Cuore di Cyborg

di MidnightChaos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ritrovamento. ***
Capitolo 2: *** Vita quotidiana. ***
Capitolo 3: *** Emozioni ***



Capitolo 1
*** Il ritrovamento. ***


Cuore di cyborg.




 
 
Quando il trillare della campanella che segnava la fine delle lezioni risuonò in tutta la scuola potei chiaramente udire il sospiro di sollievo di Gloria alla mia destra.
-E anche oggi sono salva! – mi bisbigliò trionfante, attenta a non farsi sentire dal professore ancora seduto alla cattedra.
-Se tu studiassi non avresti di che preoccuparti – la rimproverai scherzosamente.
-Quando io studierò vorrà dire che è ormai giunta la fine del mondo!
Scoppiai a ridere perché sapevo che sarebbe stato davvero così, la mia bellissima amica odiava studiare, faceva sempre il minimo indispensabile e se mi era possibile la aiutavo come potevo nei compiti in classe con bigliettini e suggerimenti.
-Sei sempre la solita – ridacchiai strizzandole dolcemente una guancia.
Gloria era la mia migliore ed unica amica e non smettevo mai di chiedermi come fosse possibile che una come lei, così estroversa, sempre corteggiata, sempre circondata da una moltitudine di amici potesse aver voglia di stare con me, un elemento che rasentava l’ipocondria.
La salutai ed uscii velocemente dall’aula,ritrovandomi fuori dall’edificio scolastico in un batter di ciglia. Mi incamminai a passo svelto verso la biblioteca, intimorita dai minacciosi nuvoloni neri che galleggiavano sopra la mia testa.
Affrettai ulteriormente il passo, anche se la cartella pesava come un macigno sulle spalle e sulla schiena, il “peso della cultura”, e l’aria gelida si stava intrufolando dentro il mio cappotto.
Arrivata nei pressi della biblioteca, tirai fuori velocemente la mia tessera magnetica e me la preparai in mano, spinsi con forza l’enorme portone in legno e finalmente venni investita da una piacevolissima ondata d’aria calda. Strisciai la tessera e assaporai il familiare odore di libri che mi rassicurava.
-Buongiorno Mila!- salutai allegramente la vecchia signora dietro al bancone del bar.
La biblioteca era dotata di un piccolo bar ed io mi ci fermavo sempre a pranzare.
-Buongiorno a te , cara – ricambiò materna.
La proprietaria era Mila, una signora di 80 anni, dolcissima, amica di mia nonna, che si prendeva cura di me per il tempo che trascorrevo qui dentro.
I miei genitori erano morti in un incidente d’auto quando ero piccolissima, li ricordavo a malapena e mia nonna aveva presto preso il posto di mia madre. Per aiutare economicamente mia nonna, che manteneva entrambe con la sua misera pensione, avevo deciso di cercarmi un lavoretto che però non mi portasse via troppo tempo allo studio e per fortuna avevo trovato lavoro nella biblioteca. Dovevo fare poco o nulla, mi limitavo a fare i compiti dietro un enorme bancone, a mettere al loro posto i libri riportati e a compilare schedari sul computer.
-Cosa mi hai preparato di buono oggi? – le domandai mentre buttavo lo zainetto a terra e mi toglievo il pesante cappotto.
-Spaghetti allo scoglio fatti con tanto amore!
Mi posizionò davanti una scodella con almeno 5 quintali di pasta e ridacchiò della mia espressione sognante.
Mangiai lentamente per godermi appieno quel ben di dio e le raccontai  tutto quello che avevo fatto a scuola mentre lei mi ascoltava con curiosità.
-Sta per iniziare il tuo turno, è meglio che tu vada – mi suggerì.
Mi alzai dalla sedia, presi le mie cose e feci per incamminarmi verso la mia postazione quando venni richiamata.
-Ti ho preparato una torta di mele, così puoi farci merenda – mi fece l’occhiolino e mi passò un piccolo vassoio con dei pezzi di torta ancora fumante.
La ringrazia con un bacio sulla guancia e mi diressi alla mia scrivania. Posai la torta in un angolo e accesi il computer.
-Cara, che piacere rivederti! – mi salutò allegramente un signore sulla sessantina.
-Bob, che libro vuole che le cerchi oggi? – gli chiesi sorridente.
Bob era un signore gentilissimo che veniva almeno una volta a settimana a prendere in prestito libri storici.
Afferrai i libri che mi stava porgendo e compilai la sua scheda sul computer.
-Stavolta vorrei qualcosa sulla guerra fredda…
-Ottima scelta! Settore B storico, corridoio 11, quarto scaffale – gli risposi dopo aver dato un’altra breve occhiata sul computer.
Mi ringraziò e si inoltrò tra gli scaffali.
Adoravo questo lavoro, e non solo perché adoravo i libri. La biblioteca mi tranquillizzava, a volte, quando non avevo niente da fare, vagavo per gli scaffali, prendevo un libro e mi spaparanzavo su una poltrona a leggere.




 La giornata passò velocemente, tra clienti abituali e momenti vuoti, e si erano fatte le 7, l’ora di chiusura della biblioteca. Feci l’ultimo giro tra i corridoi per controllare che non ci fosse rimasto nessuno, poi spensi tutte le luci e uscii dalla biblioteca.
Venni immediatamente investita dalla pioggia che batteva trasversalmente. Tirai fuori l’ombrello e mi infagottai ancora meglio nel mio cappotto, rigirandomi la sciarpa più volte. Per non bagnarmi completamente dovevo camminare con l’ombrello inclinato in avanti così non vedevo dove andavo e rischiavo di sbattere contro chiunque mi si fosse parato davanti. Fortunatamente la biblioteca distava solo pochi minuti a piedi da casa mia. Presi delle piccole vie laterali, il più delle volte deserte, che mi avrebbero fatto arrivare prima a destinazione. Un tuono improvviso mi fece sobbalzare e andò via la luce di tutto l’isolato. Era tutto completamente immerso nell’oscurità, non si vedeva niente. Continuai a camminare per inerzia, i miei passi avevano percorso quelle strade troppe volte perché si potessero sbagliare. Svoltai in un altro vicolo stretto e iniziai a correre per arrivare prima, il vento mi scompigliava i capelli bagnati fradici che mi finivano in bocca e negli occhi.
All’improvviso inciampai in qualcosa e caddi rovinosamente a terra. Ero riuscita a mettere le mani avanti appena in tempo, un secondo dopo e avrei avuto bisogno di una plastica facciale. Mi rialzai in piedi lentamente e non riuscii a trattenere un grugnito di dolore. Nella caduta mi dovevo essere fatta male ad una caviglia. Cercai di ripararmi di nuovo con l’ombrello ma nella caduta molte stecche si erano rotte ed ora era inutilizzabile. Lo lanciai con rabbia da una parte e presi il cellulare per fare luce e vedere in che stato mi ero ridotta. Avevo i jeans all’altezza delle ginocchia strappati e sporchi di sangue, evidentemente mi ero sbucciata. Indirizzai il fascio di luce verso il punto in cui ero inciampata, proprio davanti a me e nella penombra scorsi una figura umana. Era un ragazzo. Cosa ci faceva seduto lì per terra?
-Hei! – esclami per attirare la sua attenzione.
Niente.
-Hei tu! – ritentai invano.
Mi avvicinai e notai che aveva gli occhi chiusi. Che stesse dormendo?
Improbabile, sotto la pioggia al freddo si sarebbe già dovuto essere svegliato.
Gli diedi uno strattone per svegliarlo ma questo scivolò con la schiena sul muro e cadde di lato.
Sembrava un corpo inerme. Era morto?!
-Oh mio Dio…
In preda al panico gli appoggiai due dita sul polso per cercare di sentire il battito che però risultava assente. Provai sul collo e poi direttamente appoggiando la testa sul cuore. Non usciva aria dai suoi polmoni, non respirava. Avevo trovato un cadavere! Dovevo chiamare assolutamente la polizia.
Le mani mi tremavano, rischiando di farmi cadere il telefono nell’acqua più volte ma alla fine riuscii a comporre il numero della Polizia.
Mi portai il telefono all’orecchio e rimasi in fremente attesa di una risposa.
I miei occhi vagavano prima sul corpo del giovane, poi nella via per tornare di nuovo sul ragazzo finchè la mia attenzione non venne catturata da un lieve luccichio sul collo, dietro l’orecchio. Spostai i capelli per vedere meglio. C’era qualcosa, sembrava un piccolo pulsante, e subito sotto c’era un tatuaggio. Era una scritta : Proprietà del Dr. Howl.
Che significava? Come poteva essere di proprietà di qualcuno un essere umano? Spensi il telefono e mi aiutai con la luce del cellulare. Si, era proprio un pulsante.
Le persone di solito non avevano pulsanti sul collo…
Non era possibile che fosse quello che stavo pensando. Queste cose succedevano solo nei film. Non potevo credere che la tecnologia di cui disponevamo al momento potesse arrivare a certi livelli, era impensabile. Quello che avevo davanti non era un essere umano, era un robot.
E che ci faceva in questo cunicolo dimenticato da Dio? Qualcuno doveva averlo abbandonato qui, magari era rotto. Non potevo lasciarlo qui sotto la pioggia, dovevo portarlo a casa con me.
Afferrai il robot per le mani e iniziai a trascinarlo ma era troppo pesante per me e mi dovetti arrendere dopo pochi metri. Mi guardai intorno in cerca di un’idea e il mio sguardo si posò su un cassonetto. Corsi verso di esso, lo aprii e infilai la testa dentro per cercare qualcosa che potesse aiutarmi ma c’erano solo sacchetti neri pieni di immondizia. Ormai preda dello sconforto era pronta ad arrendermi quando notai qualcosa nascosto dietro il cassone, era una specie di slittino, e il caso volle che facesse proprio al caso mio.
Portai lo slittino fino al robot, ce lo issai sopra, non senza qualche difficoltà, e iniziai a trascinarlo, tirandolo per la fune legata ad un’estremità. Arrivai fino in fondo alla via, svoltai l’angolo e continuai a trainarlo ancora per qualche decina di metri, fino ad arrivare nel giardino di casa mia. Mi guardai intorno, era tutto buio ma se qualcuno mi avesse visto trascinare dentro casa il robot avrebbe potuto pensare che tentassi di occultare un cadavere quindi era meglio se fossi passata dalla porta sul retro. Feci il giro della casa, presi le chiavi dallo zaino, aprii la porta della veranda ed entrai. Lanciai per terra lo zaino e il cappotto fradicio che era ormai diventato pesantissimo ed era solo d’intralcio, mi legai i capelli, anch’essi bagnati in una coda mal riuscita e uscii di nuovo in giardino. Presi il robot dalle ascelle e lo trascinai dentro casa. Per fortuna mia nonna era a giocare a tombola con le vicine, così non avrei dovuto darle spiegazioni.
 
