Tra l'amore e l'amicizia c'è la distanza di un bacio

di bieberlicious
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di notte ***
Capitolo 2: *** Il risveglio ***
Capitolo 3: *** Senza senso ***
Capitolo 4: *** Errori ***
Capitolo 5: *** Delirio senza deliri? ***
Capitolo 6: *** Situazioni ambigue ***
Capitolo 7: *** Dappertutto ***
Capitolo 8: *** Disillusioni ***
Capitolo 9: *** Usa e getta ***
Capitolo 10: *** Sei mia ***
Capitolo 11: *** Il bivio ***
Capitolo 12: *** Amici (di letto)? ***
Capitolo 13: *** ANNUNCIO ***



Capitolo 1
*** Di notte ***




1. Di notte

 

Le sue labbra mi divoravano, insaziabili, quasi volessero respirare dalla mia bocca.
Le sue mani mi toccavano ingorde, registrando ogni centimetro del mio corpo.
Le sue dita affondavano nella mia pelle; sembravano fatte per toccarmi, il mio corpo sembrava fatto per essere toccato da lui. 
Il suo sapore mi invadeva, confondendomi, stordendomi; era il sapore più dolce che avessi mai assaggiato, sapeva di buono, di familiare, di lui.
Tutto girava in quella stanza: la parete tinta di verde, le tendine che erano dello stesso colore da circa sette anni, la scrivania su cui avevamo studiato ogni giorno per anni e la lampada sul comodino che emanava una luce tenue.

“Liz.” Un ansito, un gemito, il rumore di una zip che scendeva.
La zip del mio vestito.

“Justin.” Un gemito di passione, di preghiera, di paura.
“Sei bellissima.” Un sussurro mentre la stoffa del mio vestito scendeva, lasciandomi scoperta ai suoi occhi.
Mi sentii scottare mentre il suo sguardo affamato si soffermava sul pizzo del mio reggiseno e sul cotone dei miei slip.
Mi avventai sulle sue labbra, sconsiderata per colpa dell'alcool.
Le mie mani afferrarono i lembi della sua camicia -che avevo abilmente sbottonato- e lasciai che gli scivolasse via dalle spalle.
Le mie labbra scesero a disegnare il profilo della sua guancia, seguii il contorno della mascella per poi giungere fino al collo, giù per i pettorali.

“Stai giù.” Biascicai, capovolgendo le posizioni e, così facendo, mi portai a cavalcioni su di lui.
Un ghigno soddisfatto gli si disegnò sulle labbra non appena la mia lingua prese a disegnare cerchi egocentrici sul suo stomaco.

“Sei ubriaca.” Sbottò d'improvviso.
Risi, una risata isterica, vuota, priva di divertimento. 
“Anche tu.” Risposi.
La voce gli morì in gola  quando le mie dita giunsero a sbottonargli il bottone dei jeans e, soddisfatta, gli tirai giù la cerniera dei jeans.
Gli morsi il lembo di pelle tra l'ombelico e i boxer, poi lo liberai dall'impiccio dei jeans.
Mi soffermai a guardarlo e allora, da brilla, ubriaca, sincera, spensierata, sfacciata, mi permisi di osservarlo per la prima volta con occhi da donna e non da amica: era bello, bello da morire, il fisico asciutto, i pettorali scolpiti, le braccia ai lati del corpo, i piccoli tatuaggi, le labbra schiuse da cui si susseguivano una serie gemiti, gli occhi resi lucidi dall'alcool e dalla passione, i capelli scompigliati e l'espressione seria, eccitata.

“Non guardarmi così.” Si lagnò.
“Così come?” 
“Come se volessi mangiarmi!” Sbuffò.
“Io voglio mangiarti, effettivamente.” Ghignai, risalendo a cavalcioni sul suo corpo.
Il suo sguardo cambiò: le pupille si dilatarono e il colore delle iridi si sciolse.
La situazione si capovolse e, in un baleno, mi ritrovai ad essere di nuovo la preda mentre mi trascinava sotto di lui, in sua balia.
“Non dovresti giocare con il fuoco.” Il suo sussurro, le sue dita che sganciavano il mio reggiseno e mi liberavano anche da quella barriera.
“Voglio scottarmi.” E credetti di andare davvero a fuoco quando le sue labbra scesero a lambire il mio seno.
Una marea di sensazioni nuove mi esplose nel basso ventre, non avevo mai provato nulla del genere, nessun ragazzo era mai arrivato a farmi provare niente di simile.
Ma, in fin dei conti, non avevo alcuna esperienza in quel campo. Neanche minima.

“Non distrarti.” Protestò, mordendomi un seno.
“Justin.” Una pretesta per il dolore e un'invocazione per il piacere.
Strinsi le braccia intorno al suo collo e mi inarcai sotto di lui; stavo toccando il paradiso con un dito o forse, più probabilmente, entrambi stavamo cadendo all'inferno nel girone dei lussuriosi ma in quel preciso momento, non mi interessava.
Lo volevo, tanto da star male.

“Sei sicura?” Domandò, mentre le sue dita si infilavano sotto la stoffa dei miei slip.
La voce mi mancò, così mi limitai ad un cenno d'assenso con la testa.
La realtà dei sensi mi venne a mancare e, d'istinto, mi inarcai sotto le sue attenzioni, mentre toccava ogni mia parete, fisica e metaforica.
Il mio corpo fremeva sotto di lui mentre stuzzicava e giocava con la parte più nascosta di me.
E il piacere mi travolse, inaspettato, appagante, travolgente.

“Justin?” Lo chiamai, in un momento di lucidità, mentre l'ultimo indumento mi scendeva lungo le gambe.
“Mh?” Lo sentii rispondere, mentre si liberava dei suoi boxer.
“Sono vergine.” Non farmi del male. Né fisicamente né metaforicamente. Una richiesta silenziosa.
“Lo so.
E poi lo sentii, completamente, totalmente, centimetro dopo centimetro.
Mentre il dolore veniva scemato dall'alcool.
Mentre mi riempiva, arrivandomi fino infondo, fino a toccarmi cuore e anima.

“Sei così... stretta.” L'avrei ritenuta un'esclamazione poco felice se non fossi stata sopraffatta dal piacere, dal suo essere dentro di me, dall'alcool.
“Oddio, Justin, ti sento.
E non ci furono più barriere a dividere la nostra unione fisica, non ci furono più parole gettate al vento né alcool a rendere lucida quella situazione.
C'eravamo solo noi: amici sin dall'età della culla, mentre ci stringevamo uno all'altro.
Mentre il suo corpo era su di me, dentro di me.
Mentre mi inarcavo sotto di lui, a volerlo sentire di più, a volere un'unione più profonda.
Mentre mi sfuggiva una lacrima dettata da una minima parte conscia di ciò che stava accadendo, in un attimo di lucidità che sfumò all'istante.
Mentre il silenzio veniva interrotto solo dai nostri sospiri, dai nostri ansiti, dai nostri gemiti.
Dal suo nome che trapelava dalle mie labbra, dal mio nome che suonava come una poesia tra le sue.
Dal piacere che sopraggiungeva, di nuovo, questa volta unicamente per lui.
E l'ultima sensazione che percepii fu il suo corpo che crollava al di sopra del mio, e l'ultima immagine che registrai non la dimenticherò mai: una bustina argentata che segnava la mia perduta ingenuità, con il mio migliore amico.


* * *
 


Avevo in mente questa trama sin dall'età della pietra, finalmente sono riuscita a buttarla fuori.
Questo non è proprio un capitolo, è tipo un prologo.. e non so se vi piacerà.
Io ci ho messo il cuore per scriverlo, credetemi, e sarei più che felice se mi lasciaste una recensione!
Che altro dire? Spero che mi accompagnerete anche in questa nuova follia.
Alla prossima :)
PS: inizialmente questa storia doveva avere il rating rosso, ma ho preferito metterlo arancione e aggiungere, da parte, eventuali MM rossi :)

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Capitolo 2
*** Il risveglio ***




2. Il risveglio

 

Volente o meno il risveglio non è mai una bella cosa.
Che sia l'alba del migliore degli appuntamenti con il migliore dei principi azzurri o che sia un burrascoso, noioso, piovigginoso giorno di scuola, il risultato è sempre lo stesso: palpebre pesanti, capelli stile palla di fieno, residui di trucco sciolto e pipì che scappa.
E fu esattamente così che mi svegliai, ma con l'eccezione di un allucinante mal di testa.
Cercai di fare mente locale prima di aprire gli occhi, provai a rammentare come mai la sveglia non fosse ancora suonata, perché mia madre ancora non mi stesse strattonando nella peggiore delle maniere e per quale motivo avessi quell'atroce mal di testa.
Ma il risultato di tabula rasa che ottenni mi costrinse ad aprire un occhio.
Sobbalzai al risultato che ricevetti: un'accecante luce mi occupò la visuale, costringendomi a richiudere gli occhi.
La luce del sole mi aveva permesso di registrare ben poco della realtà che mi circondava, ma avevo parecchi indizi per capire che c'era qualcosa che non andava e mi costrinsi, controvoglia, ad aprire gli occhi: le tende bianche non erano certo le rosse che si trovavano in camera mia, la cabina armadio -sfortunatamente- non era la mia armadio a tre ante e, soprattutto, il letto a due piazze in cui mi trovavo era un desiderio che i miei genitori non avevano mai fatto in modo di realizzare.
Tutti quei quei particolari ricreavano un ambiente a me conosciuto, fin troppo.

“Justin?” Sussurrai a vuoto.
La camera di Justin: il suo letto, le sue tende, la sua scrivania.
Ma di lui neanche l'ombra.
Mi sforzai il più possibile di ricordare come ci fossi arrivata in camera sua, ma l'unico ricordo che accalappiai non mi fu d'aiuto.

“Cosa ti porto, bellezza?” Un sussurro urlato, che tentava di superare il frastuono della musica, delle urla, delle risate. 
Stavo per chiedere una coca, quando ricordai che per una sera potevo lasciare i panni della brava ragazza
“Un martini.
“Non è presto per gli alcolici?” La voce del mio migliore amico carica di disappunto mi fece sbuffare come un treno a vapore.

“Due martini.” Mi corressi. “Andiamo, ho ufficialmente sedici anni. Abbandona i panni dell'amico rompiballe per una sera e fammi compagnia. Ci stai?

Probabilmente ci era stato, e mi ero presa una sbronza, una di quelle potenti, mi ricordò il mio mal di testa.
Solo quando mi chinai per raggiungere il cellulare sul comodino scorsi i miei vestiti dove non dovevano essere: sul pavimento.
Sgranai gli occhi all'immagine del mio vestito sul pavimento, delle scarpe gettate una distante dall'altra e, visto che al peggio non c'è mai fine, dei miei indumenti intimidi che giacevano immobili ai piedi del letto.
La confusione mi aggredì, feroce, mozzandomi il respiro, togliendomi la facoltà di parlare, respirare, pensare.
E gli occhi mi si riempirono di lacrime alla vista del mio corpo, nudo e sudato, al di sotto delle lenzuola.

“Cosa ricordi?” La voce di Justin mi arrivò attutita, ancora stordita dalla visione cruda e amara della realtà.
Non poteva essere vero, non potevo aver perso il controllo fino a quel punto, non potevo...

“Liz?” Mi chiamò, e mi costrinsi a girarmi verso di lui.
Il suo sguardo era comprensivo, dolce, rassicurante, quasi stesse guardando un animale impaurito pronto ad attaccarlo.
“Cos'è successo?” Domandai.
Non volevo realmente una risposta a quella domanda, non quando temevo così tanto la verità.

Vidi Justin raggiungere il letto in poche falcate e prendermi tra le sue braccia, racchiudendomi in un abbraccio che sapeva di amara verità. “Sssh, non piangere.
E solo allora mi accorsi delle lacrime che mi stavano bagnando il volto.
E la riga si ruppe, le lacrime iniziarono a sgorgare, a inseguirsi una con l'altra, amare, fredde e dolorose.
I singhiozzi mi attraversarono il corpo, scuotendomi, in modo feroce e prepotente.

“Dimmi che non è successo davvero.” Faticai a distinguere la mia voce, così com'era, deturpata dai singhiozzi.
Non mi rispose, non negò né confermò, semplicemente tentò di rassicurarmi. “Andrà tutto bene.
Ma così non era, lo sapevo io e lo sapeva lui.
Quella situazione mi sconvolse a tal punto da dimenticare di essere nuda al di sotto delle lenzuola, lì tra le sue braccia, accoccolata al suo petto.
Mi sentivo così vulnerabile da avere paura, mi sentivo sporca, marchiata, segnata.

“Magari non è successo davvero.” La paura quasi mi fece delirare. “Magari mi hai spogliata per il caldo, oppure perché mi sono sporcata. Magari...
“Liz, ero nudo anch'io, e poi...” sussurrò flebile e, seguendo il suo sguardo, colsi in flagrante la prova del nove: giaceva immobile, apparentemente innocua, la bustina argentata.
Un singhiozzo mi trapelò involontariamente dalle labbra, e sentii improvvisamente un freddo glaciale.
Il cuore mi salì in gola e le gambe mi iniziarono a tremare.

“E allora è così..” sospirai, sotto shock. “Tutti i miei deliranti discorsi sul niente sesso senza amore, sull'aspettare il ragazzo giusto... che beffarda ironia.” Osservai, ironica, anche se di ironico non c'era nulla in quella catastrofica situazione.
Percepii le mani di Justin afferrarmi le spalle e, con inesistente delicatezza, mi strattonò dal suo petto portandomi a guardarlo diritto negli occhi.

“Liz, ascoltami bene: ci conosciamo da una vita, ti ho vista crescere, sei la mia migliore amica, sei la persona più importante della mia vita, non ti farei mai del male... non è stato solo sesso.” Affermò, sicuro di se, guardandomi dritto negli occhi.
E le lacrime ripresero a scendere, incontrollate, violente e fuoriluogo.
Non era il mio ragazzo, ma era la persona più importante della mia vita, e non mi stava facendo una dichiarazione d'amore, mi stava -implicitamente- dicendo che ci sarebbe stato, nonostante tutto e tutti, ma non riuscii a fare a meno di sentirmi sporca.
Dentro e fuori.

“Ho bisogno del bagno.Ho bisogno di scappare.
Mi tirai dietro le lenzuola, scossa per il fatto di essere nuda, anche se, ironia della sorte, mi aveva vista più che bene.
Chiusa la porta del bagno e cercai di chiudermi dietro tutto l'accaduto.
Stanca, spossata e provata, lasciai che le lenzuola mi scivolassero via e fissai il mio riflesso nello specchio: i miei occhi grigi si erano arrossati, colpa delle lacrime, le mie labbra erano gonfie, provate da quella notte di passione come il resto del mio corpo, tutto gridava la verità: il residuo di un morso sul seno, di un altro morso sul fianco, il dolore ancora acuto tra le gambe e i capelli arruffati.
Probabilmente avrei pianto, se solo il serbatoio delle lacrime non si fosse svuotato.
Meglio così, mi dissi: non si piange sul latte versato.


* * *
 


È l'01:01 e, con una giornata di scuola che mi aspetta tra *rullo di tamburi*  7 ore, io vi sto scrivendo le note autore.
PRIMA DI TUTTO VOGLIO RINGRAZIARE LE FAVOLOSE, STUPENDE, MAGNIFICHE E SOPRATTUTTO INASPETTATE 12 RECENSIONI ALLO SCORSO CAPITOLO, SIETE MERAVIGLIOSE.
Poi.. che dire? Questo capitolo l'ho scritto di getto, come l'ho sempre immaginato.
E (non) mi convince, anche se col sonno che ho non so se sono sveglia o meno!
Cosa da precisare: AVETE VISTO IL BANNER? Sono una schiappa nel fare banner, ma ok... è così che immagino Liz, poi ognuno la immagina come vuole :)
Ok, ora mi dileguo.

MI RECENSITE, VERO? VERO? PERCHÈ AI LOV IU!

