fanteria inglese.
“Cosa volte?” Chiese in tono brusco, irritata per visita inattesa “Siete venuti a pagarci il lavoro che abbiamo fatto al posto vostro? Sarebbe anche l’ora!”
“Signorina” Esordì il soldato vicino a lei, in uno stentatissimo spagnolo “Abita qui il signor Koga?”
“Si.” Rispose il demone, affiancandosi alla moglie e osservando quegli uomini, non senza una certa agitazione “Posso fare qualcosa per voi?”
“Ci dovete seguire.” ordinò il suo interlocutore in tono autoritario, afferrandolo per un braccio mentre quattro fucili vennero puntati contro il giovane che si volse, incredulo, prima verso la moglie e poi verso le guardie “Siete in arresto con l’accusa di contrabbando per ordine del neogovernatore, il colonnello Langston.”


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Capitolo 2
*** Reyerta ***





CAPITOLO 2.

“REYERTA”



“Lasciatemi entrare, voglio parlare al governatore.”
Solo una voce femminile spezzava il pesante silenzio di quell’assolato e sonnolento pomeriggio.
Quelle parole gridate con rabbia rimbombavano velocemente tra le colonne della villa isolata ed i verdi pergolati che gettavano nell’atrio una fresca ombra.
La donna, aggrappata alla sbarra dell’alto cancello, digrignava inferocita i denti in direzione dei soldati che, un poco intimoriti da quella ragazzina tanto piccola quanto pericolosa, le impedivano l’accesso.
“Devo parlare al governatore!” Urlò di nuovo, stringendo sempre più la presa finché le nocche non diventarono bianche; quasi sperasse di riuscire a distruggere quel metallo, che la separava dal suo obiettivo, solo con le proprie forze.
“Spiacente, ma Lord Langston non riceve chiunque lo richieda.” Ribatté uno dei soldati piazzandosi davanti a lei e poggiando le mani ai fianchi con un’espressione derisoria.
“Io devo parlargli! C’è stato un errore: hanno arrestato mio marito. Ma è innocente. Fatemi entrare!”
“Nessun errore, zingara, il governatore non si può sbagliare.”
“Mio marito non è un delinquente!”
“E’ un contrabbandiere; come tutti gli zingari, rifiuti dell’umanità. E’ la prigione il posto dove dovreste stare.”
Nel pronunciare queste ultime parole, il giovane si avvicinò ancora di più alla donna, finché non si trovavano faccia a faccia, separati solo dal cancello. Fu un attimo.
Non ci fu il tempo per vedere, per riflettere.
Un coltello balenò in aria e si andò a conficcare nel torace dell’uomo, che cadde in ginocchio con un grido strozzato, portandosi inconsciamente una mano alla ferita.
Il sangue schizzò fino ai piedi degli altri soldati che avevano osservato immobili la scena, completamente sconvolti da quella reazione inattesa.
Dopo un lungo istante di smarrimento, finalmente, due uomini corsero verso il ferito, che stava sanguinando copiosamente, e lo portarono velocemente all’interno del palazzo.
“Prendetela!” Gridò con voce rauca il soldato più anziano e probabilmente il più alto di grado tra quegli uomini, puntando un dito contro la donna che non accennava a indietreggiare.
Rin osservava con in profondi occhi traboccanti d’odio quei maledetti in divisa rossa che si avvicinavano a lei con le armi sguainate.
Alzò con gesto di sfida il coltello ancora intriso di sangue, pronto a colpire chiunque si fosse avvicinato.
“Venitemi a prendere, luridi maiali inglesi. Sono qui.” Sibilò, lanciando loro uno sguardo omicida, senza che un minimo accenno di paura le incrinasse la voce.
Due soldati davanti a lei si fermarono per un attimo, intimoriti da quella ragazzina selvaggia che aveva quasi ucciso uno dei loro compagni e che aveva infilato tutta la lama del coltello nello stomaco di un essere umano senza fare una piega ed ora li sfidava con un’impertinenza inconcepibile.
“Cosa state aspettando?! Colpitela! Avete paura di una donna?” Li spronò il comandante, infuriato per quell’inutile indugio.
Ma, visto che nessuno accennava a muoversi, strappò con violenza la sciabola dalla mano di un soldato e la vibrò in aria.
Stava per abbatterla sulla testa della ragazza quando una voce, a lui ben nota, lo fermò, facendolo rabbrividire da capo a piedi.

“Cosa sta succedendo?”

Tutti i presenti si pietrificarono all’istante e abbassarono, in segno di rispetto, lo sguardo; senza preoccuparsi di dare le spalle a colei che era, fino ad un attimo prima, la loro nemica.
Rin rimase per un attimo allibita, osservando il terrore generale che aveva colpito tutti i soldati nel sentire quella voce imperiosa; poi spostò lentamente lo sguardo verso il nuovo venuto.
Quello che vide la lasciò completamente senza fiato.
Un demone…ad occhio e croce giovane; non doveva arrivare ai trent’anni. Era molto alto, sicuramente più della media inglese. Il fisico, robusto e ben proporzionato, anche se estremamente longilineo, lasciava immaginare una costante attività fisica; confermata dalla divisa blu, chiusa da una doppia fila di bottoni dorati, dal colletto alto e impreziosito da ricami della stessa tonalità di colore.
Probabilmente era un’ufficiale.
Ma la sorpresa più grande la ebbe quando si soffermò sul viso.
Il linea di massima si sarebbe potuto dire che quei lineamenti fossero delicati, quasi effeminati; ma, nell’insieme, risultarono decisi e taglienti.
Quelli erano sicuramente i tratti di un nobile, si era trovata a pensare la donna, storcendo appena le labbra. Lunghi e bellissimi capelli, di un argento splendente, ricadevano sciolti a incorniciare il bel volto, fino a ricoprire completamente la schiena, contrastando con il colore scuro della veste.
Tuttavia, la cosa che maggiormente la colpì, fu il suo sguardo: freddo, perspicace, ferino.
Sì, quegli occhi parevano quelli di una tigre che osserva un istante, crudele, la propria vittima prima di sbranarla.
Rin non poté trattenere un brivido quando quelle profonde iridi dorate si posavano su di lei.
Etereo…ecco l’unico aggettivo che poteva usare. L’unica parola che potesse descrivere quella strana creatura.
“Come ti chiami?” Le chiese a bruciapelo.
La giovane non sentì la domanda, persa com’era nei suoi pensieri, chiedendosi chi diavolo avrebbe mai potuto essere quel demone che, così giovane, si faceva rispettare imponendo il terrore tra i suoi uomini.
Il suo interlocutore, fraintendendo il silenzio, ordinò ai suoi uomini, visibilmente scocciato, di chiamare l’interprete; maledicendo lo spagnolo e a tutte le altre lingue.
Inglese aveva sempre parlato e inglese avrebbe continuato a parlare! In fondo gli unici che dovevano capirlo erano i suoi uomini, tutti gli altri potevano andare al diavolo. Sospirò appena, seccato da quella inutile perdita di tempo, che lo aveva strappato dal suo lavoro e, con un gesto, invitò la donna a seguirlo.


Rin osservava incredula il grande studio nel quale l’aveva condotta quello strano personaggio.
Per avere una stanza del genere, tutta a sua disposizione, doveva essere molto importante.
Preziosi mobili di legno chiaro facevano bella mostra di sé, vicini alle pareti; il pavimento era in gran parte ricoperto da numerosi tappeti indiani dai colori vivaci e intrecciati con splendenti fili argentati; alle pareti erano appesi vari ritratti di persone che lei non conosceva e dei quali non riusciva a leggere i nomi, tanto erano scritti in caratteri minuscoli: evidentemente dovevano essere così importanti che un qualsiasi inglese non avrebbe avuto il minimo dubbio a riconoscerli.
A coronare il tutto c’era, vicino alla grande finestra in fondo alla stanza e perfettamente di fronte alla porta, una imponente scrivania, probabilmente di mogano, sulla quale erano ordinate un’enorme quantità di carte e libri.
Non avrebbe mai immaginato che poco fuori Jerez ci fosse una villa così grande e lussuosa...Chissà a chi l’avevano sequestrata gli inglesi…

Tuttavia, dopo pochi minuti, non riuscendo più a sopportare quel pesante silenzio e ricordandosi del motivo per cui si era spinta sin lì, si volse verso quell’uomo taciturno. Egli continuava a osservarla con uno sguardo indagatore che, per un qualche motivo, la faceva sentire terribilmente a disagio.
“Grazie per avermi salvato.” Esordì la giovane in un inglese perfetto, nel quale affiorava appena un’affascinate cadenza spagnola “Ma ti sarò ancora più grata se andrai a dire al governatore che ho urgente bisogno di parlargli.”
Gli aveva dato del Tu, come faceva con tutti: per lei tutti gli uomini stavano sullo stesso piano e nessuno poteva considerarsi così superiore da meritare un Voi.
Quello poteva essere un grandissimo errore con un inglese.
Con un inglese come lui in special modo.
Ma per fortuna il suo interlocutore non lo notò o, almeno, fece finta di non notarlo, tanto era stupito di sentire quella straniera parlare la sua lingua.
“Tu…parli inglese?” Chiese con voce incolore; come per avere conferma che le parole udite prima non fossero frutto di un’allucinazione.
Claro señor.
“E per quale motivo?”
“Per quale motivo?!” Esclamò la donna, portandosi le mani ai fianchi, con fare irriverente. “Noi zingari prendiamo denaro e ordini da voi inglesi per fare il lavoro sporco. Come pensi che comunichiamo?! Se stessimo ad aspettare che voi riusciate a mettere insieme due parole in spagnolo non combineremmo niente!”
Il suo interlocutore la osservò per un lungo istante, con un disprezzo tale nello sguardo che non si curava nemmeno di mascherare.
“Sei insolente, zingara.” Sibilò, senza peraltro mutare la solita espressione indecifrabile del volto “Ma stai attenta. Potrei farti impiccare seduta stante per la tua bravata di poco fa.”
“Non mi fanno paura le tue minacce, demone.” Lo aggredì la donna, avanzando verso di lui; mentre faceva scivolare velocemente la mano verso il coltello “Ed ora fammi il piacere di chiamare il governatore. Non ho tempo da perdere!”
Il demone represse un istintivo moto di rabbia e strinse con violenza i pugni, frenando gli artigli che altrimenti sarebbero corsi a squarciare la pelle di quella ragazzina insolente.
Calmatosi, tornò a puntare i suoi occhi glaciali contro quelli ardenti e fieri della gitana e tacque per un lungo istante.
Infine si rivolse al lei, mentre un mezzo sorriso sadico increspava appena le labbra taglienti come le sue parole.

“Il governatore sono io.”





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ran ugajin92: grazie per la tua recensione, spero che la storia ti continui a piacere anche se l'università non mi permette di aggiornare spesso.

crilli: ti ringrazio per le osservazioni che mi hai fatto.
Purtoppo ora di dovrai sorbire la spiegazione ^__^
- Koga, se hai notato nel manga, è vero che è solitamente insolente e sfrontato; ma solo con tutti i personaggi con cui entra in contatto che non siano Kagome.
Infatti nei confronti della donna che ama (in questo caso Rin)ha un comportamento molto gentile e accondiscendente, se non addirittura remissivo.
Nella mia fict ha mostrato solo questo lato del suo carattere perchè non è entrato in contatto con nessuno degli altri personaggi, a parte la protagonista, della quale è irrimediabilmente innamorato.
-Rin è un personaggio molto particolare.
Nel manga è una bambina gentile e sorridente; tuttavia non sappiamo quale sarà il suo carattere una volta diventata adulta. Questo carattere sarà plasmato e mutato dalle condizioni storico-sociali con cui si troverà in contatto.
Se la bambina crescerà in un ambiente relativamente pacifico probabilmente manterrà il suo carattere dolce e sensibile. Ma se questa bambina crescerà nell'ambiente e nel periodo in cui è ambientata la mia fict è impossibile che mantenga quell'innocenza propria della prima giovinezza; ma si dovrà fortificare e "incattivire" per riuscire a sopravvivere.
Spero che la giustificazione sia di tuo gradimento e che non sia stata troppo lunga e pesante ^__^
Alla prossima.
Jessy



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Capitolo 3
*** Fuego Y Hielo ***





CAPITOLO 3.


“FUEGO Y HIELO”


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“Quanto più forte è la personalità di una donna, tanto più facilmente essa porta il fardello delle sue esperienze. L'orgoglio viene dopo la caduta.” (Karl Kraus)

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“Il governatore sono io.”

Rin, completamente pietrificata, continuò ad osservare in silenzio il demone; come se non fosse ancora riuscita a metabolizzare quella semplice frase. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non riuscì ad articolare il minimo suono.
Si costrinse di nuovo ad abbassare lo sguardo, come per cercare nell’abito del suo interlocutore anche una piccola, insignificante traccia che avesse potuto rivelare il suo stato.
Niente.
Divisa militare, alcune medaglie appuntate sul petto, rifiniture dorate sul colletto, stivali alti fin sopra il ginocchio. Nessun indizio. Al massimo avrebbe azzardato che fosse il comandante di una qualche divisione di cavalleria…ma addirittura un governatore!
“Tu?” Riuscì infine a sussurrare “…Non…non può essere.”
Intanto l’uomo godeva, compiaciuto, lo smarrimento che le sue parole avevano prodotto nella donna.
“Lord Sesshomaru Langston,” Si presentò accennando un inchino, con fare derisorio “Quarto Duca di Hamilton, Colonnello della 18ª Divisione dei Dragoni di Sua Maestà e, per tua sfortuna, governatore di Jerez.”
Ma la soddisfazione nel pronunciare queste parole svanì in un attimo, veloce come il coltello che gli venne puntato contro.
La zingara, scacciato lo stupore iniziale, lo stava ora osservando con una rabbia che il demone non aveva mai visto balenare nello sguardo di nessuna altra donna.
“Mi complimento con te per i bei titoli e compatisco quell’idiota che ti ha nominato governatore.”
“Attenta strega…attenta…non scherzare col fuoco.” La avvertì Sesshomaru, senza perdere la consueta calma, costringendola con una mano ad abbassare l’arma. “E’ stato il comandante Wellington* in persona a darmi questo incarico. Per tua fortuna non tengo alla mia patria più di quanto non tenga al mio cavallo; altrimenti saresti già morta.”
“Veramente?” Chiese incredula la donna. “Un pensiero inusuale per un soldato inglese.”
“Io non sono come gli altri.”
“Allora perché combatti e rischi la vita per una causa della quale non ti importa nulla?”
“Non è necessario che tu lo sappia.” La freddò Sesshomaru; mentre, per un istante, gli occhi splendettero di un bagliore sinistro che fece correre un brivido di paura lungo tutta la schiena della giovane.
“Comunque,” Ribatté la gitana con voce ferma, senza tuttavia riporre il coltello. “La cosa non m’importa. Se sei il governatore tanto meglio; così risparmierò tempo.”
“Quale problema può essere così grave da farti rischiare la vita per parlarmi?”
“Mio marito.”
“Tu…hai un marito?” Domandò incredulo il demone, voltandosi verso un mobiletto di legno rozzamente insaziato, dal quale tirò fuori una grande brocca di cristallo piena di liquido rosso e ne versò il contenuto in un bicchiere riempendolo fino a metà “Me ne dolgo per lui…” Asserì, senza far trasparire la minima punta di scherno dal tono incolore che quasi sempre usava.
“Lo vuoi anche tu?” Le chiese, indicando quello che aveva tutta l’aria di essere vino.
“Cos’è? Veleno?” Scherzò la donna, ignorando volontariamente la provocazione che il demone le aveva lanciato poco prima.
“No, Porto…E’ uno dei migliori.” Rispose riempiendo un altro bicchiere. “Non ti preoccupare. Se ti volessi uccidere non ricorrerei certo a metodi così subdoli. Basterebbe uno solo dei miei artigli o la lama della mia spada…a tuo piacimento.”
Rin osservò in silenzio il calice che il governatore le aveva porto, come per studiarne il contenuto.
“Che c’è? Non ti fidi?” Lo schernì il giovane che stava sorseggiando la sua dose.
“Veramente stavo pensando al fatto che voi inglesi non usufruite mai di nulla che non sia prodotto da voi…per esempio questo vino…anche se è prodotto in Portogallo è un’invenzione vostra.”
“Perspicace da parte tua, zingara, notare una cosa del genere.” Ammise il demone, volgendo inconsciamente gli occhi verso il ritratto del re Giorgio III “D’altra parte, come abbiamo migliorato un vino, che altrimenti sarebbe rimasto anonimo e insipido, mischiandolo col brandy; allo stesso modo ogni cosa che posso sotto il nostro potere non può essere che modificata e migliorata…”
“Non mi sembra” lo interruppe la donna, in tono di sfida “che stiate facendo gran che qui in Spagna.”
Sesshomaru, a quelle parole, volse gli occhi traboccanti di orgoglio e disprezzo verso di lei e, con uno scatto velocissimo, la afferrò per un braccio, costringendola a guardarlo.
“Tutto questo perché” Ruggì, mostrando la punta bianca di un canino “la Spagna è piena di ignoranti straccioni delinquenti…come tuo marito per esempio…”
“Mio marito non è un criminale!” Gridò lei con tutto l’odio che le avvelenava il cuore, cercando di liberarsi dalla presa del demone che si stava facendo mano a mano più dolorosa.
“Lo è invece. Come tutti voi zingari, feccia dell’umanità!”
A quelle parole la rabbia prese di nuovo il sopravvento.
Non seppe mai se pentirsi o meno di quel gesto.
Ma l’istinto dei gitani, per loro fortuna o sciagura, è più veloce a riscaldarsi dell’acciaio che plasmano nelle loro fucine e la ragione soccombe inevitabilmente ad un istinto feroce e primordiale.

La donna conficcò, con una furia disperata, i denti nel dorso della mano che non accennava a lasciare il suo braccio; riuscendo a strappare un soffocato ruggito di dolore al demone; il quale, senza tante cerimonie, la fece volare per terra con un sonoro schiaffo in pieno viso.
Ci fu un tonfo sordo.
Una malcelata smorfia di sofferenza.
Poi solo il silenzio…Un silenzio pesante, sinistro, innaturale.
Sesshomaru, incredulo, si portò agli occhi la mano sinistra completamente insanguinata, sulla quale aveva ben visibili i segni del morso.
Lurida stregaa…come aveva osato?!
La cicatrice…forse ci sarebbe rimasta addirittura la cicatrice.
Un marchio sgargiante sulla sua pelle pallida. Una piccola ma visibile imperfezione sul suo corpo perfetto…
Ma, sul suo onore, l’avrebbe pagata…e molto, molto cara.

Rin, riversa a terra, impiegò diversi secondi per rendersi conto che cosa fosse successo.
La testa…le doleva tantissimo. La guancia sinistra sembrava un poco più gonfia dell’altra e bruciava in una maniera insopportabile.
Socchiuse gli occhi, ancora indolenzita dal colpo.
Ferro…uno sgradevole sapore di ferro le riempiva la bocca.
Si portò istintivamente una mano alle labbra e sentì il liquido caldo scenderle copiosamente fino al mento.
La furia riprese per un attimo il sopravvento sulla ragione, facendola alzare di scatto mentre la mano correva velocemente verso l’arma.
Tuttavia lo sguardo glaciale del demone la fece indietreggiare di un passo.
Una flebile voce, dentro la sua testa, le gridava disperatamente di allontanarsi subito da quella creatura, prima che fosse troppo tardi. Ma era troppo orgogliosa per farlo.
“Fuori di qui…subito.” Le intimò Lord Langston con una calma troppo artificiale per ingannare anche il più stupido degli uomini.
Rin sapeva bene di aver tirato abbastanza, troppo la corda. Aveva commesso un errore imperdonabile. Stupida! Si era abbandonata ad una rabbia inconcludente, dannosa; a un gesto che avrebbe potuto distruggere anche l’impossibile speranza di riuscire nel suo intento.
Avrebbe fatto di tutto per liberare suo marito, ma adesso non poteva far altro per lui…aveva osato troppo…troppo…

Dopo aver lanciato un ultimo sfrontato sguardo di sfida al demone, uscì dalla stanza a testa alta senza proferire parola.

Sesshomaru la guardò allontanarsi, senza perderla di vista fino all’istante in cui scomparve. Strinse, rabbioso, i pugni.
Non era ancora venuto il momento…Ma il suo destino era già stato segnato. Avrebbe assaporato ogni singolo spasmo di dolore di quegli occhi insolenti, finché quella maledetta lingua velenosa non gli avesse chiesto pietà con un ultimo grido straziato.
Adesso era presto, troppo presto.
Ma lui era paziente e la vendetta, lo sapeva bene, andava assaporata lentamente e a piccole dosi, per percepirne il gusto in ogni sua singola sfumatura.
Si voltò verso il bicchiere di Porto, che la donna non aveva neanche sfiorato con le labbra, e lo svuotò in un unico, rabbioso sorso.




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*Arthur Wellesley, primo Duca di Wellington (1769-1852). Fu il comandante dell’esercito inglese in Spagna, nonché futuro vincitore di Napoleone a Waterloo.

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Volevo ringraziare tutte quelle che mi hanno commentato. Mi fa sempre piacere sapere cosa ne pensate..nel bene o nel male ^__^


ran ugajin92: sono felice che ti sia piaciuto, spero di non deluderti. Povero Koga, mi fa un pò di pena. Vedrai che non ci sarà bisogno di ucciderlo perchè il "destino" faccia la sua parte.

lollyna: Ma stai scherzando?! Certo che mi ricordo di te!! Grazie per aver deciso di commentare anche quest'altra creazione; sono davvero felice di risentirti!

crilli: è un piacere darti qualunque chiarimento tu voglia. Sono contenta di essermi riuscita a spiegare senza averti annoiato con i miei sproloqui abbastanza prolissi.
Comunque vedrai che Rin avrà diverse cosette di cui preoccuparsi...e non soltanto della prima figuraccia.

rosencrantz: Che dire; sono onorata da qualsiasi complimento possa farmi una scrittrice bravissima come te. Spero continuerai a seguirmi.

Alla prossima, Jessy


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Capitolo 4
*** Retratos ***





CAPITOLO 4.

“RETRATOS”




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“L'odio è un veleno prezioso, più caro di quello dei Borgia; perché è fatto con il nostro sangue, la nostra salute, il nostro sonno e due terzi del nostro amore.”. (Charles Baudelaire)

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La mano continuava a dolergli fastidiosamente e il segno del morso non accennava a voler scomparire.
Continuò ad osservare quelle piccole chiazze rosse, mentre sentiva la rabbia crescere sempre più sino ad avvolgergli ogni singola fibra del cuore.
Strinse convulsamente il pugno mentre, mano a mano, riacquistava lentamente l’autocontrollo.
Dio, quanto la odiava!
Non riusciva a togliersi di testa quello sguardo selvaggio, quell’espressione insolente, quella lingua avvelenata…
Ma io ho il coltello dalla parte del manico, zingara. Ti pentirai di avermi sfidato.

“Bello davvero! Non sapevo ti fossi dato ai tatuaggi, fratellino.” Esclamò una vocetta allegra dietro di lui.
“Che diavolo stai blaterando, Inuyasha?” Domandò Sesshomaru, visibilmente scocciato, voltandosi verso il nuovo venuto: una ragazzo alto e snello, dai lunghi capelli argentati legati, come richiedeva la moda, in una lunga coda e delle strane orecchie da cane che gli spuntavano dalla folta chioma un po’ in disordine.
Il ragazzo non rispose, ma indicò senza proferire parole, con un sorrisetto beffardo stampato sul volto, la ferita sulla mano del fratello.
“Lo trovi divertente?” Chiese Lord Langston, visibilmente contrariato “Perché per me non lo è…affatto.”
“Mordace la ragazzina.” Ridacchiò il mezzodemone, per tutta risposta.
“Perché non l’hai sentita parlare. Non so se dovrebbe sconvolgermi più la sua insolenza o le sue parole.”
“Piccola correzione colonnello: l’ho sentita urlare.”
“Come?”
“Bhe…avevi ordinato di chiamare l’interprete ed io sono subito corso qui. Però prima che potessi bussare la sua dolce vocettina ha trapassato la porta e le mie orecchie. Dunque ho dedotto che l’inglese lo sapesse, anche troppo bene, così…”
“…Così sei scappato via.” Concluse Sesshomaru con aria derisoria. “Il tuo coraggio è notevole.”
“Diciamo” Lo corresse Inuyasha “che in tanti anni ho imparato quanto poter tirare la corda con te, prima che rompa…e in quel momento non soffiava proprio un’aria amichevole…Quindi, onde evitare di pagare una colpa che non avevo nemmeno commesso, ho cambiato rotta.”
Sesshomaru non replicò, ma osservava il fratello con un’espressione indecifrabile.
Tra di loro non era mai corso buon sangue, soprattutto a causa della natura ibrida del mezzodemone; tuttavia non poteva dire di odiarlo per una colpa che, in fondo, non aveva. Anzi, a modo suo, ci si era affezionato; anche se non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura.
Inuyasha questo lo sapeva bene e, in cuor suo, gli era profondamente grato.
Poco dopo la morte del padre era partito per un viaggio di studio, che lo aveva portato a visitare mezza Europa; finché in Spagna non aveva incontrato lei: Kagome. Era una povera ma gentile maestrina, che lo aveva accolto con piacere in casa sua…dalla quale non se n’è più andato. Nel giro di un mese erano già marito e moglie.
Sesshomaru, come fratello maggiore e capofamiglia, non aveva accolto di buon occhio quella scelta, ma non ne aveva fatto un dramma. Che si guadagnasse da solo il denaro per vivere se voleva rimanere lì a fare lo straccione! Lui non gli avrebbe passato un soldo: non aveva richiesto la sua benedizione per sposarsi, ma gliel’aveva presentato come una cosa già fatta…che si arrangiasse!
Tuttavia, appena arrivato in Spagna col proprio reggimento, non aveva esitato a chiamarlo al suo fianco, insieme alla moglie, con l’incarico ufficiale di traduttore.
Così adesso si ritrovavano a condividere anche lo stesso tetto, insieme a pochi uomini scelti che componevano il 18° Reggimento dei Dragoni: più fedele a Lord Langston di quanto non lo fossero allo stesso Re.

“Se non hai nient’altro da dirmi, puoi anche andartene.” Sbuffò Sesshomaru, vedendo che il fratello non accennava a smuoversi dalla sedia dove si era accomodato, senza tanti complimenti; come se ci si fosse incollato.
“Pensi che tornerà quella zingara?” Domandò Inuyasha, facendosi più serio.
“Tornerà di sicuro.” Sentenziò, piatto, il demone.
“Come fai a esserne così certo?”
“Nella prigione qui sotto c’è suo marito.”
Il mezzodemone osservò per un lungo istante il suo interlocutore, scuotendo dubbioso la testa; prima di formulare quella domanda che gli rimbombava in testa da quando era entrato.
“Ti vuoi vendicare?”
“Perché me lo chiedi?”
“E’ una donna, Sesshomaru; non puoi sperimentare la tua crudeltà su una creatura indifesa. Ti prego…dimmi che non lo farai.”
“Dovrei mentirti?”
“Non puoi farlo.”
“Inuyasha, se mi conosci così bene come dici, puoi immaginare come mi comporterò.”
Il mezzodemone conficcò lo sguardo dorato in quello del fratello e tacque per diversi secondi, prima di sospirare sconsolato:
“E’ proprio perché ti conosco così bene, che ho paura di quello che farai.”


*********************************


La donna fissò per un lungo istante il lato del letto dove da due anni a quella parte dormiva suo marito.
Come era strano non averlo accanto…non sentire i suoi respiri lenti…non percepire più quel calore che emanava il suo corpo…
Il legame che ci unisce è davvero così forte?
…Sì…probabilmente sì…o era solo abitudine?
No, non poteva essere abitudine. Un’ angoscia insopportabile non accennava a lasciarla.
Era terrorizzata al pensiero che gli potesse accadere qualcosa.
Allora lo ami?
Non lo so.
Dovresti fare chiarezza nel tuo cuore.
Che importa in questo momento? Lo salverò…costi quel che costi…
Stranamente il pensiero di dover affrontare di nuovo lui la tormentava. Odiava doverlo ammettere, ma per la prima volta nella sua vita provava veramente paura ed era terrorizzata all’idea di non riuscire a tenergli testa.
Ma non aveva scelta…
La paura era un lusso che poteva concedersi…non quella volta…

Un colpo improvviso alla porta la distolse dai suoi ragionamenti; rimase per un lungo istante in silenzio, chiedendosi se fosse solo la sua immaginazione.
Altri due timidi colpi le fugarono ogni dubbio.
“Adelante!”* Disse dopo un breve istante, pregando che non fossero i soldati inglesi venuti ad arrestarla per ordine del governatore.
“Se puede?” Mormorò invece una dolce, ma molto imbarazzata, voce femminile.
Davanti a lei si parò una bella ragazza, sulla diciottina, vestita con un’elegante abito all’inglese.
I capelli e gli occhi scuri facevano pensare a una discendenza mediterranea; anche se la pelle chiara ed i suoi modi gentili sembrava dicessero il contrario.
“Cómo te llamas?”* Chiese, brusca, la gitana, storcendo il pensiero che una ragazza di buona famiglia potesse avere il coraggio di mettere piede in casa sua…e chiedere cosa poi?!
“Kagome.” Sussurrò la giovane; per poi aggiungere con una tonalità vocale più bassa, quasi provasse vergogna a pronunciare davanti a lei quelle parole. “Kagome Langston.”
Rin spalancò gli occhi, sconvolta senza smettere per un attimo di fissarla sbalordita.
“Qué?” Gridò tra la rabbia e l’incredulità. “Estas casada con Lord Sesshomaru Langston?”*
“No, no...señorita.” Si affrettò a rispondere la giovane.
“Señora, por favor.” La corresse, acida.
“Yo soi casada con su hermano, Inuyasha Langston.” *
Era esattamente lo stesso, non cambiava niente per lei. Se il fratello aveva quel bel caratterino, voleva dire che tutti gli altri della famiglia avevano ricevuto la stessa educazione e, di conseguenza, sarebbero stati ugualmente arroganti e presuntuosi!
Non si sarebbe mai fidata.
Stava per risponderle quando il suo sguardo venne attirato da dei movimenti sospetti vicino alla sua finestra.
Un piccolo gruppo della donne del paese, sentendo le sue grida, si erano zittite e avevano drizzato le orecchie per scoprire il motivo di un tale baccano.
Rin scosse la testa sconsolata. In quel paese la percentuale di pettegole era paurosamente superiore alla media!
“Forse è meglio se parliamo in inglese.” Disse all’ospite con un sospiro.
“Succede sempre così?” Ridacchiò la giovane.
“Sì, purtroppo” Convenne la gitana, per poi aggiungere dopo un lungo istante di silenzio, con tono volutamente sgarbato “Allora? Cosa vuoi da me?”
Kagome tornò immediatamente seria e, dopo un lungo respiro, si fece coraggio. Gliel’avevano detto che quella era una donna da maneggiare con cura; ma la situazione pareva peggio del previsto.
“Ho saputo del tuo incontro con mio cognato.”
“Pensavo non l’avrebbe detto a nessuno; non ha niente di cui vantarsi.”
“Infatti lui non ha fatto parola con nessuno; tuttavia mio marito non ci ha messo molto a ricostruire cosa è avvenuto…almeno in linea di massima.” Precisò la giovane, accennando un timido sorriso.
“Allora?”
“E’ stata una fortuna che tu ne sia uscita viva.”
“E’ tutto quello che vuoi dirmi?” Domandò la gitana, guardandola dritta negli occhi.
“No, signora.” Rispose la sua interlocutrice, abbassando lo sguardo imbarazzato. “Volevo solo chiederti…pregarti…di non sfidare un’altra volta la sorte.”
“Cosa?” Esclamò la donna, indignata. “Ragazzina, nelle grinfie di quel demone c’è mio marito! Tu mi chiederesti di abbandonarlo al suo destino senza usare ogni mezzo per salvarlo?!”
“Lo so, ti capisco ma…mio cognato…ti ucciderà se ti avvicini di nuovo. E questa volta non ti proteggerà il fatto di essere donna. E’ su tutte le furie per quello che gli hai fatto e non si placherà finché non avrà ottenuto la sua vendetta.”
“Koga prima di tutto.” Dichiarò con fermezza la donna.
“Ti ucciderà!”
“Non mi importa.”
“Ti prego.”
“No.”
“Ascoltami, per l’amor di Dio. Non sai quanto può essere crudele! A volte, quando mi punta gli occhi addosso, fa tremare pure me che sono la moglie di suo fratello!”
“Non importa. Tenterò il tutto per tutto…ce lo deve pur avere un punto debole. E io lo troverò.”
“Lui non si corrompe: né col denaro né…con le donne.”
“Meglio così, perché la prima cosa non posso offrirgliela e la seconda non ho alcuna intenzione di offrirgliela.”
“Ti prego, lascia perdere. Lo dico per il tuo bene ed è per il tuo bene che stamani ho cercato per tutta la città la tua casa…neanche mio marito sa che sono qui!”
Rin a quelle parole si voltò verso la giovane e le rivolse un sorriso amaro.
Non avrebbe mai pensato che qualcuna si potesse preoccupare per lei…specialmente la moglie di un nobile.
“Gracias.” Sussurrò, poggiandole una mano sulla spalla.
“Rifletterai almeno sulle mie parole?” Domandò Kagome, speranzosa.
“Sì, te lo prometto.” Rispose la gitana, accompagnandola alla porta.
“Adiós, señora Langston.”
“Adiós”
Le fece eco la giovane, lasciandole un’ultima occhiata supplichevole.
Sussurrò, infine, mentre la porta si richiudeva dietro le sue spalle.
Abbassò a terra lo sguardo rassegnato, sospirando.

No, non l’avrebbe mai ascoltata.




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* “Avanti”
“Come ti chiami?”
“Cosa? Sei sposata con Sesshomaru Langston?”
“Sono sposata con suo fratello..”

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Capitolo 5
*** Hijo de la Luna ***





CAPITOLO 5.


“HIJO DE LA LUNA”



“Por el cielo va la luna
con un niño de la mano.
Dentro de la fragua lloran,
dando gritos, los gitanos.
El aire la vela, vela.
El aire la está velando.”*


(Garcia Lorca
“Romance de la luna luna”)







La notte era ormai scesa sulla sonnolenta Jerez e una luna spenta troneggiava tra le tenebre del cielo, illuminando a tratti il vasto portico dell’imponente villa sprofondata nell’atmosfera onirica di un paesaggio rarefatto.
Un soldato dalla sgargiante giubba rossa, assopito contro un lungo muretto a secco, si ridestò all’improvviso, colpito da uno strano rumore. Tese, concentrato, l’orecchio e strinse istintivamente il fucile con maggior forza; costringendosi a trattenere il respiro.
Cicale, solo cicale…a decine rompevano con il loro acuto e perforante rumore quella quiete pesante e innaturale.
Sospirò rassicurato; dopodichè si alzò lentamente dalla scomoda posizione in cui si trovava poggiando le mani sulle ginocchia indolenzite e si avviò con passo marziale e cadenzato a terminare il suo giro di ronda.
Non appena svoltò l’angolo una figura minuta, avvolta in un lungo scialle nero, saltò agilmente il primo muricciolo e iniziò a scalare il secondo molto più alto, aggrappandosi con tutta la forza di cui disponeva alla folta edera che lo ricopriva in gran parte da quel lato, come uno schizzo verde su uno sfondo ocra.
Saltò in quello che doveva essere probabilmente il giardino interno e, appiattendosi contro la parete, avanzò lentamente, calcolando ogni singolo passo, attenta a non provocare il minimo rumore.
Mano a mano che si avvicinava al cuore dell’abitazione, giungeva sempre più forte alle sue orecchie un brusio confuso.
Dovevano esserci diverse persone…tutti uomini e a quanto poteva intuire.
Si affacciò, col cuore in gola, a una feritoia abbastanza ampia da poter vedere tutta la scena senza rischiare di essere scoperta.
Lì adiacente c’era un piccolo ma delizioso cortiletto interno, tutto circondato di colonne dal vago stile arabeggiante, ai lati del quale quattro eleganti fontane zampillavano acqua che, scendendo lungo piccoli canali, si gettava in uno più grande che scorreva di stanza in stanza.
Sedute sugli ampi scalini di pietra c’erano sette uomini, tutti apparentemente giovani, che parlavano e ridevano tra loro; creando un tale brusio dal quale si potevano carpire solo sporadiche frasi.
“…e comunque tu mi devi ancora dei soldi, bastardo.” Esclamò uno di loro in inglese dall’accento particolare, forse scozzese o irlandese.
“Soldi?! E per cosa?” Si difese il diretto interessato con fare platealmente incredulo.
“Te l’avevo detto che non l’avrebbe ammazzata quella zingara e tu invece hai insistito per scommettere che lo avrebbe fatto. Ora che hai perso dammi la grana! Così la prossima volta ci penserai due volte prima di buttare via i tuoi soldi!”
“Certo,” Si affrettò a rispondere l’altro “ma la scommessa non è ancora finita: la zingara tornerà di certo a cercare di riprendersi quel figlio di cagna e lui le farà la pelle.”
La figura nascosta deglutì a fatica nel sentire quelle parole. Poi, tentando invano di scacciare la paura che le attanagliava lo stomaco, si concentrò di nuovo sulla conversazione.
“Sei sicuro che tornerà?” Chiese, scettico, un terzo con una voce fortemente effemminata.
“Come sono sicuro che domani sorgerà il sole.”
“Io non credo proprio che Lord Langston le farà la festa…in fondo è pur sempre una donna. Una lurida stracciona, ma una donna.” Obiettò il primo.
“Una donna? Quello è un demonio! Hai visto come ha conciato quel soldato? Gli ha aperto un buco nel petto senza pensarci due volte! Non credere che la cavalleria si debba usare con certe femmine.”
“Come se tu l’avessi mai usata con le altre!” Lo schernì il compagno. “Comunque ricordati che quello era solo un soldatino della fanteria di Sua Maestà…un imbecille che sa a fatica tenere in mano un fucile; quindi non c’è da stupirsi se si è fatto prendere di sorpresa da una donna!...”
“Noi Dragoni invece non ci facciamo mai prendere di sorpresa da una donna…” Rise un quarto uomo, quasi del tutto nascosto nell’ombra, ma dalla mole imponente. “…Perché solitamente siamo noi che la sorprendiamo…e a volte non sono molto contente.”
Terminò la frase il compagno provocando uno scroscio di risate sinistre che fecero tremare l’intrusa dalla testa ai piedi.
Che razza di mostri erano i soldati del governatore?
“Bankotsu,” Esclamò un uomo calvo, seduto in disparte, rivolto a quello che pareva essere il loro capo. “tu che ne pensi? Chi vincerà la scommessa?”
L’interlocutore, un bel ragazzo, apparentemente molto giovane, con una lunga treccia che gli scendeva lungo la divisa e un’immensa alabarda poggiata accanto a sé; stette per un attimo in silenzio, portando una mano al mento con fare pensieroso.
“Mi sembra scontato, no?” Sentenziò, infine, con una naturalezza disarmante. “La farà a pezzi non appena gli capiterà davanti agli occhi!”


*******


Un interminabile corridoio si parava davanti a lei; la fioca luce delle lampade ad olio rischiarava solo in una minima parte quel lugubre ambiente apparentemente deserto.
La gitana correva. I suoi piccoli piedi nudi sfioravano silenziosi il freddo pavimento di pietra; le tempie pulsavano con così tanta forza che temeva le scoppiassero da un momento all’altro; il cuore batteva freneticamente nel petto come se tentasse disperatamente di uscire dalla sua gabbia.
Non poteva fermarsi. L’aveva giurato.
Ma i gitani non giurano mai. L’infedeltà è la loro maledizione e il loro vanto.
Per questa volta non sarà così.

Rallentò il passo, lasciandosi scivolare lo scialle giù dalle testa e se lo legò in vita; poi portò una mano allo stretto corsetto che le fasciava la vita sottile e sfiorò con le dita la gelida lama del pugnale che non l’abbandonava mai.
Cercando di ignorare l’opprimente agitazione che la faceva tremare da capo a piedi, iniziò a guardarsi intorno in cerca della possibile strada che l’avrebbe condotta al suo obiettivo.
Dove diavolo potevano essere le prigioni? Di sicuro all’interno, magari nel sotterraneo; di modo che se qualcuno fosse riuscito a fuggire dalla cella avrebbe dovuto per forza attraversare quel posto pieno di soldati prima di riuscire a raggiungere la libertà.
Il ragionamento non la sollevò affatto visto che, ammesso che riuscisse a liberare suo marito, c’era tutto quel percorso da fare indietro.
Sospirò sconsolata: no…così non andava. Lei era riuscita a non farsi vedere grazie alla sua agilità e alla sua piccola stazza; ma in due non ce l’avrebbero mai fatta.
Maledisse mentalmente l’ avventatezza che l’aveva portata a gettarsi impulsivamente nelle fauci del nemico senza aver neanche architettato uno straccio di piano.
Per la prima volta ebbe lo sgradevole sentore di essere entrata a far parte di un gioco più grande di lei, dal quale né la sua testardaggine né la sua insolenza stavolta l’avrebbero salvata.
Doveva farsi venire un’idea…e in fretta.
Riprese ad avanzare, dirigendosi verso uno stretto passaggio sulla sinistra che portava in un piccolo giardino circondato su ogni lato dalle mura dell’abitazione.
Proprio di fronte a lei, nella penombra, c’era una finestra aperta; le tende immobili erano leggermente socchiuse in modo da far circolare un po’ d’aria in quella notte afosa.
Doveva fare un modo che l’attenzione dei soldati fosse monopolizzata da qualcos’altro mentre loro scappavano...
Senza un’apparente motivo Rin si avvicinò. Non sapeva spiegarsi perché; ma il suo istinto le diceva di farlo… Si alzò in punta di piedi, poggiando le mani sul davanzale e issandosi lo stretto indispensabile per sbirciare dentro.
Ecco la risposta!

Sdraiato sul letto, immerso nel sonno, stava il suo carnefice.
La fioca luce della luna riusciva a stento a far risplendere gli inconfondibili lineamenti della sua pelle diafana; più simile a un dipinto che a un uomo in carne e ossa.
La donna scivolò in silenzio nella camera e si accostò a lui, mentre il cuore batteva con un ritmo sempre più frenetico per la paura o per qualcos’altro che non riusciva decifrare. I suoi occhi di brace erano incollati a quella figura e si ostinavano a non voler cambiare oggetto della loro contemplazione.
Il volto del demone era disteso, rilassato: un’espressione che raramente mostrava da sveglio. La zingara era incantata: rabbia, paura, odio…per un attimo sparirono dalla sua mente e dal suo cuore.

Smettila di guardarlo…porta sfortuna fissare una persona. Lo sai.
Perché mai?
Perché il destino ci lega ad essa.. Come quella storia del bambino che contemplava la luna.
e la luna se lo portò via…
Allora finiscila qui ed ora.

La gitana fece scivolare la sua mano dentro il corsetto.
Il destino era segnato e lei non poteva che compirlo.
La carta era stata estratta dal mazzo e sopra vi era scritto morte.

…Però prima…prima che finisse tutto…
…Avrebbe desiderato…
….Avrebbe voluto…
Lo sguardo salì fino alle labbra di lui, sottili, fredde.
Chissà cosa avrebbe provato a poggiarle contro le sue…

No!
No, non poteva!
Non ora…non Lui.
Il grido silenzioso del suo orgoglio la fece tornare alla realtà. Inveì mentalmente contro sé stessa e il suo stupido capriccio che poteva costare la vita a lei e soprattutto all’uomo che era venuta a salvare.

La gitana chiuse gli occhi e alzò il pugnale.

“Io non lo farei al posto tuo.”
Una voce profonda e atona le fece gelare il sangue.