 



 
Dopo mezz’ora ero finalmente riuscita a portarlo in camera, dopo un lunghissima, interminabile e inutilissima rampa di scale. Intanto la luce era tornata. Il robot, seduto per terra e appoggiato con la schiena al letto, sembrava una bambola. La pelle di porcellana risultava luminosa anche in quella penombra, i capelli bagnati, gli ricadevano selvaggi sulla fronte e sul collo e i lineamenti erano fini e delicati. Un sacco di particolari, che nel buio del vicolo mi erano sfuggiti mi risaltavano ora agli occhi.
Abbandonai quella bambola in camera e andai in bagno, mi spogliai, gettai i vestiti bagnati nella cesta del bucato e mi asciugai i capelli con il phon. Tornai velocemente in camera, mi infilai il pigiama di pile e mi sedetti di fronte al robot. Gli frizionai i capelli con un asciugamano e gli asciugai un po’ i vestiti con il phon. Dovevo scoprire da dove proveniva e perché fosse stato gettato via.
Mi sedetti alla scrivania e accesi il portatile. Ogni tanto lanciavo uno sguardo al robot alle mie spalle. Ero cosciente del fatto che si trattasse di un oggetto inanimato, non era un essere umano, era un robot, che neanche funzionava, era poco più di una bambola, ma era impossibile non pensare che fosse comunque bellissimo e non mentivo dicendo che sarebbe potuto essere uno dei ragazzi più belli che avessi mai visto.
Non appena il computer fu pronto digitai sulla tastiera “Dr. Howl”.
Non fu facile trovarlo, la ricerca mi aveva condotta ad un numero esorbitante di risultati e dopo varie ricerche avevo finalmente trovato la risposta che cercavo. Il Dr. Howl era uno scienziato miliardario specializzato in genetica umana, che aveva in seguito affrontato il mondo delle protesi e che negli ultimi anni si era rinchiuso nella sua gigantesca villa per degli sperimentali studi misteriosi di cui nessuno sapeva nulla. Oltretutto sembrava proprio vivere in questa città. Purtroppo, nonostante fosse uno scienziato molto famoso, di fama mondiale, era anche una persona piuttosto riservata e non si avevano molte notizie della sua vita.
Quindi l’unica scoperta utile, e neanche tanto, fatta fino ad ora, era che il costruttore del robot era questo famigerato Dr. Howl.
In seguito digitai: robot con sembianze umane.
Il risultato della ricerca mi portò subito ad un risultato interessante. La pagina di Wikipedia spiegava con puntuale precisione il significato del termine Androide.
 
 
“L'androide è un essere artificiale, un robot, con sembianze umane, presente soprattutto nell'immaginario fantascientifico. In taluni casi l'androide può risultare indistinguibile dall'essere umano. Differisce dal cyborg, il quale è costituito da parti biologiche oltre che artificiali.
L'idea di persone artificiali può in certo modo essere rintracciato fin dalle storie della mitolgoia greca. Cadmo seppellì dei denti di drago che si trasformarono in soldati; secondo il mito re Pigmalione si innamorò di una statua che rappresentava una donna ideale, Galatea; chiese allora ad Afrodite di donare la vita alla statua, e sposò la donna.
Nella mitologia classica, inoltre, il deforme dio del metallo (Vulcano o Efesto) creò dei servi meccanici, che andavano dalle intelligenti damigelle dorate a più utilitaristici tavoli a tre gambe che potevano spostarsi di loro volontà.
La leggenda ebraica ci parla del Golam, una statua di argilla, animata dalla magia cabalistica. Nell'estremo Nord canadese e nella Groenlandia occidentale, le leggende Inuit raccontano di  Tupilaq(o Tupilak), che può essere creato da uno stregone per dare la caccia e uccidere un nemico. Usare un Tupilaq per questo scopo può essere un'arma a doppio taglio, in quanto una vittima abbastanza ferrata in stregoneria può fermare un Tupilaq e "riprogrammarlo" per cercare e distruggere il suo creatore.
Il termine androide è menzionato per la prima volta nel 1270 dal filosofo, teologo e scienziato Alberto Magno, che lo utilizzò per definire esseri viventi creati dall'uomo per via alchemica. Una leggenda vuole Alberto Magno costruttore di un vero e proprio androide in metallo, legno, cera, vetro, cuoio, con il dono della parola, che avrebbe dovuto svolgere la funzione di servitore presso il monastero domenicano di Colonia.
Nel XVI secolo i trattati di alchimia fornivano indicazioni per costruire un essere artificiale: l'homunculus.
La prima vera tecnologia degli automi meccanici si può far risalire al medioevo, quando si cominciano a costruire le prime figure mobili che arricchivano i campanili e gli orologi delle chiese.
Il primo progetto documentato di un androide è firmato da Leonardo Da Vinci e risale al 1495 circa: appunti riscoperti negli anni cinquanta nel codice Atlantico e in piccoli taccuini tascabili databili intorno al 1495-1497 mostrano disegni dettagliati per un cavaliere meccanico in armatura, che era apparentemente in grado di alzarsi in piedi, agitare le braccia e muovere testa e mascella. L'automa cavaliere di Leonardo era probabilmente previsto per animare una delle feste alla corte sforzesca di Milano, tuttavia non è dato sapere se fu realizzato o meno.”
 
C’era un susseguirsi tale di informazioni e di pagine correlate che avrei avuto da leggere per mesi, ma un’altra pagina attirò la mia attenzione.
 