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Capitolo 3
*** Senza senso ***




3. Senza senso

 

L'acqua scrosciava deliberatamente, mentre, io, invece, ero intenta a scovare qualche cambiamento nei miei lineamenti, qualcosa che segnasse la mia perduta virtù, il mio passaggio dall'essere bambina all'essere donna.. ma nulla.
Mi sfiorai le labbra ancora gonfie e un ricordo mi investì, fulmineo.

“Sei così eccitante.” Un lieve sospiro, ma che sussurrato contro il mio lobo mi fece sobbalzare.
Fremetti a quelle parole: la testa mi girava, le gambe erano molli e tutto sembrava girare, tutto, tranne le sue mani che -ferrigne- si aggrapparono ai miei fianchi per poi portare la mia schiena a scontrarsi contro una porta.
“Ti voglio.” Il mio gemito sconsiderato, accompagnato dalle sue dita che mi sfiorarono le mie autoreggenti, al di sotto del vestito.
“Anch'io, subito.” Ruggì, alzandomi il vestito fino all'altezza dei fianchi.
Mi aggrappai alla porta del bagno, rendendomi conto per un istante di essere ubriaca, non esattamente vestita, contro la porta di un bagno per uomini. “Non qui.

Sussultai, sgranando gli occhi.
Mi rivestii, in fretta, cercando di non soffermarmi né sul vestito che sembrava improvvisamente troppo corto né sul disgusto che provavo al pensiero di ciò che -speravo- non era accaduto per un pelo.
Se solo non avessi bevuto, se solo avessi ascoltato Justin, se solo non avessi dato conto ai pregiudizi, se solo non avessi dato retta alle persone.
Se, se, se. 
Tutti quei se iniziavano a sopraffarmi e d'improvviso sentii l'impellente bisogno di uscire da quel bagno, da quella casa, dal mondo.
Dovevo mettere un po' di distanza tra me e il resto del mondo.
Legai i capelli in una coda e pregai con tutta me stessa che Justin non mi stesse aspettando fuori la porta.
Ma così non fu, e quando uscii dal bagno era lì, a braccia conserte, che attendeva.

“Devo tornare a casa.” Sospirai, guardandolo ma senza vederlo per davvero.
“Ti accompagno.” Rispose, avvicinandosi.
Indietreggiai involontariamente, senza neanche accorgermene. “Justin.. ho bisogno di stare un po' da sola.Ti prego, avrei voluto aggiungere.
Mi guardò con tenerezza e sentii un impellente bisogno di abbracciarlo, di farmi abbracciare e sentirmi dire che non era cambiato nulla, che eravamo sempre noi: Justin e Liz, amici dalla culla, inseparabili, indistruttibili.
“Liz...
“Ci vediamo domani a scuola.” Lo bloccai, prima che potesse avvicinarsi maggiormente.
E me ne andai.
Scesi le scale scappando, letteralmente.
Aprii la porta fuggendo, quasi avessi qualcosa da temere, da nascondere, quasi qualcuno potesse capire cosa fosse successo solo guardandomi.
E camminai, corsi, volai: contro il vento, contro il sole, contro la pioggia.
Perché la casa di Justin distava uno o due chilometri da casa mia, ma erano pochi.
E ciò mi spaventò da morire.
Non volevo mettere distanza tra me e il migliore amico, tutto ciò era inconcepibile.
Senza senso.
Era l'unica persona che davvero mi conosceva.
Sapeva quanto potessi diventare isterica cinque giorni al mese.
Sapeva quanto fossi permalosa e dispettosa.
Sapeva quanto potessi essere generosa, bisognosa di attenzioni e fragile.
Semplicemente mi conosceva, meglio di una madre, meglio di un'amica, meglio di me stessa.
Era l'unica persona che mi era rimasta accanto, sempre e comunque.
Mi era rimasto accanto quando a nove anni il mio cagnolino era scappato e, sotto la pioggia, mi aveva accompagnata a cercarlo per tutta la città.
E alla fine l'avevamo trovato, perché insieme eravamo imbattibili.

Arrivai a casa venti minuti dopo, bagnata e affannata.
Con la vista annebbiata, lessi di sfuggita il post-it attaccato alla porta d'entrata: 
avevamo una riunione urgente in ufficio, torneremo sul tardi. Mamma.
E solo in quel momento mi accorsi che, a pararmi il fondo schiena, c'era stata quella strana usanza che condividevo con il mio migliore amico: dal mio decimo compleanno, la sera dei nostri compleanni, avevamo sempre dormito insieme.
Socchiusi gli occhi e sorrisi di sollievo, probabilmente qualcuno dall'alto voleva aiutarmi.
Poi, uscii dai miei vestiti e mi buttai -letteralmente- sotto la doccia.
Probabilmente mi sarei ustionata dati i gradi dell'acqua, ma ero troppo fredda dentro e fuori per farci caso.
Mi strofinai le mani su tutto il corpo, cercando di eliminare qualsiasi traccia potesse esserci, qualsiasi prova, qualsiasi segno, ma il mio errore fu dimenticare che, l'unica prova che segnava quella nottata, era tanto invisibile quanto indelebile.

Il mattino dopo mi svegliai riposata date le -quasi- ventiquattro ore di sonno e con i crampi allo stomaco per aver saltato tutti i pranzi.
Mi lavai e vestii con calma, mi permisi di usare tutta la tranquillità del mondo, e mi preparai una colazione alla faccia della dieta.
Pulita, preparata e sazia, diedi un'occhiata al cellulare.
Nessuna chiamata e nessun messaggio; magari anche Justin aveva deciso di mettere da parte tutto l'accaduto.
Dopo una sana dormita ero arrivata al risultato che, dopotutto, avevo perso la verginità con il mio migliore amico e non era la fine del mondo.
Avevo bisogno di metterci una pietra sopra e, probabilmente, non parlarne, mi avrebbe fatto bene.
Decisi di non aspettare il pullman e, con la compagnia dell'aria fresca mattutina, arrivai a scuola a piedi. 
E arrivai, e lui era lì: gambe accavallate, braccia incrociate, rayban agli occhi, deliberatamente appoggiato contro la sua range rover.
Era palese che mi stesse aspettando e quando mi avvicinai a lui non pensai a nulla, se non a quanto contasse per me e quanta paura avessi di perderlo, e lo abbracciai così, di slancio.
E lo strinsi con calore, affatto, disperazione.
Cercando di comunicargli tutto ciò che provavo: amore, paura, bisogno.
Cercando di chiedergli scusa per essere scappata via da lui, lontana da quella notte, distante dalla nostra amicizia.
E dopo un attimo di smarrimento mi strinse a se e sentii le sue labbra -premute contro la mia fronte- aprirsi in un sorriso. 
“Dimmi che non cambierà niente.” Lo pregai.
Mi strinse maggiormente a se, e mi trasmise proprio ciò di cui avevo bisogno: protezione, sicurezza e dolcezza. “Sarai sempre la mia piccola Anna dai capelli rossi.

* * *
 


Adoro l'ultimo pezzo, è zuccheroso lalala
LO DEDICO ALLE 17 STUPENDE RECENSIONI
 
Voglio chiarire che come vedete, Justin è dolce e premuroso verso "Liz -la sua mgiliore amica-" ma non sarà sempre così, come ho scritto nella descrizione, Justin è un allergico all'amore e sì, farà anche lo stronzo.
Ora però pensiamo a questo di capitolo: Liz ritrova un po' di pace, sa che Justin è il suo migliore amico e che la proteggerà da tutto e tutti, sempre e comunque.
Se a qualcuno può essere sembrata esagerata la reazione di Liz dopo la nottata di sesso bollente (LOL), imparerete a conoscerla: lei è insisucura, di tutto e tutti,  sognava la prima volta fatta con amore, voleva trovare il ragazzo che l'aspettasse e che nel frattempo la amasse... insomma, ci siamo capiti.

Ora io mi dileguo e voi mi recensite, VERO? VI AMO! ç.ç
 

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Capitolo 4
*** Errori ***




4. Errori

 

Ticchettavo insistentemente la penna sul banco, guardando ripetutamente l'orologio che tenevo allacciato al polso.
Il tempo scorreva disperatamente lento, i secondi sembravano ore e le ore giorni.
Il caldo era insistente nonostante fossimo oramai ad ottobre e, volente o meno, era impossibile concentrarsi sulla lezione.
Tutto era estremamente monotono e ripetitivo: l'insegnate che tentava di spiegare ad una classe tutt'altro che attenta, gli sbuffi di venti ragazzi che pensavano ad eventuali modi per far zittire l'insegnante e fogliettini che passavano di banco in banco con conversazioni silenziose.
Ogni movimento era schifosamente noioso, finché non vidi lampeggiare il segno di un messaggio sul display del mio cellulare.
Lo aprii, attenta a non farmi notare e, scritto nero su bianco, il messaggio era: è vero che sei andata a letto con Justin?

Sussultai involontariamente e mi sentii sbiancare.
Era esattamente come se qualcuno mi avesse scoperta con le mani nel sacco: come faceva a saperlo?
Mi girai verso il mittente del messaggio, nonché una mia amica -o meglio dire, conoscente- di classe che mi sorrideva con un fare fintamente ingenuo.
Stai scherzando, vero? Chi ti ha detto questa stronzata?
Mi mordicchiai il labbro inferiore e inviai il messaggio, risollevata per la menzogna che mi risultava più facile dire per un stupido messaggio anziché faccia a faccia.
La guardai leggere il messaggio e assumere un'aria dubbiosa, probabilmente ero una cattiva bugiarda anche tramite messaggi.
La sua risposta mi arrivò rapida: nessuno, voci di corridoio.
Voci di corridoio.
Mi sentii mancare l'aria, come se d'improvviso avessi un attacco d'asma, ma il problema era uno solo: non soffrivo d'asma.
Annaspai, cercando di riempirmi l'aria di polmoni e, con un soffio di voce, parlai. 
“Posso andare un attimo in bagno?
Domandai, guardando la prof, la quale annuì distrattamente senza neanche soffermarsi su chi le avesse posto la domanda.
Corsi, e non solo metaforicamente, fuori dalla classe, trovandomi catapultata in un via vai di persone che sfilavano nei corridoi parlando, fumando, sculettando.

“Ehi, Liz.” Sentii una voce raggiungermi da dietro e la riconobbi all'istante.
“Ryan!” Lo guardai, soddisfatta. “Sai per caso dov'è Justin?” Gli domandai, fremendo dalla voglia di raggiungerlo per avere qualche spiegazione sulle famosi voci da corridoio.
Per quanto ci pensassi, mi sembrava inconcepibile che Justin avesse potuto dire a qualcuno cos'era successo.
Non glielo avevo detto esplicitamente, ma ero sicura che non avrebbe accennato a nessuno di quanto c'era stato, ma probabilmente i ragazzi avevano bisogno di sentirsi dire le cose chiaramente per comprenderle.
Sentivo una strana vocina farsi spazio dentro di me,  sembrava che gridasse: tradimento.

“Sì! È al terzo piano, fuori al terrazzo della scala di emergenza.” Mi informò.
Lo ringraziai flebilmente prima di dimenarmi per le scale, salendone due alla volta e, anche se non ero mai stata un asso della corsa né in nessun altro sport -ero una modalità a risparmio energetico-, mi ritrovai in un baleno al terzo piano e, senza dar peso agli insegnanti che mi guardavano con rimprovero, mi precipitai fuori al terrazzo.
Lo focalizzai in pochi secondi: la schiena appoggiata contro il muretto, con una sigaretta tra le mani mentre parlava e sorrideva con una ragazza.
Mi precipitai, posizionandomi tra di loro, fregandomene alla grande della buona educazione. 
“Devo parlarti.” Sibilai a denti stretti.
Mi guardò dall'alto, inarcando un sopracciglio. 
“Sto parlando con una persona.” Rispose, fulminandomi con lo sguardo.
L'avrei incenerito se solo ne avessi avuto le capacità. 
“Devo parlarti, ORA.” Ringhiai; non me ne importava un cazzo se stavo mandando all'aria una delle sue scappatelle, ero incazzata nera con lui e non gli avrei dato tanto tempo per spiegarsi.
“Non fa niente, Justin.” Sorrise mielosa la ragazzina, toccandogli un braccio. “Ci sentiamo dopo.” Continuò, girandosi per andarsene.
Lei se ne andò e noi rimanemmo così, ad incenerirci con lo sguardo.
Cazzo, era il mio migliore amico e, quando e se dicevo di averne bisogno, era perché ne avevo davvero bisogno.

“Ho mandato all'aria una nottata bollente?” Sibilai ironica, mantenendo una finta calma.
“Probabilmente si. Che ti serve?” Domandò, irritato e scocciato.
L'avrei preso a calci; poteva anche essere il mio migliore amico ma, talvolta, era snervante. 
“Dobbiamo parlare della nostra, di nottata.” Il mio desiderio era mantenere una finta stabilità emotiva, ma la voce mi tremò sull'ultima parola.
Eravamo soli lì fuori, ma come si suol dire, anche i muri hanno gli occhi -e le orecchie-.
Lo vidi fissarmi stranito, probabilmente era l'ultimo argomento che pensava tirassi fuori.

“Hai sentito le voci di corridoio?” Domandai, mimando la frase con le dita.
Mi guardò scettico, inarcando un sopracciglio con il chiaro messaggio che no, non le aveva sentite.

“Dicono che siamo andati a letto insieme...” Buttai fuori tutto in un fiato, arrossendo inevitabilmente.
Sgranò gli occhi, buttando fuori il fumo della sigaretta. 
“Com'è possibile?
“Dimmelo tu.” Sibilai.
“Cosa vuoi dire?
“Pensavo che non l'avresti detto nessuno e invece, appena giro le spalle, vai dicendo chissà cosa a chissà chi.” Risposi, con una buona dose di delusione nella voce.
Le lacrime iniziarono a pungermi gli occhi e mi odiai parecchio per tutti i piagnistei che avevo avuto nelle ultime ore.
Per orgoglio, però, trattenni le lacrime.
Lessi chiaramente negli occhi di Justin un lampo di sgomento e incredulità. 
“Credi davvero che io l'abbia detto a qualcuno?
Non risposi, vergognandomi improvvisamente per essermi avventata su di lui, sicura che la colpa fosse sua.
Sentii la pressione del suo indice alzarmi il mento e mi ritrovai a pochi centimetri dal suo visto. 
“Che tu ci creda o no, non informo nessuno delle ragazze che mi scopo ogni sera.

Era oramai notte fonde ed erano passate diverse ore, ma la mia posizione era rimasta immutata: le ginocchia portate al petto, le braccia a stringermi le gambe e lo sguardo fisso sul soffitto.
Il dolore era come un masso che mi incombeva nello stomaco, sempre presente, sempre pesante, sempre potente.
Mi sentivo vuota, o meglio, svuotata.
Senza più lacrime, né battiti, né sangue.
Ero raggomitolata nel mio pigiamone di lana nonostante fosse una nottata abbastanza calda, ma io avevo freddo.
Un freddo fisico e metaforico, un freddo che sentivo nelle ossa, nel cuore, nell'anima.
Sentii un paio di colpi alla porta e il volto di mia madre fare capolino. 
“Liz, c'è Justin al telefono.
Sussultai al suo nome. 
“Digli che sto dormendo.
Mi guardò dubbiosa ma non fece domande e, quando richiuse la porta alle sue spalle, la sentii borbottare. 
“Justin, tesoro, non so per quale motivo ma Liz non vuole parlare con te.
Lo specchio difronte al letto rispecchiava i miei occhi rossi e cerchiati dalle occhiaie.
Sospirai affranta e chiusi gli occhi, appoggiandomi alla testiera del letto; oramai il tempo sembrava essersi fermato, ero chiusa tra quelle quattro mura da troppo tempo per poter dire quante ore fossero passare.
Strinsi il lenzuolo tra le mani e quel gesto, mi portò indietro a due sere prima.
Le sue dita mi accarezzavano, lente ma delicate, decise e sicure.
Sentivo il suo tocco dappertutto: sul mio viso, lungo il mio collo, sul seno, al centro del mio corpo.
Era ovunque, era fuoco e fiamme, era passione e adrenalina.