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* “Nel cielo va luna
con un bimbo per mano.
Nella fucina piangono,
gridano, i gitani.
Il vento la veglia, veglia.
Il vento la sta vegliando.”



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Un grazie a tutti quelli che hanno la pazienza di leggere e commentare.
Specialmente a crilli (a chi lo dici che adori lo spagnolo!io lo amo troppo!!),la mia fedele lollyna e ran ugajin92 (non ti anticipo niente..ma vedrai che cambieranno un pò di cose).
Alla prossima.
Baci Jessy



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Capitolo 6
*** Nocturno ***






CAPITOLO 6.

"Nocturno"



“- Com’è bella, questa sera, la principessa Salomè!

- Tu la guardi sempre: la guardi troppo.
Non si deve guardare la gente in questo modo…
Può accadere un disgrazia.”


(O. Wilde “Salomè”)





Quando gli occhi freddi, lucenti e feroci di lui incontrarono il suo sguardo, Rin sentì le forze venirgli meno e la paura, strisciando come una serpente lungo le membra intorpidite, bloccò ogni muscolo.

Ma lo smarrimento durò solo pochi secondi. Il tempo di rendersi conto che ormai non aveva più niente da perdere.
La sua condanna era sicura, inevitabile e la speranza di sfuggire vana.
La commedia si stava avvicinando alla conclusione: tanto valeva continuare ad indossare la maschera…finché il sangue non l’avrebbe trasformata in tragedia.
La gitana strinse i denti e ripose il coltello senza proferire parola….e attese…
Attese di vedere le lunghe, pallide dita del demone posarsi sul suo collo e di sentire l’osso schiantarsi sotto la loro pressione.
Chissà come sarebbe stato morire.
Magari avrebbe sentito dolore…o forse no…
Poco importava: lei non avrebbe pianto, lei non lo avrebbe supplicato, lei non avrebbe chiesto pietà. No, lui non sarebbe riuscito ad ottenere quest’ultima soddisfazione.
Della morte infatti non aveva mai avuto troppa paura. Per un qualche motivo non era mai riuscita a prendere niente con serietà.
Leggera…superficiale…sì, spesso lo era, si costringeva ad esserlo; ma non se n’era mai pentita. L’unico vero peccato che esistesse al mondo era la crudeltà; del resto non se ne curava.
In quell’interminabile istante, in quel limbo di attesa pregò solo che non esistesse nessuno aldilà perché, se fosse esistito davvero l’Inferno, lei ci sarebbe finita di sicuro.
…Attese…
…Ma non accadde nulla…
Sesshomaru continuava ad osservarla enigmatico, intento a cogliere ogni minima variazione sul suo volto…forse cercava una traccia di paura …o forse qualcos’altro…
“Persino Medea era più decisa di te.” sussurrò con un tono tutt’altro che derisorio. “Eppure stava per uccidere i suoi figli.”
“Probabilmente le mie motivazione sarebbero anche più valide.” Ribatté la donna, minacciosa.
“I tuoi propositi sono buoni, zingara,” Continuò il demone alzandosi a sedere sul letto e sporgendosi per afferrare la camicia poggiata su una sedia al suo fianco. “ma dovresti essere più sicura di te. Il minimo indugio può esserti fatale.
“Comunque se ciò ti può tranquillizzare sappi che ero sveglio da tempo. Mi divertivo a osservare i tuoi movimenti.”
“Da quanto eri sveglio?” Chiese la gitana, sentendo l’agitazione e la vergogna farsi sempre più pressanti.
Quanto era stupida! Avrebbe dovuto immaginarlo. Era stato tutto troppo facile.
“Da quando sei arrivata sotto la mia finestra. Purtroppo per te ho un ottimo fiuto.”
Rin tacque per un lungo istante, osservando il suo interlocutore che nel frattempo si era infilato la camicia e se la stava tranquillamente abbottonando, con una vaga espressione soddisfatta dipinta sul volto.
“E adesso?” Gli sussurrò, lanciandogli un’occhiata di sfida.
Perché lei, che non si era fatta intimorire da nessun uomo, adesso sentiva di non poter riuscire a tener testa a quel bastardo inglese? Cosa aveva lui di diverso dagli altri?
“Adesso cosa?”
“Mi ucciderai?”
La domanda venne posta con una naturalezza tale che Sesshomaru interruppe per un attimo la sua occupazione e la fissò, dubbioso, per qualche secondo.
“Suppongo di sì.”
Rispose vago, terminando di allacciare gli ultimi bottoni e sistemandosi il colletto perfettamente stirato.
“Supponi?”
“Sei entrata per due volte nella mia proprietà, una volta di nascosto e un’altra volta con la forza, peraltro accoltellando una delle guardie; mi hai insultato, mi hai sfidato e, non ancora soddisfatta, stavolta volevi addirittura accoltellarmi. Ne converrai con me che ho tutto il diritto di ucciderti.”
“Tutto questo è successo per una ragione più che valida.” “Quello straccione rinchiuso qua sotto per te sarebbe una ragione più che valida?!”
Questa volta il tono era diverso, c’era una sorta di fastidio, quasi di rabbia, nel pronunciare quelle parole.
“Quello straccione è mio marito!” Esclamò, esasperata, la donna.
“Sei così tanto innamorata, zingara?”
“Forse sì e forse no.”
“Come sarebbe forse si e forse no? Non sai nemmeno il motivo per cui stai rischiando la tua vita?!”
“Non sono affari che ti riguardano. Se vuoi uccidermi fallo subito; non perderti in discorsi inutili e non porre domande alle quali non voglio né posso risponderti!”
Lord Langston la fissò a lungo, cercando di intuire cosa passasse per quella testa che non riusciva proprio a comprendere. A quel punto non era più sicuro di nulla; forse nemmeno che lei l’odiasse.
Tutto era strano, nebuloso. Questa sensazione lo infastidiva…e non poco.
No, non poteva ancora ucciderla.
Prima doveva capire…

L’afferrò con forza per un braccio, graffiando leggermente la carne con gli artigli, e l’attirò verso di sé senza tante cerimonie.
“Perché?” Le sussurrò così da vicino che lei poteva sentire quell’alito caldo infrangersi sulle sue labbra. “Perché prima hai esitato?”
“Esitato?”
“Si. Perché hai esitato a calare il coltello.”
La donna, ignorando il dolore, incrociò lo sguardo nero e profondo con quello del demone e, mentre le labbra si increspavano in uno strano sorriso, iniziò a canticchiare.
Chiedi al rio perché gemente
dalla balza ov’ebbe vita
corre al mar, che a sé l’invita,
e nel mar sen va a morir:
ti dirà che lo trascina
un poter che non sa dir.
"

Sesshomaru stette ad ascoltare incredulo; poi, mal reprimendo un moto di rabbia, conficcò le unghie nel braccio di lei, strappandole un gemito di dolore.
“Ti prendi gioco di me, lurida sgualdrina?” Le ringhiò a pochi centimetri dal viso.
“Non era mia intenzione.” Sibilò la gitana, costringendosi a non smettere di sorridere. “Voi inglesi siete così difficili da accontentare in fatto di musica.”
“Adesso ti farò passare la voglia di scherzare.” La minacciò Sesshomaru, cercando di riprendere la consueta calma.
“Più che uccidermi cosa puoi fare? Purtroppo per te si può mandare all’altro mondo una persona una sola volta.”
“La morte è soltanto una liberazione.” Sentenziò, gelido, il suo interlocutore con un tono tutt’altro che rassicurante “Ed io ho tutta l’intenzione di prendermi molto tempo per farti pentire della tua insolenza. Non ti ucciderò finché non ti vedrò strisciare ai miei piedi piangente a chiedermi una pietà che, stavolta, non ho alcuna intenzione di concedere.”
Le ultime parole, pronunciate con una particolare lentezza, rimbombarono nelle orecchie della donna come una condanna assoluta e definitiva.
Rin, sapendo bene di essere ormai spacciata, stava per lanciare un’ultima, impertinente stoccata al demone prima di soccombere sotto i suoi artigli, quando un pensiero la bloccò.
Koga.
Non poteva…non doveva condannare anche lui. Sesshomaru non l’avrebbe di certo risparmiato…anzi….probabilmente l’avrebbe fatto uccidere davanti ai suoi occhi.
Prima doveva pensare a come liberarlo, e subito.
C’era un solo modo per farlo…sperando che funzionasse.

“Lord Langston.” esordì con un tono calmo e conciliante “Che ne dici di fare uno scambio?”
“Di che genere?” chiese il demone, incuriosito dall’improvviso cambiamento di umore.
“Prendi me al posto di mio marito.”
Sesshomaru stette per un momento in silenzio, guardandola con una vaga espressione derisoria dipinta sul volto: quella richiesta risuonava alle sue orecchie insensata, ingenua.
“Ho tutti e due nelle mie mani; perché mai dovrei lasciarne libero uno?”
“Perché è solo me che vuoi.”
“Siamo presuntuosi, zingara.”
“Può essere; ma suppongo che quello” disse indicando il segno del morso, ormai solo in parte visibile, sul dorso della mano di lui “non sia un ricordo che lasciano tutti.
“Non sono come le altre mio caro Duca; sono quella che ha osato sfidarti e sono quella che vuoi uccidere. Lascia andare mio marito e prendi la tua vendetta su di me.”
Il demone non rispose subito; ma si alzò lentamente dal letto e fece qualche passo in direzione della finestra. Un leggero alito di vento gli accarezzò per un attimo il viso e scompigliò il lunghi capelli argentanti che ricadevano sciolti sulle spalle e sulla schiena.
Fece un profondo sospiro e alzò gli occhi verso la luna.
“Io, invece, ti propongo un altro patto.” Esordì, gelido, riprendendo la consueta serietà “Tu mi dirai, senza usare canzonette o roba simile, perché hai esitato ad uccidermi ed io, forse, libererò tuo marito.”
“Davvero?” Chiese sorpresa la donna; che ormai sentiva di aver perso ogni speranza.
“Lo giuro, sul mio onore.”
Rin si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore, combattuta. Dopo qualche istante di indecisione si alzò dal letto e si avvicinò in silenzio a Lord Langston, con gli occhi fissi a terra.
Infine regalò all’uomo un fugace ma profondo sguardo, dal quale ogni traccia di sfida era sparita; lasciando il posto ad una sorta di tacita ma infinita sofferenza.
“Perché ti ho guardato troppo.” Sussurrò enigmatica.
Sesshomaru non sembrò stupito né infastidito; ma le poggiò delicatamente le lunghe, pallide dita sul collo, premendo con più forza la vena che pulsava sotto il suo tocco leggero. La mano scivolò con calcolata e crudele lentezza fino alle spalle olivastre che erano lasciate scoperte dalla camicia.
Il brivido caldo che scosse il gracile corpo della donna gli fugò ogni dubbio.

Le labbra del demone si dischiusero in una strana, sinistra smorfia che assomigliava pericolosamente a un sorriso.





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Grazie a tutte quelle che sono così gentili da commentarmi: lollyna, ran ugajin92, rosencrantz (far rimanere Sesshomaru IC è il mio obiettivo fondamentale; il suo fascino viene proprio da quel carattere con cui l'abbiamo sempre conosciuto. Modificarlo sarebbe un'eresia bella e buona) e crilli (mi spiace se ti è sembrata un pò lenta, ma se aumentassi il ritmo della vicenda ho paura che verrebbe un vero schifo -più di quanto fa schifo adesso ^__^ -. Per quanto riguarda Kagome, bhe, non posso non ammettere che nel manga mi sta veramente sulle scatole; cerco comunque di essere il più obiettiva possibile).

Alla prossima.




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Capitolo 7
*** Libertad ***







CAPITOLO 6.


“Libertad ”




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“Il sentimento che l'uomo sopporta più difficilmente, soprattutto quando lo merita, è la pietà.”

(Honorè De Balzac)

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I timidi raggi del sole nascente passavano a fatica dalla piccole grate della cella; mentre l’aria, pregna di umidità, si faceva sempre più irrespirabile in quell’ambiente chiuso e maleodorante.
Koga, sdraiato sul pavimento, osservava distrattamente un topolino che era sbucato da una crepa del muro in cerca di cibo ed ora si stava rifocillando con la porzione del rancio che lui non aveva osato toccare.
Sospirò sconsolato mentre il suo pensiero vagava molto più lontano, oltre quelle sbarra.
Chissà cosa stava facendo la sua Rin…
Sarebbe stata in pena per lui? Avrebbe provato a salvarlo?
Lei non lo amava, e lui lo sapeva bene; tuttavia, il solo pensiero di poter occupare anche una minima parte di quel cuore indifferente e distante, lo riempiva di una gioia quasi puerile. Gli sembrava di essere innamorato di lei solo come i ragazzini possono essere: ma non se ne vergognava.
Gli tornavano involontariamente davanti agli occhi le immagini del giorno in cui era diventata sua moglie e della loro prima notte insieme.
Nonostante sapesse bene che ella in passato aveva avuto altri amanti, non era riuscito a vincere quell’immotivato timore reverenziale che aveva nei suoi confronti e, quando lei lo aveva guardato con i suoi profondi, selvaggi occhi neri, si era sentito completamente inerme, paralizzato.
Non aveva avuto il coraggio di sedersi accanto a lei, di sfiorare quella pelle che aveva sempre desiderato, di baciare quella bocca che si era incantato a guardare innumerevoli volte.
La gitana aveva riso.
E quel riso continuava a rimbombare nelle sue orecchie come un’ultima, definitiva condanna alla mediocrità.
Tuttavia era riuscito, se non ad abituarsi, ad accettare quella condizione: bastava averla al suo fianco per sentirsi felice e tutto il resto non gli importava.

Un rumore improvviso, come di una serratura che si apre, lo riscosse dai suoi pensieri e, dopo qualche secondo, apparvero davanti alla sua cella cinque soldati.
“Signor Koga?” Domandò il capo in uno stentatissimo spagnolo, il quale stringeva in mano un mazzo di chiavi mezze arrugginite.
“Sì.” Rispose il demone alzandosi in piedi di scatto; mentre un improvviso moto di panico gli mozzò il respiro.
C’era un solo motivo per cui potevano venirlo a prendere così presto: per eseguire su due piedi la sua condanna a morte, senza giudici né processo. Tanto nessuno si sarebbe lamentato per uno zingaro in meno.
Un sudore freddo cominciò a imperlargli la fronte e un improvviso tremito lo scosse da capo a piedi.
No, non voleva…non poteva morire ora! Così, da solo. Senza nessun volto amico che lo consolasse, nessun compagno che gli facesse coraggio…Senza vedere per un’ultima volta sua moglie.
Voleva baciarla, gridarle quanto l’aveva amata e, perché no, versare qualche lacrima insieme a lei prima che le venisse strappata per sempre.

“Uscite, siete libero.” Il suo cervello, annebbiato dalla paura, impiegò qualche secondo a tradurre quelle parole pronunciate con fredda noncuranza.
Completamente stordito, lanciò uno sguardo interrogativo all’uomo, che intanto aveva aperto la cella ed ora gli faceva segno di seguirlo.
Koga, sempre più incredulo, si fece scortare in silenzio dai soldati fino all’uscita; sforzandosi di trovare una risposta plausibile a quel fatto inaspettato.
Fino a pochi minuti fa aveva creduto che la sua vita sarebbe finita di lì a poco; mentre adesso gli si offriva addirittura la libertà…e con una facilità a dir poco allarmante.
Perché?
Lo colse all’improvviso una strana inquietudine, ma si impose di ignorarla.
Giunto infine al cancello, ristette, dubbioso, per un momento; poi si volse verso l’uomo che lo aveva scortato. “Perché mi lasciate libero?”
“Andate via, signore. E non tornate mai più.” Gli rispose il soldato, dal cui tono traspariva una sorta di compassione.
“Vi prego, ditemelo. Cosa è successo? Lo devo sapere.” Insistette il demone, sentendo sempre di più l’angoscia che gli attanagliava il cuore.
“Se volete un consiglio,” Disse, esitante, il suo interlocutore. “prendete un cavallo, scappate il più lontano possibile, trovatevi un’altra donna e dimenticate tutto quello che è successo. Ormai non c’è più niente che possiate fare qui.”
Dopodichè gli sbatté in faccia il cancello senza tante cerimonie e se ne andò senza aggiungere altro.
Koga si pentì amaramente di aver formulato quella domanda.


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Due occhi d’ebano seguivano da una finestra la mesta figura allontanarsi con fare indeciso in direzione della città, voltandosi spesso, come se non riuscisse a decidere se dovesse continuare avanti o tornare indietro.
“Te l’ho detto che io mantengo sempre le promesse.” Asserì con voce atona Lord Langston, seduto compostamente su una grande poltrona dietro di lei, lanciandole una fugace occhiata.
La donna alzò i gomiti dal davanzale e si andò a sedere di fronte al demone, a braccia incrociate.
“Ed ora? Cosa hai intenzione di fare?” Chiese, con un sospiro.
“Quanta fretta che hai.” Rispose Sesshomaru, con un vago tono canzonatorio, chinandosi leggermente verso il tavolo davanti a sé e versandosi da bere. “Ci penserò con calma. Non voglio certo rovinarmi il divertimento per la tua impazienza.”
Rin ,a queste parole, non poté impedire che sulla sua faccia si dipingesse un’espressione di disprezzo così evidente che il demone fermò per un attimo il bicchiere a metà delle labbra per poterla osservare.
“Quanto mi odi.” Constatò, compiaciuto.
“Non sai neanche quanto.”
“Ma posso immaginarlo.”
“Credo proprio di si; visto che probabilmente il sentimento è reciproco.”
Lord Langston, a questa affermazione, tacque per qualche secondo, finendo di sorseggiare con calma ostentata il suo brandy; quasi stesse formulando nella propria mente una risposta altrettanto velenosa, per tapparle la bocca una volta per tutte.
“Il mio odio è un onore che concedo a pochi, zingara.” Asserì infine, enigmatico e, all’espressione interrogativa della donna, continuò. “Quello che provo poi la maggior parte delle persone è indifferenza o, al massimo, disprezzo. Tuttavia, se trovo qualcuno che è capace di smuovere in me un sentimento così forte come l’odio, non smetterò di dargli la caccia finché non l’avrò fatto a pezzi.
“Quindi,” Concluse lanciando alla donna un’occhiata feroce. “Prega di avere soltanto il mio disprezzo.”
“Non me ne importa niente del tuo disprezzo, del tuo odio o della tua indifferenza” Sibilò sprezzante la gitana, sostenendo con fierezza il tagliente sguardo del demone. “L’unica cosa che temo veramente è la tua pietà.”
“Di quella non devi preoccuparti.” Ringhiò Sesshomaru, in un tono così basso che solo Rin poteva a stento udirlo. “Non ne ho mai avuta per nessuno.”
Nel pronunciare queste parole giurò a se stesso che le avrebbe fatto scontare il suo comportamento insolente e avrebbe spento quel bagliore selvaggio e ribelle dai suoi occhi a qualunque costo e…con qualsiasi mezzo.
La gitana lanciò un’ultima occhiata in direzione della figura che, oltre la finestra, stava diventando sempre più piccola; mentre il sole morente la faceva risplendere di un fioco bagliore rossastro. Dopodichè si avviò verso l’uscita a testa alta, senza aggiungere una parola; sbattendo con rabbia la porta dietro di sé.





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Ringrazio nuovamente tutte quelle che mi commentano e mi scuso in anticipo se nelle prossime settimane non sarò puntuale con gli aggiornamenti.
Purtroppo gli appelli di dicembre incombono e sarebbe l'ora di mettermi a studiare per bene ^__^
Alla prossima,
Jessy

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Capitolo 8
*** Ayuda ***







CAPITOLO 8.


“Ayuda”




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“Per l'uomo non c'è altro inferno che la stupidità o la malvagità dei suoi simili”.


(De Sade)

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Koga, non preoccuparti per me: sto bene e presto sarò di nuovo con te.
Non cercarmi. Parti subito per Siviglia; io ti raggiungerò là.


Rin soffiò delicatamente sul foglio per far asciugare l’inchiostro fresco e, dopo aver riletto velocemente quelle poche parole, lo piegò in quattro e lo fece scivolare nel corsetto.
Non sapeva ancora come avrebbe fatto a farlo arrivare al marito; ma prima o poi le sarebbe venuta un’idea...almeno così sperava.
Un po’ si sentiva in colpa per avergli mentito ma si costrinse a non pensarci.
Lui avrebbe aspettato per giorni, mesi, forse anni una moglie che non sarebbe mai tornata.
Tuttavia, se quello era l’unico modo per metterlo al sicuro ed evitare che compisse una stupidaggine, - cosa che, dopotutto, aveva appena fatto lei – poco importava di averlo ingannato.
Avrebbe continuato a vivere, libero e salvo, ignaro del suo sacrificio e, forse, un giorno, si sarebbe dimenticato di quella donna scontrosa e testarda che mai era riuscita ad amarlo.
Sì, suo marito si meritava quell’ultimo e unico gesto di affetto che lei aveva voluto concedergli; del quale, per evitare un’inutile sofferenza, lui non avrebbe mai saputo.

“Rin!”
La porta della piccola e spartana camera che le era stata così magnanimamente concessa dal governatore, in sostituzione di una squallida cella nel sotterraneo, si aprì all’improvviso.
Davanti a lei apparve una trafelata e preoccupatissima Kagome seguita da un giovane sulla ventina dai lunghi capelli argentati e strane orecchie canine, che Rin non fece fatica a classificare come il fratello minore di Lord Langston.
“Buenos dìas.” Li salutò la gitana, alzandosi dalla sedia e andando loro incontro con un bel sorriso che le illuminava il volto abbronzato, felice di rivedere una faccia amica in mezzo a tanti nemici.
“Grazie a Dio stai bene!” esclamò la ragazza stringendole calorosamente le mani “Te l’avevo detto che era pericoloso; ma non mi hai voluto ascoltare! E’ un miracolo che tu sia sempre viva.”
“Fhe, un miracolo…” si intromise l’uomo che le stava accanto con le braccia conserte e lo sguardo duro “il vero miracolo sarebbe se riuscisse a uscire viva da qui! Mio fratello non l’ha uccisa subito perché probabilmente sta pensando al modo per fargliela pagare…e ti posso assicurare che ne conosce una vasta gamma, tutti ampiamente sperimentati.”
“Ti ringrazio di cuore. Adesso sì che il mio morale è più alto!” Replicò la diretta interessata, portandosi indispettita le mani ai fianchi.
“Ma è la verità.”
“Lo sapevo già, senza aver bisogno che qualche gentiluomo me lo ricordasse…signor?”
“Inuyasha. Inuyasha Langston.”
“Bene signor Inuyasha. Se sei venuto qua per dirmi cose che conosco perfettamente o per rimproverarmi di aver scatenato col mio comportamento l’ira di tua fratello, puoi anche tornare da dove sei venuto!”
“…ma…ma…Come diavolo ti permetti?” Ringhiò il mezzodemone, completamente stordito dall’insolenza disarmante di quell’umana “Cerca di avere un po’più di rispetto ragazzina, prima che ti tagli quella lingua velenosa con le mie man…”
“Adesso basta!” Gridò, esasperata, Kagome frapponendosi tra i due; per poi rivolgersi nuovamente alla donna. “Perdonalo Rin.” Disse in tono conciliante, ignorando volutamente lo sbuffo contrariato del marito “In verità siamo tutti e due preoccupati per questa situazione. Cercheremo di fare tutto il possibile perché Sesshomaru non ti faccia del male.
"Perché ti assicuro che questa situazione non giova a nessuno.”
“Capisco”
“Quindi” Concluse la giovane, con un tono mellifluo “L’unica cosa che ti chiediamo è di cercare di essere il più possibile tollerante con lui, per non indisporlo più di quanto non lo sia già.”
Rin volse alternativamente lo sguardo sui due; poi, dopo un lungo sospiro, rispose “D’accordo. Cercherò di fare del mio meglio.”
“Lo spero.” Sentenziò Inuyasha, lanciando un’occhiata dubbiosa verso la donna; dopodichè si avviò alla porta seguito dalla moglie.
Kagome lanciò un ultimo sguardo speranzoso all’amica e, mentre stava per varcare la soglia, la zingara l’afferrò all’improvviso per un braccio. Mentre le faceva segno di tacere, lasciò scivolare nella mano il breve messaggio che aveva estratto velocemente dal corsetto.
“Per mio marito.” Le sussurrò.
La fanciulla annuì seria, mentre nascondeva a sua volta il foglio nella casta scollatura del vestito.


**************


“Ahia, bastardo. Mi hai fatto male!” Esclamò Jakotsu con un gridolino effeminato, osservando indispettito il graffio fresco sul braccio che iniziava a sanguinare.
“Non è colpa mia se guardi il fondoschiena dei soldati mentre ci alleniamo, schifoso pervertito!” Lo rimbrottò Renkotsu, rinfoderando la spada.
“Questa è una sporca bugia!” Si difese il compagno, con fare innocente “A me piace solo il duchino Inuyasha e non lo tradirei mai con nessuno!”
“Peccato per te che sia sposato. Ma, per tua informazione, nella remota possibilità che mio fratello fosse attratto da persone del suo stesso sesso, ci penserei io stesso ad ammazzarlo con le mie mani.”
Una voce fredda e autoritaria li fece improvvisamente voltare.
“Buon giorno signore.” Ripeterono tutti e sette i dragoni all’unisono, chinando rispettosamente la testa.
Sesshomaru, impeccabile come sempre nella sua divisa blu scuro, li passò in rassegna uno per uno con sguardo freddo e distaccato; prima di prendere nuovamente la parola.
“Novità luogotenente?” Chiese, atono, volgendosi verso Bankotsu.
“No signore.” Rispose il giovane, avvicinandosi di qualche passo al suo comandante “A parte il fatto che stiamo morendo di noia. Nessuna uscita…nessun francese da sgozzare…le nostre armi stanno prendendo la ruggine!”
“Sto aspettando ordini dal generale. Senza il suo consenso non posso inviare nemmeno un uomo fuori dai confini di Jerez.”
“Si signore, perdonatemi.” Biascicò tra i denti il ragazzo, ormai del tutto insofferente a quella forzata inattività.
“Scusate mylord.” Azzardò Jakotsu, con un sinistro sorrisetto dipinto sul volto “Ma Jerez non è la città dove si radunano tutti gli zingari del paese?”
“Si, lo è. C’è il quartiere gitano più grande della Spagna a quanto ho saputo.” Confermò il governatore, non comprendendo da principio il perché della strana domanda “Cos’hai in mente?”
“Allora potremmo ammazzare il tempo facendo un po’ di sana pulizia, che ne dite?” Propose l’uomo, eccitatissimo all’idea di poter finalmente sentire l’odore di sangue fresco.
“Assolutamente no.” Tuonò perentorio Lord Langston, lanciandogli una dura occhiata ammonitrice che lo costrinse a chinare la testa per evitare quello sguardo che aveva il potere di metterlo così tanto a disagio “Ho già provveduto personalmente a far arrestare alcuni soggetti; ma non intendo tollerare che mettiate la città in subbuglio più di quanto non sia già! Per estirpare quelle feccia da Jerez bisognerebbe raderla al suolo; cosa che, al momento, preferirei evitare.”
“Perdonatelo comandante.” Si intromise Bankotsu, sentendosi responsabile davanti al Duca del comportamento del proprio sottoposto “Il fatto è che ci annoiamo a morte a stare qui fermi, a guardarci negli occhi tutto il giorno!”
“Già. Nemmeno una bella donna ad allietarci le giornate.” Concluse il ragionamento Mukotsu in tono viscido e maligno, spuntando da dietro il compagno e sfregandosi le mani con fare untuoso.
Sesshomaru tacque per un lungo istante, facendosi ancora più serio e portandosi una mano al mento con fare pensoso. Poi alzò gli occhi verso i suoi uomini che lo osservavano interrogativi; incuriositi dalla strana reazione del proprio comandante.
Bankotsu aprì la bocca per dire qualcosa; ma poi decise che forse era il caso di ascoltare cosa aveva da dire Lord Langston e si limitò a lanciare un’occhiataccia a Mukotsu, che arretrò spaventato di qualche passo.
“D’accordo.” Asserì infine Sesshomaru, in tono profetico “Domani sera, sul mio onore, sarà diversa da tutte le altre.”
Dopodichè si voltò e si diresse a grandi passi verso le sue stanze, complimentandosi mentalmente per brillante idea che aveva macchinato in pochi secondi.
Intanto, in lontananza, iniziava il lento e lugubre rintocco dei vespri.





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Capitolo 9
*** El Chantaje ***







CAPITOLO 9.

“El Chantaje”



“Ah! Manon, mi tradisce
il tuo folle pensier:
Sempre la stessa…
sempre la stessa […]
Io? Tuo schiavo,
e tua vittima discendo
la scala dell'infamia.
Fango nel fango io sono
e turpe eroe da bisca
m'insozzo, mi vendo...
L'onta più vile m'avvicina a te!
Nell'oscuro futuro dì,
che farai di me?”


(G.Puccini “Manon Lescaut”)






La gitana ascoltava in silenzio il ritmico rimbombo provocato dagli alti stivali di pelle del soldato che la stava scortando mentre si posavano con durezza sopra il consumato pavimento di pietra.
Rigirò tra le dita lo stano biglietto che le era stato recapitato quella mattina. Un invito a pranzo. Da parte del governatore.
Cosa diavolo poteva volere da le Sesshomaru?...forse mettere ancora alla prova la sua pazienza…magari l’avrebbe avvertita che aveva mutato d’avviso riguardo alla sorte di Koga…o forse era solo un riguardo che le veniva concesso grazie all’intercessione di Inuyasha.
Indipendentemente dalla risposta, lei era preparata al peggio.
Strinse i pugni e varcò decisa la soglia della sala da pranzo.

La stanza era molto spaziosa ma spoglia: alcuni quadri appesi alla mura e un imponente tavola di legno comprendevano tutto l’arredamento. L’atmosfera sarebbe stata eccessivamente opprimente se la parete all’apposto della porta non fosse costituita da un piccolo colonnato dal quale si intravedeva un delizioso giardinetto pieno di alberi da frutto, mandarini e limoni.
Rin si guardò per un istante intorno, smarrita; poi focalizzò lo sguardo sui presenti: la famiglia Langston al completo era seduta davanti a lei.
Sesshomaru la squadrò per qualche secondo con un’espressione strana, quasi stesse decidendo sul da farsi. Infine si alzò lentamente dalla sedia e, con fredda cortesia, l’accompagnò al proprio posto, aiutandola a sedersi; come voleva l’etichetta.
Inuyasha e Kagome non proferirono parola; ma si concentrarono sul loro piatto, lanciandosi di tanto in tanto un’occhiata tesa e dubbiosa.
“Allora, fate sempre queste belle riunioni di famiglia a pranzo?” Chiese Rin, sforzandosi di esibire un sorriso tirato, più per rompere il silenzio che per vera e propria curiosità.
“No…direi proprio di no.” Biascicò il mezzo demone appena finito di ingoiare il boccone “Di solito mio fratello è fuori con quegli altri pazzi assassini.”
Sesshomaru non rispose alla provocazione. Allontanò da sé il piatto con un gesto scocciato: detestava mangiare di fronte a qualcuno. La considerava una specie di debolezza, una cosa troppo…umana.
Afferrò il bicchiere pieno di vino fino all’orlo e lo portò alle labbra senza staccare gli occhi dalla donna. “Kagome, sei per caso andata in chiesa stamani?” Domandò Rin con particolare curiosità, cercando di non fare caso al demone che continuava a fissarla con una strana espressione.
“No…non sono neanche uscita dalla villa. Spero che Inuyasha mi accompagni oggi pomeriggio a fare un giro a Jerez. Non ne posso più di stare chiusa qui!” Rispose la giovane, intuendo a cosa si riferisse la sua interlocutrice: se si fosse recata in città avrebbe potuto consegnare la lettera a Koga.
“Sai, non dovresti disertare troppe volte la messa.” Obiettò l’altra, con una punta di disprezzo nella voce “Sennò andrai all’inferno come me…specialmente ora che gli inglesi sono stati così gentili e premurosi da ripristinare la Santa Inquisizione.”
“Potrebbe essere la volta buona che ti bruceranno sul rogo.”
Quella inconfondibile voce, fredda e profonda, che non riusciva a togliersi dalla mente, la scosse nel profondo; costringendola a voltarsi verso due pupille splendenti che la squadravano con feroce divertimento.
“Fra le tue grinfie e quelle dei preti non saprei proprio chi scegliere.”
“Io, al posto tuo, non avrei dubbi.”
“Per quello che mi importa del tuo pensiero…”
Sesshomaru tacque per un momento, non volendo continuare quell’inconcludente duello verbale. Non si scompose, né dette alcun segno di irritazione. Si portò nuovamente il bicchiere alle labbra con un gesto elegante e composto.
Non c’era alcun motivo di agitarsi: tra poco, in una sola volta, si sarebbe preso due brucianti vittorie su quella ragazzina impertinente.
Adorava sentire sulle labbra quella sensazione potere e se lo gustava con lentezza per cogliere ogni sfumatura del suo sapore, come si faceva con un buon bicchiere di brandy.

“Sai zingara,” esordì dopo qualche secondo di riflessione “oggi, per un qualche motivo che non so spiegarmi, mi sento particolarmente loquace…Perciò ti voglio raccontare una storia. Così, tanto per alzare il tuo livello culturale notevolmente basso.”
I presenti accolsero quelle parole con una sorpresa che sfiorava l’incredulità.
Inuyasha, preso completamente alla sprovvista, per poco non si affogò mandando di traverso un boccone che, solo grazie al tempestivo intervento della moglie, riuscì a buttare giù.
“U…una storia?” Balbettò Rin, basita.
Non poteva essere…doveva aver di sicuro sentito male.
“Si, esatto.” Rispose secco il demone, come se non ci fosse niente di strano nelle sue parole “Conosci Manon Lescaut?” *
“Non so chi sia.”
“Non ne dubitavo.” Osservò con un sospiro “Era infatti una domanda retorica.
“Comunque, per tua informazione, è un romanzo; la storia di una donna - Manon Lescaut appunto – bellissima ma avida, bugiarda e incostante. Di lei si era innamorato un giovane studente, De Grieux, povero ma buono e sottomesso dal carattere dell’amante.
“Scappano insieme a Parigi ma essa non fu mai capace di amare nessuno altro all’infuori di se stessa e, come era prevedibile, lo abbandonò dopo qualche tempo per diventare l’amante diversi uomini ricchi e disposti ad accontentare i suoi capricci…”
“Sesshomaru, ma che stai delirando? Dove vuoi andare a parare?” Brontolò scocciato il fratello, non riuscendo a capire il motivo di quella scena alquanto grottesca ai suoi occhi.
“Taci Inuyasha.” Gli ordinò, secco, il demone; per poi rivolgersi di nuovo alla donna “...Per farla breve; la donna viene fatta arrestare da uno dei suoi protettori ed condannata alla deportazione in America.
“Da ultimo muore nel bel mezzo di un deserto tra le braccia di De Grieux; il quale aveva deciso di seguirla, perdonandole i suoi tradimenti. Fu costretto a compiere ogni tipo di atrocità pur di rimanerle accanto: fino a vendere il proprio onore, la propria libertà per amore.”
“Molto commuovente.” Ammise Rin, con un gesto vago “Ma cosa c’entra?”
“Ti ricorda la storia di qualcuno? Specialmente riguardo al carattere della protagonista e del suo sciagurato amante…Davvero non ti viene in mente nulla?”
Rin strinse i pugni sotto il tavolo, cercando di controllare la sua agitazione.
“Dove vuoi arrivare?” Sibilò conficcando le pupille in quelle di lui.
In demone continuò a fissarla enigmatico; poi, senza distogliere lo sguardo, fece scivolare fuori dall’uniforme un pezzo di carta e, tenendolo tra due dita, lo mostrò alla donna con un mezzo sorriso trionfante.
Il cuore le mancò un battito.
“Allora, mia piccola Manon, quanto ancora continuerai ad ingannare il tuo povero De Grieux?”


“Come ha fatto a finire nelle vostre mani?” Boccheggiò Kagome, riconoscendo immediatamente la lettera che Rin le aveva consegnato il pomeriggio precedente.
“Ho fatto perquisire la vostra camera.” Rispose con noncuranza il diretto interessato.
“Come hai osato? Quella è proprietà nostra! E tu hai fatto entrare qualcuno a rovistare tra le nostre cose?!” Sbottò Inuyasha infuriato, alzandosi di scatto in piedi e sbattendo violentemente i pugni sul tavolo.
“Intanto tutto questo palazzo è di mia proprietà e, dunque, io posso fare ciò che voglio in qualunque parte di esso.
Secondo: i vostri contatti con questa donna erano troppo stretti perché non potessi immaginarmi una qualsiasi alleanza a mio danno…”
“Lasciali perdere Sesshomaru!” Si intromise Rin, nel tentativo di proteggere gli amici dall’ira del governatore. “E’ tutta colpa mia. Loro non c’entrano niente!”
“I complici hanno la stessa responsabilità del colpevole.” Ribattè il demone, deciso a chiudere una volta per tutte quella imbarazzante situazione “Comunque, per vostra fortuna, ho deciso di sorvolare su questo spiacevole inconveniente…salvo mantenere in futuro eventuali riserve su qualche Caino che mi sono allevato in seno… ”
Nel pronunciare l’ultima frase lanciò un’occhiata ammonitrice verso il fratello; il quale storse offeso la bocca.
“Signor Langston.” Mormorò Kagome dopo un attimo di esitazione “Chiedo perdono se vi ho offeso in qualche modo; sappiate che non era nelle mie intenzioni. Volevo solo permettere a Rin di confortare il marito riguardo alle sue condizioni. Non pensavo fosse proibito.”
“Signora Langston.” Le rispose l’uomo, scandendo con tono severo ogni sillaba di quel cognome: quasi volesse sottolinearle la sua totale estraneità all’universo al quale i due fratelli appartenevano “Mi permetto di ricordarvi che le lettere dei prigionieri non possono uscire da questo palazzo senza il mio consenso. In più, a mio avviso, una ‘signora’ non dovrebbe prestarsi a ingrati doppi giochi, specialmente nei confronti di colui al quale deve la propria vertiginosa ascesa sociale.
“E comunque,” si affrettò a concludere per prevenire qualsiasi obiezione “la questione è chiusa. Non desidero tornarci più sopra.”
Ritenendo ormai finita la discussione, si affrettò a lasciare il suo posto a capotavola e si mosse in direzione della porta, facendo un rapido cenno alla gitana di seguirlo.
Kagome ricacciò indietro le lacrime di rabbia e strinse con forza la mano del marito, che le posò con dolcezza un rassicurante bacio sulla fronte.


**********************************************


La camera era immersa nella penombra. Una calda brezza di vento scivolò attraverso le imposte socchiuse, rendendo l’aria ancora più irrespirabile.
Rin, in piedi vicino alla porta, osservava distrattamente il demone togliersi la giacca con un gesto insofferente e arrotolarsi le maniche della camicia fin sopra i gomiti.
“Comunque era affascinante la storia che mi hai raccontato.” Ridacchiò la donna, sperando di instaurare una minima conversazione che potesse rompere quell’atmosfera surreale.
Sesshomaru continuò a tacere. Si slacciò i primi due bottoni della camicia, allontanando il colletto dalla pelle accaldata, e sfilò la spada che aveva appesa al fianco per gettarla sul letto.
La zingara non cercò di insistere…ma detestava quella sfiancante tensione che si veniva sempre a creare tra loro. Solitamente un momento di falsa quiete prima della tempesta.
Tuttavia questa volta non fu così.
“Scommetto ti stai chiedendo cosa voglia ancora da te, vero?” Le chiese infine Lord Langston, con un tono totalmente inespressivo, avvicinandosi di qualche passo. “Direi proprio di si. Non ti sei forse preso la tua bella vincita oggi?”
“Io non mi accontento di una banale vittoria ragazzina.” le sussurrò alzandole il mento con un dito e costringendola a guardarlo negli occhi “Io voglio il tuo orgoglio…Voglio vederti affranta, disperata, distrutta…voglio toglierti quella luce vittoriosa dagli occhi…Guardami…Io sono il tuo tormento, la tua ossessione…e ti toglierò anche l’ultimo, insperato briciolo di speranza.”
Rin stavolta non riuscì a ribattere.
Era affascinata, soggiogata, intimorita da quelle pupille talmente profonde da sembrarle di trovarsi sull’orlo di un abisso dorato.
“Dunque” continuò imperterrito il demone “stasera tu farai una cosa per me.”
“Cioè?” Domandò la donna con un filo di voce, cercando disperatamente di sottrarsi a quel fatale incanto.
“Tu ballerai davanti ai miei uomini e…a me.”
“Ballare? E perché mai?”
“Perché lo voglio Io.”
“E se mi rifiutassi?”
“Sai bene che se voglio riesco ad essere molto convincente…Ho il coltello dalla parte del manico zingara, non mi costringere ad usarlo.”
Rin deglutì a fatica.
Aveva la bocca asciutta. Si sentiva soffocare.
Anche quella volta…per l’ennesima volta doveva cedere.
“D’accordo demone, lo farò. Ti darò l’ennesimo soddisfazione se è questa la maggior aspirazione della tua vita…ma non finisce qui.”
“Questo è sicuro mia cara.”
“E cosa devo ballare, di grazia?”
“Che domande…” mormorò Sesshomaru, mentre una strana luce sinistra gli illuminò gli occhi per un breve istante “Ballerai il mio Trionfo e il tuo Requiem.”





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Manon Lescaut: Romanzo breve dell’abate Antoine-François Prévost composta nel 1731.

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Ringrazio di cuore lollyna, crilli, ran ugajin92, MARTY_CHAN94 e tutte coloro che hanno la pazienza di leggere e commentare. Alla Prossima.



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Capitolo 10
*** Tormento y Deseo ***







CAPITOLO 10.


“Tormento y Deseo”




“Ma poc'anzi ti mirai
qual non ti vidi mai! […]
il tuo sguardo
che odio in me dardeggiava,
mie brame inferociva!”


(“Tosca”, Puccini)







Profumo…c’era profumo ovunque in quella piccola stanza, rischiarata solamente da un grande candelabro d’argento. Una dolce fragranza di vaniglia e lavanda, mista al sale di una lacrima che minacciava di scivolare giù dalle folte ciglia nere.
La donna si ripassò nuovamente le labbra, fino a renderle di un rosso acceso; come il vestito che le fasciava il piccolo corpo flessuoso, impreziosito da merletti di stoffa scura. I capelli corvini, così lucenti da sembrare umidi, erano legati ordinatamente dietro la nuca.
Prese la rosa, che aveva appena colto nel giardino, dal tavolo davanti a sé e la sistemò con cura dietro l’orecchio.
Si osservò per un lungo momento alla specchio con aria soddisfatta.
Perfetto…era tutto assolutamente perfetto.
Le labbra si dischiusero in un sorriso amaro: era strano come la vanità riuscisse ad affiorare solo quando era ad un passo dell’afflizione.
Perfetta.
Ogni cosa era assolutamente in ordine, come mai lo era stato in vita sua ed ogni difetto era stato abilmente celato dall’astuzia femminile.
Se quella notte l’aveva destinata alla sconfitta; avrebbe perso con dignità. Avrebbe messo un pizzico di fiele nel dolce calice della vittoria: poco, ma capace di guastare tutto il sapore.
Ma, d’altra parte, la vita è solo un grande inganno; dove sopravvive solo colui che riesce a mentire senza pentimento né remore. L’uomo è costretto ogni giorno della sua vita ad indossare una maschera diversa e, alla fine, neanche si ricorda più il suo vero aspetto.
Lei aveva sempre rifiutato con orrore questa logica; era stata e si era volutamente emarginata per questo principio.
Tuttavia nella vita a volte si è costretti a scendere a compromessi.
Ormai era tutto finito, tutto cancellato, tutto da rifare. La maschera era stata indossata, il sipario della vita si apre, le luci l’accecano, il brusio del pubblico la stordisce.
“Si va in scena.” Mormorò al suo riflesso allo specchio.
Afferrò il lungo scialle nero e uscì con passo sicuro.