“Cyborg: ll termine cyborg o organismo cibernetico (anche organismo bionico) indica l'unione omeostatica costituita da elementi artificiali e un organismo biologico. Nasce dalla contrazione dell'inglese cybernetic organism, per l'appunto organismo cibernetico.
Il termine è nato nell'ambito della medicina e della bionica, pur avendo avuto maggior successo nell'immaginario fantascientifico. Il termine cyborg fu reso popolare da Manfred E. Clynes e Nathna S. Kline nel 1960 in riferimento alla loro idea di un essere umano potenziato per sopravvivere in ambienti extraterrestri inospitali. Essi ritenevano che un'intima relazione tra essere umano e macchina fosse la chiave per varcare la nuova frontiera dell'esplorazione spaziale in un prossimo futuro.
Il confine tra essere umano e cyborg è sempre più sfumato, basti pensare ai progressi delle tecnologie applicate alle protesi e agli organi artificiali: una persona dotata di un pace-maker potrebbe infatti già corrispondere alla definizione di cyborg.”
 
Avevo letto così tante informazioni che mi stava per scoppiare la testa. Spensi il computer e mi massaggiai le tempie con i pollici. Mi alzai in piedi e mi inginocchiai tra le gambe divaricate del robot. Mi avvicinai, gli spostai i capelli di lato e pigiai sul pulsante. Mi scostai per poterlo guardare ma non era cambiato niente. Forse era rotto, con tutta l’acqua che aveva preso poi era impensabile che potesse funzionare ancora…o magari era solo scarico. Come funzionava? Potevano essere scarichi? Avevano un caricabatteria come quello che si usava per il cellulare?
Avevo duemila domande che mi vorticavano nella mente e una fame ormai impossibile da ignorare. Scesi in cucina mi feci del latte caldo e presi un pacco di biscotti. Portai tutto in camera, accesi la tv e mi sedetti per terra tra le gambe del robot. Era ridicolo come mi fossi già abituata all’idea di avere un robot in casa e che lo trattassi come un bambolotto o un peluche.
 
 
Mi mossi nel tepore che mi circondava per spostarmi da un fascio di luce che mi cadeva proprio sul viso. Mi rigirai dall’altra parte e mi accostai ancora di più alla fonte di calore che mi coccolava.
-Buongiorno principessa.
 
 
 
 
 




 
 
Holaaaaaaa!
Rieccomi dopo tanto tempo con una nuova ff…felici eh?xD
Questa è stata…un fulmine a ciel sereno!
In che senso?
In pratica l’ho sognata la notte scorsa, e poi l’ho messa subito nero su bianco sviluppandola!
Che dire? Spero sia qualcosa di originale e interessante!
Da parte mia, non mi sembra di aver trovato niente di simile nel forum.
Il protagonista è sempre Harry, si lo so…
Ragazze ( e ragazzi, se ci siete xD), che volete farci? Sono fissata con lui!
Non mi riesce scrivere di nessun altro dei ragazzi!
Nel’’altra mia ff, c’è Zayn è vero, ma ho dovuto infilarci anche Harry perché sennò non mi sentivo bene con me stessa xD
Ho fatto qualche breve ricerca per questa ff;
le informazioni che trovate tra le virgolette, scritte in corsive, sono vere, le ho trovate su Wikipedia. Controllare per credere.
Il Dr. Howl me lo sono inventato, ma me lo immagino come il Dr House xD
Per quanto riguardala protagonista non ho ancora scelto né un nome né un volto per lei, ma provvederò nel prossimo capitolo! xD
(provvederò anche al banner xD)
E’ che non volevo cadere sul banale…Mi capita di trovare ff con i nomi delle protagonista tutti uguali o che usano tutti le stesse attrici per dare il volto alle protagoniste…quindi cercavo qualcosa di particolare.
Via, fatemi sapere cosa ne pensate che una recensione fa sempre piacere!
Buonanotte dolci fanciulle!

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Capitolo 2
*** Vita quotidiana. ***












 
Cuore di Cyborg.






-Mi raccomando, rispondi come abbiamo programmato e se ti fanno domande strane fai il misterioso- ripassai un’ultima volta
-Come faccio a fare il misterioso?
- Basta che non gli rispondi…fai uno dei tuoi silenzi enigmatici e basterà- lo rassicurai.
Entrai in classe cercando di mantenere il controllo e fingendo che fosse una mattina come le altre. Quando mi ero svegliata Harry aveva già finito di occuparsi di tutto. Si era creato una finta identità, si era aperto un conto corrente e ci aveva messo un po’ di soldi hackerando non sapevo quale banca e ovviamente, si era iscritto alla mia scuola, nella mia classe, così potevo tenerlo sotto controllo.
Mi sedetti come al solito accanto a Gloria mentre Harry andò a sedersi nell’unico banco libero in fondo alla classe, ahimè, proprio accanto a Caroline, una delle galline più popolari della scuola. Il solito clichè insomma.
Caroline ovviamente non aspettò nemmeno un secondo per presentarsi al robot e iniziare a fargli gli occhi dolci. Chissà se i suoi ingranaggi erano capaci di carpire questi piccoli segnali di civetteria…ne dubitavo altamente.
-Che ci fa lui qui? – mi chiese la mia compagna di banco senza nemmeno darmi il buongiorno.
-Si è trasferito – le risposi senza darle troppe spiegazioni.
-Ma lo conosci? – mi interrogò.
-E’ un vecchio amico d’infanzia – le risposi tenendomi sul vago. Stamattina non avevo avuto abbastanza tempo per pensare a tutti i particolari.
Fortunatamente l’interrogatorio fu interrotto dall’ingresso in aula del professore ma la mia amica non mancò di farmi sapere, tramite un bigliettino malamente scritto, che non sarebbe finita lì e che le avrei dovuto dire tutto.
Le risposi con un semplice gesto del capo e poi feci finta di concentrarmi sulla spiegazione mentre in realtà cercavo di spiare le reazioni dei miei compagni alla nuova presenza in classe. Le ragazze lo guardavano sognanti con gli occhi a cuoricino e la maggioranza dei ragazzi andò da lui a presentarsi durante il primo intervallo e lui sembrava sentirsi a suo agio in mezzo ad altri coetanei, sembrava un ragazzo come altri e rideva…oh, eccome se rideva…illuminava l’aula e faceva vibrare di gioia ogni cosa che lo circondava, era contagioso.
Ci riunimmo solo quando le lezioni finirono, proprio come eravamo rimasti d’accordo, mi raggiunse al mio banco e ci avviammo fuori dalla scuola. Mi sembrava di essere protagonista di una sfilata. Non c’era una sola testa che non si girasse al nostro passaggio, Harry attirava decisamente l’attenzione. Anche troppo, mi sentivo decisamente troppo osservata.
-Mi pare sia andata bene come prima volta, no? – gli chiesi cercando di concentrarmi sui miei passi. Quando mi sentivo osservata e al centro dell’attenzione mi sembrava di dimenticarmi come si facesse a camminare e dovevo concentrarmi per continuare a mettere un piede dopo l’altro.
-Lo penso pure io, sono stati tutti molto gentili e simpatici – ammise.
-Ti ho visto ridere…avevo capito che non potevi provare emozioni umane…
-Si infatti, ma stanotte ho fatto qualche ricerca, mi sono visto qualche video per….comprenderVi meglio, tutto qui. Era necessario se volevo relazionarmi agli altri come un normale essere umano, non devo destare sospetti. Non ho riso perché ero veramente divertito, ho riso perché ridevano tutti.
Allora avevo ragione, come aveva funzionato con la matematica poteva funzionare con qualsiasi cosa.
 
 
 
Il pomeriggio passò piuttosto velocemente: mentre io facevo avanti e indietro per la biblioteca, Harry rimaneva piantato al computer e continuava a documentarsi.
Lo lasciai fare finchè non arrivammo all’orario di chiusura e mi accompagnò nel mio solito giro d’ispezione.
-Non c’è bisogno che mi accompagni
-E’ più sicuro, potrebbe succederti qualcosa.
-L’ho fatto per mesi, cosa vuoi che mi succeda in una biblioteca? Al massimo possono cadermi dei libri in testa!- scherzai.
-In tal caso meglio così, ma ti accompagno lo stesso- fu inamovibile. Mi sembrava di andare in giro con una guardia del corpo. Molto presto mi sarei attirata le ire di molte ragazze, ne ero sicura.
-Mi servono dei vestiti- annunciò.
-Dei vestiti?- ripetei mentre spegnevo delle luci.
-Non posso farmi vedere sempre con gli stessi vestiti addosso, non credi? – mi rispose come se stesse spiegando una cosa semplicissima ad un bambino.
-Hai ragione…- controllai l’orologio e constatai che mancava ancora un’ora alla chiusura dei negozi- Ora abbiamo del tempo, hai abbastanza soldi?
-Ho abbastanza soldi per rifare anche il tuo di armadio! – mi disse ridendo.
Mi prese per una mano e mi trascinò fuori dalla biblioteca.
 