“Justin?” Sussurrai mentre, smaniose, le sue dita afferravono l'ultimo indumento che mi copriva, lasciando che anche quello abbandonasse il mio corpo.
Ed ero lì, nuda: dentro e fuori.
Mentre lui mi allargava le gambe, per poi posizionarvisi in mezzo.

“Mh?
“Sono vergine.
“Lo so.
E poi lo sentii entrare, non tanto delicatamente, colpa della foga del momento.
L'alcool sminuì il dolore della sua intrusione dentro dentro di me, del suo corpo nel mio.
E mi arrivò fino infondo al cuore, al corpo, all'anima.

Aprii gli occhi troppo tardi, la sua immagine sudaticcia, con i capelli appiccicati alla fronte per il sudore, le palpebre socchiuse per il piacere, si era stampata chiara e nitida dentro di me.
E tremai, perché era di una bellezza disarmante, lì, allora, dentro di me.
Non l'avrei ritenuto un errore: la mia prima volta con la persona più importante della mia vita, ma l'aveva detto, con una frase mi aveva svuotata della sicurezza che mi aveva trasmesso, e mi aveva lasciata sola e impaurita, perché per lui era stata solo una scopata come tante altre.


* * *
 


Arrivo direttamente da un intenso pomeriggio di studio all'insegna di biologia: che brutta materia!
Ora non voglio annoiarvi con i miei piagnistei, pensiamo piuttosto ai piagnistei di Liz: lei ha attaccato Justin, presa dalla paura e dallo scorforto, sicura che lui l'avesse tradita. E Justin si è difeso, sentendosi tradito a sua volta.
Tra i due, però, chi maggiormente ha sbagliato è Bieberuccio, eh. Voi dite che si farò perdonare? 
Mh, non ve lo dico!
GRAZIE MILLE ALLE 16 RECENSIONI E AI 131 (131?!?!) MI PIACE, VI AMO.
Alla prossima 

PS: aspetto le recensioni 

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Capitolo 5
*** Delirio senza deliri? ***




5. Delirio senza deliri?

 

 
Sobbalzai dal sonno quando avvertii una mano fredda accarezzarmi la fronte, scostandomi il ciuffo di capelli che mi solleticava il viso.
Storsi il naso mugolando qualcosa di indistinto: odiavo essere toccata mentre dormivo.
“Lizzie, tesoro, sono le nove. Io vado in ufficio.” Sussurrò mamma, accarezzandomi la fronte.
Aprii un occhio: le nove? Probabilmente avevo capito male.
“Che ore sono? Che giorno è?” Mi lamentai, girandomi sull'altro lato dandole le spalle.
“Te l'ho già detto che ore sono, tesoro. Hai la febbre e stai delirando più del solito, ora ti lascio in buona compagnia.” Non capii la parte finale della frase e poco me ne interessai, mi accoccolai sotto le coperte e sospirai di sollievo quando sentii la porta d'entrata chiudersi.
Mi tirai il piumone fin sopra alla testa, poco sorpresa di avere la febbre visto i malesseri della sera prima, e cercai di immaginare qualcosa di rilassante per riprendere sonno; non fu difficile.
Immaginai due mani che mi accarezzavano il braccio, al di sopra del piumone, una bocca che mi stampava un bacio sulla fronte e una voce che, sussurrando, strascicava una parola monosillabe: “Liz”.
Spalancai gli occhi, probabilmente mia madre aveva ragione e stavo delirando alla grande, ma le mani che in sogno -ero sicura che fosse un sogno!- mi massaggiavano il braccio, si erano improvvisamente fermate.
Non stavo sognando.
Mi irrigidii sperando con tutta me stessa di aver solo immaginato tutto.
“Liz.” Ripeté, e mi maledii mentalmente per aver capito troppo tardi l'affermazione poco felice di mia madre -non eravamo d'accordo sul concetto di buona compagnia-.
Mi rigirai nel letto, trovandomelo faccia a faccia.
Io e Justin.
Io e il mio migliore amico.
Lo guardai, lo scrutai, lo fissai: era lì, in carne ed ossa, con la sua espressione da cane bastonato.
“Cosa ci fai qui?” Strascicai le parole, con la voce rauca dato che ero appena stata strappata in modo poco piacevole dal sonno.
“Dobbiamo parlare.”
“Non ho niente da dirti.” Hai parlato tu, per entrambi. Glielo avrei voluto gridare.
“Io si, invece.”
Sbuffai come un treno a vapore, prima o poi mi ci sarei trasformata. “Parla, sono qui, purtroppo ti ascolto.”
Sospirò -lui sospirava?!-. “Mi dispiace.” Sussurrò.
Per quale delle tante cose, Justin? Rimasi zitta.
Mi tirai a sedere, sentendomi improvvisamente troppo grande in una stanza così piccola e troppo piccola in un mondo così grande.
“Mi dispiace per ciò che ho detto, lo sai che non lo penso davvero.” Parlò, guardandomi dritto negli occhi.
Non abbassai gli occhi, non arrossii, non sorrisi.
“Ti ho sempre detto tutto, lo sai che mi diverto con le ragazze, ma con loro è una questione prettamente fisica. Nessun legame, nessuna conoscenza, nessuna conseguenza. Con te c'è legame, conoscenza e conseguenza... come la mettiamo?” Domandò, retorico, con l'accenno di un sorriso all'angolo della bocca.
“Facciamo come se non fosse successo mai niente, ok? Ora puoi andare, ciao.” Sbottai, imbronciandomi.
Non ero arrabbiata, più che altro ero offesa, delusa, umiliata.
Abbassai lo sguardo sulle mie mani intrecciati sul grembo, e desiderai scomparire.
Mi sentivo nuda, più dentro che fuori.
Perché lui mi conosceva, più di quanto mi avrebbe mai potuta conoscere qualsiasi ragazzo spogliandomi.
Conosceva me, e non il mio corpo.
Conosceva i miei pregi e i miei difetti.
Sapeva come mi ero causata una piccola cicatrice sul ginocchio, sapeva a quanti anni avevo dato il mio primo bacio e sapeva che avevo un'enorme fifa del il buio.
Mi conosceva, intimamente, e non l'aveva fatto in una notte togliendomi i vestiti, l'aveva fatto in sedici anni, condividendo con me gioie e dolori, sorrisi e lacrime, litigi e riappacificazioni.
E sapeva -stronzo!- che, rigirandomi a favore suo, non sarei mai riuscita a tenergli il broncio.
“Liz.” Sussurrò, pacato. “Ascoltami bene, perché non te lo ripeterò una seconda volta.” Mi fissò e si avvicinò, troppo vicino; mi sfiorò il lobo con le labbra provocandomi un brivido involontario. “So reggere l'alcool, e quella non è stata la mia prima sbronza. Ricordo tutto, tutto.” Scandì bene le parole, provocandomi un tumulto interiore. “E se ho perso il controllo, è stato perché nessuna ragazza mi ha mai attirato come te quella sera. La consapevolezza della tua purezza, il fatto che nessun ragazzo ti avesse mai toccata, poter essere il primo per la mia migliore amica... mi hai fatto uscire di senno, letteralmente.”
Mi sciolsi, letteralmente
E il cuore mi accellerò, troppo per i miei gusti. 
Arrivai a sentire il rumore dei battiti del cuore nelle orecchie, e se solo non avessi avuto un atroce mal di testa probabilmente mi sarei messa a saltellare per tutta la camera.
Lo guardai, stupefatta.
Gli sorrisi, stupida, ingenua e spensierata.
Al diavolo i miei piani di fargliela pagare, mi gettai letteralmente, totalmente e completamente tra le sue braccia, incurante di potergli mischiare la febbre, e lo strinsi in un abbraccio soffocante.
E restammo così per quelle che sembrarono ore, ma probabilmente furono solo secondi o minuti.
Inaspettatamente, il suo solito ghigno si aprì in un sorriso e, con l'espressione di chi la sapeva lunga, fece la domanda da un milione di dollari. “Perdonato?”
Sì. Sì! Sìsìsì! “Vaffanculo.” Brontolai, fintamente offesa.
“Fammi spazio nel letto, piccola Anna dai capelli rossi.” Sorrise, togliendosi le scarpe.
Mi spiaccicai contro il muro e gli feci spazio; improvvisamene il mal di testa scomparì insieme a tutto il resto.
Le uniche sensazioni che percepivo erano il suo sorriso tra i miei capelli e la sua mano mollemente abbandonata sulla mia vita.
Violentemente, mi tornò la sensazione di essere troppo grande per quella stanza.
Per quel letto dove c'eravamo io e lui, come la famosa notte.
“Liz?”
“Mh?”
“Lo so a cosa stai pensando.” Sibilò, accarezzandomi i capelli.
Non riuscii a trovare una risposta: tutto ciò ribadiva solo quanto profonde fossero le sue radici in me, la sua conoscenza di me.
“Liz?”
“Mh?”
“Restiamo un po' così, nudi, voglio accarezzarti.” I sussurri dopo l'amplesso, la delicatezza delle sue mani su di me, la profondità delle sue attenzioni.
Sobbalzai, improvvisamente desiderosa di ricordare tutto o di non ricordare nulla.
Provai una strana sensazione al bassoventre, forse dovuta al ricordo delle sue mani, delle mie mani, dei nostri corpi.
Troppo, troppo, troppo grande. Mi sentivo troppo grande. Il letto era troppo piccolo.
Mi puntellai sui gomiti, agendo d'istinto.
Mi ritrovai faccia a faccia con Justin, con i suoi occhi che da socchiusi passarono a spalancarsi, come se avesse voluto leggermi dentro.
E restammo così, respirando uno dall'aria dell'altro, ognuno rovistando nell'animo dell'altro.
“Quanto ricordi?” Domandò, d'improvviso, senza aumentare quella microscopica distanza.
“Abbastanza.” Sussurrai, ma non quanto vorrei, avrei voluto aggiungere.
Sussultai quando percepii la sua mano posarsi alla base del mio collo, il calore della sua pelle su di me era delizioso.
“Com'è stato?” Domandò, risalendo dal collo fino alla guancia, sfiorandomi col il pollice il labbro inferiore.
Una scarica di brividi mi invase il corpo, e neanche la sbronza più epica avrebbe giustificato ciò che feci dopo.
Niente, proprio niente, sarebbe valsa come scusa quando mi abbassai sulle sue labbra, sulle labbra del migliore amico.
E lo baciai.
Le mie labbra schiuse, il mio gesto sconsiderato, il suo attimo o poco meno di sorpresa, il suo alito caldo sulla mia bocca.
Provai una fitta al centro del petto, lì, in quel momento, mentre le sue labbra dischiuse ricoprivano il mio labbro inferiore di piccoli baci.
Un senso di appagamento, tra le sue braccia, come se avessi finalmente fatto pace col mondo.
Un atroce senso di vuoto nel ventre, tutte le emozioni che andavano a concentrarsi al centro del mio corpo.
I miei neuroni improvvisamente scomparsi, la mia coscienza improvvisamente muta, il mio cuore sconsideratamente armonioso.
Presi tra le dita alcune ciocche dei suoi capelli e gliele tirai, sfacciatamente intenzionata ad approfondire il bacio.
Ma, inaspettatamente, gemetti sulla sua bocca quando la sua mano -che era rapidamente passata dai miei capelli, al mio viso, al mio fianco-, arrivò prontamente a stringermi un seno, sfregando contro il pigiama, il quale era l'unico indumento a dividere la sua mano dalla mia pelle nuda.
“Tre secondi, Liz. Ti do tre secondi per scappare, poi non rispondo più delle sue azioni.”
Il suo respiro pesante, i suoi occhi eccitati e la situazione in basso: tutto mi urlava che non stesse affatto scherzando.


* * *
 


Hola people!
Mi rammarico del mio ritardo, ma non ho avuto la connessione di internet a casa per un po' di tempo.
Ora sono ritornata, e ho pensato che vi meritavate una sorpresa data l'attesa!
Cosa dite, ne è valsa l'attesa?
Io, dal mio canto, amo questo capitolo. Non sono ubriachi, non sono incoscienti, sono perfettamente lucidi. E provano attrazione.
Ed è stata Liz a baciare Justin *cammina fischiettando* e Justin ha reagito molto attivamente *va a nascondersi dietro al divano*.
Ora mi dileguo, devo ancora studiare ç.ç
Ah, una cosa: non mi sarei mai aspettata tutto questo accanimento per la storia, tutte le recensioni meravigliose, tutti quei mi piace e i numerosi seguiti, preferiti e ricordati, GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE.

Alla prossima   ♥ ♥

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Capitolo 6
*** Situazioni ambigue ***




6. Situazioni ambigue

 

 
Puntellata sul gomito, con la testa sulla mano, rabbrividii al ricordo di ciò che era accaduto pochi giorni prima.
Socchiudendo gli occhi, ancora mi sembrava di sentire il suo respiro frenetico sulle mie labbra, la sua mano sul mio corpo, e la mia voglia di approfondire quel bacio.
Mi sentivo tremendamente in colpa, non era giusto né per me né per lui ciò che era accaduto.
Potevamo essere giustificati da ubriachi, da incosciente, ma non da sobri e perfettamente lucidi; tutto ciò non era per niente benefico: la nostra amicizia rischiava di uscire scalfita da tutto quel continuo stuzzicarsi a vicenda.
Sospirai, affrante, non avrei mai saputo sopportare un'eventuale rottura della nostra amicizia.
Lui era tutto ciò che avevo, che mi rimaneva, di cui avevo bisogno: il porto sicuro in cui rifugiarmi in caso di tempesta, l'abbraccio sincero di cui avevo bisogno nei momenti peggiori, l'ancora di salvezza a cui mi ero sempre aggrappata, era semplicemente quella persona di cui avevo bisogno come l'aria.
Necessitavo, prima di tutto e tutti, di Justin l'amico: il bambino biondo che avevo tanto odiato, chi da piccolo non odiava il figlio dell'amica della propria madre?
Colui che arrivava a casa e ti fregava tutti i giochi, e magari se li portava anche a casa.
Colui che ti prendeva in giro quando cadevi, ma che poi, però, -dopo aver finito di ridere tenendosi la pancia- ti aiutava a rialzarti.
Colui con cui, puntualmente, dovevi dividere l'ultima merendina rimasta.
Sì, insomma, colui che ti tirava le treccine per farti piangere e che poi, per farti smettere, ti dava il permesso di tirargli i capelli.
Sorrisi come un'abete al ricordo di tutti quei piccoli episodi che avevamo condiviso da sempre, tutte le volte che ci eravamo aiutati a vicenda, che avevamo litigato e che ci eravamo abbracciati dopo esserci sfogati.
Ogni mio ricordo, ogni mio momento, ogni mio attimo di vita, c'era lui a condividerlo con me.
Il trillo assordante della campanella mi portò brutalmente alla realtà, facendomi -a mio malgrado- ricordare di essere ancora a scuola.
Raccolsi le mie cose da sopra al banco e le gettai alla rifusa nella borsa, senza badare all'ordine, e mi avviai fuori dalla classe.
Quando raggiunsi il cortile, avvertii il cellulare vibrarmi in tasca e quando lo presi, vidi la busta dei messaggi lampeggiarmi sul display: ti aspetto a casa per mangiare, sono da solo. Justin.
Inevitabilmente mi sentii il cuore accelerare di battiti.
Io e Justin, da soli.
Io e Justin, che non ci eravamo più visti da quel fatidico bacio, dopo che -livida dall'imbarazzo- mi ero alzata dal letto, e lui si era sistemato alla meglio, balbettando una scusa per poi andarsene.
Io, e Justin che aveva preso la febbre quando a me era passata.
“Come mai quel sorriso da abete, Davis?” Sobbalzai quando una mano mi si appoggiò sulla spalla, parlandomi un po' troppo vicino all'orecchio.
“Cretino.” Borbottai a Ryan, scostandomi dalla sua mano. 
Mi avviai senza dargli conto, mi sentivo come un bambino che veniva sorpreso con le mani nel barattolo della nutella.
“Ehi, Davis.” Mi urlò di rimando, raggiungendomi in un paio di falcate.
Sbuffai, voltandomi verso di lui. “Che vuoi, Ryan?” Domandai, spazientita.
Poteva anche essere uno dei migliori amici di Justin, ma non mi era mai stato molto simpatico.
“Non vedo Justin da un po', quand'è che si decide a riportare il culo a scuola?” Domandò, credendosi simpatico.
Ripresi a camminare, sperando di riuscir a staccarmelo di dosso. “Ha la febbre, sto appunto andando da lui.”
Con l'angolo dell'occhio, lo vidi sorridere sornione. “Allora possiamo fare la strada insieme.”
 