******************


I riflessi rossastri delle torce illuminavano il giardino con una fioca luce tremolante; l’aria, pesante di umidità, penetrava dalle piccole fessure delle mura e le stelle brillavano luminose sopra lo strano spettacolo.
I sette dragoni erano seduti in cerchio, stranamente silenziosi, con gli occhi fissi su quella strana, gracile creatura davanti a loro.
Rin si guardò per un attimo intorno, smarrita: le sinistre espressioni dei suo spettatori la facevano sentire a disagio e la paura le appesantiva le gambe. I suoi occhi cercavano disperatamente quel volto che non riuscivano a scorgere; quell’espressione severa e austera che, per un qualche assurdo motivo, non riusciva a togliersi dalla mente.
Niente…Lui non c’era.
Perché?...Quella era la sua vittoria. Perché non era lì a godersela? Perché non era lì ad affliggerla con quella solita espressione trionfante, ad ossessionarla con le sue parole taglienti?
Fece scorrere lo sguardo in ogni direzione, col cuore in gola. Non poteva, non voleva iniziare senza di lui; voleva vederlo lì, davanti a lei ad ammirarla in silenzio; desiderava incrociare il suo sguardo in quella strana, pericolosa guerra.
Un improvvisa, soffocante folata di vento la fece tornare alla realtà.
Scacciò quello strano pensiero, quasi inorridita. Afferrò con rabbia il piccolo cembalo che aveva poggiato a terra ed iniziò la solita, antica danza.
Non si accorse che due pupille dorate la stavano osservando.


Sesshomaru era in disparte poco lontano, appoggiato a una colonna, dove la luce non poteva arrivare; aveva ogni muscolo del corpo in tensione e un’espressione cupa gli oscurava il bel volto pallido.
Quella sera voleva assaporarsi quello spettacolo in solitudine, senza che nessuno lanciasse delle occhiate curiose verso di lui, per cercare sul suo volto un qualcosa che non aveva alcuna intenzione di mostrare.
Quando sentì salire il ritmico suono dello strumento trattene per un attimo il fiato e si concentrò su quella piccola figura che si muoveva con naturalezza e semplicità sotto una luna minacciosa.
Si sentiva stranamente agitato e, cosa che lo faceva andare letteralmente in bestia, non sapeva il perchè.
Il suo sesto senso lo avvertiva che stava andando incontro ad un pericolo; al quale, per quanto si sforzasse, non riusciva a dare un nome.
Teneva fisso il suo sguardo su di lei…e non capiva.
Era una sensazione strana, nuova: era come se la vedesse per la prima volta.
In un attimo ogni cosa intorno a loro sparì; non c’erano più differenze tra loro, non c’erano più titoli, non c’erano più ricchezze, non c’erano più doveri.
Gli sembrò più vicina di quanto non era mai stata.
Più la osservava, la studiava e più si rendeva terribilmente conto che c’era qualcosa che la legava indissolubilmente a lui. Che questa cosa si chiamasse odio o desiderio, o entrambe le cose, poco importava.
Quella donna…quel piccolo corpo minuto…come poteva mettere anche minimamente in forse il suo immenso potere? Come faceva ad avere tutto questo ascendente su di lui?
Il solo pensiero di essere anche solo condizionato da lei lo faceva inorridire; lo spaventava più di quanto avrebbe mai ammesso a se stesso.
Lei ballava, e quei movimenti calcolati e sensuali, lo facevano sentire sempre più impotente; sapeva di non avere armi per affrontare quel genere di pericolo…a parte il suo orgoglio ferito.
La gonna cremisi si alzava e si abbassava al ritmo della musica. Le lunghe gambe abbronzate eseguivano, senza la minima incertezza, quella strana danza. Sul volto, leggermente contratto in un’impercettibile smorfia di disprezzo, spiccavano le carnose labbra rossissime. L’intera figura risplendeva eterea, irraggiungibile, enigmatica, sotto una luce irreale.
Il demone la osservava rapito. Più la sua mente gli gridava di salvarsi, più continuava a scendere lungo quel baratro nel quale lui stesso si era gettato.
La sua stessa vanità l’aveva spinto a intraprendere un gioco del quale, adesso, non riusciva più a tenere salde le redini.
Doveva fare qualcosa…doveva farla subito, prima che la situazione diventasse irrecuperabile.
Inspirò a pieni polmoni l’aria calda di quella notte: aveva un sapore di eternità.
Un ruggito rabbioso affiorò dalla gola.
Perché? Perché proprio a lui? Lui che si sentiva immune da quelle bassezze tipiche degli umani, Lui che non si sarebbe sognato mai neanche di posare lo sguardo su un creatura tanto infima, Lui che non aveva mai abbassato gli occhi di fronte ad una donna…
No, non era amore…non si poteva amare una donna del genere.
Ma era un desiderio muto, feroce, che lo dilaniava sempre più dolorosamente da dentro.
Quella strana sensazione, così fastidiosamente reale e forte non l’avea mai sfiorato in vita sua nemmeno per un attimo…a parte…si, forse…a parte con Lei
Ma era tutto diverso. Lei era l’opposto quella zingara, lei apparteneva ad un mondo molto più vicino al suo, lei rispettava ogni cosa lui rappresentasse...Lei era Lei e nessuna avrebbe mai preso il suo posto.
Chiuse lentamente gli occhi, rapito da ricordi che gli parevano vacui, sfumati come in un sogno.


Vide davanti a sé un corridoio lungo e scuro che sembrava non terminare mai. Lo conosceva bene: era quello del suo palazzo.
Avanzava sicuro in un silenzio irreale, rotto solo rumore dei suoi stivali che calpestavano il lucido pavimento di marmo nero mentre ai lati delle pareti antichi ritratti lo guardavano con severità.
Aprì la porta; mentre un profumo dolce e sensuale gli invase le narici.
Il tempo sembrava essersi fermato e tutto intorno a lui era confuso ed evanescente; come lo è solo ciò che si trova nel limbo dei ricordi.
Avanzando nella penombra intravide, sul proprio letto, i vaghi lineamenti di un corpo che conosceva ormai bene. La figura si alzò lentamente a sedere ed posò lo sguardo verso il nuovo venuto.
Non sapeva perché, ma quella voce musicale e profonda, dal tono quasi tragico, era impressa nella sua mente come un marchio infuocato; tanto che gli pareva di riconoscere anche le più impercettibili sfumature contenute in ogni singola parola che pronunciava.

-Siete Voi?-
-Si.-
-Vi stavo aspettando.-
-E non Vi stancate mai di aspettarmi?-
-Dovrei?-
-No…credo proprio di no.-

La donna tacque per un attimo, cercando di distinguere nell’oscurità l’espressione sul volto del suo interlocutore; poi, riprese nuovamente la parola: ma ormai la voce era quasi un sussurro.

-Lord Langston…secondo Voi l’amore può durare per sempre?-
-L’amore non esiste, Kagura, lo sai bene. E’ solo un’invenzione dei poeti.-
-E la passione?-
A quella domanda non rispose subito; ma lasciò che calasse tra loro uno strano silenzio interrotto solamente dal ticchettio di un vecchio orologio.
Poi dischiuse le labbra in uno strano, enigmatico sorriso.

-…Vedremo, mia cara…Vedremo…-

Nel pronunciare quell’ ultima frase, fece qualche altro passo avanti e, senza aggiungere una parola, si tolse la giacca e si sdraiò accanto a lei…



Sesshomaru riaprì di scatto gli occhi; quasi tentasse di riprendere faticosamente il controllo dei suoi pensieri.
Perché quel ricordo gli era tornato alla mente proprio adesso, mentre osservava quella zingara ballare? Perché tutte quelle sensazioni che aveva volutamente incatenato nel profondo della sua anima ora si stavano mano a mano liberando?
Doveva opporre un rimedio a quel fastidioso inconveniente, e presto...prima di perdere completamente il controllo della situazione.
Si voltò di scatto e se ne andò furioso, ancora prima la musica cessasse.
Quello spiacevole inconveniente doveva essere risolto ad ogni costo e lui era deciso ormai ad usare qualsiasi mezzo per nascondere al suo cuore la vergogna che lo torturava. Sì, avrebbe ottenuto ciò che desiderava…ma a modo suo.





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Capitolo 11
*** De Profundis ***







CAPITOLO 11.


“De Profundis”




“Past all thought
of right or wrong -
one final question:
how long should we
two wait, before
we're one?

When will the blood
begin to race
the sleeping bud
burst into bloom?

When will the flames,
at last, consume us?”


(The Phantom of the Opera)







La donna, seduta davanti allo specchio, poggiò al suo fianco una bacinella colma di acqua fino all’orlo e vi intrise un piccolo pezzo di stoffa. Ma prima si iniziare a struccarsi tornò ad osservare il suo riflesso nello specchio.
Quella sera lui non era venuto.
Quella sera, la sera delle sua rivincita, l’aveva lasciata sola.
Lui aveva vinto di nuovo.
Chissà cosa avrebbe pensato vedendola ballare in quello strana notte, chissà se l’avrebbe ammirata in quella effimera ma splendente veste di pizzo e sogno, chissà se l’avrebbe…desiderata?
Desiderata?
Si riscosse subito da quel sinistro pensiero…per l’ennesima volta.
Perché? Perché non riusciva a togliersi dalla mente quegli occhi dorati e profondi? Perché non era capace di smettere di sognare quell’espressione piena di disprezzo? Perché non poteva fare a meno di desiderare anche il minimo contatto con quell’essere che riusciva a farla sentire a disagio con il minimo sguardo?
In verità un’idea ce l’aveva. Ma ammetterlo sarebbe stato l’inizio della fine.
Così continuava a mentire a se stessa, come aveva sempre fatto.
Alzò nuovamente lo sguardi verso il suo riflesso; ma quello che vide le fece mancare un battito. Due lunghe pupille ferine dietro di lei la stavano osservando, imperscrutabili.
Rin si voltò di scatto col cuore in gola: Sesshomaru era in piedi sulla soglia della sua camera e stringeva nella mano la rosa che probabilmente le caduta durante la danza.
Non le era mai sembrato così bello: l’elegante vestito di stoffa scura, negligentemente aperto per metà, ed i lucenti capelli scompigliati che ricadevano sparsi sulle spalle e sulla schiena, gli davano un fascino ancora maggiore. Sembra uno di quei poeti romantici che osservano la propria opera in estatico silenzio, sconvolti da quella inaspettata bellezza.
“Cosa vuoi?” Chiese la donna, cercando di mascherare l’agitazione nella sua voce.
“Ci sono molte cose che vorrei…Ma per ora mi accontento di renderti questa.” Rispose, gelido, gettandole ai piedi il fiore.
“I tuoi desideri sono sempre così da poco?”
“Perché zingara? Tu che desideri hai?”
Il demone incrociò per un attimo lo sguardo con quello della gitana; poi chiuse la porta alle sue spalle e avanzò di qualche passo verso di lei.
La donna, vedendolo venirle incontro, si alzò di scatto dal piccolo sgabello con un gesto istintivo e gli si piazzò davanti a braccia conserte, piegando leggermente la testa con un sospiro.
“La libertà.” Sussurrò infine, rompendo quel silenzio che sembrava interminabile.
“Non ti riempire la bocca con parole della quali non riesci a comprendere nemmeno il significato, ragazzina.” La ammonì Lord Langston con tono duro.
“Io non so cosa vuol dire?! Proprio tu vieni a farmi la predica!...Tu che sei schiavo di una società bigotta e reazionaria! Tu che se schiacciato sotto il peso della tua stessa nobiltà! Tu che sei incatenato ad una polverosa etichetta e costretto a compiere sempre le solite azioni delle quali non riesci neanche a spiegarti il motivo!”
“Credi di essere così al di sopra del tuo prossimo da avere la presunzione di non essere soggetta alle leggi che governano il mondo?!” Tuonò il demone con rabbia, sentendosi ferito nell’orgoglio da quelle accuse “Allora lascia che ti spieghi io.
“Ogni persona su questa Terra è schiava. Certo, i padroni di volta in volta cambiano, ma il principio è il medesimo. E’ vero; io sono schiavo del mio orgoglio: ma lo sono consapevolmente e lo accetto come la legge che deve regolare la mia vita; è il perno intorno al quale ho voluto far ruotare la mia stessa esistenza.
"Invece tu sei inconsapevolmente schiva di quella sottospecie di anticonformismo deviato che chiami erroneamente ‘libertà’.
“Ma lascia che ti dica una cosa, zingara: la libertà non esiste. E’ solo un vuoto fantasma creato dai poeti per consolarci della nostra condizione…come l’Amore.
“Non farti ingannare dai poeti, zingara: è il loro mestiere creare sogni…è la loro gloria ingannare.
"Tu sei la serva delle tue stesse passioni: ti afidi a loro e da loro ti fai trascinare, credendo così di elevarti al di sopra degli altri; quando invece stai sprofondando sempre di più nel loro baratro.”
“Adesso basta, smettila!” Gridò Rin con tutta la forza che aveva nei polmoni.
Quelle parole erano come frecce avvelenate dritte nel cuore.
Lui…lui aveva spalancato le porte di un mondo che lei si era sempre forzata di non vedere. Le aveva mostrato una realtà che non aveva mai voluto né potuto prendere in considerazione.
Quello era sempre stato il suo universo…un universo che, per quanto instabile, aveva sempre illuminato la sua vita.
E quelle parole l’avevano sconvolto per sempre.

“Lo so…lo so..” Sussurrò quasi sull’orlo delle lacrime “Ogni Idea, anche la più nobile, è solo polvere nelle mani degli uomini. Tu hai mostrato una realtà che non ero capace, che non volevo ammettere a me stessa.
“Adesso, ti prego, prendi questa vittoria e lasciami sola. Ma, per favore, non portarmi via anche l’illusione per la quale vivo.”
Sesshomaru la osservò per un lungo istante; quel discorso così disperato e profondo lo aveva colpito. Dalla ferita che aveva aperto con le sue parole adesso poteva osservare gli angoli della sua anima più nascosti e veri.
“Perché ti comporti in questo modo?” Chiese in tono quasi più dolce “Perché fingi di essere una donna frivola e superficiale, quando invece non lo sei affatto?”
“Perché ho già sofferto abbastanza, Sesshomaru. La vita che mi resta è breve e voglio viverla in tranquillità. Chiedo troppo forse?” Rispose con un sospiro, ricacciando a forza indietro le lacrime.
“Che fai ragazzina? Ti apri col tuo nemico?” La canzonò il demone, con un’aria vagamente soddisfatta “Dovresti sapere che non è prudente mostrare il tuo lato debole a colui che odi…Mi hai chiamato addirittura per nome…”
“Io, odiarti?” Ribattè Rin con un sorriso amaro “Fammi il piacere. Sei troppo bello perché una donna ti possa detestare con tutto il suo cuore senza rimanere affascinata.”
“Ti stai forse innamorando di me?”
“Io non mi innamoro, demone. Al massimo desidero.”
“Allora siamo in due.”

La donna non seppe mai se pentirsi o meno di aver offerto su in piatto d’argento quel pretesto al suo nemico.
Senza che riuscisse a capire come si ritrovò le spalle contro il muro e due canini affilati che le premevano contro le labbra.
La gitana, quasi istintivamente, cercò di allontanare quel corpo che ora le pareva immenso; ma una forza selvaggia, alla quale non poteva opporsi, la costrinse ad avvicinarsi ancora di più.
Non sapeva più cosa fare, cosa pensare; le girava la testa, ogni cosa sembrava irraggiungibile e vana come in un sogno e le gambe tremanti rischiavano di abbandonarla da un momento all’altro.
Un voce lontana nella sua mente le gridava di non cedere proprio adesso, di ribellarsi a quella vergogna.
Ma ormai era solo un sussurro.
Stettero per un lungo momento fermi in quella posizione; le labbra erano immobili e i respiri si confondevano.
La donna si chiedeva perché…perché non continuava; perché dopo quella prima mossa non la costringeva completamente a cedere.
Lo desiderava; lo desiderava quel bacio con una ferocia che le faceva paura.
Poi capì.
Capì che rientrava tutto nel suo disegno.
Capì che aveva progettato tutto ancor prima di entrare in quella stanza.
Capì di aver perso di nuovo.

…Hai calcolato tutto, bastardo…

Ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. Era caduta in quella trappola fin dalla prima volta che se l’era trovato davanti, in quel giorno che ora le pareva così incredibilmente lontano.
Non se ne sarebbe mai liberata.
Non se ne poteva liberare.
Non se ne voleva liberare.

Eccoti la tua vittoria, prenditela…

Gli fece scivolare le braccia sopra le spalle e socchiuse lentamente le labbra, facendo passare con dolcezza la lingua su quelle di lui.
Il demone sorrise soddisfatto e le fece scivolare le mani sui fianchi, iniziando a slacciarle il corpetto. Si muoveva con calma, come se fosse una vecchia abitudine di cui ormai conosceva ogni segreto.
No, non aveva fretta: quello era il suo momento di gloria Anche se fosse stato per un’ora sola, voleva godersi l’attimo in cui la luce di quegli occhi fieri si sarebbe spenta per sempre. Voleva assaporare la disperazione con cui quel piccolo corpo caldo si sarebbe disperatamente abbandonato tra le sue braccia.
Aveva sofferto, aveva sopportato ogni sorta di sfida: adesso avrebbe avuto il suo premio.

Rin era completamente paralizzata: sentiva la schiena contro il muro diventare sempre più fredda, mentre la pelle a contatto con quella di lui bruciava terribilmente. Strusciò le dita tremanti sulla pelle diafana del demone fino a lasciare delle sottili strisce rosse.
Era quello che aveva sempre voluto.
…E aveva paura…
…Aveva inspiegabilmente paura…
Non sapeva esattamente di cosa, ma si sentiva come se fosse la prima volta. La gola era completamente secca, i muscoli tesi impedivano ogni movimento e qualcosa dentro di lei le diceva che stava facendo un enorme, tragico errore.
Socchiuse gli occhi, abbandonandosi tra le braccia di lui.
All’improvviso le apparve confuso nei ricordi il volto di Koga.
No, non si sentiva in colpa nei suoi confronti; si vergognava solo per se stessa.
Era tutto così diverso ora; i baci, le timide carezze di suo marito non avevano niente a che fare con la furia quasi primordiale di quel demone…era solo per questo che aveva ceduto.
Il vano dramma del suo orgoglio stava per giungere alla fine. E come sempre il destino aveva preso la sua vittima.

…Destino…Che antica bugia…

Ma, in fondo, scaricare le colpe su qualcosa di intangibile aiuta a non sentirne il peso e a non farci sopraffare dal rimorso.
La bocca del demone le scivolò sul collo.
Anche questa volta, come ogni volta, non avrebbe conosciuto l’amore.
La camicia cadde lentamente sul pavimento.

Sesshomaru si fermò per un attimo e, staccate le labbra dalla sua pelle, fece correre lo sguardo freddo e trionfante sul corpo della donna.
Rin si sentì terribilmente in imbarazzo: quelle pupille ferine, che la squadravano sinistre, le fecero quasi paura. Si sentiva indifesa, vulnerabile.
Per la prima volta una dolorosa sensazione di inadeguatezza si fece strada nel suo cuore, dilaniando anche l’ultimo briciolo di orgoglio.
Il corpo seminudo del demone, rischiarato da una morente luce rossastra, riluceva di una perfezione quasi fastidiosa.
Lei lo odiò ancora di più.
Allungò istintivamente la mano verso la candela.
“Niente luce mio caro Duca.” Sussurrò mentre soffocava la fiamma tra le dita.
“Non dirmi che ti vergogni di me.” La canzonò lui con voce roca.
“No.” Rispose la donna, tornando a baciarlo con una delicatezza provocante “E’ solo che non voglio vedere l’espressione sul tuo volto quando sarà tutto finito.”
Sesshomaru si concesse un sorriso soddisfatto prima di sollevarla senza fatica tra le braccia e adagiarla con delicatezza sul letto.

Non seppe mai se fu un sogno o frutto della sua immaginazione; ma per un attimo i lineamenti della gitana gli sembrarono incredibilmente simili a quelli di un fantasma del passato del quale non riusciva a liberarsi.




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Ringrazio ancora ran ugajin92, MARTY_CHAN94, ladyhellsing, lollyna, crilli e rosencrantz (allora? Quanto ci fai aspettare per la tua nuova fict? Non vedo l'ora di leggerla.)
Purtroppo la prossima settimana probabilmente salterò l'aggiornameto. A causa di questi maledetti esami non ce l'ho ancora fatta a buttare giù neanche un abbozzo.
Chiedo umilmente perdono ç__ç

Alla prossima, Jessy

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Capitolo 12
*** Indiferencia ***







CAPITOLO 12.


“Indiferencia”





“Il peggior peccato contro i nostri simili non è l'odio, ma l'indifferenza: questa è l'essenza della disumanità.”

(George Bernard Shaw)






La mattina successiva Rin si alzò tardi; aveva dormito poco e male, le doleva così tanto la testa che, quando vi passò davanti, non ebbe il coraggio di guardarsi allo specchio. Fece un lungo sbadiglio e cercò di stirarsi le membra indolenzite.
Immagini confuse e nebulose di quella notte continuavano a vorticarle nella mente. Non avrebbe saputo dire se avesse fatto la scelta giusta o meno; non se l’era ancora chiesto…e non aveva alcuna intenzione di chiederselo.
Fu un istante.
Rivide il suo viso a pochi centimetri da quello di lui.
Credette di poter ammirare di nuovo quella strana espressione; quegli occhi profondi che la osservavano dubbiosi, quasi smarriti; come se cercassero qualcosa in lei che non riusciva a comprendere.
Socchiuse le palpebre, rapida dal flusso inarrestabile dei ricordi. Le sembrò di sentire ancora sulla sua pelle il tocco bruciante sue delle dita; di poter di nuovo premere le sue labbra su quelle sottili e fredde di lui.
Strinse i pugni così forte da costringersi a tornare alla realtà.
Non doveva ripensare a lui; non poteva permetterselo. Non c’era mai stato posto per i sentimenti nel suo cuore e questa non avrebbe dovuto essere la prima volta: glielo impediva il suo orgoglio dilaniato dagli stessi artigli del demone e, soprattutto, la sua salute mentale.

Afferrò la gonna sul pavimento e se la fermò alla vita; poi si infilò velocemente la camicia e si agganciò il corsetto. Dopo essersi rassettata alla meglio uscì dalla camera e si diresse a grandi passi verso la sala da pranzo.


**************


La scena che trovò era abbastanza insolita: Inuyasha era seduta accanto alla poltrona dove Lord Langston stava leggendo il giornale. Entrambi avevano delle facce scure.
Kagome, seduta al tavolo a fare colazione, si voltò immediatamente verso di lei, accogliendola con un sorriso pieno d’affetto e la invitò a sedersi al suo fianco.
Rin, dopo un attimo di smarrimento, si accomodò accanto all’amica lanciando di tanto in tanto un’occhiata al demone; nella speranza di riuscire a captare sul suo volta un qualsiasi segno che potesse darle la sicurezza che anche lui non aveva dimenticato cosa fosse successo tra loro. Era agitata, non aveva la beanchè minima idea di come avrebbe dovuto comportarsi nei suoi confronti adesso.
Niente.
Sesshomaru era sprofondato dietro il suo giornale con un’espressione cupa e pensierosa che dava al bel viso un aspetto diverso dal solito e, da quando era entrata, non le aveva concesso che un fugace sguardo.

“Cosa è successo di tanto grave? Avete delle facce davvero poco rassicuranti.” Chiese infine la donna, dopo diversi minuti di attesa senza che nessuno osasse aprire bocca.
“I francesi.” Sospirò Inuyasha, staccando finalmente gli occhi dal foglio per voltarsi verso di lei. “Hanno affondato due nostre navi a Cadice.”
“E di che vi stupite? Pensate davvero di conquistare Cadice dal mare? E’ una roccaforte assolutamente imprendibile. E’ impossibile da attaccare anche per le vostre belle barchette, di cui andate tanto fieri.” osservò la gitana con un gesto vago.
“Non c’è niente di impossibile; soprattutto per noi Inglesi.” Tuonò ad un tratto il demone, incrociando per la prima volta il suo sguardo con quello di lei.
Le pupille d’ambra erano severe e taglienti come sempre…come se non fosse accaduto nulla tra loro.
Rin sentì che quell’apparente indifferenza le faceva male, la feriva molto più in profondità del suo orgoglio, in un punto pericolosamente vicino al cuore.
Lo sapeva che non sarebbe cambiato niente; se l’era ripetuto un’infinità di volte; così tante da convincersi che neanche a lei sarebbe importato niente di quello strano, paradossale rapporto che si era venuto a creare tra loro due.
Ma vedere la realtà fredda e crudele davanti ai proprio occhi era tutta un’altra cosa.
“Se questa è la modestia di tutti voi inglesi, spero proprio che con quelle due navi sia affondata anche un po’ della vostra presunzione.” Ribattè la donna, ferita più dal comportamento del suo interlocutore che dall’affermazione.
“Preferisci la ghigliottina dai Francesi, ragazzina?”
“Non so davvero cos’è peggio tra la ghigliottina e l’Inquisizione. Tutte le vostre parole vuote…tutti i vostri discorsi sulla libertà, sul progresso…Che cosa abbiamo ottenuto? Assolutamente niente se non un bel salto indietro!”
“Adesso basta!” Ruggì Lord Langston, accartocciando il giornale in un moto di rabbia “Ne ho abbastanza di te e delle tue stupidaggini! Se vuoi andare ad aiutare i francesi fai pure; io non ti costringerò certo a rimanere qui….Anzi, mi faresti solo un favore; così non avrò nessun rimorso quando ti ucciderò!”
“Si certo…come se adesso ne avessi.” Ribattè Rin, alzandosi di scatto dalla sedia e sbattendo i pugni sul tavolo.
“Per favore, smettetela.” Intervenne infine Kagome, preoccupata che la situazione potesse degenerare da un momento all’altro. “Litigare adesso non cambierà certo la situazione. Le tensioni tra l’Inghilterra e la Francia sono ormai insostenibili e Napoleone è una minaccia per tutta l’Europa…I vostri bisticci non serviranno a nulla!”
“Fermare Napoleone non è impossibile se lo si volesse davvero. Ed il problema sta proprio lì.” Constatò Sesshomaru, dopo un attimo di silenzio, sufficiente per riprendere pienamente il controllo di sé.
“Cosa vuoi dire?” Chiese ad un tratto il fratello con un’espressione stranamente preoccupata dipinta sul volto “Non starai insinuando che…”
“Io non insinuo…mi limito solo a constatare la realtà. E la realtà non è mai la più evidente né quella che ci vogliono far credere…”
“Speriamo non sia così. Con tutte le persone che stanno morendo in queste guerre, sarebbe una cosa terribile se venissero sprecate tante giovani vite solamente a causa di giochetti politici.”
“Tutte le morti nelle guerre sono inutili, Inuyasha;” Lo corresse il demone “Perché nessuno trarrà un qualche vantaggio dalla vittoria. Siamo tutti involontariamente coinvolti da quei giochi di potere che tanto disprezziamo.”
“E allora secondo il tuo ragionamento cosa dovremmo fare? Non c’è nessuna possibilità di salvarsi?”
“No, fratellino, non sono così pessimista. Una soluzione c’è ed è quella che seguo io: combatti solo per il piacere di combattere. Obbedisci agli ordini fino a che gli ordini ti aggradano e poi, quando ti sei stancato, lascia tutto e ritirati in una tenuta in Scozia a sorseggiare Barndy ed a ammirare le tue sterminate proprietà.”
“Però, che ragionamento complicato.” Ridacchiò il mezzo demone mentre si chinava a raccogliere il giornale, nel disperato tentativo di riuscire a finire di leggere l’articolo ormai ridotto ad un informe pallottola di carta.
“E’ inutile complicarsi la vita quando non ce n’è bisogno” Sentenziò il demone, alzandosi dalla poltrona per versarsi da bere “…o sperare in qualcosa che non potrà mai accadere.”
Nel pronunciare queste ultime parole lanciò una fredda occhiata verso Rin; la quale dovette stringere i pugni più forte che pote per impedirsi di saltargli al collo e tentare di strozzarlo. Ma, dopo un attimo di esitazione, si alzò di scatto dirigendosi verso la porta.
“Si dovrebbe anche avere il coraggio di prendersi la responsabilità delle proprie azioni.” Sibilò in direzione del demone, con tutto il disprezzo che provava in quel momento; poi uscì sbattendo rumorosamente la porta dietro di sé.
Kagome rimase per un attimo pietrificata, non riuscendo a capire il perché di quel comportamento; poi, dopo essersi lanciata una fugace occhiata col marito, si alzò anche lei dal tavolo e seguì l’amica senza neanche buttare giù il boccone che stava masticando.


**************


Inuyasha stette per qualche secondo in silenzio; poi si voltò verso il fratello, il quale stava tranquillamente sorseggiando il suo bicchiere con un’espressione trionfante che gli illuminava il volto di una luce sinistra, quasi inquietante.
“Sesshomaru, che le hai fatto?” Sospirò sconsolato; sperando che la risposta avrebbe fugato il dubbio che gli si era insinuato nella mente e che continuava a torturarlo.
Ma ciò che sentì non lo consolò affatto.
“Niente che lei non volesse.” Fu la lapidaria risposta del demone.
“Ti prego...non mi dire che…”
“Primo: non sono affari tuoi. Secondo:e anche se fosse? Non vorrai venirmi a fare la predica. Credo che tu sia l’ultima persona adatta a fare il puritano.”
“Non è il fatto di fare il puritano, fratellino” Lo contraddisse il mezzodemone, avvicinandosi a lui per poter guardarlo negli occhi “E’ solo che non vorrei finisse come l’altra volta… anche quella era iniziata allo stesso modo, se non mi ricordo male...e ti assicuro che ho buona memoria.”
“Fammi il favore, Inuyasha!” Sbottò Lord Langston, sbattendo il bicchiere sul tavolo in un attimo di rabbia, rischiando di farlo andare in pezzi “Non vorrai paragonare lei a una zingara!”
“Non credo che l’estrazione sociale di Kagura fosse il suo pregio maggiore; né il motivo per cui hai tanto sofferto per lei.”
Sesshomaru, al sentire quel nome che aveva disperatamente evitato di pronunciare, si bloccò per un istante; come se gli fosse stata appena data una notizia catastrofica.
“Lo vedi? Lo vedi che faccia fai solo a sentire il suo nome? Ci manca solo che inizi la stessa storia per un’altra!” Brontolò il fratello, con un gesto insofferente.
“Io non ho mai sofferto per una femmina” Si difese il demone, punto nell’orgoglio “e non ho nessuna intenzione di iniziare adesso.
“I ricordi di Kagura sono molto piacevoli; ma nulla di più. E’ stata solo una semplice infatuazione; che è finita velocemente come è iniziata.”
“Forse puoi riuscire a ingannare te stesso, Sesshomaru; ma io ti conosco troppo bene.
“E lo sai che ti dico? Tu non sei indifferente nemmeno a quella zingara! Perché lei invece di cascare ai tuoi piedi come fanno tutte, ti ha puntato un coltello alla gola; perché invece di amarti ti ha odiato…e perché, in fondo, non è così diversa da Kagura…non più di quanto tu voglia far credere.”
“Adesso basta, stai zitto! Un’altra parola e ti farò passare uno dei momenti più tremendi delle tua vita!”
Ruggì Sesshomaru, afferrando con rabbia il fratello per il colletto della giacca e conficcando lo sguardo nel suo.
“D’accordo, d’accordo…come vuoi. Ma adesso calmati.”
Balbettò il mezzodemone con voce strozzata; cercando di liberarsi.
Lord Langoston sospirò, cercando di riprendere il controllo; poi allentò la stretta e lasciò andare Inuyasha, il quale si sistemò meglio che potesse la stoffa sgualcita e si avviò verso la porta borbottando parole poco amichevoli in direzione del suo interlocutore.
“Lo sai che sei un pazzo assassino vero?”
“Suppongo mi sia stato rivolto in diverse altre occasioni questo epiteto.” Rispose il demone, con un mezzo sorriso “Comunque sappi, se ciò ti può far piacere, che solo tu e quella zingara riuscite, per un qualche motivo che non so spiegarmi, a farmi perdere sempre la pazienza.”
“Interessante.” Convenne il fratello, fermandosi per un attimo sulla soglia “Basta solo che non ti innamori di me.”

La porta si chiuse appena in tempo perché le innumerevoli offese che provenivano da dentro la stanza non passassero attraverso lo spesso legno di quercia e rimbombassero per tutto il corridoio.




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Capitolo 13
*** Confrontación ***






CAPITOLO 13.


“Confrontación”




“Il dolore infierisce proprio là dove si accorge che non è sopportato con fermezza. Poichè il ringhioso dolore ha meno forza di mordere l'uomo che lo irride e lo tratta con disprezzo.”

(William Shakespeare)






Il sole era al massimo del suo picco e risplendeva incontrastato nel cielo, infuocando la terra, già di per sé arida, con i suoi raggi accecanti. Era il momento della giornata in cui ogni attività si ferma per quelle poche ore in cui il calore è insopportabilmente soffocante.
Tutto intorno non c’era anima via. Un silenzio quasi surreale troneggiava in quella pianura semideserta; interrotto soltanto dal fruscio di una lucertola che passeggiava tranquilla su un isolato muretto a secco.
Ma, naturalmente, un vero inglese non conosce il significato della parola siesta.
Così, all’ombra di un pergolato leggermente ingiallito dall’arsura, la squadra dei dragoni al completo era intenta a discutere animatamente tra loro ed a scacciare le decine di zanzare che avevano avuto la stessa loro idea su dove andare a passare il pomeriggio.
Sesshomaru, seduto in mezzo a loro, stava controllando in silenzio l’affilatura della propria spada, indifferente agli sguardi misti di ammirazione e terrore che gli lanciavano di tanto in tanto i suoi sottoposti; i quali non riuscivano a comprendere come facesse a indossare con così elegante indifferenza la propria divisa, cucita apposta per il clima inglese, senza che una goccia di sudore gli scendesse sulla fronte.
“Allora, cosa c’è che vi turba così tanto?” Sospirò, infine, riponendo l’arma nel suo fodero.
“Niente signore.” Mentì Bankotsu, non volendo in alcun modo sperimentare l’ira del suo superiore per una stupidaggine.
“Ne dubito fortemente. Ma suppongo non sia nulla di tanto importante, per cui quale valga la pena di sprecare fiato.” Sospirò il demone, voltandosi verso di lui “Comunque ho una notizia importante per tutti voi. Quindi ascoltatemi e fatemi il favore di tacere.
“Stamani mi è giunta una lettera dal comando generale: nella prossime settimane verrà un ispettore, scelto dallo stesso Wellington, a controllare la situazione del territorio che ci è stato affidato.”
“Cosa?! E per quale assurdo motivo?” Sbottò Suikotsu, accompagnato da mugolii di protesta dei suoi compagni “Di che hanno paura? Non c’è niente da saccheggiare in questo posto povero e inutile a parte qualche capra!”
“Niente del genere. Sono normali controlli di routine; non c’è da preoccuparsi.” Li rassicurò il loro colonnello “Anzi, vi dovreste rallegrare visto che, con ogni probabilità, ci affideranno una missione. Ormai sono due mesi che siamo fermi qui ad ammirare l’arida pianura andalusa.”
“Speriamo che sia così.” Brontolò Bankotsu, accarezzando con affetto l’enorme alabarda che aveva posato accanto a sé “La mio povera Banryu sta prendendo la ruggine.”
“Ma c’era scritto nella lettera chi sarà l’ispettore?” Si intromise Mukotsu, con una urtante voce melliflua, sporgendo leggermente in avanti il suo corpo sovrappeso.
“No, non ancora; probabilmente lo comunicheranno a giorni.”
Un mormorio insofferente si alzò nel gruppo: erano tutti degli uomini abbastanza rudi e semplici; ma avevano un orgoglio smisurato, accompagnato a una grande considerazione delle proprie capacità. Dunque il fatto che qualcuno mandasse un ispettore a giudicarli li irritava sopra ogni cosa; e che questo qualcuno si chiamasse Wellington, poco importava.

Sesshomaru, urtato da quel borbottio fastidioso, stava per imporre il silenzio, quanto qualcosa attirò la sua attenzione.
Kagome, appena varcata la soglia, si stava dirigendo verso di lui a passo sicuro.
“Lasciateci.” Ordinò, asciutto, ai propri uomini, con un gesto imperioso.
I dragoni osservarono la nuova arrivata con aria perplessa mentre si affrettavano a eseguire gli ordini del comandante. Che strano, in tutto il tempo che erano al servizio del demone, li avevano visti scambiarsi si e no poche parole e solo quando era strettamente indispensabile. Chissà cosa stava succedendo di così grave da costringere la moglie di Inuyasha a cercare un dialogo con lui.
Quando anche l’ultimo degli uomini fu sparito oltre la porta, Sesshomaru si voltò verso la ragazza con sguardo severo.
“Ebbene?”
“Vorrei potervi parlare; civilmente se fosse possibile. Ormai credo sia indispensabile un chiarimento tra noi due.” “Io non sono altrettanto convinto che sia così indispensabile; ma se così desiderate…non sia mai che venga accusato di inciviltà; soprattutto nei confronti di una mia parente.”
Con fredda cortesia le offrì il braccio, che Kagome, dopo un attimo di esitazione, accettò malvolentieri.
Passeggiarono in silenzio, fino a che, passati sotto un massiccio arco di pietra color ocra, si trovarono in un giardino più grande; dove il continuo mormorio dell’acqua e la frescura dell’ombra rendevano l’atmosfera leggermente più piacevole.
“Signor Langston,” esordì finalmente la donna, dopo essersi fatta coraggio “io so che non vi piaccio…”
“Ne converrete con me che ho le mie buone ragioni.”
“Si, potevo comprendere le vostre iniziali riserve riguardo il mio matrimonio con vostro fratello; ma suppongo che a questo punto non ci siano più dubbi riguardo all’affetto che provo nei suoi confronti.”
“Mia signora; non credo proprio che qualche parolina dolce o qualche sorriso possano dissipare ogni dubbio.”
“Mio signore,” questa volta il tono della sua interlocutrice era leggermente più alterato “Sarebbe bastato il semplice fatto che io ho continuato a restare al suo fianco sebbene Voi vi siate rifiutato di renderlo partecipe della sua legittimi eredità!”
“Secondo il vostro ragionamento Io, quarto Duca di Hamilton, lascerei vivere mia fratello come un pezzente per punizione?!...Vi assicuro che se davvero avessi voluto punirlo, adesso voi due non sareste marito e moglie.”
“Allora dovrete imparare a convivere con l’idea che vostra cognata è una plebea ed è orgogliosa di esserlo!”
“No mia cara, Voi non siete più una plebea…ed è proprio questo che mi da tanta preoccupazione.”
“Credete sia inadeguata al mio ruolo?”
“No, al contrario. Credo che siate molto, molto furba; a dispetto della vostra aria da campagnola ingenua.”
“Sentite.” Sbottò esasperata Kagome lasciando il braccio del demone e mettendosi di fronte a lui per poterlo guardare negli occhi “Non mi importa cosa possiate pensare di me; fate pure ciò che volete. Ma lasciate che vi dica una cosa soltanto: che ci crediate o no io amo vostro fratello; l’ho amato ancora prima di sapere che fosse nobile, l’ho amato ancora prima che mi svelasse quanto immense fossero le sue ricchezze e potente la sua famiglia. Si, l’ho sposato dopo neanche un anno che ci conoscevamo. E sapete che vi dico? Lo rifarei…lo rifarei altre cento volte senza neanche pensarci…e lo rifarei anche se Inuyasha fosse la persona più povera del mondo!
“Un giorno, forse, anche Voi saprete cos’è l’amore. E quel giorno, quando non sarà più la vostra bellezza riflessa allo specchio ad affascinarvi, allora mi capirete.”
Sesshomaru la osservò in silenzio per un lungo istante: la sua voce…i suoi occhi…No, non stava mentendo.
Odiava doverselo dire; ma, lungi dall’ammetterlo, forse si era sbagliato riguardo quella donna.
“Se Voi state mentendo” sospirò sconsolato “vi devo fare tutti i miei complimenti per le vostre doti di attrice. Ma, se quelle parole corrispondono alla realtà, dovrei ritenere mio fratello davvero fortunato ad aver trovato una donna così fedele e padrona dei suoi sentimenti.”
“Io non sono padrona, sono solamente consapevole dei miei sentimenti.” Lo corresse Kagome, con un sorriso: ormai aveva imparato a conoscere il linguaggio di suo cognato e, da quell’affermazione, aveva capito di essere riuscita nella sua opera di convincimento.

Dopo essersi fatta i meritati complimenti, concentrò la sua attenzione di nuovo su Lord Langston: il demone avevo lo sguardo fisso su un punto indeterminato davanti a sé; aveva il volto pensieroso e un’ombra gli oscurava la solita scintilla che gli faceva brillare gli occhi.
“State pensando a lei?”
“A quale lei?”
“Accidenti signore, non credevo foste un Don Giovanni!” Ridacchiò la cognata, non riuscendo a trattenere la battuta.
“Molto spiritosa. Io vi chiedevo se vi riferiste alla vostra amichetta zingara o ad un’altra donna della quale, ne sono certo, mio fratello vi avrà sicuramente raccontato tutto ciò che c’è da sapere e anche di più. “Comunque, in entrambi i casi, la risposta è: non sono affari che vi riguardano.”
“Suvvia, colonnello; non siate maleducato. Io stavo parlando di Rin; non mi sembra vi siate comportato molto bene nei suoi confronti oggi.”
“Non credo di aver bisogno di ricevere lezioni di galanteria da Voi. Se l’ho fatto ho le mie buone ragioni.” Ribattè, secco, il demone; desiderando chiudere al più presto la questione.
“Ammetto che la questione non sia proprio edificante per Voi. Per questo, se fosse possibile, eviterei anche io di parlarne; ma suppongo non ne possa fare a meno. La signorina Rin era furiosa…e ne ha tutte le ragioni, a mio avviso.”
“Vi ha raccontato tutto?” Chiese Lord Langston, voltandosi verso di lei con aria incredula.
“No; ho intuito la situazione dalle ingiurie che urlava a squarciagola contro di Voi…il resto non è difficile indovinarlo.”
“Perdonatemi signora se affronto certi argomenti con Voi; ma vi voglia confortare il pensiero che non ho commesso nessun danno che possa farmi sentire anche un minimo in colpa per le mie azioni.”
“Questa non è una scusa, mio caro cognato.”
“Sentite,” sbuffò il demone, esasperato: affrontare certi argomenti lo irritava molto; se poi questi discorsi riguardavano la sua persona, la cosa lo faceva andare su tutte le furie. “Non ho fatto niente che nessuno dei due non volesse…anzi; la partecipazione della signorina – o meglio, signora, se si vuol essere pignoli – non è mancata. Dunque, non vedo quale sia il problema.”
“Il problema sta nel vostro comportamento nei suoi confronti il giorno successivo; alla vostra battuta di dubbio gusto e dal sapore rivoltantemente maschilista!”
“Suvvia, non pretenderete mica che porga le mie scuse a una zingara?”
“Forse dovreste” insinuò Kagome “ma credo che ormai sia troppo tardi.”
“Tardi? E perché mai? Si è già tolta la vita oppure sta studiando un altro maldestro piano per uccidermi?”
“Niente di tutto ciò, signore.”
“Allora cosa?”
La donna lo osservò per un istante, con uno strano sorriso sulle labbra; pronta a godersi l’espressione sulla sua faccia una volta che gli avrebbe dato la notizia.

“Rin se n'é andata.”

Non fece in tempo ad articolare l’ultimo suono che Sesshomaru era già scomparso dalla sua vista. Poteva solo sentire rimbombare in quei corridoi deserti un soffocato ringhio rabbioso.