 
-Beh? C’è qualcosa che ti piace? – gli domandai indicandogli il reparto maschile.
Iniziò a guardarsi intorno, a spiegare le magliette, a fissare pantaloni, a studiare scarpe e dopo 10 minuti mi sembrava più confuso che mai.
-Non saprei, mi sembra tutto uguale – ammise.
-Nel senso che ti piace tutto o che ti fa schifo tutto?- gli domandai.
Mi guardò come se gli avessi chiesto una stupidaggine e non mi rispose, si limitò a prendere una maglietta e a rigirarsela tra le mani.
Avrei dovuto occuparmene io, anche se non ero una grande esperta di moda, non lo ero di quella femminile, figurarsi di quella maschile, ma sicuramente  più di lui me ne intendevo, questo era certo.
Non mi concentrai su quello che andava di moda quanto piuttosto su quello che mi sarebbe piaciuto vedergli addosso.
Presi due paia di jeans, uno più chiaro e uno più scuro, qualche maglietta, una camicia di jeans e un paio di converse bianche e lo rinchiusi in un camerino ordinandogli di non metterci un’eternità.
 
-Sei pronto?- sbuffai scocciata.
Era dentro già da qualche minuto ma non aveva ancora dato segni di vita.
-Non sono abituato a…non l’ho mai fatto- si scusò.
-Cosa non hai mai fatto?
-Non mi sono mai messo dei vestiti. E’ strano.
Ah. La stizza di poco prima passò in un secondo lasciando il posto a qualcosa di più simile alla compassione. Mi dimenticavo che in realtà per lui anche le cose che per me risultavano essere le più semplici ed elementari erano nuove.
-Posso entrare?- gli domandai cortesemente.
-Si, certo.
-Lascia che ti aiuti- dissi spostando la tenda ed entrando nel camerino.
Rimasi per un attimo basita, aveva la parte superiore del corpo piena di tatuaggi. Che ci faceva un robot con dei tatuaggi?
Quando vide che lo stavo scrutando così attentamente, evidentemente capì cosa stavo per chiedergli e mi anticipò.
-Non lo so perché li ho, li ho e basta- lasciò cadere così il discorso e non insistetti.
Era riuscito ad indossare i pantaloni, anche se li aveva messi più alti del necessario ma era senza maglia.
Allungai le mani per sistemargli i pantaloni ma mi fermai poco prima.
-Posso?- chiesi nuovamente conferma.
Annuì e mi lasciò fare.
Afferrai con delicatezza il bordo dei pantaloni e glielo tirai più giù sui fianchi. Al contatto con le mie dita la sua pelle era calda e morbida come quella di qualsiasi essere umano.
-Con questi pantaloni sta meglio la maglietta bianca- lo istruii.
Gli presi la maglietta che teneva in mano e la riattaccai alla cruccetta e presi la maglietta dalla sedia.
-Alza le braccia- gli suggerii dolcemente.
Mi sembrava di vestire un bambino, ma tecnicamente era proprio quello che era, un bambino che ancora non conosceva il mondo.
Cercai di non fissarlo con troppa insistenza ma era quasi impossibile visto il fisico tonico e asciutto che molti gli avrebbero invidiato.
Uscimmo dal camerino cosicchè potesse specchiarsi e vedere come stava. Molte ragazze dentro il negozio girarono la testa  quando si mostrò. Stava molto bene, i jeans gli fasciavano le gambe alla perfezione, non erano troppo stretti né troppo larghi e la maglietta gli metteva in evidenza le spalle muscolose.
-Ti piaci?
-Si, penso che possa andare- mi rispose guardandomi attraverso lo specchio.
-Che ne pensi di quella?- aggiunse indicandomi una camicia nera con dei cuori bianchi.
La guardai un po’ scettica, non era decisamente il mio stile.
-Ti piace?
-….penso che possa starmi bene. E anche quelli- mi indicò un paio di jeans-  e questi- aggiunse afferrando un paio di stivali bassi da uomo.
Afferrò un'altra cosa che non riuscii a vedere e si fiondò nel camerino.
Aveva dei gusti decisamente particolari nel vestire.
Stavolta non gli servì il mio aiuto e uscì dal camerino dopo pochi minuti.
La sua visione al completo mi lasciò senza fiato e sentii deglutire qualcuno alle mie spalle, la commessa, che lo guardava annuendo d’approvazione. Non avrei mai pensato che tutto l’insieme potesse stargli così bene. I jeans erano scuri e più aderenti dei precedenti, la camicia gli stava a pennello, gli stivali si abbinavano perfettamente allo stile e il cappello che si era preso mentre non guardavo serviva a completare il tutto.
Dopo aver studiato il proprio riflesso nello specchio cercò i miei occhi in attesa di un responso.
-Stai benissimo- gli confermai.
-Perfetto…perché ho visto altre cose….
Afferrò un alro triliardo di cose e si infilò di nuovo nel camerino, sarebbe stata una lunga attesa…peggio di una donna.
-Visto che ne hai ancora per molto io vado a dare un’occhiata al reparto femminile, quando hai finito raggiungimi lì- lo avvisai.
Mi arrivò un borbottio soffocato dal tessuto in risposta e lo presi come un si.
Arrivata nel reparto femminile iniziai con calma a guardarmi intorno, avevo un badget limitato, dovevo scegliere con criterio. Vivevo solo con mia nonna che ci manteneva grazie alla sua pensione che non era poi così alta, ci permetteva a malapena di arrivare a fine mese, per questo motivo avevo scelto di cercarmi un lavoretto, per aiutarla con le bollette, con la spesa e con i libri scolastici. Ovviamente essendo un lavoro part-time e comunque non il meglio retribuito non potevo permettermi di comprarmi tutto ciò che volevo ma bastava comunque per il necessario.
Adocchiai quasi subito una maglietta color porpora con degli intrecci sulla schiena e una camicetta rosa chiaro, un po’ trasparente ma con degli splendidi ricami. Mi infilai nel camerino e mi provai i capi, mi piacevano entrambi ma dovevo sceglierne solo uno. Se c’era una cosa in cui ero lenta nello shopping non era trovare qualcosa che mi piacesse o provarmi i vestiti quanto proprio la scelta finale, ero sempre troppo indecisa, e infatti, quando Harry mi raggiunse dopo 10 minuti ero ancora con entrambi gli indumenti in mano, ancora indecisa.
-Ma guarda un po’ chi si vede, sei riuscito a scegliere qualcosa?- gli domandai ridendo.
-Scegliere? Perché scegliere? Compro tutto. Mi stava bene tutto.
Ammiravo la sua decisione e la invidiavo, un robot era più deciso di me anche sui vestiti, ero patetica!
-Prendi quelli?- mi chiese riferendosi a quello che avevo in mano.
-No, sto ancora scegliendo- sbuffai.
-Perché non li prendi entrambi?
-Perché non ho abbastanza soldi…- gli spiegai.
-Ti piacciono?
-Si…
-Allora te li compro io – si offrì.
Mi prese i vestiti dalle mani e si avviò alla cassa senza aspettare risposta.
-No ehi fermati! – lo afferrai per la maglietta nel tentativo di fermarlo- Non puoi pagarmeli tu!
-Perché no?
Si fermò di colpo e gli andai a sbattere addosso.
-Perché sono soldi tuoi
-E quindi? – aspettava una spiegazione.
Approfittò del mio momento di esitazione e riprese a camminare.
-So che voi umani vi fate dei regali. Che i ragazzi pagano delle cose alle ragazze
-Ma tu non sei il mio ragazzo- precisai.
-No ma non vedo perché dovremmo seguire le normali regole sociali quando io nemmeno sono umano e i soldi che sto usando non sono i miei ma quelli di Bill Gates. Tu li vuoi e io voglio che tu li abbia quindi lascia che te li paghi io, no?
Di tutto il discorso che mi aveva fatto l’unica cosa rimasta impressa nella mia mente era che aveva rubato i soldi a Bill Gates.
-Hai davvero preso i soldi dal conto di Bill Gates?- bisbigliai con un tono un po’ troppo acuto.
-Certo, mica potevo togliere soldi a chi già ne aveva pochi? – Aveva criterio questo robot dovevo ammetterlo, aveva senso.
-Prendo anche questi- disse aggiungendo i miei vestiti alla enorme pila dei suoi- pago con questa.
Mentre lui parlava allegramente con la commessa come se la conoscesse da anni io guardavo il conto sul display della cassa che stava salendo inesorabilmente. Avevamo superato la prima cifra a tre zeri.
-Siete proprio una bella coppia- si complimentò la commessa che stava ancora passando i capi alla cassa.
Ero già pronta e negare ma il cyborg mi precedette.
-Grazie è davvero molto gentile!
Guardai Harry sbalordita e lui mi rispose con un occhiolino.
Un occhiolino!? Da quando lui faceva l’occhiolino? Questo robot si stava evolvendo un po’ troppo velocemente per i miei gusti.
 