Arrivati fuori casa di Justin, cambiai la mia opinione su Ryan da “totalmente insopportabile” a “insopportabile”, avevo scoperto che con gli anni era diventato meno buffone di quanto credessi.
“Allora..” iniziò, poggiandosi con la schiena al muro. “È vero ciò che dicono su di te e Justin?” Domandò, inarcando un sopracciglio.
“Cosa? Certo che no.” Sbottai, indignata. “Vorrei sapere chi ha messo queste stupidi voci in giro.” Continuai, cercando di sembrare quando più credibile possibile.
“Nessuno, Liz. Semplicemente mezza scuola vi ha visti lasciare insieme la festa per il tuo compleanno, e nessuno di voi due era sobrio.” Osservò, corrugando la fronte.
Mi mordicchiai il labbro in evidente imbarazzo, sia perché non era difficile fare due più due, sia perché mi sentivo ancora un po' in colpa per aver scaricato tutta la colpa su Justin senza prima informarmi meglio.
“Ora devo proprio andare, Justin mi aspetta...” Gli feci osservare, andando verso il citofono.
“Ci vediamo?” Domandò, guardandomi maledettamente serio, e mi chiesi cosa nascondesse quella frase.
“Certo, ci vediamo in giro.” Risposi, bussando al campanello di Justin.
Vidi Ryan fare qualche passo, per poi voltarsi indietro. “Magari, se ti va, potrei chiedere a Justin di abbassare le difese anti-ragazzi che ha alzato su di te.”
 
“Dai, Liz, basta studiare.” Sbuffò Justin, tirandomi i libri di mano.
Non mi opposi, studiare era una delle cose che più odiavo al mondo.
Studiare la matematica, poi; ancora non riuscivo a capire in che universo parallelo mi sarebbe mai potuto tornare utile quell'insieme di numeri e lettere.
Incrociai i piedi sul divano, appoggiando la testa sulla spalliera del divano.
“Ho la febbre.” Borbottò Justin, appoggiando la testa sul mio petto.
Il respiro mi si mozzò in gola, nonostante quello fosse un gesto che aveva ripetuto milioni di volte.
“Il cuore ti batte velocissimo, in questo momento.” Soffiò Justin, alzando lo sguardo verso di me.
Che capitano ovvio, che era.
Mi soffermai a guardarlo: gli occhi lucidi per la febbre, le guance colorate di rosso, il naso perfetto, l'espressione corrugata, le labbra imbronciate.
Era inutile negarlo, era un ragazzo davvero stupendo, dentro e fuori.
Ed era lì, a pochi centimetri di distanza da me.
Mentre la paura di perderlo era tanta da farmi salire le lacrime agli occhi, così, improvvisamente, senza ragione.
“Liz, cos'hai?” Mi domandò premuroso, alzandosi dal mio petto per osservarmi attentamente.
“Niente.” Brontolai, sentendomi stupida.
“Vieni qui, piccola.” Sussurrò, aprendo le braccia.
Non me lo feci ripetere due volte, mi ci gettai letteralmente, sentendo le sue braccia circondarmi le spalle e circondandolo a mia volta, intorno alla vita.
Ed eccolo lì: il mio posto preferito, il mio posto nel mondo.
Protetta, al sicuro, felice, spensierata, armoniosa, me stessa: era così che mi sentivo tra le braccia di Justin, in pace con il mondo, con me stessa, capace di prendere a pugni il mondo intero.
“Oggi ho visto Ryan.” Borbottai, cercando di cambiare argomento.
“È per questo che piangi?” Domandò, con uno strano tono di voce.
“Non sto piangendo.” Sbottai, stringendomi di più a lui. “E comunque, no. Mi ha chiesto quando hai intenzione di tornare a scuola...”
“Solo questo?”
“No... mi ha accompagnata da te...” Lo sentii irrigidirsi. “E, sostiene che tu abbia delle difese “anti-ragazzi” su di me...” Sussurrai, storcendo il naso.
Si mosse irrequieto sotto di me e percepii i muscoli delle sue braccia che mi circondavano diventare improvvisamente tesi.
“Liz, stai lontana da Ryan, non è un buon amico per te.” Grugnì.
“Ehi.” Lo ammonii, alzando il volto verso di lui. “È così che parli dei tuoi amici?”
“Ho detto che non è un buon amico per te, non per me.” Mi fece notare, rivolgendomi uno dei suoi sorrisini tanto odiosi.
Provai a divincolarmi dalla sua stretta, ma mi tenne saldamente ancorata a sé.
Non mi dispiaceva restare così, solo che se volevo spegnere i spiriti bollenti, sarebbe stato meglio evitare certe situazioni ambigue.
E, ero sicura, anche lui aveva notato l'ambiguità della nostra posizione.
“Stai ferma.” Sbuffò, alzandomi il volto verso di lui. 
Mi ritrovai a pochi centimetri dal suo volto, un'altra volta.
“Lasciami.” 
“Posso baciarti?” Soffio sulle mie labbra, spiazzandomi.
Rimasi impietrita, guardandolo come se stesse parlando un'altra lingua.
E non aspettò una mia risposta, semplicemente si avventò sulla mia bocca, con ingordigia, passione e adorazione.
E io risposi con altrettanta venerazione, aggrappandomi a lui in stile koala.
E non si fece molti scrupoli ad afferrarmi i capelli e farmi inclinare la testa all'indietro, per avere libero accesso alla mia bocca.
“Justin.” Cosa stai facendo?
Ma non continuai, e lui approfittò di quel mio attimo di esitazione per lambirmi le labbra con la lingua.
Rimasi inerme, sotto il suo tocco, mentre con una mano mi teneva ferma la testa e con l'altra mi massaggiava il fianco, sotto la maglia.
Mentre, lentamente, la sua lingua si faceva spazio tra le mia labbra, dandomi quel bacio che avevo tanto agognato la settimana prima.
E, stanca di farmi problemi, di pensare dieci volte prima di agire, vogliosa di prendere ciò che volevo, risposi al suo bacio stringendo la sua lingua alla mia.
Gli tirai qualche ciocca di capelli, cercando di riprendere fiato, e presi a mordicchiargli il labbro inferiore.
“Liz, cazzo.” Ansimò, scendendo a baciarmi il lembo di pelle dietro l'orecchio, per poi scendere lungo al collo.
Il collo, cazzo, il collo. Oramai priva di lucidità, coscienza e neuroni, gettai la testa all'indietro.
E lui apprezzò, tanto da stendermi sul divano per mettersi sopra di me.
Scese, sempre più giù, lasciandosi dietro una scia di saliva umidiccia, giù per il collo, fin sopra alla gola.
Arrivò a baciare il solco tra i miei seni, e fu allora che parlò.“Dovremmo replicare l'esperienza, sai? Da sobri. Meriti un'esperienza più completa.”



* * *
 


Giù i forchettoni, gente! So che non vi ho lasciato proprio nella migliore delle maniere... la proposta di Giustino ʘ‿ʘ
Sono tornata, sono tornata, SIAMO tornati!
Prima di quanto vi aspettaste, ammettetelo.
Dovrei mettere dei giorni di pubblicazione, tipo, che ne so, aggiornare Liz tutti i lunedì... ma ho paura che poi non rispetterei i tempi.
Ok, cerco di fare questo spazio autrice sempre quanto più corto è possibile, ma ora ho bisogno di spiegarvi un po' la situazione quindi, sopportatemi.
Cosa da precisare: Davis è il cognome di Liz.
E sempre Liz ha una paura fifa di perdere Justin, lui è il suo porto sicuro.
Come potete vedere, non compaiono mai i suoi genitori: tranquilli, sono vivi e vegeti, ma mai presenti.
È anche per questo che Liz è così morbosamente attaccata a Justin, lui è anche la sua famiglia... insomma, lui è tutto.
E Justin... è il MIO Justin. È come io l'ho sempre immaginato nella realtà: premuroso ma stronzo, immaturo ma maturo quando serve, incosciente, sempre presente, orgoglioso, dolce.
È per questo che lo amo da morire.
E Liz è me caratterialmente: ho paura di perdere le persone, sono caparba, orgogliosa, fedele, sincera, stronza.
Questa non è una coppia, per me, questa è LA coppia.
E poi stanno diventando hot *sospira* ma non illudetevi *tossisce*.
Per quanto riguarda Justin, sia lui che Liz prima della fatidica notte non si sono mai visti in diversi panni se non i quello di due migliori amici... ma sapete com'è, una notte bollente incendia gli spiriti bollenti (?) lol, sono squallida.
Ci saranno molti sbalzi umorale di Justin, lo vedremo passare da cucciolo-dolce-amorevole a stronzo-egoista-orgoglioso, don't worry, tutto calcolato.
E comunque... per voi Liz deve accettare la proposta di Justin? Aw, che domande inutili, sono sicura che non volete! AHAHAHAHAHAHA, SCHERZO LOL.
Ah, e tenete sott'occhio Ryan... a me non la conta giusta.
Sono ripetitiva se dico che AMO AMO AMO AMO le vostre recensioni e voi? Mado'. Ah, e amo anche gli altri voi con i vostri mi piace :3

Alla prossima, ragazzuole mie.

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Capitolo 7
*** Dappertutto ***




7. Dappertutto

 

Sbarrai gli occhi, pensando, temendo e sperando di aver capito male.
Il cuore mi schizzò fuori dal petto: codardo, ingenuo ed eccitato.
Cercai di regolarizzare il respiro, il quale mi trapelava tra le labbra spezzato e frammentato.
Strinsi gli occhi, cercando di capire fin dove arrivasse la realtà e da dove scendesse in gioco la fantasia, ma era tutto terribilmente reale: il corpo di Justin schiacciato sul mio, il suo fiato corto sul mio collo scoperto, il mio cuore palpitante.
Socchiusi gli occhi, registrando l'immagine di Justin, il quale mi guardava come solo un animale affamato poteva guardare la propria preda.
Gli occhi lucidi e non dalla febbre, le labbra schiuse e bagnate, le gote arrossate, il respiro eccitato.

Cercai di metabolizzare la sua proposta, se così si potesse chiamare, ma sembrava tutto troppo folle e irrazionale per poter essere preso sul serio.
Gli ormoni, scellerati e traditori, gridavano 
“si” da ogni poro della mia pelle, ma una piccola vocina mi sussurrava che, quello, era un percorso che una volta intrapreso non sarei più riuscita ad abbandonare.
Ingoiai un magone di saliva, cercando le parole giuste per parlare. “Non voglio che le cose tra di noi cambino.”
La frase più scontata al mondo, le parole più sincere che potessi dirgli.
Avrei voluto urlargli quanta paura avessi di perdere anche un solo frammento di ciò che era la nostra amicizia, quanta paura avessi di rovinare tutto, ma l'unico neurone sano che mi era rimasto, mi suggeriva di darci dentro in tutti i modi possibili immaginare.

Justin mi osservò, guardandomi dritto negli occhi, scavandomi dentro, nel profondo, nell'animo, nei desideri. 
E mi sentii messa a nuda dal suo sguardo indagatore; avevo una tremenda paura che il mio fiato corto o le mie gote arrossate mi tradissero, facendogli capire quanto intimamente lo stessi desiderando.
“Liz...” sussurrò, facendo aderire completamente il suo corpo contro il mio. “Vogliamo entrambi la stessa cosa, non c'è niente di male, no?” Domandò, retorico.
Ansimai vergognosamente quando percepii la veridicità delle sue parole, il suo corpo parlava molto bene.
Socchiusi gli occhi, stordita da quell'inaspettato contatto intimo.

“Il tuo corpo parla per te, Liz. Non fermarmi.” Mi sussurrò, contro l'orecchio.
Poi la terra mi mancò da sotto ai piedi, e non solo in senso metaforico.

Il tratto dal divano alla sua camera fu minimo, quasi inesistente, soprattutto per me visto che mi prese in braccio.
Mi aggrappai al suo collo, lasciandogli un bacio dietro l'orecchio, inspirando il suo odore.
Si sedette ai piedi del letto e mi appoggiò a terra, in piedi, difronte a lui.
Mi sentii piccola, immatura, impacciata ed inesperta.
Ma, dopo poco, dimenticai qualsiasi rumore, colore, pensiero; esisteva solo una cosa: le sue mani che -delicate- prendevano a sbottonarmi la camicia, bottone dopo bottone.
Sfilando, con una lentezza esasperante, ogni bottone dalla propria asola.
Vidi chiaramente il suo sguardo sciogliersi -e qualcosa indurirsi, lasciatemelo dire- quando il cotone del mio reggiseno fece capolino.
Sempre più giù, fino ad intravedere l'ombelico.
Sempre più giù, fino ad aprirla completamente.
Il suo sguardo eccitato non mi diede motivo di sentirmi fuori luogo, anzi, per la prima volta in vita mia mi sentii donna, una donna desiderabile.
Lasciò la camicia così, aperta, facendo si che l'intero reggiseno facesse la propria comparsa.
Passò invece ai jeans, infilando le dita all'interno dei passanti per strattonarmi più vicina a sè.
Mi tremarono le gambe quando avvertii chiaramente il suo respiro caldo sulla mia pancia, e mi dovetti aggrappare alle sue spalle per non cadere in ginocchio.
Mi sentivo le gambe mollicce, e ogni terminazione nervosa sembrava che si stesse concentrando nel bassoventre.
Sfilò anche il bottone dei jeans, e abbassò la cerniera, trasformando ogni gesto in un lungo e tortuoso preliminare.
Infilò i due pollici all'interno dei miei jeans, e li accompagnò nella loro discesa, lungo le cosce, le ginocchia, i polpacci, le caviglie e poi lì abbandonò, privi di vita, ai miei piedi.
Mi diede una mano, aiutandomi ad uscirne, e scalciai quell'impicciò lontano da me.
Justin alzò lo sguardo, mangiando con gli occhi ogni millimetro del mio corpo, soffermandosi su ogni segno, su ogni forma, scendendo con lo sguardo sempre più giù, soffermandosi sui miei punti strategici e non potei evitare di arrossire, stupidamente.
Probabilmente non notò il mio imbarazzo, poiché affondò il volto contro il mio ventre, respirando rumorosamente.

“Sei perfetta Liz, perfetta. Voglio baciarti...” sussurrò, guardandomi negli occhi. Dappertutto.” Aggiunse.
Quell'ultima parola suonò come una promessa, una minaccia, una preghiera.
Ma non sapetti come interpretarla, poiché come sempre non mi diede tempo di ragionare: si alzò in piedi, sovrastandomi, e mi stese di schiena sul letto.
Il contatto della mia pelle calda con le coperte fredde mi fece rabbrividire, ma fui distratta dalle mani di Justin che mi liberarono dalla camicia, gettandola solo Dio sa dove.
E dalle sue labbra, che si tuffarono sulla mia bocca.
Baciarlo fu come respirare di nuovo, e mi aggrappai a lui con una forza che neanche sapevo di avere.
Lo baciai con avarizia, stringendolo a me, sancendo la mia resa.
E mi fu il mio momento di liberarlo dalla maglia, e fu il suo momento di liberarmi dal reggiseno.
Sentire il suo petto a contatto con il mio seno nudo fu la sensazione più intima di cui avessi ricordo; fu appagante, meraviglioso e indimenticabile.
Ma era niente rispetto al momento in cui scese a baciarmi il seno con adorazione, passione e ingordigia.
E mi inarcai sotto di lui, dal piacere.
E mi chiesi come avremmo fatto a dimenticare tutto ciò, come avrei fatto a guardarlo negli occhi senza ricordare ogni santa volta con quanta venerazione mi avesse baciata, toccata e ascoltata.
Poco delicatamente, mi tirò un capezzolo con i denti, cancellando qualsiasi dubbio mi stesse assalendo.
Mugugnai contrariata, ma nel frattempo il suo naso disegnò una linea verticale lungo il mio stomaco, arrivando al bordo dei miei slip.
Inarcai il bacino: volevo che togliesse quell'impiccio.
Sfacciata, forse, eccitata e portata al limite, sicuramente.
Accettò con piacere il mio invito e non se lo fece ripetere una seconda volta: con le dita, accompagnò lungo la discesa anche quell'ultimo indumento.
E rimasi nuda, completamente, dentro e fuori.
E rimasi nuda -nella stanza in cui avevo passato l'infanzia e l'adolescenza- con il mio migliore amico inginocchiato tra le mie gambe.
E con la voce smorzata dal desiderio, parlai. 
“Baciami.
E lui lo fece, mantenendo la promessa.
Lo fece, dappertutto.