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Ne approfitto per ringraziare tutte coloro che mi commentano ed augurarvi un buon Natale (un pò in ritardo) e un felice anno nuovo.
Un saluto, alla prossima e ancora grazie per la costanza e la pazienza con cui mi seguite.

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Capitolo 14
*** Venganza ***





CAPITOLO 14.


“Venganza”


“Que hiciste? hoy destruiste con tu orgullo la esperanza
hoy empañaste con tu furia mi mirada
borraste toda nuestra historia con tu rabia
y confundiste tanto amor que te entregaba
con un permiso para si romperme el alma” *


(“Qué Hiciste”, JLo)






Un mormorio confuso si mischiava con il ritmico rumore di nacchere e cembali che rimbombava tra le vecchie assi di quella povera osteria situata appena fuori dai dalle mura di Jerez.
Il nauseante odore di alcool scadente si innalzava sempre più insopportabile, mano a mano che il clima si faceva sempre più caldo, rendendo l’aria completamente irrespirabile. Sedie, tavoli, bottiglie di assenzio e acquavite giacevano sparpagliati per tutto il locale in un caos infernale; mentre gruppi di uomini, dai vestiti logori e dalle facce sinistre, discutevano animatamente tra loro.
Lord Langston aprì la porta con un gesto deciso e si mosse velocemente, senza la minima esitazione: come se conoscesse quel posto alla perfezione. Camminava a testa alta, non riuscendo a trattenere una smorfia piena di disgusto mentre si guardava intorno.
Era appena entrato nel rifugio di ogni malvivente della città.
Tutti i presenti si fermarono, incuriositi dal nuovo arrivato. Lo squadrarono con aria truce da capo a piedi, senza dire una parola: i suoi tratti inglesi, il colore delle pelle, la divisa straniera…tutto era un palese affronto a quello spicchio del loro mondo che era stato appena violato da quell’invasore inatteso.
Tuttavia Sesshomaru non vi fece caso: non era per loro che era lì; almeno non per questa volta. Ma continuò ad avanzare nel silenzio generale.

Ad un tratto due donne di staccarono dalla folla e si avvicinarono a lui con aria maliziosa, ridacchiando tra loro: erano entrambe molto giovani, dai tratti particolarmente piacevoli incorniciati da folti capelli mori.
Probabilmente erano zingare…o prostitute…
“O entrambe” pensò tra sé e sé, mentre le scrutava con freddezza.
“Qué quieres, soldado?” Gli sussurrò la più alta delle due, posandogli una mano sulla spalla e lanciandogli un’occhiata provocante.
Ma non ottenne risposta.
Lord Langston non aveva capito una singola parola della frase che era stata pronunciata. Certo, aveva intuito il palese invito che gli veniva rivolto da quelle espressioni sfacciate; tuttavia ciò non lo aiutava neanche un po’.
Sospirò, infastidito da quell’attenzione non richiesta; ma decise di sfruttarla.
“Conoscete una certa Rin?” Chiese testardamente in inglese.
Al sentire quel nome le due donne diedero segno di aver capito. Un’espressione delusa oscurò loro il volto e, con un gesto svogliato, gli indicarono una piccola porta, poco lontano da loro, seminascosta da delle ripide scale di legno che portavano probabilmente verso delle camere; dalla quale proveniva , quasi impercettibile, una musichetta allegra.
Il demone, senza pensarci su, si avviò a grandi passi verso il suo obiettivo con un’impazienza che neanche lui riusciva a comprendere.
Se qualcuno gli avesse chiesto perché proprio lui, un nobile rispettato e temuto in tutta l’Inghilterra, si abbassasse ad andare a riprendersi una lurida zingara in una bettola ripugnante, non avrebbe saputo cosa rispondere. Ma sentiva il bisogno di vederla di nuovo, di trascinarla con sé, di costringerla ad ammettere che lo amava, che non poteva vivere senza di lui…voleva di nuovo sentire sulle labbra quel dolce sapore di vittoria, voleva ancora offrire le sue lacrime in pasto al proprio orgoglio.
Questa strana, inquietante dipendenza lo spaventava, almeno quanto lo attirava inesorabilmente nel suo baratro.

Entrato nella stanza, si trovò innanzi una scena che minacciò di farlo montare immediatamente su tutte le furie: cosa che si era imposto di evitare, ad ogni costo.
Rin, in piedi sopra un tavolo proprio nel bel mezzo della stanza, danzava sorridente; mentre con il cembalo accompagnava i propri movimenti. Un folla di uomini la osservava estasiata, seguendo il ritmo del ballo con il battere delle mani.
Musica, risate, apprezzamenti grossolani si confondevano in un’orgia insopportabile per i sensi di Lord Langston; il quale rimase per un lungo istante a fissare quello spettacolo, quasi grottesco ai suoi occhi.
Sentì una strana sensazione infiammargli il sangue, una sensazione che aveva provato forse solo un’altra volta nella sua vita: gelosia.
No, non era gelosia per la donna; ma per la sua proprietà, per il giocattolo che gli era stato strappato dalle mani. Ed ora era corso a rivendicare la sua proprietà ed a riprenderne possesso.

Ad un tratto la zingara, con la coda dell’occhio, intravide dei lineamenti che le erano familiari.
Quando focalizzò la figura che stava in piedi davanti a lei, non riuscì a trattenere un’espressione mista di stupore e terrore che le oscurò il volto.
Gli uomini intorno a lei, accortisi di quel cambiamento, volsero verso lo straniero dei cupi sguardi minacciosi e portarono istintivamente le mani alle armi.
Sesshomaru non sembrò preoccuparsi minimamente di quella reazione; non staccò neanche per un attimo lo sguardo duro e profondo dalla donna.
“Cosa vuoi ancora da me?” Sibilò tra i denti la zingara, fermando improvvisamente la sua danza e portandosi le mani ai fianchi, con espressione di sfida.
“Voglio che tu mi segua; subito e senza fare storie.” Mormorò il demone, con un tono che non ammetteva repliche.
“No.” Rispose testardamente la donna.
“Tu mi seguirai ragazzina, dovessi trascinarti a forza fuori da questa bettola con le mie stesse mani.”
“Ho detto di no! Perché non la smetti di perseguitarmi? Perché non mi lasci in pace?! ”
“E tu perché sei fuggita?”
“Sono scappata da quella casa maledetta perché non volevo trovarmi mai più davanti agli occhi il tuo brutto muso, il tuo sguardo pieno di disprezzo, quella tua maledetta aria di superiorità…ti basta o devo continuare con l’elenco?”
“Devo dedurre che la mia battuta ti ha ferito molto più in profondità di quanto avessi creduto. Non pensavo fossi così sensibile…o così innamorata di me…”
Rin a quelle parole sentì la rabbia salire, sempre più incontrollabile; saltò giù da tavolo e, facendosi spazio tra la folla che la osservava attonita, non capendo una sola parola che veniva pronunciata dai due giovani, si diresse verso il demone; finché non gli fu faccia a faccia.
“Io? Innamorata di te?” sussurrò minacciosa “Chi ti credi di essere, Duca? Non so a quale pazza è toccata questa infelice sorte; ma, se mai è accaduto, la compiango con tutto il mio cuore.
“Pensavo fossi un gentiluomo…invece tutto quello che vedo davanti a me è un lurido verme narcisista!”
Non fece in tempo a finire di pronunciare quell’ultima offesa che Sesshomaru la afferrò di scatto per un braccio, piantandole le unghie nella carne.
“Sempre meglio di una puttana da due soldi.” Ribattè, feroce.
“Se avessi saputo che questa era la tua vera faccia, mio caro lordino, avrei preferito concedermi al più schifoso dei criminali presenti qua dentro che a te…Se mai dovessi confessarmi in punto di morte, ecco, quella sarebbe l’unica cosa di cui mi pentirei!” Sbottò, esasperata la donna, con tutto il disprezzo di cui fosse capace.
“Certo..come se tu ti fossi concessa a me per le mie qualità interiori. Chi vuoi ingannare, ragazzina?!”
“Hai già avuto quello che volevi. Perché adesso non mi lasci in pace e sparisci per sempre dalla mia vita?...E magari se togliessi anche la mano dal mio braccio sarebbe perfetto; mi stai facendo male!”
Un sorriso sinistro per un istante illuminò il volto del demone di una luce inquietante.
“Credi davvero sia possibile che, dopo tutto quello che mi hai fatto, io ti lasci in pace? Adesso verrai con me e ti assumerai le tue responsabilità…stai tranquilla che ti farò pagare tutte le tue offese con gli interessi. E questa volta la tua amichetta e mio fratello non ti saranno di aiuto.”
“Non ti seguirò neanche morta!” Continuò testardamente a opporsi la gitana.
Lord Langston tacque per un attimo, volgendo lo sguardo verso i compagni della donna; i quali adesso avevano snudato le armi e si avvicinavano furiosi verso l’intruso, decisi a fargli pagare cara la sua sfacciataggine.
“Tu mi seguirai, Rin;” questa volta il tono era pericolosamente grave “o i tuoi amichetti faranno una brutta fine.”
“Siamo arrivati addirittura ai ricatti?”
“Anche peggio se non ti decidi. La mia pazienza ha un limite che sta per essere superato.”
La donna si voltò verso quegli uomini che ormai li avevano circondati e diede alcuni ordini che il demone non riuscì a comprendere; ma dovettero essere molto efficaci visto che tutti si arrestarono all’istante e abbassarono le armi.
“Ecco fatto.” Disse infine la zingara, tornando a guardare il suo interlocutore “Adesso guai a te se una sola goccia di sangue bagnerà questo pavimento.”
“Brava, vedo che quando vuoi riesci ad essere molto ragionevole.” Constatò Sesshomaru, porgendole il braccio con un’ espressione soddisfatta.
Ma in un istante la soddisfazione si trasformò in una smorfia di dolore ed un ruggito sordo gli morì nella gola.

Un colonna di fumo bianco si alzò dietro di lui mentre il proiettile gli penetrava la carne all’altezza del cuore e usciva dalla parte opposta, andandosi a conficcare nel muro.
Rin osservò inorridita un fiotto di sangue che le schizzò all’improvviso sulla camicia bianca, lasciando una lunga striscia rossastra e le iridi dorate del demone che la osservarono sofferenti e profonde per un attimo che le sembrò eterno, mentre pian piano si spegnevano.
Si slanciò avanti, cercando di sorreggere il corpo inerte che si stava accasciando al suolo: non si era mai accorta di quanto fosse grande…ma adesso le sembrava immenso.
Completamente sopraffatta da quel peso che le sue esili braccia non riuscivano a sopportare, si inginocchiò lentamente, tenendo istintivamente stretta al seno la testa di quello che fino a un attimo prima era stato il suo nemico, come se volesse proteggerlo.
Osservò sconvolta le proprie mani, ormai lorde di sangue, non riuscendo a rendersi conto di cosa fosse successo. Alzò sperduta lo sguardo nella direzione in cui era partito il colpo.
Immerso in un insopportabile odore di polvere da sparo stava un giovane alto, dai lunghi capelli corvini e dai lineamenti del volto delicati ma regolari; il quale teneva ancora saldamente la pistola in mano, come se si aspettasse da un momento all’altro di doverla usare di nuovo.

“Koga…” Balbettò la donna, con una voce che riuscì a stento a riconoscere come sua.





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* “ Che hai fatto? Oggi hai distrutto con il tu orgoglio la mia speranza
Oggi hai appannato con la tua furia il mio sguardo
Hai cancellato tutta la nostra storia con la tua rabbia
E hai confuso il tanto amore che ti davo
Con un permesso per strapparmi l’anima.”


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Capitolo 15
*** Llanto para una inocencia perdida ***






CAPITOLO 15.

“Llanto para una inocencia perdida.”




“Io, in quel tempo, mi sono tuffato, mi sono immerso in questo mare agitato della vita, ne ho percorso tutti gli abissi.
E’ troppo tardi: per me il vizio è stato un abito, adesso si è incollato alla mia pelle.”


(Musset.)






La città era sempre avvolta dalle tenebre e delle stelle spente si avviavano con la lentezza di una marcia funebre verso il tramonto. Solo in lontananza, all’orizzonte, si iniziava a intravedere il cielo tingersi di un chiaro colore viola che preannunciava l’alba imminente.
Il vento era caduto e una pesante aria arroventata si faceva largo tra le povere costruzioni di legno e pietre dipinte di bianco: tutto intorno regnava un torpore quasi innaturale.
Sesshomaru aprì faticosamente gli occhi: le membra indolenzite si rifiutavano testardamente di rispondere ai suoi impulsi e la tempie pulsavano così forte da procurargli un fastidioso dolore. Cercò di richiamare tutte le forze che gli erano rimaste e di tirarsi su sui gomiti, in modo da poter capire dove si trovasse; ma ricadde subito a terra.
Imprecò mentalmente contro quello zingaro che aveva osato piantargli una pallottola nel petto; non sapeva dirsi come avesse fatto a salvarsi dal probabile linciaggio da parte di quegli avanzi di galera nella taverna, ma di una cosa era certo: gliel’avrebbe fatta pagare cara. Non appena fosse stato in grado di reggersi in piedi, l’avrebbe cercato in ogni angolo della città e, una volta scovato, l’avrebbe fatto a pezzi con le sue stesse mani, senza preoccuparsi di usare le armi.
Fece scivolare una mano all’altezza della ferita: sentì che era stata fasciata. L’odore del disinfettante ancora impregnava l’aria…probabilmente non era molto che l’avevano portato lì.

“Allora ti sei svegliato.”

Il demone strinse istintivamente i pugni, tendendo per quanto gli fosse possibile ogni muscolo del corpo, pronto ad affondare gli artigli nella carne dell’intruso. Ma il profumo dolce che gli invase le narici lo tranquillizzò.
“Cosa vuoi?” Chiese freddo, cercando nella penombra di distinguere i lineamenti della donna messi finalmente in risalto dalla luce di una piccola lampada ad olio che teneva in mano.
“Potresti essere più gentile, visto che ti ho salvato la vita.” Rispose indispettita Rin, inginocchiandosi acconto a lui per esaminare la ferita.
“Sei stata tu a salvarmi?”
“E chi altro si prenderebbe la briga di salvare un bel soggetto come te, se non una stupida come me? Dopo quello che mi avevi detto la tentazione di lasciarti lì agonizzante a farti linciare da una decina di banditi inferociti era forte, ma non l’ho fatto.”
“E con quali interessanti argomenti avresti convinto quella brava gente?”
“Semplicemente ho fatto loro notare che se ti avessero ucciso gli inglesi avrebbero messo a ferro e a fuoco tutta la città pur di trovare l’assassino di un personaggio importante come te. E questo, per il bene di tutti, sarebbe meglio evitarlo.”
Sesshomaru alzò lo sguardo per incrociare quello di lei.
In cuor sua sapeva che quello non era l’unico motivo per il quale la zingara lo aveva salvato; tuttavia le era grato di non averne parlato, forse per vergogna, forse per orgoglio.
Non sapeva il perché, ma il solo pensiero di dover affrontare una conversazione del genere con lei lo metteva a disagio: non sarebbe stato capace di dare alcun giudizio, visto che lui per primo aveva bisogno di fare chiarezza nella sua mente.
La discussione che aveva avuto con suo fratello poco tempo prima gli aveva aperto gli occhi su una realtà che non sarebbe mai riuscito a prendere in considerazione di sua spontanea volontà, tanto il suo orgoglio glielo impediva: quella zingara non gli era indifferente. Certo, il suo sentimento era molto lontano da essere classificato come ‘amore’; ma già il fatto che provasse nei sui confronti un qualcosa che non fosse classificabile come odio, disprezzo o repulsione era di per sé un notevole inconveniente.
Tuttavia in quel momento la priorità era eliminare un grosso, fastidioso problema.

“Tuo marito?” Domandò Lord Langston in tono volutamente indifferente, mentre Rin lo aiutava ad alzarsi a sedere.
“Mio marito cosa?”
“Spero che sia soddisfatto della sua impresa…Non è da tutti avere il coraggio di colpire un uomo alle spalle. Un impresa davvero cavalleresca.”
“Se cerchi la cavalleria, Duca, hai sbagliato completamente posto.” Ribattè la donna con un sorriso amaro.
“Vorresti giustificare quello che ha fatto? Vorresti difendere quel codardo che per poco non mi ha ucciso a tradimento?” Ringhiò il demone, mentre una strana sensazione, pericolosamente vicina alla gelosia, gli infiammava il sangue.
“Quel codardo, cioè mio marito, ha tentato di ucciderti per difendere me.”
“Quindi a tuo avviso sarebbe un gesto degno di lode?!”
“Koga voleva salvarmi e di questo gli sono riconoscente. Il fatto che abbia sparato a te è un’altra faccenda!”
Sesshomaru strinse i denti, cercando di trattenersi dal commentare con espressioni colorite le parole della zingara. Incrociò le braccia, indispettito, e si impose di non rivolgerle più la parola: se la sua ammirazione per quello straccione era così grande, che rimanesse pure con lui!
“…E comunque” continuò Rin con un sospiro, mentre si assicurava che la ferita non si fosse infettata, srotolando con delicatezza le bende e avvicinando il lume al petto ancora dolorante “non vedo quale sia il problema. Non credo che tu sia così interessato ai miei sentimenti da preoccuparti di cosa possa pensare…”
“Perché dici così?”
“Perché?!” Sbottò la donna alzando di scatto la testa e conficcando le sue pupille in quelli di lui, irritata da quella domanda così ovvia “Forse perché tu sei stato così galante da avermi dato esplicitamente della puttana?! Se avevi dei dubbi sulla mia moralità potevi benissimo evitare di fare quello che hai fatto…adesso devi solo tacere!”
Quell’espressione cupa che le velava gli occhi, la rendeva ancora più affascinante agli occhi del demone e al tempo stesso lo faceva sentire a disagio. Sapeva di averla ferita e il peggio è che lo aveva fatto senza un motivo evidente: solo per una sorta di sadico divertimento che, alla fine, si era ritorto contro di lui.
Proprio adesso che finalmente era riuscito a spegnere quella fiamma vittoriosa e ribelle nel suo sguardo, si sentiva insoddisfatto, deluso: per un capriccio aveva conficcato quell’arma a doppio taglio anche nel suo petto ed ora ne scontava le conseguenze.

“Perdonami.”

La parola fuggì istintivamente dalle labbra di Sesshomaru che, nel pronunciarle, riuscì a fatica a classificare quella voce come sua. Si maledisse mentalmente per quell’imprudenza; ma, in fondo, sapeva di aver fatto la cosa giusta.
“Credo di averti già perdonato nel momento stesso in cui mi sei caduto tra le braccia grondante di sangue…nel momento in cui ho creduto di perderti.” Sussurrò lei con un mezzo sorriso.
Un silenzio imbarazzato calò nella stanza, mentre la donna finiva di ispezionare con cura la ferita. Vi passò sopra un panno intinto di disinfettante, stando attenta a non premere con troppa forza affinchè non si riaprisse e la fasciò nuovamente con delle bende pulite. Compì l’operazione lentamente; il volto, contratto in un’espressione concentrata e seria, non lasciava trasparire alcun sentimento.
Lord Langston seguiva in silenzio i suoi movimenti; dubbioso su come si sarebbe dovuto comportare. Sebbene ella fosse inginocchiata acconto a lui, la sentiva distante, persa in pensieri lontani che non gli permetteva di decifrare.
Voleva scuoterla, voleva che tornasse ad essere la Rin di un tempo: quella che gli urlava contro tutto il suo disprezzo, quella che gli lanciava contro parole velenose, quella che lo sfidava con una sfrontataggine mai vista in una donna…Si ripromise che lo avrebbe fatto…a qualunque costo.
La afferrò all’improvviso per un braccio e l’attrasse a sé, senza una parola. La donna non fece in tempo a capire cosa stesse succedendo che la bocca del demone si era già impossessata della sua.
“…non ora…potrebbe arrivare mio marito…” riuscì solo a sussurrare mentre lui le passava la lingua sul collo, per poi risalire di nuovo verso le labbra; ma ormai la ragione era relegata in un angolo del suo cervello dove non poteva far sentire la sua voce.
In un attimo si ritrovò distesa sul freddo pavimento di pietra.
Sesshomaru, costringendosi a ignorare il dolore che si stava facendo mano a mano più lancinante, continuava a baciarla con una dolcezza che la volta prima aveva accuratamente evitato. Fece scivolare una mano sotto la lunga gonna di un rosso acceso e risalì con lentezza lungo le gambe, assaporando ogni centimetro di quella pelle abbronzata e liscia, nonostante le poche cure che la povertà imponeva.
All’improvviso un rumore di passi gelò loro il sangue.
“Koga!” Balbettò terrorizzata la gitana che con poca delicatezza spinse Lord Langston a lato , il quale protestò con un lamento sofferente, e si sbrigò a rassettarsi “Muoviti! Mettiti a letto e fai finta di dormire! Hai capito? Non spiccicare parola qualunque cosa dica e lascia fare a me!”
Il demone, da parte sua, era troppo occupato a sopportare il dolore per aver la forza di protestare; anzi, le fu immensamente grato quando poté posare la testa sul cuscino e sdraiarsi comodamente.

La donna fece appena in tempo ad alzarsi in piedi che la porta si aprì di scatto e il marito entrò con passo deciso. Aveva sempre la pistola appesa alla cintura e uno sguardo rabbioso.
“Sta sempre dormendo il bastardo?” Chiese, duro, lanciando un occhiata nella penombra davanti a sé, per poi voltarsi verso la moglie “Ancora non ci posso credere che tu lo abbia voluto salvare a tutti i costi…si meritava di morire tra atroci sofferenze quel maledetto…dopo tutto quello che ci ha fatto passare!”
“Amore smettila, ne abbiamo già discusso a sufficienza.” Civettò la donna, in tono dolce “Lo sai che questa è la cosa migliore da fare; su, adesso calmati e sta’ buono.”
Il demone stette a guardarla per qualche istante poi, sospirando, le passò un braccio intorno al collo e le posò un bacio sulle labbra; ormai rassegnato mettere forzatamente a tacere la sua rabbia.
Intanto Sesshomaru, riuscendo a discernere tra le tenebre quello che stava accadendo, sorrise soddisfatto: in fondo la sua vendetta su quello zingaro se l’era già presa…e che vendetta! Il solo pensiero che quello straccione stesse poggiando la sua bocca su quelle labbra che fino a pochi secondi prima stavano baciando lui, lo riempiva di una gioia quasi infantile, ma crudele.
Rin, da parte sua, si sentiva un po’ in colpa per il suo comportamento; in fondo quell’uomo l’amava sinceramente e l’avrebbe coraggiosamente protetta contro qualsiasi pericolo. Ma il suo egoismo, del quale non si vergognava affatto, le impediva di andare più in là della muta compassione.
Ormai aveva deciso, come sempre, di dare ragione al suo istinto: avrebbe seguito la strada più attraente, ma più pericolosa e, come sempre, si sarebbe presa di buon grado ogni responsabilità.
“Adesso vai,” Sussurrò al marito, con un sorriso ammaliatore “aspettami alla taverna con gli altri. Io finisco di sistemare qua e ti raggiungo.”
Koga ristette, un po’ incerto se fosse saggio lasciarla sola con un demone; ma, ripensando alla gravità della ferita che gli aveva inferto si tranquillizzò e, dopo averle posato un altro bacio, questa volta più lungo, se ne andò in silenzio.

“Tutti i miei complimenti, le tue doti di attrice sono davvero notevoli.” Scherzò il demone alzandosi faticosamente a sedere, una volta accertatosi che il suo rivale se ne fosse effettivamente andato.
Ma la donna non lo stava ascoltando: camminava concitata su e giù per la stanza sempre più rischiarata dai timidi raggi del sole nascente; ora si affacciava alla finestra, ora apriva la porta controllando che non ci fosse nessuno nei paraggi.
“Rin, che stai facendo?” Chiese infine Lord Langston, infastidito da quei movimenti concitati.
Per tutta risposta la zingara gli tirò in faccia i vestiti, ancora sporchi di sangue, limitandosi solo a dire “Vestiti, svelto!”
Sesshomaru stette per un attimo fermo, continuando ad osservarla con aria interrogativa.
“…e per quale motivo, di grazia?” Le domandò serio.

“Scappiamo.” Gli rispose con semplicità, come se fosse una cosa da niente.





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Allora, direi che arrivati a questo punto urge un piccola recusatio (della serie: meglio tardi che mai). Cercherò di essere breve ma esauriente:

L’ispirazione per scrivere questa fiction l’ho avuta durante lo studio delle opere di Garcia Lorca: la Siguiriya è l’ antropomorfizzazione di una danza andalusa che, in una serie di sette poesie contenute nella raccolta Poema del cante jondo, è rappresentata sottoforma di una giovane zingara.
Secondo Lorca i gitani spagnoli, lungi dall’essere imparentati con quelli sparsi negli altri stati (è stato ipotizzato che venissero addirittura dall’India), si erano installati in quelle regioni da così tanto tempo da aver raccolto e fatta propria la cultura locale, difendendola dall’attacco del tempo: cosicché sono divenuti i veri depositari delle antiche tradizioni e rappresentanti dell’anima più profonda e impenetrabile dell’Andalusia.
Invece, riguardo all’idea per la temporalizzazione, devo ringraziare il bellissimo film L’ultimo Inquisitore diretto da Milos Forman che ho avuto recentemente il piacere di vedere.
L’ultima puntualizzazione è sul personaggio di Rin.
Innanzitutto vorrei precisare che generalmente preferisco la coppia Sesshomaru/Kagura – un personaggio meraviglioso di cui, purtroppo, la sensei ci ha sadicamente privato- (anche se non disdegno la coppia Sesshomaru/Rin; naturalmente a patto che la fict non sia dolce, idilliaca, smielosa..insomma, tutto ciò che possa far venire il miele in bocca anche alle lettrici più accanite di Harmony). Tuttavia mi sono vista costretta ad usare questo pairing per evidenti questioni di incompatibilità di carattere con il personaggio di Kagura, che pur ho voluto far comparire.
Ora, detto questo, ci tengo solo a concludere dicendo che per la descrizione della protagonista femminile mi sono largamente ispirata alla Carmen, personaggio della novella di Prosper Mérimée (e successivamente della più famosa opera di Bizet); cercando, comunque, di stemperare un po’ il carattere incostante e sfacciato di quest’ultima a vantaggio di una profondità maggiore che, spero, di aver almeno in parte raggiunto.

Mi perdonerete se questa spiegazione vi è sembrata lunga e noiosa; ma mi sentivo in dovere di farla onde evitare qualsiasi malinteso. ^__^



Detto questo voglio ringraziare tutte coloro che mi stanno sostenendo capitolo per capitolo con i loro commenti dei quali non potrei assolutamente a fare a meno: crilli, crici_82, Kaguya, lollyna, kade e rosencrantz.

Alla prossima,
Jessy

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Capitolo 16
*** Predicción ***







CAPITOLO 16.


“Predicción”


“There's no chance for us
It's all decided for us
This world has only one sweet moment set aside for us

Who wants to live forever?
when love must die.”

(Who wants to live forever?, Queen)





Dolore…un atroce, insopportabile dolore gli stringeva la testa in una morsa di ferro, che non gli dava un attimo di tregua. Le tempie gli pulsavano fin quasi a scoppiare e la le pupille riuscivano solo a scorgere immagini sfuocate di paesaggi aridi e alberi radi appena rischiarati da un pallido sole nascente.
…Avanzava…non avrebbe saputo dire come; ma vedeva, in un limbo molto simile al sogno, la terra scorrere in basso.

“Sesshomaru, sei sveglio? Come ti senti?”

Una voce femminile, dall’accento palesemente preoccupato gli giunse flebile alle orecchie, come portato dal vento da una landa lontanissima: tanto che all’inizio fu in dubbio se si trattasse della sua immaginazione o se fosse reale.
Cercò di rispondere: ma dalla sua bocca uscivano solamente dei suoni disarticolati e incomprensibili.

Rin, constatato con enorme sollievo che almeno era cosciente, strattonò con più forza la briglia del cavallo per aumentare il passo e posò una mano sulle spalle del demone, per evitare che un movimento brusco potesse disarcionarlo e peggiorare la sua già precaria condizione.
Mentre avanzava in un silenzio sepolcrale, interrotto a tratti dal fischio del vento, continuava a lanciare di tanto in tanto uno sguardo a quell’uomo disteso davanti a sé, immobile e pallido come un cadavere. Per un qualche motivo la sofferenza rendeva ancora più bello quel viso imperlato di sudore, che di tanto in tanto perdeva la sua inespressività per contrarsi un una smorfia di dolore.
Sorrise con dolcezza mentre gli scostava le ciocche leggermente arruffate dalla fronte febbricciante.

“Te amo.”

Sussurrò cupa; quasi si rendesse conto, nel momento stesso in cui le pronunciava, della loro follia di quelle parole.
Quell’essere, che adesso accarezzava con le sue mani come una bestiola ferita, faceva parte di un altro mondo, di un’altra natura. Chissà quanto quel carattere selvaggio l’avrebbe tenuta accanto a sé, chissà fino a quando le avrebbe permesso di sfiorarlo, di baciarlo, di condividere ogni istante con lei….E poi…
...Poi cosa sarebbe successo quel giorno in cui essa, nel pettinarsi i capelli, avrebbe trovato una ciocca bianca proprio in mezzo all’oceano di quei riccioli d’ebano?

L’avrebbe cacciata, abbandonata, proprio come si fa con un giocattolo vecchio e disprezzato. E lei, ormai vecchia, avrebbe guardato con disperazione quello sguardo duro e profondo che il passaggio del tempo non aveva intaccato.
La perfezione è immortale…e lui si trovava al di sopra delle miserie umane.
Come poteva sperare che lui l’amasse, come poteva solo sognare di rimanere al suo fianco per sempre?
No, non poteva.

“Io sono soltanto un granello di polvere nel mezzo della tua eternità.”

Ma il cavallo continuava lentamente ad avanzare.


*****************


Inuyasha si alzò dal letto, sempre mezzo assonnato, stando ben attento a non svegliare la moglie, la quale continuava tranquillamente a dormire al suo fianco. Si infilò in fretta i pantaloni, riuscendoci incredibilmente al primo tentativo; nonostante le palpebre, appesantite dalla stanchezza, fossero sempre mezze socchiuse e si avvicinò alla finestra nella speranza di attutire un poco quel caldo che lo stava soffocando.
Represse a fatica uno sbadiglio, mentre apriva delicatamente le persiane e lasciava che la fresca brezza mattutina gli scompigliasse i folti capelli d’argento.

“Amore, sei già sveglio?” Mugulò dietro di lui la moglie, svegliata dai movimenti del marito, rigirandosi nel letto nel disperato tentativo di cercare una posizione migliore.
“Scusa.” Le sussurrò il mezzo demone, voltandosi verso la donna sempre in parte avvolta dall’oscurità.
“Tuo fratello è tornato?”
“Non dirmi che ti preoccupi per mio fratello.”
“Veramente mi preoccupo per Rin. Non voglio sapere cosa le farà non appena la trova.”
“Te lo dico io, mia cara.” Affermò Inuyasha dopo un attimo di silenzio, assumendo un’ aria grave “O l’ha uccisa – e in questo caso non potremmo più farci nulla-, oppure…bhe…suppongo che tu lo possa immaginare – e in quel caso ti assicuro che stanno entrambi meglio di noi- ”
“Come puoi scherzare su una cosa del genere?!” Lo rimproverò Kagome, afferrando un cuscino e tirandoglielo contro.
L’uomo sorrise compiaciuto, evitando per un soffio di essere colpito. Ma, mentre si chinava a raccoglierlo, un qualcosa fuori dalla finestra attirò la sua attenzione.
Alzò la testa e, fattosi tutto a un tratto serio, si concentrò per capire cosa fosse.

“O mio Dio!” Riuscì solo a balbettare non appena riuscì a mettere a fuoco l’immagine.
“Che c’è?” Domandò la donna, un po’ preoccupata da quell’improvviso cambiamento di umore, alzandosi in piedi e avvicinandosi a lui “Non mi dire che è uno dei tuoi soliti scherzi perché..”
Non riuscì a finire la frase che, con espressione inorridita, vide venire verso di loro un cavallo che portava faticosamente in groppa una giovane ragazza e un uomo, dai lunghi capelli argentati, semisvenuto contro il collo dell’animale. La mora teneva stretto per la vita il corpo del suo compagno; nel disperato tentativo di farla rimanere in sella.

Non fecero in tempo ad arrivare al cancello che Inuyasha e Kagome erano già corsi loro in aiuto, seguiti da alcuni soldati increduli.


***************


Quando Sesshomaru riaprì gli occhi, gli bastò un attimo per capire dove si trovava. Si concesse un mezzo sorriso soddisfatto, mentre il suo sguardo si posava sulla gracile figura seduta al suo fianco, tutta presa da un’attività che non riusciva a decifrare.
Non avrebbe mai creduto che ce l’avrebbe fatta: invece, come si era messa in testa, l’aveva riportato a casa sano e salvo.
Forse quella femmina era più utile di quanto avrebbe mai potuto sperare..
..Ma c’era di più: per quanto gli costasse ammetterlo la sua compagnia non gli dispiaceva, affatto. In qualche modo gli sembrava di riuscire a rispecchiare in lei una parte della sua anima..come se, in fondo, la loro natura non fosse tanto diversa.
Naturalmente erano tutte eresie che si sarebbe guardato bene dal condividere con qualunque altro essere vivente e che, per quanto potessero essere attraenti, avevano ben poco valore: il tempo rende schiavi gli uomini e condanna i demoni alla libertà o ad una schiavitù peggiore: quella di chi, immutabile, si vede sfuggire tra le dita ogni cosa, anche la più preziosa.

“Per quanto ho dormito?” Chiese alla donna, cercando di abituare le pupille alla luce che penetrava dalla finestra.
“Quasi due giorni.” Rispose lei, bloccando la sua attività per concentrarsi su di lui “Come ti senti?”
“Ho passato giorni migliori.” Si lamentò il demone, scostando con un gesto insofferente le lenzuola per controllare le condizioni della ferita.
“Che fai? Guardi se sei nudo?” Scherzò la zingara, con un sorrisetto ironico che le illuminava il volto.
“La cosa potrebbe preoccuparmi solamente se mi dicessi che a spogliarmi è stato mio fratello.” Ribattè lui, atono.
“Immagino possa essere traumatico in effetti.”

Uno strano silenzio scese tra loro. Rin continuava a fissarlo negli occhi, completamente rapita da quelle iridi ambrate che le davano una sensazione di vertigine: come se potesse caderci dentro e affogare in quel mare luminoso.
Aveva mille domande che le vorticavano nella testa; ma nessuna riusciva ad arrivare alle labbra. Aveva paura..
Voleva delle risposte, ma preferiva vivere nell’incertezza, immersa in quel tacito dialogo con il quale riuscivano ad esprimere quello che non osavano dire.
Che i suoi sentimenti la dilaniassero pure da dentro: non avrebbe implorato ad un demone ciò che un demone non avrebbe mai potuto darle!


“Che stavi facendo?” Le chiese infine Lord Langston, parlando stranamente per primo.
“Le carte.”
“Carte?”
“Si, certo. Non lo sai che noi gitani riusciamo a prevedere il futuro?” Spiegò orgogliosamente la donna, prendendone un mazzo ben fornito seminascosto tra le pieghe della sua gonna e iniziando a mischiarle.
“Sono davvero dolente di darti questo dispiacere: ma non ci credo affatto.” Ribatté Sesshomaru “Anzi, trovo certe pretese davvero ridicole.”
Rin sembrava non ascoltarlo affatto; ma continuava con tranquillità la sua operazione, maneggiando con una familiarità davvero impressionante quei pezzetti di cartone. Poi, soddisfatta del suo lavoro, li poggiò sul letto.
“Pesca.”
“Prego?”
“Pesca su..vedrai che ti farò ricredere.”
Il demone la guardò per un lungo istante con aria contrariata, come se gli avesse appena chiesto di abbassarsi ad un giochetto degradante e infantile; ma, constatata la decisione negli occhi della zingara, decise che prima l’avrebbe accontentata, più velocemente quello strazio sarebbe finito.
“Quante?”
“Sette.”
Scelse le carte senza neanche guardare e le porse, scettico, alla sua aguzzina.

“Dunque...” Esordì la giovane, osservando con attenzione le figure che erano state estratte “Sembra che ci sia una donna..”
“Meno male.” La schernì il demone, appoggiando la schiena alla spalliera del letto e fissandola con aria esasperata.
“..nel passato.”
“Ce ne sono tante di donne in passato, per tutti. Che c’è di tanto strano?”
“Qui dice che la situazione è ancora in sospeso..o non è stata chiarita, o la separazione è stata brusca, improvvisa.”
“Il motivo lo dice?” Chiese Lord Langston, fattosi ad un tratto serio ma cercando di non darlo a vedere.

Come aveva fatto? Come era possibile che fosse riuscita a scavare nella sua vita solamente guardando delle inutili figure? Quella situazione lo sconvolgeva e, al tempo stesso, lo spingeva a volerne sapere di più.

La zingara girò un’altra carta.
“No. Ma probabilmente non per colpa di uno dei due. Probabilmente è stata una decisione presa da altri.”
“E poi? Che altro dice?”
Rin ripeté la stessa operazione.
“Forse la fiamma del sentimento non è ancora spenta; forse qualcosa è rimasto racchiuso nel suo cuore, protetto dagli sguardi dei suoi nemici..”

“Tornerà?” Questa volta l’apprensione era evidente.

La donna girò l’ultima carta e la studiò per un istante che parve eterno; poi, maledicendosi per quella stupida idea che si era fatta venire, alzò verso l’amato gli occhi traboccanti di sofferenza e rimpianto.

“Si.” Sussurrò con voce strozzata.




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Bene, direi che anche stavolta è arrivato il momento dei ringraziamenti.
KaDe: Sono contenta che ti piaccia come scrivo; io sono la prima a non esserne mai contenta! Leggo troppi libri e mi vengono i complessi di inferiorità ^^!
Si, la Spagna è un posto veramente affascinante..ho avuto la fortuna di visitarla più volte; ma l’Andalusia è sicuramente la parte più bella e più legata al passato.
Crici_82: Certo che ce la farà a fuggire..l’ho lasciato nelle mani di Rin. Più sicuro di così ^__^
Crilli: Grazie mille dei complimenti e anche delle tue critiche..spero di essere riuscita a fugare ogni dubbio.
No, che dici? Perché dovrei odiare le tue fict! (D’altronde anche la mia prima fiction era per certi versi terribilmente Romantica – nel senso originario del termine-)
Le ho lette alcune tue storie e, anche se l’argomento non è proprio uno dei miei preferiti, le ho trovate molto interessanti. Hai un bel modo di scrivere. Tutti i miei complimenti.
PS Le fict che odio sono ben altre e suppongo che non ti sia difficile immaginare quali siano: linguaggio sms, personaggi orrendamente OOC e storie così banali da sconvolgere un bambino delle elementari e far concorrenza a Moccia!
Kaguya: Figurati..non avevo intenzione di far sentire un ignorante nessuno. ^__^
Garcia Lorca se non me l’avessero spiegato pagina per pagina penso non avrei mai avuto la fortuna di leggerlo tant’è difficile da comprendere appieno! Comunque sono contenta ti piaccia la storia; spero continuerai a seguirla.
Lollyna: Grazie mille cara. Spero con questo capitolo di aver risolto tutti i tuoi interrogativi..A presto.
Rosencrantz: Bhe, presumo non si possa prescindere dall’attingere alla saccoccia del vecchio Prosper per una storia che parla di Spagna e gitane! (Accidenti..non ci posso credere..pensavo di essere l’ultima ad aver preso in mano, dopo infinite ricerche, quella novella di Merimée ç__ç)
Già, scintilla scoccata ma, più che il fato, ci si metterà in mezzo l’orgoglio del bel demone e un’altra nostra vecchia conoscenza.
PS: Quanto ancora mi farai penare per il nuovo capitolo di Sopdet?! XD



Ancora grazie a tutte ed alla prossima.
Jessy





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Capitolo 17
*** Recuerdo y Pasado ***







CAPITOLO 17.


“Recuerdo y Pasado”



“L'avvenire ci tormenta, il passato ci trattiene, il presente ci sfugge.”


(Gustave Flaubert)





Sesshomaru si portò con un movimento elegante il sigaro alle labbra, godendosi per un lungo istante il buon odore del tabacco puro; poi staccò con i denti una delle estremità e vi accostò il fiammifero. Inspirò lentamente il fumo denso e scuro, gustando soddisfatto quel sapore forte, dal retrogusto decisamente amaro, al quale riusciva raramente a resistere.

“Non dovresti fumare sul letto...impuzzirai tutto!”

In effetti c’era un’altra cosa che aveva lo stesso retrogusto del sigaro e alla quale non riusciva resistere: si trattava di una ragazzina gracile, dai lunghi cappelli mori e dai lineamenti che conservavano ancora vagamente qualche traccia dell’adolescenza, sebbene ormai fosse sulla ventina.

“Il letto è mio e penso proprio di poterci fare qualsiasi cosa voglia.”

La donna lo osservò per un lungo istante, con un’aria vagamente divertita; ricacciando indietro qualsiasi battuta di dubbia moralità che gli stava salendo sulla punta della lingua.
Con un gesto improvviso tolse l’oggetto della disputa dalla mano del demone e lo poggiò in bilico su un mobiletto accanto al letto, stando attenta a non lasciare la parte accesa a contatto col legno; dopodiché si sedette sulle gambe di lui e gli posò un bacio sulle labbra.

Sesshomaru rimase per un momento immobile; poi, trattenendo un sorriso, fece scivolare le mani dietro la sua schiena e l’attirò bruscamente a sé.
Rin sentì i suoi canini appuntiti premere contro le labbra, fino quasi a farla sanguinare, mentre la lingua si impossessava prepotentemente della sua. Con un gesto impulsivo gli tolse la camicia mezza stropicciata e lasciò che il demone la stendesse sulle lenzuola e le premesse la pelle accaldata contro la sua.
Adorava quella sottile violenza che non lo abbandonava mai; quella gioia feroce con la quale ogni volta la spogliava, come un predatore che ha finalmente immobilizzato la sua vittima ed ora si gode la sua lenta agonia.
Sentire il suo respiro che si infrangeva, delicato e crudele, contro il collo la faceva impazzire.
L’amore era quello: un atto istintivo, irrazionale, persino violento..l’unico momento in cui la ragione viene accecata da un desiderio potente e primordiale...quell’attimo in cui tutto si oscura e le miserie della vita sembravano così lontane, intangibili, inesistenti.

La donna incrociò le braccia intorno alle spalle dell’amante e lo strinse a sé con tutta la forza che aveva in corpo prima di abbandonarsi a quel turbinio di sensazioni che parevano troppe per essere contenute in un corpo così minuto.

Un pezzo di cenere cadde silenziosamente sul pavimento.


************


Quando Rin aprì gli occhi, la prima sensazione ad accoglierla fu una fitta dolorosa. Si era beatamente addormentata sul petto del demone ed ora ne pagava le conseguenze con un fastidioso torcicollo, che le bloccava ogni minimo movimento.
Si mise a sedere, cercando di evitare qualsiasi gesto brusco, e iniziò a massaggiarsi la parte offesa, mentre il suo viso si contorceva in un’espressione sofferente.

