Stand by me

di TheWhiteDoll
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


“Science fiction is the most important literature in the history of the world, because it's the history of ideas,
the history of our civilization birthing itself. Science fiction is central to everything we've ever done, 
and people who make fun of science fiction writers don't know what they're talking about.” ― Ray Bradbury

 



 


Quel giorno Emily aveva passato fin troppo tempo in biblioteca, ed era decisamente stanca. Ore ed ore a spulciare scaffali polverosi nell'angolo più dimenticato dell'edificio, in cerca di qualche saggio autorevole sulla letteratura fantascientifica per avvalorare la sua ricerca. Alla fine aveva concluso che la cittadina di Clareville, nella quale risiedeva ormai da quasi un anno, non aveva molto da offrirle, e che nei giorni seguenti avrebbe dovuto prendere il treno e andare direttamente a New York per documentarsi più approfonditamente.
Del resto, aveva proprio bisogno di riposare un po' la mente, in tutti i sensi. Il 2000 si era rivelato un anno piuttosto duro per lei: non era stato facile abbandonare l'Europa, con i suoi ritmi e le sue abitudini così differenti, e ancor meno lo era stato cambiare scuola, professori, compagni di classe, sistema di studio.

Emily era nata e cresciuta in Italia, ma il suo nome era di origini inglesi come la sua mamma. I suoi genitori, entrambi ricercatori - suo padre nel campo della fisica teorica e sua madre in quello dell'astrofisica -, si erano trasferiti nel New Jersey l'anno precedente per questioni di lavoro, e lei, per forza di cose, aveva dovuto seguirli: fortunatamente, essendo cresciuta bilingue, non aveva avuto alcun problema.
Così, a diciassette anni, si era ritrovata a Clareville, una cittadina della provincia americana come quelle che aveva visto centinaia di volte nei film: un piccolo centro di case bianche, tavole calde e fast food sparsi qua e là, negozi in vecchio stile, e una bella periferia intervallata da spazi verdi ben curati. Era riuscita subito ad ambientarsi, nonostante le radicali differenze tra la mentalità europea e quella americana, e perciò, anche se lasciarsi alle spalle la vecchia routine per ricominciare daccapo era tutt'altro che uno scherzo, la vita negli Stati Uniti aveva cominciato a piacerle.
Per l'appunto, la settimana precedente il suo nuovo professore di letteratura aveva assegnato a tutta la classe una ricerca, il cui esito avrebbe influito sulla valutazione dell'esame finale: ognuno avrebbe dovuto scrivere un saggio sul suo genere letterario preferito, argomentandolo sia dal punto di vista storico-sociale che da quello tematico. Emily era stata entusiasta del compito, perché finalmente avrebbe potuto approfondire uno degli argomenti che più amava: la fantascienza, un genere di cui era sempre stata appassionata, forse proprio per via del lavoro dei suoi genitori a cui aveva sempre guardato con curiosità e ammirazione. Fin da quando era piccola aveva ascoltato con interesse le discussioni di suo padre e sua madre sulla teoria delle stringhe e sui buchi di Worm, e sognato di poter arrivare su Marte, un giorno, con la prima colonia extra-mondo, o di possedere la sua personale Delorean per scoprire cosa sarebbe accaduto nel futuro: quale luogo migliore, dunque, per documentarsi su questo filone narrativo, se non proprio la patria di Asimov, Brown, Dick e Matheson? Era decisamente un'occasione d'oro.