QUI SI COLLOCA IL MISSING MOMENT ROSSO

 

“Ti sei accorta di aver urlato?” Domandò, retorico, stringendomi contro di sè.
“Non è vero, cretino!” Borbottai, indignata, staccandomi da lui.
Avevamo, uno alla volta, usufruito del bagno, e poi ci eravamo infilati di nuovo a letto dopo aver, entrambi, indossato le mutande.
Era stato più naturale del previsto, dopo aver consumato l'amplesso, rimanere a letto stuzzicandoci come sempre.
Non c'era imbarazzo, o forse ancora non lo recepivo dato che eravamo entrambi ancora nella bolla di passione.
Non avevamo fatto sesso, ma avevamo condiviso la nostra intimità in modo ancora più delicato, dolce e passionale.

“Certo che sì.” Rispose, sogghignando.
Sbuffai, e mi voltai di spalle.
Avvertii le sue labbra baciarmi la spalla, risalendo lungo il collo e -inaspettatamente- la sua mano mi afferrò il seno destro.

“Ehi, ehi, ehi.” Grugnii, scostandomi. “Puoi gentilmente dire al tuo amico dei piani bassi che per oggi ha già avuto abbastanza?” Domandai, sogghignando a mia volta.
Justin mi guardò, assumendo quel mezzo sorriso fastidiosamente irritante. 
“Non vuoi usufruire dell'alzabandiera?
Gli tirai un cuscino in piena faccia, scivolando fuori dal suo letto esasperata, divertita e -inconsciamente- spaventata.






* * *
Volevo chiedere, prima di tutto, chi può accedere al rating rosso e chi può leggere il missing moment che pubblicherò!
Se riceverò TROPPI no, potrebbe essere eliminato.
Se, invece la maggioranza può leggerlo... ci vediamo mercoledì in rosso 
ʘ‿ʘ


GENTE, GENTE, CARA GENTE.
Ho, finalmente e giustamente, usufruito di questo rating arancione.
Spero di non aver esagerato, qualora fosse così, ditemelo e procederò a rimediare tagliando qualche parte!
Ho cercato di descrivere meno possibile, per non disturbare nessuno, ma nel frattempo questa è una storia a rating rancione e credo di averne usufruito senza esagerare.
Ora qualche piccolissima precisazione sul capitolo, poi mi dileguo:
si sono stuzzicati, voluti, attratti, e di conseguenza si sono avuti.
SOPRATTUTTO: NON HANNO FATTO SESSO, LOL.
A 16 e 18 anni -come loro- non si è più bambini e quindi si pensa di ormoni e di follia, si è immaturi e sconsiderati, e loro lo sono ampiamente.
Qualcuno si è preoccupato che questa storia potesse avere vita breve... bhe, vi dirò che se continuerete a seguirmi così, non vi liberere facilmente di me, Liz e Justin.
Approfitto per dire che NOI, io, loro e voi, siamo tra le storia più popolari su Justin, e quindi un grande IMMENSO a tutti voi: GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE.
Non mi sarei MAI aspettato tutto ciò, io scrivo perché per me scrivere è amore, passione, liberazione, è uno sfogo e, grazie a voi, è anche una gratificazione.
120 recensioni in soli 6 capitoli, ho detto tutto. 
69 (...chiamasi coincidenza) preferiti, 16 ricordati e 52 seguiti, centinaia di mi piace... cazzo, santo Drew.
SIETE MAGNIFICE.

A PRESTO, RAGAZZIE MIE 

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Capitolo 8
*** Disillusioni ***




8. Disillusioni

 

Il mattino dopo mi svegliai con uno strano presentimento, come se qualcosa mi gridasse di restarmene buona a casa ed evitare qualsiasi catastrofe mi stesse aspettando al di fuori della porta, ma ovviamente io ero quel tipo di persona che -come un treno- prendeva le catastrofi in pieno.
E così scacciai deliberatamente quel pensiero macabro e, ancora in pigiama, mi diressi in cucina per fare colazione.
Insolitamente, i miei genitori erano a casa, anche se odiavo l'immagine di mia madre che pasticciava ai fornelli e mio padre al computer, sempre attaccato al lavoro anche quando al lavoro non era.

“Buongiorno.” Borbottai, con la voce ancora impastata dal sonno.
“Liz, cos'hai combinato? Sei bianca da far paura!” Esclamò la mia dolce mamma, avvicinandosi con la tazza del latte e i cereali.
Non sopportavo la finta premura che dimostrava nei miei confronti quando era a casa.
Non si può fare la madre nei fine settimana, pretendere di poter conoscere un figlio quando l'unica cosa che fai per lui è comprargli cibo già pronto, o fare l'amica quando neanche sai fare il genitori.
Sospirai, afflitta, in fin dei conti non avevo il diritto di lamentarmi in quanto, almeno io, i genitori li avevo.
Forse era stata anche colpa della mia mancanza di affetto se mi mostravo così ossessivamente attaccata a Justin, lui aveva riempito ogni mio spazio vuoto, mi aveva riempita, totalmente.
Sorrisi, stupidamente.

“Liz, ti sto parlando, guardami!” Sbottò mia madre, posando bruscamente le mani sul tavolo.
Sobbalzai, e non per il tono di voce.

“Liz, guardami.” Le sue mani, la sua bocca, il suo tocco, il suo alito.
Era tutto dentro, sopra, fuori, sotto al mio corpo.
E le emozioni mi stavano scoppiando nel cuore, la vista appannata dal piacere.
I miei occhi nei suoi, mentre la sua bocca era su di me.

Arrossii vistosamente, e posai il cucchiaio nella tazza, improvvisamente priva di fame.
“Scusa mamma, è che ho un appuntamento con un'amica e sono in ritardo.” Mentii, alzandomi dal tavolo.
Sbuffò, ma per mia fortuna non replicò, e ne approfittai per sgattaiolare in bagno.
Mi lavai, senza urgenza, e mi vestii, prendendomi tutto il tempo di cui necessitavo.
Pronta per uscire, mi sedetti ai piedi del letto, prendendo il cellulare tra le mani.
Dovevo chiamarlo o meno? E se ancora non era sveglio? La domenica mattina era meglio non contare su Justin, poiché di lui restavano solo i residui del sabato sera.
Digrignai i denti al pensiero di ciò che avrebbe potuto fare; non ero stupida, e il sabato sera in discoteca non c'erano sicuramente tutte sante e suore.
Quel pensiero mi provocò una strana fitta nello stomaco, una fitta che sapeva di irritazione, rabbia e sconfitta.


“Lo vuoi? Non ne voglio più.” Mi lamentai, porgendogli il mio gelato sgocciolante.
Mi guardò, inarcando un sopracciglio. 
“Visto che l'ho pagato io, dai qua.” Rispose, sfilandomi il cono dalle mani.
Mi pulii le mani su un fazzoletto, anche se mi rimasero appiccicose. “Senti..” cominciai, guardandolo mentre leccava il gelato.
“Sai per caso che fine ha fatto Justin?” Gli domandai, mordicchiandomi il labbro inferiore.
Ryan si voltò verso di me, guardandomi con le labbra rese bianche dal gelato, e lo osservai passarsi la lingua sul labbro inferiore e poi su quello superiore, guardandomi dritto negli occhi.
Scrollò le spalle con noncuranza, prima di rispondermi. 
“L'ho visto andare via con una tipa, ieri sera in discoteca.” Buttò lì, leggero.
Provai di nuovo quella fitta allo stomaco mista di irritazione, rabbia e sconfitta.
E mi sentii proprio così, stupida, illusa e schifosamente ingenua.
Odiai me stessa per quelle emozioni che mi si attorcigliarono nello stomaco, ma più di tutto odiai il modo in cui stavano cambiando i miei sentimenti.
Ero indubbiamente ferita, ma non perché mi aspettassi qualcosa da lui, semplicemente perché mi aspettavo troppo da me stessa.
Avevo sperato e mi ero illusa che, nonostante l'intimità che avevamo condiviso, per me sarebbe rimasto tutto uguale, che sarei ugualmente riuscita a mandar giù la sua solita intensa attività fisica.

“Ah.” Mormorai, facendo involontariamente trapelare la mia illusione mista all'irritazione.
Mi mordicchiai l'interno della guancia, finché non sentii il sapore rugginoso del sangue invadermi la bocca.
Mi ammonii mentalmente, alla fin dei conti Justin aveva la sua vita e io aveva la mia, eravamo sempre e solo amici... o forse solo amici un po' più intimi.

Ryan mi si avvicinò un po' troppo per i miei gusti, ma prima che potessi ammonirlo, mi precedette. “Parli del diavolo...” Soffiò, guardando dietro di me.
Lo sentii prima di vederlo, le sue mani che si appoggiavano alla base del mio collo, infilandomi i polpastrelli sotto il cappuccio della felpa.
“Due piccioni con una fava.” Notò, stringendomi le mani sulle spalle in modo possessivo.

“L'ho visto andare via con una tipa, ieri sera in discoteca.” Mi scostai infastidita dalla sua presa, ricordando le parole di Ryan.
Quest'ultimo ci guardò con fare sospetto, ma non mi ci soffermai più di tanto.
Invece, probabilmente, a Justin non passò inosservato il mio gesto infastidito.

“C'è qualcosa che non va, Liz?” Domandò retorico.
Mi girai per guardarlo, e non so se provai più rabbia o delusione, so solo che lo guardai con lo sguardo pieno di rammarico.
Sapevo benissimo che era sbagliato ciò che provavo, ma non potevo fare a meno di sentirmi usata, quasi violata.

“Va tutto bene, stavo solo andando a casa.” Mentii, alzandomi in piedi.
“Vieni, ti accompagno.” E non era una domanda.

Camminammo in silenzio, fianco a fianco, fino ad arrivare nella stradina isolata che portava a casa mia.

“Vuoi gentilmente dirmi cosa ti è successo, Liz?” Sbottò Justin, con il tono di voce infastidito.
Mi fermai, voltandomi a guardarlo.
Non volevo affrontare quella discussione, conoscevo me e conoscevo lui, sapevo perfettamente che avremmo finito per litigare.
Sospirai, prima di parlare. 
“Niente, Justin.
Digrignò i denti, passandosi nervosamente una mano tra i capelli, socchiudendo gli occhi per un istante.

“Dio Liz, non posso leggerti nel pensiero, perciò te lo ripeto di nuovo: vuoi dirmi che cazzo è successo?” Ringhiò, guardandomi dritto negli occhi.
Lo guardai, senza capire come potesse, tra i due, essere lui quello offeso.
Ero assolutamente io quella che aveva il diritto di essere offesa, illusa, ferita e umiliata.
Ero io quella che si era schifosamente illusa, ero io quella che stava maledettamente soffrendo.
Ero io, così come era mia la colpa di tutto quel macello.
Non avrei dovuto provare ciò che provavo, non sarebbe dovuto accadere nulla di ciò che era accaduto.
Ma indietro non si torna, e per quanto lo desiderassi, non potevo cambiare ciò che stava accadendo. 

Parlai con rabbia, dolore e maturità. “Vuoi sapere cosa mi è successo? Eh? È successo che mi fai schifo, ecco cosa è successo!” Gli gridai contro, urlando con tutto l'aria che avevo nei polmoni.
Mi aveva portata allo stremo, voleva che parlassi e l'avrei fatto. 
“C'è che mi hai usata, ecco cosa c'è. C'è che sei andato ad infilarti nel letto di un'altra quando nel tuo letto ancora c'era il mio odore. Dio Justin, mi fai pena!” Urlai, urlai e urlai ancora.
Sfogandomi, liberandomi di tutte quelle parole che mi si erano annodate nello stomaco, vomitandogli addosso tutto il mio risentimento.
E non m'importava se avrei fatto la figura della ragazzina stupida, immatura o quant'altro, io avevo dei sentimenti, e non gli avrei permesso di ferirli ancora.
E lui mi guardò ancora una volta come si guarda un animale selvatico.

“Cazzo, Liz, calmati!” Urlò di rimando, avvicinandosi.
Mi scostai, guardandolo disgustata. 
“Non.Avvicinarti.” Ringhiai, allontanandomi.
La rabbia mi ribolliva dentro come lava incandescente, e rischiavo di esplodere seriamente da un momento all'altro.
Non sapevo da dove uscisse fuori tutto quel risentimento, era qualcosa di totalmente sconosciuto per me.
E ovviamente, qualcosa che volevo assolutamente eliminare.

Ma tutto quello schifo di sentimenti era lì, esattamente come lo era Justin. “Non so di cosa stai parlando, Dio.” Sospirò, sconfitto, abbassando il tono della voce.
Continuava a prendermi in giro, nonostante tutto. 
“Ah, non lo sai?” Domandai, ironica.
“Allora dimmi.” Continuai, avvicinandomi. “Ieri sera, dopo che ho lasciato casa tua, il tuo letto, non sei andato a scoparti nessuna?” Sussurrai, con tono di voce glaciale.
Justin sgranò gli occhi, guardandomi come se l'avessi colpito con uno schiaffo.
E io improvvisamente sono tornata ad essere solo la tua migliore amica, vero?

“Liz...” soffiò, avvicinandosi.
Mi allontanai, nuovamente.
E lui mi guardò con aria afflitta, nuovamente.
Tutta quella situazione era così anormale, tutti i sentimenti che mi stavano soffocando da dentro erano assolutamente al di fuori della norma.
Mi sentivo soffocare, letteralmente, come se mi privasse della volotà di respirare.
E forse non volevo respirare, perché ogni inspiro sapeva di fuoco, rabbia e lacrime.

“Justin.” Gemetti, di rimango, mentre la prima lacrima mi solcava il viso.
Avevo esaurito la rabbia, e ora iniziava la delusione.

“Mi dispiace.” 
“Non devi scusarti.” Risposi, asciugandomi la lacrima.
Solo che a quella lacrima ne susseguirono altre, e mi bruciarono il volto, una dopo l'altra, rigandolo, marchiandolo, bruciandolo.
E anch'io stavo bruciando, da dentro.
E mi sentivo in bilico su di un filo, e proprio come un'equilibrista, potevo cadere da un momento all'altro.




* * *
 


DELLA SERIE: CHI NON MUORE SI RIVEDE, LOL.
Sto scrivendo questo capitolo dalle tre di oggi pomeriggio, e c'ho messo tre ore per scrivere tutto sto casino.
So che non è uno dei miei capitoli migliori, ma spero che apprezziate il mio lavoro ugualmente t.t
Ora veniamo al capitolo, dai.
Dovete sapere che io ho sempre avuto un'ossessione verso Ryan, quindi non sottovalutatelo lol.
Justin che fa lo stronzo.. ho sempre detto che non sarebbe stato sempre dolce.
Ovviamente essendo giovane, il sabato sera fa strage, ahahaha.
Io adoro Liz, perché è dolce, ingenua, fragile... bho, la trovo una ragazza troppo cucciola, hbgnfjdgvf.
Quindi, ho finito.
Vi ricordo che 
qui c'è il missing moment rosso del capitolo 7 :)
La messa è finita, andate in pace, lol.