Uscimmo proprio quando il negozio stava ormai per chiudere, erano le 8 e mezzo.
-Oh mio Dio…ma quanta roba hai comprato?- esclamai ora che eravamo lontani dal’orecchio della commessa.
-Quasi un armadio completo credo.- rispose con noncuranza.
-E dove pensi di metterli tutti questi vestiti?- gli domandai piantandomi davanti a lui con le mani arpionate ai fianchi.
Ci fu un attimo di silenzio, evidentemente l’avevo preso alla sprovvista, non ci aveva pensato.
-Hai ragione – ammise- andiamo a comprare un armadio!
-No!
-Perché no?
-Perché non ci entrerebbe in casa, genio!- lo sbeffeggiai.
-Allora andiamo a comprare una casa più grande!- per lui il problema era risolto così.
-Assolutamente no!Piuttosto ti faccio posto nel mio armadio…
-Perch-
-Basta discuterne- lo bloccai in partenza- e BWROOOW
Mi bloccai imbarazzata, quel boato era venuto dal mio stomaco, ero leggermente affamata.
-Sta per mettersi a piovere?- domandò guardo il cielo.
-Era il mio stomaco, imbecille! Andiamo a casa- gli ordinai.
Altro che robot super intelligente, stava diventando stupido come tutti i ragazzi.
 
 
 
 
 
 
-Ragazzi guardate cosa ho vinto oggi!- esclamò allegramente mia nonna.
Le risposi con un grugnito che di elegante aveva ben poco e mi infilai in bocca l’ennesimo forchettata di pasta agli scampi. Harry aveva provato a dissuadere mia nona dal fargli da mangiare ma lei aveva insistito talmente tanto che alla fine si era visto costretto a cedere, quindi adesso tutte le volte che mia nonna si girava lui mi buttava della pasta del piatto.
-Basta! Sto per scoppiare! – gli bisbigliai stando bene attenta a non farmi sentire.
-Zitta e mangia!- ribattè a sua volta.
Ora si ribellava pure questo ammasso di latta.
-Ta-daaaan! – mia nonna rifece la sua comparsa con due biglietti in mano.
-Woa shoo? – bofonchiai a bocca piena.
-Sono due biglietti per il luna park! Ovviamente io sono troppo vecchia per andarci quindi li cedo a voi ben volentieri!
Harry prese i biglietti che lei aveva appoggiato sul tavolo e li scrutò per qualche momento.
-Grazie infinite signora, ci andremo sicuramente- gli rispose educatamente.
E prendeva pure le decisioni al posto mio, il rottame!
 
 
 
 
Quando mi svegliai quella mattina mi trovai da sola in camera, Harry non c’era e il suo “letto” era rifatto.
Mi infilai una felpa, un paio di jeans, mi lavai velocemente e scesi in cucina, dove trovai mia nonna seduta a tavola a leggere il giornale con davanti una tazzina di caffè fumante.
Mi diede allegramente il buongiorno e le risposi con un grugnito.
-Harry?- indagai.
-Tornerà tra poco, vedrai. Mettiti il cappotto e vai ad aspettarlo fuori. A stasera tesoro, salutami Mila!
Feci come mi aveva detto, mi infilai il cappotto, presi la cartella che mi ero preparata la sera prima, uscii di casa e mi fermai al cancello. Mi appoggiai sul muretto del giardino e mi soffiai sulle mani già fredde. Era mattina presto e l’aria era ancora fredda dalla notte appena passata tanto che il mio respiro creò una nuvoletta che si dissolse sopra la mia testa.
-Buongiorno principessa- la sua voce mi colse di sorpresa e fece un piccolo balzo indietro.
-Scusa non volevo spaventarti. Sono andato a prenderti la colazione- mi porse un sacchettino di carta bianco un po’ stropicciato.
Non appena me lo avvicinai al viso potei sentire subito l’odore di paste appena sfornate e infatti c’erano una briosches al cioccolato e una alla crema.
-Non sapevo quale preferissi e allora te le ho prese entrambe.
-Grazie…sei stato davvero gentile- lo ringraziai sorridendo.
Aprii il sacchettino e ne tirai fuori la brioches alla crema.
-Per me tra cioccolato e crema vince la crema….ma ancora meglio della crema è la cioccolata bianca. Prendi nota, se mai ci sarà una prossima volta!- scherzai.
-Mi sono fatto un appunto mentale- stette al gioco.
-Sei pronto per affrontare questa nuova giornata scolastica?- cambiai discorso.
-Prontissimo. Stanotte mentre dormivi ho continuato a fare ricerche, ormai sono un essere umano perfetto- si vantò.
-Si…apparte il fatto che devi fingere le emozioni- ribattei ma pentendomi subito di aver aperto bocca, ero stata cattiva. Mi voltai verso di lui per studiarne l’espressione ma era rimasta marmorea come sempre.
-Si, è esatto- confermò.
Camminammo per un po’ in silenzio, approfittavo del fatto che dovessi mangiare il mio cornetto e ci ritrovammo davanti a scuola.
-Ehi ciao Gwen!- mi salutò una voce acuta alle spalle.
Mi voltai e trovai una succinta Caroline che si sbracciava verso di noi.
In 5 anni non mi aveva mai salutata con così tanto entusiasmo, anzi era meglio dire che le volte in cui mi aveva salutata si contavano sulle dita di una mano.
-Ciao Haaarry!- salutò il ragazzo accanto a me strascicando volgarmente il suo nome come per allungare l’agonia di senirglielo pronunciare.
-Buongiorno Caroline- ricambiò l’ammasso di rottami sorridendole.
Lei quasi svenne, abbagliata dal candore dei suoi denti bianchissimi.
-Ragazzi nel week end i miei mi lasceranno casa libera e organizzerò una festa a casa mia, qualcosa di piuttosto elegante, e voi due siete invitati ovviamente! Verrete vero?- Disse tutto d’un fiato. Aveva parlato ad entrambi ma sembrava che la una domanda fosse rivolta soprattutto ad Harry, io ero accessoria.
-Che ne dici? Ci andiamo?- Harry si rivolse a me ignorando l’insistente sguardo di Caroline.
Una festa a casa di quell’arpia? Mi sarei trovata in terra nemica, circondata da nemici. Non riuscii a trattenere una smorfia che nacque spontanea sul mio volto, senza che potessi controllarla.
-Dai ci divertiremo un sacco! – insistette la ragazza.
-Ci penseremo…- risposi infine.
-Beh, Harry, tu potresti venire lo stesso anche da solo no?- evidentemente la mia risposta non l’aveva soddisfatta e si era sbilanciata abbastanza che anche un paraencefalitico avrebbe capito qual era il suo vero obbiettivo.
Lui la guardò per qualche secondo senza fiatare e per un attimo temetti che acconsentisse alla sua richiesta ma così non fu.
-Ci penseremo- confermò lui.
-Come volete! Ma sappiate che vi perdereste la festa più bella dell’anno!- sbraitò prima di andarsene via sculettando come se avesse avuto un peso che le ciondolava e per camminare dovesse assolutamente muovere il culo in maniera spropositata per mantenere l’equilibrio.
-Non ci posso credere….- iniziai sbalordita – Ma lo sai che quella a malapena mi saluta?
-E perché allora oggi ti ha addirittura invitato ad una festa?
-Non è ovvio?- lo squadrai alzando un sopracciglio.
Come risposta mi guardò senza fiatare, aspettando una spiegazione. Evidentemente per lui non era poi così ovvio.
-Per te,no?
-Per me?- era piuttosto scettico.
-Si, sei un bel ragazzo, non ti sei accorto che tutte le ragazze della scuola ti sbavano dietro?- era impossibile che non si fosse accorto di quante teste si girassero al suo passaggio, come faceva a non sentire gli occhi di tutti puntati addosso?
-Sono un bel ragazzo?- mi chiese con ingenuità e con quello che sembrava essere interesse.
-Penso tu sia una dei più belli della scuola- gli risposi sincera.
-E tutte le ragazze mi sbavano dietro?- continuò.
-Tutte- gli confermai.
-Anche tu?- indagò sempre con la stessa innocenza con cui aveva posto tutte le altre domande.
-No io no, io so che non sei un essere umano.
-Ma se lo fossi stato?
-Beh…in quel caso probabilmente si- confessai guardandolo dritto negli occhi, cercando una qualsiasi reazione che però non ebbe.
-Capisco- disse solamente.
-Ci andiamo alla festa?- mi domandò cambiando discorso.
-Tu vuoi andarci?- ancora una volta non riuscii a trattenermi dallo storcere la bocca al solo pensiero di me in mezzo alla calca.
-Si, mi piacerebbe.
Aveva usato la parola “piacere”, aveva espresso un giudizio personale e lui forse non se ne era nemmeno reso conto.
-Che festa sia allora!- esclamai per poi finire in un solo boccone l’ultimo pezzo di briosche in cui affogai tutti i cattivi pensieri.
-Ha detto di vestirsi eleganti…non ho niente da mettermi! – mi lamentai con tono piagnucoloso.
-Nemmeno io, dovremo comprarci qualcosa…e pago io! – dise quando vide che stavo aprendo bocca per ribattere.
-Se la metti così….- mi arresi.- Grazie Bill Gates per i vestiti che ci concedi!
 