“Era ora..non credevo ti svegliassi più.” Borbottò una voce profonda al suo fianco.
“Grazie di avermi aspettato.” Ironizzò la donna, notando con sollievo che il dolore stava mano a mano diminuendo e il collo iniziava a sbloccarsi.
“Veramente non mi potevo alzare visto che qualcuno aveva deciso di usarmi come cuscino..e si è preso la giusta punizione.” Ci tenne a precisare Lord Langston mentre controllava, con disperazione crescente, lo stato ormai irrecuperabile del suo sigaro.
La zingara gli pose un bacio sulla guancia e si accomodò di nuovo addosso a lui, ma questa volta in modo da poterlo guardare in faccia. Stette un alcuni secondi in silenzio; presa dall’indecisione se sottoporgli la domanda che ormai da giorni non la lasciava dormire.
Alla fine, fattasi coraggio, si decise.
“Sesshomaru..” Esordì con voce lievemente insicura.
“Che c’è?”
“Ormai sono dei giorni che ti voglio chiedere questa cosa, credo che sia venuto il momento. Però tu mi devi promettere che mi risponderai.”
“Dipende..” Sussurrò lui, con voce roca.
“Da cosa?”
“Dipende da quello che vuoi sapere.”

“Chi è quella donna?” Domandò secca, senza tanti preamboli.

Lord Langston la fissò per un lungo istante, stupito da quella strana richiesta. Fece un profondo sospiro e alzò lo sguardo verso un punto indeterminato della stanza; quasi come se quelle parole gli avessero fatto riaffiorare dalle profondità della mente ricordi antichi, nostalgie di un passato che adesso appariva lontano, ma mai dimenticato.
“Non ho voglia di parlarne.” Preferì non mentire.
“Io invece vorrei saperlo..eri così in apprensione mentre parlavo di lei..volevi sapere ogni cosa..mi continuavi a fare domande..”
“E’ una storia che appartiene al passato..e nel passato rimarrà.”
“..ma sembra che questo passato condizioni ancora il tuo presente e getti un’ombra sul tuo futuro.”

Il demone sapeva bene quale fosse la ragione che la turbava così tanto, il vero motivo della curiosità che la spingeva ad essere così insistente; ma, nonostante ciò, non aveva alcuna intenzione di raccontarla e, in fondo, era bene che non la venisse mai a sapere.

“Non insistere Rin! Quando dico no è no..mettitelo bene in testa.”

Si alzò di scatto dal letto, con fare scocciato; come a dire che l’argomento era definitivamente chiuso e non avrebbe gradito tornarci in futuro.
Rin lo osservava in silenzio; un po’ urtata da quella segretezza che non poteva far altro che stuzzicare ancor di più la sua curiosità di donna: quel fantasma nebuloso poteva avere ogni aspetto, forse era un’umana o forse una demone..poteva essere riuscita a penetrare a fondo nel cuore di Lord Langston, là dove essa non sarebbe mai riuscita ad arrivare..magari era bionda..o rossa..probabilmente era bellissima..molto più bella di lei..
Proprio il fatto che il suo nemico fosse invisibile le faceva ancora più paura..la rendeva invulnerabile, invincibile.


Ad un tratto la porta si aprì di scatto, interrompendo questi tormentati pensieri.

“Sesshomaru, Sesshomaru..” Chiamava Inuyasha mentre entrava prepotentemente in camera “E’ arriv..AAAaah..”
Il mezzodemone emise un urlo strozzato mentre indietreggiava con un’espressione sconvolta, tappandosi gli occhi con una mano.
“Copriti svergognato! Mi vuoi far prendere un infarto?!”

Lord Langston si rese conto solo in quel momento di essere completamente nudo. Ma la cosa non lo turbò minimamente; anzi, guardò il fratello con un’espressione indifferente scuotendo desolato la testa.
“Primo: questa è camera mia.” Ci tenne a precisare, senza peraltro smuoversi dalla quella posizione “Secondo: mi sembra buona educazione bussare prima di entrare in qualsiasi stanza.”
“Va bene, va bene..è colpa mia. Ora rivestiti per piacere che ti devo dire una cosa importante.” Brontolò il fratello, voltandosi di spalle, mentre il demone iniziava a vestirsi con la dovuta calma.

Rin osservava in silenzio la scena, cercando disperatamente di trattenere il riso: quel siparietto era davvero esilarante; anche se, in fondo, un po’ le dispiaceva che il demone si stesse rivestendo. Poterlo ammirare in tutta la sua bellezza era un’occasione davvero rara.
Non sapeva per quale motivo, ma, quando non era strettamente indispensabile, Sesshomaru era inspiegabilmente reticente a farsi vedere nudo, anche dall’amante. Probabilmente la causa era facilmente rintracciabile nella rigida educazione anglosassone e nei suoi nobili natali; tuttavia essa non poteva non sorridere di fronte a tanta pudicizia che, agli occhi di una donna che aveva da sempre tranquillamente convissuto con la promiscuità a cui era costretta a causa della scarsezza di mezzi, pareva veramente ridicola.

“Allora Inuyasha; qual è questa notizia così importante?” Chiese Sesshomaru, finendo di abbottonarsi la camicia.
“E’ arrivata una lettera.” Rispose il mezzo demone, togliendosi finalmente la mano davanti agli occhi, non senza esitazione.
“E allora?”
“Credo riguardi l’ispettore che deve venire qui a giorni.”
“Ne sei sicuro?”
“Dall’indirizzo di provenienza direi proprio di si.”

A quella risposta il demone si fiondò velocemente fuori di camera. Una strana sensazione continuava da giorni ad agitarlo..e non riguardava il fatto di essere giudicato da qualcuno – cosa che non lo tangeva minimamente – ..non riusciva a capire a cosa fosse dovuta; ma il suo sesto senso gli diceva che probabilmente in quella lettera c’era la risposta. Tanto valeva controllare subito.


Non appena fu sparito, la zingara si volto verso il fratello e, con un bel sorriso ammaliatore, gli fece segno di sedersi accanto a lei.
“Dal modo in cui mi guardi devo dedurre che tu voglia qualcosa da me.” Notò il mezzodemone, incrociando le braccia con un’espressione di chi la sa lunga a riguardo.
“Direi proprio di si..ma non preoccuparti, ti ruberò solo pochi minuti.”
“Sarebbe meglio se anche tu ti vestissi però..non vorrei subire l’ira di mia moglie nel caso ti trovasse così in mia compagnia.”
Non fece in tempo a girarsi che la donna era saltata giù dal letto e si stava già fermando la gonna sui fianchi con una grossa spilla e faceva scivolare la fine camicia di lino sul petto, lasciando scoperte le piccole spalle olivastre.

“Sai..” borbottò Inuyasha, sempre col viso rivolto verso il muro “Non credo dovresti fare..si..insomma..non credo dovresti fare quello che fai con mio fratello..”
“E perché?” Chiese lei, sempre intenta ad allacciarsi il corpetto.
“Perché non è capace di rendere felice una donna. E’ troppo egoista e orgoglioso per preoccuparsi di un’altra persona..”
Rin a questa parole alzò lo sguardo verso il suo interlocutore, che in quel momento si era voltato di nuovo verso di lei, regalandogli un sorriso amaro.

“Lo so.”

Poi tacque per qualche secondo, abbassando gli occhi a terra, colta nuovamente da quella strana ansia che la torturava ogni volta che anche solo pensava a quella domanda: divisa tra la paura e la curiosità di conoscere ciò che probabilmente era meglio ignorare.

“Chi era l’amante di Sesshomaru?” Domandò, infine, con voce leggermente tremante.
“Come lo sai?” Esclamò stupito il mezzodemone, non aspettandosi certo quel genere di richiesta. “Non chiederlo..rispondimi e basta se puoi. E’ importante.”
Inuyasha fece un lungo sospiro, in dubbio su quale fosse la cosa migliore..sapeva quanto quella storia poteva far male..eppure quella ragazza aveva tutto il diritto di conoscerla...
Alla fine optò per la verità.

“Sei proprio sicura di volerlo sapere?”
“Si.” Rispose la zingara: questa volta il tono era asciutto, deciso.

Il giovane si guardò per un attimo intorno, come ad accertarsi che qualcuno non li stesse ascoltando; poi si chiuse la porta alle spalle e invitò Rin a sedersi insieme a lui.




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Ringrazio ancora tutte quelle che leggono e, sprattutto, commentano: rosencrantz, lollyna, Kaguya, MARTY_CHAN94, KaDe, crici_82 e crilli.
Non preoccupatevi di Kagura: è un personaggio che adoro e di certo non sarò così ingiusta da renderla una insopportabile poco di buono. più che preoccuparsi di affrontare le due donne Sesshomaru dovrà preoccuparsi di affrontare se stesso. ^__^

Chedo perdono se stavolta non ce la faccio a rispondere ad una ad una ma l'esame di lunedì non mi lascia scampo ç__ç
La prossima volta lo farò, promesso.
Jessy



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Capitolo 18
*** Historia de un amor ***





CAPITOLO 18.


“Historia de un amor”



“..Et la chaîne qui nous lie
nous liera jusqu'au trépas!”*


(Carmen, Bizet)




“Allora, mia folle ragazzina,” Esordì Inuyasha, una volta che anche la zingara si fu seduta al suo fianco, guardandolo con evidente apprensione “sei così innamorata di mio fratello da voler conoscere ogni minima cosa del suo passato? Guarda che non è affatto piacevole..né per te sentirla né per me rammentarla.”
“Si lo sono.” Sbuffò l’altra, impaziente “Muoviti a raccontarmi quella maledetta storia prima che Sesshomaru torni!”
“Va bene..va bene. Se proprio ci tieni.” Sospirò il mezzo demone. Dopo qualche secondo di silenzio, forse per riordinare le idee o per cercare un modo per addolcire quello che stava per dire, prese a parlare con una tono di voce diverso dal solito: questa volta era basso, serio, scevro da qualsiasi punta di sarcasmo. Volse lo sguardo verso un punto lontano e lasciò che i ricordi gli riaffiorassero nelle mente, ingialliti dal tempo, come se risalissero a secoli prima.

“La donna..quella donna della quale mi chiedi con tanta insistenza in realtà è un demone, come mio fratello. Si chiamava..anzi..si chiama Kagura..Kagura Shinley mi pare.
Sappi che se speri di trovare nelle mie parole una valida motivazione per odiarla..non posso accontentarti.” nel pronunciare questo discorso posò nuovamente il suo sguardo su Rin, sorridendole con una dolcezza di chi comprende appieno il dolore che dilania il cuore “Sai? Un po’ ti somiglia. E’ acuta e orgogliosa proprio come te..anche se la rigida educazione che le è stata impartita l’ha resa molto ligia ai propri doveri e ubbidiente ai sacrifici che la sua posizione le impone.”
“Insomma..la donna perfetta per Sesshomaru.” Commentò sarcastica la gitana, con un malcelato gesto di stizza “Allora? Com’è che si sono incontrati?”
Non aveva nulla contro quella creatura che non aveva neanche mai visto; ma un frustrante senso di impotenza e la bruciante morsa in cui la gelosia stava imprigionando la mente, la rendeva ai suoi occhi insopportabile, odiosa, proprio perché inattaccabile.
“La famiglia Shinley” riprese paziente il mezzodemone, facendo finta di non aver colto la battuta “fa parte della ricca borghesia e, in tempi come questi, proprio il denaro ha potuto spalancar loro le porte del beau monde: feste, ricevimenti, balli..a nessuno di questi sono mai mancati. Erano un ottimo trampolino di lancio per riuscire ad ottenere ciò che più desideravano al mondo: un titolo nobiliare. E lì di nobili ce ne sono veramente tanti.
Fu in una di queste occasioni che incontrò mio fratello.
Sai come succede; qualche parola, qualche sguardo, magari un sorriso..insomma..fatto sta che dopo alcune settimane venni a scoprire che avevano una corrispondenza segreta. Mi stupii molto; lui non è certo una persona che si lascia sedurre da attività di questo genere né è propenso a intrecciare qualsiasi relazione che si spinga al di là di una cordiale stretta di mano.”
“Stai scherzando?” Esclamò Rin esterrefatta, interrompendolo di nuovo “Vorresti dirmi che non è un dongiovanni?! Proprio lui?”
“Ti giuro che è vero.” Si affrettò a rispondere l’altro, poggiandole una mano sulla spalla con fare rassicurante “Sesshomaru non è il tipo che perde il suo tempo ad escogitare e compiere imprese galanti..ha sempre sostenuto che fossero attività da debosciati libertini francesi. Probabilmente è il troppo amore di sé a impedirgli di concedersi a tutte le donne che gli cadono ai piedi – e ti assicuro che sono molte – o chissà cosa..
Comunque, tornando al racconto, quei due iniziarono a vedersi di nascosto a Londra; dove Kagura viveva e Sesshomaru fingeva di recarsi per affari. Nessuno lo doveva sapere, tantomeno i genitori di lei; i quali si sarebbero immediatamente intromessi nella loro relazione.
Da quel poco che so all’inizio Sesshomaru era solamente affascinato dalla bellezza e dalla brillantezza di quella ragazza; diceva che era una vera fortuna aver trovato una donna con la quale non fosse costretto a parlare unicamente del tempo o dell’ultimo pettegolezzo che metteva in fermento mezza città.”
“Non l’amava?” Chiese speranzosa Rin, che aveva accolto quelle parole come fossero la sua unica speranza di salvezza.
“In principio no.” Precisò Inuyasha, con un gesto vago “Figurati che un giorno mi disse ‘Nelle donne ci sono solo due le cose importanti: il corpo e il cuore; scegli sempre il corpo, è la parte migliore’. Io risi e gli dissi di stare attento; che una volta ci sarebbe caduto pure lui.
Così fu.
Non ho mai avuto la sicurezza che fosse amore; ma, anche se non lo fosse stato, ti assicuro che ci si avvicinava molto.
Più che passava il tempo, più che il loro rapporto diventava importante: i loro incontri diventavano sempre più assidui, la prudenza si affievoliva mano a mano che la passione cresceva..e alla fine in tutti i salotti di Londra si iniziò a mormorare che la figlia degli Shinley si era irrimediabilmente compromessa col rampollo dei Langston; e alcuni arrivarono addirittura ad affermare che stesse aspettando un figlio da lui!
Così, esposti alla gogna sociale e terrorizzati all’idea di non poter più riuscire a combinare un matrimonio vantaggioso, i genitori di Kagura videro come una benedizione dal cielo la proposta di un certo Naraku Brockley, anche lui nobile e ufficiale dell’esercito di sua maestà, e, senza pensarci due volte, costrinsero la figlia ad accettare.”
“E lei ha accettato di sposare un altro sebbene amasse Sesshomaru?!” Esclamò sconvolta la gitana. Come aveva potuto fare una cosa del genere? Lei per amore aveva lasciato tutto, marito e compagni, gettandosi alla cieca in un rapporto senza basi e senza futuro. Lei si meritava rispetto e ammirazione..non quella donna senza un briciolo di coraggio e forza di volontà!
“Tu sbagli Rin..” La corresse Inuyasha “ti sbagli..Lei lo amava profondamente. Ma le priorità nel nostro mondo sono ben altre: se per te non esistono doveri sociali, sappi che in Inghilterra veniamo educati sin da bambini a rispettare questi doveri! Non puoi giudicare ogni cosa con il tuo metro; neanche quando si parla di sentimenti così universali.
Kagura ha avuto il coraggio più grande che si possa avere: per la felicità di chi le stava accanto ha sacrificato la sua.”

Quelle parole arrivarono come una pugnalata al cuore della gitana: più si rendeva conto di quanto fossero vere, più sentiva la vergogna, la frustrazione accenderle il volto e gonfiare gli occhi di pianto.
Odiava..odiava quella donna ancora più di prima e, allo stesso tempo, si sentiva terribilmente inferiore.
Cosa avrebbe fatto lei al suo posto? Sarebbe stata disposta a rinunciare a tanto? Sarebbe mai stata capace di mettere a tacere il suo egoismo per il bene di qualcun altro?
Si, aveva abbandonato i suoi compagni e suo marito..ma solamente per un suo capriccio, per un suo impulsivo desiderio. Che ne sapeva di cosa fosse un sacrificio lei che, in tutta la sua vita, non aveva mai sacrificato nulla?

Quelle domande che continuavano a vorticargli nella testa senza risposta, la facevano sprofondare ancora di più in una silenziosa disperazione.

“Basta..basta ti prego..non voglio sapere altro.” singhiozzò con la testa tra le mani; cercando disperatamente di fermare le lacrime che ormai erano sul punto di scendere.
Inuyasha, sentendosi un po’ in colpa, le passò un braccio intorno alla spalle e la strinse a sé, nel tentativo di consolarla: gli dispiaceva davvero vederla in quello stato; non sembrava nemmeno più lei.
“Calmati su..” le sussurrava come si fa con una bambina “Ognuno ama a modo suo; sono sicuro che il tuo affetto per mio fratello non ha niente da invidiare a quello di Kagura. Anzi, ti dirò di più. Secondo me mio fratello, anche se può sembrare il contrario, si è affezionato a te molto più di quanto tu creda o di quanto lui sia disposto ad ammettere..”
“Non devi dire queste cose colo per consolarmi.” Lo rimbrottò la donna, con un sorriso.


Ma il mezzodemone non fece in tempo a rispondere che la porta si aprì all’improvviso, sbattendo con un tonfo sordo contro il muro.
Sesshomaru entrò in silenzio con lo sguardo che ardeva di una stana luce sinistra fisso davanti a sé e i pugni serrati con tanta forza che le nocche erano completamente bianche. Non disse niente; ma quell’atmosfera carica di tensione faceva presagire una tempesta molto, molto vicina.

“Tutto bene?” Si azzardò a chiedere Rin alzandosi dal letto e avvicinandosi a lui di qualche passo. Il demone la fulminò con gli occhi traboccanti di una ferocia che, per un attimo, fecero correre un brivido lungo la schiena della donna.
“No, niente va bene in questo posto maledetto!” Ringhiò, poggiando le mani sul tavolo e sporgendosi appena in avanti.
“Brutte notizie?” Intervenne Inuyasha, avvicinandosi a sua volta. Quelle pupille sanguigne lo preoccupavano e non poco. Naturalmente sapeva che il fratello non avrebbe mai potuto fare del male a Rin; tuttavia andò a piazzarsi proprio al fianco di lei.
Sesshomaru, dopo un attimo di esitazione, cavò dalla tasca dell’uniforme un pezzo di carta spiegazzato e lo porse al fratello.
“Guarda tu stesso.” Si limitò solo a dire, in tono grave.

Il mezzodemone aprì, non senza fatica, il foglio mezzo accartocciato, stando attento a non fargli subire più danni di quanto non avesse già e iniziò a leggere ad alta voce.

“Io, Arthur Wellesley, primo Duca di Wellington, Vi informo che nella giornata di domani si recherà nei territori a Voi assegnati un ispettore da me personalmente scelto tra i colonnelli dello Stato Maggiore.
Per questo compito si è volontariamente offerto Lord Brockley al quale io stesso ho conferito la carica, confidando con piena fiducia nel suo carattere integerrimo e imparziale..


Cosa?!” Esclamò, incredulo “Cosa diavolo ci fa qui? e perché diavolo si è offerto? Chissà cos’ha in mente..”

“Leggi più avanti e troverai la risposta.”

Inuyasha si chinò nuovamente sulla lettere; ma questa volta si limitò a far scorrere gli occhi su quelle poche righe rimanenti. Più che andava avanti, più il suo volto assumeva un’espressione a metà tra l’indignato e lo sconvolto; le mani iniziarono a tremare leggermente e la bocca si apriva e si chiudeva senza emettere alcun suono: come se volesse dire qualcosa ma non ne avesse il coraggio.
“O mio Dio..o mio di..No..” boccheggiò infine, come se avesse ritrovato tutt’ a un tratto la parola.

Rin, non riuscendo più a resistere a quell’angosciosa attesa gli strappò di mano il foglio e se lo portò davanti gli occhi.

“..Ci sentiamo altresì in dovere di informarVi che a seguito del vostro ispettore vi sarà anche la sua legittima consorte; la quale ha esplicitamente espresso il desiderio di seguire il marito nella sua missione e Noi, ritenendo non particolarmente pericoloso il luogo in cui Vi trovate, abbiamo deciso di accontentarla.. ”

Non riuscì neanche a finire di leggere le ultime righe che, sentendosi mancare, si appoggiò ad una sedia e nascose il volto tra le mani, non avendo il coraggio di alzare lo sguardo per incontrare quello del demone.




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“..E la catena che ci lega,
ci legherà fino alla nostra morte!”


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Ora che il danno è stato fatto, direi di passare subito ai ringraziamenti ^__^ :

rosencrantz:Non posso far altro che concordare con te sul carattere di Rin; verso la quale ho veramente poche aspettative ormai. Colpa della sensei che non riesce a creare un personaggio femminile senza che sia uno stereotipo di donna insopportabile e, per certi versi, un po’ ritardata. L'unica volta che è riuscita a creare un personaggio degno di lode, l'ha ucciso.
La ‘tragedia’ ormai è imminente e, tanto per fare una citazione “In quel dolor cessa la donna, ed eccola eroina”.Rin si dovrà rimboccare le maniche e darsi da fare ^__^
lollyna:Grazie mille..si, Kagura è più vicina di quanto i nostri eroi possano credere. Ma il problema credo proprio non sarà tanto lei…
crilli:Eh eh..ma lo sai che l’idea dell’Inquisitore mi era venuta davvero? ^__^ Poi l’ho gentilmente scartata, sennò mi veniva un romanzo invece che una fict! Però sarebbe stato divertente.
PS: Allora, nella fict stile Beautiful, a chi farai fare la parte di Brooke? XD
Kade:Grazie mille. Sinceramente non è che sopporti un gran che la Rin dolce e timida; quindi ho voluto darle un po’ di pepe. Anche perché ci vuole forza, coraggio, e non dolcezza, per tener testa a uno come Sesshomaru.
MARTY_CHAN94:Anche io vorrei essere stata al posto di Inuyasha ^__^ Grazie mille per i complimenti! Spero di riuscire sempre ad aggiornare ogni settimana.


Grazie a tutte le lettrici,
Alla prossima.




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Capitolo 19
*** Cuerpo presente ***







CAPITOLO 19.



“Cuerpo presente”



“Venga tu dall'inferno o dal cielo, che importa,
Bellezza, mostro immane, mostro candido e fosco,
se il tuo piede, il tuo sguardo, il tuo riso la porta
m'aprono a un Infinito che amo e non conosco?”


(Inno alla Bellezza, Charles Baudelaire)





Solamente il ritmico ticchettio del vecchio pendolo osava sfidare il silenzio ovattato che era il solo, incontrastato padrone di quella stanza: quel rumore metallico, solitamente impercettibile all’orecchio umano, adesso sembrava fortissimo, insopportabile.
Il corso del sole era ormai quasi giunto al suo apice e i raggi infuocati proiettavano delle ombre danzanti sull’arido terreno che si estendeva infinito al di là dell’orizzonte.
Le folate di vento caldo, che di tanto in tanto penetravano dalle finestre socchiuse, rendevano quell’attesa ancora più estenuante; mentre il lontano mormorio dei soldati esausti si perdeva nel dedalo di quei corridoi antichi.

Rin, messasi in disparte, fissava con apparente calma la porta dall’altro capo della sala, dalla quale di lì a poco sarebbe entrata Lei..Lei..quella donna..quel fantasma evanescente del quale decine e decine di volte aveva inutilmente cercato di immaginarsi il volto.
Mentre la su mente di soffermava in questi angosciosi pensieri, ti tanto in tanto la sua attenzione veniva inevitabilmente attirata dalla figura di Sesshomaru: il demone, perfetto nella sua divisa lavata di fresco e i lunghi capelli d’argento raccolti in una coda bassa, era sprofondato nella sua poltrona e, con lo sguardo perso nel vuoto, si portava con calcolata lentezza il sigaro alle labbra; ma questa volta senza trarne piacere.
La zingara poggiò la schiena contro il muro, socchiudendo appena gli occhi assonnati. No, quella notte non se l’era sentita di dormire al fianco dell’amante e aveva preferito vagare senza meta per i giardini del palazzo nella speranza di mettere a posto le idee.
Speranza che si era miseramente dispersa con i primi raggi del giorno.
Era dalla sera prima che non scambiava una parola con Lord Langston e non aveva minimamente intenzione di farlo: era gelosa, arrabbiata, frustrata..si sentiva come se lui l’avesse tradita..come se fosse venuto meno a quel tacito patto che li legava con una catena invisibile, ma solida.
Naturalmente sapeva che erano tutte stupidaggini da ragazzina testarda: ciò nonostante questo pensiero non l’aiutava comunque a sentirsi meglio; anzi, più che il tempo passava, più la rabbia si facevano sempre più feroce.


Ad un tratto la porta si aprì.

All’entrata del soldato che annunciava con tono da cerimonia i nuovi arrivati, Inuyasha e Kagome, che fino a quel momento erano rimasti seduti in silenzio al loro posto, si alzarono di scatto, come se le loro sedie si fossero fatte tutto a un tratto roventi.
Sesshomaru rimase per un attimo immobile; poi, ormai rassegnatosi a quell’ingrato compito, si alzò in piedi e fece segno di introdurre gli ospiti.
Rin si sporse leggermente in avanti per osservare meglio la scena: l’ansia era esplosa tutto in un attimo nel sentire pronunciare quel nome che ormai si era impresso nella sua mente come un marchio infuocato.
Si ritrovò addirittura a pensare che, se quella donna non si fosse mostrata entro pochi secondi, il cuore le sarebbe balzato fuori dal petto, tanto batteva forte.

Con passo lento e calcolato, come se si trovassero ad un ricevimento galante, la coppia entrò nella stanza. La tensione era diventata talmente insopportabile che la zingara represse a fatica un brivido; aspettandosi da un momento all’altro di vedere Lord Langston sguainare la spada e fare un strage.
Ma Naraku Brockley non se ne curava.
Era un uomo sulla trentina, dai lineamenti delicati e alteri e lunghi capelli neri che ricadevano,ordinatamente raccolti, dietro la schiena. La sua gradevole presenza era messa in risalto dall’impeccabile uniforme rossa che modellava a pennello le spalle ben proporzionate, sulle quali splendevano numerosi galloni dorati, dei quali faceva orgogliosamente sfoggio.
Ma la cosa che più di ogni altra colpiva chiunque lo vedesse per la prima volta erano i suoi enigmatici occhi di un blu limpido e profondo: parevano un specchio nel quale si rifletteva l’intelligenza e la brillantezza della sua mente ingegnosa; uno sguardo freddo, severo, che sembrava riuscisse a penetrare nel fondo dell’anima di chiunque osasse sostenerlo.
Ma l’attenzione della zingara fu catturata dalla figura dell’uomo solo per un breve istante: il suo sguardo si era già posato sul vero oggetto del suo interesse.

Non appena la figura di Kagura Brockley si mostrò ai suoi occhi, non poté fare a meno di ammettere che era bellissima, di una bellezza che non ha niente di umano e, per questo, pericolosamente vicina alla perfezione.
Non avrebbe saputo darle un’età..venticinque..ventotto..trenta..ogni volta che provava a indovinarla si accorgeva di essere completamente fuoristrada. Sul bianco quasi innaturale del volto, circondato da una folta capigliatura scurissima raccolta con cura in uno chignon, spiccava la bocca rosacea, dalla quale si poteva intravedere due piccoli canini aguzzi che spuntavano appena dalle labbra, e due strane, ipnotiche pupille color cremisi.
Se ne stava in silenzio, con lo sguardo fiero e severo innanzi a sé, tenendo con una mano il braccio del marito e facendo ricadere l’altra, all’anulare della quel splendeva un anello d’oro con tre pietre preziose incastonate sul bordo, sul semplice vestito da viaggio che pure indossava con una notevole signorilità.
Quelle due figure, che non dovevano certo passare inosservate neanche nel loro paese, emanavano un fascino etereo e, al tempo stesso, sinistro.

“Benvenuti, signori.” Esordì Sesshomaru con voce atona, accennando un inchino in direzione dell’uomo: di tutto quel turbinio di sensazioni che gli stavano annebbiando la mente, non ne avrebbe dato prova.
“Vi ringrazio dell’accoglienza Lord Langston, come state?” Rispose Lord Brockley, porgendo la mano che, riluttante, il demone dovette stringere. Il tono ufficiale con cui pronunciò quelle parole venne sbugiardato da uno strano sorriso che gli si andava pian piano allargando sul volto “Io e mia moglie siamo veramente felici di incontrarvi. Non è vero cara?”
Naturalmente Naraku non era uno stupido: conosceva bene i trascorsi tra i due e, quello che non era riuscito a sapere, poteva tranquillamente immaginarlo. Ora, mettendo innanzi agli occhi di Sesshomaru quella creatura che adesso apparteneva a lui, nutriva il suo orgoglio di una gioia perversa e godeva con tutto il suo cuore nel prendersi la più feroce delle vendette.
Kagura, sentendosi chiamare all’improvviso, ebbe un leggero sussulto. Avrebbe fatto volentieri a meno di parlare; ma, visto che era stata interpellata, non poteva sottrarsi ai suoi doveri.
“Certamente.” Confermò con un sorriso forzato, costringendosi a voltarsi verso il demone e, come da etichetta, gli porse la mano “E’ un vero piacere.”
Tuttavia, quando Sesshomaru la prese con delicatezza nella sua e la sfiorò con la bocca, si trattenne a stento dal tirarla indietro, come se quelle labbra fossero arroventate.

Mentre i convenevoli si allargarono anche ad Inuyasha e consorte, con relativi inchini, strette di mano e cortesi frasi di circostanza, Rin rimaneva ferma al suo posto, osservando la scena con un misto di curiosità e repulsione.
Ad un tratto gli occhi alteri e profondi di Lady Brockley si alzarono appena per incontrare quelli scuri e fieri della gitana.
Fu un attimo; ma bastò perché Kagura comprendesse tutto: l’astio con cui la guardava quella ragazza lei lo conosceva bene; riusciva senza fatica a intravedere da quell’espressione dura che il veleno della gelosia le aveva già contaminato il sangue.

Anche questa volta Naraku decise di non perdere l’occasione per torturare con le sue parole sottili e affilate lo sterminato orgoglio del suo antico rivale.
“Lord Langston, chi è quella signorina laggiù in dispare, la vostra nuova conquista?” Chiese in tono sarcastico, lanciando alla zingara uno sguardo freddo e crudele, che le fece correre un brivido lungo la schiena “Perché non ce la presentate?”
“Non è niente di ciò, anche se non comprendo quanto la cosa vi possa riguardare.” Rispose immediatamente il diretto interessato, prima che Rin potesse aprire bocca dando sfogo a tutta la sua rabbia “L’ho assunta come guida; è una donna del posto. Non perdete tempo a rivolgerle la parola, non capisce la nostra lingua.”
Nel pronunciare le ultimi parole, si voltò verso di lei, lanciandole uno sguardo eloquente; dopodiché si rivolse nuovamente all’ospite, smanioso ora più che mai di chiudere quella pericolosa conversazione.
“Se volete seguirmi, vi presento i miei uomini e finiamo di sbrigare le formalità. A vostra moglie ci penseranno mio fratello e mia cognata a condurla alle vostre stanze, non preoccupatevi.”
Lord Brockley lo osservò per qualche secondo; poi, con un sorriso di circostanza, chinò rispettosamente la testa e lo invitò a fargli strada.
Il demone varcò per primo la soglia, non senza aver lanciato una fugace occhiata all’anello che Kagura cercava inutilmente di nascondere nelle pieghe della veste.





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Come sempre ringrazio di cuore tutte coloro che hanno la costanza e la pazienza di commentarmi: crilli (Brooke è la "donna dai facili costumi" per antonomasia ^__^), lollyna, Kaguya, MARTY_CHAN94, rosencrantz (troppo buona..mi fai arrossire XD ), crici_82 e KaDe.




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Capitolo 20
*** Soledad y Celosía ***






CAPITOLO 20.




“Soledad y Celosía”




“¡Oh pena de los gitanos!
Pena limpia y siempre sola.
¡Oh pena de cauce oculto
y madrugada remota!”*


(Romance de la Pena Negra, Garcia Lorca)





Non appena i due uomini furono usciti, chiudendo la porta alle loro spalle, nella stanza piombò un pesante silenzio carico di tensione. Rin rimaneva immobile nello stesso punto esatto di prima e adesso, con le braccia conserte, lanciava di tanto in tanto occhiate taglienti alla donna dall’altro capo della sala; la quale, da parte sua, seguitava a tenere un contegno ineccepibile: come se quegli sguardi pieni d’odio le scivolassero addosso senza il minimo fastidio.
Kagome, resasi conto della precarietà di quella situazione, temendo lo scoppio di quella bufera che pareva sempre più pericolosamente vicina, diede una vigorosa gomitata nelle costole al marito affinché intervenisse.
Bloccando una lamentala che aveva sulla punta della lingua riguardo ai metodi poco ortodossi della moglie e all’ingrato compito che gli aveva impietosamente affibbiato senza neanche averlo consultato, Inuyasha si fece coraggiosamente avanti, mentre scavava disperatamente nella sua mente per cercare qualche parola di circostanza.
“Allora, Miss Shinley…finalmente vostro marito e mio fratello se ne sono andati! Adesso possiamo parlare senza imbarazzo.”
“Miss Shinley..” ripeté la donna, come se avesse colto solo quello in tutta la frase. Aveva gli occhi malinconici fissi sulla parete e pronunciava quelle sillabe con una sorta di mesto rimpianto “Shinley…quant’era che non sentivo qualcuno chiamarmi così..”
“Perdonatemi se ho usato il vostro nome da nubile;” si corresse immediatamente il mezzodemone “la forza dell’abitudine.”
“Figuratevi, anzi..mi piace rievocare il passato ogni tanto..perdersi nell’oceano dei ricordi..” Fece un profondo sospiro e tornò ad osservare il suo interlocutore “Comunque, cosa volevate dirmi?”

“Potresti iniziare a spiegarci perché sei voluta venire per forza qui ed adesso hai l’aria da fanciulla dispersa e sofferente, per esempio. Poi, sempre per esempio, potresti smettere di fare quella faccia come se qualcuno ti stesse trascinando per forza all’estremo supplizio. Infine potresti toglierti di torno visto che la tua presenza ha portato più scompiglio di quanto non ce ne fosse già!”

Inuyasha, nel sentire quella voce cristallina ma feroce, pregò con tutto il suo cuore che fosse solo frutto di un’allucinazione: ma sapeva bene che era tremendamente reale.
Rin, non riuscendo più a tener dentro tutti quei pensieri che gli ribollivano e annebbiavano la mente, era esplosa.
Sputava fuori quella parole come fossero veleno e, con gli occhi nerissimi ridotti oramai a due fessure, avanzava a testa alta, come se avesse ritrovato tutto d’un tratto l’antico vigore che Sesshomaru era riuscito in qualche modo a placare.
Senza che il povero mezzodemone o la moglie potessero impedirglielo, si fermò solo quando fu faccia a faccia all’avversaria e, scrutandola da capo a piedi con fare di sfida, si zittì aspettando, per nulla intimidita, lo scontro.
Ma Kagura non era una persona impulsiva e, invece di risponderle a tono, si limitò a sostenere il suo sguardo con aria apparentemente calma.
Si lasciò sfuggire un sorriso, nel quale non c’era alcuna traccia di divertimento: era il sorriso amaro di chi comprende e compatisce.
“Vedo che l’inglese lo sai parlare, e anche molto bene.” constatò con voce serena, come se quella scoperta avesse solo confermato un suo pensiero. Dopodiché si voltò verso i due coniugi Langston “Vi dispiace lasciarci sole?”
I due, non potendo fare altrimenti, fecero un rapido cenno e si avviarono verso la porta, non senza un qualche reticenza: non era una cosa saggia lasciare sole, nella stessa stanza, due donne che avevano avuto un uomo in comune; ma cosa potevano fare?

“Dunque,” riprese Kagura dopo la veloce interruzione, con voce calma ma, allo stesso tempo dura e decisa “non capisco assolutamente il perché di questo comportamento aggressivo nei miei confronti. O meglio..un’idea ce l’ho; ma credo proprio che l’accusa che mi hai rivolto sia pura menzogna.”
“Neghi di aver convinto tuo marito a portarti con lui qui, non appena hai saputo che era Sesshomaru il comandante da ispezionare?” La aggredì Rin, stringendo convulsamente i pugni.
“Credi davvero che sia così pazza da volermi a tutti i costi presentare, di mia spontanea volontà, al cospetto dell’uomo che ho amato più della mia stessa vita? Per quale assurdo motivo avrei dovuto farlo?!”
“Per riconquistarlo forse?” Azzardò la gitana, sperando in qualche modo di turbare quel contegno integerrimo e un po’ altezzoso.
“Riconquistarlo?” Le fece eco la donna, inarcando un sopracciglio “A che pro? Per doverlo abbandonare di nuovo? Per rivivere di nuovo gli stesse terribili tormenti, dei quali non mi sono tutt’ora completamente liberata? Per rischiare di mandare a rotoli la reputazione di mio marito e della mia famiglia?”
“L’amore non ammette certe razionalità.”
Lady Brockley non ribatté subito; si volse verso la zingara e incrociò lo sguardo con il suo.
“Avrei preferito soffrire la fame e la povertà come sicuramente avrai sofferto tu, ma in cambio avere quella semplicità che ti impedisce di comprendere il nostro mondo.”

Rin non poté fare a meno di ammirare quei bellissimi occhi dai bagliori rossastri che la guardavano nello stesso modo con cui una donna che ormai ha subito tutti i contraccolpi del destino, che ha perso anche la speranza, guarda la ragazzina giovane, inesperta, piena di ideali e aspettative.
Per un attimo le sembrò di intuire, in quelle iridi fredde, una sorta di malinconia, di tristezza. Ebbe un tuffo al cuore quando si rese conto di quanto fossero simili a quelle di Sesshomaru.
“Comunque,” ci tenne a precisare Kagura “è stato mio marito a insistere perché lo seguissi. Sicuramente lo avrà spacciato a Wellington per un mio desiderio.”
“Perché tuo marito dovrebbe volere una cosa del genere?” Domandò stupita la gitana, volendo delle prove sulla veridicità di quell’affermazione.
“Per prendersi la sua piccola vendetta su Lord Langston.” Spiegò la donna, alzando leggermente le spalle “Per mostrargli di persona che oramai io sono sua moglie e lui non può farci più niente.”
“E’ crudele.”
“E’ comprensibile.” La corresse “Naraku ha voluto sposarmi e continua a vivere accanto a me sapendo benissimo che il mio cuore e la mia mente, specialmente i primi tempi, erano da tutt’altra parte. Non mi fraintendere, lui non è innamorato di me, ma tra di noi c’è il giusto rispetto che ci deve essere tra marito e moglie, ma niente di più. Tuttavia comprendo quanto possa essere difficile vivere accanto a una persona con questo pensiero fisso, con la sicurezza di riuscire a indovinare ogni volta che la guardi i suoi pensieri..”
“Deve essere triste però..costretta a vivere con un uomo e pensarne un altro.” Ammise Rin, che ormai aveva completamente perduto ogni istinto bellicoso nei confronti della donna.
Kagura scrollò le spalle “I matrimoni d’amore sono così rari che non avevo certo l’aspettativa di essere tra quelle poche elette. Naraku è un uomo intelligente e affascinante; anche se è una persona un po’ solitaria e scostante e, a volte, ho come l’impressione di conoscere solo una minima parte di lui. Ma mi consolo pensando che poteva andarmi molto, molto peggio.”

Rin abbassò appena la testa, annuendo: il morso della gelosia adesso si era un poco allentando, facendo spazio ad una sorta di tacita empatia con quella creatura dall’aspetto e dalle movenze che avevano veramente poco di umano. La osservava, incantata da quella sicurezza e da quel coraggio che non poteva non tributarle.
La sincerità con la quale parlava gliela fece sentire così vicina, come non avrebbe mai pensato potesse essere una persona così diversa da lei: come se il fatto di aver amato lo stesso uomo le avesse legate in una comune disgrazia dalla quale potevano sollevarsi solo sostenendosi l’un l’altra. Tuttavia una differenza c’era, fondamentale.
Kagura conosceva Sesshomaru molto meglio di chiunque altro ed era riuscita, in qualche modo, a legarlo a lei: questo era l’aspetto che la incuriosiva maggiormente e, al tempo stesso, le rinvigoriva quell’astio iniziale, che si era andato mano a mano spegnendo.
“Lo ami sempre?” Chiese a bruciapelo, sperando che la sorpresa di quella domanda improvvisa le facesse dire la verità.
“L’ho amato molto.” Rispose Lady Brockley con voce leggermente melanconica, come se le costasse una grande fatica sondare nel suo cuore per parlare con sincerità “E’ passato tanto tempo, il sentimento si è affievolito ma non potrà mai scomparire.
Il vero amore è solo uno nella vita e se ne porta il ricordo per sempre.
Di quella storia sono rimaste ormai solo le ceneri; cercherò di fare in modo che la fiamma non si accenda di nuovo. Ma non chiedermi di spazzarle via, perché non posso, né lo voglio.”

“Non sentirai mai da parte mia una richiesta del genere.” La rincuorò Rin, cercando di non mostrare quanto quelle parole l’avessero colpita nel profondo.
Kagura le sorrise appena; poi concentrò lo sguardo in un punto lontano al di là della finestra socchiusa.
“E tu, lo ami?”
“Si.” Rispose istintivamente, senza concedersi un attimo per pensarci.
“Lui ti ricambia?”
Domanda secca, mirata e un pizzico crudele.
Questa volta la risposta non era così ovvia e la gitana optò per un diplomatico “Non lo so”. Anche se dentro di sé protendeva più per il ‘no’, il suo orgoglio le impediva di umiliarsi così.
Lady Brockley nel profondo del suo cuore si sentì un po’ rinfrancata: naturalmente non avrebbe tentato di opporsi alla loro relazione; tuttavia il pensiero che Sesshomaru non fosse totalmente perso di quella ragazza le dette quel pizzico di felicità che solo le donne che sono state innamorate possono comprendere e, per questo, non gliene faranno certo una colpa.
Comunque il semplice fatto che Lord Langston avesse accettato di tenere accanto a sé un’umana, straniera, della stirpe che più disprezzava sulla faccia della terra – ed erano molte –, era un notevole passo avanti.
Anzi, a dirla fino in fondo, Kagura dovette ammettere a se stessa che quella zingara non le stava affatto antipatica..le piaceva il modo un po’ insolente con il quale l’aveva sfidata, quelle parole dirette e velenose, quello sguardo fiero..
“Sappi però,” si sentì in dovere di avvertirla “che se cerchi quel sentimento palese e assoluto che la maggior parte delle donne cercano in un uomo, in Sesshomaru non lo troverai. Accontentati dei piccoli gesti, delle parole non dette, dei profondi silenzi..insomma..delle esili prove che puoi riuscire a intuire del suo affetto oppure, dammi retta, lascia perdere.”
“Lo so...lo conosco abbastanza per averlo già capito.” si limitò solo ad affermare la gitana. Di tutte le altre preoccupazioni che le attanagliavano il cuore, decise di non farne parola, ma di tenerle nascoste dentro di sé.

Per sua fortuna Lady Brockley, dopo quel serrato scambio di battute, ritenendo che la conversazione potesse ormai ritenersi conclusa, espresse il desiderio di andare a riposarsi nella sua camera e, dopo un veloce saluto, si avviò verso la porta.
Ma quando fu sulla soglia si fermò improvvisamente, come se solo ora le fosse sovvenuta una cosa importante.
Si voltò verso la zingara.
“Non mi hai ancora detto come ti chiami..” Notò con un mezzo sorriso.
“Rin. Mi chiamo Rin.”
“Rin…bene...me ne ricorderò.” E dopo averle accennato un ultimo saluto, sparì dalla visuale della giovane senza aggiungere una parola.




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* “Oh pena dei gitani!
Pena pura e sempre sola.
Oh, pena di origine occulta
E di aurora remota!”