AH, SI.
UN ENORME BACIO/ABBRACCIO ALLE 39 RECENSIONI DELLO SCORSO CAPITOLO.
NON ME LE SAREI MAI ASPETTATE.
39.
CREPO
.

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Capitolo 9
*** Usa e getta ***




9. Usa e getta

 

Voltai le spalle e me ne andai, percorrendo i pochi passi che mi dividevano da casa senza mai voltarmi indietro.
Me ne andai, camminando con il volto bagnato, la morte nel cuore e il sorriso sotto ai piedi.
Masticai i passi, tremai immobile, respirai il dolore.
La sofferenza era nulla se messa in confronto alla rabbia, la vergogna e l'umiliazione.
Mi sentivo lava incandescente: pericolosa, ribollente e pronta a distruggere tutto.
L'umiliazione mi bruciava vivida sulla pelle, senza darmi modo di respirare o ragionare, era lì tutto accumulato: l'immagine di lui che, dopo avermi toccata, baciata e accarezzata, si infilava tra le gambe di un'altra.
Era.. cosa? 
Disgustoso, ripugnante, deplorevole.
Senza rispetto, né riguardo, nei miei confronti.
Non mi aspettavo che si sarebbe astenuto dal sesso per tutta la vita, ma in cuor mio speravo che avrebbe almeno avuto la coerenza di lasciar passare qualche giorno.
E invece mi ero sbagliata, ancora una volta.
E avevo fatto la scenata da amica gelosa, come sempre.
E ne ero uscita a pezzi, ancora una volta.
Arrivata a casa mi barricai nella mia camera, lasciando ogni spiffero di sole, gioia e vita al di fuori della mia stanza, rinchiudendomi nell'oscurità: esterna e interna.
La voragine nel mio petto si dilatò, alimentando la stretta che percepivo allo stomaco.
E mi consumava dall'interno, lasciandomi corrodere nei miei stessi rimorsi, rimpianti e errori.
Avevo sempre tenuto alla larga i ragazzi, trattando il mio corpo con riguardo, riservandomi al ragazzo che mi avrebbe amata, capita e non usata, ma un bicchiere di troppo era bastato a mandare tutto all'aria.
O forse qualcosa più di un bicchiere di troppo.
Eravamo giustificati da incoscienti, sciocchi e ubriachi, ma non da lucidi, sobri e coerenti.
Allora l'unica domanda che mi sorgeva spontanea era: perché l'avevamo rifatto?
Perché ci eravamo trovati da soli, in una casa vuota, dopo non esserci visti per giorni?
Perché lui era in astinenza da troppi giorni?
Perché non avevo saputo resistere al suo tocco, al suo respiro, al suo corpo?
Perché stava diventando tutto così maledettamente complicato, contorto e impossibile?
Non avevo risposte, ma di una cosa era consapevole: la nostra amicizia stava diventando qualcosa di più complesso e meno sincero.

I miei genitori non tornarono per cena, come sempre, e la mia cena rimase intatta in frigo.
Il brontolio dello stomaco sottomise un po' la voragine, e andai a dormire, beandomi dell'incoscienza notturna.
O almeno così speravo.

“Dai, Liz un altro shot.” Mi incitò Susanne, passandomi il bicchierino.
La testa mi girava, tutto sembrava girare attorno a me, ma mi sentivo incredibilmente invincibile.
Afferrai lo shot e lo buttai giù, tutto d'un fiato, assumendo una strana smorfia quando avvertii il forte bruciore alla gola.
E gli shot si susseguirono, fino a farmi perdere il lume della ragione.

“Ora voglio ballare.” Urlai, ridendo senza motivo.
Mi alzai, tirandomi dietro qualche amica, e ci buttammo in mezzo alla massa di gente presente nella discoteca.
Non facevo caso contro chi mi strisciavo, non davo conto ai sorrisi poco ingenui che mi venivano rivolti, tutto sembrava divertente, tutto sembrava possibile.
Finché non urtai contro qualcuno.

Gli sorrisi, gettandogli le braccia al collo.
E lo feci: gli strisciai addosso,
letteralmente, sorridendogli sornione.
Il suo sguardo rimase serio, lucido, attento.
Come un predatore.
Sorrisi soddisfatta del suo sguardo liquido e congiunsi le mani dietro la testa, alzando i gomiti, per poi avvicinarmici.

“Perché sei così serio?” Gli chiesi, afferrandogli il primo bottoncino della camicia.
“Perché sto cercando di controllarmi.” Rispose, serio.
“Non devi mica controllarti.
” Gli feci notare, avvicinandomi ancora di più, comportandomi da gatta molta, decisamente.
“Sono ubriaco, e voglio baciarti.
“Allora fallo.
Non riuscii neanche a finire la frase, la sua bocca si avventò vorace sulla mia, facendosi spazio tra le mie labbra.
La sua lingua trapelò nella mia bocca, baciandomi quasi con violenza, mangiandomi, gustandomi, assaporando ogni sapore, ogni emozione, ogni battito.
Il suo sapore mischiato all'alcool non mi disturbò più di tanto, presa dalla foga del momento non mi avrebbe mai dato fastidio nulla.
C'era solo il suo sapore.
E il suo calore.
E il mio braccio che si attorcigliava attorno al suo collo.
E il suo braccio che mi stringeva la vita con possessione, spingendomi contro di sé.
“Justin.” Gemetti, mentre mi spingeva nei bagni.
Poi il resto è storia, ricordavo benissimo gli scambi di effusioni contro la porta del bagno degli uomini.

Sobbalzai dal sonno, strappandomi così dalle braccia di Morfeo.
Mi premetti una mano sul petto, cercando di fermare il cuore, di diminuire il battito, aiutandolo a non arrancare.
Inspirai ed espirai, proprio come quando stai per partorire, ma il cuore continuava a galopparmi all'impazzata.
E le mani mi tremavano, così come le gambe.
Avevo la pelle d'oca, un mezzo sorriso sulle labbra, e le ciocche di capelli a coprirmi il viso.
Tutti quei ricordi erano così vividi e palpabili, come se li avessi appena vissuti, sentivo ancora il suo respiro sul collo e il sapore dell'alcool sulle labbra, sentivo ancora le sue mano calde, la sua bocca vorace e i nostri baci insaziabili.
Avevo ricordato quasi tutto.
E per quel motivo avevo bisogno di una doccia ghiacciata, per tenere a bada gli spiriti bollenti.
Uscii dal pigiama e mi buttai direttamente sotto la doccia, beandomi di quello splendido lunedì festivo, era Halloween.
Lavai tutte le mie preoccupazioni, lasciai che mi scivolassero addosso, lavandomene, e uscii dalla doccia sentendomi come nuova.
Dato il clima mite, indossai dei semplici pantaloncini di jeans e la mia adorata camicia bianca, infilandola dentro ai pantaloncini.
E le pantofole da casa.
Sorrisi guardandomi allo specchio: con la coda, senza trucco ma con il sorriso sulle labbra, poteva essere l'inizio di una buona giornata.
E così andai ad aprire quando bussarono alla porta, solo che ad aspettarmi c'era un Justin tutt'altro che sorridente.

“Si può sapere perché, cazzo, mi stai evitando?” Urlò, entrando in casa.
“Ciao anche a te, Justin.” Risposi, inarcando un sopracciglio, per poi chiudere la porta alle mie spalle.
“Mi incolpi, mi fai una merda, piangi e scappi via. Dio Liz, sono stufo di tutto ciò!” Continuò, fermandosi al centro dell'entrata.
Lo guardai, esterrefatta, senza proferire parola.
Altro che buona giornata.

“Non sapevo che essere amici significasse dirti chi, come e quando mi scopo! Giuro, Liz, mi esaurisci.” Ripeté.
Lo esaurivo.
Ci vidi nero, rosso, verde e giallo dalla rabbia.
Finché non ci vidi più. 
“Io ti esaurisco? Io? Dio Justin, sei un coglione!” Sbottai, andandogli incontro, poggiandogli due mani sul petto per spintonarlo.
Ero indignata, ferita, sanguinante e ancora piena di rammarico, non aveva alcun diritto di torturarmi ancora.
Immaturo, stupido e ancora immaturo, Justin in tutto e per tutto.

“Sto ancora cercando di capire cosa ti aspetti da me! Ho rispettato la tua fottuta volontà di non fare sesso, e sono andato a sfogarmi altrove, dov'è il problema?” Domandò, urlando.
Fu come ricevere uno schiaffo in pieno volto, o peggio.
Fu come quando un vaso si frantuma e va in mille pezzi.
Io ero il vaso.
E i mille pezzi erano il mio cuore, la mia fiducia, la mia dignità.
Mi salirono le lacrime agli occhi, ma per una benedetta volta -nonostante bruciassero- riuscii a trattenerle.

“Vuoi sfogarti, Justin?” Domandai, parlando a bassa voce, sussurrando. “Sono qui allora, prendimi.” Continuai, in tono di sfida, guardandolo negli occhi.
Aveva sicuramente letto le lacrime nei miei occhi, la voce spezzata e il tremolio delle mie dita quando arrivarono a sbottonarmi i primi tre bottoni della camicia.
Anche non vedendolo, sapevo perfettamente che il cotone del reggiseno aveva fatto capolino dai tre bottoni slacciati.

“Sono qui.” Ripetei, lasciando che le braccia mi ricadessero ai fianchi del corpo. Usami e poi gettami, come fai con tutte.
Pancia in dentro, petto in fuori, lacrime trattenute e dignità al sicuro: potevo farcela.
Ma dentro avevo già perso da tempo.
Justin sgranò gli occhi, guardandomi con gli occhi del Justin che conoscevo: rammaricati, sinceri e feriti.
Una sola lacrima scappò al mio controllo, e lui la fissò con un'intensità tale che pensai potesse quasi asciugarla.

“Liz..” Gemette: dispiaciuto, rinsanito e pentito.
Mi asciugai la lacrima, aprendo la porta: 
“Esci da casa mia, Justin.
Esci dalla mia vita.

“Liz...” Ripeté, guardandomi immobile.
“Justin, ti prego.Sto per scoppiare, avrei voluto aggiungere.
E lui uscì da quella porta, e mi sentii vuota, come se avessi perso una parte di me: la più importante.
Umiliata, derisa, ferita, mi accasciai contro la porta.
E piansi fuoco.





* * *
 


Sono stata male scrivendo questo capitolo, perché mi sono troppo immedesimata nel personaggio.
Ho sofferto con Liz, ho avuto voglia di menare Justin, ma vabbè.
Vi dico che dal prossimo capitolo ci sarà un po' di pace.. già ce l'ho tutto in mente, devo solo scriverlo!
Ora, amatemi per il mio aggiornamento super inaspettato: sono passati solo 5 giorni dall'ultimo capitolo che ho pubblicato... ma non capiterà spesso, lol.
Ora mi dileguo, devo studiare.
Sono ripetitiva, ma non m'importa: grazie alle 35 recensioni, 109 preferiti, 26 ricordati, 80 seguiti e ai 100 e passa mi piace, VI AMO DAVVERO.

Alla prossima 

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Capitolo 10
*** Sei mia ***




10. Sei mia

 

 
“Ti prego, ricordami perché sono qui.” Mi lagnai, scendendo dall'auto.
Era una serata abbastanza mite, anche se non al punto giusto da star bene con
 il mio abbigliamento: stavo congelando; avevo riposto tutte le mie speranze nell'ipotetico calore del locale in cui ci stavamo dirigendo.
Dopo la litigata con Justin mi ero letteralmente ridotta ad uno straccio, e per quel motivo mi ero data forza, mi ero infilata le scarpe ed ero scesa per prendere un po' d'aria fresca: ecco come lo avevo incontrato, e come mi aveva costretta ad andare a quella stupida festa in maschera.
Halloween non era certo la mia ricorrenza preferita, ma almeno non sarei rimasta a casa da sola, come sempre.
“Ryan!
” Insistetti, fermandomi davanti all'entrata. “Perché non andiamo da qualche altro posto, più tranquillo, solo noi?” Cercai di convincerlo.
Proprio non mi andava una festa, con un mucchio di gente, alcool e musica.

“Se non ti conoscessi, la prenderei come una proposta indecente.” Ammiccò, strizzandomi l'occhio.
Probabilmente diventai paonazza, come i miei capelli.
Mi morsi il labbro in evidente imbarazzo, e Ryan dovette notarlo visto che mi sfilò la maschera dalle dita, avvicinandosi maggiormente.
Delicatamente, mi adagiò la maschera sul volto, e la legò dietro la mia testa, e a mia gran sorpresa, senza combinare nessun macello con i capelli.
Così da vicino percepivo il suo profumo, e non potei fare a meno di notare la sua piacevolezza.
E c'era da ammettere che era alquanto bello, quella sera, mentre mi sorrideva sornione.

“E comunque..” Continuò, sfiorandomi la pelle nuda del braccio sinistro. “Io la accetterei, una tua proposta indecente.
Diventai viola dall'imbarazzo, e balbettai qualcosa di stupido come: 
“Possiamo entrare? Ho freddo.
Sogghignò, lasciando intrecciare le sue dita alle mie, e mi trascinò all'interno del locale.
Appena entrammo fui stordita dal volume della musica, il quale era alle stelle, dal calore causato dalle miriade di persone che ballavano, e dall'odore forte dell'alcool.
Tutto mi provocava una fitta allo stomaco: l'oscurità, le luci colorate, l'odore dei drink, le persone ammassate.
Tutto mi ricordava una persona: Justin.
Inevitabilmente l'umore mi scese sotto ai piedi e il sorriso mi s'increspò sulle labbra.
Ryan mi strattonò leggermente, tirandomi verso il bancone dei drink. 
“Ti va di bere qualcosa?
Sono astemia, avrei voluto aggiungere, l'ultima volta che ho bevuto mi sono svegliata nuda nel letto del mio migliore amico, avrei voluto gridargli, ma invece mi limitai ad annuire.
Volevo dimenticare tutto per una serata, volevo dimenticare perfino il mio nome, se possibile.
E l'indomani avrei vomitato anche l'anima,  ma poco mi importava.

“Due Martini.” Chiese Ryan al barista.
Eravamo seduti rivolti uno verso l'altro, e gli sorrisi guardandolo male. 
“E se volessi qualcos'altro?” Gli domandai, ironica.
“Il secondo giro lo decidi tu, dai.” Rispose, ghignando.
Lo ignorai deliberatamente e presi il mio martini, sorseggiandolo lentamente.

“Non ti facevo una che beve alcolici.” Notò, posando il suo bicchiere già vuoto.
Posai anche il mio. 
“Non mi sembrava che tu mi avessi osservata così tanto.
Sorrise sornione, avvicinandosi. 
“Ultimamente ti ho osservata un po'.” Mi confessò, appoggiando la sua mano sinistra sulla mia gamba destra.
Mi irrigidii visibilmente, e spostai lo sguardo altrove.
“Altri due martini.” Chiesi al barista, cercando di cambiare argomentazione.
Rimanemmo una manciata di secondi così: io con lo sguardo sul bancone, osservando il barista, lui con la mano sulla mia gamba, aspettando una mia mossa.
“Liz...” Sussurrò Ryan, stringendomi il ginocchio.
Mi voltai verso lui, scostando non tanto delicatamente la sua mano. 
“Ryan, non so a che gioco sta giocando, ma io non ci sto.” Sbottai, seria.
“Non sto giocando.” Ribatté serio.
Cazzo. 
“Ryan..” Sospirai, guardandolo.
Prima che potessi continuare, le sue labbra si appoggiarono sulle mie.
Sorpresa, spaesata e inaspettato, gemetti per il bacio del tutto fuori luogo.
E lui ne approfittò, intrufolando la lingua nella mia bocca.
Non mi sottrassi alla sua bocca, al suo tocco, al suo sapore, ma c'era qualcosa che non quadrava: sapeva di buono, di alcool, ma non di familiare come Justin.
Justin.
Sgranai gli occhi allontanandolo bruscamente da me, urlandogli contro. 
“Cosa cazzo ti è preso?” Sbottai, scostandomi velocemente.
Si passò la lingua sulle labbra, guardandomi freddamente. 
“Niente male, ci sai fare.” Osservò strafottente, prendendo il secondo martini.
Mi alzai, indignata. 
“Ti sei fatto decisamente un'idea sbagliata.
Mi voltai, dirigendomi dal lato opposto della discoteca, dove vi erano posizionati i divanetti. 