 
 
 
La giornata passò velocemente, sempre più ragazze giravano intorno ad Harry e lui parlava e scherzava con tutte, durante l’intervallo andò anche a giocare a calcio con dei compagni di classe. Si era integrato meglio lui in due giorni che io in 5 anni. Il pomeriggio tornammo in biblioteca e io non potevo fare a meno di pensare a quanto velocemente si stesse evolvendo il cyborg e lui nemmeno se ne accorgeva. Inconsapevolmente esprimeva opinioni e preferenze, faceva delle scelte senza che io gli dessi disposizioni e piano piano si faceva largo in me l’idea che non fosse un semplice cyborg. Non poteva essere una delle solite tecnologie, i computer sono statici, non si evolvono col tempo, è impossibile che inizino a decidere da soli cosa fare perché non hanno una coscienza, sono solo…oggetti, non hanno una reale consapevolezza, Harry invece ce l’aveva e si stava sviluppando sempre di più. Dovevo fare delle altre ricerche, c’era qualcosa in questa storia che non mi tornava per niente.
-Buonasera Gwen- sollevai la testa quando la voce sconosciuta pronunciò il mio nome.
Conoscevo quell’uomo, l’avevo visto di recente, ed era proprio come nelle foto. I capelli brizzolati spettinati, gli occhiali da vista con taglio moderno, gli stessi delle foto, il look era trasandato ma curato allo stesso tempo in alcuni particolari. Ma quello che mi colpì maggiormente di lui erano i penetranti occhi azzurri che sembravano volermi leggere l’anima.
-Padre…
Sentii Harry irrigidirsi al mio fianco.
Era il dottor Howl.
 
 
 
 
 
Buonasera dolci fanciulle!
Non sono un miraggio! Sono tornata con un nuovo capitolo!
Perdonate la mia lunga assenza ma ho avuto un’estate piuttosto impegnata xD
Siccome sono masochista, oltre a studiare per gli esami e dare ripetizioni i sono anche cercata un lavoro….si lo so, mi voglio male!
Comunque ora eccomi qua! Con un capitolo un po’ più lungo degli altri se non contato male le pagine di word XD
Cosa ne pensate? Harry sta cambiando sta mostrando degli atteggiamenti tipicamente umani e ha fatto la sua apparizione il Dottor Howl. Secondo voi cosa vorrà?
Ho lasciato qualche indizio sparso nel capitolo ;)
Del rapporto che ha con Gwen che ne pensate?
 
 
Curiosità:
Milaà è il nome di mia nonna, l’ho scelto per quello.
Flora à è il nome della vicina di casa di mia nonna.
L’attrice che ho scelto per dare un volto a Gwen è Deborah Ann Woll, la vampira Jessica nel telefilm True Blood. La trovo a dir poco stupenda.
 
 
Fatemi sapere cosa ne pensate e se la storia vista prendendo almeno un po’.
Alla prossima, sperando sia molto presto :)
Un bacione

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Capitolo 3
*** Emozioni ***


Cuore di Cyborg.


1



 






-Buongiorno principessa.
 
 
Spalancai gli occhi di colpo, improvvisamente sveglia. Il sonno era volato via da me, veloce come era arrivato. Mi tirai su di colpo e mi voltai di scatto verso l’origine della voce.
Il cyborg mi guardava.
I suoi occhi, che vedevo per la prima volta, erano belli da mozzare il fiato. Quel verde, misto ad azzurro, risaltava come un pozzo in mezzo a candida neve, ed erano allegri e vivi, sicuramente non riconducibili all’idea che mi ero fatta degli occhi di un robot, spenti e privi di vita.
La cosa mi spiazzò non poco visto che mi aspettavo di trovarmi davanti una scassata macchina arrugginita e invece sembrava una creatura che non aveva niente in comune con i circuiti.
Aprii la bocca ma la richiusi non trovando niente da dire, ero più confusa che mai.
-Ciao – mi salutò lui.
La sua voce era calda, a tratti rauca ma carezzevole come un velo di seta.
- C-ciao – balbettai.
Lo stupore chiaramente visibile nella mia espressione.
-Ti chiami Principessa?- mi chiese innocentemente.
-No…- sussurrai.
-Ah…- sembrava deluso.
Mi accorsi che stava fissando qualcosa alle mie spalle e seguii la traiettoria del suo sguardo che si fermò sopra un vecchio attaccapanni di legno attaccato dietro la porta. Era rosa e c’era la scritta “Principessa” in viola. Me lo regalarono i miei genitori quando ero piccola, quando erano ancora vivi.
-Mi chiamo Gwen- lo informai.
 
-Io sono Harry!- si presentò fiero.
Harry non era un nome da robot, era un nome da essere umano. Mi aspettavo qualcosa di più fantascientifico come Robot 2.0 o Prototipo 234M, i soliti nomi dei robot che si sentono nei film insomma.
-Tu sei un cyborg – constatai esitante.
-Esatto – mi confermò.
-E ti ha creato il Dr Howl? – gli chiesi.
- Il dottor Howl è mio padre- puntualizzò.
La sua affermazione mi lasciò un po’ perplessa e mi tornò in mente Pinocchio: mi ricordavo chiaramente che nel cartone animato Pinocchio chiamava Geppetto “papà” e non parlava di lui come il suo creatore.
-Come mai ti ho trovato abbandonato in un vicolo?- gli domandai.
Mi guardò a lungo ma non mi rispose. Provai ad insistere ma non ottenni nessuna risposta. Avrei provato a richiederglielo più avanti.
Eravamo circondati dal silenzio, scandito solo dal mio ritmico respirare. Lui non respirava, ma d’altronde a cosa gli serviva? Era un robot, non aveva organi, aveva circuiti e ingranaggi.
Tirai uno scossone quando qualcuno bussò delicatamente alla porta.
-Tesoro, alzati o farai tardi a scuola.
Era la nonna.
Prima che potesse aprire la porta, e trovare il cyborg sdraiato nel mio letto, scattai verso di essa e mi affacciai per dirle che sarei scesa subito. Chiusi la porta e mi ci appoggiai sospirando. E ora cosa dovevo farci con il robot?
Lasciarlo in casa era fuori discussione, mia nonna sarebbe potuta entrare in camera e lo avrebbe scoperto. Ma anche portarmelo dietro, a scuola, era fuori discussione.
Guardai l’orologio, ero già in ritardo. Mi guardai in giro per farmi venire un’idea e così fu.
-Harry vieni qui- gli ordinai.
Mi avvicinai all’armadio, aprii le ante e spostai tutte le grucce da una parte.
Mi voltai e mi ritrovai il petto del cyborg a pochi centimetri dal naso. Non me ne ero accorta prima, era veramente alto, almeno 1 metro e 80, quindi molto più alto di me.
-Io devo andare a scuola e non posso portarti con me. Devi rimanere dentro l’armadio finchè non torno.
Guardò prima me e poi l’armadio, annuì e ci si infilò dentro.
-Mi dispiace…ti prometto che sarà una soluzione provvisoria – mi scusai e gli sorrisi.
Afferrai i primi vestiti che trovai e mi infilai in bagno per lavarmi e vestirmi. Quando rientrai in camera trovai il cyborg dove lo avevo lasciato.
-Allora io vado…non ti muovere da qui per nessuna ragione
 