Sapendo che avrebbe avuto bisogno di svagarsi un po' dopo tre ore ininterrotte di (inutili) ricerche, aveva portato con sè la sua Spirit 600, un vecchissimo modello di Polaroid rimediata per pochi dollari in un thrift shop, con cui amava scattare istantanee durante le sue escursioni urbane: avrebbe fatto una passeggiata fino a casa sua, a un quarto d'ora di cammino, facendo qualche foto per aggiornare il suo album. Così, uscendo dall'edificio, accese il suo preziosissimo lettore mp3 (un Nomad Jukebox da 8gb, uno dei primi, pionieristici dispositivi di archiviazione musicale digitale uscito in commercio proprio quell'anno, che aveva sognato per tanto tempo e che infine suo padre le aveva regalato per l'ultimo compleanno), infilò gli auricolari e prese in mano la Spirit, pronta a catturare qualche bella immagine durante la strada.
Quel mercoledì pomeriggio, quando si era recata in biblioteca, il sole splendeva alto e prometteva decisamente bene; appena si ritrovò fuori, però, notò che il cielo si era fatto inaspettatamente scuro e che si era alzato un vento molto forte: evidentemente, pensò, non era proprio il suo giorno fortunato. Ripose la Polaroid nella custodia e si disse che avrebbe scattato le foto in un momento migliore.
La ragazza si incamminò verso casa senza troppo entusiasmo; quel vento era davvero fastidioso, e per di più le stava completamente scompigliando i lunghi capelli, cosa che proprio non poteva sopportare: tirò su il cappuccio della felpa e affrettò il passo, pentendosi di non aver aspettato l'autobus che era appena sfrecciato alla sua sinistra. Negli auricolari risuonavano le note di "Destination unknown", una vecchia canzone degli anni '80 che faceva parte del suo archivio storico-musicale.
- Accidenti, è proprio vero, - pensò tra sé ironizzando sul ritornello della canzone, mentre cercava di ripararsi il viso con le mani - con questa bufera capisco a stento in che direzione sto andando... -
Stava attraversando il viale più in fretta che poteva, quando all'improvviso una folata di vento particolarmente forte le sfilò il cappuccio della felpa; solo allora, sollevando appena lo sguardo verso l'alto, se ne accorse: in lontananza si stagliava, come un solco tra cielo e terra, una tromba d'aria di proporzioni notevoli, e sembrava muoversi rapidamente proprio nella sua direzione.
- Oh mio dio... - si lasciò sfuggire la ragazza, bloccandosi in mezzo alla strada in preda al panico: non si era mai imbattuta in un ciclone, ma sapeva perfettamente che non sarebbe mai arrivata a casa in tempo per mettersi in salvo. Senza pensarci due volte, fece dietrofront per dirigersi di nuovo verso la biblioteca: si sarebbe rifugiata lì dentro finché il tifone non fosse passato del tutto.
Non appena si voltò indietro, l'aria si trasformò in una barriera impenetrabile: Emily iniziò a correre a perdifiato, ma più si sforzava, più aveva l'impressione di trovarsi sempre nello stesso punto. La borsa con i libri le pesava come fosse piena di mattoni, e la forza centrifuga della tromba d'aria, che stava risucchiando tutto quello che incontrava sulla sua strada, sembrava attirarla sempre più verso di sé.
Emily correva, mentre il vento continuava a sferzarle il viso con una forza spaventosa; la gente intorno a lei scappava in tutte le direzioni, sentiva delle grida nel boato ma era troppo terrorizzata per voltarsi da un lato o dall'altro: era la prima volta nella sua vita che si trovava in una situazione del genere, e in cuor suo cominciò a temere che avrebbe potuto anche essere l'ultima. Ormai si muoveva del tutto alla cieca, annaspando, sbattendo contro gli idranti, le panchine, i lampioni, e tutto ciò che la circondava. Ad un tratto, però, il suo piede si posò su una lastra di marmo: era finalmente arrivata nel piazzale davanti alla biblioteca.
La ragazza rallentò appena, cercando a tentoni i gradini dell'atrio per non inciampare: ce l'aveva fatta, nel giro di un attimo sarebbe stata dentro al sicuro, a guardare il ciclone dalla finestra insieme agli altri...
Improvvisamente, una spinta sovrumana le fece perdere il controllo dei movimenti, sbalzandola all'indietro con uno strattone: la tromba d'aria l'aveva raggiunta, e l'aveva risucchiata nel suo turbine senza via di scampo. Emily tentò invano di divincolarsi, ma in meno di un secondo si ritrovò a fluttuare a metri e metri da terra, mentre tutto ciò che era stato risucchiato lungo la strada, e che ora roteava con lei nel vortice, la colpiva a destra e sinistra, sballottandola in ogni direzione. Quando capì che era inutile lottare, la ragazza chiuse gli occhi, aspettando di venire scaraventata contro qualcosa, e convinta ormai che quelli sarebbero stati i suoi ultimi istanti sulla terra.



♬ Missing Persons - Destination unknown ♬



Nota: per chi avesse letto la prima stesura, ho dovuto modificare alcuni particolari della versione pubblicata inizialmente per via di un'incongruenza nella trama, tra cui l'età della protagonista.
Spero che questo capitolo introduttivo possa incuriosire qualcuno spingendolo a seguire questa fiction. Se avrò la costanza di continuare a pubblicarne i capitoli, lo farò documentandomi seriamente sugli elementi scientifici e fantascientifici che fanno da contorno, per rendere il racconto il più possibile realistico.
Nella storia, a partire dal titolo, sono presenti anche molti riferimenti musicali, perciò alla fine di ogni capitolo, se possibile, cercherò di inserire i link alle canzoni, essendo parte integrante della narrazione.
Ovviamente, se avete voglia di scrivere un commento, sarei contenta di sapere cosa ne pensate :)