“Dove vai, Liz?” Sentii la presa sul mio polso.
Mi sottrassi dalla sua presa, guardandolo in cagnesco. 
“Lontana da te.
Mi guardò, sfiorandomi la maschera che avevo alzato, poggiandola sulla testa. 
“Mi dispiace.

Seduti fianco a fianco sul divanetto di pelle bianca, con intorno parecchi dei nostri amici: tutti seduti in cerchio, che sorridevano, si scambiavano battute e bevevano alcolici.
E io da asociale, con l'ennesimo martini tra le mani, con il braccio sinistro di Ryan a circondarmi il bacino e le sue labbra a sfiorarmi il collo.
La testa mi girava, le gambe erano molli, e tutto mi sembrava sfocato, ma ero abbastanza lucida da capire di essere ubriaca.
Ed ero abbastanza lucida da percepire gli occhi di Justin su di me.
Esatto, Justin.
Lo stesso Justin che era arrivato, bello quanto il sole, e mi aveva completamente ignorata: senza salutarmi, sorridermi, guardarmi.
Come se io non fossi mai esistita per lui e lui non fosse mai esistito per me.
Di conseguenza, quello era il motivo per cui avevo perso il conto dei martini che avevo bevuto e, insieme ad esso, una buona parte dei neuroni.

“Dio, Ryan, basta.” Biascicai, con la voce impastata dall'alcool, cercando di staccarmelo di dosso.
Lui sbuffò, spingendomi via da lui. 
“Quanto cazzo la fai complicata.” Grugnì, scostandomi bruscamente.
Lo guardai, con la testa che girava, guardandolo in cagnesco. 
“Ma vaffanculo, Ryan.” 
Notai distintamente gli occhi di Justin posarsi su di noi e, sotto il suo sguardo indagatore, mi alzai barcollante.

“Torno a casa in taxi.” Affermai, afferrando una borsa.
Susanne mi fermò, guardandomi. 
“Liz, aspetta, ti accompagniamo noi..
Stavo per rifiutare, quando qualcuno rispose per me. 
“No, l'accompagno io.
La sua voce, il suo tono perentorio, il rumore della sua sedia che veniva spostata per alzarsi.
Si era ricordato della mia esistenza, avrei voluto ironizzare.
Se fossi stata lucida probabilmente avrei rifiutato, l'avrei mandato a quel paese e gli avrei tirato dietro la scarpa col tacco, ma non ero esattamente nelle condizioni di iniziare una discussione seria o un litigio serio, insomma.
Avvertii il tocco della sua mano alla base della schiena, e mi sospinse delicatamente lontano dagli altri.
Avrei voluto urlargli contro, piangere tra le sue braccia, abbracciarlo, farci l'amore, ma fui solo in grado di restarmene zitta al suo fianco.
Vicini, con la sua mano a sfiorarmi la schiena, lontani, talmente distanti da non avere neanche il coraggio di guardarlo negli occhi.
Arrivati al parcheggio, di fianco alla sua auto, mi fermai.

“Justin..” Gemetti, affranta, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
Non ebbi risposta, percepii solo le sue braccia circondarmi, racchiudendomi in quell'abbraccio che tanto agognavo.
E affondai nel suo petto, con il volto nell'incavo del suo collo, con il mio cuore nel suo.
Stretti, uniti, una cosa sola.
Da lucida avrei pianto, ma da brilla mi nacque solo un sorriso spontaneo sulle labbra e mi strinsi maggiormente a lui, aggrappandomici con tutte le mie forze.
Tutti i ragazzi aveva un buon profumo, ma solo Justin profumava di buono, di casa, di familiare, di me.
Le sue braccia mi strinsero alla base della schiena, stringendomi talmente forte da farmi mancare il fiato.

“Dormi da me, stasera?” Mi domandò, tenendomi stretta.
Annuii.

Justin.

Spensi il motore dell'auto, e mi girai verso Liz, beccandola a fissarmi.
Sorrisi notando la sua tenerezza, e le guance le diventarono della stessa tonalità dei capelli.

“Vieni qui.” Le feci segno, indicando le mie gambe.
Mi guardò, increspando la fronte, ma fece ciò che le avevo chiesto.

“Che c'è?” Sospirò, appoggiando la sua fronte contro la mia.
Il suo respiro sapeva di alcool, ma era maledettamente invitante come sempre.
Mi avvicinai alla sua bocca, schiudendo le labbra, e lei seguì il mio gesto, preparandosi al bacio. 
“Non mi piace che ci sia il sapore di un altro su di te.
E spaccherei la faccia al mio migliore amico perché ti ha baciata, ti ha sfiorata.
E giuro che ancora mi prudono le mani dalla voglia di fargli capire come stanno le cose.
E ti spoglierei, bacerei ogni singolo angolo del tuo corpo, per farti capire che nessuno può toccare ciò che è mio.
E metterei un cartello su di te per tenere ogni tipo di essere animale e non lontano da te. 
E sei così maledettamente eccitante che ti prenderei, in quest'auto, senza farmi alcuno scrupolo.

Liz mi tirò qualche ciocca di capelli, guardandomi negli occhi. 
“Nemmeno a me.
E mi baciò, con un'intensità tale da non sembrare Liz.
Con brama, adorazione, dolore.
Gemendo sulla mia bocca, mordendo le mia labbra, sbottonando la mia camicia.
Mi tuffai affamato a baciarle il collo, succhiando il lembo di pelle nuda, lasciandovi il segno.
Arrivai a baciare il solco tra i suoi seni, lodando la scollatura ampia del vestito.

“Sei mia, Liz.” Arrancai, gemendo, afferrandola per uscire dell'auto e portarla nella mia camera: morivo dalla voglia di farle gridare il mio nome.




* * *
 


Salve genteeeeeeeee!
So che avevo detto che non mi sarei più presentata in anticipo, ma mi piace stupirvi, lol.
Non voglio perdere tempo, arrivo al dunque: Liz NON ha perdonato Justin, è solo ubriaca, nel prossimo capitoli ci sarà qualche... chiarezza.
Justin è un coglione ed è un PIZZICHINO geloso, lol.
Ora cosa aspettate? Una nottata di sesso bollente? AHAHAHHAHAHA chissà, aaw.
Le 39 recensioni allo scorso capitolo mi hanno fatto andare in ghrjekdfngh, vi amo.

A presto, meravigliose.

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Capitolo 11
*** Il bivio ***




11. Il bivio

 

 
L'aria fredda mi colpì in pieno volto, ma fui subito deconcentrata dalle troppe emozioni che si combattevano la mia attenzione: la lingua di Justin che mi divorava, le sue mani che mi stringevano, il suo odore che mi invadeva, i suoi occhi che mi fissavano, spalancati, mentre ci baciavamo.
Arrivammo in camera sua cozzando contro le varie pareti del corridoio, muovendoci impacciatamente, senza staccarci, riprendere fiato, respirare.
Era come se non ci fossimo mai toccati prima, come se non ci fossimo mai baciati, assaporati, saggiati.
I movimenti frenetici, i respiri mozzati, l'eccitazione alle stelle.

“Justin.” Gemetti, quando la mia schiena urtò poco delicatamente contro la porta della sua camera.
Si rituffò sulla mia bocca, senza darmi tempo di protestare i suoi modi rudi.
Era tutto sbagliato: il fatto che fossi in braccio a lui, con le gambe legate al suo bacino, che lui mi accarezzasse la pelle nuda delle gambe al di sotto del vestito, che le sue labbra divorassero le mie, che la mia bocca mordicchiasse la sua, che la porta della sua camera si richiudesse con un tonfo sordo alle nostre spalle.
Io mi sentivo sbagliata; ero una miscela di incoscienza e razionalità, di voglia di rischiare e paura di farmi male, di dolore e amore.
Mi adagiò delicatamente sul suo letto, senza mai staccarsi dalla mia bocca.
Mi aggrappai al suo collo, senza dargli via di fuga, tirandogli -indispettita- qualche ciocca di capelli.

“Justin.” Mugugnai, di nuovo, quando avvertii la sua mano sulla cerniera del mio vestito.
Di nuovo.
La cerniera che scendeva, di nuovo.
Le sue mani che mi stendevano di schiena sul letto, di nuovo.
La sua bocca che mi torturava il collo, la sua mano che risaliva sui miei glutei al di sotto del vestito, la sua lingua che mi inumidiva la pelle, di nuovo.
Ma c'era qualcosa di diverso; c'era paura: paura di lasciarsi andare, di restarne scottati, c'era voglia di lasciarsi prendere e lasciarsi invadere, c'era brama di toccarsi, aversi, baciarsi: c'era amore, devozione, dolore, disperazione.
E troppe sensazioni contraddittorie mi si erano annidate nello stomaco, facendomi sentire ancora più confusa; non ero abbastanza ubriaca da lasciarmi andare ma, tuttavia, non ero abbastanza lucida da lasciarlo andare.
Contorta, ferita, illusa.
Razionale, impaurita, bisognosa d'affetto.
Era la migliore contraddizione vivente, e anche se stavo sudando come mai in vita mia dall'eccitazione, il mio corpo non rispondeva al modo giusto.
Mi stava sfilando il vestito, eppure avevo solo paura di lasciarmi guardare e lasciarlo vedere, e non bramavo il suo tocco: lo temevo.
Risalì a carponi sul mio corpo, ancora completamente vestito, colpa delle mani che mi tremavano troppo per spogliarlo.

“Dio Liz, cosa sei, cosa ti farei.” Lo sentii gemere contro il mio orecchio, mordicchiandomi leggermente il lobo.
Tremai  alle sue parole, e sorrisi ingenuamente; mi inarcai sotto le sue attenzioni, cercando di reprimere tutte le emozioni che mi piroettavano nello stomaco, facendomi contorcere le interiora.
Perciò, cercai di concentrarmi solo su di lui.
Sul suo respiro ansimante tra il solco dei miei seni, sul calore della sua bocca che mi marchiava a fuoco le sue labbra sulla pelle, sul suo tocco esperto.
Justin riusciva ad incendiarmi anche solo con lo sguardo, e la sua mano che girovagava per il mio basso ventre non mi aiutava affatto: percepivo ogni minimo spostamento del suo pollice, il quale -stronzo- si stava evidentemente divertendo a disegnare linee immaginare sull'orlo delle mie mutandine.
Le sue mani sul mio corpo mi scaturirono delle piacevoli fitte, le quali andarono a concentrarsi nel basso ventre.

“Perché mi hai evitata, questa sera?” Ansimai, affondando il viso nell'incavo del suo collo.
Avevo bisogno di risposte, rassicurazioni, scuse.
Necessitavo di sentirmi dire che ero diversa, lui con me era diverso, noi due insieme eravamo diversi dal resto del mondo.
Ma lui mi evitò deliberatamente, come sempre, scappando dagli errori invece di affrontarli.
Per tutta risposta, si abbassò a mordicchiarmi la mascella, baciandola e leccandola, mentre, contemporaneamente, la sua mano sinistra risaliva lungo il ventre, arrivando al mio seno per scostarmi la coppa destra del reggiseno.
Ansimai vergognosamente quando la sua mano arrivò a stringermi il seno in modo rude, veementemente, privo di delicatezza.
Il mio seno sensibile percepì immediatamente la sua stretta, i capezzoli diventarono immediatamente turgidi e ciò mi portò ad inarcarmi sotto di lui, facendo scontrare il cotone dei miei slip contro la sua evidente eccitazione repressa nel tessuto dei jeans.
Gemette senza pudore quando la sua eccitazione si scontrò contro la mia intimità.
E ne approfittai, legando la mia gamba destra contro il suo bacino, schiacciandolo contro di me, completamente.

“Rispondimi.” Insistetti, cercando di giocare sporco.
Ma lui giocò più sporco di me, come sempre, e la sua mano scivolò con una lentezza esasperante tra i nostri bacini, scendendo delicatamente sotto la stoffa dei miei slip, incastrandosi alla perfezione tra le mie gambe.
E il respiro mi si mozzò in gola, gli occhi mi si serrarono, e il cuore iniziò a galoppare, viaggiare, volare.
Era tutto concentrato lì: la mia voglia di lui, tutti i problemi che si erano accumulati in quella settimana, i suoi errori, i nostri litigi.
E fu per quel motivo che, quando violò la mia parte più intima iniziando a disegnare dei piccoli cerchi in superficie, con l'indice, mi sentii in qualche modo sporca, stupida, immatura.
Violata, oltraggiata, profanata.
E iniziai a tremare, visibilmente, ma cercai con tutta me stessa di non respingerlo.
Mi sentivo soffocare; avevo voglia di gridare, spingerlo via, scappare, diventare invisibile: avevo un disperato bisogno di cancellare l'ultimo mese.
E non so se fu il contatto del mio seno nudo contro la sua bocca, se furono le sue dita che giocavano in me o quant'altro, so solo una cosa: che fu in quel momento, poco prima di arrivare all'apice del piacere, che scoppiai: la diga si ruppe, e le lacrime che avevo tanto cercato di trattenere dinanzi a lui si presentarono, violente, feroci, inaspettate.
E mi bagnarono il viso, le labbra, le gote, facendomi raggiungere il piacere in modo imposto, condannato, sancito.
E fu la sensazione più strana al mondo: mi sentii in paradiso, circondata dalle fiamme dell'inferno, o forse più probabilmente l'inferno era dentro di me.
E mi accasciai, sfinita, iniziando a singhiozzare, lasciando che i singhiozzi mi trapelassero l'anima, ferocemente.
E, la liberazione del piacere, aumentò solo la mia vergogna.

“Dio, Liz, cos'hai?” Gemette Justin, afferrandomi il viso tra le mani.
“Abbiamo rovinato tutto, Justin, tutto.” Sussurrai, sfinita, rannicchiandomi in posizione fetale.
Justin non parlò, e ciò accrebbe solo il mio senso di colpa: mezza nuda, ancora accaldata per il piacere appena arrivato, e mi ero lasciata usare di nuovo.
Perché?
Perché lo volevo, con tutta me stessa.
Perché ero lucida e razionale, nonostante l'alcool.
Perché le lacrime si fermarono, dopo poco, ma Justin restò in silenzio, tirandomi contro il suo petto, cullandomi nel suo calore.
Perché l'errore più grande, fu chiedermi se avesse dormito abbracciato anche con la ragazza con cui aveva fatto sesso, dopo aver condiviso quel pomeriggio con me.


“Mi passi i cereali? E il latte... e anche il caffè, già che ci sei.” Borbottai, biascicando le parole.
Justin mi guardò, inarcando un sopracciglio, lasciando i cereali, il latte e il caffè lì dove erano. 
“Non dovremmo parlare, noi due?” Domandò, retorico.
Sbuffai, alzandomi dal tavolo.
“Se non vuoi passarmeli, basta dirlo, me li prendo da sola!” Replicai, evitando deliberatamente la sua domanda.
Appena gli fui di spalle, iniziai a mordicchiarmi il labbro in difficoltà, sapevo che prima o poi avremmo dovuto parlare di ciò che era accaduto.
La notte prima non ero affatto riuscita a dormire, in quanto c'erano troppi fattori a distrarmi: Justin che dormiva in boxer -e ciò non mi avrebbe aiutata ad essere arrabbiata con lui-, le sue braccia che mi avevano completamente schiacciata contro di sé, e la sua camera invasa dal proprio odore.
Ed erano stati quelli i motivi per cui mi ero alzata, avevo infilato una sua felpa, avevo recuperato un cuscino ed una coperta ed ero andata a dormire sul divano.
Dove ero rimasta fino a che, il fracasso di Justin che armeggiava con la colazione, non mi aveva svegliata.
Non avevamo parlato, tranne qualche 
“buongiorno” appena sussurrato da parte di entrambi.
“Ti sta bene la mia felpa, sai? Mette in risalto... i punti giusti.” Ammiccò, distraendomi dai miei ricordi.
Mi girai, fulminandolo con lo sguardo. 
“Sei un maiale.” Sbottai, arrossendo.
Cercai di tirare più giù possibile la felpa, e andai a sedermi senza guardarlo in volto, portando con me il latte, il caffè e tutti i suoi biscotti preferiti.