 
 
 
 
 
Le ore non mi erano mai passate così lentamente come quel giorno. Non riuscivo a concentrarmi su niente se non sul robot. E se mia nonna l’avesse scoperto comunque? Cosa avrebbe pensato? Cosa avrebbe detto? E come mai lo avevano abbandonato?
-A cosa stai pensando? – mi chiese la mia compagna di banco.
-A niente …- le risposi senza guardarla negli occhi.
Non volevo ancora dirle che avevo trovato un robot per strada e che ora viveva a casa mia. Prima volevo scoprire qualcosa di più al riguardo.
- Ti vedo strana… - insistette.
- Tranquilla Gloria, sono solo molto stanca. Ho dormito poco stanotte.
-E come mai? Ti sei finalmente trovata il ragazzo? Non mi avevi detto niente!- scherzò tirandomi una lieve spallata.
Sorrisi scuotendo la testa e il discorso morì così.
Mentre le materie si susseguivano cercavo di inventarmi qualcosa da raccontare a mia nonna. Avrei potuto dirgli che era il mio ragazzo che dormiva da noi o un mio amico…ma per quanto tempo saremmo potuti andare avanti prima che scoprisse che Harry era un robot? O forse avrei potuto dirle subito la verità e ripensandoci ora a mente lucida sarebbe stata la cosa migliore. Tanto cosa avrebbe mai potuto dirmi? Harry era innocuo.
 
I miei ragionamenti furono interrotti dal suono della campanella che annunciava la fine delle lezioni. Chiusi il libro che avevo davanti e iniziai lentamente a fare la cartella.
-Cosa hanno da starnazzare quelle oche ? – chiese Gloria già pronta per fuggire dalla sua prigione.
-Di che stai parlando?- le chiesi.
-Guarda laggiù – mi rispose indicandomi con un cenno della testa fuori dalla finestra.
Mi affacciai e osservai una folla di ragazze davanti al cancello della scuola. Ce n’erano alcune che fissavano una direzione e altre che davano segni di isteria sghignazzando e lanciando gridolini acuti e striduli come il gesso sulla lavagna.
-Penso stiano guardando quel ragazzo laggiù – mi spiegò.
-Qua-….Oh….
Rimasi pietrificata quando capii che il ragazzo di cui parlava la mia amica era Harry. Se ne stava tranquillamente appoggiato al muretto con le gambe incrociate e le mani in tasca. Cosa cavolo ci faceva qui? E come aveva fatto a trovarmi?
Abbandonai Gloria senza darle una spiegazione e corsi verso l’uscita. Mi feci largo tra la folla di ragazze a spintoni e finalmente mi ritrovai davanti al cyborg.
-Ciao. – mi salutò Harry.
-Cosa cavolo ci fai qui? – lo rimproverai ignorando il suo saluto.
Anche lui ignorò la mia domanda, mi prese la cartella che mi pesava come un macigno e se la mise su una spalla.
-Andiamo a lavoro!
E lui come faceva a sapere che ora dovevo andare a lavoro? Oh no….aveva parlato con mia nonna! Ciò significa che l’aveva trovato o che lui non aveva fatto come gli avevo detto.
Intanto sentivo le occhiate omicide che mi lanciavano tutte le ragazze intorno a noi, era meglio allontanarsi di qui e anche velocemente.
-Si, andiamo – lo afferrai per un braccio e lo trascinai via.
 
 
-Come hai fatto a trovarmi?
-Me l’ha detto tua nonna.
-Oddio! Quindi ti ha trovato! – mi allarmai subito.
-Si ed è stata molto gentile. Non capiva come mai tu non mi avessi fatto fare colazione e ha tentato di prepararmela a tutti i costi nonostante io rifiutassi. Non l’avrei mangiata.
-Perché?
-Perché non ho la necessita di mangiare – mi spiegò.
Sembrava così umano che a volte mi scordavo che in realtà era un robot.
Tornai a guardare il computer e ad inserire i codici dei libri riportati.
-E ti ha chiesto spiegazioni? – aggiunsi un po’ ansiosa.
-In realtà no. Se le è date da sola, io non le ho detto niente. Pensa che io sia un tuo amico e non ho né negato né confermato visto che non mi avevi detto niente al riguardo.
Annuii tirando un sospiro di sollievo.
Harry mi passò l’ennesimo libro da inserire nel database. Era molto silenzio ma estremamente servizievole e attento e in più mi seguiva come un’ombra. Il suo volto era quasi del tutto inespressivo, se non per gli occhi che erano vivi come il mare in tempesta. Ovviamente non trapelavano emozioni dal suo viso, visto che tecnicamente non poteva provarne, ma i suoi occhi talvolta si illuminavano.
 
Mi alzai e mi diressi verso la parte interna della biblioteca, girando sicura tra gli scaffali, seguita come un cagnolino dal cyborg.
-Non vuoi proprio dirmi perché ti ho trovato in quel vicolo?
Mi fermai davanti ad uno scaffale, porsi i libri in mano ad Harry e iniziai a disporli in ordine, uno alla volta.
-Non è che non voglio dirtelo.  Il fatto è che io sono il primo a non saperlo. – confessò.
Finii di sistemare i libri e lo guardai. Il suo viso apatico e perfetto come una statua di marmo.
-E ti manca tuo….padre?
Rimase un secondo in silenzio prima di rispondere.
-Non so cosa significhi.
- Che cosa? – gli domandai.
-La “mancanza” non so cos’è.
Provavo pena per lui. Vivere senza uno scopo, senza provare emozioni. Non sapere perché si è in vita. Non poter provare la gioia e il calore di un abbraccio, niente. Non poteva permettersi nemmeno di provare tristezza o rabbia verso chi lo aveva creato e abbandonato, o affetto. Niente. Perché era una macchina, un concentrato di circuiti ed ingranaggi, non di carne e sangue.
-Puoi stare con me…quanto vuoi….se vuoi – gli proposi.
Non volevo obbligarlo a stare con me ma non pensavo avesse comunque molta scelta. O me o la strada.
Annuì.
Ero affascinata da lui. Era una delle tecnologie più avanzate che i miei giovani occhi avessero mai visto, riusciva a generare pensieri, ragionamenti ma non era capace di fare altro. In pratica era un computer con le gambe.
 
 
 
-Ho finito, vado a fare il giro di controllo e poi possiamo tornare a casa.- annunciai al cyborg.
-Vengo con te.
Fece per alzarsi, ma lo fermai.
-Non ce n’è bisogno, resta pure qua.
-Vengo con te.
Mi rassegnai e lo lasciai fare. Avanzai verso i primi tavoli e continuai a camminare tra gli imponenti scaffali di libri, rimettendo al loro posto le sedie che trovavo in giro. Stavo oltrepassando l’ennesimo tavolo quando all’improvviso andò via la luce e un buio profondo calò sulla biblioteca e mi fermai.
Provai ad aprire e chiudere le palpebre più volte nel vano tentativo di abituarmi al buio.
-Non vedo un accidente!- esclamai esasperata.
Sentii Harry avvicinarsi a me e afferrarmi una mano.
-Ti guido io.
Lo ringraziai e mi lasciai guidare. Mano a mano che superavamo tavoli e scaffali mi diceva cosa vedeva. Quando c’era una sedia messa male mi abbandonava per qualche secondo, la rimetteva al suo posto e poi tornava da me.
-E tu come fai a vederci?- gli chiesi curiosa.
- Visione notturna. – spiegò.
-Fico!- esclamai entusiasta.
-Non saprei. – Mi rispose atono.
-Fidati! Te lo dico io! – gli dissi ridendo.
 