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Angolo dei ringraziamenti:

MARTY_CHAN94: Grazie mille, troppo buona. Eheh..non posso anticipare niente ^__^

KaDe: Sesshomaru non può presentare Rin come la sua nuova fiamma per due ragioni :per prima cosa non è nel suo carattere.
La seconda, più importante, risiede nella semplice considerazione delle enormi differenze sociali e culturali tra i due.
Il fatto di presentare una zingara come la propria amante poteva avere conseguenze disastrose per il buon nome della persona in questione.
Ricordiamoci che Sesshomaru è un nobile inglese di inizi ottocento, calato in una società dove, tra l'altro, la repressione sessuale era fortissima!

crilli: La cassettiera mi ha pregato di riferirti che è commossa dalla tua bontà nei suoi confronti XD
Kagura più che fragile, diciamo che è molto ingessata nel suo ruolo, sia per dovere, sia per educazione. Comunque credo che non debba lamentarsi di niente..le ho dato Naraku come marito! Che si può chiedere di più? ^__^

rosencrantz: Già, povera Kagura. Sto cercando disperatamente di sottolineare quanto le due donne siano diverse e affascinati, ognuna a modo suo, per le proprie peculiari caratteristiche. Speriamo di riuscire nell’ardua impresa!
Spero di poter riscattare in qualche modo Naraku dal baratro in cui l’ha calato la sensei..davvero un bellissimo personaggio sprecato..

lollyna: Kagura ha molte ragioni per affascinare Sesshomaru; come, all’opposto, ce le ha Rin. E, in fondo, la prima è molto più simile al bel demone rispetto all’altra ed anche più matura. Vedremo cosa succederà..

ladyhellsing: Grazie mille ^__^


Alla prossima.
Jessy





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Capitolo 21
*** Ilusión ***







CAPITOLO 21.



“Ilusión”



“ La vita non è che un'ombra che cammina, un povero commediante che si pavoneggia e si agita sulla scena del mondo per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla..”

(Macbeth, atto V, scena V, William Shakespeare)






Kagura allungò lentamente i piedi, cercando di far rifluire la circolazione attraverso le gambe indolenzite. Ormai da tutto il pomeriggio era distesa su quello scomodo letto, ed ora qualche doloretto iniziava a farsi sentire.
Represse a fatica una sbadiglio mentre, tirandosi faticosamente a sedere, prese il libro poggiato sul mobiletto alla sua destra cercando, per l’ennesima volta, di concentrare la sua attenzione su quelle pagine.
Il tentativo risultò prevedibilmente un fallimento.
La mente, sfuggendo crudelmente al controllo della padrona, la costringeva a ricordare momenti di un passato del quale continuava ad avere timore e a riflettere su un presente non meno tormentato. Le parole di quella zingara si mescolavano all’immagine delle labbra di Sesshomaru che sfioravano, dopo un tempo che le era parso eterno, la sua pelle in un turbinio di sensazioni che non era capace di richiamare ad un ordine logico: poiché, di logico, non avevano nulla.

“Cosa state leggendo?” Una voce profonda e, per certi versi, suadente la riscosse improvvisamente dai suoi pensieri, facendola sussultare appena; come se fosse stata sorpresa a commettere qualcosa di sconveniente.
“Coleridge…” sussurrò con un sorriso forzato, poggiando nuovamente il libro al suo posto“Ballate Liriche.
“Non credo sia la lettura più adatta a una signora.” constatò l’uomo, chiudendo dietro di sé la porta e andandosi a sedere accanto alla moglie “Credo dovreste intrattenervi con qualcosa di più adatto al vostro sesso…tipo dei romanzi gotici. Mi hanno detto che piacciono molto al pubblico femminile. Che ne dite?”
“Signore; sapete bene quanto disprezzi quel genere. E’ buono solamente per ragazzine che non vogliono dormire la notte, trasalendo per ogni minimo rumore che giunge alle loro orecchie. Inoltre il loro valore letterario, ne converrete con me, è piuttosto basso.”
“Ve lo concedo, mia cara.”
Quelle ultime parole furono pronunciate con una strana, pesante lentezza mentre le pupille di ghiaccio del marito, come la lame di un freddo pugnale, le trapassarono l’anima.
Ormai erano passati sei anni dal loro matrimonio ma, a quello sguardo, non era ancora riuscita ad abituarsi.
Naraku si sporse leggermente verso di lei, fino a sfiorare, con un sorriso che gli illuminava il bel volto di una luce sinistra, le labbra con le sue.
Kagura stava completamente immobile, tentata da quel sospiro caldo che si infrangeva regolarmente contro la sua pelle. Socchiuse le palpebre, come rapita dall’estasi di quel momento, cullata quella insopportabile provocazione...sembrava…si...proprio come faceva Lui.

Aprì di scatto gli occhi; come se un ricordo si fosse improvvisamente impossessato della sua mente.
Due pupille d’oro la stavano scrutando.
No..non poteva essere!
Cosa ci faceva? Cosa ci faceva Lui ora...Lui qui?
Li richiuse. Li riaprì.

L’oro era cangiato in un blu profondo.

“Qualcosa che non va, signora?” Le domandò Lord Brockley, scostandosi appena da lei, in modo da poter avere una visuale completa del suo volto.
“Niente, niente mio caro.” Mentì Kagura, riscuotendosi immediatamente da quella visione “Mi è solo presa una tremenda emicrania. Forse è meglio se provo a dormire per qualche ora.”
“…e scommetto che l’emicrania sarà talmente forte da privarci della vostra adorabile compagnia anche per la cena.” insinuò l’uomo “Non potete essere così crudele. Il nostro caro ospite ne soffrirà.”
“Credo che nessuno si dispererà così tanto per la mia assenza da perdere l’appetito.”
“No mia cara..direi che gli appetiti di qualcuno li avete già soddisfatti per molto tempo..”
“Signor Brockley!” Esclamò sconvolta la donna, mentre gli occhi rossastri si accendevano per l’indignazione “Vi sembra il modo di rivolgervi a me?! Alla vostra legittima consorte? Queste sono delle parole indecorose e offensive, spero di non udirle mai più uscire dalla vostra bocca!”
Naraku sorrise soddisfatto, senza peraltro perdere la calma, continuando ad ostentare una sicurezza a dir poco irritanti agli occhi della compagna.
“Credete che non sappia che Lord Langston è stato il vostro amante?”
“E’ per questo che avete mentito al signor Wellington? E’ per questo che lo avete pregato di esprimere chiaramente nella lettera che il desiderio di recarmi qui, con voi, era stato formulato da me, vero?!”
Questa volta l’uomo non riuscì a trattenere una risata che rimbombò, cupa, contro le pareti della piccola camera.
“Touché!” Ammise, chinando la testa in segno di assenso.
“E non vi vergognate?” Lo rimproverò Kagura; la quale, sentendosi derisa, aveva perso completamente la pazienza “Non è un comportamento degno di voi e, tantomeno, di un gentiluomo nella vostra posizione!
Per quale motivo mi avete portato qui? Per potervi godere l’espressione sulla mia faccia quando avrei rivisto il mio vecchio amante? Ditemelo, su!”
La voce, all’inizio tranquilla e altera, adesso aveva completamente perso ogni equilibrio. Mentre lanciava occhiate cariche di disprezzo a quella persona che seguitava a sederle di fronte senza tentare di difendersi; straziava, tra le proprie mani, il fine lenzuolo che adesso minacciava di strapparsi da un momento all’altro.
Naraku, sempre senza fiatare, accoglieva le feroci parole della moglie con un’indifferenza disarmante: come se gli scivolassero addosso senza intaccarlo minimamente.
Quando, infine, quell’invettiva fu terminata, si alzò lentamente dal letto e, frugato per qualche secondo nella tasca del soprabito, ne cavò fuori un sigaro piccolo e sottile che si portò pacatamente alla bocca; poi, individuata sul tavolo, accanto al candelabro, una scatola di fiammiferi, ne accese uno al primo tentativo e lo accostò al tabacco finché non vide alzarsi il fumo scuro.
“Il problema di fondo, mia cara” esordì, appoggiandosi al tavolo e voltandosi nuovamente verso di lei per scrutarla con sguardo severo “è che lo amate sempre; altrimenti non vi arrabbiereste così tanto. L’unico che dovrebbe aver qualcosa da ridire dovrei essere io, visto che ho sposato una donna innamorata di un altro.”
“Primo: io non lo amo più.” ci tenne a precisare la moglie “Secondo: voi sapevate benissimo dei miei sentimenti nei suoi confronti quanto mi avete chiesto di sposarvi. E’ troppo tardi per lamentarsene.”
“Non mi sembra di essermi lamentato la prima notte di nozze, quando ho avuto la prova tangibile che il vostro onore non era così immacolato come si voleva far credere.”
“Forse; ma non mi sembra, in tutti questi anni che abbiamo passato insieme, di avervi mai dato modo di lamentarvi del mio comportamento. Sono stata una moglie esemplare e continuerò ad esserlo.”
“Certamente.” concesse Lord Brockley, togliendosi un momento il sigaro di bocca per soffiare fuori il fumo “Ma il ton londinese non ha dimenticato le vostre scappatelle amorose, precedenti al nostro matrimonio.”
“Se è per questo,” ci tenne a sottolineare la donna, alzandosi dal letto e avvicinandosi al marito a testa alta e con le mani strette sui fianchi “Il ton londinese non ha neanche dimenticato le vostre bravate in almeno metà dei bordelli della città!”
“Ma io sono un uomo..” si difese Naraku con un sorriso.
“I gentiluomini non trascorrono le loro notti nei bordelli.”
“Forse..” mormorò ironicamente l’uomo, ormai faccia a faccia con la sua interlocutrice “qualche gentiluomo di mia conoscenza avrebbe fatto meglio a sfogare i suoi istinti in certi luoghi; invece di macchiare l’onore delle giovani di buona famiglia..”
Kagura, punta sul vivo, alzò minacciosamente una mano, come se volesse schiaffeggiarlo. Ma, dopo un attimo di esitazione, la abbassò serrando convulsamente i pugni, cercando di frenare la rabbia che l’accecava e di riprendere il solito contegno, adatto alla sua posizione.
“Come posso pretendere che mi capiate?” sibilò, alzando appena lo sguardo per incontrare quello, freddo, del marito “Voi non siete capace di amare..”
“Forse è meglio così.” constatò l’uomo, questa volta in tono grave, dopo averla osservata per un istante con una tale intensità da costringerla a rivolgere la sua attenzione verso qualcos’altro “Credo di avervi visto abbastanza soffrire per desiderare con tutto me stesso che una cosa del genere non mi accada mai.” Solitamente così gelida, ora la sua voce era impercettibilmente raddolcita. Allungò leggermente la mano verso il viso di lei e, poggiatele le dita sotto il mento, la costrinse con gentilezza a guardarlo di nuovo. “Tuttavia non avrei potuto sopportare che qualcun altro potesse sposarvi..”
“Non siete pentito di avermi voluta accanto a voi?”
“Io non mi pento mai di niente.” Sussurrò mentre l’attirava a sé; posando le labbra contro le sue. Kagura non si oppose; lasciò che il marito la premesse possessivamente contro il proprio petto e le facesse lentamente scivolare una mano lungo la schiena, provocandole dei leggeri brividi.
Nell’attimo in cui la rabbia aveva preso il sopravvento, aveva sentito una sorta di odio, di disprezzo nei suoi confronti: l’aveva sminuita, offesa, avvilita senza alcuna pietà.
Ma, ripensandoci adesso che il grido dell’onore ferito non le martellava più la testa, si rendeva perfettamente conto che il compito di Naraku non era dei più facili.
Lei stessa non avrebbe saputo dire come si sarebbe comportata, cosa avrebbe pensato se, alle spalle del marito, ci fosse stata l’ingombrante e minacciosa ombra di un’antica amante.
“Però,” lo rimproverò con un tono rasserenato, interrompendo il bacio “dovete promettermi, sul vostro onore, che la smetterete di tormentare Lord Langston.”
Lord Brockley si scostò appena da lei, osservandola con sorriso che di rassicurante aveva ben poco.

“Mia signora; dovreste sapere che io non giuro mai sul mio onore.”


***********


Quando Rin era tornata in camera poco dopo quella strana conversazione con Lady Brockley, aveva trovato una scena alquanto inquietante: Sesshomaru se ne stava nella penombra, sprofondato in una vecchia poltrona. Il volto, leggermente contratto in una smorfia di disgusto, era sorretto da una mano; gli occhi funerei, fissi su un punto indeterminato, riflettevano la preoccupazione e il turbamento che gli stavano pian piano avvolgendo la mente in una cupa prigione, dalla quale non riusciva a liberarsi.
Non si mosse da quella posizione né mutò l’espressione del viso, nemmeno quando la porta si richiuse con un leggero cigolio dietro la schiena della donna.

“Ha chiamato gli uomini del mio reggimento assassini e delinquenti.” Le pupille rimanevano fisse, immobili, come se stessero osservando immagini che lei non poteva vedere. La voce tagliente rimbombava nel silenzio, con un suono inumano “Ha detto che non abbiamo combinato niente da quando siamo arrivati e, quando gli ho fatto notare che non potevo muovermi senza che mi fossero stati inviati gli ordini, mi ha imposto di tacere. Di tacere! A me…Davanti ai miei uomini!”
Rin rimase per un lungo istante a guardarlo con una sorta di compassione. Dio, quanto doveva essere straziante per il suo orgoglio!

Avanzò di qualche passo, non senza una leggera titubanza, finché non gli fu talmente vicina che il demone non poté non rivolgerle l’attenzione e, senza aspettare il permesso, gli si sedette sulle gambe.
“Lo fa solo per invidia, per vendicarsi…non credo ti debba preoccupare più di tanto.” Cercò di rassicurarlo, passandogli dolcemente un dito sulle sottili sopracciglia aggrottate.
“Vendicarsi? E per quale motivo? Quando si è sposato lo sapeva benissimo che quella donna era la mia amante! Se la cosa lo turba così tanto, doveva pensarci prima.”
“La gelosia…o, forse più propriamente, l’orgoglio possono portare a questo e altro..”
“E sia…comunque non sono sicuro che la prossima volta riuscirò a resistere alle sue provocazioni. Mi vedrò costretto a squartare la sua miserabile carcassa e gettarla nel fiume più vicino. Quale mi consigli? Lo voglio abbastanza grande e profondo perché il suo cadavere non ritorni mai più a galla.”
“Suppongo che il Guadalquivir vada bene.” Scherzò la donna; non riuscendo tuttavia a scacciare completamente la preoccupazione “Comunque se fossi in te non lo farei.”
“E per quale motivo?”
“Quantomeno per il bene di Lady Brockley.”
Nel pronunciare quel nome, la gitana sentì i muscoli di Lord Langston contrarsi improvvisamente e gli occhi, sempre luminosi e alteri, rabbuiarsi; come se si fosse ricordato solo adesso della sua esistenza.
“La ami sempre così tanto?” si costrinse a chiedere, nonostante sentisse uno strano dolore farsi sempre più forte e insopportabile; come se una lama invisibile la lacerasse da dentro.
Sesshomaru conficcò le sue iridi dorate in quelle scure di lei. La sorda preghiera che vi leggeva dentro gli fecero sentire una sorta di pietà, di compassione nei suoi confronti.
Alzò lentamente un braccio e le cinse con dolcezza la vita, avvicinandola ancora di più a sé. “Non lo so…non so più cosa pensare.” Non le avrebbe mentito, non se lo meritava “Era una sensazione così strana quando stavo insieme a lei. Credevo che ormai il tempo avesse fatto il suo dovere; ma rivederla è stato davvero…come dire…strano: sembrava che mi trovassi davanti una creature che fino a quel momento era esistita solo nei miei sogni.
Quando la guardavo mi sembrava di conoscere tutto di lei, ogni minimo particolare, ogni espressione del suo viso; poi, un attimo dopo, mi pareva di avere di fronte una perfetta estranea.”
“Credo sia inevitabile; in fondo sono tanti anni che non la vedi.” Spiegò la donna con una tranquillità, che pareva troppo artificiosa per essere vera.
“Comunque,” concluse il demone, come se stesse cercando di convincere più se stesso che la compagna “ormai è tutto finito…è una storia che appartiene al passato. Non c’è più nulla per cui valga la pena combattere.”
La zingara si voltò verso di lui, sentendosi solo parzialmente rassicurata, e posò un fugace bacio prima sulla fronte e poi sulla bocca sottile e fredda.
“Ed io?” Gli sussurrò a fior di labbra.
Sesshomaru allungò una mano verso i suoi capelli, prendendo tra le dita una folta ciocca nerissima con fare pensoso: come se stesse soppesando le parole che si apprestava a pronunciare. “Una cosa per volta Rin…una cosa per volta…” mormorò prima di attirarla nuovamente a sé e premere la lingua contro la sua; nel tentativo di impedirle di porre nuovamente lo stesso quesito.

La donna non fu affatto soddisfatta della spiegazione, che apriva più domande di quante risposte avesse dato.




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Chiedo scusa se non ce la faccio a rispondervi stavolta ad una ad una. Ne approfitto comunque per ringraziare tutte coloro che mi seguono e mi fanno il grande piacere di commentare!

Alla prossima,
Jessy




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Capitolo 22
*** Orgullo ***







CAPITOLO 22.


“Orgullo”




“La nostra vanità è più duramente offesa proprio quando è stato il nostro orgoglio ad essere ferito.”


(Nietzsche)





Non potendo trovare una scusa che fosse impietosamente smascherata dal marito come palesemente falsa, Lady Brockley fu costretta a partecipare a quella che prevedeva sarebbe stata una cena straziante.
Nel tentativo di prendersi minuti preziosi per cercare di ordinare le idee e di prepararsi psicologicamente al duello verbale che probabilmente il marito avrebbe intrattenuto col suo vecchio amante, continuava ad aprire e chiudere le ante dell’armadio fingendosi indecisa su quale vestito si sarebbe maggiormente adattato a quell’occasione.
“Cosa ne dite? Secondo voi è meglio quello azzurro oppure quello color crema? Però non sarebbe male neanche quello che mi sono comprata qualche settimana fa, quello semplice a maniche corte..Tanto non andremo ad un ricevimento galante..”
Poteva solo sperare che Sesshomaru fosse così intelligente da evitare di raccogliere ogni provocazione che gli sarebbe stata lanciata.
Speranza vana, conoscendo il suo orgoglio.
“Quale volete, mia cara..sarete comunque splendida.” Celiò il marito che se ne stava impazientemente seduto sulla sedia, tamburellando con le dita sullo schienale di legno “Basta che vi muovete; siamo già in ritardo. Non vorrei che ci accusassero di maleducazione.”
“Si si, mi sbrigo. Non mettetemi fretta..sennò mi sentirò ancora più indecisa.”

Infine, dopo alcuni minuti e innumerevoli lamentele, fu costretta a optare per quello color crema ed a rinunciare alla scelta dei gioielli e di un’acconciatura elaborata.
Naraku, non appena la moglie ebbe compiuto la fatidica scelta, le si avvicinò in silenzio e iniziò ad abbottonarle la veste dietro il collo, mentre essa si spostava i capelli con una mano per facilitare l’operazione.
“Mio Dio.” Esclamò esasperato l’uomo “Ma di quanti bottoni avete bisogno?”
“Quelli indispensabili affinché vostra moglie non rimanga nuda davanti a tutti.”
“Suppongo” insinuò Lord Brockley a bassa voce, accostandosi leggermente all’orecchio di lei “che per qualcuno non sarebbe una novità. Tuttavia al momento preferirei evitare una circostanza così spiacevole.” terminato l’oneroso compito, offrì con teatrale galanteria alla moglie il braccio, non prima di averle sfiorato il collo con un bacio “In fondo siete la mia consorte; dunque vorrei proprio essere l’unico ad avere l’onore di vedervi nuda.”


*****************


Surreale.
Si..se Rin avesse dovuto scegliere un aggettivo per descrivere la cena, quella sarebbe stata la parola prescelta.
Calati in un clima così carico di tensione che si sarebbe potuta tagliare tranquillamente col coltello insieme allo spezzatino, i convitati se ne stavano rigidi ai loro posti lasciandosi andare di tanto in tanto a qualche conversazione che più vuota davvero non si sarebbe potuta immaginare.
Sprofondata sulla sedia, dalla parte opposta del tavolo rispetto agli ospiti, accanto a Kagome e Inuyasha, la gitana osservava con la coda dell’occhio quella scena assurdamente grottesca.
Sesshomaru, costretto a sedere a capotavola, si trovava ad avere alla sua destra la povera Kagura, la quale sin dall’inizio aveva continuato a fissare il piatto, come se l’avesse ipnotizzata, senza peraltro toccare cibo. Tra di loro, se ne strava Lord Brockley che mangiava e parlava con una tranquillità disarmante, come se fosse l’unico a non avvertire l’artificialità di quella colma apparente.
“Poverina, non vorrei essere nei suoi panni.” Aveva sussurrato la zingara, stando bene attenta a non farsi sentire, ai coniugi Langston; i quali le avevano confermato la loro stessa preoccupazione con un mezzo sospiro.
La muta preghiera che i servi si muovessero a servire le portate si rivelò inutile. In mancanza di personale, erano stati scelti tra i soldati quelli che parevano maggiormente capaci a portare più di un vassoio per volta senza rovesciarlo addosso a qualcuno.
Evidentemente il terrore che una simile disgrazia potesse accadere, temendo le ire del colonnello già di per sé intrattabile, aveva suggerito ai poveri malcapitati di compiere i loro doveri con sicura lentezza.

“Allora Duca, avete saputo di Cadice?” Chiese Naraku con tono stranamente affabile, lasciando che il servitore gli togliesse da davanti il piatto sporco per portarne un altro pulito.
“Si. Una sfortuna, direi.” Si limitò a rispondere Sesshomaru, versandosi da bere. Neanche lui quella sera aveva toccato cibo: il solo pensiero gli dava la nausea.
“Più che sfortuna direi incompetenza!”
“E’ un’accusa grave; ne siete certo?”
“Gli ufficiali di marina sono solo dei tracotanti. Dovreste vedere come si comportano! Credono di avere solamente nelle loro mani le sorti della nazione..come se ci fossero solo loro a combattere per sua Maestà re Giorgio! E mentre giocano con le proprie barchette, il nostro amico Napoleone sta diventando sempre più pericoloso.”
“La nostra flotta è un orgoglio per l’Inghilterra..e l’eccessivo orgoglio a volte rende più ubriachi di quanto non lo faccia il vino…
Ma, comunque sia, Cadice è veramente una roccaforte, non mi stupisco che i Francesi siano riusciti ad affondare due nostre navi.” Si affrettò a concludere il demone, sperando che quella sottile frecciata sull’orgoglio non desse all’altro una valida motivazione per iniziare di nuovo a punzecchiarlo. Non credeva di poter resistere ancora.
“Credo che nella vita ci siano molte cose difficili; ma niente di impossibile.” constatò questi, lanciando un fugace sguardo alla moglie, mentre la bocca si allargava in un sorriso sadico “Per esempio fino a qualche anno fa non avrei mai ritenuto possibile di riuscire a sposare una delle più belle donne di tutta l’Inghilterra..e invece eccola qua, di fronte a me, con la fede al dito.”
Kagura maledisse mentalmente quella lingua avvelenata di suo marito e continuò imperterrita a fissare il suo piatto, non avendo il coraggio di alzare gli occhi.
“Vi faccio le mie congratulazioni. Non è da tutti, al giorno d’oggi, riuscire a contrarre un matrimonio felice.” Si limitò a constatare Sesshomaru, costringendosi a mantenere la massima calma; anche se i suoi muscoli tesi raccontavano un’altra storia.
Per non aumentare ancora di più l’imbarazzo della donna preferì non ribattere.
Inuyasha, invece, fu colto alla sprovvista dalla mano della maglie che, nell’udire le parole di Lord Brockley, gli aveva quasi stritolato un braccio.

“E voi, Lord Langston?” Insisté l’uomo, portando nuovamente le pupille bluastre su di lui.
“Io cosa?”
“Quand’è che ci allieterete con la notizia di un vostro matrimonio? Ho sentito dire che molte giovani, belle e ricche signorine spasimano per i vostri occhi dorati e, credo, non solo per quelli.” Kagura gli diede un leggero colpo con il piede sotto il tavolo nella speranza di farlo tacere. Invano.
“Credo ci siano molti altri buoni partiti ai quali possano dedicare le loro attenzioni. Il matrimonio non è certo una delle mie priorità, in questo frangente.”
“Ma, santo cielo signore..” lo incalzò Naraku, fingendo di essere sconvolto a quella notizia “Noi siamo soldati; lo sapete bene che potremmo passare a miglior vita da un momento all’altro, senza alcun preavviso! A chi lascereste i vostri possedimenti e l’illustre nome che portate?”
“Suppongo al mio cavallo: è un animale nobile e molto intelligente. Credo proprio che sarà un ottimo amministratore dei miei beni.” Nonostante la battuta, l’espressione del volto rimaneva grave e leggermente spazientita.
“E vostro fratello?” Rise l’altro, dando l’idea di aver apprezzato l’ironia.
“Potrà prendere servizio come suo domestico quando vuole. Spero lo tratterà con riguardo.”
Inuyasha per la prima volta si trattenne dal rispondere con un’altra battuta; si limitò solamente a lanciare al fratello un’occhiata con cui gli esprimeva tutto il suo sostegno e la sua disperazione; mentre l’altro si limitava a carezzare distrattamente il coltello alla sua destra.
“E quella moretta seduta laggiù?” insinuò Lord Brockley, mentre il sorriso si allargava sempre di più “Mi avete detto che è solo una guida del posto. Eppure siede al tavolo con noi..E’ un trattamento di riguardo davvero sospetto..”
“Non credo sia un comportamento da gentiluomo farla cenare da sola in mezzo a una cinquantina di soldati.”
“Suvvia, Duca, chi credete di prendere in giro? Nessuno di noi vi condannerà se ammettete di esservi procurato un’ amante per allietare la vostra permanenza nell’assolata Spagna. E’ molto carina, sebbene non sia il tipo che piace a me. Preferisco le donne di carnagione chiara e dai tratti nobili: come la mia cara consorte..Cos’è? Una zingara? Si.. mi sembra una zingara...”
Rin dovette faticare non poco per resistere alla tentazione di alzarsi dal tavolo, avvicinarsi a quel bastardo e conficcargli la forchetta che stringeva in mano in un occhio.
Tuttavia si costrinse a continuare a fissare tranquillamente davanti a sé; fingendo di non comprendere una sola parola che era stata pronunciata.
“La mia vita privata non credo vi debba interessare.” Tagliò corto Sesshomaru: la sua pazienza era ormai agli sgoccioli.
“Chiedo scusa se vi ho offeso. Non era mia intenzione.” si difese l’uomo, con un tono che lasciava intendere tutt’altro “E’ una cosa normalissima..non tutti in fondo hanno la fortuna di avere sempre la propria moglie al fianco..”
“Lord Brockley!” L’urlo sconvolto di Kagura attirò l’attenzione di tutti i commensali; facendoli voltare all’unisono nella sua direzione. La donna, con i pugni serrati e l’aria esasperata, stava fulminando il marito con lo sguardo “Smettetela con questi discorsi sconvenienti! Mi state facendo vergognare di voi davanti a tutte queste persone.”
Naraku sembrò per un attimo intenzionato a ribattere con una constatazione altrettanto velenosa; ma, valutata la situazione, si limitò ad alzare leggermente le spalle: “Perdonatemi, mia cara. Avete perfettamente ragione.”
Ma la donna era decisa a finire lì quello strazio.
Ormai il suo compagno aveva protratto abbastanza a lungo il suo perverso desiderio di punzecchiare Lord Langston, il quale era ormai sull’orlo di una crisi di nervi: non si sarebbe opposto alla sua richiesta.
“O mio Dio signore, che tremenda emicrania mi avete fatto venire.” Si lamentò, portandosi le mani alle tempie con espressione sofferente “Vi prego, accompagnatemi in camera.”
Il diretto interessato le lanciò una lunga occhiata; poi, ritenendosi soddisfatto di quella farsa, si alzò dal proprio posto ed aiutò la moglie a fare altrettanto.
“Non vi preoccupate, ce la faccio da sola.” lo rassicurò “Vi dispiace andare dal cuoco a dirgli se mi può preparare un the caldo?”
Lord Brockley apparentemente non sembrò molto accondiscendente a lasciare la moglie sola, anche se per pochi minuti. Tuttavia, rassicurato dalla presenza dei coniugi Langston e di quella che era sicuramente l’attuale amante di Sesshomaru, si allontanò in silenzio.

Non appena lasciò la stanza Kagura si voltò improvvisamente verso il demone, in piedi a meno di un metro da lei, e, raccolto il coraggio a due mani, si rivolse a lui per la prima volta da quando era arrivata.
“Vi prego signore, devo parlarvi..concedetemi di rubarvi pochi minuti questa notte. Se non fosse una cosa urgente non oserei mai chiedervi tanto.” parlava con un sussurro, cercando di farsi udire solamente dal diretto interessato.
“Quando e dove?”
Sesshomaru avrebbe preferito evitare, calcolando i rischi che una situazione del genere poteva comportare. Ma non se la sentiva di respingere una tale supplica.
“Non appena mia marito mi farà la grazia di addormentarsi. Vi raggiungerò nel giardino interno, quello non lontano da camera mia.”

Rin, per quanto cercasse di captare il discorso, non riusciva a comprendere che sporadiche parole. Ormai, alla luce della discussione che aveva avuto con Lady Brockley, non si sentiva più così in pericolo come prima di conoscerla.
Tuttavia la prudenza non è mai troppa. Specialmente quella di una donna innamorata.
Si ripromise di chiedere a Inuyasha se avesse sentito cosa si erano detti; ma dovette, con suo grande disappunto, constatare che il mezzodemone era completamente preso dalla discussione con la moglie, non accorgendosi minimamente dell’accaduto.
Non fece in tempo a farglielo presente che Naraku era già rientrato nella stanza e, frappostosi tra la moglie e Lord Langston, le offrì il braccio come sostegno, conducendola via.

Nel silenzio tombale che era sceso i convitati poterono a stento udire la minaccia che Kagura aveva rivolto al marito, il quale, nonostante ciò, perseverava orgogliosamente ad ostentare un sorrisetto crudele.

“Stanotte dormite sul divano.”





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lollyna: Grazie mille cara: mi sostieni sempre, fin dalla scorsa fict!
Odi Kagura? E perchè? ç__ç poverina. Mi ci sono impegnata così tanto per rendere giustizia a questo bel personaggio.
MARTY_CHAN94: Grazie per I complimenti. Che intendi per “Kagura non può vendicarsi così”? Non preoccuparti. Kagura non ha niente di cui vendicarsi (a differenza di Naraku ^__^)
KaDe: Bentornata! Bhe…più che due face diciamo che Naraku è molto abile nel dissimulare. Ognuno qua sta facendo il proprio gioco: da Kagura a Rin; vedremo come finirà.
rosencrantz: Oddio..i complimenti fatti da una come te sono un onore! Eheh…non potevo esimermi dal fare un piccolo omaggio al caro Coleridge (“La ballata del vecchio marinaio” è veramente un capolavoro! Quando l’ho letta sono rimasta letteralmente a bocca aperta.)
Per quanto riguarda Naraku ho paura di doverti dare una piccola delusione. In questo frangente egli non ha bisogno di intessere la sua tela perché, in realtà, ha già vinto. Anzi; posso dire che, al momento, è l’unico personaggio che esce vittorioso da questa matassa intricata di relazioni e vicende. L’unica cosa che, dall’alto della sua posizione si limita a fare, è tormentare gli sconfitti della situazione (in particolar modo Sesshomaru) solamente per intrinseco orgoglio.
Chiedo umilmente perdono se ho deluso le tue attese; d’altra parte non pretendo di riuscire a fargli raggiungere il grado di fascino del maggiore Ose e, soprattutto, ho preferito puntare l’attenzione sul personaggio di Kagura che, in questa vicenda, ha un ruolo molto più importante. XD
crilli: Personalmente con i romanzi gotici o simili ci vado molto cauta; anzi, con i piedi di piombo. I titoli buoni sono veramente pochi in mezzo ad una marea di cianfrusaglie.
Per quanto riguarda i vampiri, sono la prima ad ammettere di trovarle delle figure molto affascinanti ma, purtroppo, maltrattate. Credo che, specialmente degli ultimi tempi, siano stati eccessivamente stereotipati: una pallida imitazione del primitivo (ed unico nel genere) capolavoro di Stoker. (Anzi, a questo riguardo, se hai letto qualche bel libro di questo genere che a me è sfuggito, ti prego di farmelo presente.)
Bhe, al tempo in cui è ambientata la storia, i romanzi gotici erano solo letture di intrattenimento: piacevoli ma dallo scarso valore artistico (prima che arrivi il capolavoro della Shelley dovranno ancora passare quasi dieci anni).
Mi dispiace molto che tu abbia trovato tedioso lo scorso capitolo: innanzitutto mi sembrava doveroso, nel creare una storia quantomeno decente, approfondire la psicologia dei personaggi principali, in relazione a quello che è successo. Anzi, il capitolo precedente è fondamentale per comprendere i rapporti che ci sono tra i protagonisti: in special modo quello tra i coniugi Brockley; volendo sottolineare quanto l’idea dell’esistenza dell’Amore Assoluto sia, in realtà, fallace.
Comunque hai fatto bene a commentare, senza ipocrisie; senza risparmiare le critiche; mi spiace solo che tu abbia trovato noioso un capitolo per me così importante e, come dice scrittore che è infinitamente superiore a me: “…se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta”.

Alla prossima, Jessy





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Capitolo 23
*** También se muere el mar ***







CAPITOLO 23.


“También se muere el mar”



“Se infelice è l'innamorato che invoca baci di cui non sa il sapore, mille volte più infelice è chi questo sapore gustò appena e poi gli fu negato.”

(Italo Calvino.)






Le stelle rischiaravano appena le tenebre d’inchiostro, gettando sugli oggetti una cupa luce che proiettava a terra ombre giganti e minacciose. Un silenzio assoluto, come un soffocante coperchio di pietra, si era posato sul palazzo ormai da parecchie ore; mentre una leggera brezza, che si insinuava lentamente tra le sale deserte, portava con sé un sentore di malinconica tranquillità.
Il giardino, sprofondato in quella quiete quasi mistica, pareva un luogo incantato, onirico dove un’atmosfera rarefatta lo avvolgeva proiettandolo fuori dal tempo.
Sesshomaru, abbandonato contro una colonna a braccia conserte, teneva la testa bassa e lo sguardo fisso sugli stivali, che pur non vedeva.
Dritto, immobile come una statua, scandiva il tempo con i battiti del suo cuore, attendendo con rassegnazione il momento in cui si sarebbe dovuto misurare coi fantasmi di quel passato che, da anni, aveva ormai confinato forzatamente in un angolo della mente nella speranza che venissero cancellati.
Ma nulla rimane così vivido nei ricordi, quanto ciò che si vuol dimenticare.

Estenuato da quell’attesa che si faceva minuto per minuto sempre più insopportabile, decise di lasciare quella posizione che gli aveva ormai indolenzito le gambe e di ingannare il tempo in qualche altro modo.
Non trovò niente di meglio da fare che misurare il giardino a grandi passi, con le mani incrociate dietro la schiena, maledendosi mentalmente per aver accettato un simile incontro dal quale, ne era sicuro, non avrebbe potuto risultare niente di buono..o almeno, niente che potesse farlo sentire finalmente in pace.
Perché..perché tardava tanto?
Esasperato, trasse fuori dalla tasca interna della giacca un piccolo orologio dorato: l’ultimo regalo che aveva ricevuto da sua madre, pochi giorni prima che morisse: tubercolosi avevano detto i medici; ma lui, a questa frettolosa e maldestra diagnosi, non ci aveva mai creduto.
Dopo una fugace occhiata, lo fece scivolare frettolosamente al suo posto, con la stessa accortezza con cui si custodisce un tesoro.
Le quattro e mezza.
Erano più di tre ore che aspettava lì impalato, come un’idiota! Ormai era tardi..troppo tardi. Forse il marito non si era addormentato..forse l’aveva scoperta mentre usciva di soppiatto..oppure, probabilmente, Kagura ci aveva ripensato..
No davvero, non sarebbe rimasto un altro minuto di più! Aveva passato anche troppo tempo ad attendere una donna che non sarebbe mai più tornata: perché non andarsene? In fondo, di cosa avrebbe mai potuto parlargli? Non c’era più niente da salvare..non c’era più niente da ricostruire. I cocci del loro rapporto ormai erano troppo piccoli e troppo sparsi per essere nuovamente attaccati insieme e, anche se avessero tentato di farlo, il vaso, presto o tardi, si sarebbe nuovamente frantumato.
..E poi c’era Rin..Cosa avrebbe dovuto fare con quella ragazzina? Quel pomeriggio si era maldestramente sottratto a darle una risposta che, invece, si meritava...e ne provava vergogna. Non si era mai tirato indietro in vita sua ed adesso..con una zingara lo aveva fatto..
La verità era che neanche lui sapeva quale fosse la soluzione di quella scomoda domanda. Si, lei gli piaceva, non poteva nasconderselo..tuttavia non voleva, non poteva lanciarsi, di nuovo, in una relazione dove avrebbe dovuto mettere in gioco i suoi sentimenti.
L’aveva già fatto una volta e aveva sofferto: non avrebbe commesso di nuovo lo stesso errore.
Inoltre, non poteva assolutamente ignorare la loro diversità: sia mentale che, soprattutto, sociale. Lei era una gitana..come avrebbe potuto presentarla in società? Come avrebbe potuto pretendere che lei si adattasse a vivere al suo fianco, in un paese straniero e lontano?..Come avrebbe potuto costringerla a vivere l’onta del ripudio una volta che i primi segni della vecchiaia avrebbero iniziato a sciupare quella bella pelle fresca?
La passione è una cosa, ma l’amore..l’amore è un’altra. L’amore è troppo.
E lui non avrebbe amato mai più: se l’era imposto; così sarebbe stato.

“Siamo pensierosi stanotte, mylord.”
Stava già uscendo dal vestibolo quando una voce melodiosa, ma ferma, lo costrinse a voltarsi. Kagura se ne stava in piedi dietro di lui e lo osservava con una certa curiosità mista a tensione: indossava solamente una lunga vestaglia di colore scuro sopra la veste da notte bianchissima; i folti capelli neri, finalmente sciolti, le ricadevano ordinatamente sulle spalle, incorniciando il perfetto ovale del viso in cui spiccavano le due pupille cremisi, che risplendevano di un bagliore quasi ultraterreno.
Non le era mai sembrata così bella.
“Stavo per andare a bere un bicchiere di sherry prima di andare a letto. Avevo perso ormai ogni speranza che sareste venuta.” Ribatté freddo, rimanendo immobile dov’era.
“Perdonatemi. Volevo essere sicura che mio marito fosse completamente addormentato; non voglio crearvi più guai di quanti non ne abbiate già.”
“Si, devo dire che me ne avete creati molti di problemi.” constatò il demone; mentre sentiva nuovamente antichi rancori sopiti risvegliarsi nel cuore dopo anni di letargo, annunciare prepotentemente il proprio risveglio e incrinare irrimediabilmente la consueta calma “Sei anni..sei anni..ve ne rendete conto? Sono sei anni che tiranneggiate sulla mia vita!”
“Sapete anche voi che non ho avuto scelta!” si difese la donna.
“Sei anni fa voi mi lasciaste. Ma che dico? Nemmeno avete avuto il coraggio di lasciarmi!..Non vi vidi più..girai invano ogni singolo salotto di Londra per cercarvi!..sembrava che vi foste volatilizzata. Ero terrorizzato: nei miei incubi mi immaginavo qualunque terribile disgrazia avesse potuto colpirvi. Non sapete quanto ho sofferto!
E poi, che accade? Dopo due mesi di angoscioso silenzio vi vedo..vi vedo raggiante al braccio del vostro bel marito. Come credete mi possa essere sentito? Come?!”
“Smettetela di far ricadere tutte le colpe su di me, come se fossi un mostro..una sgualdrina da due soldi!” questa volta il tono di Kagura era pericolosamente alto; si avvicinò all’ex amante furiosa, sfidandolo con gli occhi “Credete forse di essere stato l’unico a soffrire?”
“Non mi sembravate così distrutta, né a suo tempo né ora.”
“Siete solo un presuntuoso! Non sapete le giornate d’inferno che ho passato rinchiusa nella tenuta della mia famiglia, senza poter comunicare con voi, mentre i miei genitori gridavano come matti dalla mattina alla sera che ero la loro rovina, il loro disonore!
Come credete mi sia sentita quando mi hanno presentato Naraku come il mio futuro marito?! Quando hanno organizzato il matrimonio in fretta e furia, per mettere al più presto una pietra sopra lo scandalo del quale tutta Londra era a conoscenza?! Quando ho dovuto passare la prima notte di nozze con un uomo che nemmeno conoscevo, sapendo di aver perso per sempre l’unica persona che avessi mai amato?!”

Sesshomaru abbassò gli occhi: si sentiva stranamente a disagio di fronte a quello sguardo carico di rimprovero.
Ognuna di quelle parole gli feriva il cuore con una violenza sconcertante: la rabbia, l’odio che aveva provato per tutti quegli anni, l’avevano reso cieco a tutto il resto.
Il suo orgoglio ferito non gli aveva permesso di contemplare la possibile sofferenza di nessun altro, se non di se stesso. Aveva torto, aveva torto su tutto.
“Perdonatemi, signora.” riuscì solo a mormorare, poggiandole delicatamente una mano sul braccio. Kagura gli sfiorò il volto severo con una carezza e lo osservò per un lungo istante con lo sguardo colmo di una tristezza melanconica.
“E’ per questo che sono qua, Lord Langston..”
“Vi prego, chiamatemi semplicemente per nome quando siamo soli.” la interruppe lui, con un tono artificiosamente calmo “Ve l’avevo già detto tempo fa.”
“Come volete..Sesshomaru..”
Sentire pronunciare il suo nome da quelle labbra, dopo tanto tempo, gli provocarono una sensazione quasi dolorosa..una nostalgia di qualcosa che non sarebbe più stato.
“..vi ho chiamato qui, stanotte, perché mi sembrava doveroso salutarci come due vecchi amici che si lasciano, senza rancore, e dirvi Addio..addio per sempre.”
Lord Langston sentì come un pugno dritto allo stomaco.
“Addio?” Ripeté esterrefatto, come se non avesse compreso il significato di quella parola “Badate che non è un termine da prendere alla leggera. Siete davvero convinta di riuscire ad attendere un’eternità per rivedermi?”
“Credo che nemmeno un’eternità potrà spegnere completamente quello che provo per voi.” sussurrò a fatica la donna, mentre la sofferenza le mozzava il fiato. “Io vi ho amato, forse vi amo ancora e, probabilmente, vi amerò per sempre. Per questo non voglio vedervi mai più.”
Il demone stette in silenzio per un lungo momento, cercando disperatamente di trattenersi dal prenderla tra le braccia e stringerla a sé.
L’amore cieco e disperato dei tempi passati si era sopito; ma rimaneva pur sempre quell’affetto nei confronti di quella creatura, che nessuno avrebbe mai potuto cancellare.
“Non siate così drammatica, mia signora,” cercò di rincuorarla “è inevitabile che le nostre strade si incroceranno di nuovo. Forse accadrà tra molti anni e, allora, voi riderete ripensando a momenti del genere; rimproverandovi per queste parole che si confanno più ad un Euripide che a una bella signora inglese.”
“Non credo che potrò mai ridere di una cosa del genere.” lo rimproverò Lady Brockley con un sorriso melanconico, che rendeva la sua figura ancora più bella “Comunque suppongo sia venuta ormai l’ora di salutarci. Temo mio marito si possa svegliare da un momento all’altro.” Sesshomaru, a queste parole, le lanciò un’occhiata imperscrutabile; e rimase così per diversi secondi. La osservava fisso, come per imprimersi nella memoria quella figura che non si sarebbe mai potuto scordare.
“Posso chiedervi una cosa?”
Il tono era grave. Ogni parola sembra pesare come un macigno su colui che la pronunciava.
“Certo.”
Una strana sensazione, che lui conosceva bene, si stava insinuando nel suo corpo, infiammandogli il sangue nelle vene.
“Vorrei baciarvi…Baciarvi l’ultima volta..”
“Cosa?!” sussurrò sconvolta Lady Brockley, soffocando a stento un grido. “Cosa state dicendo? Siete impazzito forse?! Non vi rendete conto di quello che state dicendo!”
“Io non voglio dirvi addio come un amico, Kagura. Io voglio dirvi addio come l’amante che sono stato.”
“Smettetela! Come potete chiedermi una cosa del genere...come?!” protestò la donna, rimasta completamente sbigottita da quella richiesta.
Aveva paura…paura e insieme desiderio di poter sentire di nuovo il sapore di quelle labbra: una cieca bramosia che l’attirava inesorabile verso un abisso, dal quale temeva di non poter più risalire. Un feroce tentazione alla quale si opponeva disperatamente, sapendo già di essere perduta.
“Vorreste togliere questo ultimo desiderio a un condannato?” mormorò il demone con voce profonda e, stranamente, calda; mentre l’attirava a sé con dolcezza: sapeva bene come farla cedere e non si sarebbe lasciato sfuggire quell’occasione.
“Siete voi che mi condannate.” gemette la donna; mentre l’ultima speranza di salvezza si affievoliva pian piano.