Mi riempii la tazza di latte e caffè, per poi prendere i biscotti.
“Passami i biscotti.” Grugnì.
“Perché dovrei?
Mi guardò in cagnesco, molto stile passami i biscotti e nessuno si farà del male. “Perché sono miei.
“Ma io sono l'ospite.” Gli ricordai, mettendomi il pacco dei biscotti in grambo.
“Liz, i biscotti.
Mi portai un biscotto alla bocca, mangiandone metà. “Sono buonissimi, lo sai?” Sogghignai, con la bocca piena.
“Liz.” Sospirò, e il mio nome risuonò come una preghiera tra le sue labbra.
Il suo sguardò si posò insistente su di me, guardandomi come se volesse mangiare me e non i biscotti.
Rabbrividii a quello strano paragone, e gli porsi il pacco coi biscotti. 
“Okok, prenditi i biscotti.
“Troppo tardi.
Non capii subito le sue parole, ma solo quando si avvicinò fulmineo e mi afferrò, circondandomi con un braccio l'incavo delle ginocchia e mi caricò in spalla, come un sacco di patate.

Lanciai un gridolino, scalciando alla cieca. “Justin, cazzo, vomiterò così.” Urlai, cercando di divincolarmi.
Aumentò la presa intorno alle mie gambe, senza rispondermi, entrando nel salone.

“Se mi metti a terra, non mangerò mai più i tuoi biscotti, giuro.” Piagnucolai, afferrando il lembo della sua canotta.
Avvertii la sua presa rallentare, e si piegò in avanti quel tanto che bastava per adagiarmi di schiena tra i cuscini del divano.
Lo guardai, confusa. 
“Cosa stai f...” Ma le parole mi morirono in gola, o meglio, mi morirono sulle sue labbra.
Justin si tuffò a capofitto sulle mie labbra, rendendo subito quel bacio profondo, rude, divoratore: non mi stava baciando davvero, non poteva baciarmi con quella veemenza, come se volesse mangiarmi, come a consumarmi le labbra, quasi a voler mettere proprietà privata su di me.
Non poteva.
Non poteva continuare a giocare in quel modo con il mio cuore, non potevo lasciare che il calore del suo tocco mi accarezzare perfino l'anima, non potevamo continuare in quel modo: ci trovavamo nel bel mezzo di un bivio, e le strade erano due: tentare o rinunciare.
Rabbrividii, lasciando che la sua mano si poggiasse sul mio fianco, al di sotto della sua felpa, a contatto con la mia pelle nuda e il cotone dei miei slip.

“Smettila di fare così.” Sussurrò, mordendomi il labbro inferiore, per poi passarmi la lingua sui denti superiori. 
“Smettila di tentarmi, di provocarmi, di essere così maledettamente eccitante.” Continuò, togliendo la mano dalla mia pelle nuda.
Mi tirò giù la felpa, quasi a celare il mio corpo dal suo sguardo. 
“Smettila, ti prego.
Lo guardai, intimorita.
Le sue labbra a pochissimi centimetri dalle mie, i suoi capelli a solleticarmi la fronte, il suo respiro contro il mio.

“Sei tu che ti diverti a giocare al gatto e al topo con me.” Ribattei, con il respiro pesante.
Socchiuse gli occhi per un istante, per poi riaprirli e guardarmi intensamente. 
“Perché sei scoppiata a piangere ieri sera?
Perché provo qualcosa per te, ma non so cosa. 
“Non ce la faccio a continuare così, Justin.
Deglutì, soffiandomi sulle labbra. 
“Cosa vuoi da me, Liz?
Amore, calore, scuse, rassicurazioni. 
“Che tu la smetti di comportarti così, che torniamo ad essere solo noi... solo amici.
Il labbro inferiore iniziò a tremarmi, e gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Nello stesso momento in cui parlai, desiderai non aver mai aperto bocca, desiderai rimangiarmi tutto.
Non sarei riuscita a non toccarlo, baciarlo, desiderarlo.
E non volevo neanche che lui smettessi di farlo.
Justin mi scrutò in volto, trafiggendomi con il suo sguardo indagatore, cercando di leggermi dentro. 
“Se è questo, ciò che vuoi.
Sospirò, rallentando la presa sui miei polsi. 
“Non ti toccherò più.




* * *
 


GIU' I FORCHETTONI, GENTE, VENGO IN MODO PACIFICO (?)
Tutti che si aspettavano sesso bollente, un MM rosso per questo capitolo e 2 o 3 posizioni del kamasutra.. mi dispiace deludervi, ma a me piace stupirvi, si è notato? lol
Dai, mi amate ugualmente, vero? Sì, lo so.
Vorrei specificare che Liz non è innamorata di Justin, però i suoi sentimenti iniziano a cambiare.
E, anche se mi dispiace dirlo, ma i sentimenti di Justin sono immutati, tranne per l'attrazione fisica.

Poi, vediamo... Liz non riesce a staccarsi da ciò che è e, per questo, scoppia a piangere non riuscendo ad andare a letto con Justin. 
E, come vediamo alla fine, prende -anche se a malincuore- la decisione di non avere più "fisicità" con Justin.
Ciò che maggiormente l'ha bloccata, è il fatto che, incosciamente, sa che Justin non rinuncerà mai ad infilarsi nei letti delle altre ragazze... e, in cuor suo, capisce che non vuole dividerlo con altre e, allora, mette fine a ciò che c'è tra di loro.
Ma secondo voi, riusciranno davvero ad essere di nuovo solo amici? Io non vi anticipo niente, ahahahaha.
AH, ODDIO, QUASI DIMENTICAVO: 52, 52, 52 RECENSIONI
GIURO, NON ME LE SONO MAI NEANCHE SOGNATE 52 RECENSIONI IN UN SOLO CAPITOLO, E' PIU' DI QUANTO ABBIA ANCHE SOLO IMMAGINATO!
VORREI RINGRAZIARVI IN QUALCHE MODO, MA NON SO DAVVERO DA DOVE INIZIARE!
E' PER VOI CHE CERCO DI AGGIORNARE SEMPRE PUNTUALE E DI NON DELUDERVI, SCRIVO COL CUORE E CI METTO TUTTA ME STESSA, E GIURO CHE NON VI ABBANDONERO'.
GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE: 
STATE PORTANDO IN ALTO QUESTA STORIA.

Vi amo, a prestissimo. ♥♥♥

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Capitolo 12
*** Amici (di letto)? ***




12. Amici (di letto)?

 

 
Il silenzio venne interrotto da un singhiozzo che, incontrollato, mi trapelò dalle labbra. 
“Justin.” Sussurrai, spaventata dal suo repentino allontanamento.
“Justin!” Ripetei, alzando la voce, mentre lui scompariva tra le mura della sua camera, mentre io venivo travolta dalla paura di perderlo come amico, amante, protettore, di perdere l'unica persona che sentissi mia.
Mi alzai dal divano con uno scatto repentino, e mi infilai anch'io tra le mura della sua camera.
C'era qualcosa dentro di me, un qualcosa che mi impediva di pensare, riflettere, ragionare, fare la cosa giusta, avevo solo voglia di mettermi a nudo, fisicamente e moralmente, avevo voglia di baciarlo, assaporarlo, prenderlo e lasciarmi prendere.
Mi stavo consumando dalla voglia di averlo.
Justin si girò, fronteggiandomi. 
“Cosa vuoi ancora, Liz?
Voglio te. Voglio le tue labbra, il tuo corpo, il tuo cuore. Voglio te. 
Le parole mi rimasero incastrate in gola, bloccate della paura di potermi esporre troppo, ma l'istinto ebbe la meglio e mi gettai sul suo corpo, cingendogli il collo con le braccia, cercando di sciogliere i suoi occhi freddi, e premetti le mie labbra sulle sue in un gesto folle dettato dall'istinto, dalla voglia di averlo, di essere sua.
Sconsiderata, folle e scellerata, ero letteralmente pazza.

Justin era cauto nei movimenti, incredulo quasi quanto me, ma oramai ero in ballo e volevo giocare; spinsi il mio corpo contro il suo e reagì all'istante: il bacio dapprima lento e delicato divenne un vero e proprio bacio pieno di foga, passione, un continuo perdersi e ritrovarsi, un intreccio di due lingue, uno scambio di sentimenti, di voglia di lasciarsi andare e paura di scottarsi.
Un incendio di eccitazione mi infiammò il basso ventre, spingendomi ad emettere un gemito basso e acuto, accompagnato da un'assurda richiesta folle e sconsiderata.

“Voglio fare l'amore con te, Justin.” Ansimai. “Qui, ora, con te, da lucidi, solo noi.” Socchiusi gli occhi, guardando le sue pupille dilatate dalla passione, il colore delle sue iridi color caramello in fiamme, eccitato, ansimante, stravolto. “Solo una volta, Justin, fai l'amore con me.
Fui travolta dall'intensità delle parole che io stessa avevo pronunciato, morivo dalla voglia di unirmi al suo corpo, di essere un'unica cosa con il mio migliore amico, di averlo dentro di me, di avvolgerlo, averlo, sentirlo mio, solamente mio ed unicamente mio.
Justin strabuzzò gli occhi meravigliato o, forse, scioccato.
Mi scrutò, trapelandomi con il suo sguardo liquido, forse alla ricerca di un gesto che significasse che sì, le sue orecchie avevano ascoltato il vero, volevo fare l'amore con lui.

“Liz, piccola...” Ansimò,  e quel piccola risultò come poesia tra le sue labbra, dolce, delicato, sincero.
Lo volevo, lo desideravo, fanculo i timori, le paure, le problematiche, lui voleva me ed io volevo lui, null'altro importava.
Mi portai le mani ai lembi della felpa che indossavo e la sfilai senza avere ripensamenti: non mi ero mai sentita sexy, ma in quell'esatto istante mi sentii scottare.
I suoi occhi ispezionarono ogni lembo di pelle nudo, non portavo quasi nulla addosso, tranne un paio di miseri slip bianchi e semplici; le sue iridi si dilatarono e guardò quel pezzo di stoffa tra le mie gambe tanto intensamente da poter quasi farlo scomparire.

“Sono qui Justin, prendimi.” Lo pregai, con la voce smorzata dall'eccitazione.
In un arco di tempo quasi nullo la situazione si capovolse: Justin mi spinse di schiena sul letto e mi assalì proprio come un predatore assale la propria preda: affamato. 
Emisi un gemito troppo acuto non appena spinse il suo bacino contro il mio, il suo petto caldo contro il mio seno nudo, e le sue labbra perse sulle mie.

“Oh Liz, Liz.” Sussurrò, mentre le sue labbra scendevano a baciarmi il seno con adorazione e venerazione.
Mi inarcai sotto le sue attenzioni, mentre il centro del mio corpo tremava dalla voglia di accoglierlo dentro di se, dalla voglia di riempire il vuoto dentro di me.

Provavo quasi vergogna dall'intensità delle emozioni fisiche ed emotive che provavo; mi sentivo sciogliere tra le sue braccia, fra le sue carezze e sui baci lungo il mio corpo, fra i gemiti e incitazioni.
Mi sentivo tremare intimamente, fremere, soprattutto quando il tessuto dei suoi boxer si scontrò contro il mio bacino oramai denudato.
Legai le gambe al suo bacino, col desiderio di attenuare almeno un po' quella voragine di eccitazione che mi attanagliava, e lo spinsi contro di me.
Ma lo volevo dentro di me.

“Justin.” Gemetti, con un verso quasi gutturale, la mia voce nascondeva un chiaro invito.
Oramai anche lui era privo di qualsiasi indumento. “Dillo che mi vuoi Liz.”

“Justin..” Ripetei, in chiaro tono di preghiera.
“No Liz, voglio sentirtelo dire.” Sussurrò, le labbra contro le mie.
Lo guardai nei suoi occhi color caramello, carichi di voglia, di bisogno, di calore.
Soffiai leggermente sulle sue labbra, in un chiaro gesto di timidezza.
Spinsi il bacino contro di lui. “Ti prego Justin...” Sussurrai. “...ti prego.”
“Oh Liz.” Sussurrò, e nello stesso istante mi penetrò con una spinta forte e decisa.
Boccheggiai, restando paralizzata dal bruciore fortissimo.
Il ricordo del dolore che avevo provato la notte del mio sedicesimo compleanno era nulla rispetto al dolore reale, persistente e intenso che mi infiammava il ventre.
Justin si era chiaramente accorto del mio dolore. “Dimmi tu quando posso continuare.”
Una lacrima mi rigò il volto, involontaria e incontrollata, non volevo assolutamente rovinare la bolla di passione che ci aveva avvolti.
Feci un piccolo cenno di assenso.
Sentii il suo tocco caldo accarezzarmi la guancia, in un tenero gesto di comprensione.
Lo sentii uscire lentamente, con delicatezza, ma nonostante ciò il bruciore non si attenuò.
Non mi importava del bruciore, del dolore e delle lacrime, avere Justin dentro di me era ciò che bramavo di più al mondo.
Il bruciore resisteva, spinta dopo spinta, ma un leggero piacere iniziava a nascere dentro di me.
Non sapevo riconoscere se fosse un piacere fisico o mentale, ma seppi riconoscere i brividi che provai ad averlo dentro di me.
Ad avere le sue mani calde contro il mio collo.
Ad avere le sue labbra sulla mia fronte.
Ad averlo con me. Dentro di me. Contro di me.
Le goccioline di sudore gli contornavano la fronte, le labbra socchiuse per i gemiti, gli occhi impressi nei miei.
Era bellissimo.
Lo fissai o, meglio, lo ammirai, mentre usciva dal mio corpo e raggiungeva l'apice del piacere, la pace dei sensi, il piacere superiore.
Mi sentivo completa, non usata, ma in pace con me stessa e con il mondo.
“Dio Liz, che mi fai.” 
Lo guardai, sorridendo.
“Però” osservò “Qui c'è ancora qualcuno da soddisfare..” 
Un bacio sul collo, uno sul seno, uno sullo stomaco, uno sull'ombelico...
...poi toccò a me gridare dal piacere.
 
 
 
 

* * *
 


Non so neanche con che parole iniziare, se non con lo scusarmi.
Scusate perché il mio modo di scrive è degradato.
Scusate perché è passato più di un anno dal mio ultimo aggiornamento.
Scusate perché sono stata una delusione per me e per voi.
Scusate perché mi avete sempre dato il vostro sostegno, anche quando non l'avrei meritato.
Però, è stato proprio quel sostegno a spingermi ad aggiornare proprio qui, ora, adesso.
Il capitolo non è dei più lunghi perché vorrei prima vedere se c'è ancora qualcuno che mi segue e capire se devo continuare.
Se mai qualcuno mi seguirà, sarò grata di continuare con voi, questa volta senza far aspettare un anno.
Scusate, 
spero che qualcuno ci sia ancora a seguirmi.

♥♥♥



 

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Capitolo 13
*** ANNUNCIO ***


No, non è un capitolo.
Tutt'altro.
Sono qui per dirvi che non scriverò più.
La scrittura ha segnato la mia vita per un periodo di tempo, ma era destinata ad essere solo un capitolo.
Ed ora credo sia arrivato -purtroppo- il momento di voltare pagina.
Voglio motivare questa mia decisione.
Come voi tutte sapete, solo pochi giorni fa ho aggiornato una storia che non ho aggiornato per circa un anno, e devo -a malincuore- ammettere che non ho provato emozioni scrivendo, non sono riuscita ad immedesimarmi nei personaggi né tanto meno ad emozionarmi.
Mi dispiace.
Ora non nego che magari scriverò ancora, probabilmente piccole OS di un capitolo o poco più.
Di storie così, o magari di maggiore contenuto, scriverò di nuovo solo quando un giorno (forse) riprenderò tra le mani questa mia piccola passione.
Mi dispiace, davvero.

 

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