-Nonna! Sono a casa! – annunciai.
-Tesoro ben tornata- mi salutò affacciandosi alla porta della cucina. – Oh…ciao Harry!
-Buonasera signora Flora, è un piacere rivederla – ricambiò educatamente il ragazzo – Come sta?
Mi stupii di questa improvvisa loquacità e…umanità.
-Che caro ragazzo! Meglio di ieri ma peggio di domani! – gli rispose mia nonna ridacchiando.
Rispondeva sempre così quando gli veniva chiesto come stava. Era positiva, non c’era niente da fare, era la persona più solare e allegra che conoscessi senza ombra di dubbio e non potevi non farti travolgere da quell’uragano di entusiasmo.
E nemmeno il cyborg poteva. Sul suo volto marmoreo si allargò un sorriso, che durò qualche secondo prima di scomparire.
-Harry la mia nipote disgraziata non mi ha avvertito che ti saresti unito a noi a cena! Cosa posso prepararti da mangiare?- si scusò mia nonna.
-Non si preoccupi, ho già mangiato. La ringrazio.- declinò gentilmente l’offerta il cyborg.
Sembrava la fiera delle buone maniere.
Ci liberammo dai cappotti e ci sedemmo a tavola. Cenammo come sempre, guardando la tv, commentando i programmi che passavano e raccontandoci delle rispettive giornate. Alla fine dissi a mia nonna che Harry avrebbe dormito da noi per qualche tempo e lei acconsentì volentieri dopo che le spiegai che non poteva tornare a casa a causa di problemi familiari. Suvvia, non potevo certo spigare ad una vecchia signora di 80 anni che Harry era un cyborg quando era a malapena a conoscenza dell’esistenza dei tablet!
 
 
Dopo cena Harry ed io salimmo in camera. Presi due piumoni enormi e li depositai per terra uno sopra l’altro, accanto al mio letto. Non avendo un altro letto a disposizione avevo deciso di improvvisare un futon. [Letto tradizionale giapponese]
Presi un terzo piumone da usare come coperta ed un cuscino di quelli che tenevo in più sul mio letto.
-Non starai comodissimo, ma meglio di niente- gli dissi osservando orgogliosa la mia opera.
-Non preoccuparti.
Storsi il naso al pensiero di lui che dormiva sul pavimento scomodo e gelato.
-Io devo fare i compiti, fai come se fossi a casa tua.
Presi la cartella, la svuotai sul tavolo, mi posizionai davanti i libri di matematica e mi armai di calcolatrice ma soprattutto tanta tanta pazienza. Aprii il quaderno e la mia mano iniziò a tracciare strani simboli sulle pagine, altresì chiamati radicali, integrali, logaritmi e molto altro….
Persi ben presto l’entusiasmo iniziale per lasciare il posto al più profondo sconforto. Ero una frana in matematica ed ero così concentrata sui calcoli e sui procedimenti che non mi accorsi subito della presenza di Harry proprio dietro di me. Si era sporto per vedere su cosa mi stavo disperando.
-I risultati non tornano! – mi disperai lanciando per aria la calcolatrice e la penna che prese sorprendentemente al volo.
-E’ ovvio che non tornino se i calcoli e i procedimenti sono sbagliati – decretò dopo aver dato una rapida occhiata ai confusi calcoli sul mio quaderno.
-Tu sai farli? – gli domandai speranzosa.
-Certo.
Non gli lasciai nemmeno il tempo di rispondere che presi un’altra sedia e la posizionai alla scrivania accanto alla mia.
-Siediti e aiutami!
Che stupida! Era ovvio che lui sapesse risolvere gli esercizi, la sua mente era come un computer, no?
Prese la penna e iniziò a risolvere equazioni e problemi uno dopo l’altro, senza fermarsi un attimo. Per completare un compito che mi avrebbe richiesto ore, lui impiegò soltanto un quarto d’ora.
Quando ebbe finito guardai il quaderno su cui gli esercizi erano stati svolti con un ordine quasi maniacale.
-Mi spieghi come hai fatto? Sennò se la professoressa mi chiede di svolgerli alla lavagna e spiegarglieli non so come rispondergli.
Non ci tenevo a prendere un bel 2. Lui mi guardò per qualche istante, con la sua solita espressione imperscrutabile prima di rispondermi.
-Non posso. Non saprei come fare. Io svolgo gli esercizi e basta. – mi spiegò.
Evidentemente era un computer in tutto e per tutto. Se dai un’equazione al computer te la risolve ma ovviamente non ti sta a spiegare come mai lì ha cambiato il segno o come mai ha messo lì quel numero e così doveva funzionare il cervello del cyborg.
-Allora è stato tutto inutile… - sospirai un po’ delusa.
Mi rimisi il quaderno davanti e gli ripresi la penna dalle mani per provare a risolvere gli esercizi da sola.
-Aspetta, passami il libro di teoria.- mi fermò.
Feci come mi aveva ordinato e glielo porsi. Si mise a leggere le pagine velocemente e in pochissimo tempo aveva finito di sfogliare tutto il libro. Incedibile.
Iniziò subito a spiegarmi tutti i procedimenti che aveva eseguito e riuscì addirittura a farmi capire tutto, cosa che la mia professoressa non era mai riuscita a fare.
Se poteva fare questo con un libro di matematica…poteva farlo anche con tutte le altre materie e avrebbe potuto aiutarmi coi compiti. Poteva essere considerato sfruttamento effettivamente ma dopotutto era un modo per ringraziarmi del disturbo arrecatomi, no? Ma certo!
Potevo fargli leggere tutti i libri della biblioteca, non solo quelli culturali, così forse avrebbe appreso meglio le dinamiche umane, avrebbe capito cosa significava provare qualcosa attraverso la lettura. Non ero sicura che funzionasse come per la matematica ma tanto valeva provare.
 
 
-Visto che ormai mia nonna sa della tua esistenza avremo molti meno problemi ma non posso comunque lasciarti in casa tutto il giorno, potrebbe farsi delle domande e insospettirsi…quindi cosa possiamo fare?
Harry mi guardava senza proferire parola, imperscrutabile.
-Pensi di continuare a farmi parlare da sola o mi aiuti a pensare qualcosa?
Stava aprendo la bocca per rispondermi quando lo bloccai.
-Era una domanda retorica.
-Non sono programmato per interpretare ironia e sarcasmo- mi spiegò serioso.
Sbuffai e tornai a guardare la tv. Sentivo il dolce abbraccio di Morfeo iniaziare a stringermi dolcemente.
Tirai fuori il pigiama da sotto il cuscino e inizia a spogliami. Mi ero quasi dimenticata della presenza del cyborg che mi guardava. Mi bloccai indecisa sul da farsi, dopotutto era un robot, non mi sentivo in imbarazzo a spogliarmi davanti a lui. Mi tolsi la felpa e i jeans e rimasi in intimo.
-La tua percentuale di massa grassa è leggermente più elevata del tuo peso forma. Dovresti perdere 2 o 3 kg.- decretò.
Ma come si permetteva? Mi stava dicendo che dovevo dimagrire! Gli lanciai un cuscino in faccia infastidita dal suo commento, tanto fastidioso quanto veritiero.
-Ho detto qualcosa di sbagliato? –ebbe il coraggio di chiedermi innocentemente.
-Non si dice ad una ragazza che deve dimagrire, non è educato, non è carino.- gli spiegai rivestendomi velocemente.
-Perdonami non volevo essere scortese. La mia era una costatazione vista da una prospettiva scientifica, non possiedo una prospettiva personale.
Come potevo arrabbiarmi con lui? Non potevo e infatti sospirai e lasciai perdere.
-Vengo a scuola con te- disse cambiando discorso.
Non sarebbe stata una cattiva idea se fosse stato un essere umano, ma non lo era. Non aveva documenti, lui per il mondo non esisteva, come avrebbe fatto a iscriversi e a frequentare normalmente le lezioni?
-Ci penso io ad iscrivermi.
-Leggi anche nel pensiero ora?
Mi ignorò, prese il mio portatile e si sedette sul letto accanto a me.
-Non dimenticarti che so usare il computer meglio di chiunque altro. Mi creerò un’identità e mi iscriverò alla tua scuola.
Fu solo per un secondo, ma mi sembrò di vedere un lieve sorriso smuovere le sue labbra.

















 
Holaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!
Vi prego, non trucidatemi! T.T
Lo so che sono sparita ma ho delle buonissime ragioni xD
L'università aveva assorbito tutte le mie forze T.T
E visto che per ora sono in ferie, invece, mi sono rimessa a scrivere qualcosina ;)
Cosa ne pensate di questo capitolo?
Lo voglio anch'io un cyborg che fa i compiti al posto mio.....  T.T
A presto! (si spera xD)

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