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Qualcuno la stava chiamando, scuotendole dolcemente la spalla. 
Emily aprì lentamente gli occhi, come se si fosse appena risvegliata da un lungo sonno: era distesa a terra con la faccia sull'erba, un'erba fresca e profumata, appena tagliata. Era viva.
Si risvegliò tra una casetta di legno per attrezzi e una staccionata, in quello che sembrava un giardino privato; si sollevò piano, poichè sentiva i muscoli intorpiditi e doloranti, e si guardò intorno confusa: le sembrava di trovarsi in un luogo familiare, ma non sapeva dire esattamente dove.
Improvvisamente le tornò in mente la tromba d'aria, e un brivido le percorse la schiena quando ripensò all'istante terribile in cui era stata travolta dal vortice. I suoi ricordi si fermavano al momento in cui, nell'occhio del ciclone, aveva intravisto un forte bagliore elettrico provenire da una specie di buco, grande più o meno quanto lei: per un istante, un nanosecondo forse, era riuscita a guardare attraverso di esso, e aveva avuto l'impressione che fosse una voragine nera senza fine. Poi, non ricordava più nulla.
Si guardò di nuovo intorno con timore, e a quel punto ebbe la sensazione che fosse tutto troppo tranquillo dopo quanto era accaduto, quasi come se la tromba d'aria fosse stata solo un sogno, o il frutto della sua immaginazione. Fu solo in quel momento che si accorse della persona che le stava di fronte: un ragazzo alto, piuttosto grassoccio, con i capelli neri e gli occhi scuri; indossava una larga camicia hawaiiana e dei pantaloni bianchi con la piega in mezzo, e non aveva un'aria particolarmente sveglia.
- Stai bene? - le chiese lui, con sguardo preoccupato.
- Da quanto tempo sono qui? - gli rispose lei, ignorando la sua domanda.
- Non lo so... Stavo venendo a restituire il tagliaerba al signor Murphy e ti ho trovata qui distesa in terra, svenuta... Ti sei fatta male? -
- Mi fanno male tutte le ossa, ma credo che non ci sia niente di rotto. Ma che ne è stato del tifone? È finito? -
Il ragazzo la guardò strabuzzando gli occhi:
- Quale tifone? -
- La tromba d'aria che ha appena devastato la città... - gli rispose Emily, un po' interdetta.
Lui si fece sfuggire una risata:
- Non vediamo una tromba d'aria da queste parti da almeno tre anni! Sei sicura che sia tutto a posto? - disse il ragazzo, con una nota di derisione nella voce.
- Tre anni?! Senti, io sarò arrivata qui solo nel luglio del '99, ma non credo proprio che quella di poco fa sia stata una folata di ponentino! - urlò quasi Emily.
- ... '99?! - Il ragazzo la guardò con aria incredula, come se stesse parlando con un'insensata.
Emily era più confusa di lui:
- Ma... Sono a Clareville, giusto? - gli chiese, presa improvvisamente da un dubbio.
- Sì, certo... -
La ragazza si fermò un istante a riflettere: possibile che fossero passati tre anni senza che nessuno fosse venuto a cercarla? Possibile che fosse il 2003? No, concluse infine: quell'idea non aveva senso.
Il tipo che le era di fronte non le ispirava una gran fiducia, eppure, effettivamente, lì intorno non c'era la minima traccia del passaggio di un tifone: era tutto così perfetto e ordinato che le sembrava di trovarsi in una cartolina d'epoca. E ora che ci pensava, dove si trovava esattamente
Eppure, quel posto le diceva qualcosa.
- In che zona di Clareville siamo, precisamente? - chiese di nuovo al ragazzo, continuando a guardarsi intorno spaesata.
- A Greenfield - le rispose lui con naturalezza.
Emily restò basita: ma certo, quello era Greenfield, il quartiere che si trovava tra casa sua e la biblioteca comunale. O meglio, era un posto che gli somigliava in modo impressionante, senonchè nella Greenfield che conosceva la strada era costeggiata da case su ambo i lati, che si estendevano per diversi isolati fin dove abitava lei: la sola cosa che si estendeva lì, invece, di fronte all'unica fila di case di legno che aveva alle spalle, era la campagna. E da quando viveva lì non c'era mai stata nessuna campagna, a Greenfield.
- Come no... - disse in tono di scherno al ragazzo, - Da quando a Greenfield ci sono i campi di granturco? -
- Beh, - rispose lui, - fino all'anno scorso c'erano delle piantagioni d'orzo, ma negli ultimi tempi... -
La sua frase fu interrotta dal suono di un clacson: da un'auto decappottabile piuttosto vintage, su cui sfrecciavano tre ragazzi con giubbotti da collegiali, qualcuno gridò al suo indirizzo:
- Hei, ragazzi, c'è Mister Patata! -
- Chi è quella, la tua ragazza?! - lo schernì un altro di quelli. Tutti e tre risero a gran voce.