Non fece in tempo a terminare la frase che due labbra gelate si impossessarono delle sue.
Sesshomaru sentì quel corpo tremare appena sotto il proprio tocco, opporsi, cercare disperatamente di svincolarsi da quelle braccia di acciaio che la tenevano imprigionata e, alla fine, cedere.
Era tutto come la prima volta: i loro respiri spezzati che si confondevano, l’eccitante sapore di star facendo qualcosa di proibito, l’appagamento di un desiderio inconfessabile...e una feroce voglia di qualcosa di più.
Ma, stavolta, c’era qualcosa di diverso.
Uno strano, fastidioso retrogusto amaro guastava la dolcezza di quell’attimo: la crudele comprensione che tutto era finito per sempre, il doloroso sentore di un qualcosa che non sarebbe mai più tornato.
Il demone la strinse con più forza a sé, affondandole una mano nella folta marea dei suoi morbidi capelli; mentre Kagura gli passava lentamente le braccia attorno al collo, alzandosi in punta di piedi; come se avesse paura che qualcosa o qualcuno glielo potesse strappare via da un momento all’altro.
Tuttavia Sesshomaru, sebbene si fosse imposto di rispettarla ad ogni costo, sentiva pian piano la sua lucidità scivolare via, insieme ad ogni remora. Il suo istinto ferino di cacciatore prendeva pian piano il sopravvento; il sangue nelle vene sembrò farsi tutto a un tratto di fuoco.
Con le mani brucianti iniziò a scioglierle lentamente i lacci della vestaglia; le labbra feroci scesero sul collo, lasciando come traccia del loro passaggio la pelle leggermente arrossata.
La voleva. Adesso.
Tutto l’odio, la disperazione, la frustrazione accumulati in anni di crudeli tormenti adesso tornavano a farsi sentire con una violenza che non si sarebbe mai aspettato.
Era tutto sbagliato...era tutto un’illusione. Lo sapeva.
Ma in quel momento non gli importava.

“Basta signore, smettetela!” Lo spinse via Lady Brockley, quasi con rabbia.
Le era costato molto, troppo, interrompere quel contatto; tuttavia non poteva permettere che accadesse più di quanto era disposta a concedere...se non per il suo onore, almeno per la sua salute mentale, messa ormai in grave pericolo da quel diavolo tentatore.
“Vi chiedo scusa.” Mormorò il demone, passandosi una mano tra i capelli d’argento leggermente arruffati, come se si fosse appena risvegliato da un sogno “Non volevo attentare al vostro onore...mi devo essere fatto prendere dal momento. Perdonatemi…per l’ennesima volta, perdonatemi.”
“Signore vi prego, lasciatemi andare...è tutto finito. Non riapriamo antiche ferite...E’ tutto finito..” sembrava che la donna soffrisse fisicamente ogni parola che pronunciava.
Lord Langston, ripreso ormai completamente il controllo di sé, maledicendosi mentalmente per il suo comportamento insolente, le accennò un inchino.
Kagura lo fissò per un lungo istante, assaporando fino all’ultimo attimo la compagnia di quell’uomo fatale, che aveva cambiato per sempre la sua vita.
Quegli occhi, quei lineamenti austeri, quella bocca sottile...li avrebbe tenuti per sempre al sicuro nel profondo del proprio cuore.
Per un attimo pregò che il tempo si fermasse in quel preciso istante; concedendole di godere per tutta l’eternità della vista di quella figura ultraterrena, che le donava l’immensità del suo sguardo profondo.
Ma niente di ciò sarebbe avvenuto.
Senza dire una parola, si costrinse ad interrompere la magia di quell’incanto e, voltatasi, si diresse mestamente verso la camera.

“Addio Kagura.”

“Addio?...A Dio?!” La donna si soffermò solo per un attimo sulla soglia, voltandosi appena verso il demone “..Pecchiamo, ne siamo coscienti, non ce ne pentiamo...Credete davvero che Dio abbia pietà di persone come noi?”
Sesshomaru non rispose, ma continuò a seguirla con gli occhi, rapito; finché Lady Brockley, la prima creatura che avesse mai amato in tutta la sua vita, non sparì per sempre, inghiottita dalle tenebre che regnavano in quelle sale deserte.

Nessuno dei due, abbandonati com’erano nel loro universo fatti di rimorsi e ricordi, si era accorto della gracile figura che, nascosta a pochi metri da loro, protetta dall’oscurità, aveva assistito con rabbiosa disperazione a quello straziante incontro.





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Ringrazio tutte coloro che continuano a seguirmi e commentarmi. In special modo lollyna, MARTY_CHAN94, rosencrantz e crilli (non preoccuparti, non c'è stato nessun errore ^__^ )





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Capitolo 24
*** Castigo ***








CAPITOLO 24.


“Castigo”



“Non so chi fui; perì di noi gran parte:
questo che avvanza è sol languore e pianto.”


(Sonetti; Foscolo)





Lord Langston avanzava con passo incerto attraverso il corridoio oscuro e, apparentemente, infinito. Poggiava stancamente, di metro in metro, la mano contro la fredda parete di pietra; come se contasse solo su di essa per reggersi in piedi.
Come si era ripromesso, prima di tornare nelle sue stanze, aveva fatto tappa in soggiorno per bere il solito bicchiere di brandy. Nel buio quasi completo, aveva afferrato a colpo sicuro la brocca di vetro e, slacciandosi con un gesto irritato la cravatta che pareva soffocarlo, si era lasciato cadere su una sedia, esausto.
E così era tutto finito..
I bicchieri divennero due.
Non avrebbe mai più sentito quelle labbra contro le sue..
I bicchieri divennero tre.
Non l’avrebbe mai più vista..
..ormai aveva perso il conto..

Quando, come risvegliatosi da un sogno ad occhi aperti, si era reso conto di aver prosciugato, in meno di mezz’ora, la maggior parte del contenuto dolciastro della bottiglia; pensò che, forse, era venuta l’ora di ritirarsi, almeno per quel poco tempo che mancava al sorgere del sole.
Non aveva fatto i conti con la distanza che lo separava dal suo obiettivo.
Non era abbastanza ubriaco per essere riuscito a dimenticare la conversazione che aveva avuto poco prima; non era abbastanza sobrio perché le gambe lo reggessero saldamente in piedi, né perché la mente riuscisse a liberarsi da quel fastidioso torpore che la avvolgeva.
Avanzava con lentezza mentre i pensieri, non avendo più un filtro che li bloccasse, scorrevano veloci, indisciplinati, sconnessi nella sua testa.
Adesso che era tutto finito, che aveva messo una pietra sopra al passato, cos’avrebbe fatto? Avrebbe accettato che quella zingara vivesse al suo fianco?
Non poteva...non voleva…era troppo diversi.
Ma, se per lui era solo un ripiego come si era sempre imposto di considerarla, perché quando era accanto a lei non riusciva a mettere a tacere quella strana sensazione di pericolo?
Chi voleva ingannare?
Lei gli piaceva..e tanto..
Se il solo ricordo dell’addio di Kagura continuava a straziargli il cuore, tuttavia non poteva costringersi ad ignorare quanto contasse quella ragazzina per lui.
Amore?! No..Amore non poteva essere..semmai una specie di perverso piacere nel vederla in ginocchio ai suoi piedi, che gli gridava quanto fosse importante per lei..
..eppure..eppure, stranamente, quel pensiero non esaltava il suo smisurato orgoglio, come avrebbe fatto qualche tempo prima..
Al diavolo quei pensieri assurdi!
L’alcool, che gli infiammava il sangue e tingeva la pelle diafana di un colorito rossastro, adesso gli metteva in testa pensieri assurdi.
...Cosa gli veniva in mente?!
Quei pensieri pericolosi avrebbero sicuramente finito per rammollirlo, ne era certo.
Che vergogna sentir vacillare, insieme alle gambe, anche le sue certezze!


Tuttavia quello che trovò non appena spalancò l’agognata porta, che finalmente vedeva stagliarsi in mezzo all’oscurità innanzi a sé, valse a far scomparire in un attimo tutti i turbamenti che gli attanagliavano il cervello per farne posto ad uno solo, immenso e angoscioso.

La stanza, rischiarata solamente da un moccolo di candela, ormai quasi del tutto consumato, era completamente vuota.
Il demone si guardò intorno, senza fiato; come se si aspettasse di trovare quel piccolo corpo nascosto in qualche angolo, celato dalla penombra.
Era tutto in ordine..troppo. Neanche il letto recava i segni di essere stato usato quella notte..
Ma, quando vide un foglio poggiato sopra il cuscino, la preoccupazione divenne terrore.
Non appena ebbe il coraggio di prenderlo tra le mani, dovette far appello alle residue facoltà mentali che l’alcool gli aveva lasciato per poter mettere a fuoco quelle parole.
La scrittura era a fatica leggibile: le lettere era state tracciate in fretta e furia e l’inchiostro in certe parti era sbiadito..come se vi fosse caduta qualche goccia di liquido sopra.
..Lacrime?

Un giorno mi accusasti di essere incostante e crudele, come quella Manon Lescaut, della quale mi raccontasti la triste storia.
Adesso si sono invertiti i ruoli: io sono l’amante tradito, tu il traditore.
Vivi felice con il tuo unico, vero amore. Ridi pure tra le sue braccia di chi ha così tanto sofferto per te!
Don Giovanni da due soldi, continua a recitare il tuo teatrino, finché puoi.
Io me ne vado da questa città ripugnante..ripugnante perché mi ricorda te! Ritorno al luogo da dove sono venuta e da dove non avrei mai dovuto allontanarmi.
Dimenticami se puoi, io non ti dimenticherò mai.
Addio per sempre.


Sesshomaru, completamente senza fiato, come se avesse ricevuto un pugno in pieno petto, si accasciò a terra, stritolando il pezzo di carta che teneva in mano con tutta la violenza della sua rabbia.
Completamente solo; ogni sorta di sprezzante, falsa indifferenza nei confronti scomparve in un attimo.
Una sola notte..in una sola maledettissima notte aveva perso tutto.
Se mai esisteva lassù un Dio che giudicava e puniva; ecco..quella era la sua punizione, il suo rimorso, il suo supplizio.


************************


“Andiamo Inuyasha! Muoviti, maledizione!” Ringhiò il demone spazientito “Quanto ci vuole?”
“Un attimo, stai calmo! Me lo stai terrorizzando e basta. Così non ci dirà nulla.” Ribatté, indispettito, il fratello.
In effetti il vecchio zingaro che aveva davanti a sé tremava come una foglia per la paura e continuava a fissare, con sguardo inebetito, i due giovani.

Sesshomaru, non appena era riuscito a metabolizzare le poche parole scritte nella lettera, si era lanciato, come se avesse le Furie in corpo, nelle stanze del fratello. Dopo averlo poco gentilmente buttato giù dal letto, lo aveva costretto, con poche e sommarie spiegazioni, a seguirlo in città. Era tutta la mattina che vagavano nel bario gitano; ma non erano riusciti a trovare nessuno che potesse dare loro l’informazione che cercavano.
Alla fine la pazienza del demone era venuta meno e la sua collera aumentava di intensità ogni minuto che perdevano.

“Ti ho detto di chiedergli da dove diavolo viene Rin! La conoscono tutti in città. Non mi sembra una domanda così difficile da capire!” Sibilò, feroce, scoprendo appena i canini bianchissimi e affilati.
Il mezzodemone tradusse in spagnolo la richiesta, per l’ennesima volta.
Tuttavia l’uomo continuò testardamente a tacere, facendo finta di non comprendere cosa stesse dicendo.
Allora Lord Langston, completamente spazientito, con un gesto fulmineo lo afferrò per il colletto della camicia e, puntatagli la fredda lama della spada alla gola, decise che era giunto il momento di passare alle minacce: “Rispondimi o ti farò tacere per sempre!”
Lo zingaro non dovette faticare molto per immaginarsi il senso di quelle parole e, non avendo alcun dubbio che l’altro avrebbe rispettato la sua promessa, inizio a tartagliare qualche frase sconnessa, accompagnata da tremanti gesti delle braccia.
“Che sta borbottando?”
“Dice di aspettare qui, tornerà subito.” tradusse Inuyasha, cercando di indurre il fratello a lasciare la presa.
“Va bene.” Cedette il demone, mollandolo con un brusco strattone “Ma digli che se entro un minuto non lo rivedo qui, lo andrò a riprendere ovunque si trovi e lo ammazzerò con le mie stesse mani.”
Reiterata la nuova minaccia, i due rimasero soli, in silenzio, l’uno accanto all’altro; mentre le vie si andavano pian piano animando di gitani; i quali, notando quelle strane figure, non potevano far a meno di lanciar loro occhiate ostili.
Quello era il loro quartiere. Come osavano quegli estranei invadere con quell’arroganza lo spazio che era loro per diritto?

“Comunque,” esordì il mezzodemone, cercando di non far caso a quegli sguardi torvi “non mi hai ancora spiegato, in modo sufficientemente comprensibile, come sei riuscito a far arrabbiare così tanto Rin da farla fuggire. Cos’hai combinato?”
“Non sono affari che ti riguardano.” Tagliò corto l’altro. Adesso non aveva la ben che minima voglia di sentire i commenti sconvolti del fratello riguardo al suo comportamento; del quale si riteneva il solo e indiscutibile giudice.
“Credo invece che tu me la debba una spiegazione, per il semplice fatto che mi hai buttato giù dal letto all’alba, mi ha trascinato qui ed ora, sempre per causa tua, sto rischiando di ricevere una coltellata da chissà dove..”
“Tranquillo. Non ti accoltellerà nessuno.”
“Riguardo a questo ho le mie riserve.” brontolò il minore dei Langston, guardandosi intorno, preoccupato; per poi portare di nuovo l’attenzione sul fratello “C’entra Kagura, vero?”
“Ti ho detto di farti gli affari tuoi.”
“Indovinato!...E scommetto che Rin vi ha visto cicalare insieme, giusto? Si è ingelosita ed è scappata via..anche se, a pensarci bene..per essersene andata così di punto in bianco, dopo aver sopportato ogni genere di maltrattamenti da parte tua, dovrebbe essere successo qualcosa di molto più grave.....Oddio Sesshomaru!” esclamò , di colpo, sconvolto “Non avrai mica..”
“Vuoi stare zitto una buona volta!?” Tuonò il demone, esasperato da quella parlantina, fulminandolo con uno sguardo che non prometteva nulla di buono.

Per la salvezza di entrambi, – morale per uno, fisica per l’altro – il vecchio zingaro stava già camminando verso di loro a passo spedito: le minacce dovevano essere state davvero efficaci! Non appena fu a pochi passi dai due giovani, dopo aver fatto roteare velocemente gli occhi in ogni direzione per appurare che nessuno lo sentisse, mormorò a capo basso la fatidica risposta.

“Córdoba.”

Inuyasha non fece in tempo a chiedergli da dove avesse preso l’informazione e quanto fosse attendibile, che l’uomo era già scomparso nel dedalo di quelle viuzze.
“Cordova..” mormorò tra sé il demone, portandosi una mano al mento “Cordova..è abbastanza lontana. Ci vorranno più di due giorni a cavallo..”
“Si, a tappe forzate.” annuì il fratello.
“L’unica speranza è riuscire a riprenderla per strada; sperando se la sia presa comoda. Se riesce ad entrare in città, sarà un grosso problema ritrovarla.”
“Che fai? Non vorrai mica partire?!” domandò, preoccupato, il mezzodemone; rendendosi conto all’improvviso del piano del fratello.
“Tu cosa faresti al posto mio?”
“Aspetta...non sappiamo nemmeno se è davvero lì che è diretta.. non è da te essere così avventato!”

Sesshomaru stava quasi per ribattere quando una voce in lontananza attirò la loro attenzione.
Bankotsu correva verso di loro con tutta la forze che aveva nelle gambe, gridando a squarciagola il nome del proprio colonnello.
“Che succede?” Domandò Lord Langston, cercando di non far trapelare la stana angoscia che gli aveva tutt’a un tratto attanagliato lo stomaco.
“Un dispaccio...arrivato ora..” ansimò il giovane, porgendo al demone il foglio che teneva in mano “I francesi stanno tentando una riconquista della Spagna..questa volta è Napoleone stesso che li conduce. Sono alle porte di Granada. Presto prenderanno Cordova e Siviglia..
Nel giro di una settimana ci saranno addosso!”





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KaDe: Sono onorata che tu sfidi l’ira dei tuoi per poter leggere la mia fiction: non vorrei averti sulla coscienza. XD
Già, una donna tradita è una donna ferita nel profondo..specialmente un tipino come Rin!
lollyna: Eheh..solitamente studiare le biografie degli autori serve a poco: non le chiedono mai alle interrogazioni!
Sono contenta ti sia piaciuta la scena..c’ho messo tantissimo per scriverla. Volevo potesse rendere perfettamente le sensazioni dei due ex amanti.
crilli: Non è colpa mia se sono così sadica. E’ una malattia: si chiama Romanticismo congenito..non riesco a guarirne! ^__^
rosencrantz: Sono onorata per il "bravissima", anche se nella constatazione che hai fatto ho colto un leggero fastidio. Lo so che preferisci il Sesshomaru ‘non addomesticato’; tuttavia ho dovuto in qualche modo limare il carattere per inserirlo nella società. E, soprattutto, ho voluto che si comportasse in maniera diversa con Kagura: lei è l’unica che lo conosce veramente e la loro storia è ormai al termine; non c’è bisogno di indossare nessuna maschera, perchè non c’è niente da cui proteggersi.
MARTY_CHAN94: Facciamo che, considerata la situazione e i precedenti, perdoniamo e comprendiamo i due ex amanti se si abbandonano all’ultima effusione prima dell’addio! XD
Comunque non preoccuparti: Rin rimane pur sempre la protagonista!
Ele_chan: Grazie mille per i complimenti; sono contenta che la mia storia ti piaccia.
Si, in effetti dispiace un po’ pure a me per Koga; qualcuno però quella parte la doveva pur fare! ^__^


AVVISO: La prossima settimana non potrò aggiornare: causa vacanza in Egitto. Non appena torno ovvierò all’inconveniente. ^__^

Grazie a tutte, alla prossima.
Jessy






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Capitolo 25
*** El angél y la gitana ***







CAPITOLO 25.


“El angél y la gitana”



“Pero Córdoba no tiembla
bajo el misterio confuso,
pues si la sombra levanta
la arquitectura del humo,
un pie de mármol afirma
su casto fulgor enjuto.”
*

(“San Rafael”, Romancero Gitano. Garcia Lorca)





Misteriosa, superba, affascinante: Cordova iniziava a mostrare le sue costruzioni così bianche da risplendere come perle sotto i flebili raggi della volta stellata.
Silenziosamente immersa nella valle del Guadalquivir seguitava a condurre la propria secolare esistenza con orgogliosa vitalità: il ricordo dell’antica servitù l’aveva rafforzata, mai indebolita.
La Babele delle culture piangeva di nascosto la sua miseria, ma non se ne lamentava: doloroso contratto in cambio della Libertà.
Le vecchie strade, polverose e sempre affollate, parevano ancora risuonare dei violenti passi dei soldati romani; l’imponente cattedrale, con la propria foresta di colonne infinite, svettava severa in un cielo di piombo.
Cordova dormiva ancora: ignara che un nuovo padrone, una nuova schiavitù, incombevano nuovamente sulle strette viuzze bruciate dal sole.
L’arcangelo Raffaele avrebbe osservato per l’ennesima volta, muto e severo, l’ennesimo esercito irrompere prepotentemente a turbare la propria quiete.**

Rin era distrutta. Sentiva la membra indolenzite e doloranti minacciare di abbandonarla da un momento all’altro.
Il cavallo, lanciato a briglia sciolta per la maggior parte del viaggio, schiumava già dalla bocca; pregandola in silenzio di fermare quella corsa folle e disperata; che adesso rischiava di fargli scoppiare il cuore, sottoposto ad uno sforzo insopportabile.
La gitana si rese conto di aver già chiesto abbastanza a quella povera bestia: così, con un balzo che mise a dura prova i muscoli indolenziti delle gambe, scese di sella e si lanciò a corsa in direzione della città.
Neanche lei avrebbe saputo spiegare a cosa fosse dovuta tutta quella fretta: nessuno la stava inseguendo, nessuno sarebbe venuto a cerarla. Tuttavia un fastidioso senso di agitazione, un oscuro turbamento le attanagliava lo stomaco, mozzandole il respiro.
Correva con tutte le forze che le rimanevano, voltandosi di tanto in tanto in dietro; come se temesse di veder apparire dal nulla il suo inseguitore.
Temeva o..sperava?
Non lo sapeva. E, sebbene il suo istinto reclamasse con tutta la propria violenza quella carne, l’abisso di quell’oblio che solo Lui sapeva darle; tuttavia la mente la costringeva a mettere tra i loro corpi quante più miglia possibili.

Ansimava, madida di sudore, quando posò i piccoli piedi nudi sulla pietra, non ancora riscaldata dai primi raggi del sole nascente, del Puente Romano.
Come rassicurata da quel luogo che le riportava alla mente melanconici ricordi del suo passato, si concesse un attimo di tregua, sedendosi sul bordo e osservando innanzi a sé il candido fulgore delle torri della cattedrale che, sebbene l’oscurità facesse ancora da padrona, riusciva comunque ad intravedere.
Il tranquillo scorrere del Guadalquivir la cullava con il suo rumore pacato e rilassante, facendole dimenticare per un momento ogni affanno del presente e proiettandola indietro nel tempo; quando insieme ad altri bambini passeggiava su quell’antico monumento, fermandosi di tanto in tanto ad ammirare quel panorama incantevole. Le fece respirare per l’ultima volta la magica atmosfera delle sere in cui, giovinetta, lo attraversava al braccio del suo primo amore. La costrinse di nuovo a sentire il sapore delle lacrime sulle labbra, quando lo abbandonava in una notte senza stelle, con un fucile in spalla, una decina di compagni e un carico di contrabbando da consegnare.
Aveva creduto che non l’avrebbe mai più rivisto.
Invece erano stati i suoi compagni a non rivederlo mai più: una parte perché disperso in altre città, in altre povere contrade a continuare quella battaglia atavica contro un nemico sempre diverso; un’altra parte, invece, perché adesso osservava il cielo con gli occhi sbarrati: la sterile terra come sudario e una roccia come lapide.

Alzò lo sguardo verso l’arcangelo.
La statua imponente si ergeva proprio al centro del ponte: creatura enigmatica e splendente di una bellezza misteriosa.
Rin si era sempre sentita attratta da quella figura terribile che, con eterno sdegno, osservava distaccato la storia che passava sotto il proprio corpo perfetto.
L’eterna giovinezza imprigionata in quel blocco inanimato, l’affascinante severità di quel giovane irraggiungibile, la forza dirompente che pareva fargli spiccare il volo da un momento all’altro: ognuno di questi tratti l’aveva completamente rapita in un’estasi quasi mistica, sin dal primo giorno che aveva incrociato il proprio sguardo ardente con quello di lui: ammonitore e immutabile.
San Rafael..San Rafael..” continuava a ripetere, in una sorta di disperata e profonda litania pagana “Un solo pez en agua que a las Córdobas junta..” ***
Fin da quando era piccola aveva l’abitudine di affidare i propri pensieri, le proprie paure, i propri dubbi a quel silenzioso e fedele compagno; confidando che in qualche modo egli l’ascoltasse, che si prendesse il compito di serbare i suoi segreti per sempre.
“Alla fine sono di nuovo al sicuro sotto le tue ali, dopo anni che mi sono sembrati interminabili. Ti ricordi ancora di me, vero? Si..ti ricorderai di sicuro..ti devi ricordare..
Oh, San Rafael, quante cose sono cambiate da quando mi vedesti passare per l’ultima volta su questo ponte!.. Piangevo in silenzio quella notte, confidando nelle tenebre, perché nascondessero agli altri le mie lacrime. Ma tu l’hai sentito, non è vero, quel pianto?
Oh, San Rafael, un tempo eri tu il solo custode delle mie debolezze; quelle debolezze, per celare le quali mi sarei più volentieri fatta uccidere!
..Ricordi come ero fiera, come ero orgogliosa..come ero crudele con gli uomini? Te lo ricordi?
Oh, San Rafael, mi sono innamorata!
Io, che per anni ho sprezzato tutti coloro che chiedevano in cambio del loro amore solo un briciolo di pietà, adesso per amore ho calpestato tutto ciò per cui ho vissuto!
Me lo sono meritata vero?! Ho dovuto provare anch’io la ferita di un sentimento non corrisposto..ho dovuto assaggiare anche io l’amaro fiele delle gelosia..ho dovuto vedermi negata anch’io quella pietà che non ho voluto concedere..
Oh, San Rafael; lui non mi ama!
Perché non sono di pietra come te, San Rafael?! Perché non sono di pietra come te per non sentire questo dolore che mi sta dilaniando il cuore?! Perché non sono morta sulle montagne insieme ai miei compagni?!
Guardami, San Rafael!
Guarda come sono cambiata! Guarda come sto piangendo disperata!
Perché, se mi hai mai voluto un po’ di bene, perché non hai chiesto al tuo Dio di farmi morire, prima che quest’onta mi cambiasse per sempre?!
Rispondimi, San Rafael!
Perché?.. Mi hanno detto che voi avete sempre avuto pietà per tutti, anche per i più vili peccatori.. Perchè?..Perchè Tu non l’hai avuta per me?”
Mentre le parole le uscivano dalla bocca come un fiume in piena, colme di angoscia e di disperato rimpianto, le lacrime iniziavano ad arrossarle gli occhi ed a rigarle le guance. Con il corpo scosso da quei singhiozzi ormai irrefrenabili, la piccola gitana si accasciò a terra, poggiando la testa sulle forti gambe dell’arcangelo.

I raggi del sole di quello strano mattino colsero una donna inginocchiata al centro del Puente Romano ed una statua muta e severa, immobile nella stessa posizione nella quale l’avevano ormai colta migliaia di albe.
Ma, stavolta, forse per colpa dei giochi che faceva la luce con i solchi nel marmo, pareva che l’espressione del bel volto etereo fosse incupita da una misteriosa tristezza: come se si disperasse di non poter dischiudere quelle labbra perfettamente immortalate in un’espressione affascinantemente stoica; ma serrate per l’eternità.


****************


“Sesshomaru..si può sapere che diavolo stai facendo?”
Inuyasha osservava, a metà tra il dubbioso e lo sconcertato, il fratello che, senza concedere una parola di spiegazione per il proprio comportamento, si stava togliendo la parte superiore della divisa per consegnarla ad uno sconvolto Bankostu.
“Mettetela.” Gli ordinò il demone con un tono che non ammetteva repliche.
“Ma..signor colonnello. Io non posso indossarla..” balbettava il giovane, guardando quell’indumento con la stessa espressione che avrebbe un fervente cristiano di fronte ad una sacra reliquia.
“Si che potete se il vostro comandante è morto e, come suo ultimo desiderio, ha lasciato il comando del reggimento nelle vostre mani.”
“Ma, signore..voi non siete morto.”
“No..non sono morto e non ne ho alcuna intenzione. Tuttavia ho una faccenda importante di cui mi dovrei occupare e non voglio essere accusato di diserzione per aver abbandonato i miei doveri in un momento come questo.
Dite che siete venuto a cercarmi insieme a mio fratello, ma mi avete trovato agonizzante, ferito a morte da un’arma da fuoco..o cosa volete voi. Siate convincente e infiocchettate un po’ il racconto con qualche fronzolo patetico.”
“Come desiderate.” rispose Bankotsu, con un’espressione serissima; mentre si infilava la giacca e se la abbottonava con orgoglio. “Ma non posso mettere a parte di questo segreto neanche gli altri? Vi sono stati fedeli per anni..non vi tradiranno. Si meritano appieno la vostra fiducia.”
“No, assolutamente no.” Lo rimproverò Lord Langston “I segreti sono tali in quanto nessuno li conosce. Qua c’è il mio onore di mezzo: guai a voi se vengo a sapere che una sola parola a questo riguardo vi è sfuggita di bocca!”
“Certo..certo..fidatevi di me.” borbottò il soldato chinando leggermente la testa, per poi dileguarsi tra le piccole strade di Jerez; facendosi spazio con robuste gomitate tra la folla che iniziava il lento peregrinare; mentre le campane della chiesa facevano risuonare il proprio grave richiamo.


“Sesshomaru,” sospirò il mezzodemone, una volta rimasti soli, osservando il fratello con uno sguardo carico di preoccupazione “ti rendi conto che non potrai più mettere piedi in Inghilterra, vero?”
“Tranquillizzati: nel testamento sei il mio unico beneficiario.” lo rassicurò l’altro con un tono schernitore, avviandosi a passo svelto verso il cavallo, il quale stava iniziando a indispettirsi per quella inerzia al quale era costretto già da troppo tempo e per la soffocante presenza di umani attorno a lui. “Titolo, possedimenti, liquidi: tutto andrà a te.”
“Lo sai che non è questo che mi interessa! Io mio preoccupo che i francesi ti facciano la pelle! Per la prima volta da quando ti conosco stai facendo una cosa veramente insensata; non è da te. Ti prego, ripensaci.”
“Cosa dovrei fare? Abbandonare Rin in mano dei francesi?”
“Rin è una ragazza sveglia e, soprattutto, è spagnola: non le torceranno un capello. Ma tu..vedranno a miglia di distanza che sei uno straniero. Ti uccideranno prima che tu riesca a sguainare la spada.”
Il demone si fermò all’improvviso, voltandosi con un sospiro: aveva un’espressione lievemente turbata; dove la testarda risoluzione fece scintillare le pupille ferine di una strana luce sinistra. Inuyasha sentì una terribile angoscia attanagliargli il cuore: sembrava fosse sul baratro della follia.
“Lasciami in pace!”
“No, non ti lascerò finché non mi spieghi che diavolo hai in mente!” Gridò il fratello, afferrandolo per la manica della camicia.
Sesshomaru continuò a osservarlo per un lungo istante in silenzio; poi, senza dare accenno di calmarsi, afferrò il giovane per il colletto della giacca e lo trascinò in una viuzza laterale, scura e deserta.
“E’ inutile, non ce la faccio. Ho provato..ho provato a non pensarci, a dimenticarla, a dirmi che in fondo era meglio così..E’ inutile!” ringhiò, come se fosse in collera con se stesso; poggiando la schiena contro il muro di un’abitazione e passandosi stizzosamente una mano tra i capelli “Invano cerco di nascondere la mia vera tortura.”
“Mio Dio, che ti succede?”
“Non mi pento di quello che ho fatto; non mi pento neanche di un singolo, misero secondo passato con Kagura; eppure..eppure una strana sensazione non mi da pace...”
“Ma guarda,” sbuffò il mezzodemone, allargando disperatamente le braccia “proprio adesso dovevi farti venire una coscienza! Nel momento meno opportuno!”
“Non so se è coscienza, orgoglio o cos’altro..ma devo farlo; devo riprenderla..”
“Il tuo è solo egoismo!”
“Egoismo?” ripeté sbalordito il demone; non riuscendo a comprendere il motivo di una tale accusa, soprattutto dopo tutto quello che era stato costretto ad ammettere.
“Si, Duca. Egoismo! Tu non vuoi salvare la zingara per nessun altro motivo, se non per impedire ai rimorsi di tormentarti per il resto della vita! Per la tua tranquillità, ecco perché lo fai!”
“Perché sei così severo nei miei confronti?”
“Perché voglio che per una volta,” continuò il giovane, quasi con un sussurro “per una volta sola, se devi rischiare la vita, tu lo faccia solamente perché è un sentimento che ti muove.
Dì che la ami..dì che ti sei sbagliato..che finalmente hai capito quanto vale per te, ed io non avrò remore a lasciarti andare.
Guardati dentro Sesshomaru, senza paura e senza orgoglio. Guardati dentro e dimmi cosa provi. Se non c’è niente di importante per cui combattere, lascia perdere: rimani qui e fai il tuo dovere. Ma se c’è anche una sola speranza che tu possa essere davvero felice, allora và e, ti prego, lascia da parte quel tuo maledettissimo orgoglio!”
Lord Langston ascoltò il discorso senza interrompere, sprofondato in un angoscioso silenzio; soppesando quelle parole una ad una: come se fossero troppe perché la sua mente potesse accettarle tutte in una volta.
Si portò di nuovo la mano ai capelli, con fare pensoso.
Aveva un’espressione grave che rabbuiava il bel volto, reso ancora più pallido del solito dalla profonda preoccupazione.
“E’ inutile:” rispose infine, esasperato “non cercare sicurezze là dove non ci sono. Sono accadute troppo cose in questi giorni perché il ribollire dei tutti questi sentimenti non mi spaventi.
Io non voglio cambiare e, proprio perché mi rendo conto che sta accadendo, non ho il coraggio di interrogare il mio cuore.
Inuyasha, la devo salvare! Non chiedermi perché..lo voglio e basta. Siccome non posso più fidarmi della ragione, almeno fammi seguire l’istinto.”
Senza aggiungere una parola, si voltò di scatto e se ne andò; lasciando il fratello ad osservare, completamente basito, il muro di fronte a sé.
Che diavolo gli era successo? Perché si era lasciato sfuggire quelle parole? Davanti a suo fratello, poi!
Errore. Imperdonabile errore.
Inuyasha non fece in tempo a raggiungere il fratello per protrarre le proprie preteste, che egli era già balzato a dorso del grande stallone nero e si era lanciato a briglia sciolta in direzione delle porte della città, seminando il panico tra la folla che fuggiva impaurita in ogni direzione per evitare di essere travolta da quella furia cieca; la quale pareva già scorgere innanzi a sé le antiche torri di Cordova bruciate dal sole.




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*“Ma Cordova non trema
sotto il mistero confuso,
perché se l’ombra innalza
l’architettura del fumo,
un piede di marmo afferma
il suo casto fulgore asciutto.”



** La statua dell’Arcangelo Raffaele troneggia sopra l’antico Ponte Romano, che unisce la parte cristiana di Cordova a quella mussulmana.


*** “San Raffaele...Un solo pesce nell’acqua che le due Cordove unisce.”
L’Arcangelo, rappresentato nell’atto di sollevare in mano un pesce (che richiama al miracolo narrato nell’Antico Testamento; secondo il quale egli salvò il giovane Tobia dalle forze del male rappresentate dall’animale stesso) simboleggia in maniera esemplare il dualismo che caratterizza la stessa città.
San Raffaele è un personaggio doppio, in quanto è presente sia nella Bibbia sia nel Corano; allo stesso modo Cordova è divisa, dal Ponte Romano, in due parti: una cristiana e l’altra araba.



Ringraziamenti:

thembra: Grazie mille cara, sei sempre troppo buona! Purtroppo il papiro non nel Nilo non l'ho potuto gettare, costavano troppo cari XD spero basti il pensiero!
Ele_chan: Si, devo ammettere che è divertentissimo scrivere le scenette tra i due fratelli. Inuyasha, se nel manga non potevo sopportarlo, ora ho scoperto essere una bella spalla per Sesshomaru.
Ps. Sono contenta ti sia piaciuta l'altra fiction, anche se era un pò..sperimentale diciamo.
MARTY_CHAN94: Eh si..visto che con le donne non gliene va una per il verso giusto, Sesshomaru ha deciso di buttarsi sull'alcool XD
KaDe: Oddio..spero tuo padre non si sia accorto di nulla! Il rimorso di una giovane vita sulla coscienza potrebbe tormentarmi per l'eternità! XD
120 capitoli? ^^ Spero a 30 di aver finito..quando ho iniziato a scrivere non avevo la più pallida idea che sarebbe durata così a lungo!
Comunque voglio finire il prima possibile per concentrarmi ad un'altra ideuzza che mi è venuta..e soprattutto vedere se questa ideuzza si può trasformare in storia.
lollyna: Grazie mille, sono contenta che questa storia ti continui a piacere. Sei la mia commentatrice più fedele ^__^ che pazienza seguirmi per addirittura due fiction!
Ps.Non preoccuparti se non puoi commentare, divertiti!
crilli: Ho lasciato il tutto un pò in suspance. Spero questo capitolo ti abbia sconvolto come il primo XD
rosencrantz: Eheh..ormai penso che tu abbia capito che non posso fare a meno di inserire qualche drammone nelle mie fiction..sono troppo sadica! :)
Non parlarmi di Kagura..mi sono accorta nello scrivere gli scorsi capitoli che l'adoro sempre di più. Mi sento terribilmente in colpa nei suoi confronti.
Conto di rifarmi in una possibile storia futura, dove sarà lei la protagonista femminile.

Grazie a tutte, alla prossima
Jessy



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Capitolo 26
*** Bodas de sangre ***







CAPITOLO 26.



“Bodas de sangre”


“Carmen, il est temps encore,
oui, il est temps encore...
O ma Carmen, laisse-moi
te sauver, toi que j'adore,
ah! laisse-moi te sauver
et me sauver avec toi! […]
Mais ne me quitte pas,
o ma Carmen! ah! souviens-toi,
souviens-toi du passé!” *


(Carmen, Bizet)




“Io non capisco perché ti sei dovuta andare a sposare in un’altra città e, soprattutto, con uno sconosciuto di un altro gruppo?”
“Smettila Louis, ti ho già ripetuto che non sono affari che ti riguardano.”
Rin smise tutto d’un tratto di sistemare le lenzuola e le lasciò ricadere sul letto con un gesto di stizza: detestava sentirsi sotto interrogatorio.
Si passò stancamente una mano sulla fronte, spostandosi una folta ciocca scura che l’importunava e, con un sospiro scocciato si volse verso il ragazzo; il quale se ne stava di fronte a lei a braccia conserte e con uno sguardo carico di curiosità mista a fastidio, che non accennava a scostarsi da lei: era molto giovane, sulla diciottina; degli stopposi capelli mori gli ricadevano sopra un viso già arso dal sole, dove ogni traccia della fanciullezza era ormai scomparsa. Due vividi occhi verdi risplendevano di una particolare brillantezza, attenuata solo in parte dalla tonalità olivastra della pelle.
“Io ti ospito in casa mia, dopo che non ti sei fatta più vedere per tre anni! Pretendo almeno una risposta!” protestò il giovane in tono esageratamente grave, cercando maldestramente di mostrare alla donna che era cresciuto e, quindi, aveva tutto il diritto di essere trattato da uomo e con rispetto. “Calmati, niño. Non ti dirò un bel niente.” nonostante ci fossero solamente pochi anni di differenza tra i due, la gitana soleva, sin da quando erano piccoli, affibbiargli scherzosamente quell’appellativo ogni volta che voleva farlo arrabbiare: ed ogni volta ci riusciva.
“Smettila Rin di trattarmi come un bambino!” ribatté lui, punto sul vivo da quella risposta “Siamo cresciuti insieme, ti conosco bene. Hai sempre disprezzato tutti coloro ti ronzavano intorno sperando di poter diventare tuoi amanti; non capisco perché tu abbia voluto prender marito in una città che non era la tua..Mica ti sarai innamorata?”
“Oh Louis, che tormento! Non sei cambiato per niente in questi anni. Scommetto non mi lascerai in pace finché non ti risponderò, vero?”
“Esatto mia cara.”
“Va bene, eccoti la risposta: francamente non so perché mi sono sposata con Koga..mi andava e basta; tutto qui. Ma ciò non ha più importanza: non stiamo più insieme; l’ho abbandonato per con altro.”
“Sei sempre la stessa, niña!” rise il giovane, posandole con affetto la mano sulla spalla, ma con una forza tale da farla vacillare: eppure sembrava così mingherlino! “E dov’è la tua nuova fiamma? Mica lo avrai già mollato?!”
“No; ha preferito un’altra.” sussurrò la donna, cercando di mantenere un tono distaccato; come se tutto ciò recasse solo un lieve fastidio al proprio orgoglio, niente di più.
Naturalmente non poté ingannare chi la conosceva da sempre.
“Suvvia..che faccia da funerale hai! Non dirmi che ti sei davvero innamorata di questo tizio..”

Rin non fece in tempo a formulare nella sua mente una valida menzogna, che sulla soglia comparve un’ombra scura: era un uomo dai lunghi capelli mori, legati disordinatamente in una frettolosa coda; la camicia chiara, sporcata in più punti, era coperta all’altezza della vita da una larga fascia rossastra al cui lato riluceva l’impugnatura di un grande coltello. Due occhi di brace la scrutavano con una ferocia che non aveva nulla di umano.
Quegli occhi e quel coltello la gitana li conosceva anche troppo bene.
“Vattene ragazzo, lasciaci soli.” Ordinò il nuova arrivato, con voce profonda e apparentemente calma.
Il giovane rimase per un attimo stupito da quell’intrusione inattesa; un brivido gli corse lungo la schiena. Si volse dubbioso verso l’amica, cercando una conferma nella sue parole.
Lo sconvolse ancora di più vederla fredda e risoluta; come se si aspettasse quella visita.
“Lasciaci soli Louis..torna tra qualche ora.”
“Ma..” cercò inutilmente di protestare l’amico: una strana angoscia lo spingeva a non muoversi dal suo posto.
“Và via ti ho detto! Muoviti!” tuonò la donna con una voce innaturale, quasi rabbiosa. Il povero gitano, non potendo fare altrimenti, mettendo di forza a tacere il grido della sua preoccupazione, dopo aver lanciato un’ultima fugace occhiata ai due, se ne andò a testa bassa biascicando un fugace saluto.
Non seppe mai che quello che aveva scambiato per rabbia nelle parole della compagna era in realtà terrore: terrore che potesse essere coinvolto in quel regolamento di conti, con il quale non aveva niente a che fare.