- Va' al diavolo! - gridò di rimando il ragazzo, che era visibilmente arrossito. Nel frattempo, l'auto si era allontanata mentre i tre continuavano a sghignazzare, con la radio che in sottofondo gracchiava una vecchia canzone stile West Coast.
Emily aveva seguito la scena attonita:
- Oh mamma... Cos'è questa mascherata? -
- Come? - le fece il ragazzo, ancora rosso in viso.
- C'è una festa a tema "Happy days" per caso? E io che credevo che dovesse ancora esaurirsi il revival degli anni '70... -
- Vuoi dire che ci sono delle fiere in costume stile western da queste parti? - chiese lui incuriosito.
- Che c'entra il western con gli anni '70? - Emily non riusciva a seguire il filo dei discorsi di quel ragazzo.
- Beh, anche se i miei sono di origini italiane ho studiato bene la storia americana, e lo so che nel 1870 qui in America c'erano i cowboy... - rispose lui, con aria quasi ebete.
- Beh, - lo scimmiottò lei, - se è per questo anch'io sono italiana, ma so che quando si parla di "anni '70" di solito ci si riferisce al periodo compreso tra il 1970 e il 1979, non all'Ottocento! -
Lui la fissò strabuzzando gli occhi per la seconda volta:
- ...1970? E nel 1970 le ragazze si vestono tutte con quegli enormi pantaloni da soldato con gli orli che toccano per terra? -
Emily lo guardò dritto negli occhi: era chiaro che la stesse prendendo in giro, eppure non le sembrava proprio il tipo. Cosa c'era che non andava nei suoi pantaloni militari? Tutte le ragazze della sua scuola li indossavano!
All'improvviso le balenò di nuovo in testa l'assurda idea che aveva avuto poco prima: e se davvero fosse passato molto più tempo di quello che le era sembrato? Se i suoi genitori fossero morti nel tifone e lei, dispersa e in stato di incoscienza, fosse stata dimenticata lì per anni finchè non si era risvegliata? Se quello fosse stato... il futuro?
In quel momento, ancora intontita e spaesata, le sembrò una spiegazione plausibile. Fece una pausa, e poi, in un tono che non riuscì a celare una certa dose di timore, gli chiese:
- Scusa... Che giorno è oggi? -
- Lunedì 10 maggio... -
10 maggio: ma allora, pensò Emily, era tutto a posto! Non era rimasta lì in coma per chissà quanto tempo... Era ancora il 10 maggio, il giorno di quel dannato tifone! 
La ragazza tirò felice un sospiro di sollievo, perchè per un attimo aveva creduto davvero che le cose fossero andate in quel modo. Ma come poteva essere stata così sciocca da pensarlo? Non poteva essere rimasta lì inosservata per tanto tempo, e poi la polizia americana era tra le più efficienti del pianeta, figuriamoci se non l'avrebbero cercata in lungo e in largo per tutto il territorio!
Poi, però, dopo quel breve momento di conforto, pensò meglio a ciò che le aveva detto il ragazzo: quel giorno non era affatto lunedì... Era mercoledì
- ... Il 10 maggio... di quale anno? - gli chiese allora, con un nodo alla gola.
- Del 1954, no? - le rispose lui, guardandola con una scintilla di preoccupazione negli occhi.
Emily restò basita: doveva trattarsi di uno scherzo. Era impensabile che questo le stesse accadendo sul serio, anzi: era scientificamente impossibile. Eppure, ora che ci faceva caso, quella campagna, quelle case, quei vestiti... Sembrava tutto così autenticamente anni '50, proprio come nel primo episodio di Ritorno al futuro... Accidenti a tutte le volte che l'aveva visto prima in vhs e poi in dvd, si trovò a pensare tra sè con rabbia, come se quel fatto avesse potuto influenzare il corso degli eventi che stava vivendo.
Notò che dalla tasca dei pantaloni del ragazzo faceva capolino una rivista arrotolata: glie la sfilò bruscamente dalla tasca, senza chiedergli il permesso, e ne lesse l'intestazione: "Astounding Science Fiction - Maggio 1954". Invece di essersi risvegliata nel futuro, come aveva pensato per un momento, era tornata indietro nel tempo
No, non poteva essere vero.



♬ Dickie Valentine - Mr. Sandman ♬



Nota del 30/08/2014: È passato molto tempo da quando ho pubblicato il secondo capitolo, e purtroppo non ho avuto lo sprint necessario per rimettermi a scrivere. Nel frattempo però ho continuato a rileggere e correggere questi primi due pezzi, cercando di renderli più scorrevoli ed eliminando le parti "morte" della narrazione.
Ringrazio di cuore, visto che non l'ho fatto prima, DanceOfUnicorn (che purtroppo ha eliminato il suo profilo), tortuga1 e _Wonderwall_, che sono stati i primi ad avere avuto il fegato di leggere e recensire la mia storia.
A presto, spero.

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