Una volta che furono lasciati soli, i due ex amanti rimasero in silenzio, continuando a scrutarsi con astio: c’era troppo da dire, troppo poco da comprendere, niente da ricostruire.
L’uomo, non appena ebbe appurato che il ragazzo fosse ormai lontano, iniziò ad avanzare all’interno della casa, socchiudendosi la porta alle spalle.
I passi rimbombavano sul pavimento di pietra come i tetri rintocchi di una campana che suona a morto: mesti, lenti, regolari.
“Sapevo saresti venuto.” esordì la donna in tono duro, senza abbandonarlo neanche per un attimo con lo sguardo.
“Allora sai anche cosa sono venuto a fare.” ribatté l’uomo: la voce, leggermente rauca, aveva un suono innaturalmente tetro.
Era cambiato. Gli occhi, solitamente così vivaci e luminosi, adesso la squadravano con una sinistra profondità: sembrava che il germe di una lucida follia avesse preso possesso di quel corpo familiare. “Si, lo so.” ribatté lei, risoluta, senza mostrare il minimo timore; mentre lanciava un fugace sguardo alla lama del pugnale che intuiva sotto il tessuto consunto che gli fasciava i fianchi.
“E non hai paura?”
“Né di te, né della morte.”
“Tu..” e la voce gli tremava leggermente “..tu..Volevi fare l’eroina..Volevi recitare la parte della martire e poi..”
“..E poi cosa?” sibilò la giovane, con voce sprezzante.
“..E poi ci sei andata a letto! Credi che non lo sappia?! Credi che io sia stupido?”scattò all’improvviso verso di lei e l’afferrò con violenza per le spalle: la calma che si era sforzato di ostentare cadde immediatamente, da fragile maschera qual’era; lasciando il posto ad una furiosa disperazione “Sei scappata insieme a lui!..ti sei comportata come una puttana da due soldi! Ma cosa credi di ottenere Rin?! Che diavolo credi di ottenere da lui?! Non ti amerà mai..uno come lui non ti potrà mai amare, stupida!”
La gitana, a queste parole, cercò inutilmente di scrollarsi dalla presa: non voleva sentire quelle parole; né da se stessa, tantomeno da lui.
“Smettiamola con questa farsa Rin!” ringhiò l’uomo a pochi centimetri dal suo viso “Smettiamola..Non è tutto perduto.”
“Cosa stai dicendo?”
“C’è tempo ancora, Rin..si c’è ancora tempo! Io ti amo, Rin, ti adoro..non voglio farti del male. Ricominciamo tutto, ricominciamo insieme; lontano da qui, sotto un altro cielo..”
Mentre pronunciava queste parole, la voce si andava sempre più incrinando, trasformandosi in una pietosa preghiera. Le mani dell’uomo, a contatto con la pelle calda della donna, iniziarono a tremare in un primo momento quasi impercettibilmente; poi, mano a mano che continuava a parlare, con più evidenza.
“Sei impazzito forse?! Ma che ti prende?” ribatté la gitana con rabbia, quasi disgustata da quella scena; cercando inutilmente di liberarsi da quella stretta dolorosa “E’ finito tutto ormai! Lasciami subito! E’ finita!”
“No..non dire così..ti prego non dire così..” balbettò l’uomo, estraniato, stringendola ancora di più a sé: sembrava avesse perso completamente ogni traccia di lucidità. “Farò qualsiasi cosa..sarò tutto ciò che tu vorrai..ma, ti scongiuro, lascia che ti segua..andremo dove vuoi tu..ma lascia che ti segua..”
“No, mai..smettila..”
“Ricordati del nostro passato..ricorda quel che siamo stati..”
“E’ inutile che tu insista! Tra di noi è tutto finito! Finto, Koga..Lo sai che né le preghiere né la pietà mi faranno cedere. Perché continui a preoccuparti di un cuore che non è più tuo?..ma che dico?! Un cuore che non è mai stato tuo!”
Come se il veleno di queste parole gli fosse arrivato tutto d’un tratto al cuore; l’uomo, con un gesto furioso, la scaraventò violentemente a terra, strappandole un doloroso lamento.
Strinse convulsamente i pugni, come se si stesse trattenendo a fatica dal picchiarla; continuando a trapassarla con le pupille che brillavano ormai di una follia che, liberatasi di ogni ostacolo, aveva preso il sopravvento.
“Tu..tu mi seguirai..”
“Io non andrò da nessuna parte con te.” sibilò la gitana a denti stretti, rialzandosi testardamente in piedi e affrontando il suo sguardo a testa alta “Io non ti amo.
“Ma io ti amo ancora, dannato mostro! Io ti amo..e ti costringerò a rimanere con me; anche con la forza!” le urlò contro, alzando minacciosamente il pugno.
“Cerchi di intimorirmi? Sappi che hai sbagliato strada..se prima mi facevi pena..ora non provo più nemmeno quella!” tuonò la donna, riuscendo a sovrastare la voce di lui “Fai quello che sei venuto a fare e, se non ne hai il coraggio, vattene!”
Non fece in tempo a finire la frase che uno schiaffo violentissimo la scaraventò contro il muro con una forza che non avrebbe potuto immaginare.
Rimase per qualche secondo intontita per la botta terribile che aveva preso, finché un acre sapore di ferro non le invase tutt’a un tratto la bocca. Si passò velocemente il dorso della mano sulle labbra: sangue.
Alzò rabbiosa gli occhi su Koga, pronta a riempirlo di ogni genere di insulto che in quel momento le passava per la testa; quando vide che l’uomo stringeva convulsamente nella destra il pugnale.

“Allora..ti sei deciso finalmente?” La donna parlava con freddezza e distacco, come se si limitasse a fare una normale constatazione.
Il germe della paura iniziava pian piano a insinuarsi nel suo cuore; ma era troppo orgogliosa per darlo a vedere. Tratteneva caparbiamente il respiro per evitare che si vedesse quell’impercettibile tremito che scuoteva appena le labbra arrossate di sangue.
Ormai conosceva bene il volto della Morte: non avrebbe ceduto. Se nella pagina del suo destino era scritto che sarebbe dovuta morire in quel momento, colpita da colui che l’aveva così tanto amata, almeno non gli avrebbe donato la perversa soddisfazione di vederla strisciante ai suoi piedi, invocando pietà.
Se non poteva salvarsi con onore; almeno con onore sarebbe morta.
“Per l’ultima volta..” sussurrò l’uomo con una voce spezzata, a metà tra la preghiera e la minaccia “Per l’ultima volta..Rin..amore mio.. guardami..guarda come mi hai ridotto..
Non costringermi a farti del male..torna da me. E’ l’ultima possibilità, è la tua ultima possibilità di salvarti..Ti prego: salvami insieme a te! Se ti condanni..condannerai anche me..”
La gitana ascoltò quelle parole in silenzio, completamente immobile di fronte alla disperazione del compagno: dopodiché alzo lentamente lo sguardo verso di lui; nessun’ombra di turbamento o paura oscurava quei luminosi occhi selvaggi.
“Non cederò mai a nessuna richiesta, contro la mia volontà: Libera sono nata e Libera morirò.

L’ultima cosa che i suoi sensi riuscirono a distinguere fu un lungo grido di rabbiosa disperazione. Chiuse gli occhi, sporgendosi coraggiosamente in avanti: il coltello l’avrebbe dovuta colpire in pieno petto.
Chissà che effetto faceva sentire il freddo dell’acciaio che penetrava nella carne..Chissà se avrebbe sentito dolore..
Ecco dei passi che si avvicinavano.
Magari se avesse affondato l’arma direttamente nel cuore sarebbe morta subito..
..Morta?..
Una lama che fendeva l’aria.
Era così giovane..che crudeltà morire così giovane!
Non avrebbe mai più rivisto quel cielo di un blu profondo e intenso sfiorare le sue montagne, non avrebbe mai più contemplato le acque argentate del fiume accarezzare i mattoni rossastri del Puente..Non avrebbe mai più rivisto Lui..
Ma lei lo voleva rivedere! Voleva stringerlo di nuovo tra le sua braccia ..voleva gridargli in faccia quanto lo amasse, così forte da farsi scoppiare i polmoni..

No! No! No!
Non voleva morire! Maledizione.
Non adesso!

Una porta sbattuta.
Un altro grido.
Silenzio.
Silenzio.
Silenzio.

Un rantolo?
Si..un rantolo solitario..appena percettibile..

Perché? Come mai era sempre viva? Come mai il pugnale non le aveva ancora squarciato il cuore?


Non riuscendo più a trattenersi, la donna si costrinse a riaprire gli occhi per capire cosa fosse successo.
La scena che gli si parò di fronte la fece sbiancare completamente: l’adrenalina che fino a quel momento l’aveva sostenuta in uno stato quasi di semincoscienza, adesso l’abbandonò tutto ad un tratto, facendola accasciare a terra: come una marionetta non più trattenuta dai fili.
Non avendo la forza neanche di formulare dei suoni sconnessi, seguitava a guardare innanzi a sé, incredula.
Lord Langston, a pochi passi da lei, con gli occhi iniettati di sangue e i lunghi canini che brillavano contro le labbra, stringeva nella destra il collo dello zingaro, schiacciato contro il muro, rischiando di soffocarlo da un momento all’altro.
Koga, preso di sorpresa, si era lascito sfuggire il coltello di mano ed ora, disarmato e in svantaggio, cercava con tutta la forza che gli era rimasta di liberarsi da quella presa d’acciaio: invano.
Sesshomaru osservava la sua preda in feroce silenzio, con uno sguardo colmo di sadico piacere. Rin ebbe l’impressione che, se non fosse stato per la propria presenza, egli non avrebbe avuto la minima esitazione ad affondare i canini in quel collo indifeso, strappandogli fino all’ultima goccia di sangue. Ne ebbe quasi terrore.
Ma non c’era tempo per pensare.
“Non lo ammazzare!”
La voce le uscì d’istinto. Nemmeno lei sapeva come fosse potuto accadere; eppure, passata la rabbia e la tensione del primo momento, adesso osservava il suo ex amante con altri occhi.
Sì, fino a un attimo prima la stava per uccidere eppure..eppure ora ne sentiva quasi pietà.
Quella voce, quello sguardo che rifletteva il baratro della follia verso la quale lei stessa, senza volerlo, l’aveva condotto..
In altri tempi l’avrebbe condannato senza appello; ma adesso..adesso che anche lei aveva assaporato gli agonizzanti tormenti della gelosia, riusciva quasi a comprenderlo.
Non lo giustificava, ma lo compativa.
“Sesshomaru non lo ammazzare! Per l’amor di Dio, lascialo andare!”

Il demone in un primo momento sembrò non udire quelle parole, ma continuò a tenere salda la presa, specchiando i proprio occhi famelici in quelli agonizzanti di Koga; tuttavia al secondo, disperato avvertimento si costrinse a riprendere la calma.
“Sei sicura?” si limitò a chiedere, allentando leggermente la pressione per far sì che l’aria iniziasse di nuovo a circolare nei polmoni della sua vittima “Ti stava per uccidere.”
“E’ stato un momento di follia, lascia perdere. Non voglio che muoia.”
“Come vuoi.” Si limitò a commentare Lord Langston e, non senza un’espressione di disappunto impressa sul volto, lo lasciò cadere a terra.
Aspettò per qualche secondo che l’uomo riprendesse fiato, osservandolo con pietoso disprezzo; dopodiché lo afferrò per il colletto della camicia e lo trascinò fino alla soglia senza il minimo sforzo.
“Vattene.” sibilò minaccioso.
“Fai l’eroe adesso, bel soldatino” ribatté lo zingaro con un sorriso sarcastico, dopo averlo squadrato per un lungo istante con un odio così forte da non aver parole per esprimersi “Ma, il giorno che tu l’abbandonerai, - perché so che presto o tardi lo farai - allora ripensa a me..Ripensa se non sarebbe stato meglio per lei che io le avessi risparmiato l’onta alla quale tu la trascinerai..”
Dopo aver sussurrato queste ultime parole, che risuonarono tra quelle pareti come un’oscura profezia, si rassettò con apparente calma il colletto della camicia e, dopo aver lanciato un’ultima, profonda occhiata alla donna accovacciata a terra, se ne andò in silenzio, scomparendo tra la folla che, ignara, passeggiava tranquillamente per quelle vie splendenti di un bianco quasi incantato.




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*“Carmen, c’è tempo ancora,
si, c’è tempo ancora..
O mia Carmen, lascia
segua te, te che adoro,
ah! Lascia che ti salvi
e che salvi me con te! […]
Ma non lasciarmi,
o mia Carmen!ah!ricordati,
ricordati del passato!”




Grazie a tutte coloro che continuano a seguirmi; in special modo: crilli, rosencrantz, kaDe, lollyna, thembra e marty_chan94.


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Capitolo 27
*** Adios de lo pasado ***







CAPITOLO 27.


“Adios de lo pasado”



“Sovra una terra estrania
Teco fuggir dovrei!
Abbandonar la patria,
L'are dei nostri Dei! […]

Il ciel dei nostri amori
Come scordar potrem?”


(Aida, G. Verdi)





Entrambi seguirono, muti e pensosi, la figura del gitano che si allontanava con passo sicuro da loro e in pochi minuti scomparse per sempre, inghiottito da quella città alla quale aveva riconsegnato la propria, legittima, figlia: pareva quasi che avesse ritrovato tutto ad un tratto la lucidità che l’aveva completamente abbandonato durante quella tragica conversazione.
Sesshomaru, sforzandosi di scacciare dalla mente le feroci parole di quel tragico commiato, si richiuse la porta alle spalle e mosse pochi passi in direzione della donna, sempre accovacciata a terra senza forze, per aiutarla a rialzarsi.
Il silenzio sceso tra loro era imbarazzante.
Rin rimase per un lungo istante a fissare la mano che il demone le stava porgendo come pegno della loro riconciliazione. Egli non riusciva a comprendere se fosse indecisa se afferrarla o no; oppure se proprio non la vedesse, sconvolta com’era dall’accaduto.
Le fredde parole che le uscirono di bocca fugarono ogni dubbio.
“Cosa vuoi da me?” Ruggì la giovane alzandosi di scatto e allontanandosi da lui di qualche metro; come se il solo pensiero di avere un contatto con quella pelle la rivoltasse.
Lord Langston resistette all’impulso di afferrarla per un braccio e costringerla ad essere ragionevole: quel muto rimprovero che proveniva dai suoi occhi lo feriva molto più profondamente di quanto avrebbe creduto, quella scintilla di odio che le brillava nelle iridi nere bastava a tormentarlo più di un dolore fisico.
“Cosa voglio da te? Riportarti indietro…riportarti a casa.” Si limitò a rispondere, atono; senza far trapelare l’angoscia interiore che gli sconvolgeva la mente e il cuore, come una tempesta.
“Io? Tornare con te?..Siete tutti impazziti oggi?!” Balbettò incredula la gitana; sconvolta da tanta audacia, dopo tutto quello che le aveva fatto passare. “Vattene dalla tua donna, Duca..e lasciami in pace. Gli atti di eroismo non si confanno al tuo carattere.”
“Parli di Kagura?! Io e Kagura ci siamo detti addio per sempre.”
“Non sapevo che in Inghilterra fosse d’usanza baciare una donna quando le si dice addio per sempre.”
“Suvvia ragazzina!” esclamò il demone, leggermente irritato “Proprio tu mi vieni a fare dei moralismi? Ti vorrei ricordare che non sei la persona più adatta per farmi la predica.”
“Tu non sei stato corretto nei miei confronti!” gridò la zingara, irritata da quelle parole.
“Perché tu sei stata corretta nei confronti di quell’uomo?!” ribatté egli, per tutta risposta, alzando la voce di qualche tono e indicando la porta, dalla quale pochi minuti prima era uscito Koga “Credi di esserti comportata nel migliore dei modi con lui?! Suvvia Rin; abbiamo commesso entrambi degli errori. Rivangare il passato sarebbe solo dannoso per entrambi.”
“No Sesshomaru..non lo so..” balbettò la donna, passandosi angosciosamente una mano tra i folti capelli corvini “E’ successo tutto troppo in fretta, è passato troppo poco tempo..Non posso dimenticare, non chiedermelo..non ci riesco..”
“Non ti chiedo di dimenticare; solo di perdonare: di considerarlo come una cosa passata, che nel passato resta; che al passato appartiene.”
“Tu ordini sempre!..Credi davvero che ogni singolo essere di questa terra debba vivere solamente per esaudire dei tuoi ordini?! Sì, Duca, è vero..sono innamorata di te; ma non mi avrai mai ai tuoi piedi!”
Il demone la osservò per un lungo istante; trattenendo a stento un sorriso. Non era affatto cambiata dalla prima volta che l’aveva incontrata: così fiera, orgogliosa, testarda..sempre pronta ad infuocarsi per ogni minima discussione.
“Adesso basta con queste stupidaggini, Rin.” la interruppe con un tono, inusualmente, conciliante “Ascoltami. Sono venuto a prenderti..e per farlo ho dovuto abbandonare il mio onore, il mio dovere, la mia patria…Ho disertato Rin.”
“Disertato?!” Esclamò la zingara, incredula: sapeva bene cosa significasse quella parola e, ancor peggio, cosa avrebbe potuto comportare.
“Ho fatto credere a tutti di essere morto, così da salvare l’onore della mia famiglia. Ma non potrò mai più mettere piede in patria, se non di nascosto...Vorrei rimandare al più tardi possibile il mio appuntamento con la forca.”
“Ma..ma..non capisco..” balbettò essa incredula, riuscendo a stento a trattenere l’egoistica gioia dovuta a quella confessione.

Lord Langston non fece in tempo a aprire bocca che delle grida improvvise, disperate attraversarono senza ostacolo le pareti della casa e giunsero alle orecchie dei due giovani; i quali corsero istintivamente alla porta, trattenendo il respiro.
Videro venire verso di loro una immensa folla, impazzita di terrore; che si guardava intorno con aria incredula, che cercava di trovare riparo nelle proprie case, che se ne stava ferma con aria inebetita. Centinaia e centinaia di persone che fuggivano da qualcosa..o qualcuno.
Cosa poteva essere accaduto di così terribile da gettare nel panico l’intera città?
Sesshomaru ricacciò indietro il tremendo pensiero che gli era subito balenato nella mente: non era possibile..non potevano essere loro..non adesso, non adesso che era riuscito a riconquistare quello che gli apparteneva..non avrebbe permesso che gliela strappassero nuovamente dalle mani!
Rin, intanto, sebbene non si fosse ancora ripresa del tutto dallo stupore, si gettò in mezzo a quel fiume che correva ovunque ma senza meta e, riconosciuto Louis in mezzo a un gruppo di una decina di zingari, si avvicinò a lui.
“Que pasa, Louis?” Domandò col cuore in gola, gridando con tutta la forza che aveva nei polmoni per riuscire a farsi sentire.
“Franceses” Riuscì solamente a balbettare il ragazzo, pallido come un cadavere, con gli occhi fissi nel vuoto.
La gitana si mise a strattonarlo per la camicia, cercando di attirare nuovamente la sua attenzione; quanto sentì una mano artigliata che la strattonava via.
“Sesshomaru, lasciami subito! Devo aiutarlo..non posso abbandonarlo..Ti prego, lasciami!” urlò, a metà tra la rabbia e la disperazione, al demone che la stava trascinando via a passo svelto, facendosi violentemente spazio tra la folla.
“Non c’è tempo Rin.” La rimbrottò lui, voltandosi appena per guardarla in viso “Vedrai che se la caverà.”
“No! no! Non posso abbandonarlo!” Gridò la donna, riuscendo finalmente a svincolarsi dalla presa e correndo verso il luogo dove aveva lasciato l’amico, rischiando più volte di farsi trascinare via.
Lord Langston imprecò mentalmente e, senza perdere un attimo, si gettò all’inseguimento della zingara: aveva cavalcato senza sosta per due giorni interi, aveva messo da parte il proprio onore, si era gettato tra le braccia dei francesi, stava rischiando la condanna a morte..e tutto questo per lei!..Non se la sarebbe lasciata sfuggire proprio adesso!
Riusciva a stento a svincolarsi in mezzo a quel soffocante delirio; faticava a spostarsi anche di pochi passi: spingeva, sgomitava, urlava il nome di lei. Con enorme difficoltà seguiva con lo sguardo quella testolina mora che avanzava pian piano, controcorrente, solamente grazie alla propria altezza: il terrore che ella potesse rimanere schiacciata da quella calca impazzita e disordinata gli straziava il cuore.
Ad un tratto sentì sbattere violentemente qualcosa -o meglio, qualcuno- contro il suo petto. Abbassò gli occhi e vide che era un ragazzino: avrà avuto nove, dieci anni; le guance rigate dalle lacrime e le membra scosse dal panico.
Senza pensarci due volte, lo afferrò istintivamente per il colletto della camicia e lo aiutò ad alzarsi prima che venisse travolto.
Quest’ultimo stette ad osservarlo per qualche secondo con un’aria stupita, come incantato da quella creatura dal fascino ultraterreno e dallo sguardo inumano.
Fu solo un attimo prima che scomparisse tra la folla; veloce come era arrivato.
Quando Sesshomaru alzò nuovamente gli occhi si rese conto di aver perso di vista la zingara. Sentì il sangue gelarsi nelle vene.
“Rin! Rin!” Ringhiava con tutta la forza che aveva nei polmoni; più per disperazione che per una vera e propria speranza che lo potesse sentire “Rin! Dove sei?!”
Sentiva le tempie pulsare in modo insopportabile.
Il respiro gli moriva in petto.
Le gambe minacciavano di abbandonarlo da un momento all’altro.
Si volse spaesato a destra e a sinistra, sperando di riuscire a ritrovarla.
Per fortuna quella tremenda agonia durò solo pochi secondi, che gli parvero eterni: ad un tratto i suoi occhi riuscirono a intravedere la zingara, ferma in un angolo riparato dalla furia della calca impazzita, a pochi metri da lui.
“Eccoti finalmente!” sospirò non appena la raggiunse “Ma che diavolo ti è venuto in mente?!” “Louis!” balbettò la donna, con voce tremante, volgendosi verso di lui: aveva gli occhi gonfi di lacrime “..non c’è..non lo trovo più..”
Senza aggiungere una parola si gettò tra le braccia del demone e scoppiò in un pianto disperato. Lord Langston la strinse a sé in silenzio, lasciando che si sfogasse: gli sembrava una bambina. Intanto, senza allentare quella stretta; osservava, grave, quell’orribile spettacolo che gli scorreva innanzi: era stupito, incredulo da quanto quella scena di disperazione fosse riuscito a sconvolgerlo nel profondo.
..Era tutto così strano...angosciante. Non aveva mai visto la guerra da quel punto di vista. Adorava il sapore della battaglia, quella furia cieca che lo avvolgeva in quell’estasi primordiale quando si trovava di fronte al nemico, l’odore acre, a tratti nauseante, del sangue che scorreva a fiumi e dissetare la terra.
..Ma quello…quell’orrore terribile del quale lui stesso si era ritrovato a far parte..no, non aveva niente di esaltante.
Le urla terrorizzate, gli occhi sbarrati dalla paura, i bambini che piangevano a squarciagola..non riusciva a sopportarlo.
Era tutto così...assurdo…irreale...folle..

Un rumore improvviso lo distolse da quei pensieri: cavalli; decine di cavalli lanciati al galoppo. I muscoli si irrigidirono all’istante.
“Cosa c’è?” chiese la gitana, scostandosi appena dal suo petto e cercando di asciugarsi le lacrime col dorso della mano.
“Dobbiamo andarcene, Rin: stanno arrivando i francesi. Se mi vedono non avrò scampo.”
“Vedranno lontano un miglio che non sei Spagnolo..” convenne essa, guardandosi nervosamente intorno in cerca di qualcosa che potesse salvarlo.
“Già..e ti assicuro che vorrei proprio evitare di morire inutilmente.”
“Aspetta..ci deve essere un modo per fuggire di qui..”
“Se lo trovassi entro il prossimo minuto te ne sarei immensamente grato.” La spronò il giovane, portandosi la mano alla cintura ed estraendo la pistola che si era prudentemente portato con sé.
La donna, dopo avergli lanciato una fugace occhiata, abbassò lo sguardo per concentrarsi meglio: doveva farsi venire un’idea...e alla svelta.
“Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima!?” Esclamò, dopo alcuni interminabili secondi, esultante.
“Cosa?”
“La porta ovest..vicino c’è un passaggio nascosto. Lo usavamo per far uscire la merce di contrabbando dalla città..Potremmo uscire di lì!”
Non riuscì neanche a finire la frase che il demone l’aveva afferrata per la mano e la stava conducendo attraverso per quel labirinto di viuzze, ormai quasi completamente deserte.
“Gli abitanti si sono diretti tutti verso l’uscita Sud; se abbiamo fortuna il grosso delle truppe si concentrerà in quella direzione.” Ragionò Lord Langston a voce alta, rallentando prudentemente il passo. Abbassò il cane dell’arma e la tenne leggermente alzata innanzi a sé, per poterla usare nel minor tempo possibile in caso di bisogno.


**************


Dopo poco più di mezz’ora erano già fuori dalle mura, affacciati di fronte all’immensa pianura brulla; apparentemente deserta.
Benché affievoliti dalla distanza, si riuscivano a sentire ancora le grida, i lamenti, le preghiere degli abitanti di Cordova: un rumore tremendo, straziante, che rischiava di farli impazzire da un momento all’altro.
Camminavano in silenzio, con lo sguardo in direzione dell’orizzonte e le mani intrecciate; avanzavano senza una direzione precisa, ma desiderosi solo di mettere tra loro e quelle mura quanta più strada possibile.
Era tutto così strano, irreale: come in un sogno…o un incubo. Era accaduto tutto in fretta: senza che ci fosse tempo di pensare, di riflettere, di pianificare.
Rin piangeva sommessamente, cercando inutilmente di nascondere al compagno le guance bagnate: non sapeva nemmeno lei per cosa in particolare..ma in quel pianto c’era tutto.

“E così siamo sempre servi: abbiamo solamente cambiato padrone.” si limitò a constatare, quasi rassegnata.
“Tu non lo sarai. Vieni con me in Inghilterra.” le disse il demone, con un tono che non ammetteva repliche.
“Ma, Sesshomaru. Non puoi farti vedere dai tuoi compatrioti..ti arresteranno per diserzione!” “Ho delle tenute in Scozia. Ce ne andremo lì, lontano da tutti. Ad amministrare tutto ci penserà mio fratello.”
“Addirittura?” esclamò la donna con un sorriso spento.
“Naturalmente no.” Ci tenne Lord Langston a mettere in chiaro “In verità sarò io a prendere le decisioni; Inuyasha dovrà solo attuarle al posto mio.”
“Naturalmente..”
La gitana distolse lentamente lo sguardo dal viso dell’uomo e si volse indietro con aria malinconica.
“Andarmene...” sospirò, dopo qualche secondo di riflessione “..andarmene di qui..”
“Non vuoi?” le domandò lui, con una leggera punta di preoccupazione, costringendola a guardarlo negli occhi.
“Spero di non morirne di nostalgia.” Sorrise Rin, stringendogli dolcemente la mano: gli occhi brillavano di una tristezza insolita, profonda.
Sesshomaru si rese conto di doversi ricredere completamente su di lei: era cambiata, molto cambiata.
“Cercherò di rendere il tuo esilio il meno angoscioso possibile.” Le sussurrò ad un orecchio, in modo quasi affettuoso e, facendole scivolare il braccio intorno ai fianchi, la condusse via da quel luogo che non aveva più niente da offrire a chi tutta una vita aveva lottato e sofferto per la Libertà ed adesso se la vedeva scivolare via dalle mani; strappata via come sabbia in mezzo a una tempesta.




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Chiedo perdono per il mostruoso ritardo, ma quato capitolo mi ha fatto penare non poco.
Piccolo avvertimento alle mie lettrici: il prossimo sarà (finalmente!) l'ultimo aggiornamento.

Detto questo ringrazio come sempre le mie pazienti commentatrici: Blackvirgo, lollyna, KaDe, MARTY_CHAN94 e rosencrantz



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Capitolo 28
*** Alma Ausente ***








CAPITOLO 28.


“Alma ausente.”



“Essa canta e sorride
e il rimorso m'assale.
Me, cagion del fatale
mal che l'uccide!”


( Bohème, G. Puccini )




Una folata di vento gelida, violenta sospinse ancora una volta, implacabile, l’onda dello scuro mare in tempesta; fino a farla schiantare di nuovo contro gli aguzzi scogli che spuntavano come artigli da un’acqua nera. Il cielo plumbeo sovrastava imperioso quell’estremo lembo di terra; trafitto, a tratti, da un pallido riverbero di sole, subito soffocato dall’imponenza delle nubi che lo soffocavano con i loro molteplici strati.
La gitana, scossa da un brivido di freddo, si sistemò sulle spalle il lungo tabarro che ormai l’accompagnava fedele dal primo giorno che aveva messo piede in Scozia e si sporse leggermente verso lo strapiombo che si apriva a pochi passi da lei, precipitando tra quei flutti selvaggi.
Da due anni a quella parte, non aveva mai mancato di recarsi giornalmente il quel luogo che l’aveva rapita con il suo tetro fascino.
A dire la verità tutto quel paese possedeva, ai suoi occhi, una triste, ma dolcissima malinconia: quella stessa malinconia che la stava frantumando, giorno per giorno, da dentro, con lavoro lento ma implacabile.

“Ancora qui, Rin?”
Una voce profonda, a tratti calda, la fece voltare di scatto, come se non si aspettasse quell’interruzione.
“Mi piace molto questo posto.” annuì essa chinando appena la testa, prima di posare un bacio di sfuggita sulla labbra del nuovo arrivato “Qui riesco a riflettere..a ricordare..”
“..ricordare?” ripeté il demone, con tono interrogativo, volgendosi a sua volta verso la distesa del mare, che si apriva immensa davanti a loro.
“Si..mi piace ripensare al passato, farmi tornare alla mente alcuni momenti della mia vita, ai quali non avevo più pensato..”
Sesshomaru, a quelle parole, si irrigidì appena, riuscendo a fatica a mitigare l’evidente di disappunto che traspariva dal volto: era per lui uno straziante tormento dover assistere, impotente, al radicale cambiamento che la lontananza dalla terra natia aveva provocato nella gitana.
Quando l’aveva conosciuta, sarebbe stata una cosa inaudita per lei pensare, anche solo per un momento, al passato; tutta la sua vita era costantemente incentrata sul presente e, a tratti, proiettata verso il futuro.
Adesso Rin, o almeno quel fantasma che aveva le sue fattezze, viveva solamente nell’illusione di un qualcosa che non sarebbe più stato.
Anche lo stesso amore per il compagno, immenso e profondo, metteva in risalto quella radicale rivoluzione che si era perpetrata dentro di lei: niente più leggerezze, niente più incostanza; solo una sincera coscienza della sua vitalità.
“Sei così tanto cambiata che faccio fatica a riconoscerti, zingara.” Le sussurrò Sesshomaru in modo vagamente canzonatorio, ma dal quale traspariva una grande preoccupazione.
“La mia anima, la mia identità è indissolubilmente legata alla mia terra..” mormorò la donna, appoggiando dolcemente la testa al petto di lui e circondandosi con le sue braccia. Lord Langston la lasciò fare in silenzio, angosciato dall’espressione malinconica che le traspariva dal bel volto, dal quale i vaghi tratti della fanciullezza erano completamente scomparsi per far posto ad un’espressione grave e matura “Separarmi dalla mia terra è stato come strappare una parte di me…E’ inutile ricercarla nei miei occhi, nel mio viso, nelle mie parole…Ormai è morta per sempre.”
“Vuoi tornare a casa?” chiese egli, cercando di dissimulare il tremore nella propria voce.
“No, no Sesshomaru. Separarmi da te..no mai. Ho preferito perdete la mia identità che il tuo amore: non so se sia giusto o meno..ma è la scelta migliore, per entrambi.”
“Come credi che possa guardarti sereno il volto, sapendo che soffri a causa mia? Pensi davvero che io non mi accorga di questa sorta di nostalgia che ti sta allontanando da me, che ti sta conducendo in un posto in cui io non posso venirti a riprendere?!”
Rin sorrise a queste parole e, sfiorandolo dolcemente con una carezza, si affrettò a rassicurarlo.
“Tranquillo, Duca; tu non hai colpa. La vita è così: a volte dà..a volte ci strappa via tutto. Per fortuna io ho te: ti prego, godiamoci questo tempo che ci è concesso insieme e non discutiamo più di argomenti così tristi.”
“Credo sia la cosa migliore.” sospirò il demone, ancora non del tutto convinto ma desideroso di abbandonare quel discorso.
“Certo che dopo questa dichiarazione spassionata potresti anche ammettere che mi ami.” Ridacchiò la donna, cercando di riprendere il tono spensierato che ormai non le apparteneva più.
“Le parole sono vane e superflue, zingara: troppo spesso si dimenticano e troppo raramente sono veritiere.” si difese egli, con un mezzo sorriso “Invece le azioni..sono quelle che contano davvero.”
Per Sesshomaru ammettere ad alta voce di amare quell’umana sarebbe stata, nonostante tutto, una vera e propria catastrofe: si limitava ad esserne consapevole – il che, a dire la verità, era già una mezza catastrofe per il proprio orgoglio – e Rin lo conosceva abbastanza bene per attendersi da lui qualcosa di diverso.
Tuttavia, mano a mano che egli si accorgeva del cambiamento della donna, la paura di perderla, questa volta per sempre, lo aveva portato ad accantonare almeno in parte la propria freddezza. Un passo difficile e sofferto..e pure sembrava non bastare a riportarla con sé: essa sprofondava sempre di più in una strana tristezza..in un mondo fatto di malinconia nostalgia al quale lui non aveva accesso.
Ogni giorno che passava il tormento era maggiore. L’amara consapevolezza di essere in realtà lui stesso la causa del male senza nome, che la consumava pian piano, era insopportabile. A volte stava intere notti ad osservarla in silenzio mentre dormiva, cercando di scorgere in quel viso impallidito una cura..o almeno un perché.
Non sapeva che c’era molto di più di quanto immaginasse.
O, semplicemente, si rifiutava di accorgersene.

“Ma quante belle scuse!” lo rimbrottò la donna, puntandogli un dito al petto “Avresti potuto avere un brillantissima carriera come avvocato..”
“Sul mio onore, giuro che non sono scuse.”
La gitana si voltò di nuovo verso di lui, indietreggiando di pochi passi, così da poterlo osservare il viso.
“Dimmi la verità Sesshomaru, di cos’hai paura?”
“Prego?”
“Il pensiero di quale terribile disgrazia ti trattiene dal palesare i tuoi sentimenti?! Adesso che siamo solamente io e te, qui, da soli; dopo tutto quello che abbiamo passato…perché continui a mettere il tuo orgoglio tra di noi?”
“Guarda tutto quello che ho fatto per, Rin.” si difese il giovane, leggermente irritato “Non capisco per quale motivo due misere parole possano cancellare tutto questo, o dargli un significato! Non lo trovi dannatamente ingiusto nei miei confronti?!”
Mentre pronunciava la sua breve arringa; osservava, severo, l’espressione della donna che gli stava innanzi.
Non avrebbe mai creduto che sarebbe potuto accadere; tuttavia non riusciva a non stupirsi di quanto quella figura, prima così diversa, adesso assomigliasse in maniera impressionante a Kagura. Quell’aria grave che le illuminava il viso di una misteriosa tristezza, i movimenti lenti e calcolati, la voce fresca e squillante che aveva lasciato il posto ad un tono caldo e pacato: tutti questi cambiamenti le donavano sicuramente un fascino maggiore, ma non suo.
“Perdonami..” sussurrò essa, abbassando leggermente il volto per non far vedere gli occhi gonfi di lacrime.
“Perché questo ti fa soffrire così tanto?” chiese il demone stupito da quel comportamento; sebbene in fondo al proprio cuore una crudele voce gli mormorava la tremenda verità, che egli non era pronto ad accettare.
“E’ perché ho paura di non sentirmelo dire mai..”
“C’è tempo.” la rincuorò Sesshomaru, con un mezzo sorriso “Forse un giorno riuscirai a farmi completamente impazzire...e otterrai tutto quello che vuoi.”
“Ma se il tempo non ci fosse?!” esclamò la zingara, afferrandolo di scatto per la manica della giacca, con un trasporto tale da dare adito a qualsiasi sospetto. “Se tempo non ci fosse…Non voglio morire senza aver sentito la tua bocca pronunciare quella frase che aspetto da più di due anni!”
Sesshomaru sentì gelarsi il sangue.
“Rin, che razza di discorso stai facendo?! Che diavolo ti succede?”
“Niente…niente.” cercò di ricomporsi la donna, con un sorriso spento. Maledicendo quell’attimo di debolezza che aveva rischiato di smascherarla. “Lo sai che quando parliamo di queste cose finisco sempre per perdere il controllo e, magari, finisco anche per esagerare. Non farci caso. Anzi...lasciamo perdere il discorso…è inutile litigare per queste cose..”
“Rin,” cercò egli di interrompere quel flusso sconclusionato di parole “sei sicura che vada tutto bene?”
“Certo che va bene.” rispose la donna, col tono più rassicurante che riusciva a trovare.
Ma non potè terminare la frase che una tosse improvvisa le troncò le parole in gola; scuotendo per secondi che parvero interminabili quel piccolo corpo, con così tanta violenza da sembrare che la dilaniasse da dentro.
Rin teneva una mano contro la bocca e con l’altra si reggeva il petto, come se premendolo potesse attutire il dolore lancinante proveniente dai polmoni; mentre Sesshomaru la teneva stretta per le spalle, temendo che potesse cadere in terra da un momento all’altro e la osservava attonito.
“Mio Dio che tosse!” esclamò, scuro in volto; dopo essersi accertato che la crisi fosse passata “Manderò subito Inuyasha a chiamare il dottore.”
“Non importa, stai tranquillo. E’ colpa di questo clima freddo e umido; non ci sono abituata…è naturale che un po’ ne risenta.”
“Ragione in più per farti visitare.”
“No...no…è una cosa passeggera. Non preoccuparti per così poco.”
“Non mi interessa; adesso vado a dire a mio fratello di chiamare il medico e tu ti farai visitare. Non voglio sentire storie. E’ un ordine.” si impuntò Lord Langston, stavolta con un tono che non ammetteva repliche.
“Solo a patto che il medico sia molto discreto.” rispose la donna, seria; per poi aggiungere subito dopo, in risposta allo sguardo interrogativo del compagno “Non vorrei che andasse in giro a spifferare che c’è una zingara che abita nel palazzo dei Langston...non dimenticarti che se ci scoprono..”
“Non temere; è un uomo affidabile. Un vero scozzese: serio e taciturno; non darà problemi.”
“D’accordo Duca; affare fatto.” cedette la gitana, non senza qualche remora. “Adesso torniamo a casa.”
Sesshomaru, stette per un lungo istante a fissarla in modo apparentemente indecifrabile; come se cercasse di leggere nell’insolito pallore del suo viso quella verità che non poteva carpire dalle labbra.

Stava per voltarsi e dirigersi verso il proprio castello, quando un’insolita paura, un timore senza nome gli attanagliò improvvisamente il cuore, costringendolo a pronunciare quelle parole che non si sarebbe mai aspettato di sentir uscire dalla propria bocca:ì. Un’angosciosa sensazione, insinuatasi nel suo petto, lo supplicava di compiere quell’ultimo, singolare atto di carità.

“Ti amo.”

Due semplici parole, pronunciate con una solenne, profonda gravità: quasi che il loro stesso peso le schiacciasse materialmente nella gola.

Rin, basita da quell’inaspettato dono, senza più riuscire a trattenere le lacrime, si avvicinò a lui in silenzio e con uno sguardo traboccante di gratitudine; nascondendo tra le pieghe della veste la mano destra leggermente sporca di sangue.

Per la prima volta il suo volto risplendeva di una profonda serenità: rassicurata dalla certezza che almeno non sarebbe stata condannata all’estremo supplizio di sopravvivere a se stessa.



“…Non c'è amore che non dia dolore
non c'è amore che non ferisca
non c'è amore che non lasci il segno
e non meno l'amore di patria che l'amore per te
non c'è amore che non viva di pianto
Non esistono amori felici
ma per noi due c'è il nostro amore.”


(Non esistono amori felici, Louis Argon)






.Fin.






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L'11 dicembre 1813 Napoleone strinse una pace separata con la Spagna con il Trattato di Valençay, attraverso il quale avrebbe riconosciuto Ferdinando come re di Spagna in cambio della cessazione completa delle ostilità.
Ma gli spagnoli non avevano nessuna intenzione di credere e continuarono i combattimenti.
L’ultima battaglia per la liberazione dagli oppressori fu il 10 Aprile 1814; quando Napoleone aveva oramai abdicato.


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Nota d’Autore:

Dopo questa conclusione presumo che qualcuno sarà scontento, altri saranno soddisfatti e forse, molti, ne rimarranno indifferenti; tuttavia mi sembra doveroso avanzare delle spiegazioni.
La prima, lo ammetto, è da rintracciare in un mio perverso amore per il Romanticismo e tutto ciò che ne consegue; e, sicuramente, a questo fatto sono da legare entrambi i mali che affliggono la protagonista, uno nell’anima, l’altro nel corpo: la nostalgia della Patria (tema di cui parlerò nella seconda motivazione) e la Tubercolosi; malattia di gusto squisitamente romantico dagli infiniti rimandi letterari e musicali (e chi ha letto la “Signora delle Camelie” o ha ascoltato “Boheme” o molte altre opere sa a cosa mi riferisco).
La seconda motivazione – ma prima come ordine di importanza – va ricercato nella figura stessa di Rin, con la quale ho aperto e concluso questa storia. Oltre ad un personaggio vero e proprio, con difetti e debolezze; essa è anche, e soprattutto, un simbolo: il simbolo di un’intera minoranza tanto profonda e affascinante quanto perseguitata ed oppressa. Dunque, avendo questo personaggio un compito di tale rilievo, non potevo certo lasciare che sopravvivesse alla sua stessa identità; privando così di un senso la sua esistenza e facendole il torto di lasciarla cadere nella banalità di un semplice finale “e vissero felici e contenti”, ignorando ogni sorta di problema legato al distacco dalla propria terra e quindi da se stessi.
In pratica: non si vive di solo amore.
Su cosa farà Sesshomaru dopo la scomparsa di Rin, l’autrice preferisce tacere a lasciare che l’immaginazione delle lettrici, a seconda della propria inclinazione, completi la storia.
Lascio a voi immaginarvi se tornerà con Kagura, morirà di disperazione, cercherà un modo per rientrare in società..o chissà cosa.


Per quanto riguarda la prossima fiction – che inizierò a scrivere tra un po’ di tempo credo, visto che il periodo esami è sempre più vicino -, credo dovrò dare una piccola delusione al Rin-fandom (tuttavia spero continueranno a seguirmi ugualmente): la protagonista sarà probabilmente la mia adorata Kagura.
L’idea per l’ambientazione mi è venuta dalla lettura di “Scènes de vie de Bohème” di Murger: quindi lo scenario sarà la Parigi di fine ottocento, più precisamente il Quartier Latin.
Probabilmente sarà una raccolta di diverse scene, con qualche accenno alla prolifica letteratura dell’epoca (niente di pretenzioso naturalmente).


Detto questo, vorrei ringraziare tutte coloro che mi hanno seguito in questo lungo lavoro, quelle che hanno messo questa storia nei preferiti e coloro che hanno avuto la pazienza e la costanza di commentare capitolo per capitolo, permettendomi di continuare questa fiction fino alla fine.

lollyna: Grazie mille per la costanza con cui hai seguito entrambi I miei lavori: sono davvero onorata. Spero il prossimo non deluda le tue aspettative :)
Blackvirgo: Mi dispiace di aver potuto leggere I tuoi bellissimi commenti solo negli ultimo due capitoli: sono molto profondi e, soprattutto, riescono a cogliere in pieno il messaggio che cerco di mandare. Grazie davvero.
thembra: Cara..grazie mille per i tuoi commenti e di avermi sempre seguito, sia su questo sito, sia sull’altro ;)
KaDe: ..ed io devo ringraziare te per averla letta! Sono felice che ti sia piaciuto. Spero ti piacerà anche la prossima nonostante la protagonista sia Kagura e Rin rimarrà un’adorabile bambina.
rosencrantz: Et voilà..la tragedia è servita ;) – anche se, a dirla tutta, preferisco non chiamarla tragedia perché c’è una tranquilla accettazione del proprio destino -..però le lacrime e la morte non mancano mai.
Ti ringrazio per avermi seguito e commentato, nonostante sappia che questo genere non è proprio il tuo preferito; è un vero onore ricevere i complimenti da una scrittrice bravissima come te!
MARTY_CHAN94: eh eh..credo che la paura sia diventata concreta. Spero comunque che l’abbia apprezzato lo stesso. Grazie per aver commentato sempre e puntualissima.
eiby: Non preoccuparti se non hai potuto recensire! Sono contenta che questa storia ti sia piaciuta; è davvero un piacere sentirselo dire. Spero che ti piaccia anche la prossima, anche se probabilmente sarà un po’ “strana”.


Alla prossima,
Jessica




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